Teologia platonica. Testo greco a fronte 8845239659, 9788845239656

L'opera del neoplatonico Proclo è estremamente ampia e articolata. Dai testi esegetici dedicati ai dialoghi di Plat

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Italian Pages 1242 [1335] Year 2005

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Table of contents :
Copertina......Page 1
Occhiello......Page 2
Frontespizio......Page 3
Colophon......Page 4
Sommario......Page 5
Premessa alla nuova edizione......Page 7
Prefazione di Werner Beierwaltes......Page 9
Saggio introduttivo di Michele Abate......Page 17
TEOLOGIA PLATONICA......Page 137
LIBRO I......Page 139
LIBRO II......Page 321
LIBRO III......Page 431
LIBRO IV......Page 585
LIBRO V......Page 755
LIBRO VI......Page 977
Commento al testo......Page 1149
Saggio integrativo......Page 1287
Bibliografia......Page 1309
Indice degli autori e dei passi citati......Page 1317
Indice generale......Page 1335
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Teologia platonica. Testo greco a fronte
 8845239659, 9788845239656

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BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE Collana fondata da

GIOVANNI REALE diretta da

MARIA BETTETINI

PROCLO TEOLOGIA PLATONICA

NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA E AMPLIATA

Testo greco a fronte

A cura di Michele Abbate Prefazione di Werner Beierwaltes

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

In copertina: Veduta dell’acropoli di Atene con il Partenone e il Teatro di Dioniso © EmmePi Travel / Alamy / IPA Cover design: Polystudio Copertina: Zungdesign

ISBN 978-88-587-8305-4 www.giunti.it www.bompiani.it © 2019 Giunti Editore S.p.A./Bompiani Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio 4 - 20123 Milano - Italia Prima edizione digitale: maggio 2019 Bompiani è un marchio di proprietà di Giunti Editore S.p.A.

SOMMARIO Premessa alla nuova edizione Prefazione di Werner Beierwaltes Saggio introduttivo di Michele Abbate

vii ix xvii

Teologia platonica 1 Commento 1013 Saggio integrativo

1151

Bibliografia 1173 Indice degli autori e dei passi citati

1181

Indice generale

1199

In memoria dei miei maestri Mario Vegetti e Werner Beierwaltes

Premessa a questa nuova edizione Teologia Platonica di Proclo

della

Proclo è convinto che alla Verità e a Dio non si giunga solo mediante la filosofia, ossia mediante la ragione (intesa in senso stretto), ma anche mediante il mito e la bellezza, ossia mediante fantasia ed Eros, e in particolare mediante la fede, attraverso una trascendente unione mistica con l’Assoluto. Giovanni Reale

Questa nuova edizione della traduzione, con saggio introduttivo e commento della Teologia Platonica di Proclo, costituisce un’effettiva e complessiva rielaborazione di quella che proposi nel 2005, accogliendo con entusiasmo un invito di Giovanni Reale. Da allora è trascorso più di un decennio e le conoscenze sul pensiero procliano si sono notevolmente accresciute e arricchite. Pertanto, oltre alla correzione di alcuni refusi, ampie parti della traduzione sono state rielaborate alla luce degli studi più recenti, così come il commento e la bibliografia, che sono stati ampliati e aggiornati. Ho inoltre inserito un mio saggio introduttivo così da rendere più chiari e comprensibili il senso e le articolazioni della complessa teologizzazione del reale elaborata da Proclo in questo suo capolavoro. Infine ho rivisto e arricchito il saggio integrativo sulla concezione procliana dell’essere. La traduzione è condotta sull’imponente edizione della Teologia Platonica curata da H.D. Saffrey - L.G. Westerink: Théologie platonicienne. Texte établi et traduit, 6 voll., Paris 1968, 1974, 1978, 1981, 1987, 1997. Nei punti in cui mi sono allontanato dal testo proposto in questa edizione ne ho sempre fornito l’indicazione in nota. I numeri in grassetto riportati nel testo greco e nella traduzione fanno riferimento ai numeri di pagina dell’edizione Saffrey-Westerink, così come i numeri di riga.

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MICHELE ABBATE

Anche nella presente edizione ho ritenuto opportuno inserire all’inizio di ogni paragrafo/capitolo dei singoli libri che costituiscono la Teologia Platonica il corrispettivo argomento quale viene indicato nella tavola dei kephalaiai, ossia i “punti capitali” ove sono sinteticamente presentate, all’inizio di ogni libro, le tematiche fondamentali in esso affrontate. Ciò ha lo scopo di consentire al lettore di orientarsi meglio in questa monumentale opera, seguendo lo sviluppo e le complesse articolazioni dell’argomentazione e della riflessione metafisicoteologica di Proclo. Per quanto concerne la non facile e immediata resa di alcune espressioni tecniche del linguaggio procliano, con particolare riferimento agli aggettivi con i quali vengono identificati e indicati i diversi ordinamenti e livelli di divinità, ho optato per una traduzione che fosse il più possibile “letterale”, l’unica, a mio avviso, capace di rendere conto del senso effettivo della gerarchizzazione procliana del divino. Tale criterio di massima è stato abbandonato solo in quei casi e punti in cui il testo greco non poteva essere riprodotto letteralmente in una forma italiana corretta e comprensibile. Tengo a ricordare che ho potuto condurre a termine la prima stesura di questa traduzione con commento della Teologia Platonica grazie a una borsa di studio della “Alexander Von Humboldt Stiftung”, che mi ha consentito di lavorare, con la collaborazione di Michael Erler, presso l’“Institut für Klassische Philologie” dell’Università di Würzburg, con il grande privilegio di poter discutere i risultati dei miei studi con Werner Beierwaltes, al quale continuo a sentirmi legato da un profondo affetto. Mia moglie Simona ha condiviso con me quel bellissimo periodo. Anche di questo continuo a esserle profondamente grato. Dedico questo lavoro alla memoria dei miei maestri Mario Vegetti e Werner Beierwaltes, la cui recente scomparsa mi ha lasciato un incolmabile vuoto. M.A.

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PREFAZIONE

ALLA PRIMA EDIZIONE*

di Werner Beierwaltes

Proclo, Diadoco di Platone nell’Accademia di Atene, ha condotto al suo compimento speculativo e storico, nel V secolo d.C., la teoria metafisica del Neoplatonismo iniziata con Plotino. Il suo significato filosofico si manifesta in una complessa teoria dell’Uno, in cui Proclo configura un Uno assoluto come origine trascendente di tutte le cose e come causa al tempo stesso immanente a ogni cosa. Partendo dall’Uno assoluto, egli analizza la realtà (l’essere) nella sua totalità come un’unità differenziata, entro sé articolata in gradi. L’accertamento razionale di questo Uno e Tutto implica insieme che l’uomo faccia l’esperienza religiosa della propria origine: lungo un’ascesa interiore del pensiero, e infine – su questa base – nel corso dell’auto-superamento del pensiero in una unione con l’Uno stesso, tale accertamento diventa per l’uomo una presenza reale che dà forma alla sua propria coscienza. Fin dall’inizio Proclo ha espresso il proprio pensiero innanzitutto in ampi commenti ai dialoghi platonici: nel commento al Timeo di Platone, p.es., discute questioni cosmologiche e ontologiche – ma, come negli altri commenti, senza separare nettamente i singoli ambiti problematici della filosofia; nel commento al Parmenide si occupa della dottrina metafisica dei Principi, che determina universalmente il rapporto tra unità e molteplicità; nel commento all’Alcibiade affronta questioni relative alla conoscenza in generale, alla conoscenza di sé e all’agire etico. In un’interpretazione degli Elementi di Euclide, egli ha poi sviluppato, secondo l’intenzione platonico-neopitagorica, il significato centrale della matematica e della geometria per la teoria filosofica. Il suo «sistema» personale, meditato con profondità e rigore * Traduzione di Vincenzo Cicero.

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WERNER BEIERWALTES

e svincolato dall’interpretazione testuale, Proclo lo ha invece esposto nella Elementatio theologica, dove ha tentato di pensare la realtà, costituita in tutte le dimensioni dall’Uno stesso, nell’orizzonte di una causalità metafisica e di una partecipazione analogizzante del singolo all’Uno. E ha stabilito un legame tra la teoria ontologico-metafisica dell’Uno e del Bene (con riferimento al Parmenide e alla Repubblica di Platone) e la tradizione religiosa (mitologica) in un’altra opera «sistematica»: la Teologia Platonica, nella quale l’orientamento complessivo del pensiero procliano ha trovato la sua espressione caratteristica, integrante i singoli ambiti problematici. Sotto l’aspetto storico, il leitmotiv del pensiero di Proclo è costituito dalla ripresa e trasformazione della filosofia platonica – benché egli si riallacci variamente a quasi tutte le forme del filosofare greco. Platone è stato da lui venerato come l’unico vero «mistagogo» in grado di introdurre ai segreti di una teologia filosofica in senso lato. Dal punto di vista della storia degli effetti, il suo pensiero è stato importante per lo sviluppo della filosofia e della teologia nel Medioevo, nel Rinascimento e in epoca moderna: tra l’altro, è stato fonte rilevante dello Pseudo-Dionigi Areopagita, il quale, sulla base della sua autorità da quasi-apostolo, ha codeterminato in maniera essenziale il pensiero gerarchizzante del Medioevo, la riflessione sui predicati divini e il progetto di una teologia mistica; e inoltre ha precorso un concetto di causalità metafisicamente fondato, quale è documentato nel XII secolo dal Liber de causis che, pur nella fedeltà all’autorità di Aristotele, s’ispira principalmente al pensiero procliano. Mediante Tommaso d’Aquino, poi, Proclo non solo divenne noto come fonte, appunto, di questo testo che influenzò in lungo e in largo il pensiero medievale, ma ne fu apprezzata la grandezza filosofica, grazie anche alle traduzioni latine delle sue opere approntate da Guglielmo di Moerbeke. Verso la metà del XIV secolo, in stretto collegamento con la scuola di Alberto Magno, in particolare con Dietrich von Freiberg e Meister Eckhart, Bertoldo di Moosburg redasse un’ampia «Expositio» della Elementatio theologica di Proclo, legata alla tradizione platonica ma anche originale in alcuni specifici ambiti problematici – un Thesaurus del platonismo medievale, in cui Bertoldo trasportò fecondamente nel proprio contesto storico

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PREFAZIONE

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questioni fondamentali della metafisica neoplatonica dell’Uno e del Bene, dell’intelletto, dell’anima e della materia. La dottrina del fondamento dell’anima di Johannes Tauler – un pensiero centrale della mistica medievale – è debitrice in maniera decisiva al pensiero procliano dell’«Uno in noi». Nel XV secolo Nicola Cusano riuscì a pervenire alla fondazione filosofica della sua concezione dell’Uno divino e del Non-Altro (deus est non aliud) soprattutto in seguito a un confronto serrato e profondo con la metafisica procliana dell’«Uno». Nella recezione storico-filosofica della filosofia di Proclo del XVIII secolo (J. Brucker, D. Tiedemann, W.G. Tennemann), in opposizione al Medioevo e al Rinascimento, dominò una valutazione illuministicamente ristretta, antimetafisica, che degradò Proclo a rappresentante di uno scolasticismo astratto e vuoto, per di più sfociante nell’irrazionalismo; la sua metafisica – così si esprimeva l’opinione caratteristica dell’epoca – degenererebbe in finzioni «poetiche» e in una soprannaturalistica «fantasticheria sui nomi di Dio». Hegel – caratterizzato come «der deutsche Proklos» nel XIX secolo – combattè con veemenza questa opinione, liberando il pensiero di Proclo da pregiudizi razionalistici e dalla taccia di «fanatismo». Scoprì in lui un elemento speculativo, al quale seppe riallacciarsi nel proprio pensiero. Intese quindi la filosofia procliana come un «sistema intellettuale» nel quale la filosofia greca sarebbe giunta alla più elevata espressione di un auto-riferimento pensante assoluto. In questa «presenza-a-sé» del pensiero assoluto, negazione opposizione e contraddizione vengono rimosse e serbate in una unità entro sé differenziata. Partendo dalla propria concezione di un’Idea pensata come concetto comprendente se stesso, Hegel cova sicuramente un pensiero procliano fondamentale: infatti Proclo – come prima di lui soprattutto Plotino –, nel suo tentativo di cogliere la realtà come Tutto e come un’unità entro sé articolata, pone come principio primo l’Uno, o l’Unità assoluta. Questa è, entro se stessa, senza differenza. Perciò non pensa neanche – né se stessa né un altro –, ma è essa stessa il fondamento della relazionalità e quindi anche il fondamento della possibilità del pensiero. L’auto-dispiegamento e l’auto-differenziazione istituiscono una concatenazione entro sé armonica che, in ciascuno dei suoi elementi, è ricollegata alla loro origine. Così il Tutto della realtà viene determinato dalla

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WERNER BEIERWALTES

legge fondamentale di «manenza – processione – conversione»: l’Uno, come fondamento e origine di tutte le cose, permette a queste di procedere da sé, ma in questa processione entro se stesso rimane ESSO STESSO; l’in-essere fondante dell’Uno in ogni cosa è nel contempo causa di un movimento nell’ente, che riconduce questo entro l’Uno stesso. L’Uno va dunque concepito come principio costituente, conservante e riconducente sia l’essere molteplice (anche della materia) sia il pensiero – come punto di partenza e d’arrivo del movimento ch’esso stesso ha reso possibile. – Nella misura in cui l’Uno viene identificato con la archè anhypothetos, con «l’origine libera-da-presupposti» della Repubblica platonica, però, la filosofia non può essere altro che lo sforzo di riguadagnare appunto questo principio mediante il pensiero, di «toccarlo», oppure di riconoscerne la im-pensabilità: è essa stessa, nella sua essenza e nella sua funzione, una scienza libera-da-presupposti che deve rieseguire riflessivamente l’effettività o il dispiegamento dell’unico principio nella molteplicità e della conversione ultima. Il linguaggio umano, in ciascuna delle sue enunciazioni, si riferisce sempre a «qualcosa», è dunque determinato dalla differenza; l’Uno stesso, però, che non è né qualcosa-di-essente né ha entro sé la differenza, risulta pertanto non pensabile e non dicibile così come è entro se stesso. L’Uno che – detto in termini paradossali – entro se stesso racchiude il Tutto come l’In-Differente, è «nulla di tutto» ciò che è proceduto da esso stesso quale origine. Essendo così impensabile e indicibile, l’Uno è allora definibile solo mediante negazioni, oppure circoscrivibile soltanto tramite analogie o metafore. La massima approssimazione possibile all’Uno viene raggiunta senz’altro attraverso la fatica del concetto (del concepire): essa consiste nell’intensissimo accertamento dell’esistenza di un fondamento assoluto da cui proviene e in cui viene conservato tutto ciò che è, vive, pensa e conosce. Nella sua interpretazione della prima ipotesi del Parmenide platonico, Proclo ha sviluppato una dialettica negativa radicale ed è diventato così, attraverso il suo influsso su Dionigi Areopagita, il fondatore della «teologia negativa» nel Medioevo. L’intento di ulteriormente differenziare e articolare al suo interno la teoria dell’Essere e dell’Uno tramandata a partire da Plotino attraverso Porfirio, Giamblico, Plutarco e Siriano, ha

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PREFAZIONE

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condotto Proclo a una intensificazione concettuale della concatenazione della realtà nel Tutto procedente dall’Uno, e con ciò a un allargamento e consolidamento reciproco delle singole dimensioni. Ecco perché in Proclo è centrale la concezione di una mediazione attiva, multilateralmente efficace. Egli cerca con ciò di mettere in evidenza la concatenazione attraverso una progressiva diminuzione della differenza di grado in grado. L’introduzione di entità intermedie – a cominciare dalle enadi – come istanza mediatrice tra l’unità pura e la multi-unità è, per così dire, al servizio di un’«arte del minimo scarto». A ciò si connette pure il fatto che il dispiegamento dall’Uno non dev’essere pensato solo «orizzontalmente», ma anche – nel senso di un «momento ritardante» – «verticalmente», in modo che l’allargamento venga compensato dal consolidamento della distanza. Questa «arte del minimo scarto» enfaticamente esercitata corrisponde all’intenzione di fissare in maniera costante e «finché possibile», nel dispiegamento nei Molti, l’esser-Uno ogni volta più intenso, per documentare così con efficacia la forza unente dell’Uno. Tale concezione di una mediazione attiva è pensabile solo in base all’identità dell’Uno con il Bene. Il Bene è in certo senso la forza (dynamis) dell’Uno rivolta «all’esterno», la quale contribuisce alla sua inaccessibile pienezza e fonda e conserva la concatenazione dei Molti. Con questa dottrina, sulla scia di Platone, Proclo (come prima di lui già Plotino) fa interagire i pensieri centrali della Repubblica e del Parmenide. Attraverso l’identità dell’Uno con il Bene, ciò che volta a volta è specificamente proprio di entrambi i concetti non viene semplicemente fatto svanire, bensì è via via pensato in una unità dei momenti essenziali. Quando si parla del Bene, allora si riflettono in esso tutte le enunciazioni sull’Uno, e viceversa – anche se bisogna ricordare che ogni discorso su entrambi i momenti del Primo va considerato sempre e soltanto come provvisorio e come non adeguato all’«essere»-in-sé del Primo. Comunque, una riflessione sull’effetto alienantesi del Bene nell’Uno è già l’apertura di una via verso l’Uno stesso. L’Uno/Bene stesso va pensato come identico all’autotheos, al «Dio-in-sé». Perciò il Tutto dell’essere dispiegato può a buon diritto venir concepito come teocentrico e permeato dal Divino. Un tale principio, che agisce mediante una pronoia provvedente

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WERNER BEIERWALTES

– «provvidenza» – ponendo, collegando e conservando, è anche il presupposto per quella «teologizzazione» della realtà nel suo complesso che è tipica di Proclo. Ogni grado dell’essere all’interno del Tutto, e ogni elemento all’interno di un grado, non è solo un dio in senso generale o qualcosa di divino – giacché il Tutto è sempre e comunque il dispiegamento del Divino nel senso più elevato –, bensì un dio volta a volta determinato, da chiamare con il nome attribuitogli dal mito. Questa concezione procliana soddisfa così, in una forma che può essere dimostrata razionalmente e che ne determina volta a volta la collocazione all’interno del sistema, la frase di Talete «tutto è pieno di dèi», ma – siccome nessun luogo nell’universo è «incustodito» dagli dèi e il Divino è ugualmente presente nel Tutto – soddisfa non meno il filosofema elaborato da Plotino: l’Uno, in modo sempre diverso, è presente nel Tutto. Proprio mediante l’identificazione mitologica dei singoli ambiti ontologici, la mitologia viene definitivamente demitologizzata, in quanto si subordina al concetto filosofico; la sua enunciazione originaria, rispecchiante elementi «storico»concreti, è quindi alla fine stilizzata in allegoria o ridotta a una metafora non incondizionatamente essenziale alla cosa. Ciò che avviene de facto in questa demitologizzazione dell’elemento mitico non corrisponde (probabilmente) all’intenzione di Proclo: la compenetrazione filosofica del mito (e quindi la demitologizzazione della figura originaria della mitologia) non è – almeno per lui – una distruzione, bensì piuttosto una elevazione del mito dalla dimensione della fantasia alla riflessione filosofica risoluta, dall’immaginifico al concettuale. Si prende coscienza del mito come di una forma di coprimento e, al tempo stesso, di apertura della verità. – Questo processo, che sfocia in una «mitologia della ragione», mi sembra mutatis mutandis del tutto paragonabile a una «filosofia della mitologia» nel senso schellinghiano, in cui il mito e il pensiero filosofico, tramite il concetto, si collegano in una figura del pensare. Con ciò le esigenze dell’immaginazione e della fantasia vengono adempiute in forma più elevata. La filosofia accoglie entro sé l’intenzione dell’arte. La sistematizzazione filosofica procliana della mitologia greca può anche essere intesa come una stabilizzazione razionale o come un’autoaffermazione della tradizione greca, nella sua globalità, contro la teologia cristiana.

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PREFAZIONE

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Riguardo all’obiettivo di una interpretazione «teologica» della realtà nel suo insieme – di un’unità entro sé articolata, differenziata in modo immanente secondo l’intensità ontologica delle singole dimensioni, che abbraccia tutte quante le possibilità del Divino e le porta ad apparire ciascuna in modo sempre diverso –, la procliana Teologia Platonica può essere intesa addirittura come la «Summa» sistematizzante del pensiero di Proclo, cioè sistematicamente ordinatrice e dispiegatrice dell’essere nel suo complesso come una divinità. Essa esibisce il Tutto dispiegantesi nelle sue parti, e lo fa così compiutamente che anche l’ultimo punto del dispiegamento rimane ricondotto al suo proprio inizio, l’Uno/Bene stesso. Sarebbe un fraintendimento esiziale del filosofare procliano se gli elementi (qui solo accennati) della sua comprensiva teoria dell’Uno venissero racchiusi e irrigiditi in un sistema costruito astrattamente. Bisogna piuttosto riconoscere che nel pensiero di Proclo sistema e vita sono intensamente legati l’uno all’altra, che «alla speculazione metafisica di ampia portata corrisponde o necessariamente consegue una forma di vita che anche al presente – sia pure in modo nuovo e a partire da prospettive mutate – esige un concentrarsi dell’uomo sulla propria interiorità e sul fondamento e l’origine di essa, senza per questo abbandonare il mondo e senza ritirarsi dai compiti che gli vengono richiesti. La prima e ultima idea del pensiero neoplatonico, l’Uno stesso, non è infatti assolutamente separabile dalla forma di vita di colui che pensa, e il suo richiamarla riflessivamente alla mente è piuttosto la condizione per una riuscita proprio di questa forma di vita. Al procedimento negativo, separante, che cerca di delimitare l’Uno come “differente da tutto”, corrisponde altrettanto intensivamente lo sguardo al suo essere e operare nel pensiero e nella vita dei singoli: all’“Uno in noi”. L’Uno stesso, proprio attraverso la mediazione di questo “Uno in noi”, deve stare in maniera decisiva nell’atto che compete di volta in volta all’uomo, di aprirsi un movimento di vita razionale. Solo attraverso la realizzazione dell’“Uno in noi” colui che pensa può riguadagnare in “una vita secondo lo Spirito e secondo l’Uno” anche il mondo, da cui dapprima prende le distanze, e vivere in esso nella prospettiva dell’Uno, in modo da non esserne prigioniero né da accasarsi stabil-

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mente in esso, come se fosse la sua “patria”. Il movimento di astrazione richiesto in modo permanente in questa vita e l’autoaccertamento in vista della “patria di lassù” non conduce però ad un ottuso e irragionevole disprezzo del mondo, bensì a una valutazione “realistica” delle dimensioni nelle quali siamo immessi, a un rapporto razionale e produttivo con ciò che, una volta compreso, dobbiamo superare verso il non più comprensibile. Il filosofare neoplatonico come impulso concettuale ed eticamente significativo a una forma di vita razionale, responsabile, si realizza come unità dialettica di cura al mondo e distanza da esso» (dalla mia Introduzione a N. Scotti Muth, Proclo negli ultimi quarant’anni, Milano 1993, pp. 15 s.). «Tutta la nostra vita è un esercizio alla visione dell’Uno» (Proclo, In Parmenidem, 1015,38-40). Mi auguro che la traduzione del capolavoro procliano Teologia Platonica, realizzata da Michele Abbate in questo volume, possa contribuire a stimolare la comprensione degli aspetti fondamentali della metafisica tardo-neoplatonica nel pensiero di Proclo. Werner Beierwaltes

Saggio introduttivo di Michele Abbate

La Teologia Platonica di Proclo: struttura e significato

I. Proclo: la sua collocazione storica, culturale e filosofica alla luce della testimonianza dell’allievo Marino Senza dubbio Proclo può essere considerato come la più rilevante, dal punto di vista storico-filosofico, tra le ultime voci della filosofia pagana di età tardo-antica. La nostra fonte principale sulla sua vita è costituita dal testo a noi noto come Vita di Proclo, composto, dopo la sua morte avvenuta intorno al 485 d.C., da Marino di Neapoli1 (città della Palestina), suo allievo e poi successore (diadochos) nella direzione della “Scuola platonica di Atene”: con tale espressione si indica tradizionalmente quella scuola di filosofia ed esegesi platonica, rifondata nella tarda antichità ad Atene, che diede voce all’ultima fase del Neoplatonismo antico. Delle notizie fornite da Marino nella sua Vita di Proclo alcune devono certamente essere considerate con grande cautela: si tratta in effetti di un’opera di carattere encomiastico e agiografico (come altre di natura e argomento simili, ad esempio la Vita di Plotino di Porfirio). In essa, infatti, Marino descrive la vita di Proclo secondo la prospettiva etica neoplatonica, in base alla quale la meta suprema dell’essere umano è il rendersi simile alla dimensione divina (l’homoiosis theô) giungendo così alla vita beata2. D’altronde, sono proprio le notizie di carattere agiografico che consentono di cogliere il modo in cui Proclo fu visto e considerato dai suoi contemporanei e al contempo il contesto e l’atmosfera culturali in cui egli visse e operò. Proclo nacque a Costantinopoli anche se i genitori erano originari della Licia e precisamente della città di Xanto. Inizialmente egli si dedicò allo studio al Diritto Romano per divenire, come il padre, giurista3, ma in seguito, entrò in contatto con un nuovo ambiente culturale e si accostò alla filosofia. Marino ci riferisce che a Costantinopoli Proclo fu incitato dalla dea tutelare della città a dedicarsi alla filosofia e a visitare le scuole filosofiche di Atene4.

xx

MICHELE ABBATE

Intorno al 430, all’età di circa vent’anni, Proclo si trasferì ad Atene. Qui studiò, per circa due anni, sotto la direzione di Plutarco, scolarca della Scuola platonica di Atene, il De anima di Aristotele e il Fedone di Platone. Alla morte di Plutarco, la direzione della Scuola passò a Siriano con il quale Proclo studiò tutto Aristotele per poi dedicarsi completamente ai dialoghi di Platone. Al maestro Siriano Proclo fu legato anche da un profondo affetto e gli successe nella direzione della Scuola in giovane età, divenendo così a sua volta diadoco platonico. Stando a quanto afferma Marino5, all’età di 28 anni Proclo aveva già scritto molte opere tra le quali in particolare il suo monumentale Commento al Timeo6. Durante gli anni del suo scolarcato Proclo continuò a lavorare senza posa: nel corso della stessa giornata, ci informa Marino7, egli riusciva a tenere cinque o più lezioni e al contempo a scrivere fino a 700 righe; quotidianamente trovava anche il tempo per incontrarsi e discutere con altri filosofi; infine di sera, prima di dedicarsi, nelle sue veglie notturne, al culto degli dèi, teneva pubbliche conferenze. Partecipava talvolta a riunioni sull’amministrazione della città, pur non ricoprendo, comunque, alcuna carica pubblica, fornendo ai governanti consigli su importanti questioni politiche. Le sue posizioni non dovettero sempre riuscire gradite alla maggioranza cristiana, tanto che una volta fu addirittura costretto per motivi politici a lasciare Atene, per poi farvi ritorno dopo un anno8. Possiamo desumere che comunque grazie al suo grande prestigio culturale e ai suoi rapporti con politici e governanti egli poté continuare a insegnare le sue dottrine, nonostante l’intolleranza religiosa e politica cristiana nei riguardi della cultura e della filosofia pagane. D’altra parte, nel suo complesso, il periodo in cui Proclo fu scolarca della Scuola platonica di Atene non fu segnato da grandi e radicali conflitti fra pagani e cristiani, anche se il controllo politico era quasi completamente nelle mani di questi ultimi. Basti ricordare che poco più di una quarantina d’anni dopo la morte di Proclo, avvenuta nel 485, la Scuola platonica di Atene verrà definitivamente chiusa, come tutte le scuole filosofiche pagane, in seguito all’editto emesso da Giustiniano nel 529. In conseguenza di tale editto, che mirava a colpire proprio i centri di cultura pagana, l’ulti-

SAGGIO INTRODUTTIVO

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mo scolarca della Scuola platonica di Atene, Damascio, dovrà fuggire in Oriente. Comunque è indubbio che già all’epoca di Proclo la millenaria cultura pagana è definitivamente minacciata dalla forza e diffusione di quella cristiana e di ciò un intellettuale pagano come Marino risulta perfettamente consapevole. Nel § 10 della Vita di Proclo egli narra un episodio emblematico: il suo maestro, giunto ad Atene, salì fino all’Acropoli, l’antico centro cultuale dell’Atene pagana, per rendere omaggio agli dèi. All’entrata si imbatté in lui il custode dell’Acropoli, che già era sul punto di chiudere a chiave le porte data l’ora tarda. Costui – stando a quanto racconta Marino il quale afferma di riferire esattamente le sue parole – rivoltosi a Proclo disse: «Certo se tu non fossi venuto, avrei chiuso». L’allievo e biografo di Proclo a conclusione e commento di tale episodio sottolinea come nessun segno sarebbe potuto essere più chiaro di questo9: Proclo appare agli occhi di Marino come l’ultimo dei “grandi filosofi pagani”. Insieme alle doti filosofiche, infatti, egli a più riprese ribadisce e celebra la profonda religiosità, connotata anche in senso mistico e magico, del proprio maestro. In effetti, nell’ambito del tardo Neoplatonismo, di cui Proclo è forse il massimo rappresentante, la dimensione magica e mistica della tradizione pagana assume un ruolo fondamentale e decisivo. Proclo studia e commenta testi come gli Oracoli Caldaici, opera in versi di carattere religioso-esoterico, composta probabilmente intorno al II sec. d.C., che, secondo la tradizione, attraverso le parole stesse degli dèi (gli oracoli, appunto) fornirebbe insegnamenti essenziali alla teurgia, cioè quella particolare forma di magia religioso-rituale – intessuta anche di varie credenze orientali e dell’antica religione egiziana – che consente di venire a diretto contatto con gli dèi. L’immagine complessiva di Proclo che si ricava dalla biografia di Marino è, in sintesi, quella di un filosofo-teurgo, che non solo concepisce gli dèi come specifici livelli e principi metafisici della realtà (questo è di fatto il tema centrale della Teologia Platonica), ma che, attraverso i rituali teurgici, cerca anche di entrare direttamente in contatto con essi. Non deve certo stupire questa contaminazione della filosofia da parte della magia rituale teurgica nella tarda antichità: si tratta di un’epoca

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segnata in particolare per i pagani dall’insicurezza materiale e spirituale e, in generale, da una grande instabilità politica. Tale senso di precarietà viene certamente attenuato dalla fede religiosa, compresa quella pagana adattatasi a queste particolari esigenze interiori. In effetti, la teurgia viene considerata da filosofi come Proclo la via attraverso la quale è anche possibile, entrando in comunicazione con gli dèi, non solo conoscere la loro natura, ma invogliarli a venire in soccorso di chi chiede il loro aiuto10. Occorre inoltre sottolineare che la teurgia, al di là del suo significato mistico-religioso, congiuntamente alla ripresa di alcune forme di religiosità iniziatica, come soprattutto l’Orfismo, nell’ottica dei filosofi neoplatonici pagani consente anche di enfatizzare l’originarietà, la dignità e il prestigio della cultura e della religione pagane a fronte del nuovo credo cristiano ormai preponderante. Marino parla in effetti di Proclo come di un uomo religiosissimo, secondo il quale il filosofo non deve limitarsi a essere ministro di culti locali, bensì deve essere sacerdote del mondo intero11. Si potrebbe dire che nella prospettiva religioso-filosofica di Proclo il filosofo diviene sacerdote “universale”, in quanto intermediario tra le diverse divinità e gli uomini: egli parla, anche come filosofo, per divina e mistica ispirazione, proprio in quanto è mediatore fra gli dèi e gli uomini e così viene in certo modo “divinizzato”. Quella sorta di “trasformazione spirituale”, che Platone nel Teeteto chiama homoiosis theô12, vale a dire il rendersi simile a dio, o anche al divino, assume, nell’ottica del tardo Neoplatonismo, anche connotazioni e valenze di tipo magico e taumaturgico. Marino, ad esempio, racconta che un noto personaggio politico giurò di aver visto una luce – come una sorta di aureola – circondare il capo di Proclo, mentre questi teneva una lezione13. Inoltre ancora Marino racconta che attraverso particolari rituali teurgici Proclo apportò piogge liberando l’Attica da una terribile siccità14. Grazie alla intercessione di Proclo – racconta ancora Marino15 – che pregò il dio della medicina Asclepio nel tempio a lui dedicato in Atene (che verrà dopo alcuni anni saccheggiato e poi trasformato in chiesa cristiana), una fanciulla colpita da una grave malattia, che i medici non riuscivano a curare, fu prodigiosamente risanata.

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All’età di settant’anni, probabilmente consumato dalla sua febbrile attività, Proclo perse le sue energie e s’indebolì definitivamente. Ciò nonostante, ci informa Marino16, egli continuava a pregare gli dèi e a comporre inni ad essi dedicati, prova ulteriore della sua viva religiosità. Di lì a poco morì. Marino racconta che un anno prima della sua morte ci fu una eclissi di Sole, presagio di sventura. Un anno dopo la sua morte se ne sarebbe verificata una seconda. Ciò viene interpretato da Marino come il segno del fatto che con la morte di Proclo i suoi contemporanei sono stati privati della luce della filosofia17. Come si è detto, poco più di quarant’anni dopo la morte di Proclo, la Scuola platonica di Atene sarebbe stata chiusa per sempre. Le parole che, stando al racconto di Marino, il custode dell’Acropoli rivolse a Proclo, sembrano profetizzare e suggellare l’inesorabile destino delle scuole filosofiche pagane. Nonostante ciò, il pensiero neoplatonico e in particolar modo quello procliano ha esercitato, in modo più o meno diretto, radicali e fondamentali influssi sulla stessa riflessione teologica cristiana.

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II. La Teologia Platonica di Proclo: dalla metafisica alla teologia 1. Il Bene-Uno come Dio Primo o Dio-in-sé: la teologizzazione del reale in Proclo La Teologia Platonica di Proclo rappresenta certamente l’opera filosofico-teologica più ambiziosa della speculazione neoplatonica tardo-antica18. In tale opera emerge, a tutti gli effetti, il carattere peculiare della prospettiva filosofica propria del Neoplatonismo: esso si delinea come una “scuola di pensiero”19, al cui interno l’interpretazione dei dialoghi di Platone riveste un ruolo assolutamente fondamentale. In base alla concezione filosofico-ermeneutica neoplatonica, infatti, esegesi e speculazione filosofica sono riunite in un binomio assolutamente inscindibile. Per gli autori neoplatonici Platone rappresenta il punto più alto raggiunto dalla tradizione filosofica e religiosa greca, intesa come un insieme perfettamente unitario e coerente. Nell’ambito del Neoplatonismo procliano, l’interpretazione sistematica dei dialoghi platonici è accompagnata dalla ripresa e rielaborazione della variegata tradizione religiosa pagana che si è venuta a formare nell’ambito della grecità. I miti di differenti correnti religiose, come quella tradizionale pagana o quelle di carattere iniziatico come l’Orfismo, sono rielaborati e interpretati in chiave allegorico-metafisica: le divinità della tradizione pagana greca, così, sono concepite come specifici principi e livelli metafisici in base ai quali è ordinata e articolata la realtà nel suo complesso, che risulta gerarchicamente strutturata sulla base di molteplici ordinamenti e livelli di divinità ai quali è attribuita una determinata funzione metafisica. Questa prospettiva teologico-filosofica trova nella Teologia Platonica, certamente l’opera di più ampio respiro scritta da Proclo, la sua più sistematica e complessa esposizione. In essa l’interpretazione allegorica dei miti del paganesimo greco è in-

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trecciata in modo indissolubile con i fondamenti concettuali del pensiero neoplatonico. Tale intreccio, per la sua complessità che spesso sembra sfociare in una quasi labirintica artificiosità, costituisce la più ampia sintesi realizzata nell’antichità fra filosofia e teologia pagana. Si tratta di un testo che, proprio in considerazione di quanto si è detto, può certamente apparire ostico per il lettore moderno. Per cercare di comprendere l’effettiva natura di quest’opera, può essere significativo prendere in considerazione il suo stesso titolo: quella che è invalso l’uso – sulla base della titolazione latina – di chiamare Teologia Platonica, stando alla tradizione manoscritta, ha per effettivo titolo Sulla teologia secondo Platone (Peri; th`~ kata; Plavtwna qeologiva~). Fin da ciò appare piuttosto chiaro l’obiettivo che in quest’opera si prefigge Proclo: dare forma sistematica20 all’intera dottrina divinamente ispirata di Platone. Al contempo si evince da questo titolo quale sia l’autentico significato che Proclo attribuisce alla dottrina filosofica di Platone: essa viene di fatto intesa come una forma suprema di sapere metafisico-teologico capace di rivelare la natura del reale in tutte le sue molteplici articolazioni. Non v’è alcuna dimensione e ambito della realtà che non vengano ricondotti da Proclo, sulla base dei propri presupposti esegetici, a una serie ben determinata di ordinamenti divini che fungono al contempo da principi metafisici originari. Entro tale prospettiva filosofico-interpretativa, perfino la riflessione etica e quella politica risultano in qualche modo teologizzate, ovvero considerate in funzione della speculazione teologica. Da quale esigenza teoretica dipende questa complessiva e universale teologizzazione del reale? Gran parte della riflessione metafisico-teologica procliana – come di altri autori neoplatonici tra cui lo stesso Plotino – risulta fondata su una particolare interpretazione di due testi di Platone considerati essenziali e imprescindibili: il VI libro della Repubblica e il Parmenide. Nel primo testo è descritto per bocca di Socrate il carattere trascendente dell’Idea del Bene, considerata attraverso la nota “analogia con il sole” come il fondamento e il principio originario del mondo intelligibile. Nel Parmenide – dialogo assai enigmatico e ancora ai giorni nostri oggetto di interpretazioni anche radicalmente divergenti21 – prendendo le mosse dall’a-

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nalisi di alcune problematiche connesse alla natura delle Idee e della dimensione eidetica, il protagonista del dialogo, Parmenide, giunge a proporre, nella forma apparente di un esercizio dialettico, l’esame di diverse ipotesi concernenti la nozione di Uno e il rapporto di quest’ultimo con la realtà delle cose. In generale, gli interpreti neoplatonici vedono in ciascuna ipotesi del Parmenide circa la natura dell’Uno la descrizione di un effettivo e specifico livello del reale. In base a tale presupposto ermeneutico il Parmenide viene anche concepito come il “dialogo teologico” per eccellenza. Alla luce del VI libro della Repubblica e di quanto viene affermato soprattutto nella prima ipotesi del Parmenide, il Primo Principio, dal quale deriva l’intera realtà nelle sue diverse articolazioni, è concepito come Bene-Uno, assolutamente trascendente la totalità delle cose22. Il “Bene”, di cui si parla nella Repubblica, viene inteso come il Principio assoluto, ovvero l’origine della dimensione intelligibile stessa: proprio in quanto origine di tutto ciò che è, esso si delinea come “Bene assoluto”, ossia assolutamente semplice e trascendente nella sua originarietà rispetto alla totalità del reale23. La modalità più adeguata per configurare la natura della trascendenza e originarietà del Principio Primo è individuata dagli autori neoplatonici proprio nella delineazione della “prima ipotesi” del Parmenide24, in base alla quale l’Uno in senso assoluto si delinea come radicale negazione di ogni forma di relazione e molteplicità: tale ipotesi viene così indentificata con la descrizione per via negativa dell’ineffabile ulteriorità dell’Uno-in-sé, ossia del Principio Primissimo. Esso, proprio in quanto vera e unica origine del “Tutto” (vale a dire di tutto il reale nelle sue molteplici articolazioni), è caratterizzato dall’assoluta semplicità e dalla totale trascendenza, il che implica il suo porsi al di sopra di ogni determinazione ontologica e quindi, in base alla prospettiva neoplatonica, anche al di là dell’essere (ejpevkeina tou` o[nto~) e del pensiero (ejpevkeina tou` nou`) stessi. Alla luce dell’analogia solare e della prima ipotesi del Parmenide, l’identificazione, centrale e fondamentale per la grandissima parte della riflessione neoplatonica, tra l’Uno e il Bene risulta così avere una sorta di fondamento testuale. Tale identificazione rappresenta uno dei perni concettuali essenziali

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intorno ai quali si sviluppa la riflessione teoretico-metafisica dell’intera filosofia neoplatonica. L’Uno-Bene, per la sua assoluta originarietà ed essendo fonte di tutta la realtà, è così non solo concepito come Primo Principio, ma anche come Primo Dio. L’identificazione operata nel Neoplatonismo tra Bene-Uno e Primo Dio è attribuita allo stesso Platone. A tale proposito, particolarmente rilevanti appaiono le parole con cui termina la dissertazione XI del Commento alla Repubblica di Proclo: il Bene è, secondo Platone, il Primo Dio25.

Alla luce di tale concezione si può comprendere anche il senso effettivo di ciò che Proclo afferma in un passo del suo Commento al Parmenide: se Dio e Uno sono la stessa cosa, poiché non v’è nulla di più grande di Dio e dell’Uno, ne consegue che l’essere unificato è lo stesso che essere divinizzato26.

L’identificazione del Bene-Uno con il Primo Dio (o anche Dio-in-sé = aujtoqeov~27) determina il passaggio dalla metafisica alla speculazione teologica. Proprio la nozione stessa di “Primo Dio” e la concezione relativa alla struttura gerarchica del reale rappresentano i presupposti filosofico-metafisici che conducono Proclo all’elaborazione di una radicale, sistematica e articolata teologizzazione del reale. Da questa prospettiva, il sistema metafisico-teologico procliano, desunto dalla filosofia di Platone, sembra configurarsi come una radicale alternativa alla prospettiva cristiana e alle dottrine teologiche che si sono sviluppate in seno a quest’ultima. 2. L’Uno-in-sé come principio dell’unità armonica del Tutto nella sua molteplicità gerarchicamente strutturata Alla luce di quanto finora si è detto a proposito dei presupposti teorici sui quali si regge l’intero impianto metafisico della Teologia Platonica, è possibile cogliere una conseguenza teoretica fondamentale insita nella prospettiva filosofica procliana: il Tutto, derivando e dipendendo dal Primo Principio, Bene-Uno

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e Primo Dio, è necessariamente partecipe dell’unità e del divino. Ogni livello del reale, anche il più lontano, in senso assiologico-gerarchico, dal Principio Primo, conserva in se stesso una traccia divina dell’Uno. Dal canto suo, la molteplicità appare agli occhi dei neoplatonici come un elemento costitutivo della natura stessa della realtà e dell’essere delle cose. Nella prospettiva metafisica neoplatonica, pare così evidenziarsi un aspetto intrinsecamente problematico e per certi versi paradossale: il Principio Primo, pur avendo in sé una natura assolutamente semplice e unitaria, anteriore a ogni forma di determinazione, è origine del molteplice: dal Principio Primo, infatti, deriva tutta la realtà nel suo complesso e così ciò che non è in alcun modo molteplice risulta origine della molteplicità. D’altra parte, l’Uno-in-sé va al contempo inteso come il garante e il fondamento originario dell’unità del Tutto, il quale, senza tale fondamento, sarebbe destinato a sfaldarsi e disgregarsi in un’indistinta molteplicità. Si potrebbe dire che l’intrinseca problematicità dell’Uno neoplatonico – che è assoluta semplicità, ma anche origine del molteplice e al contempo garante dell’unità del reale – è riconducibile alla nozione stessa di “principio assoluto” e di “inizio”: esso risulta necessariamente trascendente rispetto alla determinazione e molteplicità del reale, ma al contempo costituisce l’origine di tale molteplicità, pur permanendo in se stesso come il garante dell’unità e dell’armonia complessiva della realtà nelle sue diverse articolazioni. Ciò significa che il Principio è al contempo assolutamente semplice, origine del molteplice e garante dell’unità complessiva del Tutto. Sulla base delle precedenti considerazioni, l’impianto metafisico procliano risulta nel suo complesso riconducibile a una struttura triadica fondamentale che determina il modo in cui la realtà nel suo insieme è determinata dalla natura stessa del Principio28. In primo luogo esso rispetto alla totalità del reale rimane isolato e immodificato nella sua assoluta trascendenza: è il così detto momento della “manenza” (monhv), in base al quale il Principio si delinea come ciò che nella sua assoluta semplicità permane in se stesso come origine trascendente del Tutto. Al momento della “manenza” segue quello della “processione” (provodo~), in base al quale le realtà derivate risultano procedere

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dalla loro origine assolutamente prima e trascendente. Infine terzo e ultimo momento è quello della così detta “conversione” (ejpistrofhv), in base al quale tutto ciò che deriva dal Principio si volge “indietro” verso la propria autentica origine per ricollegarsi in qualche modo a essa, ritrovando così la propria complessiva unità e il suo fondamento autentico e originario. Questa struttura triadica, come vedremo, si riflette sostanzialmente sull’intero impianto metafisico che sorregge la Teologia Platonica: in particolare essa si manifesta nella organizzazione triadica riscontrabile in forme e modalità differenti nei variegati livelli divini ai quali corrispondono le diverse e gerarchicamente ordinate articolazioni della realtà. I tre momenti della manenza, processione e conversione, ai quali è di fatto riconducibile ogni struttura triadica del sistema metafisico-teologico procliano, consentono di salvaguardare il carattere assolutamente trascendente del Principio, che permane incontaminato nella sua assoluta semplicità rispetto alla molteplicità delle entità che da esso procedono; al contempo, proprio in quanto origine prima e autentica, l’Uno-Bene rappresenta il vertice sommo di tutta la realtà nei suoi molteplici livelli che risultano, di volta in volta, ricondotti al fondamento originario della propria unità. In Proclo l’individuazione di una complessa serie di livelli di realtà variamente articolati e collegati fra loro appare, per molti aspetti, strettamente connessa all’esigenza di ricondurre il Tutto, nella sua intrinseca molteplicità, a un’unità armonica e gerarchicamente strutturata. Proprio nella Teologia Platonica sembra possibile cogliere uno degli obiettivi teoretico-filosofici fondamentali che ha di mira la moltiplicazione, quasi ossessiva29, dei livelli in base ai quali risulta articolata la realtà: essi consentono in qualche modo di colmare la radicale separazione tra la trascendente semplicità del Principio e l’intrinseca molteplicità del reale, ribadendo con ciò, al contempo, l’assoluta ulteriorità dell’Uno rispetto alla progressiva determinazione e al graduale moltiplicarsi delle entità derivate da esso. La realtà è concepita come una struttura piramidale, nella quale il progressivo allontanamento dall’assoluta semplicità del suo vertice assolutamente trascendente implica un graduale aumento della molteplicità. I diversi piani del reale, d’altra parte, risultano

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a loro volta ricondotti all’armonica unità dell’intera struttura. In virtù del Principio Primissimo, concepito come Dio Primo, ogni livello di realtà è concepito come un ordinamento di divinità disposte secondo una rigorosa concatenazione gerarchica in base al loro maggiore o minor grado di unità, direttamente proporzionale alla loro vicinanza all’Uno-Bene, ciò a cominciare dalla realtà intelligibile stessa articolata in tre ordinamenti triadici divini, ordinati fra loro gerarchicamente.

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III. La Teologia Platonica: struttura e argomento 1. I temi trattati nei sei libri della Teologia Platonica Il capolavoro procliano è composto da sei libri collegati fra loro anche per mezzo di riferimenti e rimandi interni ad argomenti già affrontati o che dovranno essere affrontati in seguito: questa serie di rinvii interni rende ancora più chiaro ed evidente il carattere marcatamente sistematico dell’opera. L’impressione complessiva, di conseguenza, è che Proclo nella stesura di questo testo assai ampio e articolato abbia seguito un preciso disegno complessivo, progettato fin dall’inizio in ogni sua singola parte. La complessità delle tematiche affrontate nella Teologia Platonica si riflette anche nell’ampiezza – anche se non uniforme – dei sei libri che la compongono30. Ciascuno di essi è stato articolato e suddiviso, forse già dallo stesso Proclo, in capitoli/paragrafi con l’indicazione sintetica dell’argomento trattato. Ogni libro, infatti, è preceduto da una sorta di indice in cui è descritto in sintesi accanto al numero di ogni capitolo/paragrafo il suo contenuto. Si tratta dei così detti kefavlaia, per usare il termine tecnico greco, che è traducibile con l’espressione “punti capitali”. I “kephálaia” hanno la funzione di descrivere il contenuto essenziale e fondamentale di una determinata trattazione31. L’indicazione di questi “punti capitali” consente al lettore di orientarsi tra le articolate trattazioni sviluppate da Proclo nei singoli libri della Teologia Platonica. Oltre a fornire il contenuto essenziale delle questioni di volta in volta affrontate, i kephálaia consentono anche di comprendere le diverse strategie e metodologie filosofico-esegetiche impiegate al fine di ricostruire in modo sistematico, secondo le intenzioni di Proclo, il pensiero teologico di Platone. Basterebbe, ad esempio leggere, i “punti capitali” del I libro per avere un’idea complessiva delle diverse e complesse tematiche che sono alla base della Teologia Platonica e delle particolari metodologie esegetiche in

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essa impiegate. Essi, in sintesi, consentono di cogliere di primo acchito l’articolata architettura filosofico-teoretica in base alla quale risulta organizzata questa difficile opera e, al contempo, di comprendere come, secondo la prospettiva filosofica di Proclo, la struttura metafisica del reale si debba rispecchiare in ciascuno dei diversi ordinamenti divini in base ai quali risulta articolato il Tutto. Per far luce sulla complessa e talvolta labirintica struttura filosofica e concettuale in base alla quale risulta organizzata la Teologia Platonica, occorre in primo luogo tener presente che a parte il libro I – di carattere, per così dire, introduttivo e metodologico – gli altri descrivono, seguendo un rigoroso ordine assiologico-gerarchico, cioè iniziando dal Primo Principio per poi passare ai diversi livelli di realtà via via inferiori, la struttura complessiva della realtà nei suoi diversi livelli e gradi. Come si è detto, a questi ultimi, secondo la prospettiva tardo neoplatonica, corrispondono determinati ordinamenti divini, disposti gerarchicamente secondo il grado di trascendenza e di prossimità all’Uno, sino ad arrivare alle divinità che fanno parte del cosmo sensibile32. Per comprendere la struttura complessiva della Teologia Platonica e del sistema metafisico-teologico in essa esposto, occorre riassumere brevemente il contenuto dei singoli libri che la compongono. Il libro I: un’introduzione sistematica e metodologica Come si è appena detto, il I libro costituisce un’ampia e organica premessa in cui Proclo delinea l’argomento complessivo dell’opera: in particolare, nell’ordine33, il suo obiettivo fondamentale (lo skopós, secondo la terminologia esegetica procliana), le diverse modalità in base alle quali Platone avrebbe esposto nei diversi dialoghi il proprio insegnamento teologico, unitamente ai criteri metodologici secondo cui Proclo intende ricostruire in modo sistematico le dottrine teologiche di Platone: esse, secondo la prospettiva ermeneutica neoplatonica procliana, sono state esposte nei dialoghi platonici attraverso diverse allusioni e un’intenzionale frammentarietà. Nella seconda metà del libro, Proclo, inoltre, delinea alcuni principi fondamentali riguardanti la natura degli dèi, desumendoli dalle opere platoniche stesse. Nell’ultimo capitolo, infine, sono espo-

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ste alcune riflessioni generali basate su quanto afferma Platone a proposito dei teonimi. Per quanto riguarda i criteri che Proclo intende seguire nell’esposizione della dottrina teologica di Platone, occorre in particolar modo segnalare quello in base al quale le diverse concezioni evinte dai dialoghi devono risultare in sostanziale armonia con la riflessione teologica che si ricava da quella che Proclo considera la tradizione teologica più antica, ossia i testi omerici, la Teogonia esiodea, la tradizione orfica e infine le dottrine teologiche che si ricavano dagli Oracoli Caldaici. Quanto ai dialoghi platonici, Proclo indica quelli da cui, a suo avviso, è possibile ricavare le dottrine teologiche fondamentali: il Fedone, il Fedro, il Simposio, il Filebo, unitamente al Sofista, il Politico, il Cratilo e il Timeo. Dopo questi, Proclo cita, secondariamente, i miti contenuti nel Gorgia e nel Protagora e quelle parti delle Leggi in cui viene trattato il tema della cura provvidenziale da parte degli dèi. Inoltre il X libro della Repubblica incentrato sul mito di Er. Infine alcune delle Lettere, in particolar modo la seconda, che gli autori neoplatonici considerarono tutte autentiche34. Egli poi chiarisce che i principi fondamentali sugli dèi sono desumibili in particolare dalle Leggi e da quanto Platone afferma nel II libro della Repubblica a proposito dei modelli o schemi concettuali in base ai quali si deve concepire la realtà divina35. Si deve comunque tenere presente che, secondo la prospettiva esegetica neoplatonica procliana, v’è un dialogo imprescindibile che funge, per così dire, da conferma sistematica delle diverse concezioni teologiche desunte dai dialoghi e rispetto al quale queste ultime devono risultare in perfetto accordo: si tratta del Parmenide, che, come si è detto, viene considerato dagli autori (soprattutto del Neoplatonismo tardo) come il “dialogo teologico” per eccellenza. Tutte le concezioni riguardanti gli dèi esposte da Platone negli altri dialoghi devono di volta in volta essere confrontate in modo sistematico con quanto viene affermato nel Parmenide. A tale proposito, nel I libro della Teologia Platonica, Proclo afferma: per dirla in breve, tutti i principi basilari della scienza teologica qui [scil. nel Parmenide] si manifestano in

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modo perfetto e tutti gli ordinamenti degli esseri divini mostrano di sussistere in modo continuo e coerente36.

Secondo la prospettiva esegetica procliana, è dunque nel Parmenide che la “teologia platonica” trova la sua sistematica, compiuta e complessiva esposizione. Il libro II: la natura del Principio inteso come Uno-Bene e Primo Dio. Con il II libro Proclo inizia l’effettiva trattazione dell’argomento centrale della Teologia Platonica: la descrizione e l’esposizione dettagliata, sulla base di quanto è affermato nei dialoghi platonici, dell’intero sistema metafisico-teologico che governa il reale. Nella sua trattazione sistematica Proclo incomincia dall’origine primissima e assolutamente trascendente di tutta la realtà nelle sue diverse articolazioni: il Primo Principio, ovvero l’Uno che, proprio in quanto origine autentica del Tutto, si delinea come Bene assoluto, ulteriore rispetto ad ogni forma di determinazione; esso è infatti l’assolutamente semplice in quanto assolutamente privo di molteplicità e differenziazione. Dunque è solo “dopo” l’Uno-Bene, “principio di tutte le cose” (ajrchv tw`n pavntwn), che si vengono a manifestare, in modo sempre più articolato, la determinazione e il molteplice. In considerazione della sua originarietà, l’Uno-Bene si delinea anche come “Primo Dio”, dal quale derivano e dipendono tutte le altre divinità. A proposito della natura assolutamente trascendente del Principio della totalità del reale, vale a dire l’Uno-in-sé, Proclo, nel II libro della Teologia Platonica, afferma : [scil. l’Uno] non è nessuna di tutte le cose, perché tutte risultano procedere a partire da esso37.

Proprio in quanto tutto deriva dall’Uno, esso risulta anche trascendente rispetto all’essere e al pensiero, che come ogni altra entità derivano dal Principio Primo. Per questa ragione non è possibile cogliere direttamente con il pensiero l’autentica natura dell’Uno: è possibile avvicinarsi a cogliere la sua assoluta ulteriorità solo concependolo come assolutamente altro rispetto a tutte le cose in quanto ne è l’origine autenticamente prima. Di conseguenza non può esistere un’effettiva conoscenza dell’Uno: esso, infatti, è anche al di sopra di ogni forma di conoscen-

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za. È tuttavia possibile venire a contatto con l’Uno, ma solo dopo un lungo e complesso percorso dialettico che, rivelando l’inadeguatezza intrinseca del pensiero, prepara ad una sorta di unione mistica con ciò che per definizione è assolutamente semplice e trascendente38. Il libro III: le enadi come principi originari di determinazione e il costituirsi della molteplicità potenziale nell’ordinamento degli “dèi intelligibili”. Dopo aver delineato il carattere assolutamente trascendente dell’Uno, Proclo nel III libro passa a prendere in considerazione i principi che vengono subito dopo l’Uno e che costituiscono, di conseguenza, le cause primissime della molteplicità che si dispiega in misura sempre maggiore man mano che ci si allontana dalla assoluta semplicità del Primo Dio/Principio. Le originarie cause di determinazione della molteplicità sono le così dette “enadi”, concepibili come principi divini primissimi di unità implicanti di per sé già una qualche forma di determinazione. Le enadi si configurano in ogni dimensione del reale come monadi originarie semplici e anteriori alla molteplicità, ma in qualche modo già determinate e differenziate tra loro dalla loro natura individuale e da una specifica connotazione che ciascuna di esse viene ad assumere. Ciascuna di esse, infatti, fa sussistere una molteplicità a lei appropriata, ossia affine. Così da una determinata enade originaria viene a sussistere un determinato livello del reale a essa affine. Come afferma esplicitamente Proclo, «prima degli enti, dunque, l’Uno fa sussistere le enadi degli enti»39. Al contempo esse, oltre a configurarsi come principi causali assolutamente unitari, per via della loro prossimità all’Uno, sono capaci di connettere a quest’ultimo le entità che da esse derivano e dipendono e al contempo di convertirle verso se stesse40. Oltre al fatto di essere molteplici, l’altra fondamentale differenza che intercorre tra le enadi e l’Uno, che è considerato da Proclo anche come la primissima Enade o Enade di tutte le enadi, consiste nel fatto che, mentre l’Uno è Enade impartecipabile e trascendente la totalità del reale, le singole enadi sono necessariamente partecipabili e partecipate in quanto è a partire da esse si determinano i diversi livelli della realtà41.

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Dalle enadi, dunque, deriva e dipende tutta la molteplicità del reale, a partire dalla forma originaria di molteplicità propria dell’essere, la quale si dispiega gradualmente nell’intera realtà intelligibile, unitaria nel suo complesso, ma al contempo implicante in sé, a livello potenziale, la molteplicità dei singoli enti. In effetti, ricorrendo all’espressione tratta dal Parmenide di Platone, Proclo definisce il primo manifestarsi della realtà intelligibile come “Uno-che-è”, ovvero come quell’Uno che, rispetto alla assoluta semplicità e indeterminatezza del Principio Primo, risulta collegato all’essere. A partire dalla natura ontologicamente determinata, ma ancora unitaria dell’“Uno-che-è” viene a costituirsi tutto l’intelligibile nel suo complesso attraverso una serie graduale e progressiva di livelli ulteriori e via via più articolati di differenziazione sulla base del determinarsi di una struttura triadica fondamentale che Proclo evince dal Filebo di Platone: quella costituita da limite-illimitato-misto. Essa, in sostanza, delimita e definisce la natura stessa di tutto l’intelligibile nelle sue diverse articolazioni. Tale livello di realtà, in virtù del Primo Dio che ne costituisce il fondamento autenticamente originario, è connotato da una natura intrinsecamente divina che dal livello intelligibile, a sua volta, è trasmessa a tutti gli ordinamenti divini che da esso derivano e dipendono. L’ordinamento degli “dèi intelligibili”, rappresenta, di fatto, quel livello originario della realtà che, proprio in considerazione del suo grado di trascendenza, contiene potenzialmente l’intera molteplicità che costituisce il reale nelle sue diverse articolazioni. La determinazione conclusiva della dimensione intelligibile, ossia, come vedremo, la terza triade intelligibile, nella prospettiva esegetico-teologica procliana coincide con il Vivente intelligibile del Timeo di Platone: esso è concepito da Proclo, in accordo con quanto affermato nel Parmenide, come molteplicità illimitata, poiché implica in sé ogni potenziale e possibile forma di molteplicità42. Per quanto concerne la natura degli “dèi intelligibili”, piuttosto chiare sono le parole di Proclo nel capitolo conclusivo del libro III della Teologia Platonica: In modo naturalmente conseguente dunque noi di­ ciamo che gli dèi intelligibili rivelano il Principio inef­

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fabile di tutte le cose, la sua mirabile superiorità e la sua unità, in quanto sussistono da sempre in modo celato anch’essi, in modo uniforme e unitario comprendono in se stessi le forme di molteplicità, e in modo trascendente regnano sulla totalità delle cose e sono disgiunti rispetto a tutti quanti gli altri dèi43.

Gli “dèi intelligibili”, in effetti, proprio in considerazione della loro vicinanza al Principio Primo, sono in grado, seppure in modo indiretto, di rivelare la sua natura assolutamente trascendente. Essa, per così dire, traspare dal loro carattere originariamente unitario e radicalmente trascendente: in quanto cause universali della totalità delle cose, gli dèi intelligibili custodiscono in se stessi, in maniera celata e non dispiegata, ogni forma di molteplicità, in quanto trascendono non solo la totalità di tutto ciò che è ontologicamente determinato ed effettivamente molteplice, ma anche tutti gli altri ordinamenti divini, che dagli dèi intelligibili derivano e dipendono. Il libro IV: l’effettivo manifestarsi dell’alterità nell’ordinamento degli “dèi intelligibili-intellettivi”. Nel IV libro Proclo prende in esame le divinità che sono intermedie tra il livello intelligibile e il livello intellettivo, il quale risulta caratterizzato da una maggiore molteplicità e differenziazione rispetto a quello intelligibile. Gli “dèi intelligibili-intellettivi”, in effetti, sono direttamente connessi con quelli “intelligibili” e al contempo costituiscono il collegamento fra questi ultimi e gli “dèi intellettivi”. Occorre infatti ricordare che, secondo la prospettiva metafisica procliana, la processione di tutte le entità dal Principio Primo deve essere assolutamente continua e graduale, secondo livelli di determinazione, differenziazione e molteplicità via via maggiori. A proposito della natura intermedia degli dèi intelligibili-intellettivi Proclo afferma: attraverso la loro sommità sono congiunti al carattere intelligibile, attraverso la loro estremità inferiore al carattere intellettivo, mentre per mezzo del legame intermedio dei termini estremi hanno ottenuto la proprietà comprensiva egualmente di entrambi i caratteri e si distendono in entrambe le direzioni,

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verso i generi intelligibili degli dèi e al contempo verso quelli intellettivi, proprio come se si trattasse del centro di questi due tipi di ordinamenti, il quale assicura la comunione tra le entità universali in modo uni-forme»44.

L’ordinamento intelligibile-intellettivo si configura, a tutti gli effetti, come la realtà intermedia che mantiene distinti, ma al contempo reciprocamente connessi l’ordinamento puramente intelligibile e quello puramente intellettivo. In tal modo il livello intelligibile-intellettivo si configura come il “centro” tra questi due ordinamenti, cioè come la dimensione all’interno della quale hanno luogo la connessione e la comunione unitarie e uniformi della totalità degli ordinamenti autenticamente trascendenti e universali, che sono appunto quello intelligibile, quello intelligibile-intellettivo e, infine, quello intellettivo. Per via della sua maggiore determinatezza rispetto a quello intelligibile, nell’ordinamento intelligibile-intellettivo si manifesta a livello originario l’alterità o differenza: le entità appartenenti a questo ordinamento, dunque, introducono una forma di molteplicità più determinata e dispiegata rispetto a quella intelligibile, che risulta, invece, “celata”, ossia solo potenziale e non effettiva e dispiegata. Alla luce di tali considerazioni, le parole di Proclo sulla differenza tra l’ordinamento intelligibile e quello intelligibile-intellettivo appaiono sostanzialmente perspicue: Infatti l’alterità in se stessa si manifesta per la pri­ma volta in questo livello [scil. nell’ordinamento intel­ ligibile-intellettivo], dato che essa negli intelligibili è potenza e diade, mentre negli intelligibili-intellettivi è fonte materna e feconda45.

Se nell’ambito dell’intelligibile l’alterità/differenza si dà solo in forma di pura potenzialità, determinata dalla natura implicitamente diadica dell’Uno-che-è, ovvero dell’Uno che è al contempo essere, nell’ambito intelligibile-intellettivo l’alterità/ differenza diviene a tutti gli effetti e in modo determinato fonte e origine di molteplicità. Si tenga anche presente che è nell’or-

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dinamento intelligibile-intellettivo che fa la sua comparsa, a livello originario e trascendente, il primissimo numero o anche numero intelligibile, che è, per così dire, la primissima forma di pluralità effettivamente determinata e discreta46. In conformità con il presupposto neoplatonico procliano, in base al quale la processione dei diversi ordinamenti verso una sempre più differenziata e maggiore molteplicità deve risultare graduale, l’ordinamento intelligibile-intellettivo si configura così come il tramite tra la molteplicità potenziale dell’intelligibile e quella ormai del tutto dispiegata dell’ordinamento intellettivo. Gli dèi intelligibili-intellettivi fanno originariamente sussistere la differenza dalla quale deriva il compiuto dispiegamento della molteplicità nell’ordinamento intellettivo, ma al contempo essi hanno anche la funzione di collegare tale ordinamento a quello intelligibile e al contempo di mantenere intrinsecamente connessa e armonicamente unitaria la molteplicità intellettiva. Occorre, in effetti, precisare che la differenza tra la natura “intelligibile” e quella “intellettiva” consiste nel fatto che quest’ultima risulta attiva e produttiva, mentre l’intelligibile nel suo insieme permane trascendente e ulteriore rispetto a tutto ciò che è singolarmente e specificamente determinato dal punto di vista ontologico. Gli dèi “intelligibili-intellettivi” fanno così da intermediari fra il carattere unitario e la natura di paradigma assoluto insita nell’intelligibile e, come vedremo, l’attività intellettiva che fa sussistere l’intero universo a immagine del modello intelligibile. Il libro V: la molteplicità trascendente, compiutamente dispiegata e differenziata, dell’ordinamento degli “dèi intellettivi” e il ruolo del Demiurgo. Proprio all’inizio del V libro Proclo chiarisce qual è la natura e la funzione dell’ordinamento “intellettivo”: A questo punto dobbiamo considerare, come terzo, un altro ordinamento di dèi, quello denominato “intel­ lettivo”, che da un lato è immediatamente connesso a quelli che lo precedono, e, dall’altro, conclude le processioni universali delle entità divine, le converte al Principio e va a completare quello che è un unico anello degli ordinamenti originari e assolutamente perfetti47.

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L’ambito intellettivo, in effetti, costituisce l’ultimo livello degli ordinamenti divini autenticamente trascendenti. Esso è inteso da Proclo come una sorta di Intelligenza universale, il cui ruolo specifico è sostanzialmente quello di far sussistere l’universo sensibile come un unitario essere vivente a immagine del modello intelligibile. Perciò all’ordinamento intellettivo appartiene secondo Proclo il carattere “fontale”: da tale ordinamento, infatti, derivano e dipendono, oltre al cosmo vivente, gli ordinamenti divini che hanno un contatto più o meno diretto con esso. In particolare, ad avere il ruolo di “fonte” è Rea, in quanto principio universale generatore di vita, la quale trasmette tale carattere a Zeus Demiurgo che, a sua volta, è il dio che rende il cosmo un essere vivente dotato di un’anima, ossia l’Anima del cosmo48. In effetti, secondo la concezione procliana, è nella dimensione intellettiva che prende forma e viene a sussistere originariamente il livello della realtà psichica. La natura e la funzione dell’ordinamento intellettivo sono ben coglibili alla luce dell’azione del Demiurgo, il dio “artefice” del cosmo, come è affermato da Platone nel Timeo. L’artefice universale, contemplando l’intelligibile, realizza il cosmo a immagine del Vivente intelligibile di cui si parla ancora nel Timeo e fornisce a esso una struttura e un ordine ben definiti e armonici. Sul ruolo del Demiurgo nell’ambito dell’ordinamento intellettivo è opportuno citare direttamente le parole dello stesso Proclo: il Demiurgo dell’universo fa risplendere l’ordine, il limite e l’ordinamento complessivo, e realizza il Tutto come un’immagine degli intelligibili attraverso la par­ tecipazione alle forme49.

Per quanto concerne la natura dell’ordinamento intellettivo nel suo complesso, occorre inoltre sottolineare fin d’ora che Proclo attribuisce a esso, a differenza della struttura triadica che caratterizza tutti gli ordinamenti precedenti, una struttura “ebdomadica”, vale a dire organizzata in una serie di sette livelli tra loro distinti, ma comunque armonicamente collegati fra loro. Tale struttura ebdomadica della realtà intellettiva, al di là di complesse questioni di carattere dottrinale, connesse anche a concezioni esoteriche di natura numerologica50, rivela

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come entro questo ordinamento regni una molteplicità maggiormente dispiegata e determinata rispetto a quella insita negli ordinamenti a esso superiori. La realtà intellettiva, in effetti, rappresenta il livello meno elevato e, dunque, meno prossimo all’Uno tra quelli trascendenti e assolutamente universali: tutti gli ordinamenti divini che vengono dopo gli “dèi intellettivi” non hanno più il carattere della completa trascendenza e universalità, ma sono caratterizzati da forme di relazione, più o meno diretta, con le diverse e specifiche articolazioni del cosmo sensibile, e, quindi, al contempo da una natura più determinata e particolare. Il libro VI: l’ordinamento “ipercosmico” e quello “ipercosmico-encosmico” come tramite tra la realtà trascendente e il cosmo materiale. Come si è detto, il ruolo fondamentale proprio degli dèi intellettivi può essere sintetizzato, secondo la concezione e l’esegesi di Proclo, nell’attività svolta dal Demiurgo, il quale plasma il cosmo a immagine del modello intelligibile. Alla luce di un passo del Gorgia (523a1 segg.), Proclo individua uno specifico ordinamento divino nel quale la demiurgia originaria e universale del Demiurgo, per così dire, risulta divisa, frammentata e particolarizzata. Si tratta dei tre demiurghi dell’ordinamento ipercosmico (come vedremo, Zeus, Poseidone, Ade) ai quali sono assegnati in sorte specifici ambiti di competenza per quanto concerne il governo del cosmo nelle sue principali articolazioni51. Questi dèi, a cui è dedicata gran parte del libro VI della Teologia Platonica, hanno sostanzialmente la funzione di mediazione tra la realtà intellettiva, ancora del tutto trascendente e universale, e il cosmo sensibile, fatto di materia e caratterizzato dalla particolarità. Il Demiurgo, in effetti, per la sua natura trascendente e assolutamente universale, non può essere il dio che guida e governa direttamente e specificamente distinti ambiti cosmici: egli fa sussistere il cosmo nella sua totalità complessiva e nella sua unitarietà. I demiurghi ipercosmici, pertanto, rappresentano una prima forma di distinzione relativa alle fondamentali articolazioni del cosmo. Questa suddivisione dell’unitarietà del cosmo in specifiche sfere di competenza funge da tramite fra l’assoluta universalità e la particolarità del co-

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smo sensibile. La distinzione fra il Demiurgo e l’ordinamento ipercosmico viene presentata da Proclo in modo chiaro già nel libro V, ossia prima di dedicarsi specificamente alla trattazione concernente gli “dèi ipercosmici”: E dunque il Demiurgo dell’universo nella sua totalità non fa parte degli dèi ipercosmici: infatti in questo ordinamento gli dèi sono tutti particolari, o in quanto governano in modo particolare le cose nella loro universale totalità, oppure in quanto comprendono in modo universale le produzioni delle parti52.

Dunque gli dèi ipercosmici sono divinità non più universali, bensì particolari, anche se a un livello ulteriore rispetto alla particolarità che costituisce le singole entità che fanno parte del cosmo, e la loro natura si riflette sul modo in cui questi dèi gestiscono articolazioni e ambiti complessivi dell’universo. Essi governano la totalità del cosmo non come il Demiurgo, che opera in modo assolutamente universale, bensì agendo, potremmo dire, su insiemi complessivi di entità particolari del cosmo sensibile, oppure inglobando in se stessi le cause originarie di tali insiemi. L’azione del Demiurgo è, in effetti, assolutamente universale: egli dà forma, per così dire, alla struttura e all’ordine universali del cosmo basandosi sul modello intelligibile. Gli dèi ipercosmici, invece, governano separatamente su ciascuna delle diverse articolazioni fondamentali del cosmo, mentre il Demiurgo fa sussistere il cosmo in modo unitario, senza distinguere la sua attività in rapporto a ciò che produce. Così la loro azione risulta suddivisa e distinta in base agli ambiti cosmici di cui singolarmente si prendono cura: per questo la loro opera è inferiore in senso assiologico rispetto a quella demiurgica. Inoltre, nella prospettiva teologico-esegetica di Proclo, gli dèi ipercosmici fanno in qualche modo da tramite tra il Demiurgo e l’azione particolare che è demandata da quest’ultimo ai così detti “dèi giovani”, di cui Platone parla nel Timeo, ovvero i demiurghi di secondo rango che ricevono disposizioni e ordini dal Demiurgo stesso53. Al contempo il primo livello degli dèi ipercosmici ha anche la funzione di ricondurre a un’unità complessiva d’insieme le singole entità sensibili, in virtù del collegamento che connette queste ultime ai loro paradigmi

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intelligibili. Proclo, infatti, nel VI libro esplica ulteriormente il carattere, l’azione e l’attività che appartengono specificamente a questi dèi ipercosmici nei seguenti termini: È dunque da questo ordinamento che vengono a sussistere in modo primario i differenti livelli di immagini. Infatti ogni immagine viene prodotta in base alla somiglianza con il modello, e d’altra parte il rendere simili le entità derivate a quelle originarie ed il legare insieme tutte le cose per il tramite della somiglianza si confà soprattutto a questi dèi. Infatti che cos’altro è in grado di rendere simili ai propri modelli il cosmo stesso e al contempo tutte le entità presenti nel cosmo se non questo genere degli dèi ipercosmici?54

Proprio in virtù dell’azione attraverso la quale le entità presenti nel cosmo sono rese simili ai loro rispettivi paradigmi trascendenti, il primo livello degli dèi ipercosmici è definito da Proclo anche come livello degli “dèi sovrani assimilatori”, in quanto essi governano gli ambiti fondamentali nei quali risulta articolato l’universo sensibile, in modo da garantire la somiglianza delle entità poste al loro interno con gli enti trascendenti, eterni e immutabili propri della realtà intelligibile. L’ordinamento ipercosmico, in effetti, come si è accennato, agisce sul cosmo sensibile suddividendo e particolarizzando l’azione di carattere universale svolta dal Demiurgo. L’ordinamento ipercosmico, così, risulta strutturalmente connesso a quello intellettivo e al contempo fa da tramite tra la realtà intellettiva e le fondamentali articolazioni del cosmo sensibile. Le singole componenti immanenti e particolari, dal canto loro, essendo caratterizzate dall’immanenza e dalla particolarità, non vengono governate direttamente dagli dèi ipercosmici, bensì da un ordinamento che è posto “all’interno” del cosmo sensibile stesso e non “al di sopra” di esso, come invece quello “ipercosmico”: si tratta dell’ordinamento degli “dèi encosmici”, che, agendo nel cosmo, operano sulle molteplici e particolari entità che lo costituiscono. All’ordinamento “encosmico” Proclo fa alcuni accenni in tutti i libri della Teologia Platonica, soprattutto nel VI, ma manca una specifica trattazione a riguardo55. In quest’ultimo libro, invece, accanto alla trattazione riguardante gli dèi iperco-

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smici, Proclo tratta in modo sistematico e piuttosto dettagliato di un ulteriore ordinamento divino posto al di sopra di quello encosmico: la sua funzione principale è sostanzialmente quella di fare da intermediario tra gli dèi ipercosmici e quelli encosmici. Ciò si riflette anche sulla specifica denominazione attribuita a tale ordinamento, cioè “ipercosmico-encosmico”. Si è già avuto modo di rilevare come Proclo individui livelli metafisici e divini intermedi tra piani di realtà differenti: ciò è già apparso con la massima evidenza nel caso dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, di cui Proclo tratta diffusamente nel IV libro. Gli ordinamenti intermedi hanno la funzione, secondo la concezione procliana, di conservare la continuità e la connessione tra i diversi livelli di realtà, in modo che non vi siano “sbalzi” tra i diversi gradi di molteplicità e determinazione. Tale prospettiva metafisica porta inevitabilmente alla proliferazione, spesso esasperata e quasi ossessiva, di livelli intermedi di realtà. Ciò vale anche per l’ordinamento “ipercosmico-encosmico”. Anche questo genere di dèi rivela le fondamentali e tipiche caratteristiche che sono comuni a tutti gli ordinamenti intermedi: le divinità ipercosmiche-encosmiche sono più determinate in senso ontologico e più particolari del livello che le precede immediatamente; ma nello stesso tempo sono in connessione diretta con esso in modo da garantire il collegamento fra l’ordinamento superiore e quello immediatamente inferiore che così viene fatto volgere verso l’ordinamento superiore. L’attività degli dèi ipercosmici-encosmici è a tutti gli effetti descritta come una forma di mediazione: essi [scil. gli dèi ipercosmici-encosmici] fanno volgere indietro gli dèi encosmici verso i principi trascendenti, mentre incitano gli dèi posti al di sopra del cosmo a generare e a prendersi provvidenzialmente cura degli esseri sensibili, e salvaguardano in modo immutabile in se stessi la forma intermedia del loro dominio56.

L’ordinamento divino ipercosmico-encosmico opera, dunque, in due diverse direzioni: da un lato fa sì che le divinità encosmiche siano rivolte verso i loro principi originari, vale a dire verso tutti gli ordinamenti divini trascendenti; al contempo, attraverso la loro specifica funzione di intermediari, gli dèi

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ipercosmici-encosmici spingono gli dèi ipercosmici a far sussistere e a prendersi cura delle entità sensibili in modo che queste ultime, potremmo aggiungere, risultino simili ai loro paradigmi trascendenti. Nel medesimo tempo l’ordinamento ipercosmico-encosmico, pur svolgendo un ruolo di intermediazione, conserva stabilmente la propria specifica identità e funzione: esso rimane cioè un ordinamento intermedio e quindi, pur essendo connesso da un lato con gli dèi ipercosmici e dall’altro con quelli encosmici, non si identifica con nessuno dei due ordinamenti né finisce per risolversi in uno di essi. È proprio il suo ruolo di intermediazione, infatti, che costituisce, in ultima istanza, la sua stessa essenza.

2. La struttura del reale e le gerarchie divine nella Teologia Platonica Alla luce della precedente sintesi del contenuto dei singoli libri della Teologia Platonica è possibile tracciare uno schema generale della struttura metafisico-teologica che, secondo la prospettiva procliana, determina la natura di tutto il reale nelle sue diverse e molteplici articolazioni. Si tenga presente che nella prospettiva procliana a ogni ordinamento divino corrisponde un determinato livello di realtà. • L’origine primissima assolutamente semplice e trascendente (libro II). Il Principio Primissimo e Primo Dio, da cui deriva e dipende la totalità del reale, per la sua abissale ulteriorità rispetto a tutto ciò che è, può solo essere inteso come nessuna di tutte le cose. La sua trascendenza è delineabile, a un primo livello, per via analogica rispetto alle realtà che da esso derivano e dipendono: esso si configura in tal modo come Uno-Bene. D’altronde la sua effettiva trascendenza assoluta può essere colta solo per via aferetico-negativa, rilevando come esso sia al di là sia dell’essere sia del pensiero.

• Le prime enadi e i principi di natura diadica del limite e dell’illimitato (libro III, capp. 2-8). In prossimità del

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Principio Primissimo sono poste le enadi, concepite come principi astratti di forme originarie e unitarie di determinazione. All’ambito delle enadi sono riconducibili i principi originari diadici, desunti dal Filebo, del limite e dell’illimitato” (o “illimitatezza”), dai quali deriva e dipende il determinarsi dell’Essere stesso. • L’unità originaria dell’Essere come “misto”, derivante dalla combinazione di “limite” e “illimitato” (libro III, capp. 9-11). Sempre sulla scorta del Filebo, Proclo mostra come la combinazione di limite e illimitato dia origine al misto, con il quale viene identificato l’Essere nella sua unità originaria, ovvero, sulla base della terminologia riconducibile al Parmenide, l’Uno-che-è (e}n o[n). Esso costituisce la sommità dell’ordinamento intelligibile. • La struttura triadica dell’ordinamento intelligibile e le tre triadi intelligibili (libro III, capp. 12-28). Dall’Uno-che-è, si sviluppano e si dispiegano una serie di livelli via via più determinati in senso ontologico sulla base della struttura triadica fondamentale Essere, Vita e Intelletto. Essa determina la natura complessivamente unitaria, ma al contempo intrinsecamente dinamica e potenzialmente molteplice, della realtà intelligibile e dell’ordinamento divino a essa corrispondente. Nell’ambito dell’ordinamento intelligibile Proclo individua tre triadi: la prima corrisponde alla triade originaria costituita da limite-illimitato-misto, ove il carattere fondamentale è rappresentato dal limite, e coincide complessivamente con l’Uno-che-è, intrinsecamente connotato da un’unità sostanziale; la seconda è identificata da Proclo in particolare con il carattere dell’illimitato/illimitatezza – al quale corrisponde anche quello dell’Eternità – e anche, sulla base di quanto è affermato nel Sofista, al carattere dell’Intero; la terza infine, nel quale prevale il carattere del misto, corrisponde al Vivente intelligibile (o Vivente-in-sé) del Timeo ed è definita da Proclo anche “Tutto”, ancora sulla base del Sofista. È nella terza triade che per Proclo si manifesta, originariamente e in maniera non

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ancora compiutamente dispiegata, l’insieme delle Forme intelligibili. • La natura diversificata dell’ordinamento intelligibile-intellettivo e la sua struttura desunta dal Fedro (libro IV). Rispetto alla dimensione intelligibile l’ordinamento intelligibile-intellettivo è caratterizzato da un’effettiva e compiuta differenziazione. Esso, nel suo insieme, rappresenta l’intermediario fra la realtà intelligibile, che funge da paradigma e modello perfetto dell’universo, e l’attività degli dèi intellettivi, in virtù dei quali viene a sussistere l’intero universo a immagine della realtà intelligibile. Attraverso quanto Proclo ricava dal Fedro, esso viene distinto in tre principali livelli triadici, a loro volta variamente articolati: il luogo iperuranio, la rivoluzione celeste e la volta subceleste. La natura di questo ordinamento è in particolare determinata dal suo livello intermedio, che, in accordo con la tradizione oracolare caldaica, Proclo considera costituito dagli dèi “connettivi”, i quali collegano e tengono uniti tra loro l’ambito intelligibile e quello intellettivo. A ulteriore conferma del grado di determinazione ontologica rappresentato da questo ordinamento occorre tenere presente che in esso, sulla base della prospettiva teologico-metafisica procliana, compare e viene nominata esplicitamente per la prima volta una divinità appartenente alla comune e tradizionale concezione mitico-religiosa pagana: si tratta di Urano, corrispondente al livello intermedio intelligibile-intellettivo, al quale Proclo sembra ricondurre nel suo complesso la natura dell’intero ordinamento intelligibile-intellettivo. • La pluralità compiutamente dispiegata nell’ordinamento intellettivo, ultimo livello divino trascendente e fonte della realtà psichica che coopera all’armonia del cosmo sensibile plasmato dal Demiurgo. Il carattere maggiormente determinato, differenziato e pluralizzato dell’ordinamento intellettivo rispetto a quelli che lo precedono è sottolineato da Proclo fin dal cap. 2 del libro VI: gli dèi

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intellettivi non sono caratterizzati da un’organizzazione puramente triadica, bensì dall’ebdomade (“intellettiva”), ovvero da una struttura articolata in sette livelli: la prima triade intellettiva, costituita da Crono, Rea e Zeus, la seconda triade costituita dai Cureti, o anche, secondo la denominazione caldaica, dèi “incontaminati”, i quali tutelano la trascendenza dell’ordinamento intellettivo, e infine una monade distinguente o separatrice che ha la doppia funzione di tenere distinti fra loro i livelli entro i quali si articola l’ordinamento intellettivo e al contempo di tenere quest’ultimo separato e distinto nella sua trascendenza rispetto ai livelli di realtà che da esso derivano e dipendono. Quello intellettivo è infatti l’ultimo degli ordinamenti radicalmente trascendenti: dopo di esso incomincia a prendere forma, ad opera degli dèi ipercosmici, la molteplicità totalmente differenziata e particolarizzata propria del cosmo sensibile. D’altra parte, è proprio dall’ordinamento degli dèi intellettivi – la cui prima triade è, perciò, definita “fontale” – che deriva e dipende la realtà del cosmo e l’ordine in base al quale è strutturato l’intero universo. È in tale ordinamento, infatti, che Proclo colloca, traendola dal Timeo di Platone, la figura del Demiurgo, cioè l’artefice dell’“Anima del mondo” che conferisce al cosmo la sua struttura unitaria e lo permea nella sua totalità. Il Demiurgo è identificato da Proclo con il dio Zeus, il quale, a sua volta, come si è visto, rappresenta l’ultimo termine della prima triade intellettiva. Inoltre, secondo la prospettiva procliana, a opera del Demiurgo viene anche a costituirsi quella che da Plotino era concepita come l’“ipostasi dell’Anima” e che Proclo, a sua volta, intende come il livello della realtà psichica nella sua totalità. Ai gradi più elevati di questo livello del reale appartengono le così dette “anime universali” (o “divinizzate”) le quali, secondo la concezione tardo-neoplatonica di Proclo, risultano connesse alla realtà intellettiva. Con le anime universali la struttura complessiva dell’universo risulta compiuta e perfetta, in quanto esse introducono al suo interno la dimensione psichica. Le anime universali, inoltre, cooperano, insie-

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me al Demiurgo e agli altri dèi a esso inferiori, all’armonia complessiva del cosmo57. • La suddivisione e particolarizzazione della demiurgia unitaria intellettiva ad opera degli dèi ipercosmici (libro VI, capp. 1-14). Direttamente dalla realtà intellettiva derivano e dipendono gli dèi ipercosmici, i quali operano come i principi causali originari della molteplicità determinata, suddivisa e particolarizzata degli esseri che costituiscono il cosmo nelle sue diverse articolazioni. Tale ordinamento è costituito da un insieme di quattro triadi. Proclo, sulla base di un brano del Gorgia, identifica la prima triade dell’ordinamento ipercosmico, con Zeus (ipercosmico), Poseidone, Plutone/Ade. Queste tre divinità, sulla base dell’interpretazione teologica procliana del mito, rappresentano la suddivisione e particolarizzazione originarie della demiurgia universale e unitaria di Zeus Demiurgo intellettivo, in quanto esse si suddividono specifici ambiti e livelli di realtà cosmica, sui quali singolarmente governano. Al contempo questi dèi svolgono la funzione, in qualità di dèi sovrani assimilatori, di rendere simili i diversi livelli fondamentali della realtà cosmica all’insieme del loro paradigma intelligibile originario. La seconda triade ipercosmica è, a sua volta costituita, da tre dee che hanno funzione di vivificare la totalità del cosmo nel suo insieme: si tratta di Artemide, Persefone e Atena, che, a loro volta, sono identificate con un’unitaria e complessiva divinità, vale a dire Core, la quale racchiude in sé le specificità di queste tre dee. La terza triade ipercosmica ha la funzione di far volgere indietro, ovvero di convertire la totalità del cosmo verso i suoi principi originati: essa è costituita da Apollo, sulla base delle proprietà specifiche che la tradizione mitica attribuisce a questo dio. Infine, la quarta triade ipercosmica è rappresentata dagli dèi “incontaminati” o “Coribanti”, che, anche in base al mito, hanno una funzione simile ai Cureti: essi vegliano sull’insieme dell’ordinamento ipercosmico mantenendolo separato e distinto rispetto agli ulteriori livelli che da esso derivano

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e dipendono; come i Cureti dell’ordinamento intellettivo, anche i Coribanti, infatti, sono dèi “incontaminati”. • Il carattere della “non-vincolatezza” (scil. rispetto al mondo materiale) nell’ordinamento ipercosmico-encosmico (libro VI, capp. 15-24). Gli dèi ipercosmici-encosmici fanno da tramite tra gli dèi ipercosmici e le divinità che sono poste direttamente nel cosmo sensibile e che vengono perciò denominate “encosmiche”. Mentre queste ultime sono sostanzialmente collegate e vincolate al livello materiale e sensibile della realtà, gli dèi ipercosmici-encosmici non fanno ancora parte del cosmo materiale. Essi, congiuntamente a quelli ipercosmici-encosmici hanno di fatto la funzione di rendere il più graduale possibile – in conformità con il criterio generale seguito da Proclo nell’elaborazione della propria concezione metafisico-teologica – il passaggio dalle realtà più elevate a quelle che fanno parte della dimensione sensibile. Nel far ciò Proclo ricerca una complessiva continuità e accordo tra Platone e l’intera tradizione religiosa del paganesimo greco. Per via della loro connessione e analogia con l’ordinamento ipercosmico, anche gli dèi ipercosmici-encosmici sono strutturati secondo una dodecade, anch’essa divisa in quattro triadi. La prima triade è anch’essa demiurgica ed è costituita da Zeus (Zeus ipercosmico-encosmico), da Poseidone (Poseidone ipercosmico-encosmico) e da Efesto. La seconda triade ipercosmica-encosmica ha funzione di custodia incontaminata ed è composta da Estia, Atena (Atena ipercosmica-encosmica) e Ares. La terza triade è costituita da tre dee vivificatrici che sono Demetra/Core (Demetra/Core ipercosmica-encosmica), Era e Artemide (Artemide ipercosmica-encosmica). La quarta e ultima triade ipercosmica-encosmica ha la funzione di elevare e far volgere le entità appartenenti alla dimensione encosmica verso i livelli più elevati di realtà: essa è composta da Ermes, Afrodite e Apollo (Apollo ipercosmico-encosmico). Come appare evidente da queste strutture triadiche, alcune divinità risultano, per così dire, moltiplicate, sicché ad esempio nel caso di Zeus è

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possibile individuare almeno tre diversi livelli di questo dio: Zeus Demiurgo intellettivo, Zeus ipercosmico, Zeus ipercosmico-encosmico, ai quali si potrebbe aggiungere come quarto anche uno Zeus encosmico, identificato probabilmente con il pianeta Giove. • Le divinità encosmiche e, al di sotto di esse, le entità particolari e individuali (cenni sparsi nei libri della Teologia Platonica, in particolare nel VI). Come si è detto in precedenza, Proclo non sviluppa nella Teologia Platonica una trattazione specifica concernente la natura degli dèi encosmici che operano all’interno dell’universo sensibile e degli altri esseri che fanno di esso parte. Tuttavia anche solo dai cenni forniti nel libro VI è possibile comprendere la natura e il ruolo di queste entità divine. Gli dèi encosmici nel loro insieme agiscono sulla dimensione sensibile nelle sue diverse e molteplici componenti, sulle quali, a differenza di tutti i livelli divini superiori, essi operano in modo diretto specifico e, per così dire, individualizzato. Connesse in modo particolare con il livello encosmico sono quelle divinità che, secondo la tradizione pagana greca, sono collegate con la natura e la sua dimensione vitale, come in particolare Dioniso, che sulla base di quanto è affermato nel Commento al Cratilo viene definito da Proclo come il “re degli dèi encosmici”, ovvero, secondo l’interpretazione procliana, degli “dèi giovani’ del Timeo. Inoltre, secondo la concezione procliana, il cosmo è popolato nella sua totalità e nei suoi numerosi livelli da una assai ampia serie di ulteriori entità divine, inferiori rispetto alle divinità encosmiche e da queste ultime direttamente dipendenti. Anche tali entità divine sono strutturate secondo un preciso ordine gerarchico riconducibile al diverso grado di prossimità rispetto agli dèi encosmici: a un primo livello si pongono le anime universali e divinizzate; seguono, a un livello inferiore, tre tipologie di entità sovrumane: gli “angeli”, intermediari e messaggeri tra uomini e dèi (dal greco a[ggelo~, appunto “messaggero”)58; quindi i “demoni”, i quali incarnano per lo più determinate potenze connesse

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alla realtà naturale; infine vengono gli “eroi”, concepibili sostanzialmente come anime superiori e caratterizzate da specifici poteri e facoltà in grado di far volgere, per così dire “per emulazione”, le entità di rango inferiore verso gli ordinamenti divini. Dopo queste entità semidivine vengono le anime particolari e individuali, alle quali sono ricondotti gli esseri umani. A un livello ancora inferiore si pone la totalità degli esseri viventi, animali e piante. All’ultimo livello nell’ordine gerarchico universale vengono gli esseri inanimati. Secondo la prospettiva neoplatonica procliana, questi ultimi, unitamente soprattutto ad alcune specie di piante – in virtù di particolari rapporti simpatetici grazie ai quali mantengono una connessione diretta con alcune entità divine – posseggono specifiche proprietà naturali capaci, attraverso particolari rituali magico-teurgici, di evocare divinità o di garantire una qualche forma di diretto contatto con esse. Da questa sintetica delineazione della gerarchia metafisico-teologica del reale in base alla prospettiva neoplatonica di Proclo, appare evidente il suo carattere, per così dire, “catalogatorio universale” ed “enciclopedico”, che mira a dare una specifica e sistematica collocazione a ogni entità ed essere all’interno dell’ordine che governa la totalità della realtà nelle sue diverse articolazioni. Entro tale prospettiva filosofica tutto ciò che è, a qualunque livello ontologico appartenga, risulta collegato alla totalità dell’essere in virtù dell’armonia universale che attraversa capillarmente il Tutto. Tale armonia universale deriva, in ultima istanza, dal Principio Primo stesso, che è fondamento originario di ogni forma di unità e di realtà, pur essendo, al contempo, assolutamente altro e trascendente rispetto alla totalità delle cose. Proprio la natura dell’abissale ulteriorità del Principio Primissimo e Primo dio sembra in qualche modo alla base dell’intricata e quasi “maniacale” elaborazione da parte di Proclo di livelli di realtà intermedi e mediatori, la cui funzione essenziale è quella di colmare l’abisso fra la semplicità assolutamente trascendente dell’Uno e i gradi crescenti di determinazione, differenziazione e molteplicità che caratterizzano il reale nella sua totalità.

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3. Rappresentazione schematica della struttura metafisico-teologica del reale nella prospettiva procliana in base a quanto è affermato nella Teologia Platonica Uno (Primissimo Principio/Primo Dio) ___________________________ Enadi La diade di Limite e Illimitato Ordinamento intelligibile (triadi) 1) Prima triade intelligibile: limite-illimitato-misto=Uno-che-è 2) Seconda triade intelligibile: limite-illimitato-misto= =Eternità, Intero 3) Terza triade intelligibile: limite-illimitato-misto= =Vivente intelligibile, Tutto Ordinamento intelligibile-intellettivo (triadi) 1) Prima triade intelligibile-intellettiva: il luogo iperuranio/ sovraceleste 2) Seconda triade intelligibile-intellettiva: la rivoluzione celeste (Urano)=dèi connettivi 3) Terza triade intelligibile-intellettiva: la volta subceleste= =dèi perfezionatori Ordinamento intellettivo (ebdomade) 1) Prima triade intellettiva: Crono, Rea, Zeus=divinità fontali 2) Seconda triade intellettiva: Cureti=dèi incontaminati o implacabili 3) Monade separatrice che garantisce il carattere della trascendenza __________________________________________________ Ordinamento ipercosmico (quattro triadi) Triade demiurgica: Zeus, Poseidone, Ade (=dèi sovrani principiali o assimilatori) Triade vivificatrice: Artemide, Persefone, Atena (nel suo insieme=Core)

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Triade convertitrice: Apollo (in base alla proprietà attribuitegli dalla tradizione) Triade incontaminata e custode: Coribanti

Ordinamento ipercosmico-encosmico (dodecade) Dèi demiurgici: Zeus, Poseidone, Efesto Dèi custodi incontaminati: Estia, Atena, Ares Dee vivificatrici: Demetra/Core, Era, Artemide Dèi elevatori: Ermes, Afrodite e Apollo Ordinamento encosmico È costituito dall’insieme degli dèi che fanno parte del cosmo Gli dèi encosmici sono specificamente identificati con gli “dèi giovani” del Timeo Alcuni di questi dèi sono identificati con i pianeti Il re degli dèi encosmici è il dio Dioniso Al di sotto delle divinità: Anime universali Entità sovrumane (angeli, demoni, eroi) Anime particolari (esseri umani). Infine: esseri viventi (animali e piante); esseri inanimati

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IV. Le premesse metodologiche e i presupposti esegetici dell’opera (libro i) La Teologia Platonica, come accennato, è un’opera di carattere sostanzialmente “enciclopedico”. In essa Proclo si propone di ricostruire in modo sistematico l’intera dottrina teologica di Platone, che, in base alla prospettiva esegetica neoplatonica, sarebbe stata esposta in maniera frammentaria nei suoi dialoghi. Solo nel Parmenide tale dottrina troverebbe un’esposizione sistematica e complessiva, benché non specificamente particolareggiata in rapporto ai diversi ordinamenti divini considerati. Nel I libro di questa imponente opera sono presentati i criteri fondamentali che Proclo afferma di aver seguito per fornire una trattazione unitaria e completa delle concezioni platoniche sulla struttura gerarchica divina della realtà. Prima, però, di delineare tali criteri in maniera specifica e dettagliata, egli traccia una breve storia dell’esegesi di Platone, in particolare all’interno del Neoplatonismo, intendendo con ciò affermare, con un marcato senso di appartenenza, di far parte di una tradizione filosofica già consolidata, riconosciuta e ormai compiutamente sviluppatasi. La Teologia Platonica si apre proprio con tale brevissima sintesi della tradizione esegetica neoplatonica.

1. I “grandi misteri” della dottrina platonica: chi li ha compresi e chi è nella condizione di comprenderli All’inizio del I libro Proclo, a mo’ di proemio, passa in rassegna i diversi contributi forniti dagli esegeti che hanno sviluppato quella tradizione e scuola di pensiero di cui egli stesso fa parte. La verità sull’autentica natura della realtà e sulla struttura gerarchica delle divinità che la governano è stata colta ed esposta, afferma Proclo, originariamente da Platone, ma solo alcuni suoi interpreti hanno saputo esplicare i contenuti fondamentali di questa dottrina equiparata ai “grandi misteri”

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concernenti la realtà divina. Platone appare così come la guida spirituale e il sacerdote di questi “grandi misteri” che sono considerati da Proclo come una vera e propria ejpopteiva (epopteía), vale a dire la “visione suprema” del divino59, termine con cui viene indicato il momento fondamentale e conclusivo di ogni rito misterico, che conduce alla contemplazione diretta e senza mediazioni della realtà divina. Tra gli interpreti che per primi, a suo parere, avrebbero compreso il carattere autenticamente “teologico” della dottrina di Platone, Proclo elenca nell’ordine Plotino e i suoi discepoli Amelio e Porfirio; subito dopo questi, Giamblico ed il suo allievo Teodoro60. Proclo, infine, tra i supremi interpreti di Platone cita anche il proprio maestro Siriano, di cui egli fu successore nella guida della Scuola platonica di Atene. Nel medesimo contesto, inoltre, si afferma che Siriano rese i suoi discepoli compartecipi della verità misterica sulla natura della realtà divina61. Con ciò Proclo, oltre a rendere omaggio al suo amato maestro, sottolinea con forza di far parte della medesima illustre tradizione esegetico-teologica. Egli in tal modo mostra implicitamente quale sia l’effettivo obiettivo della sua Teologia Platonica: essa costituisce una complessiva ripresa e rielaborazione, in chiave sistematica, delle concezioni sviluppate nell’ambito del platonismo a proposito della natura divina del reale nelle sue diverse articolazioni. È Proclo stesso, del resto, a chiarire, subito dopo, il senso di questa sua opera: egli precisa che le dottrine platoniche sulla natura degli dèi sono frutto di ispirazione divina e per questo richiedono l’assistenza e la guida degli dèi stessi. Ma se non dobbiamo limitarci solo ad aver ricevuto da altri il bene eletto della filosofia platonica, ma dobbiamo anche lasciare a coloro che verranno in seguito commenti delle beate visioni […], allora forse apparirebbe naturale che noi invocassimo gli dèi stessi perché facciano scaturire in noi la luce della verità, e perché “coloro che sono al seguito” e “coloro che sono al servizio” [scil. “angeli” e “demoni”62] degli esseri divini dirigano il nostro intelletto, e lo guidino passo per passo al perfetto, divino e sublime fine della contemplazione platonica63.

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Questo passo non ha un carattere meramente retorico ed esornativo: in esso è possibile cogliere il profondo senso religioso del neoplatonico Proclo: la Teologia Platonica è il prodotto di questa profonda religiosità, al punto che egli considera questa sua opera, in quanto esegesi complessiva e sistematica delle dottrine platoniche, come frutto essa stessa d’ispirazione divina. Se la trattazione delle dottrine teologiche platoniche richiede ispirazione divina, coloro che si avvicinano a tali dottrine devono avere una specifica preparazione che li renda capaci di comprendere la filosofia divinamente ispirata di Platone64. In primo luogo a loro è richiesta un’adeguata formazione etica, vale a dire un carattere virtuoso improntato al controllo da parte della ragione su tutti gli impulsi irrazionali dell’anima65. Essi inoltre devono possedere, unitamente a quella spirituale, una preparazione di carattere squisitamente filosofico: essi, oltre alla logica e alle diverse forme del ragionamento logico66, dovranno conoscere anche la fisica e attraverso essa giungere infine al sapere ontologico e metafisico67. A questo punto, per mezzo della dialettica platonica, spinti dal desiderio di contemplare la realtà autentica e divina, gli uditori sono pronti ad affrontare le problematiche autenticamente teologiche: essi, trovandosi in uno stato d’imperturbabile pace e tranquillità originato dalla contemplazione filosofica, saranno così in grado di comprendere la dottrina teologia platonica68. Dunque, nella prospettiva neoplatonica procliana, a essere realmente in grado di comprendere i “grandi misteri” della filosofia di Platone è solo colui che è adeguatamente iniziato ad essi.

2. I quattro modi di esposizione e insegnamento teologici nei dialoghi di Platone secondo Proclo Dopo aver illustrato quale debba essere l’indole e la preparazione del vero “filosofo-teologo”, Proclo, nel cap. 4 del libro I, prende specificamente in esame le diverse modalità di esposizione e di insegnamento in base alle quali, a suo giudizio, Platone avrebbe esposto nei diversi dialoghi la propria dottrina teologica69. A tale proposito viene osservato che, chiaramente, Platone

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non tratta ovunque nello stesso modo la dottrina sugli esseri divini, ma talvolta sviluppa la verità su di essi in modo divinamente ispirato, talvolta invece in modo dialettico, e una volta espone in modo simbolico le loro ineffabili proprietà, un’altra invece risale dalle immagini verso di essi giungendo così a scoprire le cause originarie del Tutto insite in essi70.

Proclo, dunque, distingue quattro diverse tipologie di esposizione e insegnamento delle dottrine teologiche in Platone: 1) la tipologia di trattazione che si sviluppa “in modo divinamente ispirato (ejnqeastikw`~); 2) quella che procede “in modo dialettico” (dialektikw`~); 3) quella in base alla quale le ineffabili proprietà degli dèi vengono descritte “in modo simbolico” (sumbolikw`~); 4) quella che “a partire dalle immagini” (ajpo; tw`n eijkovnwn) risale agli dèi stessi e al contempo rivela di che natura sia la loro azione causale e produttiva. Come esempio del modo di esposizione “divinamente ispirato” Proclo cita il Fedro, dialogo in cui Platone/Socrate risulta “posseduto dalle ninfe” (numfovlhpto~) e ove l’intellezione umana (ajnqrwpivnh novhsi~) viene sostituita da quello stato di esaltazione mistica che deriva dalla possessione divina (ma­niva). In questo dialogo, continua Proclo, con bocca divinamente ispirata (ejnqevw/ stovmati) vengono esposte molte dottrine ineffabili (polla; ajpovrrhta dovgmata) in particolare sugli dèi intellettivi ed anche su altri ordinamenti divini71. L’esposizione e l’insegnamento teologici che procedono “in modo dialettico” sono rappresentati dal Sofista e dal Parmenide, ove, secondo Proclo, Platone ha discusso ed esposto in modo dialettico sia la differenza sia la relazione tra l’essere e l’Uno, dal quale, in ultima istanza, l’essere in tutta la sua totalità e molteplicità deriva e dipende72. All’esposizione secondo il “modo simbolico” vengono ricondotti il Gorgia, il Simposio e il Protagora. In questi dialoghi, infatti, come chiarisce Proclo, Platone ricorre a particolari miti intessuti di simboli che solo gli interpreti più legittimi – vale a dire gli stessi esegeti neoplatonici, che si considerano i veri eredi dell’insegnamento di Platone – possono veramente comprendere73.

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Infine come esempi della forma d’insegnamento teologico “a partire dalle immagini” Proclo cita il Timeo ed il Politico, ove per delineare la natura, in particolare, del Demiurgo Zeus congiuntamente a quella di Crono sono impiegate immagini, le quali, secondo la concezione esegetico-filosofica procliana, raffigurano e riproducono le potenze (dunavmei~), ossia le prerogative specifiche delle diverse divinità. Del resto, come viene sottolineato subito dopo, anche le forme di governo (politeivai) di cui tratta Platone nei suoi dialoghi possono essere considerate come rappresentazioni e raffigurazioni analogiche della realtà divina e dell’ordine che governa il Tutto nelle sue diverse articolazioni. In effetti, conclude Proclo, in virtù della somiglianza delle cose di questo nostro mondo rispetto alle realtà divine (di∆ oJmoiov­ thto~ tw`n th`d/ e pro;~ ta; qei`a) è possibile mostrare in immagini (ejn eijkovs i) la struttura e la natura degli ordinamenti divini74. Proclo in seguito raggruppa queste quattro modalità dell’insegnamento teologico in Platone in due tipologie fondamentali: da un lato v’è una modalità di insegnamento teologico che fa ricorso ad un “linguaggio allusivo”, dall’altro una modalità che esprime in modo manifesto le concezioni concernenti gli dèi. Alla prima modalità appartengono le esposizioni di tipo “mitico-simbolico” e quelle “per immagini”; alla seconda invece le esposizioni di tipo “scientifico-dialettico” e anche quelle frutto di “divina ispirazione” 75. Nel seguito della trattazione viene infine precisato che il modo che fa ricorso ai “simboli” e ai “miti divini” è originariamente orfico; quello che procede “per immagini” è pitagorico, in quanto, come spiega Proclo, proprio i Pitagorici individuarono le forme di conoscenza di tipo matematico per il tramite delle quali è possibile giungere a conoscere la struttura del cosmo e, attraverso questa, della realtà divina. Il modo che rivela la natura delle divinità attraverso la “divina ispirazione” è attribuito da Proclo alla tradizione di tipo misterico-iniziatico, secondo la quale sono gli dèi stessi a rivelare attraverso l’ispirazione le loro specifiche proprietà e prerogative; infine il modo “scientifico” o, per usare le parole di Proclo, “secondo scienza” (kat∆ ejpisthvmhn) è quello prediletto dalla filosofia di Platone e specifico di essa: solo Platone, infatti, secondo la prospettiva procliana, ha esposto in modo sistematico, ordinato e preciso la

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struttura e le proprietà specifiche di tutti quanti gli ordinamenti divini76. Egli così appare come l’unico che è stato in grado di armonizzare fra loro le diverse modalità di esposizione e insegnamento della teologia in modo tale da elaborare una dottrina unitaria, complessiva e sistematica.

3. Da quali dialoghi di Platone è possibile trarre le dottrine sui diversi ordinamenti divini Dopo aver delineato, come abbiamo visto, quali debbano essere l’indole etica e la preparazione filosofica di chi intende apprendere le dottrine teologiche di Platone e dopo aver preso in esame, poi, i modi di esposizione e di insegnamento della teologia in Platone, Proclo passa a elencare i diversi dialoghi da cui è possibile desumere tali dottrine e per ciascuno delinea brevemente quali siano le concezioni teologiche che se ne possono ricavare. Tra i dialoghi particolarmente significativi per la ricostruzione della “teologia platonica”, Proclo, come si è accennato in precedenza, menziona in particolare il Filebo, il Fedro, il Timeo, il Cratilo e i così detti “miti” del Politico, del Gorgia e del Protagora77. Dal Filebo egli ricava la descrizione dei principi primissimi dell’essere: la diade costituita da limitato-illimitato, che rappresenta l’origine assoluta di ogni possibile forma di pluralità, e il misto che viene a sussistere dalla combinazione di limitato-illimitato e rappresenta la natura originariamente unitaria e al contempo potenzialmente molteplice dell’essere. Il Fedro fornisce, nello specifico, la descrizione dettagliata dell’ordinamento intelligibile-intellettivo nelle sue diverse articolazioni e, indirettamente, dell’ordinamento intelligibile che lo precede e di quello intellettivo che lo segue. L’esegesi procliana della parte centrale del Fedro, ove Platone parla della realtà “iperuranica” (posta cioè al di sopra del cielo sensibile e dunque trascendente), della “rivoluzione celeste” e della “volta celeste”, occupa in effetti la maggior parte del IV libro della Teologia Platonica, specificamente dedicato alla descrizione dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. Il Timeo poi, che ha per oggetto la plasmazione del cosmo a immagine della realtà intelligibile da parte del Demiurgo, è

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interpretato da Proclo come la descrizione della natura e attività del terzo dio della prima triade intellettiva, ovvero Zeus. Inoltre sempre nel Timeo Proclo individua – sulla base di quanto Platone afferma a proposito degli “dèi giovani”, ai quali il Demiurgo demanda la produzione delle anime individuali e di tutte le creature che fanno parte della realtà sensibile – anche il riferimento all’ordinamento divino encosmico e, indirettamente, a quello ipercosmico dal quale quello encosmico, in ultima istanza, deriva e dipende. A loro volta, i così detti “miti” del Politico, del Gorgia e del Protagora sono interpretati da Proclo ancora come descrizioni allegoriche, o “per immagini”, dell’attività demiurgica, che consiste in sostanza nel dare forma e ordine al cosmo sensibile: il Demiurgo governa l’intero universo in modo che esso risulti il più possibile simile al suo paradigma intelligibile. Nella Teologia Platonica un ruolo fondamentale è inoltre giocato dall’interpretazione in senso metafisico-teologico delle etimologie dei teonimi proposte nel Cratilo di Platone: in base all’esegesi neoplatonica di questo dialogo, Proclo dimostra come il ruolo, la funzione e l’ordinamento metafisico delle diverse divinità olimpiche risultino direttamente desumibili e ricavabili dal loro nome78. Ai dialoghi appena citati si devono poi aggiungere la Repubblica e le Leggi che, come vedremo più avanti, contengono, secondo la prospettiva esegetica procliana. alcuni principi e concezioni generali e fondamentali concernenti la natura degli dèi, come ad esempio il fatto che gli dèi non sono soggetti a mutamento, sono fonte di bene e non possono essere causa di nessun male, e si prendono provvidenzialmente cura di tutte le entità che sono a essi sottoposte.

4. L’accordo delle dottrine platoniche con la tradizione teologica greca e la centralità del Parmenide Nel cap. 6 del I libro della Teologia Platonica, Proclo indica un principio fondamentale in base al quale è possibile valutare se ogni singola dottrina teologica ricavata dai dialoghi sia di fatto attribuibile a Platone:

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bisogna che ogni singola dottrina appaia in perfetto accordo con i principi platonici e con le mistiche dottrine tramandate dai teologi79.

Le dottrine teologiche desumibili dai dialoghi devono mostrarsi in perfetto accordo con i principi fondamentali della metafisica platonica e al tempo stesso con l’intera tradizione teologica greca. In effetti, nei diversi libri della Teologia Platonica, dopo aver ricavato ed esposto le concezioni di Platone circa ciascun ordinamento divino, Proclo mette in relazione le tesi platoniche con quelle proposte nell’ambito della così detta tradizione orfica (che si rifà al culto del poeta-iniziato Orfeo e che viene dunque ricondotta dagli autori neoplatonici agli albori stessi della riflessione teologica greca) e negli Oracoli Caldaici, che, proprio in quanto oracoli, sono ritenuti provenire dagli dèi stessi. Questo fondamentale principio filosofico-esegetico consente a Proclo anche di difendersi dalle eventuali critiche che gli potrebbero essere mosse in rapporto al suo arbitrario tentativo di rendere sistematico un insieme di dottrine che nei dialoghi risultano esposte in modo frammentario e di costruire così un sistema metafisico-teologico non corrispondente al vero intendimento filosofico di Platone80. A tale obiezione critica Proclo risponde, oltre che con il criterio metodologico precedentemente menzionato, soprattutto facendo ricorso al ruolo centrale attribuito al Parmenide di Platone all’interno dell’esegesi neoplatonica: in questo dialogo sarebbero esposte in modo sistematico e armonico tutte le fondamentali concezioni di Platone sulla struttura della realtà divina. Infatti in questo dialogo [scil. il Parmenide] tutti i generi divini procedono in ordine a partire dalla primissima Causa e mostrano la loro reciproca connessione. […] E, per dirla in breve, tutti i principi basilari della scienza teologica qui si manifestano in modo perfetto e tutti gli ordinamenti degli esseri divini mostrano di sussistere in modo continuo e coerente81.

Si comprende dunque quale sia l’effettivo ruolo che nella Teologia Platonica viene attribuito al Parmenide: tutte le dottri-

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ne ricavate dai singoli dialoghi devono essere confrontate con quanto è in esso affermato in modo da trovare una definitiva conferma e ricapitolazione. In effetti, alla fine di ogni libro a partire dal secondo, Proclo, dopo aver preso in considerazione nei diversi dialoghi le dottrine concernenti determinati ordinamenti divini, cerca una conferma di esse e una loro ricapitolazione sistematica nel Parmenide. In base all’interpretazione neoplatonica, infatti, in questo dialogo ciascuna delle diverse ipotesi e deduzioni sul rapporto fra uno e molti rappresenta la descrizione di uno specifico livello della realtà e dunque, secondo la prospettiva procliana, di uno specifico ordinamento divino.

5. La natura della realtà divina e il fondamento originario di ogni bene Come si è in precedenza accennato, Proclo desume dalla Repubblica e dalle Leggi di Platone alcuni concetti fondamentali concernenti la natura della realtà divina in generale. Da essi Proclo ricava anche alcune considerazioni di carattere universale sulla natura del male e sull’Uno-Bene come fondamento e fonte originari di ogni bene. Nel cap. 13 del libro I della Teologia Platonica, Proclo afferma che nelle Leggi sono contenute queste tre proposizioni fondamentali sulle divinità82: 1) gli dèi esistono; 2) essi si prendono provvidenzialmente cura di tutto ciò che è loro sottoposto; 3) essi governano indefessamente secondo giustizia tutte le entità inferiori, rimanendo comunque trascendenti rispetto a queste ultime e, per così dire, “immuni” da ogni commistione con esse. Si tratta, in effetti, di tre caratteri fondamentali che definiscono l’essenza stessa di ogni entità divina: l’esistenza degli dèi è in certo modo implicita nella loro natura perfetta e originaria; il fatto di prendersi provvidenzialmente cura delle entità a essi sottoposte è un aspetto costitutivo della loro natura divina e in essi intrinseco; è dunque insito negli dèi anche il fatto che

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essi esercitino indefessamente il loro controllo e governo sulle entità inferiori, senza che la trascendenza divina sia con ciò in qualche misura ridotta. Sicché se conforme a natura è per gli dèi l’elargizione del bene ed è conforme a natura la cura provvidenziale, diremo che queste azioni vengono compiute da parte degli dèi con facilità e proprio per il solo fatto di esistere83.

Dunque l’occuparsi del bene delle entità inferiori è connaturato nella esistenza stessa degli dèi: perciò essi si prendono incessantemente cura degli esseri soggetti alla loro sovranità. Dopo aver preso in esame le caratteristiche fondamentali concernenti la natura divina sulla base di quanto Platone afferma nelle Leggi, Proclo passa ad esaminare le proprietà che Platone attribuisce agli dèi nel II libro della Repubblica, ove Socrate delinea alcuni “modelli concettuali di carattere teologico” (qeologikoi; tuvpoi, ovvero, per usare l’espressione effettivamente impiegata da Platone nella Repubblica, tuvpoi peri; qeologiva~, “modelli concernenti la teologia”) in base ai quali si devono concepire le divinità84. Da tali “modelli” Proclo evince tre proprietà fondamentali della natura divina, le quali risultano in perfetta sintonia con quelle proposte nelle Leggi: la bontà, l’immutabilità e la verità. Poiché nella nozione stessa di divinità è implicita la cura provvidenziale nei riguardi delle entità inferiori, si deve concludere necessariamente che la realtà divina è causa della totalità dei beni che da essa procedono fino ad arrivare agli ultimi livelli del reale85. La bontà, dunque, intesa come cura provvidenziale ed elargizione di beni, è una proprietà fondamentale degli dèi, in quanto essi, per loro natura, sono solo causa di beni e non possono essere in alcun modo causa di alcuna forma di male. Alla luce di tale prospettiva metafisico-teologica, Proclo elabora una particolare concezione del male, su cui occorre soffermarsi brevemente. Esso non può possedere un’esistenza autonoma proprio perché non è originato dalla realtà divina; di conseguenza, in base alla concezione metafisico-teologica di Proclo, il suo manifestarsi non dipende da una causa originaria trascendente. Il male appare, invece, riconducibile al gra-

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duale aumento della molteplicità e della frammentazione nei livelli inferiori della realtà che risultano assolutamente lontani dall’originaria semplicità del Principio Primo: è solo nell’ambito della realtà sensibile e materiale, caratterizzata da un massimo livello di molteplicità e frammentazione, che il male fa la sua comparsa. Alla luce di ciò, la particolare forma di esistenza del male, concepito come ciò che devia rispetto all’armonia del Tutto ed è contro natura, è definita da Proclo parupovstasi~86, ossia forma di “esistenza collaterale”, in quanto esso non esiste in modo originario e autonomo, ma subentra come contingente e derivato laddove si manifesta un’intrinseca e originaria imperfezione, cioè nell’ambito della frammentazione e dell’incessante mutare della realtà sensibile. Ciò significa anche che non può esistere un male puro e in sé, in quanto la sua esistenza non ha un carattere originario e autonomo. Quindi ogni male risulterà in qualche misura partecipe del bene che, in virtù della sua provenienza divina, pervade originariamente ogni livello della realtà. Tale considerazione conduce Proclo a concludere che, oltre a non essere responsabili dei mali, gli dèi in virtù della bontà e perfezione che contraddistinguono la loro essenza sono in grado di correggere i mali e trasformarli in beni in rapporto alla totalità del reale: né il male insito nelle entità particolari è stato abban­ donato al disordine, ma anche questo trova la sua cor­ rezione da parte degli dèi87.

Dunque non può assolutamente esistere un male assoluto, poiché esso coinciderebbe, per Proclo, con l’assoluta e impossibile negazione del bene. In effetti, riprendendo in chiave critica la concezione plotiniana secondo il cui il male va inteso come privazione di bene e di essere, Proclo, pur riconoscendo che esso subentra in entità contraddistinte dall’instabilità ontologica, ovvero dal divenire e dalla mutevolezza, nega che esista il male assoluto, poiché esso coinciderebbe con l’assoluto non-essere, che per definizione non può esistere, in quanto la sua nozione implicherebbe quella dell’esistenza di ciò che non è. Anzi, in quanto privazione assoluta di essere, il male-in-sé risulterebbe per negatività ancora ulteriore persino al non-essere stesso, cioè al nulla, così come il bene risulta ulteriore a tutto

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ciò che è, in quanto esso è condizione imprescindibile dell’esistenza di tutte le cose. Né è assolutamente possibile che sussista il male totalmente privo di ogni bene: infatti il male-in-sé è anche al di là dell’assoluto non-essere, proprio come il bene-in-sé è al di là di ciò che è totalmente essere88.

Sulla base di tale prospettiva metafisica, Proclo nega recisamente che possano esistere principi primordiali o cause originarie e paradigmatiche del male, come invece esistono modelli intelligibili, originari, paradigmatici e trascendenti delle entità del mondo sensibile; né è possibile, a suo avviso, ammettere una prospettiva di radicale dualismo ed eterno conflitto tra il male e il bene. Pertanto a noi non si vengano a menzionare ragioni primordiali dei mali nella natura, o si ipotizzino per i mali paradigmi intellettivi allo stesso modo che per i beni, o un’anima malefica, o una causa operatrice di mali tra gli dèi e non si adducano come cause l’originaria separazione rispetto al bene e un eterno conflitto. Infatti tutte queste concezioni sono estranee alla scienza di Platone […]89.

In breve, nell’ottica procliana, gli dèi, in considerazione della loro essenza, rappresentano in se stessi la negazione assoluta del male. In essi, inoltre, è necessariamente insita la verità poiché essa è un aspetto insito originariamente nella loro perfetta e immutabile natura. Di conseguenza la falsità non può riguardare in alcun modo la realtà divinità. Dunque, in modo conforme a quanto stabilito dai “modelli concettuali teologici” esposti da Platone nel II libro della Repubblica, agli dèi non è neppure imputabile nessuna forma di menzogna o di inganno. Questi ultimi si manifestano dunque, come il male, nella dimensione sensibile a causa di errori di valutazione riconducibili e imputabili, in sostanza, all’imperfezione umana90. In base alla concezione procliana, non solo la realtà divina, ma anche la totalità degli enti risultano in se stesse connota-

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te dal bene: ogni livello del reale infatti ha il suo fondamento assolutamente originario nel Principio Primissimo, vale a dire l’Uno-Bene. Esso viene così a rappresentare il “Desiderabile sommo” al quale ogni realtà tende per natura. Dunque di tutti quanti gli enti è il centro, e intorno a esso tutti gli enti e tutti gli dèi hanno a un tempo le essenze, le potenze e le attività. E la tensione verso di esso e il desiderio da parte degli enti sono inestinguibili91.

L’Uno-Bene si profila dunque come l’autentico, universale e supremo fondamento del bene insito in ogni livello del reale. Ciò viene esplicitamente chiarito da Proclo sulla base della seguente argomentazione92: proprio perché in tutta la realtà il bene è fonte di esistenza (uJpostatikovn) e di conservazione (swstikovn) per la totalità delle cose (tw`n o{lwn), a maggior ragione lo è il Bene Sommo, vale a dire il Principio Primo, origine di tutta la realtà. Ecco il motivo per cui «tutte le cose tendono al Bene», come afferma Proclo citando una nota frase di Aristotele93. A esso, dunque, tendono necessariamente anche gli dèi che proprio nell’Uno-Bene, inteso come Primo Dio, hanno origine e fondamento. Di conseguenza la loro natura è necessariamente conformata a quella del Bene e il loro essere implica di per sé il Bene. Ecco perché, in ultima istanza, la bontà è ciò che caratterizza in tutto e per tutto la natura divina. In conclusione, proprio dal Bene, da cui è determinata originariamente l’essenza di ogni divinità, deriva e dipende l’insieme delle proprietà fondamentali che connotano in modo essenziale tutti gli dèi.

6. Il ruolo del Cratilo nella Teologia Platonica: l’etimologia dei teonimi come fonte di conoscenza teologica Nell’ultimo capitolo del libro I, Proclo afferma che ulteriori nozioni sulla natura degli dèi sono ricavabili dai loro nomi, come insegna il Cratilo di Platone. Occorre dunque prendere in considerazione quale sia la funzione che Proclo attribuisce alle etimologie dei teonimi contenute nel Cratilo in rapporto alla teologia. Nell’ottica procliana, in effetti, i nomi degli dèi,

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se analizzati adeguatamente, possono fornire fondamentali indicazioni circa la natura di ciascun dio. Essi, infatti, sono intesi da Proclo come rappresentazioni dell’essenza e delle prerogative specifiche delle divinità alle quali sono attribuiti: come la statua di una divinità raffigura le caratteristiche e le proprietà fondamentali che sono a essa tradizionalmente attribuite, così i teonimi sono in grado di rivelare le prerogative specifiche e il ruolo metafisico-teologico delle diverse divinità. Nella prospettiva procliana, infatti, un teonimo, quando è formato in modo corretto e quindi rispecchia adeguatamente la natura del dio a cui è riferito, opera in modo simile agli oggetti impiegati nei riti della teurgia, attraverso la quale è possibile, ricorrendo a determinati rituali e strumenti simbolici, come ad esempio statue di particolare foggia raffiguranti divinità, venire a contatto direttamente con gli dèi. A proposito dell’affinità fra gli oggetti simbolici della teurgia e i teonimi Proclo afferma: come la teurgia attraverso determinati tipi di simboli invoca la bontà generosa degli dèi perché illumini le statue prodotte dall’arte umana, allo stesso modo appunto anche la scienza intellettiva delle entità divine con combinazioni e distinzioni dei suoni fa apparire la celata essenza degli dèi94.

I teonimi, in particolare quelli di Urano, Crono e Zeus, sono dunque intesi da Proclo come immagini degli dèi, formate non di materia, ma di suoni che, attraverso particolari combinazioni, rivelano l’essenza divina. Proprio investigando il significato delle combinazioni di suoni da cui ciascuno teonimo risulta formato, secondo la prospettiva procliana, è possibile risalire alla natura di quel dio al quale esso è attribuito. Lo strumento fondamentale per questa indagine è l’etimologia che è in grado di rivelare il significato autentico dei teonimi: in esso sono espressi, per così dire, in forma contratta e celata la vera essenza di ogni dio e il suo ambito di sovranità e di potenza. Ovviamente quelle che Proclo ricava dal Cratilo di Platone e interpreta come effettive descrizioni della natura divina sono in realtà “paraetimologie”, vale a dire spiegazioni etimologiche assolutamente prive di ogni fondamento scientifico. D’altra parte esse rivestono nella Teologia Platonica un ruolo centrale,

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in quanto Proclo se ne serve per mostrare le prerogative e le funzioni metafisico-teologiche di determinate divinità. Occorre altresì precisare che è a partire dall’ordinamento intelligibile-intellettivo che, secondo la concezione metafisico-teologica procliana, le divinità sono effettivamente nominabili. Nessuna delle entità divine dei livelli superiori, per via della loro radicale trascendenza, è suscettibile di essere indicata con un nome proprio. Perciò la prima divinità che può essere designata con il suo specifico teonimo è Urano, che, come si è visto, costituisce nella prospettiva procliana il livello intermedio dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. Nella sua riflessione teologica, Proclo riprende le etimologie dei teonimi esposte da Platone nel Cratilo, ritenendole corrette e realmente rivelatrici dell’effettiva natura della divinità cui ciascun teonimo è attributo, e le interpreta in conformità della funzione e del livello a essa attribuito. Il modo di procedere di Proclo risulta così rivelatore del suo intento di mostrare la continuità e l’accordo tra l’intera tradizione religiosa greca e quella che per lui è la dottrina teologica di Platone. Questo, del resto, è lo scopo fondamentale al quale mira nel suo complesso la Teologia Platonica: in essa la riflessione ontologico-metafisica, quella etica e persino l’analisi etimologica dei teonimi vengono intrecciate con l’interpretazione allegorica dei miti teogonici della tradizione al fine di dare forma a un imponente, suggestivo e per certi versi labirintico sistema filosofico-teologico.

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V. Dall’Uno alla realtà intelligibile (libri II-III) Il II libro della Teologia Platonica, come si è detto, è per intero incentrato sul carattere assolutamente semplice e trascendente del Principio Primo, dal quale, attraverso una serie di passaggi graduali, deriva l’insieme intrinsecamente articolato della realtà intelligibile, alla quale è dedicato il libro III. Nella prospettiva neoplatonica procliana, l’ordinamento divino intelligibile costituisce l’origine dei successivi livelli divini trascendenti e, di conseguenza, esso è la fonte principale di ogni forma di determinazione ontologica e, con ciò, di molteplicità. La complessità del sistema metafisico-teologico di Proclo va ricondotta, in primo luogo, al tentativo di rendere il più possibile graduale e progressivo il passaggio dall’assoluta semplicità del Primo Principio – l’Uno che trascende ogni forma di determinazione e differenziazione – al costituirsi della dimensione intelligibile dalla quale deriva e dipende la molteplicità sempre più dispiegata e articolata che compare negli ordinamenti divini successivi.

1. La radicale trascendenza dell’Uno, Principio originario e primo Dio, come fondamento della “teologizzazione” del reale Nella prospettiva neoplatonica procliana il Principio primissimo dal quale deriva e dipende la totalità del reale nelle sue diverse articolazioni viene identificato con l’Uno che nella sua originaria semplicità trascende tutte le cose. Tale prospettiva di pensiero può essere definita come una henologia, ovvero come una concezione filosofica in base alla quale il fondamento assoluto è identificato con l’Uno in sé: ogni forma di realtà e di molteplicità ha il suo fondamento originario nell’Uno e all’Uno va ricondotta, poiché la nozione stessa di molteplicità presuppone e include in sé il concetto astratto di unità. I molti non potrebbero esistere senza l’unità, sia perché, in quanto molti, essi de-

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vono in qualche modo partecipare singolarmente dell’unità sia perché ogni forma di molteplicità per essere distinguibile deve essere riconducibile a un’unità complessiva. Secondo la concezione neoplatonica procliana, dunque, il molteplice e presuppone l’unità e di essa risulta necessariamente partecipe. A loro volta, i singoli enti, se non partecipassero dell’unità sarebbero destinati alla disgregazione e all’annichilimento95. Ne consegue che i molti devono essere necessariamente partecipi dell’Uno, senza che quest’ultimo si mescoli al molteplice: l’Uno, infatti, nella sua originaria trascendenza è la causa dell’essere stesso dei molti96. Se l’Uno è il Principio assolutamente primo di ogni cosa e se tutto ha origine dall’Uno, ciò significa che la totalità del reale nelle sue diverse articolazioni esiste in virtù dell’Uno che funge anche da fondamento della sua unità armonica complessiva. È proprio entro tale prospettiva che si deve intendere l’identificazione fra l’Uno e il Bene: l’Uno è l’origine del Tutto e tutto ciò che esiste mantiene e conserva il suo essere grazie all’unità. Di conseguenza l’Uno-Bene è ciò cui tutte le cose necessariamente tendono. Proprio in considerazione della sua radicale trascendenza rispetto al Tutto e in considerazione del suo carattere assolutamente originario, l’Uno-Bene viene concepito da Proclo anche come prw`to~ qeov~, cioè Primo Dio. Questa identificazione fra Bene e Primo Dio è alla base dell’intera sistematizzazione metafisico-teologica procliana e al contempo ne spiega il senso. L’Uno, in quanto Primo Principio/Primo Dio assolutamente trascendente e anteriore a ogni forma di determinazione ontologica97, è caratterizzato da una potenzialità e una forza traboccanti da cui deriva la totalità del molteplice. Esso è la causa autenticamente originaria che rimane del tutto separata da ciò che da essa deriva. Si potrebbe dire che l’Uno come il Bene e in quanto Bene è diffusivum sui, ovvero è in grado di diffondere se stesso, rimanendo comunque “assolutamente altro” rispetto alla totalità di ciò che da esso viene a sussistere. L’Uno-Bene, infatti, essendo il Principio autenticamente primo di tutte le cose, non è nessuna di esse (oujdevn ejsti tw`n pavntwn)98. Come si è visto in precedenza in riferimento a quanto è affermato in un passo del libro I della Teologia Platonica99, l’Uno-Bene può

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essere concepito come il centro (kevntron) verso il quale convergono tutte le cose. Anche gli ordinamenti divini stessi, che originariamente derivano e dipendono dal Principio/Primo Dio, risultano disposti intorno a esso e verso di esso convergono. Perciò esso si delinea come “Desiderabile” sommo al quale tende tutto ciò che esiste, compresa tutta la realtà divina nel suo insieme. In quanto Dio Primo, il Principio è al contempo la fonte originaria della “divinizzazione” di tutto il reale nelle sue molteplici articolazioni: tutti gli enti, quindi, risultano in qualche misura partecipi della dimensione divina. Proprio alla luce di tale concezione è possibile cogliere il fondamento teoretico-filosofico di quella che si profila a tutti gli effetti come la “teologizzazione del reale” elaborata da Proclo. Essa rappresenta il carattere distintivo della sua riflessione filosofica: ogni ambito della realtà è caratterizzato da uno specifico ordinamento di divinità e l’Uno-Bene, a sua volta, in quanto al contempo Primo Principio e Primo Dio, è anche l’origine di tutti gli dèi e il fondamento autentico, assolutamente trascendente, della loro stessa natura divina100. Il carattere del divino è come una luce che si propaga dall’Uno-Bene e che, diffondendosi sulla totalità del reale, rende partecipe di sé i diversi ordinamenti divini in base ai quali tale totalità è strutturata e organizzata. È proprio in virtù di questa luce che ogni divinità è ciò che è e risulta unita alla Causa originaria di tutti gli enti101, la quale comunque, per la sua assoluta trascendenza, rimane priva di un’effettiva relazione rispetto al Tutto che da essa deriva e dipende102. L’Uno-Bene, infatti, rimane totalmente separato da tutte le entità, a prescindere dal livello di trascendenza che le connota. La sua traccia permea ogni ambito della realtà, senza mai scompare del tutto, nemmeno nei livelli inferiori e più lontani da esso.

2. In che modo possiamo avvicinarci a cogliere l’assoluta trascendenza dell’Uno Come si è detto, per via della sua assoluta trascendenza e originarietà, il Principio Primissimo deve essere inteso come nessuna di tutte le cose. Di conseguenza, rispetto alla totalità del

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reale esso si configura come differenza pura e assoluta. Essendo, per definizione, causa primissima di tutto, l’Uno-Bene risulta anche al di là dell’essere stesso, che, proprio in quanto essere, implica in sé già una primissima forma di determinazione e, potremmo dire, di identità. Inoltre, poiché è al di là rispetto a ogni realtà e forma di determinazione, esso è necessariamente posto anche al di là del pensiero stesso, ossia della sfera del pensabile e di ciò che può essere oggetto di intellezione. Al contempo l’Uno-Bene non può nemmeno essere identificato con la verità, bensì risulta trascendente financo rispetto alla verità stessa, della quale è la causa e il fondamento originario103. D’altra parte, essendo il fondamento della verità, l’Uno-Bene è nel medesimo tempo il fondamento autentico di ogni forma di conoscenza e do ragionamento104. Ma se il Principio è al di sopra dell’essere, del pensiero e della verità stessa, come è possibile per noi arrivare a concepirlo e intraprendere una ricerca sulla sua natura? In base alla concezione procliana, noi abbiamo la possibilità di interrogarci sulla natura del Principio e sulle possibili vie di meditazione che consentono di avvicinarsi a esso, poiché, per così dire, sentiamo in noi stessi l’esigenza di un tale fondamento originario e di conseguenza riusciamo al contempo a presagire la sua natura assolutamente trascendente105. Nel cap. 5 del II libro della Teologia Platonica Proclo precisa che nello stesso Platone sono indicate le due vie fondamentali attraverso le quali è possibile avvicinarsi a cogliere il carattere della causalità originaria e dell’assoluta trascendenza del Principio Primo. Si tratta, rispettivamente, della “via analogica” che viene illustrata nel VI libro della Repubblica per il tramite dell’analogia solare e della “via apofatica” che Platone delinea attraverso le negazioni contenute nella prima ipotesi del Parmenide106. Attraverso la prima via sono presi in considerazione e analizzati i rapporti analogici che si manifestano necessariamente fra il Primo Principio e le cose di cui esso è causa e origine. Attraverso la seconda via, ossia quella apofatica, è possibile approssimarsi all’intuizione dell’assoluta trascendenza dell’Uno attraverso le negazioni (ajpofavsei~) grazie alla quali si dimostra che il Principio non è nessuna di tutte le cose e il carattere della sua differenza assoluta rispetto alla totalità del reale.

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In base al metodo analogico, ovvero all’analogia con le cose seconde, il Principio si delinea come il Bene, dal quale tutte le cose derivano ed al quale tutte intrinsecamente tendono, in quanto si convertono verso di esso107. Il metodo delle negazioni, o metodo apofatico, rivela invece come l’Uno non possa essere identificato con nessuna delle realtà che da esso derivano: in base a tale metodo l’Uno si configura come assolutamente altro rispetto al Tutto. Proclo precisa inoltre che alla luce della via negativa o apofatica si mostra la processione (provodo~) di tutti i livelli del reale a partire dall’Uno, in quanto esso è la Causa assolutamente trascendente di tutte le cose108. Il metodo apofatico, dunque, dimostrando che l’Uno non è nessuna di tutte le cose, poiché tutte da esso sono derivate, non rivela che cosa sia l’Uno in sé, bensì che cosa esso non sia. Alla luce di tali considerazioni appare evidente che la via apofatica rispetto a quella analogica mostra in modo più autentico l’assoluta trascendenza del Principio rispetto a ogni realtà; con ciò mette al contempo in luce la sua natura assolutamente ineffabile e inconoscibile, proprio in quanto anteriore a ogni possibilità di definizione e a ogni forma di determinazione109. Il metodo apofatico viene così a dare forma a quello che può essere considerato come un “linguaggio dell’ineffabile”, intrinsecamente paradossale, che cerca di esprimere l’indicibile natura di ciò che è intrinsecamente indefinibile110. Ne consegue necessariamente che il “linguaggio dell’ineffabile” sia destinato a cadere nell’auto-contraddizione, mostrando con ciò i limiti della pensabilità. Sicché anche se vi fosse un discorso dell’ineffabile, esso non cessa comunque di auto-confutarsi ed entra così in conflitto con se stesso111.

L’obiettivo del metodo apofatico è dunque quello di tracciare il limite oltre il quale non vi può più essere pensiero razionale: in questo modo viene messa in luce la non-pensabilità in termini logico-proposizionali del Principio Primo. Tracciando i limiti della pensabilità, la via apofatica dimostra che il Principio Primo non può essere in alcun modo oggetto di intellezione. Essa si conclude obbligando il linguaggio

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e il pensiero al silenzio, che in questo modo finisce per apparire come l’unica via per avvicinarsi a cogliere l’assoluta ulteriorità e trascendenza del Principio: ma è con il silenzio che si deve celebrare la sua ineffabilità e la sua causalità senza causa anteriore a tutte le cause112.

Solo il silenzio, in effetti, è in grado di rendere manifesta la natura radicalmente trascendente e anteriore a ogni forma di definizione e predicazione dell’Origine primissima, causa di tutte le cose. Occorre sottolineare che il carattere dell’abissale ulteriorità del Principio Sommo, secondo la prospettiva procliana, arriva addirittura a manifestarsi come ulteriore rispetto al silenzio stesso113. Anzi, come è esplicitamente affermato nel II libro della Teologia Platonica, il Primo Principio/Dio è addirittura «più ineffabile di ogni silenzio»114. Il silenzio introduce a una forma di radicale sospensione del pensiero, di ogni attività concettuale e a una sorta di quiete mistica, che, nell’ottica procliana, rappresenta la via di accesso al contatto con l’Uno e la meta finale e suprema alla quale dobbiamo aspirare. Ciò è esplicitato da Proclo in un passo del libro I. E questa è la parte migliore della nostra attività: nella quiete delle nostre facoltà elevarci verso il divino stesso, danzarvi intorno, e riunire senza posa tutta la molteplicità dell’anima in questa unificazione, e, tra­ lasciate tutte quante le cose che vengono dopo l’Uno, porci accanto ad esso e stabilire un contatto con esso che è ineffabile ed al di là di tutti gli enti115.

Il contatto mistico può realizzarsi solo divenendo, per così dire, simili alla trascendente semplicità dell’Uno: l’uomo deve liberarsi di ogni forma di molteplicità, concettuale e materiale, per avvicinarsi a ciò che, per la sua natura autenticamente originaria, è assolutamente semplice e anteriore rispetto a ogni forma di pluralità e determinazione: […] dobbiamo liberarci delle nostre conoscenze mul­ tiformi, dobbiamo bandire da noi stessi anche tutta la

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varietà della vita e, venutici a trovare nella tranquillità assoluta, dobbiamo accostarci al Principio Causale di tutte le cose116.

La teologia apofatica procliana viene così a rappresentare una via di accesso all’esperienza mistica117, attraverso la quale solamente si può giungere al contatto diretto con l’Uno posto al di là dell’essere e del pensiero. È proprio la natura meta-ontologica e meta-noetica del Principio Primo a implicare necessariamente il passaggio dalla riflessione metafisico-teologica alla “mistica del silenzio”, la quale, nell’ottica procliana, rappresenta una sorta di ponte per superare l’abisso incommensurabile che separa il pensiero da ciò che si manifesta a esso solo come differenza assoluta: in prossimità del Principio la verità si trasforma necessariamente in una forma di rivelazione.

3. Cosa viene dopo l’Uno? Il sistema metafisico che, secondo la prospettiva neoplatonica, governa la realtà nelle sue molteplici articolazioni è costituito da una struttura ipostatica organizzata secondo specifici gradi e livelli di realtà. Tale concezione fu delineata per la prima volta da Plotino e poi variamente ripresa e rielaborata nell’ambito della storia del Neoplatonismo. La struttura del reale secondo la concezione plotiniana può essere schematicamente descritta nei seguenti termini: 1) il Principio è l’Uno: l’“assolutamente semplice”; 2) a esso segue, come prima determinazione ipostatica, il Noûs, cioè l’Intelletto, inteso come l’ambito della realtà Intelligibile nel suo insieme; 3) strutturalmente collegata alla sfera del Noûs, ma rispetto a essa assiologicamente e gerarchicamente inferiore (in quanto caratterizzata da un livello maggiore di molteplicità e determinatezza), è l’ipostasi dell’Anima che, a sua volta, è posta a un livello superiore rispetto alla dimensione della mera corporeità. Rispetto a questo schema ipostatico, Proclo elabora un sistema più complesso e articolato sulla base del fondamen-

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tale presupposto secondo il quale la successione dei diversi gradi di molteplicità e di determinazione del reale deve essere armonicamente continua, ovvero priva di “sbalzi” tra un ordinamento di realtà e l’altro. In vista di ciò Proclo, secondo una prospettiva teoretica che è invalsa nel Neoplatonismo da Giamblico in poi, stabilisce una serie di entità e livelli intermedi in modo da cercare di colmare i “vuoti” che sulla base di una strutturazione come quella plotiniana si verrebbero a determinare nel passaggio dall’assoluta semplicità e trascendenza dell’Uno alla molteplicità che contraddistingue la realtà nelle sue diverse articolazioni. Entro tale prospettiva si spiega l’introduzione delle enadi da parte di Proclo nel suo sistema metafisico-teologico e l’individuazione di una serie di differenti livelli all’interno della dimensione intelligibile distribuiti secondo un ordine assiologico. Per colmare quella che è considerata da Proclo come una distanza abissale tra l’Uno e la realtà intelligibile, egli introduce le “primissime enadi”118, che costituiscono una sorta di ponte tra la semplicità assoluta dell’Uno e il molteplice che viene originariamente a mostrarsi, in forma non ancora compiutamente e definitivamente dispiegata, nella realtà intelligibile. Come si è accennato in precedenza, le enadi, possono essere intese come principi divini primissimi di unità implicanti di per sé già una qualche forma di determinazione. Al livello più alto esse si delineano anche come “prime forme di articolazione della nozione pura di unità”: esse infatti in Proclo hanno precisamente la funzione di principi mediatori fra la trascendenza del Principio Primo e ogni genere di molteplicità. Si potrebbe anche dire che, nella loro molteplicità, le enadi rappresentano le irradiazioni divine supreme della sovrabbondante potenza dell’Uno, che è al contempo il Primo Dio: esse sono le primissime forme di divinità che vengono dopo il Primo Dio e al contempo si configurano come principi molteplici e trascendenti di unità. Le enadi di livello più elevato, proprio perché sono poste in senso assiologico subito dopo l’Uno, hanno una forma di trascendenza che è in certo modo “simile” a quella del Principio stesso. Nel libro III, all’inizio della trattazione sugli ordinamenti divini che derivano direttamente dal Primo Dio, Proclo introduce tale tema con la seguente domanda retorica:

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cos’altro infatti è lecito connettere all’Uno prima delle enadi, o che cosa risulta unito al Dio unitario più degli dèi molteplici?119

In considerazione della loro natura astratta e trascendente, le enadi sono dunque le prime entità che vengono direttamente dopo l’Uno, che a sua volta è definito da Proclo in alcuni contesti come la “Primissima Enade”, “Enade impartecipabile, e anche come “Enade delle enadi”: esso è infatti il Principio assolutamente trascendente di ogni forma di unità. Dal canto loro le prime enadi, in virtù della loro natura di principi primi di unità, rappresentano le entità più simili e congeneri alla Causa Prima: dato che il Principio della totalità delle cose è un’uni­ ca Enade e da lì ogni realtà viene ad avere la sua sus­ sistenza, è necessario introdurre a partire da esso prima di tutte le altre entità una molteplicità unitaria e una serie assolutamente congenere alla Causa120.

Tale concetto è nuovamente ribadito da Proclo poco più avanti: se d’altra parte ciò che produce tutte le cose è in modo primario l’Uno e se al contempo la processione è unitaria, anche la molteplicità da lì prodotta, a mio giudizio, deve consistere di fatto in enadi in sé perfette, assolutamente congeneri a ciò che le produce121.

Le enadi, in ultima analisi, possono essere considerate come “forme di Uno”, derivate e dunque meno trascendenti rispetto all’Uno-in-sé. Prorio in quanto derivate dall’Uno, che è Primo Dio, anche tutte le enadi sono, a loro volta, entità divine. Inoltre, anche fra esse v’è, secondo la prospettiva procliana, uno specifico ordine gerarchico122: è necessario che sussista un ordine delle enadi, come appunto anche tra i numeri vediamo che gli uni sono più vicini al principio, mentre gli altri sono più lontani, e gli uni sono più semplici, mentre gli altri sono più compositi e sono eccedenti per la quantità, ma sono inferiori per la potenza123.

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Di conseguenza vi sono enadi che vengono immediatamente dopo l’Uno e che per questo possono essere considerate come “manifestazioni” dirette del Principio Primo. vi sono enadi che sussistono a partire dall’Uno e che sono per così dire manifestazioni originate dall’unità impartecipabile e primissima124.

Queste enadi prime risultano, così come l’Uno, “al di sopra dell’essere” in quanto, come afferma Proclo, è a partire da esse che l’essere, o meglio la sommità stessa dell’essere – cioè, secondo la prospettiva neoplatonica, la sua forma più pura, semplice e unitaria – viene a sussistere. dalle enadi più elevate in assoluto risulta dipendere l’essere stesso assolutamente primo e il più divino fra gli enti125.

Qual è la natura di queste “enadi primissime”, dalle quali dipende l’essere stesso, e quale funzione è a esse attribuita? Sulla base di quanto Proclo afferma nel cap. 8 del III libro della Teologia Platonica, più che di enadi occorrerebbe parlare di una primissima forma di diade, ovvero di una coppia di principi posti subito dopo l’Uno, i quali egli, rifacendosi al Filebo di Platone126, denomina rispettivamente limite e illimitato o illimitatezza. Tali principi rappresentano una primissima forma di determinazione rispetto all’assoluta semplicità dell’Uno, in quanto determinano la differenza tra l’unità delimitata e la molteplicità indefinita. Benché il limite, essendo più prossimo all’Uno, sia assiologicamente superiore rispetto all’illimitato, tuttavia entrambi i principi si implicano necessariamente in modo reciproco, poiché non può esistere limite senza illimitatezza e viceversa. Il limite è ciò che rende determinato e delimitato, mentre l’illimitatezza è ciò che rende indefinitamente molteplice. Attraverso la loro combinazione questi due principi fanno sussistere la prima entità che, pur nella sua assoluta purezza e semplicità originaria, risulta comunque determinata rispetto a ciò che è puramente e semplicemente Uno: si tratta dell’Essere stesso nel quale si concentra ogni potenziale determinazione della pluralità di tutti gli enti. Anche l’Essere, dunque, nella sua

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forma assolutamente originaria è Uno, ma al contempo include in sé a livello potenziale la molteplicità. Esso, derivando dalla combinazione di limite e illimitato e includendo in sé il carattere dell’unità e quello dell’essere, è definito, ancora sulla base del Filebo di Platone, come il misto. Nel loro insieme limite-illimitatezza-misto costituiscono la struttura triadica fondamentale che connota la natura dell’Essere e al contempo della realtà intelligibile nel suo complesso: il limite, come si è detto, è il principio che garantisce l’unità complessiva dell’essere; l’illimitatezza esprime la potenzialità molteplice che è insita in esso; infine il misto determina la natura uni-molteplice che connota nel suo insieme l’Essere e con esso l’intero ordinamento intelligibile.

4. La struttura triadica della realtà intelligibile Sulla base della propria interpretazione in chiave ontologico-teologica del Sofista di Platone127, in particolare del passo 244b-245b ove viene descritta la natura dell’essere, Proclo individua tre distinti livelli all’interno della realtà intelligibile nel suo complesso, ciascuno dei quali risulta a sua volta formare una specifica triade: alla sommità è posto l’Uno-che-è (e}n o[n), ossia l’Essere nella sua unità; al livello intermedio poi si trova l’Intero o Totalità (o{lon), in cui è implicita, ma non compiutamente dispiegata la nozione di “molteplicità di parti”; infine al terzo e ultimo livello v’è il Tutto (pa`n), che sta a indicare un insieme unitario intrinsecamente composito. Proclo sviluppa ulteriormente il discorso su questi tre livelli dell’intelligibile sulla base della struttura triadica Essere-Vita-Intelletto128: l’Uno-che-è corrisponde alla sommità intelligibile intesa come Essere; l’Intero corrisponde alla Vita e alla Potenza intelligibili alle quali appartiene, a sua volta, il carattere dell’Eternità129; il Tutto, infine, corrisponde all’Intelletto intelligibile al quale, come vedremo più avanti, è ricondotto il Vivente intelligibile di cui Platone parla nel Timeo. Alla luce di questa successione triadica, i tre livelli fondamentali che costituiscono la realtà intelligibile, corrispondenti, a loro volta, a tre differenti triadi, sono concepiti come di-

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mensioni entro le quali si manifesta via via in modo sempre più differenziato e determinato il carattere della molteplicità intelligibile, che, comunque, tende a mantenere un carattere complessivamente unitario, senza mai giungere a un completo e compiuto dispiegamento. Le tre triadi intelligibili hanno, infatti, la fondamentale funzione di rendere il più graduale possibile il costituirsi di quella particolare forma di molteplicità che si determina nell’ordinamento intelligibile a partire dall’unità dell’Uno-che-è, nel quale il molteplice è presente in modo meramente potenziale, assolutamente celato e unitario. Secondo la concezione procliana, in effetti, è solo nella terza e ultima triade intelligibile che viene a determinarsi tutta la molteplicità complessiva e unitaria che caratterizza la realtà intelligibile nel suo insieme. Pertanto in questa [scil. nella terza] triade si rivela anche tutta la molteplicità intelligibile; e infatti quest’essere è, in forma intelligibile, tutte le cose, intelletto, vita ed essenza, […] essa è tutte le cose per così dire in atto e in modo manifesto130.

Come si è accennato in precedenza, Proclo identifica la terza triade con il Vivente intellegibile – definito anche come “il Vivente-in-sé” (to; aujtozw/`on) – del Timeo, che costituisce il modello compiutamente perfetto ed eterno di tutto il cosmo sensibile. In quanto paradigma intelligibile vivente – guardando al quale, come è affermato nel dialogo platonico, il Demiurgo plasma la struttura fondamentale del cosmo – e implicante in sé la totalità unitaria delle Forme intelligibili, la terza triade è intesa anche come Intelletto che, come ultimo termine della triade intelligibile Essere-Vita-Intelletto, delimita il livello inferiore di tutto l’ordinamento intelligibile. Se la terza e ultima triade intelligibile è il livello nel quale si manifesta appieno la natura della molteplicità intelligibile, occorre comunque tener presente che, nella prospettiva neoplatonica procliana, fin dalla sua stessa origine l’essere appare implicare in se stesso il carattere della molteplicità, dalla quale viene a costituirsi, attraverso successivi livelli di determinazione, la totalità degli enti intelligibili. Proclo, infatti, riprendendo la nota concezione plotiniana, definisce l’essere come

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“Uno-molti”, che racchiude in sé in forma unitaria tutta la totalità intelligibile: l’essere non è nient’altro se non monade di potenze molteplici e realtà che si fa molteplice, e per questo “l’essere è Uno-molti”131.

In effetti, il primo livello dell’essere, ossia l’Uno-che-è, pur risultando, come afferma Proclo, assolutamente uni-forme (eJnoeidevstaton), appare originariamente connotato, potremmo dire, da una primissima forma di dualità, in quanto esso è sia “Uno” sia “essere”. A sua volta, il secondo livello dell’essere, rivelandosi ulteriormente determinato rispetto al primo, risulta “gravido di molteplicità”. Infine, nel terzo livello dell’essere la molteplicità si rivela “la molteplicità degli enti in se stessa”, anche se, occorre precisare, in forma sostanzialmente unitaria, in quanto tale livello corrisponde al Tutto intelligibile e al Vivente-in-sé, che contiene le Forme intelligibili132. Esso è al contempo l’Intelletto intelligibile che fa della realtà intelligibile nel suo insieme un oggetto di attiva, vitale e dinamica intellezione. Tale livello sembra per molti aspetti coincidere il Noûs della concezione plotiniana, ossia l’ipostasi unitaria e complessiva dell’intera realtà intelligibile. Ne consegue che, a differenza di Plotino, per Proclo l’Intelletto non può essere identificato direttamente con la realtà intelligibile nel suo complesso: esso, invece, viene a determinarsi attraverso una serie di gradi strettamente connessi tra loro che formano la totalità complessiva dell’ordinamento intelligibile, che nel suo ultimo livello include la forma originaria di ogni molteplicità, che Proclo denomina anche, come si è accennato “molteplicità illimitata” (to; a[peiron plh`qo~). L’Intelletto intelligibile rappresenta la dimensione all’interno della quale essere e pensiero, ossia l’insieme degli oggetti intelligibili e il pensiero che li pensa, vengono a identificarsi in una forma unitaria e dinamica, così come avviene nella concezione plotiniana. È proprio in questo livello, infatti, che si manifesta l’insieme unitario delle Forme intelligibili. Il pensare è a questo punto tutta la molteplicità intelligibile e l’ordine delle Forme intelligibili. Infatti

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è all’ultimo livello dell’intelligibile che le Forme hanno la loro sussistenza: bisogna in effetti che dapprincipio le Forme esistano nell’Intelletto ed al contempo che ivi si manifestino133.

5. Dalla “divinizzazione” della realtà intelligibile a quella del cosmo sensibile: «tutte le cose sono piene di dèi» Si è più volte sottolineato che nella prospettiva neoplatonica di Proclo il Principio Primo, da cui deriva e dipende la totalità delle cose, coincide con il Primo Dio, che costituisce l’origine e il fondamento assolutamente originario della natura divina di tutti gli dèi appartenenti ai diversi ordinamenti del reale. Come afferma esplicitamente Proclo, il Primo Principio è causa di ogni natura divina: infatti tutti gli dèi possiedono la loro natura di dèi grazie al Primo Dio134.

Anche i termini costituitivi stessi della primissima triade intelligibile limite-illimitato-misto risultano divinizzati135. Dunque, nella prospettiva metafisica procliana, è a partire dall’ordinamento intelligibile che il carattere del divino è trasmesso a tutti gli altri ordinamenti del reale: dalla sommità dell’intelligibile, ossia dall’Uno-che-è, derivano e procedono tutti gli ordinamenti divini. Ciò risulta confermato, secondo la prospettiva esegetica procliana, da ciò che viene affermato da Platone nella seconda ipotesi del Parmenide: Perciò Parmenide136 partendo dall’Uno-che-è fa proce­ dere da lì la totalità degli ordinamenti degli dèi137.

Gli dèi intelligibili costituiscono nel loro insieme il primo effettivo e specifico ordinamento di dèi a partire dal Dio assolutamente primo. Ciò determina la natura della loro trascendenza unitaria e complessiva rispetto a tutti gli altri ordinamenti divini: il genere intelligibile degli dèi trascende in modo unitario tutti gli altri ordinamenti divini138.

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Tuttavia essi, pur essendo superiori rispetto a tutti quanti i successivi ordinamenti divini per via del loro elevatissimo grado di unità cui corrisponde un livello minimo di differenziazione e di determinazione, rimangono lontani dall’originaria e assoluta semplicità che contraddistingue solo il Primo Principio, l’origine autentica e il vero e unico “Padre” del Tutto: pur essendo dotati di una semplicità che trascende tutti quanti insieme gli ordinamenti divini, gli dèi intelligibili rimangono lontani dall’unità del Padre139.

È proprio in virtù della trascendenza e originarietà che l’ordinamento intelligibile, comunque, trasmette la pro­ pria natura divina a tutti i livelli inferiori. D’altro canto, in considerazione del fatto che l’ultimo grado della realtà intelli­ gibile, ossia il Vivente intelligibile, costituisce il modello pa­ ra­ digmatico originario di tutto il reale nelle sue diverse articolazioni, il carattere del divino si diffonde necessariamente fino a raggiungere gli ultimi livelli del cosmo sensibile. In base a tale prospettiva occorre intendere la ripresa da parte di Proclo della nota espressione, risalente, secondo la tradizione, allo stesso Talete: “tutte le cose sono piene di dèi”140. Proclo la citata esplicitamente con un’aggiunta assai significativa: Ed è proprio così che “tutte le cose sono piene di dèi”, di angeli, di demoni e di esseri viventi mortali141.

Secondo la prospettiva pagano-neoplatonica di Proclo, anche le diverse entità che fanno parte del cosmo sono distribuite in livelli gerarchicamente ordinati, all’interno dei quali il carattere divino tende via via ad affievolirsi: dopo gli dèi encosmici, vengono le entità semidivine, come gli “angeli” e, a un livello ancora inferiore, i “demoni”. Infine vengono gli esseri viventi mortali, nei quali l’elemento divino non è comunque del tutto assente: anche questi ultimi ne partecipano ancora in qualche modo, proprio perché, potremmo dire, sono vivi e la vita, originariamente, viene dalla realtà divina intelligibile. Alla luce di tali considerazioni appare manifesto come secondo la prospettiva tardo-neoplatonica di Proclo la metafisica debba necessariamente fondersi con la riflessione teologica, come suo ultimo e definitivo coronamento.

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VI. Dall’ordinamento intelligibile-intellettivo a quello intellettivo (libri iv-v) 1. La natura triadica della realtà intelligibile-intellettiva e il Fedro come principale fonte sulla sua struttura La dimensione intelligibile-intellettiva svolge la fondamentale funzione di costituire un “ponte” tra la trascendenza propria della realtà intelligibile, caratterizzata da un livello, come si è visto, di determinazione e differenziazione minimo, e la realtà intellettiva, in cui la molteplicità non si delinea più solo come potenziale e unitaria, ma come effettiva e compiutamente dispiegata. Di conseguenza, rispetto al livello puramente intelligibile, l’ordinamento intelligibile-intellettivo e, in misura ancora maggiore, quello intellettivo, sono connotati al loro interno da un livello superiore di differenziazione e pluralità, essendo assiologicamente più lontani dall’assoluta semplicità e trascendenza del Principio Primo142. Proprio per la loro funzione di collegamento fra la realtà intelligibile e quella intellettiva, Proclo afferma che la natura degli dèi intelligibili-intellettivi e la loro specifica proprietà consistono nel collegare e connettere tra loro gli estremi, e cioè il livello più elevato, costituito dall’intelligibile, e quello inferiore, costituito dalla dimensione intellettiva143. Proprio in considerazione del loro ruolo di mediazione questi dèi hanno una sorta di intellezione degli dèi che li precedono, ossia degli dèi intelligibili, e a loro volta sono oggetto di intellezione da parte degli dèi intellettivi. In base alla struttura triadica Essere-Vita-Intelletto, gli dèi intelligibili-intellettivi risultano caratterizzati dall’elemento intermedio, ovvero dalla Vita, così come l’ordinamento intellettivo è caratterizzato dall’ultimo, vale a dire dall’Intelletto. Il livello intelligibile-intellettivo assume così la funzione di “dare vita” e “generare” gli dèi intellettivi, originando l’attività intellettiva che contraddistingue in modo essenziale questi ultimi.

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La continuità negli ordinamenti trascendenti e universali risulta così garantita proprio dalla natura stessa degli dèi intelligibili-intellettivi e dal loro carattere “connettivo”. Anch’essi, come le divinità intelligibili, sono connotati da una struttura triadica: attraverso la loro sommità sono congiunti al carattere intelligibile, attraverso la loro estremità inferiore al carattere intellettivo, mentre per mezzo del legame intermedio dei termini estremi hanno ottenuto la proprietà comprensiva egualmente di entrambi i caratteri e si distendono in entrambe le direzioni, verso i generi intelligibili degli dèi e al contempo verso quelli intellettivi, proprio come se si trattasse del centro di questi due tipi di ordinamenti, il quale assicura la comunione tra le entità universali in modo uni-forme144.

Alla luce di questo passo, si comprende appieno la natura “intermediaria” e “connettiva” degli dèi intelligibili-intellettivi in relazione all’insieme degli ordinamenti trascendenti e universali. La dimensione intelligibile-intellettiva risulta più differenziata e articolata rispetto alla realtà intelligibile che, essendo più vicina all’Uno-in-sé, è, come si è visto, sostanzialmente unitaria, anche se a partire dal suo livello intermedio essa risulta gravida di molteplicità. Nell’ordinamento intelligibile-intellettivo, dunque, si manifesta in forma maggiormente determinata e dispiegata la molteplicità, tanto che in esso l’alterità si manifesta in modo originario, frammentando la molteplicità unitaria nella molteplicità propria dei “molti”. è in questo livello [scil. nell’ordinamento intelligibileintellettivo] infatti che si trovano “i molti”, per via dell’alterità che ha determinato la separazione dell’uno e dell’essere145.

Nell’ordinamento intelligibile-intellettivo, dunque, si manifesta l’alterità effettiva e dispiegata, poiché in esso la determinazione e la conseguente differenziazione fanno sì che l’essere si disgiunga dall’unità e si frammenti in una pluralità di enti, che come molti risultano determinati e compiutamente differenziati fra loro.

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Proclo delinea l’articolata struttura dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, basandosi, in particolare, su una particolare e complessa interpretazione di quei passi del Fedro in cui sono descritte le diverse parti del cielo attraversate dalla processione degli dèi e delle anime libere dal legame con il corpo146. Sulla base dell’esegesi procliana del Fedro, la dimensione intelligibile-intellettiva risulta suddivisa in tre articolazioni principali: il luogo sovraceleste (iperuranio), che costituisce la sua sommità, collegata direttamente al limite inferiore dell’ordinamento intelligibile, e al cui interno sono presenti in modo dispiegato le Forme intelligibili; il cielo o rotazione (o rivoluzione) celeste, che costituisce il livello intermedio dell’ordinamento intelligibile-intellettivo e caratterizza, come vedremo, la sua complessiva natura connettiva; infine, la volta subceleste che costituisce il limite inferiore di tale ordinamento e che, per il tramite della volta subceleste, risulta collegata all’ordinamento intellettivo147. Rifacendosi al Fedro, Proclo riesce in questo modo a salvaguardare la continuità ininterrotta fra gli ordinamenti divini completamente trascendenti.

2. Il ruolo “connettivo” di Urano e quello degli dèi “perfezionatori” nell’ordinamento intelligibile-intellettivo Come si è osservato, secondo la prospettiva procliana, è nella dimensione intelligibile-intellettiva che si manifesta originariamente l’alterità (eJterovth~) intesa come effettiva forma di differenziazione determinata. Inoltre Proclo sottolinea come sia proprio in questo livello che viene generato il numero nella sua universalità e totalità, in quanto manifestazione di una molteplicità determinata e differenziata148. Entro la medesima prospettivo metafisico-teologica, si comprende anche il motivo per cui sia proprio nell’ordinamento intelligibile-intellettivo che compare la prima divinità specificamente caratterizzata e designata da uno specifico teonimo. Si tratta del dio “Urano”, che secondo la tradizione greca – anche in base a quanto viene narrato nella Teogonia esiodea, l’opera “sull’origine degli dèi” considerata come un testo religioso fon-

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damentale nell’ambito di tutto il paganesimo greco – è il dio dal quale derivano, in modo più o meno diretto, tutte le altre divinità del pantheon tradizionale greco. Proclo sembra definire l’ordinamento intelligibile-intellettivo nel suo complesso proprio come “regno di Urano”. Intermedio dunque tra gli intelligibili e gli intellettivi è il regno che ha ottenuto in sorte il grandissimo Urano149.

In effetti, anche se nello specifico Proclo afferma che il dio Urano coincide propriamente con il cielo, ovvero con la rotazione/rivoluzione celeste, egli propone qui questa sostanziale identificazione del regno di Urano con l’ordinamento intelligibile-intellettivo nel suo complesso alla luce della propria rielaborazione in chiave metafisico-teologica della tradizione mitica e religiosa greca: tale ordinamento è origine e principio di quello intellettivo, da cui derivano poi i successivi livelli divini, allo stesso modo, secondo la tradizione, in cui Urano è “padre di Crono” – identificato a sua volta da Proclo, come vedremo, con la sommità intellettiva – ed è di conseguenza progenitore di tutti gli altri dèi. Il ruolo di Urano come dio intelligibile-intellettivo per eccellenza è ulteriormente messo in luce da Proclo sulla base dell’artificiosa etimologia che compare nel Cratilo di Platone. Il teonimo Urano (Oujranov~) – si tenga presente che il sostantivo oujranov~ significa “cielo” – è ricondotto all’espressione «ho horôn tà áno» (oJ oJrw`n ta; a[nw), ovvero «colui che guarda le cose che stanno in alto»150: Urano sarebbe il dio che guarda gli intelligibili. Questo dio, dunque, attraverso il proprio atto contemplativo dell’intelligibile, dà origine a quell’attività intellettiva che giunge poi a determinare la natura e l’essenza degli dèi intellettivi. Avvalendosi dell’interpretazione della pseudo-etimologia di Urano esposta nel Cratilo, Proclo ribadisce la funzione “connettiva” dell’ordinamento intelligibile-intellettivo: esso mantiene collegate tra loro la realtà intelligibile e quella intellettiva. Corrispondenti invece alla volta subceleste, ossia al limite inferiore dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, sono le divinità del livello che è denominato da Proclo “perfezionatore”,

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in quanto il suo specifico ruolo è quello di rendere perfette le entità dei livello inferiori, facendole convergere verso la perfezione assoluta della realtà intelligibile. Pertanto l’ordinamento perfezionatore, che è posto proprio al di sotto dell’ordinamento connettivo, inizia ai misteri151 le entità che si innalzano verso l’intelligibile, inoltre “dischiude” le anime predisponendole ad accogliere i beni divini, fa poi brillare la luce intelligibile e infine, abbracciando al suo “seno” i generi inferiori degli dèi, li pone tutti nella “rivoluzione”152 che connette la totalità del reale153.

Proclo al termine del libro IV propone la seguente sintesi della trattazione relativa all’ordinamento intelligibile-intellettivo. Dunque, riassumendo, dobbiamo dire che ogni triade intelligibile-intellettiva in base alla sua propria sommità risulta collegata all’intelligibile, in base al livello intermedio rivela la propria specifica potenza, infine in base al limite inferiore comprende l’illimitatezza delle entità inferiori154.

In questo passo la natura triadica dell’ordinamento intelligibile-intellettivo appare perfettamente delineata: per il tramite della propria sommità esso è direttamente connesso alla realtà intelligibile; in base al suo livello intermedio, emerge la sua funzione connettiva tra la realtà intelligibile e quella intellettiva; infine in base al suo limite inferiore, esso comprende in sé la molteplicità totale delle entità inferiori, che, in virtù del carattere perfezionatore proprio degli dèi dell’ultimo livello intelligibile intellettivo, vengono fatte convergere in un insieme complessivo armonicamente rivolto verso la realtà intelligibile.

3. La natura “ebdomadica” dell’ordinamento intellettivo L’ordinamento intellettivo, che risulta collegato alla realtà intelligibile per il tramite degli dèi intelligibili-intellettivi, costituisce nella prospettiva teologico-metafisica procliana l’ultimo livello di realtà totalmente trascendente e universale. Esso

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corrisponde per Proclo a quello che può essere denominato Intelletto universale – assiologicamente inferiore rispetto alla dimensione intelligibile – per il tramite del quale si manifestano l’ordine e l’armonia che governano l’intero universo. Fin dalle prime battute del libro V, specificamente dedicato alla descrizione della dimensione intellettiva, Proclo illustra il suo carattere intellettivo in questi termini: essa viene denominata “intellettiva” proprio per il fatto che ha generato l’Intelletto impartecipabile e divino155.

L’“Intelletto impartecipabile e divino” è appunto l’Intelletto universale che risulta distinto dalla realtà intelligibile che, dal canto suo, è l’oggetto della sua attività contemplativa. L’aggettivo “intellettivo” (noerov~) sta a indicare che questo ordinamento è originariamente determinato nella sua natura da un atto di intellezione rivolto verso le realtà superiori e al contempo da un’azione intellettiva ordinatrice e plasmatrice della struttura complessiva dell’universo. Quindi la realtà intelligibile per Proclo non coincide, come invece in Plotino, completamente con l’Intelletto. Quest’ultimo, nella Teologia Platonica, risulta, per così dire, “sdoppiato”: da un lato v’è l’Intelletto intelligibile che, come si è visto, compare all’ultimo livello dell’ordinamento intelligibile e coincide con il Vivente intelligibile; dall’altro v’è l’Intelletto universale contemplante, che fa parte della dimensione intellettiva, che ha come oggetto della propria attività intellettivo-contemplativa l’intelligibile. Proprio in quanto originariamente determinato dalla sua intellezione rivolta all’intelligibile dalla quale, al contempo, deriva l’azione plasmatrice e ordinatrice della struttura dell’universo nel suo insieme, l’ordinamento intellettivo risulta in sé differenziato e suddiviso in una serie di distinte entità divine caratterizzate ciascuna da una differente e specifica funzione. Anche la realtà intellettiva è sostanzialmente unitaria, ma tale unitarietà è costituita da entità divine fra loro completamente distinte e differenziate. Perciò tale ordinamento è caratterizzato da un grado di determinazione e varietà maggiori rispetto a quelli che lo precedono:

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l’ordinamento intellettivo non è uno e indivisibile, ma ha avuto in sorte processioni più varie rispetto ai generi più elevati156.

Proclo stesso chiarisce in che senso debba essere inteso il carattere di maggiore varietà che caratterizza le processioni dell’ordinamento intellettivo. Mentre, come si è visto in precedenza, sia l’ordinamento intelligibile sia quello intelligibile-intellettivo sono costituiti al loro interno da strutture metafisiche di tipo triadico, gli dèi intellettivi, invece, che sono più determinati e differenziati rispetto alle divinità degli ordinamenti superiori, non procedono secondo triadi, bensì in modo “ebdomadico”, ovvero secondo una scansione di sette termini (la parola greca eJbdomav~ indica “il numero sette”, onde “insieme formato da sette elementi”)157. Questa struttura ebdomadica risulta costituita, come vedremo più avanti, dalla combinazione di due triadi e di una monade. Anche per via di una certa ossessiva propensione per le strutture gerarchico-numeriche, Proclo non solo afferma che la realtà intellettiva procede per ebdomadi, ma ribadisce anche a più riprese che essa nella sua totalità risulta costituita da un insieme formato da sette distinte ebdomadi. Tale concezione può essere intesa come un’ulteriore indicazione dell’intrinseca e al contempo ben delimitata molteplicità che contraddistingue l’ordinamento intellettivo: la struttura ebdomadica dell’ordinamento intellettivo, in effetti, sembra doversi ricondurre alla natura più differenziata e particolare di quest’ultimo rispetto ai livelli di realtà che lo precedono. Anche l’azione svolta da tale ordinamento risulta caratterizzata dal fatto che esso sviluppa e dispiega ciò che nella dimensione intelligibile-intellettiva risulta ancora complessivamente unitario e, per così dire, contratto: gli dèi intellettivi producono tutte le cose in modo ebdomadico: infatti essi sviluppano le triadi a un tempo intelligibili e intellettive in ebdomadi intellettive e fanno dispiegare in varietà intellettiva le loro potenze raccolte tutte insieme158.

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4. Struttura e composizione dell’ebdomade intellettiva L’ebdomade intellettiva, come si è detto, è costituita da due triadi e una monade. La prima triade è formata dalle tre divinità Crono-Rea-Zeus; la seconda è denominata da Proclo “triade dei Cureti”; la monade intellettiva infine, non è identificata direttamente con una specifica divinità, bensì è concepita da Proclo come un principio causale astratto di separazione e differenziazione. Per comprendere l’effettiva natura dell’ordinamento intellettivo occorre prendere in esame la composizione e le caratteristiche specifiche delle due triadi unitamente alla funzione e natura della monade differenziante. 1. La triade “Crono-Rea-Zeus” Rifacendosi anche in questo contesto alla tradizione religiosa greca –soprattutto a quella di matrice orfica159 – che egli interpreta in chiave simbolico-allegorica, e intrecciando a essa la propria esegesi in chiave teologica dei dialoghi di Platone, in particolare del Timeo e del Cratilo, Proclo individua tre divinità che costituiscono la prima triade intellettiva: in ordine assiologico, Crono, Rea e Zeus160. Proclo segue in rapporto alla descrizione di queste tre divinità l’ordine di successione tramandato dalla tradizione mitico-religiosa, che si ritrova anche nei miti orfici e in parte nella Teogonia di Esiodo. Secondo la tradizione Crono e Rea sono il padre e la madre di Zeus. In base all’interpretazione procliana in senso allegorico-metafisico della tradizione mitica, Crono rappresenta il principio originario e costitutivo dell’ordinamento intellettivo, in quanto si è separato e differenziato, determinandosi, dal livello intelligibile-intellettivo, simbolizzato, come si è visto, in particolare da Urano161. Di conseguenza Crono viene identificato con l’Intelletto universale e puro. Per questa interpretazione allegorica della funzione metafisico-teologica attribuita a Crono, Proclo si rifà, come nel caso di Urano, alla pseudo-etimologia del teonimo Kronos (Krovno~) proposta nel Cratilo162: tale teonimo è interpretato nel senso di “korónous” (korovnou~), che si può intendere come “intelletto-puro” (da “kóros”=“purezza” e “noûs”=intelletto), o anche come “kóros toû noû” (kovro~ tou` nou`), “purezza dell’intelletto”. Crono, dunque, è il primo dio

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dell’ordinamento intellettivo per via del suo carattere trascendente e “puro” – in quanto pura attività intellettiva – che è proprio dell’Intelletto universale. Come afferma lo stesso Proclo, con riferimento alla spiegazione etimologica del Cratilo, Crono è dunque «la forma assolutamente suprema dell’Intelletto divino e la più pura»163. Questo dio, infatti, è considerato come “il re” delle divinità intellettive: per primissimo deve essere da noi celebrato il re de­ gli dèi intellettivi, Crono, che, secondo il Socrate del Cratilo, fa risplendere “il carattere puro e intatto dell’intelletto”164.

Se Crono è il sovrano supremo degli intellettivi, Rea è la loro regina. Questa divinità viene concepita come “generatrice di vita universale”, in quanto è madre di Zeus e inoltre perché è da essa che la vita procede e si irradia all’interno del livello intellettivo e da qui in quelli successivi. La dea-regina Rea, in base all’etimologia del suo nome proposta ancora nel Cratilo, è intesa da Proclo come “flusso di vita”165. A tale proposito egli afferma: Platone paragona la generativa sovrabbondanza di lei ai “flussi”, come afferma Socrate nel Cratilo, e rivela che questa dea è in qualche modo una “corrente” e non allude ad altro se non al suo carattere “sgorgante” e alla sua capacità di comprendere in modo unitario i canali particolari della vita166.

Rea dunque è la fonte universale della vita che arriva a vivificare anche gli esseri particolari del cosmo sensibile. Questa dea, secondo la concezione metafisico-teologica procliana, trasmette a Zeus intellettivo la capacità di vivificare il cosmo: questo dio, infatti, è identificato da Proclo con il Demiurgo, ossia l’Artefice del cosmo, di cui Platone parla nel Timeo167. Per delineare la natura e il ruolo di questo dio, Proclo ricorre ancora una volta al Cratilo e alla pseudo-etimologia del teonimo “Zeus” (Zeuv~) ivi proposta: Zeus significherebbe propriamente “di’ hòn zên” (di∆ o}n zh`n), espressione che significa, in sostanza, “colui in virtù del quale v’è il vivere”168. Proprio in

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quanto Demiurgo del cosmo, Zeus rappresenta, per così dire, la causa efficiente della vita dell’intero universo, concepito, in linea con quanto affermato nel Timeo, come un essere vivente, immagine del Vivente intelligibile e dotato di un’anima di cui il Demiurgo stesso è l’artefice; al contempo quest’ultimo si delinea anche come la causa degli esseri divini che fanno parte del cosmo, ossia degli dèi encosmici. In base alla concezione metafisico-teologica procliana, allo Zeus intellettivo si confà perfettamente il ruolo di Demiurgo, in quanto egli si configura come Intelletto intellettivo che, guardando al modello intelligibile per il tramite dell’Intelletto puro e universale di Crono, determina specificamente la propria attività intellettiva indirizzandola alla plasmazione del cosmo169. In questo modo l’azione dell’ultima componente della prima triade intellettiva, secondo una struttura concettuale ricorrente in tutta la speculazione teologico-metafisica procliana, rappresenta anche il rinvio all’unità complessiva dell’intero ordinamento intellettivo, la cui natura è caratterizzata dall’attività intellettiva rivolta nel medesimo tempo alla contemplazione dell’intelligibile e alla plasmazione del cosmo sensibile. 2. La seconda triade intellettiva: i “Cureti”, denominati anche “dèi implacabili” e “incontaminati” Dopo la triade intellettiva formata da Crono, Rea e Zeus, Proclo, ispirandosi soprattutto alla tradizione orfica e stabilendo al contempo, come in molti altri casi, un completo accordo tra questa e le dottrine teologiche di Platone, individua nell’ordinamento intellettivo una seconda triade identificata con “i Cureti” e denominata anche “implacabile” e “incontaminata”170. Secondo la tradizione mitica, in effetti, i Cureti sono sacerdoti o addirittura divinità demoniche alle quali fu affidato il compito di proteggere Zeus – nascosto dalla madre Rea in una grotta a Creta – dal padre Crono, intenzionato a divorare tutti i suoi figli per non venire da questi spodestato: i Cureti con le loro danze rumorose e il frastuono delle armi battute sugli scudi avrebbero impedito a Crono di udire i vagiti del bambino. Proclo, ovviamente, interpreta l’intero mito in chiave simbolico-allegorica e conclude che la “triade curetica” custodisce le due divinità intellettive, Rea e Zeus, nella loro trascendenza

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rispetto agli esseri che da esse derivano e dipendono. A proposito dell’attività di custodia che i Cureti svolgono nei confronti di Rea, causa originaria e universale della generazione e della vita, e di Zeus, Demiurgo del cosmo, Proclo afferma: [scil. i Cureti] trattengono nel loro carattere originario le monadi dell’intera generazione di vita e della de­ miurgia perfetta171.

Tali divinità fanno sì che Rea e Zeus permangano, nel loro specifica funzione e attività, puri, incontaminati e trascendenti rispetto a tutto ciò che da loro è fatto sussistere. Tale modo di denominare i Cureti si ritroverebbe, stando ancora a quanto è affermato in particolare nel cap. 3 del libro V della Teologia Platonica, anche nei testi della tradizione orfica. Inoltre Proclo trova un accenno ai Cureti anche in un passo del libro VII delle Leggi di Platone172. Attraverso una particolare interpretazione in chiave allegorico-teologica di questo passo, Proclo dimostra che la specifica funzione metafisica svolta dai Cureti è effettivamente attestata anche nella dottrina teologica dello stesso Platone. Con il riferimento alla triade dei Cureti nell’ordinamento intellettivo, Proclo corona due obiettivi fondamentali: da un lato, come si è accennato in precedenza, egli dimostra la perfetta armonia fra le tradizioni religiose più antiche, in questo caso specifico la tradizione orfica, e le dottrine teologiche di Platone; dall’altro l’introduzione di tale triade appare funzionale e necessaria alla composizione dell’ebdomade in base alla quale risulta strutturato l’intero ordinamento intellettivo. 3. La monade fonte di distinzione e differenziazione Come settima componente dell’ebdomade intellettiva, Proclo introduce una monade che funge da principio causale della divisione e della differenziazione propria degli dèi intellettivi sia al loro interno sia, nello stesso tempo, rispetto ai livelli superiori e a quelli inferiori173. Proclo, dunque, introduce uno specifico principio causale di differenziazione all’interno dell’ordinamento intellettivo che già in se stesso risulta connotato da determinazione, distinzione e divisione. Come nel caso della seconda triade intellettiva, anche l’introduzione della monade intellettiva, causa di differenza e divi-

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sione, si piega fondamentalmente con la necessità di collegare fra loro il carattere dell’ebdomade – anche per un’esigenza di armonia in rapporto all’intera tradizione mitico-religiosa greca – e la realtà intellettiva, la quale, come si è visto, risulta pienamente determinata e differenziata anche in senso numerico: da essa infatti viene a determinarsi la realtà del cosmo sensibile e delle entità particolari che lo costituiscono. A proposito della struttura ebdomadica della realtà intellettiva, occorre infine osservare che essa, secondo la prospettiva filosofico-esegetica di Proclo, trova proprio nel Parmenide di Platone la sua principale e più autorevole fonte di dimostrazione e conferma. L’interpretazione teologizzante di tale dialogo, in effetti, determina in molti casi alcune delle sottilissime e talvolta labirintiche distinzioni tra i diversi ordinamenti divini e anche tra i diversi livelli all’interno di un medesimo ordinamento. Nel Parmenide, infatti, secondo Proclo sono esposte in modo sistematico dottrine metafisico-teologiche che nei miti orfici si presentano in forma simbolico-allegorica. Il fondamentale ruolo del Parmenide nell’individuazione e teorizzazione dell’ebdomade intellettiva appare immediatamente manifesto anche se si prende solo in considerazione il kephálaion relativo all’ultimo capitolo del libro V: Esposizione complessiva della teoria concernente l’ebdomade intellettiva a partire dalle conclusioni del Parmenide174.

Il Parmenide dunque, secondo la prospettiva neoplatonica procliana, non rappresenta soltanto una perfetta ricapitolazione della dottrina teologica platonica, ma viene anche a costituire il punto di riferimento in conformità del quale tutte le teorie sulla natura dei diversi ordinamenti divini e dei differenti livelli costituitivi del reale devono essere modellate. Nel caso specifico delle dottrine relative all’ordinamento intelligibile-intellettivo e a quello intellettivo, inoltre, il Parmenide, in base all’interpretazione procliana, si rivela in perfetto accordo, come si è visto, con la tradizione teologica di matrice orfica. Ciò nell’ottica di Proclo sta a dimostrare la fondamentale continuità fra la tradizione mitico-religiosa pagana e la teologia di Platone.

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VII. Dall’ordinamento ipercosmico alla molteplicità degli dèi encosmici (libro vi) 1. Le quattro triadi che costituiscono la dimensione ipercosmica All’ordinamento divino ipercosmico è dedicato l’ultimo libro – almeno stando al testo che è giunto fino a noi – della Teologia Platonica: esso, secondo la concezione metafisico-teologica procliana, è posto tra la realtà intellettiva e il cosmo. La sua natura, pur essendo posta per livello assiologico al di sopra del cosmo sensibile, è comunque caratterizzata da una forma di relazione con esso. Tale ordinamento è infatti separato e distinto da quelli totalmente trascendenti: di conseguenza è caratterizzato da un livello maggiore di determinatezza e molteplicità. La sua struttura è costituita da quattro differenti triadi: 1) la triade demiurgica, costituita da Zeus, Poseidone, Plutone/Ade; 2) la triade “Corica”, formata da Artemide, Persefone, Atena; 3) la triade “Apollinea”, nella quale si manifestano le tre caratteristiche fondamentali attribuite dalla tradizione mitica al dio Apollo; 4) la triade degli dèi “incontaminati” custodi o “Coribanti”, corrispondenti, in modo analogico, alla triade dei “Cureti” dell’ordinamento intellettivo. 1. La triade demiurgica ipercosmica: Zeus, Poseidone, Plutone/Ade La fondamentale funzione di questa prima triade ipercosmica è quella di frammentare e suddividere l’unitaria e universale demiurgia dello Zeus intellettivo. Essi, infatti, diversamente dal Demiurgo intellettivo, non fanno più parte degli ordinamenti divini totalmente trascendenti rispetto al cosmo sensibile. Proclo, riprendendo e integrando nel suo sistema metafisico-teologico la terminologia presente negli Oracoli Caldaici – in modo da ribadire così, ancora una volta, l’unità spirituale dell’intera

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tradizione pagana greca – denomina i tre dèi di questa triade anche “sovrani”, in quanto, essendo gerarchicamente posti al di sopra del cosmo sensibile, lo guidano e lo governano. […] dal canto suo l’ordinamento degli dèi sovrani divide il carattere unificato della produzione demiur­ gica, dispiega il carattere universale dell’attività de­ gli dèi intellettivi e fa procedere verso la varietà la semplicità della loro cura provvidenziale175.

Proclo, rifacendosi alla tradizione poetica di argomento mitico-religioso e, soprattutto, a un passo del Gorgia in cui viene citato esplicitamente Omero176, identifica i tre dèi sovrani con i tre figli di Crono: Zeus, Poseidone e Plutone/Ade. Essi costituiscono la triade demiurgica ipercosmica che suddivide e particolarizza la demiurgia universale di Zeus intellettivo. Tale triade risulta formata nella sommità da Zeus ipercosmico, che rappresenta il sovrano dell’intera triade, nel livello intermedio da Poseidone, denominato anche “Zeus marino”, e nel grado inferiore e ultimo da Plutone, denominato anche “Zeus degli inferi”177. In base alla prospettiva metafisico-teologica procliana, tali divinità “si dividono”, in senso simbolico-allegorico, “il dominio del padre”, cioè di Crono, concepito come la sommità della triade intellettiva: in questo modo essi al contempo diversificano, suddividono e particolarizzano l’azione originariamente unitaria, universale e trascendente del Demiurgo. Al contrario di quest’ultimo, infatti, tali divinità operano in direzione della particolarità, della suddivisione e della molteplicità proprie del cosmo sensibile. D’altra parte, anche se la loro natura non è effettivamente trascendente, ma connessa, in una particolare forma universale e originaria, alla dimensione sensibile, i tre demiurghi ipercosmici risultano comunque direttamente collegati al Demiurgo e per suo tramite alla dimensione intellettiva nel suo insieme178. A riprova della continuità e della connessione con lo Zeus Demiurgo della triade intellettiva, nella triade ipercosmica è presente, secondo la prospettiva metafisico-teologica di Proclo, un “ulteriore e differente” Zeus: si tratta in effetti di uno Zeus, assiologicamente inferiore al primo, che ha la principale funzione, insieme agli altri due dèi sovrani di operare, come

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demiurgo di secondo livello, in relazione al cosmo sensibile in modo “meno universale e unitario” del Demiurgo intellettivo. Piuttosto chiare sono a tale riguardo le parole di Proclo: in effetti Zeus è duplice, non solo secondo Platone, ma anche, per così dire, secondo tutta la teologia dei greci: il primo fa convergere nel suo insieme il limite inferiore della triade verso il principio, mentre il secondo ha avuto in sorte la sommità della triade degli dèi sovrani; e inoltre l’uno è Demiurgo dell’universo nella sua totalità a livello universale, mentre all’altro sono stati assegnati in sorte i primi prodotti della demiurgia divisa; e l’uno è per ordinamento posto prima dei padri, l’altro è l’unico dei tre a essere quello che è primissimo e in diretta continuità con gli altri restanti padri179.

La triade demiurgica ha anche la funzione di assimilare (ajfomoiou`n) tra loro le entità sensibili in modo che formino un insieme unitario complessivo a sua volta simile, in quanto copia, al proprio modello intelligibile originario. Proprio in considerazione di ciò gli dèi sovrani vengono denominati anche “dèi assimilatori” (qeoi; ajfomoiwmatikoiv)180. Essi, dunque, fanno del cosmo sensibile, nelle sue determinate, specifiche e particolari componenti, un’unica entità unitaria al cui interno i singoli esseri sono collegati fra loro da un rapporto simpatetico: questo ordine degli dèi regola in modo specifico il rapporto simpatetico tra gli esseri presenti nel cosmo e la loro comunione reciproca. Infatti è per il tramite della somiglianza che tutte le cose si uniscono le une alle altre e si comunicano reciprocamente le potenze di cui dispongono, e che gli esseri superiori fanno risplendere con generosità i loro doni su quelli inferiori, e gli effetti, dal canto loro, sono saldamente stabiliti nelle loro cause, ed inoltre che si contempla nel cosmo un intreccio indissolubile, una comunione universale fra tutti gli esseri ed un legame tra gli esseri attivi e quelli passivi181.

Gli dèi assimilatori risultano così i garanti dell’armonia complessiva del cosmo.

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2. La triade “Corica”: Artemide, Persefone, Atena Dopo i tre “Cronidi”, Proclo pone nell’ordinamento ipercosmico una triade divina che è definita come “generatrice di vita”, o “triade Corica”182. Di tale triade fanno parte in ordine assiologico Artemide, Persefone e Atena: Artemide rappresenta per Proclo la sommità che coincide con la nozione di “essenza”; Persefone rappresenta la “potenza vivificante”; infine Atena rappresenta l’intelletto divino generatore di vita, ricolmo di conoscenza intellettiva e fonte originaria della totalità della virtù, intesa in senso universale e permeante i diversi livelli del cosmo183. Il riferimento alla virtù nella sua dimensione universale mostra come questa divinità abbia evidentemente anche la funzione di indirizzare verso la perfezione le entità che da essa dipendono. Il carattere “vivificante” della triade Corica, chiaramente, rinvia per analogia alla dea Rea, fonte originaria e universale di vita, che, come si è detto, costituisce la componente intermedia della prima triade intellettiva. 3. La triade di Apollo o Apollinea Proclo pone come terzo livello dell’ordinamento ipercosmico quella che egli definisce triade “Apollinea” o anche “convertitrice”. Essa ha, infatti, la fondamentale funzione di far convergere l’intero ordinamento ipercosmico e le entità che da esso derivano e dipendono verso la realtà intellettiva. Proclo attribuisce tale triade ad Apollo sulla base della tradizione mitico-religiosa e di quanto a proposito di tale divinità Platone afferma nei suoi dialoghi. In effetti, secondo l’intera tradizione religiosa greca – già a partire dall’antichissima tradizione orfica, stando a quanto afferma Proclo184 – alla quale si rifà anche lo stesso Platone, Apollo è caratterizzato da specifiche prerogative e proprietà che secondo la tradizione mitico-religiosa sono riconducibili specificamente all’ambito della mantica, a quello della musica e a quello concernente la capacità di riportare all’ordine tutto ciò che è disordinato, ristabilendo l’armonia. In base alla prospettiva metafisico-teologica procliana, la prima monade della triade Apollinea-Eliaca, in corrispondenza della proprietà mantica di Apollo, rivela la luce intellettiva alle entità inferiori e fa volgere que-

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ste ultime verso tale luce; la seconda e la terza monade, dal canto loro, corrispondenti rispettivamente alla musica e alla prerogativa di eliminare ogni forma di disordine, forniscono armonia e ordine all’intero cosmo sensibile, in quanto rappresentano la cura provvidenziale della dimensione ipercosmica nei confronti della totalità degli esseri appartenenti al cosmo sensibile185. In connessione con queste proprietà Apollo è collegato a “Helios” (”Hlio~), cioè la divinizzazione del sole (il termine h{lio~ indica il “sole”)186. A proposito di tale connessione Proclo afferma: secondo Platone v’è di conseguenza fra questi dèi una congiunzione dovuta alla somiglianza delle loro nature, una comunione di potenze e un’unità ineffabile187.

Sole e Apollo sono dunque reciprocamente collegati e complementari così da costituire un’unità che comprende in sé l’insieme delle loro proprietà. L’identificazione tradizionale tra queste due figure divine è rielaborata da Proclo in chiave metafisico-teologica soprattutto in riferimento all’analogia solare nel VI libro della Repubblica e delle diverse etimologie di “Apollo” esposte nel Cratilo188. Proclo comunque individua un’unica proprietà d’insieme che riunifica le diverse prerogative del dio: essa consiste nel riunire ciò che è molteplice in una forma di unità complessiva, dalla quale i molti risultano così procedere in modo ordinato e armonica. E questo è certamente un segno distintivo del carattere specifico di Apollo, cioè riunire insieme le molteplicità in un’unità, comprendere il numero in un’unità e far procedere da un’unità i molti, attraverso la semplicità intellettiva far convergere verso se stesso tutta la varietà degli esseri di livello inferiore, e con un’unica forma di realtà unificare in un’unità le essenze e le potenze multiformi189.

Proprio in riferimento al carattere intrinsecamente unitario e apportatore di unità di Apollo è ricondotta da Proclo anche la sua connessione con il Sole190.

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4. La triade degli dèi “incontaminati” custodi: i “Coribanti” In accordo con la tradizione orfica e sulla base di alcuni accenni presenti in particolare in un passo delle Leggi e in uno dell’Eutidemo191, Proclo individua anche nell’ordinamento ipercosmico un livello divino che ha la funzione di custodire nella loro natura “incontaminata” e pura le diverse divinità appartenenti a tale ordinamento. Si tratta della triade divina costituita dai Coribanti: essi, secondo la tradizione, erano i sacerdoti, considerati anche come divinità minori, preposti al culto iniziatico di Rea/Cibele. Proclo li introduce nella dimensione ipercosmica in modo da costruire un collegamento armonico tra questa e quella intellettiva, ove i Cureti, come si è visto, vegliano sulla trascendenza di Rea e Zeus, custodendola nella sua incontaminata purezza. Rispetto alla sostanziale unità di quello dei Cureti intellettivi, il livello dei Coribanti è connotato, come afferma esplicitamente Proclo, da divisione e varietà192. Essi, in particolare, custodiscono la seconda triade ipercosmica, identificata nel suo insieme, come si è detto, con Core: in virtù della custodia dei Coribanti le dee di questa triade sono custodite nella loro immutabilità e permanenza, pur essendo principi di generazione e origine delle processioni delle entità appartenenti ai livelli successivi rispetto a quello ipercosmico193. Ai Coribanti viene così ricondotta la purezza incontaminata che caratterizza nel suo insieme l’intera dimensione ipercosmica.

2. Il carattere intermedio dell’ordinamento ipercosmico-encosmico: ruolo e funzione degli dèi “non-vincolati” Anche tra l’ordinamento ipercosmico e quello encosmico, cioè quello delle divinità che fanno parte del cosmo sensibile stesso, Proclo pone un livello intermedio che viene definito come ipercosmico-encosmico. Gli dèi di quest’ordinamento fungono da intermediari fra due livelli di realtà caratterizzati da un diverso grado di determinazione e particolarità: quello degli gli dèi ipercosmici, che, essendo posti a un livello immediatamente superiore rispetto alla totalità del cosmo sensibile, governano in modo differenziato l’universo, ma non sono direttamente in contatto con gli esseri che ne fanno parte, e quello

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delle divinità encosmiche, presenti nell’universo sensibile e in diretto contatto con gli esseri particolari che lo costituiscono. Di conseguenza l’ordinamento ipercosmico-encosmico ha la funzione, nello stesso tempo, di mantenere separati e distinti gli dèi ipercosmici da quelli encosmici e di fare da tramite tra queste dimensioni divine. Proprio in base a questo ruolo di intermediazione si delinea la natura specifica degli dèi ipercosmici-encosmici: essi sono con la loro sommità direttamente connessi alle divinità ipercosmiche, mentre con il loro grado più basso sono vicini alla molteplicità particolare propria delle divinità encosmiche e degli esseri sensibili. Infatti, per dirla in breve, essendo intermedi tra gli dèi ipercosmici e gli dèi encosmici, essi comunicano in certo modo con entrambi questi ordinamenti e possiedono una comunione indissolubile con entrambi, e in base al loro ordinamento sono a un tempo en­ cosmici e ipercosmici, essendo unificati dall’alto dagli sovrani principali, mentre dal basso sono fatti procedere nella molteplicità dagli “dèi giovani”, come dice Timeo194.

In base alla concezione teologica procliana, gli “dèi giovani” di cui si parla nel Timeo corrispondono agli dèi encosmici. Quindi gli dèi ipercosmici-encosmici, per quanto siano collegati anche con le divinità encosmiche in modo tale da procedere verso la molteplicità delle entità particolari, non sono comunque direttamente in contatto con la dimensione sensibile, bensì sono rispetto a questa separati: proprio in considerazione di ciò essi vengono definiti da Proclo, anche come dèi “non-vincolati” (ajpoluvtoi), nel senso appunto che non sono legati e in diretta relazione con gli esseri sensibili; gli dèi ipercosmici-encosmici hanno piuttosto il compito di governare e dirigere specifici raggruppamenti di divinità encosmiche: in questo modo essi, in modo indiretto, si prendono anche provvidenzialmente cura di esseri sensibili195. Proprio in considerazione della sua natura intermedia tra il livello ipercosmico e quello encosmico, l’ordinamento divino ipercosmico-encosmico risulta meno differenziato rispetto alla

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dimensione encosmica e al contempo in misura maggiore molteplice rispetto a quella ipercosmica: [scil. gli dèi ipercosmici-encosmici] rispetto agli uni, cioè agli dèi inferiori, sono più unificati, mentre sono più pluralizzati rispetto agli altri196.

In conseguenza del maggiore livello di determinatezza e molteplicità che caratterizza gli dèi ipercosmici-encosmici, Proclo, rifacendosi a un noto passo del Fedro197, ove si fa riferimento a un gruppo formato da dodici divinità, attribuisce a essi una forma di pluralità che è contraddistinta dalla “dodecade”, vale a dire dal numero dodici. Dei dodici dèi dell’ordinamento ipercosmico-encosmico Proclo tratta in particolare nei capp. 18-22 del libro VI. Qui egli mostra come questi dodici dèi siano raggruppabili in quattro principali triadi divine e come ciascuno di essi sia identificabile con uno specifico dio olimpico: 1) Zeus, Poseidone ed Efesto formano la prima triade ipercosmica-encosmica, considerata anche come “triade demiurgica” del livello ipercosmico-encosmico, corrispondente in modo analogico alla triade demiurgica dell’ordinamento ipercosmico; 2) la seconda triade, che in base alla sua funzione è denominata “guardiana e immutabile”, è formata da Estia, Atena e Ares; 3) la terza triade, definita “generatrice di vita”, analogamente a quella ipercosmica “Corica”, è formata da Demetra, Era e Artemide; 4) la quarta e ultima triade, denominata “elevatrice”, è composta da Ermes, Afrodite e Apollo, divinità che conclude l’intero ordinamento degli dèi ipercosmici-encosmici. Come appare evidente sulla base di questa suddivisione, le quattro triadi ipercosmiche-encosmiche, anche se non si succedono secondo lo stesso ordine delle corrispondenti quattro triadi ipercosmiche, hanno funzioni sostanzialmente simili. Del resto l’intera dimensione ipercosmica-encosmica è in stretta connessione con quella puramente ipercosmica. Proclo ribadisce a più riprese come il ruolo fondamentale degli dèi ipercosmici-encosmici sia connotato proprio dalla loro natura intermedia: essi unificano gli dèi encosmici e al con-

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tempo rendono più pluralizzata e determinata l’azione degli dèi ipercosmici […] in quanto [scil. gli dèi ipercosmici-encosmici] fanno volgere gli dèi encosmici verso i principi trascendenti, mentre a loro volta incitano gli dèi posti al di sopra del cosmo a generare e a prendersi provvidenzialmente cura degli esseri sensibili, e salvaguardano in modo immutabile in se stessi la forma intermedia del loro dominio198.

In questo modo gli dèi ipercosmici-encosmici espletano perfettamente la funzione che Proclo attribuisce a tutte le divinità appartenenti a un livello intermedio, cioè quella di congiungere ciò che è superiore a ciò che inferiore, dando così al molteplice una struttura complessivamente armonica e unitaria.

3. La molteplicità degli dèi encosmici e la gerarchia degli esseri del cosmo sensibile Come si è detto, stando al testo della Teologia Platonica che ci è pervenuto, in esso non è dedicata alcuna trattazione specifica e organica agli dèi puramente e semplicemente encosmici, che pure rivestono un ruolo fondamentale in rapporto ai viventi considerati nella loro particolarità. Si tratta, in effetti, secondo la prospettiva tardo-neoplatonica di Proclo, di quelle divinità che più delle altre, attraverso le pratiche teurgiche e i riti a esse connessi, possono essere indotte e invogliate a manifestarsi, in diverse forme e modalità, agli esseri umani. Le divinità encosmiche presiedono direttamente alle singole entità sensibili e rappresentano, quindi, l’ultimo livello di determinazione, differenziazione e pluralizzazione della realtà divina considerata nella sua totalità. Per cercare di comprendere dai brevi e frammentari accenni presenti nella Teologia Platonica alla natura dell’ordinamento encosmico, è opportuno, a titolo di esempio, osservare che Proclo, oltre allo Zeus-Demiurgo intellettivo e allo Zeus ipercosmico, accenna a uno Zeus encosmico distinto rispetto a quelli dei livelli superiori199. Lo stesso vale anche per altre

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divinità dei livelli superiori che hanno un corrispettivo anche all’interno della dimensione encosmica, come il dio Helios, la dea Core e la triade delle Moire, che, in base alla concezione metafisico-teologica procliana, è posta a livello originario nella dimensione ipercosmica200. Proclo, inoltre, afferma esplicitamente che gli dèi encosmici sono suddivisi in tre fondamentali raggruppamenti201 che certamente corrispondono agli originari ambiti di dominio propri dei tre demiurghi ipercosmici, ossia celeste, marino e ctonio. Se si considera che nell’ambito encosmico sono presenti divinità che costituiscono la manifestazione a livello encosmico di dèi appartenenti a livelli superiori e congiuntamente a queste divinità ve ne sono appartenenti specificamente all’ordinamento encosmico, si comprende come il cosmo sensibile risulti in tutti i suoi diversi ambiti “ricolmo” e anche “traboccante” di dèi e entità divine. In quanto maggiormente differenziati e particolarizzati per via della loro connessione con il cosmo sensibile, gli dèi encosmici sono assiologicamente inferiori a tutti gli altri ordinamenti divini. Agli dèi encosmici, infatti, sono sottoposte entità “semidivine”, ossia angeli, demoni ed eroi, e, a loro volta, particolari entità demoniche sono in grado di operare sulle singole anime individuali. D’altra parte tutte le entità demoniche e tutte le anime particolari sono nel loro insieme sottoposte agli dèi encosmici202. Gli dèi encosmici, inoltre, governano su di noi e sono nostri protettori203. La totalità del cosmo sensibile risulta così governata nei suoi diversi livelli da particolari ordinamenti di entità divine gerarchicamente strutturate e ordinate: tutti quanti gli dèi, in effetti, sono sovrani e reggitori nell’universo, e a danzare intorno a loro ci sono molti ordini di angeli, molte serie di demoni, molte schiere di eroi, gran masse di anime, multiformi generi di viventi mortali, ed infine variegate tipologie di piante204.

Nella prospettiva metafisico-teologica di Proclo, il divino, così, pervade ogni ambito del reale e si delinea come il fondamento e il garante sommo dell’unità armonica che governa sul Tutto nelle sue differenziate e molteplici articolazioni.

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VIII. La prospettiva teologica di Proclo come soluzione al problema della natura uni-molteplice del reale 1. La divinizzazione dell’essere e il carattere problematico della sua uni-molteplicità Fin dal I libro della Teologia Platonica, Proclo sottolinea la natura divina della totalità dell’essere a partire dal suo livello sommitale, ossia l’Uno-che-è. A partire da esso l’elemento divino si diffonde all’interno della totalità del reale permeandola integralmente. Che altro è infatti l’Uno che è partecipato dall’essere se non l’elemento divino insito in ogni realtà, in base al quale ogni realtà risulta al contempo unificata all’Uno impartecipabile?205

Dunque, la divinizzazione originaria dell’essere, nella prospettiva metafisico-teologica procliana, porta con sé la conseguenziale divinizzazione complessiva del Tutto e costituisce al contempo il collegamento essenziale tra quest’ultimo e la sua Origine assolutamente trascendente, l’Uno, Primo Principio e Primo Dio. L’essere, a sua volta, costituisce al contempo la fonte di ogni forma di molteplicità, in quanto tutto ciò che esiste deve comunque derivare dall’essere. Perciò, secondo una prospettiva comune a tutta la tradizione neoplatonica a partire dallo stesso Plotino, la realtà intelligibile nel suo insieme, di cui l’essere è, per così dire, l’elemento costitutivo, deve possedere originariamente il carattere dell’uni-molteplicità. La problematica natura di questa uni-molteplicità si manifesta in modo evidente nella complessa concezione procliana della realtà intelligibile. In essa l’unità deve preesistere alla molteplicità degli enti autentici e delle Forme intelligibili: l’Uno-che-è, come sommità della dimensione intelligibile, ha proprio la funzione di garantire l’unità originaria di tale dimensio-

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ne. Esso preesiste a ogni forma di distinzione, differenziazione e determinazione ontologica. Tuttavia l’Uno-che-è, in considerazione della sua stessa natura, di necessità implica in se stesso una “primissima” forma di differenziazione: quella che, come si è detto in precedenza, intercorre fra uno ed essere. Appare allora evidente come anche la natura stessa dell’Uno-che-è si riveli intrinsecamente problematica: a essa va ricondotto il sistematico riferimento da parte di Proclo al carattere “celatamente” (krufivw~) molteplice dell’Uno-che-è206. Del resto, come è esplicitamente affermato nel libro I, Proclo ritiene un assunto indiscutibile il fatto che l’essere sia molteplice e differenziato: infatti la natura dell’essere non è unica, semplice e indivisibile207.

L’Uno-che-è, così, sembra posto in una dimensione intermedia, una specie di limbo, tra unità e molteplicità: esso è uno, ma al contempo implica in sé molteplicità, risultando, comunque, intrinsecamente determinato rispetto all’assoluta semplicità dell’Uno-in-sé. Ciò appare chiaro sulla base di quanto Proclo, ancora nel libro I, afferma a proposito dell’assoluta differenza che separa l’Uno dall’Uno-che-è: non bisogna assolutamente accostare in modo diretto all’Uno che è al di là di tutti gli enti tutta la molteplicità complessiva dell’Uno-che-è […]208.

Emerge a questo punto in tutta la sua evidenza il problema fondamentale che caratterizza la riflessione neoplatonica procliana sulla natura dell’essere e della realtà intelligibile nel suo complesso: essi devono risultare unitari, altrimenti il Tutto finirebbe per disgregarsi in un’indistinta pluralità e frammentazione, e al contempo devono implicare in se stessi la molteplicità, altrimenti non si spiegherebbe la molteplicità che contraddistingue l’insieme del reale nelle sue diverse articolazioni. Proprio il presupposto della natura molteplice dell’essere sembra comportare e implicare sul piano teoretico l’esigenza di un fondamento meta-ontologico, ossia trascendente rispetto all’essere stesso, che sia garante dell’unità dell’essere. Per la sua assoluta originarietà e trascendenza, tale fondamento e princi-

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pio al di là di tutti gli enti risulta perfettamente coincidente con la nozione stessa di “Dio Primo”, dal quale deriva e dipende la totalità di ciò che esiste. Si tratta del problematico passaggio dall’Uno originario e assolutamente semplice alla uni-molteplicità dell’essere dalla quale derivano tutti i livelli della realtà, connotati da una molteplicità progressivamente sempre maggiore e più differenziata. La domanda centrale alla quale gran parte della tradizione neoplatonica tenta di dare una risposta è dunque la seguente: come può derivare una qualche forma di molteplicità da ciò che è al di sopra di ogni possibile differenziazione e determinazione specifica? Proprio tale interrogativo, sin da principio sempre presente sullo sfondo dell’intera speculazione neoplatonica, ha profondamente condizionato e indirizzato gran parte degli sviluppi teoretici di quest’ultima. La Teologia Platonica stessa può essere di fatto considerata come l’estremo e più ambizioso tentativo in ambito neoplatonico di risolvere in chiave teologica il problema del passaggio dal Principio Primo alla uni-molteplicità di tutto il reale. Come si è visto anche in precedenza, è nel tentativo di rendere il più possibile unitaria e coerente la struttura intrinsecamente molteplice del Tutto, che Proclo, nel passare da un ordinamento divino a un altro, introduce una serie – spesso più complicata che complessa – di principi e di livelli intermedi, la cui funzione è di fatto quella di creare una mediazione e un graduale passaggio fra piani di realtà caratterizzati da un livello via via maggiore di determinazione e molteplicità. Sicché all’interno di ciascun ordinamento divino del reale Proclo individua livelli intermedi e strutture triadiche che fungono di volta in volta da mediatori tra forme di molteplicità sempre più differenziate e caratterizzate da un numero sempre maggiore di componenti. Questa proliferazione di livelli divini intermedi si delinea, fuor di ogni dubbio, come una specie di ossessione per Proclo209. Illuminante appare in questo senso un passo del III libro del Commento al Timeo210. In esso Proclo sottolinea come non sia possibile passare direttamente, senza alcuna intermediazione, dall’Uno-Bene, per definizione assolutamente privo di molteplicità, alla variegata molteplicità di tutto l’ordinamento intelligibile nel suo insieme. Si deve invece ritenere che vi siano

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specifici livelli intermedi di entità più unificate rispetto alla perfetta molteplicità intelligibile. Tali entità risultano in se stesse gravide della molteplicità propria della totalità del reale, ma al contempo mostrano in se stesse il riflesso dell’intrinseca continuità e connessione che pervade tutti i diversi livelli del reale nelle sue diverse articolazioni. La proliferazione di entità e ordinamenti divini intermedi può a tutti gli effetti venire considerata come una conseguenza, più o meno diretta, della natura uni-molteplice dell’essere e della realtà intelligibile nel suo insieme. Del resto essa stessa, come si è visto, risulta al suo interno strutturata in tre triadi che implicano livelli progressivamente sempre più determinati e quindi gravidi di molteplicità.

2. La soluzione procliana al problema dell’uni-molteplicità dell’essere e del Tutto: l’“onto-teologia del molteplice” La divinizzazione della realtà intelligibile conduce Proclo a quella che si può considerare a tutti gli effetti come un’onto-teologia, ossia una concezione teologica e teologizzata dell’essere e dei suoi differenti livelli. In ultima istanza, è proprio il carattere divino dell’essere e delle sue diverse articolazioni a garantire la sua unità d’insieme. Allo stesso modo, la totalità del reale, essendo costituita da una pluralità di livelli divini gerarchicamente ordinati fra loro, è caratterizzata da un’unità complessiva, coerente e perfettamente armonica211. Entro tale prospettiva, la divinizzazione dell’intelligibile si configura, infatti, come l’origine del dispiegarsi di tutti quanti gli ordinamenti divini che, pur nella loro pluralità, garantiscono l’unità complessiva e a sua volta “divina” del Tutto. La delineazione di quest’unità divina che pervade la totalità del reale è certamente uno degli obiettivi fondamentali della Teologia Platonica. Attraverso l’elaborazione dell’“onto-teologia del molteplice”, che consente di estendere l’uni-molteplicità dell’essere a ogni ambito del reale, Proclo trova una risposta al problema del passaggio graduale dall’assoluta semplicità e trascendenza del Primo Dio all’uni-molteplicità, perfettamente ordinata e armonica, del Tutto.

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Assai significativo a tale proposito appare quanto Proclo afferma in un passo del VI libro della Teologia Platonica per descrivere l’unità di insieme che caratterizza il reale nella sua molteplicità: un’unica catena e al contempo un ordine indissolubile si estendono a partire dall’alto in virtù della Bontà insuperabile della primissima Causa e della sua forza unitaria212.

Per il tramite di quella che abbiamo definito “onto-teologia del molteplice”, la struttura unitaria della realtà risulta ricondotta originariamente all’Uno-Bene, il Primo Dio, causa assolutamente originaria della totalità degli enti e dell’unità divina del Tutto. È alla luce di tale concezione, in ultima analisi, che va considerato anche il fondamentale ruolo che la teurgia assume in Proclo: ciò che collega reciprocamente, in modo “simpatetico”, i vari ambiti del reale, consentendo di entrare direttamente in contatto con le diverse entità divine che popolano la totalità del cosmo, è proprio la comune origine divina che li contraddistingue. Alla divinizzazione dell’intelligibile, nella prospettiva neoplatonica procliana, corrisponde la completa onto-teologizzazione del reale. Attraverso essa il problema dell’unità del molteplice appare in qualche modo superato alla luce del concetto di gerarchia divina su cui poggia gran parte dell’impianto filosofico-teoretico di tutta Teologia Platonica.

3. Dall’assoluta trascendenza dell’Uno all’onto-teologia della molteplicità: un passaggio fondamentale nella concezione procliana del divino È indubbio che in Proclo la riflessione sulla natura assolutamente trascendente dell’Uno e sul suo ruolo di fondamento originario di tutta la realtà implichi il superamento di una prospettiva di natura puramente ontologica: l’Uno e non l’essere è il fondamento autentico di tutte le cose e, in quanto tale, esso le trascende tutte quante nella stessa misura. Tuttavia

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la piena e totale comprensione delle strutture di ordine che, in base alla concezione procliana, devono permeare la totalità del reale, richiede il passaggio dal radicale apofatismo relativo alla natura del Principio a una prospettiva di natura onto-teologica, conseguente alla divinizzazione dell’intelligibile. In Proclo, così, l’onto-teologia si profila come lo strumento privilegiato per distinguere e tracciare i confini dei molteplici ordinamenti divini che nel loro insieme garantiscono l’unità armonica del Tutto. La teologizzazione complessiva del reale, che dipende dall’assoluta originarietà del Primo Dio e che garantisce l’unità complessiva e divina del Tutto nelle sue molteplici articolazioni, ha il suo fondamento teoretico nella divinizzazione complessiva dell’essere. Tale concezione, a sua volta, conduce Proclo all’elaborazione di un’articolata onto-teologia del molteplice attraverso la quale tutta la realtà si manifesta in ogni suo livello permeata dal divino: esso, in ultima istanza, rappresenta il fondamentale “collante” che mantiene unito e armonico il Tutto pur nella sua costitutiva molteplicità. In questo modo la carica dirompente insita nel concetto di molteplicità è disinnescata: essa appare invece come la manifestazione più evidente dell’assoluta sovrabbondanza dell’Uno-Bene.

Note all’Introduzione 1 Marino fu allievo di Proclo e succedette alla morte di quest’ultimo (485 d.C.) nella direzione della Scuola di Atene. La Vita di Proclo è un’orazione celebrativa in memoria del maestro. L’edizione di riferimento è quella curata da Saffrey e Segonds: Marinus, Proclus ou Sur le bonheur. Texte établi, traduit et annoté par Henri Dominique Saffrey et Alain-Philippe Segonds, avec la collaboration de Concetta Luna, Les Belles Lettres, Paris, 2001. Per una traduzione italiana di questo testo si veda il volume: Proclo Licio Diadoco: I manuali (‘Elementi di Fisica’, ‘Elementi di Teologia’). I testi magico-teurgici. Marino di Neapoli: Vita di Proclo, Traduzione, prefazioni, note e indici di C. Faraggiana di Sarzana. Saggio introduttivo di G. Reale, Milano, Rusconi, 19992. Un’altra traduzione in lingua italiana, con testo critico e ampio commento, è quella a cura di R. Masullo, Marino di Neapoli, Vita di Proclo. Testo critico, introduzione, traduzione e commento, M. D’Auria, Napoli, 1985. 2 Si tenga presente che l’indicativo titolo con cui è stata tramandata quest’opera di Marino è: Proclo o della beatitudine (Provklo~ h] peri; euj­ daimoniva~). 3 Cfr. Marino, Vita di Proclo, cap. 8. 4 Cfr. ibid., cap. 6 e cap. 9. 5 Cfr. ibid. cap. 13. 6 Sui commentari di Proclo a noi pervenuti rinvio al mio saggio introduttivo Proclo interprete della Repubblica, nel volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica. Dissertazioni I-V, VII-XII, XIV-XV, XVII. Saggio introduttivo, traduzione e commento, Bompiani, Milano, 2004, pp. xxvi-xxx. 7 Cfr. ibid. cap. 22, 17-29. 8 Cfr. ibid., cap. 15. 9 Cfr. ibid., cap. 10. Sul significato emblematico dell’episodio dell’Acropoli raccontato da Marino si veda G. Real, Proclo, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 103 seg. 10 Per comprendere la centralità della teurgia nella prospettiva filosofico-teologica procliana è sufficiente rinviare a quanto Proclo scrive nella Teologia Platonica [d’ora in poi TP], libro I, cap. 25, p. 113.7-8 (ed. Saffrey-Westerink), ove si afferma esplicitamente che la potenza teurgica (qeur­gikh; duvnami~) è superiore a ogni forma di saggezza umana e di scienza (h} kreivttwn ejsti;n aJpavsh~ ajnqrwpivnh~ swfrosuvnh~ kai; ejpisthv­mh~).

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Cfr. Vita di Proclo, cap. 19. Cfr. Teeteto 176b1. 13 Cfr. ibid., cap. 23. 14 Cfr. ibid., cap. 28, ove viene fornita anche una breve descrizione di questi rituali e si afferma inoltre che Proclo ebbe visioni di dèi e proferì egli stesso versi profetici in sogno o in stato di trance. 15 Cfr. ibid., cap. 29. 16 Cfr. ibid., cap. 26. 17 Cfr. ibid., cap. 37. 18 L’edizione di riferimento della Teologia Platonica è quella in sei volumi curata da H.D. Saffrey - L.G. Westerink: Théologie platonicienne. Texte établi et traduit, 6 voll., Les Belles Lettres, Paris 1968, 1974, 1978, 1981, 1987, 1997. Sul significato e la valenza complessiva della riflessione metafisico-teologica procliana, si veda la prefazione di W. Beierwaltes al presente volume. 19 Sul rapporto fra “scuola” e “filosofia” in età imperiale si veda P.L. Donini, Le scuole l’anima l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Rosemberg & Sellier, Torino, 1982 (rist. 1993), in particolare pp. 31-69. 20 Per comprendere esattamente in che senso si debba intendere l’aggettivo “sistematico” in relazione al pensiero metafisico-teologico procliano si veda W. Beierwaltes, Proklos, ein “systematischer” Philosoph?, saggio ora contenuto, con qualche modifica rispetto alla prima versione (1987), nel volume dello stesso autore: Procliana. Spätantikes Denken und seine Spuren, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 2007, pp. 65-84. 21 Per un quadro d’insieme delle diverse interpretazioni del Parmenide si veda l’introduzione, dal titolo L’enigma del Parmenide, alla traduzione di questo dialogo a cura di F. Ferrari, Platone. Parmenide, BUR, Milano, 2004, pp. 9-161. Si veda inoltre F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Laterza, Roma-Bari, 1998. 22 Sull’identificazione del Bene con l’Uno nell’ambito del Neoplatonismo si può vedere C. Steel, The One and the Good: Some Reflections on a Neoplatonic Identification, in: A. Vanderjagt –D. Pätzold (a cura di), The Neoplatonic Tradition: Jewish, Christian and Islamic Themes, Dinter, Köln, 1991, pp. 9-25. 23 Per quanto riguarda l’interpretazione neoplatonica dell’idea del Bene e della metafora solare nel VI libro della Repubblica, rinvio al mio studio Il Bene nell’interpretazione di Plotino e di Proclo, in M. Vegetti (a cura di), Platone. La Repubblica, vol. V, Bibliopolis, Napoli, 2003, pp. 625-678. Per quanto riguarda specificamente l’interpretazione procliana del Bene si veda: W. Beierwaltes, Proklos’ Begriff des Guten aus der Perspektive seiner Platon-Deutung, ora nel volume dello stesso autore, 11 12

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 11-31

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Procliana, op. cit., pp. 85-108. Sullo stesso tema rinvio anche al mio saggio L’interpretazione del Bene nella Dissertazione XI del Commento alla Repubblica di Proclo, in: The Ascent to Good, ed. by F.L. Lisi, Academia Verlag, Sankt Augustin, 2007, pp. 241-249. 24 Cfr. Platone, Parmenide 135c-142a. 25 Cfr. Proclo, Commento alla Repubblica [d’ora in poi In Rem.], I, p. 287,17 (ed. Kroll): to; a[ra ajgaqovn ejstin oJ prw`to~ kata; Plavtwna qeov~. Per la traduzione e l’interpretazione di questo testo rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento alla ‘Repubblica’ di Platone, Bompiani, Milano, 2004. Sull’interpretazione procliana del Bene nella dissertazione XI, cfr. nel volume sopra citato in particolare pp. CIII-CXIV. 26 Cfr. Proclo, Commento al Parmenide [d’ora in poi In Parm.], ed. Steel (=C. Steel: Procli in Platonis Parmenidem commentaria, voll. I-III, Oxford, 2007-2009. tutti i passi tratti dal Commento al Parmenide sono citati sulla base di tale edizione), vol. I, p. 28, 6 segg.: Eij ga;r qeo;~ kai; e}n tauj­ to;n, diovti mhvte qeou` ti krei`ttovn ejsti mhvte eJno;~, to; hJnw`sqai tw`/ teqew`­ sqai taujtovn. Quasi contemporaneamente al primo volume dell’edizione di Steel è apparso anche il primo volume di quella curata da A. Segonds† e C. Luna: Les Belles Lettres, Paris, 2007. Quest’ultima edizione a oggi è giunta al VI volume che comprende il libro VI del Commento al Parmenide di Proclo (vol. I: 2007 ; vol. II: 2010 ; vol. III: 2011 ; vol. IV: 2013 ; vol. V: 2014; vol. VI: 2017). 27 Sull’identificazione dell’Uno-in-sé (to; aujtoe;n), ovvero il Primo Principio, con Dio, o meglio con il Dio-in-sé (aujtoqeov~), cfr. Proclo, In Parm. 1096, 20-23 (ed. Steel). 28 Sulla struttura triadica della metafisica di Proclo ancora fondamentale è lo studio di W. Beierwaltes, Proclo. I fondamenti della sua metafisica, (ediz. orig. 1965; 19792) trad. it. Vita e Pensiero, Milano, 19902. 29 W. Beierwaltes nel saggio dal titolo Geist: Einheit im Unterschied, contenuto nel volume dello stesso autore Procliana. Spätantikes Denken und seine Spuren, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 2007, pp. 109-126, sottolinea, ad esempio, la quasi maniacale (cfr. ibid. p. 110) tendenza da parte di Proclo a differenziare tra loro, disponendoli secondo una complessa e articolata struttura gerarchica, i livelli che costituiscono la dimensione intelligibile nel suo insieme. 30 In base all’edizione, citata in precedenza, di Saffrey-Westerink per la casa editrice “Les Belles Lettres” il primo libro consta di 125 pagine, il secondo di 73, il terzo di 102, il quarto di 113, il quinto (il più lungo e articolato) di 143 e infine il sesto di 114, per un totale di 670 pagine. 31 I kephálaia ricoprono un ruolo fondamentale anche all’interno sistema esegetico seguito dagli autori neoplatonici nei loro commentari. Per il significato filosofico dei kephálaia nel commento di un’opera rinvio al mio

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saggio Proclo interprete della ‘Repubblica’ contenuto nel volume: Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., pp. LXIV-LXX. 32 In realtà la Teologia Platonica, in base al testo a noi pervenuto, non arriva a una trattazione sistematica e specifica delle entità divine che popolano il cosmo sensibile, ossia delle divinità “encosmiche”. Il VI e ultimo libro del capolavoro procliano, infatti, si conclude con la trattazione dell’ordinamento divino che sta immediatamente al di sopra di quello encosmico, ossia delle divinità, ad un tempo, ipercosmiche-encosmiche. 33 Su ciò cfr. TP I, in particolare i capp. 1-4. 34 Su tutto ciò cfr. TP I, cap. 5, p. 24.12 segg. 35 Su ciò cfr. TP I, capp. 13-21. 36 TP I, cap. 7, p. 31.22-25 segg.: Kai; pavnta, wJ~ sunelovnti favnai, ta; th`~ qeologikh`~ ejpisthvmh~ ajxiwvmata televw~ ejntau`qa katafaivnetai kai; tw`n qeivwn oiJ diavkosmoi pavnte~ sunecw`~ uJfistavmenoi deivknuntai. È opportuno sottolineare come in questo passo Proclo parli di una vera e propria qeologikh; ejpisthvmh, vale a dire di una “scienza teologica”, i cui ajxiwvmata (i “principi basilari e fondamentali”) sono contenuti nel Parmenide di Platone. 37 TP II, cap. 5, p. 37.24-25: kai; dia; tou`to oujdevn [scil. to; e{n] ejsti tw`n pavntwn, o{ti pavnta ajp∆ aujtou` proelhvluqen. Proclo continua dicendo che l’Uno «è infatti principio di tutte le cose, sia di quelle che sono sia di quelle che non sono» (cfr. ibid. pp. 37.25-38.1: ajrch; gavr ejsti tw`n pavntwn, kai; tw`n o[ntwn oJmou` kai; tw`n mh; o[ntwn). Il Principio Primo è l’autentica e unica origine sia di ciò che fa parte dell’essere sia di ciò che è altro rispetto all’essere. 38 Sull’assoluta trascendenza dell’Uno si ritornerà più avanti, nel cap. V del presente saggio. 39 Cfr. TP III, cap. 3, p. 13.4-5: Pro; tw`n o[ntwn a[ra ta;~ eJnavda~ tw`n o[ntwn uJfivsthsi to; e{n. 40 Su ciò cfr. ad esempio, ibid. p. 13.16-18, ove Proclo parla ancora di enadi degli enti. 41 Sul fatto che le enadi sono partecipate e partecipabili si veda quanto Proclo afferma in TP III, cap. 4. 42 Su ciò cfr. TP III, cap. 27, p. 95.11-14: jAlla; mh;n kai; th;n trivthn triavda tw`n nohtw`n ejn Timaivw/ me;n aujtozw`/on kai; nohto;n kai; pantevleion ejponomavzei [scil. Platone] kai; monogenev~, ejn de; tw`/ Parmenivdh/ plh`qo~ a[peiron k.t.l. 43 TP III, cap. 28, p. 101.16-21: Eijkovtw~ a[ra tou;~ nohtou;~ qeou;~ levgomen th;n a[rrhton ejkfaivnein tw`n pavntwn ajrch;n kai; th;n qaumasth;n ejkeivnh~ uJperoch;n kai; th;n e{nwsin, krufivw~ me;n kai; aujtou;~ uJpostavnta~, monoeidw`~ de; ta; plhvqh kai; eJniaivw~ perievconta~, ejxh/rhmevnw~ de; basi­ leuvonta~ tw`n o{lwn kai; ajsuntavktou~ o[nta~ pro;~ a{panta~ tou;~ a[llou~

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qeouv~. Gli dèi intelligibili fanno trasparire attraverso se stessi la natura assolutamente trascendente e originaria del Principio, cioè dell’Uno-in-sé, in quanto in essi la molteplicità non è ancora compiutamente dispiegata, bensì è presente in modo celato/segreto (krufivw~), ovvero, per così dire, solo a livello potenziale. 44 TP IV, cap. 3, p. 14.1-6: ... [scil. gli dèi intelligibili-intellettivi] tw`/ me;n nohtw`/ dia; th`~ eJautw`n ajkrovthto~ sunavptonte~, tw`/ de; noerw`/ dia; th`~ teleuth`~, tw`/ de; mevsw/ sundevsmw/ tw`n a[krwn th;n sunamfotevran ejx i[sou lacovnte~ ijdiovthta kai; diateivnonte~ ejp∆ a[mfw, tav te nohta; kai; noera; gev­ nh tw`n qew`n, wJsperei; kevntrou tw`n dittw`n touvtwn diakovsmwn sunevconto~ th;n koinwnivan tw`n o{lwn eJnoeidw`~. 45 TP IV, cap. 27, p. 79.20-23: ÔH ga;r eJterovth~ aujth; prw`ton ejn th`/ tavxei tauvth/ profaivnetai, duvnami~ me;n ou\sa kai; dua;~ ejn toi`~ nohtoi`~, mhtrikh; de; kai; govnimo~ ejn touvtoi~ phghv. Dunque l’alterità/differenza (eJterovth~) negli intelligibili si delinea come potenziale e al contempo diadica, ovvero come una forma di differenza originaria e non ancora effettivamente dispiegata. Nella realtà intelligibile-intellettiva, invece, l’alterità/differenza va intesa come fonte materna e feconda (mhtrikh; de; kai; govnimo~ ... phghv) della molteplicità, la quale, secondo la prospettiva metafisico-teologica procliana, nell’ambito delle realtà trascendenti si manifesta propriamente in modo effettivo e pienamente dispiegato nell’ambito dell’ordinamento intellettivo. 46 Sul primissimo manifestarsi del numero nell’ambito della dimensione intelligibile-intellettiva cfr. TP IV, cap. 28, p. 82.12 segg. 47 TP V, cap. 1, p. 6.1-10: To; dh; meta; tou`to trivthn a[llhn diakovsmh­ sin qew`n th;n noera;n ajpokaloumevnhn qewrhvswmen, sunech` me;n tai`~ pro;~ aujth`~, sumperaivnousan de; ta;~ o{la~ proovdou~ tw`n qeivwn kai; ejpistrev­fousan eij~ th;n ajrch;n kai; kuvklon e{na tw`n prwtourgw`n kai; pantelw`n diakovsmwn ajpotelou`san. Come appare evidente dal termine proovdou~ (acc. plur. del sostantivo provodo~) e dal participio ejpi­ strevfousan (acc. sing. femm. riferito a diakovsmhsin... th;n noeravn), in questo passo Proclo, per esplicitare la natura dell’ordinamento intellettivo, fa riferimento ai momenti della provodo~ (“processione”) e della ejpistrofhv (“conversione”). 48 Sul ruolo fontale di Rea cfr. TP V, cap. 11, p. 37.12 segg. Per quanto riguarda Zeus cfr. ibid., cap. 31, p. 115.9-10, ove si fa anche riferimento al carattere “fontale” del cratere nel quale, come afferma Platone nel Timeo, il Demiurgo ha mescolato le componenti che costituiscono l’Anima del cosmo. 49 TP V, cap. 17, p. 61.30 segg.: oJ de; tou` panto;~ dhmiourgo;~ tavxin kai; o{ron kai; diakovsmhsin ejpilavmpei kai; to; o{lon ajpergavzetai tw`n nohtw`n eijkovna dia; th`~ tw`n eijdw`n metadovsew~.

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50 In molte religioni (anche nell’ambito giudaico-cristiano) e in varie tradizioni cosmologico-misteriche il sette è considerato un numero sacro e magico. Proclo, per parte sua, conosceva, con ogni probabilità, l’opera nota con il titolo di Theologoumena Arithmeticae di Nicomaco di Gerasa (I-II sec. d.C), importante esponente della corrente di pensiero detta “neopitagorica”. In questo testo le divinità tradizionali vengono identificate da Nicomaco con particolari numeri secondo concezioni numerologiche riconducibili al pensiero pitagorico. Sulla riflessione matematico-filosofica di Nicomaco, anche in relazione alla tradizione platonica, si veda il già citato volume di D.J. O’Meara, Pythagoras Revived. Mathematics and Philosophy in Late Antiquity, Clarendon Press, Oxford, 1989, pp. 14-23. 51 Su ciò cfr. TP VI, in particolare cap. 8, p. 35.16 segg. 52 TP V, cap. 13, p. 43.18-21: Ou[t∆ ou\n ejn toi`~ uJperkosmivoi~ oJ tw`n o{lwn dhmiourgov~: merikoi; gavr eijs in ejkei` pavnte~, h] ta; o{la meristw`~ ejpitropeuvonte~ h] tw`n merw`n oJlikw`~ ta;~ poihvsei~ perievconte~. 53 In effetti, in Timeo 42d5-e4 si afferma che il Demiurgo affida agli “dèi giovani” – che Proclo identifica direttamente con gli dèi encosmici – il compito di plasmare i corpi mortali e le componenti in virtù delle quali l’anima risulta connessa ai corpi. Sul ruolo attribuito da Proclo agli dèi giovani si veda l’articolo di J. Opsomer, La démiurgie des jeunes Dieux selon Proclus, in «Les Études Classiques», 71 (2003), pp. 5-49. 54 TP VI, cap. 3, 14.18-25: ∆Enteu`qen dh; ou\n prwvtw~ kai; tw`n diafovrwn eijkovnwn aiJ tavxei~ uJfivstantai. Pa`sa ga;r eijkw;n kata; th;n tou` paradeivg­ mato~ ajfomoivwsin paravgetai, to; de; ajfomoiou`n ta; deuvtera toi`~ prwvtoi~ kai; di∆ oJmoiovthto~ sundei`n ta; pavnta toi`~ qeoi`~ ejsti touvtoi~ mavlista prosh`kon. Tiv ga;r a[llo kai; to;n kovsmon aujto;n kai; ta; tw/` kovsmw/ pavnta pro;~ ta; sfevtera paradeivgmata dunato;n ajfomoiou`n h] to; uJperkovsmion tou`to tw`n qew`n gevno~… 55 È ancora oggi oggetto di discussione se la Teologia Platonica ci sia pervenuta mutila di una parte finale, ovvero se, come pare più plausibile, Proclo nel libro VI abbia inteso trattare dell’ordinamento divino encosmico solo per cenni: in effetti tale ordinamento sembra avere all’interno della Teologia Platonica una parte marginale rispetto alla descrizione delle gerarchie divine che governano a livello originario e universale il Tutto; dell’ordinamento encosmico, del resto, Proclo ha trattato in altre opere e precisamente nei commentari al Timeo e al Cratilo. Comunque in base ai vari accenni agli dèi encosmici contenuti nel libro VI è possibile delineare almeno a grandi linee le concezioni procliane circa la natura degli esseri divini che fanno parte del cosmo e del mondo fenomenico. In considerazione di ciò, non si può considerare come prova del fatto che Proclo non abbia portato a compimento integramente il suo disegno

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 50-59

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quanto è affermato in TP I, cap. 2, p. 9, 15 segg., cioè che nell’ultima parte dell’opera «si discuterà degli dèi, sia di quelli ipercosmici sia di quelli encosmici, celebrati in modo cursorio negli scritti platonici, e si ricondurrà la speculazione su di essi ai generi universali degli ordinamenti divini» (ejn de; th`/ teleuth`/ peri; tw`n sporavdhn ejn toi`~ Platwnikoi`~ suggravmma­ sin uJmnhmevnwn qew`n ei[te uJperkosmivwn ei[te ejgkosmivwn dialegovmeno~, kai; ajnafevrwn eij~ ta; o{la gevnh tw`n qeivwn diakovsmwn th;n peri; aujtw`n qewrivan). In effetti nel libro VI Proclo, trattando degli dèi ipercosmici e degli dèi ipercosmici-encosmci, delinea, seppure non in modo dettagliato e sistematico, anche alcune delle prerogative specifiche degli dèi encosmici e delle altre entità di livello inferiore. Nell’assoluta certezza che la Teologia Platonica fosse a noi giunta mutila della parte finale, il noto platonista inglese Thomas Taylor (1758-1835), che propose la prima traduzione in lingua moderna del capolavoro procliano, cercò di dare una forma sistematica e una struttura organica a quanto Proclo scrisse sulle divinità poste nel cosmo nei suoi vari commentari; egli mise così insieme un settimo libro che aggiunse alla propria versione del testo procliano. Su ciò cfr. Th. Taylor, The six books of Proclus, the Platonic successor, on the Thoelogy of Plato, translated from the Greek; to which seventh book is added, in order to supply the deficency of an other book of this subjekt, which was written by Proclus, but since lost, vol. I, A.J. Valpy, London, 1816, p. LI: qui l’autore spiega brevemente le ragioni e i criteri che ha seguito nella “ricostruzione” di questo ipotetico VII libro. 56 TP VI, cap. 15, p. 73, 25-29: [...] ejpistrevfonte~ [scil. gli dèi che sono intermedi tra gli dei ipercosmici e quelli encosmici] me;n tou;~ ejg­ kosmivou~ ejpi; ta;~ ejxh/rhmevna~ ajrcav~, prokalouvmenoi de; tou;~ uJpe;r to;n kovsmon qeou;~ eij~ th;n ajpogevnnhsin kai; th;n provnoian tw`n aijsqhtw`n kai; to; mevson ei\do~ th`~ ejpistasiva~ ejn eJautoi`~ ajtrevptw~ diasw/vzonte~. 57 Alle anime universali Proclo fa solo alcuni brevi cenni nel testo della Teologia Platonica a noi pervenuto. Cfr. in particolare TP V, cap. 10, p. 35, 15-16, ove si afferma che le anime universali governano insieme a Zeus l’universo (to; pa`n). 58 Il termine greco a[ggelo~ indica propriamente, nella tradizione mitologica pagana, un entità che fa da intermediario tra le varie divinità e il mondo degli uomini. Nella tradizione monoteistica giudaico-cristiana assume il significato di “messaggero di Dio”, che è al contempo esecutore della volontà di quest’ultimo. Nel lessico pagano-neoplatonico tale termine si riferisce per lo più a quelle entità che fanno da intermediarie tra gli dèi connessi con il cosmo sensibile e gli esseri umani. 59 Su ciò si veda TP I, cap. 1, p. 6.16 segg. In questo passo Proclo parla degli «interpreti della suprema visione platonica» (touvtou~ dh; tou;~ th`~ Platwnikh`~ ejpopteiva~ ejxhghta;~).

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60 Amelio fu, con Porfirio, discepolo di Plotino e fu attivo nella seconda metà del III sec. d.C. Giamblico e Teodoro sono i principali rappresentati della così detta “scuola Siriaca” del IV sec. d.C. Per un breve quadro sullo sviluppo del platonismo tra III e IV sec. si veda M. Bonazzi, Il platonismo, Einaudi, Torino, 2015, pp. 114-119. 61 Cfr. TP I, cap. 1, p. 7.7-8, ove Proclo, in riferimento ai supremi interpreti della ejpopteiva, afferma che il suo maestro Siriano ha reso i propri discepoli sugcoreutaiv (ovvero lett., secondo il linguaggio misterico impiegato da Proclo, “compagni nella danza” iniziatica) della verità mistica/misterica concernente le entità divine (kai; dh; kai; th`~ peri; tw`n qeivwn mustikh`~ ajlhqeiva~ sugcoreuta;~ ajpevfhne). Sugli influssi esercitati da Siriano su Proclo si veda C. D’Ancona, La doctrine des principes: Syrianus comme source textuelle et doctrinale de Proclus. 1ère partie: histoire du problème, contenuto nel volume a cura di A.Ph. Segonds – C. Steel, Proclus et la Théologie Platonicienne, Leuven University Press/ Les Belles Lettres, Leuven-Paris, 2000, pp. 189-225; per la seconda parte del saggio si veda poi C. Luna, La doctrine des principes: Syrianus comme source textuelle et doctrinale de Proclus. 2e partie: analyse des textes, pp. 227-278. 62 Come si è detto, “angeli” e “demoni” fungono da intermediari tra gli dèi e gli uomini. 63 TP I, cap. 1, p. 7.11-21: Eij de; dei` mh; movnon aujtou;~ eijlhfevnai par∆ a[llwn to; th`~ Platwnikh`~ filosofiva~ ejxaivreton ajgaqo;n ajlla; kai; toi`~ u{steron ejsomevnoi~ uJpomnhvmata kataleivpein tw`n makarivwn qeamavtwn, […] tavc∆ a]n eijkovtw~ aujtou;~ tou;~ qeou;~ parakaloi`men to; th`~ ajlhqeiva~ fw`~ ajnavptein hJmw`n tai`~ yucai`~, kai; tou;~ tw`n kreittovnwn ojpadou;~ kai; qerapeuta;~ katiquvnein to;n hJmevteron nou`n, kai; podhgetei`n eij~ to; pan­ tele;~ kai; qei`on kai; uJyhlo;n tevlo~ th`~ Platwnikh`~ qewriva~. 64 Su ciò cfr. TP I, cap. 2, p. 8.16-23. In tale passo Proclo afferma che gli uditori degli insegnamenti desumibili dalla dottrina teologica di Platone devono possedere una particolare «preparazione in base alla quale saranno ben attrezzati per affrontare non solo i nostri discorsi, ma anche il sublime pensiero e la filosofia divinamente ispirata di Platone» (… paraskeuh;n… kaq∆ h}n ouj pro;~ tou;~ hJmetevrou~ lovgou~ ajlla; pro;~ th;n uJyhlovnoun kai; e[nqeon tou` Plavtwno~ filosofivan ejpithdeivw~ e[conte~ ajpanthvsontai). 65 Sulla preparazione etica del fruitore degli insegnamenti teologici di Platone si veda quanto Proclo afferma in TP I, cap. 2, p. 10.11 segg. 66 Su ciò si veda TP I, cap. 2, p. 10.18 segg., ove Proclo si riferisce in modo particolare al ragionamento analitico e diairetico. 67 Cfr. TP I, cap. 2, p. 10.25 segg. 68 Su ciò si veda TP I, cap. 2, p. 11.9 segg.

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69 In base al kephálaion trasmessoci dalla tradizione, l’argomento del cap. 4 del I libro della Teologia Platonica è: «Tutti i modi teologici in base ai quali Platone organizza l’insegnamento sugli dèi» (TP I, p. 1, 13: dV. Trovpoi qeologikoi; kaq∆ ou}~ pavnta~ oJ Plavtwn diativqhsi th;n peri; qew`n didaskalivan). 70 TP I, cap. 4, p. 17.18-24: Faivnetai [scil. Platone] ga;r ouj to;n aujto;n pantacou` trovpon metiw;n th;n peri; tw`n qeivwn didaskalivan, ajll∆ oJte; me;n ejnqeastikw`~ oJte; de; dialektikw`~ ajnelivttwn th;n peri; aujtw`n ajlhvqeian, kai; pote; me;n sumbolikw`~ ejxaggevllwn ta;~ ajrrhvtou~ aujtw`n ijdiovthta~, pote; de; ajpo; tw`n eijkovnwn ejp∆ aujtou;~ ajnatrevcwn kai; ta;~ prwtourgou;~ ejn aujtoi`~ aijtiva~ tw`n o{lwn ajneurivskwn. Per un’analisi dei diversi modi d’insegnamento teologico nei dialoghi di Platone secondo Proclo si veda J. Pépin, Les modes de l’enseignement théologique dans la ‘Théologie platonicienne’, in A.Ph. Segonds – C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie Platonicienne, op. cit., pp. 1-14. Nello stesso volume si veda inoltre: S. Gersh, Proclus’ theological methods. The programme of ‘Theol. Plat. I 4’, pp. 15-27. 71 Su ciò cfr. TP I, cap. 4, p. 17.25 segg. 72 Su ciò cfr. ibid., p. 18.13 segg. 73 Cfr. ibid., p. 18.25 segg. 74 Su tutto ciò cfr. ibid., p. 19.8-23. 75 TP V, cap. 4, p. 19.23 segg. 76 Sull’“origine” dei diversi modi di esposizione teologica cfr. TP I, cap. 4, p. 20.6 segg. 77 Su questi dialoghi in rapporto alla dottrina teologica di Platone si veda quanto Proclo afferma sinteticamente in TP I, cap. 5, p. 24, 12 segg. 78 Sul ruolo attribuito al Cratilo nella Teologia Platonica si veda più avanti il § 6 del presente capitolo. Per ulteriori approfondimenti sull’interpretazione procliana di questo dialogo rinvio inoltre al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, contenuto nel volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, pp. 7-252. 79 TP I, cap. 6, p. 25.24-26: Dei` de; e{kasta tw`n dogmavtwn tai`~ Pla­ twnikai`~ ajrcai`~ ajpofaivnein suvmfwna kai; tai`~ tw`n qeolovgwn mustikai`~ paradovsesin. Proclo, per sottolineare l’unità e la continuità dell’intera tradizione teologica greca, continua affermando che tutta quanta la teologia greca deriva dalla dottrina misterica orfico-pitagorica. 80 Su ciò cfr. TP 1, cap. 6, p. 27.1 segg. 81 TP I, cap. 7, p. 31.14-25: Pavnta ga;r ejn touvtw/ ta; qei`a gevnh kai; proveisin ejk th`~ prwtivsth~ aijtiva~ ejn tavxei kai; th;n pro;~ a[llhla sunavr­ thsin ejpideivknusi […]. Kai; pavnta, wJ~ sunelovnti favnai, ta; th`~ qeolo­ gikh`~ ejpisthvmh~ ajxiwvmata televw~ ejntau`qa katafaivnetai kai; tw`n qeivwn

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oiJ diavkosmoi pavnte~ sunecw`~ uJfistavmenoi deivknuntai. In questo passo l’avverbio sunecw`~ suggerisce l’idea della continuità e della connessione che collegano fra loro i diversi ordinamenti divini, rendendo la loro processione perfettamente armonica e lineare. 82 Su ciò si veda TP I, cap. 13, p. 59.17 segg. Proclo ricava queste nozioni fondamentali circa la natura degli dèi da ciò che viene affermato nel X libro delle Leggi nei passi: 893b1-899d3; 899d4-905d1; 905d1-907b9. 83 TP I, cap. 15, p. 76.1-4: ”Wst∆ eij me;n kata; fuvs in toi`~ qeoi`~ hJ tou` ajgaqou` metavdosi~ kai; hJ provnoia kata; fuvs in, kai; tau`ta meta; rJa/stwvnh~ kai; aujtw`/ tw`/ ei\nai movnon para; tw`n qew`n ejpitelei`sqai fhvsomen. 84 Sui tuvpoi peri; qeologiva~ cfr. Platone, Repubblica, II, 379a5-6. 85 TP I, cap. 18, p. 82.19 segg. 86 Su ciò cfr. ibid., p. 84.20 segg. e la nota n. 144 di commento alla traduzione. 87 TP I, cap. 18, p. 86.22 segg.: ou[te a[takton ajfei`tai to; ejn toi`~ me­ rikoi`~ kakovn, ajlla; kai; tou`to kateuquvnetai para; tw`n qew`n. 88 Ibid. p. 86.19-22: ou[q∆ o{lw~ uJposth`nai dunato;n to; panto;~ ajgaqou` pantelw`~ e[rhmon kakovn, ejpevkeina ga;r kai; tou` mhdamw`~ o[nto~ to; auj­ tokakovn, w{sper dh; kai; tou` pantelw`~ o[nto~ to; aujtoagaqovn. 89 TP I, cap. 18, p. 87.22 segg.: Mh; toivnun hJmi`n tw`n kakw`n h] prohgou­ mevnou~ lovgou~ ejn th`/ fuvsei legevtw ti~, h] paradeivgmata noera; kata; ta; aujta; toi`~ ajgaqoi`~, h] yuch;n kakergavtin, h] kakopoio;n aijtivan ejn qeoi`~ uJpotiqevsqw kai; pro;~ to; ajgaqo;n to; prw`ton diavstasin kai; povlemon eij­ sagevtw diaiwvnion: a{panta ga;r tau`ta th`~ tou` Plavtwnov~ ejstin ejpisthvmh~ ajllovtria k.t.l. Nell’ultima parte di questo passo, Proclo, intendendo riferirsi probabilmente a concezioni di matrice manichea, afferma che esse si allontanano radicalmente dalla verità, risolvendosi in “assurdità da barbari” e in concezioni degne di una rappresentazione drammatica che mette in scena i Giganti (porrwvterovn poi th`~ ajlhqeiva~ eij~ barba­ rika;~ ajponoiva~ kai; dramatourgivan Gigantikh;n ajpoplana`tai). Si tenga presente che secondo la mitologia greca i Giganti insieme ai Titani sono i principali ribelli alle divinità: essi fanno dilagare il male nel mondo, pur essendo comunque destinati alla sconfitta da parte di Zeus e delle altre divinità olimpiche. Proclo considera le concezioni di tipo manicheo assolutamente insensate poiché esse attribuirebbero al male un’esistenza effettiva e autonoma, al punto da concepirlo come un principio originario generatore e propagatore di disordine. Ciò nella prospettiva procliana, come si è visto, risulta assolutamente inconcepibile. 90 Su tale questione è incentrato per intero il cap. 21 del I libro della Teologia Platonica. Il kefavlaion di tale capitolo, infatti, sintetizza l’argomento in esso affrontato nei seguenti termini: «Qual è la verità insita negli dèi e da dove subentra il falso nelle partecipazioni degli dèi alle realtà

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seconde» (Tiv~ hJ ejn toi`~ qeoi`~ ajlhvqeia kai; povqen parempivptei to; yeu`do~ ejn tai`~ eij~ ta; deuvtera meqevxesi tw`n qew`n). 91 TP I, cap. 22, p. 102.12-16: Pavntwn ou\n ejsti; tw`n o[ntwn kevntron, kai; peri; aujto; (scil. to; ejfetovn, ossia il Desiderabile) pavnta ta; o[nta kai; pavnte~ oiJ qeoi; tav~ te oujs iva~ kai; ta;~ dunavmei~ kai; ta;~ ejnergeiva~ e[cou­ si. Kai; hJ pro;~ tou`to tavs i~ kai; hJ e[fesi~ tw`n o[ntwn a[sbestov~ ejstin. Proclo continua sottolineando che gli enti bramano questo Desiderabile (il Bene-Uno), benché esso, per via della sua assoluta trascendenza, sia inconoscibile e incoglibile: esso si delinea al contempo come il centro verso il quale tutti gli esseri convergono e il fondamento assolutamente originario della totalità del reale. 92 Cfr. TP I, cap. 22, p. 101.6 segg. Proclo precisa che in ogni ambito e livello del reale il bene sussiste come entità assolutamente somma (ajkrov­ taton) e preesiste come analogo al Principio Primissimo di tutti gli ordinamenti divini (wJ~ ajnavlogon ejn eJkavsth/ tavxei prou>pavrcei th`/ prwtivsth/ tw`n qeivwn diakovsmwn ajrch`/). 93 Proclo cita questa espressione ad esempio in TP I, cap. 22, p. 101.27: pavnta ga;r ejfivetai tou` ajgaqou`. Essa è impiegata da Aristotele in particolare in due passi dell’Etica Nicomachea: cfr. libro I, 1, 1094a3 (…tajgaqovn, ou| pavnt∆ ejfivetai) e libro X, 2, 1172b14-15 (… kai; ou| pavnt∆ ejfivetai, tajgaqo;n ei\nai). 94 TP I, cap. 29, pp. 124.23-125.2: kai; w{sper hJ qeourgiva dia; dhv tinwn sumbovlwn eij~ th;n tw`n tecnhtw`n ajgalmavtwn e[llamyin prokalei`tai th;n tw`n qew`n a[fqonon ajgaqovthta, kata; ta; aujta; dh; kai; hJ noera; tw`n qeivwn ejpisthvmh sunqevsesi kai; diairevsesi tw`n h[cwn ejkfaivnei th;n ajpokekrum­ mevnhn oujs ivan tw`n qew`n. 95 TP II, cap. 1, p. 13.23 segg. 96 Su ciò cfr. ibid., p. 14.8 segg. 97 Sull’assoluta trascendenza dell’Uno in Proclo rinvio al mio volume Il divino tra unità e molteplicità. Saggio sulla teologia Platonica di Proclo, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2008, in particolare pp. 165-179. 98 Cfr. TP II, cap. 5, p. 37.24-25. Lo stesso concetto è espresso da Proclo anche nel Commento al Parmenide: cfr. In Parm. VI, p. 1108.19-20 (ed. Steel), ove, riprendendo un concetto plotiniano – cfr. Enneadi, VI 9 (9), 6.55 – si afferma che l’Uno, essendo principio causale di tutte le cose, non è nessuna di queste: pavntwn ga;r o]n ai[tion [scil. to; e{n] oujdevn ejsti tw`n pavntwn. 99 Cfr. TP I, cap. 22, p. 102.12 segg. 100 Su ciò cfr. TP II, cap. 10, p. 62.2 segg. 101 Cfr. ibid. cap. 4, p. 33.19 segg. 102 Cfr. ibid. cap. 5, p. 39, 20 segg. Proprio in quanto Origine assolutamente prima di tutto il reale, l’Uno risulta irrelato (a[sceton) rispetto alla

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totalità delle cose e le trascende tutte allo stesso modo, benché tra queste alcune risultino assiologicamente più prossime all’Uno e altre più lontane. 103 Cfr. a tale proposito TP II, cap. 7, p. 48.2 segg., ove Proclo afferma, con riferimento all’interpretazione neoplatonica della prima ipotesi del Parmenide, che l’Uno-Bene non è né verità, né essenza né pensiero né scienza (to; ga;r mhvte ajlhvqeian ei\nai tajgaqo;n mhvte oujs ivan mhvte nou`n mhvte ejpisthvmhn). Esso, infatti, è per Proclo anche la causa e la fonte della verità stessa, la quale si manifesta principalmente nell’ambito della realtà intelligibile. A tale conclusione egli perviene soprattutto sulla base dell’interpretazione della “metafora solare” nel libro VI della Repubblica di Platone, alla cui esegesi è dedicata la dissertazione XI del Commento alla Repubblica. In tale dissertazione Proclo sottolinea che, così come il sole è causa della luce, il Bene risulta causa della verità. Su ciò cfr. In Rem., I, p. 277, 14 seg. (ed. Kroll). Sull’esegesi procliana della “metafora solare” rinvio al mio saggio Proclo interprete della ‘Repubblica’, op. cit., pp. cvi-cix. 104 Su ciò si veda quanto Proclo afferma in TP II, cap. 6, p. 41.9 segg. Il Principio Primo risulta il fondamento di ogni forma di conoscenza e di ragionamento proprio in virtù della sua assoluta originarietà e trascendenza, che, paradossalmente, rappresentano al contempo l’autentico motivo della sua inconoscibilità e ineffabilità. 105 Su ciò cfr. TP I, cap. 22, p. 102.17 segg. In questo passo Proclo utilizza il verbo ajpomanteuvomai, che indica l’“indovinare” nel senso del “vaticinare” proprio dell’oracolo. In effetti, poiché non può esistere nessuna effettiva conoscenza del Principio, che per la sua assoluta trascendenza è inconoscibile (a[gnwsto~) e ineffabile (a[rrhto~), la sua natura viene “intuita per ispirazione”, ovvero “presagita” (ajpomanteuvetai) come qualcosa da cui non è possibile in alcun modo prescindere, in quanto è l’origine primissima di tutto il reale e ciò verso cui il Tutto tende. Sul Principio Primo come kevntron verso il quale converge tutto il reale cfr. anche TP II, cap. 7, p. 51.16, ove Proclo definisce l’Uno-Bene come to; tw`n ejfetw`n o{lwn kevntron, cioè come “il centro della totalità di ciò che è desiderabile”. 106 Su ciò cfr. TP II, cap. 5, p. 37.12 segg. 107 Su ciò cfr. ibid., p. 38.2 segg. Nella prospettiva procliana, dunque, il metodo analogico va inteso in riferimento al momento della ejpistrofhv, ovvero della conversione, nel senso del “volgersi indietro verso la propria origine”. Tutte le cose risultano così “convertite” e “rivolte indietro” verso il Principio Primo: in questo modo esse vengono a formare, nonostante la loro natura intrinsecamente molteplice, una struttura e un insieme unitari ed armonici. 108 Cfr. ibid., p. 38.10 segg. In questo passo Proclo contrappone esplicitamente il momento della processione (provodo~), che rivela come è pos-

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sibile ascendere al Principio attraverso le negazioni, al momento della conversione (ejpistrofhv), la quale rivela come possano avvenire l’ascesa e il ritorno al Principio attraverso le analogie. 109 Sulla differenza fra metodo analogico e metodo apofatico si veda W. Beierwaltes, Proclo. I fondamenti della sua metafisica, op. cit., in particolare pp. 370-371, ove l’autore sottolinea come il metodo apofatico sia necessariamente superiore a quello analogico dal punto di vista del valore conoscitivo, in quanto la negazione «erige a cominciamento e principio del proprio percorso la disuguaglianza sempre più grande del Principio» (p. 371). Dunque il metodo analogico deve lasciare necessariamente il posto a quello apofatico. Ciò appare particolarmente chiaro nella parte finale della dissertazione XI del Commento alla Repubblica: cfr. In Rem. I, pp. 285.5-287.17. Per la traduzione e il commento di questo passo rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., pp. 259-265 per la traduzione e pp. 399-401 per il commento. 110 Su ciò rinvio al mio articolo Il ‘linguaggio dell’ineffabile’ nella concezione procliana dell’Uno-in-sé, «Elenchos» 22 (2001), pp. 305-327. 111 Cfr. TP II, cap. 10, p. 64.8-9: w{ste kai; eij lovgo~ ei[h tou` ajrrhvtou, peri; eJautw`/ kataballovmeno~ oujde;n pauvetai kai; pro;~ eJauto;n diamavce­ tai. Il “linguaggio dell’ineffabile”, al quale conduce il metodo apofatico, proprio per la sua originaria paradossalità non può non essere intrinsecamente auto-contraddittorio. Ciò a maggior ragione se si considera che l’Uno, per via della sua trascendente semplicità, è posto al di sopra di ogni opposizione e di ogni negazione, come viene affermato nell’ultima parte del libro VII del Commento al Parmenide di Proclo, a noi pervenuta solo nella traduzione latina di Guglielmo di Meorbeke. Su ciò cfr. In Parm. VII, p. 518, 77-78 (ed. Steel): exaltatum est propter simplicitatem ab omni oppositione et omni negatione. 112 TP II, cap. 9, p. 58.23-24.: ajlla; sigh`/ to; a[rrhton aujtou` kai; pro; tw`n aijtivwn pavntwn ajnaitivw~ ai[tion ajnumnei`n. Si noti in questa frase l’uso marcato dell’allitterazione (tw`n aijtivwn pavntwn ajnaitivw~ ai[tion ajnum­ nei`n) che sembra quasi richiamare una litania mistico-magica. 113 Proclo nel Commento al Parmenide afferma, in effetti, che l’Unoin-sé è ejpevkeina sigh`~ kai; hjsuciva~, ovvero “al di là del silenzio e della quiete”: cfr. In Parm. VII, 1171, 6-7 (ed. Steel); nella parte del VII libro conservato solo in traduzione latina cfr. p. 505, 90-91 (ed. Steel): supra silentium. 114 Cfr. TP II, cap. 11, p. 65.11 segg. In questo passo il fatto che il Principio Primo sia qualcosa di più ineffabile di ogni silenzio (pavsh~ sigh`~ ajrrhtovteron) e più inconoscibile di ogni realtà (pavsh~ uJpavrxew~ ajgnw­ stovteron) è messo in correlazione con altri aspetti della sua assoluta trascendenza: esso è Dio di tutti gli dèi (qeov~ ejsti qew`n aJpavntwn), è Enade

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delle enadi (eJna;~ eJnavdwn) e fra le entità inaccessibili è al di là delle prime (tw`n ajduvtwn ejpevkeina tw`n prwvtwn). 115 TP I, cap. 3, p. 16.18-23: Kai; tou`tov ejsti to; a[riston th`~ ejnergeiva~, ejn hjremiva/ tw`n dunavmewn pro;~ aujto; to; qei`on ajnateivnesqai kai; perico­ reuvein ejkei`no, kai; pa`n to; plh`qo~ th`~ yuch`~ sunageivrein ajei; pro;~ th;n e{nwsin tauvthn, kai; pavnta ajfevnta~ o{sa meta; to; e}n aujtw`/ prosidruvesqai kai; sunavptesqai tw`/ ajrrhvtw/ kai; pavntwn ejpevkeina tw`n o[ntwn. 116 TP II, cap. 11, p. 64.11-14: […] ta;~ polueidei`~ ajposkeuaswvmeqa gnwvsei~, kai; pa`n to; poikivlon th`~ zwh`~ ejxorivswmen ajf∆ hJmw`n, kai; pavn­ twn ejn hjremiva/ genovmenoi tw`/ pavntwn aijtivw/ prosivwmen ejgguv~. Il termine hjremiva fa parte del lessico mistico-religioso e indica qui la quiete assoluta che si raggiunge nel contatto con il Principio, lontano da ogni forma di attività, molteplicità e determinazione. 117 Sul rapporto tra la riflessione teologica e la mistica nella Teologia Platonica si veda il saggio di J. Bussanich, Mystical theology and spiritual experience in Proclus’ ‘Platonic Theology’, in A.Ph. Segonds – C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie Platonicienne, Leuven University Press/ Les Belles Lettres, Leuven-Paris, 2000, pp. 291-310. 118 Per questa espressione cfr. ad esempio TP I, cap. 9, p. 39.11. Sul complesso tema concernente il rapporto fra l’Uno e le enadi si vedano i seguenti contributi e studi: P.A. Meijer, Participation and Henads and Monads in the ‘Theologia platonica’ iii, 1-6, nel volume a cura di E.P. Bos e dello stesso Meijer, On Proclus and his Influence in Medieval Philosophy, Brill, Leiden-Köln-New York, 1992, pp. 65-87; E. Moutsopoulos, The participability of the One through the Henads in Proclus’ Platonic Theology, in: T. Frost (a cura di), Henologische Perspektiven II. Zu Ehren Egil A. Wyllers. «Internationales Henologie-Symposium an der Norwegischen Akademie der Wissenschaften in Oslo», Rodopi, Amsterdam-Atlanta, 1997, pp. 83-93; C. D’Ancona, Proclo: enadi e ajrcaiv nell’ordine sovrasensibile, «Rivista di Storia della Filosofia», 47 (1992), pp. 265-294. Per una complessiva esposizione circa il ruolo e la natura delle Enadi in Proclo si veda infine la monografia su Proclo di R. Chlup, Proclus. An Introduction, Cambridge University Press, Cambridge-New York, 2012, in particolare pp. 112-124. 119 TP III, cap. I, p. 6.2-3: Tiv ga;r a[llo tw`/ eJni; sunavptesqai pro; tw`n eJnavdwn qemitovn, h] tiv tw`/ eJniaivw/ qew`/ sunhvnwtai ma`llon tw`n pollw`n qew`n… 120 TP III, cap. 3, pp. 11.23-12.2: ∆Anavgkh […], mia`~ ou[sh~ eJnavdo~ th`~ tw`n o{lwn ajrch`~ kai; pavsh~ uJpavrxew~ ejkei`qen th;n uJpovstasin ejcouvsh~, paravgein ejx aujth`~ pro; tw`n a[llwn aJpavntwn plh`qo~ eJniai`on kai; ajriq­ mo;n th`/ aijtiva/ suggenevstaton. Le enadi, dunque, si configurano come un plh`qo~ eJniai`on ed un ajriqmo;n th`/ aijtiva/ suggenevstaton, cioè come una “molteplicità unitaria” e una “serie assolutamente congenere alla causa”.

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121 Cfr. ibid., p. 12.11-14: Eij de; kai; to; paravgon ta; pavnta prwvtw~ to; e}n kai; hJ provodo~ eJniaiva, dei` dhvpou kai; to; paragovmenon ejkei`qen plh`qo~ eJnavda~ aujtotelei`~ uJpavrcein tw`/ paravgonti suggenestevra~. 122 Si tenga presente che nella proposizione 114 degli Elementi di Teologia Proclo afferma esplicitamente che ogni dio è di fatto un’enade in sé perfetta e ogni enade in sé perfetta è un dio. Cfr. ET prop. 114, p. 100, 16 segg. (ed. Doods): Pa`~ qeo;~ eJnav~ ejstin aujtotelhv~, kai; pa`sa aujtotelh;~ eJna;~ qeov~. 123 TP III, cap. 5, p. 17.18-22: Tavxin ga;r ajnavgkh tw`n eJnavdwn uJpavr­ cein, w{sper dh; kai; tw`n ajriqmw`n oJrw`men tou;~ me;n ejggutevrw th`~ ajrch`~, tou;~ de; porrwvteron, kai; tou;~ me;n aJploustevrou~, tou;~ de; sunqetwtev­ rou~ kai; tw`/ me;n posw`/ pleonavzonta~, th`/ dunavmei de; ejlassoumevnou~. 124 Cfr. ibid., cap. 9, p. 36.13-15: eJnavde~ gavr eijs in ajpo; tou` eJno;~ uJpo­ sta`sai kai; oi|on ejkfavnsei~ ajpo; th`~ ajmeqevktou kai; prwtivsth~ eJnwvsew~. 125 TP III, cap. 6, p. 28.18-19: tw`n de; ajkrotavtwn [scil. eJnadw`n] aujto; to; prwvtiston o]n kai; to; qeiovtaton tw`n o[ntwn [scil. ejxhvrthtai]. 126 Sul ruolo del Filebo nella Teologia Platonica si veda: G. Van Riel, Ontologie et théologie. Le ‘Philèbe’ dans le troisième livre de la ‘Théologie Platonicienne’ de Proclus, in A.Ph. Segonds – C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie Platonicienne, op. cit., pp. 15-27. È opportuno peraltro sottolineare che nel iii libro della Teologia Platonica Proclo riconduce la dottrina platonica del Filebo sulla coppia di principi limite-illimitatezza alla tradizione pitagorica ed in particolare a Filolao (filosofo pitagorico, attivo nella seconda metà del V secolo a.C.). Su ciò cfr. TP III, cap. 8, p. 30.19 segg. 127 Sull’interpretazione ontologico-teologica procliana del Sofista si veda lo stimolante studio di C. Steel, Le Sophiste comme texte théologique dans l’interpretation de Proclus, contenuto nel volume a cura di E.P. Bos - P.A. Meijer, On Proclus and his Influence in medieval Philosophy, Brill, Leiden-New York-Köln, 1992, pp. 51-64. 128 Su ciò cfr. in particolare TP III, cap. 14, p. 49.12 segg. 129 Proclo, in effetti, ipostatizza l’Eternità (aijwvn) e fa di essa uno specifico livello della realtà intelligibile, ossia la seconda triade intelligibile. Sulla differenza fra la concezione plotiniana dell’eternità – secondo la quale l’eternità si delinea come un carattere originariamente implicito nell’ipostasi dell’Intelletto, tanto da identificarsi sostanzialmente con quest’ultimo – e quella procliana si veda lo studio di W. Beierwaltes, Dispiegarsi dell’Unità. Sulla differenza tra pensiero plotiniano e procliano, contenuto nel volume dello stesso autore: Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, (ediz. orig. 1985) trad. it. Vita e Pensiero, Milano, 1991, pp. 142-172, in particolare pp. 146-157.

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130 TP III, cap. 14, p. 49.19-23: ∆En tauvth/ [scil. nella terza triade] toiv­ nun kai; pa`n to; nohto;n ejkfaivnetai plh`qo~: kai; ga;r to; o]n tou`to pavnt∆ ejsti nohtw`~, nou`~ kai; zwh; kai; oujs iva, […] oi|on kat∆ ejnevrgeian kai; ejkfanw`~ ta; pavnta. 131 Ibid., cap. 9, p. 39.18-20: Kai; oujde;n a[llo ejsti; to; o]n h] mona;~ dunav­ mewn pollw`n kai; u{parxi~ plhqunomevnh, kai; dia; tou`to e}n polla; to; o[n. 132 Sui tre fondamentali livelli della realtà intelligibile cfr. TP III, cap. 14, p. 50.1-4. 133 Ibid., cap. 12, p. 46.9 segg.: […] to; de; [scil. noei`n] h[dh pa`n ejsti to; nohto;n plh`qo~ kai; oJ tw`n nohtw`n eijdw`n diavkosmo~. ∆Ep∆ ejscavtw/ ga;r tw`/ nohtw`/ ta; ei[dh th;n uJpovstasin e[cei: dei` ga;r ejn nw`/ ta; ei[dh kai; ei\nai th;n prwvthn kai; faivnesqai. 134 Ibid., cap. 7, p. 30.1-2: […] pavsh~ ejsti; [scil. hJ prwvth ajrchv, il Principio Primo] qeovthto~ aijtiva, to; ga;r ei\nai qeoi; pavnte~ oiJ qeoi; dia; to;n prw`ton e[cousi qeovn. 135 Su ciò cfr. ibid., cap. 12, p. 44.22 segg. 136 Da intendersi come il protagonista dell’omonimo dialogo platonico. 137 TP III, cap. 6, p. 28.19-21: Dio; kai; oJ Parmenivdh~ ejnteu`qen ajpo; tou` eJno;~ o[nto~ ajrcovmeno~ proavgei ta;~ o{la~ diakosmhvsei~ tw`n qew`n. 138 Ibid., cap. 28, p. 100.4-6: [...] to; nohto;n tou`to tw`n qew`n gevno~ ejxhv/rhtai pavntwn eJniaivw~ tw`n a[llwn qeivwn diakovsmwn k.t.l. 139 Ibid., cap. 14, pp. 50.26-51.2: Kai; ga;r aJpavntwn oJmou` tw`n qeivwn diakovsmwn ejxh/rhmevnhn aJplovthta lacovnte~ oiJ ãnohtoi;Ã qeoi; th`~ tou` pa­ tro;~ eJnwvsew~ ajpoleivpontai. 140 È Aristotele che nel De Anima (cfr. I 5, 411a6: o{qen i[sw~ kai; Qalh`~ wj/hvqh pavnta plhvrh qew`n ei\nai) fa risalire tale concezione a Talete. Essa è citata anche da Platone nelle Leggi: cfr. ibid. X 899b8-9. 141 TP III, cap. 27, p. 98.22-24: Kai; ou{tw dh; pavnta plhvrh qew`n, ajggev­ lwn, daimovnwn, zwv/wn qnhtw`n. 142 Su ciò cfr. TP IV, cap. 1, p. 9.21 segg.: 143 Su ciò cfr. TP IV, cap. 1, p. 10.7 segg. 144 TP IV, cap. 3, p. 14.1-6: tw`/ me;n nohtw`/ dia; th`~ eJautw`n ajkrovthto~ sunavptonte~, tw`/ de; noerw`/ dia; th`~ teleuth`~, tw`/ de; mevsw/ sundevsmw/ tw`n a[krwn th;n sunamfotevran ejx i[sou lacovnte~ ijdiovthta kai; diateivnonte~ ejp∆ a[mfw, tav te nohta; kai; noera; gevnh tw`n qew`n, wJsperei; kevntrou tw`n dittw`n touvtwn diakovsmwn sunevconto~ th;n koinwnivan tw`n o{lwn eJnoeidw`~. 145 TP IV, cap. 27, p. 80.8-9: ejntau`qa [scil. nel livello intelligibile-intellettivo] ga;r ta; polla; dia; th;n eJterovthta th;n diasthvsasan to; o]n kai; to; e{n. 146 Cfr. Platone, Fedro 246e4-248c2. Sul significato metafisico-teologico del Fedro nella Teologia Platonica si veda il saggio di A. Sheppard,

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 130-156

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Plato’s ‘Phaedrus’ in the ‘Theologia platonica’, in A.Ph. Segonds – C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie Platonicienne, op. cit., pp. 415-423. 147 Per questa suddivisione, desunta dal Fedro, dell’ordinamento intelligibile-intellettivo cfr. TP IV, capp. 6-7. 148 Su ciò cfr. ibid. cap. 28, p. 82.26 segg. Qui Proclo afferma che nell’ordinamento intelligibile-intellettivo l’alterità/differenza (eJterovth~) che si manifesta in esso separa e distingue l’Uno dall’Essere e l’Essere dall’Uno (diakrivnei kai; to; e}n ajpo; tou` o[nto~ kai; to; o]n ajpo; tou` eJno;~) – originariamente uniti nella realtà intelligibile come Uno-che-è – e fa procedere entrambi verso la molteplicità divisa e distinta (eJkavteron eij~ plh`qo~ proavgei dih/rhmevnon); in questo modo la differenza genera il numero nella sua universale totalità (kai; ou{tw dh; to;n o{lon ajriqmo;n ajpogen­ na`/). Proclo conclude sottolineando che il numero è, infatti, molteplicità divisa e distinta (oJ ga;r ajriqmov~, wJ~ pollavki~ ei[pomen, dih/rhmevnon ejsti; plh`qo~). 149 TP IV, cap. 5, p. 21, 25 segg.: Mevshn a[ra tw`n te nohtw`n e[lacen kai; tw`n noerw`n th;n basileivan oJ mevgisto~ Oujranov~. 150 Cfr. Platone, Cratilo, 396a2 segg. Per il riferimento di Proclo a questa pseudo-etimologia cfr. TP IV, cap. 22, p. 66.15 segg. 151 Si tenga presente che il verbo telei`n significa propriamente “portare a compimento”, “condurre a perfezione” e da qui assume anche il senso di “iniziare ai misteri”. Nel presente passo i due significati sono entrambi contemporaneamente presenti. 152 Vale a dire la rivoluzione celeste, che secondo l’interpretazione procliana è costituita dagli dèi “connettivi”. 153 TP IV, cap. 24, p. 72.20-25: ÔUp∆ aujth;n toivnun th;n sunektikh;n tavxin hJ telesiourgo;~ iJdruqei`sa telei` me;n ta; ajniovnta pavnta pro;~ to; nohtovn, eujruvnei de; ta;~ yuca;~ eij~ uJpodoch;n tw`n qeivwn ajgaqw`n, ejllavmpei de; to; noero;n fw`~, toi`~ de; eJauth`~ kovlpoi~ perilabou`sa ta; deuvtera gevnh tw`n qew`n ejntivqhsi pavnta th`/ sunektikh`/ tw`n o{lwn perifora`/. 154 TP IV, cap. 39, p. 113.23-27: Sunelovnte~ ou\n ei[pwmen o{ti pa`sa nohth; kai; noera; tria;~ kata; me;n th;n ajkrovthta th;n eJauth`~ sunh`ptai pro;~ to; nohtovn, kata; de; th;n mesovthta th;n oijkeivan ejkfaivnei duvnamin, kata; de; th;n ajpoperavtwsin perilambavnei th;n ajpeirivan tw`n deutevrwn. 155 TP V, cap. 1, p. 6.19-20: Kai; noera; [scil. hJ noera; uJpovstasi~] me;n ejponomavzetai diovti dh; to;n ajmevriston kai; qei`on ajpegevnnhse nou`n. Qui il termine “Intelletto” (nou`~). ovviamente, non indica l’ipostasi della realtà intelligibile, bensì, come vedremo, l’Intelletto di Crono, dio che costituisce la sommità di tutto l’ordinamento intellettivo e di tutti gli dèi che ne fanno parte. 156 Cfr. ibid., cap. 2, p. 9, 13-15: ouj ga;r ei|~ ejsti kai; a[tomo~ oJ noero;~ diavkosmo~, ajlla; poikilwtevra~ e[lace proovdou~ tw`n uJyhlotevrwn genw`n.

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157 Sulla complessa questione concernente l’origine e il significato religioso-teologico della struttura ebdomadica della realtà intellettiva in Proclo, si veda l’introduzione nell’edizione del libro V della Teologia Platonica curata da H.D. Saffrey – L.G. Westerink: Théologie platonicienne. Texte établi et traduit, 5 vol., Les Belles Lettres, Paris, 1987, in particolare pp. ix-xxxvii; si veda inoltre L. Brisson, Kronos, Summit of the Intellective Hebdomad in Proclus’ Interpretation of the ‘Chaldean Oracles’, nel volume: Platonic Ideas and Concept Formation in Ancient and Medieval Thought,a cura di G. Van Riel – C. Macé, Leuven University Press, Leuven, 2004, pp. 191-210. Alla fine del cap. 2 del libro V, Proclo sembra attribuire ai Pitagorici la concezione secondo cui “il numero sette” avrebbe caratteristiche riconducibili a quelle dell’intelletto e, di conseguenza, una natura di tipo intellettivo. 158 TP V, cap. 2, p. 14.1-4: eJbdomadikw`~ de; oiJ noeroiv [scil. ta; pavnta paravgousi]: ta;~ ga;r nohta;~ a{ma kai; noera;~ triavda~ eij~ eJbdomavda~ noe­ ra;~ ajnelivssousi kai; ta;~ sunh/rhmevna~ ejkeivnwn dunavmei~ eij~ poikilivan ejxaplou`s i noeravn. 159 La tradizione orfica è una delle forme più antiche della religione pagana greca. Come si è già detto, il suo nome deriva dal mitico poeta Orfeo, iniziato e ispirato dagli dèi stessi alle verità misteriche concernenti la dimensione divina. A tale tradizione fanno riferimento i così detti “poemi orfici”, testi di varie epoche in cui sono tramandati miti simbolico-allegorici sull’origine e la natura delle divinità. La gran parte di questi testi è andata perduta e si sono conservati solo frammenti per lo più citati da autori neoplatonici e in particolare proprio da Proclo. La raccolta più recente è quella curata da A. Bernabé: Poetae epici Graeci. Testimonia et fragmenta, Pars II, Fasc. 1-2: Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta; Fasc. 3: Musaeus, Linus, Epimenides, Papyrus Derveni, Indices, ed. A. Bernabé, K.G. Saur, München–Leipzig 2004-2007. Ancora oggi, comunque, la raccolta di riferimento di tali testi è considerata da molti quella curata O. Kern, Orphicorum Fragmenta, Weidmann, Berlin, 1922 (edizione più volte riedita). Secondo Proclo tutta la teologia greca ha la propria origine nella dottrina misterica di Orfeo: su ciò si veda TP I, cap. 5, p. 25.26 segg. 160 Occorre precisare che, con ogni probabilità, Proclo, nella sua interpretazione allegorico-simbolica delle divinità della tradizione greca, si rifà a una linea esegetica già presente nella tradizione tardo-neoplatonica, linea esegetica inaugurata probabilmente da Giamblico e poi ulteriormente sviluppata dal maestro di Proclo, Siriano. Dunque le dottrine proposte nella Teologia Platonica non sono “nuove”, ma rappresentano la rielaborazione in forma sistematica di dottrine risalenti, in particolare, a Siriano.

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 157-173

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161 In effetti Proclo interpreta in senso allegorico il mito secondo cui Crono avrebbe evirato e spodestato il proprio padre Urano. Secondo la tradizione orfica, alla quale Proclo si rifà a più riprese nel libro V, Crono, a sua volta, oltre che spodestato, sarebbe stato evirato da Zeus. Secondo l’esegesi neoplatonica procliana, l’evirazione di Urano da parte di Crono rappresenta il venire a determinarsi, attraverso differenziazione e separazione, del livello intellettivo rispetto a quello intelligibile-intellettivo; a sua volta l’evirazione di Crono da parte di Zeus alluderebbe allegoricamente all’ulteriore differenziarsi interno alla realtà intellettiva rispetto all’originaria sostanziale unità dell’Intelletto universale. 162 Cfr. Platone, Cratilo, 396b6-7. 163 TP V, cap. 3, p. 15.8-9. 164 Ibid. cap. 5, p. 21.1-4: prwvtisto~ toivnun hJmi`n oJ basileu;~ tw`n no­ erw`n qew`n Krovno~ ajnumneivsqw, kata; to;n ejn tw`/ Kratuvlw/ Swkravthn to; kaqaro;n kai; ajkhvraton tou` nou` katalavmpwn k.t.l. Proclo prosegue sottolineando come Crono abbia posto la sua potenza perfetta (th;n eJautou` pantelh` duvnamin) nella sommità stessa degli intellettivi (ejn aujth`/ th`/ tw`n noerw`n ajkrovthti). 165 Il significato etimologico del teonimo “Rea” (ÔReva) viene preso in considerazione in Cratilo 402b4, ove esso viene collegato con il termine “rheûma” (reu`ma), cioè “flusso”, e “rhoé” (rJohv), vale a dire “corrente”. 166 TP V, cap. 3, p. 37.7-13: Dio; kai; oJ Plavtwn rJeuvmasin ajpeikavzei th;n govnimon aujth`~ periousivan, w{~ fhsin oJ ejn tw`/ Kratuvlw/ Swkravth~, kai; rJohvn tina th;n qeo;n ei\nai tauvthn ajpofaivnetai kai; oujde;n ajll∆ h] to; phgavzon aujth`~ aijnivssetai kai; tw`n meristw`n th`~ zwh`~ ojcetw`n eJniaivw~ periektikovn. 167 Sulla funzione metafisico-teologica che nella Teologia Platonica Proclo attribuisce al Demiurgo si veda: J. Dillon, The role of the demiurge in the ‘Platonic Theology’, in A.Ph. Segonds – C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie Platonicienne, op. cit., pp. 339-349. Sull’identità fra Zeus intellettivo e il Demiurgo del Timeo cfr. TP V, cap. 20, p. 76.7 segg. 168 La spiegazione “etimologica” del teonimo Zeus è esposta in Cratilo 396b1 segg. Essa è ripresa da Proclo in particolare in TP V, cap. 22, p. 81.3. 169 Su ciò cfr. ibid., cap. 15, p. 51, 23 segg. 170 Su ciò si veda TP V, cap. 3, p. 16.24 segg. 171 Ibid. cap. 35, p. 128.2-4: ta;~ th`~ o{lh~ zwogoniva~ kai; th`~ pantelou`~ dhmiourgiva~ prwtourgou;~ ajnevcousi [scil. i Cureti] monavda~. 172 Cfr. Platone, Leggi VII, 796b4-5. Si tenga presente che in questo passo Platone si riferisce solo alla particolare danza dei Cureti e non certamente a un qualche ruolo di natura metafisica o teologica loro attribuito. 173 Sul ruolo della “monade differenziante” in riferimento alle distinzioni interne all’ordinamento intellettivo e rispetto agli ordinamenti di

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livello inferiore cfr. TP V, cap. 36, p. 132.22 segg.; per quanto riguarda il ruolo della medesima monade nella distinzione degli dèi intellettivi rispetto alle divinità di livello superiore cfr. ibid., in particolare p. 131.20-21. 174 TP V, p. 5.5-6: mV. Koinh; qewriva th`~ noera`~ eJbdomavdo~ ajpo; tw`n Parmenivdou sumperasmavtwn. 175 TP VI, cap. 3, p. 16.10-14: […] hJ de; tw`n hJgemonikw`n qew`n diakov­ smhsi~ diairei` me;n to; hJnwmevnon th`~ dhmiourgikh`~ poihvsew~, ajnaploi` de; to; oJliko;n th`~ ejnergeiva~ tw`n noerw`n qew`n, eij~ de; poikilivan proavgei th;n aJplovthta th`~ ejkeivnwn pronoiva~. 176 Cfr. Gorgia 523a5-524a8. Proclo interpreta in senso metafisico-teologico questo passo, nel quale, alla luce di quanto racconta Omero, si fa esplicito riferimento a Zeus, Poseidone e Plutone che si sono spartiti il potere del padre Crono, sostanzialmente come descrizione del passaggio dall’ordinamento intellettivo a quello ipercosmico. 177 Sulla denominazione di queste tre divinità e sul loro rispettivo e specifico rango all’interno della triade ipercosmica, si veda TP VI, cap. 8, p. 35, 20 segg. 178 Sulla connessione fra gli dèi “sovrani” e il Demiurgo intellettivo cfr. TP VI, cap. 1, p. 5.11 segg. 179 TP VI, cap. 6, p. 29.16-23: Ditto;~ ga;r oJ Zeu;~ katav te Plavtwna kai; pa`san wJ~ eijpei`n th;n ÔEllhvnwn qeologivan, oJ me;n th`~ noera`~ triavdo~ to; pevra~ sunelivsswn eij~ th;n ajrchvn, oJ de; th`~ hJgemonikh`~ th;n ajkrovthta ­ h­ lacwvn: kai; oJ me;n tw`n o{lwn dhmiourgo;~ oJlikw`~, oJ de; ta; prw`ta th`~ dih/r mevnh~ dhmiourgiva~ klhrwsavmeno~: kai; oJ me;n pro; tw`n triw`n patevrwn tetagmevno~, oJ de; ei|~ tw`n triw`n oJ prwvtisto~ kai; prosech;~ toi`~ loipoi`~ patravs in. Con la denominazione “padri” (patevre~) Proclo indica qui i tre dèi ipercosmici (Zeus, Poseidone e Plutone) dei quali il primo in senso gerarchico-assiologico è “Zeus ipercosmico”. 180 Cfr. ibid. cap. 3, p. 14.20 segg. 181 TP VI, cap. 4, pp. 22.25-23.5: Kai; mh;n kai; th;n sumpavqeian tw`n ejn tw/` kovsmw/ kai; th;n pro;~ a[llhla koinwnivan prutaneuvei diaferovntw~ hJ tavxi~ au{th tw`n qew`n. Pavnta ga;r dia; th`~ oJmoiovthto~ ajllhvloi~ sunevr­ cetai kai; metadivdwsin w|n e[cei dunavmewn, kai; ta; me;n prw`ta toi`~ deu­ tevroi~ ejpilavmpei th;n eJautw`n dovs in ajfqovnw~, ta; de; ajpotelevsmata toi`~ aijtivoi~ ejnivdrutai, sumplokh; de; ajdiavluto~ kai; koinwniva tw`n o{lwn kai; suvndesi~ tw`n poiouvntwn kai; pascovntwn ejn tw/` kovsmw/ qewrei`tai. Proclo si riferisce in questo passo alla sympátheia (sumpavqeia) cosmica, cioè a quel rapporto di affinità e connessione reciproca in base al quale tutti gli esseri risultano armonicamente uniti gli uni agli altri in una complessiva e universale “comunanza di sentire”. Gli esseri dell’universo così risultano collegati tra loro in modo da formare un unico essere vivente e senziente. In riferimento alla conclusione del passo citato, occorre precisare che gli

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 174-188

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“esseri attivi” (poiou`nta) sono gli esseri di livello superiore che agiscono e operano direttamente su quelli di livello inferiore, che rispetto ai primi risultano, dunque, “passivi” (pavsconta). 182 Su ciò cfr. TP VI, cap. 11. Questa triade generatrice di vita viene denominata da Proclo – che si rifà qui a particolari tradizioni religiose connesse a culti misterici come quelli di Eleusi in onore di Demetra e Persefone – anche come “Corica”, ovvero “appartenente a Core”: con quest’ultima divinità è, infatti, identificata l’intera triade nel suo insieme. Secondo la tradizione, soprattutto misterica, “Core” è una divinità che presiede alla vita e alla generazione. Tale divinità è in vario modo connessa con il mito del rapimento di Persefone, figlia di Demetra, da parte di Plutone. Anche tale mito viene interpretato da Proclo in chiave metafisico-teologica. 183 Sulla “triade Corica” cfr. TP VI, cap. 11, in particolare p. 51.19 segg. e p. 52.20 segg. Nel primo passo viene anche sottolineato che i Teologi (qeolovgoi) fondatori della teologia greca – tra i quali spiccano sicuramente Orfeo e lo stesso Pitagora, ossia la così detta tradizione orfico-pitagorica – sono soliti denominare queste tre divinità rispettivamente “Artemide Corica” (“Artemi~ Korikhv), “Persefone” (Persefovnh) e “Atena Corica” (∆Aqhna` Korikhv). Proclo inoltre precisa che presso i barbari (para; toi`~ barbavroi~), cioè presso la tradizione teologica non greca, ovvero, precisamente, negli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 51 e 52 nella raccolta curata da des Places), queste tre divinità vengono denominate rispettivamente “Ecate” (ÔEkavth), “Anima” (Yuchv) e “Virtù” (∆Arethv). In questo modo vengono ribadite la continuità e l’armonia tra la tradizione teologica greca e quella oracolare caldaica. 184 Su ciò cfr. TP VI, cap. 12, p. 58.1 segg. 185 Su ciò cfr. ibid., p. 61.14 segg. 186 È opportuno ricordare che proprio al dio Hélios Proclo ha dedicato uno degli Inni da lui composti per celebrare e invocare specifiche divinità, particolarmente rilevanti per il suo sentire religioso e in rapporto al suo orizzonte metafisico-teologico. Sugli inni di Proclo si veda R.M. van den Berg, Proclus’ Hymns. Essays, Translations, Commentary, Brill, Leiden–Boston–Köln 2001. Per un’analisi e commento dell’inno Hélios si veda ibid., pp. 145 segg. 187 TP VI, cap. 12, p. 58.25-26: Suvzeuxi~ a[ra kata; Plavtwna tw`n qew`n touvtwn oJmofuh;~ kai; koinwniva tw`n dunavmewvn ejsti kai; e{nwsi~ a[rrhto~. 188 Per quanto riguarda l’analogia solare del VI libro della Repubblica in riferimento ad Apollo cfr. TP VI, cap. 12, p. 59.10 segg. Per quanto riguarda le spiegazioni etimologiche del teonimo “Apollo” cfr. ibid., p. 60.19 segg. Nel Cratilo i diversi significati del teonimo “Apollo” vengono esaminati nell’ampio passo 405a-e.

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MICHELE ABBATE

189 TP VI, cap. 12, p. 60.7-13: “Esti dh; kai; tou`to th`~ ijdiovthto~ mavla th`~ ∆Apollwniakh`~ ejxaivreton gnwvrisma, to; ta; plhvqh sunavgein eij~ e}n kai; ejn eJni; perilambavnein to;n ajriqmo;n kai; ejx eJno;~ proavgein ta; polla; kai; dia; th`~ noera`~ aJplovthto~ pa`san th;n tw`n deutevrwn poikilivan ajne­ livssein eij~ eJauto;n kai; th/` mia/` uJpavrxei ta;~ polueidei`~ oujs iva~ te kai; dunavmei~ eJnivzein eij~ e{n. 190 È interessante sottolineare che l’identità divina tra Apollo e Sole viene connessa in chiave metafisica all’interpretazione etimologica del teonimo “Apollo” – inteso come affine a “haploûs” ossia “semplice” e dunque “non-molteplice” in quanto negazione della pluralità – anche nell’ambito del Neoplatonismo latino da Macrobio, il quale in Saturnalia I.XVII.7 definisce Apollo «sol solus», vale a dire “il solo e unico Sole”, con una sorta di “figura etimologica”. 191 In questi due dialoghi Platone accenna esplicitamente ai Coribanti: cfr. Leggi VII, 790d2-e4 ed Eutidemo 277d6-8. Proclo fa rifermento a questi passi in TP VI, cap. 13, p. 65.18 segg. 192 Cfr. ibid., p. 66.23 segg. 193 Su ciò cfr. ibid., p. 67.13 segg. 194 TP VI, cap. 15, p. 73.13 segg.: ÔW~ ga;r sullhvbdhn eijpei`n, mevsoi tw`n te uJperkosmivwn o[nte~ kai; tw`n ejgkosmivwn qew`n ejpikoinwnou`s iv pw~ ajmfotevroi~ kai; koinwnivan a[luton e[cousi pro;~ ajmfotevrou~ ejgkovsmioiv te a{ma kai; uJperkovsmioi kata; th;n tavxin eijs ivn, a[nwqen me;n uJpo; tw`n ajrcikw`n hJgemovnwn eJnizovmenoi, kavtwqen de; uJpo; tw`n nevwn, w{~ fhsin oJ Tivmaio~, qew`n eij~ plh`qo~ proagovmenoi. Il riferimento finale nel passo citato è a Timeo 42d5 segg. 195 Sulla funzione degli dèi ipercosmici-encosmici in rapporto alla loro natura “non-vincolata” cfr. TP VI, cap. 15, p. 74.17 segg. 196 Cfr. ibid. p. 73.21 segg.: kai; tw`n me;n h{nwntai ma`llon, tw`n uJpodee­ stevrwn, tw`n de; plhquvontai ma`llon. 197 Cfr. Platone, Fedro 247a2 segg. 198 TP VI, cap. 15, p. 73.25-29: […] ejpistrevfonte~ [scil. gli dèi ipercosmici-encosmici] me;n tou;~ ejgkosmivou~ ejpi; ta;~ ejxh/rhmevna~ ajrcav~, prokalouvmenoi de; tou;~ uJpe;r to;n kovsmon qeou;~ eij~ th;n ajpogevnnhsin kai; th;n provnoian tw`n aijsqhtw`n kai; to; mevson ei\do~ th`~ ejpistasiva~ ejn eJau­ toi`~ ajtrevptw~ diasw/vzonte~. 199 Cfr. su ciò TP VI, cap. 19, p. 91.5 ove si fa cenno allo Zeu;~ ejg­ kovsmio~ che viene esplicitamente distinto dallo Zeus-Demiurgo, che è il terzo dio della prima triade intellettiva, e dallo Zeus che fa parte dei sovrani-assimilatori, ossia il primo dei tre Cronidi, Zeus ipercosmico. 200 A Helios/Sole encosmico si fa cenno esplicito in TP VI, cap. 19, p.89.1; per quanto riguarda Core encosmica cfr. ibid. cap. 24, p. 110.22; infine sulla triade delle Moire encosmica cfr. ibid., cap. 23, p. 103.15. Per

SAGGIO INTRODUTTIVO, note 189-210

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quanto riguarda la posizione occupata dalle Moire nell’ambito ipercosmico cfr. ibid. cap. 23, p. 103.22 segg. 201 Su ciò cfr. ibid. cap.19, p. 90.18-19. 202 Cfr. TP VI, cap. 16, p. 78.10 segg. In questo passo, Proclo, in base alla propria interpretazione di Timeo 41a3-41d3, ove è riferito il discorso che il Demiurgo rivolge agli dèi giovani, afferma che quest’ultimo ha subordinato a ciascuno degli dèi encosmici schiere di demoni e anime particolari. 203 Su ciò cfr. TP VI, cap. 15, p. 73.3-4. 204 TP VI, cap. 4, p. 24.2-7: ”Apante~ ga;r hJgemovne~ eijs i; kai; a[rconte~ ejn tw/` pantiv, kai; pollai; me;n ajggevlwn tavxei~ pericoreuvousin aujtouv~, polloi; de; daimovnwn ajriqmoiv, pollai; de; hJrwvwn ajgevlai, pamplhqei`~ de; yucai; merikaiv, polueidh` de; tw`n qnhtw`n zw/vwn gevnh, poikivlai de; futw`n dunavmei~. L’espressione poikivlai futw`n dunavmei~ significa propriamente “variegate potenze/virtù di vegetali”. Il termine duvnami~, in base a tale valore semantico, passa anche a significare “specie”. 205 TP I, cap. 12, pp. 56.24-57.1: Tiv ga;r a[llo ejsti; to; e}n to; metecovme­ non uJpo; tou` o[nto~ h] to; ejn eJkavstw/ qei`on, kaq∆ o} kai; h{nwtai pavnta pro;~ to; ajmevqekton e{n… 206 Un esempio particolarmente rilevante si trova in TP III, cap. 14, p. 52.7-8, ove Proclo usa la suggestiva espressione to; e}n polla; krufivw~, cioè “l’Uno celatamente molti”. 207 TP I, cap. 10, p. 42.20-21: Ouj gavr ejstin hJ tou` o[nto~ fuvs i~ miva kai; aJplh` kai; ajdiaivreto~. 208 TP I, cap. 10, p. 45.4 segg: [scil. dei`] mhd∆ o{lw~ tw`/ eJni; tw`/ pavntwn ejpevkeina tw`n o[ntwn to; suvmpan eujqu;~ plh`qo~ prosfevrein tou` eJno;~ o[nto~ k.t.l. 209 La massiccia proliferazione dei livelli intermedi è un’indiscussa peculiarità della prospettiva metafisico-teologica di Proclo. In Plotino, invece, vale il principio esattamente opposto, ossia: «i principi intermedi non sono molteplici» (cfr. Enneadi, V 1 (10), 3.4: oujde; polla; ta; metaxuv). Sulla differenza tra la metafisica procliana e quella plotiniana per quel che concerne la moltiplicazione delle entità intermedie si veda quanto osserva W. Beierwaltes nel volume Pensare l’Uno, op. cit, cap. VI: Dispiegarsi dell’Unità. Sulla differenza tra pensiero plotiniano e procliano, pp. 142-172, in particolare pp. 142-144. 210 Su ciò cfr. in Tim. III, p. 12.22 segg. (ed. Diehl): ouj ga;r eujqevw~ meta; tajgaqo;n to; pavnth plhvqou~ ajnevmfaton hJ pantodaph; tw`n nohtw`n ij­ deva paravgetai, ajll∆ eijs iv tine~ metaxu; fuvsei~ hJnwmevnai me;n ma`llon tou` plhvqou~ tou` pantelou`~, wjdi`na de; kai; e[mfasin th`~ ajpogennhvsew~ tw`n o{lwn kai; th`~ sunoch`~ ejn eJautai`~ ejpideiknuvmenai. Si noti come in questo passo Proclo, al fine di mettere in luce l’unità complessiva della realtà

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intelligibile, parli di hJ pantodaph; tw`n nohtw`n ijdeva, ovvero della «specie assolutamente variegata degli intelligibili». 211 Sulla struttura teologica dell’essere in Proclo e sulla sua conseguente articolazione in gerarchie divine si veda W. Beierwaltes, Geist: Einheit im Unterschied, contenuto nel volume dello stesso autore, Procliana etc., op. cit., pp. 109-126, in particolare p. 110 proprio in riferimento alla Teologia Platonica. 212 Cfr. TP VI, cap. 2, p. 12.25 segg.: kai; miva seira; kai; tavxi~ ajdiavlu­ to~ a[nwqen kaqhvkei dia; th;n th`~ prwtivsth~ aijtiva~ ajnupevrblhton ajgaqov­ thta kai; to; eJniai`on kravto~ aujth`~.

TEOLOGIA PLATONICA

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PROKLOU PLATWNIKOU dIAdOcOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS KEFALAIA TOU AV 5

aV. Prooivmion, ejn w|/ diwvristai th'" pragmateiva" oJ skopov", met eujfhmiva" th'" te aujtou' tou' Plavtwno" kai; tw'n ajp aujtou' diadexamevnwn th;n filosofivan. bV. Tiv" oJ trovpo" tw'n lovgwn ejn th'/ prokeimevnh/ pragmateiva/ kai; tivna prohgei'sqai dei' tw'n ajkroasomevnwn paraskeuhvn.

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gV. Tiv" oJ kata; Plavtwna qeologiko;" kai; povqen a[rcetai kai; mevcri tivnwn a[neisin uJpostavsewn kai; kata; tivna th'" yuch'" duvnamin ejnergei' diaferovntw". dV. Trovpoi qeologikoi; kaq ou}" pavnta" oJ Plavtwn diativqhsi th;n peri; qew'n didaskalivan.

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eV. Tivne" eijsi;n oiJ diavlogoi ajf w|n mavlista lhptevon th;n Plavtwno" qeologivan kai; tivsi tavxesi qew'n e{kasto" touvtwn hJma'" ejfivsthsi.

2

ıV. Apavnthsi" pro;" th;n ejk pleiovnwn dialovgwn a[qroisin th'" Platwnikh'" qeologiva" wJ" merikh;n kai; katatetemacismevnhn ajtimavzousa.

5

zV. Luvsi" th'" proeirhmevnh" ajpanthvsew" eij" e{na to;n Parmenivdhn ajnavgousa th;n o{lhn para; Plavtwni peri; qew'n ajlhvqeian.

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Proclo

1

Diadoco Platonico

Sulla Teologia secondo Platone I

Punti capitali del libro I 1. Premessa, in cui viene definito la scopo dell’opera, con un elogio di Platone stesso ed anche di coloro che hanno fatto propria la sua filosofia II.

5

2. Qual è la modalità dei discorsi nella trattazione in oggetto e quale tipo di preparazione si deve presumere in coloro che intendono apprendere. 3. Chi è, secondo Platone, il teologo e qual è il suo punto di partenza e fino a quali livelli di realtà si eleva e in base a quale facoltà dell’anima, in particolare, opera.

10

4. Tutti i modi teologici III in base ai quali Platone organizza l’insegnamento sugli dèi. 5. Quali sono i dialoghi a partire dai quali, soprattutto, si deve ricavare la teologia di Platone e a quali ordinamenti di dèi ciascuno di essi ci fa arrivare.

15

6. Critica rivolta a chi ricava la teologia platonica mettendola 2 insieme a partire da più dialoghi, critica in base alla quale si considera negativamente la dottrina teologica così ricavata in quanto parziale e frammentaria. 7. Superamento della suddetta critica, in quanto si fa risalire al solo Parmenide l’intera verità sugli dèi in Platone. I I kefavlaia sono i punti fondamentali di una trattazione, attraverso i quali si articola l’argomento e l’obiettivo di un’opera. Per il significato filosofico dei kefavlaia in rapporto allo skopov" (“scopo”, “obiettivo”) di un’opera rinvio al saggio introduttivo del volume da me curato, Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004, pp. LXIVLXX. Sull’esegesi nel tardo Neoplatonismo rinvio inoltre al mio volume Tra esegesi e teologia. Studi sul Neoplatonismo, Milano-Udine 2012, in particolare pp. 23-38 e 75-89. II L’espressione tw'n ajp aujtou' diadexamevnwn th;n filosofivan indica anche, con allusione al termine diavdoco" (“successore”), “i successori di Platone nella tradizione filosofica”. III Si tratta delle diverse modalità di esposizione in base alle quali Platone dispone ed organizza la sua dottrina teologica.

5

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4

TEOLOGIA PLATONICA

hV. Ekqesi" tw'n diafovrwn peri; tou' Parmenivdou doxw'n kai; diaivresi" tw'n pro;" aujta;" ajpanthvsewn. 10

15

qV. Antilogiva pro;" tou;" logiko;n ei\nai to;n Parmenivdhn eijpovnta" kai; th;n ejn aujtw'/ pragmateivan di ejndovxwn ejpiceirhmatikh;n uJpotiqemevnou". iV. Tivna katorqou'sin oiJ peri; tw'n ejn toi'" ou\sin ajrcw'n ei\nai ta;" uJpoqevsei" tou' Parmenivdou levgonte" kai; tivna prosqetevon oi|" levgousin ejk th'" aujtou' tou' kaqhgemovno" hJmw'n paradovsew". iaV. Apodeivxei" pleivou" peri; tw'n th'" deutevra" uJpoqevsew" sumperasmavtwn kai; th'" kata; ta;" qeiva" tavxei" aujth'" diairevsew".

20

ibV. Skopoi; tw'n uJpoqevsewn th;n pro;" ajllhvla" aujtw'n sunevceian kai; th;n pro;" ta; pravgmata sumfwnivan deiknuvonte". igV. Tivna" koinou;" kanovna" peri; qew'n oJ Plavtwn ejn Novmoi" paradivdwsi periv te uJpavrxew" qew'n kai; peri; pronoiva" kai; peri; th'" ajtrevptou teleiovthto".

25

idV. Pw'" kateskeuvastai tw'n qew'n hJ u{parxi" ejn Novmoi" kai; dia; poivwn mesothvtwn ajnevdramen oJ lovgo" ejp aujtou;" tou;" o[ntw" qeouv". ieV. Pw'" ajpodevdeiktai tw'n qew'n hJ provnoia ejn Novmoi" kai; tiv" oJ trovpo" th'" pronoiva" aujtw'n ejsti; kata; Plavtwna.

3

iıV. dia; poivwn ejpiceirhvsewn ejn th'/ aujth'/ pragmateiva/ devdeiktai to; ajtrevptw" pronoei'n tou;" qeouv". izV. Tivna ta; ejn Politeiva/ paradoqevnta peri; qew'n ajxiwvmata kai; tivna e[cei pro;" a[llhla tavxin.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO I

5

8. Esposizione delle differenti opinioni sul Parmenide e classificazione delle critiche che si possono rivolgere a tali opinioni. 9. Confutazione di coloro che dicono che il Parmenide ha carattere logico IV e che sostengono la tesi che la sua materia sia trattata con un argomentare dialettico attraverso le comuni opinioni. 10. In cosa hanno ragione coloro che dicono che le ipotesi del Parmenide concernono i principi insiti negli enti e quali considerazioni si devono aggiungere a quelle che essi fanno alla luce della dottrina trasmessaci direttamente dalla nostra guidaV.

10

15

11. Più dimostrazioni relative alle conclusioni della seconda ipotesi e alla sua divisione che è conforme agli ordinamenti divini. 12. Gli scopi delle ipotesi VI, i quali mostrano la loro reciproca connessione e l’accordo con le realtà effettive.

20

13. Quali regole generali concernenti gli dèi Platone tramanda nelle Leggi per quel che concerne ad un tempo l’esistenza autentica, la provvidenza e l’immutabile perfezione degli dèi. 14. In che modo è stata concepita l’esistenza autentica degli dèi nelle Leggi e attraverso quali tappe intermedie il discorso si è spinto in alto fino a quelli che sono realmente gli dèi in se stessi.

25

15. Come è stata dimostrata nelle Leggi la provvidenza degli dèi e qual è il modo di operare della loro provvidenza secondo Platone. 16. Attraverso quali argomentazioni nella medesima trattazio- 3 ne è stato mostrato che gli dèi esercitano in modo immutabile la loro provvidenza. 17. Quali sono i principi fondamentali concernenti gli dèi che sono stati trasmessi nella Repubblica e quale ordine hanno gli uni rispetto agli altri. IV Come è noto, in ambito medio-platonico il Parmenide fu considerato, sostanzialmente, alla stregua di un esercizio logico. A tale proposito è bene ricordare che, anche secondo la classificazione dei dialoghi di Platone proposta da Trasillo, il Parmenide viene indicato come logikov". V Il riferimento è a Siriano, maestro e guida di Proclo. Come si vedrà, l’esegesi platonica di Siriano viene considerata fondamentale da Proclo in tutta la Teologia Platonica. VI Si tratta delle diverse ipotesi esposte nel Parmenide, che secondo l’interpretazione neoplatonica descrivono differenti livelli e articolazioni della realtà.

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6 5

10

TEOLOGIA PLATONICA

ihV. Tiv" ãhJÃ ajgaqovth" tw'n qew'n kai; pw'" ai[tioi levgontai pavntwn ajgaqw'n: ejn w|/ kai; o{ti to; kako;n kata; parupovstasivn ejsti kosmouvmenon kai; aujto; kai; tattovmenon uJpo; tw'n qew'n. iqV. Tiv to; ajmetavblhton tw'n qew'n: ejn w|/ levgetai kai; tiv" hJ aujtavrkeia kai; tiv" hJ a[trepto" ajpavqeia kai; pw'" to; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" e[cein ajkoustevon ejpi; tw'n qew'n. kV. Tiv" hJ aJplovth" tw'n qew'n kai; pw'" to; aJplou'n aujtw'n poikivlon ejn toi'" deutevroi" fantavzetai. kaV. Tiv" hJ ejn toi'" qeoi'" ajlhvqeia kai; povqen parempivptei to; yeu'do" ejn tai'" eij" ta; deuvtera meqevxesi tw'n qew'n.

15

20

kbV. Apo; tw'n ejn tw'/ Faivdrw/ rJhqevntwn peri; tou' qeivou panto;" ajxiwmavtwn, o{ti kalo;n sofo;n ajgaqovn, ejxergasiva tw'n peri; th'" ajgaqovthto" dogmavtwn kai; tw'n ejn Filhvbw/ tou' ajgaqou' stoiceivwn ejxevtasi". kgV. Tiv" hJ sofiva tw'n qew'n kai; tivna a[n ti" aujth'" stoicei'a lavboi para; tou' Plavtwno". kdV. Peri; tou' qeivou kavllou" kai; tw'n stoiceivwn w|n aujtou' paradivdwsin oJ Plavtwn.

25

keV. Tiv" hJ tria;" hJ pro;" to; ajgaqo;n kai; to; sofo;n kai; to; kalo;n sunavptousa, kai; poiva" ajforma;" oJ Plavtwn hJmi'n katabevblhtai th'" peri; aujth;n qewriva" kıV. Peri; tw'n ejn Faivdwni paradoqevntwn ajxiwmavtwn th'" ajoravtou fuvsew": tiv to; qei'on, tiv to; ajqavnaton, tiv to; nohtovn, kai; tivna e[cei pro;" a[llhla tau'ta tavxin

4

kzV. Tiv to; monoeidev", tiv to; ajdiavluton, tiv to; wJsauvtw" e[con ejpi; tw'n qeivwn lhptevon khV. Pw'" ta; patrika; ai[tia, pw'" ta; mhtrika; lhptevon ejn toi'" qeoi'".

5

kqV. Peri; tw'n qeivwn ojnomavtwn kai; th'" ojrqovthto" aujtw'n th'" ejn Kratuvlw/ paradedomevnh".

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO I

7

18. Qual è la bontà degli dèi e in che senso sono detti “cause” di tutti i beni; e qui si dice anche che il male è, anch’esso, integrato nell’ordine universale come esistenza collaterale e che come tale ad esso è riservata dagli dèi una specifica collocazione. 19. Qual è l’immutabilità degli dèi; e qui si dice anche qual è il carattere della loro autosufficienza, quale quello della loro inalterabile imperturbabilità ed in che senso a proposito degli dèi bisogna intendere l’affermazione secondo cui essi “permangono nella medesima condizione ed allo stesso modo”.

5

10

20. Qual è la semplicità degli dèi ed in che modo ciò che v’è in essi di semplice appare vario nelle realtà seconde. 21. Qual è la verità insita negli dèi e da dove subentra il falso nelle partecipazioni degli dèi alle realtà seconde. 22. A partire dai principi fondamentali esposti nel Fedro a proposito di tutta la realtà divina nel suo insieme, cioè che è bella, sapiente e buona, elaborazione delle dottrine concernenti la bontà ed esame dettagliato dei caratteri fondamentali del Bene nel Filebo. 23. Qual è la sapienza degli dèi e quali i caratteri fondamentali di essa che si potrebbero desumere da Platone.

15

20

24. Sulla bellezza divina e sui caratteri fondamentali di essa che Platone tramanda. 25. Qual è la triade che congiunge al bene, alla sapienza ed al bello, e quali punti di partenza Platone ci ha posto come fondamenti della speculazione relativa ad essa?

25

26. Sui principi fondamentali della natura invisibile trasmessi nel Fedone: che cosa è il divino, che cosa l’immortale, che cosa l’intelligibile e quale ordine hanno tali concetti gli uni rispetto agli altri? 27. Cosa a proposito degli dèi bisogna accogliere che sia l’uni- 4 forme, cosa l’indissolubile, cosa il permanere allo stesso modo? 28. Come bisogna intendere al livello degli dèi le cause paterne e come quelle materne. 29. Sui nomi divini e sulla loro correttezza che è stata tramandata nel Cratilo.

5

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5

PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS BIBLION PROTWN ãaVÃ Apasan me;n th;n Plavtwno" filosofivan, w\ fivlwn ejmoi; fivltate Perivklei", kai; th;n ajrch;n ejklavmyai nomivzw kata; th;n tw'n kreittovnwn ajgaqoeidh' bouvlhsin, to;n ejn aujtoi'" kekrummevnon nou'n kai; th;n ajlhvqeian th;n oJmou' toi'" ou\si tai'" peri; gevnesin strefomevnai" yucai'", 10 sunufestw'san kaq o{son aujtai'" qemito;n tw'n ou{tw" uJperfuw'n kai; megavlwn ajgaqw'n metevcein, ejkfaivnousan, kai; pavlin u{steron teleiwqh'nai kai; w{sper eij" eJauth;n ajnacwrhvsasan kai; toi'" polloi'" tw'n filosofei'n ejpaggellomevnwn kai; th'" tou' qhvra" ajntilambavnesqai speudovntwn ajfanh' kata15 o[nto" sta'san, au\qi" eij" fw'" proelqei'n: diaferovntw" de; oi\mai th;n peri; aujtw'n tw'n qeivwn mustagwgivan ejn aJgnw'/ bavqrw/ kaqarw'" iJdrumevnhn kai; par aujtoi'" toi'" qeoi'" diaiwnivw" 6 uJfesthkui'an ejkei'qen toi'" kata; crovnon aujth'" ajpolau'sai dunamevnoi" ejkfanh'nai di eJno;" ajndrov", o}n oujk a]n aJmavrtoimi tw'n ajlhqinw'n teletw'n, a}" telou'ntai cwrisqei'sai tw'n peri; gh'n tovpwn aiJ yucaiv, kai; tw'n oJloklhvrwn kai; 5 ajtremw'n fasmavtwn w|n metalambavnousin aiJ th'" eujdaivmono" kai; makariva" zwh'" gnhsivw" ajntecovmenai, prohgemovna kai; iJerofavnthn ajpokalw'n: ou{tw" de; semnw'" kai; ajporrhvtw" uJp aujtou' th;n prwvthn ejklavmyasan oi|on aJgivoi" iJeroi'" kai; tw'n ajduvtwn ejnto;" iJdrunqei'san ajsfalw'" kai; toi'" 10 polloi'" tw'n eijsiovntwn ajgnohqei'san ªajsfalw'"º, ejn taktai'" crovnwn periovdoi" uJpo; dhv tinwn iJerevwn ajlhqinw'n kai; to;n proshvkonta th'/ mustagwgiva/ bivon ajnelomevnwn proelqei'n 5

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Proclo

5

Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Libro I

[Premessa, in cui viene definito la scopo dell’opera, con un elogio di Platone stesso ed anche di coloro che da lui hanno accolto la sua filosofia]

5

Tutta quanta la filosofia di Platone, o Pericle1, a me carissimo tra gli amici, credo che all’inizio rifulse secondo la volontà, “di forma simile al Bene”2, degli esseri superiori3, rivelando l’intelletto celato in essi e la verità che è coesistita con gli enti alle anime 10 che dimorano nell’ambito della generazione4, nella misura in cui è ad esse lecito partecipare di beni a tal punto sovrannaturali e grandi5; essa, in seguito, fu di nuovo condotta alla perfezione dopo essersi, per così dire, ritirata in se stessa; e, dopo essersi resa invisibile alla maggior parte di coloro che professavano di filosofare e che ambivano a prendere parte alla «caccia all’essere»6, è 15 tornata nuovamente alla luce. D’altro canto7, ritengo che, in modo davvero speciale, l’iniziazione ai misteri concernenti le realtà divine stesse, posta in modo puro «su una base sacra»8 e fondata perpetuamente presso gli dèi stessi, da quel luogo fu rivelata a colo- 6 ro che nell’ambito della temporalità9 potevano trarne vantaggio, per il tramite di un solo uomo10, che non avrei torto nel chiamare “guida” e “sommo sacerdote” degli «autentici riti di iniziazione», ai quali «sono iniziate» le anime una volta separatesi dalla dimensione terrena, e delle «apparizioni integre e immobili»11, alle quali 5 prendono parte quelle anime che stanno autenticamente aggrappate alla vita felice e fonte di beatitudine; d’altronde una volta che, ad opera sua, per la prima volta rifulse in modo così venerabile ed ineffabile come avviene nel corso dei sacri riti e dopo che fu saldamente posta all’interno dei “penetrali del tempio” e fu ignorata dalla maggior parte di coloro 10 che vi entravano, in prestabiliti periodi ciclici di tempo, certo ad opera di alcuni sacerdoti autentici che adottarono la vita che si confà all’iniziazione ai misteri, si presentò all’esterno per

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10

TEOLOGIA PLATONICA

me;n ejf o{son h\n aujth'/ dunatovn, a{panta de; katalavmyai to;n tovpon kai; pantacou' ãta;"Ã tw'n qeivwn fasmavtwn ejllavmyei" 15 katasthvsasqai. Touvtou" dh; tou;" th'" Platwnikh'" ejpopteiva" ejxhghta;" kai; ta;" panagestavta" hJmi'n peri; tw'n qeivwn uJfhghvsei" ajnaplwvsanta" kai; tw'/ sfetevrw/ kaqhgemovni paraplhsivan th;n fuvsin lacovnta" ei\nai qeivhn a]n e[gwge Plwti'novn te to;n 20 Aijguvption kai; tou;" ajpo; touvtou paradexamevnou" th;n qewrivan, Amevliovn te kai; Porfuvrion, kai; trivtou" oi\mai tou;" ajpo; touvtwn w{sper ajndriavnta" hJmi'n ajpotelesqevnta", Iavmblicovn te kai; Qeovdwron, kai; eij dhv tine" a[lloi meta; touvtou" eJpovmenoi tw'/ qeivw/ touvtw/ corw'/ peri; tw'n tou' 7 Plavtwno" th;n eJautw'n diavnoian ajnebavkceusan, par w|n to; gnhsiwvtaton kai; kaqarwvtaton th'" ajlhqeiva" fw'" toi'" th'" yuch'" kovlpoi" ajcravntw" uJpodexavmeno" oJ meta; qeou;" hJmi'n tw'n kalw'n pavntwn kai; ajgaqw'n hJgemwvn, th'" te a[llh" 5 aJpavsh" hJma'" metovcou" katevsthse tou' Plavtwno" filosofiva" kai; koinwnou;" w|n ejn ajporrhvtoi" para; tw'n aujtou' presbutevrwn meteivlhfe, kai; dh; kai; th'" peri; tw'n qeivwn mustikh'" ajlhqeiva" sugcoreuta;" ajpevfhne. Touvtw/ me;n ou\n eij mevlloimen th;n proshvkousan cavrin 10 ejktivsein tw'n eij" hJma'" eujergesiw'n, oujd a]n oJ suvmpa" ejxarkevseie crovno". Eij de; dei' mh; movnon aujtou;" eijlhfevnai par a[llwn to; th'" Platwnikh'" filosofiva" ejxaivreton ajgaqo;n ajlla; kai; toi'" u{steron ejsomevnoi" uJpomnhvmata kataleivpein tw'n makarivwn qeamavtwn, w|n aujtoi; kai; qeatai; 15 genevsqai fame;n kai; zhlwtai; kata; duvnamin uJf hJgemovni tw'/ tw'n kaq hJma'" telewtavtw/ kai; eij" a[kron h{konti filosofiva", tavc a]n eijkovtw" aujtou;" tou;" qeou;" parakaloi'men to; th'" ajlhqeiva" fw'" ajnavptein hJmw'n tai'" yucai'", kai; tou;" tw'n kreittovnwn ojpadou;" kai; qerapeuta;" katiquvnein 20 to;n hJmevteron nou'n, kai; podhgetei'n eij" to; pantele;" kai; qei'on kai; uJyhlo;n tevlo" th'" Platwnikh'" qewriva". Pantacou' me;n gavr, oi\mai, proshvkei to;n kai; kata; bracu; metevconta swfrosuvnh" ajpo; qew'n poiei'sqai ta;" ajrcav", oujc h{kista de; ejn tai'" peri; tw'n qew'n ejxhghvsesin: ou[te ga;r 25 noh'sai to; qei'on a[llw" dunato;n h] tw'/ par aujtw'n fwti; 8 telesqevnta", ou[te eij" a[llou" ejxenegkei'n h] par aujtw'n kubernwmevnou" kai; tw'n polueidw'n doxasmavtwn kai; th'" ejn lovgoi" feromevnh" poikiliva" ejxh/rhmevnhn fulavttonta" th;n tw'n qeivwn ojnomavtwn ajnevlixin.

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LIBRO I, 1

11

quanto le era possibile, ma riuscì comunque a illuminare ogni luogo ed ovunque fornì le condizioni per le splendenti irradiazioni prodotte dalle apparizioni divine. 15 Questi interpreti della suprema visione12 platonica, che esplicarono i precetti per noi santissimi concernenti le realtà divine e che ebbero in sorte una natura del tutto simile a quella della loro guida13, io sosterrei che furono, Plotino l’Egiziano e coloro che rice- 20 vettero da costui la dottrina nel suo insieme, cioè Amelio e Porfirio, e terzi, a mio giudizio, sono coloro che furono da questi iniziati, Giamblico e Teodoro, i quali sono per noi “come statue”; e chiunque siano stati dopo costoro altri che, seguendo questo coro divino, elevarono la loro riflessione intorno alle dottrine di Platone fino 7 a giungere all’estasi bacchica, è da questi che colui che, dopo gli dèi, è la nostra guida14 per tutte le cose belle e buone, accolse nella parte più intima della sua anima in modo incontaminato la luce più autentica e pura della verità, e ci rese partecipi di tutta l’altra parte della filosofia di Platone e ci fece prender parte a quelle dottrine 5 che in segreto ricevette da quelli più antichi di lui, e soprattutto ci rese compartecipi della verità misterica circa le realtà divine. Ebbene con ciò, se noi intendessimo contraccambiare in modo 10 conveniente la gratitudine per i benefici nei nostri confronti, non ci basterebbe tutto quanto il tempo nel suo insieme. Ma se non dobbiamo limitarci solo ad aver ricevuto da altri il bene eletto della filosofia platonica, ma dobbiamo anche lasciare a coloro che verranno in seguito commenti delle beate visioni15 – delle quali 15 diciamo che noi stessi siamo divenuti per quanto possibile spettatori ed emulatori sotto la guida di colui che è il più perfetto tra quelli che condividono la nostra prospettiva e che è giunto alla sommità della filosofia – allora forse apparirebbe naturale che noi invocassimo gli dèi stessi perché facciano scaturire in noi la luce della verità, e perché «coloro che sono al seguito» e «coloro che 20 sono al servizio»16 degli esseri divini dirigano il nostro intelletto, e lo guidino passo per passo al perfetto, divino e sublime fine della contemplazione platonica. In ogni caso infatti, a mio avviso, è opportuno che «chi è anche in scarsa misura partecipe di assennatezza»17 cominci dagli dèi, e ciò vale in special modo nelle opere ese- 25 getiche che hanno per oggetto gli dèi. Né infatti è possibile com- 8 prendere la realtà divina se non, una volta che si è stati iniziati, per mezzo della luce che da essi proviene, e non è possibile far conoscere ad altri se non ci si fa guidare dagli dèi e se non si mantiene l’esplicazione dei nomi divini18 al di sopra delle multiformi credenze e della varietà che si trasmette nei discorsi.

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10

15

TEOLOGIA PLATONICA

Tau't ou\n kai; hJmei'" eijdovte" kai; tw'/ Platwnikw'/ Timaivw/ parainou'nti peiqovmenoi prosthswvmeqa tou;" qeou;" hJgemovna" th'" peri; aujtw'n didaskaliva": oiJ de; ajkouvsante" i{lewv/ te kai; eujmenei'" ejlqovnte", a[goien to;n th'" yuch'" hJmw'n nou'n kai; periavgoien ãeij"Ã th;n tou' Plavtwno" eJstivan kai; to; a[nante" th'" qewriva" tauvth". Ou| dh; genovmenoi suvmpasan th;n peri; aujtw'n ajlhvqeian uJpodexovmeqa, kai; tevlo" to; a[riston e{xomen th'" ejn hJmi'n wjdi'no" h}n e[comen peri; ta; qei'a, gnw'naiv ti peri; touvtwn poqou'nte" kai; par a[llwn punqanovmenoi kai; eJautou;" eij" duvnamin basanivzonte".

bV Alla; tw'n me;n prooimivwn a{li": ajnagkai'on dev ejstiv moi kai; to;n trovpon ejkqevsqai th'" prokeimevnh" didaskaliva", oJpoi'ovn tina aujto;n e[sesqai prosdoka'n crhv, kai; ãtw'nà 20 touvtou ajkroasomevnwn th;n paraskeuh;n ajforivsasqai, kaq h}n ouj pro;" tou;" hJmetevrou" lovgou" ajlla; pro;" th;n uJyhlovnoun kai; e[nqeon tou' Plavtwno" filosofivan ejpithdeivw" e[conte" ajpanthvsontai. Proshvkei ga;r dhvpou kai; ta; 9 ei[dh tw'n lovgwn kai; ta;" ejpithdeiovthta" tw'n ajkroatw'n prosfovrou" uJpokei'sqai, kaqavper ejn tai'" teletai'" oijkeiva" ta;" uJpodoca;" toi'" qeoi'" proeutrepivzousin oiJ peri; tau'ta deinoiv, kai; ou[te ajyuvcoi" ajei; toi'" aujtoi'" a{pasin ou[te toi'" 5 a[lloi" zwv/oi" ou[te ajnqrwvpoi" crw'ntai pro;" th;n parousivan tw'n qew'n, ajll ejf eJkavstwn to; metevcein sumfuw'" dunavmenon eij" th;n prokeimevnhn a[gousi telethvn. O me;n ou\n lovgo" e[stai moi trich'/ th;n prwvthn dih/rhmevno": ejn ajrch'/ me;n ta; koina; pavnta nohvmata peri; qew'n, 10 o{sa paradivdwsin oJ Plavtwn, sugkefalaiouvmeno" kai; tav" te dunavmei" aJpantacou' kai; ta;" ajxiva" tw'n ajxiwmavtwn ejpiskopw'n: ejn de; mevsoi" ta;" o{la" tavxei" tw'n qew'n diariqmouvmeno" ªdevº, kai; ta;" ijdiovthta" aujtw'n kai; ta;" proovdou" kata; to;n Platwniko;n trovpon ajforizovmeno", kai; pavnta 15 ejpanavgwn eij" ta;" tw'n qeolovgwn uJpoqevsei": ejn de; th'/ teleuth'/

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LIBRO I, 2

13

Dunque essendo anche noi a conoscenza di ciò e persuasi dai consigli del Timeo platonico, considereremo gli dèi come guide dell’insegnamento che li concerne. Ed essi dal canto loro, avendoci ascoltati, venuti a noi «propizi e benevoli»19, guidino l’intelletto della nostra anima e lo facciano pervenire all’“altare”20 di Platone e alla «vetta»21 di questa contemplazione. Una volta lì giunti, riceveremo tutta quanta la verità riguardante gli dèi, e raggiungeremo il migliore compimento del nostro travaglio a cui siamo soggetti in relazione alle realtà divine, poiché desideriamo ardentemente conoscere qualche cosa intorno ad esse, sia cercando di sapere da altri sia mettendoci direttamente alla prova per quanto possibile.

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2 [Qual è la modalità dei discorsi nella trattazione in oggetto e quale tipo di preparazione si deve presumere in coloro che intendono apprendere] Ma basta con le premesse. Per me è necessario spiegare il modo dell’insegnamento che mi propongo di dare: quale ci si deve aspettare che esso sarà, e definire la preparazione di coloro che ne 20 saranno gli uditori, preparazione in base alla quale saranno ben attrezzati per affrontare non solo i nostri discorsi, ma «il sublime pensiero»22 e la filosofia divinamente ispirata di Platone. In effetti è opportuno, a mio avviso, che le forme dei discorsi e le dispo- 9 sizioni favorevoli degli uditori risultino adatte, proprio allo stesso modo in cui nei riti coloro che sono abili in queste pratiche predispongono gli specifici ricettori23 per gli dèi, e non si servono sempre di tutti gli stessi oggetti inanimati né indistintamente di tutti gli animali né di tutti gli esseri umani per rendere presenti gli 5 dèi, ma in ogni singolo caso essi conducono al compimento del rito l’oggetto capace di partecipare per affinità naturale24. Ebbene il discorso, per prima cosa, verrà diviso in tre parti. All’inizio tutte le concezioni comuni che Platone tramanda riguardo agli dèi, riassumendo sia i rispettivi signi- 10 ficati ad ogni livello ed al contempo esaminando il valore dei concetti fondamentali. Poi nella parte centrale si enumereranno tutti gli ordinamenti degli dèi, definendo le loro proprietà e le loro processioni secondo la modalità platonica, e si riconduce tutto quanto alle supposizioni dei teologi. Nell’ultima parte si discuterà degli 15

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peri; tw'n sporavdhn ejn toi'" Platwnikoi'" suggravmmasin uJmnhmevnwn qew'n ei[te uJperkosmivwn ei[te ejgkosmivwn dialegovmeno", kai; ajnafevrwn eij" ta; o{la gevnh tw'n qeivwn diakovsmwn th;n peri; aujtw'n qewrivan. 20 En a{pasi de; to; safe;" kai; dihrqrwmevnon kai; aJplou'n proqhvsomen tw'n ejnantivwn, ta; me;n dia; sumbovlwn paradedomevna metabibavzonte" eij" th;n ejnargh' peri; aujtw'n didaskalivan, ta; de; di eijkovnwn ajnapevmponte" ejpi; ta; sfevtera paradeivgmata, kai; ta; me;n ajpofantikwvteron ajnagegram25 mevna toi'" th'" aijtiva" basanivzonte" logismoi'", ta; de; di ajpodeivxewn sunteqevnta diereunwvmenoi kai; to;n trovpon th'" ejn aujtoi'" ajlhqeiva" ejpekdihgouvmenoi kai; gnwvrimon 10 toi'" ajkouvousi poiou'nte", kai; tw'n me;n ejn aijnivgmasi keimevnwn ajllacovqen th;n safhvneian ajneurivskonte" oujk ejx ajllotrivwn uJpoqevsewn ajll ejk tw'n gnhsiwtavtwn tou' Plavtwno" suggrammavtwn, tw'n de; aujtovqen toi'" ajkouvousi prospip5 tovntwn th;n pro;" ta; pravgmata sumfwnivan qewrou'nte": ajf w|n dh; pavntwn hJmi'n to; e}n kai; tevleion th'" Platwnikh'" qeologiva" ei\do" ajnafanhvsetai, kai; hJ di o{lwn aujtou' tw'n qeivwn nohvsewn ajlhvqeia dihvkousa, kai; ei|" nou'" ãoJà to; suvmpan touvtou kavllo" ajpogennhvsa" kai; th;n mustikh;n 10 tauvth" th'" qewriva" ajnevlixin. O me;n ou\n lovgo" toiou'to" e[stai moi, kaqavper e[fhn: oJ de; au\ tw'n prokeimevnwn dogmavtwn ajkroath;" tai'" me;n hjqikai'" ajretai'" kekosmhmevno" uJpokeivsqw kai; pavnta ta; ajgenh' kai ajnavrmosta th'" yuch'" kinhvmata tw'/ th'" ajreth'" lovgw/ 15 katadhsavmeno" kai; pro;" e}n to; th'" fronhvsew" ei\do" aJrmovsa". Mh; kaqarw'/ gavr, fhsi;n oJ Swkravth", kaqarou' ejfavptesqai mh; ouj qemito;n h\/: pa'" ge mh;n oJ kako;" pavntw" ajkavqarto", kaqaro;" de; oJ ejnantivo". Tai'" de; logikai'" meqovdoi" aJpavsai" gegumnavsqw kai; polla; me;n 20 peri; ajnaluvsewn polla; de; peri; tw'n ejnantivwn pro;" tauvta" diairevsewn ajnevlegkta nohvmata teqeamevno" parevstw, kaqavper oi\mai kai; oJ Parmenivdh" tw'/ Swkravtei parekeleuvsato: pro; ga;r th'" toiauvth" ejn toi'" lovgoi" plavnh", caleph; kai; a[porov" ejstin hJ tw'n qeivwn genw'n kai; th'" ejn auj25 toi'" iJdrumevnh" ajlhqeiva" katanovhsi". To; de; dh; trivton ejpi; touvtoi" mhde; th'" fusikh'" ajnhvkoo" e[stw kai; tw'n ejn tauvth/ 11 polueidw'n doxasmavtwn ãi{na kajnà tai'" eijkovsi kata; trovpon ta;" aijtiva" tw'n o[ntwn diereunhsavmeno" ejp aujth;n h[dh th;n tw'n cwristw'n kai; prwtourgw'n uJpostavsewn fuvsin rJa'/on

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dèi, sia di quelli ipercosmici sia di quelli encosmici, celebrati in modo cursorio negli scritti platonici, e si ricondurrà la speculazione su di essi ai generi universali degli ordinamenti divini. Inoltre in tutti i casi prediligeremo ciò che è evidente, ciò che 20 risulta ben distinto e ciò che è semplice rispetto ai loro contrari: riporteremo così alla chiarezza dell’insegnamento che concerne gli dèi le dottrine che sono state tramandate attraverso i simboli; ricondurremo le dottrine espresse attraverso immagini ai loro modelli originari, e quelle che sono state registrate per iscritto in modo troppo assertivo le esamineremo per mezzo «dei ragiona- 25 menti che riconducono alla causa»25, mentre indagheremo quelle elaborate attraverso dimostrazioni sia spiegando dettagliatamente il carattere della verità insita in esse sia rendendolo familiare agli 10 uditori. Ed ancora, per altre vie, scopriremo il chiaro significato delle dottrine poste in forma di enigmi, non a partire da supposizioni di altri, ma proprio dai più autentici scritti di Platone, mentre considereremo l’accordo con la realtà delle dottrine che dagli 5 scritti di Platone si presentano agli uditori. Certamente da tutto ciò si rivelerà a noi l’unica e perfetta forma della teologia platonica, e la verità che pervade tutti questi suoi pensieri divini ed il solo ed unico intelletto che ha generato tutta la bellezza di questa dottrina e la formulazione misterica di questa teoria filosofica. 10 Ebbene, tale sarà per me il discorso, come ho detto. Dal canto suo l’uditore delle dottrine qui esposte consideri come condizione imprescindibile l’essere stato opportunamente predisposto dalle virtù etiche e di aver sottomesso tutti gli indegni e disarmo- 15 nici movimenti dell’anima al principio razionale della virtù e di averli ricondotti ad unità sotto la forma dell’assennatezza. In effetti, afferma Socrate, «non è lecito per chi non è puro toccare ciò che è puro»26. Senza dubbio chiunque sia malvagio è assolutamente impuro, mentre il puro è il suo contrario. Inoltre sia esercitato nei metodi della logica e si mostri come uno che ha considerato molte forme di pensiero inconfutabile, sia per quanto riguarda i ragio- 20 namenti analitici, sia per quanto riguarda quelli diairetici che sono opposti a quelli analitici, come, a mio avviso, anche Parmenide ha invitato Socrate a fare27: infatti prima di tale “divagazione” nei vari tipi di ragionamento è difficile ed inaccessibile la cognizione dei generi divini e della verità saldamente posta in essi. Per terza 25 cosa oltre a ciò non sia ignorante di scienza della natura e delle 11 multiformi opinioni in essa presenti 28, avendo indagato convenientemente per mezzo delle immagini le cause degli enti, proceda più facilmente, a questo punto, verso la natura stessa

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poreuvhtai. Mhvt ou\n tauvth", o{per ei[pomen, th'" ejn toi'" fainomevnoi" ajlhqeiva", mhvte au\ tw'n kata; paivdeusin oJdw'n kai; tw'n ejn aujtai'" maqhvsewn ajpoleleivfqw: dia; ga;r touvtwn ajulovteron th;n qeivan oujsivan ginwvskomen. Pavnta de; tau'ta sundhsavmeno" eij" to;n hJgemovna nou'n kai; th'" Plavtwno" dialektikh'" metalabw;n kai; melethvsa" ta;" aju?lou" kai; cwrista;" tw'n swmatikw'n dunavmewn ejnergeiva" kai; nohvsei meta; lovgou ta; o[nta qewrei'n ejfievmeno", aJptevsqw liparw'" th'" tw'n qeivwn te kai; makarivwn dogmavtwn ejxhghvsew", e[rwti me;n ãta;Ã bavqh kata; to; Lovgion ajnaplwvsa" th'" yuch'", ejpei; kai; sunergo;n e[rwto" ajmeivnw labei'n eij" th;n th'" qewriva" tauvth" ajntivlhyin oujk e[stin, w{" pouv fhsin oJ Plavtwno" lovgo", ajlhqeiva/ de; th'/ dia; pavntwn hJkouvsh/ gegumnasmevno" kai pro;" aujth;n th;n o[ntw" ajlhvqeian ejgeivra" to; nohto;n o[mma, tw'/ de; monivmw/ kai; ajkinhvtw/ kai; ajsfalei' th'" tw'n qeivwn gnwvsew" ei[dei prosidruvsa" eJauto;n kai; mhde;n a[llo qaumavzein e[ti mhde; ajpoblevpein eij" a[lla peiqovmeno", ajll ajtremei' th'/ dianoiva/ kai; zwh'" ajtruvtou dunavmei pro;" to; qei'on fw'" ejpeigovmeno" kaiv, wJ" sunelovnti favnai, toiou'ton ejnergeiva" te kai; hjremiva" ei\do" oJmou' probeblhmevno", oJpoi'on e[cein proshvkei to;n ejsovmenon ou{tw" korufai'on, w{" pouv fhsin oJ ejn Qeaithvtw/ Swkravth". gV H me;n ou\n uJpovqesi" ou{tw megavlh kai; oJ trovpo" tw'n peri; aujth'" lovgwn toiou'to" kai; hJ tw'n maqhsomevnwn paraskeuh; toiavde tiv" ejstin, w{" gev moi katafaivnetai: pri;n de; a[rxwmai th'" tw'n prokeimevnwn hJmi'n pragmavtwn uJfhghvsew", bouvlomai periv te aujth'" qeologiva" eijpei'n kai; tw'n kat aujth;n trovpwn, kai; tivna" me;n oJ Plavtwn dogmativzei, tivna" de; ajposkeuavzetai tw'n qeologikw'n tuvpwn, i{na tau'ta proeidovte" rJa'/on ejn toi'" ejcomevnoi" ta;" tw'n ajpodeiv-

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delle realtà fondamentali separate e originarie. Dunque non resti privo, come abbiamo detto, di questa verità insita nella dimensione sensibile, né inoltre delle «vie che conducono al sapere»29 e delle conoscenze insite in esse. Infatti attraverso queste conosciamo in modo più immateriale l’essenza divina. Inoltre, avendo collegato tutte queste conoscenze alla guida dell’Intelletto, avendo partecipato della dialettica di Platone, essendosi occupato delle attività immateriali e separate dalle facoltà corporee e desiderando contemplare gli enti con intellezione congiunta a ragione, intraprenda con tenacia l’interpretazione delle dottrine divine e beate, da un lato avendo colmato, secondo l’Oracolo30, «di amore le profondità dell’anima» – dal momento che non è possibile «ottenere un aiutante migliore di amore» nel cercare di impossessarsi di questa dottrina, come in qualche luogo sostiene nel suo discorso Platone31 – dall’altro lato essendosi esercitato «nella verità» che giunge passando per ogni dove ed avendo sollevato lo sguardo del suo intelletto verso quella che è realmente verità in sé; ed essendosi inoltre saldamente posto accanto alla stabile, immobile e sicura forma della conoscenza della realtà divina, non aspirando più a contemplare null’altro né a rivolgere l’attenzione in altre direzioni, ma con il pensiero tranquillo e con la forza di una vita infaticabile aspirando alla luce divina e, per dirla in breve, essendosi fatto scudo di questa forma al contempo di attività e di tranquillità, quale è opportuno che abbia colui che è destinato a diventare quell’elargitore di cui parla Socrate in qualche parte del Teeteto32.

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3 12 [Chi è, secondo Platone, il teologo e qual è il suo punto di partenza e fino a quali livelli di realtà si eleva e in base a quale facoltà dell’anima, in particolare, opera] Ebbene, di tale importanza è il tema generale, tale il carattere dei discorsi che lo riguardano e tale più o meno deve essere la preparazione dei futuri discenti, almeno come a me appare. D’altra parte prima di iniziare la trattazione delle questioni che ci stanno innanzi, intendo anche dire sia per quel che concerne la teologia stessa sia per quel che concerne le modalità di trattazione ad essa conformi, da un lato quali sono quelle definite da Platone, dall’altro quali sono eliminate dai modelli teologici, affinché, conoscendo in anticipo questi aspetti, possiamo apprendere più facilmente

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xewn ajforma;" katamanqavnwmen. Apante" me;n ou\n o{soi pwvpote qeologiva" eijsi;n hJmmevnoi, ta; prw'ta kata; fuvsin qeou;" ejponomavzonte", peri; tau'ta th;n qeologikh;n ejpisthvmhn pragmateuvesqaiv fasin. Kai; oiJ me;n th;n swmatikh;n uJpovstasin tou' ei\nai movnon ajxiou'nte", ta; 15 de; tw'n ajswmavtwn gevnh sumpavnta pro;" oujsivan deuvtera tiqevmenoi, tav" te ajrca;" tw'n o[ntwn swmatoeidei'" kai; th;n tauvta" gnwrivzousan ejn hJmi'n e{xin swmatikh;n ajpofaivnousin. OiJ de; ta; me;n swvmata pavnta tw'n ajswmavtwn ejxavyante", th;n ãde;Ã prwtivsthn u{parxin ejn yuch'/ kai; tai'" yucikai'" 20 dunavmesin oJrizovmenoi, qeou;" mevn, oi\mai, kalou'si tw'n yucw'n ta;" ajrivsta", th;n de; mevcri touvtwn ajniou'san kai; tauvta" ginwvskousan ejpisthvmhn qeologivan ejponomavzousin. Osoi de; au\ kai; ta; tw'n yucw'n plhvqh paravgousin ejx a[llh" 13 presbutevra" ajrch'" kai; nou'n hJgemovna tw'n o{lwn uJpotivqentai, tevlo" me;n to; a[riston ei\naiv fasi th;n pro;" to;n nou'n th'" yuch'" e{nwsin kai; to; noero;n th'" zwh'" ei\do" timiovthti tw'n pavntwn diafevrein nomivzousin, eij" de; taujto;n a[gousi 5 qeologivan dhvpou kai; th;n peri; th'" noera'" oujsiva" ejxhvghsin. Apante" me;n ou\n, o{per e[fhn, ta;" prwtivsta" ajrca;" tw'n o[ntwn kai; aujtarkestavta" qeou;" ajpokalou'si kai; qeologivan th;n touvtwn ejpisthvmhn. Movnh de; hJ tou' Plavtwno" e[nqeo" uJfhvghsi" ta; me;n swmatika; pavnta pro;" ajrch'" lovgon 10 ajtimavsasa (diovti dh; to; meristo;n pa'n kai; diastato;n ou[te paravgein ou[te swv/zein eJauto; pevfuken ajlla; kai; to; ei\nai kai; to; ejnergei'n h] pavscein dia; yuch'" e[cei kai; tw'n ejn aujth'/ kinhvsewn), th;n de; yucikh;n oujsivan presbutevran me;n ei\nai swmavtwn ajpodeivxasa th'" de; noera'" uJpostavsew" ejxhrthmevnhn 15 (ejpeidh; pa'n to; kata; crovnon kinouvmenon, ka]n aujtokivnhton h\/, tw'n me;n eJterokinhvtwn ejsti;n hJgemonikwvteron th'" de; diaiwniva" kinhvsew" deuvteron), swmavtwn mevn, w{sper ei[rhtai, kai; yucw'n patevra to;n nou'n ajpofaivnei kai; ai[tion, kai; peri; ejkei'non pavnta kai; ei\nai kai; ejnergei'n o{sa th;n zwh;n ejn diexovv20 doi" kai; ajnelivxesi kevkthtai, proveisi de; ejp a[llhn ajrch;n tou' nou' pantelw'" ejxh/rhmevnhn kai; ajswmatwtevran kai; a[rrhton ajf h|" pavnta, ka]n ta; e[scata tw'n o[ntwn levgh/", th;n uJpostavsin e[cein ajnagkai'on: yuch'" me;n ga;r ouj pavnta 10

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nel seguito i punti di partenza fondamentali degli argomenti. 10 Ebbene, tutti quelli che in un’epoca o in un’altra si sono occupati di teologia, denominando dèi gli esseri primi per natura, in relazione ad essi dicono di occuparsi della scienza teologica. E coloro33 che prendono in considerazione solo il fondamento corporeo dell’essere, mentre valutano di livello inferiore in relazione 15 alla sostanza tutti quanti i generi delle entità incorporee, evidenziano i principi di natura corporea degli enti ed anche la condizione corporea che ci permette di averne conoscenza. Coloro34 invece che hanno fatto dipendere tutti i corpi dalle entità incorporee, e, d’altro canto, stabiliscono la primissima forma di esistenza sostanziale nell’anima e nelle facoltà psichiche, chiamano dèi, a mio 20 avviso, le migliori tra le anime, e d’altronde denominano “teologia” la scienza che si eleva fino ad esse e che ne ha conoscenza. Ma infine tutti quelli35 che, a loro volta, fanno derivare anche la molteplicità delle anime da un altro principio superiore all’anima e 13 pongono un “Intelletto come sovrano” del Tutto, dicono che il fine migliore è l’unificazione dell’anima con l’Intelletto e ritengono che la forma intellettiva della vita differisca per dignità da tutte le altre; d’altra parte fanno convergere nella medesima direzione, a mio avviso, la teologia e la trattazione riguardante la sostanza 5 intellettiva. Tutti quanti dunque, come dicevo, chiamano i primissimi principi degli enti divinità assolutamente autonome ed al contempo la scienza che concerne tali principi “teologia”. Solo la dottrina divinamente ispirata di Platone, avendo rifiutato di collocare al livel- 10 lo di principio tutti gli enti corporei (in effetti tutto ciò che è diviso e disunito non è per natura atto a produrre se stesso né a preservare se stesso nell’essere, ma anche l’esistere e l’agire o il patire li possiede per il tramite dell’anima e dei movimenti in essa insiti), ed avendo dimostrato che l’essere dell’anima è superiore ai corpi, ma dipende dal fondamento intellettivo (infatti tutto ciò 15 che si muove in un determinato tempo, anche qualora si muova da sé, è sì più atto a fungere da guida di ciò che è mosso da altro, ma è di livello inferiore rispetto al movimento eterno), rivela che l’intelletto è padre e causa dei corpi, come è stato detto, e delle anime, e che intorno ad esso si trovano ed al contempo agiscono tutte le cose, quante sono venute in possesso della vita nelle tappe 20 di passaggio e di sviluppo; d’altronde si spinge fino ad un altro principio assolutamente trascendente l’intelletto e più incorporeo ed ineffabile dal quale tutte le cose, anche qualora ci si riferisca ai più remoti tra gli enti, è necessario che abbiano la loro sussisten-

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metevcein pevfuken ajll o{sa zwh;n e[schke tranestevran h] ajmudrotevran ejn auJtoi'", oujde; nou' pavnta kai; tou' o[nto" 14 ajpolauvein dunato;n ajll o{sa kat ei\do" uJfevsthke, dei' de; au\ th;n ajrch;n tw'n pavntwn uJpo; pavntwn metevcesqai tw'n o[ntwn, ei[per mhdeno;" ajpostathvsei, pavntwn aijtiva tw'n oJpwsou'n uJfestavnai legomevnwn ou\sa. 5 Tauvthn de; prwtivsthn tw'n o{lwn kai; nou' presbutevran ajrch;n ejn ajbavtoi" ajpokekrummevnhn ejnqevw" ajneurou'sa kai; trei'" tauvta" aijtiva" kai; monavda" ejpevkeina swmavtwn ajnafhvnasa, yuch;n levgw kai; nou'n to;n prwvtiston kai; th;n uJpe;r nou'n e{nwsin, paravgei me;n ejk touvtwn wJ" monavdwn tou;" 10 oijkeivou" ajriqmouv", to;n me;n eJnoeidh' to;n de; noero;n to;n de; yucikovn (pa'sa ga;r mona;" hJgei'tai plhvqou" eJauth'/ sustoivcou), sunavptei de; w{sper ta; swvmata tai'" yucai'" ou{tw dhvpou kai; ãta;"Ã yuca;" me;n toi'" noeroi'" ei[desi, tau'ta de; tai'" eJnavsi tw'n o[ntwn, pavnta de; eij" mivan ejpistrevfei th;n 15 ajmevqekton eJnavda. Kai; mevcri tauvth" ajnadramou'sa, pevra" oi[etai to; ajkrovtaton e[cein th'" tw'n o{lwn qewriva", kai; tauvthn ei\nai th;n peri; qew'n ajlhvqeian, h} peri; ta;" eJnavda" tw'n o[ntwn pragmateuvetai, kai; tav" te proovdou" aujtw'n kai; ta;" ijdiovthta" paradivdwsi kai; th;n tw'n o[ntwn pro;" aujta;" 20 sunafh;n kai; ta;" tw'n eijdw'n tavxei", ai} touvtwn ejxhvrthntai tw'n eJniaivwn uJpostavsewn: th;n de; peri; nou'n kai; ta; ei[dh kai; ta; gevnh tou' nou' strefomevnhn qewrivan deutevran ei\nai th'" peri; aujtw'n tw'n qew'n pragmateuomevnh" ejpisthvmh": kai; tauvthn me;n e[ti nohtw'n ajntilambavnesqai kai; th'/ yuch'/ 25 di ejpibolh'" ginwvskesqai dunamevnwn eijdw'n, th;n de; tauvth" uJperevcousan ajrrhvtwn kai; ajfqevgktwn uJpavrxewn metaqei'n thvn te ejn ajllhvlai" ªaujtw'nº diavkrisin kai; th;n ajpo; mia'" 15 aijtiva" e[kfansin. Oqen oi\mai kai; th'" yuch'" to; me;n noero;n ijdivwma katalhptiko;n uJpavrcein tw'n noerw'n eijdw'n kai; th'" ejn aujtoi'" diafora'", th;n de; ajkrovthta tou' nou' kaiv, w{" fasi, to; a[nqo" kai; th;n u{parxin sunavptesqai pro;" ta;" 5 eJnavda" tw'n o[ntwn kai; dia; touvtwn pro;" aujth;n th;n pasw'n tw'n qeivwn eJnavdwn ajpovkrufon e{nwsin. Pollw'n ga;r ejn hJmi'n dunavmewn oujsw'n gnwristikw'n, kata; tauvthn movnhn tw'/ qeivw/ suggivnesqai kai; metevcein ejkeivnou pefuvkamen: ou[te ga;r 25

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za autonoma. In effetti non tutti gli enti sono per natura partecipi di anima, ma quanti possiedono in se stessi un’esistenza più o meno chiara, né è possibile che tutti godano anche di intel- 14 letto o di essere ma quanti risultano formalmente esistenti in modo autonomo; d’altra parte occorre che il principio di tutte le cose, a sua volta, sia partecipato da tutti gli enti, se è vero che «non potrà mai essere separato da nessuno di essi»36, essendo causa di tutto ciò che viene definito, in una qualunque misura, esistente in modo autonomo. Tale dottrina, avendo scoperto per divina ispirazione che que- 5 sto primissimo principio del Tutto, celato in ambiti inaccessibili, è superiore anche all’intelletto e avendo rivelato che tre sono queste cause e monadi al di là dei corpi, intendo dire l’Anima, l’Intelletto primissimo e l’unificazione posta al di sopra dell’Intelletto, ricava da questi, intesi come monadi, la serie corrispondente, ciò 10 che è unico, ciò che è intellettivo e ciò che è psichico (infatti ogni monade è a capo di una molteplicità ad essa coordinata); poi, come essa collega i corpi alle anime, così, a mio giudizio, anche le anime alle forme intellettive, e queste alle enadi degli enti, infine fa volgere tutto quanto all’unica Enade impartecipabi- 15 le. Ed essendo risalita fino a questa, ritiene di possedere il limite più elevato della contemplazione del Tutto, e che questa sia la verità concernente gli dèi, verità che si occupa delle enadi degli enti e tramanda le loro processioni, le loro proprietà, la connessio- 20 ne degli enti con esse e gli ordinamenti delle forme, i quali dipendono da queste realtà autonome unitarie. Ritiene inoltre che la ricerca filosofica che si rivolge all’intelletto, alle specie e ai generi dell’intelletto, sia seconda rispetto alla scienza che si occupa direttamente degli dèi. E questa scienza considera ancora gli intelligibili e le Forme che possono essere conosciute per intuizione dal- 25 l’anima, mentre la scienza delle entità ineffabili e impronunciabili, che è posta al di sopra della precedente, ricerca la distinzione fra le une e le altre e la loro manifestazione a partire da un’unica 15 causa. Ed in base a ciò appunto ritengo che la particolarità intellettiva dell’anima sia essenzialmente la capacità di cogliere le Forme intellettive e la differenza fra di esse, e che la sommità e, come dicono, il “fiore”37 e l’autentica esistenza dell’intelletto si congiungano alle enadi degli enti e attraverso queste alla unificazione 5 segreta stessa di tutte le enadi divine. In effetti anche se in noi ci sono molte facoltà atte a conoscere, solo in base a quella forma di conoscenza appena menzionata veniamo ad essere per natura intimamente uniti con la realtà divina e siamo partecipi di essa; ed in

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aijsqhvsei to; qew'n gevno" lhptovn, ei[per ejsti; swmavtwn aJpavntwn ejxh/rhmevnon, ou[te dovxh/ kai; dianoiva/, meristai; ga;r au|tai kai; polueidw'n ejfavptontai pragmavtwn, ou[te nohvsei meta; lovgou, tw'n ga;r o[ntw" o[ntwn eijsi;n aiJ toiau'tai gnwvsei", hJ de; tw'n qew'n u{parxi" ejpocei'tai toi'" ou\si kai; kat aujth;n ajfwvristai th;n e{nwsin tw'n o{lwn. 15 Leivpetai ou\n, ei[per ejsti; kai; oJpwsou'n to; qei'on gnwstovn, th'/ th'" yuch'" uJpavrxei katalhpto;n uJpavrcein kai; dia; tauvth" gnwrivzesqai kaq o{son dunatovn. Tw'/ ga;r oJmoivw/ pantacou' fame;n ta; o{moia ginwvskesqai: th'/ me;n aijsqhvsei dhladh; to; aijsqhtovn, th'/ de; dovxh/ to; doxastovn, th'/ de; dianoiva/ 20 to; dianohtovn, tw'/ de; nw'/ to; nohtovn, w{ste kai; tw'/ eJni; to; eJnikwvtaton kai; tw'/ ajrrhvtw/ to; a[rrhton. Orqw'" ga;r kai; oJ ejn Alkibiavdh/ Swkravth" e[legen eij" eJauth;n eijsiou'san th;n yuch;n tav te a[lla pavnta katovyesqai kai; to;n qeovn: sunneuvousa ga;r eij" th;n eJauth'" e{nwsin kai; to; kevntron th'" 25 sumpavsh" zwh'" kai; to; plh'qo" ajposkeuazomevnh kai; th;n poikilivan tw'n ejn auJth'/ pantodapw'n dunavmewn, ejp aujth;n 16 a[neisi th;n a[kran tw'n o[ntwn periwphvn. Kai; w{sper ejn tai'" tw'n teletw'n aJgiwtavtai" fasi; tou;" muvsta" th;n me;n prwvthn polueidevsi kai; polumovrfoi" tw'n qew'n probeblhmevnoi" gevnesin ajpanta'n, eijsiovnta" de; ajklinei'" kai; tai'" teletai'" pefragmevnou" aujth;n th;n qeivan e[llamyin ajkrai5 fnw'" ejgkolpivzesqai kai; gumnh'ta", wJ" a]n ejkei'noi fai'en, tou' qeivou metalambavnein: to;n aujto;n oi\mai trovpon kai; ejn th'/ qewriva/ tw'n o{lwn eij" me;n ta; meq eJauth;n blevpousan th;n yuch;n ta;" skia;" kai; ta; ei[dwla tw'n o[ntwn blevpein, eij" eJauth;n de; ejpistrefomevnhn th;n eJauth'" oujsivan kai; tou;" 10 eJauth'" lovgou" ajnelivttein: kai; to; me;n prw'ton w{sper eJauth;n movnon kaqora'n, baquvnousan de; th'/ eJauth'" gnwvsei kai; to;n nou'n euJrivskein ejn auJth'/ kai; ta;" tw'n o[ntwn tavxei", cwrou'san de; eij" to; ejnto;" auJth'" kai; to; oi|on a[duton th'" yuch'", ejkeivnw/ kai; to; qew'n gevno" kai; ta;" eJnavda" tw'n o[ntwn muvsasan 15 qeavsasqai. Pavnta gavr ejsti kai; ejn hJmi'n yucikw'" kai; dia; tou'to ta; pavnta ginwvskein pefuvkamen, ajnegeivronte" ta;" ejn hJmi'n dunavmei" kai; ta;" eijkovna" tw'n o{lwn. 10

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effetti il genere degli dèi non è coglibile né con i sensi, se è vero che trascende tutti i corpi, né con l’opinione né con il pensiero 10 articolato – infatti queste forme di conoscenza sono suddivise e sono in contatto con oggetti multiformi – né con l’«intellezione congiunta a ragione»38 – infatti tali forme di conoscenza sono proprie degli enti che realmente sono – mentre la realtà autentica degli dèi è sovrapposta agli enti e risulta definita in base alla unificazione stessa del Tutto. Dunque, se è vero che la realtà divina è 15 in qualche misura conoscibile, resta da concludere che risulta effettivamente coglibile da parte della esistenza pura dell’anima e attraverso questa si lascia conoscere nella misura del possibile. Infatti affermiamo che in ogni ambito «ciò che è simile è conosciuto mediante il simile»39: vale a dire il sensibile mediante la sensazione, l’oggetto di opinione mediante l’opinione, l’oggetto del 20 pensiero discorsivo mediante il pensiero discorsivo, l’intelligibile mediante l’intelletto; cosicché ciò che è massimamente unitario è conosciuto mediante l’unità e l’ineffabile mediante l’ineffabile. Correttamente, in effetti, anche Socrate nell’Alcibiade40 affermava che l’anima entrando in se stessa avrebbe scorto oltre a tutto il resto anche la divinità: infatti, convergendo verso la sua stessa unificazione e verso il centro di tutta quanta la sua vita, e sbarazzan- 25 dosi della molteplicità e della varietà delle facoltà di ogni sorta in lei insite, si innalza proprio alla suprema specola contemplativa 16 sugli enti. E come nei più sacri tra i riti di iniziazione dicono che gli iniziati incontrino al principio vari e multiformi generi di esseri schierati innanzi agli dèi, ma entrando senza vacillare e protetti dalle iniziazioni accolgano in sé in modo puro l’illuminazione 5 divina stessa e «nudi»41 – come quelli direbbero – partecipino della realtà divina; allo stesso modo, a mio giudizio, anche nella contemplazione del Tutto l’anima, quando volge lo sguardo a ciò che viene dopo di lei, vede le ombre e le immagini riflesse degli enti, ma quando si rivolge a se stessa, dispiega la sua propria 10 essenza ed i suoi propri ragionamenti; e dapprima come limitandosi a contemplare solo se stessa, poi approfondendo la ricerca con la conoscenza di sé, scopre in sé l’intelletto ed al contempo gli ordinamenti degli enti, poi, procedendo nella sua propria interiorità e per così dire nel penetrale dell’anima, per mezzo di ciò contempla «con gli occhi chiusi»42 sia il genere degli dèi sia le enadi degli enti. Effettivamente ogni cosa si trova anche in noi, ma a 15 livello psichico e attraverso questo siamo naturalmente portati a conoscere tutte le cose, ridestando le facoltà insite in noi e le immagini delle entità universali.

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Kai; tou'tov ejsti to; a[riston th'" ejnergeiva", ejn hjremiva/ tw'n dunavmewn pro;" aujto; to; qei'on ajnateivnesqai kai; perico20 reuvein ejkei'no, kai; pa'n to; plh'qo" th'" yuch'" sunageivrein ajei; pro;" th;n e{nwsin tauvthn, kai; pavnta ajfevnta" o{sa meta; to; e}n aujtw'/ prosidruvesqai kai; sunavptesqai tw'/ ajrrhvtw/ kai; pavntwn ejpevkeina tw'n o[ntwn. Mevcri ga;r touvtou th;n yuch;n ajnievnai qemito;n e{w" a]n ejp aujth;n ajniou'sa teleuthvsh/ 25 th;n tw'n o[ntwn ajrchvn: ejkei' de; genomevnhn kai; to;n 17 ejkei' tovpon qeasamevnhn kai; katiou'san ejkei'qen kai; dia; tw'n o[ntwn poreuomevnhn kai; ajnelivttousan ta; plhvqh tw'n eijdw'n, tav" te monavda" aujtw'n kai; tou;" ajriqmou;" diexiou'san kai; o{pw" e{kasta tw'n oijkeivwn eJnavdwn ejxhvrthtai noerw'" diagi5 nwvskousan, telewtavthn oi[esqai tw'n qeivwn ejpisthvmhn e[cein, tav" te tw'n qew'n proovdou" eij" ta; o[nta kai; ta;" tw'n o[ntwn peri; tou;" qeou;" diakrivsei" eJnoeidw'" qeasamevnhn. dV O me;n dh; qeologiko;" hJmi'n e[stw kata; th;n tou' Plavtwno" 10 yh'fon toiou'to" kai; hJ qeologiva toiavde ti" e{xi", aujth;n th;n tw'n qew'n u{parxin ejk faivnousa, kai; to; a[gnwston aujtw'n kai; eJniai'on fw'" ajpo; th'" tw'n metecovntwn ijdiovthto" diakrivnousa kai; qewmevnh kai; ajpaggevllousa toi'" ajxivoi" th'" makariva" tauvth" kai; pavntwn oJmou' tw'n ajgaqw'n parektikh'" 15 ejnergeiva": meta; de; tauvthn th;n pantelh' th'" prwtivsth" qewriva" perivlhyin kai; tou;" trovpou" diasthswvmeqa kaq ou}" oJ Plavtwn ta; mustika; peri; tw'n qeivwn hJma'" ajnadidavskei nohvmata. Faivnetai ga;r ouj to;n aujto;n pantacou' trovpon metiw;n th;n peri; tw'n qeivwn didaskalivan, ajll oJte; 20 me;n ejnqeastikw'" oJte; de; dialektikw'" ajnelivttwn th;n peri; aujtw'n ajlhvqeian, kai; pote; me;n sumbolikw'" ejxaggevllwn ta;" ajrrhvtou" aujtw'n ijdiovthta", pote; de; ajpo; tw'n eijkovnwn ejp aujtou;" ajnatrevcwn kai; ta;" prwtourgou;" ejn aujtoi'" aijtiva" tw'n o{lwn ajneurivskwn. 25 En Faivdrw/ me;n ga;r numfovlhpto" genovmeno" kai; th'" 18 ajnqrwpivnh" nohvsew" th;n kreivttona manivan ajllaxavmeno", ejnqevw/ stovmati polla; me;n peri; tw'n noerw'n dievxeisi qew'n ajpovrrhta dovgmata, polla; de; peri; tw'n ajpoluvtwn hJgemovnwn

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E questa è la parte migliore della nostra attività: nella quiete delle nostre facoltà elevarci verso il divino stesso, danzarvi intor- 20 no, riunire senza posa tutta la molteplicità dell’anima in questa unificazione, e, tralasciate tutte quante le cose che vengono dopo l’Uno, porci accanto ad esso e stabilire un contatto con esso che è ineffabile ed al di là di tutti gli enti. Infatti fino a questo punto è lecito che l’anima ascenda, cioè finché non concluda la sua ascesa giungendo fino al Principio stesso di tutti gli enti. Inoltre , una volta pervenuta in quel luogo e contemplato quel luogo, ridiscendendo da quel luogo, passando attraverso gli 17 enti, dispiegando le molteplicità delle Forme, attraversando l’insieme delle loro monadi e discernendo intellettivamente in che modo ogni cosa dipenda dalle proprie relative monadi, ritenga di 5 possedere la perfettissima scienza della realtà divina, avendo contemplato in modo uni-forme le processioni degli dèi negli enti ed al contempo le differenziazioni fra gli enti in rapporto agli dèi. 4 [Tutti i modi teologici in base ai quali Platone organizza l’insegnamento sugli dèi] Ebbene, teologico sia per noi tale secondo il giu- 10 dizio espresso da Platone e la teologia sia questa sorta di condizione, che rivela l’autentica esistenza in se stessa degli dèi, che distingue ciò che è inconoscibile di essi e la loro luce unitaria dalla specificità particolare che ne partecipa, che li “contempla”, e che li annuncia a chi è degno di questa beatitudine e di questa attività che procura tutti insieme i beni. Poi, dopo questa perfetta com- 15 prensione complessiva di tale suprema attività intellettuale, dobbiamo anche distinguere i modi in base ai quali Platone ci istruisce a fondo sui concetti mistici concernenti le realtà divine. Infatti appare chiaro che egli non tratta ovunque nello stesso modo la dottrina sugli esseri divini, ma talvolta sviluppa la verità su di essi 20 in modo divinamente ispirato, talvolta invece in modo dialettico, e una volta espone in modo simbolico le loro ineffabili proprietà, un’altra invece risale dalle immagini verso di essi giungendo così a scoprire le cause originarie del Tutto insite in essi. In effetti nel Fedro43, “posseduto dalle ninfe” e avendo sosti- 18 tuito all’intellezione umana il delirio entusiastico che le è superiore, con bocca divinamente ispirata espone molte dottrine ineffabili sugli dèi intellettivi, molte poi sui sovrani non-vincolati dell’uni-

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tou' pantov", oi} to; tw'n ejgkosmivwn qew'n plh'qo" ejpi; ta;" nohta;" kai; cwrista;" tw'n o{lwn monavda" ajnateivnousin, e[ti de; pleivw peri; aujtw'n tw'n to;n kovsmon dialacovntwn qew'n, tav" te nohvsei" aujtw'n kai; ta;" perikosmivou" poihvsei" ajnumnw'n kai; thvn te provnoian th;n a[cranton kai; th;n peri; ta;" yuca;" diakubevrnhsin kai; o{sa a[lla paradivdwsin oJ 10 Swkravth" ejn ejkeivnoi" ejnqeastikw'", wJ" aujto;" diarrhvdhn levgei, kai; tou'to tou;" ejgcwrivou" qeou;" th'" toiauvth" maniva" aijtiwvmeno". En dev ge tw'/ Sofisth'/ periv te tou' o[nto" kai; th'" tou' eJno;" ajpo; tw'n o[ntwn cwristh'" uJpostavsew" dialektikw'" 15 ajgwnizovmeno" kai; ajporw'n pro;" tou;" palaiotevrou", ejpideivknusin o{pw" ta; me;n o[nta pavnta th'" eJautw'n aijtiva" ejxhvrthtai kai; tou' prwvtw" o[nto", aujto; de; to; o]n metevcei th'" ejxh/rhmevnh" tw'n o{lwn eJnavdo", kai; wJ" peponqov" ejsti to; e}n ajll oujk aujtoevn, uJfeimevnon tou' eJno;" kai; hJnwmevnon 20 uJpavrcon ajll ouj prwvtw" e{n. Omoivw" de; au\ kajn tw'/ Parmenivdh/ tav" te tou' o[nto" ajpo; tou' eJno;" proovdou" kai; th;n tou' eJno;" uJperoch;n dia; tw'n prwvtwn uJpoqevsewn ejkfaivnei dialektikw'" kaiv, wJ" aujto;" ejn ejkeivnoi" levgei, kata; th;n telewtavthn th'" meqovdou tauvth" diaivresin. 25 Kai; mh;n kai; ejn Gorgiva/ me;n peri; tw'n triw'n dhmiourgw'n kai; peri; th'" dhmiourgikh'" ejn aujtoi'" diaklhrwvsew" mu'qon ajpaggevllwn, ouj mu'qon o[nta movnon ajlla; kai; lovgon, 19 ejn Sumposivw/ de; peri; th'" tou' e[rwto" eJnwvsew", ejn de; Prwtagovra/ peri; th'" tw'n qnhtw'n zwv/wn ajpo; qew'n diakosmhvsew", to;n sumboliko;n trovpon katakruvptei th;n peri; tw'n qeivwn ajlhvqeian, kai; mevcri yilh'" ejndeivxew" ejkfaivnei th;n eJautou' 5 bouvlhsin toi'" gnhsiwtavtoi" tw'n ajkouovntwn. Eij de; bouvlei kai; th'" dia; tw'n maqhmavtwn didaskaliva" mnhsqh'nai kai; th'" ejk tw'n hjqikw'n h] fusikw'n lovgwn peri; tw'n qeivwn pragmateiva", oi|a polla; me;n ejn Timaivw/ polla; de; ejn Politikw'/ polla; de; ejn a[lloi" dialovgoi" ejsti; kate10 sparmevna qewrei'n, ejntau'qa dhvpou soi kai; ãoJÃ dia; tw'n eijkovnwn ta; qei'a ginwvskein ejfievmeno" trovpo" e[stai katafanhv". Apanta ga;r tau'ta ta;" tw'n qeivwn ajpeikonivzetai dunavmei": oJ me;n politikov", eij tuvcoi, th;n ejn oujranw'/ dhmiourgivan, ta; de; tw'n pevnte stoiceivwn ejn lovgoi" gewmetrikoi'" 15 ajpodedomevna schvmata ta;" tw'n qew'n tw'n ejpibebhkovtwn 5

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verso, i quali fanno tendere in alto la moltitudine degli dèi encosmici verso le monadi intelligibili e separate del Tutto, ma espone 5 ancora più dottrine sugli dèi stessi cui sono toccati gli ambiti di competenza del cosmo, celebrando le loro intelligenze ed al contempo le loro produzioni rivolte al cosmo nella sua globalità, la loro provvidenziale cura incontaminata ed al contempo il loro governo nei riguardi delle anime, e molte altre dottrine, tutte quelle che Socrate in modo ispirato tramanda in quei passi, come 10 egli stesso afferma esplicitamente, e ciò quando indica gli dèi patrii come le fonti di tale ispirazione. Invece nel Sofista44, contendendo in modo dialettico con gli autori antichi sull’essere e sulla ipostasi dell’Uno che è separato dagli enti, e mettendoli in difficoltà, dimostra come da un lato 15 tutti gli enti dipendano dalla loro causa e da ciò che è in modo primario, e dall’altra come l’essere in se stesso partecipi dell’Enade trascendente il Tutto, e come esso si sia venuto a trovare nella condizione di essere uno, ma non sia uno-in-sé, in quanto è posto al di sotto dell’Uno e risulta unificato, ma non è in modo primario 20 Uno. Allo stesso modo anche nel Parmenide45, a sua volta, in modo dialettico rivela le processioni dell’essere dall’Uno e l’eccellenza dell’Uno attraverso le ipotesi prime e, come egli stesso afferma in quei passi, secondo la più perfetta divisione propria di questo metodo di indagine. Ed in verità anche nel Gorgia46, quando riferisce il mito sui tre 25 demiurghi e sulla assegnazione demiurgica insita in essi, mito che non è solo “mito”, ma anche “ragionamento filosofico”, poi nel 19 Simposio47 sulla unificazione operata dall’amore, e nel Protagorai48 sull’assetto degli esseri viventi mortali ad opera degli dèi, ricorrendo ai simboli cela la verità sugli esseri divini, e non spingendosi oltre una semplice indicazione rivela la sua intenzione a quelli fra 5 i suoi uditori che sono i suoi più legittimi eredi. D’altra parte, se si vuole menzionare sia l’insegnamento attraverso le forme di sapere matematico sia lo studio sistematico sugli esseri divini a partire dai discorsi etici o concernenti la natura, molte dottrine per esempio sono disseminate nel Timeo49 e molte nel Politico50 e molte ancora in altri dialoghi, e in questi testi, a 10 mio avviso, risulterà evidente anche il modo d’argomentare che mira a conoscere gli esseri divini attraverso le immagini. In effetti tutti questi caratteri rappresentano le potenze degli esseri divini: il politico, poniamo caso, la demiurgia insita nel cielo, le forme dei cinque elementi espresse in termini geometrici 15 le proprietà degli dèi che si sono accostati alle

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toi'" mevresi tou' panto;" ijdiovthta", aiJ de; th'" yucikh'" oujsiva" diairevsei" ta;" o{la" tw'n qew'n diakosmhvsei". Ew' ga;r levgein o{ti kai; ta;" politeiva" a}" sunivsthsin ajpeikavzwn toi'" qeivoi" kai; tw'/ panti; kovsmw/ kai; tai'" ejn aujtw'/ dunavmesi diakosmei'. 20 Pavnta dh; ou\n tau'ta di oJmoiovthto" tw'n th'/de pro;" ta; qei'a ta;" ejkeivnwn hJmi'n proovdou" kai; tavxei" kai; dhmiourgiva" ejn eijkovsin ejpideivknusin. OiJ me;n ou\n trovpoi th'" para; tw'/ Plavtwni qeologikh'" didaskaliva" toioivde tinev" eijsi: dh'lon de; ejk tw'n eijrhmevnwn 20 o{ti kai; to;n ajriqmo;n ei\nai tosouvtou" ajnagkai'on: oiJ me;n ga;r di ejndeivxew" peri; tw'n qeivwn levgonte" h] sumbolikw'" kai; muqikw'" h] di eijkovnwn levgousin, oiJ de; ajparakaluvptw" ta;" eJautw'n dianohvsei" ajpaggevllonte" oiJ me;n kat ejpisthvmhn 5 oiJ de; kata; th;n ejk qew'n ejpivpnoian poiou'ntai tou;" lovgou". Esti de; oJ me;n dia; tw'n sumbovlwn ta; qei'a mhnuvein ejfievmeno" Orfiko;" kai; o{lw" toi'" ta;" qeomuqiva" gravfousin oijkei'o". O de; dia; tw'n eijkovnwn Puqagovreio", ejpei; kai; toi'" Puqagoreivoi" ta; maqhvmata pro;" th;n tw'n qeivwn ajnavmnhsin ejxhuvrhto 10 kai; dia; touvtwn wJ" eijkovnwn ejp ejkei'na diabaivnein ejpeceivroun: kai; ga;r tou;" ajriqmou;" ajnei'san toi'" qeoi'" kai; ta; schvmata, kaqavper levgousin oiJ ta; ejkeivnwn iJstorei'n spoudavzonte". O de; ejnqeastikw'" me;n aujth;n kaq eJauth;n ejkfaivnwn th;n peri; qew'n ajlhvqeian para; toi'" ajkrotavtoi" tw'n telestw'n 15 mavlista katafanhv": ouj ga;r ajxiou'sin ou|toi dia; dhv tinwn parapetasmavtwn ta;" qeiva" tavxei" h] ta;" ijdiovthta" aujtw'n toi'" eJautw'n gnwrivmoi" ajpodidovnai, ajlla; tav" te dunavmei" kai; tou;" ajriqmou;" tou;" ejn aujtoi'" uJp aujtw'n kinouvmenoi tw'n qew'n ejxaggevllousin. O de; au\ kat ejpisthvmhn ejxaivre20 tov" ejsti th'" tou' Plavtwno" filosofiva": kai; ga;r th;n ejn tavxei provodon tw'n qeivwn genw'n kai; th;n pro;" a[llhla diafora;n kai; tav" te koina;" tw'n o{lwn diakovsmwn ijdiovthta" kai; ta;" ejn eJkavstoi" dih/rhmevna" movno", wJ" ejmoi; dokei', tw'n hJmi'n sunegnwsmevnwn oJ Plavtwn kai; dielevsqai kai; tavxai 25 kata; trovpon ejpeceivrhse. 21 Tou'to me;n ou\n e[stai katafanev", o{tan peri; Parmenivdou ta;" prohgoumevna" ajpodeivxei" poihswvmeqa kai; tw'n ejn aujtw'/ pasw'n diairevsewn: nu'n de; levgwmen o{ti kai; tw'n muqikw'n plasmavtwn ouj pa'san oJ Plavtwn eijsedevxato th;n drama5 tourgivan ajll o{son aujth'" tou' kalou' stocavzetai kai; tou' ajgaqou' kai; pro;" th;n qeivan uJpovstasivn ejstin oujk

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parti dell’universo, mentre le divisioni della essenza dell’anima tutti quanti gli ordinamenti degli dèi. In effetti io tralascio di aggiungere che anche le forme di governo che istituisce le organizza paragonandole alle realtà divine, a tutto il cosmo e alle potenze insite in esso. Ebbene, tutti questi argomenti, per la somiglianza delle cose di 20 questo nostro mondo rispetto alle realtà divine, ci mostrano in immagini le loro processioni, i loro ordinamenti e le loro competenze demiurgiche. Dunque i modi dell’insegnamento teologico in Platone sono in linea di massima tali; risulta del resto evidente da quanto si è detto che necessariamente tanti sono per numero: quelli che parlano 20 degli esseri divini in forma di pura indicazione ne parlano o in modo simbolico e mitico o per immagini, invece tra quelli che enunciano le proprie riflessioni in modo manifesto, gli uni elabora- 5 no i propri discorsi in maniera scientifica, gli altri in forma di ispirazione da parte degli dèi. Il modo che mira a svelare attraverso i simboli è orfico51 ed è generalmente proprio di coloro che scrivono i racconti mitici divini. Invece quello che procede attraverso le immagini è pitagorico, dato che proprio dai Pitagorici furono scoperte le forme di conoscenza matematica per giungere alla reminiscenza della realtà divina e attraverso queste, come attraverso 10 immagini, cercavano di giungere ad essa. Ed infatti ricondussero i numeri e le figure alle divinità, come affermano coloro che si impegnano a indagare e riportare le loro dottrine. Il modo poi che rivela in maniera ispirata la verità in sé e per sé sugli dèi è evidente 15 soprattutto presso i sommi tra gli iniziatori ai misteri. Infatti costoro non ritengono opportuno rivelare ai loro adepti gli ordinamenti divini e le loro proprietà, per cosi dire, in modo velato, ma, essendo ispirati direttamente dagli dèi, riferiscono le loro potenze ed anche le serie che essi formano. Infine, a sua volta, il modo secondo scienza è quello prediletto della filosofia di Platone. Ed in effet- 20 ti la processione in schiera dei generi divini e la differenza degli uni rispetto agli altri, e non solo le comuni proprietà di tutti quanti gli ordinamenti, ma anche quelle che risultano distinte in ciascuno, a mio parere solo Platone tra tutti i filosofi che ci sono noti ha cerca- 25 to di distinguerle ed ordinarle in un determinato modo. Ebbene, questo risulterà evidente52, allorché enunceremo le 21 nostre principali argomentazioni a proposito del Parmenide e di tutte le divisioni in esso contenute. Ma ora dobbiamo dire che anche delle composizioni mitologiche Platone non ha ammesso tutta la rappresentazione drammatica nel suo insieme, ma quanto 5

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ajnavrmoston. Esti me;n ga;r oJ th'" muqologiva" trovpo" ajrcai'o", di uJponoiw'n ta; qei'a mhnuvwn kai; polla; parapetavsmata th'" ajlhqeiva" probeblhmevno" kai; th;n fuvsin 10 ajpeikonizovmeno", h} tw'n nohtw'n aijsqhta; kai; tw'n ajuvlwn e[nula kai; tw'n ajmerivstwn merista; proteivnei plavsmata, kai; tw'n ajlhqinw'n ei[dwla kai; yeudw'" o[nta kataskeuavzei. Tw'n dev ge palaiw'n poihtw'n tragikwvteron suntiqevnai ta;" peri; tw'n qew'n ajporrhvtou" qeologiva" ajxiouvntwn kai; dia; 15 tou'to plavna" qew'n kai; toma;" kai; polevmou" kai; sparagmou;" kai; aJrpaga;" kai; moiceiva" kai; polla; a[lla toiau'ta suvmbola poioumevnwn th'" ajpokekrummevnh" par aujtoi'" peri; tw'n qeivwn ajlhqeiva", to;n me;n toiou'ton trovpon th'" muqologiva" oJ Plavtwn ajposkeuavzetai kai; pro;" paideivan 20 ei\naiv fhsi pantelw'" ajllotriwvtaton, piqanwvteron de; kai; pro;" ajlhvqeian kai; filovsofon e{xin oijkeiovteron plavttein parakeleuvetai tou;" peri; qew'n lovgou" ejn muvqwn schvmasi, pavntwn me;n ajgaqw'n to; qei'on aijtiwmevnou" kakou' de; oujdenov", metabolh'" me;n aJpavsh" a[moiron ajei; de; th;n eJautou' tavxin 25 a[trepton diafulavtton kai; th'" me;n ajlhqeiva" ejn eJautw'/ th;n phgh;n proeilhfo;" ajpavth" de; oujdemia'" a[lloi" ai[tion ginovmenon: toiouvtou" ga;r hJmi'n qeologiva" tuvpou" oJ ejn Politeiva/ Swkravth" uJfhghvsato. Pavnte" toivnun oiJ tou' 22 Plavtwno" mu'qoi th;n ajlhvqeian ejn ajporrhvtw/ frourou'nte" oujde; th;n ejkto;" profainomevnhn diaskeuh;n ajpav/dousan e[cousi th'" peri; qew'n ajdidavktou kai; ajdiastrovfou kata; fuvsin ejn hJmi'n prolhvyew", ajll ªo{tiº eijkovna fevrousi ãth'"Ã 5 kosmikh'" sustavsew", ejn h|/ kai; to; fainovmenon kavllo" qeoprepev" ejsti kai; ãto;Ã touvtou qeiovteron ejn tai'" ajfanevsin i{drutai zwai'" kai; dunavmesi tw'n qew'n. Ena me;n ou\n tou'ton to;n trovpon tou;" peri; tw'n qeivwn pragmavtwn muvqou" ejk tou' fainomevnou paranovmou kai; ajlo10 givstou kai; ajtavktou methvgagen eij" tavxin kai; o{ron kai; th;n tou' kalou' kai; ajgaqou' stocazomevnhn suvnqesin: e{teron de; o}n ejn Faivdrw/ paradivdwsin, a[mikton ajxiw'n fulavttein th;n qeomuqivan pantacou' pro;" ta;" fusika;" ajpodovsei" kai; mhdamou' sumfuvrein mhde; ejpallavttein qeologivan kai; 15 fusikh;n qewrivan. W" ga;r aujto; to; qei'on ejxhv/rhtai th'" o{lh" fuvsew", ou{tw dhvpou kai; tou;" peri; qew'n lovgou" kaqareuvein

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di essa “ha di mira” il bello e “il bene” e non è in contrasto rispetto alla autentica realtà divina. In effetti il modo di esporre proprio del racconto mitologico è antico, modo che rivela per allusioni la realtà divina e usa porre molti veli innanzi alla verità e simboleggia la natura, che propone raffigurazioni sensibili degli intelligibi- 10 li, raffigurazioni materiali delle realtà immateriali e raffigurazioni divise delle realtà indivisibili, e che costruisce mere immagini, che appunto per questo sono false, di realtà autentiche. D’altra parte, a mio giudizio, dal momento che gli antichi poeti ritenevano opportuno comporre i loro segreti discorsi teologici secondo modi espressivi più adatti alla tragedia e per questo si inventavano inganni da parte degli dèi, e mutilazioni, guerre, dilaniamenti, 15 rapimenti, adulterii, e molti altri simboli di tal sorta della verità sugli esseri divini che così è stata celata nelle loro opere, Platone respinge tale modo di esprimersi del racconto mitologico ed afferma che è assolutamente del tutto inadatto all’educazione, e d’altra 20 parte esorta a costruire i racconti sugli dèi in forme di miti secondo un’attitudine più credibile e più adatta alla verità ed al modo di essere della filosofia, racconti che devono considerare la realtà divina responsabile di tutti i beni, ma di nessun male, realtà divina che da un lato è immune da ogni forma di trasformazione, e che dall’altro è sempre immutabile nel suo specifico ordine di appartenenza, e che da una parte ha originariamente assunto in sé 25 la fonte della verità, dall’altra non diviene causa di nessun inganno per gli altri. Tali, infatti, sono i modelli teologici che il Socrate della Repubblica ci ha indicato. Pertanto, tutti i racconti mitici di Platone, che custodiscono la verità in una forma segreta, non 22 hanno un’impostazione esteriore discordante rispetto alla prenozione originaria degli dèi, non oggetto di insegnamento e incontrovertibile, insita in noi per natura, ma forniscono immagini della struttura complessiva del cosmo, in cui la bellezza visibile è degna 5 degli dèi ed al contempo quella più divina di questa è saldamente posta nelle vite e nelle potenze invisibili degli dèi. Dunque è solo in questo modo che i miti sulle entità divine da ciò che appare privo di regola, di razionalità e di ordine Platone li ha ricondotti all’ordine, al limite e all’accordo che mira al bello e 10 al bene. D’altra parte v’è un altro modo di esposizione tramandato nel Fedro53 da Platone, che ritiene opportuno in ogni circostanza evitare di mescolare il racconto mitico alle spiegazioni di carattere naturale e in nessun caso confondere e alternare teologia e teoria sulla natura. Infatti come la realtà divina in sé trascende la natura nel suo complesso, così, a mio avviso, conviene anche puri- 15

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pavnth/ proshvkei th'" peri; th;n fuvsin pragmateiva": to; ga;r toiou'ton ejpivponon kai; ouj pavnu, fhsivn, ajndro;" ajgaqou', tevlo" poiei'sqai th'" tw'n muvqwn uJponoiva" ta; 20 fusika; paqhvmata, kai; thvn te civmairan, eij tuvcoi, kai; th;n Gorgovna kai; tw'n toiouvtwn e{kaston uJpo; sofiva" eij" taujto;n a[gein fusikoi'" plavsmasin. Tau'ta ga;r dh; kai; oJ Swkravth" ejn ejkeivnoi" aijtiwvmeno" pepoivhtai tou;" th;n Wreivquian paivzousan uJpo; tou' pneuvmato" borevou kata; 25 tw'n petrw'n wjsqei'san ejn muvqou schvmati levgonta" uJpo; tou' 23 Borevou di e[rwta qnhth;n ou\san hJrpavsqai: dei' ga;r, oi\mai, ta; peri; qew'n muqologhvmata semnotevra" ajei; tw'n fainomevnwn e[cein ta;" ajpokekrummevna" ejnnoiva". Wst ei[ tine" kai; tw'n Platwnikw'n muvqwn fusika;" hJmi'n eijshgoi'nto kai; peri; ta; 5 th'/de strefomevna" uJpoqevsei", pantavpasin aujtou;" th'" tou' filosovfou dianoiva" ajpoplana'sqai fhvsomen kai; movnou" ejkeivnou" tw'n lovgwn th'" ejn touvtoi" ajlhqeiva" uJpavrcein ejxhghtav", o{soi th'" qeiva" kai; ajuvlou kai; cwristh'" uJpostavsew" stocavzontai kai; pro;" tauvthn blevponte" tav" 10 te sunqevsei" poiou'ntai kai; ta;" ajnaluvsei" tw'n muvqwn oijkeiva" tai'" peri; tw'n qeivwn ejn hJmi'n prolhvyesin.

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eV Epeidh; toivnun touvtou" te tou;" trovpou" a{panta" th'" Platwnikh'" qeologiva" dihriqmhsavmeqa kai; ta;" tw'n muvqwn sunqevsei" te kai; ajnaluvsei" oJpoiva" ei\nai proshvkei th'" peri; qew'n ajlhqeiva" paradedwvkamen, tou'to me;n ou\n aujtou' perigegravfqw: skeywvmeqa de; ejpi; touvtoi" povqen kai; ejk tivnwn mavlista dialovgwn hJgouvmeqa crh'nai ta; peri; qew'n dovgmata tou' Plavtwno" ajnalevgesqai, kai; pro;" tivna" tuvpou" ajpoblevponte" tav te gnhvsia kai; ta; novqa tw'n eij" aujto;n ajnaferomevnwn krivnein dunhsovmeqa. Esti me;n ou\n dia; pavntwn, wJ" eijpei'n, tw'n Platwnikw'n dialovgwn hJ peri; qew'n ajlhvqeia dihvkousa kai; pa'sin ejnevspartai toi'" me;n ajmudrovtera toi'" de; eujagevstera ãta;Ã th'" prwtivsth" filosofiva" nohvmata semna; kai; ejnargh' kai;

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ficare interamente i discorsi sugli dèi dalla trattazione concernente la natura: infatti tale prospettiva, «faticosa» ed assolutamente indegna, come dice Platone, dell’«uomo buono», giunge a considerare i fenomeni naturali come vero obiettivo del significato simbolico dei miti ed identifica, ricorrendo a una presunta sapienza, 20 la “Chimera”, per fare un esempio, ed anche la “Gorgone”, e ciascun essere di tale sorta, con raffigurazioni concernenti l’ordine naturale. In effetti per l’appunto anche Socrate in questo passo ha espresso tali considerazioni quando se la prende quei racconti che 25 affermano, in forma di miti, che Oritia, la quale, mentre giocava al soffio di Borea, si è gettata giù dalle rocce, fu rapita da Borea 23 per amore, lei che era mortale. In effetti, a mio giudizio, bisogna che i racconti mitici sugli dèi contengano quei concetti celati che siano ogni volta più venerandi di quelli manifesti ed evidenti. Cosicché, se anche vi fossero alcuni miti platonici che ci riferiscono ipotesi concernenti la natura e le caratteristiche di questo 5 nostro mondo, diremo che in ogni caso essi si discostano dalla riflessione che appartiene alla filosofia e che sono autenticamente interpreti della verità insita nei miti solo quei discorsi che hanno di mira la realtà divina, immateriale e separata e che guardando ad essa elaborano le sintesi e le analisi dei miti adatte alle prenozioni 10 originarie insite in noi sugli esseri divini. 5 [Quali sono i dialoghi a partire dai quali, soprattutto, si deve ricavare la teologia di Platone e a quali ordinamenti di dèi ciascuno di essi ci fa arrivare] Orbene, poiché abbiamo enumerato tutti queste modalità di esposizione della teologia platonica ed abbiamo riferito a quale tipo di verità sugli dèi conviene che appartengano le sintesi e le analisi dei miti, basti ciò che se ne è scritto qui a riguardo. Consideriamo ora, oltre a ciò, da dove e da quali dialoghi in particolare riteniamo che si debbano individuare le dottrine di Platone sugli esseri divini, e a quali modelli dovremo volgere l’attenzione per poter giudicare tra le dottrine che risalgono a lui quelle genuine e quelle spurie. Ebbene è attraverso tutti, per così dire, i dialoghi di Platone che perviene la verità sugli dèi e in tutti risultano disseminati, negli uni quelli più oscuri, negli altri quelli più chiari, i concetti propri della primissima filosofia, venerandi, manifesti, portentosi,

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24 uJperfuh' kai; pro;" th;n a[ulon kai; cwristh;n oujsivan tw'n

qew'n ajnegeivronta tou;" kai; oJpwsou'n aujtw'n metascei'n dunamevnou": kai; w{sper ejn eJkavsth/ moivra/ tou' panto;" kai; fuvsei th'" ajgnwvstou tw'n qew'n uJpavrxew" ijndavlmata 5 katevqhken oJ tw'n ejn tw'/ kovsmw/ pavntwn dhmiourgo;" i{na pavnta pro;" to; qei'on ejpistrevfhtai kata; th;n pro;" aujto; suggevneian, ou{tw" oi\mai kai; to;n e[nqeon tou' Plavtwno" nou'n a{pasi toi'" eJautou' gennhvmasi ta;" peri; qew'n ejnnoiva" sunufh'nai kai; mhde;n a[moiron ajfei'nai th'" tou' qeivou mnhvmh" 10 i{n ejk pavntwn ajnavgesqai kai; tw'n o{lwn ajnavmnhsin porivzesqai toi'" gnhsivoi" uJpavrch/ tw'n qeivwn ejrastai'". Eij de; dei' tou;" mavlista th;n peri; qew'n mustagwgivan hJmi'n ejkfaivnonta" tw'n pollw'n proqei'nai dialovgwn, oujk a]n fqavnoimi tovn te Faivdwna kai; to;n Fai'dron ajpologizovmeno" 15 kai; to; Sumpovsion kai; to;n Fivlhbon, tovn te au\ Sofisth;n kai; to;n Politiko;n meta; touvtwn katalevgwn kai; Kratuvlon kai; Tivmaion: a{pante" ga;r ou|toi th'" ejnqevou tou' Plavtwno" ejpisthvmh" di o{lwn, wJ" eijpei'n, eJautw'n plhvrei" tugcavnousin o[nte". deutevrou" a]n e[gwge qeivhn meta; touvtou" tovn te ejn 20 Gorgiva/ kai; to;n Prwtagovreion mu'qon kai; ta; peri; pronoiva" qew'n ejn Novmoi" kai; o{sa peri; Moirw'n h] th'" mhtro;" tw'n Moirw'n h] tw'n periforw'n tou' panto;" ejn tw'/ dekavtw/ th'" Politeiva" hJmi'n paradevdotai. Eij de; bouvlei, kata; trivthn tavxin kai; ta;" Epistola;" tivqei par o{swn dunato;n eij" th;n 25 peri; tw'n qeivwn ejpisthvmhn ajnapevmpesqai: kai; ga;r peri; 25 tw'n triw'n basilevwn ejn tauvtai" ei[rhtai kai; a[lla pavmpolla dovgmata qei'a th'" Platwnikh'" ejpavxia qewriva". dei' toivnun pro;" tau'ta blevponta" e{kaston diavkosmon qew'n ejn touvtoi" ajnazhtei'n, kai; lambavnein ejk me;n tou' Filhv5 bou th;n peri; tou' eJno;" ajgaqou' kai; th;n peri; tw'n duei'n ajrcw'n tw'n prwtivstwn kai; th'" ejk touvtwn ajnafaneivsh" triavdo" ejpisthvmhn, euJrhvsei" ga;r tau'ta pavnta diakekrimevnw" uJpo; tou' Plavtwno" hJmi'n paradedomevna, ejk de; tou' Timaivou th;n peri; tw'n nohtw'n qewrivan kai; th;n peri; th'" 10 dhmiourgikh'" monavdo" e[nqeon uJfhvghsin kai; th;n peri; tw'n ejgkosmivwn qew'n plhrestavthn ajlhvqeian, ejk de; tou' Faivdrou tav te nohta; pavnta kai; noera; gevnh kai; ta;" ajpoluvtou" tavxei" tw'n qew'n o{sai prosecw'" uJperivdruntai tw'n oujranivwn periforw'n, ejk de; tou' Politikou' thvn te ejn oujranw'/ dhmiour15 givan kai; ta;" ditta;" periovdou" tou' panto;" kai; ta;" noera;" aijtiva" aujtw'n, ejk de; tou' Sofistou' suvmpasan th;n uJpo; selhvnhn gevnesin kai; th;n ijdiovthta tw'n tauvthn klhrwsamevnwn qew'n. Peri; de; au\ tw'n kaq e{kasta qew'n polla; me;n ejk

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che elevano alla essenza immateriale e separata degli dèi coloro 24 che, non importa in che modo, sono in grado di parteciparne. E come in ogni singola parte del Tutto ed in ogni natura il Demiurgo di tutti gli enti presenti nell’universo ha inserito immagini dell’esi- 5 stenza inconoscibile degli dèi affinché ogni ente si rivolgesse alla realtà divina secondo la propria affinità naturale rispetto ad essa, così, a mio avviso, anche l’intelletto divinamente ispirato di Platone ha intrecciato in tutte le sue opere le concezioni riguardanti gli dèi ed in nessuna ha tralasciato di menzionare il divino affinché fosse concesso agli autentici amanti delle cose divine di risalire in alto partendo da tutte queste e di procurarsi l’accesso ad una 10 reminiscenza dei principi universali. D’altra parte, se bisogna preferire tra i molti dialoghi quelli che più di tutti ci rivelano la mistica dottrina concernente gli dèi, prima indicherei il Fedone, il Fedro, il Simposio ed il Filebo, insie- 15 me a questi a loro volta elencherei il Sofista, il Politico, il Cratilo ed il Timeo. In effetti tutti questi dialoghi si trovano ad essere colmi della ispirata scienza di Platone, per così dire, in tutta la loro interezza. Per secondi io personalmente metterei dopo questi il mito contenuto nel Gorgia54 ed anche quello del Protagora55, e le parti sulla cura provvidenziale degli dèi nelle Leggi56 e quan- 20 to ci è stato tramandato sulle Moire o sulla madre delle Moire o sui moti circolari del Tutto nel decimo libro della Repubblica. Poi se si vuole, al terzo posto si mettano le Lettere57, tutte quelle che consentono di risalire alla scienza sulle realtà divine. Ed in effetti 25 in queste si è parlato dei tre re e moltissime altre dot- 25 trine degne della speculazione platonica. Pertanto, guardando a queste dottrine, bisogna ricercare in tali opere ciascun ordinamento degli dèi, ed assumere dal Filebo58 la scienza sul Bene-Uno e quella sui due primissimi Principi e 5 sulla Triade apparsa da questi principi – infatti vi si troveranno una per una tutte queste dottrine tramandateci da Platone – mentre dal Timeo59 la speculazione intorno agli intelligibili, l’esposizione divinamente ispirata sulla monade demiurgica e la pienissi- 10 ma verità sugli dèi encosmici; dal Fedro60 poi tutti i generi intelligibili e tutti i generi intellettivi e gli ordinamenti degli dèi non vincolati , tutti quelli che sono posti immediatamente al di sopra dei celesti moti circolari; dal Politico61 la demiurgia in cielo e i duplici cicli dell’universo e le loro cause intellettive; dal 15 Sofista62 tutta quanta la generazione sotto la sfera lunare e la specificità degli dèi cui è stata assegnata quest’ultima. Inoltre a loro volta sugli dèi in base alle loro specifiche proprietà molte conce-

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tou' Sumposivou qhravsomen iJeropreph' nohvmata, polla; de; ejk tou' Kratuvlou, polla; de; ejk tou' Faivdwno": ãejnà eJkavstw/ ga;r aujtw'n pleivwn h] ejlavttwn mnhvmh givnetai tw'n qeivwn ojnomavtwn ajf w|n rJav/dion toi'" peri; ta; qei'a gegumnasmevnoi" ta;" ijdiovthta" aujtw'n tw'/ logismw'/ perilambavnein. dei' de; e{kasta tw'n dogmavtwn tai'" Platwnikai'" ajrcai'" 25 ajpofaivnein suvmfwna kai; tai'" tw'n qeolovgwn mustikai'" paradovsesin: a{pasa ga;r hJ par Ellhsi qeologiva th'" Orfikh'" ejsti; mustagwgiva" e[kgono", prwvtou me;n Puqa26 govrou para; Aglaofhvmou ta; peri; qew'n o[rgia didacqevnto", deutevrou de; Plavtwno" uJpodexamevnou th;n pantelh' peri; touvtwn ejpisthvmhn e[k te tw'n Puqagoreivwn kai; tw'n Orfikw'n grammavtwn. En Filhvbw/ me;n ga;r th;n peri; tw'n duoeidw'n 5 ajrcw'n qewrivan eij" tou;" Puqagoreivou" ajnafevrwn, meta; qew'n oijkou'nta" aujtou;" kai; makarivou" o[ntw" ajpokalei': polla; gou'n hJmi'n peri; touvtwn kai; Filovlao" oJ Puqagovreio" ajnevgraye nohvmata kai; qaumastav, thvn te koinh;n aujtw'n eij" ta; o[nta provodon kai; th;n diakekrimevnhn poivhsin ajnumnw'n: 10 ejn Timaivw/ ãde;à peri; tw'n uJpo; selhvnhn qew'n kai; th'" ejn aujtoi'" tavxew" ajnadidavskein ejgceirw'n, ejpi; tou;" qeolovgou" katafeuvgei kai; qew'n pai'da" aujtou;" ajpokalei', kai; patevra" poiei'tai th'" peri; aujtw'n ajlhqeiva", kai; tevlo" kata; th;n par aujtoi'" tw'n noerw'n basilevwn provodon kai; tw'n uJpo; 15 selhvnhn qew'n paradivdwsi ta;" ajpo; tw'n o{lwn proi>ouvsa" diakosmhvsei": kai; pavlin ejn Kratuvlw/ *** th'" tw'n qeivwn diakovsmwn tavxew", ejn Gorgiva/ de; to;n Omhron th'" tw'n dhmiourgikw'n ãmonavdwnà triadikh'" uJpostavsew". Pantacou' dev, wJ" eijpei'n sullhvbdhn, eJpomevnw" tai'" ajrcai'" tw'n 20 qeolovgwn tou;" peri; qew'n lovgou" ajpodivdwsi, th'" me;n muqopoiiva" to; tragiko;n ajfelw;n ta;" de; uJpoqevsei" ta;" prwtivsta" koina;" pro;" aujtou;" tiqevmeno". 20

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ıV Isw" d a[n ti" hJmi'n tau'ta diatattomevnoi" ajpanthvseie levgwn wJ" oujk ojrqw'" diesparmevnhn pantacou' th;n Platwnikh;n qeologivan ajpofaivnomen kai; ta; me;n ejx a[llwn ta; de;

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zioni di carattere sacro le raggiungeremo dal Simposio, molte poi dal Cratilo, molte infine dal Fedone. In effetti in ciascuno di que- 20 sti dialoghi si fa menzione in misura maggiore o minore dei nomi divini ad opera dei quali è più facile, per coloro che si sono impegnati nello studio della teologia, cogliere con la riflessione sistematica le loro proprietà. D’altra parte bisogna che ogni singola dottrina appaia in per- 25 fetto accordo con i principi platonici e con le mistiche dottrine tramandate dai teologi: infatti tutta quanta la teologia presso i Greci è proveniente dalla dottrina mistica Orfica, dato che Pitagora per primo fu istruito presso Aglaofamo63 nei riti sacri concer- 26 nenti gli dèi, mentre Platone per secondo ricevette la perfetta scienza sugli dèi dagli scritti Pitagorici ed Orfici. Infatti nel Filebo, riconducendo la speculazione sulle due forme di principi ai Pita- 5 gorici, li denomina «dimoranti con gli dèi»64 e realmente beati. Certamente anche Filolao il Pitagorico ci ha trasmesso per iscritto molti e mirabili concetti, celebrando la comune processione degli dèi verso gli enti e la loro distinta azione produttiva. Nel Timeo 10 poi , accingendosi a fornire approfonditi insegnamenti sugli dèi posti al di sotto della sfera lunare e l’ordinamento ad essi proprio, ricorre ai teologi e li denomina «figli di dèi»65, e li considera padri della verità sugli dèi, ed infine, sul modello della processione dei re intellettivi che si riscontra presso di essi, tramanda 15 anche gli ordinamenti, che procedono dal Tutto, degli dèi sublunari. E di nuovo nel Cratilo66 67 riguardo la struttura degli ordinamenti divini, nel Gorgia68 poi Omero del fondamento triadico delle monadi demiurgiche. Infine in ogni dialogo, per dirla in breve, tramanda i discorsi sugli dèi in conformità con i principi 20 dei teologi, eliminando dal racconto mitico l’elemento tragico, ma condividendo con i teologi i primissimi presupposti. 6 27 [Critica rivolta a chi ricava la teologia platonica mettendola insieme a partire da più dialoghi, critica in base alla quale si considera negativamente la dottrina teologica così ricavata in quanto parziale e frammentaria] Forse qualcuno potrebbe opporsi a questo nostro modo di dare una disposizione sistematica a tali questioni, dicendo che non siamo nel giusto quando mostriamo che la teologia platonica è dis-

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ejx a[llwn dialovgwn ajqroivzein ejpiceirou'men, w{sper navmata polla; sunavgein eij" mivan suvgkrasin spoudavzonte" oujk ejk mia'" oJrmwvmena pavnta kai; th'" aujth'" phgh'". Eij ga;r ou{tw" e[tuce, ta; me;n a[lla dovgmata pro;" ta;" a[lla" ajnafevrein e{xomen tou' Plavtwno" pragmateiva", ta; 10 de; peri; qew'n oujdamou' prohgoumevnhn e{xei didaskalivan oujde; ei[" tina tacqhvsetai cwvran pantelh' kai; oJlovklhra ta; qei'a gevnh proavgousan kai; meta; th'" pro;" a[llhla suntavxew": ajlla; ga;r ejoivkamen toi'" to; o{lon ejk tw'n merw'n kataskeuavzein ejpiceirou'si di ajporivan th'" pro; tw'n merw'n 15 oJlovthto" kajk tw'n ajtelw'n to; tevleion sunufaivnein, devonto" ejn tw'/ teleivw/ to; ajtele;" th;n prwtivsthn aijtivan e[cein th'" auJtou' genevsew". O me;n ga;r Tivmaio" hJma'", eij tuvcoi, didavxei th;n peri; tw'n nohtw'n genw'n qewrivan, oJ de; Fai'dro" ta;" prwvta" noera;" diakosmhvsei" ejn tavxei paradidou;" ajnafa20 nhvsetai: pou' de; hJ tw'n noerw'n pro;" ta; nohta; suvntaxi" kai; tiv" hJ tw'n deutevrwn ajpo; tw'n prwvtwn gevnesi", kai; o{lw" tivna trovpon ajpo; th'" mia'" tw'n pavntwn ajrch'" eij" to; plh'qo" tw'n ejgkosmivwn qew'n hJ provodo" gevgone tw'n qeivwn diakovsmwn kai; pw'" sumpeplhvrwtai ta; mevsa tou' te eJno;" kai; tou' 25 pantelou'" ajriqmou' tai'" tw'n qew'n ajpogennhvsesi kata; th;n 28 oJmofuh' kai; ajdiaivreton uJpovbasin tw'n o{lwn, eijpei'n oujc e{xomen. Kai; tiv to; semnovn, e[ti fai'en a]n oiJ tau'ta levgonte", th'" par uJmi'n qrulloumevnh" peri; tw'n qeivwn ejpisthvmh" Kai; 5 ga;r tau'ta ta; pollacovqen ajqroizovmena dovgmata Platwnika; prosonomavzein a[topon, ejx ajllotrivwn w{" fate namavtwn eij" th;n tou' Plavtwno" ajnacqevnta filosofivan, kai; mivan o{lhn peri; tw'n qeivwn ajlhvqeian deiknuvnai par uJmi'n oujc e{xete. Kaivtoi fai'en a]n i[sw" kai; tou;" tou' Plavtwno" 10 newtevrou" e}n kai; tevleion ei\do" qeologiva" ejn tai'" eJautw'n sunufhvnanta" paradidovnai suggrafai'" toi'" eJautw'n kathkovoi". Umei'" de; a[ra ejk me;n tou' Timaivou th;n o{lhn peri; th'" fuvsew" qewrivan proavgein dunhvsesqe, ejk de; th'" Politeiva" h] tw'n Novmwn ta; peri; tw'n hjqw'n kavllista dovgmata pro;" e}n 15 filosofiva" ei\do" sunteivnonta, movnhn de; a[ra th;n Plavtwno" pragmateivan th;n peri; th'" prwvth" filosofiva" ªajgaqovnº, o} dh; kefavlaion a[n ti" ei[poi th'" sumpavsh" qewriva", ajpolipovnte", th'" telewtavth" uJma'" ãaujtou;"Ã ajfairhvsete tw'n o[ntwn gnwvsew", eij mh; livan eujhqikw'" ajpo; tw'n muqikw'n 5

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seminata in ogni dialogo e quando cerchiamo di mettere insieme 5 alcune dottrine da certi dialoghi ed altre da altri dialoghi, proprio come se ci impegnassimo a riunire molti rivi in un’unica combinazione, rivi che non provengono da un’unica e medesima fonte. In effetti se fosse così, noi saremo in grado di far risalire alcune concezioni ad alcune opere di Platone, mentre altre ad altre, ma alle concezioni riguardanti gli dèi in nessun luogo sarà riserva- 10 ta una trattazione dottrinale principale né esse saranno ordinate in un determinato luogo che presenti i generi divini perfetti e completi unitamente alla loro reciproca coordinazione. Ma in effetti noi allora risulteremo simili a quelli che cercano di comporre l’intero dalle parti per via della difficoltà a concepire l’interezza che 15 viene prima delle parti, e di mettere insieme da ciò che è incompiuto ciò che è compiuto, mentre l’incompiuto deve avere nel compiuto la primissima causa della sua generazione. In effetti il Timeo, per fare un esempio, ci illustrerà la speculazione sui generi intelligibili, mentre il Fedro, tramandandoli ordinatamente, rivelerà i primi ordinamenti intellettivi. D’altra parte dove la coordinazione dei generi intellettivi rispetto a quelli intelligibili, quale la generazione delle entità seconde dalle prime, ed in generale in quale modo sia avvenuta la processione degli ordinamenti divini dall’unico Principio di tutte le cose alla moltitudine di tutti gli dèi encosmici e come le parti intermedie tra 25 l’Uno e l’insieme perfetto degli «esseri divini» siano state colmate delle generazioni degli dèi in base alla omogenea e indivisibile 28 continuità del Tutto, questo non saremo in grado di dirlo. E qual è la parte veneranda, potrebbero ancora domandare coloro che affermano ciò, della scienza concernente gli dèi di cui si parla tanto tra di voi? Ed in effetti queste dottrine, raccolte un 5 poco dappertutto, è assurdo denominarle “platoniche”, dottrine che «da rivi diversi»69, come dite, sono state ricondotte alla filosofia di Platone, e non potrete mostrare tra di voi un’unica intera verità sugli esseri divini. Certo, forse potrebbero anche dire che i più recenti seguaci di Platone tramandano nei loro scritti un’unica e perfetta forma di teologia che hanno messo insieme con l’aiu- 10 to dei loro uditori. Quindi voi potrete ricavare dal Timeo l’intera speculazione sulla natura, mentre dalla Repubblica o dalle Leggi le più belle dottrine concernenti i costumi, dottrine che mirano ad una unica forma di filosofia; tuttavia, se avete tralasciato unica- 15 mente la trattazione che Platone dedica alla filosofia prima – il che di fatto qualcuno potrebbe dire che è il punto fondamentale della speculazione filosofica – priverete voi stessi della conoscenza più

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plasmavtwn ejqevloite kallwpivzesqai, pollou' tou' eijkovto" ajnapeplhsmevnh" th'" tw'n toiouvtwn ajnaluvsew", kaivtoi kai; touvtwn ejpeisodiwvdh th;n paravdosin ejn toi'" Platwnikoi'" dialovgoi" ejcovntwn, oi|on ejn Prwtagovra/ th'" politikh'" e{neka kai; tw'n peri; aujth'" ajpodeivxewn, ejn de; Politeiva/ 25 th'" dikaiosuvnh", ejn de; Gorgiva/ th'" swfrosuvnh". Ouj 29 ga;r aujtw'n ajlla; tw'n prohgoumevnwn e{neka skopw'n sumplevkei ta;" muqologiva" oJ Plavtwn tai'" tw'n hjqikw'n dogmavtwn zhthvsesin, i{na mh; movnon to; noero;n th'" yuch'" dia; tw'n ajgwnistikw'n lovgwn gumnavzwmen, ajlla; kai; to; 5 qei'on th'" yuch'" th'/ pro;" ta; mustikwvtera sumpaqeiva/ teleiovteron ajntilambavnhtai th'" tw'n o[ntwn gnwvsew". Ek me;n ga;r tw'n a[llwn lovgwn ajnagkazomevnoi" ejoivkamen eij" th;n th'" ajlhqeiva" paradochvn, ejk de; tw'n muvqwn ajrrhvtw" pavscomen kai; ta;" ajdiastrovfou" ejnnoiva" probavllomen to; 10 ejn aujtoi'" mustiko;n sevbonte". Oqen oi\mai kai; oJ Tivmaio" eijkovtw" ajxioi' toi'" muqoplavstai" wJ" paisi; qew'n eJpomevnou" ta; qei'a gevnh proavgein, ajpo; tw'n prwvtwn ajei; ta; deuvtera gennw'nta", eij kai; a[neu ajpodeivxew" levgoien. Ouj ga;r ajpodeiktiko;n to; toiou'ton ei\do" tw'n lovgwn, 15 ajll ejnqeastikovn, oujde; ajnavgkh" ajlla; peiqou'" e{neka toi'" palaioi'" memhcanhmevnon, oujde; maqhvsew" yilh'" ajlla; th'" pro;" ta; pravgmata sumpaqeiva" stocazovmenon. Eij de; mh; tw'n muvqwn movnon ajlla; kai; tw'n a[llwn qeologikw'n dogmavtwn ta;" aijtiva" ejqevloite skopei'n, euJrhvsete ãta;Ã me;n 20 hjqikw'n e{neka ta; de; fusikw'n skemmavtwn toi'" Platwnikoi'" paresparmevna dialovgoi". En Filhvbw/ me;n ga;r periv te ajpeivrou kai; pevrato" th'" hJdonh'" e{neka kai; tou' kata; to;n nou'n bivou pepoivhtai to;n lovgon: gevnh ga;r oi\mai ta; e{tera tw'n eJtevrwn, dh'lon de; povtera potevrwn. En Timaivw/ 25 ãde;Ã ta; peri; tw'n nohtw'n qew'n th'" prokeimevnh" e{neka fusiologiva" pareivlhptai, diovti dh; pantacou' ta;" eijkovna" 30 ajpo; tw'n paradeigmavtwn ginwvskein ajnagkai'on, paradeivgmata de; ta; a[ula tw'n ejnuvlwn, ta; nohta; tw'n aijsqhtw'n, ta; cwrista; tw'n fusikw'n eijdw'n. En de; au\ tw'/ Faivdrw/ tovn te uJperouravnion tovpon ajnumnei' kai; to; uJpouravnion bavqo" 5 kai; pa'n to; uJpo; tou'to gevno" th'" ejrwtikh'" e{neka maniva" kai; tou' trovpou th'" ajnamnhvsew" tw'n yucw'n 20

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compiuta, quella degli enti, a meno che non voleste, scioccamente, compiacervi in modo eccessivo dei racconti mitici, una volta 20 che l’analisi di tali racconti è stata colmata in gran parte di verosimiglianza, dato che in realtà proprio essi hanno nei dialoghi platonici la forma di narrazione episodica, come nel Protagora70 in vista della politica e delle dimostrazioni concernenti essa, nella Repubblica71 in vista della giustizia e nel Gorgia72 in vista della 25 temperanza. In effetti non è in vista dei miti in se stessi, ma in vista 29 degli obiettivi principali che Platone intreccia i racconti mitici con le ricerche sulle dottrine morali, affinché noi esercitiamo non solo la parte intellettiva dell’anima attraverso i discorsi contrapposti, ma anche affinché la parte divina dell’ani- 5 ma, per l’affinità simpatetica con le realtà più mistiche, raggiunga in modo più completo la conoscenza degli enti. Infatti, in base agli altri discorsi, siamo simili a quelli che sono costretti ad accogliere la verità, mentre in base ai racconti mitologici ci sentiamo in una stato ineffabile e concepiamo le intuizioni infallibili venerando l’elemento mistico che è in essi. In considerazione di ciò, a mio 10 giudizio, anche Timeo73 a ragione pretende che , seguendo gli inventori di miti come “figli di dèi”, delineiamo i generi divini, facendo derivare sempre da quelli che vengono per primi i secondi, anche se lo dicessero “non ricorrendo ad alcuna dimostrazione”. In effetti tale forma dei discorsi non è dimostrativa, ma ispirata dal divino, in quanto non è stata escogitata dagli antichi in 15 vista della necessità, ma della persuasione, né è finalizzata al puro apprendimento, ma alla affinità simpatetica con le cose. «Ma se non sono solo le cause dei miti che vorrete considerare, ma anche delle altre dottrine teologiche, troverete che alcune dottrine sono disseminate nei dialoghi platonici in vista di riflessioni di caratte- 20 re etico, mentre altre in vista di riflessioni sulla natura». Nel Filebo74 in effetti ha proposto il discorso sull’“illimitato” e sul “limite” in vista del piacere e della forma di vita secondo intelletto: infatti a mio giudizio i generi diversi alle realtà diverse, ed è evidente quali generi a quali realtà. Nel Timeo75 poi le dottrine sugli dèi intelligibili le ha prese in conside- 25 razione in vista della riflessione che era in corso sulla natura, proprio per il fatto che in ogni ambito le immagini è necessario conoscerle a partire dai modelli, i modelli immateriali degli oggetti 30 materiali, i modelli intelligibili degli oggetti sensibili e i modelli astratti delle forme naturali. Poi nel Fedro76, a sua volta, celebra “il luogo sovraceleste” ed anche la profondità posta al di sotto del cielo e tutto il genere degli dèi che è posto al di sotto di questo per 5

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kai; th'" ejnteu'qen ejp ejkei'na poreiva". Pantacou' de; wJ" eijpei'n to; me;n prohgouvmenon tevlo" ejsti; fusiko;n h] politikovn, ta; de; peri; tw'n qeivwn nohvmata th'" ejkeivnwn euJrevsew" h] teleiwvsew" e{neka proteivnetai. Pw'" ou\n e[ti par uJmi'n hJ toiauvth qewriva semnh; kai; uJperfuh;" e[stai kai; panto;" ma'llon ajxiva spoudavzesqai, mhvte to; o{lon ejn eJauth'/ deiknuvein e[cousa mhvte to; tevleion mhvte to; prohgouvmenon ejn th'/ pragmateiva/ tou' Plavtwno", ajlla; pavntwn touvtwn ajpoleipomevnh kai; biaivw" ajll oujk aujtofuw'" oujde; gnhsivan ajll ejpeisodiwvdh th;n tavxin w{sper ejn dravmasi kekthmevnh

zV ’A me;n ou\n dusceravneien a[n ti" ejpi; toi'" prokeimevnoi", 20 toiau'ta a[tta ejstivn. Egw; de; pro;" me;n th;n toiauvthn ajpavnthsin dikaivan poihvsomai kai; safh' th;n ajpovkrisin, kai; to;n Plavtwna pantacou' me;n tou;" peri; qew'n lovgou" eJpomevnw" tai'" palaiai'" fhvmai" kai; th'/ fuvsei tw'n pragmavtwn metievnai fhvsw, kai; pote; me;n th'" aijtiva" e{neka tw'n 25 prokeimevnwn ejpi; ta;" ajrca;" tw'n dogmavtwn ajnavgesqai 31 kajkei'qen w{sper ajpo; skopia'" kataqewrei'n th;n tou' prokeimevnou fuvsin, pote; de; kai; prohgouvmenon tevlo" tivqesqai th;n qeologikh;n ejpisthvmhn: kai; ga;r ejn Faivdrw/ peri; tou' nohtou' kavllou" kai; th'" ejkei'qen ejpi; pavnta dih5 kouvsh" tw'n kalw'n metousiva" kai; ejn Sumposivw/ peri; th'" ejrwtikh'" tavxew" hJ pragmateiva. Eij de; dei' to; pantele;" kai; o{lon kai; sunece;" a[nwqen a[cri tou' suvmpanto" ajriqmou' th'" qeologiva" ejn eJni; Platwnikw'/ dialovgw/ skopei'n, paravdoxon me;n i[sw" eijpei'n kai; toi'" ejk 10 th'" hJmetevra" eJstiva" movnh" to; lecqhsovmenon katafanev": tolmhtevon d ou\n o{mw", ejpeivper hjrxavmeqa tw'n toiouvtwn lovgwn, kai; rJhtevon pro;" tou;" tau'ta levgonta" wJ" oJ Parmenivdh" o}n poqei'te, kai; ta; mustika; tou' dialovgou tou'de

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spiegare la “follia d’amore”, il modo della “rammemorazione” delle anime e del “viaggio” da qui verso quelle realtà. In ogni dialogo d’altra parte, per così dire, il fine principale è di carattere naturale o politico, mentre i concetti concernenti gli esseri divini è in vista della scoperta di quelle questioni o del loro completamento che sono protesi. In che modo dunque presso di voi tale speculazione potrà ancora essere veneranda e straordinaria e più di ogni cosa degna di essere presa seriamente in considerazione, dato che né è in grado di mostrare in se stessa ciò che è completo né ciò che è perfetto né ciò che è principale nella dottrina filosofica di Platone, ma trascura tutti questi aspetti e si è impossessata con la forza, ma non in modo naturale e spontaneo, della disposizione degli argomenti, neppure di quella genuina, ma di quella in forma episodica come negli spettacoli teatrali?

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7 [Superamento della suddetta critica, in quanto si fa risalire al solo “Parmenide” l’intera verità sugli dèi in Platone] Gli aspetti dunque che qualcuno potrebbe disapprovare in relazione agli argomenti in questione sono all’incirca questi. Io 20 però rispetto a tale attacco mi costruirò la legittima e chiara difesa, e dirò che Platone in ogni opera segue i racconti concernenti gli dèi in modo da attenersi alle tradizioni antiche e alla natura delle cose, e talvolta per giungere alla causa delle questioni in og- 25 getto risale ai principi delle dottrine e da lì come “da un punto di 31 osservazione” contempla la natura dell’oggetto in questione, talvolta invece considera la scienza teologica anche come obiettivo principale. Ed in effetti nel Fedro l’oggetto della ricerca concerne la bellezza intelligibile e la partecipazione che da lì giunge ad ogni cosa passando per ciò che è bello e nel Simposio concerne l’ordi- 5 namento relativo all’amore. Ma se la perfetta, intera e coerente dottrina della teologia, dal principio fino ad arrivare all’insieme totale, si deve considerare in un solo dialogo platonico, forse ciò che verrà affermato risulterà paradossale da dire e palese solo per coloro che provengono dalla 10 nostra sola famiglia filosofica. Ma bisogna comunque osare, per il fatto stesso che abbiamo intrapreso tali discorsi, e rispondere, a coloro che muovono queste obiezioni, che il Parmenide è il dialogo che fa al caso vostro, e sono le concezioni misteriche di questo

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nohvmata fantavzesqe. Pavnta ga;r ejn touvtw/ ta; qei'a gevnh kai; proveisin ejk th'" prwtivsth" aijtiva" ejn tavxei kai; th;n pro;" a[llhla sunavrthsin ejpideivknusi: kai; ta; me;n ajkrovtata kai; tw'/ eJni; sumfuovmena kai; prwtourga; to; eJniai'on kai; aJplou'n kai; kruvfion e[lace th'" uJpavrxew" ei\do", ta; de; e[scata plhquvnetai katakermatizovmena kai; tw'/ me;n ajriqmw'/ 20 pleonavzei th'/ de; dunavmei tw'n uJpertevrwn ejlassou'tai, ta; de; mevsa kata; to;n proshvkonta lovgon sunqetwvtera mevn ejsti tw'n aijtivwn aJplouvstera de; tw'n oijkeivwn gennhmavtwn. Kai; pavnta, wJ" sunelovnti favnai, ta; th'" qeologikh'" ejpisthvmh" ajxiwvmata televw" ejntau'qa katafaivnetai kai; tw'n qeivwn oiJ 25 diavkosmoi pavnte" sunecw'" uJfistavmenoi deivknuntai: kai; oujde;n a[llo ejsti;n h] qew'n gevnesi" uJmnhmevnh kai; tw'n oJpwsou'n o[ntwn ajpo; th'" ajrrhvtou kai; ajgnwvstou tw'n o{lwn aijtiva". 32 Tov te ou\n o{lon kai; tevleion th'" qeologikh'" ejpisthvmh" fw'" oJ Parmenivdh" ajnavptei toi'" tou' Plavtwno" ejrastai'", kai; meta; tou'ton oiJ proeirhmevnoi diavlogoi mevrh kateneivmanto th'" peri; qew'n mustagwgiva", kai; pavnte" wJ" eijpei'n 5 th'" ejnqevou sofiva" meteilhvfasin kai; ta;" aujtofuei'" hJmw'n ejnnoiva" peri; to; qei'on ajnegeivrousi. Kai; dei' to; me;n o{lon plh'qo" eij" tou;" prokeimevnou" ajnafevrein dialovgou", tou;" de; au\ pavlin eij" th;n mivan kai; pantelh' tou' Parmenivdou qewrivan sunavgein. Ou{tw ga;r oi\mai tav te ajtelevstera tw'n 10 teleivwn kai; ta; mevrh tw'n o{lwn ejxavyomen kai; toi'" pravgmasin ejoikovta" ajpofanou'men tou;" lovgou" w|npevr eijsin ejxhghtaiv, kata; to;n para; Plavtwni Tivmaion. 15

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hV Pro;" me;n ou\n tauvthn, o{per e[fhn, th;n ajpavnthsin toiavnde poihsovmeqa th;n ajpovkrisin kai; th;n Platwnikh;n qewrivan eij" e{na to;n Parmenivdhn ajnoivsomen, w{sper dh; th;n peri; fuvsew" ejpisthvmhn suvmpasan oJ Tivmaio" perievcein uJpo; pavntwn oJmologei'tai tw'n kai; smikra; sunora'n dunamevnwn. Orw' dev moi ditto;n ejnteu'qen ajgw'na pro;" tou;" ta; Plavtwno" ejxetavzein ejpiceirhvsanta" ajnegeirovmenon kai; dittou;" a[ndra" tou;" ajntilhyomevnou" tw'n eijrhmevnwn: tou;" me;n ajxiou'nta" mhdemivan a[llhn tou' Parmenivdou provqesin dokimavzein h]

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dialogo che vi balenano nella mente. Infatti in questo dialogo tutti i generi divini procedono in ordine a partire dalla primissima 15 Causa e mostrano la loro reciproca connessione. E i generi più elevati, uniti in modo connaturale all’Uno e originari, hanno ricevuto l’unitaria, semplice e celata forma di realtà, mentre quelli che vengono per ultimi si moltiplicano in quanto si suddividono e 20 sono numericamente di più, ma sono inferiori rispetto alla potenza di quelli superiori; dal canto loro i generi intermedi secondo l’opportuno rapporto sono più compositi delle loro cause, ma più semplici delle proprie procreazioni. E, per dirla in breve, tutti i principi basilari della scienza teologica qui si manifestano in modo perfetto e tutti gli ordinamenti degli esseri divini mostrano di sus- 25 sistere in modo continuo e coerente. E non si tratta di nient’altro se non della celebrazione della generazione degli dèi e degli enti, in qualunque modo essi siano, a partire dalla causa ineffabile e inconoscibile del Tutto. Dunque l’intera ed anche perfetta “luce” della scienza teologi- 32 ca Parmenide la “accende” negli amanti di Platone, e dopo questo i dialoghi precedentemente menzionati si sono distribuiti parti della mistica dottrina sugli dèi, e tutti, per così dire, hanno parte- 5 cipato della ispirata sapienza e ridestano le nostre spontanee nozioni sulla realtà divina. E si deve ricondurre l’intera massa ai dialoghi in questione, e poi ricollegare a loro volta questi ultimi alla unica e completa speculazione del Parmenide. Così, a mio avviso, collegheremo ciò che è più imperfetto a ciò che 10 è perfetto e le parti al tutto, e metteremo in luce che i discorsi sono somiglianti ai fatti «dei quali appunto essi sono interpreti», secondo quanto afferma Timeo77 in Platone. 8 [Esposizione delle differenti opinioni sul “Parmenide” e classificazione delle critiche che si possono rivolgere a tali opinioni] Ebbene, in risposta a tale attacco, come dicevo, replicherò in questo modo e ricondurrò la speculazione teologica Platonica al solo Parmenide, allo stesso modo in cui tutti coloro che sono in grado di comprendere anche poco riconoscono che il Timeo abbraccia la scienza concernente la natura. D’altra parte mi rendo conto che da qui una duplice sfida sorge per me contro coloro che hanno cercato di esaminare le dottrine di Platone e contro due tipi di avversari che si attaccheranno a quanto è stato detto: da un

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th;n eij" eJkavteron gumnasivan mhde; ajporrhvtwn ejntau'qa kai; noerw'n dogmavtwn ejpeisavgein o[clon oujde;n proshvkonta tw'/ 25 dialovgw/: tou;" de; semnotevrou" touvtwn kai; tw'n eijdw'n 33 fivlou", oi} th;n me;n tw'n uJpoqevsewn peri; tou' prwvtou, th;n de; peri; tou' deutevrou qeou' kai; th'" noera'" fuvsew" aJpavsh", th;n de; peri; tw'n meta; tauvthn ei[t ou\n kreittovnwn genw'n ei[te yucw'n ei[te a[llwn wJntinwnou'n – oujde;n ga;r 5 pro;" to;n parovnta lovgon hJ peri; touvtwn zhvthsi" – ta;" de; ou\n trei'" uJpoqevsei" tauvta" to;n trovpon dianevmousi tou'ton, ta; de; plhvqh tw'n qew'n kai; ta; gevnh ta; nohta; kai; ta; noera; kai; ta; pro; tou' kovsmou kai; ta; ejn tw'/ kovsmw/ pavnta mh; katadiairei'n ejntau'qa mhde; polupragmonei'n ajxiou'si: 10 ka]n ga;r ejn th'/ deutevra/ peri; tw'n noerw'n o[ntwn poih'tai th;n pragmateivan, ajll hJ tou' nou' fuvsi" miva kai; aJplh' kai; ajdiaivretov" ejsti. Pro;" me;n ou\n ajmfotevrou" touvtou" diagwnistevon tw'/ tauvthn e[conti peri; tou' Parmenivdou th;n gnwvmhn h}n provteron 15 ei[pomen. Esti de; oujk i[so" oJ pro;" touvtou" ajgwvn, ajll oiJ me;n gumnavsion logiko;n to;n Parmenivdhn poiou'nte" kai; pavlai dedwvkasin eujquvna" toi'" to;n e[nqeon trovpon th'" ejxhghvsew" ajspazomevnoi": oiJ de; ta; plhvqh tw'n o[ntwn kai; ta;" tavxei" tw'n qeivwn mh; diorivzonte" aijdoi'oi me;n a[ndre" 20 kai; deinoi; pantavpasin, w{" fhsin Omhro", th'" de; au\ peri; to;n Plavtwna filosofiva" e{neka kai; hJmi'n pro;" aujtou;" diaporhtevon eJpomevnoi" tw'/ th'" panagestavth" hJmi'n kai; mustikwtavth" ajlhqeiva" hJgemovni, kai; lektevon ejf o{son toi'" prokeimevnoi" suntelei' kai; peri; tw'n uJpoqevsewn tou' 25 Parmenivdou ta; dokou'nta. Tavca ga;r a]n ou{tw kai; th;n o{lhn tou' Plavtwno" qeologivan tw'/ th'" dianoiva" logismw'/ perilavboimen.

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lato quelli che non sono disposti ad ammettere nessun altro proposito del Parmenide se non l’esercitazione a dibattere sul pro e sul contro78, e non ritengono che qui introduca un ammasso di dottrine ineffabili ed intellettive per nulla confacenti al dialogo; dall’altro lato quelli che meritano più rispetto di costo- 25 ro e che sono «amici delle forme»79: costoro una 33 delle ipotesi concerna il Primo Dio, un’altra il Secondo e tutta quanta la natura intellettiva, un’altra ancora concerna quelle realtà che vengono dopo quest’ultima, dunque sia i generi superiori sia le anime sia altri tipi di entità qualunque essi siano – in effetti non ha alcuna importanza in relazione al presente discorso la ri- 5 cerca intorno a questi oggetti – ebbene distribuiscono queste tre ipotesi in questo modo, ma le moltitudini degli dèi e i generi intelligibili e intellettivi e tutti quelli precedenti il cosmo e tutti quelli che sono nel cosmo non ritengono che qui li distingua né che se ne occupi con particolare impegno: infatti anche qualora nella seconda ipotesi si occupasse degli 10 enti intellettivi, tuttavia la natura dell’Intelletto è una sola, semplice ed indivisibile. Ebbene, è contro entrambi questi avversari che deve gareggiare chi dà del Parmenide l’interpretazione che in precedenza abbiamo riferito. D’altra parte non è uguale la sfida con- 15 tro costoro, ma coloro che considerano il Parmenide un mero esercizio logico hanno già saldato da tempo il debito con coloro che abbracciano l’interpretazione nel modo divinamente ispirato. Invece coloro che non intendono distinguere le moltitudini degli enti e gli ordinamenti degli dèi, sono uomini assolutamente “venerandi” ed “eccellenti”, come dice Omero80, ma comunque, aven- 20 do di mira la filosofia riconducibile a Platone, noi, che seguiamo la guida di quella che per noi è la supremamente santa e mistica verità, dobbiamo a nostra volta sollevare nei loro confronti delle perplessità, e dobbiamo esprimere, nella misura in cui contribuiscono alle questioni qui in oggetto, anche le nostre opinioni sulle ipotesi 25 del Parmenide. Infatti forse così potremmo comprendere l’intera teologia di Platone «con il raziocinio della riflessione analitica»81.

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qV Prwvtou" me;n ou\n skeywvmeqa tou;" ajpo; th'" tw'n pragmavtwn ajlhqeiva" ejpi; logikh;n gumnasivan kaqevlkonta" th;n tou'de tou' dialovgou provqesin kai; kativdwmen ei[ ph/ a[ra 5 sunav/dein toi'" tou' Plavtwno" dunhvsontai. Panti; dh; ou\n katafane;" o{ti th;n dialektikh;n mevqodon e[rgw/ paradou'nai proqevmeno" oJ Parmenivdh" kaiv, wJ" tuvpw/ dialabei'n, ejf eJkavstou tw'n o[ntwn aujth;n oJmoivw" paralambavnein (oi|on taujtovthto" eJterovthto" oJmoiovthto" ajnomoiov10 thto" kinhvsew" stavsew" tw'n a[llwn eJkavstou) parakeleusavmeno" toi'" mevllousi kata; trovpon th;n eJkavstou fuvsin ajnereunhvsein, mevgan to;n ajgw'na, kai; oujd aujtw'/ tw'/ thlikw'/de o[nti rJav/dion ei\nai levgei kai; pro;" to;n Ibuvkeion i{ppon eJauto;n ajpeikavzei, kai; pavnta ta; tekmhvria 15 parevcetai tou' pragmateiwvdh kai; mh; kenh;n ejn lovgoi" yiloi'" qewroumevnhn poihvsesqai th;n th'" meqovdou tauvth" paravdosin. Pw'" ou\n e[ti dunato;n eij" ejpiceirhvsei" diakevnou" ajpopevmpein ta;" ejpibola;" tauvta", peri; w|n oJ mevga" Parmenivdh" wJ" pollh'" pragmateiva" deomevnwn ejndeixavmeno" 20 dieperavnato to;n peri; aujtw'n lovgon Pw'" de; presbutiko;n ejn lovgoi" gumnoi'" diatrivbein kai; th'/ peri; tauvthn 35 dunavmei thlikauvthn ajpodidovnai spoudh;n to;n th'" tw'n o[ntwn ajlhqeiva" filoqeavmona kai; pavnta me;n ta; a[lla mhde; ei\nai logizovmenon ejp aujth;n de; th;n a[kran ajnabebhkovta tou' eJno;" o[nto" periwphvn Eij mhv ti" a[llw" kwmw/5 dei'sqai to;n Parmenivdhn uJpo; tou' Plavtwno" levgoi kaqelkovmenon eij" neoprepei'" ajgw'na" ajpo; tw'n noerwtavtwn th'" yuch'" qeamavtwn. Eij de; bouvlei kai; tou'to pro;" toi'" eijrhmevnoi" qeaswvmeqa, tiv pote uJposcovmeno" oJ Parmenivdh" kai; peri; tivno" poihv10 sesqai to;n lovgon eijpw;n ejfhvyato th'" toiauvth" pragmateiva". Ar ouj peri; tou' kat aujto;n o[nto" kai; th'" tw'n o[ntwn 34

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9 34 [Confutazione di coloro che dicono che il “Parmenide” ha carattere logico e che sostengono la tesi che la sua materia sia trattata con un argomentare dialettico attraverso le comuni opinioni] Ebbene, dobbiamo prendere in esame per primi coloro che riducono il proposito di questo dialogo da trattazione sulla verità delle cose a esercizio logico e dobbiamo considerare attentamente se in qualche modo allora potranno essere in accordo con quan- 5 to afferma Platone. Certamente è evidente per ognuno che Parmenide82, essendosi proposto di insegnare con l’esempio il metodo dialettico, e di assumerlo allo stesso modo per ciascun carattere specifico degli enti, così da distinguerli per tipo (ad esempio identità, differenza, somiglianza, diversità, movimento, quiete e ciascuna delle rimanenti caratteristiche), ha invitato coloro che intendono indagare 10 con metodo la natura di ciascuno ente ad assumere in eguale misura la dialettica. In considerazione di ciò egli afferma che è “una grande sfida” e che non è facile neppure per lui “che è così avanti negli anni”, e paragona se stesso al “cavallo di Ibico”83, e fornisce tutti gli elementi per far capire che considera l’insegna- 15 mento di questo metodo “concretamente basato sulla realtà” e non vuoto in quanto contemplato in puri discorsi. Come dunque è ancora possibile far scadere a futili spunti argomentativi queste dottrine, riguardo alle quali il grande Parmenide ha dimostrato come richiedano “molta applicazione” e dopo ciò ha concluso il 20 discorso riguardo ad esse? Come d’altra parte potrebbe convenire ad una persona anziana come lui consumare il tempo in vuoti ragionamenti e che “all’importanza” di questo argomento attri- 35 buisca un così grande interesse, lui che è “l’amante dello spettacolo della verità degli enti”, che considera tutte le altre cose come se neppure ci fossero, perché si è elevato alla alta vetta da cui si contempla l’Uno che è? Ciò si potrebbe ammettere solo se si af- 5 fermasse che Parmenide è messo in ridicolo da Platone, in quanto dagli spettacoli in assoluto più intellettivi per l’anima si abbassa alle esercitazioni adatte ai giovani84. Ma se si vuole, consideriamo anche questo argomento oltre a quelli menzionati: che cosa mai ha sostenuto Parmenide85 e riguardo a che cosa ha affermato di voler elaborare il suo discorso, 10 prima di occuparsi di questo argomento. Non è forse vero che il

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aJpavntwn eJnavdo", ejf h}n ajnateinovmeno" ejlelhvqei tou;" pollou;" wJ" ta; plhvqh tw'n o[ntwn eij" mivan e{nwsin ajdiavkriton sunavgein parakeleuovmeno" Eij toivnun tou'to mevn 15 ejsti to; e}n o]n uJpe;r ou| kajn toi'" poihvmasin ejpragmateuveto, to; de; e}n o]n ei[t ou\n *** ajkrovtaton o} uJperivdrutai pantelw'" tw'n ejn dovxh/ feromevnwn lovgwn, tiv" mhcanh; sumfuvrein eij" taujto;n ta; peri; tw'n nohtw'n dovgmata tai'" doxastikai'" ejpiceirhvsesin Ouj ga;r th'/ peri; tw'n o[ntw" o[ntwn uJpoqevsei 20 proshvkei to; toiou'to tw'n lovgwn ei\do" ou[te toi'" dialektikoi'" gumnasivoi" hJ tw'n ajfanw'n kai; cwristw'n aijtivwn sunarmovzetai novhsi", ajlla; tau'ta dievsthken ajp ajllhvlwn kaq o{son kai; oJ nou'" th'" dovxh" uJperivdrutai, kaqavper hJma'" oJ Tivmaio" ajnedivdaxe: kai; oujci; oJ Tivmaio" movnon ajlla; kai; oJ daimovnio" 36 Aristotevlh", o}" th;n toiauvthn duvnamin paradou;" ou[te peri; tw'n pantelw'" ajfanw'n hJmi'n ou[te peri; tw'n gnwrimwtevrwn poiei'sqai ta;" zhthvsei" parakeleuvetai. Pollou' a[ra dei' Parmenivdh" oJ th;n ejpisthvmhn tw'n o[ntwn th'" dokouvsh" 5 ei\nai para; toi'" th;n ai[sqhsin tou' nou' probeblhmevnoi" ajlhqeiva" ejpevkeina ªtou' nou'º tiqevmeno" th;n doxastikh;n gnw'sin ejpi; th;n nohth;n fuvsin ajnavxein ajmfivbolon ou\san kai; poikivlhn kai; ajstavqmhton, h] to; o[ntw" o]n meta; th'" toiauvth" doxosofiva" kai; th'" diakevnou pragmateiva" qewrhvsein. Tw'/ 10 ga;r aJplw'/ to; poikivlon kai; tw'/ monoeidei' to; polueide;" kai; tw'/ nohtw'/ to; doxastiko;n th'" gnwvsew" Ê movnon aJrmostevon Ê. “Eti toivnun mhde; ejkei'no parw'men wJ" pantelw'" ajllovtrio" oJ trovpo" ou|tov" ejsti tw'n lovgwn th'" tou' Parmenivdou prag15 mateiva". Ekeivnh me;n ga;r ta; o[nta pavnta kai; th;n tavxin tw'n o{lwn paradivdwsi kai; th;n ajf eJnov" te ajrcomevnhn provodon kai; eij" e}n teleutw'san ejpistrofhvn, hJ de; dia; tw'n ejpiceirhmavtwn mevqodo" povrrw diwv/kistai th'" ejpisthmonikh'" qewriva". Pw'" ou\n oujk ajnavrmoston uJpovqesin oJ Plavtwn 20 fanhvsetai tw'/ Parmenivdh/ paradidouv", eij th'" ejf eJkavtera gumnasiva" aujto;n stocavzesqai levgoi kai; th'" ejn touvtw/ dunavmew" e{neka th;n o{lhn ajnakinei'n tauvthn tw'n lovgwn ajnevlixin Kaivtoi ge ejn toi'" a[lloi" a{pasi ta;" proshkouvsa" uJpoqevsei" eij" e{kaston ajnafevrei tw'n filosovfwn, tw'/ me;n 37 Timaivw/ th;n peri; fuvsew" ajforivzwn didaskalivan, tw'/ de; Swkravtei th;n peri; politeiva", th'/ de; Mantinikh'/ xevnh/ ta; ejrwtikav, tw'/ de; Eleavth/ xevnw/ ta; peri; tou' o[nto". Ei\ta tw'n

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discorso concerne l’Essere come egli lo intendeva, e l’Enade di tutti quanti gli enti, verso la quale «i più non si erano resi conto»86 che egli tendeva, intendendo così invitare a riunire la molteplicità degli enti in un’unità senza alcuna distinzione? Se 15 pertanto questo è l’Uno del quale anche nei suoi poemi trattava, e dal canto suo l’Uno-che-è sia che dunque 87 supremo che è assolutamente superiore ai discorsi che procedono nell’ambito dell’opinione, come è mai possibile confondere, mettendole sullo stesso piano, le dottrine sugli intelligibili con ragionamenti dialettici di naura opinativa? In effetti non è alla ipotesi 20 concernente gli enti autentici che si addice tale forma dei discorsi, né con gli esercizi dialettici è in sintonia la riflessione relativa alle cause invisibili e separate, ma tali oggetti sono distinti gli uni dagli altri nella misura in cui anche l’intelletto è superiore all’opinione, come ci ha illustrato a fondo Timeo88. E non solo Timeo, 36 ma anche lo straordinario Aristotele89, il quale, nell’insegnare la potenza della dialettica, invita a non operare le ricerche né intorno agli oggetti per noi assolutamente invisibili né intorno a quelli più familiari. Dunque siamo ben lontani dal fatto che Parmenide, il quale considera la scienza degli enti al di sopra della verità appa- 5 rente di coloro che hanno anteposto la percezione all’intelletto, elevi al livello della natura intelligibile la conoscenza opinativa che è incerta, varia e instabile, o che contempli l’essere autentico congiuntamente a tale forma di “sapere apparente” e vuoto oggetto 10 di studio. In effetti 90 al semplice il vario, all’uniforme il multiforme e all’intelligibile ciò che è oggetto di apparenza per la conoscenza. Per di più non dobbiamo ammettere neppure la precedente possibilità91, in considerazione del fatto che questo modo di ragionare è assolutamente diverso dalla trattazione del Parmenide. Que- 15 st’ultima infatti fornisce insegnamenti su tutti gli enti, sull’ordine del Tutto, sulla processione che inizia dall’Uno ed al contempo sul ritorno che si conclude nell’Uno, mentre il metodo per argomentazioni dialettiche risulta profondamente distinto dalla speculazio- 20 ne scientifica. Come dunque Platone non apparirà affidare a Parmenide una tematica a lui inappropriata, se dicesse che egli ha di mira il puro esercizio dialettico sul pro e sul contro e che è per fare sfoggio della propria abilità in questo ambito che dà vita a tutto quanto questo sviluppo argomentativo? Per la verità, in tutti gli 37 altri dialoghi egli attribuisce le tematiche appropriate a ciascun filosofo, assegnando a Timeo l’insegnamento sulla natura, a Socrate quello sulla politica, alla Straniera di Mantinea le questioni

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me;n a[llwn e{kasto" toiouvtwn proi?statai tw'n lovgwn w|n kai; kaq eJauto;n uJpavrcei prohgoumevnw" ajntecovmeno", movno" de; hJmi'n oJ Parmenivdh" ejn me;n toi'" poihvmasin e[stai kai; toi'" eJautou' spoudavsmasi ta; o[nta sofov", ejn de; th'/ Platwnikh'/ skhnh'/ nearoprepou'" Mouvsh" kaqhgemwvn Alla; mh; tau'ta mimhvsew" ajnomoiovthta kathgorei'n tou' 10 Plavtwno" boulomevnwn h\/. Kaivtoi kai; tou;" poihta;" aujto;" hj/tiavsato filocrhmativan kai; th;n ejmpaqh' zwh;n eij" qew'n pai'da" ajnapevmponta": pou' ou\n hJmei'" th;n tw'n ejndovxwn ejpiceirhmavtwn kai; diakevnwn pragmateivan eij" to;n hJgemovna th'" tw'n o[ntwn ajlhqeiva" ajnavxomen 15 Eij de; dei' tw'n pollw'n ajpallagevnta" ejpiceirhvsewn aujto;n to;n Plavtwna poihvsasqai mavrtura th'" prokeimevnh" tauvth" sunousiva" kai; tw'n ejn tauvth/ lovgwn, ajnamnhsqw'men eij me;n bouvlei tw'n ejn Qeaithvtw/ gegrammevnwn, eij de; bouvlei tw'n ejn Sofisth'/: fanhvsetai ga;r a} levgomen ejk touvtwn. 20 Oujkou'n ejn Qeaithvtw/ me;n oJ Swkravth" uJpo; tou' neanivskou prokalouvmeno" eij" to;n tw'n ajkivnhton to; o]n legovntwn e[legcon, ajposkeuazovmeno" th;n toiauvthn ajntivlhyin tou' Parmenivdou kai; th;n aijtivan prostiqeiv": Parmenivdhn gavr, fhsivn, e{n o[nta aijscuvnomai h] pavnta" tou;" 25 a[llou". Sunevmixa ga;r tw'/ ajndri; pavnu nevo" pavnu 38 presbuvth/, kaiv moi e[doxe bavqo" ti e[cein pantavpasi gennai'on. Fobou'mai ou\n mh; ou[te ta; legovmena xunivwmen, tiv te dianoouvmeno" ei\pe polu; plevon leipwvmeqa. Orqw'" a[ra ejlevgomen th;n prokei5 mevnhn sunousivan oujk eij" logikh;n gumnasivan ajpoteivnesqai kai; tou'to poiei'sqai tw'n lovgwn aJpavntwn tevlo", ajll eij" th;n tw'n prwtivstwn ajrcw'n ejpisthvmhn. Pw'" ga;r a]n oJ Swkravth" to;n th'/ dunavmei th'/ toiauvth/ crwvmenon kai; th'" tw'n pragmavtwn ajmelhvsanta gnwvsew" bavqo" ti gennai'on 10 pantavpasin e[cein ejn toi'" lovgoi" ejmartuvrei Tiv ga;r a]n ei[h semnovn, kai; sullabei'n th;n mevqodon tw'n ejf eJkavstw/ suntiqemevnwn ejndovxw" kai; uJpodu'nai th;n toiauvthn eu{resin tw'n ejpiceirhmavtwn En de; au\ tw'/ Sofisth'/ to;n Eleavthn xevnon ajnegeivrwn eij" th;n tw'n proteqevntwn aujtw'/ diavrqrwsin 15 kai; h[dh sunhvqh pro;" tou;" baqutevrou" ei\nai lovgou" eJauto;n ejndeiknuvmeno": tosovnde hJmi'n fravze, fhsiv, povteron ei[wqa" aujto;" ejpi; sautou' makrw'/ lovgw/ 5

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relative all’amore, allo Straniero di Elea quelle relative all’essere. E allora, mentre ciascuno degli altri personaggi è sostenitore di quei 5 ragionamenti di cui, anche in modo personale, risulta essere il principale sostenitore, solo Parmenide, invece, per noi nei suoi poemi e nelle sue ricerche sarà sapiente per quel che concerne gli enti, mentre sulla scena platonica sarà guida di una Musa confacentesi solo a dei giovincelli? Ma c’è il rischio che queste considerazioni siano da attribuire a coloro che vogliono accusare Platone 10 di inadeguatezza nell’imitazione dei modelli! In realtà proprio lui ha accusato i poeti di attaccamento al denaro e di attribuire a “figli di dèi” la vita soggetta alle passioni92. Come dunque noi potremo mai riferire a colui che è la guida della verità propria degli enti93 la trattazione delle argomentazioni conformi all’opinione comune e vane? Ma se occorre che noi, dopo essere stati liberati da questa con- 15 gerie di argomentazioni, consideriamo lo stesso Platone testimone di questo incontro in questione e dei discorsi che vi sono stati, dobbiamo richiamare alla memoria vuoi quanto è scritto nel Teeteto, vuoi quanto è scritto nel Sofista. Infatti da questi dialoghi sarà manifesto quanto noi affermiamo. Ebbene, nel Teeteto So- 20 crate, chiamato dal giovane94 alla confutazione di coloro che dicono immobile l’essere, per sottrarsi ad un attacco di tale genere contro Parmenide, avanza la seguente ragione: «in effetti è di fronte al solo Parmenide – dice – che mi vergogno più che di tutti gli altri. In effetti io mi intrattenni quando ero molto giovane con quel- 25 l’uomo molto vecchio, e mi sembrò che possedesse una profondità 38 assolutamente nobile. Dunque temo che non riusciamo nemmeno a comprendere le sue affermazioni, e che rimaniamo molto più indietro rispetto a cosa egli nelle sua riflessioni disse»95. Correttamente dunque dicevamo che l’incontro in questione non tende ad un 5 esercizio logico e questo non viene considerato la finalità di tutti i discorsi, ma si sviluppa in scienza dei primissimi principi. Come infatti Socrate, a proposito di colui che si avvaleva di una tale abilità logica e che si era disinteressato della conoscenza delle cose, avrebbe potuto testimoniare che egli aveva nei discorsi «una pro- 10 fondità assolutamente nobile»96? In effetti che cosa vi sarebbe di venerabile nel costruire quel metodo che consiste in ciascun caso nel combinare fra loro le convinzioni basate sull’opinione e nel dedicarsi completamente a tale ricerca di argomentazioni? D’altra parte ancora nel Sofista, quando incita lo Straniero di Elea a chiarire gli obiettivi che si è proposto e dimostra di essere ormai av- 15 vezzo ai ragionamenti più profondi, afferma: «dicci questo, se sei

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diexievnai levgwn tou'to o} a]n ejndeivxasqaiv tw/ boulhqh'/", h] di ejrwthvsewn, oi{wn pote; kai; Parmenivdh/ 20 crwmevnw/ kai; diexiovnti lovgou" pagkavlou" paregenovmhn ejgw; neo;" w[n, ejkeivnou tovte o[nto" eu\ mavla presbuvtou. Tiv" ou\n mhcanhv, tou' Swkravtou" levgonto" pagkavlou" ei\nai tou;" lovgou" touvtou" kai; bavqo" e[cein pantavpasi gennai'on, hJma'" diapistei'n kai; dialwba'39 sqai th;n tou' Parmenivdou pragmateivan, kai; th'" me;n oujsiva" aujth;n kai; tou' o[nto" ejkbavllein, ejpi; de; th;n dhmwvdh kai; fortikh;n metavgein tw'n ejpiceirhvsewn kenologivan, mhvte to; nearoprepe;" tw'n toiouvtwn lovgwn mhvte th;n uJpovqesin 5 tou' eJno;" o[nto" mhvte a[llo mhde;n tw'n pro;" th;n toiauvthn uJpovnoian ejnantioumevnwn logizomevnou" Kai; mh;n kai; th;n th'" dialektikh'" duvnamin ajxiwvsaim a]n aujtou;" skopei'n, oJpoivan oJ ejn Politeiva/ Swkravth" ejndeivknutai, kai; pw'" qrigko;n me;n aujth;n ejf a{pasi peribe10 blh'sqai toi'" maqhvmasin, ajnavgein de; tou;" crwmevnou" ejp aujto; to; ajgaqo;n kai; ta;" prwtivsta" eJnavda", ejkkaqaivrein de; to; th'" yuch'" o[mma fhsi; kai; prosidruvein toi'" o[ntw" ou\si kai; th'/ mia'/ tw'n pavntwn ajrch'/ kai; mevcri tou' ajnupoqevtou teleuta'n. Eij ga;r tosauvth me;n hJ th'" dia15 lektikh'" tauvth" duvnami", thlikou'ton de; to; tevlo" th'" oJdou' tauvth", ouj dei' th;n dia; tw'n ejndovxwn ejpiceivrhsin eij" taujto;n th'/ toiauvth/ meqovdw/ sugkuka'n. Ekeivnh me;n ga;r pro;" ajnqrwvpwn ajpoteivnetai dovxa", au{th de; uJpo; tw'n pollw'n ajdolesciva kalei'tai: kai; hJ me;n pantelw'" ajpoleivpetai 20 th'" tw'n maqhmavtwn ejpisthvmh", au{th de; qrigkov" ejsti tw'n ejpisthmw'n touvtwn kai; dia; touvtwn ejp ejkeivnhn hJ poreiva: kai; th'/ mevn ejsti to; dokou'n kai; to; fainovmenon th'" gumnasiva", hJ de; aJmilla'tai pro;" to; o]n ejpanabibasmoi'" ajei; crwmevnh kai; teleuta'/ dh; kalw'" eij" th;n tou' ajgaqou' fuvsin. 40 Pollou' a[ra dehvsomen hJmei'" th;n pro; tw'n ajkribestavtwn tw'n ejpisthmw'n iJdrumevnhn kaqevlkein eij" th;n e[ndoxon ejpiceivrhsin. Au{th me;n ga;r th'" ajpodeiktikh'" ªproevcousa fantasiva"º ejsti; deutevra kai; movnh" ajgapwv/h a]n th'" 5 ejristikh'" ãproevcousa fantasiva"Ã, hJ de; par hJmi'n dialektikh; ta; me;n polla; diairevsesi crh'tai kai; ajnaluvsesin wJ" prwtourgoi'" ejpisthvmai" kai; mimoumevnai" th;n tw'n o[ntwn provodon ejk tou' eJno;" kai; pro;" aujto; pavlin ejpistrofhvn, crh'tai dev pote kai; oJrismoi'" kai; ajpodeivxesin eij" th;n tou' 10 o[nto" qhvran. Ote toivnun hJ me;n crh'tai tai'" ajpodeivxesi

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solito esporre ciò che vorresti dimostrare a qualcuno parlando tra te e te con un lungo discorso, oppure attraverso domande simili a quelle di cui un tempo anche Parmenide si serviva esponendo discorsi 20 bellissimi: io fui presente quando ero giovane, mentre lui allora era già molto vecchio»97. Dunque, poiché Socrate afferma che questi discorsi erano meravigliosi e possedevano una profondità assolutamente nobile, come possiamo diffidare completamente della 39 trattazione di Parmenide, deformarla e privarla dell’essenza e dell’essere, e trasformarla nella volgarità e rozzezza di una vana disputa argomentativa, senza considerare che tale tipo di discorsi si confà a dei giovincelli, e non dando il giusto peso all’ipotesi dell’Uno-che-è e a nessun altro degli aspetti che sono in contrad- 5 dizione con tale linea interpretativa? E per vero potrei anche pretendere che essi esaminino la potenza della dialettica, di quale natura Socrate nella Repubblica98 dimostra che essa sia, e come egli affermi che essa fa da «coronamento» a tutte le «discipline del sapere»99, ed inoltre che essa con- 10 duce coloro che se ne servono in alto verso il Bene in sé e le primissime enadi, ed infine che essa purifica “lo sguardo dell’anima”100 e lo mantiene fermo verso gli enti autentici e verso l’unico “principio” di tutte le cose, e che conclude il suo percorso “fino al principio anipotetico”101. In effetti se tanto grande è la potenza appartenente a questa dialettica, e se, d’altro canto, tanto impor- 15 tante è il fine di questo cammino, non si deve confondere con tale metodo l’argomentazione svolta attraverso le opinioni comunemente accolte. In effetti quest’ultima si riferisce alle «opinioni degli uomini», mentre il metodo dialettico «viene chiamato dai più vana ciarla»102; e l’una è assolutamente inferiore alle scienze 20 matematiche, questo invece costituisce il “coronamento” di tali scienze e attraverso queste ultime si procede nel percorso che conduce ad esso. Alla prima sono pertinenti il carattere di mera opinione ed apparenza esteriore dell’esercizio, l’altro invece “è in gara per l’essere”, procedendo sempre per gradini 103, e si conclude davvero felicemente nella natura del Bene. Di conseguenza saremo ben lontani dallo sminuire quel meto- 40 do, che si colloca al di sopra delle scienze più esatte, abbassandolo al livello dell’argomentazione fondata sulle opinioni generalmente accolte. Quest’ultima infatti è inferiore alla tecnica apodittica e potrebbe accontentarsi di sopravanzare solo l’illusorietà del- 5 l’eristica104; invece la nostra dialettica per lo più si serve di divisioni ed analisi come mezzi primari di conoscenza e riproducenti la processione degli enti dall’Uno e il loro ritorno verso di esso,

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kai; pro; touvtwn th'/ oJristikh'/ meqovdw/ kai; th'/ diairetikh'/ pro; tauvth", hJ de; pantavpasin ajpoleivpetai tw'n th'" ajpodeivxew" ajnelevgktwn logismw'n, pw'" oujk ajnavgkh diwrivsqai me;n ta;" dunavmei" tauvta" ajp ajllhvlwn, th;n de; tou' Parmenivdou pragmateivan th'/ par hJmi'n dialektikh'/ crwmevnhn kaqareuvein th'" diakevnou tw'n ejpiceirhmavtwn poikiliva" kai; pro;" aujto; to; o]n ajll ouj pro;" to; fainovmenon poiei'sqai tou;" lovgou"

iV Pro;" me;n ou\n tou;" eJtevrou" tw'n ta;" hJmetevra" uJpoqevsei" ajpodokimazovntwn tau'ta iJkanav: kai; ga;r a]n eij touvtoi" diapistoi'en, mavthn a]n peivqein aujtou;" kai; prosbibavzein th'/ tw'n pragmavtwn qewriva/ spoudavzoimen. Pro;" de; au\ tou;" tw'n o[ntwn filoqeavmona" kai; th'" tw'n prwtivstwn aijtivwn 25 ejpisthvmh" stocazomevnou" ejn th'/ tou' Platwnikou' Parme41 nivdou proqevsei meivzw kai; calepwvteron o[nta moi to;n ajgw'na dia; pleiovnwn eij bouvlei kai; gnwrimwtevrwn lovgwn diaperanwvmeqa: kai; prw'ton diorizwvmeqa peri; tivno" hJmi'n oJ pro;" aujtou;" e[stai lovgo", o} dh; kai; mavlista nomivzw 5 poihvsein katafanh' th;n Plavtwno" peri; tw'n qeivwn mustagwgivan. Enneva toivnun uJpoqevsewn uJpo; tou' Parmenivdou gegumnasmevnwn ejn tw'/ dialovgw/ touvtw/, kaqavper hJmi'n ejn toi'" eij" aujto;n eijrhmevnoi" uJpevmnhstai, kai; tw'n pevnte tw'n prohgou10 mevnwn to; e}n uJpotiqemevnwn kai; dia; tauvthn th;n uJpovqesin tav te o[nta pavnta kai; ta;" mesovthta" tw'n o{lwn kai; ta;" ajpoperatwvsei" th'" proovdou tw'n pragmavtwn uJposth'sai dunamevnwn, tw'n de; au\ tettavrwn tw'n tauvtai" eJpomevnwn mh; ei\nai me;n to; e}n kata; th;n th'" dialektikh'" meqovdou para15 kevleusin eijshgoumevnwn ejk de; th'" tou' eJno;" ajnairevsew" a{panta ta; o[nta kai; o{sa fainomevnw" ejsti;n ejkpodw;n ginov20

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mentre talvolta si serve di definizioni e dimostrazioni “nella caccia all’essere”. Pertanto, considerato che si serve delle dimostrazioni e prima di queste del metodo della definizione e, prima di questo, di quello della divisione, mentre il ragionamento fondato sulle opinioni è assolutamente inferiore alle conclusioni razionali inconfutabili della dimostrazione, come può non risultare necessario distinguere questi due procedimenti l’uno dall’altro, e mantenere pura la trattazione del Parmenide, che ricorre a quella che presso di noi è la dialettica, della vana varietà delle modalità argomentative, e considerare i suoi discorsi come rivolti all’essere in sé, e non a ciò che appare?

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10 [In cosa hanno ragione coloro che dicono che le ipotesi del “Parmenide” concernono i principi insiti negli enti e quali considerazioni si devono aggiungere a quelle che essi fanno alla luce della dottrina trasmessaci direttamente dalla nostra guida] Tali considerazioni sono sufficienti per rispondere ad una del- 20 le due categorie d’avversari che respingono i nostri presupposti; ed infatti, se non si lasciassero convincere da questi argomenti, allora ci impegneremmo vanamente nel tentativo di persuaderli e di indurli a prendere in esame le realtà autentiche. D’altra parte, dato che rispondere a quelli che, dal canto loro, sono “amanti dello spettacolo”105 degli enti e che cercano di cogliere la scienza del- 25 le cause assolutamente prime nella trattazione del Parmenide di Platone, è per me una ben più grande e difficile impresa, se si vuo- 41 le, cerchiamo di condurla a termine attraverso un numero maggiore di argomenti più facili da comprendere; e per prima cosa definiamo l’oggetto intorno al quale verterà il nostro discorso in risposta ad essi, il che, a mio avviso, renderà assolutamente chia- 5 ra la dottrina misterica di Platone concernente le realtà divine. Pertanto, dato che in questo dialogo vengono discusse da Parmenide nove ipotesi, come abbiamo ricordato nel nostro commento, e dal momento che le prime cinque ipotesi suppongono 10 l’esistenza dell’Uno ed in virtù di questa supposizione sono in grado di far sussistere sia gli enti tutti, sia i livelli intermedi della totalità del reale, sia le componenti che stanno al termine della processione della realtà, mentre a loro volta le quattro ipotesi che seguono queste cinque introducono , secondo il sugge- 15 rimento del metodo dialettico, che non ci sia l’Uno, e, d’altro

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mena kata; th;n uJpovqesin tauvthn dielevgcein proqemevnwn, kai; tw'n me;n dhladh; pavnta kata; lovgon sumperainovntwn, tw'n de; ta; tw'n ajdunavtwn, eij crh; favnai, pantelw'" ajduna20 twvtera proferomevnwn – o} kai; tw'n pro; hJmw'n tinev", oi\mai, sunei'don ejn tai'" uJpoqevsesi tauvtai" sumbaivnein ajnagkai'on ão[nÃ, wJ" kai; tou'to diaivth" ejn toi'" eij" to;n diavlogon tou'ton gegrammevnoi" hjxivwtai – peri; me;n ou\n th'" prwtivsth" tw'n uJpoqevsewn a{pante" scedo;n sumpefwnhvkasin ajllhvloi" 25 kai; th'" uJperousivou tw'n o{lwn ajrch'" dia; tauvth" ajxiou'si 42 to;n Plavtwna th'" uJpoqevsew" to; a[rrhton kai; a[gnwston kai; panto;" ejpevkeina tou' o[nto" ajnumnei'n. Peri; de; th'" meta; tauvthn ouj to;n aujto;n trovpon a{pante" ajnadidavskousin. All oiJ me;n palaioi; kai; th'" Plwtivnou filosofiva" meta5 scovnte" th;n noera;n fuvsin ejntau'qa pefhnevnai levgousin ajpo; th'" uJperousivou tw'n o[ntwn ajrch'" uJfistamevnhn, kai; pavnq o{sa dia; tauvth" sumperavsmata proteivnetai th'/ tou' nou' mia'/ kai; pantelei' dunavmei sunarmovzein ejpiceirou'sin: oJ de; dh; th'" peri; qew'n hJmi'n ajlhqeiva" kaqhgemw;n 10 kai; tou' Plavtwno", i{na kaq Omhron ei[pwmen, ojaristh;" to; th'" qewriva" tw'n palaiotevrwn ajovriston eij" o{ron metasthvsa" kai; to; sugkecumevnon tw'n diafovrwn tavxewn eij" diavkrisin noera;n periagagwvn, ejn tai'" ajgravfoi" sunousivai" kajn tai'" peri; touvtwn pragmateivai" parekeleuveto th;n 15 tw'n sumperasmavtwn diaivresin kat a[rqron lambavnonta" ejpi; tou;" qeivou" diakovsmou" ajnafevrein, kai; ta; me;n prwvtista kai; aJplouvstata tw'n deiknumevnwn toi'" prwtivstoi" ejfarmovzein tw'n o[ntwn, ta; de; mevsa toi'" mevsoi", w{sper dh; kai; e[lace th;n ejn toi'" ou\si tavxin, ta; de; e[scata kai; polueidh' 20 toi'" ejscavtoi". Ouj gavr ejstin hJ tou' o[nto" fuvsi" miva kai; aJplh' kai; ajdiaivreto": ajll w{sper ejn toi'" aijsqhtoi'" ei|" me;n oJ mevga" ou|to" oujranov", perievcei de; plh'qo" ejn eJautw'/ swmavtwn, kai; sunektikh; me;n tou' plhvqou" hJ monav", ejn de; tw'/ plhvqei tavxi" ejsti; th'" proovdou kai; ta; me;n prw'ta ta; 25 de; mevsa ta; de; e[scata tw'n aijsqhtw'n, kai; pro; touvtwn ejn tai'" yucai'" ajpo; th'" mia'" to; plh'qo" uJpevsth tw'n yucw'n, 43 kai; touvtwn aiJ me;n ªejnº ejggutevrw th'" eJautw'n oJlovthto" aiJ de; porrwtevrw ejtavcqhsan aiJ de; kai; th;n mesovthta tw'n a[krwn sumpeplhrwvkasin, ou{tw" ajnavgkh dhvpou kai; tw'n o[ntw" o[ntwn ta; me;n eJnoeidh' kai; kruvfia tw'n genw'n ejnidru'sqai th'/

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canto, dalla rimozione dell’Uno si propongono di dimostrare in senso confutatorio che in base a questa ipotesi tutti gli enti e tutte le realtà, che manifestatamente sono, scompaiono, e le prime ipotesi con tutta evidenza pervengono a tutte le conclusioni razionali, le altre invece producono dei risultati, se si deve dirlo, assolu- 20 tamente più impossibili degli impossibili106 – il che anche alcuni dei nostri predecessori, a mio giudizio, furono consapevoli che è necessario accada in queste ipotesi, considerato come anche tale questione è stata giudicata meritevole di un giudizio negli scritti a commento di questo dialogo – ebbene riguardo alla primissima delle ipotesi quasi tutti sono risultati d’accordo fra di loro e ri- 25 tengono che attraverso questa ipotesi Platone celebri il carattere 42 ineffabile, inconoscibile e al di sopra di tutto l’essere del principio sovraessenziale del Tutto107. Invece, per quel che concerne quella successiva, non tutti propongono la stessa spiegazione. Ma gli antichi che hanno aderito alla filosofia di Plotino dicono che qui si 5 mostra la natura intellettiva, che sussiste a partire dal principio sovraessenziale degli enti, ed essi cercano di far accordare tutte quante le conclusioni che si ricavano attraverso questa ipotesi con l’unica e compiutamente perfetta potenza dell’Intelletto. Ma la nostra guida108 nella verità concernente gli dèi e “amico intimo” 10 di Platone, per parlare come Omero109, aveva determinato ciò che restava indeterminato nella teoria degli Antichi e aveva aggirato la confusione dei diversi livelli venutasi a creare nella distinzione dell’ambito intellettivo. Nelle sue lezioni orali e nei suoi trattati concernenti tali temi invitava a riferire la distinzione delle conclu- 15 sioni, assumendola nella sua articolazione, agli ordinamenti divini, e ad accordare, tra le conclusioni che vengono dimostrate, le primissime e più semplici ai primissimi tra gli enti, mentre quelle intermedie agli enti intermedi, in base al livello che occupano tra gli enti, ed infine le ultime e multiformi agli ultimi fra gli enti. Infatti la natura dell’essere non è unica, semplice e indivisibile; ma 20 come tra i sensibili questo nostro grande cielo è uno solo e tuttavia comprende in sé una molteplicità di corpi, e così pure la monade è connettiva della molteplicità, ma nella molteplicità v’è un ordine della processione che fa sussistere i primi, gli intermedi e gli ultimi tra i sensibili, e così pure al di sopra di questi ultimi, 25 nell’ambito delle anime, a partire dall’Anima unica è venuta a sussistere la molteplicità delle anime – e tra queste le une sono più 43 prossime alla loro totalità, mentre le altre sono per ordinamento poste più lontano, e le altre ancora sono andate a costituire il livello intermedio tra i principi – allo stesso modo è necessario, a mio

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mia'/ kai; prwtivsth/ tw'n o{lwn aijtiva/, ta; de; eij" to; pa'n proelhluqevnai plh'qo" kai; to;n o{lon ajriqmovn, ta; de; to;n suvndesmon aujtw'n ejn mevsw/ katevcein, kai; mhvte ta;" tw'n prwvtwn ijdiovthta" ejfarmovzein toi'" deutevroi" mhvte ta;" tw'n uJfeimevnwn toi'" eJnikwtevroi", ajlla; tw'n me;n a[lla" ei\nai tw'n de; 10 a[lla" dunavmei" kai; tavxin ejn th'/ proovdw/ tauvth/ kai; tw'n deutevrwn ajpo; tw'n prwvtwn e[kfansin. In ou\n sunelovnte" ei[pwmen, to; e}n o]n proveisi me;n ajpo; th'" eJnavdo" th'" pro; tw'n o[ntwn, pa'n de; to; qei'on gevno" ajpogenna'/, tov te nohto;n kai; to; noero;n kai; to; uJperouravnion kai; to; mevcri tw'n ejgkosmivwn 15 proelhluqov": kai; dei' kai; tw'n sumperasmavtwn e{kaston ijdiovthto" ei\nai qeiva" gnwristikovn. Eij de; kai; pavnta pavsai" ejfarmovzei tai'" tou' eJno;" o[nto" proovdoi", ajll oujde;n oi\mai qaumasto;n ªkai;º ta; me;n a[llai" ta; de; a[llai" ªuJpoqevsesiº ma'llon proshvkein. Ta; me;n ga;r i[diav tinwn diakovsmwn oujk 20 ejx ajnavgkh" uJpavrcei pa'si toi'" qeoi'", ta; de; au\ pa'sin uJpavrconta pollw'/ dhvpou ma'llon eJkavstoi" pavrestin. Eij me;n ou\n ejpeisodiwvdh tw'/ Plavtwni th;n tw'n qeivwn tavxewn diaivresin pareishvgomen kai; mh; safw'" aujto;n ejpedeivknumen kajn toi'" a[lloi" dialovgoi" a[nwqen a[cri tw'n 25 ejscavtwn uJmnhvsanta ta;" tw'n qew'n proovdou", oJte; me;n ejn muqikoi'" plavsmasin, oJte; de; ejn a[lloi" qeologikoi'" trovpoi", 44 ajtovpw" a]n aujtw'/ th;n toiauvthn tou' te o[nto" kai; meta; touvtou th'" tou' eJno;" proovdou th;n diaivresin ajnetivqemen: eij de; ejk tw'n a[llwn dialovgwn ejpideivknumen aujtovn, wJ" e[stai proelqou'sin hJmi'n katafanev", aJpavsa" ta;" tw'n qew'n basileiva" 5 uJmnhvsanta kata; trovpon, pw'" oujk ajduvnaton ejn th'/ tw'n pragmateiw'n ejpoptikwtavth/ th;n me;n tou' eJno;" ejxh/rhmevnhn aujto;n paradidovnai dia; th'" prwvth" uJpoqevsew" pro;" a{panta ta; gevnh tw'n o[ntwn uJperoch;n kai; to; o]n aujto; kai; th;n yucikh;n oujsivan kai; to; ei\do" eij tuvcoi kai; th;n u{lhn, uJpe;r 10 de; tw'n qeivwn proovdwn kai; th'" ejn tavxei diakrivsew" aujtw'n mhdevna pepoih'sqai lovgon Ei[te ga;r ta; e[scata movnon e[dei qewrei'n, pw'" th'" prwtivsth" ajrch'" pro; tw'n a[llwn ejfhptovmeqa Ei[te *** tw'n oijkeivwn uJpoqevsewn to; plh'qo" ejkfaivnein hjxiou'men, to; de; tw'n qew'n gevno" kai; ta;" ejn 5

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giudizio, che anche nell’ambito degli enti reali i generi uni-formi 5 e segreti siano fondati sull’unica e primissima causa della totalità delle cose, mentre gli altri generi siano proceduti in tutta la loro molteplicità e in tutta la loro serie complessiva, ed infine che gli altri nel livello intermedio tra essi ne mantengano il collegamento; e bisogna far corrispondere le proprietà specifiche dei primi generi a quelle dei secondi, né le proprietà specifiche dei generi inferiori a quelli più unitari, ma è necessario che in questa processio- 10 ne vi siano, per ciascuno di essi, potenze diverse, un diverso livello ed un diverso modo di rivelarsi dei generi secondi a partire dai primi. Per dirla in breve, dunque, l’Uno-che-è procede dall’Enade che è superiore agli enti, e dà origine a tutto il genere divino, quello intelligibile, quello intellettivo, quello sovraceleste e quello che è proceduto fino agli dèi encosmici; e bisogna anche che ciascuna 15 conclusione sia atta a far conoscere una proprietà divina. D’altra parte, anche se tutte le conclusioni si confanno alle processioni dell’Uno-che-è, tuttavia, a mio giudizio, non c’è da meravigliarsi che le une siano più adatte ad alcune processioni, le altre ad altre. In effetti quelle conclusioni che sono proprie specificatamente di determinati ordinamenti divini non necessariamente appartengo- 20 no a tutti gli dèi, mentre quelle conclusioni che a loro volta appartengono a tutti gli dèi, a mio giudizio, valgono a maggior ragione per ciascuno di essi. Dunque se presentassimo la distinzione degli ordinamenti divini ad opera di Platone come episodica e se non dimostrassimo chiaramente che egli anche negli altri dialoghi a partire dall’alto fino ai livelli più bassi ha celebrato le pro- 25 cessioni degli dèi, talvolta in forma di racconto mitico, talvolta in altri modi teologici, sarebbe assurdo per parte nostra ascrivere a 44 lui tale distinzione dell’essere e, con esso, della processione dell’Uno. Ma se, in base agli altri dialoghi, dimostriamo che egli, come sarà per noi palese nel prosieguo, ha celebrato in modo 5 opportuno tutti i regni degli dèi, come può non risultare impossibile che nella più misterica delle trattazioni egli insegni attraverso la prima ipotesi la trascendente superiorità dell’Uno rispetto a tutti i generi degli enti e cioè rispetto all’essere in sé, all’essenza dell’anima, alla forma, eventualmente, e alla materia, mentre non 10 rende conto alcuno delle processioni divine e sulla loro distinzione secondo uno specifico ordine? E in effetti se dovevamo considerare solo le ultime realtà, come potevamo, prima di tutto il resto, dedicarci al primissimo Principio? E se110 , come potevamo ritenere di

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aujtw'/ diairevsei" parelimpavnomen Ei[te ãpavsa"Ã ta;" ajpo; tou' prwvtou mevcri th'" ejscavth" uJpobavsew" fuvsei", pw'" ta;" o{la" diakosmhvsei" tw'n qeivwn mevsa" uJfestwvsa" tou' te eJno;" kai; tw'n oJpwsou'n ejkqeoumevnwn ajgnwvstou" ajfivemen Apanta ga;r tau'ta th;n o{lhn pragmateivan ejlleivpousan 20 kata; th;n peri; tw'n qeivwn ejpisthvmhn ajpodeivknusi. Kai; mh;n kai; oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" parakeleuvetai toi'" tw'n o[ntwn filoqeavmosi th'/ diairetikh'/ meqovdw/ tav" te monavda" ajei; tw'n o{lwn diakovsmwn ejpizhtei'n kai; ta;" ajp aujtw'n proi>ouvsa" duavda" h] triavda" h] a[llou" ouJsti25 nasou'n ajriqmouv". Eij de; tou'to ojrqw'" pareivlhptai, dei' 45 dhvpou kai; to;n Parmenivdhn th'/ sumpavsh/ dialektikh'/ crwvmenon kai; peri; tou' eJno;" o[nto" dialegovmenon mhvte to; plh'qo" pro; tou' eJno;" ejpiskopei'n mhvte mevnein ejpi; th'" mia'" tw'n o[ntwn monavdo" mhd o{lw" tw'/ eJni; tw'/ pavntwn ejpevkeina 5 tw'n o[ntwn to; suvmpan eujqu;" plh'qo" prosfevrein tou' eJno;" o[nto", ajlla; prw'ta me;n ejkfaivnein ta; krufivw" o[nta kai; tw'/ eJni; suggenevstata, mevsa de; ta; kata; th;n provodon tw'n qew'n gevnh tw'n me;n a[krw" hJnwmevnwn dih/rhmevna ma'llon tw'n de; ejpi; pa'n proelhluqovtwn telewtevran e{nwsin lacovnta, 10 teleutai'a de; ta; kata; th;n ejscavthn diaivresin tw'n dunavmewn uJfesthkovta kai; aujth;n h[dh meta; touvtwn th;n ejkqeoumevnhn oujsivan. Eij toivnun hJ prwvth tw'n uJpoqevsewn peri; tou' eJnov" ejstin, o} panto;" ejpevkeina plhvqou" oJ lovgo" ajpevfhne, dei' dhvpou th;n meta; tauvthn mh; to; o]n ajdiorivstw" ou{tw kai; 15 ajdiakrivtw" ejkfaivnein, ajlla; pavsa" ta;" diakosmhvsei" tw'n o[ntwn. To; ga;r o{lon plh'qo" oJmou' tw'/ eJni; prosfevrein oJ th'" diairetikh'" trovpo" ajpodokimavzei, kaqavper hJma'" oJ ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth" ejdivdaxen. Eti toivnun kajk tou' trovpou tw'n ajpodeivxewn to; aujto; 20 katadhswvmeqa. Ta; me;n ga;r prw'ta tw'n sumperasmavtwn di ejlacivstwn wJ" oi|ovn te kai; aJploustavtwn kai; gnwrimwtavtwn kai; oi|on koinw'n ejnnoiw'n eujqu;" katavdhla givnetai, ta; de; touvtwn ejfexh'" dia; pleiovnwn kai; poikilwtevrwn, ta; de; e[scata pantelw'" ejsti; sunqetwvtata: crh'tai ga;r ajei; toi'" 15

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rivelare la molteplicità delle 15 ipotesi ad esse proprie, trascurando “il genere degli dèi” e le distinzioni insite in esso? E se tutte le nature che derivano dal primo Principio fino al livello più basso, come possiamo lasciar perdere, senza farli conoscere, tutti quanti gli ordinamenti degli esseri divini che hanno ottenuto una sussistenza mediana tra l’Uno e le entità che in un modo qualunque hanno una parte di divinità? In effetti tutte queste problematiche fanno risultare l’intera trattazione mancante in relazione alla 20 scienza degli esseri divini. Di fatto anche il Socrate del Filebo invita “gli amanti della contemplazione” degli enti ad indagare, sempre con il metodo della divisione, sia le monadi di tutti quanti gli ordinamenti sia le diadi che procedono da questi o le triadi o qualunque siano le altre serie 25 numerali. D’altronde se questo suggerimento è stato accolto correttamente, a mio giudizio, anche Parmenide, che ricorre a tutta la 45 dialettica nel suo complesso e discute dell’Uno-che-è, non deve esaminare la molteplicità prima dell’Uno, né rimanere fermo al livello dell’unica monade di ciò che esiste, né, in breve, accostare 5 in modo diretto all’Uno che è al di là di tutti gli enti tutta la molteplicità complessiva dell’Uno-che-è, ma deve rivelare per prime le realtà che che sono in modo celato e che risultano le più congeneri all’Uno, in mezzo poi i generi degli dèi divisi in base alla processione dei generi che, da un lato, sono più divisi delle realtà che sono unificate al più alto grado, dall’altro hanno ottenuto in sorte una unificazione più compiuta di quelle che si sono spinte del tutto in avanti, infine per ultime le realtà divine che risultano sus- 10 sistere in base all’ultima distinzione delle potenze e in base all’essenza in sé, ormai unita a queste, che è consacrata agli dèi. Pertanto, se la prima delle ipotesi riguarda l’Uno, che il discorso ha rivelato al di là di ogni molteplicità, bisogna, a mio giudizio, che quella successiva non riveli così in modo indefinito ed indistinto 15 l’essere, bensì gli ordinamenti universali degli enti. Infatti il modo di procedere del metodo diairetico rifiuta di accostare l’intera moltitudine all’unità, come ci ha insegnato Socrate nel Filebo. Inoltre anche in base al modo delle dimostrazioni dobbiamo 20 giungere al medesimo risultato. In effetti le prime conclusioni, attraverso pochissimi, semplicissimi e assolutamente ovvi concetti, come appunto sono le nozioni comuni a tutti, diventano evidenti, mentre quelle immediatamente successive lo diventano attraverso un numero maggiore e una serie più complicata di passaggi; infine le ultime conclusioni risultano per intero assoluta-

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prwvtoi" sumperavsmasin eij" ta;" tw'n ejcomevnwn ajpodeivxei" kai; th'" ejn gewmetriva/ tavxew" h] toi'" a[lloi" maqhvmasi 46 paravdeigma proteivnei noero;n th;n tw'n sumperasmavtwn touvtwn pro;" a[llhla sunavrthsin. Eij toivnun oiJ lovgoi tw'n pragmavtwn eijkovna fevrousin w|n eijsi;n ejxhghtai; kai; wJ" e[cousin aiJ ªajpo;º tw'n ajpodeivxewn ajnelivxei" ou{tw" ajnavgkh 5 kai; ta; deiknuvmena tavxew" e[cein, ajnagkai'on oi\mai ta; me;n di aJploustavtwn ajrcovmena pavntw" ajrcoeidevstata kai; tw'/ eJni; sunhnwmevna tetavcqai, ta; de; ajei; plhquovmena kai; poikivlwn ajpodeivxewn hjrthmevna porrwvteron proelhluqevnai th'" tou' eJno;" ajpostavsew", eij qevmi" eijpei'n. Oi|" me;n 10 ga;r a]n uJpavrch/ ta; deuvtera sumperavsmata, touvtoi" ajnavgkh kai; ta; pro; aujtw'n uJpavrcein: oi|" d a]n ta; prwtourga; kai; aujtofuh' kai; aJpla', touvtoi" oujk ajnavgkh kai; ta; sunqetwvtera parei'nai kai; dia; pleiovnwn deiknuvmena kai; o[nta porrwtevrw th'" tw'n o[ntwn ajrch'". Eoiken a[ra ta; me;n qeiotevrwn ei\nai 15 tavxewn ejkfantika; ta; de; katadeestevrwn, kai; ta; me;n eJnikwtevrwn ta; de; h[dh plhquomevnwn, kai; ta; me;n monoeidestevrwn ta; de; polueidestevrwn. AiJ ga;r ajpodeivxei" ejk tw'n aijtivwn eijsi; kai; tw'n prwvtwn eJkastacou'. Eij toivnun ta; provtera sumperavsmata tw'n deutevrwn ai[tia, tavxi" ejsti;n aijtivwn kai; 20 aijtiatw'n ejn tw'/ plhvqei tw'n sumperasmavtwn, kai; pavnta sugcei'n kai; ajdiorivstw" ejn eJni; qewrei'n ou[te th'/ fuvsei tw'n pragmavtwn ou[te th'/ tou' Plavtwno" ejpisthvmh/ proshvkei. 25

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ãiaVÃ Pavlin dh; ou\n aujto; kaq eJtevran oJdo;n perikrouvswmen kai; o{ph/ saqro;n fqevggetai th'/ dianoiva/ qewrhvswmen. Legevsqw ga;r eij bouvlei ta; th'" uJpoqevsew" tauvth" sumperavs-

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mente composite. Infatti 111 ricorre sempre alle conclu- 25 sioni antecedenti nelle dimostrazioni delle questioni che vengono di seguito e come modello intellettivo proprio dell’ordine insito 46 nella geometria o nelle discipline matematiche propone la combinazione reciproca di queste conclusioni. Se pertanto i discorsi forniscono immagini dei fatti “di cui sono interpreti”, e se, allo stesso modo in cui gli svolgimenti delle dimostrazioni hanno un loro specifico ordine, così necessariamente anche le realtà messe in evi- 5 denza devono avere un loro ordine, a mio giudizio i punti di partenza che si formano dalle premesse più semplici devono essere posti necessariamente nell’ordine dei principi assolutamente originari e a livello dell’Uno, mentre quelli che incessantemente si moltiplicano e che risultano dipendere da dimostrazioni di varia natura sono risultati più lontani di una processione che comporta la lontananza dall’Uno, se è lecito dirlo. In effetti a quelle realtà alle quali dovrebbero appartenere le conclusioni derivate112 10 appartengono necessariamente anche quelle che le precedono; d’altra parte in quelle realtà in cui sono presenti le proposizioni primarie immediate, spontanee e semplici, non necessariamente devono essere presenti in queste stesse realtà anche le proposizioni più articolate che si dimostrano attraverso un numero maggiore di passaggi e che sono più lontane dal principio primo degli enti. Dunque pare che le prime conclusioni siano rivelatrici degli ordinamenti più divini, invece le seconde di quelli inferiori, che le 15 une siano rivelatrici delle realtà più unitarie, mentre le altre di quelle che già si moltiplicano, e che le une siano rivelatrici delle realtà più uniformi, mentre le altre di quelle più multiformi. In effetti le dimostrazioni in ogni singolo caso traggono origine dai principi causali e dalle realtà prime. Pertanto, se le conclusioni anteriori sono cause delle successive, esiste un ordine di principi causali e di entità causate nella moltitudine delle conclusioni, e 20 mescolare tutte gli aspetti e considerarli indistintamente in un unico insieme non si confà né alla natura delle cose né alla scienza di Platone. 47

[Più dimostrazioni relative alle conclusioni della seconda ipotesi e alla sua divisione che è conforme agli ordinamenti divini]

Di nuovo dunque per un’altra via “dobbiamo saggiare questo problema” e dobbiamo esaminare con il ragionamento articolato

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mata peri; tou' o[ntw" o[nto" kai; sugkecwrhvsqw par hJmw'n th;n prwvthn. All ejpeidh; tou'to plh'qov" ejsti kai; oujc e}n aujto; movnon, w{sper to; pro; tw'n o[ntwn e{n – to; ga;r o]n peponqov" ejsti to; e{n, w{sper kai; oJ Eleavth" xevno" hJma'" ejn Sofisth'/ peri; touvtwn ajnedivdaxe kai; par aujtoi'" 10 ei[wqe qrullei'sqai, to; me;n prw'ton e}n tiqemevnoi", to;n de; nou'n e}n pollav, th;n de; yuch;n e}n kai; pollav, ta; de; swvmata polla; kai; e{n – ejpeidh; toivnun, to; ªme;nº muriovlekton tou'to, meta; th'" eJnwvsew" kai; plh'qov" ejstin ejn tw'/ o[ntw" o[nti, povteron tw'/ me;n o{lw/ tau'ta fhvsousin ejfarmovzein toi'" 15 de; mevresin oujkevti tou' o[nto" h] kai; tw'/ o{lw/ kai; toi'" mevresi ãKai; eij tw'/ o{lw/ kai; toi'" mevresi,Ã pavlin aujtou;" ejrhsovmeqa povteron eJkavstw/ pavnta tw'n tou' o[nto" merw'n ajpodwvsousin h] ta; me;n a[lloi" dianemou'si ta; de; a[lloi" tw'n ejn aujtw'/ merw'n. Eij me;n toivnun tw'/ o{lw/ movnon ajxiwvsousin e{kaston 20 prosarmovttein, to; o]n ejx oujk o[ntwn e[stai kai; to; kinouvmenon ejx ajkinhvtwn kai; to; eJstw;" ejk tw'n ejsterhmevnwn th'" stavsew" kai; pavnta aJplw'" ejk tw'n ajntikeimevnwn, kai; oujk a]n e[ti tw'/ Parmenivdou lovgw/ sunav/doimen, o}" kai; ta; mevrh tou' eJno;" o[nto" o{la pw" ei\naiv fhsi kai; e{kaston aujtw'n e{n te kai; o]n 25 uJpavrcein tw'/ o{lw/ paraplhsivw". Eij de; eJkavstw/ ta; pavnta 48 dwvsomen kai; oujde;n o{ti mh; pavnta poihvsomen, pw'" to; ajkrovtaton tou' o[nto" kai; to; eJnikwvtaton oJlovthta kai; merw'n e{xei plh'qo" ajperivlhpton Pw'" de; oJmou' kai; ajriqmo;n to;n o{lon kai; sch'ma kai; kivnhsin kai; stavsin kaiv, wJ" 5 sunelovnti favnai, ta; ei[dh pavnta kai; ta; gevnh Tau'ta ga;r diafevrei te ajllhvlwn kai; ajduvnata levgein. Estai dh; ou\n hJmi'n oJmoivw" peplhqusmevna tav te ejggu;" tou' eJno;" kai; ta; povrrw, kai; ouj par e[latton plh'qo" tou' ejscavtou to; prwvtiston oujde; au\ par e[latton e}n e[stai tou' prwtivstou 10 to; e[scaton kai; ta; mevsa tw'n a[krwn kata; th;n diaivresin ajdiavfora. Ote toivnun mhvte tw'/ o{lw/ movnw/ ajpodidovnai proshvkei tw'n sumperasmavtwn to; suvmpan tou'to plh'qo" mhvte ejn pa'si pavnta paraplhsivw" poiei'n tw'n tou' o[nto" merw'n, leivpetai dhvpou ta; me;n a[lloi" ta; de; a[lloi" ejfarmov15 zein. 5

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dove “ci sia un difetto”. In effetti si dica, se si vuole, che le conclu- 5 sioni di questa seconda ipotesi riguardano l’essere autentico e si dia per ammessa tra di noi la prima. Ma dal momento che questo essere è una molteplicità e non è in se stesso solo “uno”, come l’Uno che viene prima degli enti – infatti “l’essere è l’Uno” in quanto ha ricevuto l’unità alla maniera di un effetto, come appunto lo Straniero di Elea, circa tali questioni, ci ha illustrato a fondo nel Sofista e come 10 sono soliti continuare a ripetere quegli stessi che pongono il Primo come Uno, poi l’Intelletto come uno-molti, l’Anima come uno e molti, infine i corpi come molti ed uno – dunque dal momento che, ridetto per l’ennesima volta, insieme all’unificazione v’è anche molteplicità nell’essere autentico, oseremo dire che queste conclusioni si confanno alla totalità dell’essere, ma non più alle sue parti, oppure 15 che si confanno sia alla totalità sia alle sue parti? di nuovo diremo che essi attribuiranno a ciascuna delle parti dell’essere tutte le conclusioni oppure distribuiranno alcune conclusioni ad alcune delle parti presenti in esso, altre ad altre parti. Se dunque riterranno che solo alla totalità sia adatta ciascuna conclusione, l’es- 20 sere allora sarà il prodotto del non essere, ciò che è mosso deriverà da cose immobili, ciò che risulta stabilmente posto deriverà da cose che risultano prive di stabilità, insomma tutte le cose deriveranno dai loro contrari, e non potremmo più essere in accordo con il ragionamento di Parmenide, il quale afferma che anche le parti dell’Unoche-è sono in certo modo totalità e che ciascuna di esse è originariamente uno ed anche essere in modo analogo alla totalità. Ma se attri- 25 buiremo tutte le conclusioni a ciascuna parte dell’essere e se non porremo assolutamente alcuna differenza tra queste, in che modo la 48 parte più alta e più unitaria dell’essere potrà avere una totalità ed una molteplicità incoglibile di parti? Come potrà avere contemporaneamente “la totalità del numero”, “la figura”, “il moto”, “la quiete” e, per dirla in breve, tutte le forme e i generi? Infatti tutti questi elemen- 5 ti differiscono gli uni dagli altri e sono impossibili da raccogliere. Ebbene, saranno moltiplicate da noi allo stesso modo sia le realtà più vicine all’Uno sia quelle più lontane, e ciò che è primissimo non sarà meno molteplice rispetto a ciò che è ultimo, né a sua volta ciò che è ultimo sarà meno uno rispetto a ciò che è primissimo e le realtà intermedie risulteranno non differenti e indistinguibili da quelle poste alle 10 due estremità. Dato che dunque né conviene attribuire tutto questo insieme molteplice delle conclusioni solo alla totalità dell’essere, né le porremo in modo analogo tutte in tutte le parti dell’essere, a mio giudizio non resta che affermare che a ciascuna conclusione corrisponde una determinata parte dell’essere. 15

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Oujkou'n ajnagkai'on h] a[takton ei\nai th;n tw'n sumperasmavtwn ajparivqmhsin h] tetagmevnhn: ajll eij me;n a[takton fhvsousin, ou[te th'/ dialektikh'/ proshvkonta lovgon ejrou'sin ou[te tw'/ trovpw/ tw'n ajpodeivxewn ejk tw'n protevrwn ajei; toi'" 20 deutevroi" didovnti th;n gevnnhsin ou[te th'/ tou' Plavtwno" ejpisthvmh/ pantacou' sunodeuvonto" th'/ tavxei tw'n pragmavtwn: eij de; tetagmevnhn, ajnagkai'on oi\mai pavntw" h] ajpo; tw'n prwvtwn a[rcesqai kata; fuvsin h] ajpo; tw'n ejscavtwn: ajll eij me;n ajpo; tw'n ejscavtwn, e[stai to; me;n e}n o]n e[scaton, to; de; 25 kata; crovnon kinouvmenon prwvtiston. Tou'to mh;n ajduvnaton: to; me;n ga;r crovnou metevcon kai; tou' eJno;" o[nto" pollw'/ 49 provteron ajnavgkh metevcein, to; de; tou' eJno;" o[nto" meteilhfo;" oujk ajnavgkh kai; tou' crovnou metevcein: ejpevkeina a[ra tou' crovnou to; e}n o[n ejstin. Eij toivnun a[rcetai me;n ajpo; tou' eJno;" o[nto", katalhvgei de; eij" to; tou' crovnou metevcon, a[nwqen 5 kajk tw'n prwtivstwn a[cri tw'n ejscavtwn proveisi tou' o[ntw" o[nto" merw'n: w{ste ta; me;n prwvtista tw'n sumperasmavtwn ejpi; ta;" prwtivsta" ajnenektevon tavxei", ta; de; mevsa kata; to;n aujto;n lovgon ejpi; ta;" mevsa", to; de; e[scaton dh'lon wJ" ejpi; ta;" ejscavta", ejpeivper ajnagkai'on, wJ" oJ lovgo" ajpevfhnen, 10 a[lla me;n a[llai" dianevmein kai; a[rcesqai ajpo; tw'n ajkrotavtwn th;n toiauvthn dianomhvn. Kai; mh;n kai; hJ tw'n uJpoqevsewn tavxi" iJkanovn, oi\mai, tekmhvriovn ejstin w|n levgomen: hJ me;n ga;r peri; tou' eJno;" o} plhvqou" ejsti; panto;" ejxh/rhmevnon prwtivsthn e[lace tavxin 15 kai; ajp aujth'" hJ tw'n lovgwn aJpavntwn ajnevlixi" w{rmhtai, deutevran de; a[ra meta; tauvthn ãhJÃ peri; tw'n o[ntw" o[ntwn kai; th'" metecomevnh" uJpo; touvtwn eJnavdo", trivthn de; ejfexh'" hJ peri; th'" yuch'", ei[t ou\n aJpavsh" ei[te kai; mhv: kai; ga;r tou'to pagkavlw" tw'/ hJmetevrw/ kaqhgemovni devdeiktai, kai; wJ" 20 proeivlhptai oJ peri; tw'n o{lwn yucw'n lovgo" kata; th;n deutevran uJpovqesin. Eij toivnun kata; th;n tw'n pragmavtwn fuvsin hJ tw'n triw'n touvtwn uJpoqevsewn tavxi" proelhvluqe, dh'lon o{ti ta; me;n prw'ta th'" deutevra" th'/ pro; aujth'" sumfuovmena, ta; de; e[scata th'/ met aujthvn. Kai; tiv ga;r a]n 50 faneivh toi'" mh; pantavpasi tw'n toiouvtwn lovgwn ajpeivroi" h] tou' eJno;" o[nto", o} prw'ton ejkfaivnetai tw'n th'" deutevra"

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Sicché è necessario che il computo complessivo delle determinazioni o risulti privo di un ordine o risulti ordinato. Ma se diranno che è privo di un ordine, faranno un discorso che non si confà alla dialettica né al metodo delle dimostrazioni, il quale attribui- 20 sce sempre alle determinazioni seconde la generazione dalle prime, né alla competenza scientifica di Platone che in ogni questione procede seguendo l’ordine dei gradi della realtà. Se invece diranno che è ordinato, è necessario in ogni caso, a mio giudizio, iniziare o dalle prime o dalle ultime determinazioni. Ma se comincia dalle ultime, l’Uno-che-è sarà ultimo, mentre ciò che si muove nel tempo sarà primissimo. Que- 25 sto è certamente impossibile: infatti ciò che è partecipe di tempo è necessario che molto prima partecipi anche dell’Uno-che-è, d’al- 49 tra parte ciò che ha partecipato dell’Uno-che-è non è necessario che partecipi anche del tempo: dunque l’Uno-che-è è al di là del tempo. Pertanto se incomincia dall’Uno-che-è per terminare poi in ciò che partecipa del tempo, esso procede 5 dall’alto, cioè dalle primissime fino alle ultime parti dell’essere autentico. Sicché si devono riferire le primissime determinazioni ai primissimi livelli dell’essere, mentre quelle intermedie, secondo lo stesso rapporto, agli ordinamenti intermedi; infine l’ultima determinazione è evidente che va riferita agli ultimi ordinamenti, dato che appunto è necessario, come ha rivelato il ragionamento, distribuire le conclusioni secondo i livelli dell’essere e fare inizia- 10 re questa distribuzione a partire dai livelli più elevati. E certamente anche l’ordine delle ipotesi è, a mio giudizio, prova sufficiente di ciò che stiamo dicendo. Infatti quella concernente l’Uno che trascende ogni forma di molteplicità ha ottenuto il primissimo posto, e da essa ha preso le mosse l’esposizione det- 15 tagliata di tutti i ragionamenti, mentre il secondo posto dopo questa lo ha ottenuto l’ipotesi concernente gli enti autentici e l’Enade di cui questi partecipano, al terzo posto nell’ordine viene quella concernente l’anima, tutta intera o meno che sia, ed in effetti ciò è stato mostrato benissimo dalla nostra guida, che il discorso concernente le anime universali si trova 20 già compreso nella seconda ipotesi. Se dunque è in base alla natura della realtà che l’ordine di queste tre ipotesi è proceduto, è evidente che le prime determinazioni della seconda ipotesi sono intimamente connesse a quella precedente, mentre le ultime a quella che la segue. Ed infatti a coloro che hanno una perfetta conoscen- 50 za di tali ragionamenti che cosa potrebbe apparire più apparentato all’Uno dell’Uno-che-è, il quale è il primo a risultare fra le con-

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sumperasmavtwn, tw'/ eJni; suggenevsteron, h] tou' crovnou meristw'" metevconto", o} tw'n ejn aujth'/ deiknumevnwn ejsti;n 5 e[scaton, th'/ yuch'/ prosecevsteron Kai; ga;r tai'" merikai'" yucai'" to; zh'n kata; crovnon, w{sper kai; tai'" o{lai", kai; to; e}n o]n to; prwvtw" ejsti; metasco;n tou' eJno;" kai; th'/ tou' o[nto" sunarthvsei th'" ajmeqevktou pleonavsan eJnavdo". Eij de; mevsh" ou[sh" tauvth" th'" uJpoqevsew" ta; a[kra toi'" a[kroi" oijkei'a, 10 kai; ta; mevsa dhvpou toi'" mevsoi" ejfarmovsomen: ajrcomevnh ga;r ajpo; tou' eJno;" o[nto" dia; pavntwn proveisi tw'n met aujto; genw'n, a[cri" a]n eij" th;n tou' crovnou metevcousan katalhvxh/ fuvsin. Kai; me;n dh; kai; ejk tw'n koinw'n oJmologhmavtwn toi'" ta; qei'a deinoi'" tw'n ta; Plavtwno" ejxhgoumevnwn hJgouvmeqa to; 15 aujto; deiknuvnai toi'" e[mprosqen eijrhmevnoi". Plwti'no" me;n ga;r ejn tw'/ Peri; tw'n ajriqmw'n biblivw/ zhthvsa" povteron ta; o[nta pro; tw'n ajriqmw'n uJfevsthken h] pro; tw'n o[ntwn oiJ ajriqmoiv, levgei diarrhvdhn o{ti to; prwvtiston o]n pro; tw'n ajriqmw'n uJpevsth kai; wJ" genna'/ to;n qei'on ajriqmovn. Eij de; 20 tau'ta ejkei'no" ojrqw'" diatavttetai, kai; gennhtiko;n mevn ejsti to; o]n tou' ajriqmou' tou' prwvtou, paravgetai de; oJ ajriqmo;" uJpo; tou' o[nto", ouj dei' sugcei'n th;n tavxin tw'n genw'n touvtwn oujde; eij" mivan uJpovstasin sunavgein, oujde; tou' Plavtwno" ijdiva/ me;n to; e}n o]n paravgonto", ijdiva/ de; to;n ajriqmovn, eJkavteron tw'n 25 sumperasmavtwn eij" th;n aujth;n tavxin ajnafevrein: to; ga;r 51 ai[tion kai; to; aijtiato;n oujdamw'" qevmi" h] duvnamin th;n aujth;n h] tavxin e[cein, ajlla; diwvristai me;n tau'ta ajp ajllhvlwn, diakevkritai de; kai; hJ peri; aujtw'n ejpisthvmh kai; ou[te miva fuvsi" aujtw'n ou[te lovgo" ei|". Porfuvrio" de; au\ meta; tou'ton 5 ejn th'/ Peri; ajrcw'n pragmateiva/ to;n nou'n ei\nai me;n aijwvnion ejn polloi'" kai; kaloi'" ajpodeivknusi lovgoi", e[cein de; o{mw" ejn eJautw'/ kai; proaiwvniovn ãti: kai; to; me;n proaiwvnionà tou' nou' tw'/ eJni; sunavptein (ejkei'no ga;r h\n ejpevkeina panto;" aijw'no") to; de; aijwvnion deutevran e[cein, ma'llon de; trivthn ejn ejkeivnw/ 10 tavxin: dei' gavr, oi\mai, tou' proaiwnivou kai; tou' aijwnivou to;n aijw'na mevson iJdru'sqai. Alla; mhvpw tou'to: tosovnde de;

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clusioni della seconda ipotesi, in quanto più affine per natura all’Uno? Oppure potrebbero trovare qualche cosa che sia più 5 contiguo all’anima di ciò che partecipa del tempo in una forma divisa, vale a dire l’ultimo risultato acquisito in questa ipotesi? Ed infatti alle anime individuali appartiene il vivere nel tempo, come anche a quelle universali, e l’Uno-che-è è quella realtà che partecipa a livello primario dell’Uno e che per la sua connessione con l’essere eccede per numero l’Enade impartecipabile. Ma se, considerato che questa ipotesi è intermedia, le entità estreme sono congiunte alle realtà estreme, a mio giudizio, dovremo connettere 10 anche le entità intermedie con le realtà intermedie. Infatti tale ipotesi, prendendo le mosse dall’Uno-che-è, procede attraverso tutti i generi che vengono dopo di esso, fino a concludersi giù, nel grado dell’essere che partecipa del tempo. Ed inoltre, anche partendo dalle opinioni comunemente accolte da quelli che, fra gli interpreti dei testi di Platone, sono veri esperti delle realtà divina, riteniamo di poter giungere ad una con- 15 clusione identica a quelle esposte in precedenza. In effetti Plotino, che aveva ricercato nel suo trattato Sui numeri 113 se gli enti hanno avuto sussistenza prima dei numeri, o se i numeri prima degli enti, dice in termini precisi che l’essere primissimo sussistette prima dei numeri e come esso generi il numero complessivo delle realtà divine114. Ma se Plotino configura nel corretto ordine queste real- 20 tà, e se l’essere è generatore del primo numero e, dal canto suo, il numero è prodotto dall’essere, non bisogna scompigliare l’ordine di questi generi né riunirli in una sola sussistenza autonoma, né, dato che Platone presenta separatamente l’Uno-che-è e separatamente il numero, attribuire entrambi al medesimo ordine di 25 determinazioni dell’essere. In effetti ciò che è causa e ciò che è 51 causato in nessun modo è lecito che abbiano la stessa prerogativa o lo stesso rango, ma tali realtà risultano divise le une dalle altre, e d’altra parte anche la scienza che le concerne risulta distinta e di esse né esiste un unico modo di essere né un’unica rappresentazione razionale. Porfirio poi, dal canto suo, dopo Plotino, nel trat- 5 tato Sui Principi 115 dimostra con molti e bei discorsi che l’Intelletto è eterno, ma tuttavia ha in sé anche qualcosa che è anteriore all’eternità; e dell’Intelletto ciò che è anteriore all’eternità si connette all’Uno (infatti esso è originariamente al di là di ogni forma di eternità), invece ciò che è eterno occupa in esso un secondo livello, anzi è piuttosto un terzo. Infatti, a mio giudizio, bisogna 10 che tra ciò che è superiore all’eternità e ciò che è eterno si ponga nel mezzo l’eternità. Ma non è ancora il momento per questo

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o{mw" ejk tw'n eijrhmevnwn lavbwmen, o{ti dh; kai; oJ nou'" e[cei ti krei'tton ejn eJautw'/ tou' aijwnivou: kai; tou'to labovnte" ejrwvmeqa to;n tou' lovgou patevra povteron kai; tou'to ouj movnon 15 e}n o[n ejstin, ajlla; kai; o{lon kai; mevrh kai; plh'qo" pa'n kai; ajriqmo;" kai; sch'ma kai; kinouvmenon kai; eJstwv", h] ta; me;n aujtw'/ tw'n sumperasmavtwn prosoivsomen, ta; de; ou[. Pavnta me;n ga;r ajduvnaton: pa'sa ga;r noera; kivnhsi" ejn aijw'ni, kai; stavsi" wJsauvtw": eij de; ta; mevn, ta; 20 d ou[, dh'lon o{ti kai; ta;" a[lla" ejn tw'/ nw'/ tavxei" diereunhtevon kai; tw'n sumperasmavtwn e{kaston ajnenektevon ejp ejkeivnhn h|/ a]n mavlista faivnhtai prosh'kon: oJ ga;r nou'" oujc e{n ejstin 52 ajriqmw'/ kai; a[tomon, w{" pouv tisi tw'n palaiw'n dokei', ajlla; suvmpasan perievcei th;n tou' eJno;" o[nto" provodon. Ek trivtwn dh; ou\n hJmi'n meta; touvtou" oJ qei'o" Iavmblico" ejn th'/ Peri; qew'n pragmateiva/ tou;" ta; gevnh tou' o[nto" ejn toi'" nohtoi'" 5 ajpotiqemevnou" hj/tiavsato: kai; ga;r to;n ajriqmo;n aujtw'n kai; th;n poikilivan porrwtevrw beblh'sqai tou' eJnov". Pou' toivnun tau'ta prwvtw" uJpotivqesqai proshvkei didavskwn ejphvnegke: pro;" ga;r tw'/ tevlei th'" noera'" tavxew" uJpo; tw'n ejkei' qew'n tau'ta paravgetai. Pw'" me;n ou\n ta; gevnh tou' o[nto" kai; e[stin 10 ejn ejkeivnoi" kai; oujk e[stin, ejn toi'" u{steron e[stai katafanev". Eij d, w{sper ejkei'no" diatavttetai, ta; nohta; tw'n genw'n touvtwn ejxhv/rhtai, pollw'/ dhvpou ma'llon kai; oJmoiovthto" kai; ajnomoiovthto" kai; ijsovthto" kai; ajnisovthto". Oujk a[ra h\n e{kaston tw'n sumperasmavtwn a{pasin wJsauvtw" 15 ejfarmovzein oujde; ejpi; pa'n to; nohto;n plavto" h] noero;n ajnapevmpein. Wste kai; ejx w|n eijrhvkasin ijdiva/ filosofou'nte" oiJ tw'n ejxhghtw'n a[ristoi tov te plh'qo" ajnafaivnetai tw'n qeivwn diakovsmwn kai; hJ tw'n Platwnikw'n lovgwn kat a[rqra proi>ou'sa diavkrisi". 20 Pro;" de; toi'" eijrhmevnoi", eij crh; kai; tou'to favnai, peri; pollw'n diaporou'nte" oujk a]n e[coimen aijtivan eu[logon oujdemivan tw'n ajporhmavtwn eijpei'n, ajlla; lhvsomen hJma'" 53 aujtou;" to; eijkh'/ kai; mavthn ejpi; th;n tou' Plavtwno" pragmateivan ajnafevronte". Prw'ton ga;r dia; tiv tosau'ta movna sumperavsmata kai; ou[te pleivw ou[te ejlavttw Esti me;n ga;r

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argomento. D’altro canto dobbiamo comunque assumere da ciò che si è detto solo questo, cioè precisamente che l’Intelletto ha in sé qualcosa di superiore a ciò che è eterno; e una volta ammessa questa nozione dobbiamo chiedere al “padre del discorso” se appunto questo non solo è “Uno-che-è”, ma è anche “intero, 15 parti, molteplicità, numero, figura, in movimento ed in quiete”, oppure dovremo attribuire ad esso alcune delle conclusioni, mentre altre no. In effetti è impossibile attribuirle tutte: infatti ogni movimento intellettivo si colloca in un’eternità, ed anche ogni quiete intellettiva. D’altra parte se alcune le attribuiremo, mentre altre no, è evidente che si devono indagare anche gli altri livelli 20 presenti nell’Intelletto e riferire ciascuna delle conclusioni a quel determinato livello cui essa appaia confacentesi al massimo grado. Infatti l’Intelletto non è uno numericamente e non è indivisibile, 52 come forse hanno pensato alcuni degli antichi, ma esso comprende tutta quanta la processione dell’Uno-che-è. Ad ogni modo per terzo dopo costoro il divino Giamblico nel trattato Sugli dèi116 ha biasimato coloro che confinavano i generi dell’essere tra gli intel- 5 ligibili: ed infatti, , il loro numero complessivo e la loro varietà li ha relegati più lontano dall’Uno . Pertanto, dove principalmente conviene supporre che si trovino i generi dell’essere, egli lo ha asserito nel suo insegnamento: essi sono introdotti dagli dèi di quell’ambito di realtà al livello più basso dell’ordinamento intellettivo. Come dunque i generi dell’essere si trovino ed al contempo non si trovino tra gli intelli- 10 gibili, sarà palese nelle considerazioni successive. D’altra parte se, in base a come Giamblico li dispone, gli intelligibili trascendono questi generi, a mio giudizio molto più essi trascenderanno “la somiglianza” e “la dissomiglianza”, “l’eguaglianza e la disuguaglianza”. Dunque non era possibile connettere ciascuna delle con- 15 clusioni a tutte le realtà, né ricondurla a tutta la dimensione intelligibile o a tutta quella intellettiva. Sicché anche in base a quanto hanno detto i migliori tra gli esegeti, svolgendo ricerca filosofica ciascuno per conto proprio, si rivelano sia la molteplicità degli ordinamenti divini sia il processo di distinzione per articolazioni naturali dei ragionamenti platonici. Poi, oltre a quanto si è detto, se si deve dire anche questo, tro- 20 vandoci in difficoltà riguardo a molte questioni, non potremmo indicare nessuna causa plausibile delle nostre difficoltà, ma senza accorgercene finiremo noi stessi per attribuire il casuale e l’immo- 53 tivato alla trattazione sviluppata da Platone. Per prima cosa, infatti, per quale ragione sono solo tutte queste le conclusioni e né di

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di;" eJpta; ta; suvmpanta: tosouvtwn de; o[ntwn tiv" oJ th'" aijtiva" ajpologismo;" eijpei'n oujc e{xomen mh; toi'" pravgmasin aujtoi'" tou;" lovgou" eJkavstou" sundiairou'nte". deuvteron de; oujde; th'" pro;" a[llhla tavxew" aujtw'n th;n aijtivan ajneurei'n dunhsovmeqa kai; pw'" ta; me;n provtera ta; de; u{stera kata; lovgon ejtavcqh to;n th'" ejpisthvmh", eij mh; th'/ proovdw/ tw'n o[ntwn 10 sunodeuvoi tw'n sumperasmavtwn hJ tavxi". To; de; au\ trivton ejpi; touvtoi" tiv dhvpote ta; me;n ejk tw'n prosecw'" ajpodedeigmevnwn gnwvrima givnetai, ta; de; ejk tw'n ajnwtevrw To; me;n ga;r o{lon ei\nai kai; mevrh e[cein ejk tou' eJno;" o[nto", to; de; ejn aujtw'/ kai; ejn a[llw/ tevtaktai me;n prosecw'" meta; to; sch'ma e[con, 15 deivknutai de; e[k te tou' o{lou kai; tw'n merw'n. H dia; tiv pollavki" ta; me;n ejk duvo tw'n provteron dedeigmevnwn proveisi, ta; de; ejx eJnov" Ekasta ga;r touvtwn ajgnohvsomen kai; ou[te to;n ajriqmo;n aujtw'n ou[te th;n tavxin ou[te th;n pro;" a[llhla suggevneian met ejpisthvmh" qewrhvsomen, eij mh; toi'" prav20 gmasin eJpovmenoi kovsmon dialektiko;n ajpofhvnaimen th;n o{lhn tauvthn uJpovqesin a[nwqen a[cri th'" ajpoperatwvsew" tou' eJno;" o[nto" proercomevnhn dia; pavntwn tw'n mevswn genw'n. Eti toivnun, eij me;n sullogistikw'" movnon ta; suvmpanta sumperavsmata deivknusqai levgoimen, tiv dioivsomen tw'n ta;" 25 ejpiceirhvsei" ejndovxou" poiouvntwn kai; pro;" gumnasivan yilh;n 54 th;n o{lhn pragmateivan ajpoblevpein legovntwn Eij de; mh; movnon sullogistikw'" ajlla; kai; ajpodeiktikw'", ajnavgkh dhvpou to; mevson ai[tion ei\nai kai; th'/ fuvsei provteron tou' sumperavsmato". Ote toivnun ta; tw'n hJgoumevnwn lovgwn 5 sumperavsmata mevsa poiouvmeqa tw'n eJpomevnwn, e[stai dhvpou kai; ta; pravgmata peri; w|n oiJ lovgoi th;n oJmoivan e[conta kata; to; ei\nai tavxin kai; ta; gennhvmata tw'n uJpokeimevnwn e[stai ai[tia kai; gennhtika; tw'n deutevrwn. Eij de; tou'to, pw'" th;n aujth;n ijdiovthta kai; fuvsin aJpavntwn ei\nai sugcwrhvsomen diwvristai 5

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più né di meno? In effetti tutte quante le determinazioni sono due volte sette. Ora quale sia la giustificazione del motivo per cui sono così tante non lo potremo dire se non distingueremo ciascun ra- 5 gionamento in corrispondenza della realtà . In secondo luogo, non potremo più scoprire la causa dell’ordine reciproco di queste conclusioni né per quale ragione scientifica avviene che l’una sia al primo livello, l’altra all’ultimo, a meno che l’ordine delle conclusioni non cammini di pari passo con la processio- 10 ne degli enti. Infine, in terzo luogo, oltre a ciò: in relazione a cosa mai alcune determinazioni diventano note a partire da concetti immediatamente dimostrati, altre invece da quelli dimostrati precedentemente? Infatti l’essere intero e l’essere dotato di parti dall’Uno-che-è, invece ciò che sia insito in esso e anche in altro, da un lato risulta immediatamente dopo la conclusione che esso è dotato di forma, dall’altro risulta 15 dalla conclusione relativa sia all’intero sia alle parti. Altra questione: per quale motivo alcune conclusioni procedono da due dimostrazioni precedenti, mentre altre da una sola. In effetti finiremo per ignorare ciascuna di tali questioni e né il numero complessivo delle conclusioni né il loro ordine, né la loro reciproca affinità potremo interpretare in modo scientifico, a meno che, tenendo 20 dietro alla realtà, non presentiamo come un cosmo organizzato secondo le leggi della dialettica questa intera ipotesi, che procede dall’alto fino al limite inferiore dell’Uno-che-è attraverso tutti i generi intermedi della realtà. Pertanto, inoltre, se dicessimo che solo in chiave sillogistica sono mostrate tutte quante le conclusioni, in cosa differiremo da coloro che trattano le argomentazioni proposte come conformi 25 alle opinioni comuni e in cosa differiremo da quanti affermano che è la pura e semplice esercitazione quello cui l’intera trattazio- 54 ne mira? Ma se dicessimo che non è solo in chiave di ragionamento logico, ma anche in chiave dimostrativa , è necessario, a mio avviso, che il termine intermedio sia principio causale e sia anteriore alla natura della determinazione. Pertanto, dato che le conclusioni dei ragiona- 5 menti anteriori le consideriamo intermedie rispetto a quelle seguenti, a mio giudizio anche gli oggetti su cui vertono questi ragionamenti dovranno avere un analogo ordinamento in base ai gradi dell’essere e i risultati dei ragionamenti già acquisiti saranno principi causali e produttori dei ragionamenti seguenti. Ma se ciò , come potremo ammettere che a tutte quante le conclusioni appartiene la stessa proprietà e lo stesso grado di essere? In

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ga;r ajp ajllhvlwn aijtiva kai; to; ajp aijtiva" ginovmenon. Alla; mh;n kajkei'no sumbaivnei toi'" levgousi mivan ei\nai th;n ejn a{pasi toi'" lovgoi" ejxetazomevnhn fuvsin, to; mh; diora'n o{pw" ejn me;n toi'" trisi; toi'" prwvtoi" sumperavsmasin 15 ajdiavkriton mevnei tou' o[nto" to; e{n, ejn de; tw'/ tetavrtw/ diakrivnetai prwvtw", ejn de; toi'" eJxh'" a{pasi cwri;" tou' o[nto" aujto; kaq eJauto; qewrouvmenon ejxhvtastai. Pw'" ou\n oujk ajnavgkh ta;" tavxei" tauvta" diafevrein ajllhvlwn To; me;n ga;r ajdiavkriton a{te krufivw" o]n kai; ajdiairevtw" suggenevsterovn 20 ejsti pro;" to; e{n, to; de; diakrinovmenon deutevran e[cei meta; tou'to tavxin, to; de; diakekrimevnon porrwvteron h[dh proelhvluqen ajpo; th'" prwtivsth". Eij de; kai; to; plh'qo" tw'n lovgwn ajnaskevyasqai kai; to; th'" uJpoqevsew" mh'ko" ejqevloi" oJpovsw/ diafevrei th'" met aujthvn, 25 oujde; tauvth/ soi fanei'tai peri; mia'" ei\nai fuvsew" aujth;n kai; ajdiakrivtou pantelw'". OiJ ga;r peri; tw'n qeivwn lovgoi sunhv/55 rhntai me;n ejn toi'" ajrchgikwtevroi" aijtivoi", diovti to; kruvfion ejkeivnwn tou' fanou' kai; to; a[rrhton tou' gnwstou' pleonavzei, plhquvontai de; kai; ajnelivttontai proi>ovnte" ejpi; ta;" prosecestevra" hJmi'n tw'n qeivwn diakosmhvsei". Ta; me;n ga;r tou' 5 ajrrhvtou kai; ajgnwvstou kai; ejn ajbavtoi" ejxh/rhmevnou suggenh' pro;" th;n dia; lovgwn mhvnusin ajllotriwtevran e[lace th;n u{parxin, ta; de; eij" to; provsw proelhluqovta kai; hJmi'n gnwrimwvtera kai; th'/ fantasiva/ katafanevstera tw'n pro; aujtw'n ejstiv. 10

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ãibVÃ Tou'to me;n ou\n ejntau'qa keivsqw dia; pleiovnwn hJmi'n ajpopefasmevnon, wJ" ajnavgkh th;n deutevran uJpovqesin aJpavsa" me;n ta;" qeiva" ejkfaivnein diakosmhvsei", a[nwqen de; ajpo; tw'n aJploustavtwn kai; eJnikwtavtwn eij" to; o{lon plh'qo"

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effetti causa e ciò che deriva da una causa risultano distinti l’una 10 dall’altro. Ma, per la verità, anche questo accade a coloro che sostengono che uno solo è il grado d’essere che si deve prendere in esame in tutti quanti i ragionamenti, cioè il fatto di non riuscire a distinguere chiaramente come nelle prime tre conclusioni la nozione di 15 uno rimanga indistinta dall’essere, mentre nella quarta viene per la prima volta distinta, ed infine in tutte quelle seguenti essa, considerata in sé e per sé, è stata presa in esame separatamente dall’essere. Come dunque può non essere una necessità che questi ordinamenti differiscano tra di loro? In effetti il grado che non è distinto, in quanto esiste in modo segreto ed indivisibile, è più affine per natura all’Uno, invece il grado in cui prende a delinear- 20 si la distinzione occupa un livello di secondo rango dopo il precedente, ed infine il grado in cui la separazione si è compiuta si è spinto ormai più lontano dal primissimo livello. Ma se si intendesse prendere in esame in che misura anche la molteplicità dei ragionamenti e la lunghezza della ipotesi differisca da quella seguente, neppure in questa prospettiva 25 può apparire che essa riguardi un grado unico ed indistinto dell’essere. Infatti i ragionamenti sugli esseri divini sono stati raccolti tra principi causali originari, poiché la loro segreta natura pre- 55 vale su ciò che è visibile e la loro natura ineffabile su ciò che è conoscibile, mentre essi si moltiplicano e si sviluppano quando procedono verso quegli ordinamenti che sono più vicini a noi. Infatti i primi principi divini, originariamente imparentati con ciò 5 che è ineffabile, inconoscibile ed in modo inaccessibile trascendente hanno ottenuto una forma di esistenza più estranea rispetto alla indicazione fornita dai ragionamenti, mentre le realtà che si sono spinte oltre sono a noi più note ed al contempo risultano più chiare alla nostra facoltà immaginativa rispetto a quelle che le precedono.

[Gli scopi delle ipotesi, i quali mostrano la loro reciproca connessione e l’accordo con le realtà effettive] Ebbene, ecco che risulta per opera nostra messo in luce tramite un gran numero di argomentazioni quanto segue: come sia necessario che la seconda ipotesi riveli tutti quanti gli ordinamenti divini, e d’altro canto dall’alto, dai più semplici ed unitari, pro-

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tw'n qeivwn kai; to;n suvmpanta cwrei'n ajriqmovn, eij" o}n katevlhxe tw'n o[ntw" o[ntwn hJ tavxi", uJpestrwmevnh me;n tai'" eJnavsi tw'n qew'n, sundiairoumevnh de; tai'" ajrrhvtoi" aujtw'n kai; ajfravstoi" ijdiovthsin. Eij de; tau'ta hJmei'" mh; ejxapatwvmenoi sugkecwrhvkamen, ejk tauvth" dhvpou th'" uJpoqevsew" thvn te tw'n 20 qeivwn diakovsmwn sunevceian kai; th;n tw'n deutevrwn ajpo; tw'n prwvtwn pavrodon lhptevon kai; th;n ijdiovthta tw'n qeivwn aJpavntwn genw'n kai; tiv" me;n aujtw'n hJ pro;" a[llhla koinwniva tiv" de; hJ kata; mevtra proi>ou'sa diavkrisi": kai; ta;" ejk tw'n loipw'n dialovgwn ajforma;" th'" peri; tw'n o[ntw" o[ntwn h] 25 tw'n eJnavdwn tw'n ejn aujtoi'" ajlhqeiva" eij" thvnde th;n uJpovqesin 56 ajnenektevon. Ta;" ga;r o{la" proovdou" tw'n qew'n kai; ta;" pantelei'" aujtw'n diakosmhvsei" ejntau'qa kata; th;n qeologikh;n ejpisthvmhn ejkfainomevna" qewrhvsomen. Epei; ga;r devdeiktai provteron o{ti th'" ejn toi'" pravgmasin ajlhqeiva" 5 stocavzetai pa'sa hJ tou' Parmenivdou pragmateiva kai; oujk e[sti dia; kenh'" memhcanhmevnh tw'n lovgwn ajnevlixi", ajnavgkh dhvpou ta;" ejnneva tauvta" uJpoqevsei" a}" dievxeisi th'/ me;n dialektikh'/ meqovdw/ crwvmeno", ejpisthvmh/ de; th'/ qeiva/ qewrw'n, peri; pragmavtwn ei\nai kai; fuvsewvn tinwn prwvtwn h] mevswn 10 h] ejscavtwn. Eij toivnun oJ Parmenivdh" peri; tou' eJno;" aujtw'/ to;n suvmpanta lovgon e[sesqai sunomologei' kai; pw'" e[cei tou'to prov" te auJto; kai; ta; a[lla pavnta, dh'lon wJ" kai; touvtou ajnagkai'on a[rcesqai me;n th;n qewrivan ajpo; tw'n ajkrotavtwn, teleuta'n 15 de; eij" to; e[scaton tw'n pavntwn: proveisi ga;r hJ tou' eJno;" u{parxi" a[nwqen a[cri th'" ajmudrotavth" tw'n pragmavtwn uJpostavsew". All ejpeivper hJ prwtivsth tw'n uJpoqevsewn th;n ajperihvghton th'" prwtivsth" ajrch'" uJperbolh;n dia; tw'n ajpofavsewn ejpideivknusi kai; pavsh" me;n oujsiva" aujth;n pavsh" 20 de; gnwvsew" ejxh/rhmevnhn ajfivhsi, dh'lon wJ" hJ met aujthvn, a{te prosecw'" ajp aujth'" ejkfainomevnh, to;n suvmpanta diavkosmon ejkfaivnei tw'n qew'n. Ouj ga;r to; noero;n aujtw'n oujde; to; oujsiw'de" movnon, ajlla; kai; to; qei'on th'" uJpavrxew" ijdivwma paralambavnei dia; pavsh" th'" uJpoqevsew". Tiv ga;r a[llo 25 ejsti; to; e}n to; metecovmenon uJpo; tou' o[nto" h] to; ejn eJkavstw/ 57 qei'on, kaq o} kai; h{nwtai pavnta pro;" to; ajmevqekton e{n W" ga;r ta; swvmata th'/ eJautw'n zwh'/ sunavptetai pro;" th;n 15

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ceda verso l’intera molteplicità degli esseri divini e verso il loro 15 numero complessivo, in cui ha avuto termine la gerarchia degli enti autentici, gerarchia che è stata sottoposta alle enadi degli dèi, e che, d’altra parte, si organizza con il distinguersi delle loro proprietà ineffabili ed inesprimibili. Ma se abbiamo convenuto su tali questioni senza farci ingannare, da questa ipotesi, a mio giudizio, occorre desumere sia la continuità dei mondi divini sia il passag- 20 gio delle realtà seconde dalle prime sia il carattere specifico di tutti quanti i generi divini e di che natura sia la loro reciproca relazione comune, e di che natura sia invece la distinzione dei gradi che procede in base a intervalli regolari; ed al contempo i punti di partenza, che si ricavano da tutti gli altri dialoghi, della verità concernente gli enti autentici o le enadi in essi insite bisogna riferirli 25 a questa ipotesi. Infatti tutte quante le processioni degli dèi e i 56 loro perfetti ordinamenti qui, alla luce della scienza teologica, li contempleremo nel loro rivelarsi. In effetti dato che prima si è mostrato che è la verità insita nella realtà che tutta la trattazione 5 di Parmenide ha di mira e non è stato escogitato a vuoto uno sviluppo dei ragionamenti, è necessario, a mio giudizio, che queste nove ipotesi, che espone ricorrendo al metodo dialettico, e poi esaminandole con la scienza divina, riguardino determinate realtà e gradi dell’essere primi o intermedi o ultimi. 10 Se pertanto Parmenide conviene che tutto quanto il suo ragionamento riguarderà l’Uno e in che rapporto quest’ultimo si trovi rispetto a se stesso e rispetto a tutte le altre cose, è evidente che la speculazione deve incominciare necessariamente anche da qui, a partire cioè dalle realtà più somme, per poi concludersi in quella 15 che tra tutte è ultima. Infatti l’autentica essenza dell’Uno procede dall’alto fino al più oscuro sussistere delle cose. Ma siccome la primissima ipotesi dimostra l’indescrivibile eccellenza del primissimo Principio attraverso le negazioni e ne chiude la disamina in 20 considerazione del fatto che essa trascende, da un lato, ogni essenza, dall’altro ogni forma di conoscenza, è evidente che l’ipotesi seguente, in quanto appare derivare immediatamente da essa, rivela tutto quanto l’ordinamento degli dèi. Infatti non è solo il carattere intellettivo né solo quello riconducibile all’essenza, ma anche il carattere divino appartenente specificamente alla loro realtà che prende in considerazione attraverso tutta l’ipotesi nel suo complesso. Che altro è infatti l’Uno che è parte- 25 cipato dall’essere se non l’elemento divino insito in ogni realtà, in base al quale ogni realtà risulta al contempo unita all’Uno impar- 57 tecipabile? Infatti come i corpi sono strettamente connessi per

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yuchvn, kai; wJ" aiJ yucai; tw'/ eJautw'n nohtikw'/ pro;" to;n o{lon nou'n ajnateivnontai kai; th;n prwtivsthn novhsin, ou{tw dhvpou 5 kai; ta; o[ntw" o[nta tw'/ eJautw'n eJni; pro;" th;n ejxh/rhmevnhn e{nwsin ajnh'ktai kai; tauvth/ th'" prwtivsth" aijtiva" ejsti;n ajnekfoivthta. Epei; de; a[rcetai me;n ajpo; tou' eJno;" o[nto" hJ uJpovqesi" au{th kai; th;n ajkrovthta tw'n nohtw'n prwvthn ajpo; tou' eJno;" uJfivs10 thsi, katalhvgei de; eij" th;n tou' crovnou metevcousan oujsivan kai; ta;" qeiva" yuca;" ejp ejscavtoi" tw'n qeivwn diakovsmwn paravgei, th;n trivthn ajnagkai'on pavntw" to; tw'n merikw'n yucw'n plh'qo" a{pan kai; ta;" ejn aujtai'" diafora;" toi'" poikivloi" sumperavsmasin ejpideiknuvnai. Kai; mevcri touvtwn hJ cwristh; 15 kai; ajswvmato" uJpovstasi" proelhvluqe. Meta; de; tauvthn hJ meristh; peri; ta; swvmata kai; th'" u{lh" ajcwvristo", h}n hJ tetavrth paradivdwsin a[nwqen ajpo; tw'n qew'n hjrthmevnhn. ªhJº Teleutaiva de; hJ th'" u{lh" provodo" ei[te mia'" ei[te poikivlh" ou[sh", h}n hJ pevmpth dia; tw'n ajpofavsewn kata; th;n 20 pro;" to; prw'ton aujth'" ajnovmoion oJmoiovthta deivknusin. All ou| me;n aiJ ajpofavsei" sterhvsei" eijsivn, ou| de; aijtivai tw'n genomevnwn aJpavntwn ejxh/rhmevnai. Kaiv, o} pavntwn ejsti; qaumastovtaton, aiJ me;n a[krai movnw" ajpofatikaiv, ajll hJ me;n kaq uJperoch;n hJ de; kata; e[lleiyin: tw'n de; uJp aujta;" 25 eJkatevra katafatikhv, ajll hJ me;n paradeigmatikw'" hJ de; eijkonikw'": hJ de; mevsh th'/ yucikh'/ tavxei proshvkousa: 58 suvgkeitai me;n ga;r ejk katafatikw'n kai; ajpofatikw'n sumperasmavtwn, e[cei de; sustoivcou" tai'" katafavsesi ta;" ajpofavsei" kai; ou[te wJ" ta; a[lla peplhvqustai movnon kai; ejpeisodiw'de" e[cei to; e}n ou[te wJ" ta; pro; aujth'" uJperanenhv5 nektai th'" oujsiva" to; e{n, ajll e}n mevn ejstin e[ti to; ejn aujth'/ proteinovmenon e{n, kinhvsei de; kai; plhqusmw'/ to; e}n tou'to kai; oi|on uJpo; th'" oujsiva" katapinovmenon proelhvluqen. AiJ me;n ou\n ta; o[nta pavnta tav te cwrista; kai; ta; ajcwvrista kai; ta;" aijtiva" tw'n o{lwn tav" te ejxh/rhmevna" kai; ta;" ejn aujtoi'" 10 toi'" pravgmasin ou[sa" ejkfaivnousai kata; th;n u{parxin tou' eJnov" eijsi toiaivde tine;" uJpoqevsei". Allai de; pro;" tauvtai"

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mezzo della loro vita all’anima, e come le anime per mezzo del loro elemento intellettivo sono rivolte in alto verso l’Intelletto universale ed alla primissima intellezione, così, a mio giudizio, anche 5 gli enti autentici per mezzo dell’uno che è immanente in loro si sono elevati verso la trascendente unificazione e grazie a questa sono inseparabili dalla primissima causa. Inoltre, dal momento che questa ipotesi incomincia dall’Unoche-è e fa sussistere il grado più alto degli intelligibili a partire dall’Uno, per poi discendere nell’essenza partecipe del tempo e 10 produrre le anime divine negli ultimi tra gli ordinamenti divini, è necessario che la terza metta completamente in luce tutta quanta la molteplicità delle anime individuali e le differenze in esse insite per mezzo della varietà delle sue conclusioni. E fino a queste si è spinta la processione del modo di essere separato ed incorporeo. 15 Poi, dopo questa, viene quella suddivisa tra i corpi e non separabile dalla materia, che la quarta ipotesi tramanda come dipendente dall’alto dagli dèi. Ultima è la processione della materia sia essa una soltanto o diversificata: essa è spiegata dalla quinta ipotesi attraverso le negazioni sulla base della somiglianza della dissomi- 20 glianza che essa intrattiene col primo principio. Ma in questo caso le negazioni sono privazioni, nel primo caso invece sono cause che trascendono tutte le realtà che sono venute all’essere. E, aspetto che è assolutamente mirabile tra tutti, da un lato le due ipotesi estreme sono solamente negative, ma la prima per sovrabbondanza, la quinta per difetto; d’altra parte due delle ipotesi comprese 25 entro queste estreme sono affermative, ma la seconda ipotesi è affermativa alla maniera dei modelli e la quarta alla maniera delle copie. Quella intermedia poi è attinente all’ordinamento dell’anima: infatti è composta per un verso da conclusioni affermative e da 58 conclusioni negative, per l’altro è caratterizzata da negazioni che sono coordinate alle affermazioni e, a differenza degli oggetti delle altre ipotesi, l’oggetto di questa ipotesi non risulta in sé soltanto molteplice e possiede il carattere dell’Uno solo a tratti e, a differenza degli oggetti delle ipotesi che la precedono, quell’oggetto non è l’Uno sollevato al di sopra dell’essenza, ma l’Uno che quella ipote- 5 si presenta è ancora sì Uno, ma, per il suo movimento e per la sua tendenza a pluralizzarsi, quest’Uno è anche proceduto per così dire come “assorbito”117 dalla sua essenza. Dunque le ipotesi che rivelano in base alla essenza originaria dell’Uno l’insieme di tutti gli enti, sia quelli separati sia quelli non separabili, e le cause del Tutto, sia quelle trascendenti sia quelle che si trovano nelle cose stesse, sono 10 pressappoco di tale carattere. Vi sono poi, oltre a queste, quattro

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tevttare", ai} to; e}n ajnelou'sai pavnta ejkpodw;n faivnousi ta; o[nta kai; ginovmena kai; oujde;n e[ti oujdamou' o[n, i{na dh; kai; tou' ei\nai kai; tou' swv/zesqai to; e}n ai[tion ajpodeicqh'/ kai; di ejkei'no pavnta ta; o[nta metevch/ th'" tou' o[nto" fuvsew" kai; pro;" ejkei'no th;n u{parxin e{kaston ajnhrthmevnhn e[ch/. Kai; wJ" sullhvbdhn eijpei'n, tou'to dia; pavntwn sullogizovmeqa tw'n o[ntwn wJ", ei[te e[sti to; e{n, ta; pavnta ejsti;n a[cri kai; th'" ejscavth" uJpostavsew", ei[te mh; e[sti to; e{n, oujdevn ejsti tw'n o[ntwn. Ai[tion a[ra kai; ªto;º uJpostatiko;n kai; swstiko;n tw'n o[ntwn aJpavntwn to; e{n, o} kai; oJ Parmenivdh" ejpi; tevlei tou' dialovgou sunhvgagen. ãigVÃ Alla; peri; me;n tw'n uJpoqevsewn tou' Parmenivdou kai; th'" ejn aujtw'/ diairevsew" kai; th'" kaq e{kasta qewriva" ejn toi'" eij" aujto;n gegrammevnoi" hJmi'n iJkanw'" ejxeivrgastai kai; oujde;n ejn tw'/ parovnti mhkuvnein proshvkei peri; touvtwn: ejpeidh; de; ejk tw'n eijrhmevnwn thvn te suvmpasan qeologivan povqen kai; ejk tivno" paralhyovmeqa kai; th;n kata; mevrh diwrismevnhn ejk poivwn dialovgwn eij" e}n sunavgein ejpiceirhvsomen ***, peri; tw'n koinw'n prw'ton kai; diateinovntwn eij" pavnta" tou;" qeivou" diakovsmou" iJeroprepw'n tou' Plavtwno" dogmavtwn diapragmateuswvmeqa kai; deivxwmen o{ti e{kasta par aujtw'/ kata; th;n telewtavthn ejpisthvmhn diwvristai. Ta; ga;r koina; tw'n ijdivwn provtera kai; gnwrimwvtera kata; fuvsin ejstiv. Labwvmeqa dh; ou\n prw'ton tw'n ejn Novmoi" ajpodedeigmevnwn kai; qewrhvswmen o{pw" ejkei'na th'" peri; tw'n qew'n ajlhqeiva" hJgei'tai kai; wJ" pavntwn ejsti; presbuvtera tw'n a[llwn peri; tou' qeivou mustikw'n nohmavtwn. Levgetai de; a[ra kai; levgetai para; tou' Plavtwno" ejn ejkeivnoi" triva tau'ta, to; ei\nai tou;" qeouv", to; pronoei'n pavntwn, to; kata; divkhn ta; pavnta a[gein

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altre ipotesi: e dato che esse sono fondate sull’eliminazione dell’Uno, tutte le cose che esistono e che divengono, appaiono eliminate e risulta non esservi più nulla da nessuna parte, al fine proprio di dimostrare che l’Uno è causa sia dell’essere sia del conservarsi , e affinché in virtù di esso tutti gli enti partecipino della natura dell’essere, ed inoltre sia da esso che dipende l’esistenza di ciascun essere. E per dirla in un unico concetto, noi attraverso tutti gli enti deduciamo con il ragionamento questo, cioè che, se esiste l’Uno, esistono tutti gli enti fino anche all’ultimo livello di realtà, se non esiste l’Uno, non esiste nessuno degli enti. Dunque causa della realtà e della conservazione nell’essere di tutti quanti gli enti è l’Uno, il che anche Parmenide ha concluso alla fine del dialogo.

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59 [Quali regole generali concernenti gli dèi Platone tramanda nelle “Leggi” per quel che concerne ad un tempo l’esistenza autentica, la provvidenza e l’immutabile perfezione degli dèi] Ma per quanto riguarda le ipotesi del Parmenide, la suddivisione in esso contenuta e la riflessione in rapporto a ciascuna questione, da parte nostra è stato condotto un esame sufficientemente esaustivo negli scritti dedicati al commento del dialogo118, e nella presente trattazione non è per nulla opportuno dilungarsi circa tali questioni; d’altra parte dato che da ciò che si è detto 119 sia da quale dialogo specifico sia da quali passi apprenderemo la teologia nel suo complesso ed in base a quali dialoghi quella teologia che abbiamo ricevuto divisa in parti cercheremo di raccogliere in un’unità, in primo luogo dobbiamo trattare delle venerande dottrine di Platone, che sono comuni e che si estendono a tutti gli ordinamenti divini, e mostrare che presso di lui ciascuna risulta definita secondo la competenza scientifica più perfetta. Infatti, tra le proprietà, quelle comuni sono dal punto di vista naturale precedenti e più conoscibili rispetto a quelle specifiche. Ebbene, per prima cosa dobbiamo desumere da ciò che è stato dimostrato nelle Leggi120 e poi considerare in che modo quelle guidino la verità circa gli esseri divini e come siano più importanti di tutti gli altri concetti della scienza teologica. Dunque vengono comunemente affermate, e vengono affermate presso Platone nelle Leggi queste tre proposizioni: che gli dèi esistono, che si prendono provvidenzialmente cura di

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kai; mhdemivan ejk tw'n ceirovnwn eijsdevcesqai paratrophvn. Tau't ou\n o{ti me;n aJpavntwn ejsti; tw'n ejn qeologiva/ dogmavtwn ajrcoeidevstera, panti; katafanev": tiv ga;r h] th'" uJpavrxew" tw'n qew'n h] th'" ajgaqoeidou'" pronoiva" h] th'" ajtrevptou kai; ajklinou'" dunavmewv" ejstin hJgemonikwvteron, di w|n kai; parav60 gousi ta; deuvtera monoeidw'" kai; swv/zousin ajcravntw" kai; pro;" eJautou;" ejpistrevfousin, aujtoi; ªde;º ta; me;n a[lla diakosmou'nte", pavsconte" de; uJpo; tw'n ceirovnwn oujde;n oujde; th'/ poikiliva/ tw'n pronooumevnwn summetabavllonte" Opw" 5 de; kai; kata; fuvsin diwvristai, mavqoimen a]n eij kaq e{kaston aujtw'n th;n ejpisthmonikh;n tou' Plavtwno" e[fodon tw'/ logismw'/ perilabei'n ejpiceirhvsaimen, kai; pro; tw'n a[llwn to; ei\nai tou'to tou;" qeou;" poivoi" dhv tisin ajnelevgktoi" ejkei'no" lovgoi" katedhvsato kai; o{sa touvtw/ sunhvrthtai problhvmata 10 meta; tou'to nohvsaimen. 20

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ãidVÃ Apavntwn dh; tw'n o[ntwn ajnagkai'on ta; me;n kinei'n movnon, ta; de; kinei'sqai movnon, ta; de; metaxu; touvtwn o[nta kai; kinei'sqai kai; kinei'n: kai; tau'ta de; h] par a[llwn kinouvmena a[lla kinei'n h] aujtokivnhta ajnagkai'on ei\nai, kai; tevttara" tauvta" eJxh'" ajllhvlwn uJpostavsei" tetavcqai, th;n kinei'sqai movnon kai; pavscein ajp a[llwn tw'n prwtourgw'n aijtivwn legomevnhn, kai; pro; tauvth" th;n a[lla me;n kinou'san uJp a[llwn de; kinoumevnhn, kai; touvtwn ejpevkeina th;n aujtokivnhton ajf eJauth'" ajrcomevnhn kai; tw'/ eJauth;n kinei'n kai; toi'" a[lloi" th;n tou' kinei'sqai parevcousan e[mfasin, kai; teleutai'on aJpavntwn tw'n o{sa metevcei kinhvsew" poihtikh'" h] paqhtikh'" th;n ajkivnhton. To; me;n ga;r aujtokivnhton pa'n a{te ejn metabavsei kai; diastavsei zwh'" th;n teleiovthta kekthmevnon a[llh" aijtiva" ejxhvrthtai presbutevra" th'" ajei; kata; ta; aujta;

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ogni cosa, che secondo giustizia governano tutte le realtà e non 20 accolgono in sé alcuna forma di deviazione derivante dalle entità inferiori. Dunque, a ciascuno è palese che questi concetti sono più originari di tutte le dottrine insite nella teologia; infatti che cosa vi è di più sovrano della esistenza degli dèi o della loro cura provvidenziale che ha il carattere del bene o della loro inflessibile e ferma potenza, proprietà attraverso le quali anche fanno sviluppare in forma unitaria le realtà seconde e le conservano in modo 60 incontaminato e le fanno rivolgere verso se stessi, essi che, da un lato, ordinano tutte le realtà, che, dall’altro, non subiscono nulla da parte delle entità inferiori né mutano parallelamente alla varietà degli enti che sono oggetto della loro cura provvidenziale? Come poi anche ciascuna dottrina risulti distinta secondo l’ordi- 5 ne naturale, potremmo apprenderlo se con il ragionamento sistematico cercassimo di intraprendere per ciascuna di esse la via di ricerca scientifica seguita da Platone, e se dopo ciò comprendessimo, prima di tutto il resto, quali mai siano i ragionamenti inconfutabili ai quali egli ha collegato l’affermazione che gli dèi esistono e quante siano le problematiche connesse con tale questione. 10

[In che modo è stata concepita l’esistenza autentica degli dèi nelle “Leggi” e attraverso quali tappe intermedie il discorso si è spinto in alto fino a quelli che sono realmente gli dèi in se stessi] Certamente tra tutti quanti gli enti è necessario che alcuni muovano soltanto, mentre gli altri siano soltanto mossi, e gli enti che sono intermedi tra questi è necessario sia che muovano sia che siano mossi; e questi ultimi poi è necessario che, essendo mossi da parte di alcuni enti, muovano a loro volta altri enti ancora, oppure che siano semoventi, e che vengano poste in questo reciproco ordine queste quattro realtà, quella che si dice che è mossa e subisce ad opera di altri principi causali originari, e prima di questa quella che muove alcune realtà, ma è mossa da altre, e al di là di queste quella automoventesi la quale incomincia da sé con il muovere se stessa e che fornisce alle altre realtà l’apparenza del movimento, ed infine tra tutte le realtà che partecipano di movimento attivo o passivo v’è la realtà non soggetta a movimento. In effetti tutto ciò che si muove da sé, in quanto ha acquisito la perfezione nel mutare e nello scandirsi della vita, risulta dipendere da un’al-

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kai; wJsauvtw" ejcouvsh", h|" ouj kata; crovnon ajll ejn aijw'ni zh'n: crovno" ga;r aijw'no" eijkwvn: eij toivnun ta; uJf eJautw'n kinouvmena pavnta kata; crovnon kinei'tai, to; de; aijwvnion th'" kinhvsew" ei\do" ejpevkeina th'" kata; crovnon feromevnh", deuvteron a]n ei[h tavxei kai; ouj prw'ton ejn toi'" 5 ou\si to; aujtokivnhton. To; de; au\ a[lla me;n kinou'n uJp a[llwn de; kinouvmenon eij" th;n aujtokivnhton ajnhrth'sqai fuvsin ajnagkai'on: kai; ouj tou'to movnon, ajlla; kai; pa'san th;n eJterokivnhton suvstasin, w{sper oJ Aqhnai'o" xevno" ajpodeivknusin. Eij ga;r staivh, fhsiv, ta; kinouvmena pavnta, to; prw'ton 10 kinhqhsovmenon oujk e[stai, mh; tw'n aujtokinhvtwn ejn toi'" ou\sin uJfesthkovtwn: to; me;n ga;r ajkivnhton, oujdamw'" kinei'sqai pefukov", oujd a]n tovte kinhqeivh prw'ton, to; de; eJterokivnhton a[llh" a]n devoito kinouvsh" dunavmew": movnon de; to; aujtokivnhton wJ" ajf eJautou' th'" ejnergeiva" ajrcovmenon 15 eJautov te kai; ta; a[lla deutevrw" kinhvsei. Kai; ga;r toi'" eJterokinhvtoi" to; toiou'ton ejndivdwsi th;n tou' kinei'sqai duvnamin, w{sper a{pasi toi'" ou\si to; ajkivnhton th;n tou' kinei'n. Trivton de; au\ to; kinouvmenon movnon tw'n uJp a[llou me;n kinoumevnwn e{tera de; kinouvntwn prwvtw" ejxavyomen: dei' ga;r 20 tai'" oijkeivai" mesovthsin sumpeplhrw'sqai tav te a[lla pavnta kai; th;n tw'n kinoumevnwn seira;n a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn tavxei diateivnousan. Ta; me;n ou\n swvmata pavnta tw'n kinei'sqai movnon kai; pavscein ejsti; pefukovtwn: oujdeno;" gavr ejsti poihtika; 25 kat aujth;n th;n diastath;n kai; megevqou" kai; o[gkou metascou'san uJpovstasin, ei[per a{pan to; poihtiko;n a[llwn kai; kinhtiko;n ajswmavtw/ dunavmei crwvmenon poiei'n te kai; kinei'n 62 pevfuke. Tw'n de; ajswmavtwn ta; mevn ejsti merista; peri; toi'" swvmasin, ta; de; ejxh/rhmevna th'" toiauvth" peri; ta; tw'n o[ntwn e[scata diairevsew". Ta; me;n ou\n merizovmena peri; tou;" o[gkou" tw'n swmavtwn ei[te ejn poiovthsin ei[te ejn ei[desin ejnuvloi" tw'n uJp a[llou me;n kinoumevnwn a[lla de; 5 uJfesthkovta kinouvntwn ejstiv: diovti me;n ga;r th'" ajswmavtou kai; tau'ta 61 to;

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tra causa più importante che è sempre nella stessa condizione ed allo stesso modo, alla quale non in base al tempo, ma nell’eternità appartiene il vivere. Infatti il tempo è “immagine dell’eterni- 61 tà”121. Pertanto se tutte le cose che si muovono da sé si muovono nella dimensione del tempo, mentre ciò che è eterno è una forma del movimento al di là di quello che si produce nella dimensione del tempo, sarebbe secondo per livello e non primo nella gerarchia degli esseri ciò che si muove da sé. Dal canto suo ciò che da 5 un lato muove alcune cose, mentre è mosso da altre, è necessario che risulti dipendere dalla natura automoventesi; e non questo solamente, ma anche l’intero insieme di ciò che è mosso da altro, come lo Straniero di Atene122 dimostra. Infatti “se di colpo si fermassero”, afferma, “tutte le entità” che si muovono, non vi sarà 10 ciò che per primo verrà mosso, dal momento che non risultano sussistere le entità che si muovono da sé. Infatti ciò che è immobile non ha in nessun modo alcuna disposizione naturale ad essere mosso, e allora non potrebbe essere mosso per primo, e ciò che è mosso da altro richiederebbe una forza diversa che lo muova. Ma solo ciò che si muove da sé, in quanto desume da sé il principio della sua attività, muoverà se stesso e in un secondo momen- 15 to anche le altre cose. Ed infatti alle cose che sono mosse da altro, il semovente fornisce la potenzialità di essere mosse, proprio come a tutti gli enti ciò che è immobile fornisce quella di muovere. Per terzo, a sua volta, ciò che è soltanto mosso lo faremo dipendere principalmente da quegli enti che sono mossi, ma che a loro volta ne muovono altri. Infatti occorre che, oltre a tutto il 20 resto, risulti compiutamente costituita dai livelli intermedi che le sono propri anche la serie degli enti che sono mossi, la quale si estende in ordine dall’alto fino agli ultimi enti. Ebbene, tutti i corpi fanno parte di quelle entità che sono soggette per natura solo ad essere mosse ed a subire passivamente: infatti non sono atti a produrre nulla in relazione alla realtà in sé 25 estesa e dotata di grandezza e di massa, se è vero che tutto ciò che è atto a produrre altre entità ed è mobile, è con il ricorso ad una forza incorporea, che risulta per natura atto a produrre ed al con- 62 tempo a muovere. D’altra parte tra le entità incorporee, le une si trovano suddivise per il loro legame con i corpi, le altre trascendono tale divisione che caratterizza gli ultimi tra gli enti. Dunque una parte delle entità che si dividono in relazione alle masse dei corpi, sia che risultino sussistere tra le qualità sia che risultino sus- 5 sistere tra le forme materiali, fanno parte delle entità che sono mosse da altro, ma che a loro volta ne muovono altre. Infatti poi-

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moivra" ejstiv, th'" tou' kinei'n metevcei dunavmew", diovti de; au\ merivzetai peri; toi'" swvmasin, parh/rhmevna th'" eij" auJta; sunneuvsew" kai; toi'" uJpokeimevnoi" sundiistavmena kai; th'" 10 ejk touvtwn ajrgiva" ajnapimplavmena dei'tai th'" kinouvsh" oujk ejp ajllotriva" e{dra" feromevnh" ajll ejn eJauth'/ th;n uJpovstasin ejcouvsh". Pou' toivnun to; eJauto; kinou'n e{xomen Ta; me;n ga;r eij" o[gkou" ejkteinovmena kai; diastavsei" h] ejn touvtoi" dih/rhmevna kai; ajcwrivstw" peri; aujtou;" uJfestw'ta, duei'n to; 15 e{teron, h] kinei'sqai movnon h] par a[llwn ãkinouvmenaà kinei'n ajnavgkh: dei' dev, wJ" provteron ei[rhtai, kai; th;n aujtokivnhton pro; touvtwn ei\nai pavntw" oujsivan ejn eJauth'/ kai; oujk ejn a[lloi" iJdrumevnhn kai; pro;" eJauth;n ajll ouj pro;" a[lla ta;" ejnergeiva" ajpereivdousan. Estin a[ra ti" fuvsi" a[llh 20 swmavtwn ejxh/rhmevnh kai; ejn oujranw'/ kai; ejn toi'sde toi'" polumetabovloi" stoiceivoi", par h|" to; kinei'sqai prwvtw" toi'" swvmasin. Eij dh; devoi th;n toiauvthn oujsivan ajneurei'n h{ti" ejstivn, ojrqw'" a]n ãpoioi'menà eJpovmenoi tw'/ Swkravtei kai; skopou'nte" tiv potev ejsti tw'n o[ntwn o} tw'/ parei'nai toi'" 25 eJterokinhvtoi" aujtokinhsiva" aujtoi'" e[mfasin divdwsin, kai; toi'" poivoi" dhv tisi tw'n oJrwmevnwn to; par eJautw'n kinei'sqai 63 prosfevromen. Ta; me;n ga;r a[yuca pavnta movnw" ejsti;n eJterokivnhta kai; a{per a]n pavsch/ dia; dhv tina duvnamin e[xwqen kinou'san kai; biazomevnhn pavscein pevfuke. Leivpetai dh; ta; e[myuca th;n toiauvthn e[mfasin e[cein kai; ei\nai deu5 tevrw" aujtokivnhta, th;n de; ejn aujtoi'" ou\san yuch;n prwvtw" eJauthvn te ªkai;º kinei'n kai; uJf eJauth'" kinei'sqai, kai; dia; th;n ªuJfº eJauth'" duvnamin w{sper tou' zh'n ou{tw dh; kai; tou' kinei'sqai par eJautw'n toi'" swvmasin ijndavlmata parevcein. Eij toivnun tw'n me;n eJterokinhvtwn presbutevran ei\nai ãdei'à 10 th;n aujtokivnhton oujsivan, hJ de; yuch; to; prwvtw" aujtokivnhton, par h|" kai; toi'" swvmasin ejfhvkei to; th'" aujtokinhsiva" ei[dwlon, ejpevkeina a]n ei[h swmavtwn hJ yuchv, kai; panto;" swvmato" hJ kivnhsi" yuch'" a]n ei[h kai; th'" ejn aujth'/ kinhvsew" e[kgono". Anagkai'on a[ra kai; to;n o{lon oujrano;n kai; ta; ejn 15 aujtw'/ pavnta poikivla" e[conta kinhvsei" kai; to; me;n a[llhn

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ché, da un lato, fanno parte anche queste della dimensione incorporea, sono partecipi della facoltà di muovere, dall’altro, poiché a loro volta si dividono per il loro legame con i corpi, private della tendenza al comune convergere verso se stesse, distinguendosi insieme ai loro sostrati ed infettandosi dello stato di 10 inazione da essi derivante, hanno bisogno non di quella facoltà di movimento che poggia su di una base estranea, ma che ha in se stessa il proprio fondamento. Dove dunque avremo ciò che muove se stesso? Infatti per le entità che si sviluppano in masse e separate scansioni o che risultano suddivise in esse e sussistono inseparabilmente in relazione ad esse, è necessaria una delle due cose: o che esse vengano solamente mosse o che muovano 123 a loro volta da altre entità: ma occorre assolutamente, come si è detto in precedenza124, che prima di queste entità vi sia il movimento in sé, che non è posto in altre entità e che basa su se stesso, ma non su altre entità, le proprie attività. Esiste dunque un altro essere che trascende i corpi, sia quelli in cielo sia quelli 20 di questo nostro mondo così portati a modificarsi: per i corpi il fatto di essere mossi dipende principalmente da questa natura. Se dunque occorresse scoprire quale sia la natura di tale essenza, correttamente lo potremmo fare seguendo Socrate ed indagando quale mai sia tra gli enti quello che, per il fatto di essere presente presso le entità mosse da altro, fornisce ad esse l’apparenza del 25 movimento auto indotto, e quali mai siano tra le entità visibili quelle cui attribuiamo il fatto che si muovono da sole. In effetti 63 tutti gli esseri inanimati sono solamente mossi da altro e sono atti per natura a subire ciò che appunto si trovino a subire proprio attraverso una determinata forza che dall’esterno li muove e li costringe. Certamente la possibilità che rimane è che gli esseri animati abbiano il riflesso apparente di cui si è detto e siano ad un secondo livello in grado di muoversi da sé, mentre l’anima che 5 si trova in essi, a livello primario muove se stessa ed al contempo è mossa da se stessa, e attraverso la sua propria facoltà garantisce ai corpi le mere apparenze del vivere così come anche dell’essere mossi da se stessi. Se pertanto occorre che più importante delle entità che sono mosse da altro sia l’essenza automoventesi, e d’al- 10 tra parte l’anima è ciò che principalmente si muove da sé, da parte della quale appunto ai corpi arriva la parvenza del movimento spontaneo, l’anima dovrebbe essere al di là dei corpi, ed il movimento di ogni corpo dovrebbe essere il prodotto di un’anima e del movimento insito in essa. Dunque è necessario che anche il cielo nella sua interezza e tutti i corpi che si trovano in 15

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to; de; a[llhn kai; tauvta" kinouvmena kata; fuvsin (panti; ga;r tw'/ toiw'/de kata; fuvsin hJ ejgkuvklio" forav) yuca;" hJgemonouvsa" e[cein kai; kat oujsivan presbutevra" swmavtwn, ejn eJautai'" kinoumevna", ãai}Ã kai; touvtoi" ejklavmpousin a[nwqen 20 th;n tou' kinei'sqai duvnamin. Tauvta" dh; ou\n ta;" yucav", ai} to;n suvmpanta kovsmon kai; ta;" ejn aujtw'/ moivra" diekovsmhsan kai; pa'n to; swmatiko;n par eJautou' zwh'" a[moiron o]n kinouvmenon kai; zw'n ajpevfhnan ejmpneuvsasai th;n th'" kinhvsew" aujtoi'" aijtivan, ajnagkai'on 25 h] kata; lovgon pavnta kinei'n h] to;n ejnantivon trovpon, o} mh; qevmi" eijpei'n. All eij me;n oJ kovsmo" ou|to" kai; pa'n to; ejn aujtw'/ tetagmevnon kai; oJmalw'" kinouvmenon kai; ferovmenon ajei; kata; 64 fuvsin, w{sper devdeiktai ta; me;n ejn toi'" maqhvmasin ta; de; ejn tai'" peri; fuvsew" pragmateivai", eij" yuch;n ajnhvrthtai th;n ajlovgw" aujthvn te kinoumevnhn kai; ta; a[lla kinou'san, ou[te hJ tavxi" au{th tw'n periovdwn ou[te hJ ªkaq eJauto;º kaq e{na 5 lovgon wJrismevnh kivnhsi" ou[te hJ qevsi" tw'n swmavtwn ou[te a[llo tw'n kata; fuvsin ginomevnwn oujde;n aijtivan eJstw'san e{xei kai; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" e{kasta diakosmei'n dunamevnhn. Pa'n ga;r dh; to; a[logon uJp a[llou kosmei'sqai pevfuken ajovriston o]n th'/ eJautou' fuvsei kai; a[kosmon. To; dh; 10 tw'/ toiouvtw/ to;n o{lon oujrano;n ejpitrevyai kai; th;n kata; lovgon ajei; to;n aujto;n wJsauvtw" ajnakukloumevnhn perifora;n ou[te th'/ fuvsei tw'n pragmavtwn ou[te tai'" ajdidavktoi" hJmw'n ejnnoivai" ejsti; prosh'kon oujdamw'". Eij de; au\ yuch; noera; kai; lovgw/ crwmevnh ta; pavnta podh15 getei' kai; pa'n to; th;n ajivdion ferovmenon fora;n uJpo; yuch'" kuberna'tai toiauvth" kai; mhdevn ejsti tw'n o{lwn a[moiron yuch'" (oujqe;n ga;r tivmion tw'n swmavtwn th'" toiauvth" dunavmew" ejsterhmevnon, w{" pouv fhsin oJ Qeovfrasto"), povteron kata; mevqexin e[cei to; noero;n tou'to kai; to; tevleion 20 kai; to; ajgaqourgo;n h] kat oujsivan Eij me;n ga;r kat oujsivan, ajnavgkh kai; pa'san ei\nai yuch;n toiauvthn, ei[per eJkavsth kata; th;n eJauth'" fuvsin ejsti;n aujtokivnhto": eij de; kata; mevqexin,

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esso, dotati di vari tipi di movimento e mossi in parte in una direzione, in parte in un’altra in modo conforme a natura (in effetti per ciascuno dei corpi di questo nostro mondo è conforme a natura il movimento circolare), abbiano appunto queste anime che li guidano e che sono in base all’essenza più importanti dei corpi, in quanto le anime sono mosse da un movimento immanente, ed esse appunto su questi ultimi fanno risplendere dall’alto la potenziali- 20 tà dell’essere mossi. Ebbene, queste anime, che hanno dato ordine all’insieme dell’universo e alle parti insite in esso e hanno dotato di movimento e reso vivente tutto il corporeo, di per se stesso privo di vita, infondendo in esso la causa del suo movimento, è necessario che o in modo razionale muovano tutte le cose oppure nel modo con- 25 trario che non è lecito menzionare. Ma se questo universo e tutto ciò che in esso è posto secondo un ordine determinato, che è mosso allo stesso modo e che si sviluppa sempre secondo la sua 64 natura, come è stato mostrato sia nelle scienze matematiche sia nelle trattazioni concernenti la fisica, risulta dipendere da un’anima che di per sé si muove in modo irrazionale e muove tutto il resto, né questo ordine delle orbite circolari, né il movimento che 5 risulta stabilito secondo un’unica proporzione, né l’ordinata disposizione dei corpi, né alcuna delle cose che in modo naturale vengono ad essere, avranno una causa che risulti stabile e che sia in grado di ordinare in modo sempre costante ed identico ciascun ente. Infatti, senza dubbio, tutto ciò che è irrazionale è per natura portato ad essere mosso da una differente entità in quanto per la sua stessa natura è indeterminato e privo di ordine. Certamente l’affidare ad un’entità di tale natura il cielo nella sua interezza e il 10 movimento circolare che si ripete ciclicamente sempre secondo la medesima proporzione allo stesso identico modo, non si confà in alcuna maniera né alla natura delle cose né alle nostre immediate nozioni intuitive. D’altra parte, se dal canto suo un’anima intellettiva, e che si avvale di razionalità, dirige tutte le cose e se tutto ciò che è sog- 15 getto al movimento eterno viene governato da una tale anima, e nessuna parte del Tutto è priva di una sua parte di anima (infatti nessun corpo ha valore se è privato di tale facoltà, come da qualche parte afferma Teofrasto)125, essa possiede questa facoltà intellettiva, la perfezione e la capacità di operare il bene per partecipa- 20 zione oppure in base alla propria essenza? Infatti se le possiede in modo essenziale, è necessario anche che ogni anima abbia tali caratteristiche, se è vero che ciascuna in base alla propria natura è

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a[llo" a]n ei[h yuch'" presbuvtero" oJ kat ejnevrgeian nou'", o}" kat oujsivan e[cei to; noei'n aujtw'/ tw'/ ei\nai th;n eJnoeidh' 25 gnw'sin tw'n o{lwn ejn eJautw'/ proeilhfwv": ejpei; kai; ajnavgkh th;n yuch;n kata; lovgon oujsiwmevnhn to; kata; nou'n dia; meqev65 xew" e[cein kai; to; noero;n ei\nai dittovn, to; me;n prwvtw" ejn aujtw'/ tw'/ qeivw/ nw'/, to; de; ajp ejkeivnou deutevrw" ejn yuch'/: provsqe" dev, eij bouvlei, kai; th;n eij" to; sw'ma parousivan th'" noera'" ejllavmyew". Povqen ga;r oJ suvmpa" ou|to" oujrano;" h] 5 sfairikov" ejstin h] kuvklw/ fevretai kai; peri; to; aujto; kata; mivan tavxin wJrismevnhn ajnakuklou'tai Pw'" de; ajei; th;n aujth;n ijdevan kai; duvnamin ajtrevptw" e[lace kata; fuvsin, eij mh; th'" kata; nou'n meteivlhcen eijdopoiiva" Yuch; me;n ga;r kinhvsewv" ejsti corhgov", to; de; th'" monivmou katastavsew" ai[tion kai; 10 th;n ajnivdruton tw'n kinoumevnwn paravllaxin eij" taujtovthta thvn te kaq e{na lovgon peperasmevnhn zwh;n kai; wJsauvtw" e[cousan perifora;n ejpanavgon dh'lon wJ" ejpevkeina a]n ei[h yuch'". Sw'ma me;n a[ra kai; pa'n to; aijsqhto;n tou'to tw'n eJtero15 kinhvtwn ejstiv, yuch; de; aujtokivnhto", eij" auJth;n aJpavsa" ta;" swmatika;" kinhvsei" ajnadhsamevnh, pro; de; tauvth" oJ nou'" ajkivnhto" w[n. Kaiv moi tou'to to; ajkivnhton mh; toiou'ton uJpolavbh/" oi|on to; ajrgo;n kai; a[zwn kai; a[pneumon ei\naiv famen, ajlla; to; pavsh" kinhvsew" ajrchgiko;n ai[tion kai; th;n 20 phghvn, eij bouvlei, pavsh" zwh'", th'" te eij" eJauth;n ejpistrefomevnh" kai; th'" ejn eJtevroi" th;n uJpovstasin ejcouvsh". Kai; dia; tauvta" oJ kovsmo" ta;" aijtiva" zw'/on e[myucon e[nnoun uJpo; tou' Timaivou proseivrhtai, kata; me;n th;n eJautou' fuvsin kai; th;n eij" aujto;n kaqhvkousan zwh;n ajpo; yuch'" kai; peri; merizomevnhn zw'/on ajpokalouvmeno", kata; de; th;n 25 aujto;n th'" qeiva" yuch'" eij" aujto;n parousivan e[myucon, kata; de; th;n noera;n ejpistasivan e[nnoun: kai; ga;r zwh'" corhgiva 66 kai; yuch'" hJgemoniva kai; nou' metousiva sunevcei to;n o{lon oujranovn.

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automoventesi; se invece le possiede per partecipazione, dovrebbe esistere un altro intelletto in atto, diverso e più importante dell’anima, il quale possieda a livello di essenza il pensare per il fatto stesso di esistere, in se stesso avendo ottenuto in modo anticipato 25 la conoscenza uni-forme del Tutto: perciò è anche necessario che l’anima, essendo per essenza conforme a ragione, possegga per partecipazione la componente conforme all’intelletto e che quella 65 intellettiva sia duplice, l’una che in modo principale si trova nello stesso intelletto divino, l’altra che ad un secondo livello a partire da quest’ultimo si trova nell’anima. Si aggiunga poi, se si vuole, il presentarsi a livello del corpo della luce intellettiva. In base a quale principio in effetti la totalità di questo cielo o risulta sferi- 5 ca oppure si muove in modo circolare e ruota ciclicamente intorno al medesimo asse secondo una legge stabilita una volta per tutte? In che modo poi, conformemente a natura, gli è toccata immutabilmente sempre la stessa forma fissa e la stessa facoltà di movimento, se non risulta partecipe della produzione delle forme che è consentanea all’intelletto? In effetti l’anima è dispensatrice del movimento, mentre ciò che è causa dello stato stabile del mondo, che riconduce l’incessante mutamento delle entità sog- 10 gette a movimento all’identità, a quella vita che risulta delimitata in base ad un’unica struttura razionale e a un movimento circolare che si mantiene costante, è evidente che dovrebbe essere al di là dell’anima. Quindi il corpo e tutta questa dimensione sensibile fanno 15 parte delle realtà che sono mosse da altro, mentre l’anima è automoventesi, in quanto riconnette a se stessa tutti i movimenti corporei, mentre l’intelletto precede quest’ultima in quanto è immobile. E non si pensi che io ritenga questa immobilità identica a ciò che noi definiamo inattivo, inanimato e privo di respiro, ma a ciò che noi definiamo principio causale originario di ogni movimento 20 e fonte, se si vuole, di ogni vita, sia di quella che si rivolge verso se stessa sia di quella che ha in altre entità il proprio fondamento. Ed è per queste ragioni che “l’universo” è stato chiamato da Timeo126 “essere vivente animato intelligente”: in base alla propria specifica natura e alla vita che ad opera dell’anima gli si addice e che presso di esso si distribuisce è denominato “essere viven- 25 te”, mentre in base alla presenza in esso dell’anima divina è denominato “animato”; infine in base all’autorità che su di esso esercita l’intelletto è denominato “intelligente”. Ed in effetti l’elargizio- 66 ne della vita, il ruolo di guida dell’anima e la partecipazione all’intelletto tengono unito il cielo nella sua interezza.

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Eij de; kai; oJ nou'" ou|to" kat oujsivan mevn ejsti nou'", ejpei; taujtovn ejsti to; noei'n kai; to; ei\nai, fhsi;n oJ Parme5 nivdh", kata; mevqexin de; qeov" (o{ moi kai; oJ Aqhnai'o" ãdokei' xevno"à ejndeiknuvmeno" qei'on aujto;n proseipei'n: nou'n gavr fhsin qei'on proslabou'san th;n yuch;n ojrqa; kai; e[mfrona paidagwgei'n), ajnavgkh dhvpou kai; to;n o{lon ãoujrano;nà eij" th;n aujtou' qeovthta kai; e{nwsin ajnhrth'sqai, 10 kai; tw'/de tw'/ panti; kovsmw/ th;n me;n kivnhsin ajpo; yuch'" parei'nai, th;n de; ajivdion diamonh;n kai; to; wJsauvtw" ajpo; nou', th;n de; e{nwsin th;n mivan kai; th;n suvmpnoian th;n ejn aujtw'/ kai; th;n sumpavqeian kai; to; pantele;" mevtron ejk th'" eJnavdo", ajf h|" kai; oJ nou'" eJnoeidh;" kai; hJ yuch; miva kai; e{kaston 15 tw'n o[ntwn o{lon ejsti; kai; tevleion kata; th;n auJtou' fuvsin kai; tw'n deutevrwn e{kaston meta; th'" ejn th'/ oijkeiva/ fuvsei teleiovthto" kajk th'" uJperidrumevnh" ajei; tavxew" metalambavnei kreivttono" a[llh" ijdiovthto". To; me;n ga;r swmatiko;n eJterokivnhton o]n aujtokinhvtou dunavmew" e[mfasin ajpo; yuch'" 20 komivzetai kai; zw'/ovn ejsti di ejkeivnhn: yuch; de; aujtokivnhto" ou\sa th'" kata; nou'n metevcei zwh'" kai; kata; crovnon ejnergou'sa to; th'" ejnergeiva" a[pauston kai; th;n a[grupnon zwh;n ejk th'" pro;" to;n nou'n e[cei geitniavsew": nou'" de; ejn aijw'ni to; zh'n e[cwn kai; th'/ oujsiva/ w]n ejnevrgeia kai; pa'san oJmou' 25 th;n novhsin ejn tw'/ nu'n eJstw'san phxavmeno" e[nqeov" ejsti dia; th;n pro; aujtou' pavntw" aijtivan. ditta;" ga;r e[cei ta;" ejner-geiva", w{" 67 fhsin oJ Plwti'no", ta;" me;n wJ" nou'", ta;" de; wJ" mequvwn tw'/ nevktari: kai; ejn a[lloi" ãejdeivxamenà o{ti kai; oJ nou'" ou|to" tw'/ pro; eJautou' mh; nw'/ qeov", w{sper hJ yuch; th'/ eJauth'" uJpe;r yuch;n ajkrovthti nou'" kai; to; sw'ma th'/ pro; tou' 5 swvmato" dunavmei yuchv. Pavnta d ou\n, w{sper ei[pomen, ajnhvrthtai tou' eJno;" dia; mevsou nou' kai; yuch'": kai; oJ me;n nou'" eJnoeidhv" ejstin, hJ de; yuch; nooeidhv", to; de; sw'ma to; tou' kovsmou zwtikovn, pa'n de; eij" to; pro; aujtou' sunhv/rhtai.

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Se poi, per giunta, questo intelletto non solo è da un lato intelletto in senso essenziale, dal momento che «lo stesso sono il pensare e l’essere»127, dice Parmenide, ma è anche dio per partecipa- 5 zione (il che mi sembra che anche lo Straniero di Atene abbia affermato quando lo indica come “divino”: infatti afferma che «l’anima avendo associato a sé un intelletto divino dirige le cose in modo corretto e assennato»)128, è necessario a mio giudizio che anche il cielo nella sua interezza risulti dipendere dalla divinità e dall’unità dell’intelletto, e che in tutto questo nostro universo sia 10 presente, da un lato, ad opera dell’anima, il movimento, dall’altro, ad opera dell’intelletto, l’eterna permanenza e il rimanere nella stessa condizione, mentre l’unica e sola unificazione, il senso di affinità che lo permea, la comunanza di sentire e la misura perfetta a partire dall’Enade, ad opera della quale, al contempo, l’intelletto è uni-forme, l’anima una e ciascuno degli enti intero e perfetto secondo la sua propria natu- 15 ra, e per ciascuna delle entità seconde è essa che aggiunge alla perfezione propria della loro natura la partecipazione a quella proprietà che è loro estranea e che le sovrasta, venendo a loro da un grado della gerarchia che è in ogni caso superiore. Infatti il corporeo, essendo mosso da un altro, riceve da parte dell’anima una apparenza di facoltà motoria autonoma e, attraverso quest’ultima, 20 è vivente; invece l’anima, essendo in grado di muoversi autonomamente, partecipa della vita secondo intelletto e, benché dispieghi la sua attività nell’ambito del tempo, dalla vicinanza dell’intelletto è resa capace di agire senza posa e di vivere senza concedersi riposo; l’intelletto poi, essendo nella condizione di vivere nell’eternità ed essendo “per la sua essenza attività” ed essendosi formato tutto ad un tempo il suo atto di intellezione che risulta così 25 posto nell’attimo presente di una totale simultaneità, è divinamente ispirato per via della causa che viene assolutamente prima di lui. Infatti è in grado di svolgere due diversi tipi di attività, come dice Plotino129, le une in quanto intelletto, le altre in quanto 67 “ebbro di nettare”. Ed altrove anche che questo intelletto è divino grazie a quel “non-intelletto” che lo precede, come l’anima, grazie alla sua sommità che è al di sopra della sua natura di anima, sia intelletto e come il corpo, grazie alla facoltà che viene prima del corpo, sia anima. Dunque tutte le realtà, 5 come abbiamo detto, per via dell’intermediazione tra intelletto e anima risultano dipendere dall’Uno. E l’intelletto è affine all’Uno, l’anima è affine all’intelletto, e il corpo del mondo è dotato di vita e ogni livello è unito a quello che lo precede. E fra le entità che si

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Kai; tw'n meta; tau'ta ta; me;n ejgguvteron ta; de; porrwvteron ajpolauvei tou' qeivou: kai; oJ me;n qeo;" pro; nou' th'/ noera'/ fuvsei prwvtw" ejpocouvmeno", oJ de; nou'" qeiovtato" wJ" pro; tw'n a[llwn ejkqeouvmeno", hJ de; yuch; qeiva kaq o{son th'" noera'" dei'tai mesovthto", to; de; sw'ma to; th'" toiauvth" yuch'" metevcon wJ" me;n sw'ma qei'on dhvpou kai; aujtov (dihvkei 15 ga;r a[nwqen a[cri tw'n ejscavtw" ejxhrthmevnwn hJ tou' fwto;" e[llamyi"), aJplw'" de; ouj qei'on, ajlla; yuch; tw'/ pro;" nou'n blevpein kai; par eJauth'" zh'n qeiva prwvtw" ejstivn. O aujto;" dhv moi lovgo" ejsti; kai; peri; tw'n o{lwn sfairw'n eJkavsth" kai; peri; tw'n ejn aujtai'" swmavtwn. Pavnta ga;r 20 mimei'tai to;n o{lon oujranovn, ejpeivper kai; aujta; th'" ajidivou moivra" ejstiv, kai; ta; uJpo; selhvnhn stoicei'a to; me;n pavnth/ kat oujsivan ajmetavblhton oujk e[conta, mevnonta de; kata; ta;" aujtw'n oJlovthta" ejn tw'/ panti; kai; zwv/wn o[nta periektika; merikw'n. Pa'sa ga;r oJlovth" e[cei meq eJauth;n ta;" merikw25 tevra" uJpostavsei": w{sper ou\n ejn oujranw'/ meta; tw'n o{lwn 68 sfairw'n kai; oJ tw'n a[strwn sumproh'lqen ajriqmo;" kai; w{sper ejn gh'/ meta; th'" oJlovthto" kai; zwv/wn ghi?nwn merikw'n uJfevsthke plh'qo", ou{tw" ajnagkai'on oi\mai kajn toi'" metaxu; tw'n o{lwn e{kaston stoicei'on sumpeplhrw'sqai toi'" 5 oijkeivoi" ajriqmoi'". Kai; pw'" ga;r a]n ejn toi'" a[kroi" ta; o{la meta; tw'n merw'n ejtevtakto pro; tw'n merw'n uJfistavmena, mh; kajn toi'" mevsoi" ou[sh" th'" aujth'" ajnalogiva" Eij de; eJkavsth tw'n sfairw'n kai; zw'/ovn ejsti kai; ajei; wJsauvtw" i{drutai kai; sumplhroi' to; pa'n, wJ" me;n zwh;n e[con yuch'" ajei; metevcon 10 prwvtw", wJ" de; th;n eJautou' tavxin a[trepton ejn tw'/ kovsmw/ diafulavtton uJpo; nou' sunecovmenon, wJ" de; e}n kai; o{lon tw'n oijkeivwn merw'n hJgemonou'n uJpo; th'" eJnwvsew" th'" qeiva" ejllampovmenon, ouj movnon a[ra to; pa'n ajlla; kai; e{kaston tw'n ajidivwn ejn aujtw'/ merw'n e[myucovn ejsti kai; e[nnoun, oJmoiouvmenon 15 tw'/ panti; kata; duvnamin: kai; ga;r touvtwn e{kastovn ejsti pa'n pro;" to; suggene;" aujtw'/ plh'qo". 10

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trovano dopo questi livelli alcune da più vicino, altre invece da più lontano godono della realtà divina: ed il dio che viene prima 10 dell’intelletto sormonta in modo primario il livello dell’essere intellettivo, invece l’intelletto è assolutamente divino in quanto si divinizza prima di tutto il resto, l’anima poi è divina nella misura in cui ha bisogno della mediazione intellettiva, infine il corpo che partecipa di tale anima intellettiva in quanto corpo è per certi versi divino anche esso (infatti l’irradiazione della luce perviene dall’alto fino alle entità che risultano ultime nella gradazione), 15 però non è divino in modo assoluto, ma è l’anima che, per il fatto di volgere il proprio sguardo all’intelletto e di vivere per virtù propria, è divina a titolo primario. Lo stesso identico discorso, a mio avviso, concerne anche ciascuna delle sfere celesti considerate nella loro totalità ed i corpi posti in esse. Tutti i corpi infatti imitano il cielo nella sua interezza, 20 visto che anche essi appartengono alla parte eterna , e a imitarlo sono anche gli elementi posti sotto la sfera lunare, i quali, da un lato, non hanno interamente per essenza la caratteristica dell’immutabilità, ma che, dall’altro, in base alle totalità che vengono a formare, permangono nel tutto e comprendono tutti gli esseri viventi particolari. Infatti ogni totalità include in se stessa le realtà 25 più particolari: dunque come in cielo unitamente alla totalità delle 68 sfere ha incominciato a procedere anche l’insieme degli astri, e come in terra insieme alla totalità è venuta a sussistere anche la molteplicità dei particolari esseri viventi terrestri, così, a mio giudizio, è necessario che anche nei livelli intermedi del Tutto ciascun singolo elemento sia costituito dalle serie di componenti che gli 5 sono proprie. Ed infatti in che modo nei livelli estremi gli insiemi complessivi, che pur esistono prima delle parti, sarebbero stati ordinati unitamente alle parti, se anche nei livelli intermedi non vi fosse lo stesso rapporto analogico? Se inoltre ciascuna delle sfere al contempo è vivente, permane stabilmente sempre allo stesso modo e va a completare l’universo nel suo insieme, visto che ha vita, essendo sempre partecipe primariamente dell’anima, e, d’altro canto, 10 veglia sul carattere immutabile della propria specifica collocazione nel cosmo, essendo tenuta insieme dall’intelletto, ed infine visto che è un tutt’uno che ha sovranità sulle proprie parti, essendo irradiata dall’unificazione divina, allora non solo l’universo nel suo insieme, ma anche ciascuna delle parti eterne in esso insite è dotata di anima e di intelletto, rendendosi così simile all’universo nel suo insieme entro i limiti del possibile. Ed infatti ciascuna di queste 15 parti è per intero in rapporto con la molteplicità a lei congenere.

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In ou\n sunelovnte" ei[pwmen, miva me;n hJ tou' panto;" swmatoeidh;" oJlovth", pollai; de; uJpo; tauvthn a[llai th'" mia'" tauvth" ejxecovmenai: kai; yuch; miva tou' pantov", kai; 20 meta; tauvthn a[llai sundiakosmou'sai tauvth/ ta;" o{la" merivda" ajcravntw": kai; nou'" ei|", kai; noero;" ajriqmo;" uJpo; tou'ton metecovmeno" uJpo; tw'n yucw'n touvtwn: kai; qeo;" ei|" aJpavntwn oJmou' tw'n ejgkosmivwn sunoceuv", kai; plh'qo" a[llwn qew'n tav" te noera;" oujsiva" kai; ta;" yuca;" ta;" 25 touvtwn hjrthmevna" kai; ta;" moivra" tou' kovsmou pavsa" 69 kataneimamevnwn. Ouj ga;r dhvpou tw'n me;n fuvsei gegonovtwn e{kaston tw'n oJmoivwn ejsti; gennhtikovn, ta; de; o{la kai; prwvtista tw'n ejgkosmivwn ouj pollw'/ meizovnw" th'" toiauvth" ajpogennhvsew" ejn eJautoi'" proteivnei to; paravdeigma: to; 5 ga;r o{moion tou' ajnomoivou, kaqavper dh; kai; to; taujto;n tou' qatevrou kai; to; pevra" tou' ajpeivrou, tw'/ th'" aijtiva" lovgw/ suggenevsterovn ejsti kai; kata; fuvsin prosh'kon.

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ãieVÃ Tau'ta me;n ou\n kajn toi'" u{steron di ajkribeiva" qewrhvsomen: ejpi; de; to; deuvteron trapwvmeqa tw'n ejn Novmoi" ajpodedeigmevnwn, to; tou;" qeou;" pronoei'n tw'n te o{lwn oJmou' kai; tw'n merw'n, kai; tivna peri; th'" pronoiva" tw'n qew'n ajnevlegkton e[nnoian oJ Plavtwn hJmi'n paradivdwsi tw'/ logismw'/ sunevlwmen. Oujkou'n ejk tw'n proeirhmevnwn panti; katafane;" o{ti qeoi; kinhvsew" ai[tioi pavnte" o[nte", oiJ me;n oujsiwvdei" kai; zwtikoi; kata; th;n aujtokivnhton kai; aujtovzwon kai; aujtenevrghton duvnamin, oiJ de; noeroi; kai; aujtw'/ tw'/ ei\nai ãta;Ã deuvtera pavnta pro;" th;n teleiovthta th'" zwh'" ajnegeivronte" kata; th;n phghvn te kai; ajrch;n pasw'n tw'n deutevrwn te kai; trivtwn th'" kinhvsew" proovdwn, oiJ de; eJniai'oi kai; pavnta ta; o{la gevnh ãtai'"Ã eJautw'n meqevxesin ejkqeou'nte" kata; th;n

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Dunque, per dirla in breve, una sola è la totalità di tutto ciò che è di forma corporea, mentre ve ne sono molte altre al di sotto di questa che dipendono da questa unica totalità: una sola è l’anima del tutto ed al contempo dopo questa ve ne sono altre che 20 ordinano, senza che la le contamini, insieme a questa la totalità delle parti; c’è un unico intelletto ed un insieme intellettivo ad esso subordinato e partecipato da queste anime; c’è un’unica divinità che contiene tutte quante insieme le divinità encosmiche, ed al contempo la moltitudine delle altre divinità si è divisa sia le essenze intellettive sia le anime che dipendono da queste 25 ultime sia tutte le parti del cosmo. Infatti è indubitabile che, se 69 tutte le entità che per natura sono venute all’essere sono generatrici delle loro simili, non si può negare che le entità universali, che all’interno del mondo occupano il rango più elevato, presentano esse stesse il modello di tale generazione; infatti il simile 5 rispetto al dissimile, proprio come lo sono anche l’identico rispetto al diverso ed il limite rispetto all’illimitato, è più affine alla definizione del concetto di causa ed è secondo natura ad esso appropriato.

[Come è stata dimostrata nelle “Leggi” la provvidenza degli dèi e qual è il modo di operare della loro provvidenza secondo Platone] Ebbene, tali questioni le prenderemo dettagliatamente in considerazione anche in seguito. Passiamo invece al secondo argomento tra quelli dimostrati nelle Leggi130, cioè il fatto che gli dèi si prendono provvidenzialmente cura nello stesso tempo sia del tutto che delle parti, e cerchiamo di comprendere con il ragionamento analitico quale concezione inconfutabile circa la cura provvidenziale degli dèi Platone ci trasmette. Ordunque, in base a ciò che si è detto, è per ciascuno evidente che tutti gli dèi sono cause di movimento: gli uni sono quelli dotati di una natura essenziale e vitale in virtù della potenza di avere in se stessi la causa del movimento, della vita e dell’agire; gli altri sono quelli intellettivi che con il loro stesso essere spronano le entità inferiori alla perfezione della vita, conformemente al loro ruolo di fonte e principio di tutte le processioni del movimento di secondo e terzo livello; altri ancora infine sono quelli unitari, che divinizzano tutti i generi universali rendendoli partecipi di loro stessi in virtù dell’originaria, perfet-

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100 prwtourgo;n

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kai;

pantelh'

kai;

a[gnwston

th'"

ejnergeiva"

70 duvnamin, ouj th'sde mevn eijsin hJgemovne" th'" kinhvsew" th'" de;

a[lloi" ajfei'san th;n ajrchvn, oujd au\ th;n me;n kata; tovpon h] kata; poiovthta kivnhsin corhgou'si toi'" deutevroi" th;n de; kat oujsivan h] kata; posovthta par eJautw'n e[cei ta; th'/de. 5 Pa'n ga;r to; th'" oujsiva" ai[tion eJautw'/ pollw'/ provterovn ejsti kai; tw'n ejnergeiw'n tw'n oijkeivwn kai; th'" teleiovthto" ai[tion. Eti to; aujtokivnhton pa'sivn ejstin ajrch; kinhvsew" kai; to; ei\nai toi'" ejn tw'/ kovsmw/ pa'si kai; to; zh'n ajpo; yuch'", kai; oujc hJ topikh; movnon oujde; aiJ a[llai kinhvsei", ajlla; kai; hJ eij" 10 to; ei\nai pavrodo" ajpo; tauvth", kai; pollw'/ provteron ejk th'" noera'" oujsiva", h} kai; th;n tw'n aujtokinhvtwn zwh;n eij" eJauth;n ajnedhvsato kai; prohgei'tai kat aijtivan aJpavsh" cronikh'" ejnergeiva", kai; e[ti meizovnw" ejk th'" eJniaiva" uJpavrxew", h} kai; to;n nou'n kai; th;n yuch;n sunevcei kai; plhroi' tw'n o{lwn 15 ajgaqw'n kai; proveisin a[cri tw'n ejscavtwn. Zwh'" me;n ga;r ouj pavnta ta; tou' kovsmou mevrh metevcein dunato;n oujde; nou' kai; th'" gnwstikh'" dunavmew", tou' de; eJno;" pavnta meteivlhcen a[cri th'" u{lh", tav te o{la kai; ta; mevrh tav te kata; fuvsin kai; ta; touvtoi" ejnantiva, kai; oujdevn ejstin a[moiron th'" 20 toiauvth" aijtiva" oujd a]n tou' o[nto" metavscoi tiv pote tou' eJno;" ejsterhmevnon. Eij toivnun pavnta me;n paravgousin oiJ qeoiv, pavnta de; sunevcousi tai'" eJautw'n ajgnwvstoi" periocai'", tiv" mhcanh; mh; oujci; kai; provnoian ei\nai tw'n pavntwn ejn aujtoi'" dihvkousan 25 a[nwqen a[cri tw'n merikwtavtwn Ta; ga;r e[kgona pantacou' proshvkei th'" tw'n aijtivwn ajpolauvein khdemoniva": ta; de; eJterokivnhta pavnta tw'n aujtokinhvtwn e[kgona, kai; ta; kata; 71 crovnon h] to;n o{lon h] to;n tou'de merikwvteron uJfistavmena tw'n aijwnivwn ejsti;n ajpotelevsmata, diovti to; ajei; o]n tou' pote; o[nto" ai[tion kai; ta; qei'a kai; eJniai'a gevnh tw'n peplhqusmevnwn aJpavntwn uJpostatika; prou>pavrcei kai; oujdevn ejstin 5 o{lw" oujsiw'n h] dunavmewn plh'qo" o} mh; th;n gevnesin ejk tou' eJno;" e[lace. Tau'ta toivnun pavnta kai; th'" pronoiva" ajnavgkh

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ta, inconoscibile potenza della loro attività. Non è che di questo tipo di movimento essi siano sovrani, avendo lasciato ad altri la 70 direzione di un altro tipo di movimento; né, d’altra parte, garantiscono alle entità inferiori il movimento relativo allo spazio o alla qualità, mentre le entità di questo nostro mondo hanno quello relativo all’essenza o alla quantità traendolo da se stesse. In effetti tutto ciò che è causa per se stesso della propria essenza è a mag- 5 gior ragione anche causa delle attività proprie e della propria perfezione. Ancora, ciò che si muove da sé è per ogni ente principio di movimento e l’essere ed il vivere per gli enti che sono nel cosmo vengono dall’anima, e non solo il movimento nello spazio e le altre forme di movimento, ma anche il passaggio all’esistenza viene da questa, e molto prima dal livello dell’essenza intellet- 10 tiva, la quale ha legato a sé la vita delle entità automoventesi e al contempo le guida come causa di ogni forma di attività che avviene nel tempo, ed ancora di più viene dalla realtà dell’Uno, la quale tiene insieme sia l’intelletto sia l’anima e li colma di tutti i beni nella loro totalità e procede fino agli ultimi gradi dell’esse- 15 re. Infatti non è possibile che tutte le parti dell’universo partecipino di vita né di intelletto che implica la facoltà conoscitiva, però tutte, fino alla materia, abbiano avuto in sorte la partecipazione dell’Uno, tanto la totalità come le parti, tanto gli esseri naturali quanto quelli ad essi contrari, e non v’è nulla che sia senza una parte di tale causa né mai alcunché potrebbe essere 20 partecipe dell’essere se fosse stato privato dell’unità. Se pertanto gli dèi producono ogni entità, e se d’altra parte mantengono insieme ogni entità comprendendola in se stessi in modo inconoscibile, come potrebbe mai essere possibile che in essi non vi sia la cura provvidenziale per tutte le entità, la quale si diffonde dall’alto fino alle entità più particolari? In effetti in ogni ambito di realtà conviene che le entità generate traggano vantag- 25 gio dalla sollecitudine da parte delle proprie cause; d’altra parte tutte le entità che sono mosse da altro sono generate da quelle automoventesi; dal canto loro, quelle che sussistono in base al tempo, o a quello universale o a quello più particolare rispetto 71 al primo, sono effetti delle entità eterne, poiché ciò che è eterno è causa di ciò che esiste in un determinato momento; e i generi divini e unitari preesistono come fondamenti del sussistere di tutte le entità soggette a moltiplicarsi, e in generale non v’è nessuna molteplicità di esseri o di potenze che non abbia 5 ricevuto la propria generazione dall’Uno. Pertanto è necessario che tutte queste entità ricevano la cura provvidenziale delle

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tugcavnein tw'n prohgoumevnwn aijtivwn, zwopoiouvmena me;n ejk tw'n yucikw'n qew'n kai; kata; ta;" cronika;" periovdou" ajnakuklouvmena, tou' de; ei\nai kai; th'" oujsiva" ejk tw'n noerw'n 10 ajpoplhrouvmena kai; taujtovthto" oJmou' kai; th'" monivmou tw'n eijdw'n katastavsew" metalagcavnonta, th'" de; eJnwvsew" kai; tou' mevtrou kai; th'" tou' ajgaqou' dianomh'" ejk tw'n prwtivstwn qew'n katadecovmena th;n eij" aujta; parousivan. Anavgkh toivnun h] ginwvskein tou;" qeou;" o{ti kata; fuvsin 15 ejsti;n aujtoi'" hJ tw'n oijkeivwn gennhmavtwn provnoia kai; to; mh; movnon uJfistavnein ta; deuvtera kai; zwh;n corhgei'n kai; oujsivan kai; e{nwsin ajlla; kai; tw'n ajgaqw'n tw'n ejn touvtoi" proeilhfevnai th;n prwtourgo;n aijtivan, h] to; prosh'kon aujtou;" qeou;" o[nta", o} mhde; qevmi" eijpei'n, ajgnoei'n. Poiva ga;r a[gnoia 20 tw'n kalw'n para; toi'" th'" kallonh'" aijtivoi" h] tw'n ajgaqw'n para; toi'" ejn th'/ tou' ajgaqou' fuvsei th;n u{parxin ajfwrismevnhn lacou'sin All eij me;n ajgnoou'sin, ou[te kata; nou'n aiJ yucai; podhgou'si to; pa'n ou[te nove" eijsi;n ejpibateuvonte" tai'" yucai'" ou[te pro; touvtwn aiJ tw'n qew'n eJnavde" 25 ta;" aJpavsa" gnwvsei" ejn aujtoi'" sunh/rhvkasin, a} dh; dia; tw'n e[mprosqen ajpodeivxewn hJmei'" wJmologhvkamen. Eij de; ginwvs72 kousi, patevre" o[nte" tw'n ejn tw'/ kovsmw/ pavntwn kai; hJgemovne" kai; a[rconte", wJ" toiouvtoi" ou\sin aujtoi'" hJ tw'n ajrcomevnwn kai; eJpomevnwn kai; genomevnwn par aujtw'n ejpimevleia proshvkei, povteron aujtou;" kai; duvnasqai ginwvs5 konta" to;n kata; fuvsin novmon ajpoplhrou'n fhvsomen h] di ajsqevneian th'" pronoiva" parh/rh'sqai tw'n oijkeivwn ei[te bouvlei kthmavtwn ei[te gennhmavtwn levgein Oujde;n hJmei'" ge dioisovmeqa pro;" to;n parovnta lovgon. Eij me;n ga;r ajdunatou'nte" th'" tw'n o{lwn khdemoniva" ajpoleivpontai, tiv 10 to; th'" ajdunamiva" tauvth" ai[tion Ouj ga;r e[xwqen ta; pravgmata kinou'sin oujd a[lloi mevn eijsin ai[tioi th'" oujsiva" aujtoi; de; th;n hJgemonivan pareilhvfasin w|n ejkei'noi parhvgagon, ajll oi|on ejk pruvmnh" ta; pavnta kateuquvnousin, aujtoi; to; ei\nai corhgou'nte", aujtoi; ta; th'" zwh'" katevconte", aujtoi; ta; th'" ejnergeiva" eJkavstoi" 15 mevtra

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cause che sono loro superiori, da un lato rese vive da parte degli dèi appartenenti al livello dell’anima e fatte ruotare ciclicamente sulla base dei movimenti circolari temporali, dall’altro ricol- 10 mate dell’essere e dell’essenza da parte degli dèi intellettivi e compartecipando al contempo dell’identità e della costante stabilità propria delle Forme, ed inoltre accogliendo il manifestarsi in loro stesse dell’unità, della giusta misura e della parte di bene loro attribuita. Pertanto è necessario o che gli dèi sappiano che per natura ad essi pertiene la cura provvidenziale delle specifiche entità da loro 15 generate, e non solo il far sussistere le realtà seconde e garantire ad esse la vita, l’essenza e l’unità, ma anche l’aver precompreso la causa originaria dei beni insiti in tali realtà, oppure che essi ignorino il proprio compito in quanto dèi, il che non è neppure lecito dire. In effetti che forma di ignoranza delle cose 20 belle presso coloro che sono cause della bellezza, oppure quale ignoranza dei beni in coloro ai quali è toccata l’esistenza circoscritta entro la natura del Bene? Ma se essi ignorano il loro dovere, allora le anime non “guidano passo per passo” il Tutto secondo intelletto, né vi sono intelletti che siano superiori alle anime, né prima di questi le enadi degli dèi hanno raccolto in essi tutte quante le conoscenze: si tratta cioè di 25 quelle considerazioni su cui, attraverso le precedenti dimostrazioni131, noi abbiamo convenuto. Se d’altra parte sanno, in quanto sono “padri” di tutte le entità insite nel cosmo e “guide” 72 e “capi”, che, in quanto tali, ad essi compete la cura verso le entità che sono sotto la loro diretta supremazia, verso quelle che seguono e verso quelle che sono nate da queste, diremo che essi sono anche in grado, conoscendola, di portare a compimento la 5 legge secondo natura, oppure che a causa di debolezza essi si trovano nell’incapacità di esercitare la loro provvidenza sui loro propri possessi o produzioni, a seconda della parola che si vuole impiegare? Noi, per lo meno, non ci discosteremo in nulla rispetto al presente ragionamento. In effetti se, per impotenza, fanno venir meno la loro cura nei riguardi della totalità dell’universo, qual è il motivo di questa impotenza? Infatti non è dall’esterno 10 che fanno muovere la realtà, né sono altri i principi causali dell’essenza, mentre gli dèi, dal canto loro, avrebbero ricevuto il governo delle realtà che questi principi causali hanno prodotto, ma al contrario gli dèi per così dire “dalla poppa conducono”132 tutte le entità, dirigendone loro stessi l’essere, delimitando essi 15 stessi le misure della vita e distribuendo essi stessi a ciascuna quel-

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dianevmonte". Kai; povteron ajdunatou'sin aJpavntwn oJmou' pronoei'n h] kai; tw'n merw'n e{kaston ªoujkº a[moiron ajfei'san th'" eJautw'n ejpistasiva" Kai; eij mh; pavntwn tw'n ejn tw'/ kovsmw/ eijsi; khdemovne", povteron tw'n me;n meizovnwn promh20 qou'ntai tw'n de; ejlattovnwn ajmelou'sin h] tw'n me;n ejlattovnwn khvdontai tw'n de; meizovnwn th'" ejpimeleiva" ajfesthvkasin Eij me;n ga;r oJmoivw" aJpavntwn di ajdunamivan th'" pronoiva" aujtou;" ajfairhvsomen, pw'" to; mei'zon aujtoi'" ajpodovnte", to; pavnta paravgein, to; tw'/de kata; fuvsin eJpovmenon, to; 25 pronoei'n tw'n uJpostavntwn, ouj sugcwrhvsomen dunavmew" 73 ga;r th'" to; mei'zon poiouvsh" kai; to; e[latton katorqou'n. Eij de; tw'n me;n ejlattovnwn ejpimelhvsontai tw'n de; meizovnwn ajmelhvsousi, pw'" oJ trovpo" ou|to" th'" pronoiva" ojrqo;" a]n ei[h Panti; ga;r to; suggenevsteron kai; oJmoiovteron ma'llovn 5 ejsti pro;" th;n metousivan w|n aujtw'/ divdwsin ajgaqw'n oijkei'on kai; kata; fuvsin prosh'kon. Eij de; ta; me;n prwvtista tw'n ejgkosmivwn pronoiva" ajxiou'si kai; th'" par eJautw'n teleiwvsew", mevcri de; tw'n ejscavtwn cwrei'n ajdunathvsousin, tiv to; diei'rgon e[stai th;n ejpi; pavnta parousivan tw'n qew'n 10 Tiv to; diakovpton th;n a[fqonon ejnevrgeian aujtw'n Pw'" de; oiJ ta; meivzw dunhqevnte" tw'n ejlattovnwn kratei'n ajsqenou'sin H pw'" th;n oujsivan kai; tw'n ejlacivstwn paravgonte" th'" teleiovthto" aujtw'n di ajdunamivan oujk e[sontai kuvrioi Tau'ta ga;r pavnta pro;" ta;" kata; fuvsin hJmw'n ejnnoiva" Leivpetai toivnun aujtou;" kai; ginwvskein to; 15 diamavcetai. prosh'kon kai; duvnamin e[cein eij" th;n tou' prevponto" aujtoi'" schvmato" teleiovthta kai; th;n tw'n o{lwn hJgemonivan. Eij de; kai; ginwvskousi to; kata; fuvsin, tou'to dev ejsti toi'" ta; pavnta gennhsamevnoi" tw'n pavntwn khvdesqai, kai; dunavmew" 20 periousiva/ th'" toiauvth" ouj parhv/rhntai khdemoniva", ªkai;º povteron oJmou' toi'" eijrhmevnoi" kai; bouvlhsiv" ejsti th'" pronoiva" ejn aujtoi'" h] tou'to movnon ejlleivpei th'/ te gnwvsei kai; th'/ dunavmei, kai; dia; tou'to ta; pravgmata th'" par aujtw'n

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le dell’attività. E non sono in grado di prendersi cura nello stesso tempo di tutte quante le entità, oppure anche ciascuna delle parti di esse hanno lasciato priva della loro sopraintendenza? E se non sono protettori di tutte le entità presenti nell’universo, in tal caso si prendono cura di quelle più importanti, mentre trascurano 20 quelle meno rilevanti, oppure si prendono cura di quelle meno rilevanti, ma hanno rinunziato ad occuparsi di quelle più importanti? In effetti se toglieremo loro per impotenza la cura provvidenziale in egual modo per tutte quante le entità, come, dopo aver attribuito ad essi il ruolo più importante, quello cioè di produrle tutte, potremo non accordare quello che dal punto di vista naturale viene immediatamente dopo questo, cioè il ruolo di provve- 25 dere alle entità che sono venute a sussistere? Infatti alla potenza che determina la cosa più importante appartiene anche riuscire in 73 quella meno importante. Ma se si prenderanno cura delle entità meno importanti, però trascureranno quelle più importanti, come potrebbe essere questo un modo appropriato di esercitare la cura provvidenziale? In effetti, per ogni entità, ciò che risulta a lei più affine e più simile è più appropriato e più adatto per natura a 5 compartecipare di quei beni che le offre. D’altra parte, se le primissime fra le realtà encosmiche le giudicano degne di cura provvidenziale e della perfezione che proviene da loro stessi, mentre non potranno procedere fino alle ultime, cosa è ciò che impedisce il manifestarsi degli dèi in tutte le entità? Cosa è ciò che 10 interrompe la loro copiosa attività? In che modo poi quelli che sono stati capaci delle cose più importanti sono impotenti nel dominare su quelle inferiori? Oppure in che modo, considerato che introducono anche l’essenza delle entità inferiori, per impotenza non saranno signori della perfezione di queste ultime? In effetti tutte queste considerazioni sono in conflitto con le nostre comuni nozioni naturali. Pertanto rimane come unica possibilità 15 che essi conoscano ciò che loro si confà ed abbiano potere nei riguardi della perfezione della forma che ad essi conviene nella direzione di tutte le entità nel loro insieme. D’altra parte se conoscono anche ciò che è conforme a natura, e d’altro canto questo per coloro che hanno generato tutte le cose significa prendersi cura di tutte, e se per via di sovrabbondanza di potenza non sono 20 stati deprivati della possibilità di esercitare tale forma di cura, allora delle due l’una: insieme alle caratteristiche menzionate v’è in essi anche la volontà di esercitare la loro cura provvidenziale, oppure questo solo manca alla loro conoscenza ed anche alla loro potenza; ma allora è forse per questo che le cose dipendono dalla

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ajph/wvrhtai khdemoniva" Eij me;n ga;r kai; ginwvskonte" ta; proshvkonta sfivsin aujtoi'" kai; dunavmenoi ta; gnwsqevnta plhrou'n ouj bouvlontai promhqei'sqai tw'n oijkeivwn gennhmavtwn, ajgaqovthto" a]n ei\en ejndeei'" kai; to; a[fqonon aujtw'n 74 oijchvsetai kai; oujde;n ajll h] th;n u{parxin ajnairhvsomen kaq h}n oujsivwntai. Tw'/ ga;r ajgaqw'/ to; ei\nai tw'n qew'n ajfwvristai kai; ejn touvtw/ th;n uJpovstasin e[cousin oiJ qeoiv, to; de; pronoei'n tw'n uJfeimevnwn ajgaqou' tinov" ejstin aujtoi'" 5 metadidovnai: pw'" ou\n ajfairouvmenoi th'" pronoiva" tou;" qeou;" oujc a{ma kai; th'" ajgaqovthto" aujtou;" ajfairhvsomen Pw'" de; th;n ajgaqovthta saleuvonte" oujci; kai; th;n u{parxin aujtw'n, h}n katedhsavmeqa tai'" e[mprosqen ajpodeivxesin, ajnairou'nte" lanqavnomen Anavgkh toivnun tw'/ me;n ei\nai 10 tou;" qeou;" kai; to; ajgaqou;" ei\nai pa'san ajreth;n sunakolouqei'n, touvtw/ de; au\ to; mhvte rJaqumiva/ mhvte ajsqeneiva/ mhvte ajgnoiva/ th'" tw'n deutevrwn pronoiva" ajpostatei'n, touvtw/ de; oi\mai kai; to; gnw'sin ei\nai par aujtoi'" th;n ajrivsthn kai; duvnamin a[cranton kai; bouvlhsin a[fqonon: ejx w|n dh; kai; 15 pronoou'nte" tw'n o{lwn kai; mhde;n ejlleivponte" eij" th;n tw'n ajgaqw'n corhgivan pefhvnasi. Kaiv moi mhdei;" th;n toiauvthn provnoian h] katateivnein peri; ta; deuvtera tou;" qeou;" hJgeivsqw kai; th'" ejxh/rhmevnh" aujtou;" ãajfairei'nà uJperoch'" h] pragmateiwvdh kai; ejpivponon 20 aujtoi'" to;n bivon poiei'n, povrrw th'" qnhth'" duscereiva" iJdrumevnoi". Ouj ga;r ejqevlei craivnesqai to; makavrion aujtw'n th'/ duskoliva/ th'" dioikhvsew", ejpei; kai; toi'" par hJmi'n ajgaqoi'" meta; rJa/stwvnh" oJ bivo" kai; ajpravgmwn kai; a[lupo", pavnte" de; oiJ povnoi kai; ta; th'" ojclhvsew" ejk tw'n th'" u{lh" 25 ejmpodivwn. All eij dei' to;n trovpon ajforivsasqai th'" tw'n qew'n pronoiva", aujtofuh' kai; a[cranton aujto;n kai; a[ulon kai; a[rrhton uJpoqetevon. Ouj ga;r zhtou'nte" to; prosh'kon oujde; 75 logismoi'" ajmfibovloi" to; ajgaqo;n eJkavstou qhreuvonte" oujde; e[xw blevponte" kai; ejpakolouqou'nte" toi'" ajpotelevsmasin, w{sper a[nqrwpoi poiou'sin ejn th'/ pronoiva/ tw'n oijkeivwn pragmavtwn, ou{tw dh; kai; oiJ qeoi; ta; pavnta kubernw'sin: 25

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cura che da essi proviene? In effetti se, pur conoscendo i loro pro- 25 pri doveri ed essendo in grado di portare a compimento le loro cognizioni, non volessero provvedere alle entità da loro stessi generate, sarebbero mancanti di bontà e la loro generosità scom- 74 parirebbe e così finiremmo per eliminare il fondamento essenziale del loro essere. Infatti è dal Bene che l’essere degli dèi risulta determinato ed in questo gli dèi hanno il loro fondamento; d’altro canto il prendersi provvidenzialmente cura delle entità sottoposte è per essi rendere partecipe di un determinato bene. Come dun- 5 que faremo, privando gli dèi della cura provvidenziale, a non privarli anche della bontà? In che modo poi può non sfuggirci che, facendo vacillare la bontà, li priviamo anche della loro esistenza, che abbiamo strettamente vincolato alle precedenti dimostrazioni? Pertanto nel fatto che gli dèi esistono anche il loro essere 10 “buoni” in rapporto ad “ogni tipo di virtù” risulta necessariamente implicito; in ciò poi a sua volta il fatto che né per noncuranza, né per debolezza né per ignoranza rinunciano al prendersi provvidenzialmente cura delle realtà inferiori, in ciò poi, a mio giudizio, anche il fatto che presso di loro v’è la migliore conoscenza ed una potenza incontaminata e una volontà copiosa: proprio in base a tali considerazioni risulta manifesto sia che essi si 15 prendono provvidenzialmente cura di tutte le entità nel loro insieme sia che in nulla sono manchevoli in rapporto alla elargizione dei beni. E nessuno, mi raccomando, finisca con il credere che una provvidenza di tale natura o spinga gli dèi verso le realtà inferiori o che li privi della loro trascendente superiorità, oppure renda 20 penosa e faticosa la vita ad essi, che sono posti lontano dalle difficoltà dei mortali. Infatti la loro beatitudine non si adatta a contaminarsi con le difficoltà del governare, dato che anche tra quelli che presso di noi sono beni insieme alla tranquillità rientra la vita priva di preoccupazioni ed anche di afflizioni, mentre tutti gli affanni e le ansie sono originati dagli ostacoli appartenenti alla realtà materiale. Ma se occorre definire la forma della cura prov- 25 videnziale degli dèi, si deve partire dal presupposto che essa è spontanea, incontaminata, immateriale ed ineffabile. Infatti non è ricercando ciò che conviene, né “cercando di scovare il bene”133 75 di ciascuna realtà con ragionamenti incerti, né osservando dal di fuori e cercando di seguire gli influssi degli astri, come fanno gli uomini nel prendersi cura dei propri affari, non è in modo simile che gli dèi governano tutte le realtà nel loro insieme:

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ajll ejn eJautoi'" ta; mevtra tw'n o{lwn proeilhfovte" kai; ta;" oujsiva" eJkavstwn ajf eJautw'n paravgonte" kai; eij" eJautou;" blevponte" aujtw'/ tw'/ ei\nai podhgetou'sin ajyovfw/ keleuvqw/ ta; pavnta kai; teleiou'si kai; plhrou'si tw'n ajgaqw'n. Kai; ou[te th'/ fuvsei paraplhsivw" poiou'nte" tw'/ ei\nai movnon 10 ajproairevtw" ejnergou'sin ou[te tai'" merikai'" yucai'" oJmoivw" meta; boulhvsew" ejnergou'nte" th'" kat oujsivan poihvsew" ejstevrhntai, sunh/rhvkasi de; a[mfw kata; mivan e{nwsin, kai; bouvlontai me;n o{sa tw'/ ei\nai duvnantai, tw'/ de; ei\nai pavnta kai; dunavmenoi kai; poiou'nte" ajfqovnw/ boulhvsei th;n th'" 15 poihvsew" aijtivan sunevcousin. Tiv" ou\n pragmateiva Poiva duscevreia Tivno" Ixivono" divkhn h] tw'n o{lwn yucw'n h] tw'n noerw'n oujsiw'n h] tw'n qew'n aujtw'n th;n provnoian ejpitelei'sqai fhvsei ti" Eij mh; kai; aujto; to; didovnai kai; oJpwsou'n to; ajgaqo;n ejpivponon toi'" qeoi'". Alla; oujdeni; to; kata; fuvsin 20 ejpivponon: ou[te ga;r puri; to; qermaivnein ou[te ciovni to; yuvcein ou[te o{lw" toi'" swvmasi to; kata; ta;" oijkeiva" dunavmei" ejnergei'n: ajll oujde; pro; tw'n swmavtwn tai'" fuvsesi to; trevfein h] genna'n h] au[xein (tau'ta ga;r e[rga tw'n fuvsewn): oujde; au\ pro; touvtwn tai'" yucai'", kai; ga;r au|tai polla; 25 me;n ejk proairevsew" ejnergou'si polla; de; aujtw'/ tw'/ ei\nai 76 kai; kinou'si polla;" kinhvsei" tw'/ parei'nai movnon. Wst eij me;n kata; fuvsin toi'" qeoi'" hJ tou' ajgaqou' metavdosi" kai; hJ provnoia kata; fuvsin, kai; tau'ta meta; rJa/stwvnh" kai; aujtw'/ tw'/ ei\nai movnon para; tw'n qew'n ejpitelei'sqai fhvsomen: eij de; 5 tau'ta mh; kata; fuvsin, oujd a]n ajgaqoi; kata; fuvsin ei\en. To; ga;r ajgaqo;n ajgaqou' parektikovn, kaqavper dh; kai; hJ zwh; zwh'" a[llh" uJpostatikh; kai; oJ nou'" noera'" ejllavmyew" kai; pa'n to; prwvtw" o]n ejn eJkavsth/ fuvsei tou' deutevrw" o[nto" gennhtikovn. O de; mavlista th'" Platwnikh'" ejsti; qeologiva" ejxaivreton 10 tou'to e[gwge ei\naiv fhmi, to; mhvte th;n ejxh/rhmevnhn oujsivan tw'n qew'n ejpistrevfein eij" ta; deuvtera dia; th;n tw'n kata5

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ma essi, avendo come preconoscenza in se stessi la misura di tutte 5 le entità nel loro insieme, introducendo essi stessi direttamente le essenze di ciascuna e guardando a se stessi, proprio per il fatto di esistere guidano passo per passo «su un cammino silenzioso»134 l’insieme di tutte le entità e le portano a compimento e le colmano dei beni. E non agiscono in modo simile alla natura cioè senza uno specifico intendimento quando, per il solo fatto di essere, producono, né allo stesso modo, quando agiscono sulle anime 10 individuali con una precisa volontà, sono privi della attività conforme alla essenza, ma essi hanno raccolto entrambi gli aspetti in base ad una sola unificazione, e da un lato vogliono tutto ciò che possono per il fatto stesso di essere, dall’altro, in quanto, per il fatto stesso di essere, possono ed al contempo producono tutte le cose, combinano la causa della loro azione produttiva ad 15 una volontà generosa. Quale fatica è dunque la loro? Quale la difficoltà? In guisa di quale Issione135 si dirà che viene messa in atto la cura provvidenziale o della totalità delle anime o delle essenze intellettive o degli dèi stessi? A meno che il fatto stesso di fornire, ed in un qualunque modo, il bene non sia una fatica per gli dèi. Ma per nessuna entità ciò che è conforme a natura è una fatica: né 20 infatti lo è per il fuoco lo scaldare né per la neve il rendere freddo né, in generale, per i corpi l’agire in base alle proprie specifiche facoltà. Ma, ad un livello superiore rispetto ai corpi, non è per le forze della natura nutrire o generare o far crescere le diverse specie della natura (questi infatti sono compiti propri delle forze della natura); né ad un livello a sua volta superiore rispetto a queste ultime è una per le anime: ed infatti queste compiono sì molte azioni per deliberazione preliminare, 25 ma molte per il fatto stesso di essere e fanno compiere molti movi- 76 menti per il solo fatto di essere presenti. Sicché se conforme a natura è per gli dèi l’elargizione del bene ed è conforme a natura la cura provvidenziale, diremo che anche queste azioni vengono compiute da parte degli dèi con facilità e proprio per il solo fatto di essere; se però queste loro attività non fossero conformi a natu- 5 ra, non sarebbero neppure buoni secondo natura. Infatti il Bene è fonte di bene, proprio come la Vita fa sussistere altra vita e l’Intelletto è generatore dello splendore intellettivo, e tutto ciò che è in modo primario è generatore in ciascuna specie di ciò che è in modo derivato. D’altra parte ciò che è particolarmente straordinario della teo- 10 logia platonica, io personalmente dico che è questo: il fatto che non fa rivolgere l’essenza trascendente degli dèi verso le realtà

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deestevrwn ejpimevleian mhvte th;n pronohtikh;n ejpi; pavnta parousivan ejlattou'n dia; th;n tw'n o{lwn a[cranton aujtw'n 15 uJperochvn, ajll oJmou' me;n aujtoi'" to; cwristo;n th'" uJpostavsew" ajpodidovnai kai; to; ajmige;" pro;" a{pasan th;n ceivrona fuvsin, oJmou' de; to; diatei'non eij" a{panta kai; khdemoniko;n kai; diakosmhtiko;n tw'n oijkeivwn gennhmavtwn. Ouj ga;r swmatiko;" oJ th'" dihvxew" trovpo", w{sper oJ tou' fwto;" dia; 20 tou' ajevro", oujde; meristo;" peri; toi'" swvmasin, w{sper ejpi; th'" fuvsew", oujde; ejpistrefovmeno" eij" ta; ceivrona, kaqavper oJ th'" merikh'" yuch'", ajlla; swvmato" cwristov", ajnepivstrofo", a[ulo", ajmighv", a[sceto", eJnoeidhv", prwtourgov", ejxh/rhmevno", toiou'tov" ti" oJ th'" pronoiva" tw'n qew'n trovpo", 25 wJ" sunelovnti favnai, prov" ge to; paro;n noeivsqw. dh'lon ga;r o{ti kaq eJkavsthn tavxin qew'n oijkei'o" e[stai: kai; ga;r yuch; me;n a[llw" pronoei'n levgetai tw'n deutevrwn, nou'" de; a[llw", qeo;" de; oJ pro; nou' kai; kaq uJperoch;n touvtwn 77 ajmfotevrwn: kai; tw'n qew'n aujtw'n a[llh me;n hJ tw'n uJpo; selhvnhn, a[llh de; hJ tw'n ejn oujranw'/ provnoia, kai; tw'n ejpevkeina tou' kovsmou pollai; me;n aiJ tavxei", kaq eJkavsthn de; oJ trovpo" th'" promhqeiva" ejxhvllaktai. 5

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iıV To; dh; trivton ejpi; touvtoi" tw'n problhmavtwn toi'" e[mprosqen katadhswvmeqa, kai; qewrhvswmen o{pw" to; a[trepton ejpi; tw'n qew'n paralhyovmeqa pavnta kata; divkhn ajgovntwn kai; mhd oJpwstiou'n to;n o{ron tauvth" saleuovntwn mhde; th'" ojrqovthto" th'" ajklinou'" ejn th'/ pronoiva/ tw'n te a[llwn aJpavntwn kai; dh; kai; tw'n ajnqrwpivnwn ejxistamevnwn. Panti; dh; ou\n tou'tov ge oi\mai katafane;" o{ti to; a[rcon eJkastacou' kata; fuvsin e[con th'" tw'n ajrcomevnwn eujdaimoniva"

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seconde per via della cura delle entità inferiori, né diminuisce la presenza provvidenziale in tutte le realtà per via della loro superiorità incontaminata da tutte le realtà nel loro insieme; ma attri- 15 buisce ad essi anche la separatezza della loro sussistenza e la non mescolanza rispetto a tutta quanta la realtà naturale inferiore, e nello stesso tempo anche la sollecitudine verso tutte quante le realtà, provvida e regolatrice delle corrispettive specifiche generazioni. Infatti non è corporeo il loro modo di essere pervasivi, come ad esempio quello della luce attraverso l’aria, né è diviso nei 20 corpi, come, per esempio, vale per la natura, né è rivolto alle realtà inferiori, come quello dell’anima particolare, ma è separato dal corpo, non è suscettibile di invertire direzione, è immateriale, non mescolato, è senza relazione, è uni-forme, originario, trascendente: ecco all’incirca come si deve concepire, almeno per il momento, il modo, per dirla in breve, in cui gli dèi esercitano la loro cura 25 provvidenziale. È evidente in effetti che sarà specifico a seconda di ciascun grado della gerarchia degli dèi. Ed infatti si dice che l’anima provveda alle realtà seconde in un determinato modo, in un modo diverso invece l’intelletto, e dal canto suo la divinità, che è superiore all’intelletto, in ragione di quella trascendenza che possiede sull’anima e insieme sull’intelletto. E tra le divinità stesse una è la cura 77 provvidenziale esercitata da quelle poste sotto la sfera lunare, un’altra è quella delle divinità poste nel cielo, e di quelle poste al di là del cosmo molti sono gli ordinamenti, e d’altro canto in base a ciascun ordinamento il loro modo di esercitare la provvidenza risulta differente. 16 [Attraverso quali argomentazioni nella medesima trattazione è stato mostrato che gli dèi esercitano in modo immutabile la loro provvidenza] Il terzo problema oltre a questi lo collegheremo alle considerazioni precedenti, ed esamineremo in che modo potremo comprendere l’immutabilità presso gli dèi, «che tutto reggono secondo giustizia»136, e che né in modo alcuno il limite di essa fanno vacillare, né si allontanano dalla corretta direzione nella cura provvidenziale di tutte le altre realtà ed in particolare degli uomini. Ebbene, almeno questo, a mio giudizio, risulta per ciascuno evidente, cioè che in ogni caso ciò che governa, quando è confor-

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to;n suvmpanta lovgon poiouvmenon, tauvth/ ãto;Ã dioikouvmenon podhgetei' kai; kateuquvnei pro;" to; a[riston. Ou[te ga;r a]n kubernhvth" nautw'n a[rcwn kai; new;" a[llo ti prohgouvmenon scoivh tevlo" h] th;n tw'n ejmpleovntwn kai; tou' skavfou" swthrivan, ou[te ijatro;" nosouvntwn ejpimelhth;" w]n a[llou dhv tino" e{neka pavnta pravttein ejpiceirei', ka]n tevmnein devh/ ka]n 20 farmakeuvein, h] th'" uJgeiva" tw'n pronooumevnwn, ou[te strathgo;" h] fuvlax pro;" a[llo blevpein fhvseien a]n tevlo" h] oJ me;n th;n tw'n frouroumevnwn oJ de; th;n tw'n strathgoumevnwn ejleuqerivan: oujd a[llo" oujdei;" tw'n hJgei'sqai kai; pronoei'n tetagmevnwn wJntinwnou'n ajnatrevpein spoudavzei to; 78 tw'n eJpomevnwn ajgaqovn, ejf w|/ tevtaktai kai; ou| stocazovmeno" a{panta ta; tw'n ajrcomevnwn diativqhsi deovntw". Eij toivnun kai; tou;" qeou;" hJgemovna" ei\nai tw'n o{lwn sugkecwrhvkamen kai; th;n provnoian aujtw'n ejpi; pavnta diateivnein ajgaqw'n 5 o[ntwn kai; pa'san ajreth;n ejcovntwn wJmologhvkamen, tiv" mhcanh; th'" tw'n pronooumevnwn aujtou;" eujdaimoniva" ajmelei'n H pw'" tw'n a[llwn hJgemovnwn e[latton e{xousin ejn th'/ pronoiva/ tw'n katadeestevrwn, ei[per oiJ me;n ajei; pro;" to; bevltiston tw'n ajrcomevnwn ajpoblevpousi kai; tou'to tevlo" 10 tivqentai th'" sumpavsh" hJgemoniva", oiJ de; parorw'si to; ajgaqo;n to; tw'n ajnqrwvpwn kai; kakivan ajreth'" ma'llon ajspavzontai toi'" tw'n mocqhrw'n paratrepovmenoi dwvroi" Pavntw" ei[te hJgemovna" aujtou;" ei[te a[rconta" ei[te fuvlaka" ei[te patevra" ejqevlei" kalei'n, oujdeno;" tw'n toiouvtwn ojno15 mavtwn ejndee;" to; qei'on fanhvsetai. Pavnta gavr ejstin ejn ejkeivnoi" ta; semna; kai; tivmia prwvtw": kai; dia; tou'to dhvpou kajntau'qa semnovtera kai; timiwvtera kata; fuvsin a[llwn a[lla, diovti dh; tw'n qew'n ejscavthn ajpeikasivan fevretai. Kai; tiv dei' levgein Par aujtw'n ga;r oi\mai tw'n ta; qei'a sofw'n patrite dunavmei" kai; frourhtika;" kai; hJgemonika;" 20 kav" kai; paiwneivou" uJmnhmevna" ajkouvomen. Tiv" ou\n mhcanh; ta; me;n ei[dwla tw'n qew'n kata; fuvsin e[conta tou' proshvkonto" aujtoi'" stocazovmena tevlou" th'" tw'n ajrcomevnwn eujqhmosuvnh" pronoei'n, aujtou;" de; tou;" qeouv", par oi|" to; o{lon 25 ajgaqo;n kai; hJ o[ntw" ou\sa ajreth; kai; oJ ajphvmwn bivo", mh; pro;" th;n tw'n ajnqrwvpwn ajrethvn te kai; kakivan kateuquvnein 79 th;n hJgemonivan kai; o{pw" nikw'san me;n ajreth;n ejn tw'/ 15

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me a natura, tiene complessivamente conto della felicità di chi è governato, in modo tale che guida passo per passo e indirizza 15 verso il meglio ciò che viene governato. Ed in effetti neppure un nocchiero governando i marinai e la nave non potrebbe avere un altro obiettivo più importante della salvezza della ciurma e dello scafo; e un medico, occupandosi dei malati, certamente per nessun altro scopo tenta di tutto, sia che debba operare sia che debba somministrare medicinali, solo per la salute di coloro di cui si 20 prende cura; né un generale o un custode direbbe di avere di mira altro che non sia da una lato la libertà di coloro su cui vigila, dall’altro quella dei propri soldati137. E nessun altro di coloro che sono preposti a guidare ed a provvedere si adopera per rovesciare in un modo qualunque il bene di coloro che egli comanda: a 78 questo bene è stato preposto ed è mirando ad esso che egli tratta in modo conveniente tutto ciò che pertiene a coloro che gli sono sottoposti. Se dunque abbiamo convenuto che gli dèi sono guide di tutte le realtà nel loro insieme, e se al contempo abbiamo riconosciuto che in ogni ambito si estende la cura provvidenziale degli dèi che sono buoni e posseggono “ogni virtù”, che modo hanno 5 essi di non prendersi cura della felicità di coloro che sono oggetto della loro cura provvidenziale? O come potranno essere inferiori a tutte le altre guide nel prendersi provvidenzialmente cura degli esseri a loro subordinati, se è vero che gli dèi volgono sempre l’attenzione a ciò che è meglio per coloro che sono loro sottoposti e ciò pongono a fine di tutto il loro potere di comando, men- 10 tre quegli altri non vedono il bene degli uomini e amano il vizio più della virtù, venendo corrotti dai doni dei malvagi? Assolutamente che li si voglia chiamare “guide” o “governanti” o “custodi” o “padri”, di nessuno di tali nomi la divinità risulterà priva. 15 Infatti tutto ciò che v’è di venerando e degno di onore si trova a livello primario in essi. Ed è per questo che a mio avviso anche in questo nostro mondo vi sono realtà che per natura sono più venerande e degne di onore di altre, proprio perché recano in sé una lontana immagine degli dèi. E che cosa bisogna dire? Presso gli esperti stessi della realtà divina in effetti sentiamo lodare “le po- 20 tenze paterne”, “custodi”, “sovrane” e “guaritrici”. Dunque come può essere possibile che le entità che sono, nella loro condizione naturale, immagini degli dèi, mirando al fine che ad essi si addice, provvedano all’ordine delle entità che sono loro sottoposte, mentre gli dèi stessi, presso i quali si trova il bene nella sua interezza, 25 l’autentica virtù e l’esistenza prospera, non indirizzino verso la virtù ed anche la malvagità umana la loro attività di guide appun- 79

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panti; kakivan de; hJttwmevnhn parevxousin, ajlla; tai'" tw'n mocqhrw'n qerapeivai" diafqeivrein me;n ta; mevtra th'" divkh", ajnatrevpein de; to;n th'" ajklinou'" ejpisthvmh" o{ron, 5 ta; de; th'" kakiva" dw'ra protimovtera tw'n th'" ajreth'" ejpithdeumavtwn katafaivnein Ou[te ga;r aujtoi'" dhvpou toi'" hJgemovsin oJ trovpo" ou|to" th'" pronoiva" ou[te toi'" eJpomevnoi" sunoivsei: toi'" me;n ga;r kakoi'" genomevnoi" oujk e[stai tw'n aJmarthmavtwn ajpallagh; prokatalambavnein 10 ejpiceirou'sin ajei; th;n divkhn kai; paratrevpein tw'n th'" ajxiva" mevtrwn, toi'" de; ajnagkai'on, o} mh; qevmi" eijpei'n, th'" tw'n pronooumevnwn stocavzesqai kakiva", kai; th'" me;n ajlhqinh'" aujtw'n swthriva" ajmelei'n, ejskiagrafhmevnwn de; ajgaqw'n a[ra movnw" aijtivoi" uJpavrcein, to; de; pa'n tou'to kai; to;n o{lon 15 kovsmon ajtaxiva" ejmpivplasqai kai; tarach'", ajniavtou th'" mocqhriva" menouvsh", kai; tai'" kakw'" politeuomevnai" tw'n povlewn th;n oJmoivan e[cein diafqoravn. Kaivtoi pw'" ouj pantelw'" ajduvnaton ta; mevrh tw'n o{lwn kata; fuvsin dioikei'sqai ma'llon kai; ta; ajnqrwvpina tw'n qeivwn kai; ta; ei[dwla 20 tw'n prwtourgw'n aijtivwn Wst eij me;n ojrqw'" a[nqrwpoi pronoou'sin ajnqrwvpwn a[rconte" kai; tou;" me;n timw'nte" tou;" de; ajtimavzonte" kai; pantacou' ta; th'" kakiva" e[rga toi'" th'" ajreth'" mevtroi" kateuquvnonte", pollw'/ provteron ajnavgkh kai; tou;" qeou;" ajtrevptou" ei\nai tw'n o{lwn hJgemovna". Kai; 25 ga;r a[nqrwpoi dia; th;n pro;" qeou;" oJmoiovthta tauvthn e[lacon ajrethvn: eij de; kai; ajnqrwvpwn tou;" tw'n ajrcomevnwn th;n swthrivan kai; to; eu\ diafqeivronta" oJmologhvsomen th;n tw'n 80 qew'n provnoian ma'llon ajpeikonivzesqai, lhvsomen oJmou' th;n peri; qew'n ajlhvqeian kai; th;n th'" ajreth'" a[rdhn ajfanivzonte" uJperochvn. Tou'to ga;r oi\mai panti; katafanev", o{ti dh; to; toi'" qeoi'" oJmoiovteron eujdaimonei' ma'llon tw'n di ajnomoiov5 thto" aujtw'n kai; ajllotriovthto" ejsterhmevnwn. Wst eij me;n kajntau'qa to; ajdiavfqoron th'" pronoiva" ei\do" kai; to; ajkline;" tivmion, pollw'/ dhvpou para; toi'" qeoi'" meizovnw" ejntimovteron: eij de; par ejkeivnoi" ta; qnhta; dw'ra tw'n qeivwn th'" divkh" mevtrwn semnovtera, kai; par ajnqrwvpoi" a]n ei[h 10 tw'n Olumpivwn ajgaqw'n ta; ghgenh' kai; tw'n th'" ajreth'"

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to, per rendere in tutto l’universo “vincente la virtù” ed invece “perdente la malvagità”138, ma da un lato violino le misure poste dalla giustizia grazie agli atti di culto dei malvagi, dall’altro abbattano la delimitazione dell’immutabile conoscenza, e poi facciano 5 apparire le lusinghe della cattiveria più preziose delle “pratiche della virtù”139? In effetti questa maniera di esercitare la cura provvidenziale, a mio giudizio, non sarà utile né agli stessi detentori dell’autorità né a coloro che sono ad essi soggetti: infatti per gli uni, divenuti malvagi, non vi sarà una liberazione dalle colpe in quanto cercheranno sempre di prevenire la giustizia e di sviarla 10 dal misurare la gravità della colpa, mentre per gli altri sarà necessario, il che non sia lecito nemmeno dire, avere per obiettivo la malvagità di coloro ai quali provvedono, e da un lato trascurare la vera salvezza di essi, dall’altro dare valore solamente a cause di beni illusori, ed inoltre sarà inevitabile che tutto questo mondo e l’intero cosmo si riempiano di disordine e di confusione, una volta 15 che la malvagità risulti non più sanabile, e che si venga ad avere una rovina simile a quella delle città mal governate. Certamente come può non essere assolutamente impossibile che le parti vengano amministrate in modo più conforme a natura delle realtà nella loro interezza, e gli esseri umani più di quelli divini e le mere immagini più delle cause originarie? Cosicché, se vi sono uomini 20 che in modo corretto provvedono ad altri esseri umani guidandoli e onorando gli uni, ma disdegnano gli altri, e ovunque correggendo le opere della malvagità con le misure della virtù, a maggior ragione è necessario che proprio gli dèi siano inflessibili guide dell’universo. Ed infatti gli esseri umani hanno ottenuto in sorte que- 25 sta virtù per via della somiglianza con gli dèi. D’altra parte se converremo pure che tra gli uomini quelli che guastano la salvezza dei propri sudditi ed il loro bene rispecchino in misura maggiore la 80 cura provvidenziale degli dèi, non ci renderemo conto che così annientiamo nello stesso tempo la verità concernente gli dèi e totalmente la superiorità della loro virtù. Infatti questo a mio giudizio è evidente per ciascuno, cioè che ciò che è più simile agli dèi è più felice di quelle entità che per via della loro dissomiglianza ed estraneità risultano prive . Sicché se in 5 questo nostro mondo, da un lato, la forma incorruttibile e fissa della cura provvidenziale è onorata, senza dubbio presso gli dèi in misura molto maggiore sarà ancora di più oggetto di onore. Ma se presso gli dèi i doni dei mortali fossero più venerandi che le misure divine della giustizia, allora presso gli uomini i beni terreni con- 10 durrebbero alla felicità in modo più efficace di quelli degli dèi

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116 e[rgwn ta; telewvtera.

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th'"

kakiva"

qwpeuvmata

pro;"

eujdaimonivan

izV Th;n me;n u{parxin tw'n qew'n kai; th;n ejpi; pavnta diateivnousan 15 khdemonivan kai; th;n a[trepton ejnevrgeian dia; touvtwn hJmi'n oJ Plavtwn ejn Novmoi" tw'n ajpodeivxewn paradevdwken: a} dh; koina; mevn ejstin a{pasi toi'" qeoi'", ajrcikwvtata de; kai; prwvtista kata; fuvsin ejn th'/ aujtw'n didaskaliva/. Mevcri ga;r tw'n merikwtavtwn ejn toi'" qeivoi" diakovsmoi" a[nwqen ajpo; tw'n 20 krufivwn genw'n hJ tria;" au{th dihvkousa faivnetai: kai; ga;r u{parxi" eJnoeidh;" kai; duvnami" pronohtikh; tw'n deutevrwn aJpavntwn kai; nou'" ajklinh;" kai; a[treptov" ejstin ejn a{pasi toi'" te pro; tou' kovsmou kai; toi'" ejn tw'/ kovsmw/ qeoi'". Pavlin de; ajp a[llh" ajrch'" tw'n ejn Politeiva/ qeologikw'n ajpodeiv25 xewn ajntilabwvmeqa. Koinai; ga;r dh; kai; au|tai pavntwn eijsi; 81 tw'n qeivwn diakovsmwn kai; diateivnousin oJmoivw" eij" a{pasan th;n peri; qew'n uJfhvghsin kai; sunech' th;n ajlhvqeian toi'" proeirhmevnoi" hJmi'n ejkfaivnousin. En toivnun tw'/ deutevrw/ th'" Politeiva" tuvpou" dhv tina" 5 qeologikou;" oJ Swkravth" uJpogravfwn toi'" muqoplavstai", th'" poihtikh'" dramatourgiva" toi'" eJautou' trofivmoi" kaqareuvein parakeleuovmeno" kai; tw'n tragikw'n ejkeivnwn paqhmavtwn a} tw'/ qeivw/ prosfevrein oujk w[knhsavn tine", th;n ajpovrrhton peri; aujtw'n mustagwgivan ejn touvtoi" w{sper kruvptonte", – tuvpou" dh; ou\n, w{sper 10 parapetavsmasi e[fhn, kai; novmou" th'" qeomuqiva" uJfhgouvmeno", oi} kai; to; fainovmenon dh; tou'to kai; to;n ei[sw kekrummevnon skopo;n ejn toi'" peri; qew'n plavsmasi tou' kalou' kai; tou' kata; fuvsin ejstocasmevnon parevxontai, prw'ton me;n ajxioi' kata; th;n 15 ajdiavstrofon peri; qew'n e[nnoian kai; th'" ajgaqovthto" aujtw'n, aJpavntwn me;n aujtou;" ajgaqw'n corhgou;" ajpofaivnein, kakou' de; oujdeno;" oujdeniv pote tw'n o[ntwn aijtivou": deuvteron kat oujsivan ajmetablhvtou" kai; mhvte aujtou;" poikivla"

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dell’Olimpo e le lusinghe della malvagità in modo più efficace delle opere della virtù. 17 [Quali sono i principi fondamentali concernenti gli dèi che sono stati trasmessi nella “Repubblica” e quale ordine hanno gli uni rispetto agli altri] L’esistenza autentica degli dèi, la loro sollecitudine che si estende in ogni realtà e la loro inflessibile attività Platone ce le ha 15 trasmesse attraverso queste argomentazioni nelle Leggi. Si tratta certo di proprietà comuni a tutti gli dèi e d’altra parte nell’insegnamento che le concerne sono, in considerazione della loro natura, assolutamente principali e primissime. In effetti tra gli ordini degli dèi è dall’alto a partire dai generi segreti fino ai più particolari ordinamenti che questa triade si rivela procedere: ed infatti 20 v’è in tutti gli dèi, sia in quelli che sono al di là del cosmo visibile sia in quelli che sono nel cosmo, esistenza autentica uni-forme, potenza provvidenziale per tutte le realtà seconde e intelletto immobile e immutabile. Ma riprendiamo da un altro fondamento 25 le argomentazioni teologiche presenti nella Repubblica. Infatti anche queste sono certamente comuni a tutti gli ordinamenti degli 81 esseri divini e si estendono allo stesso modo a tutto l’impianto concettuale concernente gli dèi e rivelano la verità in coerenza con quanto da noi è stato detto sopra. Ebbene, nel secondo libro della Repubblica Socrate140 delinea 5 appunto alcuni “modelli” teologici per i compositori di miti, raccomandando ai propri discepoli di purificarli dalla componente poetica drammatica e da quelle passioni tragiche che alcuni non hanno esitato ad attribuire alla realtà divina, celando in questi luoghi come con veli la segreta iniziazione ai misteri concernenti gli 10 dèi141 – ebbene , tracciando, come dicevo, i “modelli” e le norme del racconto mitico, modelli e norme che mostreranno certo questa apparenza, ma anche che l’autentico scopo celato all’interno delle raffigurazioni concernenti gli dèi ha avuto di mira il bene ed il conforme a natura, per prima cosa ritiene opportuno, sulla base della salda cognizione concernente gli dèi e la loro 15 bontà, di mettere in luce che essi sono i dispensatori di tutti quanti i beni, e d’altra parte che essi non sono mai cause di nessun male per nessuno degli enti; in secondo luogo che essi sono per essenza immutabili né che essi assumono varie sorte di forme ingannan-

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morfa;" i[scein ejxapatw'nta" kai; gohteuvonta" mhvt ejn e[rgoi" h] lovgoi" tou' megivstou kakou', yeuvdou", h] kai; plavnh" kai; ajnoiva" ei\nai poihtikouv". duvo dh; touvtwn o[ntwn novmwn oJ me;n provtero" e[cei sumperavsmata duvo, tov te ajnaitivou" ei\nai tw'n kakw'n tou;" qeou;" kai; to; tw'n ajgaqw'n pavntwn aijtivou": oJ de; deuvtero" au\ paraplhsivw" e{tera 25 a[tta, ditta; kai; tau'ta, tov te ajmetavblhton ei\nai to; qei'on pa'n, kai; to; yeuvdou" kai; poikiliva" memhcanhmevnh" kaqaro;n iJdru'sqai. Pavnta toivnun ta; deiknuvmena triw'n touvtwn h[rthtai peri; 82 to; qei'on koinw'n ejnnoiw'n, th'" ajgaqovthto", th'" ajmetablhsiva", th'" ajlhqeiva": kai; ga;r hJ tw'n ajgaqw'n prwtivsth phgh; kai; a[rrhto" par aujtoi'", kai; oJ aijw;n oJ th'" aujth'" kai; wJsauvtw" ejcouvsh" dunavmew" ai[tio", kai; oJ prwvtisto" 5 nou'", o{" ejstin aujta; ta; o[nta kai; hJ ejn toi'" o[ntw" ou\sin ajlhvqeia. 20

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ãihVÃ To; toivnun ejn tw'/ ajgaqw'/ th;n u{parxin th;n eJautou' kai; th;n oujsivan pa'san ajforivzon kai; aujtw'/ tw'/ ei\nai ta; pavnta paravgon, oujk ajnavgkh panto;" me;n ajgaqou' parektiko;n ei\nai, kakou' de; oujdenov" Eij me;n ga;r h\n ti prwvtw" ajgaqo;n o} mhv ejsti qeov", i[sw" a[n ti" hJmi'n ajgaqw'n me;n ai[tion to; qei'on, ajll oujc aJpavntwn ei\nai tw'n ajgaqw'n corhgo;n ajpevfhne toi'" ou\sin. Eij de; mh; movnon tw'n qew'n e{kasto" ajgaqov", ajlla; kai; to; prwvtw" ajgaqoeide;" kai; to; ajgaqourgo;n qeov" (ouj ga;r a]n ei[h prwvtw" ajgaqovn, deuvteron o]n meta; qeouv", diovti dh; pantacou' ta; deutevrw" uJfistavmena para; tw'n prwvtw" o[ntwn uJpodevcetai th;n th'" uJpavrxew" ijdiovthta), pavntw" ajnavgkh kai; ajgaqw'n ai[tion ei\nai to; qei'on, kai; pavntwn ajgaqw'n, o{sa proveisin eij" deutevra" uJpobavsei" mevcri kai; tw'n ejscavtwn. W" ga;r hJ th'" zwh'" aijtiva duvnami" pa'san uJfivsthsi zwhvn, wJ" hJ th'" gnwvsew" pa'san gnw'sin,

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do e incantando, né nei fatti o nelle parole sono capaci di provo- 20 care il peggiore dei mali, la menzogna, o anche i vaneggiamenti e la follia. Allora, stabilito che due sono queste leggi , la prima ha due conclusioni: che gli dèi non sono responsabili dei mali ed al contempo che sono causa di ogni bene. La seconda a sua volta implica in modo simile alcune altre conclusioni, anche 25 queste duplici: che la realtà divina nella sua interezza è immutabile, e che si stabilisce saldamente pura da menzogna e dalla varietà di forme escogitate a bella posta. Pertanto tutto ciò che viene mostrato risulta dipendere da queste tre cognizioni comuni concernenti la realtà divina: la 82 bontà, l’immutabilità e la verità. Ed in effetti presso di loro è la primissima e ineffabile fonte dei beni, ed anche l’eternità che è causa della facoltà dell’essere sempre identici e del permanere allo 5 stesso modo, ed infine il primissimo Intelletto, che è gli esseri stessi ed anche la verità insita negli enti autentici.

[Qual è la bontà degli dèi e in che senso sono detti “cause” di tutti i beni; e qui si dice anche che il male è, anch’esso, integrato nell’ordine universale come esistenza collaterale e che come tale ad esso è riservata dagli dèi una specifica collocazione] Pertanto, ciò che stabilisce nel bene la propria esistenza autentica e tutta la propria essenza e che, per il fatto stesso di essere, produce tutte le realtà nel loro insieme, non è necessario che procuri ogni bene, e per contro nessun male? Se infatti vi fosse una qualche forma di bene in modo assoluto che non è un dio, forse si potrebbe mettere in luce che la realtà divina è per noi causa di beni, ma che non detiene il potere di elargire agli enti tutti quanti i beni. Invece, se non solo ciascuno degli dèi è buono, ma anche ciò che ha in modo principale la forma del bene e ciò che opera per il bene è un dio (infatti non sarebbe a livello primario bene, in quanto secondo dopo gli dèi, proprio perché in ogni ambito le realtà che sono poste ad un livello inferiore ricevono da parte di quelle che sono in modo primario la proprietà specifica della loro esistenza autentica), è assolutamente necessario che la realtà divina sia causa non semplicemente di beni, ma di tutti i beni, quanti procedono in basso verso i livelli inferiori fino ad arrivare anche agli ultimi. Come infatti la potenza causa della vita fa sussistere ogni vita, come quella della conoscenza ogni cono-

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wJ" hJ tou' kalou' pa'n to; kalovn, tov te ejn lovgoi" iJdrumevnon kai; o{son ejsti;n ejn tw'/ fainomevnw/ toiou'ton (e{kaston ãga;rà 25 tw'n prwtourgw'n aijtivwn ajf eJautou' pavnta paravgei ta; 83 o{moia kai; eij" auJto; th;n mivan uJpovstasin tw'n kaq e}n ei\do" uJfesthkovtwn ajnedhvsato), to;n aujto;n oi\mai trovpon kai; hJ tw'n ajgaqw'n prwtivsth kai; ajrchgikwtavth kai; eJnoeidh;" u{parxi" aJpavntwn oJmou' tw'n ajgaqw'n ta;" aijtiva" kai; ta;" 5 perioca;" ejn eJauth'/ kai; peri; eJauth;n iJdruvsato, kai; oujdevn ejsti tw'n o[ntwn ajgaqovn, o} mh; par aujth'" kevkthtai th;n toiauvthn duvnamin, oujde; ajgaqourgovn, o} mh; pro;" aujth;n ejpistrevfon th'" aijtiva" tauvth" metalagcavnei. Pavnta ga;r ejkei'qen kai; paravgetai kai; teleiou'tai kai; swv/zetai ta; ajgaqav, 10 kai; hJ miva tw'n o{lwn ajgaqw'n seira; kai; tavxi" eij" ejkeivnhn ajnhvrthtai th;n phghvn. dia; th;n aujth;n a[ra th'" uJpavrxew" aijtivan kai; pavntwn eijsi;n ajgaqw'n oiJ qeoi; corhgoi; kai; tw'n kakw'n oujdenov": to; ga;r prwvtw" ajgaqo;n kai; par eJautou' pa'n to; ajgaqo;n 15 uJfivsthsi kai; th'" ejnantiva" pro;" aujto; moivra" oujk e[stin ai[tion, ejpei; kai; to; zwh'" parektiko;n ajzwi?a" ai[tion oujk e[sti, kai; to; kavllou" poihtiko;n th'" ajkallou'" kai; aijscra'" fuvsew" ejxhv/rhtai kai; tw'n tauvth" aijtivwn. Kai; toivnun to; tw'n ajgaqw'n prwvtw" uJpostatiko;n tw'n ejnantivwn ei\nai 20 gennhmavtwn ai[tion ouj qevmi", ajll a[cranto" kai; ajmigh;" kai; monoeidh;" ejkei'qen proveisin hJ tw'n ajgaqw'n fuvsi". Kai; to; me;n qei'on tw'n ajgaqw'n ai[tion i{drutai diaiwnivw" ejn eJautw'/, pa'si toi'" deutevroi" protei'non th;n metousivan a[fqonon tw'n ajgaqw'n: tw'n de; metecovntwn ta; me;n ajkhvraton 25 fulavttei th;n mevqexin kai; to; oijkei'on ajgaqo;n ejn kaqaroi'" uJpodexavmena kovlpoi" ajnapovdraston e[cei dia; periousivan dunavmew" th;n proshvkousan aujtoi'" tw'n ajgaqw'n moi'ran, ta; de; ejn ejscavtoi" tw'n o{lwn tetagmevna pavntw" me;n kai; aujta; kata; th;n aujtw'n fuvsin ajpolauvei th'" ajgaqovthto" 84 tw'n qew'n (oujde; ga;r ei\nai dunato;n oujde; th;n prwvthn uJposth'nai ta; pantelw'" a[moira th'" tou' ajgaqou' parousiva"), dexavmena de; th;n toiauvthn ajporrohvn, ou[te ajkraifnh' kai; a[mikton pevfuke threi'n th;n eij" aujta; kaqhvkousan dovsin 5 ou[te katevcein monivmw" kai; ajei; wJsauvtw" to; oijkei'on ajgaqovn, ajll ajsqenh' kai; merika; kai; e[nula genovmena kai; th'" uJpokeimevnh" ajzwi?a" ajnaplhsqevnta, th'/ me;n tavxei th;n ajtaxivan parufivsthsi, tw'/ de; lovgw/ th;n ajlogivan, th'/ de;

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scenza, come quella del bello tutto ciò che è bello, non solo quello che è stabilito nei ragionamenti, ma anche tutto quello che è nell’ambito del visibile (infatti ciascuno dei principi 25 causali originari da se stesso introduce ogni realtà simile ed 83 a se stesso ha collegato l’unico grado di sussistenza di tutto ciò che esiste in base ad una sola forma di essere), allo stesso modo, a mio avviso, l’esistenza primissima, principalissima ed uni-forme dei beni ha posto in se stessa ed in relazione a se stessa le cause di tutti 5 quanti i beni che essa comprende nella loro totalità, e tra gli enti nessuno è buono se non ha ottenuto da parte di essa questo tipo di potenza, e nessuno degli enti è produttore di beni se non si rivolge verso di essa e riceve in sorte una parte della sua causalità. Infatti è da essa che tutti gli enti buoni sono introdotti, portati a compimento e custoditi, e la sola ed unica concatenazione ed or- 10 dine di successione di tutti i beni nel loro insieme dipendono da questa fonte. Di conseguenza per la stessa ragione del loro esistere, gli dèi sono elargitori di ogni forma di bene e di nessuno dei mali. Infatti ciò che è in modo assoluto bene fa sussistere a partire da se stesso tutto ciò che è bene ed al contempo non è causa del suo con- 15 trario, poiché anche ciò che è fonte di vita non è causa della mancanza di vita, ed anche ciò che produce la bellezza si tiene lontano dalla natura priva di bellezza e deforme e dalle sue cause. E pertanto ciò che in modo principale fa sussistere i beni non è leci- 20 to che sia causa delle produzioni di segno opposto, ma la natura dei beni procede da esso incontaminata, pura ed uni-forme: la causa divina dei beni si è fissata eternamente in se stessa, estendendo a tutte le realtà seconde la generosa partecipazione ai beni. D’altra parte delle entità che ne partecipano le une custodiscono 25 intatta la partecipazione e, accogliendo in grembo in modo puro il proprio bene, per abbondanza di potenza hanno sempre a disposizione la parte di beni che loro si confà; dal canto loro quelle entità che sono poste assolutamente agli ultimi livelli dell’universo godono anche esse in base alla propria natura della bontà 84 degli dèi (infatti non è possibile né che vi siano né che comincino a sussistere le entità totalmente non partecipi della presenza del bene), ma, pur «ricevendo» tale «efflusso»142, non sono portate per natura a conservare intatto e puro il dono adatto ad esse, né a 5 mantenere stabilmente e sempre allo stesso modo il proprio bene, ma, essendo divenute deboli, particolari e materiali, ed essendo state contaminate dalla mancanza di vita ivi presente, fanno subentrare in modo collaterale all’ordine il disordine, alla ragione

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ajreth'/ th;n ejnantivan pro;" tauvthn kakivan. Kai; tw'n me;n o{lwn e{kaston th'" toiauvth" ejsti; paratroph'" ejxh/rhmevnon, kratouvntwn ajei; tw'n kata; fuvsin ejn aujtoi'" teleiotevrwn: ta; de; merika; dia; th;n th'" dunavmew" u{fesin eij" plh'qo" ajei; kai; merismo;n kai; diavstasin ejkbaivnonta tw'n o{lwn, ajmudroi' me;n th;n tou' ajgaqou' mevqexin, parufivsthsi de; to; ejnantivon 15 ejn th'/ pro;" to; ajgaqo;n mivxei kai; diaplokh'/ kratouvmenon. Oujde; ga;r ejntau'qa to; kako;n ajmige;" kai; tou' ajgaqou' pantelw'" e[rhmon uJposth'nai qemitovn, ajll eij kai; tw'/ mevrei to; toiovnde kakovn, tw'/ ge o{lw/ kai; panti; pavntw" ajgaqovn: ajei; ga;r eu[daimon to; pa'n kai; ejk merw'n ejsti; teleivwn ajei; 20 kai; kata; fuvsin ejcovntwn: to; de; para; fuvsin ajei; toi'" merikoi'" h\n kakovn, kai; to; aijscro;n kai; to; ajsuvmmetron kai; hJ paratroph; kai; hJ parupovstasi" ejn touvtoi". Kai; ga;r to; fqeirovmenon eJautw'/ me;n fqeivretai kai; th'" oijkeiva" teleiovthto" ejxivstatai, tw'/ panti; de; a[fqartovn ejsti kai; ajnwvleqron: 25 kai; pa'n to; tou' ajgaqou' steriskovmenon wJ" me;n pro;" auJto; kai; th;n oijkeivan uJpovstasin ejstevrhtai di ajsqevneian fuvsew", tw'/ de; o{lw/ kai; wJ" tou' panto;" mevro" ajgaqovn ejstin. Ou[te 85 ga;r ajzwi?an oujde; aijscrovthta kai; ajmetrivan, ou[te o{lw" stevrhsin tw'/ panti; parempivptein dunatovn, ajll ajei; tevleio" oJ suvmpa" ajriqmo;" th'/ tw'n o{lwn ajgaqovthti sunecovmeno", kai; zwh; pantacou' pavresti, kai; to; ei\nai kai; to; teleivoi" 5 ei\nai, kaq o{son e{kasta sumplhroi' to; pa'n. To; me;n ou\n qei'on, w{sper ei[rhtai, ãpavntwn ejsti;n ai[tionà tw'n ajgaqw'n, hJ de; tw'n kakw'n parupovstasi" oujk ejk dunavmew" uJfevsthken, ajll ejk th'" ajsqeneiva" tw'n decomevnwn ta;" tw'n qew'n ejllavmyei", oujde; ejn toi'" o{loi", ajll ejn toi'" 10 merikoi'", oujde; ejn touvtoi" a{pasi. Kai; ga;r tw'n merikw'n ta; me;n prwvtista kai; noera; gevnh diaiwnivw" ejsti;n ajgaqoeidh': ta; de; mevsa kai; kata; crovnon ejnergou'nta th;n tou' ajgaqou' mevqexin th'/ kata; crovnon metabolh'/ kai; kinhvsei sumplevkonta th;n tw'n qew'n dovsin ajkivnhton kai; monoeidh' kai; aJplh'n 15 diafulavttein ajdunatei', tw'/ me;n eJautw'n poikivlw/ to; aJplou'n aujth'" paraskiavzonta, tw'/ de; polueidei' to; monoeidev", tw'/ de; summigei' to; ajkhvraton: oujde; ga;r h\n ejx ajkhravtwn 10

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poi l’irrazionalità, alla virtù il vizio che è ad essa contrario. E ciascuna delle entità universali è sottratta a tale deviazione, dal 10 momento che sempre hanno il dominio le entità che, secondo natura, sono tra di esse più perfette; invece quelle particolari, per via della diminuzione della potenza, si allontanano da quelle universali, sempre per finire nel molteplice, nella divisione e nella separazione, da un lato rendono indistinta la partecipazione del bene, mentre fanno subentrare l’opposto che nella mescolanza e 15 combinazione con il bene prevale. Infatti neppure qui il male è ammissibile che sussista puro e assolutamente privo del bene, ma anche se solo in parte una determinata cosa è male, per l’intero e l’insieme è assolutamente bene. Infatti sempre «felice» è il tutto e sempre è composto di parti perfette e che sono in modo confor- 20 me a natura. Dal canto suo ciò che è contro natura risulta sempre essere143 male per le entità particolari, e così il brutto, lo sproporzionato, la deviazione e l’esistenza collaterale in esse144. Ed infatti ciò che è soggetto a corruzione è in rapporto a se stesso che si corrompe e si allontana dalla propria perfezione, mentre in rapporto al Tutto è incorruttibile ed immortale. E tutto ciò che viene priva- 25 to del bene ne è privato in relazione a se stesso e alla sua forma di esistenza per via della debolezza della sua natura, mentre in rapporto alla totalità e come parte del Tutto esso è bene. Né infatti 85 mancanza di vita, bruttezza ed eccesso, né in generale privazione è possibile che si insinuino nel Tutto, ma sempre perfetto è l’insieme complessivo che è garantito dalla bontà dell’universo, e la vita è ovunque presente, sia l’esistere sia l’essere perfette , nella misura in cui ciascu- 5 na di esse contribuisce a completare il Tutto. Dunque la realtà divina, come si è detto, i beni, mentre l’esistenza collaterale dei mali non è a partire da una potenza che risulta sussistere, ma dalla debolezza delle entità che ricevono le illuminazioni da parte degli dèi, e non nelle entità universali, ma in quelle particolari, e nemmeno in tutte quante queste 10 ultime. Ed infatti tra le entità particolari le une, che sono primissime e generi intellettivi, recano impressa per l’eternità la “forma del Bene”; le altre invece sono intermedie e, dato che operano sul piano temporale la partecipazione al bene attraverso il mutare del tempo e la connettono al movimento, non sono in grado di man- 15 tenere immobile, uniforme e semplice il dono degli dèi, e così oscurano la semplicità di tale dono con la loro propria varietà, l’uniforme con il loro proprio carattere multiforme, ed il puro con il loro proprio carattere mescolato. Ed in effetti non

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uJpostavnta tw'n prwvtwn genw'n, oujde; aJplh'n ei\ce th;n oujsivan oujde; ta;" dunavmei" monoeidei'", ajll ejx ejnantivwn sum20 fuomevna", w{" pouv fhsin oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth". Ta; de; e[scata kai; e[nula pollw'/ dhvpou meizovnw" paratrevpei to; oijkei'on ajgaqovn: kai; ga;r ajzwi?a/ sugkevkratai kai; th;n uJpovstasin eijdwlikh;n e[cei, pollou' tou' mh; o[nto" ajnape25 plhsmevna, kai; ejk macomevnwn uJfevsthke, kajk tw'n periestwvtwn metaballovmena kai; skidnavmena to;n ajei; crovnon oujde;n pauvetai, kata; pavnta dhlou'nta wJ" fqora'/ kai; 86 ajsummetriva/ ãkai;Ã aijscrovthti kai; tropai'" ejkdivdotai pantoivai", ouj tai'" ejnergeivai" movnon kakunovmena, kaqavper oi\mai ta; pro; aujtw'n, ajlla; kai; tai'" dunavmesi kai; tai'" oujsivai" ajnapimplavmena tou' para; fuvsin kai; th'" uJlikh'" ajsqeneiva". 5 Ta; ga;r ejn ajllotriva/ genovmena cwvra/, to; me;n o{lon tw'/ ei[dei sunepifevronta kratei' th'" uJpokeimevnh" fuvsew", eij" de; au\ to; meriko;n ajpo; th'" oijkeiva" oJlovthto" ejxistavmena, merismou' kai; ajsqeneiva" kai; polevmou kai; th'" genesiourgou' diairevsew" metascovnta pantoivw" metabavllein ajnagkai'on. Ou[t ou\n panavgaqon tw'n o[ntwn e{kaston (ouj ga;r a]n h\n 10 fqora; kai; gevnesi" swmavtwn oujde; kavqarsi" kai; kovlasi" yucw'n): ou[te ejn toi'" o{loi" to; kakovn (ouj ga;r a]n h\n oJ kovsmo" eujdaivmwn qeov", ejk merw'n tw'n kuriwtavtwn ajtelw'n uJfistavmeno"): ou[te oiJ qeoi; tw'n kakw'n ai[tioi, kaqavper dh; 15 tw'n ajgaqw'n, ajll hJ tw'n decomevnwn to; ajgaqo;n ajsqevneia kai; hJ ejn ejscavtoi" aujtw'n uJpovstasi": ou[te a[mikton to; parufistavmenon ejn toi'" merikoi'" kako;n kai; oJpwsou'n pro;" to; ajgaqovn, ajlla; kai; tou'to metevcei pw" tw'/ ei\nai tw'/ ajgaqw'/ katecovmenon: ou[q o{lw" uJposth'nai dunato;n to; panto;" 20 ajgaqou' pantelw'" e[rhmon kakovn, ejpevkeina ga;r kai; tou' mhdamw'" o[nto" to; aujtokakovn, w{sper dh; kai; tou' pantelw'" o[nto" to; aujtoagaqovn: ou[te a[takton ajfei'tai to; ejn toi'" merikoi'" kakovn, ajlla; kai; tou'to kateuquvnetai para; tw'n qew'n, kai; dia; tau'ta kaqartikh; me;n th'" ejn yucai'" ponhriva" 25 hJ divkh, kaqartikh; de; th'" ejn swvmasin a[llh tavxi" qew'n.

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risultano originariamente sussistenti a partire dai primi generi puri, né possiedono in origine l’essenza semplice né le potenze uniformi, ma risultano originariamente costituite «da elementi opposti», come afferma Socrate in qualche parte del Fedro145. Quelle 20 entità infine che vengono per ultime e sono materiali, alterano certamente in misura molto maggiore il proprio bene: ed infatti risultano mescolate alla mancanza di vita e posseggono l’esistenza a livello di simulacro, dal momento che risultano in grande misura colme di non-essere, e sussistono a partire da elementi in conflitto fra loro, e non cessano mai in nessun momento di mutare e di disperdersi ad opera dei cambiamenti circostanti, mostrando sotto 25 ogni aspetto che cedono a corruzione, a «sproporzione e deformi- 86 tà», e a mutazioni di ogni genere; e non è solo nelle loro attività che sono corrotte, come, a mio giudizio, le entità che le precedono, ma sono contaminate anche nelle loro potenze e nelle loro sostanze da ciò che è contro natura e dalla debolezza propria di ciò che è materiale. In effetti le entità venutesi a trovare in una dimensione ad esse 5 estranea, se mantengono in sé l’universale congiuntamente alla loro forma specifica, hanno il controllo sulla loro natura soggiacente, ma se poi abbandonano l’universalità che è loro propria in direzione di ciò che è particolare, in quanto partecipano di frammentazione, di debolezza, di conflitto e della divisione originata dal divenire, è necessario che siano soggette a mutamenti di ogni tipo. Dunque né ciascuno degli enti è perfettamente buono (infatti 10 non vi sarebbero corruzione e generazione per i corpi, né vi sarebbero purificazione e pena per le anime). Né nelle realtà universali il male (in questo caso infatti il cosmo non sarebbe «divinità felice», sussistendo di parti, quelle principalissime, imperfette). Né gli dèi sono cause dei mali, come per certo lo sono dei beni, ma 15 la debolezza delle entità che accolgono il bene e la loro forma di esistenza posta agli ultimi livelli. Né il male che subentra collateralmente nelle entità particolari è privo di mescolanza, qualunque sia il modo, con il bene, ma anche il male ne partecipa in certo modo per il fatto di essere limitato dall’esistenza del bene. Né è assolutamente possibile che sussista il male totalmente privo di ogni bene: infatti il male-in-sé è anche al di là dell’asso- 20 luto non-essere, proprio come il Bene-in-sé è anche al di là di ciò che è in modo assolutamente perfetto essere. Né il male insito nelle entità particolari è stato abbandonato al disordine, ma anche questo trova la sua correzione da parte degli dèi, ed è per questi motivi che purificatrice della malvagità insita nelle anime è la Giustizia, mentre 25 purificatore di quella insita nei corpi è un altro ordine di dèi.

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Pavnta de; ejpistrevfetai kata; duvnamin pro;" th;n ajgaqov87 thta tw'n qew'n: kai; mevnei me;n ejn toi'" oijkeivoi" o{roi" ta; o{la

kai; tevleia kai; ajgaqourga; tw'n o[ntwn gevnh, kosmei'tai de; kai; tavttetai deovntw" ta; merikwvtera kai; ajtelevstera kai; douleuvei th'/ tw'n o{lwn sumplhrwvsei kai; ajnakalei'tai pro;" 5 to; kalo;n kai; metabavlletai kai; pavnta trovpon th'" tou' ajgaqou' metousiva" ajpolauvei, kaq o{son aujtoi'" dunatovn. Oujde;n ga;r a]n mei'zon ajgaqo;n eJkavstoi" gevnoito w|n oiJ qeoi; kata; mevtra porivzousi toi'" eJautw'n gennhvmasin: ajlla; pavnta, kai; cwri;" e{kaston kai; koinh'/ pavnta, tosauvthn 10 uJpodevcetai tw'n ajgaqw'n moi'ran o{sh" metevcein aujtoi'" dunatovn. Eij de; ta; me;n meizovnwn ta; de; ejlattovnwn ajgaqw'n plhrou'ntai, th;n tw'n decomevnwn duvnamin kai; ta; mevtra th'" dianomh'" aijtiatevon, a[lla ga;r a[lloi" proshvkei kata; th;n aujtw'n fuvsin: qeoi; de; ajei; pavnta ta; ajgaqa; proteivnousin, 15 w{sper h{lio" ajnivscwn to; fw'": devcetai ga;r a[llo" a[llw" kata; th;n eJautou' tavxin, kai; devcetai tosou'ton tou' fwto;" ou| mei'zon oujk a]n duvnaito devxasqai. Pavnta ga;r kata; divkhn a[getai ta; o[nta, kai; oujdeno;" me;n ajpostatei' to; ajgaqovn, pavresti de; eJkavstoi" kata; to;n proshvkonta th'" 20 metalhvyew" o{ron kaiv, h|/ fhsi;n oJ Aqhnai'o" xevno", pavnta kalw'" e[cei kai; tevtaktai ejk tw'n qew'n. Mh; toivnun hJmi'n tw'n kakw'n h] prohgoumevnou" lovgou" ejn th'/ fuvsei legevtw ti", h] paradeivgmata noera; kata; ta; aujta; toi'" ajgaqoi'", h] yuch;n kakergavtin, h] kakopoio;n aijtivan 25 ejn qeoi'" uJpotiqevsqw kai; pro;" to; ajgaqo;n to; prw'ton diav88 stasin kai; povlemon eijsagevtw diaiwvnion: a{panta ga;r tau'ta th'" tou' Plavtwnov" ejstin ejpisthvmh" ajllovtria kai; porrwvterovn poi th'" ajlhqeiva" eij" barbarika;" ajponoiva" kai; dramatourgivan Gigantikh;n ajpoplana'tai. Mhd ei[ tine" ejn lovgoi" aijnittovmenoi ta; toiau'ta plavttousi, 5 ajporrhvtoi" th'" ejndeivxew" hJmei'" th;n fainomevnhn ajllaxwvmeqa skeuwrivan: ajll ejkeivnwn me;n th;n ajlhvqeian zhthtevon, tou' de; Plavtwno" th;n ejpisthvmhn ejn toi'" kaqaroi'" th'" yuch'" kovlpoi" eijlikrinw'" uJpodektevon, ajkhlivdwton aujth;n kai; a[mikton 10 pro;" ta;" ejnantiva" dovxa" fulavttousin.

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Ogni realtà d’altronde si rivolge nella misura del possibile verso la bontà degli dèi. Ed entro i propri limiti permangono i 87 generi universali, perfetti e benefici degli enti, mentre le entità più particolari e più imperfette vengono governate ed ordinate convenientemente, sono sottomesse al completamento del Tutto, sono richiamate dal bello, si modificano ed in ogni modo traggono van- 5 taggio dalla partecipazione al bene, nella misura in cui è ad esse possibile. Infatti non potrebbe sorgere per ciascuna entità nessun bene più grande di quelli che gli dèi in modo proporzionato forniscono ai loro prodotti. Ma tutti, sia considerati individualmente sia nel loro insieme, ricevono una parte tanto grande di beni, 10 quanta è quella di cui essi possono partecipare. D’altra parte se alcuni sono colmati di un maggiore numero di beni, mentre altri di un numero minore, bisogna addurre come motivo la potenza delle entità che ricevono e i limiti della loro facoltà intellettiva: infatti alcuni beni si addicono a determinate entità, altri ad altre in base alla loro natura. Dal canto loro gli dèi sempre protendono tutti i beni, come il sole, sorgendo, la luce. In effetti 15 ricevono uno in una misura, l’altro in un'altra in base al proprio livello, e ricevono della luce una parte tanto grande che non potrebbero accoglierne una più grande. In effetti gli enti «tutti vengono guidati secondo giustizia»146, e a nessuno manca il bene, ma è presente in ciascuno di essi secondo l’appropriato limite della partecipazione e, come afferma lo Straniero di Atene147, tutti 20 gli enti si trovano in una condizione favorevole e sono tutti al loro posto grazie all’opera degli dèi. Pertanto a noi non si vengano a menzionare ragioni originarie dei mali nella natura, o si ipotizzino paradigmi intellettivi allo stesso modo che per i beni, o un’anima malefica, o una causa operatrice di mali tra gli dèi e non si adducano come moti- 25 vi l’originaria separazione rispetto al bene ed un eterno conflitto. 88 Infatti tutte queste concezioni sono estranee alla scienza di Platone e si allontanano radicalmente dalla verità, vagando da qualche parte in direzione di assurdità da barbari e di una rappresentazione drammatica che mette in scena i Giganti148. Neppure se alcuni elaborano rappresentazioni di tal sorta esprimendosi per 5 enigmi in forma di discorsi esoterici, noi dobbiamo scambiare per una indicazione allusiva la loro manifesta elaboratezza. Ma di quelle rappresentazioni si deve ricercare la verità, invece la scienza di Platone la si deve semplicemente accogliere nei recessi incontaminati dell’anima, custodendola immacolata e pura contro le concezioni ad essa contrarie. 10

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iqV Alla; dh; to; ajmetavblhton tw'n qew'n kai; to; aJplou'n meta; tou'to qewrhvswmen, oi|ovn pote tugcavnei o]n eJkavteron, kai; pw'" ajmfovtera tau'ta th'/ tw'n qew'n uJpavrxei proshvkonta 15 faivnetai kata; th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin. Oujkou'n ejxhv/rhntai me;n oiJ qeoi; tw'n o{lwn, tau'ta de; plhrou'nte" w{sper ei[pomen ajgaqw'n, aujtoi; panavgaqoi tugcavnousin o[nte": kai; e{kasto" aujtw'n kata; th;n oijkeivan tavxin e[cei to; a[riston kai; pa'n oJmou' to; tw'n qew'n gevno" 20 to; prwtei'on e[lace kata; th;n tw'n ajgaqw'n periousivan. Pavlin de; kajntau'qa paraithsovmeqa tou;" meristw'" ejn toi'" qeoi'" to; a[riston ejxhgoumevnou" kai; levgonta" wJ", eij to; prw'ton a[riston, to; meta; tou'to oujk a[riston: ajnavgkh ga;r ei\nai tou' paravgonto" to; paragovmenon katadeevsteron. Tou'to 25 me;n ga;r ojrqw'" levgousi: dei' ga;r ejn toi'" qeoi'" th;n tavxin 89 tw'n aijtivwn ajsuvgcuton fulavttein, kai; ta;" deutevra" aujtw'n kai; trivta" proovdou" diakekrimevna" ajforivzein: oJmou' de; th'/ toiauvth/ proovdw/ kai; th'/ tw'n deutevrwn ajpo; tw'n prwvtwn ejkfavnsei qewrhtevon kai; to; a[riston ejn eJkavstw/ tw'n qew'n. 5 En ga;r th'/ eJautou' ijdiovthti prwtourgo;n kai; panavgaqon e{kasto" uJperoch;n keklhvrwtai, kai; oJ mevn, i{n ejpiv tino" gnwrivmou poihvswmai to;n lovgon, wJ" mantikov", oJ de; wJ" dhmiourgikov", oJ de; wJ" telesiourgo;" a[risto". ã’OÃ kai; oJ Tivmaio" hJmi'n ejndeiknuvmeno" a[riston tw'n aijtivwn to;n 10 prw'ton sunecw'" ajpokalei' dhmiourgovn (oJ me;n ga;r tw'n aijtivwn a[risto", oJ de; tw'n gegonovtwn kavllisto"), kaivtoi pro; tou' dhmiourgou' to; paravdeigma to; nohto;n h\n kai; to; tw'n nooumevnwn aJpavntwn kavlliston: ajlla; kai; tou'to kavlliston a{ma kai; a[riston wJ" paravdeigma kai; oJ tou' panto;" poihth;" a{ma kai; 15 dhmiourgikovn, path;r a[risto" wJ" dhmiourgiko;" qeov". Kai; dh; kai; oJ ejn

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19 [Qual è l’immutabilità degli dèi; e qui si dice anche qual è il carattere della loro autosufficienza, quale quello della loro inalterabile imperturbabilità ed in che senso a proposito degli dèi bisogna intendere l’affermazione secondo cui essi “permangono nella medesima condizione ed allo stesso modo”] Ma consideriamo allora, dopo aver parlato della bontà, l’immutabilità e la semplicità degli dèi, di quale natura mai venga ad essere ciascuna delle due qualità, e in che modo entrambe appaiano appropriate alla esistenza autentica degli dèi in base alla 15 dottrina di Platone. Ebbene, gli dèi da un lato trascendono tutte quante le cose, dall’altro, colmando queste, come dicevamo149, di beni, essi vengono ad essere buoni in modo perfetto; e ciascuno di essi in base al proprio ordinamento possiede l’eccellenza e tutto «il genere degli dèi» nel suo insieme ha ottenuto in sorte il primo posto in 20 base alla ricchezza di beni. Di nuovo poi, a questo proposito, porremo obiezioni a coloro che spiegano l’eccellenza insita negli dèi in una maniera che appartiene propriamente alle cose divisibili e che affermano che, se ciò che è primo è eccellente, ciò che segue non è eccellente: infatti è necessario che ciò che è diretto sia più debole di ciò che dirige. Questo in effetti lo dicono in modo cor- 25 retto: bisogna infatti nell’ambito degli dèi mantenere ben delimi- 89 tato l’ordinamento dei principi causali, e determinare, una volta che siano state distinte, le loro seconde e le terze processioni; poi insieme a tale processione e alla manifestazione delle divinità prime dalle seconde, si deve considerare anche l’eccellenza del bene in ciascuna delle divinità. Infatti nell’ambito della sua speci- 5 fica proprietà ciascuna divinità ha ottenuto in sorte una superiorità primordiale e assoluta, e una divinità, per esprimermi su qualcosa di familiare, è eccellente come profetica, un’altra poi lo è come demiurgica, un’altra ancora lo è come realizzatrice. E questo ce lo dimostra anche il Timeo che definisce di continuo il 10 primo Demiurgo «eccellente fra i principi causali»150 («esso infatti è eccellente tra i principi causali, quell’altro invece è bellissimo tra le realtà generate»), per quanto prima del Demiurgo venisse originariamente il paradigma intelligibile ed «il più bello» di tutti quanti «gli oggetti di pensiero»151. Ma anche quest’ultimo è bellissimo ed insieme eccellente come paradigma demiurgico, e l’«ar- 15 tefice» ed insieme il «padre» dell’universo è eccellente come divi-

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Politeiva/ Swkravth" eijkovtw" ejpi; qew'n poiouvmeno" to;n lovgon, ajll wJ" e[oike, fhsiv, kavllisto" kai; a[risto" w]n eij" to; dunato;n e{kasto" aujtw'n mevnei ajei; aJplw'" 20 ejn th'/ auJtou' morfh'/. To; me;n ga;r prw'ton kai; to; a[kron ejn th'/ eJautou' seira'/ klhrwsavmeno" e{kasto" oujk ejxivstatai th'" eJautou' tavxew", ajlla; kai; to; makavrion kai; to; eu[daimon th'" oijkeiva" dunavmew" sunevcei: kai; ou[te ceivrona tavxin ajllavttetai th'" parouvsh" (to; ga;r pa'san ajreth;n e[con ouj 25 qevmi" metabavllein eij" th;n ceivrona moi'ran) ou[te ejpi; to; krei'tton meqivstatai, pou' ga;r tou' ajrivstou krei'tton a]n gevnoito Pavresti de; kai; eJkavstw/ tou'to kata; th;n aujtou' 90 tavxin, wJ" ei[pomen, kai; tw'/ panti; gevnei tw'n qew'n. Anagkai'on a[ra to; qei'on pa'n ajmetavblhton iJdru'sqai, mevnon ejn tw'/ eJautou' kata; trovpon h[qei. Tov te ou\n au[tarke" ejk touvtwn ajnafaivnetai tw'n qew'n kai; 5 to; a[cranton kai; to; ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" e[con. Eij ga;r mh; metabavllousin ejpi; to; krei'tton wJ" e[conte" to; th'" oijkeiva" fuvsew" a[riston, aujtavrkei" eijsi; kai; oujdeno;" ejndeei'" tw'n o{lwn ajgaqw'n: kai; eij mh; meqivstantaiv pote pro;" th;n ceivrona moi'ran, a[crantoi diamevnousin ejn tai'" eJautw'n 10 uJperocai'" iJdrumevnoi: kai; eij frourou'sin ajmetastavtw" th;n eJautw'n teleiovthta, kata; ta; aujta; ajei; kai; wJsauvtw" e[cousi. Tiv ou\n to; au[tarkev" ejsti to; tw'n qew'n kai; tiv to; a[trepton kai; tiv to; wJsauvtw" e[con, ejfexh'" toi'" eijrhmevnoi" lavbwmen. Levgetai me;n ou\n kai; oJ kovsmo" aujtavrkh", o{ti tevleio" 15 ejk teleivwn kai; o{lo" ejx o{lwn uJpevsth kai; sumpeplhvrwtai toi'" oijkeivoi" a{pasin ajgaqoi'" uJpo; tou' gennhvsanto" aujto;n patrov": ajll hJ toiauvth teleiovth" kai; aujtavrkeia meristh; kai; ejk pollw'n eij" e}n suniou'sa levgetai kai; kata; metoch;n ajpoplhrou'tai tw'n cwristw'n aijtivwn. Levgetai de; 20 kai; oJ tw'n qeivwn yucw'n diavkosmo" aujtavrkh" wJ" a]n dh; plhvrh" tw'n oijkeivwn ajretw'n kai; th'" eJautou' makariovthto" to; mevtron ajei; fulavttwn ajnendeev": ajlla; kajntau'qa to; au[tarke" ejndeev" ejsti dunavmewn, ouj ga;r pro;" ta; aujta; nohta; ta;" nohvsei" e[cousin, ajlla; kai; kata; crovnon ejnergou'si kai;

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nità demiurgica. E tra l’altro anche il Socrate della Repubblica152, a ragione, discorrendo sugli dèi, afferma: «ma come pare, essendo bellissimo ed eccellente al grado più alto possibile, ciascuno di essi permane sempre semplicemente nella sua propria forma». Infatti 20 ciascuno, avendo ottenuto in sorte nella propria catena il livello primo e la sommità, non abbandona il proprio livello, ma mantiene insieme sia la beatitudine sia la felicità della propria potenza. E non scambia il suo livello presente con uno inferiore (infatti ciò che possiede ogni virtù non è lecito che passi alla condizione infe- 25 riore), né si sposti verso ciò che è superiore: dove infatti potrebbe diventare migliore di ciò che è eccellente? D’altra parte sia in ciascun dio in particolare sia in tutto il genere degli dèi è pre- 90 sente questa eccellenza153, come dicevamo154, in base al proprio livello. È dunque necessario che tutta la realtà divina si collochi come immutabile, «permanendo nella propria specifica indole in modo conveniente»155. Dunque si manifesta da questi dèi sia la proprietà di bastare a se stessi sia quella della purezza sia quella dell’essere sempre in 5 maniera identica e allo stesso modo. In effetti, se non mutano in ciò che è migliore, considerato che posseggono l’eccellenza della propria natura, sono bastanti a se stessi e non sono mancanti di nessuno tra tutti quanti i beni; e se non trapassano mai alla parte peggiore, permangono puri rimanendo stabilmente posti nelle 10 loro proprie forme di superiorità; e se custodiscono costantemente la perfezione loro propria, sono sempre in maniera identica e allo stesso modo. Che cosa è dunque la proprietà degli dèi di bastare a se stessi, che cosa la loro immutabilità e che cosa il loro essere sempre allo stesso modo? Prendiamolo ora in considerazione subito dopo quanto si è affermato. Ebbene, anche il cosmo si dice «autosufficiente»156, poiché sussiste «perfetto di parti 15 perfette»157 e della totalità delle parti ed è stato colmato di tutti quanti i beni specifici dal «Padre che lo ha generato»158. Ma tale perfezione ed autosufficienza sono divisibile in parti e si dice anche che ciascuna si riunisce dai molti in un’unità, e si completa per partecipazione ai principi causali trascendenti. D’altra parte, anche l’ordinamento delle anime divine si dice auto- 20 sufficiente come se fosse appunto pieno delle proprie specifiche virtù e sempre mantenesse perfetta, custodendola, la misura della propria beatitudine. Tuttavia anche in quest’ultimo ambito la condizione di autosufficienza è priva di potenze; infatti non mantengono le proprie intellezioni sempre al livello dei medesimi oggetti intelligibili, ma agiscono anche nell’ambito

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to; pantele;" th'" qewriva" ejn tai'" o{lai" kevkthntai periovdoi": hJ toivnun aujtavrkeia tw'n qeivwn yucw'n kai; teleiovth" 91 th'" zwh'" oujc oJmou' pa'sa suvnesti. Levgetai de; au\ kai; oJ noero;" kovsmo" aujtavrkh" wJ" ejn aijw'ni to; o{lon ajgaqo;n iJdrusavmeno" kai; pa'san oJmou' th;n eJautou' makariovthta sullabw;n kai; mhdeno;" w]n ejndehv", tw'/ pa'san aujtw'/ parei'nai 5 zwhvn, pa'san de; novhsin, ejlleivpein de; mhde;n mhde; poqei'n wJ" ajpovn: ajlla; kai; ou|to" aujtavrkh" me;n ejn th'/ eJautou' tavxei, th'" de; tw'n qew'n aujtarkeiva" ajpoleivpetai: pa'" ga;r nou'" ajgaqoeidhv" ejstin, ajll oujk aujtoagaqovth" oujde; prwvtw" ajgaqovn: e{kasto" de; tw'n qew'n eJnav" ejsti kai; u{parxi" kai; 10 ajgaqovth", hJ de; ijdiovth" th'" uJpavrxew" ejxallavttei th;n eJkavsth" ajgaqovthto" provodon – oJ me;n gavr ejstin ajgaqovth" telesiourgov", oJ de; ajgaqovth" sunektikh; tw'n o{lwn, oJ de; ajgaqovth" sunagwgov" – e{kasto" de; aJplw'" ajgaqovth" Ê aujtavrkeiav ejstin h] ou{tw" Ê ouj kata; mevqexin oujde; 15 kat e[llamyin oujde; kaq oJmoiovthta to; au[tarke" e[cousa kai; to; pantelev", ajll aujtw'/ tw'/ ei\nai o{ ejsti. Nou'" me;n ga;r kata; mevqexin, yuch; de; kat e[llamyin, to; de; pa'n tou'to kata; th;n pro;" to; qei'on oJmoiovthta au[tarke", aujtoi; de; oiJ qeoi; di eJautou;" kai; par eJautw'n aujtavrkei", eJautou;" 20 peplhrwkovte", ma'llon de; plhrwvmata tw'n o{lwn ajgaqw'n uJpavrconte". Tou'to me;n ou\n toiauvthn a]n e[coi fuvsin, to; au[tarke". To; dev ge a[trepton tw'n qew'n, oJpoi'on ei\nai fhvsomen «Ar oi|on to; tou' kukloforhtikou' swvmato" Oujde; ga;r tou'to para; 25 tw'n ceirovnwn oujde;n eijsdevcesqai pevfuken, oujde; th'" genesiourgou' metabolh'" ajnapivmplatai kai; th'" ejntau'qa parempiptouvsh" ajtaxiva": a[ulo" ga;r kai; ajmetavblhto" hJ 92 tw'n oujranivwn swmavtwn fuvsi". Alla; tou'to mevga me;n kai; semno;n wJ" ejn tai'" swmatikai'" uJpostavsesi, katadeevsteron de; au\ tw'n qew'n ejstiv: pa'n de; sw'ma kai; to; ei\nai kai; to; ajei; ajtrevptw" ei\nai par a[llwn e[cei tw'n prohgoumevnwn aijtivwn. 5 All oujde; toiou'tovn ejstin oi|on to; a[trepton tw'n yucw'n ejpi; tw'n qew'n to; ajpaqe;" kai; ajmetavblhton: kai; ga;r au|tai 25

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temporale e la totale compiutezza della loro contemplazione 25 l’hanno acquisita in periodi di tempo completi. Pertanto l’autosufficienza delle anime divine e la perfezione della vita non si tro- 91 vano nel medesimo tempo tutta insieme. D’altra parte anche il cosmo intellettivo a sua volta si dice autosufficiente, considerato che ha fondato in eterno la totalità del bene, ha raccolto nello stesso momento tutta la sua propria beatitudine e non è mancante di nulla, per il fatto che in esso è presente ogni forma di 5 vita, e inoltre ogni intellezione, e d’altra parte non difetta di nulla né brama alcuna cosa come se ne sentisse la mancanza; ma anche questo è autosufficiente nel suo proprio ordinamento, però difetta della autosufficienza degli dèi. Infatti ogni intelletto è di forma simile a quella del bene, ma non è bontà in sé né primariamente bene; invece ciascuna delle divinità è unità, esistenza originaria e 10 bontà, ed inoltre il carattere proprio dell’esistenza divina diversifica ciò che procede da ciascuna forma di bontà – infatti un dio è bontà che porta a compimento, un altro è bontà che mantiene insieme la totalità, un altro ancora bontà che congiunge – ciascun dio però è bontà in modo puro e semplice †…†159, bontà che non in base a partecipazione, né in base ad irradiazione né in base 15 a somiglianza ha il carattere della autosufficienza e della perfezione, ma per il solo fatto di essere quello che è. In effetti l’intelletto è per partecipazione, l’anima invece per irradiazione, mentre questo universo lo è per somiglianza rispetto alla realtà divina. Gli dèi stessi invece sono autosufficienti per se stessi ed in se stessi, essendosi saziati della totalità dei beni, ma in misura mag- 20 giore essendo di fatto ciascuno pienezza della totalità dei beni. Ecco dunque, il bastare a sé dovrebbe avere tale natura. Invece per quel che concerne il carattere immutabile degli dèi, di quale natura diremo che è? Forse come quella di quel corpo che si muove di moto circolare160? In effetti quest’ultimo non risulta soggetto per natura ad accogliere nulla di proveniente dalle realtà 25 inferiori, né si contamina del mutamento legato al generare e del disordine che si insinua in questo nostro mondo. Infatti immateriale e non soggetta a mutamento è la natura dei corpi celesti. Ma questo corpo celeste è sì grande e venerabile nell’ambito delle 92 realtà corporee, ma è a sua volta inferiore agli dèi. D’altronde ogni corpo ottiene non solo il suo essere, ma anche il suo essere sempre in modo immutabile da altre cause che sono di natura superiore. Ma presso gli dèi la natura impassibile e non 5 soggetta a mutamenti non è neppure simile alla natura immutabile delle anime. Ed infatti queste ultime hanno per certi versi qual-

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koinwnou'siv pw" swvmasi kaiv eijsi mevsai th'" ajmerivstou kai; th'" peri; ta; swvmata merizomevnh" oujsiva". Oujde; au\ to; tw'n noerw'n oujsiw'n a[trepton ejxisou'tai toi'" qeoi'": 10 kata; ga;r th;n pro;" tou;" qeou;" e{nwsin kai; oJ nou'" a[trepto" kai; ajpaqh;" kai; ajmigh;" pro;" ta; deuvtera: kai; wJ" me;n eJnoeidh;" toiou'tov" ejstin, wJ" de; plhquovmeno" e[cei to; me;n krei'tton ejn eJautw'/, to; de; katadeevsteron. Movnoi de; oiJ qeoi; kata; tauvthn th;n uJperoch;n tw'n o[ntwn iJdrusavmenoi ta;" 15 eJautw'n eJnwvsei" a[treptoi kuriwvtata kai; prwvtw" eijsi; kai; ajpaqei'". Oujde;n gavr ejstin ejn aujtoi'" o} mhv ejstin e}n kai; u{parxi": ajll w{sper to; pu'r pantov" ejsti tou' ajllotrivou kai; th'" ejnantiva" dunavmew" ajfanistikovn, kai; w{sper to; fw'" pa'n ejxelauvnei to; skovto", kai; wJ" oiJ keraunoi; dia; pavntwn 20 cwrou'sin ajcravntw", ou{tw dh; kai; aiJ tw'n qew'n eJnavde" pa'n me;n to; plh'qo" eJnivzousi, pa'n de; to; eij" skedasmo;n kai; merismo;n pantelh' ferovmenon ajfanivzousi, pa'n de; to; metevcon aujtw'n ejkqeou'sin oujde;n ajpo; tw'n metecovntwn eijsdecovmenai kai; th;n e{nwsin th;n oijkeivan ãoujkà ejlattou'sai 25 kata; th;n mevqexin. dio; dh; kai; pantacou' parovnte" oiJ qeoi; pavntwn oJmoivw" ejxhv/rhntai, kai; pavnta sunevconte" uJp oujde93 no;" kratou'ntai tw'n sunecomevnwn, ajll eijsi;n ajmigei'" pro;" pavnta kai; a[crantoi. To; dh; trivton levgetai me;n kai; oJ kovsmo" ou|to" wJsauvtw" e[cein kaq o{son a[luton ajei; kratoumevnhn e[lace th;n ejn 5 auJtw'/ tavxin: ajll o{mw" ejpei; swmatoeidhv" ejsti, metabolh'" a[moiro" oujk e[stin, w{" fhsin oJ Eleavth" xevno". Levgetai de; kai; hJ yucikh; diakovsmhsi" ajei; kata; taujta; th;n oujsivan eJstw'san kekth'sqai, kai; ojrqw'" levgetai, pavnth/ gavr ejstin ajpaqh;" kata; th;n oujsivan: ajlla; ta;" ejnergeiva" eij" 10 crovnon parekteinomevna" e[cei kaiv, w{" fhsin oJ ejn Faivdrw/ Swkravth", a[llote a[lla noei' nohta; kai; ejn a[lloi" kai; a[lloi" ei[desin givnetai periporeuomevnh to;n nou'n. Levgetai dh; pro;" touvtoi" kai; aujto;" oJ polutivmhto" nou'" ªkai;º ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" ei\nai kai; noei'n, ejn aijw'ni thvn 15 te oujsivan oJmou' kai; ta;" dunavmei" kai; ta;" ejnergeiva" ta;" eJautou' phxavmeno": ajlla; dia; to; plh'qo" tw'n nohvsewn kai; dia; th;n poikilivan tw'n nohtw'n eijdw'n te kai; genw'n ouj to;

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cosa in comune con i corpi e sono «intermedie tra la sostanza che non è divisibile e quella che è divisa nei corpi»161. E nemmeno, a sua volta, il carattere immutabile proprio delle essenze intellettive è equiparabile agli dèi. Infatti è in base alla unificazione con gli dèi 10 che anche l’intelletto risulta immutabile, «impassibile e puro»162 rispetto alle realtà inferiori; e nella misura in cui è uni-forme esso è tale, ma nella misura in cui è soggetto alla molteplicità ha in se stesso una componente migliore ed una inferiore. Solo gli dèi, invece, avendo stabilmente fondato sulla base di questa superiorità sugli enti le proprie unificazioni, sono supremamente immuta- 15 bili ed in senso primario impassibili. Infatti non v’è in essi nulla che non sia unità ed esistenza. Ma come il fuoco è in grado di far sparire tutto ciò che è da esso diverso e la potenza opposta alla sua, come la luce scaccia tutta la tenebra, e come i fulmini irrompono dappertutto senza mescolarsi a nulla, così appunto anche le 20 enadi degli dèi da un lato raccolgono nell’Uno tutta la molteplicità, dall’altro fanno sparire tutto ciò che è portato alla dispersione ed alla frammentazione completa, ed inoltre divinizzano tutto ciò che partecipa di esse, senza accogliere nulla in se stesse da ciò che ne partecipa e non diminuendo la propria unità in base alla partecipazione. Ecco il motivo per cui, pur essendo ovunque presen- 25 ti, gli dèi trascendono tutte le entità allo stesso modo, e, pur tenendole tutte insieme, non sono impediti da nessuna delle entità che sono tenute insieme, ma sono, rispetto ad ogni 93 entità, privi di mescolanza e incontaminati. In terzo luogo, certamente anche questo nostro cosmo si dice che permane allo stesso modo nella misura in cui ha ottenuto in sorte insito in se stesso l’ordine che si mantiene sempre «indissolubile»163. Tuttavia dal momento che è di forma corporea, non è 5 «esente da mutamento»164, come afferma lo Straniero di Elea. D’altra parte anche l’ordinamento dell’anima si dice che ha acquisito l’essenza che rimane costantemente sempre nella medesima maniera, e lo si dice a ragione: infatti è del tutto impassibile in base alla sua essenza. Ma le sue attività si dispiegano nel tempo e, 10 come afferma Socrate nel Fedro, pensa una volta alcuni intelligibili, un’altra altri, ed «assume forme» sempre «diverse»165 quando si aggira intorno all’Intelletto. Certo oltre a tali realtà anche l’Intelletto in sé, oggetto di grande onore, si dice che è e pensa rimanendo sempre nella stessa condizione e allo stesso modo, avendo in eterno fissato la sua essenza congiuntamente alle sue 15 potenze ed attività. Tuttavia per la molteplicità delle intellezioni e per la varietà delle forme ed anche dei generi intelligibili non v’è

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wJsauvtw" ejsti;n ejn tw'/ nw'/ movnon, ajlla; kai; to; eJtevrw": oJmou' ga;r hJ eJterovth" ejkei' th'/ taujtovthti sunufevsthke. Kai; ouj 20 tw'n swmatikw'n ejsti; kinhvsewn plavnh movnon oujde; tw'n yucikw'n periovdwn, ajlla; kai; aujtou' tou' nou', kaq o{son eJautou' th;n novhsin eij" plh'qo" prohvgage kai; to; nohto;n anelivxa" e[cei: yuch; me;n ga;r ajnelivttei to;n nou'n, nou'" de; auJto;n ajneivlixen, w{sper kai; oJ Plwti'no" ojrqw'" pouv 25 fhsi, peri; tw'n nohtw'n uJpobavsewn eijpwvn. Toiau'tai gavr eijsin aiJ nou' plavnai, kai; a}" ejkeivnw/ plana'sqai qemitovn. Eij dh; 94 kai; to; ajei; wJsauvtw" ejn movnoi" toi'" qeoi'" prwvtw" kai; mavlista fhvsaimen uJpavrcein, ou[t a]n th'" ajlhqeiva" aJmavrtoimen kai; tw'/ Plavtwni sumfwnhvsaimen, o{" pouv fhsin ejn tw'/ Politikw'/ to; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" e[cein ajei; toi'" 5 pavntwn qeiotavtoi" movnoi" proshvkein. Qeoi; dh; ou\n hJmi'n kai; th'" toiauvth" taujtovthto" eij" eJautou;" ta;" aijtiva" ajnedhvsanto, kai; kata; th;n e{nwsin eJautw'n th;n a[gnwston iJdrumevnhn frourou'sin wJsauvtw" th;n oijkeivan u{parxin.

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ãkVÃ To; me;n ou\n ajmetavblhton tw'n qew'n, ejn aujtarkeiva/ kai; ajpaqeiva/ kai; taujtovthti sunecovmenon, toiou'tovn ejsti: to; de; aJplou'n ejpi; touvtoi" nohvswmen, h{ntina duvnamin e[cei. Kai; ga;r tou'to prostivqhsin oJ Swkravth" ejn toi'" peri; tou' qeivou lovgoi", to; me;n poikivlon kai; poluvmorfon kai; a[llote ajlloi'on fantazovmenon ouj prosievmeno", to; de; monoeide;" kai; aJplou'n eij" to; qei'on ajnapevmpwn: mevnei gou'n, w{" fhsin, e{kasto" aJplw'" ejn th'/ eJautou' morfh'/. Tiv dh; ou\n hJmei'" kai; peri; tauvth" diorizovmeqa th'" aJplovthto" W" oujk e[stin oi|on to; kat ajriqmo;n e}n ajfwrismevnh: to; ga;r toiou'ton polusuvnqetovn ejsti kai; polumigev", dokei' de; aJplou'n ei\nai kaq o{son dih/rhmevnon e[cei to; koino;n ei\do". Oujd oi|on to; ejn toi'" polloi'" katatetagmevnon

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nell’Intelletto solo l’essere allo stesso modo, ma anche l’essere in un modo diverso: infatti in esso la differenza coesiste insieme all’identità. E non v’è solo “un procedere irregolare”166 dei movi- 20 menti dei corpi e dei “cicli”167 delle anime, ma anche dell’Intelletto stesso, nella misura in cui ha spinto la propria intellezione alla molteplicità e possiede l’intelligibile in forma dispiegata. In effetti l’anima dispiega l’intelletto, mentre l’Intelletto «ha dispiegato se stesso»168, come correttamente da qualche parte afferma anche 25 Plotino, parlando delle successioni degli intelligibili. Tali in effetti sono i modi di procedere irregolari dell’Intelletto, ed è in queste modalità che gli è lecito essere irregolare. Se invece dicessimo 94 appunto che l’essere sempre allo stesso modo sussiste principalmente e massimamente solo negli dèi, non ci allontaneremmo dalla verità e rimarremmo in accordo con Platone, il quale da qualche parte nel Politico afferma che «il permanere sempre nella stessa condizione e allo stesso modo si confà solo agli esseri più divi- 5 ni fra tutti»169. In conclusione, dunque, le divinità dal nostro punto di vista si sono cinte delle cause di tale identità in rapporto a se stesse, e in base alla loro propria unificazione fissata in modo inconoscibile, custodiscono la propria esistenza mantenendola identica.

[Qual è la semplicità degli dèi ed in che modo ciò che v’è in essi di semplice appare vario nelle realtà seconde] Dunque tale è l’immutabilità degli dèi, che consiste nella autosufficienza, nella impassibilità e nella identità. A questo punto, per quel che concerne invece la loro semplicità, pensiamo a che tipo di significato essa ha. Ed in effetti, nei discorsi sulla realtà divina170, Socrate, che non ammette il carattere della varietà, della multiformità e del manifestarsi in modi sempre diversi, ma attribuisce alla realtà divina il carattere dell’uniformità e della semplicità, questo aggiunge: «dunque, come affermo, ciascuno permane semplicemente nella forma che gli è propria»171. Ebbene, che cosa stabiliamo allora a proposito di questa semplicità? Che essa non è contraddistinta come l’uno in senso numerico: tale uno infatti è costituito e composto dall’insieme di molteplici parti, ma sembra essere semplice nella misura in cui possiede, seppur in modo suddiviso, la forma comune . poi non è neppure come la specie172 o il

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ei\do" h] gevno": kai; ga;r tau'ta tw'n me;n ajtovmwn ejn oi|" ejsti;n aJplouvstera tugcavnei o[nta, poikiliva" de; ajnapevplhstai th'/ 95 u{lh/ koinwnhvsanta kai; proslabovnta ta;" tw'n ejnuvlwn diaforovthta". Oujde; oi|on to; th'" fuvsew" ei\do": merivzetai ga;r kai; hJ fuvsi" peri; ta; swvmata kai; duvnei kata; tw'n swmatikw'n o[gkwn kai; polla;" probavllei dunavmei" peri; 5 th;n uJpokeimevnhn aujth'/ suvstasin, kai; e[sti tw'n me;n swmavtwn aJploustevra, summigh' de; th;n oujsivan e[cousa pro;" th;n ejn aujtoi'" poikilivan. Oujde; oJpoi'on to; yucikovn: kai; ga;r hJ yuch; mevsh th'" ajmerivstou kai; th'" peri; ta; swvmata merizomevnh" oujsiva" uJpavrcousa koinwnei' pro;" ajmfo10 tevra" toi'" a[kroi", kai; tw'/ me;n polueidei' tw'/ eJauth'" sunavptei toi'" ceivrosi, kavra de; aujth'" ejsthvriktai a[nw, kai; e[sti kat ejkei'no mavlista qeiva kai; tw'/ nw'/ suggenhv". Oujd oi|on to; noerovn: ajmevristo" ga;r a{pa" nou'" kai; eJnoeidhv", plh'qo" de; o{mw" e[cei kai; provodon, kaqo; dhlonovti scevsin e[cei pro;" 15 ta; deuvtera *** eij" eJauto;n kai; peri; eJautovn, kai; e[stin ejn eJautw'/, kai; ouj monoeidh;" movnon ajlla; kai; polueidh;" kaiv, w{sper eijwvqasi levgein, e}n pollav: th'" ou\n prwtivsth" aJplovthto" uJpodeestevran e[lacen oujsivan. OiJ dev ge qeoi; movnw" ejn aJplovthti mia'/ th;n u{parxin ajfwrismevnhn e[cousi, 20 panto;" me;n plhvqou" ejxh/rhmevnoi kaq o{son eijsi; qeoiv, pavsh" de; diairevsew" kai; merismou' kai; diastavsew" h] scevsew" pro;" ta; deuvtera kai; pavsh" sunqevsew" uJperevconte". Kai; aujtoi; mevn eijsin ejn ajbavtoi", tw'n o{lwn uJperhplwmevnoi kai; pa'sin ejpocouvmenoi toi'" ou\sin aijwnivw": aiJ de; ajp auj25 tw'n ejllavmyei" eij" ta; deuvtera summignuvmenai pollacou' toi'" metevcousi sunqevtoi" ou\si kai; poikivloi" ajnapivmplantai 96 th'" oJmoiva" aujtw'n ijdiovthto". Mh; toivnun qaumazevtw ti", eij tw'n qew'n ejn aJplovthti mia'/ kaq uJperoch;n oujsiwmevnwn poikivla probevblhtai th'" parousiva" aujtw'n fantavsmata, mhd eij monoeidw'n ejkeivnwn o[ntwn polueidh' ta; fainovmena,

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genere che occupano un determinato posto nell’ambito del molteplice; ed in effetti specie e genere si trovano ad essere più semplici degli elementi indivisibili in cui consistono, ma risultano colmi di varietà in quanto sono partecipi della materia ed hanno 95 acquisito le differenze delle entità avvolte nella materia. E non è nemmeno come la forma propria della natura: infatti anche la natura si divide in relazione ai corpi e penetra tra le masse corporee e produce molteplici potenze in relazione all’insieme composito ad essa soggiacente173, e da un 5 lato è più semplice dei corpi, avendo però, dall’altro, un’essenza confusa con quella varietà che è insita in essi. E non ha neppure lo stesso carattere della realtà dell’anima; ed infatti l’anima, dato che si trova «a metà tra l’essenza indivisibile e quella che si divide nelle entità corporee»174, partecipa, in rapporto ad entrambe queste essenze, degli aspetti estremi e, 10 per via della sua natura multiforme, si collega alle entità inferiori, mentre il suo «capo è saldamente posto»175 in alto, ed in base a quella essa è divina al più alto livello ed è congenere all’Intelletto. E non è nemmeno come la realtà intellettiva: infatti l’Intelletto nel suo insieme è indiviso e uni-forme, tuttavia possiede molteplicità e processione, in quanto ha chiaramente relazione con le realtà seconde 176 verso 15 se stesso ed intorno a se stesso, ed è in se stesso ed al contempo è non solo uniforme, ma anche multiforme, e, come si è soliti dire, «Uno-molti». Dunque ha ottenuto in sorte una essenza inferiore rispetto alla primissima forma di semplicità. Gli dèi invece per l’appunto hanno essi solamente la loro autentica esistenza ben determinata in una sola e medesima semplicità, da un lato trascendendo ogni forma di molteplicità, nella 20 misura in cui sono dèi, dall’altro stando al di sopra di ogni distinzione, divisione, separazione o relazione e combinazione con le realtà seconde. Essi si trovano per giunta in una realtà inaccessibile, nella loro semplicità sovrasemplificata rispetto a tutte quante le cose dell’universo e nel loro eterno «elevarsi»177 sopra tutti gli enti. D’altra parte le irradiazioni che da essi promanano verso le realtà se- 25 conde, unendosi ovunque con le entità che ne partecipano, le quali sono composite, le riempiono della proprietà che è ad esse 96 somigliante. Pertanto non ci si deve meravigliare se, benché l’essenza degli dèi si fondi in modo superiore su un’unica e sola forma di semplicità, si sono prodotte immagini di varia natura della loro presenza, né ci si deve meravigliare se, pur essendo essi

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kaqavper ejn tai'" telewtavtai" tw'n teletw'n memaqhvkamen. Kai; ga;r hJ fuvsi" kai; oJ dhmiourgiko;" nou'" tw'n ajswmavtwn swmatoeidh' kai; tw'n nohtw'n ei[dwla proteivnousin aijsqhta; kai; tw'n ajdiastavtwn diastatav. Toiau'ta ga;r dh; kai; oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" ejndeiknuvmeno" kai; tw'n yucw'n 10 ta;" a[neu swmavtwn teleta;" makariwtavta" ei\nai kai; teleiva" o[ntw" ajpofainovmeno", oJlovklhra kai; aJpla' kai; ajtremh' favsmata muei'sqaiv fhsin aujta;" ejkei' genomevna" kai; toi'" qeoi'" aujtoi'" eJnizomevna", ajll ouj toi'" ajp aujtw'n eij" ta; th'/de proballomevnoi" ijndavlmasin ejntugca15 nouvsa". Tau'ta me;n ga;r merikwvtera kai; sunqetwvtera kai; ejn kinhvsei profaivnetai: ta; de; tai'" tw'n qew'n ojpadoi'" kai; to;n polu;n o[clon th'" genevsew" ajpolipouvsai" kai; gumnai'" pro;" to; qei'on kai; kaqaro;n ajnhgmevnai" ejllampovmena favsmata monoeidh' kai; aJpla' kaiv, w{" fhsin oJ 20 Swkravth", ajtremh' proveisin eij" aujtav". Tosau'ta kai; peri; th'" aJplovthto" th'" ejn toi'" qeoi'" hJmi'n ajfwrivsqw. dei' ga;r dh; to; tw'n polumovrfwn gennhtiko;n aJplou'n prou>pavrcein tw'n gennwmevnwn, kaqavper dh; kai; to; tw'n peplhqusmevnwn eJnoeidev". Eij toivnun oiJ qeoi; pavsh" 25 sunqevsewv" eijsin ai[tioi kai; th;n tw'n o[ntwn poikilivan ajf eJautw'n parhvgagon, dei' dhvpou to; e}n aujtw'n to; tw'n o{lwn gennhtiko;n ejn aJplovthti th;n uJpovstasin e[cein. Kai; 97 ga;r w{sper tw'n swmavtwn ajswvmata kai; tw'n kinoumevnwn ajkivnhta kai; tw'n meristw'n ajmevrista prohgei'tai pavntwn ai[tia, to;n aujto;n trovpon kai; tw'n polueidw'n monoeidei'" kai; tw'n summemigmevnwn ajmigei'" kai; tw'n poikivlwn aJplai' 5 prou>festhvkasin aiJ prwtourgoi; dunavmei". 5

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kaV Peri; de; th'" ejn aujtoi'" ajlhqeiva" meta; tau'ta levgwmen: kai; ga;r tou'to pro;" toi'" eijrhmevnoi" oJ Swkravth" sullelovgistai, diovti to; qei'on ajyeudev", kai; ou[te ajpavth" ou[te ajgnoiva" ejsti;n hJmi'n h] a[lloi" tisi; tw'n o[ntwn ai[tion.

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uniformi, le loro apparizioni risultano polimorfe, come abbiamo 5 appreso nelle più perfette iniziazioni ai misteri. Infatti anche la natura e l’Intelletto demiurgico propongono immagini corporee delle realtà incorporee, immagini sensibili delle realtà intelligibili, immagini fornite di dimensioni di realtà senza dimensioni. In effetti tra l’altro anche il Socrate del Fedro, spiegando tali concetti e mettendo in luce che per le anime «le iniziazioni ai misteri più 10 beate» e realmente perfette sono quelle che avvengono senza corpi, afferma che esse «sono iniziate alle integre, semplici e stabili visioni»178, giunte in quel luogo e unificandosi con gli dèi stessi, senza però imbattersi nelle apparizioni che sono da essi prodotte in questo nostro mondo. Queste ultime in effetti appaiono più particola- 15 ri, più composite ed in movimento. Le “visioni” invece, che splendono per le “compagne”179 degli dèi, che hanno lasciato “la grande massa”180 della generazione, e che “nude”181 sono state condotte in alto verso ciò che è divino e puro, sono uniformi, semplici e, come afferma Socrate, procedono “stabili” verso esse. 20 Tanto sia stato da noi esattamente definito anche per quel che concerne la semplicità insita negli dèi. Infatti bisogna certamente che il semplice, generatore delle entità multiformi, preesista alle entità generate, proprio come anche l’uni-forme alle realtà che si sono moltiplicate. Se pertanto gli dèi sono 25 cause di ogni composizione e se da loro stessi hanno introdotto la varietà degli enti, bisogna, come io credo, che la loro unità, che è generatrice di tutti gli enti nella loro totalità, abbia il fondamento del proprio esistere nella semplicità. Ed infatti come principi cau- 97 sali incorporei precedono tutte le entità corporee, come principi causali immobili tutte le entità soggette a movimento, e come principi indivisi tutte le entità divise, pure allo stesso modo alle entità multiformi risultano preesistere le potenze primordiali uniformi, alle entità mescolate quelle pure e alle entità varie quelle semplici. 5 21 [Qual è la verità insita negli dèi e da dove subentra il falso nelle partecipazioni degli dèi alle realtà seconde] Dopo quanto precede, è della verità insita negli dèi che dobbiamo parlare. Ed infatti Socrate, oltre a ciò che si è detto, ha dedotto per ragionamento per quale motivo «la realtà divina non è soggetta a menzogna»182, e non è fonte né di inganno né di ignoranza per noi o per qualunque altro degli enti.

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Th'" me;n ou\n ejn lovgoi" uJfestwvsh" ajlhqeiva" th;n qeivan ejxh/rhmevnhn nohvswmen, kaq o{son au{th polusuvnqetov" ejsti kai; trovpon tina; tw'/ ejnantivw/ sumpevfurtai, kai; diovti dh; th;n uJpovstasin ejk mh; ajlhqw'n e[schke: ta; ga;r movria ta; prw'ta 15 th'" toiauvth" ajlhqeiva" a[dekta, eij mhv ti" a[llon kai; tau'ta trovpon ajlhqeuvein levgoi tw'/ ejn Kratuvlw/ Swkravtei peiqovmeno". Th'" de; au\ yucikh'", ejn dovxai" ei[te kai; ejpisthvmai" qewroumevnh", kaq o{son meristhv pwv" ejsti, kai; oujk aujta; ta; o[nta ejstivn, ajll oJmoiou'tai kai; sunarmovzetai toi'" ou\si, 20 kai; wJ" ejn kinhvsei kai; metabavsei teloumevnh th'" eJstwvsh" ajei; kai; monivmou kai; ajrchgikh'" ajlhqeiva" ajpoleivpetai. Th'" de; au\ noera'", diovti kat oujsivan uJfevsthke, kai; levgetai me;n ei\nai ta; o[nta kai; e[sti dia; th;n th'" taujtovthto" duvnamin, pavlin de; au\ kata; th;n eJterovthta diakrivnetai th'" oujsiva" 25 aujtw'n kai; th;n ijdivan uJpovstasin ajsuvgcuton pro;" aujta; dia98 fulavttei. Movnh toivnun hJ tw'n qew'n ajlhvqeia e{nwsi" aujtw'n ejsti;n ajdiaivreto" kai; pantelh;" koinwniva, kai; dia; tauvthn h{ te tw'n qew'n a[rrhto" gnw'si" uJperevcei pavsh" gnwvsew" kai; pavnta ta; deuvtera tw'n gnwvsewn ei[dh teleiovthto" metalag5 cavnei th'" proshkouvsh". Movnh de; au{th kai; pavnta ta; o[nta kaq e{nwsin a[fraston sunh/rhmevnw" perievcei, kai; dia; tauvthn oiJ qeoi; ta; pavnta ginwvskousin oJmou', tav te o{la kai; ta; mevrh, tav te o[nta kai; ta; mh; o[nta, tav te aijwvnia kai; ta; e[gcrona: oujc w{sper oJ nou'" tw'/ kaqovlou to; mevro" kai; tw'/ 10 o[nti to; mh; o[n, ajll aujtovqen e{kasta, kai; o{sa koina; kai; o{sa kaq e{kasta, ka]n ta; tw'n pavntwn ajtomwvtata levgh/", ka]n th;n ajpeirivan tw'n ejndecomevnwn, ka]n th;n u{lhn aujthvn. Eij de; to;n trovpon ejpizhtei'" th'" tw'n qew'n peri; pavnta ta; oJpwsou'n uJfesthkovta gnwvsew" kai; ajlhqeiva", a[rrhtov" ejsti a[lhpto" ajnqrwpivnai" ejpibolai'", movnoi" de; aujtoi'" 15 kai; gnwvrimo" toi'" qeoi'". Kai; e[gwge qaumavzw me;n kai; tw'n Platwnikw'n tou;" pavntwn th;n gnw'sin ajpodovnta" tw'/ nw'/, kai; tw'n ajtovmwn levgw kai; tw'n para; fuvsin kai; o{lw" tw'n kakw'n, kai; dia; tou'to noera; kai; touvtwn paradeivgmata

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Dunque, da un lato, dobbiamo pensare la verità divina come trascendente quella che è posta nei discorsi, nella misura in cui quest’ultima è composta di molteplici parti e in un certo modo è frammischiata con il suo contrario, e per questa ragione risulta aver acquisito la sua sussistenza da ciò che non è vero. In effetti le componenti prime183 del linguaggio non sono suscettibili di tale 15 verità, a meno che qualcuno, persuaso dal Socrate del Cratilo184, non dicesse che anche queste sono in un altro modo vere. D’altro canto a sua volta anche la verità dell’anima, che si può osservare nelle opinioni e parimenti nelle scienze, in quanto è per certi aspetti divisibile in parti, e non coincide con gli enti in se stessi, ma è simile e si unisce con gli enti e, 20 per così dire, compiendosi nel movimento e nel mutamento, rimane lontana dalla sempre stabile, fissa, sovrana verità. D’altra parte la verità intellettiva, perché essa risulta sì sussistere in base all’essenza, e si dice che coincide con gli enti e coincide con gli enti per la forza dell’identità, ma a sua volta anch’essa si divide in base alla differenza dell’essenza 25 degli enti e conserva la propria realtà distinta rispetto ad essi. 98 Pertanto solo la verità propria degli dèi è unificazione indivisibile di essi e assolutamente perfetta comunione, ed è attraverso quest’ultima che la conoscenza ineffabile degli dèi supera ogni conoscenza ed al contempo che tutte le seconde forme delle conoscenze hanno la possibilità di partecipare della loro appropriata perfe- 5 zione. Solo questa inoltre comprende tutti gli enti in modo complessivo in base ad una unificazione indicibile, ed al contempo è attraverso questa unione che gli dèi conoscono insieme tutte quante le entità, sia le totalità sia le parti, sia le cose che sono sia quelle che non sono, sia quelle eterne sia quelle temporanee; non come l’Intelletto che conosce il particolare con l’universale e con 10 l’essere il non-essere, ma ciascuna entità direttamente da essa stessa, sia nel loro comune insieme sia nella loro singolarità, sia che si considerino le entità più indivisibili fra tutte, sia l’infinità delle entità possibili, sia la materia stessa. Se poi si prende in esame la modalità della conoscenza propria degli dèi, riguardo a tutte le entità che sono venute a sussistere in un qualunque modo, e della verità , essa è ineffabile ed 15 inconcepibile per nozioni umane, invece è familiare solo agli dèi stessi. Ed io personalmente mi meraviglio che anche tra i Platonici185 vi siano quelli che hanno attribuito la conoscenza di tutte le cose all’Intelletto, ed intendo dire sia delle entità individuali sia di quelle contro natura sia di tutti i mali

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qemevnou". Pollw'/ d a]n ma'llon ajgasqeivhn tou;" diakrivnonta" me;n th;n noera;n ijdiovthta th'" qeiva" eJnwvsew" (kai; ga;r oJ nou'" dhmiouvrghma kai; gevnnhma tw'n qew'n ejsti; to; prwvtiston), tw'/ de; nw'/ ta; o{la kai; prwvtista kai; kata; fuvsin ajpodovnta" ai[tia, kai; toi'" qeoi'" th;n pavntwn kosmhtikh;n 25 kai; gennhtikh;n duvnamin: to; ga;r e}n pantacou', to; de; o{lon ouj pantacou': kai; tou' me;n eJno;" kai; hJ u{lh metevsce kai; e{kaston tw'n o[ntwn, nou' de; kai; tw'n noerw'n eijdw'n te kai; 99 genw'n ouj pavnta. Pavnta ou\n movnw" ejk tw'n qew'n, kai; hJ o[ntw" ajlhvqeia par ejkeivnoi" oi} pavnta ginwvskousin eJniaivw". Kai; dia; tou'to kai; ejn toi'" crhsmoi'" oJmoivw" oiJ qeoi; ta; 5 pavnta didavskousin, tav te o{la kai; ta; merikav, kai; ta; aijwvnia kai; ta; eij" a{panta to;n crovnon gignovmena: kai; ga;r tw'n aijwnivw" o[ntwn kai; tw'n ejn crovnoi" ejxh/rhmevnoi, kata; mivan kai; hJnwmevnhn ajlhvqeian th;n eJkavstou kai; pavntwn gnw'sin ejn eJautoi'" sunh/rhvkasin. Eij d a[ra ti kai; parempivptoi 10 yeu'do" eij" ta; crhsthvria tw'n qew'n, oujk ajpo; tw'n qew'n to; toiou'to genna'sqai fhvsomen, ajll ajpo; tw'n decomevnwn h] tw'n ojrgavnwn h] tw'n tovpwn h] tw'n kairw'n: a{panta ga;r tau'ta suntelei' pro;" th;n metousivan th'" qeiva" gnwvsew", kai; sunarmozovmena me;n oijkeivw" toi'" qeoi'" kaqara;n uJpodevcetai 15 th'" ejn aujtoi'" iJdrumevnh" ajlhqeiva" th;n e[llamyin, ajfistavmena de; di ajnepithdeiovthto" tw'n qew'n kai; ajnavrmosta ginovmena pro;" aujtou;" ejphlugavzei th;n ajp aujtw'n proi>ou'san ajlhvqeian. Poi'on ou\n yeu'do" ejk qew'n, tw'n pavnta ta; th'" gnwvsew" ei[dh paragovntwn Tiv" ajpavth para; tw'n th;n 20 o{lhn ajlhvqeian ejn eJautoi'" iJdrusamevnwn Kaqavper ga;r oi\mai pa'si me;n ta; ajgaqa; proteivnousin oiJ qeoiv, devcetai de; ajei; oJ ejqevlwn te kai; dunavmeno", fhsi;n oJ ejn Faivdrw/ Swkravth", kai; to; me;n qei'on ajnaivtion tw'n kakw'n, to; de; ajfistavmenon ejkeivnou kai; bri'qon eij" to; kavtw 25 di eJautou' kakuvnetai, to;n aujto;n dh; trovpon kai; qeoi; me;n ajei; th'" ajlhqeiva" eijsi; corhgoiv, proslavmpetai de; uJp aujtw'n 100 oi|" qevmi" metevcein ejkeivnwn. Ta; ga;r tw'n pollw'n th'" yuch'" o[mmata karterei'n pro;" to; ajlhqe;" ajforw'nta ajduvnata, fhsi;n oJ Eleavth" sofov". 20

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nel loro insieme, e che per questo pongono paradigmi intellettivi 20 anche di tali entità186. Ma rimarrei molto più stupito da chi distingue il carattere specifico intellettivo dalla unità divina (ed infatti l’Intelletto è la primissima forma di produzione e generazione da parte degli dèi), ma attribuisce all’Intelletto i principi causali universali, primissimi e conformi a natura, ed agli dèi la potenza cosmica e generatrice di tutte le cose: infatti l’Uno è 25 ovunque, mentre la totalità non è ovunque; e dell’Uno ha partecipato anche la materia e ciascuno degli enti, invece dell’Intelletto e delle Forme intellettive unitamente ai generi intellettivi non tutte le entità . Tutte le cose dunque provengono sola- 99 mente dagli dèi, e l’autentica verità presso di loro, i quali conoscono ogni cosa in modo unitario187. Ed è per questo motivo che anche negli oracoli gli dèi forniscono informazioni allo stesso modo su tutte le cose, sia quelle univer- 5 sali sia quelle particolari, sia su quelle eterne sia su quelle che avvengono nel corso del tempo nella sua globalità. Ed infatti, pur trascendendo le entità che sono eternamente e quelle che sono nel tempo, è in base ad un’unica ed unificata verità che essi mantengono raccolti in se stessi la conoscenza di ogni singola e di tutte le entità. E se poi dovesse anche sopravvenire qualcosa di falso nei 10 responsi degli dèi, diremo che non è per colpa degli dèi che si produce tale errore, bensì per colpa di coloro che ricevono , o per colpa degli strumenti o dei luoghi o delle circostanze: tutti questi elementi infatti contribuiscono al divenire partecipi della conoscenza divina, e, se entrano appropriatamente in sintonia con gli dèi, ricevono pura l’irradiazione della verità che risiede in essi; se invece per inadeguatezza rimangono disgiunti dagli dèi 15 e non entrano in sintonia con essi finiscono per nascondere la verità che da questi procede. Di quale sorta dunque il falso proveniente dagli dèi, i quali guidano tutte le forme di conoscenza? Quale l’inganno da parte di coloro che ripongono saldamente in se stessi tutta quanta la verità? In effetti 20 come, a mio avviso, è a tutti che gli dèi protendono i beni, ma a riceverli è «sempre chi vuole ed al contempo è in grado di riceverli», afferma Socrate nel Fedro188, e la divinità «non è responsabile dei mali»189, mentre ciò che si allontana da essa e «si piega»190 verso il basso si corrompe per sua propria responsabilità, proprio allo 25 stesso modo gli dèi sono sempre garanti della verità, ma da essi ricevono luce gli esseri ai quali è lecito partecipare di essi. «Infatti 100 gli occhi dell’anima è impossibile che rimangano fissi sulla molteplicità quando sono rivolti alla luce», afferma il sapiente di Elea191.

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Tauvthn dh; th;n ejn toi'" qeoi'" prwvtw" uJfesthkui'an ajlhvqeian kai; oJ Aqhnai'o" xevno" ajnuvmnhsen, ajlhvqeia dhv, fav", pavntwn me;n ajgaqw'n qeoi'" hJgei'tai, pavntwn de; ajnqrwvpoi". W" ga;r ta;" yuca;" hJ ejn aujtai'" ajlhvqeia sunavptei pro;" nou'n, wJ" ta;" noera;" pavsa" tavxei" hJ noera; ajlhvqeia sunavgei pro;" to; e{n, ou{tw dh; kai; hJ tw'n qew'n ajlhvqeia ta;" qeiva" eJnavda" eJnoi' th'/ phgh'/ tw'n o{lwn ajgaqw'n, pro;" h}n dh; sunenizovmenai plhrou'ntai pavsh" ajgaqoeidou'" dunavmew". Pantacou' ga;r dh; sunagwgo;n e[cei tou' plhvqou" eij" to; e}n aijtivan hJ th'" ajlhqeiva" u{parxi": ejpei; kai; to; ejn Politeiva/ proi>o;n ajpo; tou' ajgaqou' fw'", to; sunavpton tw'/ nohtw'/ to;n nou'n, ajlhvqeian oJ Plavtwn kalei'.

ãkbVÃ Tauvthn toivnun th;n eJnopoio;n kai; sundetikh;n tw'n plhrouvntwn te kai; plhroumevnwn ijdiovthta kata; pavsa" tw'n qew'n ta;" diakosmhvsei" taktevon a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn. Estai 20 de; hJmi'n gnwvrimon o} levgomen, provteron ãperi;Ã tw'n ejn Faivdrw/ gegrammevnwn koinw'n oJmologhmavtwn peri; panto;" tou' qeivou to;n lovgon poihsamevnoi". 101 Levgei toivnun oJ Swkravth" wJ" a[ra pa'n ejsti; to; qei'on kalovn, sofovn, ajgaqovn, kai; th;n triavda tauvthn dihvkein ejpi; pavsa" ejndeivknutai ta;" tw'n qew'n proovdou". Tiv ou\n a]n ei[h to; ajgaqo;n to; tw'n qew'n kai; tiv" hJ sofiva kai; tiv to; kavllo" 5 To; me;n ajgaqo;n kai; provteron ei[pomen o{ti swstikovn ejsti tw'n o{lwn kai; uJpostatikovn, kai; wJ" ajkrovtaton uJfevsthke pantacou', kai; wJ" plhrwtikovn ejsti tw'n uJfeimevnwn, kai; wJ" ajnavlogon ejn eJkavsth/ tavxei prou>pavrcei th'/ prwtivsth/ tw'n qeivwn diakovsmwn ajrch'/. Kata; ga;r tou'to pavnte" oiJ 10 qeoi; th'/ mia'/ tw'n o{lwn aijtiva/ sunhvnwntai kai; to; ei\nai qeoi; kata; tou'to prwvtw" e[cousin: ou[te ga;r tou' ajgaqou' telewvteron a{pasi toi'" ou\sin ou[te tw'n qew'n. Toi'" ou\n ajrivstoi"

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Questa certamente è la verità che ha il suo principale fondamento negli dèi, verità che anche lo Straniero di Atene ha celebrato quando dice: «certo la verità è a capo di tutti i beni per gli dèi ed anche di tutti i beni per gli uomini»192. Infatti come la verità insita nelle anime le connette all’intelletto, come la verità intellettiva conduce insieme tutti gli ordinamenti intellettivi all’unità, così appunto anche la verità appartenente agli dèi unisce le enadi divine alla fonte di tutti i beni, ed è proprio unendosi a quest’ultima che esse si riempiono di ogni potenza simile al bene. In ogni ambito infatti il sussistere della verità ha certamente il ruolo di ricondurre il molteplice all’unità. Perciò anche la luce che nella Repubblica procede dal Bene, che connette l’intelletto all’Intelligibile, Platone la chiama “verità”193.

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[A partire dai principi fondamentali esposti nel “Fedro” a proposito di tutta la realtà divina nel suo insieme, cioè che è bella, sapiente e buona, elaborazione delle dottrine concernenti la bontà ed esame dettagliato dei caratteri fondamentali del Bene nel “Filebo”] Pertanto questa proprietà unificatrice e congiungitrice di ciò che colma e di ciò che è colmato bisogna disporla in base a tutti gli ordinamenti degli dèi, partendo dall’alto fino agli ultimi. Risulterà d’altra parte per noi familiare ciò che diciamo, se prima ci 20 occupiamo di quanto è stato in generale convenuto nel testo del Fedro circa tutta la realtà divina. Afferma dunque Socrate che «la realtà divina» tutta è «bella, 101 sapiente e buona»194, e dimostra che questa triade pervade tutte le processioni degli dèi. Quale dunque sarebbe la natura del bene proprio degli dèi, quale quella della sapienza e quale quella della bellezza? Il bene anche precedentemente abbiamo detto195 che è fonte 5 di conservazione e di esistenza per la totalità delle cose, e che risulta sussistere in ogni ambito come entità assolutamente somma, e che è atto a colmare tutte le realtà sottoposte, e che preesiste in ogni livello del reale come analogo al Principio primissimo di tutti gli ordinamenti divini. Infatti è in base al bene che tutti gli dèi risultano uniti alla sola ed unica causa della totalità dell’uni- 10 verso e gli dèi hanno il loro essere principalmente in base ad esso: ed infatti non v’è per tutti gli enti cosa più perfetta né del bene né degli dèi. Dunque alle realtà migliori e sotto ogni aspetto per-

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kai; kata; pavnta teleivoi" to; a[riston mavla proshvkei kai; telikwvtaton tw'n o[ntwn. En dev ge tw'/ Filhvbw/ stoicei'a paradivdwsin hJmi'n oJ Plavtwn th'" tou' ajgaqou' fuvsew" triva ta; kuriwvtata, to; ejfetovn, to; iJkanovn, to; tevleion: dei' ga;r aujto; kai; pro;" eJauto; pavnta ejpistrevfein, kai; plhrou'n, kai; kata; mhde;n ejlleivpein mhde; ejlattou'n th;n auJtou' 20 periousivan. To; me;n toivnun ejfeto;n mh; toiou'ton noeivtw ti" oi|on ejn toi'" aijsqhtoi'" proteivnetai pollavki" ojrektovn, a[gonon uJpavrcon kai; ajnenevrghton (toiou'ton ga;r to; fainovmenon kalovn), mhd oi|on ejnergei'n me;n kai; ajnegeivrein eij" auJto; ta; 25 dunavmena metevcein, nohvsei de; lhpto;n kai; kat ejpibolh;n hJmi'n kai; kat ejpevreisin th'" dianoiva" ejkferovmenon: a[rrhton gavr ejsti kai; pro; gnwvsew" pavsh" ejpi; pavnta diateivnei ta; o[nta. Pavnta ga;r ejfivetai tou' ajgaqou' kai; ejpevstraptai 102 pro;" ejkei'no, ta; me;n ma'llon, ta; de; h|tton. All eij dei' sunelovnta favnai th;n ijdiovthta tou' ejfetou': kaqavper oJ tou' fwto;" corhgo;" tai'" ajkti'si proveisin eij" ta; deuvtera ãkai;Ã pro;" eJauto;n ejpistrevfei ta; o[mmata kai; hJlioeidh' poiei' 5 kai; eJautw'/ paraplhvsia kai; dia; th'" eJteromoiovthto" sunavptei tai'" eJautou' marmarugai'", ou{tw" oi\mai kai; to; ejfeto;n tw'n qew'n ajnevlkei pavnta kai; ajnaspa'/ pro;" tou;" qeou;" ajrrhvtw" tai'" oijkeivai" ejllavmyesi, pantacou' paro;n pa'si kai; mhd hJntinou'n ajpolei'pon tavxin tw'n o[ntwn: ejpei; kai; 10 aujth; hJ u{lh pro;" to; ejfeto;n tou'to tetavsqai levgetai kai; dia; th'" ejfevsew" tauvth" plhrou'tai tosouvtwn ajgaqw'n o{swn duvnatai metascei'n. Pavntwn ou\n ejsti; tw'n o[ntwn kevntron, kai; peri; aujto; pavnta ta; o[nta kai; pavnte" oiJ qeoi; tav" te oujsiva" kai; ta;" dunavmei" kai; ta;" ejnergeiva" e[cousi. 15 Kai; hJ pro;" tou'to tavsi" kai; hJ e[fesi" tw'n o[ntwn a[sbestov" ejstin: a[gnwston ga;r o]n poqei' ta; o[nta to; ejfeto;n tou'to, kai; a[lhpton. Mhvte ou\n gnw'nai mhvte eJlei'n o} poqei' dunavmena peri; aujto; pavnta coreuvei, kai; wjdivnei me;n aujto; kai; oi|on ajpomanteuvetai, th;n de; e[fesin ajkatavlhkton e[cei kai; th'" ajgnwvstou kai; ajrrhvtou fuvsew" aujtou' 20 a[pauston, leipovmena, kai; periptuvxasqai kai; ejgkolpivsasqai to; ejfeto;n ajdunatou'nta. Pavntwn ga;r oJmou' tw'n o[ntwn ejxh/rhmevnon pa'si pavrestin oJmoivw" kai; kinei' pavnta peri; eJautov, pa'sin 15

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fette si addice di gran lunga tra tutti gli enti il migliore e quello che è in misura maggiore fine supremo. Inoltre nel Filebo, a mio giudizio Platone ci tramanda i tre caratteri in assoluto più impor- 15 tanti della natura del Bene, quello di «desiderabile», quello di «adeguato», quello di «perfetto». Bisogna infatti ad un tempo che esso faccia volgere verso se stesso tutte le cose, che le colmi e che sotto nessun aspetto la sua sovrabbondanza venga a man- 20 care né diminuisca. Pertanto il Desiderabile non lo si pensi come quello che nell’ambito del sensibile spesso si propone come appetibile, poiché questo è di fatto sterile ed inattivo (di tale natura è infatti il bello apparente), né come tale da agire ed elevare verso se stesso le entità che possono parteciparne, ma coglibile con l’intellezione 25 rivelandosi a noi in modo intuitivo e con la spinta del pensiero analitico. Infatti è ineffabile e raggiunge tutti gli enti anteriormente a ogni forma di conoscenza. Infatti «tutte le cose tendono al bene»196 e si sono voltate verso di esso, alcune 102 in misura maggiore, altre in misura inferiore. Ma se si deve dire in breve la proprietà del Desiderabile: come il dispensatore della luce procede con i suoi raggi verso le realtà seconde e fa rivolgere verso se stesso gli occhi e li rende “di forma simile al sole”197, e molto simili a se stesso e attraverso una somiglianza nella diver- 5 sità198 li connette ai propri fulgori, così, a mio giudizio, anche il Desiderabile proprio degli dèi solleva tutte le realtà e le trasporta in alto verso gli dèi in modo ineffabile con le proprie irradiazioni, essendo presente in ogni ambito ad ogni entità e non trascurando neppure un qualunque livello degli enti. In effetti la materia stessa si dice199 che risulta protesa verso questo Deside- 10 rabile e attraverso questo desiderio si riempie di tutti quei beni di cui può essere partecipe. Dunque di tutti quanti gli enti è il centro, e intorno ad esso tutti gli enti e tutti gli dèi hanno ad un tempo le essenze, le potenze e le attività. E la tensione verso di esso 15 ed il desiderio da parte degli enti sono inestinguibili. Infatti, pur essendo inconoscibile e incoglibile, gli enti bramano questo Desiderabile. E dunque non potendo conoscere e cogliere ciò che bramano, tutti danzano intorno ad esso, e da un lato con travaglio riescono anche per così dire a presagirlo, dall’altro ne hanno un desiderio incessante e continuo, poiché si sentono privi della sua natu- 20 ra inconoscibile ed ineffabile, non potendo abbracciare e stringere a sé il Desiderabile. Infatti, pur trascendendo insieme tutti gli enti, è in ugual modo in tutti presente e li muove tutti intorno a se stesso, pur essendo per tutti incoglibile. E con questo movimento

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ajkatavlhpton o[n: kai; th'/ me;n kinhvsei tauvth/ kai; th'/ ejfevsei swv/zei ta; pavnta, th'/ de; ajgnwvstw/ tw'n o{lwn uJperoch'/ th;n oijkeivan e{nwsin a[mikton fulavttei pro;" ta; deuvtera. To; me;n ou\n ejfeto;n toiou'ton: to; dev ge iJkano;n dunav103 mewv" ejsti plh're" ajgaqoeidou'", kai; proveisin ejpi; pavnta, kai; ta;" tw'n qew'n dovsei" ejkteivnei kai; ejporevgei toi'" ou\si pa'si. Toiauvthn ga;r dh; th;n iJkanovthta nomivzomen ei\nai, duvnamin ejpi; ta; e[scata diiknoumevnhn kai; diateivnousan, kai; 5 th;n a[fqonon tw'n qew'n bouvlhsin ejkfaivnousan, kai; mh; iJstamevnhn ejf eJauth'" ajlla; to; uJpevrplhre" kai; ajnevkleipton kai; a[peiron kai; gennhtiko;n tw'n ajgaqw'n th'" qeiva" uJpavrxew" sullabou'san eJniaivw". Tou' ga;r ejfetou' monivmw" iJdrumevnou kai; tw'n o{lwn uJperevconto" kai; pavnta peri; eJauto; ta; o[nta 10 sthvsanto", to; iJkano;n ejxavrcei proovdou kai; pollaplasiasmou' tw'n o{lwn ajgaqw'n kai; to; prwtourgo;n th'" tou' ejfetou' monoeidou'" uJpavrxew" th'/ gonivmw/ periousiva/ kai; tai'" ejpi; pavnta dihkouvsai" ajgaqourgoi'" ajpoplhrwvsesin ejkkalei'tai kai; proavgei kai; pa'sin ejndivdwsin ajfqovnw", i{na dh; kai; to; 15 movnimon tw'n qeivwn kai; to; proi>o;n ajpo; tw'n oijkeivwn aijtivwn th'" ajgaqovthto" plh're" uJpavrch/, kai; pavnta aJplw'" ajgaquvnhtai ta; o[nta, mevnontav te kai; proercovmena, kai; tai'" ajrcai'" hJnwmevna tai'" eJautw'n kai; diakrinovmena kat oujsivan ajp ejkeivnwn. dia; tauvthn dh; ou\n th;n duvnamin kai; ta; noera; 20 gevnh tw'n oJmoivwn ejsti; sustatikav, kai; ãaiJÃ yucai; genna'n ejfiventai kai; mimei'sqai ta; pro; aujtw'n, kai; aiJ fuvsei" tou;" auJtw'n lovgou" eij" a[llhn diavgousi cwvran, kai; pavnta aJplw'" kat oujsivan e[cei to;n th'" gennhvsew" e[rwta. To; ga;r iJkano;n th'" ajgaqovthto" tw'n qew'n, ajp aujth'" 25 wJrmhmevnon, pa'sin ejnevspartai toi'" ou\si kai; pavnta kinei' pro;" th;n a[fqonon metavdosin tw'n ajgaqw'n, to;n me;n nou'n tw'n noerw'n, th;n de; yuch;n tw'n yucikw'n, th;n de; fuvsin tw'n fusikw'n. Mevnei te ou\n pavnta dia; to; ejfeto;n th'" ajgaqovthto", kai; 104 genna'/ kai; proveisin eij" deutevra" kai; trivta" ajpogennhvsei" dia; to; iJkanovn. To; de; au\ trivton, to; tevleion, ejpistreptikovn ejsti tw'n o{lwn kai; sunagwgo;n ejpi; ta; ai[tia kata; 5 kuvklon, ou| me;n to; qei'on, ou| de; to; noerovn, ou| de; to; yucikovn, ou| de; to; fusikovn: pavnta ga;r metevcei th'" ejpistrofh'", ejpei; 25

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e con il desiderio, da un lato, li preserva tutti, dall’altro per la sua 25 inconoscibile eccellenza rispetto alla totalità degli enti custodisce la propria unione non mescolata con le realtà inferiori. Tale è dunque il Desiderabile; dal canto suo, a mio parere, l’“Adeguato” è colmo della potenza simile per forma al Bene, pro- 103 cede verso tutte le cose, tende e porge i doni degli dèi a tutti gli enti. Tale riteniamo infatti che sia l’adeguatezza, una potenza che si diffonde e si estende fino alle ultime entità, e che rivela la volontà priva di invidia degli dèi, e che non rimane ferma su se stessa, 5 ma che raccoglie in modo unitario il carattere sovrabbondante, inesauribile, illimitato e generativo dei beni della realtà divina. In effetti se il Desiderabile rimane saldamente fisso e si trova al di sopra della totalità del reale e tutti gli enti ha posto intorno a se stesso, l’Adeguato dà inizio alla processione e alla moltiplicazione 10 della totalità dei beni, ed invita e suscita l’originarietà dell’uniforme realtà del Desiderabile verso sovrabbondanza generativa e gli appagamenti benefici che pervadono tutte le entità, e a tutte le entità dà senza invidia, proprio perché sia ciò che rimane fisso delle divinità, sia ciò che procede dai loro propri principi causali, 15 risulti pieno di bontà e siano resi buoni in modo assoluto tutti gli enti, quelli che rimangono fermi ed anche quelli che avanzano, e che risultano unificati dai loro propri principi e che sono distinti da essi in base all’essenza. È attraverso questa potenza, dunque, che anche i generi intellettivi sono atti a tenere insieme le entità ad essi simili, e che le anime desiderano intensamente generare ed 20 imitare le realtà che le precedono, e che le nature trasferiscono i propri principi in un altro ricettacolo, e che tutte le cose senza eccezione possiedono in modo essenziale «l’amore per la generazione»200. Infatti il carattere di adeguatezza proprio della bontà degli dèi, avendo preso le mosse da essa, si è disseminato in tutti 25 gli enti e li muove tutti verso la partecipazione priva di invidia dei beni, l’intelletto alla partecipazione dei beni intellettivi, l’anima alla partecipazione di quelli psichici, la natura alla partecipazione di quelli naturali. Dunque tutte le cose permangono per via della 104 desiderabilità della bontà, ed al contempo generano e procedono verso le seconde e terze generazioni per via della sua adeguatezza. Il terzo carattere poi a sua volta, il “Perfetto”, è in grado di far rivolgere la totalità delle cose e condurla verso le cause in modo circolare, in parte a quella divina, in parte a quella intellettiva, in 5 parte a quella psichica, in parte poi a quella naturale. Infatti tutte le entità partecipano dell’atto del rivolgersi, poiché l’infinito

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kai; to; a[peiron th'" proovdou dia; tauvth" ejpi; ta;" ajrca;" au\qi" ajnakalei'tai. Kai; e[sti suvmmikton to; tevleion ejk tou' ejfetou' kai; tou' iJkanou'. Pa'n ga;r to; toiou'ton ojrektovn ejsti kai; gennhtiko;n tw'n oJmoivwn: h] oujci; kajn toi'" th'" fuvsew" e[rgoi" ta; tevleia pantacou' kai; ejrasta; dia; th;n th'" w{ra" ajkmh;n kai; govnima tugcavnei o[nta Tov te ou\n ejfeto;n eJdravzei ta; pavnta kai; ejn eJautw'/ katevcei, kai; to; iJkano;n eij" proovdou" kai; ajpogennhvsei" ajnegeivrei, kai; to; tevleion eij" ejpistrofa;" kai; sunelivxei" telesiourgei' ta; proelqovnta: dia; de; touvtwn tw'n triw'n aijtivwn *** a pavntwn a[ra prwtourgov" ejsti kai; ajrchgikwtavth phgh; kai; eJstiva tw'n oJpwsou'n uJfesthkovtwn hJ tw'n qew'n ajgaqovth", ejn triavdi toiauvth/ phxamevnh to; eJniai'on kravto" th'" oijkeiva" uJpostavsew".

ãkgVÃ Meta; de; tauvthn hJ sofiva deutevran e[lace tavxin, novhsi" ou\sa tw'n qew'n, ma'llon de; u{parxi" th'" nohvsew" tw'n qew'n. H me;n ga;r novhsi" gnw'siv" ejsti noerav, qew'n de; hJ sofiva 105 gnw'si" a[rrhto", h{ti" h{nwtai pro;" to; gnwsto;n kai; th;n nohth;n e{nwsin tw'n qew'n. dokei' dev moi kai; tauvthn ejn triavdi mavlista qewrei'n oJ Plavtwn, wJ" e[stin ejk tw'n pollacou' diesparmevnwn peri; aujth'" ejnnoiw'n sullogivsasqai. Levgw de; o{ti hJ me;n ejn Sumposivw/ diotivma to; sofo;n 5 plh're" ei\nai bouvletai tou' gnwstou', kai; ouj zhtei'n oujde; qhra'n ajll e[cein to; nohtovn: qew'n oujdei;" filosofei' oujde; ejpiqumei' sofo;" genevsqai, e[sti gavr. Oujkou'n to; me;n filovsofon ajtelev" ejsti kai; ejndee;" th'" ajlhqeiva", to; 10 de; sofo;n plh're" kai; ajnendeev", kai; pa'n o} bouvletai paro;n e[cei, kai; oujde;n poqou'n ajll ejfeto;n kai; ojrekto;n tw'/ filosovfw/ prokeivmenon. O de; ejn th'/ Politeiva/ Swkravth" to; gennhtiko;n ajlhqeiva" kai; nou' th'" sofiva" parevcetai gnwvrisma, tai'"

a Il testo va integrato come segue: dia; de; touvtwn tw'n triw'n aijtivwn ãtav te qei'a pavnta kai; ta; meta; qeou;" gevnh kekovsmhtai:Ã pavntwn k.t.l. Per questa integrazione cfr. nota alla traduzione.

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carattere della processione attraverso questo rivolgersi viene in senso inverso richiamato verso i principi. Ed il Perfetto risulta dalla mescolanza del Desiderabile e dell’Adeguato. Tutto ciò che è tale è appetibile ed è generatore di entità simili. O non è forse vero che anche nelle opere della natura le entità perfette vengono in ogni ambito ad essere oggetto di amore e capaci di creare per via del fiorire della bellezza? Dunque il Desiderabile stabilisce e trattiene in se stesso tutte le entità, l’Adeguato le spinge alle processioni e alle generazioni, e il Perfetto conduce a perfezione quelle che sono procedute, facendole volgere indietro e facendole avvolgere insieme. D’altra parte è attraverso questi tre principi causali che 201; di conseguenza la bontà degli dèi è fonte, originaria ed assolutamente principale, e “focolare”202 di tutte le cose che in un modo qualunque risultano sussistere, dato che essa ha fissato in tale triade la forza unitaria della propria sussistenza.

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[Qual è la sapienza degli dèi e quali i caratteri fondamentali di essa che si potrebbero desumere da Platone] Poi dopo la bontà, la sapienza ha ottenuto in sorte il secondo rango, sapienza che è intellezione degli dèi, anzi fondamento della intellezione degli dèi. L’intellezione infatti è conoscenza intellettiva, invece la sapienza degli dèi è conoscenza ineffabile, la quale è 105 unificata al conoscibile e alla unificazione intelligibile degli dèi. Inoltre a me sembra che Platone consideri anche questa forma di conoscenza in una dimensione spiccatamente triadica, come è possibile evincere dalle considerazioni intorno ad essa disseminate in tutte le sue opere. Io dico che secondo la Diotima del Simposio la natura del 5 sapiente è colma del conoscibile, e non ricerca né insegue, bensì possiede l’intelligibile: «nessuno degli dèi si dedica alla filosofia, né agogna a diventare sapiente, infatti lo è»203. Sicché la natura del filosofo è imperfetta ed è bisognosa della verità, invece la natura 10 del sapiente è ricolma e non è bisognosa di nulla, e tutto ciò che vuole ha lì presente, e non è bramosa di nulla, ma è proposta al filosofo come desiderabile e appetibile. Il Socrate della Repubblica poi presenta come segno della sapienza «l’essere in grado di generare verità e pensiero»204, dato

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me;n hJmetevrai" yucai'" dia; gennhvsew" eij" to; plh're" ªth'"º ajnovdou ginomevnh", toi'" de; qeoi'" ejk tou' plhvrou" th'" gennhvsew" tou' nou' parouvsh". Ouj ga;r ejk th'" ajtelou'" e{xew" ejpi; to; tevleion ejn ejkeivnoi" hJ provodo", ajll ejk th'" aujtotelou'" uJpavrxew" hJ govnimo" tw'n uJpodeestevrwn duvnami". 20 En de; au\ tw'/ Qeaithvtw/ to; telesiourgo;n tw'n ajtelw'n kai; to; proklhtiko;n tw'n kruptomevnwn ejn tai'" yucai'" nohvsewn th'/ sofiva/ proshvkein ejndeivknutai: maieuvesqaiv me oJ qeo;" ajnagkavzei, genna'n de; ajpekwvluse. dh'lon ou\n ejk touvtwn o{ti triadikovn ejsti to; th'" sofiva" 25 gevno", plh're" me;n o]n tou' o[nto" kai; th'" ajlhqeiva", gennhtiko;n de; th'" noera'" ajlhqeiva", teleiwtiko;n de; tw'n kat ejnevrgeian noerw'n kai; aujto; kata; duvnamin eJstwv". Tau'ta toivnun 106 kai; th'/ tw'n qew'n sofiva/ proshvkein uJpolavbwmen: kai; ga;r ejkeivnh th'" me;n ajgaqovthtov" ejsti th'" qeiva" plhvrh", genna'/ de; th;n qeivan ajlhvqeian, teleioi' de; pavnta ta; meq eJauthvn. 15

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ãkdVÃ To; dh; kalo;n ejpi; touvtoi" skeywvmeqa, tiv potev ejsti kai; o{pw" ejn toi'" qeoi'" prwvtw" uJfevsthke. Levgetai me;n ou\n ajgaqoeide;" ei\nai kavllo", kai; nohto;n kavllo", kai; presbuvteron th'" noera'" kallonh'", kai; aujtokallonhv, kai; tw'n o[ntwn aJpavntwn aijtiva kallopoiov", kai; pavnta ta; toiau'ta, kai; ojrqw'" levgetai. cwristo;n dev ejstin ouj movnon tw'n ejn toi'" swmatikoi'" o[gkoi" fainomevnwn kalw'n oujde; th'" ejn touvtoi" summetriva" h] th'" yucikh'" eujarmostiva" h] tou' noerou' fevggou", ajlla; kai; aujtw'n tw'n deutevrwn kai; trivtwn ejn toi'" qeoi'" proovdwn to; prwvtiston kai; eJniai'on kavllo": kai; i{drutai monoeidw'" ejn th'/ nohth'/ periwph'/, kai; ajpo; tauvth" proveisin ejf a{panta ta; tw'n qew'n gevnh kai; katalavmpei tav" te uJperousivou" aujtw'n eJnavda" kai; ta;" ejxhrth-

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che per le nostre anime l’ascesa verso la pienezza avviene attraver- 15 so generazione, invece per gli dèi è presente a partire dalla pienezza della generazione dell’intelletto. Infatti non è dalla imperfetta condizione che in essi avviene la processione verso la perfezione, bensì dal loro sussistere di per se stesso perfetto deriva la potenza generatrice delle entità inferiori. Inoltre a sua volta nel Teeteto si dimostra che la capacità di 20 portare a compimento ciò che è imperfetto e di provocare le intellezioni che si celano nelle anime si confà alla sapienza: «il dio mi costringe a far da levatrice, ma mi ha impedito di generare »205. È evidente dunque in base a questi passi che il genere della sapienza è triadico, in quanto è colmo di essere e verità, è genera- 25 tivo della verità intellettiva, ed è perfezionatore delle intellezioni in atto, pur rimanendo esso costantemente in potenza. Queste caratteristiche pertanto dobbiamo comprendere che si confanno anche 106 alla sapienza propria degli dèi. Ed infatti essa, da un lato, è piena della bontà divina, da un altro genera la divina verità, da un altro lato ancora conduce alla perfezione tutte le realtà che vengono dopo di lei.

[Sulla bellezza divina e sugli elementi costitutivi di essa che Platone tramanda] Oltre a ciò dobbiamo ora esaminare il bello, qual è mai la sua natura e in che senso esiste principalmente negli dèi. Ebbene, si afferma che esiste il bello di forma simile al Bene, cioè il bello intelligibile, e che è più importante della bellezza intellettiva, e che esiste la bellezza in sé, e che è causa in grado di rendere belli tutti quanti gli enti, e tutte le considerazioni simili a queste, e si afferma a ragione206. Ma il primissimo ed unitario bello è separato non solo dalle entità, che si manifestano come belle tra le masse corporee, e dalla proporzione insita in esse o dalla giusta armonia dell’anima o dallo splendore intellettivo, ma è anche separato persino dalle seconde e terze processioni insite tra gli dèi; ed è saldamente posto in modo uniforme nel luogo di osservazione privilegiato dell’intelligibile, e da questo luogo procede verso tutti i generi degli dèi e rischiara le loro enadi sovraessenziali e tutte quante le essenze che risultano dipen-

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mevna" aJpavsa" oujsiva" mevcri kai; tw'n ejmfanw'n ojchmavtwn. ªkai;º Wsper ou\n dia; th;n prwtivsthn ajgaqovthta pavnte" 20 ajgaqoeidei'" oiJ qeoiv, kai; dia; th;n nohth;n sofivan gnw'sin e[cousin a[rrhton kai; uJpe;r nou'n iJdrumevnhn, ou{tw" oi\mai kai; dia; th;n ajkrovthta tou' kavllou" ejravsmiovn ejsti to; qei'on pa'n. Ekei'qen ga;r ejpoceteuvontai pavnte" oiJ qeoi; to; kavllo" kai; plhrouvmenoi ta; meq eJautou;" plhrou'sin, 25 ajnegeivronte" pavnta kai; ejkbakceuvonte" peri; to;n 107 eJautw'n e[rwta kai; ejpantlou'nte" a[nwqen toi'" pa'sin th;n e[nqeon ajporroh;n tou' kavllou". Esti me;n ou\n, wJ" to; o{lon eijpei'n, toiou'ton to; qei'on kavllo", th'" qeiva" eujfrosuvnh" corhgo;n kai; th'" oijkeiovthto" 5 kai; th'" filiva": kata; ga;r tou'to kai; h{nwntai ajllhvloi" oiJ qeoi; kai; caivrousin ajllhvloi" kai; a[gantai kai; eujfraivnontai tai'" pro;" ajllhvlou" koinwnivai" kai; tai'" plhrwvsesin kai; oujk ajpoleivpousin h}n e[lacon ajei; tavxin ejn tai'" eJautw'n diakosmhvsesi. Triva de; oJ Plavtwn kai; touvtou gnwrivsmata 10 paradivdwsin. En Sumposivw/ me;n to; aJbrovn: to; ga;r tevleion dhvpou kai; to; makaristo;n kata; th;n th'" ajgaqovthto" metousivan ejfhvkei tw'/ kalw'/: levgei de; ou{tw pw" ejn ejkeivnoi": ajlla; to; tw'/ o[nti kalovn, tou'tov ejstin aJbro;n kai; tevleion 15 kai; makaristovn. Tou'to me;n ou\n toiou'ton tou' kavllou" e{n, to; aJbrovn, e{teron de; ejk tou' Faivdrou lavbwmen to; fanovn. Kai; ga;r tou'to tw'/ kavllei fevrwn ajnevqhken: kavllo" de; tovte h\n ijdei'n lamprovn, kai; ejfexh'": peri; de; kavllou", w{sper met ejkeivnwn te e[lampen o[n, kai; pavlin ejn 20 e[famen, toi'" ejcomevnoi": deu'rov te ejlqovnte" kateilhvfamen aujto; dia; th'" ejnargestavth" tw'n aijsqhvsewn stivlbon ejnargevstata, kai; tevlo" ejpi; touvtoi": nu'n de; kavllo" movnon tauvthn e[sce moi'ran, ejkfanevstatovn 25 te ei\nai kai; ejrasmiwvtaton. duvo me;n ou\n tau'ta tou' kavllou" eijlhvfqw gnwrivsmata. 108 Trivton de; a[llo to; ejrastovn, o} kai; nu'n ou|to" ejrasmiwvtaton proseirhkevnai moi dokei', kai; a[lloqi pollacou' deiknuvei th;n ejrwtikh;n manivan peri; to; kalo;n ajforizovmeno" 5 kai; o{lw" to;n e[rwta th'" tou' kavllou" ejxavptwn monavdo": Erw" gavr ejsti, fhsivn, e[rw" peri; to; kalovn.

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dere fino addirittura ai loro veicoli visibili207. Come dunque è per via della primissima bontà che gli dèi sono di forma simile al Bene, 20 ed è per via della sapienza intelligibile che hanno una conoscenza ineffabile e posta al di sopra dell’intelletto, così a mio giudizio è anche per via della “eccellenza del bello” che tutta la realtà divina è “oggetto di amore”208. È da questo ambito infatti che tutti gli dèi «si impregnano del bello»209 e, ricolmandosene, ricolmano anche le entità che vengono dopo di loro, «eccitando e sconvol- 25 gendo di furore bacchico»210 tutti gli enti in relazione al loro amo- 107 re e dall’alto «inondandoli»211 tutti «dell’efflusso» divino «del bello»212. Tale è dunque, per dirla in breve, il Bello divino: dispensatore della letizia, della intimità e dell’amore divini. Infatti è in base 5 al Bello divino che gli dèi sono uniti reciprocamente, godono reciprocamente, si compiacciono e si dilettano dei rapporti reciproci di comunanza e delle pienezze e non abbandonano il livello che hanno da sempre ottenuto in sorte nei loro specifici ordinamenti. Anche del Bello Platone poi fornisce tre aspetti caratte- 10 rizzanti. Nel Simposio il carattere di splendido: infatti quello di perfetto, credo io, e la fama di beatitudine giungono al bello sulla base della partecipazione alla bontà. D’altra parte così all’incirca dice in quel testo: «ma il realmente bello», questo è «splendido e perfetto e sti- 15 mato beato»213. Questo dunque è uno solo degli aspetti caratterizzanti del Bello, il suo carattere di splendido, mentre un altro lo ricaviamo dal Fedro e si tratta del suo carattere di rilucente214. Ed infatti , ha attribuito questo carattere al bello: «ed il bello era allora lucente da vedere», e subito dopo: «intorno al bello poi, come dicevamo, anche insieme a quelli risplendeva l’essere»; e di 20 nuovo nella parte seguente: «qui giunti, lo abbiamo colto risplendere in modo efficacissimo con il più efficace dei sensi»; ed infine oltre a questi passi: «ora poi solo il bello ha ottenuto questa condizione, di essere estremamente manifesto ed amatissi- 25 mo»215. Questi due, dunque, sono gli aspetti caratterizzanti del Bello 108 che si devono dare per assunti. L’essere amato è poi un altro terzo aspetto , che anche poco prima mi sembra abbia chiamato «amatissimo», ed altrove in molti altri luoghi lo mostra, quando definisce la follia amorosa per il bello216 ed in 5 generale quando collega l’amore alla monade del Bello: «infatti è amore, afferma, amore per il bello»217.

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diovti me;n ou\n ejpistrevfei pavnta pro;" eJauto; kai; kinei' kai; ejnqousia'n poiei' kai; ajnakalei'tai di e[rwto", ejrastovn ejsti to; kavllo", pavsh" hJgemonou'n th'" ejrwtikh'" seira'" kai; 10 ejp a[kroi" toi'" posi; bebhko;" kai; ejf eJauto; pavnta dia; povqou kai; ejkplhvxew" ajnegei'ron. diovti de; au\ met eujfrosuvnh" kai; th'" qeiva" rJa/stwvnh" ejporevgei toi'" deutevroi" ãta;"Ã ajf eJautou' plhrwvsei", khlou'n pavnta kai; qevlgon kai; metewrivzon ãta;Ã ajgovmena kai; ejpoceteuovmena ta;" 15 ejkei'qen ejllavmyei", aJbrovn ejstiv te kai; levgetai para; tou' Plavtwno". diovti ge mh;n sumperaivnei th;n triavda tauvthn kai; prokuvptei th'" ajrrhvtou tw'n qew'n eJnwvsew" kai; oi|on ejpinhvcetai tw'/ fwti; tw'n eijdw'n kai; to; nohto;n fw'" ejklavmpei kai; ejxaggevllei to; th'" ajgaqovthto" kruvfion, lamprovn te 20 kai; stilpno;n kai; ejkfane;" ejponomavzetai. To; me;n ga;r ajgaqo;n tw'n qew'n ajkrovtatovn ejsti kai; eJnoeidevstaton: to; de; sofo;n wjdivnei pw" h[dh to; fw'" to; nohto;n kai; ta; ei[dh ta; prwvtista: to; de; au\ kavllo" ejp a[kroi" i{drutai toi'" ei[desi kai; prolavmpei to; qei'on fw'" kai; toi'" ajniou'si prw'ton 25 ejkfaivnetai, panto;" fwsfovrou stilpnovteron kai; ejrasmiwv109 teron ijdei'n kai; periptuvxasqai kai; met ejkplhvxew" ejkfainovmenon labei'n.

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keV Tauvth" toivnun th'" triavdo" ta; pavnta plhrouvsh" kai; dia; pavntwn cwrouvsh" ajnavgkh dhvpou kai; ta; plhrouvmena dia; tw'n suggenw'n pro;" e{kaston ejpistrevfein kai; sunavptesqai, kai; mh; dia; tw'n aujtw'n e{kasta tw'n mevswn: a[llh ga;r mesovth" a[llwn kai; dunavmei" a[llai pro;" a[llhn teleiovthta qew'n ejpistrevfousi. Pro;" me;n ou\n to; qei'on kavllo" to; sunavgon ta; deuvtera pavnta kai; oijkeiou'n kai; th'" plhrwvsew" ai[tion kai; th'" ejkei'qen ejpoceteiva", dh'lon oi\mai pantiv, kai; tou' Plavtwno"

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Dunque proprio perché fa rivolgere tutte le cose verso se stesso e le muove e le rende ispirate dalla divinità e le richiama a sé attraverso l’amore, il Bello è «amato», in quanto ha il controllo su tutta la catena relativa all’amore, e “poggiando sulla punta dei 10 piedi” si leva e spinge in alto verso se stesso tutte le entità attraverso il desiderio e lo sbalordimento. D’altra parte proprio perché a sua volta con letizia e con la divina condiscendenza porge alle realtà seconde le forme di pienezza che da esso stesso derivano, incantando, seducendo ed eccitando tutte le entità che sono attratte ed inondate delle irradiazioni che provengono dal Bello, è 15 splendido e ciò viene detto proprio in Platone. Proprio perché, almeno a mio parere, completa questa triade e sboccia dalla ineffabile unificazione degli dèi e per così dire galleggia sulla luce delle Forme e risplende della luce intelligibile e rivela la realtà segreta della bontà, viene chiamato «luminoso» ed anche «lucente» e «manifesto»218. Infatti il carattere di bene degli 20 dèi è assolutamente sommo ed assolutamente uni-forme. Il carattere di sapiente poi partorisce in certo modo già la luce intelligibile e le primissime forme. Quello di bello a sua volta è posto alla sommità delle Forme e fa splendere la luce divina e per primo a coloro che procedono verso l’alto si svela, più lucente di ogni stel- 25 la del mattino e più amabile da vedere, da abbracciare e da coglie- 109 re con sbalordimento quando si rivela. 25 [Qual è la triade che congiunge al “bene”, alla “sapienza” ed al “bello”, e quali punti di partenza Platone ci ha posto come fondamenti della speculazione relativa ad essa?] Poiché pertanto questa è la triade che ricolma tutte le entità e si diffonde attraverso tutte, è necessario a mio avviso che anche le entità che sono ricolme di questa triade si convertano e si congiungano a ciascun carattere attraverso quegli elementi mediatori219 che sono ad esse congeneri, e non ciascuna entità attraverso i medesimi elementi mediatori : infatti v’è un determinato tipo di mediazione per alcune entità, e uno diverso per altre e alcune potenze convertono ad una determinata perfezione degli dèi, altre ad una diversa220. Dunque l’elemento che unisce alla Bellezza divina tutte le realtà inferiori e le raggruppa in una famiglia e che è causa della pienezza e della profusione che da là proviene, a mio giudizio è per

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pollavki" levgonto", wJ" oujde;n a[llo ejsti;n h] oJ e[rw", o}" dh; kai; qeou;" ajei; tou;" deutevrou" toi'" pro; eJautw'n kai; ta; 15 kreivttona gevnh kai; yucw'n ta;" ajrivsta" sunavptei kata; to; kalovn. Pro;" de; au\ th;n qeivan sofivan, h|" kai; oJ nou'" plhrouvmeno" ginwvskei ta; o[nta kai; yucai; metevcousai noerw'" ejnergou'sin, ajlhvqeia dhvpou kai; ajnavgei kai; prosidruvei ta; o[nta. 20 dia; ga;r ajlhqeiva" hJ th'" o[ntw" ou[sh" sofiva" plhvrwsi": fwtivzei ga;r dh; ta; noou'nta pantacou' kai; sunavptei toi'" nooumevnoi", w{sper dh; kai; hJ prwtivsth nou' kai; nohtou' sunagwgo;" uJph'rce. Pro;" de; au\ to; ajgaqo;n ouj gnwvsew" e[ti kai; ejnergeiva" dei' 25 toi'" sunafqh'nai speuvdousin, ajll iJdruvsew" kai; monivmou 110 katastavsew" kai; hjremiva". Tiv ou\n hJma'" eJnwvsei pro;" aujtov Tiv th'" ejnergeiva" pauvsei kai; kinhvsew" Tiv de; ta; qei'a pavnta ªkai;º th'/ prwtivsth/ kai; ajrrhvtw/ th'" ajgaqovthto" eJnavdi sunivsthsi Pw'" de; e{kaston ejnidrumevnon tw'/ pro; 5 auJtou' kata; to; ajgaqo;n ejn eJautw'/ pavlin eJdravzei ta; meq eJauto; kata; th;n aijtivan W" me;n to; o{lon eijpei'n, tw'n qew'n pivsti" ejsti;n hJ pro;" to; ajgaqo;n ajrrhvtw" eJnivzousa tav te tw'n qew'n gevnh suvmpanta kai; daimovnwn kai; yucw'n ta;" eujdaivmona". dei' ga;r ouj gnwstikw'" oujde; ajtelw'" to; ajgaqo;n ejpizhtei'n, ejpidovnta" eJautou;" tw'/ qeivw/ fwti; kai; muvsanta" 10 ajll ou{tw" ejnidruvesqai th'/ ajgnwvstw/ kai; krufivw/ tw'n o[ntwn eJnavdi: to; ga;r toiou'ton th'" pivstew" gevno" presbuvterovn ejsti th'" gnwstikh'" ejnergeiva", oujk ejn hJmi'n movnon, ajlla; kai; par aujtoi'" toi'" qeoi'", kai; kata; tou'to pavnte" oiJ qeoi; 15 sunhvnwntai kai; peri; e}n kevntron monoeidw'" ta;" o{la" dunavmei" te kai; proovdou" aujtw'n sunavgousin. Eij de; dei' kai; kaq e{kaston ajforivzesqai, mhv moi th;n toiauvthn pivstin th'/ peri; ta; aijsqhta; plavnh/ th;n aujth;n uJpolavbh/": au{th me;n ga;r ejpisthvmh" ajpoleivpetai kai; 20 pollw'/ ma'llon th'" tw'n o[ntwn ajlhqeiva", hJ dev ge tw'n qew'n pivsti" a{pasan uJperaivrei gnw'sin kai; kat aujth;n a[kran th;n e{nwsin sunavptei ta; deuvtera toi'" prwvtoi". Mhd au\ th'/ tw'n koinw'n kaloumevnwn ejnnoiw'n oJmoeidh' th;n nu'n uJmnoumevnhn

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ognuno evidente, anche perché Platone lo dice spesso221, che non è nient’altro se non l’amore, che di volta in volta in base al bello connette al livello che li precede sia gli dèi secondi sia i generi 15 superiori sia le migliori tra le anime. Dal canto suo poi è la verità, a mio giudizio, ad elevare verso la Sapienza divina, della quale l’intelletto è ricolmo, grazie alla quale conosce gli enti, e della quale partecipano anche le anime che grazie a ciò agiscono intellettivamente, ed a collocare gli enti presso la Sapienza divina. Infatti è per via delle veri- 20 tà che è possibile raggiungere la pienezza di quella che è veramente sapienza: essa, in effetti, illumina ovunque le entità pensanti e le connette ai loro oggetti di pensiero, esattamente come anche la primissima verità è risultata essere222 ciò che congiunge l’intelletto e l’intelligibile. Dal canto loro quelli che aspirano a congiungersi al Bene non 25 necessitano più di conoscenza e di attività, ma di fondamento, di ferma stabilità e di quiete. Che cosa dunque ci unirà ad esso? Che 110 cosa farà cessare attività e movimento? Che cosa collega tutte le entità divine alla primissima ed ineffabile Enade della Bontà? In che modo poi ciascuna di esse, fermamente radicata in ciò che la precede in base al Bene, a sua volta stabilisce in se stessa la sede 5 delle realtà che la seguono in base alla causa? Per dirla tutta, è la fede degli dèi che unisce al Bene in modo ineffabile tutti quanti i generi degli dèi e dei demoni ed al contempo tra le anime quelle felici. In effetti bisogna ricercare il Bene non per via conoscitiva né in modo incompleto, ma, abbandonatisi alla luce divina e «con 10 gli occhi chiusi»223, in questo modo bisogna stabilirsi nell’inconoscibile e celata Enade degli enti. Infatti tale genere di fede è più importante dell’attività conoscitiva, non solo in noi, ma anche fra gli dèi stessi; ed è in base a questo genere di fede che tutti gli dèi risultano uniti ed intorno ad un unico centro in modo uniforme 15 riuniscono tutte quante le loro potenze ed al contempo le loro processioni. D’altra parte, se bisogna fornire definizioni anche per ogni singolo particolare, non si ritenga – mi raccomando! – tale fede identica a quella che si perde vagando intorno ai sensibili224: quest’ultima infatti manca di scienza e molto di più ancora della verità 20 propria degli enti, invece la fede degli dèi, a mio giudizio, supera ogni forma di conoscenza e proprio in base alla somma unificazione connette le realtà seconde alle prime. Né, a sua volta, la fede che si sta ora celebrando si ritenga simile per forma a quella che risulta dalle così dette “nozioni comuni”: ed infatti è nelle nozio-

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pivstin nohvsh/": kai; ga;r tai'" koinai'" ejnnoivai" pro; panto;" lovgou pisteuvomen, ajlla; gnw'siv" ejsti kai; touvtwn meristh; kai; pro;" th;n qeivan e{nwsin oujdamw'" ijsostavsio", kai; ouj th'" pivstew" movnon, ajlla; kai; th'" noera'" aJplovthto" hJ touvtwn ejpisthvmh deutevra: nou'" ga;r ejpevkeina pavsh" 111 ejpisthvmh" i{drutai, th'" te prwvth" oJmou' kai; th'" met ejkeivnhn. Mh; toivnun mhde; th;n kata; nou'n ejnevrgeian th'/ toiauvth/ pivstei th;n aujth;n ei\nai levgwmen: polueidh;" ga;r kai; au{th kai; di eJterovthto" cwrizomevnh tw'n nooumevnwn, kai; o{lw" 5 kivnhsiv" ejsti noera; peri; to; nohtovn: dei' de; th;n qeivan pivstin eJnoeidh' kai; h[remon uJpavrcein, ejn tw'/ th'" ajgaqovthto" o{rmw/ teleivw" iJdrunqei'san. Ou[te ga;r to; kalo;n ou[te to; sofo;n ou[te a[llo tw'n o[ntwn oujde;n ou{tw pistovn ejstin a{pasi toi'" ou\si kai; ajsfale;" kai; pavsh" ajmfiboliva" kai; dih/rhmevnh" 10 ejpibolh'" kai; kinhvsew" ejxh/rhmevnon wJ" to; ajgaqovn. dia; ga;r tou'to kai; oJ nou'" th'" noera'" ejnergeiva" presbutevran a[llhn kai; pro; ejnergeiva" e{nwsin ajspavzetai: kai; yuch; th;n tou' nou' poikilivan kai; th;n tw'n eijdw'n ajglai?an oujde;n ei\nai tivqetai pro;" th;n tou' ajgaqou' tw'n o{lwn uJperochvn, kai; to; 15 me;n noei'n ajfivhsin eij" th;n eJauth'" u{parxin ajnadramou'sa, to; de; ajgaqo;n ajei; diwvkei kai; qhra'/ kai; ejfivetai kai; oi|on ejgkolpivsasqai speuvdei, kai; movnw/ touvtw/ tw'n pavntwn ejpidivdwsin eJauth;n ajnendoiavstw". Kai; tiv dei' th;n yuch;n levgein Alla; kai; ta; qnhta; tau'ta zw'/a, kaqavper pouv 20 fhsin hJ diotivma, pavntwn uJperfronei' tw'n a[llwn, kai; th'" zwh'" aujth'" kai; tou' o[nto", povqw/ th'" tou' ajgaqou' fuvsew", kai; mivan a{panta tauvthn ajkivnhton e[cei kai; a[rrhton e[fesin tou' ajgaqou', tw'n de; a[llwn e{kasta ka]n parivdoi kai; deuvtera poihvsaito kai; ajtimhvseie th;n teu'xin. Ei|" ou\n ou|to" o{rmo" ajsfalh;" tw'n o[ntwn aJpavntwn, kai; 25 112 tou'to mavlista toi'" ou\sin a{pasi pistovn. Kai; dia; tou'to dhvpou kai; hJ pro;" aujto; sunafh; kai; e{nwsi" uJpo; tw'n qeolovgwn pivsti" ajpokalei'tai: kai; oujc uJp ejkeivnwn movnon, ajll eij dei' ta; dokou'nta levgein, kai; uJpo; tou' 5 Plavtwno" ejn Novmoi" hJ th'" pivstew" tauvth" prov" te th;n ajlhvqeian kai; to;n e[rwta suggevneia kekhvruktai. Lanqavnei de; a[ra tou;" pollou;" wJ" ouj tau'ta dianoouvmeno", ejpi; tw'n ejnantivwn to;n lovgon poiouvmeno" kai; ta;" ajpoptwvsei" th'" triavdo" tauvth" eij" taujto;n sunavgwn. Levgei d ou\n kai; 25

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ni comuni che prima di ogni ragionamento noi abbiamo fede, ma 25 anche per queste si tratta di una conoscenza limitata alle parti e non è in modo alcuno equivalente alla divina unificazione; e la conoscenza scientifica di tali nozioni è seconda non solo alla fede, ma anche alla semplicità intellettiva: infatti l’intelletto è posto al di 111 sopra di ogni conoscenza scientifica, della prima ed al contempo di quella che la segue225. Non dobbiamo pertanto neppure dire che l’attività conforme all’intelletto è identica a tale fede. Infatti anche l’attività intellettiva è multiforme ed è separata dagli oggetti di intellezione per alterità, ed è, in generale, movimento intellet- 5 tivo intorno all’intelligibile. Invece bisogna che la fede divina risulti uni-forme e serena, perfettamente ancorata nel porto della Bontà. Infatti né il Bello né il Sapiente né nessun altro degli enti è per tutti quanti gli enti oggetto di fede e sicuro e trascendente rispetto ad ogni forma di ambiguità e di nozione distinta e di 10 movimento così come lo è il Bene. Infatti è per questo motivo che anche l’Intelletto ha cara un’altra forma di unificazione più importante dell’attività intellettiva e precedente attività. E l’anima ritiene che non sia nulla la natura variegata dell’Intelletto e la venustà delle Forme rispetto all’eccellenza del Bene su tutte le cose nella loro totalità; e da un lato abbandona il pensare una 15 volta risalita alla sua autentica realtà, mentre il Bene sempre lo insegue, lo ricerca e lo brama e fa di tutto, per così dire, per «stringerlo a sé»226, e a questo solo tra tutte le cose consegna incondizionatamente se stessa. E quanto all’anima che altro si deve dire? Ma anche questi esseri viventi mortali, come da qualche parte afferma Diotima227, disdegnano tutte le altre cose, sia la vita stes- 20 sa sia l’essere, per la brama della natura che è propria del bene, ed è uno solo tutto per intero questo desiderio immobile ed ineffabile che hanno per il bene, anche al punto di trascurare ciascuna delle altre cose e di considerarle inferiori e disdegnarne il conseguimento228. Dunque questo è il solo porto sicuro per tutti quanti gli enti, e 25 questa realtà è per tutti quanti gli enti in misura somma oggetto di 112 fede. Ed è per questo motivo che, a mio parere, il contatto e l’unione con tale realtà è ciò che viene chiamato “fede” dai teologi229. E non solo da quelli, ma, se bisogna dire ciò che si pensa, anche da Platone nelle Leggi è stata proclamata la natura congenere di que- 5 sta fede rispetto alla verità e all’amore. D’altro canto ai più sfugge230, come se non fosse precisamente a queste cose che pensava, che egli ragionava sui termini contrari e considerava identici fra loro i prodotti decaduti di questa triade. Dunque anche egli

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aujto;" ejn ejkeivnoi" safw'" wJ" oJ me;n filoyeudh;" a[pistov" ejstin, oJ de; a[pisto" a[filo". Anagkai'on a[ra kai; to;n me;n filalhvqh pisto;n ei\nai, to;n de; pisto;n eij" filivan eujavrmoston. Apo; dh; touvtwn qewrhvswmen ajlhvqeian aujth;n kai; pivstin kai; e[rwta kai; th;n mivan aujtw'n koinwnivan aujtw'/ tw'/ 15 logismw'/ sunevlwmen. Eij de; bouvlei, kai; pro; touvtwn ajnamnhsqw'men o{ti th;n sunagwgo;n tw'n diaferomevnwn ajreth;n kai; tw'n megivstwn polevmwn ajnairetikhvn (levgw de; tw'n ejn tai'" povlesi stavsewn) pistovthta proseivrhken: eJnwvsew" ga;r dh; kai; koinwniva" kai; hjremiva" ejk touvtwn hJ pivsti" aijtiva 20 katafaivnetai: kai; ei[per ejn hJmi'n ejsti; toiauvth ti" duvnami", pollw'/ provteron ejn aujtoi'" ejsti; toi'" qeoi'". Kai; ga;r wJ" swfrosuvnh ti" qeiva kai; dikaiosuvnh par aujtw'/ levgetai kai; ejpisthvmh, pw'" oujci; kai; pivsti" e[stai par ejkeivnoi" hJ to;n o{lon diavkosmon sunevcousa tw'n ajretw'n In ou\n sunelovnte" ei[pwmen, triva mevn ejsti ta; plhrwtika; 25 tau'ta tw'n qeivwn, dia; pavntwn cwrou'nta tw'n kreittovnwn 113 genw'n, ajgaqovth", sofiva, kavllo": triva de; au\ kai; tw'n plhroumevnwn sunagwgav, deuvtera me;n ejkeivnwn, dihvkonta de; eij" pavsa" ta;" qeiva" diakosmhvsei", pivsti" kai; ajlhvqeia kai; e[rw". Swv/zetai de; pavnta dia; touvtwn kai; sunavptetai 5 tai'" prwtourgoi'" aijtivai", ta; me;n dia; th'" ejrwtikh'" maniva", ta; de; dia; th'" qeiva" filosofiva", ta; de; dia; th'" qeourgikh'" dunavmew", h} kreivttwn ejsti;n aJpavsh" ajnqrwpivnh" swfrosuvnh" kai; ejpisthvmh", sullabou'sa tav te th'" mantikh'" ajgaqa; kai; ta;" th'" telesiourgikh'" kaqartika;" dunavmei" 10 kai; pavnta aJplw'" ta; th'" ejnqevou katakwch'" ejnerghvmata. 10

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ãkıVÃ Peri; me;n ou\n touvtwn tavc a]n kai; eijsau'qi" ejgkairovteron dievlqoimen: pavlin de; ajllacovqen, eij bouvlei, ta; koina; peri; tw'n qeivwn dovgmata tou' Plavtwno" qhravswmen. Povqen ou\n dh; kai; poi'a lhptevon hJmi'n kata; fuvsin poreuomevnoi"

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afferma chiaramente in quei passi che «l’amante del falso è infido, 10 e l’infido d’altra parte è inviso»231. Dunque è necessario anche che l’amante della verità sia degno di fede, e colui che è degno di fede, d’altra parte, sia predisposto all’amicizia. Senz’altro a partire da queste considerazioni dobbiamo passare a contemplare la verità in sé, la fede e l’amore e la loro unica comunione dobbiamo comprendere direttamente con la valutazione razionale. Ma, se si 15 vuole, anche prima di questi aspetti richiamiamo alla memoria il fatto che la virtù, che mette insieme ciò che è discordante e che redime i più grandi conflitti (intendo dire le «lotte intestine» nelle città), l’ha chiamata «fedeltà»232: certamente infatti da queste considerazioni la fede appare causa di unificazione, di comunanza e di serenità. E se è vero che in noi v’è una tale facoltà, a maggior ragio- 20 ne v’è negli dèi. Ed infatti, considerato che in Platone si afferma che v’è una sorta di «saggezza», di «giustizia» e di «scienza» divine233, come sarà possibile che presso le divinità non vi sia anche la fede che tiene insieme tutto l’ordinamento delle virtù? Dunque, per dirla in breve, questi tre sono i caratteri in grado di 25 ricolmare gli esseri divini, caratteri che procedono attraverso tutti i generi superiori: bontà, sapienza e bellezza; tre poi a loro volta sono 113 anche quelli che mettono insieme le entità che sono ricolmate, secondi rispetto a quelli precedenti, ma che si diffondono in tutti gli ordinamenti divini, fede, verità e amore. Tutte le entità sono conservate attraverso questi caratteri e si uniscono ai principi causali originari, le une attraverso la follia amorosa, le altre attraverso l’amore 5 divino per il sapere, le altre ancora attraverso la potenza teurgica, che è superiore ad ogni forma di saggezza e scienza umana, in quanto raccoglie in sé i pregi che sono propri all’arte divinatoria ed anche le potenze purificatrici dell’arte perfezionatrice dei riti e, in breve, tutti gli effetti della ispirazione che rende posseduti dal divino. 10

[Sui principi fondamentali della natura invisibile trasmessi nel “Fedone”: che cosa è il “divino”, che cosa l’“immortale”, che cosa l’“intelligibile” e quale ordine hanno tali concetti gli uni rispetto agli altri?] Ebbene, di questi caratteri forse anche in seguito potremmo trattare in modo più dettagliato234; per adesso però da altri dialoghi, se si vuole, dobbiamo andare a caccia delle dottrine generali di Platone sulle divinità. Dunque da dove precisamente e quali dottrine devono essere colte da noi se procediamo secondo un

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Bouvlei tw'n ejn Faivdwni gegrammevnwn ejfexh'" toi'" eijrhmevnoi" ajnamnhsqw'men Levgei toivnun oJ Swkravth" ejn tai'" ajpo; th'" oJmoiovthto" th'" pro;" to; qei'on th'" yucikh'" ajqanasiva" ajpodeivxesin, wJ" 20 a[ra ejsti; to; me;n ajnwtevrw th'" yuch'", w|/ dh; kai; e[oike fuvsei kai; ejoikui'a ajqanavtou metevcei moivra", qei'on kai; ajqavnaton kai; nohto;n kai; monoeide;" kai; ajdiavluton kai; kata; taujta; kai; wJsauvtw" e[con: to; de; katadeevsteron aujth'" pa'n toujnantivon, w|/ dh; kai; proshvkei fqeivresqai kai; 25 pavscein, to; ga;r toiou'ton aijsqhtovn ejsti kai; polueide;" 114 kai; dialuto;n tauvth/ h|/per sunetevqh kai; pavnta o{sa th'" swmatikh'" uJpostavsew" ejn touvtoi" kathgovrhse. Tau'ta toivnun skopw'men kaq e{kaston ejxetavzonte" o{ph/ pote; proshvkei toi'" qeoi'". Kai; prw'ton aujto; tou'to o} levgetai, to; qei'on, pro;" tiv 5 blevpontev" famen Oujkou'n ejk tw'n proeirhmevnwn dh'lon o{ti qeo;" me;n pa'" kat aujth;n a[kran uJfevsthken th;n e{nwsin tw'n o[ntwn: eJnavde" ga;r hJmi'n ejfavnhsan ajpo; tw'n swmavtwn ajniou'sin oiJ qeoiv, eJnavde" uJperouvsioi, gennhtikai; tw'n oujsiw'n 10 kai; teleiwtikai; kai; metrhtikai; kai; pavsa" oujsiva" ta;" prwtivsta" eij" eJauta;" ajnadhsavmenai. To; de; qei'on oujk aujto; movnon ejsti;n hJ u{parxi" kai; to; e}n to; ejn eJkavsth/ tavxei tou' o[nto", ajll oJmou' to; metevcon kai; to; metecovmenon: w|n to; mevn ejsti qeov", to; de; ejkqeouvmenon: eij de; kai; pro; tw'n 15 metecomevnwn eJnavdwn cwristovn ejstiv ãtià kai; Ê metecovmenon Ê, ejn toi'" u{steron hJmi'n e[stai katafanev". Nu'n de; o{ti to; qei'on toiou'tovn ejsti dioriswvmeqa, to; o]n to; tou' eJno;" metevcon h] to; e}n sunh/rhmevnw" meta; tou' o[nto". Pavnta ga;r ejpi; tw'n qew'n, plh;n tou' eJnov", wJ" ejxhrthmevna kai; deuvtera 20 paralambavnomen, th;n oujsivan, th;n zwhvn, to;n nou'n: ouj ga;r ejn touvtoi", ajlla; pro; touvtwn uJfesthvkasi, kai; paravgousi tau'ta kai; sunevcousin, ajll oujk ejn aujtoi'" ajforivzontai. dei' de; mh; lanqavnein o{ti kat ajlhvqeian me;n ou{tw tau'ta diwvristai ajp ajllhvlwn: pollacou' de; oJ Plavtwn kai; ta; 25 metevconta tw'n qew'n toi'" aujtoi'" ojnovmasin ajposemnuvnei kai; qeou;" ejponomavzei. Kai; ga;r th;n yuch;n th;n qeivan oujk ejn 115 Novmoi" movnon oJ Aqhnai'o" xevno", ajlla; kai; oJ Swkravth" oJ ejn Faivdrw/ qeo;n ajpokalei': qew'n me;n ou\n i{ppoi te kai; hJnivocoi pavnte" aujtoiv te ajgaqoi; kai; ejx ajgaqw'n,

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ordine? Non è il caso che richiamiamo alla memoria quanto è scritto nel Fedone subito dopo ciò che si è detto? Socrate pertanto afferma nelle dimostrazioni della immortalità dell’anima ricavate dalla somiglianza con la realtà divina, che ciò 20 che sta più in alto dell’anima, realtà alla quale essa appunto per natura assomiglia e assomigliandole è partecipe di questo destino di immortalità, è «divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, e costantemente allo stesso modo»235. Invece ciò che è inferiore all’anima è tutto il contrario, ed a ciò appunto si confà corrompersi e patire: infatti di tale natura è il sensibile, che è «multi- 25 forme» e «dissolubile»236 nella stessa misura in cui è stato compo- 114 sto, ed ha tutte quelle caratteristiche negative che Socrate in questi passi ha imputato alla forma corporea di sussistenza. Pertanto osserviamo, esaminandole ad una ad una, in che modo queste proprietà si confanno gli dèi. Per prima cosa proprio ciò che viene detto il “divino”, a cosa 5 guardiamo quando lo diciamo? Ebbene, in base a quanto si è precedentemente affermato237 è evidente che ogni dio sussiste proprio come somma unità degli enti: infatti come enadi gli dèi erano apparsi a noi, che a partire dalle realtà corporee procedevamo verso l’alto, enadi sovraessenziali, generatrici delle essenze, perfe- 10 zionatrici, misuratrici e portate a legare a se stesse tutte le primissime essenze. Il divino, d’altra parte, non è in sé soltanto atto di esistere e l’unità insita in ciascun grado dell’essere, ma è al contempo il partecipante e il partecipato; e di questi l’uno è dio, l’altro è ciò che viene divinizzato. Ma se anteriormente alle enadi par- 15 tecipate v’è qualcosa di separato e , in seguito ciò sarà per noi chiarissimo239. Ora però dobbiamo stabilire che la divinità è tale, cioè essere che partecipa dell’Uno oppure Uno strettamente congiunto con l’essere. In effetti, nel caso degli dèi, noi teniamo per acquisito che tutto – l’essere, la 20 vita, l’intelletto – è, eccetto l’Uno, dipendente e secondario. Infatti non è tra queste realtà che gli dèi risultano sussistere, bensì al di sopra di queste, e le introducono e le tengono insieme, ma non sono delimitati all’interno di esse. Inoltre non bisogna dimenticare che, in base a verità, in questo modo queste realtà sono distinte le une dalle altre nel modo in cui si è detto. D’altra parte in molti luoghi Platone anche le real- 25 tà che partecipano degli dèi le celebra con gli stessi nomi e le denomina dèi. Ed infatti l’anima divina non solo lo Straniero di Ate- 115 ne nelle Leggi240, ma anche Socrate nel Fedone la chiama “divinità”: «allora tutti i cavalli e tutti gli aurighi degli dèi sono buoni e

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kai; e[ti dia; tw'n eJxh'" ejnargevsteron: kai; ou|to" me;n qew'n bivo". Kai; ou[pw tou'to qaumastovn: ta; ga;r ajei; sunhnwmevna toi'" qeoi'" kai; mivan sumplhrou'nta met aujtw'n seiravn, pw'" ouj qemito;n prosonomavzein qeouv" Alla; kai; tou;" daivmona", oi} kat oujsivan deuvteroi tw'n qew'n eijsi; kai; peri; tou;" qeou;" uJfesthvkasin, qeou;" prosagoreuvei polla10 cou': kai; ga;r ejn Faivdrw/ kai; ejn Timaivw/ kai; ejn a[lloi" eu{roi" a]n aujto;n ejkteivnonta kai; mevcri daimovnwn th;n tw'n qew'n ejpwnumivan. }O de; touvtwn ejsti; paradoxovteron, kai; ajnqrwvpwn tina;" qeou;" proseipei'n oujk ajphxivwsen, w{sper ejn Sofisth'/ to;n Eleavthn xevnon. Lhptevon toivnun ejk touvtwn 15 aJpavntwn o{ti qeo;" oJ mevn ejstin aJplw'" qeov", oJ de; kaq e{nwsin, oJ de; kata; mevqexin, oJ de; kata; sunafhvn, oJ de; kaq oJmoivwsin: tw'n me;n ga;r uJperousivwn e{kasto" prwvtw" qeov", tw'n de; noerw'n e{kasto" kaq e{nwsin, tw'n de; au\ yucw'n eJkavsth tw'n qeivwn kata; mevqexin, daivmone" de; oiJ qei'oi kata; th;n pro;" 20 ejkeivnou" sunafh;n qeoiv, yucai; de; ajndrw'n di oJmoiovthto" th'" proshgoriva" tauvth" metalagcavnousin. Ekaston de; touvtwn, w{sper ei[rhtai, qei'on ma'llovn ejstin h] qeov": ejpei; kai; to;n nou'n aujto;n oJ Aqhnai'o" xevno" qei'on proseivrhken. To; de; dh; qei'on deuvterovn ejsti th'" prwtivsth" qeovthto", 25 w{sper dh; kai; to; hJnwmevnon tou' eJnov", kai; to; noero;n tou' nou', 116 kai; to; ejyucwmevnon th'" yuch'", kai; prohgei'tai me;n ajei; ta; eJnoeidevstera kai; aJplouvstera, teleuta'/ de; hJ seira; tw'n o[ntwn eij" aujto; to; e{n. To; me;n ou\n qei'on toiou'ton hJmi'n ejcevtw diorismovn, to; de; 5 ajqavnaton meta; tou'to qewrhvswmen. Pollai; ga;r dh; kai; th'" ajqanasiva" eijsi; par aujtw'/ tavxei" a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn dihvkousai. Kai; e[sti to; me;n teleutai'on ajphvchma th'" ajqanasiva" ejn toi'" ajidivoi" tw'n fanerw'n, a} dh; kai; oJ Eleavth" xevno" ejn toi'" peri; th'" ajnakuklhvsew" lovgoi" ejpiskeuasth'" meteilhcevnai fhsi;n ajpo; tou' 10 ajqanasiva" patrov": pa'n ga;r sw'ma kai; to; ei\nai kai; to; zh'n eJtevra" aijtiva" hjrthmevnon e[lacen, aujto; de; eJauto; sunevcein h] kosmei'n h] swv/zein ouj pevfuke. Touvtou de; ejnargevsteron oi\mai kai; telewvteron to; tw'n merikw'n yucw'n ajqavnaton, o} 5

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nati da buoni»241; ed ancora più chiaramente attraverso ciò che viene dopo: «e questa sì è vita di dèi»242. E questo non è ancora 5 degno di meraviglia: infatti le entità che risultano da sempre unite agli dèi e che formano un’unica catena con essi, come può non essere lecito denominarle dèi? Ma anche i demoni, i quali in base all’essenza sono inferiori agli dèi e risultano sussistere intorno agli dèi, in molti luoghi Platone li chiama dèi. Ed infatti nel Fedro, nel 10 Timeo ed in altri dialoghi243 si potrebbe trovare che egli estende anche fino ai demoni l’appellativo di “dèi”. Ma quel che è più sorprendente rispetto a ciò è che anche tra gli esseri umani non ha ritenuto sconveniente appellarne alcuni “dèi”, come nel Sofista lo Straniero di Elea244. Pertanto da tutti quanti questi elementi bisogna ammettere che la parola “dio” può indicare chi è puramente 15 e semplicemente dio, chi è dio in base ad unificazione, chi è dio per partecipazione, chi è dio per contatto, chi è dio per somiglianza. Infatti di quelli sovraessenziali, da un lato, ciascuno è in modo primario dio, dall’altro di quelli intellettivi ciascuno lo è in base ad unificazione, delle anime divine poi ciascuna lo è in base a partecipazione, mentre i demoni divini sono dèi in base alla connes- 20 sione con essi, e d’altra parte le anime umane per somiglianza si trovano ad essere partecipi di tale denominazione. D’altra parte ciascuna di queste entità, come si è detto245, è in misura maggiore divinità piuttosto che dio; perciò lo Straniero di Atene ha denominato l’intelletto stesso “divino”246. D’altronde il divino certamente è inferiore rispetto alla primissima natura divina, proprio come anche ciò che è unificato lo è rispetto all’unità, e ciò che è 25 intellettivo lo è rispetto all’intelletto, e ciò che risulta animato lo è 116 rispetto all’anima, e sempre per prime vengono le entità più uniformi e più semplici, mentre la gerarchia degli enti, termina nell’Uno stesso. Dunque il divino abbia da noi tale definizione. Ora, dopo que- 5 sto, dobbiamo considerare l’immortale. In effetti certamente molti sono in Platone i livelli dell’immortalità che si diffondono dall’alto fino alle ultime entità. E l’estrema eco dell’immortalità si trova tra le entità eterne che fanno parte del visibile, le quali appunto lo Straniero di Elea nei discorsi sul movimento di retrogradazione circolare dice che hanno ottenuto dal Padre di partecipare della 10 «immortalità rinnovantesi»247. Ogni corpo infatti ha ottenuto sia l’essere sia il vivere in dipendenza da una causa differente da se stesso, ma esso stesso non è portato per natura a reggersi o a governarsi o a conservarsi da sé. Ma, a mio giudizio, più chiaro e più compiuto è il tipo di immortalità delle anime particolari, che

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dh; kai; ejn Faivdwni pollai'" ajpodeivxesin katedhvsato kajn tw'/ dekavtw/ th'" Politeiva": levgw de; aujto; kai; kuriwvteron wJ" ejn eJautw'/ th;n aijtivan e[con th'" aijwnivou diamonh'". Pro; de; touvtwn ajmfotevrwn ei\nai tiqevnte" th;n tw'n daimovnwn ajqanasivan oujk a]n aJmavrtoimen: ajkhvrata ga;r kai; ta; touvtwn 20 gevnh di w|n uJpevsthsan, kai; ou[te rJevpousin eij" to; qnhto;n ou[te ªde;º ajnapivmplantai th'" tw'n ginomevnwn te kai; fqeiromevnwn fuvsew". Touvtwn d e[ti semnotevran kai; kat oujsivan uJperevcousan ei\nai logivzomai th;n tw'n qeivwn yucw'n ajqanasivan, a}" dh; kai; prwvtw" aujtokinhvtou" ei\naiv famen kai; 25 phga;" kai; ajrca;" th'" peri; toi'" swvmasi merizomevnh" 117 zwh'", di h}n kai; aujta; th'" ejpiskeuasth'" ajqanasiva" meteivlhcen. Eij de; dh; kai; pro; touvtwn aujtou;" tou;" qeou;" kai; th;n ejn aujtoi'" ajqanasivan ejnnohvseia", kai; o{pw" ejn Sumposivw/ th'" toiauvth" ajqanasiva" oujde; toi'" daivmosin hJ 5 diotivma metadivdwsin, ajll ejn movnoi" aujth;n ajforivzetai toi'" qeoi'", pantelw'" cwristo;n kai; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon soi fanei'tai to; toiou'ton ajqavnaton: ejkei' ga;r oJ aijwvn, hJ phgh; th'" o{lh" ajqanasiva", kai; di ejkei'non pavnta kai; zh'/ kai; e[cei zwhvn, ta; me;n ajivdion, ta; de; eij" to; mh; o]n skedannu10 mevnhn. Estin ou\n, wJ" sunelovnti favnai, to; qei'on ajqavnaton kaq o{son ejsti; gennhtiko;n th'" ajidivou zwh'" kai; sunektikovn. Ouj ga;r wJ" metevcon tou' zh'n, ajll wJ" parektiko;n th'" qeiva" zwh'" ajqavnatovn ejsti kai; wJ" ejkqeou'n th;n aujtozwhvn, ei[te nohth;n aujth;n ei[te oJpwsou'n ejqevloi" kalei'n. Alla; dh; to; nohto;n meta; tou'to skeptevon. Levgetai 15 me;n ou\n kai; pro;" to; aijsqhto;n wJ" oJrato;n kai; dovxh/ met aijsqhvsew" *** to; th;n prwtivsthn e[kfansin ejn tai'" ajrchgikwtavtai" aijtivai" e[con fanhvsetai. Nohto;n me;n ga;r kai; hJ yuchv, kai; th'" moivra" ejsti; tauvth" kai; tw'n 20 aijsqhtw'n ejxh/rhmevnh kai; th;n oujsivan lacou'sa cwristh;n ajp aujtw'n. Nohto;n de; kai; pro; tauvth" oJ nou'": o{qen dh; kai; th;n yuch;n ejn mevsw/ tavttein ajxiou'men, ma'llon h] toi'" prwvtoi" ejnavriqmon poiei'n. Nohto;n de; kai; to; tou' nou' presbuvteron, to; plhrwtiko;n th'" nohvsew" kai; teleiwtiko;n 25 aujto; kaq auJto; uJpavrcon: o} dh; kai; oJ Tivmaio" ejn paradeivgmato" tavxei protivqhsi tou' dhmiourgikou' nou' kai; th'" noera'" ejnergeiva". Epevkeina de; touvtwn aJpavntwn to; qei'ovn 15

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appunto sia nel Fedone248 sia nel decimo libro della Repubblica249 15 si è collegato a molte dimostrazioni; inoltre dico che esso è più importante in considerazione del fatto che possiede in se stesso la causa della eterna durata. D’altra parte se stabilissimo che al di sopra di entrambi questi tipi di immortalità viene quella dei demoni, non sbaglieremmo: infatti anche le schiatte di questi ulti- 20 mi sono incontaminate dalla morte250 in virtù degli esseri251 dai quali hanno avuto la sussistenza, ed al contempo non scivolano verso la realtà mortale né si riempiono della natura propria delle entità soggette al divenire e alla dissoluzione. E rispetto a questi tipi di immortalità concludiamo che ancora più venerabile e per essenza superiore è l’immortalità delle anime divine, le quali diciamo che sono in modo primario «automoventesi», «sorgenti» e 25 «principi»252 della vita che si suddivide nei corpi, attraverso la 117 quale anche essi hanno ottenuto di partecipare della «immortalità rinnovantesi». Se poi si considerassero ancora superiori a queste gli dèi stessi e l’immortalità insita in essi, e il modo in cui nel Simposio253 neppure ai demoni Diotima concede di partecipare di 5 tale forma di immortalità, ma la riserva ai soli dèi, assolutamente separata e trascendente rispetto alla totalità delle cose appare tale immortalità. Lì infatti è l’eternità, la fonte di tutta l’immortalità, ed è in virtù di essa che tutte le entità vivono ed hanno vita, le une eterna, le altre invece dissipantesi nel non-essere. Dunque, per 10 dirla in breve, il divino è immortale nella misura in cui è generatore della vita eterna e la comprende in sé. Infatti esso è immortale non in quanto partecipe del vivere, ma in quanto procura la vita divina ed in quanto divinizza la vita stessa in sé, che la si voglia denominare “vita intelligibile” o in un qualunque altro modo. Ma a questo punto dopo ciò si deve esaminare l’intelligibile. Si 15 afferma dunque proprio in relazione al sensibile in quanto visibile e «opinione congiunta a percezione»254 255 risulterà possedere la primissima manifestazione tra le cause assolutamente primarie. Infatti entità intelligibile è anche l’anima e fa parte di questo ambito, sia perché trascende gli oggetti sensibili, 20 sia perché ha ottenuto in sorte l’essenza separata da questi. D’altra parte intelligibile anche prima di questa è l’Intelletto: proprio perciò riteniamo opportuno porre l’anima in mezzo, piuttosto che annoverarla tra le prime entità. Ma intelligibile è anche l’entità che è più importante dell’Intelletto, quella che è atta da sé e di per 25 sé a colmare e portare a compimento l’intellezione: si tratta di quella entità che il Timeo antepone nel ruolo di paradigma all’intelletto demiurgico e alla attività intellettiva256. D’altra parte, al di

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118 ejsti nohtovn, o} kat aujth;n ajfwvristai th;n u{parxin kai; e{nwsin

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th;n qeivan: kai; ga;r tou'to nohtovn ejstin wJ" ejfeto;n tw'/ nw'/ kai; wJ" telesiourgo;n kai; wJ" sunektiko;n tou' nou' kai; wJ" plhvrwma tou' o[nto". Allw" ou\n nohto;n th;n u{parxin tw'n qew'n fhvsomen, a[llw" to; o[ntw" o]n kai; th;n prwtivsthn oujsivan, a[llw" to;n nou'n kai; th;n noera;n pa'san zwhvn, a[llw" th;n yuch;n kai; to;n yuciko;n diavkosmon: kai; dei' mh; toi'" ojnovmasin eJpomevnou" sugcei'n ta;" diafovrou" tw'n pragmavtwn fuvsei".

ãkzVÃ H me;n ou\n tria;" au{th toiauvthn e[cei th;n tavxin, wJ" to; me;n qei'on ajkrovtaton ei\nai kai; prwvtiston, to; de; ajqavnaton deuvteron, to; de; nohto;n trivton: ou| me;n ga;r to; o[n ejstin ejkqeouvmenon, ou| de; hJ zwh; kata; th;n ajqanasivan tw'n 15 qew'n uJfevsthken, ou| de; oJ nou'" kata; th;n plhvrwsin th'" eJnwvsew" nohto;n ejponomavzetai. Meta; de; tauvthn ejsti;n ejfexh'" to; monoeidev", to; ajdiavluton, to; wJsauvtw" e[con, ajpo; tw'n aujtw'n aijtivwn kai; tau'ta proqorovnta kai; dia; pavntwn cwrou'nta tw'n qeivwn diakovsmwn. To; me;n ga;r monoeide;" ajkrovtatovn ejsti, kai; th'/ 20 monavdi th'/ qeiva/ par h|/ kai; to; o]n prwvtw" ejkfaivnetai mavlista prosh'kon: eij" o} dh; kai; teleuta'/ pa'n to; meqekto;n tw'n eJnavdwn gevno". To; ga;r e}n kai; pro; touvtwn ejstivn, wJ" e[stai proi>ou'si dh'lon. To; de; ajdiavluton deuvteron: sunektiko;n gavr ejsti kai; 25 119 sundetiko;n tw'n a[krwn kata; th;n qeivan e{nwsin, ejpei; kai; to; dialuto;n sunoch'" ejndeiva/ kai; dunavmew" eij" e}n to; plh'qo" sunagouvsh" toiou'ton. To; de; kata; taujta; kai; wJsauvtw" e[con aijwvniovn ejsti 5 kai; th'" ajidiovthto" tw'n qew'n plh're": par ou| kai; toi'" a[lloi" hJ th'" ajqanasiva" kai; th'" aijwnivou taujtovthto" mevqexi". Eij" taujto;n a[ra tw'/ qeivw/ h{kei to; monoeidev", tw'/ de; ajqanavtw/ 10

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là di tutte quante queste entità, il divino è intelligibile: esso risul- 118 ta contraddistinto proprio in base alla sua forma di realtà e di unificazione divina. Ed infatti è intelligibile in quanto oggetto di desiderio per l’Intelletto, in quanto porta a compimento e comprende in sé l’Intelletto, ed in quanto pienezza dell’essere. Dunque in un senso diremo intelligibile la realtà degli dèi, in un altro l’essere 5 autentico e la primissima essenza, in un altro l’Intelletto e l’intera vita intellettiva, in un altro ancora l’anima e l’ordinamento psichico: non si devono confondere, andando dietro ai nomi, le differenti nature delle cose.

[Cosa a proposito degli dèi bisogna accogliere che sia l’“uniforme”, cosa l’“indissolubile”, cosa il “permanere allo stesso modo”?]

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Ebbene, questa triade possiede una tale disposizione, che il divino è eccelso e primissimo, l’immortale secondo, l’intelligibile terzo257. In effetti nella dimensione del divino l’essere è divinizzato; in quella dell’immortale la Vita risulta sussistere in modo con- 15 forme all’immortalità degli dèi; in quella dell’intelligibile l’Intelletto in conformità alla pienezza della sua riduzione all’unità viene chiamato intelligibile258. Dopo questa triade vi sono poi nell’ordine ciò che è di una sola forma, l’indissolubile e ciò che rimane allo stesso modo, anche questi “balzati innanzi” dalle medesime cause e procedenti attraverso tutti gli ordinamenti divini. In effetti ciò che è di una sola forma è eccelso, e in modo 20 sommo si addice alla monade divina presso la quale proprio l’essere in modo primario si rivela; in ciò appunto va a terminare tutto il genere della enadi partecipabili259. Infatti l’Uno è al di sopra anche di queste, come sarà evidente nel prosieguo260. L’indissolubile poi è secondo: infatti è tale da comprendere in 25 sé e da congiungere gli estremi in base all’unificazione divina, pro- 119 prio perché il dissolubile è tale per mancanza di coesione e di quella potenza che è in grado di riunire tale molteplicità in una unità. Dal canto suo ciò che rimane nelle medesime condizioni e allo stesso modo è eterno e colmo della eternità degli dèi: presso di 5 esso infatti anche per le altre entità risiede la partecipazione all’eternità e all’eterna identità. Allo stesso livello del divino, pertanto, giunge ciò che è di una sola forma, mentre a quello dell’immortale attribuiremo l’indisso-

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to; ajdiavluton, tw'/ de; nohtw'/ to; wJsauvtw" e[con ajnoivsomen. Kai; oJra'/" o{pw" e{kasta sunhvrmostai kata; trovpon ajllhvloi" To; me;n ga;r dia; th;n eJnavda th;n prwvthn uJpo; tou' o[nto" metecomevnhn monoeidev" ejstin eijkovtw": eij ga;r kata; to; e}n oJ qeov", eJnoeide;" dhvpou to; qei'on e[stai, to; de; eJnoeide;" tw'/ monoeidei' taujtovn. To; de; dia; th;n mivan th'" zwh'" aijtivan ajqavnaton o]n kai; ajdiavlutovn ejstin oJmoivw": desmo;" ga;r hJ zwh; tw'n fuvsei dialutw'n, o} kai; oJ Tivmaio" hJmi'n ejndeiknuvmeno" tw'/ ajqanavtw/ to; dialuto;n ajnqivsthsin (ajqavnatoi me;n ga;r oujk ejstev, fhsivn, ou[ti me;n dh; dialuqhvsesqe oujde; teuvxesqe qanavtou moivra"): e[stin a[ra to; me;n qnhto;n pa'n dialutovn, to; de; ajqavnaton ajdiavluton, to; de; ejpiskeuasth;n ajqanasivan e[con ou[t ou\n ajdiavluton ou[te ou\n qnhtovn, kata; to;n aujto;n lovgon: ejn mevsw/ ga;r o]n ajmfotevrwn oujdevterovn ejsti tw'n a[krwn kaq eJkatevran ajntivqesin. To; de; au\ trivton, kata; to; plhvrwma tw'n o{lwn nohtw'n iJdrumevnon, oJmou' kai; wJsauvtw" e[con ejstiv: taujtovthto" ga;r kai; th'" aijwnivou diamonh'" ai[tion to; nohtovn ejsti, kai; oJ nou'" dia; tou'to pavntw" aijwvnio". Apo; tw'n prwtivstwn a[ra kai; ajrcoeidestavtwn aijtivwn aiJ triavde" au|tai kaqhvkousin, w{sper dh; kai; peri; tw'n e[mprosqen ejdeivknumen. ãkhVÃ Alla; tau'ta me;n eij" u{steron: diwrismevnwn de; touvtwn, to; ajgevnnhton tw'n qeivwn nohvswmen oi|ovn pote levgomen ei\nai. Kai; ga;r to; o]n pa'n gevnesin oujk e[cein famevn, kai; ta;" yuca;" ajgennhvtou" oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" ajpodeivknusi, kai; pro; touvtwn aujtoi; oiJ qeoi; genevsew" uJperivdruntai kai; th'" kata; crovnon uJpostavsew". Pw'" ou\n ajgevnnhton to; qei'on ajforizovmeqa kai; kata; tivna lovgon H o{ti pavsh" ejxhv/rhtai genevsew", ouj th'" ejn morivw/ tou' crovnou ginomevnh", oi{an dh; levgoimen a]n th;n tw'n ejnuvlwn gevnesin, oujde; th'" eij" pavnta to;n crovnon ejkteinomevnh",

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lubile, infine a quello intelligibile attribuiremo ciò che rimane allo stesso modo. E si riesce a vedere in che modo ogni entità risulti connessa nel modo appropriato l’una all’altra? In effetti uno è di una unica forma verosimilmente in virtù della prima Enade partecipata dall’essere; infatti se il dio è conforme all’unità, uni-forme a mio giudizio sarà il divino, e l’uni-forme dal canto suo sarà identico a ciò che è di una sola forma; ciò che invece in virtù dell’unica e sola causa della vita è immortale, sarà ugualmente anche indissolubile: infatti la vita è un legame per le entità dissolubili per natura; ed infatti anche Timeo261 nel dimostrarci ciò contrappone all’immortale il dissolubile («infatti non siete immortali», afferma, «né invero sarete destinati a dissolvervi, né sarete fatti di un destino mortale»). Dunque ciò che è mortale è tutto dissolubile, mentre ciò che è immortale è indissolubile, a sua volta ciò che possiede una «immortalità ristabilita» non è di conseguenza indissolubile, né pertanto, in base alle stesso ragionamento, è mortale. Infatti, essendo nel mezzo tra entrambi, non è nessuno dei due estremi in base a ciascuna delle due antitesi. Il terzo carattere, fondato sull’intero complesso della totalità delle realtà intelligibili, al contempo è anche ciò che rimane allo stesso modo. Infatti dell’identità e dell’eterno permanere è causa l’intelligibile, e l’Intelletto in virtù di questo è assolutamente eterno. Dunque dalle cause primissime e assolutamente originarie discendono queste triadi, come appunto mostravamo anche a proposito delle triadi precedenti262.

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120 [Come bisogna intendere al livello degli dèi le “cause paterne” e come quelle “materne”] Ma su tali questioni torneremo in seguito263. Invece, stabilite queste definizioni, pensiamo di quale mai natura diciamo che sia il carattere ingenerato delle divinità. Ed infatti tutto ciò che è diciamo che non ha generazione264, e Socrate nel Fedro265 dimostra che le anime sono ingenerate e che, prima delle anime, gli dèi stessi sono posti al di sopra della generazione e della realtà condizionata dalla temporalità. In che senso dunque definiamo ingenerato il divino ed in base a quale ragionamento? Forse perché esso risulta trascendere ogni forma di generazione, non quella che viene ad essere in una porzione di tempo – quale appunto diremmo che è la generazione delle cose materiali –, né quella che perdura in tutto il

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oJpoivan th;n tw'n oujranivwn swmavtwn gevnesin oJ Tivmaio" uJpodeivknusin, ajlla; kai; th'" yucikh'" genevsew", ejpei; kai; tauvthn ajgevnnhton me;n kata; crovnon ajrivsthn de; tw'n 15 gennhqevntwn oJ Tivmaio" ajpokalei', kai; pavsh" aJplw'" diairevsew" kai; diakrivsew" oujsiwvdou": hJ ga;r tw'n qew'n provodo" kaq e{nwsivn ejstin ajeiv, tw'n deutevrwn eJnoeidw'" ejn toi'" pro; eJautw'n iJdrumevnwn kai; tw'n paragovntwn ejn auJtoi'" ta; paragovmena sunecovntwn. To; toivnun ajdiaivreton kai; 20 ajdiavkriton kai; hJnwmevnon ajgevnnhtovn ejstin, wJ" oJ ajlhqh;" lovgo". Wste kai; ei[ tine" genevsei" ejpi; qew'n ejn muqikoi'" plavsmasin uJpo; tou' Plavtwno" levgointo, kaqavper ejn tw'/ muvqw/ 121 th'" diotivma" hJ th'" Afrodivth" gevnesi" u{mnhtai kai; tou' Erwto" ejn geneqlivoi" Afrodivth" ajpogennwmevnou, dei' mh; lanqavnein o{pw" ta; toiau'ta levgetai, kai; wJ" ejndeivxew" e{neka sumbolikh'" tau'ta suvgkeitai, kai; diovti th;n ajpo; tw'n a[rrhton e[kfansin ejpikruptovmenoi gevnesin oiJ 5 aijtivwn mu'qoi kalou'sin. Toi'" me;n ga;r Orfikoi'" kai; dia; tou'to to; prwvtiston ai[tion crovno" proseivrhtai – kai; ga;r au\ di a[lla" aijtiva" – i{na to; kat aijtivan tw'/ kata; crovnon h\/ taujtovn, kai; hJ provodo" hJ tw'n qew'n ajp aijtiva" proi>ou'sa ajrivsth" kata; crovnon gevnesi" kurivw" ejponomav10 th'" zetai: Plavtwni de; a[ra muqologou'nti me;n ta; toiau'ta plavttein eJpomevnw" toi'" qeolovgoi" h{rmoze, dialektikeuomevnw/ de; kai; noerw'" ajll ouj mustikw'" ta; qei'a zhtou'nti kai; ajfhgoumevnw/ to; ajgevnnhton uJmnei'n to; tw'n qew'n: prwvtw" 15 ga;r oiJ qeoi; th'" ajgennhsiva" ejn auJtoi'" iJdruvsanto to; paravdeigma, deutevrw" de; hJ noera; fuvsi" ajgevnnhto" kai; meta; tauvthn hJ yucikh; suvstasi", e[scaton de; i[ndalma kajn toi'" swvmasivn ejsti th'" ajgennhvtou dunavmew", o} kai; tw'n meta; Plavtwnav tine" sunidovnte" ajgevnnhton ajdiorivstw" ajpofaiv20 nontai to;n o{lon oujranovn. Agevnnhtoi me;n ou\n oiJ qeoiv, tavxi" dev ejstin ejn aujtoi'" prwvtwn te kai; mevswn kai; teleutaivwn proovdwn, kai; uJperocai; dunavmewn kai; uJfevsei", kai; tw'n me;n aijtivwn eJnoeidei'" perilhvyei", tw'n de; aijtiatw'n ajpogennhvsei" polueidei'": kai; 25 pavnta me;n sunufevsthken ejn ajllhvloi", oJ de; th'" uJpostavsew" trovpo" ejxhvllaktai, kai; ta; me;n wJ" plhrou'nta prou>-

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tempo – di quale sorta essa sia lo mette in luce Timeo266 –, ma anche la generazione relativa alle anime – giacché questa Timeo la definisce “ingenerata” sì in base al tempo, ma «eccellente fra le entità generate»267 – e, in breve, ogni forma di divisione e distin- 15 zione di carattere essenziale. Infatti la processione degli dèi è sempre conforme all’unificazione, poiché le realtà seconde hanno uniformemente il loro fondamento in quelle che le precedono e le entità che introducono comprendono in se stesse le entità introdotte. Pertanto ciò che è indiviso, non distinto e unificato è inge- 20 nerato, come il vero ragionamento. Sicché, seppure a proposito degli dèi vi siano alcune nascite che Platone narra in forma di racconto mitico, come per esempio nel mito di Diotima è stata celebrata la generazione di Afrodite e 121 di Amore, «generato durante la festa per la nascita di Afrodite»268, non bisogna dimenticare in che modo tali narrazioni sono proposte, cioè che esse sono composte con la funzione di suggerimento simbolico, e questo è il motivo per cui, celando l’ineffabile mani- 5 festazione che parte dai principi causali, la definiscono “nascita”. Infatti è anche per questo motivo che dagli Orfici il primissimo principio causale è stato indicato con l’appellativo “Crono” – e in effetti anche per altre varie ragioni – affinché il rapporto causale sia identico a quello cronologico, e la processione degli dèi che procede dalla causa migliore viene denominata propriamente 10 «generazione secondo il tempo»269. A Platone, dal canto suo, quando raccontava miti, conveniva elaborare tali racconti alla maniera dei teologi, mentre quando si serviva della dialettica ed in modo intellettivo, ma non in modo mistico, investigava le questioni concernenti le divinità e le esponeva, gli conveniva celebrare il carattere di ingenerato che è proprio degli dèi. È in modo primario infatti che gli dèi hanno fissato in se stessi il paradigma del 15 non-essere-generato, in modo secondario è invece ingenerata la natura intellettiva e dopo questa viene la dimensione psichica, infine una estrema parvenza della potenza ingenerata v’è anche nei corpi, ed infatti alcuni successori di Platone, avendo compreso ciò, dichiarano senza distinzioni ingenerato il cielo nella sua 20 interezza270. Dunque gli dèi sono ingenerati, e d’altra parte in essi si trova l’ordinamento delle prime, delle mediane ed anche delle ultime processioni, sia sovrabbondanze sia diminuzioni di potenze, e da un lato uni-formi insiemi dei principi causali, dall’altro multiformi generazioni delle entità causate, e tutte sussistono insieme le 25 une in mezzo alle altre, ma il modo di sussistenza risulta differen-

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pavrcei tw'n deutevrwn, ta; de; wJ" plhrouvmena tw'n teleiotevrwn ejfivetai, kai; metalambavnonta th'" dunavmew" aujtw'n gennh122 tika; tw'n meq eJauta; kai; telesiourga; th'" uJpavrxew" aujtw'n ajpotelei'tai. Pro;" tau'ta toivnun ajpoblevponte" kai; ãta;"à patrika;" aijtiva" tw'n muvqwn kai; ta;" gonivmou" tw'n mhtevrwn dunavmei" 5 ejxhghsovmeqa. Pantacou' ga;r dh; to; me;n th'" kreivttono" kai; eJnoeidestevra" fuvsew" ai[tion patriko;n ªkai;º uJpoqhsovmeqa, to; de; th'" katadeestevra" kai; merikwtevra" ejn mhtro;" tavxei prou>pavrcein fhvsomen: ajnavlogon ga;r monavdi me;n kai; th'/ tou' pevrato" aijtiva/ para; toi'" qeoi'" oJ pathvr, duavdi de; kai; th'/ 10 ajpeivrw/ dunavmei th'/ gennhtikh'/ tw'n o[ntwn hJ mhvthr. Alla; to; me;n patriko;n monoeide;" ajei; para; Plavtwni kai; tw'n ajp aujtou' proi>ovntwn uJyhlovteron i{drutai kai; ejn ejfetou' moivra/ tw'n tiktomevnwn prou>fevsthke, to; de; au\ mhtriko;n duoeide;" kai; pote; me;n wJ" krei'tton tw'n gennhmavtwn pote; de; wJ" uJfeimevnon 15 kata; th;n oujsivan ejn toi'" muvqoi" proteivnetai, kaqavper ejn Sumposivw/ th;n Penivan tou' Erwto" mhtevra levgousi: kai; oujk ejn toi'" muqikoi'" plavsmasi movnon ajlla; kajn th'/ filosovfw/ qewriva/ tw'n o[ntwn w{sper ejn Timaivw/ gevgraptai: kai; ga;r ejkei' to; me;n o]n patevra th;n de; u{lhn mhtevra tiqhvnhn ejponomavzei th'" genevsew". AiJ me;n ou\n 20 kai; govnimoi kai; telesiourgoi; tw'n deutevrwn dunavmei" kai; zwh'" corhgoi; kai; diakrivsew" ai[tioi mhtevre" eijsi;n uJperidrumevnai tw'n paragomevnwn ajf eJautw'n: aiJ de; uJpodecovmenai ta; proi>ovnta kai; pollaplasiavzousai ta;" ejnergeiva" aujtw'n 25 kai; ejkteivnousai ªkai;º th;n ceivrona moi'ran tw'n ajpogennhqevntwn ajpokalou'ntai ªde;º kai; au|tai mhtevre". Ta; de; au\ gennhvmata tw'n toiouvtwn aijtivwn, oJte; me;n 123 kaq e{nwsin ajpo; tw'n oijkeivwn proveisin ajrcw'n kai; plhrou'tai par ajmfoi'n, oJte; de; sunevcei to;n suvndesmon aujtw'n ejn mevsw/ tetagmevna kai; diaporqmeuvonta ta;" tw'n patevrwn dovsei" 5 ejpi; tou;" mhtrikou;" kovlpou" kai; ejpistrevfonta ta;" aujtw'n uJpodoca;" eij" ta;" tw'n prwtourgw'n aijtivwn ajpoplhrwvsei": tw'n de; uJfistamevnwn ajpo; tw'n dittw'n ajrcw'n ãtw'nà prou>parcousw'n th'" ajpogennhvsew", ta; me;n pro;" th;n patrikh;n ajfomoiou'tai kai; e[sti poihtika; ãkai;à frourhtika; kai; 10 sunektika; ta; toiau'ta gevnh tw'n qew'n (kai; ga;r to; poiei'n kai; to; sunevcein kai; to; frourei'n th'/ tou' pevrato" aijtiva/ proshvkei), ta; de; pro;" th;n mhtrikh;n kai; e[sti govnima kai; zwopoia; kai; kinhvsew" corhga; kai; pollaplasiasmou' tw'n

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ziato, e le une, in quanto completanti, preesistono alle seconde, le altre, in quanto completate, bramano quelle più perfette, e partecipando della loro potenza si rendono generatrici di quelle succes- 122 sive e perfezionatrici della sussistenza di esse. Pertanto è tenendo fissa l’attenzione su queste nozioni che interpreteremo sia le “cause paterne” dei racconti mitici sia le 5 feconde potenze di quelle “materne”. Infatti in ogni ambito certamente il principio causale della natura superiore e più uni-forme lo presupporremo come “paterno”, invece quello della natura inferiore e più divisa diremo che preesiste nel “ruolo di madre”. Infatti analogo alla Monade e alla causa del limite è presso gli dèi il padre, invece analogo alla Diade e alla illimitata potenza che è 10 generatrice degli enti è la madre. Ma ciò che è paterno in Platone è sempre di una forma sola, è posto più in alto delle entità che da esso procedono e preesiste a mo’ di desiderabile alle entità generate; invece ciò che è materno, dal canto suo, si presenta nei racconti mitici in forma duplice: talvolta come superiore ai prodotti della generazione, talvolta invece come abbassato di livello in base all’essenza, come ad esempio nel Simposio271 Penía 15 [“Povertà”] la si dice madre di Amore. E non nei racconti mitici solamente, ma anche nella contemplazione filosofica degli enti, come è scritto nel Timeo272: ed infatti lì l’essere lo denomina «padre», mentre la materia «madre» e «nutrice della generazione». 20 Dunque le potenze generatrici e perfezionatrici delle realtà seconde e promotrici della vita e causa di distinzione sono madri poste al di sopra delle entità da esse generate. Dal canto loro le potenze che accolgono le entità che procedono e che moltiplicano le loro attività e che estendono la condizione inferiore delle entità gene- 25 rate sono chiamate anch’esse madri. A loro volta i prodotti generati da tali principi causali talora 123 procedono in modo unificato dai propri principi e da parte di entrambi i tipi di cause sono ricolmati, talaltra continuano a mantenere il legame, essendo posti in mezzo ad esse, trasferendo i doni dei padri nei grembi materni e facendo volgere i ricettacoli 5 di esse verso le cause primigenie perché li ricolmino. Invece di quelle entità che sussistono ad opera delle due sorte di principi preesistenti alla generazione, le une si assimilano al principio paterno e sono tali generi di dèi atti a produrre, a custodire e a 10 conservare (ed infatti il produrre, il conservare ed il custodire si confanno alla causa del limite); invece le altre si assimilano al principio materno e sono generatrici, produttrici di vita e promotrici di movimento, e della moltiplicazione delle potenza, della varietà

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dunavmewn kai; poikiliva" kai; proovdwn: a{panta ga;r tau'ta th'" ajpeiriva" ejsti;n e[kgona kai; tou' prwtivstou plhvqou".

kqV Peri; me;n ou\n th'" ajgennhvtou tw'n qew'n uJpavrxew" kai; tau'ta iJkanav: leivpetai de;, oi\mai, kai; peri; tw'n ojnomavtwn tw'n qeivwn eijpei'n. 20 Kai; ga;r oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth" th;n ojrqovthta tw'n ojnomavtwn ejn toi'" qeivoi" diaferovntw" ejkfaivnein ajxioi': kai; oJ Parmenivdh" kata; me;n th;n prwvthn uJpovqesin, w{sper ta\lla pavnta gnwsta; kai; ta;" gnwvsei" aJpavsa", ou{tw dh; kai; to; o[noma kai; to;n lovgon ajpofavskei tou' eJnov": 124 kata; de; th;n deutevran ejf a{pasi toi'" a[lloi" kai; o{ti lovgo" ejsti; tou' eJno;" touvtou ãkai;Ã o[noma deivknusin. In ou\n sullhvbdhn ei[pwmen, ta; me;n prwvtista kai; kuriwvtata kai; o[ntw" qei'a tw'n ojnomavtwn ejn aujtoi'" uJpoqe5 tevon iJdru'sqai toi'" qeoi'": ta; de; deuvtera kai; touvtwn oJmoiwvmata noerw'" uJfesthkovta th'" daimoniva" moivra" ei\nai lektevon: ta; d au\ trivta me;n ajpo; th'" ajlhqeiva" logikw'" de; plattovmena kai; tw'n qeivwn e[mfasin ejscavtw" katadecovmena para; tw'n ejpisthmovnwn ejkfaivnesqai fhvso10 men, oJte; me;n ejnqevw" oJte; de; noerw'" ejnergouvntwn kai; tw'n e[ndon qeamavtwn eijkovna" ejn kinhvsei feromevna" ajpogennwvntwn. W" ga;r oJ nou'" oJ dhmiourgiko;" tw'n ejn auJtw'/ prwtivstwn eijdw'n peri; th;n u{lhn ejmfavsei" uJfivsthsi, kai; tw'n aijwnivwn e[gcrona kai; tw'n ajmerivstwn merista; kai; oi|on ejskiagrafhtw'n ajlhqinw'" o[ntwn ei[dwla paravgei, kata; to;n 15 mevna aujto;n, oi\mai, trovpon kai; hJ par hJmi'n ejpisthvmh th;n noera;n ajpotupoumevnh poivhsin dia; lovgou dhmiourgei' tw'n te a[llwn pragmavtwn oJmoiwvmata kai; dh; kai; aujtw'n tw'n qew'n, to; me;n ajsuvnqeton aujtw'n dia; sunqevsew" to; de; aJplou'n 20 dia; poikiliva" to; de; hJnwmevnon dia; plhvqou" ajpeikavzousa. Kai; ou{tw dh; ta; ojnovmata plavttousa tw'n qeivwn eijkovna" ejscavtw" ejpideivknusin: e{kaston ga;r o[noma kaqavper

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e delle processioni. Infatti tutte quante queste entità sono prole dell’illimitatezza e della primissima molteplicità.

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29 [Sui nomi divini e sulla loro correttezza che è stata tramandata nel “Cratilo”] Ebbene, riguardo alla ingenerata sussistenza degli dèi anche questo è sufficiente. Si deve però ancora, a mio giudizio, parlare anche dei nomi divini. Ed in effetti il Socrate del Cratilo ritiene opportuno rivelare la 20 corretta attribuzione dei nomi in modo specifico nell’ambito degli esseri divini273. Ed il Parmenide274 in base alla prima ipotesi, come rivela tutte le altre realtà conoscibili e tutti i tipi di conoscenza, allo stesso modo nega all’Uno sia «il nome» sia «il discorso»; inve- 124 ce in base alla seconda , oltre a tutte le altre concezioni, mostra anche che di questo Uno275 v’è discorso e nome276. Dunque, per dirla in breve, quelli primissimi e principalissimi e realmente divini tra i nomi bisogna presupporre che siano stabi- 5 liti al livello degli dèi stessi. Quelli, dal canto loro, che vengono per secondi e che sussistono in modo intellettivo come immagini di questi si deve dire che appartengono alla classe demonica. A loro volta quelli che, da un lato, sono «terzi a partire dalla verità»277, e che dall’altro sono plasmati in forma di discorso razionale ed accolgono al livello ultimo un riflesso delle entità divine, diremo che sono rivelati da parte dei sapienti, che operano ora in 10 modo divinamente ispirato, ora in modo intellettivo, e che generano immagini messe in movimento delle loro visioni interiori. Infatti, come l’intelletto demiurgico fa sussistere intorno alla materia riflessi delle primissime Forme insite in lui stesso, ed introduce simulacri soggetti al tempo delle entità eterne e soggetti a divisione delle entità indivisibili e simulacri, per così dire, abbozzati delle entità che sono in modo autentico, allo stesso 15 modo, a mio giudizio, anche la nostra scienza, prendendo a modello l’attività produttrice dell’intelletto, attraverso ragionamento realizza imitazioni fra tutte le altre cose in particolare degli dèi, rappresentando il loro carattere non composito attraverso composizione, quello semplice attraverso varietà e quello unifica- 20 to attraverso molteplicità. Ed essa, plasmando in tal modo i loro nomi, mostra, con un estremo livello di approssimazione, immagini delle entità divine: infatti genera ciascun nome proprio come

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TEOLOGIA PLATONICA

a[galma tw'n qew'n ajpogenna'/: kai; w{sper hJ qeourgiva dia; dhv tinwn sumbovlwn eij" th;n tw'n tecnhtw'n ajgalmavtwn 25 e[llamyin prokalei'tai th;n tw'n qew'n a[fqonon ajgaqovthta, kata; ta; aujta; dh; kai; hJ noera; tw'n qeivwn ejpisthvmh sunqevsesi 125 kai; diairevsesi tw'n h[cwn ejkfaivnei th;n ajpokekrummevnhn oujsivan tw'n qew'n. Eijkovtw" a[ra kai; oJ ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth" peri; ta; tw'n qew'n ojnovmata pevra tou' megivstou fovbou th'" peri; 5 aujta; cavrin eujlabeiva" ejlauvnein fhsiv. dei' ga;r kai; ta; e[scata tw'n qew'n ajphchvmata semnuvnein kai; sebomevnou" kai; tau'ta toi'" prwtivstoi" aujtw'n ejnidruvesqai paradeivgmasi. Tosau'ta kai; peri; tw'n qeivwn ojnomavtwn w{" ge pro;" to; ejxarkevsei toi'" th'" tou' Plavtwno" qeologiva" 10 paro;n ajntilhvyesqai mevllousi: to; de; ajkribe;" peri; tw'n aujtw'n ajpodwvsomen oJpovte peri; tw'n merikw'n dunavmewn to;n lovgon proavgwmen.

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LIBRO I, 29

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una statua degli dèi. E come la teurgia attraverso determinati tipi di simboli invoca la bontà generosa degli dèi perché illumini le 25 statue prodotte dall’arte umana, allo stesso modo appunto anche la scienza intellettiva delle entità divine con combinazioni e distin- 125 zioni dei suoni fa apparire la celata essenza degli dèi. A ragion veduta dunque Socrate nel Filebo dice di spingersi «per quel che concerne i nomi degli dèi oltre il più grande timore»278, a motivo del rispetto che si deve avere per essi. Infatti biso- 5 gna celebrare anche gli estremi echi degli dèi e, venerando anche questi, stabilirli fissamente nei loro primissimi paradigmi. Quanto si è detto anche per quel che concerne i nomi divini almeno per il momento basterà a coloro che intendono appro- 10 priarsi della teologia di Platone. D’altra parte l’esatta concezione la forniremo allorché svilupperemo il discorso sulle potenze particolari.

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1

PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS TOU DEUTEROU KEFALAIA 5

aV. Efodo" ajnavgousa ejpi; th;n uJperouvsion tw'n pavntwn ajrch;n kata; th;n tou' eJno;" kai; tou' plhvqou" ejpibolhvn. bV. Deutevra e[fodo" ejkfaivnousa th;n ejxh/rhmevnhn tou' eJno;" uJpovstasin ajpo; pasw'n oujsiw'n swmatikw'n kai; ajswmavtwn.

10

gV. Efodoi pleivou" to; aujto; kataskeuavzousai deiknuvousai th;n tou' eJno;" uJpovqesin ajnevlegkton.

kai;

dV. Apavnthsi" pro;" tou;" levgonta" mh; ei\nai th;n prwvthn ajrch;n uJpe;r nou'n kata; Plavtwna, kai; ajpodeivxei" ejk th'" Politeiva", ejk tou' Sofistou', ejk tou' Filhvbou, ejk tou' Parmenivdou, th'" tou' uJperousivou eJno;" uJpoqevsew". 15

eV. Tivne" eijsi; trovpoi kata; Plavtwna th'" ejpi; to; e}n ajnagwgh'", kai; o{ti duvo, ãoJÃ di ajnalogiva" kai; oJ ªtiº dia; tw'n ajpofavsewn, kai; o{pou touvtwn eJkavteron oJ Plavtwn kai; dia; poivan aijtivan metaceirivzetai.

2

iV. Poivoi" ojnovmasin oJ Plavtwn th;n a[rrhton ajrch;n ejkfaivnei kai; povsoi", kai; dia; tiv tosouvtoi" kai; toiouvtoi", kai; pw'" sumfwnei' ta; ojnovmata toi'" trovpoi" th'" ejp aujth;n ajnagwgh'".

5

zV. Tivna ta; ejn Politeiva/ rJhqevnta dia; th'" pro;" to;n h{lion ajnalogiva" peri; th'" prwvth" ajrch'": ejn oi|" levgetai pw'" tajgaqo;n ajnumnei'tai, pw'" fanovtaton tou' o[nto", pw'" oJ h{lio" e[kgono" tou' ajgaqou', kai; o{ti kaq eJkavsthn tavxin tw'n qeivwn uJpevsth mona;" ajnavlogo" ejkeivnh/ th'/ ajrch'/, kai; pw'" pavntwn ejsti;n aijtiva tw'n o[ntwn pro; dunavmew" ou\sa kai; ejnergeiva".

10

hV. Tivna ejn th'/ pro;" Dionuvsion ejpistolh'/ fhsin ei\nai to;n prw'ton basileva: kai; uJpomnhvsei" pleivou" o{ti peri; tou' prwtivstou qeou' diatavttetai ejn ejkeivnoi".

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Punti capitali del libro II 1. Via di accesso al Principio sovraessenziale di tutte le cose in base alla nozione di “Uno” e di “molteplicità”.

5

2. Seconda via di accesso che rivela la realtà trascendente dell’Uno rispetto a tutte le sostanze I corporee e incorporee. 3. Più vie di accesso che forniscono lo stesso risultato e che mostrano la realtà inconfutabile dell’Uno.

10

4. Replica a quanti affermano che il Primo Principio secondo Platone non è al di sopra dell’intelletto, e dimostrazioni tratte dalla Repubblica, dal Sofista, dal Filebo e dal Parmenide della realtà dell’Uno sovraessenziale. 5. Quali sono secondo Platone le modalità dell’ascesa all’Uno, e che esse sono due, quella “attraverso analogia” e quella “attraverso le negazioni”, e in quali luoghi Platone tratta ciascuna di esse e per quale ragione.

15

6. Con quali e con quanti nomi Platone rivela il Principio inef- 2 fabile, e per quale motivo con tanti e siffatti, e in che modo i nomi si accordano alle modalità dell’ascesa verso il Principio. 7. Quali le considerazioni formulate nella Repubblica attraverso l’analogia solare circa il Primo Principio, considerazioni in cui si espone in che modo il Bene viene celebrato, in che senso è la parte più luminosa dell’essere, in che senso il sole è progenie del Bene, e come per ciascuna classe degli esseri divini sussista una monade analoga a quel Principio, e in che senso sia causa di tutti gli enti, pur venendo prima di potenza e atto. 8. Di che natura nella Lettera a Dionisio afferma che è il Primo Re; e più richiami al fatto che in quei passi lascia indicazioni sul Primissimo Dio. I In questo contesto il termine oujsivai ha il significato aristotelico di “sostanze”.

5

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TEOLOGIA PLATONICA

qV. Tivne" aiJ peri; tou' prwvtou basilevw" trei'" paredovqhsan e[nnoiai: pw'" peri; ejkei'non pavnta, pw'" ejkeivnou e{neka pavnta, pw'" ejkei'no" ai[tion pavntwn kalw'n: kai; tiv" hJ tavxi" tw'n ejnnoiw'n touvtwn, kai; ajpo; poivwn uJpoqevsewn ejlhvfqhsan. iV. Pw'" ejn tw'/ Parmenivdh/ metaceirivzetai kata; th;n prwvthn uJpovqesin th;n peri; tou' eJno;" didaskalivan tai'" ajpofavsesi crwvmeno", kai; dia; poivan aijtivan toiau'tai kai; tosau'tai aiJ ajpofavsei". iaV. Pw'" dei' prosievnai th'/ peri; tou' eJno;" dia; tw'n ajpofavsewn qewriva/, kai; poiva diavqesi" th'" yuch'" oijkeiotavth pro;" tou;" toiouvtou" lovgou". ibV. Umnhsi" tou' eJno;" dia; tw'n ajpofatikw'n sumperasmavtwn, ejxh/rhmevnon aujto; pavntwn ãtw'nà tw'n o[ntwn diakovsmwn ajpodeiknuvousa kata; th;n ejn tw'/ Parmenivdh/ paradoqei'san tavxin.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO II

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9. Quali sono le tre nozioni riguardanti il Primo Re che sono state tramandate; in che senso intorno a quello si trovano tutte le cose, in che senso in vista di quello sono tutte le cose, in che senso quello è causa di tutte le cose belle; e qual è l’ordine di queste nozioni comuni, e a partire da quali presupposti sono state assunte. 10. In che modo nella prima ipotesi del Parmenide tratta l’insegnamento concernente l’Uno servendosi delle negazioni, per quale ragione le negazioni sono tali e di tal numero. 11. Come bisogna accostarsi alla contemplazione concernente l’Uno attraverso le negazioni, e qual è la disposizione dell’anima più adatta in rapporto a discorsi di questo tipo. 12. Celebrazione dell’Uno attraverso le conclusioni negative, che dimostra che esso trascende tutti i livelli degli enti secondo l’ordine trasmesso nel Parmenide.

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PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS BIBLION DEUTERON ãaVà Arch; dev ejsti kuriwtavth th'" prokeimevnh" hJmi'n qewriva", ajf h|" a]n gevnoito th;n tw'n o[ntwn aJpavntwn prwtivsthn aijtivan euJrei'n: ajpo; ga;r tauvth" oJrmhqevnte" kalw'" kai; ta;" peri; aujth'" ejnnoiva" ajnakaqhravmenoi, rJav/ona ãth;nà tw'n 10 a[llwn poihsovmeqa diavkrisin. Wde ou\n legevsqw peri; touvtwn ejx ajrch'". Apanta ta; o[nta kai; pavsa" ta;" tw'n o[ntwn fuvsei" ajnagkai'on h] polla; movnon ei\nai, mhdeno;" o[nto" eJno;" ejn aujtoi'" mhvt ou\n ejn eJkavstw/ mhvte ejn pa'si toi'" ou\sin, h] e}n 15 movnon, plhvqou" oujdeno;" o[nto" ajlla; pavntwn eij" mivan kai; th;n aujth;n tou' ei\nai duvnamin sunewsmevnwn, h] ªe}nº kai; polla; ei\nai kai; e}n to; o[n, i{na dh; mhvte to; plh'qo" aujto; 4 kaq auJto; krath'/ tw'n o[ntwn mhvte oJmou' pavnta kai; ta; ejnantiva sumfuvrein eij" taujto;n ajnagkazwvmeqa. Touvtwn toivnun triw'n o[ntwn, tiv pote aiJrouvmeqa levgein kai; pro;" tivna tw'n eijrhmevnwn lovgwn th;n hJmetevran tiqevmeqa yh'fon 5 Dei' dh; kaq e{kaston aujtw'n ejpelqei'n  o{sa toi'" tiqemevnoi" a[topa sumbaivnei dielomevnou" ou{tw to; ajlhqe;" o{pw" e[cei qewrh'sai. Eij me;n dh; polla; ta; o[nta, kai; ou{tw dh; polla; kaqavper ejx ajrch'" ei[pomen, wJ" mhdamou' tou' eJno;" o[nto", polla; 10 kai; ajduvnata tivqesqai sumbaivnei: ma'llon de; a{pasan oJmou' th;n tw'n o[ntwn fuvsin a[rdhn ajfanivzesqai, mhdeno;" o[nto" eujqu;" o} a]n mh; metalambavnein duvnhtai tou' eJnov". Pa'n ga;r dh; to; o]n h] e}n ei\naiv ti lektevon h] mhde;n ei\nai, kai; 5

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Libro II

[Via di accesso al Principio sovraessenziale di tutte le cose in base alla nozione di “Uno” e di “molteplicità”]

5

Un principio assolutamente fondamentale della ricerca filosofica che ci proponiamo, è quello a partire dal quale potrebbe accaderci di scoprire la Primissima Causa di tutti quanti gli enti. Infatti, se avremo preso in modo opportuno le mosse da questo principio ed avremo eliminato ogni scoria dalle nozioni che lo concernono, renderemo più facile il discernimento di tutte le altre 10 realtà. Così dunque dall’inizio si parli di questi argomenti. Tutti quanti gli enti e tutte le nature degli enti è necessario o che siano solo molteplici, non essendovi alcuna unità in essi, e dunque né in ciascuno né in tutti gli enti nel loro insieme, o sol- 15 tanto unità, non essendovi alcuna molteplicità, ma risultando tutti spinti insieme verso un’unica e medesima potenza dell’essere, oppure è necessario che l’essere risulti sia molti sia uno, sia affinché la molteplicità in sé e per sé non abbia il controllo 4 sugli enti, sia affinché non siamo costretti a confondere, identificandoli, «tutti gli esseri insieme»1 e i loro contrari. Date pertanto queste tre ipotesi, quale mai scegliamo di sostenere e a quale delle definizioni proposte diamo il nostro voto? Certamente bisogna 5 procedere in base a ciascuna di esse 2, avendo distinto tutte le conseguenze paradossali che si presentano a coloro che le assumono, considerare il vero per come è. Allora, se gli enti sono molteplici, e appunto in tal modo molteplici, secondo quanto abbiamo detto da principio3, come se non vi fosse alcuna unità, avviene che si determinano molte ed impos- 10 sibili conseguenze. Ma ancora più rilevante è che tutta quanta insieme la natura degli enti viene fatta scomparire tutta in una volta, dato che fin da subito non ve ne è nessuno che possa non partecipare dell’unità. Infatti tutto ciò che è si deve dire che è un qualcosa o che non è nulla, e ciò che è qualcosa è anche uno, men-

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TEOLOGIA PLATONICA

to; mevn ti o]n kai; e}n ei\nai, to; de; mhde;n o]n oujde; ei\nai to; paravpan. Oujkou'n eij e[sti ta; pollav, kai; e{kaston tw'n pollw'n tiv ejstin: eij de; mhde;n e{kastovn ejstin, oujd a]n ta; polla; ei\nai duvnaito: ta; ga;r polla; tau'tav ejstin w|n e{kastovn ejstin. Eij a[ra movnon ejsti; polla; kai; mhdamw'" e{n, oujde; polla; a]n ei[h: ta; ga;r mhdamw'" e}n oujde; e{n ejstin 20 oujdamw'". To; dev ge oujde; e{n, pollw'/ provteron oujde; pollav: ejx w|n ga;r ta; polla; touvtwn oujde;n ei\nai ajnagkai'on. Eti toivnun eij pollav ejstin w{sper ei[rhtai, pavnta ajpeiravki" a[peira e[stai: ka]n oJtiou'n tw'n ajpeivrwn lavbh/", kai; tou'to eujqu;" a[peiron e[stai, kai; ejx w|n tou'tov ejstin, ajpeivrwn 25 o[ntwn, kai; touvtwn e{kaston a[peiron. Eijlhvfqw gavr ti tw'n 5 pollw'n o{ famen ei\nai oujc e{n, tou'to dh; plh'qo" a]n ei[h kata; th;n auJtou' fuvsin, ei[per ejsti; tw'n o[ntwn, mhv ejsti de; oujdevn. Eij de; plh'qo", ejk pollw'n a]n ei[h kai; tou'to kai; pollav: ka]n tw'n pollw'n touvtwn ti lavbh/", eujquv" soi 5 fanei'tai tou'to oujc e}n ajlla; pollav. Kai; ejpi; touvtwn eujqu;" oJ aujto;" lovgo", kai; e{kaston oJmoivw" (o{ ti e{kaston katayeudovmenoi levgomen) kat ejnevrgeian e[stai plh'qo": kai; a[peiron, wJ" eijpei'n, e{kaston, ma'llon de; ajpeiravki" a[peiron. Oujde;n ga;r o{ ti mh; toiou'ton, ejpeidh; kai; to; mevro" 10 polla; kai; to; tou' mevrou" mevro" oJmoivw", kai; tou'to eij" a[peiron: oujdamou' ga;r sthvsetai to; plh'qo" ijo;n oujd hJ ajpeiriva, th'" tou' eJno;" fuvsew" ajnh/rhmevnh". Alla; mh;n tov ge ajpeiravki" a[peira ta; o[nta poiei'n prov" te th;n ajlhvqeian ajduvnaton kai; pro;" th;n hJmetevran provqesin. Eij 15 ga;r ajpeiravki" a[peiron to; o[n, ou[te gnw'nai to; o[n ejstin ou[te euJrei'n dunatovn: pa'n ªtiº ga;r dh; to; a[peiron a[lhptovn ejsti kai; a[gnwston. Kai; eij ajpeiravki" a[peiron, e[stai ti tou' ajpeivrou ma'llon a[peiron: eij de; ejkei'no ma'llon a[peiron, tou'to a]n h|tton a[peiron ei[h: to; de; h|tton a[peiron, ouj 20 pantelw'" a[peiron ão[nÃ, dh'lon wJ" peperasmevnon a]n ei[h kaq o{son ejlleivpei th'" tou' ajpeivrou fuvsew". Eij a[ra e[sti ti tou' kata; plh'qo" ajpeivrou kai; aujto; kata; plh'qo" ajpeirovteron, ei[h a[n ti tou' ajpeivrou plevon kai; to; a[peiron 15

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LIBRO II, 1

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tre ciò che non è nulla neppure è in assoluto. Sicché se i molti esistono, allora ciascuno dei molti è qualcosa; ma se ciascuno è nulla, 15 non potrebbero esistere neppure i molti. Infatti i molti sono ciò cui ciascun elemento appartiene. Se dunque sono solo molti e in nessun modo uno, non potrebbero essere neppure molti: infatti le cose che non sono in nessun modo uno non sono neppure-uno in alcun modo. D’altra parte ciò che in verità non è neppure-uno non è, a maggior ragione, neppure molti: infatti è inevitabile che non 20 esista nessuno degli elementi di cui sono fatti i molti. Pertanto ancora: se sono molti come si è detto4, saranno tutti illimitate volte illimitati: anche qualora si consideri uno qualunque degli elementi illimitati, questo risulterà subito illimitato ed al contempo anche ciascuno degli elementi di cui questo fa parte, in 25 quanto sono illimitati, illimitato. Infatti si dia per assunto un elemento dei molti il quale diciamo che è non-uno: questo appunto, in base alla sua natura, dovrebbe essere moltepli- 5 cità, se è vero che fa parte degli enti, ma non è un nulla. Se però è molteplicità, dovrebbe essere parte dei molti ed essere anch’esso molti: anche qualora si consideri qualcuno di questi molti, subito apparirà che questo non è uno, ma molti. Anche a proposito dei molti vale fin da subito lo stesso discorso, e allo stesso 5 modo ciascun elemento (qualunque esso sia, noi, denominandolo “ciascun elemento”, parliamo in modo erroneo) sarà molteplicità in atto; e illimitato, per così dire, ciascuno, anzi illimitate volte illimitato. Infatti non ve ne è nessuno che non sia tale, dal momento che anche la parte molti e allo stesso modo la parte della parte, e così via all’infinito. In effetti in nessun ambito potrà 10 trovare dimora la molteplicità che avanza e neppure l’illimitatezza, una volta che sia stata tolta di mezzo la natura dell’uno. Ma a ben vedere, il fatto di rendere gli enti illimitate volte illimitati è impossibile sia in rapporto alla verità sia in rapporto al nostro presupposto. Se infatti l’essere è illimitate volte illimitato, non è possibile né conoscere né trovare l’essere: infatti tutto ciò che è illimi- 15 tato non è coglibile né conoscibile. E se è illimitate volte illimitato, sarà qualcosa di più illimitato dell’illimitato; ma se quello più illimitato, quest’altro sarebbe meno illimitato; ma ciò che è meno illimitato, non essendo completamente illimitato, è chiaro che risulterebbe limitato nella misura in cui manca della natura 20 dell’illimitato. Se dunque v’è qualcosa che rispetto a ciò che è illimitato per molteplicità è più illimitato anche esso per molteplicità, vi sarebbe qualcosa di maggiore dell’illimitato e l’illimitato sarebbe inferiore per molteplicità ad un’altra cosa; ma questo è

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TEOLOGIA PLATONICA

e[lasson a[llou kata; plh'qo": ajlla; tou'to ajduvnaton: oujk a[ra e[sti to; ajpeiravki" a[peiron. Alla; mh;n eij e[sti ta; 6 polla; cwri;" tou' eJnov", e[sti ta; ajpeiravki" a[peira: tou'to de; ajduvnaton: oujk a[ra e[sti ta; pollav, eij mh; e[sti to; e{n. Eti toivnun kata; tauvthn th;n uJpovqesin e[stai ta; aujta; kata; ta; aujta; o{moia te kai; ajnovmoia. Eij ga;r a{panta ta; 5 polla; oujc e{n, kai; e{kaston kai; ta; pavnta taujto;n a]n ei[h dhladh; pavqo" peponqovta, to; oujc e{n, th;n tou' eJno;" stevrhsin. Esterhmevna dh; ou\n tou' eJno;" pavnta wJsauvtw", oJmoivw" a]n e[coi tauvth/ pro;" a[llhla: ta; de; oJmoivw" e[conta, kaq o{son oJmoivw" e[cei, dh'lon wJ" o{moiav ejstin 10 ajllhvloi": e[stai a[ra ta; polla; o{moia ajllhvloi" kaq o{son ejstevrhtai tou' eJnov". Alla; mh;n kai; ajnovmoia pavnth/ kata; tauvthn th;n stevrhsin tou' eJnov". Ta; ga;r o{moia taujto;n peponqevnai pavqo" ajnagkai'on, w{ste ta; mhde;n peponqovta taujto;n oujk a]n ei[h o{moia: ta; de; taujtovn ti peponqovta, kai; 15 e}n pevponqe: ta; a[ra tou' eJno;" ejsterhmevna pantov", oujd a]n ãei[hà taujtovn ti peponqovta. ãTa;à polla; a[ra kai; o{moiav ejsti kai; ajnovmoia kata; taujtovn: tou'to de; ajduvnaton: ajduvnaton a[ra kai; polla; ei\nai a} mhv ejsti mhdamw'" e{n. Alla; mh;n kai; taujtav ge ajllhvloi" e[stai ta; polla; kai; 20 e{tera kata; to; aujtov. Eij ga;r pavnta oJmoivw" ejsterhmevna fevretai tou' eJnov", h|/ me;n pavnta wJsauvtw" ejstevrhtai, taujta; a]n ei[h kata; th;n stevrhsin (tav te ga;r wJsauvtw" e[conta kata; th;n e{xin taujta; kai; ta; wJsauvtw" ejsterhmevna kata; th;n 7 stevrhsin), h|/ de; o{lw" eJno;" ejstevrhtai panto;" e{kaston, e{tera a]n ei[h ta; polla; ajllhvlwn. Eij ga;r taujtovn ejsti to; ejn polloi'" e{n, to; mhdamw'" e}n oujdamw'" a]n ei[h taujtovn: taujta; a[ra ejsti; kai; ouj taujta; ta; polla; ajllhvloi". Eij de; 5 taujta; kai; ouj taujta;, dh'lon o{ti kai; e{terav ejstin ajllhvlwn: to; ga;r taujto;n kai; ouj taujtovn, h|/ mh; taujtovn ejstin, ouj kat a[llo h] kata; to; e{teron ouj taujtovn ejstin. Eti toivnun ãkai;à kinouvmena e[stai tau'ta kai; ajkivnhta ta; pollav, eij to; e}n mh; e[stin. Eij ga;r e{kaston oujc e{n, ajkivnhton 10 e[stai kata; th;n tou' eJno;" stevrhsin: eij ga;r metabavlloi to;

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impossibile: non v’è dunque l’illimitate volte illimitato. Ma di fatto se esistono i molti separati dall’uno, vi sono gli illimitate 25 volte illimitati; ma questo è impossibile. Di conseguenza non esi- 6 stono i molti, se non esiste l’uno. Inoltre in base a questa ipotesi le medesime entità nelle medesime condizioni saranno simili e dissimili. Se infatti tutti quanti i molti sono non-uno, sia ciascuno sia tutti insieme evidentemente risulterebbero soggetti ad una medesima affezione, il non-uno, 5 cioè la privazione dell’uno. Privati dunque tutti allo stesso modo dell’uno, in tale condizione sarebbero in modo simile gli uni rispetto gli altri. Ma le entità che sono in modo simile, nella misura in cui sono in modo simile, è evidente che sono simili le une alle altre. Dunque i molti saranno simili gli uni agli altri nella misura 10 in cui risultano privati dell’uno. Ma di fatto anche del tutto dissimili in base a questa privazione dell’uno. Infatti le entità simili è necessario che risultino soggette ad una medesima affezione, sicché le entità non soggette a nessuna medesima affezione non potrebbero essere simili. Ma quelle che risultano soggette ad una medesima affezione o soggette anche all’uno; dunque le entità che sono state private di ogni unità, non potrebbero risul- 15 tare neppure soggette ad una medesima affezione. I molti dunque sono sia simili sia dissimili nella stessa misura: ma questo è impossibile. Impossibile dunque è anche vi siano molti che non sono in nessun modo uno5. Ma di fatto i molti saranno, a mio avviso, sia identici gli uni agli altri sia allo stesso modo diversi. Se infatti risultano in modo simile privati dell’uno, nella misura in cui tutti ne sono stati priva- 20 ti, sarebbero identici in base alla privazione (infatti le entità che sono nello stesso modo sono identiche in base alla condizione e le entità che sono private nello stesso modo in base alla privazione), invece nella misura in cui ciascuno è stato assolutamente privato di ogni unità, i molti sarebbero diversi gli 7 uni dagli altri. Se infatti l’uno insito in essi è identico, ciò che in nessun modo è uno non sarebbe in alcun modo identico: dunque i molti sono identici e non identici gli uni agli altri. Ma se sono identici e non identici, è evidente che sono anche diversi gli uni dagli altri: infatti ciò che è identico e non identico, 5 nella misura in cui non è identico, non in altro modo se non in base a ciò che è diverso è non identico6. Inoltre questi molti saranno sia mossi sia immobili, se non v’è l’unità. Se infatti ciascuno è non-uno, sarà immobile in base alla privazione dell’uno: infatti se ciascuna entità modificasse il suo 10

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oujc e}n e{kaston, e{xei to; e{n: aiJ ga;r sterhvsei" metabavllousai pavntw" eij" ta;" e{xei" a[gousi ta; metaballovmena. Dei' de; Ê eijpei'n tivna eij" Ê ta; polla; polla; kai; oujc e{n, ajkivnhta eJstavnai kata; th;n stevrhsin tou' eJnov". Alla; mh;n 15 tou'tov ge aujto; ajmhvcanon, to; eJstavnai ta; pollav. Pa'n ga;r dh; to; eJstw;" e[n tini tw'/ aujtw'/ ejstin, h] ei[dei tw'/ aujtw'/ h] tovpw/: pa'n de; to; ejn ãtw'/Ã aujtw'/ o]n ejn eJni; tw'/ aujtw'/ ejstin, e}n gavr ejsti to; taujto;n ejn w|/ ejstin: a{pan a[ra to; eJstw;" ejn eJniv tiniv ejstin. Alla; mh;n ta; polla; ouj metevcei tou' 20 eJnov": ta; de; mh; metevconta eJno;" ei\nai ejn eJniv tini pantelw'" ajduvnaton: ta; de; ejn eJni; mh; o[nta eJstavnai oujk a]n duvnaito, ei[per ta; eJstw'ta ejn eJni; kai; tw'/ aujtw'/ pavntw" ejstivn: to; a[ra ãta;Ã polla; eJstw'ta kai; ajkivnhta mevnein, ajduvnaton. Devdeiktai dev ge wJ" ajnagkai'on aujta; kai; ajkivnhta eJstavnai. 8 Ta; aujta; a[ra kata; to; aujto; pavqo" (levgw dh; th;n stevrhsin th'" tou' eJno;" e{xew") kai; kinouvmena kai; ajkivnhtav ejstin: ta; ga;r ajkivnhta kai; ta; eJstw'ta kaq o{son a[statav ejsti kata; tosou'ton ajnavgkh kinouvmena faivnesqai. 5 Kai; mh;n kai; ajriqmo;" oujdeiv" ejsti tw'n o[ntwn, eij mhdamw'" e[sti to; e}n ajlla; pavnta kai; e{kaston oujc e{n. Kai; ga;r to; tou' ajriqmou' movrion, hJ monav", e{n, kai; aujto;" e{kasto" tw'n ajriqmw'n: eij ga;r pevnte monavde", kai; pemptav", eij de; trei'" monavde", kai; triav": ajlla; kai; hJ tria;" aujth; kai; hJ pempta;" 10 eJnav" tiv" ejstin: w{ste eij mhdevn ejstin e{n, ou[te movrion oujde;n ou[te to; o{lon e[stai tw'n ajriqmw'n. Kai; pw'" ga;r a]n ei[h ti" ajriqmov", tou' eJno;" oujk o[nto" To; ga;r e}n ajrch; ajriqmw'n: ajrch'" de; oujk ou[sh", oujd a]n ta; ejk tauvth" ei\nai duvnaito: tou' a[ra eJno;" oujk o[nto", oujde; ajriqmov" ejstin oujde; ei|". 15 Eti toivnun oujde; gnw'si" oujdeno;" e[stai tw'n o[ntwn, ei[per mh; e[sti to; e{n. Ou[te ga;r levgein ou[te dianoei'sqaiv ti dunato;n

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carattere di non-uno, verrebbe a possedere il carattere dell’unità; infatti le privazioni, provocando mutamenti, conducono in ogni caso le entità che vengono mutate all’acquisizione di determinati modi di essere. D’altra parte bisogna, se è vero che i molti sono molti e non-uno e affinché i molti siano molti e non-uno7, che essi rimangano immobili in base alla privazione dell’uno. Ma in verità è proprio questo che a mio giudizio non c’è modo di sostenere, cioè che i molti sono in quiete. Infatti tutto ciò che è in quiete si 15 trova in qualche cosa che rimane la medesima, o in una forma che rimane la medesima o in un luogo che rimane il medesimo. Ma tutto ciò che è nella medesima cosa si trova in una sola cosa che resta la medesima; infatti una sola è la medesima cosa in cui si trova: dunque tutto quanto ciò che è in quiete si trova in una sola determinata cosa. Ma di fatto i molti non partecipano dell’uno; d’altronde gli elementi che non sono partecipi di unità è assoluta- 20 mente impossibile che si trovino in un’unica medesima cosa; ma gli elementi che non sono in un’unica medesima cosa non potrebbero rimanere in quiete, se è vero che quelli che risultano in quiete si trovano in ogni caso in un’unica e medesima cosa. Di conseguenza, che i molti permangano in quiete ed immobili, è impossibile. D’altra parte è stato dimostrato8, a mio avviso, come sia necessario che essi rimangano anche immobili. Dunque gli stessi elementi in base alla medesima condizione (intendo dire appunto 8 la privazione del possesso dell’uno) sono sia in movimento sia immobili; infatti gli elementi che sono immobili e risultano in quiete, nella misura in cui sono instabili è necessario che risultino anche in movimento. Tra l’altro non v’è neanche nessun numero degli enti, se non 5 v’è in nessun modo l’uno, ma tutti e ciascuno sono non-uno. Infatti la parte che appartiene al numero, l’unità, è uno, e lo è anche ciascuno in sé dei numeri: se infatti cinque unità, anche il numero cinque, e d’altra parte se tre unità, anche il numero tre. Ma sia il tre in se stesso sia il cinque sono una determinata unità. Sicché se non v’è nessun uno, non vi 10 sarà neppure nessuna parte né la totalità dei numeri. Ed in che modo infatti potrebbe esserci un qualunque numero, se non c’è l’uno? Infatti l’uno è il principio dei numeri: ma se non v’è principio, non potrebbero esserci neppure gli elementi che da esso derivano. Dunque se l’uno non c’è, non c’è neppure numero, nemmeno uno solo. Inoltre non vi sarà neppure conoscenza di nessuno degli enti, 15 se è vero che non v’è l’uno. Infatti non possibile né dire né

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tw'n o[ntwn. Kai; ga;r to; e{kaston aujto; kai; pa'n o{ ti per a]n levgoimen oi|" ejpisfragizovmeqa th;n tou' eJno;" fuvsin, oujk e[stai, diovti mhde; to; e{n. Oujkou'n oujde; lovgo" e[stai oujde; 20 gnw'si" oujdenov": kai; ga;r oJ lovgo" ejk pollw'n ei|", ei[per tevleio", kai; hJ gnw'si", o{tan to; ginw'skon e}n gevnhtai pro;" to; gnwstovn. Enwvsew" de; oujk ou[sh", oJmou' kai; to; ginwvskein e{kasta kai; to; levgein peri; w|n ginwvskomen oujk e[stai, pro;" tw'/ kai; th;n ajnexevlikton ejn eJkavstoi" ajpeirivan uJpofeuvgein 25 ejx ajnavgkh" ajei; to; th'" gnwvsew" pevra". Ekaston ga;r eujquv", w|/ to; ginw'skon ejpibavllein ojrevgetai, fainovmenon 9 a[peiron diadravsei th;n gnwstikh;n aujtou' duvnamin, qigei'n kai; a{yasqai speuvdousan ou| mhvte aJfh; mhvte qivxi" ejstivn. Eij me;n ou\n ta; polla; movnon e[sti, tou' eJno;" oujdamw'" o[nto", tosau'ta a[topa kai; e[ti pleivw sumbaivnein ajnavgkh 5 toi'" tiqemevnoi": eij dev ge to; e}n movnon e[sti, to; aujtoevn, kai; mhde;n a[llo e[stin (ou{tw ga;r a]n oujc e}n ei[h movnon ajlla; kai; pollav: to; ga;r e}n kai; a[llo pleivw eJnov", kai; oujc e}n movnon), oujde;n e[stai tw'n aJpavntwn ou[te o{lon ou[te mevrh e[con. Pa'n ga;r dh; to; mevrh e[con pollav ejsti kai; pa'n 10 to; o{lon mevrh e[cei: to; de; e}n oujdamw'" ejsti pollav: ou[t a[ra o{lon ejsti;n ou[te mevrh e[con. Eti de; ou[te ajrch;n ou[te teleuthvn tino" ei\nai dunatovn. To; ga;r e[con ajrch;n kai; mevson kai; teleuth;n meristovn ejsti: to; de; e}n ouj meristo;n o{ti mhde; mevrh e[con: ou[t a[ra 15 ajrch;n ou[te mevson ou[te teleuth;n e{xei. Eti sch'ma oujk e[stai tw'n o[ntwn oujdenov". Pa'n ga;r dh; to; sch'ma e[con h] eujquv ejstin h] perifere;" h] miktovn: ajll eij me;n eujquv, mevrh e{xei, tov te mevson kai; ta; a[kra: eij de; periferev", e[stai ejn aujtw'/ to; me;n wJ" mevson ta; de; wJ" e[scata 20 ejf a} diateivnei to; mevson: eij dev ejsti miktovn, ejk pleiovnwn e[stai kai; oujc e{n. Alla; mh;n oujde; ejn auJtw'/ e[stai oujde; ejn a[llw/. To; ga;r ejn a[llw/ o]n a[llo ejsti;n ejkeivnou ejn w|/ ejstin. Eno;" de; movnou o[nto" kai; oujdeno;" a[llou: kai; ga;r ejn a[llw/ oujdamou' 25 e[stai: oujd a]n gevnoitov ti tw'n o[ntwn o} ejn a[llw/ ejstiv. To; dev ge ejn auJtw'/ o]n perievcon te a{ma kai; periecovmenon e[stai,

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pensare alcuno degli enti. Ed infatti il termine stesso “ciascuno” e qualunque simile termine che potremmo impiegare, termini con i quali suggelliamo la natura dell’uno, non esisteranno, proprio perché non neppure l’uno. Di conseguenza non vi sarà né discorso né conoscenza di nulla. Ed infatti il discorso è unità di 20 molti elementi, se è veramente compiuto, e la conoscenza, nel caso in cui ciò che conosce diventi uno in rapporto al conoscibile. Ma se non v’è unificazione, allo stesso tempo non vi saranno il conoscere ogni singola cosa ed il parlare delle cose che conosciamo, oltre anche al fatto che l’illimitatezza inesplicabile insita in ogni singola cosa rifugge necessariamente di volta in volta il limi- 25 te della conoscenza. In effetti fin da subito ciascun elemento, che ciò che conosce mira a raggiungere, mostrandosi illimitato si sot- 9 trarrà alla potenza conoscitiva propria di ciò che conosce, la quale si impegna a toccare ed afferrare ciò per cui non esiste né contatto né appiglio. Se dunque vi sono solo i molti, posto che non esista in nessun modo l’uno, tante ed ancora di più sono le assurde conseguenze in cui è inevitabile incappare con questa premessa. D’altra parte 5 se v’è solo l’uno, l’uno-in-sé, e non v’è null’altro (in questo caso sarebbe infatti non solo uno, ma anche molti: infatti l’uno sarebbe anche altro in più di uno e non solamente uno), nessuna di tutte quante le cose sarà dotata né di intero né di parti. Infatti tutto ciò che è dotato di parti è molti e tutto ciò che è intero è dotato di 10 parti. Invece l’uno non è in nessun modo molti: dunque non è dotato né di intero né di parti9. Ed inoltre non potrà esserci né principio né fine di qualcosa. Infatti ciò che ha un principio e una parte centrale e una fine è divisibile; ma l’uno non è divisibile poiché non è neppure dotato 15 di parti: dunque non avrà né principio né metà né fine10. Inoltre non vi sarà forma di nessuno degli enti. Infatti tutto ciò che è dotato di forma o è retto o curvo o misto. Ma se retto, avrà parti, quella centrale ed al contempo le estremità. Se invece è curvo, vi saranno in esso la parte che vale come centrale e quelle che valgono come estreme verso le quali si estende la 20 parte centrale. Se poi è misto, risulterà composto di più parti e sarà non-uno11. Ma di fatto non sarà in se stesso e neppure in altro. Infatti ciò che è in altro è altro da quello in cui è. Ma se è solo uno e nient’altro! Ed infatti non sarà in nessun modo in altro. E non potreb- 25 be neppure venire ad essere uno degli enti che è in altro. Dal canto suo ciò che è in se stesso, a mio avviso, sarà includente ed al

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10 kai; ouj taujto;n e[stai ejn touvtw/ tov te perievcein kai; to;

perievcesqai, oujde; oJ lovgo" auJto;" ajmfoi'n. Duvo a[ra e[stai kai; oujkevti movnon to; e{n. Eti toivnun ãoujde; eJstw;"à oujde; kinouvmenon e[stai ti tw'n 5 o[ntwn. Kinouvmenon me;n ga;r metabavllein ajnagkai'on: metabavllon de; ejn a[llw/ givnesqai: tou' de; eJno;" movnon o[nto", oujde;n ejn a[llw/ dunato;n ejfavnh: oujk a[ra metabavllein ti tw'n o[ntwn dunatovn. Estw;" dev ge pa'n ejn tw'/ aujtw'/ ajnagkai'on ei\nai: to; de; ejn tw'/ aujtw'/ o]n e[n tini tw'/ 10 aujtw'/ ejstin: ajlla; to; e}n ejn oujdeni; tw'/ aujtw'/ ejsti. To; ga;r e[n tini o]n h] ejn eJautw'/ h] ejn a[llw/ ejsti: devdeiktai de; wJ" ou[te ejn eJautw'/ ou[te d ejn a[llw/: oujd a[ra ejn tw'/ aujtw'/ tiniv ejstin: oujd a[ra e{sthke tw'n o[ntwn oujdevn. Kai; mh;n kai; taujto;n ei\naiv twv/ ti kai; e{teron ajduvnaton. 15 Eij ga;r mhde;n a[llo e[sti plh;n aujtoevn, a[llw/ me;n oujk a]n ei[h tou'to taujto;n oujde; e{teron, oujde; gavr ejstin a[llo tw'n o[ntwn oujdevn: aujto; de; auJtou' ou[t a]n e{teron ei[h (polla; ga;r a]n ei[h kai; oujc e{n) ou[te taujtovn: kai; ga;r tou'to ejn a[llw/ kai; oujk aujtoe;n to; taujtovn. To; me;n ga;r e}n aJplw'" e}n 20 o{ti ouj pollav, to; de; taujto;n a[llw/ taujtovn. Alla; mh;n oujde; o{moion oujde; ajnovmoion ei\naiv twv/ ti dunatovn. Pa'n ga;r dh; to; o{moion taujtov ti pevponqe pavqo", to; de; ajnovmoion e{teron. To; dev ge e}n oujde;n peponqevnai dunatovn:a oujde; a[llo ti para; to; e{n, o{ ge mhdamw'" 25 e[stin, ei[per aujto; movnon e[sti to; e{n. 11 Eti de; pro;" touvtoi" levgwmen wJ" oujde; a{ptesqaiv ti dunato;n oujde; cwri;" ei\nai, ei[per mhde;n e[stin a[llo tou' eJnov". Pw'" ga;r a]n ei[h cwri;" h] a{ptoitov tino" a{ ge mhde; e[stin All oujde; to; e}n h] auJtou' cwriv" ejstin h] eJautou' 5 aJptovmenon: ei[h ga;r a]n ou{tw" peponqo;" to; a{ptesqai kai; to; cwriv". To; dev ge e}n pevponqen oujde;n a[llo par auJtov: devoi ga;r  ãAlla; mh;nà oujde; i[son oujdeni; tw'n o[ntwn oujde;n oujde; a[nison e[stai. To; ga;r i[son a[llo ªpro;" a[llw/º pro;" a[llo 10 levgetai kai; to; a[nison: to; dev ge a[llo oujk e[stin, ei[per to; e}n movnon e[stin. All oujde; to; e}n i[son eJautw'/ gevnoito

a Gli Editori individuano qui una lacuna che però non sembra sussistere: il testo infatti appare piuttosto coerente.

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contempo incluso, ed in esso non saranno la stessa cosa l’include- 10 re e l’essere incluso, e non varrà lo stesso discorso per entrambe le condizioni. Dunque vi saranno due cose e non più solo l’uno12. In aggiunta a ciò, né in quiete né in movimento sarà nessuno degli enti. Infatti se è in movimento è necessario che muti: ma se 5 muta, viene a trovarsi in altro. Ma dato che v’è solo l’uno, è apparso chiaro13 che nulla è possibile si trovi in altro. Dunque non è possibile che qualcuno degli enti muti. D’altra parte tutto ciò che è in quiete, a mio avviso, è necessario che sia nel medesimo; ma ciò che è nel medesimo è in qualcosa che è il medesimo; però l’uno non si trova in nulla che è il medesimo. Infatti ciò che è in 10 qualcosa o è in se stesso o in altro. Ma si è mostrato14 che né in se stesso né d’altronde in altro. Dunque non è in qualcosa che è il medesimo: e dunque non v’è nessuno degli enti che rimane in quiete15. E tra l’altro è anche impossibile che vi sia un identico e un diverso rispetto a qualcosa. Se infatti non v’è nient’altro tranne 15 l’uno-in-sé, questo non potrebbe essere identico né diverso rispetto ad altro, né in effetti può esistere, in questo caso, nessun altro degli enti. D’altra parte esso non sarebbe né diverso da sé (infatti sarebbe molti e non-uno) né identico: ed infatti ciò che è diverso in altro e ciò che è identico non è uno-in-sé. Infatti da un lato l’uno è semplicemente uno in quanto non molti, mentre ciò che è 20 identico è identico ad altro16. Ma di fatto non è nemmeno possibile che qualcosa sia simile a qualcosa né che sia dissimile. Infatti tutto ciò che è simile è soggetto ad una medesima condizione, mentre ciò che è dissimile ad una diversa. Ma l’uno a mio avviso non è possibile che sia soggetto ad alcuna condizione, né al di fuori dell’uno qualcosa d’altro, che appunto in nessun modo esiste, se è vero che esiste 25 soltanto l’uno in se stesso17. Ancora poi, oltre a ciò, dobbiamo dire che non è possibile né 11 che qualcosa sia in contatto né che sia separato, se è vero che non v’è nulla di diverso dall’uno18. Infatti cose che neppure esistono in che modo potrebbero essere separate o essere in contatto con qualcosa? Ma neppure l’uno è o separato da sé o in contatto con 5 se stesso: infatti in questo caso sarebbe soggetto all’essere in contatto e all’essere separato. Ma l’uno a mio avviso non è soggetto a null’altro al di fuori di se stesso. Infatti bisognerebbe 19. nessuno degli enti sarà neppure uguale ad alcunché né disuguale. Infatti l’uguale lo si dice di una cosa rispet- 10 to ad un’altra e il disuguale. Ma ciò che è altro in verità

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a]n oujde; a[nison. Eij ga;r a[nison, e[stai ejn aujtw'/ to; me;n wJ" mei'zon to; de; wJ" e[latton, w{ste duvo a]n ei[h kai; oujc e{n. Eij de; i[son eJautw'/ to; e{n, aujto; eJauto; metrhvsei to; e{n: ajll 15 ajduvnaton, ei[h ga;r a]n metrou'n te kai; metrouvmenon uJf eJautou' to; e{n: w{ste oujk aujtoevn. Oujde; a[ra i[son kai; a[nison ejn toi'" ou\sin oujde;n e[stin. Eij dh; tau'ta ajduvnata, mhvte aJptovmenon kai; cwri;" o[n, mhvte o{moion kai; ajnovmoion, mhvte taujto;n kai; e{teron, 20 mhvte au\ eJstw;" h] kinouvmenon, mhde; o{lw" e[n tini, ãmhvt ejn auJtw'/ mhvt ejn a[llw/Ã mhdeniv, mhde; sch'ma e[con, mhde; o{lon h] mevrh e[con ti tw'n o[ntwn, ajduvnaton a]n ei[h kai; aujto; movnon ei\nai to; e{n, to; ajplhvqunton kai; o} touvtwn aJpavntwn a[dektovn ejstin. Alla; mh;n oujde; pollav ge movnon ei\nai 25 dunatovn, wJ" devdeiktai provteron. Anavgkh a[ra kai; polla; ei\nai kai; e}n tw'n o[ntwn e{kaston. 12 All eij kai; polla; kai; e{n ejstin, a\ra ta; polla; metevcei tou' eJnov", h] to; e}n tw'n pollw'n, h] kai; ajllhvlwn ajmfovtera, h] oujdevtera ajllhvlwn, ajlla; cwri;" me;n ta; polla; cwri;" de; to; e{n, i{na kai; polla; h\/ kai; e{n, wJ" ajpevfhnen oJ lovgo" 5 Eij toivnun mhvte to; e}n tw'n pollw'n mhvte ta; polla; metevcei tou' eJnov", e[stai ta; aujta; a[topa a} kai; provteron ejpi; th'" tw'n pollw'n uJpoqevsew" sunhvgomen: pavlin ga;r a]n ei[h ta; polla; cwri;" eJnov". Kai; ga;r eij e[sti to; e}n ejf eJautou', kai; mh; metevcei ta; polla; mhdamh'/ tou' eJnov", ajpeiravki" 10 a[peira ta; pollav, kai; o{moia kai; ajnovmoia, kai; taujta; kai; e{tera, kai; kinouvmena kai; eJstw'ta, kai; ou[te ajriqmo;" oujdenov" ejsti tw'n pollw'n oujde; gnw'si": hJ ga;r tou' eJno;" ajpousiva tau'ta pavnta ejn toi'" polloi'" ajnagkavzei faivnesqai. Aduvnaton a[ra mhvte ta; polla; tou' eJno;" mhvte to; e}n 15 metevcein tw'n pollw'n. Eij dev ge kai; to; e}n metevcoi tw'n pollw'n kai; ta; polla; tou' eJno;" kai; ei[h tau'ta ejn ajllhvloi" ajmfovtera, ajnavgkh a[llhn ei\nai para; tau'ta fuvsin ejk trivtwn, h} mhvte e{n ejsti mhvte pollav. Memigmevnwn ga;r ejn ajllhvloi" touvtwn ajmfo-

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non esiste, se è vero che esiste solo l’uno. Ma neppure l’uno potrebbe venire ad essere uguale a se stesso né disuguale. Se infatti disuguale, vi sarà in esso una parte considerata maggiore ed una considerata minore, sicché sarebbe due e non uno. D’altro canto se l’uno uguale a se stesso, l’uno stesso misurerà se stesso: ma è impossibile, infatti l’uno sarebbe misurante ed al contempo misurato da se stesso: sicché non uno-in-sé. Dunque tra gli enti non v’è neppure nulla di uguale e di diseguale20. Se queste condizioni sono appunto impossibili, cioè che un qualunque ente sia in contatto e separato, che sia simile e dissimile, che sia identico e diverso, inoltre che sia in quiete ovvero in 20 movimento, se non può assolutamente trovarsi in qualcosa, nessuna 21, né che sia dotato di figura, né che sia un intero o che abbia parti, sarebbe impossibile anche che vi fosse solo l’uno in sé, che non è suscettibile di moltiplicazione e che non può accogliere tutti quanti questi attributi. Ma di fatto non è neppure possibile che vi siano solo i molti, come 25 si è mostrato precedentemente22. Dunque è necessario che ciascuno degli enti sia molti e uno. Ma se è sia molti sia uno, forse allora i molti partecipano del- 12 l’uno, o l’uno partecipa dei molti, o anche entrambi sono reciprocamente partecipi, oppure nessuno dei due è reciprocamente partecipe, ma in modo separato, da un parte, sono i molti ed in modo separato, dall’altra, è l’uno, perché risulti sia molti sia uno, come il ragionamento ha messo in luce23? Pertanto se né l’uno partecipa dei molti, né i molti dell’uno, si 5 avranno le stesse conclusioni assurde che anche in precedenza abbiamo raccolto a proposito dell’ipotesi dei molti 24. Infatti nuovamente i molti sarebbero separati dall’uno. Ed infatti se l’uno è chiuso in se stesso, e i molti non partecipano in nessun modo dell’uno, illimitate volte illimitati i molti, sia simili sia dis- 10 simili, sia identici sia diversi, sia in movimento sia in quiete, né v’è numero di alcuno dei molti né conoscenza. Infatti l’assenza dell’uno costringe tutte queste conseguenze a manifestasi nei molti. È dunque impossibile che i molti non partecipino dell’uno e che 15 l’uno non partecipi dei molti. D’altra parte, a mio giudizio, se l’uno partecipasse dei molti ed al contempo i molti dell’uno e se questi si trovassero entrambi in modo reciproco al loro interno, è inevitabile che presso di questi vi sia un’altra natura di un terzo tipo, che né è uno né è molti. Infatti una volta che entrambi questi elementi risultino mescolati

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tevrwn, dei' dh; to; th'" mivxew" ai[tion aujtoi'" uJpavrcein, o} kai; tw'/ eJni; to; plh'qo" kai; tw'/ plhvqei to; e}n suzeuvgnusi: pa'n ga;r ajnavgkh to; mikto;n aijtivan th'" mivxew" e[cein. Kai; ga;r o{lw" eij metevcei to; e}n kai; to; plh'qo" ajllhvlwn, ou[te to; e}n tw'/ plhvqei th'" oujsiva" ai[tion ou[te tw'/ eJni; to; plh'qo", 25 ajllav ti to; trivton ajmfoi'n, o} pro; touvtwn ejstiv. Tiv ga;r a]n ei[h to; poih'san tou'to me;n plh'qo" ejkei'no de; e{n Tiv de; to; th'" koinwniva" aujtoi'" tauvth" kai; th'" pro;" a[llhla sunousiva" 13 ai[tion, tou' eJno;" h|/ e}n mhdamh'/ koinwnou'nto" toi'" polloi'" Ἧi ga;r polla; kai; e}n e{tera ajllhvlwn, kai; h|/ mhdevteron ejk mhdetevrou pro;" a[llhla ajsumpaqh': tiv ou\n aujta; sunhvgagen eij" e{n, feuvgonta a[llhla kai; a[mikta ajllhvloi" 5 o[nta Oujde; ga;r a[llhla poqei'n dunato;n ou{tw diafevronta ajllhvlwn h] hujtomatismevnhn ei\nai th;n suvnodon aujtoi'n. Eij ga;r e[tucen ou{tw", e[stai pote; kai; cwri;" ajllhvlwn, ei[per kai; nu'n oJmou' tau'ta kata; tuvchn: ajlla; mh;n cwri;" ei\nai ta; polla; ajduvnaton: oujk a[ra kata; tuvchn hJ mivxi". 10 Alla; mh;n oujde; ajp aujtw'n, ei[per mhvte to; e}n tw'n pollw'n ªa[llwnº mhvte ta; polla; tou' eJno;" ai[tia. Tou'to dh; ou\n to; krei'tton, tiv potev ejstin H ga;r e{n ejstin h] oujc e{n. All eij me;n kai; aujto; e{n, pavlin ejrhsovmeqa peri; touvtou povteron metevcei kai; tou'to plhvqou" h] oujdenov". Kai; ga;r eij tou'to 15 meqevxei, dh'lon wJ" a[llo ti pro; touvtou kata; to;n aujto;n lovgon ajnafanhvsetai, kai; tou'to eij" a[peiron. Eij dev ejstin ajplhvqunton pavnth/ to; toiou'ton, oujk a]n ei[h pavlin to; ejx ajrch'" ajlhqev", wJ" oujk a[ra tav te polla; tou' eJno;" kai; to; e}n metevcei tw'n pollw'n (levgw dh; to; kuriwvtaton kai; 20 prwvtw" e{n), ajll e[sti mevn ti to; ejn toi'" polloi'" e{n, e[sti dev ti to; ajmevqekton e}n kai; o} aJplw'" ejstin e}n a[llo de; oujdevn. Eij de; oujc e}n to; pro; ajmfoi'n, dei' dhvpou to; oujc e}n krei'tton ei\nai tou' e{n: pavnta de; tw'/ eJni; kai; e[stin a{ ejsti kai; givnetai a} givnetai, kai; meta; me;n tou' e}n swv/zetai tw'n o[ntwn e{kaston, 25 cwri;" de; tou' e}n eij" th;n eJautou' poreuvetai fqoravn: ajlla; kai; hJ mivxi" aujth; tou' eJno;" kai; plhvqou", h}n parevcei toi'" 20

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tra loro, bisogna appunto che venga a sussistere per essi il princi- 20 pio causale della loro mescolanza, il quale congiunge sia il molteplice all’uno sia l’uno al molteplice. Infatti è necessario che tutto ciò che è mescolato abbia una causa della mescolanza25. Ed infatti se l’uno e i molti sono tra loro reciprocamente partecipi, nel modo più assoluto né l’uno principio causale dell’essenza per il molteplice, né il molteplice per l’uno, ma un terzo 25 elemento è principio causale di entrambi, il quale viene prima di questi. Quale infatti sarebbe il principio causale che rende da un lato questo molteplice e dall’altro quello uno? Inoltre qual è per essi il principio causale di questa comunanza e della loro reciproca correlazione, dato che l’uno in quanto uno in nessun modo 13 entra in comunione con i molti? In effetti in quanto molti e uno, sono tra loro diversi, ed in quanto nessuno dei due viene da nessuno dei due, non hanno un reciproco rapporto simpatetico. Che cosa dunque ha raccolto essi in uno, se si sfuggono reciprocamente e se non sono reciprocamente mescolati? Né in effetti è possi- 5 bile che si desiderino reciprocamente, dato che differiscono in questo modo tra loro, o che l’incontro tra essi si verifichi da sé. In effetti se è capitato così, vi sarà un momento in cui saranno separati l’uno dall’altro, se è vero che anche ora essi si trovano insieme per un caso; ma certamente è impossibile che i molti siano in modo separato: dunque non per un caso la mescolanza. Ma certamente neppure da essi direttamente, se è vero che 10 né l’uno è principio causale dei molti, né i molti sono principio causale dell’uno. Allora questo principio causale superiore, quale mai è? In effetti o è uno o è non-uno. Ma se anche esso è uno, di nuovo dovremo dire riguardo ad esso se anche questo è partecipe di molteplicità o di nulla. Ed in effetti se questo ne sarà partecipe, è evidente che riapparirà qualcosa d’altro prima di questo in base 15 allo stesso ragionamento, e così via all’infinito. Ma se tale principio causale non è assolutamente privo di molteplicità, non sarebbe di nuovo vero ciò che si è assunto da principio26, cioè che27 i molti allora sono partecipi dell’uno e l’uno è partecipe dei molti (intendo dire appunto l’uno in senso assolutamente proprio e principale), ma v’è da un lato un uno che è nei molti, e v’è dall’al- 20 tro un uno che è impartecipabile e che è semplicemente uno, ma null’altro. Ma se è non-uno ciò che viene prima di entrambi, bisogna a mio avviso che il non-uno sia superiore all’uno: ma tutte le cose è grazie all’uno che sono ciò che sono ed al contempo che divengono ciò che divengono, e congiuntamente al fatto di essere uno ciascuno degli enti si conserva, mentre separatamente dall’es- 25

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ou\si to; oujc e{n, koinwniva kai; e{nwsiv" ejstin: kai; to; e}n a[ra 14 kai; to; e}nb oujc e}n oujdeno;" a[llou toi'" ou\sin ai[tiovn ejstin

5

10

15

h] tou' e{n. Eij dh; tou' toiouvtou to; e}n ai[tion, oujk e[stai kreivttono" ai[tion to; oujc e{n: dei' dev ge to; krei'tton pantacou' kreivttono" a[llou toi'" ou\sin ai[tion ei\nai kata; th;n auJtou' duvnamin: ou{tw ga;r a]n ei[h krei'tton wJ" ma'llon ajgaqo;n  kata; th;n auJtou' fuvsin meivzono" ajgaqou' kai; kreivttono" ai[tiovn ejstin oi|" to; h|sson ejlavssono". Ek dh; touvtwn ajnavgkh tav te polla; metevcein tou' eJnov", kai; to; e}n a[mikton ei\nai pro;" to; plh'qo", kai; mhde;n ei\nai tou' eJno;" krei'tton, ajlla; tou'to kai; tou' ei\nai toi'" polloi'" ai[tion ei\nai. Pa'n ga;r dh; to; tou' eJno;" sterovmenon eij" to; mhde;n eujqu;" kai; th;n eJautou' diadidravskei fqoravn, to; de; mh; polla; o]n oujc a{ma polla; oujk e[sti kai; oujdevn ejsti. Tw'/ me;n ga;r e}n to; oujde;n ajntivkeitai, tw'/ de; au\ polla; to; ouj pollav: eij toivnun mh; taujto;n tov te e}n kai; ta; pollav, oujd a]n ta; mh; polla; tw'/ mhde;n ei[h taujtovn.

ãbVÃ Tauvth/ me;n ou\n hJmi'n skopoumevnoi" to; e}n ejpevkeina tou' plhvqou" ejfavnh kai; ai[tion tou' ei\nai toi'" polloi'", dei' 20 de; au\ kaq e{teron trovpon hJma'" to;n aujto;n lovgon metelqovnta" ijdei'n ei[ ph/ toi'" eijrhmevnoi" sunepovmeqa kai; eij" to; aujto; tevlo" ajnhvxomen. 15 Anavgkh toivnun h] mivan ei\nai th;n ajrch;n h] pollav": ma'llon ga;r ejnteu'qen ajrktevon. Kai; eij pollav", h] sumpaqei'" ajllhvlai" h] diesparmevna" ajp ajllhvlwn kai; h] peperasmevna" h] ajpeivrou". Eij de; mivan, h[toi mh; oujsivan tauvthn h] 5 oujsivan: kai; eij oujsivan, h] swmatikh;n tauvthn h] ajswvmaton, kai; eij ajswvmaton, h] cwristh;n tw'n swmavtwn h] ajcwvriston, kai; eij cwristhvn, h] kinoumevnhn h] ajkivnhton: kai; eij mh;

b

Cfr. nota alla traduzione.

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sere uno procede verso la propria distruzione. Ma anche la mescolanza stessa dell’uno e molteplice, che il non-uno procura agli enti, è comunanza ed unificazione: sia l’uno dunque sia l’uno non-uno28 14 sono per gli enti causa di nient’altro se non dell’essere uno. Certamente se l’uno è causa di tale condizione, non sarà il non-uno causa di una condizione superiore: d’altra parte bisogna a mio avviso che in ogni ambito ciò che è superiore sia causa per gli enti di un’altra condizione superiore in base alla potenza che gli è propria. Così 5 infatti sarebbe superiore in quanto in misura maggiore bene. 29 in base alla propria natura è causa di un bene maggiore e superiore per quelle entità per le quali ciò che è inferiore è causa di una condizione inferiore. Da tali considerazioni risulta necessario che i molti siano partecipi dell’uno, ed al contempo che l’uno non sia mescolato rispetto al molteplice, e che nulla sia superiore all’uno, ma quest’ultimo 10 sia causa per i molti anche dell’essere. Infatti tutto ciò che è privo dell’uno sfugge via direttamente verso il nulla e verso la propria distruzione, mentre ciò che non è molti non è non-molti ed al contempo nulla. Infatti all’essere uno si contrappone il nulla, mentre a sua volta all’essere molti si contrappone l’essere non-molti. Se 15 pertanto non sono la stessa cosa l’uno e i molti, neppure i nonmolti potrebbero essere la stessa cosa dell’essere nulla.

[Seconda via di accesso che rivela la realtà trascendente dell’Uno rispetto a tutte le sostanze corporee e incorporee] In questo modo dunque a noi che lo prendiamo in esame l’uno è parso al di là del molteplice e causa per i molti dell’essere, ma dobbiamo vedere se, seguitando con lo stesso ragionamento a sua 20 volta in un modo diverso, in qualche maniera teniamo dietro a quanto si è affermato e se perverremo allo stesso risultato. È pertanto necessario che vi sia un solo principio o che ve ne 15 siano molteplici: è piuttosto da qui infatti che bisogna partire. E se è necessario che siano molteplici, devono essere o reciprocamente simpatetici o sparsi gli uni a partire dagli altri, ed inoltre o delimitati o illimitati. Se invece è necessario che sia uno solo, o questo non deve essere una sostanza o deve essere una sostanza; e 5 se una sostanza, questa deve essere o corporea o incorporea; e se incorporea, o esistente separatamente dai corpi o non esistente separatamente; e se esistente separatamente, o in movimento o

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oujsivan, h] katadeestevran pavsh" oujsiva" h] meqekth;n uJpo; oujsiva" h] ajmevqekton. 10 Eij me;n toivnun aiJ ajrcai; pollai; kai; mh; sumpaqei'" ajllhvlai", oujde;n ejx aujtw'n e[stai tw'n o[ntwn oujde; e[sontai koinai; pavntwn, ajll eJkavsth poihvsei kaq auJthvn. Poiva ga;r koinwniva tw'n kata; fuvsin ajllotrivwn h] tiv" sunergiva tw'n pantelw'" eJterofuvlwn ejstiv Kai; dh; kai; pro;" touvtoi" 15 e[stai ta; polla; mh; metevconta tou' eJnov": eij gavr ejstin e{n ti koino;n ejn pavsai", oujk a]n ei\en pavnth/ kecwrismevnai kat oujsivan ajp ajllhvlwn. Eij ou\n e{terai kai; mhde;n taujto;n peri; aujtav" ejsti, pollai; movnon eijsi; kai; oujdamw'" e{n. Eij de; pollai; kai; eij sumpaqei'", e{xousiv ti koino;n o} kai; 20 pavsa" a[gei pro;" to; sumpaqe;" kai; oJmoiva" ajpofaivnei pavsa". Tau'ta ga;r ei\nai sumpaqh' levgomen oi|" taujtovn ti sumbaivnei pavscein: ta; de; o{moia pavntw" tou' eJno;" ei[dou" metevconta kai; mia'" fuvsew" o{moiav ejstin. Eij de; tau'ta ou{tw" e[contav ejstin, ajnavgkh ªto; pa'nº ejkei'no to; pantacou' 16 kai; ejn pavsai" o]n tai'" ajrcai'" kuriwvteron ei\nai tw'n pollw'n: tou'to gou'n aujtai'" divdwsi kai; to; genna'n, th;n pro;" a[llhla sumpavqeian kai; th;n kata; fuvsin koinwnivan parascovn. 5 Kai; au\ eij me;n a[peiroi ãaiJÃ ajrcaiv, h] kai; ta; ejx aujtw'n a[peira, kai; e[stai di;" h[dh to; a[peiron, h] peperasmevna, kai; e[sontai ouj pa'sai ajrcaiv: ta; ga;r peperasmevna pavntw" ejk peperasmevnwn ejstiv: mavthn ou\n a[peiroi, pro;" tw'/ kai; th;n ajpeirivan aujtav" te ajgnwvstou" poiei'n kai; ta; ejx aujtw'n: 10 tw'n ga;r ajrcw'n ajgnooumevnwn, ajnavgkh kai; ta; ejx aujtw'n ajgnoei'sqai: tovte ga;r oijovmeqa ginwvskein e{kaston o{tan ta; ai[tia gnwrivswmen kai; ta;" ajrca;" ta;" prwvta". Eij de; peperasmevnai, dh'lon wJ" e[stai ti" aujtw'n ajriqmov": 15 to;n ga;r ajriqmo;n plh'qo" wJrismevnon famevn: eij de; ajriqmov", ajnavgkh kai; to; tw'n ajriqmw'n aJpavntwn ai[tion ei\nai: pa'" ga;r ajriqmo;" ejx eJno;" kai; tou'to ajrch; tw'n ajriqmw'n, to; e{n: e[stai ou\n ajrcw'n ajrch; tou'to kai; ai[tion tou' peperasmevnou plhvqou", ejpei; kai; aujto;" ãoJÃ ajriqmo;" 20 e{n, kai; to; pevra" e{n ejstin ejn polloi'" kai; oJrivzei ta; polla; tw'/ e{n.

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immobile. E se non deve essere una sostanza, o inferiore ad ogni sostanza o partecipabile da sostanza o impartecipabile30. Se pertanto i principi sono molteplici e non hanno una reci- 10 proca affinità, non vi sarà nessuno degli enti a derivare da essi né essi saranno comuni per tutti, ma ciascuno opererà in modo isolato. Quale comunanza infatti v’è tra entità per natura diverse o quale cooperazione tra entità appartenenti a classi completamente diverse? E per giunta oltre a ciò vi saranno i molti senza che 15 partecipino dell’uno: infatti se v’è un uno comune in tutti i principi, non sarebbero assolutamente separati gli uni dagli altri per essenza. Dunque se sono diversi e non c’è nulla di identico relativamente ad essi, sono solamente molteplici e in nessun modo uno. Ma se sono molteplici e se sono simpatetici, avranno qualcosa di comune che appunto li conduce tutti alla condizione simpate- 20 tica e li fa apparire tutti simili. Infatti diciamo che sono simpatetiche quelle entità alla quali accade di essere soggette ad una medesima condizione; d’altro canto le entità simili sono assolutamente simili quando sono del tutto partecipi di una sola forma e di una sola natura. Ma se queste cose stanno proprio in questi termini, è necessario che quel carattere che è ovunque ed in tutti i prin- 16 cipi sia più importante dei principi molteplici: è effettivamente questo a concedere ad essi anche la facoltà di generare, avendo procurato31 il rapporto reciprocamente simpatetico e la comunanza conforme a natura. Ancora poi: se i principi sono illimitati, o anche le entità che 5 derivano da essi illimitate, e a questo punto vi sarà due volte l’illimitato, oppure sono limitati per numero, e non tutti saranno principi. Infatti in ogni caso ciò che è delimitato deriva da ciò che è delimitato. Dunque non v’è ragione per cui siano illimitati, oltre al fatto che l’illimitatezza rende inconoscibili essi stessi ed al contempo le entità che da essi derivano. Infatti se i principi non vengono 10 conosciuti, è necessario che anche le entità che da essi derivano non vengano conosciute: «infatti è allora che riteniamo di conoscere ciascuna cosa, allorché veniamo a conoscere le cause e i principi primi»32. Ma se sono delimitati, è evidente che di essi vi sarà un numero: infatti definiamo il numero «una molteplicità delimitata»33. Ma 15 se v’è numero, è necessario che vi sia anche ciò che è causa di tutti quanti i numeri: infatti ogni numero viene dal numero uno e questo è principio dei numeri, l’uno appunto. Dunque questo sarà principio di principi e causa del molteplice delimitato, proprio perché esso è il numero uno, ed il limite nel molteplice è un uno e 20 delimita i molti per il fatto di essere uno.

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Mia'" de; th'" ajrch'" ou[sh" kai; oujsiva" tauvth", ajnagkai'on h] swmatikh;n tauvthn h] ajswvmaton tiqemevnou" ajrch;n tauvthn tw'n a[llwn oJmologei'n. Oujkou'n eij sw'ma to; ai[tion th'" 25 genevsew" tw'n o[ntwn, ajnavgkh dhvpou diaireto;n uJpavrcein aujto; kai; mevrh e[cein: pa'n ga;r sw'ma th'/ eJautou' fuvsei diairetovn: kai; ga;r a{pan mevgeqo" o{lon tiv ejsti: to; de; o{lon ejk merw'n. Tau'ta toivnun ta; movria, levgw de; e{kaston 17 aujtw'n, h] meqevxei taujtou' tinosou'n e{kaston e}n h] ouj meqevxei. Mh; metevconta me;n ou\n, polla; movnon e[stai kai; oujdamw'" e{n: oujkou'n oujde; to; ejx aujtw'n o{lon a]n ei[h: mhdeno;" ga;r o[nto" eJnov", oujk a]n to; ejk pavntwn gevnoito e{n. 5 Eij de; metevcei tino;" toiouvtou kai; e[sti ti; taujto;n ejn pa'sin, ajnavgkh to; toiou'ton ajswvmaton ei\nai kai; ajmevriston kata; th;n auJtou' fuvsin. Eij ga;r dh; kai; aujto; swmatikovn, h] o{lon ejsti;n ejn eJkavstw/ tw'n morivwn h] oujc o{lon. Eij me;n dh; o{lon ejn eJkavstw/, aujto; eJautou' kecwrismevnon e[stai: ta; ga;r 10 movria cwri;" ajllhvlwn ejn oi|" ejstin. Eij de; oujc o{lon, meristo;n a[ra kai; tou'to e[stai kai; e{xei mevrh kata; ta; aujta; toi'" eijrhmevnoi" mevresi. Kai; oJ aujto;" au\qi" peri; touvtwn lovgo": eij kai; ejn touvtoi" ejstiv ti koino;n h] oujdevn, kai; ta; polla; cwri;" eJno;" qhvsomen. Alla; dh; to; o{lon skeptevon: 15 pa'n ga;r sw'ma kai; o{lon ejsti; kai; mevrh e[cei. Tiv toivnun aujtou', tw'n merw'n dhvpou, sunektiko;n a]n ei[h, pleiovnwn o[ntwn Anavgkh ga;r h] to; o{lon tw'n merw'n, h] ta; mevrh tou' o{lou panto;" eJnopoia; levgein, h] trivton ti pro; ajmfoi'n, o} mhvte o{lon mhvte movrion mhdevn ejsti, tov te o{lon toi'" aujtou' 20 mevresi kai; ta; mevrh pro;" to; o{lon sunevcein te kai; eJnou'n. All eij me;n to; o{lon tw'n merw'n sunektikovn, ajswvmaton a]n ei[h to; o{lon kai; ajmerev": eij ga;r sw'ma, kai; tou'to meristo;n e[stai kai; dehvsetai fuvsew" sunevcein ta; mevrh dunamevnh": kai; tou'to eij" a[peiron. Eij de; ta; mevrh tou' 18 o{lou, pw'" ta; polla; tou' eJno;" sunektika; kai; ta; dih/rhmevna tou' ejx aujtw'n o[nto" Toujnantivon ga;r ajnavgkh tw'n pollw'n ãto;Ã e}n ajll ouj ta; polla; ªth'"º tou' eJno;" th;n th'" eJnwvsew" duvnamin e[cein. Eij de; to; ãpro;Ã ajmfoi'n ejstin, o} mhvte o{lon

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D’altra parte, se il principio è uno solo e se esso è essere sostanziale, è necessario, stabilendo che questo è principio di tutte le altre entità, riconoscere se questo sia corporeo o incorporeo. Ebbene, se ciò che è causa della generazione degli enti è un corpo, 25 è necessario, a mio avviso, che esso risulti divisibile e dotato di parti: ogni corpo infatti è per la sua propria natura divisibile; ed in effetti ogni forma di grandezza è un intero: ma l’intero è composto di parti. Queste parti, dunque, intendo dire ciascuna di esse, o parteciperà ciascuna singolarmente di un qualunque iden- 17 tico carattere oppure non vi parteciperà. Ma allora se non ne sono partecipi, saranno solo molteplici e in nessun modo una. Di conseguenza non vi sarebbe neppure l’intero da esse costituito. Infatti, non essendovi nessun uno, non potrebbe venire a sussistere l’uno da esse costituito. Se invece partecipano di qualcosa di 5 simile e v’è un identico in tutte, è necessario che tale carattere sia incorporeo e indivisibile in base alla sua propria natura. Se infatti anche esso è corporeo, o è intero in ciascuna delle parti o non intero. Se è intero in ciascuna, esso sarà separato da se stesso: infatti le parti in cui si trova sono in modo separato le une dalle 10 altre. D’altro canto se non è intero, allora anche esso sarà diviso e avrà parti con le stesse modalità di quelle parti di cui abbiamo parlato. E di nuovo anche a questo proposito varrà lo stesso ragionamento: se anche in queste parti34 v’è un carattere comune o nessuno, e in questo caso porremo i molti in modo separato dall’uno. Ma è appunto l’intero che bisogna prendere in esame: infatti ogni corpo è sia intero sia dotato di parti. Che cosa pertanto sarebbe in 15 grado di tenerlo insieme, dato che le sue parti sono di certo più ? Infatti è necessario dire o che l’intero è produttore di unione per le parti, oppure che le parti sono produttrici di unione per l’intero, oppure che un terzo elemento superiore ad entrambi, il quale non è né intero né nessuna parte, tiene insieme ed unifica l’intero con le sue parti ed al contempo le parti rispetto 20 all’intero. Ma se l’intero è in grado di tenere insieme le parti, l’intero sarebbe incorporeo e privo di parti: se infatti un corpo, anche esso sarà divisibile e necessiterà di una natura in grado di tenere insieme le parti. E così via all’infinito. Se invece le parti l’intero, in che modo i molti sono in grado di tenere insieme l’uno e le componenti divi- 18 se ciò che è costituito da esse? In effetti è necessario, al contrario, che l’uno sia in grado di tenere insieme i molti, ma non che i molti abbiano la facoltà di unificare l’uno. D’altra parte se esiste ciò che viene prima di entrambi, il quale né è intero né ha parti, questo sa-

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ejsti; mhvte movria e[cei, ajmevriston a]n ei[h tou'to pantelw'": ajmevriston de; o[n, kai; ajdiavstaton ajnagkai'on ei\nai: to; ga;r diastato;n pa'n mevrh te e[cei kai; diairetovn ejstin. Adiavstaton de; o[n, kai; ajswvmatovn ejsti: pa'n ga;r sw'ma diastatovn. Eti toivnun th;n ajrch;n ajivdion ajnagkai'on 10 ei\nai. Pa'n ga;r dh; to; o]n ajivdiovn ejstin h] fqartovn: oujkou'n kai; th;n ajrch;n tw'n o[ntwn ajivdion h] fqarth;n ei\nai dotevon. All eij me;n fqeivresqai kai; tauvthn ejpitrevpoimen, oujde;n e[stai tw'n o[ntwn a[fqarton: ajrch'" ga;r ajpollumevnh", ou[te aujthv pote e[k tino" ou[te a[llo ejx 15 ejkeivnh" genhvsetai: ou[te ga;r eJauth;n dunhvsetai genna'n (oujde; ga;r e[stin ei[per mh; ajivdio") ou[te a[llo aujthvn, ei[per ajrchv ejsti tw'n pavntwn. Eij de; a[fqartov" ejsti, duvnamin e{xei tou' mh; fqeivresqai, kai; tauvthn a[peiron i{na ejp a[peiron h\/ to;n o{lon crovnon: pa'sa ga;r peperasmevnh tou' ei\nai 20 duvnami" fqartou' kata; fuvsin ejstivn, a[peiro" de; tw'n ajidivwn oi|" to; ei\nai ejp a[peiron. Oujkou'n to; a[peiron tou'to, levgw dh; to; kata; duvnamin a[peiron, h] ajmevristovn ejstin h] meristovn. All eij me;n meristovn, e[stai ejn peperasmevnw/ swvmati to; a[peiron: hJ ga;r ajrch; peperasmevnon (eij ga;r 25 a[peiron, oujde;n a[llo e[stai plh;n aujth'"): eij de; ajmerev", ajswvmato" a]n hJ th'" ajpeiriva" tou' ei\nai duvnami" ei[h, kai; hJ 19 ajrch; tw'n o[ntwn hJ duvnami" aujthv, di h}n kai; to; uJpokeivmenon aujth'/ ajei; e[stin. ”Oti me;n ou\n swmatikh;n ei\nai th;n ajrch;n tw'n o[ntwn ajduvnaton, fanero;n ejk touvtwn ejstivn: eij de; ajswvmato", h] 5 cwristh;n aujth;n h] ajcwvriston ei\nai tw'n swmavtwn. All eij me;n ajcwvristo", pavsa" e{xei ta;" ejnergeiva" ãejnà swvmasi kai; peri; swvmata ou[sa": tou'to gavr ejstin ajcwvriston swvmato" o} mhdamou' pevfuken h] ejn swvmasi kai; meta; swmavtwn ejnergei'n. Eij dev ejstin hJ ajrch; toiauvth, dh'lon wJ" 10 ajnavgkh mhde;n tw'n met aujth;n kuriwvteron ei\nai th'" tw'n o[ntwn aJpavntwn ajrch'". Eij de; mhdevn ejsti krei'tton ªejn toi'" swvmasiº th'" peri; ta; swvmata kai; ejn toi'" swvmasi kai; peri; th;n swmatikh;n oujsivan uJfestwvsh" te kai; ejnergouvsh" dunavmew", oujdamou' tw'n o[ntwn oJ nou'" e[stai kai; hJ kata; 15 nou'n ejnergou'sa duvnami": pa'sa ga;r hJ toiauvth kivnhsi" ajpo; dunavmewv" ejstin oujde;n eij" swvmata poiouvsh": qevmi" de; ou[te h\n ou[t e[sti ta; gennwvmena th;n tw'n sfetevrwn aijtivwn uJperbavllein duvnamin: pavnta ga;r ta; ejn aujtoi'" ejk tw'n prwvtwn ejsti; kai; ejkei'na kuvria th'" oujsiva" th'" 5

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rebbe assolutamente indivisibile: ma essendo indivisibile, è neces- 5 sario anche che sia privo di estensione: infatti tutto ciò che è esteso ha parti ed al contempo è divisibile. Ma se è privo di estensione è anche incorporeo: infatti ogni corpo è esteso. In aggiunta, ancora, è necessario che il principio sia eterno. Infatti tutto ciò 10 che è o è eterno o corruttibile. Quindi si deve ammettere che anche il principio degli enti è eterno o corruttibile. Ma se concedessimo che anche questo sia soggetto a corruzione, nessuno degli enti sarà incorruttibile: «infatti quando un principio perisce, né questo nascerà da qualcosa, né da quello nascerà un’altra 15 cosa»35. Né infatti potrà generare se stesso (ed infatti non è possibile visto che è eterno) né un’altra cosa esso, se è vero che è principio di tutte le cose. Ma se è incorruttibile, avrà la potenza del non essere soggetto a corruzione, e questa l’avrà illimitata, affinché sia in modo illimitato per tutto quanto il 20 tempo: infatti ogni potenza limitata appartiene secondo natura all’essere corruttibile, invece priva di limite appartiene alle entità eterne per le quali l’essere è in modo illimitato. Ebbene, questo tipo di illimitato, intendo appunto dire l’illimitato secondo potenza, o è indivisibile o è divisibile. Ma se è divisibile, l’illimitato si troverà in un corpo limitato: infatti il principio sarà limitato (se infatti è illimitato, non vi sarà null’al- 25 tro al di fuori di esso). Se invece è privo di parti, la potenza della illimitatezza dell’essere sarebbe incorporea, e il principio degli 19 enti è la potenza stessa attraverso la quale anche ciò che è ad essa soggetto è per sempre. Ebbene, il fatto che sia impossibile che il principio degli enti sia corporeo, è manifesto in base a tali considerazioni36. Se invece è incorporeo, esso è o separato o non separato dai corpi. Ma se 5 non è separato, possederà tutte le attività che si trovano nei corpi ed intorno ai corpi: infatti non è separato da corpo ciò che è portato per natura ad agire da nessuna parte se non nei corpi ed insieme ai corpi. Ma se il principio è tale, è evidentemente necessario 10 che nessuna delle entità che vengono dopo di esso sia più importante del principio di tutti quanti gli enti. Ma se nulla è superiore alla potenza che sussiste ed al contempo agisce intorno ai corpi e all’interno dei corpi e intorno alla sostanza corporea, da nessuna parte tra gli enti vi sarà l’intelletto e la potenza che agisce secon- 15 do intelletto. Infatti tutto il movimento di tale sorta deriva da una potenza che non produce nulla nei corpi: «ma né era né è lecito»37 che le entità generate superino la potenza delle loro cause. Infatti tutti gli elementi insiti in esse derivano dalle entità prime e quelle

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aujtw'n. Eij ou\n hJ ajrch; tw'n o[ntwn duvnatai nou'n kai; frovnhsin genna'n, pw'" oujk eij" auJth;n kai; ejn auJth'/ genna'/ Duoi'n ga;r ajnavgkh qavteron, h] mhdamou' tw'n o[ntwn ei\nai to; noei'n h] katadeevsteron ei\nai, kai; eij e[sti, tou' poiei'n eij" swvmata movnon. 25 Alla; tau'ta me;n ajduvnata levgein: eij de; cwristo;n to; prwvtiston tw'n o[ntwn kai; o{ ejstin ajrch; tw'n pavntwn, h] kinouvmenon h] ajkivnhton aujto; tivqesqai pavntw" ajnagkai'on. 20 All eij me;n kinouvmenon, e[stai ti pro; aujtou' a[llo peri; o} kinei'tai: pa'n ga;r dh; to; kinouvmenon, mevnonto" a[llou, peri; aujto; kinei'sqai pevfuke. Kai; e[ti pro;" touvtw/ di e[fesin a[llou kinei'tai: dei' me;n ga;r aujto; tino;" ejfievmenon kinei's5 qai, diovti kai; hJ kivnhsi" aujth; me;n kaq auJth;n ajovristo", tevlo" d ejsti;n aujth'" ou| e{nekav ejstin. Efivoito de; a]n h] a[llou h] eJautou'. Alla; pa'n to; eJautou' ejfievmenon ajkivnhtovn ejstin: eJautw'/ ga;r suno;n e{kaston, tiv a]n devoito tou' ejn eJtevrw/ givnesqai Kai; ga;r tw'n kinoumevnwn, w|/ me;n e[ggion 10 to; ajgaqo;n ejlavsswn hJ kivnhsi", w|/ de; porrwvteron meivzwn: o} de; ejn eJautw'/ to; ajgaqo;n e[cei kai; ou| e{nekav ejstin ajkivnhton e[stai tou'to kai; eJstwv". En auJtw'/ ga;r ajei; o]n ejn tw'/ ajgaqw'/ ejsti: to; de; ejn auJtw'/ o]n ejn tw'/ aujtw'/ ejstin (aujto; ga;r e{kaston eJautw'/ taujtovn): to; de; ejn ãtw'/Ã aujtw'/ o]n eJstavnai dhvpou fame;n 15 kai; ajkivnhton uJpavrcein. O de; mhv ejstin ajkivnhton ãou[te ejn tw'/ aujtw'/Ã ou[te ejn auJtw'/ ejstin ajll ejn eJtevrw/, kai; kinei'tai pro;" e{teron, kai; tou' ajgaqou' pavntw" ejsti;n ejndeev". Eij ou\n hJ ajrch; tw'n o[ntwn kinei'tai, pa'n de; to; kinouvmenon di e[ndeian ajgaqou' kinei'tai kai; pro;" e{teron o{ ejstin 20 ejfeto;n aujtw'/, ei[h a[n ti th'/ ajrch'/ tw'n o[ntwn ejfeto;n par aujth;n a[llo kai; peri; o} wJsauvtw" e[con kinei'sqai fatevon aujthvn. All ajduvnaton: hJ ga;r ajrch; to; ou| e{neka kai; ou| pavnta ejfivetai kai; to; mhdeno;" ejndeev": eij ga;r devoitov tino", katadeevsteron e[stai pavntw" ou| dei'tai kai; pro;" o} 25 th;n ejnevrgeian wJ" ejfeto;n e[cei. 20

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LIBRO II, 2

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hanno il controllo sulla sostanza che appartiene alle entità genera- 20 te. Se dunque il principio degli enti può generare intelletto e attività di pensiero, come mai non lo genera in direzione di sé e dentro di sé? Infatti è inevitabile una delle due cose, o che l’attività dell’intelletto non sia da nessuna parte fra gli enti, oppure che sia inferiore, e se è inferiore, lo è solo all’azione produttiva che si realizza nei corpi. Ma non è possibile fare queste affermazioni. D’altra parte l’es- 25 sere che è primissimo e che è principio di tutte le cose, se è separato dagli enti, è assolutamente necessario che si supponga o in movimento o immobile. Ma se è in movimento, vi sarà qualcosa 20 d’altro prima di esso, intorno a cui si muove: infatti proprio tutto ciò che si muove, mentre un altro elemento rimane in quiete, è portato per natura a muoversi intorno a quest’ultimo. Ed ancora oltre a ciò, esso si muove a causa dell’aspirazione verso un altro elemento. Bisogna infatti che esso si muova tendendo a qualcosa, 5 proprio per il fatto che il movimento è in sé e per sé indeterminato, mentre suo fine è ciò in vista di cui è . D’altra parte potrebbe tendere o ad altro o a se stesso. Ma tutto ciò che tende a se stesso è immobile: infatti, dato che ciascuna entità è unita a se stessa, perché dovrebbe aver bisogno di venire ad essere in un altro? Ed infatti per le entità soggette a movimento quanto più vicino è il bene 10 tanto minore è il movimento, invece quanto più è distante tanto è maggiore. Ma ciò che ha in se stesso il bene e la sua propria causa finale, questo sarà immobile e in quiete. Infatti trovandosi sempre in se stesso si trova nel bene: ma ciò che si trova in se stesso si trova nell’identico (infatti in sé ciascuna cosa è identica a se stessa); d’altra parte ciò che è nell’identico diciamo senza dubbio che è in quiete e risulta immobile. Invece ciò che non è immobile non 15 è 38 né in se stesso, ma in altro, e si muove verso altro, ed è assolutamente privo del bene. Se dunque il principio degli enti si muove, e d’altra parte ciò che si muove si muove per mancanza di bene e verso un’altra cosa che è per esso desiderabi- 20 le, vi sarebbe per il principio degli enti oltre a se stesso qualcos’altro di desiderabile, ed intorno a ciò, che rimane allo stesso modo, bisogna affermare che esso si muove. Ma è impossibile: infatti il principio è ciò in vista di cui ed «al quale tutte aspirano»39 e che non è privo di nulla; se infatti avesse bisogno di qualcosa, sarebbe del tutto inferiore a ciò di cui ha bisogno e rispetto al quale la sua attività è rivolta come ad un deside- 25 rabile.

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Eij de; ajkivnhto" hJ ajrchv – tou'to ga;r uJpovloipon – mivan oujsivan aujth;n ajswvmaton kai; ajei; wJsauvtw" e[cousan ajnagkai'on ei\nai: pw'" e[cousan to; e}n kai; pw'" mivan oujsivan Eij me;n ga;r taujto;n oujsiva kai; e{n, th;n ajrch;n oujsivan ei\nai 5 dotevon. Eij de; hJ oujsiva tou' eJno;" a[llo kai; ouj taujto;n to; eJni; ei\nai kai; to; oujsiva/ ei\nai, eij me;n hJ oujsiva kreivttwn, kata; tauvthn to; ajrch'/ ei\nai rJhqhvsetai: eij dev ge to; e}n krei'tton kai; ejpevkeina oujsiva", ajrch; kai; th'" oujsiva" to; e{n: eij de; suvstoica ajllhvloi", e[stai ta; polla; pro; tou' 10 eJnov": tou'to de; ajduvnaton, wJ" devdeiktai provteron. Oti me;n ou\n ouj taujto;n oujsiva kai; e{n, dh'lon: ouj ga;r taujto;n e{n te ªkai;º e}n eijpei'n kai; th;n oujsivan e{n: ajlla; to; me;n ou[pw lovgo", to; de; h[dh lovgo". Kai; pro;" touvtoi" eij taujto;n oujsiva kai; e{n, e[stai kai; to; plh'qo" tw'/ mh; ei\nai 15 kai; th'/ mh; oujsiva/ taujtovn: ajll ajduvnaton: kai; ga;r ejn oujsiva/ ta; polla; kai; ejn mh; oujsiva/ to; e{n. Eij de; mh; taujto;n oujsiva kai; e{n, suvstoica me;n oujk e[stai tau'ta ajllhvloi": ei[h ga;r a]n a[llo pro; aujtw'n, ei[per ejk mia'" ajrch'" dei' pavnta ei\nai: qatevrou de; o[nto" kreivttono", h] to; e}n pro; 20 th'" oujsiva" h] th;n oujsivan dhladh; pro; tou' eJno;" qetevon. All eij me;n to; e}n pro; th'" oujsiva", tou'to hJ ajrch; kai; ouj to; ei\nai tw'n pavntwn: th'" ga;r ajrch'" oujde;n ei\nai krei'ttovn ejstin ajnagkai'on. Eij de; hJ oujsiva pro; tou' eJnov", peponqo;" e[stai th;n oujsivan to; e{n, ajll oujc hJ oujsiva to; e{n: eij de; to; 25 e}n th;n oujsivan pevponqen, ajnavgkh to; e}n kai; oujsivan ei\nai pa'n, kai; o{sa dh; e}n oujsiva pavnta, oujc o{sa de; oujsiva e{n: 22 e[stai a[ra ti" oujsiva tou' eJno;" a[moiro": ajll eij tou'to, oujde;n a]n ei[h: to; ga;r tou' eJno;" ejsterhmevnon oujdevn. Pro; th'" oujsiva" a[ra to; e{n. Eij dev ge mh; oujsiva to; prw'ton, eij me;n tou'to katadeevsteron 5 oujsiva", a[topon: hJ ga;r ajrch; to; kuriwvtatovn ejsti kai; to; aujtarkevstaton ajll ouj to; ajtimovtaton oujde; to; tw'n pollw'n ejndeev". Olw" te ouj dei' tw'n deutevrwn oujde;n krei'tton ei\nai th'" ajrch'": ouj ga;r dei' ta; o[nta politeuvesqai kakw'". Eij de; hJ me;n ajrch; th;n ceivrona tw'n 10 ajp aujth'" e[coi tavxin, ta; de; ajp aujth'" kreivttona aujth'" 21

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LIBRO II, 2

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Se invece il principio è immobile — questa infatti è l’alternati- 21 va che rimane — è necessario che esso sia un’unica sostanza incorporea che rimane sempre allo stesso modo. In che modo è dotata dell’uno e in che modo è una sola sostanza? In effetti se sostanza e uno sono la medesima cosa, si deve concedere che il principio è una sostanza. Se invece la sostanza è altro dall’uno e non è la stes- 5 sa cosa l’essere per l’uno e l’essere per la sostanza, e se la sostanza è superiore, si dirà allora che per il principio l’essere è secondo quest’ultima. Se invece è l’uno in verità ad essere superiore e al di là dell’essenza, principio anche della sostanza è l’uno. Se invece fanno entrambi parte del medesimo ambito, i molti verranno prima dell’uno40. Ma questo è impossibile, come si è precedente- 10 mente mostrato41. Dunque il fatto che essenza e uno non sono la stessa cosa, è evidente: infatti non è la stessa cosa dire “uno” l’uno e “uno” l’essenza42; ma in un caso l’uno non è ancora una definizione, nell’altro è già una definizione. Ed oltre a tali considerazioni, se essenza e uno sono la medesima cosa, il molteplice a sua volta sarà identico al non-essere e alla non-essenza; ma è impossi- 15 bile: ed infatti nell’essenza si trovano i molti e nella non-essenza l’uno. D’altra parte se essenza ed uno non sono la stessa cosa, questi non apparteranno reciprocamente allo stesso livello. Infatti vi sarebbe un altro elemento prima di essi, se è vero che bisogna che da un solo principio derivino tutte le cose. Ma dato che un altro elemento è superiore, si deve porre o l’uno prima dell’essenza o, 20 evidentemente, l’essenza prima dell’uno. Ma se l’uno viene prima dell’essenza, questo e non l’essere è il principio di tutte le cose: infatti è necessario che nulla sia superiore al principio. Invece se l’essenza viene prima dell’uno, soggetto all’essenza sarà l’uno, ma non l’essenza all’uno. Ma se l’uno risulta soggetto all’essenza, è 25 necessario che l’uno sia anche tutto essenza, e che tutto quanto è uno sia essenza, ma non che tutto quanto è essenza sia uno. Vi sarà 22 pertanto una certa essenza non partecipe dell’uno. Ma se fosse così, non vi sarebbe nulla: infatti ciò che risulta privato dell’uno è nulla. Prima dell’essenza pertanto viene l’uno. Se d’altra parte il Primo effettivamente non è essenza, se allora esso è inferiore all’essenza, ciò è assurdo: infatti il Principio è 5 ciò che è più importante e più autosufficiente, ma non ciò che è di minor valore né ciò che ha bisogno dei molti. E assolutamente nessuna delle realtà seconde deve essere superiore al principio: infatti non bisogna che «gli enti siano mal governati»43. Se d’altra parte il principio avesse un ordinamento inferiore alle realtà che da esso derivano, e dal canto loro le cose che da esso derivano gli 10

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ei[h, pavnta sugcuqhvsetai plhmmelw'", kai; ou[te hJ ajrch; kata; fuvsin o{ti mh; to; a[riston ou[te ta; ejk th'" ajrch'" ejx aujth'" e[stai duvnamin eij" to; kratei'n e[conta th'" eJautw'n ajrch'". Estai de; a[ra kata; tuvchn hJ me;n ajrch; tw'n o[ntwn 15 ta; de; o[nta ajp aujth'": ajll ajduvnaton: ta; ga;r kata; tuvchn o[nta, ei[per tou'tov ejsti to; kata; tuvchn to; mh; kata; nou'n mhde; pro;" tevlo" wJrismevnon, a[takta kai; ajpevranta kai; ajovristav ejsti, kai; pavnta wJ" ejp e[latton o[nta: hJ de; ajrch; ajei; wJsauvtw" ajrchv, kai; ta; a[lla ejx aujth'". 20 Eij de; o{ ejsti mh; oujsiva krei'tton aJpavsh" oujsiva", h] metevcoito a]n uJp aujth'" h] pantelw'" ajmevqekto" ei[h. All eij me;n meqevxei hJ oujsiva th'" ajrch'", tino;" ajrch; e[stai kai; ãoujà tw'n o[ntwn aJpavntwn ajrchv. Th;n ga;r tw'n o[ntwn ajrch;n oujdeno;" ei\nai dei' tw'n o[ntwn: eJno;" ga;r ou\san, ouj 25 pavntwn ei\nai ajnagkai'on: pa'n de; metecovmenon uJp a[llou, 23 touvtou levgetai ei\nai uJf ou| metevcetai kai; ejn w|/ prwvtw" ejstivn: hJ de; ajrch; cwristovn, kai; eJauth'" ma'llon h] tw'n a[llwn ejstivn. Olw" de; to; metecovmenon pa'n ejx a[llh" ejsti;n aijtiva" kreivttono", ejpei; to; ajmevqekton tou' meqektou' 5 krei'tton: tou' de; ajrivstou kai; o} levgomen ajrch;n oujdeni; oujde; ejnnoei'n ti krei'tton dunatovn: ouj ga;r a]n ei[h qemito;n ta; deuvtera th'" te ajrch'" pevri kai; tw'n ajp aujth'"  bevltion krivnein th'" eJautw'n ajrch'". Estin a[ra to; tw'n o[ntwn aJpavntwn ai[tion uJpe;r oujsivan 10 pa'san kai; cwristo;n aJpavsh" oujsiva", kai; ou[te oujsivan ou[te prosqhvkhn th;n oujsivan e[con: hJ ga;r toiauvth provsqesi" ejlavttwsiv" ejsti th'" aJplovthto" kai; tou' e{n.

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ãgVÃ Ora dh; kai; to;n trivton ejpi; touvtoi" lovgon eij" taujto;n toi'" eijrhmevnoi" hJma'" ejpavgonta. Anavgkh gavr pou tou'to

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LIBRO II, 3

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fossero superiori, tutte le cose saranno confuse senza regola alcuna, e né il principio sarà secondo natura, poiché non l’entità migliore, né le cose che da esso derivano ad opera sua lo saranno, avendo una disposizione potenziale ad essere superiori al loro proprio principio. Ma allora il principio degli enti sarà tale casualmente, e gli enti dal canto loro deriveranno altrettanto 15 casualmente da esso; ma è impossibile: infatti le entità che sono in modo casuale — se è vero che è in modo casuale ciò che risulta determinato non in base ad intelletto né in rapporto ad un fine — sono prive di ordine e senza limite e senza determinazione, e tutte esistenti, per così dire, in misura minore. Il principio invece è sempre allo stesso modo principio, e tutte le altre entità derivano da esso. Se poi ciò che non è essenza è superiore a tutta quanta l’essen- 20 za, sarebbe o partecipato da essa o assolutamente impartecipabile. Ma se l’essenza parteciperà del principio, sarà principio di qualcosa, ma principio di tutti quanti gli enti. Infatti il principio degli enti non deve appartenere a nessuno degli enti: infatti appartenendo ad uno solo, è inevitabile che non apparten- 25 ga a tutti. D’altra parte tutto ciò che è partecipato da altro si dice 23 che appartiene a ciò da cui è partecipato ed in cui principalmente si trova. Ma il principio è separato, ed appartiene a se stesso più che a tutte le altre cose. Inoltre assolutamente tutto ciò che è partecipato deriva da una causa superiore, poiché l’impartecipabile è superiore al partecipato. Ma a nessuno è possibile concepire qual- 5 cosa di superiore a ciò che è migliore e che diciamo “principio”. Infatti non sarebbe lecito 44 intorno al principio ed anche intorno a ciò che da esso deriva giudicare le realtà seconde migliori del loro proprio principio. Dunque ciò che è causa di tutti quanti gli enti è al di sopra di ogni essenza e separato da tutta quanta l’essenza, e non è dotato 10 di essenza né possiede l’essenza come caratteristica aggiuntiva: infatti tale aggiunta è una diminuzione della semplicità e del carattere di uno.

[Più vie di accesso che forniscono lo stesso risultato e che mostrano la realtà inconfutabile dell’Uno] Si consideri allora oltre a questi anche il terzo ragionamento che ci conduce ad una conclusione identica a quanto è stato già

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ei\nai tw'n o[ntwn aJpavntwn ai[tion ou| pavnta metevcei ta; o[nta, kai; pro;" o} th;n eJautw'n uJpovstasin ajnafevrein e[cei, kai; o} mhdeno;" ajpostatei' tw'n oJpwsou'n uJfestavnai legomevnwn: tou'to ga;r ejfeto;n movnon toi'" ou\si to; prwvtw" 20 ei[te kai; a[llw" ai[tion aujto; o]n aujtw'n, kai; pa'n to; pro;" ejkei'no kai; di ejkei'no genovmenon e[cein tina; pro;" ejkei'no scevsin kai; dia; tauvthn dhvpou kai; oJmoiovthta ajnagkai'on. Pa'sa ga;r scevsi" a[llou pro;" a[llo levgetai dicw'": h] tw'/ ªtou'º eJno;" a[mfw metevcein o} th;n pro;" a[llhla toi'" 24 metalabou'si parevcetai koinwnivan, h] tw'/ ªtou'º qatevrou qavteron, ou| dh; kai; to; me;n wJ" krei'tton divdwsi tw'/ eJautou' ceivroni, to; de; wJ" e[latton oJmoiou'tai tw'/ kreivttoni kaq o{son metevcei th'" ejkeivnou fuvsew". Anavgkh toivnun, eij scevsin 5 e[cei ta; th'/de pro;" to; prw'ton, kai; ejfivetai ejkeivnou, kai; peri; ejkei'no pavnta ejstivn, h] trivton ei\naiv ti to; th'" scevsew" ai[tion, h] th;n ajrch;n toi'" met aujth;n parascevsqai th;n pro;" auJth;n e[fesin kai; to;n povqon tou'ton di o}n e{kasta swv/zetaiv te kai; e[stin: ajlla; mh;n oujdevn ejstin a[llo tou' 10 prwtivstou krei'tton: ejkei'qen a[ra kai; hJ scevsi" tw'n o[ntwn kai; to; ei\nai kai; hJ e[fesi" pro;" to; prw'ton, kai; metevcei pavnta th'" eJautw'n ajrch'". Eij ãde;Ã tou'to, dei' to; metecovmenon ejkei'qen ejn pa'sin ajnafaivnesqai toi'" ou\sin, ei[per ejsti;n ejkei'no pavntwn ajrch; kai; mhdeno;" ajpoleivpetai tw'n 15 o[ntwn. Tiv ou\n dh; tou'to a]n ei[h to; pantacou' kai; ejn pa'si toi'" ou\sin ejpovn ῏Ara to; zh'n tou'to kai; kinei'sqai Kai; pw'" Polla; gavr ejsti dhvpou kai; zwh'" ejsterhmevna kai; kinhvsew". All a\ra hJ stavsi" pantacou' kai; ejn pa'sin All oujde; tou'to ajlhqev": aujth; ga;r ãhJ kivnhsi"Ã, h|/ 20 kivnhsiv" ejsti, stavsew" oujk a]n metevcoi: tou' ga;r ejnantivou pavnth/ metalambavnein ajduvnaton. All oJ nou'" oJ polutivmhto" aujto;" uJpo; pavntwn metevcetai tw'n o[ntwn h|/ nou'" Alla; kai; tou'to ajduvnaton: pavnta ga;r a]n nooivh ta; o[nta kai; oujde;n a]n ei[h tw'n o[ntwn a[noun. All a\ra to; 25 o]n aujto; kai; th;n oujsivan fhvsomen uJpo; pavntwn metevcesqai tw'n oJpwsou'n uJfesthkovtwn Kai; pw'" To; ga;r ginovmenon

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detto. In effetti è necessario che in qualche modo principio causale di tutti quanti gli enti sia ciò di cui tutti gli enti partecipano, e verso il quale possono riferire la propria sussistenza, e che «non è separato da nessuna»45 delle entità che sono dette sussistere in un modo qualunque. Infatti solo questo è oggetto di desiderio per gli enti, il loro principio causale, a livello primario o a qualunque altro 20 livello, e tutto ciò che in relazione con quello ed in virtù di quello è venuto ad essere è necessario che abbia con esso una certa relazione ed in virtù di quest’ultima certamente anche somiglianza. Infatti ogni rapporto di una cosa con un’altra si dice in due modi: o entrambe partecipano di un uno che garantisce la reciproca comunanza alle entità che ne sono partecipi, oppure l’una dell’altra, ed in quest’ultimo caso un’entità in quanto superiore dà a quella che le è inferiore, mentre l’altra in quanto di livello inferiore diventa simile a quella superiore nella misura in cui partecipa della natura di quella. È pertanto necessario, se le cose di questo nostro mondo hanno un rapporto con ciò che è primo, e desiderano quello, e tutte sono intorno a quello46, o che 5 vi sia un terzo elemento che sia causa di questo rapporto, oppure che il principio garantisca alle cose che vengono dopo di lui il desiderio verso se stesso e questa brama in virtù della quale ogni entità è conservata ed al contempo è. Ma certamente non v’è nessun’altra cosa che sia superiore a ciò che è primissimo. Di conseguenza è da esso che deriva anche la relazione degli enti con esso, 10 il loro essere ed il loro desiderio verso ciò che è primo, e tutti sono partecipi del loro proprio principio. Ma se è così, in base a ciò bisogna che il partecipato si riveli in tutti gli enti, se è vero che quello è principio di tutti e che non «manca»47 a nessuno degli enti. Che cosa potrebbe dunque essere questa entità che è presente ovunque e in tutti gli enti? Forse si tratta del vivere e del muo- 15 versi? E come ? Infatti molte sono in effetti le entità che risultano prive di vita e di movimento. Ma forse allora la quiete è ovunque e in tutte le cose? Ma neppure questo è vero: proprio il movimento48 infatti, in quanto è movimento, non potrebbe essere partecipe di quiete; infatti è del tutto impossibile partecipare 20 del proprio contrario. Ma allora è l’intelletto in sé, oggetto di molto onore, ad essere partecipato in quanto intelletto da tutti gli enti? Ma anche questo è impossibile: infatti tutti gli enti dovrebbero avere intellezione e nessuno degli enti risulterebbe privo di intelletto. Ma diremo forse che l’essere in sé e l’essenza sono partecipati da tutte le cose che in un modo qualunque risultano sus- 25 sistere? E come ? Infatti ciò che è soggetto a divenire

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25 levgetaiv te kai; e[stin oujsiva" a[moiron. Kai; mhv toi qaumav-

swmen eij kai; aujto; tw'n o[ntwn ejstivn.  oujsiva" a]n h[dh metevcoi: kaqo; ga;r givnetai, oujk e[sti, teleuta'/ de; a[ra eij" to; ei\nai kai; th;n oujsivan o{tan h[dh gegono;" h\/ kai; oujkevti 5 ginovmenon. Oujd a[ra th'" oujsiva" pavnta metevcei ta; oJpwsou'n uJfesthkovta. Tiv ou\n a]n ei[h to; pantacou' kai; uJpo; pavntwn metecovmenon Skeptevon dh; tw'n o[ntwn e{kaston tiv pevponqen a{panta tau'ta kai; tiv potev ejstin ejn a{pasin aujtoi'" koinovn: oi|on hJ 10 oujsiva to; taujto;n to; qavteron hJ stavsi" hJ kivnhsi", a\ra touvtwn e{kaston a[llo tiv famen h] e}n ei\nai, kai; ouj cwri;" movnon ajlla; kai; ta; ejx aujtw'n, kai; o{lw" a{panta mhv ph/ dunato;n a[llw" levgein h] wJ" e}n pavnta kai; e{kaston Eij gavr ti tou' eJno;" a[moiron ei[h, ka]n tw'n merw'n levgh/" ka]n 15 tw'n o{lwn, eujqu;" to; genovmenon a[moiron tou' e{n, oujde;n a]n ei[h to; paravpan. H tiv boulovmenoi levgomen to; televw" oujk o]n oujdevn, eij mh; to; e}n e[scaton ajpevlipe ta; o[nta, kai; tou'to h\n a[ra to; mhdamw'" o]n genevsqai, to; kai; tou' eJno;" pavnth/ sterhqe;n genevsqai To; me;n ga;r mh; kinouvmenon 20 ei\nai dunato;n kai; to; mh; o]n u{parxin e[cein: to; de; mhde;n kai; aujtou' tou' eJno;" ajpoleipovmenon oujde;n a]n ei[h to; paravpan. To; e}n a[ra pa'si paragivnetai toi'" ou\si: ka]n aujto; to; plh'qo" ei[ph/", metevcein kai; tou'to ajnagkai'on tou' e{n, h] mh; genovmenon e}n oujde; uJposth'nai dunhvsetai: ka]n 25 aujto; diairh'/" eij" a[peiron, to; o{lon oujk a[llo  eujqu;" e{n: h] ga;r oujc uJposthvsetai to; diaireqe;n h] to; ejp a[llo 26 genovmenon, h] uJposta;n eujqu;" e[stai e{n. Pantacou' dh; to; e}n kai; ejn pa'si toi'" ou\si fainovmenon kai; oujdeno;" ajpostatou'n tw'n o[ntwn, h] ejx eJnov" ejsti tou' aJplw'" eJnov", h] ejk kreivttono" tou' e{n: peponqo;" ga;r ei\nai to; e}n oujk a[llw" 5 dunato;n h] ejk tou' prwvtw" eJnov", kai; w|/ mh; provsesti to; e{n, ajll aujto; to; e{n ejstin h] oujde;n a[llo h] e{n.

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viene detto ed al contempo è in effetti privo di essere in forma deter- 25 minata. E certo non ci dobbiamo meravigliare se anche esso fa parte degli enti potrebbe a questo punto partecipare dell’essere in forma determinata49: infatti in quanto diviene, non è, ma certamente va a compiersi nell’essere e nell’essere in forma determinata, allorché sia venuto ad essere e non sia più soggetto a divenire. E di conseguenza dell’essere in forma determina- 5 ta non partecipano tutte le cose che in un modo qualunque sono venute a sussistere. Che cosa dunque potrebbe essere ciò che in ogni ambito e da tutte le cose è partecipato? Bisogna certamente considerare per ciascuno degli enti a che cosa tutti quanti questi sono soggetti e che 10 cosa mai v’è di comune in ciascuno di essi: per esempio l’essenza, l’identico, il diverso, la quiete, il movimento50, diciamo forse che ciascuno di questi termini è qualcosa di diverso da uno, e che lo sono non solo in modo separato, ma sono anche le cose che da essi sono costituite, e non è forse vero che in generale non è in alcun modo possibile definirle tutte quante, nel loro insieme e singolarmente ciascuna, in altri termini se non come uno? Se infatti qualcosa fosse privo dell’uno, sia che lo si dica delle parti sia che della totalità, subito ciò che è divenuto privo dell’uno sarebbe assolutamente nulla, ovvero neppure-uno51. Oppure che cosa intendiamo dire, quando definiamo nulla ciò che del tutto non è, se non che l’estrema forma di uno è mancata agli enti, ed in questo dunque consisteva il divenire “in nessun modo ente”, nel divenire appunto “privato assolutamente dell’uno”? In effetti ciò che non è soggetto a 20 movimento è possibile che sia e il non-essere è possibile che abbia una forma di esistenza; invece ciò che non è niente, ossia neppureuno, e che è «mancante»52 proprio dell’uno, non potrebbe essere assolutamente nulla. L’uno dunque è presente in tutti gli enti: anche qualora si intenda proprio il molteplice, è necessario che anche esso partecipi dell’uno, oppure se non è divenuto uno, non potrà neppu- 25 re sussistere: anche qualora lo si divida all’infinito, l’intero non altro 53 da subito uno: infatti o non potrà sussi- 26 stere ciò che è stato diviso o ciò che è passato ad altro o, se sussiste, sarà da subito uno. In ogni ambito certamente ciò che appare uno in tutti gli enti e che al contempo «non manca a nessuno degli enti»54, o deriva da un uno che è semplicemente uno, oppure da un uno superiore al risultare uno: infatti l’uno non può risultare soggetto in 5 altro modo se non a ciò che è in primo luogo uno, e nel quale non è aggiunto l’uno, ma è l’uno in sé, ovvero non è nient’altro che uno.

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Pavlin toivnun ejx a[llh" ajrch'" to; aujto; kativdwmen ouJtwsi; levgonte". Anavgkh ga;r h] kai; ta; ai[tia tw'n o[ntwn ejp a[peiron cwrei'n kai; ta; aijtiatav, kai; mhde;n ei\nai 10 prw'ton mhde; e[scaton ejn toi'" ou\sin: h] to; me;n prw'ton mh; ei\nai to; de; e[scaton ei\nai, th'" ajpeiriva" ejpi; qavteron movnon ou[sh": h] ajnavpalin ajp ajrch'" wJrismevnh" ejp a[peiron ta; o[nta cwrei'n: h] kai; prw'ton ei\naiv ti kai; e[scaton kai; pevra" ejf eJkavtera tw'n o[ntwn. Kai; eij pevrata tw'n o[ntwn 15 e[stin, h] ejx ajllhvlwn tau'ta kai; kuvklw/ tw'n o[ntwn hJ gevnesi", h] eij mh; ejx ajllhvlwn ajll ejk qatevrou qavteron, h[toi to; me;n prw'ton e}n to; de; e[scaton oujc e{n, h] ajnavpalin, h] a[mfw e{n, h] oujc e}n eJkavteron. Eij me;n toivnun a[peira ta; prw'ta kai; ta; ai[tia tw'n o[ntwn, 20 e{kaston ejx ajpeivrwn e[stai. To; me;n ga;r proi>o;n ajpov tino" ajrch'" ajnavgkh metevcein th'" ajrch'" ejkeivnh" ajf h|" proelhvluqe: to; de; ejk pleiovnwn aijtivwn uJfistavmenon polueide;" e[stai kata; th;n auJtou' fuvsin a{te pleiovnwn metevcon dunavmewn: to; de; ejx ajpeivrwn tw'n pro; auJtou' paragovmenon 25 ajpeivrou" e{xei ta;" ajpo; tw'n ajrcw'n eij" aujto; kaqhkouvsa" ijdiovthta". Ekaston ou\n tw'n o[ntwn a[peiron kai; ejx ajpeivrwn uJfestwv", ajpeiravki" a[peira ta; pavnta parevxetai, kai; ou[te 27 gnw'si" e[stai tw'n o[ntwn oujdeno;" ou[te ajnevlixi" tw'n dunavmewn: to; ga;r a[peiron a[gnwston th'/ eJautou' dunavmei pantelw'" kai; ajperivlhpton oi|" ejstin a[peiron. Eij de; a[peira pro;" to; kavtw, povteron kai; e{kaston 5 aujtw'n a[peiron katwtevrw cwrou'n ajeiv, kaqavper kai; ta; pavnta famevn, h] pepevrastai me;n e{kaston o{lon a[peira de; ta; ejk touvtwn ajei; ginovmena ta; o[nta Eij me;n ga;r kai; tw'n o[ntwn e{kaston kata; th;n ajrch;n wJrismevnon th;n eJautou' kata; th;n teleuth;n a[peirovn ejstin, ou[te ejn toi'" 10 mevresin ou[te ejn o{loi" toi'" ou\sin ejpistrofh; tw'n o[ntwn e[stai pro;" th;n oijkeivan ajrchvn, oujde; uJposthvsetaiv pote to; th'/ tavxei deuvteron oJmoiouvmenon tw'/ ejscavtw/ tou' prou>pavrconto", w{sper dh; pollacou' levgomen ta;" ajkrovthta" tw'n uJfeimevnwn sunavptein toi'" pevrasi tw'n ajnwtevrw:

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Di nuovo pertanto da un altro punto di partenza prendiamo in considerazione lo stesso problema nei seguenti termini. In effetti è necessario o che le cause degli enti ed al contempo gli effetti procedano all’infinito, e che non vi sia nulla di primo né di ultimo 10 nell’ambito degli enti; oppure che non vi sia ciò che è primo, bensì ciò che è ultimo, sicché l’infinitezza si trova da una parte sola; oppure, al contrario, che da un principio delimitato procedano all’infinito gli enti; oppure che vi sia qualcosa di primo ed al contempo di ultimo e che vi sia un limite degli enti da entrambe le parti. E se limiti degli enti esistono, o questi derivano gli uni dagli 15 altri reciprocamente e in modo ciclico avviene la generazione degli enti, oppure se non derivano gli uni dagli altri reciprocamente, ma uno dei due deriva dall’altro, allora o ciò che è primo è uno, mentre ciò che è ultimo è non-uno, oppure, al contrario, o entrambi sono uno, o ciascuno dei due è non-uno. Se dunque i principi primi e quelli causali degli enti sono illimitati, ogni singola cosa sarà costituita da un numero illimitato di 20 elementi. Infatti ciò che procede da un qualche principio è necessario che partecipi di quel principio dal quale è proceduto; d’altro canto, ciò che risulta sussistere a partire da una pluralità di cause sarà multiforme secondo la sua propria natura, in quanto partecipa di una pluralità di potenze; dal canto suo ciò che deriva da un numero illimitato di principi che lo precedono avrà un illi- 25 mitato numero di proprietà che ad esso giungono dai suoi principi. Dunque se ciascuno degli enti è illimitato e risulta sussistere da un numero illimitato di principi, tutti gli enti si presenteranno illimitate volte illimitati, né vi potrà essere conoscenza di nessuno 27 degli enti né dispiegamento delle sue potenze: infatti ciò che è illimitato è assolutamente inconoscibile in virtù della sua propria potenza e non afferrabile dagli esseri per i quali è illimitato. Se invece illimitati verso il basso, allora ciascuno di essi illimitato man mano che procede più in basso, pro- 5 prio come diciamo illimitato il loro insieme totale, oppure ciascuno come intero risulta limitato, mentre illimitati sono gli enti che incessantemente derivano da questi? Se infatti anche ciascuno degli enti, che risulta delimitato in base alla sua origine, in base alla sua terminazione è illimitato, né nelle parti né nella totalità 10 degli enti nel loro insieme vi potrà essere la conversione degli enti verso il proprio principio, e ciò che è inferiore per livello non determinerà mai la sua esistenza rendendosi simile all’estremità inferiore di ciò che gli preesiste, come appunto in molte circostanze affermiamo che le sommità delle entità

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oujdeno;" ga;r o[nto" ejscavtou, tiv" mhcanh; th;n toiauvthn oJmoiovthta th'" proovdou kai; th;n ajllhloucivan tw'n o[ntwn uJpoleivpesqai, kaq h}n ajei; ta; deuvtera sunh'ptai toi'" pro; aujtw'n Eij de; ta; pavnta movnon e[cei th;n toiauvthn ajpeirivan, eJkavstou pro;" to; met aujto; peraivnonto", ta; o{la tw'n 20 merw'n e[stai katadeevstera kai; ta; mevrh tw'n o{lwn telewvtera kata; fuvsin. Ta; me;n ga;r ajnepivstrofa pro;" th;n ajrch;n e[stai th;n pro; aujtw'n, ta; de; ejpistrevyei meta; th;n provodon: o{sw/ dh; proevcei to; sunavptesqai pro;" to; teleiovteron, tosou'ton, oi\mai, kai; tw'n o[ntwn e{kaston panto;" oJmou' tou' 25 o[nto" proevcein ajnagkai'on, ªkai;º ei[per eij" a[peiron cwrou'nto" ãtou'Ã o{lou tou'to sunelivttetai pro;" th;n 28 ajkrovthta th;n eJautou' kai; kata; kuvklon ejpistrevfei kai; teleiou'tai kata; th;n toiauvthn ejpistrofhvn. Alla; mh;n eij ejf eJkavtera th;n ajpeirivan uJpoqhsovmeqa, tau'tav te sumbaivnein ajnavgkh kai; pro;" touvtoi" mhde;n 5 ei\nai koino;n ejfeto;n toi'" ou\sin a{pasi mhde; e{nwsin aujtw'n mhde; sumpavqeian. Ta; ga;r a[peira pavnth/ to; prw'ton ejn auJtoi'" oujk e[cei: prwvtou de; oujk o[nto", tiv koino;n tevlo" tw'n o[ntwn kai; dia; tiv ta; me;n kreivttw ta; de; katadeestevran e[lace fuvsin, eijpei'n oujc e{xomen. To; ga;r krei'tton dhvpou 10 kai; to; cei'ron ejk th'" pro;" to; a[riston geitniavsew" levgomen, w{sper kai; qermo;n ma'llon kai; h|tton ejk th'" pro;" to; prw'ton qermo;n koinwniva" ajforivzomen, kai; o{lw" to; ma'llon aujto; kai; h|tton ejk th'" pro;" to; mavlista krivnomen ajnafora'". Anavgkh toivnun pevra" ei\nai tov te prwvtiston kai; to; 15 e[scaton ejn toi'" ou\sin. All eij me;n ejx ajllhvlwn tau'ta, to; aujto; presbuvteron e[stai kai; newvteron, kai; ai[tion oJmou' kai; aijtiatovn, kai; prw'ton eJkavteron kai; e[scaton: dioivsei de; oujde;n ou[te tau'ta ajllhvlwn ou[te ta; metaxu; touvtwn: tw'n ga;r a[krwn ajdiafovrwn o[ntwn, pw'" dunato;n ejn mevsw/ 20 th;n kat oujsivan ejxallagh;n parempivptein Eij de; qavteron ejk qatevrou, povteron ejk tou' ejscavtou to; prw'ton, w{sper tine;" levgousin ejk tw'n ceirovnwn ajpogennw'nte" ta; kreivttona 15

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inferiori si connettono ai limiti inferiori di quelle poste più in 15 alto55. In effetti, se nulla fosse ultimo, quale artifizio potrebbe consentire che questa somiglianza nella processione e la continuità tra gli enti permangano, continuità in base alla quale le entità inferiori risultano sempre collegate a quelle che le precedono? D’altra parte se solo l’insieme di tutte le cose ha tale forma di illimitatezza, dato che ciascuna va a terminare in quella che la segue, 20 la totalità delle cose sarà inferiore alle parti e le parti saranno secondo natura più perfette della totalità delle cose. Infatti la totalità delle parti, da un lato, non sarà in grado di rivolgersi al principio che la precede, mentre le parti, dal canto loro, si rivolgeranno dopo la loro processione: nella stessa misura in cui il collegarsi a ciò che è più perfetto risulta superiore, a mio giudizio è 25 necessario che anche ciascuno degli enti risulti superiore a tutto l’essere nel suo insieme, se è vero che, mentre nella sua totalità procede all’infinito56, quest’altro57 si avvinghia alla sommi- 28 tà che gli è propria e in modo ciclico si volge e si perfeziona in base a tale rivolgimento. Se altresì supporremo che l’illimitatezza si trovi da entrambe le parti, è necessario che si verifichino queste conseguenze, ed oltre a queste che non vi sia nessun oggetto di desiderio comune per tutti 5 quanti gli enti né che vi sia una loro unificazione né una condizione simpatetica. Infatti gli elementi illimitati non hanno assolutamente in mezzo a loro ciò che è primo: d’altra parte, non essendoci un primo, quale sia la meta comune degli enti ed in virtù di cosa gli uni abbiano avuto in sorte una natura superiore, mentre gli altri una inferiore, non lo potremo dire. Infatti ciò che è superiore, a mio 10 parere, e ciò che è inferiore li definiamo così a partire dalla loro prossimità con ciò che eccelle, come anche una cosa la definiamo in misura maggiore o minore calda a partire dal rapporto di comunanza con il calore primo, e in generale il più in se stesso ed il meno li giudichiamo a partire dalla loro relazione con il massimamente. È pertanto necessario che il primissimo e l’ultimo siano un 15 limite nell’ambito degli enti. Ma se questi derivano reciprocamente l’uno dall’altro, il medesimo sarà al tempo stesso più vecchio e più giovane, ed insieme causa ed al contempo causato, e ciascuno dei due primo ed al contempo ultimo. Ma nulla differirà, né questi fra di loro, né le entità che stanno a metà fra questi. Infatti se i termini estremi non sono diversi, come è possibile che in mezzo si inserisca la variazione di essenza? Se invece uno dei due viene dal- 20 l’altro, forse allora il primo deriva dall’ultimo, come alcuni sostengono58 facendo derivare le realtà superiori da quelle inferiori e le

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kai; tw'n ajtelestevrwn ta; teleiovtera Kai; pw'" to; th;n duvnamin tou' tevleion genna'n kai; paravgein laco;n ouj 25 pollw'/ provteron auJto; teleioi' kai; kosmei' th'/ parouvsh/ dunavmei Pw'" de; eJauto; th'" ceivrono" moivra" ei\nai katalei'pon a[llw/ th;n kreivttona tavxin ajforivzei Efivetai me;n ga;r e{kaston th'" oijkeiva" teleiovthto" kai; tou' ajgaqou' 29 aJplw'", duvnatai de; oujc e{kaston tou' toiouvtou metevcein: eij dh; kai; th;n duvnamin e{xei tou' to; teleiovtaton tou'to paravgein, eij" eJauto; pro; tw'n a[llwn ejnerghvsei to; e[scaton kai; e[stai prwvtiston, ejn eJautw'/ to; o{lon ajgaqo;n kai; th;n 5 teleiovthta pa'san iJdrusavmenon. Eij de; ejk tou' prwvtou to; e[scaton kai; tou' teleiotavtou to; ajtelevstaton, povteron e}n eJkavteron h] to; me;n e}n to; de; oujc e{n All eij me;n to; prw'ton h] to; e[scaton oujc e{n, oujdevteron aujtw'n e[stai prw'ton oujde; e[scaton: plhvqou" ga;r o[nto" ejn eJkatevrw/, 10 kai; to; krei'tton dhladh; kai; to; cei'ron eJkavteron e{xei, kai; ou[te to; a[riston e[stai pro;" to; cei'ron ajmige;" ou[te to; pavntwn ajmudrovtaton kata; to; ei\nai th;n tosauvthn u{fesin e{xei tou' teleiotevrou pantelw'" ajmoirou'n: ajll e[stai tou' me;n ejscavtou ma'llon e[scaton, tou' de; prwtivstou 15 ma'llon tevleion: to; ga;r a[riston pantacou' tou' mh; meivnanto" ejn tw'/ ajrivstw/ prosqhvkhn a[llhn eij" to; cei'ron labovnto" telewvteron. Eij dh; tau'ta ojrqw'" levgomen, tov te e}n ajrch; pavntwn kai; to; e[scaton tw'n o[ntwn e{n: ajnavgkh gavr, oi\mai, to; tevlo" th'" proovdou tw'n o[ntwn oJmoiou'sqai 20 pro;" th;n ajrchvn, kai; mevcri touvtou th;n tou' prwvtou duvnamin h{kein. Sullhvbdhn de; levgwmen ejpanelqovnte" wJ" ajnavgkh th;n ajrch;n th;n prwvthn h] mivan ei\nai, h] polla;" movnon, h] mivan ejn eJauth'/ plh'qo" e[cousan, h] polla;" eJno;" metecouvsa". 25 All eij me;n pollai; movnon, e}n ejx aujtw'n oujk e[stai. Tiv ga;r to; poiou'n e}n kai; o{lon, ei[per aiJ ajrcai; pollaiv, mhdeno;" o[nto" tou' poiou'nto" e{n Dei' ga;r dhvpou tai'" ajrcai'" oJmoiou'sqai ta; met aujtav": h] toivnun oujk e[stai to; e}n ejn oujdeni; tw'n o[ntwn, h] oujk ejk touvtwn e[stai tw'n ajrcw'n, 30 w{ste e{kaston tw'n oJpwsou'n uJfistamevnwn plh'qo" e[stai movnon dih/rhmevnon, kai; tw'n merw'n au\ toiou'ton e{kaston, kai; oujdamou' sthsovmeqa th;n oujsivan kai; to; ei\nai kata-

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realtà più perfette da quelle più imperfette? E allora come mai ciò che ha ottenuto in sorte la facoltà di generare e produrre una cosa perfetta non rende molto prima perfetto e compiuto se stesso per 25 mezzo della facoltà di cui dispone? Inoltre, come mai, abbandonando se stesso a far parte del livello inferiore, riserva ad un altro l’ordinamento superiore? Infatti ogni entità desidera la propria perfezione e in assoluto il bene, ma non ogni cosa può partecipare 29 di tale bene. Certamente l’ultimo, se avrà anche la possibilità di produrre il bene assolutamente perfetto, agirà verso se stesso prima che per gli altri e sarà primissimo, avendo fissato in se stesso il bene nella sua totalità e la perfezione tutta. Se invece l’ultimo 5 viene dal primo e il meno perfetto dal più perfetto, saranno entrambi uno o uno sarà uno mentre l’altro non-uno? Ma se il primo o l’ultimo sono non-uno, nessuno dei due sarà primo né ultimo: infatti , dal momento che v’è in entrambi molteplicità, chiaramente entrambi possederanno sia ciò che è superio- 10 re sia ciò che è inferiore, e né ciò che è in assoluto migliore risulterà puro rispetto a ciò che è inferiore né ciò che è il più indistinto tra tutti in rapporto all’essere si degraderà ad un livello tale da non risultare assolutamente partecipe59 di ciò che è più perfetto. Ma rispetto a ciò che è ultimo vi sarà una cosa in grado maggiore ultima e, d’altro canto, rispetto a ciò che è in assoluto migliore vi sarà 15 una cosa in grado maggiore perfetta. Infatti ciò che è migliore è in ogni ambito più perfetto di ciò che non permane nella condizione di migliore poiché gli si è aggiunto qualcosa di estraneo che lo ha condotto verso ciò che è inferiore. Se queste nostre considerazioni sono corrette, l’uno principio di tutte le cose e ciò che è ultimo tra gli enti sarà uno: infatti è necessario, a mio avviso, che il termine della processione degli enti sia somigliante al principio, e 20 che fino a questo punto giunga la potenza di ciò che è primo. Ricapitoliamo dicendo in breve che è necessario che il Primo Principio o sia uno solo, oppure che siano soltanto molteplici, o uno solo, ma con una molteplicità al suo interno, oppure che siano molteplici, ma partecipi dell’uno. Ma se sono molteplici non 25 deriverà da essi un uno. Quale infatti in questo caso è l’elemento che rende uno e intero, se è vero che i principi sono molteplici, se non v’è nulla che renda uno? Infatti le entità che vengono dopo i principi devono in effetti essere simili ad essi: pertanto o non vi sarà l’uno in nessuno degli enti, oppure non sarà a partire da questi principi che esisterà, sicché ciascuna entità che in un modo 30 qualunque sussiste sarà solo una molteplicità divisa, e tale a sua volta sarà ciascuna delle parti, e in nessun luogo porremo l’essen-

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kermativzonte": pavnta ga;r e[stai pollav, kai; to; e}n oujdamou' tw'n pavntwn ou[te tw'n o{lwn fainovmenon ou[te tw'n merw'n. Eij de; polla;" me;n ei\nai ta;" ajrca;" ajnagkai'on, metevcein de; eJnov", katatetagmevnon e[stai to; e}n ejn toi'" polloi'": dei' de; au\ to; ajkatavtakton ei\nai pantacou' tou' katatetagmevnou presbuvteron kai; tou' metecomevnou to; ejxh/rhmevnon: pw'" gavr ejstin ejn eJkavstw/ tw'n pollw'n to; e}n ãeijà mh; ejk mia'" ajrch'", h} kai; suntavttei to; plh'qo" kai; ejpistrevfei pro;" eJauth;n kata; th;n koinwnivan tou' eJnov" Eij de; au\ to; prw'ton e}n e[stai plhquovmenon, peponqo;" e[stai to; e{n: a{ma ga;r e{n te kai; oujc e}n uJpavrxei kai; oujk e[stai o{per e{n: dei' de; ejn eJkavstw/ gevnei to; ajmige;" ei\nai pro;" to; cei'ron i{n h\/ kai; to; memigmevnon, w{sper dh; kai; peri; tw'n eijdw'n levgomen. Ek ga;r tou' aujtoisou ta; th'/de i[sa fantavzetai me;n wJ" i[sa, th'" ejnantiva" ãde;à ajnapevplhstai fuvsew", kai; tou' prwvtw" o[nto" to; tw'/ mh; o[nti sugkekramevnon kai; ou{tw" ei\nai fainovmenon. Kai; sunovlw" pantacou' to; o{per o]n e{kaston prohgei'tai tw'n di u{fesin ajnamignumevnwn tai'" eJautw'n sterhvsesin. Estin a[ra kai; to; e}n kaq auJto; panto;" plhvqou" ejxh/rhmevnon, kai; to; e}n a{ma kai; oujc e}n ouj prw'ton ajll ejxhvrthtai tou' prwvtw" eJnov", dia; me;n th;n ajrch;n tou' eJno;" metevcon, dia; de; th;n ejlavttwsin plhvqou" h[dh kai; diakrivsew" aijtivan ãejnà eJautw'/ profai'non. ãdVà Oti me;n ou\n to; e}n ajrch; pavntwn kai; aijtiva prwvth kai; o{ti pavnta ta; a[lla tou' eJno;" deuvtera, dia; touvtwn oi\mai gegonevnai katafanev": qaumavzw de; e[gwge touv" te a[llou" a{panta" tou' Plavtwno" ejxhghtav", o{soi th;n noera;n

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za e l’essere in quanto li riduciamo in pezzi. In effetti tutte le cose saranno molteplici, e l’uno in nessuna di tutte le realtà si manifesterà, né tra la totalità, né tra le parti. D’altra parte se è necessario che i principi da un lato siano molteplici, e che dall’altro siano partecipi dell’uno, l’uno risulterà suddiviso tra i molti. Ma bisogna che a sua volta ciò che non è suddiviso sia in ogni ambito più importante di ciò che è soggetto a suddivisione e che ciò che è trascendente lo sia rispetto a ciò che è partecipato: in che modo, infatti, vi può essere in ciascuno dei molti l’uno, se non a partire da un solo principio, il quale mette insieme il molteplice ed al contempo lo fa volgere verso se stesso in base alla comune partecipazione dell’uno? Se invece il Primo a sua volta risulterà un uno moltiplicato, l’Uno risulterà tale in modo condizionato: infatti risulteranno sussistere insieme uno ed al contempo non-uno e non vi sarà l’uno in senso autentico: invece bisogna che in ogni genere di realtà vi sia ciò che non è mescolato a ciò che è inferiore perché vi sia anche ciò che è mescolato, come appunto diciamo anche a proposito delle Forme60. Infatti è a partire dall’uguale-insé che le entità uguali di questo nostro mondo appaiono uguali, mentre invece risultano ricolme della natura opposta, e di ciò che in senso primario è ciò che è mescolato al nonessere e che in tal modo appare essere61. E, in generale, in ogni ambito ogni essere in senso autentico precede gli esseri che, in seguito alla loro degradazione, sono mescolati alle loro proprie privazioni. L’uno di per se stesso è pertanto trascendente ogni forma di molteplicità, ed al contempo l’uno ed insieme non-uno non è primo, ma risulta dipendere dall’uno in senso primario, in quanto, da un lato, in virtù del principio è partecipe dell’uno, dall’altro per via del declino rivela in se stesso già anche una causa di molteplicità e di distinzione.

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[Replica a quanti affermano che il Primo Principio secondo Platone non è al di sopra dell’intelletto, e dimostrazioni tratte dalla “Repubblica”, dal “Sofista”, dal “Filebo” e dal “Parmenide” della realtà dell’Uno sovraessenziale]

Dunque che l’Uno sia principio e causa prima di tutte le cose e che tutte le altre entità sono seconde all’Uno, ritengo che attraverso queste argomentazioni risulti palese. D’altra parte io personalmente mi meraviglio di tutti quanti gli altri esegeti di Platone

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basileivan ejn toi'" ou\si proshvkanto, th;n de; tou' eJno;" a[rrhton uJperoch;n kai; tw'n o{lwn ejkbebhkui'an u{parxin oujk ejsevfqhsan, kai; dh; diaferovntw" Wrigevnhn to;n tw'/ Plwtivnw/ th'" aujth'" metascovnta paideiva". Kai; ga;r au\ kai; 10 aujto;" eij" to;n nou'n teleuta'/ kai; to; prwvtiston o[n, to; de; e}n to; panto;" nou' kai; panto;" ejpevkeina tou' o[nto" ajfivhsi: kai; eij me;n wJ" krei'tton aJpavsh" gnwvsew" kai; panto;" lovgou kai; pavsh" ejpibolh'", ou[t a]n th'" tou' Plavtwno" sumfwniva" ou[t a]n th'" tw'n pragmavtwn fuvsew" aujto;n aJmartavnein 15 ejlevgomen: eij d o{ti pantelw'" ajnuvparkton to; e}n kai; ajnupovstaton kai; o{ti to; a[riston oJ nou'" kai; wJ" taujtovn ejsti to; prwvtw" o]n kai; to; prwvtw" e{n, ou[t a]n hJmei'" aujtw'/ tau'ta sunomologhvsaimen ou[t a]n oJ Plavtwn ajpodevxaito kai; toi'" eJautou' gnwrivmoi" sunariqmhvseie. Povrrw gavr, 20 oi\mai, to; toiou'ton dovgma th'" tou' Plavtwno" filosofiva" ejstevrhtai kai; th'" Peripathtikh'" ajnapevplhstai kainotomiva". Eij de; bouvlei, kai; pro;" tou'ton kai; pro;" tou;" a[llou" a{panta", o{soi th'" aujth'" proevsthsan dovxh", mikra; dievlqwmen uJpe;r th'" Plavtwno" gnwvmh" diagwni25 zovmenoi kai; deiknuvnte" o{ti th;n prwtivsthn aijtivan ejpevkeina tou' nou' kai; tw'n o[ntwn aJpavntwn ejxh/rh'sqaiv fhsi, kaqavper aujto;n Plwti'nov" te kai; Porfuvrio" kai; pavnte" oiJ th;n touvtwn paradexavmenoi filosofivan oi[ontai levgein. 32 Arxwvmeqa toivnun ajpo; th'" Politeiva". Kai; ga;r ejntau'qa diarrhvdhn oJ Swkravth" to; ajgaqo;n uJperidru'sqai tou' te o[nto" kai; tou' noerou' diakovsmou panto;" ejpideivknusi th'/ pro;" to;n h{lion ajnalogiva/ th'" prwtivsth" ajgaqovthto" 5 eJpovmeno". Eij ga;r wJ" e[cei pro;" th;n gevnesin kai; pa'n to; oJrato;n kai; ta; oJrw'nta pavnta kata; th;n gennhtikh;n tou' fwto;" duvnamin oJ basileu;" Hlio", ou{tw" ajnavgkh kai; to; ajgaqo;n e[cein pro;" to;n nou'n kai; ta; nohta; kata; th;n th'" ajlhqeiva" oijstikh;n aijtivan, tw'n me;n oJrwvntwn oJmou' kai; 10 tw'n oJrwmevnwn kata; mivan uJperoch;n to;n h{lion ejxh/rh'sqai fhvsomen, tw'n de; noouvntwn ajei; kai; nooumevnwn ejkbebhkevnai to; ajgaqo;n sugcwrhvsomen. Oujde;n de; oi|on kai; aujtw'n ajkou'sai tw'n Platwnikw'n rJhmavtwn: To;n h{lion toi'" oJrwmevnoi" ouj movnon, oi\mai, th;n tou' oJra'sqai 15 duvnamin parevcein fhvsei" ajlla; kai; th;n gevnesin kai; au[xhn kai; trofhvn, ouj gevnesin aujto;n o[nta. Pw'" gavr Kai; toi'" ginwskomevnoi" toivnun mh; movnon to; ginwvskesqai favnai me uJpo; tou' ajgaqou'

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che hanno ammesso negli enti il regno intellettivo, ma che non hanno venerato la eccellenza ineffabile dell’Uno e la sua realtà che sta al di fuori della totalità delle cose, e in modo particolare di Origene62 che ha potuto godere della stessa formazione avuta da Plotino63. Ed infatti a sua volta anch’egli arriva alla 10 fine a concepire l’Intelletto e il primissimo Essere, ma non tiene conto dell’Uno posto al di là dell’Intelletto e di tutto l’Essere. E se in quanto è superiore ad ogni forma di conoscenza, ad ogni ragionamento e ad ogni intuizione, non diremmo che gli sfugge l’accordo con Platone né la natura delle cose. Se però perché l’Uno è assolutamente inesi- 15 stente e privo di realtà e perché l’entità migliore è l’Intelletto e perché a suo giudizio ciò che è in primo luogo Essere e ciò che è in primo luogo Uno sono la stessa cosa, né noi potremmo essere d’accordo su queste cose con lui, né Platone lo annovererebbe fra i suoi seguaci. Infatti , a mio giudizio, ha tolto dall’in- 20 terno della filosofia di Platone tale dottrina e ne ha colmato il vuoto lasciatovi con l’innovazione peripatetica. Ma se si vuole, sia contro di lui sia contro tutti quanti gli altri che si sono fatti propugnatori della medesima opinione, soffermiamoci brevemente a batterci in difesa dell’autentica concezione di Platone e a mostra- 25 re che egli afferma che la primissima causa trascende l’Intelletto e tutti quanti gli enti, come Plotino ed anche Porfirio e tutti quelli che hanno accolto la loro filosofia ritengono che egli affermi. Cominciamo pertanto dalla Repubblica. E lì in effetti Socrate 32 mette esplicitamente in luce che il Bene è posto al di sopra dell’essere e di tutto l’ordinamento intellettivo seguendo l’analogia della primissima bontà rispetto al sole64. Se infatti, come è in base alla 5 potenza generatrice della luce che il re Sole è in relazione alla generazione, a tutto il visibile e a tutti gli esseri che vedono, così è necessario che sia anche il Bene, in base alla causa apportatrice della verità, rispetto a ciò che ha intellezione e agli oggetti intelligibili, da un lato allora diremo che in base ad una forma unica di 10 eccellenza il sole risulta separato nello stesso tempo dagli esseri che vedono e dalle entità che sono viste, dall’altro converremo che il Bene risulta trascendere gli esseri che sempre hanno intellezione e le entità che sono oggetto di intellezione. Ma niente è come ascoltare le parole stesse di Platone: «il Sole, tu dirai, – io credo –conferisce alle entità che sono viste non solo la possibilità di esse- 15 re viste, ma anche la generazione e la crescita ed il nutrimento, benché esso stesso non sia generazione. — Come infatti ? — E pertanto io dico che alle entità che vengono cono-

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parei'nai ajlla; kai; to; ei\naiv te kai; th;n oujsivan uJp ejkeivnou aujtoi'" prosei'nai, oujk oujsiva" o[nto" tou' ajgaqou', ajll e[ti ejpevkeina th'" oujsiva" presbeiva/ te kai; dunavmei uJperevconto". Dia; dh; touvtwn pavntwn katafane;" o{pw" to; ajgaqo;n kai; th;n prwtivsthn ajrch;n ouj tou' noerou' movnon plavtou" ajlla; 25 kai; tou' nohtou' kai; th'" oujsiva" uJperhplw'sqai kaq e{nwsin ajforivzetai, kaqavper dh; kai; to;n h{lion aJpavntwn tw'n oJratw'n uJperevcein kai; pavnta teleiou'n tw'/ fwti; kai; genna'n 33 sullogivzetai. Pw'" ou\n e[ti to;n nou'n tw'/ Plavtwni sunepovmenoi to; a[riston ei\nai kai; th;n tw'n o{lwn aijtivan sugcwrhvsomen Pw'" de; aujto; to; o]n kai; th;n oujsivan eij" taujto;n a[xomen th'/ pasw'n ejxhgoumevnh/ tw'n qeivwn proovdwn ajrch'/ 5 Kai; ga;r hJ oujsiva kai; oJ nou'" ajpo; tou' ajgaqou' prwvtw" uJfestavnai levgetai kai; peri; to; ajgaqo;n th;n u{parxin e[cein, kai; plhrou'sqai tou' th'" ajlhqeiva" fwto;" ejkei'qen proi>ovnto", kai; th'" ejpiballouvsh" aujtoi'" meqevxew" ejk th'" eJnwvsew" tou' fwto;" touvtou tugcavnein, o} dh; kai; aujtou' 10 tou' nou' kai; th'" oujsiva" ejsti; qeiovteron, wJ" tou' ajgaqou' prwvtw" ejxhrthmevnon kai; ejn toi'" ou\si th'" pro;" to; prw'ton oJmoiovthto" paraktikovn. Kai; ga;r to; oJrato;n pa'n hJlioeide;" ajpotelei' to; fw'" to; ajf hJlivou proballovmenon, kai; to; nohto;n ajgaqoeide;" ajpergavzetai kai; qei'on 15 hJ tou' fwto;" ejkeivnou metousiva. Kai; oJ nou'" a[ra qeo;" dia; to; fw'" to; noerovn, kai; to; nohto;n to; kai; aujtou' tou' nou' presbuvteron dia; to; fw'" to; nohtovn, kai; to; nohto;n oJmou' kai; to; noero;n dia; th;n eij" aujto; kaqhvkousan tou' fwto;" ajpoplhvrwsin th'" qeiva" uJpavrxew" meteivlhfe, kaiv, i{na 20 sullhvbdhn ei[pwmen, e{kaston tw'n qeivwn dia; tou'to kai; e[stin o} levgetai kai; th'/ pavntwn aijtiva/ tw'n o[ntwn sunhvnwtai. Pollou' a[ra dei' to; prwvtiston ajgaqo;n eij" taujto;n h{kein tw'/ nw'/ kai; to; nohto;n aJpavsh" oJmou' th'" uJpavrxew" tw'n o{lwn ei\nai presbuvteron, o} kai; tou' fwtov" ejsti deuvteron 25 tou' proi>ovnto" ejk tou' ajgaqou', kai; teleiouvmenon ejk touvtou sunavptetai kata; th;n auJtou' tavxin pro;" aujto; to; ajgaqovn. Ouj ga;r to;n aujto;n trovpon tov te nohto;n tw'/ prwvtw/ kai; 34 to; fw'" hJnw'sqai fhvsomen, ajlla; to; me;n dia; th;n pro;" aujto; sunevceian ajmevsw" ejnidru'sqai tw'/ ajgaqw'/, to; de; dia; tou'to th'" pro;" ejkei'no geitniavsew" metalagcavnein: ejpei; kajn 20

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sciute proviene dal Bene non solo l’essere conosciute, ma anche l’essere ed al contempo l’essenza ad opera sua sono ad esse aggiunti, 20 benché il Bene non sia essenza, ma ancora al di là dell’essenza per dignità ed al contempo per potenza»65. Certamente attraverso queste affermazioni appare palese in che modo, secondo la definizione di Platone, il Bene ed il Primissimo Principio, non solo rispetto alla dimensione intellettiva, ma anche all’intelligibile e all’essenza, risultino, in considerazione della 25 unificazione, al di sopra per semplicità, allo stesso modo appunto in cui conclude che il sole sta al di sopra di tutti quanti i visibili e con la luce porta a compimento e genera tutte le cose. Come dun- 33 que, dando retta a Platone, potremo ancora convenire che l’Intelletto è l’entità migliore e la causa della totalità delle cose? Come inoltre potremo considerare l’Essere in sé e l’essenza identici al principio che è guida di tutte le processioni divine? Ed in effetti 5 l’essenza e l’Intelletto si dice che hanno avuto sussistenza principalmente ad opera del Bene, che intorno al Bene hanno la loro esistenza, che sono colmi della luce, da lì proveniente, della verità, e che ricevono dall’unificazione la partecipazione, che si riversa su di loro, a questa luce, la quale è più divina dell’Intelletto stesso e 10 dell’essenza, considerato che essa risulta dipendere principalmente dal Bene e negli enti è apportatrice della somiglianza a ciò che è primo. Ed infatti tutto ciò che è visibile è la luce che promana dal sole a farlo diventare «simile al sole», e a rendere l’intelligibile «simile al Bene»66 e divino è la partecipazione alla sua luce67. E 15 l’Intelletto pertanto è divinità in virtù della luce intellettiva, e l’intelligibile che è più elevato dell’Intelletto in virtù della luce intelligibile, e ciò che è ad un tempo intelligibile e intellettivo in virtù della pienezza della luce, che discende verso esso, risulta partecipe della realtà divina, e, per dirla in breve, è in virtù 20 di questa luce che ciascuna delle divinità è ciò che si dice ed al contempo risulta unificata alla causa di tutti gli enti. Siamo pertanto molto lontani dalla possibilità che il primissimo Bene giunga all’identità con l’Intelletto ed al contempo che l’intelligibile sia più importante di tutta quanta l’esistenza della totalità delle cose, intelligibile che è anche inferiore alla luce che provie- 25 ne dal Bene, e che, essendo reso perfetto a partire da questa, è connesso, conformemente al proprio ordinamento, al Bene stesso. Infatti non allo stesso modo diremo che l’intelligibile e la luce risultano uniti a ciò che è primo, ma l’una in virtù della connessio- 34 ne con esso risiede direttamente nel Bene, mentre l’altro è in virtù di questa connessione che partecipa della prossimità ad esso. Ed

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toi'" aijsqhtoi'" to; me;n hJliako;n fw'" aujth'/ th'/ tou' hJlivou perifora'/ prwvtw" sumfuvetai, kai; pro;" to; kevntron th'" o{lh" sfaivra" ajnh'ktai kai; peri; aujto; pantacovqen uJfivstatai, ta; de; pavnta tau'ta dia; tou'to th'" pro;" to;n h{lion oJmoiovthto" tugcavnei, kata; th;n eJautou' fuvsin e{kaston th'" hJlioeidou'" plhrouvmenon ejllavmyew". 10 Hn me;n ou\n kai; tau'ta toi'" th'" ajlhqeiva" filoqeavmosin iJkana; th'" tou' Plavtwno" ajnamnh'sai dianoiva" kai; th;n tou' nou' tavxin deutevran ajpofh'nai th'" ejxh/rhmevnh" tou' eJno;" uJperoch'": eij de; dei' dia; pleiovnwn to; aujto; katadhvsasqai marturiw'n, skeywvmeqa tivna peri; touvtwn 15 oJ Eleavth" xevno" ejn tw'/ Sofisth'/ diorivzetai. Levgei dh; ou\n ejkei'no" o{ti to; me;n plh'qo" tw'n o[ntwn aJpavntwn, ei[t ou\n ejnantivwn o[ntwn ei[te kai; mhv, tou' eJno;" o[nto" ejxavptein ajnavgkh, to; de; e}n o]n aujto; tou' eJnov". Kai; ga;r o{tan to; qermo;n h] to; yucro;n h] th;n stavsin h] th;n kivnhsin o]n levgwmen, 20 oujc wJ" aujto; touvtwn e{kaston o]n prosagoreuvomen: ei[te ga;r hJ stavsi" aujto; o[n, oujk a]n h\n hJ kivnhsi" o[n: ei[te hJ kivnhsi" o]n toiou'ton, oujk a]n meteilhvcein hJ stavsi" th'" tou' o[nto" ejpwnumiva". Alla; dh'lon o{ti to; ei\nai tou'to kai; th'/ stavsei kai; th'/ kinhvsei kai; panti; tw'/ plhvqei tw'n o[ntwn 25 ejx eJno;" ejfhvkei tou' prwvtw" o[nto". Aujto; de; a[ra tou'to to; pa'si th'" oujsiva" ai[tion kai; uJpo; tw'n a[llwn aJpavntwn metecovmenon tou'de tou' eJnov" ejsti meteilhfov", kai; dia; tou'to ouj movnon ejsti;n o]n ajlla; kai; e{n, kai; oujc w{sper 35 prwvtw" ejsti;n o]n ou{tw" ejsti; kai; prwvtw" e{n, ajlla; aujto; me;n o]n kai; ouj kata; metoch;n to; ei\nai keklhrwmevnon, e}n de; kata; mevqexivn ejsti: kai; dia; tou'to pevponqe me;n to; e{n, e[sti de; to; o]n prwvtw". Eij toivnun ãto; e}nà e[ti ejpevkeina tou' 5 o[nto" oJ Plavtwn ajpodivdwsin uJpavrcon, kaqavper dh; kai; tw'n o[ntwn ejkbebhko;" to; prwvtiston  ejn toi'" o{loi" uJpotivqesqai: nou'" ga;r hJ prwtivsth kai; o]n ou\sa fuvsi": to; de; o]n pw'" ouj tou' eJno;" deuvteron, metevcon ejkeivnou kai; dia; tou'to prosagoreuovmenon e{n 10 Kai; mh;n kai; oJ ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth" to; aujto; safw'" ejpideivknusi toi'" ejk tw'n merw'n ta; o{la ginwvskein duna5

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in effetti anche nell’ambito dei sensibili la luce solare è naturalmente congiunta alla rotazione stessa del sole, ed è ricondotta verso il centro dell’intera sfera68 ed intorno ad esso risulta sussi- 5 stere da ogni parte, mentre tutti i sensibili in virtù di essa ottengono la somiglianza al sole, in quanto ciascuno conformemente alla propria natura si colma della irradiazione “simile al Sole”. Erano proprio queste, dunque, le considerazioni sufficienti 10 per far ricordare «agli amanti della contemplazione della verità»69 il pensiero di Platone e per rendere manifesto il livello inferiore occupato dall’Intelletto rispetto alla trascendente superiorità dell’Uno. Ma se lo stesso lo si deve attestare attraverso più testimonianze, prenderemo in esame quali definizioni intorno a tali questioni proponga lo Straniero di Elea nel Sofista70. Ebbene, quello 15 afferma che la molteplicità di tutti quanti gli enti, sia dunque quelli che sono fra loro opposti sia quelli che non lo sono, è necessario che sia originariamente legata all’Uno-che-è, e a sua volta lo stesso Uno-che-è lo sia all’Uno. Ed infatti allorché diciamo parte dell’essere il caldo o il freddo o la quiete o il movimento, non denominiamo ciascuno di questi come essere in sé: se infatti la quiete fosse essere in sé, il movimento non farebbe parte dell’es- 20 sere; ed allo stesso modo se il movimento fosse stato tale essere, la quiete non sarebbe risultata71 partecipe della denominazione di “essere”. Ma è chiaro che questo essere, sia alla quiete sia al movimento sia a tutta la molteplicità degli enti, giunge da un uno che è essere in senso primo. Questo stesso essere pertanto, che è causa 25 per tutte le cose dell’essenza e che è partecipato da tutte quante le altre entità, risulta partecipe di questo uno, e attraverso esso non solo è essere, ma anche uno, e non è uno in senso primario 35 così come è essere in senso primario, ma da un lato è essere in sé cui l’essere non è toccato in sorte per partecipazione, dall’altro invece è uno per partecipazione. E per questo motivo possiede il carattere dell’uno come acquisito da altro, mentre è in senso primo l’Essere. Se pertanto Platone definisce come esi- 5 stente ancora al di là dell’essere, allo stesso modo in cui che il primissimo trascende gli enti, 72 sia posto tra la totalità delle cose: in effetti l’Intelletto è la primissima natura che è anche essere. E allora l’essere come è possibile che non sia inferiore all’Uno, in quanto è di quello partecipe e per questo motivo è chiamato “uno”? Ed in verità anche il Socrate del Filebo a coloro che sono in 10 grado di conoscere la totalità a partire dalle sue parti dimostra

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mevnoi", wJ" a[ra oJ nou'" tw'/ prwtivstw/ th;n aujth;n oujk a]n e[coi tavxin. To; gou'n ajgaqo;n ejpizhtw'n th'" ajnqrwpivnh" yuch'" kai; to; tevlo" ou| metascou'sa pantavpasin iJkanw'" a]n e[coi, 15 th;n proshvkousan eujdaimonivan karpoumevnh, thvn te hJdonh;n prw'ton ajposkeuavzetai tou' toiouvtou tevlou" kai; meta; tauvthn to;n nou'n, wJ" oujde; tou'ton a{pasi toi'" tou' ajgaqou' stoiceivoi" sumpeplhrwmevnon. Eij toivnun kai; oJ ejn hJmi'n nou'" eijkw;n tou' prwvtou nou', kai; kata; tou'ton movnon 20 to; ajgaqo;n oujk e[stin ajforivsasqai th'" sumpavsh" hJmw'n zwh'", pw'" oujk ajnavgkh kai; ejn ejkeivnoi" th;n tw'n ajgaqw'n aijtivan uJperidru'sqai th'" noera'" teleiovthto" Eij ga;r h\n to; prwvtw" ajgaqo;n kata; to;n o{lon nou'n, kai; hJmi'n a]n kai; toi'" a[lloi" a{pasi kata; th;n tou' nou' metousivan hJ 25 aujtavrkeia kai; to; oijkei'on ajgaqo;n parh'n. All oJ me;n 36 hJmevtero" nou'" tou' ajgaqou' dievzeuktai kai; e[stin ejndehv", kai; dia; tou'to dhvpou kai; th'" hJdonh'" dei'tai pro;" th;n teleiovthta th;n ajnqrwpivnhn: oJ dev ge qei'o" nou'" ajei; tou' ajgaqou' metevcei kai; sunhvnwtai pro;" aujto; kai; dia; tou'to 5 qei'ov" ejsti ãkai; ajgaqoeidhv"Ã, ajgaqoeidh;" me;n w]n kata; th;n tou' ajgaqou' metousivan, qei'o" de; wJ" th'" prwvth" qeovthto" ejxhrthmevno". O aujto;" toivnun lovgo" tov te ajgaqo;n ejxh/rh'sqai tou' prwtivstou nou' kai; th;n eujdaimonivan ouj kata; th;n novhsin movnon ajlla; kata; th;n pantelh' tou' 10 ajgaqou' parousivan ajforivzetai: to; ga;r noero;n th'" ejnergeiva" ei\do" aujto; kaq auJto; pro;" to; makavrion ejllipev". Kai; tiv dei' polla; levgonta" diatrivbein O gavr toi Parmenivdh" hJma'" ajnadidavskei safevstata th;n tou' eJno;" pro;" th;n oujsivan kai; to; ei\nai diaforovthta, kai; o{ti tw'n 15 te a[llwn aJpavntwn ejxhv/rhtai to; e}n kai; th'" oujsiva": tou'to ga;r ejpi; tevlei th'" prwvth" uJpoqevsew" tou' eJno;" ajpevfhnec: to; de; th'" oujsiva" ai[tion kai; kat a[kran uJperoch;n ejxh/rhmevnon, pw'" oujci; kai; th'" noera'" e[stai tavxew" ejpevkeina Kai; ga;r oJ nou'" oujsiva. Eij de; ejn tw'/ nw'/ kai; stavsi" ejsti; kai; 20 kivnhsi", to; de; e}n ejkbebhkevnai touvtwn ejpideivknusin oJ Parmenivdh", pw'" oujk aujtovqen hJma'" ejfivsthsi th'/ pro; nou' panto;" ajrrhvtw/ tw'n o{lwn aijtiva/ Kai; eij pa'" nou'" eij" auJto;n e[straptai kai; ejn eJautw'/ ejsti, to; de; e}n ou[te ejn

c Non mi pare necessaria la correzione proposta dagli Editori: ajpevfhse al posto del tràdito ajpevfhne.

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chiaramente la stessa cosa, cioè che l’Intelletto non potrebbe occupare lo stesso livello di ciò che è Primissimo73. In effetti egli, ricercando il bene dell’anima umana ed il fine partecipando del quale essa si troverebbe in una adeguata condizione74, in quanto 15 godrebbe il frutto della felicità ad essa confacentesi, dapprima esclude da tale fine sia il piacere sia, dopo questo, l’intelletto, nella convinzione che neppure questo sia ricolmo di tutti i caratteri fondamentali del Bene75. Se allora l’intelletto insito in noi è immagine del primo Intelletto, e se non è possibile definire solo in base a 20 quest’ultimo il bene di tutta la nostra esistenza nel suo insieme, non è forse necessario che anche in quell’ambito76 la causa dei beni sia posta ad un livello superiore rispetto alla perfezione intellettiva?77 Se infatti ciò che è in modo primario Bene fosse conforme all’Intelletto nella sua interezza, in base alla partecipazione all’intelletto sarebbero presenti presso di noi ed al contempo presso tutte quante le altre entità l’autosufficienza ed il bene specifico. 25 Ma il nostro intelletto risulta disgiunto dal bene e ne sente il biso- 36 gno, e per questo a mio avviso v’è anche bisogno del piacere perché l’essere umano giunga a perfezione. Dal canto suo l’intelletto divino per lo meno è sempre partecipe del Bene e risulta unificato ad esso e per questo è divino78, essendo da un lato di forma 5 simile al Bene in base alla partecipazione del Bene, dall’altro divino in quanto risulta dipendere dalla prima forma di divinità. Lo stesso ragionamento dunque determina che il Bene risulta trascendere il primissimo Intelletto ed al contempo che la felicità non è conseguente alla intellezione solamente, ma alla completa presen- 10 za del Bene: infatti la realtà intellettiva è una immagine in sé e per sé priva dell’attività che conduce alla condizione di beatitudine. Ma perché si deve perdere tempo a dare molte spiegazioni? Infatti Parmenide certamente ci illustra nel modo più chiaro la differenza dell’Uno rispetto all’essenza ed all’essere, ed il fatto che l’Uno oltre a tutte quante le altre cose trascende anche l’essenza: 15 ciò infatti lo ha dichiarato alla fine della prima ipotesi dell’Uno79. D’altronde ciò che è causa dell’essenza ed è trascendente in base ad una assoluta superiorità, come potrà non essere anche al di sopra dell’ordinamento intellettivo? Ed infatti l’Intelletto è essenza. Inoltre se nell’Intelletto v’è sia quiete sia movimento, mentre 20 Parmenide dimostra che dal canto suo l’Uno è posto al di fuori di questi80, come può non essere che proprio a partire da questa considerazione ci conduca all’ineffabile Causa, precedente tutto l’Intelletto, della totalità delle cose? E se ogni intelletto risulta rivolto verso se stesso ed è in se stesso, mentre dimostra che l’Uno dal

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auJtw'/ deivknutai o]n ou[te ejn a[llw/, pw'" e[ti to;n nou'n eij" taujto;n a[xomen tw'/ prwvtw/ Tivni de; au\ kai; dioivsei tou' eJno;" o[nto", o} kata; th;n deutevran uJpovqesin ejlambavnomen, to; 37 pro; tou' o[nto" e{n, eij a[ristovn ejstin oJ nou'" kai; ªhJº prwtivsth tw'n o{lwn ajrchv To; ga;r e}n o]n metevcei tou' eJnov": to; de; metevcon tou' metecomevnou deuvteron. 25

eV All o{ti me;n kata; Plavtwna to; e}n tou' nou' kai; th'" oujsiva" presbuvteron dia; touvtwn uJpemnhvsqh: meta; de; tau'ta qewrhtevon, eij ou[te nohtovn ejstin ou[te noero;n ou[q o{lw" th'" tou' o[nto" metevcei dunavmew", tivne" a]n ei\en trovpoi th'" pro;" aujto; ajnagwgh'" kai; dia; poivwn oJ Plavtwn 10 ejpibolw'n toi'" eJautou' gnwrivmoi" th;n a[rrhton tou' prwvtou kai; a[gnwston ejkfaivnei kata; duvnamin uJperochvn. Levgw toivnun o{ti pote; me;n di ajnalogiva" aujto; kai; th'" tw'n deutevrwn oJmoiovthto" ejmfanivzei, pote; de; dia; tw'n ajpofavsewn to; ejxh/rhmevnon aujtou' kai; ajf o{lwn oJmou' tw'n 15 o[ntwn ejkbebhko;" ejpideivknusin. En Politeiva/ me;n ga;r dia; th'" pro;" to;n h{lion ajnalogiva" th;n a[fraston ijdiovthta kai; u{parxin tou' ajgaqou' memhvnuken: ejn de; au\ tw'/ Parmenivdh/ dia; tw'n ajpofavsewn th;n tou' eJno;" pro;" pavnta ta; met aujto; diafora;n ejnedeivxato. Dokei' d e[moige kata; me;n to;n 20 e{teron tw'n trovpwn th;n provodon ejkfaivnein th;n ajp ejkeivnou tw'n te a[llwn aJpavntwn kai; pro; tw'n a[llwn tw'n qeivwn diakovsmwn: dia; ga;r tou'to pavntwn ejxhv/rhtai tw'n uJp aujtou' paragomevnwn, o{ti to; ai[tion pantacou' tw'n oijkeivwn ajpotelesmavtwn uJperivdrutai, kai; dia; tou'to oujdevn ejsti tw'n 25 pavntwn, o{ti pavnta ajp aujtou' proelhvluqen: ajrch; gavr 38 ejsti tw'n pavntwn, kai; tw'n o[ntwn oJmou' kai; tw'n mh; o[ntwn. Kata; de; au\ to;n e{teron th;n pro;" aujto; tw'n proelqovntwn ejpistrofh;n ajpeikonivzetai: dia; ga;r th;n oJmoiovthta th;n 5

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canto suo non è né in se stesso né in altro, come potremo ancora ritenere l’intelletto identico a ciò che è Primo? Inoltre in cosa a 25 sua volta differirà dall’Uno-che-è, che assumevamo81 in base alla seconda ipotesi, quell’Uno che viene prima dell’essere, se l’Intel- 37 letto è l’entità migliore e il primissimo principio della totalità delle cose? Infatti l’Uno-che-è partecipa dell’Uno, ma ciò che partecipa è inferiore a ciò che è partecipato. 5 [Quali sono secondo Platone le modalità dell’ascesa all’Uno, e che esse sono due, quella “attraverso analogia” e quella “attraverso le negazioni”, e in quali luoghi Platone tratta ciascuna di esse e per quale ragione] Ebbene, il fatto che secondo Platone l’Uno è preminente ri- 5 spetto all’Intelletto e all’essenza, è stato ricordato attraverso queste considerazioni82. D’altro canto dopo ciò bisogna considerare, se non è né intelligibile né intellettivo, né in assoluto partecipa della potenza dell’essere, quali potrebbero essere le modalità per ascendere ad esso e attraverso quali procedimenti intuitivi Platone riveli ai suoi seguaci la superiorità, ineffabile e inconoscibile per 10 potenza, di ciò che è Primo. Affermo pertanto che una volta è attraverso l’analogia e la somiglianza delle realtà seconde che egli lo fa apparire, un’altra è invece attraverso le negazioni che dimostra la sua trascendenza ed 15 al contempo la sua “ulteriorità” rispetto alla totalità degli enti. Infatti nella Repubblica attraverso l’analogia con il sole ha celebrato l’indicibile peculiarità e sussistenza del Bene83; d’altro canto nel Parmenide a sua volta attraverso le negazioni ha messo in luce la differenza dell’Uno rispetto a tutte le entità che vengono dopo di esso84. Inoltre a me personalmente sembra che in base alla seconda 20 delle due modalità egli riveli la processione a partire dall’Uno di tutte quante le altre entità ed al contempo, prima di tutti gli altri, degli ordinamenti divini. Infatti è per tale ragione che 85 trascende tutte le realtà che da esso sono prodotte, cioè perché in ogni ambito ciò che è causa è posto al di sopra dei propri effetti, ed è per tale ragione che non è nessuna di tutte le cose, ossia per- 25 ché tutte risultano procedere a partire da esso: infatti è principio di tutte le cose, al tempo stesso sia di quelle che sono sia di quelle 38 che non sono. Invece in base all’altra modalità viene rappresentata la conversione verso di esso delle realtà che sono procedute:

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pro;" ejkei'no kaq eJkavsthn tw'n o[ntwn tavxin ajnavlogon uJpevsth tw'/ ajgaqw'/ monav", tou'to ou\sa pro;" o{lon to;n suvzugon auJth'" ãajriqmo;nà o} pro;" aJpavsa" ejsti; ta;" tw'n qew'n diakosmhvsei" tajgaqovn: th'" de; oJmoiovthto" tauvth" hJ pro;" ejkei'no tw'n o{lwn ejpistrofh; pavntw" aijtiva. Tau't ou\n kai; proveisin ejkei'qen kai; ejpevstraptai pro;" 10 ejkei'no: kai; hJ me;n provodo" tw'n pavntwn th;n dia; tw'n ajpofavsewn hJmi'n ejxevfhnen ejpi; to; prw'ton a[nodon, hJ de; ejpistrofh; th;n dia; tw'n ajnalogiw'n. Kaiv moi mhdei;" mhvte ta;" ajpofavsei" tauvta" oi|on sterhvsei" ei\nai tiqevmeno" ajtimazevtw to;n toiou'ton tw'n 15 lovgwn trovpon, mhvte th;n ajnalogivan ejn lovgwn taujtovthti tou;" de; lovgou" ejn scevsesin ajforizovmeno" diabavllein ejpiceireivtw th;n ajnagwgo;n tauvthn poreivan ejpi; th;n prwtivsthn ajrchvn. AiJ me;n ga;r ajpofavsei" triplh'n, wJ" ejmoi; dokou'sin, ejn toi'" pravgmasin ijdiovthta proteivnousi: kai; 20 pote; me;n ajrcoeidevsterai tw'n katafavsewn ou\sai, gennhtikai; kai; teleiwtikai; th'" ajpogennhvsew" aujtw'n uJfesthvkasi: pote; de; th;n suvstoicon tai'" katafavsesin ejklhrwvsanto tavxin kai; oujde;n ma'llon hJ katavfasi" th'" ajpofavsew" semnotevra: pote; de; au\ katadeestevran e[lacon fuvsin tw'n 25 katafavsewn kai; oujde;n ajll h] sterhvsei" eijsi;n ejkeivnwn. Kai; ga;r to; mh; o]n aujto; par w|/ kai; hJ ajpovfasi" tw'n o[ntwn ejstivn, oJte; me;n ejpevkeina tou' o[nto" tiqevmenoi levgomen wJ" ai[tiovn ejsti kai; wJ" paraktiko;n tw'n o[ntwn: oJte; de; tw'/ o[nti suvzugon ajpofainovmeqa kaqavper, oi\mai, kai; oJ Eleavth" 39 xevno" oujde;n to; mh; o]n tou' o[nto" e[latton, eij qevmi" eijpei'n, ejpideivknusin: oJte; de; tou' o[nto" stevrhsin kai; ejndee;" tou' o[nto" ajpoleivpomen aujtov: kata; ga;r tou'ton dhladh; to;n trovpon kai; th;n gevnesin pa'san kai; th;n u{lhn 5 mh; o]n ajpokalou'men. AiJ de; ajnalogivai di e[ndeixin movnon th'" pro;" ejkei'no tw'n deutevrwn oJmoiwvsew" paralambavnontai, kai; ou[te lovgo" oujdei;" ou[te scevsi" ou[te koinwniva th'" prwtivsth" ajrch'" pro;" ta; met aujth;n ejk touvtwn ajnafaivnetai. Kai; 10 ga;r to; ejxh/rhmevnon aujth'" ouj toiou'tovn ejstin oi|on ejpi; tw'n deutevrwn kai; trivtwn qewrei'tai diakovsmwn, ajlla; pollw'/ meizovnw" tajgaqo;n uJperevcei tw'n o{lwn h] oJ nou'" tw'n met aujtovn, ei[te oJ dhmiourgiko;" ou|to" ei[te oJ tou' panto;" 5

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infatti, è in virtù della somiglianza con quello che per ciascun ordinamento degli enti è venuta a sussistere una monade analoga al 5 Bene, la quale in rapporto all’insieme della 86 che è ad essa congiunta è ciò che è il Bene rispetto a tutti quanti gli ordinamenti divini; di questa somiglianza, d’altra parte, la causa è senza dubbio la conversione verso l’Uno della totalità delle cose. Queste dunque procedono da lì ed al contempo risultano convertirsi verso 10 esso. E la processione di tutte le cose ci ha rivelato l’ascesa verso il Primo, la quale avviene attraverso le negazioni, mentre la conversione ci ha rivelato l’ascesa che avviene attraverso le analogie. E nessuno, mi raccomando, per quel che concerne tale modalità di discorsi, disprezzi né le negazioni, ritenendo che queste siano per così dire privazioni, né l’analogia, ritenendola un’identi- 15 tà di rapporti, ma, limitandosi a considerare i rapporti come una serie di relazioni, cerchi di screditare il percorso che conduce in alto al primissimo Principio. In effetti le negazioni, a mio modo di vedere, presentano nella realtà tre tipi di proprietà: talvolta, in 20 quanto sono per forma più originarie delle affermazioni, sono risultate generatrici e perfezionatrici dei prodotti che hanno generato; talaltra hanno avuto in sorte il livello corrispondente alle affermazioni e assolutamente in nulla l’affermazione risulta più venerabile della negazione; talaltra ancora hanno ricevuto una natura inferiore alle affermazioni e ad esse non appartiene nien- 25 t’altro se non privazioni. Ed infatti il non-essere stesso nel quale si trova anche la negazione degli enti, ora, considerandolo al di là dell’essere, diciamo che è principio causale e produttivo degli enti; ora invece lo facciamo apparire in connessione con l’essere, come appunto, a mio giudizio, fa anche lo Straniero di Elea il 39 quale dimostra che: «in nulla il non-essere è inferiore all’essere, se è lecito dirlo»87; ora infine come privazione dell’essere e mancante dell’essere lo tralasciamo. In effetti è in base a questa ultimo modo di intenderlo che sia tutta la generazione sia la materia le 5 denominiamo non-essere. Dal canto loro le analogie sono assunte solo come dimostrazione della somiglianza delle realtà seconde rispetto a quello88, e né alcun rapporto né relazione né comunanza del primissimo Principio rispetto alle realtà che vengono dopo di esso si rivela in base a queste. Ed in effetti il suo carattere trascendente non è identico 10 a quello che si scorge presso gli ordinamenti secondi e terzi, ma il Bene sta al di sopra della totalità delle cose in misura molto maggiore rispetto a come l’Intelletto sta al di sopra delle realtà che vengono dopo di esso, sia che si tratti dell’intelletto demiurgico,

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kovsmou nou'" ei[te a[llo" ti" ei[h tw'n qeivwn prosagoreuomevnwn: ajlla; pa'" oJ nou'" kai; pa'" qeo;" uJfeimevnhn e[lacen uJperoch;n pro;" ta; katadeevstera kai; w|n ejstin ai[tio" h] to; prw'ton pro;" e{kaston tw'n o[ntwn, o} pavntwn oJmoivw" ejkbevbhke kai; ouj tw'n me;n ma'llon tw'n de; h|tton: ou{tw ga;r a]n aujtw'/ scevsin pro;" ta; deuvtera meivzw kai; ejlavttw prosavgoimen. Dei' de; ejkei'no me;n a[sceton pro;" pavnta kai; ajf o{lwn oJmoivw" ejxh/rhmevnon fulavttein, tw'n de; a[llwn ta; me;n ejgguvteron ejkeivnou ta; de; porrwvteron: kai; ga;r proveisin e{kaston ajp ejkeivnou kata; mivan aijtivan ta; pavnta paravgonto" kai; ejpistrevfetai pro;" aujto; ta; me;n a[llw" ta; de; a[llw", ejkeivnou pro;" mhde;n tw'n met aujto; scevsin h] koinwnivan ejpidecomevnou. ãiVÃ Ditto;" ou\n, w{sper ei[pomen, oJ trovpo" th'" tou' eJno;" ejndeivxew": ditta; ga;r au\ kai; ojnovmata paradivdwsin hJmi'n oJ Plavtwn th'" ajrrhvtou tauvth" aijtiva". En Politeiva/ me;n ga;r tajgaqo;n aujth;n ajpokalei' kai; th'" ajlhqeiva" th'" eJnizouvsh" tovn te nou'n kai; ta; nohta; phgh;n ejpideivknusin: ejn Parmenivdh/ de; e}n ejponomavzei th;n toiauvthn ajrch;n kai; tw'n eJnavdwn ajpofaivnei tw'n qeivwn uJpostatikhvn. Pavlin dh; ou\n tw'n ojnomavtwn touvtwn, to; me;n th'" proovdou tw'n o{lwn, to; de; th'" ejpistrofh'" ejstin eijkwvn. Diovti me;n ga;r uJfivstatai pavnta kai; proveisin ajpo; tou' prwvtou, to; e}n ejp aujto; fevronte" ai[tion ejkei'no panto;" plhvqou" kai; proovdou pavsh" ajpofainovmeqa: povqen ga;r a[lloqen to; plh'qo" h] ejk tou' eJno;" e[cei th;n e[kfansin Diovti de; au\ ta; proelqovnta pro;" ejkei'no kata; fuvsin ejpevstraptai kai; poqei' th;n a[rrhton ejkeivnou kai; a[lhpton u{parxin, tajgaqo;n aujto; prosagoreuvomen: tiv ga;r a[llo ejsti; to; pavntwn ejpistreptiko;n kai; o} pa'si probevblhtai toi'" ou\sin wJ" ejfetovn, h] tajgaqovn Ta; me;n ga;r a[lla pavnta dih/rhmevnw"

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sia che si tratti dell’intelletto di tutto l’universo, o di un altro tipo di intelletto tra le realtà che denominiamo divine. Ma ogni intelletto e ogni divinità hanno avuto in sorte rispetto alle realtà inferiori e di cui sono principio causale una superiorità attenuata in confronto alla superiorità che ha rispetto a ciascuno degli enti il Primo, il quale risulta posto al di sopra di tutte allo stesso modo e non rispetto ad alcune di più, ad altre invece di meno: in questo caso infatti noi gli attribuiremmo una maggiore o minore relazione con le realtà seconde. Ma, da un lato, si deve salvaguardare il suo carattere irrelato rispetto a tutte le cose e trascendente allo stesso modo rispetto alla totalità di esse, dall’altro, tra tutte le altre entità, le une devono risultare più vicine ad esso, mentre le altre più lontane: ed infatti ciascuna procede da esso che produce tutte le cose in base ad un’unica causalità ed alcune entità si convertono verso di esso in un modo, altre in un altro, senza che quello ammetta relazione o comunanza con nessuna delle entità che gli sono successive.

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[Con quali e con quanti nomi Platone rivela il Principio ineffabile, e per quale motivo con tanti e siffatti, e in che modo i nomi si accordano alle modalità dell’ascesa verso il Principio]

Dunque duplice, come dicevamo89, è la modalità della dimostrazione dell’Uno: duplici in effetti sono a loro volta anche i nomi di questa ineffabile causa tramandataci da Platone. Nella Repubblica infatti la chiama “il Bene” e dimostra che essa è fonte della verità che unifica fra loro chi ha intellezione e gli intelligibili 90. Nel Parmenide invece denomina tale principio “l’Uno”91 e rivela che esso è ciò fa sussistere le enadi divine. Dunque di questi nomi, l’uno è immagine della processione della totalità della realtà, l’altro della conversione. Da un lato, per il fatto che tutte le cose sussistono e procedono dal Primo, attribuendogli il carattere dell’uno lo consideriamo causa di ogni molteplicità e di ogni processione: donde infatti ha la propria manifestazione il molteplice se non da ciò che è uno? D’altro canto per il fatto che a loro volta le realtà nel loro procedere sono tornate a volgersi, secondo natura, verso quello e bramano la sua ineffabile e incomprensibile realtà, lo denominiamo “il Bene”: infatti ciò che fa volgere a sé tutte le cose e ciò che risulta come il desiderabile per tutti gli enti che cosa altro è se non il Bene? In effetti tutte le

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ejsti; toi'" me;n tw'n o[ntwn tivmia, toi'" de; ou[, kai; tw'n me;n ojrevgetai, ta; de; ejkklivnei tw'n oJpwsou'n ei\nai legomevnwn e{kaston: to; de; ajgaqo;n koinh'/ tw'n o[ntwn ejsti;n aJpavntwn ejfetovn, kai; pro;" tou'to neuvei kai; ajnateivnetai pavnta kata; th;n auJtw'n fuvsin: hJ de; e[fesi" pantacou' tw'n ejfiemevnwn 25 ejsti; pro;" to; oijkei'on ejfetovn. Epistreptiko;n a[ra to; ajgaqovn ejsti tw'n deutevrwn aJpavntwn, uJpostatiko;n de; to; e{n. 41 Kaiv moi mhvte ojnomasto;n dia; tou'to to; a[rrhton uJpolavbh/" mhvte diplasiavzesqai to; pavsh" eJnwvsew" ai[tion. Ta; me;n ga;r ojnovmata kajntau'qa pro;" to; met aujto; blevponte" kai; ta;" ajp aujtou' proovdou" h] pro;" aujto; kata; kuvklon 5 ejpistrofa;" ejp ejkei'no metafevromen, diovti me;n ejx aujtou' to; plh'qo" uJpevsth, th;n tou' eJno;" aujtw'/ proshgorivan ejpavgonte", diovti de; pro;" aujto; pavnta kai; mevcri tw'n ajmudrotavtwn ejpistrevfetai, tajgaqo;n aujto; prosonomavzonte". Kai; to; a[gnwston a[ra tou' prwvtou dia; tw'n 10 proi>ovntwn ajp aujtou' kai; ejpistrefomevnwn pro;" aujto; ginwvskein ejpiballovmeqa, kai; to; a[rrhton dia; tw'n aujtw'n ojnomavzein ejpiceirou'men. Ou[te de; gnwsto;n ejkei'no toi'" ou\sin ou[te rJhto;n oujdeni; tw'n pavntwn, ajlla; pavsh" gnwvsew" ejxh/rhmevnon kai; panto;" lovgou, kai; a[lhpton uJpavrcon, 15 aJpavsa" te ta;" gnwvsei" ãkai;Ã a{panta ta; gnwsta; kai; lovgou" pavnta" kai; oJpovsa lovgw/ perilhpta; kata; mivan aijtivan ajp aujtou' parhvgage. To; de; eJniai'on ejkeivnou kai; to; pavsh" diairevsew" ejkbebhko;" duadikw'" ejn toi'" met ejkei'no profaivnetai, ma'llon de; 20 triadikw'". Pavnta ga;r kai; mevnei kai; proveisin kai; ejpistrevfetai pro;" to; e{n: oJmou' ga;r kai; h{nwtai pro;" aujto; kai; uJfei'tai th'" ejxh/rhmevnh" aujtou' tw'n o{lwn eJnwvsew" kai; ejfivetai th'" ejkeivnou metalhvyew": kai; hJ me;n e{nwsi" movnimon ejndivdwsi toi'" deutevroi" a{pasi kai; ajnekfoivthton th'" eJautw'n 25 aijtiva" uJperochvn, hJ de; u{fesi" th;n provodon tw'n o[ntwn ajforivzei kai; th;n ajpo; th'" ajmeqevktou kai; prwtivsth" eJnavdo" diavkrisin, hJ de; e[fesi" th;n ejpistrofh;n tw'n uJpostavntwn kai; th;n eij" to; a[rrhton ajnakuvklhsin teleioi'. Pavntwn de; a[ra kai; hJnwmevnwn ajei; tw'/ prwvtw/, tw'n me;n 42 porrwvteron tw'n de; ejgguvteron, kai; dia; th'" eJnwvsew" 20

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altre entità, in modo distinto, sono onorabili per alcuni degli enti, 20 per altri invece no, e ciascuna delle cose che a qualunque titolo sono dette sussistere aspira alle une ed invece evita le altre. Invece il Bene è oggetto di comune desiderio per tutti quanti gli enti, e in direzione di questo si protendono e si levano tutte le cose in base alla loro natura: del resto ovunque il desiderio delle entità desideranti è rivolto al proprio oggetto di desiderio92. Il Bene pertanto è 25 per le realtà seconde ciò che le fa convertire, mentre l’Uno è ciò che le fa sussistere. E non mi si venga a supporre che ciò che è ineffabile sia per 41 questa ragione nominabile né che il principio causale di ogni unità venga così raddoppiato. Infatti i nomi anche nel presente caso, guardando a ciò che viene dopo esso e alle processioni da esso derivanti o alle cicliche conversioni verso di esso, glieli attribuia- 5 mo in modo metaforico, e da un lato è per il fatto che a partire da esso sussiste la molteplicità, che gli attribuiamo il nome dell’“Uno”, dall’altro è per il fatto che tutte le cose, finanche quelle più indistinte, si volgono indietro verso di esso, che lo denominiamo “il Bene”. Tentiamo dunque di conoscere il carattere inconoscibile del Primo attraverso le entità che procedono da esso e che 10 si convertono verso di esso, ed inoltre cerchiamo di denominare il suo carattere ineffabile attraverso queste medesime. D’altra parte è il Primo che, pur non risultando né conoscibile per gli enti né dicibile per nessuna di tutte le entità, ma trascendente rispetto ad ogni conoscenza ed ogni discorso, e pur risultando incoglibile, ha introdotto in base ad un’unica forma di causalità sia tutte quante 15 le conoscenze sia tutti quanti gli oggetti conoscibili sia tutti i ragionamenti e tutte quante le realtà che a partire da esso sono comprensibili con il ragionamento. D’altronde il suo carattere unitario e separato da ogni distinzione si manifesta in modo duplice nelle entità che ne derivano, anzi in modo triplice. Tutte le cose, infatti, sia permangono sia 20 procedono sia si convertono verso l’Uno: infatti al contempo sono state unite in rapporto ad esso, sono inferiori alla sua unificazione che trascende la totalità delle unificazioni e desiderano esserne partecipi. E l’unificazione concede a tutte quante le realtà secon- 25 de un’eccellenza permanente ed inseparabile dalla loro Causa; l’inferiorità, dal canto suo, delimita la processione degli enti e la loro distinzione rispetto alla impartecipabile e primissima Enade; il desiderio infine realizza la conversione delle realtà che vengono a sussistere e il loro ciclico ritorno all’Ineffabile. Dato che dunque tutte le entità risultano sempre unite al Primo, le une più da lon- 42

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tauvth" thvn te u{parxin kai; th;n tou' ajgaqou' moi'ran uJpodecomevnwn, th;n me;n provodon tw'n o{lwn kai; th;n ejpistrofh;n di ojnomavtwn dhlou'n ejpikeceirhvkamen: th;n de; movnimon 5 aujtw'n ejn tw'/ prwvtw/ periochvn, eij qevmi" eijpei'n, kai; th;n e{nwsin th;n pro;" to; a[rrhton, a{te dh; kai; aujth;n a[lhpton uJpavrcousan, ou[te dia; gnwvsew" eJlei'n dunato;n ou[te dia; lovgou mhnuvein h\n toi'" peri; ta; qei'a sofoi'": ajll w{sper aujto; prwvtw" ejn ajbavtoi" ajpokevkruptai kai; pavntwn 10 ejxhv/rhtai tw'n o[ntwn, ou{tw dh; kai; hJ pro;" aujto; tw'n pavntwn e{nwsi" kruvfiov" ejsti kai; a[frasto" kai; a[gnwsto" toi'" pa'sin: ouj ga;r kat ejpibolh;n eJnou'tai pro;" aujto; tw'n o[ntwn e{kaston oujde; kata; th;n ejnevrgeian th;n th'" oujsiva", ejpei; kai; ta; gnwvsew" a[moira tw'/ prwvtw/ sunhvnwtai kai; ta; 15 pavsh" ejnergeiva" ejsterhmevna metevcei kata; th;n auJtw'n tavxin th'" pro;" aujto; sunafh'". To; toivnun a[gnwston to; ejn toi'" ou\sin kata; th;n pro;" to; prw'ton e{nwsin uJpavrcon, ou[te ginwvskein ou[te ojnovmati dhlou'n ejpiceirou'men: ajll ei[" te th;n provodon aujtw'n kai; th;n ejpistrofh;n ma'llon ajpo20 blevpein dunavmenoi, duvo me;n ojnovmata tw'/ prwvtw/ kaqavper ajgavlmata labovnte" ajpo; tw'n deutevrwn prosavgomen, duvo de; th'" ajnovdou trovpou" ajforivzomen, th'/ me;n tajgaqou' proshgoriva/ to;n dia; th'" ajnalogiva" sunavptonte", th'/ de; tou' eJno;" to;n dia; tw'n ajpofavsewn. O dh; kai; oJ Plavtwn 25 ejndeiknuvmeno" ejn Politeiva/ me;n oJmou' kai; ajgaqo;n ajpokalei' to; prw'ton kai; di ajnalogiva" ejp aujto; poiei'tai th;n ajnagwghvn, ejn Parmenivdh/ de; aujtoe;n uJpotiqevmeno" dia; tw'n ajpofatikw'n sumperasmavtwn ejkfaivnei th;n ejxh/rhmevnhn 43 aujtou' tw'n o[ntwn uJperochvn. Kat ajmfovtera toivnun to; prw'ton ejkbevbhke tw'n te gnwstikw'n dunavmewn kai; tw'n tou' lovgou morivwn: ta; de; a[lla pavnta kai; th'" gnwvsew" hJmi'n kai; th'" ejpwnumiva" th;n aijtivan parevcetai. Kai; to; 5 me;n ta;" eJnwvsei" aJpavsa" kai; ta;" uJpavrxei" tw'n deutevrwn eJniaivw" uJfivsthsi, ta; de; met aujto; dih/rhmevnw" metevcei th'" aijtiva". Kai; tau'ta mevn, w{sper ei[rhtai, mevnonta kai; proi>ovnta kai; ejpistrevfonta plhquvetai: to; de; e}n aJpavntwn oJmou' televw" ejxhv/rhtai kai; tw'n gonivmwn proovdwn kai; tw'n 10 ejpistreptikw'n dunavmewn kai; tw'n eJnoeidw'n ãejnà toi'" ou\sin uJpostavsewn.

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tano, le altre più in prossimità, e attraverso questa unificazione ricevono la realtà e la parte ad esse assegnata del bene, abbiamo cercato di rivelare la processione della totalità delle entità e la loro conversione ricorrendo a nomi. Però la loro permanente posizio- 5 ne periferica nel Primo, se è lecito dirlo, e l’unificazione con l’ineffabile, proprio in quanto risulta in se stessa incoglibile, né era possibile raggiungerle per i sapienti nelle questioni divine93 attraverso la conoscenza, né era possibile rivelarle attraverso il discorso. Ma come esso in modo originario permane celato nell’inaccessibile e trascende tutti gli enti, così appunto anche l’unificazione con 10 esso è segreta e indicibile ed inconoscibile per tutti gli enti. Infatti non è in base ad una intuizione che ciascuno degli enti si unisce ad esso, né in base alla attività dell’essenza, poiché le entità prive di conoscenza sono unite con il Primo ed al contempo quelle che risultano prive di ogni attività partecipano in base al loro ordina- 15 mento della connessione con esso. Pertanto ciò che negli enti risulta inconoscibile in base all’unione con il Primo, non cerchiamo di conoscerlo né di indicarlo con un nome: ma poiché noi siamo 20 in grado in misura maggiore di volgere la nostra attenzione alla loro processione e conversione, due sono i nomi che riferiamo al Primo, avendoli assunti come immagini dalle realtà seconde, e d’altra parte due sono le modalità di ascesa che distinguiamo, connettendo alla denominazione “il Bene” quella che procede attraverso l’analogia, mentre alla denominazione “l’Uno” la modalità che procede attraverso le negazioni. Ed in effetti è proprio mettendo in luce ciò, che Platone nella Repubblica94 al contempo 25 denomina il Primo “Bene” ed elabora la via di ascesa verso di esso attraverso l’analogia, mentre nel Parmenide95, concependolo come “Uno-in-sé”, attraverso le conclusioni ricavate dalle negazioni rivela la sua trascendente superiorità rispetto agli enti. In entram- 43 bi i modi pertanto il Primo risulta superiore alle facoltà conoscitive ed al contempo alle componenti del discorso96; tutte le altre realtà, dal canto loro, ci forniscono la causa sia del modo di conoscerlo sia del modo di denominarlo. Ed il Primo fa sussistere in 5 modo unitario tutte quante le unificazioni e le esistenze delle realtà seconde, mentre le entità che vengono dopo di esso partecipano a differenti livelli della causa. E queste ultime, come si è detto97, permanendo, procedendo e convertendosi si moltiplicano; invece l’Uno in modo perfetto trascende al contempo tutte quante esse, le processioni generative, le potenze capaci di con- 10 vertire e le sussistenze uniformi insite negli enti.

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ãzVÃ Tivne" me;n ou\n oiJ trovpoi th'" peri; tou' prwvtou didaskaliva", kai; dia; poivwn ojnomavtwn aujto; mhnuvein oJ Plavtwn 15 ejpiceirei', kai; povqen  tav te ojnovmata kai; tou;" trovpou" touvtou" th'" ãtou'Ã ajrrhvtou kai; ajgnwvstou toi'" pa'si deivxew", oi\mai dia; touvtwn gegonevnai katafanev": eij de; dei' kai; tw'n diesparmevnwn peri; aujtou' dogmavtwn ejn toi'" Platwnikoi'" lovgoi" e{kaston qewrh'sai kai; pro;" th;n 20 mivan ajnagagei'n th'" qeologiva" ejpisthvmhn, skopw'men, eij bouvlei, pro; tw'n a[llwn ta; tou' Swkravtou" o{sa ejkei'no" ejn tw'/ th'" Politeiva" e{ktw/ kata; to;n proeirhmevnon trovpon ejndeivknutai, kai; o{pw" dia; th'" ajnalogiva" th;n qaumasth;n uJperbolh;n tou' ajgaqou' pro;" pavnta ta; o[nta kai; ta;" 25 ajkrovthta" tw'n o{lwn ajnadidavskei. 44 Prw'ton me;n toivnun ta; o[nta diisthsin ajp ajllhvlwn, kai; ta; me;n nohta; ta; de; aijsqhta; qevmeno", ejpisthvmhn me;n ajforivzei th'/ tw'n nohtw'n gnwvsei, th;n de; ai[sqhsin toi'" aijsqhtoi'" suzeuvgnusi: kai; dich'/ ta; pavnta dielwvn, tw'/ te 5 nohtw'/ plhvqei monavda mivan ejxh/rhmevnhn ejfivsthsi kai; tw'/ aijsqhtw'/ deutevran monavda kata; th;n pro;" ejkeivnhn oJmoiovthta: kai; tw'n monavdwn touvtwn eJkatevran gennhtikh;n ejpideivknusi, th;n me;n nohtou' fwto;" th;n de; aijsqhtou': kai; tw'/ me;n nohtw'/ fwti; qeoeidh' pavnta nohta; kai; ajgaqoeidh' 10 kata; th;n ejk tou' prwvtou qeou' metousivan ajpofaivnei, tw'/ de; aijsqhtw'/ kata; th;n ajf hJlivou teleivwsin hJlioeidh' pavnta aijsqhta; kai; th'/ mia'/ monavdi paraplhvsia. Pro;" de; au\ toi'" eijrhmevnoi", th;n me;n deutevran monavda th'" ejn tw'/ nohtw'/ basileuouvsh" ejxavptei: pavnta de; ou{tw" eij" to; 15 ajgaqo;n ajnateivnei tav te prw'ta kai; ta; e[scata tw'n o[ntwn, tav te nohta; levgw kai; ta; aijsqhtav. Kaiv moi dokei' th'" ejpi; to; prw'ton ajnagwgh'" oJ toiou'to" trovpo" a[risto" ei\nai kai; qeologiva/ mavlista proshvkein:

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[Quali le considerazioni formulate nella “Repubblica” attraverso l’analogia solare circa il Primo Principio, considerazioni in cui si espone in che modo il Bene viene celebrato, in che senso è la parte più luminosa dell’essere, in che senso il sole è progenie del Bene, e come per ciascuna classe degli esseri divini sussista una monade analoga a quel Principio, e in che senso sia causa di tutti gli enti, pur venendo prima di potenza e atto] Quali dunque siano le modalità dell’insegnamento circa il Primo, e attraverso quali nomi Platone cerchi di rivelarlo, e da dove 15 i nomi ed anche queste modalità per mostrare ciò che è ineffabile ed inconoscibile per tutti gli esseri, ritengo che attraverso queste considerazioni98 risulti palese99. Ma se si deve considerare anche ciascuno degli insegnamenti intorno al Primo disseminati nelle opere di Platone100 e ricondurlo all’unica scienza 20 della teologia, prendiamo in esame, se si vuole, prima di tutte le altre le indicazioni che Socrate fornisce nel VI libro della Repubblica sulla base della modalità di cui si è in precedenza detto101, ed in che modo attraverso l’analogia illustra la mirabile superiorità 25 del Bene rispetto agli enti e alle sommità della totalità del reale. Per prima cosa dunque distingue gli enti gli uni dagli altri, e 44 ponendo da una parte quelli intelligibili, dall’altra quelli sensibili, limita la scienza alla conoscenza degli intelligibili, mentre la percezione la relega ai sensibili. E avendo diviso il tutto in due parti, a capo della molteplicità intelligibile pone un’unica monade tra- 5 scendente e a capo della molteplicità sensibile in base alla somiglianza con quella precedente pone una seconda monade. E dichiara ciascuna di queste due monadi “generatrice”, l’una della luce intelligibile, l’altra di quella sensibile; e rivela che grazie alla luce intelligibile tutti gli intelligibili sono “simili a dèi” e “simili al Bene” in base alla partecipazione derivante dal Primo Dio, men- 10 tre, grazie alla luce sensibile, in base al pieno sviluppo prodotto dal sole tutti i sensibili diventano “simili al sole” e prossimi all’unica monade. Poi, oltre a quanto si è detto, fa dipendere la seconda monade a sua volta da quella che regna nell’intelligibile. Tutti gli enti, dal canto loro, in questo modo tendono in alto al 15 Bene, sia i primi che gli ultimi, intendo dire quelli intelligibili da un lato e quelli sensibili dall’altro102. E a me sembra che tale modalità per ascendere al Primo sia eccellente e che sia assolutamente adatta alla teologia: concentra

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tou;" me;n ejn tw'/ kovsmw/ pavnta" qeou;" eij" mivan e{nwsin sunavgein kai; th'" prosecou'" aujtoi'" monavdo" ejxavptein, tou;" de; uJperkosmivou" eij" th;n noera;n ejpanavgein basileivan, tou;" de; noerou;" th'" nohth'" ejxarta'n eJnwvsew", aujtou;" de; h[dh tou;" nohtou;" kai; ta; o[nta pavnta dia; touvtwn ejpi; to; prw'ton ajnafevrein. W" ga;r tw'n ejgkosmivwn uJperkovsmio" 25 hJ monav", wJ" tw'n uJperkosmivwn noera; kai; nohth; tw'n noerw'n, ou{tw" ajnavgkh kai; ta; nohta; prwvtw" th'" uJpe;r ta; nohta; monavdo" ejxevcesqai kai; teleiou'sqai par ejkeivnh", kai; 45 qeovthto" plhrouvmena tw'/ nohtw'/ fwti; ta; deuvtera katalavmpein: ta; de; noera; tou' me;n ei\nai para; tw'n nohtw'n tou' de; ajgaqou' kai; th'" eJnoeidou'" uJpavrxew" ejk th'" prwvth" aijtiva" ajpolauvonta, tw'/ noerw'/ fwti; ta; uJperkovsmia 5 sunevcein: aujta; de; ta; pro; tou' kovsmou gevnh tw'n qew'n, nou'n me;n kaqaro;n ejk tw'n noerw'n uJpodecovmena nohto;n de; fw'" ajpo; tw'n nohtw'n to; de; eJniai'on ajpo; tou' tw'n o{lwn patrov", ejkpevmpein eij" tovnde ejmfanh' to;n kovsmon tou' par eJautoi'" fwto;" e[llamyin: kai; dia; tou'to to;n h{lion, 10 ajkrovthta tw'n ejgkosmivwn o[nta kai; ajpo; tw'n aijqerivwn proelqovnta buqw'n, teleiovthto" uJperfuou'" metadidovnai toi'" oJratoi'" kai; poiei'n kai; tau'ta kata; duvnamin toi'" uJperouranivoi" kovsmoi" prosovmoia. Tau'ta me;n ou\n kai; eij" u{steron dia; pleiovnwn ejxetavsomen: 15 pavnta de; au\ to;n eijrhmevnon trovpon tou' ajgaqou' kai; th'" prwtivsth" eJnavdo" ejxh'yen oJ parw;n lovgo". Eij ga;r oJ me;n h{lio" a{pan to; aijsqhto;n sunevcei, to; de; ajgaqo;n a{pan to; nohto;n kai; paravgei kai; teleioi', touvtwn de; hJ deutevra mona;" e[kgono" tou' ajgaqou' proseivrhtai, kai; dia; tou'to 20 kai; au{th to; aijsqhto;n ajpolampruvnei kai; diakosmei' kai; plhroi' tw'n ajgaqw'n, o{ti dh; mimei'tai th;n eJauth'" provgonon aijtivan, pavnta a]n ou{tw" metevcoi tou' ajgaqou' kai; pro;" mivan tauvthn ajrch;n ajnateivnoito, ta; me;n nohta; kai; ta; qeiovtata tw'n o[ntwn ajmevsw" ta; de; aijsqhta; dia; th'" eJautw'n monavdo". 25 Eti toivnun kai; kaq e{teron trovpon th;n ejpi; to; prw'ton hJmi'n ajnavlusin ejn touvtoi" oJ Plavtwn uJfhgei'tai. Pavnta ga;r ta; ejn tw'/ kovsmw/ plhvqh nohtw'n ejxavptei monavdwn, oi|on 20

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insieme tutti gli dèi presenti nel cosmo in una sola unità e li fa 20 dipendere dalla monade immediatamente contigua ad essi, mentre quelli ipercosmici li riconduce verso il regno intellettivo, quelli intellettivi a loro volta li fa dipendere dalla unificazione intelligibile, ed infine gli dèi intelligibili stessi e, attraverso questi ultimi, tutti gli enti, li riporta al Primo. Come infatti ipercosmica è la monade delle entità encosmiche, come intellettiva è quella delle 25 entità ipercosmiche ed intelligibile quella delle entità intellettive, così è necessario che anche gli intelligibili a loro volta in modo primario dipendano dalla monade posta al di sopra degli intelligibili, vengano condotti da quella alla perfezione, ed empiendosi di natura divina illuminino con la luce intelligibile le realtà inferiori. 45 Inoltre è necessario che le entità intellettive, godendo da un lato del fatto di essere presso gli intelligibili, dall’altro del Bene e dell’esistenza uniforme provenienti dalla causa prima, con la luce intellettiva tengano insieme le entità ipercosmiche. D’altra parte 5 esse, che sono generi degli dèi che vengono prima del cosmo, ricevendo, per un verso, da parte delle entità intellettive intelletto puro, per l’altro luce intelligibile dagli intelligibili, ed inoltre il carattere unitario dal padre della totalità del reale, è necessario che inviino verso questo nostro cosmo visibile l’irradiazione della luce presente presso loro stesse: e per questo motivo il sole, che è sommità delle entità encosmiche e che procede dalle profondità della 10 realtà celeste, è necessario renda partecipi di perfezione sovrannaturale le entità visibili e renda anche queste, nella misura del possibile, somiglianti ai cosmi103 sovracelesti. Ebbene, tali questioni le esamineremo anche in seguito più diffusamente104. D’altronde il presente discorso ha fatto dipende- 15 re a sua volta, nella modalità esposta105, tutte le cose dal Bene e dalla primissima Enade. Se infatti il sole tiene insieme tutto quanto il sensibile, mentre il Bene introduce ed al contempo conduce alla perfezione tutto quanto l’intelligibile, e d’altra parte di queste monadi la seconda106 è stata appellata «prole del Bene», e per questo motivo essa a sua volta rischiara il sensibile, gli dà ordine 20 e lo ricolma di beni, proprio perché imita la sua causa progenitrice, allora è in tal modo che tutte le cose parteciperebbero del Bene e tenderebbero in alto verso questo solo ed unico Principio, gli intelligibili e i più divini tra gli enti in modo diretto, invece i sensibili attraverso la loro monade. Inoltre in un altro modo ancora Platone ci indica in questi 25 passi il procedimento di analisi per giungere fino al Primo. Infatti tutte le forme di molteplicità insite nel cosmo dipendono dalle

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ta; me;n kala; pavnta tou' aujtokalou' ta; de; ajgaqa; pavnta 46 tou' aujtoagaqou' ta; de; au\ i[sa tou' aujtoisou: kai; ta; me;n

nohta; qevmeno" ta; de; aijsqhtav (aiJ de; ajkrovthte" aujtw'n ejn toi'" nohtoi'" i{druntai monoeidw'"), pavlin ajpo; tw'n nohtw'n touvtwn eijdw'n ejpanabaivnein ajxioi', kai; th;n ajgaqovthta 5 th;n ejpevkeina tw'n nohtw'n meizovnw" sebomevnou", di ejkeivnhn pavnta kai; ei\nai kai; teleiou'sqai ta; nohta; kai; ta;" ejn aujtoi'" monavda" uJpolambavnein: w{sper ga;r to; aijsqhto;n plh'qo" eij" monavda toi'" aijsqhtoi'" ajsuvntakton ajnavgomen, kai; dia; tauvthn ajxiou'men kai; tou'to th;n uJpovstasin e[cein, 10 ou{tw" ajnavgkh to; nohto;n eij" a[llhn aijtivan ajnafevrein mh; sunariqmoumevnhn toi'" nohtoi'", ajf h|" kai; tau'ta thvn te oujsivan e[lace kai; th;n qeivan u{parxin. Mh; dhv ti" oijevsqw to;n Plavtwna th;n aujth;n uJpotivqesqai tou' ajgaqou' tavxin e[n te toi'" nohtoi'" ei[desi kai; pro; tw'n 15 nohtw'n. Alla; to; me;n ajgaqo;n to; tw'/ kalw'/ suntetagmevnon o[n, oujsiw'de" kai; tw'n eijdw'n e{n ti tw'n ejn toi'" nohtoi'" uJpolambanevtw: to; de; ajgaqo;n to; prwvtiston, o} kai; sunenivzonte" tou[noma tajgaqo;n eijwvqamen ajpokalei'n, uJperouvsion tiqevsqw kai; tw'n o[ntwn aJpavntwn presbeiva/ te 20 kai; dunavmei proevcon. Epei; kai; oJ Swkravth" peri; me;n tou' kalou' kai; ajgaqou' diorizovmeno" ouJtwsiv pwv" fhsi: Kai; aujto; dh; kalo;n kai; aujtoagaqovn, kai; ou{tw" peri; pavntwn a} tovte kalw'" polla; ejtivqemen, pavlin au\ kat ijdevan eJkavstou wJ" mia'" ou[sh" tiqevnte", 25 o} e[stin e{kaston prosagoreuvomen: kai; dia; touvtwn hJma'" ajpo; tw'n aijsqhtw'n kalw'n te kai; ajgaqw'n kai; o{lw" tw'n metecomevnwn kai; ejn a[lloi" o[ntwn kai; peplhqusmevnwn 47 ejp aujta;" ta;" nohta;" eJnavda" tw'n o[ntwn kai; ta;" prwtivsta" oujsiva" ajnagagwvn, ajpo; touvtwn au\qi" mevteisin ejpi; th;n ejxh/rhmevnhn tw'n kalw'n pavntwn kai; tw'n ajgaqw'n aijtivan. En me;n ga;r toi'" ei[desi to; aujtokalo;n ejxhgei'tai tw'n 5 pollw'n kalw'n kai; to; aujtoagaqo;n tw'n pollw'n ajgaqw'n, kai; tw'n oJmoivwn eJkavteron uJpostatikovn ejsti movnon: to; de; prwvtiston ajgaqo;n ouj tw'n ajgaqw'n movnon ejsti;n ai[tion, ajlla; kai; tw'n kalw'n oJmoivw", w{sper kai; ejn a[lloi" oJ Plavtwn e[fh: Kai; ejkeivnou e{neka pavnta kai; ejkei'no 10 ai[tion pavntwn kalw'n.

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monadi intelligibili, per esempio tutte le cose belle dipendono dal bello-in-sé, tutte le cose buone dal bene-in-sé ed a loro volta tutte 46 le cose uguali dall’uguale-in-sé. E stabilite le une come intelligibili, le altre come sensibili (d’altra parte le loro sommità sono poste in modo uniforme negli intelligibili), ritiene che si debba risalire in senso opposto a partire da queste Forme intelligibili, e che chi venera in misura maggiore la Bontà posta al di là degli intelligibi- 5 li debba presupporre che attraverso quella tutti gli intelligibili e le monadi in essi insite esistano ed al contempo siano condotti alla perfezione. Come infatti riconduciamo il molteplice sensibile ad una monade disgiunta dai sensibili, ed in virtù di essa riteniamo che debba avere anche esso la propria sussistenza, così è necessa- 10 rio ricondurre l’intelligibile ad un’altra causa rientrante nel numero degli intelligibili, dalla quale anche questi hanno ottenuto in sorte l’essenza ed al contempo la loro divina realtà. Non si deve certo ritenere che Platone presupponga lo stesso ordinamento del Bene anche per le Forme intelligibili e per le 15 entità che precedono gli intelligibili. Ma il bene che è connesso al bello, lo si deve presupporre di natura essenziale e come una e determinata Forma fra le Forme che fanno parte degli intelligibili. Il primissimo Bene invece, che siamo soliti denominare “tagathón”, contraendo in un’unità il nome,107 lo si deve presupporre come sovraessenziale e rispetto a tutti gli enti prominente «per 20 dignità ed anche potenza»108. Ed effettivamente anche Socrate riguardo al bello e al bene, quando li definisce, parla all’incirca in questi termini: «Certamente anche il bello e il bene in sé, e allo stesso modo per quanto riguarda le cose che allora consideravamo come molteplici, di nuovo a loro volta, considerando ciascuna sulla base di un’Idea intesa come unica, la denominiamo “ciò che 25 è”».109; e attraverso queste considerazioni a partire dalle cose sensibili belle ed al contempo buone e, in generale, da quelle che sono partecipate110, si trovano in altro e risultano moltiplicate, dopo averci ricondotto alle enadi intelligibili stesse degli enti e 47 alle primissime essenze, da queste prosegue poi verso la causa trascendente di tutte le cose belle e di quelle buone. Infatti tra le Forme il bello in sé è alla guida delle molteplici cose belle e il 5 bene-in-sé delle molteplici cose buone, e ciascuno dei due è in grado di far sussistere solo le cose ad esso simili. Invece il primissimo Bene non è solo causa delle cose buone, ma egualmente anche di quelle belle, come Platone ha affermato anche altrove: «Ed in vista di quello sono tutte le cose e quello è principio causale 10 di tutte le cose belle»111.

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Kai; ga;r au\ pro;" toi'" eijrhmevnoi", to; me;n ajgaqo;n to; ejn toi'" ei[desi nohtovn ejstin, wJ" aujto;" oJ Swkravth" ajnadidavskei, kai; gnwstovn, to; de; pro; tw'n eijdw'n ejpevkeina tw'n o[ntwn kai; gnwvsew" aJpavsh" uJperidrumevnon: kai; to; me;n 15 oujsiwvdou" ejsti; teleiovthto" parektikovn, to; de; aujtoi'" toi'" qeoi'" to; ajgaqoi'" ei\nai, kaqovson eijsi; qeoiv, corhgei', kai; tw'n proousivwn ejsti;n ajgaqw'n gennhtikovn. Mh; toivnun mhdev, o{tan to; ajgaqo;n prosonomavzh/ to; prw'ton oJ Swkravth" ejk tou' th'" ijdeva" ojnovmato", eujqu;" th;n nohth;n ajgaqovthta 20 levgein aujto;n uJpolavbwmen: ajll ejpeidh; kai; lovgou panto;" kai; ojnovmato" krei'tton to; pavntwn ai[tion tw'n kalw'n kai; ajgaqw'n, sugcwrw'men aujtw'/ dia; tw'n prosecw'" ajp aujtou' plhroumevnwn ejp ejkei'no metafevrein ta;" ejpwnumiva": tou'to gavr, oi\mai, kai; aujto;" ejndeiknuvmeno" ejf a{pasi 25 toi'" peri; tou' ajgaqou' lovgoi", ejpevkeina kai; gnwvsew" aujto; kai; tw'n ginwskomevnwn kai; oujsiva" kai; tou' o[nto" ei\nai kata; th;n pro;" to;n h{lion ajnalogivan ajpodeivknusin. Kai; trovpon 48 dhv tina qaumasto;n tw'n ejn tw'/ Parmenivdh/ peri; tou' eJno;" ajpofavsewn hJmi'n sunh/rhmevnhn pepoivhtai perivlhyin: to; ga;r mhvte ajlhvqeian ei\nai tajgaqo;n mhvte oujsivan mhvte nou'n mhvte ejpisthvmhn, oJmou' me;n aujto; tw'n uJperousivwn eJnavdwn 5 ejxairei' kai; panto;" tou' tw'n qew'n gevnou", oJmou' de; tw'n noerw'n kai; nohtw'n diakovsmwn, oJmou' de; th'" yucikh'" aJpavsh" uJpostavsew": tau'ta dev ejstin a} kai; dia; th'" prwvth" uJpoqevsew" ajfairei' th'" tw'n o{lwn ajrch'". Alla; mh;n oujdev, o{tan fanovtaton tou' o[nto" ajnumnh'/ 10 to; tw'n qeivwn ajgaqw'n hJgemonou'n, wJ" metevcon aujto; fwto;" fanovtaton ejponomavzei (to; ga;r prwvtiston fw'" ajp aujtou' proveisin eij" ta; nohta; kai; to;n nou'n), ajll wJ" ai[tion tou' pantacou' fwto;" kai; wJ" phgh;n aJpavsh" th'" nohth'" h] noera'" h] perikosmivou qeovthto". Oujde;n ga;r a[llo ejsti; 15 to; fw'" h] metousiva th'" qeiva" uJpavrxew": wJ" ga;r ajgaqoeidh' pavnta givnetai tajgaqou' metalambavnonta kai; plhrouvmena th'" ejkei'qen proi>ouvsh" ejllavmyew", ou{tw" a[ra kai; qeoeidh' ta; prwvtw" o[nta kaiv, w{sper levgetai, qei'a tav te nohta; kai; ta; noera; dia; th;n tou' qeou' metousivan ajpotelei'tai. 20 Pro;" a{panta dh; ta; eijrhmevna blevponte" ejxh/rhmevnhn me;n th;n tajgaqou' pro;" ta; o[nta pavnta kai; tou;" qeivou" diakovsmou" uJperoch;n fulavttomen: ejn eJkavsth/ de; au\

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In effetti oltre a quanto si è detto, il bene che rientra nelle Forme è, come illustra lo stesso Socrate, intelligibile e conoscibile, mentre quello che viene prima delle Forme è al di là degli enti ed è posto al di sopra di ogni forma di conoscenza112. E l’uno è in 15 grado di introdurre la perfezione relativa all’essenza, mentre l’altro è garante per gli dèi del fatto che essi sono buoni, proprio nella misura in cui sono dèi, ed è generatore dei beni anteriori all’essenza. Pertanto non dobbiamo subito presupporre neppure che, allorché Socrate denomina il Primo “il Bene” in base al nome 20 dell’Idea, egli intenda la bontà intelligibile. Ma dal momento che il principio causale di tutte le cose belle e buone è superiore ad ogni discorso ed anche ad ogni nome, conveniamo di trasferire ad esso, attraverso le entità che da esso sono in modo conveniente colmate, le denominazioni: infatti, a mio avviso, egli stesso mette in luce ciò in tutti quanti i discorsi concernenti il Bene, e così 25 dimostra, in base alla analogia con il sole, che esso è al di là sia della conoscenza sia delle entità conosciute sia dell’essenza sia dell’essere. Ed in un modo certamente meraviglioso nel Parmenide ci 48 ha fornito una visione d’insieme riassuntiva delle negazioni circa l’Uno. In effetti, il fatto che il Bene non sia né verità né essenza né intelletto né scienza, lo esclude in pari tempo, da un lato, dalle Enadi sovraessenziali e da tutto il genere degli dèi, dall’altro dagli 5 ordinamenti intellettivi e intelligibili, ed ancora da tutta quanta la realtà psichica: sono queste entità infatti che egli anche attraverso la prima ipotesi113 elimina dal Principio della totalità del reale. Ma in verità, allorché 114 proclama «ciò che dell’essere è in assoluto più luminoso»115 quello che è alla testa di tutti i 10 beni divini, denomina esso “in assoluto più luminoso”116 non perché lo ritenga partecipe della luce (la primissima luce infatti da esso procede verso gli intelligibili e l’Intelletto), ma come causa della luce insita in ogni ambito e come sorgente di tutta quanta la natura divina intelligibile, intellettiva o pericosmica. Null’altro infatti è la luce se non partecipazione alla realtà divina: come 15 infatti tutte le entità diventano “simili per forma al Bene” in quanto partecipano del Bene e si ricolmano della irradiazione che da lì proviene, allo stesso modo dunque in virtù della partecipazione al Dio le entità che sono a livello primario risultano a loro volta di forma divina, e, come viene affermato, sia le realtà intelligibili sia quelle intellettive sono rese divine in virtù di tale partecipazione. Di fatto, volgendo l’attenzione a tutto quanto è stato detto117, 20 da un lato custodiamo nella sua trascendenza la superiorità del Bene rispetto a tutti gli enti e agli ordinamenti divini; dall’altro in

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tavxei tw'n o[ntwn th;n ajnavlogon ejkeivnw/ monavda sugcwrw'men uJfestavnai, mh; movnon ejn toi'" aijsqhtoi'", w{sper Plavtwn 25 to;n h{liovn fhsin, ajlla; kajn toi'" uJperkosmivoi" kajn toi'" pro; touvtwn ejk tajgaqou' diatetagmevnoi" gevnesin tw'n qew'n. 49 Dh'lon ga;r o{ti ta; th'" aijtiva" th'" prwvth" ejggutevrw kai; metevconta ma'llon ejkeivnh" oJmoiovterav pwv" ejsti pro;" aujthvn: kai; w{sper ejkeivnh pavntwn ejsti;n aijtiva tw'n o[ntwn, ou{tw dh; kai; aujta; tw'n merikwtevrwn diakovsmwn 5 monavda" hJgemonika;" proesthvsato: kai; ta; me;n plhvqh tai'" monavsin uJpotavttei, ta;" de; au\ monavda" aJpavsa" eij" th;n ejxh/rhmevnhn tw'n o{lwn ajrch;n ajnateivnei kai; peri; ejkeivnhn uJfivsthsi monoeidw'". Dei' toivnun kai; th;n qeologikh;n ejpisthvmhn tai'" qeivai" tavxesin eJpomevnw" ajmigei'" kai; 10 uJperballouvsa" kai; pro;" mhde;n tw'n a[llwn ejpiplekomevna" ta;" peri; aujth'" ejnnoiva" ajnakaqaivresqai, kai; pavnta me;n ta; deuvtera kat ejkeivnhn uJfistavmena qewrei'n kai; peri; ejkeivnhn teleiouvmena, aujth;n de; uJperevcousan pasw'n tw'n ejn toi'" ou\si monavdwn kata; mivan aJplovthto" uJperbolh;n 15 kai; protetagmevnhn tw'n o{lwn diakovsmwn eJniaivw" uJpotivqesqai: wJ" ga;r aujtoi; oiJ qeoi; th;n ejn aujtoi'" tavxin dieqesmoqevthsan, ou{tw dei' kai; th;n peri; aujtw'n ajlhvqeian tav te prohgouvmena tw'n o[ntwn ai[tia kai; ta; ajpo; touvtwn ajpogennwvmena deuvtera kai; trivta diorivzesqai. 20 Miva toivnun ajlhvqeia peri; th'" prwvth" ajrch'" au{th kai; e{na lovgon e[cousa tai'" Platwnikai'" uJpoqevsesin ajrevskonta diaferovntw", wJ" a[ra prou>pavrcei tw'n o{lwn ejn qeoi'" diakovsmwn kai; th;n ajgaqoeidh' tw'n qew'n oujsivan uJfivsthsi, kai; wJ" e[sti phgh; th'" ajgaqovthto" th'" uJperousivou, kai; 25 o{ti ta; met aujth;n pavnta pro;" aujth;n ajnateinovmena tw'n ajgaqw'n plhrou'tai, kai; trovpon a[rrhton eJnou'tai pro;" aujth;n kai; eJnoeidw'" peri; aujth;n uJfevsthke. To; ga;r eJniai'on aujth'" oujk e[stin a[gonon, ajlla; tosouvtw/ ma'llon tw'n o{lwn gennhtiko;n o{sw/ tw'n uJfistamevnwn ejxh/rhmevnhn e{nwsin 50 proesthvsato: oujde; to; govnimon aujth'" eij" plh'qo" kai; diaivresin ajpofevretai, mevnei de; a[cranton ejn ajbavtoi" ajpokekrummevnon, ejpei; kajn toi'" met aujth;n oJrw'men pantach'/ to; tevleion genna'n ejfievmenon kai; to; plh're" metadidovnai

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ciascun livello degli enti a sua volta conveniamo che sussista la monade a quello analoga, non solo nell’ambito degli oggetti sensibili, come Platone dice a proposito del sole118, ma anche tra i gene- 25 ri degli dèi sia quelli encosmici sia quelli che precedono questi ultimi, generi i quali sono stati disposti in ordine da parte del Bene. Infatti è chiaro che le entità che sono più vicine alla Causa 49 prima e che sono in misura maggiore partecipi di essa sono in certo modo più simili ad essa; e come quella è causa di tutti gli enti, così essi a loro volta hanno collocato innanzi le monadi come 5 sovrane degli ordinamenti più particolari. E le forme di molteplicità 119 le subordina alle monadi, mentre fa tendere tutte quante le monadi a loro volta in alto verso il Principio trascendente della totalità del reale e le fa stare intorno a quello in modo uniforme. Pertanto bisogna che la scienza teologica purifichi, con gli stessi criteri che valgono per gli ordinamenti divini, le nozioni concernenti il Principio in modo che esse risultino prive di mescolanza e che sovrastino e non siano intrecciate a nessuna delle altre 10 nozioni, e bisogna che da un lato consideri tutte le realtà seconde come sussistenti in base al Principio e rese perfette in riferimento ad esso, e dall’altro presupponga esso come trascendente rispetto a tutte le monadi insite negli enti, in base ad un’unica forma di superiorità che appartiene alla semplicità e come preposto in 15 modo unitario a tutti quanti gli ordinamenti. Come infatti gli dèi stessi hanno stabilito con leggi l’ordine che sussiste tra di loro, così anche la verità intorno ad essi deve delimitare i principi causali antecedenti gli enti e le entità seconde e terze che da questi derivano. Questa pertanto è la sola verità concernente il Primo Principio 20 e che possiede un solo significato che si concilia in modo particolare con le ipotesi platoniche, cioè che esso preesiste alla totalità degli ordinamenti insiti tra gli dèi e fa sussistere l’essenza “simile al Bene” degli dèi, e che esso è fonte della bontà sovraessenziale, e che tutte le cose che vengono dopo il Primo Principio, tenden- 25 do in alto verso esso, si colmano di beni, e in modo ineffabile sono unite al Principio e risultano sussistere in modo unitario in riferimento ad esso. Infatti il suo carattere unitario non è sterile, ma quanto più è generatore della totalità delle cose, tanto più sta innanzi all’unificazione trascendente delle entità sussistenti. Né il 50 suo carattere fecondo lo trascina alla molteplicità e alla divisione, ma esso rimane incontaminato, celato in recessi irraggiungibili, dato che anche nelle entità che vengono dopo di esso vediamo che in ogni ambito ciò che è perfetto brama generare e ciò che è ricol-

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kai; a[lloi" speu'don th'" plhrwvsew". Pollw'/ dh; ou\n meizovnw" to; pavsa" ta;" teleiovthta" ejn eJni; sunevcon kai; o} mh; ti; ajgaqovn ejstin ajll aujtoagaqo;n kai; to; uJperplh're", eij oi|ovn te favnai, gennhtiko;n tw'n o{lwn e[stai kai; uJpostatiko;n aujtw'n, tw'/ tw'n pavntwn ejxh/rh'sqai ta; pavnta paravgon 10 kai; tw'/ ajmevqekton ei\nai pavnta oJmoivw" tav te prw'ta kai; ta; e[scata tw'n o[ntwn ajpogennw'n. Alla; th;n gevnesin tauvthn kai; th;n provodon mhvte kinoumevnou tou' ajgaqou' mhvte plhquomevnou mhvte duvnamin e[conto" gennhtikh;n mhvte ejnergou'nto" uJpolavbh/" probavl15 lesqai: pavnta ga;r tau'ta deuvterav ejsti th'" tou' prwvtou monwvsew". Ei[te ga;r kinei'tai to; ajgaqo;n, oujk ajgaqo;n e[stai: to; ga;r aujtoagaqo;n kai; o} mhde;n a[llo ejstivn, eij kinoi'to, th'" ajgaqovthto" ejksthvsetai: pw'" ou\n to; di ajgaqovthta tw'n o[ntwn paraktikovn, aujtw'/ tw'/ paravgein ta; o{la 20 tou' ajgaqou' sterovmenon ajnafanhvsetai Ei[te plhquvetai, di ajsqevneian ãhJÃ provodo" e[stai tw'n o{lwn ãh]Ã di u{fesin ajll ouj periousivan th'" ajgaqovthto": to; ga;r ejn tw'/ genna'n th'" oijkeiva" uJperoch'" ejxistavmenon, ouj dia; teleiovthta govnimon ajlla; di u{fesin th'" eJautou' dunavmew" kai; e[ndeian 25 speuvdei ta; ceivrona kosmei'n. Ei[te dunavmei crwvmenon paravgei ta; pavnta, th'" ajgaqovthto" ejlavttwsi" e[stai peri; 51 aujtov, duvo ga;r a]n ei[h kai; oujc e{n, ajgaqo;n kai; duvnami": kai; eij me;n dei'tai th'" dunavmew", ejndee;" a]n ei[h to; prwvtw" ajgaqovn, eij de; ejxarkei' pro;" th;n teleiovthta tw'n paragomevnwn kai; pro;" th;n plhvrwsin tw'n pavntwn aujto; to; ei\nai tajgaqovn, tiv th;n duvnamin ejn prosqhvkh" moivra/ para5 lambavnomen AiJ ga;r prosqevsei" ejn toi'" qeoi'" ajfairevsei" eijsi; tw'n uJperecousw'n eJnwvsewn. Movnon ou\n tajgaqo;n e[stw kai; pro; dunavmew" kai; pro; ejnergeiva": pa'sa ga;r ejnevrgeia dunavmewv" ejstin e[kgono". Ou[t ou\n ejnergou'nto" ejkeivnou pavnta kat ejnevrgeian uJfevsthken, ou[te dunavmew" deomevnou 10 pavnta plhvrh dunavmewn, ou[te plhquomevnou pavnta tou' ajgaqou' meteivlhfen, ou[te kinoumevnou pavnta parovnto" ajpolauvei tou' prwvtou. Pasw'n ga;r dunavmewn kai; pasw'n ejnergeiw'n kai; panto;" plhvqou" kai; kinhvsew" prohgei'tai tajgaqovn, ejpei; kai; touvtwn e{kaston wJ" pro;" tevlo" to; 15 ajgaqo;n ajnafevretai. To; dh; tw'n teleivwn aJpavntwn telikwvtaton kai; to; tw'n ejfetw'n o{lwn kevntron pavnta me;n ta; 5

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mo si impegna a rendere partecipi della pienezza anche altre enti- 5 tà. Certamente dunque in misura molto maggiore ciò che tiene unite tutte le perfezioni in un’unità e che non è un bene, ma è il Bene-in-sé e che è stracolmo, se si può dire, sarà generatore della totalità delle cose e atto a farle sussistere, per il fatto che le trascende tutte in quanto le introduce tutte e per il fatto che è impar- 10 tecipabile in quanto genera tutte le cose, allo stesso modo sia i primi che gli ultimi tra gli enti. Ma questa generazione e la processione non si deve supporre che venga provocata né perché il Bene si muove, né perché esso si moltiplica né perché possiede una capacità generativa né perché agisce: tutte queste proprietà infatti sono inferiori alla condizione 15 di isolamento del Primo. Infatti se il Bene si muove, non sarà Bene: infatti ciò che è Bene-in-sé e che non è nient’altro, se si muovesse, si allontanerebbe dalla bontà. Come dunque sarà possibile che ciò che per bontà è atto a produrre gli enti, per il fatto stesso di introdurre la totalità delle cose appaia privo del Bene? Se 20 poi si moltiplica, vi sarà la processione della totalità delle cose per debolezza oppure per inferiorità, ma non per sovrabbondanza della bontà: infatti ciò che nel generare si allontana dalla propria superiorità, è generativo non per perfezione, ma per inferiorità, e per debolezza della sua propria potenza si impegna a disporre in 25 ordine le entità inferiori. Se poi è ricorrendo ad una potenza che introduce tutte le cose, vi sarà una diminuzione della bontà per quel che lo concerne: infatti vi sarebbero due entità e non una 51 sola, bene e potenza; e se ha bisogno della potenza, il Bene in senso primo risulterebbe mancante, se invece basta per la perfezione delle entità introdotte e per la pienezza di tutte il fatto stesso che 5 vi sia il Bene, che cosa assumiamo a fare la potenza a mo’ di aggiunta? In effetti le aggiunte negli dèi sono sottrazioni delle loro unità trascendenti. Esso dunque deve essere solo “il Bene”, anteriormente alla potenza ed anche all’atto: ogni atto infatti è generato da una potenza. E dunque non perché il Bene agisce, tutte le 10 cose in atto sussistono, né perché ha bisogno di potenza, tutte le cose sono ricolme di potenze, né perché si moltiplica, tutte le cose risultano partecipi del Bene, né perché si muove, tutte le cose godono della presenza del Primo. Infatti il Bene precede tutte le potenze, tutti gli atti e ogni forma di molteplicità e di movimento, dal momento che ciascuno di questi si rapporta al Bene come al 15 suo fine. Ciò che è assolutamente fine supremo per tutte quante le entità perfette e ciò che è centro della totalità dei desiderabili, in quanto da un lato è garante di tutti i fini desiderabili per le real-

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ejfeta; tevlh corhgou'n toi'" deutevroi", aujto; de; ajperivgrafon toi'" pa'si prou>pavrcon to; prw'tovn ejstin ajgaqovn. ãhVÃ Alla; dh; meta; tau'ta tw'n ejn th'/ pro;" Dionuvsion ejpistolh'/ peri; th'" prwvth" ajrch'" ejnnoiw'n ajntilabwvmeqa kai; qewrhvswmen o{pw" uJmnei' th;n a[rrhton aujth'" kai; ajmhvcanon o{shn uJperbolhvn. 25 Tavca d a[n ti" hJmi'n dusceravneien wJ" proceivrw" ta; tou' 52 Plavtwno" e{lkousin ejpi; ta;" eJautw'n uJpoqevsei", kai; tou;" trei'" basileva" noerou;" ei\nai fhvsei pavnta" qeouv", to; de; ajgaqo;n oujde; suntavttein oujde; sunariqmei'n ajxiwvsei toi'" deutevroi": ouj ga;r dh; th'" ejxh/rhmevnh" aujtou' pro;" tou;" 5 a[llou" uJperoch'" th;n toiauvthn ejpaxivan ei\nai sunarivqmhsin, oujde; o{lw" prw'ton ei\nai tajgaqo;n wJ" pro;" a[llo deuvteron h] trivton ai[tion eij" triavdo" sumplhvrwsin met a[llwn suntelei'n: ajlla; pavsh" triavdo" kai; panto;" ajriqmou' meizovnw" ejkei'no proevcein h] tou;" nohtou;" qeou;" tw'n 10 noerw'n. Pw'" ou\n to; pavntwn oJmou' tw'n qeivwn ajriqmw'n ejxh/rhmevnon sunariqmou'men toi'" a[lloi" basileu'si kai; to;n me;n prw'ton to;n de; deuvteron to;n de; trivton ejpisunavptomen Polla; d a]n e[coi kai; a[lla levgein th;n th'" prwvth" ajrch'" pro;" pa'n to; qei'on uJperoch;n ejndeiknuvmeno": kai; dh; kai; 15 hJmi'n diaferovntw" e[stai tw'n toiouvtwn lovgwn ejxhghthv", oi} tajgaqo;n ajmevqekton ei\naiv famen kai; pavntwn ejkbebhkevnai tw'n nohtw'n h] noerw'n genw'n kai; pasw'n uJperidru'sqai tw'n qeivwn monavdwn. All o{ti me;n oJ Plavtwn pavntwn basileva to;n prw'ton 20 uJpotivqetai qeovn, kai; tou'ton ei\naiv fhsin ou| e{neka pavnta kai; wJ" ai[tion pavntwn kalw'n, ouj pollou' dei'n oi\mai lovgou toi'" ta;" rJhvsei" kaq auJta;" ejpiskopoumevnoi" cwri;" tw'n oijkeivwn ejpinoiw'n a}" fevronte" eijsbiavzontai kai; tw'/ Plavtwni prosarmovttein ejpiceirou'si: o{ti de; ouj 25 sunariqmou'nte" tau'tav famen, dhloi' kai; aujto;" oJ Plavtwn, ou[te prw'ton eijpw;n basileva to;n prw'ton ajlla; pavntwn 20

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tà seconde, e dall’altro preesiste nel suo carattere non circoscrivibile a tutte le entità, è il Primo Bene.

[Di che natura nella “Lettera” a Dionisio afferma che è il Primo Re; e più richiami al fatto che in quei passi lascia indicazioni sul Primissimo Dio]

20

Ma ora dopo tali considerazioni passiamo ad occuparci delle nozioni circa il Principio Primo presenti nella lettera a Dionisio120 e consideriamo in che modo celebri la sua ineffabile e inconcepibilmente straordinaria superiorità. Forse qualcuno121 disapproverebbe che noi con troppa facili- 25 tà ricorriamo a forzature delle dottrine di Platone per usarle con- 52 tro i loro stessi presupposti, e dirà che i tre re sono tutti dèi intellettivi, mentre il Bene riterrà che non si debba né collocarlo per ordinamento né annoverarlo insieme alle realtà seconde: infatti tale enumerazione di insieme non è certamente degna della sua trascendente superiorità rispetto agli altri , né assolutamente 5 il Bene è primo rispetto ad un altro secondo o terzo principio causale così da collaborare con altri alla completezza di una triade. Ma rispetto ad ogni triade e ad ogni insieme numerico quello è superiore più di quanto lo siano gli dèi intelligibili rispetto a quelli intellettivi. Come dunque possiamo annoverare tra gli altri re 10 ciò che trascende tutti in una volta gli insiemi delle realtà divine e come possiamo connettere insieme il primo, il secondo ed il terzo? Molte altre cose 122 potrebbe dire mettendo in luce la superiorità del Primo Principio rispetto ad ogni realtà divina: e certamente chi sostiene discorsi di questo tipo sarà in modo 15 particolare per noi vero esegeta, per noi che diciamo che il Bene è impartecipabile e che è posto al di fuori di tutti i generi intelligibili o intellettivi e che sta al di sopra di tutte le monadi divine. Ma il fatto che Platone consideri «Re di tutte le cose» il Primo 20 Dio, e sia questo che definisce «ciò in vista di cui sono tutte le cose» e «Causa di tutte le cose belle»123, non mi pare che richieda molto ragionamento per coloro che prendono in esame le parole di per se stesse a prescindere dalle proprie personali idee: infatti se propongono queste ultime, finiscono per introdurle a forza e cercano a tutti i costi di adattarle a Platone; d’altra parte il fatto che facciamo queste affermazioni non nel senso di una semplice 25 enumerazione di insieme, lo rivela anche lo stesso Platone che non

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basileva movnon, ou[te ãprw'taà ta; peri; aujto;n w{sper deuvtera peri; to; deuvteron kai; ta; trivta peri; to; trivton ajlla; pavnq aJplw'" ta; o[nta, kai; toi'" me;n a[lloi" ajriqmo;n prosavgwn kai; dih/rhmevnhn basileivan, tw'/ de; basilei' tw'n pavntwn ou[te ajriqmou' movrion ou[te pro;" 5 tou;" a[llou" ajntidiaivresin th'" ajrch'" ajpodidouv". O dh; toiou'to" tw'n lovgwn trovpo" ou[te sunariqmei' toi'" a[lloi" aujto;n ou[te wJ" triavdo" hJgouvmenon suntavttei deutevra/ kai; trivth/ dunavmei: th'" ga;r triadikh'" diairevsew", hJ me;n prwvth mona;" tw'n prwvtwn hJgei'tai kai; sustoivcwn eJauth'/ 10 diakovsmwn, hJ de; deutevra tw'n deutevrwn, hJ de; trivth tw'n trivtwn. Eij de; kai; pavntwn hJgei'sqai th;n prwvthn uJpolambavnoi ti" wJ" kai; tou;" deutevrou" oJmou' kai; tou;" trivtou" klhvrou" perilambavnousan, ajll hJ kata; perioch;n aijtiva th'" ejpi; pavnta dihkouvsh" oJmoivw" ejxhvllaktai, kai; tw'/ me;n 15 pavntwn basilei' ta; pavnta kaq e{na lovgon kai; mivan tavxin uJpotevtaktai, tw'/ de; prwvtw/ th'" triavdo" ta; me;n prw'ta kata; th;n aujtou' tavxin ta; de; deutevra kai; trivta kata; th;n pro;" tou;" loipou;" basileva" koinwnivan douleuvein ajnavgkh. Pw'" ou\n to; th'" prwtivsth" aijtiva" ejxh/rhmevnon kai; ajsuvn20 takton pro;" ta;" a[lla" tw'n qew'n basileiva" oujc ou|to" oJ lovgo" ajnumnei' diaferovntw", o{tan kai; pavntwn aujth;n basileuvein oJmoivw" levgh/, kai; pavnta peri; aujth;n uJfestavnai, kai; aujth'" e{neka toi'" pa'sin uJpavrcein thvn te oujsivan kai; to; ejnergei'n 25 Eij de; kai; oJ ejn th'/ Politeiva/ Swkravth" ajnavlogon tajgaqw'/ to;n h{lion ãejnà tw'/ kovsmw/ basileuvein safw'" ajnadidavskei, kai; th;n ajnalogivan tauvthn oujdei;" a]n aijtia'sqai tolmhvseien, wJ" to; ajgaqo;n tw'/ tw'n ejgkosmivwn basilei' sunariqmou'san: 54 ajll eij th'/ tw'n deutevrwn aijtiw'n pro;" ta;" prwvta" ajrca;" oJmoiovthti kai; th;n ejxh/rhmevnhn ejkeivnhn hJgemonivan ãsunÃdiafulavttein ajxiou'men, pw'" tou;" uJperkosmivou" basileva" ajnavlogon tw'/ prwvtw/ tw'n oijkeivwn klhvrwn hJgei'sqai, kaqavper 5 ejkei'no tw'n o{lwn protevtaktai kata; mivan uJperochvn, ajduvnaton fhvsomen Kai; tiv dei' polla; levgein Alla; basileva me;n oJ Plavtwn to;n qeo;n ajpokalei', tou;" de; a[llou" oujkevti th'" aujth'" ejpwnumiva" ajxioi', oujk ejn ajrch'/ movnon th'" peri; 10 aujtw'n rJhvsew", ajlla; kai; mikro;n proelqwvn: Tou' dh; basilevw" ãpevriÃ, fhsiv, kai; w|n ei[pomen, oujdevn ejsti toiou'ton. Oujkou'n basileu;" me;n oJ prw'to" levgetai 53 ta;

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dice né “primo” il Re che viene per primo, ma soltanto «Re di tutte le cose», né le entità poste intorno ad esso e poi come «seconde quelle intorno al secondo, terze quelle intorno al 53 terzo», ma semplicemente «tutte le cose» che sono, e mentre agli altri attribuisce numero ed un distinto regno, invece al Re di tutte le cose non attribuisce né un determinato ordine numerico né una 5 distinzione per opposizione del Principio rispetto agli altri. E certamente tale tipo di discorsi non fa annoverare esso insieme agli altri né lo colloca per ordinamento, ritenendo che sia a capo di una triade, insieme ad una secondo e terza potenza. Infatti della divisione triadica, la prima monade guida i primi ed a se stessa corrispondenti ordinamenti, la seconda dal canto suo i secondi, la 10 terza infine i terzi. Ma se pure si supponesse che la prima li guida tutti, comprendendo insieme sia i secondi sia i terzi domini – ma in questo caso la causalità nella sua forma includente124 risulta differente rispetto a quella che attraversa tutte le cose allo stesso modo – anche al «Re di tutte le cose» tutte le cose in base ad un 15 unico principio e ad un solo ordinamento sono sottoposte, mentre è necessario che le realtà prime siano asservite al Primo Re in base al suo ordinamento, e a loro volta le seconde e le terze in base alla comunanza con gli altri re. Come dunque è possibile che questo discorso non celebri in modo particolare la natura della pri- 20 missima causa, trascendente e disgiunta rispetto agli altri regni degli dèi, allorché Platone afferma che essa regna su tutte le cose e che tutte le cose risultano sussistere intorno ad essa, e che in vista di essa tutte le cose posseggono sia l’essenza che l’agire? Se d’altra parte il Socrate della Repubblica illustra chiaramen- 25 te che, come analogo al Bene, il sole regna nel cosmo, nessuno oserebbe accusare anche questa analogia di annoverare il Bene insieme al Re delle entità encosmiche. Ma se insieme alla somi- 54 glianza dei principi causali secondi con i principi primi riteniamo che si debba tutelare anche quella trascendente supremazia, in che modo potremo dire impossibile che, in modo analogo al primo Re, i re ipercosmici siano a capo dei propri domini, allo stesso modo in cui quello si colloca innanzi alla totalità del reale 5 in base ad una superiorità che è solo sua? E che bisogno c’è di dire molte cose? Ma «Re» Platone appella il dio, mentre gli altri non li ritiene più degni della stessa denominazione, non solo al principio del discorso che li riguarda, ma 10 anche poco dopo, quando prosegue dicendo: «certamente per quel che concerne il Re e le cose che diciamo, nulla v’è di tale»125. Dunque «Re» viene definito solo il Primo Dio: Re, d’altronde, non

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movno" ªoJº qeov": basileu;" de; ouj tw'n prwvtwn movnon, w{sper dh; tw'n deutevrwn oJ deuvtero" kai; tw'n trivtwn oJ trivto", 15 ajlla; pavntwn oJmou' tw'n o[ntwn, kai; tw'n kalw'n pavntwn ai[tio". Exh/rhmevnw" a[ra kai; eJnoeidw'" kai; kata; th;n uJperoch;n tw'n o{lwn proevcei tw'n a[llwn aijtivwn, kai; ou[te suntetagmevno" aujtoi'" ou[te wJ" triavdo" hJgouvmeno" uJpo; tou' Plavtwno" ajnuvmnhtai. 20 Kai; mh;n kai; o{ti peri; tou' prwvtou qeou' tau'ta diatevtaktai, mikro;n ejpanelqovnte" tw'n peri; aujtou' lovgwn mavqoimen a[n: Fh;/" ga;r dh; kata; to;n ejkeivnou lovgon, oujc iJkanw'" ajpodedei'cqaiv soi peri; th'" tou' prwvtou fuvsew". Fravsw toivnun di aijnigmw'n i{na a[n ti hJ devlto" h] 25 povntou h] gh'" ejn ptucai'" pavqh/, oJ ajnagnou;" mh; 55 gnw'/. Wde ga;r e[cei. Peri; to;n pavntwn basileva ta; pavnta ejsti; kai; ejkeivnou e{neka pavnta, kai; ejkei'no ai[tion pavntwn tw'n kalw'n. En dh; touvtoi" ta;" peri; tou' prwvtou di aijnigmavtwn ejnnoiva" hJmw'n ajnakaqhvrasqai 5 proqevmeno", to;n pavntwn ejxumnei' basileva, kai; th;n aijtivan tw'n o{lwn ejp aujto;n ajnafevrei kalw'n te kai; ajgaqw'n. Tiv" ou\n ejsti tw'n pavntwn basileu;" h] oJ eJniai'o" qeov", oJ tw'n pavntwn ejxh/rhmevno" kai; ta; pavnta paravgwn ajf eJautou' kai; kata; mivan aijtivan ejxhgouvmeno" tw'n o{lwn 10 diakovsmwn Tiv" de; oJ ta; tevlh pavnta pro;" eJauto;n ejpistrevfwn kai; peri; eJauto;n uJposthsavmeno" Ou| ga;r e{neka ta; pavnta, tou'ton aJpavntwn telw'n tevlo" kai; prwtourgo;n aijtivan proseipwvn, oujk a]n aJmavrtoi" th'" peri; aujto;n ajlhqeiva". Tiv" de; oJ tw'n kalw'n aJpavntwn 15 ai[tio", kai; pavnta katalavmpwn tw'/ qeivw/ fwtiv, kai; to; aijscro;n kai; to; a[metron eij" to; e[scaton kai; to; tw'n o{lwn ajmudrovtaton katakleivsa" Eij de; bouvlei, kai; ejk tw'n eJxh'" tou' Plavtwno" rJhmavtwn, tivni proshvkei fhvsomen to; mhdeno;" lovgou mhde; gnwvsew" 20 dektikovn. Tw'/ prwvtw/. To; ga;r æPoi'ovn ti mhvnæ aJpavntwn ai[tiovn ejsti kakw'n eij" th;n prwtivsthn ajrch;n ajnaferovmenon: ou[te ga;r noh'sai tauvthn wJ" a[gnwston ou[te ajfermhneu'sai dunato;n wJ" ajperivgrafon, ajll o{per a]n ei[ph/", ti; ejrei'" kai; peri; ejkeivnh" me;n ejrei'", aujth;n de; oujk 25 ejrei'": w|n gavr ejstin aijtiva levgonte", o{ ti potev ejstin eijpei'n h] dia; nohvsew" labei'n ajdunatou'men. Entau'qa toivnun hJ prosqhvkh tou' poiou' kai; hJ polupragmosuvnh 56 th'" yuch'" ajfivsthsi me;n aujth;n th'" ejxh/rhmevnh" tw'n

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solo delle prime entità, come il secondo è appunto re delle seconde e il terzo delle terze, ma «di tutti» insieme gli enti, e «causa di 15 tutte le cose belle». In modo trascendente dunque ed in modo unificato ed in base alla superiorità sulla totalità del reale sopravanza tutti gli altri principi causali, e non è stato celebrato da Platone in quanto risulta congiunto ad essi per ordinamento né come se fosse a guida di una triade. Ed in effetti anche il fatto che queste considerazioni sono ordi- 20 natamente esposte a proposito del Primo Dio, andando un poco indietro, potremmo apprenderlo dai discorsi che lo concernono: «Dici in effetti, secondo quanto egli126 afferma, che non ti è stata fornita sufficiente dimostrazione circa la natura del Primo. Parlerò pertanto per enigmi affinché, se in qualche anfratto di mare o di 25 terra dovesse mai accadere qualcosa a questa lettera, chi legge non possa comprendere. Così in effetti stanno le cose. Intorno al Re di 55 tutte le cose si trovano tutte le cose e in vista di quello sono tutte, e quello è causa di tutte le cose belle»127. In questo passo, avendo premesso che dobbiamo purificando le nostre nozioni concernenti il Primo attraverso gli enigmi, celebra il Re di tutte 5 le cose, e fa risalire ad esso la causa di tutte quante le cose belle ed al contempo buone. Chi è dunque il Re di tutte le cose se non il Dio unitario, quello che trascende tutte le cose e che introduce da se stesso tutte le cose e che in base ad un’unica causa è guida di tutti quanti gli ordinamenti? Chi è che fa rivolgere tutti i fini verso 10 se stesso ed intorno a se stesso li fa sussistere? Infatti appellandolo “ciò in vista di cui sono tutte le cose”, “fine di tutti i fini” e “causa originaria”, non mancheremmo la verità. Chi è del resto colui che «di tutte le cose belle» è causa, e che ha relegato ciò che 15 è brutto e ciò che è sproporzionato all’ultimo e più oscuro livello della totalità del reale? Inoltre, se si vuole, anche in base alle affermazioni di Platone immediatamente successive, diremo a chi si addice il carattere dell’inammissibilità di ogni discorso e di ogni conoscenza. Al Primo. 20 Infatti la domanda «di che natura mai si tratta?», se viene riferita al Primissimo Principio, «è causa di tutti quanti i mali»128. Infatti non è possibile né pensare questo, in quanto è inconoscibile, né spiegarlo, in quanto è indeterminato, ma qualunque cosa si dica, si dirà qualche cosa e la si dirà del Principio, ma non si potrà 25 esprimere il Principio stesso. Infatti se si parla delle cose di cui è causa, che cosa mai sia non possiamo dirlo o coglierlo attraverso la riflessione. In questo caso pertanto l’aggiunta della qualità e la smania di conoscere dell’anima, da un lato, allontana il Principio 56

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o{lwn ajgaqovthto", pleonavzousan tai'" peri; aujth'" ejnnoivai", kaqevlkei de; eij" ta; suggenh' kai; suvmfula kai; polueidh' nohvmata, to; de; eJniai'on ajpolambavnei kai; kruvfion th'" tou' 5 ajgaqou' metousiva". Kai; ouj th;n ajnqrwpivnhn yuch;n movnon kaqareuvein proshvkei tw'n eJauth'" sustoivcwn ejn th'/ pro;" to; prw'ton eJnwvsei kai; koinwniva/ pa'n to; eJauth'" plh'qo" e[xw kataleivpousan, kai; th;n u{parxin th;n eJauth'" ajnegeivrousan muvsasan, fhsiv, prosavgein auJth;n tw'/ pavntwn 10 basilei' kai; metevcein tou' fwtov", wJ" aujth'/ qemitovn: ajlla; kai; nou'" pro; hJmw'n kai; pavnta ta; qei'a tai'" ajkrotavtai" eJnwvsesin eJautw'n kai; toi'" uJperousivoi" pursoi'" kai; tai'" uJpavrxesi tai'" prwvtai" h{nwntai tw'/ prwvtw/ kai; metevcousin ajei; th'" ejkei'qen plhrwvsew": oujc h|/per ou\n 15 eijsin, ajll h|/ tw'n eJautoi'" suggenw'n ejxhv/rhntai, pro;" th;n mivan ajrch;n sunneuvousi. Pa'si ga;r ejnevspeiren oJ tw'n o{lwn ai[tio" th'" eJautou' pantelou'" uJperoch'" sunqhvmata, kai; dia; touvtwn peri; eJauto;n i{druse ta; pavnta, kai; pavrestin ajrrhvtw" pa'sin ajf o{lwn ejxh/rhmevno". 20 Ekaston ou\n eij" to; th'" eJautou' fuvsew" a[rrhton eijsduovmenon euJrivskei to; suvmbolon tou' pavntwn Patrov": kai; sevbetai pavnta kata; fuvsin ejkei'non, kai; dia; tou' proshvkonto" aujtw'/ mustikou' sunqhvmato" eJnivzetai th;n oijkeivan fuvsin ajpoduovmena, kai; movnon ei\nai to; ejkeivnou suvnqhma 25 speuvdonta kai; movnou metevcein ejkeivnou, povqw/ th'" ajgnwvstou fuvsew" kai; th'" tou' ajgaqou' phgh'": kai; mevcri tauvth" ajnadramovnta th'" aijtiva" ejn galhvnh/ givnetai kai; tw'n 57 wjdivnwn lhvgei kai; tou' e[rwto", o}n e[cei ta; pavnta kata; fuvsin, th'" ajgnwvstou kai; ajrrhvtou kai; ajmeqevktou kai; uJperplhvrou" ajgaqovthto".

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ãqVÃ All o{ti me;n peri; tou' prwvtou qeou' to;n parovnta lovgon uJpoqetevon, kai; wJ" ajsuvntakton aujto;n kai; tw'n loipw'n ejxh/rhmevnon diaferovntw" ejn touvtoi" oJ Plavtwn

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dalla bontà che trascende la totalità delle cose, in quanto esso diventa molteplice per via della nozioni che lo concernono, dall’altro lo trascina in basso verso i concetti congeneri, affini e multiformi, mentre priva del carattere di unitarietà e segretezza la par- 5 tecipazione al Bene. E non solo l’anima umana conviene che si mantenga pura da quegli aspetti che fanno parte del suo livello nella sua unione e comunione con il Primo, lasciando fuori tutta la sua molteplicità129, e che, risvegliando la sua vera esistenza «chiusi gli occhi», egli afferma130, si avvicini al «Re di tutte le cose» 10 e partecipi della luce, nella misura in cui è ad essa concesso; ma anche l’Intelletto131 prima di noi e tutte le entità divine con le loro più elevate unioni e con i «fuochi»132 sovraessenziali e con le realtà che vengono per prime risultano uniti unito al Primo e partecipano sempre della pienezza che da lassù proviene: non dunque per come sono, ma in quanto hanno trasceso le entità loro conge- 15 neri, convergono verso il solo ed unico Principio. Infatti la causa della totalità del reale «in tutte le cose ha seminato segni» della sua assoluta superiorità, e tramite questi ha fatto stare intorno a sé tutte le cose, ed è presente in modo ineffabile in tutte rimanendo però rispetto a tutte quante trascendente. Dunque ciascuna enti- 20 tà penetrando nel carattere ineffabile della propria natura trova il «simbolo del Padre» di tutte le cose133. E tutte le entità venerano secondo natura quello, e attraverso il segno mistico che si confà al Principio si uniscono spogliandosi della propria natura, e impegnandosi ad essere solo il segno di quello e a partecipare di quel- 25 lo solamente, per la brama della natura inconoscibile e della fonte del bene. Ed essendosi spinte fino a questa causa vengono a trovarsi nella calma e «trovano pace dalle doglie e dall’amore»134, che 57 tutte le entità nutrono secondo natura per l’inconoscibile, ineffabile, impartecipabile e traboccante Bontà.

[Quali sono le tre nozioni riguardanti il Primo Re che sono state tramandate; in che senso intorno a quello si trovano tutte le cose, in che senso in vista di quello sono tutte le cose, in che senso quello è causa di tutte le cose belle; e qual è l’ordine di queste nozioni comuni, e a partire da quali presupposti sono state assunte] Ebbene, il fatto che si deve supporre che il presente discorso riguardi il Primo Dio, ed in che modo Platone in queste riflessioni lo lasci in maniera particolare disgiunto e trascendente rispetto

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toi'" nohvmasin ajfivhsin, oi\mai dia; touvtwn uJpomemnh'sqai metrivw": skeywvmeqa de; ejfexh'" kai; tw'n dogmavtwn e{kaston 10 kai; tai'" peri; th'" aijtiva" ejnnoivai" ejfarmovswmen, i{na kajk touvtwn to;n th'" o{lh" qeologiva" skopo;n tw'/ logismw'/ perilavbwmen. Miva me;n ou\n ajlhvqeia peri; th'" prwvth" ajrch'" e[stw diaferovntw" aujth'" uJmnou'sa to; a[rrhton kai; aJplou'n kai; 15 tw'n pavntwn ejkbebhkov", h} ta; me;n a[lla pavnta peri; ejkeivnhn uJfivsthsin, aujth;n de; ou[te genna'n ou[te paravgein oujde;n ou[te wJ" tevlo" prou>pavrcein tw'n meq eJauth;n uJpotivqetai. To; ga;r toiou'ton tw'n ojnomavtwn ei\do" ou[te prostivqhsin oujde;n tw'/ ajgnwvstw/  ajpo; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon, ou[te 20 plhquvei ãto;Ã pavsh" eJnwvsew" uJperidrumevnon, ou[te scevsin ajnafevrei kai; koinwnivan tw'n deutevrwn ejpi; to; pantelw'" ajmevqekton, oujde; o{lw" peri; ejkeivnou didavskein ejpaggevlletai kai; th'" ejkeivnou fuvsew", ajlla; peri; tw'n met ejkei'no deutevrwn kai; trivtwn uJpostavsewn. 25 Tauvth" de; ou[sh" toiauvth" kai; ou{tw" to; a[rrhton 58 sebouvsh" tou' prwvtou qeou' th'" ejndeivxew", deutevra met aujthvn ejstin hJ pavsa" ta;" ejfevsei" tw'n pragmavtwn ejpistrevfousa pro;" aujtov, kajkei'no tw'n o{lwn ejfeto;n kai; koino;n tevlo" ajneufhmou'sa kata; mivan aijtivan pasw'n 5 tw'n a[llwn aijtiw'n prohgoumevnhn. To; me;n ga;r e[scaton tw'n pragmavtwn e{nekav tou movnon ejstiv, to; de; prw'ton ou| e{neka movnon: pavnta de; ta; metaxu; metevcei tw'n duvo touvtwn ijdiothvtwn: kai; tw'n me;n uJperecovntwn wJ" ejfetw'n liparw'" ajntevcetai, toi'" de; uJpodeestevroi" ejndivdwsi th;n tw'n ejfevsewn 10 teleiovthta. Trivth de; pro;" tauvtai" ejsti; pollw'/ leipomevnh tw'n proeirhmevnwn qewriva th'" ajrch'" tw'n o{lwn, hJ kai; uJpostatikh;n aujth;n tw'n kalw'n pavntwn uJpotiqemevnh. To; me;n ga;r ãto;Ã tou' ajgaqou' corhgo;n kai; to; wJ" tevlo" proevcon tw'n 15 qeivwn diakovsmwn ejp aujth;n ajnapevmpein ouj povrrw bavllei th'" pavnta ta; ai[tia met aujth;n kai; ajp aujth'" th;n uJpovstasin e[cein legouvsh" uJfhghvsew", tav te patrika; kai; tou' ajgaqou' plhrwtika; kai; ta; tw'n gonivmwn dunavmewn oijstikav: to; de; kai; poihtikh;n aujth'/ kai; gennhtikh;n ajponev20 mein aijtivan porrwvteron fevretai th'" tou' prwvtou pantelou'" eJnwvsew": ou[te ga;r eij ai[tion ejkei'no tw'n o[ntwn ou[te eij gennhtikovn, h] gnw'nai toi'" deutevroi" qemito;n h] lovgw/ dielqei'n, ajlla; sigh'/ to; a[rrhton aujtou' kai; pro; tw'n

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a tutte le altre entità, ritengo che attraverso tali considerazioni sia stato in giusta misura ricordato. Passiamo poi subito dopo ad esaminare anche ciascuna delle dottrine e connettiamole con le no- 10 zioni di causa, per comprendere anche da tali considerazioni lo scopo della teologia nella sua interezza. Dunque una sola sia la verità riguardo al Primo Principio, che soprattutto celebri di esso il carattere ineffabile, semplice ed ulte- 15 riore rispetto a tutte le entità, verità la quale fa sussistere tutte le altre entità intorno a quel Principio, ma che non suppone che esso né generi né introduca nulla né preesista come fine alle entità che lo seguono. Infatti questo tipo di termini135 né aggiunge nulla all’Inconoscibile, trascendente rispetto alla totalità del reale136, né rende molteplice ciò che è posto al disopra 20 di ogni unificazione, né attribuisce relazione e comunanza da parte delle realtà seconde a ciò che è assolutamente impartecipabile, né in generale pretende di fornire insegnamenti intorno a quello e alla sua natura, ma sulle realtà seconde e terze dopo quello. Se la prima indicazione è di tal 25 sorta ed in questi termini essa onora il carattere ineffabile del Pri- 58 mo Dio, la seconda dopo essa è quella che fa convertire tutti i desideri delle realtà concrete verso di esso, e che proclama quello “desiderabile” per la totalità del reale e fine comune in base ad un’unica forma di causalità che sta alla testa di tutte le altre. Infatti 5 l’ultimo livello fra le realtà concrete è solo “in vista di qualcosa”, invece il Primo è solo ciò “in vista di cui”. Dal canto loro tutte le entità intermedie partecipano di queste due proprietà: a quelle che sono superiori si tengono strettamente attaccate come a oggetti di desiderio, invece a quelle inferiori concedono la perfetta realizza- 10 zione dei loro desideri. Terza poi oltre a queste è la considerazione, molto inferiore a quelle precedentemente esposte, del Principio come Principio della totalità delle cose, ed è quella che lo presuppone come origine del sussistere di tutte le cose belle. In effetti il riferire al Prin- 15 cipio il carattere di elargitore del bene e quello di fine che sovrasta tutti gli ordinamenti divini non ci allontana dal precetto secondo cui tutti i principi causali hanno la loro sussistenza dopo di esso e a partire da esso, sia quelli paterni e atti a colmare, sia quelli apportatori delle potenze generative; invece l’attribuire al Principio la causalità produttrice e generativa ci fa decisamente allontanare 20 dalla unità assoluta del Primo. Infatti né se quello è causa né se è generatore degli enti, è lecito agli esseri inferiori conoscerlo o trattare la questione con il discorso, ma è con il silenzio, invece, che si

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aijtivwn pavntwn ajnaitivw" ai[tion ajnumnei'n. Eij dev, w{sper to; ajgaqo;n kai; to; e{n, ou{tw kai; to; ai[tion, kai; teliko;n h] patrikovn, ajpo; tw'n prwvtwn aujtou' metecovntwn ejp aujto; metafevrein ejpiceirou'men, th'/ me;n wjdi'ni th'" yuch'" th'/ peri; 59 to;n eJniai'on qeo;n suggnwstevon kai; noei'n ejkei'non kai; peri; aujtou' levgein ojregomevnh/, th;n de; ejxh/rhmevnhn uJperbolh;n tou' eJno;" ajmhvcanon o{son th'" toiauvth" ejndeivxew" uJperfevrein qetevon. 5 Ek touvtwn toivnun kai; ta; tou' Plavtwno" iJeropreph' nohvmata kai; th;n proshvkousan toi'" pravgmasin tavxin ajpodexovmeqa. Kai; to; me;n prw'ton th;n aJplovthta tou' pavntwn basilevw" kai; th;n uJperoch;n kai; to; a[sceton kai; to; pro;" pavnta aJplw'" ajsuvntakton iJkanw'" ejndeivknusqai 10 fhvsomen. To; ga;r pavnta peri; aujto;n uJfesthkevnai, tw'n me;n deutevrwn th;n u{parxin ejkfaivnei, to; de; ejpevkeina tw'n o{lwn ajfivhsin oujdemivan e[cein pro;" ta; met aujto;n sumplokhvn. To; de; deuvteron th;n ejn tevlou" tavxei protetagmevnhn tw'n qew'n pavntwn aijtivan ajneufhmei'. Tw'/ ga;r pro; aijtiva" 15 sunecev" ejsti to; tw'n o{lwn aijtivwn ajkrovtaton, toiou'ton dev ejsti to; teliko;n ai[tion kai; to; ou| e{neka: tou'to toivnun met ejkei'no kai; th'/ tavxei tw'n pragmavtwn kai; th'/ th'" Platwnikh'" didaskaliva" proovdw/ sunanafaivnetai. To; de; au\ trivton kai; paraktiko;n aujto;n tw'n kalw'n uJpotivqetai, 20 kai; katadeevsteron tou' tevlou" aijtiva" ei\do" aujtw'/ prostivqhsin (o{qen, oi\mai, kai; oJ Plwti'no" phgh;n tou' kalou' to;n prw'ton qeo;n proseipei'n oujk w[knhse): dei' de; a[ra tw'/ pavntwn ajrivstw/ to; a[riston ajponevmein, i{na kai; pavntwn ai[tio" h\/ kai; proaivtio", wJ" oJ ajlhqh;" lovgo": tou'to dev 25 ejsti to; ajgaqovn. 60 Epei; kai; tou'to qaumasto;n ejn toi'" tou' Plavtwno" lovgoi" sunora'n e[xestin, wJ" to; me;n prwvtiston tw'n triw'n touvtwn ejnqevwn dogmavtwn ou[te peri; tou' ajgaqou' ti levgein tolma'/ kai; th'" ajporrhvtou tauvth" fuvsew", ou[te aijtiva" 5 ei\do" oujde;n ejp aujto; dia; tw'n lovgwn ajnafevrein hJmi'n sugcwrei'. To; de; deuvteron ejkei'no me;n ajfivhsin a[rrhton, wJ" qevmi", ejk de; th'" tw'n met aujto; scevsew" to; teliko;n ai[tion sullogivzesqai parevcetai. Ekei'no me;n ga;r ou| e{neka proseipei'n oujk hjxivwse, pavnta de; ejkeivnou 10 qevmeno" e{neka th'" tou' ejfetou' pro;" ta; ejfievmena koinwniva" kai; suntavxew" ejn hJmi'n ajnegeivrei th;n e[nnoian. Tov 25

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deve celebrare la sua ineffabilità e la sua causalità senza causa anteriore a tutte le cause. Se invece, come il carattere di Bene e di Uno, 25 così anche quello di causa, anche finale o paterna, cerchiamo di trasferire ad esso a partire dalle realtà che per prime ne partecipano, da un lato si deve essere comprensivi verso il travaglio dell’ani- 59 ma intorno al Dio unitario, travaglio per via del quale l’anima è tutta protesa a pensare quello e a parlare di lui, mentre dall’altro si deve stabilire che la trascendente superiorità dell’Uno supera in modo inconcepibilmente grande tale modo di indicarlo. In questa prospettiva accoglieremo pertanto non solo le vene- 5 rande concezioni di Platone, ma anche l’ordine che si addice alla realtà delle cose. E diremo che la prima dottrina indica opportunamente la semplicità del «Re di tutte le cose» e la sua superiorità e il suo carattere irrelato e semplicemente la sua non appartenenza all’ordine di tutte le cose. Infatti l’aver fatto sussistere tutte 10 le cose intorno a lui, rivela da un lato l’esistenza delle realtà seconde, dall’altro lascia ciò che è al di là di tutte le cose senza nessuna connessione con le entità che vengono dopo esso. La seconda dottrina proclama a gran voce la causa che nel ruolo di fine è posta prima di tutti gli dèi. Infatti a ciò che viene prima della nozione di causa è congiunta la forma più elevata della totalità delle cause, 15 d’altra parte tale è la causa finale e l’“in vista di cui”. Questo aspetto pertanto, dopo quello precedente, si rivela congiuntamente all’ordine delle realtà ed anche al procedere dell’insegnamento platonico. La terza dottrina a sua volta intende il Principio anche come atto ad introdurre le cose belle, ed aggiunge ad esso una 20 forma di causalità inferiore rispetto alla finalità (in base alla quale, a mio parere, anche Plotino137 non ha esitato a appellare il Primo Dio «fonte del bello»). D’altra parte si deve attribuire a ciò che è migliore fra tutte le cose il carattere migliore perché sia principio causale di tutte le cose ed anche pre-causale, come il ragionamen25 to veritiero . Ma questo è il Bene. Giacché, anche questo di mirabile è possibile cogliere nelle 60 opere di Platone, ossia come la primissima di queste sue dottrine divinamente ispirate né osi dire qualcosa intorno al Bene e a questa natura ineffabile, né ci consenta attraverso i ragionamenti di 5 attribuire ad esso nessuna forma di causalità. La seconda lo lascia ineffabile, come è lecito, ma dalla relazione con le realtà che vengono dopo esso offre la possibilità di dedurre il concetto di causa finale. Infatti non ha ritenuto opportuno chiamare quello “in vista del quale”, ma stabilendo che «tutte le cose sono in vista di quel- 10 lo», risveglia in noi la nozione della comunanza e della coordina-

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ge mh;n trivton ejkei'no tw'n kalw'n ai[tion ajpofaivnetai: tou'to dev ejsti kai; levgein ti peri; aujtou', kai; prostiqevnai th'/ th'" prwvth" aijtiva" aJplovthti, kai; mh; mevnein ejpi; th'" tou' 15 tevlou" ejnnoiva", ajlla; kai; poihtikh;n aujth'/ prosavptein tw'n deutevrwn ajrchvn, kaiv moi dokei' kajntau'qa tw'n prosecw'" meta; to; prw'ton ejkfanevntwn: oujde; ga;r ajllacovqen ti peri; ejkeivnou levgein dunato;n h] pote; me;n ejk tw'n pavntwn pote; de; ejk tw'n ajrivstwn oJrmwmevnoi": kai; ga;r pa'si toi'" 20 ou\sin ai[tiovn ejsti th'" uJpavrxew", kai; prwvtw" uJpo; tw'n ajrivstwn metevcetai kai; th'" eJautou' cwristh'" eJnwvsew" ejkfaivnei dia; touvtwn th;n ijdiovthta. To; me;n ou\n e}n kai; to; ajgaqo;n ejk th'" eij" a{panta ta; o[nta kaqhkouvsh" ajp aujtou' dovsew" ejp aujto; methvgomen: w|n ga;r ta; o[nta pavnta 25 meteivlhfe, touvtwn to; ai[tion oujde;n a[llo fhvsomen h] to; pro; touvtwn aJpavntwn iJdrumevnon. To; de; peri; o} kai; to; di o} kai; to; ajf ou| diaferovntw" mevn ejstin ejn toi'" nohtoi'" qeoi'", ajpo; de; touvtwn eij" to; prw'ton ajnapevmpetai: povqen ga;r 61 a[lloqen toi'" eJniaivoi" qeoi'" ta;" ijdiovthta" h] ejk tou' pro; aujtw'n ejfhvkein uJpoqhsovmeqa Proshvkei dh; ou\n th'/ me;n ajkrovthti tw'n nohtw'n to; peri; o{, diovti ªdh; ou\nº peri; aujth;n pavnte" oiJ qei'oi diavkosmoi proelhluvqasi krufivw" 5 aujtw'n protetagmevnhn: th'/ de; mevsh/ tavxei to; di o{, pavnta ga;r th'" ajidiovthto" e{neka kai; th'" oJlotelou'" uJpavrxew" uJfevsthke: th'/ de; ajpoperatwvsei tw'n nohtw'n to; ajf ou|, prwvth ga;r au{th kai; paravgei pavnta kai; diakosmei' monoeidw'". 10

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ãiVÃ Tau'ta me;n ou\n gnwrimwvtera poihvsomen o{pw" levgetai mikro;n u{steron ejn th'/ peri; tw'n nohtw'n qew'n didaskaliva/: to; de; meta; tau'ta fevre th;n peri; tou' prwvtou qeou' pragmateivan ejpanapauvswmen th'/ tou' Parmenivdou qewriva/, kai; th'" prwvth" uJpoqevsew" ajnafhvnwmen ta; mustika; nohvmata,

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zione del desiderabile con le realtà che sono desiderate. La terza dottrina infine lo fa apparire come «principio causale delle cose belle»: ma questo significa dire qualcosa riguardo ad esso, e fare un’aggiunta alla semplicità della Causa prima, e non limitarsi alla nozione di fine, ma significa anche connettere ad esso un princi- 15 pio produttivo delle realtà seconde, e a me pare che anche in questo caso138 si tratti delle realtà che sono comparse immediatamente dopo il Primo: infatti non è possibile dire qualcosa di quello a partire da nient’altro se non prendendo le mosse una volta da tutte le entità, un’altra dalle migliori; ed in effetti esso per tutti gli 20 enti è principio causale dell’esistenza, ed è partecipato in modo primario dai migliori tra questi e attraverso essi rivela la specificità della sua separata unità. Dunque abbiamo attribuito ad esso il carattere di Uno e quello di Bene in base alla donazione da esso proveniente che si estende a tutti gli enti: infatti di queste proprietà di cui tutti gli enti risultano partecipi, non v’è nessun altro prin- 25 cipio causale se non ciò che è posto prima di tutti quanti . D’altronde l’“intorno al quale”, l’“in virtù del quale” e l’“a partire dal quale” sono presenti in modo particolare tra gli dèi intelligibili, e da questi vengono poi attribuiti al Primo: infatti da 61 dove altro supporremo che giungano agli dèi unitari le loro proprietà se non da quello che viene prima di essi? Si addice dunque alla sommità degli intelligibili l’“intorno al quale”, per il fatto che tutti gli ordinamenti divini sono in modo segreto proceduti intorno a questa sommità che è posta prima di essi; al livello mediano 5 invece l’“in virtù del quale”: infatti tutte le cose sono sussistite in vista dell’eternità e della realtà assolutamente perfetta; infine al limite estremo degli intelligibili l’“a partire dal quale”: per primo questo limite infatti introduce tutte le cose e le ordina uniformemente.

[In che modo nella prima ipotesi del “Parmenide” tratta l’insegnamento concernente l’Uno servendosi delle negazioni, per quale ragione le negazioni sono tali e di tal numero] In che modo renderemo più noti questi aspetti lo si dirà fra breve139 nell’insegnamento concernente gli dèi intelligibili. Ebbene, a questo punto dopo tali considerazioni poniamo a fondamento della trattazione concernente il Primo Dio la dottrina del Parmenide, e mettiamo in luce le mistiche concezioni della prima

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kaqovson th'/ parouvsh/ proqevsei diafevrei: th;n ga;r telewtavthn aujtw'n ejxhvghsin ejn toi'" eij" to;n diavlogon hJmi'n gegrammevnoi" katabeblhvmeqa. Prw'ton me;n ou\n ejkei'no diorivsasqai crh; peri; th'" prwvth" 20 uJpoqevsew", o{ti tosau'ta sumperavsmata perieivlhfen ajpofatikw'" o{sa katafatikw'" hJ met aujthvn: ejkeivnh me;n ga;r ta;" o{la" diakosmhvsei" ajpo; tou' eJno;" proi>ouvsa" ejpideivknusin, au{th de; to; e}n ejxh/rhmevnon aJpavntwn tw'n qeivwn genw'n: ejk de; ajmfoi'n panti; katafane;" o{pw" to; 62 ai[tion tw'n o{lwn uJperevcein ajnavgkh tw'n ajf eJautou' paragomevnwn. Kai; ga;r diovti pavntwn ejsti; tw'n qew'n ai[tion to; e{n, ejkbevbhken aJpavntwn: kai; diovti kaq uJperoch;n aujtw'n ejxhv/rhtai, ªkai;º dia; tou'to pa'sin ejndivdwsi ta;" uJpostavsei". 5 Aujtw'/ ga;r tw'/ pavntwn uJperhplw'sqai, pavnta" uJfivsthsin, ejpei; kajn tai'" deutevrai" h] trivtai" tavxesi tw'n o[ntwn, tw'n suntetagmevnwn aijtivwn ta; pantelw'" ejxh/rhmevna tw'n oijkeivwn ajpotelesmavtwn telewvteron ajpogenna'/ kai; sunevcei ta; eJautw'n gennhvmata: kai; aujtw'/ tw'/ pavnta" tou;" qeivou" 10 diakovsmou" ajrrhvtw" paravgein, aJpavntwn eJniaivw" uJperidrumevnon ajnafaivnetai, kai; ga;r ejn toi'" met aujto; gennwmevnoi" pantacou' tw'n aijtiatw'n ejxhvllaktai to; ai[tion: kai; dia; tou'to hJ me;n fuvsi" ajswvmato", aijtiva swmavtwn uJpavrcousa, hJ de; yuch; pantelw'" ajivdio", aijtiva de; tw'n gennhtw'n, oJ de; 15 nou'" ajkivnhto", ai[tio" ga;r tw'n kinoumevnwn aJpavntwn. Eij toivnun kaq eJkavsthn tw'n o[ntwn provodon ajpofavsketai tw'n aijtivwn ta; ajp aujtw'n, ajnavgkh dhvpou tou' tw'n pavntwn aijtivou pavnta oJmoivw" ajfairei'n. Deuvteron de; meta; tou'to th;n tavxin oi\mai dei'n tw'n 20 ajpofavsewn diwrivsqai toi'" th;n qeologivan kata; th;n tou' Parmenivdou bouvlhsin uJpodexamevnoi", kai; o{ti proveisi me;n ajpo; tw'n prwvtw" ejn toi'" qeivoi" gevnesi monavdwn kai; pavnta ta; deuvtera kai; trivta, kata; th;n proshvkousan eJkavstoi" tavxin, ajfairei' tou' eJnov" (to; ga;r tw'n ajrchgikwtevrwn 25 aijtivwn ejkbebhko;" pollw'/ meizovnw" prou>fevsthke tw'n katadeestevrwn), ouj mevntoi th;n tw'n lovgwn ajrch;n ajpo; tw'n hJnwmevnwn tw'/ prwvtw/ qew'n katabavlletai: dusdiavkriton ga;r tou'to to; gevno" tou' eJnov", diovti kata; fuvsin met aujto;

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ipotesi, nella misura in cui sono importanti per l’argomento che ora ci proponiamo di affrontare. Infatti la più compiuta interpretazione di esse l’abbiamo stabilita nei testi scritti a commento di questo dialogo140. Per prima cosa dunque occorre precisare questo concetto per quel che concerne la prima ipotesi, cioè che tutte le conclusioni 20 che essa ha considerato per via negativa, l’ipotesi successiva le considera per via affermativa141. Infatti quella mostra la totalità degli ordinamenti che procedono a partire dall’Uno, mentre questa l’Uno che trascende tutti quanti i generi divini. D’altra parte, in base ad entrambe risulta per ciascuno evidente in che modo il principio causale della totalità delle cose è necessario che sia al di 62 sopra delle realtà da esso introdotte. Ed infatti per il fatto che l’Uno è principio causale di tutti gli dèi, esso risulta al di sopra di tutti quanti; e per il fatto che li trascende per superiorità, per questo concede a tutti la loro rispettiva autentica realtà. In effetti pro- 5 prio perché risulta semplice in modo superiore rispetto a tutti, tutti li fa sussistere, dal momento che anche nei secondi o terzi livelli degli enti, i principi causali che trascendono completamente i loro effetti generano e tengono insieme i loro prodotti generati in modo più perfetto rispetto ai principi causali che risultano coordinati ai loro effetti; e per il fatto stesso di introdurre in modo 10 ineffabile tutti gli ordinamenti divini, esso si rivela in modo unitario posto al di sopra di tutti quanti: infatti, anche nelle realtà generate che vengono dopo quello, in ogni ambito il principio causale risulta diverso dai causati; e per questo la natura è incorporea, in quanto è di fatto causa di corpi, e l’anima dal canto suo è assolutamente eterna, e causa delle entità generate; a sua volta l’intellet- 15 to è immobile: infatti è principio causale di tutte quante le entità che si muovono. Se pertanto per ogni processione degli enti si negano ai principi causali le proprietà da essi causate, è necessario a mio giudizio eliminare dalla causa di tutto allo stesso modo tutto. In secondo luogo, dopo ciò, ritengo che da coloro che hanno 20 recepito la teologia secondo l’intendimento di Parmenide debba essere definito l’ordine delle negazioni, e che proceda sì dalle monadi che si trovano primariamente nei generi divini ed elimini dall’Uno tutte le realtà sia le seconde sia le terze, in base all’ordine a ciascuna confacentesi (infatti ciò che è ulteriore ri- 25 spetto alle cause più originarie a maggior ragione preesiste a quelle inferiori), ma di certo non stabilisce il principio dei discorsi a partire dagli dèi che sono uniti al Primo: in effetti questo genere è difficile da distinguere dall’Uno, poiché, essendo per ordinamen-

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tetagmevnon eJnikwvtatovn ejsti kai; kruvfion kai; tw'/ gennhvsanti oJmoiovtaton. Opou dh; ou\n pro; tw'n a[llwn aJpavntwn diaivresi" ajnefavnh kai; plh'qo", ejkei'qen oJrmhqei;" oJ Parmenivdh", kai; dia; pavntwn ejn tavxei tw'n deutevrwn proelqw;n diakovsmwn a[cri kai; tw'n ejscavtwn, ajnastrevfei 5 pavlin ejp ajrchvn, kai; deivknusin o{pw" kai; tw'n eJnoeidestavtwn qew'n kai; prwvtw" aujtou' metecovntwn ejxhvllaktai to; e}n kata; mivan a[rrhton aijtivan. Trivton de; au\ pro;" toi'" eijrhmevnoi" peri; tou' trovpou diorivzomai tw'n ajpofavsewn, wJ" oujk eijsi; sterhtikai; tw'n 10 uJpokeimevnwn ajlla; gennhtikai; tw'n oi|on ajntikeimevnwn: tw'/ ga;r ouj polla; to; prw'ton uJpavrcein, ajp aujtou' ta; polla; proveisin, kai; tw'/ mh; o{lon, hJ oJlovth", kai; ejpi; tw'n a[llwn oJmoivw": kai; wJ" mevnein ejpi; tw'n ajpofavsewn proshvkei tw'/ Plavtwni peiqomevnou" kai; mhde;n tw'/ eJni; prostiqevnta": o{ 15 ti ga;r a]n prosqh'/", ejlattoi'" to; e{n, kai; oujc e}n aujto; loipo;n ajpofaivnei", ajlla; peponqo;" to; e{n: to; ga;r mh; e}n movnon, ajlla; pro;" touvtw/ kai; a[llo ti kata; mevqexin e[cei to; e{n. Esti toivnun oJ trovpo" ou|to" tw'n ajpofavsewn ejxh/rhmevno" eJniai'o" prwtourgo;" ejkbebhkw;" tw'n o{lwn ejn ajgnwvstw/ 20 kai; ajrrhvtw/ th'" aJplovthto" uJperbolh'/. Kai; dei' tw'/ prwvtw/ qew'/ to;n toiou'ton ajnaqevnta" pavlin aujto;n kai; tw'n ajpofavsewn ejxairei'n: oujde; ga;r lovgo" ejkeivnou gevnoit a]n oujde; o[noma, fhsi;n oJ Parmenivdh", oujdevn: eij de; mhdeiv" ejstin ejkeivnou lovgo", dh'lon wJ" oujde; ajpovfasi" (pavnta 25 ga;r tou' eJno;" deuvtera, kai; ta; gnwsta; kai; aiJ gnwvsei" kai; ta; tw'n gnwvsewn o[rgana), kai; ajduvnatovn pw" uJpofaivnetai teleutwvsh" th'" uJpoqevsew": eij ga;r mhde; ei|" ejsti tou' eJno;" 64 lovgo", oujde; aujto;" ou|to" oJ tau'ta diateinovmeno" lovgo" tw'/ eJni; proshvkei. Kai; qaumasto;n oujde;n to; a[rrhton tw'/ lovgw/ gnwrivzein ejqevlonta" eij" to; ajduvnaton periavgein to;n lovgon, ejpei; kai; pa'sa gnw'si" tw'/ mhde;n aujth'/ diafevronti gnwstw'/ 5 sunaptomevnh th;n eJauth'" ajpovllusi duvnamin: kai; ga;r th;n ai[sqhsin eij tou' ejpisthtou' levgoimen, eJauth;n ajnairhvsei, 63 diaferovntw"

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to posto, secondo natura, dopo di esso, è unificatissimo, celato ed in modo particolare somigliantissimo a ciò che lo ha generato. 63 Ebbene, laddove prima di tutti gli altri aspetti si rivelino distinzione e molteplicità, Parmenide, avendo da lì preso le mosse ed essendo proceduto nell’ordine attraverso tutti gli ordinamenti secondi fino agli ultimi142, si volge di nuovo verso il Principio e mo- 5 stra in che modo, anche rispetto agli dèi più uni-formi e in modo primario partecipi di esso, l’Uno risulti diverso in base ad un’unica forma di causalità ineffabile143. In terzo luogo oltre a ciò che si è in precedenza detto io intendo precisare a proposito della modalità delle negazioni che esse non sono privative delle proprietà su cui esse vertono, ma sono genera- 10 trici per così dire dei loro contrari144; infatti per il fatto che il Primo non è assolutamente molti, da esso procedono i molti 145, e per il fatto di non essere un tutto, la totalità146, ed in modo simile per tutte le altre proprietà; ed che è opportuno, dando retta a Platone, persistere nelle negazioni non aggiungendo nulla all’Uno: qualunque cosa infatti gli si aggiunga, si 15 rende l’Uno inferiore, e da questo momento in poi lo si fa apparire non uno, bensì avente il carattere dell’uno come acquisito da altro: infatti ciò che è non solo uno, ma che oltre a ciò è anche qualcos’altro, possiede il carattere dell’uno per partecipazione. Questa modalità delle negazioni è pertanto trascendente, unitaria, originaria, ulteriore rispetto alla totalità delle cose in una inconoscibile ed ineffabile superiorità propria della semplicità. E 20 dopo aver riservato tale metodo al Primo Dio, si deve a sua volta sottrarre quest’ultimo anche alle negazioni: infatti di quello non potrebbe esserci «né definizione né nome» alcuno, afferma Parmenide147. Ma se non esiste alcuna definizione di quello, è evidente che neppure negazione (tutte le realtà infatti sono 25 inferiori all’Uno, sia le entità conoscibili sia le forme di conoscenza sia gli strumenti delle forme di conoscenza)148, e si manifesta in certo modo un’impossibilità alla fine dell’ipotesi149: se infatti non v’è neppure un solo discorso a proposito dell’Uno, neppure que- 64 sto stesso nostro discorso che si impegna a sostenere queste tesi si confà all’Uno. E non v’è nulla da meravigliarsi se, volendo rendere noto l’ineffabile tramite il discorso, si finisce per condurre il discorso all’impossibilità, poiché ogni conoscenza, se entra in contatto con quell’oggetto conoscibile che non ha alcuna relazione 5 con essa, distrugge la sua propria potenzialità: ed infatti per quel che concerne la percezione sensibile, se ne parlassimo come conoscenza di ciò che è oggetto di scienza, annullerà se stessa, e lo stes-

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kai; th;n ejpisthvmhn eij tou' nohtou', kai; eJkavsthn tw'n gnwvsewn: w{ste kai; eij lovgo" ei[h tou' ajrrhvtou, peri; eJautw'/ kataballovmeno" oujde;n pauvetai kai; pro;" eJauto;n diamavcetai. ãiaVÃ Age dh; ou\n ei[per pote; kai; nu'n ta;" polueidei'" ajposkeuaswvmeqa gnwvsei", kai; pa'n to; poikivlon th'" zwh'" ejxorivswmen ajf hJmw'n, kai; pavntwn ejn hjremiva/ genovmenoi tw'/ pavntwn aijtivw/ prosivwmen ejgguv": e[stw de; hJmi'n mh; movnon 15 dovxh" mhde; fantasiva" hjremiva, mhde; hJsuciva tw'n paqw'n hJmw'n ejmpodizovntwn th;n pro;" to; prw'ton ajnagwgo;n oJrmhvn, ajlla; h{suco" me;n ajh;r h{sucon de; to; pa'n tou'to: pavnta de; ajtremei' th'/ dunavmei pro;" th;n tou' ajrrhvtou metousivan hJma'" ajnateinevtw. Kai; stavnte" ejkei', kai; to; 20 nohtovn, eij dhv ti toiou'tovn ejstin ejn hJmi'n, uJperdramovnte", kai; oi|on h{lion ajnivsconta proskunhvsante" memukovsi toi'" ojfqalmoi'" (ouj ga;r qevmi" ajntwpei'n oujde; a[llo tw'n o[ntwn oujdevn), to;n toivnun tou' fwto;" tw'n nohtw'n qew'n 65 h{lion ejx wjkeanou', fasi;n oiJ poihtaiv, profainovmenon ijdovnte", kai; au\qi" ejk th'" ejnqevou tauvth" galhvnh" eij" nou'n katabavnte" kai; ajpo; nou' toi'" th'" yuch'" crwvmenoi logismoi'" ei[pwmen pro;" hJma'" aujtou;" w|n ejxh/rhmevnon ejn 5 th'/ poreiva/ tauvth/ to;n prw'ton qeo;n teqeivmeqa. Kai; oi|on uJmnhvswmen aujtovn, oujc o{ti gh'n kai; oujrano;n uJpevsthse levgonte" oujd au\ o{ti yuca;" kai; zwv/wn aJpavntwn genevsei": kai; tau'ta me;n ga;r ajll ejp ejscavtoi": pro; de; touvtwn wJ" pa'n me;n to; nohto;n tw'n qew'n gevno", pa'n de; to; noero;n 10 ejxevfhne, pavnta" de; tou;" uJpe;r to;n kovsmon kai; tou;" ejn tw'/ kovsmw/ qeou;" a{panta": kai; wJ" qeov" ejsti qew'n aJpavntwn, kai; wJ" eJna;" eJnavdwn, kai; wJ" tw'n ajduvtwn ejpevkeina tw'n 10

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so vale per la scienza, se ne parlassimo come conoscenza dell’intelligibile, e così in generale per quel che concerne ciascuna forma di conoscenza. Sicché anche se vi fosse un discorso dell’ineffabile, esso non cessa comunque mai di auto-confutarsi ed entra così in conflitto con se stesso150.

[Come bisogna accostarsi alla contemplazione concernente l’Uno attraverso le negazioni, e qual è la disposizione dell’anima più adatta in rapporto a discorsi di questo tipo]

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E allora, su, se mai c’è un momento per farlo, è proprio adesso che dobbiamo liberarci delle nostre conoscenze multiformi, che dobbiamo bandire da noi stessi anche tutta la varietà della vita e, venutici a trovare nella tranquillità assoluta, dobbiamo accostarci al Principio Causale di tutte le cose; ma non sia per noi solo tranquillità di opinione e di immaginazione, e non sia neppure 15 solo quiete dalle passioni che intralciano il nostro slancio nell’ascesa verso il Primo, ma quieta sia anche l’atmosfera e, d’altra parte, quieto sia pure tutto questo nostro universo; ed inoltre tutte le realtà con la loro salda potenza ci elevino alla comunione con l’Ineffabile. E una volta che stiamo lì, dopo aver superato 20 d’un balzo l’intelligibile – se mai v’è qualcosa di tale in noi – e dopo esserci prosternati come davanti ad un sole che sorge, con gli occhi chiusi (infatti non è lecito che lo guardi direttamente nemmeno alcun altro fra gli enti), dopo aver visto dunque il sole della luce degli dèi intelligibili apparire «dall’Oceano», dicono i 65 poeti151, e dopo essere ridiscesi da questa calma divinamente ispirata al livello dell’intelletto e servendoci ad opera dell’intelletto dei ragionamenti propri dell’anima, diciamo a noi stessi quali sono le realtà rispetto alle quali in questo nostro cammino abbia- 5 mo stabilito che il Primo Dio è trascendente. E dobbiamo dire come lo celebriamo, non dicendo che esso ha fatto sussistere terra e cielo e nemmeno che ha fatto sussistere le anime e le generazioni di tutti quanti gli esseri viventi: in effetti anche queste cose , ma esse fan parte del livello più basso! Ma prima di queste cose che ha fatto apparire tutto il 10 genere intelligibile degli dèi da un lato, e quello intellettivo dall’altro, ed inoltre tutti gli dèi posti al di sopra del cosmo e tutti quanti quelli presenti nel cosmo152; e che è Dio di tutti quanti gli dèi, ed Enade delle enadi, e che fra i santuari inaccessibili è al di là dei

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prwvtwn, kai; wJ" pavsh" sigh'" ajrrhtovteron, kai; wJ" pavsh" uJpavrxew" ajgnwstovteron, a{gio" ejn aJgivoi" toi'" nohtoi'" ejnapokekrummevno" qeoi'". Kai; meta; tau'ta pavlin eij" logismou;" ajpo; th'" noera'" uJmnw/diva" katabavnte" kai; th;n ajnevlegkton probalovnte" th'" dialektikh'" ejpisthvmhn, qewrhvswmen eJpovmenoi th'/ qeva/ tw'n prwvtwn aijtivwn o{pw" ejxhv/rhtai tw'n o{lwn oJ prwvtisto" qeov", kai; mevcri tauvth" hJ kavqodo" e[stw: kai; ga;r ejnteu'qen ejp ejkei'no ªdiabavllein mhvpoteº diabaivnein kai; au\qi" dunatovn: dovxa de; au\ kai; fantasiva kai; ai[sqhsi" ejkluvousi me;n hJmw'n th;n tw'n qew'n parousivan, kaqevlkousi de; ajpo; tw'n Olumpivwn ajgaqw'n ejpi; ta; ghgenh' kinhvmata, kai; diairou'si Titanikw'" to;n ejn hJmi'n nou'n, kai; ajpo; th'" ejn toi'" o{loi" iJdruvsew" ejpi; ta; tw'n o[ntwn ei[dwla kataspw'si. ãibVÃ Tiv ou\n a]n ei[h prwvtiston th'" ejpisthvmh" novhma th'" proi>ouvsh" ajpo; nou' kai; eJauth;n profainouvsh" Tiv de; a[llo fhvsomen h] to; aJplouvstaton kai; gnwrimwvtaton tw'n ejn aujth'/ pavntwn nohmavtwn Tou'to gavr ejsti kai; th'/ tou' nou' qewriva/ diaferovntw" oJmoiovtaton. Tiv ou\n tou'tov ejsti To; e{n, fhsi;n oJ Parmenivdh", eij e{n ejstin, oujk a]n ei[h pollav. Ta; ga;r polla; metevcein ajnavgkh tou' eJnov": to; de; e}n ouj metevcei tou' eJno;" ajll e[stin aujtoevn. All oujde; meqektovn ejsti to; prwvtw" e{n: ouj ga;r a]n ei[h to; kaqarw'" e}n summignuvmenon toi'" polloi'", oujde; to; o{per e}n prosqhvkhn tou' ceivrono" labovn. Exhv/rhtai a[ra to; e{n. Alla; mh;n ta; polla; prwvtw" ejn th'/ tw'n prwvtwn noerw'n qew'n ajkrovthti kai; nohth'/ periwph'/, kaqavper hJma'" hJ deutevra didavxei tw'n uJpoqevsewn: pavnth/ a[ra to; e}n ejkbevbhke th'" toiauvth" tavxew" kai; ai[tiovn ejstin aujth'". To; ga;r ouj polla; stevrhsi" oujk e[stin, o{per ejlevgomen, ajlla; aijtiva tw'n pollw'n. Tou'to me;n ou\n oujde; ajpodeivxew" oJ Parmenivdh" hjxivwsen, ajll wJ" panti; katafanevstaton prw'ton ajpevfhne dia; th;n tw'n pollw'n pro;" to; e}n oi|on ajntivqesin: to; de; ejfexh'"

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primi, che è più ineffabile di ogni silenzio153, e che è più inconoscibile di ogni realtà, sacro celato tra i sacri dèi intelligibili. E dopo tali considerazioni, ridiscesi di nuovo dalla celebrazione intellettiva alle riflessioni razionali e avendo gettato avanti come un ponte154 l’inconfutabile scienza della dialettica, consideriamo, seguendo la contemplazione dei principi causali primi, in che modo il Primissimo Dio li trascenda tutti nel loro insieme, e a questa contemplazione si arresti la discesa; ed infatti da qui è anche possibile passare di nuovo a quello155. Al contrario, opinione, immaginazione e percezione da un lato stornano da noi la presenza degli dèi, dall’altro ci trascinano giù dai beni «Olimpici» verso i moti convulsi «di origine terrena», e dividono alla maniera di Titani l’intelletto insito in noi156, e dalla stabilità insista nelle entità universali ci spingono giù verso le mere immagini degli enti.

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[Celebrazione dell’Uno attraverso le conclusioni negative, che dimostra che esso trascende tutti i livelli degli enti secondo l’ordine trasmesso nel “Parmenide”]

Quale dunque potrebbe essere un primissimo concetto della scienza che procede dall’intelletto e che rivela se stessa? Che altro diremo se non il più semplice ed il più noto di tutti i concetti in essa insiti? Questo infatti specialmente è il più somigliante all’attività contemplativa propria dell’intelletto. Qual è dunque questo concetto? «L’Uno», dice Parmenide157, «se è Uno, non potrebbe essere molti». Infatti è necessario che i molti partecipino dell’Uno ; ma l’Uno non partecipa dell’Uno, ma è Uno-in-sé. Ma ciò che è in modo primario Uno non è neppure partecipabile: infatti non sarebbe più ciò che è in modo puro Uno quando sia stato mescolato ai molti, né sarebbe ciò che è essenzialmente Uno se potesse accogliere un’aggiunta di ciò che è inferiore. Dunque l’Uno risulta trascendente. Ma in realtà i molti sono in modo primario presenti nella sommità dei primi dèi intellettivi e nella specola intelligibile, come ci insegnerà la seconda delle ipotesi158. Dunque da ogni punto di vista l’Uno è ulteriore rispetto a tale ordinamento ed è principio causale di esso. Infatti il non-molti non è privazione, come dicevamo159, ma causa dei molti. Ciò dunque Parmenide non ritiene neppure che richieda una dimostrazione, ma come sia a ciascuno chiarissimo lo ha mostrato dapprima in virtù, per così dire, della opposizione dei molti

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touvtw/ crwvmeno" ajfairei' kai; to; met ejkei'no tw'/ pro; aujtou', kai; tou'to ajei; kata; to;n aujto;n trovpon, kai; pote; me;n ejk tw'n prosecw'n pote; de; ejk tw'n uJperkeimevnwn katalambavnei ta; stoicei'a tw'n ajpodeivxewn. Meta; ga;r dh; tauvthn, w{sper 25 ei[pomen,  tw'n qew'n tavxin th;n sunevcousan to; plavto" 67 aujtw'n kai; oJrivzousan uJfivsthsin ajpo; th'" ejxh/rhmevnh" aijtiva": kalei'tai de; au{th par aujtw'/ mevrh kai; o{lon ejn th'/ deutevra/. Tau'ta toivnun ajpofavskei tou' eJnov", toi'" polloi'" eij" diorismo;n tw'n te uJfeimevnwn kai; tou' eJno;" 5 crwvmeno". To; me;n ga;r o{lon, w{" fhsi, kai; to; mevrh e[con pollav ejsti, to; de; e}n ejpevkeina tw'n pollw'n. Eij toivnun to; me;n e}n th'" nohth'" aJplovthto" ejkbevbhke, to; de; o{lon kai; to; mevrh e[con proveisin ajp aujth'" eij" to;n suvndesmon th'" o{lh" tauvth" diakosmhvsew", pw'" oujk ajnavgkh to; e}n 10 mhvte o{lon ei\nai mhvte merw'n prosdei'sqai, kai; dia; th;n uJperochvn, oi\mai, tauvthn wJ" ai[tion proestavnai th'" tavxew" tauvth" tw'n qew'n, kai; paravgein me;n aujth;n ajll ejxh/rhmevnw" Trivthn de; ejpi; tauvtai" th;n to; pevra" tw'n noerw'n a{ma 15 kai; nohtw'n klhrwsamevnhn ajpo; tou' eJno;" proi>ou'san qeaswvmeqa kai; to; e}n aujth'" pantelw'" uJperhplwmevnon. Au{th me;n ga;r ajpo; tw'n deutevrwn uJfivstatai genw'n kai; th'" oJlovthto" Ê tw'n genw'n Ê kai; noera'": to; de; e{n, w{sper devdeiktai, kai; tauvth" kat aijtivan ejxhv/rhtai. Ou[te a[ra 20 ajrch;n h] mevson h] teleuth;n e[cei to; e{n, ou[te e[scata e[cei, ou[te schvmato" oujdeno;" meteivlhfe: dia; ga;r touvtwn ªtw'n qew'nº hJ proeirhmevnh tw'n qew'n tavxi" ejkfaivnetai. Ei[t ou\n ajkrovth" ei[h telesiourgo;" ei[te mevson ejn aujtoi'" kevntron uJmnouvmenon ei[te ajpoperavtwsi" ejpistrevfousa to; 25 pevra" tw'n qew'n touvtwn pro;" th;n ajrchvn, oJmoivw" aJpavsh" th'" triplh'" diakosmhvsew" ejpevkeina to; e{n. Mevrh ga;r ãa]nà e[coi to; e}n kai; polla; a]n ei[h tw'n toiouvtwn metevcon: devdeiktai de; kai; tw'n pollw'n kai; th'" oJlovthto" oJmou' toi'" 68 mevresin wJ" ai[tion eJniaivw" prou>pavrcon. Kai; oJra'/" o{pw" th'" me;n ajkrotavth" tavxew" mivan hJmi'n ajpovfasin oJ Parmenivdh" prohnevgkato, th'" de; mesovthto" duvo, th'" de; ejscavth" trei'":  cwri;" de; o{ti mh; e[scata e[con, to; de; a[peiron toiou'5 ton: cwri;" de; au\ o{ti schmavtwn aJpavntwn ejsti;n a[dekton.

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rispetto all’Uno160. D’altra parte servendosi di questo concetto, egli elimina ciò che segue, e ciò che viene dopo questo per mezzo di ciò che viene prima, e ciò sempre secondo la stessa modalità, e una volta dalle nozioni immediatamente contigue, un’altra da quelle superiori ricava gli elementi delle dimostrazioni. Infatti appunto dopo questo , come abbiamo detto161, 25 fa sussistere ad opera della Causa trascendente dei 67 dèi che tiene insieme e determina il loro ambito162. Ma questo ordinamento viene da lui chiamato nella seconda ipotesi «parti e intero»163. Questi caratteri164 pertanto egli li esclude per negazione dall’Uno servendosi dei molti per distin- 5 guere le realtà subordinate dall’Uno. Infatti l’intero, come afferma, e ciò che ha parti sono molti, mentre l’Uno è al di là dei molti165. Se pertanto l’Uno è ulteriore rispetto alla semplicità intelligibile, mentre l’intero e ciò che ha parti procedono da essa per garantire il vincolo che tiene inseme tutto questo ordinamento nella sua interezza166, come può non essere necessario che l’Uno né sia intero né 10 abbia bisogno di parti, e che in virtù di questa superiorità, a mio giudizio, sia a capo, in quanto principio causale, di questo ordinamento degli dèi, e che sì lo introduca, ma in modo trascendente? Per terzo, oltre a questi, consideriamo l’ordinamento che, procedendo dall’Uno, ha avuto il ruolo di limite inferiore delle entità intel- 15 ligibili-intellettive e anche l’Uno che per semplicità lo sovrasta completamente. Questo ordinamento, infatti, deriva la propria sussistenza dai secondi generi e dalla totalità intellettiva167. Ma l’Uno, come si è mostrato168, trascende in senso causale anche questa. Dunque né «principio o metà o fine» 20 possiede l’Uno né ha «parti ultime», né risulta partecipe di nessuna «figura»169. In effetti è attraverso questi elementi che il suddetto ordinamento degli dèi si manifesta. Sia che dunque vi fosse una sommità perfezionatrice, sia che vi fosse un punto intermedio in mezzo ad essi celebrato come centro, sia che vi fosse un termine che facesse convertire il limite di questi dèi verso il Principio, ugualmente l’Uno sarebbe 25 al di là di tutto quanto il triplice ordinamento. Infatti l’Uno avrebbe parti e sarebbe molti partecipando di tali parti: ma si è mostrato170 che rispetto ai molti ed ad un tempo anche rispetto alla totalità preesiste in modo unitario come causa delle parti. E si vede come dell’ordinamen- 68 to più elevato Parmenide ci abbia proposto una sola negazione, del livello intermedio due, e tre poi per l’ultimo ordinamento. 171; dall’altro poiché non ha estremità – d’altra parte, tale è l’illimitato; è l’illimi5 tato; infine è separato perché non ammette nessun tipo di figura.

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Pavlin dh; ou\n meta; ta;" tritta;" tauvta" diakosmhvsei" tou;" ajpo; touvtwn uJpostavnta" noerou;" qeou;" trich'/ dih/rhmevnou" nohvswmen kai; to; e}n aujtw'n uJperevcon ajpodeivxwmen. Toiou'ton ga;r to; e{n, ou[te ejn auJtw'/ ejstin ou[te ejn 10 a[llw/, fhsi;n oJ Parmenivdh". Ei[te ga;r ejn a[llw/, perievcoito a]n uJp ejkeivnou pantacovqen ejn w|/ ejsti kai; a{ptoito a]n pantacou' tou' perievconto": toiou'ton de; o]n kai; sch'ma e{xei kai; ejk merw'n e[stai, kai; dia; tou'to polla; a]n ei[h kai; oujc e{n: ei[te ejn eJautw'/, perievxei me;n eJauto; pavntw" dhvpou, 15 perievcon de; a{ma kai; periecovmenon duvo e[stai kai; oujkevti to; prwvtw" e{n. Eij" taujto;n a[ra proveisin oJ lovgo" kai; to; e}n oujc e}n ajpofaivnei, th'/ ajkrovthti tw'n noerw'n ei[ ti" aujto; summignuvein ejpiceirhvseie. Pavnth/ a[ra kai; tauvth" kecwrismevnon uJfivsthsin aujthvn, oJmou' me;n th'" trivth" ãtriavdo"Ã tw'n 20 uJperkeimevnwn qew'n metevcousan, oJmou' de; ejk th'" deutevra" paragomevnhn, oJmou' de; ejk th'" prwtivsth" teleioumevnhn kai; ejn aujth'/ pantelw'" iJdrumevnhn. Kai; mh;n kai; th;n deutevran noera;n tavxin ajpogenna'/ to; e{n, ajmige;" pro;" aujth;n uJpavrcon: ou[te ga;r e{sthken ou[te 25 kinei'tai: mhdetevrou ou\n metevcon ajll oJmoivw" ajmfoi'n ejxh/rhmevnon oJmou' kai; tw'n mevswn kovsmwn th'" noera'" proovdou tw'n qew'n ejkbevbhken. Ei[te ga;r kinei'tai, dicw'" a]n kinoi'to, kat ajlloivwsin h] foravn: ajll ou[te ajlloiou'sqai 69 to; e}n dunatovn: e[stai ga;r oujc e}n ajlloiouvmenon, kai; th'" eJniaiva" uJpavrxew" ejksthvsetai: ou[te fevresqai: kuvklw/ me;n ga;r ajduvnaton diovti mevrh a]n e[coi, tav te mevsa kai; ta; a[kra: cwvran de; a[llhn ajmei'bon, meristo;n e[stai: devoi 5 ga;r a]n aujto; mhvte ejn ejkeivnw/ o{lon ei\nai pro;" o} kinei'tai, mhvte ejn touvtw/ o{qen w{rmhtai proferovmenon: ejn ga;r tw'/ eJtevrw/ teqevn, ajkivnhton e[stai, th'/ me;n ou[pw kinouvmenon th'/ de; h[dh pepaumevnon th'" fora'". Eij de; e{sthken, ejn tw'/ aujtw'/ dhvpou mevnein ajnavgkh to; e{n: ajlla; devdeiktai mhdamou' 10 o[n, mhvt ou\n ejn auJtw'/ mhvt ou\n ejn a[llw/. Pavnth/ a[ra to; e}n ou[te kinei'sqai ou[te eJstavnai oi|ovn te, a} th'/ mevsh/ tavxei diafevrei tw'n noerw'n, wJ" e[stai dh'lon ejk th'" deutevra"

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Dunque dopo questi triplici ordinamenti dobbiamo concepire gli dèi intellettivi che vengono a sussistere da questi come divisi a loro volta in modo triplice e dobbiamo dimostrare che l’Uno è superiore ad essi. Infatti «tale essendo la natura dell’Uno, né è in se stesso né è in altro», afferma Parmenide172. Se 10 infatti fosse in altro, sarebbe circondato da ogni parte da quello in cui si trova e sarebbe da ogni parte in contatto con ciò che lo circonda: ma se è tale, avrà figura ed al contempo sarà formato di parti, e per questo sarebbe molti e non-uno. Se poi è in se stesso, comprenderà, a mio giudizio, completamente se stesso, ma 15 ad un tempo comprendendo ed essendo compreso, sarà due e non più ciò che è principalmente Uno. Dunque il discorso procede nella stessa direzione e fa apparire l’Uno non-uno, se si cercasse di congiungerlo alla sommità degli intellettivi. Dunque in quanto risulta assolutamente separato anche da questa, la fa sussistere, essa la quale nello stesso tempo partecipa della terza 173 degli dèi che stanno al di sopra di lei, è introdotta 20 dalla seconda triade, e, ancora, nello stesso tempo è portata a perfezione da parte della primissima triade ed in essa è completamente fondata. Di fatto l’Uno genera anche il secondo ordinamento intellettivo, senza risultare mescolato ad esso. In effetti né risulta in quiete né è in movimento174; dunque dato che non partecipa di 25 nessuna delle due condizioni, ma trascende allo stesso modo entrambe, nello stesso tempo risulta anche ulteriore rispetto agli ordini mediani della processione intellettiva degli dèi. Se infatti è soggetto a movimento, lo è in due modi, cioè secondo mutamento o moto; ma non è possibile che l’Uno muti: infatti sarà non-uno se 69 muta, e si allontanerà dalla sua unitaria realtà; né è possibile che si muova da sé: infatti è impossibile che si muova di moto circolare poiché in questo caso sarebbe dotato di parti, sia mediane sia sommitali; d’altra parte se muta di luogo, sarà divisibile: infatti non dovrebbe essere intero né nel luogo rispetto al quale si muove, né 5 nel luogo da cui si è mosso quando avanza. In effetti se è posto nell’altra condizione, sarà immobile, in quanto da una parte non si è ancora mosso, mentre da un’altra ha già concluso il proprio movimento. D’altra parte se è in quiete, è a mio avviso necessario che l’Uno si trovi nel medesimo luogo: ma si è mostrato175 che esso non rimane in nessun luogo, quindi non è né in se stesso né in 10 altro. Non è dunque possibile né che sia soggetto a movimento né che sia in quiete, aspetti in base ai quali è differente rispetto all’ordinamento intermedio degli intellettivi, come sarà chiaro dalla

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uJpoqevsew": paravgei ga;r kai; tauvthn oJ prw'to" qeo;" ejxh/rhmevno" ajp aujth'". 15 To; dh; trivton th;n ejscavthn tw'n noerw'n kai; proi>ou'san ejk tou' eJno;" kai; uJfeimevnhn aujtou' dia; tw'n ejfexh'" lovgwn qewrhvswmen. Taujtovth" me;n ga;r ejn tauvth/ kai; eJterovth" hJnwmevnw" uJfevsthken: oJmou' de; ajmfotevrwn touvtwn prou>pavrcei to; e{n. Tov te ga;r e{teron levgetai kai; eJautou' kai; 20 tw'n a[llwn e{teron, kai; to; taujto;n oJmoivw" kai; eJautw'/ kai; toi'" a[lloi" taujtovn: to; de; e}n eJautou' me;n e{teron oujk e[stin, o{ti to; tou' eJno;" e{teron oujc e}n a]n ei[h: taujto;n de; toi'" a[lloi" oujk e[stin, i{na mh; taujto;n ejkeivnoi" genovmenon eij" th;n ejkeivnwn fuvsin lavqh/ metastavn. Alla; mh;n oujde; 25 e{teron tw'n a[llwn: e[stai ga;r a{ma kai; e}n kai; prosqhvkhn e[con th;n th'" eJterovthto" duvnamin: ouj ga;r kaqo; e{teron e}n e[stai, ouj ga;r e{n ejstin hJ eJterovth": e}n ou\n kai; e{teron uJpavrcon kai; polla; a]n ei[h kai; oujc e{n. Oujde; dh; taujtovn 70 ejstin eJautw'/ to; e{n. Eij me;n ga;r to; e}n kai; to; taujto;n ojnovmati diafevrei movnon, oujk e[stai ta; polla; metevconta pro;" a[llhla taujtovthto": e}n ga;r au\ pote genevsqai ta; polla; toi'" polloi'" ajduvnaton: eij de; kai; tw'/ ei\nai to; e}n kai; 5 th'" taujtovthto" ejxhvllaktai, to; prwvtw" e}n uJpavrcon ajmevtocovn ejsti taujtovthto", i{na mh; pro;" tw'/ eJni; th;n taujtovthta proslabo;n peponqo;" gevnhtai to; e}n ajll ouj prwvtw" e{n. Eij dh; to; pevra" tw'n noerw'n th'/ tetravdi tauvth/ carakthrivzetai, dh'lon wJ" to; e}n ejpevkeina kai; tauvth" 10 uJpavrcon, a[nwqen aujth;n ejmfaivnei kai; toi'" o{loi" ejfivsthsi, monavda tetradikh;n tw'n deutevrwn aJpavntwn kosmhtikhvn. Enteu'qen ga;r ta; a[lla prwvtw" th;n pro;" to; e}n paredevxato koinwnivan, a} dh; kai; paravgetai dhvpou kai; sunevcetai para; tou' eJnov". 15 Meta; dh; tou;" noerou;" qeou;" to; tw'n uJperkosmivwn plavto" hJ tou' eJno;" a[rrhto" uJperoch; dievtaxen aujth; tw'n ajpogennwmevnwn krufivw" ejxh/rhmevnh, prosecw'" me;n ajpo; tw'n noerw'n uJfistavmenon, eJnoeidw'" de; ajpo; tou' prwvtou qeou' th;n u{parxin paradecovmenon. Tou'to toivnun di oJmoiovthto" 20 me;n oJ Parmenivdh" kai; ajnomoiovthto" ajpo; th'" to; pevra" sugkleiouvsh" tw'n noerw'n monavdwn qeovthto" proavgei: to; ga;r o{moion peponqov" ejsti to; taujto;n w{sper dh; to;

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seconda ipotesi176. Infatti il Primo Dio introduce anche questo ordinamento risultando rispetto ad esso trascendente. In terzo luogo consideriamo attraverso i successivi ragionamen- 15 ti177 l’ultimo ordinamento degli intellettivi che procede dall’Uno e che al contempo è ad esso inferiore. In effetti in questo ordinamento identità e differenza risultano sussistere in modo unificato: d’altra parte l’Uno preesiste allo stesso tempo ad entrambe. Infatti ciò che è diverso si dice diverso sia rispetto a se stesso sia rispetto alle 20 altre cose, e ciò che è identico allo stesso modo si dice identico a se stesso ed identico alle altre cose: ma l’Uno non è diverso da sé, poiché ciò che è diverso dall’Uno sarebbe non-uno. D’altra parte non è identico alle altre entità, per evitare che, divenuto identico a quelle, finisca per mutare in modo imprevisto nella natura di quelle. Ma in verità non è neppure diverso dalle altre cose: infatti in questo caso sarà uno ed al tempo stesso dotato in aggiunta della potenza 25 appartenente alla differenza; in effetti nella misura in cui è diverso non sarà uno: infatti la differenza non è uno; dunque essendo di fatto uno e diverso , sarebbe anche molti e non-uno. E certamente neppure identico a sé è l’Uno. Se infatti l’Uno e l’Identico differi- 70 scono solo per nome, non vi saranno i molti, poiché partecipi di identità gli uni rispetto agli altri: infatti che i molti a loro volta siano a un certo punto divenuti uno è per i molti impossibile. Ma se anche per l’effettiva natura che lo contraddistingue l’Uno risulta 5 diverso anche dall’identità, ciò che di fatto è in modo primario Uno non è partecipe di identità, per evitare che, avendo acquisito l’identità con l’Uno, esso divenga Uno in modo derivato, non risultando più Uno in modo primario. Se il limite degli intellettivi è caratterizzato da questa tetrade179, è evidente che l’Uno, essendo di fatto al 10 di là anche di questa, dall’alto la rende manifesta e la prepone alla totalità del reale, monade tetradica ordinatrice di tutte quante le realtà seconde. Da qui infatti hanno ricevuto in modo primario la comunanza con l’Uno tutte le altre entità, le quali appunto a mio giudizio sono anche prodotte e tenute insieme dall’Uno. Certamente, dopo gli dèi intellettivi è l’ambito degli dèi iper- 15 cosmici che la ineffabile superiorità dell’Uno ha messo al posto assegnato, di per sé rimanendo tuttavia in modo segreto trascendente rispetto alle entità generate, ambito che da un lato risulta immediatamente sussistere dagli intellettivi, e che dall’altro uniformemente riceve dal Primo Dio la propria realtà. Questo ambito, pertanto, attraverso somiglianza e dissomiglianza Parmenide180 20 lo introduce a partire dalla divinità che racchiude il limite delle monadi intellettive: infatti ciò che è simile è soggetto all’identico,

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ajnovmoion peponqo;" to; e{teron: deivknusi de; wJ" a[ra to; e}n ejkbevbhke kata; mivan aJplovthta kai; th'" toiauvth" tw'n qew'n 25 ijdiovthto": to; ga;r th'" tou' taujtou' kai; eJtevrou dunavmew" uJperidrumevnon pollw'/ meizovnw" uJperevcei tw'n kata; tau'ta th;n uJpovstasin lacovntwn genw'n. Tiv ou\n meta; tou'to loipovn H dh'lon o{ti to; ejgkovsmion tw'n qew'n plh'qo": ajlla; kai; tou'to dittovn: to; me;n oujravnion 71 to; de; uJpo; selhvnhn. Touvtwn dh; ou\n to; me;n kat oujrano;n peripolou'n gevno" tw'/ te i[sw/ kai; tw'/ meivzoni kai; tw'/ ejlavssoni sumprohvkei: to; de; uJpo; selhvnhn, to; me;n i[son e[lace plhvqei diafevron th'" oujranivou ijsovthto", to; de; a[nison th'/ tou' 5 pleivono" au\ kai; ejlavttono" dunavmei temnovmenon. Kaq eJkavteron a[ra tw'n qeivwn gevno" mona;" a]n ei[h kai; duav", ajll a[nw me;n tw'/ eJni; kai; th'/ taujtovthti suggenhv", kavtw de; tw'/ plhvqei kai; th'/ noera'/ th'" eJterovthto" aijtiva/. Pavntwn de; a[ra touvtwn uJperevcei to; e{n. To; me;n ga;r i[son pantacou' tw'n aujtw'n 10 ejsti merw'n, to; de; a[nison eJtevrwn: to; toivnun oJmou' taujtovthto" ejxh/rhmevnon kai; th'" suzuvgou pro;" aujth;n eJterovthto", tiv" mhcanhv pote metevcein ijsovthto" au\ kai; ajnisovthto" Pro;" dh; touvtoi" a{pasi toi'" qeivoi" diakovsmoi" kai; ta; tw'n yucw'n gevnh tw'n ejkqeoumevnwn kai; peri; tou;" qeou;" diairou15 mevnwn nohvswmen. En ejscavtai" ga;r tw'n qeivwn proovdwn kai; tw'n yucw'n to; prwvtiston gevno" ejkfaivnetai sumfuovmenon toi'" qeoi'", ejpei; kai; ejn oujranw'/ kai; uJpo; selhvnhn qei'ai yucai; th;n tw'n qew'n eij" to;n kovsmon uJpedevxanto diaivresin, w{" pou kai; oJ Aqhnai'o" xevno" ajpodeivknusi. To; me;n ou\n yuciko;n 20 plavto" tw'/ crovnw/ kai; th'/ kata; crovnon zwh'/ carakthrivzetai, hJ de; tw'n qeivwn yucw'n ijdiovth" to; aujto; newvteron a{ma kai; presbuvteron eJautou' te kai; tw'n a[llwn ejpideivknusi: kata; ga;r to;n aujto;n ajei; crovnon periporeuovmenai kai; tw'/ tevlei sunavptousai th;n ajrchvn, oJmou' wJ" pro;" tevlo" th'" aJpavsh" 25 ijou'sai periovdou newvterai, oJmou' de; wJ" pro;" ajrch;n ajnakuklouvmenai presbuvterai ginovmenai diatelou'si: pa'sai de; aujtai'" hJlikivai kai; to; mevtron tou' crovnou taujto;n ajei; diathrou'si. Pavlin ãou\nà taujtovth" ejsti;n ejn aujtai'" kai; 72 eJterovth", hJ me;n th;n ijsovthta kata; crovnon hJ de; th;n ajnisov-

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come appunto ciò che è dissimile è soggetto al diverso. D’altra parte egli mostra come l’Uno risulti secondo un’unica forma di semplicità ulteriore anche a tale specifica classe degli dèi: infatti 25 ciò che è posto al di sopra della potenza dell’identico e del diverso sta in misura molto maggiore al di sopra dei generi che hanno ottenuto in sorte la propria sussistenza in base a queste proprietà. Che cosa dunque rimane dopo ciò? È davvero evidente che si tratta dell’insieme degli dèi encosmici; ma anche questo insieme è duplice: da un lato quello celeste, dall’altro quello posto sotto la 71 sfera lunare. Di questi dunque il genere che ruota in conformità del cielo procede congiuntamente all’uguale, al più grande e al più piccolo; invece il genere posto sotto la sfera lunare ha ottenuto in sorte l’uguale che però differisce per estensione dalla uguaglianza celeste, mentre il disuguale lo ha ottenuto in sorte in quanto è divi- 5 so dalla potenza, a loro volta, del più e del meno. Pertanto per entrambi i generi delle realtà divine vi sarebbero una monade ed una diade, ma congeneri in alto all’unità e all’identità, in basso invece al molteplice e alla causa intellettiva della differenza. D’altra parte l’Uno sta al di sopra di tutti questi aspetti. Infatti ciò che è uguale in ogni ambito è costituito delle stesse parti, mentre ciò 10 che è disuguale è costituito di parti differenti. E allora quale artificio mai consente che ciò che trascende al contempo l’identità e la differenza che è ad essa appaiata partecipi a sua volta dell’uguaglianza e della disuguaglianza? Oltre a tutti quanti questi ordinamenti divini certo dobbiamo prendere in considerazione anche i 15 generi delle anime divinizzate e distribuite intorno agli dèi. Infatti in mezzo alle ultimissime tra le processioni divine si rivela anche il primissimo genere delle anime naturalmente congiunto agli dèi, dal momento che sia in cielo sia sotto la sfera lunare le anime divine hanno accolto in se stesse la suddivisione degli dèi nel cosmo, come da qualche parte dimostra anche lo Straniero ateniese181. Dunque l’ambito dell’anima è caratterizzato dal tempo e dall’esi- 20 stenza scandita dal tempo, invece la specifica classe delle anime divine mostra la stessa entità al contempo più giovane e più vecchia di se stessa ed anche delle altre: infatti ruotando in base al tempo sempre identico e congiungendo alla fine l’inizio, quando procedono in direzione della fine di tutto quanto il ciclo continua- 25 no a diventare in pari tempo più giovani, mentre quando girano all’indietro in direzione dell’inizio in pari tempo continuano a diventare più vecchie. Inoltre ad esse appartengono tutte le età e mantengono la misura del tempo sempre identica. Di nuovo 182 v’è in esse identità e differenza, l’una custodendo l’ugua- 72

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thta fulavttousa. Prou>fevsthken a[ra kai; tw'n qeivwn yucw'n to; e}n kai; sunapogenna'/ kai; tau'ta toi'" qeoi'". Ep aujto; dh; loipo;n h{komen to; pevra" th'" o{lh" tw'n 5 kreittovnwn diakosmhvsew": kai; ta; gevnh ta; sunepovmena toi'" qeoi'" kai; trich'/ merizovmena toi'" tou' crovnou trisi; morivoi" ejkfaivnei me;n oJ pavntwn oJmou' tw'n nohtw'n ai[tio", ejxh/rhmevno" de; kai; touvtwn ajpodeivknutai tai'" tou' Parmenivdou noerai'" ejpibolai'": to; ga;r crovnou panto;" 10 ejpevkeina kai; th'" kata; crovnon zwh'" oujdemiva mhcanh; tai'" merikwtevrai" tou' crovnou douleuvein periovdoi". Kata; mivan a[ra kai; a[gnwston aijtivan to; prwvtiston tw'n o{lwn qeouv" te pavnta" ejxevfhne kai; qeiva" yuca;" kai; ta; kreivttona gevnh: kai; ou[te sumplevketai toi'" eJautou' 15 gennhvmasin ou[te plhquvetai peri; aujtav, pavnth/ de; aujtw'n ejkbebhko;" ejn aJplovthti qaumasth'/ kai; th'" eJnwvsew" uJperbolh'/, pa'sin ajdiakrivtw" thvn te provodon oJmou' kai; th;n ejn th'/ proovdw/ tavxin ejndivdwsi. Mevcri me;n ou\n touvtwn oJ Parmenivdh" a[nwqen ajpo; th'" 20 nohth'" periwph'" tw'n prwvtwn noerw'n qew'n wJrmhmevno" proelhvluqen, kata; ta; mevtra th'" ajpogennhvsew" tav te tw'n qew'n gevnh kai; tw'n qeoi'" hJnwmevnwn te kai; sunepomevnwn uJfistav", kai; pavntwn ajei; to; e}n ejxh/rhmevnon ajrrhvtw" ajpofaivnwn: pavlin de; ejnteu'qen ejp ajrch;n ajnastrevfei, 25 kai; th;n tw'n o{lwn ejpistrofh;n ajpomimouvmeno" tw'n ajkrotavtwn qew'n, tw'n nohtw'n levgw, cwrivzei to; e{n. Ou{tw ga;r a]n aujtou' mavlista th;n uJperoch;n qeasaivmeqa kai; th;n ajmhvcanon pro;" ta; a[lla pavnta th'" eJnwvsew" ejxallaghvn, eij mh; movnon aujto; tw'n deutevrwn h] trivtwn ejn toi'" qeivoi" 73 diakovsmoi" uJperidrumevnon ajpodeivxaimen ajlla; kai; aujtw'n protetagmevnon tw'n nohtw'n eJnavdwn, kai; tau'ta sustoivcw" th'/ tw'n krufivwn ejkeivnwn aJplovthti kai; ouj dia; tw'n poikivlwn lovgwn ajll aujth'" th'" noera'" movnon ejpibolh'": nw'/ ga;r ta; 5 nohta; gnwrivzesqai pevfuke. Tou'to toivnun kai; oJ Parmenivdh" e[rgw/ deivknusin, ta;" me;n logika;" meqovdou" ajpolipw;n kata; de; nou'n ejnergw'n kai; th'" oujsiva" to; e}n ejpevkeina levgwn kai; tou' eJno;" o[nto": ouj ga;r ejk tw'n provsqen sumperasmavtwn

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glianza in base al tempo, l’altra la disuguaglianza. L’Uno dunque risulta preesistere anche alle anime divine e generare insieme agli dèi anche queste entità. Giungiamo così al limite stesso dell’intero ordinamento delle 5 realtà superiori. Anche i generi che vengono subito dopo gli dèi e che sono divisi in tre dalle tre parti del tempo183 li rivela il principio causale di tutti gli intelligibili nel loro insieme; d’altro canto che esso trascende anche questi generi viene dimostrato dalle intuizioni intellettive di Parmenide184. Infatti ciò che è al di là di 10 ogni tempo e della vita scandita dal tempo non c’è modo alcuno che sia soggetto ai periodi ciclici del tempo che hanno una natura più particolare. Dunque secondo un’unica ed inconoscibile forma di causalità ciò che è Primissimo tra la totalità del reale ha fatto apparire tutti gli dèi ed al contempo tutte le anime divine ed i generi superiori. Ed esso né è connesso ai suoi prodotti generati né si moltiplica 15 presso di essi, ma risultando assolutamente ulteriore rispetto ad essi nella meravigliosa semplicità e nella superiorità dell’unificazione, assegna a tutti indistintamente la processione ed insieme anche la collocazione specifica all’interno di tale processione. Fino a queste entità dunque Parmenide, avendo preso le mos- 20 se dall’alto a partire dalla specola intelligibile, è proceduto, facendo sussistere nelle giuste proporzioni della generazione sia i generi degli dèi sia delle entità unificate agli dèi ed al contempo immediatamente successive gli dèi, e rivelando che l’Uno in modo ineffabile trascende sempre tutte le cose. Da lì poi di nuovo torna a volgersi al Principio, e riproducendo fedelmente la conversione 25 della totalità delle cose, separa l’Uno dagli dèi più elevati, intendo dire da quelli intelligibili. In questo modo infatti soprattutto potremmo contemplare la sua superiorità e la straordinaria diversità della sua unificazione in rapporto a tutte le altre entità, se dimo- 73 strassimo non solo che esso è posto al di sopra rispetto ai secondi o terzi ordinamenti tra gli dèi, ma anche che viene prima per ordinamento delle enadi intelligibili stesse, e ciò in modo corrispondente alla semplicità propria di quelle segrete entità e non attraverso svariati ragionamenti, ma solo attraverso l’intuizione intellettiva stessa: infatti è con l’intelletto che le realtà intelligibili risul- 5 tano per natura suscettibili di essere conosciute. Questo pertanto è ciò che mostra di fatto Parmenide, quando da un lato abbandona i metodi razionali, e dall’altro quando opera secondo intelletto ed afferma che l’Uno è al di là dell’essenza e dell’Uno-che-è185. Infatti non è dalle precedenti conclusioni che ciò è stato dedotto:

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tou'to sullelovgistai: h\n ga;r a]n oJ peri; tw'n prwtivstwn aujtw'/ qew'n lovgo" ajnapovdeikto" ejk tw'n ceirovnwn th;n pivstin ejfelkovmeno". Kai; ta;" gnwvsei" toivnun kai; ta; tw'n gnwvsewn o[rgana pavnta th'" tou' eJno;" uJperoch'" ajpoleivpesqai kata; to;n aujto;n crovnon diateivnetai, kai; teleuta'/ dh; kalw'" eij" to; a[rrhton tou' pavntwn ejpevkeina qeou'. Meta; ga;r ta;" kat ejpisthvmhn ejnergeiva" kai; ta;" noera;" ejpibola;" hJ pro;" to; a[gnwston e{nwsiv" ejstin, eij" h}n dh; kai; oJ Parmenivdh" to;n sumpavnta lovgon ajnenegkw;n sumperaivnetai th;n prwvthn uJpovqesin, pavnta me;n ta; qei'a gevnh tou' eJno;" ejxavya", aujto; de; eJniaivw" tw'n pavntwn ejxh/rhmevnon ajpofhvna", tw'n te nohtw'n kai; tw'n aijsqhtw'n, ajmevqekton uJpavrcon kai; tw'n metecomevnwn monavdwn ajrrhvtw" uJpostatikovn: dio; kai; tou' eJno;" ejpevkeina tou' th'/ oujsiva/ suzugou'nto" ei[rhtai kai; panto;" oJmou' tou' metecomevnou tw'n eJnavdwn plhvqou".

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il discorso sui primissimi dèi sarebbe stato per lui indimostrabile se avesse ricavato l’argomento dalle realtà inferiori. Egli pertanto sostiene con decisione che le forme di conoscenza e tutti gli strumenti delle forme di conoscenza sono nello stesso tempo inadeguati rispetto alla superiorità dell’Uno, ed in modo davvero esemplare perviene in conclusione186 alla ineffabilità del Dio al di là di tutte le cose. Infatti dopo l’operare conforme a scienza e le intuizioni intellettive, viene l’unione con l’inconoscibile; ed è proprio verso quest’ultima che Parmenide ha ricondotto tutto il discorso, concludendo così la prima ipotesi, dopo aver fatto dipendere tutti i generi divini dall’Uno e dopo aver messo in luce che esso, dal canto suo, trascende tutte le entità in modo unitario, sia quelle intelligibili sia quelle sensibili, in quanto è di fatto impartecipato e atto a far sussistere le monadi partecipate. Ecco perché è stato detto187 che è anche al di là dell’Uno connesso all’essenza188 ed al contempo di tutta la molteplicità partecipata delle enadi.

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PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS KEFALAIA TOU TRITOU 5

aV. Oti meta; to;n peri; th'" mia'" ajrch'" lovgon koinh'/ pragmateuvsasqai crh; peri; tw'n qeivwn tavxewn, o{sai tev eijsi kai; pw'" diairou'ntai ajp ajllhvlwn. bV. Oti plh'qo" eJnavdwn meta; to; e}n uJpevsth, kaq a}" oiJ qeoi; th;n uJpovstasin e[cousin.

10

gV. Povsa dei' proapodeicqh'nai th'" euJrevsew" tou' plhvqou" tw'n qeivwn tavxewn, kai; touvtwn sunech;" paravdosi". dV. Oti pa'sai aiJ eJnavde" meqektaiv, kai; o{ti e}n movnon to; wJ" ajlhqw'" uJperouvsion, ta; d a[lla pavnta metevcetai uJpo; oujsiw'n.

15

eV. Oti aiJ meqevxei" tw'n me;n ejggutevrwn tou' eJno;" eJnavdwn eij" aJploustevra" proh'lqon uJpostavsei", tw'n de; porrwtevrwn eij" sunqetwtevra".

ıV. Tivna ta; metevconta tw'n qeivwn eJnavdwn kai; tiv" aujtw'n hJ pro;" a[llhla tavxi": kai; o{ti to; me;n o]n presbuvtaton 2 deutevra de; hJ zwhv, trivto" de; oJ nou'", tetavrth de; hJ yuchv, to; de; sw'ma e[scaton: kai; o{ti tosau'tai kai; tw'n qeivwn eJnavdwn eijsi;n aiJ diakosmhvsei". 5

zV. Epanavlhyi" th'" peri; tou' eJno;" didaskaliva" kai; tw'n meta; to; e}n duoeidw'n ajrcw'n paravdosi". hV. Tivne" eijsi;n aiJ duvo meta; to; e}n tw'n pavntwn ajrcaiv, kai; pw'" aujta;" oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" pevra" kai; a[peiron ejkavlese, kai; tivnwn aijtivai toi'" ou\sin.

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Proclo

1

Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Punti capitali del libro III 1. Che dopo il discorso concernente il Primo Principio si deve affrontare la trattazione sugli ordinamenti divini in generale, quanti sono ed anche in che modo sono distinti gli uni dagli altri.

5

2. Che la molteplicità delle enadi è venuta a sussistere dopo l’Uno, enadi in base alle quali gli dèi hanno la loro sussistenza. 3. Quanti sono i principi che devono essere dimostrati prima della scoperta della molteplicità degli ordinamenti divini, ed esposizione sistematica della dottrina concernente questi principi I.

10

4. Che tutte le enadi sono partecipate, e che vi è solamente un Uno che è veramente sovraessenziale, mentre tutti gli altri sono partecipati dalle essenze. 5. Che le partecipazioni alle enadi più vicine all’Uno sono procedute verso realtà più semplici, mentre le partecipazioni alle enadi più lontane sono procedute verso realtà più composite.

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6. Quali sono le entità che partecipano delle enadi divine e qual è l’ordine delle une rispetto alle altre; e che l’Essere viene assolutamente per primo, poi seconda la Vita, terzo l’Intelletto, 2 quarta l’Anima, ed ultimo infine il corpo; e che tanti sono anche gli ordinamenti delle enadi divine. 7. Ricapitolazione dell’insegnamento concernente l’Uno ed esposizione della dottrina sui due principi di natura diadica che vengono dopo l’Uno. 8. Quali sono i due principi di tutte le cose successivi all’Uno e in che senso Socrate nel Filebo li ha chiamati “limite” ed “illimitato”, e di quali cose sono cause per gli enti. I Nel testo tràdito questo “punto capitale” viene indicato come gV, ovvero terzo. Tuttavia, senza dubbio, la posizione di questo “punto capitale” va invertita con quella del precedente, come si evince chiaramente dai temi affrontati nel cap. 2, pp. 6-11 dell’edizione Saffrey-Westerink.

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15

TEOLOGIA PLATONICA

qV. Tiv to; trivton ejk tw'n duvo paragovmenon ajrcw'n, kai; dia; tiv mikto;n aujto; proshgovreusen oJ ejn Filhvbw/ Swkravth": kai; o{ti oujk a[llo ejsti;n h] to; prwvtw" o[n, kai; pw'" tou'to proh'lqen e[k te tw'n duvo ajrcw'n kai; ajpo; tou' eJnov". iV. Pw'" kai; ajpo; tw'n eijkovnwn kataskeuavseien a[n ti" o{ti to; prw'ton uJposta;n ejk pevrato" kai; ajpeivrou to; o[n ejstin: ejn w|/ kai; ªpw'"º tou'to devdeiktai, pw'" ditto;n pevra" kai; a[peiron, ta; me;n ejn tw'/ o[nti, ta; de; pro; tou' o[nto". iaV. Tiv" hJ tria;" h{n fhsin oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" panti; miktw'/ uJpavrcein.

20

ibV. Koino;" lovgo" peri; th'" prwvth" nohth'" triavdo", kai; o{pw" ajnavlogon tauvth/ proh'lqen hJ deutevra. igV. Tiv" hJ deutevra nohth; triav", ajpov te tou' ejpikratou'nto" kai; ajpo; tou' metecomevnou kai; ajpo; tou' carakthrivzonto" to; mikto;n ajkribestevra paravdosi".

25

idV. Tiv" hJ trivth nohth; triav", kai; tiv to; ejpikratou'n ejn tauvth/, tiv to; metecovmenon: kai; ejpi; tevlei koino;" lovgo" peri; th'" tw'n triw'n triavdwn ªparaºdiakrivsew". ieV. Pw'" ejn Timaivw/ paradivdontai aiJ nohtai; triavde", uJpomnhvsei" pleivou" peri; tou' to; aujtozw'/on trivthn e[cein tavxin ejn toi'" nohtoi'".

3 kai;

iıV. Oti oJ aijw;n kata; th;n mevshn tavxin tw'n nohtw'n uJfevsthken ajpodeivxei" pleivou". 5

izV. Oti to; e}n ejn w|/ mevnei oJ aijw;n hJ ajkrotavth tw'n nohtw'n ejsti tavxi". ihV. Koino;" lovgo" peri; pasw'n tw'n nohtw'n tavxewn kata; th;n tou' Timaivou didaskalivan kai; ajkribestevra paravdosi" tw'n ejn aujtai'" ijdiothvtwn.

10

iqV. Peri; tw'n nohtw'n eijdw'n, thvn te ijdiovthta aujtw'n ejkfaivnousa didaskaliva, kai; pw'" tevttara, kai; ajpo; poivwn aijtivwn uJpevsthsan.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO III

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9. Qual è la terza entità che viene introdotta dai due principi, e per quale motivo Socrate nel Filebo la chiama “misto”; e che non è altro se non l’Essere in senso primo, e in che modo questo è proceduto dai due principi ed al contempo a partire dall’Uno. 10. Come anche dalle immagini si potrebbe stabilire che ciò che viene a sussistere per primo da limite ed illimitato è l’Essere; ed in questo capitolo è stato mostrato anche che limite ed illimitato sono di due sorte, gli uni nell’Essere, gli altri prima dell’Essere.

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11. Qual è la triade che Socrate nel Filebo afferma che appartiene ad ogni misto. 12. Discorso generale sulla prima triade intelligibile, e come in modo analogo a quest’ultima è proceduta la seconda.

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13. Qual è la seconda triade intelligibile, ed esposizione più precisa della dottrina a partire dal termine predominante, da quello partecipato e da quello che caratterizza il misto. 14. Qual è la terza triade intelligibile, e qual è in essa è il termine predominante, quale il termine partecipato; ed in conclusione discorso generale sulla parallela distinzione delle tre triadi II.

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15. Come nel Timeo vengono tramandate le triadi intelligibili, e più richiami al fatto che il Vivente-in-sé occupa il terzo livello tra 3 gli intelligibili. 16. Più dimostrazioni del fatto che l’eternità è sussistita in conformità al livello mediano degli intelligibili. 17. Che l’uno entro cui permane l’eternità è il livello più elevato degli intelligibili.

5

18. Discorso generale su tutti gli ordinamenti intelligibili in base all’insegnamento del Timeo, ed esposizione più precisa della dottrina sulle caratteristiche specifiche insite in essi. 19. Sulle Forme intelligibili: insegnamento che rivela il loro carattere specifico ed al contempo come siano quattro, e da quali cause siano venute a sussistere. II kai; ejpi; tevlei koino;" lovgo" peri; th'" tw'n triw'n triavdwn ªparaºdiakrivsew". A mio avviso è possibile conservare il testo tràdito paradiakrivsew", Questo termine, infatti, rende in modo preciso la suddivisione interna alle tre triadi, la quale parallelamente si riflette dalla prima alla terza triade. In effetti la concezione secondo cui v’è una continuità indissolubile ed analogica fra i vari livelli del reale a partire dai primi e più elevati è assolutamente centrale nel pensiero procliano.

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TEOLOGIA PLATONICA

kV. Oti kai; ajpo; tw'n ejn Sofisth'/ lovgwn dunato;n ajneurivskein ta;" trei'" nohta;" tavxei": ejn oi|" levgetai tiv to; e}n o[n, tiv to; o{lon, tiv to; pa'n. kaV. Sugkefalaivwsi" tw'n eijrhmevnwn peri; tw'n nohtw'n triavdwn, kai; o{ti dunato;n diairei'n aujta;" eij" patevra kai; duvnamin kai; nou'n uJpomnhvsei" ejk tw'n Plavtwno".

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kbV. Pw'" ejn Faivdrw/ levgetai to; qei'on pa'n kalovn, sofovn, ajgaqovn, kai; tivna tripla' touvtwn eJkavstou stoicei'a paradivdwsin oJ Plavtwn: kai; o{pw" ejk touvtwn ejpibavllein dunato;n th'/ te eJnwvsei kai; th'/ diakrivsei tw'n nohtw'n triavdwn. kgV. Pw'" to; plh'qo" tw'n qew'n oJ Parmenivdh" ejn th'/ deutevra/ paradivdwsin uJpoqevsei, kai; o{pw" poihsovmeqa to;n peri; eJkavsth" tavxew" lovgon, ajpocrwvmenoi toi'" ejkei' sumperavsmasin. kdV. Tiv" hJ prwvth tria;" kata; to;n Parmenivdhn, kai; povqen a[rcetai kai; mevcri tivno" proveisi peri; aujth'" ajnadidavskwn.

4

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keV. Tiv" hJ deutevra tria;" kai; o{pw" th'/ pro; aujth'" sunech;" uJpo; tou' Parmenivdou paradivdotai, kai; mevcri tivno" prohvgage to;n peri; aujth'" lovgon. kıV. Tiv" hJ trivth tria;" kai; o{pw" aujth;n oJ Parmenivdh" dia; tou' trivtou sumperavsmato" ejxevfhnen. kzV. Koino;" lovgo" peri; tw'n triw'n sumperasmavtwn di w|n aiJ trei'" tavxei" carakthrivzontai tw'n nohtw'n, kai; o{pw" dia; touvtwn luvein dunato;n ta; calepwvtata tw'n qeologikw'n ajpovrwn.

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khV. Eujfhmiva tw'n nohtw'n qew'n, oJmou' kai; th;n pro;" to; ajgaqo;n e{nwsin kai; th;n ejxh/rhmevnhn tw'n nohtw'n u{parxin aujtw'n ejkfaivnousa.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO III

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20. Che anche dai discorsi nel Sofista è possibile scoprire i tre livelli intelligibili; in questo capitolo si dice che cosa è l’Uno-cheè, che cosa l’Intero, che cosa il Tutto.

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21. Ricapitolazione delle cose dette a proposito delle triadi intelligibili, e richiami desunti dai testi di Platone al fatto che è possibile dividerle in Padre, Potenza e Intelletto. 22. In che senso nel Fedro viene affermato che tutta la realtà divina è bella, sapiente, buona, e quali sono i triplici elementi di ciascuno di questi attributi che Platone tramanda; e come da questi elementi è possibile arrivare a cogliere l’unità ed al contempo la distinzione delle triadi intelligibili. 23. Come Parmenide tramanda la molteplicità degli dèi nella seconda ipotesi, e come tratteremo di ciascun ordinamento, limitandoci alle conclusioni lì raggiunte.

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24. Qual è la prima triade secondo Parmenide, e da dove ha inizio e fino a che punto egli proceda nell’illustrare la sua natura. 25. Qual è la seconda triade e come viene tramandato da Par- 4 menide che essa è contigua a quella che la precede, e fino a che punto egli ha portato avanti il discorso che la concerne. 26. Qual è la terza triade e come Parmenide l’ha rivelata attraverso la terza conclusione.

5

27. Discorso generale sulle tre conclusioni attraverso le quali vengono caratterizzati i tre livelli degli intelligibili, e come attraverso queste è possibile risolvere le più difficili questioni teologiche. 28. Lode degli dèi intelligibili, che rivela al contempo sia la loro unione al Bene sia la loro realtà che trascende gli intelligibili stessi.

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PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS BIBLION TRITON ãaVÃ H me;n ou\n peri; tou' prwvtou qeou' para; tw'/ Plavtwni qeologiva toiavde tiv" ejstin, wJ" ejmoi; katafaivnetai, kai; thlikauvthn e[lace pro;" a{panta" tou;" a[llou" peri; tw'n qeivwn lovgou" uJperbolhvn, oJmou' me;n th;n a[rrhton e{nwsin 10 aujtou' semnw'" diafulavttousa tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn kai; ajperivgrafon pavsai" tai'" gnwstikai'" periocai'" aJpavntwn tw'n o[ntwn ejkbebhkui'an, oJmou' de; ta;" ajnagwgou;" ejp aujto;n oJdou;" ejkfaivnousa kai; th;n wjdi'na tw'n yucw'n h}n e[cousin ajei; tou' pavntwn patro;" kai; propavtoro" telewsamevnh kai; 15 to;n ejn aujtai'" ajnavyasa pursovn, ajf ou| dh; mavlista pro;" th;n a[gnwston sunavptontai tou' eJno;" uJperochvn. Meta; de; th;n ajmevqekton tauvthn kai; a[rrhton kai; wJ" ajlhqw'" uJperouvsion aijtivan, ajpo; pavsh" oujsiva" kai; pavsh" dunav6 mew" kai; pavsh" ejnergeiva" kecwrismevnhn, sunechv" ejstin oJ peri; tw'n qew'n lovgo". Tiv ga;r a[llo tw'/ eJni; sunavptesqai pro; tw'n eJnavdwn qemitovn, h] tiv tw'/ eJniaivw/ qew'/ sunhvnwtai ma'llon tw'n pollw'n qew'n Peri; dh; touvtwn ejfexh'" th;n 5 tou' Plavtwno" ajmhvcanon o{shn qewrivan ajnaplwvswmen, aujtou;" tou;" qeou;" hJmi'n ajnavptein to; th'" ajlhqeiva" fw'" parakalevsante". Bouvlomai de; pro; th'" tw'n kaq e{kasta qewriva" aujto; tou'to katadhvsasqai kai; di ajpodeivxew" poih'sai toi'" ajkouvousi fanerovn, wJ" a[ra 10 tosauvta" ei\nai tw'n qew'n ta;" tavxei" ajnagkai'on oJpovsa" hJmi'n oJ tou' Plavtwno" Parmenivdh" ejkfaivnei kata; th;n deutevran uJpovqesin. 5

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Libro III

[Che dopo il discorso concernente il Primo Principio si deve affrontare la trattazione sugli ordinamenti divini in generale, quanti sono ed anche in che modo sono distinti gli uni dagli altri]

5

Ebbene, tale per sommi capi è in Platone la dottrina teologica concernente il Primo Dio, come a me appare, e una così grande superiorità ha ottenuto rispetto a tutti quanti gli altri discorsi concernenti le entità divine, in quanto nello stesso tempo custodisce 10 religiosamente l’ineffabile unità di esso nella sua trascendenza rispetto alla totalità delle cose e nella sua natura non circoscrivibile per tutti i complessi di conoscenze in quanto risulta ulteriore rispetto a tutti quanti gli enti, e nello stesso tempo rivela le vie di ascesa verso esso e porta a compimento il travaglio che le anime provano di continuo per il Padre di tutte le cose, anzi per il Padre originario, ed «accende il fuoco»1 insito in esse, a partire dal quale 15 al livello più alto sono collegate all’inconoscibile superiorità dell’Uno. D’altra parte immediatamente dopo questa Causa impartecipabile, ineffabile e veramente sovraessenziale, che da ogni essenza e da ogni potenza e da ogni atto risulta separata, viene il discor- 6 so concernente gli dèi. Cos’altro infatti è lecito connettere all’Uno prima delle enadi, o che cosa risulta unito al Dio unitario più degli dèi molteplici? Dunque di seguito noi dobbiamo esplicare la stra- 5 ordinariamente grande dottrina di Platone intorno ad essi, pregando gli dèi stessi di accendere in noi la luce della verità. Io però intendo, prima di considerare dettagliatamente questi argomenti, stabilire saldamente e, attraverso una dimostrazione, rendere manifesto ai miei uditori proprio questo, cioè che gli ordinamenti 10 degli dèi devono essere necessariamente tanti quanti il Parmenide di Platone ci rivela in base alla seconda ipotesi2.

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TEOLOGIA PLATONICA

ãbVà Tou'to dh; ou\n pro; tw'n a[llwn aJpavntwn katafane;" 15 hJgou'mai toi'" ajdiastrovfoi" uJpavrcein, to; ta;" deutevra" tw'n proovdwn pantacou' mevn, mavlista de; ejn toi'" qeivoi" diakovsmoi", kaq oJmoiovthta tw'n toiouvtwn ajpotelei'sqai pro;" ta;" oijkeiva" ajrcav". Kai; ga;r hJ fuvsi" kai; oJ nou'" kai; tw'n gennhtikw'n aijtivwn e{kaston pro; tw'n ajnomoivwn ta; 20 o{moia pro;" aujto; kai; paravgein pevfuke kai; sunavptein eJautoi'". Eij ga;r dei' sunech' th;n provodon ei\nai tw'n o[ntwn kai; mhde;n parempivptein kenovn, mhvt ou\n ejn toi'" ajswmavtoi" mhvt ou\n ejn toi'" swvmasin, ajnavgkh to; proi>o;n ãejnà eJkavsth/ fuvsei di oJmoiovthto" proi>evnai. Taujto;n me;n ga;r ei\nai tw'/ 25 aijtivw/ to; aijtiato;n oujdamw'" qevmi": u{fesi" ga;r kai; e[lleiyi" 7 th'" tou' paravgonto" eJnwvsew" ajpogenna'/ ta; deuvtera. Kai; ga;r au\ kai; eij tw'/ prwvtw/ to; deuvteron h\n taujtovn, oJmoivw" a]n eJkavteron h\n taujtovn, ouj to; me;n ai[tion, to; de; aijtiatovn. Eij de; aujtw'/ tw'/ ei\nai to; me;n e[cei th;n th'" paraktikh'" 5 dunavmew" periousivan, to; de; th;n th'" uJfistamevnh" e[lleiyin, diwvristai tau'ta kata; fuvsin ajp ajllhvlwn kai; proevcei tou' gennwmevnou to; gennhtikovn, kai; taujtovth" oujk e[sti tw'n tosouvtw/ diaferovntwn pragmavtwn. Eij de; mhv ejsti taujto;n tw'/ prwvtw/ to; deuvteron, eij me;n e{teron ei[h movnon, oujd a]n 10 sunavptoito ajllhvloi" oujd a]n metevcoi qatevrou qavteron: hJ ga;r sunafh; kai; hJ mevqexi" koinwniva dhvpou tw'n sunaptomevnwn ejsti; kai; sumpavqeia tw'n metecovntwn pro;" ta; metecovmena. Eij de; a{ma taujto;n kai; e{teron, eij me;n taujtovthto" ejndee;" kai; th'/ pro;" tauvthn ejnantiva/ dunavmei kratouvmenon, 15 oujk a]n e[ti to; e}n ejxavrcoi th'" proovdou tw'n o[ntwn oujd a]n e{kaston tw'n gennhtikw'n aijtivwn ejn tajgaqou' tavxei prou>pavrcoi tw'n deutevrwn. To; ga;r e}n ouj diairevsew", ajlla; filiva" ejsti;n ai[tion kai; to; ajgaqo;n ejpistrevfei ta; gennwvmena pro;" ta;" aijtiva" ta;" eJautw'n: hJ de; ejpistrofh; kai; hJ filiva 20 tw'n deutevrwn pro;" ta; provtera di oJmoiovthtov" ejstin,

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LIBRO III, 2

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[Quanti sono i principi che devono essere dimostrati prima della scoperta della molteplicità degli ordinamenti divini, ed esposizione sistematica della dottrina concernente questi principi] Ebbene, questo, prima di tutte quante le altre considerazioni, ritengo risulti palese a coloro che non sono sviati, il fatto che in 15 ogni ambito, ma soprattutto tra gli ordinamenti divini, le seconde tra le processioni si compiano in base alla somiglianza di tali entità3 con i loro propri principi. Ed infatti la natura e l’intelletto e ciascuno dei principi causali generatori per natura producono pri- 20 ma delle entità dissimili quelle a loro4 simili e le congiungono a se stessi. Se infatti la processione degli enti deve essere continua e non lasciare che si insinui nessun vuoto, né tra le entità incorporee né tra i corpi, è necessario che ciò che procede proceda in ciascun ordine naturale attraverso una somiglianza. Infatti non è in 25 nessun modo lecito che il causato sia identico al suo principio causale: infatti sono una diminuzione ed un difetto rispetto alla unità propria del principio causante a generare le entità seconde. Ed 7 infatti se a sua volta ciò che è secondo fosse identico a ciò che è primo, sarebbero entrambi parimenti la medesima cosa, non l’uno principio causale, l’altro causato. D’altronde se, per il fatto stesso di essere, l’uno possiede la sovrabbondanza propria della potenza 5 produttrice, mentre l’altro il difetto proprio di quella che viene prodotta, questi risultano distinti in base a natura l’uno dall’altro ed il generante è superiore al generato, e non v’è identità di realtà così tanto differenti. D’altra parte si dia per ipotesi che ciò che è secondo non sia identico a ciò che è primo: se fosse solo diverso, non sarebbero neppure connessi fra loro né l’uno partecipe- 10 rebbe dell’altro: infatti la connessione e la partecipazione sono a mio giudizio comunanza delle entità reciprocamente connesse e rapporto simpatetico delle entità partecipanti rispetto alle entità partecipate. Si dia invece per ipotesi che sia al tempo stesso identico e diverso: se fosse carente di identità e fosse dominato dalla potenza opposta a questa, l’Uno non potrebbe più dare inizio alla 15 processione degli enti né ciascuno dei principi causali generatori preesisterebbe, nel ruolo di Bene, alle realtà seconde. Infatti l’Uno è principio causale non di divisione, ma di amicizia ed il Bene fa convertire le entità generate alle loro proprie cause: ma la conversione e l’amicizia delle realtà seconde rispetto a quelle che le pre- 20 cedono esistono attraverso somiglianza, ma non attraverso la

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TEOLOGIA PLATONICA

ajll ouj th'" ajnomoivou fuvsew". Eij a[ra to; e}n ai[tiovn ejsti tw'n o{lwn kai; eij to; ajgaqo;n ejxh/rhmevnw" ejfetovn ejsti toi'" pa'si, di oJmoiovthto" uJfivsthsi pantacou' ta; gennhvmata tw'n prohgoumevnwn aijtivwn, i{na kai; provodo" h\/ kata; to; e}n 25 kai; ejpistrofh; tw'n proi>ovntwn pro;" to; ajgaqovn: ou[te ga;r ejpistrofh; cwri;" oJmoiovthto" ou[te gevnesi" tw'n ajpotelesmavtwn gevnoito a[n pote pro;" ta;" oijkeiva" ajrcav". Tou'to me;n ou\n keivsqw diwmologhmevnon ejntau'qa. Deuvteron de; e[ti pro;" touvtw/ kai; dia; touvtou deiknuvmenon, wJ" 8 ajnavgkh pa'san monavda paravgein ajriqmo;n auJth'/ suvstoicon, th;n me;n fuvsin fusikovn, th;n de; yuch;n yucikovn, to;n de; nou'n noerovn. Eij ga;r pa'n to; gennhtiko;n pro; tw'n ajnomoivwn ta; o{moia genna'/, kaqavper devdeiktai provteron, e{kaston 5 dhvpou tw'n aijtivwn th;n eJautou' morfh;n kai; ijdiovthta toi'" oijkeivoi" paradwvsei gennhvmasi, kai; pri;n tw'n povrrw proelhluqovtwn kai; th'" eJautou' fuvsew" kecwrismevnwn uJpostatiko;n gevnhtai, ta; ejggu;" kata; to; ei\nai kai; sunhmmevna pro;" auJto; di oJmoiovthto" uJfivsthsin. Apasa toivnun 10 mona;" uJposthvsei plh'qo" ªme;nº wJ" eJauth'" deuvteron gennw'sa kai; merizovmenon ta;" ejn aujth'/ krufivw" prou>parcouvsa" dunavmei". A gavr ejstin eJnoeidw'" ejn th'/ monavdi kai; suneptugmevnw", tau'ta dih/rhmevnw" ejn toi'" ejkgovnoi" th'" monavdo" ajnafaivnetai. Kai; tou'to dhloi' mevn pou kai; 15 hJ o{lh fuvsi" hJ pavntwn ejn eJni; perievcousa tou;" lovgou" tw'n te ejn oujranw'/ kai; tw'n uJpo; selhvnhn, kataneivmasa de; ta;" eJauth'" dunavmei" tai'" ajp aujth'" peri; ta; swvmata merizomevnai" fuvsesi: kai; ga;r hJ gh'" kai; hJ puro;" kai; hJ selhvnh" fuvsi" ejk th'" o{lh" e[cei th;n eJauth'" ijdiovthta kai; morfhvn, 20 kai; ejnergei' meta; th'" o{lh" kai; sunevcei to;n eJauth'" klh'ron. Dhloi' de; au\ kai; hJ tw'n maqhmatikw'n kai; ajriqmw'n monav": pavnta ga;r ou\sa prwvtw" aujth; kai; ta; ei[dh tw'n ajriqmw'n ejn eJauth'/ spermatikw'" uJposthvsasa, diairei' toi'" e[xw proelqou'sin ajriqmoi'" a[lla" a[lloi" dunavmei". Ouj ga;r 25 h\n dunato;n oJmou' gennwvmenon ajqrovan th;n tou' gennw'nto" periousivan ajnadevxasqai: kai; pavntwn ajnavgkh tw'n ejn 9 aujth'/ prou>parcovntwn ãkatÃ aijtivan th;n govnimon ejkfaiv-

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natura dissimile. Se dunque l’Uno è principio causale della totalità del reale e se il Bene è in modo trascendente desiderabile per tutte le entità, è per somiglianza con le loro cause principali che in ogni ambito esso fa sussistere i prodotti da esse generati, affinché in modo conforme all’Uno siano sia la processione sia la conver- 25 sione verso il Bene da parte delle entità procedenti; ed infatti separatamente dalla somiglianza non potrebbe mai realizzarsi la conversione – e nemmeno la generazione – degli effetti rispetto ai propri principi. Questo dunque sia stabilito qui come convenuto. V’è poi ancora oltre al precedente un secondo aspetto che si mostra attraverso questa considerazione, cioè che è necessario che ogni mona- 8 de produca una serie a se stessa coordinata, la natura una serie naturale, l’anima una serie psichica, mentre l’intelletto una serie intellettiva. Se infatti tutto ciò che è generatore prima delle entità dissimili genera le entità simili, come appunto è stato mostrato in precedenza5, ciascuno dei principi causali trasmetterà certamente 5 ai propri prodotti generati la sua forma ed il suo carattere specifico, e prima di originare le entità che hanno proceduto lontano da esso e che si sono separate dalla natura che ad esso appartiene, fa sussistere le entità vicine a seconda del loro essere ed unite a se stesso per somiglianza. Pertanto ogni singola monade farà sussiste- 10 re una molteplicità generandola come seconda rispetto a se stessa e dotata in modo diviso delle potenze in essa celatamente preesistenti. Infatti quelle proprietà che nella monade sono insite in modo uni-forme e contratto, si manifestano in modo suddiviso nei prodotti generati dalla monade. E ciò lo rende manifesto in qualche modo anche la natura universale che comprende in un’unità i 15 principi razionali costitutivi di tutte le cose, di quelle celesti e di quelle sublunari, ma che ripartisce le proprie potenze tra le nature da essa suddivise in relazione ai corpi: ed infatti la natura della terra, quella del fuoco e quella della luna hanno la propria specifica proprietà e forma dalla natura universale, ed operano in unio- 20 ne con la natura universale, ma al contempo mantengono lo specifico ambito ad esse assegnato. Inoltre questo lo rende manifesto a sua volta anche la monade degli enti matematici e dei numeri6: infatti dato che essa è in modo primario tutti gli enti matematici e fa sussistere in sé a livello seminale le forme dei numeri, distribuisce alle diverse entità che procedono all’esterno, potenze differenti. Infatti non è assolutamente possibile che nello stesso tempo una 25 entità generata riceva tutta insieme la sovrabbondanza del principio generante; ed è necessario che a livello di causa si riveli la 9

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nesqai duvnamin. Plh'qo" ou\n uJfivstatai peri; aujto; kai; ajriqmo;" dianemovmeno" ta;" ejn aujtw'/ menouvsa" ajqrovw" ijdiovthta". Epei; dev, w{sper ei[rhtai provteron, to; o{moion 5 ajei; tou' ajnomoivou th'/ aijtiva/ suggenevsteron, to; me;n e[stai tw'n oJmoivwn pro;" th;n monavda plh'qo" proi>o;n ajp aujth'", to; de; tw'n ajnomoivwn. To; de; au\ o{moion th'/ monavdi plh'qo" tou'tov ejsti dih/rhmevnw" o{per hJ mona;" ajdiairevtw": eij ga;r duvnamin e[cei kai; u{parxin ijdivan hJ monav", e[stai kai; ejn tw'/ 10 plhvqei to; aujto; th'" uJpavrxew" ei\do" meta; th'" uJfevsew" th'" pro;" to; o{lon. To; trivton toivnun ejpi; touvtoi" qewrhvswmen, to; tw'n proi>ovntwn ta; me;n ejggutevrw th'" aijtiva" pleiovnwn ei\nai gennhtika; kai; trovpon tina; sunexisou'sqai tai'" eJautw'n 15 periocai'", ta; de; porrwvteron ejlattovnwn kai; kata; th;n th'" dunavmew" ejlavttwsin sunexallavttein to; th'" poihvsew" ejktenev". Eij ga;r tw'n proi>ovntwn to; prw'ton uJfistavmenon oJmoiovterovn ejsti pro;" th;n ajrchvn, th'/ de; pavnta gennwvsh/ to; pleivstwn uJpostatiko;n katav te th;n oujsivan kai; th;n 20 duvnamin oJmoiovteron, ajnavgkh dhvpou kai; tw'n deutevrwn ta; ma'llon prosech' th'/ monavdi kai; met aujth;n paradexavmena th;n ejpikravteian diateivnein ejpi; plei'ston ta;" eJautw'n poihvsei", ta; de; dih/rhmevna ma'llon ajpo; th'" oijkeiva" prwtourgou' monavdo" mhvt ou\n ejpi; pavnta dihvkein oJmoivw" 25 mhvte ejpi; plei'ston tai'" drasthrivoi" ejnergeivai": kai; to; tw'/de paraplhvsion, to; pleivstwn uJpostatiko;n ejgguvtata 10 th'" ajrchgikh'" iJdru'sqai monavdo" kai; to; pleiovnwn au\ gennhtiko;n tou' th;n tw'n ejlassovnwn aijtivan lacovnto" oJmoiovteron o]n tw'/ pavntwn paraktikw'/ prosecevsteron aujtw'/ kata; th;n u{parxin tetavcqai. Porrwvteron ga;r o]n 5 ajnomoiovteron e[stai pro;" th;n prwvthn ajrchvn, ajnomoiovteron de; uJpavrcon ou[t a]n duvnamin e[coi perilhptikh;n th'" tw'n oJmoiotevrwn dunavmew" ou[t a]n ejnevrgeian pleiovnwn oijstikhvn. Tw'/ ga;r pavntwn aijtivw/ to; pleivstwn ai[tion suggenev", kai;

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potenza generatrice di tutti i caratteri che preesistono in questa sovrabbondanza. Dunque intorno al principio generante7 sussiste una molteplicità ed una serie che si ripartisce le proprietà che in esso permangono tutte insieme. D’altra parte dal momento che, come è stato affermato in precedenza8, il simile è sempre più con- 5 genere alla causa rispetto al dissimile, l’una sarà una molteplicità di elementi simili alla monade, molteplicità che procede a partire da essa, mentre l’altra di elementi dissimili. D’altra parte a sua volta la molteplicità che è simile alla monade è in modo diviso ciò che la monade è in modo indiviso: se infatti la monade ha potenza ed esistenza propria, si troverà anche nella molteplicità la stessa forma di esistenza congiuntamente 10 all’abbassamento di livello rispetto alla totalità. Il terzo aspetto pertanto che oltre a questi dobbiamo considerare è il fatto che, tra le entità che procedono, quelle più vicine alla causa sono generatrici di un maggior numero di cose e, in un certo modo, si mantengono uguali in rapporto ai loro sviluppi, 15 mentre quelle più lontane di un numero inferiore di cose ed in base alla diminuzione della potenza mutano conseguentemente la capacità di estensione della loro produzione. Se infatti tra le entità procedenti ciò che sussiste per primo è più simile al Principio, e d’altra parte ciò che è atto a far sussistere il numero maggiore di entità, in base all’essenza ed anche alla po- 20 tenza, è più simile al Principio che le genera tutte, è necessario, a mio avviso, che anche tra le entità seconde quelle che sono più contigue alla monade e che hanno ricevuto il predominio direttamente dopo essa estendano al massimo grado le proprie produzioni, mentre quelle che sono in misura maggiore distinte rispetto alla propria monade originaria, di conseguenza, non si diffondano con le loro attività operatrici né a tutte le cose in modo simile né al massimo grado; e parallelamente a questo, ciò che è origina- 25 tore del numero maggiore di entità è necessario che sia posto vici- 10 nissimo alla monade principale e ciò che a sua volta è generatore di un numero maggiore di entità, essendo più simile a ciò che è capace di produrre tutte le entità rispetto a ciò che ha avuto in sorte di essere la causa di un numero inferiore di entità, è necessario che occupi un ordinamento più contiguo ad esso. Infatti se è più lontano, sarà più dissimile rispetto al Primo Principio, ma, 5 risultando più dissimile, non potrebbe possedere né una potenza comprendente la potenza propria delle entità più simili né un’attività produttrice di un numero maggiore di entità. Infatti al Principio causale di tutte le cose è congenere il principio causale

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ajei; to; tw'n pleiovnwn gennhtiko;n th'/ ajrch'/ sumfuevsteron h] to; tw'n ejlattovnwn: dunavmew" ga;r e[lleiyiv" ejstin hJ tw'n ejlattovnwn poivhsi", oujsiva" de; u{fesi" hJ th'" dunavmew" e[lleiyi", hJ de; th'" oujsiva" u{fesi" pleonavzei dia; th;n pro;" to; ai[tion ajnomoiovthta kai; th;n ajpovstasin th'" prwvth" ajrch'". 15 Pavlin toivnun diorizwvmeqa pro;" toi'" eijrhmevnoi" kai; tou'to, panto;" ma'llon ajlhqe;" uJpavrcon, wJ" a[ra dei' pro; tw'n metecomevnwn aijtivwn pantacou' ta; ajmevqekta prou>pavrcein ejn toi'" o{loi". Eij ga;r dei' th;n aijtivan tou'to ei\nai pro;" ta; eJauth'" gennhvmata o{per ejsti; pro;" a{pasan th;n 20 tw'n o[ntwn fuvsin to; e{n, kai; tauvthn eijlhcevnai th;n tavxin pro;" ta; deuvtera kata; fuvsin, to; de; e}n ajmevqektovn ejstin, ajpo; pavntwn oJmoivw" ejxh/rhmevnon tw'n o[ntwn wJ" pavntwn eJniaivw" paraktikovn, proshvkei dhvpou kai; tw'n a[llwn aijtivwn e{kaston th;n tou' eJno;" uJperoch;n pro;" pavnta ajpei25 konizovmenon ejxh/rh'sqai tw'n ejn toi'" deutevroi" o[ntwn kai; metecomevnwn uJp aujtw'n: kai; au\ to; tw'/de ajntivstrofon, pa'n to; ajmevqekton kai; prwtourgo;n ai[tion, uJfistavnon 11 ajf eJautou' ta; metecovmena, toi'" ajnomoivoi" pro;" aujto; tw'n deutevrwn a[nwqen ta;" oJmoiva" protavttein monavda", levgw de; oi|on th;n me;n yuch;n th;n mivan tai'" fuvsesi ta;" polla;" yucav", to;n de; e{na nou'n tai'" pollai'" yucai'" tou;" meteco5 mevnou" nova". Ou{tw ga;r a]n tov te prwvtiston gevno" ejxh/rhmevnon pantacou' th;n ajnavlogon e[coi tw'/ eJni; tavxin kai; ta; deuvtera metevconta tw'n th'/ aijtiva/ suggenw'n ajnalogoi' te pro;" aujth;n kai; dia; th'" touvtwn oJmoiovthto" sunavptoito pro;" th;n ajmevqekton ajrchvn. Estin a[ra pro; tw'n ejn a[lloi" 10 o[ntwn eijdw'n ta; ejn auJtoi'" o[nta kai; pro; tw'n suntetagmevnwn aijtivwn ta; ejxh/rhmevna kai; pro; tw'n metecomevnwn aiJ ajmevqektoi monavde": kai; to; touvtw/ sunapodedeigmevnon, tav te ejxh/rhmevna gennhtika; tw'n suntetagmevnwn ejsti;n kai; ta; ajmevqekta ta;" meqekta;" ejfivsthsi toi'" eJautw'n ejkgovnoi" monavda" kai; 15 ta; eJautw'n o[nta ta;" ejn a[lloi" paravgei dunavmei". 10

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del maggior numero di entità, e sempre ciò che è generatore di un numero maggiore di entità è più connaturato al Principio rispetto 10 a ciò che è generatore di un numero minore di entità: infatti la produzione di un numero minore di entità è una carenza di potenza, e la carenza di potenza è una diminuzione di essenza; dal canto suo la diminuzione dell’essenza è un eccedere per via della dissomiglianza rispetto al principio causale e della lontananza dal Principio Primo9. Di nuovo pertanto oltre a ciò che si è detto stabiliamo anche 15 questo presupposto, che è vero in misura maggiore rispetto ad ogni altro, cioè che in ogni ambito ai principi causali partecipati devono preesistere nella totalità del reale quelli impartecipabili. Infatti se la causa deve essere rispetto ai suoi prodotti generati ciò che l’Uno è rispetto a tutta quanta la natura degli enti, e se questo 20 livello rispetto alle realtà da essa derivate deve esserle toccato secondo natura, e d’altra parte se l’Uno è impartecipabile, dato che è trascendente parimenti rispetto a tutti gli enti in quanto produttore in modo unitario di tutti, conviene, a mio giudizio, che anche ciascuno degli altri principi causali, riflettendo a livello di immagine la superiorità propria dell’Uno rispetto a tutte le cose, risulti trascendere i principi causali che si trovano tra le realtà seconde e che 25 sono partecipati da esse; e in modo corrispettivo a questo, conviene che ogni principio causale impartecipabile e originario, facendo sussistere da se stesso le entità partecipate, ponga dall’alto le 11 monadi ad esso simili innanzi a quelle tra le entità seconde che sono dissimili rispetto ad esso: intendo dire che, ad esempio, l’Anima unica innanzi alle entità che fanno parte della natura le molteplici anime, e dal canto suo l’Intelletto unico innanzi alle molteplici anime gli intelletti partecipati. In que- 5 sto modo infatti, in ogni ambito, il genere primissimo trascendente avrebbe un ruolo analogo a quello dell’Uno e le entità seconde partecipanti delle realtà congeneri alla causa sarebbero analoghe ad essa ed al contempo attraverso la somiglianza di queste realtà sarebbero connesse al Principio impartecipabile. Esistono dunque prima delle forme che sono in altre entità le Forme che sono in se 10 stesse e prima dei principi causali coordinati quelli trascendenti e prima di quelle partecipate le monadi impartecipabili; e – concetto che risulta collegato alla dimostrazione di quello precedente – le realtà trascendenti sono generatrici delle entità ad esse coordinate e le realtà impartecipabili pongono a capo delle loro discendenze le monadi partecipabili e le realtà che appartengono a se stesse10 15 producono le potenze insite in altre entità.

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ãgVÃ Touvtwn dh; ou\n hJmi'n diwrismevnwn lavbwmen o{pw" e{kasta tw'n qeivwn genw'n uJfevsthke di ajnaluvsew", kai; qewrhvswmen aujtw'/ tw'/ Plavtwni sunepovmenoi tivne" eijsi;n oiJ prwvti20 stoi kai; oJlikwvtatoi diavkosmoi tw'n qew'n. Tou'to ga;r euJrovnte" kai; katadhsavmenoi tavc a]n kai; peri; tw'n kaq e{kasta dunhqeivhmen th;n ajlhvqeian katidei'n. Anavgkh dh; ou\n hJmi'n ejk tw'n proeirhmevnwn ajxiwmavtwn, mia'" ou[sh" eJnavdo" th'" tw'n o{lwn ajrch'" kai; pavsh" uJpavr25 xew" ejkei'qen th;n uJpovstasin ejcouvsh", paravgein ejx aujth'" 12 pro; tw'n a[llwn aJpavntwn plh'qo" eJniai'on kai; ajriqmo;n th'/ aijtiva/ suggenevstaton. Eij ga;r kai; tw'n loipw'n aijtiw'n eJkavsth ta; o{moia pro;" eJauth;n uJfivsthsi gennhvmata pro; tw'n ajnomoivwn, pollw'/ dhvpou meizovnw" to; e}n kata; tou'ton 5 to;n trovpon ejkfai'non ta; meq eJautov, to; ma'llon ejpevkeina th'" oJmoiovthto" o]n kai; aujtoevn, kaq e{nwsin paravgei ta; prwvtw" ajp aujtou' proi>ovnta. Kai; pw'" ga;r a[llw" to; e}n h] eJniaivw" uJfistavnein ajnagkai'on Kai; ga;r hJ fuvsi" fusikw'" kai; hJ yuch; yucikw'" kai; oJ nou'" noerw'" ajpogenna'/ ta; 10 deuvtera: kai; to; e}n a[ra kaq e{nwsin ai[tiovn ejsti tw'n o{lwn kai; eJnoeidh;" ajpo; tou' eJno;" hJ provodov" ejstin. Eij de; kai; to; paravgon ta; pavnta prwvtw" to; e}n kai; hJ provodo" eJniaiva, dei' dhvpou kai; to; paragovmenon ejkei'qen plh'qo" eJnavda" aujtotelei'" uJpavrcein tw'/ paravgonti suggenestevra". 15 Eti dev, eij pa'sa mona;" ajriqmo;n uJfivsthsi pro;" eJauth;n oijkei'on, wJ" devdeiktai provteron, pollw'/ dhvpou provteron to; e}n ajpogenna'/ to;n toiou'ton ajriqmovn. En me;n ga;r th'/ proovdw/ tw'n pragmavtwn dia; th;n th'" eJterovthto" ejpikravteian ajnomoiou'tai pollavki" tw'/ paravgonti to; paragov20 menon: toiau'ta gavr ejsti ta; e[scata tw'n o[ntwn kai; polu; diestw'ta tw'n oijkeivwn ajrcw'n. O de; prwvtisto" ajriqmo;" kai; tw'/ eJni; sumfuovmeno" eJnoeidh;" kai; a[rrhto" kai; uJperouvsio" kai; pavnth/ tw'/ aijtivw/ prosovmoio". Ou[te ga;r eJterovth"

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[Che la molteplicità delle enadi è venuta a sussistere dopo l’Uno, enadi in base alle quali gli dèi hanno la loro sussistenza] Ebbene, una volta che questi concetti sono stati da noi stabiliti, dobbiamo comprendere per via di analisi in che modo ciascun genere divino sia venuto a sussistere, e considerare, seguendo lo stesso Platone, quali siano i primissimi e i più universali ordina- 20 menti degli dèi. In effetti, una volta scoperto e fissato ciò, forse potremmo scorgere la verità sui generi divini nella loro specificità. Ebbene, in base alle nozioni fondamentali da noi precedentemente enunciate, dato che il Principio della totalità delle cose è un’unica Enade11 e da lì ogni realtà viene ad avere la sua sussisten- 25 za, è necessario introdurre a partire da esso prima di tutte le altre 12 entità una molteplicità unitaria e una serie assolutamente congenere alla Causa. Se infatti anche ciascuna delle altre rimanenti cause fa sussistere i prodotti generati che sono simili a lei stessa prima di quelli dissimili, in misura molto maggiore, a mio giudizio, l’Uno, facendo apparire in questo modo12 le entità che vengono dopo di 5 lui, lui che, piuttosto, è al di là della somiglianza ed è Uno-in-sé, produce in forma unificata le entità che procedono in modo primario da lui. Ed in effetti, come altrimenti se non in modo unitario è necessario che l’Uno faccia sussistere le cose? Ed infatti la natura in modo naturale, l’anima in modo psichico e l’intelletto in modo intellettivo generano le realtà da essi derivate. Dunque 10 l’Uno in forma unificata è causa della totalità del reale ed al contempo la processione a partire dall’Uno è uni-forme. Se d’altra parte ciò che produce tutte le cose è in modo primario l’Uno e se al contempo la processione è unitaria, anche la molteplicità da lì prodotta, a mio giudizio, deve consistere di fatto in enadi in sé perfette, massimamente congeneri a ciò che le produce. Ed ancora, se ogni monade fa sussistere una serie a sé stessa 15 appropriata, come è stato mostrato in precedenza13, a mio avviso a ben più forte ragione l’Uno genera tale serie. Nella processione delle cose, infatti, per via del predominio della differenza spesso ciò che è prodotto è dissimile rispetto a ciò che produce: tale è 20 infatti la condizione di quelli che tra gli enti vengono per ultimi e che sono molto separati dai propri principi. Invece la primissima serie è al contempo, in quanto connaturata all’Uno, uni-forme, ineffabile, sovraessenziale e assolutamente somigliante al suo principio causale. Infatti né una differenza, insinuandosi tra i principi

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ejn toi'" prwtivstoi" aijtivoi" parempivptousa dii?sthsin ajpo; tou' gennw'nto" ta; gennwvmena kai; eij" eJtevran meqivsthsi tavxin ou[te kivnhsi" th'" aijtiva" u{fesin ajpergazomevnh th'" dunavmew" eij" ajnomoiovthta kai; ajoristivan proavgei th;n 13 tw'n o{lwn ajpogevnnhsin, ajll uJperevcon eJniaivw" ajpo; pavsh" kinhvsew" kai; diairevsew" to; tw'n pavntwn ai[tion peri; eJauto; to;n qei'on ajriqmo;n iJdruvsato kai; th'/ eJautou' sunhvnwsen aJplovthti. Pro; tw'n o[ntwn a[ra ta;" eJnavda" tw'n o[ntwn 5 uJfivsthsi to; e{n. Kai; ga;r au\ kai; kat a[llon trovpon ajnavgkh ta; prwvtw" o[nta dia; tw'n prosecw'n aujtw'n eJnavdwn metevcein th'" prwtivsth" aijtiva". Ekasta ga;r tw'n deutevrwn dia; tw'n oJmoivwn sunavptetai toi'" pro; aujtw'n, ta; me;n swvmata dia; tw'n 10 kaq e{kasta yucw'n th'/ o{lh/, yucai; de; dia; tw'n noerw'n monavdwn tw'/ panti; nw'/, ta; de; o[nta dhvpou prw'ta dia; tw'n eJniaivwn uJpavrxewn tw'/ eJniv. To; me;n ga;r o]n kata; th;n aujtou' fuvsin ajnovmoiovn ejsti pro;" to; e{n: hJ ga;r oujsiva pro;" to; uJperouvsion kai; to; deovmenon eJnovthto" ajllacovqen pro;" 15 th;n prwtivsthn e{nwsin ajsuvnaptovn ejsti kai; povrrw dievsthken ajp aujth'": aiJ de; eJnavde" tw'n o[ntwn ajpo; th'" ajmeqevktou kai; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnh" eJnavdo" uJposta'sai tav te o[nta sunavptein tw'/ eJni; kai; pro;" eJauta;" ejpistrevfein duvnantai. Tau'ta dhv moi dokei' kai; oJ Parmenivdh" ejndeiknuvmeno" dia; 20 th'" deutevra" uJpoqevsew" to; e}n tw'/ o[nti sumplevkein kai; peri; to; e}n ta; pavnta qewrei'n kai; to; proi>o;n tou'to kai; mevcri tw'n ejscavtwn ajpoperatouvmenon to; e}n ajpofaivnein. Pro; ga;r tw'n o[ntw" o[ntwn ajnavgkh ta;" eJnavda" uJfistavnein h\n. Qevmi" ga;r oujk h\n, fhsi;n oJ Tivmaio", oujd e[sti tw'/ 25 ajrivstw/ dra'n a[llo ti plh;n to; kavlliston, tou'to dev ejsti ãto;Ã tw'/ ajrivstw/ diaferovntw" oJmoiovtaton: tw'/ de; eJni; to; eJniai'on plh'qo" oJmoiovtaton. Epei; kai; oJ dhmiourgo;" tou' panto;" ajgaqo;" w]n di aujth;n th;n ajgaqovthta paventa 14 paraplhvsia pro;" eJauto;n uJfivsthsi: pollw'/ a[ra meizovnw" hJ phgh; tw'n o{lwn ajgaqw'n ta;" eJauth'/ kata; fuvsin hJnwmevna" ajgaqovthta" paravgei kai; toi'" ou\sin ejfivsthsin. Qeo;" ou\n ei|" kai; qeoi; polloiv: kai; eJna;" miva kai; pollai; 5 pro; tw'n o[ntwn eJnavde": kai; ajgaqovth" miva kai; pollai; 25

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causali primissimi, separa dal generante i generati e li trasferisce 25 in un diverso ordinamento, né un movimento della causa, determinando una diminuzione della potenza, fa procedere verso dissomiglianza e indeterminatezza la generazione della totalità del 13 reale, ma ergendosi in modo unitario al di sopra di ogni movimento e divisione, il Principio Causale di tutte le cose ha stabilito intorno a sé il numero divino14 e lo ha unito alla propria semplicità. Prima degli enti, dunque, l’Uno fa sussistere le enadi degli enti. 5 Ed in effetti ancora in un altro modo è necessario che a loro volta quelli che sono in senso primario enti attraverso le loro enadi contigue partecipino della primissima Causa. Infatti ciascuna delle entità seconde è congiunta a quelle che la precedono per il tramite di quelle simili: i corpi per il tramite delle singole anime 10 individuali sono congiunte all’Anima universale, le anime per il tramite delle monadi intellettive sono congiunti all’Intelletto nella sua interezza, e gli enti, almeno i primi, per il tramite delle realtà unitarie sono congiunti all’Uno. Infatti l’essere in base alla sua specifica natura è dissimile rispetto all’Uno. In effetti l’essere, in base alla sua propria natura, è dissimile rispetto all’Uno; infatti l’essenza è priva di connessione rispetto a ciò che è sovraessenziale e ciò che necessita da parte di altro di unità è privo di connes- 15 sione rispetto alla primissima unificazione e ne è separato da un’ampia distanza; invece le enadi degli enti, sussistendo a partire dall’Enade impartecipabile e trascendente la totalità del reale, sono in grado sia di connettere gli enti all’Uno sia di convertirli verso se stesse. Proprio mettendo in luce questi aspetti, mi sembra che anche Parmenide attraverso la seconda ipotesi15 intrecci l’uno 20 con l’essere, consideri tutte le cose nella loro relazione con l’Uno, e metta in luce che questa entità che procede fino a concludersi negli ultimi livelli del reale è l’Uno. Infatti è risultato necessario che prima di quelli che sono realmente enti sussistano le enadi. Infatti «non era lecito», afferma Timeo, «né è lecito per ciò che è ottimo realizzare qualcos’altro se non la cosa più bella»16, ma que- 25 sta è ciò che è in modo distintivo più somigliante a “ciò che è migliore”; d’altra parte somigliantissima all’Uno è la molteplicità unitaria. Infatti anche il Demiurgo del Tutto, essendo «buono», proprio in virtù di questa bontà fa sussistere «tutte cose assai simi- 14 li» a se stesso17. In misura molto maggiore, di conseguenza, la fonte della totalità dei beni produce le bontà18 a se stessa unite secondo natura e le pone alla testa degli enti. Dunque un Dio unico e dèi molteplici; ed un’Enade unica e molteplici enadi prima degli enti; ed un’unica Bontà e molteplici 5

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meta; th;n mivan ajgaqovthte", di a}" kai; oJ nou'" ajgaqo;" oJ dhmiourgiko;" kai; pa'" nou'" qei'ov" ejstin, ei[t ou\n noero;" ei[t ou\n nohtov": kai; to; prwvtw" uJperouvsion e}n kai; polla; ta; uJperouvsia meta; to; e{n. ãdVÃ Povteron ou\n to; plh'qo" tou'to tw'n eJnavdwn ajmevqektovn ejstin, w{sper aujto; to; e{n, h] metecovmenon uJpo; tw'n o[ntwn, kai; e[stin eJna;" eJkavsth tw'n o[ntwn tinov", oi|on a[nqo" tou' o[nto" kai; ajkrovth" kai; kevntron peri; o} to; o]n e{kaston 15 uJfevsthken All eij ajmevqektoi kai; au|tai, tiv dioivsousi tou' eJnov" – eJkavsth ga;r aujtw'n ejstin e}n kai; prwvtw" ajpo; tou' eJno;" uJfevsthken. H tivni pleonavzousai th'" prwvth" aijtiva" uJp aujth'" uJfesthvkasin – ajnavgkh ga;r au\ pantacou' to; 20 deuvteron uJfeimevnon tou' pro; aujtou' th'" tou' paravgonto" eJnwvsew" ajpoleivpesqai kai; prosqevsei tino;" ejlattou'sqai th'" tou' prwvtou monadikh'" aJplovthto". Poivan ou\n e{xomen provsqesin levgein h] tivna pleonasmo;n para; to; e{n, eij kai; 15 touvtwn eJkavsth kaq eJauth;n eJnav" ejstin Eij me;n ga;r e}n kai; polla; eJkavsth, th;n tou' o[nto" ijdiovthta metafevrein ejp aujta;" ejoivkamen: eij de; e}n movnon, w{sper to; aujtoevn, dia; tiv to; me;n e[cei th;n ejxh/rhmevnhn ajpo; pasw'n aijtivan, 5 touvtwn de; eJkavsth deutevran e[lacen ajxivan Ou[t ou\n to; prw'ton uJperevcon tw'n meq eJauto; fulavxomen ou[te ta;" ajp aujtou' proelqouvsa" eJnavda" ajsugcuvtou" uJpoqhsovmeqa pro;" eJauta;" h] th;n mivan aujtw'n ajrchvn: ajll ou[te tw'/ Parmenivdh/ peisovmeqa to; e}n meta; tou' o[nto" 10 paravgonti kai; tosauvta" ei\nai moivra" tou' eJno;" o{sa" kai; tou' o[nto" ajpodeiknuvnti, kai; to; me;n o]n e{kaston eJno;" metevcein, to; de; e}n pantacou' tw'/ o[nti sunupavrcein, kai; o{lw" to; th'" deutevra" uJpoqevsew" e}n metevcein tou' o[nto" kai; metevcesqai uJpo; tou' o[nto" levgonti, th'" meqevxew" ouj 15 th'" aujth'" kaq eJkavteron ou[sh". To; me;n ga;r e}n metevcei 10

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bontà dopo quell’unica, in virtù delle quali l’intelletto demiurgico è «buono» e lo è anche ogni intelletto divino, che sia intellettivo o che sia intelligibile; e ciò che è in modo primario sovraessenziale è uno e molteplici sono le entità sovraessenziali dopo l’Uno.

[Che tutte le enadi sono partecipate, e che vi è solamente un “Uno” che è veramente sovraessenziale, mentre tutti gli altri sono partecipati dalle essenze]

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Dunque questa molteplicità delle enadi è impartecipabile, come l’Uno stesso, oppure è partecipata dagli enti, e v’è una specifica enade per ogni determinato livello degli enti, come, per così dire, un “fiore dell’essere”, una “sommità” e un “centro” intorno 15 al quale ciascun ente sussiste?19 Ma se anche queste sono impartecipabili, in che cosa differiranno dall’Uno? – Ciascuna di esse infatti è un uno e sussiste in modo primario a partire dall’Uno – O in altri termini, in che cosa sono eccedenti rispetto alla Causa prima, venendo così a sussistere a partire da essa? In effetti in ogni ambito è a sua volta inevitabile che ciò che è secondo, essendo sottoposto a ciò che lo prece- 20 de, manchi della unificazione propria di ciò che lo produce e per un’aggiunta di qualcosa divenga inferiore alla semplicità monadica di ciò che è primo. Dunque che sorta di aggiunta o quale eccesso rispetto all’Uno potremo attribuire alle enadi, se comunque ciascuna di queste è di per se stessa un’enade? Se infatti ciascuna 15 è uno e molti, diamo l’impressione di trasferire il carattere specifico dell’essere ad esse; se invece è solo uno, come l’Uno-in-sé, per quale motivo quest’ultimo possiede la causalità trascendente rispetto a tutte le causalità, mentre ciascuna di queste ha ottenuto 5 una posizione di secondo rango? In questo caso, dunque, non salvaguarderemo ciò che è primo nella sua superiorità rispetto alle entità che vengono dopo di esso, né potremo considerare le enadi che sono procedute da esso ben distinte rispetto a se stesse o al loro unico Principio. Ma non daremo neppure più retta a Parmenide che introduce l’Uno congiun- 10 to con l’essere e dimostra che le parti dell’Uno sono tante quante quelle dell’essere, ed afferma che ciascun ente partecipa di unità, mentre l’Uno, dal canto suo, ovunque coesiste con l’essere, e che, in generale, l’Uno della seconda ipotesi partecipa dell’essere ed è partecipato dall’essere, dato che la partecipazione non è la stessa 15

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tou' o[nto" wJ" oujk o]n prwvtw" e}n oujde; ejxh/rhmevnon tou' o[nto" ajlla; katalavmpon th;n o[ntw" ou\san oujsivan: to; de; o]n metevcei tou' eJno;" wJ" sunecovmenon uJp aujtou' kai; plhrouvmenon eJnwvsew" qeiva" kai; pro;" to; aujtoe;n kai; 20 ajmevqekton ejpestrammevnon. AiJ ga;r metecovmenai monavde" pro;" to; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon e}n ta; o[nta sunavptousin, w{sper dh; kai; ta;" yuca;" oiJ metecovmenoi nove" pro;" to;n o{lon nou'n kai; aiJ metecovmenai yucai; ta; swvmata pro;" th;n o{lhn yuchvn. Oujde; ga;r tw'/ ejxh/rhmevnw/ tou' plhvqou" aijtivw/ 25 dunato;n ajmevsw" eJnou'sqai ta; ajnovmoia gevnh tw'n deutevrwn, ajlla; dia; tw'n oJmoivwn ajnavgkh givnesqai th;n sunafhvn. To; ga;r o{moion plh'qo" kaq o} mevn ejsti plh'qo" koinwnei' tw'/ ajnomoivw/, kaq o} de; o{moion th'/ pro; aujtou' monavdi sum16 fuvetai pro;" aujthvn. En mevsw/ toivnun ajmfotevrwn iJdrumevnon sunhvnwtai tw'/ o{lw/ kai; tw'/ eJni; tw'/ pro; tou' plhvqou", ejn eJautw'/ de; sunevcei ta; povrrw proelhluqovta kai; ajnovmoia pro;" to; eJautw'n e{n, kai; di eJautou' pro;" ejkei'no pavnta 5 ejpistrevfei. Kai; pavnta ou{tw" eij" to; prwvtiston ajnateivnetai tw'n o{lwn ai[tion, ta; me;n ajnovmoia dia; tw'n oJmoivwn, ta; de; o{moia di eJautw'n. H ga;r oJmoiovth" aujth; kaq eJauth;n sunagwgov" ejsti tw'n pollw'n eij" e}n kai; sundetikh; kai; ejpistreptikh; tw'n deutevrwn eij" ta;" pro; aujtw'n monavda". 10 Kai; ga;r aujto; to; oJmoivoi" ei\nai toi'" oJmoivoi" ajf eJnov": pro;" ejkei'no dh; ou\n kai; sunavptei to; plh'qo" ajf ou| th;n provodon e[lace. Kai; dia; tou'tov ejstin o{per ejstivn, oJmoiovth", oJmovgnia ta; polla; poiou'sa kai; sumpaqh' pro;" eJauta; kai; fivla prov" te a[llhla kai; pro;" to; e{n. 15 Eij de; dei' mh; movnon tai'" tou' Parmenivdou noerai'" ejpibolai'" crwmevnou" to; plh'qo" tw'n qew'n metecovmenon ajpofaivnein uJpo; tw'n o[ntwn, ajlla; kai; tw'/ Swkravtei suvmfwnon ejpideiknuvnai th;n peri; touvtwn qewrivan, ajnamnhsqw'men tw'n ejn Politeiva/ gegrammevnwn, ejn oi|" to; ejk tou' ajgaqou' 20 proi>o;n fw'" eJnopoio;n ei\nai tou' te nou' kai; tw'n o[ntwn ejkei'nov" fhsi. Dia; ga;r touvtwn to; me;n ajgaqo;n ejxh/rhmevnon ajpodevdeiktai tou' te o[nto" kai; th'" oujsiva", w{sper oJ h{lio" tw'n oJratw'n, to; de; fw'" ejn aujtoi'" o]n toi'" nohtoi'" kai; katalavmpon aujtav, kaqavper to; hJlioeide;" ejn toi'" oJra-

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in entrambi i casi20. Infatti l’Uno partecipa dell’essere non in quanto Uno in senso primario e trascendente rispetto all’essere, ma in quanto illumina quella che è realmente essenza; invece l’essere partecipa dell’Uno in quanto è tenuto insieme da esso e si riempie di una divina unificazione e si è convertito all’Uno-in-sé 20 che è impartecipabile. Infatti le monadi partecipate connettono gli enti all’Uno che trascende la totalità del reale, come appunto anche gli intelletti partecipati connettono le anime all’Intelletto universale e le anime partecipate connettono i corpi all’Anima universale. E non è in effetti possibile che senza mediazione i 25 generi dissimili delle entità seconde si uniscano al principio causale che trascende la molteplicità, ma è necessario che la connessione avvenga attraverso le entità simili. Infatti la molteplicità simile nella misura in cui è molteplicità partecipa del dissimile, mentre nella misura in cui è simile alla monade che la precede è naturalmente unita ad essa. Pertanto 21 essendo posta in 16 mezzo ad entrambi22 risulta unita all’universale e all’Uno che precede la molteplicità, mentre in se stessa contiene le entità che sono procedute lontano e che sono dissimili rispetto alla loro propria unità, e attraverso se stessa le converte verso l’Uno. E così tutte le 5 entità sono protese in alto verso il Primissimo Principio Causale della totalità del reale, quelle dissimili attraverso quelle simili, invece quelle simili attraverso se stesse. Infatti la somiglianza è in sé e per sé capace di raccogliere i molti in un’unità ed è capace di legare insieme e di convertire le entità derivate alle monadi che le precedono. E certamente il fatto stesso di essere simili per le enti- 10 tà simili viene da un’unità: dunque 23 congiunge la molteplicità proprio a questa unità a partire dalla quale ha avuto la sua processione. Ed è per questo motivo che essa è ciò che è, somiglianza, poiché rende i molti simili per genere, simpatetici in rapporto a se stessi e amici non solo gli uni rispetto gli altri ma anche rispetto all’Uno. Se poi non solo ricorrendo alle intuizioni intellettive di Parme- 15 nide si deve mettere in luce che la molteplicità degli dèi è partecipata dagli enti, ma si deve dimostrare che anche con Socrate è in accordo la teoria concernente questi aspetti, richiamiamo allora alla memoria gli scritti della Repubblica, in cui egli afferma che la luce che procede dal Bene è unificatrice sia dell’Intelletto che de- 20 gli enti24. Infatti attraverso questi scritti è stato dimostrato da un lato che il Bene trascende sia l’essere che l’essenza, come il sole trascende gli oggetti visibili, dall’altro che la luce è insita negli intelligibili stessi e li illumina, allo stesso modo in cui ciò che è «di

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toi'". Ouj ga;r a[llw" ta; oJrata; givnetai fana; kai; tai'" oJravsesi gnwsta; h] dia; tou' fwto;" ejn aujtoi'" ejggenomevnou: kai; ta; nohta; toivnun ajgaqoeidh' pavnta givnetai dia; th;n tou' fwto;" metousivan, kai; dia; tou'to to; fw'" e{kaston 17 tw'n o[ntwn tw'/ ajgaqw'/ ejstin oJmoiovtaton. Eij toivnun mhde;n diafevrei levgein tov te fw'" tou'to kai; to; e{n (kai; ga;r to; fw'" sundetikovn ejsti kai; eJnopoio;n tw'n nohtw'n wJ" ejk tou' eJno;" uJfistavmenon), meqekth; mevn ejstin hJ ajpo; tou' prwvtou 5 proi>ou'sa qeovth", meqekto;n de; pa'n to; tw'n eJnavdwn plh'qo". Kai; to; me;n wJ" o[ntw" uJperouvsion e{n, e{kasto" de; tw'n a[llwn qew'n kata; me;n th;n oijkeivan u{parxin, h|/ kai; e[sti qeov", uJperouvsio" tw'/ prwvtw/ paraplhsivw", metevcontai de; uJpo; oujsiva" kai; tou' o[nto". Enavde" a[ra hJmi'n kai; eJnavde" meqektai; kata; 10 tou'ton to;n lovgon oiJ qeoi; pefhvnasin, eij" eJautou;" me;n ajnadhsavmenoi ta; o[nta pavnta, di eJautw'n de; tw'/ eJni; tw'/ pavntwn oJmoivw" ejkbebhkovti ta; meq eJautou;" sunavptonte". 25

ãeVÃ Epeidh; toivnun eJna;" mevn ejsti tw'n qew'n e{kasto", metevcetai 15 de; uJpo; tw'n o[ntwn tinov", povteron eJkavstou to; aujto; metevcein fhvsomen h] tw'n me;n pleivw, tw'n de; ejlavttw ta; metevconta kai; eij tou'to, tw'n me;n ajnwtevrw pleivw, tw'n de; uJfeimevnwn ejlavttw, h] ajnavpalin Tavxin ga;r ajnavgkh tw'n eJnavdwn uJpavrcein, w{sper dh; kai; tw'n ajriqmw'n oJrw'men tou;" me;n 20 ejggutevrw th'" ajrch'", tou;" de; porrwvteron, kai; tou;" me;n aJploustevrou", tou;" de; sunqetwtevrou" kai; tw'/ me;n posw'/ pleonavzonta", th'/ dunavmei de; ejlassoumevnou". All eu\ge o{ti tw'n ajriqmw'n ejmnhvsqhmen. Eij ga;r dei' th;n tw'n prwtivstwn monavdwn pro;" ajllhvla" tavxin kai; th;n 25 peri; ta; o[nta provodon ejk touvtwn wJ" eijkovnwn qewrh'sai, 18 pavntw" ajnavgkh kai; ejn ejkeivnai" ta; me;n ejggutevrw tou' eJno;"

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forma simile al sole»25 è insito negli oggetti visibili. Infatti non in 25 altro modo gli oggetti visibili divengono luminosi e conoscibili per gli occhi se non attraverso la luce che si viene a trovare in essi; e gli intelligibili pertanto divengono tutti «di forma simile al Bene»26 in virtù della partecipazione alla luce, e attraverso questa luce ciascuno degli enti è somigliantissimo al Bene. Se pertanto 17 non c’è nessuna differenza tra il nominare questa luce ed il nominare l’Uno27 (ed infatti la luce è atta a congiungere e ad unificare gli intelligibili, considerato che sussiste a partire dall’Uno), partecipabile è il carattere di divinità che procede dal Primo, e d’altra 5 parte partecipabile è tutta la molteplicità delle enadi. Ed esso è in senso realmente sovraessenziale Uno, mentre ciascuno degli altri dèi da un lato in base alla propria specifica sussistenza, grazie a cui è appunto dio, risulta sovraessenziale in modo molto simile al Primo, dall’altro però è partecipato dall’essenza e dall’essere. Quali enadi dunque, in base a questo ragionamento, a noi sono 10 apparsi gli dèi, ed enadi partecipate, in quanto da un lato legano a sé tutti gli enti, dall’altro attraverso se stessi connettono le entità che vengono dopo di loro all’Uno che è ulteriore allo stesso modo rispetto a tutti.

[Che le partecipazioni alle enadi più vicine all’Uno sono procedute verso realtà più semplici, mentre le partecipazioni alle enadi più lontane sono procedute verso realtà più composite] Pertanto dal momento che ciascuno degli dèi è un’enade, e d’altra parte è partecipato da qualcuno degli enti, diremo che 15 quegli enti che ne partecipano, partecipano di ciascuno allo stesso modo28 o di alcuni di più, mentre degli altri di meno? E se è così, partecipa di quelli che sono più in alto in misura maggiore, mentre di quelli che sono inferiori in misura minore, o viceversa? Infatti è necessario che sussista un ordine delle enadi, come appunto anche tra i numeri vediamo che gli uni sono più vicini al 20 principio, mentre gli altri sono più lontani, e gli uni sono più semplici, mentre gli altri sono più compositi e sono eccedenti per la quantità, ma sono inferiori per la potenza. Ma bene che ci siamo ricordati dei numeri! Se infatti l’ordinamento delle primissime monadi le une rispetto alle altre e la pro- 25 cessione relativa agli enti vanno considerati alla luce dei numeri come immagini, è assolutamente necessario29 che anche tra le 18

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uJpo; tw'n aJploustevrwn th'/ oujsiva/ metevcesqai, ta; de; porrwvteron uJpo; tw'n sunqetwtevrwn. Ou{tw ga;r e[stai kata; to; ajnavlogon hJ mevqexi", tw'n me;n prwvtwn uJpo; tw'n prwvtwn, tw'n 5 de; deutevrwn uJpo; tw'n deutevrwn ajei; metecomevnwn. Kai; ga;r au\ kai; eij to; prw'ton ejxhv/rhtai pavntwn kai; ajmevqektovn ejstin, oJmoiovteron de; tw'/ ajmeqevktw/ to; tw'/ aJploustavtw/ kai; eJni; sumfuovmenon h] to; tw'/ poikilwtevrw/ kai; polueidestevrw/ kai; pleivou" e[conti ta;" tw'n sunhrthmevnwn dunavmei", panti; 10 dhvpou katafane;" o{ti ta;" me;n ejggutevrw tou' eJno;" eJnavda" uJpo; tw'n prwtivstwn metevcesqai kai; aJploustavtwn oujsiw'n ajnavgkh, ta;" de; porrwvteron uJpo; tw'n sunqetwtevrwn, dunavmei ãme;nà ejlassoumevnwn, ajriqmw'/ de; kai; plhvqei pollaplasiazomevnwn. Olw" ga;r aiJ prosqevsei" ejn ejkeivnoi" ajfai15 revsei" eijsi; tw'n dunavmewn: kai; to; ejgguvteron tou' eJnov", aJplovthti qaumasth'/ tw'n o{lwn uJperevconto", eJnoeidevsterovn ejsti kai; oJlikwtevrai" tou' o[nto" suvnestin aijtivai". Kai; sumbaivnei kata; to;n th'" dunavmew" lovgon kai; th;n th'" aJplovthto" ei\nai tw'n prwvtwn uJperbolhvn: ta; me;n ga;r 20 pleiovnwn ai[tia kai; tw'/ pavntwn aijtivw/ kata; th;n duvnamin *** tw'n pro; aujtw'n poikilwvtera kata; th;n oujsivan ejstivn. Au{th ga;r hJ poikiliva th;n eJstw'san ejn eJni; duvnamin katakermativzei kai; ejlassoi'. Kai; mh;n kai; ejpi; tw'n metecomevnwn yucw'n aiJ me;n prwvti25 stai kai; qeiovtatai swvmasin aJploi'" kai; ajidivoi" ejfesthv19 kasin, aiJ de; aJploi'" mevn, ajlla; meta; touvtwn kai; toi'" ejnuvloi" ejpibebhvkasin, aiJ de; aJploi'" a{ma kai; ejnuvloi" kai; sunqevtoi". AiJ me;n ga;r oujravniai yucai; swmavtwn a[rcousin aJplw'n kai; kata; th;n uJpovstasin ajuvlwn kai; ajmetabovlwn: 5 aiJ de; tw'n o{lwn ejpikratou'sai stoiceivwn a{ma me;n tou;" aijqerivou" peribevblhntai citw'na", a{ma de; dia; touvtwn kai; toi'" o{loi" ejpibateuvousi stoiceivoi", wJ" me;n o{loi" ajidivoi" ou\si kai; aJploi'", wJ" de; ejnuvloi" fqora;n kai; gevnesin kai;

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monadi le entità più vicine all’Uno30 siano partecipate da quelle più semplici per la loro essenza, mentre quelle più lontane siano partecipate da quelle più complesse. In questo modo vi sarà la partecipazione in base alla proporzione, in quanto le monadi di primo livello vengono sempre partecipate dalle entità di primo livello, mentre le monadi di secondo livello dalle entità di secon- 5 do livello. Ed infatti, se poi si considera anche che il Primo trascende tutte le cose ed è impartecipabile, e d’altra parte più simile a ciò che è impartecipabile è ciò che è per natura congiunto al più Semplice e all’Uno rispetto a ciò che è per natura congiunto a ciò che è più variegato, multiforme e che possiede in numero maggiore le potenze appartenenti alle entità che risultano unite insieme a lui, allora è per ciascuno palese che le enadi più vicine 10 all’Uno è necessario che siano partecipate dalle primissime e più semplici essenze, mentre quelle poste più lontano siano partecipate da quelle più composite, che sono inferiori per potenza, mentre sono moltiplicate per numero e quantità. Infatti in generale le aggiunte, in questo ambito della realtà, sono sottrazioni delle po- 15 tenze; e ciò che è più vicino all’Uno, che per meravigliosa semplicità sta al di sopra della totalità del reale, è più uni-forme ed è congiunto a cause dell’essere più universali. E ne consegue anche che alle entità prime spetti la superiorità della semplicità in funzione della loro potenza. Infatti le entità che sono cause di un numero 20 maggiore di cose e che in base alla potenza sono al Principio Causale di tutte le cose più variegate, in base all’essenza, delle entità che le precedono31. Infatti questa varietà suddivide in parti e diminuisce la potenza posta in un’unità. Di fatto anche per quel che concerne le anime partecipate, quelle che sono primissime e più divine sono poste alla testa di 25 corpi semplici e eterni; le altre poi sono poste, sì, sopra quelli sem- 19 plici, ma insieme a questi ultimi si sono accostate anche a quelli materiali; le altre ancora, infine, sono poste sopra corpi al contempo semplici, materiali e composti. Infatti le anime celesti governano corpi semplici e, in base alla loro forma di sussistenza, immateriali e non soggetti a mutamento. Invece quelle che hanno il 5 dominio sulla totalità degli elementi risultano avvolte in tuniche eteree, e nello stesso tempo poi per il tramite di queste sono in cima alla totalità degli elementi, che, da un lato, come totalità sono eterni e semplici, dall’altro in quanto materiali sono soggetti a corruzione, a generazione e ad essere formati da componenti

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th;n ejk tw'n ajnomoivwn suvnqesin ejpidecomevnoi": trivtai dev eijsin aiJ prosecw'" me;n ejmpnevousai to; zh'n toi'" aujgoeidevsin ojchvmasin, ejfelkovmenai de; kajk tw'n aJplw'n stoiceivwn citw'na" ejnuvlou" kai; deutevran eij" touvtou" ajporrevousai zwhvn, kai; toi'" sunqevtoi" dia; touvtwn koinwnou'sai kai; polumovrfoi" swvmasi kai; trivthn a[llhn uJpomevnousai tauvthn mevqexin. Eij de; bouvlei kai; ta;" noera;" qewrh'sai diakosmhvsei", aiJ me;n kai; touvtwn eijsi;n ejpi; tai'" o{lai" yucai'" kai; toi'" qeiotavtoi" tw'n ejn tw'/ kovsmw/ tetagmevnai kai; tau'ta kateuquvnousai deovntw": aiJ de; ejpi; tai'" tw'n kreittovnwn genw'n, prosecw'" me;n uJpo; tw'n ajrcovntwn ejn aujtoi'" metecovmenai, deutevrw" de; uJpo; tw'n merikwtevrwn oujsiw'n: trivtai de; au\ tai'" merikai'" yucai'" ejfesthvkasi, kai; o{sw/ th;n duvnamin uJfeimevnhn e[lacon, tosouvtw/ kai; hJ mevqexi" aujtai'" uJpavrcei poikilwtevra kai; polusunqetwtevra tw'n pro; aujtw'n. Eij toivnun oJ trovpo" ou|to" th'" meqevxewv" ejstin ejn a{pasi toi'" ou\sin, ajnavgkh dhvpou kai; tw'n qew'n tou;" me;n tw'/ eJni; prosecestevrou" aJploustevrai" ejpibateuvein tou' o[nto" moivrai", tou;" de; porrwtevrw proelhluqovta" sunqetwtevrai". Kata; ga;r th;n pro;" ejkeivnou" oJmoiovthta kai; tw'n deutevrwn genw'n aiJ meqevxei" tou'ton diairou'ntai to;n trovpon. ãıVÃ Pavlin dh; ou\n sullhvbdhn ei[pwmen o{ti meta; th;n mivan tw'n o{lwn ajrch;n monavde" hJmi'n aujtotelei'" ejfavnhsan oiJ qeoiv, metecovmenoi me;n uJpo; tw'n o[ntwn, ajll oiJ me;n kata; th;n aJploustevran tw'n o[ntwn oujsivan, oiJ de; kata; th;n sunqetwtevran th;n eij" aujta; poihsavmenoi provodon. Povsai toivnun tw'n o[ntwn aiJ tavxei" meta; tau'ta diairetevon, kai; tivna me;n

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dissimili. Terze poi sono le anime che da un lato infondono in modo appropriato la vita nei veicoli luminosi, e che dall’altro si tirano appresso anche dagli elementi semplici tuniche materiali e fanno sgorgare in queste una vita di secondo rango, e tramite queste sono in comunione con i corpi composti e polimorfi e sono soggette a quest’altra forma di partecipazione che viene per terza32. Se poi si vogliono considerare anche gli ordinamenti intellettivi, anche fra questi gli uni sono alla testa delle anime universali e delle entità più divine tra quelle presenti nel cosmo e dirigono queste ultime nel modo dovuto; gli altri ordinamenti invece sono alla testa delle anime che fanno parte dei generi superiori, in quanto sono partecipati direttamente da quelle entità che in questi generi comandano, mentre ad un secondo livello sono partecipati dalle essenze più particolari; per terzi poi a loro volta vengono quelli che sono posti a capo delle anime particolari, e la loro potenza risulta diminuita nella stessa misura in cui ad essi appartiene di fatto una partecipazione più variegata e più variamente composita rispetto agli ordinamenti che li precedono. Se pertanto questa è la modalità della partecipazione in tutti gli enti, è necessario a mio giudizio che anche tra gli dèi quelli più contigui all’Uno sormontino parti più semplici dell’essere, mentre quelli che sono proceduti più lontano sormontino parti più composte dell’essere. Infatti è in base alla somiglianza rispetto agli dèi che anche le partecipazioni dei generi secondi si dividono in questo modo.

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[Quali sono le entità che partecipano delle enadi divine e qual è l’ordine delle une rispetto alle altre; e che l’Essere viene assolutamente per primo, poi seconda la Vita, terzo l’Intelletto, quarta l’Anima, ed ultimo infine il corpo; e che tanti sono anche gli ordinamenti delle enadi divine]

Di nuovo dunque ricapitolando diciamo che dopo l’unico Principio della totalità del reale gli dèi ci sono apparsi come monadi perfette-in-sé, partecipati sì dagli enti, ma gli uni sono proceduti verso gli enti caratterizzati da un’essenza più semplice, gli altri invece verso gli enti caratterizzati da un’essenza più composita. Pertanto dopo tali considerazioni bisogna distinguere quanti

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aJploustevran, tivna de; poikilwtevran e[lacen u{parxin. Tw'n toivnun o[ntwn aJpavntwn e[scatovn ejsti to; swmatikovn: 10 kai; ga;r to; ei\nai tou'to kai; th;n teleiovthta pa'san ejx a[llh" aijtiva" e[cei presbutevra" kai; ou[te to; aJplou'n ou[te to; suvnqeton ou[te to; ajivdion ou[te to; a[fqarton ajpo; th'" oijkeiva" dunavmew" e[lacen. Ouj gavr ejstin aujqupovstaton oujde; aujtogene;" tw'n swmavtwn oujdevn, ajlla; pa'n to; toiou'15 ton, ejn eJni; th;n aijtivan kai; to; ajp aijtiva" sunh/rhkov", ajswvmatovn ejsti kai; ajmerev". Kai; o{lw" to; me;n eJautw'/ th'" uJpavrxew" ai[tion eJautw'/ kai; th;n a[peiron tou' ei\nai parevcetai duvnamin: oujdevpote ga;r ajpolei'pon eJauto; ou[pote lhvgei tou' ei\nai kai; th'" uJpostavsew" ejxivstatai th'" oijkeiva". Kai; 20 ga;r tw'n fqeiromevnwn e{kaston cwrizovmenon th'" to; ei\nai corhgouvsh" dunavmew" fqeivretai, to; de; eJautw'/ tou' ei\nai parektikovn, ajcwvriston o]n eJautou', di eJautou' th;n ajivdion e[lacen oujsivan: tw'n de; swmavtwn oujde;n auJtw'/ th'" ajidiovthto" ai[tion, oujd a]n ajivdion h\/. To; ga;r ajivdion pa'n a[peiron 25 e[cei duvnamin: sw'ma de; aujto; peperasmevnon uJpavrcon 21 ajpeivrou dunavmew" ai[tion oujk e[stin. H ga;r a[peiro" duvnami" ajswvmatov" ejstin, ejpei; kai; pa'sa duvnami": tou'to de; dh'lon, diovti Ê kai; meivzou" Ê dunavmei" pantacou', sw'ma de; oujde;n o{lon ei\nai pantacou' dunatovn. Eij toivnun tw'n me;n 5 swmavtwn oujde;n eJautw'/ th'" dunavmew", ei[te ajpeivrou tauvth" ei[te peperasmevnh" ou[sh", parektikovn, to; de; aujqupovstaton auJtw'/ kai; th;n tou' ei\nai kai; th;n tou' ajivdion ei\nai parevcetai duvnamin, oujde;n a]n tw'n swmavtwn aujqupovstaton ei[h. 10 Povqen ou\n to; ei\nai toi'" swvmasi kai; tiv prosecw'" to; ei\nai corhgei'n pevfuken aujtoi'" Ar ou\n ouj tou'to fhvsomen ai[tion ei\nai tw'n swmavtwn prwvtw", o} kai; tw'/ parei'nai th;n ãtou'Ã swvmato" fuvsin teleiotevran ajpofaivnei tw'n oJmogenw'n H tou'to panti; katafanev": tou' ga;r th;n 15 teleiovthta parevcontov" ejsti to; kai; th;n oujsivan sunevcein tw'n deutevrwn, ejpei; kai; hJ teleiovth" aujth; th'" oujsiva" h\n teleiovth". Tivno" ou\n ta; swvmata ta; metascovnta tw'n mh; metascovntwn kreivttw famevn H dh'lon o{ti yuch'": ta;

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sono gli ordinamenti degli enti, e quali hanno ottenuto in sorte una forma di esistenza più semplice e quali una più variegata. Ebbene, di tutte quante le entità esistenti, per ultimo viene il corporeo. Infatti il corporeo ha sia questo suo essere sia tutta la sua 10 perfezione da un’altra causa più importante e non ha ottenuto in sorte dalla propria potenza né il carattere della semplicità né quello dalla composizione, né quello dell’eternità né quello del non essere soggetto a corruzione. Infatti nessuno dei corpi è origine della sua propria sussistenza né della sua propria generazione, ma tutto ciò che è tale, avendo raccolto in un’unità la causa e ciò che 15 deriva dalla causa, è incorporeo e privo di parti. Ed in generale ciò che è causa per se stesso dell’esistenza garantisce a se stesso anche l’illimitata potenza di essere: infatti «non abbandonando mai se stesso, non cessa mai» di essere e non «abbandona mai»33 la sua forma di sussistenza. Ed infatti ogni entità soggetta al perire peri- 20 sce in quanto è separata dalla potenza che le garantisce l’essere, mentre ciò che è in grado di fornire a se stesso l’essere, dato che è inseparabile da sé, attraverso se stesso ha ottenuto un’essenza che è eterna; se invece nessuno dei corpi è per se stesso principio causale dell’eternità, non potrebbe essere neppure eterno. Infatti tutto ciò che è eterno è dotato di una potenza senza limite; un 25 corpo invece dato che è di fatto in se stesso limitato, non può esse- 21 re principio causale di una potenza senza limite. Infatti la potenza senza limite è incorporea, come del resto lo è ogni potenza; d’altra parte ciò è evidente, poiché le potenze in ogni ambito 34, invece non è possibile che alcun corpo sia intero in ogni luogo. Pertanto se nessuno dei corpi è in 5 grado di fornire a se stesso la potenza, che questa sia senza limite o limitata, mentre ciò che sussiste da sé fornisce a se stesso sia la potenza di essere sia quella di essere eterno, nessuno dei corpi potrebbe sussistere da sé. Da dove dunque proviene l’essere ai corpi e che cosa è per 10 natura atto a garantire ad essi direttamente l’essere? Non diremo dunque che il principio causale dei corpi in senso primario è ciò che, proprio per il fatto di essere presente, fa risultare la natura del corpo più perfetta delle entità di genere affine? Ma questo è davvero palese per ognuno: infatti a ciò che garantisce la perfezio- 15 ne appartiene anche il compito di tenere insieme l’essenza delle entità inferiori, dato che anche la perfezione in sé risulta essere35 appunto perfezione dell’essenza. Dunque qual è quella entità che ci porta ad affermare che i corpi che ne partecipano risultano superiori a quelli che non ne partecipano? È davvero chiaro che

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ga;r e[myuca tw'n ajyuvcwn teleiovterav famen. Yuch; toivnun ejsti; swmavtwn ejpevkeina prwvtw", kai; tovn te o{lon oujrano;n kai; pa'n to; swmatoeide;" o[chma yuch'" qetevon. Duvo me;n ou\n au|tai tw'n o[ntwn hJmi'n ajnefavnhsan tavxei", swmatikh; me;n a[llh, yucikh; de; uJpe;r tauvthn a[llh: kai; metevcei ta; swvmata yuch'". Aujth; de; hJ yuch; povteron 25 taujtovn ejsti tw'/ nw'/ h] kai; e{teron Kai; ga;r w{sper sw'ma tevleion to; metevcon yuch'", ou{tw kai; yuch; teleiva nou' metevcousa. Kai; yuch'" me;n kata; lovgon zh'n dunamevnh" ouj pavnta metevcei, nou' de; kai; noera'" ejllavmyew" tau'tav te 22 kai; o{sa gnwvsew" hJstinosou'n meteivlhce. Kai; yuch; me;n tau'ta kata; crovnon ejnergei', nou'" de; ejn aijw'ni kai; th;n oujsivan oJmou' kai; th;n ejnevrgeian eJstw'san suneivlhfe. Kai; yuch; me;n ouj pa'sa th;n eJauth'" teleiovthta swv/zein a[trepton 5 kai; ajnelavttwton pevfuke, nou'" de; pa'" ajei; tevleio" kai; th'" eJautou' makariovthto" ajnevkleipton e[cei th;n duvnamin. To; a[ra noero;n gevno" ejpevkeina tou' yucikou' kat oujsivan ejstivn, ei[per to; me;n ou[te ejn toi'" o{loi" ou[te ejn toi'" merikoi'" pareivsdusin uJpomevnei th'" tou' kakou' fuvsew", to; de; ejn 10 toi'" o{loi" a[cranton o]n ejn toi'" mevresi th'" oijkeiva" ejxivstatai makariovthto". Tiv ou\n to; prwvtiston tw'n o[ntwn oJ nou'" H kai; pro; touvtou to; th'" zwh'" plavto". Kai; yuch; me;n ga;r aujtovzw" ejstivn, eJauth'/ corhgou'sa to; zh'n, kai; oJ nou'" 15 ajrivsth zwh; kai; telewtavth kai; w{sper ei[pomen aijwvnio": ajll hJ me;n tou' nou' zwh; noerav pwv" ejsti kai; suvmmikto" ajpov te th'" noera'" ijdiovthto" kai; zwtikh'", dei' de; ei\nai kai; th;n aujtozwhvn. Povteron ou\n zwh; krei'tton h] nou'" All eij nou' me;n ta; gnwstika; movnon metevcei tw'n o[ntwn, 20 zwh'" de; kai; o{sa gnwvsew" a[moira (kai; ga;r ta; futa; levgomen zh'n), ajnavgkh dhvpou th;n zwh;n ejpevkeina tou' nou' tetavcqai, pleiovnwn aijtivan ou\san kai; pleivosin ejllavmpousan ta;" ajf eJauth'" dovsei" tou' nou'. 20

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si tratta dell’anima: infatti diciamo più perfetti «i corpi animati di quelli inanimati»36. L’anima pertanto è in modo primario al di là 20 dei corpi, e si deve considerare che il cielo nella sua interezza e tutto ciò che è di forma corporea sono veicoli dell’anima. Questi due sono dunque gli ordinamenti degli enti che si sono rivelati a noi, uno è quello corporeo, mentre l’altro al di sopra di questo è quello psichico; inoltre i corpi partecipano dell’anima. Ma l’anima in sé è la stessa cosa rispetto all’intelletto o è una cosa 25 diversa? Ed infatti proprio come un corpo perfetto è quello che partecipa dell’anima, allo stesso modo anche un’anima perfetta è quella che partecipa dell’intelletto. E non tutte le entità partecipano di un’anima in grado di vivere secondo ragione, ma quelle che ne sono partecipi ed al contempo tutte quelle che risultano parte- 22 cipi di una qualunque forma di conoscenza partecipano dell’intelletto e della illuminazione intellettiva. E l’anima compie queste attività nel tempo, mentre l’intelletto ha fermamente stabilito e riunito insieme sia la sua essenza sia la sua attività nell’eternità. E per di più non ogni anima è atta per natura a mantenere la sua 5 perfezione immutabile e non soggetta a diminuzioni, mentre ogni intelletto è sempre perfetto e possiede la potenza inesauribile della sua propria beatitudine. Il genere intellettivo dunque è per essenza al di là del genere psichico, se è vero che il primo genere non è sottoposto all’insinuarsi della natura del male né nell’ambito dell’universale né in quello del particolare, invece il secondo genere, non trovandosi puro nell’ambito dell’universale, si allon- 10 tana nell’ambito del particolare dalla propria beatitudine37. Che dunque? Che il primissimo tra gli enti è l’intelletto? O piuttosto v’è ancora al di sopra di questo l’ambito della vita38. Ed infatti l’anima è certamente un’entità che ha vita in sé, in quanto garantisce a se stessa il vivere, e l’intelletto è una for- 15 ma di vita eccellente e assolutamente perfetta e, come abbiamo detto, eterna39; ma la vita dell’intelletto è in certo modo intellettiva ed è risultata dalla mescolanza della proprietà intellettiva e di quella propria della vita, mentre bisogna che vita sia anche la Vitain-sé. Dunque è superiore la vita o l’intelletto? Ma se fra gli esseri solamente quelli che sono in grado di conoscere partecipano dell’intelletto, mentre della vita partecipano anche tutti quelli che 20 sono privi della facoltà conoscitiva (ed infatti diciamo che «le piante vivono»40), è necessario a mio avviso sia posta per ordinamento al di là dell’intelletto, in quanto è causa di un numero maggiore di entità rispetto all’intelletto ed illumina dei doni da essa stessi derivanti un numero maggiore di entità rispetto all’intelletto.

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Tiv ou\n hJ zwh; to; prwvtiston tw'n o[ntwn kai; taujto;n tw'/ 23 ei\nai to; zh'n Alla; tou'to ajduvnaton: eij ga;r hJ zwh; to;

prwvtw" o[n, kai; taujto;n to; zwh'/ ei\nai kai; to; o[nti ei\nai, kai; ei|" oJ lovgo" ajmfoi'n, a{pan a]n to; zwh'" metevcon kai; tou' o[nto" ei[h meteilhfov", kai; pa'n to; tou' ei\nai metalabovn, 5 kai; th'" zwh'". Eij ga;r taujto;n eJkavteron, pavnta a]n oJmoivw" tou' te ei\nai metevcoi kai; tou' zh'n: ajlla; ta; me;n zw'nta pavnta kai; oujsivan e[cei kai; to; o[n, ta; de; o[nta pollacou' kai; zwh'" ejstin a[moira. Prou>fevsthken a[ra th'" prwtivsth" zwh'" to; o[n: to; ga;r oJlikwvteron kai; pleiovnwn 10 ai[tion ejggutevrw tou' eJnov" ejstin, wJ" devdeiktai provteron. Oujkou'n yuch; mevn ejsti to; prwvtw" uJperidrumevnon swmavtwn, nou'" de; ejpevkeina yuch'", zwh; de; nou' presbutevra, to; de; o]n ejf a{pasin i{drutai, to; prwvtw" o[n. Kai; pa'n to; yuch'" metevcon pollw'/ provterovn ejsti nou' meteilhfov", ouj 15 pa'n de; to; th'" noera'" poihvsew" ajpolau'on kai; yuch'" metevcein pevfuke. Yuch'" me;n ga;r ta; logika; metevcei zw'/a movnon, ejpei; kai; yuch;n th;n logikh;n o[ntw" ei\naiv famen: yuch'" ga;r e[rgon, fhsi;n ejn Politeiva/, to; logivzesqai kai; ta; o[nta skopei'n: kai; yuch; pa'sa ajqavnato", wJ" 20 ejn tw'/ Faivdrw/ gevgraptai, kai; tau'ta th'" ajlovgou yuch'" ou[sh" qnhth'" kata; to;n ejn tw'/ Timaivw/ dhmiourgovn. Kai; o{lw" pollacou' dh'lov" ejsti kai; oJ Plavtwn yuch;n th;n logikh;n ei\nai tiqevmeno", ta;" de; a[lla" ei[dwla yucw'n, kaq o{son eijsi; kai; au|tai noerai; kai; zwtikaiv, meta; tw'n 25 o{lwn paravgousai ta;" peri; ta; swvmata zwav". Nou' de; ouj movnon ta; logika; zw'/a metevcein sugcwrhvsomen, ajlla; kai; tw'n a[llwn o{sa gnwstikh;n e[cei duvnamin, fantasivan levgw 24 kai; mnhvmhn kai; ai[sqhsin. Epei; kai; oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" ejpi; th;n noera;n a[gei ta; toiau'ta pavnta seiravn: kai; ga;r tou' kaq hJdonh;n bivou to;n nou'n ajfairw'n ouj th;n logikh;n movnon zwhvn, ajlla; kai; th'" ajlovgou th;n gnwstikh;n pa'san 5 ajfei'len: a{pasa ga;r gnw'si" e[kgonov" ejsti tou' nou', kaqavper dh; kai; pa'" lovgo" yuch'" eijkwvn. Kai; mh;n kai; pavnta me;n

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Che dunque? Che la Vita è il primissimo tra gli enti e che il vivere è identico all’essere? Ma questo è impossibile: 23 se infatti la vita fosse l’essere in senso primario, se identico fosse il fatto di essere per la vita e per l’essere, e se non vi fosse che un’unica definizione per entrambi, tutto quanto ciò che partecipa della vita risulterebbe anche partecipe dell’essere, e tutto ciò che partecipa dell’essere, parteciperebbe anche della vita. In effetti se 5 entrambi fossero la stessa cosa, tutte le cose parteciperebbero allo stesso modo dell’essere e del vivere; ma tutte le entità viventi possiedono sia essenza sia essere, mentre spesso gli enti sono anche privi di vita. L’essere pertanto risulta preesistere alla forma primissima della vita: ed infatti ciò che è più universale ed è principio 10 causale di un numero maggiore di entità è più vicino all’Uno, come è stato mostrato in precedenza41. Dunque è l’anima che è posta in modo primario al di sopra dei corpi, l’intelletto a sua volta è al di là dell’anima, la vita poi è al di sopra dell’intelletto, ed infine l’essere – l’essere in senso primario – è posto alla testa di tutti. E tutto ciò che partecipa dell’anima molto prima risulta partecipe dell’intelletto, mentre non tutto ciò 15 che gode della produzione intellettiva è per natura atto a partecipare dell’anima42. Infatti dell’anima partecipano soltanto gli esseri viventi dotati di ragione, giacché anche affermiamo che realmente anima è quella razionale: infatti «compito dell’anima», si afferma nella Repubblica43, è il ragionare e il prendere in esame gli enti; e «l’anima tutta è immortale», come è stato scritto nel Fe- 20 dro44, ed è così dato che secondo il Demiurgo del Timeo45 l’anima irrazionale è mortale. Ed in generale è chiaro che in molti passi anche Platone considera anima quella razionale, mentre le altre forme di anima sono simulacri di anime nella misura in cui anche queste sono intellettive e dotate di vita, dato che congiuntamente alle anime universali introducono le forme di vita presso i corpi. 25 D’altra parte per quel che concerne l’intelletto, converremo che non solo gli esseri viventi dotati di ragione ne partecipano, ma anche tra gli altri esseri tutti quelli che posseggono una facoltà conoscitiva, intendo dire l’immaginazione, la memoria e la perce- 24 zione sensibile. Giacché anche il Socrate del Filebo46 riconduce alla serie intellettiva tutte le facoltà di questo tipo: ed infatti quando esclude l’intelletto dalla forma di vita secondo piacere, non esclude solo la vita razionale, ma anche tutta la facoltà conoscitiva dell’anima irrazionale: infatti ogni forma di conoscenza è un 5 prodotto generato dall’intelletto, proprio come anche ogni ragione47 è un’immagine di anima. Ed in effetti anche tutte le entità che

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ta; nou' metevconta pollw'/ provteron zwh'" metevcei, ta; me;n ajmudrotevra", ta; de; ejnargestevra": ta; de; au\ zw'nta pavnta th'" noera'" oujkevti metevcei dunavmew", ejpei; kai; ta; futa; 10 zw'/a mevn ejstin, w{" fhsin oJ Tivmaio", aijsqhvsew" de; aujtoi'" h] fantasiva" ouj mevtesti, plh;n ei[ ti" th;n sunaivsqhsin levgei tw'n te hJdevwn aujtoi'" kai; tw'n luphrw'n. Kai; o{lw" aiJ ojrektikai; pantacou' dunavmei" zwaiv tev eijsi kai; th'" o{lh" zwh'" ijndavlmata kai; poihvsei" e[scatai, nou' de; ªkai;º 15 a[moiroi kaq eJauta;" kai; th'" gnwstikh'" ajmevtocoi dunavmew": dio; dh; kai; a[metroi kaq eJautav" eijsi kai; ajovristoi, gnwvsew" aJpavsh" parh/rhmevnai. Pavlin toivnun ta; me;n zw'/a pavnta kai; tou' o[nto" devcetai moi'ran, ta; me;n a[llhn, ta; de; a[llhn, kata; th;n aujtw'n e{kasta fuvsin: ta; de; o[nta 20 pavnta th'" zwh'" oujkevti metevcein oJmoivw" dunatovn. Epei; kai; ta;" poiovthta" kai; ta; pavqh pavnta kai; tw'n swmavtwn ta; e[scata tou' me;n ei\nai kai; aujta; th;n ejscavthn poivhsin uJpodevcesqaiv famen, zwh'" de; oujkevti kai; touvtoi" metei'nai levgomen. 25 Presbuvteron a[ra to; me;n ei\nai tou' zh'n, tou'to de; tou' nou', th'" de; yuch'" oJ nou'", ei[per ajnavgkh ta; pleiovnwn ai[tia progenevstera kai; kata; th;n tavxin ajrcikwvtera proestavnai tw'n ta; ejlavttw paravgein te kai; kosmei'n 25 dunamevnwn. Eijkovtw" a[ra kai; oJ Plavtwn ejn Timaivw/ me;n ajpo; nou' th;n yuch;n uJfivsthsin wJ" deutevran kata; th;n eJauth'" fuvsin: ejn de; Novmoi" to;n nou'n kinei'sqaiv fhsi tai'" ejntovrnoi" sfaivrai" paraplhsivw", to; ga;r kinouvmenon 5 zwh'" meteilhfo;" kinei'tai kai; oujde;n a[llo ejsti;n hJ o[ntw" zwh; para; th;n kivnhsin: ejn de; tw'/ Sofisth'/ to; o]n ejxaivrei tw'n te o{lwn aJpavntwn genw'n kai; th'" kinhvsew". Kata; ga;r th;n eJautou' fuvsin to; o]n ou[te e{sthke, fhsivn, ou[te kinei'tai: to; de; mhvte eJstw;" mhvte kinouvmenon ejpev10 keina th'" aijwnivou zwh'" ejsti. Tettavrwn toivnun touvtwn o[ntwn pro; th'" swmatikh'" uJpostavsew" aijtivwn, oujsiva", zwh'", nou', yuch'", yuch; me;n aJpavntwn metevcei tw'n pro; aujth'", to;n me;n lovgon kata; th;n eJauth'" ijdiovthta lacou'sa, to;n de; nou'n kai; th;n zwh;n kai;

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partecipano dell’intelletto molto prima partecipano della vita, le une di una forma di vita più oscura, le altre di una forma di vita più chiara; d’altra parte non si può più dire che a loro volta tutti gli esseri viventi partecipano della facoltà intellettiva, giacché anche le piante sono esseri viventi, come afferma Timeo48, ma non 10 sono partecipi di percezione sensibile o di immaginazione, a meno che non si intenda la percezione cosciente di ciò che ad esse procura piacere e dolore. Ed in generale le facoltà appetitive sono ovunque forme di vita ed al contempo apparenze ed ultime produzioni della vita universale, ma sono di per se stesse prive di 15 intelletto e non partecipi della facoltà conoscitiva: questo è appunto il motivo per cui sono di per se stesse prive di misura e prive di limite, poiché esse risultano private di ogni forma di conoscenza. Pertanto, di nuovo, tutti gli esseri viventi ricevono anche una parte di essere, gli uni di un tipo, gli altri di un altro, ciascuno in base alla sua propria natura; invece non si può più dire che 20 tutti gli enti partecipino allo stesso modo della vita49. Giacché noi diciamo anche che tutte le qualità, tutte le passioni e tutti quelli che vengono per ultimi fra i corpi ricevono anche essi l’estrema produzione dell’essere, ma non affermiamo più che anche queste entità sono partecipi della vita. Dunque l’essere è superiore al vivere, quest’ultimo dal canto 25 suo è superiore all’intelletto, e l’intelletto poi è superiore all’anima, se è vero che necessariamente i principi causali di un numero maggiore di entità devono risultare anteriori e più originari per ordinamento rispetto a quelli che sono in grado di produrre ed al contempo ordinare un numero minore di entità. A ragione 25 dunque anche Platone nel Timeo50 fa sussistere l’anima a partire dall’intelletto in quanto seconda in base alla sua propria natura; nelle Leggi d’altro canto afferma che l’intelletto si muove in modo simile «alle sfere lavorate al tornio»51: infatti ciò che si muove si muove in quanto risulta partecipe della vita e quella che 5 è realmente vita non è nient’altro se non il movimento; inoltre nel Sofista eleva52 l’essere al di sopra di tutti quanti i generi universali ed anche al di sopra del movimento. Infatti «in base alla sua propria natura l’essere né è in quiete», egli dice, «né è in movimento»53: d’altra parte ciò che non è né in quiete né in movimento è 10 al di là della vita eterna54. Pertanto, dato che questi quattro sono i principi causali che precedono la sussistenza corporea, cioè essenza, vita, intelletto e anima, l’anima partecipa certo di tutti quelli che la precedono, in quanto è dotata della ragione in base al suo specifico carattere,

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to; o]n ajpo; tw'n presbutevrwn aijtivwn: dio; dh; kai; ta; met aujth;n uJfivsthsi tetracw'", kata; me;n to; o]n to; eJauth'" ta; pavnta kai; mevcri swmavtwn, kata; de; th;n zwh;n pavnta ta; legovmena zh'n kai; mevcri tw'n futw'n, kata; de; to;n nou'n pavnta ta; gnwstikh;n e[conta duvnamin kai; mevcri tw'n ajlogw20 tavtwn, kata; de; to;n lovgon ta; prwvtista tw'n metevcein aujth'" dunamevnwn. Nou'" de; ejpevkeina yuch'" iJdrumevno" kai; plhvrwma th'" te zwh'" uJpavrcwn kai; tou' o[nto" tricw'" diakosmei' ta; pavnta, th'" me;n noera'" ijdiovthto" a{pasi toi'" gnwstikoi'" ejllavmpwn th;n duvnamin, zwh'" de; metousivan 25 pleivosi corhgw'n, kai; tou' o[nto" a{pasin oi|" kai; to; prwvtw" o[n. Zwh; de; uJpe;r nou'n tetagmevnh dicw'" tw'n aujtw'n aijtiva prou>pavrcei, meta; me;n tou' nou' zwopoiou'sa ta; deuvtera kai; o{sa pevfuke zh'n ajf eJauth'" plhrou'sa tw'n th'" zwh'" 26 ojcetw'n, meta; de; tou' o[nto" a{pasi th;n oujsivan a[nwqen parevcousa. To; de; o[n, aujto; to; prwvtw" o]n kai; ejpevkeina zwh'" ejkbebhkov", aujtw'/ tw'/ ei\nai ta; pavnta genna'/, kai; ta;" zwa;" aJpavsa" kai; tou;" nou'" kai; ta;" yucav", kai; pa'si 5 pavresti monoeidw'" kai; ajf o{lwn ejxhv/rhtai, kata; mivan aijtivan tw'n o{lwn uJpostatiko;n ão[nÃ. Dio; dh; kai; tw'/ eJni; pavntwn ejsti;n oJmoiovtaton kai; th;n ejn auJtw'/ tw'n o[ntwn perioch;n sunhvnwse th'/ prwtivsth/ tw'n o{lwn ajrch'/, di h}n kai; ta; o[nta pavnta kai; to; mh; o]n uJpevsth tav te o{la kai; ta; 10 mevrh tav te ei[dh kai; aiJ touvtwn sterhvsei", a} dh; tou' me;n o[nto" metevcein oujkevti, tou' de; eJno;" pavntw" ajnagkai'on. Tau'ta kai; to;n Eleavthn xevnon ejn Sofisth'/ peri; tou' pantelw'" o[nto" diatattovmenon ajnevpeisen, wJ" ejmoi; dokei', kai; to; o]n ejkei' qevsqai kai; th;n zwh;n kai; to;n 15 nou'n kai; th;n yuchvn. Eij gavr ejsti semno;n kai; tivmion to; o[ntw" o[n, nou'" ejstin ejkei' prwvtisto", fhsivn: ouj ga;r qevmi" aujto; semno;n kai; a{gion eJstavnai nou'n oujk e[con. Eij de; nou'" ejstin ejn tw'/ pantelw'" o[nti, kinei'15

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mentre dell’intelletto, della vita e dell’essere in virtù dei principi 15 causali superiori: questo è appunto il motivo per cui essa fa sussistere le entità che vengono dopo di lei in quattro modi: in base al suo proprio essere fa sussistere tutte le cose, fino ad arrivare anche ai corpi; in base alla vita poi fa sussistere tutte quelle entità che si dice che vivano, fino ad arrivare anche alle piante; in base all’intelletto poi ancora fa sussistere tutte quegli esseri che sono dotati di facoltà conoscitiva, fino ad arrivare anche a quelli più irrazionali; infine in base alla ragione fa sussistere le primissime fra le entità che 20 sono in grado di partecipare di essa. Dal canto suo l’intelletto, che è posto al di là dell’anima e che è di fatto pienezza della vita e dell’essere55, dà ordine a tutte le cose in tre modi, facendo risplendere su tutte le entità capaci di conoscere la potenza del carattere intellettivo, inoltre garantendo ad un numero maggiore di entità la 25 partecipazione alla vita, ed infine garantendo la partecipazione all’essere a tutte quante quelle entità alle quali appartiene anche l’essere in senso primario56. La vita poi, che è posta per ordinamento al di sopra dell’intelletto, preesiste come causa delle medesime entità in due modi57, unitamente all’intelletto rendendo vive le entità inferiori e ricolmando a partire da se stessa dei «canali»58 della vita tutte quelle entità che sono per natura portate a vivere, e d’altro canto unitamente all’essere fornendo dall’alto l’essenza a tutte 26 quante. L’essere infine – quello che è in sé essere in senso primario e che è posto al di là della vita – per il fatto stesso di essere genera tutte le cose, tutte quante le vite, tutti quanti gli intelletti e tutte quante le anime, ed è presente a tutti in modo unitario ed è trascen- 5 dente rispetto alla totalità delle cose, in quanto è fonte di sussistenza in base ad un’unica forma di causalità per la totalità delle cose. Questo è il motivo per cui esso è ciò che è più somigliante all’Uno rispetto a tutte le cose ed ha unito l’insieme degli enti che comprende in se stesso al Primissimo Principio della totalità delle cose, attraverso il quale sussistono tutti gli enti ed anche il non-essere, e gli interi insieme alle parti, e le forme insieme alle privazioni di esse, 10 cose queste ultime che non è più possibile partecipino dell’essere, ma che devono necessariamente partecipare dell’Uno59. Queste sono le considerazioni che, a mio avviso, hanno persuaso anche lo Straniero di Elea, quando nel Sofista60 tratta dell’«essere nella sua compiuta perfezione», a stabilire lì al contempo l’essere, «la vita, l’intelletto e l’anima». Se infatti ciò che è realmente 15 essere è venerabile e degno di onore, l’intelletto primissimo si trova lì, afferma: infatti non è lecito che esso, «venerabile e santo, rimanga fermo senza intelletto». Ma se v’è intelletto nell’«essere

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tai pavntw" oJ nou'": ou[te ga;r a[neu kinhvsew" ou[te a[neu stavsew" uJposth'naiv pote to;n nou'n dunatovn. Eij de; oJ nou'" kinei'tai kai; e{sthken, e[stin ejn tw'/ o[nti kai; zwh; kai; kivnhsi". Triva toivnun ejk touvtwn ajnapevfantai, to; o[n, hJ zwhv, oJ nou'". Alla; mh;n kai; hJ yuch; meta; tau'ta dia; touvtwn ajneurivsketai. Dei' ga;r dhv, fhsiv, kai; th;n zwh;n kai; to;n 25 nou'n, a} provteron h\n kaq eJautav, kai; ejn yuch'/ genevsqai: pa'sa ga;r yuch; kai; zwh'" ejsti plhvrwma kai; nou', metevcousa ajmfoi'n. O kai; oJ Eleavth" xevno" ejndeiknuvmeno" 27 prostivqhsin: Alla; tau'ta me;n ajmfovtera ejnovnta aujtw'/ levgomen, ouj mh;n ejn yuch'/ ge fhvsomen aujta; e[cein aujtov To; ga;r e[cein, w{" pouv fhsiv ti", tou' ei\nai deuvteron, kai; hJ yuch; metevcei me;n eJkatevrou kata; th;n 5 eJauth'" ijdiovthta, to; de; logoeide;" th'" oijkeiva" uJpavrxew" summivgnusi th'/ noera'/ ãkai;Ã zwtikh'/ dunavmei: prou>fevsthke de; kai; oJ nou'" kai; hJ zwh; th'" yuch'", oJ me;n wJ" kinouvmeno" a{ma kai; wJ" eJstwv", hJ de; wJ" kivnhsi" kai; stavsi". Kai; tevttare" au|tai monavde" oujk ejntau'qa movnon, ajlla; kai; ejn 10 a[lloi" polloi'" uJmnhmevnai tw'/ Plavtwni, yuch; kai; nou'" kai; zwh; kai; o[n. Kai; w{sper ejn yuch'/ pavnta kata; mevqexin, ou{tw kai; ejn nw'/ ta; pro; aujtou' kai; ejn zwh'/ to; pro; aujth'": kai; ga;r th;n zwh;n ei\naiv famen (h] pw'" a]n ejn tw'/ o[nti levgoito tetavcqai, kata; taujto;n mh; metevcousa tou' o[nto") kai; 15 to;n nou'n ei\naiv te kai; zh'n, kai; ga;r kinei'tai kai; moi'ra tou' o[nto" ejstiv. Metevcei toivnun ta; deuvtera tw'n perilhptikwtevrwn monavdwn. Alla; tw'n metecomevnwn o[ntwn pantacou' dei' kai; ta; ajmevqekta prou>pavrcein ai[tia, kaqavper devdeiktai provteron, kata; th;n pro;" to; e}n tw'n o[ntwn 20 oJmoiovthta. To; me;n o]n a[ra prwvtw" ajmevqektovn ejsti: zwh; de; metevcei me;n prwvth tou' o[nto", ajmevqekto" dev ejstin, ejxh/rhmevnh tou' nou': kai; oJ nou'" plhrou'tai me;n e[k te tou' o[nto" kai; th'" zwh'", ajmevqekto" dev ejstin ªejnº yucai'" kai; toi'" met aujtovn: kai; yuch'/ nou'" ejfevsthke, zwh'" kai; 25 o[nto" aujth'/ metousivan ejpilavmpwn, ajmevqekto" de; prou>pavrcei tw'n swmavtwn: ejscavth de; a[ra tw'n o[ntwn tavxi" h|/ 28 kai; ta; swvmata proshvrthtai, ta; me;n oujravnia prwvtw", ta; de; uJpo; selhvnhn meta; th'" tw'n ejnuvlwn prosqhvkh". 20

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nella sua compiuta perfezione», è assolutamente certo che l’intelletto si muove: infatti né senza movimento né senza quiete è possibi- 20 le che l’intelletto sussista. Ma se l’intelletto si muove ed è in quiete, v’è nell’essere sia vita sia movimento. Tre realtà pertanto in base a tali considerazioni si sono rivelate: l’essere, la vita e l’intelletto. Ma di fatto dopo queste realtà si scopre attraverso queste considerazioni anche l’anima. Infatti bisogna certamente, afferma, che sia 25 la vita sia l’intelletto, entità le quali esistevano prima di per se stesse, vengano a trovarsi anche nell’anima: infatti ogni anima è pienezza sia di vita sia di intelletto, in quanto è partecipe di entrambi. E ciò anche lo Straniero di Elea mette in luce quando aggiun- 27 ge: «Ma diciamo allora che entrambe queste entità sono insite in lui, e diremo di fatto che esso non le ha nell’anima?»61. Infatti l’avere, come, mi pare, qualcuno afferma62, è inferiore all’essere, e l’anima partecipa dell’uno e dell’altro in base al suo specifico carattere, ma 5 mescola l’elemento razionale della propria esistenza alla potenza intellettiva e dotata di vita; d’altra parte sia l’intelletto sia la vita preesistono all’anima, l’uno in quanto è insieme in movimento ed anche in quiete, mentre l’altra in quanto movimento e quiete. Queste sono le quattro monadi celebrate da Platone non solo qui, 10 ma anche in molti altri luoghi: anima, intelletto, vita e essere. E come nell’anima ogni componente è in base a partecipazione, così nell’intelletto sono in base a partecipazione le due componenti che sono ad esso anteriori, e nella vita quella che è ad essa anteriore: ed infatti diciamo che la vita è (altrimenti come si potrebbe affermare che essa è posta per ordinamento nell’essere, senza però nel medesimo tempo partecipare all’essere?), e che l’intelletto è e vive, 15 ed infatti si muove ed è una parte dell’essere. Pertanto le entità inferiori partecipano delle monadi che comprendono in sé un numero maggiore di entità63. Ma in ogni ambito bisogna che agli enti partecipati preesistano i principi causali impartecipabili, come si è mostrato in precedenza64, in base alla somiglianza degli enti in rapporto all’Uno. L’essere in senso primario dunque è im- 20 partecipabile; la vita nella sua forma prima partecipa dell’essere, ma è impartecipabile perché trascende l’intelletto; e l’intelletto è colmo dell’essere e della vita, ma è impartecipabile per le anime e le entità che vengono dopo esso; e l’intelletto è posto a capo dell’anima, in quanto fa risplendere su di essa una partecipazione alla 25 vita e all’essere, d’altra parte, in quanto impartecipabile, preesiste ai corpi. Dunque il livello ultimo degli enti è quello al quale risul- 28 tano attaccati i corpi, quelli celesti in modo primario, invece i corpi sublunari con l’aggiunta di elementi materiali.

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H me;n ou\n provodo" tw'n o[ntwn au{th, dia; zwh'" kai; nou' kai; yuch'" eij" th;n swmatikh;n teleuthvsasa fuvsin. Eij de; ajnavgkh ta;" uJperousivou" tw'n qew'n eJnavda" ajpo; th'" ajmeqevktou tw'n pavntwn aijtiva" uJpostavsa" metevcesqai ta;" me;n uJpo; tw'n prwvtwn ejn toi'" ou\si diakovsmwn, ta;" de; uJpo; tw'n mevswn, ta;" de; uJpo; tw'n ejscavtwn, wJ" devdeiktai provteron, dh'lon wJ" aiJ me;n aujtw'n th;n ajmevqekton tw'n o[ntwn moi'ran ejkqeou'sin, aiJ de; th;n zwhvn, aiJ de; to;n nou'n, aiJ de; th;n yuchvn, aiJ de; kai; ta; swvmata katevlamyan. Kai; tw'n me;n ejscavtwn ouj ta; swvmata metevcei movnon, ajlla; kai; yuch; kai; nou'" kai; zwh; kai; oujsiva (nou'" ga;r ejn eJautw'/ kai; th'" zwh'" ejsti kai; tou' o[nto" plhvrwma): tw'n de; uJpe;r to;n kovsmon tou'ton nou'" ejxhvrthtai kai; yucikh; duvnami" prou>pavrcousa tw'/ nw'/: tw'n de; uJpe;r tauvthn nou'" ajmevqekto" kai; noerov": tw'n de; ejpevkeina zwh; prwtivsth kai; ajmevqekto": tw'n de; ajkrotavtwn aujto; to; prwvtiston o]n kai; to; qeiovtaton tw'n o[ntwn. Dio; kai; oJ Parmenivdh" ejnteu'qen ajpo; tou' eJno;" o[nto" ajrcovmeno" proavgei ta;" o{la" diakosmhvsei" tw'n qew'n.

zV Touvtwn de; hJmi'n prodiwrismevnwn fevre peri; tw'n qeivwn diakovsmwn ajrxavmenoi levgwmen a[nwqen, ajpo; tou' eJno;" ta;" 29 o{la" tw'n qew'n tavxei" paravgonte" kai; tw'/ Plavtwni sunodeuvonte", prw'ton me;n ejk tw'n a[llwn dialovgwn e{kasta katadouvmenoi toi'" ajnelevgktoi" logismoi'", e[peiq ou{tw" kai; ta; tou' Parmenivdou sumperavsmata sunavptonte" tai'" 5 qeivai" proovdoi" kai; ajpeikavzonte", kai; ta; me;n prw'ta tai'" prwvtai", ta; de; e[scata tai'" ejscavtai" ejfarmovzonte". Pavlin dh; ou\n hJmi'n ejpanalhptevon th;n peri; tou' eJno;" mustagwgivan, i{na kaq oJdo;n ijovnte" ajpo; th'" prwvth"

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Questa è dunque la processione degli enti, che attraverso vita e intelletto e anima arriva a concludersi nella natura corporea. Se poi è necessario che le enadi sovraessenziali degli dèi, dato che sono venute a sussistere ad opera della Causa impartecipabile di tutte le cose, siano partecipate, alcune dagli ordinamenti primi presenti negli enti, altre da quelli intermedi, altre ancora da quelli che vengono per ultimi, come si è mostrato in precedenza65, è evidente che delle enadi alcune rendono divina la parte impartecipabile degli enti, altre la vita, altre poi l’intelletto, altre ancora l’anima, altre infine sono giunte ad illuminare anche i corpi. E di quelle che vengono per ultime non solo i corpi partecipano, ma anche l’anima, l’intelletto, la vita e l’essenza (l’intelletto infatti è in se stesso66 pienezza sia della vita sia dell’essere); inoltre dalle enadi che sono al di sopra di questo nostro cosmo risultano dipendere un intelletto e una facoltà psichica che è preesistente nell’intelletto; mentre dalle enadi che sono al di sopra di quest’ultima facoltà risulta dipendere un intelletto impartecipabile e intellettivo; dalle enadi poi che sono ancora al di là risulta dipendere una vita primissima ed impartecipabile; infine dalle enadi più elevate in assoluto risulta dipendere l’essere stesso assolutamente primo e il più divino fra gli enti. Ecco perché anche Parmenide partendo dall’Uno-che-è fa procedere da lì la totalità degli ordinamenti degli dèi67.

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7 [Ricapitolazione dell’insegnamento concernente l’Uno ed esposizione della dottrina sui due principi di natura diadica che vengono dopo l’Uno] Una volta stabilite da noi preventivamente queste distinzioni, mettiamoci a trattare degli ordinamenti divini cominciando dall’alto, introducendo a partire dall’Uno tutti gli ordinamenti degli 29 dèi nella loro totalità e facendoci accompagnare da Platone: in primo luogo ricavando tutte le singole concezioni dagli altri dialoghi connettiamole per mezzo dei ragionamenti inconfutabili, e in seguito connettiamo così anche le conclusioni del Parmenide alle processioni divine e confrontiamole con queste ultime, e met- 5 tiamo in rapporto le prime conclusioni alle prime processioni, e le conclusioni che vengono per ultime alle ultime processioni. A questo punto dobbiamo riprendere la mistica dottrina sull’Uno, per celebrare, procedendo «in modo sistematico»68, a

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ajrch'" ta;" deutevra" kai; trivta" tw'n o{lwn uJmnhvswmen. Apavntwn dh; tw'n o[ntwn kai; aujtw'n tw'n ta; o[nta paragovntwn qew'n miva kai; ejxh/rhmevnh kai; ajmevqekto" aijtiva prou>fevsthken, a[rrhto" me;n panti; lovgw/ kai; a[frasto", a[gnwsto" de; pavsh/ gnwvsei kai; a[lhpto", pavnta me;n ajf eJauth'" ejkfaivnousa, pavntwn de; ajrrhvtw" prou>pavr15 cousa, kai; pavnta me;n pro;" eJauth;n ejpistrevfousa, pavntwn de; ou\sa tevlo" to; a[riston. Tauvthn dh; ou\n th;n o[ntw" ejkbebhkui'an cwristw'" ajpo; pasw'n kai; pavsa" me;n ta;" eJnavda" tw'n qeivwn, pavnta de; ta; gevnh tw'n o[ntwn kai; ta;" proovdou" eJniaivw" uJfistavnousan oJ me;n ejn Politeiva/ 20 Swkravth" tajgaqo;n ajpokalei' kai; dia; th'" pro;" to;n h{lion ajnalogiva" th;n qaumasth;n aujth'" pro;" ta; nohta; pavnta kai; a[gnwston uJperoch;n ajpokaluvptei: oJ de; au\ Parmenivdh" e}n me;n aujth;n ejponomavzei, dia; de; tw'n ajpofavsewn th;n ejxh/rhmevnhn tou' eJno;" touvtou kai; a[rrhton u{parxin 25 aijtivan tw'n o{lwn ou\san ejpideivknusin: oJ de; ejn th'/ pro;" Dionuvsion ejpistolh'/ di aijnigmavtwn proi>w;n ªoJº lovgo" peri; h}n ta; pavnta kai; wJ" aijtivan pavntwn tw'n kalw'n ajnumnei': oJ de; ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth" oi|on tw'n o{lwn 30 uJpostavtin eujfhmei', diovti pavsh" ejsti; qeovthto" aijtiva, to; ga;r ei\nai qeoi; pavnte" oiJ qeoi; dia; to;n prw'ton e[cousi qeovn. Ei[t ou\n phgh;n qeovthto" aujth;n ejponomavzein h\/ qevmi", ei[te basileva tw'n pavntwn, ei[te eJnavda pasw'n eJnavdwn, ei[te 5 th'" ajlhqeiva" gennhtikh;n ajgaqovthta, ei[te aJpavntwn touvtwn ejxh/rhmevnhn u{parxin kai; pasw'n aijtiw'n ejpevkeina tw'n te patrikw'n kai; tw'n gennhtikw'n, au{th me;n hJmi'n sigh'/ kai; th'/ pro; sigh'" eJnwvsei timavsqw kai; tou' mustikou' tevlou" th;n proshvkousan tai'" hJmetevrai" yucai'" moi'ran ejpi10 lavmyeie: ta;" de; ajp aujth'" kai; met aujth;n proelqouvsa" duoeidei'" ajrca;" tw'/ nw'/ qewrhvswmen. Tiv ga;r a[llo meta; th;n e{nwsin th'" o{lh" qeovthto" h] th;n duavda tw'n ajrcw'n ajnavgkh tetavcqai 10

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partire dal Principio Primo i secondi e i terzi principi del Tutto. 10 Di fatto a tutti quanti gli enti e agli dèi stessi che introducono gli enti preesiste una Causa unica, trascendente ed impartecipabile, ineffabile ed inesprimibile per ogni discorso, ma pure inconoscibile ed incoglibile per ogni conoscenza, che da un lato fa apparire da sé tutte le cose, e che dall’altro preesiste in modo ineffabile a tutte le cose; e che per un verso fa rivolgere tutte le cose verso 15 di sé, e che per un altro è il fine supremo di tutte. Ebbene questa Causa, che risulta realmente trascendere in modo separato tutte le altre cause, che fa sussistere in modo unitario da un lato tutte le enadi delle realtà divine, e dall’altro tutti i generi e le processioni degli enti, Socrate nella Repubblica la chiama «il Bene» e attraver- 20 so l’analogia con il sole svela la sua meravigliosa ed inconoscibile superiorità rispetto a tutti gli intelligibili69; a sua volta Parmenide la chiama Uno, e d’altro canto attraverso le negazioni, dimostra che la trascendente ed ineffabile realtà di questo Uno è causa della 25 totalità delle cose70; poi nella Lettera a Dionisio71 il discorso, procedendo per enigmi, celebra tale Causa come quella «attorno alla quale sono tutte le cose» e come «causa di tutte le cose belle»; infine Socrate nel Filebo72 onora questa Causa quale principio che fa 30 sussistere la totalità delle cose, proprio per il fatto che è causa di ogni natura divina: infatti tutti gli dèi possiedono la loro natura di dèi grazie al Primo Dio. Dunque sia che risulti lecito chiamarla “Fonte della natura divina”, sia “Re di tutte le cose”, sia “Enade di tutte le enadi”, sia “Bontà generatrice della verità”, sia “Realtà che trascende tutte 5 quante queste realtà” e “al di là di tutte le cause”73, sia di quelle paterne che di quelle generatrici, questa Causa sia onorata da noi con il silenzio e con l’unione che viene prima del silenzio74 e che essa faccia risplendere quella parte riservata «del mistico fine»75 che si confà alle nostre anime; si contemplino poi con l’intelletto 10 le due sorte di principi che procedono a partire da essa e dopo di essa. Cos’altro infatti si deve porre dopo l’unità della natura divina universale se non la diade dei principi?

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ãhVÃ Tivne" ou\n aiJ duvo tw'n qeivwn diakovsmwn ajrcai; meta; to; prw'ton, ejfexh'" toi'" peri; ejkeivnou lovgoi" qewrhvswmen: kata; ga;r th;n pavtrion qeologivan kai; oJ Plavtwn ta;" duvo meta; to; e}n uJfivsthsin ajrcav". Levgei toivnun oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" wJ" a[ra qeo;" 20 pevratov" ejsti kai; ajpeiriva" uJpostavth" kai; dia; touvtwn a{panta ta; o[nta mignu;" parhvgage, kata; to;n Filovlaon ejk perainovntwn kai; ajpeivrwn th'" tw'n o[ntwn fuvsew" sumpeplegmevnh". Eij toivnun ejk touvtwn ta; o[nta, dh'lon o{ti pro; tw'n o[ntwn uJfesthvkasi, kai; eij memigmevnwn aujtw'n 25 ta; deuvtera meteivlhfen, ajmigei'" au|tai tw'n o{lwn prou>pavrcousin. Ouj ga;r ejk tw'n katatetagmevnwn kai; ejn a[lloi" o[ntwn, ajll ajpo; tw'n ejxh/rhmevnwn kai; ejn eJautoi'" iJdrumevnwn 31 a[rcetai tw'n qeivwn hJ provodo". Wsper ou\n to; e}n aujto; pro; tw'n hJnwmevnwn ejstiv, kai; wJ" to; peponqo;" to; e}n deutevran e[cei tavxin meta; th;n ajmevqekton e{nwsin, ou{tw" a[ra kai; aiJ duvo tw'n o[ntwn ajrcai; pro; th'" meqevxew" kai; 5 th'" eij" ta; o[nta summivxew" aujtai; kaq eJauta;" uJpavrcousin aijtivai tw'n o{lwn. Dei' ga;r ei\nai pro; tou' peperasmevnou to; pevra" kai; pro; tou' ajpeivrou th;n ajpeirivan kata; th;n pro;" to; e}n tw'n ajp aujtou' proelqovntwn oJmoiovthta. Kai; ga;r au\ kai; eij ta; o[nta meta; to; e}n ajmevsw" paravgoimen, 10 oujdamou' th;n tou' eJno;" ijdiovthta kaqarw'" euJrhvsomen. Ou[te ga;r to; o]n tw'/ eJni; taujtovn, ajlla; metevcei tou' eJnov": ou[te to; prw'ton wJ" ajlhqw'" ejstin e{n, krei'tton gavr ejstin, wJ" pollavki" ei[rhtai, kai; tou' eJnov": pou' toivnun to; kuriwvtata pavntw" e{n Estin a[ra ti pro; tou' o[nto" e{n, o} kai; 15 uJfivsthsi to; o]n kai; ai[tiovn ejsti tou' o[nto" prwvtw", ejpeidh; to; pro; aujtou' kai; th'" eJnwvsew" ejpevkeina kai; th'" aijtiva" h\n, a[sceton pro;" pavnta kai; ajmevqekton ajpo; pavntwn ejxh/rhmevnon. All eij ai[tiovn ejsti tou'to to; e}n kai; uJpostatiko;n 15

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[Quali sono i due principi di tutte le cose successivi all’Uno e in che senso Socrate nel “Filebo” li ha chiamati “limite” ed “illimitato”, e di quali cose sono cause per gli enti] Quali sono dunque i due principi degli ordinamenti divini dopo il 15 Primo, ecco ciò che subito dopo i discorsi che lo concernono dobbiamo considerare: infatti conformemente alla teologia dei padri76 anche Platone fa sussistere dopo l’Uno i due principi. Ebbene, Socrate nel Filebo afferma che Dio è fonte della sus- 20 sistenza del limite e dell’illimitatezza e attraverso la mescolanza di questi principi ha introdotto tutti quanti gli enti: in effetti secondo Filolao77 la natura degli enti risulta dalla mescolanza «di limitanti e illimitati». Se dunque gli enti derivano da questi principi, è evidente che essi sussistono prima degli enti, e che, se le entità 25 seconde partecipano della mescolanza di questi principi, questi ultimi preesistono puri alla totalità del reale. Infatti le processioni delle divinità non incominciano dagli elementi che sono posti in un determinato ordinamento e che si trovano in altre entità, bensì a partire dalle realtà che sono trascendenti e che hanno in se stesse il proprio fondamento. Come dunque l’Uno in sé viene prima 31 delle entità unificate, e come «l’Uno che è tale in modo derivato»78 occupa la seconda posizione dopo l’Unità impartecipabile, allo stesso modo dunque anche i due principi degli enti risultano in sé e di per se stessi cause della totalità del reale prima della partecipazione e della commistione che porta agli enti. Infatti prima del 5 limitato deve esistere il limite e prima del limitato l’illimitatezza in base alla somiglianza con l’Uno delle entità che da esso procedono. Ed in effetti se a nostra volta introducessimo gli enti immediatamente dopo l’Uno, in nessun ambito potremmo trovare il carat- 10 tere specifico dell’Uno in modo puro. Ed infatti né l’essere è identico all’Uno, ma partecipa dell’Uno, né il Primo è veramente “uno”: infatti esso è superiore, come spesso si è affermato, anche rispetto all’“uno”79: dove dunque si trova ciò che è assolutamente Uno nel senso in assoluto più proprio? V’è dunque un uno che viene prima dell’essere, il quale fa sussistere l’essere ed al contem- 15 po è principio causale in senso primario dell’essere, dal momento che ciò che viene prima di questo uno è risultato al di là dell’unità80 e della nozione di “causa”, in quanto privo di relazione con tutte le cose ed impartecipabile per la sua trascendenza rispetto a tutte le cose. Ma se questo uno è principio causale e fonte della

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tou' o[nto", duvnami" a]n ejn aujtw'/ gennhtikh; tou' o[nto" uJpavrcoi. Pa'n ga;r to; paravgon kata; th;n eJautou' paravgei duvnamin, mevshn tou' paravgonto" kai; tw'n paragomevnwn uJpovstasin lacou'san kai; tou' me;n ou\san provodon kai; oi\on ejktevneian, tou' de; aijtivan gennhtikh;n protetagmevnhn. Kai; ga;r dh; to; o[n, ejk touvtwn paragovmenon kai; oujk o]n aujtoevn, 25 ajll eJnoeidev", th;n me;n ajpo; tou' eJno;" provodon dia; th;n duvnamin e[cei, proavgousan aujto; kai; ejkfaivnousan ajpo; tou' 32 eJnov", aujth;n de; th;n kruvfion e{nwsin ajpo; th'" uJpavrxew" tou' eJnov". To; me;n toivnun e}n tou'to to; prou>pavrcon th'" dunavmew" kai; prw'ton ajpo; th'" ajmeqevktou kai; ajgnwvstou tw'n o{lwn aijtiva" prou>postavn, pevra" oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" 5 ajpokalei', th;n de; gennhtikh;n tou' o[nto" duvnamin ajpeirivan. Levgei de; ou{tw" ejn ejkeivnoi": To;n qeo;n ejlevgomevn pou to; me;n pevra" tw'n o[ntwn dei'xai, to; de; a[peiron. O me;n ou\n prwvtisto" kai; eJniai'o" qeo;" a[neu prosqhvkh" a[llh" qeo;" uJp aujtou' proseivrhtai, diovti dh; tw'n me;n 10 deutevrwn e{kasto" qew'n uJpo; tou' o[nto" metevcetai kai; sunhrthmevnon e[cei to; o[n, oJ de; prwvtisto" movno" ajf o{lwn tw'n o[ntwn ejxh/rhmevno" qeov" ejsti, kat aujto; to; a[rrhton kai; eJniai'on movnon kai; uJperouvsion ajfwrismevno". To; de; pevra" tw'n o[ntwn kai; to; a[peiron ejkfaivnei th;n a[gnwston 15 ejkeivnhn kai; ajmevqekton aijtivan, to; me;n pevra" th'" monivmou kai; eJnoeidou'" kai; sunektikh'" qeovthto" ai[tion uJpavrcon, to; de; a[peiron th'" ejpi; pavnta proi>evnai kai; plhquvesqai dunamevnh" kai; o{lw" th'" gennhtikh'" prokatavrcon aJpavsh" diakosmhvsew". Pa'sa me;n ga;r e{nwsi" kai; oJlovth" kai; 20 koinwniva tw'n o[ntwn kai; pavnta ta; qei'a mevtra tou' prwtivstou pevrato" ejxhvrthtai, pa'sa de; diaivresi" kai; govnimo" poivhsi" kai; hJ eij" plh'qo" provodo" ajpo; th'" ajrchgikwtavth" tauvth" ajpeiriva" uJfevsthken. Wste kai; o{tan mevnein tw'n qeivwn e{kaston a{ma kai; proi>evnai levgwmen, mevnein me;n aujto; 25 staqerw'" kata; to; pevra" oJmologhvsomen, proi>evnai de; kata; th;n ajpeirivan, kai; a{ma tov te e}n e[cein kai; to; plh'qo", to; me;n th'" tou' pevrato" ajrch'", to; de; th'" ajpeiriva" ejxaptovmenon: kai; wJ" sullhvbdhn eijpei'n aJpavsh" th'" ejn toi'" 33 qeivoi" gevnesin ajntiqevsew" to; me;n krei'tton ejpi; to; pevra", to; de; katadeevsteron ejpi; th;n ajpeirivan ajnoivsomen. 20

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sussistenza dell’essere, dovrebbe di fatto esserci in esso una potenza generatrice dell’essere. Infatti tutto ciò che produce, produ- 20 ce in base alla propria potenza, che ha una forma di sussistenza mediana fra ciò che produce e le entità prodotte e che è processione di ciò che produce e per così dire estensione di questo, mentre delle entità prodotte81 è causa generatrice, in quanto è posta per ordinamento prima di esse. Ed in effetti l’essere, che è prodotto da questi principi82 e che non è uno-in-sé, bensì uni-forme, rice- 25 ve la sua processione a partire dall’Uno attraverso la potenza che lo fa procedere e lo fa apparire a partire dall’Uno, mentre la sua 32 stessa celata unificazione la riceve dal sussistere dell’Uno. Questo uno, dunque, che preesiste alla potenza e che per primo sussiste originariamente a partire dalla Causa impartecipabile e inconoscibile della totalità del reale, Socrate nel Filebo83 lo chiama «limite», 5 mentre la potenza generatrice dell’essere la chiama illimitatezza. Così egli si esprime in quei passi: «il Dio, dicevamo, ha mostrato in certo modo da un lato il limite degli enti, dall’altro l’illimitato». Dunque il Dio Primissimo ed unitario senza altra aggiunta viene da lui denominato «dio», proprio per il fatto che ciascuno degli 10 dèi secondi è partecipato dall’essere e possiede l’essere come qualcosa di congiunto a lui, mentre solo il Primissimo è Dio trascendente rispetto alla totalità degli enti, in quanto esso risulta solamente definito in base alla sua stessa natura ineffabile, unitaria e sovraessenziale. Dal canto loro il limite e l’illimitato degli enti rivelano quella Causa inconoscibile ed impartecipabile, in quanto 15 il limite da un lato è di fatto principio causale della natura divina stabile, uni-forme e contenitiva84, mentre l’illimitato dà originariamente inizio a quella natura divina che è in grado di procedere verso tutti gli enti e di moltiplicarsi, ed in generale a tutto quanto l’ordinamento atto a generare. Infatti ogni unificazione, totalità e comunione degli enti, e tutte le dimensioni divine risultano dipen- 20 dere dal primissimo limite, invece ogni divisione, produzione feconda e la processione verso il molteplice risultano sussistere a partire dalla illimitatezza assolutamente originaria. Sicché, anche quando affermiamo che ciascuna delle entità divine permane in sé ed al contempo procede, saremo d’accordo nel dire che essa per- 25 mane saldamente in se stessa in base al limite, mentre procede in base all’illimitatezza, e che possiede al contempo l’unità e la molteplicità, la prima derivandola dal principio del limite, la seconda dall’illimitatezza: e per dirla in breve di ogni opposizione insita nei 33 generi divini noi ricondurremo l’elemento superiore al limite, mentre quello inferiore all’illimitatezza.

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Ek ga;r touvtwn tw'n duvo ajrcw'n a{panta mevcri kai; tw'n ejscavtwn th;n eij" to; ei\nai provodon e[sce. Kai; ga;r oJ aijw;n 5 aujto;" a{ma kai; pevrato" metevcei kai; ajpeiriva", wJ" me;n nohto;n mevtron uJpavrcwn, tou' pevrato", wJ" de; th'" ajnekleivptou kata; to; ei\nai dunavmew" ai[tio", th'" ajpeiriva". Kai; oJ nou'" kaq o{son me;n eJnoeidhv" ejsti kai; o{lo" kai; kaq o{son tw'n paradeigmatikw'n mevtrwn ejsti; sunektikov", tou' pevratov" 10 ejstin e[kgono", kaq o{son de; au\ diaiwnivw" ta; pavnta paravgei kai; ªe[stiº kata; to;n o{lon aijw'na pa'sin oJmou' to; ei\nai corhgw'n ajei; th;n eJautou' duvnamin ajnelavttwton e[cei, th'" ajpeiriva". Kai; hJ yuch; tw'/ me;n ajpokatastavsesi kai; periovdoi" metrei'n th;n eJauth'" zwh;n kai; o{ron ejpavgein tai'" 15 eJauth'" kinhvsesin uJpo; th;n tou' pevrato" aijtivan ajnavgetai, tw'/ de; pau'lan tw'n kinhvsewn oujdemivan e[cein, ajlla; to; th'" periovdou tevlo" ajrch;n poiei'sqai deutevra" o{lh" perifora'" zwtikh'", uJpo; th;n th'" ajpeiriva" tavxin telei'. Kai; oJ suvmpa" ou|to" oujrano;" kata; me;n th;n oJlovthta th;n eJautou' 20 kai; th;n sunoch;n kai; th;n tavxin tw'n periovdwn kai; ta; mevtra tw'n ajpokatastavsewn pepevrastai, kata; de; ta;" gonivmou" dunavmei" kai; ta;" poikivla" ajnelivxei" kai; ta;" tw'n kuvklwn ajnekleivptou" ejpanakuklhvsei" ajpeiriva" meteivlhce. Kai; mh;n kai; hJ suvmpasa gevnesi" dia; me;n ta; ei[dh pavnta pepe25 rasmevna kai; ajei; wJsauvtw" eJstw'ta kai; dia; to;n e{na kuvklon to;n th;n oujravnion perifora;n ajpeikazovmenon peratoeidhv" ejsti, dia; de; au\ th;n tw'n kaq e{kasta sunistamevnwn poikilivan kai; th;n ejxallagh;n th;n a[pauston kai; dia; th;n tou' ma'llon kai; h|tton ejn tai'" meqevxesi tw'n eijdw'n paremplokh;n 34 th'" ajpeiriva" ejsti;n eijkwvn. Kai; pro;" touvtoi" au\ tw'n fuvsei ginomevnwn e{kaston kata; me;n to; ei\do" tw'/ pevrati prosevoike, kata; de; th;n u{lhn th'/ ajpeiriva/. Tau'ta ga;r ejscavtw" ejxhvrthtai tw'n duvo meta; to; e}n ajrcw'n, kai; mevcri touvtwn hJ 5 provodo" th'" ejkeivnwn poihvsew". Kai; e[stin eJkavteron me;n kai; touvtwn e{n, ajlla; to; ei\do" mevtron kai; o{ro" th'" u{lh" kai; ma'llon e{n: dunavmei de; hJ u{lh ta; pavnta, kaq o{son ejk th'" prwvth" uJpevsth dunavmew". All ejkei' me;n gennhtikh; tw'n pavntwn hJ duvnami", hJ de; th'" u{lh" duvnami" 10 ajtelh;" kai; th'" tw'n pavntwn kat ejnevrgeian uJpostavsew" ejndehv".

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In effetti da questi due principi tutte quante le cose fino ad arrivare anche alle ultime hanno ottenuto la processione verso l’essere. Ed infatti l’eternità stessa partecipa al contempo del limi- 5 te e dell’illimitatezza: in quanto è di fatto misura intelligibile, essa partecipa del limite, mentre in quanto è principio causale della inesauribile potenza conforme all’essere, essa partecipa dell’illimitatezza. E l’Intelletto, nella misura in cui è uni-forme e totalizzante ed in quanto è atto a tenere unite le misure paradigmatiche, è 10 prodotto generato dal limite, mentre nella misura in cui a sua volta introduce eternamente tutte le entità e nella misura in cui, pur garantendo l’essere a tutte le cose insieme per tutta l’eternità, è sempre dotato della sua potenza senza diminuzioni, esso è un prodotto generato dalla illimitatezza. E l’Anima, per il fatto che scandisce la sua vita per mezzo di ritorni ciclici e di periodi, e per il fatto che impone un limite ai suoi movimenti, è ricondotta sotto 15 il controllo della causa dell’illimitatezza, mentre per il fatto di non avere nessuna «interruzione dei movimenti»85, ma di rendere la conclusione del periodo inizio di un intero secondo movimento ciclico, termina sotto l’ordinamento dell’illimitatezza. E tutto questo nostro cielo nel suo insieme in base alla sua totalità e alla sua 20 connessione e all’ordine dei movimenti periodici e alle misure dei suoi ritorni ciclici, risulta limitato, mentre in base alle potenze generative, ai suoi vari movimenti rotatori e alle incessanti ripetizioni complete dei suoi cicli risulta partecipe della illimitatezza. Ed ancora, tutto l’ambito della generazione nel suo insieme per via di tutte le specie che risultano limitate e stabilite sempre allo 25 stesso modo e per via del suo ciclo unico che riproduce a livello di immagine il moto circolare celeste, fa parte per forma del limite, mentre a sua volta, per via della varietà dei singoli composti individuali e del loro incessante mutamento e per via dell’inserimento del più e del meno nella partecipazione alle forme, è imma- 34 gine dell’illimitatezza. Ed inoltre ciascuna a sua volta delle entità generate in natura è simile in base alla forma al limite, mentre, in base alla materia, all’illimitatezza. Queste entità infatti risultano dipendere in modo estremo dai due principi che vengono dopo l’Uno, e fino ad esse arriva la processione della produzione appar- 5 tenente ai due principi. E anche ciascuno di questi elementi è uno, ma la forma è misura e limite della materia ed è maggiormente uno: invece «la materia è in potenza tutte le cose»86, nella misura in cui risulta sussistere dalla prima potenza. Ma in quell’ambito la potenza è generatrice di tutte le cose, mentre la materia è potenza 10 imperfetta e necessita della sussistenza di tutte le cose in atto.

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Eijkovtw" a[ra kai; oJ Swkravth" e[legen ejk pevrato" ei\nai kai; ajpeivrou ta; o[nta pavnta kai; ta;" duvo tauvta" nohta;" ajrca;" ajpo; tou' qeou' prwvtw" uJfestavnai. To; ga;r kai; sunavgon ajmfotevra" kai; teleiou'n kai; dia; pavntwn ejkfai'non tw'n o[ntwn to; pro; th'" duavdo" ejsti;n e{n: kai; hJ me;n e{nwsi" toi'" pa'sin ejk tou' prwvtou, hJ de; diaivresi" tw'n duvo stoiceivwn ejk tw'n prwtourgw'n touvtwn aijtivwn ajpogenna'tai kai; dia; touvtwn ejpi; th;n a[rrhton kai; a[gnwston ajrch;n ajnateivnetai.

qV Tivne" me;n ou\n eijsin aiJ duvo tw'n o[ntwn ajrcai; prosecw'" ejk tou' eJno;" ajnafanei'sai kata; th;n tou' Plavtwno" qeologivan, dia; touvtwn e[stw katafanev": to; de; ejk touvtwn trivton ajnafainovmenon tiv potev ejsti, meta; tau'ta levgwmen. 25 Kalei'tai me;n ou\n pantacou' miktovn, wJ" ejk pevrato" 35 kai; ajpeiriva" uJpostavn. Eij de; to; pevra" tw'n o[ntwn h\n pevra" kai; to; a[peiron tw'n o[ntwn a[peiron kai; e[sti ta; ejx ajmfoi'n e[conta th;n suvstasin ta; o[nta, kaqavper aujto;" safw'" oJ Swkravth" ajnadidavskei, dh'lon o{ti to; prwvtiston 5 tw'n miktw'n prwvtistovn ejsti tw'n o[ntwn, tou'to de; oujde;n a[llo ejsti;n h] to; ajkrovtaton ejn toi'" ou\si kai; o{ ejstin aujtoo;n kai; oujde;n a[llo h] o[n. Levgw de; ou{tw" dia; *** kai; to; prwvtw" o]n pavntwn ei\nai nohtw'" perilhptiko;n ajpedeivknumen, kai; th'" zwh'" kai; 10 tou' nou': kai; ga;r th;n zwh;n triadikh;n ei\nai zwtikw'" kai; to;n nou'n noerw'": kai; ei\nai pantacou' me;n ta; triva tau'ta, to; o[n, th;n zwhvn, to;n nou'n, prwvtw" de; kai; oujsiwdw'" ejn tw'/ o[nti pavnta prou>pavrcein. Ekei' ga;r kai; hJ oujsiva kai; hJ zwh; kai; oJ nou'": kai; hJ *** ajkrovth" tw'n o[ntwn, hJ 15 de; zwh; to; mevson kevntron tou' o[nto", nohth; zwh; legomevnh kai; ou\sa, oJ de; nou'" to; pevra" tou' o[nto" kai; ªoJº nohto;" nou'". Esti ga;r ejn tw'/ nohtw'/ nou'" kai; ejn tw'/ nw'/ nohtovn: ajll ejkei' me;n nohtw'" oJ nou'", ejn de; tw'/ nw'/ noerw'" to; nohtovn. 20

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A ragione dunque anche Socrate diceva che tutti gli enti sono fatti di limite e di illimitato e che questi due principi intelligibili sussistono in modo primario dal Dio. Infatti ciò che al contempo mette insieme entrambi questi principi, che li rende perfetti e che li fa apparire attraverso tutti i livelli degli enti è l’Uno che viene prima della Diade; e da un lato l’unificazione giunge a tutti le entità dal Primo, mentre la divisione dei due elementi è generata da queste cause originarie e attraverso queste risale al Principio ineffabile ed inconoscibile. 9 [Qual è la terza entità che viene introdotta dai due principi, e per quale motivo Socrate nel “Filebo” la chiama “misto”; e che non è altro se non l’Essere in senso primo, e in che modo questo è proceduto dai due principi ed al contempo a partire dall’Uno]

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Quali sono dunque i due principi degli enti che si manifestano direttamente a partire dall’Uno secondo la teologia di Platone, attraverso tali considerazioni risulti evidente; d’altro canto che cosa mai sia ciò che si manifesta «per terzo a partire da questi principi»87, diciamolo ora dopo tali considerazioni. Ebbene, in ogni 25 ambito lo si chiama «misto», in quanto viene a sussiste a partire 35 dal limite e dall’illimitatezza. D’altra parte se il limite è risultato il limite degli enti e l’illimitato è risultato l’illimitato degli enti e le entità che da entrambi i principi traggono la loro sussistenza sono gli enti, come illustra chiaramente lo stesso Socrate88, è evidente che il primissimo dei misti è il primissimo degli enti, ma questo 5 non è nient’altro che il più elevato degli enti e che è essere-in-sé e nient’altro che essere. D’altra parte mi esprimo in questi termini per via 89 e noi dimostravamo che l’Essere in senso primario è atto a comprendere in sé tutte le entità, sia la Vita sia l’Intelletto90: ed infatti la Vita 10 è triadica in modo conforme alla vita e l’Intelletto in modo conforme all’intelletto; ed ovunque si trovano queste tre entità: essere, vita e intelletto; d’altronde esse preesistono tutte in modo primario ed essenziale nell’Essere. Lì infatti vi sono sia l’essenza sia la vita sia l’intelletto; e l’91 è sommità degli enti, mentre 15 la vita è il centro mediano dell’essere, la quale viene detta e di fatto è vita intelligibile; l’intelletto dal canto suo è il limite dell’essere ed è intelletto intelligibile. Infatti nell’intelligibile v’è intelletto e nell’intelletto v’è intelligibile; ma là nell’intelligibile l’intellet-

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Kai; hJ me;n oujsiva to; movnimon tou' o[nto" kai; to; tai'" prwtivstai" ajrcai'" sunufainovmenon kai; ajnekfoivthton tou' eJnov": hJ de; zwh; to; proi>o;n ajpo; tw'n ajrcw'n kai; th'/ ajpeivrw/ dunavmei sumfuovmenon: oJ de; nou'" to; ejpistrevfon eij" ta;" ajrca;" kai; sunavpton th'/ ajrch'/ to; pevra" kai; kuvklon e{na nohto;n ajpergazovmenon. 25 Trittou' toivnun o[nto" ãtou' o[nto"Ã, kai; tou' me;n oujsiwdou'" ªtou'º ejn aujtw'/, tou' de; zwtikou', tou' de; noerou', pavntwn de; oujsiwdw'" ejn aujtw'/ prou>parcovntwn, to; prwvtiston tw'n 36 o[ntwn ejsti; to; ejk tw'n prwtivstwn ajrcw'n mignuvmenon, levgw dh; th;n oujsivan. H ga;r aujtoousiva pavntwn ejsti; tw'n o[ntwn ajkrovth" kai; oi|on monav" ejsti tw'n o{lwn: kai; ejn a{pasi toivnun toi'" ou\sin hJ oujsiva to; prwvtiston, kai; ejn eJkavstw/ 5 to; oujsiw'dev" ejsti presbuvtaton wJ" ajpo; th'" tw'n o[ntwn eJstiva" uJpostavn. Kai; ga;r to; nohto;n mavlista tou'tov ejstin, ejpeidh; nou'" mevn ejsti to; gnwstikovn, hJ de; zwh; novhsi", nohto;n de; to; o[n. Eij dh; miktovn ejsti pa'n to; o[n, to; de; aujtoo;n hJ oujsiva, pro; tw'n a[llwn aJpavntwn hJ oujsiva to; miktovn ejstin, ejk 10 trivtwn ajpo; tou' eJno;" uJfistamevnh. Dio; dh; kai; oJ Swkravth" ejndeiknuvmeno" o{pw" ejxhvllaktai th'" ajpogennhvsew" oJ trovpo" ejpiv te tw'n duei'n ajrcw'n kai; tou' miktou', to; me;n pevra" kai; to; a[peiron dei'xaiv fhsi to;n qeovn (eJnavde" gavr eijsin ajpo; tou' eJno;" uJposta'sai kai; oi|on ejkfavnsei" 15 ajpo; th'" ajmeqevktou kai; prwtivsth" eJnwvsew"), to; de; mikto;n poiei'n kai; sugkerannuvnai dia; tw'n prwvtwn ajrcw'n. Osw/ dh; to; poiei'n tou' ejkfaivnein katadeevsteron kai; hJ gevnnhsi" th'" ejkfavnsew", tosouvtw/ dhvpou to; mikto;n uJfeimevnhn e[lace th;n ajpo; tou' eJno;" provodon tw'n duvo ajrcw'n. 20 Oujsiva toivnun ejsti; nohth; to; miktovn: kai; uJfivstatai prwvtw" me;n ajpo; tou' qeou', par ou| kai; to; a[peiron kai; to; pevra", deutevrw" de; ajpo; tw'n meta; to;n eJniai'on qeo;n ajrcw'n, tou' ajpeivrou levgw kai; tou' pevrato". H ga;r tetavrth aijtiva, hJ th'" mivxew" poihtikhv, pavlin aujtov" ejstin oJ qeov". 25 Epei; kai; ei[ ti" a[llhn uJpoqoi'to par aujthvn, oujkevti tevtarton, ajlla; pevmpton uJpoqhvsetai. Prw'to" me;n ga;r h\n oJ qeo;" oJ ta;" duvo ejkfaivnwn ajrcav", duvo de; meta; tou'ton 20

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to è in forma intelligibile, invece nell’intelletto l’intelligibile è in forma intellettiva. E l’essenza è l’elemento stabile dell’essere e ciò che è collegato ai primissimi principi e che è inseparabile dal- 20 l’Uno; la vita poi è ciò che procede dai principi ed è per natura unita alla potenza illimitata; l’intelletto a sua volta è ciò che converte ai principi e che connette al principio il limite e realizza un unico cerchio intelligibile. Pertanto, dato che triplice è l’essere, e in esso si trova una 25 componente di natura essenziale, una di natura vitale ed un’altra ancora di natura intellettiva, e dato che tutte queste componenti preesistono in esso in forma essenziale, il primissimo degli enti è 36 ciò che risulta dalla mescolanza dei primissimi principi, intendo appunto dire l’essenza. Infatti l’essenza-in-sé è la sommità di tutti gli enti ed è per così dire una monade della totalità degli enti: e in tutti gli enti pertanto l’essenza è l’elemento primissimo, ed in ciascun ente la componente di forma essenziale è assolutamente ori- 5 ginaria in quanto risulta sussistere a partire dal “focolare” degli enti92. Ed in effetti l’intelligibile per eccellenza è questo, dal momento che l’intelletto è l’elemento atto a conoscere, la vita è l’intellezione, e l’essere infine è l’intelligibile. Se tutto l’essere è in effetti misto, e se dal canto suo l’essenza è l’essere-in-sé, prima di tutte quante le altre entità l’essenza è il misto, in quanto essa sus- 10 siste al terzo posto a partire dall’Uno. Questo è il motivo per cui anche Socrate, mettendo in luce come la modalità della generazione muti nel caso dei due principi e del misto, dice che «il Dio ha mostrato il limite e l’illimitato (infatti vi sono enadi che sussistono a partire dall’Uno e che sono per così dire manifestazioni originate dall’unità impartecipabile e primissima), mentre esso «pro- 15 duce»93 il misto e lo mescola attraverso i principi primi. Quanto appunto inferiore è il produrre al far apparire e la generazione al manifestarsi, tanto di livello inferiore risulta a mio giudizio la processione che a partire dall’Uno il misto ha ottenuto rispetto ai due principi. Pertanto il misto è essenza intelligibile; e viene a sussistere in 20 modo primario a partire dal Dio da cui derivano l’illimitato e il limite, mentre in modo secondario viene a sussistere a partire dai principi che vengono dopo il Dio unitario, intendo dire dall’illimitato e dal limite. Di fatto la quarta causa, quella che è produttrice della mescolanza, è di nuovo il Dio stesso. Ed infatti se si 25 supponesse un’altra causa oltre essa, si dovrà supporre non più un quarto principio causale, bensì un quinto. Infatti Primo è risultato il Dio che fa apparire i due principi, due poi sono i principi che

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ajrcaiv, to; pevra" kai; a[peiron, tevtarton de; to; miktovn. Eij toivnun to; th'" mivxew" ai[tion ejxhvllaktai th'" qeiva" 37 aijtiva" th'" prwtivsth", pevmpton a]n ei[h tou'to, kai; ouj tevtarton, w{" fhsin oJ Swkravth". Eti de; pro;" touvtoi", eij to;n qeo;n eJnwvsew" mavlistav famen ei\nai corhgo;n toi'" ou\si kai; hJ mivxi" au{th tw'n ajrcw'n e{nwsiv" ejstin eij" th;n 5 tou' o[nto" uJpovstasin, dh'lon o{ti kai; tauvth" oJ qeo;" ai[tiov" ejsti prwvtw". Kai; mh;n kai; oJ ejn Politeiva/ Swkravth" diarrhvdhn ajpofaivnetai tajgaqo;n ai[tion ei\nai tou' te o[nto" kai; th'" oujsiva" toi'" nohtoi'", w{sper to;n h{lion toi'" oJratoi'": pw'" ou\n oujk ajnavgkh to; miktovn, ei[per ejsti; to; prwvtw" 10 o[n, eij" to;n prw'ton ajnafevrein qeovn, kai; levgein ajp ejkeivnou th;n provodon eijlhfevnai Eij de; kai; oJ ejn Timaivw/ dhmiourgo;" th;n oujsivan th'" yuch'" aujth;n kaq auJth;n uJfivsthsin ejk th'" ajmerivstou kai; th'" meristh'", o} taujto;n tw'/ ejk pevrato" kai; ajpeivrou – e[oike ga;r th'/ me;n ajmerivstw/ kata; 15 to; pevra", th'/ de; meristh'/ kata; to; a[peiron – eij toivnun oJ dhmiourgo;" ejk touvtwn sugkeravnnusi th;n oujsivan th'" yuch'", kai; to; taujto;n au\ kai; to; e{teron cwriv", ei\t ejk touvtwn h[dh proovntwn th;n o{lhn uJfivsthsi yuchvn, pw'" ouj pollw'/ meizovnw" to;n prw'ton qeo;n th'" prwtivsth" oujsiva" 20 ai[tion fhvsomen Proveisi me;n ãou\nà ejk tou' prwvtou to; miktovn, w{sper ei[pomen, kai; oujk e[stin ejk tw'n meta; to; e}n ajrcw'n movnon, proveisi de; kai; ejk touvtwn, kai; e[sti triadikovn, th;n me;n prwvthn ejk tou' qeou' metevcon eJnwvsew" ajrrhvtou kai; th'" 25 o{lh" uJpostavsew", ejk de; tou' pevrato" th;n u{parxin kai; to; monoeide;" kai; th;n movnimon ijdiovthta lambavnon, ejk de; th'" ajpeiriva" th;n duvnamin kai; th;n ejn aujtw'/ kruvfion tw'n pavntwna. Olw" gavr, ejpei; kai; e{n ejsti kai; oujc e{n, to; 38 me;n e}n aujtw'/ kata; to; pevra" uJpavrcei, to; de; oujc e}n kata; to; a[peiron, hJ de; touvtwn ajmfotevrwn suvmmixi" kai; oJlovth" ejk tou' prwvtou. Kai; mona;" ou\n ejsti to; miktovn, diovti metevcei tou' eJnov", kai; duoeidev" ejsti, kaq o{son ejk tw'n duvo proelhv5 luqen ajrcw'n, kai; triav", kaq o{son ejn panti; miktw'/ triw'n touvtwn dei' kata; to;n Swkravthn, kavllou", ajlhqeiva", summetriva". Alla; peri; me;n touvtwn eijsau'qi" ejrou'men: o{pw" de; to; prwvtw" mikto;n hJ oujsiva, nu'n diarqrwvswmen. Tou'to ga;r dh; 10 tw'n pavntwn ejsti;n eij" eu{resin calepwvtaton, tiv to; prwvtw" a Gli Editori individuano qui una lacuna che, a mio giudizio, non pare invece sussistere.

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vengono dopo esso, il limite e l’illimitato, quarto infine il misto. Se pertanto ciò che è principio causale della mescolanza risulta diverso dalla primissima causa divina, tale principio sarebbe quinto, e 37 non quarto, come afferma Socrate. Ancora poi oltre a ciò, se diciamo che il dio è per eccellenza il garante dell’unificazione per gli enti e se questa mescolanza è unificazione dei principi volta al sus- 5 sistere dell’essere, è evidente che anche di questa unificazione è causa in modo primario il Dio. Ed inoltre anche Socrate nella Repubblica dichiara in termini espliciti che il Bene è causa dell’essere ed anche dell’essenza per gli intelligibili, come il sole94 per gli oggetti visibili: come dunque non risulta necessario ricondurre il 10 misto, se è vero che è l’essere in senso primario, al Primo Dio, ed affermare che esso ha avuto la processione da quello? D’altra parte se il Demiurgo del Timeo fa sussistere l’essenza in sé e per sé dell’anima «da quella indivisa e da quella divisa», il che è identico a ciò che sussiste a partire dal limite e dall’illimitato – infatti l’anima assomiglia all’essenza indivisa in base al limite, mentre a 15 quella divisa in base all’illimitato – se pertanto il Demiurgo «mescola» questi elementi per produrre l’essenza dell’anima, e poi a loro volta «l’identico» e «il diverso» separatamente, e se poi a partire da questi elementi preesistenti fa sussistere l’anima universale95, come dunque non affermeremo che in misura ancora maggio20 re il Primo Dio è principio causale della primissima essenza? Il misto procede dunque dal Primo, come abbiamo detto96 e non deriva solo dai principi che vengono dopo l’Uno, bensì procede anche da questi ultimi, ed è triadico, in quanto in primo luogo è da parte del Dio che risulta partecipe di una unità ineffabile e della totalità della sua sussistenza, mentre è dal limite che 25 ottiene la sua realtà, la sua forma unitaria ed il suo specifico carattere di stabilità, mentre dall’illimitatezza la potenza, anche quella che è in esso celata, di tutte le cose. Infatti in generale, dato che è uno ed al tempo stesso non-uno, esso possiede di fatto l’uno in 38 base al limite, mentre il non-uno in base all’illimitato, mentre la mescolanza di entrambi e la totalità provengono dal Primo. E dunque il misto è monade, per il fatto che partecipa dell’Uno, ed è di forma duplice, nella misura in cui risulta procedere dai due principi, ed è una triade, nella misura in cui in ogni misto devono 5 trovarsi secondo Socrate questi tre entità: «bellezza», «verità» e «proporzione»97. Ma di queste entità parleremo in seguito98; ora invece dobbiamo spiegare dettagliatamente in che senso il misto a livello primario è l’essenza. Questa infatti è certo la cosa tra tutte più difficile 10

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o]n *** w{" pouv fhsi kai; oJ Eleavth" xevno", ouj par e[latton tou' mh; o[nto" ei\nai to; o[n, ajporwvtaton. Pw'" toivnun ejk pevrato" hJ oujsiva kai; ajpeivrou, lektevon. Eij ga;r kai; to; pevra" kai; to; a[peiron uJperouvsia, dovxeien a]n hJ oujsiva th;n 15 uJpovstasin ejk mh; oujsiw'n e[cein. Pw'" ou\n aiJ mh; oujsivai poiou'si th;n oujsivan H tou'to kajn toi'" a[lloi" a{pasivn ejstin o{sa kata; mivxin ajllhvlwn uJfevsthken: to; ga;r ejk tw'n memigmevnwn oujk e[sti toi'" ajmivktoi" taujtovn. Ou[te ga;r hJ yuch; taujtovn ejsti toi'" gevnesin ejx w|n sugkerannumevnwn 20 ajpegevnnhsen aujth;n oJ pathvr, ou[te oJ eujdaivmwn bivo" oJ aujtov" ejsti tw'/ kata; nou'n h] kaq hJdonh;n bivw/, ou[te to; ejn swvmasin e}n taujto;n toi'" eJautou' stoiceivoi". Wste kai; to; prwvtw" o]n ouj qaumasto;n eij mhvte pevra" o]n mhvte a[peiron ejx ajmfoi'n uJpevsth, kai; e[sti miktovn, oujk aujtw'n tw'n uJperou25 sivwn aujtou' eij" th;n mivxin pareilhmmevnwn, ajll ejkeivnwn me;n ejxh/rhmevnwn, deutevrwn de; ajp ejkeivnwn proovdwn sumfuomevnwn eij" th;n th'" oujsiva" uJpovstasin. Ou{tw" ou\n ejk 39 touvtwn to; o[n, wJ" metevcon ajmfoi'n kai; to; me;n monoeide;" ajpo; tou' pevrato" e[con, to; de; gennhtiko;n kai; o{lw" to; kruvfion plh'qo" ajpo; th'" ajpeiriva". Esti ga;r pavnta krufivw", kai; dia; tou'to pavntwn ai[tion tw'n o[ntwn. O kai; 5 oJ Eleavth" xevno" hJmi'n ejndeiknuvmeno" th;n me;n prwvthn dunavmenon ajpokalei' to; o[n, wJ" a]n kata; metousivan th'" prwvth" dunavmew" uJposta;n kai; metevcon th'" te uJpavrxew" ejk tou' pevrato" kai; th'" dunavmew" ejk tou' ajpeivrou: proelqw;n de; au\ kai; duvnamin ajforivzetai to; o[n, wJ" oijstiko;n 10 tw'n pavntwn ãkai;Ã gennhtiko;n kai; wJ" pavnta o]n eJnoeidw'". H ga;r duvnami" aijtiva pantacou' tw'n gonivmwn proovdwn kai; panto;" plhvqou", hJ me;n krufiva duvnami" tou' krufivou plhvqou", hJ de; kat ejnevrgeian kai; eJauth;n ejkfhvnasa, tou' pantelou'". 15 Dia; dh; tauvthn oi\mai th;n aijtivan kai; pa'n to; o]n kai; hJ oujsiva pa'sa dunavmei" e[cei sumfuei'", metevcei ga;r th'" ajpeiriva": kai; th;n me;n u{parxin ejk tou' pevrato" komivzetai, th;n de; duvnamin ejk tou' ajpeivrou. Kai; oujde;n a[llo ejsti; to;

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da scoprire: qual è la natura dell’essere in senso primario 99 come da qualche parte afferma anche lo Straniero di Elea, è estremamente problematico che l’essere non sia in misura inferiore rispetto al non-essere. Bisogna pertanto dire in che modo l’essenza sia formata dal limite e dall’illimitato. Se infatti sia il limite sia l’illimitato sono entità sovraessenziali, l’essenza sembrerebbe avere la propria sussistenza a partire da non-essenze. Come dun- 15 que è possibile che le non-essenze producano l’essenza? Piuttosto si verifica in questo caso quanto avviene anche in tutte quelle altre entità che risultano sussistere in base alla loro mescolanza reciproca: in effetti ciò che risulta formato da elementi mescolati non è identico agli elementi non mescolati. Ed infatti l’anima non è identica ai generi dalla cui mescolanza il Padre la 20 ha generata100, né la «vita felice» è identica alla vita conforme all’intelletto o a quella conforme al piacere101, né l’uno che si trova nei corpi è identico ai suoi elementi. Sicché non bisogna meravigliarsi se anche l’essere in senso primario, senza essere né limite né limitato, sussiste a partire da entrambi questi principi, ed è misto, senza che gli elementi sovraessenziali siano compresi 25 essi stessi nella sua commistione, ma quelli da un lato rimangono trascendenti, mentre le processioni seconde che derivano da questi elementi si fondono insieme nel sussistere dell’essenza. Così dunque l’essere deriva da questi principi, in quanto è partecipe 39 di entrambi ed ha, da un lato, il suo carattere uniforme dal limite, mentre quello generativo ed in generale la sua celata molteplicità dall’illimitatezza. Infatti esso è tutte le cose in modo celato, e per questo è principio causale di tutti gli enti. E ciò ce lo mostra 5 anche lo Straniero di Elea quando fin da principio chiama l’essere “dotato di potenza”102, in considerazione del fatto che sussiste in base alla partecipazione della prima potenza e partecipa sia della realtà a partire dal limite sia della potenza a partire dall’illimitato; ancora poi proseguendo definisce l’essere anche come «potenza»103, in quanto fa sussistere e genera tutte le cose, ed in 10 quanto è in modo uni-forme tutte le cose. Infatti la potenza è in ogni ambito causa delle processioni generative e di ogni forma di molteplicità, la potenza celata della molteplicità celata, mentre quella in atto e che si manifesta esplicitamente è causa della molteplicità compiuta. Proprio per questa ragione, a mio giudizio, sia tutto l’essere sia 15 tutta l’essenza posseggono potenze connaturali, in quanto partecipano della illimitatezza; e ricevono la loro realtà dal limite, mentre la loro potenza dall’illimitato. E l’essere non è nient’altro se

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o]n h] mona;" dunavmewn pollw'n kai; u{parxi" plhqunomevnh, kai; dia; tou'to e}n polla; to; o[n. Alla; ta; polla; krufivw" mevn ejsti kai; ajdiakrivtw" ejn toi'" prwvtoi", dih/rhmevnw" de; ejn toi'" deutevroi": o{sw/ gavr ejsti tw'/ eJni; to; o]n suggenevsteron, tosou'ton ma'llon ajpokruvptei to; plh'qo" kai; kat aujth;n movnon ajforivzetai th;n e{nwsin. Tau'tav moi 25 dokou'si kai; oiJ peri; Plwti'non pollavki" ejndeiknuvmenoi to; o]n e[k te ei[dou" kai; u{lh" nohth'" poiei'n, to; ãme;nà ei\do" tw'/ eJni; kai; th'/ uJpavrxei, th;n de; duvnamin ajnavlogon ªuJpoº40 tavttonte" th'/ u{lh/. Kai; eij tou'to levgoien, ojrqw'" levgousin: eij de; a[morfovn tina kai; ajneivdeon fuvsin kai; ajovriston ejpi; th;n nohth;n oujsivan ajnapevmpousi, th'" Platwnikh'" aJmartavnein moi dokou'si dianoiva". Ouj gavr ejstin u{lh tou' pevrato" 5 to; a[peiron, ajlla; duvnami": oujde; ei\do" tou' ajpeivrou to; pevra", ajlla; u{parxi": ejx ajmfoi'n de; to; o[n, wJ" ouj movnon ejn tw'/ eJni; stavn, ajlla; plh'qo" eJnavdwn kai; dunavmewn eij" mivan oujsivan sugkerannumevnwn uJpodexavmenon. 20

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ãiVà To; me;n ou\n prwvtw" o]n dia; tau'ta mikto;n uJpo; tou' Plavtwno" proseivrhtai: kat eijkovna de; aujtou' kai; hJ gevnesi" mikto;n ejk pevrato" kai; ajpeivrou. Kai; to; me;n a[peiron ejn tauvth/ duvnami" ajtelhv", to; de; pevra" ei\do" kai; morfh; th'" dunavmew" tauvth". Dio; tauvthn me;n th;n duvnamin u{lhn tiqevmeqa, to; kat ejnevrgeian oujk e[cousan tou' ei\nai, kai; tou' oJrivzesqai deomevnhn ajllacovqen: th;n de; tou' o[nto" duvnamin, gennhtikh;n tw'n ejnergeiw'n ou\san kai; pavnta ta; o[nta paravgousan ajf eJauth'" kai; tw'n teleivwn dunavmewn ejn toi'" ou\sin oJristikh;n uJpavrcousan, oujkevti fame;n u{lhn ajpokalei'n qemitovn. To; ga;r ejkeivnh" ãtevleionà ajnomoivw" hJ th'" u{lh" memivmhtai duvnami" ajtelh;" genomevnh, kai; th;n ejn ejkeivnh/ tou' plhvqou" wjdi'na dunavmei genomevnh to;

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non monade di potenze molteplici e realtà che si fa molteplice, e per questo «l’essere è Uno-molti». Ma i molti sono in modo cela- 20 to e indistinto nelle prime entità, mentre sono in modo distinto nelle seconde: infatti quanto più l’essere è congenere all’Uno, tanto più cela la sua molteplicità e si definisce solo in base alla sua stessa unificazione. Ed è nell’intento di mettere in luce questi 25 aspetti che i seguaci di Plotino mi sembra che spesso considerino l’essere composto dalla forma e dalla materia intelligibili, e che considerino la forma nell’ordinamento analogo all’Uno e alla realtà, mentre la potenza in quello analogo alla materia104. E se è que- 40 sto che intendono dire, a ragione essi lo dicono: se invece essi attribuiscono alla essenza intelligibile una natura senza figura, senza forma e indefinita, mi sembra che essi si allontanino definitivamente dal pensiero platonico. Infatti l’illimitato non è la mate- 5 ria del limite, bensì la sua potenza; né il limite è la forma dell’illimitato, ma il suo effettivo sussistere; l’essere dal canto suo deriva da entrambi, in quanto esso non è posto solamente nell’Uno, ma ha ricevuto in sé una molteplicità di enadi e di potenze che si mescolano fino a formare una sola ed unica essenza.

[Come anche dalle immagini si potrebbe stabilire che ciò che viene a sussistere per primo da “limite” ed “illimitato” è l’Essere; ed in questo capitolo è stato mostrato anche che “limite” ed “illimitato” sono di due sorte, gli uni nell’Essere, gli altri prima dell’Essere] Ebbene, per queste ragioni l’essere in senso primario è denominato da Platone «misto»; ad immagine di esso, poi, anche la generazione è un misto di limite e illimitato. Ed in quest’ultima l’illimitato è potenza imperfetta, mentre il limite è la forma e la figura di questa potenza. Perciò consideriamo questa potenza come materia, in quanto essa non possiede la componente in atto dell’essere, ed in quanto essa deve essere limitata da altro; dal canto suo la potenza propria dell’essere, che è generatrice degli atti, che introduce da sé tutti gli enti e che è di fatto atta a delimitare negli enti le potenze perfette, non possiamo più dire che è lecito denominarla “materia”. Infatti la potenza propria della materia, in quanto è divenuta una potenza imperfetta, risulta imitare nella forma della dissomiglianza la natura perfetta della potenza propria dell’essere, ed ha riprodotto a livello di immagine il bisogno di partorire che è insito nella potenza propria del-

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plh'qo" ajpeikavsato. Kai; mh;n kai; to; ei\do" tou'to mimei'tai me;n ejscavtw" to; pevra", oJrivzon kai; aujto; th;n u{lhn kai; 25 peratou'n to; a[peiron aujth'": plhquvetai de; kai; merivzetai peri; aujth;n kai; th'/ sterhvsei sunanakevkratai th'" u{lh" 41 kai; th;n a[kran e{nwsin th'" tou' o[nto" uJpavrxew" tw'/ ei\nai ginovmenon ajei; kai; ajpolluvmenon ajpeikonivsato. Ta; ga;r ejn toi'" prwvtoi" o[nta kaq uJperochvn, tau'ta ejn toi'" ejscavtoi" ejsti; kata; e[lleiyin. Epei; kai; to; me;n prwvtw" 5 o]n miktovn ejstin ejk pevrato" kai; ajpeivrou, zwh'" ejxh/rhmevnon kai; ai[tion aujth'" uJpavrcon: to; de; ejk tou' prwvtou tw'n eijdw'n kai; th'" prwvth" u{lh" uJfistavmenon a[zwn mevn ejsti kata; th;n auJtou' fuvsin, dunavmei ga;r e[cei th;n zwhvn. Ekei' me;n ga;r ta; gennhtika; prou>pavrcei tw'n ajpogennwmevnwn 10 kai; ta; tevleia pro; tw'n ajtelw'n uJfevsthken, ejntau'qa de; ta; dunavmei pro; tw'n kat ejnevrgeian kai; ta; sunaivtia toi'" ejx aujtw'n uJpobevblhtai. Tou'to de; oi\mai sumbaivnein ajnavgkh diovti tw'n prwvtwn ajrcw'n aiJ dovsei" kai; mevcri tw'n ejscavtwn dihvkousi, kai; ouj movnon ta; teleiovtera gennw'sin ajlla; 15 kai; ta; ajtelevstera kata; th;n uJpovstasin. Kai; dia; tau'ta to; me;n mikto;n genevsew" ai[tion kai; th'" memigmevnh" ejntau'qa fuvsew", to; de; pevra" kai; to; a[peiron ta; pro; tou' o[nto" ouj tauvth" movnon, ajlla; kai; tw'n tauvth" stoiceivwn, w|n to; mikto;n oujk h\n ai[tion kaq o{son ejsti; 20 miktovn. Ditto;n ga;r to; pevra" kai; to; a[peiron, kai; ta; me;n ejxhv/rhtai tw'n miktw'n, ta; de; eij" th;n sumplhvrwsin aujtw'n pareivlhptai. Dei' ga;r oi\mai pantacou' pro; tw'n memigmevnwn ei\nai ta; a[mikta kai; pro; tw'n ajtelw'n ta; tevleia kai; pro; tw'n morivwn ta; o{la kai; pro; tw'n ejn a[lloi" ta; 25 ejp aujtw'n: kai; tou'to oujk ejpi; eJno;" movnon, ajlla; kai; ejpi; tou' kavllou" kai; ejpi; th'" summetriva" kai; ejpi; pavntwn 42 tw'n eijdw'n oJ Swkravth" uJfhgei'tai poiei'n. Eij toivnun kai; ta; deuvtera kai; ta; trivta tw'n genw'n tou' o[nto" kai; eijdw'n pro; tw'n metecovntwn uJfevsthke, pw'" to; dia; pavntwn tw'n o[ntwn dih'kon pevra" kai; a[peiron memigmevna th;n prwvthn uJfestavnai 5 fhvsomen Amigh' toivnun aujta; kai; cwrista; tou' o[nto"

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l’essere, divenendo la molteplicità in potenza. Ed inoltre anche questo tipo di forma105 imita in modo estremo il limitato, in quanto anche essa delimita la materia e stabilisce i limiti di ciò che di 25 illimitato appartiene a quest’ultima; inoltre si moltiplica e si frammenta nella materia e risulta mescolarsi alla privazione propria della materia e per il fatto di trovarsi nella condizione di «nascere 41 e perire»106 incessantemente essa riproduce a livello di immagine la suprema unità della realtà dell’essere. Infatti quelle entità che si trovano in modo eminente ai primi livelli, si trovano in modo difettivo anche in quelli che vengono per ultimi. E difatti l’essere 5 in senso primario è un misto di limite ed illimitato, che trascende la vita e ne è di fatto il principio causale; invece ciò che sussiste a partire dalla prima delle forme e dalla prima materia è, in base alla sua specifica natura, privo di vita: infatti esso possiede la vita in potenza. In effetti nella realtà superiore le entità generatrici preesistono a quelle generate e le entità perfette risultano sussistere 10 prima di quelle imperfette, invece nella nostra dimensione le entità in potenza risultano sussistere prima di quelle in atto e le cause accessorie sono poste a fondamento dei loro effetti. Questo, a mio giudizio, è inevitabile che accada, per il fatto che i doni dei principi primi si diffondono anche fino a raggiungere gli ultimi livelli del reale, e a generare non sono solo le entità più perfette, ma an15 che quelle più imperfette per livello di sussistenza. Appunto per questi motivi il misto è in questo nostro mondo principio causale di generazione e della natura che risulta da una mescolanza, mentre il limite e l’illimitato, che sono anteriori all’essere, sono cause non solo di questa natura, ma anche dei suoi elementi, dei quali il misto non è risultato principio causale proprio nella misura in cui è misto. Infatti di due diverse forme sono il 20 limite e l’illimitato, nella prima forma trascendono i misti, nella seconda invece prendono parte alla composizione di questi misti. Infatti a mio giudizio in ogni ambito le entità non-mescolate devono essere anteriori a quelle che risultano mescolate, le entità perfette anteriori a quelle imperfette, gli interi anteriori alle parti, e le entità che sono in sé stesse anteriori a quelle che sono in altro; ed è questo che non solo a proposito dell’unità, ma anche a proposi- 25 to della bellezza, della proporzione e di tutte le forme, Socrate 42 suggerisce di fare107. Se pertanto anche i secondi e i terzi tra i generi e le specie dell’essere sussistono anteriormente alle entità partecipate, in che modo potremo affermare che il limite e l’illimitato che si diffondo attraverso tutti gli enti sussistono in origine come entità mescolate? Pertanto si deve supporre che essi108 5

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uJpoqetevon, kai; to; o]n ajp aujtw'n a{ma kai; ejx aujtw'n: ajp aujtw'n me;n wJ" prou>parcovntwn, ejx aujtw'n de; wJ" kata; deutevran provodon ejn aujtw'/ genomevnwn. Kai; ta; tou' o[nto" gevnh dittav, ta; me;n dhmiourgika; tw'n o[ntwn, ta; de; stoicei'a th'" eJkavstou fuvsew": ta; me;n ga;r aujta; kaq eJauta; prou>fevsthken wJ" poihtikav, ta; de; ejk touvtwn ajpogennwvmena sunivsthsin e{kaston. Mhdei;" ou\n e[ti qaumazevtw pw'" oJ me;n Swkravth" to; mikto;n ejn tw'/ Filhvbw/ tou' te pevrato" kai; th'" ajpeiriva" protivqhsin, hJmei'" de; e[mpalin tou' miktou' to; pevra" kai; a[peiron ejxh/rhmevnon ajpofaivnomen. Ditto;n ga;r eJkavteron, kai; to; me;n pro; tou' o[nto", to; de; ejn tw'/ o[nti, kai; to; me;n gennhtikovn, to; de; stoicei'on tw'n miktw'n. Toiou'ton dev ejsti kai; to; pevra" tou' miktou' bivou kai; to; a[peiron, wJ" stoicei'on eJkavteron ei\nai th'" o{lh" eujdaimoniva". Dio; dh; kai; ejndee;" eJkavteron eJkatevrou, kai; ou[te nou'" kaq eJauto;n ejfeto;" ou[te hJdonh; teleiva, dei' de; to; ajgaqo;n ejk pavntwn ei\nai, tou' ejfetou', tou' iJkanou', tou' teleivou. To; me;n ou\n pevra" aujto; kai; to; a[peiron to; cwristo;n tou' miktou' prou>pavrcei kat aijtivan, to; de; pevra" kai; to; a[peiron to; mikto;n ajtelevsteron tou' mivgmatov" ejstin. ãiaVÃ Ek tivnwn me;n ou\n to; miktovn, dh'lon ajpo; touvtwn: peri; de; th'" triavdo" th'" sunuparcouvsh" aujtw'/ lektevon meta; tau'ta. Pa'sa ga;r mivxi", a[nper ojrqw'" ajpergavzhtai, fhsi;n oJ Swkravth", tw'n triw'n dei'tai touvtwn, kavllou", ajlhqeiva", summetriva". Ou[te ga;r aijscro;n parempi'ptovn ti th'" mivxew" ojrqovthta parevcetai, plhmmeleiva" o]n ai[tion kai; th'" ajtavktou pleonexiva": ou[te to; ajlhqev" pote cwrizovmenon ejk kaqarw'n kai; tw'/ o[nti kratoumevnwn ajfivhsi genevsqai th;n suvmmixin, ajll eijdwvlou kai; tou' mh; o[nto" ajnapivmplhsi to; o{lon: ou[te summetriva" cwri;" koinwniva

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siano non-mescolati e separati dall’essere, e che l’essere derivi da essi e risulti da essi costituito; e deriva da essi, in quanto sono preesistenti, mentre è costituito da essi, in quanto essi vengono a trovarsi in lui in base ad una seconda processione. Anche i generi dell’essere sono di due sorte: gli uni sono realizzatori degli enti, mentre gli altri sono elementi di ogni singola natura; gli uni infatti preesistono in sé e di per se stessi come principi produttori, gli altri invece, che sono generati dai primi, costituiscono ciascun ente. Nessuno dunque si meravigli più del modo in cui Socrate nel Filebo anteponga il misto al limitato ed all’illimitato109, mentre noi mostriamo che all’inverso il limite e l’illimitato trascendono il misto. In effetti ciascuno dei due è di due tipi: un tipo è anteriore all’essere, mentre l’altro è nell’essere, e un tipo è generatore, mentre l’altro è una componente delle entità miste. Di tal fatta d’altronde sono anche il limite e l’illimitato propri della vita mista, in modo che ciascuno di essi risulti una componente della felicità totale. Questo è proprio il motivo per cui ciascuno dei due ha bisogno dell’altro, e né l’intelletto è un oggetto desiderabile di per se stesso né il piacere è una cosa perfetta, ma il bene dal canto suo deve risultare costituito da tutti questi elementi, dal «desiderabile», dal «sufficiente» e dal «perfetto»110. Dunque il limite in se stesso ed il limitato che sono rispettivamente separati dal misto preesistono ad esso in qualità di causa, mentre il limite e l’illimitato che sono misti sono più imperfetti della mescolanza che ne deriva.

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[Qual è la triade che Socrate nel “Filebo” afferma che appartiene ad ogni “misto”]

Da quali elementi dunque risulta costituito il misto, è chiaro in base a queste considerazioni; bisogna poi parlare dopo tali questioni della triade che coesiste con esso. In effetti ogni mescolanza, qualora sia effettivamente realizzata nel modo corretto, afferma Socrate111, necessita di questi tre elementi: «bellezza», «verità» e «proporzione». Infatti né l’insinuarsi di qualcosa di brutto fornisce una corretta mescolanza, in quanto ciò è responsabile di dismisura e dell’eccesso disordinato; né un eventuale disgiungimento del vero concede che si venga a formare la commistione di elementi puri e che sono dominati dall’essere, ma esso contamina il tutto di parvenza e di non-essere; e senza proporzione non vi

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tw'n stoiceivwn e[stai kai; eujavrmosto" oJmiliva. Dei' toivnun th'" me;n summetriva" pro;" th;n e{nwsin tw'n summignumevnwn kai; th;n proshvkousan koinwnivan, th'" de; ajlhqeiva" pro;" 15 th;n kaqarovthta, tou' de; kavllou" pro;" th;n tavxin: o} kai; to; o{lon ejrasto;n ajpotelei'. To; ga;r e{kaston th;n eJautw'/ sunarmovttousan e[cein ejn th'/ mivxei cwvran tav te stoicei'a kai; to; ejx aujtw'n tetagmevnon ajpofaivnei ãkai;Ã kalovn. Entau'qa toivnun ejn tw'/ prwvtw/ miktw'/ ta; triva tau'ta 20 pevfhne, to; suvmmetron, to; ajlhqev", to; kalovn. Kai; to; me;n suvmmetron tou' e}n ei\nai to; o]n ai[tion tw'/ miktw'/, to; de; ajlhqe;" tou' o[ntw" ei\nai, to; de; kalo;n tou' nohto;n ei\nai. Nohto;n a[ra kai; o[ntw" o[n ejsti kai; eJnoeidevsteron to; prwvtw" o[n: kai; sunh'ptai me;n oJ nou'" pro;" aujto; kata; th;n pro;" to; kalo;n 25 oijkeivwsin, metevcei de; e{kasta tou' ei\nai diovti tou' o[nto" ejsti;n o[n, ajkrovtaton dev ejstin ejn toi'" ou\sin ejkei'no diovti 44 tw'/ ajgaqw'/ sunhvnwtai. Tau'ta dhv moi dokei' ta;" trei'" tou' o[nto" aijtiva" kai; oJ qei'o" Iavmblico" katidw;n ejn trisi; touvtoi", ajforivzein to; nohto;n summetriva/ kai; ajlhqeiva/ kai; kavllei, kai; dia; touvtwn tou;" nohtou;" qeou;" ejkfaivnein ejn 5 th'/ platwnikh'/ qeologiva/. Kai; o{pw" me;n ejk touvtwn to; nohtovn ejsti plavto", e[stai proi>ou'sin ejnargevstaton: nuni; de; ejkei'no pavntw" ejk tw'n eijrhmevnwn safev", diovti fhsi;n oJ Swkravth" th;n triavda tauvthn ajneurw;n ejn proquvroi" ei\nai tou' ajgaqou'. To; 10 ga;r prwvtw" o]n kata; th;n pro;" to; ajgaqo;n e{nwsin th'" triavdo" tauvth" metevsce, diovti me;n ejkei'no pavntwn ejsti; tw'n o[ntwn mevtron, suvmmetron kai; aujto; genovmenon, diovti de; ejkei'no pro; tou' o[nto", wJ" o[ntw" uJpostavn, diovti de; ajgaqo;n ejkei'no kai; ejfetovn, aujtokalo;n ajnafanevn. Entau'qa 15 toivnun kai; to; prw'ton kavllo", kai; dia; tou'to to; e}n ouj movnon tw'n ajgaqw'n ai[tion ajlla; kai; tw'n kalw'n, w{" fhsi Plavtwn ejn Epistolai'". Alla; krufivw" ejntau'qa to; kavllo", ejpei; kai; pavnta eJnoeidw'" oJ diavkosmo" ou|to" perievcei, prw'to" ajpo; tw'n ajrcw'n uJpostav". Pou' de; ejkfaiv20 netai kai; o{pw", mikro;n u{steron ejxhghsovmeqa.

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sarà comunione tra gli elementi e relazione armoniosa. V’è pertanto bisogno della proporzione per l’unione degli elementi mescolati e per la loro opportuna comunione, mentre della verità per la 15 purezza, ed infine della bellezza per l’ordine: tutto ciò rende il tutto amabile. Infatti che ciascuno occupi nella mescolanza il posto che gli si confà fa risultare ordinati e belli gli elementi ed anche ciò che da essi è composto. Qui pertanto, nel primissimo misto sono apparsi questi tre elementi, il proporzionato, il vero, il bello. Ed il proporzionato è prin- 20 cipio causale per il misto del fatto che l’essere è uno, il vero del fatto che è realmente, infine il bello del fatto che è intelligibile. Dunque l’essere in senso primario è intelligibile, realmente essere e più uni-forme; e l’intelletto a sua volta risulta unito ad esso in base alla sua affinità con il bello, e dal canto loro ciascuno di que- 25 sti elementi partecipa dell’essere per il fatto che quello è “essere dell’essere”112, ed inoltre è la “sommità suprema” fra gli enti per il fatto che risulta unito al Bene. Proprio in questa prospettiva mi 44 sembra che anche il divino Giamblico, avendo individuato in questi tre elementi le tre cause dell’essere, definisca l’intelligibile con le nozioni di “proporzione”, “verità” e “bellezza”, e attraverso 5 queste riveli gli dèi intelligibili nella teologia platonica113. A questo punto, in che modo l’ambito intelligibile risulti costituito da questi tre elementi, apparirà chiarissimo più avanti114; ora però diverrà, in base a quanto si è detto, assolutamente chiaro il motivo per cui Socrate afferma di aver scoperto che questa triade si trova «nel vestibolo del Bene»115. Infatti è in base alla sua unio- 10 ne con il Bene che l’essere in senso primario ha partecipato di questa triade, in quanto è per il fatto che il Bene è «misura di tutti» gli enti116, che anche l’essere in senso primario è diventato proporzionato, mentre è per il fatto che quello è anteriore all’essere, che esso risulta sussistere come realmente essere, infine è per il fatto che quello è buono e desiderabile, che esso è apparso come Bello-in-sé. In questo ambito pertanto si trova anche la prima 15 Bellezza, e attraverso questa l’Uno non solo è «causa» dei beni, ma anche «delle cose belle», come afferma Platone nelle Lettere117. Ma in questo ambito la Bellezza si trova in modo celato, dal momento che questo ordinamento comprende tutte le cose in modo uni-forme, in quanto esso risulta sussistere per primo a partire dai principi. Ma dove ed in che modo la Bellezza si rivela, 20 lo spiegheremo poco più avanti118.

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ãibVÃ Toiauvth me;n ou\n kata; to;n ejn Filhvbw/ Swkravthn tw'n nohtw'n hJ prwtivsth triav", pevra", a[peiron, ãmiktovnÃ. Wn to; me;n pevra" ejsti; qeo;" ejp a[krw/ tw'/ nohtw'/ proelqw;n ajpo; 45 tou' ajmeqevktou kai; prwtivstou qeou', pavnta metrw'n kai; ajforivzwn kai; pa'n to; patriko;n kai; sunektiko;n kai; a[cranton tw'n qew'n gevno" uJfistav": to; de; a[peiron duvnami" ajnevkleipto" tou' qeou' touvtou, pavsa" ta;" gennhtika;" diakosmhvsei" 5 ejkfaivnousa kai; pa'san th;n ajpeirivan, thvn te proouvsion kai; th;n oujsiwvdh kai; mevcri th'" ejscavth" u{lh": to; de; mikto;n oJ prwvtisto" kai; uJyhlovtato" diavkosmo" tw'n qew'n kai; krufivw" ta; pavnta suneilhfwv", kata; triavda me;n nohth;n sunektikh;n sumplhrouvmeno", panto;" de; tou' o[nto" 10 th;n aijtivan eJniaivw" perievcwn kai; ejn toi'" nohtoi'" toi'" prwtivstoi" ajkrovthta ªkai;º tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn iJdrusavmeno". Meta; de; th;n triavda tauvthn prwvthn ajpo; tou' eJno;" uJposta'san kai; tw'/ eJni; sunhnwmevnhn, deutevran uJmnhvswmen 15 ajpo; tauvth" proi>ou'san kai; dia; tw'n ajnalovgwn th'/ pro; aujth'" sumplhroumevnhn. Anavgkh me;n ga;r kajn tauvth/ metevcon ei\nai to; o]n kai; metecovmenon to; e{n, kai; tou'to gennhtiko;n ei\nai to; deutevrw" e}n tou' deutevrw" o[nto", pantacou' ga;r hJ metecomevnh qeovth" uJfivsthsi to; metevcon 20 peri; eJauthvn: ou{tw kai; aiJ o{lai yucai; ta; swvmata sunufista'si toi'" eJautw'n aijtivoi" kai; aiJ merikai; ta;" ajlovgou" sunapogennw'si toi'" qeoi'": pollw'/ dh; ou\n meizovnw" oiJ qeoi; tw'/ eJni; ta; pavnta sumparavgousin. Wsper ou\n hJ prwtivsth tw'n eJnavdwn ajpogenna'/ th;n ajkrovthta tou' o[nto", 25 ou{tw dh; kai; hJ mevsh to; mevson uJfivsthsi. Pa'n de; to; gennw'n kai; pa'n to; poiou'n h] paravgon duvnamin e[cei tw'n paragomevnwn oijstikhvn, kaq h}n kai; proavgei kai; dunamoi' kai; sunevcei ta; ajp aujth'". Pavlin a[ra tria;" e[stai deutevra 46 th'/ prwvth/ lacou'sa th;n ajnavlogon e[kfansin: kai; to; mevn ejstin aujth'" a[kron, o} dh; kalou'men e}n kai; qeovthta kai; u{parxin, to; de; mevson, ão}Ã prosagoreuvomen duvnamin,

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[Discorso generale sulla prima triade intelligibile, e come in modo analogo a quest’ultima è proceduta la seconda] Tale dunque, secondo Socrate nel Filebo, è la primissima triade degli intelligibili: limite, illimitato e misto. Di questi termini il limite è un dio alla sommità dell’intelligibile il quale procede a partire dal Dio impartecipabile e primissimo, che misura e delimi- 45 ta tutte le cose e che fa sussistere tutto il genere paterno, connettivo ed incontaminato degli dèi119; l’illimitato dal canto suo è la potenza inesauribile di questo Dio, la quale rivela tutti gli ordinamenti generatori e tutta l’illimitatezza, sia quella sovraessenziale 5 sia quella di forma essenziale e procedente fino alla materia che viene per ultima; infine il misto è il primissimo e più alto ordinamento degli dèi e contiene tutte le cose in modo celato, in quanto da un lato è costituito in base ad una triade intelligibile contenitiva, e dall’altro racchiude in sé in modo unitario la causa di tutto 10 l’essere ed ha posto la sua sommità che trascende la totalità delle cose tra i primissimi intelligibili. Poi dopo questa triade che sussiste per prima a partire dall’Uno e che risulta unita all’Uno, celebriamone una seconda che 15 procede da questa e che è costituita attraverso gli elementi analoghi a quella che la precede. Infatti è necessario che anche in questa l’essere sia partecipante e l’uno partecipato, e che quest’uno di secondo livello sia generatore dell’essere di secondo livello: infatti in ogni ambito la natura divina partecipata fa sussistere il partecipante in relazione con se stessa; così anche le anime universali 20 fanno sussistere congiuntamente alle loro cause i corpi, e le anime particolari genereranno congiuntamente agli dèi quelle irrazionali; dunque a ben maggiore motivo gli dèi producono congiuntamente all’Uno tutte le cose. Nel modo in cui dunque la primissima delle enadi genera la sommità dell’essere, così appunto anche 25 quella intermedia fa sussistere il livello intermedio dell’essere. D’altra parte tutto ciò che genera e tutto ciò che fa o produce sono dotati di una potenza in grado di far nascere i loro prodotti, in base alla quale essi ad un tempo producono, forniscono di potenza e mantengono consolidate le entità che derivano da tale potenza. Di nuovo dunque vi sarà una triade seconda che è desti- 46 nata a manifestarsi in modo analogo alla prima; ed essa ha una parte più elevata, che chiamiamo “uno”, “divinità” e “realtà”, una parte mediana, che appelliamo “potenza”, ed infine una parte

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to; de; e[scaton, o} dhv famen ei\nai to; deutevrw" o[n, tou'to dev ejstin hJ nohth; zwhv: pavnta gavr ejstin ejn tw'/ nohtw'/, kaqavper devdeiktai provteron, to; ei\nai, to; zh'n, to; noei'n. Kai; to; me;n kat aijtivan ejsti; pavnta kai; wJ" pollavki" ei[pomen krufivw", to; de; profaivnei to; plh'qo" kai; proveisin ajpo; th'" eJnwvsew" tou' o[nto" eij" e[kfansin, to; de; h[dh pa'n ejsti to; nohto;n plh'qo" kai; oJ tw'n nohtw'n eijdw'n diavkosmo". Ep ejscavtw/ ga;r tw'/ nohtw'/ ta; ei[dh th;n uJpovstasin e[cei: dei' ga;r ejn nw'/ ta; ei[dh kai; ei\nai th;n prwvthn kai; faivnesqai. Eij toivnun mevnei to; o]n ejxh/rhmevnw" ejn th'/ prwvth/ mivxei, proveisi de; h[dh kai; ajpo; th'" monavdo" duadikw'" ajpogenna'tai, kivnhsi" a]n ei[h peri; aujtov: kinhvsew" de; ou[sh" ajnavgkh kai; zwh;n ei\nai nohthvn. Pantacou' ga;r hJ kivnhsi" zwhv tiv" ejstin, o{pou ge kai; aujtw'n tw'n ejnuvlwn swmavtwn zwhvn ti" ajpekavlese th;n kivnhsin. To; me;n ou\n prw'ton th'" deutevra" tauvth" triavdo" kaleivsqw pevra", to; de; deuvteron a[peiron, zwh; de; to; trivton. Qeo;" gavr ejsti kai; hJ deutevra triav", govnimon duvnamin e[cwn kai; to; deutevrw" o]n ajf eJautou' kai; peri; eJauto;n ejkfaivnwn. ãigVÃ All e[sti me;n kajntau'qa tria;" ajnavlogo" th'/ prwvth/, dei' de; au\ kai; th;n ijdiovthta aujth'" logismw'/ sullabei'n. Th'" ga;r prwvth" triavdo" pavnta me;n ou[sh", ajlla; nohtw'" kai; eJniaivw" kai; (wJ" a]n ei[poimi platwnikw'") peratoeidw'", hJ deutevra pavnta mevn ejstin, ajlla; zwtikw'" kai; (wJ" a]n ei[poimi tw'/ filosovfw/ sunepovmeno") ajpeiroeidw'", w{sper hJ trivth kata; th;n ijdiovthta tou' miktou' proelhvluqen. W" ga;r ejn th'/ kata; plavto" proovdw/ trivton ajnefavnh to; miktovn, ou{tw" kajn th'/ kata; bavqo" uJfevsei tw'n nohtw'n hJ trivth th;n tou' miktou' tavxin e[cei pro;" ta;" ajnwtevrw triavda". H d ou\n mevsh tria;" pavnta mevn ejstin, ajlla; carakthrivzetai

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estrema, la quale diciamo che è l’essere di secondo livello, e cioè la vita intelligibile: infatti tutte le entità sono nell’intelligibile, come si è mostrato in precedenza120, l’essere, il vivere, il pensare. E l’essere è tutte le cose in forma di causa e, come spesso abbiamo detto121, in modo celato; mentre il vivere fa apparire la molteplicità e procede dall’unità dell’essere alla manifestazione di tale molteplicità; il pensare è a questo punto tutta la molteplicità intelligibile e l’ordine delle Forme intelligibili. Infatti è all’ultimo livello dell’intelligibile che le Forme hanno la loro sussistenza: bisogna in effetti che dapprincipio le Forme esistano nell’intelletto ed al contempo che ivi si manifestino. Se pertanto l’essere permane nella prima mescolanza in forma trascendente, poi di già procede e dalla monade è generato sotto forma di diade, in esso dovrebbe esserci movimento; ma se v’è movimento, è necessario che vi sia anche una vita intelligibile. Infatti in ogni ambito il movimento è una sorta di vita, il che, a mio avviso, ha spinto qualcuno a chiamare “vita” anche il movimento dei corpi materiali stessi122. Si chiami dunque il primo elemento di questa seconda triade “limite”, il secondo “illimitato”, il terzo infine “vita”. Infatti anche la seconda triade è un dio che è dotato di una potenza generativa e che rivela a partire da sé ed in relazione con sé l’essere di secondo livello.

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[Qual è la seconda triade intelligibile, ed esposizione più precisa della dottrina a partire dal termine predominante, da quello partecipato e da quello che caratterizza il “misto”]

Allora anche qui v’è una triade analoga alla prima; bisogna poi prendere in considerazione con il ragionamento anche il carattere specifico di essa. Infatti, mentre la prima triade è certamente «tutte le cose, ma in forma intelligibile»123 ed unitaria e (per esprimermi in termini platonici) sotto forma di limite, la seconda è tutte le cose, ma in qualità di vita e (per esprimermi rifacendomi al Filosofo124) sotto forma di illimitato, proprio nel modo in cui la terza triade è proceduta secondo il carattere specifico del misto. Infatti come nella processione in senso orizzontale il misto è apparso come terzo, così anche nell’abbassamento di livello in senso verticale degli intelligibili la terza triade occupa la posizione del misto in rapporto alle triadi che sono poste più in alto. Allora la terza è sì, dal canto suo, tutte le cose, ma è caratterizza-

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kata; th;n nohth;n ajpeirivan. AiJ ga;r trei'" meta; to; prw'ton ajrcai; suvmpan hJmi'n diekovsmhsan to; nohto;n tw'n qew'n 15 gevno", to; me;n ªga;rº pevra" th;n prwvthn ejkfh'nan triavda, to; de; a[peiron th;n deutevran, to; de; mikto;n th;n trivthn. Apeiro" ou\n duvnamiv" ejsti kaq h}n hJ deutevra carakthrivzetai: mevsh ga;r ou\sa kata; to; mevson th'" prwvth" uJfevsthke. ãKai;Ã pavnta me;n ejk pavntwn: ejn eJkavsth/ gavr ejsti 20 pevra", a[peiron, miktovn: ajll hJ tw'n monavdwn ijdiovth" a[llh kat a[llhn probeblhmevnh to;n nohto;n ejxelivttei diavkosmon tw'n qew'n. Uposta'sa d ou\n ou{tw" hJ mevsh triav" – levgw de; ou{tw", o{ti ejk pavntwn me;n w|n hJ pro; aujth'", 48 ajlla; kata; th;n a[peiron duvnamin – sunevcei th;n mesovthta tw'n nohtw'n: kai; plhrou'tai me;n ajpo; th'" uJyhlotevra" eJnwvsew", plhroi' de; th;n met aujth;n dunavmewn nohtw'n: kai; metrei'tai me;n ejkei'qen monoeidw'", metrei' de; th;n trivthn 5 th'/ eJauth'" dunavmei: kai; mevnei me;n ejn th'/ prwvth/ staqerw'", eJdravzei de; ejn eJauth'/ th;n ejfexh'". Kai; wJ" sunelovnti favnai to; nohto;n kevntron eij" eJauth;n ajnedhvsato kai; mivan nohth;n iJdruvsato sunochvn, to; me;n kruvfion th'" prwvth" kai; eJnoeide;" profaivnousa, to; de; plh'qo" th'" trivth" to; nohto;n sunav10 gousa kai; perievcousa pantacovqen. Alla; mh;n to; o]n to; th;n triavda tauvthn sumplhrou'n mikto;n mevn ejstin, w{sper to; pro; aujtou', kai; th;n th'" zwh'" ijdiovthta proslabovn (hJ ga;r ajpeiriva kai; ejn touvtw/ th;n zwh;n ejgevnnhse), kai; metevcein ajnavgkh kai; tou'to tw'n triw'n, 15 summetriva", ajlhqeiva", kavllou": ajlla; to; me;n prwvtw" o]n kata; th;n summetrivan diaferovntw" uJfevsthken, eJnivzousan aujto; kai; tw'/ ajgaqw'/ sunavptousan, hJ de; deutevra kata; th;n ajlhvqeian (diovti ga;r tou' prwvtw" o[nto" metevcei, kai; o[n ejsti kai; o[ntw" o[n), hJ de; trivth kata; to; kalo;n, ejkei' 20 ga;r to; nohto;n plh'qo" kai; hJ tavxi" kai; hJ kallonh; prwvtw" ejkfaivnetai, dio; kai; kavlliston ejkei'no to; o]n tw'n nooumevnwn aJpavntwn. Alla; tou'to me;n eij" u{steron. Triavdo" d ou\n ou[sh" ejn eJkavstw/ miktw'/ to; me;n prw'ton summetriva

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ta in base all’illimitatezza intelligibile. Infatti i tre principi che vengono dopo il Primo hanno ordinato, a nostro avviso, il genere intelligibile degli dèi, sicché il limite rivela la prima triade, l’illimi- 15 tato la seconda, ed il misto poi la terza. V’è dunque una potenza illimitata in base alla quale è caratterizzata la seconda triade: infatti, essendo intermedia, è venuta a sussistere in base al termine intermedio della prima triade. E certo tutte le cose sono costituite di tutte le cose: infatti in ciascuna triade vi sono limite, illimita- 20 to, misto; ma il carattere specifico delle monadi, presentatosi in un modo in base ad una triade, in un altro in base ad un’altra, sviluppa l’ordinamento intelligibile degli dèi. Allora, dato che la triade intermedia sussiste in questa modalità – con “in questa modalità” intendo dire che tale triade è di certo costituita da tutti gli elementi che formano la triade che la precede, ma in base alla potenza 48 illimitata – essa mantiene consolidato il livello intermedio degli intelligibili; inoltre essa è pervasa dall’unità più elevata, mentre a sua volta pervade la triade che viene dopo di lei di potenze intelligibili; ed essa riceve misura da quell’ambito che la precede in modo unitario, mentre a sua volta dà misura alla terza triade con 5 la sua propria potenza; e permane stabilmente nella prima triade, mentre a sua volta fa risiedere in se stessa quella che la segue. E per dirla in breve, ha attaccato a se stessa il centro intelligibile ed ha stabilito un’unica coesione intelligibile, facendo apparire il carattere segreto ed uni-forme della prima triade, e a sua volta riunendo la molteplicità intelligibile della terza triade e cingendola 10 da ogni parte. Ebbene, l’essere che costituisce questa triade, come quello che lo precede, e che ha assunto in aggiunta il carattere specifico della vita (infatti l’illimitatezza ha generato anche in questa forma di essere la vita) è certo un misto, ed è necessario che anche questo partecipi delle tre proprietà: proporzione, verità, bellezza125; ma 15 l’essere in senso primario è venuto a sussistere principalmente in base alla proporzione, che lo unifica e lo connette al Bene, mentre la seconda triade a sua volta è venuta a sussistere in base alla verità (infatti è perché partecipa dell’essere in senso primario che essa è non solo essere ma anche realmente essere), infine la terza triade è venuta a sussistere in base al bello; infatti è lì che si mani- 20 festa principalmente la molteplicità intelligibile, l’ordine e la bellezza, e questa è appunto la ragione per cui quest’essere è «la più bella delle entità oggetto di intellezione»126. Ma tale questione la affronteremo più avanti127. Ad ogni modo, dato che in ogni misto vi è una triade, il primo misto lo tiene insieme soprattutto la pro-

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mavlista sunevcei, to; de; deuvteron ajlhvqeia, to; de; trivton kavllo". O dh; kai; to;n qei'on Iavmblicon levgein ajnevpeisen wJ" a[ra to; nohto;n pa'n ejn trisi; touvtoi" oJ Plavtwn ajfo49 rivzei: kai; ga;r ejn eJkavstw/ pavnta kai; a[llo ejn a[llw/ diaferovntw" uJfevsthke tw'n nohtw'n. 25

ãidVÃ Kai; mh;n kai; hJ trivth meta; tauvthn ejkfaivnetai. Dei' ga;r 5 kai; to; e[scaton tou' o[nto" ejkqeou'sqai kai; metascei'n eJnavdo" nohth'": ou[te ga;r ta; o[nta pleivw tw'n eJnavdwn, w{" fhsin oJ Parmenivdh", ou[te aiJ eJnavde" tw'n o[ntwn pleivou", ajll eJkavsth provodo" tou' o[nto" metevcei tou' eJnov". Epei; kai; tovde to; pa'n kaq eJkavsthn eJautou' moi'ran uJpo; yuch'" 10 kuberna'tai kai; nou', pollw'/ a[ra provteron to; nohto;n ejn tai'" prwvtai" auJtou' kai; mevsai" kai; teleutaivai" uJpostavsesi meqevxei tw'n nohtw'n qew'n. Wsper ou\n to; o]n to; nohto;n hJ prwtivsth meta; th;n ejxh/rhmevnhn aijtivan ejxevfhnen eJna;" kai; hJ deutevra th;n nohth;n zwhvn, ou{tw" hJ trivth to;n 15 nohto;n nou'n uJfivsthsi peri; eJauth;n kai; plhroi' qeiva" aujto;n eJnwvsew", mevshn uJposthsamevnh th;n duvnamin eJauth'" te kai; tou' o[nto", di h|" ajpoplhroi' to; o]n tou'to kai; ejpistrevfei pro;" eJauthvn. En tauvth/ toivnun kai; pa'n to; nohto;n ejkfaivnetai plh'qo": 20 kai; ga;r to; o]n tou'to pavnt ejsti nohtw'", nou'" kai; zwh; kai; oujsiva, kai; ou[te kat aijtivan, w{sper to; prwvtw" o[n, ou[te profai'non ta; pavnta, kaqavper to; deuvteron, ajll oi|on kat ejnevrgeian kai; ejkfanw'" ta; pavnta. Dio; dh; kai; tw'n nohtw'n ejstin aJpavntwn pevra". Kaq oJmoiovthta ga;r ajpo; 50 tou' eJno;" th'" proovdou tw'n o[ntwn ajpoteloumevnh" to; me;n eJnoeidevstaton h\n, to; de; wjdi'non to; plh'qo" kai; diakrivsew" ajrcovmenon, to; de; h[dh pantele;" kai; plh'qo" nohto;n ejn eJautw'/ kai; ei\do" ejkfai'non. Eti toivnun th'" me;n prwvth" 5 triavdo" krufivw" ejn tw'/ pevrati menouvsh" kai; pa'n to; movnimon

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porzione, il secondo la verità, il terzo infine la bellezza. Ed è pro- 25 prio ciò che ha persuaso il divino Giamblico ad affermare che Platone delimita tutto l’intelligibile entro questi tre elementi; ed in 49 effetti tutti sono presenti in ciascun intelligibile, anche se ciascuno di questi elementi risulta sussistere in modo predominante rispetto agli altri in ciascuno degli intelligibili.

[Qual è la terza triade intelligibile, e qual è in essa è il termine predominante, quale il termine partecipato; ed in conclusione discorso generale sulla parallela distinzione delle tre triadi] Ed ancora dopo questa triade si manifesta la terza. Infatti bisogna che anche l’ultimo livello dell’essere sia divinizzato e parteci- 5 pi ad una enade intelligibile; in effetti, come afferma Parmenide128, né gli enti sono in numero superiore rispetto alle enadi, né le enadi sono in numero superiore rispetto agli enti, ma ciascuna processione dell’essere partecipa dell’unità. Dato che anche questo nostro universo qui è governato in ogni sua parte da un’anima 10 e da un intelletto, allora molto prima l’intelligibile nelle sue forme di sussistenza prime, mediane e conclusive parteciperà degli dèi intelligibili129. Nello stesso modo in cui la primissima enade che viene dopo la causa trascendente ha rivelato l’essere intelligibile, e la seconda ha rivelato la vita intelligibile, così la terza fa sussiste- 15 re intorno a se stessa l’intelletto intelligibile e lo colma di unità divina, avendo fatto sussistere la potenza in una posizione intermedia tra se stessa e l’essere, attraverso la quale essa ricolma questo essere e lo fa convertire verso se stessa. Pertanto in questa triade si rivela anche tutta la molteplicità intelligibile; ed infatti quest’essere è, in forma intelligibile, tutte 20 le cose, intelletto, vita ed essenza, e né in forma di causa, come l’essere in senso primario, né in quanto fa apparire tutte le cose, come l’essere di secondo livello, ma essa è tutte le cose per così dire in atto ed in modo manifesto. Questo è appunto il motivo per cui questo essere è il limite inferiore di tutti quanti gli intelligibili. Infatti, poiché è in base a somiglianza che a partire 50 dall’Uno si compie la processione degli enti, il primo livello di essere è risultato assolutamente uni-forme, mentre il secondo è gravido della molteplicità e dà inizio alla distinzione, il terzo infine è già compiuto e rivela in sé molteplicità e forma intelligibili. Inoltre, mentre la prima triade permane in modo celato nel limi- 5

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tw'n nohtw'n ejn eJauth'/ phxamevnh", th'" de; deutevra" menouvsh" a{ma kai; proi>ouvsh", hJ trivth meta; th;n provodon ejpistrevfei to; nohto;n pevra" eij" th;n ajrch;n kai; sunelivssei to;n diavkosmon pro;" eJautovn: nou' ga;r pantacou' to; ejpistrevfein 10 kai; sunneuvein eij" to; nohtovn. Kai; e[stin eJnoeidh' pavnta tau'ta kai; nohtav, to; mevnein, to; proi>evnai, to; ejpistrevfein: ouj ga;r wJsauvtw" ªto;º ejpi; tw'n nohtw'n e{kaston touvtwn levgetai kai; tw'n meta; to; ãnohtovn. To; ga;r tw'nà nohtw'n qew'n gevno" eJniai'ovn ejsti kai; aJplou'n kai; kruvfion, aujtw'/ 15 tw'/ eJni; tw'/ pro; tw'n o[ntwn eJauto; sunenw'san kai; oujde;n a[llo h] th;n tou' eJno;" uJperoch;n ãejkfai'nonÃ. Kai; ga;r aiJ trei'" au|tai triavde" mustikw'" ajpaggevllousi th;n tou' prwvtou qeou' kai; ajmeqevktou pantelw'" a[gnwston aijtivan: hJ me;n th;n a[rrhton aujth'" e{nwsin, hJ de; th;n pasw'n dunavmewn uJperochvn, 20 hJ de; th;n pantelh' tw'n o[ntwn ajpogevnnhsin. W" ga;r deduvnhntai cwrh'sai th;n kai; th'" eJnwvsew" kai; tw'n dunavmewn kai; pavntwn ejkbebhkui'an tw'n o[ntwn ajrchvn, ou{tw" ejkfaivnousi toi'" deutevroi" th;n qaumasth;n ejkeivnh" uJperbolhvn, dih/rhmevnw" me;n to; eJniai'on kravto" tou' prwvtou parade25 xavmenai, nohtw'" de; th;n pro; tw'n nohtw'n aijtivan ejkfaivnousai. Kai; ga;r aJpavntwn oJmou' tw'n qeivwn diakovsmwn ejxh/rhmevnhn 51 aJplovthta lacovnte" oiJ ãnohtoi;à qeoi; th'" tou' patro;" eJnwvsew" ajpoleivpontai. Th'" d ou\n triavdo" tauvth" ejpistrefouvsh" ta; nohta; pavnta pro;" th;n prwvthn kai; to; plh'qo" to; nohtovn, ejkfane;n 5 ejn aujth'/, sunelittouvsh" eij" th;n movnimon tw'n o{lwn e{nwsin, to; mevn ejsti pevra" kai; eJna;" kai; u{parxi", to; de; ajpeiriva kai; duvnami", to; de; mikto;n kai; oujsiva kai; zwh; kai; nou'" nohtov". Suvmpasa de; hJ tria;" kata; to; o]n uJfevsthke kai; e[sti th'" prwvth" nou'": ejkeivnh me;n gavr ejsti qeo;" nohto;" prwvtw", 10 hJ de; met aujth;n qeo;" nohto;" kai; noerov", hJ de; trivth qeo;" noerov". Kai; trei'" au|tai qeovthte" kai; monavde" triadikai; ªkai;º ta; nohta; sumplhrou'si gevnh. Monavde" me;n gavr eijsi kata; ta;" qeovthta" ta;" eJautw'n, ejpei; ta\lla pavnta tw'n qew'n ejxhvrthtai, kai; aiJ dunavmei" kai; ta; o[nta: triavde" de; kata; 15 th;n dih/rhmevnhn Ê diaivresin Ê. Kai; ga;r to; pevra" tricw'" kai; hJ ajpeiriva kai; to; miktovn: ajll ou| me;n pavnta kata; to; pevra", ou| de; pavnta kata; to; a[peiron, ou| de; pavnta kata;

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te e fissa in se stessa tutto il carattere stabile degli intelligibili, e la seconda dal canto suo permane ed al contempo procede, la terza, dopo la processione, fa convertire il limite intelligibile verso il Principio e fa avvolgere su se stesso l’ordinamento intelligibile: in ogni ambito infatti è proprio dell’intelletto convertire e converge- 10 re verso l’intelligibile. E tutti questi aspetti, il permanere, il procedere, il convertire, sono uni-formi ed intelligibili; in effetti non è allo stesso modo che ciascuno di essi viene riferito agli intelligibili ed alle entità che vengono dopo l’intelligibile. Infatti il genere degli dèi intelligibili è unitario, semplice e celato, in quanto ha 15 unito sé all’Uno stesso anteriore agli enti e non null’altro se non la superiorità dell’Uno. Ed infatti queste tre triadi annunciano in modo mistico la causalità assolutamente inconoscibile del Dio primo e impartecipabile: la prima triade annuncia l’ineffabile unità di tale causalità, la seconda la sua superiorità su tutte le potenze, la terza infine la generazione da parte sua della 20 totalità degli enti. Come esse infatti sono state capaci di contenere il Principio che è ulteriore al contempo rispetto all’unità, alle potenze e a tutti gli esseri, così rivelano alle entità seconde la mirabile superiorità di quel Principio, in quanto esse da un lato hanno accolto in sé in forma divisa la forza unitaria del Primo, 25 dall’altro in forma intelligibile rivelano la causa anteriore agli intelligibili. Ed infatti, pur essendo dotati di una semplicità che 51 trascende tutti quanti insieme gli ordinamenti divini, gli dèi intelligibili rimangono lontani dall’unità del Padre. Ebbene, dei termini di questa triade che converte tutti gli intelligibili verso la prima130 e che avvolge la molteplicità intelligi- 5 bile, in essa rivelatasi, nella stabile unità delle entità universali, il primo è limite, enade e realtà, il secondo è illimitatezza e potenza, il terzo è misto, essenza, vita e intelletto intelligibile. Dal canto suo tutta la triade nel suo insieme sussiste in base all’essere ed è intelletto della prima triade: quella infatti è un dio intelligibile in senso primario, mentre quella che la segue è dio intelligibile e intelletti- 10 vo, la terza infine è dio intellettivo131. E queste tre forme di divinità e monadi triadiche costituiscono i generi intelligibili. In effetti sono monadi in base alle loro specifiche forme di divinità, poiché tutte le altre entità dipendono dagli dèi132, sia le potenze sia gli enti; sono triadi invece in base alla loro distinta forma di real- 15 tà133. Ed in effetti il limite, l’illimitatezza ed il misto sono in modo triplice; tuttavia le entità sono tutte per un verso in base al limite, tutte per un altro verso in base all’illimitato, tutte per un altro verso ancora in base al misto; ed il misto, a sua volta, è per un

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to; miktovn: kai; ou| me;n oujsiva to; miktovn, ou| de; zwh; nohthv, ou| de; nou'" nohtov". 20 En touvtw/ toivnun kai; ta; ei[dh prwvtw". H ga;r tw'n nohtw'n diavkrisi" th;n tw'n eijdw'n ejkfaivnei tavxin, diovti to; ei\do" ti; o[n ejstin, ajll oujc aJplw'" o[n. To; me;n ou\n prwvtw" o]n aujtoo;n kai; o{per o[n, to; de; deuvteron duvnami" proi>ou'sa me;n ajpo; tou' prwvtw" o[nto" kai; oi|on dua;" ou\sa gennhtikh; 25 tou' plhvqou" tw'n o[ntwn, ou[pw de; ou\sa to; plh'qo", to; de; trivton aujto; to; tw'n o[ntwn plh'qo", diakriqevnto" ejkei' tou' o[nto". Wn ga;r uJpostatika; ta; ei[dh memerismevnw", touvtwn 52 ejsti;n ai[tion ejxh/rhmevnon to; o[n, kai; w|n ajqrovw" to; o]n paraktikovn, touvtwn ta; ei[dh diakekrimevnw" ejsti;n ai[tia, diovti ta; me;n ei[dh paradeivgmata kalei'tai tw'n o[ntwn, to; de; o]n ai[tion tw'n met aujto; pavntwn, ajll ouj parav5 deigma: tw'n ga;r dih/rhmevnwn kata; to; ei\nai kai; diafovrou" th'" oujsiva" ejcovntwn tou;" carakth'ra" ai[tia ta; paradeivgmata. Meta; to; e}n toivnun to; pro; tw'n o[ntwn to; e}n polla; krufivw" kai; to; hJnwmevnon, kai; meta; tou'to to; diakrinovmenon kai; prokuvpton ajpo; tou' eJnoeidou'" eij" to; fanovn, 10 e[scaton de; tw'n nohtw'n to; diakekrimevnon kai; tou' nohtou' plhvqou" perilhptikovn.

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ãieVÃ O me;n ou\n ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth" toiauvta" hJmi'n ajforma;" ejndivdwsi th'" tw'n nohtw'n triavdwn qewriva": dei' de; oujk ejpi; touvtwn sth'nai movnon tw'n ejnnoiw'n, ajlla; kai; ejk tw'n a[llwn dialovgwn katadhvsasqai th;n peri; aujtw'n tou' Plavtwno" qeologivan kai; mivan ejx aujtw'n ajlhvqeian ejpidei'xai toi'" pravgmasi proshvkousan. Labwvmeqa toivnun tw'n ejn Timaivw/ gegrammevnwn kai; tw'/ kaqhgemovni sunakolouqhvswmen ejkfaivnonti th;n peri; aujtw'n hJmi'n ajpovrrhton mustagwgivan, kai; tw'/ tevlei tw'n eijrhmevnwn th;n ajrch;n sunavywmen tw'n eJpomevnwn lovgwn.

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verso essenza, per un altro vita intelligibile, per un altro ancora intelletto intelligibile. In quest’ultimo pertanto vi sono in modo primario anche le 20 Forme. Infatti la distinzione tra gli intelligibili rivela l’ordinamento delle Forme, per il fatto che la Forma è un determinato tipo di essere, ma non semplicemente e puramente essere. Dunque l’essere in senso primario è essere-in-sé ed essere in quanto tale, mentre il secondo essere è potenza che procede dall’essere in senso primario ed è per così dire diade generatrice della molteplicità 25 degli enti, ma che non è ancora molteplicità, infine il terzo essere è la molteplicità degli enti in se stessa, dal momento che a questo livello l’essere risulta differenziato. Infatti di quelle entità che le Forme fanno sussistere in modo diviso, principio causale trascen- 52 dente è l’essere, e di quelle entità che l’essere produce in forma unita e compatta, le Forme sono i principi causali in maniera differenziata, per il fatto che «le Forme» vengono chiamate «“modelli” degli enti»134, mentre l’essere è principio causale, ma non modello delle entità che vengono dopo di esso; infatti i 5 modelli sono i principi causali delle entità distinte in base all’essere e che posseggono i caratteri dell’essenza diversificata. Pertanto dopo l’Uno che è prima degli enti viene l’Uno che è in modo celato molti e che è unificato135, e dopo quest’ultimo viene quello che è differenziato e che viene alla luce emergendo dall’uni-forme; infine ultimo fra gli intelligibili è quello che risulta diversificato e 10 che contiene la molteplicità intelligibile136.

[Come nel “Timeo” vengono tramandate le triadi intelligibili, e più richiami al fatto che il “Vivente-in-sé” occupa il terzo livello tra gli intelligibili] Ebbene, tali sono i punti di partenza che Socrate ci fornisce nel Filebo per la contemplazione delle triadi intelligibili; ma non ci si deve limitare solo a queste concezioni, ma anche a partire dagli altri dialoghi si deve fissare in modo saldo la teologia di Platone concernente le triadi intelligibili e dimostrare un’unica verità ricavata da essi che si confà alla realtà dei fatti. Prendiamo pertanto in considerazione ciò che è scritto nel Timeo e seguiamo attentamente la nostra guida137 che ci rivela l’ineffabile dottrina mistica concernente le triadi, e alla fine di ciò che è stato detto congiungiamo l’inizio dei discorsi che seguono.

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En dh; tw'/ Timaivw/ to; paravdeigma tou' kovsmou panto;" oJ Plavtwn ejpizhtw'n o{ tiv potev ejstin, eu|ren o{ti 25 pavntwn ejsti; tw'n nohtw'n zwv/wn perilhptikovn, kai; o{ti pantelev", kai; o{ti tw'n nooumevnwn kavlliston, kai; 53 o{ti monogenev", kai; o{ti tou' dhmiourgou' nohtovn: kai; dh; kai; aujtozw'/on aujto; proshgovreusen wJ" tou' pantov", zwv/ou kai; aujtou' tugcavnonto" aijsqhtou', paravdeigma nohtovn. Tou'to toivnun to; aujtozw'/on ajnavgkh, diovti ªpote;º 5 mevn ejsti pantele;" kai; tw'n nooumevnwn kavlliston, ejn toi'" nohtoi'" iJdru'sqai diakovsmoi". Eij ga;r dh; kai; e[stin ejn tw'/ dhmiourgw'/ zw'/on nohtovn, ajlla; noerovn ejsti ma'llon h] nohto;n kai; ouj pavntwn kavlliston tw'n nooumevnwn, ajlla; kai; kavllei kai; dunavmei tw'n nohtw'n deuvteron (to; ga;r 10 prwvtw" kavllo" ejn toi'" nohtoi'" ejsti qeoi'") kai; ouj tevttara movnon ei[dh perievcon tw'n ejn tw'/ kovsmw/ pragmavtwn, ajlla; pa'n to; plh'qo" tw'n eijdw'n (kai; ga;r tw'n ajtovmwn eijdw'n ejn ejkeivnw/ ta; paradeivgmata prou>fevsthke, to; de; aujtozw'/on th'/ nohth'/ tetravdi pavntwn ejsti; tw'n zwv/wn oJlikw'" uJposta15 tikovn), kai; ouj monogene;" w{sper to; aujtozw'/on ejn toi'" ou\si parhgmevnon, ajlla; meta; th'" zwogonikh'" aijtiva", meq h|" kai; uJfivsthsi ta; deuvtera, mignu;" ejn tw'/ krath'ri ta; gevnh tou' o[nto" eij" th;n tw'n yucw'n ajpogevnnhsin: w|n ga;r h\n monoeidw'" to; nohto;n zw'/on poihtiko;n a{ma kai; gennhtikovn, 20 touvtwn oJ dhmiourgo;" dih/rhmevnw" meta; tou' krath'ro" ejklhrwvsato th;n aijtivan. Dia; tau'ta me;n ou\n, w{sper e[fhn, ejxh/rhmevnon ejsti; tou' dhmiourgou' to; aujtozw'/on kaiv, w{sper oJ Tivmaio" aujto; pantacou' proseivrhke, nohtovn: diovti ge mh;n ta; ei[dh 25 prw'ton ejn aujtw'/ diakevkritai kai; diovti pantelev" ejstin, ejn th'/ trivth/ tavxei tw'n nohtw'n uJfevsthken. Ou[te ga;r to; prwvtw" o]n ou[te to; deutevrw" pantelev": to; me;n ga;r ejpev54 keina pavsh" diakrivsew", to; de; genna'/ me;n kai; wjdivnei ta; nohtav, plh'qo" de; ou[pw tw'n o[ntwn ejstivn. Eij toivnun mhdevterovn ejsti plh'qo", pw'" a]n ei[h plh'qo" pantelev" Eij de; kata; th;n trivthn ejxefavnh triavda tw'n nohtw'n, wJ" mikrw'/ 5 provteron devdeiktai, to; de; aujtozw'/on prwvtistovn ejsti paravdeigma (pavntwn gavr ejsti tw'n nohtw'n zwv/wn perilhptiko;n kai; monogene;" paravdeigma kai; ajsunduvaston pro;" a[llhn ajrchvn), ajnavgkh dhvpou kata; tauvthn th;n tavxin iJdru'sqai

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Proprio nel Timeo Platone, ricercando che cosa mai è «il modello»138 del cosmo tutto, ha scoperto che esso comprende in sé 25 «tutti i viventi intelligibili»139, e che è «compiutamente perfetto»140, e che è «il più bello degli oggetti di intellezione»141, e che è «unico 53 nel suo genere»142, e che per il Demiurgo è un’entità intelligibile; e per di più lo chiama «“Vivente-in-sé”»143, in quanto è un modello intelligibile del tutto, vivente anche esso stesso, cui però è toccato di essere sensibile. Pertanto questo Vivente-in-sé, per il fatto che è 5 appunto «compiutamente perfetto» e «il più bello degli oggetti di intellezione», è necessario che sia posto tra gli ordinamenti intelligibili. Se in effetti v’è anche nel Demiurgo un vivente intelligibile, esso però è intellettivo piuttosto che intelligibile e non è il più bello di tutti gli oggetti di intellezione, ma sia per bellezza sia per poten- 10 za è secondo fra gli intelligibili (infatti la bellezza in senso primario si trova fra gli dèi intelligibili) e non comprende solo le quattro Forme144 degli esseri insiti nel cosmo, ma tutta la molteplicità delle Forme145 (ed infatti i modelli delle forme individuali preesistono nel Demiurgo, mentre il Vivente-in-sé è capace di far sussistere, per mezzo della tetrade intelligibile146, in modo universale tutti i viven- 15 ti), e non è stato introdotto come “unico nel suo genere tra gli enti”, come invece il Vivente-in-sé, bensì congiuntamente alla causa generatrice di vita, insieme alla quale 147 fa anche sussistere gli esseri di secondo livello, mescolando nel cratere i generi dell’essere per la generazione delle anime; infatti il Demiurgo ha ottenuto in sorte, congiuntamente al cratere148, di essere in 20 modo diviso la causa di quelle entità delle quali il Vivente intelligibile è in forma unitaria ad un tempo il produttore ed il generatore. Ebbene, per queste ragioni, come dicevo, il Vivente-in-sé è trascendente rispetto al Demiurgo ed è, come da ogni parte lo designa il Timeo, «intelligibile»149; in effetti proprio per il fatto che, a mio giudizio, in esso150 le Forme si trovano distinte per la prima volta e per il fatto che è «compiutamente perfetto», esso sussiste 25 nel terzo ordinamento degli intelligibili. Né infatti l’essere in senso primario né l’essere di secondo livello sono «compiutamente perfetti»: il primo infatti è al di là di ogni distinzione, mentre l’altro genera e partorisce gli intelligibili, ma non è ancora una moltepli- 54 cità di enti. Se pertanto nessuno dei due è molteplicità, in che modo potrebbero essere una molteplicità compiutamente perfetta? Ma se essa si è manifestata in base alla terza triade degli intelligibili, come poc’anzi si è mostrato151, mentre il Vivente-in-sé è model- 5 lo primissimo (infatti esso comprende tutti gli intelligibili ed è paradigma unico nel suo genere e non è accoppiato ad un altro principio), è necessario a mio giudizio che il Vivente-in-sé sia posto

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to; aujtozw'/on. H ga;r oujk e[stai paravdeigma nohtovn (kai; pw'" ta; aijsqhta; tw'n nohtw'n eijkovne" h] pw'" tw'n o{lwn oiJ nohtoi; qeoi; patevre":) h] eij e[sti, trivton ejsti;n ejn toi'" nohtoi'". Ta; me;n ga;r pro; th'" ejn toi'" nohtoi'" triavdo" ouj pantelh' (th'" ga;r eij" plh'qo" diairevsew" ejxhv/rhtai), ta; de; met aujth;n ou[te monogenh' (met a[llwn ga;r proveisin, ta; me;n ajrrenwpa; meta; tw'n qhvlewn, ta; de; dhmiourgika; meta; tw'n gennhtikw'n) ou[te kavllista tw'n nooumevnwn (ejn ga;r tw'/ nohtw'/ to; kavllo"), to; de; aujtozw'/on pantele;" a{ma kai; monogenev" ejstin. En th'/ trivth/ a[ra tw'n nohtw'n triavdi tevtaktai to; prwvtiston paravdeigma tw'n o[ntwn.

ãiıVÃ Alla; mh;n to; aujtozw'/on aijwvniovn ejstin, wJ" aujtov" fhsin oJ Tivmaio": H me;n zwv/ou fuvsi" ejtuvgcanen ou\sa aijwvnio": kai; pavlin ejn a[lloi", o{ti to; paravdeigma 25 to;n pavnta aijw'nav ejstin o[n. Eij toivnun aijwvniovn ejsti, 55 metevcei tou' aijw'no": eij de; to; metevcon pantacou' tou' metecomevnou deuvteron, kai; to; aujtozw'/on tou' aijw'no" deuvteron. Kai; eij to;n pavnta aijw'nav ejstin o[n, o{lh" peplhvrwtai th'" tou' aijw'no" dunavmew": eij de; tou'to, prosecw'" ejsti meta; 5 to;n aijw'na: to; ga;r o{lwn ajpolauvein tw'n aijtivwn tw'n prosecw'" ejsti tetagmevnwn meta; tau'ta. Kai; mh;n kai; eij tou'ton e[cei to;n lovgon oJ aijw;n pro;" to; nohto;n zw'/on o{nper oJ crovno" pro;" to; aijsqhtovn, tou' de; crovnou prosecw'" metevcei to; pa'n (a{ma ga;r oujranw'/ 10 gevgonen), ajnavgkh dhvpou kai; tou' aijw'no" to; aujtozw'/on prwvtw" ajpolauvein. Epevkeina ou\n ejsti tou' prwvtou paradeivgmato" oJ aijwvn: kai; ga;r metrei' me;n oJ aijw;n to; ei\nai tou' aujtozwv/ou, metrei'tai de; tou'to kai; plhrou'tai th'" ajidiovthto" ajp aujtou'. 15 Pro;" dh; touvtoi" to;n aijw'nav famen ai[tion ei\nai th'" ajqanasiva" toi'" pa'si: to; a[ra prwvtw" ajqavnatovn ejstin oJ

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in questo ordinamento. Infatti o non sarà modello intelligibile (ed in questo caso in che modo i sensibili potranno essere immagini degli intelligibili, oppure in che modo gli dèi intelligibili potranno essere padri di tutte le entità nella loro interezza?), oppure se lo è, è terzo fra gli intelligibili. Infatti le entità che precedono la triade insita negli intelligibili non sono «compiutamente perfette» (infatti trascendono la divisione che conduce alla molteplicità), e dal canto loro le entità che vengono dopo di essa non sono né «uniche nel loro genere» (infatti procedono congiuntamente ad altre, le entità maschili congiuntamente a quelle femminili, mentre quelle demiurgiche congiuntamente a quelle generatrici) né sono «i più belli degli oggetti di intellezione» (infatti la bellezza risiede nell’intelligibile); invece il Vivente-in-sé è al contempo «compiutamente perfetto» e «unico nel suo genere». È dunque nella terza triade degli intelligibili che per ordinamento risulta posto il primissimo modello degli enti.

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[Più dimostrazioni del fatto che l’eternità è sussistita in conformità al livello mediano degli intelligibili] Per di più il Vivente-in-sé è eterno, come afferma lo stesso Timeo: «La natura del vivente si trovava ad essere eterna»152; e di nuovo altrove dice: «il modello è essere per tutta l’eternità»153. Se 25 pertanto è eterno, partecipa dell’eternità; d’altra parte se ciò che 55 partecipa è secondo in ogni ambito a ciò che è partecipato, allora anche il Vivente-in-sé è secondo rispetto all’eternità. E se è «per tutta l’eternità essere», è colmato di tutta quanta la potenza dell’eternità; ma se è così, esso viene immediatamente dopo l’eterni- 5 tà; infatti il godere di tutti quanti i principi causali è proprio delle entità che sono poste per ordinamento immediatamente dopo questi. E per di più se l’eternità ha rispetto al vivente intelligibile il rapporto che ha il tempo rispetto al sensibile, e d’altronde l’universo partecipa immediatamente del tempo (esso infatti «è nato 10 insieme al cielo»154), è a mio avviso necessario anche che il Vivente-in-sé goda dell’eternità. L’eternità dunque è al di sopra del primo modello; ed infatti l’eternità dà misura all’essere del Vivente-in-sé, mentre a sua volta quest’ultimo riceve misura ed è ricolmato della condizione di eternità155 dall’eternità. Oltre a ciò noi affermiamo che l’eternità è principio causale 15 della immortalità per tutte le entità; dunque ciò che è in modo pri-

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aijwvn. W" ga;r to; tou' ei\nai pa'sin ai[tion aujto; prwvtw" o[n ejsti, to; de; th'" eijdopoiiva" aujto; pro; tw'n a[llwn ei\dov" ejstin, ou{tw to; th'" ajidiovthto" kai; ajqanasiva" ai[tion aujto; prwvtw" 20 ejsti;n ajqavnaton. Kai; tou'to kai; oJ daimovnio" Aristotevlh" *** ojrqw'" ajqavnaton kai; qei'on aijw'na kalw'n, o{qen ejxhvrthtai pa'si to; ei\nai kai; to; zh'n. Eij d e[sti to; prwvtw" ajqavnaton kai; ouj kata; mevqexin, ajll ai[tion ajqanasiva" kai; ajidiovthto", ei[h a]n zwh; par eJauth'" e[cousa to; ajei; 25 kai; uJperbluvzousa th;n th'" ajidiovthto" duvnamin kai; ejporevgousa toi'" a[lloi" aujth;n kaq o{son e{kaston pevfuke. To; ga;r ajqavnaton ejn zwh'/ kai; meta; zwh'" uJfevsthke: dio; kai; oJ ejn tw'/ Faivdwni Swkravth" pouv fhsi meta; ta;" kala;" kai; 56 polla;" th'" yucikh'" ajqanasiva" ajpodeivxei": O de; dh; qeov", w\ fivle Kevbh", kai; aujto; to; th'" zwh'" ei\do" pollw'/ ma'llon ajqavnatav ejstin. H toivnun zwh; hJ nohth; kai; oJ qeo;" oJ th'" zwh'" tauvth" sunektiko;" prwvtw" e{xei to; 5 ajqavnaton kai; e[sti phgh; th'" o{lh" ajidiovthto": tou'to dev ejstin oJ aijwvn. En zwh'/ a[ra oJ aijw;n th;n uJpovstasin e{xei kai; e[stai kata; th;n mesovthta th;n nohth;n iJdrumevno". Eti toivnun ajnavgkh to;n nohto;n aijw'na tw'n triw'n e{n ti levgein, h] kata; to; o]n h] th;n zwh;n h] to;n nou'n uJfestavnai to;n 10 nohtovn. Alla; to; me;n o]n kata; th;n eJautou' fuvsin, w{" fhsin oJ Eleavth" xevno", ou[te e{sthken ou[te kinei'tai: kai; ªga;rº eij to; ejn pa'sin o]n kai; hJ oujsiva toiou'ton, pollw'/ ma'llon hJ nohth; oujsiva toiou'ton kai; to; prwvtw" o[n. Oujde; ga;r a[llo ejsti;n h] oujsiva movnon: kivnhsin de; kai; 15 stavsin ejn tai'" deutevrai" ejkfaivnei kai; trivtai" eJautou' proovdoi" kai; ta; loipa; tw'n o[ntwn gevnh. To; me;n ou\n o]n to; prwvtiston, w{sper ei[rhtai, kinhvsew" oJmou' kai; stavsew" ejxhv/rhtai, oJ de; aijw;n mevnei kata; to;n Tivmaion ejn eJniv, dio; kai; oJ crovno", ejn kinhvsei mimouvmeno" th;n nohth;n tou' 20 aijw'no" stavsin. Oujk a[ra kata; to; prwvtw" o]n oJ aijwvn. *** oujde; ga;r hJ yuch; crovno" ejsti;n hJ kata; pavnta kinoumevnh to;n crovnon. Kai; o{lw" ejn toi'" ou\si qeivoi" pantacou' to; metecovmenon uJperivdrutai tou' metevconto": to; de; aijwvnion

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mario immortale è l’eternità. Come infatti ciò che è principio causale dell’essere per tutte le cose è esso stesso in modo primario, e d’altra parte ciò che è principio causale della produzione delle forme è esso stesso forma prima di tutte le altre, allo stesso modo ciò che è principio causale della condizione di eternità e della immortalità è esso stesso immortale in modo primario. E questo 20 anche lo straordinario Aristotele lo 156 quando correttamente chiama l’eternità «immortale e divina»157, da cui dipendono per tutte le cose l’essere ed il vivere. D’altra parte se essa è ciò che è immortale in modo primario e non per partecipazione, ma principio causale di immortalità e della condizione di eternità, sarebbe vita che ha da se stessa il carattere del “sempre” e che trabocca della potenza della condizione di eternità e che la 25 concede alle altre entità nella misura in cui ciascuna è per natura atta a riceverla. Infatti il carattere dell’immortalità sussiste in una vita e unitamente ad una vita: è per questo motivo che Socrate nel Fedone afferma da qualche parte158 dopo le belle e molteplici 56 dimostrazioni della immortalità dell’anima159: «E certamente il dio, caro Cebete, e la Forma stessa della vita sono in misura molto maggiore immortali». Pertanto la vita intelligibile e il dio che mantiene unita questa vita possederanno in modo primario il caratte- 5 re dell’immortalità e è fonte della condizione di eternità nella sua interezza; e questa condizione è appunto l’eternità. L’eternità dunque avrà la propria sussistenza in una vita e sarà situata nel livello intelligibile intermedio. Inoltre in relazione all’eternità intelligibile è necessario affermare una di queste tre cose: che essa sussiste o secondo l’essere o secondo la vita o secondo l’intelletto intelligibile. Ma «l’essere, in 10 base alla sua natura, non è», come afferma lo Straniero di Elea, «né in quiete né in movimento»160; e se l’essere insito in tutte le cose e l’essenza sono tali, in misura molto maggiore l’essenza intelligibile e l’essere in senso primario sono tali. Infatti non è altro se non solamente essenza; d’altra parte fa apparire nelle pro- 15 cessioni seconde e terze il movimento e la quiete e i rimanenti generi dell’essere161. Dunque l’essere primissimo, come si è detto, trascende al contempo movimento e quiete, mentre «l’eternità permane», secondo Timeo, «in un’unità»162; ecco perché lo stesso vale anche per il tempo163, il quale imita nel movimento la quiete 20 intelligibile dell’eternità. L’eternità di conseguenza non è secondo l’essere in senso primario. 164 né infatti l’anima che si muove per tutta l’estensione del tempo è tempo. Ed in generale tra gli enti divini il partecipato è ovunque posto al di sopra del parteci-

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metevcei tou' aijw'no", w{sper to; e[gcronon tou' crovnou. Pro; tou' nou' toivnun oJ aijw;n kai; meta; to; o[n, w{ste kata; to; mevson i{drutai tou' nohtou' plavtou". Kai; w{sper to; aujtozw'/on aijwvnion, ou{tw kai; oJ aijw;n to; ajei; o[n ejsti: metevcei 57 ga;r wJ" to; zw'/on tou' aijw'no", ou{tw" oJ aijw;n tou' o[nto", kai; e[stin ai[tio" tou' ei\nai kai; tou' zh'n ajei; kai; tou' noei'n, kai; pavntwn metrei' tav" te oujsiva" kai; ta;" dunavmei" kai; ta;" ejnergeiva". 25

ãizVÃ Epeidh; de; oJ aijw;n kata; to; mevson ejsti; kevntron tw'n nohtw'n kai; to; aujtozw'/on kata; to; e[scaton kai; tou' nohtou' to; fanovtaton, tiv to; prw'tovn ejsti kai; pw'" uJpo; tou' Timaivou prosonomavzetai Levgei toivnun peri; tou' aijw'no" o{ti 10 mevnonto" ejn eJni; kat ajriqmo;n proveisin oJ crovno" kai; th'/ me;n kinhvsei th;n ejkeivnou stavsin, tw'/ de; ajriqmw'/ th;n movnimon e{nwsin ajpeikonivsato. Tiv ou\n dhv ejstin ejkei'no to; e}n ou| fhsin oJ Tivmaio" to;n aijw'na mevnein Anavgkh ga;r h] to; aujtou' levgein tou' aijw'no" e}n h] to; tw'n nohtw'n aJpavntwn 15 ejkbebhko;" h] to; th'" prwvth" triavdo" e{n. All eij me;n to; ajmevqekton e}n levgoimen ei\nai tou'to, pw'" ejn ejkeivnw/ ti mevnein dunatovn, tw'/ pavntwn ejxh/rhmevnw/ kai; mhvte scevsin ejpidecomevnw/ mhvte koinwnivan pro;" eJauto; tw'n deutevrwn Pa'n ga;r to; e[n tini mevnon perievcetaiv pw" 20 uJp ejkeivnou pantacovqen ejn w|/ famen aujto; mevnein: to; de; prwvtiston e}n h] perievcein ti tw'n o[ntwn h] suntavttesqai pro;" aujta; pantelw'" ajduvnaton. Eij de; to; aujtou' tou' aijwn' o" e}n uJpoqoi'tov ti" ejn w|/ to;n aijwn' a mevnein oJ Tivmaiov" fhsin, ejn eJautw'/ e[stai oJ aijwvn. Alla; 25 dei' ejn eJautw'/ mevnein tw'/ ejn tw'/ pro; aujtou' ªmevneinº th;n uJpovstasin e[cein: krei'tton ga;r to; ejn tw'/ pro; aujtou' 58 mevnein th'" ejn eJautoi'" tw'n pragmavtwn iJdruvsew", w{sper kai; teleiovteron th'" ejn toi'" katadeestevroi" e{dra" tw'n 5

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pante; d’altra parte il carattere dell’eternità partecipa dell’eternità, come quello della temporalità partecipa del tempo. Pertanto l’eternità è anteriore all’intelletto e posteriore all’es- 25 sere, sicché è posta al livello mediano dell’ambito intelligibile. E come il Vivente-in-sé è eterno, allo stesso modo anche l’eternità è ciò che sempre è; come il Vivente partecipa dell’eternità, così l’e- 57 ternità partecipa dell’essere, ed è principio causale dell’essere e del vivere sempre e dell’avere intellezione, e dà misura sia alle essenze sia alle potenze sia alle attività di tutte le cose.

[Che l’uno entro cui permane l’eternità è il livello più elevato degli intelligibili]

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Dal momento che l’eternità si trova nell’ambito centrale intermedio degli intelligibili e il Vivente-in-sé nell’ultimo e così anche la parte più luminosa degli intelligibili, qual è l’elemento che viene per primo e come viene denominato da Timeo? Egli dunque afferma a proposito «dell’eternità» che, «mentre essa permane in 10 un’unità», il tempo invece procede secondo il numero e riproduce a livello di immagine con il movimento la quiete dell’eternità, mentre con il numero la sua stabile unità. Che cosa è allora quell’uno nel quale Timeo afferma che l’eternità permane? In effetti è necessario dire o che è l’uno proprio dell’eternità stessa, oppure l’Uno che trascende tutti quanti gli intelligibili, oppure l’uno pro- 15 prio della prima triade. Ma se dicessimo che si tratta dell’Uno impartecipabile, come è possibile che qualcosa “permanga in esso”, il quale trascende tutte le cose e non ammette in sé né relazione né comunanza con se stesso delle realtà seconde? In effetti tutto ciò che permane in qualcosa è circondato in certo modo da ogni parte da quell’entità 20 nella quale esso permane; ma il primissimo Uno è assolutamente impossibile che circondi qualcuno degli enti o che si trovi nello stesso ordinamento insieme ad essi. Se invece si supponesse che è l’uno proprio dell’eternità stessa ciò in cui Timeo afferma che l’eternità permane, l’eternità sarà in se stessa. Ma per permanere in se stessa deve avere la propria 25 sussistenza nella realtà che la precede: infatti il permanere in ciò che precede è superiore a quella condizione delle cose in base alla 58 quale esse risultano poste in se stesse, proprio come anche è più perfetto per le entità migliori essere poste in se stesse rispetto

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beltiovnwn. Eij ou\n oJ aijw;n ejn eJautw'/, tivni prwvtw" ajpodwvsomen th;n ejn tw'/ pro; aujtou' monhvn Tou'to ga;r ajnavgkh qeiovteron o]n pro; tou' katadeestevrou th;n gevnesin e[cein. Eij toivnun oJ aijw;n mhvte ejn eJautw'/ duvnatai mevnein mhvte ejn tw'/ prwtivstw/ eJniv, dh'lon o{ti kata; to;n Tivmaion ejn eJni; mevnwn ejn tw'/ th'" prwvth" i{drutai triavdo" eJniv, ma'llon de; ejn th'/ pavsh/ triavdi. Kai; gavr, w{sper provteron ejlevgomen, hJ tria;" au{th tou' monivmou pa'sin aijtiva toi'" ou\sin, w{sper hJ mevsh th'" proovdou kai; hJ trivth th'" ejpistrofh'".

ãihVÃ Trei'" ou\n hJmi'n pavlin pefhvnasi tw'n nohtw'n tavxei" kata; th;n tou' Timaivou didaskalivan, to; aujtozw'/on, oJ aijwvn, to; 15 e{n. Kai; dia; me;n to; e}n tou'to kai; th;n ejn aujtw'/ staqera;n i{drusin oJ aijw;n th;n nohth;n ejphvxato basileivan: dia; de; to;n aijw'na to; aujtozw'/on ajei; kata; ta; aujta; wJsauvtw" ajforivzei to; pevra" tw'n nohtw'n qew'n. Kai; to; me;n aujtozw'/on tetradikw'" proelhluqo;" th'" ejn tw'/ aijw'ni duavdo" ejxhvrthtai 20 (to; ga;r ajei; meta; tou' o[nto" oJ aijwvn): hJ de; ejn tw'/ aijw'ni dua;" th'" monavdo" metevcei th'" nohth'", h}n kai; dia; tou'to proshgovreusen oJ Tivmaio" e{n, wJ" panto;" tou' nohtou' plavtou" monavda kai; ajrchvn. Epei; kai; a[llw" th;n me;n 59 prwvthn triavda, kata; to; pevra" diaferovntw" carakthrizomevnhn, eijkovtw" proseivrhken e{n, ajpo; tou' pevrato" aujth;n ejponomavzwn: th;n de; mevshn duadikw'" aijw'na, ta; ojnovmata sumplevkwn, diovti kata; th;n duvnamin hJ tria;" au{th 5 th;n nohth;n ajfwvristai: th;n de; trivthn aujtozw'/on, ajpo; tou' th'" triavdo" ejscavtou metafevrwn ejpi; th;n o{lhn th;n proshgorivan. H me;n ou\n prwvth tria;" e{nwsiv" ejsti pavntwn tw'n nohtw'n suntetagmevnh pw" aujtoi'" (a[llh ga;r ejxh/rhmevnh tw'n 10 nohtw'n kai; ajmevqekto" e{nwsi") kai; e[sti monivmou dunavmew"

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all’avere sede in quelle inferiori. Se dunque l’eternità è in se stessa, a quale entità attribuiremo in modo primario la permanenza nella realtà che la precede? Infatti è necessario che questa entità, in quanto è più divina, abbia origine anteriormente rispetto a ciò che è inferiore. Se pertanto l’eternità non può né permanere in se stessa né nel primissimo Uno, è chiaro che essa, in quanto secondo Timeo «permane in un’unità», è posta nell’uno della prima triade, anzi nell’interezza di questa triade. E infatti, come dicevamo in precedenza165, questa triade è causa per tutti gli enti del carattere della permanenza, come la triade intermedia è causa della processione e la terza è causa della conversione166.

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[Discorso generale su tutti gli ordinamenti intelligibili in base all’insegnamento del “Timeo”, ed esposizione più precisa della dottrina sulle caratteristiche specifiche insite in essi] Dunque tre di nuovo sono a noi risultati gli ordinamenti degli intelligibili in base all’insegnamento del Timeo: il Vivente-in-sé, l’eternità, l’uno. E per via di questo uno e della stabile collocazio- 15 ne in esso l’eternità ha fissato il regno intelligibile; per via dell’eternità dal canto suo il Vivente-in-sé delimita sempre nelle medesime relazioni allo stesso modo il limite degli dèi intelligibili. Ed il Vivente-in-sé, che è proceduto sotto quattro forme, dipende dalla diade insita nell’eternità (infatti l’eternità è il “sempre” 20 congiunto all’essere)167; a sua volta la diade insita nell’eternità partecipa della monade intelligibile, che proprio per questo motivo Timeo ha chiamata “uno”168, in quanto monade e principio di tutto l’ambito intelligibile. Ed infatti è in un altro senso che la prima triade, la quale è caratterizzata in modo distintivo secondo 59 il limite, egli la ha, a ragione, chiamata “uno”, denominandola così a partire dalla nozione di limite; invece la triade intermedia l’ha chiamata “eternità” in modo diadico, combinando insieme le parole169, per la ragione che questa triade è definita sulla base della 5 potenza intelligibile; infine la terza triade la ha chiamata “Viventein-sé”, trasferendo tale denominazione dall’ultimo elemento della triade a tutta la triade nel suo insieme. La prima triade dunque è unità di tutti gli intelligibili, coordinata in un certo modo ad essi (infatti un’altra è l’unità trascendente rispetto agli intelligibili ed impartecipabile), ed è la fonte che 10

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corhgov". Di aujth;n ga;r eJdravzetai ta; pavnta, to; de; prwvtw" o]n kai; eJdrazovmenon oJ aijwvn: w{ste th'" monh'" tw'n o{lwn to; me;n di o} th;n prwtivsthn triavda fhvsomen, to; de; uJf ou| th;n deutevran. Kata; tauvthn me;n gavr, ajlla; di ejkeivnhn, hJ 15 staqera; tw'n o[ntwn i{drusi". H dev ge deutevra tria;" mevtron ejsti; tw'n o[ntwn aJpavntwn prosece;" kai; suntetagmevnon toi'" metroumevnoi". Kai; e[stin a{ma pevra" ejn aujth'/ kai; a[peiron, wJ" me;n metrouvsh/ ta; nohta; to; pevra", wJ" de; ajidiovthto" kai; tou' ajei; aijtiva/ to; 20 a[peiron. Th'" ga;r ajnekleivptou zwh'" kai; th'" ajtruvtou dunavmew" kai; th'" ajovknou kata; to; lovgion ejnergeiva" oJ aijw;n ãai[tio"Ã. Ma'llon mh;n kata; to; a[peiron oJ aijw;n carakthrivzetai: kai; ga;r to;n a[peiron crovnon ejn eJautw'/ perievcei. Kai; oJ me;n crovno" dih/rhmevnw" e[cei to; pevra" kai; 25 to; a[peiron: kata; me;n ga;r th;n sunevceian a[peirov" ejsti, kata; de; to; nu'n pepevrastai, to; de; nu'n pevra". O de; aijw;n ejn taujtw'/ to; pevra" iJdruvsato kai; th;n ajpeirivan: 60 eJna;" gavr ejsti kai; duvnami", kai; kata; me;n to; e}n pevra", kata; de; th;n duvnamin a[peiro". O kai; deivknusin wJ" ajpo; tw'n eijkovnwn o{ti kai; hJ mevsh tria;" pevra" e[cei kai; a[peiron kai; miktovn. Povqen ga;r a[lloqen to; pevra" tou' crovnou h] 5 ejk tou' aijwnivou pevrato" Epei; kai; to; croniko;n pevra" ajmerev", wJ" to; tou' aijw'no" pevra" eJnav": tou' ga;r eJno;" eijkw;n to; ajmerev". Povqen de; to; a[peiron th'" suneceiva" h] ejk th'" ajpeivrou dunavmew" H me;n gavr ejstin eJstw'sa ajpeiriva, hJ de; kinoumevnh: kai; w{sper ejkeivnh kata; to; e}n e{sthken, 10 ou{tw" au{th kinei'tai kat ajriqmovn. Epei; povqen hJ pro;" ta;" zwa;" tou' crovnou suggevneia h] ejk th'" prwvth" zwh'" O de; crovno" dia; pavsh" proveisi th'" cronikh'" zwh'". Pavlin toivnun kai; ejk touvtwn dh'lon o{ti kata; to; mevson tw'n nohtw'n qew'n oJ aijwvn: ejntau'qa ga;r hJ a[peiro" zwh; kai; hJ 15 pavsh" aijtiva zwh'", th'" te noera'" kai; th'" yucikh'" kai; th'" ejn toi'" swvmasi meristw'" uJfistamevnh": th'" de; ajpeivrou zwh'" oJ aijwvn ejsti path;r kai; corhgov", ei[per kai; pavsh" ajqanasiva" kai; ajidiovthto" ai[tio" oJ aijwvn. Kai; o{ ge Plwti'no"

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garantisce una potenza permanente. In virtù di essa infatti tutte le entità sono saldamente stabilite; d’altra parte ciò che in senso primario è ed è saldamente stabilito è l’eternità; sicché diremo che la causa efficiente della permanenza della totalità del reale è la primissima triade, mentre la causa materiale è la seconda. Infatti è in base a quest’ultima, ma a causa di quella precedente, che risulta la 15 stabile collocazione degli enti. Invece la seconda triade, dal canto suo, è misura di tutti quanti gli enti, adatta e coordinata alle entità che ricevono da essa misura. Ed in essa vi sono al contempo limite e illimitato: il limite, in quanto essa dà misura agli intelligibili, mentre l’illimitato, in quanto essa è causa della condizione di eternità e del “sempre”. Infatti principio causale della vita incessante, della potenza infati- 20 cabile e della «dedizione instancabile», secondo l’espressione oracolare170, è l’eternità. In effetti è più in base all’illimitato che l’eternità è caratterizzata: ed infatti contiene in se stessa il tempo illimitato. Ed il tempo possiede in modo diviso il limite e l’illimi- 25 tato: infatti in base alla continuità è illimitato, mentre in base all’istante presente è limitato; «del resto l’istante presente è limite»171. L’eternità invece ha fatto coincidere il limite e l’illimitatez- 60 za; infatti essa è enade e potenza, ed in base al carattere dell’uno, essa è limite, mentre in base alla potenza è illimitata. E ciò mostra, come si desume a partire dalle immagini172, anche che la triade intermedia ha limite, illimitato e misto. Da quale altro ambito viene il limite del tempo se non dal limite che appartiene all’eter- 5 nità? In effetti il limite che appartiene al tempo è senza parti, allo stesso modo in cui il limite proprio dell’eternità è enade: infatti ciò che è senza parti è immagine dell’“Uno”. Ma da dove viene il carattere illimitato della continuità se non dalla potenza illimitata? Infatti l’una è illimitatezza che rimane in quiete173, l’altra invece si muove; e proprio come la prima è in quiete secondo l’“uno”, 10 allo stesso modo quest’altra si muove secondo il numero. In effetti da dove viene la connessione naturale del tempo con le forme di vita se non dalla prima Vita? Il tempo dal canto suo procede attraverso tutta la forma di vita che è nel tempo. Di nuovo dunque anche da tali considerazioni risulta evidente che l’eternità si trova nel livello intermedio degli dèi intelligibili: qui infatti si trovano la vita illimitata e la causa di ogni vita, sia di quella intellettiva sia di 15 quella psichica sia di quella che sussiste nei corpi in forma particolare e divisa; invece origine174 e garante della vita illimitata è l’eternità, se è vero che l’eternità è principio causale sia di ogni forma di immortalità sia di ogni condizione di eternità. E Plotino

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ejnqeastikwvtata th;n ãtou'à aijw'no" ijdiovthta kata; th;n tou' Plavtwno" qeologivan ejmfanivzwn zwh;n a[peiron ajforivzetai to;n aijw'na kai; oJmou' pa'san profaivnousan eJauth;n kai; ejkfaivnousan kai; to; o]n to; eJauth'". En ga;r tw'/ nohtw'/ kevntrw/ th;n auJtou' zwh;n iJdrusavmeno" kai; dia; me;n to; e}n metrw'n auJto;n kai; eJdravzwn ejn tw'/ pro; aujtou', 25 dia; de; th;n duvnamin a[peiron poiw'n, ejkfaivnei me;n th;n eJnoeidh' th'" prwvth" triavdo" uJperochvn, oJrivzei de; th;n tw'n ãnohtw'nà ajpoperavtwsin, teivnei de; ejk tou' mevsou pantacovse kai; ejpi; pa'n to; nohto;n plavto". 61 Alla; mh;n kai; hJ trivth tria;" peplhvrwtai me;n zwh'" nohth'" kai; dia; tou'to zw'/ovn ejsti nohto;n kai; prwvtiston zw'/on. Prwvtw" ga;r aujto; metevcei th'" o{lh" fuvsew", ejn eJautw'/ de; ejkfaivnei ta; prwvtista tw'n eijdw'n, pro;" a} kai; oJ 5 dhmiourgiko;" nou'" ajnateinovmeno" to;n o{lon uJfivsthsi kovsmon: kai; e[stin aujto; to; nohto;n pa'n, wJ" oJ fainovmeno" kovsmo" to; aijsqhtovn, dio; kai; oJ Plavtwn pantele;" ejponomavzei to; aujtozw'/on. Ma'llon de; ou{tw", eij dokei', levgwmen: ejn th'/ trivth/ tauvth/ triavdi kai; pevra" ejsti; kai; a[peiron kai; 10 miktovn, o} dh; nou'n nohto;n keklhvkamen. Oujkou'n monogenh;" me;n hJ suvmpasa tria;" ajpo; tou' ejn aujth'/ prosagoreuvetai patrov": to; ga;r ajsuvntakton pro;" ta; a[lla kai; th;n ejxh/rhmevnhn uJperoch;n hJ tou' pevrato" aijtiva parevcetai. To; ga;r perievcon, fhsi;n oJ Tivmaio", pavnta 15 o{sa nohta; zw'/a meq eJtevrou deuvteron oujk a]n ei[h: pavlin ga;r a]n e{teron ei\nai to; peri; ejkeivnw devoi zw'/on. To; toivnun perilhptiko;n ejn eJni; tw'n nohtw'n aJpavntwn to; o{lon ejstiv: pantacou' mevntoi to; o{lon pro;" tou' pevratov" ejsti, ta; de; mevrh pro;" th'" ajpeiriva": w{st eij dia; tou'to 20 monogenev" ejsti to; aujtozw'/on, kata; to; pevra" a]n e[coi th;n ijdiovthta tauvthn. Aijwvnio" de; au\ prosagoreuvetai kata; th;n duvnamin th;n aujth'"b, kata; tauvthn ãga;rà mavlista tw'/ aijwnivw/ proshvkei: kai; ga;r oJ aijw;n duvnami" h\n a[peiro" ejn eJni; mevnousa kai; proi>ou'sa staqerw'". Pantelh;" de; kata; 25 to;n nou'n: oJ ga;r pa'san ejn eJautw'/ th;n nohth;n ejkfhvna" 62 tou' o[nto" diavkrisin oJ nou'" ejstin oJ nohtov", kai; ou|to" a]n ei[h kata; th;n tou' Plavtwno" gnwvmhn nou'" oJ pantevleio", oJ pavntwn nohtw'n perilhptiko;" kai; to; pevra" ajforivzwn 20

b

Cfr. nota alla traduzione.

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dal canto suo, in modo davvero ispirato, rivelando il carattere specifico dell’eternità secondo la teologia di Platone, definisce l’eter- 20 nità come una «vita illimitata» e «che al contempo rende manifesta e rivela tutta se stessa»175 ed il suo proprio essere. Infatti l’eternità, avendo stabilito nel centro intelligibile la sua vita, e da un lato attraverso l’uno fornendo misura a se stessa e dimorando in ciò che la precede, dall’altro attraverso la potenza rendendosi illimi- 25 tata, rivela la superiorità uni-forme della prima triade, ed inoltre determina i limiti estremi degli intelligibili, ed ancora si distende dal livello intermedio in ogni luogo e fino ad arrivare a ricoprire l’interezza dell’ambito intelligibile. Ma di fatto anche la terza triade è ricolma della vita intelligibile 61 e per questo motivo è un vivente intelligibile e primissimo vivente. Infatti in modo primario esso partecipa della natura universale, e d’altra parte fa apparire in se stesso le primissime fra le Forme, verso le quali tende anche l’intelletto demiurgico e così fa sussiste- 5 re il cosmo nella sua totalità; e questo Vivente è la dimensione intelligibile nella sua interezza, come il cosmo visibile è quella sensibile: ecco perché Platone designa con l’appellativo di “compiutamente perfetto” il Vivente-in-sé. O piuttosto, se pare, diciamo così: in questa terza triade vi sono limite, illimitato, e misto, che abbiamo 10 appunto chiamato176 “intelletto intelligibile”. Quindi la triade tutta intera la si denomina “unica nel suo genere” dal Padre che si trova in essa; in effetti il carattere di non connessione con le altre entità e la superiorità trascendente li fornisce la Causa del limite. «Infatti ciò che contiene tutti quanti i viventi intelligibili», afferma Timeo, «non 15 potrebbe essere secondo insieme ad un altro; di nuovo infatti bisognerebbe che vi fosse un altro vivente che li comprendesse entrambi»177. Ciò che comprende in un’unità tutti quanti gli intelligibili è l’“intero”; certamente in ogni ambito l’intero è in relazione al limite, mentre le parti sono in relazione all’illimitatezza; sicché, se è per questo motivo che il Vivente-in-sé è “unico nel suo genere”, è in base al 20 limite che avrebbe questa proprietà. Inoltre a sua volta la si denomina “eterna” in base alla potenza che appartiene alla illimitatezza178; infatti è in base soprattutto a quest’ultima che è connessa al carattere dell’eternità; ed infatti l’eternità è risultata potenza illimitata che permane in un’unità e che procede in modo stabilmente fisso. “Compiutamente perfetta” poi la si denomina in base all’intel- 25 letto: infatti chi ha rivelato in se stesso tutta la distinzione intelligibi- 62 le dell’essere è l’intelletto intelligibile, e questo sarebbe, secondo il punto di vista di Platone, l’intelletto compiutamente perfetto, quello che comprende «tutti gli intelligibili» e che determina il limite del-

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th'" nohth'" diakosmhvsew". To; monogene;" a[ra kai; to; aijwvnion kai; to; pantele;" pevra" kai; a[peiron kai; ªto;º mikto;n ajpevfhne th;n tou' nohtou' zwv/ou fuvsin. Dio; kai; oJ Tivmaio" ejn trisi; touvtoi" ajpomnhmoneuvei sumperavsmasi tou' paradeivgmato", ejn tw'/ monogene;" deiknuvnti to; pa'n kai; pavlin th'/ genevsei tou' crovnou kai; th'/ tw'n pavntwn 10 zwv/wn pantelei' perioch'/. Eij de; au\ tw'n nooumevnwn aJpavntwn kavlliston oJ Tivmaio" ei\naiv fhsi to; aujtozw'/on, kai; tau'ta th;n trivthn ejn toi'" nohtoi'" tavxin ãlacovnÃ, oujde;n a]n ei[h tou'to qaumastovn. Ei[rhtai ga;r provteron kai; par hJmw'n o{ti 15 pantacou' me;n hJ th'" ajrivsth" mivxew" aijtiva triav", to; suvmmetron, to; ajlhqev", to; kalovn, diaferovntw" de; au\ to; kavllo" ejn th'/ trivth/ proovdw/ tou' o[nto" ejkfaivnetai kai; meta; tw'n nohtw'n eijdw'n ejklavmpei th;n eJautou' fuvsin, w{sper hJ ajlhvqeia kata; th;n deutevran kai; to; suvmmetron 20 kata; th;n prwvthn. Eij de; prwvth me;n hJ ajlhvqeia, deuvteron de; to; kavllo", trivth de; hJ summetriva, qaumasto;n oujde;n kata; me;n th;n tavxin th;n ajlhvqeian kai; to; kavllo" ei\nai pro; th'" summetriva", tauvth" de; kai; ejn th'/ prwvth/ triavdi ma'llon ejkfainomevnh" ejkeivnwn wJ" trivth" ou[sh", ejkeivna" ejn tai'" 25 deutevrai" ejkfaivnesqai krufivw" ãou[sa"Ã ejn th'/ prwvth/, 63 kai; th;n me;n ajlhvqeian, kaq o{son ejsti; nohth; gnw'si", ejn th'/ deutevra/, to; de; kavllo", kaq o{son ejsti;n ei\do" eijdw'n, ejn th'/ trivth/. Epei; o{ti ge hJ tria;" ejkei' prw'ton, dh'lon ejk tou' th;n me;n ajlhvqeian ejn tw'/ mavlista o[nti prwvtw" ei\nai 5 pro; th'" gnwvsew", to; de; kavllo" foitw'n kai; mevcri tw'n ejscavtwn o[ntwn ei\nai ajnagkai'on ejn tw'/ prwvtw/ o[nti, par ou| kai; ta; e[scata tw'n o[ntwn, th;n de; prwvthn summetrivan ejn tw'/ prwvtw/ ei\nai miktw'/: pa'sa ga;r mivxi" dei'tai summetriva", i{na e{n ti to; ejx aujth'" ei[h. All ou\n eij kai; ta; triva prou>10 fevsthken ejkei', labovnte" hJmei'" uJpo; pavntwn oJmologouvmenon, ei\nai me;n ejkei' th;n summetrivan, ãei\nai de; th;n ajlhvqeianÃ, ei\nai de; kavlliston zwv/wn tw'n nooumevnwn to; aujtozw'/on, wJ" oJ Tivmaiov" fhsin, ejn tw'/ parovnti to;n peri; touvtwn dieperanavmeqa lovgon, ajllacou' prohgoumevnw" peri; aujtw'n 15 dialecqevnte" kai; o{sa tw'/ Plavtwni peri; th'" tavxew" aujtw'n 5

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l’ordinamento intelligibile: il carattere di “unico nel suo genere”, 5 quello di “eterno” e quello di “compiutamente perfetto” hanno fatto apparire la natura del vivente intelligibile rispettivamente come limite, illimitato e misto179. Ecco perché Timeo menziona «il modello» in queste tre conclusioni, in quella che mostra che il tutto è “unico nel suo genere”, e di nuovo in quella sulla generazione del tempo ed infi- 10 ne in quella sull’insieme compiutamente perfetto di tutti i viventi180. Se d’altra parte Timeo afferma che il Vivente-in-sé è «il più bello» di tutti «gli oggetti di intellezione», e ciò pur avendo esso ottenuto la terza posizione all’interno degli intelligibili, non dovrebbe comunque esserci nessun motivo di stupore. Infatti è stato detto anche da noi in precedenza181 che da un lato, in ogni am- 15 bito, la causa della migliore mescolanza in assoluto è la triade proporzionato, vero e bello, e dall’altro che la bellezza, dal canto suo, si rivela in modo particolare nella terza processione dell’essere ed insieme alle Forme intelligibili fa risplendere la sua propria natura, nello stesso modo in cui la verità fa ciò in base alla seconda processione, ed il carattere della proporzione in base alla prima. 20 Ma se la verità viene per prima, mentre la bellezza per seconda, ed infine per terza la proporzione, non v’è motivo di stupirsi che per ordinamento la verità e la bellezza precedano la proporzione, mentre, considerato che quest’ultima si rivela proprio nella prima triade in misura maggiore degli altri due termini, in quanto è terza, quegli altri due termini si rivelano nelle triadi inferiori, in quanto 25 essi nella prima triade sono in forma celata: la verità, nella misura 63 in cui è conoscenza intelligibile, nella seconda, mentre la bellezza, nella misura in cui è Forma di Forme, nella terza182. In effetti che la triade si trovi in quel livello183 per la prima volta, risulta evidente dal fatto che la verità, nel livello in cui l’essere è in sommo grado essere, precede in modo primario la conoscenza, mentre la 5 bellezza, che si spinge fino ad arrivare anche agli enti che vengono per ultimi, deve necessariamente trovarsi nell’essere in senso primario, dal quale provengono anche gli ultimi livelli degli enti, mentre la prima proporzione si trova nel primo misto184: infatti ogni mescolanza necessita di proporzione, affinché ciò che risulta dalla mescolanza sia una effettiva unità. Ma dunque, se i tre termini della triade appunto sono lì preesistenti, dato che noi abbia- 10 mo assunto come fatto su cui tutti sono d’accordo che lì v’è la proporzione, 185, ed infine il Vivente-in-sé, «il più bello degli oggetti di intellezione» viventi, come afferma Timeo, nel presente contesto abbiamo concluso il discorso concernente tali questioni, dato che altrove abbiamo trattato come argomento 15

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dokei'n wj/ovmeqa mavlista pievsante". Ei[rhtai ga;r peri; touvtwn hJmi'n ejn eJni; tw'n monobivblwn, o{pou kai; dedeivcamen th;n me;n ajlhvqeian tw'/ filosovfw/ suvstoicon, to; de; kavllo" kai; th;n summetrivan tw'/ ejrwtikw'/ kai; mousikw'/, kai 20 wJ" e[cousin oiJ bivoi tavxew", ou{tw" e[conta kai; tau'ta pro;" a[llhla. Kavlliston me;n ou\n to; aujtozw'/on dikaiovtata a]n kaloi'to, kaq o{son tw'/ nohtw'/ kavllei diaferovntw" sunevcetai. To; ga;r kavllo" ejpocei'sqai toi'" ei[desi filei' kai; 25 e[stin oi|on ei\do" eijdw'n, tou' ajgaqou' to; kruvfion ejkfh'nan kai; prolavmyan to; ejrasto;n aujtou' kai; to;n kruptovmenon peri; ejkei'no povqon eJlkuvsan eij" to; eJautou' fanovn. Tou' me;n ãga;rà ajgaqou' pavnta sigwmevnhn e[cei kai; ajpovrrhton 64 th;n e[fesin, pro;" de; to; kalo;n met ejkplhvxew" kai; kinhvsew" ejgeirovmeqa. To; ga;r ejklavmpon aujtou' kai; drasthvrion ojxevw" dia; pavsh" cwrei' th'" yuch'" kai; pa'san ejpistrevfei qewmevnhn to; kalo;n wJ" tw'/ ajgaqw'/ pavntwn oJmoiovtaton: 5 kai; to; ajpovrrhton oi|on ejkfane;n ijdou'sa caivrei kai; a[gatai to; fane;n kai; ejptovhtai peri; aujtov. Kai; w{sper ejn tai'" aJgiwtavtai" teletai'" pro; tw'n mustikw'n qeamavtwn e[kplhxi" tw'n muoumevnwn, ou{tw dh; kajn toi'" nohtoi'" pro; th'" tou' ajgaqou' metousiva" to; kavllo" profainovmenon ejkplhvttei 10 tou;" oJrw'nta" kai; ejpistrevfei th;n yuch;n kai; deivknusin ejn toi'" proquvroi" iJdrumevnon oi|ovn ejstin a[ra to; ejn toi'" ajduvtoi" kai; to; kruvfion ajgaqovn.

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ãiqVÃ All o{qen me;n a[rcetai to; kavllo" kai; o{pw" prwvtw" ejkfaivnetai, dia; touvtwn e[stw fanerovn, kai; diovti kavlliston tw'n nooumevnwn pavntwn ejsti; to; aujtozw'/on.

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principale di essi e abbiamo affrontato dettagliatamente tutte quelle che ritenevamo fossero le opinioni di Platone circa il loro ordine di successione. In effetti noi abbiamo parlato di questi elementi in uno dei nostri trattati in un unico libro186, dove abbiamo anche mostrato che la verità è coordinatamente connessa al «filosofo», mentre la bellezza e la proporzione sono connessi rispettivamente all’«amoroso» ed al «musico»187, e come tali generi di vita 20 fanno parte di una determinata successione ordinata, allo stesso modo anche gli elementi della triade si trovano gli uni rispetto agli altri in una corrispondente successione. Dunque il Vivente-in-sé lo si potrebbe chiamare in modo assolutamente giusto «il più bello», nella misura in cui è costituito in modo distintivo della bellezza intelligibile. Infatti la bellezza ama farsi trasportare dalle Forme ed è per così dire Forma di Forme, 25 in quanto rivela il carattere segreto del Bene, fa risplendere la sua natura di oggetto di amore ed attira verso la propria lucentezza il celato desiderio per esso. Infatti tutte le cose hanno il desiderio tacito ed ineffabile del Bene, mentre è al Bello che noi ci innalzia- 64 mo con un senso di stupore e di commozione. Infatti lo splendore e l’efficacia di esso si propagano in modo penetrante per tutta l’anima e la convertono tutta quando contempla il Bello come l’entità più simile fra tutte al Bene; e quando vede il carattere inef- 5 fabile per così dire rivelato ne gioisce ed ammira ciò che le si è manifestato e rimane turbata per esso. E come nei più sacri riti di iniziazione prima delle visioni mistiche v’è per gli iniziati un senso di stupore, allo stesso modo anche nell’ambito delle entità intelligibili prima della partecipazione del Bene la Bellezza, al suo manifestarsi, riempie di stupore coloro che guardano, converte la loro 10 anima e mostra, essendo posta «nel vestibolo»188, qual è dunque la natura del Bene che rimane celato nella sua segretezza nella parte più interna del tempio189.

[Sulle Forme intelligibili: insegnamento che rivela il loro carattere specifico ed al contempo come siano quattro, e da quali cause siano venute a sussistere] Ebbene, da dove incomincia la Bellezza e come per la prima volta essa si manifesta, attraverso queste considerazioni deve risultare ben chiaro, ed anche per quale motivo «il più bello di» tutti «gli oggetti di intellezione» è il Vivente-in-sé. Ma dato che Timeo

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Epei; de; ta; prwtourga; kai; nohta; paradeivgmatav fhsin oJ Tivmaio" ejn tw'/ nohtw'/ zwv/w/ th;n uJpovstasin e[cein kai; ei\nai tevttara ta; pavnta kata; th;n pantelh' tetravda poihsavmena 20 th;n prwvthn e[kfansin, prw'ton me;n ejkei'no sunora'n a[xion, o{ti tw'n eijdw'n ejn tw'/ nohtw'/ fanevntwn pollw'/ provteron ajnavgkh kai; ta; gevnh tw'n o[ntwn ejn toi'" nohtoi'" prou>pavrcein. Ouj ga;r a]n ei[h dunato;n ta; me;n ei[dh nohta; tivqesqai, ta; de; gevnh noera; movnon: ajll w{sper ta; ei[dh nohtw'" mevn 25 ejsti kata; th;n prwvthn eJautw'n uJpovstasin, ejn de; toi'" noeroi'" qeoi'" to; plhvrwma to; ejx aujtw'n ejxevfhne, kai; to; 65 me;n oJliko;n eij" merikwtevra" uJpobavsei" diei'le, to; de; eJnoeide;" eij" plh'qo" prohvgage, to; de; ejxh/rhmevnon eij" ta;" suntetagmevna" aijtiva" ajnhvplwsen, ou{tw dh; kai; ta; gevnh tou' o[nto" krufivw" mevn ejstin ejn toi'" nohtoi'" kai; ajdiai5 revtw", diakekrimevnw" de; ejn toi'" noeroi'". Kai; dia; tou'to hJ me;n prwvth tria;" to; mikto;n ei\ce th;n oujsivan, hJ de; deutevra th;n zwhvn, o{pou kai; kivnhsi" h\n kai; stavsi", menouvsh" th'" zwh'" kai; proi>ouvsh", ejn de; th'/ trivth/ taujto;n kai; qavteron: to; me;n ga;r pantele;" plh'qo" dia; 10 th;n nohth;n eJterovthta, to; de; hJnwmevnon kai; to; koino;n perilhptiko;n tw'n kata; gevnh kai; kaq e}n morivwn dia; to; taujtovn. Kai; pavnta tau'ta nohtw'" ejstin ejn tai'" triavsi tauvtai" kai; oujsiwdw'" kai; monoeidw'". Prw'ton me;n ou\n tou't aujto; sullogivzesqai tou;" filo15 qeavmona" th'" tw'n pragmavtwn fuvsew" a[xion kai; toi'" ei[desi toi'" nohtoi'" ajpodidovnai ta; suvstoica gevnh. Qevmi" ga;r ou[te h\n ou[te e[stai ta; gevnh deuvtera meta; th;n tw'n eijdw'n fuvsin ejkfaivnesqai: toi'" ou\n ei[dh nohta; tiqemevnoi" pollw'/ meizovnw" uJpoqetevon ejn tw'/ nohtw'/ 20 ta; gevnh to;n eijrhmevnon trovpon. Epeita pro;" touvtoi" kai; th;n tetravda tauvthn tw'n eijdw'n o{pw" uJpevsth qeatevon kai; pw'" tai'" ajrcai'" ajnavlogon ejn tw'/ nohtw'/ nw'/ profaivnetai. Diairei'tai me;n ga;r eij" monavda kai; triavda: kaq o{son ga;r hJ tw'n oujranivwn qew'n ijdeva protevtaktai tw'n a[llwn, 25 kata; th;n qeivan aijtivan ajfwvristai. Dokei' d e[moige kata; th;n ejpistrofh;n th;n eJautou' pro;" ta;" tw'n o{lwn ajrca;" oJ

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afferma che gli originari ed intelligibili modelli hanno la loro sussistenza nel Vivente intelligibile e che sono in tutto quattro, in quanto hanno fatto la loro prima apparizione nella tetrade com- 20 piutamente perfetta190, in primo luogo vale la pena di considerare rilevante questo aspetto, cioè che necessariamente, dato che le Forme si manifestano nell’intelligibile, molto prima devono anche preesistere i generi degli enti negli intelligibili191. Infatti non sarebbe altrimenti possibile considerare intelligibili le Forme, mentre solamente intellettivi i generi; ma allo stesso modo in cui le Forme sono, in base alla loro prima forma di sussistenza, in modo intelli- 25 gibile, mentre negli dèi intellettivi si rivela l’insieme complessivo da esse risultante, e allo stesso modo in cui esse hanno diviso il loro 65 carattere di totalità in gradi più particolari, avendo fatto procedere la loro uniformità verso la molteplicità ed avendo dispiegato il loro carattere trascendente nelle cause che risultano ad esse coordinate, così anche i generi dell’essere si trovano negli intelligibili in modo celato e senza divisioni, mentre negli intellettivi sono in 5 modo diviso. Ed è per questo motivo che la prima triade è risultata avere come misto «l’essenza», mentre la seconda triade la vita, ove vi sono sia «movimento» sia «quiete», dato che la vita permane in sé e procede, ed infine nella terza triade vi sono «identico» e «diverso»192; in effetti la molteplicità «compiutamente perfetta» attraverso la diversità intelligibile, mentre il carattere 10 unificato e quello generale atto a comprendere tutte le parti «nel senso di generi e nel senso di singoli individui»193 attraverso l’identico. E tutte questi caratteri sono in queste triadi in modo intelligibile, in forma essenziale ed in forma unitaria. Proprio questo dunque, per prima cosa, è ciò che gli amanti della contemplazione della natura delle cose devono ricavare con 15 il ragionamento e devono poi attribuire alla Forme intelligibili i generi ad esse coordinati. Infatti «non era né sarà lecito» che i generi si rivelino per secondi dopo la natura delle Forme: quindi da parte di coloro che pongono le Forme intelligibili deve essere a maggior ragione presupposto che i generi sono nell’intelligibi- 20 le nel modo che si è detto. In seguito, oltre a ciò, bisogna prendere in considerazione come viene a sussistere questa tetrade delle Forme e in che modo si presenta nell’intelligibile in modo analogo ai principi. Infatti essa si divide in una monade e in una triade: infatti nella misura in cui la specie degli dèi celesti è posta per ordinamento anteriormente agli altri, essa è delimitata in 25 base alla causa divina. D’altra parte a me personalmente pare che, in base alla sua conversione verso i principi di tutte le cose,

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nou'" ejpistrefovmeno" plhvrwma genevsqai tw'n eijdw'n kai; pavnta noerw'" a{ma kai; nohtw'" eij" eJauto;n cwrh'sai ta; tw'n o[ntwn ai[tia: kai; th'" me;n ajrrhvtou kai; tw'n pavntwn ejxh/rhmevnh" aijtiva" plhrwqei;" uJposth'sai th;n monavda tw'n 5 qew'n (o{qen oi\mai kai; oJ Plavtwn qew'n aujth;n ijdevan ajpokalei'), tw'n de; triw'n meta; to; e}n ajrcw'n uJpodexavmeno" ta;" noera;" aijtiva" ta;" trei'" ajnafh'nai meta; tauvthn ijdeva", th;n me;n ajeropovrwn kai; pthnw'n aijtivan tw'/ pevrati proelqou'san ajnavlogon, dio; kai; qeou;" uJfivsthsin eJnoeidei'", 10 ajnagwgouv", ajcravntou", toi'" oujranivoi" qeoi'" hJnwmevnou" kai; deuvtera mevtra lacovnta" ejkeivnwn kai; tou'to o[nta" pro;" tou;" th;n gevnesin kubernw'nta" suntetagmevnw" o{per ejkei'noi pro;" touvtou" kata; th;n ejxh/rhmevnhn uJperochvn: th;n de; ejnuvdrwn qew'n, th'/ gennhtikh'/ dunavmei kai; tw'/ ajpeivrw/ 15 suvstoicon kai; paravgousan qeou;" kinhvsew" corhgou;" kai; th'" gonivmou periousiva" kai; zwh'" ejfovrou", ejpei; kai; aujto; tou'to to; fainovmenon u{dwr cuvsei kai; ajpeivrw/ fora'/ kai; ajoristiva/ kekravthtai, dio; kai; tai'" zwogovnoi" ajnei'tai dunavmesi: th;n de; cqonivwn kai; pezw'n qew'n prohgou20 mevnhn th'/ tou' miktou' fuvsei proshvkousan kai; qeou;" ajpogennw'san tou;" to; tevlo" sunevconta" tw'n o{lwn monivmw" kai; kratou'nta" toi'" ejscavtoi" ei[desi th;n th'" u{lh" ajmorfivan kai; th;n eJstivan tw'n ejgkosmivwn eij" e}n to; tou' panto;" kevntron sunereivdonta", ajpo; ga;r th'" prwtivsth" oi|on eJstiva" tw'n 25 o[ntwn uJpostavnte" kai; thvnde th;n eJstivan aujtoi; monivmw" ajforivzousin. Ou{tw me;n ou\n hJ prwtivsth tw'n eijdw'n e[kfansi" ejn tw'/ 67 nohtw'/ nw'/ kata; ta;" prwtivsta" ajrca;" deivknutai thvn te provodon e[cousa kai; th;n tavxin. Dei' de; au\ pro;" touvtoi" kai; tou'to ejk trivtwn eJpomevnou" tw'/ Timaivw/ sunavgein, o{ti kata; th;n triavda tauvthn to; plh'qo" ejxevlamye tw'n merw'n 5 tw'n nohtw'n kai; to; o{lon to; memerismevnon eij" to;n pantelh' tw'n morivwn diavkosmon. Ou| gavr fhsivn ejsti ta; a[lla nohta; zw'/a kaq e}n kai; kata; gevnh movria, tou'tov ejsti to; prwvtiston kai; kavlliston paravdeigma tou' pantov". Eij de; ta; a[lla movria tou'de, dh'lon wJ" aujto; o{lon ejsti; to; 10 plh'qo" ejn eJautw'/ tw'n nohtw'n morivwn suneilhfo;" kai; pavntwn tw'n nohtw'n morivwn sunektikovn. Eti toivnun to; th;n

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l’intelletto intelligibile, convertendosi, sia diventato insieme com- 66 plessivo delle Forme e che contenga in se stesso, al contempo in modo intellettivo ed in modo intelligibile, tutti i principi causali degli enti; ed essendo stato colmato della causa ineffabile e trascendente tutte le cose, abbia fatto sussistere la monade degli dèi (da qui a mio avviso deriva la denominazione «specie degli 5 dèi»194 che Platone le attribuisce), mentre, avendo ricevuto in sé le cause intellettive dei tre principi che vengono dopo l’Uno, ha fatto apparire le tre specie che vengono dopo questa: la causa degli dèi «che procedono per l’aere ed alati»195 procede in modo analogo al limite, ecco perché fa sussistere anche dèi che sono uni-formi, che elevano, che sono puri, che sono uniti agli dèi 10 celesti, che hanno ricevuto in sorte un livello inferiore rispetto a quelli e che sono rispetto agli dèi che governano il divenire in un rapporto di coordinazione, così come quelli celesti rispetto ad essi sono in un rapporto di trascendente superiorità; la causa invece degli «dèi acquatici» è coordinata alla potenza generatrice 15 e all’illimitato e introduce gli dèi che sono dispensatori di movimento e custodi della abbondanza generativa e della vita, dato che anche questa stessa nostra acqua visibile è dominata da corrente e da un fluire illimitato e indefinito, ecco perché è consacrata alle potenze vivificanti; la causa infine che è alla guida degli dèi terrestri e che «si muovono sulla terra ferma»196 è in relazio- 20 ne con la natura del misto e genera gli dèi che in modo stabile tengono saldamente il destino di tutte le cose, che dominano con le ultime forme la natura informe della materia e che legano saldamente il “focolare” di tutti gli dèi encosmici all’unico centro dell’universo: infatti, dato che sussistono a partire da quello che si può definire come il primissimo focolare di tutti gli enti, essi 25 determinano in modo stabile anche questo focolare qui. In questo modo dunque la primissima apparizione delle Forme mostra di avere la propria processione e la propria collocazio- 67 ne nell’intelletto intelligibile in base alle primissime cause. Poi oltre a ciò, sempre rifacendosi a Timeo, si deve anche concludere in terzo luogo che in base a questa triade ha preso a risplendere la molteplicità delle parti intelligibili e la totalità che è divisa nella 5 disposizione perfettamente compiuta delle parti. Infatti Timeo afferma che «ciò di cui gli altri viventi» intelligibili «sono parti come unità e come generi»197, è il primissimo e il più bel modello dell’universo. Ma se anche tutti gli altri intelligibili sono parti di questo modello, è evidente che esso è una totalità che comprende 10 in sé la molteplicità delle parti intelligibili e che contiene tutte le

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triavda tauvthn prwtivsthn ei\nai th'" poihvsew" kai; th'" dhmiourgiva" aijtivan. Eij ga;r ejn aujth'/ ta; prwtourga; paradeivgmata, dh'lon wJ" ajp aujth'" hJ tw'n deutevrwn a[rcetai diakovsmhsi": kai; eij zw'/ovn ejstin aJpavntwn zwv/wn uJpostatikovn, pa'n me;n to; yuciko;n plavto", pa'n de; to; swmatiko;n ejnteu'qen e[cei th;n provodon, kai; perievcei tw'n te zwogonikw'n pavntwn diakovsmwn kai; tw'n dhmiourgikw'n ta;" nohta;" aijtiva".

ãkVÃ Ek me;n ou\n tw'n ejn Timaivw/ gegrammevnwn toiauvta" ejpibola;" lhptevon peri; tw'n triw'n nohtw'n triavdwn, sumfwvnw" toi'" ejn Filhvbw/ pevra" kai; a[peiron ejn eJkavsth/ kai; to; ejx ajmfoi'n qewrou'nta". Eij de; bouvlei kai; ajpo; tw'n ejn Sofisth'/ 25 dih/rhmevnwn oJrmhqevnte" ejpideivxwmen to;n Plavtwna th;n aujth;n e[conta peri; tw'n prwtivstwn ajrcw'n dianovhsin. O toivnun Eleavth" xevno" ejn ejkeivnoi" pro;" to;n Parmenivdou 68 lovgon ajporw'n to;n e}n levgonta to; pa'n kai; to; nohto;n plh'qo" ejkfaivnwn kai; deiknu;" o{pw" ejxhvrthtai tou' eJnov", to; me;n prw'ton ajpo; tou' eJno;" o[nto" ejpiceirei', kai; uJpomnhvsa" o{ti tou'to peponqov" ejsti to; e}n kai; metevcei tou' eJnov", 5 ajll oujk e[stin aujtoe;n oujde; to; prwvtw" e{n, meta; tou'to ajpo; tou' o{lou poiei'tai th;n ejpibolh;n th'" diakrivsew" tou' te eJno;" tou' ajmeqevktou kai; tou' o[nto". Eij ga;r kai; o{lon ejsti; to; e}n o[n, wJ" Parmenivdh" marturei', to; de; o{lon mevrh e[cei, to; de; mevrh e[con oujk e[stin aujtoevn, oujk a]n ei[h to; e}n 10 o]n tw'/ eJni; taujtovn. Trivton toivnun ejk tou' pantelou'" ejpiceirei': to; ga;r pavnth/ memerismevnon kai; pampovllwn morivwn sunektiko;n oujk a[n pote scoivh th;n aujth;n uJpovstasin tw'/ pantelw'" eJniv. Kai; mevcri touvtwn proh'lqe deiknu;" o{ti to; ajplhvqunton tou' eJno;" o[nto" kata; th;n eJautou' 15 fuvsin ejxhv/rhtai, dia; triw'n ejpiceirhvsewn oJdeuvsa", kai; tote; me;n ajpo; tou' eJno;" o[nto" oJrmhqeiv", tote; de; ajpo; tou' o{lou, tote; de; ajpo; tou' pantov". 20

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parti intelligibili. Inoltre pertanto che questa triade è la primissima causa della produzione e della azione demiurgica. Se infatti in essa si trovano i modelli originari, è evidente che da essa ha inizio l’ordinamento degli esseri inferiori; e se è un vivente capace di far sussistere tutti quanti i viventi, tutto l’ambito psichico da un lato e tutto quello corporeo dall’altro hanno da lì la loro processione, ed essa contiene le cause intelligibili di tutti gli ordinamenti generatori di vita e di quelli demiurgici.

[Che anche dai discorsi nel “Sofista” è possibile scoprire i tre livelli intelligibili; in questo capitolo si dice che cosa è l’Uno-che-è, che cosa l’Intero, che cosa il Tutto]

15

20

Dunque dal testo del Timeo bisogna desumere tali concezioni circa le tre triadi intelligibili, considerando, in accordo con il testo del Filebo, che in ciascuna v’è limite, illimitato e ciò che risulta da entrambi198. Se poi si vuole, prendendo le mosse anche dalle divi- 25 sioni contenute nel Sofista, dimostriamo che Platone ha la stessa linea di pensiero anche riguardo ai primissimi principi. E allora, lo Straniero di Elea, sollevando in questo testo diffi- 68 coltà alla tesi di Parmenide secondo cui il tutto è uno199, e rivelando la molteplicità intelligibile e mostrando come essa dipenda dall’Uno, dapprima argomenta a partire dall’Uno-che-è, ed in seguito, dopo aver ricordato che questo è «uno in quanto si è passivamente trovato ad avere tale carattere»200 e partecipa dell’uno, ma non è uno-in-sé né in senso primario uno, a partire dalla 5 nozione di “intero” ricava la concezione della distinzione fra l’Uno impartecipato e l’essere. In effetti se l’Uno-che-è è anche un tutto, come Parmenide attesta201, e d’altro canto il tutto ha parti, ma ciò che ha parti non è uno-in-sé, l’Uno-che-è non potrebbe 10 essere identico all’Uno. In terzo luogo egli argomenta a partire dalla nozione di “compiutamente perfetto”; in effetti ciò che è totalmente diviso e contiene un gran numero di parti non potrebbe mai avere la stessa forma di sussistenza di ciò che è in modo compiutamente perfetto uno. E fino a tal punto si è spinto mostrando che il “non-soggetto-a-molteplicità” trascende in base 15 alla sua propria natura l’Uno-che-è, procedendo attraverso tre argomentazioni, e prendendo le mosse ora dalla nozione di “unoche-è”, ora da quella di “intero”, ora da quella di “tutto”.

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Bevltion de; kai; aujtw'n ejpakou'sai tw'n tou' Plavtwno" rJhmavtwn. Oti me;n ou\n to; e}n oujk e[sti tw'/ eJni; o[nti taujtovn, 20 dia; touvtwn kataskeuavzei tw'n levxewn: Tiv dev Para; tw'n e}n to; pa'n legovntwn a\r ouj peustevon eij" duvnamin tiv pote levgousi to; o[n – Pw'" ga;r ou[ – Tovde toivnun ajpokrinevsqwsan: En pouv fate movnon ei\nai Fame;n gavr, fhvsousin. H gavr – 25 Naiv. – Tiv dev On kalei'taiv ti Naiv. Povteron o{per e{n, ejpi; to; aujto; proscrwvmenoi duei'n ojnovmasin, h] pw'" – Tiv" ou\n aujtoi'" hJ meta; tou'to, 69 w\ xevne, ajpovkrisi" Dia; dh; touvtwn to; e}n kai; to; o]n ajp ajllhvlwn oJ Plavtwn diairouvmeno" kai; deiknu;" wJ" a[llh me;n e[nnoia tou' eJnov", a[llh de; tou' o[nto", kai; wJ" diafevrei tau'ta ajllhvlwn, ajpofaivnei to; kuriwvtata kai; prwvtw" e}n 5 tou' eJno;" o[nto" ejxh/rhmevnon. To; me;n ga;r e}n o]n ouj mevnei kaqarw'" ejpi; th'" ajplhquvntou kai; eJnoeidou'" uJpavrxew", to; de; e}n pavsh" prosqevsew" ejkbevbhken: o{ ti ga;r a]n aujtw'/ prosqh'/", ejlattoi'" th;n a[kran aujtou' kai; a[rrhton e{nwsin. Dei' toivnun to; me;n e}n protavttein tou' eJno;" o[nto", 10 to; de; e}n o]n ejxavptein tou' movnw" eJnov". Eij ga;r ei[h taujto;n tov te e}n kai; to; e}n o]n kai; mhde;n diafevroi levgein e}n kai; o[n – eij ga;r dioivsei, pavlin ejxhvllaktai tou' eJno;" o[nto" to; e{n – eij gou'n mhde;n diafevrei to; e}n tou' eJno;" o[nto", e}n e[stai pavnta kai; to; plh'qo" ejn toi'" ou\sin oujk e[stai, 15 oujd ojnomavzein ta; pravgmata dunatovn, i{na mh; duvo gevnhtai, to; pra'gma kai; to; o[noma. Panto;" ga;r plhvqou" ejxh/rhmevnou kai; pavsh" diairevsew" ou[t o[noma e[stai tino;" ou[te lovgo", ajlla; to; o[noma tw'/ pravgmati taujto;n ajnafanhvsetai kai; ou[te to; o[noma pravgmato" o[noma e[stai *** ajlla; to; 20 o[noma ojnovmato" o[noma, ei[per to; pra'gma tw'/ ojnovmati taujto;n kai; to; o[noma tw'/ pravgmati, kai; to; pra'gma pravgmato" ãpra'gmaÃ. Pavnta ga;r uJpavrxei peri; to; pra'gma ta; aujta; a{per peri; to; o[noma dia; th;n e{nwsin tou' te pravgmato" kai; tou' ojnovmato". Eij ou\n tau'ta a[topa kai; to; e{n ejsti kai; 25 to; o]n kai; metevcei to; o]n tou' eJnov", oujk a[ra taujtovn ejsti to; e}n kai; to; e}n o[n. Oti de; kai; to; o{lon, ei[per ejstivn, oujk a]n ei[h tw'/ eJni; 70 taujtovn, eJxh'" ajpodeivknusin, ejnteu'qen ajrcovmeno". Tiv dev To; o{lon e{teron tou' eJno;" o[nto" h] taujto;n fhvsousi touvtw/ – Pw'" ga;r ouj fhvsousiv te kai; fasivn

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Ma è meglio prestare attenzione direttamente alle parole di Platone. Ebbene, il fatto che l’Uno non è identico all’Uno-che-è, lo stabilisce con queste argomentazioni: «E poi? Da coloro che 20 affermano che il tutto è uno, non dovremmo farci dire, nei limiti del possibile, che cosa mai intendono dire con il termine “essere”? – Come no? – Ebbene che rispondano a questo: «voi dite, se non vado errato, che v’è solo una cosa che è?». «In effetti lo affermiamo» diranno. Non è forse vero? – Sì – «E poi? Con “essere” viene da voi 25 nominato un qualcosa?». «Sì». «Forse ciò che è uno, servendovi per la stessa cosa di due nomi, o come?». – Quale sarà dopo ciò, la loro 69 risposta, straniero?»202. Proprio attraverso tali argomentazioni Platone, distinguendo tra loro l’uno e l’essere e mostrando che una è la nozione dell’uno, un’altra quella dell’essere, e che queste sono diverse l’una dall’altra, mette in luce che l’Uno in senso assolutamente proprio e primario trascende l’Uno-che-è. Infatti 5 l’Uno-che-è non permane in modo puro nella forma di realtà nonsoggetta-a-molteplicità e uni-forme, mentre dal canto suo l’Uno risulta trascendere ogni aggiunta: infatti qualunque cosa gli si aggiunga, si diminuisce la sua suprema ed ineffabile unità. Pertanto da un lato si deve porre per ordinamento l’Uno prima dell’Unoche-è, dall’altro si deve far dipendere l’Uno-che-è da quello che è 10 solamente Uno. Se infatti l’Uno e l’Uno-che-è fossero la stessa cosa e non vi fosse nessuna differenza nel dire “uno” ed “essere” – se infatti vi sarà differenza, di nuovo l’Uno risulta diverso dall’Uno-che-è – se dunque l’Uno non differisce in nulla dall’Unoche-è, “uno” saranno tutte le cose e non vi sarà negli enti la molteplicità, né sarà possibile dare nome alle cose, perché non si ven- 15 gano ad avere due entità distinte, il nome e la cosa. Infatti, se ogni forma di molteplicità e di divisione risultano eliminate, non vi saranno né nome né definizione, ma il nome risulterà identico alla cosa ed il nome non sarà nome di una cosa, 203, ma il nome sarà nome di un nome, se è 20 vero che la cosa è identica al nome ed il nome alla cosa, e la cosa sarà di una cosa. Infatti tutte le caratteristiche che concernono il nome saranno le stesse che concernono la cosa in virtù dell’unità della cosa e del nome. Se dunque si vengono ad avere queste conclusioni assurde, vi sono sia l’uno sia l’essere e se l’es- 25 sere partecipa dell’uno, l’Uno e l’Uno-che-è non sono identici204. Il fatto poi che anche l’intero, se è vero che esiste, non potrebbe essere identico all’Uno, 205 lo dimostra di seguito, 70 incominciando da qui: «E poi? Diranno che l’intero è diverso dall’uno-che-è o identico a questo? – Come potranno e come fanno di

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400 5

10

– Eij levgei,

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toivnun

o{lon

ejstivn,

w{sper

kai;

Parmenivdh"

Pavntoqen eujkuvklou sfaivrh" ejnalivgkion o[gkw/, messovqen ijsopale;" pavnth/ (to; ga;r ou[te ti mei'zon ou[te ti baiovteron pelevnai crewvn ejsti th'/ h] th'/),

toiou'tovn ge o]n to; o]n mevson te kai; e[scata e[cei: tau'ta de; e[con pa'sa ajnavgkh mevrh e[cein. H pw'" – Ou{tw". – Alla; mh;n tov ge memerismevnon pavqo" 15 me;n tou' eJno;" e[cein ejpi; toi'" mevresi pa'sin oujde;n ajpokwluvei, kai; tauvth/ dei' pa'n te o]n kai; o{lon e}n ei\nai. – Tiv d ou[ – To; de; peponqo;" tau'ta a\r oujk ajduvnaton aujtov ge to; e}n aujto; ei\nai – Pw'" – Amere;" dhvpou dei' tov ge ajlhqw'" e}n 20 kata; to;n ojrqo;n lovgon eijrh'sqai – Dei' ga;r ou\n. – To; dev ge toiou'ton ejk pollw'n merw'n o]n ouj sumfwnhvsei tw'/ lovgw/. – Manqavnw. Dia; dh; touvtwn oJ Eleavth" xevno" meta; to; e}n o]n ajpo; th'" oJlovthto" ejpiceirw'n kai; tou' merismou' tw'n morivwn th'" oJlovthto" 25 deivknusin wJ" a[ra oujc e{n ejsti to; pa'n. Eij gavr ejsti to; o{lon ejn toi'" ou\sin, wJ" marturei' Parmenivdh" ejn toi'" e[pesin, 71 oujk a]n ei[h ta; pavnta e{n. To; me;n ga;r ãe}nà ajmerev", to; de; o{lon mevrh e[cei: to; a[ra o{lon oujk e[stin aujtoevn. Ekei'no ga;r merw'n ejkbevbhke pavntwn kai; th'" oJlovthto": ajlla; to; o{lon peponqo;" mevn ejsti to; e{n, dio; kai; o{lon proso5 nomavzetai, to; ga;r o{lon oujk aujtoevn. Oujk a[ra ta; o[nta pavnta e{n ejstin ajdiavkriton kai; ajplhvqunton. Kai; mh;n kai; to; pa'n aujto; pleiovnwn ejsti; merw'n perilhptikovn. To; me;n ga;r o{lon th;n prwvthn ejk duei'n ejsti merw'n, to; de; pa'n plh'qo" e[cei merw'n, kai; oJlovthto" metevcon a{ma 10 kai; pa'n ejstin wJ" pantelw'" memerismevnon. Tou'to dh; ou\n aujtoe;n oujk e[stin, ajlla; peponqo;" to; e{n: ajmere;" ga;r to; aujtoevn, ou{tw de; ajmere;" wJ" aJpavntwn tw'n merw'n ejxh/rhmevnon. Oujk a[ra to; pa'n tw'/ eJni; taujtovn. Hmei'" me;n ou\n dieivlomen, oJ de; Plavtwn sunevplexe tov te o{lon kai; to; pa'n ouJtwsi; 15 levgwn: Alla; mh;n tov ge memerismevnon pavqo" me;n tou' eJno;" e[cein ejpi; toi'" mevresi pa'sin oujde;n ajpokwluvei, kai; tauvth/ dei' pa'n te kai; o{lon e}n ei\nai. Dihv/rhtai de; o{mw" tau'ta to;n eijrhmevnon trovpon.

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fatto a dire di no? – Se pertanto è un intero, come anche Parmenide dice, “da ogni parte simile a massa di ben rotonda sfera, a partire dal centro uguale in ogni parte (infatti né più grande né più piccolo è necessario che sia in una parte o in altra)”,

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se l’essere è tale, l’essere ha un centro ed al contempo degli estremi; ma se ha questi, è necessario che abbia parti. Oppure come? — Così – Ma di fatto nulla impedisce che ciò che risulta diviso in parti si trovi passivamente ad avere il carattere dell’uno in tutte le sue parti, ed in tal modo, essendo un tutto ed un intero, bisogna che sia uno. 15 – Che cosa lo vieta? – Ma ciò che si trova in tale condizione non è forse vero che è impossibile che sia uno in sé? – Come potrebbe? – Privo di parti si deve dire ciò che è veramente uno in base al corretto ragionamento? – In effetti bisogna che lo sia – Ma ciò che è tale, 20 essendo costituito di molte parti, non sarà in accordo con il discorso precedente. – Capisco». Attraverso tali considerazioni appunto lo Straniero di Elea, argomentando, dopo l’uno-che-è, a partire dalla nozione di totalità e dalla divisione delle parti propria della totalità, mostra che il tutto non è uno. Se infatti v’è l’intero fra gli enti, 25 come attesta Parmenide nel suo poema, le cose tutte non potreb- 71 bero essere uno. Infatti l’uno è privo di parti, mentre l’intero ha parti; dunque l’intero non è uno-in-sé. Esso infatti trascende tutte le parti e la totalità; ma l’intero è uno «in quanto ha passivamente acquisito il carattere dell’uno»206, perciò è stato denominato “intero”: l’intero infatti non è uno-in-sé. Dunque tutti gli enti nel loro 5 insieme non sono un uno senza distinzione e non soggetto a molteplicità. E per giunta anche il tutto stesso comprende in sé più parti. Infatti l’intero è innanzitutto formato da due parti207, mentre il tutto possiede molteplicità di parti, ed essendo partecipe della totalità è insieme anche tutto, in quanto risulta perfettamente 10 diviso. Questo dunque non può essere uno-in-sé, ma è uno in quanto ha acquisito passivamente il carattere dell’uno; infatti l’uno-in-sé è senza parti, ed è senza parti nel senso che trascende tutte quante le parti. Il tutto dunque non è identico all’uno. Noi dunque abbiamo operato una distinzione, invece Platone ha connesso l’intero con il tutto parlando in questi termini: «Ma di fatto 15 nulla impedisce che ciò che risulta diviso si trovi passivamente ad avere il carattere dell’uno in tutte le sue parti, ed in questo modo bisogna che esso sia “tutto intero” uno»208. Tuttavia l’intero e il tutto risultano distinti nel modo che si è detto.

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Oujkou'n ejk triw'n touvtwn ejpiceirhvsewn oJ Eleavth" xevno" dievkrine to; e}n ajpo; tw'n metecovntwn tou' eJno;" kai; dihpovrhse pro;" tou;" e}n ta; pavnta levgonta", to; e}n o[n, to; o{lon, to; pa'n. Wn to; me;n pa'n metevcei tou' o{lou kai; e[sti plh'qo" ejk merw'n pleiovnwn oJlomelev": to; de; o{lon tou' o[nto", o]n gavr ejsti kai; to; o{lon, wJ" Parmenivdh" marturei'. Touvtwn 25 toivnun toiauvthn tavxin ejcovntwn pw'" oujk ajnavgkh kata; 72 ta;" trei'" nohta;" triavda" gegonevnai tw'/ Plavtwni ta;" ejfovdou" Kai; ga;r e[dei, tou' Parmenivdou to; e}n o]n toi'" nohtoi'" ajforivzonto", ejkei'qen to;n Plavtwna pepoih'sqai ta;" ajpodeivxei" th'" diakrivsew" tou' pro; tw'n nohtw'n eJno;" 5 kai; tou' ejn toi'" nohtoi'" eJnov". AiJ ga;r pro;" to;n Parmenivdhn ajporivai to; metecovmenon e}n eij" th;n ajmevqekton e{nwsin ......................... deiknuvmenai pollacou'. Oujk a[ra ejsti;n ejn touvtoi" ................... ajlla; kai; to; e}n o]n kai; to; o{lon ........................... To; me;n dh; pa'n dh'lon o{ti tw'/ pevrati 10 tw'/ nohtw'/ .................c (to; ga;r kata; pavnta tevleion kai; to; suvmpan nohto;n plh'qo" ejkei' th;n uJpovstasin e[sce): to; de; o{lon tw'/ mevsw/ kevntrw/ kai; tw'/ sundevsmw/ tou' nohtou' plavtou" aJrmovzei (to; ga;r o{lon pro; tou' pantov", ei[per to; me;n pa'n o{lon ejstiv, to; de; o{lon oujk h[dh kai; pa'n ejsti: 15 to; ga;r dih/rhmevnon plh'qov" ejsti pa'n, to; de; sunevcon ejn eJautw'/ to; plh'qo" kai; ou[pw diakekrimevnon o{lon: kai; tou'to tw'/ aijw'ni mavlista proshvkei, mevtron gavr ejstin oJ aijw;n panto;" tou' nohtou' plhvqou", w{sper to; o{lon sunoch; kai; e{nwsi" tou' pantov"): to; de; e}n o[n, th'/ prwvth/ (kai; ga;r to; e}n 20 ejkeivnh" ejsti mavlista th'" triavdo" i[dion, wJ" kai; oJ Tivmaio" ejnedeivxato, kai; to; o]n ejkei' prwvtw" ejkfaivnetai, to; krufivw" kai; nohtw'" o]n kai; pa'si toi'" a[lloi" th'" oujsiva" ai[tion). Pavlin ou\n hJmi'n aiJ trei'" pefhvnasi triavde" eJpomevnoi" tw'/ Eleavth/ xevnw/, kata; me;n to; e}n o]n hJ prwvth, kata; de; to; 25 o{lon hJ deutevra, kata; de; to; pa'n hJ trivth. Pro;" h}n kai; 73 ajpoblevpwn oJ tou' panto;" dhmiourgo;" diakosmei' to; aijsqhto;n pa'n, ejn ejkeivnw/ tw'/ nohtw'/ panti; to; oJrato;n ajforivzwn, pro;" de; th;n oJlovthta th;n nohth;n to;n crovnon: dio; kai; oJ crovno" sunechv", kai; w{sper ejkei'no to; o{lon duei'n ejsti 5 merw'n periektikovn, eJni; de; pevrati sunevcei ta; mevrh, to;n 20

c Il testo è qui lacunoso in quanto mancante di diverse lettere. Leggo, seguendo in parte le integrazioni e le correzioni proposte dai due Editori: AiJ ga;r pro;" to;n Parmenivdhn ajporivai to; metecovmenon e}n eij" th;n ajmevqekton e{nwsin ajnafevrousi, wJ" kai; ejn a[lloi" ejdeiknuvmen pollacou'. Oujk a[ra ejsti;n ejn touvtoi" to; aujtoe;n kai; ajmerev", ajlla; kai; to; e}n o]n kai; to; o{lon kai; to; pa'n ta;" nohta;" triavda" sunevcei. To; me;n dh; pa'n dh'lon o{ti tw'/ pevrati tw'n nohtw'n mavlista proshvkei k.t.l.

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Ebbene, lo Straniero di Elea in base a queste tre argomentazioni ha distinto l’uno dalle cose che partecipano dell’uno ed ha 20 sollevato delle difficoltà a coloro che affermano che tutte le cose sono uno, l’uno-che-è, l’intero ed il tutto. Di questi, il tutto partecipa dell’intero ed è molteplicità «integra»209; l’intero invece partecipa dell’essere; infatti essere è anche l’intero, come attesta Parmenide. Considerato pertanto che questi elementi hanno tale 25 ordinamento, è assolutamente necessario che Platone abbia elabo- 72 rato le sue critiche in base alle tre triadi intelligibili. Ed infatti, dato che Parmenide definisce l’Uno-che-è riferendosi alle realtà intelligibili, bisognava che da lì Platone ricavasse le dimostrazioni della distinzione fra l’Uno anteriore alla realtà intelligibile e l’Uno 5 insito nella realtà intelligibile. Le difficoltà sollevate contro Parmenide l’uno partecipato alla unità impartecipabile, come anche altrove abbiamo spesse volte mostrato210. Dunque non è tra gli intelligibili, ma sono l’Uno-che-è, l’Intero ed . È certo evidente che il tutto con il limite degli intelligibili (infatti ciò che è perfetto in tutto e per tutto e la molteplicità intelligibile tutta intera hanno lì la propria sussistenza); invece l’intero corrisponde al centro intermedio e al legame interno dell’ambito intelligibile (infatti l’intero è anteriore al tutto, se è vero che il tutto è un intero, mentre non è “gia” anche tutto; certamente la molteplicità divisa è un 15 tutto, ma ciò che contiene in sé la molteplicità è un intero che di fatto non è ancora diviso; e questo aspetto ha attinenza soprattutto con l’eternità; infatti l’eternità è misura di tutta la molteplicità intelligibile, allo stesso modo in cui l’intero è l’intima connessione e l’unità del tutto); infine l’uno-che-è con la prima (ed infatti l’uno fa specificamente parte di questa triade, 20 come anche Timeo ha indicato, ed è lì principalmente che l’essere si rivela, l’essere che è in modo segreto ed intelligibile e che per tutte le altre entità è principio causale dell’essenza). Di nuovo dunque, seguendo lo Straniero di Elea, le tre triadi si sono manifestate a noi, in base all’uno-che-è la prima, in base all’intero poi la seconda ed infine in base al tutto la terza. Ed è 25 guardando a questa che il Demiurgo dà ordine all’universo sensi- 73 bile, definendo in esso il visibile per mezzo di tutto l’intelligibile, mentre è guardando alla totalità che egli dà ordine al tempo211; ecco perché il tempo è continuo, e, allo stesso modo in cui quell’intero è comprendente in sé due parti212, ma con un unico limi- 5 te tiene insieme queste parti, allo stesso modo anche il tempo è

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aujto;n trovpon kai; oJ crovno" tw'/ me;n nu'n pepevrastai, toi'" de; mevresin a[peirov" ejsti dittoi'" uJpavrcousi. ãkaVÃ Tau'ta me;n ou\n kai; mikro;n u{steron ejpi; plevon diar10 qrwvsomen, o{tan peri; tou' Parmenivdou levgwmen: protevleia gavr ejsti tw'n Parmenivdou musthrivwn ta; tou' Eleavtou nohvmata. Pri;n de; ejpi; to;n Parmenivdhn trapwvmeqa, fevre peri; aujtw'n eij dokei' tw'n triw'n triavdwn ejx ajrch'" dievlqwmen, th;n tou' Plavtwno" diavnoian ejk tw'n pollacou' diespar15 mevnwn ajqroivzonte". Trei'" me;n ou\n eijsin, wJ" pollavki" eijrhvkamen, kai; tou'ton dihv/rhntai to;n trovpon, eij" pevra" kai; a[peiron kai; miktovn, w{ste tritta; me;n ei\nai ta; nohta; pevrata, trissa;" de; ta;" ajpeiriva", tritta; de; ta; miktav. Pavsh" de; au\ nohth'" triavdo" 20 to; me;n pevra" ejn eJkavsth/ path;r ejponomavzetai, to; de; a[peiron duvnami", to; de; mikto;n nou'". Kaiv moi mhdei;" uJpolavbh/ ta; ojnovmata th'" Plavtwno" ei\nai filosofiva" ajllovtria: fanhvsetai ga;r panto;" ma'llon kai; aujto;" crwvmeno" tai'" ejpwnumivai" tauvtai" kata; tw'n proeirh25 mevnwn triavdwn. To;n me;n ga;r prw'ton qeo;n patevra kai; 74 kuvrion aujto;" ejn Epistolai'" prosagoreuvei: dh'lon de; o{ti tou' prwvtou kai; th;n patrikh;n tavxin uJperaivronto" to; prwvtw" patriko;n ejn toi'" nohtoi'" ejsti qeoi'". Ou|toi gavr eijsin oiJ tw'/ eJni; diaferovntw" suggenevstatoi kai; th;n a[rrhton 5 aujtou' kai; a[gnwston e{nwsin nohtw'" ejkfaivnonte". Eij toivnun ejkei'no" kai; e}n kai; path;r ajpo; tw'n prosecw'" ajp aujtou' proelqovntwn ejponomavzetai, kaqavper eJnavde" eijsi;n oiJ nohtoi; qeoi; prwvtw", kai; patevre" eijsi; prwvtw": dicw'" ga;r tw'/ ajrrhvtw/ ta; ojnovmata tivqhsin oJ Plavtwn, h] 10 ajpo; tw'n ajkrothvtwn h] ajpo; pavntwn tw'n o[ntwn, dia; ga;r touvtwn hJ tou' eJno;" uJperoch; gnwrivzetai. Kai; mh;n kai; to; o]n oJ Eleavth" xevno" dunavmenon kai; duvnamin ajpokalei'. Prou>pavrcei toivnun hJ prwvth duvnami" tou' o[nto" kai; h{nwtai tw'/ patriv, diaferovntw" de; sumfevretai tw'/ o[nti 15 kai; plhroi' to; o]n ejx aujth'". Dio; kai; to; o]n wJ" me;n metevcon

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delimitato dall’istante presente, ma è illimitato dalle sue parti che sono di fatto duplici213.

[Ricapitolazione delle cose dette a proposito delle triadi intelligibili, e richiami desunti dai testi di Platone al fatto che è possibile dividerle in “Padre”, “Potenza” e “Intelletto”] Ebbene, tali questioni le tratteremo in modo più articolato anche un poco più avanti214, allorché parleremo del Parmenide; 10 infatti le concezioni dell’Eleate215 sono preparatorie ai misteri del Parmenide. Ma prima che ci si rivolga al Parmenide, orsù, trattiamo da principio, se pare, delle tre triadi stesse, ricavando il pen- 15 siero di Platone dai passi disseminati in molti punti delle sue opere. Tre dunque sono le triadi, come spesso abbiamo detto216, e risultano divise in questo modo, in limite, illimitato e misto, sicché triplici sono i limiti intelligibili, triplici le illimitatezze, triplici infine i misti. Inoltre a sua volta in ciascuna triade intelligibile il 20 limite è designato con l’appellativo di «Padre», l’illimitato con quello di «Potenza» ed il misto infine con quello di «Intelletto»217. E nessuno mi consideri tali termini estranei alla filosofia di Platone: infatti apparirà in modo assolutamente chiaro che anch’egli si serve di tali appellativi riguardo alle suddette triadi. Infatti il 25 Primo Dio Platone stesso lo denomina nelle Lettere218 «Padre» e 74 «Signore»; ma è chiaro che, poiché il Primo supera anche il rango di Padre, ciò che è in modo primario paterno si trova negli dèi intelligibili. Sono questi infatti gli dèi che sono in modo distintivo i più affini per natura all’Uno e che rivelano in modo intelligibile 5 anche la sua inconoscibile unità. Se pertanto quello viene denominato sia “Uno” sia “Padre” dagli dèi che procedono immediatamente da esso, gli dèi intelligibili, allo stesso modo in cui sono enadi in senso primario, sono anche “Padri” in senso primario; in effetti è in due modi che Platone assegna all’Ineffabile gli appellativi con cui lo designa: o a partire dagli enti in assoluto più eleva- 10 ti o da tutto l’insieme degli enti; infatti è attraverso questi che si conosce l’eminente superiorità dell’Uno. A ciò va aggiunto che lo Straniero di Elea denomina l’essere «dotato di Potenza» e «potenza»219. La prima potenza pertanto risulta preesistere all’essere e risulta unita al Padre, ma soprattutto essa si muove insieme all’essere e ricolma l’essere di lei stessa220. Ecco perché l’essere, in 15

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th'" dunavmew" prosagoreuvetai dunavmenon, wJ" de; sunhnwmevnon aujth'/ kai; kat aujth;n ta; o[nta paravgon pavnta, duvnami". Eij de; ta; o[nta pavnta nou'n pollavki" ajpokalou'sin aujtov" te oJ Plavtwn kai; oiJ gnhsiwvtatoi tou' Plavtwno" 20 eJtai'roi (dio; kai; trei'" poiou'si ta;" ajrca;" pollacou', ajgaqovn, nou'n, yuchvn, pa'n to; o]n nou'n prosagoreuvonte"), e[coi" a]n kai; to; trivton ejn ejkeivnoi" to;n nou'n. Dei' de; mh; lanqavnein th;n diaforavn, o{ti nou'" oJ mevn ejstin wJ" pro;" th;n u{parxin nou'". Otan ga;r th;n eJnavda th;n 25 ejn eJkavsth/ nohto;n ajpokalw'men wJ" ejfeto;n tw'/ o[nti kai; wJ" plhrou'n to; o[n, tovte ãto;Ã trivton th'" triavdo" nou'n ejponomavzomen: kai; ga;r nohtovn ejstin wJ" oujsiva, kai; nou'", 75 ajll oujk oujsiva" nou'", ajlla; tou' patro;" kai; th'" qeovthto": pa'sa ga;r hJ metecomevnh qeovth" nohtovn ejstin wJ" plhvrwma tou' metevconto". O dev ejsti nou'" oujsiva" nou'", kaq o} dhv famen to; o]n to; th'" trivth" triavdo" nou'n ei\nai tou' prwvtw" 5 o[nto". Nou'" gavr ejstin ou|to" oujsiwvdh", aujto; to; ejnergei'n oujsivan eJautou' lacwvn: pavnta gavr ejstin oujsiwdw'" ejn aujtw'/, kai; ta; aJplouvstera gevnh kai; ta; prwtourga; paradeivgmata, nohto;" gavr ejsti nou'". Trivto" dev ejstin oJ noero;" nou'", o}" dh; kai; ajnavlogon uJfevsthke tw'/ nohtw'/ kai; sunh'ptai pro;" 10 aujto;n kai; plhrou'tai par aujtou', noerw'" e[cwn a} h\n ejn ejkeivnw/ nohtw'". Kai; o{lw" ajnavgkh pantacou' ta; prw'ta kaq eJkavsthn seira;n morfh;n e[cein tw'n pro; aujtw'n: dio; kai; prw'ta levgetai kai; e[cei tina; pro;" ta; suvstoica th'" oujsiva" uJperochvn. Epei; ou\n to; pro; tw'n nohtw'n qeov", ta; 15 prw'ta nohta; qeoi; kai; eJnavde": kai; ejpei; to; nohto;n oujsiw'de", oiJ prw'toi nove" oujsivai: kai; ejpei; oJ nou'" noero;" pantacou' kata; th;n eJautou' fuvsin, aiJ prw'tai yucai; noeraiv: kai; diovti zwh'" aiJ yucai; plhrwvmata, ta; prw'ta tw'n swmavtwn zwtikwvtata: kai; ejpei; ta; ajivdia tw'n swmavtwn kuvklw/ 20 fevretai, ta; a[kra tw'n ejnuvlwn swmavtwn sumfevretai toi'" ajidivoi". Tou'to me;n ou\n ai[tion eijrhvsqw tou' kai; ta;" eJnavda" pollavki" nohta; kalei'sqai kai; ta; o[nta nova" nohtouv".

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quanto partecipe della potenza, è denominato “dotato di Potenza”, mentre in quanto risulta unito ad essa ed in base ad essa introduce tutti gli enti, esso è denominato “Potenza”. Se poi si considera che tutti gli enti Platone stesso ed i suoi più autentici seguaci221 spesso li chiamano “intelletto” (questo è il motivo per 20 cui in molti passi considerano tre i principi, cioè Bene, Intelletto ed Anima, denominando tutto l’essere “intelletto”), si avrebbe anche il terzo tra quegli elementi, cioè l’Intelletto. Ma non deve sfuggire questa differenza, cioè che il primo222 è Intelletto in quanto è Intelletto in relazione al livello di realtà . Infatti allorché denominiamo “intelligibile” l’enade insi- 25 ta in ciascuna triade in considerazione del fatto che essa è oggetto di desiderio per l’essere e ricolma l’essere, solo allora attribuiamo al terzo termine della triade il nome di “Intelletto”. Infatti è sia intelligibile in quanto essenza, sia Intelletto, ma non intelletto 75 di un’essenza, ma del Padre e della natura divina223; infatti ogni natura divina partecipata è intelligibile in quanto essa è pienezza per il partecipante. Invece il secondo intelletto è intelletto dell’essenza, in base al criterio con cui diciamo che l’essere che appartiene alla terza triade è l’intelletto dell’essere in senso primario. Que- 5 sto intelletto in effetti ha carattere di essenza, in quanto ha come sua essenza il suo stesso atto; infatti tutte le cose sono in esso sotto forma di essenza, sia i generi più semplici sia i modelli più originari: infatti è intelletto intelligibile. Per terzo infine viene l’intelletto intellettivo, che, al contempo, è venuto a sussistere come analogo a quello intelligibile, è collegato ad esso ed è colmato da 10 esso, avendo in forma intellettiva ciò che nell’intelletto intelligibile era in forma intelligibile. Ed è in generale necessario, in ogni ambito, che in ogni singola serie i termini primi abbiano la forma di quelli che li precedono224; ecco perché sono detti “primi” ed hanno una determinata superiorità di essenza rispetto alle entità che sono ad essi coordinate. Dunque, dato che ciò che è anteriore agli intelligibili è un dio, i primi intelligibili sono dèi ed enadi; 15 e dato che l’intelligibile ha carattere di essenza, i primi intelletti sono essenze; e dato che l’intelletto è, in ogni ambito, intellettivo in base alla sua specifica natura, le prime anime sono intellettive; e per il fatto che le anime sono pienezze di vita, i primi tra i corpi sono quelli dotati di vita; e dato che quelli eterni tra i corpi si 20 muovono in modo circolare, quelli sommi tra i corpi materiali si muovono insieme a quelli eterni. Ecco dunque, questo è il motivo per cui spesso le enadi sono chiamate “intelligibili” ed al contempo gli enti “intelletti intelligi-

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Oti de; th;n triavda tauvthn oi\den oJ Plavtwn, patevra levgw kai; duvnamin kai; nou'n, mavqoimen a]n eij" th;n dhmiourgikh;n tavxin ajpoblevponte": ejn tauvth/ ga;r diaferovntw" hJ tria;" ajnafaivnetai: dio; kata; th;n pro;" to; 76 nohto;n e{nwsin peplhvrwtai th'" triavdo" tauvth" kai; ma'llon e[cei tau'ta dih/rhmevna h[per to; aujtozw'/on h] oJ aijw;n oJ nohtov". Oujkou'n ejn ajrch'/ me;n eujqu;" th'" dhmhgoriva" ejn Timaivw/ patevra eJauto;n oJ dhmiourgo;" ajpokalei': Wn 5 ejgw; dhmiourgo;" pathvr te e[rgwn, Mikro;n de; u{steron th;n duvnamin ejkfaivnei th;n eJautou': Mimouvmenoi th;n ejmh;n duvnamin peri; th;n uJmetevran gevnesin. O dh; kai; qaumastovn, o{ti th;n qeologikwtavthn hJmi'n e[nnoian peri; th'" dunavmew" ajpodevdwke, prw'ton me;n patro;" aujth;n 10 ajpokalevsa" duvnamin (path;r ga;r aujtov": w|n ejgw; dhmiourgo;" pathvr te e[rgwn, fhsivn: aujtou' de; hJ duvnami": mimouvmenoi th;n ejmh;n duvnamin: w{ste kata; Plavtwna tou' patro;" hJ duvnami"): e[peita th;n gennhtikh;n aujth'/ tw'n o{lwn ijdiovthta prosavptwn, tou'to ga;r to; 15 peri; th;n uJmetevran gevnesin: aijtiva dh; ou\n gennhvsew" hJ duvnami" kai; th'" proovdou tw'n o[ntwn. Ef a{pasi de; to; noero;n ijdivwma tou' dhmiourgou' paradivdwsi: Tau'ta ei\pe, kai; pavlin ejpi; to;n provteron krath'ra, ejn w|/ th;n tou' panto;" yuch;n ejkeravnnu, ta; tw'n provsqen 20 uJpovloipa katecei'to mivsgwn. Kai; ga;r to; eijpei'n nw'/ proshvkei kai; to; mignuvnai kai; hJ mivxi" kai; to; th'" yuch'" paraktikovn. Kai; tiv dei' tau'ta levgein ajlla; kai; nou'n aujto;n ajpokalei' pro; touvtwn: Hiper ou\n nou'" ejnouvsa" ijdeva" ejn tw'/ o{ ejsti zw'/on o{sai te e[neisi kai; oi|ai 77 kaqora'/, tosauvta" kai; toiauvta" dienohvqh ãdei'nà kai; tovde to; pa'n scei'n. Kai; path;r ou\n ejstin oJ dhmiourgo;" kai; duvnami" kai; nou'", kai; tau'ta kata; th;n e{nwsin e[cei th;n pro;" ta; nohtav: kai; ga;r qeov" ejsti di ejkei'na 5 kai; gennhth;" tw'n o{lwn kai; ginwvskei ta; o[nta noerw'" di ejkei'na, prwvtw" ga;r ejn ejkeivnoi" hJ nohth; gnw'si". Pollw'/ a[ra ma'llon ejn toi'" nohtoi'" pathvr ejsti kai; duvnami" kai; nou'", ajf w|n kai; oJ dhmiourgo;" plhrouvmeno" th'" triavdo" tauvth" meteivlhce. Kai; ga;r kai; ajnavlogon e{kasta pareiv10 lhfen oJ Plavtwn: wJ" ga;r hJ patrikh; tria;" ejn toi'" nohtoi'" uJfivsthsi to;n aijw'na to;n nohto;n, ou{tw" oJ dhmiourgo;" 25

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bili”. Invece il fatto che Platone conosca questa triade, intendo 25 dire la triade Padre-Potenza-Intelletto, potremmo comprenderlo rivolgendo la nostra attenzione all’ordinamento demiurgico: in quest’ultimo infatti la triade si manifesta in modo particolare; perciò in base alla sua unione con l’intelligibile risulta ricolmo di questa triade ed in esso questi termini225 sono in modo più diviso di come lo sono nel Vivente-in-sé o nell’eternità intelligibile. Ecco dunque che proprio all’inizio del suo discorso nel Timeo il Demiurgo denomina se stesso “Padre”: «Opere delle quali sono io il Demiurgo ed il Padre»226. Poi, poco 5 più avanti, rivela la sua potenza: «imitando la mia potenza per quel che concerne la vostra generazione»227. E ciò che è davvero ammirabile è il fatto che egli ha trasmesso a noi la più teologica delle sue concezioni concernenti la potenza, in primo luogo appellando 10 essa “potenza di Padre” (infatti il Padre è lui stesso: «di quelle opere di cui il Demiurgo ed il Padre sono io», dice; sicché secondo Platone la potenza appartiene al Padre); ed in seguito connettendo ad essa la proprietà generatrice della totalità delle cose; infatti questo significa l’espressione «per quel che concerne la vostra gene- 15 razione»: dunque la potenza è causa di generazione e della processione degli enti. Infine poi fa conoscere228 lo specifico carattere intellettivo del Demiurgo: «Queste cose disse, e di nuovo nel cratere di prima, in cui aveva mescolato l’Anima del mondo, versò, mescolandoli, gli ingredienti che erano avanzati da quelli impiegati 20 in precedenza»229. Ed in effetti il “dire” si confà ad un intelletto, così come il “mescolare”, la “mescolanza” e la “produzione dell’anima”. E perché dire ciò, quando, in precedenza, chiama in modo esplicito il Demiurgo “intelletto”? «Proprio come dunque l’intelletto, contemplando le Idee insite nel Vivente in quanto tale, considera quante e quali sono in esso presenti, tante e tali egli ritie- 77 ne che si debbano trovare anche in questo nostro universo»230. Il Demiurgo è dunque al contempo “Padre”, “Potenza” ed “Intelletto”, e possiede tali caratteri in base alla sua unificazione con gli intelligibili; ed infatti in virtù degli intelligibili egli è dio e generatore della totalità delle cose ed inoltre conosce gli enti in 5 modo intellettivo ancora in virtù degli intelligibili: è infatti in essi che in senso primario si trova la conoscenza intelligibile. A ben maggiore ragione dunque vi sono tra gli intelligibili Padre, Potenza ed Intelletto, entità delle quali anche il Demiurgo è ricolmo e così risulta partecipe di questa triade. Ed in effetti anche Platone ha 10 assunto in modo analogo ciascuna di tali entità: come infatti la triade paterna fa sussistere negli intelligibili l’eternità intelligibile,

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w|n ejstin e[rgwn pathvr, tau'ta a[luta poiei'. Kai; wJ" ejn ejkeivnoi" oJ aijw;n kata; th;n o{lhn duvnamin proelqw;n to; aujtozw'/on ajpogenna'/ to; nohtovn, ou{tw" hJ dhmiourgikh; 15 duvnami" uJpevsthse ta; ejgkovsmia zw'/a ta; ajivdia kai; qei'a kai; toi'" nevoi" qeoi'" a[llhn ejndivdwsi duvnamin tw'n qnhtw'n zwv/wn gennhtikhvn. All o{ti me;n kai; tau'ta ta; ojnovmata lavboi ti" a]n para; tou' Plavtwno", uJpemnhvsqw dia; touvtwn. Tricw'" de; tou' 20 o[nto" ejn toi'" nohtoi'" th;n uJpovstasin e[conto", to; mevn ejsti prwvtw" o]n kai; proaiwvnion, to; de; deutevrw" o]n kai; aijw;n oJ prwvtisto", to; de; ejscavtw" o]n kai; nou'" oJ nohto;" kai; aijwvnio". Kai; ou| me;n to; o[n, ou| de; oJ aijwvn, ou| de; oJ nou'": kai; perilhptikwvteron nou' me;n oJ aijwvn, tou' de; aijw'no" to; o[n. Pa'" 25 me;n ga;r nou'" aijwvnio", ouj mevntoi kai; pa'n to; aijwvnion nou'": kai; ga;r hJ yuch; kata; th;n oujsivan th;n eJauth'" aijwvnio". 78 Kai; pa'n me;n to; aijw'no" meteilhfo;" metevcei pollw'/ provteron kai; tou' o[nto" (ejn ga;r tw'/ ajidivw" ei\nai sunupavrcei kai; to; ei\nai pavntw"), ajlla; to; tou' ei\nai metevcon ouj pavntw" kai; aijwnivw" o[n ejstin, ejpei; kai; ta; swvmata metevcei pw" th'" 5 tou' ei\nai fuvsew", aijwvnia de; oujk e[sti. Nou'" me;n ou\n th;n noera;n movnhn oujsivan uJfivsthsin h|/ nou'" (ejpei; kaq o{son kai; ou|tov" ejsti zwh; kai; o[n, tw'n pavntwn uJpostavth"): aijw;n de; kai; th;n noera;n kai; th;n yucikhvn (zwh; ga;r h\n au{th nohth; to; miktovn): to; de; o]n kai; th;n noera;n kai; 10 th;n yucikh;n kai; th;n swmatikhvn. Kai; ga;r hJ u{lh e}n mevn ejstin, ajneivdeon de; o]n kai; mh; o]n ajpopevptwke th'" tou' o[nto" metousiva". Eij de; dunavmei levgoi ti" aujth;n ei\nai ªto;º o[n, kai; th;n duvnamin tauvthn ejk tou' o[nto" e[cei: kai; ga;r hJ duvnami" provdromov" ejsti th'" ejnergeiva" mevqexi".

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così il Demiurgo rende «indissolubili le opere di cui egli è il Padre»231. E come negli intelligibili l’eternità, procedendo in base all’intera Potenza, genera il Vivente-in-sé che è intelligibile, così la potenza demiurgica ha fatto sussistere gli esseri viventi encosmici 15 che sono «eterni e divini»232 e affida «agli dèi giovani»233 un’altra potenza generatrice degli esseri viventi mortali. Ma il fatto che anche questi nomi si potrebbero ritrovare pure in Platone, lo si tenga presente attraverso le precedenti considerazioni. In tre modi poi l’essere ha sussistenza negli intelligibili: il 20 primo è essere in senso primario ed anteriore all’eternità, l’altro è essere in senso secondo ed è la primissima forma di eternità, il terzo infine è l’essere in senso ultimo ed è l’intelletto intelligibile ed eterno234. E nel primo caso si ha l’essere, nel secondo l’eternità, nel terzo infine l’intelletto; e l’eternità è dotata di una maggiore capacità di contenere rispetto all’intelletto, mentre l’essere, a sua volta, è dotato di una maggiore capacità di contenere rispetto all’eternità. Ogni intelletto infatti è eterno, ma certamente non 25 tutto ciò che è eterno è, a sua volta, un intelletto; ed in effetti l’anima è eterna in base alla sua propria essenza235. E tutto ciò che è 78 partecipe dell’eternità partecipa molto prima anche dell’essere (infatti in assoluto all’essere in modo eterno risulta originariamente congiunto anche l’essere), ma ciò che partecipa dell’essere non è in assoluto, a sua volta, un ente che è in modo eterno, dato che anche i corpi partecipano in certo modo della natura dell’essere, 5 ma non sono eterni. L’intelletto dunque fa sussistere in quanto intelletto la sola essenza intellettiva (giacché, nella misura in cui questo è anche vita ed essere, è fonte di sussistenza per tutte le cose nel loro insieme); invece l’eternità fa sussistere sia l’essenza intellettiva sia l’essenza psichica (infatti questo tipo di vita intelligibile è risultato il misto); l’essere infine fa sussistere al contempo l’essenza intellettiva, quella psichica e quella corporea. Ed infatti 10 la materia è sì un uno, ma essendo priva di forma ed essendo nonessere, è rimasta priva della partecipazione all’essere. Se poi si dicesse che essa è essere in potenza, essa deriva anche questa potenza dall’essere: ed infatti la potenza è una partecipazione preannunciatrice dell’atto.

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ãkbVÃ Tau'ta me;n ou\n peri; touvtwn. Tiv de; hJmi'n oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" peri; tw'n nohtw'n touvtwn triavdwn iJkano;n parevxetai th'" diairevsew" tekmhvrion, kai; pw'" a]n ejk tw'n par aujtw'/ diatetagmevnwn eij" th;n e[nnoian 20 ajnadravmoimen th'" tw'n ajrchgikwtavtwn qew'n uJpostavsew" Pa'n toivnun to; qei'on kalo;n sofo;n ajgaqo;n ajnumnei' numfovlhpto" ejn ejkeivnoi" oJ Swkravth" genovmeno", kai; 79 touvtoi" trevfesqaiv fhsi th;n yuchvn. Eij dh; pa'n to; qei'on toiou'ton, pollw'/ provteron to; nohtovn: kai; pantacou' me;n h\n pavnta, diaferovntw" de; ejn me;n th'/ prwvth/ triavdi to; ajgaqovn, ejn de; th'/ deutevra/ to; sofovn, ejn de; th'/ trivth/ to; 5 kalovn. En tauvth/ me;n ga;r to; tw'n nooumevnwn kavlliston, ejn de; th'/ deutevra/ hJ ajlhvqeia kai; hJ prwtivsth novhsi", ejn de; th'/ prwvth/ to; suvmmetron, o} dh; tw'/ ajgaqw'/ taujto;n ejlevgomen. Alla; tou' ajgaqou' stoicei'av fhsin oJ ejn tw'/ Filhvbw/ 10 Swkravth" to; ejfetovn, to; iJkanovn, to; tevleion. Oujkou'n to; me;n ejfeto;n tw'/ pevrati proshvkei, pavsh" gavr ejsti th'" triavdo" e{nwsi" kai; ajgaqovth" kai; peri; aujto; sunnevneuken hJ triav": to; de; iJkano;n th'/ ajpeiriva/, duvnami" ga;r hJ iJkanovth" ejpi; pavnta diiknei'sqai dunamevnh kai; parei'nai pa'sin 15 ajkwluvtw": to; de; tevleion tw'/ miktw'/, tou'to gavr ejsti to; prwvtw" triadikovn, ejpeidh; pa'sa mivxi" ejk triavdo" e[cei th;n sunevleusin. Ta; me;n ou\n stoicei'a tou' ajgaqou' th;n prwvthn hJmi'n ejkfaivnei triavda, ta; de; stoicei'a th'" nohth'" sofiva" th;n 20 deutevran. To; de; sofo;n pa'n plh'rev" ejsti tou' o[nto" kai; gennhtiko;n th'" ajlhqeiva" kai; ejpistreptiko;n tw'n ajtelw'n eij" th;n eJautou' teleiovthta. To; me;n ou\n plh're" tw'/ 15

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[In che senso nel “Fedro” viene affermato che tutta la realtà divina è bella, sapiente, buona, e quali sono i triplici elementi di ciascuno di questi attributi che Platone tramanda; e come da questi elementi è possibile arrivare a cogliere l’unità ed al contempo la distinzione delle triadi intelligibili]

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Ebbene, riguardo a tali questioni questo è quanto. Ma, a proposito di queste triadi intelligibili, quale sarà la prova sufficiente che il Socrate del Fedro ci fornisce riguardo alla loro divisione, e in che modo in base alle considerazioni sistematicamente articolate in questo dialogo potremmo risalire alla concezione degli dèi 20 assolutamente originari? E allora, in questo dialogo Socrate,«ispirato dalle Ninfe»236, celebra tutto «il divino» come «bello, buono e sapiente»237, e affer- 79 ma che l’anima «si nutre di questi caratteri»238. Se allora tutto il divino è di tale natura, molto prima lo dovrà essere l’intelligibile239; e in ogni ambito si trovano, come si è visto240, tutti questi caratteri, ma in modo specifico nella prima triade il carattere della bontà, nella seconda quello della sapienza, nella terza quel- 5 lo della bellezza. Infatti in quest’ultima triade si trova «il più bello degli oggetti di intellezione», nella seconda «la verità» e la primissima intellezione, nella prima «il carattere della proporzione»241, carattere quest’ultimo che dicevamo essere identico al Bene242. D’altro canto il Socrate del Filebo afferma che sono elementi del Bene il carattere di «desiderabile», quello di «sufficiente» e 10 quello di «perfetto»243. Ebbene, il carattere di desiderabile è in relazione con il limite, infatti è unità di ogni triade e bontà ed è in riferimento ad esso che la triade risulta convergere; il carattere di sufficiente è in relazione con l’illimitatezza, infatti la sufficienza è una potenza che è in grado di penetrare in ogni entità ed essere presente in tutte senza ostacoli; infine il carattere di perfetto è in 15 relazione con il misto: esso è infatti il carattere triadico in senso primario, dato che ogni mescolanza riceve la sua combinazione da una triade. Gli elementi del Bene ci rivelano dunque la prima triade, mentre gli elementi della sapienza intelligibile ci rivelano la seconda 20 triade. D’altra parte tutto ciò che ha il carattere della sapienza è ricolmo dell’essere, ed è «generatore della verità»244 ed è in grado di convertire le entità imperfette verso la perfezione che gli è propria. Il carattere del ricolmo è dunque in relazione con il limite di

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pevrati proshvkei tw'/ deutevrw/: tou'to ga;r tw'n pro; aujtou' metevcon eJnoeidw'" peplhvrwtai th'" meqevxew": kai; ga;r 25 to; plh're" oijkei'on pantacou' tw'/ pevrati, kaqavper dh; tw'/ ajpeivrw/ to; ajplhvrwton. To; de; govnimon th'/ deutevra/ dunavmei kai; th'/ ajpeiriva/: to; ga;r mh; mevnon ejpi; th'" eJautou' plhrwv80 sew", ajlla; kai; a[llwn oijstiko;n kai; gennhtiko;n th'" ajpeiriva" th'" qeiva" mavlista gnwvrisma. To; de; ejpistreptiko;n tw'/ miktw'/: tou'to ga;r wJ" to; tevlo" th'" triavdo" klhrwsavmenon ejpistrevfei pa'n to; ajtele;" eij" to; plh're", 5 kai; eJauto; pro; tw'n a[llwn eJnivzei tw'/ pevrati th'" o{lh" triavdo". Alla; mh;n kai; ta; tou' kavllou" stoicei'a th'" trivth" ejsti;n ijdiwvmata tw'n nohtw'n triavdo": tau'ta dev ejstin, w{sper kai; provteron ei[pomen, to; ejrastovn, to; aJbrovn, 10 to; lamprovn. To; me;n ou\n ejrasto;n tw'/ ejfetw'/ tetagmevnon ajnavlogon th'" eJnavdo" ejsti; tou' pevrato": to; de; aJbro;n tw'/ iJkanw'/ suvstoicon o[n, th'" dunavmew" th'" ajpeivrou th'" ejn tw'/ kalw'/: to; de; lamprovn, th'" noera'" ijdiovthto". Tou'to gavr ejsti to; fano;n tou' kavllou" kai; katalavmpon pavnta 15 kai; ejkplh'tton tou;" qeavsasqai dunamevnou": kai; w{sper to; fainovmenon kavllo" stivlbon ejnargevstata fantavzetai dia; th'" ejnargestavth" tw'n aijsqhvsewn (polla;" ga;r e[cei diafora;" kata; Aristotevlhn ta; tauvth" aijsqhtav, kai; au{th tw'n a[llwn ma'llon ejpi; plevon dihvkei), 20 ou{tw dh; kai; to; nohto;n kavllo" ejkfaivnetai tw'/ nw'/ th'" yuch'" lavmpon nohtw'". Ei\do" gavr ejsti nohtovn, kai; dia; tou'to tw'/ nw'/ katafane;" to; tou' kavllou" lamprovn. Ep ejscavtw/ toivnun tw'/ nohtw'/ profaivnetai to; kavllo" lavmpon, w{" fhsin oJ Swkravth": tou'to gavr ejsti to; fanovtaton 25 tw'n nohtw'n, oJ nou'" oJ nohtov", kai; to; ajpostivlbon to; fw'" to; nohtovn, o} kai; tou;" noerou;" qeou;" ejkplhvttei fane;n kai; poiei' qaumavzein to;n patevra, kaqavper fhsi;n Orfeuv". 81 Ek me;n dh; touvtwn toiauvthn a[n ti" lavboi paraskeuh;n eij" th;n tw'n nohtw'n qew'n ejpisthvmhn. Kai; nu'n ajnapevfhnen o{pw" to; kavllo" krufivw" mevn ejstin ejn tw'/ tevlei th'" prwvth" nohth'" triavdo", ejkfanw'" de; ejn th'/ trivth/ proelqo;n uJpevsth

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secondo livello: esso infatti, partecipando in modo uni-forme di ciò che lo precede, risulta ricolmo della partecipazione; ed in effetti il carattere del ricolmo in ogni ambito appartiene specifica- 25 mente al limite, come quello del non-ricolmo all’illimitato. Infine il carattere di generativo è in relazione con la potenza di secondo livello e con l’illimitatezza: infatti ciò che non permane nella sua propria pienezza, ma è atto a produrre e generare anche altre enti- 80 tà, è soprattutto segno per riconoscere l’illimitatezza divina. Infine la facoltà di convertire è in relazione con il misto: esso infatti, dato che gli è stato assegnato il ruolo di ultimo termine della triade, converte tutto ciò che è imperfetto verso la condizione di pienezza, ed unisce se stesso prima di tutte le altre entità al limite della 5 triade nella sua interezza245. Ma di fatto anche gli elementi della bellezza sono i caratteri specifici della terza triade degli intelligibili: questi sono, come dicevamo in precedenza246, il carattere di «amabile», quello di «splendido»247, e quello di «rilucente»248. Il carattere di amabile, 10 che è posto per ordinamento come analogo al carattere di desiderabile, appartiene all’Enade del limite; quello di splendido, che corrisponde al carattere di sufficiente, appartiene alla potenza dell’illimitato che è insita nel bello; infine il carattere di rilucente appartiene al carattere specifico intellettivo. Esso è infatti il carattere «luminoso»249 della bellezza, il quale illumina tutte le cose ed al contempo sbalordisce coloro che possono contemplarla. E co- 15 me la bellezza visibile si manifesta «lucente in modo abbagliante attraverso il più chiaro dei nostri sensi»250 («molte differenze» infatti hanno secondo Aristotele251 gli oggetti sensibili di questo organo sensoriale, ed esso possiede un ambito di impiego più vasto rispetto a tutti gli altri), così appunto anche la bellezza intelli- 20 gibile si rivela all’intelletto dell’anima lucente in modo intelligibile. Infatti essa è una Forma intelligibile, e per questo motivo il carattere rilucente della bellezza risulta manifesto per l’intelletto. Pertanto all’estremo livello dell’intelligibile si manifesta la bellezza «lucente», come la definisce Socrate252; questo infatti è il più luminoso degli intelligibili, l’intelletto intelligibile, ed è l’entità 25 che riverbera la luce intelligibile, la quale, quando si manifesta, sbalordisce anche gli dèi intellettivi e fa ammirare ad essi il Padre, come afferma Orfeo253. Ebbene, ecco il bagaglio di nozioni preparatorie alla scienza 81 degli dèi intelligibili che si potrebbe ricavare da questi testi. Ed ora si è rivelato come la bellezza sussista in modo celato alla fine della prima triade intelligibile, mentre in modo manifesto sussiste,

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(monoeidw'" me;n gavr ejstin ejkei', triadikw'" de; ejn tauvth/), kai; o{pw" eJkavsth tw'n triavdwn monav" ejstin a{ma kai; triav". H te ga;r prwvth kata; to; ajgaqo;n carakthrizomevnh sumpeplhvrwtai toi'" trisi; tou' ajgaqou' stoiceivoi": kai; hJ deutevra kata; to; sofo;n th'/ triavdi th'" sofiva" sunevcetai: kai; hJ trivth kata; to; kalo;n uJposta'sa th'/ triavdi tou' kavllou" ejsti; pantelhv". Eij de; kai; e[stin ejn th'/ prwvth/ triavdi to; kalo;n krufivw" kai; ejkfaivnetai triadikw'" ejn th'/ trivth/, dh'lon wJ" oJ nou'" oJ nohto;" kai; ejra'/ th'" prwvth" triavdo" kai; e[rwta e[cei tw'/ eJautou' kavllei sunhmmevnon: kai; ou|tov" ejstin oJ nohto;" e[rw" oJ th'" prwtivsth" kallonh'". Ek dh; touvtou proveisin oJ noero;" meta; pivstew" kai; ajlhqeiva", wJ" kai; provteron ei[pomen: to; ga;r ajgaqo;n kai; sofo;n kai; kalovn, aiJ nohtai; monavde", trei'" uJpevsthsan ajnagwgou;" dunavmei" tw'n te a[llwn aJpavntwn kai; pro; tw'n a[llwn tw'n noerw'n qew'n.

ãkgVÃ Alla; peri; me;n touvtwn ej" u{steron: ejp aujth;n de; h[dh th;n tou' Parmenivdou qewrivan trepovmeno" bouvlomai pavlin uJpomnh'sai tou;" ajkouvonta" w|n provteron ejpedeivxamen. 25 Devdeiktai toivnun o{ti th;n deutevran uJpovqesin crh; dielei'n 82 eij" o{la" ta;" tou' eJno;" o[nto" proovdou" kai; wJ" oujde;n a[llo ejsti;n h] gevnesi" kai; provodo" qew'n hJ uJpovqesi" au{th mevcri th'" ejkqeoumevnh" oujsiva" a[nwqen ajpo; th'" a[kra" eJnwvsew" proi>ou'sa tw'n nohtw'n. Ouj gavr, w{sper levgousiv tine", ejn 5 th'/ prwvth/ peri; qeou' kai; qew'n oJ lovgo": oujde; ga;r h\n qevmi" aujtw'/ suntavttein to; plh'qo" tw'/ eJni; kai; to;n e{na tw'/ plhvqei: pavnth/ ga;r ejxhv/rhtai tw'n o{lwn oJ prwvtisto" qeov". Alla; kai; th;n oujsivan ejn th'/ prwvth/ kai; aujto; to; e}n ajfairei'tai tou' prwvtou: tau'ta de; o{ti mh; proshvkei toi'" a[lloi" 10 qeoi'", panti; katafanev". Ouj mh;n oujd, wJ" aujtoi; levgousi, peri; tw'n nohtw'n qew'n ejn th'/ prwvth/ poiei'tai to;n lovgon

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dopo essere proceduta, nella terza (infatti nel primo caso la bellezza è in una forma unica, mentre in questa terza triade è in modo triadico); e come ciascuna delle triadi è al contempo monade e triade. Infatti la prima triade, caratterizzata in base al buono, risulta ricolma dei tre elementi del Bene; la seconda, caratterizzata in base al sapiente, è tenuta insieme dalla triade della sapienza; la terza infine, sussistendo in base al bello, è totalmente compiuta grazie alla triade della bellezza. Se d’altra parte il bello si trova in modo celato anche nella prima triade e si rivela in modo triadico nella terza, è evidente che l’intelletto intelligibile ama la prima triade ed al contempo prova amore che risulta congiunto alla sua propria bellezza; e questo è amore intelligibile per la primissima bellezza. Da questo appunto procede quello intellettivo congiunto alla fede ed alla verità254, come abbiamo detto anche in precedenza255; infatti il buono, il sapiente ed il bello, le monadi intelligibili, hanno fatto sussistere tre potenze in grado di elevare tutte quante le altre entità e, prima delle altre, gli dèi intellettivi.

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[Come Parmenide tramanda la molteplicità degli dèi nella seconda ipotesi, e come tratteremo di ciascun ordinamento, limitandoci alle conclusioni lì raggiunte] Ma di tali questioni tratteremo in seguito; peraltro a questo punto volgendomi direttamente alla speculazione del Parmenide, voglio di nuovo ricordare a coloro che prestano attenzione alle mie parole le concezioni che abbiamo in precedenza messo in 25 luce256. Si è pertanto mostrato che si deve dividere la seconda ipo- 82 tesi in tutte quante le processioni dell’Uno-che-è e che questa ipotesi non è nient’altro se non generazione e processione di dèi che procede dall’alto dalla somma unità degli intelligibili fino a giungere alla essenza divinizzata. Non è vero infatti, come alcuni affermano257, che nella prima ipotesi il discorso concerne il Dio e gli 5 dèi; infatti non era lecito a lui258 collocare insieme nello stesso ordinamento la molteplicità con il Uno ed il Uno259 con la molteplicità degli dèi: infatti il Primissimo Dio è assolutamente trascendente rispetto alla totalità del reale. Anzi, nella prima ipotesi elimina dal Primo sia l’essenza sia il carattere stesso di “uno”; ora, che tali considerazioni non si addicano agli altri dèi, è per ciascuno palese. Non è di fatto neppure 10 vero che, come essi affermano, nella prima ipotesi Parmenide trat-

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oJ Parmenivdh", ejkeivnwn ta;" ajpofavsei" ei\nai levgonte" diovti sunhvnwntai tw'/ eJni; kai; eijsi;n aJplovthti kai; eJnwvsei proevconte" aJpavntwn tw'n qeivwn genw'n. Pw'" ga;r to; o{moion 15 kai; to; ajnovmoion h] to; a{ptesqai kai; cwri;" kai; ta; a[lla pavnta ta; ajpofaskovmena tou' eJno;" uJpavrxei toi'" nohtoi'" qeoi'" All o{ti me;n ta; ajfairouvmena qew'n eijsin ijdiovthte" dokou'siv moi levgein ojrqw'", o{ti de; pavnta tw'n nohtw'n, oujk ojrqw'", pro;" tw'/ kai; ajnagkai'on ãei\naià kata; to;n 20 lovgon tou'ton pavlin ejn th'/ deutevra/ peri; tw'n nohtw'n qew'n ei\nai th;n pragmateivan: a} ga;r ajpevfhsen ejn ejkeivnh/, tau'ta katevfhsen ejn tauvth/. Tou'tov te ou\n, w{sper e[fhn, devdeiktai kai; o{ti tavxin e[cei ta; sumperavsmata pro;" a[llhla th;n tw'n protevrwn 25 kai; uJstevrwn kai; aijtivwn kai; aijtiatw'n. Dei' toivnun hJma'" ejfarmovzein a[nwqen ajrcomevnou" tai'" me;n prwvtai" tavxesi ta; prw'ta sumperavsmata, tai'" de; mevsai" ta; mevsa, tai'" 83 de; ejscavtai" ta; teleutai'a, kai; dei'xai tosouvtou" hjrwthmevnou" lovgou" oJpovsai tw'n qeivwn diakovsmwn aiJ provodoi. Kai; prw'ton peri; tw'n nohtw'n, uJpe;r w|n kai; proujqevmeqa levgein, ajpodw'men th;n tou' Parmenivdou didaskalivan, 5 ejpeidh; kai; dieivlektai peri; touvtwn oJ Plavtwn pollacou', ta; me;n ejndeiknuvmeno", ta; de; kai; diarrhvdhn levgwn. Dei' de; hJma'" th;n pragmateiwvdh kai; sunoptikh;n peri; eJkavsth" tavxew" sunavgein eij" e}n qewrivan, ejpeidh; kai; th;n tw'n levxewn e[fodon ejn toi'" uJpomnhvmasi poihsamevnou" ta; aujta; kai; 10 nu'n ajnakuklei'n oujk a]n e[coi lovgon. All ouJtwsi; poihvsw: tw'n sumperasmavtwn e{kaston aujto; kaq auJto; paralabw;n eij" to;n oijkei'on aujtw'/ tw'n qew'n diavkosmon ajnapevmpein peiravsomai, toi'" tou' kaqhgemovno" hJmw'n kajntau'qa parakolouqw'n ejnqeasmoi'", w|/ dh; kai; hJmei'" th'/ qeiva/ kefalh'/ 15 peri; th;n tou' Parmenivdou qewrivan sunebakceuvsamen, ta;" iJera;" ajtrapou;" tauvta" kai; pro;" th;n mustagwgivan th;n ajpovrrhton ajtecnw'" kaqeuvdonta" hJma'" ajnegeirouvsa" ejkfaivnonto".

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ta degli dèi intelligibili: essi infatti affermano che le negazioni si riferiscono a questi dèi, per il fatto che risultano uniti all’Uno e sono superiori per semplicità ed unità a tutti quanti gli altri generi divini. Come infatti il simile ed il dissimile o l’essere connesso e 15 l’essere separato e tutte le altre proprietà che vengono negate all’Uno potranno appartenere di fatto agli dèi intelligibili? Ma il fatto che le proprietà eliminate siano caratteri specifici di dèi, mi sembra che abbiano ragione ad affermarlo, però il fatto che siano tutte le proprietà appartenenti agli dèi intelligibili, hanno torto ad affermarlo, senza contare che necessariamente in base a tale ragio- 20 namento la trattazione concernente gli dèi intelligibili è di nuovo riproposta nella seconda ipotesi; infatti le proprietà che ha negato nella prima ipotesi, le ha affermate nella seconda. Questo dunque, come dicevo, è stato dimostrato ed anche il fatto che le conclusioni hanno un preciso ordine e ruolo le une rispetto alle altre: quello di conclusioni anteriori e posteriori, e 25 quello di cause e di causati260. Bisogna pertanto che noi, incominciando dall’alto, facciamo corrispondere ai primi ordini le prime conclusioni, a quelli intermedi le conclusioni intermedie, a quelli 83 ultimi le conclusioni finali, e che mostriamo che vengono presi in esame tanti ragionamenti quante sono le processioni degli ordinamenti divini. E per prima cosa esponiamo l’insegnamento del Parmenide intorno agli intelligibili, a proposito dei quali abbiamo appunto proposto di parlare, poiché anche Platone in molti luoghi ha 5 discusso di questi, alcuni aspetti solo indicandoli, mentre altri trattandoli anche in maniera chiara ed esplicita. D’altra parte bisogna che noi riconduciamo l’effettiva e complessiva dottrina concernente ciascun ordinamento ad un’unica visione d’insieme, poiché, avendo preso in esame nei nostri commenti261 le singole parole nella loro esatta successione, non vi sarebbe ragione di 10 ripetere anche ora le stesse cose. Ma è in questo modo che procederò: assumendo ciascuna delle conclusioni in sé e per sé cercherò di ricondurla allo specifico ordinamento degli dèi che le corrisponde, seguendo anche in questo caso le divine ispirazioni del nostro maestro262: è proprio insieme a questo «personaggio divino» che «abbiamo partecipato all’estasi bacchica»263 relativa alla 15 dottrina del Parmenide, che rivela questi sentieri sacri «che ci conducono» alla ineffabile iniziazione ai misteri «risvegliandoci direttamente dal sonno nel quale siamo immersi»264.

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ãkdVÃ Tau'ta me;n ou\n peri; tou' trovpou tw'n o{lwn sumperasmavtwn hJmi'n proeirhvsqw: to; de; ejnteu'qen ejp aujth;n metabhvsomai th;n tw'n prokeimevnwn uJfhvghsin. To; me;n dh; prwvtiston kai; ajmevqekton e{n, ejpevkeina tw'n o{lwn prou>pavrcon, ouj tw'n metecovntwn movnwn, ajlla; kai; tw'n metecomevnwn 25 eJnavdwn, u{mnhtai dia; th'" prwvth" uJpoqevsew", aJpavntwn 84 me;n ªou\nº ajrrhvtw" ai[tion ajpopefasmevnon, aujto; de; ejn oujdeni; dh; tw'n pavntwn ajforizovmenon oujdev tina duvnamin e[con oujde; ijdiovthta suggenh' pro;" tou;" a[llou" qeouv". Meta; de; tou'to to; movnw" uJperouvsion kai; uJpero;n kai; 5 a[mikton pro;" pavsa" ta;" uJpavrxei", eJnav" ejsti metecomevnh me;n uJpo; tou' o[nto" kai; peri; eJauth;n uJposthvsasa th;n prwvthn oujsivan kai; pleonavsasa th'/ prosqhvkh/ th'" meqevxew" tauvth" tou' prwvtw" eJnov", aujth; de; uJperouvsio" u{parxi" kai; *** th'" prwtivsth" nohth'" triavdo". Duvo dh; touvtwn 10 o[ntwn ejn th'/ prwvth/ triavdi, tou' eJno;" kai; tou' o[nto", kai; tou' me;n gennw'nto", tou' de; gennwmevnou, kai; tou' me;n teleiou'nto", tou' de; teleioumevnou, dei' dh; kai; th;n mevshn ajmfoi'n uJpavrcein duvnamin, di h|" te kai; meq h|" to; e}n uJpostatikovn ejsti kai; teleiwtiko;n tou' o[nto". H te ga;r provodo" ajpo; 15 tou' eJno;" kai; hJ pro;" to; e}n ejpistrofh; tw'/ o[nti dia; th'" dunavmew". Tiv ga;r a[llo sunavptei tw'/ eJni; to; o]n h] metecovmenon poiei' to; e}n uJpo; tou' o[nto" plh;n th'" dunavmew" Provodo" gavr ejsti tou' eJno;" kai; e[ktasi" ejpi; to; o[n: o{qen dh; kai; ejn pa'si toi'" qeivoi" gevnesi proovdwn kai; gennhvsewn 20 aiJ dunavmei" prokatavrcousin. Tria;" ou\n ejstin au{th tw'n nohtw'n ajkrovth", to; e{n, hJ duvnami", to; o[n, to; me;n paravgon, to; de; paragovmenon, hJ de; ejxhrthmevnh me;n tou' eJnov", sumferomevnh de; tw'/ o[nti. Tauvthn toivnun th;n triavda paradivdwsin oJ Parmenivdh" 20 eujqu;" ajrcovmeno" th'" deutevra" uJpoqevsew", aJploustavthn th;n mevqexin tw'/ eJni; prosavptwn th'" oujsiva". Kalei' de; aujth;n e}n o[n, kai; tov te o]n metevcei, fhsiv, tou' eJno;" kai; 85 to; e}n tou' o[nto". H de; mevqexi" touvtou diavforo": to; me;n 20

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[Qual è la prima triade secondo Parmenide, e da dove ha inizio e fino a che punto egli proceda nell’illustrare la sua natura] Queste sono dunque le considerazioni che dobbiamo porre a 20 premessa circa la modalità in cui si presentano tutte le conclusioni nel loro insieme; da qui passerò all’esposizione stessa delle questioni in oggetto. È certamente il primissimo ed impartecipabile Uno, preesistente al di là della totalità del reale - non solo delle realtà partecipanti, ma anche delle enadi partecipate – che è stato 25 celebrato attraverso la prima ipotesi, Uno che è stato dichiarato 84 causa in modo ineffabile di tutte le cose, e che d’altro canto non si trova certo delimitato in nessuna di tutte le cose e non ha né una determinata potenza né un carattere specifico congenere agli altri dèi. Poi dopo questo Uno che è in modo unico sovraessenziale, al di sopra dell’essere e puro rispetto a tutte le realtà, viene l’enade 5 che sì è partecipata dall’essere, che fa sussistere in rapporto con se stessa la prima essenza e che per l’aggiunta di questa partecipazione è divenuta di più rispetto all’Uno in senso primario, ma essa è comunque realtà sovraessenziale e 265 della primissima triade intelligibile. Dato che questi due sono appunto gli elemen- 10 ti presenti nella prima triade, l’uno e l’essere, ed il primo genera e conduce alla perfezione, mentre il secondo è generato ed è condotto alla perfezione, deve certo sussistere anche una potenza che è mediana rispetto a questi elementi, attraverso la quale ed insieme alla quale l’Uno fa sussistere e conduce alla perfezione l’essere. Infatti la processione dall’Uno e la conversione all’Uno appar- 15 tengono all’essere per il tramite della potenza. Che altro in effetti connette l’essere all’Uno o rende l’Uno partecipato dall’essere se non la potenza? Essa è infatti processione dall’Uno ed estensione verso l’essere: proprio da qui deriva il fatto che anche in tutti i generi divini le potenze sono all’origine di processioni e genera- 20 zioni. Questa triade dunque è la sommità degli intelligibili, l’uno, la potenza e l’essere, il primo produce, l’essere è prodotto, la potenza infine dipende sì dall’uno, ma procede di pari passo266 con l’essere. Questa è pertanto la triade che tramanda Parmenide fin dal- 25 l’inizio della seconda ipotesi, quando connette all’uno267 la forma assolutamente più pura di partecipazione dell’essenza. Inoltre egli la chiama «Uno-che-è»268, ed afferma che l’essere partecipa dell’uno ed al contempo l’uno dell’essere. Ma la partecipazione di que- 85

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ga;r e}n ªo]nº ou{tw metevcei tou' o[nto" wJ" katalavmpon kai; ejkplhrou'n kai; ejkqeou'n to; o[n, to; de; o]n ou{tw tou' eJno;" wJ" ejxhrthmevnon tou' eJno;" kai; ejkqeouvmenon uJp aujtou'. Mevsh 5 de; ajmfoi'n hJ scevsi", oujk ou\sa par ejkeivnoi" ajnuvparkto": oujde; ga;r hJ ejntau'qa ªme;nº scevsi" mhdamw'" o[n ejsti, pollw'/ ma'llon hJ ejn ejkeivnoi". H de; scevsi" au{th duoeidhv" ejsti: kai; ga;r tou' eJnov" ejsti kai; tw'/ o[nti sumfuvetai: kivnhsi" gavr ejsti tou' eJno;" kai; provodo" eij" to; o[n. Tauvthn th;n 10 triavda paradidou;" oJ Parmenivdh" a[rcetai me;n ejnteu'qen tw'n peri; aujth'" lovgwn: Ora dh; ejx ajrch'". Eij e{n ejstin, a\r oi|ovn te aujto; ei\nai mevn, oujsiva" de; mh; metevcein – Oujc oi|ovn te. Teleuta'/ de; peri; aujth'" dialegovmeno" wJdiv: Ar ou\n a[llo h] o{ti oujsiva" 15 metevcei to; e{n, tou't a]n ei[h to; legovmenon, ejpeidavn ti" sullhvbdhn ei[ph/ o{ti e{n ejsti – Pavnu ge. Tria;" ou\n au{th prwvth nohthv, to; e{n, to; o[n, kai; scevsi" ajmfoi'n, di h}n kai; to; e}n tou' o[nto" ejsti; kai; to; o]n tou' eJnov", pavnu qaumastw'" kai; dia; touvtwn ejndeiknumevnou tou' 20 Plavtwno" o{ti kai; oJ path;r tou' nou' pathvr ejsti kai; oJ nou'" tou' patro;" kai; wJ" hJ duvnami" kevkruptai metaxu; tw'n a[krwn. Kai; ga;r hJ qeovth" pathvr ejsti th'" triavdo" kai; to; o]n nou'" th'" qeovthto" tauvth", oujc ou{tw" nou'" w]n wJ" eijwvqamen levgein to;n th'" oujsiva" nou'n: oJ me;n ga;r toiou'to" nou'" 25 kai; e{sthke kai; kinei'tai pa'", w{" fhsin oJ Eleavth" xevno", to; de; prwvtw" o]n ou[te e{sthken ou[te kinei'tai, wJ" aujto;" diatavttetai. Kalei'tai d ou\n hJ prwvth tria;" e}n o[n, ejpeivper hJ duvnami" ejntau'qa krufivw" ejstivn: ouj ga;r prov86 eisin hJ tria;" ajf eJauth'", ajll ajdiakrivtw" kai; eJnoeidw'" uJfevsthke, prwvtw" ajforizomevnh kata; th;n e{nwsin th;n qeivan. Prwvth toivnun au{th mevqexi", th'" oujsiva" metecouvsh" tou' eJno;" dia; mevsh" th'" dunavmew", h} kai; sunagwgov" ejstin 5 ajmfoi'n kai; diakritikhv, kai; uJperouvsio" mevn, sumferomevnh de; th'/ oujsiva/. Mh; toivnun uJpolavbwmevn pote pa'san duvnamin oujsiva" e[kgonon uJpavrcein: aiJ ga;r tw'n qew'n dunavmei" uJperouvsioiv eijsin aujtai'" sunupavrcousai tai'" eJnavsi tw'n qew'n, kai; dia; tauvta" oiJ qeoi; gennhtikoi; tw'n o[ntwn eijsivn. 10 Orqw'" ou\n kai; hJ poivhsi" pantacou' ta; pavnta duvnasqaiv

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sto uno è differente: infatti l’uno partecipa dell’essere nel senso che esso illumina, ricolma e divinizza l’essere, mentre l’essere partecipa dell’uno nel senso che dipende dall’uno ed è da esso divinizzato. 5 Mediana rispetto a questi due elementi è poi la relazione, che nella dimensione intelligibile non è priva di sussistenza autonoma: infatti la relazione neppure in questo nostra dimensione è assoluto nonessere, a maggior ragione dunque non lo è nella dimensione intelligibile. D’altra parte questa relazione è duplice; ed infatti essa appartiene all’uno ed è per natura connessa all’essere: è infatti movimento dell’uno e processione verso l’essere. Parmenide ci tra- 10 manda questa triade incominciando da qui la trattazione che la concerne: «Considera allora da principio. Se l’Uno è, è forse possibile che esso sia, ma che non partecipi dell’essenza? – Non è possibile». Termina poi discutendo su di essa in questi termini: «Forse significa dunque altro dal fatto che l’Uno partecipa dell’essenza, 15 quello che si dice allorché si afferma in modo sintetico che l’Uno è – Affatto»269. Questa dunque è la prima triade intelligibile: l’uno, l’essere, e una relazione tra entrambi, in virtù della quale l’uno appartiene all’essere ed al contempo l’essere all’uno: infatti è in modo assolutamente ammirabile che Platone appunto attraverso 20 queste argomentazioni mette in luce che il Padre è Padre dell’Intelletto ed al contempo che l’Intelletto è Intelletto del Padre e che la Potenza risulta nascosta in mezzo a questi due termini estremi270. Ed infatti la natura divina è Padre della triade e l’essere è intelletto di questa natura divina, ma è Intelletto non nel senso in cui siamo soliti dire l’intelletto appartenente all’essenza: infatti tale 25 intelletto sussiste nella sua interezza sia in quiete sia in movimento, come afferma lo Straniero di Elea271, mentre «l’essere» in senso primario «non è né in quiete né in movimento», come egli stesso stabilisce272. Ebbene, la prima triade è chiamata “Uno-che-è”, proprio perché la potenza è qui presente in modo nascosto273: infatti 86 la triade non procede a partire da se stessa, ma sussiste in modo non-distinto ed uni-forme, in quanto è definita in modo primario in base all’unità divina. Questa pertanto è la prima partecipazione, quando l’essenza partecipa dell’uno attraverso l’intermediazione della potenza, partecipazione la quale è sia atta a congiungere sia a 5 separare questi due termini274, ed è sì sovraessenziale, ma procede di pari passo con l’essenza. Non si presupponga pertanto mai che ogni potenza sia prodotto generato di un’essenza: infatti le potenze degli dèi sono sovraessenziali, in quanto esse coesistono con le enadi stesse degli dèi, ed è per via di queste potenze che gli dèi sono generatori degli enti. Giustamente dunque la poesia afferma 10

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fhsi tou;" qeouv". AiJ me;n ga;r oujsiwvdei" dunavmei" ouj ta; pavnta duvnantai: tw'n ga;r uJperousivwn oujk eijsi;n uJpostatikaiv: aiJ de; uJperouvsioi kai; ta;" oujsiva" ajf eJautw'n paravgousin. ãkeVÃ H me;n ou\n prwvth tria;" dia; touvtwn hJmi'n uJpo; tou' Parmenivdou paradevdotai. Meta; de; tauvthn ejfexh'" hJ deutevra th;n provodon e[lacen, h}n kata; th;n oJlovthta th;n nohthvn, w{sper kai; ejn Sofisth'/ dieivlomen, carakthrivzei. 20 Th'" ga;r prwvth" triavdo" eJnoeidou'" ou[sh" kai; pavnta nohtw'" kai; krufivw" ejcouvsh", th;n u{parxin, th;n duvnamin, to; o[n, ou{tw" w{ste kai; mevshn ou\san tou' te eJno;" kai; tou' o[nto" th;n th'" diairevsew" aijtivan duvnamin kekruvfqai kai; dia; th'" pro;" a[llhla koinwniva" tw'n a[krwn ajnafaivnesqai, 25 proveisin hJ deutevra tria;" prwvth dunavmei th'/ nohth'/ carakthrizomevnh kai; ta;" ejn aujth'/ monavda" diakekrimevna" 87 e[cousa. Pavntwn ga;r hJnwmevnwn ejkei' kai; ajdiakrivtwn o[ntwn hJ diavkrisi" ejn tauvth/ profaivnetai, kai; to; o]n kai; hJ duvnami" dihv/rhtai plevon ajp ajllhvlwn, kai; to; ejk touvtwn oujkevti movnon e}n o[n ejstin, ajll o{lon, wJ" mevrh tov te e}n kai; to; 5 o]n e[con ejn eJautw'/. Anw me;n ga;r pro; merw'n pavnta kai; oJlovthto", ejn tauvth/ de; ta; mevrh kai; to; o{lon, th'" dunavmew" eJauth;n ejkfainouvsh": diakrivsew" ga;r ou[sh" kai; mevrh ejsti; kai; to; ejk touvtwn o{lon. Kalei'tai toivnun hJ deutevra tria;" oJlovth" nohthv, mevrh de; aujth'" to; e}n kai; to; o[n – 10 a[kra levgw – mevsh de; hJ duvnami" ou\sa kajntau'qa sunavptei, kai; oujc eJnoi', kaqavper ejn th'/ pro; aujth'", to; e}n kai; to; o[n. Kai; ejpei; mevsh ejsti;n ajmfoi'n, dia; me;n th;n pro;" to; o]n koinwnivan e}n o]n ajpofaivnei to; e{n, dia; de; th;n pro;" to; e{n, e}n ajpotelei' to; o[n. Kai; ou{tw" to; e}n o]n ejk merw'n ejsti duoi'n, 15 tou' te eJno;" o[nto" kai; tou' o[nto" eJnov", w{sper aujto;" oJ Parmenivdh" fhsivn. 15

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che in ogni ambito gli dèi “possono tutte le cose”275. In effetti le potenze connesse all’essenza non “possono tutte le cose”: infatti non sono in grado di far sussistere le entità sovraessenziali; invece le potenze sovraessenziali producono anche le essenze a partire da se stesse.

[Qual è la seconda triade e come viene tramandato da Parmenide che essa è contigua a quella che la precede, e fino a che punto egli ha portato avanti il discorso che la concerne]

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La prima triade dunque ci è stata tramandata da Parmenide attraverso queste argomentazioni. Poi, subito dopo questa, la seconda ha avuto la sua processione, triade che egli caratterizza in base alla totalità intelligibile, come abbiamo determinato anche nel Sofista276. In effetti, mentre la prima triade è uni-forme e pos- 20 siede in modo intelligibile e celato tutti gli elementi, la realtà, la potenza e l’essere – in modo tale che anche la potenza che, essendo mediana tra l’uno e l’essere, è causa della divisione, resta celata e attraverso la relazione comune reciproca tra questi due elementi estremi giunge a manifestarsi – la seconda triade procede 25 essendo per prima caratterizzata dalla potenza intelligibile e possedendo le monadi insite in essa in forma divisa. Infatti, mentre 87 nella prima triade tutti gli elementi risultano unificati e nondistinti, in questa seconda triade si manifesta la distinzione, e l’essere e la potenza risultano divisi in modo più netto tra loro, e ciò che risulta da questi elementi non è più solamente uno-che-è, ma intero, in quanto possiede in se stesso come parti l’uno e l’essere. 5 Infatti in alto tutte le cose sono anteriori alle parti e alla totalità, mentre in questa seconda triade vi sono le parti e l’intero, in quanto la potenza rivela se stessa: infatti, dato che vi è distinzione277, vi sono sia parti sia l’intero che è da queste costituito. La seconda triade pertanto è denominata “totalità intelligibile”, e sue parti sono l’uno e l’essere – intendo dire i termini estremi – mentre la 10 potenza che anche qui è mediana connette l’uno e l’essere, e non li unifica, come invece nella triade che la precede. E dal momento che essa è mediana tra questi elementi, fa apparire l’uno, in virtù della comunione con l’essere, come uno-che-è, mentre in virtù della comunione con l’uno, rende uno l’essere. E così l’Uno-che-è risulta composto di due parti, dell’uno-che-è-essere e dell’essere- 15 che-è-uno, come afferma lo stesso Parmenide278.

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Arcetai me;n ou\n tw'n peri; th'" triavdo" tauvth" lovgwn ejnqevnde: Pavlin dh; levgwmen, e}n eij e[sti, tiv sumbhvsetai. Skovpei ou\n eij oujk ajnavgkh tauvthn th;n 20 uJpovqesin toiou'ton to; e}n shmaivnein oi|on mevrh e[cein. Teleuta'/ de; ouJtwsi; levgwn: Kai; o{lon a[ra ejsti;n o} a]n e}n h\/ kai; movrion e[cei. Dia; dh; touvtwn oJ Parmenivdh" oJlovthta th;n deutevran ajforivzetai tavxin tw'n nohtw'n. W" ga;r to; ei\nai pa'sin ajpo; th'" prwvth", ou{tw" 25 to; o{lon ajpo; th'" deutevra" kai; hJ pantelh;" diaivresi" ajpo; th'" trivth". Alla; tou'to me;n eijsau'qi". Tritth'" de; a[ra th'" oJlovthto" ou[sh", th'" me;n pro; tw'n merw'n, th'" de; ejk tw'n merw'n, th'" de; ejn tw'/ mevrei, kata; th;n Plavtwno" 88 uJfhvghsin: – ejn Politikw'/ me;n ga;r to; gevno" o{lon kalei', to; de; ei\do" mevro", ouj sumplhroumevnou tou' gevnou" ejk tw'n eijdw'n, ajlla; prou>pavrconto" aujtw'n: ejn Timaivw/ de; o{lon ejx o{lwn ei\naiv fhsi to;n kovsmon, kai; oJ me;n suvmpa" 5 kovsmo" ejk merw'n sumplhrou'tai tw'n o{lwn, tw'n de; merw'n e{kaston to; o{lon ejstivn, oujc wJ" to; pa'n, ajlla; merikw'": – tritth'" ou\n, o{per ejlevgomen, kata; Plavtwna th'" oJlovthto" ou[sh", hJ eJna;" touvtwn kai; hJ aijtiva hJ nohth; kai; hJ kruvfio" paradevdotai nu'n, eJniaivw" perievcousa ta;" trei'", kai; 10 uJfista'sa kata; me;n th;n u{parxin th;n eJauth'" th;n pro; tw'n merw'n oJlovthta, kata; de; th;n duvnamin th;n ejk tw'n merw'n, kata; de; to; o]n th;n ejn tw'/ mevrei. To; me;n ga;r e}n pro; pantov" ejsti plhvqou", hJ de; duvnami" ejpikoinwnei' pw" ajmfotevroi" toi'" a[kroi" kai; ta;" ijdiovthta" aujtw'n ejn eJauth'/ suneivlhfe, 15 to; de; o[n ph/ metevcei tou' eJnov". Diovper ejk me;n th'" eJniaiva" uJpavrxew" hJ prwtivsth tw'n oJlothvtwn, hJ pro; tw'n merw'n (mona;" gavr ejsti kai; au{th tw'n merw'n uJpostatikh; kai; tou' ejn aujtoi'" plhvqou"): ejk de; th'" dunavmew" hJ deutevra (sumplhrou'tai ga;r ajpo; tw'n merw'n, wJ" ejn th'/ sunagwgw'/ 20 dunavmei tou' eJno;" kai; tou' o[nto" ejkfaivnetaiv pw" ta; a[kra): ejk de; tou' o[nto" hJ trivth (mevro" gavr ejsti to; o]n kai; gevnnhma ajmfoi'n, th'" te dunavmew" kai; tou' eJnov", kai; e[cei merikw'" eJkavteron). Meta; me;n ou\n to; nohto;n aiJ trei'" oJlovthte" dihv/rhntai 25 kata; ta;" diafovrou" tw'n o[ntwn tavxei": hJ de; nohth; oJlovth" ta;" trei'" eJniaivw" perieivlhfe kai; e[sti mona;" th'" triavdo" tauvth" sunektikh; nohtw'", ejk mevsou tou' nohtou' kai;

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Ebbene, egli incomincia la trattazione di questa triade da qui: «Ripetiamo allora, se l’Uno è, che cosa comporterà ciò? Considera dunque se non è necessario che questa ipotesi significhi che l’Uno è 20 tale da essere dotato di parti». Poi conclude dicendo così: «Ed intero dunque è ciò che sia uno e sia dotato di parti»279. È proprio attraverso queste argomentazioni che Parmenide definisce il secondo ordinamento degli intelligibili come “totalità”. Infatti come l’essere per tutte le cose viene dal primo ordinamento, così l’intero dal 25 secondo e la divisione perfettamente compiuta dal terzo. Ma su tale questione torneremo in seguito280. E dunque, dal momento che la totalità è di tre tipi, una che è anteriore alle parti, un’altra che è costituita dalle parti, un’altra ancora che è insita nella parte, secondo l’insegnamento di Platone – nel Politico281 infatti egli 88 denomina il genere “intero”, mentre la specie “parte”: ma non è che il genere sia costituito dalle specie, bensì è preesistente rispetto ad esse; nel Timeo282 poi egli afferma che il cosmo è «un intero costituito da interi», e così il cosmo nella sua interezza è costituito 5 da tutte le parti nel loro insieme, mentre ciascuna delle parti è ciò che è intero, non come il tutto, ma come parte – dal momento che dunque la totalità, come dicevo, è di tre tipi283, egli ci ha ora trasmesso l’enade di queste forme di totalità, la loro causa intelligibile e quella nascosta, che comprende in modo unitario le tre forme di totalità, e che fa sussistere, in base alla realtà che le è propria, 10 la totalità anteriore alle parti, poi, in base alla potenza, la totalità che è costituita dalle parti, ed infine, in base all’essere, la totalità insita nella parte. Infatti l’uno è anteriore ad ogni forma di molteplicità, mentre la potenza ha in certo modo relazione comune con entrambi i termini estremi e ha raccolto in se stessa le loro caratteristiche specifiche, l’essere infine partecipa in qualche maniera 15 dell’uno. È proprio per questo che dalla realtà unitaria deriva la primissima forma di totalità, quella che è anteriore alle parti (infatti anche questa monade è in grado di far sussistere le parti e la molteplicità in esse insita); dalla potenza invece deriva la seconda forma di totalità (infatti è costituita dalle parti, come nella potenza che congiunge l’uno e l’essere si rivelano in certo modo i 20 termini estremi284); infine dall’essere deriva la terza forma di totalità (l’essere è parte e prodotto generato di entrambi i termini, cioè della potenza e dell’uno, e possiede entrambi come parte). Dopo l’intelligibile dunque le tre forme di totalità risultano divise in base ai differenti ordinamenti degli enti; dal canto suo la 25 totalità intelligibile risulta comprendere le tre forme di totalità in modo unitario ed è monade capace di tenere unita in modo intel-

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428 89 krufivou

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diakovsmou

pavnth/

diateivnousa

ta;"

eJauth'"

dunavmei". kıV Meta; de; tauvthn th;n triavda nohvswmen ejfexh'" a[llhn proi>ou'san, ejn h|/ to; nohto;n plh'qo" ejkfaivnetai pa'n: h}n 5 kai; aujth;n oJlovthta mevn, ajll ejk merw'n pollw'n uJfivsthsin oJ Parmenivdh". Meta; ga;r th;n kruvfion e{nwsin th'" prwvth" kai; th;n th'" deutevra" duadikh;n diavkrisin hJ th'" trivth" ajpogenna'tai provodo", ejk merw'n me;n e[cousa th;n uJpovstasin, pleiovnwn de; merw'n, w|n to; plh'qo" wjdivnei hJ pro; 10 aujth'". Ena;" me;n gavr ejstin ejn tauvth/ kai; duvnami" kai; o[n, ajlla; kai; to; e}n plhquvetai kai; to; o]n kai; hJ duvnami": kai; ou{tw" hJ me;n suvmpasa tria;" oJlovth" ejstivn, eJkavteron de; tw'n a[krwn aujth'", to; e}n levgw kai; to; o[n, plh'qo" o]n dia; th'" sunagwgou' dunavmew" sunaptovmenon, pavlin diairei'tai 15 kai; plhquvetai. To; ga;r eJniai'on plh'qo" sunavptousa tw'/ plhvqei tw'n o[ntwn, tw'n me;n ajpotelei' dia; th;n provodon e{kaston e}n o[n, tw'n de; kata; th;n mevqexin o]n e{n. Duvo me;n ãou\nà ejsti kajntau'qa th'" oJlovthto" ta; mevrh, to; e}n kai; to; o[n, ajlla; kai; to; e}n metevcei tou' o[nto" (sunh'ptai ga;r 20 aujtw'/) kai; to; o]n tou' eJnov". To; me;n toivnun e}n tou' o[nto" ãmetevconà diairei'tai pavlin, w{ste to; e}n kai; to; o]n ajpogenna'n eJnavda deutevran, moivra/ tou' o[nto" suntattomevnhn. To; de; o]n tou' eJno;" metevcon diakrivnetai pavlin eij" o]n kai; e{n: ajpogenna'/ ga;r o]n merikwvteron eJnavdo" merikwtevra" 25 ejxhrthmevnon, kai; to; e}n ejkteqewmevnwn ejsti; tw'n merikw90 tevrwn o[ntwn kai; eijdikwtevrwn monav". Aijtiva de; th'" proovdou tauvth" hJ duvnami": duopoio;" ga;r hJ duvnami" kai; plhvqou" ejrgavti", to; me;n ªga;rº e}n eij" plh'qo" prokaloumevnh, to; de; o]n eij" th;n metousivan tw'n qeivwn eJnavdwn ejpistrev5 fousa. Povqen ou\n a[rcetai peri; tauvth" hJma'" th'" triavdo" ajnadidavskein oJ Parmenivdh" kai; pou' to;n peri; aujth'" sumperaivnetai lovgon Arch; me;n ou\n aujtw'/ tw'n lovgwn

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ligibile questa triade285, estendendo dalla parte centrale dell’«or- 89 dinamento» intelligibile e «nascosto»286 in ogni direzione le sue potenze. 26 [Qual è la terza triade e come Parmenide l’ha rivelata attraverso la terza conclusione] Dopo questa triade consideriamone un’altra che procede di 5 seguito, nella quale si rivela tutta la molteplicità intelligibile; anche questa triade Parmenide la fa sussistere come totalità, ma costituita da molteplici parti. Infatti dopo l’unione nascosta della prima triade e la distinzione diadica287 della seconda si genera la processione della terza triade, che ha la sua sussistenza a partire da parti, ma da un numero maggiore di parti, della cui molteplicità la tria- 10 de ad essa anteriore è gravida. Infatti certo v’è in questa triade un’enade e una potenza e un essere, ma sia l’uno sia l’essere sia la potenza sono in essa moltiplicati; e così la triade nella sua interezza è una totalità, ma ciascuno dei suoi termini estremi, intendo dire l’uno e l’essere, essendo una molteplicità che è connessa insie- 15 me attraverso la potenza che li collega, è a sua volta diviso e moltiplicato. Infatti connettendo la molteplicità unitaria alla molteplicità degli enti, fa diventare in virtù della processione ciascuno dei termini della molteplicità unitaria uno-che-è-essere, mentre fa diventare in base alla partecipazione ciascuno dei termini della molteplicità degli enti essere-che-è-uno. Due dunque sono anche qui le parti della totalità, l’uno e l’essere, ma l’uno partecipa del- 20 l’essere (infatti è unito ad esso) ed al contempo l’essere partecipa dell’uno. L’uno pertanto, partecipando dell’essere, a sua volta si divide, sicché l’uno e l’essere generano una seconda enade che è coordinata a parte dell’essere. Invece l’essere, partecipando dell’uno, si distingue a sua volta in essere e uno; infatti genera un esse- 25 re più particolare che dipende da un’enade più particolare; e l’uno è monade degli enti più particolari e più specifici che sono stati 90 divinizzati. Inoltre causa di questa processione è la potenza; infatti la potenza è produttrice di dualità e «operatrice»288 di molteplicità, invitando l’uno alla molteplicità, convertendo invece l’essere 5 alla partecipazione delle enadi divine. Da dove dunque Parmenide inizia ad illustrarci la sua argomentazione concernente questa triade e dove giunge alla conclusione del ragionamento che la concerne? Ebbene, questo è l’inizio

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h{de: Tiv ou\n Tw'n morivwn eJkavteron touvtwn, tou' ªteº eJno;" o[nto", tov te e}n kai; to; o[n, a\r ajpoleivpesqon h] to; e}n tou' ei\nai movrion h] to; o]n tou' eJno;" morivou – Oujk a]n ei[h. Teleuth; de; h{de: Oujkou'n a[peiron a]n to; plh'qo" ou{tw to; e}n o]n ei[h – Eoikev ge. 15 Prw'ton me;n ou\n th'" proovdou to;n trovpon ejnnoei'n proshvkei tw'n qeivwn genw'n, kai; o{ti kata; th;n monavda th;n nohthvn, h}n kata; to; e}n o]n tavttomen, kai; th;n duavda th;n met ejkeivnhn, h}n oJlovthta me;n ejkalou'men, ejk duvo de; merw'n diakekrimevnwn uJpo; th'" dunavmew" levgomen uJfestavnai, 25 to; nohto;n ejkfaivnetai plh'qo" ajpo; monavdo" kai; duavdo". Otan me;n ga;r levghtai tou' eJno;" o[nto" movria pavnta ta; deuvtera kai; o{sa dia; th;n th'" dunavmew" diakritikh;n aijtivan ajnafaivnetai, th;n ajpo; th'" monavdo" ejfhvkousan e{nwsin eij" th;n trivthn triavda paradivdwsin oJ lovgo": o{tan de; hJ duvnami" diakrivnousa kai; sunavptousa ta;" eJnavda" kai; 91 ta; o[nta to; plh'qo" ajpotelh'/, tovte dh; pavntw" hJ metousiva th'" duavdo" ajnafaivnetai, kaqavper oi\mai kai; oJ Parmenivdh" ejndeivknutai levgwn Wste ajnavgkh duvo ajei; gignovmenon mhdevpote e}n ei\nai. Kat ajmfotevra" a[ra 5 ta;" prou>parcouvsa" triavda" au{th proelhvluqe, rJevousa kata; to; lovgion kai; ejpi; pa'n proi>ou'sa to; nohto;n plh'qo". Th'" ga;r rJoh'" tauvth" kai; tou' ajperilhvptou th'" dunavmew" to; a[peiron plh'qo" ejndeiktikovn. Prw'ton me;n toivnun, wJ" e[fhn, th;n th'" triavdo" tauvth" 10 uJpovstasin tw'n pro; aujth'" hjrthmevnhn dia; touvtwn ajpodeiktevon. Epeiq o{ti kai; prwtogenh;" hJ tria;" au{th kata; to;n Parmenivdhn: prwvth/ ga;r aujth'/ tou' givnesqai metadivdwsi kai; to; plh'qo" to; ejn aujth'/ gignovmenon ajpokalei'. Levgei ga;r ou\n ou{tw": Kai; givnetai to; ejlav15 ciston ejk duoi'n au\ morivoin to; movrion: kai; pavlin Otiper a]n givnhtai movrion, touvtw tw; morivw ajei; i[scei: kai; ejn toi'" eJxh'": Wste ajnavgkh duvo ajei; gignovmenon mhdevpote e}n ei\nai. To; toivnun sucnw'/ tw'/ th'" genevsew" ojnovmati crh'sqai peri; th'" proovdou tou' 20 nohtou' plhvqou" ajnadidavskonta, pw'" ouj khruvttontov" ejstin o{ti ta; me;n pro; tauvth" th'" tavxew" h{nwtai ma'llon ajllhvloi", au{th de; proveisin ejpi; plevon kai; ejkfaivnei to; 10

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dei suoi ragionamenti: «E allora? Ciascuna di queste due parti del- 10 l’Uno-che-è, l’uno e l’essere, è forse in difetto, l’uno in relazione alla parte dell’essere o l’essere della parte dell’uno? – Non potrebbe». Questa poi è la conclusione: «Non è forse vero che in questo modo 15 l’Uno-che-è sarebbe molteplicità illimitata? – A quanto pare»289. Per prima cosa dunque conviene prendere in considerazione la modalità della processione dei generi divini, ed il fatto che in base alla monade intelligibile, che consideriamo per ordinamento conforme all’Uno-che-è, e la diade che la segue, che noi denominavamo sì “totalità”, ma al contempo affermiamo che consta di 20 due parti che risultano distinte ad opera della potenza, l’intelligibile si manifesta come molteplicità originata dalla monade e dalla diade. Infatti allorché tutte le entità seconde e tutte quelle che si manifestano in virtù della potenza che è causa della loro distinzione si definiscano come parti dell’Uno-che-è, in questo caso il ra- 25 gionamento delinea l’unità che dalla monade discende verso la terza triade; invece allorché la potenza, distinguendo e connettendo le enadi e gli enti, produca la molteplicità, allora in quest’altro 91 caso si manifesta senza dubbio la partecipazione alla diade, come appunto a mio avviso anche Parmenide mette in luce quando afferma: «sicché necessariamente, venendo ad essere incessantemente due, non è mai uno» [Parmenide 142e7-143a1]. Dunque è in modo conforme ad entrambe le triadi preesistenti che questa 5 triade risulta procedere, «scorrendo», secondo l’Oracolo290, e procedendo verso tutta la molteplicità intelligibile nel suo insieme. Infatti la molteplicità illimitata è atta ad indicare questo “scorrere” e il carattere inesauribile della potenza. Per prima cosa pertanto, come dicevo, bisogna dimostrare attraverso queste considerazioni che il sussistere di questa triade 10 dipende da quelle che la precedono. Ed in seguito il fatto che questa triade secondo Parmenide è anche la «prima a venire ad essere»291: infatti essa è la prima che egli rende partecipe del “venire ad essere” e denomina la molteplicità insita in essa “che viene ad essere”. Infatti così dice: «e la parte viene ad essere costituita a sua 15 volta per lo meno di due parti»; e di nuovo: «qualunque cosa appunto venga ad essere parte, possiede sempre queste due parti»; e subito dopo: «sicché necessariamente, viene ad essere incessantemente due, non è mai uno»292. Pertanto il fatto di servirsi continuamente dell’espressione “venire ad essere”293 quando fornisce la spiega- 20 zione della processione intelligibile, come può non essere indicativo di chi intende proclamare che le entità anteriori a questo ordinamento risultano più unite le une alle altre, mentre questa

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kruvfion tw'n pro; aujth'", kai; e[sti prwtogenhv", ejn eJauth'/ th;n govnimon ejkfaivnousa duvnamin 25 Pro;" dh; touvtoi" th;n ajpeirivan tou' plhvqou" oujc wJ" ajxiou'sin e[nioi skopei'n, tw'/ posw'/ to; a[peiron lambav92 nonte", ou{tw kai; hJmi'n ajpodektevon: ajll ejpeivper ejn tai'" tw'n o{lwn ajrcai'" to; pevra" h\n kai; to; a[peiron, to; me;n th'" eJnwvsew" ai[tion, to; de; th'" diakrivsew" tou' plhvqou", to; prwvtiston kai; nohto;n plh'qo" a[peiron oJ Parmenivdh" fhsiv, 5 diovti pa'n me;n plh'qo" kata; th;n eJautou' fuvsin a[peirovn ejstin wJ" th'" prwtivsth" ajpeiriva" e[kgonon, pa'n de; to; nohto;n plh'qo" toiou'ton. Prw'ton gavr ejsti plh'qo" kai; aujtoplh'qo", to; de; aujtoplh'qo" prw'tovn ejsti th'" nohth'" ajpeiriva" e[kgonon. Apeiron ou\n dia; tou'to plh'qo" to; 10 nohtovn, wJ" ejkfai'non th;n ajpeirivan th;n prwvthn, kai; taujto;n to; a[peiron tou'to tw'/ pantelei'. To; ga;r ejpi; pa'n proelhluqo;" kai; ejf o{son e[dei th;n nohth;n fuvsin dia; th;n gennhtikh;n tw'n o{lwn duvnamin, a[peirovn ejstin. Up oujdeno;" ga;r a[llou perilhptovn ejstin, ajlla; panto;" tou' noerou' 15 plhvqou" perilhptikovn ejsti to; nohto;n plh'qo". Kai; ga;r eij me;n h\n to; prwvtw" a[peiron kata; to; poso;n a[peiron, e[dei kai; to; a[peiron plh'qo" toiou'ton uJpotivqesqai to; nohtovn: ejpeidh; de; ejkei'no duvnamiv" ejstin a[peiro", ajnavgkh toivnun kai; to; metevcon tou' prwvtw" ajpeivrou kata; th;n 20 perilhptikh;n tw'n protevrwn pavntwn duvnamin profaivnein th;n ajpeirivan. Kai; ei[ me dei' favnai toujmovn, w{sper to; prwvtw" e}n prwvtw" ejsti; pevra", ou{tw" to; prwvtw" plh'qo" a[peirovn ejsti plh'qo". Olhn ga;r uJpodevcetai th;n th'" ajpeiriva" duvnamin, kai; pavsa" ta;" eJnavda" kai; pavnta ta; 25 o[nta paravgon, kai; mevcri tw'n ajtomwtavtwn ouj lhvgei th'" dunavmew". Panto;" ou\n plhvqou" oJlikwvterovn ejsti kai; ajperivlhpton a[peiron. Pa'n de; ou\n plh'qo" ejkfai'non ajpeivrw/ dunavmei pavnta peratoi' kai; metrei' kai; pa'sin ejpifevrei dia; th'" oJlovthto" to; pevra".

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triade procede oltre e rivela ciò che di nascosto vi è in quelle che la precedono, ed è «la prima a venire ad essere» poiché in sé essa rivela la natura generativa della potenza? Oltre a ciò, per quel che concerne l’illimitatezza della moltepli- 25 cità, non allo stesso modo in cui alcuni294 ritengono che si debba prendere in esame tale illimitatezza assumendo l’illimitato nel senso della quantità, non è in questo senso che anche noi dobbia- 92 mo intenderla295; ma dato che il limite e l’illimitato sono risultati far parte dei principi di tutte quante le cose, l’uno come principio causale dell’unità, l’altro come principio causale della distinzione propria della molteplicità, Parmenide afferma che la primissima ed intelligibile molteplicità è illimitata, proprio per il fatto che ogni 5 molteplicità in base alla sua autentica natura è illimitata proprio in qualità di prodotto generato dalla primissima illimitatezza, e tutta la molteplicità intelligibile dal canto suo è di tale natura. Essa è infatti prima forma di molteplicità e molteplicità-in-sé, e la molteplicità-in-sé dal canto suo è primo prodotto generato dalla illimitatezza intelligibile. Dunque è per questo motivo che l’intelligibile è molteplicità illimitata, in considerazione del fatto che rivela la 10 prima illimitatezza, e questo carattere di illimitatezza è identico a quello dell’assoluta completezza. Infatti ciò che è proceduto interamente e fin dove bisognava che procedesse la natura intelligibile, in virtù della potenza generatrice della totalità delle cose, è illimitato. Infatti la molteplicità intelligibile non può essere compresa da nient’altro, ma essa è comprensiva di tutta la molteplicità intel- 15 lettiva. Ed infatti se l’illimitato in senso primo fosse illimitato in senso quantitativo, si dovrebbe presupporre che tale è anche la molteplicità illimitata intelligibile; ma dal momento che l’illimitato in senso primo è potenza illimitata, è necessario pertanto che anche ciò che partecipa dell’illimitato in senso primo in base alla potenza comprensiva di tutte le entità che sono anteriori manifesti 20 la propria illimitatezza296. E se bisogna che io dica il mio parere, nel modo in cui l’Uno in senso primo è limite in senso primo, così la molteplicità in senso primo297 è molteplicità illimitata. Infatti essa accoglie in sé tutta quanta la potenza dell’illimitatezza, producendo così tutte le enadi ed anche tutti gli enti, e non fa cessare la sua potenza facendola arrivare fino alle entità più individuali. 25 Dunque la molteplicità intelligibile è più totale di ogni forma di molteplicità ed è un illimitato che non può essere compreso298. D’altra parte, proprio perché rivela ogni forma di molteplicità per mezzo di una potenza illimitata, la molteplicità intelligibile limita e misura tutte le cose e apporta a tutte il limite attraverso la totalità.

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ãkzVÃ Tau'ta kai; peri; th'" trivth" nohth'" triavdo" ejk tou' Parmenivdou lhptevon: koinh'/ de; peri; pasw'n tw'n nohtw'n triavdwn levgwmen eJxh'". Th;n me;n toivnun prwvthn triavda, 5 kruvfion kai; nohth;n ajkrovthta klhrwsamevnhn ejn toi'" nohtoi'", pote; me;n oJ Plavtwn ajpo; th'" eJnwvsew" oJrmhqei;" th'" ejn aujth'/ kai; th'" ejxh/rhmevnh" pro;" ta;" a[lla" uJperoch'" e}n ejponomavzei, kaqavper ejn tw'/ Timaivw/: Mevnei dev fhsin oJ aijw;n ejn eJniv, to; de; e}n tou'to th;n prwvthn triavda tw'n 10 nohtw'n ajpevfhnen oJ lovgo": pote; de; ajpo; tw'n a[krwn tw'n ejn aujth'/, tou' metecomevnou kai; metevconto", e}n o]n aujth;n ajpokalei', th;n duvnamin wJ" eJnoeidw'" kai; ªajpoºkrufivw" ejn touvtoi" periecomevnhn a[rrhton tiqeiv": pote; de; kai; pa'san aujth;n kata; ta;" ejn aujth'/ monavda" ejkfaivnei, pevra", 15 a[peiron kai; miktovn, tou' me;n pevrato" th;n u{parxin th;n qeivan, th'" de; ajpeiriva" th;n gennhtikh;n duvnamin, tou' de; miktou' th;n oujsivan th;n ajp aujtw'n proi>ou'san ejndeiknumevnou. Th;n me;n ou\n prwvthn, o{per e[fhn, dia; touvtwn oJ Plavtwn 20 hJma'" ajnadidavskei tw'n ojnomavtwn, tote; me;n di eJno;" ojnovmato", tote; de; au\ dia; duei'n, tote; de; au\ dia; triw'n aujth;n ejmfanivzwn, ejpei; kai; triav" ejstin ejn aujth'/, kaq h}n hJ pa'sa carakthrivzetai, kai; duav", kaq h}n ta; a[kra kekoinwvnhken ajllhvloi", kai; mona;" hJ to; a[rrhton kai; kruvfion 25 kai; eJniai'on tou' prwvtou profhvnasa dia; tw'n eJauth'" monavdwn. Thvn ge mh;n deutevran meta; tauvthn ejn Timaivw/ 94 me;n aijw'na proseivrhken, ejn Parmenivdh/ de; oJlovthta th;n prwtivsthn. Opw" de; tau'ta th;n aujth;n e[lacen ijdiovthta mavqoimen a]n ejkei'no sunnohvsante", o{ti pa'n me;n to; aijwvnion o{lon ejstivn, eij me;n pantelw'" aijwvnion ei[h, kai; th;n oujsivan 5 kai; th;n ejnevrgeian o{lhn a{ma parou'san e[con (toiou'to" ga;r pa'" nou'", tov te ei\nai kai; to; noei'n o{lon oJmou' kai; pa'n ejn eJautw'/ televw" iJdrusavmeno", kai; ouj to; me;n e[cwn tou' o[nto", tw'/ de; ejlleivpwn, oujde; th'" ejnergeiva" para; mevro" 93

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[Discorso generale sulle tre conclusioni attraverso le quali vengono caratterizzati i tre livelli degli intelligibili, e come attraverso queste è possibile risolvere le più difficili questioni teologiche]

Queste sono le concezioni riguardanti appunto la terza triade che devono essere desunte dal Parmenide; ma ora, di seguito, dobbiamo parlare in generale di tutte le triadi intelligibili. Per quel che concerne pertanto la prima triade299, che tra gli intelligibili ha 5 ottenuto in sorte un’eccellenza nascosta ed intelligibile, una volta Platone, prendendo spunto dalla unità insita in essa e dalla sua trascendente superiorità rispetto a tutte le altre triadi, la chiama “unità”, come nel Timeo dove afferma: «l’eternità d’altra parte permane in un’unità»300, e d’altronde il ragionamento ha rivelato che 10 questo uno è la prima triade degli intelligibili; un’altra volta prendendo spunto dai termini estremi insiti in essa, quello partecipato e quello partecipante301, la denomina “Uno-che-è”302, mentre considera ineffabile la potenza che in modo uniforme e nascosto è compresa in essi; un’altra volta ancora infine rivela tutta intera questa triade in base alle monadi in essa insite, limite, illimitato e 15 misto, dato che il limite indica la realtà divina, l’illimitatezza la potenza generatrice ed il misto l’essenza che procede da essi303. È dunque la prima triade che, come dicevo, attraverso questi nomi Platone ci illustra, una volta mostrandola attraverso un solo 20 nome, un’altra attraverso due nomi, un’altra ancora attraverso tre nomi, poiché in essa è insita sia una triade, in base alla quale è caratterizzata l’intera triade, sia una diade, in base alla quale i termini estremi risultano in relazione comune fra loro, sia una monade che fa apparire attraverso le sue proprie monadi il carattere 25 ineffabile, nascosto ed unitario del Primo304. Per quel che concerne la seconda triade che viene dopo questa, nel Timeo la denomi- 94 na “eternità”, nel Parmenide invece primissima “totalità”305. D’altra parte in che modo queste denominazioni siano impiegate per designare la medesima proprietà, potremmo comprenderlo riflettendo sul fatto che tutto ciò che è eterno è totale, se fosse un’entità perfettamente eterna, avendo presenti nel medesimo tempo 5 tutta quanta l’essenza e tutta quanta la sua attività (di tale natura è in effetti ogni intelletto, che ha perfettamente stabilito in sé nella loro totalità ed al contempo nel loro insieme sia l’essere sia l’avere intellezione, e che non è nella condizione di avere un parte di essere, essendo però privo di un’altra, e che neppure partecipa di

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metevcwn, ajll o{lon me;n to; o[n, o{lhn de; th;n novhsin ajqrovw" perilabwvn), eij de; tai'" me;n ejnergeivai" ei[h kata; crovnon proi>ovn, th;n de; oujsivan aijwvnion e[coi, th;n me;n o{lhn ajei; th;n aujth;n eJstw'san e[lace, th;n de; pote; me;n a[llhn, pote; de; a[llhn ginomevnhn. Pantacou' toivnun oJ aijw;n oi|" a]n parh'/ prwvtw", oJlovthto" ai[tiov" ejstin. Alla; mh;n kai; to; 15 o{lon ajidiovthtov" ejsti pantacou' periektikovn: oujde;n ga;r tw'n o{lwn h] th;n oujsivan h] th;n teleiovthta th;n oijkeivan ajfivhsin, ajlla; kai; to; fqeirovmenon prwvtw" kai; to; kakunovmenon to; merikovn ejsti. Dia; ga;r tou'to kai; oJ suvmpa" kovsmo" ajivdio", o{ti o{lo", kai; ta; ejn oujranw'/ pavnta kai; 20 tw'n stoiceivwn e{kasta: sunektikh; ga;r hJ oJlovth" pantacou' tw'n uJpokeimevnwn ejstiv. Sunufevsthken ou\n oJ aijw;n th'/ oJlovthti kai; taujtovn ejstin oJlovth" kai; aijwvn, kai; mevtron eJkavteron, to; me;n tw'n aijwnivwn kai; tw'n ajidivwn pavntwn, to; de; tw'n merw'n kai; plhvqou" pantov". Triw'n de; tw'n oJlothvtwn 25 oujsw'n, th'" me;n pro; tw'n merw'n, th'" de; ejk tw'n merw'n, th'" de; ejn tw'/ mevrei, dia; me;n th'" pro; tw'n merw'n oJlovthto" oJ aijw;n ta;" eJnavda" metrei' tw'n qeivwn ta;" ejxh/rhmevna" tw'n o[ntwn, dia; de; th'" ejk tw'n merw'n ta;" eJnavda" ta;" sunte95 tagmevna" toi'" ou\sin, dia; de; th'" ejn tw'/ mevrei ta; o[nta pavnta kai; ta;" oujsiva" o{la": mevrh ga;r au|tai tw'n qeivwn eJnavdwn meristw'" e[cousai ta; eJniaivw" ejn ejkeivnai" prou>pavrconta. Kai; mh;n kai; oJ aijw;n oujde;n a[llo ejsti;n h] to; ajeivd, 5 ejk th'" eJnavdo" tw'/ o[nti th'" sunoch'" ejllampomevnh": to; de; o{lon ejk duoi'n meroi'n, tou' eJno;" kai; tou' o[nto", th'" dunavmew" sunagwgou' tw'n merw'n uJparcouvsh". Kat ajmfotevra" a[ra ta;" ejpibola;" hJ dua;" proshvkousa th'/ mevsh/ nohth'/ triavdi, th;n monoeidh' kai; kruvfion ejkfaivnousa th'" 10 prwvth" uJpovstasin. Alla; mh;n kai; th;n trivthn triavda tw'n nohtw'n ejn Timaivw/ me;n aujtozw'/on kai; nohto;n kai; pantevleion ejponomavzei kai; monogenev", ejn de; tw'/ Parmenivdh/ plh'qo" a[peiron kai; oJlovthta pollw'n morivwn perilhptikhvn, ejn 15 de; tw'/ Sofisth'/ pantovthta nohth;n memerismevnhn eij" ta; o[nta pollav. Pavnta toivnun tau'ta mia'" ejstin ejpisthvmh" e[kgona kai; pro;" mivan ajlhvqeian ajnateivnetai th;n nohthvn. O te ga;r Tivmaio" zw'/on nohto;n ajpokalw'n th;n triavda tauvthn kai; pantevleion aujth;n ei\nai tivqetai kai; tw'n nohtw'n 10

d

Non mi pare necessaria l’integrazione proposta dagli Editori: to; ajei; .

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una attività solo parziale, ma che comprende in sé in tutto il loro insieme tutto quanto l’essere e tutta quanta l’intellezione); se inve- 10 ce fosse un entità che procede con le sue attività in base al tempo, ma la sua essenza d’altra parte fosse eterna, gli toccherebbe un’essenza che permane nella sua totalità sempre identica, mentre la sua attività continuerebbe a mutare. In ogni ambito pertanto l’eternità è principio causale della totalità per quelle entità in cui risulti presente in modo primario. Ma di fatto a sua volta in ogni ambito ciò che è totale è comprensivo dell’eternità: nessuna infat- 15 ti delle entità che sono totali perde l’essenza o la perfezione che le sono propri, ma è l’entità particolare che in senso primario si corrompe e si deteriora. Infatti è proprio perché è totale che il cosmo intero è eterno, sia tutte le entità che sono nel cielo sia ciascuno degli elementi: infatti la totalità in ogni ambito contiene le entità 20 ad essa soggiacenti. Dunque l’eternità sussiste insieme alla totalità, e totalità ed eternità sono la stessa cosa, e ciascuna di esse è misura, l’una delle entità eterne e perpetue, l’altra delle parti e di ogni molteplicità. D’altra parte dato che le forme di totalità sono tre, una anteriore alle parti, un’altra costituta dalle parti, infine 25 una che è insita nella parte, per via della totalità anteriore alle parti l’eternità dà misura alle enadi delle entità divine, enadi che trascendono gli enti, invece per via della totalità costituita dalle parti dà misura alle enadi che sono coordinate agli enti, infine per 95 via della totalità insita nella parte dà misura a tutti gli enti e a tutte le essenze; infatti queste ultime sono parti delle enadi divine, possedendo in modo diviso quei caratteri che nelle enadi preesistono in modo unitario. Ed inoltre l’eternità non è null’altro che il “sempre”, se si considera che è dall’enade che la continuità si irradia 5 sull’essere; dal canto suo ciò che è totale risulta costituito da due parti, l’uno e l’essere, mentre la potenza è di fatto ciò che collega le parti. In base dunque ad entrambi i concetti306 è la diade che si confà alla triade intelligibile intermedia, in quanto essa rivela la 10 sussistenza uniforme e nascosta della prima triade. Ed inoltre la terza triade degli intelligibili nel Timeo 307 la denomina “Vivente-in-sé”, “intelligibile”, “compiutamente perfetta” e “unica nel suo genere”308, nel Parmenide invece “molteplicità illimitata” e “totalità” che comprende in sé una molteplicità di parti309, infine nel Sofista “interezza intelligibile” che risulta divi- 15 sa in una molteplicità di enti310. Tutte queste definizioni dunque sono il prodotto di un’unica scienza ed essa è tesa verso un’unica verità, quella intelligibile. Ed in effetti Timeo, chiamando questa triade “Vivente intelligibile”, stabilisce anche che essa è compiuta-

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zwv/wn kaq e}n kai; kata; gevnh periektikh;n wJ" morivwn: o{lon a[ra kata; tou'tovn ejsti to; aujtozw'/on, tw'n nohtw'n zwv/wn wJ" morivwn perilhptikovn. Kai; oJ Parmenivdh" pantele;"e plh'qo" ajpofaivnwn to; e}n o]n to; th'/ tavxei tauvth/ sunufestwv": to; ga;r a[peiron panduvnamon e[stai kai; 25 pantelev", wJ" provteron ei[pomen, nohto;n ejn auJtw'/ plh'qo" 96 perievcon morivwn, a} kai; ajpogenna'/, tw'n me;n oJlikwtevrwn, tw'n de; merikwtevrwn kaiv, wJ" oJ Tivmaiov" fhsi, tw'n kaq e}n kai; kata; gevnh morivwn. Eti dev, w{sper ejkei'no" aijwvnion ajpokalei' to; aujtozw'/on kai; monogenev", ou{tw" oJ Parme5 nivdh" to; ajei; kai; givgnesqai tw'/ ajpeivrw/ plhvqei prw'ton ajpevneimen, ouJtwsi; levgwn: Kai; kata; to;n aujto;n lovgon ou{tw" ajeiv, o{tiper a]n movrion givgnhtai, touvtw tw; morivw ajei; i[scei: tov te ga;r e}n to; o]n ajei; i[scei kai; to; o]n to; e{n, w{ste ajnavgkh duvo ajei; gignovmenon 10 mhdevpote e}n ei\nai. Tiv" a]n ou\n hJma'" ejnargw'" ou{tw" uJpevmnhse peri; tou' aijwnivou zwv/ou kai; th'" prwtogenou'" triavdo" wJ" oJ Parmenivdh", gevnesin kai; to; ajei; prw'ton ejpi; tauvth" th'" tavxew" paralabw;n kai; ou{tw sucnw'" crhsavmeno" eJkatevrw/ To; aujto; toivnun kai; zw'/ovn ejsti pantele;" 15 kai; plh'qo" nohto;n panduvnamon. Th'" ga;r prwvth" ajpeiriva" dunavmew" ou[sh", to; pa'n to; nohto;n kat aujth;n uJfestamevnon kai; th;n eij" ta; mevrh diaivresin ajp aujth'" uJpodexavmenon panduvnamon ajxiw' prosonomavzein, th'" tou' ajpeivrou proshgoriva" wJ" pollou;" tarattouvsh" 20 ajpallageiv". All o{per ejsti;n ejn touvtoi" kai; sunnoh'sai calepo;n kai; qaumavsai mavlista tou' Plavtwno" prosh'kon mh; parw'men, ajlla; toi'" gnhsivoi" th'" ajlhqeiva" ejrastai'" ejpideivxwmen. Tou' ga;r nohtou' zwv/ou tevssara" ijdeva" perievconto" 25 nohtav", kaq a}" ouj qew'n gevnh movnon uJfivsthsin, ajlla; kai; tw'n meta; qeou;" kreittovnwn kai; aujtw'n h[dh tw'n qnhtw'n 97 zwv/wn – hJ ga;r tw'n ajeropovrwn ijdeva kai; hJ tw'n ejnuvdrwn kai; hJ tw'n cqonivwn ajpo; qew'n mevcri kai; tw'n qnhtw'n zwv/wn ajpogennw'sa diateivnei – tevttara" gou'n perievconto" ijdeva" kai; dia; tw'n aujtw'n paradeigmavtwn oJlikw'" tav te qei'a kai; 5 ta; daimovnia kai; ta; qnhta; paravgonto", eijkovtw" ajporivan 20

e Gli Editori segnalano qui una lacuna, ma il testo non sembra richiedere alcuna integrazione. Su ciò cfr. nota alla traduzione.

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mente perfetta e comprende in sé i viventi intelligibili come parti 20 «in base alla loro singola unità e ai loro generi»311; secondo Timeo dunque il Vivente-in-sé è un tutto, che comprende in sé gli intelligibili come parti. Anche Parmenide molteplicità compiutamente perfetta, quando dichiara che l’Uno-che-è è quello che risulta sussistere insieme a questo livello312; in effetti l’illimitato risulterà dotato di ogni potenza e assolutamente completo, 25 come abbiamo affermato in precedenza313, poiché in se stesso con- 96 tiene una molteplicità intelligibile di parti, le quali esso appunto genera, le une più universali, le altre più particolari e, come afferma Timeo, le «parti in base alla loro singola unità e ai loro generi»314. Ed ancora, come Timeo chiama il Vivente-in-sé “eterno” e “unico nel suo genere”315, allo stesso modo Parmenide ha attribuito alla molte- 5 plicità illimitata per prima cosa il “sempre” ed il “venire ad essere”, quando dice così: «Ed in base allo stesso ragionamento che si ripete sempre in questo modo, qualunque cosa venga ad essere parte, implica sempre queste due parti: l’uno implica sempre l’essere e l’essere implica sempre l’uno, sicché necessariamente, venendo ad essere di continuo 10 due, non è mai uno»316. Chi dunque avrebbe potuto farci ricordare il Vivente eterno e la triade «primogenita» in modo così chiaro come fa Parmenide, il quale ha assunto in questo ordinamento per la prima volta il “venire ad essere” e il “sempre” e con tale frequenza ha impiegato entrambi i termini? La stessa cosa dunque sono il Vivente 15 compiutamente perfetto e la molteplicità intelligibile dotata di ogni potenza. Infatti, dato che la prima illimitatezza è potenza, tutto l’intelligibile nella sua interezza che è sussistito in base ad essa e che da essa ha ricevuto la divisione in parti, ritengo opportuno denominarlo “dotato di ogni potenza”, messo da parte il termine “illimitato” in 20 considerazione del fatto che esso genera in molti confusione. Ma ciò che in quest’ambito è al contempo difficile da concepire e tale da suscitare grandissima meraviglia nei confronti di Platone, non tralasciamolo, ma mostriamolo ai veri «amanti della verità»317. Dato che infatti il Vivente intelligibile contiene in sé quattro specie intelligibili, in base alla quali fa sussistere non solo 25 i generi degli dèi, ma anche quelli delle entità superiori che vengono dopo gli dèi e infine quelli, a questo punto, degli stessi esse- 97 ri viventi mortali – infatti la specie degli esseri che vivono nell’aria, quella degli esseri che vivono nell’acqua e quella degli esseri che vivono sulla terra si estendono, con il loro generare, a partire dagli dèi fino ad arrivare agli esseri viventi mortali – poiché dunque il Vivente intelligibile contiene quattro specie ed attraverso i medesimi modelli produce nella loro totalità gli esseri divini, demonici 5

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parevscen oJ lovgo" toi'" th'" ajlhqeiva" filoqeavmosi, pw'" tw'n aujtw'n aijtivwn o[ntwn kai; tw'n aujtw'n prwtourgw'n paradeigmavtwn prou>parcovntwn, ta; me;n tw'n uJpostavntwn qeoiv, ta; de; daivmone", ta; de; zw'/a qnhtav. Pro;" ga;r e}n ei\do" pavnta genovmena pw'" oujk e[cei morfh;n th;n aujth;n kai; fuvsin, devonto" th;n mivan ijdevan pantacou' tw'n oJmoeidw'n ei\nai gennhtikhvn Dia; ga;r tou'to th;n tw'n ijdew'n uJpovqesin sunecwrhvsamen, i{na pro; tou' plhvqou" ta;" tw'n oJmoivwn paraktika;" monavda" e[ch/ te kai; perievch/ to; nohto;n tw'n qew'n gevno". Tauvth" ou\n ou{tw" caleph'" th'" ajporiva" ou[sh" logikw'" me;n a[n ti" ajntilavboito levgwn o{ti mh; sunwvnuma ta; kaq e}n ei\do" uJpostavnta pavnta mhde; wJsauvtw" metevcei th'" koinh'" aijtiva", ajlla; ta; me;n prwvtw", ta; de; mevsw", ta; de; ejscavtw". Ekaston ga;r ei\do" hJgei'tai seira'" tino" a[nwqen ajrcovmenon kai; mevcri tw'n ejscavtwn uJfizavnon. Pavnta ga;r a[nwqen a[rcetai eij" to; kavtw teivnein ajkti'na" ajghta;" kata; to; lovgion. Wste oujde;n a]n ei[h qaumasto;n th;n aujth;n

98 ijdevan qew'n kai; daimovnwn kai; qnhtw'n zwv/wn aijtivan prou>-

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pavrcein, oJlikw'" ta; pavnta paravgousan kai; th;n merikwtevran diavkrisin th'/ dhmiourgikh'/ tavxei paradou'san, w{sper au{th th;n tw'n ajtovmwn poivhsin eij" tou;" nevou" paravgei qeouv". Ta; me;n ga;r nohta; tw'n o{lwn ejsti;n ai[tia seirw'n, ta; de; noera; tw'n kata; gevnh koina; diairevsewn, ta; de; uJperkovsmia tw'n kat ei[dh diaforw'n, ta; de; ejgkovsmia kai; aujtw'n h[dh tw'n ajtovmwn: kinouvmena gavr ejstin ai[tia kai; metabolh'" ejxavrcei toi'" ajf eJautw'n ginomevnoi". Eij de; dei' kai; aujto; to; pra'gma qewrh'sai kaq auJtov, kai; o{pw" to; e}n nohto;n ei\dov" ejsti qew'n kai; daimovnwn kai; qnhtw'n, movno" hJma'" oJ Parmenivdh" ajnaplh'sai dunhvsetai, tw'n ejn tw'/ nohtw'/ plhvqei merw'n ta; me;n kata; to; o}n carakth-

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e mortali, è plausibile che questo discorso abbia causato difficoltà «agli amanti dello spettacolo della verità»318, cioè come è possibile, se i principi causali sono i medesimi e preesistono i medesimi modelli originari, che degli esseri che vengono a sussistere gli uni siano dèi, gli altri demoni, e gli altri ancora esseri viventi mortali? Dato che infatti è in relazione ad una singola Forma che tutte le entità vengono ad essere, come è possibile che esse non abbiano la medesima forma319 e natura, visto che la singola Idea in ogni ambito deve essere generatrice di entità della medesima specie? È proprio per questo motivo che abbiamo accolto come principi le Idee, affinché prima della molteplicità il «genere» intelligibile «degli dèi»320 possegga e contenga le monadi produttrici delle corrispondenti entità. Dunque a questa difficoltà che è così stringente si potrebbe controbattere in modo logico dicendo che tutte le entità che vengono a sussistere in base ad un’unica Forma non sono entità che hanno in comune solo la denominazione, e neppure partecipano allo stesso modo della loro causa comune, ma le une ne partecipano a livello primario, le altre ad un livello intermedio, le altre ancora ad un livello ultimo. Ciascuna Forma infatti guida una determinata serie, incominciando dall’alto e abbassandosi poi fino ai livelli ultimi. «Tutte le cose infatti» dall’alto

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«cominciano a tendere verso il basso i loro meravigliosi raggi»321 secondo l’Oracolo. Sicché non vi dovrebbe essere alcun motivo di meravigliarsi del fatto che la medesima Idea preesista come causa 98 di dèi, di demoni e di esseri viventi mortali, producendo nella loro totalità tutte gli esseri ed affidando all’ordinamento demiurgico la distinzione più particolare322, allo stesso modo in cui questo ordinamento demanda la produzione delle singole entità individuali 5 «agli dèi giovani»323. In effetti le entità intelligibili sono principi causali della totalità delle serie, dal canto loro le entità intellettive sono principi causali delle divisioni in base ai generi comuni, quelle ipercosmiche poi sono principi causali delle differenziazioni in base alle specie, ed infine le entità encosmiche sono principi causali, a questo punto, dei singoli individui stessi: infatti sono principi causali in movimento e danno principio al mutamento per le entità che nascono ad opera loro. Se poi si deve considerare anche la realtà stessa di per sé, e in 10 che modo la singola Forma intelligibile è Forma di dèi, di demoni e di mortali, solo Parmenide potrà soddisfarci, caratterizzando tra le parti insite nell’intelligibile le une in base all’essere, le altre

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rivzwn, ta; de; kata; to; e{n. To; me;n ga;r e}n o]n tw'/ eJni; katevcetai, to; de; o]n e}n ªejnº tw'/ o[nti ma'llon, kai; e[cei tw'n nohtw'n zwv/wn e{kaston ejn eJautw'/ kai; to; e}n o]n kai; to; o]n e{n. Ufivsthsin ou\n kata; me;n to; e}n o]n ta; qei'a gevnh meta; th'" oijkeiva" ijdiovthto", kata; de; to; o]n e}n ta; meta; qeouv": kai; tou' o[nto" eJno;" kata; me;n to; e}n o]n ta; tw'n daimovnwn, kata; de; to; 20 o]n e}n ta; qnhtav: kai; au\ tou' eJno;" o[nto" kata; me;n to; e}n o]n ta; prwvtista kai; uJyhlovtata gevnh tw'n qew'n, kata; de; to; o]n e}n ta; deuvtera kai; ajggelikh;n e[conta tavxin. Kai; ou{tw dh; pavnta plhvrh qew'n, ajggevlwn, daimovnwn, zwv/wn qnhtw'n. Kai; oJra'/" o{pw" hJ mesovth" swv/zetai tw'n kreittovnwn 25 genw'n. To; ga;r o]n e}n to; ajggeliko;n pevra" ejsti; tou' eJno;" 99 o[nto" tou' tou;" qeou;" paravgonto", to; de; e}n o]n to; daimovnion ajkrovth" tou' o[nto" eJno;" tou' ta; deuvtera kosmou'nto": aiJ de; tw'n deutevrwn eJnwvsei" oujk a[dhlon o{ti suneggivzousi tw'/ plhvqei kai; th'/ proovdw/ tw'n uJperkeimevnwn. Kai; mh; 5 qaumavsh/" eij to; me;n o]n e}n ajggevlwn ai[tion, to; de; e}n o]n daimovnwn. Ou| me;n ga;r to; o]n e}n tou' eJno;" o[nto" ejsti; mevro", ou| de; to; e}n o]n tou' o[nto" eJnov", kai; ou| mevn ejstin e{nwsi" oujsiwvdh", ou| de; oujsiva eJnoeidhv": tou' ga;r o[nto" eJno;" to; ajkrovtaton toiou'ton. 10 Eijkovtw" a[ra panduvnamovn ejsti to; nohto;n plh'qo" kai; pantele;" to; nohto;n zw'/on wJ" oJmou' pavntwn ai[tion kai; mevcri tw'n teleutaivwn, movnon oujk ejkei'no tou' Plavtwno" bow'nto", to; Enqen surovmeno" prhsth;r ajmudroi' puro;" a[nqo" 15 kovsmwn ejnqrwv/skwn koilwvmasin. AiJ ga;r eJnavde" aiJ qei'ai kata; bracu; proi>ou'sai pavntwn tw'n ejgkosmivwn to; plh'qo" ajpegevnnhsan. Estin ou\n hJ tria;" au{th phgh; kai; aijtiva pavntwn kai; ajp aujth'" pa'sa zwh; kai; pa'sa provodo" uJpevsth, qew'n te kai; tw'n kreit20 tovnwn hJmw'n genw'n kai; tw'n qnhtw'n zwv/wn, oJlikw'" te kai; 15

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LIBRO III, 27

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in base all’uno. In effetti l’Uno-che-è è dominato dall’uno, mentre 15 l’Essere-che-è-uno è dominato in misura maggiore dall’essere, e ciascuno dei viventi intelligibili possiede in se stesso sia il carattere dell’Uno-che-è sia quello dell’Essere-che-è-uno. dunque fa sussistere in base al carattere dell’Uno-che-è i generi divini insieme al loro carattere specifico, invece in base al carattere dell’Essere-che-è-uno fa sussistere le entità che vengono dopo gli dèi; e dell’Essere-che-è-uno fanno parte da un lato in base al carattere dell’Uno-che-è i generi dei demoni, dall’altro in base al carattere dell’Essere-che-è-uno gli esseri mortali; e a sua volta 20 dell’Uno-che-è fanno parte in base al carattere dell’Uno-che-è i primissimi e più elevati generi degli dèi, mentre in base al carattere dell’Essere-che-è-uno i generi di inferiore livello e comprendenti l’ordinamento angelico. Ed è proprio così che «tutte le cose sono piene di dèi»324, di angeli325, di demoni e di esseri viventi mortali. E si può vedere in che modo venga conservato il termine intermedio dei generi superiori326. Infatti l’Essere-che-è-uno del- 25 l’ordinamento angelico è limite dell’Uno-che-è che produce gli 99 dèi, mentre l’Uno-che-è dell’ordinamento demonico è la sommità dell’Essere-che-è-uno che ordina le entità inferiori; d’altra parte è assolutamente chiaro che le unificazioni delle entità inferiori si avvicinano alla molteplicità e alla processione delle entità che sono poste al di sopra di esse. E non ci si meravigli se l’Essere-che- 5 è-uno è principio causale di angeli, mentre l’Uno-che-è di demoni. Infatti nel primo caso l’Essere-che-è-uno è parte dell’Uno-cheè, invece nel secondo caso è l’Uno-che-è ad essere parte dell’Essere-che-è-uno, ed inoltre in questo caso si tratta di unità che ha forma di essenza, nell’altro caso si tratta di essenza uniforme: tale è infatti è il punto più elevato dell’Essere-che-è-uno. Ne consegue naturalmente che la molteplicità intelligibile è 10 “dotata di ogni potenza” e che il Vivente intelligibile è “compiutamente perfetto” in quanto principio causale di tutte quante le entità nel loro insieme fino ad arrivare anche a quelle che sono ultime; manca solo quello che Platone proclama a gran voce, cioè che: «Da lì, trascinata a forza, la folgore affievolisce il fiore del suo fuoco balzando nelle profondità dei cosmi»327.

15

Infatti le enadi divine, procedendo in modo graduale, hanno generato la molteplicità di tutti gli esseri encosmici. Questa triade328 dunque è fonte e causa di tutte le cose e a partire da essa è venuta a sussistere ogni vita ed ogni processione, di dèi ed al contempo dei generi che sono a noi superiori e degli esseri viventi

20

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TEOLOGIA PLATONICA

monoeidw'" pavnta paragouvsh" kai; tw'n meristw'n ojcetw'n th'" te zwogoniva" kai; th'" eijdopoiiva" eij" eJauth;n ta;" o{la" ajrca;" ajnadhsamevnh". ãkhVÃ Ei\en dh; ou\n pavlin ajpo; th'" dih/rhmevnh" tw'n nohtw'n qewriva" ejpi; th;n pantelh' kai; mivan aujtw'n ejpisthvmhn ajnadravmwmen kai; pro;" hJma'" aujtou;" ei[pwmen o{ti to; noh5 to;n tou'to tw'n qew'n gevno" ejxhv/rhtai pavntwn eJniaivw" tw'n a[llwn qeivwn diakovsmwn kai; ou[te wJ" tw'/ merikw'/ nw'/ ginwskovmenon ou[te wJ" nohvsei meta; lovgou perilhpto;n kalei'tai nohtovn, ajll oujde; wJ" tw'/ pantelei' nw'/ prou>pavrcon. Ekbevbhke ga;r ajpov te tw'n o{lwn kai; tw'n 10 merikw'n nohtw'n kai; prou>pavrcei tw'n nooumevnwn aJpavntwn, ajmevqekton o]n kai; qei'on nohtovn. Dio; kai; toiauvthn uJperoch;n e[lace pro;" ta;" nohta;" aJpavsa" tavxei" oi\on to; e}n pro;" a{pan to; qew'n gevno": ajmevqekton gavr ejsti kai; to; nohto;n tou'to kai; plhroi' a[nwqen tou;" qeivou" kai; noerou;" 15 diakovsmou". Eij gavr ejsti pa'" nou'" nohto;" eJautw'/, dia; tou;" nohtou;" qeou;" e[cei th;n ijdiovthta tauvthn: ejkei'qen ga;r pa'si to; plh're". Kai; ou{tw" a{ma me;n ejxhv/rhtai tou' nou' to; nohtovn, aujto; kaq auJto; uJpavrcon, a{ma de; oujk e[xw tou' nou' to; nohtovn. Esti ga;r kai; tw'/ nw'/ suvzu20 gon nohtovn, ajpo; tou' ejxh/rhmevnou to; suntetagmevnon, ajpo; tou' ajmeqevktou to; metecovmenon, ajpo; tou' prou>pavrconto" to; ejnupavrcon, ajpo; tou' monoeidou'" to; plhquovmenon. Kai; th;n aJplovthta a[ra th;n nohth;n ouj toiauvthn ajforistevon oJpoivan peri; tw'n noerw'n levgein eijwvqamen. Epi; 25 tauvth" me;n ga;r sunexisou'tai to; e}n tw'/ plhvqei kai; hJ diav101 krisi" th'/ monoeidei' th'" oujsiva" taujtovthti: hJ de; nohth; aJplovth" eJnoeidhv" ejsti kai; ajdiavkrito" kai; krufiva, panto;" 100

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LIBRO III, 28

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mortali: essa infatti produce tutte le cose in modo universale ed unitario e attacca a se stessa i principi universali dei «canali»329 della generazione della vita e della produzione delle forme. 100

[Lode degli dèi intelligibili, che rivela al contempo sia la loro unione al Bene sia la loro realtà che trascende gli intelligibili stessi]

Ebbene dunque, dalla contemplazione particolareggiata degli intelligibili nuovamente risaliamo alla perfetta ed unica scienza di essi e diciamo a noi stessi che questo «genere» intelligibile «degli 5 dèi»330 trascende in modo unitario tutti gli altri ordinamenti divini e che esso è chiamato intelligibile non perché è conosciuto dall’intelletto particolare, né perché è «comprensibile per un’intellezione accompagnata a ragione»331, ma neppure nel senso che preesiste all’Intelletto compiutamente perfetto. Infatti esso risulta trascendente rispetto agli intelligibili universali unitamente a quelli specificamente determinati e preesiste a tutti gli oggetti di intelle- 10 zione, in quanto è un intelligibile impartecipabile e divino. È proprio per questo motivo che ha ricevuto una superiorità tale rispetto a tutti quanti i livelli intelligibili quale è quella dell’Uno rispetto a tutto quanto «il genere degli dèi»; infatti impartecipabile è anche questa realtà intelligibile332 ed essa ricolma dall’alto gli ordinamenti divini e intellettivi. Se infatti ogni intelletto è per se 15 stesso un oggetto intelligibile, è in virtù degli dèi intelligibili che ha questa proprietà; infatti è da lì che viene per tutte le entità il carattere della pienezza. Ed è così che l’intelligibile trascende l’intelletto, in quanto sussiste in sé di per se stesso, ma al contempo «l’intelligibile non è al di fuori dell’intelletto»333. In effetti vi è anche un intelligibile che è correlato all’intelletto, intelligibile che, 20 in quanto deriva da quello trascendente, è coordinato, in quanto deriva da quello impartecipabile, è partecipato, in quanto deriva da quello preesistente, è immanente, in quanto deriva da quello uniforme, è moltiplicato. E dunque non bisogna definire la semplicità intelligibile negli stessi termini di quella che siamo soliti riferire agli intellettivi. Nel caso infatti della semplicità intellettiva il carattere dell’unità risul- 25 ta uguale per estensione a quello della molteplicità, e la distinzione risulta uguale per estensione all’identità uniforme dell’essenza; 101 invece la semplicità intelligibile è uni-forme, priva di distinzione e

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TEOLOGIA PLATONICA

tou' meristou' th'" zwh'" ei[dou" kai; tou' plhvqou" tou' noerou' proevcousa. 5 Kai; toivnun th;n ajgaqovthta th;n nohth;n oujk ejn ijdeva" e[gwge tivqemai tavxei (meriko;n ga;r tou'to to; ei\do" kai; katadeevsteron th'" nohth'" eJnwvsew"), ajlla; qeivan u{parxin, gennhtikh;n tw'n ajgaqw'n o{lwn tw'n ejpi; pavnta ta; qei'a dianemomevnwn, ejn oi|" uJfesthvkasin oiJ qeoiv. Ou[te ga;r ei\do" 10 ou[te e{xi" ejsti;n hJ tw'n qew'n ajgaqovth", ajlla; plhvrwma th'" qeiva" aujtarkeiva" kai; th'" qeiva" dunavmew", kaq h}n ta; pavnta peplhrwvkasi tw'n ajgaqw'n. Pollw'/ dh; ou\n meizovnw" oiJ nohtoi; qeoiv, diovti kai; sunhvnwntai pro;" tajgaqovn, o{lw" eijsi;n ajnavmestoi th'" ajgaqovthto" th'" uJperousivou kai; ejn 15 aujth'/ th;n a[kran u{parxin eJautw'n iJdrusavmenoi sunevcousin. Eijkovtw" a[ra tou;" nohtou;" qeou;" levgomen th;n a[rrhton ejkfaivnein tw'n pavntwn ajrch;n kai; th;n qaumasth;n ejkeivnh" uJperoch;n kai; th;n e{nwsin, krufivw" me;n kai; aujtou;" uJpostavnta", monoeidw'" de; ta; plhvqh kai; eJniaivw" perievconta", 20 ejxh/rhmevnw" de; basileuvonta" tw'n o{lwn kai; ajsuntavktou" o[nta" pro;" a{panta" tou;" a[llou" qeouv". Kai; ga;r w{sper to; ajgaqo;n tw'/ uJperousivw/ fwti; katevlamye pavnta kai; qeou;" ajnevfhne patevra" tw'n pavntwn, ou{tw dh; kai; to; nohto;n tw'n qew'n gevno" kata; th;n pro;" tajgaqo;n oJmoi25 ovthta th'" nohth'" plhrwvsew" pa'si metevdwke toi'" deutevroi" ajf eJautou' qeoi'". Esti gou'n kaq eJkavsthn dianomh;n qew'n oijkei'on plh'qo" nohtovn, w{sper kai; tajgaqw'/ prou>102 pavrcei tw'n qeivwn tavxewn eJkavsth" ajnavlogon monav". Kai; au{th me;n eJnwvsew" prokatavrcei toi'" deutevroi", to; de; nohto;n plh'qo" kavllou", aujtarkeiva", dunavmew", oujsiw'n, aJpavntwn tw'n nohtw'n ajgaqw'n. Pavnta ga;r ta; noera; nohtw'" 5 oiJ qeoi; proeilhvfasi kai; kaq e{nwsin a[kran sunevcousin ejn eJautoi'".

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LIBRO III, 28

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nascosta, in quanto è superiore ad ogni forma di vita particolare e alla molteplicità intellettiva. Inoltre per quel che concerne la bontà intelligibile, io perso- 5 nalmente non la considero al livello di una Forma ideale (infatti questo tipo di Forma è particolare334 ed inferiore all’unità intelligibile), ma la considero realtà divina, generatrice della totalità dei beni che sono distribuiti in tutti i generi divini all’interno dei quali gli dèi hanno la loro sussistenza. In effetti la bontà propria degli 10 dèi non è né una Forma né una disposizione, ma è pienezza della autosufficienza divina e della potenza divina, in base alla quale gli dèi hanno colmato tutti gli esseri di beni. Dunque a maggior ragione gli dèi intelligibili, proprio per il fatto che risultano uniti al Bene, sono interamente ricolmi della bontà sovraessenziale ed avendo stabilito in essa la sommità della loro realtà essi di fatto la 15 mantengono saldamente. In modo naturalmente conseguente dunque noi diciamo che gli dèi intelligibili rivelano il Principio ineffabile di tutte le cose, la sua mirabile superiorità e la sua unità, in quanto sussistono da sempre in modo celato anch’essi, in modo uniforme ed unitario comprendono in se stessi le forme di molteplicità, ed infine in 20 modo trascendente regnano sulla totalità delle cose e sono disgiunti rispetto a tutti quanti gli altri dèi. Ed infatti come il Bene per mezzo della luce sovraessenziale ha illuminato tutte le cose e ha fatto apparire gli dèi padri di tutti gli esseri, allo stesso modo appunto anche «il genere» intelligibile «degli dèi» in base alla propria somiglianza con il Bene ha reso partecipi della pienezza 25 intelligibile tutti gli dèi inferiori che derivano da esso stesso. V’è dunque per ciascuna ripartizione di dèi una propria specifica molteplicità intelligibile, nello stesso modo in cui a ciascuno degli 102 ordinamenti divini preesiste una monade analoga al Bene. E questa monade è all’origine per le realtà seconde dell’unificazione, mentre la molteplicità intelligibile è all’origine della bellezza, dell’autosufficienza, della potenza, delle essenze e di tutti quanti i beni intelligibili. Infatti gli dèi comprendono originariamente in 5 modo intelligibile tutte le entità intellettive e le contengono in se stessi in base ad una unificazione suprema.

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1

PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS KEFALAIA TOU TETARTOU 5

aV. Tiv" hJ tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n ijdiovth" kai; pw'" th;n ajmevqekton zwh;n katalavmpousi kai; th;n sunevceian e[cousin pro;" tou;" nohtou;" qeouv". bV. Pw'" ajpo; tw'n nohtw'n qew'n uJpevsthsan oiJ nohtoi; kai; noeroi; qeoi; kai; pw'" koinwnou'si toi'" nohtoi'" qeoi'".

10

gV. Tiv" hJ tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n kata; ta;" triavda" diaivresi" kai; tiv" hJ tw'n triavdwn touvtwn ejxallagh; pro;" ta;" nohta;" triavda". dV. Pw'" oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" ejpi; tauvthn hJma'" ajnavgei th;n tavxin tw'n qew'n.

15

20

2

5

eV. Oti to;n oujrano;n kai; th;n oujranivan perifora;n oujk ejpi; tw'n aijsqhtw'n ajkouvein dei', ajll ejpi; th'" prwtivsth" tou' Oujranou' tavxew", uJpomnhvsei" pleivou" ajp aujtw'n tw'n Platwnikw'n rJhmavtwn. ıV. Oti oJ uJperouravnio" tovpo" oujc aJplw'" ejsti nohtov", ajll wJ" ejn noeroi'" nohth;n e[lace tavxin, ajpodeivxei" ejk tw'n peri; aujtou' paradedomevnwn. zV. Oti hJ uJpouravnio" aJyi;" to; pevra" ejsti; tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n, ejk tw'n ijdiwmavtwn aujth'" uJpomnhvsei". hV. Dia; tiv th;n tavxin tauvthn tw'n qew'n ajpo; th'" ejn aujth'/ mesovthto" carakthrivzei, tw'n a[krwn ta; ojnovmata kata; th;n pro;" tauvthn scevsin paradidouv". qV. Oti to;n th'" ajnovdou trovpon th'" ejpi; to; nohto;n to;n aujto;n oJ Plavtwn paradivdwsin o}n oiJ telestai; paradedwvkasin.

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Proclo

1

Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Punti capitali del libro IV 1. Qual è il carattere specifico degli dèi intelligibili-intellettivi e in che modo illuminano dall’alto la vita impartecipabile e in che modo sono in continuità rispetto agli dèi intelligibili.

5

2. Come gli dèi intelligibili-intellettivi sono venuti a sussistere a partire dagli dèi intelligibili e in che modo sono in relazione comune con gli dèi intelligibili. 3. Qual è la divisione in triadi degli dèi intelligibili-intellettivi e qual è la differenza tra queste triadi rispetto alle triadi intelligibili.

10

4. Come Socrate nel Fedro ci conduce in alto verso questo ordinamento degli dèi. 5. Più richiami, tratti dalle parole stesse di Platone, al fatto che «il cielo» e «la rivoluzione celeste» non vanno intesi a proposito delle entità sensibili, ma del primissimo ordinamento di Urano. 6. Dimostrazioni, tratte dagli insegnamenti che sono stati tramandati sul «luogo sopraceleste», del fatto che esso non è in senso assoluto intelligibile, ma ha avuto il rango di intelligibile tra le entità intellettive.

15

20

7. Richiami, tratti dalle proprietà della «volta subceleste», al 2 fatto che essa è il limite inferiore degli dèi intelligibili-intellettivi. 8. Per quale motivo I caratterizza questo ordinamento degli dèi a partire dal livello intermedio insito in esso, tramandando i nomi dei livelli estremi in base al rapporto di questi ultimi con il livello intermedio. 9. Sul fatto che la modalità di ascesa verso l’intelligibile tramandata da Platone è la stessa che hanno tramandato gli iniziatori ai misteri. I Anche qui, come spesso in Proclo, manca il soggetto. Si tratta sicuramente di Platone.

5

0100.libro4:Layout 1 12/04/19 06:36 Pagina 450

450 10

15

20

TEOLOGIA PLATONICA

iV. Tiv" oJ uJperouravnio" tovpo" kai; pw'" ajpo; tw'n prwvtwn proh'lqe nohtw'n kai; o{pw" ajkrovtatov" ejstin ejn toi'" noeroi'" kai; o{pw" th;n govnimon aujtou' duvnamin oJ Plavtwn ejnedeivxato. iaV. Pw'" th;n a[gnwston ijdiovthta th'" ajkrovthto" tw'n nohtw'n kai; noerw'n oJ Plavtwn ejnedeivxato kai; dia; tiv katafatikw'" te aujth;n a{ma kai; ajpofatikw'" ajnuvmnhse. ibV. Tivne" eijsi;n aiJ ajpofavsei" ejpi; tou' uJperouranivou tovpou, kai; o{ti ajpo; tavxewn givnontai qeivwn: kai; poiva" me;n to; ajcrwvmaton ajpovfasi", poiva" de; to; ajschmavtiston, poiva" de; to; ajnafev". igV. Tivna katafavskei tou' uJperouranivou tovpou kai; ajpo; poivwn ijdiothvtwn nohtw'n eij" aujto;n ejfhvkei ta; katafaskovmena sunqhvmata.

25

30

3

5

idV. Tivne" aiJ ejn tw'/ uJperouranivw/ tovpw/ trei'" qeovthte" tw'n ajretw'n, ejpisthvmh kai; swfrosuvnh kai; dikaiosuvnh kai; tivna pro;" ajllhvla" e[cousi tavxin kai; tivna eJkavsth teleiovthta toi'" qeoi'" ejndivdwsi. ieV. Tiv to; th'" ajlhqeiva" pedivon, tiv" oJ leimwvn, tiv to; eJniai'on th'" nohth'" trofh'" ei\do" kai; tiv" hJ ajpo; tauvth" diairoumevnh ditth; trofh; tw'n qew'n. iıV. Oti triadikov" ejstin oJ uJperouravnio" tovpo", uJpomnhvsei" pleivou", kai; tivna ãta;Ã sunqhvmata tw'n ejn aujtw'/ triw'n uJpostavsewn. izV. Tiv" hJ Adravsteia qesmov", kai; o{ti ejn tw'/ kai; dia; poivan aijtivan.

kai; tiv" oJ th'" Adrasteiva" uJperouranivw/ tevtaktai tovpw/

ihV. Suvllhyi" tw'n peri; tou' uJperouranivou rJhqevntwn, ejn ejlacivstoi" ta;" ijdiovthta" aujtou' ejkfaivnousa. 10

iqV. Apodeivxei" tou' th;n sunektikh;n tavxin ejn toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" ei\nai qeoi'", kai; o{ti trei'" ajnavgkh ta;" sunektika;" ei\nai tw'n o{lwn aijtiva". kV. Oti th;n oujranivan perifora;n th'/ sunektikh'/ tavxei tw'n qew'n oJ Plavtwn.

15

tovpou

eij"

taujto;n

a[gei

kaV. Pw'" th'" triadikh'" diairevsew" th'" ejn th'/ sunektikh'/ qeovthti lavboimen a]n ajforma;" ejk tw'n uJpo; tou' Plavtwno"

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO IV

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10. Qual è il «luogo sopraceleste» e come è proceduto a partire dai primi intelligibili e come esso risulta supremo tra le entità intellettive e come Platone ha indicato la sua potenza generativa.

10

11. Come Platone ha indicato il carattere specifico inconoscibile della sommità delle entità intelligibili-intellettive e per quale motivo lo ha celebrato al contempo attraverso le affermazioni e attraverso le negazioni.

15

12. Quali sono le negazioni a proposito del «luogo sopraceleste», e sul fatto che esse derivano dagli ordinamenti divini; e di quale ordinamento è negazione il «senza colore», di quale poi il «privo di figura», di quale infine l’«intangibile».

20

13. Quali sono i caratteri attribuiti per via affermativa al «luogo sopraceleste» e da quali proprietà intelligibili gli sono giunti i segni distintivi che di esso sono affermati. 14. Quali sono le tre forme di divinità delle virtù insite nel «luogo sopraceleste», «Scienza», «Temperanza» e «Giustizia», e quale ordinamento hanno le une rispetto alle altre e quale forma di perfezione ciascuna procura agli dèi. 15. Qual è la «pianura della verità», quale il «prato», qual è la forma unitaria del nutrimento intelligibile, qual è il duplice nutrimento degli dèi che risulta dalla divisione del nutrimento intelligibile.

25

30

16. Più richiami al fatto che il «luogo sopraceleste» è triadico, 3 e quali sono i segni distintivi delle tre realtà autonome insite in esso. 17. Chi è «Adrastea» e qual è il «legge di Adrastea», e sul fatto che è posta nel «luogo sopracelste» e per quale ragione.

5

18. Riassunto di quanto si è detto a proposito del «luogo sopraceleste», che rivela in modo assolutamente conciso i suoi caratteri specifici. 19. Dimostrazioni del fatto che l’ordinamento connettivo si trova tra gli dèi intelligibili-intellettivi, e che necessariamente devono essere tre le cause connettive della totalità delle cose.

10

20. Sul fatto che Platone identifica «la rivoluzione celeste» con l’ordinamento connettivo degli dèi. 21. Come potremmo trarre dalle affermazioni di Platone le considerazioni di partenza della divisione triadica insita nella

15

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452

TEOLOGIA PLATONICA

eijrhmevnwn, kai; dia; tiv mavlista th;n e{nwsin ejpi; tauvth" presbeuvei th'" triavdo".

20

kbV. Tiv" hJ ejn Kratuvlw/ peri; tou' Oujranou' qeologiva kai; pw'" kai; ejx ejkeivnh" sullogivzesqai th;n mesovthta dunato;n tw'n te nohtw'n kai; tw'n noerw'n qew'n. kgV. Oti th;n uJpouranivan aJyi'da tw'n ejxhghtw'n oiJ ejnqeastikwvtatoi tavxin tina; ijdivan ajfwrivsanto, kai; o{ti telewvtata aujth;n ejxevfhnen oJ hJmevtero" kaqhgemwvn.

25

kdV. Oti telesiourgov" ejstin hJ ijdiovth" th'" uJpouraniva" aJyi'do", uJpomnhvsei" pleivou" ajf w|n oJ Plavtwn paradevdwken periv te aujth'" kai; tw'n ejp aujth;n ajnagomevnwn yucw'n. keV. Tiv" hJ triadikh; diaivresi" th'" telesiourgou' tavxew", h}n ejn th'/ uJpouraniva/ aJyi'di paradevdwken oJ Plavtwn.

4

5

kıV. Tiv" hJ ejpi; ta;" nohta;" kai; noera;" triavda" ajnagwgh; tw'n ajpo; swvmato" cwristw'n yucw'n, tiv" hJ makariwtavth telethv, tiv" hJ muvhsi", tiv" hJ ejpopteiva, tivna ta; oJlovklhra kai; aJpla' kai; ajtremh' favsmata, tiv to; tevlo" tauvth" pavsh" th'" ajnagwgh'". kzV. Pw'" ejn Parmenivdh/ ta;" nohta;" kai; noera;" tavxei" ajpo; tw'n nohtw'n ejkfaivnei, kai; tiv to; koino;n kai; tiv to; diafevron th'" peri; touvtwn qeologiva".

10

khV. Pw'" ajpo; tw'n nohtw'n oJ nohto;" kai; noero;" ajriqmo;" proh'lqe, kai; tivni diafevrei tou' nohtou' plhvqou". kqV. Pw'" katekovsmhsen ta; o[nta pavnta oJ qei'o" ajriqmov", kai; tivne" aiJ ejn aujtw'/ dunavmei" sumbolikw'" ejk th'" diairevsew" tou' ajriqmou' paradivdontai.

15

lV. Pw'" th;n ijdiovthta th;n qhlupreph' kai; gennhtikh;n ejn toi'" peri; tou' ajriqmou' lovgoi" oJ Parmenivdh" paradevdwken. laV. Pw'" euJrhvsomen th;n triadikh;n diaivresin ajkrovthto" tw'n nohtw'n kai; noerw'n ejn toi'" peri; ajriqmou' paradedomevnoi".

th'" tou'

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO IV

453

natura divina connettiva, e per quale motivo egli venera massimamente l’unità per quel che concerne questa triade. 22. Qual è nel Cratilo la dottrina teologica su Urano e come anche da essa è possibile desumere il livello intermedio tra gli dèi intelligibili e tra gli dèi intellettivi.

20

23. Sul fatto che i più ispirati tra gli esegeti hanno definito la «volta subceleste» come un determinato e specifico ordinamento, e sul fatto che la nostra guida II l’ha rivelata in modo assolutamente perfetto. 24. Più richiami, tratti dagli insegnamenti tramandati da Platone sulla «volta subceleste» e sulle anime che risalgono verso essa, al fatto che il suo carattere specifico è di essere perfezionatrice.

25

25. Qual è la divisione triadica dell’ordinamento perfezionatore che è stata tramandata da Platone in relazione alla «volta subceleste». 26. Qual è la risalita verso le triadi intelligibili-intellettive da 4 parte delle anime separate dai corpi, qual è la «celebrazione misterica più beata», qual è l’iniziazione, qual è «forma più alta di contemplazione» III, quali sono «le visioni integre, semplici e stabili», 5 qual è la fine di tutta questa risalita. 27. Come nel Parmenide rivela gli ordinamenti intelligibili-intellettivi a partire dagli intelligibili, e qual è il carattere comune e quale quello differente della dottrina teologica che li concerne. 28. Come il numero intelligibile-intellettivo è proceduto dagli intelligibili e in che cosa differisce dalla molteplicità intelligibile.

10

29. Come il numero divino ha messo in ordine tutti gli enti, e quali sono le potenze insite in esso che vengono tramandate in modo simbolico a partire dalla divisione del numero. 30. Come Parmenide ha tramandato il carattere specifico femminino e generatore nei discorsi concernenti il numero. 31. Come potremo scoprire la divisione triadica della sommità degli intelligibili-intellettivi negli insegnamenti che sono stati tramandati a proposito del numero. Il riferimento è ancora una volta a Siriano, guida e maestro di Proclo. L’ejpopteiva è propriamente il livello più alto di contemplazione che si raggiunge durante la celebrazione dei misteri. II

III

15

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454 20

TEOLOGIA PLATONICA

lbV. Epivstasi" eij crh; pro; tou' aujtozwv/ou tivqesqai to;n ajriqmo;n h] ejn tw'/ aujtozwv/w/ h] meta; to; aujtozw'/on. lgV. Povqen oJ Parmenivdh" a[rcetai tw'n peri; tou' ajriqmou' lovgwn kai; mevcri pou' proveisin, kai; pw'" ta;" ejn aujtw'/ diafovrou" ejkfaivnei tavxei".

25

ldV. Tiv to; a[gnwston ejn toi'" qeivoi" ajriqmoi'", tiv to; ajnagwgovn, tiv to; gennhtikovn, kai; uJpomnhvsei" touvtwn ejk tw'n ejn a[lloi" tw'/ Plavtwni peri; tw'n ajriqmw'n eijrhmevnwn. leV. Pw'" th;n mevshn tavxin tw'n nohtw'n kai; noerw'n oJ paradivdwsin dia; tou' eJno;" kai; o{lou kai; peperasmevnou, kai; tivne" aiJ touvtwn ijdiovthte".

5 Parmenivdh"

5

lıV. Povqen a[rcetai tw'n peri; th'" tavxew" tauvth" lovgwn oJ Parmenivdh" kai; mevcri tivno" proveisin, kai; pw'" ejkfaivnei ta;" ejn aujth'/ trei'" monavda" sumfwvnw" toi'" ejn Faivdrw/ peri; aujtw'n eijrhmevnoi". lzV. Pw'" th;n trivthn tavxin tw'n nohtw'n kai; noerw'n oJ Parmenivdh" paradivdwsi kai; pw'" thvn te ijdiovthta aujth'" th;n telesiourgo;n kai; th;n triadikh;n diaivresin ejkfaivnei.

10

lhV. Tiv" hJ e{nwsi" tw'n triw'n nohtw'n kai; noerw'n triavdwn, ajpo; tw'n tou' Parmenivdou sumperasmavtwn uJpovmnhsi". lqV. Povsa a]n lavboimen qeologika; dovgmata dia; th'" paradoqeivsh" tavxew" uJpo; tou' Parmenivdou tw'n sumperasmavtwn ejn toi'" peri; tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n lovgoi".

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO IV

455

32. Riflessione sulla questione se bisogna considerare il numero prima del Vivente-in-sé, oppure nel Vivente-in-sé, oppure dopo il Vivente-in-sé.

20

33. Da dove Parmenide incomincia i suoi ragionamenti sul numero e fino a che punto procede, e come rivela i differenti ordinamenti insiti in esso. 34. Qual è il carattere inconoscibile nei numeri divini, quale quello che eleva, quale quello generatore, e richiami a queste considerazioni tratti da quanto Platone ha affermato su questi numeri altrove IV.

25

35. Come Parmenide tramanda l’ordinamento intermedio del- 5 le entità intelligibili-intellettive riferendosi all’uno, all’intero e al limitato, e quali sono i loro caratteri specifici. 36. Da dove Parmenide incomincia i suoi ragionamenti su questo ordinamento e fino a quale procede, e come rivela le tre monadi in esso insite, in accordo con quanto viene affermato su di esse nel Fedro.

5

37. Come Parmenide tramanda il terzo ordinamento delle entità intelligibili-intellettive e come rivela il suo carattere specifico di perfezionatore ed al contempo la sua divisione triadica. 38. Richiamo, tratto dalle conclusioni del Parmenide, a quale sia l’unità delle tre triadi intelligibili-intellettive. 39. Quante sono le dottrine teologiche che potremmo trarre attraverso l’ordine delle conclusioni tramandate dal Parmenide nei ragionamenti concernenti gli dèi intelligibili-intellettivi.

IV

Cioè negli altri dialoghi oltre al Parmenide.

10

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6

PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS BIBLION TETARTOU aV O me;n dh; peri; tw'n nohtw'n lovgo" hJmi'n ejntau'qa perigegravfqw, th;n tou' Plavtwno" peri; aujtw'n ajnaplwvsa" mustagwgivan: ejcovmenon dev ejsti pavntw" th;n peri; tw'n noerw'n qew'n ajnaskevyasqai kata; to;n aujto;n trovpon 10 uJfhvghsin. All ejpeidh; tw'n noerw'n ta; mevn ejsti nohta; kai; noerav, o{sa noou'nta noei'tai kata; to; lovgion, ta; de; noera; movnon, ajpo; tw'n noerw'n a{ma kai; nohtw'n ajrxavmenoi levgwmen, ta; koina; prw'ton peri; aujtw'n diorizovmenoi, ajf w|n kai; th;n peri; eJkavsth" tavxew" didaskalivan safestev15 ran poihsovmeqa. Pavlin toivnun ajnamnhvswmen hJma'" aujtou;" w|n mikrw'/ provteron ajpedeivknumen, wJ" a[ra trei'" eijsin au|tai monavde" 7 oJlikaiv, pavntw" ejpevkeina tw'n kata; mevrh dih/rhmevnwn qew'n, oujsiva, zwhv, nou'", kai; tau'ta pro; tw'n merikw'n metevcei tw'n uJperousivwn eJnavdwn: ejxhv/rhtai de; hJ oujsiva tw'n loipw'n, mevshn de; e[lacen hJ zwh; tavxin, to; de; pevra" th'" triavdo" tauv5 th" ejpistrevfei pro;" th;n ajrch;n oJ nou'": kai; pavnta tau'ta nohtw'" mevn ejstin ejn th'/ oujsiva/, nohtw'" de; kai; noerw'" ejn th'/ zwh'/, noerw'" de; ejn tw'/ nw'/: kai; wJ" ajei; me;n ta; deuvtera metevcei tw'n uJperkeimevnwn, ejkei'na de; pro; th'" meqevxew" aujta; kaq auJta; prou>fevsthken: kai; wJ" ejn eJkavsth/ tavxei 10 triva tau'tav ejsti, to; th'" monh'" ai[tion, to; th'" proovdou, to; th'" ejpistrofh'", eij kai; oJ nou'" me;n kat ejpistrofh;n eijdo5

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Proclo

6

Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Libro IV 1 [Qual è il carattere specifico degli dèi intelligibili-intellettivi e in che modo illuminano dall’alto la vita impartecipabile e in che modo sono in continuità rispetto agli dèi intelligibili]

5

Ebbene, si consideri da noi qui concluso il discorso concernente gli intelligibili, che ha spiegato la dottrina misterica di Platone su di essi; assolutamente subito appresso si deve prendere in esame nello stesso modo l’insegnamento sugli dèi intellettivi. Ma 10 poiché tra gli intellettivi alcuni sono intelligibili e intellettivi, quanti «avendo intellezione, sono oggetto di intellezione» secondo l’oracolo1, altri invece sono intellettivi solamente, incominciamo la nostra trattazione dalle entità ad un tempo intellettive ed intelligibili, definendo per prima cosa riguardo ad esse i caratteri comuni, a partire dai quali renderemo più chiaro l’insegnamento 15 concernente ciascuno dei loro ordinamenti. Di nuovo pertanto richiamiamo alla memoria le tesi che poc’anzi abbiamo dimostrato2, cioè che tre sono queste monadi universali – assolutamente al di là degli dèi divisi per ordinamen- 7 ti – essenza, vita, intelletto, e queste entità partecipano prima di quelle particolari delle enadi sovraessenziali; inoltre l’essenza trascende le altre due monadi, mentre la vita ha ottenuto in sorte un livello intermedio, dal canto suo poi il limite di questa triade, vale a dire l’intelletto, converge verso il Principio; e tutti questi 5 caratteri sono rispettivamente in modo intelligibile nella essenza, in modo intelligibile ed intellettivo nella vita, ed infine in modo intellettivo nell’intelletto; e dobbiamo ricordare che le entità seconde partecipano sempre di quelle superiori, mentre queste altre entità sono venute a sussistere in sé e di per se se stesse anteriormente alla partecipazione; ed inoltre che in ciascun ordinamento vi sono questi tre principi causali, quello della manen- 10 za, quello della processione, quello della conversione, seppure l’intelletto sia specificato in misura maggiore in base alla conver-

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TEOLOGIA PLATONICA

poiei'tai ma'llon, hJ de; zwh; kata; th;n provodon, hJ de; oujsiva kata; th;n monhvn. Touvtwn toivnun uJpokeimevnwn ajnavgkh dhvpou tou;" prwvtou" 15 noerou;" qeouv", kata; th;n zwh;n oujsiwmevnou", sunavptein to;n ajmevqekton nou'n pro;" to; nohto;n tw'n qew'n gevno" kai; ta;" me;n poikivla" tw'n deutevrwn proovdou" sunevcein eJnoeidw'", ta;" de; tw'n prohgoumevnwn aijtivwn monivmou" uJpavrxei" ejkfaivnein kai; ajnaplou'n. Toiauvth gavr ejstin hJ ajmevqekto" 20 zwhv, diorivzousa tov te prwvtw" o]n kai; to;n nou'n kai; metevcousa me;n aujth; tou' o[nto", metecomevnh de; uJpo; tou' nou': tou'to de; taujto;n tw'/ plhrou'sqai me;n ejk tou' nohtou' th;n novhsin, plhrou'n de; ajf eJauth'" to;n nou'n, to; ga;r o]n to; nohtovn ejstin, hJ de; zwh; novhsi". Kai; to; me;n o]n carakthriv25 zetai kata; th;n u{parxin th;n qeivan, hJ de; zwh; kata; th;n duvnamin, oJ de; nou'" kata; to;n nohto;n nou'n. Anavlogon gavr ejstin, wJ" to; o]n pro;" th;n u{parxin, ou{tw" oJ nou'" pro;" to; o[n, kai; wJ" hJ duvnami" hJ nohth; pro;" eJkavteron tw'n a[krwn, ou{tw" hJ zwh; pro;" to; nohto;n kai; to;n nou'n. Kai; w{sper hJ 8 §duvnami" ajpegenna'to me;n ejk tou' eJno;" kai; th'" uJpavrxew", sunufivsth de; tw'/ eJni; th;n tou' o[nto" fuvsin, ou{tw dh; kai; hJ zwh; proveisin me;n ejk tou' o[nto", a[llhn uJposthvsasa duvnamin th'" ejn tw'/ o[nti: kaqavper de; to; e}n aujto; prou>pavrcon 5 tou' o[nto" eJnavda deutevran ajf eJautou' tw'/ o[nti divdwsin, ou{tw dh; kai; hJ zwh; pro; tou' nou' th;n uJpovstasin lacou'sa zwh;n noera;n ajpogenna'/. Kai; ga;r to; o[ntw" o]n kai; to; nohto;n prohgouvmenon tw'n loipw'n kai; th'/ zwh'/ kai; tw'/ nw'/ corhgei' th;n nohth;n e{nwsin. 10 Esti toivnun hJ ajmevqekto" zwhv, metevcousa de; tw'n nohtw'n monavdwn, deutevra meta; to; o]n kai; gennhtikh; tou' ajmeqevktou nou': kai; tauvthn sumplhrou'sa th;n mesovthta kai; to;n suvndesmon katevcousa tw'n nohtw'n te kai; tw'n noerw'n, uJpo; qew'n katalavmpetai deutevran me;n e{nwsin lacovntwn th'" 15 krufivou tw'n nohtw'n uJpostavsew", prohgoumevnwn de; kat aijtivan th'" tw'n noerw'n diakrivsew". To; ga;r eJniai'on kai; to; ajdiaivreton tw'n nohtw'n kai; to; aJplou'n kai; to; prwtourgo;n dia; th'" touvtwn mesovthto" eij" plh'qo" kai; diavkrisin uJfizavnei kai; th;n ajperihvghton tw'n qeivwn diakovsmwn 20 ajnevlixin. Oqen oi\mai kai; mevsoi tw'n te nohtw'n o[nte" kai;

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LIBRO IV, 1

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sione, la vita in base alla processione, l’essenza in base alla manenza. Dati tali presupposti, è necessario a mio avviso che i primi dèi 15 intellettivi, il cui carattere essenziale è conforme alla vita, congiungano l’intelletto impartecipabile al «genere» intelligibile «degli dèi»3 e che tengano insieme in modo uni-forme le varie processioni delle entità seconde, rivelando e dispiegando le realtà permanentemente stabili dei principi causali superiori. Di tale natura infatti è la vita impartecipabile, che delimita l’essere in senso pri- 20 mo e l’intelletto4, e che è essa stessa partecipe dell’essere, mentre è a sua volta partecipata dall’intelletto; ma ciò equivale a dire che l’intellezione si ricolma dell’intelligibile, mentre ricolma a sua volta di se stessa l’intelletto; infatti l’essere è l’intelligibile, la vita è l’intellezione. E l’essere dal canto suo è caratterizzato in base alla 25 forma divina di realtà, mentre la vita in base alla potenza, l’intelletto infine in base all’intelletto intelligibile. Infatti come l’essere è in relazione con la realtà, così l’intelletto è in relazione con l’essere, e come la potenza intellettiva è in relazione con ciascuno dei termini estremi, così la vita è in relazione con l’intelligibile e con l’intelletto. E come la potenza è, come abbiamo visto5, generata 8 dall’Uno e dalla realtà, mentre essa ha fatto sussistere insieme con l’Uno la natura dell’essere, così appunto anche la vita procede dall’essere, avendo fatto sussistere un’altra potenza che è insita nell’essere; d’altra parte come l’Uno stesso che preesiste all’essere, 5 dà, direttamente da se stesso, all’essere una seconda Enade, così appunto anche la vita, che ha ottenuto la propria sussistenza anteriormente all’intelletto, genera una vita intellettiva. Ed in effetti l’essere che è autenticamente tale e che è intelligibile, essendo precedente rispetto agli altri termini, garantisce sia alla vita sia all’intelletto l’unità intelligibile. La vita impartecipabile pertanto, che, dal canto suo, partecipa 10 delle monadi intelligibili, è seconda dopo l’essere ed è generatrice dell’intelletto impartecipabile; e dato che essa costituisce complessivamente questo livello intermedio ed è in possesso del legame tra le entità intelligibili e le entità intellettive, è illuminata da dèi che hanno ottenuto in sorte una unità inferiore alla forma di 15 sussistenza segreta propria degli intelligibili, ma che sono precedenti in senso causale alla divisione propria degli intellettivi. Infatti il carattere unitario, privo di intrinseche distinzioni, semplice e originario degli intelligibili attraverso il carattere intermedio di questi dèi si abbassa verso molteplicità e divisione, e verso il dispiegarsi non descrivibile degli ordinamenti divini. Ed è questo, 20

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TEOLOGIA PLATONICA

tw'n noerw'n qew'n oiJ th;n zwh;n sunevconte", a[peiron ou\san, kai; ejpocouvmenoi tai'" eJautw'n diairevsesin, a{ma nohtoi; kalou'ntai kai; noeroiv, plhrouvmenoi me;n ajpo; tw'n prwvtwn nohtw'n, plhrou'nte" de; tou;" noerouv". Kai; ga;r tou;" 25 nohtou;" oujc wJ" tw'/ nw'/ sustoivcou" nohtou;" ejlevgomen, a[llo ga;r to; ejn tw'/ nw'/ nohto;n kai; a[llo to; paraktiko;n tw'n noerw'n qew'n: kai; tou;" kata; th;n zwh;n qeou;" oujc wJ" sumplhrou'nta" to;n nou'n oujd wJ" kata; th;n noera;n novhsin iJdru9 mevnou" kai; parevconta" nw'/ me;n to; noei'n, nohtw'/ de; to; noei'sqai, nohtou;" oJmou' prosagoreuvomen kai; noerouv", ajll wJ" uJpostavnta" me;n ajpo; tw'n nohtw'n monavdwn, pavsa" de; ta;" noera;" eJbdomavda" ajpogennw'nta", kai; tw'/ 5 me;n nohtw'/ fwti; katalampomevnou", kat aijtivan de; gennhtikh;n tw'n noerw'n prou>pavrconta", ajxiou'men koinh'/ prosonomavzein, ajpo; tw'n a[krwn sunavptonte" ta; ojnovmata, kaqavper dh; kai; aujtoi; sunagwgo;n e[lacon tw'n o{lwn ejn toi'" qeivoi" diakovsmoi" ijdiovthta. 10 Dh'lon dh; ou\n o{ti kata; th;n mesovthta tauvthn uJpostavnte" kai; sunecei'" o[nte" toi'" nohtoi'" qeoi'", ejkeivnwn monadikw'" a{ma kai; triadikw'" uJfesthkovtwn – aiJ ga;r nohtai; triavde" wJ" me;n pro;" th;n ajkrotavthn kai; tw'n pavntwn ejxh/rhmevnhn e{nwsin triavde" eijsivn, wJ" de; pro;" th;n dih/rhmevnhn tw'n 15 triavdwn oujsivan monavde" a]n ei\en ajf eJautw'n ta;" o{la" triavda" ejkfaivnousai – tw'n gou'n nohtw'n ejn th'/ triadikh'/ proovdw/ th'" eJniaiva" uJpavrxew" oujk ajpostavntwn, oiJ nohtoi; kai; noeroi; qeoi; triadikw'" uJposthvsontai, th;n tw'n monavdwn diavkrisin ejn eJautoi'" ejpideiknuvmenoi kai; dia; th'" eJterovthto" 20 th'" qeiva" eij" plh'qo" proi>ovnte" kai; dunavmewn kai; oujsiw'n poikilivan. Ta; ga;r porrwvteron uJfistavmena th'" mia'" ajrch'" plhquvetai tw'n pro; aujtw'n ma'llon, kai; tai'" me;n dunavmesin ejlattou'ntai kai; tai'" tw'n deutevrwn periocai'", ajriqmoi'" de; pleivosi kai; th'" monavdo" plevon ajfesthkovsi diairou'ntai 25 kai; th;n e{nwsin ajfia'si th;n tw'n prwtourgw'n aijtivwn, th;n poikilivan ajnti; th'" ejkeivnwn krufiva" uJpavrxew" ajllattov-

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LIBRO IV, 1

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a mio avviso, il motivo per cui gli dèi che mantengono insieme la vita, che è illimitata, essendo intermedi tra gli dèi intelligibili e quelli intellettivi, e trovandosi al di sopra delle loro proprie divisioni sono chiamati ad un tempo “intelligibili e intellettivi”: cioè perché essi sono ricolmati dai primi dèi intelligibili, mentre a loro volta ricolmano gli dèi intellettivi. Ed infatti noi dicevamo6 “intel- 25 ligibili” gli dèi intelligibili non perché appartengano allo stesso livello dell’intelletto, in quanto una cosa è l’intelligibile insito nell’intelletto, un’altra è l’intelligibile che introduce gli dèi intellettivi; e gli dèi caratterizzati in base alla vita li denominiamo ad un tempo “intelligibili ed intellettivi” non perché costituiscano complessivamente l’intelletto né perché siano stabiliti in base alla intellezione intellettiva e forniscano ad un intelletto il fatto di 9 avere intellezione, mentre ad un oggetto di intellezione il fatto di essere oggetto di intellezione; ma perché, da un lato, sono venuti a sussistere a partire delle monadi intelligibili, dall’altro generano le ebdomadi intellettive, e perché, da un lato, sono illuminati dalla luce intelligibile, dall’altro preesistono, nel senso di causa genera- 5 trice, agli intellettivi, riteniamo debbano essere denominati con i due appellativi insieme7, collegando i nomi tratti dagli elementi estremi, allo stesso modo in cui appunto questi stessi dèi hanno avuto in sorte la proprietà di “congiungere” tutte le cose nella loro totalità negli ordinamenti divini. Risulta dunque evidente che essi, essendo venuti a sussistere in 10 base a questo livello intermedio ed avendo continuità con gli dèi intelligibili, mentre questi ultimi sono venuti a sussistere ad un tempo al modo di monadi e triadi – in effetti le triadi intelligibili in rapporto all’unità suprema e trascendente tutte le cose sono triadi, mentre in rapporto all’essenza divisa delle triadi sarebbero 15 monadi che rivelano a partire da se stesse tutte le triadi nel loro insieme – dunque mentre8 gli dèi intelligibili nella processione triadica non si sono staccati dalla loro realtà unitaria, gli dèi intelligibili-intellettivi verranno a sussistere al modo di triadi, mostrando in se stessi la divisione tra le monadi e procedendo, attraverso 20 la differenziazione propria della realtà divina, verso la molteplicità e la varietà delle potenze ed anche delle essenze. Infatti le entità che vengono a sussistere più lontano dall’unico9 Principio sono in misura maggiore moltiplicate rispetto a quelle che le precedono, e da un lato sono inferiori per le potenze e per le capacità di comprendere in se stesse le entità inferiori, mentre dall’altro sono divise in elementi più numerosi e più staccati dalla monade, e per- 25 dono l’unità propria dei principi causali originari, accogliendo in

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mena. Kata; dh; tou'ton to;n lovgon kai; th'" nohth'" diakrivsew" pleivwn hJ nohth; kai; noerav, kai; tauvth" hJ noerav, kai; 10 touvtwn pavlin aiJ merikai; diakosmhvsei" pollw'/ meivzona th;n diaivresin e[lacon, w{ste kai; plh'qo" hJmi'n ejkfh'nai qew'n ajperivlhpton toi'" ei[sw dekavdo" ajriqmoi'" kai; ta;" ijdiovthta" aujtw'n ajnexhghvtou" ei\nai kai; tw'n hJmetevrwn ejpibolw'n 5 ajperihghvtou" kai; movnoi" aujtoi'" katafanei'" toi'" qeoi'" kai; toi'" eJautw'n aijtivoi". Toiou'toi me;n ou\n eijsin oiJ nohtoi; kai; noeroi; qeoi; kai; toiauvthn e[lacon ijdiovthta, sunektikh;n tw'n a[krwn, kai; tw'n me;n prohgoumevnwn ejkfantikhvn, tw'n de; deutevrwn ejpistre10 ptikhvn, noou'nte" me;n tou;" pro; aujtw'n, noouvmenoi de; uJpo; tw'n met aujtou;" qew'n. Dio; kai; oJ Tivmaio" tw'n te nooumevnwn kavlliston ejtivqeto pavntwn uJpavrcein to; pantele;" zw'/on, wJ" a]n kai; tw'n met ejkei'no dhladh; nooumevnwn o[ntwn, w|n uJperevcon ejkei'no kavlliston h\n, kai; 15 pevra" au\ tw'n prwvtwn nohtw'n, wJ" tw'n met aujto; noerw'" uJfesthkovtwn. Kai; kata; tou'ton a[ra to;n lovgon oiJ prw'toi noeroi; qeoi; kai; nohtoi; tugcavnousin o[nte": kai; oujc hJmei'" tau'ta fevronte" ajllacovqen tw'/ Plavtwni prosavgomen, ajlla; par aujtou' ta;" ajforma;" labovnte" levgomen. ãbVà Tou'to me;n ou\n kai; dia; tw'n eJpomevnwn e[stai safevsteron: o{pw" de; au\ proh'lqon ajpo; tw'n nohtw'n qew'n oiJ to; th'" 11 zwh'" plavto" th'" ajmeqevktou katalavmponte", ejfexh'" toi'" eijrhmevnoi" dievlqwmen. Tw'n toivnun nohtw'n monoeidw'" me;n ta; peplhqusmevna, krufivw" de; ta; dih/rhmevna, ta; de; poikivla gevnh tw'n o[ntwn katav tina qaumasth;n aJplovthto" 5 uJperoch;n ejn eJautoi'" iJdrusamevnwn, oiJ prw'toi th;n e{nwsin aujtw'n th;n ajdiavkriton kai; th;n a[gnwston ãaJplovthtaà th'" 20

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sé la varietà al posto della realtà nascosta di quei principi. Proprio in base a questo ragionamento la divisione intelligibile-intellettiva è maggiore appunto di quella intelligibile, e quella intellettiva di quella intelligibile-intellettiva, e a loro volta gli ordinamenti delle 10 entità particolari hanno avuto in sorte una divisione molto maggiore di queste, sicché è stata a noi rivelata una molteplicità di dèi che non può essere compresa negli elementi numerici interni alla decade10 e le loro proprietà sono inspiegabili ed indescrivibili 11 nostre intuizioni e sono manifeste solo agli dèi stessi e ai 5 loro propri principi causali. Tale dunque è la natura degli dèi intelligibili-intellettivi ed hanno ottenuto in sorte questa specifica proprietà, di tenere uniti gli estremi, e da un lato di rivelare le entità superiori, dall’altro di convertire le entità inferiori, avendo intellezione degli dèi che li 10 precedono, ma a loro volta essendo oggetto di intellezione da parte degli dèi che li seguono. Proprio per questo anche il Timeo ha stabilito che il «Vivente compiutamente perfetto» risulti il «più bello degli oggetti di intellezione», di tutti, nella convinzione che chiaramente anche le entità che vengono dopo di esso fossero «oggetti di intellezione», rispetto ai quali esso è risultato12 superiore e con ciò «il più bello», e a sua volta esso è limite inferiore 15 dei primi intelligibili, considerato che le entità ad esso successive sono venute a sussistere in modo intellettivo. E dunque in base a questo ragionamento i primi dèi intellettivi vengono ad essere anche intelligibili13; e noi queste concezioni non le attribuiamo a Platone prendendole da un’altra parte, ma le esponiamo avendo tratto direttamente da lui le considerazioni di partenza.

[Come gli dèi intelligibili-intellettivi sono venuti a sussistere a partire dagli dèi intelligibili e in che modo sono in relazione comune con gli dèi intelligibili]

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Ciò comunque risulterà più chiaro anche attraverso le considerazioni successive; in che modo poi a loro volta sono proceduti a partire dagli dèi intelligibili quelli che illuminano l’ambito della 11 vita impartecipabile, è l’argomento che subito dopo quanto è stato detto dobbiamo trattare. Dato che, pertanto, gli intelligibili hanno posto in se stessi in modo unitario le entità che si sono mol- 5 tiplicate, mentre in modo nascosto quelle divise, ed infine in base ad una forma mirabile di superiore semplicità i vari generi degli

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ejn aujtoi'" uJpostavsew" ejkfhvnante", th'/ dunavmei th'/ nohth'/ kai; th'/ zwh'/ th'/ oujsiwvdei th'" gonivmou tw'n o{lwn periousiva" plhrwqevnte", deutevran met ejkeivnou" ejklhrwvsanto basi10 leivan, eJautou;" me;n paravgonte" ajei; kai; teleiou'nte" kai; sunevconte", decovmenoi de; kai; th;n ajp ejkeivnwn krufivan ajpogevnnhsin, kai; para; me;n th'" nohth'" dunavmew" gennhtikh;n tw'n pavntwn ijdiovthta labovnte", para; de; th'" zwh'" th'" nohth'", kat aijtivan ejn tw'/ nohtw'/ prou>parcouvsh", 15 th;n uJpestrwmevnhn aujtoi'" fuvsin paradexavmenoi. Kai; ga;r hJ zwh; prwvtw" mevn ejstin ejn toi'" nohtoi'", deutevrw" de; ejn toi'" nohtoi'" kai; noeroi'", kata; de; trivthn ajpovstasin ejn toi'" noeroi'", kat aijtivan me;n ejn toi'" prwvtoi" uJpavrcousa, kat oujsivan de; ejn toi'" mevsoi", kata; mevqexin ãde;Ã ejn toi'" 20 ejscavtoi". Proevrcontai toivnun ejk tw'n nohtw'n oiJ prw'toi noeroi; qeoiv, plhquvonte" me;n th;n e{nwsin aujtw'n, ejkfaivnonte" de; th;n ajpovkrufon u{parxin, pollaplasiavzonte" de; ta;" eJniaiva" dunavmei", gonivmoi" de; kai; sunektikai'" kai; tele25 siourgoi'" aijtivai" ajfomoiou'nte" eJautou;" pro;" ta;" oujsiwvdei" kai; oJlotelei'" kai; panteleivou" tw'n nohtw'n uJperocav". Trei'" ga;r h\san ejn ejkeivnoi" prwtourgoi; dunavmei", hJ me;n oujsiopoio;" tw'n o{lwn, hJ de; metrhtikh; tw'n plhquomevnwn, hJ de; eijdopoio;" tw'n ajpogennwmevnwn aJpavntwn, kai; kata; 12 tauvta" aiJ nohtai; kai; noerai; dunavmei" uJfesthvkasin: hJ me;n zwopoio;" tw'n deutevrwn aujtw'/ tw'/ ei\nai katav tina nohth;n periochvn, hJ de; sunektikh; panto;" tou' dih/rhmevnou kai; to; nohto;n mevtron ejpilavmpousa toi'" th'" eJnwvsew" 5 th'" mia'" ajpoleipomevnoi", hJ de; tov te sch'ma kai; th;n morfh;n kai; th;n teleiovthta toi'" pa'si corhgou'sa. Kata; pavsa" a[ra ta;" nohta;" aijtiva" ajpegennhvqhsan aiJ nohtai; kai; noerai; diakosmhvsei" tw'n qew'n, ejk me;n th'" dunavmew" th;n ijdiovthta th'" proovdou lacou'sai, ejk de; th'" zwh'" 10 th;n ejxhrthmevnhn aujtw'n tou' o[nto" moi'ran uJpodexavmenai (suvzugo" ga;r hJ zwh; th'/ dunavmei, kai; ga;r hJ zwh; kaq auJth;n a[peiro", ejpei; kai; pa'sa kivnhsi" sunupavrcousan e[cei th'/ eJauth'" fuvsei th;n ajpeirivan, kai; hJ duvnami" ajpeiriva gennhtikh; tw'n o{lwn), ejk de; th'" triadikh'" tw'n nohtw'n uJpostav15 sew" th;n eij" prw'ta kai; mevsa kai; teleutai'a dianomh;n paralabou'sai. Pavnta ga;r e[dei th'/ triadikh'/ katevcesqai proovdw/, kai; pro; tw'n pavntwn ta; nohta; kai; noera; gevnh tw'n

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enti, i primi dèi, avendo rivelato l’unità priva di distinzioni degli dèi intelligibili e l’inconoscibile semplicità della forma di sussistenza in essi insita, ricolmati dalla potenza intelligibile e dalla vita intesa a livello di essenza della sovrabbondanza generatrice della totalità delle cose, hanno ricevuto in sorte un secondo regno dopo gli dèi intelligibili: essi infatti producono se stessi, si perfezionano 10 e si mantengono, mentre accolgono la generazione nascosta da parte degli dèi intelligibili, ed al contempo dalla potenza intelligibile hanno assunto la proprietà di generare tutte le cose, mentre dalla vita intelligibile, che è preesistente in senso causale nell’intelligibile, hanno ricevuto la natura che è ad essi soggetta. Ed 15 infatti la vita si trova a livello primario negli intelligibili, mentre ad un secondo livello negli intelligibili-intellettivi, ed infine ad un terzo grado di allontanamento14 negli intellettivi: infatti essa esiste in forma causale nei primi, in forma essenziale negli intermedi, ed 20 infine in forma di partecipazione negli ultimi. I primi dèi intellettivi pertanto procedono dagli intelligibili, da un lato moltiplicando l’unità degli dèi intelligibili, dall’altro rivelando la loro realtà celata, inoltre rendendo molteplici le loro potenze unitarie ed infine assimilando se stessi, per mezzo di cause 25 generatrici, connetive e perfezionatrici, alle forme di superiorità essenziali, integrali e compiutamente perfette degli intelligibili. Tre infatti sono risultate15 negli intelligibili le potenze originarie, l’una è artefice dell’essenza della totalità delle cose, l’altra è misuratrice delle entità moltiplicate e l’altra ancora è artefice delle forme di tutte quante quelle generate, e in base a queste potenze 12 sono venute a sussistere le potenze intelligibili-intellettive; una potenza vivifica le entità inferiori, l’altra mantiene insieme ciò che risulta diviso e fa risplendere la misura intelligibile sulle entità che 5 sono lontane dalla prima unità, l’altra ancora garantisce la figura, la forma e la perfezione a tutte le entità. È dunque in base a tutte le cause intelligibili che sono stati generati gli ordinamenti intelligibili-intellettivi degli dèi: dalla potenza essi hanno ottenuto la proprietà della processione, dalla vita hanno ricevuto la parte del- 10 l’essere che dipende da loro (la vita infatti è congiunta alla potenza, ed infatti la vita è di per se stessa illimitata, dato che anche ogni forma di movimento ha l’illimitatezza coesistente alla propria natura, e la potenza è illimitatezza generatrice della totalità delle cose), mentre dalla sussistenza triadica degli intelligibili hanno 15 tratto la loro ripartizione in entità prime, intermedie e ultime. Tutte le entità infatti devono, come si è visto16, essere contenute dalla processione triadica, e prima di tutto i generi intelligibili-

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qew'n. Diovti ga;r dh; mevsa tw'n o{lwn uJfevsthken kai; sumplhroi' to;n tw'n prwtivstwn diakovsmwn suvndesmon, kata; me;n 20 th;n ajkrovthta th;n eJautw'n oJmoiou'tai toi'" nohtoi'", kata; de; to; pevra" toi'" noeroi'", kai; th'/ mevn ejsti nohtav, th'/ de; noerav. Pantacou' ga;r aiJ provodoi tw'n qeivwn genw'n di oJmoiovthto" ajpogennw'ntai sunecou'", kai; ta; prw'ta tw'n katadeestevrwn sunhvnwtai toi'" tevlesi tw'n prou>parcovntwn 25 aijtivwn. Nohtw'n de; o[ntwn kai; noerw'n tw'n te prwvtwn ejn toi'" mevsoi" kai; tw'n ejscavtwn, ajnavgkh kai; th;n touvtwn ei\nai sunektikh;n mesovthta, kaq h}n dh; kai; diaferovntw" hJ touvtwn ijdiovth" ajnafaivnetai tw'n qew'n. To; ga;r nohto;n a{ma 13 kai; noero;n ou| me;n pleonavzei kata; qavteron, ou| de; ejx i[sou kekoinwvnhken ajmfoi'n. Qaumasth; dh; ou\n hJmi'n ejk touvtwn hJ sunevceia pevfhnen th'" proovdou tw'n qeivwn diakovsmwn. To; me;n ga;r pevra" tw'n nohtw'n noero;n h\n, ajll wJ" ejn nohtoi'", hJ de; ajkrovth" 5 tw'n nohtw'n kai; noerw'n nohth; mevn ejstin, ajlla; th;n ijdiovthta tauvthn e[cei zwtikw'": kai; au\ pavlin to; me;n tw'n nohtw'n kai; noerw'n tevlo" noerovn, ajlla; zwtikw'", hJ de; ajrch; tw'n noerw'n nohth; proevsthken tw'n noerw'n qew'n, ajlla; to; nohto;n e[cei noerw'". Kai; ou{tw dh; ta; qei'a gevnh pavnta 10 sumplokh;n ajdiavluton e[lace kai; koinwnivan kai; filivan qaumasth;n kai; u{fesin eu[takton kai; uJperoch;n th;n me;n suntetagmevnhn, th;n de; ejxh/rhmevnhn. Kai; ajei; to; proi>o;n sunecev" ejsti tw'/ paravgonti kai; meta; th'" staqera'" ejn toi'" aijtivoi" iJdruvsew" poiei'tai ta; deuvtera th;n ajp aujtw'n 15 provodon, kai; miva seira; kai; suggevneia tw'n pavntwn, ajei; tw'n deutevrwn ajpo; tw'n pro; aujtw'n di oJmoiovthto" uJfistamevnwn.

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intellettivi degli dèi. Proprio perché infatti essi sono venuti ad essere come generi intermedi della totalità del reale e costituiscono il legame degli ordinamenti primissimi, in base alla loro som- 20 mità sono simili agli intelligibili, mentre in base al loro limite agli intellettivi, e per un verso sono intelligibili, per un altro intellettivi. In ogni ambito infatti le processioni dei generi divini sono generate attraverso una somiglianza continua, e quelli che vengono per primi fra quelli inferiori risultano uniti alle estremità dei principi causali preesistenti. D’altronde, dato che le prime ed ulti- 25 me entità nei gradi intermedi sono rispettivamente intelligibili e intellettive, è necessario che vi sia anche il livello intermedio che tiene insieme queste entità, in base al quale specialmente si rivela il carattere specifico di questi dèi. Infatti il carattere ad un tempo intelligibile e intellettivo agli estremi è eccedente in base ad uno 13 dei due termini, nel mezzo invece risulta partecipe in eguale misura di entrambi i termini17. Mirabile davvero, in base a tali considerazioni, è dunque a noi apparsa la continuità della processione degli ordinamenti divini. In effetti il limite inferiore degli intelligibili è risultato18 intelletti- 5 vo, ma intellettivo come può esserlo tra gli intelligibili, dal canto suo la sommità degli intelligibili-intellettivi è certamente intelligibile, ma ha questa proprietà specifica in forma vitale; e invece, a sua volta, la parte finale degli intelligibili-intellettivi è intellettiva, ma in forma vitale, mentre il principio degli intellettivi è come intelligibile posto a capo degli dèi intellettivi, ma possiede il carat- 10 tere intelligibile in forma intellettiva. E proprio in questo modo tutti i generi divini hanno ottenuto una connessione indissolubile, una comunanza ed una amicizia mirabile19, e un abbassamento di livello ben regolato e una superiorità che per un verso è coordinata, per un altro è trascendente. E sempre il termine che procede è congiunto a quello che lo produce ed è congiuntamente alla stabile fondazione nei loro principi causali che le realtà seconde 15 compiono a partire da essi la loro processione, e v’è un’unica catena ed affinità naturale fra tutte le realtà, poiché sempre le realtà seconde a partire da quelle che le precedono vengono a sussistere per somiglianza.

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gV Tivna me;n ou\n trovpon ajpo; tw'n nohtw'n qew'n ejkfaivnousin eJautou;" oiJ nohtoi; kai; noeroi; qeoiv, dia; touvtwn uJpemnhvsqw: pw'" de; au\ proelqovnte" diairou'ntai kai; tivna diafora;n e[lacon aiJ touvtwn triavde" pro;" ta;" nohtav", meta; tau'ta levgwmen. Merivzontai me;n dh; kai; ou|toi trich'/ kata; to;n eijrhmevnon 14 trovpon, tw'/ me;n nohtw'/ dia; th'" eJautw'n ajkrovthto" sunavptonte", tw'/ de; noerw'/ dia; th'" teleuth'", tw'/ de; mevsw/ sundevsmw/ tw'n a[krwn th;n sunamfotevran ejx i[sou lacovnte" ijdiovthta kai; diateivnonte" ejp a[mfw, tav te nohta; kai; 5 noera; gevnh tw'n qew'n, wJsperei; kevntrou tw'n dittw'n touvtwn diakovsmwn sunevconto" th;n koinwnivan tw'n o{lwn eJnoeidw'". Kai; diovti kai; ejn touvtoi" ejsti; ta; pavnta zwtikw'", w{sper ejn toi'" pro; touvtwn nohtw'" kajn toi'" ajpo; touvtwn noerw'", hJ oujsiva kai; hJ zwh; kai; oJ nou'", hJ me;n to; nohto;n ou\sa th'" 10 zwh'", hJ de; to; mevson a{ma kai; hJ th'" tavxew" tauvth" ijdiovth", oJ de; nou'" to; e[scaton kai; to; toi'" noeroi'" prosecw'" ejpocouvmenon – pavntwn ou\n o[ntwn kajn touvtoi" toi'" qeoi'", diaivresi" e[stai prwvtwn te kai; mevswn kai; teleutaivwn genw'n. Kai; trivton o{ti kai; th;n zwh;n mevnein te kai; proi>evnai 15 dei' kai; pro;" ta;" ajrca;" ejpistrevfein: ejpei; kai; tw'n nohtw'n hJ me;n prwvth tria;" eJdravzein ejlevgeto ta; pavnta, kai; pro; tw'n a[llwn th;n deutevran triavda (mevnei gou'n oJ aijw;n ejn aujth'/ staqerw'"), hJ de; meta; tauvthn proovdou kai; kinhvsew" kai; th'" kat ejnevrgeian zwh'" toi'" o{loi" corhgov", hJ de; 20 trivth th'" ejpi; to; e}n ejpistrofh'" kai; th'" teleiovthto", sunelissouvsh" ta; deuvtera pavnta pro;" ta;" eJautw'n ajrcav". Anavgkh toivnun tou;" nohtou;" kai; noerou;" qeou;" prwvtw" metevcein tw'n trittw'n touvtwn dunavmewn, kai; mevnein me;n eij" th;n ajkrovthta th;n eJautw'n, proi>ovnta" de; ejkei'qen kai; 20

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3 [Qual è la divisione in triadi degli dèi intelligibili-intellettivi e qual è la differenza tra queste triadi rispetto alle triadi intelligibili] In quale modo dunque, a partire dagli dèi intelligibili, gli dèi 20 intelligibili-intellettivi rivelano se stessi, lo si consideri ricordato attraverso queste considerazioni; come invece, essendo a loro volta proceduti, essi si dividano e quale differenza vengano ad avere le triadi di questi dèi rispetto a quelle intelligibili, dopo la precedente trattazione veniamo a dirlo. Certo anche questi dèi si dividono in maniera triplice nel modo 14 che si è detto20: attraverso la loro sommità sono congiunti al carattere intelligibile, attraverso la loro estremità inferiore al carattere intellettivo, mentre per mezzo del legame intermedio dei termini estremi hanno ottenuto la proprietà comprensiva egualmente di entrambi i caratteri e si distendono in entrambe le direzioni, verso i generi intelligibili degli dèi ed al contempo verso quelli intelletti- 5 vi, proprio come se si trattasse del centro di questi due tipi di ordinamenti, il quale assicura la comunione tra le entità universali in modo uni-forme. Ed è proprio questo il motivo per cui anche in questi dèi tutti i caratteri sono in modo vitale, proprio come negli dèi anteriori a questi tutti i caratteri sono in modo intelligibile e negli dèi che li seguono sono tutti in modo intellettivo: l’essenza, la vita e l’intelletto, l’essenza rappresentando il carattere intelligibile della vita, la vita dal canto suo rappresentando il carattere inter- 10 medio ed al contempo la proprietà specifica di questo ordinamento, infine l’intelletto rappresentando il carattere che viene per ultimo e che sta immediatamente sopra gli intellettivi – dato che dunque21 tutti questi caratteri si trovano anche in questi dèi, vi saranno di conseguenza divisioni tra generi primi, intermedi ed ultimi. E per terzo22 viene il fatto che anche la vita deve permanere, proce- 15 dere e convertirsi verso i principi: in effetti si era detto23 che la prima triade fonda tutte le cose, e prima delle altre cose fonda la seconda triade (dunque «l’eternità permane»24 in lei in modo stabile), quella che la segue è dispensatrice per la totalità delle cose di processione, di movimento e della vita in atto, la terza infine è 20 dispensatrice della conversione verso l’Uno e della perfezione che fa volgere insieme tutte le entità seconde verso i loro propri principi. Necessariamente pertanto gli dèi intelligibili-intellettivi devono partecipare in modo primario a questi tre tipi di potenze, e permanere, da un lato, rivolti alla loro propria sommità, dall’altro,

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diateivnonta" ejpi; pavnta pavlin ejpistrevfein eij" th;n nohth;n kai; sunavptein th'/ th'" ajpogennhvsew" aujtw'n ajrch'/ to; pevra" th'" o{lh" proovdou. Merivzontai me;n ou\n, o{per e[fhn, trich'/: kai; e[sti me;n oujsiva aujtw'n to; prwvtiston, zwh; de; to; mevson, nou'" de; to; 5 e[scaton. Epeidh; de; e{kasto" tw'n triw'n touvtwn tevleiov" ejsti kai; metevcei tw'n nohtw'n monavdwn, th'" oujsiva" levgw th'" ejkei', th'" zwh'" th'" nohth'", tou' nou' tou' nohtou', triplasiavzetai kata; th;n mevqexin tw'n prwtourgw'n aijtivwn: kai; to; me;n nohto;n th'" zwh'" oujsivan i[scei kai; nou'n kai; zwh;n 10 nohtw'", to; de; nohto;n kai; noerovn, oujsivan kai; zwh;n kai; nou'n zwtikw'", to; de; noerovn, oujsivan kai; zwh;n kai; nou'n noerw'". Kai; pantacou' me;n tria;" ejn eJkavstw/ tw'n tmhmavtwn, ajlla; meta; th'" oijkeiva" ijdiovthto". Trei'" ou\n hJmi'n pefhvnasi triavde" nohtai; kai; noeraiv, 15 katalampovmenai me;n uJpo; tw'n qeivwn eJnavdwn, perievcousai de; plh'qo" eJkavsth pantodapovn. Opou ga;r kai; ejn toi'" nohtoi'" panduvnamon h\n to; plh'qo" kai; pantevleion, pw'" oujci; pollw'/ meizovnw" ejn toi'" deutevroi" tw'n nohtw'n ajnelivssetai kai; pollaplasiavzetai kata; th;n govnimon 20 touvtwn aijtivan Ekavsth toivnun tria;" plh'qo" dunavmewn kai; poikilivan eijdw'n ejn aujth'/ perievcei, proavgousa to; nohto;n plh'qo" eij" ejnevrgeian kai; ajpeirivan th;n gennhtikh;n ejkfaivnousa tw'n nohtw'n. Kai; hJmei'" me;n ajpo; tw'n metecovntwn oJrmwvmenoi th;n tw'n metecomevnwn uJperousivwn qew'n ajneu25 rivskomen ijdiovthta: kata; de; th;n tw'n pragmavtwn tavxin aiJ nohtai; kai; noerai; monavde" peri; eJauta;" ajpegevnnhsan ta;" oujsiva" kai; ta;" zwa;" pavsa" kai; ta; noera; gevnh, kai; dia; touvtwn ejkfaivnontai, th;n a[gnwston aujtw'n uJperoch;n kaq eJauth;n fulavttousai tw'n o{lwn aijtivan prou>pavrcousan. 16 Alla; trei'" mevn, w{sper ei[pomen, aiJ nohtai; triavde", trei'" de; kai; aiJ meta; tauvta" uJposta'sai kai; ajp aujtw'n triplasiasqei'sai kata; th;n govnimon aujtw'n teleiovthta pefhvnasin. Dei' de; th;n th'" triavdo" ijdiovthta kaq e{teron 5 trovpon ajforivzesqai th'" te nohth'" kai; th'" nohth'" a{ma kai; noera'". Ekei' me;n ga;r eJkavsth tria;" to; trivton movnon ei\ce th'" tou' o[nto" moivra": ejk ga;r pevrato" h\n kai; ajpeivrou kai; ejx ajmfoi'n, tou'to de; h\n oujsiva me;n ejpi; th'" prwvth", 25

15 periwph;n

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procedendo da lì ed estendendosi a tutte le cose, nuovamente vol- 25 gersi indietro verso la specola intelligibile e congiungere al princi- 15 pio della loro generazione il limite dell’intera processione. Questi dèi sono dunque divisi, come ho detto, in tre parti; ed il loro primissimo carattere è l’essenza, quello intermedio è la vita, l’ultimo è l’intelletto. Dal momento che ciascuno di questi tre è 5 perfetto e partecipa delle monadi intelligibili, intendo dire dell’essenza che è in quel livello, della vita intelligibile e dell’intelletto intelligibile, ciascuno è triplicato in base alla partecipazione ai principi causali originari; il carattere intelligibile della vita possiede essenza, intelletto e vita in modo intelligibile, dal canto suo il 10 carattere intelligibile-intellettivo della vita possiede essenza, vita ed intelletto in modo vitale, mentre il suo carattere intellettivo possiede essenza e vita e pensiero in modo intellettivo. Ed ovunque, in ciascuna di queste sezioni v’è una triade, ma unitamente alla sua corrispondente proprietà specifica. Tre dunque sono le triadi intelligibili-intellettive che sono a noi apparse, illuminate dalle enadi divine, ciascuna d’altra parte 15 comprendente ogni forma di molteplicità. Quando in effetti anche negli intelligibili è risultata25 trovarsi la molteplicità “dotata di ogni potenza” e assolutamente perfetta, come può non essere sviluppata e moltiplicata in misura molto maggiore nelle entità inferiori agli intelligibili in base alla causa generatrice di queste ulti- 20 me? Ciascuna triade pertanto comprende in sé una molteplicità di potenze e una varietà di forme, spingendo la molteplicità intelligibile all’atto e rivelando l’illimitatezza generativa degli intelligibili. E noi, prendendo le mosse dalle entità partecipanti, scopriamo il carattere specifico appartenente agli dèi partecipati sovraessenziali; inoltre in base all’ordine del reale, le monadi intelli- 25 gibili-intellettive hanno generato in relazione a se stesse tutte le essenze, tutte le vite e i generi intellettivi, e attraverso questi aspetti si rivelano, custodendo la loro inconoscibile superiorità in se stessa, la quale preesiste come causa alla totalità delle cose. Ebbene, tre, come ho detto, sono le triadi intelligibili, ma tre 16 sono apparse anche quelle che sono venute a sussistere dopo queste e che da esse sono state triplicate in base alla loro perfezione generatrice. Occorre però definire la proprietà specifica della triade in modo diverso a seconda che si tratti della triade intelligibile 5 oppure di quella intelligibile-intellettiva. In effetti nell’ambito intelligibile ciascuna triade è risultata26 avere solamente il terzo termine come parte assegnata all’essere27; infatti è risultata costituita da limite, illimitato e da ciò che risulta da entrambi, e dal

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zwh; de; ejpi; th'" deutevra" nohthv, nou'" de; nohto;" ejpi; th'" trivth": ta; de; pro; touvtwn eJnavde" kai; dunavmei" uJperouvsioi sumplhrou'sai ta;" o{la" triavda". En de; toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" eJkavsth tria;" oujsivan e[cei kai; zwh;n kai; nou'n, hJ me;n nohtw'" a{ma kai; noerw'", ajlla; ma'llon nohtw'", kaq o{son ejsti; sunech;" toi'" prwvtoi" nohtoi'", hJ de; noerw'" 15 kai; nohtw'", ajlla; ma'llon noerw'", diovti prosecw'" ejpibevbhken toi'" noeroi'", hJ de; kat i[shn moi'ran ajmfotevra" ejn eJauth'/ sullabou'sa ta;" ijdiovthta". Oujkou'n hJ prwvth triav", i{na kaq eJkavsthn ei[pwmen, ejkei' me;n h\n pevra", a[peiron, oujsiva (tou'to ga;r to; prwvtw" miktovn), ejntau'qa de; oujsiva, 20 zwhv, nou'", meta; tw'n oijkeivwn eJnavdwn: hJ ga;r oujsiva qeovthto" ejxhvrthtai prwtivsth", kai; hJ zwh; deutevra", kai; oJ nou'" trivth", kai; trei'" au|tai monavde" uJperouvsioi ta;" th'" prwvth" triavdo" ejkfaivnousi. Deutevra de; au\ meta; tauvthn tria;" ejkei' me;n uJperouvsio" eJna;" kai; duvnami" kai; zwh; 17 nohth; kai; kruvfio", ejntau'qa de; oujsiva kai; zwh; kai; nou'", zwtika; pavnta kai; qew'n ejxhrthmevna tw'n sunecovntwn to;n e{na suvndesmon th'" o{lh" tauvth" diakosmhvsew": wJ" ga;r aiJ prw'tai th;n eJnopoio;n tw'n mevswn genw'n e[lacon duvnamin, 5 ou{tw" aiJ deuvterai met ejkeivna" eJnavde" th;n sunektikh;n ijdiovthta probevblhntai tw'n prwtourgw'n aijtivwn. Trivth toivnun ejpi; tauvtai" tria;" ejkei' me;n eJna;" kai; duvnami" kai; nou'" nohtov", ejntau'qa de; uJperouvsioi qeoi; trei'", sugkleivonte" to; pevra" tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n kai; peribeblhmevnoi 10 pavnta noerw'", th;n oujsivan levgw, th;n zwhvn, to;n nou'n, kai; teleiovthto" th'" qeiva" corhgoiv, mimouvmenoi th;n pantelh' triavda th;n nohthvn, w{sper oiJ sunektikoi; to; mevtron to; nohto;n kai; oiJ pro; touvtwn au\ th;n gennhtikh;n tw'n nohtw'n aijtivan. 10

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canto suo quest’ultimo è risultato nella prima triade essenza, nella seconda vita intelligibile, mentre nella terza intelletto intelligibile. Dal canto loro le entità anteriori a queste triadi sono enadi e po- 10 tenze sovraessenziali che ricolmano le triadi nella loro interezza. Negli intelligibili-intellettivi invece ciascuna triade ha essenza, vita e intelletto, una in modo ad un tempo intelligibile ed intellettivo, ma più in modo intelligibile, nella misura in cui è congiunta rispetto ai primi intelligibili, un’altra in modo intellettivo e intelli- 15 gibile, ma più in modo intellettivo, per il fatto che è posta immediatamente al di sopra degli intellettivi, un’altra ancora infine comprende in se stessa in eguale misura entrambi i caratteri specifici. Dunque la prima triade, per parlare singolarmente di ciascuna, è nell’ambito intelligibile, come si è visto, limite, illimitatezza ed essenza (quest’ultimo in effetti è il misto in senso primario), nell’ambito intelligibile-intellettivo è risultata essenza, vita ed in- 20 telletto, con le loro corrispondenti enadi: infatti l’essenza dipende dalla primissima divinità, la vita dalla seconda e l’intelletto dalla terza, e queste tre monadi sovraessenziali rivelano quelle della prima triade. Poi, a sua volta, la seconda triade dopo questa è nell’ambito intelligibile enade sovraessenziale, potenza e vita intelligi- 17 bile e nascosta, mentre nell’ambito intelligibile-intellettivo è essenza, vita e intelletto, tutte entità di natura “vitale” e dipendenti dagli dèi che contengono l’unico legame di questo ordinamento nella sua interezza: come infatti le prime enadi hanno ottenuto in sorte la potenza unificatrice dei generi intermedi, così le seconde 5 enadi dopo quelle hanno mostrato la proprietà del contenere, appartenente ai principi causali originari. Terza infine oltre a queste è la triade che nell’ambito intelligibile è enade, potenza e intelletto intelligibile, mentre nell’ambito intelligibile-intellettivo vi sono tre dèi sovraessenziali, che serrano saldamente il limite degli dèi intelligibili-intellettivi e che si sono circondati in modo intel- 10 lettivo di tutte le cose, intendo dire l’essenza, la vita, l’intelletto, e sono garanti della perfezione divina, imitando la triade intelligibile assolutamente perfetta, proprio come gli dèi atti a contenere imitano la misura intelligibile e a loro volta quelli ad essi anteriori imitano la causa generatrice degli intelligibili.

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dV AiJ me;n ou\n trei'" nohtai; kai; noerai; triavde" ou{tw" ajpegennhvqhsan kai; toiauvthn e[lacon pro;" ta;" nohta;" diaforavn. Epi; de; to;n Plavtwna pavlin ejpanelqovnte" sunodeuvswmen ejkeivnw/ kai; th;n peri; eJkavsth" tw'n triavdwn 20 touvtwn ejpisthvmhn par aujtw'/ prou>pavrcousan ejpideivxwmen: kai; prw'ton labwvmeqa tw'n ejn Faivdrw/ gegrammevnwn kai; qewrhvswmen ajp aujtw'n tw'n tou' Swkravtou" rJhmavtwn o{pw" hJmi'n th;n diakovsmhsin pa'san ejkfaivnei kai; ta;" ejn aujth'/ diaforav". 18 Levgontai toivnun ejn tw'/ Faivdrw/ dwvdeka tw'n o{lwn hJgemovne" proestavnai, pavnta" me;n tou;" ejgkosmivou" qeouv", pavsa" de; ta;" tw'n daimovnwn ajgevla" podhgetou'nte" kai; ejpi; th;n nohth;n iJevmenoi fuvsin. Touvtwn de; tw'n dwvdeka qew'n hJgei'sqai 5 pavntwn to;n Diva, pthno;n a{rma ejlauvnonta kai; diakosmou'nta pavnta kai; ejpimelouvmenon, kai; ajnavgein pa'san th;n eJpomevnhn aujtw'/ stratiavn, prw'ton me;n eij" th;n ejnto;" oujranou' periwph;n kai; ta;" makariva" tw'n ejkei' nooumevnwn qeva" te kai; diexov10 dou": e[peita eij" th;n uJpouravnion aJyi'da prosecw'" uJpezwkui'an to;n oujrano;n kai; ejn aujtw'/ periecomevnhn: kai; meta; tauvthn eij" aujto;n to;n oujrano;n kai; to; tou' oujranou' nw'ton, ou| dh; kai; i{stasqai ta;" qeiva" yuca;" kai; sumperiferomevna" tw'/ oujranw'/ qewrei'n th;n 15 ejpevkeina pa'san oujsivan. Ei\nai de; pro; tou' oujranou' to;n uJperouravnion kalouvmenon tovpon, ejn w|/ kai; hJ oujsiva hJ o[ntw" kai; to; th'" ajlhqeiva" pedivon kai; oJ leimw;n kai; hJ th'" Adrasteiva" basileiva kai; oJ qei'o" tw'n ajretw'n corov": kai; dia; th'" nohvsew" tw'n monavdwn touvtwn 20 trefomevna" ta;" yuca;" eujpaqei'n, th'/ tou' oujranou' perifora'/ sunepomevna". 15

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eV Levgetai me;n ou\n tau'ta ejn Faivdrw/ tou' Swkravtou" safw'" ejnqousiavzonto" kai; mustikw'n aJptomevnou pragmavtwn. Dei' de; pro; tw'n a[llwn ejpiskevyasqai, tiv" ou|tov" ejstin

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4 [Come Socrate nel “Fedro” ci conduce in alto verso questo ordinamento degli dèi]

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Le tre triadi intelligibili-intellettive sono dunque state generate in questo modo e tale è la differenza che è loro toccata rispetto alle triadi intelligibili. Ritornati di nuovo a Platone accompagniamolo nel suo percorso e mettiamo in luce come la scienza 20 su ciascuna di queste triadi sia già presente presso di lui; e per prima cosa prendiamo in considerazione ciò che è scritto nel Fedro e consideriamo, a partire dalle parole stesse di Socrate, come egli ci rivela l’ordinamento tutto e le differenze in esso insite. Si dice pertanto nel Fedro28 che dodici dèi sovrani sono prepo- 18 sti alla totalità delle cose, guidando da un lato tutti gli dèi encosmici, dall’altro tutti i drappelli dei demoni e slanciandosi verso la natura intelligibile. Inoltre si dice che a capo di tutti i dodici Dèi è «Zeus, che conduce il carro alato» e «dà ordine a tutte le cose e se 5 ne prende cura», e fa salire tutta «l’armata che lo segue», prima verso l’intero ambito «all’interno del cielo» e alle «beate visioni» di quelli che lì sono oggetti di intellezione «ed al contempo verso percorsi determinati»; ed in seguito egli li guida alla «volta subce- 10 leste» che cinge dal basso immediatamente il cielo e che è in esso compresa; e dopo questa li guida al cielo stesso e alla «convessità del cielo», dove appunto «si posano» le anime divine e ruotando insieme con il cielo contemplano tutta l’essenza che è al di là. 15 Inoltre si dice che prima del cielo viene quello che è chiamato «luogo sopraceleste», nel quale «l’essenza che è realmente» e «la pianura della verità» e «il prato» ed il regno di «Adrastea» ed il coro divino delle virtù; e «nutrendosi» attraverso l’intellezione di 20 queste monadi, le anime «si allietano», seguendo «la rotazione del cielo». 5 [Più richiami, tratti dalle parole stesse di Platone, al fatto che «il cielo» e «la rivoluzione celeste» non vanno intesi a proposito delle entità sensibili, ma del primissimo ordinamento di Urano] Queste sono dunque le cose dette nel Fedro ed è chiaro che Socrate è divinamente ispirato ed è in contatto con le realtà mistiche. Ma prima degli altri aspetti bisogna prendere in esame quale

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oJ oujrano;" peri; ou| poiei'tai to;n lovgon oJ Swkravth", kai; 19 ejn poiva/ tavxei tw'n o[ntwn i{drutai. Tou'ton ga;r euJrovnte"

kai; to;n uJperouravnion tovpon kai; th;n uJpouranivan aJyi'da qeasovmeqa: kata; ga;r th;n pro;" to;n oujrano;n scevsin eJkavteron touvtwn pareivlhptai, to; me;n prwvtw" 5 uJperkeivmenon, to; de; prwvtw" uJp aujto;n tetagmevnon. Tiv" ou\n ou|to" oJ oujrano;" ejf o}n ajnavgei tou;" qeou;" oJ Zeuv" Eij me;n dh; to;n aijsqhto;n levgoimen, w{sper e{teroiv tine", ajnavgkh ta; kreivttona gevnh pro;" ta; ceivrona kata; th;n fuvsin ejpistrevfein. O ga;r Zeuv", oJ ejn oujranw'/ 10 mevga" hJgemwvn, eij pro;" tovnde to;n oujrano;n aujtov" te fevretai kai; tou;" eJpomevnou" a[gei suvmpanta", ejpi; ta; katadeevstera kai; ta; meq eJauto;n e{xei th;n ejpistrofhvn, kai; meta; tou' Dio;" oi{ te hJgemovne" pavnte" kai; oiJ touvtwn ejxhrthmevnoi qeoi; kai; daivmone". Kaivtoi kai; th;n merikh;n 15 yuch;n oJ aujto;" ejn tw'/ Faivdrw/ levgei teleiwqei'san metewropolei'n kai; to;n suvmpanta kovsmon dioikei'n. Pw'" ou\n oiJ tw'n o{lwn yucw'n hJgemovne" ejpistrevfousin eij" to;n aijsqhto;n oujrano;n kai; th'" nohth'" periwph'" ajllavttontai th;n ceivrona moi'ran, oiJ dia; 20 tou'to tw'n o{lwn proestw'te", i{na kai; toi'" ejgkosmivoi" ajpovluton kai; ajfevthn ejpilavmpwsi duvnamin Pro;" dh; touvtoi", tivne" aiJ makavriai tw'n qew'n nohvsei" ejnto;" tou' oujranou' touvtou kai; tivne" aiJ dievxodoi, pavsh" th'" tw'n aijsqhtw'n gnwvsew" wJ" oujdeno;" ajxiva" lovgou pro;" 25 th;n tw'n nohtw'n qevan uJpo; tou' Plavtwno" pollacou' kategnwsmevnh" Olw" ga;r oiJ qeoi; ta; th'/de gignwvskousin, 20 ouj dia; th'" pro;" aujta; strofh'", ajlla; tw'/ ta;" aijtiva" aujtw'n ejn eJautoi'" e[cein. Eautou;" ou\n noou'nte" kai; tau'ta kat aijtivan gignwvskousin, kai; podhgetou'sin ouj blevponte" eij" aujta; kai; duvnonte" kata; tw'n dioikoumevnwn, ajll ejpi5 strevfonte" di e[rwto" ta; ceivrona pro;" eJautouv". Ou[t ou\n qemito;n toi'" qeoi'" toi'" to;n o{lon oujrano;n diakosmou'si kai; th'" eJautw'n pronoiva" ajxiou'sin uJpo; th;n touvtou givgnesqaiv pote periforavn, ou[t e[stin ti" makariovth" ejn th'/ qeva/ tw'n uJpo; to;n oujrano;n tou'ton pragmavtwn, ou[te aiJ pro;" 10 tauvthn ejpistrefovmenai yucai; tw'n eujdaimovnwn eijsi; kai; qeoi'" eJpomevnwn, ajlla; tw'n th;n doxasth;n trofh;n ajnti;

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è questo «cielo» intorno a cui Socrate sviluppa il suo discorso, ed in quale ordinamento degli enti è posto. In effetti, trovato questo, 19 potremo contemplare anche «il luogo sopraceleste» e «la volta subceleste»: infatti è in base alla relazione con «il cielo» che ciascuna di queste realtà risulta delimitata, l’una in quanto si trova 5 primariamente al di sopra del cielo, l’altra in quanto è primariamente posta al di sotto di esso. Qual è dunque «il cielo» verso il quale Zeus fa salire gli dèi? Certo, se dicessimo quello sensibile, come fanno certi altri29, necessariamente i generi superiori dovrebbero convertirsi a quelle inferiori in base alla loro natura. Infatti «se Zeus, il grande sovra- 10 no in cielo»30, si muove verso questo nostro cielo sensibile ed al contempo vi conduce tutti quanti coloro che lo seguono, la sua conversione risulterà rivolta alle entità inferiori e che vengono dopo di lui, e insieme a Zeus tutti gli dèi sovrani ed al contempo tutti gli dèi e demoni che dipendono da lui. Di fatto sempre Socrate afferma nel Fedro 15 anche che l’anima particolare, una volta che sia divenuta perfetta, «vola in alto» e «governa tutto quanto il cosmo»31. Come dunque è possibile che i sovrani della totalità delle anime si convertano verso il cielo sensibile e scambino la specola intelligibile per un destino inferiore, loro che per questo motivo sono preposti alla 20 totalità delle cose, cioè per far risplendere anche sulle entità encosmiche la potenza non-vincolata e libera ? Oltre a ciò, quali sarebbero «le beate» intellezioni «all’interno di questo cielo» sensibile e quali «i percorsi determinati», considerato che tutta la conoscenza degli oggetti sensibili è in molte occa- 25 sioni disprezzata da Platone come non degna di nessuna considerazione rispetto alla visione degli oggetti intelligibili? In effetti è in modo universale che gli dèi conoscono le cose di questo nostro mondo, non perché si rivolgano verso esse, ma per il fatto di avere 20 in se stessi le cause di esse. Dunque è avendo intellezione di se stessi che conoscono in modo causale anche queste cose, e le guidano non però volgendo verso di esse il loro sguardo e immergendosi nelle cose da loro governate, ma convertendo attraverso 5 l’amore le entità inferiori verso se stessi. Dunque non è in alcun modo lecito agli dèi, che governano l’intero cielo e che lo ritengono degno della loro cura, essere sottoposti al moto rotatorio di questo, né v’è una forma di beatitudine nella contemplazione delle realtà che sono poste al di sotto di questo cielo sensibile, né le anime che si convertono verso tale visione fanno parte di quel- 10 le felici e che seguono gli dèi, ma fanno parte delle anime che

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th'" nohth'" ajllattomevnwn, oi{a" dh; ta;" cwleuouvsa" ei\naiv fhsin oJ Swkravth" kai; ta; ptera; qrauouvsa" kai; uJpobrucivou" gignomevna". Opou toivnun ta; toiau'ta 15 pavqh yucw'n ejsti merikw'n, kai; touvtwn oujk eujdaimovnwn, pw'" hJmei'" ejpi; tou;" hJgemonikou;" qeou;" ajnafevromen th;n pro;" to;n aijsqhto;n oujrano;n ejpistrofhvn Eti toivnun ta;" yuca;" ejn tw'/ nwvtw/ tou' oujranou' stavsa" periavgesqaiv fhsin uJp aujth'" th'" tou' 20 oujranou' perifora'". O de; Tivmaio" kai; oJ Aqhnai'o" xevno" a[gein fasi;a ta;" yuca;" pavnta ta; kat oujrano;n tai'" eJautw'n kinhvsesin, kai; perikaluvptein e[xwqen ta; swvmata tai'" eJautw'n dunavmesin, kai; zwvsa" th;n eJautw'n zwh;n pro;" to;n suvmpanta crovnon didov25 nai kai; toi'" swvmasi deuterourgou;" kinhvsew" dunavmei". Pw'" ou\n tau'ta sunav/setai toi'" to;n oujrano;n tou'ton 21 poiou'sin aijsqhtovn Ouj ga;r dia; th;n tou' oujranou' perifora;n aiJ yucai; qew'ntai ta; nohta; kai; pericoreuvousin, ajlla; dia; th;n ajfanh' peripovlhsin tw'n yucw'n kai; ta; swvmata kuvklw/ perifevretai kai; peri; ejkeivna" poiei'tai 5 ta;" ajnakuklhvsei". Eij me;n ou\n to;n aijsqhtovn ti" oujrano;n levgoi tav" te yuca;" sumperiavgein kai; diairei'sqai katav te to; nw'ton kai; to; bavqo" kai; th;n uJpouranivan aJyi'da, polla; kai; a[topa sugcwrei'n ajnagkai'on. Eij dev ti" nohto;n levgoi to;n 10 oujrano;n ejf o}n hJgei'tai me;n oJ Zeuv", e{pontai de; pavnte" oiJ qeoi; kai; meta; touvtwn oiJ daivmone", th'/ te fuvsei tw'n pragmavtwn sumfwvnou" ajpodwvsei ta;" tou' Plavtwno" ejnqevou" uJfhghvsei" kai; toi'" kleinotavtoi" tw'n ejxhghtw'n katakolouqhvsei. Kai; ga;r Plwti'no" kai; Iavmblico" nohtovn tina to;n 15 oujrano;n tou'ton ajxiou'sin ei\nai, kai; pro; touvtwn oJ Plavtwn aujto;" ejn tw'/ Kratuvlw/, tai'" Orfikai'" qeogonivai" eJpovmeno", tou' me;n Dio;" patevra to;n Krovnon, tou' de; Krovnou to;n Oujrano;n ajpokalei': kai; to;n me;n dhmiourgo;n tw'n o{lwn ajpofaivnei, dia; tw'n ojnomavtwn th;n peri; aujtw'n ajlhvqeian 20 metadiwvkwn, to;n de; tou' qeivou nou' sunektikovn, to;n de; novhsin tw'n nohtw'n tw'n prwvtwn. H ga;r eij" ta; a[nw, fhsivn, oJrw'sa o[yi" oujranov" ejstin. Oujkou'n prou>pavrcei me;n tou' qeivou nou' pantov", ou| diakorhv" ejstin oJ mevgisto" Krovno", noei' de; ta; a[nw kai; o{sa th'" Oujra25 niva" ejsti;n ejpevkeina tavxew". Mevshn a[ra tw'n te nohtw'n a

Il testo tràdito è fhsi;: la correzione fasi; appare necessaria.

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scambiano il «nutrimento dell’opinione» per quello intelligibile, che sono proprio come quelle che Socrate dice che «rimangono storpiate», «si spezzano le piume» e vengono «sommerse». Considerato pertanto che tali patimenti appartengono ad anime par- 15 ticolari, e tra queste32 a quelle che non sono felici, come possiamo noi attribuire agli dèi sovrani la conversione verso il cielo sensibile? Ed inoltre afferma che le anime «posatesi sulla convessità33 del cielo, sono fatte ruotare dal moto rotatorio stesso» del cielo. 20 D’altra parte Timeo e lo Straniero d’Atene34 affermano che «le anime guidano tutte le realtà celesti per mezzo dei loro propri movimenti» e che «esse avvolgono dal di fuori i corpi» con le loro proprie potenze, e vivendo la loro propria vita esse donano «per tutta quanta la durata del tempo» anche ai corpi potenze motrici 25 «di secondo livello». Come dunque tali considerazioni risulteranno in accordo con coloro che fanno di questo cielo in questione 21 un cielo sensibile? In effetti non è per via del movimento rotatorio del cielo che le anime contemplano gli intelligibili e danzano intorno ad essi, ma è per via della rotazione invisibile delle anime che i corpi si muovono a loro volta in cerchio e realizzano le loro 5 rotazioni complete intorno a quelle. Se dunque si dicesse che è il cielo sensibile a far ruotare le anime con il suo movimento circolare e che esso si divide nella «convessità», nella profondità e nella «volta subceleste», si dovrebbero ammettere necessariamente molte conseguenze assurde. Ma se si dicesse che intelligibile è il cielo verso il quale fa da guida Zeus 10 seguito da tutti gli dèi e, insieme ad essi, dai demoni, allora gli insegnamenti del divino Platone che si verrebbero così a tramandare risulteranno consoni alla natura delle cose ed al contempo si seguiranno in questa linea interpretativa35 i più illustri tra gli esegeti. Ed in effetti Plotino e Giamblico36 ritengono che questo cielo 15 debba essere un determinato intelligibile, e prima di questi lo stesso Platone nel Cratilo, seguendo le teogonie orfiche37, chiama Crono “padre di Zeus”, mentre Urano lo chiama “padre di Crono”38; e, ricercando attraverso i nomi la verità intorno ad essi39, rivela che uno è Demiurgo della totalità delle cose, l’altro è colui 20 che contiene l’intelletto divino e l’altro ancora è intellezione degli intelligibili primi40. Infatti «la vista che guarda verso le realtà che sono in alto è “cielo”»41. Dunque egli da un lato preesiste all’intelletto divino nella sua interezza, del quale è “sazio”42 il grandissimo Crono, dall’altro ha intellezione «delle realtà che si trovano in alto» e che sono tutte quante al di là dell’ordinamento di 25

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e[lacen kai; tw'n noerw'n th;n basileivan oJ mevgisto" Oujranov": ejpei; kai; hJ ejn Faivdrw/ perifora; novhsiv" ejsti, di h|" 22 kai; oiJ qeoi; pavnte" kai; aiJ yucai; tugcavnousi th'" tw'n nohtw'n qeva": hJ de; novhsi" metaxu; nou' kai; nohtou'. Kata; tauvthn a[ra th;n mesovthta to;n o{lon Oujrano;n iJdru'sqai lektevon kai; to;n e{na suvndesmon e[cein tw'n qeivwn diakovsmwn, 5 patevra me;n o[nta tou' noerou' gevnou", ajpogennwvmenon de; ejk tw'n pro; aujtou' basilevwn, ou}" dh; kai; levgetai oJra'n: ejf eJkavteron de; touvtou tovn te uJperouravnion tetavcqai tovpon kai; th;n uJpouranivan aJyi'da. ıV Pavlin toivnun, eij mevn ejstin oJ uJperouravnio" tovpo" to; ajmevqekton kai; kruvfion tw'n nohtw'n qew'n gevno", pw'" tosou'ton ejkei' plh'qo" iJdruvsomen qei'on, kai; tou'to diakekrimevnon, th;n ajlhvqeian, th;n ejpisthvmhn, th;n dikaiosuvnhn, th;n swfrosuvnhn, to;n leimw'na, th;n 15 Adravsteian Ou[te ga;r aiJ tw'n ajretw'n phgai; toi'" nohtoi'" proshvkousi qeoi'" ou[te hJ diavkrisi" kai; hJ poikiliva tw'n eijdw'n. Ta; ga;r prwvtista kai; eJnikwvtata to;n dhmiourgiko;n nou'n to;n o{lon ejpi; to; nohto;n ajnateivnei paravdeigma kai; th;n ejkei' tw'n eijdw'n periochvn, oJ de; ejn tw'/ Faivdrw/ 20 Swkravth" to;n meriko;n nou'n qea'sqaiv fhsi to;n uJperouravnion tovpon: oJ ga;r th'" yuch'" kubernhvth" ou|tov" ejstin, wJ" kai; toi'" pro; hJmw'n ei[rhtai kalw'". Eij toivnun dei' kajk th'" ajnalogiva" tauvth" th;n tw'n nooumevnwn qhra'sai diaforavn, w{sper ajmevqekto" me;n oJ dhmiourgikov" 25 ejsti nou'", metecovmeno" de; oJ merikov", ou{tw kai; to; nohto;n 23 to; me;n tou' dhmiourgou' to; prwvtiston paravdeigma tw'n prwvtwn ejsti; nohtw'n, to; de; tou' merikou' tw'n deutevrwn, a} dh; nohta; mevn ejstin, ajll wJ" ejn noeroi'" nohth;n e[lacen uJperochvn. 10

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Urano. Intermedio dunque tra gli intelligibili e gli intellettivi è il regno che ha ottenuto in sorte il grandissimo Urano; ed in effetti il «moto di rotazione» nel Fedro43 è intellezione, attraverso cui non solo gli dèi tutti, ma anche le anime ottengono la visione degli 22 intelligibili; l’intellezione dal canto suo è ad un livello intermedio fra intelletto e oggetto di intellezione. Di conseguenza si deve dire che Urano nella sua totalità44 è stabilito in questo livello intermedio, e che esso è in possesso del solo ed unico legame degli ordinamenti divini, in quanto è padre del genere intellettivo, ma è 5 d’altra parte generato dai Re che lo precedono, i quali si dice appunto che egli «vede»45; bisogna infine dire che dall’una e dall’altra parte del cielo sono posti «il luogo sovraceleste» e «la volta subceleste». 6 [Dimostrazioni, tratte dagli insegnamenti che sono stati tramandati sul «luogo sopraceleste», del fatto che esso non è in senso assoluto intelligibile, ma ha avuto il rango di intelligibile tra le entità intellettive] Viceversa dunque, se è «il luogo sovraceleste» il genere impar- 10 tecipato e nascosto degli dèi intelligibili, come potremo stabilirvi una tanto grande molteplicità divina, che per giunta è una molteplicità che risulta ben distinta, la Verità, la Scienza, la Giustizia, la Temperanza, il prato e Adrastea46? Ed infatti né le fonti delle virtù 15 né la distinzione e la varietà delle virtù si confanno agli dèi intelligibili. Infatti le entità primissime e supremamente unitarie elevano l’intelletto demiurgico nella sua totalità al modello intelligibile e all’ambito complessivo delle forme ivi presenti; d’altra parte Socrate nel Fedro afferma che l’intelletto particolare contempla «il 20 luogo sopraceleste»: infatti è questo il «pilota dell’anima»47, come è stato opportunamente osservato da coloro che ci hanno preceduto48. Se pertanto occorre, anche a partire da questa analogia, mettersi alla ricerca della differenza fra gli oggetti di intellezione, allo stesso modo in cui l’intelletto demiurgico è impartecipabile, 25 mentre quello particolare è partecipato, così anche il carattere intelligibile proprio del Demiurgo, vale a dire il primissimo model- 23 lo, fa parte dei primi intelligibili, mentre quello dell’intelletto particolare fa parte degli intelligibili di secondo livello, che sono certo sì intelligibili, ma che hanno avuto in sorte una superiorità intelligibile solo in rapporto agli intellettivi.

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TEOLOGIA PLATONICA

Eij de; ejpevkeina me;n th'" oujraniva" perifora'" oJ uJperouravnio" tovpo", katadeevstero" de; tw'n nohtw'n ejkeivnwn triavdwn, diovti kai; ajnhvplwtai ma'llon (pedivon gavr ejstin ajlhqeiva", ajll oujk a[duton) kai; dihv/rhtai kata; to; plh'qo" tw'n eijdw'n kai; poikilivan e[cei dunavmewn, 10 kai; oJ leimw;n oJ ejkei'se kai; trevfei ta;" yuca;" kai; oJratov" ejstin aujtai'", tw'n prwvtwn nohtw'n e{nwsin a[rrhton ejpilampovntwn tai'" yucai'", ajll ouj dia; nohvsew" aujtai'" gignwskomevnwn, ajnavgkh dhvpou metaxu; th'" te nohth'" fuvsew" kai; th'" oujraniva" perifora'" ei\nai to;n uJpe15 rouravnion tovpon. Eij de; kai; aujto;" oJ Plavtwn oujsivan th;n o[ntw" ou\san uJpotivqetai kata; to;n tovpon tou'ton, pw'" ouj nohto;n ei\nai bouvletai kai; tw'n prwvtwn nohtw'n metevcein Diovti me;n ga;r oujsiva, nohtov" ejsti, diovti de; o[ntw" ou\sa, 20 metevcei tou' o[nto". Kai; mh;n plh'qo" me;n e[cwn ejn eJautw'/ tw'n nohtw'n, oujk a]n kata; th;n prwvthn tavttoito triavda, to; ga;r e}n o]n ejkei' kai; ouj to; plh'qo" tw'n o[ntwn: zwh;n de; poikivlhn e[cwn, h}n oJ leimw;n ejndeivknutai, th'" deutevra" ejsti; katadeevstero" 25 (hJ ga;r nohth; zwh; miva kai; ajdiavkritov" ejstin): ei[desin de; au\ dih/rhmevnoi" prolavmpwn kai; tavxesi pantoivai" kai; gonivmoi" dunavmesi, th'" pantelou'" ajpoleivpetai triavdo". Eij toivnun touvtwn mevn ejsti deuvtero" presbeiva/ kai; 24 dunavmei, th'" de; oujraniva" tavxew" uJperivdrutai, nohto;" mevn ejstin, ajlla; tw'n noerw'n qew'n ajkrovth". Kai; dia; tou'to kai; hJ trofh; tai'" yucai'" ejkei'qen. Trofh; ga;r to; nohtovn, ejpei; kai; ta; prwvtista nohta; trevfein 5 levgetai ta;" yucav", to; kalovn, to; sofovn, to; ajgaqovn (touvtoi" gavr, fhsiv, trevfetai to; yuch'" ptevrwma, toi'" de; ejnantivoi" fqivnei te kai; diovllutai): ajlla; tau'ta me;n ejxh/rhmevnw" kai; di eJnwvsew" kai; sigh'", oJ de; uJperouravnio" tovpo" dia; nohvsew" kai; ejnergeiva" 10 trevfein levgetai kai; plhrou'n to;n eujdaivmona coro;n tw'n yucw'n tou' nohtou' fwto;" kai; tw'n gonivmwn ojcetw'n th'" zwh'". 5

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LIBRO IV, 6

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D’altra parte se «il luogo sopraceleste» è al di là della «rivolu- 5 zione» celeste, mentre è al di sotto delle triadi intelligibili di cui si è detto, proprio per il fatto che esso risulta più dispiegato (infatti esso è «pianura della verità», ma non “l’interno del santuario”) e risulta diviso nella molteplicità delle Forme e possiede una verità di potenze; e se «il prato» che è lì nutre le anime ed al contempo 10 è per esse visibile, mentre i primi intelligibili fanno risplendere sulle anime una unità ineffabile, ma non sono conosciuti da esse per intellezione, è necessario a mio avviso che a metà tra la natura intelligibile e la «rivoluzione» celeste venga a trovarsi «il luogo 15 sopraceleste». Se poi anche lo stesso Platone presuppone che «l’essenza che realmente è» sia posta in questo luogo, come non si può pretendere che essa sia intelligibile e che partecipi dei primi intelligibili? Infatti proprio in virtù del fatto che è «essenza», è intelligibile, mentre in virtù del fatto che «è realmente», partecipa dell’essere. 20 E di fatto , avendo in sé la molteplicità degli intelligibili, non potrebbe essere posto al livello della prima triade; infatti lì v’è l’Uno-che-è e non la molteplicità degli enti; d’altra parte dato che ha una forma di vita varia, quella che «il prato» sta ad indicare, è inferiore alla seconda triade (infatti la vita 25 intelligibile è una sola e priva di distinzione); inoltre poiché a sua volta risplende di Forme divise, di ordinamenti di ogni genere e di potenze generative, esso è inferiore alla triade compiutamente perfetta49. Se pertanto esso è inferiore a queste triadi «per dignità e potenza»50, ma è d’altra parte posto al di sopra dell’ordinamen- 24 to celeste, è intelligibile, ma come sommità degli dèi intellettivi. Ed è per questo motivo che da lì proviene anche il nutrimento per le anime. Infatti l’intelligibile è nutrimento, dato che i primissimi intelligibili si afferma che «nutrono le anime», ed essi 5 sono «“il bello”, “il sapiente”,“il bene”»51 («infatti di questi – dice – si nutrono le ali dell’anima, mentre dai loro contrari sono guastate e distrutte»52); ma queste entità nutrono in modo trascendente e attraverso unità e silenzio, mentre il «luogo sovraceleste» si dice che nutre attraverso intellezione e attività e che 10 ricolma il «coro felice»53 delle anime della luce intelligibile e dei generativi «canali»54 della vita.

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TEOLOGIA PLATONICA

zV Meta; de; to;n uJperouravnion tovpon kai; aujto;n to;n 15 oujrano;n hJ uJpouravniov" ejstin aJyiv". Hn o{ti me;n uJpo; to;n oujrano;n dei' tavttein, ajll oujk ejn aujtw'/ tw'/ oujranw'/, panti; katafanev": ouj ga;r oujravnio" aJyiv", ajll uJpouravnio" para; tou' Plavtwno" proseivrhtai: kai; o{ti prosecw'" ejstin uJpo; th;n oujranivan periforavn, kai; tou'to 20 dh'lon ejk tw'n peri; aujth'" gegrammevnwn. Eij de; dei' toiauvthn ou\san th;n uJpouravnion aJyi'da th'/ tw'n noerw'n ajkrovthti th;n aujth;n poiei'n, ajlla; mh; tw'/ pevrati tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n, to; loipo;n h[dh qewrei'n ajnagkai'on. Ekeivnh me;n ga;r dievkrinen auJth;n ajpo; th'" Oujranou' 25 basileiva", au{th de; sunhvnwtai kai; uJp aujth'" perievcetai 25 pantacovqen: kai; ejkeivnh me;n to;n o{lon uJfivsthsi nou'n kai; ta; noera; plhvqh kai; ta;" makariva", w{" fhsin oJ Swkravth", tw'n qew'n diexovdou", au{th de; peratoi' movnon th;n oujranivan seira;n kai; th'" ejpi; to;n oujranovn ejstin 5 ajnovdou toi'" qeoi'" corhgov". Otan ga;r ejpi; dai'tav te kai; qoivnhn ajnavgwntai kai; th;n tw'n nohtw'n ajgaqw'n ajpoplhvrwsin oiJ qeoiv, tovte dh; poreuvontai pro;" to; a[nante" ejpi; th;n uJpouravnion aJyi'da kai; di ejkeivnh" eij" th;n oujranivan ajnavgontai periforavn. Oujkou'n 10 telewtikh;n th;n aJyi'da th;n uJpouravnion tw'n qew'n kai; ejpistreptikh;n prov" te to;n o{lon oujrano;n kai; to;n uJperouravnion tovpon proseipw;n oujk a]n aJmavrtoi" th'" tou' Plavtwno" dianoiva". Trevfontai me;n ga;r oiJ qeoi; tw'/ nohtw'/ kai; tw'/ leimw'ni kai; toi'" ei[desi toi'" 15 qeivoi", w|n ejsti perilhptiko;" oJ uJpe;r to;n oujrano;n tovpo", th'" de; trofh'" tauvth" ajpoplhrou'ntai dia; th'" uJpouraniva" aJyi'do": ajpo; ga;r tauvth" kai; th'" tou' oujranou' perifora'" metalagcavnousin. Epistrevfontai me;n a[ra dia; th;n uJpouravnion aJyi'da, novhsin de; ajkmaivan uJpo20 devcontai para; th'" oujraniva" tavxew", plhrou'ntai de; tw'n nohtw'n ajgaqw'n ajpo; tou' uJperouranivou tovpou. Dh'lon dh; ou\n o{ti th;n me;n ajkrovthta th;n nohth;n oJ uJperouravnio" tovpo" e[lacen, to; de; mevson plavto" hJ tou' oujranou' periforav, to; de; pevra" to; nohto;n hJ 25 aJyiv". Pantaãcou'Ã ga;r ejpistreptiko;n me;n oJ nou'", ejfeto;n de; to; nohtovn, hJ de; novhsi" hJ qeiva sumplhroi' to; mevson,

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LIBRO IV, 7

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7 [Richiami, tratti dalle proprietà della «volta subceleste», al fatto che essa è il limite inferiore degli dèi intelligibili-intellettivi] Dopo «il luogo sopraceleste» e il cielo stesso viene la «volta 15 sottoceleste». Il fatto che si deve porre essa al di sotto del cielo, ma non nel cielo stesso, risulta palese per chiunque: infatti essa viene denominata da Platone «volta» non “celeste”, ma «subceleste»; ed il fatto che si trova immediatamente al di sotto della «rivoluzione» celeste, anche questo risulta evidente in base a quanto è 20 stato scritto su di essa. Ma se la «volta subceleste», essendo tale, vada identificata con la sommità degli intellettivi, ma non con il limite degli intelligibili-intellettivi, è ciò che a questo punto ci rimane necessariamente da considerare. In effetti la sommità degli intellettivi ha distinto se stessa dal regno di Urano, mentre «la volta subceleste» è da esso unificata e 25 contenuta da ogni parte. E la prima fa sussistere la totalità dell’in- 25 telletto e le molteplicità intellettive e i «beati percorsi», come dice Socrate, seguiti dagli dèi, mentre la seconda limita solamente la serie celeste e garantisce agli dèi la via di ascesa verso il cielo. 5 Infatti «allorché essi salgono per il loro pasto e banchetto» e per ricolmarsi dei beni intelligibili, allora appunto «procedono in salita verso la volta subceleste» e attraverso quella salgono in direzione della «rivoluzione» celeste55. Di conseguenza chiamando la «volta subceleste» “perfezionatrice” e “atta a convertire” verso il 10 cielo nella sua interezza e verso «il luogo sovraceleste» non ci allontaneremmo dal pensiero di Platone. In effetti gli dèi «si nutrono» dell’intelligibile e del prato e delle Forme divine, che 15 sono contenute dal luogo posto al di sopra del cielo; d’altra parte essi si ricolmano di questo nutrimento per il tramite della «volta subceleste»: infatti è ad opera sua che essi divengono partecipi della «rivoluzione» del cielo. Dunque da un lato vengono convertiti in virtù della «volta subceleste», dall’altro ricevono una intellezione al culmine della sua pienezza56 da parte dell’ordinamento 20 celeste, ed infine vengono ricolmati dei beni intelligibili dal «luogo sopraceleste». È dunque evidente che «il luogo sopraceleste» ha avuto in sorte la sommità intelligibile, mentre la «rivoluzione» del cielo l’ambito intermedio, ed infine la «volta» il limite intelligibile. In ogni ambito infatti l’intelletto converte, l’intelligibile dal canto 25 suo è oggetto di desiderio, e l’intellezione divina infine va a costi-

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TEOLOGIA PLATONICA

teleiou'sa me;n ta;" ejpistrofa;" tw'n qeivwn kai; sundevousa toi'" prwvtoi", ejkfaivnousa de; ta;" tw'n nohtw'n ejfevsei" kai; sumplhrou'sa ta; deuvtera tw'n prohgoumevnwn ajgaqw'n. hV Alla; peri; me;n th'" tavxew" tw'n triw'n touvtwn oi\mai dia; touvtwn uJpemnh'sqai metrivw". Isw" d a[n ti" hJma'" e[roito, tiv dhvpote kata; to; mevson ejntau'qa th;n suvmpasan 5 provodon tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n qew'n carakthrivzomen kai; tw'n a[krwn to; me;n uJperouravnion, to; de; uJpouravnion ajpokalou'men, ejk th'" pro;" to; mevson scevsew", tou' me;n th;n ejxh/rhmevnhn uJperochvn, tou' de; th;n prosech' kai; sunhmmevnhn uJpovbasin ejndeiknuvmenoi. Tavc ou\n pro;" me;n 10 tou'ton ajpokrinouvmeqa suntovmw" o{ti to; gevno" o{lon tou'to tw'n qew'n tw'n noerw'n sundetikovn ejsti tw'n a[krwn ajmfotevrwn, toi'" me;n th'" ejpistrofh'" ai[tion uJpavrcon, toi'" de; th'" ejkfavnsew" kai; th'" eij" ta; deuvtera parousiva". Wsper ou\n tou;" nohtou;" patrikou;" pavnta" kai; eJniaivou" 15 ejk th'" ajkrovthto" carakthrivzonte" ejponomavzomenb kai; ta; pevrata tw'n o{lwn ejkeivnou" ei\nai levgomen, tav te oujsiopoia; kai; ta; th'" ajidiovthto" ai[tia kai; ta; th'" eijdopoii?a" uJpostatikav, to;n aujto;n dhvpou trovpon kai; tou;" mevsou" touvtou" qeou;" ejk th'" ejn aujtoi'" mesovthto" wJ" tw'n 20 o{lwn sundevsmwn hJgemovna" ejkfaivnomen. Pa'sa ga;r hJ mevsh diakovsmhsi" au{th zwopoiov" ejsti kai; sunektikh; kai; telesiourgov": ajll hJ me;n ajkrovth" aujth'" ejkfaivnei sunqhvmata tw'n nohtw'n kai; th;n a[rrhton aujtw'n e{nwsin, hJ de; ajpoperavtwsi" ejpistrevfei tou;" noerou;" kai; sunavptei 25 toi'" nohtoi'", hJ de; mesovth" w{sper eij" kevntron auJth;n 27 koino;n sunavgei kai; sunereivdei ta; o{la gevnh tw'n qew'n. Dio; dh; kai; ta; a[kra kata; th;n pro;" aujth;n ajnafora;n thvn te th'" uJperoch'" kai; th'" uJfevsew" ajpodivdomen, to; me;n uJpe;r aujthvn, to; de; uJp aujth;n kalou'nte". 26

b Gli Editori individuano qui una lacuna. Ma il testo non sembra richiedere alcuna integrazione.

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LIBRO IV, 8

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tuire il termine intermedio, in quanto essa da un lato porta a compimento le conversioni degli esseri divini e li collega alle entità prime, dall’altro rivela i desideri per gli intelligibili e ricolma le entità di secondo livello dei beni che sono ad esse superiori. 26 8 [Per quale motivo Platone caratterizza questo ordinamento degli dèi a partire dal livello intermedio insito in esso, tramandando i nomi dei livelli estremi in base al rapporto di questi ultimi con il livello intermedio]

Ma riguardo all’ordinamento di queste tre realtà ritengo che attraverso queste considerazioni se ne sia fatta sufficientemente menzione. Forse però qualcuno potrebbe domandarci come mai sia in base al termine intermedio che qui noi caratterizziamo tutta 5 quanta la processione degli dèi ad un tempo intelligibili ed intellettivi e denominiamo uno dei termini estremi “sopraceleste”, mentre l’altro “subceleste”, indicando in base alla relazione con il termine intermedio la trascendente superiorità dell’uno e il declinare continuo e congiunto57 dell’altro. Forse possiamo risponde- 10 re a costui brevemente che tutto questo genere nella sua interezza tra gli dèi intellettivi collega tra loro i due livelli estremi, essendo di fatto per gli uni principio causale della conversione, per gli altri del rivelarsi e dell’essere presenti nelle entità inferiori. Come dunque denominiamo gli dèi intelligibili tutti “paterni” e “unitari” caratterizzandoli in base alla superiorità e diciamo che quelli sono 15 i limiti della totalità delle cose, limiti che sono produttori di essenza e principi causali dell’eternità e che fanno sussistere la produzione di forme, allo stesso modo a mio avviso riveliamo anche questi dèi intermedi in base al livello intermedio in essi insito 20 come sovrani dei legami universali. Infatti tutto questo ordinamento intermedio è artefice di vita, connettivo e perfezionatore; ma la sua sommità rivela «segni distintivi»58 degli intelligibili e la loro ineffabile unità, mentre il limite inferiore converte gli dèi intellettivi e li congiunge agli intelligibili, ed il livello intermedio 25 infine raggruppa e stringe verso di sé come verso un «centro» 27 comune tutti i generi degli dèi nella loro totalità. Proprio per questo appunto definiamo i livelli estremi sulla base del loro rapporto di superiorità o di inferiorità rispetto al livello intermedio, designando l’uno di questi livelli estremi come “al di sopra del livello intermedio”, l’altro come “al di sotto di esso”.

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TEOLOGIA PLATONICA

qV Pro;" me;n ou\n to;n ajporou'nta peri; tw'n ojnomavtwn dia; touvtwn ajpokrinouvmeqa suntovmw", w{sper e[fhn. Tou' ãde;Ã Plavtwno" kajntau'qa th;n e[nqeon ejpisthvmhn a[xion qaumavzein, o{ti kata; tou;" ajkrotavtou" tw'n telestw'n to;n 10 th'" ajnovdou trovpon uJfhghvsato tw'n o{lwn ejpi; to; nohtovn. Prw'ton me;n ga;r ejpi; ta;" phga;" dia; tw'n ajpoluvtwn hJgemovnwn ajnavgei ta;" yuca;" kai; aujtou;" tou;" qeouv" (aiJ ga;r makavriai kai; ªaiJº pamplhqei'" qevai te kai; dievxodoi diaferovntw" ejn tauvtai" eijsivn, ejn ai|" kai; toi'" 15 qeourgoi'" hJ suvmpasa th'" swthriva" ejlpiv": eijsi; toivnun makavriai me;n dia; ta;" ajcravntou" monavda", pamplhqei'" de; dia; th;n th'" qeiva" eJterovthto" aijtivan, qevai de; kai; dievxodoi dia; ta;" noera;" kai; patrika;" dunavmei"): deuvteron de; ajpo; tw'n phgw'n kai; dia; tw'n phgw'n ejpi; tou;" 20 th'" teleiovthto" hJgemovna" (meta; ga;r ta;" polla;" kai; dih/rhmevna" nohvsei" ejkfaivnetai to; tw'n telesiourgw'n 28 qew'n noerw'n ajgaqovn, a[nwqen ajp aujtw'nc qew'n ajnaplouvmenon kai; fwtivzon hJma'", kai; pro; tw'n hJmetevrwn yucw'n ta;" o{la", kai; pro; touvtwn aujtou;" tou;" qeouv"): ajpo; de; tw'n telesiourgw'n ejpi; tou;" sunektikou;" tw'n 5 noerw'n pavntwn diakovsmwn. Ekeivnwn ga;r ejxhvrthntai kai; met ejkeivnwn uJfesthvkasin kai; perievcontai uJp aujtw'n: kai; tosauvth tw'n qew'n touvtwn ejsti; koinwniva kai; e{nwsi" w{ste kai; tw'n kleinotavtwn tina;" taujtovthta pantelh' kai; ajdiaivreton aujtw'n uJpoqevsqai, th;n ejn aujtoi'" diavkrisin 10 tw'/ logismw'/ perilabei'n ouj dunhqevnta". Epei; kajntau'qa dovxeien a[n tini th'" oujraniva" perifora'" to; pevra" th;n aJyi'da levgein oJ Plavtwn, ajll oujk e[stin: ouj ga;r oujranivan aujthvn, ajll uJpouranivan proseivrhken aujtov". Kaqavper ou\n to; uJperouravnion tou' oujranou' kat oujsivan ejxhv/rh15 tai, kata; ta; aujta; dh; kai; to; uJpouravnion th'" Oujranou' basileiva" uJpobevbhken: to; me;n ga;r uJperoch'", to; de; uJfevsewv" ejsti prosecw'" tetagmevnh" ajpodeiktikovn. Meta; 5

c Gli Editori integrano ajp aujtw'n ãtw'n nohtw'n kai;Ã noerw'n. Tale integrazione non pare però necessaria.

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LIBRO IV, 9

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9 [Sul fatto che la modalità di ascesa verso l’intelligibile tramandata da Platone è la stessa che hanno tramandato gli iniziatori ai misteri]

5

Dunque a colui che solleva difficoltà sui nomi rispondiamo brevemente, come dicevo, attraverso tali considerazioni. D’altra parte anche in questo aspetto è bene ammirare la scienza divinamente ispirata di Platone, poiché secondo i più sommi tra gli iniziatori ai misteri59 essa ha illustrato la modalità dell’ascesa di tutte 10 quante le entità verso l’intelligibile. In primo luogo infatti fa ascendere le anime e gli dèi stessi per il tramite dei sovrani60 non-vincolati verso le «fonti» (infatti «le beate» e «assai numerose visioni come anche i percorsi determinati»61 si trovano soprattutto in queste fonti, nelle quali anche per i teurghi è riposta tutta quanta la speranza della salvez- 15 za: esse sono pertanto “beate” in virtù delle monadi pure, sono “assai numerose” in virtù della causa dell’alterità divina62, infine sono “visioni” e “percorsi determinati” in virtù delle potenze intellettive e paterne); in secondo luogo poi a partire dalle fonti e attraverso le fonti verso i sovrani della perfezione (infatti dopo le molteplici e divise 20 intellezioni si rivela il bene degli dèi perfezionatori, bene che dal- 28 l’alto a partire dagli stessi dèi intellettivi si dispiega e ci illumina, e prima delle nostre anime illumina quelle universali, e prima di queste gli déi stessi); infine a partire dagli dèi perfezionatori verso gli dèi connetivi di tutti gli ordinamenti intellettivi. Infatti è dagli dèi connettivi 5 che dipendono ed è insieme ad essi che sono venuti a sussistere ed è da essi che sono compresi; e la comunanza e l’unione di questi dèi è tanto grande che anche alcuni degli più illustri ritengono che ad essi appartenga un’identità assolutamente perfetta e priva di divisioni, dato che non hanno potuto cogliere con 10 il ragionamento la distinzione insita in essi. In effetti anche qui a qualcuno potrebbe sembrare che Platone definisca come la «volta» il limite della «rivoluzione» celeste, ma non è così: infatti egli non denomina la «volta» “celeste”, bensì “subceleste”. Come dunque “il sopraceleste” trascende per essenza il cielo, in base 15 allo stesso rapporto appunto “il subceleste” è posto al di sotto del regno di Urano: il primo infatti è atto a denotare la superiorità, mentre il secondo è atto a denotare l’abbassamento di livello di quella realtà che per ordinamento è posta immediatamente al di

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de; th;n sunektikh;n tauvthn tw'n o{lwn perifora;n ejpi; to;n uJperouravnion ajnavgei tovpon kai; th;n nohth;n 20 e{nwsin tw'n noerw'n: ou| dh; kai; trevfontai kai; eujpaqou'sin oiJ qeoi; mevnonte" kai; tw'n ajrrhvtwn kai; eJniaivwn ajgaqw'n plhrou'ntai. Dia; ga;r tw'n sunektikw'n qew'n kai; para; toi'" qeourgoi'" hJ a[nodo" ejpi; ta;" ajfravstou" kai; nohta;" dunavmei", ta;" tw'n noerw'n pavntwn ajkrovthta". Opw" de; 25 ejnteu'qen h[dh sunavptontai toi'" prwvtoi" nohtoi'", oujkevti dia; lovgwn oJ Plavtwn ejxevfhnen: a[rrhto" gavr ejsti kai; di ajrrhvtwn hJ pro;" ejkei'na sunafhv, kaqavper dh; kai; ªejnº 29 ejkeivnoi" dokei', kai; dia; th'" tavxew" tauvth" hJ mustikh; pro;" ta;" nohta;" kai; prwtourgou;" aijtiva" e{nwsi". O aujto;" a[ra trovpo" th'" ajnagwgh'" kai; par hJmi'n ejsti, kai; dia; tou'de pistovtero" oJ th'" qeourgikh'" ajnovdou 5 trovpo". W" ga;r ta; o{la dia; tw'n prosecw'" uJperkeimevnwn ejpi; ta;" ejxh/rhmevna" a[neisin ajrcav", ou{tw kai; ta; mevrh mimouvmena th;n tw'n o{lwn ajnagwgh;n sunavptetai dia; tw'n mevswn ejpanabasmw'n tai'" aJploustavtai" kai; ajrrhvtoi" aijtivai". Kai; ga;r dh; kai; oJ Plavtwn a} peri; tw'n o{lwn yucw'n 10 ejn touvtoi" paradevdwken, meta; ªde;º tau'ta kai; peri; tw'n hJmetevrwn ejpitrevcwn ejxevfhnen. Kai; prw'ton me;n aujta;" sunavptei toi'" ajpoluvtoi", e[peita dia; touvtwn eij" tou;" telesiourgou;" ajnavgei qeouv", ei\ta dia; touvtwn eij" tou;" sunektikouv", kai; mevcri tw'n nohtw'n wJsauvtw". Levgei 15 gou'n oJ Swkravth" ajfhgouvmeno" to;n trovpon th'" ejpi; to; nohto;n kavllo" ajnovdou, kai; o{pw" eJpovmenoi toi'" qeoi'" pro; tw'n swmavtwn kai; th'" genevsew", th'" makariva" ejkeivnh" qeva" ejtugcavnomen: Kavllo" ga;r tovte h\n ijdei'n lamprovn, o{te su;n eujdaivmoni corw'/ makarivan o[yin 20 te kai; qevan, eJpovmenoi meta; me;n Dio;" hJmei'", a[lloi de; met a[llou qew'n ei\dovn te kai; ejtelou'nto teletw'n, h|/ qevmi" levgein, makariwtavthn. Pw'" sunhvfqhmevn pote tw'/ nohtw'/ kavllei Dia; tw'n ãteletw'nÃ: teletw'n fhsi; telouvmenoi th;n makariwtavthn. Tiv 25 ou\n tou'tov ejstin H toi'" telesiourgoi'" hJgemovsin sunafqevnte" kai; par ejkeivnwn telewqevnte" pro;" th;n tou' kavllou" 30 ajpoplhvrwsin. Tivnwn ou\n hJ teleth; provxenov" ejstin ajgaqw'n Wn wjrgiavzomen oJlovklhroi me;n kai; ajpaqei'"

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sotto del cielo63. Poi dopo questa «rivoluzione» che tiene insieme la totalità delle cose, fa ascendere verso il «luogo sovra- 20 celeste» e verso l’unità intelligibile degli intellettivi; è proprio lì che gli dèi permangono e «si nutrono e si rallegrano» e si ricolmano dei beni ineffabili e unitari. Infatti è per il tramite degli dèi atti a connettere che anche presso i teurghi avviene l’ascesa verso le potenze indicibili e intelligibili, cioè le sommità di tutti gli intellettivi. In che modo poi da qui a questo punto si connettano ai primi 25 intelligibili, Platone non lo ha più rivelato attraverso discorsi: infatti la connessione con quelli è ineffabile e si realizza attraverso tramiti ineffabili, come appunto pare anche ai teurghi, ed è 29 attraverso questo ordinamento che si realizza la mistica unione alle cause intelligibili ed originarie. La stessa modalità di ascesa si trova dunque anche presso di noi64, e attraverso questa più degna di fede risulta anche la modalità della via di ascesa della teurgia. Come infatti le entità univer- 5 sali65 attraverso i livelli che sono posti immediatamente al di sopra risalgono verso i principi trascendenti, allo stesso modo anche le entità particolari, imitando l’ascesa di quelle universali, si connettono attraverso i gradi intermedi alle cause assolutamente semplici ed ineffabili. Ed in effetti anche Platone ciò che ha tramandato in questi passi66 a proposito delle anime universali, lo ha in segui- 10 to rivelato, trattandone brevemente, anche a proposito delle nostre anime. E per prima cosa egli connette le anime alle entità non-vincolate, in seguito attraverso queste ultime fa ascendere le anime verso gli dèi perfezionatori, e poi ancora attraverso questi ultimi agli dèi connettivi, e allo stesso modo fino agli dèi intelligi- 15 bili. Dice dunque Socrate, delineando la modalità della via di ascesa verso la Bellezza intelligibile, e mostrando in che modo, seguendo gli dèi, prima dei corpi e della generazione67, veniamo ad avere quella «beata visione»: «Allora la Bellezza era da vedere nel suo splendore, quando noi insieme a un coro felice avevamo una 20 beata visione e contemplazione, trovandoci al seguito di Zeus, mentre altri al seguito di un altro degli dèi vedevano e nello stesso tempo venivano iniziati a quella che è lecito dire la più beata fra le iniziazioni»68. Ma in che modo abbiamo mai potuto essere collegati alla Bellezza intelligibile? Attraverso le iniziazioni, dice infatti: «essendo iniziati alla più beata delle iniziazioni». Che cosa dunque signi- 25 fica questo? Forse che ci siamo congiunti ai sovrani perfezionatori e che siamo stati condotti da essi a quella perfezione che è il ricolmarsi della Bellezza. Quali beni dunque è in grado di procu- 30 rarci l’iniziazione? «Di quelli che celebravamo da un lato essendo

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o[nte" aujtoiv, oJlovklhra de; kai; aJpla' kai; ajtremh' favsmata muouvmenoi kai; ejpopteuvonte". Oujkou'n to; 5 me;n oJlovklhron tai'" yucai'" ajpo; th'" oujraniva" perifora'" (sunektikh; gavr ejsti tw'n te qeivwn pavntwn genw'n kai; dh; kai; tw'n hJmetevrwn yucw'n: pa'n de; to; sunevcon tw'/ o{lw/ ta; mevrh perievcei kai; to; dih/rhmevnon kai; to; poikivlon eij" e{nwsin kai; aJplovthta sunavgei noeravn): ta; de; 10 oJlovklhra kai; ajtremh' favsmata kai; aJpla' dia; tw'n sunektikw'n qew'n ejkfaivnetai tai'" yucai'" a[nwqen ajpo; tou' uJperouranivou tovpou. Ta; ga;r sunqhvmata ta; mustika; tw'n nohtw'n ejn ejkeivnw/ tw'/ tovpw/ profaivnetai kai; ta; a[gnwsta kai; a[rrhta kavllh tw'n carakthvrwn. Kai; 15 ga;r hJ muvhsi" kai; hJ ejpopteiva th'" ajrrhvtou sigh'" ejsti suvmbolon kai; th'" pro;" ta; nohta; dia; tw'n mustikw'n fasmavtwn eJnwvsew". Kaiv, o} pavntwn ejsti; qaumastovtaton, o{ti tw'n qeourgw'n qavptein to; sw'ma keleuovntwn plh;n th'" kefalh'" ejn th'/ mustikwtavth/ tw'n teletw'n, oJ Plavtwn kai; 20 tou'to proeivlhfen uJp aujtw'n kinouvmeno" tw'n qew'n. Kaqaroi; ga;r o[nte", fhsiv, kai; ajshvmantoi touvtou o} nu'n sw'ma perifevronte" ojnomavzomen, th'" makariwtavth" tauvth" muhvsew" kai; ejpopteiva" ejtugcavnomen, plhvrei" o[nte" tou' nohtou' fwtov": hJ ga;r aujgh; hJ 31 kaqara; sumbolikw'" hJmi'n ejkfaivnei to; nohto;n fw'". Tou' me;n ou\n swvmato" pantelw'" ajfeimevnhn ei[comen th;n ejn tw'/ nohtw'/ zwhvn: th'/ de; tou' hJniovcou kefalh'/ pro;" to;n e[xw tovpon uJperaivronte" tw'n ejkei' musthrivwn kai; th'" 5 nohth'" ejplhrouvmeqa sigh'". Dokei' d e[moige kai; ta;" trei'" aijtiva" ta;" ajnagwgou;" iJkanw'" oJ Plavtwn ejkfaivnein toi'" mh; parevrgw" ajkouvousi tw'n legomevnwn, e[rwta kai; ajlhvqeian kai; pivstin. Tiv gavr ejsti to; sunavpton pro;" to; kavllo" h] oJ e[rw" 10 Pou' de; to; th'" ajlhqeiva" pedivon h] ejn tw'/de tw'/ tovpw/ Tiv de; to; th'" muhvsew" tauvth" ai[tion th'" ajrrhvtou plh;n th'" pivstew" Ouj ga;r dia; nohvsew" oujde; dia; krivsew" o{lw" hJ muvhsi", ajlla; dia; th'" eJniaiva" kai; pavsh" gnwstikh'" ejnergeiva" kreivttono" sigh'", h}n hJ pivsti" ejndivdwsin, ejn tw'/ 15 ajrrhvtw/ kai; ajgnwvstw/d tw'n qew'n iJdruvousa tav" te o{la" yuca;" kai; ta;" hJmetevra". d Gli Editori integrano: ejn tw'/ ajrrhvtw/ kai; ajgnwvstw/ ãgevneiÃ. Tale integrazione non pare necessaria.

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noi stessi integri ed impassibili, dall’altro integre e semplici e stabili erano dal canto loro le visioni cui venivamo iniziati e cui potevamo alla fine accedere»69. Dunque il carattere dell’integrità viene 5 alle anime dalla «rivoluzione celeste» (essa infatti connette tra loro tutti i generi divini ed in modo particolare anche le nostre anime; d’altronde tutto ciò che connette comprende con l’intero le parti e riunisce ciò che è diviso e ciò che è vario verso l’unità e la semplicità intellettiva); dal canto loro le «visioni integre, stabili 10 e semplici» per il tramite degli dèi connettivi si rivelano alle anime dall’alto, dal «luogo sopraceleste». Infatti i «segni specifici» mistici degli intelligibili si presentano in quel luogo, così come le «bellezze» inconoscibili ed ineffabili dei «caratteri specifici». Ed infat- 15 ti l’iniziazione e la visione conclusiva sono «simbolo» del silenzio ineffabile e della unificazione con gli intelligibili per il tramite di visioni mistiche70. Ed inoltre l’aspetto che più di tutti è assolutamente mirabile è il fatto che se i teurghi, nella più segreta della iniziazioni, ordinano di seppellire il corpo ad eccezione della testa, Platone di fatto ha compreso prima anche questo 20 sotto l’ispirazione degli dèi stessi. «Essendo infatti puri – dice – e non sepolti in questa tomba che ora ci portiamo appresso e che chiamiamo corpo»71, potevamo partecipare a questa che è la più beata iniziazione e visione conclusiva, essendo colmi della luce intelligibile; infatti “lo sguardo puro” ci rivela in modo simbolico la luce 31 intelligibile. Dunque la vita che noi avevamo nell’intelligibile era in modo assolutamente perfetto separata dal corpo; d’altro canto «facendo sollevare la testa dell’auriga verso il luogo al di fuori »72 ci colmavamo dei misteri ivi contenuti e del silen- 5 zio intelligibile. D’altra parte a me personalmente sembra che a quanti prestano davvero attenzione alle sue parole Platone riveli in modo adeguato anche le tre cause che ci elevano: «amore», «verità» e «fede»73. Che cosa è infatti ciò che collega alla bellezza se non l’«amore»? Dove si trova poi «la pianura della verità» se non pro- 10 prio in questo luogo74? Infine cosa è che causa questa iniziazione ineffabile se non la «fede»? Infatti non è attraverso intellezione né attraverso giudizio che in generale avviene l’iniziazione, bensì attraverso il silenzio unitario e superiore ad ogni attività conoscitiva, silenzio che è la fede a fornirci, fissando nella natura ineffa- 15 bile e inconoscibile degli dèi le anime universali ed al contempo le nostre.

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iV Alla; tau'ta me;n ejk th'" ejmh'" peri; ta; toiavde sumpaqeiva" memhvkuntai. Pavlin de; ejpi; th;n prokeimevnhn qeologivan 20 ajnadramovnte" ejkfhvnwmen o{sa peri; eJkavsth" tavxew" tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n qew'n oJ Plavtwn hJmi'n ejndeivknutai nohvmata. Nohto;" me;n ou\n ejstin oJ uJperouravnio" tovpo", dio; kai; oujsivan th;n o[ntw" ou\san aujto;n kai; tw'/ nw'/ th'" 25 yuch'" qeato;n ei\naiv fhsin oJ Plavtwn: ajlla; tw'n noerw'n qew'n miva perioch; kai; e{nwsi". Ouj ga;r ou{tw" nohto;" wJ" to; 32 aujtozw'/on oujd wJ" oJ aijw;n oJ prwvtisto" oujde; wJ" aujto; to; prwvtw" e}n o[n. Tau'ta ga;r nohta; prwvtw" o[nta pavntwn ejxhv/rhtai tw'n a[llwn nohtw'n kai; kaq eJauta; prou>fevsthken: oJ de; uJperouravnio" tovpo" prosecw'" 5 uJperivdrutai th'" oujraniva" perifora'" kai; tauvth" ejsti; nohtovn, ajll oujc aJplw'" nohtovn. Kai; o{ti tau'ta ojrqw'" levgomen marturei' kai; oJ Swkravth", dia; tou' oujranou' kai; tai'" yucai'" parevcwn th;n tou' nohtou' touvtou novhsin. En ga;r th'/ periovdw/ tauvth/ 10 kaq h}n sumperiavgontai th'/ tou' oujranou' perifora'/ kaqora'n me;n aujth;n dikaiosuvnhn, kaqora'n de; swfrosuvnhn, kaqora'n de; ejpisthvmhn, kaqora'n de; e{kasta tw'n o[ntw" o[ntwn. Wst eij kai; nohtov" ejstin oJ uJperouravnio" tovpo" kai; to; o[ntw" o[n, ajlla; nohto;n 15 wJ" uJpe;r to;n oujranovn: ta; de; prwvtista nohta; kata; th;n eJautw'n oujsivan ejsti; nohta; kai; kata; th;n ejxh/rhmevnhn tw'n noerw'n pavntwn kai; prwtourgo;n aijtivan. Epei; kai; oJ mevgisto" Krovno", kaivtoi noero;" w]n qeo;" kai; tou' nou' kovro", nohtov" ejstin wJ" pro;" to;n dhmiourgovn: th'" ga;r 20 noera'" triavdo" ejsti;n ajkrovth". Ou{tw" a[ra kai; oJ uJpe;r to;n oujrano;n tovpo" nohth;n e[lacen uJperoch;n pro;" th;n oujranivan periforavn, kai; e[stin wJ" ejn toi'" prwtivstoi" nohtoi'" noerov". Dio; dh; kai; ajnavlogon uJfevsthken th'/ prwtivsth/ triavdi 25 tw'n nohtw'n: ajll ejkeivnh me;n kai; aJplw'" h\n nohthv (to;

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10 [Qual è il «luogo sopraceleste» e come è proceduto a partire dai primi intelligibili e come esso risulta supremo tra le entità intellettive e come Platone ha indicato la sua potenza generativa] Ma mi sono dilungato su questi aspetti per via della mia propensione verso tali argomenti. Ora però ritorniamo alla teologia che è il nostro effettivo argomento e riveliamo tutti quei concetti 20 che Platone ci indica a proposito di ciascun ordinamento degli dèi ad un tempo intelligibili ed intellettivi. Dunque il «luogo sopraceleste» è intelligibile, e proprio per questo Platone afferma che esso è «essenza che è realmente» ed è «contemplabile dall’intelletto dell’anima»75; ma d’altra parte è 25 l’ambito complessivo unico e l’unità degli dèi intellettivi. Infatti non è intelligibile così come lo è il «Vivente-in-sé» né come la pri- 32 missima «eternità» né come lo stesso «Uno-che-è» in senso primo. Queste realtà infatti, essendo intelligibili in senso primo, trascendono tutti gli altri intelligibili e sono presussistite di per se stesse; invece «il luogo sopraceleste» è posto immediatamente al di sopra 5 della «rivoluzione» celeste ed è oggetto intelligibile di questa76, ma non puramente e semplicemente intelligibile. E che noi siamo nel giusto affermando ciò lo testimonia anche Socrate che attribuisce per il tramite «del cielo» anche alle anime l’intellezione di questo intelligibile. Infatti in questa «rotazione» in base alla quale è fatta ruotare a sua volta «con la rivo- 10 luzione del cielo, essa vede la giustizia in sé, poi vede la temperanza, poi ancora la scienza»77 ed infine vede ciascuno degli enti che realmente sono. Sicché, seppure «il luogo sopraceleste» sia intelligibile e sia l’essere che realmente è, tuttavia esso è intelligibile solo in quanto al di sopra del cielo; invece i primissimi intelligibi- 15 li sono intelligibili in base alla loro propria essenza ed in base alla loro forma di causalità, trascendente tutti gli intellettivi ed originaria. In effetti anche il grandissimo Crono, benché sia dio intellettivo e «purezza di intelletto»78, è intelligibile solo in relazione al 20 Demiurgo; infatti è la sommità della triade intellettiva. Così dunque anche il luogo che sta al di sopra del cielo ha ottenuto in sorte una superiorità intelligibile rispetto alla «rivoluzione» celeste, ed è intellettivo solo nell’ambito dei primissimi intelligibili. Proprio per questo esso è venuto a sussistere in modo analogo alla primissima triade degli intelligibili; ma quella è risultata79 25

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ga;r ejn toi'" nohtoi'" nohto;n aJpavntwn oJmou' prou>pavrcei tw'n deutevrwn kai; trivtwn nohtw'n): au{th de; oujc aJplw'" 33 nohthv, tw'n ga;r noerw'n ejstin, ajll ouj tw'n nohtw'n ajkrovth". Kai; dia; tau'ta oJ Plavtwn ejkeivnhn me;n proseivrhken e}n o[n, tauvthn de; oujsivan th;n o[ntw" ou\san. Ekeivnh me;n ga;r aJplovthti qaumasth'/ kai; krufivw/ tou' o[nto" eJnovthti 5 proevcei tw'n o[ntwn aJpavntwn (aujto; gavr ejsti nohto;n to; o]n ejkei'no, kai; ouj ph'/ me;n nohtovn, ph'/ de; noerovn, oujde; peponqo;" to; o[n, ajll eJstiva kai; mona;" hJ presbutavth tou' o[nto"): au{th de; hJ tavxi" th'" eJnwvsew" ejkeivnh" ajpoleivpetai kai; metevcei tou' o[nto", ajll ouj to; aJplw'" ejstin o[n. Dio; kai; 10 oujsivan aujth;n kalei' kai; o[ntw" ou\san wJ" to; nohto;n tou'to kai; oujsiw'de" kata; th;n tou' prwvtw" o[nto" oujsivan uJpodexamevnhn. Kai; ejkeivnh me;n h\n patrikhv (kata; ga;r th;n e{nwsin th;n qeivan kai; to; pevra" uJfevsthken, kai; e[sti pevra" tw'n nohtw'n pavntwn to; kruvfion kai; to; ajkrovtaton): au{th 15 de; mhtrikhv, kata; th;n ajpeirivan uJposta'sa kai; th;n duvnamin ejkeivnhn. Qhlupreph;" gavr ejstin hJ tavxi" au{th kai; govnimo" kai; dunavmesi nohtai'" ta; pavnta paravgousa. Oqen dh; kai; tovpon aujth;n oJ Plavtwn ejkavlesen wJ" uJpodoch;n tw'n 20 patrikw'n aijtivwn kai; loceuvousan kai; proavgousan ta;" gennhtika;" dunavmei" tw'n qew'n eij" ta;" tw'n deutevrwn uJpostavsei": ejpei; kai; th;n u{lhn tovpon eijdw'n prosagoreuvsa" mhtevra kalei' kai; tiqhvnhn ãtw'nà eij" aujth;n ajpo; tou' o[nto" kai; th'" patrikh'" aijtiva" proi>ovntwn lovgwn. 25 Kata; dh; th;n toiauvthn ajnalogivan kai; to;n uJperouravnion tovpon wJ" qhlupreph' kai; touvtwn ai[tion o[nta mhtrikw'", w|n patrikw'" oJ nohto;" pathvr, tw'/ toiw'/de proseiv34 rhken ojnovmati. All hJ me;n u{lh devcetai ta; ei[dh movnon, hJ de; tw'n qew'n mhvthr kai; trofo;" ouj devcetai movnon, ajlla; kai; uJfivsthsi kai; genna'/ ta; deuvtera meta; tou' patrov". Kai; oujc w{sper ta; ejntau'qa gennw'nta e[xw eJautw'n uJpektivqetai 5 ta; gennwvmena, ou{tw dh; kai; hJ gennhtikh; qeovth" ajf eJauth'" eij" to; ejkto;" proavgei ta; eJauth'" e[kgona kai; diorivzei th'" oijkeiva" perioch'", ajll ejn eJauth'/ pavnta genna'/ kai; peri-

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anche puramente e semplicemente intelligibile (infatti ciò che è intelligibile nell’ambito degli intelligibili preesiste a tutti quanti insieme gli intelligibili di secondo e terzo livello); mentre quest’altra triade80 non è semplicemente intelligibile; infatti fa parte degli 33 intellettivi, ma non è sommità degli intelligibili. Ed è per questi motivi che Platone ha chiamato la prima triade «Uno-che-è», mentre quest’altra la ha chiamata «essenza che è realmente». La prima triade infatti, per mirabile semplicità e per la segreta unità dell’essere81, è superiore a tutti quanti gli enti (infatti quello è l’es- 5 sere intelligibile in sé, e non per un verso intelligibile, per un altro intellettivo, né in quanto è venuto a trovarsi accidentalmente “essere”, ma è focolare e monade, la più venerabile, dell’essere); questo livello82 invece manca di quella unità e partecipa dell’essere, ma non è l’essere in senso puro e semplice. Questo è anche il motivo per cui lo chiama «essenza» e «essenza che è realmente» 10 in considerazione del fatto che ha ricevuto questa natura intelligibile ed essenziale in base all’essenza dell’essere in senso primo. Ed inoltre la prima triade è risultata83 paterna (infatti è in base alla divina unità e al limite che è venuta a sussistere, ed è limite degli intelligibili tutti, limite che è segreto e supremo); questa altra triade invece è materna, in quanto è venuta a sussistere in base all’il- 15 limitatezza e a quella potenza.84 Questo ordinamento infatti è femminino e generatore ed ha la proprietà di produrre tutti gli enti per mezzo di potenze intelligibili. Ed è proprio in considerazione di ciò che Platone ha chiamato esso «luogo» nel senso di «entità accoglitrice»85 delle cause paterne ed in quanto partorisce e spinge le potenze generatrici 20 degli dèi a far sussistere le realtà inferiori; in effetti, dopo aver denominato la materia «luogo delle forme»86, egli la chiama «madre» e «nutrice» di principi causali che procedono verso essa a partire dall’essere e dalla causa paterna. È proprio in base a tale 25 analogia ed in quanto è femminino ed è principio causale in modo materno di quelle realtà di cui è causa in modo paterno il Padre intelligibile, che Platone ha denominato «il luogo sopraceleste» in 34 tal modo87. Ma la materia accoglie le forme solamente, invece la «madre» e nutrice degli dèi non le accoglie solamente, ma fa anche sussistere e genera le entità seconde insieme al Padre. E non così come le entità che generano in questo mondo danno alla luce fuori da se stesse le entità generate, allo stesso modo anche la divi- 5 nità generatrice spinge lontano da sé verso l’esterno i prodotti da essa stessa generati e li separa dal suo specifico ambito, ma al contrario essa li genera tutti in sé stessa ed ivi li comprende e li fa

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lambavnei kai; eJdravzei. Dio; kai; tovpo" ejsti;n aujtw'n wJ" eJstivae pantacovqen aujta; perievcousa kai; wJ" tai'" gonivmoi" eJauth'" 10 kai; prwtourgoi'" dunavmesin tav" te proovdou" aJpavsa" tw'n deutevrwn kai; ta; plhvqh kai; th;n poikilivan prokateilhfui'a kai; sunevcousa ejn eJauth'/. Pavnta me;n ga;r ta; o[nta ejn toi'" qeoi'" uJfevsthken kai; uJpo; tw'n qew'n perieivlhptai kai; swv/zetai uJp aujtw'n (kai; pou' ga;r a]n ajpevsth tw'n qew'n 15 kai; th'" ejn aujtoi'" perioch'", pw'" d a]n ajpostavnta kai; ajkarh' diamevnein hjduvnato) diaferovntw" de; ta; gennhtika; tw'n qeivwn perievcein levgetai ta; eJautw'n gennhvmata, kaq o{son prosecw'" aujtw'n ejstin ai[tia kai; meta; diairevsew" pleivono" kai; pronoiva" ijdikwtevra" uJfivsthsin aujtw'n th;n oujsivan. 20 Ta; ga;r patrika; monoeidw'" kai; ejxh/rhmevnw" kai; ajsuntavktw" paravgei ta; deuvtera, kai; perievcei mevn, ajll eJniaivw", ta; eJautw'n e[kgona: kai; th'/ me;n aJplovthti to; poikivlon aujtw'n, th'/ de; eJnwvsei to; plh'qo" proeivlhfen. Dh'lon toivnun ejk tw'n eijrhmevnwn o{ti te nohtov" ejstin oJ 25 uJperouravnio" tovpo", kai; o{pw" dh; nohtov": kai; pro;" touvtoi", o{pw" qhluprephv". Kai; ga;r oJ tovpo" toi'" 35 gennhtikoi'" proshvkei qeoi'" dia; ta;" eijrhmevna" aijtiva": kai; oJ leimw;n phgh; th'" zwogovnou fuvsewv" ejstin, wJ" mikro;n u{steron deicqhvsetai: kai; pavnta oJ Swkravth" ta; ejn aujtw'/ qei'a toiau'ta paralambavnei, th;n ejpisthvmhn, th;n 5 dikaiosuvnhn, th;n swfrosuvnhn, th;n ajlhvqeian aujthvn, th;n Adravsteian, o} dh; kai; mavlista tekmhvrion a[n ti" poihvsaito tou' kai; to;n Plavtwna to; qh'lu th'/ tavxei tauvth/ diaferovntw" ajponevmein, kai; ouj tou;" a[llou" movnon qeolovgou". 10

iaV Tiv" ou\n hJ aijtiva di h}n th;n qeovthta tauvthn ajpofatikw'" oJ Plavtwn th;n prwvthn ajnuvmnhsen ajnavlogon tw'/ eJniv Kai; tivne" aiJ ajpofavsei" Acrwvmaton ga;r aujth;n kai; ajschmavtiston kai; ajnafh' proseivrhke, kai; trei'" tauvta"

e Mi pare più consona la lezione eJstiva rispetto ad aijtiva che è invece accolta dagli Editori.

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risiedere. Questo è il motivo per cui è il “luogo” di essi, in quanto “focolare” che li comprende circondandoli da ogni parte ed in quanto è con le proprie potenze generative ed originarie che fin 10 da principio ha trattenuto e continua a contenere in se stessa tutte le processioni delle entità derivate, le loro forme di molteplicità e la loro varietà. In effetti tutti gli enti sono venuti a sussistere negli dèi, dagli dèi risultano circondati e da essi sono conservati (e dove infatti potrebbero staccarsi dagli dèi e dall’essere compresi in essi, 15 in che modo del resto, se si staccano anche solo per un attimo, potrebbero perdurare?), ma in particolare tra le realtà divine quelle generatrici si dice che comprendano circondandoli i loro prodotti generati, nella misura in cui sono in modo immediato loro principi causali e unitamente ad una maggiore divisione ed a una cura provvidenziale più particolare e specifica fanno sussistere l’essenza di essi. Le entità paterne infatti producono in modo 20 uniforme, trascendente e non coordinato quelle derivate, e senza dubbio circondano i propri prodotti generati, ma unitariamente; ed hanno preceduto con la semplicità la varia natura di essi, mentre con l’unità la loro molteplicità. Risulta pertanto chiaro in base a quanto si è detto che «il luogo 25 sovraceleste» è intelligibile, ed in che senso appunto è intelligibile; ed oltre a questi aspetti, in che senso è femminino. Ed infatti «il luogo» si addice agli dèi generatori per i motivi che si sono 35 detti88; ed «il prato» è la fonte della natura vivificante, come fra breve si mostrerà89; e Socrate considera, allo stesso modo, femminili90 tutte le entità che si trovano in questo luogo, la «Scienza», la «Giustizia», la «Verità» stessa e «Adrastea»; e questa si potrebbe 5 appunto ritenere come la prova decisiva del fatto che anche Platone attribuisce in modo specifico a questo ordinamento il carattere femminile, e non solo gli altri teologi91. 11 [Come Platone ha indicato il carattere specifico inconoscibile della sommità delle entità intelligibili-intellettive e per quale motivo lo ha celebrato al contempo attraverso le affermazioni e attraverso le negazioni] Quale dunque è il motivo per cui Platone dapprima ha celebrato questa divinità ricorrendo alle negazioni in modo analogo all’Uno? E quali sono le negazioni? Infatti egli la ha denominata «priva di colore», «priva di figura», «priva di contatto», ed ha

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uJpavrxei" ajfei'len ajp aujth'", to; crw'ma, to; sch'ma, th;n aJfhvn. Levgw toivnun o{ti kai; hJ tavxi" au{th, tw'n noerw'n ou\sa qew'n ajkrovth", a[gnwstov" ejsti kai; a[frasto" kata; th;n eJauth'" ijdiovthta kai; dia; sunqhmavtwn gignwvsketai 20 nohtw'n. Akrovth" ga;r uJpavrcousa tw'n noerw'n sunhvnwsen eJauth;n toi'" nohtoi'": kai; pw'" ga;r a]n ta; noera; sunhvpteto toi'" nohtoi'", eij mh; nohth;n uJperoch;n eJautw'n prou>pevsthsen Tiv" d a]n sunevceia kai; koinwniva tw'n o{lwn ejqewrei'to diakovsmwn, eij mh; ta; pevrata tw'n prwvtwn 25 oJmoiovthtav tina pro;" ta;" ajrca;" ei\ce tw'n deutevrwn Kata; 36 ga;r th;n oJmoiovthta tauvthn sumfuvetai tau'ta ajllhvloi" kai; kata; mivan uJfivstatai pavnta seiravn. Wsper ou\n tw'n nohtw'n to; pevra" h\n noerovn, ou{tw" hJ tw'n noerw'n ajrch; nohth;n e[lacen u{parxin: kai; nohto;n me;n eJkavteron touvtwn, ajll ou| 5 me;n nohto;n aJplw'", ou| d ãoujkà a[neu prosqhvkh" tou' noerou'. Tau'ta toivnun ajllhvloi" sunufevsthken, kai; to; me;n patrikw'" ai[tiovn ejsti tw'n o{lwn, kaq o{son ejsti; nohtovn, kai; to; noero;n ejn aujtw'/ nohtw'" proteivnetai: to; de; gennhtikw'" tw'n aujtw'n ejstin uJpostatikovn, diovti 10 noerovn ejsti kai; to; nohto;n ajgaqo;n ejn tw'/ noerw'/ gevnei proesthvsato. Pavnta ou\n ejx ajmfoi'n, ejxh/rhmevnw" me;n ajpo; tou' noerou' tw'n nohtw'n, suntetagmevnw" de; ajpo; tou' nohtou' tw'n noerw'n. Kai; ajmfovtera me;n ajgnwvstoi" uJpavrxesin ajgavlletai kai; sunqhvmasi movnoi" gnwrivzetai nohtoi'" 15 mustikw'" kai; ajrrhvtw", w{" fhsin oJ Plavtwn (dio; kai; tovlman ajpokalei' th;n peri; aujtw'n ejkfaivnein ta; a[rrhta kai; lovgw/ th;n a[gnwston e{nwsin ajfermhneuvein ejpiceirou'san), ajll ejk tou' nohtou' pevrato" kai; hJ tw'n noerw'n ajkrovth" e[cei th;n a[gnwston ijdiovthta. Kaq o{son ga;r sunhvnwsen 20 eJauth;n toi'" prwvtoi" nohtoi'" kai; peplhvrwtai th'" eJniaiva" aujtw'n kai; ajrrhvtou kai; patrikh'" uJpavrxew", kata; tosou'ton kai; au{th prou>pavrcei tw'n noerw'n ajgnwvstw". Diovper a[lhptov" ejsti toi'" met aujthvn, gignwvsketai de; uJpo; tw'n pro; aujth'", eij" th;n sunech' pro;" aujta; e{nwsin uJperaplw25 qei'sa, kai; gignwvskei ta; pro; aujth'" nohtw'": tou'to de; 15

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eliminato da essa queste tre realtà, il colore, la figura ed il con- 15 tatto. Io affermo pertanto che anche questo ordinamento, essendo la sommità degli dèi intellettivi, è inconoscibile ed indicibile in base al suo carattere specifico e si lascia conoscere solo per il tramite di «segni»92 intelligibili. Infatti, sussistendo di fatto come sommità 20 degli intellettivi, ha unito se stessa agli intelligibili: ed in effetti come potrebbero gli intellettivi essere congiunti agli intelligibili, se non facendo fin da principio sussistere tra loro stessi una superiorità intelligibile? Quale continuità e comunanza fra gli ordinamenti divini si potrebbe contemplare, se i limiti inferiori delle entità prime non avessero una certa somiglianza con gli inizi 93 delle enti- 25 tà seconde? È in base a questa somiglianza infatti che queste entità 36 sono per natura affini le une alle altre ed in base ad un’unica serie tutte sussistono. Come dunque il limite degli intelligibili è risultato94 intellettivo, così l’inizio degli intellettivi è venuto ad avere una realtà di natura intelligibile; e ciascuno di questi due livelli è intelligibile, ma in un caso è puramente e semplicemente intelligibile, 5 nell’altro non senza che vi sia l’aggiunta del carattere intellettivo. Questi livelli sono pertanto venuti a sussistere l’uno insieme all’altro, e l’uno è in modo paterno principio causale della totalità delle cose, in quanto è intelligibile, ed il carattere intellettivo si presenta in esso in modo intelligibile; l’altro invece fa sussistere le medesime cose in modo generativo, proprio per il fatto che è intellettivo ed ha preposto nel genere intellettivo il bene intelligibile. Tutte le cose 10 dunque derivano da questi due livelli, in modo trascendente dall’intellettivo degli intelligibili, in modo coordinato dall’intelligibile degli intellettivi. Ed entrambi questi livelli si compiacciono di forme di realtà inconoscibili e si fanno conoscere solo con «segni» intelligibili in modo mistico e ineffabile, come afferma Platone (ec- 15 co perché chiama “audacia” il tentativo di rivelare a proposito di questi livelli le loro nature ineffabili e di spiegare con il discorso la loro inconoscibile unità), ma è dal limite intelligibile che anche la sommità degli intellettivi ha il suo specifico carattere inconoscibile. Infatti nella misura in cui la sommità degli intellettivi ha unito se stessa ai primi intelligibili e si è ricolmata della loro realtà unitaria, 20 ineffabile e paterna, anche questa a sua volta preesiste agli intellettivi in modo inconoscibile. Perciò è incomprensibile per le realtà che vengono dopo essa, mentre si fa conoscere da quelle che le sono anteriori, essendo stata semplificata ad un livello superiore per venire a formare una unità continua con queste realtà, e conosce le realtà che le sono anteriori in modo intelligibile; ciò d’al- 25

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oujde;n diafevrei th'" eJnoeidou'" kai; ajrrhvtou gnwvsew". H 37 ga;r nohth; gnw'si" pavsh" ejsti; gnwvsew" e{nwsi" kai; aijtiva

kai; ajkrovth" kai; a[gnwsto" kai; kruvfio" u{parxi". Epeidh; toivnun kai; th'" noera'" aJpavsh" diakosmhvsew" hJ miva kai; hJnwmevnh tria;" th'" ajgnwvstou tw'n nohtw'n eJnwvsew" 5 eijkwvn ejstin, eij qevmi" eijpei'n, noerav, kai; th;n aujth;n proesthvsato th'/ eJauth'" aijtiva/ duvnamin eJnoeidh' kai; a[gnwston ejn toi'" noeroi'", dia; tw'n ajpofavsewn aujth;n oJ Plavtwn ejkfaivnei mustikw'". To; ga;r ajkrovtaton pantacou' kai; to; a[gnwston ajnavlogovn ejsti tw'/ eJniaivw/ qew'/. Kaqavper ou\n ejkei'non dia; tw'n 10 ajpofavsewn uJmnei'n ejdidavcqhmen, kata; ta; aujta; dh; kai; ta;" ajkrovthta" tw'n deutevrwn diakovsmwn ta;" eJnoeidei'" kai; ajgnwvstou" ajpofatikw'" ejkfaivnein spoudavsomen. Kai; o{lw", ejpeidh; mevcri tou' uJperouranivou tovpou poiei'tai th;n a[nodon oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth", ajnavlogon aujto;n tw'/ 15 prwvtw/ tavttwn wJ" ejn th'/ diakosmhvsei tauvth/ kai; th'/ tw'n yucw'n ajnovdw/, tai'" ajpofavsesin uJmnei'. Kai; ga;r th;n dhmiourgivan th;n mivan ejn Timaivw/, uJf h|" pa'n to; dhmiourgiko;n gevno" uJfivstatai tw'n qew'n, a[rrhton ei\nai diateivnetai kai; a[gnwston: kai; pantacou' to; ajkrovtaton tauvthn e[cei 20 pro;" ta; deuvtera th;n uJperochvn, mimei'tai ga;r dh; th;n aJpavntwn oJmou' tw'n o[ntwn eJniaivw" ejxh/rhmevnhn aijtivan. All ejkeivnhn me;n movnon dia; tw'n ajpofavsewn wJ" pavntwn prou>pavrcousan uJmnou'men: ta;" de; ajnavlogon ejkeivnh/ proelqouvsa" ajkrovthta" oJmou' kai; katafatikw'" kai; 25 ajpofatikw'" ejkfaivnomen, wJ" me;n ejxh/rhmevna" uJperoca;" tw'n deutevrwn, ajpofatikw'", wJ" de; metecouvsa" tw'n pro; aujtw'n, katafatikw'". Kai; ga;r to;n uJperouravnion tovpon oujsivan o[ntw" ou\san kai; th'" ajlhqeiva" 38 pedivon kalei' kai; leimw'na kai; nohth;n periwph;n tw'n qew'n, kai; ouj movnon ajcrwvmaton kai; ajschmavtiston kai; ajnafh', mignu;" tai'" ajpofavsesi ta;" katafavsei". Epei; kai; e[stin hJ tavxi" au{th mevsh tw'n te nohtw'n qew'n kai; 5 tw'n prwvtwn noerw'n qeivwn diakovsmwn, kai; sunevcei to;n suvndesmon ajmfotevrwn: kai; frourei' me;n ta; noera; kata; th;n eJnoeidh' kai; a[gnwston uJperochvn, diaporqmeuvei de; ta;" tw'n nohtw'n plhrwvsei" kai; mevcri tw'n ejscavtwn: kai; oJmou' kata; mivan e{nwsin koinh;n ajnavgei ta; pavnta mevcri tou' 10 nohtou' patrov", kai; genna'/ kai; proavgei mevcri th'" u{lh".

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tra parte non differisce in nulla dalla conoscenza uni-forme e ineffabile. Infatti la conoscenza intelligibile è per ogni forma di cono- 37 scenza unità, causa, sommità e realtà inconoscibile e celata. Pertanto, dal momento che anche la triade unica ed unificata di tutto quanto l’ordinamento intellettivo è immagine, se è lecito 5 dirlo, intellettiva dell’unità inconoscibile degli intelligibili, ed essa ha posto a capo nell’ambito degli intellettivi quella potenza uniforme ed inconoscibile che è identica a quella della sua stessa causa, è attraverso le negazioni che Platone in modo mistico rivela questa triade. In ogni ambito infatti ciò che è assolutamente sommo ed è inconoscibile è analogo al Dio che è Uno. Dunque nello stesso modo in cui ci è stato insegnato a celebrare questo 10 Dio attraverso le negazioni, allo stesso modo appunto ci impegneremo a rivelare in modo negativo anche le sommità, a loro volta uni-formi ed inconoscibili, degli ordinamenti inferiori. Ed in breve, dal momento che Socrate nel Fedro compie la sua ascesa fino «al luogo sopraceleste» stabilendo esso come analogo al 15 Primo in relazione all’ordinamento intellettivo e all’ascesa delle anime, è con le negazioni che egli lo celebra. In effetti anche l’unica demiurgia nel Timeo, in base alla quale risulta sussistere tutto il genere demiurgico degli dèi, Platone ribadisce che è ineffabile ed inconoscibile95; ed in ogni ambito ciò che è assolutamente sommo ha questa superiorità rispetto alle realtà seconde, in quan- 20 to imita proprio la causa che trascende in modo unitario tutti quanti gli enti96. Ma questa causa, in quanto preesistente a tutte le cose, noi la celebriamo solamente attraverso le negazioni; invece le sommità che procedono in modo analogo ad essa le riveliamo 25 al tempo stesso in modo affermativo ed in modo negativo: in quanto hanno ciascuna una superiorità che trascende le entità inferiori, in modo negativo, invece in quanto partecipano delle realtà che le precedono, in modo affermativo. Ed infatti «il luogo sopraceleste» Platone lo chiama «essenza che realmente è» e «pia- 38 nura della verità» e «prato» e specola intelligibile degli dèi, e non solo «privo di colore», «privo di figura» e «privo di contatto», mescolando le affermazioni alle negazioni. Effettivamente questo livello è intermedio tra gli dèi intelligibili e i primi 5 ordinamenti intellettivi divini, e contiene il legame tra questi due; e da un lato custodisce gli intelligibili in base alla sua uni-forme e inconoscibile superiorità, dall’altro «fa pervenire»97 le pienezze degli intelligibili anche fino agli ultimi livelli del reale; e, nello stesso tempo, da un lato eleva tutte le cose in base ad un’unica forma di unificazione comune fino al Padre intelligibile, dall’altro 10

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Mevsh toivnun iJdrumevnh tw'n te eJniaivwn qew'n kai; tw'n plhquomevnwn ajpofatikw'" me;n dia; th;n uJperoch;n tw'n deutevrwn th;n a[gnwston, katafatikw'" de; dia; th;n mevqexin tw'n prwvtwn ejkfaivnetai. Kai; ga;r oJ dhmiourgo;" oJ prw'to" ejn Timaivw/, kaq o{son me;n metevcei tw'n prou>parcovntwn aijtivwn, poihth;" ajpokalei'tai kai; path;r kai; ajgaqo;" kai; pavnta ta; toiau'ta: kaq o{son de; aJpavsh" ejsti; th'" dhmiourgiva" monav", a[gnwston aujto;n kai; a[rrhton ajf o{lwn tw'n dhmiourgw'n ejxh/rhmevnon ajfivhsin: kai; ga;r euJrei'n, fhsivn, e[rgon aujtovn, kai; euJrovnta levgein eij" a{panta" ajduvnaton. Ou{tw toivnun kai; to;n uJperouravnion tovpon wJ" me;n plhrouvmenon ejk tw'n prwvtwn aijtivwn katafatikw'" ajnafaivnei, pote; me;n oujsivan o[ntw" ou\san, pote; de; ajlhqeiva" pedivon, pote; de; a[llo ti toiou'ton kalw'n, wJ" de; ejkbebhkovta tw'n noerw'n qew'n kai; wJ" ajkrovtaton kai; eJniai'on ajpofatikw'" eujfhmei', kaqavper th;n ejxh/rhmevnhn tw'n pavntwn ajrchvn. ibV Tivne" ou\n aiJ ajpofavsei" kai; ajpo; poivwn givgnontai tavxewn Tou'to gavr ejstin ejcovmenon dielqei'n. En Parmenivdh/ me;n ou\n aiJ tou' eJno;" ajpofavsei" ajpo; pasw'n ejgivgnonto tw'n qeivwn tavxewn, ejpei; kai; pasw'n ai[tion to; e{n, kai; pa'n to; qei'on kata; th;n u{parxin th;n eJautou' metevcei th'" prwtivsth" ajrch'": kai; touvtwn uJperevcon to; e}n pollw'/ meizovnw" kai; tw'n met aujta;" ejxhv/rhtai pragmavtwn: ejk ga;r touvtwn ta; pavnta proveisin, ta;" ga;r touvtwn ijdiovthta" uJpodevcetai meristw'". Dh'lon de; ªo{tiº ejk tw'n a[llwn uJpoqevsewn, ejn ai|" ta; aujta; pavlin ajnakuklei'tai sumperavsmata, tote; me;n ajpofatikw'", tote; de; katafatikw'" sumplekovmena. Kai; tiv ga;r a]n uJposth'nai duvnaito, mh; proeilhmmevnon kat aijtivan ejn toi'" o{loi"

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le genera e le fa procedere fino alla materia. Poiché dunque è posto come intermedio tra gli dèi unitari e quelli moltiplicati si rivela in modo negativo per via della superiorità inconoscibile sulle realtà seconde, invece in modo affermativo per via della partecipazione alle realtà prime. Ed infatti il primo Demiurgo nel Timeo, nella misura in cui partecipa dei principi causali preesistenti, viene chiamato «artefice», «padre», «buono» e con tutti gli altri appellativi di questo genere98; invece nella misura in cui è monade di tutta quanta la demiurgia, lo lascia inconoscibile ed ineffabile per la sua trascendenza rispetto a tutti quanti i demiurghi; ed infatti afferma: «trovarlo è un’impresa, e una volta trovatolo è impossibile comunicarlo a tutti»99. Allo stesso modo, pertanto, anche il «luogo sovraceleste», in quanto si ricolma delle prime cause, lo rivela in modo affermativo, ora chiamandolo «essenza che è realmente», ora «pianura della verità», ora poi con qualche altro nome di tal genere; invece in quanto risulta ulteriore rispetto agli dèi intellettivi ed in quanto assolutamente supremo e unitario, lo celebra attraverso negazioni, proprio come fa per il Principio trascendente tutte le cose.

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39 12 [Quali sono le negazioni a proposito del «luogo sopraceleste», e sul fatto che esse derivano dagli ordinamenti divini; e di quale ordinamento è negazione il «senza colore», di quale poi il «privo di figura», di quale infine l’«intangibile»]

Quali dunque sono le negazioni e da quali ordinamenti derivano?100 Questo in effetti è ciò che va ora trattato. Orbene, nel Parmenide le negazioni dell’Uno derivavano da tutti gli ordinamenti divini: proprio perché l’Uno è principio causale di tutte le cose, anche tutto il divino, in considerazione della sua specifica forma di realtà101, partecipa del primissimo Principio; ed essendo al di sopra di questi ordinamenti, l’Uno in misura molto maggiore risulta trascendere anche le realtà che vengono dopo essi; infatti da questi ultimi procedono tutte le cose: esse in effetti accolgono le proprietà specifiche di questi ordinamenti in modo diviso. D’altra parte è evidente in base alle altre ipotesi, nelle quali si ripetono in modo ciclico le stesse conclusioni, venendo combinate ora in modo negativo, ora in modo affermativo. E che cosa infatti potrebbe sussistere, se non fosse presupposto in senso causale nella totalità del reale?

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En dev ge tw'/ Faivdrw/ ta; ajpofaskovmena th'" nohth'" tw'n noerw'n pavntwn ajkrovthtov" ejsti ta; prosecw'" iJdrumevna met aujth;n noera; gevnh, to; sunektikovn, to; telesiourgovn, to; tw'n ijdivw" kaloumevnwn noerw'n patrikovn: touvtwn ga;r ejxh/rhmevnh kai; tw'n aJpavntwn ejkbevbhke noerw'n qew'n. O 20 ga;r h\n pro;" to; e}n pa'n to; qew'n gevno", tou'to pro;" tauvthn eijsi;n aiJ trei'" met aujth;n diakosmhvsei". Th;n me;n ou\n oujranivan tavxin sunevcousan ta; o{la kai; fwtivzousan tw'/ nohtw'/ fwti; crw'ma prosonomavzei, diovti 40 kai; to; ejmfane;" tou'to tou' oujranou' kavllo" crwvmasi pantoivoi" kai; fwti; dialavmpei: kajkei'non toivnun to;n oujrano;n noero;n crw'ma kai; fw'" ajpokalei'. To; ga;r ejk tajgaqou' proi>o;n fw'" a[nw mevn ejstin a[gnwston kai; kruvfion, 5 ejn toi'" ajduvtoi" mevnon tw'n qew'n, ejkfaivnetai de; ejn th'/ tavxei tauvth/ kai; ejx ajfanou'" givgnetai fanerovn. Dio; dh; tw'/ crwvmati proseivkastai tw'/ tou' fwto;" ejkgovnw/. Eti dev, eij oujranov" ejstin hJ oJrw'sa o[yi" ãeij"Ã ta; a[nw, eijkovtw" to; nohto;n aujth'" crw'ma a]n kaloi'to th'/ o[yei 10 suvzugon. Acrwvmaton a[ra to; ai[tion me;n tw'n ejn tw'/ oujranw'/ nohtw'n, ejxh/rhmevnon de; ajp aujtw'n. Kai; ga;r to; aijsqhto;n crw'ma tou' hJliakou' fwtov" ejstin e[kgonon. Th;n de; meta; to;n oujravnion diavkosmon prosecw'" uJfistamevnhn, h}n uJpouravnion aJyi'da proseivpomen, sch'ma pro15 sagoreuvei. Kai; ga;r hJ aJyi;" aujth; schvmatov" ejstin o[noma: kai; o{lw" ejn tauvth/ th'/ tavxei kai; oJ Parmenivdh" ajpotivqetai to; noero;n sch'ma. Th'/ de; ajkrovthti tw'n noerw'n th;n aJfh;n prw'ton ajpodivdwsin, wJ" ejk tw'n tou' Parmenivdou sumperasmavtwn dh'lon. 20 En ga;r th'/ prwvth/ uJpoqevsei to; ejn eJautw'/ tou' eJno;" ajfairw'n mevsw/ kevcrhtai tw'/ mh; a{ptesqai to; e}n eJautou': ãpa'n me;n ga;r to; ejn eJautw'/ a{ptetai eJautou',Ã to; de; e}n oujc a{ptetai, fhsivn, eJautou', kai; to; sumpevrasma dh'lon. Entau'qa toivnun hJ aJfh; prw'ton kai; kat aijtivan uJfevsthken. 25 Wn gavr ejstin oJ dhmiourgo;" ai[tion prosecw'", touvtwn 15

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Nel Fedro, d’altro canto, i caratteri negati della sommità intel- 15 ligibile di tutti gli intellettivi sono i generi intellettivi posti immediatamente dopo essa, cioè quello connettivo, quello perfezionatore, quello paterno delle entità propriamente dette “intellettive”; infatti dato che la sommità trascende questi generi, essa risulta ulteriore anche rispetto a tutti quanti gli dèi intellettivi. Ciò che infatti è risultato tutto il genere degli dèi rispetto all’Uno, questo 20 sono rispetto alla sommità i tre ordinamenti che vengono dopo essa. Allora, l’ordinamento celeste, che connette la totalità degli enti e la illumina con la luce intelligibile, lo chiama “colore”102, proprio perché questa bellezza visibile del cielo risplende 40 di ogni sorta di colori e di luce; anche quell’altro cielo pertanto lo chiama “colore” intellettivo e “luce”. Infatti la luce lassù che procede dal Bene è inconoscibile e nascosta, permanendo nei livelli 5 inaccessibili103 degli dèi, ma si rivela in questo ordinamento e da invisibile diventa visibile104. Proprio per questo è stato paragonato al colore che è progenie della luce105. Inoltre, se il «cielo» è «vista che guarda le cose che stanno in alto»106, è a buon diritto che si denominerebbe l’oggetto intelligibile di tale vista “colore”, in quanto esso è congiunto alla vista. 10 Dunque il principio causale degli intelligibili presenti nel cielo è «privo di colore», in quanto è trascendente rispetto ad essi. Ed in effetti il colore sensibile è a sua volta un prodotto generato dalla luce del sole. Dal canto suo l’ordinamento che viene a sussistere immediatamente dopo quello celeste e che abbiamo denominato «volta subceleste», lo chiama «figura». Ed infatti la parola stessa “volta” è 15 nome di una figura; ed in breve in questo ordinamento anche Parmenide pone la figura intellettiva107. Infine, è alla sommità degli intellettivi che attribuisce per la prima volta il “contatto”, come risulta evidente dalle conclusioni del Parmenide. Infatti nella prima ipotesi , quando elimina dall’Uno la nozione di “in se stesso”, ha impiegato come concetto intermedio quello secondo cui l’Uno non è in contatto con se stesso108; 109, ma l’Uno dal canto suo non è in contatto, egli afferma, con se stesso, e così la conclusione risulta evidente110. Pertanto è al livello della sommità degli intellettivi che il contatto è venuto a sussistere per la prima volta. In effet- 25 ti delle entità delle quali il Demiurgo è principio causale in forma diretta, il Padre che viene prima del Demiurgo è principio causa-

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paradeigmatikw'" oJ pro; aujtou' pathvr: ejn touvtw/ dh; ou\n hJ aJfhv, to; paravdeigma tw'n ajpoluvtwn qew'n. 41 Trei'" ou\n au|tai tavxei" eijsi;n ejfexh'", to; crw'ma, to; sch'ma, hJ aJfhv, kai; touvtwn ejxhv/rhtai kat oujsivan oJ uJperouravnio" tovpo": ajcrwvmato" a[ra kai; ajschmavtistov" ejsti kai; ajnafhv". Kai; oujci; kata; stevrhsin 5 tw'n triw'n touvtwn ejkbevbhken, ajlla; kat aijtiva" uJperochvn. Kai; ga;r tw'/ crwvmati th;n tou' fwto;" metousivan ejk tw'n nohtw'n ejndivdwsin kai; tw'/ schvmati to; pevra" ejpilavmpei to; noero;n kai; th'/ aJfh'/ th;n e{nwsin kai; th;n sunevceian ejpitivqhsin a[nwqen: kai; teleioi' pavnta kata; th;n eJautou' duvnamin, ta; 10 me;n aJptovmena dia; th'" eJnwvsew", ta; de; schmatizovmena dia; th'" tou' pevrato" metadovsew", ta; de; crwnnuvmena dia; th'" tou' fwto;" ejllavmyew": pavnta de; ajrrhvtw" kai; toi'" nohtoi'" sunqhvmasin ajnaspa'/ kai; ajnevlkei pro;" eJauto;n kai; plhroi' tw'n eJniaivwn ajgaqw'n. 15 Eij dh; tau'ta ojrqw'" levgomen, oujk ajpodexovmeqa tou;" ta; aijsqhta; crwvmata kai; aJfa;" kai; schvmata polupragmonou'nta" kai; touvtwn ejkbebhkovta to;n uJperouravnion tovpon ajpofaivnonta": mikra; ga;r tau'ta kai; oujde;n ejkeivnw/ proshvkonta. Kai; ga;r hJ fuvsi", oujc hJ o{lh movnon, 20 ajlla; kai; hJ meristhv, tw'n aijsqhtw'n crwmavtwn kai; tw'n fainomevnwn schmavtwn kai; tw'n swmatikw'n aJfw'n ejxhv/rhtai. Tiv ou\n tou'to semnovn, eij kai; tai'" fuvsesi pavrestin Alla; dei' tav te crwvmata kai; ta; schvmata kai; ta;" aJfa;" a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn diateivnein kai; pavntwn oJmoivw" ejxh/rhmevnon 25 ajpofaivnein to;n uJperouravnion tovpon. Epei; kai; hJ yuch; schvmato" metevcei kai; oJ nou'": kai; hJ aJfh; pollacou' kajn toi'" ajswmavtoi" ejsti; kata; th;n tw'n prwvtwn pro;" ta; 42 deuvtera koinwnivan, kai; tav" te koinwniva" tauvta" sunafa;" eijwvqasi kalei'n kai; ta;" tw'n nohvsewn qivxei" ejpafav". Mh; toivnun ajpo; tw'n prwvtwn ejpi; ta; e[scata ferwvmeqa mhde; th;n ajkrotavthn tavxin tw'n noerw'n toi'" teleutaivoi" tw'n 5 o[ntwn parabavllwmen, w|n kai; hJ yuch; kai; hJ fuvsi" uJperivdrutai. Kai; ga;r aujto; tou'to plhmmelhvsomen kai; tou' Plavtwno" oujk ajnexovmeqa bow'nto" o{ti: Tolmw'nte" tau'ta peri; ejkeivnh" levgomen. Poiva ga;r tovlma Tiv" duvnami" a[gnwsto"

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le in forma di modello; è dunque proprio nel Demiurgo che si trova il contatto, cioè il modello degli dèi non-vincolati111. Questi tre livelli sono dunque nell’ordine, il colore, la figura ed 41 il contatto, ed «il luogo sovraceleste» trascende dal punto di vista dell’essenza questi livelli: di conseguenza è «privo di colore, privo di figura e privo di contatto». E non è in base ad una privazione che esso risulta separato da questi tre livelli, bensì in base a quel- 5 la forma di superiorità che è propria di una causa. Ed infatti dona al colore la partecipazione alla luce da parte degli intelligibili e sulla figura fa risplendere il limite intellettivo e al contatto conferisce dall’alto l’unità e la continuità; e conduce a perfezione tutte le cose in base alla sua propria potenza, quelle che hanno contat- 10 to attraverso l’unificazione, quelle che hanno figura attraverso la partecipazione al limite, infine quelle che hanno colore attraverso l’irradiazione della luce; inoltre in modo ineffabile e con «segni» intelligibili le attira verso l’alto, le richiama verso di sé e le ricolma di beni unitari. Se questo nostro discorso è corretto, non approveremo coloro 15 che si danno un gran da fare nel disquisire sui colori sensibili, sui contatti e sulle figure, per poi mostrare che «il luogo sopraceleste» è ulteriore rispetto a queste entità; queste infatti sono questioni di poco conto e che non si confanno per nulla ad esso. Ed in effetti la natura, non solo quella universale, ma anche quella che ha ca- 20 rattere individuale, risulta trascendente rispetto ai colori sensibili, alle forme visibili e ai contatti corporei. Che cosa ha di venerabile questo aspetto, se è presente anche nelle nature? Bisogna invece mostrare che i colori, le forme e i contatti si estendono dall’alto fino a raggiungere le entità ultime e che allo stesso modo rispetto a tutti «il cielo sovraceleste» è trascendente. In effetti sia l’ani- 25 ma che l’intelletto partecipano di una figura; e in molti casi il contatto è presente anche fra le entità incorporee in base alla relazio- 42 ne comune fra le entità prime e le entità seconde, e queste relazioni comuni v’è l’abitudine di chiamarle “connessioni per contatto” e le apprensioni proprie delle intellezioni “conoscenze per contatto”112. Non dobbiamo pertanto farci allontanare dalle entità prime per passare a considerare quelle che vengono per ultime, né dobbiamo accostare il livello più elevato degli intellettivi agli ultimi fra gli enti, al di sopra dei quali sono poste sia l’anima sia la 5 natura. Ed infatti proprio in questo consisterà il nostro errore e sarà allora per noi troppo gravoso udire Platone che proclama: solo perché abbiamo l’ardire di farlo113, diciamo queste cose su quel livello di realtà. Quale ardire? Quale facoltà inconoscibile

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uJperaivrousa ta;" hJmetevra" ejpibolav" *** ajlhvqeia tw'n aijsqhtw'n crwmavtwn kai; schmavtwn kai; aJfw'n semnotevran oujsivan qewmevnh Kai; ga;r oiJ fusikoi; toiauvthn e[gnwsan uJpovstasin, mh; o{ti ge qeolovgwn pai'de".

igV AiJ me;n ou\n ajpofavsei" di w|n to;n uJperouravnion 15 u{mnhsen tovpon toiauvthn e[cousi duvnamin. Pavlin de; au\ ta;" katafavsei" ejfexh'" qewrhvswmen, o{pw" kata; mevqexin aujtw'n tw'n prwvtwn nohtw'n uJpavrcousin. Oujsiva me;n ou\n o[ntw" ou\sa levgetai, diovti tou' prwvtw" o[nto" meteivlhfen. Pa'si ga;r to; ei\nai kai; to; o[ntw" 20 ei\nai th'" nohth'" oujsiva" pavrestin e[kgonon. W" ga;r to; e}n ejk th'" prwtivsth" ajrch'" th'" pro; tw'n nohtw'n, ou{tw" hJ tou' o[nto" fuvsi" ajpo; tw'n nohtw'n, ejkei' ga;r to; e}n o[n, wJ" kai; oJ Parmenivdh" mikrw'/ provteron ajnedivdasken. Yuch'" 43 de; kubernhvth/ qeathv, diovti nohth;n e[lacen uJperoch;n pro;" tou;" a[llou" noerou;" qeouv". To; toivnun nohto;n aujth'" ajgaqo;n ajpo; tou' nou' ãtou'Ã ginwvskonto" aujth;n diasafei'. Kai; tou'to de; a[ra to; nohtovn, w{sper to; o[ntw" o[n, ajpo; tw'n 5 eJniaivwn eij" aujth;n ejfhvkei qew'n. Ekei'na ga;r nohta; prwvtw" kai; ajmeqevktw" kai; prwtourga; tw'n nohtw'n pavntwn ai[tia: kai; suntrevcei tau'ta ajllhvloi", tov te o[ntw" o]n kai; to; nohtovn. Kai; ga;r pa'n to; nohto;n o[ntw" ejsti;n o]n kai; pa'n to; o[ntw" o]n nohto;n uJpavrcei. Kai; ga;r oJ nou'" nohtov" ejsti 10 kata; to; o]n to; ejn aujtw'/, kata; de; to; gnwstiko;n nou'". Dio; kai; pa'" me;n nou'" gnwvsewv" ejsti corhgov", pa'n de; to; nohto;n oujsiva": o} gavr ejsti prwvtw" eJkavteron, tou'to kai; toi'" deutevroi" ejpilavmpei diakovsmoi". To; trivton toivnun peri; aujth;n levgetai to; th'" ajlh15 qou'" ejpisthvmh" gevno" iJdru'sqai. Duvo ga;r tau'ta

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che supera le nostre intuizioni…114 la verità che contempla un’essenza più venerabile dei colori, delle figure e dei contatti sensibili? In effetti anche i filosofi della natura hanno conosciuto una realtà di questo genere, per non dire dei figli dei teologi115.

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13 [Quali sono i caratteri attribuiti per via affermativa al «luogo sopraceleste» e da quali proprietà intelligibili gli sono giunti i segni distintivi che di esso sono affermati] Dunque le negazioni attraverso le quali ha celebra- 15 to «il luogo sopraceleste» hanno tale potenza. Ma passiamo ora a considerare a loro volta le affermazioni, in che modo esse sussistono in base alla partecipazione ai primi intelligibili. «Il luogo sopraceleste» dunque viene detto «essenza che è realmente», per il fatto che risulta partecipe dell’essere in senso primo. In tutti gli enti, in effetti, l’essere e l’essere realmente sono presen- 20 ti come prodotto generato dall’essenza intelligibile. Come infatti il carattere di unità deriva dal primissimo Principio che viene prima degli intelligibili, così la natura dell’essere deriva dagli intelligibili: infatti è lì che si trova l’Uno-che-è, come poco prima anche Parmenide ha insegnato116. D’altro canto l’«essenza che è realmen- 43 te» viene detta «contemplabile dal timoniere dell’anima»117, per il fatto che ha avuto in sorte una superiorità intelligibile rispetto agli altri dèi intellettivi. chiarisce dunque la natura di bene intelligibile di questa essenza a partire dall’intelletto che la conosce. E quindi questo intelligibile dal canto suo, proprio come l’essere in senso autentico, perviene all’anima a partire dagli dèi uni- 5 tari. Quelli118 infatti sono intelligibili in senso primo ed in modo impartecipabile e sono principi causali originari di tutti gli intelligibili; e questi, l’essere in senso autentico e l’intelligibile, coincidono fra loro. In effetti tutto ciò che è intelligibile è di fatto essere in senso autentico e tutto ciò che è essere in senso autentico è di fatto intelligibile. E a sua volta l’intelletto è in effetti intelligibile in base all’essere insito in esso, mentre in base al suo carattere conoscitivo 10 è intelletto119. Ecco perché ogni intelletto è anche dispensatore di conoscenza, mentre tutto ciò che è intelligibile è dispensatore di essenza: ciò che ciascuno di essi è in senso primo, questo appunto lo fanno risplendere sui livelli inferiori. In terzo luogo pertanto, viene detto che «il genere della scien- 15 za autentica» è posto «intorno» a questa essenza120. Queste due

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a[neisin ejpi; th;n ejkeivnh" th'" oujsiva" qewrivan, nou'" oJ kubernhvth" th'" yuch'" (e[sti de; ou|to" oJ merikov", uJperidrumevno" me;n tw'n yucw'n, ajnavgwn de; aujta;" eij" to;n o{rmon to;n patrikovn) kai; hJ ajlhqh;" ejpisthvmh, yuch'" ou\sa teleiovth". Au{th me;n ou\n peri; ejkeivnhn ejnergei' wJ" pericoreuvousa to; o]n metabatikw'", nou'" de; qea'tai aujth;n wJ" aJplh'/ nohvsei crwvmeno".

idV Esti de; a[llh me;n hJ ejn hJmi'n ejpisthvmh, a[llh de; hJ ejn 25 ejkeivnw/ tw'/ tovpw/: kai; au{th me;n ajlhqhv", ejkeivnh de; aujtoalhv44 qeia. Tiv" ou\n ou\sa kai; povqen uJposta'sa Qeovth" mevn ejsti pavsh" th'" noera'" gnwvsew" phgh; kai; th'" ajcravntou kai; staqera'" nohvsew" aijtiva prwtourgov", ejkfaivnetai de; ejn th'/ prwtivsth/ triavdi tw'n noerw'n wJ" telesiourgw'/ tw'n te 5 a[llwn aJpavntwn kai; dh; kai; tw'n qeivwn yucw'n: eij" ga;r tauvthn ajniou'sai ãth;nà tw'n gnwvsewn pasw'n eJnoeidh' duvnamin ta;" eJautw'n teleiou'si gnwvsei". Kaqora'/ gavr, fhsivn, eJkavsth tw'n ajkhravtwn yucw'n sumperiagomevnh tw'/ Dii; kai; tw'/ oujranw'/ dikaiosuvnhn, 10 swfrosuvnhn, ejpisthvmhn. Ekei' toivnun aiJ trei'" au|tai phgaiv, qeovthte" ou\sai nohtai; kai; phgai; tw'n noerw'n ajretw'n, ajll oujc wJ" oi[ontaiv tine" ei[dh noerav. Tau'ta me;n ga;r tw'/ aujto; carakthrivzein ei[wqen, aujtoepisthvmhn kai; aujtodikaiosuvnhn levgwn, kai; tou'tov pouv fhsi 15 kai; oJ ejn tw'/ Faivdwni Swkravth", oi|" to; aujto; ejpisfragivzonte" prosavgomen, uJpe;r tw'n eijdw'n levgwn: ejn de; touvtoi" aujth;n dikaiosuvnhn kai; aujth;n swfrosuvnhn kai; aujth;n ejpisthvmhn eijpw;n qeovthtav" tina" e[oiken aujtotelei'" kai; nohta;" hJmi'n ejkfaivnein triadikw'" uJfestwv20 sa", w|n mona;" mevn ejstin ejpisthvmh, deutevran de; e[cei tavxin hJ swfrosuvnh, trivthn de; hJ dikaiosuvnh. Kai; e[stin hJ me;n ejpisthvmh nohvsew" ajcravntou kai; ajklinou'" kai; ajtrevptou corhgov": hJ de; swfrosuvnh th'" eij" eJautou;" ejpistrofh'" toi'" qeoi'" pa'si th;n aijtivan ejndivdwsin: 25 hJ de; dikaiosuvnh th'" kat ajxivan tw'n o{lwn ajgaqw'n diano-

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entità infatti si elevano alla contemplazione di quella essenza, “l’intelletto timoniere dell’anima” (questo d’altronde è l’intelletto particolare, che è posto al di sopra delle anime, e che fa salire esse verso il porto paterno121) e “la scienza vera”, che è la perfezione dell’anima. Questa scienza opera intorno a quell’essenza danzando, per così dire, intorno all’essere con una serie di passaggi, mentre l’intelletto contempla l’essenza servendosi, per così dire, di una intellezione semplice122.

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14 [Quali sono le tre forme di divinità delle virtù insite nel «luogo sopraceleste», «Scienza», «Temperanza» e «Giustizia», e quale ordinamento hanno le une rispetto alle altre e quale forma di perfezione ciascuna procura agli dèi] D’altra parte una è la scienza che è in noi, un’altra è quella che si trova in quel luogo123; e la prima è vera, la seconda è Verità-in-sé. 25 Quale dunque è una tale scienza e da dove è venuta a sussistere? 44 Da un lato è una divinità fonte di ogni conoscenza intellettiva e causa originaria della intellezione pura e stabile, dall’altro si rivela nella primissima triade degli intellettivi in quanto perfezionatrice di tutte quante le altre entità ed in particolare delle anime divine; 5 infatti è elevandosi verso questa potenza uni-forme di tutte le conoscenze che le anime rendono perfette le loro proprie conoscenze. Infatti ciascuna delle anime nella sua purezza, afferma , «contempla», mentre è fatta ruotare insieme con Zeus ed il 10 cielo, la «Giustizia», la «Temperanza» e la «Scienza». È là pertanto che si trovano queste tre «fonti», in quanto sono divinità intelligibili e «fonti» delle virtù intellettive, ma non, come pensano alcuni124, Forme intellettive. Queste ultime infatti è solito contraddistinguerle con il carattere dell’“in sé”, dicendo scienza-in- 15 sé e giustizia-in-sé, e ciò, in certa misura, afferma anche Socrate nel Fedone quando a proposito delle Forme dice: «alle quali noi poniamo il sigillo dell’“in-sé”»125; ma in questo testo dicendo la «Giustizia stessa», la «Temperanza stessa», e la «Scienza stessa»126 sembra rivelarci determinate divinità perfette in se stesse ed intelligibili, 20 venute a sussistere in modo triadico, delle quali la Scienza è la monade, la Temperanza occupa il secondo livello e la Giustizia il terzo. E la Scienza è garante di una conoscenza pura, ferma e immutabile; la Temperanza, dal canto suo, fornisce a tutti gli dèi la causa della conversione verso se stessi; la Giustizia infine pavrcousan, h}n kai; aujth;n oJ Swkravth" ejxuvmnhsen: to; th'" ajlhqeiva" pedivon, to;n leimw'na, th;n 20 trofh;n tw'n qew'n. To; me;n ou\n th'" ajlhqeiva" pedivon noerw'" ajnhvplwtai pro;" to; nohto;n fw'" kai; katalavmpetai tai'" ejkei'qen proi>ouvsai" ejllavmyesin. W" ga;r to; e}n eJnopoio;n ejpilavmpei fw'", ou{tw" to; nohto;n oujsiopoio;n ejndivdwsi toi'" deutevroi" 25 mevqexin. 46 O de; leimw;n govnimov" ejsti duvnami" zwh'" kai; lovgwn pantoivwn kai; perioch; tw'n prwtourgw'n th'" zwh'" aijtivwn kai; th'" poikiliva" kai; th'" ajpogennhvsew" tw'n eijdw'n aijtiva. Kai; ga;r oiJ th'/de leimw'ne" pantodapw'n eijdw'n te 5 kai; lovgwn eijsi;n oijstikoiv, kai; th'" zwogoniva" fevrousi to; u{dwr suvmbolon.

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rante> della distribuzione di tutti quanti i beni in base al merito. Ed in virtù della Scienza ciascuno degli dèi ha intellezione delle realtà che lo precedono e si ricolma di unità intelligibile, mentre in virtù della Temperanza si è rivolto verso se stesso e con ciò gode 45 il frutto di un’unità di secondo livello e di un bene che corrisponde alla conversione verso se stesso; infine in virtù della Giustizia guida le entità che vengono dopo di lui «su un cammino silenzioso»127, si dice, e misura il merito e garantisce a ciascuna entità la parte che le si addice. Queste tre fonti dunque contengono pro- 5 prio tutte le attività degli dèi. E la Scienza è proceduta in modo analogo alla primissima triade degli intelligibili, e come quest’ultima fornisce a tutte le cose le essenze, così la Scienza fa risplendere le conoscenze sugli dèi; la 10 Temperanza poi è proceduta in modo analogo alla seconda triade: infatti la Temperanza imita il carattere contenitivo e misuratore di questa triade, in quanto essa dà misura alle attività degli dèi e converte ogni dio verso se stessa; la Giustizia infine è proceduta in modo analogo alla terza triade: infatti anche essa distingue le entità inferiori in base al conveniente 128 la ter- 15 za triade lo attribuisce ai primissimi modelli in modo intelligibile. 15 [Qual è la «pianura della verità», quale il «prato», qual è la forma unitaria del nutrimento intelligibile, qual è il duplice nutrimento degli dèi che risulta dalla divisione del nutrimento intelligibile] Oltre a questi aspetti passiamo a esaminare un’altra triade che preesiste in questo luogo: anche questa triade Socrate ha celebrato: «la pianura della verità», «il prato», «il nutrimento degli dèi». 20 Dunque, «la pianura della verità» si è dispiegata in modo intellettivo alla luce intelligibile ed è illuminata dalle irradiazioni che da là provengono. Come infatti l’Uno fa risplendere una luce unificatrice, così l’intelligibile fornisce alle realtà seconde una parte25 cipazione produttrice di essenza. «Il prato», dal canto suo, è una potenza generatrice di vita e di 46 principi causali di ogni sorta e ambito complessivo dei principi causali originari della vita, causa della varietà e della generazione delle forme. Ed in effetti i prati di questo nostro mondo sono portatori di ogni genere di forme e di principi causali, e portano l’ac- 5 qua che è simbolo della generazione della vita.

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H de; trovfimo" tw'n qew'n aijtiva nohthv tiv" ejstin e{nwsi" th;n o{lhn sullabou'sa teleiovthta tw'n qew'n ejn eJauth'/ kai; plhrou'sa tou;" qeou;" ajkmh'" kai; dunavmew" ei[" te th;n 10 provnoian tw'n deutevrwn kai; th;n novhsin th;n a[trepton tw'n prwvtwn. All a[nw me;n eJnoeidw'" touvtwn oiJ qeoi; metevcousin, ejn de; tai'" proovdoi" eJautw'n dih/rhmevnw", o{pou dh; kai; th'" trofh'" hJ me;n ajmbrosiva kalei'tai para; tou' Plavtwno", hJ de; nevktar. Pro;" de; th;n favtnhn, fhsiv, 15 tou;" i{ppou" sthvsa" parevbalen ajmbrosivan kai; ejp aujth'/ nevktar ejpovtisen. Oujkou'n oJ me;n hJnivoco" trefovmeno" toi'" nohtoi'" eJniaivw" metevcei th'" teleiovthto" th'" ejk tw'n qew'n ejllampomevnh", oiJ de; i{ppoi memerismevnw", provteron me;n th'" ajmbrosiva", ejp aujth'/ de; tou' nevktaro". 20 Dei' ga;r aujtou;" ejk me;n th'" ajmbrosiva" mevnein ejn toi'" kreivttosi staqerw'" kai; ajklinw'", dia; de; tou' nevktaro" pronoei'n tw'n deutevrwn ajtrevptw". Epei; kai; th;n me;n ajmbrosivan sterea;n trofh;n ei\naiv fasin, to; de; nevktar uJgravn: o} kai; oJ Plavtwn ejndeiknuvmeno" th;n mevn fhsin o{ti parev25 balen, to; de; o{ti meta; th;n ajmbrosivan ejpovtisen. Oujkou'n to; me;n a[feton th'" pronoiva" kai; to; eu[luton kai; to; ejpi; pavnta proi>o;n ajcravntw" hJ tou' nevktaro" dhloi' trofhv, to; de; movnimon kai; to; sterew'" iJdrumevnon ejn toi'" 47 kreivttosin hJ th'" ajmbrosiva": ejx ajmfoi'n de; o{ti kai; mevnousin oiJ qeoi; kai; proi?asin ejpi; pavnta, kai; ou[te to; ajkline;" aujtw'n kai; ajnepivstrofon a[gonovn ejstin ou[te hJ govnimo" duvnami" kai; hJ provodo" ajnivdruto", ajlla; mevnonte" proi?asi 5 kai; ejn toi'" pro; aujtw'n iJdrumevnoi pronoou'si tw'n deutevrwn ajcravntw". Nevktar ou\n kai; ajmbrosiva qew'n teleiovthte" h|/ qeoiv: nou' de; ãkai; yuch'"Ã kai; fuvsew" kai; swmavtwn a[lla. Dio; kai; oJ Plavtwn ejn tai'" yucai'" tau'ta paralabw;n qeou;" ajpoka10 lei' ta;" yucav". Kaq o{son ga;r kai; au|tai metevcousi tw'n qew'n, kata; tosou'ton kai; tou' nevktaro" plhrou'ntai kai; th'" ajmbrosiva". Alla; proi>ovnta me;n tau'ta dihv/rhtai duadikw'", to; me;n monivmou kai; staqera'" teleiovthto" toi'" qeoi'" corhgo;n 15 uJpavrcon, to; de; pronoiva" ajklinou'" kai; ajpoluvtou dioikhvsew" kai; ajfqovnou tw'n ajgaqw'n metadovsew", kata; ta;" duvo

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La causa nutritrice degli dèi infine è una determinata unità che raccoglie in se stessa tutta quanta la perfezione degli dèi e colma gli dèi di vigore e di potenza ad un tempo nel loro prendersi prov- 10 videnzialmente cura delle realtà seconde e nella loro intellezione immutabile delle realtà prime. Ma in alto gli dèi partecipano di questi caratteri in modo unitario, mentre nelle loro processioni ne partecipano in modo diviso: proprio in considerazione di ciò un tipo di nutrimento viene chiamato da Platone “ambrosia”, mentre l’altro “nettare”129. «Poi avendo sistemato i cavalli alla mangiatoia 15 – dice – ha gettato loro ambrosia ed oltre ad essa ha versato loro nettare»130. Quindi l’auriga, nutrendosi degli intelligibili, partecipa in modo unitario della perfezione che si irradia dagli dèi, mentre i cavalli ne partecipano in modo diviso, cioè prima della ambrosia, poi oltre a questa del nettare. Infatti bisogna che essi per effetto dell’ambrosia permangano 20 nelle entità superiori in modo stabile e invariabile, mentre attraverso il nettare si prendono provvidenzialmente cura delle entità inferiori in modo immodificabile. In effetti si dice che l’«ambrosia» è un nutrimento solido, mentre il nettare è liquido; il che anche Platone indica quando dice che «ha gettato» l’una, mentre 25 l’altro dice che lo «ha versato». Quindi il nutrimento del nettare indica il carattere privo di vincoli della provvidenza, il suo essere libera da costrizioni ed il suo procedere in modo puro verso tutte le cose, mentre il nutrimento dell’ambrosia indica il suo carattere 47 permanente e il suo essere saldamente posta negli dèi superiori; la combinazione di entrambi i nutrimenti indica che gli dèi permangono ed al contempo procedono verso tutte le cose, e non che il loro carattere invariabile e non soggetto alla conversione sono improduttivi, né che la loro potenza generativa e la loro processione sono privi di stabilità, bensì che essi, permanendo, procedono e, essendo posti nelle entità che li precedono, si prendono 5 provvidenzialmente cura delle realtà inferiori in modo puro. Nettare e ambrosia dunque sono perfezioni degli dèi in quanto dèi; mentre altri sono il nettare e l’ambrosia dell’intelletto, 131, della natura e dei corpi. Proprio per questo Platone avendo ammesso questi elementi anche nel caso delle anime chiama le anime “dèi”. Infatti nella stessa misura in cui queste par- 10 tecipano degli dèi, si ricolmano sia del nettare sia dell’ambrosia. Ma questi elementi, procedendo, si sono divisi in modo duplice, l’uno risultando garante per gli dèi della loro perfezione permanente e stabile, l’altro invece risultando garante del loro gover- 15 no immutabile e non-vincolato e della donazione generosa dei

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tw'n o{lwn ajrca;" prosthsavmena th;n toiauvthn dianomhvn. Anavlogon ga;r tw'/ me;n pevrati th;n ajmbrosivan, th'/ de; ajpeiriva/ to; nevktar uJpoqetevon. Dio; to; mevn ejstin oi|on 20 uJgro;n kai; ajf eJautou' mh; oJrizovmenon, to; de; oi|on stereo;n kai; ajf eJautou' to;n o{ron e[con. Govnimon ou\n to; nevktar kai; telesiourgo;n th'" deutevra" tw'n qew'n parousiva" kai; dunavmew" ai[tion kai; ajkmh'" pronohtikh'" tw'n o{lwn kai; th'" ajpeivrou kai; ajnekleivptou corhgiva": movnimo" de; teleiovth" hJ 25 ajmbrosiva kai; peratoeidh;" kai; th'" ejn auJtoi'" iJdruvsew" aijtiva toi'" qeoi'" kai; th'" sterea'" kai; ajklinou'" nohvsew" corhgov". Pro; de; touvtwn ajmfotevrwn hJ miva th'" teleiovthto" aJpavsh" phgh; kai; eJstiva pa'si toi'" qeoi'", h}n trofh;n oJ 48 Plavtwn ajpokalei' kai; dai'ta kai; qoivnhn wJ" eJniaivw" me;n to; meristo;n plh'qo" tw'n qew'n teleiou'san, ejpistrevfousan de; pavnta pro;" eJauth;n dia; th'" qeiva" nohvsew". H me;n ga;r dai;" th;n dih/rhmevnhn ejpi; pavnta dianomh;n dhloi' th'" 5 qeiva" trofh'": hJ de; qoivnh th;n hJnwmevnhn ejpistrofh;n tw'n o{lwn pro;" aujthvn, qew'n ga;r novhsi" h|/ qeoiv: th;n de; sunamfotevran duvnamin hJ trofh; sunevcei, to; plhvrwma tw'n nohtw'n ajgaqw'n uJpavrcousa kai; hJ th'" aujtarkeiva" th'" qeiva" eJnoeidh;" teleiovth". 10

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iıV Peri; me;n ou\n touvtwn ejxarkei' tosau'ta pro;" th;n parou'san qewrivan. Epovmenon dev ejsti peri; th'" eij" triva diairevsew" tou' tovpou touvtou dielqei'n: tria;" gavr ejstin, wJ" kai; provteron ei[pomen, hJ nohth; tw'n noerw'n ajkrovth". Eujqu;" me;n ou\n kata; th;n prwvthn ejpibolh;n kai; oJ Plavtwn ejmfaivnei to; triadiko;n aujth'", triva me;n ajpofatika; paralabwvn, to; ajcrwvmaton, to; ajschmavtiston, to; ajnafev", trei'" de; ejn aujth'/ qeovthta" iJdruvsa", th;n ejpisthvmhn, th;n swfrosuvnhn, th;n dikaiosuvnhn. Kai; o{ ge hJmevtero" kaqhgemw;n diairei'n ajxioi' th;n triavda tauvthn eij" ta;" trei'" monavda" kai; deivknusi kai; tou'to tai'" Orfikai'"

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beni, dato che essi hanno provveduto a tale distribuzione in base ai due principi della totalità del reale132. Infatti si deve presupporre che l’ambrosia è elemento analogo al limite, mentre il nettare all’illimitatezza. Per questo quest’ultimo è per così dire liquido e 20 non limitato da se stesso, mentre l’altro elemento è per così dire solido e ha da se stesso la propria delimitazione. Il nettare dunque è generativo e perfezionatore della presenza, a livello inferiore, degli dèi ed è principio causale di potenza, di vigore inerente alla cura provvidenziale della totalità delle cose e della elargizione illimitata e continua; dal canto suo l’ambrosia è perfezione perma- 25 nente ed in forma di limite, ed è causa per gli dèi dell’essere posti in se stessi, ed è garante della loro intellezione stabile ed immutabile. Ma prima di questi elementi v’è la fonte unica e il focolare di tutta quanta la perfezione per tutti gli dèi, che Platone chiama 48 «nutrimento», «pasto e banchetto» in quanto rende perfetta in modo unitario la molteplicità divisa degli dèi, mentre dall’altro converte tutte le cose verso se stessa attraverso l’intellezione divina. Infatti il «pasto» indica la distribuzione divisa del nutrimento 5 divino a tutte le entità; il «banchetto» invece indica la conversione unificata della totalità delle cose verso tale nutrimento: infatti è intellezione di dèi in quanto dèi; dal canto suo il nutrimento contiene l’una e l’altra potenza, dato che esso è di fatto la pienezza dei beni intelligibili e la perfezione uni-forme della autosufficienza divina. 16 [Più richiami al fatto che il «luogo sopraceleste» è triadico, e quali sono i segni distintivi delle tre realtà autonome insite in esso] Riguardo a tali questioni bastino tutte queste riflessioni in rapporto alla presente teoria. L’argomento successivo da trattare concerne la divisione in tre del luogo sovraceleste; infatti la sommità intelligibile degli intellettivi è, come abbiamo detto anche prima133, una triade. Subito dunque di primo acchito anche Platone mette in luce il carattere triadico di questa sommità, da un lato avendo assunto tre connotati negativi, il «senza colore», il «senza figura», il «senza contatto», e dall’altro avendo posto in essa tre divinità, la «Scienza», la «Temperanza», la «Giustizia». Ed anche la nostra guida134, per la verità, ritiene che questa triade vada divisa in tre monadi e mostra anche questo aspetto sulla scorta delle dottrine

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qeologivai" eJpomevnw". Eij de; dei' kai; ta;" ajfwrismevna" ijdiovthta" tw'n triw'n qeainw'n ejk tw'n keimevnwn ajneurei'n, ejnnohvswmen o{ti kai; to; th'" ajlhqeiva" pedivon ejkei' 25 tivqetai kai; to;n leimw'na kai; th;n trovfimon tw'n qew'n 49 aijtivan. Oujkou'n to; me;n trevfein nohth'" ejsti teleiovthto": dio; kai; tw'/ pterw'/ th'" yuch'" hJ ajnagwgo;" oJrmh; kai; hJ teleivwsi" hJ noera; kata; th;n ejkei'qen eij" aujth;n ejpirrevousan trofhvn. To; de; tou' leimw'no" ijdivwma gennhtikh'" ejsti 5 lovgwn kai; eijdw'n dunavmew" kai; zwopoiiva" eijkwvn: dio; kai; nevmontai aiJ yucai; peri; to;n leimw'na, kai; hJ nomh; trofh; mevn ejstin, ajlla; dih/rhmevnh. To; de; th'" ajlhqeiva" pedivon hJ tou' fwtov" ejstin ejxavplwsi" tou' nohtou' kai; e[kfansi" kai; hJ ajnavptuxi" tw'n e[ndon lovgwn kai; hJ teleiovth" 10 hJ pantacou' proi>ou'sa. Tou'to toivnun th'" trivth" ejsti; monavdo" i[dion, to; de; govnimon th'" deutevra", to; de; plhvrwma to; nohto;n th'" prwvth". Pa'" me;n ga;r oJ uJperouravnio" tovpo" katalavmpetai tw'/ fwti; th'" ajlhqeiva", dio; kai; ajlhqh' pavnta kalei'tai ta; ejn ejkeivnw/ periecovmena kai; oJ 15 Swkravth", Hti" a]n yuchv ti tw'n ajlhqw'n i[dh/: pavnta gavr ejstin o[ntw" o[nta kai; nohta; kai; plhvrh th'" eJnwvsew" th'" qeiva". All ejn me;n tai'" prwvtai" monavsin sunh/rhmevnw" ejsti; to; nohto;n tou'to fw'" kai; oi|on ejn ajduvtoi" krufivw" iJdrumevnon, ejn de; th'/ trivth/ profaivnetai 20 kai; sunaãnaÃplou'tai kai; sundiivstatai tw'/ plhvqei tw'n dunavmewn. Ecomen ou\n ta;" diafora;" tw'n triw'n monavdwn ejk touvtwn qewrei'n eJpovmenoi tai'" Platwnikai'" uJpoqevsesin. Eij de; kai; ejpisthvmh me;n proshvkei th'/ prwvth/, swfro25 suvnh de; th'/ deutevra/, dikaiosuvnh de; th'/ trivth/, pavntw" kai; ejk touvtwn hJ tria;" ajnafaivnetai. Pw'" de; oujci; proshvkei th'/ me;n hJnwmevnh/ tw'/ nohtw'/ patri; kai; mh; proelqouvsh/ mhde; 50 dielouvsh/ th;n eJauth'" e{nwsin ajpo; th'" ejkeivnou qeovthto" hJ ejpisthvmh, movnimo" ou\sa kai; eJnoeidh;" novhsi" tw'n o{lwn kai; oJmou' sunupavrcousa toi'" nohtoi'" Th'/ de; dih/rhmevnh/ dunavmei kai; th'/ diakrinouvsh/ ta; noera; gevnh kai; eij" tavxin 5 to; plh'qo" to; nohto;n ajgouvsh/ kai; th;n kat ajxivan dianomh;n ejpilampouvsh/ to; th'" dikaiosuvnh" gevno" Th'/ de; mevsh/ touvtwn ajmfotevrwn pro;" eJauth;n ejpestrammevnh/ kai; to;n koino;n suvndesmon th'" triavdo" tauvth" ejcouvsh/ to; th'"

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teologiche orfiche135. Ma se bisogna trovare in base a quanto è presente in questo testo anche le proprietà ben determinate delle tre divinità, teniamo ben in mente che pone lì136 «la 25 pianura della verità», il «prato» e la causa nutritrice degli dèi. Ebbene, il nutrire è proprio della perfezione intelligibile: per que- 49 sto motivo all’ala dell’anima appartiene lo slancio alla ascesa e la perfezione intellettiva in base al nutrimento che da là scorre verso essa. La caratteristica specifica del «prato» poi è quella di essere un’immagine della potenza generatrice di principi razionali, di 5 forme e della produzione della vita: per questo motivo le anime pascolano per «il prato», e il pascolo è sì nutrimento, ma risulta diviso. La «pianura della verità» infine è il dispiegarsi della luce intelligibile e il suo rivelarsi e lo svilupparsi dei principi razionali immanenti e la perfezione che procede ovunque. Quest’ultimo è 10 il carattere specifico della terza monade, mentre quello generativo appartiene alla seconde, ed infine la pienezza intelligibile alla prima. Infatti tutto il «luogo sovraceleste» è illuminato dalla luce della verità: per questo motivo tutte le entità che sono in esso comprese sono denominate “vere” e Socrate : «Qua- 15 lunque anima abbia veduto una delle entità vere»137; in effetti tutte le cose sono realmente enti ed intelligibili, e ricolmi dell’unità divina. Ma nelle prime monadi questa luce intelligibile è in modo “contratto” e per così dire collocata in modo nascosto nelle parti inaccessibili del tempio138, mentre nella triade si manifesta, 20 si espande e si distingue in connessione con la molteplicità delle potenze. Siamo dunque nella condizione di considerare a partire da questi aspetti le differenze fra le tre monadi seguendo i presupposti assunti da Platone. Se poi la «Scienza» si confà alla prima monade, la «Temperanza» alla seconda, la «Giustizia» infine alla ter- 25 za, la triade si manifesta nella sua totalità anche da queste monadi. Ma come la «Scienza» può non confarsi alla monade che è unita al Padre intelligibile, che non è proceduta né ha separato la 50 sua propria unità dalla natura divina che appartiene a quello, essendo intellezione stabile e uni-forme della totalità delle cose ed al contempo coesistendo con gli intelligibili? Come poi il genere della «Giustizia» può non confarsi alla potenza che risulta divisa, che distingue i generi intellettivi, che conduce all’ordine la molte- 5 plicità intelligibile e che fa risplendere la distribuzione secondo il merito? Come infine il genere della «Temperanza» può non confarsi alla monade che è intermedia fra queste due, che si è convertita verso se stessa e che possiede il legame comune di questa tria-

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swfrosuvnh" To; ga;r ejnarmovnion kai; to; kata; lovgon ejpikoinwnei'n pro;" ta; a[kra tauvth" ejsti;n ejxaivreton ajgaqovn. In ou\n mh; polla; levgwmen, kai; tw'n eijrhmevnwn ajpocrwvntwn th'" tou' Plavtwno" hJma'" ajnamnh'sai dianoiva", trei'" hJmi'n au|tai qeovthte" uJmneivsqwsan aiJ to;n uJperouravnion dielovmenai tovpon, nohtai; me;n wJ" ejn noeroi'" pa'sai kai; a[krai kai; sunagwgoi; pavntwn eij" mivan e{nwsin th;n nohthvn, ajll hJ me;n monivmw", hJ de; gennhtikw'", hJ de; ejpistreptikw'" e[cousa to; prwtourgo;n ejn toi'" noeroi'": hJ me;n ga;r ta;" mona;" tw'n qew'n pavntwn eJnoi' kai; sunavgei peri; to; nohtovn, hJ de; ta;" proovdou", hJ de; ta;" ejpistrofav". Pa'sai de; oJmou' th;n o{lhn u{parxin th;n mevnousan ajei; kai; proi>ou'san kai; ejpistrevfousan sunavgousin eij" e{n. Dio; dh; kai; oJ Plavtwn eij" e{na tovpon tou'ton ajnhvgagen tou;" qeou;" tou;" ejn tw'/ kovsmw/ dih/rhmevnou" kai; peri; tou'ton wJ" sunagwgo;n tw'n o{lwn diakovsmwn ejnergou'nta" eij" th;n tw'n nohtw'n metousivan ejpevstreyen. Kai; proavgousin ou\n aiJ monavde" au|tai ta; ei[dh ta; nohta; kai; plhrou'si th'" tou' o{lou metadovsew" kai; ajnakalou'ntai pavlin ta; proelqovnta kai; sunavptousi toi'" nohtoi'". izV Alla; peri; me;n th'" o{lh" triavdo" tauvth" ajrkeivtw ta; eijrhmevna: peri; de; th'" Adrasteiva" leivpetai dielqei'n, h}n kai; aujth;n oJ Swkravth" ejn tw'/ tovpw/ tw'/de th;n basileivan e[cein ejndeivknutai. To; ga;r ta; mevtra tai'" yucai'" ajforivzon th'" ajphvmono" zwh'" ejk th'" qeva" tw'n nohtw'n touvtwn ajgaqw'n ejkei' pou dhladh; th;n prwvthn e[kfansin e[lacen. To; me;n ga;r ajnagwgo;n ai[tion duvnaito a]n kai; deuvteron o]n tw'n ejfetw'n eJautov te kai; ta; a[lla pro;" ejkei'na di ejpistrofh'" ajnavgein: to; de; tou;" karpou;" th'" tou' nohtou' qeva" ajforivzon kai; metrou'n tai'" yucai'", ejn tw'/ nohtw'/ th;n u{parxin e[con ejkei'qen ejpilavmpei to; makavrion aujtai'".

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de? Infatti il carattere armonioso e l’avere comunione secondo un rapporto comune con i termini estremi sono il bene specifico della Temperanza. Dunque per non dilungarci, e poiché quanto si è detto basta a farci ricordare il pensiero di Platone, da noi siano celebrate queste tre divinità che si sono divise «il luogo sovraceleste», intelligibili tutte per quanto è possibile esserlo tra gli intellettivi, somme, concentratrici di tutte le cose verso l’unica unità intelligibile, ma la prima possedendo il carattere originario fra gli intellettivi nel modo della permanenza, la seconda in quello della generazione, la terza infine in quello della conversione; infatti la prima unifica le manenze di tutti gli dèi e le riunisce intorno all’intelligibile, la seconda le loro processioni, la terza infine le loro conversioni. Tutte insieme poi raccolgono verso l’unità tutta la realtà nel suo complesso che permane sempre in sé, che procede e che converte. Proprio per questo motivo Platone ha innalzato verso questo unico luogo gli dèi che sono divisi nel cosmo ed ha fatto rivolgere tramite conversione gli dèi, operanti intorno a quest’ultimo in quanto riunisce la totalità dei loro ordinamenti, verso la partecipazione agli intelligibili. Queste monadi dunque fanno procedere le Forme intelligibili, le colmano della partecipazione al Tutto e richiamano di nuovo le entità che sono procedute e le connettono agli intelligibili.

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51 17 [Chi è «Adrastea» e qual è la «legge di Adrastea», e sul fatto che è posta nel «luogo sopracelste» e per quale ragione]

Ma riguardo a tutta questa triade nel suo complesso bastino le considerazioni esposte; rimane invece da trattare di «Adrastea»: ed in effetti Socrate indica che anche essa ha il suo regno in questo luogo. Infatti ciò che definisce per le anime le misure della vita «immune da pene»139, in conseguenza della visione di questi beni intelligibili, chiaramente ha fatto lì in qualche modo la sua prima apparizione. Infatti il principio causale che eleva potrebbe, pur essendo secondo rispetto agli oggetti di desiderio, elevare attraverso una conversione se stesso ed al contempo le altre entità verso gli intelligibili; dal canto suo ciò che determina i frutti della contemplazione dell’intelligibile e che dà misura alle anime, avendo la sua sussistenza nell’intelligibile, da lì fa risplendere su di esse il carattere della beatitudine.

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Idrutai me;n ou\n, w{sper e[fhn, ejn ejkeivnw/ tw'/ tovpw/, pavntwn de; tw'n qeivwn novmwn ejpikratei' monoeidw'" a[nwqen 15 a[cri tw'n ejscavtwn: kai; tou;" qesmou;" o{lou" touv" te noerou;" kai; tou;" uJperkosmivou" kai; tou;" ejgkosmivou" eij" e{na to;n eJauth'" ajnedhvsato qesmovn, ei[t ou\n Krovnioiv tine" ei\en novmoi (kaqavper oJ ejn tw'/ Gorgiva/ Swkravth", Hn ou\n novmo" o{de ejpi; Krovnou kai; nu'n e[ti ejsti;n 20 ejn qeoi'"), ei[te Divioi (kaqavper fhsi;n oJ Aqhnai'o" xevno", Tw'/ de; e{petai Divkh tw'n ajpoleipomevnwn tou' qeivou novmou timwrov"), ei[te eiJmarmevnoi (kaqavper oJ Tivmaio" ajnadidavskei Novmou" te tou;" eiJmarmevnou" eijpei'n aujtai'"). Apavntwn dh; touvtwn kata; mivan aJplov25 thta nohth;n oJ th'" Adrasteiva" qesmov" ejsti sunek52 tikov", oJmou' kai; to; ei\nai pa'sin aujtoi'" kai; ta; mevtra th'" dunavmew" corhgw'n. Kai; ei[ me dei' toujmo;n eijpei'n, hJ frourhtikh; th'" triavdo" tauvth" duvnami" hJ ajnapovdrasto" kai; hJ th'" dihkouvsh" 5 pantacou' tavxew" a[trepto" perivlhyi" ejn th'/ qew'/ tauvth/ prou>fevsthken. Ouj ga;r movnon aiJ trei'" au|tai qeovthte" ejkfaivnousi ta; pavnta kai; sunavgousin, ajlla; kai; frouroi; tw'n e[rgwn eijsi;n tou' patrov", kata; to; lovgion, kai; tou' eJno;" tou' nohtou'. Tou'to toivnun to; frourh10 tiko;n oJ th'" Adrasteiva" ejndeivknutai qesmov", o}n oujde;n ajpodra'nai dunatovn. Tw'n me;n ga;r eiJmarmevnwn novmwn ouj movnon qeoi; kreivttou", ajlla; kai; yucai; merikai; zw'sai kata; nou'n kai; tw'/ th'" pronoiva" eJauta;" ejpidou'sai fwtiv: kai; tw'n Diivwn novmwn oiJ Krovnioi qeoi; kat oujsivan 15 ejxhv/rhntai, kai; tw'n Kronivwn oiJ sunektikoi; kai; telesiourgoiv: tw'/ de; th'" Adrasteiva" qesmw'/ pavnta uJphvkoa, kai; pa'sai dianomai; qew'n kai; mevtra pavnta kai; frourai; dia; tou'ton uJfesthvkasi. Par Orfei' de; kai; frourei'n levgetai to;n o{lon dhmiourgovn, kai; cavlkea rJovptra 20 labou'sa kai; tuvpanon Ê ai[ghke" Ê ou{tw" hjcei'n w{ste pavnta" ejpistrevfein eij" auJth;n tou;" qeouv". O kai; Swkravth" ajpomimouvmeno", to;n h\con levgw to;n muqiko;n to;n ejpi; pavnta diateivnonta, khruvgmati paraplhsivw" to;n qesmo;n th'" Adrasteiva" ejpi; pavsa" proav25 gei ta;" yucav": Qesmo;" de; Adrasteiva" o{de, h{ti" a]n yuch; kativdh/ ti tw'n ajlhqw'n mevcri te th'" 53 eJtevra" periovdou ei\nai ajphvmona, movnon oujci; to;n Orfiko;n h\con ajpotupwsavmeno" dia; tou'de tou' khruvgmato" kai; oi|on u{mnon tina; tou'ton th'" Adrasteiva" ajnafqegxavmeno". Prw'ton me;n ga;r qesmo;n aujtovn, ajll ouj novmon

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Dunque è posta, come dicevo, in quel luogo, e domina tutte le norme divine in modo uniforme dall’alto fino agli 15 ultimi livelli; ed essa ha collegato tutte quante le leggi, sia quelle intellettive sia quelle ipercosmiche sia quelle encosmiche alla sua unica legge, sia che si tratti di determinate norme di Crono (come afferma Socrate nel Gorgia: «Vigeva dunque questa norma al tempo di Crono e vige ancora anche adesso tra gli dèi»)140, sia che 20 siano di Zeus (come afferma lo Straniero di Atene: «al suo seguito v’è la Giustizia punitrice di coloro che si allontanano dalla norma divina»141), sia che si tratti di norme determinate dal fato (come appunto Timeo illustra di «riferire alle anime le norme che sono determinate dal fato»142). Tutte queste norme certamente in base ad un’unica semplicità intelligibile le contiene «la legge di Adra- 25 stea»143, in quanto essa garantisce nel medesimo tempo a tutte 52 queste sia il loro essere sia le misure della loro potenza. E se occorre che io dica la mia opinione, la potenza custode, alla quale non ci si può sottrarre, di questa triade e l’immutabile 5 comprensività propria dell’ordine che si diffonde da ogni parte preesistono in questa dea. Infatti queste tre divinità non solo rivelano tutte le entità e le riuniscono insieme, ma sono anche «custodi delle opere del Padre», secondo l’Oracolo144, e di quell’Uno che è intelligibile. Questo carattere di custode è pertanto ciò che 10 indica la «legge di Adrastea», alla quale nulla è in grado di sottrarsi. In effetti rispetto alle «norme determinate dal fato» sono superiori non solo gli dèi, ma anche le anime particolari che vivono secondo intelletto e che si consegnano alla luce della provvidenza; e rispetto alle norme di Zeus gli dèi Croni sono trascendenti in base all’essenza, e rispetto alle norme Cronie lo sono gli dèi con- 15 nettivi e perfezionatori; invece alla «legge di Adrastea» tutte le cose sono soggette, e tutte le distribuzioni di dèi, tutte le misure e i custodi sono venuti a sussistere per questa legge. Presso Orfeo poi si dice che Adrastea «ha in custodia» il Demiurgo universale, e «presi cembali di bronzo e timpani †...†»145 li fa risuonare così 20 forte che tutti gli dèi si “volgono” verso di lei. Ed è questo che Socrate imita, intendo dire il suono cui si riferisce la narrazione mitica, il quale si estende in ogni direzione, e alla maniera di un proclama solenne fa presente a tutte le anime la 25 «legge di Adrastea»: «Questa è la legge di Adrastea: qualunque anima che abbia visto qualcuna delle entità vere sarà immune da 53 pene»146. Attraverso questo proclama solenne Socrate riecheggia quasi il modo di esprimersi orfico ed è anche per così dire una sorta di inno questo che intona per Adrastea. In primo luogo infatti egli

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proseivrhken, w{sper to;n Krovnion kai; to;n Divion: oJ ga;r qesmo;" sumpevplektai tw'/ qew'/ kai; proshvkei ma'llon toi'" nohtoi'", oJ de; novmo" th;n noera;n ejmfaivnwn dianomh;n oijkei'ov" ejsti toi'" noeroi'" patravsin. Deuvteron de; eJnoeidw'" aujto;n prohvnegken eijpw;n Qesmov" te Adrasteiva" o{de, kai; ouj peplhqusmevnw", w{sper ejpi; tw'n eiJmarmevnwn novmwn oJ Tivmaio". To; trivton toivnun dievteinen aujto;n ejpi; pavnta ta; gevnh tw'n yucw'n kai; mevtron koino;n ajpevfhnen th'" eujdaivmono" aujtw'n kai; makariva" zwh'" kai; froura;n ajlhqinh;n tw'n a[nw mevnein dunamevnwn th'" o{lh" ajpaqeiva": toiou'ton gavr ejsti to; Ka]n ajei; tou'to duvnhtai poiei'n, ajei; ajblabh' ei\nai. Suvmpasan a[ra thvn te tw'n qeivwn yucw'n a[cranton zwh;n kai; th;n ejn crovnw/ makariovthta tw'n merikw'n oJ qesmo;" ou|to" perieivlhfen, kai; th;n me;n frourei' nohtw'", th;n de; katametrei' th'/ qeva/ tw'n nohtw'n ajgaqw'n.

ihV Tau'ta kai; peri; th'" Adrasteiva" eijrhvsqw. Sunelovnte" dh; loipo;n ei[pwmen wJ" oJ uJperouravnio" tovpo" hJ prwvth triav" ejsti tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n qew'n, 25 ijdiovthta" e[cousa trittav", th;n ejkfantorikhvn, th;n sunagwgovn, th;n frourhtikhvn, kai; tau'ta pavnta nohtw'" kai; 54 ajgnwvstw" perievcousa, kai; sunavptousa me;n ta; noera; toi'" nohtoi'", prokaloumevnh de; ta;" gonivmou" dunavmei" tw'n nohtw'n kai; ajpo; tw'n nohtw'n paradeigmavtwn eij" eJauth;n katadecomevnh to; plhvrwma tw'n eijdw'n: kai; ajpo; me;n th'" 5 ejkei' phgaiva" ajkrovthto" to;n leimw'na probavllousa to;n eJauth'", ajpo; de; tou' eJno;" nou' ta;" trei'" ajreta;" uJposthvsasa, pa'san de; eJauth;n toi'" nohtoi'" sunqhvmasin teleiwvsasa kai; toi'" ajfravstoi" eJauth'" kovlpoi" to; nohto;n o{lon fw'" uJpodexamevnh: kai; oJmou' me;n ejn tw'/ krufivw/ 10 mevnousa tw'n nohtw'n qew'n, oJmou' de; proi>ou'sa nohtw'" ejkei'qen kai; profainomevnh toi'" noeroi'" kai; pavnta" ejpistrevfousa kai; ajnevlkousa tai'" ajrrhvtoi" dunavmesin a}" ejnevspeiren eJkavstoi" th'" oijkeiva" eJnovthto" eijkovna".

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l’ha denominata «legge», ma non «norma», come quella di Crono e di Zeus: infatti il termine “thesmós” [“legge”] risulta connesso al termine “theós” [“dio”]147 e si confà in misura maggiore agli intelligibili, mentre il “nomos” [“norma”], rivelando la “dianomé” [“distribuzione”, “regola”]148 intellettiva, è adatto ai Padri intellettivi. In secondo luogo poi ha presentato questa legge in forma singolare, dicendo «questa è la legge di Adrastea», e non al plurale, come fa Timeo a proposito delle «norme imposte dal fato». In terzo luogo inoltre ha esteso questa legge a tutti i generi delle anime e la fa risultare come la comune misura della loro felicità e della loro vita beata, vera custode della totale impassibilità di quelle anime che possono rimanere in alto; tale è infatti il senso della frase: «E qualora sia in grado di fare sempre ciò, sarà sempre immune da danni»149. Di conseguenza questa legge risulta comprendere sia tutta quanta la vita incontaminata delle anime divine sia la beatitudine, soggetta allo scorrere del tempo, di quelle particolari, e custodisce la prima in modo intelligibile, mentre stabilisce la misura della seconda sulla base della contemplazione dei beni intelligibili.

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18 [Riassunto di quanto si è detto a proposito del «luogo sopraceleste», che rivela in modo assolutamente conciso i suoi caratteri specifici] Questo è ciò che si deve dire anche a proposito di «Adrastea». Riassumendo, allora diciamo a questo punto che «il luogo sopraceleste» è la prima triade degli dèi ad un tempo intelligibili e intellettivi; essa possiede in effetti tre caratteri specifici: quello rivelato- 25 re, quello riunente, quello di custode; e tutti questi caratteri li comprende in sé in modo intelligibile ed inconoscibile; inoltre essa 54 connette gli intellettivi con gli intelligibili, sollecita le potenze generative proprie degli intelligibili e dai modelli intelligibili accoglie in sé l’insieme complessivo delle Forme; e dalla sommità ivi pre- 5 sente che è fonte produce il «prato» che le appartiene specificamente, mentre dall’intelletto unico ha fatto sussistere le tre virtù150, ed inoltre ha reso tutta se stessa perfetta per mezzo dei «segni» intelligibili ed ha accolto nel suo «seno»151 ineffabile tutta la luce intelligibile nella sua totalità; e, nello stesso tempo, da un lato permane nel livello nascosto degli dèi intelligibili, dall’altro procede da lì 10 in modo intelligibile, si manifesta agli dèi intellettivi, li converte tutti e li eleva per mezzo delle potenze ineffabili che «ha disseminato»152 in ciascuno di essi come immagini della sua propria unità.

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Hi kai; hJma'" prosievnai dei' mustikw'", pa'san me;n th;n genesiourgo;n zwh;n kai; th;n swmatikh;n fuvsin, h}n kai; perieteicisavmeqa deu'ro ejlqovnte", kata; gh'" ajfevnta", aujto; de; movnon to; ajkrovtaton th'" yuch'" ajnegeivranta" eij" th;n metousivan th'" o{lh" ajlhqeiva" kai; th;n ajpoplhvrwsin th'" nohth'" trofh'".

iqV Meta; de; tauvthn th;n nohth;n kai; a[gnwston triavda, tw'n noerw'n pavntwn proi>stamevnhn genw'n, th;n sunevcousan to;n suvndesmon aujtw'n nohtw'" a{ma kai; noerw'" qewrhvswmen. Anavgkh me;n ga;r pro; tou' nou' kai; tw'n noerw'n qew'n th;n 55 th'" sunoch'" aijtivan ejn touvtoi" ei\nai toi'" qeoi'", tauvthn de; kata; mevson iJdrumevnhn to;n nohto;n kai; noero;n diavkosmon ejpi; pavnta diateivnein ta; plhvqh ta; qei'a kai; pavnta ta; gevnh tw'n o[ntwn kai; pavsa" ta;" tou' kovsmou diairevsei". 5 Tiv ga;r dh; to; sunevcon e[stai ta; pravgmata prwvtw" Eij mevn, wJ" levgousivn tine", hJ tou' pneuvmato" fuvsi" kai; hJ tonikh; kivnhsi", aujto; to; sw'ma to; sunektiko;n tw'n a[llwn sunoch'" dehvsetai. Pa'n ga;r sw'ma kata; th;n eJautou' suvstasin skedastovn ejsti kai; meristovn, o} kai; oJ Eleavth" xevno" ejndei10 knuvmeno", toi'" ta;" ajrca;" swmatika;" poiou'sin kataqrauvesqaiv fhsi kai; diaskorpivzesqai th;n uJp aujtw'n qruloumevnhn oujsivan. Ou[koun to; sw'ma sunektiko;n tw'n a[llwn pevfuken, ou[t eij kai; swvmasin h\n hJ toiauvth proshvkousa duvnami", to; pneu'ma tauvthn th;n fuvsin hJmi'n parevcesqai dunato;n h\n, 15 diapi'pton ajei; kai; diapneovmenon kai; tou' oJrivzonto" e[xwqen deovmenon. Eij de; ta;" e{xei" uJpoqhsovmeqa kai; ta; ei[dh ta; merizovmena peri; toi'" swvmasin sunektikav, toi'" me;n uJpokeimevnoi" ajpo; touvtwn th;n sunoch;n ejllavmpesqai tw'/ parei'nai tau'ta 20 pavntw" ajnagkai'on: aujta; de; eJauta; pw'" sunevxei, kai; 20

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A questa triade dobbiamo accostarci anche noi in modo mistico, avendo abbandonato sulla terra tutta la vita che appartiene all’ambito della generazione e la natura corporea, che ci siamo trovati intorno come un muro dal momento in cui siamo giunti in questo mondo, e d’altro canto avendo fatto innalzare la componente più elevata della nostra anima, essa sola, perché partecipi della verità universale e si ricolmi del nutrimento intelligibile. 19 [Dimostrazioni del fatto che l’ordinamento connettivo si trova tra gli dèi intelligibili-intellettivi, e che necessariamente devono essere tre le cause connettive della totalità delle cose]

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Poi, dopo questa triade intelligibile e inconoscibile che è posta alla testa di tutti i generi intellettivi, dobbiamo passare a considerare quella che contiene, in modo ad un tempo intelligibile ed intellettivo, il loro legame. È infatti necessario che, al di sopra dell’intelletto e degli dèi intellettivi, sia insita in questi dèi la causa 55 della loro connessione, e, d’altro canto, che essa, essendo posta al livello intermedio intelligibile-intellettivo, si estenda a tutte le molteplicità divine, a tutti i generi degli enti e a tutte le divisioni proprie del cosmo. Quale sarà infatti l’elemento che in senso primo connette le 5 realtà fra loro? Se si tratta, come dicono alcuni153, della natura del pneuma e del moto derivante da tensione, allora il corpo stesso che determina la connessione degli altri corpi avrà bisogno a sua volta di una connessione. Infatti ogni corpo in base alla sua propria costituzione è «soggetto a dissoluzione»154 e a divisione, il che lo Straniero di Elea intende mettere in luce, quando obietta a colo- 10 ro che considerano corporei i principi, che costoro frantumano e disperdono l’essenza alla quale continuano insistentemente a riferirsi155. Quindi il corpo non ha la naturale capacità di connettere fra loro gli altri corpi, e neppure se tale apposita potenza appartenesse ai corpi, non sarebbe comunque il pneuma che potrebbe garantirci tale natura, in quanto continuamente si disgrega, si 15 disperde e necessita di ciò che lo delimita dall’esterno. Se poi supporremo che sono gli stati e le distinte forme presenti nei corpi le entità che determinano la connessione tra essi, sarà assolutamente necessario che tale connessione si irradi sulle sostanze da parte di queste entità, per il solo fatto che queste ultime sono presenti; ma esse, «come potranno connettere» diretta- 20

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plavsai calepovn. Merizovmena ga;r peri; tou;" ejnuvlou" o[gkou" kai; sundiairouvmena toi'" uJpokeimevnoi" o{rou dei'tai kai; sunoch'": oJrivzesqai de; ajf eJautw'n ouj pevfuken oujde; sunevcesqai, diovti mhde; th;n oujsivan aujtovgonon e[cei kai; 25 aujqupovstaton, to; de; mh; paravgon eJauto; mhde; teleiou'n oujd a]n sunevcein eJauto; duvnaito. Pa'sav ge mh;n e{xi" kai; pa'n ei\do" e[nulon eJterokivnhtovn ejsti kai; ajp a[llh" 56 aijtiva" h[rthtai presbutevra", kai; dia; tou'to tw'n uJpokeimevnwn ejsti;n ajcwvriston, eij" eJauto; sunneuvein ouj dunavmenon. Eij de; touvtwn ajpostavnte" ta;" yucav", kai; ajswmavtou" 5 ou[sa" kai; aujtogovnou", prwtourgou;" aijtiva" th'" sunoch'" prosthsaivmeqa, to; meristo;n a{ma kai; ajmevriston tw'n yucw'n pou' qhsovmeqa kai; to; suvgkraton ejk touvtwn kai; to; tw'n genw'n tou' o[nto" metevcon kai; to; dih/rhmevnon eij" tou;" aJrmonikou;" lovgou" Swvmata me;n ga;r kai; fuvsei" sunev10 cousin aiJ yucaiv, diovti metevcousi th'" ajmerou'" ijdiovthto": aujtai; de; a[llh" dehvsontai sunoch'", h} kai; mivxew" toi'" gevnesin kai; sunoch'" toi'" dih/rhmevnoi" lovgoi" parevxetai th;n prwvthn ajrchvn. Epei; kai; to; aujtokivnhton tw'n yucw'n metabatiko;n uJpavrcon kai; eij" crovnou" ejkteinovmenon 15 tou' sunevconto" dei'tai th;n mivan zwh;n kai; o{lhn ajpotelou'nto" kai; ajdiaivreton. To; ga;r o{lon to; tw'n merw'n sunektiko;n to; prou>pavrcon tw'n merw'n ejstin: ejpei; tov ge ejk tw'n merw'n sunesthko;" ajllacovqen katadevcetai th;n sunochvn. 20 Eij de; dh; kai; tw'n yucw'n ejpevkeina th'/ dianoiva/ genovmenoi qewrhvsaimen to;n nou'n, ei[t ou\n to;n metecovmenon, ei[te aujto;n bouvlei to;n ajmevqekton kai; qei'on, kai; wJ" sunelovnti favnai to; noero;n oJmou' tw'n qew'n gevno", eij tou'tov ge prwvtw" ejsti; tw'n o[ntwn sunektikovn, euJrhvsomen kajn touvtw/ plhvqh 25 pantoi'a kai; genw'n diairevsei" kaiv, w{" fhsin oJ Swkravth", polla;" kai; makariva" qeva" te kai; diexovdou". H ga;r diavkrisi" tw'n qeivwn kai; hJ poikiliva tw'n eijdw'n ejn toi'" noeroi'" ejkfaivnetai, kai; aiJ muqikai; tomai; kai; aiJ gennhtikai; 57 dunavmei". Pw'" ou\n to; sunevcon ejntau'qa prwvtw", ou| to; diairetiko;n ejklavmpei gevno" Pw'" de; to; plh'qo" to; noero;n

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mente se stesse, «ecco cosa è difficile anche solo da figurarsi»156. Infatti tali entità, dato che sono divise in parti tra i diversi ammassi materiali e sono suddivise congiuntamente alle sostanze, necessitano di una delimitazione e di una connessione; esse però non sono per natura atte a delimitarsi da se stesse né a connettersi, per il fatto che non posseggono un’essenza che si è generata da sé e che sussiste da sé; ma ciò che non produce se stesso e che non 25 rende se stesso perfetto non potrebbe neppure connettere se stesso. E certamente ogni stato e ogni forma presente nella materia sono, singolarmente, mossi da altro e risultano dipendenti da 56 un’altra causa superiore, e per questo motivo non sono separabili dai sostrati, dato che non possono convergere verso se stessi157. Se poi, lasciati perdere questi aspetti, proponessimo le anime come cause originarie della connessione, in quanto sono sia 5 incorporee sia generatesi da sé, dove collocheremo la componente al contempo divisa e non divisa delle anime, l’elemento che risulta dalla combinazione di questi caratteri, ciò che partecipa dei generi dell’essere e ciò che risulta diviso in rapporti armonici?158 In effetti le anime connettono nature e corpi, per il fatto 10 che esse partecipano del carattere specifico del non essere divise; d’altro canto esse necessiteranno a loro volta di un’altra connessione, che dovrà fornire ai generi il primo principio della mescolanza e della connessione con la divisione fra i diversi rapporti . In effetti la natura automoventesi delle anime, essendo intrinsecamente soggetta a mutabilità ed estendendosi in periodi di tempo distinti, necessita di ciò che connet- 15 te la vita nella sua unicità e che la rende intera ed indivisibile. Infatti l’intero connettivo delle parti è ciò che preesiste alle parti, poiché in effetti ciò che risulta costituito da parte riceve da altro la sua connessione. Se d’altra parte, essendo giunti con il ragionamento anche al di 20 là delle anime, considerassimo l’intelletto, sia che si tratti di quello partecipato, sia che si tratti, se si vuole, dell’intelletto impartecipabile e divino stesso, e per dirla in breve del genere intellettivo degli dèi nel suo insieme, ammesso che quest’ultimo sia in modo primario connettivo degli enti, scopriremmo anche in questo molteplicità di ogni sorta e divisioni tra generi e, come dice Socrate, 25 «molte e beate visioni ed al contempo percorsi determinati»159. Infatti la distinzione tra le entità divine e la varietà delle loro specie si rivela tra gli intellettivi, e tra essi si rivelano al contempo le mutilazioni di cui narra il mito160 e le potenze generatrici. Come 57 dunque ciò che connette può trovarsi in modo primario in quel-

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oujk eij" a[llhn aijtivan ajnoivsei presbutevran th;n th'" sunoch'" th'" oijkeiva" mevqexin Kai; ga;r to; prwvtw" ejsti; sunecovmenon, 5 ejpei; kai; to; prwvtw" diairouvmenon, to; de; th'" sunoch'" deovmenon to; diairetovn ejstin (aujto; de; to; ajdiaivreton ejpevkeina th'" sunektikh'" ejstin uJpavrxew"): prwvtw" de; sunevcon oujk e[sti, pa'n ga;r to; sunecovmenon uJp a[llou sunevcetai tou' prwvtw" e[conto" th;n th'" sunoch'" duvnamin. 10 Anavgkh toivnun ejk tw'n eijrhmevnwn, pro; tw'n noerw'n qew'n th;n sunektikh;n iJdru'sqai tavxin tw'n o[ntwn. All hJ me;n nohth; kai; kruvfio" u{parxi" th'" eJnwvsewv" ejsti corhgo;" toi'" pa'sin, a{te prosecw'" uJposta'sa meta; to; e}n kai; ou\sa ajdiaivreto" kai; eJnoeidhv": hJ de; sunoch; tou' plhvqou" ejsti; 15 sunaivresi" eij" ajmevriston koinwnivan: dio; dh; deutevra tw'n nohtw'n uJfevsthken. Kai; ga;r hJ ejkei' mesovth" nohtw'" h\n kai; hJnwmevnw" th'" sunoch'" aijtiva prwtourgov": ajlla; mimei'tai to; sunektiko;n tw'n nohtw'n kai; noerw'n th;n eJnopoio;n tw'n nohtw'n duvnamin. Ekei' ga;r aiJ trei'" monavde" 20 aiJ triadikai; eJnwvsei" h\san tw'n o{lwn, ajll hJ me;n kaq uJperochvn, hJ de; kata; to; mevson kevntron, hJ de; kat ejpistrofhvn: ejn de; toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" deuvterai met ejkeivna" eJnwvsei" aiJ trei'" au|tai triavde" kai; tw'/ plhvqei sumfuovmenai. Diovper hJ mevn ejsti sunagwgo;" triav", hJ de; sunektikh; tou' 25 plhvqou", hJ de; telesiourgov". Kai; ga;r to; sunagovmenon 58 kai; to; sunecovmenon kai; to; teleiouvmenon to; plh'qov" ejstin. Ei[t ou\n noerovn ejsti plh'qo", ei[te uJperkovsmion, ei[t ejgkovsmion, ei[q oJpoi'on ou\n, dia; touvtwn tw'n triw'n triavdwn kai; sunavgetai kai; sunevcetai kai; teleiou'tai: kai; sunagov5 menon me;n eij" th;n e{nwsin ajnavgetai tw'n nohtw'n kai; iJdruvetai staqerw'" eij" aujthvn, sunecovmenon de; ajmevriston mevnei kai; ajskevdaston ejn tai'" ajpogennhvsesin, teleiouvmenon de; ejk pavntwn sumplhrou'tai tw'n oijkeivwn merw'n h] dunavmewn. Epei; de; dei' ta; o[nta kai; mevnonta kai; proi>ovnta kai; 10 ejpistrevfonta th'" tritth'" tauvth" ajpolauvein pronoiva", trei'" me;n aiJ sunagwgoi; monavde", trei'" de; aiJ sunektikai;

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l’ambito in cui riluce il genere che divide? Come poi la molteplicità intellettiva potrà non attribuire ad un’altra causa superiore la partecipazione alla connessione che le è propria? Ed in effetti essa è ciò che è in senso primo connesso, dato che essa è appunto ciò 5 che in senso primo è diviso, e d’altra parte ciò che necessita di connessione è ciò che è divisibile (mentre ciò che è indivisibile in sé è al di là della realtà connettiva); d’altro canto la molteplicità non è ciò che in modo primario connette, infatti tutto ciò che è connesso è connesso da un’altra entità che possiede in modo primario la potenza della connessione. Risulta pertanto necessario, in base a quanto si è detto, che l’or- 10 dinamento connettivo degli enti sia posto prima degli dèi intellettivi. Ma, da un lato, la realtà intelligibile e nascosta è garante per tutte le entità dell’unità, in quanto sussiste immediatamente dopo l’Uno ed è indivisibile e uni-forme; invece la connessione è riunione del molteplice in una comunanza non soggetta a divisione; pro- 15 prio per questo sono venute a sussistere entità inferiori agli intelligibili. Ed in effetti il livello intermedio nella realtà intelligibile è risultato161 in modo intelligibile ed in modo unificato causa originaria della connessione; ciò che connette tra loro gli intelligibiliintellettivi imita la potenza unificatrice degli intelligibili. Là infatti le tre monadi triadiche sono risultate162 unificazioni complessive 20 delle entità universali, ma l’una lo è in base a superiorità, l’altra in base al fatto che è il centro intermedio, l’altra ancora in base a conversione; invece negli intelligibili-intellettivi queste tre triadi sono unità complessive di secondo livello dopo quelle precedenti e sono naturalmente unite alla molteplicità. Perciò l’una è triade che riunisce, l’altra che connette la molteplicità, l’altra ancora che la 25 rende perfetta. Ed infatti ciò che è riunito, ciò che è connesso e ciò 58 che è reso perfetto è la molteplicità. Sia dunque che si tratti di molteplicità intellettiva, sia che si tratti di molteplicità ipercosmica, sia che si tratti di molteplicità encosmica, sia che si tratti di un qualunque altro genere di molteplicità, è sempre per il tramite di queste tre triadi che essa è riunita, connessa e resa perfetta; ed in quan- 5 to è riunita, viene elevata verso l’unità degli intelligibili e viene stabilmente posta in essa, mentre in quanto è connessa, permane non suscettibile di divisione e di disgregazione nelle sue generazioni successive, e infine, in quanto è resa perfetta, viene costituita da tutte le sue specifiche parti o potenze. D’altra parte poiché bisogna che gli enti nel loro permanere, procedere e convertirsi godano di questa triplice provvidenza, tre 10 sono le monadi preesistenti che riuniscono, tre quelle che connet-

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prou>pavrcousin, trei'" de; aiJ telesiourgoiv. Kai; ouj tou'tov famen, o{ti dia; to; tw'n deutevrwn ajgaqo;n ta; prw'ta toiw'sde memevristai kai; tosavsde tavxei" proesthvsanto kai; dunavmei": ajll ejkei'na me;n prokatavrcei toi'" uJpodeestevroi" ajei; tw'n ajgaqw'n, hJmei'" de; ejk tw'n uJfeimevnwn ejpi; ta;" aijtiva" tw'n o{lwn ajnatrevcomen. AiJ me;n ou\n nohtai; kai; noerai; triavde" triadikw'" teleiou'si ta; pravgmata kai; sunevcousin ajei; kai; sunavgousin eij" e{nwsin: aiJ de; nohtai; monavde" ajdiakrivtw" kai; eJniaivw" tav" te mona;" aujtw'n kai; ta;" proovdou" kai; ta;" ejpistrofa;" ajpogennw'sin.

kV Alla; peri; me;n tw'n a[llwn ta; me;n ei[rhtai, ta; de; eij" au\qi" rJhqhvsetai: peri; de; th'" sunektikh'" triavdo" ejn tw'/ 59 parovnti lektevon. Tauvthn toivnun oujranivan perifora;n oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" ajpokalei', diovti me;n to; mevson kevntron katevcei th'" zwh'" th'" ajmeqevktou kai; e[sti to; zwtikwvtaton aujto; th'" zwh'", perifora;n aujth;n ajpoka5 lw'n wJ" pavsa" ta;" a[lla" zwa;" kai; ta;" nohvsei" ta;" qeiva" kuvklw/ kai; pantacovqen perievcousan (dia; ga;r tou'to kai; aiJ yucai; pro;" aujth;n ajnagovmenai teleiou'ntai kata; th;n novhsin kai; sunavptontai toi'" nohtoi'" qeavmasin: ajll hJ me;n tou' oujranou' perifora; ajei; wJsauvtw" e{sthken, 10 aijwvnio" gavr ejsti kai; o{lh kai; miva kai; hJnwmevnh novhsi": hJ de; tw'n yucw'n dia; crovnou givgnetai kai; merikwvteron uJfivstatai kai; oujk ajqrova tw'n nohtw'n ejsti perivlhyi", perifevrontai ou\n kuvklw/ kai; ajpokaqivstantai, th'" oujraniva" perifora'" ajei; th'" aujth'" menouvsh"): diovti de; au\ 15 sumplhroi' to;n suvndesmon tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n kai; sunevcei pavnta" tou;" diakovsmou", mevnonta" kai; proi>ovnta" kai; ejpistrefomevnou", oujranivan aujth;n ejponomavzwn. Epei; kai; to;n oujrano;n tou'ton oJ Tivmaio" sfivggein fhsi; pantacovqen ta; uJp aujto;n stoicei'a kai; sundei'n kai; 20 dia; tau'ta a[ra oujdemivan cwvran kenh;n ajpolimpavnein. Wsper ou\n oJ fainovmeno" oujrano;" sunektikov" ejsti tw'n uJp aujtw'/ pavntwn kai; th'" suneceiva" ai[tio" kai; th'" sumpaqeiva" (hJ ga;r tou' kenou' parevmptwsi" dieivrgei th;n sunevceian kai; hJ tauvth" ajnaivresi" th;n sumpavqeian diakovptei tw'n

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tono, tre quelle che perfezionano. E non intendiamo con ciò dire che a motivo del bene delle entità seconde le prime si sono divise in tale maniera ed hanno predisposto un tale numero di livelli e potenze; ma le entità prime sono sempre all’origine dei beni per quelle inferiori; e noi, dal canto nostro, dalle entità di livello inferiore risaliamo alle cause della totalità del reale. Dunque è in modo triadico che le triadi intelligibili-intellettive rendono le realtà perfette, le connettono e le riuniscono in unità; invece le monadi intelligibili generano senza distinzione ed in modo unitario le manenze di queste realtà, le loro processioni e le loro conversioni.

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20 [Sul fatto che Platone identifica «la rivoluzione celeste» con l’ordinamento connettivo degli dèi] Ma a proposito delle altre triadi alcune cose sono già state dette163, altre verranno dette in seguito164; invece è a proposito della triade connettiva che al momento si deve parlare. Questa triade 59 Socrate nel Fedro la chiama «rivoluzione» celeste; e proprio per il fatto che occupa il centro mediano della vita impartecipabile ed è proprio il più vitale livello della vita, la denomina «rivoluzione» in considerazione del fatto che essa comprende tutte le altre forme di 5 vita e le intellezioni divine circolarmente e da ogni parte (è per questo infatti che anche le anime, risalendo verso la rivoluzione, si perfezionano in base alla intellezione e si congiungono agli spettacoli intelligibili; ma la rivoluzione del cielo è sempre allo stesso modo fissa: infatti è eterna, totale, unica ed unificata; invece la 10 rivoluzione delle anime avviene attraverso il tempo, sussiste in modo più frammentato e non è un comprendere simultaneo l’insieme degli intelligibili; dunque viene fatta ruotare in cerchio e riportata al punto di partenza, mentre la «rivoluzione» celeste permane sempre identica); proprio per il fatto che essa a sua volta 15 costituisce il legame degli dèi intelligibili-intellettivi e connette tutti gli ordinamenti, che permangono, procedono e si convertono, la chiama “celeste”. In effetti anche Timeo afferma che questo nostro cielo «serra» da ogni parte gli elementi posti sotto di esso e li collega e per questi motivi dunque non lascia «nessuno spazio 20 vuoto»165. Come dunque il cielo sensibile è connettivo di tutte le cose poste sotto di esso ed è principio causale della loro continuità e del loro collegamento simpatetico (l’intrusione del vuoto infatti ostacola la continuità e la distruzione di quest’ultima rompe il

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swmavtwn), ou{tw dh; kai; oJ noero;" ejkei'no" oujrano;" pavnta ta; plhvqh tw'n o[ntwn eij" th;n ajmevriston koinwnivan sundei' th'" sunoch'" th;n proshvkousan eJkavstoi" moi'ran ejpilavm60 pwn. Allw" ga;r oJ nou'" metevcei th'" sunektikh'" aijtiva", a[llw" hJ yuch'" fuvsi", a[llw" hJ swmatikh; suvstasi": dia; ga;r th;n a[kran metousivan th'" sunoch'" ajmevristo" oJ nou'", dia; de; ta; deuvtera mevtra th'" meqevxew" hJ yuch; meristh; kai; 5 ajmevristov" ejsti kata; mivan suvgkrasin, dia; de; th;n ejscavthn u{fesin kai; ta; swvmata meristh;n e[conta th;n uJpovstasin o{mw" diamevnei sunecovmena kai; ouj diovllutai skidnavmena kai; th'" eJautw'n ajpolauvei diairevsew" kai; ajsqeneiva". 25

kaV Apasa me;n ou\n hJ sunektikh; tria;" oujrano;" ejponomavzetai kata; ta;" eJauth'" uJpavrxei", to; de; uJpestrwmevnon aujtw'/ th'" zwh'" plavto" periforav. Kai; ga;r ejn toi'" fainomevnoi" hJ tou' oujranou' perivodo" kivnhsiv" ejsti kai; oi|on zwh; tou' swvmato". 15 Eij de; dei' kai; to; triadiko;n aujth'" ejk tw'n keimevnwn ajneurei'n, tw'/ th'" ajnalogiva" trovpw/ crhstevon. Epei; ou\n aujto;" oJ Plavtwn nw'ton tou' oujranou' kai; bavqo" a[llo kalei', dh'lon o{ti kai; to; trivton ejsti;n hJ oujravnio" aJyiv". Th;n me;n ga;r uJpo; tauvthn eujqu;" uJpouravnion aJyi'da 20 proseivrhken: w{sper de; tou' nwvtou to;n uJperouravnion tovpon uJperidru'sqaiv famen, ou{tw dh; kai; th'" oujraniva" aJyi'do" th;n uJpouranivan ejxhllavcqai sugcwrhvsomen. Peratou'tai ga;r oJ oujrano;" a[nwqen me;n tw'/ 61 nwvtw/, kavtwqen de; th'/ aJyi'di: kai; perievcetai me;n tw'/ uJperouranivw/ tovpw/, perievcei de; aujto;" th;n uJpouravnion aJyi'da. Dh'lon dh; ou\n ejk touvtwn o{ti triadikov" ti" hJmi'n ajnafaivnetai, kata; me;n to; nw'ton pavnta mia'/ sunev10

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collegamento simpatetico fra i corpi)166, proprio così anche quel 25 cielo intellettivo collega tutte le molteplicità degli enti alla comunanza non soggetta a divisioni, facendo risplendere su ciascuno la parte della connessione che gli si addice. Infatti l’intelletto parteci- 60 pa in un determinato modo della causa connettiva, in un altro l’anima167, in un altro ancora l’insieme composito del corpo; infatti per via della sua partecipazione somma alla connessione l’intelletto è indivisibile, mentre per via della sua partecipazione ad un livello inferiore l’anima è divisibile e indivisibile in base ad un’unica com- 5 mistione, infine per via del loro estremo livello di inferiorità i corpi, anche se la loro sussistenza è soggetta a divisione, tuttavia permangono nella loro connessione e non vengono annientati per il fatto di disperdersi, e riescono a trarre vantaggio dalla propria divisione e debolezza. 21 [Come potremmo trarre dalle affermazioni di Platone le considerazioni di partenza della divisione triadica insita nella natura divina connettiva, e per quale motivo egli venera massimamente l’unità per quel che concerne questa triade] Tutta quanta la triade connettiva, dunque, è denominata «cie- 10 lo» in base alle realtà che le appartengono, mentre l’ambito della vita che si estende sotto di esso è denominato «rivoluzione» ed infatti tra le entità visibili il moto rotatorio del cielo è movimento e per così dire vita del suo corpo168. Se d’altra parte occorre scoprire in base a quanto è presente in 15 questo testo anche la natura triadica di questa rivoluzione, si deve fare ricorso alla modalità dell’analogia. Dato che dunque lo stesso Platone chiama una cosa «convessità del cielo» e “profondità”169 un’altra, risulta anche evidente che il terzo elemento è la «volta» celeste. Egli, in effetti, ha denominato «volta subceleste» quella 20 che è immediatamente posta la di sotto di questa; e d’altra parte come diciamo che «il luogo sovraceleste» è posto al di sopra della «convessità», allo stesso modo appunto ammetteremo che la «volta subceleste» risulta diversa dalla «volta» celeste. Infatti «il cielo» è, dall’alto, limitato dalla «convessità», dal basso invece 61 dalla «volta»; e da un lato il cielo è compreso dal «luogo sovraceleste», dall’altro esso stesso comprende, dal canto suo, la «volta subceleste». Risulta certamente evidente dunque da tali considerazioni che si manifesta a noi un cielo triadico, il quale in base alla «convessità» connette tutte le cose con un’unica semplicità, in

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cwn aJplovthti, kata; de; th;n aJyi'da pa'san th;n triavda peratw'n, kata; de; to; bavqo" aujto;" eij" eJauto;n proi>w;n kai; to; mevson plavto" th'" sunoch'" uJfistav". To; me;n dh; nw'ton th'" oujraniva" tavxew" o{lh" qeovth" ejsti; nohthv, tavca kai; th;n ejpwnumivan ejnteu'qen lacou'sa, 10 nohth; de; wJ" ejn th'/ sunektikh'/ triavdi, pa'san me;n e[xwqen sfivggousa kai; sunevcousa th;n Oujranou' basileivan, pa'si de; toi'" qeoi'" th;n eJnoeidh' kai; aJplh'n tw'n deutevrwn perioch;n ejpilavmpousa, kai; plhroumevnh me;n a[nwqen th'" nohth'" eJnwvsew"f. Dio; dh; aiJ qei'ai yucai; dia; panto;" ajnacqei'sai 15 tou' oujranivou bavqou", i{stantai me;n ejpi; tou' nwvtou, stavsa" de; aujta;" periavgei hJ periforav, kai; ou{tw dh; qew'ntai to;n uJperouravnion kalouvmenon tovpon. H me;n dh; stavsi" i{drusiv" ejsti tw'n yucw'n ejn th'/ nohth'/ tou' oujranou' periwph'/, taujtovthta kai; a[cranton duvnamin 20 kai; ajklinh' novhsin corhgou'sa tai'" yucai'": hJ de; periagwgh; zwh'" ajkmaiva" ejsti; kai; ejnergeiva" ojxutavth" metavlhyi": hJ de; ajmfotevrwn touvtwn koinh; parousiva th;n movnimon ejnevrgeian kai; th;n hjremaivan kivnhsin kai; th;n staqera;n novhsin perilambavnei tw'n nohtw'n. 25 To; dev ge bavqo" to; oujravnion hJ miva sunevceia th'" o{lh" ejsti; triavdo" kai; hJ mevsh qeovth" hJ sunavptousa th;n oujranivan ªtw'nº o{lhn diakovsmhsin, proi>ou'sa me;n ajpo; th'" 62 nohth'" perioch'", katalhvgousa de; eij" th;n aJyi'da th;n oujranivan th;n to; pevra" ajforivzousan tou' panto;" oujranou'. Miva toivnun e{nwsi" kai; sunoch; th'" sumpavsh" ejsti; tauvth" triavdo" kai; provodo" ajdiavluto" ajpo; tou' nwvtou mevcri 5 th'" aJyi'do" dia; th;n mevshn tauvthn qeovthta th;n sumfuomevnhn ajmfotevroi" toi'" a[kroi", kai; to; me;n plh'qo" ejkfaivnousan to; sunektikovn, ejf eJkavtera de; uJpo; tw'n a[krwn peratoumevnhn, tou' me;n perievconto" a[nwqen, tou' de; oJrivzonto" aujth'" kavtwqen th;n provodon. 10 Loipo;n ou\n hJ aJyi;" hJ oujraniva pevra" ejsti; to; kavtw th'" triavdo" kai; oJ ejn aujth'/ nou'", plhrouvmeno" me;n uJpo; th'" zwh'", eJnizovmeno" de; uJpo; tou' nohtou', pa'san de; th;n triavda pro;" th;n ajrch;n ejpistrevfwn, ejpei; kai; hJ aJyi;" oJmoiva tw'/ nwvtw/ tou' oujranou' tugcavnei ou\sa, eij kai; kata; th;n diavstasivn 15 ejstin ejlavttwn: dia; me;n ou\n th;n u{fesin hjlavttwtai, dia; de; th;n oJmoiovthta pro;" th;n ajkrovthta th;n oujranivan ejpevstrap5

f

Cfr. nota alla traduzione.

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base alla «volta» limita tutta la triade, ed infine in base alla pro- 5 fondità procede esso stesso verso se stesso e fa sussistere l’ambito intermedio della connessione. «La convessità» dell’ordinamento celeste nella sua totalità è sì una divinità intelligibile, la quale forse è proprio da questo carattere che ha preso anche la sua denominazione170, ma è intelligibi- 10 le in considerazione del fatto che fa parte della triade connettiva: infatti essa da un lato «serra»171 dall’esterno tutto il regno di Urano e gli fornisce connessione, dall’altro fa risplendere su tutti gli dèi il contenimento da parte di essi, uni-forme e semplice, delle realtà seconde e dall’alto si ricolma della unità intelligibile172. Proprio per questo le anime divine, essendo spinte in alto attraverso tutta la profondità celeste, «si posano sulla convessità, e d’al- 15 tra parte una volta che si sono posate, la rivoluzione le fa ruotare»173, ed in tal modo appunto contemplano «il luogo» denominato «sovraceleste». Il “posarsi” è lo stabilirsi delle anime nella specola intelligibile, in quanto garantisce alle anime identità, potenza 20 incontaminata e intellezione invariabile; mentre il ruotare è la partecipazione ad una vita «al culmine del suo vigore»174 e ad un’attività estremamente rapida; infine la comune presenza di entrambi questi aspetti comprende le nozioni di attività costante, di movimento quieto e di intellezione stabile degli intelligibili. Per quel che concerne poi la profondità celeste, essa è la con- 25 nessione unica di tutta la triade nel suo insieme e la divinità intermedia che tiene unito tutto l’ordinamento celeste nel suo insieme, procedendo dalla specola intelligibile per poi concludersi nella 62 volta celeste che segna il limite inferiore dell’intero cielo. A questa triade nel suo insieme, pertanto, appartengono una sola unità e connessione ed una processione ininterrotta dalla «convessità» fino alla «volta» in virtù di questa divinità che è unita per natura 5 ad entrambe le componenti poste alle estremità, e che da un lato rivela la molteplicità che ha natura contenitiva, dall’altro è limitata in entrambe le direzioni dai termini estremi, dall’uno in quanto contiene dall’alto la sua processione, dall’altro in quanto la delimita dal basso. Per finire, dunque, la volta celeste è il limite inferiore della 10 triade ed è l’intelletto insito in essa, il quale è colmato dalla vita, è unificato dall’intelligibile, ed inoltre fa volgere tutta la triade verso il principio: in effetti la volta risulta simile «alla convessità del cielo», seppure sia inferiore per successione; dunque, per via della 15 sua posizione sottostante, risulta inferiore, mentre per via della somiglianza risulta rivolta verso la sommità celeste. E questo è

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tai. Kai; ou|tov" ejstin oJ oujravnio" nou'" oJ prosecw'" th'" uJpouraniva" aJyi'do" sunoceuv": dio; kai; eJkavteron aJyi;" kalei'tai, *** to; noero;n pevra" tw'n nohtw'n kai; noerw'n 20 qew'n. H me;n ou\n o{lh sunektikh; tria;" toiauvthn e[lace th;n diaivresin, to; nw'ton kata; to; nohtovn, to; bavqo" kata; th;n zwhvn, th;n aJyi'da kata; to;n nou'n: miva de; pa'sa kai; sunechv", ejpeidh; th;n ta; a[lla pavnta sunevcousan e[dei 25 pollw'/ meizovnw" eJauth'" ei\nai sunektikhvn. Ekavsth ga;r tw'n qew'n ijdiovth" ajf eJauth'" a[rcetai th'" ejnergeiva": hJ me;n sunagwgov", eJauth;n sunereivdousa pro;" th;n a[kran e{nwsin, hJ de; ejpistreptikh; tw'n o{lwn, eJauth;n ejpistrevfousa pro;" th;n ajrchvn, hJ ãdÃ a[cranto", eJauth;n kaqara;n ajpo; 63 th'" u{lh" diathrou'sa pro; tw'n a[llwn. Kai; toivnun kai; hJ sunektikh; pro; tw'n metecovntwn eJauth;n sunevcei nohtw'" kai; noerw'" kai; dia; th;n sunoch;n tauvthn miva kai; sunech;" tou' oujranou' fuvsi" paradivdotai. Pa'sa ga;r hJ tria;" eij" 5 eJauth;n sunneuvei kai; th;n oJlovthta th;n oijkeivan hJnwmevnhn diaswv/zei kai; eJauth'/ kata; fuvsin oJmoiotavthn. Kai; prosecw'" me;n hJ aJyi;" ta; noera; pavnta sunevcei kai; sfivggei pantacovqen: pro; de; tauvth" aujto; to; oujravnion bavqo" (o} kai; th;n aJyi'da perieivlhfen) sundei' tou;" o{lou" diakovsmou": 10 pro; de; touvtwn to; oujravnion nw'ton kata; mivan aJplovthto" perioch;n aujthvn te th;n Oujranivan suvmpasan basileivan kai; pavnta ta; uJp aujth;n monoeidw'" perilambavnei kai; th'/ sunektikh'/ dunavmei kai; uJpavrxei sundei' pro;" eJautav. Kai; ga;r ejn toi'" fainomevnoi" prosecw'" me;n hJ koivlh tou' 15 oujranou' perifevreia ta; stoicei'a sfivggei kai; diaskedavnnusqai kai; diapnei'sqai pantacovqen ferovmena ajorivstw" oujk ajfivhsin: pro; de; tauvth" oJ oujravnio" o[gko" pavnta sunereivdei pro;" to; mevson kai; sunwqei' kai; kenh;n oujdemivan ajpoleivpei cwvran: pavntwn dev ejsti miva perioch; to; 20 tou' oujranou' nw'ton, o} kai; tw'/ oujranw'/ th'" oJmoiovthto" kai; toi'" stoiceivoi" th'" pro;" to;n oujrano;n sunafh'" ejstin ai[tion. H ga;r leiva kai; oJmalh;" tou' nwvtou fuvsi", wJ" oJ Tivmaio" levgei, pavnta to;n oujrano;n o{moion eJautw'/ poiei' kai; ajei; ta; perievconta tw'n periecomevnwn 25 sunektikav. Dei' toivnun ajpo; tw'n fainomevnwn th;n oJmoiovthta metaga-

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l’intelletto celeste che mantiene connessa direttamente la «volta subceleste»; ecco perché tutti e due si chiamano «volta» *** 175 il 20 limite intellettivo degli dèi intelligibili-intellettivi. Dunque tutta la triade connettiva nel suo insieme ha avuto tale divisione, la «convessità» in corrispondenza dell’intelligibile, la profondità in corrispondenza della vita, la «volta» in corrispondenza dell’intelletto; ma essa è nel suo insieme una e connessa, dal momento che la triade che connette tutte le altre entità deve originariamente176 risultare in misura molto maggiore connettiva di 25 sé stessa. Infatti ciascuna proprietà degli dèi dà inizio alla sua azione da sé: quella che riunisce, stringendosi essa stessa verso la somma unione, quella che converte la totalità delle entità, convertendosi essa stessa verso il principio, quella della purezza, conservan- 63 dosi essa stessa, prima di tutte le altre entità, pura dalla materia. E pertanto anche la proprietà connettiva, prima delle entità che ne partecipano, connette se stessa in modo intelligibile ed intellettivo ed è per via di questa connessione che il cielo177 viene tradizionalmente descritto come unico e senza soluzione di continuità. Ogni triade in effetti si concentra in se stessa e conserva così la sua 5 propria totalità unificata e somigliantissima per natura a lei stessa. Anche la volta connette direttamente tutte le entità intellettive e le «serra» da ogni parte; ma prima di questa è la profondità celeste stessa (che risulta a sua volta comprendere la volta) che lega insieme tutti i livelli; d’altro canto ancora prima di queste due realtà è 10 la «convessità» celeste che in base ad un unico insieme complessivo di semplicità comprende in sé in modo uniforme tutto quanto il regno stesso di Urano ed al contempo tutte le entità che sono ad esso soggette, e che le lega insieme tra loro con la sua potenza connettiva e con la sua realtà. Ed in effetti anche nell’ambito del visibile la superficie conca- 15 va del cielo «serra» direttamente gli elementi e impedisce che essi si disperdano e si dissipino da tutte le parti, muovendosi in modo indefinito; ma prima di questa è la massa celeste che concentra tutte le cose verso il centro e le comprime, e così «non lascia che rimanga nessuno spazio vuoto»178; d’altra parte l’unico insieme comprendente tutte le cose è la «convessità del cielo», il quale è 20 principio causale per il cielo della somiglianza ed al contempo per gli elementi del loro contatto con il cielo. Infatti la natura «piana e liscia della convessità», come afferma Timeo179, rende il cielo simile a se stesso e le entità comprendenti connettive di quelle 25 comprese. Bisogna pertanto trasferire la somiglianza dall’ambito del visi-

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gei'n ejpi; to;n patevra tw'n noerw'n qew'n Oujranovn, kai; qewrei'n o{pw" a[ra kai; ejkei'no" ei|" ejsti kai; triplou'", a[nwqen me;n 64 kai; kavtwqen to; nohto;n e[cwn kai; to;n nou'n, kata; de; to; mevson th;n zwhvn, h}n proovdwn aijtivan ou\san kai; diastavsewn kai; gennhtikw'n dunavmewn eijkovtw" kata; th;n diavstasin kai; to; bavqo" to; oujravnion ejtavttomen, ejpei; kai; aujto;" oJ Plavtwn 5 ajkrovthta to; nw'ton ejkavlesen: AiJ me;n ga;r ajqavnatoi kalouvmenai, hJnivk a]n pro;" a[krw/ gevnwntai, e[xw poreuqei'sai e[sthsan ejpi; tw'/ tou' oujranou' nwvtw/. Kai; ajkrovthta ou\n th'" oujraniva" diakosmhvsew" kai; to; e[xw prosagoreuvei to; tou' oujranou' nw'ton, a} dh; dia10 ferovntw" ejsti;n ejxaivreta tou' prwvtou tw'n sunocevwn. Pavnta" ga;r sunevcwn th'/ eJautou' mia'/ th'" uJpavrxew" ajkrovthti, kata; to; lovgion, aujto;" pa'" e[xw uJpavrcei kai; h{nwtai pro;" to;n uJperouravnion tovpon kai; th;n a[fraston ejkeivnou duvnamin, periecovmeno" uJp aujtou' 15 pantacovqen kai; kleivsa" eJauto;n ejn th'/ monoeidei' tw'n nohtw'n perioch'/. Tiv ga;r diafevrei levgein to; keklei'sqai to;n prwvtiston tw'n sunocevwn ejn th'/ nohth'/ periwph'/ tou' prosecw'" aujto;n tw'/ uJperouranivw/ tovpw/ periecovmenon ajpofaivnein, o}" h\n nohto;" ejn toi'" noeroi'" ajnhplwmevno" 20 Eij dev ejsti to; prw'ton to; e[xw, kai; to; a[kron dhlonovti kai; suntevtaktai toi'" loipoi'" kai; ejxhv/rhtai ajp aujtw'n. Eij de; oJ prw'to" toiou'to", kata; th;n ajkrovthta th;n nohth;n iJdrumevno" kai; toi'" a[lloi" qeoi'" th;n pro;" to; nohto;n sunafh;n ejpilavmpwn kai; to;n o{rmon to;n patrikovn, 25 dei' dhvpou kai; to;n mevson ei\nai kai; to;n e[scaton, to;n me;n kata; to; bavqo" to; oujravnion, to;n de; kata; th;n ajpoperav65 twsin th'" sumpavsh" perifora'". Eij de; mivan kai; sunech' tw'n o{lwn perifora;n uJpesthvsato, th;n th'" tavxew" ijdiovthta tauvth" aijtiatevon: sunektikh; ga;r ou\sa tw'n o{lwn diakovsmwn kai; pro; tw'n a[llwn eJauth'", kai; oi|on kevntron 5 kai; desmo;" tw'n qeivwn genw'n, eJauth;n prw'ton sundei' kai; sunevcei kai; eij" mivan ajnateivnei zwhvn. Ei|" ou\n a{ma kai; triplou'" ejstin oJ Oujranov", kai; aujto;" eij" ta;" trei'" proevrcetai monavda", ajfanh;" w]n kai; fanero;" kai; to; metaxu; touvtwn, kai; mimouvmeno" tou;" nohtou;" qeouv", eij" triavda" 10 uJpobavnta" nohtav".

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bile al Padre degli dèi intellettivi, Urano, e considerare come anche quello sia uno ed al contempo triplice, poiché dall’alto possie- 64 de l’intelligibile e dal basso l’intelletto, mentre in base al livello intermedio possiede la vita, alla quale, in quanto causa di processioni, di successioni e di potenze generative, a buon diritto abbiamo dato una collocazione in considerazione del suo ordine di successione e della profondità celeste; infatti anche Platone stesso ha 5 chiamato “sommità” la «convessità»: «infatti le anime che sono dette immortali, quando sono giunte alla sommità, procedendo al di fuori si sono posate sulla convessità del cielo»180. E dunque «la convessità del cielo» la chiama «sommità» dell’ordinamento celeste ed «al di fuori», termini appunto che sono scelti in 10 modo specifico per il primo dei connettori. Infatti «connettendoli tutti» per mezzo della sommità unica della propria realtà, secondo l’Oracolo, «esso sussiste tutto al di fuori»181 ed è unito al «luogo sovraceleste» ed alla sua «indicibile potenza», essendo compreso da ogni parte da esso ed «essendosi chiuso»182 esso stesso 15 nell’uniforme insieme che comprende in sé gli intelligibili. Qual è infatti la differenza nel dire che il primissimo tra i connettori si è chiuso nella specola intelligibile rispetto al dire che esso appare per intero compreso immediatamente dal «luogo sovraceleste», il quale è risultato183 un intelligibile dispiegatosi negli intellettivi? D’altra parte se ciò che è «al di fuori» è ciò che è primo, allora è 20 evidente che ciò che è «sommo» è coordinato agli altri termini ed al contempo è trascendente rispetto ad essi. Se poi il primo è tale, in quanto fondato sulla «sommità» intelligibile ed in quanto fa risplendere sugli altri dèi la connessione con l’intelligibile ed il porto paterno, bisogna, a mio giudizio, che vi sia anche l’interme- 25 dio e l’ultimo, l’uno corrispondente alla profondità celeste, l’altro al limite di tutta quanta la «rivoluzione». Se inoltre ha 65 fatto sussistere un «rivoluzione» unica e contenente la totalità delle cose, si deve attribuirne la causa al carattere specifico di questo ordinamento; infatti in quanto è connettivo della totalità dei livelli di realtà e, prima delle altre entità, di se stesso, ed è per così dire centro e legame dei generi divini, in primo luogo esso lega e 5 connette se stesso e si eleva verso un’unica vita. Dunque Urano è uno ed al contempo triplice, ed egli procede verso le tre monadi184, in quanto è invisibile e visibile ed è ciò che fa da intermediario fra queste, imitando gli dèi intelligibili, che discendono nelle 10 triadi intelligibili.

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kbV Eij de; bouvlei kai; ajpo; tw'n ejn Kratuvlw/ gegrammevnwn th;n ijdiovthta th'" tavxew" tauvth" ijdei'n, prw'ton me;n ejkei'no th'" ejn mevsw/ kaqidrumevnh" sunoch'" e[stw soi tekmhvrion, to; 15 ditth;n aujth'" paradivdosqai th;n scevsin, th;n me;n pro;" ta; nohtav, th;n de; pro;" ta; noerav: kai; ga;r oJra'n ta; a[nw levgetai kai; to;n kaqaro;n nou'n ajpogenna'n. Oujkou'n tw'n me;n nohtw'n ejsti novhsi", tw'n de; noerw'n nohtovn (to; ga;r ai[tion tou' nou' prou>fevsthken th'" noera'" oujsiva"): kai; 20 to; sunamfovteron tou'to mavlista th;n mevshn diakovsmhsin tw'n nohtw'n kai; noerw'n sumplhroi'. H me;n ga;r sunagwgo;" oJrw'sa ta; nohtav, ma'llon de; hJnwmevnh toi'" nohtoi'", ouj prwvtw" uJfivsthsin to;n qei'on nou'n: hJ de; telesiourgov", sumparavgousa th'/ mevsh/ ta; noerav, prosecw'" th;n oujranivan 25 tavxin noei', kai; ouj ta; pro; Oujranou' nohtav. Movnh de; au{th 66 to; nohto;n kai; noero;n katalabou'sa kevntron, ejx i[sou me;n ejp a[mfw diateivnei, noou'sa de; ta; nohta; noerw'" aijtiva tw'n noerw'n ejsti nohtw'". Epei; de; prohgei'tai th'" gennhtikh'" ejn aujth'/ tw'n noerw'n dunavmew" hJ pro;" ta; ai[tia scevsi", 5 ajp ejkeivnh" oJ Swkravth" ajrcovmeno" kai; th;n deutevran wJ" ejkeivnh" ejxhmmevnhn paradivdwsin: H de; au\ eij" ta; a[nw o[yi" kalw'" e[cei tou'to to; o[noma kalei'sqai, oujraniva, oJrw'sa ta; a[nw. Tou'to me;n ou\n th;n presbutevran th'" sunocikh'" diakosmhvsew" scevsin televw" hJmi'n 10 ajfwrivsato, noera;n aujth;n wJ" pro;" ta; nohta; kai; o[yin wJ" pro;" oJrwvmena sunavptwn: kaivtoi kai; eJauth;n noei' kai; ejn eJauth'/ nohtovn ejstin, ajlla; kai; to; nohto;n aujth'" wJ" pro;" to; prwvtw" nohto;n noera;n e[lacen tavxin. To; de; eJxh'" th;n pro;" ta; noera; scevsin ejxhgei'tai th'" aujth'" tauvth" mesovthto":

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LIBRO IV, 22

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22 [Qual è nel “Cratilo” la dottrina teologica su Urano e come anche da essa è possibile desumere il livello intermedio tra gli dèi intelligibili e tra gli dèi intellettivi] Se poi si vuole vedere anche da quanto è scritto nel Cratilo il carattere specifico di questo ordinamento, si consideri in primo luogo come prova della connessione stabilita a livello intermedio il fatto che è stata tramandata la duplice relazione di questo ordi- 15 namento, da un lato quella con gli intelligibili, dall’altro quella con gli intellettivi; ed infatti si dice che «guarda le cose in alto» e genera «l’intelletto puro»185. Quindi esso è da un lato intellezione degli intelligibili, dall’altro oggetto intelligibile di intellettivi (infatti ciò che è principio causale dell’intelletto è venuto a sussistere prima dell’essenza intellettiva); e l’insieme di questi due caratteri costituisce in modo assolutamen- 20 te specifico l’ordinamento intermedio degli intelligibili-intellettivi. Infatti l’ordinamento riunente, vedendo gli intelligibili, o meglio essendo unito agli intelligibili, non fa sussistere in modo primario l’intelletto divino; dal canto suo l’ordinamento perfezionatore, producendo insieme all’ordinamento intermedio gli intellettivi, ha immediatamente intellezione dell’ordinamento celeste, e non degli intelligibili che vengono prima di Urano. Ma solo que- 25 sto ordinamento, occupando il centro intelligibile-intellettivo, si 66 estende ugualmente in entrambe le direzioni, e, avendo in modo intellettivo intellezione degli intelligibili, è in modo intelligibile causa degli intellettivi. D’altro canto, dato che la relazione con i principi causali precede la potenza generativa degli intellettivi in questa classe, Socrate, incominciando da tale relazione, tramanda 5 la seconda come dipendente dalla precedente: «È in modo opportuno che a sua volta la vista rivolta verso le cose che stanno in alto è chiamata con questo nome, “celeste”, in quanto essa “vede le cose che stanno in alto”»186. Così dunque ha definito in modo per noi perfetto la relazione primaria dell’ordinamento connettivo, stabilendo questo rapporto: il suo carattere intelletti- 10 vo in relazione agli intelligibili corrisponde alla «vista» in relazione agli oggetti visti; certo, tale ordinamento ha intellezione di se stesso ed al contempo v’è in esso un carattere intelligibile, ma al contempo il suo carattere intelligibile ha avuto un livello intellettivo rispetto a ciò che è in senso primo intelligibile. Del resto ciò che segue spiega la relazione con gli intellettivi di questo medesi-

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Oqen dh; kai; fasivn, w\ Ermovgene", to;n kaqaro;n nou'n paragivgnesqai oiJ metewrolovgoi kai; touvtw/ ojrqw'" to; o[noma kei'sqai. Mevsh toivnun ejn mevsoi" toi'" noeroi'" kai; nohtoi'" qeoi'" hJ tou' Oujranou' diakovsmhsi" ajnhvplwtai, to; nohto;n oJmou' kai; noero;n eij" mivan sunoch;n 20 ajmevriston sullabou'sa kai; pro;" eJkavteron oJmoivw" e[cousa kai; tw'n te prwvtwn noerw'n kai; tw'n eJniaivwn nohtw'n i[son ajfestw'sa: dio; kai; ta; a[nw levgetai noei'n kai; paravgein ou{tw" to;n nou'n. Tou'to dh; ou\n prw'ton ejk tw'n keimevnwn labovnte" meta; 25 tou'to sunnohvswmen o{ti triplh'" ou[sh" th'" oujraniva" tavxew" kai; pavsh" aujth'" kai; noouvsh" ta; nohta; kai; paragouvsh" ta; noerav, diaferovntw" hJ me;n prwtivsth mona;" ta; nohta; noei' (sugkivrnhsin ga;r eJauth;n toi'" nohtoi'" kai; to;n nou'n oi\de to;n nohto;n kai; h{nwtai toi'" pro; aujth'" kai; 67 e[stin wJ" ejn meristoi'" ajmevristo", eij" th;n aJplovthta th;n nohth;n eJauth;n uJperaplwvsasa): hJ de; trivth mavlista gennhtikh; tw'n noerw'n ejstin, ejpei; kai; oJ nou'" ejsti th'" o{lh" sunektikh'" triavdo", kai; para; toi'" Orfikoi'" 5 trivto" ejsti;n Oujranov", oJ tou' Krovnou pathvr: hJ de; mevsh sumparavgei me;n th'/ trivth/ to;n noero;n diavkosmon tw'n qew'n, sunavptetai de; meta; th'" prwvth" toi'" nohtoi'", kai; plhrou'tai me;n nohth'" eJnwvsew" ajpo; th'" prwvth", plhroi' de; th;n trivthn gonivmwn dunavmewn. Ora'/" ou\n o{pw" oJ Plavtwn 10 dia; th'" tw'n a[krwn ijdiovthto" o{lhn hJmi'n ejxevfhnen th;n oujranivan diakovsmhsin, th;n me;n nohth;n aujth'" u{parxin sunavya" toi'" nohtoi'", th;n de; noera;n toi'" noeroi'", th;n de; ajmfoi'n mevshn kata; th;n koinh;n ijdiovthta proelqou'san hJmi'n sullogivzesqai parevcwn. Epei; kai; eij tou'to bouvlei 15 lambavnein ejk tw'n eijrhmevnwn, tw'/ fwti; tw'n nohtw'n sunh'ptai to; oujravnion fw'": hJ ga;r o[yi" oujde;n a[llo ejsti;n h] fw'". Tw'/ toivnun eJauth'" fwti; kai; th'/ ajkrovthti th'/ qeiva/ sunh'ptai toi'" prwvtoi" hJ mevsh diakovsmhsi", th'/ de; noera'/ fuvsei kai; tw'/ pevrati th'" o{lh" triavdo" ajpogenna'/ to;n nou'n kai; pa'san 20 th;n a[cranton qeovthta tw'n noerw'n. Ouj ga;r kaq eJauto;n paravgei to;n nou'n, ajlla; meta; th'" kaqarovthto", ou{tw gavr pou kai; oJ Swkravth" fhsivn: Oqen dh; kai; fasivn, w\ Ermovgene", to;n kaqaro;n nou'n paragivgnesqai. 15

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mo ordinamento intermedio: «proprio da qui, Ermogene, anche 15 coloro che si occupano dei corpi celesti affermano che deriva l’“intelletto puro” e che questo nome è stato posto correttamente»187. Pertanto come intermedio nell’ambito degli dèi intelligibili-intellettivi intermedio si è dispiegato l’ordinamento di Urano, in quanto 20 riunisce, in un solo indivisibile insieme complessivo, simultaneamente l’intelligibile e l’intellettivo, mantiene relazioni simili con entrambi e si trova alla stessa distanza tra i primi intellettivi e gli intelligibili unitari188: ecco perché si dice che esso ha intellezione delle «cose che stanno in alto» e produce così «l’intelletto». Avendo dunque ricavato questo primo concetto dai testi in esame, dopo ciò consideriamo con attenzione che l’ordinamento 25 celeste è triplice ed esso nel suo insieme ha intellezione degli intelligibili ed al contempo produce gli intellettivi, ma è comunque in modo specifico la primissima monade189 che pensa gli intelligibili (infatti mescola se stessa con gli intelligibili, conosce l’intelletto intelligibile, è unita alle entità che la precedono ed è indivisibile per quanto sia possibile esserlo tra le entità divisibili, in quanto si 67 è semplificata ulteriormente nel giungere alla semplicità intelligibile); la terza 190 invece è soprattutto generatrice degli intellettivi, poiché essa è anche l’intelletto che appartiene a tutta la triade intellettiva nella sua interezza, e presso gli Orfici Urano, il padre di Crono, viene per terzo191; la monade intermedia192, 5 infine, introduce insieme alla terza l’ordinamento intellettivo degli dèi, e dal canto suo si collega congiuntamente alla prima agli intelligibili ed è colmata di unità intelligibile dalla prima, mentre a sua volta colma la terza di potenze generative. Si vede dunque come Platone, attraverso la proprietà specifica dei termini estremi, ci 10 abbia rivelato l’intero ordinamento celeste, avendo congiunto la sua realtà intelligibile agli intelligibili e quella intellettiva agli intellettivi, ed inoltre permettendoci di desumere l’ordinamento intermedio rispetto ad entrambi proceduto in base al carattere specifico comune. In effetti, se si vuole ricavare questo concetto da quanto è stato affermato, alla luce degli intelligibili risulta con- 15 giunta la luce celeste: infatti la “vista” non è nient’altro che luce. Pertanto è grazie alla sua stessa luce e alla sommità divina193 che l’ordinamento intermedio risulta congiunto alle entità prime, mentre è grazie alla natura intellettiva e al limite dell’intera triade che genera l’intelletto e tutta la natura divina incontaminata degli 20 intellettivi. Infatti non produce l’intelletto in se stesso, ma congiunto alla purezza: così infatti dice in qualche modo anche Socrate: «da qui appunto, Ermogene, dicono che deriva l’intelletto

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Kai; th'" noera'" toivnun uJpavrxew" kai; th'" ajcravntou dunavmewv" ejstin hJ oujraniva tavxi" aijtiva prwtourgov". Eij de; dei' th;n kaqarovthta mh; kata; sumbebhko;" uJpavrcein tw'/ nw'/, qeovth" ejsti; tw'n ejxh/rhmevnwn ajpo; tw'n deutevrwn kai; ajtrevptou dunavmew" corhgov", h}n oJ mevgisto" Oujrano;" 68 tw'/ nw'/ sumparavgwn oJmou' kai; tw'n ajcravntwn qew'n kai; tw'n noerw'n patevrwn ejsti;n uJpostavth". Tauvta" kai; ejk tou' Kratuvlou ta;" ejndeivxei" paralhptevon th'" peri; tw'n sunektikw'n qew'n ajlhqeiva". 25

kgV Loipo;n toivnun ejsti; th;n uJpouravnion aJyi'da qewrh'sai tw'/ Faivdrw/ peiqomevnou" kai; th;n ijdiovthta tw'n ejntau'qa qew'n. Pri;n de; th'" peri; aujth'" a[rxwmai didaskaliva", tosou'ton bouvlomai proeipei'n, o{ti dh; kai; tw'n pro; hJmw'n 10 oiJ kleinovtatoi th;n uJpouranivan tauvthn aJyi'da qeivan diakovsmhsin uJpo; tw'/ oujranw'/ tetagmevnhn uJponohvsante", oiJ me;n eujqu;" meta; to; prw'ton aujth;n tavttein hjxivwsan, oujrano;n to; prw'ton eijpovnte", oiJ de; ejn tw'/ plavtei tw'n nohtw'n eJkavteron tavttousin. 15 O me;n ga;r ejk th'" Asivnh" filovsofo" tw'/ Plwtivnw/ peiqovmeno" to; prosecw'" ajpo; tou' ajrrhvtou proelqo;n uJpouravnion aJyi'da proseivrhken, wJ" ejn tw'/ Peri; ojnomavtwn filosofei' peri; touvtwn. O de; dh; mevga" Iavmblico" nohtw'n tina tavxin qew'n, e[sti de; o{pou tw'/ dhmiourgw'/ th;n 20 aujthvn, to;n mevgan Oujrano;n prosthsavmeno", th;n uJp aujtw'/ prosecw'" iJdrumevnhn diakovsmhsin kai; oi|on uJpezwkui'an to;n oujranovn, uJpouravnion aJyi'da tivqetai: kai; tau'ta ejn toi'" tou' Faivdrou gevgrafen uJpomnhvmasin. Mhdei;" ou\n 69 oijevsqw kainotomei'n hJma'" peri; th;n th'" tavxew" tauvth" qeologivan kai; prwvtou" ajpo; tou' oujranou' diairei'n th;n uJpouravnion aJyi'da, ajlla; kai; prohgoumevnw" me;n tw'/ Plavtwni peivqesqai diastevllonti tou;" trei'" touvtou" 5 diakovsmou", to;n uJperouravnion tovpon, th;n oujranivan periforavn, th;n uJpouravnion aJyi'da: meta; de; 5

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puro». E pertanto il livello celeste è causa originaria della realtà 25 intellettiva e della potenza incontaminata. Ma se la purezza deve appartenere all’intelletto non per accidente, vi deve essere una divinità che faccia parte delle entità trascendenti rispetto a quelle inferiori e che sia garante di una potenza immutabile, che il grandissimo Urano introduce ad un tempo insieme con l’intellet- 68 to e con ciò fa sussistere sia gli dèi incontaminati sia i padri intellettivi194. Queste sono le indicazioni che si devono trarre anche dal Cratilo a proposito della verità concernente gli dèi connettivi. 23 [Sul fatto che i più ispirati tra gli esegeti hanno definito la «volta subceleste» come un determinato e specifico ordinamento, e sul fatto che la nostra guida l’ha rivelata in modo assolutamente perfetto]

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Rimane dunque da prendere in considerazione la «volta subceleste», prestando fede al Fedro, e il carattere specifico degli dèi che ivi si trovano. Ma prima di dare inizio all’insegnamento che la concerne, intendo fare la seguente premessa: anche i più illustri 10 dei nostri predecessori hanno supposto che questa «volta subceleste» fosse un ordinamento divino posto al di sotto del cielo e con ciò gli uni hanno ritenuto che la si dovesse porre subito dopo il Primo, dicendo che il Primo è il «cielo», gli altri invece pongono entrambi nell’ambito degli intelligibili195. In effetti il Filosofo di Asine196, prestando fede a Plotino197, ha 15 denominato «volta subceleste» l’entità che è proceduta direttamente a partire dall’ineffabile, come egli sostiene filosoficamente nella suo trattato Sui nomi dedicato a tali questioni. Dal canto suo il grande Giamblico, avendo posto in cima come determinato ordine di dèi intelligibili (questo perché identifica tale ordine con il Demiurgo) il grande Urano, considera come «volta subceleste» 20 l’ordinamento che è posto immediatamente al di sotto di Urano e che per così dire risulta cingere dal basso il cielo, e ciò egli ha scritto nel suo Commentario al Fedro198. Nessuno dunque creda 69 che noi introduciamo delle innovazioni sulla dottrina teologica di questo ordine e che per primi separiamo la «volta sottoceleste» dal«cielo», bensì è prima di tutti a Platone che prestiamo fede, il quale distingue199 questi tre livelli: il «luogo sopraceleste», la «ri- 5 voluzione» celeste e la «volta subceleste»; invece solo dopo

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Plavtwna kai; toi'" ejnqeastikw'" th;n ejkeivnou qewrivan metadiwvxasin, Iamblivcw/ kai; Qeodwvrw/. Tiv ga;r dei' levgein to;n hJmevteron kaqhgemovna to;n wJ" ajlhqw'" Bavkcon, o}" peri; 10 to;n Plavtwna diaferovntw" ejnqeavzwn kai; mevcri" hJmw'n to; qau'ma kai; th;n e[kplhxin th'" Platwnikh'" qewriva" ejxevlamyen Kai; ou|to" toivnun ejn toi'" th'" Sumfwniva" gravmmasin kai; meta; touvtou tw; proeirhmevnw sofw; th;n uJpouravnion aJyi'da diastevllousi th'" oujraniva" diakosmhvsew", 15 diafevrousi de; ajllhvlwn pollw'/ dhv tini kata; th;n qewrivan. O me;n ga;r Qeovdwro" to; prw'ton oujrano;n eijpwvn, ou[te th;n eij" ta; a[nw oJrw'san o[yin, wJ" oJ ejn Kratuvlw/ Swkravth", ajfivhsin e[ti uJpavrcein – oujde; ga;r oJra'/ to; prw'ton ou[te o[yi" ejsti;n ou[te katwtevrw tinov" ejstin – 20 ou[t ou\n th;n tou' ojnovmato" ajnavplwsin proshvsetai tauvthn ou[te to;n uJperouravnion tovpon, wJ" oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" ejnqousiavzwn u{mnhsen: ou[te ga;r tovpo" ejsti; tou' eJno;" ou[te nohto;n ou[te plh'qo" eijdw'n ou[te a[neisin ejpevkeina tou' prwvtou to; yucw'n gevno", oujde; 25 gavr ejstin ejpevkeina oujdevn. O dev ge qei'o" Iavmblico" meta; to; prw'ton uJpoqevmeno" to;n oujrano;n ajorivstw" kai; th;n ijdiovthta th'" uJpavrxew" 70 ouj paradedwkwv", kaqareuvei me;n tw'n proeirhmevnwn ajporhmavtwn, didaskevtw de; hJma'" tiv" hJ tavxi" hJ oujraniva, kai; pw'" uJpevsth, kai; poi'on gevno" aujth;n sumplhroi' tw'n pro; tou' dhmiourgou' qew'n. 5 O de; pavnta telewsavmeno" kai; toi'" ajnelevgktoi" katadhsavmeno" lovgoi" oJ hJmevtero" a]n ei[h kaqhgemwvn, o}" kai; ta;" metaxu; pavsa" diakosmhvsei" tou' te prwvtou kai; th'" Oujranou' basileiva" ejpeskevyato ãkai;Ã th;n ijdiovthta th'" tavxew" tauvth" noerw'" ejqeavsato kai; paradevdwken hJmi'n 10 toi'" eJautou' muvstai" ajphkribwmevnhn th;n peri; aujth'" ajlhvqeian. Tauvth/ me;n ou\n diafevrousin ajllhvlwn oiJ hJmevteroi patevre" o[ntw" kai; propavtore": koinh'/ de; a{pante" th;n uJpouranivan aJyi'da th'" oujraniva" perifora'" diakriv15 nousin. Tou'to toivnun kai; hJmi'n uJpoqetevon, kai; pro;" touvtw/ to; prosecw'" uJpotetavcqai tw'/ oujranw'/ to;n diavkosmon tou'ton tw'n qew'n.

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Platone, anche a quelli che in modo ispirato si sono impegnati nello studio della sua dottrina, cioè Giamblico e Teodoro. Infatti, che bisogno c’è di parlare della nostra guida, il vero seguace di Bacco200, il quale, essendo in modo superiore ispi- 10 rato dagli dèi, ha fatto divampare anche fino a noi la meraviglia e lo sbalordimento per la dottrina platonica? Anche quest’ultimo, dunque, negli scritti che formano il trattato sull’Accordo ed insieme a lui i due sopramenzionati sapienti distinguono la «volta subceleste» dall’ordinamento celeste, ma differiscono tra loro certa- 15 mente in grande misura per la diversa prospettiva. In effetti Teodoro, dicendo il Primo «cielo», tralascia il fatto che così esso non è più realmente «la vista che guarda verso le cose che stanno in alto», come afferma Socrate nel Cratilo201 – ed in effetti il Primo non guarda, non è vista, e non è al di sotto di qualche cosa – e dunque non può più ammettere questa spiegazione 20 del nome, e non può ammettere nemmeno «il luogo sovraceleste», come Socrate, nella sua divina ispirazione, lo «ha celebrato» nel Fedro202; ed in effetti all’Uno non appartiene né un luogo né un oggetto intelligibile né una molteplicità di Forme, ed il genere delle anime non si eleva al di là del Primo, ed infatti non v’è nulla 25 al di là203. Quanto poi al divino Giamblico, egli, supponendo che il «cielo» venga in modo indefinito dopo il Primo e non avendoci 70 tramandato il carattere specifico della sua realtà, è sì esente dalle difficoltà precedentemente menzionate, ma che allora ci insegni quale sia la natura dell’ordine celeste, come sia venuto a sussistere e quale sia il genere di dèi anteriori al Demiurgo che lo ricolma204. Colui che invece ha reso perfetto tutto l’insieme e lo ha fissa- 5 to saldamente con ragionamenti inconfutabili potrebbe essere la nostra guida, colui che ha preso in esame tutti gli ordinamenti intermedi fra il Primo e il regno di Urano, che ha considerato in senso intellettivo il carattere specifico di questo ordine e che ha tramandato a noi, suoi iniziati, la verità, nella sua precisa esattez- 10 za, che lo concerne. È dunque in questo modo che differiscono tra loro quelli che sono realmente i nostri padri e i nostri progenitori205; ma in comune tutti distinguono la «volta subceleste» dalla «rivoluzione» celeste. Questo pertanto anche noi dobbiamo presupporre, ed oltre a 15 ciò il fatto che questo ordinamento di dèi è posto per ordinamento immediatamente al di sotto del cielo.

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TEOLOGIA PLATONICA

kdV Epeidh; toivnun th;n sunektikh;n tavxin oJ oujrano;" ei|" 20 w]n kai; triplou'" ejklhrwvsato, th;n de; ajkrovthta tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n oJ uJperouravnio" e[lace tovpo", ajnavgkh dhvpou th;n uJpouravnion aJyi'da to; tevlo" sumperaivnein th'" mevsh" proovdou tw'n qew'n kai; sugkleivein th;n o{lhn tauvthn diakovsmhsin kai; pro;" th;n ajrch;n ejpistrev25 fein, kai; deutevran me;n tou' oujranou' paradevcesqai 71 tavxin, sunelivssein de; aujth;n ejpi; th;n a[kran e{nwsin: kai; oJmofuw'" me;n toi'" mevsoi" sunezeu'cqai gevnesin, prou>pavrcein de; tw'n noerw'n. Ekei'noi me;n ga;r dievkrinan th;n eJautw'n basileivan th'" Oujraniva" dunavmew", hJ de; uJpouravnio" 5 aJyi;" sunhvnwtai tw'/ oujranw'/ kai; perievcetai th'/ oujraniva/ diakosmhvsei: o{qen dh; kai; uJpouravnio" ejponomavzetai. Sunavyasa dh; ou\n pro;" th;n oujranivan perifora;n kai; uJposta'sa prosecw'" ajp aujth'", ejpistrevfei ta; deuvtera pavnta pro;" ta; nohta; kai; teleioi' kata; th;n noera;n periw10 phvn. Tw'n ga;r noerw'n qew'n kat ejpistrofh;n ajpogennhqevntwn kai; kata; mivan sfairikh;n e{nwsin eij" eJautou;" sunelissomevnwn, e[dei prosecw'" aujtw'n uJperidru'sqai th;n telesiourgo;n hJgemonivan. Oqen dh; kai; qaumavzein ejpevrcetaiv moi tou;" ajgnohvsanta" 15 th;n qeivan tauvthn diakovsmhsin kai; th;n o{lhn ouj prospoihsamevnou" th'" teleiovthto" phghvn, ajlla; tou;" me;n eij" ta;" ejnteleceiva" kataferomevnou" (w|n tosou'ton ajpodevcomai movnon, o{ti dh; kai; aujtoi; to; tevleion tw'/ th'" sunoch'" ei[dei sumplevkousin: ajgnoou'si de; a[ra th;n cwristh;n tw'n uJpo20 keimevnwn teleiovthta, kai; ta; ei[dwla tw'n o[ntw" teleivwn filofronou'ntai kai; peri; tau'ta diatrivbousin): tou;" de; th;n yuch;n aijtiwmevnou" (oi} lanqavnousin eJautou;" th;n ejn aijw'ni prou>pavrcousan teleiovthta mh; prospoiouvmenoi kai; ajpo; th'" kata; crovnon ejnergouvsh" zwh'" kai; th;n teleivwsin ejn 25 periovdoi" ejcouvsh" ajrcovmenoi: dei' de; ei\nai th;n oJmou' pa'san pro; th'" dih/rhmevnh" kai; th;n eJstw'san pro; th'"

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24 [Più richiami, tratti dagli insegnamenti tramandati da Platone sulla «volta subceleste» e sulle anime che risalgono verso essa, al fatto che il suo carattere specifico è di essere perfezionatrice] Dal momento che pertanto il cielo, che è unico e triplice, ha ricevuto in sorte il livello connettivo, mentre il «luogo sopracele- 20 ste» ha ottenuto la sommità degli intelligibili ed intellettivi ad un tempo, è necessario a mio avviso che la «volta subceleste» segni il termine della processione intermedia degli dèi, conchiuda tutto questo ordinamento nella sua interezza e lo converta verso il principio, e che essa riceva un livello inferiore rispetto al «cielo», ma 25 d’altra parte riavvolga insieme questo ordinamento facendolo con- 71 vergere verso l’unione somma206; ed è necessario che sia congiunta per affinità di natura ai generi intermedi, e che d’altra parte preesista agli dèi intellettivi. Quegli dèi infatti hanno distinto il proprio regno dalla potenza di Urano207, mentre la «volta subceleste» risul- 5 ta unita al cielo ed è compresa dall’ordinamento celeste: è proprio da ciò che essa viene denominata «subceleste». Essendo dunque congiunta alla «rivoluzione» celeste e sussistendo immediatamente a partire da essa, converte tutte le entità inferiori verso gli intelligibili e le rende perfette in conformità della specola intellettiva. In effetti, dal momento che gli dèi intellettivi sono 10 generati in base a conversione e sono riavvolti insieme su se stessi in base ad una sola unione sferica, bisognava che la sovranità perfezionatrice fosse posta immediatamente al di sopra di essi. Proprio in considerazione di ciò mi accade di meravigliarmi di coloro che hanno ignorato questo ordinamento divino e che non 15 riescono a figurarsi tutta la fonte della perfezione nella sua interezza, ma di questi gli uni si fanno spingere a considerare le entelechie208 (della loro concezione accetto solo questo, cioè che anche essi intrecciano la nozione di “perfetto” con la forma della connessione209; mentre ignorano effettivamente la perfezione se- 20 parata dai sostrati210, e mostrano particolare propensione per le parvenze delle entità realmente perfette e passano il tempo ad occuparsi di tali parvenze); gli altri invece considerano come causa l’anima211 (costoro in effetti non si rendono conto che non riescono a figurarsi la perfezione che preesiste nell’eternità212, e che incominciano dalla vita, la cui azione si svolge nel tempo e che 25 ha la sua perfezione nei periodi ciclici213; invece occorre che la Vita che è tutta insieme214 sia anteriore a quella che risulta divisa

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kinoumevnh", au{th ga;r hJ kivnhsi" hJ kata; crovnon ejndehv" ejsti tou' tevlou" kai; tou' ejfetou' kai; peri; ejkei'no kata; 72 mevro" ajnelivssetai): trivton de; ejpi; touvtoi", a[llou" tou;" ejpi; nou'n ajnadramovnta" kai; th;n prwtivsthn teleiovthta noera;n uJpoqemevnou" (ejnevrgeia me;n ga;r oJ nou'" kai; teleiovth" noerav, th'" de; qeiva" teleiovthto" ejfivetai kai; peri; ejkeivnhn 5 uJfevsthken kai; di ejkeivnhn eij" eJauto;n ejpistrevfetai: dei' toivnun to; th'" ejpistrofh'" ai[tion prou>pavrcein tw'n ejpistrefomevnwn eij" eJauta; noerw'n genw'n, kai; to; th'" mia'" teleiovthto" hJgemonou'n uJperhplw'sqai tw'n teleioumevnwn): eijkovtw" a[ra kai; pro; tw'n noerw'n pavntwn th;n uJpou10 ravnion aJyi'da qew'n proesthvsato diakovsmhsin ejpistreptikh;n tw'n deutevrwn o{lwn qeivwn genw'n kai; telesiourgovn. Kai; dia; tou'to touv" te eJpomevnou" tw'/ Dii; qeou;" kai; tou;" daivmona" ejpi; th;n aJyi'da tauvthn ajnavgei kai; dia; tauvth" ejpiv te to;n oujrano;n kai; to;n uJperouravnion tovpon: 15 Otan de; dh; pro;" dai'tav te kai; qoivnhn i[wsin, a[kran ejpi; th;n uJpouranivan aJyi'da poreuvontai pro;" a[nante". Dia; tauvth" a[ra teleiou'ntai kai; th'" tou' oujranou' metalagcavnousi perifora'" kai; ejpi; to; nohto;n ajnateivnontai: to; ga;r trevfon ejsti; kai; plhrou'n pavnta to; 20 nohtovn. Up aujth;n toivnun th;n sunektikh;n tavxin hJ telesiourgo;" iJdruqei'sa telei' me;n ta; ajniovnta pavnta pro;" to; nohtovn, eujruvnei de; ta;" yuca;" eij" uJpodoch;n tw'n qeivwn ajgaqw'n, ejllavmpei de; to; noero;n fw'", toi'" de; eJauth'" kovlpoi" perilabou'sa ta; deuvtera gevnh tw'n qew'n ejntivqhsi 25 pavnta th'/ sunektikh'/ tw'n o{lwn perifora'/. 73 Dia; tau'ta dh; ou\n kai; oJ Swkravth" mikro;n proelqw;n ta;" ajnagomevna" meta; tw'n dwvdeka qew'n yuca;" ejpi; to; nohto;n kavllo" telei'sqaiv fhsi th;n tw'n teletw'n makariwtavthn kai; dia; th'" teleth'" tauvth" muei'sqai kai; 5 ejpopteuvein ta; a[rrhta. Ekei' toivnun hJ teleth; tw'n qew'n, ejkei' ta; prwvtista musthvria. Kai; oujde;n qaumasto;n eij kai; teletavrca" oJ Plavtwn qeou;" ajnevxetai kalouvntwn hJmw'n, o{" ge kai; ta;" yuca;" ejkei' telei'sqaiv fhsi, qew'n dhladh; telouvntwn: tou;" de; au\ prokatavrcãontÃa" 10 th'" teleth'" pw'" a[n ti" a[llw" h] teletavrca" ajpokalevseien Egw; me;n ga;r oujde; o{pou trevyw th;n diavnoian

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e quella che rimane in quiete sia anteriore a quella che è in movimento: questo movimento che avviene nel tempo infatti è privo del fine e dell’oggetto di desiderio ed intorno a questo oggetto si svol- 72 ge volta per volta); in terzo luogo poi, oltre a ciò, di altri che sono risaliti fino all’intelletto ed hanno supposto che la primissima perfezione fosse intellettiva215 (in effetti l’intelletto è sì attività e perfezione intellettiva, ma desidera la perfezione divina, in rapporto a quella è venuto a sussistere ed attraverso quella si 5 converte verso se stesso; occorre pertanto che il principio causale della conversione preesista ai generi intellettivi che si convertono verso se stessi, e che il principio a capo dell’unica perfezione sia ulteriore per semplicità rispetto alle entità che sono rese perfette); è quindi a buon diritto che anche prima di tutti gli dèi intellettivi ha posto la «volta subceleste», ordinamento che con- 10 verte tutti quanti i generi divini inferiori e li rende perfetti. Ed è per questo motivo che fa ascendere gli dèi al seguito di Zeus e i demoni fino a questa «volta» e attraverso questa fino al «cielo» ed anche al «luogo sopraceleste»: «Allorché essi 15 salgono per il loro pasto e banchetto, procedono per la salita che conduce alla sommità della volta subceleste»216. Di conseguenza è per il tramite di quest’ultima che vengono resi perfetti, si trovano a partecipare della «rivoluzione» celeste e sono protesi in alto verso 20 l’intelligibile: infatti ciò che nutre e ricolma tutte le entità è l’intelligibile. Pertanto l’ordinamento perfezionatore che è posto proprio al di sotto dell’ordinamento connettivo inizia ai misteri217 le entità che si innalzano verso l’intelligibile, inoltre “dischiude” le anime predisponendole ad accogliere i beni divini, fa poi brillare la luce intelligibile ed infine abbracciando al suo «seno»218 i generi inferiori degli dèi, li pone tutti nella «rivoluzione» che connet- 25 te la totalità del reale. Proprio per questi motivi, dunque, anche Socrate, poco più 73 avanti, afferma che le anime che si elevano insieme ai dodici dèi verso la Bellezza intelligibile «sono iniziate alla più beata delle iniziazioni» e attraverso questa iniziazione «sono introdotte ai misteri e giungono alla visione conclusiva» delle entità ineffabili219. Lì 5 dunque si trova l’iniziazione degli dèi, lì i primissimi misteri. E non v’è nessun motivo di meraviglia se Platone accetterà che noi chiamiamo questi dèi “garanti dell’iniziazione”220, Platone che di fatto afferma che le anime vengono lì «iniziate», ma sono senza alcun dubbio degli dèi ad iniziarle; d’altra parte gli dèi che sono all’origine della iniziazione come si potrebbe chiamarli in altro 10 modo se non «garanti dell’iniziazione»? Io certo non so in che

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e[cw, tosauvthn ejnavrgeian kai; mevcri tw'n ojnomavtwn oJrw'n. keV Mia'" de; ou[sh" th'" teleth'" kai; triplh'" (sundihv/rhntai 15 ga;r oiJ telesiourgoi; qeoi; toi'" sunektikoi'") th;n me;n mivan e{nwsin aujth'" uJpouravnion aJyi'da proseivrhken, w{sper oujrano;n th;n sunektikhvn: ejndeivknutai de; kai; to; ejn tauvth/ bavqo" kai; th;n u{fesin, a[kron ejn aujth'/ tiqevmeno" kai; poreivan ajnavnth pro;" th;n th'" aJyi'do" ajkrovthta. 20 Kaqavper ou\n ejn th'/ pro; tauvth" diakosmhvsei to; me;n nohto;n kata; th;n ajkrovthta tavttein hjxiou'men, to; de; zwtiko;n kata; ãto;Ã bavqo", to; de; noero;n kata; to; pevra" to; th;n oujranivan o{lhn ajforivzon periforavn, ou{tw kajn 74 tauvth/ th'/ telesiourgw'/ tavxei to; me;n nohto;n th'" aJyi'do" a[kron qhsovmeqa, tw'/ nwvtw/ tou' oujranou' to;n aujto;n trovpon ejponomazovmenon, diovti dh; kai; suvstoica tau'ta ajllhvloi" ejstiv, to; de; bavqo" th'/ zwh'/, di h|" aiJ yucai; 5 poreuvontai pro;" th;n ajkrovthta, to; ãde;Ã pevra", o} dh; sugkleivei th;n o{lhn aJyi'da, tw'/ nw'/. Suvmpasan de; th;n tavxin tauvthn th'/ pro; aujth'" hJnwmevnh/ ajnavlogon diairhvsomen, pro;" a{pasan ga;r th;n sunektikh;n triavda oJ telesiourgo;" qeo;" uJpevstrwtai: kai; oJ me;n th'" monivmou 10 corhgov" ejsti toi'" qeoi'" teleiovthto" eJdravzwn ejn eJautoi'" pavnta" kai; pro;" eJautou;" eJnivzwn, oJ de; th'" gennhtikh'" tw'n o{lwn prokatavrcei teleiwvsew" eij" th;n tw'n deutevrwn promhvqeian ajnegeivrwn ta; kat oujsivan prohgouvmena, oJ de; th'" eij" ta;" aijtiva" ejpistrofh'" ejstin hJgemw;n sunelivsswn 15 pa'n to; proi>o;n eij" th;n oijkeivan ajrchvn. Dia; ga;r tauvthn th;n triavda kai; pa'n to; tevleion au[tarkev" ejsti kai; ejn eJautw'/ uJfevsthken, kai; pa'n to; gennw'n tevleiovn ejsti kai; ajkmavzon genna'/, kai; pa'n to; ejfievmenon th'" oijkeiva" ajrch'" dia; th'" eJautou' teleiovthto" sunavptetai pro;" aujthvn.

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altra direzione volgere il mio pensiero, quando colgo una tale evidenza perfino nei nomi. 25 [Qual è la divisione triadica dell’ordinamento perfezionatore che è stata tramandata da Platone in relazione alla «volta subceleste»] D’altra parte, dato che l’iniziazione221 è una e triplice (infatti 15 gli dèi perfezionatori risultano divisi nello stesso modo in cui lo sono gli dèi connettivi), ha chiamato l’unica unificazione di questo ordinamento «volta subceleste», come ha denominato «cielo» l’ordinamento connettivo; inoltre egli indica che vi è anche in questo ordinamento la profondità e l’abbassamento di livello, ponendo in essa un «vertice» e una via in salita verso la sommità della volta. Come dunque nell’ordinamento che lo precede abbiamo rite- 20 nuto di dover porre il carattere intelligibile in corrispondenza della «sommità», quello vitale poi in corrispondenza della profondità, ed infine quello intellettivo in corrispondenza del limite che definisce tutta la «rivoluzione» celeste nella sua interezza, allo stesso modo anche in questo ordinamento perfezionatore noi considereremo 74 l’intelligibile come vertice della volta, dato che esso è chiamato allo stesso modo della «convessità» del cielo222, proprio per il fatto che questi livelli sono fra loro coordinati; poi considereremo la profondità coordinata alla vita, attraverso la quale le anime procedono fino alla sommità, il limite infine, che conchiude tutta la volta nella 5 sua interezza, coordinato all’intelletto. Divideremo poi tutto questo ordinamento in modo analogo a quello che è unificato anteriormente ad esso: infatti in modo corrispondente a tutta la triade connettiva nel suo insieme v’è il dio perfezionatore che risulta posto al di sotto di essa223; e l’uno è garante per gli dèi della perfezione per- 10 manente, in quanto li stabilisce tutti in se stessi e li unifica a se stessi; l’altro è all’origine della perfezione generatrice, in quanto incita le entità superiori in base all’essenza a prendersi cura di quelle inferiori; l’altro ancora infine è sovrano della conversione verso le cause, in quanto avvolge tutto ciò che procede riconducendolo alla 15 propria origine224. Infatti è in virtù di questa triade che, al contempo, tutto ciò che è perfetto è autosufficiente ed è venuto a sussistere in se stesso, tutto ciò che genera è perfetto e genera trovandosi al culmine del proprio vigore, e tutto ciò che desidera il proprio principio si congiunge ad esso attraverso la sua propria perfezione.

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Ei[t ou\n th'" fuvsew" th;n telesiourgo;n tw'n gignomevnwn duvnamin lambavnoi", ei[t ou\n th'" yuch'" to;n tevleion ajriqmo;n tw'n ajpokatastavsewn, ei[te tou' nou' th;n ejn eJni; kat ejnevrgeian eJstw'san teleiovthta, mia'" th'" tw'n qew'n teleiovthto" pavnta tau'ta ejxhvrthtai kai; pro;" ejkeivnhn 25 ajnaferovmena ta; me;n meivzw, ta; de; ejlavttw th'" teleiva" uJpavrxew" moi'ran e[lacen: kai; pa'sa teleiovth" ejnteu'qen proevrcetai. Tritth; dev ejsti, to; o{lon eijpei'n: hJ me;n pro; 75 tw'n merw'n, oi{a dhv ejstin hJ tw'n qew'n teleiovth" (ejn ga;r tw'/ eJni; th;n uJpovstasin e[cei pro; tou' plhvqou" panto;" aujtotelw'" prou>pavrconti: toiou'ton gavr pou to; e}n to; tw'n qew'n, oujc oi|on to; yucw'n h] tw'n swmavtwn e{n, tau'ta 5 me;n ga;r oJmofuw'" tw'/ plhvqei sunevzeuktai kai; sunanamivgnutai tai'" oujsivai", aiJ de; tw'n qew'n eJnavde" aujtotelei'" pro; tw'n oujsiw'n uJfesthvkasi, gennw'sai ta; plhvqh kai; ouj sunapogennwvmenai toi'" plhvqesin): hJ de; ejk tw'n merw'n ejsti teleiovth", h} sunupavrcei toi'" mevresi kai; sumplhrou'10 tai dia; tw'n merw'n, oi{a dhv ejstin hJ tou' kovsmou teleiovth" (ejk ga;r tw'n aujth'" plhrwmavtwn e[cei to; pantelev"): trivth dev ejstin a[llh teleiovth" hJ ejn toi'" mevresin (ou{tw dh; kai; tou' kovsmou movrion e{kaston tevleiovn ejstin: wJ" ga;r o{lon ejx o{lwn, ou{tw kai; tevleion ejk teleivwn tw'n ejn 15 aujtw'/ to; pa'n uJfevsthken kata; to;n Tivmaion). W" de; sunelovnti favnai, kai; hJ teleiovth" to;n aujto;n trovpon th'/ oJlovthti diairei'tai: sunevzeuktai ga;r ajllhvloi", w{" fhsin oJ Tivmaio", diovti dh; kai; to; telesiourgo;n gevno" tw'/ sunektikw'/ sumfuvetai kai; pa'si toi'" sunektikoi'" uJpotevtaktai telesiourgo;" 20 monav". Th'" ou\n sunocikh'" tw'n merw'n oJlovthto" tritth'" uJparcouvsh" kai; hJ teleiovth" ejsti; triplh'. Kai; ei[ me dei' toujmo;n eijpei'n, pa'sai me;n ejk pavntwn eijsi; tw'n hJgemovnwn aiJ teleiovthte": ajll hJ me;n pro; tw'n merw'n tw'/ prwvtw/ proshvkei 25 ma'llon, hJ de; ejk tw'n merw'n tw'/ mevsw/, hJ de; ejn tw'/ mevrei tw'/ trivtw/. Pro; de; th'" triavdo" tauvth" hJ monoeidh;" teleiovth" kai; hJ pantelh;" u{parxiv" ejstin hJ nohth; triav", h}n kai; oJ 20

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Sia che dunque si consideri la potenza perfezionatrice della 20 natura sulle entità che vengono ad essere, sia che si consideri la serie completa di ritorni da parte dell’anima alla condizione originaria225, sia che si consideri la perfezione dell’intelletto che è posta in atto in un’unità, tutte queste forme di perfezione dipendono dall’unica perfezione degli dèi ed è in riferimento ad essa che ad alcune entità è toccata una parte maggiore, ad altre una parte minore della esistenza perfetta; ed ogni perfezione proviene da lì. Inoltre, per dirla in generale, questa perfezione è triplice: v’è quella che è anteriore alle parti, e tale appunto è la perfezione 75 degli dèi (infatti ha il fondamento della propria realtà in quell’uno che preesiste in modo in sé perfetto a tutta la molteplicità; tale infatti è in certo modo l’uno che è proprio degli dèi, e non corrisponde all’uno delle anime o dei corpi: queste forme di unità 5 infatti sono congiunte per affinità di natura alla molteplicità e sono mescolate insieme alle essenze, mentre le enadi degli dèi sono venute a sussistere perfette in se stesse anteriormente alle essenze, dato che esse generano le forme di molteplicità e non sono generate insieme alle forme di molteplicità); v’è poi la perfezione formata dalle parti, la quale coesiste insieme alle parti ed è 10 costituita per il tramite delle parti; tale appunto è la perfezione del cosmo (infatti a partire dagli insiemi completi degli elementi che la costituiscono possiede il carattere del «totalmente perfetto»226); terza infine è un’altra perfezione, quella che è insita nelle parti (è proprio in questo senso che ciascuna delle parti del cosmo risulta perfetta: nel modo in cui, in effetti, il tutto, secondo Timeo, è 15 venuto a sussistere come «intero fatta di interi», allo stesso modo è venuto a sussistere anche come «perfetto fatto di parti perfette»227 che si trovano in esso). Per dirla in breve, a sua volta anche la perfezione si divide allo stesso modo della totalità; infatti risultano congiunte tra loro, come afferma Timeo228, proprio per il fatto che il genere perfezionatore a sua volta è connesso per natura a quello connettivo ed al di sotto di tutte le entità connettive è 20 posta una monade perfezionatrice229. Dato che dunque la totalità connettrice delle parti è triplice, anche la perfezione è triplice. E se io devo dire la mia opinione, certamente tutte le perfezioni vengono da tutti gli dèi sovrani: ma la perfezione anteriore alle parti si confà in misura maggiore al primo , mentre quella formata dalle parti al dio in- 25 termedio, ed infine la perfezione insita nella singola parte al terzo dio. D’altro canto prima di questa triade vengono la perfezione uniforme e la realtà assolutamente perfetta, cioè la triade intelligi-

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76 Tivmaio"

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kata; pavnta teleivan proseivrhken. All ejkei' me;n hJnwmevnw" aiJ trei'" prou>ph'rcon teleiovthte", ma'llon de; miva phgh; pavsh" h\n teleiovthto" hJ tria;" ejkeivnh, *** th'" nohth'" sunoch'" ejstin ajnevlixi" kai; hJ sunagwgo;" tria;" th'" eJnopoiou' kai; prwtivsth" ejn toi'" nohtoi'", ou{tw dh; kai; hJ telesiourgo;" th'" pantelou'" ejsti triavdo" eijkwvn. Anavlogon ga;r tai'" nohtai'" triavsin aiJ nohtai; kai; noerai; proelhluvqasin. Tritth; toivnun hJ teleiovth", pro; tw'n merw'n, ejk tw'n merw'n, ejn tw'/ mevrei: kai; kaq e{teron trovpon, hJ movnimo", hJ gennhtikhv, hJ ejpistreptikhv: kai; kat a[llhn ejpibolhvn, hJ tw'n noerw'n kai; ajmerivstwn oujsiw'n, hJ tw'n yucikw'n, hJ tw'n peri; ta; swvmata meristw'n. Eijkovtw" a[ra pro; tw'n noerw'n qew'n oiJ trei'" hJgemovne" th'" teleiovthtov" eijsin, mivan susthsavmenoi diakovsmhsin uJpo; th;n oujranivan periforavn, kai; di eJautw'n ajnavgonte" pavnta ta; deuvtera pro;" to; nohto;n kai; telou'nte" tw'/ fwti; tw'/ nohtw'/ kai; ejpistrevfonte" kai; sunavptonte" th'/ tou' Oujranou' basileiva/, kai; to; a[oknon toi'" teloumevnoi" parevconte" kai; frourou'nte" aujtw'n th;n a[cranton teleiovthta.

kıV Toiau'ta kai; peri; th'" trivth" triavdo" tw'n nohtw'n kai; noerw'n diakovsmwn nohvmata para; tou' Plavtwno" lhptevon: h}n pote; me;n uJpouranivan aJyi'da prosonomavzei, a[kron 77 kai; mevson kai; e[scaton e[cousan, pote; de; teleth;n makarivan kai; pasw'n teletw'n presbutavthn, di h|" ajnavgei ta;" yuca;" kai; sunavptei th'/ mustikh'/ plhrwvsei tw'n nohtw'n. Au{th ga;r ajnoivgei ta;" oujraniva" oJdouv", uJp aujth;n 5 iJdrumevnh th;n oujranivan periforavn, kai; deivknusin aujtofanh' ta; tw'n qew'n favsmata kai; oJlovklhra kai; ajtremh', kai; pro;" th;n ejpopteivan ajnaploi' tw'n

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bile, la quale appunto Timeo ha denominato «sotto ogni aspetto 76 perfetta»230. Ma là le tre perfezioni preesistono fin dall’origine231 in modo unificato, o meglio questa triade è fin dall’origine un’unica fonte di ogni perfezione; 232 è sviluppo della connessione intelligibile e quella riunente è triade del legame unificatore e primissimo negli intelligibili, allo 5 stesso modo la triade perfezionatrice è immagine della triade totalmente perfetta. Infatti le triadi intelligibili-intellettive risultano procedere in modo analogo a quelle intelligibili. Triplice dunque è la perfezione: anteriore alle parti, formata dalle parti, insita nella parte; e detto in un altro modo ancora, v’è 10 la perfezione stabile, quella generatrice, quella convertitrice; e secondo un’altra angolazione di pensiero, v’è la perfezione delle essenze intellettive ed indivisibili, quella delle anime, quelle delle entità divise nei corpi. È quindi naturale che prima degli dèi intellettivi vengano i tre dèi sovrani della perfezione, che vanno a costi- 15 tuire un unico ordinamento posto al di sotto della rivoluzione celeste, che per loro stesso tramite elevano tutte le entità inferiori verso l’intelligibile, le rendono perfette iniziandole233 per mezzo della luce intelligibile, le convertono, le congiungono al regno di Urano, e infine forniscono alle entità rese perfette dall’iniziazione «la dedizione instancabile»234 e custodiscono la loro incontamina- 20 ta perfezione. 26 [Qual è la risalita verso le triadi intelligibili-intellettive da parte delle anime separate dai corpi, qual è la «celebrazione misterica più beata», qual è l’iniziazione, qual è «forma più alta di contemplazione», quali sono «le visioni integre, semplici e stabili», qual è la fine di tutta questa risalita] Tali sono le nozioni che bisogna desumere da Platone anche a proposito della terza triade degli ordinamenti intelligibili-intellettivi; ed egli denomina tale triade in un caso «volta subceleste», dato che essa possiede un termine sommo, uno medio ed uno 77 estremo, in un altro «iniziazione beata» e la “più importante di tutte le iniziazioni”, tramite la quale 235 eleva le anime e le congiunge alla mistica pienezza degli intelligibili. Questa triade infatti apre le vie celesti, in quanto è posta al di sotto della stessa 5 «rivoluzione» celeste, e mostra, nel loro autonomo manifestarsi236, le «visioni integre ed al contempo stabili» degli dèi, e prepara

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nohtw'n qeamavtwn, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth". Prohgei'tai ga;r hJ me;n teleth; th'" muhvsew", au{th de; 10 th'" ejpopteiva". Oujkou'n telouvmeqa me;n ajniovnte" uJpo; toi'" telesiourgoi'" qeoi'", muouvmeqa de; ta; oJlovklhra kai; ajtremh' favsmata uJpo; toi'" sunektikoi'", par oi|" kai; hJ oJlovth" hJ noera; kai; hJ stavsi" tw'n yucw'n, ejpopteuvomen de; para; toi'" sunagwgoi'" tw'n o{lwn eij" th;n 15 nohth;n periwphvn. Kai; pavnta me;n wJ" pro;" to; nohto;n levgomen, tugcavnomen de; a[llou kat a[llon diavkosmon. Kai; ga;r telou'sin hJma'" oiJ telesiourgoi; tw'/ nohtw'/ di eJautw'n, *** kai; th'" ejpopteiva" kaqhgou'ntai tw'n nohtw'n aiJ sunagwgoi; monavde" di eJautw'n. 20 Kai; polloi; me;n oiJ baqmoiv, pavnte" de; eij" to;n patriko;n o{rmon ajnateivnousin kai; th;n patrikh;n telethvn: eij" h}n dh; kai; hJma'" oiJ tw'n o{lwn ajgaqw'n hJgemovne" teletavrcai katasthvseian, ouj lovgoi" ajll e[rgoi" fwtivsante", kai; uJpo; tw'/ megavlw/ Dii; th'" tou' nohtou' kavllou" ajpo25 plhrwvsew" ajxiwvsante" ajpaqei'" tw'n peri; th;n gevnesin kakw'n o{sa dh; nu'n hJma'" perikevcutai televw" ajpofhv78 neian, kai; tou'ton hJmi'n karpo;n kavlliston ejpilavmyeian th'" parouvsh" qewriva", h}n eJpovmenoi tw'/ qeivw/ Plavtwni toi'" filoqeavmosi th'" ajlhqeiva" *** ajpostrovfou" oujde;n iJkanovn.

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kzV Fevre dh; ou\n au\qi" kat a[llhn oJdo;n tw'/ Parmenivdh/ sunakolouqhvswmen meta; ta;" nohta;" triavda" ta;" nohta;" ajpogennw'nti kai; noera;" oJmou' diakosmhvsei" kai; th;n sunech' tw'n qeivwn provodon dia; tw'n ejfexh'" sumperasmavtwn ejkfaivnonti. Mimei'tai ga;r hJ tw'n lovgwn ajllhlouciva kai; sunavrthsi" th;n tw'n pragmavtwn ajdiavluton tavxin toi'"

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attraverso la semplificazione alla visione conclusiva237 degli spettacoli intelligibili, come dice Socrate nel Fedro238. Il rito di iniziazione, in effetti, precede l’iniziazione vera e propria, e questa a sua volta precede la visione conclusiva. Quindi 10 siamo, da un lato, resi perfetti attraverso il rito di iniziazione elevandoci sotto la guida degli dèi perfezionatori, dall’altro «siamo iniziati alle integre e placide visioni» sotto la guida degli dèi connettivi, presso i quali si trovano sia la totalità intellettiva sia la “sosta” delle anime, infine «giungiamo alla visione conclusiva» presso gli dèi riunenti la totalità delle cose nella specola intelligibile. E 15 tutti questi gradi li descriviamo in rapporto all’intelligibile, mentre otteniamo un risultato diverso a seconda del diverso tipo di livello di realtà. Effettivamente gli dèi perfezionatori ci “rendono perfetti con il rito di iniziazione” all’intelligibile attraverso se stessi, 239, ed infine le monadi riunenti guidano la visione conclusiva degli intelligibili attraverso se stesse. E molti sono i gradi, ma tutti tendono in alto verso il porto 20 paterno e il rito di iniziazione paterno; proprio a quest’ultimo gli dèi “garanti dell’iniziazione”, sovrani della totalità dei beni, possano condurre anche noi, illuminandoci non con parole ma con opere240, e sotto la guida del «grande Zeus»241 avendoci ritenuti 25 degni di raggiungere la pienezza della Bellezza intelligibile ci facciano diventare completamente «impassibili» ai «mali» che concernono la dimensione della generazione, tutti quei mali che sono accalcati tutt’intorno a noi242; e possano far risplendere su di noi 78 questo bellissimo “frutto”243 della presente contemplazione, che, seguendo il divino Platone, «agli amanti dello spettacolo della verità»244, nulla può bastare245. 27 [Come nel “Parmenide” Platone rivela gli ordinamenti intelligibiliintellettivi a partire dagli intelligibili, e qual è il carattere comune e quale quello differente della dottrina teologica che li concerne] E allora, di nuovo dobbiamo seguire per un’altra via Parmenide che, dopo le triadi intelligibili, “genera”246 gli ordinamenti intelligibili ed intellettivi ad un tempo e che rivela la processione continua delle entità divine attraverso la successione delle conclusioni. Infatti la coerenza e la connessione dei discorsi imitano l’or-

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a[kroi" ta; mevsa sunavptousan ajei; kai; dia; tw'n mevswn genw'n ejpi; ta;" ejscavta" proovdou" tw'n o[ntwn poreuomevnhn. Tou'to dh; ou\n pro; tw'n kaq e{kasta nohvsewn qewrhvswmen, o{pw" ajnavlogon tai'" nohtai'" triavsin aiJ nohtai; kai; 15 noerai; proelhluvqasin, i{na kai; th;n eu[takton tw'n pragmavtwn tavxin ajpo; touvtwn tw'/ logismw'/ perilavbwmen. Trei'" toivnun h\san aiJ nohtai; triavde" au|tai: to; e}n o[n, to; o{lon, to; a[peiron plh'qo": trei'" de; hJmi'n ajnefavnhsan aiJ nohtai; kai; noeraiv, oJ ajriqmov", to; o{lon, 20 to; tevleion. Oujkou'n ajpo; me;n tou' eJno;" o[nto" oJ 79 ajriqmov", ajpo; de; tou' o{lou tou' nohtou' to; ejn touvtoi" o{lon, ajpo; de; tou' ajpeivrou plhvqou" to; tevleion. Panduvnamon ga;r h\n ejkei' to; a[peiron kai; pantelev", pavnta me;n perilambavnon, aujto; de; ajperivlhpton uJpavrcon. 5 Tw'/ toivnun pandunavmw/ kai; pantelei' to; tevleion ajnavlogon, noera;n e[con teleiovthta kai; deutevran th'" prwtourgou' kai; nohth'" teleiovthto". Kai; mh;n kai; to; o{lon suggene;" mevn ejsti tw'/ nohtw'/ to; nohto;n kai; noerovn: dievsthke de; ejkeivnou kaq o{son ejkei'no 10 me;n th;n oJlovthta kata; mivan e{nwsin ei\cen tou' eJno;" o[nto", tou'to de; to; e}n aujto; kaq auJto; tw'n merw'n tw'n eJniaivwn o{lon ajnafaivnetai kai; to; o]n tw'n pollw'n o[ntwn. Dih/rhmevnai dh; ou\n aiJ oJlovthte" au|tai th'" kaq e{nwsin prohgoumevnh" kai; nohth'" diesthvkasin. AiJ ga;r oJlovthte" aiJ tou'de tou' o{lou 15 th'" nohth'" eijsin oJlovthto" mevrh. To; trivton toivnun ejpaniovnte" to;n ajriqmo;n ajnavlogon tw'/ eJni; o[nti qhvsomen. To; ga;r e}n o]n ejkei' mevn ejsti krufivw" kai; nohtw'" kai; patrikw'", ejntau'qa de; meta; th'" eJterovthto" ajpogenna'/ to;n ajriqmovn, diavkrisin eijdw'n kai; 20 lovgwn uJposthsavmenon. H ga;r eJterovth" aujth; prw'ton ejn th'/ tavxei tauvth/ profaivnetai, duvnami" me;n ou\sa kai; dua;" ejn toi'" nohtoi'", mhtrikh; de; kai; govnimo" ejn touvtoi" phghv. Kai; ga;r h\n ejkei' me;n hJ duvnami" sunagwgo;" tou' eJno;" kai; tou' ªeJno;"º o[nto", dio; kai; a[rrhto" h\n wJ" tw'/ eJni; kai; 25 th'/ uJpavrxei krufivw" uJpavrcousa: ejntau'qa de; hJ eJterovth"

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dine indissolubile delle realtà, che congiunge sempre i livelli intermedi a quelli estremi e che attraverso i livelli intermedi procede fino alle ultime processioni degli enti. Questo aspetto dunque, prima delle singole e specifiche nozioni, dobbiamo prendere in considerazione, cioè in che modo le triadi intelligibili-intellettive 15 siano procedute in modo analogo alle triadi intelligibili, affinché ci sia possibile comprendere a partire da tali considerazioni anche il ben strutturato ordine delle realtà. Tre pertanto sono risultate247 queste triadi intelligibili: l’Unoche-è, l’intero e la molteplicità illimitata; tre poi ci sono apparse le 20 triadi intelligibili-intellettive: il numero, l’intero e il perfetto248. Quindi dall’Uno-che-è viene il numero, mentre dall’intero intelligi- 79 bile viene l’intero insito negli intelligibili-intellettivi, infine dalla molteplicità illimitata viene il perfetto. In effetti nell’intelligibile l’illimitato è risultato dotato di ogni potenza e assolutamente completo, in quanto comprende in sé tutte le cose, mentre esso stesso di fatto non può essere compreso. Il perfetto pertanto è analogo a ciò che è dotato di ogni poten- 5 za e a ciò che è perfettamente completo, avendo una perfezione intellettiva e seconda rispetto alla perfezione originaria ed intelligibile. Ed inoltre l’intero intelligibile-intellettivo è congenere all’intero intelligibile; ma si è distinto da quello nella misura in cui quel- 10 lo è risultato avere, in base ad un’unica unificazione, la totalità dell’Uno-che-è, mentre questo Uno si rivela in sé e per sé come insieme intero di parti unitarie, e l’essere come insieme intero degli enti molteplici. Dato che, dunque, queste totalità risultano in effetti separate tra loro, esse si sono distinte dalla totalità che le precede per livello di unificazione ed è intelligibile. Infatti le totalità dell’intero intelligibile-intellettivo sono parti della totalità in- 15 telligibile. In terzo luogo pertanto, nella nostra risalita, considereremo il numero come analogo all’Uno-che-è. Infatti l’Uno-che-è è là in modo celato, intelligibile e paterno, mentre qui insieme alla alterità genera il numero, determinando così distinzione di forme e di 20 rapporti. Infatti l’alterità in se stessa si manifesta per la prima volta in questo livello, dato che essa negli intelligibili è potenza e diade, mentre negli intelligibili-intellettivi è fonte materna e feconda. Ed infatti nel livello intelligibile la potenza è risultata249 riunente l’uno e l’essere e proprio per questo è risultata anche ineffabile, in quanto in considerazione della sua unità e della sua 25 realtà sussiste in modo occulto; invece nel livello intelligibile-intel-

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80 diakrivnei me;n to; o]n kai; to; e{n, pollaplasiavzei de; meta;

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tou'to to; e}n gennhtikw'" proi>ou'sa kai; to; o]n eij" deutevra" kai; trivta" prokalei'tai proovdou", qruvptousa me;n to; o]n eij" o[nta pollav, kermativzousa de; to; e}n eij" ta;" merikwtevra" eJnavda", kaq eJkavteron de; tw'n o{lwn menovntwn ta;" uJpobavsei" ajpotelou'sa. Eijkovtw" a[ra kai; oJ Plavtwn tw'n ajpofavsewn tou' eJno;" ajpo; tauvth" ejpoiei'to th;n ajrchvn, ejntau'qa ga;r ta; polla; dia; th;n eJterovthta th;n diasthvsasan to; o]n kai; to; e{n. Epei; kai; to; o{lon to; ajpofaskovmenon tou' eJno;" to; noero;n ajll ouj to; nohtovn ejsti. Levgei gou'n hJ ajpovfasi" o{ti to; e}n oujc o{lon, w{ste hJ katavfasi", to; e}n o{lon: tou'to de; to; noerovn ejstin o{lon, to; ga;r nohto;n o{lon to; e}n o[n ejsti kai; ouj to; e{n. Kai; ta; polla; de; ou{tw" ajpevfhsen, to; e}n ouj pollav: touvtw/ de; ajntivkeitai, to; e}n pollav. To; de; plh'qo" to; nohto;n ouj to; e}n polla; ejpoivei, ajlla; to; e}n o]n pollav. Kai; wJ" sunelovnti favnai, pa'n to; nohto;n tw'/ eJni; o[nti carakthrivzetai: sunevptuktai ga;r ejn ejkeivnw/ to; o]n kai; to; e}n kai; sumpevfuken ajllhvloi", kai; to; o]n eJnikwvtatovn ejstin. Opou de; eij" plh'qo" eJkavteron proveisin, ajp ajllhvlwn diivstatai kai; meivzw th;n pro;" a[llhla diafora;n ajpofaivnei: merivzetaiv ge mh;n eij" plh'qo" dia; th;n govnimon th'" eJterovthto" fuvsin.

khV Oti me;n ou\n aiJ nohtai; kai; noerai; diakosmhvsei" ajnav25 logon ou\sai tai'" nohtai'" meta; th'" uJfevsew" proelhluv81 qasin, ejk touvtwn katafanev": meta; de; tou'to peri; eJkavsth" dievlqwmen, ajpo; th'" prwtivsth" ajrcovmenoi kata; fuvsin. Prw'to" dh; ou\n hJmi'n oJ nohto;" ajriqmo;" ejkfaivnetai, tw'/ me;n plhvqei sunech;" w[n. Pa'" ga;r ajriqmo;" plh'qov" ejstin: 5 ajlla; to; plh'qo" to; me;n hJnwmevnw" uJfevsthken, to; de; diake-

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lettivo l’alterità separa l’essere e l’uno, e poi moltiplica in seguito 80 l’uno procedendo in modo generativo e incita l’essere a processioni di secondo e terzo livello, sbriciolando l’essere in enti molteplici e frammentando l’uno nelle enadi più particolari250, ed inoltre 5 sia nel caso dell’essere sia nel caso dell’uno portando a compimento i loro abbassamenti di livello, mentre le loro totalità continuano a permanere tali251. È naturale dunque che Platone abbia dato inizio alle negazioni dell’Uno partendo proprio dall’alterità252: infatti è in questo livello che si trovano i molti per via dell’alterità che ha determinato la separazione dell’uno e dell’essere. In effetti il carattere di 10 intero che viene negato dell’Uno è l’intero intellettivo, ma non quello intelligibile. Dunque la negazione dice appunto che l’Uno non è un intero; sicché l’affermazione è: l’uno è un intero; ma questo intero è quello intellettivo; infatti l’intero intelligibile è l’Unoche-è e non l’Uno253. Ed i molti poi li ha negati nel seguente modo: l’Uno non è molti; d’altra parte il contrario di ciò 15 è: l’uno è molti. Ma la molteplicità intelligibile è risultata rendere254 molti non l’Uno, bensì rende molti l’Uno-che-è. E per dirla in breve, tutto ciò che è intelligibile è caratterizzato dall’Uno-cheè; infatti in esso l’essere e l’uno si implicano a vicenda e sono per natura congiunti l’uno all’altro, e l’essere è assolutamente unitario. Invece laddove entrambi procedono verso la molteplicità, essi si 20 separano l’uno dall’altro e manifestano una maggiore differenza reciproca; essi si dividono per l’appunto in molteplicità per via della natura feconda della alterità. 28 [Come il numero intelligibile-intellettivo è proceduto dagli intelligibili e in che cosa differisce dalla molteplicità intelligibile] Dunque il fatto che gli ordinamenti intelligibili-intellettivi, che sono in relazione analogica con quelli intelligibili, sono proceduti 25 con il conseguente abbassamento di livello, risulta palese in base 81 a queste considerazioni; dopo ciò dobbiamo poi trattare di ciascun ordinamento, incominciando, conformemente a natura, da quello primissimo. Per primo dunque si rivela a noi il numero intelligibile, che è direttamente connesso per un verso alla molteplicità. Infatti ogni numero è molteplicità; ma un conto è la molteplicità che è venuta a sussistere in modo unitario, un altro è quella che è venuta a 5

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krimevnw", oJ de; ajriqmo;" plh'qov" ejsti diakekrimevnon. En aujtw'/ ga;r hJ eJterovth": ejn ga;r tw'/ nohtw'/ duvnami" h\n, kai; oujc eJterovth", hJ kai; ajpogennw'sa ta; plhvqh kai; sunavptousa pro;" ta;" monavda". Sunech;" toivnun oJ ajriqmo;" tw'/ plhvqei 10 tw'/ nohtw'/, kai; tou'to ajnagkai'on. Kai; ga;r hJ mona;" h\n ejkei' kai; hJ duav", ejpei; kai; to; o{lon kai; ajei; monadiko;n h\n kai; duvo gignovmenon oujde;n ejpauveto. Mona;" ou\n ejkei' kai; dua;" h\n, aiJ prwvtistai tw'n ajriqmw'n ajrcai; kai; ejxh/rhmevnai, kai; ejn tauvtai" h\n to; plh'qo" hJnwmevnw". Epei; kai; hJ monav", 15 hJ phgh; tw'n ajriqmw'n, kai; hJ dua;" pa'n e[cei kat aijtivan to; plh'qo", hJ me;n patrikw'", hJ de; mhtrikw'": kai; dia; tou'to ou[pw ajriqmo;" to; nohto;n plh'qo", ajlla; plh'qo" nohtovn, ejn tai'" monoeidevsin ajrcai'" nohtw'" iJdrumevnon, ejn monavdi levgw kai; duavdi, gennhtikw'" me;n ejn th'/ duavdi, patrikw'" 20 de; ejn th'/ monavdi. Kai; ga;r path;r h\n kai; mhvthr oJ trivto" qeov": ejpei; kai; eij to; aujtozw'/on ejn ejkeivnw/, dei' kai; th;n tou' a[rreno" ejkei' kai; th;n tou' qhvleo" aijtivan prwvtw" prou>pavrcein, tau'ta ga;r ejn zwv/oi". Wste kata; to;n Tivmaion kai; kata; to;n Parmenivdhn ejkei' to; mhtriko;n ai[tion kai; to; patrikovn, kai; ejn touvtoi" perievcetai ta; nohta; zw'/a kai; ta; 82 plhvqh ta; nohtav: kai; ajpo; touvtwn prwvtwn oJ ajriqmov", meta; th'" eJterovthto" tav" te monavda" kai; ta;" duavda" ta;" ejn tw'/ ajriqmw'/ kai; tou;" ajriqmou;" pavnta" paragovntwn. Qhluprepw'" ga;r kai; to; gennhtiko;n ejn touvtoi" ejsti; kai; 5 to; patrikovn: kai; eijsi;n aiJ monavde" th'" triavdo" tauvth" patrikai; pa'sai (dio; kai; pro; tw'n a[llwn th'" monadikh'" aijtiva" metivscousin), ajlla; kata; th;n th'" eJterovthto" duvnamin. Ekei' me;n gavr (ejn tw'/ nohtw'/ levgw) kai; to; mhtriko;n patrikw'" h\n, ejntau'qa de; kai; to; patriko;n mhtrikw'": 10 w{sper ejkei' me;n kai; to; noero;n nohtw'", ejntau'qa de; kai; to; nohto;n noerw'". Prosecw'" me;n ou\n ajpo; tauvth" uJfivstatai th'" tavxew" oJ prwvtisto" ajriqmov", ajnavlogon de; ajpogennwvmeno" th'/ prwvth/ triavdi tw'n nohtw'n dhlonovti kai; ejx ejkeivnh" proveisin. 15 Dio; kai; oJ Parmenivdh" ajrcovmeno" tw'n peri; tou' ajriqmou'

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sussistere in modo differenziato; il numero dal canto suo è molteplicità distinta. In esso infatti v’è l’alterità: nell’intelligibile infatti vi è, come si è visto,255 potenza, e non alterità, la quale genera le molteplicità ed al contempo le connette alle monadi. Pertanto il numero è direttamente connesso alla molteplicità intelligibile, e 10 ciò risulta necessario. Ed infatti nella molteplicità intelligibile vi sono, come si è visto256, la monade e la diade, proprio perché l’intero è risultato sempre monadico ed al contempo non cessa in nessun caso di «divenire due»257. Dunque si è visto che lì vi sono monade e diade258, i primissimi e trascendenti principi dei numeri, e che in questi principi si trova la molteplicità in forma unificata. In effetti la monade, la fonte dei numeri, e la diade possie- 15 dono tutta la molteplicità in senso causale, la prima in forma paterna, l’altra in forma materna; ed è per questo motivo che la molteplicità intelligibile non è ancora numero, ma molteplicità intelligibile, che è stabilita in forma intelligibile nei principi uniformi, intendo dire nella monade e nella diade, in forma generativa nella diade, invece in forma paterna nella monade. Ed infat- 20 ti il terzo dio è, come abbiamo visto259, padre e madre: infatti se il Vivente-in-sé si trova in quello, bisogna che lì preesistano in senso primario la causa del mascolino e la causa del femminino; questi caratteri infatti sono presenti nei viventi. Sicché secondo il Timeo e secondo il Parmenide260 lì si trovano il principio causale materno e quello paterno, ed in questi sono compresi i viventi intelligibili e le molteplicità intelligibili; ed è da questi principi 82 causali primi che viene il numero, principi causali i quali congiuntamente all’alterità introducono al contempo le monadi e le diadi, quelle insite nel numero, ed i numeri. Infatti è in forma femminina che in questi principi causali vi sono sia il carattere generativo sia quello paterno; e le monadi di questa triade sono 5 tutte paterne (ecco perché prima di tutto il resto esse partecipano alla causa monadica), ma in base alla potenza dell’alterità. Lì in effetti (intendo dire nell’intelligibile) anche il carattere materno è, come si è visto261, in modo paterno, qui262 invece anche il carattere paterno è in modo materno: proprio come lì anche l’in- 10 tellettivo è in modo intelligibile, qui invece anche l’intelligibile è in modo intellettivo. Orbene, il primissimo tra i numeri da un lato si costituisce in connessione diretta con questo ordinamento, dall’altro, essendo generato in modo analogo alla prima triade degli intelligibili, chiaramente deve procedere al contempo da quella. Proprio per que- 15 sto Parmenide all’inizio dei suoi ragionamenti concernenti il nu-

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lovgwn ajnamimnhv/skei th'" prwvth" hJma'" uJpoqevsew", di h|" to; e}n o]n ajpogenna'/, to; e}n oujsiva" metevcein levgwn kai; th;n oujsivan tou' eJnov", wJ" a]n th'" triavdo" tauvth" kat ejkeivnhn uJpostavsh", kai; tou'to eijkovtw". Nohth; ga;r ou\sa kai; 20 noera; proveisin, wJ" me;n nohth;n ejn toi'" noeroi'" lacou'sa tavxin, ajpo; th'" ajkrovthto" tw'n nohtw'n, wJ" de; ãtw'nà noerw'n prokatavrcousa diakovsmwn, ajpo; th'" noera'" tw'n nohtw'n ***. All ejpi; me;n th'" triavdo" ejkeivnh" th'" nohth'" kai; to; e}n tou' o[nto" h\n kai; to; o]n tou' eJnov", dia; th;n a[fraston 25 aujtw'n kai; kruvfion e{nwsin kai; th;n ejn ajllhvloi" uJpovstasin: ejpi; de; th'" nohth'" kai; noera'" hJ eJterovth" ejkfanei'sa th'" 83 kruptomevnh" ejn ejkeivnh/ kai; ajrrhvtou dunavmew" eijkwvn, kai; ejklavmyasa th;n eJauth'" ejnevrgeian, diakrivnei kai; to; e}n ajpo; tou' o[nto" kai; to; o]n ajpo; tou' eJno;" kai; eJkavteron eij" plh'qo" proavgei dih/rhmevnon, kai; ou{tw dh; to;n o{lon 5 ajriqmo;n ajpogenna'/. O ga;r ajriqmov", wJ" pollavki" ei[pomen, dih/rhmevnon ejsti; plh'qo", ajll oujc hJnwmevnon, kai; ajpo; tw'n ajrcw'n uJposta;n kata; deutevran provodon, ajll oujk ejn tai'" ajrcai'" krufivw" iJdrumevnon. Dio; kai; tou' plhvqou" aJplw'" e{tero", kai; ejn me;n toi'" nohtoi'" to; plh'qo", ejn de; 10 toi'" noeroi'" oJ ajriqmov": ejkei' me;n ga;r kat aijtivan oJ ajriqmov", ejntau'qa de; kata; metousivan to; plh'qo": kajkei' me;n nohtw'" hJ diaivresi", ejntau'qa de; noerw'" hJ e{nwsi". Eij toivnun ajpo; touvtwn proveisin oJ ajriqmo;" kai; toiauvthn e[lace tavxin, eijkovtw" kai; oJ Parmenivdh" touvtwn mavlista 15 diamnhmoneuvei tw'n triavdwn, oujsiva" levgwn metevcein to; e}n kai; dia; tau'ta polla; pefhnevnai. To; me;n gavr ejsti th'" prwvth", to; de; th'" trivth" ejxaivreton, ou| me;n th'" eJnwvsew" tou' eJno;" kai; tou' o[nto" prou>povstasi" h\n h] mevqexi"g, ou| de; tw'n nohtw'n 20 pollw'n ajnafanevntwn, movnon oujci; khruvttonto" tou' Plavtwno" o{ti kata; to; plh'qo" to; nohto;n to; fanovtatovn ejsti tw'n nohtw'n, kaivtoi krufivou o[nto" tou' plhvqou" kai; monoeidou'": kaq eJkavsthn ga;r tw'n qeivwn diakovsmhsin oijkeivw" ajpogenna'tai ejn ejscavtoi" to; plh'qo". g A mio avviso il testo tràdito non è da modificare. Gli Editori propongono invece la seguente integrazione: ou| me;n th'" eJnwvsew" tou' eJno;" kai; tou' o[nto" ãprou>postavsh" (ejkei' ga;rà prou>povstasi" h\n hJ mevqexi"), ou| de; k.t.l. Tale correzione, oltre che macchinosa (occore tra l’altro correggere il tràdito h] mevqexi" con hJ mevqexi"), appare non indispensabile ai fini del senso.

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mero ci richiama alla memoria la prima ipotesi, attraverso la quale genera263 l’Uno-che-è, dicendo che «l’uno partecipa dell’essenza»264 e l’essenza dell’uno, come se questa triade sussistesse in base a quella precedente, e ciò è naturale. Infatti essendo intelligi- 20 bile-intellettiva, nella misura in cui ha ottenuto un livello intelligibile fra gli intellettivi, essa procede a partire dalla sommità degli intelligibili, mentre nella misura in cui è all’origine degli ordinamenti intellettivi procede dal intellettivo degli intelligibili265. Ma per quel che concerne la triade intelligibile, l’uno, come si è visto266, partecipa dell’essere e l’essere dell’uno, in virtù della loro indicibile e nascosta unità e del fatto che essi 25 hanno la loro sussistenza reciprocamente l’uno nell’altro; invece per quel che concerne la triade intelligibile-intellettiva, l’alterità, essendosi rivelata come immagine della potenza nascosta ed inef- 83 fabile insita in quella intelligibile, e facendo risplendere la sua propria attività, distingue sia l’uno dall’essere sia l’essere dall’uno, e spinge entrambi verso la molteplicità divisa, e proprio in questo modo genera il numero nella sua totalità. Infatti il numero, come 5 spesso abbiamo affermato267, è molteplicità divisa, ma non unificata, ed una molteplicità che viene a sussistere a partire dai principi in forma di seconda processione, ma che non è stabilita in modo nascosto nei principi. Ecco perché il numero è altro rispetto alla molteplicità intesa in senso assoluto, e negli intelligibili si trova la molteplicità, mentre negli intellettivi si trova il numero268; 10 negli intelligibili infatti il numero è in forma di causa, mentre qui la molteplicità sussiste in base a partecipazione269; e nell’intelligibile la divisione è in forma intelligibile, qui invece l’unità è in forma intellettiva. Se pertanto il numero procede a partire da queste entità e se gli è stata assegnata la posizione che occupa, è naturale che anche Parmenide ricordi soprattutto queste triadi, quando dice che 15 «l’uno partecipa di essenza e di conseguenza si è manifestato come “molti”»270. In effetti una caratteristica è specifica della prima triade, l’altra è specifica della terza: in un caso è risultata271 esservi preesistenza dell’unità dell’uno e dell’essere o partecipazione, nell’altro è risultata esservi preesistenza degli intelligibili apparsi molteplici, per quanto Platone non arrivi esplicitamente a procla- 20 mare che è in base alla molteplicità intelligibile che esiste il “più luminoso”272 degli intelligibili, anche se la molteplicità è nascosta e di forma unitaria; in effetti è in modo appropriatamente conforme a ciascun ordinamento divino che la molteplicità si genera ai livelli ultimi.

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kqV Proh'lqe me;n ou\n ajpo; touvtwn kai; dia; tau'ta oJ nohto;" tw'n noerw'n genw'n ajriqmov". Idiovthta" mh;n e[cei kai; ajperilhvptou" ajnqrwpivnoi" logismoi'", dih/rhmevna" de; eij" duvo ta;" prwtourgou;" dunavmei", thvn te gennhtikh;n tw'n o{lwn 5 kai; th;n sunagwgo;n tw'n proelqovntwn pavntwn eij" e{nwsin. Kata; me;n ga;r th;n monavda sunavgei to; noero;n plh'qo" kai; sunavptei toi'" nohtoi'", kata; de; th;n duavda proavgei to; plh'qo" kai; diakrivnei kata; th;n eJterovthta: kai; kata; me;n to; peritto;n sunavgei tou;" pollou;" diakovsmou" eij" th;n 10 ajdiaivreton e{nwsin, kata; de; to; a[rtion gonivmw" ejkfaivnei pavnta ta; gevnh tw'n qew'n. Mevso" ga;r iJdruqei;" tw'n te nohtw'n qew'n kai; tw'n noerw'n kai; to;n e{na suvndesmon aujtw'n sumplhrw'n, a[krw" me;n ejpocouvmeno" toi'" noeroi'", hJnwmevno" de; toi'" nohtoi'", ajnelivssei me;n to; nohto;n plh'qo" kai; prokalei'15 tai to; kruvfion aujtou' kai; eJniai'on eij" diavkrisin kai; govnimon ajpogevnnhsin, sunavgei de; to; noero;n eij" e{nwsin kai; th;n ajmevriston koinwnivan. Kai; ouj tou'to movnon, ajlla; pavnta mevcri tw'n ejscavtwn ajpogennw'n kata; th;n th'" duavdo" kai; th'" tou' ajrtivou fuvsew" ajperivlhpton aijtivan ta; proelqovnta 20 pavlin eJnivzei kai; sunelivssei kata; th;n monavda kai; th;n taujtovthta th;n peritthvn. Dia; me;n eJnavdo" kai; duavdo" nohtw'" kai; krufivw" kai; ajgnwvstw" pavnta kai; sunavgei kai; sundei' pro;" to; nohtovn, kai; aujth;n th;n ejscavthn u{lhn kai; ta; i[cnh ta; ejn aujth'/ tw'n eijdw'n. Dia; de; tou' ajrtivou 25 kai; perittou' ta;" duvo sustoiciva" uJfivsthsin, tav" te 85 zwogonika;" kai; ta;" ajtrevptou", ta;" gonivmou" kai; ta;" poihtikav", kai; ta; ajmevrista pavnta tw'n dhmiourgw'n h] zwogovnwn gevnh kai; ta; meristh'" proi>stavmena zwh'" h] poihvsew", kai; tw'n ejgkosmivwn tav te noerwvtera kai; eJnikwv5 tera kai; th'" kreivttono" o[nta sustoiciva" kai; ta; oi|on ajlogwvtera kai; plhquovmena kai; th;n katadeestevran sumplhrou'nta seiravn. Kai; au\ pavlin dia; th'" dih/rhmevnh" ajpogen84

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84 29 [Come il numero divino ha messo in ordine tutti gli enti, e quali sono le potenze insite in esso che vengono tramandate in modo simbolico a partire dalla divisione del numero]

Il numero intelligibile dei generi intellettivi dunque è proceduto a partire da queste entità e per queste ragioni. Inoltre esso possiede proprietà che non sono concepibili per i ragionamenti umani, e che d’altro canto sono divise in due potenze originarie, 5 quella generatrice della totalità delle cose e quella riunente in un’unità tutte le entità che sono procedute. Infatti è in base alla monade che esso riunisce la molteplicità intellettiva e la connette agli intelligibili, invece è in base alla diade che esso fa procedere la molteplicità e la distingue in base all’alterità; inoltre in base al dispari riunisce i molteplici ordinamenti nell’unità indivisibile, 10 mentre in base al pari rivela in modo fecondo tutti i generi degli dèi. Infatti , essendo posto in mezzo tra gli dèi intelligibili e quelli intellettivi e portando a compimento l’unico legame tra essi, in quanto si trova, a livello di sommità, al di sopra degli intellettivi, mentre risulta unito agli intelligibili, da un 15 lato fa dispiegare la molteplicità intelligibile e incita il carattere nascosto e unitario di essa alla distinzione e alla generazione feconda, dall’altro riunisce la molteplicità intellettiva in un’unità e nella indivisibile comunanza. E non solo questo, ma generando tutte le entità, fino a quelle che vengono per ultime, in base alla causalità incomprensibile della diade e della natura del pari, riunifica le enti- 20 tà che sono procedute e le riavvolge insieme in base alla monade e alla identità che ha la connotazione del dispari273. Per il tramite dell’enade e della diade in modo intelligibile, nascosto e inconoscibile riunisce tutte le cose ed al contempo le collega all’intelligibile, e perfino la materia che viene per ultima e «le tracce»274, in essa 25 presenti, delle forme. Per il tramite del pari e del dispari fa sussistere le serie di coppie coordinate275, quelle generatrici di vita e 85 con esse quelle immutabili, quelle feconde e quelle produttive; ed inoltre fa sussistere sia tutti i generi indivisibili dei demiurghi o dei generatori di vita sia i generi che presiedono alla vita o alla produzione divise in parti, e tra le entità encosmiche sia quelle che sono più intellettive e più unitarie, e che fanno parte della serie superio- 5 re di coppie coordinate, sia quelle che sono per così dire più irrazionali e moltiplicate, e che vanno a formare la serie inferiore. E di nuovo a sua volta attraverso questa generazione divisa dobbiamo

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nhvsew" tauvth" e{kaston i[dwmen tw'n proi>ovntwn eJnizovmenon a{ma kai; plhquovmenon, ajdiaivretovn te kai; diairouvmenon, 10 ãsunecovmenonà ejn tai'" aijtivai" kai; di uJfevsew" aujtw'n cwrizovmenon: kai; ta; me;n kreivttona kai; aJplouvstera th'/ tou' perittou' fuvsei, ta; de; katadeevstera kai; poikilwvtera th'/ tou' ajrtivou prosavgwmen. Pantacou' ga;r to; me;n peritto;n tw'n ajmerivstwn kai; aJplw'n kai; eJniaivwn ajgaqw'n prohgei'tai, 15 to; de; a[rtion tw'n dih/rhmevnwn kai; poikivlwn kai; gennhtikw'n proovdwn ai[tiovn ejsti. Kai; ou{tw dh; pavnta" ojyovmeqa tou;" tw'n o[ntwn diakovsmou" kata; to;n qei'on ajriqmo;n uJfainomevnou", presbuvtaton o[nta kai; noero;n kai; pavntwn ejxh/rhmevnon tw'n dih/rhmevnwn 20 genw'n. Edei ga;r pro; tw'n hjriqmhmevnwn ei\nai to;n ajriqmo;n kai; pro; tw'n diakekrimevnwn th;n aijtivan th'" o{lh" diakrivsew", kaq h}n ta; tw'n qew'n gevnh dihv/rhtai kai; diakekovsmhtai toi'" oijkeivoi" ajriqmoi'". Eij toivnun ejn toi'" noeroi'" eijsin aiJ diairevsei" kai; aiJ sunafai; kai; aiJ diakrivsei" tw'n 25 proi>ovntwn kai; aiJ koinwnivai tw'n sustoivcwn, dei' pro; tw'n noerw'n ei\nai to;n ajriqmovn, o}" kai; diairei' kai; sunavgei pavnta tai'" eJautou' dunavmesin nohtw'". Kai; eij pavnta krufivw" ejsti; kai; nohtw'" kai; ajgnwvstw" kai; ejxh/rhmevnw" ãejn toi'" nohtoi'", ajnÃavriqmov" ejstin aujtw'n ãhJà ijdiovth" 86 kai; eJniaiva kai; ajdiavkrito". Kata; th;n mevshn a[ra tw'n nohtw'n kai; noerw'n suvndesin oJ ajriqmov", uJperhplwmevno" me;n tw'n noerw'n toi'" nohtoi'" ajgaqoi'", uJfeimevno" de; tw'n nohtw'n tai'" noerai'" diakrivsesin, kai; toi'" me;n nohtoi'" 5 kata; to; sunagwgo;n tw'n pollw'n eij" e{nwsin, toi'" de; noeroi'" kata; to; gennhtiko;n tw'n pollw'n ajpo; tou' eJno;" oJmoiouvmeno", ajpo; de; tauvth" th'" a[kra" tw'n noerw'n qew'n periwph'" uJfista;" prwtivstou" me;n tou;" noerou;" aujtou;" ajriqmouv", eijdhtikou;" o[nta" kai; kaqolikou;" kai; th'" 10 o{lh" gennhvsew" kai; poihvsew" proi>stamevnou": deutevrou" de; tou;" uJperkosmivou", zwogonikou;" o[nta" kai; hJgemonikou;" kai; metrhtikou;" tw'n ejn tw'/ kovsmw/ qew'n: trivtou" de; touvsde tou;" oujranivou" tw'n ajidivwn periforw'n ejxavrconta" kai; sunelivssonta" tou;" kuvklou" pavnta" kata; ta;" noera;" 15 aujtw'n aijtiva": ejscavtou" de; tou;" uJpo; selhvnhn, to; a[peiron th'" u{lh" kai; a[staton ajriqmoi'" kai; ei[desi kai; lovgoi" sunevconta" kai; peratou'nta", di ou}" ta; o{la kai; ta; mevrh tw'n qnhtw'n pavntwn ajriqmoi'" ijdivoi" diapepoivkil-

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considerare ciascuna delle entità che procedono come ad un tempo unificata e moltiplicata, indivisibile ed anche divisa, nelle cause e separata da esse per progressivo abbassamento di livello; e dobbiamo ricondurre le entità superiori e più semplici alla natura del dispari, mentre quelle inferiori e più varie a quella del pari. In ogni ambito infatti il dispari è alla testa dei beni indivisibili, semplici ed unitari, il pari invece è causa delle processioni 15 divise, varie e generative. Ed in questo modo appunto potremo considerare tutti gli ordinamenti degli enti come costituiti in base al numero divino, che è assolutamente anteriore, intellettivo e trascendente rispetto a tutti i generi divisi. Infatti prima delle entità numerate deve fin dall’ori- 20 gine esistere il numero e, prima di quelle distinte, la causa della distinzione universale, in base alla quale i generi degli dèi risultano divisi e ordinati per mezzo dei loro specifici numeri. Se pertanto negli intellettivi vi sono le divisioni, le connessioni, le distinzioni tra le entità che procedono e le comunanze tra le entità coordi- 25 nate, prima degli intellettivi deve esistere il numero che sia divide sia riunisce tutte le cose con le sue potenze in modo intelligibile. E se tutte le cose sono in modo nascosto, intelligibile, inconoscibile e trascendente, il loro carattere specifico è di non essere numerabili, di essere unitarie e prive di distinzione276. 86 Di conseguenza è in base al legame intermedio fra gli intelligibili e gli intellettivi che esiste il numero, in quanto esso risulta semplificato ad un livello ulteriore rispetto agli intellettivi per via dei beni intelligibili, mentre è inferiore agli intelligibili per via delle distinzioni intellettive, ed assomiglia agli intelligibili in base alla 5 sua attitudine a riunire i molti in un’unità, mentre assomiglia agli intellettivi in base alla sua attitudine a generare i molti a partire dall’uno; in effetti a partire da questa specola culminale degli dèi intellettivi fa sussistere assolutamente per primi i numeri intellettivi stessi, che hanno carattere di Forme e sono universali, e presiedono a tutta la generazione e a tutta la produzione 10 nella loro totalità; per secondi poi fa sussistere i numeri ipercosmici, che sono generatori di vita, hanno natura sovrana e funzione di misura degli dèi che sono nel cosmo; per terzi inoltre fa sussistere questi numeri del nostro cielo che reggono le rivoluzioni eterne e che avvolgono insieme i movimenti ciclici tutti in base alle loro cause intellettive; per ultimi infine i numeri al di sotto della sfera 15 lunare che contengono e delimitano la natura illimitata e instabile della materia «con numeri e forme»277 e con rapporti; e per mezzo di questi numeri gli interi e le parti di tutti gli esseri mortali risul-

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tai: pantacou' de; ta; prohgouvmena kai; teleiovtera tw'/ perittw'/, ta; de; uJfeimevna kai; deuterourga; gevnh tw'n qew'n tw'/ ajrtivw/ sunevcwn, oi|on ejn me;n toi'" noeroi'" to; qh'lu kai; to; govnimon kata; to; a[rtion proavgwn, to; de; a[rren kai; to; patriko;n kata; to; perittovn, ejn de; toi'" uJperkosmivoi" th;n me;n oJmoiovthta kai; to; a[trepton kata; to; peritto;n 25 carakthrivzwn, th;n de; ajnomoiovthta kai; th;n eij" ta; deuvtera provodon kata; to; a[rtion,h ou{tw ga;r kai; oJ Aqhnai'o" 87 xevno" toi'" me;n oujranivoi" perittav, toi'" de; cqonivoi" a[rtia nevmein ejn th'/ iJera'/ qrhskeiva/ parekeleuvsato. Kai; kaq eJkavteron tw'n genw'n touvtwn to; me;n hJgemonikwvteron ejpi; to; peritto;n ajnenektevon, to; de; uJfeimevnon ejpi; to; a[rtion. 5 Anwqen toivnun a[cri tw'n ejscavtwn hJ tw'n ajriqmw'n fuvsi" dihvkei, pavnta diakosmou'sa kai; sunevcousa toi'" oijkeivoi" ei[desin. Pw'" ga;r h] th;n perivodon tou' kovsmou panto;" ajriqmo;" perilambavnei tevleio", wJ" aiJ para; tw'/ Plavtwni Mou'sai levgousin, h] ta;" kaqovdou" tw'n yucw'n 10 ajriqmoi; perilambavnousin, oiJ me;n eujgoniva", oiJ de; ajforiva" poihtikoiv, h] ta;" ajnovdou" ajforivzousin, oiJ me;n ejlattovnwn, oiJ de; meizovnwn ajpokatastatikoi; periovdwn, wJ" oJ ejn tw'/ Faivdrw/ levgei Swkravth", triscilievtei" kai; murievtei" ajpokatastavsei" hJmi'n paradidouv", pw'" de; 15 aujto;" oJ crovno" oJ tw'n yucikw'n mevtrwn eJniaivw" perilhptiko;" kat ajriqmo;n proveisin, w{" fhsin oJ Tivmaio", eij mh; prou>pavrcei touvtwn aJpavntwn oJ qei'o" ajriqmo;" oJ toi'" pa'sin ejndidou;" th;n th'" kat ajriqmou;" diakosmhvsew" ajrchgikh;n aijtivan 20 Pavntwn ou\n ajriqmoi'" kai; ei[desin uJfistamevnwn oiJ me;n ajriqmoi; th;n provodon e[lacon ajpo; th'" ajkrovthto" th'" noera'", ta; de; ei[dh th;n ajpogevnnhsin ejk tw'n nohtw'n e[scon eijdw'n. En me;n ga;r th'/ trivth/ triavdi tw'n nohtw'n ta; ei[dh prwvtw", ejn de; th'/ prwtivsth/ tw'n noerw'n oiJ ajriqmoi; prwvtw": 25 ejpei; kai; ejn toi'" ajpotelevsmasin aujtw'n pa'" me;n ajriqmo;" ei\dov" ejstin, ouj pa'n de; ei\do" ajriqmov". Eij de; dei' tajlhqh' diarrhvdhn ajpofhvnasqai, kai; pro; tw'n eijdw'n oiJ ajriqmoiv: kai; ga;r ajriqmoi; mevn eijsin uJperouvsioi, ei[dh de; uJperouvsia 88 oujk e[sti. Kai; kata; tou'ton dh; to;n lovgon e{kaston tw'n eijdw'n ajriqmov" ejstin, wJ" kai; oiJ Puqagovreioi e[legon. Epei; kai; oJ Tivmaio" Puqagovreio" w]n ouj movnon ei[dh nohta; 20

h Gli Editori individuano qui una lacuna, che però, considerata la coerenza del testo tràdito, non pare sussitere.

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tano intrecciati con i loro propri specifici numeri; inoltre in ogni ambito il numero tiene insieme i generi degli dèi principali e più perfetti con il dispari, invece i generi inferiori e secondari degli dèi 20 li tiene insieme con il pari, come, per esempio, negli intellettivi il numero fa procedere il carattere femminile e quello della fecondità in base al pari, invece il carattere mascolino e quello paterno in base al dispari; negli ipercosmici d’altro canto caratterizza la somiglianza e l’immutabilità in base al dispari, invece la dissomi- 25 glianza e la processione nelle entità inferiori in base al pari; in effetti è in tale prospettiva che anche lo Straniero Ateniese278 ha esortato ad offrire nel rito sacro agli dèi del cielo in numero dispa- 87 ri, mentre a quelli della terra in numero pari. Ed in ciascuno di questi due generi quello che è in misura maggiore sovrano bisogna riferirlo al dispari, invece quello inferiore al pari. Dall’alto, dunque, fino ai livelli ultimi si diffonde la natura dei 5 numeri, che regola tutte le cose e le tiene insieme con le specifiche forme di essi. In effetti, in che modo «un numero perfetto scandisce la rotazione periodica» di tutto il cosmo, come dicono le Muse presso Platone279, o in che modo i numeri scandiscono le discese 10 delle anime, gli uni produttori di «fecondità», gli altri «di infecondità»280, oppure in che modo essi definiscono le loro risalite, gli uni scandendo il ricorrere di periodi più brevi, gli altri di periodi più lunghi, come afferma Socrate nel Fedro281, che ci tramanda il ricorrere di periodi di tremila e di diecimila anni? In che modo poi il tempo stesso, in grado di delimitare in modo unitario le 15 misure psichiche, procede «in base al numero», come afferma Timeo282, se a tutti quanti questi numeri non preesiste il numero divino che fornisce a tutte le realtà la causa originaria dell’ordinamento secondo i numeri? Dato che dunque tutte le cose sussistono «per mezzo di nume- 20 ri e forme»283, i numeri hanno ottenuto la processione dalla sommità intellettiva, mentre le forme ebbero la loro generazione dalle Forme intelligibili. È infatti nella terza triade degli intelligibili che le Forme fanno la loro prima comparsa, mentre nella primissima triade degli intellettivi fanno la loro prima comparsa i numeri; in effetti anche nelle loro realizzazioni ogni numero è forma, mentre 25 non ogni forma è numero. Ma se bisogna dire la verità in termini espliciti, i numeri sono anche anteriori alle Forme284: ed infatti i numeri sono sovraessenziali, mentre le Forme non sono sovraes- 88 senziali. E proprio in base a questo ragionamento, ciascuna delle Forme è numero, come affermavano i Pitagorici. Infatti anche Timeo, che è un pitagorico, pone non solo Forme intelligibili, ma

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tivqetai, ajlla; kai; ajriqmouv", eijsi;n de; tevttare" levgwn. All ejkei' me;n oJ ajriqmo;" nohtw'" ejsti kai; kat aijtivan monadikw'" (mona;" gavr ejsti to; aujtozw'/on nohthv, krufivw" e[cousa to;n o{lon ajriqmovn), ejn de; th'/ ajkrovthti tw'n noerw'n diakekrimevnw" oJ ajriqmov", ajnelivttwn to;n ejn th'/ monavdi kat aijtivan kai; eJnoeidw'" prou>pavrconta. Diafevrei gavr, 10 oi\mai, to; ejn th'/ aijtiva/ levgein plh'qo" kai; to; ajp aijtiva", kai; to; hJnwmevnon levgein h] diakekrimevnon: kai; to; mevn ejsti pro; ajriqmou', to; de; ajriqmov". Wste kai; kat aujtovn eijsin ªoiJº ajriqmoi; nohtoi; meta; tw'n eijdw'n kai; pro; tw'n eijdw'n kai; kata; to;n Parmenivdhn meta; to; plh'qo" oJ ajriqmov". To; ga;r 15 eJnoeide;" kai; kruvfion plh'qo" oJ Tivmaio" ajriqmo;n kalei' tw'n eijdw'n: ajll ejpei; prwvtw" oJ ajriqmo;" ejn toi'" qeoi'", ta; de; ei[dh tw'n eJnavdwn metevcei tw'n qeivwn, tevttara" ta;" ijdeva" ta;" prwvta" ejpwnovmazen. Mona;" ga;r h\n kai; tria;" prwvtw" me;n ejn aujtoi'" toi'" qeoi'", deutevrw" de; ejn 20 toi'" noeroi'", kai; uJperousivw" me;n ejn ejkeivnoi", eijdhtikw'" de; ejn touvtoi". En me;n ou\n toi'" nohtoi'" eJniaivw" h\n to; plh'qo", ejn de; toi'" noeroi'" diakekrimevnw": o{pou de; hJ diavkrisi", ejkei' kai; oJ ajriqmov", wJ" ei[rhtai pollavki". Dio; kai; ta; gevnh pavnta tw'n qew'n ejnteu'qen ajpogenna'tai diairouvmena: ta; 25 me;n patrika; kai; gennhtika; ªkai;º para; toi'" nohtoi'" kai; noeroi'", ta; de; dhmiourgika; kai; zwogovna para; toi'" noeroi'", 89 kai; ta; me;n sundetika; di oJmoiovthto"i para; toi'" uJperkosmivoi", ta; de; ejxh/rhmevna kai; ta; dih/rhmevna para; toi'" ajpoluvtoi", ta; de; uJpouravnia kai; ta; uJposevlhna para; toi'" ejgkosmivoi". W" de; sullhvbdhn eijpei'n, aiJ sustoicivai 5 pa'sai tw'n o[ntwn ajpo; tauvth" diakrivnontai th'" tavxew". 5

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lV Tivna" me;n ou\n ijdiovthta" e[cei kai; tivnwn ai[tiov" ejsti toi'" qeoi'" oJ nohto;" kai; noero;" ajriqmov", fanero;n ejk touvtwn: o{ti de; kai; qhluprephv" ejsti prw'to", meta; tau'ta levgwmen. En ga;r touvtw/ prw'ton hJ eJterovth" ajnevlamyen, diakrivnousa

i

Gli Editori individuano qui una lacuna che però non pare sussistere.

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anche numeri, quando afferma «sono quattro»285. Ma là286 il nu- 5 mero ha carattere di intelligibile ed, in senso causale, di monade (infatti il Vivente-in-sé è monade intelligibile, possedendo in modo nascosto il numero nella sua totalità)287, mentre nella sommità degli intellettivi il numero è in modo differenziato, in quanto dispiega il numero che preesiste in senso causale ed in modo uni-forme nella monade. In effetti v’è differenza, a mio giudizio, tra il dire che la molteplicità è nella causa ed il dire che essa viene 10 da una causa, e tra il dire “unificato” o “differenziato”: infatti la prima condizione è anteriore al numero, mentre la seconda è numero. Sicché secondo Timeo vi sono numeri intelligibili insieme alle Forme e prima delle Forme ed al contempo secondo Parmenide il numero viene dopo la molteplicità288. In effetti è la mol- 15 teplicità uni-forme e nascosta delle Forme che Timeo denomina “numero”289; ma considerato che il numero è in modo primario presente negli dèi, mentre le Forme partecipano delle enadi divine, egli ha denominato «quattro» le prime Idee. Infatti monade e triade sono risultate presenti290 in modo primario negli dèi in se stessi, mentre in modo secondario negli intellettivi, ed in modo 20 sovraessenziale in quelli, mentre al modo di Forme in questi ultimi. Dunque negli intelligibili la molteplicità è risultata291 presente in modo unitario, mentre negli intellettivi in modo differenziato; d’altra parte laddove v’è differenziazione, lì v’è anche il numero, come si è detto più volte292. Ecco perché tutti i generi degli dèi che vengono generati da questo livello in poi293 sono divisi; i ge- 25 neri paterni e produttivi sono generati presso gli intelligibili-intellettivi, mentre quelli demiurgici e generatori di vita presso gli 89 intellettivi, e i generi atti a legare insieme per somiglianza presso gli ipercosmici, infine i generi trascendenti e quelli divisi presso i non-vincolati294, i generi subcelesti e sublunari presso gli encosmici. D’altronde, per dirla in breve, tutte le serie di coppie coordi- 5 nate degli enti si differenziano a partire da questo ordinamento. 30 [Come Parmenide ha tramandato il carattere specifico femminino e generatore nei discorsi concernenti il numero] Quali proprietà ha dunque il numero intelligibile-intellettivo e di quali effetti è principio causale per gli dèi, risulta chiaro in base a tali considerazioni; ma dopo ciò diciamo che esso è per primo di natura femminina. Infatti è in questo numero che per la prima

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to; e}n ajpo; tou' o[nto" kai; to; e}n eij" polla;" eJnavda" kai; to; o]n eij" o[nta polla; katakermativzousa. Tiv" ou\n ou\sa touvtwn ejsti;n aijtiva toi'" qeoi'" hJ eJterovth" Eij me;n dh; gevno" aujth;n tou' o[nto" kaloi'men, prw'ton 15 me;n pw'" pro; tou' o[nto" ejstiv Diakrivnousa ga;r to; o]n kai; to; e}n metaxu; tevtaktai ajmfoi'n: mevsh de; uJpavrcousa to; me;n e}n eij" ajpogennhvsei" prokalei'tai, to; de; o]n plhroi' gennhtikh'" aijtiva". Eij toivnun pro; tou' o[nto" ejstiv, pw'" a]n ei[h tou' o[nto" e{n ti gevno" Deuvteron de; ejpi; touvtw/ to; me;n 20 e{teron, to; gevno" tou' o[nto", oujsiw'dev" ejsti pantach'/ kai; toi'" uJperousivoi" oujdamw'" ejnupavrcei: hJ de; eJterovth" au{th tai'" eJnavsin aujtai'" uJpavrcei prwvtw", o} kai; diakrivnei kai; ajpergavzetai polla;" eJnavda" ajpo; th'" mia'". Pw'" ou\n hJ uJperouvsio" eJterovth" eij" taujto;n h{xei pote; th'/ tw'n oujsiw'n 25 sumplhrwtikh'/ To; trivton toivnun ejkei'no me;n to; e{teron 90 ejn toi'" noeroi'" ajnafaivnetai kata; th;n dhmiourgikh;n tavxin, au{th de; hJ fuvsi" ajkrovth" ejsti; nohth; tw'n noerw'n: kai; ejkeivnh me;n oJmou' th'/ taujtovthti sunufevsthken, au{th de; kaq eJauth;n ejn toi'" nohtoi'" tw'n noerw'n e[cei th;n uJpovsta5 sin. Pro;" touvtoi" dh; ou\n kai; ejn toi'" eJxh'" oJ Plavtwn eJterovthto" mnhsqhvsetai proelqwvn, kai; meta; th'" taujtovthto" aujth;n ajpogennhvsei. Pw'" ou\n to; aujto; sumpevrasma di;" ajpergavzetai, kaivtoi mhdeni; tw'n a[llwn th;n toiauvthn palillogivan ajpodidouv" Oujde; ga;r to; o{lon, o} dh; dokei' 10 di;" paralambavnein, taujtovn ejsti tw'/ nohtw'/ to; noerovn, ajlla; dievsthken kai; tau'ta ajp ajllhvlwn, wJ" ei[rhtai. Kai; pw'" ga;r a]n ta;" diafovrou" tw'n qeivwn hJmi'n ejkfaivnoi proovdou", eij ta; aujta; sunavgei sumperavsmata Kata; dh; tauvta" aJpavsa" ta;" ejpibola;" th;n eJterovthta 15 th;n tw'n ajriqmw'n gennhtikh;n diastevllomen tou' gevnou" tw'n o[ntwn. Eij de; dh; mhv ejstin hJ qatevrou fuvsi" hJ eJterovth" au{th, duvnami" de; gennhtikh; tw'n o[ntwn, sunagwgo;" e[stai tou' te o[nto" kai; tou' eJnov". Pantacou' ga;r hJ duvnami" toiauvthn e[lacen u{parxin: dia; ga;r th;n duvnamin kai; to; e}n 20 tou' o[nto" metevcei kai; to; o]n tou' eJnov". Ouj diairevsew" ou\n, ajlla; koinwniva" kai; ajdiakrivtou sunafh'" hJ duvnami" h\n aijtiva kai; scevsi" tou' te eJno;" pro;" ãto;Ã o]n kai; tou' o[nto" pro;" to; e{n. Anavgkh toivnun mhvte kata; th;n duvnamin aujth;n

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volta è brillata l’alterità, differenziando l’uno dall’essere e «frantumando»295 l’uno in una molteplicità di enadi e l’essere in una molteplicità di enti. Qual è dunque la natura dell’alterità che per gli dèi è causa di questi effetti? Certo, se la chiamassimo “genere dell’essere”, in primo luogo, come potrebbe allora essa venire prima dell’essere? Infatti, dato 15 che differenzia l’essere e l’uno, essa risulta posta per ordinamento in mezzo ad entrambi; inoltre, essendo intermedia, da un lato incita l’uno alle generazioni, dall’altro ricolma l’essere di causalità generativa. Se dunque è prima dell’essere, come potrebbe risultare un determinato genere dell’essere? In secondo luogo poi oltre a ciò “l’Altro”, cioè il genere dell’essere296, è in ogni caso di carat- 20 tere essenziale ed in nessun modo può sussistere in realtà sovraessenziali; questa alterità invece appartiene in senso primo alle stesse enadi, il che determina la distinzione ed al contempo la produzione di una molteplicità di enadi a partire dall’unica Enade297. Come dunque l’alterità sovraessenziale potrà mai identificarsi con quella che va a costituire le essenze? In terzo luogo quell’“Al- 25 tro”298 si manifesta negli intellettivi in base all’ordinamento de- 90 miurgico, mentre questa natura299 è sommità intelligibile degli intellettivi; inoltre quella alterità è venuta a sussistere insieme all’identità, questa invece ha di per se stessa sussistenza nelle componenti intelligibili degli intellettivi. Oltre a ciò anche in passi suc- 5 cessivi300 Platone menzionerà, procedendo, l’alterità, e la farà nascere congiuntamente all’identità. Come dunque egli può proporre la stessa conclusione due volte301, considerato comunque che non concede a nessuna delle altre entità tale sorta di ripetizione? Neppure l’intero, che Platone sembra assumere due volte302, 10 è identico , quello intellettivo a quello intelligibile, ma sono anche questi distinti l’uno dall’altro, come si è detto303. E come in effetti ci rivelerebbe le differenti processioni delle entità divine, se perviene alle stesse conclusioni? In base a tutte quante queste nozioni distinguiamo l’alterità 15 che è generatrice dei numeri da quella che è genere degli enti. Se invece questa alterità non è la natura dell’“Altro”, bensì potenza generatrice degli enti, essa sarà capace di riunire l’uno e l’essere. In effetti in ogni ambito la potenza ha ottenuto un tale tipo di realtà: è infatti in virtù della potenza sia che l’uno partecipa dell’esse- 20 re, sia che l’essere partecipa dell’uno. Dunque non è di divisione, ma di comunanza e di connessione priva di distinzione che la potenza è risultata304 causa, ed è al contempo relazione sia dell’uno con l’essere sia dell’essere con l’uno. Pertanto è necessario

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tetavcqai th;n nohth;n mhvte kata; th;n eJterovthta tw'n o[ntwn th;n noeravn, mevshn de; ou\san ajmfoi'n ajnavlogon me;n uJfestavnai th'/ nohth'/ dunavmei, genna'n de; ejn ejscavtoi" tw'n noerw'n kai; th;n qatevrou moi'ran – tivna dh; ou\san aujth;n 91 a[llhn h] to; qh'lu to; tw'n qew'n Dio; kai; mimei'tai th;n nohth;n duvnamin kai; govnimov" ejsti tw'n pollw'n eJnavdwn kai; tw'n pollw'n o[ntwn. Kai; pw'" ga;r a]n a[llw" dievkrine to;n ajriqmo;n ajf eJautou' kai; ta; ei[dh tou' ajriqmou' kai; ta;" 5 dunavmei", eij mh; qhlupreph;" h\n aijtiva tw'n qeivwn proovdwn Patrikw'" me;n ou\n ejsti to; plh'qo" ejn toi'" nohtoi'", mhtrikw'" de; ejn toi'" noeroi'", diovper ejkei' me;n monadikw'", ejntau'qa de; kat ajriqmovn. Eijkovtw" a[ra kajn toi'" deutevroi" gevnesi tw'n qew'n hJ me;n e{nwsi" ajpo; tw'n ajrrevnwn ejfhvkei 10 qew'n, hJ de; diavkrisi" ajpo; tw'n qhvlewn, kai; to; me;n pevra" ajpo; tw'n ajrrevnwn, hJ de; ajpeiriva para; tw'n qhvlewn h\lqen. Anavlogon ga;r tw'/ me;n pevrati to; a[rren, tw'/ de; ajpeivrw/ to; qh'lu: diafevrei de; to; qh'lu th'" ajpeivrou dunavmew" kaq o{son hJ me;n duvnami" h{nwtai tw'/ patri; kai; ejn aujtw'/ ejsti, to; de; 15 qh'lu dihv/rhtai th'" patrikh'" aijtiva". Epei; kai; dunavmei" ouj movnon ejn toi'" qhvlesivn eijsin, ajlla; kai; pro; aujtw'n, w{sper aiJ nohtai; dunavmei" kai; ãejnà toi'" a[rresin, w{sper oJ Tivmaio" levgei tou' dhmiourgou' th;n duvnamin aijtivan ei\nai th'" tw'n ajidivwn genevsew": Mimouvmenoi ga;r uJmei'" 20 th;n ejmh;n duvnamin, zw'/a ajpergavzesqe kai; genna'te. Kai; pro; tou' a[rreno" ou\n kai; tou' qhvleo" hJ duvnami" kai; ejn ajmfoi'n kai; met ajmfovtera. Dia; pavntwn ga;r dihvkei tw'n o[ntwn kai; pa'n to; o]n dunavmew" metevcei, kaqavper fhsi;n oJ Eleavth" xevno". Pantacou' me;n ga;r hJ duvnami", 25 ajlla; ma'llon to; qh'lu metevcei th'" kat aujth;n ijdiovthto" kai; to; a[rren th'" kata; to; pevra" eJnwvsew". 25

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che essa non venga posta allo stesso livello della potenza intelligibile, né allo stesso livello della alterità intellettiva degli enti, men- 25 tre è necessario che essa, in quanto è intermedia ad entrambe, da un lato sia venuta a sussistere in modo analogo alla potenza intelligibile, dall’altro generi, negli ultimi livelli degli intellettivi, anche la parte assegnata all’“Altro”. Dato che essa è tale, quale altra 91 natura deve avere se non quella del carattere femminino degli dèi? Proprio per questo essa imita la potenza intelligibile ed è generatrice della molteplicità delle enadi e della molteplicità degli enti. E come in effetti potrebbe differenziare il numero da se stesso, e distinguere le forme e le potenze dal numero, se non fosse causa 5 di natura femminile delle processioni divine? La molteplicità dunque negli intelligibili è in modo paterno, invece in modo materno negli intellettivi, perciò nel primo caso è in forma di monade, nel secondo invece è «in base al numero»305. Di conseguenza è naturale che anche fra i generi inferiori degli dèi l’unificazione provenga dagli dèi mascolini, mentre la distinzione 10 da quelli femminini, e che il limite sia venuto dagli dèi mascolini, mentre l’illimitatezza da parte degli dèi femminili. Infatti il mascolino è analogo al limite, mentre il femminino è analogo all’illimitatezza; ma il femminino si differenzia dalla potenza illimitata nella misura in cui la potenza è unita al Padre e si trova in esso, mentre il femminino risulta separato dalla causa paterna. In effetti le po- 15 tenze non si trovano solo negli esseri femminini, ma anche prima di essi, come le potenze intelligibili che si trovano anche negli esseri mascolini, come afferma Timeo che dice che la potenza del Demiurgo è causa della generazione delle entità eterne: voi in effetti, «imitando la mia potenza, producete gli esseri viventi e ge- 20 nerateli»306. La potenza dunque è al contempo anteriore al mascolino e al femminino, in entrambi e dopo entrambi. Essa infatti si diffonde attraverso tutti gli enti e ogni ente partecipa di potenza, come afferma lo Straniero di Elea307. In ogni ambito infatti v’è potenza, ma in misura maggiore il femminino partecipa del carat- 25 tere specifico ad essa conforme e il mascolino dell’unità conforme al limite.

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laV Oti me;n ou\n oJ prwvtisto" ajriqmov", ajpo; tw'n nohtw'n ejkfaneiv", qhluprephv" ejsti, dia; touvtwn katafanev". Leivpetai dh; kai; peri; th'" triadikh'" aujtou' diairevsew" 5 eijpei'n eJpomevnw" tw'/ Parmenivdh/. Triva toivnun ejx ajrch'" tau'ta pevfhnen hJmi'n kata; th;n tou' eJno;" diavkrisin ajpo; tou' o[nto", to; e{n, hJ eJterovth", to; o[n: kai; trei'" au|tai monavde", th'" eJterovthto" ou[te tw'/ eJni; th'" aujth'" ou[sh" ou[te tw'/ o[nti. Tau'ta me;n ga;r kajn toi'" 10 nohtoi'" h\n, hJ de; eJterovth" ejntau'qa prw'ton. All ejpeidhvper a[nw me;n hJ duvnami" sunagwgo;" h\n, ejntau'qa de; diakritikh; tw'n a[krwn, ouj movnon monavde" eijsi; trei'", ajlla; kai; duavde" trei'", to; e}n meta; th'" eJterovthto", kai; hJ eJterovth" meta; tou' o[nto", kai; to; e}n meta; tou' o[nto": aijtiva ga;r kai; th'" 15 toiauvth" diakrivsew" hJ eJterovth", th;n e{nwsin ajkraifnh' tou' eJno;" o[nto" ouj fulavttousa. Monavde" ou\n trei'" kai; duavde" trei'", ajlla; kai; triavde" trei'" aiJ aujtai; gevnointo a[n, oJte; me;n hJmw'n ajpo; tou' eJno;" ajrcomevnwn, oJte; de; ajpo; tou' o[nto", oJte; de; ajpo; th'" eJterovthto". Monadikw'" a[ra 20 kai; duadikw'" kai; triadikw'" uJfevsthken hJ tria;" au{th: tou'to de; aujto; tw'/ th;n eJterovthta kai; to; prwvtiston qh'lu gennh'sai monavda" ejn auJtw'/ kai; duavda" kai; triavda". H me;n ga;r dih/rhmevnh lh'yi" diafovrou" hJmi'n ajpogenna'/ monavda", hJ de; sumpeplegmevnh duavda" kai; triavda", ta;" 25 me;n tw'/ eJniv, ta;" de; th'/ eJterovthti, ta;" de; tw'/ o[nti kekrathmevna". 93 Kai; mevcri touvtwn hJ prwtivsth qeovth" ejkpevfantai, govnimo" ou\sa tw'n prwtivstwn ajriqmw'n, kata; me;n to; e}n tw'n eJniaivwn, kata; de; th;n eJterovthta tw'n gennhtikw'n, kata; de; to; o]n tw'n oujsiwdw'n. Epeidh; de; ajpo; tauvth" 5 nohth'" ou[sh" hJ met aujthvn, ajnavgkh dhvpou kai; th;n monavda duvnamin e[cein govnimon kai; th;n duavda kai; th;n triavda. Tauvta" me;n ou\n ta;" dunavmei" oJ Parmenivdh" ajpokalei' to; a{pax, to; div", to; triv". Ekaston ga;r touvtwn duvnamiv" ejsti tw'n proeirhmevnwn aijtiva, tw'n uJfista10 mevnwn h] diakekrimevnw" poiouvntwn h] kata; sumplokhvn: ejkei' ga;r aujtw'n aiJ me;n i[diai pavntw", aiJ de; koinai; tw'n 92

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92 31 [Come potremo scoprire la divisione triadica della sommità degli intelligibili-intellettivi negli insegnamenti che sono stati tramandati a proposito del numero]

Il fatto che, dunque, il primissimo numero, che si è rivelato a partire dagli intelligibili, è di natura femminina, attraverso queste considerazioni risulta palese. Rimane da parlare anche della sua 5 divisione sulla scorta del Parmenide. Queste tre entità, pertanto, fin dall’inizio ci sono apparse in base alla differenziazione dell’uno dall’essere: l’uno, l’alterità, l’essere; e queste sono tre monadi, dato che l’alterità non è identica né all’uno né all’essere. Queste ultime entità infatti sono risultate trovarsi308 anche negli intelligibili, mentre l’alterità qui per la pri- 10 ma volta. Ma proprio perché in alto la potenza è risultata309 riunitrice, qui invece differenziatrice dei termini estremi310, non si tratta solo di tre monadi, ma anche di tre diadi, l’uno con l’alterità, l’alterità con l’essere, l’uno con l’essere; infatti l’alterità è causa 15 anche di tale differenziazione, in quanto non custodisce intatta l’unità dell’Uno-che-è. Dunque tre monadi, tre diadi, ma le medesime monadi potrebbero divenire anche tre triadi, a seconda che noi cominciamo dall’uno, dall’essere o dall’alterità311. Di conseguenza questa triade è venuta a sussistere in modo monadico, in 20 modo diadico e in modo triadico; ma questo fatto stesso avviene perché l’alterità ed il primissimo carattere femminino generano in sé monadi, diadi e triadi. L’assumere in modo distinto la triade genera ai nostri occhi monadi differenti, invece l’assumere essa nel suo complesso genera diadi e triadi, le une dominate dall’uno, 25 le altre dall’alterità, le altre ancora dall’essere. E fino a questi livelli si è rivelata la primissima divinità che è 93 generatrice dei primissimi numeri, in base all’uno di quelli unitari, in base poi alla differenza di quelli generatori, in base all’essere di quelli di natura essenziale. D’altra parte, poiché da questa divinità che è intelligibile viene quella che la segue, è necessario a 5 mio avviso che anche la monade abbia una potenza generatrice, e così la diade e la triade. Queste sono dunque le potenze che Parmenide chiama l’“una volta”, il “due volte”, il “tre volte”312. Ciascuno di questi termini è una potenza, principio causale delle entità sopramenzionate313, che, venendo a sussistere, producono o 10 in forma differenziata o in base a connessione; in effetti in quel livello alcune generazioni appartengono in modo assolutamente

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deutevrwn ajpogennhvsei". Ta; d ou\n ejk touvtwn ejsti; proi>ovnta to; perissavki" perissovn, to; ajrtiavki" a[rtion, ãto; ajrtiopevrisson.à Wn to; me;n perissavki" perissovn, wJ" kai; 15 provteron ejlevgomen, sunagwgovn ejstin eij" e{nwsin tw'n qeivwn proovdwn, to; de; ajrtiavki" a[rtion gennhtiko;n tw'n o{lwn, kai; mevcri tw'n ejscavtwn proi>ovn, to; de; ajrtiopevrisson miktovn, ajp ajmfoi'n e[con th;n uJpovstasin. Dio; dh; kai; to; me;n pevrati, to; de; th'/ dunavmei, to; de; tw'/ o[nti qhvsomen ajnavlogon. 20 Kai; oJra'/" o{pw" ejn me;n th'/ prwvth/ tavxei pavnta ajrcikw'" h\n, monav", duav", triav", ejn de; tauvth/ deutevrw" pavnta kai; uJfeimevnw": kai; a[llw" me;n ejkei' to; mikto;n hJ triav", a[llw" de; ejntau'qa to; ajrtiopevrisson. Ekei' me;n ga;r ta; a[kra perissav, diovti nohtw'" h\n, ejntau'qa de; plevon to; 25 a[rtion, kai; hJ nohth; movnon ajkrovth" perisshv, th'/ ga;r dunavmei to; mevson th'" triavdo" ajnavlogon: kai; ejkei' me;n hJ mona;" hJ pavnta e[cousa ta; ei[dh tw'n perissw'n kat aijtivan kai; hJ 94 dua;" hJ pavnta ou\sa ta; ei[dh tw'n ajrtivwn krufivw" kai; hJ tria;" ajriqmo;" ou\sa prwvtw", ejntau'qa de; kai; to; perisso;n suvnqeton h[dh kai; to; a[rtion dicw'", ou| me;n ajmivktw", ou| de; memigmevnw". Pavnt ou\n ejntau'qa gonivmw", ejkei' de; patrikw'" 5 kai; nohtw'". Ekeivnh de; hJ mona;" oujde; proveisin ajpo; tw'n nohtw'n, ajll ejn aujtoi'" ajnekfoivthtov" ejsti. Meta; tauvta" toivnun kai; ajpo; touvtwn kata; trivthn provodon to;n o{lon qewrhvswmen ajriqmo;n uJfistavmenon. Touvtwn gavr fhsi prou>parcovntwn oujdei;" a]n ajriqmo;" 10 ajpoleivpoito. Pa'" ou\n ajpogenna'tai dia; touvtwn ejn th'/ trivth/ monavdi, kai; to; e}n polla; kai; to; o]n givgnetai, th'" eJterovthto" diakrinouvsh" eJkavteron. Kai; pa'n me;n tou' o[nto" movrion metevcei tou' eJnov", pa'sa de; eJna;" ejpocei'tai moivra/ tini; tou' o[nto": plhquvetai de; eJkavteron kai; diakriv15 netai noerw'" kai; katakermativzetai kai; ejp a[peiron proveisin. Wsper ãou\nà ejpi; tw'n nohtw'n th'/ trivth/ triavdi to; a[peiron plh'qo" ajpedivdomen, ou{tw kajpi; tauvth" th'" triavdo" to;n a[peiron ajriqmo;n tw'/ trivtw/ th'" triavdo" ajponemou'men. Kai; ga;r o{lw" pantacou' to; a[peiron e[scatovn 20 ejstin wJ" pantelw'" proi>o;n kai; pavnta me;n ta; deuvtera

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specifico a tali entità, le altre sono generazioni comuni che appartengono anche alle entità di livello inferiore. Le entità che procedono a loro volta da questi termini314 sono il dispari volte dispari, il pari volte pari e il parimpari. Di questi il dispari volte dispari, 15 come dicevamo anche in precedenza315, è riunente in un’unità le processioni divine, mentre il pari volte pari è generatore della totalità delle cose, procedendo anche fino a quelle che vengono per ultime, infine il parimpari è misto, in quanto ha la propria sussistenza a partire da entrambi. Proprio per questo considereremo il primo analogo al limite, il secondo alla potenza, il terzo all’essere. 20 E si vede come nel primo livello tutte le cose sono in modo principiale, monade, diade, triade, invece in questo tutte le cose sono in modo derivato ed inferiore; ed inoltre là in un modo il misto è la triade, mentre in un altro modo qui lo è il parimpari. Là infatti i termini estremi sono dispari, per il fatto che sono risultati in modo intelligibile316, qui invece v’è in misura maggiore il pari, ed inoltre solo la sommità intelligibile è dispari: infatti il termine 25 medio della triade è analogo alla potenza; e là vi sono la monade che possiede in senso causale tutte le forme dei numeri dispari, la diade che è in modo celato tutte le forme dei numeri pari, e la tria- 94 de che è numero in senso primo; qui invece il pari, già di per sé composto, ed il dispari sono in forma duplice, per un verso in modo non mescolato, per un altro in modo mescolato. Tutte le cose dunque sono qui in forma generativa, mentre là sono in forma paterna ed intelligibile. Dal canto suo quella monade317 non 5 procede neppure dagli intelligibili, ma permane negli intelligibili senza separarsi da essi. Dopo queste monadi318 pertanto e a partire da queste prenderemo in considerazione il numero nella sua totalità319 che viene a sussistere in base ad una terza processione. Infatti, preesistendo tali entità, afferma , «nessun numero potrebbe mancare»320. Dunque ogni numero si genera attraverso tali entità nella 10 terza monade, e l’uno diventa molti, così come l’essere. In quanto l’alterità differenzia l’uno e l’altro. Ed ogni parte dell’essere partecipa dell’uno, mentre ogni enade sormonta una determinata porzione di essere; inoltre l’uno e l’altro sono moltiplicati, sono differenziati in modo intellettivo, «sono frantumati»321 e procedo- 15 no in senso illimitato. Come dunque nel caso degli intelligibili abbiamo attribuito322 alla terza triade «la molteplicità illimitata», così anche nel caso di questa triade assegniamo al terzo termine della triade «il numero illimitato»323. Ed infatti in generale in ogni ambito l’illimitato viene per ultimo in quanto esso procede in 20

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perilambavnon, aujto; de; uJp oujdeno;" metecovmenon. Hsan me;n ou\n kai; ejn th'/ prwvth/ monavdi dunavmei", ajlla; nohtw'", kai; ejn th'/ deutevra/ provodoi kai; ajpogennhvsei", ajlla; nohtw'" kai; noerw'": ejn de; th'/ trivth/ panduvnamo" oJ ajriqmov", 25 o{lon eJauto;n ejkfhvna", o} dh; kai; oJ Parmenivdh" a[peiron proseivrhken. Kai; mavlista dh'lon wJ" ouj crh; th;n ajpeirivan 95 tauvthn ejpi; to; poso;n metafevrein: pw'" ga;r a[peiro" ajriqmov", aujth'" th'" ajpeiriva" pro;" th;n tou' ajriqmou' fuvsin diamacomevnh" Pw'" de; i[sai toi'" tou' o[nto" kevrmasin aiJ moi'rai tou' eJnov" En ga;r toi'" ajpeivroi" to; i[son oujk e[stin. 5 Alla; tou'to me;n kai; toi'" pro; hJmw'n frontivdo" hjxivwtai. Dedeigmevnh" de; hJmi'n kai; th'" eij" triva diairevsew", sunelovnte" ei[pwmen o{ti to; e}n polla; kata; tauvthn ajnefavnh th;n tavxin, kai; aujtou' tou' eJno;" eij" plhvqh proi>ovnto" eJnavdwn kai; tou' o[nto" oJmoivw" tw'/ eJni; sunapogennwmevnou. Nohtai; gavr eijsi 10 periocai; tw'n qeivwn diakovsmwn pavntwn aiJ trei'" au|tai monavde", kai; pavsai" tai'" ajpo; tw'n nohtw'n proovdoi" ejfesthvkasin, oJmou' kai; paravgousai pavsa" ejxh/rhmevnw" kai; sunavgousai pro;" ta;" nohta;" aijtiva".

15

20

lbV Epei; de; oJ Plwti'no" to;n ajriqmo;n pro; tou' aujtozwv/ou tivqetai kai; fhsi; to; o]n to; prwvtiston paravgein ajf eJautou' to;n ajriqmo;n kai; mevson tou'ton iJdru'sqai tou' te eJno;" o[nto" ***, bavsin de; o[nta kai; tovpon tw'n o[ntwn, a[xion kai; peri; touvtou suntovmw" eijpei'n. Eij me;n ga;r nohto;n kai; kruvfion kai; wJ" ejn monavdi periecovmenon levgoi to; aujtozw'/on e[cein to;n ajriqmovn, ojrqw'" a]n levgoi kai; tw'/ Plavtwni sumfwvnw". Eij de; to;n diakekrimevnon

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modo assolutamente completo e comprende in sé tutte le entità inferiori, ma esso non è partecipato da nulla. Sono dunque risultate esservi nella prima monade potenze, ma in forma intelligibile, ed al contempo nella seconda processioni e generazioni, ma in forma intelligibile-intellettiva; dal canto suo nella terza monade il numero è dotato di tutte le potenze, avendo rivelato se stesso nella 25 sua totalità, il che, appunto, Parmenide ha denominato «illimitato»324. Ed è assolutamente evidente che non si deve scambiare 95 questa illimitatezza con la “quantità”325; infatti come può esserci un numero illimitato, se la nozione stessa di “illimitatezza” è in conflitto con la natura del numero? Come poi le parti dell’uno possono essere uguali per numero ai frammenti dell’essere? Infatti tra le entità illimitate l’uguale non esiste. Ma tale questione è stata ritenuta degna di riflessione anche da 5 coloro che ci hanno preceduto326. D’altra parte, dato che da noi è stata messa in luce anche la divisione in tre, diciamo, riassumendo, che l’uno è apparso molti327 in base a questo ordinamento, dato che l’uno stesso procede verso molteplicità di enadi e allo stesso modo l’essere che viene generato insieme all’uno. In effetti queste tre monadi sono insiemi intelligibili comprendenti tutti gli 10 ordinamenti divini, e sono state poste alla testa di tutte le processioni derivanti dagli intelligibili, dato che, al medesimo tempo, sia le introducono tutte in modo trascendente sia le riconducono insieme alle cause intelligibili. 32 [Riflessione sulla questione se bisogna considerare il numero prima del Vivente-in-sé, oppure nel Vivente-in-sé, oppure dopo il Viventein-sé] D’altra parte, dal momento che Plotino pone il numero prima del Vivente-in-sé e afferma che l’essere introduce da se stesso il primissimo numero e che quest’ultimo è posto a livello intermedio tra l’Uno-che-è 328, dall’altro è «fondamento» e «luogo»329 degli enti, anche su questa concezione merita discutere brevemente. Se in effetti intendesse dire che il Vivente-in-sé possiede il numero intelligibile, celato e come compreso in una monade, egli in questo caso parlerebbe correttamente ed in accordo con Platone. Se invece intendesse dire che esso, essendo già stato

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polueidw'"

kai;

th'"

eJterovthto"

e[kgonon,

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e[sti

96 toiou'ton to; nohto;n plh'qo". Ekei' me;n ga;r to; e}n kai; o[n

ejsti kai; to; o]n e{n, dio; kata; pavnta tevleion uJpavrcei to; aujtozw'/on: ejn de; tw'/ ajriqmw'/ to; e}n diakevkritai tou' o[nto" kai; to; o]n tou' eJnov", kai; oujkevti tw'n merw'n e{kaston o{lon 5 ejsti; nohtovn, w{sper ejn tw'/ aujtozwv/w/, o{lon ga;r h\n ejx o{lwn ejkei'no kai; pantacou' to; e}n h\n meta; tou' o[nto" ejn toi'" mevresin. Kai; to; me;n aujtozw'/on monogene;" h\n, oJ de; ajriqmo;" proh'lqe kata; ta;" ditta;" sustoiciva", monavda levgw kai; duavda, peritto;n kai; a[rtion. Pw'" ou\n ejn tw'/ 10 aujtozwv/w/ qhsovmeqa to;n prw'ton ajriqmovn Alla; kai; ei[ ti" ejkei' tinav fhsin ajriqmo;n uJpavrcein, kat aijtivan ejsti; kai; nohtw'" oJ ajriqmov", uJpo; de; th'" eJterovthto" diekrivqh noerw'". Kai; e[ti pro;" touvtoi", eij me;n to; aujtozw'/on ejn th'/ dhmiourgikh'/ tavxei qewroivh, ãaujtozw'/onà to; plhvrwma 15 tw'n eijdw'n kai; to; nohto;n tou' dhmiourgikou' nou' prosonomavzwn, ou{tw" a]n e[coi ajriqmo;n tou'to noerovn, a{te dh; pro;" tw'/ pevrati tw'/ noerw'/ tetagmevnon: eij de; to; nohto;n zw'/on ajriqmo;n levgoi, diavkrisi" ejn toi'" qeoi'"l 20 e[stai kai; eJterovth", ou}" dh; kat a[kran e{nwsin ejlevgomen tw'n o{lwn uJperidru'sqai. Pa'sa ga;r tomh; kai; diaivresi" ajpo; tw'n noerw'n a[rcetai qew'n, ejpei; kai; hJ eJterovth" ejntau'qa proh'lqen, sundiakosmou'sa tw'/ eJni; kai; tw'/ o[nti ta; pravgmata. Pou' toivnun oJ katakermatismo;" tw'n eJnavdwn h] to; polueide;" tw'n o[ntwn proshvkei toi'" nohtoi'" Pou' de; tw'/ aujtozwv/w/ 97 tw'/ prwtivstw/ to; pavntwn eijdw'nm plh'qo" diafevrei Tetra;" ga;r h\n ejkei' monavdi kai; triavdi diairoumevnh, prepouvsh" th'/ trivth/ tavxei tw'n nohtw'n eijdw'n th'" toiauvth" diairevsew". W" ga;r to; e}n o]n monav", oJ de; aijw;n mona;" kai; duav" (sumplev5 ketai ga;r to; ajei; tw'/ ei\nai), ou{tw" to; aujtozw'/on mona;" kai; triav": ejpeidh; de; th;n aijtivan ejn eJautw'/ perievcei tou' suvmpanto" ajriqmou', tetravda proseivrhken aujto; tettavrwn tw'n prwtourgw'n aijtivwn perilhptikh;n oJ Tivmaio". Pavsh" ga;r eijdopoiiva" hJ tetra;" au{th phgh; prou>fevsthken. All ejn 10 toi'" nohtoi'" eJniaivw" kai; hJ mona;" kai; hJ dua;" kai; hJ triav", ejn de; toi'" noeroi'" dih/rhmevnw". H gou'n eJterovth" hJmi'n

l Non pare necessaria l’integrazione (ejn toi'" ãnohtoi'"Ã qeoi'") proposta dagli Editori. m Cfr. nota alla traduzione.

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differenziato, è in forma molteplice ed è prodotto generato dall’alterità, in questo caso non è tale la natura della molteplicità intelli- 96 gibile. Infatti là l’uno è anche essere e l’essere è uno, e per questo motivo il Vivente-in-sé risulta a tutti gli effetti «perfetto sotto ogni aspetto»330; invece nel numero l’uno risulta distinto dall’essere e l’essere dall’uno, ciascuna delle parti non è più un intero intelligi- 5 bile, come nel Vivente-in-sé; infatti quello è risultato un «intero formato da interi»331 ed in ogni ambito l’uno è risultato332, nelle parti, congiunto all’essere. Ed il Vivente-in-sé è risultato «unigenito»333, mentre il numero è proceduto in base alle duplici serie coordinate, intendo dire monade e diade, pari e dispari334. Come dunque potremo porre nel Vivente-in-sé il primo numero? Ma 10 anche se qualcuno afferma che lì sussiste un qualche numero, è in senso causale ed in modo intelligibile che il numero vi si trova, ed esso è stato differenziato in modo intellettivo dalla alterità. Ed ancora, oltre a ciò, se si contemplasse il Vivente-in-sé nell’ordinamento demiurgico, denominando “Vivente-in-sé”335 l’insieme complessivo delle Forme e il carattere intelligibile dell’intelletto 15 demiurgico, allora in questo caso esso avrebbe un numero intellettivo, in quanto risulta posto per ordinamento al limite del livello intellettivo; se invece si affermasse che il Vivente intelligibile è un numero, vi sarà distinzione ed anche alterità in quegli dèi, che dicevamo essere posti, in base ad una suprema unità, al di sopra 20 della totalità delle cose. Infatti ogni partizione e divisione comincia dagli dèi intellettivi, poiché in effetti l’alterità è proceduta in questo ambito, dando ordine, insieme all’uno e all’essere, alle realtà determinate. In qual modo pertanto la frammentazione delle enadi o il carattere multiforme degli enti può convenire agli intelligibili? In qual modo, d’altra parte, la molteplicità di tutte le forme336 può ri- 97 guardare il primissimo Vivente-in-sé? Infatti là, come si è visto337, si trova una tetrade divisa in una monade e una triade, dal momento che tale divisione si addice al terzo ordinamento delle Forme intelligibili. Come infatti l’Uno-che-è è una monade, e, d’altro canto, l’eternità è una monade e una diade (infatti il “sem- 5 pre” è intrecciato all’essere), così il Vivente-in-sé è monade e triade; ma dal momento che comprende in se stesso la causa di tutto il numero nel suo insieme, Timeo lo ha denominato “tetrade comprensiva delle quattro cause originarie”338. Infatti questa tetrade è preesistita come fonte ad ogni produzione di forme339. Ma negli 10 intelligibili la monade, la diade e la triade sono in modo unitario, invece negli intellettivi sono in modo differenziato. Certo è che

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ajpegevnnhsen pavnta tau'ta diakekrimevnw", ejpei; kai; ajnavgkh. Pantacou' ga;r ta; prwvtista tw'n uJfistamevnwn *** th;n ijdivan e[cei morfhvn: oujkou'n ta; prwvtista plhvqh proveisi me;n ejk tou' eJnov", eJniai'a dev ejsti kai; ajdiavkrita kai; ajnavriqma, mimouvmena th;n mivan tw'n o{lwn ajrchvn. Eijkovtw" a[ra kai; oJ Parmenivdh" to; me;n plh'qo" ejn toi'" nohtoi'" uJpevsthsen kata; to; pevra", to;n de; ajriqmo;n ejn toi'" noeroi'" kata; th;n ajrchvn: kai; sunhvnwsen tau'ta ajllhvloi" kai; to; eJniai'on plh'qo" kai; nohto;n wJ" ai[tion tw'n noerw'n ajriqmw'n proesthvsato. Kai; oJ Tivmaio" to; aujtozw'/on monogene;" ajpevfhnen, o{ti dh; monadikw'" ai[tion h\n tw'n o{lwn, ajll ouj duadikw'" oujde; kata; th;n eJterovthta th;n qeivan. lgV All o{ti me;n oJ ajriqmo;" to; prwvtistovn ejstin ejn toi'" noeroi'", uJpevmnhstai dia; pleiovnwn. Arcovmeno" de; oJ Parmenivdh" tw'n peri; aujtou' lovgwn ejnteu'qen, Iqi dh; kai; th'/de e[ti. – Ph'/ – Oujsiva" fame;n metevcein to; e{n, diov ejstin o[n – Naiv. – Kai; dia; tau'ta dh; to; e}n o]n polla; ejfavnh, sumplhroi' me;n to;n peri; th'" prwvth" monavdo" lovgon wJdiv, Triva de; ouj peritta; kai; duvo a[rtia – Pw'" d ou[ to;n ãde;Ã peri; th'" deutevra", Artiav te a[ra ajrtiavki" a]n ei[h kai; peritta; perittavki" kai; a[rtia perittavki" kai; peritta; ajrtiavki", to;n de; peri; th'" trivth" kai; th'" sumpavsh" ejfexh'" triavdo" ejn touvtoi", Ouj movnon a[ra to; o]n e}n pollav ejstin, ajlla; kai; aujto; to; e}n uJpo; tou' o[nto" dianenemhmevnon polla; ajnavgkh ei\nai. – Pantavpasi me;n ou\n. H toivnun prwtivsth tria;" tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n dia; touvtwn hJmi'n uJpo; tou' Plavtwno" ejkpevfantai, kata; me;n th;n prwtivsthn monavda ãta;"Ã prwvta" e[cousa tw'n ajriqmw'n dunavmei", to; peritto;n levgw kai; to; a[rtion, kai; dia; touvtwn sumplhroumevnh tw'n ajrcw'n, ai} kai; ejn toi'" nohtoi'" h\san krufivw", monav", duav", triav", kata; de; th;n

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l’alterità ai nostri occhi ha generato tutte queste entità in modo differenziato, poiché in effetti era necessario. In ogni ambito infatti le primissime fra le entità che vengono a sussistere hanno la propria specifica forma 340; quindi le primissime forme di molteplicità procedono dall’uno, ma sono unitarie, non differenziate e non numerabili, in quanto imitano l’unico Principio della totalità delle cose. Di conseguenza è naturale che Parmenide abbia fatto sussistere la molteplicità negli intelligibili in forma di limite, mentre il numero negli intellettivi in forma di principio; e che abbia unito questi elementi l’uno all’altro e abbia posto, come causa, la molteplicità unitaria ed intelligibile alla testa dei numeri intellettivi341. E Timeo ha dichiarato il Vivente-in-sé «unigenito»342, proprio per il fatto che è risultato principio causale della totalità delle cose in modo monadico, ma non in modo diadico né in base alla alterità divina.

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98 33 [Da dove Parmenide incomincia i suoi ragionamenti sul numero e fino a che punto procede, e come rivela i differenti ordinamenti insiti in esso]

Tuttavia il fatto che il numero è il primissimo tra gli intellettivi, dovrà essere richiamato alla memoria con più riferimenti. Parmenide, d’altro canto, incomincia i suoi discorsi su di esso da qui: «Prosegui ancora in questo modo – In quale modo? – diciamo che l’uno partecipa dell’essenza, perciò è essere? – Sì – E proprio per questi motivi l’Uno-che-è è è apparso molti»343; egli completa il discorso sulla prima monade in questo modo: «Tre inoltre non è dispari, e due pari? – Come no?»344; il discorso, poi, sulla seconda con: «Di conseguenza sarebbe pari volte pari ed anche dispari volte dispari, e pari dispari volte e dispari pari volte»345; infine sulla terza monade e su tutta la conseguente triade nel suo insieme346 in questo passo: «Di conseguenza, non solo l’essere-uno è molti, ma anche l’uno stesso, essendo ripartito dall’essere, è necessario che sia molti – Certo, assolutamente»347. Pertanto la primissima triade degli dèi intelligibili-intellettivi è stata rivelata a noi da Platone attraverso questi argomenti: essa in effetti possiede in base alla primissima monade le prime potenze dei numeri, intendo dire il dispari ed il pari, e viene interamente completata tramite questi principi, i quali appunto, negli intelligibili, sono risultati348, in forma celata, monade, diade e triade; in

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deutevran ta;" deutevra" ajpo; touvtwn uJfistamevna" (hJ ga;r tw'n eijdw'n tou' ajrtivou tomh; deutevran e[lace tavxin kai; 25 to; perittavki" perisso;n uJfeimevnon ejsti; tw'n prwvtwn 99 perissw'n), kata; de; th;n trivthn ta;" merikwtevra" aijtiva" tw'n qeivwn ajriqmw'n, dio; kai; oJ katakermatismo;" ejntau'qa kai; hJ ajpeiriva kai; hJ pantelh;" diaivresi" kai; oJ eJniai'o" ajriqmo;" kai; oujsiwvdh"n, to; me;n eJniai'on kai; oujsiw'de" 5 ajpo; th'" eJnavdo" kai; tou' o[nto" labovnte", th;n de; tou' ajriqmou' diavkrisin ajpo; th'" eJterovthto". Pantacou' me;n ga;r hJ eJterovth" ejn tai'" trisi; monavsin, diaferovntw" de; au\ kata; th;n trivthn ejkfaivnei ta; plhvqh tw'n ajriqmw'n kai; qeou;" ajpogenna'/ merikwtevrou" kai; to; o]n sundiairei' toi'" qeoi'". 10 Ou[te ga;r qeov" ejstin ejn touvtoi" ajmevqekto", diovti oujde; eJna;" tou' o[nto" cwriv", ou[te oujsiva qeovthto" a[moiro", diovper oujde; to; o[n ejstin eJno;" ajphrhmwmevnon. Epeidh; de; pavnta mevn ejstin ejn eJkavsth/ tw'n monavdwn, ajlla; eJniaivw" me;n ejn th'/ prwtivsth/ kai; nohtw'", gennhtikw'" 15 de; ejn th'/ deutevra/ kai; kata; th;n ijdiovthta th'" eJterovthto", noerw'" de; ejn th'/ trivth/ kai; kata; to; o[n, eijkovtw" dhvpou th;n me;n prwvthn hJmi'n ejkfaivnwn ajpo; th'" monavdo" h[rceto kai; prohv/ei mevcri triavdo", th;n de; deutevran ajnadidavskwn ajpo; tw'n ajrtiavki" ajrtivwn h[rceto kai; prohv/ei mevcri tw'n 20 ajrtioperivsswn, a} h\n ajmfovtera th'" tou' ajrtivou fuvsew", th;n de; trivthn prostiqei;" ajpov te tou' o[nto" h[rceto kai; dia; th'" eJterovthto" ajnevtrecen ejpi; to; e{n. Deivxa" ga;r ajriqmou' metevcon to; o[n, ejpi; to;n eJniai'on ejnteu'qen hJma'" perihvgagen ajriqmovn, tw'/ kat ejpistrofh;n ejpi; th'" monavdo" 25 tauvth" trovpw/ th'" nohvsew" crwvmeno". 100

ldV Eij de; dei' kai; th;n a[gnwston ijdiovthta tw'n qeivwn ajriqmw'n katidei'n, kai; o{pw" hJ prwtivsth tw'n nohtw'n kai; noerw'n tavxi" kai; kata; tauvthn ajriqmo;" a]n ei[h pavntwn ajriqmw'n

n L’integrazione ãoJÃ oujsiwvdh", proposta dagli Editori, non è a mio avviso necessaria.

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base alla seconda monade, invece, essa possiede le potenze seconde che vengono a sussistere da quelle precedenti (in effetti la partizione delle forme del pari ha ricevuto una posizione di secondo livello ed «il dispari volte dispari» è inferiore ai primi dispari); in 99 base alla terza monade infine, essa possiede le cause più particolari dei numeri divini: ecco perché qui si trovano la frammentazione, l’illimitatezza, la distinzione perfettamente compiuta, il numero unitario e di carattere essenziale, che hanno preso, da un lato, 5 il loro carattere unitario ed essenziale dalla enade e dall’essere, mentre la distinzione propria del numero dalla alterità. In ogni ambito infatti l’alterità si manifesta nelle tre monadi, ma in modo particolare, a sua volta, al livello della terza essa rivela le molteplicità dei numeri e genera dèi più particolari e divide l’essere e gli dèi al tempo stesso. Ed infatti tra essi non v’è un dio impartecipa- 10 bile, per il fatto che nemmeno v’è enade separata dall’essere, né essenza che sia non partecipe di divinità; appunto perciò nemmeno l’essere rimane privo di uno. Dal momento che, poi, tutte le cose si trovano in ciascuna delle monadi, ma in modo unitario ed in modo intelligibile nella primissima, mentre in modo generativo ed in base al carattere spe- 15 cifico dell’alterità nella seconda, infine in modo intellettivo ed in base all’essere nella terza, è naturale, a mio giudizio, che , rivelandoci la prima monade, abbia cominciato dalla monade e si sia spinto fino alla triade, mentre, illustrandoci la seconda monade, abbia incominciato dai «pari volte pari» e si sia spinto fino ai «parimpari», i quali sono risultati entrambi della natura 20 del pari349, infine, aggiungendo la terza monade, abbia incominciato dall’«essere» e tramite l’alterità sia risalito fino all’«uno». Infatti, dopo aver mostrato che l’essere partecipa del numero, da lì ci fa giungere al numero unitario, servendosi, per questa monade, della modalità di intellezione che procede in base a conver- 25 sione350. 100 34 [Qual è il carattere inconoscibile nei numeri divini, quale quello che eleva, quale quello generatore, e richiami a queste considerazioni tratti da quanto Platone ha affermato su questi numeri altrove]

Se poi occorre esaminare anche il carattere specifico inconoscibile dei numeri divini, ed in che modo il primissimo ordinamento degli intelligibili-intellettivi, anche in base a tale carattere

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presbuvtato", prw'ton me;n th;n ajpeirivan th;n uJpo; tou' Parmenivdou legomevnhn ejnnohvswmen, mhvpote kai; dia; tou'to to;n ajriqmo;n kai; to; nohto;n plh'qo" a[peirav fhsin uJpavrcein, wJ" a[gnwsta kai; a[lhpta tai'" merikai'" ejpibolai'". To; ga;r pantele;" kai; to; panduvnamon aujtw'n ejxhv/rhtai ãth'"Ã tw'n 10 meristw'n katalhvyew": a[gnwsta ou\n ejsti, kai; dia; tou'to ajnexevlikta kai; ajdiexivthta levgetai. Epei; kajn toi'" ejscavtoi" oJ ajriqmo;" kai; to; plh'qo" a{ma tw'/ gnwstw'/ kai; to; a[gnwston e[cei, kai; ou[te panto;" ajriqmou' dunavmeqa th;n provodon nikwvmenoi pro;" th'" ajpeiriva". Tauvth" perilabei'no 15 toivnun th'" kata; dievxodon ajgnwvstou dunavmew" ejn toi'" nohtoi'" ajriqmoi'" kai; plhvqesi kat aijtivan hJ ajgnwsiva proeivlhptai: kai; ga;r oujd a]n ejn toi'" ejscavtoi" h\n ti toiou'ton, eij mh; proh'n ejn ejkeivnoi" to; a[gnwston kai; tau'ta ejscavtw" uJph'rcen th'" ejxh/rhmevnh" ejkeivnwn ajgnwsiva" 20 mimhvmata. Deuvteron de; ejpi; tw'/de kajkei'no prosqw'men, o{ti kai; oiJ eJniai'oi tw'n ajriqmw'n kaq eJautouv" eijsin a[gnwstoi: kai; ga;r tw'n o[ntwn eijsi; presbuvteroi kai; tw'n eijdw'n eJnikwvteroi kai; gennhtikoi; tw'n eijdw'n prou>pavrcousin a} dh; nohta; kalou'101 men. Dhlou'si de; kai; tw'n qeourgiw'n aiJ septovtatai, toi'" ajriqmoi'" wJ" ajrrhvtw" dra'n dunamevnoi" crwvmenai kai; dia; touvtwn ta; mevgista kai; ajporrhtovtata tw'n e[rgwn ajpergazovmenai: kai; pro; touvtwn hJ fuvsi", dia; tw'n ajriqmw'n 5 ajrrhvtw" kata; sumpavqeian a[lloi" a[lla" dunavmei" corhgou'sa, toi'" me;n Hliakav", toi'" de; Selhniakav", kai; ta;" touvtwn poihvsei" sumfwvnw" parecomevnh toi'" ajriqmoi'". Epei; kajn toi'sde toi'" monadikoi'" ajriqmoi'" a[lla me;n ta; ei[dh tw'n ajriqmw'n, oi|on hJ triav", hJ pentav", hJ eJptav", a[llai 10 de; aiJ tw'n eijdw'n eJnwvsei": kai; ga;r touvtwn e{kaston tw'n eijdw'n e{n ejsti kai; plh'qo". Kat aujth;n toivnun th;n e{nwsin a[kran a[gnwstovn ejsti to; ei\do". Eij toivnun kai; ou|to" oJ ajriqmo;" metevcei tino;" ajgnwvstou dunavmew", pollw'/ dhvpou ma'llon 5

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Gli Editori individuano qui una lacuna, che però non pare sussistere.

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specifico, sarebbe un numero assolutamente anteriore a tutti i 5 numeri, in primo luogo consideriamo con attenzione l’illimitatezza di cui parla Parmenide351, se per caso egli non dica che il numero e la molteplicità intelligibili sono di fatto illimitati anche per questo motivo, in quanto inconoscibili e incomprensibili per le intuizioni particolari352. Infatti il carattere del «compiutamente perfetto»353 e quello dell’essere “dotato di tutte le potenze” che appartengono a questo numero e alla molteplicità intelligibile, trascendono la capacità di comprensione degli esseri particolari; questi caratteri sono 10 dunque inconoscibili, e per questo motivo si dicono non-dispiegabili e non esplicabili. In effetti anche ai livelli ultimi il numero e la molteplicità insieme al carattere di conoscibilità hanno anche il carattere dell’inconoscibilità, e noi non siamo in grado di comprendere la processione di ogni numero, in quanto siamo sopraffatti dall’illimitatezza. Pertanto, nei numeri e nelle molteplicità intelligibili, presupposto di 15 questa potenza inconoscibile nel suo procedere risulta essere, in senso causale, l’inconoscibilità; ed in effetti nelle entità ultime non vi potrebbe essere qualcosa di tale natura, se l’inconoscibile non fosse prima presente nei numeri e nelle molteplicità intelligibili, e se le entità ultime non fossero di fatto imitazioni, a livello ultimo, della inconoscibilità trascendente propria dei numeri e delle molteplicità intelligibili. In secondo luogo poi a ciò dobbiamo aggiungere anche questa 20 considerazione, cioè che i numeri unitari sono di per se stessi inconoscibili; ed infatti sono anteriori rispetto agli enti e più unitari delle forme, e preesistono come generatori delle forme che denominiamo “intelligibili”. D’altra parte mostrano ciò anche quelle più degne di venerazione fra le forme di teurgia, le quali si 101 servono dei numeri nella misura in cui sono in grado di operare in modo ineffabile e tramite questi compiono le più grandi e le più ineffabili delle loro operazioni; e prima di queste forme di teurgia mostra ciò la natura, la quale, tramite i numeri, garantisce in modo ineffabile, in base ad affinità simpatetica354, specifiche 5 potenze per ciascun essere, agli uni potenze eliache355, agli altri potenze seleniche356, e fornisce, in accordo con le loro rispettive nature, ai numeri le operazioni di queste potenze. In effetti anche in questi numeri monadici sono entità fra loro distinte le forme dei numeri, come per esempio la triade, la pentade e l’eptade, e le unificazioni specifiche delle forme: ed infatti ciascuna di queste 10 forme è unità e molteplicità. Pertanto in base alla sua stessa somma unificazione la forma è inconoscibile. Se dunque anche questo numero partecipa di una qualche potenza inconoscibile, in misura molto maggiore, a mio avviso, il primissimo numero ha

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oJ prwvtisto" ajriqmo;" e[cei th;n ijdiovthta tauvthn eJniaivw" tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn. Kai; mh;n kai; to; ajnagwgo;n tw'n ajriqmw'n ouj movnon o{ti ta;" periovdou" ajforivzousi tw'n yucikw'n ajpokatastavsewn lavboimen a[n, perigravfonte" th;n ajovriston hJmw'n fora;n toi'" oijkeivoi" mevtroi" kai; teleiou'nte" kata; ta; mevtra tau'ta 20 kai; sunavptonte" tai'" prwtivstai" hJmw'n aijtivai", ajll o{ti kai; diaferovntw" oJ ajriqmo;" e[cei ti pro;" th;n ajlhvqeian oJlkovn, w{" fhsin oJ ejn th'/ Politeiva/ Swkravth", ajpavgwn hJma'" ajpo; tw'n aijsqhtw'n ejpi; th;n nohth;n fuvsin. Ote toivnun th;n ijdiovthta tauvthn kai; oJ e[scato" e[lacen 25 ajriqmov", tiv crh; peri; tou' prwtivstou levgein Oujc o{ti to; nohto;n fw'" ejkfaivnei kai; peivqei mavlista toi'" nohtoi'" ejnidruvesqai kai; dia; th'" eJautou' tavxew" th;n eJnoeidh' tw'n ajrcw'n hJmi'n ajpaggevllei duvnamin Eij dh; tau'ta ojrqw'" 102 levgomen, qaumasovmeqa meizovnw" kai; to;n Tivmaion, o}" to;n crovnon ejpisthvsa" tai'" tw'n yucw'n teleiwvsesi kai; tw'/ kovsmw/ pantiv, di ou| pro;" to; aujtozw'/on oJmoiovtero" e[mellen e[sesqai, kat ajriqmo;n aujto;n proi>evnai fhsi; kai; tw'/ 5 ajriqmw'/ metrei'n to; ei\nai tw'n o{lwn yucw'n: kai; w{sper ejn toi'" noeroi'" oJ ajriqmo;" uJperivdrutai th'" oujraniva" perifora'" sunavgwn aujth;n kai; eJnopoiw'n, ou{tw dh; kajn touvtoi" to;n crovnon ajriqmo;n o[nta metrei'n ta;" oujraniva" periovdou" kai; th'" teleiovthto" tw'n periovdwn ejn eJautw'/ perievcein ta;" 10 prwtivsta" aijtiva". Eij de; kai; oJ ejn th'/ Politeiva/ Swkravth" ejn tw'/ lovgw/ tw'n Mousw'n peri; th'" tou' panto;" mia'" kai; oJlotelou'" periovdou dialegovmeno", Hn ajriqmov", fhsiv, perilambavnei tevleio", pw'" oujci; kai; dia; touvtwn telesiourgo;" tw'n o{lwn oJ qei'o" ajriqmo;" kai; ajpokatastatiko;" 15 ajnafaivnetai kai; metrhtiko;" tw'n periovdwn pavntwn, kai; to; sunagwgo;n tw'n ajtelw'n eij" to; tevleion ejk tou' ajriqmou' toi'" pa'si paragivgnetai, ta;" me;n yuca;" ajnavgonto" ajpo; tw'n fainomevnwn ejpi; ta; ajfanh', tw'/ de; panti; kovsmw/ ãth;nà teleiovthta th'" kinhvsew" ejpilavmponto", pa'si de; oJmou' ta; 20 mevtra kai; th;n tavxin tw'n periovdwn ajforivzonto" Eij de; mh; movnon oJ tevleio" ajriqmo;" th;n tou' qeivou gennhtou' perivodon sunevcei, ajlla; kai; deuvtero" meta; tou'ton a[llo" kuvriov" ejstin ajmeinovnwn te kai; ceirovnwn genevsewn, w{" fhsin oJ aujto;" Swkravth", oujk ajpokatasta15

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questa proprietà che trascende in modo unitario la totalità delle 15 cose. Ed inoltre potremmo cogliere l’attitudine ad elevare propria dei numeri, non solo perché definiscono i periodi dei ritorni ciclici357 delle anime, determinando il nostro movimento indefinito con le misure appropriate, rendendolo perfetto in base a queste misure e congiungendolo alle nostre primissime cause, ma anche perché il numero possiede in modo particolare «un qualcosa che 20 spinge verso la verità»358, come afferma Socrate nella Repubblica, allontanandoci dalle cose sensibili per farci volgere verso la natura intelligibile. Pertanto, se si considera che questa proprietà è toccata anche al numero di ultimo livello359, che cosa si deve dire del primissimo? Non che esso rivela la luce intelligibile, che persuade 25 al massimo grado a stabilirsi negli intelligibili, e che tramite la specifica posizione da esso occupata ci annunzia la potenza uni-forme dei principi? Me se tali nostre affermazioni sono corrette, dovremo ammirare ancora di più Timeo, il quale, avendo preposto alle perfezioni delle anime e al cosmo nella sua interezza il tempo, 102 attraverso il quale il cosmo era destinato ad essere più simile al Vivente-in-sé, afferma che il tempo procede «secondo il numero» e con il numero misura l’essere delle anime universali360; e come negli intellettivi il numero è posto al di sopra della «rivoluzione» 5 celeste361, in quanto la riunisce e la unifica, allo stesso modo anche nell’ambito del sensibile il tempo, essendo numero, misura le rotazioni cicliche celesti e comprende in sé le cause primissime della perfezione delle rotazioni cicliche. Se poi anche Socrate nella 10 Repubblica, discutendo nel discorso delle Muse dell’unica e perfetta rotazione ciclica dell’universo, dice «ed essa un numero perfetto la comprende»362, come anche attraverso tali parole non concludere che il numero divino si rivela perfezionatore della totalità delle cose, capace di ricondurle ciclicamente al punto di partenza 15 e atto a stabilire le misure di tutte le rotazioni cicliche, e che la proprietà di ricondurre le entità imperfette alla perfezione deriva per tutte le entità dal numero? Infatti è il numero che eleva le anime dalle cose visibili verso le invisibili, che fa risplendere su tutto il cosmo la perfezione del movimento, e che infine determina per tutte le entità insieme le misure e l’ordine delle rotazioni cicliche. Se poi non solo «il numero perfetto» contiene la rotazione 20 ciclica dell’«essere generato divino», ma ve ne è anche un secondo dopo questo che è un altro «padrone delle generazioni migliori e peggiori», come dice Socrate ancora nella Repubblica363, allora il numero non sarebbe solo in grado di determinare i ritorni

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tiko;" a]n ei[h movnon, ajlla; kai; gennhtiko;" oJ ajriqmov": kai; dh'lon o{ti dih/rhmevnw" mevn ejsti tau'ta kata; ta;" deutevra" kai; trivta" tw'n ajriqmw'n proovdou", oJmou' de; kai; sunh/rhmevnw" 103 ejn tw'/ prwtivstw/ tw'n ajriqmw'n. Ekei'no" toivnun gennhtikov" te kai; metrhtikov" ejsti tw'n gennwmevnwn kai; telewtikov". 25

leV H me;n ou\n prwtivsth tavxi" tw'n nohtw'n kai; noerw'n 5 ou{tw" uJpo; tou' Parmenivdou teqewvrhtai: meta; de; tauvthn hJ to;n mevson katevcousa tovpon tw'n nohtw'n kai; noerw'n, h}n mikrw'/ provteron sunektikh;n ajpekalou'men, ejkfaivnetai. Kalei'tai de; au{th tricw'", e}n pollav, o{lon mevrh, peperasmevnon a[peiron. Epei; ga;r hJ tw'n eJnavdwn kai; 10 tw'n o[ntwn ajpo; tou' ajriqmou' diavkrisi" eij" aujth;n kaqhvkei, to; me;n e}n kai; to; o[n, a} dh; diairei'n ejlevgomen th;n eJterovthta, o{la givgnetai, ta; de; ejk touvtwn proi>ovnta, touvtwn mevrh: kai; sunevcei me;n hJ oJlovth" ta; mevrh, sunevcetai de; tau'ta para; th'" eJautw'n oJlovthto".p a[llw" me;n para; tou' 15 eJnov", a[llw" de; para; tou' o[noto". JEkei' me;n gavr, ejn th/' ajkrovthti levgw tw'n noerw'n qew'n, hJ eJna;" aijtiva tou' plhvqou" h\n ejxh/rhmevnh tou' plhvqou" kai; gennhtikh; tw'n pollw'n: ejntau'qa de; hJ eJna;" suntevtaktai tw'/ plhvqei, dio; kai; o{lon ejsti;n wJ" pro;" mevrh ta;" polla;" eJnavda". 20 Tritth'" de; ou[sh" th'" sunektikh'" tavxew", kai; th'" me;n nohth'", th'" de; nohth'" kai; noera'", th'" de; noera'", hJ me;n prwvth mona;" kata; to; e}n uJpevsth kai; ta; pollav, hJ de; deutevra kata; to; o{lon kai; ta; mevrh, hJ de; trivth kata; to; peperasmevnon kai; to; a[peiron. Opou ga;r ejteleuvthsen hJ prwvth triav", 25 ejkei'qen e[cei th;n ajrch;n hJ deutevra. Dio; kai; ejn th'/ pro; 104 tauvth" oJ Parmenivdh" sunh'gen o{ti to; e}n pollav ejsti kai; ejn tauvth/ to; aujto; sunavgei meta; tw'n loipw'n: ajll ejkei' to; e}n ajpeivrwn h\n gennhtikovn, ejntau'qa de; to; e}n pollw'n kai;

p Gli Editori individuano qui una lacuna, ma il testo appare chiaro e coerente, senza ricorrere ad integrazioni.

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ciclici, ma sarebbe anche generativo; ed è evidente che queste 25 caratteristiche sono in forma divisa in base alle seconde e terze processioni dei numeri, invece sono presenti nello stesso tempo ed in forma raccolta nel primissimo dei numeri. Quest’ultimo pertanto è generativo ed al contempo misuratore e perfezionatore 103 delle entità generate. 35 [Come Parmenide tramanda l’ordinamento intermedio delle entità intelligibili-intellettive riferendosi all’“uno”, all’“intero” e al “limitato”, e quali sono i loro caratteri specifici] Il primissimo livello degli intelligibili-intellettivi è stato teorizzato in questi termini da Parmenide; dopo questo livello si rivela quello che occupa la posizione intermedia degli intelligi- 5 bili-intellettivi, il quale poco prima abbiamo denominato “connettivo”364. Esso, dal canto suo, è chiamato in tre modi: «uno-molti», «intero-parti», «limitato-illimitato»365. Infatti, dato che la distinzione, derivante dal numero, fra enadi ed enti giunge a questo ordi- 10 namento, l’uno e l’essere, che, come abbiamo detto366, è l’alterità a dividere, divengono degli interi, mentre le entità che da questi procedono, sono parti di questi interi; e la totalità contiene in sé le parti, mentre queste a loro volta sono contenute dalla loro specifica totalità: in un modo dall’uno, in un altro dall’essere. Là infatti, intendo dire nella sommità degli dèi intellettivi, l’enade367 è, 15 come abbiamo visto368, causa della molteplicità, trascendente la molteplicità e generatrice delle entità molteplici; qui invece l’enade risulta coordinata alla molteplicità, e perciò è un intero da considerarsi in relazione a parti, cioè le molteplici enadi. D’altro canto, dato che l’ordinamento connettivo è triplice, e una monade è intelligibile, l’altra è intelligibile-intellettiva, l’altra 20 ancora è intellettiva, la prima monade è venuta a sussistere in base all’uno e ai molti, la seconda in base all’intero e alle parti, la terza infine in base al limitato e all’illimitato. Infatti laddove la prima triade ha termine, da lì ha inizio la seconda. Ecco perché nel caso della triade anteriore a questa Parmenide ha concluso369 che l’uno 25 è molti, e nel caso di questa giunge alla medesima conclusione 104 unitamente ai restanti caratteri370; ma là l’uno è risultato371 generativo di entità illimitate, qui invece l’uno è comprensivo di molti, l’intero di parti e il limitato di illimitati. Sicché là l’enade risulta

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to; o{lon merw'n kai; to; peperasmevnon ajpeivrwn perilhptikovn. Wste ejkei' me;n ejxhv/rhto tw'n pollw'n hJ eJnav", ejntau'qa de; suntavttetai tw'/ plhvqei. Dio; kai; hJ prwvth suvntaxi" ajpogenna'/ to; o{lon oJmou' toi'" mevresin, hJ de; tou' o{lou kai; tw'n merw'n uJpovstasi" paravgei to; peperasmevnon a{ma kai; a[peiron. Exh'" gavr ejstin ajllhvloi" to; e{n, to; o{lon, to; 10 peperasmevnon, kai; ta; touvtoi" oi|on ajntivstoica, ta; pollav, ta; mevrh, ta; a[peira. Kai; e[sti to; me;n e}n aujto; hJ ajrch; tw'n loipw'n, to; de; o{lon h[dh scevsin e[cei pro;" ta; mevrh kai; duavdo" e[mfasin kai; proveisin eij" th;n pro;" ta; mevrh suvntaxin, to; de; peperasmevnon h[dh plh'qov" ejsti pevrato" kai; eJno;" 15 metevcon, kai; oi|on triav" ejstin. Ou[te ga;r pevra" movnon, wJ" hJ monav", ou[te a[peiron movnon, wJ" hJ duav", ajlla; pevrato" metevcon, o} prwvtw" ejsti; triav". Pa'n me;n ou\n peperasmevnon o{lon ejstivn, ouj pa'n de; o{lon pepevrastai: kai; ga;r to; a[peiron o{lon, ei[te plh'qov" ejstin, ei[te mevgeqo". Kai; pa'n me;n to; 20 o{lon e{n ejstin, ouj pa'n de; e}n o{lon: to; ga;r a[sceton pro;" to; plh'qo" oujc o{lon. Epevkeina a[ra to; me;n e}n tou' o{lou, to; de; o{lon tou' peperasmevnou. To;n aujto;n dh; trovpon kai; ta; a[peira mevrh tou' peperasmevnou levgetai (kaq eJauto; ga;r oujk e[sti to; a[peiron, w|/ kai; dh'lon wJ" oujk e[stin ejn 25 tw'/ posw'/ to; a[peiron, ajll ejn th'/ dunavmei), ouj pavnta de; ta; mevrh a[peira, kai; ga;r kata; to; pevra" e[nia carakthrivzetai tw'n merw'n. Kai; au\ ta; me;n mevrh pollav ejsti, ta; 105 de; polla; ouj pavntw" mevrh. Ta; toivnun polla; pro; tw'n merw'n, tau'ta de; pro; tw'n ajpeivrwn. Anavlogon a[ra tw'/ me;n eJni; ta; pollav, tw'/ de; o{lw/ ta; mevrh, tw'/ de; peperasmevnw/ ta; a[peira: kai; trei'" au|tai 5 sunocikai; monavde" th;n mevshn sumplhrou'si tavxin tw'n nohtw'n kai; noerw'n, hJ me;n eJna;" th'" monivmou sunoch'" kai; nohth'" corhgo;" ãou\saà pa'si toi'" deutevroi" diakovsmoi", hJ de; oJlovth" ta;" proovdou" sunevcousa tw'n qeivwn kai; mivan scevsin ajpergazomevnh th'" tw'n o{lwn diakosmhvsew", hJ de; 10 peperasmevnh mona;" tai'" ejpistrofai'" tw'n deutevrwn eij" ta; pro; aujtw'n ejpilavmpousa th;n sunochvn. Kai; hJ mevn ejstin ajnavlogon tw'/ eJni; o[nti, dio; kai; nohthv ejstin *** hJ de; th'/ trivth/ tavxei, par h|/ kai; to; e}n h\n kai; hJ dua;" hJ to; a[peiron gennw'sa plh'qo". 5

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trascendente i molti, qui invece è coordinata al molteplice. Ecco 5 perché la prima coordinazione genera nello stesso tempo l’intero insieme alla parti, mentre il venire a sussistere dell’intero e delle parti introduce al contempo il limitato e l’illimitato. Infatti vengono uno di seguito all’altro l’uno, l’intero e il limitato, e i termini per così dire della serie opposta a questi, i molti, le parti, gli illi- 10 mitati. E l’uno è esso stesso il principio dei termini restanti, mentre l’intero ha già relazione con le parti ed un riflesso della diade, e procede verso la coordinazione con le parti, infine il limitato è già una molteplicità in quanto partecipa di limite e di uno, ed è per così dire una triade. Infatti non è solo limite, come la mona- 15 de, né solo illimitato, come la diade, ma partecipando di limite, esso è ciò che è triade in senso primario. Ogni limitato dunque è un intero, ma non ogni intero risulta limitato; ed infatti l’illimitato è un intero, sia che si tratti di una molteplicità sia di una grandezza illimitata. E tutto ciò che è intero è uno, ma non ogni uno è intero: infatti ciò che è privo di relazione con la molteplicità non 20 è un intero. Di conseguenza l’uno è al di là dell’intero, e l’intero a sua volta è al di là del limitato. Allo stesso modo, appunto, anche gli illimitati sono detti parti del limitato (infatti l’illimitato non esiste in se stesso, onde risulta anche chiaro che l’illimitato non consiste nella quantità, ma nella potenza), ma non tutte le parti sono 25 illimitate, ed infatti alcune delle parti sono caratterizzate in base al limite. Ed a loro volta le parti sono molte, ma i molti non sono in assoluto parti. I molti pertanto sono anteriori alle parti, e que- 105 ste a loro volta sono anteriori agli illimitati. Quindi i molti sono corrispondenti all’uno, le parti all’intero, e gli illimitati al limitato; e sono queste tre monadi connettive che vanno a costituire l’ordinamento intermedio degli intelligibili- 5 intellettivi: l’enade, in quanto è garante di una connessione stabile e intelligibile per tutti gli ordinamenti inferiori; la totalità, in quanto contiene le processioni delle entità divine e realizza una relazione unica entro l’ordinamento complessivo della totalità delle cose; la monade del limitato infine, in quanto, grazie alle conversioni delle entità seconde verso quelle che le precedono, fa 10 risplendere la loro connessione con queste ultime. E l’enade è corrispondente all’Uno-che-è, proprio per questo è intelligibile, 372, infine la monade limitata è corrispondente al terzo ordinamento, presso il quale sono risultati trovarsi373 sia l’uno sia la diade sia l’illimitato che genera la molteplicità illimitata.

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ãlıVÃ Toiauvth tiv" ejsti kai; hJ sunektikh; triav", h}n oJ Parmenivdh" hJmi'n dia; touvtwn ajnevfhnen: To; e}n a[ra e{n tev ejstiv pou kai; pollav, kai; o{lon kai; movria, kai; peperasmevnon kai; a[peiron plhvqei. Mhdei;" de; tarattevsqw tou' 20 Plavtwno" a[peiron plhvqei levgonto" to; e}n h] to; o[n: to; ga;r e}n kai; o]n proi>o;n kai; dih/rhmevnon a[peiron tw'/ plhvqei kalei'. Kai; pa'n me;n ga;r to; plh'qo" eij" th;n ajpeirivan ajnavgetai th;n nohthvn, to; de; dih/rhmevnon plh'qo" kai; pavnth/ proelhluqo;" a[peirovn ejsti diaferovntw". 25 Epeidh; toivnun ejn th'/ triavdi tauvth/ pavntwn eijsi;n aiJ prwtourgoi; tw'n noerw'n aijtivai kai; pavnta ejn toi'" tauv106 th" e[spartai kovlpoi", oJ me;n prwvtisto" sunoceu;" wJ" plh'qo" perievcei ta;" aijtiva" tauvta", eJna;" w]n aujto;" nohth; kai; oi|on a[nqo" th'" triavdo": oJ de; deuvtero" perievcei me;n deutevrw" kai; aujto;" ta;" aijtiva", ajlla; suntetagmevno" 5 aujtai'" kai; sumplhquovmeno": oJ de; trivto" meta; th'" pantelou'" diairevsew" sunevcei to; plh'qo" ejn eJautw'/ perilabwvn. Kai; e{kasto" me;n sunektikov" ejstin, ajll oJ me;n wJ" peratw'n, oJ de; wJ" o{lon ajpotelw'n, oJ de; wJ" eJnivzwn. O me;n ou\n Plavtwn ejpi; tou' eJno;" pepoivhtai kai; poihvsetai 10 proi>w;n ta;" ajpodeivxei" (peri; to; e}n gavr ejstin hJ suvmpasa qewriva), dh'lon de; o{ti kai; to; o]n sundihv/rhtai tw'/ eJniv. Kaqovlou ga;r proeivrhtai to; pa'san th;n qeovthta th;n ejnteu'qen proi>ou'san ei\nai meqekth;n kai; pa'san moi'ran tou' o[nto" metevcein qeovthto": kai; dei' mh; movnon ejpi; tou' eJno;" iJstavnein 15 tou;" lovgou", ajlla; kai; tw'/ o[nti deutevrw" metadidovnai th'" aujth'" ijdiovthto" (eij kai; oJ Plavtwn to; e}n aujto; kaq auJto; proavgei) kata; ta;" diafora;" tw'n qeivwn diakovsmwn. O kai; qaumavzein e[peisiv moi tw'n oijhqevntwn peri; nou' th;n deutevran uJpovqesin pavnta sumperaivnesqai, mh; sunidovn20 twn o{ti kai; to; o]n oJ Plavtwn ajfei;" aujto; kaq eJauto; qewrei' to; e}n kai; propodivzon kai; ajpogennwvmenon kai; diafovrou" 15

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374 [Da dove Parmenide incomincia i suoi ragionamenti su questo ordinamento e fino a quale procede, e come rivela le tre monadi in esso insite, in accordo con quanto viene affermato su di esse nel “Fedro”]

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Tale all’incirca è la triade connettiva, che Parmenide ci ha rivelato attraverso queste parole: «l’uno, di conseguenza, è in certo modo sia molti sia intero sia parti sia limitato sia illimitato per molteplicità»375. Ma nessuno si turbi se Platone dice «illimitato per 20 molteplicità» l’uno o l’essere: infatti sono l’uno e l’essere che procedono e che sono divisi che egli chiama «illimitato per molteplicità». Ed in effetti tutta la molteplicità risale all’illimitatezza intelligibile, mentre la molteplicità divisa e che è totalmente proceduta è in senso specifico illimitata. Pertanto, dal momento che in questa triade si trovano le cause 25 originarie di tutti le entità intellettive e dal momento che «tutte sono state seminate nel grembo»376 di questa triade, il primissimo 106 «connettore»377 comprende queste cause come una molteplicità, essendo esso stesso un’enade intelligibile e per così dire il «fiore»378 della triade; il secondo comprende anch’esso, ad un secondo livello, le cause, ma in quanto coordinato ad esse ed insieme ad esse 5 moltiplicato; infine il terzo contiene, insieme alla divisione perfettamente compiuta, la molteplicità, comprendendola in se stesso. E ciascuno è connettivo, ma il terzo in quanto limita, il secondo in quanto completa un intero, il primo ancora in quanto unifica. Dunque è a proposito dell’uno che Platone ha elaborato le di- 10 mostrazioni e continuerà anche nel prosieguo ad elaborarne (infatti tutta la trattazione ha per oggetto l’“uno”), d’altronde è evidente che anche l’essere risulta diviso insieme all’uno. Infatti è stato detto prima379 in modo generale che tutta la natura divina che procede da qui è partecipabile e che ogni parte dell’essere partecipa di una natura divina; e non bisogna limitare solo a proposito dell’uno i ragionamenti, ma bisogna anche concedere al- 15 l’essere di partecipare a livello secondo della medesima proprietà (seppure Platone faccia procedere l’uno in sé e per se stesso) in base alla differenze degli ordinamenti divini. Tale considerazione suscita in me meraviglia nei riguardi di coloro che ritengono380 che tutte le conclusioni della seconda ipotesi riguardino l’Intelletto, non rendendosi conto che Platone, 20 dopo aver lasciato da parte anche l’essere, considera l’uno in sé di per se stesso, che al contempo procede, genera e riceve differenti

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ijdiovthta" ajnadecovmenon. Kaivtoi pw'" a]n peri; nou' dialegovmeno" hjfivei to; o[n, kaq o} th;n uJpovstasin e[cei kai; th;n duvnamin kai; th;n ejnevrgeian oJ nou'" To; me;n ga;r e}n ejpevkeina 25 th'" tou' nou' fuvsew", to; de; o]n u{parxin tw'/ nw'/ divdwsi kai; oujde;n a[llo ejsti; nou'" h] to; o[n. 107 Alla; tou'to me;n kai; di a[llwn pleiovnwn ejlevgcein e[xestin. Eij dev eijsin oiJ trei'" sunektikoi; qeoi; to;n eijrhmevnon trovpon dih/rhmevnoi, kai; oJ me;n nohtov" ejstin e}n pollav, oJ de; nohto;" kai; noero;" o{lon mevrh, oJ de; noero;" 5 peperasmevno" a[peiro", eijkovtw" dhvpou kai; ei|" e{kasto" aujtw'n kalei'tai poluv". Kata; ga;r th;n oijkeivan ijdiovthta plh'qov" ejsti sunocevwn e{kasto": kai; ga;r oJ prw'to" kata; ta; polla; pollou;" perilambavnei merikwtevrou" sunoceva", kai; oJ deuvtero" kata; ta; mevrh, kai; oJ trivto" 10 kata; ta; a[peira: kai; ei[ tine" ou\n eijsi qeoi; merikoi; th;n ijdiovthta tauvthn lacovnte", ejn tauvth/ perievcontai th'/ prwtivsth/ triavdi. Kai; mh;n kai; toi'" ejn Faivdrw/ gegrammevnoi" o{pw" tau'ta suvmfwna, panti; sunidei'n rJav/dion. To; me;n ga;r e}n to; sunekti15 ko;n tw'/ nwvtw/ tou' oujranou' tw'/ pavnta perievconti taujtovn (e}n gavr ejsti kai; to; nw'ton, kata; mivan aJplovthta perilambavnon th;n suvmpasan periforavn): to; de; o{lon tw'/ bavqei tou' oujranou' kai; tw'/ oi|on o[gkw/ taujtovn (kai; ga;r to; oujravnion bavqo" o{lon ejstivn, ajpo; tou' nwvtou mevcri 20 th'" aJyi'do" ejkteinovmenon): to; de; pevra" th'/ aJyi'di tou' oujranou'. Tou'to me;n ou\n kai; panto;" ma'llon ejmfanev": kai; tw'n a[llwn eJkavteron eij" ta;" aujta;" ejnnoiva" ajnafevretai. Kai; toivnun kai; o{ti ta; triva tau'ta diaferovntw" proshvkei 25 toi'" sunoceu'sin, to; e{n, to; o{lon, to; pevra", ejk tw'n proeirhmevnwn sullogistevon. Tiv ga;r ou{tw sunevcein duvnatai to; plh'qo" wJ" to; e}n to; suntetagmevnon Tiv de; ou{tw tw'n merw'n ejsti sunektiko;n wJ" to; o{lon Pw'" de; oujci; kai; to; pevra" 108 tw'n eij" ajpeirivan uJpoferomevnwn ai[tiovn ejsti th'" sundevsew" Orivzei gou'n aujtw'n th;n provodon kai; th;n diaforoumevnhn tomh;n eij" mivan ajnafevrei th'" sunoch'" aijtivan.

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proprietà. Certo, come potrebbe, quando discute dell’intelletto, lasciar perdere l’essere, in base al quale l’intelletto ha la sussistenza, la potenza e l’atto? In effetti l’uno è al di là della natura del- 25 l’intelletto, mentre l’essere dà all’intelletto sussistenza e l’intelletto non è nient’altro che essere. Ma tale interpretazione è possibile confutarla anche attraverso 107 altri argomenti più cogenti. Del resto, se i tre dèi connettivi sono divisi nel modo che si è detto, e se quello intelligibile è uno-molti, quello intelligibile-intellettivo è intero-parti, ed infine quello intellettivo è limitato-illimitato, è naturale, a mio giudizio, che ciascu- 5 no di essi singolarmente sia chiamato “molteplice”. Infatti ciascuno dei connettori è molteplicità in base al proprio specifico carattere: ed infatti il primo in relazione con i molti comprende molte connessioni più particolari, ed il secondo in relazione alle parti, il terzo infine in relazione agli illimitati; e se vi sono alcuni dèi par- 10 ticolari cui è toccato questo specifico carattere, essi sono compresi in questa primissima triade. Ed inoltre come tali concetti siano in perfetto accordo con quanto è scritto nel Fedro, ciascuno può rendersene conto con grande facilità. Infatti l’uno connettivo è identico alla «convessità 15 del cielo» che circonda tutte le cose (una infatti è anche la «convessità» che in base ad un’unica semplicità comprende tutta insieme la «rivoluzione»); l’intero poi è identico alla profondità del cielo e per così dire alla sua massa (ed infatti la profondità celeste è un intero che si estende dalla «convessità» fino alla «volta»); in- 20 fine il limite è identico alla «volta» del cielo. Quest’ultimo aspetto è ad ogni modo più chiaro ancora di tutto il resto381: e ciascuno degli altri due fa riferimento alle medesime nozioni di fondo. Ed inoltre anche il fatto che questi tre, l’uno, l’intero il limite, 25 si confanno specificamente agli dèi connettori, deve essere dedotto dalle considerazioni fatte in precedenza. Che cosa infatti può tenere insieme la molteplicità come l’uno ad essa coordinato? Che cosa inoltre è in grado di connettere le parti così come l’intero? Come poi il limite, dal canto suo, può non essere principio causa- 108 le del legame che tiene insieme le entità che sono trascinate verso l’illimitatezza? Esso appunto fissa i confini della loro processione e riporta alla causa382 unica della loro connessione la separazione che determina la dispersione.

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lzV Tau'tav moi kai; peri; th'" sunektikh'" eijrhvsqw triavdo": to; de; trivton, fasiv, tw'/ swth'ri kai; hJmei'" th;n telesiourgo;n diakovsmhsin tw'n qew'n ajnumnhvswmen eJpovmenoi tw'/ Parmenivdh/ kata; to; eJxh'". Oujkou'n diovti me;n tevlo" h\n th'" sunektikh'" to; pepe10 rasmevnon, hJ telesiourgo;" e[scata e[cei: to; ga;r pevra" e[scaton. All ejkei' me;n peperasmevnon ejlevgeto to; e{n, ejntau'qa de; e[scata e[con, wJ" kata; mevqexin to; peratwtiko;n tw'n pollw'n katadexavmenon: kajkei' me;n to; pevra" e{n, o} dh; kai; sunei'cen to; a[peiron, ejntau'qa de; 15 e[scata e[con kai; mevson a]n e[coi kai; ajrchvn, kai; tevleion a]n ei[h: to; ga;r ejk pavntwn touvtwn sumplhrouvmenon tevleiovn ejstin. Entau'qa toivnun kai; hJ ejk tw'n merw'n ajnefavnh teleiovth": hJ ga;r sumplhvrwsi" tw'n morivwn ajpergavzetai to; tevleion. Kai; mh;n kai; diovti mevson e[cei kai; 20 a[kra to; toiou'ton e{n, sch'ma a]n e[coi perifere;" h] mikto;n h] eujquv: pavnta ga;r tau'ta mevsou dei'tai kai; a[krwn, ta; me;n meta; aJplovthto", to; de; meta; sumplokh'". Trei'" ou\n hJmi'n pavlin pefhvnasin ijdiovthte", prwvth me;n h}n ejlevgomen e[scata e[cein, deutevra de; hJ kata; to; 109 tevleion, trivth de; hJ kata; to; sch'ma: trei'" de; kai; oiJ telesiourgoi; tw'n o{lwn hJgemovne", oJ me;n nohtov", oJ de; nohto;" kai; noerov", oJ de; trivto" noerov". O me;n toivnun nohto;" levgetai ta; e[scata e[cein wJ" uJp aujto; tetagmev5 no" eujqu;" to; tw'n sunektikw'n pevra" kai; toi'" eJautou' pevrasin nohtw'" perievcwn pavnta" tou;" noerou;" diakovsmou": oJ de; nohto;" kai; noero;" kata; to; tevleion ajfwvristai, ta;" ajrca;" kai; ta; mevsa kai; ta; tevlh tw'n o[ntwn ejn eJautw'/ 5

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37 [Come Parmenide tramanda il terzo ordinamento delle entità intelligibili-intellettive e come rivela il suo carattere specifico di perfezionatore ed al contempo la sua divisione triadica] Queste sono le considerazioni che dovevo fare anche a propo- 5 sito della triade connettiva: d’altra parte per terzo, che, dicono, è in onore di Zeus Salvatore383, anche noi celebriamo l’ordinamento degli dèi perfezionatori, seguendo il Parmenide nella successione degli argomenti384. Dunque, proprio per il fatto che il «limitato» è, come si è visto385, la fine dell’ordinamento connettivo, l’ordinamento perfe- 10 zionatore «ha estremità»: infatti il limite viene per ultimo. Ma nell’ordinamento connettivo «l’uno» è stato detto «limitato», in questo invece si dice che esso «ha estremità», in considerazione del fatto che il limitato ha ricevuto per partecipazione la capacità di limitare i molti; anche là il limite è l’uno, che appunto è risultato contenere l’illimitato, mentre qui, dato che «ha estremità», «a- 15 vrebbe sia una parte centrale sia un principio», e così sarebbe perfetto; infatti ciò che è completato da tutti questi elementi è perfetto. Qui pertanto si è rivelata anche la perfezione che deriva dalle parti: infatti la completezza delle parti realizza “ciò che è perfetto”. Ed inoltre, per il fatto che l’uno di tale natura ha una parte 20 centrale e parti estreme, avrebbe una «forma» circolare o mista o rettilinea; tutte queste figure infatti hanno bisogno di una parte centrale e di estremità, le une con semplicità, l’altra con combinazione386. Dunque tre di nuovo sono le caratteristiche specifiche che si sono a noi mostrate, la prima è quella, come abbiamo detto, di «avere estremità», la seconda è quella che è costituita in base al carattere del “perfetto”, la terza poi è quella costituita in base a 109 «figura»; d’altro canto, tre sono anche i sovrani perfezionatori della totalità delle cose, l’uno intelligibile, l’altro intelligibile-intellettivo, il terzo infine intellettivo. Quello intelligibile, dunque, si dice che «ha le parti che vengono per ultime», in considerazione del fatto che è posto per ordinamento immediatamente al di sotto 5 del limite stesso delle entità connettive e, per mezzo dei suoi propri limiti, comprende in forma intelligibile tutti gli ordinamenti intellettivi; invece quello intelligibile-intellettivo è definito in base al carattere del “perfetto”, in quanto comprende in se stesso i principi, le parti centrali e le parti finali degli enti e costituisce il

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perievcwn kai; sumplhrw'n to;n mevson suvndesmon th'" o{lh" telesiourgou' triavdo": oJ dev ge noero;" kata; to; sch'ma proh'lqe to; triadikovn, pevrato" kai; teleiovthto" qeiva" ai[tio" w[n, kai; toi'" me;n ajorivstoi" o{ron, toi'" de; ajtelevsi teleivwsin ejndidou;" noeravn. Kai; paravgetai me;n hJ tria;" au{th kata; th;n sunektikh;n triavda (to; ga;r pevra" ejkeivnh" ai[tiovn ejsti tou' e[scata e[cein), paravgetai de; kai; ejx eJauth'": to; ga;r e[scata e[con o{lon genovmenon dia; tou' pevrato" uJfivsthsi to; tevleion, tou'to de; ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh perievcon ajnafaivnei to; sch'ma, kai; ou{tw proveisin hJ telesiourgo;" triav", a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn ejpi; pavnta dihvkousa kai; teleiou'sa tav" te o{la" aijtiva" kai; ta;" merikav".

lhV Kai; oJra'/" o{pw" eJkatevra tw'n triavdwn toi'" tevlesi th'" uJperkeimevnh" sunavptei th;n ajkrovthta th;n eJauth'". Th'" me;n ga;r sunagwgou' triavdo" kai; ajgnwvstou to; e}n 25 polla; pevra" h\n, th'" de; sunektikh'" ajrch; to; aujtov ejsti: 110 kai; th'" me;n sunektikh'" tevlo" h\n to; peperasmevnon, tou'to de; au\ pavlin a[rcei th'" telesiourgou', to; ga;r e[scata e[cein th;n ejk tw'n peravtwn suvstasin dhloi'. Kai; ou{tw dh; pa'" oJ mevso" ou|to" diavkosmo" sunechv" ejsti pro;" 5 eJauto;n kai; hJnwmevno" kai; o[ntw" tw'n o{lwn diakovsmwn suvndesmo", aujto;" me;n pro;" eJauto;n koinwnivan qaumasth;n ejnsthsavmeno", sunavptwn de; ta; noera; toi'" nohtoi'" kai; sunelivsswn eij" mivan ajmevriston e{nwsin, a[nw me;n e[cwn th;n nohth;n triavda kai; a[gnwston, ejn de; mevsoi" th;n sunekti10 kh;n tw'n proovdwn, ejpi; de; tw'/ tevlei th;n ejpistreptikh;n hJgemonivan paragagwvn, di h|" prosecw'" tou;" noerou;" qeou;" ejpistrevfei pro;" tou;" nohtouv". Dia; tiv ga;r oJ nou'" eij" eJauto;n blevpei kai; ejn eJautw'/ ejstin h] o{ti pepevrastai pantacovqen kai; sunneuvei pro;" eJauto;n kai; peri; eJauto;n 15 sunelivssei ta;" oijkeiva" ejnergeiva" Dia; tiv de; tevleiov" ejsti

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legame centrale di tutta la triade perfezionatrice nella sua interezza; infine per quanto riguarda quello intellettivo, esso è proceduto in base alla «figura» triadica387, in quanto è principio causale di limite e perfezione divina, cioè388 in quanto assegna alle entità indeterminate la determinazione, mentre alle entità imperfette una perfezione intellettiva. E questa triade è prodotta in base alla triade connettiva (infatti il limite di quella triade è principio causale dell’«avere estremità»), ma al contempo è prodotta anche da se stessa: infatti ciò che «ha estremità», una volta divenuto un intero per mezzo del limite, fa sussistere il “perfetto”; quest’ultimo, dal canto suo, comprendendo inizi, parti centrali e parti finali, rivela «la figura», ed in tal modo la triade perfezionatrice procede dall’alto fino alle entità che vengono per ultime, diffondendosi tra tutte le entità e rendendo perfette al contempo tutte le cause universali e quelle particolari.

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38 [Richiamo, tratto dalle conclusioni del “Parmenide”, a quale sia l’unità delle tre triadi intelligibili-intellettive] E si vede in che modo ciascuna delle due triadi389 congiunge la propria sommità alle parti finali di quella che le è posta al di sopra. Infatti il limite inferiore della triade riunente e inconoscibile è risultato390 l’uno-molti, e d’altra parte il medesimo è principio della 25 triade connettiva; ed inoltre il termine della triade connettiva è 110 risultato il limitato, d’altra parte questo dà a sua volta di nuovo principio alla triade perfezionatrice; infatti l’«avere estremità» sta a significare l’“essere costituito di parti”. E in tal modo tutto questo ordinamento intermedio è connettivo in rapporto a se stesso, 5 unificato, ed è realmente collegamento tra gli ordinamenti universali; infatti esso stesso viene a manifestare in relazione a se stesso una mirabile comunanza e d’altro canto congiunge gli intellettivi agli intelligibili e li riavvolge in un’unica indivisibile unificazione; in effetti tale ordinamento ha in alto la triade intelligibile ed inconoscibile, nelle parti centrali poi quella connettiva delle processio- 10 ni, mentre alla fine introduce la sovranità convertitrice, attraverso la quale converte immediatamente gli dèi intellettivi verso quelli intelligibili. Infatti, per quale motivo l’intelletto volge verso se stesso lo sguardo ed è in se stesso, se non perché è limitato da ogni parte, converge verso se stesso ed intorno a se stesso raccoglie le 15 proprie attività? Per quale motivo poi è perfetto, ricolmo dei beni

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kai; plhvrh" tw'n noerw'n ajgaqw'n h] o{ti metevcei tw'n th'" teleiovthto" hJgemovnwn prw'to" kai; kat ejkeivnou" uJpevsth, th;n oujsivan e[cwn aujtotelh' kai; th;n novhsin Pw'" de; kai; levgetai sfai'ra parav te tw'/ Plavtwni kai; par a[lloi" 20 qeolovgoi" h] o{ti prwvtisto" metevcei tou' schvmato" kai; kat ejkei'no schmativzetai noerw'" Pa'sa toivnun ejpistrofh; kai; pa'sa teleiovth" kai; pa'n sch'ma noero;n ajpo; th'" telesiourgou' triavdo" ejfhvkei toi'" noeroi'" qeoi'". O me;n ga;r nohto;" th'" teleiovthto" hJgemw;n 25 tav te pevrata kai; ta;" ajkrovthta" kai; ta;" uJpavrxei" telesiourgei' tw'n o{lwn, oJ de; nohto;" kai; noero;" ta;" proovdou" aujtw'n oJrivzei ta;" a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn proercomevna", oJ de; au\ noero;" ta;" ejpistrofa;" suneivlhfen tw'n 111 qew'n pavntwn ejn th'/ eJautou' teleiovthti kai; dia; tw'n schmavtwn th;n ejp a[peiron provodon aujtw'n peraivnei kai; teleioi'.

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lqV Pro;" dh; tauvthn ajpoblevponte" th;n diaivresin kai; tw'n para; toi'" a[lloi" qeolovgoi" polla; dunhsovmeqa met aijtiva" qewrei'n. Dia; tiv th'" ajgnwvstou triavdo" hJ me;n ejpibevbhken tou' prwvtou tw'n kovsmwn, hJ de; tou' mevsou plavtou", hJ de; tou' ejscavtou Oti hJ me;n eJnoeidh;" h\n, hJ de; kata; th;n eJterovthta proh'lqen, hJ de; kata; to;n a[peiron tw'n o[ntwn ajriqmovn. Dia; tiv de; tw'n triw'n sunektikw'n oJ mevn ejstin ejmpuvrio", oJ de; aijqevrio", oJ de; uJlai'o" Oti oJ me;n kata; to; e}n uJpevsth kai; to;n e{na sunevcei kovsmon, oJ de; kata; to; o{lon kai; diairei' to; aijqevrion, oJ de; kata; to; peperasmevnon kai; th'" ajpeiriva" kratei' th'" uJlikh'". Dia; tiv de; au\ kai; oiJ teletavrcai sundihv/rhntai toi'" sunoceu'sin Oti oJ me;n prw'to", ta; e[scata e[cwn, hJniocei' to;n tarso;n tou' purov": oJ de; mevso", ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh perievcwn, teleioi' to;n aijqevra triplou'n o[nta kai; aujtovn: oJ de; trivto", to; perifere;" kai; mikto;n kai;

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intellettivi se non perché partecipa per primo dei sovrani della perfezione ed è giunto all’esistenza in conformità ad essi, avendo in sé perfetta la sua essenza e la sua intellezione? In che senso poi viene detto «sfera» presso Platone e presso gli altri teologi391, se non per- 20 ché per primissimo partecipa della figura e in base ad essa assume a sua volta una configurazione intellettiva? Ogni conversione, pertanto, ogni perfezione ed ogni figura intellettiva perviene agli dèi intellettivi a partire dalla triade perfezionatrice. Infatti il sovrano intelligibile della perfezione perfeziona i limiti, le sommità e le realtà delle entità universali, mentre 25 quello intelligibile-intellettivo delimita le loro processioni che procedono dall’alto fino ai livelli ultimi, a sua volta poi quello intellettivo ha raccolto le conversioni di tutti gli dèi nella sua pro- 111 pria perfezione e attraverso le figure porta a termine e rende perfetta la loro processione in senso illimitato. 39 [Quante sono le dottrine teologiche che potremmo trarre attraverso l’ordine delle conclusioni tramandate dal “Parmenide” nei ragionamenti concernenti gli dèi intelligibili-intellettivi] È proprio guardando a questa divisione che potremo considerare con cognizione di causa molte delle concezioni presenti presso gli altri teologi392. Per quale motivo la prima della triade inconoscibile è posta sopra il primo dei cosmi, mentre la seconda sopra l’ambito intermedio, e la terza sopra l’ultimo? Perché la prima è risultata393 uni-forme, la seconda è proceduta in base all’alterità, la terza infine è proceduta secondo l’illimitato numero degli enti. Per quale motivo poi dei tre dèi connettivi il primo è empireo, il secondo è etereo, il terzo infine è materiale?394 Perché il primo è venuto a sussistere in base all’uno e contiene l’unico cosmo, il secondo è venuto a sussistere in base all’intero e divide la natura eterea, il terzo infine è venuto a sussistere in base all’illimitato e domina l’illimitatezza materiale. Per quale motivo poi a loro volta gli dèi garanti dell’iniziazione sono suddivisi insieme a quelli connettori? Perché il primo, «avendo estremità»395, tiene le redini dell’«ala di fuoco»396; mentre quello intermedio, comprendendo parti iniziali, parti mediane e parti finali, rende perfetto l’etere che è anche esso a sua volta triplice397; infine il terzo, comprendendo in un’unica unità la figura circolare,

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eujqu; sch'ma kaq e{nwsin mivan perilabwvn, th;n ajschmavtiston u{lhn teleioi' kai; a[morfon, tw'/ me;n periferei' to; ajplane;" kai; th;n prwvthn u{lhn morfwvsa", tw'/ de; miktw'/ 25 to; planwvmenon kai; th;n deutevran u{lhn (ejkei' ga;r hJ e{lix), 112 tw'/ de; eujqei' to; uJpo; selhvnhn kai; th;n ejscavthn u{lhn (ejntau'qa aiJ kat eujqei'an kinhvsei"). Oujkou'n hJ me;n prwvth tria;" eJnoeidw'" ejstin aijtiva th'" tw'n kovsmwn diairevsew", hJ de; deutevra pleivona me;n e[mfasin e[cei th'" tomh'" kai; th'" eij" 5 mevrh proovdou, to; de; plh'qo" hJmi'n oujk ejkfaivnei tw'n kovsmwn, hJ de; trivth kai; tou;" eJpta; kovsmou" ajnevfhnen kai; th;n monavda meta; tw'n duvo triavdwn. Tosauvth tou' Plavtwnov" ejstin hJ e[nqeo" novhsi" w{ste kai; tw'n u{steron fanqevntwn ta;" aijtiva" ejk touvtwn hJma'" qewrei'n. 10 Epei; kajkei'no qaumavsion oi|on ejk tw'n proeirhmevnwn ajnafaivnetai, to; kaq eJkavsthn tw'n triavdwn to; mevson ei\nai th'" o{lh" triavdo" carakthristikovn: oi|on ejpi; me;n th'" ajgnwvstou th;n eJterovthta mevshn iJdrumevnhn tou' eJno;" kai; tou' o[nto", ejpi; de; th'" sunektikh'" to; o{lon, o} mevson 15 ejsti; tou' eJno;" kai; tou' peperasmevnou, ejpi; de; th'" telesiourgou' to; tevleion, o} dh; kai; aujto; mevson i{drutai tou' e[scata e[conto" kai; tou' schvmato". Kai; ga;r hJ eJterovth" aujto; to; qh'lu kai; to; govnimovn ejsti tw'n qew'n: kai; to; o{lon aujto; to; th'" sunoch'" ejstin ei\do", ta; polla; 20 mevrh sundevon: kai; to; tevleion aujto; to; th'" teleiovthto" ajgaqovn, ajrch;n e[con kai; mevson kai; tevlo" kai; sunavpton to; tevlo" th'/ ajrch'/ kata; th;n ijdiovthta th'" ejpistrofh'" kai; oujde;n ajll h] teletarciko;n ajpotelouvmenon. Ai[tiovn ejsti th'" kata; ta; mevsa kevntra pantacou' tw'n qew'n touvtwn 25 ijdiovthto" to; kai; pa'san aujtw'n th;n diakovsmhsin ejn mesovthti qewrei'sqai th;n uJpovstasin lacou'san tw'n te nohtw'n kai; tw'n noerw'n qew'n. OiJ me;n ga;r nohtoi; qeoi; kata; ta;" uJpavrxei" ajforivzontai mavlista kai; ta;" ajkrovthta", dio; dh; patevre" 113 kalou'ntai kai; eJniai'oi qeoiv (to; ga;r e}n kai; oJ path;r ejn ejkeivnoi" taujtovn): oiJ de; noeroi; kata; ta; pevrata, dio; dh; kai; nove" ejponomavzontai pavnte" kai; noeroiv: mevsoi de; o[nte" oiJ nohtoi; kai; noeroi; kata; ta;" mesovthta" ejkfaivnontai 5 mavlista ta;" tw'n triavdwn. Eti toivnun kajkei'no peri; pasw'n ãtw'nà triavdwn touvtwn koinh'/ teqewrhvsqw, to; kata; to; pevra" eJkavsthn eij" a[peiron

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mista e rettilinea, rende perfetta la materia «priva di figura» e «priva di forma»398, in quanto con la figura circolare dà forma all’ambito delle stelle fisse e alla prima materia, con quella mista dà forma all’ambito dei pianeti e alla seconda materia (in quell’ambi- 25 to infatti è presente la forma a spirale)399, infine con quella rettili- 112 nea all’ambito sublunare e alla materia ultima (in quest’ambito infatti si trovano i movimenti in linea retta)400. Quindi la prima triade è in modo uni-forme causa della divisione dei cosmi, la seconda mostra con maggiore evidenza la scissione e la processione in parti, 5 ma non ci rivela la molteplicità dei cosmi, la terza infine ha fatto apparire sia i sette cosmi sia la monade congiunta alle due triadi401. L’intellezione divinamente ispirata di Platone è tanto grande che noi a partire da tali considerazioni possiamo contemplare anche le cause delle realtà che vengono mostrate in seguito. In effetti anche questo è un aspetto mirabile, come appare da 10 quanto si è precedentemente detto, cioè il fatto che in ciascuna delle triadi il termine intermedio è caratteristico di tutta la triade nella sua interezza: come nel caso della triade inconoscibile402 l’alterità che è posta come intermedio tra l’uno e l’essere; nel caso della triade connettiva l’intero, che è intermedio tra l’uno e il limi- 15 tato; infine nel caso della triade perfezionatrice il perfetto, che appunto è posto anch’esso come intermedio tra «ciò che ha estremità» e «figura»403. Ed infatti l’alterità è il carattere femminino stesso e quello generatore propri degli dèi; e l’intero è la forma stessa della connessione, in quanto lega insieme le parti moltepli- 20 ci; ed il perfetto è il bene stesso della perfezione, in quanto ha principio, metà e fine, e congiunge la fine con l’inizio in base alla proprietà della conversione e porta a compimento nient’altro se non l’elemento garante dell’iniziazione. Motivo della caratteristica specifica di questi dèi basata in ogni caso sui centri intermedi404 è che tutto il loro ordinamento viene considerato in base alla 25 forma di sussistenza toccata ad essi e posta ad un livello intermedio fra gli intelligibili e gli intellettivi. Infatti gli dèi intelligibili sono determinati soprattutto in base alle loro effettive forme di realtà e alle loro sommità, ecco perché sono chiamati “Padri” e 113 “dèi unitari”405 (infatti l’uno ed il Padre sono in essi la stessa cosa); invece gli dèi intellettivi sono determinati in base ai loro limiti, ecco perché sono denominati “intelletti” e “intellettivi”; d’altra parte gli intelligibili-intellettivi, essendo intermedi, si rive5 lano soprattutto in base ai livelli intermedi delle triadi. Inoltre, ancora va considerato quest’altro aspetto che riguarda, in comune, tutte queste triadi, il fatto che ciascuna procede in

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TEOLOGIA PLATONICA

cwrei'n: kai; ga;r th'" prwvth" to; pevra" ajriqmov", kai; th'" deutevra" to; a[peiron plhvqei, kai; th'" trivth" to; eujquv, kai; aujto; th'" tou' ajpeivrou fuvsew" metevcon. Kai; touvtou mh;n ai[tion to; tw'n triavdwn eJkavsthn kata; to; pevra" eJauth'" toi'" ejnuvloi" ejpibateuvein kovsmoi" kai; th;n ajpeirivan tw'n ejn touvtoi" gennwmevnwn kata; mivan aijtivan perievcein. Pro;" de; au\ toi'" eijrhmevnoi" kai; th;n tavxin tw'n triavdwn ajpo; tw'n ejn aujtai'" telw'n qewrhvswmen. Th'" me;n ga;r prwvth" to; pevra" ajriqmov", th'" de; deutevra" peperasmevnon kai; a[peiron, th'" de; trivth" periferev", miktovn, eujquv. Dh'lon ou\n o{ti monadikh; me;n hJ prwvth, duadikh; de; hJ deutevra, triadikh; de; hJ trivth: kai; ajnavlogon uJpevsthsan, hJ me;n pro;" to; e}n o[n, hJ de; pro;" to; o{lon to; nohtovn, hJ de; pro;" to; pantele;" o{lon. Oti de; ejkei'na tauvthn e[cei pro;" a[llhla tavxin, ei[rhtai provteron. Sunelovnte" ou\n ei[pwmen o{ti pa'sa nohth; kai; noera; tria;" kata; me;n th;n ajkrovthta th;n eJauth'" sunh'ptai pro;" to; nohtovn, kata; de; th;n mesovthta th;n oijkeivan ejkfaivnei duvnamin, kata; de; th;n ajpoperavtwsin perilambavnei th;n ajpeirivan tw'n deutevrwn: kai; tou'to tevlo" ejpiqw'men th'/ peri; tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n didaskaliva/.

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LIBRO IV, 39

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senso illimitato in base al suo limite inferiore; ed infatti il limite inferiore della prima triade è il numero; quello della seconda è «l’illimitato per molteplicità»406, e della terza il rettilineo, che pure partecipa, esso stesso, della natura dell’illimitato. E, senza dubbio, motivo di ciò è il fatto che ciascuna delle triadi, in base al proprio limite inferiore, sormonta i cosmi involti nella materia e comprende, in base ad un’unica causa, l’illimitatezza delle entità in essi generate. Poi, oltre a quanto si è detto, dobbiamo considerare anche l’ordine delle triadi a partire dalle loro componenti finali. Della prima triade infatti il limite inferiore è il «numero»407, mentre della seconda «il limitato e l’illimitato»408, della terza infine il circolare, il «misto» ed il «diritto»409. Risulta dunque evidente che la prima triade è monadica, la seconda diadica e la terza triadica: e sono venute a sussistere la prima in modo analogo all’Uno-che-è, la seconda all’intero intelligibile, la terza all’intero nella sua perfetta completezza. D’altra parte che questi elementi hanno questo ordine gli uni rispetto agli altri, è stato detto in precedenza410. Dunque, riassumendo, dobbiamo dire che ogni triade intelligibile-intellettiva in base alla sua propria sommità risulta collegata all’intelligibile, in base al livello intermedio rivela la propria specifica potenza, infine in base al limite terminale comprende l’illimitatezza delle entità inferiori; e ciò dobbiamo porre a conclusione del nostro insegnamento concernente gli dèi intelligibiliintellettivi.

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PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS KEFALAIA TOU PEMPTOU 5

aV. Pw'" proh'lqon aiJ noerai; tavxei" ajpo; tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n kai; kata; tivna" ijdiovthta" uJpevsthsan. bV. Tiv" hJ diaivresi" tw'n noerw'n qew'n kai; hJ kaq eJbdomavda" provodo" th'/ tavxei tauvth/ tw'n qew'n.

10

gV. Tivne" oiJ trei'" noeroi; patevre" kata; Plavtwna, tivne" aiJ trei'" a[crantoi monavde", kai; tiv" hJ eJbdovmh qeovth" tai'" duvo triavsi suntetagmevnh. dV. Povqen a[n ti" sullogivsaito peri; th'" eij" eJpta; eJbdomavda" proovdou tw'n noerw'n qew'n ejk tw'n Plavtwno".

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eV. Tiv" oJ mevgisto" Krovno" kata; th;n ejn Kratuvlw/ qeologivan, kai; pw'" nohtov" ejsti kai; pw'" noerov": ejn w|/ dihvrqrwtai ta; peri; th'" tou' nou' pro;" to; nohto;n eJnwvsew" kai; diakrivsew" dovgmata. ıV. Tiv" hJ tou' Krovnou basileiva kai; pw'" uJpo; tou' Plavtwno" ejn Politikw'/ paradevdotai, kai; tivnwn ejsti;n aijtiva tw'/ kovsmw/ kai; toi'" ejgkosmivoi" qeoi'" kai; tai'" merikai'" yucai'". zV. Tiv" hJ Kroniva zwh; tw'n yucw'n, kai; tivna ta; ijdiwvmata ta; th'" ajnakuklhvsew" tauvth" paradevdwken oJ Eleavth" xevno". hV. Pw'" aiJ yucai; levgontai trevfesqai toi'" nohtoi'" kai; tiv" hJ diafora; th'" ejk tw'n diafovrwn nohtw'n trofh'".

5

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qV. Tivna" tavxei" ejfivsthsi toi'" o{loi" oJ mevgisto" Krovno": ejn w|/ kai; tiv" oJ Krovnio" novmo" oJ ejn Gorgiva/ paradoqei;" dihvrqrwtai. iV. Pw'" uJpo; tw'n qeolovgwn ajghvrw" oJ qeo;" ou|to" ijdivw" kalei'tai kai; o{pw" oJ Plavtwn tauvthn aujtou' paradevdwke th;n ijdiovthta.

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Punti capitali del libro V 1. Come i livelli intellettivi sono proceduti dagli dèi intelligibili-intellettivi ed in base a quali caratteristiche specifiche sono venuti a sussistere.

5

2. Qual è la divisione degli dèi intellettivi e la processione per ebdomadi che appartiene a questo ordinamento degli dèi. 3. Quali sono i tre padri intellettivi secondo Platone, quali le tre monadi incontaminate, e quale la settima natura divina coordinata alle due triadi.

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4. Da dove, tra le opere di Platone, si potrebbero desumere delle conclusioni sulla processione in sette ebdomadi degli dèi intellettivi. 5. Chi è il grandissimo Crono in base alla dottrina teologica del Cratilo, e in che senso è intelligibile e in che senso intellettivo; in questo capitolo sono spiegate le dottrine concernenti l’unione e la divisione dell’intelletto in relazione all’intelligibile. 6. Qual è il regno di Crono e come è stato tramandato da Platone nel Politico, e di quali aspetti è causa per il cosmo, per gli dèi encosmici e per le anime particolari.

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7. Qual è la vita Cronia delle anime, e quali sono le caratteri- 2 stiche specifiche di questa rotazione ciclica che ha tramandato lo Straniero di Elea. 8. In che senso si afferma che le anime si nutrono degli intelligibili e qual è la differenza del nutrimento da parte dei diversi intelligibili. 9. Quali ordinamenti divini il grandissimo Crono pone a capo della totalità dell’universo; in questo capitolo è stata spiegata la legge Cronia che è tramandata nel Gorgia. 10. In che senso questo dio è specificamente chiamato dai teologi “mai vecchio” e come Platone ha tramandato questa sua caratteristica specifica.

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TEOLOGIA PLATONICA

iaV. Tiv" hJ zwogovno" qeov", kai; pw'" sunagwgov" ejsti th'" te Kronivou kai; th'" Dio;" basileiva" kai; tivna" e[cei tavxei" suzuvgou" pro;" ajmfotevra". 15

ibV. Tiv" oJ trivto" path;r ejn toi'" noeroi'" kai; pw'" ajpo; tw'n pro; aujtou' proveisin aijtivwn, kai; o{ti dhmiourgo;" ou|tov" ejsti tou' pantov". igV. Apodeivxei" tou' to;n o{lon dhmiourgo;n tou' panto;" to;n trivton ei\nai patevra tw'n noerw'n.

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idV. Apavnthsi" pro;" tou;" levgonta" trei'" ei\nai kata; Plavtwna dhmiourgouv", dia; pleiovnwn ejfovdwn ajpodeiknuvousa th;n monavda th;n dhmiourgikh;n pro; th'" triavdo" ejn th'/ trivth/ tavxei tetavcqai tw'n noerw'n. ieV. Oti th;n ijdiovthta tou' dhmiourgou' mavlista paradevdwken oJ Tivmaio" nou'n aujto;n kalevsa", kai; o{ti tou'to proshvkei tw'/ trivtw/ tw'n noerw'n patevrwn.

iıV. Pw'" kat a[llhn e[fodon ajneurivskein dei' th;n ijdiovthta tou' dhmiourgou', kai; pw'" levgetai poihth;" ejn Timaivw/ kai; path;r oJ aujtov": ejn w|/ dihvrqrwtai pou' to; patriko;n kata; Plavtwna, pou' to; patriko;n a{ma kai; poihtikovn, pou' to; 3 poihtiko;n kai; patrikovn, pou' to; poihtiko;n movnon, kai; o{lw" tivni diafevrei poihth;" kai; pathvr.

5

izV. Pw'" a[n ti" kata; trivthn e[fodon ta;" peri; th'" dhmiourgikh'" monavdo" ejnnoiva" ajnakaqhvraito tw'/ Timaivw/ sunepovmeno". ihV. Peri; th'" ejn Timaivw/ tou' dhmiourgou' dhmhgoriva" ejxhvghsi" qeologikhv, diarqrou'sa ta;" peri; th'" dhmiourgikh'" ejnergeiva" hJmw'n ejnnoiva".

10

iqV. Tiv" hJ deutevra tou' dhmiourgou' dhmhgoriva pro;" ta;" merista;" yuca;" kai; tivni diafevrei th'" protevra", kai; pw'" ejn tauvth/ ta; mevtra pavnta ajfwvristai th'" tw'n yucw'n zwh'". kV. Sugkefalaivwsi" pavntwn tw'n peri; tou' dhmiourgou' lovgwn parakolouqou'sa th'/ tou' Timaivou didaskaliva/.

15

kaV. Oti tw'/ Dii; th;n dhmiourgivan oJ Plavtwn ajnativqhsin, ajpo; tw'n ejn tw'/ Kritiva/ rJhqevntwn uJpomnhvsei".

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO V

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11. Qual è la dea generatrice di vita, e in che modo è congiungitrice del regno di Crono e di quello di Zeus, e quali ordinamenti possiede congiunti ad entrambi. 12. Qual è il terzo padre tra gli intellettivi e come procede a partire dai principi causali a lui anteriori, e sul fatto che questo è Demiurgo del Tutto.

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13. Dimostrazioni del fatto che il Demiurgo universale del Tutto è il terzo padre degli intellettivi. 14. Replica a coloro che dicono che tre sono secondo Platone i Demiurghi, replica che dimostra attraverso più vie che la monade demiurgica è posta per ordinamento prima della triade nel terzo ordinamento degli intellettivi. 15. Sul fatto che il carattere specifico del Demiurgo lo ha soprattutto tramandato il Timeo, chiamandolo “intelletto”, e sul fatto che ciò si confà al terzo dei padri intellettivi.

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16. Come in base ad un’altra via si deve scoprire il carattere specifico del Demiurgo, e in che senso lo stesso viene detto nel Timeo «artefice e padre»; in questo capitolo è spiegato dove secondo Platone si trova il carattere “paterno”, dove quello “paterno ed insieme artefice”, dove quello “artefice e paterno”, dove 3 quello “solamente artefice”, e in generale in cosa differiscono artefice e padre. 17. Come si potrebbero purificare in base ad una terza via le concezioni concernenti la monade demiurgica seguendo il Timeo.

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18. Esegesi teologica sul discorso del Demiurgo nel Timeo, esegesi che rende più precise le nostre concezioni sulla attività demiurgica. 19. Qual è il secondo discorso del Demiurgo rivolto alle anime particolari e in che cosa differisce da quello precedente, e come in questo discorso sono delimitate tutte I le misure della vita delle anime.

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20. Ricapitolazione di tutti i discorsi sul Demiurgo, la quale segue dappresso il Timeo. 21. Richiami, desunti da quanto è affermato nel Crizia, al fatto che Platone attribuisce l’attività demiurgica a Zeus. I Accolgo la correzione apportata al testo dai due Editori: leggo pertanto pavnta invece del tràdito tau'ta.

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TEOLOGIA PLATONICA

kbV. Apo; tw'n ejn tw'/ Kratuvlw/ rJhqevntwn uJpomnhvsei" th'" tou' Dio;" dhmiourgiva": ejn w|/ kai; hJ sumfwniva deivknutai th'" ajpo; tw'n ojnomavtwn qeologiva" pro;" th;n ejn Timaivw/ peri; tou' dhmiourgou' diavtaxin. 20

kgV. Apo; tw'n ejn Filhvbw/ dedeigmevnwn uJpomnhvsei" th'" tou' Dio;" dhmiourgiva": ejn w|/ kai; tiv" hJ basilikh; yuch; kai; tiv" oJ basiliko;" nou'" paradevdotai. kdV. Apo; tw'n ejn Prwtagovra/ peri; th'" politikh'" rJhqevntwn tou' aujtou' ajpodeivxei".

25

keV. Apo; tw'n ejn tw'/ Politikw'/ peri; th'" ditth'" ajnakuklhvsew" lovgwn e[fodo" kataskeuavzousa to;n Diva dhmiourgo;n ei\nai kai; patevra tou' panto;" kata; Plavtwna. kıV. Apo; tw'n ejn Novmoi" rJhqevntwn peri; th'" ajnalogiva" wJ" Dio;" krivsew" ou[sh" tw'n aujtw'n uJpomnhvsei".

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kzV. Pw'" kai; ejn tw'/ aujtozwv/w/ kat aijtivan ejsti;n oJ Zeu;" kai; ejn tw'/ Dii; to; aujtozw'/on ***. khV. Pw'" to; a[gnwston kai; a[rrhton oJ Tivmaio" ajpodevdwke tw'/ dhmiourgw'/.

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kqV. Dia; tiv to; me;n nohto;n zw'/on kai; ojnomavzein ajxioi' kai; gignwvskesqai, to;n de; dhmiourgo;n a[gnwston kai; a[rrhton ajfivhsin. lV. Peri; tou' ejn Timaivw/ krath'ro" qeologiva didavskousa tivna ta; ejn aujtw'/ kerannuvmena gevnh kai; pw'" ai[tiov" ejsti th'" tw'n yucw'n oujsiva". laV. Oti phgai'ov" ejstin oJ ejn tw'/ Timaivw/ krathvr, kai; uJpomnhvsei" ejk tw'n tou' Plavtwno" peri; th'" ajrch'" kai; th'" phgh'" tw'n yucw'n.

15

lbV. Oti ta;" trei'" zwogovnou" phga;" ta;" tw'/ dhmiourgw'/ suntetagmevna" lavboi ti" a]n ejk tw'n ejn Timaivw/ rJhqevntwn, th;n tw'n yucw'n, th;n tw'n ajretw'n, th;n tw'n fuvsewn.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO V

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22. Richiami, desunti da quanto è affermato nel Cratilo, all’attività demiurgica propria di Zeus; in questo capitolo si mostra anche l’accordo della dottrina teologica desunta dai nomi con la disposizione degli argomenti concernenti il Demiurgo nel Timeo. 23. Richiami, desunti da quanto è mostrato nel Filebo, all’attività demiurgica di Zeus; in questo capitolo è stato riferito qual è l’anima regale e qual è l’intelletto regale.

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24. Dimostrazioni della stessa concezione, desunte da quanto è affermato nel Protagora a proposito della politica. 25. Via d’accesso, desunta dai discorsi contenuti nel Politico a proposito della duplice rotazione, che consente di stabilire che Zeus è, secondo Platone, Demiurgo e padre del tutto.

25

26. Richiami alle medesime concezioni, desunti da quanto è affermato nelle Leggi a proposito della proporzione intesa come “giudizio di Zeus”. 27. Come Zeus è nel Vivente-in-sé nel senso della causa ed al 4 contempo il Vivente-in-sé è in Zeus II. 28. Come Timeo ha attribuito al Demiurgo il carattere dell’inconoscibilità e dell’ineffabilità. 29. Per quale motivo ritiene possibile III denominare e conoscere il Vivente intelligibile, mentre lascia il Demiurgo inconoscibile ed ineffabile. 30. Dottrina teologica sul “cratere” nel Timeo, che illustra quali sono i generi che sono stati in esso mescolati e in che modo è principio causale dell’essenza delle anime.

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31. Sul fatto che il “cratere” nel Timeo ha il carattere di fonte, e richiami, desunti dalle opere di Platone, a proposito del principio e della fonte delle anime. 32. Sul fatto che le tre fonti generatrici di vita, coordinate al Demiurgo, si potrebbero desumere da quanto è affermato nel Timeo, quella delle anime, quella delle virtù e quella delle nature. II Così si deve intendere se si accoglie l’ipotesi degli Editori che, individuando qui una lacuna, propongono di integrare . III Propriamente il verbo ajxiou'n in questo contesto significa “acconsentire a”. Da qui la traduzione proposta “ritenere possibile”.

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TEOLOGIA PLATONICA

lgV. Peri; tw'n ajcravntwn qew'n uJpomnhvsei", wJ" a[ra eijsi;n kata; Plavtwna kai; tiv to; i[dion aujtw'n th'" oujsiva". 20

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ldV. Apodeivxei" ejnargevsterai th'" tw'n ajcravntwn qew'n uJpostavsew" kata; Plavtwna. leV. Pw'" ojnomavzein crh; tou;" ajcravntou" qeou;" kata; Plavtwna, dia; pleiovnwn uJpomnhvsei": ejn w|/ kai; tiv" hJ e{nwsi" aujtw'n kai; tiv" hJ diavkrisi" kai; tiv" hJ ijdiovth" paradevdotai. lıV. Pw'" a[n ti" ajforma;" lavboi kai; peri; th'" eJbdovmh" monavdo" tw'n noerw'n ejk tw'n para; tw'/ Plavtwni mustikw'" hj/nigmevnwn. lzV. Pw'" th;n ajkrovthta tw'n noerw'n qew'n ejn tw'/ Parmenivdh/ paradevdwken.

5

lhV. Pw'" th;n mevshn diakovsmhsin tou' noerou' plavtou" kai; dia; poivwn sunqhmavtwn oJ Parmenivdh" ejxevfhnen. lqV. Pw'" th;n trivthn tavxin tw'n noerw'n kai; dia; poivwn ijdiothvtwn oJ Parmenivdh" ajforivzei.

5

mV. Koinh; qewriva th'" noera'" eJbdomavdo" ajpo; tw'n Parmenivdou sumperasmavtwn.

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PUNTI CAPITALI DEL LIBRO V

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33. Riferimenti testuali a proposito degli dèi incontaminati: secondo Platone essi esistono effettivamente; qual è il carattere specifico della loro essenza. 34. Dimostrazioni più chiare della sussistenza degli dèi incontaminati secondo Platone.

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35. Attraverso più riferimenti testuali come, secondo Platone, bisogna chiamare gli dèi incontaminati; in questo capitolo si è esposto anche quale sia la loro unità, quale la loro distinzione e quale il loro carattere specifico. 36. Come si potrebbero trarre delle considerazioni di partenza anche sulla settima monade da quanto è detto da Platone in modo misterico solo per cenni.

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37. Come ha tramandato nel Parmenide la sommità degli dèi intellettivi. 38. Come Parmenide ha rivelato l’ordinamento intermedio 5 dell’ambito intellettivo e attraverso quali segni specifici. 39. Come Parmenide definisce il terzo ordinamento degli intellettivi e attraverso quali proprietà specifiche. 40. Esposizione complessiva della teoria concernente l’ebdomade intellettiva a partire dalle conclusioni del Parmenide.

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ãPROKLOUÃ ãPLATWNIKOU FILOSOFOUÃ

ãPERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIASÃ ãBIBLION PEMPTONÃ aV To; dh; meta; tou'to trivthn a[llhn diakovsmhsin qew'n th;n noera;n ajpokaloumevnhn qewrhvswmen, sunech' me;n tai'" pro;" aujth'", sumperaivnousan de; ta;" o{la" proovdou" tw'n qeivwn kai; ejpistrevfousan eij" th;n ajrch;n kai; kuvklon e{na tw'n prw10 tourgw'n kai; pantelw'n diakovsmwn ajpotelou'san: kai; to;n nou'n to;n ejn hJmi'n ajnateivnwmen eij" to;n ajmevqekton kai; qei'on nou'n kai; ta;" ejn aujtw'/ tavxei" kai; uJfevsei" th'" oujsiva" diasthswvmeqa kata; th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin. Au{th toivnun hJ noera; tw'n qew'n uJpovstasi" h[rthtai me;n 15 ajpo; tw'n presbutevrwn aijtivwn kai; plhrou'tai par aujtw'n th'" o{lh" ajgaqovthto" kai; aujtarkeiva", ejxaivreton de; met ejkeivna" th;n hJgemoniva proesthvsato tw'n deutevrwn pavntwn, eij" auJth;n ajnadhsamevnh ta;" merika;" pavsa" proovdou" tw'n qew'n. Kai; noera; me;n ejponomavzetai diovti dh; to;n ajmevriston 20 kai; qei'on ajpegevnnhse nou'n: plhrou'tai de; ejk tw'n nohtw'n 7 oujc wJ" tw'/ nw'/ suntetagmevnwn oujd wJ" kat ejpivnoian movnon aujtou' diairoumevnwn, ajll wJ" eJniaivw" me;n ta; plhvqh pavnta kai; krufivw" ta;" ejkfavnsei" tw'n qew'n kai; ta;" uJpavrxei" tw'n nohtw'n ejn auJtoi'" iJdrusamevnwn, tw'n de; noerw'n to;n 5 o{lon nou'n kai; th;n poikilivan tw'n o[ntwn kai; ta;" polueidei'" tw'n qeivwn diakosmhvsei" klhrwsamevnwn kai; to; pevra" th'" o{lh" proovdou sunelissovntwn eij" mivan ajrch;n th;n nohthvn. Epevstraptai ga;r ta; noera; pro;" ta; nohtav, kai; ta; me;n h{nwtai kai; monivmw" pro; tw'n qew'n tw'n dih/rhmevnwn i{drutai, 5

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Libro V 1 [Come i livelli intellettivi sono proceduti dagli dèi intelligibili-intellettivi ed in base a quali caratteristiche specifiche sono venuti a sussistere]

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A questo punto dobbiamo considerare, come terzo, un altro ordinamento di dèi, quello denominato “intellettivo”, che da un lato è immediatamente connesso a quelli che lo precedono, e, dall’altro, conclude le processioni universali delle entità divine, le converte al Principio e va a completare quello che è un unico anello degli ordi- 10 namenti originari e assolutamente perfetti1. E allora tendiamo in alto l’intelletto che è insito in noi verso l’Intelletto impartecipabile e divino e distinguiamo, in base alla dottrina-guida di Platone, gli ordinamenti in esso presenti e i livelli discendenti della sua essenza. Questa sussistenza intellettiva degli dèi è dipendente dalle 15 cause superiori ed è ricolmata da parte loro della totalità della bontà e della autosufficienza, ma d’altro canto, dopo queste cause, si è assegnata come specifica prerogativa la sovranità sulle entità inferiori, in quanto ha legato a se stessa tutte le processioni particolari degli dèi2. Ed essa viene denominata “intellettiva” proprio per il fatto che ha generato l’Intelletto impartecipabile e divino; 20 d’altro canto essa si riempie degli intelligibili, che non vanno, per 7 via di ciò, concepiti come coordinati all’Intelletto, né come distinti da esso solo in base ad un puro atto di pensiero, bensì come entità che hanno stabilito in se stesse in modo unitario tutte le forme di molteplicità ed in modo celato le manifestazioni degli dèi e le realtà effettive degli intelligibili; invece gli intellettivi, dal canto loro, hanno avuto in sorte l’Intelletto universale, la varietà 5 degli enti e i multiformi ordinamenti delle entità divine, e riavvolgono il limite di tutta quanta la processione verso un solo principio, quello intelligibile3. In effetti gli intellettivi risultano convertiti verso gli intelligibili, e mentre questi ultimi risultano unificati e sono stabilmente posti al di sopra degli dèi divisi, gli intellettivi

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ta; de; plhquvetai kai; dia; th'" ejpistrofh'" sunavptetai tai'" prwtourgoi'" aijtivai". Proevrcontai de; ajpo; pavntwn tw'n pro; aujtw'n oiJ noeroi; qeoiv, ta;" me;n eJnwvsei" ajpo; tou' eJno;" tou' pro; tw'n nohtw'n uJpodecovmenoi, ta;" de; oujsiva" ajpo; tw'n nohtw'n, ta;" de; 15 zwa;" ta;" pantelei'" kai; sunektika;" kai; gennhtika;" tw'n qeivwn ajpo; tw'n nohtw'n kai; noerw'n, th;n de; noera;n ijdiovthta par eJautw'n lacovnte": kai; pro;" eJautou;" me;n ejpistrevfonte" ta;" dih/rhmevna" pavsa" diakosmhvsei", auJtou;" de; toi'" nohtoi'" ejnidruvonte": o{loi de; di o{lwn gnwvsei" uJpavr20 conte" kaqarai; kai; a[gnwstoi kai; zwai; zevousai kai; pro;" touvtoi" oujsivai pantelei'" aujtw'/ tw'/ eJautw'n ei\nai pavnta ta; deuvtera paravgousai kai; mhvte ejlattouvmenai kata; th;n ejkeivnwn provodon mhvte prosqhvkhn decovmenai kata; th;n ejkeivnwn ajpogevnnhsin, ajlla; tai'" eJautw'n ajnekleivptoi" kai; 25 ajpeivroi" dunavmesi pavntwn me;n o[nte" patevre" kai; ai[tioi kai; hJgemovne", ou[te de; sundiairouvmenoi toi'" ajpogennwmevnoi" ou[te eJautw'n ejxistavmenoi kata; th;n provodon, oJmou' de; kai; kaq e{nwsin ta; o{la plhvqh kai; tou;" diakovsmou" pavnta" 8 kubernw'nte" kai; sunelivssonte" eij" to; nohto;n kai; kruvfion ajgaqovn. Ei[te ou\n zwh;n levgoimi noeravn, ouj toiauvthn hJgei'sqai dei' th;n zwh;n oi{an mikrw'/ provteron ejqewrou'men (ajmevqekto" ga;r 5 h\n ejkeivnh, meqekth; de; au{th, kai; gennhtikh; me;n ejkeivnh, zwogovno" de; au{th, tau'ta de; o{ti dievsthken ajllhvlwn, oujk a[dhlon: to; me;n ãga;rà zwogoniko;n ai[tion dhvpou kai; gennhtikovn ejstin, to; de; gennhtiko;n ouj pavntw" zwogonikovn ejsti, kai; ga;r schmavtwn toi'" ajschmativstoi" kai; o{rwn toi'" 10 ajorivstoi" kai; teleiovthto" toi'" ajtelevsin ejsti; parektikovn): ei[te nohto;n ejn toi'" noeroi'" ai[tion ejponomavzoimi, to; nohto;n ouj toiou'ton uJpolhptevon eujqu;" oJpoi'on to; provsqen ejlevgomen (ejkei'no me;n ga;r ajmevqektovn ejsti kai; pro; tw'n noerw'n aujto; kaq eJauto; prou>pavrcon kai; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon, 15 kai; oujc wJ" plhvrwma tou' nou' prosagoreuovmenon nohtovn, ajll wJ" proaivtion aujtou' kai; ejfeto;n aujtw'/ kai; ejrastovn, ajsuvntakton pro;" aujto;n monoeidw'" uJfesthkov": tou'to dev, 10

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sono moltiplicati ed è tramite la conversione che essi sono con- 10 giunti alle cause originarie. D’altra parte, gli dèi intellettivi procedono a partire da tutte le entità che vengono prima di essi, e così ricevono le unificazioni dall’Uno che viene prima degli intelligibili, le essenze dagli intelligibili, le vite totalmente perfette, connettive e generatrici 15 delle entità divine dagli intelligibili-intellettivi, ed infine il loro carattere specifico intellettivo lo hanno ottenuto da se stessi4; e se da un lato convertono verso se stessi tutti gli ordinamenti divisi degli dèi, dall’altro essi si stabiliscono negli intelligibili; inoltre tutti quanti, in tutto e per tutto, sono conoscenze pure ed inco- 20 noscibili e vite “ribollenti”5 e, oltre a ciò, sono essenze totalmente perfette che con il loro stesso esistere producono tutte le entità inferiori e che né sono soggette a diminuzioni in conseguenza della processione di queste entità, né sono soggette ad incrementazione in conseguenza della generazione di esse, ma che per mezzo delle loro proprie potenze inesauribili ed illimitate sono 25 padri, principi causali e sovrani di tutti gli esseri, senza però che si dividano insieme ai loro prodotti e senza che modifichino la loro propria natura in conseguenza della processione; ma insieme ed in modo unitario governano tutte quante le forme di moltepli- 8 cità nella loro totalità e tutti gli ordinamenti, e li riavvolgono verso il bene intelligibile e celato6. Se dunque io parlassi di una vita intellettiva, non la si deve considerare identica a quella che abbiamo considerato poc’anzi7 (infatti quella è risultata impartecipabile, mentre questa è parteci- 5 pabile; quella era generativa, questa invece è generatrice di vita; d’altronde che queste caratteristiche risultino distinte fra loro, è assolutamente evidente; infatti ciò che è principio causale generatore di vita, a mio giudizio, è anche generativo, ma quello generativo non è necessariamente generatore di vita: ed infatti esso è 10 produttivo di figure per le entità prive di figura, di definizioni per le entità indefinite e di perfezione per quelle imperfette). Se invece denominassi intelligibile un principio causale presente negli intellettivi, non bisogna assumere il termine “intelligibile” direttamente nel senso in cui ne abbiamo parlato in precedenza8 (quello infatti è impartecipabile, preesiste in sé di per se stesso anteriormente agli intellettivi ed è trascendente rispetto all’universo nella sua totalità, ed è denominato intelligibile non in quanto riempi- 15 mento dell’intelletto, ma in quanto principio pre-causale dell’Intelletto ed oggetto di desiderio e di amore per esso, sussistendo, nella sua uniformità, privo di coordinazione con esso; questo inve-

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o} nu'n proballovmeqa nohtovn, metecovmenovn ejsti kai; tw'/ nw'/ suntetagmevnon kai; polueide;" kai; tw'n o[ntwn aJpavntwn ejn 20 eJautw'/ ta;" aijtiva" dielovmenon): ei[te patevra" ejntau'qa kai; dhmiourgou;" qeou;" ajpokaloi'men, ejxhllagmevnon to; patriko;n tou'to kai; dhmiourgiko;n uJpoqhsovmeqa th'" tw'n nohtw'n patevrwn uJpavrxew": ejkei'noi me;n ga;r gennhtikoi; tw'n o{lwn h\san oujsiw'n, ou|toi de; tw'n meristw'n ojcetw'n kai; th'" 25 eijdopoiiva" th'" diwrismevnh" ai[tioi prou>pavrcousi, kajkei'noi me;n ta;" dunavmei" ejn eJautoi'" ei\con tw'n qeivwn proovdwn 9 oijstikav", ou|toi de; tw'n gonivmwn aijtivwn dievkrinan eJautouv", kai; ouj kaq e{nwsin aujtoi'" ajlla; kata; th;n deutevran sunavptontai th'" eJnwvsew" koinwnivan. OiJ ga;r uJpo; tw'n muvqwn uJmnouvmenoi gavmoi kai; hJ tw'n qeivwn oJmonohtikh; suvzeuxi" ejn 5 toi'" noeroi'" ejsti qeoi'": mignumevnwn de; tw'n dhmiourgikw'n ojcetw'n toi'" zwogonikoi'" a{pan to; tw'n qew'n gevno" ejkfaivnetai tw'n te uJperkosmivwn kai; tw'n to;n kovsmon klhrwsamevnwn. bV Alla; tou'to me;n eij" au\qi". Epeidh; de; th;n ijdiovthta tw'n noerw'n qew'n wJ" sullhvbdhn eijpei'n teqeavmeqa, leivpetai dh; peri; th'" diairevsew" aujtw'n th;n proshvkousan ajpodou'nai qewrivan. Ouj ga;r ei|" ejsti kai; a[tomo" oJ noero;" diavkosmo", ajlla; poikilwtevra" e[lace proovdou" tw'n uJyhlotevrwn 15 genw'n. Trei'" me;n ou\n e[sontai kajntau'qa patevre" oiJ th;n o{lhn oujsivan th;n noera;n dielovnte", oJ me;n kata; to; nohtovn, oJ de; kata; th;n zwhvn, oJ de; kata; to;n nou'n tetagmevno": kai; tou;" nohtou;" mimouvmenoi patevra", oi} to; nohto;n plavto" trich'/ 20 diei'lon, ªoi}º toiauvthn e{xousi th;n pro;" ajllhvlou" diaforavn, oJ me;n ajnavlogon proelqw;n tw'/ prwvtw/ patri; kai; nohto;" w[n, oJ de; tw'/ deutevrw/ kai; th;n noera;n zwh;n pa'san eij" eJauto;n ajnadhsavmeno", oJ de; tw'/ trivtw/ kai; to;n o{lon sugkleivwn diavkosmon to;n noerovn, w{sper ejkei'no" to;n nohtovn. 10 Triw'n de; touvtwn o[ntwn kai; tou' me;n mevnonto" ejn eJautw'/, tou' de; proi>ovnto" kai; ta; pavnta zwopoiou'nto", tou' de; tai'" 10

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ce, che presentiamo come intelligibile, è partecipato, coordinato all’intelletto, multiforme e ha diviso in se stesso le cause di tutti 20 quanti gli enti). Se invece in questo ambito denominassimo degli dèi “padri” e “demiurghi”, dovremo presupporre che questo carattere paterno e demiurgico risulti diverso dalla realtà dei padri intelligibili: quelli infatti sono risultati generatori della totalità delle essenze, questi invece preesistono come principi causali dei «canali»9 particolari e della produzione divisa delle forme; 25 quelli inoltre risultano avere in se stessi le potenze produttrici 9 delle processioni divine, questi invece hanno distinto se stessi dai principi causali generativi, e sono congiunti ad essi non in base ad unità, ma in base alla comunanza, che è inferiore alla unità. In effetti le nozze che vengono celebrate dai miti e l’accoppiamento che rende concordi tra loro le entità divine sono presenti negli dèi 5 intellettivi; d’altra parte, in conseguenza del fatto che i «canali» demiurgici «si mescolano»10 a quelli generatori di vita, si rivela tutto quanto il genere sia degli dèi ipercosmici sia degli dèi cui è toccato in sorte il cosmo. 2 [Qual è la divisione degli dèi intellettivi e la processione per ebdomadi che appartiene a questo ordinamento degli dèi] Ma ciò in seguito11. D’altro canto, dato che abbiamo contem- 10 plato, per dirla in breve, il carattere specifico degli dèi intellettivi, rimane a questo punto da fornire la conveniente dottrina circa la loro divisione. Infatti l’ordinamento intellettivo non è uno ed indivisibile, ma ha ricevuto processioni più varie rispetto ai generi più 15 elevati. Tre dunque saranno anche in questo livello i padri che dividono l’intera essenza intellettiva, l’uno corrisponde per ordinamento all’intelligibile, l’altro alla Vita, l’altro ancora all’Intelletto; e dato che imitano i padri intelligibili, i quali hanno diviso in tre 20 l’ambito intelligibile, risulteranno così differenziati tra loro: l’uno procede in modo analogo al primo padre ed è intelligibile, l’altro procede in modo analogo al secondo e collega a se stesso tutta la vita intellettiva, l’altro ancora procede in modo analogo al terzo e serra tutto il livello intellettivo nella sua totalità, come il terzo dio intelligibile serra tutto l’intelligibile12. D’altronde, dato che vi sono questi tre dèi, e l’uno permane in 10 se stesso, l’altro procede e vivifica tutte le cose, l’altro ancora

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poihvsesi tai'" th'" dhmiourgiva" ajstravptonto", ajnavgkh dhvpou kai; qeou;" aujtoi'" a[llou" sunhnw'sqai trittouv", 5 w|n oJ me;n th'" monivmou kaqarovthto" e[stai tw'/ prwvtw/ paraivtio", oJ de; th'" ajcravntou tw'/ deutevrw/ dia; pavntwn proovdou, oJ de; th'" ejxh/rhmevnh" tw'/ trivtw/ dhmiourgiva". En me;n ga;r toi'" pro; touvtwn qeoi'" a[crantoi qeovthte" kat aijtivan h|san dia; th;n e{nwsin th;n ajdiavkriton kai; th;n taujtov10 thta th;n sunagwgo;n tw'n dunavmewn ouj deomevnwn th'" touvtwn koinwniva": ejn de; toi'" noeroi'", ou| kai; hJ diavkrisi" pantelh;" wJ" ejn oJlikoi'" diakovsmoi" kai; hJ pro;" ta; deuvtera scevsi" pleivwn kai; hJ pro;" ãta;Ã merikwvtera tw'n o{lwn koinwniva, dei' dh; kai; th'" ajcravntou qeovthto" h] dunavmew", 15 h} e{xei lovgon pro;" th;n patrikh;n aijtivan taujtovthto" kai; ajklinou'" uJpostavsew" ejxhgoumevnh, sundielou'sa toi'" patravsin auJthvn, w{ste e{kaston tw'n ajcravntwn qew'n ijdivw/ sunezeu'cqai patriv. Duvo me;n ou\n au|tai triavde", hJ me;n tw'n noerw'n patevrwn, 20 hJ de; tw'n ajcravntwn qew'n, hJmi'n pefhvnasi: trivth de; a[llh pro;" tai'" duvo tauvtai" mona;" triadikh; th'" diakrivsew" aujtw'n aijtiva toi'" noeroi'" meta; tw'n eijrhmevnwn uJposthvsetai triavdwn. Oujsiva" me;n ga;r aJpavsh" oiJ patevre" corhgoiv, taujtovthto" de; oiJ ajmeivliktoi, th'" de; diakrivsew" ei\nai 25 dhvpou kai; aujth'" aijtivan proshvkei, kai; tauvthn mivan a{ma kai; triplh'n, diakrivnousan e[k te tw'n uJperkeimevnwn tou;" 11 noerou;" qeou;" kai; ejx eJautw'n kai; ejk tw'n katadeestevrwn. Dia; tiv ga;r a[llh" hJgou'ntai diakosmhvsew", eij mh; dihv/rhntai tw'n prwvtwn Dia; tiv de; aujtoi; plhquvontai kai; ajp ajllhvlwn diesthvkasi tai'" basileivai", eij mh; diakevkrintai Dia; tiv 5 de; tw'n merikw'n uJperanevcousin, eij mh; kai; touvtwn cwrivzontai Miva dh; ou\n hJmi'n e[stai kai; triplh' mona;" hJ th'" diakrivsew" aijtiva, tria;" de; monoeidh;" h{ te patrikh; kai; hJ a[cranto": kai; to; pavntwn paradoxovtaton, to; me;n diakritiko;n 10 ai[tion ma'llovn ejsti monadikovn, to; de; patriko;n kai; to; a[cranton ma'llon triadikovn. To; me;n ga;r paraivtiovn ejsti

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risplende per le produzioni della sua attività demiurgica, è necessario, a mio avviso, che insieme ad essi siano uniti altri tre tipi di dèi, dei quali l’uno sarà principio causale concomitante col primo 5 padre della purezza stabile, l’altro sarà principio causale concomitante col secondo padre della processione incontaminata che attraversa tutte le cose, l’altro ancora sarà principio causale concomitante col terzo padre della trascendente attività demiurgica. In effetti tra gli dèi anteriori a questi ultimi13 sono risultate esservi divinità incontaminate sotto l’aspetto causale, dato che, per via dell’unificazione priva di distinzioni e per via dell’identità che riunisce le po- 10 tenze, tali divinità non hanno bisogno della comunione con questi altri dèi; invece tra gli dèi intellettivi, dove, al contempo, la distinzione è totalmente compiuta, per quanto ciò sia possibile in ordini di realtà universali, e maggiori sono la relazione con le entità inferiori e la comunione delle entità universali con quelle più particolari, v’è appunto bisogno anche di natura divina o potenza incontaminate, la quale avrà rapporto con la causa paterna, in quanto è a 15 capo di un’identità e di una sussistenza non soggetta a variazione, suddividendosi insieme ai padri, in modo che ciascuno degli dèi incontaminati sia congiunto al proprio rispettivo padre. Dunque due sono queste triadi che si sono manifestate a noi: da un lato quella dei padri intellettivi, dall’altro quella degli dèi 20 incontaminati; ma, oltre a queste due triadi, dovrà sussistere per terza un’altra monade triadica, causa, congiuntamente alle triadi di cui si è detto, della differenziazione fra di esse. In effetti i padri sono garanti di tutta quanta l’essenza, mentre gli dèi implacabili 14 di identità; d’altro canto conviene, a mio giudizio, che vi sia una 25 causa anche della differenziazione stessa, e che questa causa sia ad un tempo una e triplice, in quanto essa distingue gli dèi intelletti- 11 vi dagli dèi che sono posti al di sopra di essi, da se stessi e da quelli che sono ad essi inferiori. Infatti per quale motivo sono a capo di un altro ordinamento, se non sono divisi dai primi? Per quale motivo poi da sé si moltiplicano e sono distinti gli uni dagli altri per i tipi di regni, se non risultano differenziati? Per quale motivo infine sono superiori alle entità particolari, se al contempo non 5 sono da queste separati? Ebbene, a nostro avviso la causa della loro differenziazione sarà un’unica e triplice monade, mentre sia la triade paterna che quella incontaminata saranno uniformi; e l’aspetto più straordinario di tutti, il principio causale di differenziazione, è in misura maggiore 10 monadico, mentre il principio causale paterno e quello incontaminato sono in misura maggiore triadici. Infatti il primo è per gli altri

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toi'" a[lloi" th'" diakrivsew", ta; de; th'" koinwniva" kai; th'" eJnwvsew" ejkeivnw/: oujkou'n triadiko;n me;n eJkavteron givgnetai touvtwn diakrinovmenon, monadiko;n de; ejkei'no para; touvtwn 15 eJnizovmenon. Pavnta ga;r ta; noera; di ajllhvlwn pefoivthke kai; ejn ajllhvloi" eijsi; kata; dhv tina koinwnivan qaumasthvn, mimouvmena th;n tw'n nohtw'n e{nwsin dia; th'" ejn ajllhvloi" parousiva" kai; sugkravsew". Kai; oJ ejkei' sfai'rov" ejstin oJ noero;" diavkosmo", ejn auJtw'/ kai; peri; eJauto;n ejnergw'n kai; 20 proi>w;n eij" auJto;n eJbdomadikw'", mona;" w]n kai; eJbdoma;" pantelhv", th'" nohth'" monavdo" eijkwvn, eij qevmi" eijpei'n, kai; th;n kruvfion eJauth'"a e{nwsin dia; th'" proovdou kai; diakrivsew" ejkfaivnousa. Prwtivsth me;n ou\n au{th provodo" tw'n noerw'n qew'n hJmi'n 25 eij" eJptavda diakriqei'sa televw" ajnumnhvsqw: deuvterai de; uJpo; tauvthn a[llai noeivsqwsan eJbdomavde" eJptav, ta;" th'" eJptavdo" tauvth" monavda" proavgousai mevcri tw'n ejscavtwn. 12 Ekavsth ga;r mona;" eJbdomavdo" hJgei'tai noera'" eJauth'/ suzuvgou kai; diateivnei tauvthn a[nwqen ajpo; th'" tou' Oluvmpou korufh'" mevcri tw'n teleutaivwn kai; cqonivwn diakovsmwn. Levgw de; oi|on hJ me;n prwvth patrikh; mona;" eJpta; toiauvta" 5 uJfivsthsin, hJ de; deutevra pavlin eJpta; zwopoiouv", kai; hJ trivth dhmiourgika;" eJptav, kai; tw'n ajcravntwn eJkavsth to;n i[son toi'" patravsin ajriqmovn, kai; hJ th'" diakrivsew" mona;" eJptav. Kai; ga;r sumproveisin pavnta tau'ta ta; ai[tia ajllhvloi": kai; w{sper hJ tria;" hJ prwvth tw'n patevrwn suvnesti th'/ 10 ajcravntw/ triavdi kai; th'/ diairetikh'/ monavdi, kata; ta; aujta; dh; kai; aiJ deuvterai triavde" eJpta; sustoivcou" e[lacon triavda" ajcravntou" kai; monavda" diakritikav". Povqen dh; ou\n hJmi'n oJ tosou'to" ajriqmo;" ajnefavnh tw'n noerw'n qew'n H dh'lon ejk tw'n proeirhmevnwn wJ" hJ me;n 15 prwtivsth kai; tw'n deutevrwn eJbdomavdwn aijtiva kai; monavdo" lovgon e[cousa pro;" aujta;" eJbdomav", h}n mikrw'/ provteron sfai'ran noera;n ejpwnomavzomen, kata; to; nohto;n uJpevsth plavto", mimoumevnh to; me;n patriko;n ejkeivnou dia; th'" patrikh'" triavdo", to; de; th'" dunavmew" aijwvnion dia; th'" ajcravntou 20 taujtovthto", to; de; ejp ejscavtwn plh'qo" ajnafane;n dia; th'"

a Non mi sembra il caso di correggere il tràdito eJauth'" con aujth'", come propongono nella loro edizione Saffrey-Westerink.

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principio causale concomitante della differenziazione, invece gli altri due sono per quello principi causali concomitanti della comunione e della unità; dunque ciascuno dei due principi causali diviene triadico differenziandosi, mentre quello diviene monadico, 15 venendo unificato da questi due principi causali. Tutte le entità intellettive in effetti si compenetrano reciprocamente e sono le une nelle altre in conseguenza di una determinata mirabile comunione, imitando l’unità propria degli intelligibili attraverso la reciproca presenza degli uni negli altri e attraverso la loro reciproca commistione. Ed in effetti lo “Sfero”15 di quell’ambito è la dimensione intellettiva, che agisce in se stessa ed in relazione a se stessa e che 20 procede verso se stessa con una scansione in ebdomadi16, essendo monade ed ebdomade totalmente perfetta, in quanto è immagine della monade intelligibile, se è lecito dirlo, ed in quanto rivela attraverso la processione e la distinzione la sua propria unità celata. Dunque questa primissima processione degli dèi intellettivi la si consideri da noi celebrata in modo perfetto, una volta che è 25 stata distinta in un’eptade17. Come seconde devono essere concepite, sotto di essa, sette ebdomadi, le quali fanno procedere le monadi di questa eptade fino ai livelli ultimi. Infatti ciascuna mona- 12 de è alla testa di un’ebdomade intellettiva a se stessa congiunta e distende quest’ultima dall’alto della vetta dell’Olimpo fino ai livelli ultimi e terrestri. Io intendo in questi termini: la prima monade paterna fa sussistere sette monadi della stessa natura, la secon- 5 da a sua volta sette monadi vivificatrici, e la terza sette monadi demiurgiche, e ciascuna delle divinità immacolate fa sussistere un numero di monadi uguale ai padri, e la monade della differenziazione ne fa sussistere sette. Ed infatti tutti questi principi causali procedono insieme gli uni agli altri; e come la prima triade dei padri è insieme alla triade incontaminata e alla monade differen- 10 ziante, allo stesso modo appunto anche le triadi seconde hanno avuto sette triadi incontaminate ad esse corrispondenti e sette monadi differenzianti18. Da dove dunque si è manifestato a noi un tale numero di dèi intellettivi? È d’altronde chiaro, in base a quanto si è detto in precedenza, che la primissima ebdomade che è causa delle ebdoma- 15 di seconde ed è come una monade in rapporto ad esse, ebdomade che poco prima abbiamo denominato “sfera” intellettiva19, è venuta a sussistere in modo conforme all’ambito intelligibile, imitando il carattere paterno di quello per il tramite della triade paterna, il carattere eterno proprio della potenza per il tramite dell’identità incontaminata, infine la molteplicità apparsa ai livel- 20

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tw'n o{lwn diairetikh'" monavdo": aiJ de; ajpo; tauvth" proi>ou'sai loipo;n eJbdomavde" kata; ta; nohta; kai; noera; gevnh proelhluvqasin: eJkavsth ga;r mona;" kata; ta;" ajkrovthta" ejkeivnwn uJfivsthsi monavda suntetagmevnhn tw'/ ajf eJauth'" 25 proi>ovnti plhvqei (pa'sa ga;r ajkrovth" eJnoeidhv" ejstin, wJ" provteron ejdeivknumen), kata; de; ta;" mevsa" kai; trivta" 13 proovdou" duvo triavda" ajpogenna'/: kai; ga;r ejkeivnwn hJ diavkrisi" ejn toi'" mevsoi" ajnefaivneto kai; toi'" ejscavtoi", w{sper kai; tou'to dia; tw'n e[mprosqen uJpevmnhstai. Kaqavper ou\n ejkei'nai to; nohto;n plavto" eJniai'on uJpavrcon eij" triadiko;n 5 plh'qo" prohvgagon, kata; to;n aujto;n trovpon kai; aiJ noerai; monavde" ta;" nohta;" kai; noera;" triavda" eij" eJbdomavda" prokalou'ntai noerav" *** ta;" me;n suntetagmevna" tai'" eJbdomavsi monavda" uJpevsthse kata; ta;" ajkrovthta" tw'n triavdwn, ta;" de; ditta;" triavda" kata; ta;" deutevra" ejkeivnwn 10 kai; trivta" uJpobavsei". Dio; dh; kai; pa'sa eJbdoma;" nohth;n me;n e[cei th;n prwvthn monavda, nohth;n de; kai; noera;n th;n deutevran meta; tauvthn tavxin triadikh;n uJpavrcousan, noera;n de; th;n trivthn ejfexh'" triavda, kai; tau'ta wJ" ejn noeroi'" pavnta: kata; ga;r th;n ijdiovthta th'" uJposthsavsh" aujth;n 15 monavdo" carakthrivzetai. W" ou\n sunelovnti favnai, proh'lqon me;n aiJ noerai; dunavmei" kata; ta;" nohta;" tavxei", uJpevsthsan de; ta;" eJpta; tauvta" eJbdomavda" kata; ta;" prwvta" noerav". Dei' ga;r dhvpou ta;" me;n ejxh/rhmevna" aijtiva" oJmoiou'sqai toi'" nohtoi'" 20 qeoi'", ta;" de; suntetagmevna" kai; proi>ouvsa" pantach'/ toi'" nohtoi'" kai; noeroi'", ejpei; kai; ou|toi prwvtistoi tou;" kovsmou" diei'lon triadikw'" kai; mevcri tw'n teleutaivwn dih'lqon ta; pavnta sunevconte" kai; teleiou'nte", oiJ de; nohtoi; monoeidw'" kai; krufivw" ta;" tw'n o{lwn aijtiva" perievcousi. Kai; eij bouvlei 25 levgein, monoeidw'" me;n oiJ nohtoi; ta; pavnta paravgousi (kai; ga;r oiJ ajriqmoi; monadikw'" ejn aujtoi'" eijsi), triadikw'" de; oiJ nohtoi; kai; noeroiv (kai; ga;r aiJ monavde" kat ajriqmo;n ejn touvtoi" dihv/rhntai, kai; o} h\n mona;" ejn ejkeivnoi", tou'tov ejstin 14 ajriqmo;" ejn touvtoi"), eJbdomadikw'" de; oiJ noeroiv, ta;" ga;r

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li ultimi per il tramite della monade che divide le cose nella loro totalità; dal canto loro, poi, le ebdomadi che procedono da questa sono procedute conformemente ai generi intelligibili-intellettivi; in effetti ciascuna monade fa sussistere in modo conforme alle sommità di questi ultimi una monade coordinata alla molteplicità 25 che procede dalla monade stessa (infatti ogni sommità è uniforme, come abbiamo mostrato in precedenza20), poi in modo conforme alle processioni intermedie e terze genera due triadi; ed 13 infatti la differenziazione tra i generi intelligibili-intellettivi è risultata manifestarsi nei livelli intermedi ed ultimi, come è pure stato ricordato attraverso le considerazioni appena fatte. Come dunque quelle monadi hanno fatto procedere l’ambito intelligibile, che è unitario, verso una molteplicità triadica, allo stesso modo a loro 5 volta le monadi intellettive sollecitano le triadi intelligibili-intellettive a produrre ebdomadi intellettive ***21 ha fatto sussistere, da un lato, le monadi coordinate alle ebdomadi in modo conforme alle sommità delle triadi, dall’altro le triadi duplici in base ai loro abbassamenti di livello di secondo e terzo ordine. Proprio per que- 10 sto in ogni ebdomade per prima viene la monade intelligibile, poi dopo questa monade per secondo viene il livello intelligibile-intellettivo, che è triadico, infine per terza, nell’ordine, la triade intellettiva, e tutte queste componenti sono tutte al contempo presenti nella misura in cui ciò è possibile nell’ambito degli intellettivi: infatti è in base al carattere specifico della monade che fa sussistere l’ebdomade che tutte queste componenti sono caratterizzate. 15 Dunque per dirla in breve, le potenze intellettive sono procedute sulla base dei livelli intelligibili, mentre a loro volta esse hanno fatto sussistere queste sette ebdomadi sulla base dei primi livelli intellettivi. In effetti, a mio giudizio, le cause trascendenti devono essere simili agli dèi intelligibili, mentre le cause coordi- 20 nate e procedenti in ogni direzione devono essere simili agli dèi intelligibili-intellettivi, dal momento che questi ultimi dèi sono i primissimi che hanno diviso in modo triadico i cosmi e si sono spinti fino a giungere ai livelli ultimi del reale, contenendo e rendendo perfette tutte le cose, mentre gli dèi intelligibili comprendono in modo uniforme e celato le cause della totalità del reale. E, se lo si vuole dire, gli dèi intelligibili producono tutte le cose in 25 modo uniforme (ed infatti i numeri si trovano in modo monadico in essi), mentre gli dèi intelligibili-intellettivi producono tutte le cose in modo triadico (ed infatti le monadi in questi dèi sono divise in base al numero, e ciò che negli intelligibili è risultato monade, negli intelligibili-intellettivi è numero), infine gli dèi intelletti- 14

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nohta;" a{ma kai; noera;" triavda" eij" eJbdomavda" noera;" ajnelivssousi kai; ta;" sunh/rhmevna" ejkeivnwn dunavmei" eij" poikilivan ejxaplou'si noeravn. Kai; ga;r to; plh'qo" aujtw'n kai; th;n poikilivan toi'" ejggutavtw th'" monavdo" ajriqmoi'" diwvrisan. Alloi ga;r oiJ tw'n merikw'n ajriqmoi; kai; a[lloi tw'n oJlikw'n ejn toi'" qeoi'" diakovsmwn. Kai; pa'" oJ noero;" ou|to" ajriqmo;" ajnhvplwtai me;n tw'n pro; aujtou' ma'llon kai; dihv/rhtai poikilwtevrai" proovdoi", oujk ajpoleivpei de; th;n pro;" th;n monavda suggevneian. To; ga;r eJbdomadiko;n plh'qo" pollh;n e[cei th;n oijkeiovthta pro;" th;n th'" monavdo" fuvsin, ejpei; kai; kat aujth;n metrei'tai kai; uJfivstatai prwvtw" uJp aujth'". Kai; oi{ ge Puqagovreioi to; kata; novon fw'" th;n eJptavda prosagoreuvonte" noera;n aujth'" dhvpou th;n u{parxin ei\nai sugcwrou'si kai; tauvth/ th'" monavdo" ejxhrthmevnhn. To; ga;r eJniai'on, ou| to; fw'" dhlwtikovn, ejk tauvth" a{pasin uJpavrcei toi'" qeivoi" ajriqmoi'".

gV Tau'ta kai; peri; th'" diairevsew" proeilhvfqw tw'n noerw'n 20 touvtwn qew'n. Ecovmenon dev ejsti th;n tou' Plavtwno" qewrivan ejfarmovsai th'/ tavxei tauvth/ kai; dei'xai mhdeno;" aujth;n ajpoleipomevnhn tw'n qeologikw'n peri; th'" noera'" diakosmhvsew" tauvth" dogmavtwn. Epeidh; toivnun th;n me;n oujranivan tavxin, h}n ejn Kra25 tuvlw/ kai; Faivdrw/ televw" uJmnoumevnhn ajneuvromen, to;n mevson suvndesmon katevcein tw'n noerw'n a{ma kai; nohtw'n qew'n ajpedeivxamen, uJpo; de; tauvthn eujqu;" diakovsmhsin a[llhn qew'n 15 tetagmevnhn, wJ" oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" ejnedeivknuto, th;n uJpouranivan aJyi'da kaloumevnhn, ajdiaivreton pro;" to;n oujrano;n ejfulavttomen, tiv" hJ dielou'sa auJth;n ajpo; th'"

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vi producono tutte le cose in modo ebdomadico: infatti essi sviluppano le triadi ad un tempo intelligibili e intellettive in ebdomadi intellettive e fanno dispiegare in varietà intellettiva le loro potenze raccolte tutte insieme. Ed in effetti gli dèi intellettivi hanno determinato la molteplicità di queste triadi e la loro varietà con i numeri più prossimi alla monade. Infatti diversi fra loro sono i numeri appartenenti agli ordinamenti particolari e quelli degli ordinamenti universali presenti tra gli dèi. E tutta questa serie numerica22 intellettiva risulta più ampiamente dispiegata rispetto a quelle ad essa superiori e risulta suddivisa in processioni più varie, ma comunque non viene a perdere la sua affinità naturale con la monade. In effetti la molteplicità che caratterizza l’ebdomade ha una grande affinità di parentela con la natura propria della monade23, dal momento che viene misurata in base a quest’ultima e viene a sussistere principalmente a partire da essa. Anche i Pitagorici in effetti, in considerazione del fatto che appellano l’eptade “la luce conforme all’intelletto”24, a mio avviso sono d’accordo nell’affermare che l’autentica natura dell’eptade è intellettiva e che per via di tale natura l’eptade risulta dipendente dalla monade. Infatti il carattere unitario, che la luce sta ad indicare, appartiene in modo essenziale a tutti quanti i numeri divini a partire da questa monade.

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3 [Quali sono i tre padri intellettivi secondo Platone, quali le tre monadi incontaminate, e quale la settima natura divina coordinata alle due triadi] Queste sono le nozioni che devono essere assunte come preliminari a proposito della divisione di questi dèi intellettivi. Ma si 20 deve poi far corrispondere la dottrina di Platone a questo ordinamento e mostrare che essa non si allontana da nessuno dei precetti dei teologi concernenti questo ordinamento intellettivo25. Allora, poiché abbiamo dimostrato che l’ordinamento «celeste», il quale abbiamo ritrovato26 perfettamente celebrato nel Cra- 25 tilo e nel Fedro27, ricopre il legame intermedio tra gli dèi ad un tempo intelligibili ed intellettivi, e d’altro canto subito al di sotto di questo ordinamento di dèi ne è posto un altro, come ha indica- 15 to Socrate nel Fedro, chiamato “volta subceleste”, il quale abbiamo con cura mantenuto28 non divisibile rispetto al cielo, qual è quell’ordinamento che si è separato dal regno di Urano, e che

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Oujranou' basileiva", hJgoumevnh de; th'" noera'" tavxew" tw'n qew'n kai; tou' nou' prwvtw" corhgo;" kat aujth;n th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin *** oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth" h] to;n mevgiston Krovnon: tou'ton ga;r dh; nou'n to;n prwvtiston kai; kaqarwvtaton ajpokalei'. To; toivnun ajkrovtaton tou' nou' tou' qeivou kaiv, wJ" aujtov" fhsi, to; 10 kaqarwvtaton, ou|tov" ejstin oJ qeov", diakrivnwn me;n eJauto;n tou' oujranivou diakovsmou, pavntwn de; tw'n noerw'n qew'n basileuvwn, diovti dh; nou' mevn ejsti diakorhv", ajlla; tou' kaqarou' nou' kai; th'" eij" a[kron ajnateinomevnh" noera'" uJpostavsew" ªqeov"º. 15 Dio; dh; kai; pathvr ejsti tou' megivstou Diov", kai; aJplw'" pathvr: oJ ga;r tou' pavntwn patro;" path;r pollw'/ dhvpou meizovnw" e[lace th;n patrikh;n ajxivan. Nou'" me;n ou\n ou|to" prw'to", nou'" de; kai; oJ mevgisto" Zeuv", basilikh;n me;n e[cwn yuchvn, basiliko;n de; nou'n, wJ" oJ ejn tw'/ Filhvbw/ 20 Swkravth": kai; duvo nove" ou|toi kai; patevre" noeroiv, oJ me;n noero;" w]n ejn toi'" noeroi'", oJ de; nohtov". OiJ ga;r Krovnioi desmoiv, w|n kai; aujto;" ejn Kratuvlw/ mevmnhtai, eJnopoioi; th'" tou' Diov" eijsi nohvsew" peri; to; nohto;n tou' patro;" kai; plhrou'si to;n Divion nou'n th'" tou' Kronivou nou' pante25 lou'" nohvsew". Kai; tou'to dh'lon oi\mai kai; ejk th'" pro;" to;n Plouvtwna tw'n yucw'n ajnalogiva". W" ga;r ejkei'no" sundei' peri; eJauto;n ta;" yucav", sofiva" aujta;" kai; nohvsew" 16 plhrw'n, ou{tw dh; kai; oJ Krovno" ejfeto;" w]n tw'/ Dii; kai; ejrasto;" sunevcei toi'" ajluvtoi" desmoi'" aujto;n ejn eJautw'/. Kai; tau'ta oJ Swkravth" ejn tw'/ Kratuvlw/ paivzwn a{ma kai; spoudavzwn ejndeivknutai. 5 To; toivnun ejfeto;n tou' Dio;" kai; to; nohto;n oJ Krovno" ejstivn, aujto;" de; oJ mevgisto" Zeu;" nou'" qei'o" kai; dhmiourgikov". Anavgkh toivnun kai; trivthn a[llhn aijtivan ei\nai noeravn, th'" zwh'" gennhtikhvn. Esti me;n ga;r kai; oJ Zeu;" ai[tio" tou' zh'n, w{" fhsin oJ Swkravth", ajlla; noerw'" 10 kai; deutevrw": pro; de; tou' nou' th;n zwh;n pantacou' tetavcqai levgomen. Dh'lon dh; ou\n o{ti th;n basilivda Revan, mhtevra me;n ou\san tou' Diov", tou' de; Krovnou patro;" o[nto" ªth;nº deutevran, th;n mesovthta tauvthn sumplhrou'n fhvsomen, kovsmon zwogoniko;n uJpavrcousan kai; ta;" th'" o{lh" zwh'" aijtiva" 15 ejn eJauth'/ prosthsamevnhn. Trei'" ou\n au|tai patrikai; tavxei" 5

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d’altra parte è posto a capo dell’ordinamento intellettivo degli dèi 5 ed è in modo primario elargitore dell’intelletto secondo la dottrina stessa di Platone? Socrate nel Cratilo 29 se non il grandissimo Crono: quest’ultimo infatti lo denomina appunto «l’intelletto» primissimo e «il più puro»30. Pertanto la forma assolutamente suprema dell’intelletto divino e, come Socrate stesso dice, «la più pura», questo è il dio che da un 10 lato si distingue dall’ordinamento celeste, dall’altro regna su tutti gli dèi intellettivi, proprio per il fatto che egli è traboccante sì di intelletto, ma dell’intelletto puro e della sussistenza intellettiva che tende in alto verso la sua sommità. Proprio per questo è padre del grandissimo Zeus, e puramen- 15 te e semplicemente padre: infatti il padre del padre di tutti gli esseri, a mio avviso, ha ricevuto in misura molto maggiore il rango paterno. Dunque Crono è intelletto primo, ma a sua volta anche il grandissimo Zeus è intelletto in quanto ha «da un lato un’anima regale, dall’altro un intelletto regale», come Socrate afferma nel Filebo31; e questi sono due intelletti e due padri intellettivi, dei 20 quali, tra gli intellettivi, l’uno è intelletto, l’altro invece è intelligibile. Infatti i «legami»32 Cronii, di cui anche lo stesso Socrate ha fatto menzione nel Cratilo, sono unificatori dell’intellezione appartenente a Zeus in relazione alla natura intelligibile del padre e ricolmano l’intelletto di Zeus della intellezione compiutamente 25 perfetta dell’intelletto Cronio. E ciò, a mio giudizio, risulta evidente anche in base alla relazione delle anime con Plutone. Come infatti costui lega strettamente intorno a sé le anime, colmandole 16 di sapienza e intellezione33, allo stesso modo Crono a sua volta, essendo oggetto di desiderio e di amore da parte di Zeus, lo contiene in se stesso con «gli indissolubili legami»34. E questi aspetti Socrate nel Cratilo li mette in luce al tempo stesso scherzando e facendo sul serio. Pertanto Crono è l’oggetto di desiderio di Zeus ed il suo 5 oggetto intelligibile, ma a sua volta il grandissimo Zeus è intelletto divino e demiurgico egli stesso. Pertanto è necessario che vi sia anche in terzo luogo una causa intellettiva, generatrice di vita. In effetti anche Zeus è «principio causale del vivere»35, come dice Socrate, ma in modo intellettivo e derivato; del resto affermiamo 10 che la vita in ogni ambito precede per ordinamento l’intelletto. Ebbene, risulta evidente che della regina Rea36, madre di Zeus, e seconda rispetto a Crono, poiché egli è padre, diremo che forma questo livello intermedio, in quanto essa è di fatto cosmo generatore di vita ed ha prestabilito in se stessa le cause della vita nella 15

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hJmi'n pefhvnasin ejn toi'" noeroi'", oJ me;n kata; to; nohto;n tw'n noerw'n, hJ de; kata; th;n zwh;n th;n qeivan kai; noeravn, oJ de; kata; to;n nou'n to;n noerovn. Kai; ga;r th;n mevshn qeo;n aujth;n kaq eJauth;n mhtevra kai; aujth;n tou' dhmiourgou' kai; 20 tw'n o{lwn ajnumnou'men: meta; de; tw'n a[krwn qewrou'nte" patrikh;n aijtivan ejponomavzomen wJ" ejn toi'" patravsin periecomevnhn kai; ta; me;n tw'/ Krovnw/, ta; de; tw'/ Dii; sunapogennw'san. Alla; mh;n kai; triavda th;n ajmeivlikton kai; a[cranton 25 tw'n noerw'n qew'n diarrhvdhn oJ Plavtwn eJpovmeno" Orfei' Kourhtikh;n ajpokalei', kaqavper ejn Novmoi" fhsi;n oJ Aqhnai'o" xevno", ta; tw'n Kourhvtwn ejnovplia paivgnia kai; th;n e[nruqmon coreivan aujtw'n ajnumnw'n. Kai; ga;r Orfeu;" 17 tou;" Kouvrhta" fuvlaka" tw'/ Dii; parivsthsi trei'" o[nta" kai; oiJ qesmoi; tw'n Krhtw'n kai; hJ Ellhnikh; pa'sa qeologiva th;n kaqara;n kai; a[cranton zwh;n kai; ejnevrgeian eij" th;n tavxin tauvthn ajnapevmpousin. Oujde; ga;r a[llo ti to; koro;n 5 h] to; kaqaro;n kai; ajkhvraton ejndeivknutai: dio; kai; to;n mevgiston Krovnon wJ" kat oujsivan hJnwmevnon th'/ th'" ajcravntou kaqarovthto" aijtiva/ nou'n kaqaro;n ejlevgomen provteron. Trei'" ou\n oiJ patrikoi; qeoi; kai; trei'" oiJ a[crantoi: leivpetai ou\n kai; th;n eJbdovmhn monavda qewrhvsanta" eijpei'n. 10 Eij toivnun ta;" muqika;" ejnnohvsaimen ejktomav", tav" te Kroniva" kai; ta;" Oujraniva", w|n kai; oJ Plavtwn pou diamnhmoneuvei sigh'/ ta; toiau'ta kruvptein dokimavzwn ajei; kai; th;n ajpovrrhton aujtw'n ajlhvqeian oJra'n, kai; o{ti mustikw'n ejsti nohmavtwn ejndeiktikav, diovti kai; nevoi" ajnepithvdeia toiau'ta 15 ajkouvein, e[coimen a]n ejk touvtwn tiv" ejstin hJ diakritikh; qeovth" hJ kai; ta;" diairevsei" ajpotelou'sa kai; cwrivzousa ta; me;n Krovnia gevnh tw'n Oujranivwn, ta; de; Divia tw'n Kronivwn, o{lon de; to;n noero;n diavkosmon tw'n te pro; aujtou' kai; tw'n met aujto;n diakrivnousa kai; ta;" ejn aujtw'/ diafovrou" aijtiva" 20 ajp ajllhvlwn diista'sa kai; toi'" deutevroi" ajei; ta; deuvtera mevtra th'" basileiva" parecomevnh. Kaiv moi mhdei;" qorubeivsqw touvtwn ajkouvsa" tw'n lovgwn mhde; ejnantiouvsqw: pw'" ou\n ta;" ejktoma;" kai; tou;" desmou;"

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sua totalità universale. Tre dunque sono questi livelli paterni che si sono a noi mostrati nell’ambito degli intellettivi: al primo livello v’è il dio corrispondente al carattere intelligibile degli intellettivi, al secondo livello la dea corrispondente alla vita divina ed intellettiva, al terzo livello infine il dio corrispondente all’intelletto intellettivo37. Ed infatti la dea intermedia la celebriamo in sé e per sé come madre sia del Demiurgo sia della totalità degli esseri; 20 d’altra parte, contemplandola insieme ai due termini estremi38, la denominiamo “causa paterna” in considerazione del fatto che è compresa tra i padri39, ed alcuni esseri li genera congiuntamente a Crono, altri congiuntamente a Zeus. Ma in verità, Platone, rifacendosi ad Orfeo, chiama in termini 25 espliciti la triade implacabile40 e incontaminata che fa parte degli dèi intellettivi “triade dei Cureti”41, come afferma nelle Leggi lo Straniero di Atene, quando celebra i «giochi in armi dei Cureti»42 e la loro danza ritmica. Ed in effetti Orfeo43 pone al fianco di Zeus 17 i custodi Cureti che sono tre, e le leggi cretesi e tutta la teologia greca fanno risalire a questo ordinamento la vita e l’attività pure ed incontaminate. Infatti la nozione di «purificato» non indica 5 altro se non «il puro e l’intatto»44; perciò in precedenza abbiamo definito45 il grandissimo Crono, in considerazione del fatto che è in modo essenziale unificato alla causa della purezza incontaminata, come “intelletto puro”. Dunque tre sono gli dèi paterni e tre gli dèi incontaminati; rimane dunque da prendere in considerazione la settima monade e da parlare anche di essa. Pertanto se riflettessimo sulle mutilazioni divine, quelle di 10 Crono e di Urano, delle quali anche Platone in qualche passo fa menzione, nella convinzione che sempre si debbano celare con il silenzio argomenti di questa fatta46 ed individuare la loro verità ineffabile, e che, poiché sono indicatori di concezioni misteriche, per questo motivo appunto non siano adatti da ascoltare per i giovani, da questi miti avremmo la possibilità di comprendere qual è 15 la divinità differenziatrice, quella che porta a compimento le divisioni, e che al contempo divide, da un lato, i generi di Crono da quelli di Urano, dall’altro quelli di Zeus da quelli di Crono; inoltre differenzia tutto l’ordinamento intellettivo nella sua interezza dalle entità che lo precedono e da quelle che lo seguono, separa le une dalle altre le cause differenti insite in tale ordinamento e for- 20 nisce sempre alle entità di livello inferiore le misure inferiori della dignità regale. E che nessuno – mi raccomando – esprima disapprovazione udendo tali discorsi né mi obbietti: come dunque è possibile che

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kai; ta;" tragika;" tw'n muvqwn diaskeua;" oJ Plavtwn ejkbavllei Pavnta ga;r ta; toiau'ta tou;" me;n pollou;" kai; ajnohvtou" oi[etai di a[gnoian tw'n ejn aujtoi'" ajporrhvtwn diabavllesqai, 18 toi'" de; sofoi'" ejndeivknusqaiv tina" uJponoiva" qaumastav". Diovper aujto;" me;n to;n toiou'ton trovpon tw'n plasmavtwn ouj prosivetai, toi'" de; palaioi'" qew'n ou\sin ejkgovnoi" oi[etai crh'nai peivqesqai kai; th;n ajpovrrhton aujtw'n diavnoian 5 qhra'n. Wsper ou\n tou;" desmou;" tou;" Kronivou", kai; tau'ta pro;" Eujquvfrona kai; tou;" th'" Politeiva" ajkrowmevnou", ajpodokimavzwn, o{mw" ejn Kratuvlw/ sugcwrei' kai; peri; aujto;n to;n mevgiston Krovnon kai; peri; to;n Plouvtwna deutevrou" a[llou" tiqevmeno", ou{tw" oi\mai kai; ta;" ejktoma;" toi'" me;n 10 to; fainovmenon aujto; kaq auJto; gnwrivzousin ajpagoreuvei mh; prosivesqai mhde; sugcwrei'n o{ti kai; ejn qeoi'" eijsin aiJ paravnomoi kai; a[qesmoi tw'n paivdwn eij" tou;" patevra" ejpiceirhvsei", ajlla; diamavcesqai kai; kata; to; dunato;n dielevgcein ta; toiau'ta doxavsmata. Toi'" de; ei[sw parievnai dunamevnoi" 15 th'" mustikh'" ajlhqeiva" kai; metaqevousi th;n ajpokekrummevnhn tw'n muvqwn diavnoian sumfqevggetai kai; ta;" tw'n o{lwn diakrivsei", ei[t ou\n ejktoma;" aujta;" di ejpivkruyin ei[t a[llw" oJpwsou'n prosonomavzein ejqevlousin, ejpitrevpei. Kai; ga;r oiJ desmoi; kai; ãaiJÃ ejktomai; koinwniva" eijsi; kai; diakrivsew" 20 suvmbola kai; th'" aujth'" eJkavterovn ejsti qeomuqiva" e[kgonon. O toivnun tou;" desmou;" ejn tw'/ Kratuvlw/ sugcwrw'n kai; ta;" ejktoma;" dhvpou ta;" tw'n noerw'n diairetika;" proshvsetai. Kai; ouj crh; qaumavzein eij kai; ejk touvtwn th;n tou' Plavtwno" dovxan hJmei'" kataskeuavzein ejpiceirou'men, ajll 25 eijdevnai pw'" me;n ta; toiau'ta pavnta kai; hJ Plavtwno" filosofiva sugcwrei', pw'" de; ajpodokimavzei kai; toi'" ajkouvousin ei\nai tw'n megivstwn kakw'n ai[tia kai; th'" ajqevou zwh'" uJpolambavnei. 25

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Platone rifiuti le mutilazioni, i legami e le rielaborazioni in forma tragica dei miti? In effetti egli ritiene che tutte le componenti miti- 25 che di tal fatta confondano i più e gli incapaci di riflessione perché ignorano le concezioni ineffabili insite in esse, mentre indica- 18 no ai sapienti determinati significati allegorici mirabili47. Proprio questo è il motivo per cui Platone non accoglie tale modalità di elaborazioni mitiche, ma ritiene che si debba credere agli antichi «poiché sono discendenti degli dèi»48 e si debba cercare assidua- 5 mente il loro ineffabile significato autentico. Come dunque egli rifiuta i legami Cronii, e ciò dinnanzi ad Eutifrone e agli uditori della Repubblica49, ma nonostante tutto li ammette nel Cratilo50 collocando altri legami inferiori sia intorno allo stesso grandissimo Crono sia intorno a Plutone, allo stesso modo anche, a mio avviso, vieta a coloro che arrivano a conoscere solo l’aspetto pura- 10 mente apparente delle cose di accogliere le mutilazioni e di ammettere che anche fra gli dèi vengono compiute azioni contro le norme e le leggi da parte dei figli contro i padri, ma pretende che tali convinzioni vengano combattute e confutate nella misura del possibile. Invece con coloro che sono in grado di penetrare all’interno della verità misterica e di inseguire l’autentico signifi- 15 cato celato dei miti, egli parla apertamente e concede che vi siano le separazioni tra la totalità delle entità, sia che tali separazioni si voglia appellarle “mutilazioni” per via di occultamento sia che si voglia appellarle in un qualunque altro modo. Ed infatti i legami e le mutilazioni sono rispettivamente simboli di comunanza e di 20 separazione, ed entrambi discendono dalla medesima forma di racconto mitico concernente gli dèi. Pertanto colui che ammette nel Cratilo «i legami», a mio avviso, accoglierà le mutilazioni separatrici degli intellettivi. E non ci si deve meravigliare se anche da queste componenti del mito noi cerchiamo di stabilire l’opinione di Platone, ma si deve sapere, da un lato, in che senso anche la 25 filosofia di Platone ammette tutti i racconti mitici di tal fatta, dall’altro in che senso egli li rifiuta e ritiene che per coloro che li ascoltano essi siano motivo dei mali più grandi e della vita senza dio.

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ãdVÃ OiJ me;n ou\n eJpta; noeroi; qeoi; dia; touvtwn a]n tw'n ejpibolw'n kai; para; tw'/ Plavtwni fanei'en mnhvmh" hjxiwmevnoi. Th;n de; kaq eJbdomavda" provodon aujtw'n ajpo; tw'n eijkovnwn sullogiv5 zesqai dei'n oi\mai. Th;n dh; tou' panto;" yuch;n tw'n qeivwn tavxewn pasw'n eijkovna dhmiourgw'n, w{sper ou\n kai; to;n aijsqhto;n tou'ton kovsmon tw'n nohtw'n, kai; prwvthn me;n th;n o{lhn oujsivan aujth'" uJposthvsa", e[peita dielw;n eij" ajriqmou;" kai; tai'" aJrmonivai" sundhvsa" kai; toi'" schvmasi diakosmhv10 sa", tw'/ te eujqei' levgw kai; tw'/ periferei', meta; tou'to diei'len aujth;n eij" e{na kuvklon kai; eJptav. Povqen ou\n hJ mona;" au{th kai; hJ eJbdoma;" h] ajpo; tw'n noerw'n qew'n Pro; aujtw'n ga;r to; sch'ma kai; oJ ajriqmo;" kai; to; o[ntw" o[n: kai; w{sper ejn th'/ dhmiourgiva/ th'" yuch'" meta; th;n tou' yucikou' schvmato" 15 uJpovstasin hJ kata; monavda tw'n kuvklwn kai; eJbdomavda diaivresi", ou{tw kai; ejn toi'" qeoi'" meta; to; noero;n kai; nohto;n sch'ma to; noerovn ejsti plavto" kai; oJ Sfai'ro" ou|to" tw'n qew'n. Apo; th'" qeiva" a[ra noera'" eJbdomavdo" eij" eJauth;n eijsi20 ouvsh" uJpevsth to; tw'n eJbdomavdwn tw'n eJpta; plh'qo": kai; dia; tou'to kai; oJ dhmiourgo;" ou{tw tou;" ejn th'/ yuch'/ diairei' kuvklou", o{ti kai; aujto;" kai; pa'" oJ noero;" diavkosmo" ajpo; monavdo" eJkavsth" eJbdomavda parhvgagen noeravn. Kai; ouj tou'to levgw kai; diateivnomai nu'n, o{ti toi'" eJpta; qeoi'" toi'" 25 ajpo; tou' dhmiourgou' proelqou'sin oiJ eJpta; kuvkloi th;n oJmoivan e[lacon u{parxin, ajll o{ti kata; kuvklou" th;n yuch;n 20 diairw'n a[nwqen ajpo; tw'n noerw'n qew'n to;n ajriqmo;n ejpifevrei tai'" tomai'", monadiko;n levgw kai; eJbdomadikovn. Epei; kai; hJ me;n mona;" kata; to;n taujtou' kuvklon, hJ de; diaivresi" kata; to;n qatevrou: fanhvsetai de; mikro;n u{steron to; taujto;n 5 kai; qavteron th'/ dhmiourgikh'/ tavxei proshvkonta. Eti de; kai; meta; th;n diaivresin tw'n kuvklwn ta; me;n tw'n ajfomoiwmatikw'n qew'n, ta; de; tw'n ajpoluvtwn suvmbola paralambavnei, kai; dia; touvtwn ajnivhsi th;n yuch;n tai'" tavxesi tw'n qew'n tauvtai". Eij toivnun to; me;n sch'ma pro; tw'n 10 noerw'n ejsti qew'n, to; de; o{moion kai; to; ajnovmoion 19

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[Da dove, tra le opere di Platone, si potrebbero desumere delle conclusioni sulla processione in sette ebdomadi degli dèi intellettivi]

Dunque i sette dèi intellettivi attraverso queste considerazioni sono apparsi degni di menzione anche presso Platone. Peraltro la loro processione in ebdomadi, a mio giudizio, la si deve desume- 5 re dalle immagini51. È proprio l’Anima del Tutto che Platone costruisce ad immagine di tutti gli ordinamenti divini, proprio come questo cosmo sensibile lo costruisce ad immagine degli intelligibili, ed ha fatto sussistere per prima l’essenza universale di questa Anima ed in seguito l’ha divisa in numeri, l’ha legata con le armonie e l’ha ordinata con le figure, intendo dire il “dritto” e il “cir- 10 colare”, dopo questo poi l’ha divisa in un cerchio unico ed in sette cerchi52. Da dove dunque vengono questa monade e questa ebdomade se non dagli dèi intellettivi? Infatti anteriori ad essi sono la figura, il numero e l’essere realmente essere; e come nella costruzione dell’anima, dopo il venire a sussistere della figura dell’ani- 15 ma, viene la divisione dei cerchi in forma di monade e di ebdomade, allo stesso modo anche negli dèi dopo la figura intellettiva ed intelligibile viene l’ambito intellettivo e questo è lo “Sfero” degli dèi53. Di conseguenza dalla divina ebdomade intellettiva che continua a procedere in se stessa è venuta a sussistere la molteplicità 20 delle ebdomadi che sono sette; e per questo motivo anche il Demiurgo ha diviso in tal modo i cerchi nell’anima54, poiché sia egli sia tutto l’ordinamento intellettivo a partire da ciascuna monade ha prodotto un’ebdomade intellettiva. E non voglio dire né intendo arrivare ad affermare che i sette cerchi che procedono 25 dal Demiurgo hanno avuto in sorte una realtà simile a quella dei sette dèi, bensì che, dividendo l’anima in base ai cerchi dall’alto, 20 dagli dèi intellettivi, 55 attribuisce il numero alle singole sezioni, cioè rispettivamente il numero monadico e quello ebdomadico. In effetti la monade è conforme al “cerchio dell’identico”, mentre la divisione al “cerchio del diverso”56; d’altra parte poco più avanti57 apparirà che «l’identico e il diverso»58 si 5 addicono all’ordinamento demiurgico. Inoltre poi anche dopo la divisione dei cerchi assume alcuni elementi come simboli degli dèi assimilatori, altri invece come simboli degli dèi non vincolati, e attraverso questi simboli eleva l’anima a questi ordinamenti di dèi. Se pertanto «la figura»59 è anteriore agli dèi intellet- 10

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met aujtouv", ajnavgkh dhvpou to; monadiko;n a{ma kai; eJbdomadiko;n eij" tauvthn ajnapevmpesqai th;n diakovsmhsin kai; th;n ajpo; monavdo" eij" eJbdomavda provodon th'/ tavxei tauvth/ proshvkein. Ekasto" ou\n tw'n eJpta; noerw'n qew'n eJbdomavdo" hJgei'tai noera'", wJ" ejk tw'n eijkovnwn memaqhvkamen. All ejkei' me;n hJ eJbdoma;" miva kai; pro;" eJauth;n suggenhv", ejn de; tai'" yucai'" oiJ kuvkloi diafevrousin ajllhvlwn kata; ta;" ijdiovthta" ta;" qeiva". Ou{tw ga;r ejdevxanto to;n ajriqmovn, w{ste kai; th;n oijkeivan fuvsin diaswv/zein h}n e[lacon ta; ejgkovsmia sunevcousai, kai; tou;" fainomevnou" kuvklou" sunelivssein toi'" eJautw'n.

eV Tau'ta me;n ou\n uJpemnhvsqw dia; touvtwn, oujk ajmudra; tekmhvria fevronta th'" tou' Plavtwno" peri; touvtwn diatavxew". Pavlin de; a[nwqen ajrxavmenoi peri; eJkavstou levgwmen, 21 o{sa pro;" th;n parou'san ejxarkei' qeologivan. Prwvtisto" toivnun hJmi'n oJ basileu;" tw'n noerw'n qew'n Krovno" ajnumneivsqw, kata; to;n ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravthn to; kaqaro;n kai; ajkhvraton tou' nou' katalavmpwn kai; ejn aujth'/ th'/ 5 tw'n noerw'n ajkrovthti th;n eJautou' pantelh' duvnamin iJdrusavmeno", mevnwn me;n a{ma kai; proi>w;n ejk tou' patrov", kai; diairw'n th;n noera;n hJgemonivan th'" sunektikh'", kai; sunech' pro;" aujth;n th;n tw'n a[llwn noerw'n qew'n uJperoch;n prosthsavmeno", aujto; de; to; nohto;n tou' dhmiourgikou' nou' kai; 10 to; plhvrwma tw'n o[ntwn ejn eJautw'/ perievcwn. Dio; dh; kai; oiJ Krovnioi desmoi; mustikw'" th;n perivlhyin aijnivssontai tou' nohtou' touvtou kai; th;n e{nwsin th;n pro;" aujtov. Tw'/ ga;r nw'/ to; nohto;n perilhptovn: w{sper ou\n ejxhv/rhtai me;n tou' nou' to; nohtovn, levgetai de; aujto; perilambav15 nein oJ nou'", ou{tw dh; kai; oJ Zeu;" desmei'n to;n patevra levgetai,

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tivi, mentre a loro volta «il simile ed il dissimile»60 vengono dopo essi, il carattere monadico e quello ebdomadico devono necessariamente risalire, a mio giudizio, a questo ordinamento e la processione da monade in ebdomade deve necessariamente essere confacente a questo livello. Dunque ciascuno dei sette dèi intellettivi è alla testa di un’ebdomade intellettiva, come abbiamo appreso dal metodo delle immagini. Ma in quell’ambito l’ebdomade è una sola e congenere a se stessa; invece nelle anime i cerchi differiscono gli uni dagli altri sulla base delle proprietà divine. Infatti le anime hanno ricevuto il numero in modo tale da conservare anche la loro propria natura che hanno avuto in sorte in quanto contengono gli esseri encosmici, ed in modo tale da far ruotare i cerchi visibili61 insieme a quelli che appartengono a loro stesse.

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5 [Chi è il grandissimo Crono in base alla dottrina teologica del “Cratilo”, e in che senso è intelligibile e in che senso intellettivo; in questo capitolo sono spiegate le dottrine concernenti l’unione e la divisione dell’intelletto in relazione all’intelligibile] Dunque attraverso tali considerazioni si diano per assodate queste nozioni che forniscono prove assolutamente chiare della sistemazione che Platone ha dato a tali questioni. Noi ora, dal 25 canto nostro, ricominciando dall’alto, intendiamo dire di ciascuno solo quanto serve alla presente trattazio- 21 ne teologica. Allora per primissimo deve essere da noi celebrato il re degli dèi intellettivi, Crono, che, secondo il Socrate del Cratilo, fa risplendere «il carattere puro e intatto dell’intelletto»62, e che, avendo posto alla sommità stessa degli intellettivi la sua propria 5 compiutamente perfetta potenza, da un lato permane ed al contempo procede dal padre, divide la sovranità intellettiva da quella connettiva, e l’ha originariamente collocata in diretta continuità con la superiorità stessa degli dèi intellettivi, mentre il carattere intelligibile stesso dell’intelletto demiurgico e l’insieme com- 10 plessivo degli enti li comprende in se stesso. Ecco il motivo per cui i «legami» Cronii alludono in modo misterico alla comprensione di questa entità intelligibile e all’unificazione con essa. In effetti l’intelligibile è comprensibile per l’intelletto: come dunque l’intelligibile trascende l’intelletto, e d’altra parte si dice che l’intelletto lo comprende, allo stesso modo 15

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kai; tau'ta peri; ejkei'non aujto;" sundevwn auJtovn, kai; ga;r oJ desmo;" perivlhyiv" ejsti tw'n sundeomevnwn. To; de; ajlhqe;" w|de e[cei. Nou'" mevn ejstin oJ Krovno" pantelhv", nou'" de; kai; oJ 20 mevgisto" Zeuv": nou'" eJkavtero" w[n, e[sti dhvpou kai; nohto;n aujtov". Pa'" ga;r nou'" eij" auJto;n ejpevstraptai, pro;" de; auJto;n ejpistrevfwn, pro;" eJauto;n ejnergei', pro;" eJauto;n de; ejnergw'n kai; ouj pro;" ta; e[xw, nohtovn ejstin a{ma kai; noerovn: h|/ me;n noei', noerovn, h|/ de; noei'tai, kai; nohtovn. Wste kai; oJ Divio" 25 nou'" eJautou' nou'" ejsti kai; auJtw'/ nohtovn, wJsauvtw" de; kai; oJ Krovnio" nou'" eJautw'/ nohtovn ejsti kai; eJautou' nou'": ajll oJ me;n ma'llon nou'", oJ de; ma'llon nohtovn. Idrutai ga;r oJ me;n kata; th;n ajkrovthta th;n noeravn, oJ de; kata; to; pevra": 22 kai; oJ me;n ejfetovn ejstin, oJ de; ejfievmenon: kai; oJ me;n plhrou'n, oJ de; plhrouvmenon. Nou' toivnun o[nto" tou' Krovnou kai; nohtou', nou'" kai; oJ Zeu;" deuvteron kai; nohtovn: ajlla; to; nohto;n aujtou' noerovn 5 ejsti, to; de; ejkeivnou noerovn, nohtovn. Omou' dh; ou\n noero;" w]n oJ Zeu;" kai; nohtov", eJauto;n noei' kai; perilambavnei kai; sundei' to; ejn auJtw'/ nohtovn: tou'to de; ejn auJtw'/ sundevwn, aujto; to; pro; aujtou' levgetai nohto;n sundei'n kai; perilambavnein pantacovqen. Kai; ga;r eij" eJauto;n eijsiw;n eij" ejkei'non 10 cwrei', kai; tw'/ ejn auJtw'/ nohtw'/ to; pro; aujtou' noei', kai; ou{tw" oujk e[xw tou' nou' to; nohtovn. To; me;n ga;r ejn auJtw'/ pa'" nou'" ajdiavforon e[cei pro;" eJautovn, to; de; pro; aujtou' pavlin ejn eJautw'/ noei'. Pa'n ga;r to; e[xw o]n ajllovtriovn ejsti kai; ejpeisodiw'de" kai; th'" fuvsew" th'" ceivrono", to; de; ejn aijtiva" 15 tavxei proi>stavmenon kai; wJ" ejfeto;n prou>pavrcon ejn aujtoi'" ejsti toi'" ejfiemevnoi". Eij" eJauta; ga;r ejpistrefovmena kai; pro;" eJauta; sunneuvonta ta;" eJautw'n aijtiva" ajneurivskei kai; pavnta ta; presbuvtera: kai; o{sw/ telewtevra kai; eJnoeidestevra tw'n ejfiemevnwn hJ peri; aujta; strofhv, tosouvtw/ ma'llon 20 toi'" eJautw'n suvneisin ejfetoi'".

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appunto si dice che Zeus lega il padre, e ciò in quanto egli stesso lega se stesso intorno a quello; ed infatti il legame è comprensione delle entità che sono legate insieme. D’altronde la verità sta in questi termini: Crono è intelletto compiutamente perfetto, ma a sua volta anche il grandissimo Zeus è intelletto; dato che entrambi sono intelletto, a mio avviso, ciascuno è in sé anche intelligibile. Infatti ogni intelletto è convertito verso se stesso, ma, convertendo- 20 si verso se stesso, agisce in relazione a se stesso, ma agendo in relazione a se stesso e non in relazione alle entità esterne, è, al contempo, intelligibile e intellettivo: in quanto ha intellezione, è intellettivo, in quanto è oggetto di intellezione, è intelligibile. Così come anche l’intelletto di Zeus è intelletto di se stesso ed è per se stesso intelligibile, allo stesso modo a sua volta anche l’intelletto di Crono 25 è per se stesso intelligibile ed è intelletto di se stesso; ma il primo è in misura maggiore intelletto, il secondo è in misura maggiore intelligibile. Infatti l’uno è posto alla sommità intellettiva, l’altro al limite inferiore; e l’uno è oggetto di desiderio, mentre l’altro è desi- 22 derante; e l’uno è ciò che ricolma, l’altro è ciò che è ricolmato. Dato che pertanto Crono è intelletto e intelligibile, anche Zeus è, però ad un secondo livello, intelletto ed intelligibile; ma la sua natura intelligibile è intellettiva, mentre la natura intellettiva di 5 Crono è intelligibile. Ebbene, dato che Zeus è allo stesso tempo intellettivo e intelligibile, egli ha intellezione di se stesso, comprende e lega strettamente l’intelligibile in lui stesso insito; d’altronde egli, legando strettamente in se stesso quest’ultimo, si dice che lega strettamente e comprende da ogni parte l’intelligibile stesso che lo precede. Ed infatti Zeus, continuando a procedere in se stesso, va verso Crono e con l’intelligibile insito in lui stesso ha 10 intellezione dell’intelligibile che lo precede, ed in tal modo «l’intelligibile non è al di fuori dell’intelletto»63. Infatti ogni intelletto possiede l’intelligibile che ha insito in se stesso come non differente rispetto a sé, d’altro canto dell’intelligibile che lo precede ha intellezione di nuovo in se stesso64. Infatti tutto ciò che è al di fuori è estraneo, ha carattere avventizio ed è di natura inferiore, mentre ciò che è preposto a livello di causa e che preesiste come 15 oggetto di desiderio si trova nelle entità stesse desideranti. Infatti esse, convertendosi verso se stesse e convergendo in direzione di se stesse, scoprono le loro proprie cause e tutte le entità che sono rispetto ad esse anteriori; e quanto più è perfetta ed uni-forme la conversione in relazione a queste ultime da parte delle entità desideranti, tanto più esse sono in contatto con i loro propri oggetti 20 di desiderio.

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Aujtw'/ a[ra tw'/ noei'n eJauto;n pa'" nou'" kai; ta; pro;" aujtou' pavnta noei', kai; o{sw/ ma'llon h{nwtai pro;" eJautovn, tosouvtw/ meizovnw" ejnivdrutai toi'" pro; eJautou' nohtoi'". Ouj gavr ejstin e[xw tw'n o[ntwn oujdeno;" to; ai[tion aujtou' kai; to; th'" oujsiva" 25 h] th'" teleiovthto" parektikovn, ajlla; to; cei'ron eJkavstou kai; ouj to; nohtovn. Dio; dh; kai; tw'n qeivwn e{kaston pro;" me;n to; cei'ron ajnepivstrofovn ejsti, pro;" de; auJto; kai; di eJautou' pro;" to; krei'tton ejpevstraptai. Kai; nou' me;n oujdeno;" to; 23 nohto;n cei'ron, pa'" de; ãnou'"Ã pro;" eJauto;n ejnergw'n kai; ta; pro; aujtou' nohta; perilabw;n noei'. Kai; ta; me;n e[stin, o{sa suzugei' pro;" aujtovn, ta; de; e[cei, tw'n prosecw'" aujtw'/ metecomevnwn, ta; de; oJra'/, tw'n porrwvteron kai; ma'llon 5 ejxh/rhmevnwn e{kaston. Dia; ga;r tou'to kai; oJ dhmiourgo;" nou'" e[sti me;n a{ma nohto;n kai; nou'", e[cei de; to; tou' patro;" nohto;n sundhvsa", wJ" oJ mu'qov" fhsin, oJra'/ de; to; aujtozw'/on, to; tw'n nooumevnwn aJpavntwn kavlliston, wJ" oJ Tivmaio" levgei. Kai; eij tau'tav g ejnnow'n oJ gennai'o" Amevlio" 10 tritto;n e[lege to;n nou'n, to;n o[nta, to;n e[conta, to;n oJrw'nta, katav ge th;n ejmh;n th'" tou' Plavtwno" dianoiva" ojrqw'" ajntelavbeto. Dei' ga;r dh; kai; to;n deuvteron mh; movnon e[cein to; nohtovn, ajll ei\nai kai; e[cein (ei\nai me;n to; suvstoicon, e[cein de; to; pro; aujtou', kaq o{son aujtou' meteivlhfe): 15 kai; to;n trivton oJra'n to; nohtovn, ajlla; kai; ei\nai kai; e[cein: kai; oJra'n me;n to; prwvtiston, e[cein de; to; prosecw'" ejpevkeina, to; de; ejn aujtw'/ kai; to; suzugou'n th'/ eJautou' nohvsei, tou'to ei\nai kai; pro;" aujto;n ajdiaivreton uJpavrcein. Eij toivnun, o{per ejx ajrch'" ejlevgomen, noei' to;n eJautou' 20 patevra Krovnon oJ Zeuv", nohto;n mevn ejstin oJ Krovno", nou'" de; oJ Zeuv", a[llo me;n w]n nohtovn, a[llou de; metevcwn. Diovper kai; oJ Plavtwn oujc aJplw'" ejkavlei nou'n to;n Krovnon, ajlla;

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Di conseguenza, per il fatto stesso di avere intellezione di se stesso, ogni intelletto ha intellezione di tutte le entità che lo precedono, ed al contempo quanto più risulta unificato con se stesso, tanto più è stabilito saldamente nelle entità intelligibili che lo precedono. Infatti il principio causale del singolo ente non è al di fuori di nessuno degli enti e così anche ciò che gli fornisce l’essen- 25 za o la perfezione, bensì al di fuori è ciò che è inferiore ad ogni singolo ente e ciò che non è intelligibile. Ecco perché ciascuna delle entità divine non può convertirsi verso ciò che è inferiore, ma si è convertita verso se stessa e attraverso se stessa a ciò che è superiore. E l’intelligibile non è inferiore a nessun intelletto, men- 23 tre ogni intelletto ha intellezione agendo in rapporto a se stesso e comprendendo gli intelligibili che lo precedono. E degli intelligibili gli uni esso li «è», cioè tutti quelli che sono congiunti con esso, gli altri invece li «possiede», cioè ciascuno degli dèi intelligibili che sono direttamente partecipati da esso, gli altri ancora li «vede», cioè ciascuno di quelli che sono più lontani ed in misura 5 maggiore trascendenti65. Per questo infatti anche l’intelletto demiurgico da un lato «è» nello stesso tempo intelligibile e intelletto, da un altro «ha» il carattere intelligibile del padre, in quanto lo ha legato strettamente, come racconta il mito, da un altro ancora «vede» il Vivente-in-sé, «il più bello» di tutti quanti «gli oggetti di intellezione», come afferma il Timeo66. E se erano questi i concetti che aveva in mente il nobile Amelio67 quando affermava 10 che l’intelletto è triplice, cioè «quello che è», «quello che possiede» e «quello che vede», a mio modo di vedere egli ha colto in modo corretto la prospettiva di pensiero di Platone. Infatti è certamente necessario che il secondo intelletto non solo abbia l’intelligibile, ma lo sia e lo abbia (che esso sia l’intelligibile che gli è coordinato, e d’altro canto che esso abbia l’intelligibile che lo precede, nella misura in cui risulta partecipe di esso); ed è necessario 15 che il terzo intelletto veda l’intelligibile, ma anche che lo sia e lo abbia, e che esso veda il primissimo e d’altra parte possegga quello che è immediatamente al di là, ed ancora che sia l’intelligibile insito in esso e congiunto alla sua stessa intellezione e che questo sia di fatto inseparabile rispetto a questo intelletto. Se pertanto, come dicevamo all’inizio68, Zeus ha intellezione di 20 suo padre Crono, Crono allora è un oggetto intelligibile, mentre Zeus è intelletto, in quanto Zeus da un lato è una diversa forma di intelligibile, e dall’altro è a sua volta partecipe di un’altra forma ancora di intelligibile. Proprio per questo motivo Platone non ha chiamato Crono semplicemente “intelletto”, ma l’«intelletto intat-

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to;n ajkhvraton nou'n, to; ga;r ejn tw'/ noerw'/ nohtovn ejstin. Epei; de; ouj to; aJplw'" ejsti nohtovn, ajll wJ" ejn toi'" noeroi'", 25 nou'" ejsti kai; aujto;" patrikov", path;r w]n a{ma kai; nou'" 24 kai; noerw'" e[cwn to; patrikovn. En me;n ou\n toi'" nohtoi'" kai; oJ nou'" pathvr ejstin, ejn de; toi'" noeroi'" kai; oJ path;r nou'". Kai; oJ Krovno" dh; ou\n nou'" ejsti kaqaro;" kai; a[ulo" kai; tevleio", ejn ejfetou' tavxei th'" dhmiourgiva" uJper5 idrumevno". Toiauvthn de; e[cwn ijdiovthta plhvrh" ejsti; tw'n nohtw'n pavntwn noerw'" kai; oi|on uJperbluvzei tai'" nohvsesi kai; uJfivsthsi ditta; gevnh qew'n, ta; me;n ejn eJautw'/, ta; de; meq eJautovn: kai; proavgei me;n ta;" tou' patro;" Oujranou' gonivmou" dunavmei" a[cri tw'n ejscavtwn, plhroi' de; th;n 10 dhmiourgikh;n tavxin tw'n gennhtikw'n ajgaqw'n. Movno" de; aujto;" tw'n qew'n metav tino" ajnavgkh" kai; oi|on biva" lambavnein te kai; didovnai levgetai th;n basilikh;n ajxivan, ejktevmnwn to; tou' patro;" govnimon, ejktemnovmeno" de; para; tou' megavlou Diov". Kai; ga;r oJrivzei th;n tou' patro;" basileivan 15 kai; oJrivzetai para; tou' met aujtovn: kai; plhrou'tai me;n ejk tw'n uJperkeimevnwn, plhroi' de; th;n o{lhn dhmiourgivan th'" gonivmou teleiovthto". Diakrivnwn de; auJto;n tou' patro;" ejxhv/rhtai tw'n ajf eJautou' gennwmevnwn. Ei|" de; nou'" w]n kai; pantevleio" ejn eJautw'/ sunevcei to; plh'qo" tw'n o{lwn 20 nohtw'n, kai; th;n ajkrovthta th;n noera;n ejkqewvsa" pa'sin ejpilavmpei to; nohto;n fw'". ıV Eijkovtw" a[ra kai; to; pa'n tou'to ditta;" e[cei zwa;" kai; periovdou" kai; sugkuklhvsei", kai; th;n me;n Kronivan, th;n 25 de; Diivan, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Politikw'/ mu'qo". Kai; kata; me;n th;n eJtevran tw'n periovdwn aujtovmata pavnta fuvei 25 ta; ajgaqa; kai; ajphvmona zwh;n e[cei kai; a[truton: kata; de; th;n eJtevran metevcei kai; th'" uJlikh'" plhmmeleiva" kai; th'" polumetabovlou fuvsew". Ditth'" ga;r ou[sh" ejn tw'/ kovsmw/

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to»69: infatti Crono è l’intelligibile che è insito nella realtà intellettiva. D’altra parte dato che non è ciò che è puramente e semplicemente intelligibile, ma è intelligibile come può esserlo tra gli intellettivi, è anche egli intelletto paterno, in quanto è al contempo 25 padre ed intelletto ed ha in forma intellettiva il carattere paterno. 24 Dunque negli intelligibili anche l’intelletto è padre, mentre negli intellettivi anche il padre è intelletto. E Crono è appunto «intelletto puro», immateriale e perfetto, posto, in qualità di desiderabile, al di sopra della attività demiurgica. Possedendo tale caratte- 5 re specifico è ricolmo in forma intellettiva di tutti gli intelligibili e per così dire trabocca delle intellezioni, e fa sussistere duplici generi di dèi, gli uni in se stesso, gli altri dopo se stesso; e fa procedere le potenze generative del padre Urano fino ai livelli ultimi, e d’altra parte ricolma il livello demiurgico dei beni atti a genera- 10 re. Inoltre egli solo tra gli dèi si dice che congiuntamente ad una certa necessità e per così dire violenza assume ed al contempo dà la dignità regale, in quanto «mutila» la facoltà generativa del padre, mentre egli a sua volta «è mutilato» dal grande Zeus70. Ed infatti egli delimita il regno del padre ed è delimitato da colui che 15 viene dopo di lui; ed è ricolmato da parte delle entità che sono poste al di sopra, mentre a suo volta ricolma della perfezione generativa tutta l’attività demiurgica nella sua interezza. Inoltre separandosi dal padre, trascende le entità da lui stesso generate. Ed ancora, essendo intelletto unico e compiutamente perfetto, contiene in se stesso la molteplicità di tutti gli intelligibili nella 20 loro totalità, e, avendo divinizzato la sommità intellettiva, fa risplendere su tutte le cose la luce intelligibile. 6 [Qual è il regno di Crono e come è stato tramandato da Platone nel “Politico”, e di quali aspetti è causa per il cosmo, per gli dèi encosmici e per le anime particolari] Di conseguenza è naturale che anche questo universo abbia due tipi di vita, di periodi ciclici e di rotazioni complessive, da un lato quella di Crono, dall’altro quella di Zeus, come afferma il mito del Politico71. Ed in base all’uno dei due periodi ciclici esso 25 produce “tutti” i beni “che nascono spontaneamente” ed ha una 25 vita priva di pena e di fatica72; invece in base all’altro periodo ciclico partecipa della confusione materiale e dei continui mutamenti cui la natura è soggetta. In effetti dato che nel cosmo la vita

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zwh'", th'" me;n ajfanou'" kai; noerwtevra", th'" de; fusikwtevra" kai; ejmfanou'", kai; th'" me;n kata; th;n provnoian ajforizomevnh", th'" de; kaq eiJmarmevnhn ajtavktw" proi>ouvsh", hJ me;n deutevra kai; polueidh;" kai; dia; th'" fuvsew" ejpiteloumevnh th'" Diiva" ejxhvrthtai tavxew", hJ de; aJploustevra kai; noera; kai; ajfanh;" th'" Kroniva". Kai; tau'ta safw'" oJ 10 Eleavth" xevno" ajnadidavskei, th;n me;n eJtevran tw'n ajnakuklhvsewn Divion ajpokalw'n, th;n de; eJtevran Kronivan. Kaivtoi kai; oJ Zeu;" th'" ajfanou'" ai[tiov" ejsti zwh'" tou' panto;" kai; tou' nou' corhgo;" kai; th'" noera'" teleiovthto" hJgemwvn, ajll ejpi; th;n Krovnou basileivan ajnavgei ta; pavnta kai; meta; 15 tou' patro;" w]n hJgemw;n uJfivsthsi to;n o{lon perikovsmion nou'n. Kai; eij dei' tajlhqh' diarrhvdhn levgein, eJkatevra me;n tw'n periovdwn, h{ te ejmfanh;" levgw kai; hJ ajfanhv", metevcei tw'n qew'n touvtwn ajmfotevrwn, ajll hJ me;n Kroniva ma'llovn ejstin, hJ de; uJpo; th;n tou' Dio;" telei' basileivan. 20 Oti d ou\n kai; oJ mevgisto" Krovno" basileivan eJtevran e[lace tw'n pro; aujtou' qew'n safw'" dedhvlwken oJ Eleavth" xevno" ejn toi'" pro; tou' muvqou lovgoi" eijpwvn: Kai; mh;n au\ thvn ge basileivan h}n h\rxe Krovno" pollw'n ajkhkovamen. Ei|" ou\n ejsti kai; kata; tou'ton to;n sofo;n tw'n 25 basilikw'n qew'n: dio; dh; kai; eJtevran ajrch;n proesthvsato tou' patrov", kajkeivnou ta; mevsa kevntra tw'n nohtw'n kai; noerw'n qew'n sunevconto" ou|to" ejxhgei'tai tw'n noerw'n dia26 kovsmwn kai; pa'si th;n noera;n corhgei' *** prwvtw" me;n qeoi'", deutevrw" de; toi'" kreivttosin, ejscavtw" de; kai; tai'" merikai'" yucai'", o{tan eij" th;n Kronivan duvnantai periwph;n ajnateivnesqai. 5 To; me;n ga;r pa'n tou'to kai; oiJ ejgkovsmioi qeoi; pavnte" ajei; th;n ditth;n e[cousi zwhvn: kai; mimou'ntai th;n me;n Kronivan novhsin dia; th'" ajfanou'" kai; noera'" ejnergeiva", to;n de; dhmiourgiko;n nou'n tou' Dio;" dia; th'" eij" ta; deuvtera pronoiva" kai; o{lw" th'" ejmfanou'" dhmiourgiva". AiJ de; merikai; 10 yucai; pote; me;n noerw'" ejnergou'si kai; tw'/ Krovnw/ kaqierou'sin eJautav", pote; de; Diivw" kai; th;n tw'n deutevrwn a[sceton poiou'ntai promhvqeian. Epeida;n de; peripolw'sin ajnavlogon 5

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è di due tipi, l’una invisibile e più intellettiva, l’altra invece più soggetta alla natura e manifesta, e l’una è definita in base alla cura 5 provvidenziale, mentre l’altra procede disordinatamente in base alla fatalità, quella che è inferiore, multiforme e si compie attraverso la natura, dipende dall’ordinamento di Zeus, quella invece che è più semplice, intellettiva ed invisibile, dipende dall’ordinamento di Crono. E questi aspetti li illustra in modo chiaro lo Stra- 10 niero di Elea, quando denomina l’uno dei due movimenti ciclici “appartenente a Zeus”, mentre l’altro “appartenente a Crono”73. Per la verità anche Zeus è causa della vita invisibile del Tutto, elargitore dell’intelletto e sovrano della perfezione intellettiva, ma conduce in alto al regno di Crono tutte le entità e, essendo sovra- 15 no insieme al padre, fa sussistere tutto nella sua interezza l’intelletto pericosmico. E se si deve dire in termini espliciti la verità, ciascuno dei due periodi ciclici, intendo dire sia quello invisibile sia quello manifesto, partecipa di entrambi questi dèi, ma l’uno è in misura maggiore Cronio, mentre l’altro rientra nel regno di Zeus. Il fatto che, ad ogni modo, anche il grandissimo Crono abbia 20 avuto in sorte un regno diverso da quello degli dèi che lo precedono, lo ha messo chiaramente in luce quando nei discorsi che precedono il mito afferma: «E certamente per quel che concerne il regno che esercitò Crono, abbiamo sentito molti parlarne»74. Dunque Crono è, anche secondo questo sapiente, uno degli dèi che hanno potere regale; proprio per questo 25 Crono ha stabilito per sé un dominio diverso da quello del padre, e mentre quest’ultimo contiene gli ambiti centrali intermedi degli dèi intelligibili-intellettivi, Crono è a alla testa degli ordinamenti intellettivi ed elargisce a tutte le entità la 75 intelletti- 26 va, in modo primario agli dèi, secondariamente agli esseri superiori, ed infine ad un ultimo livello anche alle anime particolari, nel caso in cui esse siano in grado di tendersi in alto verso la «specola»76 Cronia. In effetti questo universo e tutti gli dèi encosmici hanno sem- 5 pre la duplice forma di vita; e così da un lato imitano l’intellezione di Crono attraverso l’attività invisibile ed intellettiva, dall’altro l’intelletto demiurgico di Zeus attraverso la cura provvidenziale nei riguardi delle entità inferiori ed in generale attraverso l’attività demiurgica manifesta. Dal canto loro le anime particolari agi- 10 scono ora in modo intellettivo e consacrano se stesse a Crono, ora invece in modo conforme a Zeus e esercitano la cura provvidente, priva di relazione, rivolta agli esseri inferiori. D’altro canto, allor-

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ejkeivnoi", tav te nohta; noou'si kai; ta; aijsqhta; diakosmou'si kai; zw'sin ajmfotevra" ta;" zwav", w{sper oiJ qeoi; kai; ta; kreivttona gevnh. Dittai; ga;r aujtw'n aiJ perivodoi, noera; me;n a[llh, pronohtikh; de; a[llh: kai; ta; paradeivgmata dittav, th'" me;n oJ Krovnio" nou'", th'" de; oJ Divio": ejpei; kai; aujto;" oJ mevgisto" Zeu;" ditth;n e[cei th;n ejnevrgeian, nw'/ me;n ta; nohta; katevcwn, th'/ de; dhmiourgikh'/ poihvsei ta; aijsqhta; diakosmw'n.

zV Dittw'n dh; tw'n ajnakuklhvsewn oujsw'n, ouj movnon ejn toi'" o{loi", ajlla; kajn tai'" merikai'" yucai'", ejn me;n th'/ Kroniva/ periovdw/ th;n gevnesin oujk ejx ajllhvlwn ei\naiv fhsin 27 aujtai'" oJ Eleavth" xevno", w{sper toi'" fainomevnoi" ajnqrwvpoi", oujde; kaqw;" oJ par hJmi'n prw'to" a[nqrwpo" movnon ghgenhv" ejstin, ou{tw" kai; ejpi; tw'n merikw'n yucw'n mivan th;n prwvthn, ajll ei\nai pavsa" ghgenei'": ejk ga;r tw'n 5 ejscavtwn kai; ghi?nwn swmavtwn ajnavgontai kai; th'" ajfanou'" ajntilambavnontai zwh'", ajpoleivpousai th;n aijsqhthvn. All oujde; eij" gh'ra" aujta;" rJevpein kai; ajpo; newtevrwn ejpi; to; presbuvteron metabavllein, toujnantivon de; ajkmaiotevra" ajpotelei'sqai, kai; noerw'"b th;n ejnantivan th'/ genevsei poreuomevna" 10 oJdo;n kai; oi|on ajnaluouvsa" h}n katiou'sai sunevqesan poikilivan zwh'". Dio; dh; kai; pavnta ta; proshvkonta th'/ neovthti suvmbola kajkeivnai" uJpavrcei tai'" yucai'", to; a[tricon kai; to; lei'on, ejk poliw'n kai; geneiwvntwn toiauvtai" genomevnai": pa'n ga;r to; prosfuovmenon aujtai'" ejk th'" genevsew" ajpo15 skeuavzontai. Genomevnai" de; ejkei' para; tw'/ Krovnw/ kai; to;n ejkei' diazwvsai" bivon karpoi; me;n a[fqonoi, fhsivn, uJpavrcousin ajpo; devndrwn kai; pollh'" a[llh" u{lh" aujtomavtw" ajnadidouvsh" th'" gh'", gumnoi; de; kai; a[strwtoi quraulou'nte" ta; polla; nevmontai, th;n 20 ga;r tw'n wJrw'n kra'sin a[lupon e[cousin: malakai'"

b Gli Editori correggono il tràdito noerw'" con noerav" e pongono la virgola dopo quest’ultimo termine. A mio avviso la correzione non è necessaria e la virgola va inserita prima di kaiv.

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ché esse si muovono tutto intorno in modo analogo agli dèi, esse hanno intellezione degli oggetti intelligibili, ordinano quelli sensibili e vivono entrambe le vite, proprio come gli dèi e i generi superiori. Infatti duplici sono i loro periodi ciclici, l’uno intellettivo, l’altro provvidente; e duplici sono i loro modelli, dell’uno è modello l’intelletto di Crono, dell’altro quello di Zeus; in effetti anche l’attività dello stesso grandissimo Zeus è duplice: in quanto «con l’intelletto contiene gli intelligibili»77, mentre con la produzione demiurgica ordina i sensibili.

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7 [Qual è la vita Cronia delle anime, e quali sono le caratteristiche specifiche di questa rotazione ciclica che ha tramandato lo Straniero di Elea] Proprio perché duplici sono le rotazioni cicliche, non solo nelle entità universali, ma anche nelle anime particolari, lo Stranie- 27 ro di Elea afferma che nel periodo ciclico Cronio esse si generano «non l’una dall’altra», come nel caso degli esseri umani visibili78, e che, diversamente da come avviene presso di noi, ove solo il primo essere umano79 è «nato dalla terra», nel caso delle anime particolari non solo la prima, ma tutte sono «nate dalla terra»80; in effetti esse sono condotte verso l’alto a partire dai corpi che ven- 5 gono per ultimi e sono terreni81, e ottengono di prendere parte alla vita invisibile abbandonando la vita sensibile. Ma esse, egli afferma, non sono soggette neppure a diventare vecchie ed a mutare da più giovani che erano verso una condizione di maggiore vecchiezza, ma, al contrario, esse sono rese sempre più vigorose, sia in quanto procedono in modo intellettivo per la via opposta 10 rispetto a quella della generazione, sia perché, per così dire, dissolvono la varietà di vita che esse erano venute a formare durante la loro discesa. Proprio per questo motivo anche a quelle anime appartengono tutti i simboli che si confanno alla giovinezza: l’essere prive di peli e l’avere la pelle liscia, divenute tali da canute e mature che erano; infatti esse si sbarazzano di tutto ciò che fa parte del processo di crescita in seguito alla generazione. A loro 15 disposizione, una volta che sono giunte là presso Crono e vivono la vita di là, afferma , vi sono «frutti in abbondanza, prodotti dagli alberi e da molta altra vegetazione, in quanto la terra li dona spontaneamente; inoltre nudi ed accampandosi all’aperto senza bisogno di giacigli godono di molte cose, infat- 20

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de; eujnai'" crw'ntai, fuomevnh" aujtoi'" ejk gh'" pova" ajfqovnou. Tau'ta dh; kai; ta; toiau'ta ajgaqa; karpou'ntai para; tou' megivstou touvtou qeou' kata; th;n Kronivan perivodon aiJ yucaiv. Plhrou'ntai me;n ga;r tw'n zwogonikw'n ajgaqw'n 25 ejkei'qen kai; tou;" noerou;" drevpontai karpouv", ajpo; tw'n o{lwn, ajll oujk ejk merikw'n ejnergeiw'n th;n teleiovthta porivzousai kai; to; makavrion eJautai'". H me;n ga;r doxasth; trofh; merista;" e[cei kai; ejnuvlou" ta;" ajntilhvyei", hJ de; 28 noera; kaqara;" kai; ajmerivstou" kai; aujtofuei'", o} dh; kai; to; aujtovmaton aijnivssetai kai; hJ ejk th'" gh'" ajnavdosi", aujtou' tou' gonivmou tw'n qew'n th;n teleiovthta kai; th;n aujtavrkeian ejpilavmponto" tai'" yucai'". Dia; ga;r th;n a[fqonon peri5 ousivan tw'n ajgaqw'n kai; toi'" deutevroi" ejpirrei'n duvnantai to; prosh'kon aujtoi'" th'" eujdaimoniva" mevtron. Ou[t ou\n citw'na" peribavllontai, kaqavper o{tan eij" gevnesin cwrw'sin, ou[te prosqhvkai" pleonavzousi th'" zwh'", ajll aujtai; kaq eJauta;" kaqareuvousai pavsh" sunqevsew" kai; poikiliva" 10 kai; to;n eJautw'n ajnegeivrousai nou'n, pro;" touvtoi" ajnateivnontai uJpo; tou' noerou' patro;" kai; metevcousi tw'n o{lwn ajgaqw'n, frourouvmenai uJpo; tw'n Wrw'n kai; ta; mevtra th'" eujdaivmono" zwh'" uJp aujtw'n uJpodecovmenai: pavnta de; to;n bivon meta; rJa/stwvnh" diatelou'sai kai; th;n a[u>pnon zwh;n 15 kai; a[cranton ejn tai'" gennhtikai'" dunavmesin ejnidruvousai tw'n nohtw'n, plhrouvmenai de; tw'n noerw'n karpw'n kai; trefovmenai toi'" ajuvloi" kai; qeivoi" ei[desi to;n ejpi; Krovnou bivon levgontai zh'n.

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hV Oti dh; th'" noera'" aJpavsh" zwh'" oJ qeo;" ou|tov" ejstin hJgemw;n kai; pa'" nou'" o{ te ajmevqekto" kai; oJ meqekto;" ejk th'" touvtou proveisin aijtiva", kai; to; nevmein toivnun ta;" yuca;" kai; to; trevfein proshvkei tw'/ megivstw/ touvtw/ qew'/. Diovti me;n ga;r nohtov" ejstin ejn toi'" noeroi'", trevfei me;n aujto;" ta;" yucav", trovfimoi de; aiJ yucai; kalou'ntai tou' Krovnou:

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ti» hanno un clima temperato prodotto dalla mescolanza «delle stagioni, in modo che non provino alcuna pena»; si servono «poi di morbidi giacigli, in quanto» per essi «dalla terra è prodotta erba in abbondanza»82. Questi e di simile sorta sono i beni di cui le anime godono da parte di questo grandissimo dio durante il periodo di Crono. In effetti esse certamente si ricolmano grazie a quel dio dei 25 beni generatori di vita e colgono i frutti intellettivi, in quanto è dalle attività universali, ma non da quelle particolari, che esse procurano a se stesse la perfezione e la condizione di beatitudine. Infatti «il nutrimento prodotto dall’opinione»83 fornisce cognizioni frammentarie e materiali, mentre quello intellettivo fornisce 28 cognizioni pure, indivisibili e che si originano da sé, il che appunto esprime per allusione il carattere della “spontaneità” ed il “prodursi” direttamente dalla terra, in quanto è proprio la capacità generativa stessa degli dèi che fa risplendere sulle anime la perfezione e l’autosufficienza. Infatti è per via di questa abbondante 5 profusione dei beni che anche sugli esseri inferiori esse sono in grado di riversare84 la misura della felicità ad essi adatta. Ed esse dunque non si ricoprono di tuniche85, come fanno quando procedono verso la generazione, né sovraccaricano la loro vita di aggiunte superflue, ma purificandosi in se stesse da ogni composi- 10 zione e varietà, e rivolgendo verso l’alto il loro proprio intelletto, si protendono in alto in questa direzione ad opera del padre intellettivo e partecipano dei beni universali, essendo custodite dalle Stagioni86 e ricevendo da esse le misure della vita felice; inoltre, dato che trascorrono tutta la loro esistenza con facilità e stabilisco- 15 no saldamente nelle potenze generatrici degli intelligibili la loro vita insonne ed incontaminata, e dato che per giunta si ricolmano dei frutti intellettivi e si nutrono delle Forme immateriali e divine, si dice che esse vivono «la vita che si conduce sotto Crono»87. 8 [In che senso si afferma che le anime si nutrono degli intelligibili e qual è la differenza del nutrimento da parte dei diversi intelligibili] Proprio perché questo dio è sovrano di tutta quanta la vita intellettiva e ogni intelletto, sia quello impartecipabile che quello partecipabile, procede da questo dio come dalla sua causa, orbene, sia il far pascolare le anime sia il nutrirle si confanno a questo grandissimo dio. Invero, per il fatto che è intelligibile fra gli intellettivi, da un lato egli stesso nutre le anime, e dal canto loro le

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de; ouj tw'n prwtivstwn aujta;" plhroi' kai; eJniaivwn nohtw'n, ajlla; tw'n eJautou' th'/ th'" diakrivsew" aijtiva/ plhquomevnwn, nevmein aujta;" kai; oi|on dih/rhmevnw" ajpoplhrou'n levgetai. Kai; oJra'/" o{pw" dia; touvtwn oJ qeo;" ou|to" 5 ajnafaivnetai th'/ prwtivsth/ triavdi tw'n nohtw'n kai; noerw'n suvstoico" w[n. W" ga;r oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth" trevfesqai ta;" yuca;" ejn tw'/ uJperouranivw/ tovpw/ kai; tw'/ leimw'ni tw'/ nohtw'/ fhsin, ou{tw dh; kai; oJ Eleavth" xevno" uJpo; tw'/ Krovnw/ nemomevna" aujta;" plhrou'sqai tw'n noerw'n 10 ajgaqw'n. Kai; oujde;n qaumasto;n eij par ajmfoi'n aiJ yucai; teleiou'ntai, noerw'" me;n uJpo; th'/ basileiva/ tou' Krovnou, nohtw'" de; uJpo; th'/ nohth'/ tavxei tw'n prwvtwn noerw'n qew'n. Kai; ga;r aujto;" oJ qeo;" ou|to" uJp ejkeivnh" trevfetai th'" tavxew": kai; 15 dia; tou'to th;n hJgemonikh;n e[lace kai; prwtourgo;n ejn toi'" noeroi'" uJperochvn, o{ti dh; par ejkeivnh" aujth'" tw'n krufivwn plhrou'tai kai; ajfanw'n dunavmewn kai; tou'tov ejstin ejn toi'" noeroi'" patravsin o{per ejkeivnh peri; tou;" nohtou;" oJmou' kai; noerou;" diakovsmou". Pantacou' dh; ou\n tai'" yucai'" 20 ajnagomevnai" trofh; me;n givgnetai to; nohtovn, hJ de; pro;" aujto; sunoch; dia; tw'n deutevrwn uJpavrcei kai; trivtwn qew'n. Wsper ou\n hJ dhmiourgikh; tavxi" ejpi; th;n Kronivan aujta;" ajnavgei periwphvn, ou{tw dh; kai; hJ Kroniva tavxi" ejpi; th;n uJpouranivan aJyi'da. Ta;" ga;r pollav" te kai; maka25 riva" diexovdou" ejn th'/ Krovnou basileiva/ poihsavmenai pavlin ejnteu'qen ejpi; th;n telesiourgo;n ajnateivnontai triavda, kajnteu'qen ejpi; th;n Oujranivan, ajf h|" to;n uJperouravnion qewvmenai tovpon aujtoi'" ajrrhvtw" h[dh sunavptontai toi'" 30 ajkrotavtoi" tw'n nohtw'n ajgaqoi'": kai; tou'ton dh; to;n trovpon aiJ deuvterai diakosmhvsei" ajei; sunavptousi ta;" yuca;" tai'" pro; aujtw'n. }O dh; kai; hJ qeourgiva mimoumevnh ta;" ajfanei'" periovdou" tw'n yucw'n, ta;" pro;" tou;" deutevrou" qeou;" 5 teleta;" prou>potivqhsi tai'" uJyhlotevrai" kai; dia; touvtwn hJma'" ejp aujth;n diabaivnein poiei' th;n nohth;n periwphvn.

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anime vengono denominate «allevate da Crono»88; d’altro canto 29 per il fatto che non è dei primissimi ed unitari intelligibili che egli ricolma le anime, ma dei suoi propri intelligibili che sono moltiplicati dalla causa della differenziazione, si dice che egli «fa pascolare»89 le anime e le sazia in modo, per così dire, separato e distinto. E si vede in che modo attraverso tali considerazioni questo dio si riveli coordinato alla primissima triade degli intelligibili-intellet- 5 tivi. Come infatti Socrate nel Fedro afferma che le anime «si nutrono» nel «luogo sopraceleste» e nel «prato»90 intelligibile, allo stesso modo appunto anche lo Straniero di Elea afferma che esse sono fatte pascolare da Crono e sono di conseguenza ricolmate dei beni intellettivi. 10 E non c’è nessun motivo di meraviglia se in entrambi i testi le anime sono rese perfette, in modo intellettivo sotto il regno di Crono, invece in modo intelligibile sotto l’ordinamento intelligibile dei primi dei intellettivi. Ed infatti questo dio è egli stesso nutrito da quell’ordinamento; e per questo motivo ha ottenuto in 15 sorte la superiorità propria di un sovrano ed originaria tra gli intellettivi, poiché presso quello stesso ordinamento Crono si ricolma delle potenze celate e invisibili, ed egli è tra i padri intellettivi ciò che quell’ordinamento è in relazione ai livelli allo stesso tempo intelligibili e intellettivi. In ogni ambito quindi «l’intelligi- 20 bile» diviene «un nutrimento»91 per le anime che si elevano, e d’altra parte la connessione con esso viene a sussistere per il tramite degli dèi di secondo e di terzo livello92. Come dunque l’ordinamento demiurgico eleva le anime verso la specola Cronia, allo stesso modo appunto l’ordinamento Cronio, a sua volta, le eleva verso la «volta subceleste»93. Infatti le anime, avendo compiuto 25 nel regno di Crono «i molteplici e beati percorsi»94, di nuovo da lì si protendono in alto verso la triade perfezionatrice, e da lì verso la triade celeste95, dalla quale le anime, contemplando «il luogo sovraceleste»96, a questo punto si congiungono in modo ineffabile ai beni supremi stessi degli intelligibili; ed è proprio in questo 30 modo che gli ordinamenti secondi congiungono sempre le anime agli ordinamenti che sono loro superiori. Ed è appunto per questo che la teurgia, imitando i periodi ciclici invisibili delle anime, antepone le iniziazioni agli dèi di secondo livello a quelle più ele- 5 vate, e, per il tramite di queste iniziazioni, ci fa passare alla specola intelligibile stessa.

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ãqVÃ Tau'ta me;n ou\n peri; th'" Kroniva" zwh'" kai; th'" uJpo; tw'/ Krovnw/ tw'n yucw'n politeiva" oJ Plavtwn oujk ejn touvtoi" 10 movnon, ajlla; kajn toi'" tou' Aqhnaivou xevnou lovgoi" ejndeivknutai. Kai; ga;r ejn tw'/ tetavrtw/ tw'n Novmwn to;n ejpi; tou' Krovnou bivon ajnumnei', tov te a[cranton th'" ejnergeiva" ejkeivnh" kai; to; rJa'/ston kai; to; plh're" kai; to; au[tarke" dia; tw'n muqikw'n plasmavtwn aijnissovmeno". Eij de; dei' kai; ejk 15 touvtwn kai; ejk pavsh" aujtou' th'" peri; tou' qeou' touvtou mustagwgiva" kai; ta;" tavxei" ajnalogivsasqai kai; dielqei'n o{sa" aujto;" ejfivsthsi toi'" o{loi", prw'ton me;n tou;" ejn Gorgiva/ trei'" basileva" ejnnohvswmen dianemomevnou" aujtou' th;n basileivan, ou}" oJ Krovno" parhvgagen wJ" th;n eJnoeidh' kai; 20 ajmevriston ajrch;n dih/rhmevnw" klhrwsomevnou", kai; to;n novmon aujtoi'" to;n qei'on ejpevsthse th'" kata; nou'n dianomh'" ai[tion o[nta kai; aujtoi'" toi'" qeoi'" kai; toi'" meta; qeou;" a{pasin. Deuvteron de; ou}" ejn toi'" Novmoi" a[rconta" kai; basileva" ejfistavnein levgetai tai'" diafovroi" 25 lhvxesi tw'n yucw'n, oujk ajnqrwvpou", ajlla; gevnou" qeiotevrou kai; ajmeivnono" daivmona", oi} kai; ta; mevtra 31 tw'n ajgaqw'n dianevmousi tai'" yucai'" kai; ta;" genesiourgou;" aujtw'n zwa;" ajpokovptousi kai; th;n a[takton fora;n sustevllousi kai; katevcousin aujta;" ejn tw'/ nohtw'/ kai; th'/ basileiva/ tou' Krovnou perilabou'sai. To; trivton toivnun ou}" ejn tw'/ 5 Politikw'/ kata; mevrh tw'/ te kovsmw/ kai; tai'" ajgevlai" tai'" ejn aujtw'/ qeou;" daivmona" ejfivsthsin, wJ" oJ Eleavth" xevno" ei[rhke, pote; me;n ejfaptomevnou" tw'n dioikoumevnwn kai; nevmonta" aujtoi'" ta; noera; kai; ajfanh' pavnta ajgaqav, pote; de; ajfistamevnou" th'" fusikh'" tou' kovsmou zwh'" kai; 10 eij" th;n eJautw'n periwph;n ajnatrevconta" kai; mimoumevnou" th;n ejxh/rhmevnhn tou' dhmiourgou' kai; patro;" uJperochvn. Epi; de; touvtoi" aujtw'n tw'n ejgkosmivwn qew'n ta;" ditta;" ajnakuklhvsei" qeaswvmeqa, thvn te Kronivan kai; th;n Divion: e[cousi ga;r eJkatevran ajeiv, kaqavper aujto;" oJ 15 mu'qov" fhsin oJ ejn tw'/ Politikw'/. Th;n me;n ga;r tw'n

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[Quali ordinamenti divini il grandissimo Crono pone a capo della totalità dell’universo; in questo capitolo è stata spiegata la legge Cronia che è tramandata nel “Gorgia”] Queste indicazioni, dunque, a proposito della vita Cronia e del modo di vivere delle anime sotto il controllo di Crono, Platone le fornisce non solamente in questo testo, ma anche nei discorsi del- 10 lo Straniero di Atene. Ed infatti nel quarto libro delle Leggi97 egli celebra «la vita che si conduce sotto Crono», indicando per allusioni, attraverso le finzioni mitiche, la purezza della attività in quella vita, la sua facilità, la sua pienezza e la sua autosufficienza. Ma se, a partire sia da queste considerazioni sia da tutta la dottri- 15 na misterica di Platone concernente questo dio, occorre desumere ed al contempo esporre tutti gli ordinamenti che egli stesso mette a capo dell’universo nella sua totalità, in primo luogo dobbiamo prendere in considerazione i tre re nel Gorgia98 «che si dividono» il regno di Crono; quelli che Crono introdusse perché ricevessero in sorte in modo suddiviso il dominio uni-forme ed 20 indivisibile; ed a capo di essi egli ha posto «la norma» divina che è principio causale «della distribuzione in base all’intelletto»99, sia per gli dèi stessi sia per tutte quante le entità che vengono dopo gli dèi. In secondo luogo poi quelli che nelle Leggi si dice che prepone come capi e re alle varie sorti assegnate alle anime, «non esseri umani, ma demo- 25 ni di una stirpe più divina e migliore»100, i quali al contempo distribuiscono alle anime le misure dei beni, recidono le loro vite vin- 31 colate alla generazione, riducono il loro movimento disordinato, le trattengono, avendole circondate101, nell’intelligibile e nel regno di Crono. In terzo luogo poi quelli che nel Politico pone a capo delle singole 5 parti del cosmo e delle greggi che si trovano in esso, gli dèi demoni, come ha detto lo Straniero di Elea102, i quali ora sono in contatto con le entità che governano e distribuiscono ad esse tutti i beni intellettivi ed invisibili, ora invece si ritraggono dalla vita naturale del cosmo, si ritirano in alto «verso la loro specola»103 ed 10 imitano la trascendente superiorità del «Demiurgo e padre»104. Poi oltre a ciò dobbiamo contemplare la duplice rotazione ciclica degli dèi encosmici stessi, sia quella di Crono che quella di Zeus; infatti essi hanno sempre entrambe l’una e l’altra rotazione, come afferma il mito stesso del Politico105. In effetti è evidente che lo 15

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a[strwn te kai; hJlivou metabolh;n dh'lon wJ" ejn eJkatevrai" sumpivptei tai'" strofai'" givgnesqai. Ditth'" ou\n ou[sh" aujth'" th'" periovdou, panti; katafane;" o{ti kai; tw'n Kronivwn ajgaqw'n eijsi plhvrei" kai; metevcousi th'" Kroniva" 20 seira'". Kai; oujc oiJ ejgkovsmioi qeoi; movnon, ajlla; kai; ta; kreivttona gevnh pavnta ta; sunepovmena toi'" qeoi'" ajmfotevroi" ejnergei' ta;" ejnergeiva" kai; sumfevretai ta;" ditta;" periforav": di w|n kai; yucai; pote; metalagcavnousi th'" noera'" zwh'" kai; stevllontai th;n poreivan tauvthn, ajnti; 25 th'" aijsqhvsew" ajllaxavmenai nou'n hJgemovna th'" eJautw'n kinhvsew" kai; perifora'". Anwqen dh; ou\n ajpo; tw'n prwtivstwn qew'n mevcri tw'n merikw'n yucw'n diateivnei th;n eJautou' basileivan oJ Krovno" 32 kai; pavnta teleioi' kai; plhroi' tw'n noerw'n ajgaqw'n, ªkai;º a[lloi" kat a[lla mevtra tw'n ajgaqw'n ta;" dianoma;" ajpergazovmeno". Dia; ga;r tou'to kai; oJ novmo" aujtw'/ sunufevsthken, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Gorgiva/ Swkravth": Hn ou\n novmo" 5 o{de ejpi; Krovnou, kai; ajei; kai; nu'n e[ti ejsti;n ejn qeoi'". Nou' gavr ejstin oJ novmo" dianomhv, nou'" de; oJ prwvtisto" kai; kaqarwvtato" kai; ajkhvrato" ou|tov" ejstin oJ qeov". Eij de; kai; diairevsew" ou|to" prohgei'tai pavsh" kai; diakrivsew" ejxavrcei noera'", ajnavgkh dhvpou kai; kata; 10 tou'ton to;n lovgon ei\nai par aujtw'/ to;n novmon, to;n diakrivnonta me;n ta;" tavxei" tw'n o[ntwn kai; ta; noera; gevnh diistavnta kai; ta; ei[dh pavnta cwrivzonta kata; th;n eu[takton provodon, pa'si de; to; mevtron th'" uJpavrxew" ejpilavmponta kai; sunevconta th;n ejn aujtoi'" tavxin kai; tou;" o{rou" th'" 15 qeiva" dianomh'" ajklinei'" diafulavttonta kai; tauvthn e[conta th;n ajxivan ejn th'/ Krovnou basileiva/ kai; toi'" noeroi'", h}n ejn tw'/ uJperouranivw/ tovpw/ kai; toi'" nohtoi'" oJmou' kai; noeroi'" hJ Adravsteia. Af eJkatevrou ga;r aujtw'n hJ a[trepto" froura; kai; hJ th'" tavxew" ejpi; pavnta provodo" 20 ajpogenna'tai, diafevrousi de; ajllhvlwn o{ti diairei' me;n oJ novmo" to; e}n eij" plh'qo" kai; diorivzei ta; mevtra th'" noera'" uJpostavsew" kai; dianevmei to; oijkei'on eJkavstoi" ajgaqovn, ajpo; tou' eJno;" nou' proavgwn ta; diavfora mevtra tw'n o[ntwn, hJ de; Adravsteia pavnta frourei' monoeidw'" ejn tw'/ nohtw'/ 25 mevnousa kai; th;n o{lhn tavxin ajklinw'" diathrei' pavsh" diairevsew" ejxh/rhmevnh. Qeo;" ou\n ti" oJ novmo" diairetiko;" tw'n qeivwn eijdw'n kai; ajforistiko;" tw'n eJkavstoi" proshkovntwn, kata; th;n ajpo; th'" mia'" kai; eJnoeidou'" aijtiva" ajpoplhv-

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«scambiarsi di posizione degli astri e del sole»106 si viene a verificare nell’una e nell’altra rotazione. Dunque, dato che il periodo ciclico stesso è duplice, è per ciascuno palese che essi sono ricolmi anche dei beni di Crono e partecipano della catena di Crono. 20 E non gli dèi encosmici solamente, ma anche tutti i generi superiori che vengono al seguito di entrambi gli dèi107 compiono le loro attività e sono mossi insieme in base alle duplici rotazioni; ed è ancora attraverso questi movimenti circolari che le anime talvolta partecipano della vita intellettiva ed «intraprendono» questo viaggio108, dopo che al posto della sensazione esse 25 hanno assunto «l’intelletto» come «sovrano»109 del proprio movimento e della propria rotazione. Ebbene, dall’alto, dai primissimi dèi fino alle anime individuali, Crono estende il proprio regno, e rende perfetti tutti gli esseri 32 e li ricolma dei beni intellettivi, realizzando le distribuzioni dei beni nella misura appropriata a seconda dello specifico caso. In effetti è per questo che anche “la norma” è venuta a sussistere insieme con lui, come afferma Socrate nel Gorgia: «Vigeva dunque questa norma al tempo di Crono, e sempre ancora attualmente fra 5 gli dèi»110. Infatti «la norma è distribuzione di intelletto», mentre «l’intelletto» primissimo e «purissimo ed intatto» è questo dio111. Se poi questo dio presiede ad ogni divisione e governa la distinzione intellettiva, è a mio avviso necessario, anche in base a que- 10 sto ragionamento, che presso di lui si trovi la norma, la quale, da un lato, distingue i livelli degli enti, separa i generi intellettivi e divide tutte le forme in base alla processione ben ordinata, e dall’altro fa risplendere su tutti gli esseri la misura della loro autentica realtà, mantiene insieme l’ordine insito in essi, salvaguarda 15 nella loro immutabilità i confini della ripartizione divina e possiede nel regno di Crono e tra gli intellettivi la stessa dignità che nel «luogo sovraceleste» e tra gli intelligibili-intellettivi possiede «Adrastea»112. In effetti dall’una e dall’altra sono generati la custodia immutabile e la processione dell’ordine verso tutti gli esseri, mentre differiscono fra loro poiché la norma divide l’unità in 20 una molteplicità, delimita le misure della realtà intellettiva e distribuisce a ciascun essere il bene che gli è appropriato, facendo procedere dall’intelletto unico le differenti misure degli enti, mentre Adrastea custodisce tutti gli enti in modo uniforme, permanendo 25 nell’intelligibile, e controlla immutabilmente l’ordine nella sua interezza, trascendendo ogni forma di divisione. Dunque la norma è un determinato dio atto a dividere le forme divine ed a definire i caratteri che si addicono a ciascuna, coesistendo con l’ordina- 33

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33 rwsin tw'/ Kronivw/ diakovsmw/ sunupavrcwn, ejn w|/ kai; prw'ton

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aiJ tw'n o[ntwn diakrivsei" kai; hJ pantelh;" tw'n eijdw'n provodo". Dio; dh; kai; oJ dhmiourgo;" pro;" tou'ton blevpwn kata; novmon a[gei ta; pavnta, kai; th'" me;n eJnwvsew" th'" tou' patro;" eijkovna th;n ejgkovsmion uJfivsthsi provnoian, th'" de; kata; to;n novmon diairevsew" th;n eiJmarmevnhn kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou". Kai; toivnun kai; aiJ yucai; kata; novmon zw'sin, ejn me;n th'/ Diiva/ periovdw/ kata; tou;" eiJmarmevnou" novmou" dioikouvmenai, ejn de; th'/ Kroniva/ kata; to;n qei'on novmon diexagovmenai, *** tw'/ plhvqei douleuvousin, ejkei' de; eij" mivan aijtivan ajnateivnontai: ajniou'sai de; eij" th;n nohth;n periwph;n uJpotavttontai tw'/ Adrasteiva" qesmw'/: diateivnei ga;r ejkei'no" a[nwqen mevcri tw'n ejscavtwn kai; ta; mevtra tai'" yucai'" ajforivzei tw'n o{lwn periovdwn, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth".

iV Tiv" me;n ou\n oJ mevgisto" ou|to" qeov", kai; o{swn ai[tio" ajgaqw'n tai'" yucai'" kai; pro; touvtwn toi'" th'" yuch'" 20 hJgemovsi, qeoi'" te kai; daivmosin, ajpo; touvtwn e[stw dh'lon. Tw'n de; qeolovgwn to; ajghvrwn th'/ tavxei tauvth/ proshvkein legovntwn, wJ" oi{ te bavrbaroiv fasi kai; oJ tw'n Ellhvnwn qeolovgo" Orfeuv" (kai; ga;r ou|to" ajei; melaivna" ei\nai ta;" tou' Kronivou proswvpou trivca" mustikw'" levgei kai; mhdamh'/ 25 givgnesqai poliav"), qaumavzw to;n tou' Plavtwno" e[nqeon 34 nou'n ta; aujta; peri; tou' qeou' touvtou toi'" kat i[cno" aujtou' poreuomevnoi" ejkfaivnonta. En ga;r th'/ Kroniva/ periovdw/ to; gh'ra" ajfievnai fhsi; ta;" yucav", ejpi; de; to; nevon ajnakavmptein, kai; to; me;n polio;n ajfairei'n, ta;" de; trivca" 5 melaivna" i[scein. Tw'n ga;r presbutevrwn, fhsivn, aiJ leukai; trivce" ejmelaivnonto, tw'n de; geneiwvntwn aiJ pareiai; leiainovmenai eij" th;n parelqou'san

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mento Cronio in base alla pienezza originata dalla causa unica ed uni-forme, ordinamento nel quale appunto si trovano per la prima volta le distinzioni fra gli enti e la processione perfettamente compiuta delle forme. Proprio per questo il Demiurgo, guardando a questo ordinamento, conduce tutti gli esseri in modo conforme alla norma, e fa sussistere la cura provvidenziale encosmica come un’immagine dell’unità propria del padre, e, a loro volta, il fato e «le norme stabilite dal fato»113 come immagini della divisione in base alla norma. E pertanto anche le anime vivono secondo la norma, essendo governate nel periodo ciclico di Zeus in base alle «norme stabilite dal fato», mentre nel periodo ciclico di Crono esse sono guidate in base alla norma divina114; 115 esse sono sottomesse alla molteplicità, mentre là esse sono protese in alto verso una causa unica; e poi, elevandosi verso la specola intelligibile, sono soggette alla «suprema legge di Adrastea»116: infatti quella si estende dall’alto fino agli ultimi livelli del reale e delimita per le anime le misure degli interi periodi ciclici, come afferma Socrate nel Fedro117.

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10 [In che senso questo dio è specificamente chiamato dai teologi “mai vecchio” e come Platone ha tramandato questa sua caratteristica specifica] Di che natura dunque sia questo grandissimo dio, e di quali beni sia principio causale per le anime e prima di queste per i sovrani delle anime, dèi e demoni, deve risultare chiaro da queste 20 considerazioni. Inoltre, dato che i teologi affermano che a questo ordinamento si addice il non essere soggetto a vecchiaia, come dicono non solo i teologi barbari118 ma anche il teologo dei greci, Orfeo (ed infatti egli afferma in modo mistico che i peli del viso di Crono sono sempre neri e che non diventano mai in nessun 25 modo grigi), ho ammirazione per l’intelletto divinamente ispirato 34 di Platone che rivela a proposito di questo dio le stesse cose rivelate da coloro che procedono sulle orme di Orfeo. Infatti Platone afferma che nel periodo ciclico di Crono le anime si liberano della vecchiezza, mentre si rivolgono verso la giovinezza, e si sbarazzano della loro canizie, mentre mantengono i capelli neri. Infatti 5 dice Platone: «i capelli bianchi dei più vecchi diventavano neri, e le guance di coloro che avevano la barba, divenendo lisce, riportavano

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w{ran kaqivstanto. Tau'ta me;n oJ Eleavth" xevno", dev ge Orfeu;" ta; touvtoi" o{moia peri; tou' qeou' diatavttetai: 10

oJ

ã......................................à uJpo; Zhni; Kronivwni ajqavnaton aijw'na lacei'n, kaqaroi'o geneivou ãoujà diera;" caivta" eujwvdea" oujde; ãkavrhto" ghvrao" hjÃpedanoi'o mighvmenai a[nqei> leukw'/, ajlla; ã.............................à ejriqhleva lavcnhn.

ã........................................................................................................Ã th;n pro;" to;n qeo;n oJmoiovthta tw'n Kronivwn yucw'n paradidouv", to; me;n gh'ra" aujta;" ajfanivzein o} proseilhvfasin ejk th'" genevsew" levgei kai; th;n ajsqevneian ajposkeuavzesqai th;n uJlikhvn, th;n de; neavzousan kai; ajkmaivan tou' nou' 20 probavllein zwhvn. Ouj ga;r a[llw" qemito;n aujta;" oJmoiou'sqai 35 pro;" to;n ajghvrwn qeo;n h] dia; th'" h{bh" th'" noera'" kai; th'" ajcravntou dunavmew". Touvtou de; ai[tion o{ti kai; aujto;" oJ basileu;" Krovno" uJpostavth" ejsti; tw'n ajkhlhvtwn qew'n kai; th'" ajmeilivktou 5 triavdo" (dio; dh; kai; korovnou" ejstivn, wJ" oJ Swkravth" fhsiv, nou'" gavr ejstin oJmou' th'" ajcravntou tavxew" th;n ajkrovthta peri; auJto;n e[cwn kai; toi'" ta; o{la kubernw'sin ajkmaivoi" qeoi'" ejpocouvmeno"): kai; aiJ pro;" aujto;n stellovmenai yucai; meta; th'" noera'" ejnergeiva" eij" ajkmh;n kai; duvnamin 10 ajkamph' kai; ajrreph' pro;" th;n u{lhn qaumastw'" ejpididovasin. AiJ me;n ou\n merikai; yucai; metabavllousai ta;" periovdou" oJte; me;n ejpi; to; newvteron, oJte; de; ejpi; to; presbuvteron oJdeuvousin: aiJ de; o{lai kat ajmfotevra" ajei; diazw'sai, kai; tw'/ me;n Krovnw/ kata; th;n ajfanh' perivodon sunou'sai, 15 tw'/ de; Dii; kata; th;n ejmfanh' provnoian sundiakosmou'sai to; pa'n, oJmou' kat ajmfovtera th;n ejpivdosin lambavnousai presbuvterai kai; newvterai givgnontai. Kai; tou'to h\n o} kai; oJ Parmenivdh" ejnedeivknuto levgwn o{ti to; e}n kata; crovnon poreuovmenon a{ma newvteron givgnetai kai; presbuv20 teron. 15

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alla giovinezza trascorsa»119. Queste le parole dello Straniero di Elea, mentre Orfeo, dal canto suo, fornisce riguardo al dio indicazioni specifiche simili a queste: 120 « sotto il regno di Zeus figlio di Crono hanno ricevuto in sorte età immortale; i folti peli, umidi di profumo, della barba nera né si sono mescolati al bianco fiore della debole , ma 121 una florida peluria».

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, tramandando la 15 somiglianza con il dio delle anime Cronie, dice che da un lato esse fanno sparire la vecchiezza che avevano acquisito dal fatto di essere state generate e si sbarazzano della debolezza connessa alla materia, dall’altro che fanno prorompere la vita giovanile e vigorosa 20 dell’intelletto. Infatti non è lecito in altro modo che esse divengano simili al dio che non è soggetto a vecchiezza, se non attraverso 35 la giovinezza intellettiva e la potenza incontaminata. D’altra parte motivo di ciò è il fatto che anche lo stesso re Crono è origine del sussistere degli dèi inflessibili122 e della triade 5 «implacabile»123 (proprio per questo è anche «intelletto-puro»124, come afferma Socrate; infatti è intelletto che, al contempo, mantiene in relazione a sé la sommità del livello incontaminato e sormonta gli dèi vigorosi che governano l’universo nella sua totalità); e le anime che «si mettono in viaggio» verso esso insieme all’attività intellettiva progrediscono meravigliosamente in vigore e potenza inflessibile ed indifferente nei riguardi della materia. 10 Dunque le anime particolari, nel mutare dei periodi ciclici, ora procedono verso uno stato di maggiore giovinezza, ora invece verso uno stato di maggiore vecchiezza; invece le anime universali che vivono sempre secondo entrambi i periodi ciclici e che, da un lato, sono unite a Crono in base al periodo ciclico invisibile, e dall’altro governano il Tutto insieme a Zeus in base alla provvi- 15 denza manifesta, diventano, progredendo in entrambi i casi, al tempo stesso più vecchie e più giovani. E questo era ciò che Parmenide intendeva mettere in luce dicendo che l’uno che procede in base al tempo diventa «più giovane e più vecchio» in- 20 sieme.

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iaV Alla; tau'ta me;n kai; eij" au\qi" e[stai fanerwvtera. Tai'" de; au\ peri; tou' basilevw" tw'n noerw'n qew'n uJpomnhvsesi pevra" ejpiqevnte" ejcomevnw" dhvpou th;n basilivda Revan 25 uJmnhvsomen. Tauvthn ga;r dh; mhtevra tou' dhmiourgou' tw'n o{lwn, deutevran de; tou' Krovnou qeo;n Plavtwn tev fhsi kai; Orfeuv". Wd ou\n peri; aujth'" a]n ei[h lektevon. 36 Th'" toivnun monivmou kai; hJnwmevnh" tw'n noerw'n pavntwn aijtiva" kai; ajrchgikh'" monavdo" ejn eJauth'/ menouvsh" kai; pa'n to; noero;n plh'qo" profainouvsh" kai; pavlin eij" eJauth;n sunelissouvsh" kai; ta; eJauth'" gennhvmata kai; ta;" pro5 kuptouvsa" tw'n o{lwn aijtiva" ajf eJauth'" ejgkolpizomevnh" kai; oi|on meta; th;n diaivresin ajnaluouvsh" ta; diairouvmena kai; patrikw'" ejn toi'" noeroi'" th;n ajkrotavthn basileivan klhrwsamevnh", hJ zwogovno" Reva deutevra proh'lqen ajpo; th'" oijkeiva" ajrch'", mhtrikh;n ejn o{loi" toi'" patrikoi'" dia10 kovsmoi" tavxin lacou'sa kai; paravgousa tovn te o{lon dhmiourgo;n pro; tw'n a[llwn qew'n kai; th;n a[trepton tw'n qew'n frouravn. To; ga;r mevson kevntron th'" noera'" triavdo" th'" patrikh'" kai; oJ ejkdovcio" kovlpo" th'" ejn tw'/ Krovnw/ gennhtikh'" dunavmew" hJ qeov" ejstin au{th, prokaloumevnh 15 me;n ta;" ejn ejkeivnw/ menouvsa" aijtiva" eij" ajpogevnnhsin tw'n o{lwn, ejkfaivnousa de; pavnta ta; gevnh tw'n qew'n diwrismevnw": kai; plhroumevnh me;n ajpo; tou' pro; aujth'" patro;" th'" nohth'" kai; gonivmou dunavmew", plhrou'sa de; to;n ajp aujth'" uJpostavnta dhmiourgo;n kai; patevra th'" zwogo20 nikh'" periousiva". Oqen dh; kai; tou' zh'n pa'sin ai[tiov" ejstin wJ" to; plhvrwma th'" noera'" zwh'" eij" eJauto;n cwrhvsa" kai; th;n govnimon aijtivan th'" mhtro;" eij" a{panta diateivnwn. W" ga;r hJ mevsh qeo;" pollaplasiavzei ta;" eJnoeidei'" tou' Krovnou dunavmei" kai; proavgei kai; toi'" deu25 tevroi" ejfivsthsin, ou{tw" oJ trivto" path;r oJmou' kai; th;n th'" monavdo" th'" Kroniva" pantelh' periousivan kai; th;n duadikh;n th'" mhtro;" ajpogevnnhsin ejkfaivnei kai; diairei' kai; mevcri tw'n ejscavtwn proi?hsin, wJ" mhde; aujto; to; tou' panto;" ejnulovtaton kai; ajtaktovtaton a[moiron ajfei'nai th'" tou' Krovnou dunavmew".

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11 [Qual è la dea generatrice di vita, e in che modo è congiungitrice del regno di Crono e di quello di Zeus, e quali ordinamenti possiede congiunti ad entrambi] Ma questi aspetti saranno più chiari in seguito125. D’altra parte dopo aver posto termine alle trattazioni concernenti il Re degli intellettivi, dovremo, a mio avviso, subito di seguito celebrare la dea Rea. Infatti, che questa sia appunto madre del Demiurgo del- 25 l’universo nella sua totalità, e d’altra parte sia una divinità inferiore a Crono, lo dicono sia Platone che Orfeo. In questi termini dunque si dovrebbe parlare di essa. Allora, dal momento che la causa stabile ed unificata – e mona- 36 de originaria – di tutti gli intellettivi permane in se stessa, fa apparire tutta la molteplicità intellettiva, la riavvolge nuovamente su se stessa, stringe al seno le sue generazioni e le cause, che spuntano 5 fuori da lei stessa, dell’universo nella sua totalità, e visto che, per così dire, dopo la divisione scompone negli elementi fondamentali le entità divise ed ha ottenuto in sorte, in forma paterna, il regno supremo tra gli intellettivi126, Rea generatrice di vita è proceduta come seconda dal proprio principio, avendo ricevuto il rango di 10 madre tra tutti quanti gli ordinamenti paterni ed introducendo, prima degli altri dèi, il Demiurgo universale e la custodia inflessibile degli dèi. In effetti il centro intermedio della triade intellettiva paterna ed il grembo ricettivo127 della potenza generativa insita in Crono è questa dea, che incita le cause che permangono in lui alla 15 generazione dell’universo nella sua totalità, e che d’altra parte fa apparire tutti i generi degli dèi in modo che si distinguano; essa inoltre dal padre che la precede viene ricolmata della potenza intelligibile e generativa, mentre a sua volta ricolma il Demiurgo e padre, che è venuto a sussistere da lei, della sovrabbondanza gene- 20 ratrice di vita128. È proprio da qui che deriva il fatto che egli «è per tutte le cose principio causale del vivere»129, in quanto egli ha fatto spazio in se stesso all’insieme complessivo della vita intellettiva ed estende a tutte le cose la causalità generativa della madre. Infatti come la dea intermedia moltiplica le potenze uni-formi di Crono e le fa procedere e le pone a capo delle entità inferiori, allo stesso 25 modo il terzo padre130 fa apparire e divide al contempo la compiutamente perfetta sovrabbondanza della monade Cronia e la generazione diadica della madre, così da non lasciare priva della potenza di Crono la componente più materiale e disordinata del Tutto.

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Mevsh toivnun ou\sa tw'n duvo patevrwn hJ qeo;" au{th, tou' me;n to; noero;n plh'qo" sunavgonto", tou' de; diairou'nto", kai; tou' me;n mevnein ejn eJautw'/ kai; iJdru'sqai di uJperoch;n ejfiemevnou, tou' de; pavnth/ proi>evnai kai; genna'n kai; dhmiour5 gei'n speuvdonto", a[nwqen me;n eij" eJauth;n proavgei ta;" tw'n o{lwn dhmiourgika;" aijtiva", metadivdwsi de; kai; toi'" deutevroi" ajfqovnw" th'" oijkeiva" dunavmew". Dio; kai; oJ Plavtwn rJeuvmasin ajpeikavzei th;n govnimon aujth'" periousivan, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth", kai; rJohvn tina th;n 10 qeo;n ei\nai tauvthn ajpofaivnetai kai; oujde;n ajll h] to; phgavzon aujth'" aijnivssetai kai; tw'n meristw'n th'" zwh'" ojcetw'n eJniaivw" periektikovn. To; ga;r prwtourgo;n rJeu'ma phgai'ovn ejstin: o} dh; kai; aujto;" ejpi; th'" qeou' tauvth" ejndeixavmeno", mikro;n proelqw;n to; th'" Thquvo" o[noma phgh'" ei\naiv 15 fhsi diarrhvdhn. Tiv ou\n e[ti peri; touvtwn ajmfisbhtei'n dei' kai; levgein: pou' de; tw'n phgaivwn qew'n oJ Plavtwn ajpomnhmoneuvei Ta; ga;r ai[tia th'" pavntwn tw'n qew'n uJpostavsew" rJeuvmata phgai'a kai; aujto;" ejponomavzei. Kai; pro;" touvtoi", eij th;n ejgkovsmion yuch;n phgh;n kai; ajrch;n zwh'" ei\nai 20 tivqetai, diovti dh; proveisin ajp ajmfotevrwn, th'" ajmerivstou levgw zwogoniva" kai; th'" meristh'", tiv" mhcanh; th;n th'" pavsh" zwh'" perilhptikh;n qeo;n mh; oujci; pollw'/ meizovnw" kai; ajlhqevsteron phgaivan ajpokalei'n Alla; peri; me;n tw'n ojnomavtwn oujde;n oi\mai proshvkei 25 diagwnivzesqai, ta;" de; tavxei" aujta;" tw'n prwtourgw'n qew'n katanoei'n, wJ" eJpovmeno" toi'" qeolovgoi" oJ Plavtwn hJmi'n ejpekdihgei'tai, meta; th;n Kronivan monavda th;n th'" Reva" basileivan ajnumnw'n kai; to;n o{lon dhmiourgo;n ajpo; touvtwn uJfista;" kai; pa'n to; sunufainovmenon aujtw'/ plh'qo" tw'n 38 qew'n. Sundhvsasa ga;r hJ qeo;" aujto; to; plavto" tw'n noerw'n kai; th;n o{lhn zwh;n ejgkolpisamevnh pavsa" ejn eJauth'/ ta;" noera;" dunavmei" proujbavletoc tw'n th'" zwh'" diafovrwn ojcetw'n, kai; th'/ me;n ajkrovthti th'/ eJauth'" sunhvnwtai tw'/ 5 prwvtw/ patri; kai; sunapogenna'/ ta; o{la kai; ejn aujtw'/ meivnanta gevnh tw'n qew'n, tw'/ de; pevrati pro;" th;n dhmiourgivan sumfuvetai kai; kata; th;n oJmonohtikh;n suvzeuxin pro;" aujth;n pavsa" uJfivsthsi tav" te pro; tou' kovsmou kai; ta;" ejn tw'/ kovsmw/ tavxei" tw'n qew'n. Ekei' toivnun kai; ta; tw'n o{lwn 10 dhmiourgw'n ai[tia prwvtw" uJfevsthke kai; ta; merikwvterav ge 37

c L’imperfetto proujbavlleto, attestato nel codice, non sembra avere alcun senso. Perciò si è corretto con la forma aorisitica proujbavleto.

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Pertanto, dato che questa dea è intermediaria tra i due padri, 37 dei quali l’uno raccoglie la molteplicità intellettiva, l’altro la divide, e l’uno, in virtù della sua superiorità, desidera permanere in se stesso e rimanervi stabilmente collocato, l’altro invece cerca in ogni modo di procedere, di generare e di essere artefice, dall’alto 5 essa conduce verso di sé le cause demiurgiche dell’universo nella sua totalità, mentre rende le entità derivate abbondantemente partecipi della propria potenza. Per questo Platone paragona la generativa sovrabbondanza di lei ai «flussi», come afferma Socrate nel Cratilo131, e rivela che questa dea è in qualche modo una 10 «corrente»132 e non allude ad altro se non al suo carattere “sgorgante” e alla sua capacità di comprendere in modo unitario i canali133 particolari della vita. Infatti il flusso originario è “fontale”; il che appunto egli stesso ha indicato a proposito di questa dea, quando, procedendo un poco oltre, afferma esplicitamente che «il 15 nome Teti è quello di una fonte»134. Che bisogno c’è ancora di continuare a discutere e di parlare a tale proposito? Ma dov’è che Platone menziona gli dèi fontali? In effetti i principi causali della sussistenza di tutti gli dèi anch’egli li denomina “correnti fontali”. Ed inoltre, se egli ritiene che l’Anima encosmica sia «fonte e principio»135 di vita, proprio per il fatto che essa procede da entram- 20 be, intendo dire dalla indivisibile generazione di vita e da quella divisibile136, quale astruso motivo avrebbe per non chiamare la dea che comprende tutta la vita nel suo insieme, a maggior ragione ed in senso più autentico, “fontale”? Ma riguardo ai nomi, a mio avviso, non conviene affatto stare 25 a lungo a disputare, conviene invece prendere in esame gli ordinamenti stessi degli dèi originari, come Platone, seguendo i teologi, espone dettagliatamente, celebrando dopo la monade Cronia il regno di Rea e facendo sussistere a partire da questi il Demiurgo universale ed al contempo tutta la molteplicità, che è a lui strettamente connessa, degli dèi. In effetti la dea, avendo legato insieme 38 l’ambito stesso degli intellettivi e avendo stretto al suo seno la vita nella sua universalità, ha fatto procedere dai differenti canali137 della vita tutte le potenze intellettive insite in lei stessa, e si è unita con la sua sommità al primo padre e con lui ha generato i generi 5 universali, e che permangono in lui, degli dèi, mentre con il limite inferiore è naturalmente unita all’attività demiurgica ed in base alla connessione concorde con essa fa sussistere tutti gli ordinamenti degli dèi, sia gli ordinamenti superiori al cosmo sia quelli insiti nel cosmo. Lì pertanto sono venuti a sussistere in modo pri- 10 mario i principi causali della totalità dei demiurghi, i generi, alme-

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th'" zwh'" gevnhd kai; hJ touvtwn aJpavntwn e{nwsi", kai; hJ o{lh qeo;" oJmou' me;n ejxhv/rhtai tw'n eJauth'" plhrwmavtwn, oJmou' de; suntevtaktai aujtoi'", kai; ou{tw dh; monoeidhv" te kai; polueidhv" ejsti, kai; miva kai; aJplh' kai; aujtotelh;" uJpavr15 cousa kovsmo" ejsti; zwogonikov", a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn proi>w;n kai; mevcri tw'n teleutaivwn ta;" zwogovnou" dunavmei" tou' th'" zwh'" plavtou" uJfivsthsi. Dio; dh; kai; oJ Plavtwn th;n tw'n o{lwn zwogonikh;n aijtivan ejpi; tauvthn ajnavgei th;n qeo;n kai; ajpo; tw'n teleutaivwn th'" qeou' dwvrwn th;n o{lhn aujth'" 20 ejnevrgeian ejndeivknutai, prwvtw" me;n to;n o{lon dhmiourgo;n plhrou'san th'" noera'" kai; gonivmou dunavmew", deutevrw" de; ta; pavnta tw'n qew'n gevnh telesiourgou'san toi'" eJauth'" noeroi'" karpoi'", kata; de; trivthn tavxin ta;" tw'n qew'n ojpadou;" yuca;" trevfousan toi'" ojcetoi'" th'" qeiva" teleiovthto", 25 ejp ejscavtoi" de; kai; toi'" qnhtoi'" zwv/oi" th;n th'" fuvsew" dwroumevnhn corhgivan. Tou'to me;n ou\n panto;" oi\mai gnwrimwvterovn ejsti toi'" ta; qei'a tw'n th'" fuvsew" e[rgwn ejpevkeina tiqemevnoi": o} de; 39 ma'llon proshvkei tou;" th'" ajlhqeiva" filoqeavmona" ejpiskopei'n, ejkei'no e[gwge ei\naiv fhmi, to; kai; to;n Plavtwna th;n Dhvmhtra th'" o{lh" zwogovnou qeovthto" diairei'n kai; suntavttein aujth;n pote; me;n th'/ Kovrh/, pote; de; th'/ Hra/, 5 pote; de; toi'" Dio;" ejkgovnoi", wJ" ejn Kratuvlw/ memaqhvkamen, ejn oi|" th;n me;n Revan tw'/ Krovnw/ suntavttei, peri; de; Dhvmhtro" kai; Dio;" kai; Hra" koinhvn tina sumplevkei zhvthsivn te kai; qewrivan. Kai; dh; kai; ejn Novmoi" ta;" qesmofovrou" qea;" ajnumnw'n eij" th;n e{nwsin th'" te Dhvmhtro" kai; th'" Kovrh" 10 ajnapevmpei pa'san th;n e[nqesmon zwhvn. Epei; kai; kat Orfeva tw'/ me;n Krovnw/ sunou'sa kata; th;n ajkrovthta th;n eJauth'" hJ mevsh qeo;" Reva kalei'tai, to;n de; Diva paravgousa kai; meta; Dio;" ejkfaivnousa touv" te o{lou" kai; tou;" merikou;" diakovsmou" tw'n qew'n, Dhmhvthr. Kai; e[stin oJ suvmpa" th'" 15 mevsh" zwh'" diavkosmo" perilhptiko;" tw'n te a[llwn Titanivdwn kai; dh; kai; th'" Dhvmhtro": tauvthn ga;r proesthvsato monavda sunagwgo;n mevshn tw'n ejn aujth'/ pasw'n tavxewn, tw'n te krufivwn kai; tw'n merizomevnwn peri; ta;" gennhtika;" th'" qeou' dunavmei". Trittai; dev eijsin eJkavterai: kai; th;n me;n 20 a[nw triavda sunavptei tw'/ Krovnw/, th;n de; kavtw sunufaivnei th'/ dhmiourgikh'/ tavxei, mevshn de; ou\san th;n Dhmhtriakh;n monavda suntetagmevnhn a{ma kai; ejxh/rhmevnhn ajpofaivnei tou' dhmiourgou' tw'n o{lwn: kai; ga;r uJfivsthsi Diva meta; th'" o{lh" kai; sunapogenna'/ th;n Kovrhn meta; tou' Diov". d I due Editori inseriscono qui una virgola che invece va, a mio giudizio, inserita dopo e{nwsi".

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no quelli più particolari, della vita e l’unità di tutti questi principi causali, e la dea universale trascende le sue pienezze ed al contempo risulta ad esse coordinata, e così è uniforme ed al contempo multiforme, ed essendo di fatto unica, semplice e in sé perfetta, è un cosmo generatore di vita, procedente dall’alto fino ai livelli 15 estremi, e dall’ambito della vita fino ai livelli ultimi fa sussistere le potenze generatrici di vita. Proprio per questo Platone riconduce la causa generativa di vita per la totalità degli esseri a questa dea, e a partire dai doni ultimi della dea mette in luce la sua attività uni- 20 versale, la quale ad un primo livello ricolma della potenza intellettiva e generativa il Demiurgo universale, ad un secondo livello perfeziona tutti i generi degli dèi con i suoi propri frutti intellettivi, ad un terzo livello infine nutre le anime compagne degli dèi con i canali della divina perfezione, infine agli ultimi livelli essa fa dono 25 anche agli esseri viventi mortali dell’elargizione della natura. Ciò dunque è, a mio giudizio, più noto di tutto il resto a coloro che pongono le entità divine al di sopra delle opere della natura. Ma ciò che in misura maggiore conviene che «gli amanti dello spettaco- 39 lo della verità»138 prendano in esame, dico personalmente che è questo aspetto, cioè il fatto che anche Platone distingue Demetra dalla divinità universale generatrice di vita e la coordina ora con Core, ora con Era, ora con la prole di Zeus, come abbiamo appre- 5 so nel Cratilo, ove coordina Rea con Crono, mentre, per quel che concerne Demetra, Zeus ed Era, mette insieme una ricerca ed un esame comuni139. E tra l’altro nelle Leggi, celebrando le dee portatrici della legge, fa risalire all’unità di Demetra con Core140 tutta la 10 vita conforme alla legge. In effetti, anche secondo Orfeo, la divinità intermedia, in quanto è unita a Crono in base alla sua propria sommità, è chiamata “Rea”, invece, in quanto introduce Zeus e con Zeus fa apparire sia gli ordinamenti universali che quelli particolari degli dèi, è chiamata Demetra141. Ed il cosmo tutto intero della 15 vita intermedia è comprensivo di tutte le altre Titanidi142 ed in particolare di Demetra; è quest’ultima in effetti che 143 ha posto in origine come monade intermedia che riunisce tutti gli ordinamenti in essa insiti, sia quelli celati sia quelli divisi in relazione alle potenze generatrici della dea. L’una e l’altra dea poi sono triplici: e la triade che sta in alto egli la congiunge con Crono, quella che sta 20 in basso la connette strettamente con l’ordinamento demiurgico, infine quella intermedia che è la monade propria di Demetra, la rivela al contempo coordinata e trascendente rispetto al Demiurgo dell’universo nella sua totalità; ed infatti essa fa sussistere Zeus insieme all’intera triade e unitamente a Zeus genera Core.

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ibV H me;n ou\n mevsh tw'n patevrwn zwogovno" qeo;" dia; touvtwn ajnumnhvsqw tw'n lovgwn. Aujto;" de; h[dh meta; tauvthn oJ tw'n o{lwn dhmiourgov", ijdivw" ªaujtou'º th;n peri; auJtou' pa'san 5 ajlhvqeian ejkfaivnwn, trivto" eujfhmeivsqw kata; th;n tavxin h}n ejn toi'" noeroi'" e[lace qeoi'". Kai; prw'ton, o{ti dhmiourgikh;n ei\nai dei' th;n ijdiovthta tou' trivtou touvtou patrov", uJpomnhsqw'men, e[peiq ou{tw kai; peri; tw'n a[llwn tw'/ Plavtwni sunepovmenoi qewrhvswmen. 10 Oujkou'n oJ me;n prwvtisto" tw'n noerw'n qew'n, o}" w[dine to; plh'qo" kai; th'" diakrivsew" h\n ajrchgo;" pavsh" kai; dihv/rei tw'n eJnoeidw'n auJto;n kai; prwvtwn qew'n, gennw'n de; ta;" dih/rhmevna" tw'n o{lwn ajrca;" pavlin eij" eJauto;n ejpevstrefe ta; gennwvmena kai; th'/ eJautou' taujtovthti ta; mevrh tau'ta 15 sunuvfaine kai; ei|" ajpefaivneto kovsmo" nohto;" ejn toi'" noeroi'", ejn eJautw'/ tivktwn kai; par eJautw'/ katevcwn ta; gennhvmata. Deutevra de; h\n hJ zwogovno" qeovth", sunapotivktousa me;n kai; to; kruvfion plh'qo" tw'/ prwvtw/ (sunhvnwtai ga;r aujtw'/ kat a[kran uJperochvn): mevnein de; ejpi; th'" 20 gennhvsew" tauvth" oujk ajnecomevnh kai; th;n diavkrisin tw'n o{lwn eij" th;n ajdiavkriton e{nwsin sunavgein, diorivzei me;n to;n trivton nou'n tou' patrov", to; de; plh'qo" tw'n qew'n kai; tw'n noerw'n lovgwn proi?hsi kai; plhroi' th'" gennhtikh'" aujto;n dunavmew". 41 Eij toivnun w[dine me;n oJ prw'to" th;n tw'n o{lwn ajpogevnnhsin, prou[faine de; hJ govnimo" tw'n noerw'n diakovsmwn zwogoniva, kata; th;n eJautou' dhladh; tavxin oJ nou'" tw'n noerw'n patevrwn kai; paravgei ta; pavnta kai; diakosmei', 5 kai; to; me;n kruvfion tou' patro;" eij" diavkrisin kai; provodon prokalei'tai, th;n de; o{lhn zwogonivan kai; mevcri tw'n ejscavtwn tou;" eJauth'" ojcetou;" ejkpevmpein paraskeuavzei. Nou' me;n ga;r i[dion pantacou' to; diairei'n kai; ejkfaivnein ta; plhvqh, tav te th'" zwh'" plhrwvmata kai; ta;" tw'n nohtw'n 10 eJnwvsei": ajll oJ me;n nohto;" nou'" eJnoeidw'" ei\ce to; plh'qo" 40

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40 12 [Qual è il terzo padre tra gli intellettivi e come procede a partire dai principi causali a lui anteriori, e sul fatto che questo è Demiurgo del Tutto]

Dunque la dea intermedia tra i padri, generatrice di vita, sia celebrata attraverso questi discorsi. A questo punto poi, dopo questa dea, il Demiurgo dell’universo nella sua totalità, che rivela 5 in modo particolare e specifico tutta la verità che lo concerne, sia onorato per terzo in base all’ordine che ha ricevuto tra gli intellettivi. E, per prima cosa, dobbiamo ricordare che il carattere specifico di questo dio deve essere demiurgico, ed in seguito dovremo procedere nella nostra ricerca seguendo Platone, così come abbiamo fatto anche per le altre questioni. Ebbene, il primissimo tra gli dèi intellettivi è quello che, come 10 si è visto144, è gravido della molteplicità, è principio originario di ogni distinzione, si separa dagli dèi uni-formi e primi, ed inoltre, generando i principi divisi dell’universo nella sua totalità, di nuovo converte verso se stesso le entità generate, intesse insieme alla propria identità145 queste parti ed appare come un unico cosmo 15 intelligibile tra gli intellettivi, partorendo in se stesso e mantenendo presso di sé gli esseri da lui generati. Per seconda poi, come si è visto146, viene la divinità generatrice della vita, che partorisce insieme al primo dio anche la molteplicità celata (infatti è unita a lui in base a somma superiorità); ma, non sopportando di perma- 20 nere in questa condizione del generare ed intendendo raccogliere nella unità indistinguibile la distinzione dell’universo nella sua totalità, da un lato separa il terzo intelletto147 dal padre, dall’altro produce la molteplicità degli dèi e dei principi intellettivi, e riempie il terzo intelletto della potenza generatrice. Se dunque il primo dio è risultato gravido della generazione 41 dell’universo nella sua totalità, e d’altra parte la feconda vivificazione degli ordinamenti intellettivi ha fatto apparire questa generazione, evidentemente, in base al suo proprio livello, l’intelletto dei padri intellettivi produce ed al contempo mette in ordine tutte le cose, incita la natura celata del padre alla differenziazione ed 5 alla processione, ed inoltre fa in modo che la generazione universale di vita mandi i propri canali anche fino a raggiungere gli ultimi livelli del reale. Infatti carattere specifico dell’intelletto è in ogni ambito il fatto di dividere e far apparire le molteplicità, sia le pienezze della vita che le unità degli intelligibili; ma l’intelletto 10

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(kai; ga;r h\n kat aijtivan ejn tw'/ nohtw'/ prou>pavrcwn), oJ de; nohto;" kai; noero;" deuvtera me;n ei\ce th'" eJnwvsew" mevtra, th'" de; pantelou'" diakrivsew" ejxhv/rhto, mevnwn ejn tai'" prwtivstai" tw'n o{lwn ajrcai'", oJ de; au\ noero;" nou'" aJpavsh" 15 ejxavrcei diairevsew" kai; th'" tw'n merikw'n uJpostavsew": ejpei; kai; pa'n to; plh'qo" tw'n eijdw'n ejn eJautw'/ proesthvsato, kai; ouj tetradikw'" movnon, w{sper oJ nohto;" nou'", ajlla; mivan pantelh' tw'n eijdw'n pavntwn aijtivan e[cei noeravn. Anavgkh toivnun eij" tou'ton ajnhvkein ta; o{la" dhmiour20 gika;" ajrca;" kai; pavnta" tou;" dhmiourgikou;" qeou;" ajf eJno;" touvtou proi>evnai tou' trivtou patrov", kai; tou'ton ei\nai to;n tw'n o{lwn dhmiourgovn. W" ga;r to; prwvtiston tw'n paradeigmavtwn ejn tw'/ nw'/ tw'/ nohtw'/ kai; th'/ trivth/ triavdi kai; tw'/ prwvtw/ patri; sunufevsthken, ou{tw dh; kai; th;n 25 o{lhn kai; prwvthn dhmiourgikh;n monavda kata; to;n nou'n qhsovmeqa to;n noero;n kai; to;n trivton patevra tw'n noerw'n qew'n. Dia; ga;r tou'to kai; sunh'ptai to; dhmiourgiko;n 42 ai[tion tw'/ paradeigmatikw'/ kata; th;n ajnalogivan h}n e[lacen ejn toi'" patravsin eJkavteron, to; me;n toi'" nohtoi'", to; de; toi'" noeroi'": pevra" ga;r eJkavteron eJkatevrwn, dh'lon de; tou'to kai; ejk tw'n provteron. 5

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igV Eti toivnun th'" dhmiourgiva" tetraplh'" ou[sh", kai; th'" me;n ta; o{la diakosmouvsh" oJlikw'", th'" de; ta; o{la mevn, ajlla; merikw'", th'" de; kata; mevrh me;n dih/rhmevnh", ajll oJlikw'", th'" de; ta; mevrh merikw'" sunufainouvsh" toi'" o{loi", dh'lon o{ti presbutavth mevn ejsti pasw'n hJ tw'n o{lwn aijtiva monoeidw'" kai; ajdiairevtw": tauvthn de; ajnagkai'on h] pro; tw'n noerw'n ei\nai qew'n h] ejn toi'" noeroi'" h] meta; tou;" noerouv".

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intelligibile è risultato148 avere in modo uniforme la molteplicità (ed infatti è risultato in senso causale preesistente nell’intelligibile), mentre l’intelletto intelligibile-intellettivo è risultato149 avere misure inferiori dell’unità, ma esso risulta comunque trascendere la distinzione perfettamente compiuta, permanendo tra i primissimi principi della totalità del reale; infine l’intelletto intellettivo, a sua volta, dà inizio ad ogni forma di divisione e al sussistere delle 15 entità particolari, poiché ha originariamente posto in se stesso tutta la molteplicità delle Forme, e non solo in maniera di tetrade150, come l’intelletto intelligibile, ma possiede un’unica causa intellettiva sotto ogni aspetto perfetta di tutte le forme. Pertanto è necessario che i principi universali demiurgici risal- 20 gano a questo intelletto e che tutti gli dèi demiurgici procedano da questo unico dio, il terzo padre, e che questo sia il Demiurgo dell’universo nella sua totalità. Come infatti il primissimo tra i paradigmi è posto nell’intelletto intelligibile e cioè nella terza triade151, ed è venuto a sussistere insieme al primo padre, allo stesso modo porremo la monade demiurgica, universale e prima, nell’in- 25 telletto intellettivo e cioè nel terzo padre degli dèi intellettivi. Infatti è per questo motivo appunto che il principio causale demiurgico risulta unito a quello paradigmatico in base al rapporto ana- 42 logico che hanno ricevuto ciascuno dei due tra i padri, l’uno tra quelli intelligibili, l’altro tra i padri intellettivi: infatti ciascuno dei due è il limite inferiore rispettivamente di ciascuno dei due ordinamenti, ma ciò risulta evidente anche dalle considerazioni fatte in precedenza. 13 [Dimostrazioni del fatto che il Demiurgo universale del Tutto è il terzo padre degli intellettivi] Inoltre, poiché la demiurgia è quadruplice, e l’una mette in ordine in modo universale la totalità delle cose, l’altra mette sì in ordine la totalità delle cose, però in modo particolare, l’altra ancora è divisa in parti, ma in modo universale, l’ultima infine in modo particolare connette strettamente le parti all’universo nella sua totalità, è evidente che la causa dell’universo nella sua totalità è assolutamente anteriore ad ogni causa in modo uniforme ed indivisibile; inoltre è necessario che questa causa o venga prima degli dèi intellettivi, o faccia parte degli dèi intellettivi oppure sia inferiore agli dèi intellettivi.

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Pou' toivnun aujth;n qhsovmeqa Ta; me;n ga;r ajpo; tw'n noerw'n uJfistavmena mevrh pavnta merikwvtera th'" mia'" ejsti kai; o{lh" dhmiourgiva": hJ ga;r eij" triva tw'n o{lwn diaivresi" kai; oiJ th'" meristh'" hJgemovne" poihvsew" ejn touvtoi" ejkfaivnontai toi'" diakovsmoi": ta; d au\ pro; tw'n noerw'n kat a[lla" ijdiovthta" ajfwvristai qew'n, wJ" devdeiktai provteron, 20 kai; o{lw" kaq e{nwsin uJfevsthke kai; th'" diakrivsew" uJperhvplwtai tw'n noerw'n eijdw'n. Leivpetai dh; ou\n ejn toi'" noeroi'" tetavcqai to;n e{na tw'n o{lwn dhmiourgovn. All eij me;n oJ prwvtisto" ei[h pathvr, nohto;" e[stai kai; ejn eJautw'/ pavnta katevcwn ta; gennhvmata kai; th'" 43 diakrivsew" sunagwgov". Pw'" ou\n diairei' tou;" kovsmou"e Pw'" ta; plhvqh tw'n ejgkosmivwn ajpogenna'/ Pw'" dialevgetai pro;" pavnta" oJmou' tou;" nevou" dhmiourgouv" Asuvntakto" ga;r oJ prw'to" path;r pro;" to;n o{lon ajriqmo;n tw'n ejgko5 smivwn, o}" kai; ta;" prwvta" eJautou' gennhvsei" ejpevstreyen eij" eJautovn, oi|on ajnafeuvgwn ajpo; tou' plhvqou" eij" e{nwsin kai; aJrpavzwn eJauto;n ajpo; th'" pantoiva" diakrivsew" eij" th;n nohth;n uJperochvn. Eij de; oJ zwogoniko;" ei[h diavkosmo", pavnta me;n plhvrh 10 zwh'" e[stai dia; to;n o{lon dhmiourgovn, kai; hJ tw'n yucw'n aijtiva kata; to;n eijkovta lovgon ejntau'qa prou>pavrcousa tou' plhvqou" ajnafanhvsetai. Pw'" de; ejpistrevfei ta; pavnta pro;" eJautovn Pw'" dhmiourgo;" ajpokalei'tai kai; pathvr Kai; ga;r hJ zwogovno" qeovth" aujth; kaq auJth;n mhtrikh;n 15 e[cei pro;" tou;" qeou;" ajxivan kai; proovdou toi'" pa'sivn ejsti corhgov", nou' de; kai; to; eijdopoiei'n kai; to; ejpistrevfein ejxaivreton ajgaqovn. Ou[t ou\n ejn toi'" uJperkosmivoi" oJ tw'n o{lwn dhmiourgov": merikoi; gavr eijsin ejkei' pavnte", h] ta; o{la meristw'" ejpi20 tropeuvonte" h] tw'n merw'n oJlikw'" ta;" poihvsei" perievconte". Ou[te ejn toi'" nohtoi'": patevre" ga;r ejkei' pavnte", dhmiourgo;" de; kai; path;r oujdei;" ejxhv/rhtai: o{de de;f qei'o" diavkosmo" kai; krufivw" ta; pavnta pavnth/ kai; eJniaivw" proeilhvfasin. Ou[te ejn toi'" nohtoi'" kai; noeroi'": to; ga;r 15

e Non pare necessaria la correzione proposta dagli Editori: kuvklou" invece del tràdito kovsmou". Su ciò cfr. nota alla traduzione. f Come segnalano Saffrey-Westerink (cfr. apparato crtico), il testo tràdito sembra essere: oJ de; qei'o" diavkosmo". La forma plurale oiJ de; qei'oi diavkosmoi è una correzione successiva. A mio avviso, occorre in realtà correggere, in base al senso, il tràdito oJ de; qei'o" diavkosmo" con o{de de; qei'o" diavkosmo".

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Dove la porremo allora? In effetti le parti che sono venute a 15 sussistere a partire dagli intellettivi sono tutte più particolari dell’unica ed universale demiurgia; infatti la divisione in tre parti152 dell’universo nella sua totalità e i sovrani della produzione suddivisa in parti si manifestano in questi ordinamenti153; d’altronde, a loro volta, le entità che vengono prima degli dèi intellettivi risultano definite in base ad altre proprietà specifiche, come si è mostrato in precedenza154, ed in generale sono venute a sussistere 20 secondo unità e sono semplici ad un più alto livello rispetto alla distinzione delle forme intellettive. Non rimane dunque altra possibilità se non che l’unica demiurgia dell’universo venga posta per ordinamento tra gli intellettivi. Ma se fosse il primissimo padre, allora dovrà essere intelligibile ed in se stesso comprendente tutti gli esseri da lui generati e 43 riassemblatore della differenziazione155. Come fa dunque a dividere i cosmi? Come fa a generare le molteplicità degli dèi encosmici? Come fa a parlare con tutti insieme i demiurghi giovani156? In effetti il primo padre non è coordinato rispetto all’intera serie degli dèi encosmici, egli che ha convertito anche le sue prime 5 generazioni verso se stesso, rifuggendo, per così dire, dalla molteplicità verso l’unità e «sottraendo se stesso»157 dalla differenziazione di ogni genere per volgersi “verso la specola” intelligibile. Se invece fosse l’ordinamento generatore di vita158, tutte le cose allora dovranno certo risultare piene di vita per via del Demiur- 10 go universale, e la causa delle anime, secondo il ragionamento verisimile, apparirà, in questo livello, preesistente alla molteplicità. Ma come fa allora a convertire verso di sé tutte le entità? Come può essere chiamato «Demiurgo e padre»159? Ed infatti la divinità generatrice di vita, considerata di per se stessa, possiede ri- 15 spetto agli dèi il rango di madre ed è elargitrice per tutti gli esseri di processione, mentre sia il produrre le forme sia il convertire è il bene specifico riservato all’intelletto. E dunque il Demiurgo dell’universo nella sua totalità non fa parte degli dèi ipercosmici: infatti in questo ordinamento gli dèi sono tutti particolari, o in quanto governano in modo particolare le cose nella loro universale totalità, oppure in quanto compren- 20 dono in modo universale le produzioni delle parti. E non fa neppure parte degli dèi intelligibili: infatti in questo livello gli dèi sono tutti padri, ma come «Demiurgo e padre» nessuno di essi è trascendente; inoltre questo ordinamento divino risulta precomprendere assolutamente tutte le cose in modo celato ed al contempo uni-forme. E non fa neppure parte degli dèi intelligibili-intel-

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sunavgein ta; plhvqh kai; sunevcein kai; teleiou'n oujk h\n dhmiourgikh'" ijdiovthto": hJ me;n ga;r diakrivsewv" ejsti kai; eijdopoiiva" ajrchgov", noerai'" ajstravptousa tomai'", 44 oiJ de; nohtoi; kai; noeroi; qeoi; ta; plhvqh ta; noera; pro;" th;n e{nwsin ajnateivnousi tw'n nohtw'n. Ou[te au\ tw'n noerw'n ejn th'/ prwvth/ tavxei kai; th'/ deutevra/ dunatovn ejsti th;n dhmiourgikh;n aijtivan uJpotivqesqai: kai; ga;r hJ ajkrovth" tw'n noerw'n 5 ajmevqektov" ejstin uJpo; tw'n ejgkosmivwn kai; ejn ejfetou' tavxei ma'llon aujtoi'" probevblhtai, poihtikh; de; oujk e[stin aujtw'n, dio; pavnte" me;n oiJ ejn tw'/ kovsmw/ qeoi; pro;" th;n Kronivan ajnavgontai periwphvn, proi?asi de; ajp a[llh" ajrch'" deutevra" kai; di ejkeivnh" ejpistrevfontai kai; sunavptontai 10 pro;" th;n ejxh/rhmevnhn basileivan: kai; to; mevson kevntron zwogoniko;n uJpavrcon oujk ajfwvristai kata; th;n patrikh;n ***, to; ga;r gennhtiko;n tou' patrikou' kai; to; zwogovnon tou' dhmiourgikou' gevnou" pavmpolu diafevrei, kaq o{son oi\mai kai; aiJ ajrcai; tw'n o{lwn diakovsmwn ajllhvlwn diakev15 krintai, to; pevra" levgw kai; to; a[peiron. Anavgetai ga;r hJ me;n dhmiourgikh; kai; patrikh; tavxi" eij" to; pevra", hJ de; zwogovno" kai; gennhtikh; pa'sa duvnami" eij" to; a[peiron. 25

idV Qaumavzw toivnun tw'n Plavtwno" ejxhghtw'n o{soi th;n 20 dhmiourgivan ouj mivan poiou'sin, ajlla; pollav", kai; trei'" dhmiourgou;" tw'n o{lwn ajpofaivnousi, kai; meqivstantai pote; me;n ejpi; to;n deuvteron, pote; de; ejpi; to;n trivton, kai; diairou'si ta;" rJhvsei" ta;" ejn Timaivw/ kai; ta;" me;n ejp a[llo, ta;" de; ejp a[llo ai[tion ajnafevrein ajxiou'sin. Ei\nai me;n ga;r kai; 45 triavda dhmiourgikh;n kai; plh'qo" a[llo qew'n kata; th;n poihtikh;n aijtivan carakthrizovmenon, kai; aujto;" tivqemai kai; to;n Plavtwna sugcwrhvsein oi\mai: dei' de; au\ kai; pro; th'" triavdo" kai; pro; panto;" plhvqou" ejn eJkavstw/ diakovsmw/ th;n

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lettivi: infatti il raccogliere insieme le molteplicità, il contenerle ed 25 il renderle perfette non sono risultate160 prerogative del carattere specifico demiurgico; quest’ultimo infatti è principio originario di separazione e di produzione di forme, in quanto «rifulge di sezionamenti intellettivi»161, mentre gli dèi intelligibili-intellettivi fan- 44 no tendere le molteplicità intellettive in alto verso l’unità degli intelligibili. E non è neppure possibile situare la causa demiurgica nel primo o nel secondo livello degli intellettivi: ed infatti la sommità degli intellettivi162 è impartecipabile da parte degli dèi 5 encosmici e risulta proporsi ad essi piuttosto come oggetto di desiderio, ed inoltre essa non ne è produttrice; perciò tutti gli dèi che hanno sede nel cosmo sono sì condotti in alto «verso la specola»163 Cronia, però essi procedono da un altro principio di secondo livello ed è per suo tramite che essi si convertono e si congiungono al regno trascendente; ed il centro intermedio164, 10 essendo di fatto generatore di vita, non risulta definito in base al di padre165; infatti il carattere generativo differisce totalmente da quello paterno e quello generatore di vita differisce totalmente dal genere demiurgico, nella misura in cui, a mio giudizio, anche i principi di tutti gli ordinamenti nella loro totalità risultano distinti l’uno dall’altro, intendo dire il limite e l’illimita- 15 to. In effetti l’ordinamento demiurgico e paterno viene ricondotto al limite, mentre tutta la potenza generatrice di vita e generativa viene ricondotta all’illimitato. 14 [Replica a coloro che dicono che tre sono secondo Platone i Demiurghi, replica che dimostra attraverso più vie che la monade demiurgica è posta per ordinamento prima della triade nel terzo ordinamento degli intellettivi] Mi meraviglio pertanto di tutti quegli interpreti di Platone166 che considerano la demiurgia non come unica, bensì molteplice, 20 che fanno apparire tre demiurghi, e passano ora al secondo, ora al terzo demiurgo, che dividono le affermazioni contenute nel Timeo, e ritengono che le une vadano riferite ad un principio causale, le altre ad un altro. In effetti che vi sia una triade demiurgica 45 ed al contempo un’altra molteplicità di dèi caratterizzata in base alla causalità produttiva, anche io stesso lo ammetto e ritengo che Platone ne converrebbe; ma occorre che a sua volta, prima della triade e prima di ogni molteplicità, in ciascun ordinamento pree-

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monavda prou>pavrcein. Pa'sai ga;r tavxei" qew'n ajpo; monavdo" a[rcontai, diovti dh; kai; tw'n o{lwn diakovsmwn e{kasto" pro;" th;n suvmpasan ajfomoiou'tai provodon tw'n qew'n. Wsper ou\n hJ tw'n qew'n uJpovstasi" ajf eJno;" ajmeqevktou th;n aijtivan e[cei th'" ajpogennhvsew", ou{tw dh; kai; tou;" teleivou" dia10 kovsmou" ejn auJtoi'" ajnavgkh monavda prou>pavrcousan e[cein kai; prwtourgo;n ajrchvn. Kata; dh; tou'ton to;n lovgon ai{ te zwogonikai; pa'sai provodoi mia'" ejxhvrthntai zwogoniva" kai; aiJ dhmiourgikai; diakosmhvsei" eij" mivan ajnateivnontai dhmiourgivan. Kai; ouj dei' to; plh'qo" ei\nai monavdo" cwriv": 15 ou[te ga;r suvntaxi" ou[te diaivresi" e[stai tou' plhvqou" kata; nou'n, eij mh; to; e}n prou>pavrcoi kai; o{lon. Dia; ga;r tou'to pro; pasw'n tw'n qeivwn proovdwn hJ th'" oJlovthto" uJpevsth tavxi", i{na ta; mevrh perievch/ kai; ejn eJauth'/ kai; peri; eJauth;n ajforivzh/. Pw'" ou\n ejpi; th'" dhmiourgiva" to; o{lon ajfevnte" tou;" kata; 20 mevrh dih/rhmevnou" dhmiourgou;" ejpiskopou'men Kaivtoi kai; aujto;" oJ Plavtwn ejpi; tou' paradeivgmato" ajxioi' tw'n ejn mevrou" ei[dei pefukovtwn mhdeni; to;n kovsmon ajfomoiou'n, ajlla; tw'/ pantelei' zwv/w/, kai; dia; tou'to monogenh' to;n kovsmon ajpodeivknusin, o{ti to; parav25 deigma e{n. Eij ga;r mh; e{n, ajlla; pleivw, pavlin a]n e{teron ei\nai to; peri; ejkeivnw devoi zw'/on, ou| mevro" a]n eijhvthn ejkeivnw, kai; oujkevt a]n ejkeivnoin ajlla; tw'/ perievconti tovde a]n ajfwmoiwmevnon ojrqovteron ei[h. 46 Dei' ga;r prohgei'sqai to; e}n paravdeigma tw'n pollw'n, kaqavper dh; kai; to; e}n ajgaqo;n tw'n metecomevnwn ajgaqw'n prou>fevsthke, kai; to;n o{lon kovsmon tou' eJno;" paradeivgmato" eijkovna pro; tw'n pollw'n. Ei[te ga;r tw'n pollw'n 5 movnon eijkw;n uJpavrcoi, povqen ei|" e[stai kai; o{lo" Pw'" de; oujk ajtimovtero" e[stai tw'n eJautou' merw'n oJ kovsmo", ãeijà tau'ta me;n wJmoivwtai toi'" nohtoi'", oJ de; o{lo" oujdeni; tw'n o[ntwn o{moiov" ejstin Ei[te kai; oJ pa'" kovsmo" ejk paradeivgmato" ei[h nohtou' tino", eij me;n polla; tou' eJno;" para10 deivgmata, kai; tau'ta o{moia e[stai ajllhvloi", ei[per th'" aujth'" ejstin eijkovno" ai[tia. Dei' dh; ou\n kai; touvtoi" to; taujto;n ejfhvkein ejx eJno;" ei[dou", h] pavlin oJ kovsmo" e[stai 5

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sista la monade. Infatti tutti gli ordini di dèi hanno inizio a parti- 5 re da una monade, proprio per il fatto che ciascuno degli ordinamenti nella loro totalità è simile a tutta la processione degli dèi nel suo insieme. Come dunque la sussistenza degli dèi ha dall’Uno impartecipabile la causa della sua generazione, allo stesso modo appunto è necessario che gli ordinamenti perfetti abbiano al loro 10 interno una monade preesistente ed un principio originario. Proprio in base a questo ragionamento tutte le processioni generatrici di vita risultano dipendere da un’unica generazione di vita167 e gli ordinamenti demiurgici sono protesi in alto verso un’unica demiurgia. E la molteplicità non deve esistere separatamente da una monade: ed infatti, in questo caso, non vi sarebbe né coordi- 15 nazione né divisione della molteplicità in base all’intelletto, se non preesistessero l’unità e l’intero. In effetti è per questo che il livello della totalità è venuto a sussistere prima di tutte le processioni divine, affinché essa comprenda le parti ed in se stessa ed in rapporto a se stessa le definisca. Come dunque potremo nel caso della demiurgia, prescindendo dall’intero, prendere in esame i de20 miurghi suddivisi in modo specifico? Anche se Platone stesso, a proposito del modello, ritiene opportuno non rendere il cosmo simile «a nessuna delle entità che esistono in forma di parte»168, ma «al Vivente compiutamente perfetto»169, e per questo motivo dimostra che il cosmo è «unigenito»170, perché il modello è unico. Infatti se non fosse uno solo, ma 25 plurimo, «ci dovrebbe essere, da capo, un ulteriore vivente comprendente gli altri due, del quale quegli altri due sarebbero parti, e sarebbe più corretto che questo vivente risultasse simile non più a quegli altri due, ma a quello che li comprende»171. In effetti occorre che il modello unico preceda i molteplici 46 modelli, proprio come l’unico bene è venuto a sussistere prima dei beni partecipati, e che il cosmo nella sua interezza sia un’immagine dell’unico modello anteriore ai molteplici modelli. In effetti, nel caso in cui il cosmo sia immagine solamente dei molte- 5 plici modelli, da dove risulterà essere unico ed intero? Come, inoltre, il cosmo potrà non essere di livello inferiore alle sue parti, se queste risultano simili agli intelligibili, mentre il cosmo nella sua totalità non è simile a nessuno degli enti? E nel caso in cui tutto il cosmo nel suo insieme derivasse anche esso da un qualche modello intelligibile, se vi sono molteplici modelli dell’unità, questi a loro volta dovranno essere simili gli uni agli altri, se è vero che 10 sono principi causali della medesima immagine. Occorre dunque che anche a questi l’identità giunga da un’unica forma, o altrimen-

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tw'n eJautou' paradeigmavtwn semnovtero" kata; th;n e{nwsin. Eij de; e}n to; paravdeigma, kata; to;n aujto;n dhvpou trovpon kai; 15 to; dhmiourgiko;n ai[tion e{n. W" ga;r hJ miva eijkw;n ejx eJno;" paradeivgmato", ou{tw to; e[kgonon e}n uJpavrcon ejx eJno;" uJpevsth dhmiourgou' kai; patrov". Anavgkh ga;r h] taujto;n ei\nai tw'/ dhmiourgw'/ to; paradeigmatiko;n kai; ejn aujtw'/, h] pro; tou' dhmiourgou' iJdru'sqai, 20 kaqavper hJmei'" famen, h] meta; to;n dhmiourgovn, w{" tine" ei{lonto levgein. All eij me;n taujto;n tov te paravdeigma kai; oJ dhmiourgov", ei|" e[stai kata; to;n Plavtwna: kai; ga;r to; paravdeigma monogenev", wJ" aujto;" ajpodeivknusin. Eij de; oJ dhmiourgo;" prou>pavrcoi tou' paradeivgmato", o} mhde; qevmi" 25 eijpei'n, e}n de; to; paravdeigma, pollw'/ dhvpou meizovnw" oJ dhmiourgo;" ei|": ta; ga;r uJyhlovtera tw'n aijtivwn eJnoeidestevran e[lacen uJpovstasin, ejpei; kai; tw'n o{lwn to; prwvtiston 47 ai[tiovn ejstin e{n. Eij de; prwtivsthn me;n e[coi tavxin ejn toi'" ou\si to; paradeigmatiko;n ai[tion, deutevran de; to; dhmiourgikovn, ejscavthn de; to; pa'n tou'to, tou' me;n oJmoivwma, tou' de; e[kgonon uJpavrcon, tiv" mhcanh; tw'n a[krwn monadikw'n 5 uJparcovntwn to; mevson plh'qo" ei\nai monavdo" cwriv" Anavgkh gavr pou to; paravdeigma nohto;n o]n tou' dhmiourgikou' meizovnw" aijtivou th;n e{nwsin ejpilavmpein tw'/de tw'/ pantiv, kai; w{sper ejkei'no monogene;" o]n ejn eJautw'/ perievcei ta; prw'ta paradeivgmata, to;n aujto;n trovpon kai; th;n dhmiour10 gikh;n monavda perilhptikh;n uJpavrcein tw'n pollw'n dhmiourgw'n. Eij ga;r kai; tw'/ kovsmw/ to; monogene;" ajpo; tou' paradeivgmato" mevn, ajlla; dia; tou' dhmiourgou', pavntw" dhvpou kai; oJ dhmiourgo;" ei|". Eti toivnun ajxiw' tou;" tauvth" proi>stamevnou" th'" dovxh" 15 to; tou' Swkravtou" ejnnoei'n, o{ti pantacou' ta; polla; tw'/ eJni; perilambavnein proshvkei. Dia; ga;r tou'to kai; th;n tw'n eijdw'n uJpovqesin proshkavmeqa kai; pro; tw'n a[llwn ta;" monavda" proesthsavmeqa ta;" noerav". Pw'" ou\n ta; me;n ei[dh ta; noera; pro;" mivan ajrch;n ajnateivnetai kai; ajpo; mia'" 20 e{kasta proveisin aijtiva" dhmiourgikh'", aujto; de; to; o{lon ei\do" to; dhmiourgiko;n peplhqusmevnon ejsti; kai; dih/rhmevnon

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ti il cosmo risulterà, in base alla sua unità, a sua volta più venerabile dei suoi modelli. Se invece il modello è unico, allo stesso modo, a mio avviso, anche il principio causale demiurgico è a sua 15 volta unico. Come infatti l’unica immagine deriva da un unico modello, allo stesso modo il prodotto generato, dato che è unico, è venuto a sussistere da un unico «Demiurgo e padre»172. In effetti è necessario che l’elemento che ha funzione di modello sia identico al Demiurgo e sia in lui, oppure che esso sia posto prima del Demiurgo, come diciamo noi, o sia posto dopo il 20 Demiurgo, come alcuni173 hanno preferito dire. Ma se il modello ed il Demiurgo sono la stessa cosa, unico sarà, secondo Platone, il Demiurgo; ed infatti il modello è “unigenito”, come egli dimostra174. Se invece il Demiurgo preesiste al modello, il che non è neppure lecito dire, e dal canto suo il modello è unico, a maggior 25 ragione, a mio avviso, il Demiurgo è unico; infatti i più elevati fra i principi causali hanno ottenuto una sussistenza più uni-forme, dato che il primissimo principio causale dell’universo nella sua 47 totalità è unico. Se invece il principio causale che ha funzione di modello occupasse una posizione di primissimo livello tra gli enti, ed invece il principio causale demiurgico occupasse una posizione di secondo livello, ed infine questo universo una posizione di ultimo livello, in quanto esso è imitazione dell’uno, mentre prodotto generato dell’altro, come potrebbe mai il termine interme- 5 dio, dato che quelli estremi sono monadici, essere una molteplicità senza monade? In effetti è in certa misura necessario che il modello, in quanto è intelligibile, faccia risplendere, in misura maggiore rispetto al principio causale demiurgico, l’unità su questo nostro universo, e come il modello, essendo “unigenito”, comprende in se stesso i primi modelli, allo stesso modo è anche necessario che a sua volta la monade demiurgica sia comprensiva dei 10 molti demiurghi. Se infatti il carattere “unigenito” giunge anche al cosmo certamente dal modello, ma per il tramite del Demiurgo, senza dubbio, a mio modo di vedere, anche il Demiurgo è unico. Inoltre ritengo che coloro che si fanno propugnatori di questa opinione debbano tener presente il punto di vista di Socrate, cioè 15 che in ogni ambito i molti conviene comprenderli nell’uno. In effetti è appunto per questo motivo che abbiamo accolto l’ipotesi delle Forme ed abbiamo posto le monadi intellettive al di sopra delle altre entità. Come dunque le forme intellettive possono tendere in alto verso un unico principio e come ciascuna di esse può 20 procedere da una sola causa demiurgica, mentre la forma demiurgica stessa nella sua interezza risulta moltiplicata e divisa prima

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pro; th'" ajdiairevtou monavdo" Dei' ga;r wJ" ta; i[sa pavnta tav te noera; kai; ta; yucika; kai; ta; aijsqhta; mia'" ejxhvrthtai th'" prwvth" ijsovthto", wJ" ta; kala; pavnta tou' aujtokavllou", 25 wJ" ta; polla; pantacou' tw'n prwvtw" o[ntwn, ou{tw kai; to; plh'qo" tw'n dhmiourgw'n ejk mia'" ei\nai dhmiourgiva" kai; peri; mivan uJfestavnai dhmiourgikh;n monavda. Pw'" ga;r a]n ei[h qemito;n ejn toi'" ei[desi ma'llon ajpoleivpein to; e}n h] 48 ãejnà toi'" qeoi'" Ta; me;n ga;r tw'/ plhvqei suvmmikton e[cei th;n uJpovstasin, oiJ de; qeoi; kat aujth;n ajforivzontai th;n e{nwsin. Eij a[ra tw'n eijdw'n ta; plhvqh pavnta monavdwn ejsti;n e[kgona, pollw'/ ma'llon aiJ tw'n qew'n tavxei" ta;" ijdiovthta" 5 ajpo; tw'n monavdwn e[lacon ajrcomevna" kai; dia; tw'n monavdwn toi'" plhvqesin ejnuparcouvsa". Eij de; tou'to, dei' pro; tou' plhvqou" tw'n dhmiourgw'n uJfestavnai to;n o{lon dhmiourgo;n kai; tou;" trei'" katanevmesqai th;n mivan th'" ajpogennhvsew" tou' panto;" aijtivan. 10 Pavlin ou\n ejx ajrch'" ei[pwmen wJ" ajnavgkh th;n dhmiourgikh;n ajrch;n h] mivan ei\nai h] polla;" h] mivan kai; pollav". All eij me;n miva movnon kai; to; plh'qo" to; ejn tw'/ kovsmw/ kai; hJ diavforo" tavxi" ejk th'" mia'" uJfevsthken oJmoivw", pw'" ta; qnhta; kai; ajqavnata th'" aujth'" aijtiva" ajmevsw" e[kgona 15 Ta; ga;r ejk th'" mia'" dhmiourgiva" pavnta ajqavnatav ejstin. Eij de; pollai; movnon, povqen tw'/ plhvqei to; koino;n th'" uJpavrxew" ei\do", mh; ajf eJno;" ajrcovmenon W" ga;r to; teliko;n ai[tion e{n, to; ajgaqovn, wJ" to; paradeigmatiko;n e{n, to; aujtozw'/on, wJ" to; genovmenon e{n, oJ kovsmo" ou|to", kata; 20 to;n aujto;n trovpon kai; to; dhmiourgiko;n ai[tion e{n. Eij de; miva kai; pollaiv, povteron tw'n merikw'n ejstin hJ miva genw'n h] tw'n oJlikw'n All eij me;n tw'n merikw'n, pw'" pro;" to; prwvtiston ajnateivnetai paravdeigma kai; nohtovn Ta; ga;r uJperkovsmia gevnh peri; tou;" noerou;" uJfivstatai qeou;" kai; 25 kata; ta; noera; paradeivgmata: merika; ga;r o[nta sustoivcw" eJautoi'" pro;" ta; noera; ta; meq eJauta; pavntw" ajfomoioi'. Pw'" de; e[ti fulavxei th;n th'" o{lh" dhmiourgiva" 49 e{nwsin th;n ta; o{la paravgousan oJlikw'" Oujdei; ga;r to;

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della monade indivisibile? In effetti, come tutte le entità uguali, sia quelle intellettive sia quelle psichiche sia quelle sensibili, risultano dipendere dall’unica prima Uguaglianza, come tutte le entità belle dipendono dalla Bellezza-in-sé, come le entità molteplici 25 in ogni ambito dipendono dagli enti in senso primo, allo stesso modo occorre che la molteplicità dei demiurghi derivi da un’unica demiurgia e che sia venuta a sussistere in relazione ad un’unica monade demiurgica. Infatti come potrebbe essere lecito omettere l’unità tra le forme in misura maggiore che fra gli dèi? Infatti le 48 forme hanno la loro sussistenza mescolata al molteplice, mentre gli dèi sono definiti in base all’unità stessa. Se dunque tutte le molteplicità delle forme sono prodotti generati da monadi, a maggior ragione gli ordinamenti degli dèi hanno ottenuto in sorte che le 5 loro proprietà incomincino dalle monadi ed attraverso le monadi sussistano nelle molteplicità. Ma se è così, occorre che prima della molteplicità dei demiurghi sia venuto a sussistere il Demiurgo universale, e che i tre demiurghi175 si distribuiscano la causa unica della generazione del Tutto. Di nuovo dunque riprendendo dall’inizio, dobbiamo dire che 10 il principio demiurgico deve necessariamente essere o uno o molteplice, oppure uno e molteplice. Ma se è solo uno, e la molteplicità che è insita nel cosmo e la differenza di ordinamento sono venuti a sussistere dall’unico principio alla stessa maniera, in che modo gli esseri mortali e quelli immortali sono prodotti generati direttamente dalla medesima causa? In effetti gli esseri che deri- 15 vano dall’unica demiurgia sono tutti immortali. Se invece il principio demiurgico è solamente molteplice, da dove viene per la molteplicità la forma comune di realtà, se tale forma comune non deriva da un principio unico? In effetti, come il principio causale finale, cioè il Bene, è uno solo, come quello che funge da modello, cioè il Vivente-in-sé, è uno solo, come il prodotto generato, cioè questo nostro cosmo, è uno solo, allo stesso modo anche il 20 principio causale demiurgico è uno solo. Infine, se il principio demiurgico è uno e molteplice, l’unico principio appartiene ai generi particolari oppure a quelli universali? Ma se appartiene ai generi particolari, come può tendersi in alto verso il modello primissimo ed intelligibile? In effetti i generi ipercosmici176 sussistono in relazione agli dèi intellettivi ed in base ai modelli intellettivi: infat- 25 ti, essendo particolari, essi, in modo corrispondente al loro proprio livello, assimilano del tutto a quelli intellettivi i generi che vengono dopo loro stessi. Come poi tale principio potrà ancora conservare l’unità della demiurgia universale che produce l’uni- 49

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toiou'ton proshvkei tw'n merikw'n, ajll h] ta; mevrh poiei'n h] merikw'", wJ" ei[rhtai provteron. Eij de; tw'n oJlikw'n ejsti diakovsmwn, nohth;n aujth;n h] noera;n h] nohth;n ei\nai kai; noera;n ajnagkai'on. All eij me;n th'" nohth'" ejsti fuvsew", pw'" diairetikh; tw'n o{lwn ejstiv Pw'" suntavttetai toi'" ejgkosmivoi" Pw'" schmativzein levgetai to; pa'n Pw'" ejk tw'n genw'n tou' o[nto" paravgein thvn te yuch;n kai; ta; met aujthvn Pavnta ga;r tau'ta qhsovmeqa kai; ejn toi'" nohtoi'", to; sch'ma, ta; gevnh tw'n o[ntwn, kai; tau'ta dih/rhmevna, to; o{moion kai; ajnovmoion, ta; a[lla di w|n uJfivsthsi to;n o{lon kovsmon. Eij de; th'" nohth'" kai; noera'", pw'" to;n metecovmenon paravgei nou'n Pw'" diakrivnei ta;" polueidei'" tavxei" tw'n yucw'n Pw'" diairei' ta;" ejn aujtai'" moivra" h] tou;" kuvklou" Kai; ga;r to; gennhtiko;n nou' tou' metecomevnou ajmevqektov" ejsti nou'", kai; to; diairetiko;n tou' plhvqou" tw'n sunecovntwn ta; o{la gevnh qew'n oujde;n diafevrei. Kai; o{lw" uJpo; tou' Timaivou nou'" me;n ajpokalei'tai kai; oJra'n kai; euJrivskein kai; logivzesqai levgetai pollavki" oJ tw'n o{lwn dhmiourgov", nohto;" de; kai; noero;" oujdamou' proseivrhtai. Kai; ga;r au\ oiJ me;n nohtoi; kai; noeroi; qeoi; triadikw'" ta; pavnta diairou'sin, oJ de; dhmiourgo;" oJte; me;n eij" pevnte diairei' to;n kovsmon, oJte; de; eij" eJbdomavda", tou;" kuvklou" th'" yuch'" h] tou;" oujranivou" h] ta;" eJpta; moivra" ajpogennw'n. Pavnth/ a[ra tw'n nohtw'n kai; noerw'n aujto;n qew'n deuvteron ei\nai fhvsomen kai; deutevrwn ajgaqw'n ai[tion tw'/ kovsmw/: tw'n de; hJnwmevnwn eijdw'n te kai; lovgwn eij" ejkeivnou" th;n aijtivan ajnoivsomen. ieV All o{ti me;n oJ dhmiourgiko;" nou'" qeov" ejsti noerov", oi\mai dia; touvtwn pefhnevnai prov" ge to; paro;n iJkanw'". Dokei' dev moi diaferovntw" aujtou' th;n ijdiovthta oJ Plavtwn

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versale totalità delle cose in modo universale? In effetti tale carattere non si confà a nessuna delle entità particolari, ma ad esse si confà o produrre le parti o produrre in modo particolare, come si è detto in precedenza177. Se invece questo principio appartiene agli ordinamenti universali, è necessario che esso sia intelligibile o intellettivo o intelligibile-intellettivo. Ma se fa parte della natura intelligibile, come può essere divisore degli universali? Come può essere coordinato alle entità encosmiche? Come si può dire che dà figura al Tutto? Come si può dire che a partire dai generi dell’essere produce l’anima e le entità che vengono dopo di essa? In effetti tutte queste cose le porremo anche tra gli intelligibili: la figura, i generi dell’essere, nella loro specifica suddivisione, il simile ed il dissimile e tutto il resto attraverso il quale fa sussistere il cosmo nella sua totalità. Me se fa parte della natura intelligibile-intellettiva, come può produrre l’intelletto partecipato? Come può distinguere i multiformi ordinamenti delle anime? Come può dividere le parti insite in esse o i loro cerchi178? Ed in effetti l’entità generatrice dell’intelletto partecipato è un intelletto impartecipabile, e l’entità che divide la molteplicità non differisce in nulla dagli dèi che mantengono insieme i generi universali. Ed in generale il Demiurgo dell’universo nella sua totalità viene chiamato da Timeo «intelletto» e si dice spesso che «vede», «scopre» e «riflette», mentre non è stato mai denominato “intelligibile-intellettivo”. Ed in effetti, dal canto loro, gli dèi intelligibili-intellettivi dividono in modo triadico179 tutte le cose, mentre il Demiurgo ora divide il cosmo in cinque, ora in ebdomadi, quando genera i cerchi dell’anima o quelli celesti o le sette parti180. Di conseguenza diremo che, sotto ogni aspetto, il Demiurgo è inferiore agli dèi intelligibili-intellettivi ed è principio causale per il cosmo di beni inferiori; invece attribuiremo agli dèi intelligibili-intellettivi la causa sia delle Forme sia dei principi razionali unificati.

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50 15 [Sul fatto che il carattere specifico del Demiurgo lo ha soprattutto tramandato il “Timeo”, chiamandolo “intelletto”, e sul fatto che ciò si confà al terzo dei padri intellettivi]

Ma che l’intelletto demiurgico è un dio intellettivo, ritengo che attraverso queste considerazioni sia stato mostrato, almeno per il momento, in modo sufficiente. Inoltre a me pare che Platone indi-

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ejndeivknusqai nou'n aujto;n ajpokalw'n kai; oJra'n ta; nohta; levgwn, ejkei'na de; oJrata; kata; fuvsin aujtw'/ tiqevmeno". O ga;r wJ" ajlhqw'" nou'" kai; oJ kata; tauvthn iJdruvsa" eJauto;n th;n u{parxin oJ noerov" ejsti nou'". Epei; kai; oJ nohto;" nou'" aJplw'" mevn ejsti nohto;" kai; th'" moivra" ejkeivnh", levgetai 10 de; nou'" wJ" aijtiva th'" noera'" aJpavsh" fuvsew": kai; oJ tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n nou'" oujk e[cei pro;" to; nohto;n a[mikton th;n eJautou' fuvsin. Movno" de; oJ noero;" nou'" ijdivw" ejsti; nou'", aujto; to; noero;n ejn toi'" noeroi'" klhrwsavmeno", w{sper dh; kai; tw'n nohtw'n kuriwvtata kai; prwvtw" ejsti; 15 nohto;n kai; prwvtiston kai; ajkrovtaton, o} dh; kai; e}n o]n kai; krufivw" o]n ejponomavzomen. Tou'to me;n ou\n ejsti to; aJplw'" nohtovn, oJ de; aJplw'" nou'" noero;" nou'". Ecei ga;r to; me;n nohto;n th;n ajkrovthta tw'n o{lwn, oJ de; nou'" to; pevra", ta; de; ejn mevsw/ th'/ me;n tw'/ nohtw'/ proshvkei, th'/ de; tw'/ nw'/ kai; th'/ 20 noera'/ fuvsei. Kai; ta; me;n prwvtw" nohta; kat aijtivan e[cei to;n nou'n, ta; de; prwvtista tw'n noerw'n kata; mevqexin e[cei to; nohtovn, ta; de; touvtwn sunagwga; th;n nohth;n oJmou' kai; noera;n ijdiovthta sunhvnwsen. 51 Epeidh; toivnun kai; oJ Tivmaio" nou'n ajdiorivstw" prosagoreuvei to;n dhmiourgovn, kai; ou[te zwh;n ou[te nohtovn, wJ" th'" ijdiovthto" aujtw'/ movnh" ou[sh" noera'", ajnavgkh dhvpou kata; to; pevra" aujto;n iJdruvsasqai tw'n noerw'n qew'n. Ekei' 5 ga;r oJ nou'" oJ aujtonou'" kai; ouj toiou'to" oJpoi'ov" ejstin oJ Krovnio". Nou'" me;n ga;r kai; ejkei'no", ajll oJ kaqaro;" kai; ajkhvrato" nou'" dhloi' th;n ejn toi'" noeroi'" a[kran uJperanevcousan tw'n o{lwn noerw'n qew'n hJgemonivan: oJ de; dhmiourgo;" aJplw'" ejsti nou'". Wsper ou\n to; aJplw'" 10 nohto;n to; prwvtistovn ejsti tw'n nohtw'n, ou{tw" oJ aJplw'" nou'" to; e[scatovn ejsti tw'n noerw'n. Pavnta me;n ga;r ejn eJkavstoi" ejsti; tw'n diakovsmwn: kai; ga;r ejn toi'" nohtoi'" zwh; kai; nou'" prou>pavrcei, kai; ejn tw'/ plavtei th'" zwh'" oJmoivw" h{ te zwh; kai; oJ nou'", kai; ejn toi'" noeroi'" tw'n loipw'n 15 eJkavteron: ajll ejn me;n toi'" nohtoi'" kat oujsivan ejsti; to; o[n, 5

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chi in modo particolare la sua proprietà specifica chiamandolo 5 «intelletto» e dicendo che «vede»181 gli intelligibili, in quanto ritiene che essi siano per lui «visibili per natura»182. Infatti quello che è veramente intelletto e che ha posto se stesso in questa realtà è l’intelletto intellettivo. In effetti, dal canto suo, l’intelletto intelligibile è puramente e semplicemente intelligibile ed appartiene a quella parte della realtà, e d’altra parte viene detto “intellet- 10 to” in quanto causa di tutta quanta la natura intellettiva183; e l’intelletto che appartiene agli intelligibili ed intellettivi ad un tempo non ha la sua natura mescolata all’intelligibile. Ma solo l’intelletto intellettivo è propriamente intelletto, avendo avuto in sorte il carattere stesso di intellettivo tra gli intellettivi, come appunto tra gli intelligibili in senso assolutamente proprio e precipuo v’è un 15 intelligibile, primissimo ed assolutamente supremo, che appunto denominiamo “Uno-che-è” ed “essere in forma celata”184. Questo dunque è l’intelligibile puramente e semplicemente tale, mentre l’intelletto puramente e semplicemente tale è intelletto intellettivo. In effetti l’intelligibile occupa la sommità degli universali, invece l’intelletto il limite inferiore, mentre le entità poste nel mezzo si confanno in parte all’intelligibile, in parte invece all’intelletto e alla natura intellettiva. E gli intelligibili in senso prima- 20 rio possiedono a livello causale l’intelletto, invece i primissimi tra gli intellettivi hanno in base a partecipazione l’intelligibile, infine le entità che raccolgono queste due nature hanno unito insieme il carattere specifico di intelligibile e quello di intellettivo. Pertanto, dato che Timeo denomina, senza ulteriore precisa- 51 zione, «intelletto» il Demiurgo, e non “vita” né “intelligibile”, nella convinzione che ad esso appartenga solo il carattere specifico di intellettivo, è necessario, a mio giudizio, che esso sia posto nel limite inferiore degli dèi intellettivi. Lì infatti l’intelletto è intellet- 5 to-in-sé e non è della stessa natura dell’intelletto Cronio. In effetti anche Crono è sì intelletto, ma l’espressione «l’intelletto puro ed intatto»185 mette in luce la sovranità tra gli intellettivi che si leva al di sopra di tutti gli dèi intellettivi nella loro totalità186; invece il Demiurgo è puramente e semplicemente intelletto. Come dunque l’intelligibile puramente e semplicemente tale è il primis- 10 simo tra gli intelligibili, allo stesso modo l’intelletto puramente e semplicemente tale è l’ultimo tra gli intellettivi. In effetti in ciascuno degli ordinamenti sono presenti tutti i caratteri: ed infatti tra gli intelligibili preesistono vita ed intelletto, nell’ambito della Vita187 la vita e l’intelletto si trovano in maniera eguale, e tra gli intellettivi si trovano l’uno e l’altro dei caratteri restanti188; ma 15

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kat aijtivan de; hJ zwh; kai; oJ nou'", ejn de; toi'" noeroi'" kat oujsivan me;n oJ nou'", kata; mevqexin de; to; o]n kai; hJ zwhv, ejn de; toi'" mevsoi" oJ me;n nou'" kat aijtivan, to; de; o]n kata; mevqexin, hJ de; zwh; kat oujsivan uJfevsthken. W" ou\n to; 20 zwtikwvtaton ejn th'/ zwh'/ to; mevson, kai; wJ" to; mavlista nohto;n ejn tw'/ o[nti to; ajkrovtaton, ou{tw" au\ ejn toi'" noeroi'" to; e[scatovn ejsti dhvpou to; noerwvtaton. Ei[ ti" ou\n ejstin aJplw'" nou'" kai; oJrw'n nou'", ou|tov" ejstin oJ noerov", o}n dhmiourgo;n oJ Plavtwn ajpokalw'n 25 ejnargestavthn hJmi'n th;n tavxin h}n e[lacen ejn toi'" noeroi'" ajpevfhne. Dia; dh; tou'to kai; pro; tw'n a[llwn aJpavntwn uJfivsthsi to;n metecovmenon nou'n, w{" fhsin oJ Tivmaio": Nou'n ga;r ejn th'/ yuch'/, yuch;n de; ejn swvmati qei;" to; pa'n sunetektaivneto. Kata; th;n eJautou' toivnun 52 oujsivan ejnergw'n kai; aujtw'/ tw'/ ei\nai paravgwn to;n tou' panto;" uJpevsthse nou'n pro; tw'n a[llwn aJpavntwn. Ek ga;r tou' ajmeqevktou nou' pa'" oJ metecovmeno" proveisin. Wsper ou\n eij e[legen o{ti to; metecovmenon uJfivsthsi nohtovn, to; 5 prwvtw" a]n h\n o]n ejkei'no to; gennhtiko;n ai[tion, ou{tw" ejpei; nou'n ajf eJautou' paravgei prwvtw", nou'" a]n ajmevqekto" ei[h kai; noerov".

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ãiıVÃ Tiv" me;n ou\n hJ tou' dhmiourgou' kai; patro;" u{parxi" kai; tivna tavxin e[lacen ejn toi'" noeroi'" kata; to;n Tivmaion, ajpo; touvtwn fanerovn. Sullogiswvmeqa de; kai; kat a[llon trovpon th;n ijdiovthta aujtou', labovnte" ajpo; tou' Timaivou ta;" tw'n lovgwn ajrcav". Tou'to dh; ou\n panti; gnwvrimon,

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negli intelligibili l’essere si trova a livello di essenza, mentre la vita e l’intelletto a livello di causa; invece negli intellettivi a livello di essenza si trova l’intelletto, mentre a livello di partecipazione l’essere e la vita; dal canto loro negli intermedi189 è venuto a sussistere l’intelletto a livello di causa, l’essere a livello di partecipazione, infine la vita a livello di essenza. Come dunque il termine più vita- 20 le nell’ambito della Vita è quello intermedio, mentre il termine più intelligibile nell’ambito dell’Essere è quello più elevato, allo stesso modo, a loro volta, negli intellettivi il termine estremo è, a mio giudizio, quello più intellettivo. Se dunque vi sono un intelletto puramente e semplicemente tale ed un intelletto «che vede»190, quest’ultimo è quello intellettivo, ed è quello che Platone ha denominato «Demiurgo»191 e con ciò ci ha rivelato in modo chiarissimo il livello che gli è stato asse- 25 gnato tra gli intellettivi. Proprio per questo, anche prima di tutte quante le altre cose, il Demiurgo fa sussistere l’intelletto partecipato, come afferma Timeo: infatti « dopo aver posto l’intelletto nell’anima, e a sua volta l’anima in un corpo, egli ha costruito il Tutto»192. Pertanto, agendo in base alla sua essenza e producendo con 52 il suo stesso essere, il Demiurgo ha fatto sussistere l’intelletto del Tutto prima di tutte quante le altre cose. Infatti è dall’intelletto impartecipabile che procede ogni intelletto partecipato. Come dunque, se Platone avesse detto che il Demiurgo fa sussistere l’intelligibile partecipato, questo principio causale generativo sareb- 5 be l’essere in senso primario, allo stesso modo, dato che il Demiurgo da sé produce primariamente un intelletto, esso dovrebbe essere un intelletto impartecipabile ed intellettivo193.

[Come in base ad un’altra via si deve scoprire il carattere specifico del Demiurgo, e in che senso lo stesso viene detto nel “Timeo” «artefice e padre»; in questo capitolo è spiegato dove secondo Platone si trova il carattere “paterno”, dove quello “paterno ed insieme artefice”, dove quello “artefice e paterno”, dove quello “solamente artefice”, e in generale in cosa differiscono artefice e padre] Quale sia dunque la realtà del «Demiurgo e padre»194 e quale livello, secondo il Timeo, gli sia stato assegnato tra gli intellettivi, risulta manifesto da tali considerazioni. Dobbiamo poi desumere anche in un altro modo il suo carattere specifico, ricavando dal Timeo i principi dei nostri ragionamenti. Ebbene, ciò risulta a cia-

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o{ti poihth;n kai; patevra kalei' to;n o{lon dhmiourgo;n oJ Tivmaio" tw'n peri; aujtou' lovgwn ajrcovmeno": To;n me;n ou\n poihth;n kai; patevra tou'de tou' panto;" euJrei'n te e[rgon kai; euJrovnta eij" a{panta" ajduvnaton levgein. Ou[t ou\n patevra movnon ou[te poihth;n movnon aujto;n hjxivwsen eijpei'n ou[te sumplevkwn au\ patevra kai; 20 poihthvn, ajll e[mpalin to; poihtiko;n pro; tou' patrikou' tiqevmeno". Lektevon nu'n, prw'ton me;n h|/ diafevreton ajllhvlwn poihth;" kai; pathvr, e[peita pro;" touvtw/ tiv" me;n oJ path;r movnon, tiv" de; oJ poihth;" movnon, tiv" de; oJ path;r kai; poihthv", kai; o{pw" tw'/ dhmiourgw'/ to; poihtiko;n a{ma kai; patriko;n 25 proshvkein ejnomivsqh para; tou' Plavtwno". 53 Eij me;n dh; pavnta diairoi'men eij" qeou;" kai; ta; tw'n qew'n e[kgona (tou'to de; taujto;n tw'/ diairei'n ei[" te uJperousivou" monavda" kai; ta;" tw'n o[ntwn proovdou"), oJ me;n path;r tw'n qew'n e[stai gennhtiko;" kai; tw'n uJperousivwn eJnavdwn, oJ de; 5 poihth;" tw'n oujsiw'n kai; tw'n o[ntwn uJpostavth". Kata; tou'ton ga;r au\ to;n lovgon oJ Tivmaio" ta; me;n uJpo; tou' dhmiourgou' gennwvmena qeoi'" ijsavzesqaiv fhsin, ouj ga;r movnon ejsti; poihthv", ajlla; kai; pathvr: ta; de; uJpo; tw'n nevwn qew'n paragovmena qnhth;n eijlhcevnai th;n fuvsin, poihtai; 10 gavr eijsi movnon kai; dhmiourgoi; pragmavtwn, tou' ei\nai movnon ajll oujci; th'" uJperousivou metevconte" ijdiovthto". Wi toivnun ejlassou'ntai th'" dhmiourgikh'" monavdo", touvtw/ th;n gennhtikh;n oujk e[lacon duvnamin tw'n qeoi'" ijsazomevnwn: kai; w|/ tw'n nevwn qew'n oJ noero;" uJperhvplwtai dhmiourgov", 15 touvtw/ ta;" qeiva" ajpogennhvsei" tw'n ejgkosmivwn aJpavntwn eij" eJauto;n ajnedhvsato. Eij de; au\ ta; o[nta diairoi'men eij" ta; o{la kai; ta; merikav, pavlin hJmi'n oJ me;n path;r tw'n o{lwn uJpostavth" ajnafanhvsetai, tw'n de; merikw'n oJ poihthv". O me;n ga;r ejxh/rhmevnw" 20 ai[tiov" ejsti tw'n ajpogennwmevnwn, oJ de; prosecw'": kai; oJ me;n aujtw'/ tw'/ ei\nai paravgei, th'" ejnergeiva" aujtw'/ telouvsh" eij" th;n u{parxin, oJ de; tw'/ ejnergei'n, th'" uJpostavsew" aujtw'/ kat ejnevrgeian iJstamevnh". Eij de; au\ tw'n ajidivwn kai; tw'n qnhtw'n ta;" ajpogennhvsei" 25 cwri;" dieloivmeqa, ta;" me;n tw'n ajidivwn ejpi; th;n patrikh;n aijtivan ajnoivsomen, ta;" de; tw'n qnhtw'n ejpi; th;n poihtikhvn. O me;n ga;r poihth;" ajpo; tou' mh; o[nto" ejpi; to; o]n proavgei to; 15

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scuno noto, cioè che Timeo chiama il Demiurgo universale «artefice e padre» all’inizio dei discorsi che lo concernono: «Dunque il 15 Demiurgo e padre di questo nostro universo è un’impresa scoprirlo e scopertolo è impossibile rivelarlo a tutti quanti»195. Né dunque solo “padre”, né solo “artefice” ha ritenuto opportuno chiamarlo, né, a sua volta, con una combinazione dei due termini “padre” e “artefice”, ma, al contrario, ponendo il carattere di padre prima 20 di quello di artefice. Si deve dire ora in primo luogo come siano l’uno differenziabile dall’altro i termini “padre” ed “artefice”, ed in seguito, oltre a ciò, chi è solo “ il padre”, chi è solo “l’artefice”, ed ancora chi è “il padre ed artefice”, ed in che modo il carattere di artefice insieme a quello di padre Platone ha ritenuto si addi- 25 cessero al Demiurgo. Se noi dividiamo tutti gli esseri in dei ed in prodotti generati 53 dagli dèi (ciò, d’altra parte, è lo stesso che dividere in monadi sovraessenziali e in processioni degli enti), il padre degli dèi sarà generatore degli dèi e delle enadi sovraessenziali, mentre l’artefi- 5 ce sarà origine del sussistere delle essenze e degli enti. In effetti in base, a sua volta, a questo ragionamento, Timeo afferma che gli esseri generati dal Demiurgo «sono uguali a dèi»196: infatti il Demiurgo non è solo artefice, ma anche padre; invece gli esseri prodotti dagli “dèi giovani” afferma che hanno ottenuto in sorte la natura mortale: infatti gli “dèi giovani” sono solo artefici e de- 10 miurghi di realtà specifiche e determinate, in quanto partecipano solo dell’essere, ma non del carattere specifico sovraessenziale. Pertanto è perché sono inferiori alla monade demiurgica che non hanno avuto in sorte la potenza generatrice degli esseri che sono uguali a dèi; ed è perché il Demiurgo intellettivo risulta semplice ad un livello superiore rispetto agli dèi giovani che si è legato a sé 15 le generazioni divine di tutti quanti gli esseri encosmici. Se invece dividiamo a loro volta gli enti in universali e particolari, di nuovo il padre ci apparirà origine del sussistere degli universali, mentre l’artefice origine del sussistere dei particolari. Infatti l’uno è in modo trascendente principio causale degli esseri 20 da lui generati, l’altro invece lo è in modo diretto; e l’uno produce con il suo stesso essere, in quanto il suo atto è parte costitutiva della sua realtà, l’altro invece attraverso l’agire, in quanto la sua sussistenza consiste nel suo atto. Se ancora poi distinguessimo separatamente le une dalle altre, 25 a loro volta, le generazioni degli esseri eterni e quelle degli esseri mortali, faremmo risalire quelle degli esseri eterni alla causa paterna, invece quelle dei mortali alla causa artefice. In effetti l’artefice

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gennwvmenon (tauvthn ga;r ei\nai kai; oJ Eleavth" xevno" th;n poihtikh;n ajfwrivsato tevcnhn), oJ de; path;r eJautw'/ sun54 ufivsthsi ta; meq eJautovn: aujtw'/ ga;r tw'/ ei\nai pathvr ejsti kai; e[cei th;n tou' genna'n duvnamin eJautw'/ sunhnwmevnhn. Ekavteron me;n ou\n, tov te patriko;n levgw kai; to; poihtikovn, oJmoiou'tai th'/ tou' pevrato" ajrch'/, kai; e[sti to; me;n 5 eJnwvsew", to; de; eijdopoiiva" ai[tion, kai; to; me;n tou' o{lou, to; de; th'" a[cri tw'n merw'n ejktavsew", kai; to; me;n aJplw'n, to; de; sunqevtwn ajrchgovn. Antivkeitai de; au\ touvtoi" to; gennhtiko;n ai[tion kai; to; th'" zwh'" parektikovn, o{ti to; me;n patriko;n tai'" gennhtikai'" sumfuvetai dunavmesi, to; de; 10 poihtiko;n tai'" zwopoioi'": kai; w{sper dh; to; patriko;n kai; poihtiko;n uJpo; th;n tou' pevratov" ejsti sustoicivan, ou{tw" a[ra kai; to; govnimon pa'n kai; to; zwopoio;n uJpo; th;n zwopoiivan kai; ajpeirivan telei' th;n prwvthn. Touvtwn de; hJmi'n tauvth/ dih/rhmevnwn dh'lon wJ" to; me;n 15 patriko;n aujto; kaq auJto; prwvtw" ejn toi'" nohtoi'" ejsti qeoi'". Ekei'noi gavr eijsi tw'n o{lwn patevre", kat aujth;n a[kran iJstavmenoi th;n e{nwsin th;n nohthvn: kai; dia; tou'tov pou kai; oJ Plavtwn patevra kalei' to;n prw'ton qeovn, ajpo; tw'n prosecw'" met aujto;n iJdrumevnwn ejp aujto;n th;n tou' 20 patro;" ejpwnumivan metafevrwn. Pantacou' me;n ga;r ta; ojnovmata tw'/ ajrrhvtw/ prosfevrein ei[wqen ajpo; tw'n deutevrwn kai; met aujto;n aijtivwn: ajll o{pou me;n ajpo; pavntwn aJplw'" tw'n o[ntwn, o{pou de; ajpo; tw'n ejn aujtoi'" prwtivstwn. Qevmi" ga;r ou[t h\n ou[te ejsti;n ajpo; tw'n ceirovnwn ejn 25 toi'" ou\si kai; povrrw tetagmevnwn ejp ejkei'non ta; ojnovmata to;n pavntwn ejxh/rhmevnon tw'n o[ntwn ajnapevmpein. Eij me;n ou\n pavnta ta; o[nta th'" patrikh'" metei'cen ijdiovthto", ajpo; pavntwn tw'n o[ntwn ejlevgomen to; o[noma tou'to tw'/ eJni; to;n Plavtwna tivqesqai: nu'n dev, ouj gavr ejstin ejn pa'si toi'" 55 ou\si to; toiou'ton ai[tion, dh'lon a[ra wJ" ajpo; tw'n prwtivstwn aujtw'/ kai; ajkrotavtwn ejn toi'" qeoi'" fevrei th;n toiauvthn proshgorivan. Alla; mh;n presbuvteroi tw'n qeivwn eijsi;n aJpavntwn diakovsmwn oiJ nohtoi; qeoi; kai; meta; to; e}n ajmevsw" 5 uJfesthkovte". En toi'" nohtoi'" a[ra qeoi'" ejstin hJ patrikh; tw'n o[ntwn aijtiva kai; oiJ nohtoi; qeoi; patevre" eijsi; tw'n qeivwn aJpavntwn genw'n, ejp a[kroi" iJdrumevnoi toi'" ou\si kai; krufivw" ta; o{la paravgonte". Kai; oJ me;n prw'to" qeo;" kai;

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fa procedere ciò che viene da lui generato dal non-essere all’essere (questa infatti è l’arte dell’artefice secondo la definizione dello Straniero di Elea197), invece il padre fa sussistere insieme con se 54 stesso gli esseri che vengono dopo di lui: infatti con il suo stesso essere è padre e possiede strettamente unita a se stesso la potenza di generare. Ciascuno dunque dei due caratteri, intendo dire quello paterno e quello artefice, è simile al principio del limite, e l’uno è principio causale di unità, l’altro è principio causale di produzione di 5 forme, e l’uno è principio causale dell’universale, l’altro invece del dispiegamento che giunge fino alle parti, e l’uno è principio originario di entità semplici, l’altro di entità composte. D’altra parte a loro volta corrispettivamente opposti a questi sono il principio causale generativo e quello produttivo della vita, poiché il carattere paterno è naturalmente unito alle potenze generatrici, invece quello artefice alle potenze generative di vita; e proprio come il 10 carattere paterno e quello artefice sono posti sotto la serie coordinata del limite, così di conseguenza anche tutto ciò che è generativo e ciò che produce vita è soggetto alla produzione di vita ed alla prima illimitatezza198. In base a queste divisioni da noi in tal modo operate, risulta evidente che il carattere paterno, considerato in sé e per sé, si 15 trova primariamente tra gli dèi intelligibili. Quelli infatti sono padri dell’universo nella sua totalità, in quanto sono stabiliti nella stessa somma unità intelligibile; e per questo motivo in qualche passo anche Platone chiama il Primo Dio «Padre»199, trasferendo- 20 gli la denominazione di “padre” dalle entità che sono poste immediatamente dopo di esso, ma ora a partire da tutti gli enti in assoluto, ora invece da quelli che sono tra essi primissimi. Infatti «non era, né è lecito»200 riferire a lui, che trascende tutti gli enti, i nomi a partire dagli enti inferiori e posti per ordinamento lontano da 25 lui. Se dunque tutti gli enti partecipassero del carattere specifico paterno, diremmo che Platone dà questo nome all’Uno a partire da tutti gli enti; ma in realtà, tale principio causale non si trova di 55 fatto in tutti gli enti; di conseguenza risulta evidente che gli attribuisce tale denominazione a partire dai primissimi e assolutamente supremi tra gli dèi. Ma in verità, anteriori a tutti quanti gli ordinamenti divini sono gli dèi intelligibili e sussistenti immediatamente dopo l’Uno. Di conseguenza è tra gli dèi 5 intelligibili che si trova la causa paterna degli enti e gli dèi intelligibili sono padri di tutti quanti i generi divini, in quanto sono posti alla sommità degli enti e producono in modo celato la tota-

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th'" tou' patro;" proshgoriva", w{sper kai; tw'n a[llwn ojnomavtwn, ejpevkeinav ejsti, kai; ou[te tajgaqo;n ou[te e}n levgetai kurivw" dia; th;n a[rrhton eJautou' kai; a[gnwston uJperochvn: oiJ de; nohtoi; prwvtw" kai; eJnavde" eijsi;n uJperouvsioi kai; ajgaqovthte" kai; patevre" tw'n o[ntwn ejxh/rhmevnoi. To; me;n ou\n patriko;n ajpo; th'" prwvth" a[nwqen a[rcetai 15 triavdo": to; de; poihtiko;n ejn th'/ trivth/ prw'ton ejkfaivnetai. To; ga;r ta; ei[dh pavnta ajpogennw'n kai; toi'" ei[desi pavnta kosmou'n to; trivton ejsti; tw'n nohtw'n: ejkei' gavr, w{sper ejlevgomen, to; pantele;" zw'/on to; tw'n prwtivstwn kai; nohtw'n paradeigmavtwn perilhptikovn. Entau'qa toivnun kai; 20 to; poihtiko;n oJmou' sunufevsthke: to; ga;r aujtozw'/on kai; qeou;" uJfivsthsi kai; ta; ei[dh pavnta tw'n o[ntwn paravgei. Kata; me;n ou\n th;n qeivan aijtivan patrikh;n e[lacen ijdiovthta, kata; de; th;n eijdhtikh;n th;n poihtikh;n profaivnei tw'n o{lwn ajrchvn. Anavpalin de; au\ to; poihtiko;n oJmou' kai; 25 patriko;n ejn th'/ dhmiourgikh'/ monavdi th;n uJpovstasin e[lace. Dio; dh; kai; qew'n ejstin uJpostavth" oJ tw'n o{lwn dhmiourgov", diaferovntw" de; kovsmon ajpergavzetai kai; toi'" ei[desi kai; toi'" lovgoi" toi'" dhmiourgikoi'" ejnergw'n: kai; ga;r nou'n 56 uJfivsthsi kai; yuca;" kai; swvmata, toi'" ei[desi pavnta diakosmw'n, ta; me;n toi'" prwvtoi", ta; de; toi'" mevsoi", ta; de; toi'" teleutaivoi". Ora'/" ou\n o{pw" to; me;n tw'n nohtw'n pevra" patriko;n h\n 5 a{ma kai; poihtikovn, to; de; tw'n noerw'n pevra" poihtiko;n h\n oJmou' kai; patrikovn All ejkei' me;n hJ patrikh; ma'llon ijdiovth", ejntau'qa de; hJ poihtikhv: kai; par ajmfotevroi" me;n a[mfw ta; ai[tia prou>pavrcei, ma'llon mh;n ejn tw'/ paradeivgmati to; patrikovn, ejn de; tw'/ dhmiourgw'/ to; poihtikovn. To; 10 me;n ga;r aujtw'/ tw'/ ei\nai poiei', to; de; tw'/ ejnergei'n: kai; tw'/ me;n hJ poivhsi" oujsiwvdh", tw'/ de; hJ oujsiva poihtikhv: kai; ta; ei[dh par ajmfoi'n, ajll ou| me;n nohtw'", ou| de; noerw'". Ek dh; touvtwn fanero;n o{ti kai; ajnavlogon uJpevsth tw'/ paradeigmatikw'/ to; dhmiourgiko;n ai[tion kai; tauvthn e[cei 15 pro;" ta; noera; th;n tavxin h}n ejkei'no pro;" ta; nohtav. Kai; 10

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lità degli enti. Ed il Primo Dio è al di là anche della denominazio- 10 ne di “padre”, come anche degli altri nomi, e non è detto in senso proprio né “Bene” né “Uno” per via della sua ineffabile ed inconoscibile superiorità201; gli intelligibili, dal canto loro, sono a livello primario sia enadi sovraessenziali sia bontà sia padri trascendenti gli enti202. Dunque il carattere paterno ha inizio dall’alto, dalla prima triade; invece quello artefice si rivela per la prima volta nella terza. 15 In effetti ciò che genera tutte le forme e ordina tutte le cose con le forme è il terzo degli intelligibili: lì infatti, come dicevamo203, si trova il «Vivente compiutamente perfetto»204 che è comprensivo dei modelli primissimi ed intelligibili. In questo livello pertanto è 20 venuto contemporaneamente a sussistere anche il carattere artefice: infatti il Vivente-in-sé fa sussistere dèi ed al contempo produce tutte le forme degli enti. Dunque in base alla causa divina esso ha ricevuto il carattere specifico paterno, mentre in base a quella formale manifesta il principio artefice della totalità degli enti205. Dal canto suo, all’inverso, il carattere ad un tempo artefice e paterno ha ricevuto la sua sussistenza nella monade demiurgica. 25 Proprio per questo il Demiurgo dell’universo nella sua totalità è anche origine del sussistere di dèi206, ma soprattutto costruisce il cosmo agendo per mezzo delle forme e dei principi razionali demiurgici; ed infatti fa sussistere intelletto, anime e corpi, met- 56 tendo in ordine tutte le cose per mezzo delle forme, le une con le forme prime, le altre per mezzo di quelle intermedie, le altre ancora per mezzo delle forme ultime. Si riesce dunque a vedere come il limite inferiore degli intelligibili sia risultato paterno ed al contempo artefice, mentre il limi- 5 te inferiore degli intellettivi sia risultato artefice ed al contempo paterno?207 Ma negli intelligibili è predominante il carattere specifico paterno, mentre negli intellettivi quello artefice; e presso entrambi i livelli preesistono ambedue i principi causali, ma in effetti nel modello prevale il principio causale paterno, invece nel Demiurgo quello artefice. L’uno infatti produce con il suo stesso 10 essere, mentre l’altro con l’agire; e per l’uno il produrre appartiene alla sua stessa essenza, per l’altro la sua essenza è artefice; e le forme si trovano presso entrambi, ma nell’uno in modo intelligibile, nell’altro in modo intellettivo. Proprio in base a queste considerazioni risulta chiaro che il principio causale demiurgico è venuto a sussistere in modo analogo a quello che funge da modello e che esso occupa in rapporto 15 agli intellettivi lo stesso livello che quello occupa in rapporto agli

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dia; tou'to kai; oJ Tivmaio" eij" ejkei'no to; paravdeigma to;n tw'n o{lwn ajnateivnesqaiv fhsi dhmiourgovn: Hiper ou\n nou'" ejnouvsa" ijdeva" ejn tw'/ o} e[sti zw'/on, o{sai te e[neisi kai; oi|ai kaqora'/, tosauvta" kai; toiauvta" 20 dienohvqh dei'n kai; tovde to; pa'n scei'n. Kai; meta; th'" ajnalogiva" tauvth" u{fesiv" ejsti tou' noerou' pro;" to; nohtovn: to; me;n ga;r h{nwtai ma'llon, to; de; diakevkritai, kai; to; me;n ejn ejfetou' tavxei proevsthke, to; de; peri; aujto; kinei'tai, kai; to; me;n plhroi' th'" patrikh'" dunavmew", to; de; oi|on 25 katapivnei kai; ejgkolpivzetai th;n o{lhn ejkeivnou govnimon periousivan. Kai; kata; tou'ton dh; to;n trovpon pantelhv" 57 ejstin oJ tou' panto;" dhmiourgov", ajpo; tou' pantelou'" zwv/ou tw'n o{lwn nohtw'n dunavmewn metalabwvn. Tricw'" ga;r to; pa'n, to; me;n nohtw'", to; de; noerw'", to; de; aijsqhtw'". Kai; ga;r oJ kovsmo" tevleiov" ejstin ejk teleivwn, w{" fhsin 5 oJ Tivmaio", kai; to; aujtozw'/on kata; pavnta tevleiovn ejstin, wJ" oJ aujtov" pou diatavttetai, kai; oJ dhmiourgo;" tw'n aijtivwn a[risto" w]n pantelhv" ejsti. Pavlin ou\n ajnalabovnte" levgwmen wJ" a[ra to; me;n patriko;n ai[tion ajpo; th'" a[kra" eJnwvsew" a[rcetai tw'n nohtw'n, to; de; 10 patriko;n a{ma kai; poihtiko;n ejn tw'/ paradeivgmati tw'/ nohtw'/ sunufevsthke, to; de; au\ poihtiko;n oJmou' tw'/ patrikw'/ kata; to;n o{lon dhmiourgo;n ajfwvristai, tov ge mh;n poihtiko;n movnon kai; dhmiourgiko;n toi'" nevoi" proshvkei qeoi'", oi} kai; merikw'n eijsi kai; qnhtw'n uJpostavtai pragmavtwn. 15 Aujth; toivnun hJ th'" dhmiourgikh'" aijtiva" ijdiovth" poihtikh; kai; patrikhv: kai; tou'to ouj movnon ejn ajrch'/ tw'n peri; aujth'" lovgwn oJ Tivmaio" levgei, To;n me;n ou\n poihth;n kai; patevra tou'de tou' panto;" eijpwvn, ajlla; kajn th'/ pro;" tou;" nevou" qeou;" sunousiva/ to; aujto; pepoivhtai levgwn 20 wJsauvtw" oJ dhmiourgo;" pro;" aujtouv", Qeoi; qew'n, w|n ejgw; dhmiourgo;" pathvr te e[rgwn a[luta ejmou' ge ejqevlonto". Ouj ga;r patevra kai; dhmiourgo;n eJautovn, ajlla; dhmiourgo;n kai; patevra proseivrhken, w{sper ejkei' poihth;n kai; patevra. Kai; oujk ejn tw'/ Timaivw/ 25 movnon oJ trovpo" ou|to" ajfwvristai th'" tw'n ojnomavtwn suntavxew", ajlla; kai; ejn tw'/ Politikw'/ fhsin oJ Eleavth" xevno" peri; tou' kovsmou dialegovmeno", o{ti th;n tou' dhmi-

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intelligibili. E per questo motivo appunto Timeo afferma che il Demiurgo dell’universo nella sua totalità si protende in alto verso quel modello: «Come dunque l’intelletto, contemplando le Idee contenute in quello che è il Vivente, osserva quante ed al contempo quali sono in lui contenute, tante e tali ha ritenuto che anche que- 20 sto nostro universo dovesse avere»208. Ed insieme a questa analogia v’è un abbassamento di livello dell’intellettivo rispetto all’intelligibile: l’uno infatti è in misura maggiore unificato, mentre l’altro risulta differenziato, e l’uno sopravanza in qualità di desiderato, mentre l’altro si muove intorno ad esso, e l’uno ricolma di potenza paterna, l’altro invece per così dire “assorbe” ed accoglie nel 25 suo seno tutta la sovrabbondanza generativa di quello. È dunque proprio in questo modo che il Demiurgo del Tutto risulta assolu- 57 tamente perfetto, in quanto dal Vivente assolutamente perfetto ha tratto la totalità delle potenze intelligibili. In effetti il Tutto esiste sotto tre aspetti: uno è l’aspetto intelligibile, un altro quello intellettivo, un altro ancora quello sensibile. Ed infatti il cosmo è «perfetto formato da parti perfette»209, come afferma Timeo, ed il 5 Vivente-in-sé è «perfetto sotto ogni aspetto»210, come il medesimo puntualizza in un passo, ed il Demiurgo, essendo «il migliore dei principi causali»211, è assolutamente perfetto. Dunque, riprendendo, dobbiamo dire che di conseguenza il principio causale paterno ha inizio a partire dalla somma unità degli intelligibili, mentre il principio causale paterno ed insieme 10 artefice è venuto a sussistere nel e con il paradigma intelligibile, e a sua volta, il principio causale artefice insieme a quello paterno risulta definito in base al Demiurgo universale, ed infine per quel che concerne il principio causale solamente artefice e demiurgico, esso si confà agli dèi giovani, i quali determinano l’origine di realtà particolari ed al contempo mortali. Pertanto il carattere specifico stesso proprio della causa de- 15 miurgica è artefice e paterno; e ciò non lo dice solo Timeo all’inizio dei discorsi che la concernono, quando afferma «dunque l’artefice e padre di questo universo qui»212, ma anche nell’incontro con gli dèi giovani lo stesso ha fatto il Demiurgo, quando allo stes- 20 so modo dice ad essi: «Dèi figli di dèi, le opere, di cui io sono Demiurgo e padre, sono indissolubili, almeno se io voglio»213. In effetti egli non ha chiamato se stesso “padre e Demiurgo”, bensì «Demiurgo e padre», come là ha chiamato se stesso «Demiurgo e padre». E non solo nel Timeo è stato definito questo modo di 25 coordinazione dei nomi, ma anche nel Politico ove lo Straniero di Elea, discutendo del cosmo, dice che «imitando l’insegnamento

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kai; patro;" ajpomimouvmeno" didach;n kat me;n ajkribevsteron ajpetevlei, teleutw'n de; ajmbluvteron. Pantacou' toivnun oJ Plavtwn th;n tavxin tauvthn tw'n ojnomavtwn ajnexavllakton diafulavttwn dh'lov" ejsti toi'" mh; 5 pantavpasin ajpeivroi" tw'n toiouvtwn kata; tauvthn th;n ijdiovthta th;n dhmiourgikh;n ajforizovmeno" monavda kai; a{ma poihtikh;n aujth;n kai; patrikh;n ei\nai tiqevmeno". Diovti me;n ga;r to; pevra" ejsti; th'" noera'" triavdo", patrikh;n e[lacen uJperoch;n pro;" pavnta ta; deuvtera gevnh tw'n qew'n: diovti 10 de; ajf eJauth'" pavnta paravgei ta; merika; tw'n o[ntwn gevnh te kai; ei[dh, poihtikh;n e[cei tw'n uJfistamevnwn aijtivan. Kai; diovti me;n pathvr ejstin, oJmou' kai; duvnamiv" ejstin ejn aujtw'/ kai; nou'". Aujto;" gavr pouv fhsin oJ dhmiourgov", Mimouvmenoi th;n ejmh;n duvnamin peri; th;n uJmetevran gevne15 sin: kai; pavlin oJ Tivmaio" peri; aujtou' levgei to; »Hiper ou\n ãnou'"Ã ejnouvsa" ijdeva" ejn tw'/ o} e[sti zw'/on, o{sai te e[neisi kai; oi|ai kaqora'/, tosauvta" kai; toiauvta" dienohvqh dei'n kai; tovde to; pa'n scei'n. Kai; path;r ou\n ejsti kai; hJ duvnami" hJ tou' patro;" ejn aujtw'/ 20 kai; oJ nou'", ajlla; pavnta tau'ta noerw'", ouj nohtw'". Diovper oi\mai path;r me;n oujc aJplw'" ei[rhtai, ajlla; meta; tou' poihtou' kai; tou' dhmiourgou': kai; duvnami" ouj kaq eJauthvn, ajlla; tou' dhmiourgou' kai; patrov", oJ ga;r eJauto;n dhmiourgo;n kai; patevra proseipw;n eJautou' th;n duvnamin 25 ei\naiv fhsi: nou'" de; aujtovqen levgetai kai; th'" dunavmew" cwri;" kai; tw'n loipw'n: Hiper ou\n nou'" ejnouvsa" ijdeva". Pavnta gavr ejstin ejn aujtw'/ noerw'", kai; hJ duvnami" kai; oJ pathvr, mimoumevnw/ kai; tauvth/ to; paravdeigma to; 59 nohtovn. Kai; ga;r ejn ejkeivnw/ pavnta h\n nohtw'", to; pevra", to; a[peiron, to; miktovn, tau'ta dev ejstin oJ pathvr, hJ duvnami", oJ nou'": ajlla; to; me;n noero;n ejkeivnou nohto;n h\n ejn toi'" nohtoi'" qeoi'" noera;n aijtivan prosthsavmenon, to; de; 5 tou' dhmiourgou' noero;n kaq auJto; noerovn ejstin, ejn toi'" noeroi'" noero;n uJpavrcon, w{sper ei[rhtai provteron. Diovti me;n ou\n, wJ" ejlevgomen, pathvr ejstin ejn aujtw'/ kai; hJ duvnami" kai; oJ nou'", diovti de; tau'ta kata; to; poihtiko;n 58 ajrca;"

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del Demiurgo e padre, all’inizio lo realizza con maggior precisione, 58 mentre alla fine in modo più confuso»214. Pertanto, dato che ovunque Platone conserva immodificato questo ordine dei nomi, è evidente, per coloro che non sono del 5 tutto digiuni di questioni di tal genere215, che egli, definendo la monade demiurgica in base a questo carattere specifico, stabilisce che essa sia al contempo artefice e paterna. In effetti da un lato è per il fatto che essa è il limite inferiore della triade intellettiva, che ha ricevuto una superiorità paterna in rapporto a tutti i generi inferiori degli dèi; dall’altro è per il fatto che da se stessa produce 10 tutti i generi ed anche le specie particolari degli enti, che essa possiede una causalità artefice degli enti che ha fatto sussistere. Ed è per il fatto che 216 è padre, che vi sono in lui al contempo sia potenza sia intelletto. In effetti il Demiurgo stesso dice in un passo: «Imitando la mia potenza in relazione alla vostra generazione»217; e di nuovo Timeo dice riguardo a lui la frase: «Come 15 dunque l’intelletto, contemplando le Idee contenute in quello che è il Vivente, osserva quante ed al contempo quali sono in lui contenute, tante e tali ha ritenuto che anche questo nostro universo dovesse avere»218. E dunque è padre e la potenza che è propria del padre si trova in esso così come l’intelletto, ma tutte queste cose 20 sono in forma intellettiva, non intelligibile. Proprio per questo, a mio giudizio, è stato detto non puramente e semplicemente “padre”, ma unitamente ai termini “artefice” e “Demiurgo”; e non si tratta di potenza in se stessa, ma è potenza del Demiurgo e del padre; infatti colui che chiama se stesso «Demiurgo e padre»219 dice che gli appartiene «la potenza»220; invece “intellet- 25 to” viene detto di per sé e senza la “potenza” e tutti gli altri termini: «Come dunque l’intelletto, contemplando le Idee contenute...». Infatti tutte le cose sono in esso in forma intellettiva, sia la potenza sia il padre, in quanto esso imita anche in questo aspetto il modello intelligibile. Ed infatti nel modello tutte le componen- 59 ti sono risultate in forma intelligibile, il limite, l’illimitato, il misto, cioè rispettivamente il padre, la potenza, l’intelletto; ma il carattere intellettivo del modello è risultato un intelligibile che ha posto anticipatamente tra gli dèi intelligibili la causa intellettiva, mentre il carattere intellettivo del Demiurgo è intellettivo in se stesso, in 5 quanto è effettivamente intellettivo tra gli intellettivi, come è stato detto in precedenza221. Dunque, da un lato, per il fatto che, come dicevamo, è padre, v’è in esso sia la potenza sia l’intelletto, mentre, per il fatto che queste componenti sono definite in base al carat-

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ajfwvristai kai; dhmiourgikovn, th'/ zwogovnw/ suntavttetai tavxei kai; met ejkeivnh" uJfivsthsi ta; th'" zwh'" gevnh kai; to;n o{lon kovsmon zwopoiei'. Tiv" dev ejstin au{th kai; o{pou tevtaktai, mikro;n u{steron qewrhvsomen: tosou'ton de; ejk tw'n nu'n eijrhmevnwn dh'lon, o{ti h|/ dhmiourgov" ejsti th'" zwogovnou dei'tai sunafh'" kai; met ejkeivnh" ajpogenna'/ ta;" o{la" zwav". Kai; tauvthn me;n eJautw'/ sunhvnwse, pavnta de; ta; mevtra th'" zwh'" ejn aujth'/ speivra" kai; met aujth'" diakosmhvsa" kai; paragagw;n ejpistrevfei pavlin eij" eJautovn. Proshvkei ga;r aujtw'/ kai; to; genna'n pavnta kai; to; ajnakalei'sqai pavnta pro;" eJauto;n oujc h|tton tou' genna'n, diovti dh; kata; to; pevra" i{drutai th'" noera'" tavxew" kai; dhmiourgikov" ejsti nou'". W" me;n ou\n dhmiourgiko;" aJpavntwn ejsti;n uJpostavth", wJ" de; nou'" sunelivssei to; plh'qo" eij" e{nwsin kai; ejpistrevfei pro;" auJtovn. Kai; tau'ta ajmfovtera toi'" pro;" tou;" nevou" qeou;" lovgoi" ajpotelei': kai; ga;r plhroi' dhmiourgikh'" aujtou;" kai; gonivmou dunavmew" kai; pro;" auJto;n sunavgei kai; oi|on ejfeto;n eJauto;n kaqivsthsi tw'/ plhvqei tw'n qew'n kai; peri; eJauto;n ajnateivnei tou;" ejn tw'/ kovsmw/ pavnta" dhmiourgouv". izV To; trivton toivnun kat a[lla" ejpibola;" ta;" peri; th'" dhmiourgikh'" aijtiva" ejnnoiva" ajnakaqhrwvmeqa tw'/ Timaivw/ sunodeuvonte". Prw'ton me;n ou\n th;n ajgaqovthta aujtou' kai; th;n a[fqonon metavdosin tw'n dhmiourgikw'n lovgwn iJkanw'" ejn ajrch'/ th'" peri; aujtou' qewriva" ejxevfhnen, ajf eJstiva" oJrmwvmeno" th'" ejnouvsh" ajgaqovthto" ejn aujtw'/ kai; th'" periousivoug qeovthto". Ouj gavr ejstin hJ ajgaqovth" au{th kai; to; a[fqonon oi|on e{xi" ti" tou' ajgaqou' kai; duvnami", h] ei\do" aujto; kaq eJauto; tw'n pollw'n ajgaqw'n prou>pavrcon, ajlla; miva kai; a[rrhto" ajpo; tajgaqou' metavlhyi" kai; to; th'" dhmiourgikh'" tavxew" e{n, kaq o} dh; kai; qeov" ejstin oJ dhmiourgo;" kai; pavnta plhroi' tw'n oijkeivwn ajgaqw'n. Diovti gavr ejsti qeovth" ejn aujtw'/ pavnta diakosmei'n ejfiemevnh

g Secondo i due Editori periousivou (che nel codice è scritto perivousiou) va corretto con uJperousivou. Ma tale correzione è, a mio avviso, fuorviante. Meglio conservare il tràdito periousivou che del resto si accorda perfettamente con il contesto.

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tere artefice e demiurgico, è coordinato al livello generatore di vita222 ed insieme a quello fa sussistere i generi della vita e vivifica il cosmo nella sua totalità. Quale sia questo ordinamento e a quale livello sia collocato, lo prenderemo in considerazione fra poco223; tanto però, in base a ciò che è stato detto, risulta evidente, cioè che, in quanto è Demiurgo, necessita del contatto con il livello generatore di vita ed insieme ad esso genera tutte quante le forme di vita. E, da un lato, ha unito a se stesso questo livello, dall’altro, avendo disseminato in esso tutte le misure della vita, ed avendole con esso messe in ordine e introdotte, le converte di nuovo verso se stesso. Infatti ad esso si addice il generare tutte le cose ed anche il richiamare tutte le cose a sé non meno del generarle, proprio per il fatto che è posto nel limite inferiore dell’ordinamento intellettivo ed è intelletto demiurgico. Dunque in quanto demiurgico, è origine del sussistere di tutte quante le cose, invece, in quanto intelletto, raccoglie insieme la molteplicità in unità e la converte verso se stesso. Ed entrambe queste operazioni le compie con i discorsi che rivolge agli dèi giovani; ed infatti li ricolma di potenza demiurgica e generativa, li raduna verso se stesso e si presenta, per così dire, come oggetto di desiderio per la molteplicità degli dèi e fa tendere in alto in relazione a se stesso tutti i demiurghi che sono nel cosmo224.

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60 17 [Come si potrebbero purificare in base ad una terza via le concezioni concernenti la monade demiurgica seguendo il “Timeo”]

Per la terza volta, dunque, attenendoci ad altre nozioni dobbiamo purificare i nostri pensieri concernenti la causa demiurgica, seguendo Timeo nel suo cammino. Per prima cosa, dunque, la bontà del Demiurgo e la sua generosa distribuzione di principi demiurgici Timeo le ha rivelate a sufficienza all’inizio della trattazione che lo concerne225, quando prende le mosse dal focolare della bontà in esso insita e della sua sovrabbondante natura divina. In effetti questa bontà e questo carattere di generosità non sono, per così dire, un particolare abito e potenza del bene, o una forma in sé e per sé preesistente ai beni molteplici, ma sono un’unica ed ineffabile partecipazione che deriva dal Bene, vale a dire l’uno che appartiene all’ordine demiurgico, in base al quale appunto il Demiurgo è un dio e ricolma tutte le cose dei propri beni. Infatti per il fatto che in esso v’è una natura divina che desi-

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kai; u{parxi" ejktenh;" eij" th;n tw'n o{lwn provnoian, dia; dh; tou'to kai; th;n th'" dhmiourgiva" ajrch;n ejnesthvsato. H me;n ou\n ajgaqovth" oujde;n a[llo ejsti;n h] dhmiourgikh; qeovth": hJ de; bouvlhsi" e[kgonov" ejstin ejnevrgeia th'" ajgaqovthto", oJrivzousa to; th'" dunavmew" tevlo". Epeidh; ga;r ejn tw'/ dhmi20 ourgw'/ tw'n o{lwn kai; oJ pathvr, w{sper ei[rhtai, kai; hJ duvnami" kai; oJ nou'", kai; tau'ta noerw'", kaq e{kaston touvtwn peplhvrwtai th'" tou' eJno;" metousiva". Kai; dia; me;n th'" ajgaqovthto" to; patriko;n to; ejn aujtw'/ katalavmpetai kai; to; oi|on nohto;n tou' nou': dia; de; th'" boulhvsew" hJ 25 duvnami" kuberna'tai kai; pro;" e}n to; nohto;n ajgaqo;n ajna61 teivnetai: dia; de; th'" pronoiva" oJ nou'" tevleiov" ejsti kai; tw'n pavntwn uJpostavth". Kai; pavnta tau'ta th'" mia'" ejn tw'/ dhmiourgw'/ qeovthtov" ejstin e[kgona. Prw'ton me;n ou\n, o{per e[fhn, th;n qeivan ijdiovthta tou' 5 dhmiourgou' dia; touvtwn ejxevfhne: deuvteron de; th;n nohth;n ejn aujtw'/ kai; hJnwmevnhn tw'n o{lwn paradeigmatikh;n aijtivan. To; ga;r eJautw'/ paraplhvsia pavnta poiei'n paravdeigma aujto;n ajpofaivnei tw'n ejn tw'/ kovsmw/ kalw'n kai; ajgaqw'n nohtovn. Diovti ga;r aujtw'/ tw'/ ei\nai ta; pavnta uJfiv10 sthsin, eijkwvn ejstin aujtou' to; uJfistavmenon. Kai; kata; tou'ton dh; to;n lovgon ouj movnon qeov" ejstin oJ dhmiourgov", ajlla; kai; to; nohto;n e[cei kai; to; o[ntw" o]n ejn auJtw'/, kai; proeivlhfen ouj th;n telikh;n movnon tw'n ejgkosmivwn aijtivan, ajlla; kai; th;n paradeigmatikhvn. 15 To; de; au\ trivton th;n duvnamin ejxumnei' th;n dhmiourgikh;n th;n pa'n me;n to; a[takton kai; to; ajovriston ajrch;n ajfanivzousan, movnon de; to; kalo;n kai; to; ajgaqo;n ejpikratei'n ejn toi'" o{loi" paraskeuavzousan. To; ga;r dh; mhde;n ei\nai flauro;n kata; duvnamin th;n ajnantagwvniston tou' 20 dhmiourgou' duvnamin ejndeivknutai th;n ajcravntw" me;n ta; e[nula diakosmou'san, o{ron de; toi'" ajorivstoi" kai; tavxin toi'" ajtavktoi" ejpilavmpousan. Ou| dh; kajkei'nov soi qaumasto;n ejkfaivnetai tw'n Plavtwno" dogmavtwn, to; th;n u{lhn ejk tw'n uJperkeimevnwn tino;" tou' dhmiourgou' qew'n ajpogen25 na'sqai. Paralabw;n ga;r aujth;n i[cnesin eijdw'n katecomevnhn ou{tw" aujto;" ejpitivqhsi th;n suvmpasan teleiovthta 15

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dera mettere in ordine tutte le cose ed una realtà protesa al pren- 15 dersi provvidenzialmente cura dell’universo nella sua totalità, proprio per questo motivo appunto egli ha posto in se stesso il principio della demiurgia. Quindi la bontà non è nient’altro se non natura divina demiurgica; mentre la volontà è un’attività, prodotto generato dalla sua bontà, che delimita il confine estremo della sua potenza. Infatti dal momento che nel Demiurgo dell’universo nella sua totalità v’è sia il padre, come si è detto226, sia la 20 potenza sia l’intelletto, e queste componenti sono in modo intellettivo, per ciascuna di queste componenti è stato ricolmato della partecipazione all’uno. Ed è attraverso la bontà che il carattere paterno insito in lui e il carattere per così dire intelligibile del suo intelletto rilucono; è poi attraverso la volontà che la potenza viene 25 governata e si protende in alto verso l’unico bene intelligibile; infine è attraverso la cura provvidenziale che l’intelletto è perfetto ed 61 è origine del sussistere di tutte le cose. E tutte queste componenti sono prodotti generati dalla natura divina unica che è insita nel Demiurgo. Per prima cosa dunque, come dicevo, 227 ha rivelato 5 attraverso queste considerazioni il carattere specifico divino del Demiurgo; in secondo luogo ha poi rivelato la causa dell’universo in lui insita, intelligibile ed unificata, che funge da modello. Infatti il produrre «tutte le cose quasi identiche a se stesso»228 lo fa apparire come modello intelligibile delle cose belle e buone presenti nel cosmo. In effetti, per il fatto che fa sussistere tutte le cose con il suo stesso essere, ciò che viene a sussistere è un’immagine di lui. 10 Proprio in base a questo ragionamento il Demiurgo non solo è dio, ma ha in se stesso anche l’intelligibile ed il vero essere, ed ha in origine assunto in sé non solo la causa finale degli esseri encosmici, ma anche quella che funge da modello. In terzo luogo, poi, Timeo celebra a sua volta la potenza de- 15 miurgica che, da un lato, fa sparire in origine tutto ciò che è disordinato ed indefinito, e che, dall’altro, fa sì che solo il bello ed il bene dominino nella totalità dell’universo. In effetti «il fatto che non v’è nulla di vile secondo potenza»229 indica la potenza, che 20 non ha rivali, del Demiurgo, la quale, da un lato, mette in ordine in modo incontaminato gli esseri materiali, e dall’altro fa risplendere la definizione sugli esseri indefiniti e l’ordine su quelli disordinati. Ed è proprio in questo che ci si rivela anche questo meraviglioso particolare della dottrina di Platone, cioè che la materia è generata da uno degli dèi superiori al Demiurgo230. In effetti, 25 «avendo ricevuto»231 la materia contenente in sé le tracce delle

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th'" diakosmhvsew". Proveisin ou\n kai; hJ u{lh kai; pa'n to; uJpokeivmenon tw'n swmavtwn a[nwqen ajpo; tw'n prwtivstwn ajrcw'n, ai} dh; dia; periousivan dunavmew" ajpogenna'n duvnantai 30 kai; ta; e[scata tw'n o[ntwn: oJ de; tou' panto;" dhmiourgo;" 62 tavxin kai; o{ron kai; diakovsmhsin ejpilavmpei kai; to; o{lon ajpergavzetai tw'n nohtw'n eijkovna dia; th'" tw'n eijdw'n metadovsew". Tevtarton toivnun to;n nou'n to;n dhmiourgiko;n o{pw" hJmi'n 5 ejkfaivnei, qeaswvmeqa. Logisavmeno" ou\n hu{risken ejk tw'n kata; fuvsin oJratw'n mhde;n ajnovhton tou' nou'n e[conto" kavllion a[n pote genevsqai e[rgon. Tiv" ou\n oJ logismo;" ou|to" kai; tiv" hJ eu{resi" kai; povqen Oujkou'n oJ me;n logismo;" novhsiv" ejsti dih/rhmevnh kai; pro;" eJauth;n 10 blevpousa kai; ejn eJauth'/ zhtou'sa to; eu\. Pa'" ga;r oJ logizovmeno" ajp a[llou pro;" a[llo meqivstatai kai; eij" auJto;n ejpistrefovmeno" zhtei' to; ajgaqovn. Tau't ou\n ajnavlogon kai; oJ dhmiourgo;" nou'" ejn th'/ diakosmhvsei tou' panto;" e[cei, dih/rhmevna" aijtiva" probavllwn tw'n ejgkosmivwn, hJnwmevnw" 15 ejn toi'" nohtoi'" prou>parcovntwn. }A ga;r uJfivsthsin eJnoeidw'" kai; ejxh/rhmevnw" oJ nohto;" nou'", tau'ta oJ noero;" diakrivnwn kai; merivzwn kai; oi|on aujtourgw'n ajpogenna'/. O me;n ou\n logismo;" plhvrwsi" tou' nohtou' ejsti kai; e{nwsi" pro;" aujto; pantelhv": w|/ kai; dh'lon o{ti to;n logismo;n ouj 20 zhvthsin oujd ajporivan oujde; plavnhn tou' qeivou nou' proshvkei nomivzein, ajlla; novhsin staqera;n ta;" polueidei'" aijtiva" tw'n o[ntwn noou'san. Hnwtai ga;r ajei; pro;" to; nohto;n oJ nou'" kai; peplhvrwtai tw'n eJautou' nohtw'n, kai; to;n i[son trovpon nou'" te kat ejnevrgeiavn ejsti kai; nohtovn. 25 Ama ga;r noei' kai; nenovhke, kai; eJauto;n euJrivskei pro;" eJauto;n eijsiw;n kai; hu{rhken o{ ejsti. Kai; oJ logismo;" ouj kata; metavbasin: hJ ga;r tw'n qew'n novhsi" aijwvnio", kai; hJ eu{resi" 63 ouj tou' ajpovnto": pavresti ga;r ajei; pavnta tw'/ nw'/ tw'n qew'n kai; ouj dievsthken ejkei' tou' nou' to; nohtovn. H me;n ou\n strofh; tou' nou' pro;" eJauto;n kaleivsqw logismov", hJ de; ajpo; tw'n nohtw'n plhvrwsi" eu{resi", aujta; de; ta; nohta; 5 ªkai;º kata; fuvsin oJrata; prosonomazevsqw. Diovti ga;r oi\mai kai; to; ajkovsmhton tw'n swmavtwn uJpokeivmenon i[cnesin

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forme, il Demiurgo le impone così tutta quanta la perfezione dell’opera di ordinamento. Dunque sia la materia sia tutto ciò che è soggetto ai corpi procedono dall’alto a partire dai principi primissimi, i quali appunto in virtù di una sovrabbondanza di potenza possono generare anche gli ultimi fra gli enti; invece il Demiurgo 30 dell’universo fa risplendere l’ordine, il limite e l’ordinamento 62 complessivo, e realizza il Tutto come un’immagine degli intelligibili attraverso la partecipazione alle forme. In quarto luogo, quindi, dobbiamo prendere in considerazio- 5 ne in che modo Timeo ci rivela l’intelletto demiurgico. «Avendo ragionato, egli ha scoperto dalle cose visibili per natura che nessuna opera priva di intelletto sarebbe mai risultata più bella di quella dotata di intelletto»232. Qual è dunque questo ragionamento, quale la scoperta e da dove viene? Ebbene, il ragionamento è intellezione suddivisa233 che guarda verso se stessa e che cerca in se stes- 10 sa ciò che è bene. Infatti chiunque ragioni, passa da un pensiero ad un altro e convertendosi verso se stesso ricerca il bene. Questi caratteri, dunque, in modo analogo li ha anche l’intelletto demiurgico nell’opera di ordinamento del Tutto, prestabilendo cause suddivise degli esseri encosmici, che invece preesistono in modo 15 unificato negli intelligibili. In effetti gli esseri che l’intelletto intelligibile fa sussistere in modo uni-forme e trascendente, l’intelletto intellettivo li genera separandoli, dividendoli e, per così dire, “formandoli con le sue proprie mani”234. Dunque il ragionamento è pienezza dell’intelligibile ed unificazione assolutamente perfetta con esso; onde risulta anche evidente che è opportuno ritenere il ragionamento non ricerca né incertezza né un vagare, bensì stabi- 20 le intellezione che pensa235 le multiformi cause degli enti. Infatti l’intelletto risulta sempre unito all’intelligibile e ricolmo dei suoi propri oggetti intelligibili, ed è in modo eguale intelletto in atto ed intelligibile. Infatti nello stesso tempo ha intellezione ed ha già 25 concluso l’atto di intellezione, e trova se stesso entrando in se stesso, e con ciò ha immediatamente scoperto ciò che è. E il ragionamento non opera per transizione: infatti l’intellezione propria degli dèi è eterna, e la scoperta non è scoperta di ciò che manca- 63 va; infatti tutte le cose sono sempre presenti nell’intelletto degli dèi e lì l’intelligibile non risulta separato dall’intelletto. Dunque il volgersi dell’intelletto verso se stesso lo si chiami “ragionamento”, mentre la pienezza che viene dagli intelligibili la si chiami “scoperta”, ed infine gli intelligibili stessi li si appelli «visibili per natu- 5 ra»236. In effetti è, a mio giudizio, per il fatto che ha denominato «visibile»237 anche il sostrato dei corpi, dominato da tracce oscu-

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eijdw'n ajmudroi'" kratouvmenon oJrato;n proseivrhke, ta; nohta; kata; fuvsin oJrata; prosagoreuvei: tw'/ ga;r nw'/ pro;" tau'ta blevpein kata; fuvsin, ajll ouj pro;" ta; ceivrona. Kaqavper ou\n aujto;n to;n nou'n oJra'n ta; nohtav fhsi, kata; ta; aujta; dh; kai; ta; nohta; kata; fuvsin oJrata; kalei' kai; to;n nou'n ejpistrevfei pro;" to; nohto;n wJ" oJrw'n pro;" oJratovn. Eij dh; to; aujtozw'/on oJra'/ kai; pro;" ejkei'no to;n o{lon ajpeikavzei kovsmon, oJrato;n a]n ejkei'no tw'/ dhmiourgw'/ levgoito tou' pantov". Ekei' ga;r to; fanovtaton tw'n nohtw'n, kai; tou'to h\n o} kai; provteron ejnedeiknuvmeqa, levgonte" ejkei' th;n tou' kavllou" ejklavmyai phghvn, o} dh; lampro;n kai; stivlbon oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" proswnovmaze.

ihV Toiauvta" me;n ou\n kai; ajpo; touvtwn ejnnoiva" paralhptevon uJpe;r th'" dhmiourgikh'" aijtiva". Miva d a]n gevnoito teleiovth" ajkrotavth tw'n peri; aujth'" dogmavtwn, eij tou;" lovgou" ou}" eij" a{panta" ejkteivnei tou;" nevou" dhmiourgou;" qewrh'sai 25 dunhqeivhmen kai; th;n ajpokekrummevnhn aujtw'n ejkfh'nai diav64 noian. Tou'to toivnun kai; poiw'men, ajrch;n toiauvthn ejnsthsavmenoi th'" peri; aujtw'n ejxhghvsew". Dittai; tw'n qew'n eijsin ejnevrgeiai kai; dunavmei". AiJ me;n ou\n ejn aujtoi'" mevnousi kai; peri; aujtou;" ejnergou'si kai; 5 tevlo" e[cousi th;n mivan kai; hJnwmevnhn pro;" th;n oujsivan uJpovstasin: aiJ de; ajp aujtw'n proi>ou'sai kai; peri; ta; deuvtera th;n drasthvrion ejpideiknuvmenai duvnamin, ai} kai; tw'/ plhvqei tw'n uJpodecomevnwn kai; th'/ th'" oujsiva" ijdiovthti sunupavrcousi. Dittw'n de; oujsw'n touvtwn aiJ deuvterai tw'n pro; 10 aujtw'n ejxhvrthntai kai; peri; aujta;" ajforivzontai kai; th;n oijkeivan u{parxin kat ejkeivna" paradevcontai. Dei' ga;r dh; pantacou' ta;" e[xw proi>ouvsa" ejnergeiva" eijkovna" ei\nai tw'n e[ndon, ajnelittouvsa" me;n to; ajqrovon th'" ejkeivnwn ajmereiva", plhquouvsa" de; to; hJnwmevnon, merizouvsa" de; to; ajmevriston. 15 Kata; dh; tou'ton to;n lovgon ditth; mevn ejstin ejnevrgeia th'" fuvsew", h{ te ejn aujth'/ mevnousa, kaq h}n eJauth;n sunevcei 20

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re di forme, che denomina gli intelligibili «visibili per natura»; infatti per l’intelletto è conforme a natura guardare verso questi, ma non verso le entità inferiori. Come dunque egli afferma che «l’intelletto» stesso «vede»238 gli intelligibili, allo stesso modo chiama gli intelligibili «visibili per natura» e converte l’intelletto verso l’intelligibile, come chi vede si volge verso qualcosa di visibile. Se allora vede il Vivente-in-sé e ad immagine di quello forma il cosmo, si potrebbe dire che il Vivente-insé è visibile per il Demiurgo. Lì infatti si trova il più luminoso degli intelligibili239, e questo era ciò che anche in precedenza intendevamo indicare240, quando dicevamo che lì rifulge la fonte della bellezza, il che Socrate nel Fedro denominava «luminoso» e «lucente»241. 18 [Esegesi teologica sul discorso del Demiurgo nel “Timeo”, esegesi che rende più precise le nostre concezioni sulla attività demiurgica]

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Tali dunque sono le nozioni che appunto a partire da queste considerazioni vanno assunte a proposito della causa demiurgica. D’altra parte si giungerebbe ad un’unica suprema perfezione delle dottrine che la concernono, se potessimo prendere in considerazione i discorsi che il Demiurgo fa rivolto agli dèi giovani e rivela- 25 re il loro vero significato celato. Facciamo dunque ciò, fissando 64 come inizio dell’interpretazione concernente questi discorsi il seguente ragionamento. Duplici sono le attività e le potenze degli dèi. Le une permangono in essi, agiscono in rapporto ad essi ed hanno come fine la 5 realtà unica ed unificata all’essenza; le altre invece, procedono da essi, manifestano in rapporto agli esseri inferiori la loro attiva potenza, e sono esse che coesistono con la molteplicità delle entità che le recepiscono e con la specificità della loro essenza. Dato che queste attività e potenze sono duplici, le seconde dipendono 10 da quelle che le precedono, si definiscono in rapporto ad esse, e ricevono la propria realtà effettiva in base ad esse. Infatti in ogni ambito occorre che le attività che procedono esternamente siano immagini di quelle che permangono internamente, dispiegando l’insieme raggruppato che costituisce la loro indivisibilità, moltiplicando, poi, il loro carattere unificato, e dividendo infine la loro natura indivisibile. Proprio in base a questo ragionamento, dupli- 15 ce è l’attività della natura, quella che permane in essa, in base alla

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kai; tou;" ejn aujth'/ lovgou", kai; hJ ajp aujth'", di h}n kai; ta; swvmata peplhvrwtai tw'n fusikw'n touvtwn dunavmewn, ai} kinouvmenai para; th'" fuvsew" eij" ajllhvla" drw'si kai; 20 pavscousin uJp ajllhvlwn fusikw'". Ditth; de; au\ kai; th'" yuch'" kivnhsi", hJ me;n aujtokivnhto" kai; pro;" eJauth;n ejpestrammevnh kai; eJauth'" ou\sa kai; th'/ zwh'/ th'" yuch'" suvndromo" kai; ajdiavforo" pro;" aujthvn, hJ de; ejnapereidomevnh toi'" eJterokinhvtoi" kai; tau'ta kinou'sa kai; peri; tau'ta th;n 25 eJauth'" duvnamin ejkteivnousa. Ditth; de; a[ra kai; hJ tou' nou' pevfuken ejnevrgeia, miva me;n hJ noera; kai; toi'" o[ntw" ou\sin hJnwmevnh kai; ajmevristo", aujtw'/ tw'/ nohtw'/ tou' nou' sunupavrcousa, ma'llon de; aujto; to; nohto;n ou\sa kai; oJ nou'" 65 (ouj ga;r dunavmei kaq auJto;n oJ nou'", ei\ta proslabw;n th;n ejnevrgeian noei' to; nohtovn, ajll ejnevrgeia miva kai; aJplh': kai; ga;r to; plh'qo" aujth'" eJniai'ovn ejstin, hJ de; ejnevrgeia pro;" auJtovn): eJtevra de; hJ pro;" ta; e[xw kai; ta; nou' metevcein 5 dunavmena: kai; ga;r tau'ta noera; poiei' di eJauto;n oJ nou'", oi|on fw'" th'" ejn aujtw'/ nohvsew" ejklavmpwn kai; toi'" a[lloi" didouv". Anavgkh toivnun kai; aujto;n to;n qei'on kai; dhmiourgiko;n nou'n hJnw'sqai me;n pro;" to; nohto;n ajei; kai; to; plh're" e[cein 10 kai; to; au[tarke" th'" dhmiourgikh'" nohvsew" diaiwnivw" iJdrumevnon kata; th;n e{nwsin th;n tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn (eij" h}n oi\mai kai; oJ Tivmaio" ajpoblevpwn mevnein pouv fhsi to;n patevra tou' panto;" ejn tw'/ eJautou' kata; trovpon h[qei kai; eij" th;n eJautou' periwph;n ajna15 cwrei'n paradovnta th;n tw'n qnhtw'n dhmiourgivan toi'" ejn tw'/ kovsmw/ qeoi'": kaq o{son ga;r ejxhv/rhtai tw'n meq eJauto;n kai; ajsuvntaktov" ejsti pro;" ta; merikwvtera plhvqh tw'n qew'n, kata; tosou'ton eij" eJauto;n ejpevstraptai kai; ta; pro; aujtou' kata; mivan kai; eJnoeidh' kaqora'/ kai; katanoei' e{nwsin), aujtw'/ 20 de; tw'/ pro;" eJauto;n kai; tou;" hJgemonikwtevrou" qeou;" ajnateivnesqai deutevra" ajf eJautou' probavllein ejnergeiva" eij" a{panta" tou;" merikou;" diakovsmou". Tauvta" dh; ou\n ta;" ajpo; th'" o{lh" kai; mia'" dhmiourgiva" eij" to; dhmiourgiko;n plh'qo" tw'n qew'n proercomevna" dunav25 mei" te kai; ejnergeiva" drasthrivou" dia; tw'n lovgwn oJ

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quale essa contiene se stessa e i principi razionali in lei insiti, e quella che procede da essa, in virtù della quale anche i corpi risultano ricolmati di queste potenze naturali, le quali, messe in moto dalla natura, agiscono le une rispetto alle altre e sono passive le 20 une rispetto alle altre in modo naturale. Duplice, a sua volta, è anche il movimento dell’anima, l’uno è prodotto da se stesso, è rivolto a se stesso, appartiene a se stesso, coincide con la vita dell’anima e non è differente rispetto a quella, mentre l’altro è fissato nelle entità che sono mosse da altro, muove queste e in rapporto ad esse distende la sua propria potenza. Duplice di conse- 25 guenza è poi per natura anche l’attività propria dell’intelletto: una è intellettiva ed unificata agli enti reali ed indivisibile, in quanto coesiste con l’oggetto intelligibile stesso dell’intelletto, anzi è al tempo stesso l’oggetto intelligibile e l’intelletto (infatti 65 l’intelletto pensa l’intelligibile non perché è in se stesso in potenza e, in seguito, raggiunge l’atto242, ma esso è un solo e semplice atto; ed infatti la molteplicità di questo atto è unitaria, e l’atto è rivolto verso l’intelletto stesso); l’altra, invece, è rivolta alle entità che si trovano all’esterno243 e che sono in grado di partecipa- 5 re dell’intelletto; ed infatti l’intelletto in virtù di se stesso rende queste entità intellettive, facendo, per così dire, risplendere la luce della intellezione insita in lui e donandola agli altri. Pertanto è necessario che anche l’intelletto stesso divino e demiurgico sia unito sempre all’intelligibile e che abbia in eterno il carattere della pienezza e della autosufficienza della intellezione 10 demiurgica, essendo saldamente posto nella unità che trascende l’universo nella sua totalità (ed è guardando verso questa intellezione che, a mio giudizio, Timeo afferma, in qualche passo, che il padre del Tutto «permane nella condizione che gli è abituale»244 e si ritira «verso la sua specola»245 demandando la demiurgia degli 15 esseri mortali agli dèi presenti nel cosmo; infatti, nella stessa misura in cui trascende le entità che vengono dopo di lui ed è noncoordinato rispetto alle forme più particolari di molteplicità degli dèi, egli risulta convertito verso se stesso e, in un’unica ed uniforme unità, osserva e contempla le entità che lo precedono), d’altro canto, per il fatto stesso di tendere in alto verso se stesso e 20 verso gli dèi che esercitano una maggiore sovranità, promana da se stesso attività di secondo livello verso tutti quanti gli ordinamenti particolari. Proprio queste, dunque, sono le potenze e le attività efficaci, procedenti dalla universale ed unica demiurgia verso la molteplicità demiurgica degli dèi, che Timeo riproduce attraverso i suoi 25

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Tivmaio" ajpotupou'tai. Kai; ga;r oiJ lovgoi tw'n nohvsewvn eijsin eijkovne", diovti to; me;n sunespeiramevnon tw'n nohtw'n ajnelivttousi, to; de; ajmere;" eij" th;n meristh;n proavgousin 66 uJpovstasin, to; de; ejn auJtw'/ mevnon eij" th;n pro;" a[llo scevsin metabibavzousi. Kai; dh'lon dh; o{ti kaqavper oiJ me;n ajpo; th'" fuvsew" wJrmhmevnoi lovgoi fusikoiv tinev" eijsi kai; to; decovmenon aujtou;" fusiko;n ajpotelou'sin, oiJ de; ajpo; th'" 5 yuch'" ajpogennwvmenoi zwopoioi; me;n uJpavrcousi, to; de; metevcon aujtw'n e[myucon ajpergavzontai kai; par eJautou' kinouvmenon dia; th;n ejkeivnh" duvnamin, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth", kai; tou' th'" aujtokinhsiva" ijndavlmato" aujtw'/ metadidovasin, oiJ de; ajpo; tou' nou' toi'" deutevroi" 10 met aujto;n ejllampovmenoi ta; noera; pavnta toi'" decomevnoi" aujtou;" prutaneuvousin ajgaqav, gnwvsew" ajlhqou'" kai; aJploustevra" zwh'" kai; kaqarovthto" o[nte" parektikoiv, kata; ta; aujta; dh; kai; oiJ dhmiourgikoi; lovgoi proavgousin eij" tou;" nevou" qeou;" ta; o{la kai; ajmevrista kai; hJnwmevna mevtra 15 th'" ejxh/rhmevnh" dhmiourgiva" kai; plhrou'sin aujtw'n ta;" oujsiva" th'" dhmiourgikh'" pronoiva", kai; deutevrou" aujtou;" ajpofaivnousi dhmiourgou;" kai; zhlwta;" tou' sfetevrou patrov". O me;n ga;r tw'n o{lwn ejsti; tou' kovsmou plhrwmavtwn uJpostavth", oiJ de; ejkei'non mimouvmenoi ta; merika; pavnta 20 sundhmiourgou'si toi'" o{loi": kai; oJ me;n tw'n ajidivwn th;n oujsivan parhvgagen, oiJ de; ta; qnhta; plavttonte" kaq e{na genesiourgo;n kuvklon kai; tau'ta metabavllousi: kai; w{sper oJ ei|" dhmiourgo;" kuberna'/ ta;" o{la" tou' panto;" periovdou", ou{tw dh; kai; oiJ polloi; tou;" merikou;" kuvklou" tw'n ejn 25 genevsei feromevnwn ajnakuklou'sin. Eij dh; tau'ta ojrqw'" levgomen peri; tw'n ajpo; tou' dhmiourgou' proi>ovntwn lovgwn eij" to; plh'qo" tw'n ejgkosmivwn qew'n, kai; eijsi; drasthvrioi kai; dhmiourgikoi; kai; ejpistreptikoi; tw'n decomevnwn eij" th;n pro;" aujto;n e{nwsin kai; telesiourgoi; 67 tw'n ejn aujtoi'" ªlovgwnº ajgaqw'n, oujk a]n e[ti paradoxologei'n dokoi'men, eij pasw'n tw'n ejn tw'/ patri; monivmw" iJdrumevnwn dunavmewn kai; tw'n pro; aujtou' kai; met aujto;n uJpostavntwn aijtivwn toi'" ejn tw'/ kovsmw/ qeoi'" proteivnein th;n metousivan 5 aujtou;" ajpefhnavmeqa, kai; w{sper ejkei'no" to; pevra" tw'n noerw'n qew'n sunelivsswn plhvrwma tw'n pavntwn ejstivn, ou{tw dh; kai; tou;" ajp aujtou' dhmiourgikou;" lovgou" aJpavntwn

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discorsi246. Ed infatti i discorsi di principio247 sono immagini delle intellezioni, per il fatto che dispiegano l’insieme tutto concentrato degli intelligibili, fanno poi procedere la loro natura indivisibile verso la forma di sussistenza divisibile, ed infine volgono il 66 carattere del permanere in sé verso la relazione con altro. E risulta evidente che, come quelli che prendono le mosse dalla natura sono determinati principi razionali naturali e portano a compimento l’entità naturale che li accoglie, e come quelli che sono 5 generati dall’anima risultano produttori di vita, e d’altra parte rendono ciò che partecipa di essi animato e in grado di muoversi da sé in virtù della potenza dell’anima, come afferma Socrate nel Fedro248, e rendono esso partecipe del riflesso del movimento che ha in sé la propria origine; ed infine come quelli che sono fatti 10 risplendere dall’intelletto sulle entità che sono seconde dopo esso, forniscono tutti i beni intellettivi alle entità che li ricevono, in quanto sono produttori di vera conoscenza, di vita più semplice e di purezza, allo stesso modo appunto i discorsi di principio demiurgici fanno procedere «verso gli dèi giovani»249 le misure universali, indivisibili ed unificate della demiurgia trascendente, 15 ricolmano le loro essenze della cura provvidenziale demiurgica, e fanno apparire essi come demiurghi di secondo livello ed emulatori del loro padre. Infatti l’uno è origine della sussistenza di tutte quante le piene totalità del cosmo, gli altri invece, imitandolo, realizzano insieme alle entità universali tutte le entità particolari; e 20 l’uno ha prodotto l’essenza delle entità eterne, gli altri, plasmando gli esseri mortali, fanno mutare anche questi secondo un unico ciclo generatore; e come l’unico Demiurgo governa i periodi ciclici universali del Tutto, allo stesso modo i demiurghi molteplici fanno ciclicamente ritornare al punto di partenza i cicli particola25 ri delle entità che sono soggette all’ambito della generazione. Se allora queste nostre affermazioni circa i discorsi di principio, che procedono dal Demiurgo verso la molteplicità degli dèi encosmici, sono corrette, e se essi sono attivi, demiurgici, convertitori delle entità che li accolgono verso l’unità con il Demiurgo, perfezionatori dei beni250 in esse insiti251: non daremmo più l’im- 67 pressone di sostenere cose fuori dell’ordinario, se252 abbiamo mostrato che questi discorsi di principio offrono agli dèi presenti nel cosmo la partecipazione alle potenze poste saldamente nel padre e la partecipazione ai principi causali che sono venuti a sussistere prima di lui e dopo di lui, e che, come il Demiurgo, racchiuden- 5 do tutto insieme il limite inferiore degli dèi intellettivi, è totalità piena di tutte le cose, allo stesso modo i discorsi di principio

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wJ" eijpei'n tw'n uJpe;r to;n kovsmon qeivwn genw'n ta;" ijdiovthta" eij" aujtou;" proavgein, di w|n eij" aJpavsa" ta;" tavxei" ta;" 10 pro; aujtw'n ajnhrthmevnoi, kaqavper oi\mai kai; oJ suvmpa" ouJtosi; kovsmo", dhmiourghvsousi ta; qnhta; pavnta kai; metadwvsousin a[llh" a[lloi" dunavmew" kai; ajporroiva" tw'n qeivwn dunavmewn. Tivna dh; ou\n ejstin, wJ" sullhvbdhn eijpei'n, o{sa dia; touvtwn 15 tw'n lovgwn oJ Plavtwn ejfhvkein toi'" nevoi" qeoi'" ajpo; tou' prwvtou dhmiourgou' ejndeivknutai kai; th'" pantelou'" dhmiourgiva" Prw'ton me;n dhladh; to; qeou;" aujtou;" ei\nai qew'n: hJ ga;r ajpo; tou' patro;" eij" aujtou;" proi>ou'sa klh'si" dunavmewv" ejsti corhgo;" qeiva" kai; drasthvrion e[lace 20 th;n eij" ta; metevconta parousivan, w{sper ei[rhtai provteron. Meta; de; tou'to th;n a[luton aujtoi'" ejndivdwsi duvnamin, th;n de; th'" luvsew" aijtivan aujto;" ejn eJautw'/ perievcei oJ tw'n o{lwn dhmiourgov", i{na kat oujsivan me;n w\sin a[lutoi, kat aijtivan de; th;n th'" sundevsew" oujk a[lutoi. To; trivton toivnun 25 th;n ejpiskeuasth;n ajqanasivan eij" aujtou;" a[nwqen pro68 avgei: to; ga;r mhvte ajqanavtou" ei\nai mhvte teuvxesqai qanavtou moivra" eij" tou'to kaqivsthsin aujtou;" th'" ajqanasiva" to; ei\do" o} kai; oJ ejn tw'/ Politikw'/ mu'qo" proseivrhken ejpiskeuastovn. Epi; dh; touvtw/ th;n telesiourgo;n aujtoi'" 5 tw'n o{lwn duvnamin ejfhvkein ajpo; tou' patro;" marturei': eij ga;r ajtelh;" oJ kovsmo" th'" tw'n qnhtw'n zwv/wn uJpostavsew" cwriv", ajnavgkh dhvpou teleiovthto" aijtivou" ei\nai tw'/ panti; tou;" th'" genevsew" aujtw'n proi>stamevnou". Kai; tevlo" gennhtikh;n me;n aujtoi'" kai; patrikh;n ajpo; th'" ejxh/rhmevnh" 10 kai; noera'" aijtiva" tw'n o{lwn ajpodivdwsin hJgemonivan, ejntivqhsi de; aujtoi'" kai; ta;" prosecei'" th'" paliggenesiva" dunavmei": ejn aujtoi'" ga;r kai; fqivnonta pavlin devcesqai kai; ejk tw'n o{lwn ta; mevrh dhmiourgei'n kai; pavlin eij" ta; o{la th;n tw'n merw'n ajnavlusin ajpotelei'n: kai; o{lw" 15 to;n ajeigenh' th'" fuvsew" drovmon uJpotavttei th'/ poihvsei tw'n nevwn qew'n. W" d ou\n sunelovnti favnai, plhroi' me;n aujtou;" th'" qeiva" eJnwvsew" oJ dhmiourgov", plhroi' de; th'" monivmou kata-

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demiurgici da lui provenienti fanno procedere verso gli dèi giovani le proprietà specifiche di tutti quanti, per così dire, i generi divini posti al di sopra del cosmo, proprietà per il tramite delle quali risultano dipendere da tutti quanti gli ordi- 10 namenti che li precedono – proprio come da questi ultimi dipende, a mio avviso, anche tutto il cosmo nel suo insieme – e con ciò produrranno da demiurghi tutti gli esseri mortali e renderanno partecipi gli uni di un determinato tipo di potenza e di efflusso di potenze divine, gli altri di un altro. Quali sono dunque, per dirla in breve, tutti i caratteri che, come Platone, tramite questi discorsi, mette in luce, pervengono 15 «agli dèi giovani»253 a partire dal primo Demiurgo e dalla demiurgia assolutamente perfetta?254 Per prima cosa, evidentemente, il fatto che essi sono «dèi figli di dèi»255: infatti l’appellativo che procede dal padre verso di essi è elargitore di potenza divina ed ha ricevuto una presenza attiva negli esseri che ne partecipano, 20 come si è detto in precedenza256. Poi, dopo questo carattere, il Demiurgo dell’universo nella sua totalità consegna ad essi la potenza «indissolubile», mentre la causa della dissoluzione egli stesso la comprende in se stesso257, affinché essi siano indissolubili in base all’essenza, ma non indissolubili in base alla causa del loro legame258. In terzo luogo, quindi, il Demiurgo fa procedere 25 dall’alto verso di loro «l’immortalità rinnovantesi»259: in effetti il 68 fatto di non essere immortali e, tuttavia, di non «essere destinati ad una sorte mortale»260, pone essi nella forma di immortalità che il mito del Politico denomina «rinnovantesi». Oltre a ciò, 261 attesta che la potenza perfezionatrice dell’universo 5 nella sua totalità perviene ad essi dal padre: infatti, se il cosmo è «imperfetto» se non vi sussistono gli esseri viventi mortali, è necessario, a mio giudizio, che i principi causali di perfezione per l’universo siano coloro che sono preposti alla nascita degli esseri mortali. Ed infine da un lato trasmette ad essi, 10 dalla causa trascendente ed intellettiva dell’universo nella sua totalità, una sovranità generatrice e paterna, dall’altro stabilisce in essi anche le contigue potenze262 della rigenerazione: in essi infatti v’è la capacità di «accogliere di nuovo gli esseri che periscono»263, di produrre le parti procedendo dagli interi e di nuovo di ricondurre agli interi le parti una volta che si siano dissolte; ed in generale sottomette il perenne corso della natura 15 all’azione produttiva degli «dèi giovani»264. Per dirla in breve, il Demiurgo ricolma gli dèi giovani della unità divina, li ricolma poi della permanente stabilità, li ricolma

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stavsew", plhroi' de; ajidiovthto" th'" aujtoi'" proshkouvsh", telesiourgw'n de; dunavmewn kai; zwogovnwn ojcetw'n kai; dhmiourgikw'n mevtrwn ejpirrei' ta;" pantodapa;" aujtoi'" aijtiva". Dio; dh; kai; oiJ polloi; dhmiourgoi; th;n tw'n kaq e{kasta dhmiourgivan eij" th;n mivan kai; o{lhn provnoian ajnafevrousi tou' patrov", kai; tai'" ajrcai'" a}" par ejkeivnou 25 tw'n dhmiourgikw'n e[rgwn eijlhvcasi th;n eJautw'n *** drasthvrion poivhsin. Kai; pavnte" me;n pasw'n ajpoplhrou'ntai tw'n 69 dunavmewn, o{ti dh; kai; pavnte" tw'n ajpo; tou' patro;" metevcousin eij" eJautou;" proi>ovntwn lovgwn dhmiourgikw'n, a[lloi de; kat a[llhn ma'llon ijdiovthta carakthrivzontai: kai; oiJ me;n th'" eJnwvsewv" eijsi doth're" toi'" auJtw'n gennhvmasin, oiJ 5 de; th'" ajluvtou diamonh'", oiJ de; th'" teleiovthto", oiJ de; th'" zwh'", oiJ de; th'" paliggenesiva" proi?stantai: kai; ta;" hJnwmevna" ejn tw'/ eJni; dhmiourgw'/ dunavmei" dih/rhmevnw" ejn tw'/ panti; klhrwsavmenoi th'/ tou' patro;" uJpourgou'si pronoiva/. Kai; pavnta me;n o{sa para; tw'n pollw'n ajpogenna'tai 10 dhmiourgw'n, pollw'/ meizovnw" ajpo; th'" mia'" uJfivstatai dhmiourgiva", ta; me;n qnhta; diaiwnivw", ta; de; kinouvmena ajkinhvtw", ta; de; merista; kubernwvsh" ajmerivstw". Ouj mevntoi kai; ta; tou' eJno;" ejkeivnou dhmiourgou' gennhvmata tw'n nevwn ajnavgkh qew'n ejxavptein th'" kinhvsew": perilhptikwtevra gavr 15 ejstin hJ miva dhmiourgiva th'" peplhqusmevnh" pantacou', kai; ta; aijtiwvtera tw'n qeivwn kai; pro; tw'n oijkeivwn ejnergei' gennhmavtwn kai; met aujtw'n uJfivsthsi ta; ajp aujtw'n. Ta; me;n toivnun qei'a gevnh tou' panto;" kai; ajf eJautou' paravgei kai; di auJtou' kata; th;n ajgaqoeidh' bouvlhsin oJ prwvtisto" qeov", 20 ta; de; qnhta; dia; tw'n nevwn kuberna'/ qew'n, ajf eJautou' me;n kai; tau'ta gennw'n, ajll oi|on aujtourgouvntwn a[llwn. Di ejmou' ga;r genovmena, fhsiv, qeoi'" ijsavzoito a[n. To; me;n ou\n di ou| toi'" nevoi" qeoi'" ajpodotevon, to; de; ajf ou| kajn th'/ parovdw/ tw'n qnhtw'n eij" to;n o{lon dhmiourgo;n 25 ajnaktevon. Aei; ga;r ta; prwvtista tw'n uJfistamevnwn sunapergavzetai th'/ sfetevra/ monavdi th;n tw'n deutevrwn ajpogevnnhsin: kai; pavnta me;n ajp ejkeivnh", ajlla; ta; me;n ajmevsw" 70 kai; di ejkeivnh", ta; de; dia; mevswn a[llwn ajpodevcetai th;n 20

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ancora dell’eternità ad essi confacentesi, ed infine riversa su di essi 20 tutti i tipi di cause di potenze perfezionatrici, di canali generatori di vita e di misure demiurgiche. Proprio per questo i demiurghi molteplici fanno risalire la demiurgia di ogni singola entità particolare all’unica ed universale cura provvidenziale del padre, ed 265 ai principi, che hanno ricevuto da quello per le opere demiurgiche, la loro stessa operosa azione produttiva266. E tutti sono stati ricolmati di tutte le potenze, proprio perché tutti 69 partecipano dei discorsi di principio demiurgici che procedono dal padre verso loro stessi, ma gli uni sono caratterizzati più da un certo tipo di proprietà specifica, altri da un altro tipo di proprietà specifica; e gli uni sono così donatori dell’unità ai frutti della loro generazione, gli altri, poi, della permanenza indissolubile, gli 5 altri della vita, gli altri ancora presiedono alla rigenerazione; ed avendo ricevuto nel Tutto, in modo suddiviso, le potenze che sono unificate nell’unico Demiurgo, assistono il padre nella sua cura provvidenziale. E tutti quanti gli esseri che sono generati dai molteplici demiurghi, in misura molto maggiore sussistono ad opera 10 dell’unica demiurgia, che governa in modo eterno gli esseri mortali, in modo immobile gli esseri che si muovono, in modo indivisibile quelli soggetti a divisione. Certamente non è necessario far dipendere dal movimento degli dèi giovani i prodotti che genera l’unico Demiurgo: infatti la demiurgia unica ha, in ogni caso, una 15 maggiore capacità di comprendere in sé rispetto alla demiurgia moltiplicata, e quelli tra gli esseri divini che hanno una maggiore causalità agiscono prima dei loro prodotti generati ed al contempo insieme ad essi fanno sussistere gli esseri da loro prodotti. Pertanto i generi divini dell’universo li introduce il Primissimo Dio sia direttamente da sé sia per proprio tramite, secondo la sua volontà che ha forma simile al Bene, mentre gli esseri mortali li 20 governa per il tramite degli dèi giovani, generando, certamente, anche questi esseri da sé, ma come se altri, per così dire, li producessero materialmente con le proprie mani. Infatti «esseri generati per opera mia», dice, «sarebbero simili a dèi»267. Dunque bisogna attribuire la causa efficiente «agli dèi giovani», mentre la causa originaria, anche nel caso della entrata in scena degli esseri mortali, va ricondotta al Demiurgo universale. Sempre infatti i 25 primissimi tra gli esseri che vengono a sussistere realizzano congiuntamente alla loro monade la generazione degli esseri inferiori; e tutti derivano certamente da quella, ma gli uni immediatamente e per suo tramite ricevono la cura provvidenziale che da 70 quella proviene, mentre gli altri attraverso l’intermediazione di

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ajp ejkeivnh" provnoian. Kai; ga;r ta; mevsa tau'ta gevnh tw'n aijtivwn ajpo; th'" prwtourgou' monavdo" lagcavnei th;n pronohtikh;n tw'n deutevrwn ejpistasivan. ãiqVÃ Peri; me;n ou\n tw'n ejn Timaivw/ lovgwn ou}" oJ dhmiourgo;" ejndivdwsi toi'" ejn tw'/ kovsmw/ qeoi'" tosau'ta pro;" to; paro;n eijrhvsqw. Meta; de; touvtou" qewrh'sai proshvkei ta; deuvtera mevtra th'" o{lh" dhmiourgikh'" pronoiva", h}n proteivnei tai'" 10 pollai'" kai; meristai'" ajf eJautou' yucai'". Kai; ga;r tauvta" uJposthvsa" kai; dielw;n ijsarivqmou" tai'" qeivai" zwai'" kai; peri; to;n kovsmon diaspeivrwn o{rou" dhmiourgikou;" ejntivqhsin aujtai'" kai; ta;" o{la" aujtw'n ajforivzei periovdou" kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou" eij" aujta;" ejggravfei 15 kai; ta; mevtra th'" genesiourgou' zwh'" aujtw'n protivqhsin ejmfanh' kai; ta; th'" ajreth'" a\qla kai; ta; th'" kakiva" e[rga pavnta diaqesmoqetei' kai; kosmei' deovntw", kai; to; tevlo" th'" pavsh" periovdou noerw'" ejn eJni; perilambavnei kai; pro;" tou'to th;n o{lhn politeivan suntavttei tw'n merikw'n 20 yucw'n. Pa'sai me;n ou\n aiJ th'" ajqanavtou moivra" yucai; th;n provodon ajpo; tou' dhmiourgou' lacou'sai plhrou'ntai par aujtou' th'" hJnwmevnh" kai; noera'" pronoiva", diovti dh; pantacou' ta; gennhvmata tw'n aijtivwn ejxhrthmevna metevcei th'" ajp 25 aujtw'n telesiourgiva": ajll aiJ me;n qei'ai yucai; prwvtw" 71 ejkei'qen uJposta'sai kai; tw'n lovgwn ajmevsw" kathvkooi givgnontai tou' patrov": aiJ de; meristai; deutevrw" kai; meta; pleivono" merismou' th'" eJnoeidou'" pronoiva" tou' dhmiourgou' metalagcavnousin. Oqen dh; kai; tauvtai" me;n wJ" nomoqevth" 5 kai; ta; mevtra pavnta th'" zwh'" aujtw'n ajforivzwn, ou{tw" proteivnei tou;" dhmiourgikou;" lovgou", to; me;n dih/rhmevnon th'" o{lh" aujtw'n zwh'" hJnwmevnw" perilambavnwn, to; de; ejn crovnw/ metabavllon ajcrovnw" ejn taujtw'/ sunelivsswn, to; de; polueide;" kai; poikivlon th'" peri; aujta;" ejnergeiva" mono10 eidw'" kata; mivan aJplovthta sunavgwn. Tai'" de; qeivai" yucai'" aujtovqen th;n eJautou' provnoian ejkfaivnei kai; koinwnei'n 5

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altri esseri. Ed in effetti questi generi intermedi di cause ricevono dalla monade originaria l’incarico di presiedere con la cura provvidenziale agli esseri inferiori. 19 [Qual è il secondo discorso del Demiurgo rivolto alle anime particolari e in che cosa differisce da quello precedente, e come in questo discorso sono delimitate tutte le misure della vita delle anime]

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Riguardo dunque ai discorsi di principio che il Demiurgo nel Timeo affida agli dèi presenti nel cosmo, basti quanto sinora detto. Dopo questi conviene poi considerare le misure inferiori della cura provvidenziale universale, la quale protende a partire da se stesso alle anime molteplici e individuali. Ed infat- 10 ti, avendo fatto sussistere queste, avendole divise «in numero uguale» alle vite divine e disseminandole per il cosmo, egli pone in esse limiti demiurgici, definisce tutti quanti i loro periodi ciclici, inscrive in esse le «norme stabilite dal fato», aggiunge le misu- 15 re manifeste della loro vita operatrice di generazione, «stabilisce per legge» ed ordina nel modo conveniente i premi della virtù e le azioni generate dal «vizio», abbraccia in un’unità, in modo intellettivo, il termine di tutto il periodo ciclico e coordina a tale ter20 mine l’intero modo di vivere delle anime particolari268. Dunque tutte le anime destinate all’immortalità, avendo ricevuto dal Demiurgo la loro processione, vengono da lui ricolmate della provvidenza unificata ed intellettiva, proprio per il fatto che in ogni ambito i prodotti generati, dipendendo dai loro principi causali, partecipano del perfezionamento che deriva da essi; ma le 25 anime divine, in quanto è in modo primario direttamente da lui 71 che sono sussistite, diventano, senza bisogno di mediazione, obbedienti ai discorsi di principio del Demiurgo; le anime particolari, invece, in modo secondario e con una maggiore divisione ottengono di partecipare della provvidenza uni-forme del Demiurgo269. Proprio in conseguenza di ciò, in quanto legislatore 5 ed in quanto definisce anche tutte le misure della loro vita, protende così anche ad esse i discorsi di principio demiurgici, abbracciando in modo unificato il carattere diviso di tutta intera la loro esistenza, raccogliendo, inoltre, nello stesso momento in modo atemporale la loro natura soggetta a mutare nel tempo, ed infine 10 radunando in modo uniforme in base ad un’unica semplicità il carattere multiforme e vario dell’attività che le concerne. Invece

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aujtw'/ th'" eij" to;n kovsmon o{lon promhqeiva" parakeleuvetai kai; sundhmiourgei'n ta; qnhta; kai; sundiakosmei'n kai; tw'n genhtw'n a[rcein kata; ta; mevtra th'" divkh" kai; podhgei'n 15 pavnta kai; sugkuklei'n eJpomevnw" th'/ dhmiourgikh'/ pronoiva/. Pollou' a[ra devousin ejfavptesqai th'" dhmiourgiva" oiJ tou' Plavtwno" ejxhghtai; ta;" merika;" yuca;" eij" taujto;n a[gonte" tai'" o{lai" kai; pavsai" th;n aujth;n oujsivan didovnte", ejpeidh; pa'sai kata; to;n e{na dhmiourgo;n e[lacon th;n ajpogevnnhsin. 20 Prw'ton me;n ga;r kai; kat aujth;n th;n provodon ta; tw'n provsqen ejpivloipa katecei'to kai; deuvtera kai; trivta, fhsi;n oJ Tivmaio", gevnh proh'ge ta;" merika;" yuca;" diakosmw'n oJ pathvr: ejpi; de; th'/ toiauvth/ proovdw/ kai; tou;" th'" ejpistrofh'" lovgou" tai'" me;n qeivai" yucai'" 25 noerou;" proteivnei kai; dhmiourgikou;" kai; dunavmewn gennhtikw'n kai; telesiourgw'n ajgaqw'n parektikouv", tai'" de; merikai'" genevsew" kai; eiJmarmevnwn novmwn kai; divkh" kai; periovdwn pantoivwn ajforistikouv". Eij toivnun ta; ejk tou' dhmiourgou' pavnta kat oujsivan ejsti; tai'" yucai'", ajnavgkh 72 dhvpou ta; diafevronta mevtra tw'n lovgwn diafovrwn ei\nai dunavmewn ai[tia: kai; tai'" me;n tw'n ªmeristw'nº yucw'n th;n ejxh/rhmevnhn ajponevmei tw'n ejn tw'/ kovsmw/ politeivan, tai'" de; th;n uJpotetagmevnhn ejkeivnai" kai; kubernwmevnhn a[nwqen ajp 5 aujtw'n.

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kV Tau'ta me;n ou\n ejn a[lloi" dia; pleiovnwn e[xestin ajpodeiknuvnai. Meta; de; tou;" dhmiourgikou;" lovgou" pavlin ejp aujto;n to;n dhmiourgiko;n nou'n ajnadramovnte" qewrhvswmen eJpovmenoi tw'/ Plavtwni tiv" pote ou|tov" ejstin oJ dhmiourgov", to; pevra" aujto; th'" noera'" triavdo" sunelivsswn eij" th;n ajrchvn, kai; o{pw" aujto;n ejponomavzein proshvkei kata; th;n Ellhnikh;n qeologivan. Ma'llon de; pro; touvtou sunelovnte" ei[pwmen ejn kefalaivoi" a} peri; aujtou' kata; th;n uJfhvghsin tou' Timaivou pareilhvfamen: kai; ga;r a]n ejkei'na rJa'/on ejk

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alle anime divine rivela direttamente la sua provvidenza, le invita a partecipare con lui alla cura provvidenziale nei confronti del cosmo nella sua interezza, a produrre insieme a lui gli esseri mortali, a dargli ordine insieme a lui, a comandare sugli esseri generati in base alle misure della giustizia, a dirigere tutte le cose e a farle 15 ruotare assieme in modo conforme alla provvidenza demiurgica. Di conseguenza molto lontani dal cogliere appieno la demiurgia sono quegli interpreti di Platone270 che identificano le anime particolari con quelle universali e attribuiscono a tutte la medesima essenza, dal momento che tutte hanno ottenuto la loro generazione in relazione all’unico Demiurgo. Per prima cosa, in effet- 20 ti, proprio in riferimento alla loro stessa processione, il padre, quando disponeva in ordine le anime individuali, «versò i resti degli elementi precedenti» e fece procedere, afferma Timeo, «secondi e terzi» generi271; poi in seguito a tale processione, egli propone anche i discorsi di principio della conversione, alle anime divine discorsi di principio intellettivi, demiurgici e pro- 25 duttori di potenze generative e di beni perfezionatori, mentre alle anime particolari discorsi di principio atti a definire «generazione», «norme stabilite dal fato», giustizia e ogni genere di periodi ciclici272. Pertanto se tutte le cose che vengono dal Demiurgo appartengono alle anime come loro essenza, è necessario, a mio 72 giudizio, che le differenti misure dei discorsi di principio siano cause di differenti potenze; e, tra le anime, egli assegna alle une il modo di vivere che trascende le anime presenti nel cosmo, alle altre il modo di vivere che è assoggettato alle prime e che è gover5 nato dall’alto da esse. 20 [Ricapitolazione di tutti i discorsi sul Demiurgo, la quale segue dappresso il “Timeo”] Ebbene, tali considerazioni è possibile dimostrarle più diffusamente altrove273. Invece, dopo i discorsi di principio demiurgici, risaliti di nuovo all’intelletto demiurgico stesso, consideriamo, seguendo Platone, chi mai sia questo Demiurgo che fa convergere nel suo insieme il limite inferiore stesso della triade intellettiva in direzione del suo principio, ed in che modo conviene appellarlo secondo la teologia greca274. Anzi, prima di fare ciò, esponiamo, riassumendo per sommi capi, i concetti che abbiamo in precedenza desunto sulla base dell’esposizione di Timeo: ed infatti potrem-

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touvtwn diomologhqevntwn hJmi'n katamavqoimen. Poihth;" me;n dh; kai; path;r ajnuvmnhtai tou' kovsmou panto;" eujqu;" ejn ajrch'/ th'" peri; aujtou' qeologiva", kai; ou[te poihth;" movnon ou[te path;r kai; poihthv", ajll oJmou' 20 me;n ajmfotevra" e[cwn ajnapevfantai ta;" ijdiovthta", kata; de; th;n poihtikh;n ma'llon h] th;n patrikh;n aijtivan carakthrizovmeno": dhmiourgo;" de; tw'n o{lwn kata; th;n ajgaqovthta th;n eJautou' kai; th;n a[fqonon bouvlhsin kai; th;n duvnamin th;n pavnta katakosmei'n, kai; ta; a[takta, dunamevnhn: kavl25 lou" de; kai; summetriva" kai; tavxew" corhgo;" kai; tw'n aijtivwn a[risto" diaferovntw" hJmi'n paradevdotai, diovti 73 dh; th'" o{lh" dhmiourgikh'" seira'" th;n monoeidh' kai; prwtourgo;n ejklhrwvsato duvnamin: nou' de; kai; yuch'" uJpostavth" kai; pavsh" oJmou' th'" ejn tw'/ kovsmw/ zwh'", ejpeidh; zw'/on e[myucon e[nnoun aujto;" ajpeirgavsato to;n o{lon 5 oujranovn: plhvrh" de; tou' nohtou' panto;"h kai; pro;" aujto; to; nohto;n zw'/on kai; pantele;" ajnateivnwn eJautovn, kai; tou'to di oJmoiovthto" ejkeivnw/ sunavptwn kai; monogene;" aujto; dhmiourgw'n, w{sper to; paravdeigma cwristovn, ajf o{lwn ejkbebhko;" tw'n nohtw'n, hJnwmevnw" uJfevsthke: 10 kai; mh;n kai; tw'n swmavtwn aujto;" dhmiourgov", aujto;" telesiourgov", aujto;" tai'" ajrivstai" ajnalogivai" ta; pavnta sundevwn kai; tav" te dunavmei" aujtw'n kai; tou;" o[gkou" kai; tou;" ajriqmou;" toi'" kallivstoi" desmoi'" sunarmovzwn: e[ti de; o{lon ejx o{lwn kai; tevleion ejk teleivwn 15 to; pa'n uJfistav", i{n ajghvrwn kai; a[noson h\/ kai; pavnta e[con ejn eJautw'/ ta; tw'n stoiceivwn gevnh: kai; dh; kai; schvmati tw'/ prwtivstw/ kai; aJploustavtw/ kai; perilhptikwtavtw/ tw'n o[ntwn aJpavntwn schmavtwn aujto; diakosmw'n: pro;" de; touvtoi" aujtarkeiva" ai[tio" kai; th'" eij" auJto; tou' panto;" 20 ajnakuklhvsew", i{na pavnta kai; pavscon uJf eJautou' kai; drw'n ejn auJtw'/ mhdeno;" tw'n e[xw keimevnwn prosdee;" h\/: kai; kinhvsew" me;n aujtw'/ noera'" corhgov", zwh'" de; kata; crovnon ejxelittomevnh" kai; ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw"

h I due Editori propongono di integrare qui con ãw]nÃ. Ma tale integrazione non è in realtà necessaria: plhvrh" può essere complemento predicativo del verbo paradevdotai (cfr. riga 26).

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mo più facilmente comprendere le precedenti questioni una volta che ci saremo accordati su questi aspetti. Ebbene, è stato celebrato come «artefice e padre del cosmo tutto»275 immediatamente all’inizio della dottrina teologica che lo concerne, e si è rivelato non come “padre” solamente né come “padre ed artefice”, bensì, da un lato, come in pos- 20 sesso di entrambi i caratteri specifici nello stesso tempo, dall’altro come caratterizzato più in base alla causa “artefice” che in base a quella “paterna”; è stato celebrato poi come «Demiurgo» dell’universo nella sua totalità in base alla sua specifica bontà, alla sua volontà generosa e alla sua potenza, che è capace di mettere in ordine tutte le cose, anche quelle disordinate; inoltre ci è stato tramandato come elargitore di bellezza, di proporzione e di ordine e 25 specialmente come «il migliore dei principi causali»276, proprio per il fatto che ha ottenuto in sorte la uniforme ed originaria 73 potenza dell’intera serie demiurgica277; poi come origine della sussistenza di intelletto e di anima, ed al contempo di tutta la vita insieme insita nel cosmo, dal momento che egli stesso ha realizzato il cielo nella sua interezza come «un vivente animato e dotato di intelletto»278; poi come ricolmo di tutto 5 l’intelligibile e che si protende in alto verso lo stesso «Vivente intelligibile e compiutamente perfetto»279, che connette per somiglianza questo cosmo a quello e lo fa «unigenito»280, allo stesso modo in cui il suo modello separato, in quanto ulteriore rispetto a tutti gli intelligibili nella loro totalità, è venuto a sussistere in modo unificato; ed inoltre che egli stesso è Demiurgo dei corpi, egli stes- 10 so è loro perfezionatore, egli stesso lega insieme tutte le cose per mezzo delle migliori proporzioni e armonizza tra loro le «potenze» e le «masse», ed i «numeri» per mezzo dei «legami più belli»281; poi ancora che ha fatto sussistere il Tutto come intero costituito da 15 parti intere e «perfetto costituito da componenti perfette»282, affinché sia «non soggetto a vecchiaia ed immune da malattia»283, e che possiede in se stesso tutti i generi degli elementi; ed in particolare che mette in ordine il Tutto con la primissima figura, la più semplice e la più comprensiva di tutte quante le figure esistenti284; oltre a ciò poi come principio causale di autosufficienza e della ciclica rotazione su se stesso del Tutto, di modo che, «patendo e compiendo ogni cosa autonomamente» in 20 se stesso, non sia «ancora mancante» di nessuna delle cose che gli sono esterne285; e come elargitore per esso, da un lato, di movimento intellettivo, dall’altro di vita che si svolge circolarmente nel tempo e che si modifica sempre nella stessa direzione, allo stesso

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kai; peri; ta; aujta; th;n metabolh;n poioumevnh": e[ti toivnun yuch'" ejsti path;r kai; tw'n ejn yuch'/ genw'n kai; th'" ejn aujth'/ diairevsew" kai; tw'n aJrmonikw'n pavntwn lovgwn, oi|on luvran 74 aujtokivnhton kai; ajqavnaton uJposthsavmeno" tauvthn ejn tw'/ kovsmw/: kai; tw'n ejn aujtw'/ kuvklwn diairevth", tou' te eJno;" kai; tw'n eJptav, kai; o{lw" schvmato" kai; morfh'" aujto;" poihth;" kai; dhmiourgov": ejpi; de; touvtoi" to;n o{lon crovnon 5 aujto;" ajf eJautou' genna'/ kata; th;n tou' aijw'no" mivmhsin kai; ta; tou' crovnou mevtra pavnta kai; tou;" ejkfaivnonta" tau'ta qeouv": kai; diaferovntw" to;n o{lon uJfivsthsin h{lion ajpo; th'" eJautou' noera'" oujsiva" to; fw'" ajnavptwn, i{na tw'n a[llwn qew'n ejxh/rhmevnhn e[cwn uJperoch;n basileu;" h\/ tou' pantov": 10 kai; me;n dh; kai; ta; plhvqh suvmpanta tw'n ejgkosmivwn dhmiourgei' qew'n te kai; daimovnwn kai; ta; oujravnia kai; ta; uJpo; selhvnhn, i{na to;n monogenh' kai; aujtavrkh tou'ton qeo;n a[galma tou' nohtou' kai; pantelou;" ajpofhvnh/ qeou', th;n me;n gh'n oi|on eJstivan ejn aujtw'/ phxavmeno", ta; de; a[lla 15 stoicei'a yucai'" qeivai" kai; daivmosi diaklhrwvsa": ejf a{pasi de; touvtoi" ejpistrevfei me;n ta; proelqovnta gevnh tw'n qew'n eij" auJtovn, plhroi' de; pavnta genevsew" ajcravntou, zwh'" ajidivou, teleiovthto" dhmiourgikh'", gennhtikh'" periousiva": uJfivsthsi de; kai; ta;" merista;" yuca;" meta; tw'n 20 ojchmavtwn kai; diairei' peri; tou;" hJgemovna" qeou;" kai; a[lla" a[lloi" uJpotavttei kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou" aujtai'" ejkfaivnei kai; tai'" eij" gevnesin kaqovdoi" metrei' kai; tai'" periovdoi" aujtw'n ajqloqetei' kai; pa'san wJ" eijpei'n aujtw'n th;n ejn tw'/ kovsmw/ politeivan diaqesmoqetei'. 25 Meta; de; pavnta tau'ta pevra" me;n ejpitivqhsi th'/ pronoiva/ tw'n o{lwn, ejpavneisi de; eij" th;n eJautou' periwphvn, toi'" nevoi" qeoi'" paradou;" th;n tw'n qnhtw'n promhvqeian kai; mevnwn ejn tw'/ auJtou' kata; trovpon h[qei, 75 paravdeigma toi'" ejn tw'/ kovsmw/ dhmiourgoi'" th'" eij" ta; deuvtera pronoiva". Kai; w{sper ejn th'/ dhmiourgiva/ tw'n o{lwn paravdeigma to; nohto;n zw'/on, ou{tw dh; kajn th'/ diakosmhvsei tw'n merikw'n paravdeigma to; noerovn ejsti zw'/on, ejn w|/ dih/rh5 mevnw" ta; ei[dh pavnta kata; th;n eJautw'n fuvsin profaivnetai. Nohvsante" gavr fhsin oiJ pai'de" th;n tou' patro;" tavxin ejpeivqonto aujth'/: kai; mevnonto" ejkeivnou kai; patrikw'" kai; diaiwnivw" ta; pavnta paravgonto", aujtoi; dhmiourgikw'" kai; kata; crovnon ta; qnhta; gevnh diekovsmoun. 25

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modo e nel medesimo luogo286; ed ancora, è padre dell’anima, dei generi insiti nell’anima, della divisione presente in essa e di tutti i 25 rapporti armonici287, facendo sussistere nel cosmo questa come, per 74 così dire, una lira che si muove da sé e che è immortale; ed è divisore dei cerchi insiti nel cosmo, del cerchio unico ed anche dei setti cerchi, ed in generale egli è artefice e Demiurgo di figura e di forma288; oltre a ciò egli poi genera da se stesso tutto il tempo nella 5 sua interezza in base all’imitazione dell’eternità, tutte le misure del tempo e gli dei che le rivelano289; ed in particolare egli fa sussistere, a partire dalla sua propria essenza intellettiva, il sole nella sua interezza, «accendendo la sua luce»290, in modo che, essendo dotato di trascendente superiorità rispetto a tutti gli altri dèi, sia re del Tutto; ed inoltre egli produce anche tutte quante le molteplicità degli dèi 10 encosmici ed anche dei demoni, sia quelle celesti sia quelle sublunari291, al fine di far risultare questo dio, unico nel suo genere ed autosufficiente, una “immagine votiva” del dio intelligibile e compiutamente perfetto292, avendo compaginato al suo interno la terra come, per così dire, un focolare, mentre gli altri elementi li ha destinati alle anime divine e ai demoni293; oltre a tutto questo, da un lato, 15 converte verso se stesso i generi degli dèi che sono proceduti, dall’altro li ricolma tutti di generazione incontaminata, di vita eterna, di perfezione demiurgica e di sovrabbondanza generatrice294; fa poi sussistere sia le anime particolari insieme ai loro «veicoli», le ripartisce tra gli dèi sovrani, subordina le une ad alcuni di essi, le altre ad 20 altri, rivela ad esse «le norme stabilite dal fato»295, le misura attraverso le loro discese nella generazione, stabilisce dei premi per i loro periodi ciclici296 e ordina con leggi, per così dire, tutta la loro complessiva condotta all’interno del cosmo297. Poi, dopo tutto ciò, pone un limite alla sua provvidenza sulla 25 totalità dell’universo, e risale «verso la sua specola»298, «avendo affidato agli dèi giovani»299 la provvidente cura degli esseri mortali e «permanendo nella condizione che gli è abituale»300, model- 75 lo per i demiurghi presenti nel cosmo della cura provvidenziale rivolta agli esseri inferiori. E come nel caso della demiurgia dell’universo nella sua totalità modello è il Vivente intelligibile, allo stesso modo nel caso dell’ordinamento delle entità particolari modello è il vivente intellettivo, nel quale si manifestano tutte le 5 forme in modo diviso in base alla loro propria natura. Infatti «avendo compreso», egli dice, «l’ordine del padre, i figli vi obbedivano»301; e mentre quello, «permaneva» e produceva tutte le cose in modo paterno ed in modo eterno, essi davano ordine ai generi mortali, in modo demiurgico e nel tempo.

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Anwqen dh; a[cri th'" touvtwn poihvsew" hJ tou' dhmiourgou' provnoia katafaivnetai, kai; oi|on u{mno" ti" ou|to" ajpodevdotai tw'/ dhmiourgw'/ kai; patri; tou'de tou' panto;" uJpo; tou' Plavtwno" tav" te dunavmei" aujtou' kai; ta;" poihvsei" kai; ta;" eij" to;n kovsmon eujergesiva" ajneufhmw'n. Kai; dei' toi'" 15 ejntau'qa safw'" ajnagegrammevnoi" peiqomevnou" kai; ta[lla pavnta peri; aujtou' zhtouvmena qhra'n: levgw de; oi|on, o} mikrw'/ provteron ei[pomen, tiv" pote ou|tov" ejstin oJ dhmiourgov", kai; o{pw" aujto;n ojnomavzein ãproshvkeià kata; th;n par Ellhsi fhvmhn, kai; dia; poivan aijtivan ou[te o[noma aujtou' para20 divdwsin oJ Tivmaio" ou[te o{sti" ejsti;n ejxevfhnen, ajlla; kai; euJrei'n e[rgon aujto;n kai; euJrovnta fhsi;n ajduvnaton eij" a{panta" levgein. Hdh me;n ou\n kajk tw'n proeirhmevnwn oi\mai katafane;" gegonevnai toi'" kai; mikra; sunei'nai dunamevnoi" o{ti kai; kata; th;n Plavtwno" yh'fon 25 oJ mevga" ejsti; Zeu;" oJ nuni; par hJmw'n uJmnhmevno" dhmiourgov". Eij ga;r th'" noera'" o{lh", w{sper ei[rhtai, triavdo" to; me;n ajkrovtatovn ejstin hJ tou' Krovnou basileiva kai; nohth; tw'n noerw'n uJperochv, to; de; mevson kevntron kai; 76 oJ ejkdovcio" kovlpo" th'" ejn tw'/ Krovnw/ gennhtikh'" dunavmew" hJ mhtrikh; th'" Reva" kai; zwogovno" phghv, panti; dhvpou katafane;" o{ti kai; to; pevra" aujth'" oJ mevgisto" ejklhrwvsato Zeuv". Apo; ga;r tw'n proeirhmevnwn aijtiw'n, th'" me;n patrikh'", 5 th'" de; gennhtikh'", ou|tov" ejstin oJ patrikw'" uJfistavmeno" qeov", o}" dh; kai; basileuvein levgetai th;n tou' patro;" diadecovmeno" noera;n ajrchvn. Eij toivnun ajnavgkh to;n dhmiourgo;n to; pevra" th'" noera'" triavdo" tauvth" sunelivssein, wJ" devdeiktai provteron, kai; tou'to th'" tou' Dio;" basilikh'" 10 dunavmew" i[dion, eij" taujto;n dhvpou cwrei'n oJmologhvsomen tw'/ dhmiourgw'/ th;n Divion ajrchvn, kai; tou'ton ei\nai to;n uJmnhmevnon ejn Timaivw/ dhmiourgovn. 10

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kaV Eij de; kai; dei' pleivono" ajxiw'sai tou'to lovgou kai; toi'" ajllacou' peri; tou' qeou' touvtou para; tou' Plavtwno" ajnagegrammevnoi" suvmfwnon ajpodei'xai th;n ejn Timaivw/ peri; tou'

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Dall’alto, appunto, fino alla produzione dei generi mortali si 10 manifesta la provvidenza del Demiurgo, e questo è per così dire una sorta di inno che è stato dedicato da Platone al Demiurgo e padre di questo nostro universo, per celebrare sia le sue potenze sia le sue produzioni sia i suoi benefici rivolti al cosmo. E, prestan- 15 do fede a quanto qui è chiaramente riportato, occorre metterci alla ricerca anche di tutte le altre questioni che lo concernono; e intendo, per esempio, ciò che poco fa abbiamo detto302: chi mai è questo Demiurgo, ed in che modo convenga chiamarlo secondo la tradizione vigente presso i greci, e per quale ragione Timeo non ci 20 tramanda il suo nome e non ha neppure rivelato chi possa essere, ma afferma che «è un’impresa scoprirlo, e scopertolo è impossibile rivelarlo a tutti quanti»303. Ma a questo punto, anche da quanto è stato detto in precedenza, ritengo che sia diventato palese, anche per quanti sono in grado di comprendere solo un poco, che anche secondo il giudizio di Platone è il grande Zeus il Demiurgo da noi 25 ora celebrato. Se infatti di tutta quanta la triade intellettiva, come si è detto304, la sommità più elevata è il regno di Crono, vale a dire il livello superiore intelligibile degli intellettivi, mentre il centro intermedio ed il grembo ricettivo della potenza generativa insita in 76 Crono è la fonte di Rea, materna e generatrice di vita, per ciascuno, a mio giudizio, risulta palese che a sua volta il limite inferiore di questa triade lo ha avuto in sorte il grandissimo Zeus. Infatti ad opera delle cause precedentemente menzionate, quella paterna da un lato, quella generatrice dall’altro, questi è il dio che è venuto a 5 sussistere in modo paterno, il quale si dice che regna ricevendo per successione la sovranità intellettiva del padre. Se dunque è necessario che il Demiurgo racchiuda il limite inferiore di questa triade intellettiva, come è stato precedentemente mostrato305, e se ciò è proprio specificamente della potenza regale di Zeus, converremo, 10 a mio giudizio, sull’identificare con il Demiurgo la sovranità di Zeus e sul fatto che quest’ultimo è il Demiurgo celebrato nel Timeo. 21 [Richiami, desunti da quanto è affermato nel “Crizia”, al fatto che Platone attribuisce l’attività demiurgica a Zeus] Se poi si deve ritenere tale argomento degno di un discorso più ampio e se si deve al contempo dimostrare che la dottrina teologica del Timeo concernente il Demiurgo è in accordo anche con

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dhmiourgou' qeologivan, fevre tw'n ejn Kritiva/ prw'ton ajnalabwvmeqa, diovti dh; kai; sunechv" ejsti tw'/ Timaivw/ kai; kata; th;n pro;" aujto;n ajnalogivan suvgkeitai, th;n ejn eijkovsi tw'n 20 aujtw'n uJpovstasin paradidouv", w|n ta; prwtourga; paradeivgmata dia; th'" tou' kovsmou dhmiourgiva" oJ Tivmaio" ejxuvmnhsen. Entau'qa toivnun oJ Plavtwn, i{na a[nwqen a[rxwmai, thvn te tw'n Aqhnaivwn paraskeuh;n dia; pleiovnwn iJstorhvsa" 25 h}n ei\con ejn toi'" provsqen crovnoi" kai; th;n tw'n Atlantivnwn 77 u{brin kai; pleonexivan, tw'n Poseidw'no" me;n ajpogovnwn, to; de; qei'on spevrma dia; th;n tw'n ajnqrwpivnwn kai; qnhtw'n ejpithdeumavtwn suvmmixin ajfanisavntwn kai; ejpi; pavnta" u{brei poreuomevnwn, sunavgei me;n tou;" qeou;" eij" th;n 5 peri; aujtw'n boulhvn, w{sper oiJ foibovlhptoi poihtaiv, kai; koino;n sunevdrion kaqivzei tw'n qew'n, ejxavrcei de; oJ Zeu;" th'" o{lh" aujtw'n politeiva" kai; pro;" eJauto;n ejpistrevfei to; plh'qo". Kai; w{sper oJ ejn Timaivw/ dhmiourgov", eij" eJauto;n sunelivsswn pavnta" tou;" ejgkosmivou" qeouv", ou{tw dh; kai; 10 oJ ejn tw'/ Kritiva/ tw'n o{lwn promhqouvmeno" Zeu;" sunavgei tou;" qeou;" peri; eJautovn. Tivna dh; ou\n oJ Plavtwn fhsi; peri; tou' qeou' kai; o{pw" suvmfwna toi'" uJpo; tou' Timaivou provteron eijrhmevnoi", ejfexh'" katanohvswmen. Qeo;" de; oJ qew'n Zeu;" ejn novmoi" 15 basileuvwn, a{te dunavmeno" kaqora'n ta; toiau'ta, ejnnohvsa" gevno" ejpieike;" ajqlivw" diatiqevmenon kai; divkhn aujtoi'" ejpiqei'nai boulhqeiv", i{na gevnwntai ejmmelevsteroi swfronisqevnte", sunhvgeire qeou;" pavnta" eij" th;n timiwtavthn aujtw'n 20 oi[khsin, h} dh; kata; mevson panto;" tou' kovsmou bebhkui'a kaqora'/ pavnq o{sa genevsew" meteivlhfen. En dh; touvtoi" eujqu;" ejn ajrch'/ qeo;" qew'n basileu;" ajnumnouvmeno" oJ Zeuv", pw'" oujci; toi'" ejn Timaivw/ gegrammevnoi" oJmologei' toi'" pavntwn aujto;n tw'n ejgkosmivwn 25 qew'n patevra kai; ai[tion ajpofhvnasi Tiv" gavr ejstin a[llo" oJ pavntwn qew'n basileuvwn qeo;" h] oJ th'" uJpostavsew" 78 aujtw'n kai; th'" oujsiva" ai[tio" Tiv" de; oJ qeou;" qew'n tou;" ejgkosmivou" ajpokalw'n Oujc oJ th'" dhmiourgiva" aJpavsh" eij" eJauto;n th;n ajrch;n ajnadhsavmeno" Eij toivnun kai; toi'" ajf eJautou' gennwmevnoi" divdwsi to; qeoi'" ei\nai 5 qew'n, pollw'/ dhvpou meizovnw" aujtw'/ proshvkei tw'n qew'n pavntwn ajnumnei'sqai qew'/: Kai; toivnun kai; to; divkhn

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quanto altrove è stato scritto da Platone su questo dio, coraggio allora, prendiamo in considerazione in primo luogo quanto è contenuto nel Crizia, proprio perché esso è la continuazione del Timeo ed è composto in stretto rapporto con esso, dato che tra- 20 manda, in immagini, la realtà delle medesime cose i cui modelli originari Timeo ha celebrato attraverso la demiurgia del cosmo. Qui dunque Platone, per incominciare dal principio, dopo aver raccontato306 diffusamente della potenza che in quei tempi 25 avevano gli Ateniesi, e della tracotanza e della bramosia degli abi- 77 tanti di Atlantide, che erano i discendenti di Poseidone307, ma che avevano distrutto il loro seme divino per via della commistione con le abitudini di vita umani e mortali e che «con tracotanza marciavano contro tutti»308, Platone fa riunire gli dèi a consiglio, co- 5 me fanno i poeti ispirati da Febo309, per discutere su di loro e li fa stare in un’assemblea comune degli dèi; ed è Zeus, d’altro canto, che dirige tutta la loro forma di governo e che converte verso se stesso la loro molteplicità310. E come il Demiurgo nel Timeo, che fa convergere verso se stesso tutti gli dèi encosmici, così anche Zeus, che nel Crizia si prende provvidenzialmente cura dell’uni- 10 verso nella sua totalità, riunisce gli dèi intorno a sé. Ebbene, quali siano le cose che Platone dice a proposito di questo dio ed in che modo risultino in accordo con quanto è stato precedentemente detto da Timeo, ecco ciò che ora dobbiamo esaminare. «Zeus, il dio degli dèi, che regna con leggi, in quanto capa- 15 ce di valutare tutta la situazione, avendo compreso che una stirpe di levatura superiore si trovava in una condizione sciagurata, decise di infliggere ad essi una giusta punizione, perché tornassero ad essere più misurati una volta rinsaviti; egli allora radunò in assemblea tutti gli dèi nella loro dimora più augusta, quella che, essendo situa- 20 ta al centro dell’intero cosmo, consente di osservare tutto ciò che risulta partecipe di generazione»311. Dato che in questo passo, subito all’inizio, Zeus viene celebrato come “dio re degli dèi”, come può ciò non essere in accordo con quanto è scritto nel Timeo in cui egli appare come padre e principio causale degli dèi encosmi- 25 ci? Chi altri è infatti il dio “che regna” su tutti gli dèi se non colui che è principio causale del loro sussistere e della loro essenza? Chi 78 è poi colui che chiama gli dèi encosmici “dèi figli di dèi”?312 Non è forse colui che ha collegato saldamente a se stesso il principio di tutta quanta la demiurgia? Se pertanto egli concede appunto a quelli che sono da lui stesso generati l’essere “dèi figli di dèi”, a 5 maggior ragione, a mio giudizio, gli si addice essere celebrato come “dio di tutti gli dèi”. E pertanto anche l’“infliggere una giu-

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ejpiqei'nai toi'" plhmmelou'si tivni diaferovntw" a]n proshvkoi tw'n pro; tou' kovsmou qew'n h] tw'/ ta; mevtra pavnta tai'" yucai'" ajforivsanti kai; tou;" novmou" tou' panto;" aujtai'" ejkfhvnanti kai; peri; dikaiosuvnh" kai; ajdikiva" ta; prevponta diaqesmoqethvsanti, i{na th'" e[peita ei[h kakiva" ajnaivtio" eJkavstwn Kai; mh;n kai; to; sunageivrein pavnta" tou;" qeou;" eij" th;n timiwtavthn aujtw'n oi[khsin, h} pa'san th;n gevnesin kaqora'/ to; mevson katevcousa tou' pantov", ejxh/rhmevnhn me;n aujtw'/ tou' plhvqou" provnoian ajpodivdwsin, ejx i[sou de; ejpi; pavnta to;n kovsmon diateivnousan, a} dh; th'" dhmiourgikh'" ejsti monavdo" ejxaivreta ajgaqav. To; ga;r ejpistrevfein pavnta" eij" eJauto;n tou;" qeou;" kai; kaqora'n to;n o{lon oujranovn, ejxh/rhmevnw" tw'/ dhmiourgw'/ proshvkei tou' pantov". Tivno" ga;r a]n a[llou prosecw'" metevcein dunato;n to; plh'qo" h] th'" uJpostatikh'" aujtou' monavdo" Tiv" d a]n ejpistrevfoi pro;" eJauto;n tou;" pavnta" ejn tw'/ kovsmw/ qeou;" h] oJ th'" oujsiva" aujtw'n dhmiourgo;" kai; th'" ejn tw'/ panti; diaklhrwvsew"

kbV En me;n ou\n tou'to prw'ton tekmhvrion tou' zhtoumevnou tiqevmeqa: deuvteron de; e{teron, eij bouvlei, th;n ejn tw'/ Kratuvlw/ tou' Swkravtou" rJh'sin, kaq h}n peri; tw'n ojnomavtwn poiei'tai 79 tou;" lovgou", ejx w|n th;n oujsivan hJmi'n parivsthsi tou' Diov". Ouj ga;r ejx eJno;" ojnovmato" ejpi; th;n fuvsin ajnavgetai tou' qeou' tou'de, kaqavper ejpi; tw'n a[llwn qew'n, oi|on Krovnou kai; Reva" kai; Poseidw'no" kai; Plouvtwno", ajll ejk duoi'n eij" 5 e}n ijovntwn kai; th;n mivan aujtou' kai; hJnwmevnhn oujsivan meristw'" ejndeiknumevnwn ejkfaivnei th;n tou' qeou' touvtou duvnamin kai; th;n th'" uJpavrxew" ijdiovthta. Kai; ga;r hJ koinh; peri; aujtou' fhvmh dicw'" aujto;n ejponomavzei, kai; tote; me;n Diva kalou'nte" aujto;n e[n te eujcai'" kai; u{mnoi" qerapeuvomen, 10 tote; de; ajpo; th'" zwh'" parwnuvmw" Zh'na to;n aujto;n ajneu25

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sta punizione” a coloro che mancano di ogni misura a quale degli dèi che sono superiori al cosmo potrebbe addirsi specificamente se non a colui che ha definito tutte le misure per le anime, che ha rivelato ad esse le leggi dell’universo e che, a proposito di giustizia e di ingiustizia, «ha stabilito le leggi» opportune «per non essere responsabile, in seguito, del vizio di ciascuna»313? E del resto anche «il radunare tutti gli dèi nella loro dimora più augusta», la quale consente di osservare tutto l’ambito della generazione, in quanto occupa la parte centrale del Tutto, attribuisce a lui una provvidenza che, da un lato, trascende la molteplicità, ma che dall’altro si estende nella stessa misura a tutto il cosmo: Proprio questi sono i beni che competono esclusivamente alla monade demiurgica. In effetti il far convertire tutti gli dèi verso se stesso e l’osservare tutto il cielo nella sua interezza, si addice in modo eminente al Demiurgo dell’universo. Di chi altri, infatti, il molteplice potrebbe partecipare in modo diretto se non della monade origine del suo sussistere? Chi, d’altra parte, potrebbe far convergere verso se stesso tutti gli dèi presenti nel cosmo se non colui che è Demiurgo della loro essenza e che assegna ad essi uno specifico ambito nell’universo? 22 [Richiami, desunti da quanto è affermato nel “Cratilo”, all’attività demiurgica propria di Zeus; in questo capitolo si mostra anche l’accordo della dottrina teologica desunta dai nomi con la disposizione degli argomenti concernenti il Demiurgo nel “Timeo”]

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Questa dunque consideriamola come un’unica prima prova di ciò che è oggetto della nostra ricerca314; come seconda diversa prova, se si vuole, consideriamo il discorso di Socrate nel Cratilo, nel corso del quale si affrontano le questioni concernenti i nomi, a partire dalle quali egli giunge a presentarci l’essenza di Zeus. In 79 effetti non è a partire da un unico nome che egli risale alla natura di questo dio, come nel caso degli altri dèi, per esempio Crono, Rea, Poseidone e Plutone315, ma a partire da due nomi, che vanno 5 a finire in uno solo e che mettono in luce in modo diviso la sua unica ed unificata essenza, Socrate rivela la potenza di questo dio e il carattere specifico della sua forma di sussistenza. Ed in effetti la tradizione comune che lo concerne lo denomina in due modi, e talvolta è chiamandolo “Día” che lo veneriamo nelle preghiere e negli inni, talaltra invece invochiamo lo stesso dio con il nome 10

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fhmou'men: kai; Zeu;" a{ma kalouvmeno" kai; th'/ tou' Dio;" proshgoriva/ caivrwn, ajp ajmfotevrwn oJmoivw" tw'n ojnomavtwn *** par Ellhsivn ejsti kai; h}n e[lacen oujsivan kai; tavxin ejn toi'" qeivoi" dhlou'tai. Kai; kaq auJto; me;n oujdevteron 15 iJkanw'" duvnatai gnwvrimon poih'sai th;n ijdiovthta tou' qeou', suntacqevnta de; ajllhvloi" kai; lovgo" genovmenai th'" peri; aujtou' ajlhqeiva" ejsti;n ejkfantikav. Pw'" ou\n ejx ajmfoi'n tw'n ojnomavtwn hJ tou' basilevw" touvtou shmaivnetai duvnami" kai; hJ th'" uJpostavsew" aujtou' 20 prohgoumevnh tavxi" ejn toi'" qeoi'", aujtou' tou' Swkravtou" ajkouvswmen levgonto": Faivnetai de; kai; tw'/ patri; aujtou' legomevnw/ Dii; pagkavlw" to; o[noma kei'sqai, e[sti de; ouj rJav/dion katanoh'sai. Atecnw'" gavr ejstin oi|on lovgo" to; tou' Dio;" o[noma, die25 lovnte" de; aujto; dich'/ oiJ me;n tw'/ eJtevrw/ mevrei, oiJ de; tw'/ eJtevrw/ crwvmeqa: oiJ me;n ga;r Zh'na, oiJ de; Diva kalou'si, suntiqevmena de; eij" e}n dhloi' th;n 80 fuvsin tou' qeou', o} dh; proshvkein fame;n ojnovmati oi{w/ te ei\nai ajpergavzesqai. Ouj gavr ejstin hJmi'n kai; toi'" a[lloi" a{pasin o{sti" ejsti;n ai[tio" ma'llon tou' zh'n h] oJ a[rcwn te kai; basileu;" tw'n 5 pavntwn. Sumbaivnei ou\n ojrqw'" ojnomavzesqai ou|to" oJ qeo;" ei\nai di o}n zh'n pa'si toi'" zw'sin uJpavrcei: dieivlhptai de; divca, w{sper levgw, e}n o]n to; o[noma tw'/ Dii; kai; tw'/ Zhniv. O me;n ou\n trovpo" th'" tw'n ojnomavtwn eij" e}n sunagwgh'" kai; th'" di ajmfotevrwn 10 tou' qeou' touvtou profainomevnh" uJpavrxew" panti; katafanhv". Eij de; dh; th'" zwh'" ejsti toi'" pa'sin, w{sper levgetai, corhgo;" kai; a[rcwn kai; basileu;" tw'n pavntwn o{sa levgetai zh'n, tivni proshvkein th;n ijdiovthta tauvthn qhsovmeqa to;n dhmiourgo;n ajfevnte" Pw'" de; oujk ajnavgkh toi'" ejn 15 Timaivw/ legomevnoi" sumfwnou'nta" ejp aujto;n ajnafevrein th;n th'" zwogoniva" ajrchvn Kai; ga;r to;n o{lon kovsmon e[myucon kai; e[nnoun kai; zw'/on oJ dhmiourgo;" ajpotelei' kai; th;n triplh'n ejn eJautw'/ zwh;n uJfivsthsi, th;n me;n ajmevriston kai; noeravn, th;n de; meristh;n kai; swmatoeidh', th;n de; metaxu; 20 touvtwn, ajmevriston a{ma kai; meristhvn, kai; tw'n oujranivwn sfairw'n eJkavsthn aujtov" ejstin oJ tai'" th'" yuch'" sunavptwn periforai'" kai; tw'n a[strwn eJkavstw/ zwh;n ejfista;" yucikh;n kai; noeravn, kai; toi'" uJpo; selhvnhn stoiceivoi" qeou;" hJgemovna" paragagw;n kai; yucav", kai; pro;" touvtoi" a{pasi i A mio avviso il tràdito gignovmeno" è un errore del copista. In base al senso ed alla struttura della frase propongo di correggere gignovmeno" con genovmena.

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“Zêna”, per derivazione dal termine “zoé” [“vita”]316; ed egli, che sia chiamato “Zeus” ed al contempo che si compiaccia della denominazione “Día”, è 317 presso i Greci parimenti in base ad entrambi i nomi, ed essi rendono manifesta l’essenza ed il livello che egli ha ottenuto in sorte tra gli dèi. E, considerato in se stesso, nessuno dei due nomi è in grado di rendere noto in modo ade- 15 guato il carattere specifico del dio, ma essi, coordinati l’uno all’altro e venuti così a formare una definizione, risultano rivelatori della verità che concerne questo dio. In che modo dunque da entrambi i nomi sia significata la potenza di questo re, e la posizione principale tra gli dèi occupata 20 dalla sua sussistenza, ascoltiamolo direttamente dallo parole di Socrate: «Pare d’altra parte che anche a suo padre che è detto “Zeus” [“Dií”] il nome venga posto in modo davvero perfetto, ma non è facile da comprendere. Infatti il nome di “Zeus” [“Diós”]318 è a tutti gli effetti come una definizione: avendolo diviso in due parti, ci ser- 25 viamo gli uni di una parte, gli altri di un’altra; gli uni infatti lo chiamano “Zêna”, gli altri “Día”, ma, riunite in uno, queste parti manifestano la natura del dio, il che appunto, come diciamo, il nome 80 deve essere in grado di realizzare. In effetti non v’è nessuno, per noi e per tutti quanti gli altri, che sia in misura maggiore principio causale del vivere [“zên”] di colui che è reggitore e re ad un tempo di tutti gli esseri. Dunque risulta corretto chiamare questo dio colui 5 “per via del quale il vivere” [“di’hòn zên”] è proprio di tutti i viventi; ma questo nome che è uno, è stato diviso, come ripeto, in due, “Dií” e “Zení”»319. Dunque il modo di riunire questi nomi in uno e di rendere manifesta attraverso entrambi i nomi l’autentica real- 10 tà di questo dio, è per ciascuno lampante. Ma se egli è per tutti gli esseri, come viene detto, “elargitore della vita”, “reggitore” e “re” di tutti gli esseri che si dice vivano, a chi stabiliremo che si addice questo specifico carattere, se escludiamo il Demiurgo? Come poi può non risultare necessario che, in accordo con quanto detto 15 nel Timeo, facciamo risalire a lui il principio della generazione della vita? Infatti il Demiurgo rende tutto il cosmo nella sua totalità «animato», «dotato di intelletto» e «vivente»320 e fa sussistere la triplice vita insita in esso, da un lato quella indivisibile ed intellettiva, dall’altro quella divisibile e di forma corporea, ed ancora quella intermedia fra queste, che è, ad un tempo, indivisibile e 20 divisibile321, ed è egli stesso che connette alle rotazioni delle anime ciascuna delle sfere celesti, che ha posto sopra ciascuno degli astri una vita psichica ed intellettiva, che ha prodotto per mezzo degli elementi sublunari dèi sovrani ed anime, e che oltre a tutto que-

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kai; ta; merista; th'" zwh'" uJposthvsa" gevnh kai; tw'n qnhtw'n zwv/wn th;n ajrch;n toi'" nevoi" qeoi'" ejndidouv". Pavnta me;n ou\n ta; ejn tw'/ kovsmw/ zwh'" ejsti mesta; dia; th;n tou' dhmiourgou' kai; patro;" duvnamin: kai; zw'/on e}n oJ kovsmo" ou|to" ejk 81 pavntwn zwv/wn sumpeplhvrwtai dia; th;n ajnevkleipton tou' gennhvsanto" aujto;n aijtivan. Kai; oujdei;" a[llo" ejsti;n oJ tou' zh'n toi'" pa'si corhgo;" kai; di o}n zh'/ ta; pavnta, ta; me;n ejnargevsteron, ta; de; ajmudrovteron, h] oJ tw'n o{lwn 5 dhmiourgov". Zw'/on gavr ejsti kai; aujto;" noerovn, w{sper to; pantele;" paravdeigma nohtovn. Dio; kai; sunhvnwtai tau'ta ajllhvloi", kai; e[sti to; me;n patrikw'" tw'n o{lwn ai[tion, to; de; dhmiourgikw'". Kai; w{sper to; aujtozw'/on a{panta ta; zw'/a tav te nohta; kai; ta; aijsqhta; kata; mivan aijtivan uJfivsthsi 10 nohtw'", ou{tw dh; kai; oJ dhmiourgo;" kata; deutevran tavxin ta; ejn tw'/ kovsmw/ zw'/a dhmiourgei' noerw'": kai; w{sper ejkei'no prosecw'" uJfevsthken ejk th'" nohth'" zwh'", ou{tw" kai; ou|to" ejk th'" noera'" zwh'" ajpogenna'tai kai; plhrou'tai prwvtisto" tw'n th'" zwogoniva" ojcetw'n: dio; kai; pa'sin ejpilavmpei to; 15 zh'n, ejkfaivnwn ta; bavqh th'" zwogovnou qeovthto" kai; th;n govnimon tw'n noerw'n qew'n duvnamin prokalouvmeno". Eij toivnun zh'/ me;n ta; pavnta kata; th;n dhmiourgikh;n aijtivan kai; yuch'" metevcei kai; nou' kai; pavsh" wJ" eijpei'n zwogoniva" dia; th;n tou' qeou' touvtou provnoian, oJ de; to; 20 zh'n pronavwn toi'" ejn tw'/ kovsmw/ pa'sin ajf eJautou' kai; a[rcwn tw'n o{lwn kai; basileuv", oJ mevgisto" Zeuv", w{" fhsin oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth", oJ aujto;" dhvpou tw'/ dhmiourgw'/ ajnapevfhnen uJpavrcwn: kai; hJ tou' Timaivou peri; to;n dhmiourgo;n e[nqeo" novhsi" th'/ tou' Swkravtou" peri; tou' 25 Dio;" qeologiva/ suvmfwnov" ejstin. Eij de; kai; eJkavtero" aujtw'n th;n tou' qeou' touvtou gnw'sin duvslhpton ejponomavzei, kai; 82 oJ me;n euJrei'n te e[rgon kai; euJrovnta fhsi;n aujto;n eij" a{panta" ajduvnaton levgein, oJ de; ouj rJav/dion katanoh'sai to; tou' Dio;" o[noma tivqetai, pw'" ouj kai; tauvth/ sunav/dousin ajllhvloi" ejn toi'" peri; tou' qeou' touvtou 5 lovgoi" Kai; mh;n kai; hJ tw'n ojnomavtwn suvnqesi" kai; hJ ejk duoi'n 25

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sto ha fatto sussistere anche i generi divisibili della vita e consegna 25 agli dèi giovani la sovranità sugli esseri viventi mortali. Tutte le cose che sono nel cosmo sono dunque piene di vita per via della potenza del Demiurgo e padre; ed a sua volta questo nostro cosmo è stato costituito come un unico essere vivente composto 81 da tutti gli esseri viventi in virtù della causalità inesauribile di colui che lo genera322. E nessun altro è l’elargitore del vivere per tutti gli esseri e «colui per via del quale»323 tutti gli esseri vivono, gli uni in modo più manifesto, gli altri in modo più oscuro, se non il Demiurgo dell’universo nella sua totalità. In effetti è anch’egli 5 stesso un vivente, in più intellettivo, come il modello compiutamente perfetto è intelligibile. Per questo motivo queste entità sono unificate l’una all’altra, e l’una è principio causale dell’universo nella sua totalità in modo paterno, l’altra in modo demiurgico. E come il Vivente-in-sé, in base ad un’unica forma di causalità, fa sussistere in modo intelligibile tutti quanti gli esseri viven- 10 ti, sia quelli intelligibili sia anche quelli sensibili, così il Demiurgo, ad un livello inferiore, produce in modo intellettivo tutti gli esseri viventi presenti nel cosmo; e come il Vivente-in-sé è venuto a sussistere direttamente dalla vita intelligibile, così il Demiurgo, a sua volta, è generato dalla vita intellettiva e si ricolma assolutamente per primo dei canali della generazione della vita; per questo motivo fa risplendere su tutti gli esseri “il vivere”, rivelando le 15 profondità della divinità generatrice di vita ed evocando la potenza generativa degli dèi intellettivi. Se pertanto tutti gli esseri vivono in base alla causa demiurgica e partecipano di anima, di intelletto, e di ogni forma, per così dire, di generazione di vita in virtù della cura provvidenziale da parte di questo dio, e se d’altra parte colui che profonde da se 20 stesso “il vivere” a tutti gli esseri che sono nel cosmo è al contempo «reggitore e re» dell’universo nella sua totalità, allora il grandissimo Zeus, come dice Socrate nel Cratilo324, si è rivelato, a mio giudizio, identico al Demiurgo; e l’intellezione divinamente ispirata di Timeo in relazione al Demiurgo è in accordo con la dottri- 25 na teologica di Socrate concernente Zeus. D’altra parte, se ciascuno dei due definisce la conoscenza di questo dio “difficile da raggiungere”, e l’uno afferma che «è un’impresa scoprirlo ed al con- 82 tempo, scopertolo, è impossibile rivelarlo a tutti quanti», l’altro, dal canto suo, stabilisce che «non è facile da comprendere»325 il nome di Zeus, come possono non risultare in accordo l’uno con l’altro 5 nei loro discorsi concernenti il dio? E, tra l’altro, la composizione dei nomi e la combinazione delle

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eij" mivan u{parxin suvnodo" diaferovntw" proshvkousa tw'/ dhmiourgw'/ faivnetai. To; ga;r duoeide;" aujtw'/ th'" oujsiva" kai; hJ gennhtikh; duvnami" kai; kata; tou;" a[llou" qeolovgou" 10 ajponenevmhtai. Par aujtw'/ ga;r kai; hJ dua;" i{drutai, kaq h}n ta; pavnta genna'/ (peri; h|" kai; oJ Tivmaio" levgonta pepoivhke pro;" tou;" ejn tw'/ kovsmw/ dhmiourgouv": Mimouvmenoi th;n ejmh;n duvnamin) kai; paravgei kai; zwogonei'. Dei' dhvpou kai; dia; tw'n ojnomavtwn aujtw'/ th;n duavda kata; th;n 15 palaia;n fhvmhn ajfierou'n. Noerai'" ga;r ajstravptei tomai'" kai; diairei' ta; o{la kai; sunavgei kai; mivan tavxin a[luton ejk pollw'n sunivsthsin, o} dh; kai; hJ tw'n ojnomavtwn ejndeivknutai duvnami", ejk th'" dih/rhmevnh" nohvsew" eij" mivan aujtotelh' kai; monoeidh' qewrivan hJma'" ajnateivnousa. 20 Pavnta dh; ou\n tau'ta safw'" hJmi'n ejpideivknusin o{ti kai; oJ Plavtwn eij" taujto;n a[gei tw'/ Dii; to;n o{lon dhmiourgovn. O ga;r movno" ai[tio" tou' zh'n toi'" pa'si kai; pavntwn basileu;" oJ dhmiourgov" ejsti tou' pantov": kai; oJ th'/ duavdi tw'n ojnomavtwn diaferovntw" ajgallovmeno" oJ dia25 kosmhvsa" ejsti; to;n o{lon oujranovn. Kaiv moi dokei' th'" noera'", wJ" pollavki" ei[pomen, triavdo" ªwJ"º to; pevra" lacw;n kai; tou'to pro;" th;n ajrch;n ejpistrevfwn, kai; plhvrh" 83 me;n uJpavrcwn tw'n mevswn th'" zwh'" phgw'n, eJnwvsa" de; auJto;n kai; th'/ tou' patro;" periwph'/ kai; th;n aJplovthta th'" nohth'" uJpostavsew" eij" eJauto;n proagagwvn, kata; th;n ijdiovthta tw'n prwtourgw'n aijtivwn kai; th;n tw'n ojnomavtwn 5 eijlhcevnai duavda, kai; w{sper th;n oujsivan uJpedevxato par ajmfotevrwn kai; to; me;n pevra" ejk tou' patro;" e[cei, th;n de; a[peiron duvnamin ejk th'" gennhtikh'" aujtou' qeovthto", ou{tw dh; kai; tw'n ojnomavtwn to; me;n ejk tou' patro;" kai; th'" eJnoeidou'" ejn ejkeivnw/ teleiovthto" e[cein, to; de; ejk th'" o{lh" 10 zwogoniva", kai; di ajmfoi'n, w{sper th;n oujsivan, ou{tw kai; th;n ejpwnumivan lacei'n. To; me;n ga;r di o} panti; katafane;" th'" te oJlikh'" aijtiva"l uJpavrcon suvnqhma (Levgwmen dh; di h{ntina aijtivan: ajgaqo;" h\n, fhsi;n oJ Tivmaio"), to; de; th'" zwh'" aujto; kaq auJto; th'/ mevsh/ tavxei proshvkei tw'n 15 o[ntwn. Oujkou'n to; me;n ejk th'" ajkrovthto" h{kei th'" noera'" kai; th'" patrikh'" eJnwvsew" tw'/ dhmiourgw'/, to; di o{ (kata; ga;r th;n ejkeivnou mevqexin e[nesti kai; pevra" kai; nohtovn), to; de; ejk th'" mevsh" tavxew" tw'n noerw'n (ejkei' ga;r hJ zwh; kai; oiJ zwogovnoi kovlpoi th;n uJpovstasin e[lacon), ejx ajmfoi'n de; oJ l Il testo tràdito è: th'" te oJlikh'" oujsiva". Gli Editori propongono di correggere con th'" te telikh'" oujsiva". Tale correzione è fuorviante. Ciò che invece va corretto è oujsiva", al cui posto si deve leggere aijtiva". Curiosamente nella loro traduzione Saffrey-Westerink traducono telikh'" oujsiva" «causa finale»: in questo caso l’unica traduzione possibile sarebbe stata «essenza finale», che però nel contesto non ha alcun senso. Si tratta certamente di una svista.

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due parti in un’unica effettiva realtà appaiono confacentesi al Demiurgo. Infatti la forma diadica dell’essenza e la potenza generativa gli sono state attribuite anche in base all’opinione degli altri 10 teologi326. Infatti «presso» di lui è posta «la diade»327, in base alla quale egli genera tutte le cose (ed è di essa appunto che Timeo lo ha fatto parlare ai demiurghi presenti nel cosmo: «Imitando la mia potenza»)328, produce e dà vita. Occorre allora, a mio giudizio, anche per il tramite dei nomi, consacrare a lui la diade in base alla antica tradizione. Infatti «rifulge di sezionamenti intellettivi»329, 15 divide la totalità delle cose, le riunisce e compone dai molti un unico ordine «indissolubile»330, il che appunto mette in luce la potenza dei nomi, che dalla intellezione divisa ci fa elevare verso un’unica contemplazione perfetta in sé ed uniforme. Tutte queste considerazioni ci mostrano chiaramente che 20 anche Platone identifica il Demiurgo universale con Zeus. Infatti il solo «principio causale del vivere per tutti gli esseri» e il «re di tutti gli esseri» è il Demiurgo dell’universo; e colui che è in modo particolare onorato con la “diade dei nomi”331 è colui che ha con- 25 ferito ordine a tutto il cielo nella sua interezza. E a me sembra che, avendo ottenuto in sorte il limite inferiore della triade intellettiva, come ho spesso detto332, e convertendo questo verso il suo principio, e, da un lato, essendo pieno delle fonti mediane della vita, 83 dall’altro avendo unito se stesso anche alla «specola»333 del padre ed avendo fatto procedere verso se stesso la semplicità della realtà intelligibile, in base al carattere specifico dei principi causali originari abbia ricevuto in sorte anche la “diade dei nomi”; e 5 come ha ricevuto l’essenza da entrambi334 ed ha dal padre335 il limite, mentre la potenza illimitata dalla divinità che lo ha generato336, allo stesso modo bisogna che dei due nomi l’uno lo abbia dal padre e dalla perfezione uni-forme in quello insita, l’altro invece dalla universale generazione di vita337, e attraverso entrambi, 10 come ha ricevuto l’essenza, così ha ricevuto anche la denominazione. Infatti il carattere del “per via del quale” è palese a ciascuno che è segno distintivo appunto della causa universale («Diciamo precisamente per quale causa: perché era buono», dice Timeo338), invece il carattere della “vita” considerato in sé e per sé si addice al livello mediano degli enti. Quindi il primo carattere 15 giunge al Demiurgo dalla sommità intellettiva e dalla unità paterna, cioè il carattere del “per via del quale” (in effetti è in base alla partecipazione che in lui sono insiti sia il limite sia l’intelligibile), l’altro, invece, dal livello intermedio degli intellettivi (lì infatti la vita e i grembi generatori di vita hanno ottenuto la loro sussisten-

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dhmiourgiko;" nou'" profanei;" metevcei kai; tw'n ojnomavtwn kata; suvnqesin. Diva ga;r aujto;n kai; Zh'na kalou'men wJ" di aujto;n eij" a{panta th'" zwh'" proi>ouvsh" kai; tou' zh'n ejn pa'si di aujto;n uJpavrconto". Kai; ou{tw dh; kata; trovpon hJ tw'n ojnomavtwn qevsi" th;n tou' dhmiourgou' provodon ajp ajmfotevrwn tw'n prohgoumevnwn aijtivwn ejndeivknutai. kgV Pavlin toivnun tw'n ejn Filhvbw/ gegrammevnwn ajntilabwvmeqa kai; qewrhvswmen o{pw" kai; ejn ejkeivnoi" oJ Swkravth" ejpi; to;n Diva th;n dhmiourgivan ajnafevrei tou' pantov". Nou'n ga;r ta; pavnta diakosmei'n uJpoqevmeno", w{sper oiJ pro;" aujtou' sofoiv, kai; tovn te h{lion kai; th;n selhvnhn kai; pa'san th;n perifora;n diakuberna'n, kai; to;n o{lon kovsmon ejpideivxa" yuch'" metevconta kai; noera'" ejpistasiva", kai; hJmi'n th;n touvtwn mevqexin ajpo; tw'n o{lwn uJpavrcein, ajll oujc, w{sper oiJ polloi; tw'n fusiolovgwn, to; me;n pa'n ajpo; taujtomavtou kai; ei\nai kai; gegonevnai, kai; ta; qeiovtera tw'n fanerw'n ou{tw" e[cein, ta; de; ejn tw'/ panti; kai; yuch'" metevcein kai; nou' – tau'ta dh; ou\n katadhsavmeno", w{sper ei[pomen, kai; ta; ejn tw'/ panti; kovsmw/ meivzona kai; telewvtera tw'n ejn hJmi'n ajpofhvna" kai; ta; o{la kuriwvtera kai; hJgemonikwvtera tw'n merikw'n ejpideivxa" kai; nou'n ejpisthvsa" toi'" o{loi" to;n diakosmou'nta to; pa'n kai; yuch;n dia; th;n tou' nou' promhvqeian (ouj ga;r a[neu yuch'" tw'/ kovsmw/ pavrestin oJ nou'"), ejp aujto;n ajnatrevcei loipo;n to;n ajmevqekton nou'n kai; to;n uJpostavthn tou' te nou' tou' metecomevnou kai; th'" yuch'" kai; to;n o{lon kovsmon dhmiourghvsanta: kai; tou'ton oujk a[llon ejponomavzei kai; ajnumnei', ta;" aijtiva" perievconta tw'n ejn tw'/ kovsmw/ plhrwmavtwn, h] to;n mevgan basileva kai; a[rconta tw'n o{lwn Diva, kaqavper hJ tw'n

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za), infine da entrambi i caratteri l’intelletto demiurgico viene reso manifesto e quindi risulta partecipe anche dei nomi nella loro composizione339. Infatti lo chiamiamo “Día” e “Zêna”, in considerazione del fatto che “per via di lui” la vita procede in tutti gli esseri ed «il vivere sussiste in tutti gli esseri per via di lui»340. E così l’imposizione dei nomi mette convenientemente in luce la processione del Demiurgo a partire da entrambi i principi causali che lo precedono.

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84 23 [Richiami, desunti da quanto è mostrato nel “Filebo”, all’attività demiurgica di Zeus; in questo capitolo è stato riferito qual è l’anima regale e qual è l’intelletto regale]

Passiamo, adesso, a quanto è scritto nel Filebo e prendiamo in considerazione come anche in questo testo Socrate faccia risalire la demiurgia dell’universo a Zeus341. Infatti, avendo presupposto che «l’intelletto dà ordine a tutte le cose»342, come hanno fatto «i sapienti»343 che sono venuti prima di lui, e che esso governa anche il «sole» e la «luna» e «tutto il moto rotatorio»344, e avendo mostrato che tutto il cosmo nella sua interezza è partecipe di anima e di un dominio intellettivo, e che noi siamo resi partecipi di queste entità da quelle universali, ma non che, come afferma la maggior parte fra i filosofi della natura345, il Tutto esiste ed è venuto ad esistere meccanicamente, e che lo stesso vale per le più divine tra le cose visibili, mentre gli esseri presenti nell’universo partecipano di anima e di intelletto – ebbene, Socrate, dopo aver fissato questi aspetti, come abbiamo detto, e dopo aver dichiarato che le componenti insite nel cosmo intero sono superiori e più perfette di quelle insite in noi346, dopo aver dimostrato che le entità universali sono più dominanti e più sovrane di quelle particolari347, dopo aver posto a capo di quelle universali un intelletto che dà ordine all’universo ed un’anima perché l’intelletto eserciti la sua cura provvidenziale (infatti non è possibile che l’«intelletto» sia presente nel cosmo «senza un’anima»348), a questo punto risale fino all’intelletto impartecipabile stesso, che al contempo è origine del sussistere sia dell’intelletto partecipato che dell’anima, e che costruisce come demiurgo tutto il cosmo nella sua interezza; e questo intelletto non lo chiama e non lo celebra, dato che comprende le cause delle totalità complete insite nel Tutto, se non come Zeus, il gran re e reggitore dell’universo nella sua totalità,

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fhvmh: kai; peri; tou'ton th;n suvmpasan tou' kovsmou provnoian ajnateivnei kai; th;n o{lhn aijtivan ejn touvtw/ tivqetai th'" tou' panto;" diakosmhvsew". Kavllion de; aujtw'n ejfexh'" ajkou'sai tw'n tou' Plavtwno" 5 rJhmavtwn. Oujkou'n noera'" me;n ejpistasiva" tw'/ kovsmw/ metadivdwsin ejpi; tai'" proeirhmevnai" ajpodeivxesin ejpavgwn tautiv, wJ" e[stin, a} pollavki" eijrhvkamen, a[peirovn te ejn tw'/ panti; polu; kai; pevra" iJkano;n kaiv ti" ejp aujtoi'" aijtiva ouj fauvlh, kosmou'sav te kai; sun10 tavttousa ejniautouv" te kai; w{ra" kai; mh'na", sofiva kai; nou'" legomevnh dikaiovtat a[n. Diovti de; au\ to;n metecovmenon nou'n dia; mevsh" yuch'" ajnavgkh to;n kovsmon podhgetei'n (nou'n ga;r a[neu yuch'" ajduvnaton paragenevsqai tw'/, kaqavper dh; kai; oJ Tivmaio" ajpo15 faivnetai), dei' dhvpou kai; yuch;n proestavnai tou' pantov", h} prosecw'" a[rcousa tw'n ejn aujtw'/ kata; nou'n aujto; kubernhvsei. Tou'to dh; ou\n ejfexh'" oJ Swkravth" prostiqei;" ejpifevrei tau'ta: Sofiva mh;n kai; nou'" a[neu yuch'" oujk a[n pote genoivsqhn. H ga;r ajmevristo" oujsiva 20 tou' nou' kai; diaiwvnio" ajmevsw" suntavttesqai tw'/ swmatoeidei' pw'" a]n duvnaito Dei' toivnun nou'n me;n ejpistatei'n toi'" o{loi", i{na tavxi" ejn tw'/ kovsmw/ kai; to; eu\ ªkai;º pavnta sunevch/ (kai; ga;r hJ tavxi" kai; to; eu\ th'" noera'" ejstin oujsiva" e[kgona), yuch;n de; prwvtw" tou' nou' metevcousan ejllavmpein 25 ejn tw'/ swvmati to; ejkei'qen fw'" kai; plhrou'n pavnta th'" noera'" diakosmhvsew": e[myucon a[ra kai; e[nnoun ei\nai to;n kovsmon uJpoqetevon. Apo; dh; touvtwn ejp aujth;n a[neisi th;n tou' kovsmou panto;" aijtivan, h}n kai; to;n nou'n parhvgage 86 kai; th;n yuch;n kai; th;n o{lhn tavxin ajpegevnnhsen: Oujkou'n ejn me;n th'/ tou' Dio;" ejrei'" fuvsei basilikh;n me;n yuchvn, basiliko;n de; nou'n ejggivnesqai dia; th;n th'" aijtiva" duvnamin, ejn de; a[lloi" a[lla kalav, 5 kaq o{ ti fivlon eJkavstoi" levgetai. Tau'ta toivnun ajnavgkh duoi'n qavteron, h] peri; aujtou' tou' kovsmou levgein h] peri; tou' dhmiourgou' tw'n o{lwn. Eij me;n ga;r oJ kovsmo" ejsti; Zeuv", nou'" ejn tw'/ kovsmw/ basilikov" ejstin oJ metecovmeno"

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conformemente alla tradizione appartenente ai Greci; ed in rela- 85 zione a quest’ultimo riporta tutta insieme la provvidenza sul cosmo e pone in lui tutta la causa universale dell’ordinamento del Tutto. Ma è meglio ascoltare direttamente, nella loro successione, le parole stesse di Platone. Ebbene, egli rende partecipe il cosmo del 5 ruolo di controllo intellettivo, aggiungendo alle summenzionate dimostrazioni questo, cioè che «vi sono, come abbiamo spesso affermato, una grande quantità di illimitato nell’universo ed al contempo una quantità sufficiente di limite ed oltre ad essi una certa causa non di poco conto, che, ordinando ed insieme coordinando tra loro anni, stagioni e mesi, sarebbe giustissimo chiamare “sapienza” 10 e “intelletto”»349. D’altra parte per il fatto che, a sua volta, l’intelletto partecipato deve necessariamente dirigere il cosmo attraverso l’intermediazione di un’anima (infatti «è impossibile che un intelletto si venga a trovare presente in qualcosa senza un’anima»350, come appunto mette in luce Timeo), bisogna, a mio giudizio, che 15 anche un’anima sia posta a guida del Tutto, la quale, comandando direttamente sulle entità in esso insite, lo governerà in modo conforme all’intelletto. Proprio questo, dunque, è ciò che subito dopo Socrate aggiunge osservando quanto segue: «In verità sapienza ed intelletto non potrebbero mai esserci senza un’anima»351. Infatti l’essenza indivisibile ed eterna dell’intelletto come potreb- 20 be combinarsi senza una mediazione con ciò che ha forma corporea? Bisogna dunque che un intelletto presieda alle entità universali affinché ordine e ciò che è bene tengano insieme tutte le cose (ed infatti l’ordine e ciò che è bene sono prodotti generati dall’essenza intellettiva), e che, d’altra parte, un’anima, partecipando in modo primario dell’intelletto, faccia risplendere in ciò che è cor- 25 poreo la luce che proviene da là, e riempia tutte le cose dell’ordine intellettivo; di conseguenza si deve presupporre che il cosmo sia «animato e dotato di intelletto»352. Proprio a partire da queste entità si eleva alla causa stessa del cosmo tutto, la quale ha prodotto anche l’intelletto e l’anima, ed ha generato l’ordine 86 universale: «Quindi dovrai dire che nella natura di Zeus è venuta a trovarsi un’anima regale da un lato ed un intelletto regale dall’altro, in virtù della potenza della causa, e che d’altra parte in altri dèi si trovano altre cose belle, in base a cui è gradito a ciascuno di essi farsi 5 chiamare»353. Pertanto, necessariamente, delle due l’una: o che faccia queste affermazioni a proposito del cosmo stesso oppure a proposito del Demiurgo dell’universo nella sua totalità. In effetti, se il cosmo è Zeus, egli è l’intelletto regale insito nel

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kai; yuch; basilikh; tou' panto;" hJgemonou'sa kai; kata; nou'n aujto; diakosmou'sa, kai; tau'ta tw'/ kovsmw/ dhvpou pavresti dia; th;n th'" aijtiva" duvnamin th'" uJfistavsh" aujto;n kai; ajpotelouvsh" e[nnoun kai; e[myucon: kai; ou{tw to; kosmouvmenon e[stai kai; dhmiourgouvmenon oJ Zeuv", ajll ouj to; kosmou'n pavnta kai; dhmiourgou'n. Eij de; dei' th;n th'" aijtiva" 15 duvnamin ei\nai th;n tou' basilikou' nou' kai; th'" basilikh'" yuch'" ejxh/rhmevnw" perilhptikhvn, ejn th'/ dhmiourgikh'/ tavxei kai; dunavmei th;n tou' Dio;" ajpoqhsovmeqa fuvsin, kai; e[stai kat aijtivan ejn aujtw'/ yuch; kai; nou'", ªkai;º ejpeidh; kai; nou'n divdwsi toi'" eJautou' gennhvmasi kai; yuchvn. 20 Duvo de; touvtwn o[ntwn lovgwn a[llo" me;n a[llw" aiJreivsqw kata; th;n auJtou' dovxan: ejmoi; de; ejntau'qa skopou'nti kai; th;n a[llhn a{pasan tou' Plavtwno" peri; tou' qeou' touvtou pragmateivan oujdamh'/ katafaivnetai dei'n pro;" to;n o{lon kovsmon th;n tou' Dio;" fuvsin ajnafevrein. Ou[te ga;r to; 25 monogene;" tou' kovsmou th'/ tou' Dio;" proshvkei basileiva/, kai; kat aujto;n to;n Plavtwna th'" Kroniva" triavdo" peri87 fanw'" uJmnoumevnh" kai; th;n tou' patro;" ajrch;n dianemomevnh", ou[te to; pa'sin ai[tion, wJ" ejn Kratuvlw/ levgetai, tw'/ kovsmw/ diafevrei: kai; ga;r oJ kovsmo" tw'n metecovntwn ejsti;n ajp a[llou th'" zwh'". Tou'to me;n ou\n, 5 o{per e[fhn, wJ" oujdamh'/ tw'/ Plavtwni prosh'kon ajpoleivyomen, eij kaiv tine" aujto; tw'n ejxhghtw'n proshvkanto: th;n de; aijtivan eij" taujto;n a[gonte" tw'/ Diiv, kai; yuch;n ejn ejkeivnw/ kai; nou'n iJdru'sqai fhvsomen ejxh/rhmevnw" kai; touvtwn ajmfotevrwn to;n Diva metevcein, nou' kai; yuch'", ejk tw'n pro; aujtou' 10 qew'n, nou' me;n ajpo; tou' patrov", yuch'" de; ajpo; th'" basilivdo" th'" zwogovnou qea'". Ekei' ga;r hJ phgh; th'" yuch'", w{sper ejn tw'/ Krovnw/ kat oujsivan oJ nou'": pantacou' ga;r to; nohto;n eJniaivw" perievcei to;n suvstoicon nou'n. 10

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kdV Tau'ta me;n ou\n dia; touvtwn hJmi'n ajnagegravfqw tw'n lovgwn. Efexh'" de; touvtw/ tw'n ejn Prwtagovra/ muqikw'n nohmavtwn prosaptwvmeqa kai; to; aujto; sullogiswvmeqa,

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cosmo che è partecipato ed è l’anima regale che ha sovranità sul Tutto e gli dà ordine secondo l’intelletto, e queste entità, a mio 10 giudizio, sono presenti nel cosmo per via della potenza della causa che lo fa sussistere e lo rende «dotato di intelletto e animato»; e così Zeus sarà ciò che è ordinato e che è costruito, ma non ciò che ordina tutte le cose e le costruisce. Se invece occorre che la poten- 15 za della causa sia quella che comprende, in modo trascendente, l’intelletto regale e l’anima regale, allora porremo la natura di Zeus nell’ordinamento e nella potenza demiurgica, e in senso causale vi saranno in lui anima ed intelletto, dal momento che dona sia intelletto sia anima ai prodotti che ha generato. D’altronde tra questi due ragionamenti ciascuno deve sceglie- 20 re a suo modo in base alla propria opinione; dal canto mio, considerando quanto detto qui e tutto quanto il resto della trattazione di Platone su questo dio, a me pare palese che in nessun modo si debba rapportare la natura di Zeus al cosmo nella sua interezza. Ed infatti il carattere di “unico nel suo genere”354 del cosmo non 25 si confà al regno di Zeus, dato che proprio dallo stesso Platone 87 viene celebrata la triade Cronia355 in modo magnifico, ed essa «si spartisce il dominio proprio del padre»356, e neppure «il carattere di essere causa per tutte le cose», come viene detto nel Cratilo357, riguarda il cosmo; ed infatti il cosmo fa parte delle entità che ad opera di altro sono partecipi della vita. Tale concezione, dunque, 5 come dicevo, la scarteremo come non confacentesi in nessun modo a Platone, seppure alcuni dei suoi esegeti l’abbiano accolta358; e, identificando la causa con Zeus, diremo che in esso sono poste in modo trascendente sia anima sia intelletto, e che Zeus partecipa di entrambe queste entità, intelletto e anima, a partire 10 dagli dèi che lo precedono, di intelletto da parte del padre, di anima da parte della regina-dea generativa di vita. Lì infatti si trova la fonte dell’anima, come in Crono si trova in forma essenziale l’intelletto; in ogni ambito infatti l’intelligibile comprende in modo unitario l’intelletto corrispondente per livello. 24 [Dimostrazioni della stessa concezione, desunte da quanto è affermato nel “Protagora” a proposito della politica] Tali sono le considerazioni che dobbiamo dare per fissate attraverso questi ragionamenti. D’altra parte, subito dopo ciò, dobbiamo por mano alle concezioni mitiche contenute nel Protagora

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koinh'/ meta; tou' Timaivou skopou'nte", ei[ pw" ejfarmovttei toi'" peri; tou' dhmiourgou' lovgoi" ta; dia; tou' Prwtagoreivou 20 muvqou peri; tou' megavlou Dio;" hJmi'n paradedomevna doxavsmata. Levgei toivnun ejkei'no" oJ mu'qo" to;n Promhqeva kosmou'nta to; tw'n ajnqrwvpwn gevno" kai; pronoou'nta th'" logikh'" hJmw'n zwh'", i{na mh; baptisqei'sa cqono;" oi[stroi" kai; 25 tai'" th'" fuvsew" ajnavgkai", w{" fhsiv ti" qew'n, ajpov88 lhtai, th;n fuvsin ejndh'sai tai'" tevcnai" kai; tauvta" oi|on paizouvsai" tai'" yucai'" tou' nou' mimhvmata protei'nai kai; dia; touvtwn ajnegei'rai to; gnwstiko;n hJmw'n kai; dianohtiko;n eij" th;n tw'n eijdw'n qewrivan. Pa'sa ga;r tecnikh; poivhsi" 5 eijdopoiov" ejsti kai; kosmhtikh; th'" uJpokeimevnh" u{lh". Alla; ta;" me;n tevcna" aujto;n promhqouvmenon kai; dou'nai tai'" yucai'" kai; labei'n para; Hfaivstou kai; Aqhna'" (ejn ga;r toi'" qeoi'" touvtoi" prwvtw" hJ tw'n tecnw'n perievcetai pasw'n aijtiva, tou' me;n to; dhmiourgiko;n aujtw'n prwvtw" pareco10 mevnou, th'" de; to; gnwstiko;n kai; noero;n aujtai'" ejpilampouvsh" a[nwqen): ejpeidh; de; ouj movnon e[dei th'" tw'n tecnw'n euJrevsew" tai'" ejn genevsei yucai'", ajlla; kai; touvtwn telewtevra" a[llh" tino;" ejpisthvmh", th'" politikh'", h} ta;" tevcna" tauvta" suntavttein duvnatai kai; kosmei'n kai; pro;" th;n kata; 15 nou'n zwh;n ejpavgein dia; th'" ajreth'" ta;" yucav", oJ de; Promhqeu;" tauvthn porivzein hJmi'n ajduvnato" h\n, diovti dh; para; tw'/ megavlw/ Dii; prwvtw" ejsti;n hJ politikhv, tw'/ de; Promhqei' laqovnti fhsi;n eij" th;n tou' Dio;" ajkrovpolin parelqei'n oujc oi|ovn te ei\nai (eijsi; ga;r 20 tou' Dio;" fulakai; foberaiv, pavntwn aujto;n tw'n merikw'n aijtivwn ejxh/rhmevnon frourou'sai), pevmpei a[ggelon Ermh'n oJ Zeu;" eij" ajnqrwvpou" a[gonta frovnhsin kai; aijdw' kai; o{lw" th;n politikh;n ejpisthvmhn, kai; parakeleuvetai pa'sin oJmoivw" metadou'nai th'" ajreth'" tauvth" 25 kai; ejpi; pavnta" nei'mai th;n tw'n dikaivwn kai; kalw'n kai; ajgaqw'n gnw'sin, ajlla; mh; dih/rhmevnw", w{sper ta;" tevcna" a[lla" a[lloi kateneivmanto kai; oiJ mevn eijsin aujtw'n ejpignwvmone" tw'n ajnqrwvpwn, oiJ de; ajmaqei'" h] pasw'n h] tinw'n uJpavrcousi tecnw'n. 89 En dh; touvtoi" oJ Plavtwn to; me;n paravdeigma th'" politikh'" ejpisthvmh", wJ" e[sti dh'lon ejk tw'n gegrammevnwn, ejpi; to;n Diva prwvtw" ajnafevrei, th;n de; provodon aujth'" kai; th;n

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e dobbiamo giungere alla stessa conclusione, esaminando in modo congiunto con il Timeo, se in qualche modo le opinioni a 20 noi trasmesse circa il grande Zeus attraverso il mito protagoreo sono in accordo con i discorsi concernenti il Demiurgo. Questo mito359 racconta dunque che Prometeo, volendo dare ordine al genere umano e prendendosi cura della nostra vita razionale, affinché non perisse «sommersa dalle furiose passioni terrene» e dalle «necessità della natura»360, come dice uno degli dèi361, 25 vincolò strettamente la natura alle tecniche e queste propose 88 come imitazioni dell’intelletto alle anime che per così dire si trastullavano, ed attraverso queste tecniche suscitò la nostra facoltà conoscitiva e riflessiva alla contemplazione delle Forme. Infatti ogni produzione tecnica è produttrice di forme ed è capace di 5 dare ordine alla materia ad essa soggetta. Ma, per quel che concerne le tecniche, fu lo stesso Prometeo a prendersi la cura362 di donarle alle anime, dopo averle prese da Efesto e Atena (in effetti in questi dèi è principalmente compresa la causa di tutte le tecniche, l’uno fornendo in modo principale alle anime la capacità demiurgica, mentre l’altra fa dall’alto risplendere su di esse la fa- 10 coltà conoscitiva ed intellettiva); invece, dal momento che le anime relegate nell’ambito della generazione avevano bisogno non solamente della scoperta delle tecniche, ma anche di un’altra forma di scienza più perfetta di queste, cioè quella politica, che è in grado di coordinare tra loro queste tecniche, di dare ad esse ordine e di indurre le anime attraverso la virtù alla vita conforme 15 all’intelletto, e dato che Prometeo non era in grado di fornirci questa scienza, per il fatto che «la scienza politica» si trova principalmente «presso» il grande «Zeus», e per il fatto che, racconta , «a Prometeo non era possibile», di nascosto, «raggiungere l’acropoli di Zeus» (infatti «sono terribili le guardie di Zeus»363, 20 che lo custodiscono nella sua trascendenza rispetto a tutte le cause particolari), «Zeus invia Ermete» come messaggero «a portare agli uomini» assennatezza e «pudore»364, ed, in generale, la scienza politica, e gli ordina di rendere tutti allo stesso modo partecipi di questa virtù e «di distribuire a tutti» la conoscenza delle cose giu- 25 ste, belle e buone, ma non in modo differenziato, come per le tecniche che essi si sono spartiti fra loro, sicché tra gli uomini gli uni sono esperti di esse, mentre gli altri risultano ignari o di tutte le tecniche o di alcune di esse365. Proprio in questi passi Platone fa risalire il modello della 89 scienza politica, come risulta evidente dal testo, principalmente a Zeus, mentre la processione di essa e la sua distribuzione fino ad

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mevcri tw'n yucw'n metavdosin th'" Ermai>kh'" seira'" *** proavgei th;n mevqexin kai; th;n eij" hJma'" parousivan oujsiwvdh kai; koinh;n aJpavsai" proteivnei tai'" yucai'": to; ga;r ejpi; pavnta" nei'mai kat oujsivan ejsti; tai'" yucai'" ejntiqevnai th;n toiauvthn ejpisthvmhn. Touvtwn dh; ou\n uJpokeimevnwn skeywvmeqa tivni mavlista 10 proshvkein th;n politikh;n fhvsomen kai; tiv" ejstin oJ prwvtw" th;n ejn tw'/ panti; politeivan katasthsavmeno" kai; ta; me;n qei'a tw'n qnhtw'n a[rcein, ta; de; o{la tw'n merw'n ejpikratei'n diorivsa", ta; de; aujtokivnhta kai; noera; tw'n ajmoirouvntwn th'" tou' nou' parousiva" presbuvtatam paragagwvn. Ar ou\n 15 oujc oJ dhmiourgov" ejstin oJ touvtwn aJpavntwn hJmi'n tw'n ajgaqw'n ai[tio" kai; to;n o{lon kovsmon kateuquvnwn kai; tai'" ajrivstai" aujto;n ajnalogivai" sundhvsa" kai; pa'san th;n ejn aujtw'/ politeivan iJdruvsa" kai; tou;" th'" eiJmarmevnh" novmou" e[cwn te kai; perievcwn kai; tou;" th'" Adra20 steiva" qesmou;" diateivnwn kai; mevcri tw'n ejscavtwn kai; pavnta th'/ Divkh/, tav te oujravnia kai; ta; uJpo; selhvnhn, diakosmw'n Epei; kai; tai'" merikai'" yucai'", eijsoikivzwn tauvta" eij" to; pa'n kai; th'" o{lh" aujtai'" politeiva" metadidouv", pasw'n politeiw'n ajrivsth" kai; eujnomwtavth" ou[sh", 25 ou|tov" ejstin oJ kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou" proagoreuvwn kai; ta; mevtra th'" divkh" ajforivzwn kai; ta; pavnta diaqesmoqetw'n, w{" fhsin oJ Tivmaio". Tou'to me;n ou\n mh; kai; perivergon h\/ kataskeuavzein, wJ" oJ kata; Plavtwna dhmiourgov" ejstin oJ to; prwvtiston me;n 90 paravdeigma th'" politikh'" e[cwn: eij dev ejsti tau'ta ajlhqh' kaiv, wJ" oJ tou' Prwtagovrou mu'qo", ejn tw'/ Dii; th;n politikh;n ei\nai prw'ton uJpoqetevon, fanero;n a[ra ejk touvtwn o{ti kai; dhmiourgo;" tou' pantov" ejstin oJ Zeuv". Kai; tivni ga;r a[llw/ 5 a]n proshvkein sunomologhvsaimen to; th'" politikh'" prwtourgo;n ei\do" h] tw'/ diakosmou'nti to; pa'n, ei[per ejsti; tw'n politeiw'n pasw'n prwtivsth kai; telewtavth hJ kat oujranovn, w{" fhsin oJ ejn th'/ Politeiva/ Swkravth" Tiv" de; kai; oJ paravgwn pavnta kai; paracqevnta suntavttwn ajllhvloi" eij" th;n 10 tou' panto;" eujqhmosuvnhn Eij toivnun oJ politiko;" mevn ejstin oJ prwvtisto" kai; telewvtato" tou' panto;" dhmiourgov", hJ de; politikh; para; tw'/ Dii; prw'ton ejn aJgnw'/ bavqrw/ 5

m Non sembra necessaria la correzione proposta dai due Editori: presbuvtera al posto del tràdito presbuvtata.

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arrivare alle anime 366 dalla catena di Ermete: fa procedere la partecipazione protende a tutte le anime questa scienza perché la rendano presente in noi in forma essenziale e comune; in effetti il «distribuirla a tutti» vuol dire in sostanza infondere nelle anime tale scienza. Ebbene, sulla base di questi presupposti, consideriamo a chi soprattutto diremo che si addice la scienza politica e chi è colui 10 che primariamente ha stabilito la forma di governo insita nel Tutto e che ha determinato che gli esseri divini regnino su quelli mortali, e che, d’altro canto, gli interi abbiano il predominio sulle parti, e che poi ha prodotto le entità che si muovono da sé ed intellettive in modo assolutamente superiore rispetto a quelle che non sono partecipi della presenza dell’intelletto. Non è forse dunque il Demiurgo colui che è principio causale per noi di tutti 15 quanti questi beni, che dirige tutto il cosmo nella sua totalità, che lo ha legato insieme con le migliori proporzioni, che ha posto in esso tutta la sua forma di governo, che possiede e comprende in sé le «norme stabilite dal fato»367 e che estende «le leggi di Adra- 20 stea»368 fino anche agli ultimi livelli e che dà ordine a tutte le cose per mezzo di Giustizia369, sia a quelle celesti che a quelle sublunari? Ed infatti è costui che alle anime particolari, quando le insedia nel Tutto e le rende partecipi della forma di governo che è fra tutte le forme di governo la migliore e dotata della migliore costituzione, annuncia le «norme stabilite dal fato», determina per esse 25 le misure della giustizia e stabilisce tutte le disposizioni per legge, come afferma Timeo370. Forse dunque potrebbe essere persino superfluo stabilire questo, cioè che il Demiurgo secondo Platone è colui che possiede il 90 modello primissimo della scienza politica; ma se queste cose sono vere e, come afferma il mito del Protagora, si deve supporre che la scienza politica si trovi in primo luogo in Zeus371, risulta di conseguenza manifesto da tali considerazioni che Zeus è anche Demiurgo del Tutto. Ed infatti a chi altri potremmo convenire che 5 si addica la Forma originaria della scienza politica se non a colui che costruisce come Demiurgo il Tutto, se è vero che fra tutte le forme di governo la primissima e assolutamente perfetta è quella che sta in cielo, come afferma Socrate nella Repubblica372? Chi poi è anche colui che produce tutte le cose e che, una volta prodotte, le coordina tra loro nell’organizzazione armonica del Tutto? Se 10 pertanto il Politico è il primissimo e assolutamente perfetto Demiurgo del Tutto, ed inoltre se «la scienza politica» dovrà sussiste-

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bebw'sa uJpavrxei kajkei'qen ejpi; pavnta ta; deuvtera proveisi kai; tav te o{la kai; ta; mevrh diakosmhvsei kata; nou'n, ajnavgkh 15 dhvpou kai; to;n o{lon dhmiourgo;n eij" taujto;n h{kein tw'/ Dii; kai; mivan u{parxin ajmfotevrwn ei\nai, pavnta ta; ejn tw'/ kovsmw/ kateuquvnousan kai; pa'n to; plhmmele;" kai; a[takton eij" tavxin periavgousan: qevmi" ga;r oujk h\n, fhsiv, tw'/ ajrivstw/ dra'n a[llo ti plh;n to; kavlliston. 20 O toivnun th'/ Qevmidi ta; o{la diakosmw'n kai; met aujth'" ta; pavnta paravgwn pw'" ouj kat oujsivan e[cei th;n politikh;n pa'san ejn eJautw'/ Pw'" de; oujk aujtov" ejstin oJ prwvtisto" Zeuv", oJ pa'si me;n to; qei'on ajforivzwn kai; mivan ejk pavntwn politeivan sunufaivnwn, ejxh/rhmevno" de; aJpavntwn tw'n meri25 stw'n aijtivwn kai; tw'n Titanikw'n genw'n kai; tai'" ajcravntoi" eJautou' dunavmesin ejpevkeina frourouvmeno" tou' kovsmou pantov" AiJ ga;r peri; aujto;n fulakai; th;n a[trepton aujtou' tavxin kai; th;n a[kliton th'" dhmiourgiva" froura;n 91 aijnivssontai, di h}n ejn eJautw'/ monivmw" iJdrumevno" dihvkei dia; pavntwn ajkwluvtw", kai; pa'si parw;n toi'" eJautou' gennhvmasi kat a[kran uJperoch;n tw'n o{lwn uJperhvplwtai. Kai; mh;n kai; hJ ajkrovpoli" hJ tou' Dio;" kata; ta;" 5 tw'n qeolovgwn fhvma" th'" noera'" ejsti perifora'" kai; th'" ajkrotavth" korufh'" tou' Oluvmpou suvmbolon, h}n kai; pavnte" oiJ sofoi; th'" noera'" ejxavptousi tou' Dio;" periwph'", eij" h}n kai; pavnta" ajnateivnei tou;" ejgkosmivou" qeouv", noera;" aujtoi'" dunavmei" kai; fw'" qei'on kai; zwopoiou;" 10 ejllavmyei" ejkei'qen ejndidou;" kai; pavnta ta; tw'n kovsmwn bavqh th'/ mia'/ kai; aJploustavth/ sfivggwn perifora'/, di h}n kai; hJ tw'n fainomevnwn kovsmwn ajkrovth" taujtou' perivodo" ejponomavzetai kai; fronimwtavth kuvklhsi" kai; monoeidhv", w{" fhsin oJ Tivmaio", kai; eJniai'on to; noero;n 15 th'" dhmiourgikh'" ejpistrofh'" ajpotupoumevnh kai; tauvthn lacou'sa th;n uJperoch;n pro;" a{panta to;n aijsqhto;n kovsmon h}n hJ tou' Dio;" ajkrotavth korufh; pro;" a{pasan th;n tw'n sterewmavtwn diakovsmhsin.

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re in primo luogo «presso Zeus»373, «saldamente collocata su un sacro piedistallo»374, e se da lì procederà verso tutte le entità derivate, e se darà ordine agli interi e alle parti in modo conforme all’intelletto, è necessario, a mio giudizio, che il Demiurgo univer- 15 sale si identifichi con Zeus ed anche che ad entrambi appartenga un’unica e medesima realtà, che dirige tutte le entità presenti nel cosmo e riduce «ciò che è dissonante e disordinato all’ordine»375: infatti «non era lecito», afferma376, «a colui che è il migliore fare qualcosa d’altro, se non la cosa più bella»377. Pertanto colui che per 20 mezzo di Temis378 dà ordine all’universo nella sua totalità, e che insieme ad essa produce tutte le cose, come può non possedere in sé in modo essenziale tutta la scienza politica? Come può egli non essere il primissimo Zeus, colui che determina per tutti gli esseri la natura divina e che a partire da tutte viene a formare un’unica forma di governo, ma che d’altra parte trascende tutti quanti i principi causali particolari ed il genere dei Titani379, e che tutelan- 25 dosi per mezzo delle sue potenze incontaminate si mantiene al di là di tutto il cosmo? Infatti «le guardie» che lo circondano alludono al suo immutabile livello, alla incessante custodia della demiur- 91 gia, in virtù della quale, stabilendosi permanentemente in se stesso, egli si diffonde attraverso tutte le cose senza impedimenti, e pur essendo presente in tutti i suoi prodotti generati, risulta per semplicità, sulla base di una somma superiorità, al di sopra della loro totalità. E di fatto a sua volta «l’acropoli di Zeus»380, secondo la tradi- 5 zione dei teologi381, è simbolo del moto rotatorio intellettivo382 e della sommità più elevata dell’Olimpo, la quale tutti i sapienti collegano alla «specola» intellettiva di Zeus; e verso di essa egli fa tendere tutti gli dèi encosmici, donando ad essi, da lì, potenze intellettive, luce divina e illuminazioni produttrici di vita, e «ser- 10 rando»383 tutte le profondità dei cosmi con l’unico e semplicissimo moto rotatorio, in virtù del quale la sommità dei cosmi visibili viene denominata «circolo dell’identico»384 e «rotazione sapientissima» ed uniforme, come dice Timeo385, in quanto imita, nella 15 sua unitarietà, il carattere intellettivo della conversone demiurgica ed al contempo ha ricevuto in sorte la stessa superiorità rispetto a tutto quanto il cosmo sensibile che la sommità più elevata di Zeus ha rispetto a tutto quanto l’ordinamento dei «firmamenti»386.

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keV Tau'ta kai; ajpo; tw'n ejn Prwtagovra/ muqikw'n plasmavtwn eij" th;n prokeimevnhn hJmi'n zhvthsin lhptevon. Eti de; ejggutevrw prosistwvmeqa th'" ajlhqeiva" kai; to;n ejn tw'/ Politikw'/ mu'qon paralavbwmen eij" th;n parou'san ejpivskeyin: fanhvsetai ga;r ejn touvtw/ diaferovntw" oJ Plavtwn eij" taujto;n 25 a[gwn tw'/ Dii; to;n dhmiourgo;n tou' panto;" kai; mevcri tw'n ojnomavtwn ta; aujta; tw'/ Timaivw/ diatattovmeno". 92 Ditta;" toivnun oJ Eleavth" xevno" tw'/ panti; touvtw/ kovsmw/ didou;" ajnakuklhvsei", wJ" kai; provteron ejlevgomen, th;n me;n noera;n kai; tw'n yucw'n ajnagwgovn, th;n de; eij" fuvsin poreuomevnhn kai; tajnantiva th'/ provsqen ajpodidou'san, kai; th;n 5 me;n ajfanh' kai; pronoiva/ qeiva/ kubernwmevnhn, th;n de; ejmfanh' kai; kata; th;n th'" eiJmarmevnh" tavxin ajnelissomevnhn, ditta;" kai; ta;" kinhtika;" aijtiva" ejfivsthsi tai'" ajnakuklhvsesi tauvtai": pa'sa ga;r metabolh; kai; perivodo" dei'taiv tino", th'" kinouvsh" aijtiva". Kai; pro; tw'n kinouvntwn aujta;" ta; 10 oi|on tevlh tw'n periovdwn ei\nai tivqetai ditta; kai; ta; tw'n kinhvsewn prwtourga; ai[tia suvstoica toi'" te kinou'sin aijtivoi" kai; aujtai'" tai'" ajnakuklhvsesin ejxhllagmevnai" ajllhvlwn ajpodivdwsi. Th;n me;n ou\n eJtevran tw'n periovdwn, ei[te noera;n aujth;n 15 ejqevloi" ejponomavzein ei[te pronohtikh;n ei[te oJpwsou'n a[llw", kinei' me;n oJ Zeu;" kai; periavgei, to; zh'n tw'/ kovsmw/ corhgw'n kai; ajqanasivan aujtw'/ dwrouvmeno" ejpiskeuasthvn, ejfeto;n de; kai; tevlo" proesthvsato kai; th'" o{lh" tauvth" ajnakuklhvsew" to;n eJautou' patevra to;n Krovnon. Anavgei 20 ga;r ta; o{la kai; ejpistrevfei pro;" ejkei'non, kai; dh; kai; ta;" yuca;" eij" th;n tou' patro;" ajnateivnei periwph;n ta;" eujdaivmona", o{swn ajfanivzetai me;n to; swmatoeide;" kai; eij" to; ajswvmaton kai; ajmere;" hJ periagwgh; givgnetai, pavnta de; ta; genesiourga; suvmbola perikovptetai kai; pro;" th;n noera;n 25 ajkrovthta meqivstatai to; th'" zwh'" ei\do". Au\tai ga;r dh; kai; 20

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25 [Via d’accesso, desunta dai discorsi contenuti nel “Politico” a proposito della duplice rotazione, che consente di stabilire che Zeus è, secondo Platone, Demiurgo e padre del tutto] Per la ricerca che ci siamo proposti, queste appunto sono le 20 concezioni che si debbono desumere dalle elaborazioni mitiche presenti nel Protagora. Ma avviciniamoci ancora di più alla verità e prendiamo in considerazione per la presente analisi il mito del Politico: in effetti Platone apparirà, anche in questo, identificare 25 con Zeus il Demiurgo del Tutto ed esporre, fino alle singole parole, le stesse concezioni del Timeo. Lo Straniero di Elea, dunque, attribuisce a tutto questo nostro 92 cosmo due diverse rotazioni cicliche, come dicevamo anche prima387, da un lato quella intellettiva ed elevatrice delle anime, dall’altro quella che procede in direzione della natura e determina effetti opposti rispetto a quella precedente, e l’una è invisibile 5 e governata da provvidenza divina, l’altra invece è visibile e si sviluppa secondo l’ordine della fatalità; duplici quindi sono anche le cause motrici che pone a capo di queste rotazioni cicliche: infatti ogni mutamento e periodo ciclico necessitano di qualcosa, cioè della causa che li muove388. E prima delle cause che li muovono, egli stabilisce che, per così dire, i fini dei periodi sono duplici e 10 definisce i principi causali originari dei movimenti come corrispondenti sia ai principi causali che muovono sia alle rotazioni cicliche stesse che risultano distinte le une dalle altre. Il primo dei due periodi ciclici, sia che lo si voglia chiamare 15 “intellettivo”, sia che lo si voglia chiamare “provvidenziale” sia che lo si voglia chiamare in un qualunque altro modo, lo fa muovere e ruotare Zeus, garantendo così al cosmo il vivere e facendogli dono della «immortalità rinnovantesi»389, e d’altro canto ha anche preposto come oggetto di desiderio e fine a tutta questa rotazione ciclica il suo stesso padre, Crono. Zeus eleva, infatti, la 20 totalità degli esseri e li converte verso Crono, ed in particolare sono le anime felici che egli fa tendere in alto verso la «specola»390 del padre, tutte quelle la cui componente corporea viene annientata e la cui rotazione avviene così in direzione della realtà incorporea e indivisibile; e, d’altra parte, tutti i loro simboli che rimandano all’ambito della generazione vengono con ciò recisi e la forma della loro vita cambia così direzione, volgendosi alla som- 25 mità intellettiva. Sono proprio queste anime che vengono dette

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tou' Krovnou levgontai trovfimoi tw'/ Dii; th;n eJautw'n ejpidou'sai kubevrnhsin kai; di ejkeivnou pro;" to; nohto;n ajna93 teinovmenai kai; th;n Kronivan ajrchvn: trofh; ga;r to; nohtovn, wJ" ei[rhtai par aujtw'n tw'n qew'n. Kai; w{sper oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" dia; th'" tou' oujranou' perifora'" ajnavgei ta;" yuca;" eij" to;n uJperouravnion tovpon, ou| 5 dh; kai; trevfontai aiJ yucai; kai; qew'ntai ta; o[ntw" o[nta kai; th;n a[gnwston tw'n qew'n tavxin tai'" ajkrotavtai" eJautw'n dunavmesi, kai; w{" fhsin ejn ejkeivnoi" tai'" tw'n hJniovcwn kefalai'", noou'sin, ou{tw dh; kai; oJ Eleavth" xevno" uJpo; tw'/ Dii; ta;" yuca;" ejpi; th;n Kronivan periavgei 10 periwph;n kai; trevfesqai para; tw'/ Krovnw/ tivqetai ta;" ajnelqouvsa" kai; trofivmou" ajpokalei' tou' qeou'. Pantacou' me;n ga;r to; telesiourgovn ejsti th'" noera'" zwh'" kai; plhrwtiko;n to; nohtovn, *** kai; hJ tw'n noerw'n ajkrovth" ejporevgei to; tevleion. AiJ de; kai; tw'n ejpevkeina metalagcav15 nousi kai; toi'" uJyhlotevroi" noeroi'" ejnidruvousin eJauta;" kai; mevcri th'" ajgnwvstou tavxew" povrrw tou' ajgaqou' kai; th'" mia'" ajrch'" tw'n pavntwn ajnabaivnousin. AiJ de; kai; pro;" aujto;n to;n prwvtiston nou'n kai; ajmevqekton kai; aujtonohto;n uJpavrconta ajnateivnontai, kajkei' genovmenai kai; th;n 20 eJautw'n oJrmivsasai zwh;n ejn tw'/ krufivw/ diakovsmw/ metevcousin ajrrhvtw" th'" ejk tajgaqou' proi>ouvsh" eJnwvsew" kai; tou' th'" ajlhqeiva" fwtov". Th;n de; au\ loiph;n tw'n dittw'n wJ" e[famen periovdwn kinei' me;n aujto;" eJauto;n oJ kovsmo" kata; th;n eJautou' fuvsin kinouv25 meno" kai; th;n eiJmarmevnhn tavxin ajpoplhrw'n: to; de; prwtourgo;n ai[tion aujtw'/ th'" kinhvsew" tauvth" ejsti; kai; th'" zwh'" oJ th;n duvnamin aujtw'/ tou' kinei'sqai kai; tou' zh'n ejpilavmpwn qeov", oJ mevgisto" Zeuv". Dio; dh; kai; perivodo" 94 au{th Dio;" ei\nai levgetai, kaq o{son oJ Zeu;" th'" ejmfanou'" ejsti tauvth" diakosmhvsew" ai[tio", kaqavper oJ Krovno" th'" noera'" kai; ajfanou'". Kavllion de; aujtou' tou' Plavtwno" ajkouvein tau'ta diatat5 tomevnou. Oti me;n ou\n dittai; tou' pantov" eijsin ajnakuklhvsei" kai; o{ti th'" me;n hJgei'tai qeo;" oJ kinw'n, th'" de; aujto;" oJ kovsmo" eJauto;n periavgwn, ejn touvtoi" ajnadidavskei: All o{per a[rti te ejrrevqh kai; movnon loipovn, tote; me;n uJp a[llh" sumpodhgei'sqai qeiva" aijtiva", to; zh'n 10 pavlin ejpiktwvmenon kai; lambavnonta ajqanasivan ejpiskeuasth;n para; tou' dhmiourgou', tote; dev, o{tan ajneqh'/, di eJauto;n aujto;n ijevnai kata; kairo;n

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«allevate da Crono»391, dato che hanno affidato a Zeus il governo su loro stesse e per suo tramite si sono tese in alto verso l’intelligibile e verso il dominio di Crono; in effetti «l’intelligibile è nutri- 93 mento», come è stato detto dagli dèi stessi392. E come Socrate nel Fedro, attraverso la «rivoluzione» celeste, fa risalire le anime verso «il luogo sopraceleste»393, dove appunto le anime «sono nutri- 5 te»394 e contemplano gli enti reali ed hanno intellezione dell’ordine inconoscibile degli dèi per mezzo delle loro potenze più elevate e, come dice in quest’opera, «con le teste degli aurighi»395, allo stesso modo lo Straniero di Elea fa voltare, sotto la guida di Zeus, le anime verso la «specola» Cronia, stabilisce che 10 quelle che sono salite vengano nutrite presso Crono e le chiama “allevate” da questo dio. In ogni ambito, infatti, ciò che rende perfetta la vita intellettiva e la ricolma è l’intelligibile. , e 396 è la sommità degli intellettivi che concede il carattere della perfezione. Le altre invece ottengono di partecipare delle entità che sono al di là, si insediano negli intellettivi più elevati e salgono lontano fino 15 all’ordine inconoscibile, ma ancora lontane dal Bene e dall’unico Principio di tutto il reale. Le altre ancora, infine, si tendono in alto verso l’intelletto primissimo stesso, che è impartecipabile ed in se stesso intelligibile, e lì giunte ed “avendo ormeggiato”397 la loro 20 vita nell’ordinamento celato partecipano in modo ineffabile dell’unità che procede dal Bene e della «luce della verità»398. Quanto poi al secondo399 dei duplici, come dicevamo, periodi ciclici, il cosmo muove se stesso in base ad esso, muovendosi secondo la sua propria natura e portando a compimento l’ordine 25 stabilito dal fato; d’altra parte per esso il principio originario di questo movimento e della vita è il dio che fa risplendere su di esso la potenza del muoversi e del vivere, il grandissimo Zeus. Appunto perciò questo periodo ciclico è detto “di Zeus”, nella misura in 94 cui Zeus è causa di questa forma visibile di ordinamento, come Crono è causa della forma intellettiva ed invisibile di esso. Ma è meglio ascoltare Platone stesso esporre queste concezioni. Che dunque duplici siano le rotazioni cicliche del Tutto e l’una 5 la guidi un dio che la muove, l’altra invece la guidi il cosmo stesso che si muove con moto circolare, lo illustra con queste parole: «Ma come poco fa è stato detto, l’unica possibilità che rimane è che talora sia condotto nel suo corso da una causa divina diversa da esso, acquisendo così di nuovo il vivere e ricevendo dal 10 Demiurgo una immortalità rinnovantesi, talora invece, allorché sia lasciato a se stesso, proceda da solo in virtù di se stesso, abbandona-

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ajfeqevnta toiou'ton w{ste ajnavpalin poreuvesqai pollav". Oti de; au\ kai; tw'n periovdwn hJ mevn ejsti 15 Divio", hJ ejmfanhv", hJ de; eij" th;n Krovnou telei' basileivan, ejn toi'" ejfexh'" pavlin aujto;" diorivzwn ejpifevrei tauti; meta; th;n th'" zwh'" ejkeivnh" ejxuvmnhsin kai; th'" politeiva" th'" ejkei' tw'n yucw'n th'" ajcravntou kai; ajfeimevnh" ajpo; pavntwn tw'n swmatikw'n povnwn kai; th'" peri; th;n u{lhn qhteiva": 20 To;n dh; bivon, w\ Swvkrate", ajkouvei" to;n tw'n ejpi; Krovnou, to;n dev, wJ" oJ lovgo", ejpi; Dio;" ei\nai to;n nu'n parw;n aujto;" h[/sqhsai. Kai; mh;n kai; o{ti tw'n duvo touvtwn ajnakuklhvsewn, ei[per hJ ejmfanhv" ejstin ejpi; Diov", ai[tiov" ejstin aujth'" kai; poihth;" 25 oJ Zeuv", panti; katafanev", kai; wJ" th'" ajfanou'" Kroniva" ou[sh" to; kinhtikovn ejsti pavlin oJ Zeuv", ejk tw'n gegrammevnwn a[n ti" ajpodeivxeien. Anavgkh ga;r h] tou;" duvo touvtou" qeou;" th'" eJtevra" a[rcein ajnakuklhvsew" h] to;n me;n th'" 95 eJtevra" hJgei'sqai, to;n de; th'" parouvsh". All eij me;n oJ Zeu;" kinei' kata; th;n perivodon tauvthn to; pa'n, oujkevt a]n oJ kovsmo" eJauto;n periavgein levgoito kai; tw'n ejn auJtw'/ pavntwn a[rcein, oujd a]n ajlhqe;" ei[h to; mhvte o{lon uJpo; qeou' 5 strevfesqai ditta;" kai; ejnantiva" periagwga;" mhvt au\ tine duvo qew; fronou'nte eJautoi'" ejnantiva strevfein aujtovn. Eij ga;r kinei' me;n oJ Krovno" aujto;n kata; th;n eJtevran ajnakuvklhsin, kinei' de; oJ Zeu;" kata; th;n ejnantivan ejkeivnh/ perivodon, duvo qeoi; ta;" ejnantiva" aujto;n 10 kinou'si strofav". Eij dh; tau'ta ajduvnaton, pantiv pou dh'lon o{ti kata; me;n th;n Kronivan perifora;n ajmfovtera ta; qei'a ai[tia proi?statai th'" ajnakuklhvsew", oJ me;n Krovno" wJ" th'" noera'" zwh'" corhgov", oJ de; Zeu;" wJ" ajnavgwn ejpi; th;n Kronivan ajrch;n ta; pavnta kai; ejnidruvwn tw'/ eJautou' nohtw'/: 15 kai; ou{tw" hJ perivodo" ejkeivnh Kroniva kaloi'to a[n, wJ" tou' Krovnou th'" o{lh" zwh'" th;n prwtourgo;n aijtivan parecomevnou. Kata; de; th;n fusikwtevran tauvthn kai; toi'" pa'sin ejgnwsmevnhn ajnakuvklhsin kinei' me;n eiJmarmevnh kai; suvmfuto" ejpiqumiva to; pa'n, ai[tio" de; th'" kinhvsew" 20 tauvth" ejxh/rhmevnw" oJ Zeuv", oJ kai; th;n eiJmarmevnhn tw'/ kovsmw/ dou;" kai; th;n ejpivkthton zwhvn. Touvtwn dh; ou\n hJmi'n ajpodedeigmevnwn skeywvmeqa tivna peri; tou' kinou'nto" qeou' to;n kovsmon kata; th;n eJtevran perivodon ajpofaivnetai: Tote; me;n uJp a[llh" sumpodhgei'-

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to in un momento tale da consentirgli di ripercorrere a ritroso molti periodi»400. Il fatto che poi a sua volta uno dei periodi, quello visibile, è di Zeus, mentre l’altro appartiene al regno di Crono, subi- 15 to dopo egli stesso lo precisa ed aggiunge ciò che segue, dopo la celebrazione di quella vita e di quella condizione di vita che avevano lì le anime, incontaminata e libera da tutti i travagli del corpo e dal servizio prestato nei riguardi della materia401: «stai ascoltan- 20 do proprio la vita che conduceva la gente al tempo di Crono, invece l’altra, come si dice, al tempo di Zeus è quella che tu stesso conosci direttamente in quanto ci sei presente»402. Ed inoltre è palese a ciascuno che, fra queste due rotazioni cicliche, principio causale ed artefice di quella visibile è Zeus, se 25 è vero che appartiene ai tempi di Zeus, ed il fatto che di nuovo Zeus è il principio motore di quella invisibile, cioè quella Cronia, lo si potrebbe dimostrare da quanto è scritto. Infatti è necessario o che questi due dèi abbiano potere sull’una o sull’altra delle due rotazioni cicliche, oppure che l’uno sia alla guida dell’una, mentre 95 l’altro della rotazione ciclica ora in atto. Ma se Zeus muove il Tutto in base a quest’ultimo periodo ciclico, non si potrebbe più dire che il cosmo fa ruotare se stesso e che ha potere su tutte le cose che si trovano al suo interno, né sarebbe vero che l’universo «nella sua interezza sia fatto ruotare da un dio secondo duplici e 5 contrari movimenti rotatori, né che due dèi a loro volta, tra loro avendo pensieri opposti, lo facciano ruotare insieme»403. Se infatti Crono lo fa muovere in base all’una delle due rotazioni cicliche, mentre Zeus a sua volta lo muove in base al periodo ciclico opposto a quello, due dèi lo muovono secondo moti circolari rivolti in 10 opposte direzioni. Se ciò è di fatto impossibile, è in qualche modo chiaro a ciascuno che durante la rivoluzione Cronia entrambi i principi causali divini sono preposti alla rotazione ciclica, Crono in quanto elargitore della vita intellettiva, Zeus in quanto eleva tutte le cose fino al dominio Cronio e le colloca nel suo carattere intelligibile; e così tale periodo ciclico si chiamerebbe Cronio in 15 considerazione del fatto che Crono fornisce la causa originaria della vita nella sua totalità. Invece in questa nostra rotazione ciclica che è più naturale e che è nota a tutti, «fato e desiderio connaturato»404 muovono l’universo; d’altra parte principio causale di questo movimento è in modo trascendente Zeus, che ha dato al 20 cosmo il fato ed anche la vita acquisita. Ebbene, una volta dimostrate queste tesi, prendiamo in esame quali concezioni sostenga circa il dio che muove il cosmo in base all’altro periodo ciclico: «talora viene guidato da

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sqai qeiva" aijtiva", to; zh'n pavlin ejpiktwvmenon kai; lambavnonta ajqanasivan ejpiskeuasth;n para; tou' dhmiourgou'. Panti; dh; ou\n katafane;" o{ti to;n kinou'nta qeo;n kata; th;n Kronivan perivodon to; pa'n kai; to; zh'n aujtw'/ corhgei'n kai; ajqanasivan ejpiskeua96 sth;n didovnai fhsi; kai; dhmiourgo;n ajpokalei' diarrhvdhn. Eij toivnun oJ Zeuv" ejstin oJ th;n perivodon ejkeivnhn sumpodhgw'n, w{sper devdeiktai, kai; dhmiourgo;" a]n oJ aujto;" ei[h tou' kovsmou kai; th'" ajqanasiva" corhgov". Kai; 5 tiv dei' polla; levgein Eij ga;r oJ aujto;" qeo;" tou' te zh'n ai[tiov" ejsti kai; dhmiourgo;" ejponomavzetai, pavlin hJmi'n oJ Kratuvlo" h{kei kai; oJ Zeu;" tw'/ dhmiourgw'/ kai; kata; tou'ton to;n lovgon eij" taujto;n e[rcetai. Apasi ga;r to; zh'n ejk tou' Dio;" ejfhvkei, kaqavper ejn ejkeivnoi" ei[rhtai. 10 Kai; mh;n kai; dia; tw'n ejcomevnwn lovgwn, w{sper oJ Tivmaio", dhmiourgo;n kai; patevra ªkalei'º to;n th'" eiJmarmevnh" ajnakuklhvsew" ai[tion kai; poihth;n ajpokalei': strevfetai ga;r oJ kovsmo", fhsiv, th;n tou' dhmiourgou' kai; patro;" ajpomnhmoneuvwn didachvn. Eijkovtw" a[ra 15 kai; th;n o{lhn perivodon tauvthn Divion ejponomavzomen, wJ" ªkai;º kata; th;n ejkeivnou didach;n kai; th;n ejndidomevnhn ajp ejkeivnou tavxin tou' kovsmou kinou'nto" eJauto;n kai; ajnakuklou'nto". Pavlin ou\n dhmiourgov" ejsti kai; path;r oJ Zeuv", kajntau'qa tou' Eleavtou xevnou kata; ta; aujta; tw'/ 20 Timaivw/ th;n tw'n qeivwn ojnomavtwn tavxin fulavttonto". Ouj ga;r patevra kai; dhmiourgo;n aujto;n proseivrhken, ajll w{sper ejkei'no" e[mpalin dhmiourgo;n kai; patevra, diovti dh; to; dhmiourgiko;n ejn aujtw'/ th'" patrikh'" ejsti qeovthto" ejnargevsteron: Egw; dhmiourgo;" pathvr te e[rgwn. 25

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kıV Tau'ta me;n ou\n kai; provteron dia; pleiovnwn ejxhvtastai, kai; o{ph/ to; dhmiourgiko;n gevno" e{terovn ejsti tou' patrikou' kai; pw'" ejn ajllhvloi" sumplevketai, kai; o{pou mevn ejsti to; patriko;n kat oujsivan, to; de; dhmiourgiko;n kat aijtivan, o{pou de; au\ to; me;n dhmiourgiko;n kat oujsivan, to; de; patriko;n kata; mevqexin. Upovloipon d a]n ei[h kai; tw'n ejn toi'"

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una causa divina da esso diversa, acquisendo così di nuovo il vive- 25 re e ricevendo dal Demiurgo un’immortalità rinnovantesi»405. È certo palese a ciascuno che il dio che in base al periodo ciclico Cronio muove l’universo, garantisce ad esso “il vivere” ed anche gli dona “un’immortalità rinnovantesi” lo chiama 96 esplicitamente “Demiurgo”. Se pertanto Zeus è colui che “guida” tale periodo, come si è mostrato, allora lo stesso dio dovrebbe essere Demiurgo del cosmo e elargitore di immortalità. E che bisogno c’è di dire molte cose? Se infatti lo stesso dio è prin- 5 cipio causale del vivere ed al contempo è chiamato “Demiurgo”, di nuovo ci viene in mente il Cratilo, e Zeus, anche in base a questo ragionamento, giunge ad identificarsi con il Demiurgo. Per tutti gli esseri, infatti, il vivere proviene da Zeus, come in quel testo è stato affermato406. Ed inoltre attraverso i discorsi successivi denomina, come 10 Timeo, «Demiurgo e padre»407 il principio causale e l’artefice della rotazione ciclica determinata dal fato: infatti il cosmo ruota, dice Platone, «ricordandosi dell’insegnamento del Demiurgo e padre»408. È di conseguenza naturale anche che chiamiamo “di 15 Zeus” tutto questo periodo nella sua totalità, in considerazione del fatto che il cosmo muove se stesso e ruota ciclicamente in base all’insegnamento di quello e all’ordine assegnatoli da quello. Di nuovo dunque Zeus è “Demiurgo e padre”, considerato che anche qui lo Straniero di Elea per i nomi divini segue lo stesso ordi- 20 ne del Timeo409. Infatti non chiama Zeus “padre e Demiurgo”, ma come Timeo, all’inverso “Demiurgo e padre”, proprio per il fatto che il carattere demiurgico in lui è più evidente della sua natura divina paterna: «Opere di cui io sono Demiurgo e padre»410. 97 26 [Richiami alle medesime concezioni, desunti da quanto è affermato nelle “Leggi” a proposito della proporzione intesa come “giudizio di Zeus”]

Tali questioni dunque sono state esaminate anche in precedenza411 in modo più diffuso, cioè in che modo il genere demiurgico è differente rispetto a quello paterno e come sono implicati l’uno nell’altro, e dove si trova il carattere paterno a livello di essenza, e dove quello demiurgico a livello di causa, dove poi si trova a sua volta il carattere demiurgico a livello di essenza, dove invece quello paterno a livello di partecipazione. Rimarrebbe poi da ricorda-

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Novmoi" peri; tou' Dio;" gegrammevnwn mnhsqh'nai: tavca ga;r a]n kai; ejn ejkeivnoi" faneivh tw'/ dhmiourgw'/ th;n aujth;n kai; 10 tw'/ Dii; tavxin ajpodidouv". Tw'n toivnun ijsothvtwn kaq a}" aiJ politei'ai kosmou'ntai dittw'n oujsw'n, kai; th'" me;n to; kat ajriqmo;n i[son protiqemevnh" kai; toi'" diafevrousin ajllhvlwn kat i[son novmon proi>ouvsh", th'" de; to; kat ajxivan ejn a{pasin ajspazomevnh" 15 kai; kata; lovgon ijsovthto" ou[sh", e[sti mevn pou kai; ejn th'/ pronoiva/ tou' kovsmou tw'n ijsothvtwn eJkatevra (kai; ga;r hJ th'" yuch'" oujsiva prwvtw" me;n th'/ kata; lovgon ijsovthti dihv/rhtai para; tou' dhmiourghvsanto" aujthvn, sumpeplhvrwtai de; kai; tai'" loipai'" mesovthsi kai; sundevdetai kata; 20 pa'san eJauthvn, kai; tw'n swmavtwn e{kasta metevcei mevn tino" kai; koinh'" oujsiva" ejn th'/ dhmiourgiva/ kai; tauvth/ th;n kat ajriqmo;n e[lacen ijsovthta), diakekovsmhtai de; pavnta th'/ krativsth/ tw'n ajnalogiw'n kai; th;n a[luton ejn tw'/ panti; tavxin kai; th;n pro;" a[llhla aJrmostivan kata; tauvthn oJ 25 dhmiourgo;" toi'" te o{loi" kai; toi'" mevresin ejndivdwsi. 98 Tauvthn toivnun th;n ijsovthta kai; oJ Aqhnai'o" xevno", a{te tw'/ panti; proseikavzwn th;n eJautou' povlin, diaferovntw" tima'n toi'" eJautou' polivtai" parakeleuovmeno" toiau'ta a[tta fhsiv: Th;n de; ajlhqestavthn kai; ajrivsthn 5 ijsovthta oujkevti rJav/dion panti; diidei'n: Dio;" ga;r dh; krivsi" ejstiv. Tiv pote ou\n to; ai[tiovn ejsti di o} th;n ajnalogivan tauvthn oJ Aqhnai'o" xevno" krivsin ajpefhvnato tou' Dio;" ei\nai Tiv de; a[llo ge fhvsomen h] th;n eij" to;n kovsmon aujth'" suntevleian kai; th;n ejn th'/ 10 dhmiourgiva/ tw'n o{lwn dunasteivan H ga;r diorivsasa me;n ejn tavxei ta; tw'n aijtivwn gevnh, desmo;n de; aujtw'n mhcanhsamevnh kavlliston kai; mivan ejx o{lwn diakovsmhsin sunufhvnasa kata; to;n Tivmaion, hJ th'" ajnalogiva" ejsti; tauvth" duvnami", nou' me;n kai; th'" swmatikh'" fuvsew" 15 ajnavlogon ejn mevsw/ th;n yuch;n ejnidrusamevnh (kai; ga;r hJ yuch; mevsh th'" ajmerivstou kai; th'" meristh'" ejstin oujsiva", kai; o{sw/ th'" meristh'" uJperevcei, tosouvtw/ th'" ajmerou'" ajpoleivpetai tw'n o[ntwn uJpostavsew"): aujth;n de; th;n yuch;n ejk diplasivwn lovgwn kai; triplasivwn 20 sundhvsasa kai; th;n suvmpasan a{ma kai; proi>ou'san kai; ejpistrefomevnhn toi'" prwtourgoi'" kai; aujtokinhvtoi" o{roi" th'" ijsovthto" sunevcousa: kai; dh; kai; th;n swmatikh;n

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re anche quanto è scritto nelle Leggi a proposito di Zeus: forse infatti anche in questo testo potrebbe apparire attri10 buire al Demiurgo e a Zeus lo stesso livello. Pertanto, dato che duplici sono i tipi di eguaglianza in base ai quali sono ordinate le forme di governo, e l’una propone l’uguale in senso numerico e procede in base ad una legge uguale per le situazioni che differiscono fra loro, mentre l’altra abbraccia tutti quanti i casi in base al merito ed è un’eguaglianza di rapporti, 15 entrambe queste forme di eguaglianza si trovano in certo modo anche nella cura provvidenziale del cosmo (ed in effetti l’essenza dell’anima, da un lato, è stata primariamente divisa da chi l’ha demiurgicamente prodotta per mezzo dell’uguaglianza di rapporti, dall’altro è stata completata dalle restanti medietà ed è stata legata insieme in tutta la sua interezza, e ciascuno dei corpi parte- 20 cipa di una determinata e comune essenza nella realizzazione demiurgica e così ha ottenuto l’uguaglianza in senso numerico412), d’altro canto tutte le cose sono messe in ordine dalla più forte delle proporzioni ed il Demiurgo, in base a questa proporzione, fornisce agli interi ed alle parti l’ordine indissolubile insito nel- 25 l’universo e l’armonia proporzionale reciproca. Questa pertanto è l’uguaglianza che lo Straniero di Atene, in 98 quanto paragona la sua città al Tutto, esorta i suoi cittadini ad onorare in modo particolare, dicendo all’incirca le seguenti parole: «la più vera e la migliore uguaglianza non è per ciascuno così faci- 5 le da individuare: infatti essa è “giudizio di Zeus”». Quale mai è la ragione per cui lo Straniero di Atene ha sostenuto che questa proporzione è «giudizio di Zeus»413? Per quale altra ragione diremo se non per il suo contributo alla perfezione del cosmo e al suo 10 potere nella demiurgia dell’universo? Infatti quella che ha determinato, mettendoli in ordine, i generi dei principi causali, che ha costruito il loro «legame più bello»414 e che ha intrecciato insieme un solo ordinamento da tutte quante le cose, secondo Timeo è la potenza di questa proporzione, che ha collocato l’anima nel livel- 15 lo proporzionalmente intermedio tra l’intelletto e la natura corporea (ed infatti «l’anima è intermedia fra l’essenza indivisibile e quella divisibile»415, e nella stessa misura in cui è superiore alla realtà divisibile è inferiore rispetto a quella indivisibile degli enti); del resto è questa potenza che ha legato insieme l’anima stessa mediante rapporti «doppi» e «tripli»416, e che tiene insieme, 20 mediante i limiti dell’uguaglianza, originari e capaci autonomamente di movimento, tutta intera l’anima, al contempo nel suo procedere e nel suo convertirsi417; e tra l’altro, è proprio questa

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suvntaxin ejk tettavrwn uJposthvsasa tw'n prwvtwn genw'n, kai; ta; me;n a[kra dia; tw'n mevswn aJrmovsasa, ta; de; mevsa 25 kata; th;n tw'n a[krwn ijdiovthta sugkerasamevnh, pavnta de; eij" e{na kovsmon ajnagagou'sa kai; mivan tavxin a[luton ejn tw'/ panti; sunecomevnhn. 99 Eij toivnun kata; pa'san th;n dhmiourgivan dunasteuvein th;n ijsovthta tauvthn oJmologou'men, tou' dhmiourgou' krivsi" ejsti;n hJ tw'n ajnalogiw'n ajrivsth kai; kata; th;n tou' gennhvsanto" ta; o{la yh'fon tosauvthn ejn th'/ dhmiourgiva/ keklhvrwtai 5 th;n ejpikravteian hJlivkhn oJ provsqen lovgo" ajpevfhnen. Eij toivnun hJ aujth; kai; tou' Diov" ejsti krivsi", wJ" oJ Aqhnai'o" xevno" ajpofaivnetai, panti; dh; katafane;" o{ti dhmiourgikhv tiv" ejstin hJ tou' Dio;" fuvsi": ouj ga;r a[llo ti kri'novn ejsti th;n th'" ajnalogiva" tauvth" ajxivan h] to; crwvmenon aujth'/ 10 pro;" th;n tw'n o{lwn diakovsmhsin. Wi kai; oJ nomoqevth" ajnavlogon auJto;n iJdruvsa" th;n tw'/ panti; proseikasqei'san povlin th'/ ajnalogiva/ tauvth/ sunevdhsev te kai; diaferovntw" ejkovsmhse. kzV Qarrou'nte" dh; ou\n kai; ejk touvtwn kai; ejk tw'n proeirhmevnwn aJpavntwn levgwmen, eJpovmenoi tw'/ Plavtwni kai; tai'" patrivoi" fhvmai", o{ti dh; Zeuv" ejstin oJ tou' panto;" dhmiourgov", kai; sunavgwmen eij" taujto; ta;" diesparmevna" tw'n palaiw'n uJponoiva". Wn aiJ me;n eij" th;n aujth;n tavxin ajnafev20 rousi tov te paravdeigma tou' kovsmou kai; th;n dhmiourgikh;n aijtivan, aiJ de; diairou'si tau'ta ajp ajllhvlwn, kai; aiJ me;n pro; tou' dhmiourgou' tivqentai to; pantele;" zw'/on, aiJ de; meta; to;n dhmiourgo;n aujtw'/ parevcontai th;n uJpovstasin. Eij ga;r o{ te dhmiourgov" ejstin oJ mevga" w{sper ei[rhtai 25 Zeuv", kai; to; paravdeigma to; tw'/ dhmiourgw'/ prokeivmenon eij" th;n tou' kovsmou gevnesin to; pantele;" zw'/on, oJmou' 100 kai; sunhvnwtai tau'ta ajllhvloi" kai; th;n kat oujsivan e[lace diavkrisin: kai; to; me;n aujtozw'/on nohtw'" perieivlhfen ejn 15

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potenza che ha fatto sussistere l’insieme composito corporeo a partire dai quattro primi generi418, e che, da un lato, ha armonizzato i termini estremi attraverso quelli intermedi, dall’altro ha mescolato insieme i termini intermedi secondo il carattere specifico dei termini estremi419, dall’altro ancora ha riportato tutte le 25 cose ad un unico cosmo e ad un unico ordine indissolubile che è contenuto nell’universo. Se pertanto noi conveniamo che questa uguaglianza predomi- 99 na in tutta la demiurgia, la migliore delle proporzioni è il “giudizio” del Demiurgo ed in base alla decisione di colui che ha generato l’universo nella sua totalità essa ha ottenuto in sorte questa 5 sovranità tanto grande quanto lo è quella che il ragionamento precedente ha mostrato420. Se pertanto la medesima proporzione è anche «giudizio di Zeus», come sostiene lo Straniero di Atene, è certamente a ciascuno palese che la natura di Zeus è fondamentalmente demiurgica; infatti non v’è altro che giudica il valore di questa proporzione se non l’entità che si serve di essa per l’opera 10 di ordinamento dell’universo nella sua totalità. Il legislatore, a sua volta, che si è posto in modo analogo a tale entità, per mezzo di questa proporzione ha legato insieme la città, che è stata così resa simile al Tutto421, ed al contempo l’ha ornata con quell’assetto che la caratterizza in modo specifico422. 27 [Come Zeus è nel Vivente-in-sé nel senso della causa ed al contempo il Vivente-in-sé è in Zeus ] Ebbene, prendendo coraggio sia da queste ultime considera- 15 zioni sia da tutte quante quelle precedentemente esposte, seguendo Platone e la tradizione dei nostri padri423, dobbiamo affermare che Zeus è il Demiurgo del Tutto, e dobbiamo raccogliere nella medesima concezione le supposizioni sparse degli antichi424. Di queste le une425 riconducono allo stesso ordinamento il modello 20 del cosmo e la causa demiurgica, le altre invece distinguono fra loro queste entità, e, di queste, alcune426 pongono «il Vivente compiutamente perfetto»427 prima del Demiurgo, le altre428 invece attribuiscono ad esso la sussistenza dopo il Demiurgo. Se infatti il Demiurgo è, come si è detto, il grande Zeus, e se il modello che 25 sta di fronte al Demiurgo per la generazione del cosmo è «il vivente compiutamente perfetto», queste entità sono, al contempo, 100 unite fra loro ed anche per essenza distinte; ed il Vivente-in-sé, in

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eJautw'/ th;n Divion a{pasan seiravn, oJ de; dhmiourgo;" tou' panto;" Zeu;" noerw'" th;n tou' zwv/ou fuvsin ejn eJautw'/ proesthv5 sato. Kai; ga;r to; aujtozw'/on toi'" pa'sivn ejsti th'" zwh'" corhgo;n kai; zh'/ ta; pavnta di ejkei'no prwvtw" kai; oJ Zeu;" tou' zh'n ai[tio" uJpavrcwn e[cei to; paravdeigma kai; th;n gennhtikh;n ajrch;n th'" tw'n zwv/wn aJpavntwn oujsiva". Eijkovtw" dh; ou\n kai; oJ para; tw'/ Plavtwni Tivmaio" to; nohto;n parav10 deigma zw'/on ajpokalw'n sunavptei to;n dhmiourgiko;n nou'n tw'/ prwvtw/ nohtw'/ zwv/w/ kai; dia; th'" pro;" ejkei'no pantelou'" eJnwvsew" tou' dhmiourgou' kai; patro;" diakosmei' kai; tovde to; pa'n, o{ti dh; th;n dhmiourgivan tou' panto;" eij" auJto;n ajnadhsavmeno" oJ Zeu;" kai; zw'/on uJpavrcwn noero;n h{nwtai 15 pro;" to; nohto;n zw'/on kai; th;n ajnavlogon ejkeivnw/ provodon lacw;n uJfivsthsi pavnta noerw'" o{sa nohtw'" ãejnà ejkeivnw/ proelhvluqe. Trittw'n gavr, w{sper ei[rhtai, tw'n nohtw'n oujsw'n uJpostavsewn, kai; th'" me;n kata; to; ei\nai kai; to; e}n o]n th;n 20 u{parxin lacouvsh", th'" de; kata; th;n nohth;n zwh;n kai; to; mevson kevntron tou' nohtou' plavtou", ou| dh; kai; oJ aijw;n kai; pa'sa hJ zwh; kai; hJ nohth; zwhv, kaqavper pouv fhsin oJ Plwti'no", th'" de; kata; to; nohto;n plh'qo", to; prwvtiston plhvrwma th'" zwh'" kai; pantele;" paravdeigma tw'n o{lwn, 25 aiJ trei'" tw'n noerw'n qew'n basilei'ai tai'" nohtai'" trisi;n uJpostavsesin ajnavlogon dihv/rhntai, kai; oJ me;n kata; th;n ajkrovthta tw'n noerw'n th;n u{parxin klhrwsavmeno", oJ mevgisto" Krovno", kai; patrikh;n e[cwn uJperochvn, ajnavlogon 101 proevsthke th'/ tw'n nohtw'n qew'n ajkrovthti kai; tw'/ krufivw/ diakovsmw/: kai; w{sper ejn ejkeivnw/ pavnta monoeidw'" ejsti kai; ajfravstw" h{nwtai kai; ajdiakrivtw", ou{tw dh; kai; oJ qeo;" ou|to" kai; ta; proelqovnta pavlin eij" eJauto;n ejpistrevfei 5 kai; ejn eJautw'/ kruvptei, to; kruvfion mimouvmeno" th'" prwvth" ajkrovthto". O de; au\ ta; mevsa gevnh tw'n o{lwn perievcwn diavkosmo" kai; plhrouvmeno" me;n ajpo; th'" tou' Krovnou gennhtikh'" dunavmew", plhrw'n de; ajf eJautou' th;n o{lhn dhmiourgivan tw'n zwogonikw'n ojcetw'n, tauvthn ejn toi'" 10 noeroi'" e[cei tavxin h}n ejn toi'" nohtoi'" oJ aijw;n kai; hJ th'" zwh'" ejkeivnh" eJnoeidh;" aijtiva: kai; w{sper ejkeivnh prosecw'" ajpogenna'/ to; nohto;n zw'/on, o} dh; kai; aijwvnion ejpono-

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modo intelligibile, risulta comprendere in se stesso tutta quanta la catena appartenente a Zeus429, mentre il Demiurgo del Tutto, Zeus, ha prestabilito in se stesso, in modo intellettivo, la natura del Vivente. Ed in effetti il Vivente-in-sé è garante della vita per tutti 5 gli esseri e tutti gli esseri vivono in modo primario in virtù di quello430 e Zeus, essendo di fatto principio causale del vivere431, possiede il modello ed il principio generatore dell’essenza di tutti quanti i viventi. È allora a buon diritto che Timeo, in Platone, denominando il modello intelligibile “Vivente”432, congiunge l’intelletto 10 demiurgico al primo Vivente intelligibile e, attraverso la compiutamente perfetta unificazione del «Demiurgo e padre»433 con quello, esso dà ordine anche a questo nostro universo, poiché Zeus, ricollegando la demiurgia del Tutto a se stesso ed essendo, a sua volta, un vivente intellettivo, risulta unito al Vivente intelligibile ed aven- 15 do avuto la sua processione analoga a quella del Vivente intelligibile, fa sussistere in modo intellettivo tutte quante quelle cose che nel Vivente intelligibile erano procedute in modo intelligibile. Infatti tre sono, come si è detto434, le forme di sussistenza intelligibile: la prima ha ottenuto la propria realtà in base all’Essere ed 20 all’Uno-che-è, la seconda in base alla vita intelligibile ed in base al centro intermedio dell’ambito intelligibile, laddove si trovano l’eternità, la vita tutta e la vita intelligibile, come Plotino dice in qualche luogo435; la terza infine in base alla molteplicità intelligibile, la primissima pienezza della vita ed il modello compiutamente perfetto della totalità delle cose. I tre regni degli dèi intellettivi 25 risultano così divisi in modo analogo alle tre forme di sussistenza intelligibile, ed il primo dio, vale a dire il grandissimo Crono, ha ottenuto in sorte la sua esistenza alla sommità degli intellettivi, ed avendo una superiorità paterna, predomina in modo analogo alla 101 sommità degli dèi intelligibili e al loro assetto celato; e come nell’intelligibile tutte le entità sono in modo uniforme e risultano unite in modo inesprimibile e indifferenziato, allo stesso modo questo dio converte di nuovo verso se stesso le entità che sono procedute ed al contempo le cela in se stesso, imitando il caratte- 5 re celato della prima sommità436. A sua volta poi l’ordinamento che comprende i generi intermedi della totalità delle cose e che, da un lato, è ricolmato dalla potenza generativa di Crono, dall’altro ricolma da se stesso la demiurgia universale dei canali generatori di vita437, occupa negli intellettivi lo stesso livello che occupa- 10 no tra gli intelligibili l’eternità e la causa uni-forme della vita di quel genere438; e come questa causa genera immediatamente il Vivente intelligibile, che, appunto, è denominato «eterno»439 pro-

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mavzetai dia; th;n ejkeivnh" mevqexin, ou{tw dh; kai; oJ mevso" kovlpo" tw'n noerw'n qew'n ejkfaivnei to;n dhmiourgo;n tou' 15 panto;" kai; th;n zwopoio;n tw'n o{lwn phghvn. O de; dh; trivto" basileuv", oJ poihth;" a{ma kai; pathvr, tw'/ loipw'/ dhladh; tw'n nohtw'n, tw'/ pantelei' zwv/w/, suvstoicov" ejsti, kai; w{sper ejkei'no" zw'/ovn ejstin, ou{tw dh; kai; aujto;" Zeuv" ejsti: kai; nohtw'" me;n oJ Zeu;" ejn tw'/ pantelei' 20 zwv/w/, noerw'" de; ejn tw'/ Dii; to; pantele;" zw'/on, kai; h{nwtai me;n ajllhvloi" ta; pevrata tw'n te nohtw'n kai; ãtw'nà noerw'n qew'n, kai; meta; th'" eJnwvsew" hJ diavkrisi" sunupavrcei: kai; to; me;n ejxhv/rhtai th'" dhmiourgiva", oJ de; ejpevstraptai pro;" to; nohto;n kai; peplhvrwtai tw'n o{lwn ajgaqw'n 25 ejkei'qen kai; patrikh;n e[lacen uJperoch;n dia; th;n ejkeivnou mevqexin. O me;n ou\n poihth;" kai; path;r tou' kovsmou kai; pavsh" th'" dhmiourgiva" to; eJnoeide;" kravto" ejn auJtw'/ phxavmeno" kai; th;n prwtourgo;n aijtivan th'" tw'n o{lwn ajpogen102 nhvsew" e[cwn te kai; perievcwn kai; ta; pavnta iJdruvsa" ejn auJtw'/ monivmw" kai; pavlin ajf eJautou' paravgwn ajcravntw", toiauvthn ejn toi'" noeroi'" patravsi tavxin klhrwsavmeno" u{mnhtai me;n dia; panto;" wJ" eijpei'n tou' Timaivou th;n govnimon 5 aujtou' kai; patrikh;n ejmfaivnonto" duvnamin kai; provnoian, a[nwqen a[cri tw'n ejscavtwn tou' panto;" dihvkousan: u{mnhtai de; kai; ejn a[lloi" pollacou' dialovgoi" uJpo; tou' Plavtwno", kaq o{son ªa]nº h\n dunato;n th;n monoeidh' kai; hJnwmevnhn aujtou' kai; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn uJmnei'sqai dia; tw'n lovgwn 10 uJperochvn.

15

khV Eij dev ti" tw'n ejn Timaivw/ rJhqevntwn ejn ajrch'/ peri; aujtou' memnhmevno", kai; wJ" euJrei'n te e[rgon aujto;n kai; euJrovnta eij" a{panta" ajduvnaton levgein ajkouvwn, ejpizhtoivh prw'ton me;n dia; tiv th'" Ellhnikh'" qeologiva" o[noma tw'/ dhmiourgw'/ toiou'ton ajneivsh" oi|on e[mprosqen ei[pomen, oJ Tivmaio" a[rrhton aujto;n ei\naiv fhsi kai; pavsh" th'" ejn lovgoi" feromevnh" ejndeivxew" uJperidrumevnon, e[peiq o{pw" aujtw'/ to; me;n nohto;n zw'/on, ejpevkeina tou' dhmiourgou'

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prio per via della partecipazione alla vita intelligibile, così il grembo440 intermedio degli dèi intellettivi rivela il Demiurgo del Tutto e la fonte vivificante della totalità delle cose. Il terzo re, infine, 15 l’«artefice e» insieme «padre»441, con tutta evidenza è coordinato a quello che rimane degli intelligibili, «il Vivente compiutamente perfetto»442, e come quel re è un vivente, allo stesso modo un vivente è anche lo stesso Zeus443; e Zeus si trova in modo intelligibile nel «Vivente compiutamente perfetto», mentre «il Vivente compiuta- 20 mente perfetto» si trova in modo intellettivo in Zeus, e certamente i limiti inferiori degli dèi intelligibili e degli dèi intellettivi risultano uniti tra loro, e con l’unione viene a sussistere al contempo la distinzione: e l’uno444 è trascendente rispetto al Demiurgo, mentre l’altro è convertito verso l’intelligibile ed è ricolmato della totalità dei beni 25 da quel livello ed ha ottenuto una superiorità paterna per via della partecipazione al Vivente intelligibile. Dunque «l’artefice e padre» del cosmo, dato che ha fissato in se stesso la forza uni-forme di tutta la demiurgia, contiene ed al contempo comprende la causa originaria della generazione dell’universo nella sua totalità, ha posto stabilmente in se stesso tutte 102 le cose e a sua volta da se stesso le ha prodotte in modo incontaminato e poiché ha ottenuto in sorte un tale livello tra i padri intellettivi, in questi termini è stato celebrato, per così dire, per tutto il Timeo, che mette in luce la sua potenza generatrice e pater- 5 na e la sua cura provvidenziale che si diffonde fino agli ultimi livelli del Tutto; è inoltre celebrato spesso anche in altri dialoghi da Platone entro i limiti in cui era possibile celebrare per mezzo dei discorsi445 la sua superiorità uniforme, unificata e trascenden10 te rispetto all’universo nella sua totalità. 28 [Come Timeo ha attribuito al Demiurgo il carattere dell’inconoscibilità e dell’ineffabilità] Qualcuno poi, ricordandosi delle affermazioni contenute all’inizio del Timeo, e sentendo che «è un’impresa scoprirlo e scopertolo è impossibile rivelarlo a tutti quanti»446, potrebbe domandare, per prima cosa, per quale motivo, benché la teologia greca447 consacri tale nome al Demiurgo, quale abbiamo riferito precedentemente448, Timeo affermi che egli è ineffabile e posto al di sopra di ogni indicazione che si trasmette in forma di discorsi; ed in seguito potrebbe domandare come mai il Vivente intelligibile, che è

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tetagmevnon, kai; ojnomavzetai kai; polloi'" sunqhvmasi gnwrivzetai, to;n de; dhmiourgo;n ejn deutevra/ tavxei tou' pantelou'" zwv/ou th;n eJautou' basileivan iJdruvsanta kai; noero;n o[nta qeovn, ejkeivnou nohth;n uJperoch;n labovnto", a[rrhton w{sper ei[rhtai kai; a[gnwston ajfivhsi, tavc a]n kai; hJmei'" eJpomevnw" 25 tw'/ Plavtwni ta;" toiauvta" aJpavsa" ajporiva" dialuvein e[coimen. 103 Pa'sa ga;r tavxi" qew'n ajpo; monavdo" a[rcetai kai; kat aujth;n th;n prwtourgo;n aijtivan th'" oijkeiva" proi?statai seira'". Kai; ta; me;n ejggutevrw th'" ajrch'" tauvth" oJlikwvtera tw'n porrwtevrw: profaivnetai de; plevon ajpostavnta th'" 5 monavdo"n ta; oJlikwvtera kai; ta; kat oujsivan uJfeimevna sunavptei toi'" pro; aujtw'n. Kai; e[stin o{lh di o{lh" eJauth'/ hJnwmevnh kai; mivan a[luton ajllhloucivan e[n te toi'" o{loi" kai; toi'" mevresin e[lace kai; dia; th;n monavda th;n sunagwgo;n th'" diakosmhvsew" aJpavsh" eij" e}n kai; peri; eJauth;n ejpev10 straptai kai; eij" tauvthn ajnhvrthtai kai; sunelivssetai pa'sa kat aujthvn. Eij dh; tau'ta ajlhqh' levgomen, kaq eJkavsthn tavxin hJ mona;" th;n ajnavlogon ejklhrwvsato tw'/ ajgaqw'/ pro;" to; plh'qo" uJperochvn, kai; w{sper hJ tw'n ajgaqw'n o{lwn eJniaiva kai; toi'" pa'sin a[lhpto" aijtiva pavntwn ejsti;n ejxh/rh15 mevnh kai; peri; auJth;n uJpesthvsato pavnta kai; ajf eJauth'" ejgennhvsato kai; ta;" eJnwvsei" tw'n pavntwn eij" th;n a[rrhton eJauth'" uJperevnwsin ajnhvrpasen, ou{tw dh; kai; pavsh" diakosmhvsew" hJ monoeidh;" kai; panto;" gennhtikh; tou' sustoivcou plhvqou" ajrch; th;n o{lhn eJauth'" seira;n sunevcei kai; 20 frourei' kai; teleioi' kai; to; ajgaqo;n aujth'/ divdwsin ajf eJauth'" kai; tavxew" plhroi' kai; aJrmoniva", kai; tou'tov ejsti toi'" eJauth'" ejkgovnoi" o} to; ajgaqo;n a{pasi toi'" ou\si kai; ejfetovn ejsti toi'" ajp aujth'" wJrmhmevnoi" a{pasin. Ou{tw dh; ou\n th'" me;n patrikh'" o{lh" diakosmhvsew" hJ 25 tou' nohtou' patro;" e{nwsi" prou>fevsthke, th'" de; sunektikh'" hJ miva tw'n sunocevwn oJlovth", th'" de; zwogonikh'" hJ prwtourgo;" aijtiva th'" zwh'": kai; toivnun kai; th'" dhmiourgikh'" aJpavsh" seira'" eij" triavda th;n tw'n Kronivwn paivdwn ajnhrthmevnh" prosecw'", hJ mona;" hJ ta; o{la dhmiourgou'sa kai; 104 th'" triavdo" tauvth" uJperivdrutai kai; pavnta" tou;" dhmiourgikou;" qeou;" ejn eJauth'/ perievcei kai; pro;" eJauth;n ejpistrevfei, 20

n

Cfr. nota alla traduzione.

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posto, per ordinamento, al di sopra del Demiurgo, da Timeo sia 20 denominato e reso conoscibile per mezzo di molteplici segni distintivi449, mentre il Demiurgo, che ha posto il suo regno ad un livello inferiore rispetto al Vivente compiutamente perfetto e che è intellettivo – invece il Vivente compiutamente perfetto ha ottenuto una superiorità intelligibile – lo lascia ineffabile, come si è detto, ed inconoscibile. Forse anche noi, sulla scorta di 25 Platone, potremmo risolvere tutte queste difficoltà. In effetti ogni ordine di dèi ha inizio da una monade ed in base 103 alla sua stessa causa originaria regola la propria serie. E le entità più vicine a questo principio sono più universali rispetto a quelle più lontane450; d’altra parte le entità più universali si manifestano solo se sono più remote dalla monade451 e connettono le entità per 5 essenza inferiori a quelle che le precedono. Ed intero è nella sua interezza unificato a se stesso, ha ottenuto un’unica indissolubile continuità sia negli interi che nelle parti ed in virtù della monade che raccoglie in un’unità tutto quanto l’ordinamento risulta al contempo convertito in relazione a se stesso e dipendente da questa monade e si avviluppa tutto in 10 essa. Se queste nostre affermazioni sono vere, in ogni ordine la monade ha ottenuto in sorte una superiorità rispetto alla molteplicità, analoga a quella del Bene, e come la causa unitaria della totalità dei beni e non coglibile per tutti è trascendente rispetto a tutte le cose, le ha fatte sussistere tutte in relazione a se stessa, da se 15 stessa le ha generate ed ha trascinato con forza le unità di tutte le cose in direzione della sua indicibile unità superiore, allo stesso modo il principio di ogni ordinamento, uniforme e generatore di ogni molteplicità coordinata, contiene l’intera sua propria serie, la custodisce, la rende perfetta, le dona da se 20 stesso il bene, la ricolma di ordine e di armonia, è per i propri prodotti generati ciò che è il Bene per tutti quanti gli enti e di conseguenza è oggetto di desiderio per tutte quante le entità che provengono da esso. Allo stesso modo, dunque, a tutto l’ordinamento paterno nella sua interezza è preesistita l’unità propria del padre intelligibile, 25 mentre a tutto l’ordinamento connettivo è preesistita la totalità dei connettori452, ed ancora all’ordinamento generatore di vita è preesistita la causa originaria della vita; e pertanto, dal momento che anche tutta quanta la serie demiurgica risulta dipendere direttamente dalla triade dei figli di Crono, la monade che ha costruito l’universo nella sua totalità al contempo è posta al di sopra di 104 questa triade, comprende in se stessa tutti gli dèi demiurgici, li

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kai; e[stin ajgaqoeidh;" kai; miva tw'n ajriqmw'n aJpavntwn tw'n dhmiourgikw'n phgh; kai; pro;" pa'san wJ" eijpei'n th;n tavxin 5 tauvthn ajnavlogon uJfevsthke tw'/ eJni; kai; th'/ mia'/ tw'n pavntwn ajrch'/. Tau'ta dh; ou\n oJ Tivmaio" hJmi'n ejndeiknuvmeno" duvsgnwston aujth;n kai; ajperihvghton eujqu;" ejn ajrch'/ th'" tou' kovsmou genevsew" ei\nai tivqetai wJ" tw'/ ajrrhvtw/ kai; ajgnwvstw/ tw'n 10 o[ntwn aJpavntwn aijtivw/ to;n aujto;n e[cousan lovgon. Oqen oi\mai kai; tw'n aijtivwn a[riston ajpokalei' to;n dhmiourgo;n kai; patevra tou'de tou' pantov", wJ" ejn toi'" dhmiourgoi'" ajkrotavthn tavxin lacovnta kai; pavsa" ta;" poihtika;" ajrca;" eij" eJauto;n sunelivssonta kai; ajf eJautou' proballov15 menon. All ejkei'no me;n to; e}n oJ Parmenivdh" a[gnwston pantelw'" kai; a[rrhton ajpodeivknusi, to;n de; poihth;n kai; patevra tou' kovsmou fhsi;n oJ Tivmaio" euJrei'n te e[rgon kai; eij" a{panta" ajduvnaton levgein, a} dh; th'" pa'san gnw'sin kai; pavnta lovgon ajpofugouvsh" aijtiva" 20 uJfei'tai kai; pro;" th;n tw'n gnwstw'n kai; rJhtw'n fuvsin ajponeuvein dokei'. To; ga;r eij" a{panta" ajduvnaton levgein oujk a[rrhton aujto;n pavnth/ kai; a[fraston ajfivhsi: kai; to; euJrei'n te e[rgon ouj th'" ajgnwvstou pantelw'" ejstin ijdiovthto" suvnqhma. Diovti ga;r ejn deutevrai" tou' ajgaqou' 25 tavxesi kai; pollostai'" th;n ajnavlogon aujtw'/ proesthvsato basileivan, metevcei me;n tw'n ejkeivnou sunqhmavtwn, meta; de; th'" oijkeiva" ijdiovthto" kai; th'" proshkouvsh" aujtw'/ pro;" ta; o[nta koinwniva" e[lace th;n mevqexin: kai; w{sper ajgaqov" ejstin, ajll oujk aujto; to; ajgaqovn, ou{tw kai; duvsgnwstov" 105 ejsti toi'" met aujtovn, ajll oujk a[gnwsto", kai; mustikoi'" lovgoi" ajneufhmouvmeno", ajll ouj pantelw'" a[rrhto". All oJra'/" aujth;n tw'n pragmavtwn th;n tavxin kai; th;n ejn aujtoi'" u{fesin eij" to; kavtw proi>ou'san, wJ" to; me;n ajgaqo;n 5 kai; sigh'" ejstin aJpavsh" kai; lovgwn aJpavntwn ejxh/rhmevnon: to; de; tw'n nohtw'n qew'n gevno" siwph'/ caivrei kai; toi'" ajrrhvtoi" sumbovloi" ajgavlletai, dio; kai; oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" teletw'n aJgiwtavthn ajpokalei' th;n tw'n nohtw'n monavdwn qevan wJ" sigwmevnhn kai; ajporrhvtw" nooumevnhn: to; de; tw'n 10 noerw'n rJhto;n mevn ejstin, ajll oujk eij" a{panta" rJhtovn, kai; gnwstovn, ajlla; meta; calepovthto" gnwstovn, dia; ga;r th;n

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converte verso se stessa, è di forma simile al Bene, è fonte unica di tutti quanti gli insiemi demiurgici ed in rapporto a tutto questo ordine, per così dire, è sussistita in modo analogo all’Uno ed 5 all’unico Principio di tutte le cose. Ebbene, Timeo, mostrandoci questi aspetti, stabilisce, subito all’inizio della parte dedicata alla generazione del cosmo, che essa è difficilmente conoscibile e non descrivibile, visto che essa ha la 10 stessa funzione del principio causale ineffabile ed inconoscibile di tutti quanti gli enti. Ed è a partire da qui, a mio giudizio, che «il Demiurgo e padre di questo nostro universo»453 lo denomina anche «il migliore dei principi causali»454, in considerazione del fatto che tra i demiurghi ha ottenuto un livello assolutamente supremo, che raduna in se stesso tutti i principi produttivi e che li produce a partire da se stesso. Ma quell’Uno, Parmenide dimostra 15 che è completamente inconoscibile ed ineffabile455, invece «l’artefice e padre» del cosmo Timeo afferma che «è un’impresa scoprirlo ed una volta scopertolo è impossibile comunicarlo a tutti quanti»456, caratteristiche che sono inferiori alla causa che rifugge ogni conoscenza ed ogni discorso e sembrano piegare verso la natura 20 delle entità conoscibili e dicibili. In effetti l’espressione «è impossibile comunicarlo a tutti quanti» non lo lascia del tutto ineffabile ed indicibile; e l’espressione «è un’impresa» non è segno distintivo del carattere di completa inconoscibilità. In effetti , poiché negli ordinamenti inferiori al Bene e da esso assai lon- 25 tani, ha prestabilito il proprio regno come analogo a quello dell’Uno, da un lato partecipa dei segni distintivi di quello, dall’altro però ha ricevuto la partecipazione con il carattere specifico che gli è proprio e con la comunione, a lui confacentesi, con gli enti; e come è «buono»457, ma non è il Bene in sé, allo stesso modo è difficile da conoscere per le entità che vengono dopo di lui, ma 105 non è inconoscibile, ed è celebrato con discorsi misterici, ma non è indicibile in modo assoluto. Ad ogni modo, si può vedere l’ordine stesso delle realtà ed il loro progressivo decadimento verso il basso: il Bene è trascenden- 5 te sia rispetto ad ogni forma di silenzio sia rispetto ad ogni tipo di discorso458; a sua volta il genere degli dèi intelligibili gioisce del silenzio e si compiace dei simboli ineffabili; ecco perché Socrate nel Fedro denomina “la più santa tra le iniziazioni” la visione delle monadi intelligibili459, in considerazione del fatto che è ottenuta nel silenzio ed è fatta oggetto di intellezione in modo ineffabile; infine il genere degli intellettivi è certo dicibile, ma non 10 dicibile a tutti quanti, ed è conoscibile, ma conoscibile con diffi-

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pro;" to; nohto;n u{fesin ajpo; th'" sigh'" kai; th'/ nohvsei movnh/ katalhpth'" uJperoch'" eij" th;n tw'n rJhtw'n h[dh proelhvluqe diakovsmhsin. kqV All eij tou'to, pollw'/ dhvpou ma'llovn ejsti to; pantele;" zw'/on a[rrhton kai; a[gnwston th'" dhmiourgikh'" monavdo": kai; ga;r ejkei'no pavsh" oJmou' th'" paradeigmatikh'" tavxewv" ejsti monav", kai; nohtovn ejstin, ajll ouj noerovn. Pw'" 20 ou\n ejkei'no me;n kai; ojnomavzein kai; oi|ovn ejstin ejkfaivnein ejpiceirou'men, th;n de; dhmiourgikh;n aijtivan ou{tw" ajposemnuvnomen kai; toi'" ajrrhvtoi" eij" taujtovn pw" a[gomen Mh; ga;r oujk h\/ tau'ta tou' Plavtwno" ejpevkeina to; aujtozw'/on tou' dhmiourgou' protavttonto", ajll ejn deutevra/ pou tavxei 25 qew'n aujtw'/ th;n uJpovstasin didovnto", ou| tetagmevnon kai; 106 rJhto;n e[stai kai; gnwsto;n ma'llon th'" dhmiourgikh'" monavdo". Epei; kai; to; kavlliston me;n ejponomavzein to; pantele;" ejkei'no zw'/on, a[riston de; tw'n aijtivwn to;n dhmiourgovn, th;n aujth;n dhvpou toi'" aijtivoi" touvtoi" pro;" 5 a[llhla divdwsin ajnalogivan h}n tw'/ ajgaqw'/ pro;" to; kavllo": kai; w{sper to; ajgaqo;n pro; tou' kavllou" (ejn ga;r proquvroi" ejsti; tou' ajgaqou' to; prwvtiston kavllo", w{" fhsin oJ ejn tw'/ Filhvbw/ Swkravth"), ou{tw dh; kai; to; a[riston pro; tou' kallivstou kai; oJ dhmiourgo;" 10 pro; tou' pantelou'" zwv/ou. Tou' me;n ga;r ajgaqou' to; a[riston diaferovntw" metevcei, tou' de; kavllou" to; kavlliston. Legevsqw toivnun kai; pro;" tau'ta par hJmw'n o{ti to; kavlliston kai; to; a[riston aJplw'" me;n ou{tw" e[cei pro;" 15 a[llhla kata; th;n tavxin wJ" to; ajgaqo;n pro;" to; kalovn (hJ ga;r th'" ajgaqovthto" o{lh" seira; th'" tou' kalou' proovdou pavsh" kai; diakosmhvsew" uJperhvplwtai), ãoujà pantacou' de; a[ra to; a[riston tou' kallivstou provterovn ejsti, kai; to; me;n pro;" th;n uJfeimevnhn tavxin a[riston ãa]nà ei[h, 20 to; de; wJ" pro;" th;n kreivttona kavlliston. Levgw de; oi|on to; me;n kavlliston wJ" ejn nohtoi'" e[coi th;n ijdiovthta tauvthn, 15

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coltà: in effetti per via del suo decadimento rispetto all’intelligibile, dal silenzio e da una superiorità coglibile con la sola intellezione è ormai proceduto verso l’ordinamento delle realtà dicibili. 29 [Per quale motivo ritiene possibile denominare e conoscere il Vivente intelligibile, mentre lascia il Demiurgo inconoscibile ed ineffabile]

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Ma se è così, «il Vivente compiutamente perfetto»460 è, a mio avviso, ineffabile e inconoscibile in misura molto maggiore rispetto alla monade demiurgica; ed infatti quello è monade di tutto insieme l’ordinamento relativo ai modelli, ed è un intelligibile, ma non un intellettivo461. Come dunque possiamo cercare di nominarlo e di 20 rivelare quale sia la sua natura, mentre la causa demiurgica la magnifichiamo a tale punto e la identifichiamo, in certa misura, con le realtà ineffabili? In effetti non è possibile che queste concezioni appartengano a Platone, il quale pone il Vivente-in-sé, per ordinamento, prima ed al di là del Demiurgo, ma poi finisce, in qualche modo, per attribuirgli la sussistenza ad un livello inferiore di dèi, 25 ove, una volta posto, esso risulterà dicibile ed al contempo conosci- 106 bile in misura maggiore rispetto alla monade demiurgica. Infatti chiamare questo Vivente compiutamente perfetto «il più bello»462, mentre il Demiurgo «il migliore dei principi causali»463 conferisce a questi principi causali, a mio giudizio, lo stesso rapporto reciproco 5 che appartiene al Bene rispetto alla Bellezza; e come il Bene viene prima della Bellezza (infatti la primissima Bellezza si trova «nel vestibolo del Bene», come afferma Socrate nel Filebo464), così «il migliore» viene prima de «il più bello» ed il «Demiurgo» viene pri- 10 ma del «Vivente compiutamente perfetto». Infatti «il migliore» partecipa soprattutto del Bene, mentre «il più bello» della Bellezza. Pertanto contro queste concezioni noi dobbiamo dire che “il più bello” ed “il migliore”, considerati in assoluto, hanno, sì, fra 15 loro lo stesso ordine che ha il Bene rispetto alla Bellezza (infatti la serie della bontà universale risulta superiore per semplicità a tutta la processione e l’ordinamento del Bello), però 465 in ogni ambito “il migliore” viene prima, di conseguenza, de “il più bello”, e l’uno potrebbe essere “il migliore” in rapporto al livello inferiore, l’altro potrebbe essere “il più bello” in rapporto a quello 20 superiore. Intendo dire per esempio che “il più bello” potrebbe avere questa caratteristica nell’ambito degli intelligibili, invece “il

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to; de; a[riston wJ" ejn noeroi'", kai; eij to; me;n kavlliston ejn toi'" uJperkosmivoi" ei[h toiou'ton, to; de; a[riston wJ" pro;" tou;" ejn tw'/ kovsmw/ levgoito qeouv". 25 Eij toivnun oJ me;n tw'n aijtivwn a[risto" th'" dhmiourgikh'" hJgei'tai seira'" kai; kat ejkeivnhn e[lace th;n toiauvthn uJperochvn, to; de; tw'n nohtw'n zwv/wn kavlliston ejn uJpertevra/ tavxei th;n tou' kavllou" ejxaivreton proesthvsato 107 duvnamin, tiv" mhcanh; dia; tau'ta to; nohto;n kai; pantele;" zw'/on th'" noera'" aijtiva" katadeevsteron ajpofaivnein kai; to;n dhmiourgo;n eij" ta; met aujto;n ejpistrevfein (h] pw'" oJrato;n aujtw'/ to; aujtozw'/on ei\naiv fhsiv ti") kai; to; 5 pantele;" zw'/on kai; tw'n nohtw'n aJpavntwn perilhptiko;n aujto; periecovmenon uJp a[llou poiei'n Estai ga;r ou{tw" oJ dhmiourgo;" tou' aujtozwv/ou perilhptikwvtero", ei[per ejkei'no" me;n kata; to; a[riston carakthrizovmeno" uJperhvplwtai tou' paradeivgmato", to; de; wJ" kavlliston 10 prosrhqe;n deuvterovn ejsti th'" dhmiourgikh'" aijtiva". Alla; mh;n kajkei'no me;n to; pantele;" kai; nohto;n zw'/on kata; th;n eijdhtikh;n fuvsin oJ Tivmaio" diaferovntw" skopouvmeno", ajll ouj kata; th;n e{nwsin th;n ejn aujtw'/ kai; th;n uJpe;r ta; ei[dh tou' panto;" uJpovstasin, eijkovtw" dhvpou to; me;n aujtozw'/on kai; 15 gnw'nai dunato;n kai; lovgw/ dhlwqh'nai sugcwrei', to;n de; dhmiourgo;n a[rrhtovn pw" kai; gnwvsew" kreivttona prosonomavzei. Amfw me;n gavr, kai; oJ dhmiourgo;" levgw kai; to; aujtozw'/on, metevcei th'" eJnwvsew" kai; pro; th'" eijdikh'" oujsiva" tw'/ eJni; sunevcetai, kai; eij ta;" eJnavda" ta;" ejn aujtoi'" lambav20 noi", nohth;n me;n th;n tou' paradeivgmato" ei\nai qhvsei" eJnavda, noera;n de; th;n dhmiourgikhvn, kai; tou' eJno;" tou' prwtivstou kai; ajgnwvstou kai; ajlhvptou toi'" pa'sin ejggutevrw th;n nohth;n u{parxin th'" noera'". Eij de; tou' me;n paradeivgmato" ta; ei[dh kaq auJta; qewrei'n ejqevloi", kaq o} kai; parav25 deigma levgetai tw'n ejn tw'/ kovsmw/ pavntwn, tou' de; dhmiourgou' th;n ajgaqovthta kai; th;n e{nwsin, gnwsta; me;n ejkei'na kai; rJhtav soi fanei'tai, to; de; dhmiourgiko;n ai[tion metevcon th'" ajgnwvstou kai; ajrrhvtou tw'n qew'n ijdiovthto". 108 Kai; ga;r au\ kai; oJ Tivmaio" tou' me;n dhmiourgou' kai; patro;" dei'tai diaferovntw" wJ" uJpostavtou tw'n o{lwn kai; gennhvtoro" tou' kovsmou, to; de; genna'n kai; paravgein kai; to;

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migliore” nell’ambito degli intellettivi, e se “il più bello” fosse tale negli ipercosmici, “il migliore” invece si potrebbe dire in rapporto agli dèi che sono nel cosmo466. Pertanto se «il migliore dei principi causali» è alla testa della 25 serie demiurgica ed è limitatamente a questa serie che ha ottenuto tale superiorità, mentre «il più bello» dei viventi intelligibili, in un ordinamento superiore, ha preposto per sé la potenza che è prerogativa specifica della Bellezza, quale artificio, in virtù di tali consi- 107 derazioni, può far apparire «il Vivente» intelligibile e «compiutamente perfetto» inferiore alla causa intellettiva, può far volgere il Demiurgo verso entità che vengono dopo di lui (oppure, come si può dire che il Vivente-in-sé è «visibile»467 per il Demiurgo?) e può far sì che «il Vivente compiutamente perfetto» e capace di 5 comprendere in sé tutti quanti gli intelligibili risulti esso stesso compreso da altro? In effetti il Demiurgo risulterà in questo caso più capace di comprendere rispetto al Vivente-in-sé, se è vero che egli, in quanto caratterizzato come “il migliore”, risulta superiore per semplicità rispetto al modello, mentre il Vivente-in-sé, a sua volta, in considerazione del fatto che è stato denominato “il più 10 bello”, è inferiore alla causa demiurgica. Ma in verità è naturale, a mio avviso, che Timeo, esaminando in modo particolare anche questo “Vivente compiutamente perfetto” ed intelligibile, in base alla sua natura formale, ma non in base alla unità in lui insita ed alla sua realtà posta al di sopra delle forme del Tutto, ammetta che 15 è possibile conoscere il Vivente-in-sé ed anche rivelarlo con il discorso, mentre appella il Demiurgo in certa misura “ineffabile” e “superiore” alla conoscenza. Entrambi, infatti, intendo dire il Demiurgo ed il Vivente-in-sé, partecipano dell’unità e sono contenuti, prima della loro essenza formale, dall’Uno, e se si considerassero le enadi insite in essi, si dovrà porre che l’enade del modello 20 è intelligibile, mentre intellettiva quella demiurgica, e che più vicino all’Uno, primissimo, inconoscibile ed incoglibile per tutti, si trova la realtà intelligibile rispetto a quella intellettiva. Se poi si volessero considerare del modello le Forme in se stesse, aspetto in base al quale esso viene detto appunto “modello” di tutte le enti- 25 tà presenti nel cosmo, mentre a proposito del Demiurgo la bontà e l’unità, le prime appariranno conoscibili e dicibili, invece il principio causale demiurgico apparirà partecipe del carattere della inconoscibilità ed ineffabilità proprio degli dèi. Ed inoltre Timeo ha di fatto bisogno «del Demiurgo e padre» 108 soprattutto come origine del sussistere dell’universo nella sua totalità e come progenitore del cosmo; invece il generare e pro-

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pronoei'n qew'n ejstin i[dion, kaq o{son eijsi; qeoiv, dio; kai; aujto;" th;n ijdiovthta tou' dhmiourgou', kaq h}n kai; qeov" ejsti, th'" ajpogennhvsew" aijtivan tou' panto;" kai; kuriwtavthn ajrch;n ejponomavzei th'" tw'n o{lwn diakosmhvsew": tou' de; paradeivgmato" wJ" ta; prwvtista perievconto" ei[dh, kaq a} kai; oJ kovsmo" e[mellen eijdopoiei'sqai. Eijkw;n gavr ejsti tou' paradeivgmato", ajpotevlesma de; tou' dhmiourgou': paradeivgmati me;n ou\n ei\nai proshvkei tw'/ prwtivstw/ tw'n eijdw'n, dhmiourgw'/ de; tw'/ ajrivstw/ tw'n aijtivwn kata; th;n ajgaqovthta th;n eJautou' kai; th;n th'" oujsiva" u{parxin. Kaqavper ga;r ei[pomen, to; gennhtiko;n kai; uJpostatiko;n a[llwn kai; pronohtiko;n aujtoi'" diafevrei toi'" qeoi'", ajll ouj toi'" ejxhrthmevnoi" aujtw'n prwvtw": ajlla; kai; tau'ta di ejkeivnou" e[lace th;n govnimon tw'n deutevrwn periousivan. Tau'tav moi dokei' kai; oJ ejn th'/ Politeiva/ Swkravth" ejndeiknuvmeno" mh; provteron to;n h{lion genevsew" ai[tion eijpei'n pri;n aujto;n tou' ajgaqou' kai; th'" uJperousivou tw'n o{lwn ajrch'" e[kgonon ajpofhvnhtai, kaqavper dh; kai; oJ Tivmaio" ouj provteron a[rcetai th'" tou' panto;" dhmiourgiva" pri;n th;n ajgaqovthta tou' dhmiourgou' tw'n o{lwn ajnumnhvsh/. Kata; ga;r to; ajgaqo;n eJkavterov" ejstin uJpostavth", oJ me;n tou' pantov", oJ de; th'" genhth'" fuvsew", ajll ouj kata; to;n nou'n to;n ejn aujtoi'" h] th;n zwh;n h] a[llo ti th'" oujsiva" ei\do": kai; ga;r tau'ta dia; th;n tou' ajgaqou' mevqexin uJfivsthsi ta; met aujtav. lV Pro;" me;n ou\n ta;" eijrhmevna" ajporiva" dia; touvtwn hJmi'n ajpokekrivsqw. Upovloipon dev ejstiv moi tw'n peri; th'" o{lh" dhmiourgiva" problhmavtwn eijpei'n periv te tou' krath'ro" h}n e[comen dovxan kai; peri; tw'n kerannumevnwn ejn aujtw'/ genw'n: tau'ta ga;r dh; kai; oJ Tivmaio" eij" th;n th'" yuch'" gevnesin th'/ dhmiourgikh'/ suntavttei monavdi. Keravnnusi me;n

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durre ed il prendersi provvidenzialmente cura sono propri degli dèi, nella misura in cui sono dèi: ecco perché egli denomina il carattere specifico del Demiurgo, in base al quale appunto risulta un dio, “causa” della generazione del Tutto e “principio” dell’opera di ordinamento dell’universo nella sua totalità468; invece ha bisogno del modello in quanto esso comprende in sé le primissime Forme469, in base alle quali il cosmo doveva ricevere forma. Infatti esso è immagine del modello, ma realizzazione del Demiurgo; al modello dunque si addice essere la primissima fra le Forme, mentre al Demiurgo essere «il migliore dei principi causali» in base alla sua bontà e alla realtà della sua essenza. Come infatti abbiamo detto, la capacità di generare, di essere origine del sussistere di altre entità e di prendersene provvidenzialmente cura appartiene agli dèi stessi, ma non a quelle entità che dipendono primariamente da essi470; ma a loro volta anche queste entità hanno ricevuto in virtù di quegli dèi la loro sovrabbondanza generativa di entità inferiori. Queste a me sembrano le indicazioni che fornisce anche Socrate nella Repubblica quando definisce il sole principio causale della generazione non prima di aver mostrato che esso è «prole del Bene»471 e del Principio sovraessenziale di tutte le cose nella loro totalità, allo stesso modo in cui Timeo incomincia il suo discorso sulla demiurgia del Tutto non prima di aver celebrato la bontà del Demiurgo dell’universo nella sua totalità472. Infatti è in base al Bene che ciascuno dei due è origine del sussistere, il Demiurgo del Tutto, il sole della natura generata, ma non in base all’intelletto in essi insito o alla vita o a qualche altra forma dell’essenza; ed infatti queste entità fanno sussistere quelle che le seguono in virtù della partecipazione al Bene.

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109 30 [Dottrina teologica sul “cratere” nel “Timeo”, che illustra quali sono i generi che sono stati in esso mescolati e in che modo è principio causale dell’essenza delle anime]

Dunque alle suddette difficoltà dobbiamo rispondere con queste considerazioni. D’altra parte mi resta da dire, tra le questioni concernenti la demiurgia universale, la nostra opinione sul «cratere»473 e sui generi che vengono in esso mescolati; sono proprio questi infatti che Timeo coordina alla monade demiurgica in vista della generazione dell’anima. Dunque a mescolare gli ele-

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ou\n oJ dhmiourgo;" ta; stoicei'a th'" tw'n yucw'n uJpostavsew", keravnnutai de; ta; mevsa gevnh tou' o[nto", uJpodevcetai de; th;n 10 kra'sin tauvthn kai; sunapogenna'/ tw'/ dhmiourgw'/ ta;" yuca;" oJ poluuvmnhto" krathvr. Ta; me;n toivnun tou' o[nto" gevnh ditta; th;n prwvthn qetevon: kai; ta; me;n tw'n oJlikw'n uJpostavsewn sumplhrwtikav, ta; de; tw'n merikw'n. Kai; tw'n me;n prwtourgw'n kai; hJnwmevnwn aijtivwn 15 ta;" uJpavrxei" ejn toi'" nohtoi'" qeoi'" iJdru'sqai sugcwrhtevon. Ekei' ga;r kai; hJ oujsiva prwvtw", ejn th'/ tw'n nohtw'n ajkrovthti, kai; hJ kivnhsi" kai; hJ stavsi" ejn tw'/ mevsw/ kevntrw/. Mevnei ga;r oJ nohto;" aijw;n ejn eJniv, kai; oJmou' mevnei kai; th'" zwh'" aJpavsh" ejsti; kruvfio" aijtiva. Dio; kai; oJ me;n Plwti'no" 20 zwh;n ajpokalei' to;n aijw'na th;n mivan kai; o{lhn kai; au\ ejn a[lloi" nohth;n zwhvn, oJ de; trivto" ajpo; touvtou Qeovdwro" stavsin aujto;n ejponomavzei: kai; tau'ta ajmfovtera ta; doxavsmata sunhvrmostai ajllhvloi", o{ti dh; kai; stavsi" ejsti;n ejn tw'/ aijw'ni (mevnei ga;r ejn eJni; kata; to;n Tivmaion) 25 kai; kivnhsi" (zwh; gavr ejsti nohth; kai; to; metevcon aujtou' 110 nohtovn ejsti zw'/on). Kai; mh;n kai; hJ taujtovth" kai; hJ eJterovth" ejn tw'/ pevrati tw'n nohtw'n. Povqen ga;r to; plh'qo" h] ejk th'" eJterovthto" Povqen de; hJ tw'n merw'n pro;" ta; o{la koinwniva kai; hJ tw'n diairoumevnwn ejn ajllhvloi" u{parxi" h] ejk th'" 5 taujtovthto" Kai; ga;r to; e}n ejkei'no tou' o[nto" metevcei kai; to; o]n tou' eJnov", kai; di ajllhvlwn ajsugcuvtw" dihvkei ta; movria pavnta tou' eJno;" o[nto". Ama ga;r kai; to; taujto;n ajei; kai; to; e{terovn ejsti krufivw", kai; pa'n to; nohto;n plavto" kata; ta; prwvtista kai; eJnoeidevstata gevnh th;n uJpovstasin 10 e[lace. Kai; w{sper hJ oujsiva kata; th;n prwvthn ejxefavnh triavda meta; tou' eJnov", ou{tw kai; hJ kivnhsi" ejn th'/ deutevra/ kai; hJ stavsi", kai; hJ taujtovth" ejn th'/ trivth/ kai; hJ eJterovth". Kai; pavnta oujsiwdw'" ejn tw'/ nohtw'/, kaqavper dh; kai; hJ zwh; kai; oJ nou'" ejkei' nohtw'". Epeidh; ga;r ajpo; tw'n nohtw'n 15 pavnta proveisi ta; o[nta, kat aijtivan ejkei' pavnta prou>pavrcei, kai; hJ kivnhsi" ejkei' kai; hJ stavsi" oujsiwdw'", kai; hJ taujtovth" kai; hJ eJterovth" eJnoeidw'". Pavlin ejn toi'" mevsoi" gevnesi tw'n nohtw'n kai; noerw'n uJpostavsewn ta; aujta; deutevrw" ejsti; kai; zwtikw'", ejn me;n 20 th'/ ajkrovthti th'" oujsiva" ou[sh" (peri; ga;r tauvth" th'" tavxew" kai; oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" dialegovmeno" ajpo; th'" oujsiva" th;n o{lhn ejcarakthvrisen: H ga;r ajcrwvmato"

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menti che fanno sussistere le anime è il Demiurgo; ad essere mescolati, invece, sono i generi intermedi dell’essere; infine a ricevere questa mescolanza e a generare insieme al Demiurgo le anime 10 è il molto celebrato474 «cratere». Ebbene, in primo luogo, si deve stabilire che i generi dell’essere475 sono di due sorte: gli uni sono i costituenti delle sussistenze universali, gli altri invece di quelle particolari. E si deve conveni- 15 re che le realtà dei principi causali originari ed unificati sono poste negli dèi intelligibili. Lì infatti, primariamente, si trova l’essenza, nella sommità degli intelligibili, ed il movimento e la quiete nel centro intermedio476. Infatti «l’eternità» intelligibile «permane in un’unità»477, ed al contempo permane ed è causa celata di tutta quanta la vita. Perciò Plotino478 denomina l’eternità “vita”, quella che è unica, universale, ed altrove ancora “vita intel- 20 ligibile”, mentre il terzo a partire da Plotino, Teodoro, la chiama “quiete”479; ed entrambe queste opinioni risultano in accordo fra loro, poiché nell’eternità si trova sia “quiete” (infatti «permane in un’unità» secondo Timeo) sia movimento (infatti è vita intelligibi- 25 le e ciò che partecipa di esso è un vivente intelligibile). Ed inoltre 110 l’identità e la differenza, a loro volta, si trovano nel limite inferiore degli intelligibili. In effetti, da dove viene la molteplicità se non dalla differenza? Da dove poi viene la comunione delle parti con gli interi ed il sussistere proprio delle entità divise le une nelle altre se non dall’identità? Ed infatti l’uno di questo livello parte- 5 cipa dell’essere e l’essere dell’uno, e tutte le componenti dell’Unoche-è passano, senza confondersi, le une attraverso le altre. In effetti l’identico e il diverso esistono sempre insieme in modo celato, e tutto l’ambito intelligibile ha ottenuto la propria sussistenza in conformità con i generi primissimi ed assolutamente più uni-formi. E come l’essenza si è rivelata nella prima triade insieme 10 all’uno, così il movimento e la quiete nella seconda, e l’identità e la differenza nella terza480. E tutte le entità sono nell’intelligibile in forma di essenza, nella misura in cui sia la vita che l’intelletto lì sono in modo intelligibile. Infatti, dal momento che tutti gli enti 15 procedono dagli intelligibili, lì tutte le entità preesistono in senso causale, ed il movimento e la quiete in forma essenziale, e l’identità e la differenza in modo uni-forme. A loro volta nei generi intermedi delle realtà intelligibili-intellettive, si trovano le stesse entità ad un livello inferiore e conforme alla vita481: nella sommità si trova l’essenza482 (infat- 20 ti Socrate nel Fedro, discutendo di questo ordinamento, lo ha per intero caratterizzato a partire dall’essenza: «Infatti l’essenza che è

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kai; ajschmavtisto" kai; ajnafh;" oujsiva o[ntw" ou\sa tou'ton e[cei to;n tovpon): ejn de; tw'/ mevsw/ kevntrw/ 25 kinhvsew" kai; stavsew" (ejkei' ga;r hJ tou' oujranou' periforav, kaqavper fhsi;n oJ aujtov", ejn eJni; me;n ajklinw'" eJstw'sa nohvsew" ei[dei, kinoumevnh de; ejn eJauth'/ kai; pro;" eJauthvn, ma'llon de; kivnhsi" ou\sa kai; zwh; diaiwvnio"): ejn de; 111 tw'/ loipw'/ dhladh; to; taujto;n kai; e{teron tw'/ pevrati th'" tavxew" tauvth" zwtikw'" i{drutai, dio; kai; ejpistrevfei pro;" th;n ajrch;n kata; th;n th'" taujtovthto" fuvsin, kai; diairei'tai monoeidw'" kai; proveisin eij" ajriqmou;" pleivona" kai; meri5 kwtevra" ajpogenna'/ ajf eJautou' monavda". Pavlin ejn toi'" trivtoi" diakovsmoi" oJ me;n tw'n noerw'n qew'n ajkrovtato" kata; th;n oujsivan e[cei ta; pavnta kai; e[stin aujto; to; nohto;n kai; to; o[ntw" o]n ejn toi'" noeroi'", th;n ejn auJtw'/ diavkrisin eij" ajdiavkriton au\qi" ejpanakalouvmeno" 10 e{nwsin: hJ de; mevsh tavxi" kata; th;n kivnhsin oJmou' kai; stavsin (zwogovno" gavr ejsti qeovth", mevnousa a{ma kai; proi>ou'sa kai; ajcravntw" iJdrumevnh kai; ta; pavnta gonivmoi" dunavmesi zwopoiou'sa): hJ de; trivth provodo" kata; to; taujto;n a{ma kai; e{teron, au{th ga;r kai; diakrivnei tw'n patevrwn eJauth;n 15 kai; sunavptetai aujtoi'" dia; th'" noera'" ejpistrofh'", kai; ta; met aujth;n a{ma me;n sundei' pro;" a[llhla kata; ta;" koina;" tw'n eijdw'n dunavmei", a{ma de; diakrivnei tai'" noerai'" tomai'". En dh; tauvth/ th'/ tavxei prw'ton me;n ejklavmpei ta; gevnh pavnta kai; ta; ei[dh, diovti kata; th;n eJterovthta 20 mavlista carakthrivzetai, tw'n oJlikw'n pasw'n uJpostavsewn to; pevra" klhrwsamevnh, kai; ajpo; tauvth" ejpi; pavnta proveisi, tovn te metecovmenon nou'n kai; ta;" polueidei'" tw'n yucw'n diakosmhvsei" kai; th;n swmatikh;n a{pasan fuvsin. Tritta; ga;r uJfivsthsi gevnh tw'n met aujthvn, wJ" to; o{lon 25 eijpei'n, ta; me;n ajmevrista kai; prw'ta, ta; de; mevsa tw'n ajmerivstwn kai; meristw'n, ta; de; merizovmena peri; toi'" swvmasi: kai; dia; touvtwn ajpogenna'/ pavnta ta; merikwvtera gevnh tw'n o[ntwn. 112 In ou\n ejpi; ta; provsqen eijrhmevna pavlin ejpanevlqwmen, pantacou' me;n ta; gevnh qetevon, ouj pantacou' de; to;n aujto;n trovpon, ajll ejn me;n toi'" uJyhlotevroi" tw'n qeivwn diakovsmoi" eJnoeidw'" kai; ajdiakrivtw" kai; hJnwmevnw": ou| dh; kai; hJ 5 stavsi" metevcei kinhvsew" kai; hJ kivnhsi" stavsew" kai; ajmfoi'n

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realmente senza colore, senza figura e senza contatto, occupa questo luogo»)483; nel centro mediano invece si trovano il movimento e la quiete484 (lì infatti si trova la «rivoluzione» del cielo, come afferma ancora Socrate, che rimane immutabilmente fissa in un’unica forma di intellezione, ma che si muove in se stessa ed in rapporto a se stessa, cosi da essere piuttosto movimento e vita eterna); infine nel rimanente livello, nel limite inferiore di questo ordinamen- 111 to, sono chiaramente stabiliti l’identico ed il diverso al modo della vita: ecco perché tale limite si converte verso il principio in base alla natura dell’identità, si divide in modo uniforme, procede in serie più numerose e genera da se stesso monadi più particolari. 5 A loro volta negli ordinamenti di terzo livello485, il più elevato degli dèi intellettivi486 possiede tutte le cose in base all’essenza ed è, tra gli intellettivi, l’intelligibile in sé e l’essere realmente essere, in quanto richiama indietro la differenziazione insita in lui stesso all’unità indifferenziata; il livello intermedio, invece, possiede 10 tutte le cose in base, ad un tempo, al movimento ed alla quiete (infatti è una divinità generatrice di vita487, che al contempo permane, procede, è stabilita in modo incontaminato e vivifica tutte le cose con potenze generatrici); infine la terza processione488 possiede tutte le cose in base, ad un tempo, all’identico ed al diverso: infatti essa distingue se stessa dai suoi padri ed al contempo si 15 congiunge con essi per il tramite della conversione intellettiva, e in parte collega tra loro le entità che vengono dopo essa in base alle potenze comuni delle forme, in parte le distingue «per mezzo dei sezionamenti intellettivi»489. È proprio in questo ordinamento che per la prima volta prendono a brillare tutti i generi e le specie, per il fatto che esso è caratterizzato soprattutto in base alla 20 differenza, avendo ottenuto in sorte il limite inferiore di tutte le sussistenze universali490, ed è a partire da questo ordinamento che v’è processione verso tutte le entità, vale a dire verso l’intelletto partecipato, gli ordinamenti multiformi delle anime e tutta quanta la natura corporea. Infatti tale ordinamento fa sussistere tre sorte di generi di entità che vengono dopo di lei, per dirla in ter- 25 mini generali, le une indivisibili e prime, le altre intermedie tra quelle indivisibili e divisibili, infine quelle «divise tra i corpi»491; e attraverso queste genera tutti i generi più particolari degli enti. Dunque, per tornare nuovamente alle cose dette in preceden- 112 za, i generi vanno posti sì in ogni ambito, ma non in ogni ambito nel medesimo modo, ma nei più sublimi tra gli ordinamenti divini devono essere posti in modo uni-forme, indifferenziato ed unificato: proprio lì la quiete partecipa di movimento e il movimen- 5

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miva kai; hJnwmevnh provodov" ejstin: ejn de; toi'" merikwtevroi" dih/rhmevnw" aujta; qetevon kai; meta; th'" proshkouvsh" uJfevsew". Eij gavr ejstin ejn tw'/ pevrati tw'n nohtw'n ta; prwvtista kai; oJlikwvtata tw'n eijdw'n, ajnavgkh dhvpou kai; ta; gevnh th;n 10 ajrch;n th'" uJpostavsew" ejn toi'" nohtoi'" e[cein: kai; eij to; dhmiourgiko;n ai[tion aJpavntwn ejsti; gennhtiko;n tw'n merikw'n diakovsmwn, perievcei ta; prwvtista gevnh th'" uJpostavsew" aujtw'n: kai; w{sper hJ phgh; tw'n eijdw'n ejn aujtw'/ pavntwn, eij kai; e[stin ei[dh nohtav, ou{tw" ta; gevnh tou' o[nto" ejn aujtw'/ 15 proevsthken, eij kai; e[stin a[lla ta; gevnh ta; o{la pro; aujtou'. Kai; o{ te qei'o" Iavmblico" ojrqw'" pouv fhsin ejn tw'/ pevrati tw'n nohtw'n qew'n ejkfaivnesqai ta; gevnh tou' o[nto" kai; hJ parou'sa qeologiva toi'" pravgmasin eJpomevnw" a[nwqen ajpo; tw'n nohtw'n qew'n kai; touvtoi" th;n provodon divdwsin, w{sper 20 kai; toi'" ei[desin. Osa gavr ejsti kat aijtivan ejn toi'" prwvtoi" kai; krufivw" kai; ajdiairevtw", tau'ta dih/rhmevnw" ejsti;n ejn toi'" noeroi'" kai; meristw'" kai; kata; th;n auJtou' fuvsin e{kaston. Enteu'qen ga;r dh; kai; pavnte" oiJ meristoi; tw'n o[ntwn diavkosmoi plhrou'ntai kai; tw'n genw'n touvtwn kai; tw'n eijdh25 tikw'n uJpavrxewn: kai; dia; tou'to kai; oJ dhmiourgo;" levgetai ta; gevnh pavnta perievcein kai; th;n phgh;n tw'n eijdw'n e[cein, wJ" tou;" merikou;" a{panta" ojcetou;" aujto;" ajpogennw'n kai; ejpilavmpwn aujtoi'" ajf eJautou' ta; mevtra pavnta th'" uJpostavsew". 113 Tritta; dh; ou\n aJpavntwn proveisi gevnh tw'n o[ntwn, ta; me;n ajmevrista, ta; de; meristav, ta; de; metaxu; touvtwn, hJnwmevna me;n tw'n meristw'n ma'llon, diakekrimevna de; plevon tw'n ajmerivstwn genw'n, ajmfoi'n de; kata; mevson uJfesthkovta kai; 5 to;n e{na tw'n o[ntwn sunevconta suvndesmon. Kai; th;n me;n noera;n oujsivan paravgei dia; tw'n prwvtwn kai; ajmerivstwn genw'n, th;n de; swmatikh;n dia; tw'n trivtwn kai; meristw'n, th;n de; yucikh;n ejn mevsw/ touvtwn uJpovstasin dia; tw'n mevswn ejn toi'" ou\sin. Alla; th;n me;n noera;n kai; ajmevriston a{pasan 10 fuvsin ajf eJautou' genna'/ kai; plhroi' th'" o{lh" gennhtikh'" dunavmew", th;n de; yucikh;n meta; tou' krath'ro" uJfivsthsi, th;n de; swmatikh;n meta; th'" o{lh" fuvsew".

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to di quiete ed entrambi formano una processione unica ed unificata; invece negli ordinamenti più particolari i generi devono essere posti in modo diviso e con il corrispettivo livello di decadimento. Se infatti nel limite inferiore degli intelligibili si trovano le primissime e le più universali fra le forme, è necessario, a mio giudizio, che anche i generi abbiano il principio della loro sussistenza 10 negli intelligibili; e se il principio causale demiurgico è generatore di tutti quanti gli ordinamenti particolari, comprende in sé i primissimi generi della loro sussistenza; e come la fonte di tutte le forme è insita in esso, seppure vi siano Forme intelligibili, allo stesso modo i generi dell’essere risultano in esso preesistenti, sep- 15 pure vi siano altri generi, i generi universali, che vengono prima del principio causale demiurgico. Ed il divino Giamblico correttamente afferma da qualche parte [non sappiamo a quale testo si riferisca qui Proclo] che i generi dell’essere si rivelano nel limite inferiore degli dei intelligibili ed anche la presente dottrina teologica, secondo la realtà dei fatti, attribuisce la processione a questi generi, come anche alle forme, dall’alto a partire dagli dèi intelli- 20 gibili. Infatti tutte le entità che nelle realtà prime sono in forma di causa, in modo nascosto e indifferenziato, nelle realtà intellettive sono in modo suddiviso, particolare e ciascuno in base alla sua propria natura. Infatti è proprio a partire da là che tutti gli ordinamenti particolari degli enti si ricolmano sia di questi generi sia delle realtà formali; e per questo motivo si dice che anche il 25 Demiurgo comprende tutti i generi e possiede la fonte delle forme, in considerazione del fatto che egli stesso genera tutti i «canali»492 particolari e fa risplendere da se stesso su di essi tutte le misure del loro sussistere. Tre sono dunque i generi delle processioni di tutti quanti gli 113 enti: quelli indivisibili, quelli divisibili, e quelli intermedi fra questi, più unificati di quelli divisibili, ma più differenziati dei generi indivisibili, ed inoltre sussistono ad un livello intermedio tra gli altri due generi e contengono così il legame unico tra gli enti. E 5 l’essenza intellettiva 493 la produce per il tramite dei generi primi ed indivisibili, invece la sussistenza corporea per il tramite dei generi di terzo livello e divisibili, infine la sussistenza psichica in mezzo a queste per il tramite degli enti intermedi. Ma tutta quanta la natura intellettiva ed indivisibile la genera da 10 se stesso e la ricolma della potenza generatrice universale, mentre quella psichica la fa sussistere con l’aiuto del «cratere», infine quella corporea con l’aiuto della natura universale.

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laV Kai; o{ti tau'ta eJpomevnw" tw'/ Timaivw/ diatattovmeqa, mavqoi 15 ti" a]n ejnteu'qen. To;n me;n nou'n tou' panto;" paravgwn oJ dhmiourgo;" aujto;" ajpo; th'" eJautou' movnh" aujto;n oujsiva" paravgei, kata; mivan e{nwsin ajqrovw" aujto;n ejkfaivnwn a{te diaiwnivw" uJfistav", kai; oujdamou' tou' krath'ro" ejntau'qa diamnhmoneuvei: th;n de; yuch;n pro; tou' swvmato" diako20 smw'n kai; ta; gevnh keravnnusi kai; meta; tou' krath'ro" ejnergei': to; de; dh; sw'ma plavttwn tou' panto;" kai; diazwgrafw'n to;n oujranovn, meta; th'" ajnavgkh" aujto; dhmiourgei' (memigmevnh ga;r hJ tou' panto;" fuvsi" ejk nou' kai; ajnavgkh" ejgenhvqh, fhsi;n oJ Tivmaio") kai; 25 oujde; ejntau'qav pou to;n krath'ra sumparalambavnei pro;" 114 th;n tw'n swmavtwn diakovsmhsin. Devdeiktai de; hJmi'n ejn a[lloi" dia; pleiovnwn o{ti th;n fusikh;n poivhsin di ajnavgkh" oJ Plavtwn ajpokalei' kai; oujc w{" tine" uJpevlabon eij" taujto;n a[gei th;n ajnavgkhn th'/ u{lh/. 5 Dh'lon dh; ou\n o{ti th;n me;n tw'n swmavtwn gevnesin oJmou' th'/ o{lh/ fuvsei paravgei kai; ejn th'/ fuvsei th'/ prwtivsth/ ta; gevnh ta; merista; mivgnusi kai; ou{tw" ejk nou' kai; ajnavgkh" ta; swvmata, to; me;n ajgaqo;n kai; th;n e{nwsin ajpo; tou' nou' decovmena, th;n de; eij" diavstasin kai; merismo;n ajpoteleu10 tw'san provodon ejk th'" ajnavgkh": th;n de; tw'n yucw'n aujtokivnhton oujsivan meta; tou' krath'ro" movnou diakosmei'. Kai; ou[te oJ nou'" ou[te ta; swvmata dei'tai th'" toiauvth" aijtiva": ajll e[stin oJ me;n dhmiourgo;" koino;" tw'n trittw'n genw'n uJpostavth", oJ de; krath;r ijdiva tw'n yucw'n aijtiva 15 suntetagmevnh tw'/ dhmiourgw'/, kai; plhrouvmeno" me;n ajp aujtou', plhrw'n de; ta;" yucav", kai; ta;" me;n dunavmei" th'" gonivmou periousiva" ejkei'qen uJpodecovmeno", ejpirrevwn de; tai'" yucai'" aujta;" kata; ta; mevtra th'" eJkavstwn oujsiva", kai; tai'" me;n ta;" ajkrovthta" tw'n genw'n, tai'" de; ta;" mevsa" 20 proovdou", tai'" de; ta;" ajpoperatwvsei" aujtw'n ejn tavxei dianevmwn. Oujkou'n zwogovno" mevn ejsti kata; th;n oujsivan oJ krathvr, ei[per kai; aiJ yucai; zwaiv tinev" eijsi, yucw'n de; prwtourgo;" aijtiva kata; th;n ijdiovthta th'" uJpavrxew", kai; oujc aJpavsh" 25 zwh'", ajlla; th'" yucikh'" eJnoeidh;" kai; pantelh;" monav".

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31 [Sul fatto che il “cratere” nel “Timeo” ha il carattere di fonte, e richiami, desunti dalle opere di Platone, a proposito del principio e della fonte delle anime] E che questa nostra esposizione è conforme al Timeo, lo si potrebbe comprendere da quanto segue. Il Demiurgo, allorché 15 produce l’intelletto del Tutto, lo produce egli stesso dalla sua sola essenza, facendolo apparire in base ad un’unica unità tutto in una volta494, in quanto lo fa sussistere in modo eterno, e da nessuna parte qui fa menzione del “cratere”; invece, allorché dà ordine all’anima prima del corpo, mescola i generi ed egli opera con l’aiu- 20 to del “cratere”495; infine allorché plasma il corpo del Tutto e «decora»496 il cielo, egli lo costruisce demiurgicamente con la necessità (infatti la natura del Tutto, «è stata generata come il risultato di una mescolanza di intelletto e di necessità»497, afferma Timeo) e neppure qui, da qualche parte, fa ricorso al cratere per operare 114 l’ordinamento dei corpi. D’altra parte noi abbiamo mostrato più diffusamente altrove498 che Platone denomina la produzione naturale “produzione attraverso necessità” e non identifica, come alcuni499 hanno supposto, la necessità con la materia. Risulta allora evidente che produce la genera- 5 zione dei corpi insieme alla natura universale e mescola i generi divisibili nella primissima natura500 e così i corpi risultano costituiti «di intelletto e necessità»501, ricevendo il bene e l’unità dall’intelletto, mentre la processione che va a concludersi nella sepa- 10 razione e nella divisione deriva loro dalla necessità; infine, all’essenza dotata di moto spontaneo, propria delle anime, dà ordine con l’aiuto del solo cratere. E né l’intelletto né i corpi hanno bisogno di una tale causa; ma il Demiurgo è la comune origine di questi tre generi, mentre il cratere è la causa coordinata al Demiurgo 15 propria specificamente delle anime, e da esso è ricolmato, mentre a sua volta esso ricolma le anime, e da là riceve le potenze della sovrabbondanza generatrice, mentre, a sua volta, le riversa sulle anime in base alle misure dell’essenza di ciascuna, e distribuisce nell’ordine alle une le sommità dei generi, alle altre le processioni 20 intermedie, alle altre ancora i loro limiti estremi. Quindi il cratere, da un lato, è generatore di vita in base alla sua essenza, se è vero che anche le anime sono determinate forme di vita, dall’altro è causa originaria delle anime in base al carattere specifico della sua realtà, ed è la monade uni-forme e compiu- 25

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Apo; ga;r tou' krath'ro" touvtou kai; hJ tou' panto;" uJpevsth yuch; kai; ta; deuvtera kai; trivta tw'n meristw'n yucw'n gevnh kai; aiJ touvtwn metaxu; lacou'sai th;n provodon. O pa'" 115 dh; ou\n ajriqmo;" th'" yucikh'" diakosmhvsew" ajp aujtou' proevrcetai kai; kata; ta;" ejn aujtw'/ gonivmou" dunavmei" merivzetai. Legevsqw dh; ou\n aijtiva yucw'n oJ krath;r kai; th'" dhmiour5 giva" tw'n yucw'n uJpodoch; kai; gennhtikh; mona;" aujtw'n kai; o{sa toiau'ta: levgoito ga;r a]n ojrqw'" kai; tw'/ Plavtwni kata; nou'n. Eij de; dh; kai; suntevtaktai tw'/ dhmiourgw'/ kai; ejx i[sou sunufivsthsin aujtw'/ ta; gevnh tw'n yucw'n, ajnavgkh dhvpou phgai'on ei\nai kai; to;n krath'ra tou'ton, w{sper to;n o{lon 10 dhmiourgovn. Oujkou'n phgh; mevn ejsti tw'n yucw'n oJ krathvr, h{nwtai de; pro;" th;n dhmiourgikh;n monavda, kai; dia; tou'to kai; oJ ejn Filhvbw/ Swkravth" ejn tw'/ Dii; basilikh;n me;n ei\naiv fhsi yuchvn, basiliko;n de; nou'n: o} ga;r hJmei'" phgai'on ejn tw'/ parovnti prosonomavzomen, tou'to 15 basiliko;n ejkei'no" proseivrhke. Kaivtoi kai; to; th'" phgh'" o[noma tw'/ Plavtwni gnwvrimovn ejstin ejpi; tw'n yucw'n. To; ga;r aujtokivnhton, fhsi;n oJ ejn tw'/ Faivdrw/ Swkravth", kai; toi'" a[lloi" o{sa kinei'tai phgh; kai; ajrch; kinhvsewv" ejsti. Kai; oJra'/" o{pw" ditth'" 20 pro; tw'n yucw'n monavdo" qeiva" uJpo; tw'n qeolovgwn paradedomevnh", th'" me;n phgaiva", th'" de; ajrcikh'", ditta;" kai; toi'" ejk touvtwn ta;" ejpwnumiva" oJ Plavtwn ajpodivdwsi, th;n me;n ejk th'" oJlikwtevra", th;n de; ejk th'" merikwtevra" paralabwvn Esti ga;r phgh; me;n to; aujtokivnhton wJ" 25 e[kgonon th'" phgaiva" yuch'", ajrch; de; wJ" metevcon kai; th'" ajrcikh'" yuch'". Eij toivnun kai; ejpi; tw'n yucw'n aujto; to; th'" phgh'" o[noma tevtaktai para; tw'/ Plavtwni kai; to; th'" ajrch'", tiv crh; qaumavzein eij kai; ta;" ejxh/rhmevna" monavda" aujtw'n phga;" kai; ajrca;" ejponomavzoimen Ma'llon 30 de; ejk touvtwn kajkei'no ajpodeivknutai. Povqen ga;r eij" pavsa" 116 h{kei ta;" yuca;" hJ ajrcikh; duvnami" h] ajpo; th'" ajrcikh'" monavdo", povqen de; to; phgai'on ijdivwma h] ajpo; th'" yucikh'" To; ga;r ejpi; pavsa" oJmoivw" diatei'non ta;" yuca;" ajnagkai'on ajpo; mia'" kai; th'" aujth'" h{kein ejp aujta;" aijtiva". Eij me;n 5 toivnun ajpo; tou' dhmiourgou' ti" levgoi, kaq o{son ejsti; dhmiourgov", dei' kai; toi'" a[lloi" a{pasin oJmoivw" uJpavrcein

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tamente perfetta non di ogni forma di vita, ma di quella psichica. Infatti è da questo cratere che sono risultate sussistere sia l’Anima del Tutto, sia i generi «secondi e terzi»502 delle anime particolari, sia quelle anime che hanno avuto la loro processione ad un livello intermedio fra queste. Dunque tutto intero l’insieme dell’ordi- 115 namento psichico procede dal cratere e si divide in base alle potenze generative insite in esso. Si deve dunque dire che il cratere è causa delle anime, ricetta- 5 colo della demiurgia delle anime, monade generatrice di esse, e quant’altro v’è di simile; infatti in tal modo si parlerebbe correttamente ed in accordo con il pensiero di Platone. D’altra parte se il cratere risulta coordinato al Demiurgo e fa, ad uguale livello, sussistere insieme a lui i generi delle anime, è necessario, a mio avviso, che anche questo cratere sia “fontale”, come il Demiurgo uni- 10 versale503. Quindi il cratere, da un lato, è fonte delle anime, dall’altro risulta unito alla monade demiurgica, ed è per questo motivo che Socrate nel Filebo dice che vi sono «in Zeus un’anima regale ed anche un intelletto regale»504: infatti ciò che noi ora qui de15 nominiamo “fontale”, egli lo denomina “regale”. Certamente anche il nome “fonte” è noto a Platone a proposito delle anime. Infatti ciò che si muove da sé, afferma Socrate nel Fedro, è «fonte e principio di movimento per tutte quante le altre entità che si muovono»505. E si riesce allora a vedere come, consi- 20 derato che duplice è la monade anteriore alle anime tramandata dai teologi506, l’una “fontale”, l’altra “principiale”, duplici sono anche le denominazioni che Platone attribuisce alle entità che derivano da queste monadi, ricavando una denominazione dalla monade più universale, l’altra da quella più particolare? In effetti ciò che si muove spontaneamente, da un lato, è “fonte” in quanto è prodotto generato dall’anima fontale, dall’altro è “principio” 25 in quanto partecipa anche dell’anima principiale. Pertanto se è appunto a proposito delle anime che da Platone sono stati impiegati i nomi “fonte” e “principio”, perché stupirsi se noi denominiamo anche le loro monadi trascendenti “fonti” e “principi”? Ma di più: questo punto si può a sua volta dimostrare in base alle 30 seguenti considerazioni. Da dove, in effetti, giunge a tutte le ani- 116 me la potenza principiale se non dalla monade principiale, e da dove il carattere “fontale” se non dalla monade psichica? Infatti la proprietà che si estende a tutte le anime in modo simile deve necessariamente giungere ad esse da una sola e medesima causa. Se pertanto si dicesse che proviene dal Demiurgo nella misura in 5 cui è Demiurgo, bisogna che tale proprietà appartenga, in modo

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o{sa proh'lqen ejk th'" dhmiourgikh'" monavdo": eij de; ejk th'" aijtiva" th'" diwrismevnh" tw'n yucw'n, ejkeivnhn kai; phgh;n prwtivsthn prosrhtevon kai; ajrchvn. 10 Kai; mh;n kai; o{ti tw'n dittw'n touvtwn ojnomavtwn suggenevsterovn ejsti to; ajrciko;n tai'" yucai'" h] to; phgai'on, wJ" ejggutevrw kata; th;n tavxin aujtw'n uJpavrcon, dedhvlwken ejn tw'/ aujtw'/ dialovgw/. Phgh;n ga;r a{ma kai; ajrch;n to; aujtokivnhton proseipw;n th'" tw'n o{lwn kinhvsew", o{mw" ejk 15 th'" ajrch'" movnh" th;n th'" ajgenhsiva" ajpovdeixin pepoivhtai. Arch; gavr, fhsivn, ajgevnhton, ejx ajrch'" ga;r pa'n to; ginovmenon ajnavgkh givnesqai. Eij toivnun aiJ ajpodeivxei" ejk tw'n prosecw'n eijsi toi'" deiknumevnoi", ajnavgkh dhvpou th;n ajrch;n prosecestevran ei\nai tai'" yucai'" th'" 20 phgh'". Eti toivnun, eij pa'n to; ginovmenon ejx ajrch'" givnetai, kaqavper fhsi;n aujtov", aiJ de; yucai; genhtaiv pwv" eijsin, wJ" oJ Tivmaio" levgei, kai; tw'n yucw'n ejstin ajrch; prohgoumevnh: kai; w{sper au|tai tw'n kata; crovnon eijsi; 25 gignomevnwn ajrcaiv, ou{tw kat a[llon trovpon genhtw'n oujsw'n prou>fevsthken hJ ajrchv: kai; w{sper au|tai th;n tw'n swmavtwn gevnesin ajgevnhtoi, ou{tw kai; hJ ajrch; tw'n yucw'n aJpavsh" genevsew" ejxhv/rhtai. 117 Devdeiktai a[ra hJmi'n dia; touvtwn kai; o{ti phgh; tw'n yucw'n ejstin oJ krath;r kai; o{ti meta; th;n phgh;n hJ ajrcikh; monav" ejsti, kai; wJ" au{th th'" me;n phgh'" prosecestevra tai'" yucai'" ejstin, uJperivdrutai de; tw'n yucw'n wJ" aijtiva govnimo" 5 aujtw'n. Kai; tau'ta pavnta toi'" tou' Plavtwno" katedhsavmeqa lovgoi".

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lbV Pavlin toivnun ejpi; ta; prokeivmena to;n lovgon ajnavgwmen kai; meizovnw" peri; tou' krath'ro" touvtou tou;" th'" ajlhqeiva" filoqeavmona" ajnadidavxwmen, o{ti th'" o{lh" zwogovnou

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simile, anche a tutte quante le altre entità che sono procedute dalla monade demiurgica; se invece si dicesse che tale proprietà proviene dalla causa specifica delle anime, è allora questa causa che va denominata “fonte” primissima e “principio”. Ed inoltre il fatto che di questi due nomi quello “principiale” 10 è più affine per natura alle anime rispetto a quello “fontale”, in quanto risulta più vicino in considerazione del loro ordinamento, è stato messo in luce nel medesimo dialogo. Infatti, benché denomini ciò che si muove spontaneamente al contempo «fonte e principio» del movimento dell’universo nella sua totalità, tuttavia è dal solo principio che egli ha sviluppato la dimostrazione della sua 15 natura ingenerata. In effetti, afferma, «il principio è ingenerato, infatti è necessario che tutto ciò che è generato si generi da un principio»507. Pertanto, se le dimostrazioni si fanno a partire dalle realtà contigue a quelle che sono oggetto di dimostrazione, è necessario, a mio avviso, che la nozione di “principio” sia più contigua 20 alle anime rispetto a quella di “fonte”. Ed ancora, se «tutto ciò che è generato si genera da un principio», come dice Platone, e se, d’altro canto, le anime sono in certo modo generate, come afferma Timeo508, allora anche per le anime esiste un principio che le precede; e come queste sono principi 25 delle entità che sono generate nel tempo, così il principio preesiste alle anime che, seppur in modo diverso, sono comunque generate; e come queste sono ingenerate in relazione alla generazione dei corpi, così, a sua volta, il principio delle anime trascende ogni altro tipo di generazione. Di conseguenza, attraverso tali argomenti, è stato da noi mo- 117 strato che il cratere è fonte delle anime, e che dopo la fonte viene la monade principiale, e come questa sia più contigua alle anime della fonte, ma sia posta al di sopra delle anime come loro causa generativa. E tutti questi aspetti li abbiamo fissati saldamente per 5 mezzo dei ragionamenti di Platone. 32 [Sul fatto che le tre fonti generatrici di vita, coordinate al Demiurgo, si potrebbero desumere da quanto è affermato nel “Timeo”, quella delle anime, quella delle virtù e quella delle nature] Di nuovo, dunque, torniamo ad occuparci delle questioni che abbiamo di fronte e cerchiamo di fornire una più ampia spiegazione a proposito di questo cratere «agli amanti dello spettacolo della

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qeovthto" tw'n noerw'n basilevwn ejn mevsw/ th;n govnimon tw'n qeivwn aijtivan iJdrusamevnh" ãkai;Ã kata; me;n ta;" ajkrotavta" aujth'" kai; noerwtavta" dunavmei" kai; pantelei'" tw'/ prwvtw/ patri; sunhnwmevnh" krufivw", kata; de; ta;" merikwtevra" 15 aijtiva" kai; deutevra" ajp ejkeivnwn tw'/ dhmiourgw'/ sunaptomevnh" kai; mivan suvmpnoian met aujtou' th'" tw'n merikw'n diakovsmwn ajpogennhvsew" ejnsthsamevnh", tw'n me;n presbutevrwn ejkeivnwn kai; menousw'n ejn tw'/ prwvtw/ patri; th'" qeou' dunavmewn oJ Tivmaio" mustikw'" ejfavptetai, ta;" de; tw'/ 20 dhmiourgw'/ suntetagmevna" kai; met aujtou' ta; ejn tw'/ panti; diakosmouvsa", ta;" me;n ejnargevsteron, ta;" de; di ejndeivxew" aJpavsa" paradivdwsin. Eijsi; me;n ga;r aiJ deuvterai monavde" au|tai th'" qeou' triplai', kaqavper oiJ sofoi; levgousi, miva me;n hJ tw'n yucw'n phghv, 25 deutevra de; hJ tw'n ajretw'n, trivth de; o[pisqen ajpaiwroumevnh 118 th'" qeou' ãhJÃ th'" fuvsew" phghv. Tauvta" de; a[ra ta;" trei'" uJpostavsei" kai; oJ dhmiourgo;" paralambavnei pro;" th;n eJautou' govnimon poivhsin. Kai; oJ me;n krathvr, w{sper ei[rhtai, phgh; tw'n yucw'n ejstin, eJniaivw" sunevcousa to;n o{lon 5 aujtw'n kai; tevleion ajriqmovn: kai; w{sper oJ dhmiourgo;" patrikh;n e[lacen aijtivan pro;" th;n yucikh;n ajpogevnnhsin, ou{tw dh; kai; oJ krath;r govnimov" ejsti kai; mhtro;" lovgon kai; tavxin keklhvrwtai pro;" ta; ajf eJauth'". Osa ga;r oJ Zeu;" patrikw'", tosau'ta kai; hJ tw'n yucw'n phgh; mhtrikw'" 10 kai; gennhtikw'"  poiousin o aujtai'". H de; ajreth; kat aujth;n ejnergei' kai; kosmei' ta; o{la kai; teleioi': kai; dia; tou'to yuch'" to; pa'n metasco;n kai; ajreth'" eujqu;" metalagcavnei. Yuch;n ga;r aujtou', fhsi;n oJ Tivmaio", ejn mevsw/ qei;" dia; pantov" te e[teine kai; e[ti 15 e[xwqen to; sw'ma aujth'/ periekavluye kai; kuvklw/ kuvklon strefovmenon oujrano;n e{na movnon e[rhmon katevsthse, di ajreth;n de; aujto;n auJtw'/ dunavmenon suggivgnesqai kai; oujdeno;" eJtevrou prosdeovmenon, gnwvrimon de; kai; fivlon iJkanw'" aujto;n 20 auJtw'/. Ama dh; ou\n ejyuvcwtai kai; kat ajreth;n oJ kovsmo" diazh'/ kai; tevlo" e[cei to; ajkrovtaton tai'" ajretai'", th;n pro;" auJto;n filivan kai; th;n auJtou' pantelh' gnw'sin. Gnwvrimo" gavr ejsti kai; fivlo" iJkano;" aujto;" eJautw'/ dia; th;n ajrethvn. Kai; mh;n kai; hJ fuvsi" sunufivstatai th'/ genevsei tou' 25 swvmato". Di ajnavgkh" ga;r oJ dhmiourgo;" ajpogenna'/ to; o

Cfr. nota alla traduzione.

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verità»509. Allora, dato che la divinità universale generatrice di vita ha posto la causa generativa delle entità divine ad un livello intermedio tra i re intellettivi, ed in base alle proprie potenze più elevate, più intellettive e compiutamente perfette risulta unita in modo celato al primo padre, mentre in base alle cause più particolari e 15 seconde rispetto a quelle potenze risulta congiunta al Demiurgo e stabilisce un unico accordo comune con lui per la generazione degli ordinamenti particolari, Timeo coglie in modo misterico quelle potenze della dea che sono anteriori e che permangono nel primo padre, mentre per quanto concerne quelle che risultano 20 coordinate al Demiurgo e che insieme a lui danno ordine a tutte le entità presenti nel cosmo, le tramanda tutte quante, le une con grande chiarezza, le altre invece solo tramite un’indicazione. In effetti queste monadi di secondo livello della dea sono triplici, come dicono i sapienti510: la prima è la fonte delle anime, la 25 seconda quella delle virtù, la terza infine, sospesa alle spalle della 118 dea, è la fonte della natura. Va inoltre aggiunto che queste tre sussistenze le riceve anche il Demiurgo in vista della sua produzione generativa. Ed il «cratere», come è stato detto511, è fonte delle anime, contenente, in modo unitario, il numero totale e per- 5 fetto di esse; e come il Demiurgo ha ricevuto una causalità paterna in rapporto alla generazione delle anime, così il cratere è generativo ed ha ottenuto in sorte rapporto e livello di madre rispetto alle entità che procedono da essa stessa. Infatti tutte le cose che Zeus ad esse in modo paterno, le stesse cose, a sua volta, la fonte delle anime ad esse in modo mater- 10 no e generativo512. Dal canto suo la virtù agisce conformemente all’anima513, ordina l’universo nella sua totalità e lo rende perfetto; ed è per questo motivo che il Tutto, avendo partecipato dell’anima, viene ad essere subito partecipe anche della virtù. Infatti, afferma Timeo, «avendo posto l’anima in mezzo ad esso, la distese da ogni parte, ancora con essa avvolse dall’esterno tutto il corpo e formò il 15 cielo come un cerchio che ruota in modo circolare, unico e solitario, capace d’altronde per sua virtù di venire ad unirsi con se stesso e bisognoso di null’altro, ma in modo adeguato familiare ed amico a se stesso»514. Il cosmo, dunque, al contempo risulta ani- 20 mato, trascorre la sua vita secondo virtù ed ottiene grazie alle virtù il suo fine supremo, cioè l’amicizia con se stesso e la conoscenza perfetta di se stesso. Infatti esso è ben noto ed adeguato amico a se stesso per via della sua virtù. Ed infine la natura viene a sussistere con la generazione del corpo. In effetti il Demiurgo 25

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sw'ma kai; meta; th'" oijkeiva" aujtw'/ diaplavttei zwh'": kai; 119 dia; tau'ta mikro;n u{steron ta;" merika;" yuca;" uJposthvsa"

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deivknusin aujtai'" kai; th;n tou' panto;" fuvsin kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou". Tw'/ ga;r th;n aijtivan th'" o{lh" fuvsew" e[cein kai; th'" eiJmarmevnh", kai; tai'" yucai'" tau'ta ejpideivknusin: ouj ga;r ejpistrevfetai pro;" ta; meq eJauto;n oJ dhmiourgov", ajll ejn eJautw'/ ta; deiknuvmena prwvtw" e[cwn, kai; tai'" yucai'" aujtw'n ejkfaivnei ta;" dunavmei". Kai; th'" tou' panto;" ou\n fuvsew" to; paravdeigma kai; tw'n eiJmarmevnwn novmwn aijtiva miva prou>fevsthken ejn aujtw'/. H ga;r th'" fuvsew" phgh; kai; eiJmarmevnh prwtivsth par aujtw'n ajpokalei'tai tw'n qew'n: Mh; fuvsin ejmblevyh/", eiJmarmevnon ou[noma th'sde.

Dio; kai; oJ Tivmaio" a{ma kai; tou;" eiJmarmevnou" novmou" kai; th;n tou' panto;" fuvsin oJra'n levgei ta;" yucav", 15 oi|on th;n ejgkovsmion eiJmarmevnhn kai; ta;" dunavmei" aujth'": kai; oJ Eleavth" xevno" ejn Politikw'/ th'" fusikwtevra" tou' panto;" ajnakuklhvsew" th;n kinhtikh;n aijtivan eiJmarmevnhn ejponomavzei: To;n de; dh; kovsmon ajnevstrefen eiJmarmevnh kai; suvmfuto" ejpiqumiva. Kai; o{ti th;n duvnamin 20 tauvthn oJ kovsmo" ejk tou' dhmiourgou' kai; patro;" e[cei, safw'" oJ aujto;" oJmologei': Dio;" ga;r ei\nai th;n ejmfanh' pa'san diakovsmhsivn te kai; ajnakuvklhsin levgei. Devdeiktai de; a[ra kata; ta;" trei'" tauvta" aijtiva" th'" zwogovnou qea'" ta;" tw'/ dhmiourgw'/ suntetagmevna" oJ kovsmo" 25 uJp aujtou' teleiouvmeno", to;n phgai'on krath'ra, th;n tw'n ajretw'n phghvn, th;n th'" fuvsew" prwtourgo;n aijtivan. Kai; o{ti pavlin to; o[noma th'" phgh'" kai; ejpi; touvtwn oJ 120 Plavtwn oujk a]n ojknhvseien proenevgkasqai, dhloi' phgh;n me;n tou' fronei'n ejn Novmoi" th;n ejn tai'" yucai'" kat oujsivan ejnupavrcousan th'" fronhvsew" duvnamin th;n oijstikh;n tw'n ejn hJmi'n ajretw'n ajpokalw'n, duvo de; phga;" uJpo; 5 th'" fuvsew" a[lla" meqei'sqai levgwn, hJdonh;n kai; luvphn. Wsper ou\n e[mprosqen ta;" yuca;" phga;" tw'n kinhvsewn ejdeivknumen, dia; th;n mivan aujtw'n phgh;n h\" metevcousin ejponomazomevna", ou{tw dh; kai; ta; prw'ta th'" fuvsew" e[kgona phga;" ajpokalw'n panti; dhvpou katafanhv" 10 ejstin aujth;n th;n aijtivan aujtw'n th;n ejxh/rhmevnhn phgh;n prosonomavzein sugcwrw'n. Kata; ta; aujta; de; kai; th;n th'"

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genera attraverso la necessità il corpo e lo plasma insieme alla vita che è ad esso propria; ed è per queste ragioni che poco 119 dopo, una volta fatte sussistere le anime particolari, «mostra ad esse» ad un tempo «la natura del Tutto e le norme stabilite dal fato»515. Infatti è perché possiede la causa della natura nella sua totalità e del fato che egli può far vedere queste realtà anche alle 5 anime; in effetti il Demiurgo non si converte verso le entità che vengono dopo di lui, ma dato che ha in se stesso in modo primario le realtà che vengono da lui mostrate, rivela alle anime le potenze di queste realtà. Dunque sia il modello della natura del Tutto, sia la causa unica delle norme imposte dal fato preesistono in lui. Infatti la fonte della natura viene denominata dagli dèi 10 stessi “primissimo fato”516: «non tenere fisso lo sguardo sulla natura: fato è il suo nome»517 Ecco perché Timeo afferma che le anime vedono al contempo le «norme stabilite dal fato» e «la natura del Tutto», come per dire 15 il fato encosmico e le sue potenze; e lo Straniero di Elea nel Politico denomina “fato” la causa motrice della rotazione ciclica, più naturale518, del Tutto: «certamente fato e desiderio connaturato hanno fatto ruotare il cosmo»519. E il medesimo ammette chiaramente che il cosmo ha questa potenza dal Demiurgo e padre: 20 infatti egli afferma che proprie di Zeus sono tutta l’opera visibile di ordinamento ed anche la rotazione ciclica520. Di conseguenza è stato così mostrato che il cosmo è reso perfetto dal Demiurgo in base a queste tre cause pertinenti alla dea generatrice di vita, le quali sono a loro volta coordinate con il 25 Demiurgo: il cratere fontale, la fonte delle virtù e la causa originaria della natura521. Ed il fatto che Platone non avrebbe rifiutato di impiegare il 120 nome “fonte” anche a proposito di queste cause, lo mette in luce nelle Leggi da un lato quando denomina «fonte del pensare»522 la potenza dell’assennatezza insita per essenza nelle anime, la quale è portatrice delle virtù presenti in noi, dall’altro quando afferma che altre «due fonti sono fatte scorrere dalla natura, piacere e dolo- 5 re»523. Come dunque in precedenza mostravamo che le anime sono denominate “fonti dei movimenti”524 per via di quell’unica fonte dei movimenti della quale esse partecipano, allo stesso modo, dato che egli chiama “fonti” i primi prodotti generati dalla natura, a mio avviso per ciascuno è palese che acconsente a deno- 10 minare “fonte” la causa trascendente stessa di essi. Allo stesso

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ajreth'" oujsiwvdh duvnamin ejn hJmi'n wJ" phgh;n tou' fronei'n ajposemnuvnwn oujk a]n prosanagkavzoito mhde;n aujtw'/ prosh'kon tw'n ojnomavtwn ajkouvein, eij th;n prwtivsthn monavda tw'n ajretw'n phghvn ti" ejqevloi prosonomavzein, o{pou dh; kai; ejp aujtw'n tw'n noerw'n qew'n e[comen par aujtw'/ to; th'" phgh'" o[noma keivmenon. En gou'n tw'/ Kratuvlw/ th;n Thqu;n phgh'" o[nomav fhsin uJpavrcein ejpikekrummevnon kai; to;n Krovnon aujto;n kai; th;n basilivda Revan rJeuvmata ajpokalei': kai; ga;r ou|toi oiJ qeoi; ojcetoi; tw'n nohtw'n eijsi phgw'n kai; proi>ovnte" ejk tw'n uJperkeimevnwn plhrou'si ta; met aujtou;" a{panta tw'n gonivmwn ojcetw'n th'" zwh'": kai; aujto;" de; oJ krath;r phgai'ov" ejsti: phgaivou" gou'n krath'ra" kai; oiJ qeoi; proseirhvkasi ta;" prwtourgou;" tw'n merikw'n aijtiva". lgV Alla; tau'ta me;n ejpi; plevon ejn a[lloi" lovgoi" ejxetavsomen, kai; dh; kai; ta; peri; th'" dhmiourgikh'" monavdo" hJmi'n ejntau'qa perigegravfqw kata; th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin aujtavrkw" bebasanismevna. Meta; de; tau'ta tou;" th'" ajcravntou kaqarovthto" aijtivou" hJgemovna" qewrhvswmen, ei[ pou kai; tauvth" oJ Plavtwn th'" tavxew" hJma'" tw'n qew'n ajnamimnhv/skwn faivnetai kai; th'" ejpi; pavnta ta; qei'a gevnh proi>ouvsh" ajp aujtw'n ajklivtou dunavmew". Th'/ ga;r tw'n noerw'n basilevwn triavdi sunhvnwtai th'" ajtrevptou tavxew" hJ prwtourgo;" tria;" kai; sundihv/rhntai tai'" monavsin aujtw'n aiJ touvtwn provodoi. Kai; tw'/ me;n prwvtw/ sunhvnwtai to; ajkrovtaton th'" triavdo" kai; to; oi|on a[nqo" th'" ajklinou'" tw'n o{lwn fulakh'": tw'/ de; deutevrw/ to; mevson kevntron aujth'" oJmofuw'" sunevzeuktai kai; proveisin a{ma met aujtou' kai; peri; aujto;n uJfevsthke: tw'/ de; trivtw/ ãto; pevra"Ã th'" o{lh" triavdo" sumplevketai kai; sunepistrevfetai pro;" th;n ajrch;n kai; sunelivssetai met aujtou' pro;" th;n mivan e{nwsin tou' patro;" pavntwn tw'n noerw'n qew'n. Kai; dihv/rhntai me;n ouJtwsi; monadikw'" oiJ trei'" a[crantoi fuvlake" tw'n noerw'n patevrwn, meta; de; th'" diairevsew"

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modo poi, dato che egli celebra la potenza essenziale della virtù in noi come “fonte dell’essere assennati”, non sarebbe costretto a stare a sentire nessun nome che gli fosse estraneo, se qualcuno intendesse denominare “fonte” la primissima monade delle virtù, quando, proprio a proposito degli dèi intellettivi stessi, troviamo presso di lui il nome “fonte”. E di certo nel Cratilo afferma che “Teti” è «il nome celato di una fonte»525 e chiama Crono stesso e la regina Rea «correnti»526; ed infatti questi dèi sono i canali delle fonti intelligibili e, procedendo dalle entità che sono al di sopra di loro, ricolmano tutte quante le entità che vengono dopo di loro dei canali generatori di vita; e, dal canto suo, il cratere stesso è fontale; e di certo anche gli dèi hanno denominato «crateri fontali»527 le cause originarie delle entità particolari.

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121 33 [Riferimenti testuali a proposito degli dèi incontaminati: secondo Platone essi esistono effettivamente; qual è il carattere specifico della loro essenza]

Ma tali questioni le esamineremo più diffusamente in altre trattazioni528. E a questo punto si consideri qui conclusa la nostra trattazione delle questioni concernenti la monade demiurgica, dato che esse sono state bastantemente appurate sulla base della dottrina di Platone. Ma dopo tali questioni dobbiamo considerare i principi causali sovrani della purezza incontaminata, se da qualche parte risulta che Platone richiami alla memoria anche questo ordine di dèi e la potenza inflessibile che da essi procede verso tutti i generi divini. In effetti alla triade dei re intellettivi risulta unita la triade originaria dell’ordine immutabile e le processioni di questo ordine di dèi risultano divise congiuntamente alle monadi dei re intellettivi529. Ed al primo risulta unito il termine più elevato della triade e, per così dire, “il fiore”530 della inflessibile custodia dell’universo nella sua totalità; al secondo poi si congiunge per somiglianza di natura il centro intermedio della triade e procede congiuntamente con questo re ed è venuto a sussistere in relazione ad esso; infine al terzo re è intrecciato il termine inferiore dell’intera triade, unitamente ad esso si converte verso il principio e si raccoglie insieme ad esso verso l’unica unità del padre di tutti gli dèi intellettivi. E così i tre custodi incontaminati dei padri intellettivi risultano divisi in modo monadico, ma insieme a questa divisione essi

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tauvth" e[cousi kai; th;n hJnwmevnhn pro;" ajllhvlou" uJpovstasin, kai; pavnte" ejn eJkavstw/ pwv" eijsi patriv, kai; peri; pavnta" oiJ pavnte" ejnergou'si. Kai; trovpon mevn tina kat 25 ijdivan uJpovstasin ajpo; tw'n patevrwn ejmerivsqhsan, trovpon de; a[llon ajmerivstw" aujtoi'" suneivlhntai kai; oJmou' de; thvn 122 te pro;" tou;" patevra" e[lacon ijsovtimon tavxin kai; wJ" uJfeimevnhn aujtw'n ãth;nà oujsivan e[conte" ejxefavnhsan. Toiou'toi de; uJpavrconte" frourou'si me;n aujtw'n ta;" o{la" proovdou" ajcravntou", corhgou'si de; aujtoi'" to; a[kliton ejn 5 tai'" dunavmesi kai; to; a[trepton ejn tai'" ejnergeivai", ejxhvrthntai de; th'" o{lh" kaqarovthto". Kai; ei[ pouv tine" hJmi'n tw'n palaiw'n to; ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" e[con ejpi; tou' nou' qewrou'si tw'/ mhde;n aujto;n ajpo; tw'n katadeestevrwn eij" eJauto;n cwrei'n mhde; ajnamivgnusqai toi'" ceivrosin, 10 ajpo; tw'n qew'n touvtwn ta; toiau'ta pavnta ajgaqa; kai; eij" to;n nou'n kai; eij" tou;" a[llou" kaqhvkonta ajnumnou'sin. Aujto; ga;r to; a[mikton th'" qeiva" oujsiva" pro;" ta; deuvtera, o} kai; oJ ejn Sumposivw/ lovgo" eujfhmei' diaferovntw", kai; to; kaqarovthti kai; ajtrevptw/ dunavmei tw'n o{lwn uJperevcon, dia; 15 th;n frourhtikh;n h{kei toi'" qeoi'" aijtivan: kai; w{sper oiJ patevre" toi'" te a[lloi" a{pasi kai; toi'" ajklivtoi" qeoi'" th'" gonivmou poihvsewv" eijsi corhgoiv, ou{tw dh; kai; oiJ a[crantoi qeoi; kai; toi'" patravsi kai; toi'" a[lloi" qeivoi" diakovsmoi" dwrou'ntai th;n th'" kaqarovthto" duvnamin. 20 Ama dh; ou\n toi'" noeroi'" trisi; basileu'si kai; oiJ trei'" a[crantoi qeoi; kai; aujtw'n tw'n patevrwn fuvlake" uJpevsthsan kai; peri; aujtou;" ejsthvsanto th;n a[trepton froura;n kai; ejn aujtoi'" monivmw" i{drusan eJautouv". Dio; kai; oJ Aqhnai'o" xevno", w{sper dia; th'" ajrivsth" ajnalogiva" diakosmei' 25 th;n politeivan, di h|" kai; oJ dhmiourgo;" sunevdhse kai; sunesthvsato to;n o{lon oujranovn, ou{tw dh; kai; frou123 ra;n uJfivsthsi toi'" ejn th'/ cwvra/ pa'sin, i{na mhde;n ajfrouvrhton h\/ kata; duvnamin, mimouvmeno" aujtou;" tou;" noerou;" qeouv", oi} toi'" ajcravntoi" hJgemovsi ta; pavnta frourou'si. Kaiv moi dokei' kai; aujtou;" tou;" a[rconta" dia; 5 tou'to nomofuvlaka" h] fuvlaka" prosagoreuvein, diovti kai; toi'" tw'n kovsmwn o{lwn noeroi'" hJgemovsi sunufesthvkasin oiJ ajklinei'" fuvlake".

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hanno anche la loro sussistenza unita in modo reciproco, e tutti sono in certo modo in ciascun padre, ed è in relazione a tutti che tutti agiscono. Ed in un certo modo in base alla propria specifica 25 sussistenza sono stati separati dai padri, in un altro modo invece risultano compresi in modo indivisibile da essi ed inoltre, al contempo, hanno ottenuto un livello di pari dignità rispetto ai padri 122 e tuttavia si sono rivelati come dotati di un’essenza inferiore ad essi. D’altra parte, avendo una tale natura, custodiscono immacolate le intere processioni dei padri, inoltre forniscono ad essi il carattere inflessibile nelle potenze e quello immutabile nelle azio- 5 ni, e, dal canto loro, dipendono dalla purezza universale. E se mai qualcuno degli antichi considera il carattere di «ciò che è sempre nella medesima condizione ed allo stesso modo»531 in riferimento all’intelletto, per il fatto che esso non accoglie nulla in se stesso da parte delle entità inferiori e non si mescola a quelle deteriori, essi 10 celebrano con inni tutti i beni di tal sorta che da questi dèi pervengono sia all’intelletto sia agli altri dèi. Infatti il carattere stesso del «non mescolato» rispetto alle entità inferiori, proprio dell’essenza divina, carattere che il discorso contenuto nel Simposio celebra in modo particolare532, e quello dell’essere superiore per purezza e immodificabile potenza rispetto alla totalità delle cose, giungono agli dèi in virtù della causa “guardiana”; e come i padri 15 sono elargitori della produzione generativa, oltre che per tutti quanti gli altri dèi, in particolare per quelli inflessibili, allo stesso modo gli dèi incontaminati donano sia ai padri sia agli altri ordinamenti la potenza della purezza. Insieme dunque ai tre re intellettivi sono venuti a sussistere 20 anche i tre re incontaminati e custodi dei padri stessi, ed intorno ad essi hanno collocato l’immutabile guardia ed in essi hanno posto stabilmente se stessi. Ecco perché lo Straniero di Atene, come dà ordine per mezzo della «migliore proporzione»533 alla forma di 25 governo, proporzione attraverso la quale il Demiurgo «ha collegato insieme ed ha costituito il cielo»534 nella sua interezza, allo stesso modo fa sussistere una guardia per tutti gli abitanti della regio- 123 ne, affinché «nulla, nella misura del possibile, risulti privo di custodia»535, imitando gli dèi intellettivi stessi i quali custodiscono per mezzo dei sovrani incontaminati tutte le cose. Ed a me sembra che denomini «custodi delle leggi o custodi»536 5 i capi stessi proprio per il fatto che i custodi inflessibili sono venuti a sussistere insieme ai sovrani intellettivi della totalità dei cosmi.

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ldV Alla; tau'ta me;n porrwvteron a]n ei[h th'" qeiva" ejkeivnh" 10 triavdo" ejpiceirhvmata kai; ajpo; tw'n ejscavtwn eijkovnwn ejp aujth;n ajnagovmena. Tavca d a]n kai; tau'ta ajfevnte" meizovnwn eujporhvsaimen ejpibolw'n eij" th;n tou' prokeimevnou qhvran, kai; meta; tou' Plavtwno" ta; qei'a gevnh skopou'nte" eu{roimen a]n o{pw" kai; ejkei'no" th;n tavxin tauvthn ajnumnei' tw'n qew'n 15 kai; meta; tw'n triw'n basilevwn aujth;n tw'n nu'n paradedomevnwn sunufivsthsin, w{sper dh; kai; para; toi'" a[lloi" qeolovgoi" hJ peri; aujtw'n ajlhvqeia mustikw'" hJma'" ajnadidavskei. En me;n toivnun tw'/ Prwtagovrou muvqw/ th;n ejxh/rhmevnhn tou' 20 Dio;" periwph;n hJmi'n ejndeiknuvmeno" kai; th;n ajmigh' pro;" ta; deuvtera pavnta th'" oujsiva" uJperochvn, di h}n a[batov" ejsti kai; ajnevkfanto" toi'" meristoi'" gevnesi tw'n qew'n, ejpi; ãth;nà a[trepton aujtou' fulakh;n kai; th;n peri; aujto;n frourhtikh;n tavxin ajnafevrei th;n aijtivan. Dia; ga;r tauvthn pa'sai me;n aiJ 25 dhmiourgikai; dunavmei" ejn eJautai'" i{druntai monivmw", pavnta 124 de; ta; ei[dh kat a[kran uJperoch;n ejxhv/rhntai tw'n deutevrwn, o{lo" de; oJ dhmiourgiko;" nou'" ejn tw'/ eJautou' mevnei kata; trovpon h[qei. AiJ ga;r tou' Diov", fhsiv, fulakai; foberai; toi'" pa'sin uJpavrcousi, kai; dia; tou'to ta; 5 thlikau'ta gevnh tw'n qew'n, w|n ei|" ejsti kai; oJ Promhqeuv", aujtovqen sunavptesqai tai'" ajcravntoi" kai; Olumpivoi" tou' dhmiourgou' dunavmesin oujc oi|av tev ejstin. Eij toivnun safw'" aujto;" oJ Swkravth" ejn muvqou schvmati th;n peri; to;n dhmiourgo;n hJmi'n paradivdwsi fulakhvn, pw'" oujci; dhloi' dia; touvtwn 10 o{ti to; frourhtiko;n gevno" sunufevsthke toi'" noeroi'" qeoi'" W" ga;r ta; lovgia prhsthrivdi froura'/ perievcesqaiv fhsi th;n dhmiourgikh;n tavxin, ou{tw dh; kai; oJ Plavtwn fulaka;" aujth'/ periestavnai ta;" th;n ejxh/rhmevnhn aujtou' tw'n deutevrwn aJpavntwn ajkrovthta frourouvsa" ajklivtw". 15 En de; dh; tw'/ Kratuvlw/ to;n Krovnon oJ Swkravth" o{sti" ejsti; dia; th'" ejn toi'" ojnovmasin ajpotupoumevnh" ajlhqeiva" ejkfaivnwn, deivknusi me;n aujtou' kai; th;n ijdivan u{parxin, kaq h}n uJfevsthke tw'n o{lwn noerw'n diakovsmwn ejxhgouvmeno",

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34 [Dimostrazioni più chiare della sussistenza degli dèi incontaminati secondo Platone] Ma questi argomenti sono, a mio giudizio, troppo lontani da quella triade divina e vengono ricondotti ad essa a partire dalle 10 immagini di ultimo livello. Forse, lasciando perdere questi argomenti, potremmo trovare vie intuitive migliori per la ricerca della questione che abbiamo di fronte, ed esaminando con Platone i generi divini potremmo scoprire in che modo anche egli celebra questo ordine degli dèi e in che modo egli lo fa sussistere insieme 15 ai tre re537 che sono stati ora oggetto della nostra trattazione, proprio come anche presso gli altri teologi la verità concernente questi dèi ci istruisce in modo iniziatico. Così allora, nel mito del Protagora538, indicandoci la specola 20 trascendente di Zeus e la superiorità, non mescolata a nessuna delle entità inferiori, della sua essenza, superiorità in virtù della quale egli è inaccessibile ed oscuro per i generi particolari degli dèi, fa risalire la causa alla sua custodia immutabile ed all’ordinamento guardiano che lo circonda539. Infatti in virtù di tale causa tutte le potenze demiurgiche sono sta- 25 bilmente poste in se stesse, tutte le forme trascendono in base ad 124 una suprema superiorità le entità inferiori, ed infine tutto l’intelletto demiurgico nella sua interezza «permane nella sua condizione che gli è abituale»540. Infatti, egli afferma, «i custodi di Zeus» sono effettivamente «terribili»541 per tutti, e per questo motivo siffatti generi di dèi, dei quali fa parte anche Prometeo, non posso- 5 no congiungersi direttamente alle potenze incontaminate ed olimpiche del Demiurgo. Se pertanto Socrate stesso, in forma di mito, ci tramanda chiaramente la custodia che circonda il Demiurgo, come può non risultare chiaro attraverso queste considerazioni che il genere guardiano è venuto a sussistere insieme agli dèi intel- 10 lettivi? Come infatti gli Oracoli affermano che l’ordinamento demiurgico è avvolto da una «guardia folgorante»542, allo stesso modo anche Platone afferma che intorno a questo ordinamento sono posti custodi che fanno da guardie alla superiorità trascendente del Demiurgo rispetto a tutte quante le entità inferiori. Proprio nel Cratilo, del resto, Socrate, quando rivela chi sia 15 Crono attraverso la verità impressa nei nomi, da un lato mostra la sua realtà specifica, in base alla quale è venuto a sussistere come guida della totalità degli ordinamenti intellettivi, dall’altro mostra

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deivknusi de; kai; th;n sunhnwmevnhn aujtw'/ monavda th'" ajcravntou diakosmhvsew". Nou'" gavr ejstin, w{" fhsin ejn ejkeivnoi", kaqarov": to; ga;r kovron aujtou', fhsivn, ouj shmaivnei to;n pai'da, ajlla; to; kaqaro;n kai; ajkhvraton tou' nou'. Qaumasto;n ou\n trovpon a{ma kai; th;n Kronivan ijdiovthta kai; th;n prwtivsthn th'" ajcravntou triavdo" monavda sunhvnwsen 25 oJ tw'n qeivwn touvtwn ojnomavtwn dhmiourgov". Anupevrblhto" gavr ejstin hJ e{nwsi" tou' te prwvtou patro;" 125 kai; tou' prwvtou tw'n ajcravntwn qew'n, kai; dia; tou'to sigwvmeno" kalei'tai uJpo; tw'n qew'n ou|to" oJ a[klito" qeo;" kai; tw'/ nw'/ sunw/dei'n levgetai kai; kata; nou'n movnon uJpo; tw'n yucw'n gnwrivzesqai, diovti dh; kata; mivan e{nwsin ejn tw'/ 5 prwvtw/ nw'/ sunufevsthken. O toivnun Krovno" wJ" me;n nou'" oJ prwvtisto" ajfwvristai kata; th;n ijdivan tavxin, wJ" de; kaqaro;" nou'" kai; ajkhvrato" e[cei kai; to; a[cranton ejn eJautw'/ sunhnwmevnon, kai; dia; tou'to pavntwn ejsti; tw'n noerw'n qew'n basileuv": kai; ga;r wJ" nou'" pavnta" uJfivsthsi 10 kai; wJ" kaqaro;" nou'" frourei' ta;" o{la" aujtw'n diakosmhvsei". OiJ me;n toivnun duvo patevre" uJpo; tw'n tou' Plavtwno" lovgwn ejpideivknuntai toi'" ajtrevptoi" qeoi'" suntattovmenoi, kaq e{nwsin me;n oJ prw'to", kata; diavkrisin de; oJ trivto". Eij 15 de; bouvlei kai; th;n mivan aujtw'n qewrh'sai pro;" ajllhvlou" ajklinh' fulakhvn, kaq h}n oJ trivto" path;r ejn tw'/ prwvtw/ monivmw" ejstivn, a{te dh; nou'" w]n ejkeivnou kai; peri; ejkei'non ejnergw'n, tou;" ejn tw'/ Kratuvlw/ pavlin ejnnovei moi desmouv", w|n aiJ me;n meristai; zwai; kai; nou' sterhqei'sai kai; peri; th;n 20 u{lhn ejptohmevnai metevcein ajdunatou'sin, aujto;" de; oJ qei'o" nou'" kai; aiJ pro;" aujto;n sunafqei'sai yucai; kata; th;n proshvkousan aujtai'" tavxin metalagcavnousin. OiJ ga;r Krovnioi desmoi; dokou'si me;n aujto;n katadei'n to;n mevgiston Krovnon, tw'/ de; o[nti ta; peribavllonta aujtw'/ tou;" desmou;" 25 peri; aujto;n sunevcontai ajcravntw". Th'" ga;r sunektikh'" tw'n noerw'n qew'n diakosmhvsew" suvmbolovn ejstin oJ desmov", ejpeidh; pa'n to; dedemevnon uJpo; tou' desmou' sunevcetai. Pavlin ou\n ejk touvtwn katafaivnetai to; me;n ajpo; tw'n sunektikw'n 126 qew'n eij" tou;" noerou;" ejfh'kon basileva" th'" froura'" ajgaqo;n eJnwtiko;n aujtw'n kai; sunagwgo;n eij" e{n (oJ ga;r desmo;" frourei' to; sunecovmenon uJf eJautou'), oiJ de; a[treptoi qeoi; ta;" oijkeiva" aujtw'n tavxei" ajklinw'" diafulavttonte". 20

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anche la monade, che risulta unita a lui, dell’ordinamento incon- 20 taminato. Infatti egli è, come lì egli afferma, “intelletto puro”: infatti il suo essere “kóros” [“puro”], afferma, «non significa «“bambino”, bensì il carattere “puro” e “intatto” dell’intelletto»543. È dunque in modo mirabile che «il demiurgo di» questi «nomi»544 divi- 25 ni ha unito insieme il carattere specifico Cronio e la primissima monade della triade incontaminata. Infatti l’unità sia del primo padre che del primo degli dèi incontaminati è insuperabile, e per 125 questo motivo questo dio inflessibile viene chiamato dagli dèi «colui del quale si tace» e si dice che «è in accordo»545 con l’intelletto e che solo in base all’intelletto è conosciuto dalle anime, cioè proprio per il fatto che è venuto a coesistere nel primo intelletto 5 in base ad un’unica unificazione. Pertanto Crono come “intelletto primissimo” risulta definito in base al suo proprio specifico ordinamento, mentre come intelletto “puro e intatto” possiede il carattere di “incontaminato” unito in lui stesso, e per questo motivo è il re di tutti gli dèi intellettivi; ed infatti come intelletto li fa sussistere tutti e come intelletto puro custodisce la totalità dei loro 10 ordinamenti546. Pertanto i due padri vengono presentati dai discorsi di Platone come coordinati agli dèi immutabili, il primo padre in base all’unità, mentre il terzo in base alla distinzione547. Ma se si vuole 15 considerare anche la loro unica custodia inflessibile reciproca, in base alla quale il terzo padre si trova stabilmente nel primo, proprio in quanto è intelletto di quello e opera in relazione a lui, – mi raccomando – si devono prendere di nuovo in considerazione i «legami» nel Cratilo548, dei quali le vite particolari, private di intelletto ed anche piene di turbamento nei riguardi alla materia, 20 non possono partecipare, mentre l’intelletto divino stesso e le anime che sono unite insieme verso di lui sono nella condizione di parteciparne in base al livello loro confacentesi. In effetti i legami Cronii sembrano tener legato lo stesso grandissimo Crono, ma in realtà sono le entità che gettano attorno a lui i lega- 25 mi ad essere tenute insieme in modo incontaminato intorno a lui. Infatti il legame è simbolo dell’ordinamento connettivo degli dèi intellettivi, dal momento che tutto ciò che risulta legato è tenuto insieme dal legame. Di nuovo dunque in base a tali considerazioni appare palese che il bene della custodia che dagli dèi connetti- 126 vi arriva ai re intellettivi è in grado di unirli e raccoglierli in un’unità (infatti il legame custodisce ciò che è da esso stesso tenuto insieme), mentre gli dèi immutabili, dal canto loro, custodiscono inflessibilmente gli ordinamenti che appartengono ad essi. In

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Ditth; ga;r hJ froura; tw'n qew'n touvtwn, hJ me;n prwtourgo;" kai; eJnoeidhv", th'" tw'n sunektikw'n qew'n ejxhrthmevnh triavdo", hJ de; sunupavrcousa aujtoi'" *** ajpo; th'" pro;" ta; deuvtera pavnta rJoph'". Epocou'ntai ga;r oiJ noeroi; patevre" toi'" ajcravntoi" qeoi'" kai; tw'n o{lwn uJperivdruntai dia; th;n a[kli10 ton ejkeivnwn kai; ajkamph' kai; a[trepton duvnamin. Eij de; dei' mh; movnon ejn touvtoi" tou;" duvo touvtou" patevra" th'" frourhtikh'" tauvth" metevcein tavxew", ajlla; kai; th;n mevshn aujtw'n qeovn, th;n zwogovnon, th;n suvstoicon aujth'/ monavda tw'n ajtrevptwn eijlhcevnai qew'n, ajnavgkh dhvpou kai; 15 th;n tw'n ajcravntwn hJgemovnwn prwtivsthn tavxin ejn toi'" noeroi'" patravsi triadikh;n ei\nai kai; toi'" trisi; noeroi'" qeoi'" to;n aujto;n e[cein tevleion ajriqmovn, kai; to;n me;n prw'ton tw'/ prwvtw/ monivmw" hJnw'sqai, to;n de; deuvteron diakrivnesqaiv pw" ejk tou' deutevrou meta; th'" pro;" aujto;n eJnwvsew", to;n de; 20 trivton h[dh diakekrivsqai tou' trivtou: kai; ou{tw dh; kata; th;n tavxin th;n patrikh;n kai; th;n a[cranton aujtoi'" sumproi>evnai diakovsmhsin triadikw'" dih/rhmevnhn, w{sper ejkeivnhn, kai; to;n me;n prw'ton th;n kruvfion tou' Krovnou kai; prwtourgo;n monavda frourei'n tw'n o{lwn uJperevcousan kai; 25 ta;" ajp aujtou' proi>ouvsa" aijtiva" kai; eij" aujto;n au\qi" ejpistrefouvsa" ejn aujtw'/ televw" eJdravzein, to;n de; deuvteron th;n gennhtikh;n th'" basilivdo" Reva" duvnamin kaqara;n ajpo; th'" u{lh" kai; a[cranton diaswv/zein kai; th;n ejpi; pavnta 127 provodon aujth'" ajnevcein ajpo; tw'n deutevrwn, oi|" ejpirrei' tou;" th'" zwh'" ojcetouv", to;n de; dh; trivton th;n o{lhn dhmiourgivan uJperidrumevnhn tw'n dhmiourgoumevnwn kai; monivmw" eJstw'san ejn eJauth'/ fulavttein kai; a[kliton aujth;n pro;" ta; 5 pronoouvmena frourei'n kai; mivan kai; pantelh' th'" merikh'" uJperhplwmevnhn aJpavsh" poihvsew". 5

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effetti la custodia di questi dèi è duplice, l’una è originaria ed uni- 5 forme, dipendente dalla triade degli dèi connettivi549, mentre l’altra è coesistente550 stessi dalla inclinazione per tutte le entità inferiori. In effetti i padri intellettivi si trovano al di sopra degli dèi incontaminati e sono posti al di sopra dell’universo nella sua totalità in virtù della potenza 10 inflessibile, rigida e immutabile di quelli. Se poi bisogna non solo che questi due padri, in questi rapporti, partecipino di questo ordinamento guardiano, ma anche che la dea intermedia tra essi, colei che è generatrice di vita551, abbia ricevuto la monade degli dèi immutabili che le è coordinata, è necessario, a mio giudizio, che anche il primissimo ordinamento 15 dei sovrani incontaminati sia triadico nei padri intellettivi, che abbia lo stesso numero perfetto dei tre padri intellettivi e che il primo risulti stabilmente unito al primo, il secondo si distingua in un certo modo dal secondo, ma al contempo sia unito con esso, il terzo infine risulti ormai di fatto distinto dal terzo; e così è neces- 20 sario che, nel livello paterno, l’ordinamento incontaminato proceda insieme ai padri, diviso in modo triadico, come quell’altro ordinamento, e che il primo custodisca la monade celata ed originaria di Crono, che è posta al di sopra dell’universo nella sua totalità, e stabilisca in modo perfetto in lui le 25 cause che procedono da lui e che fanno convertire di nuovo verso di lui; che il secondo poi preservi pura dalla materia ed incontaminata la potenza generatrice della regina Rea e trattenga la sua 127 processione, in tutte le diverse entità, dal procedere in quelle derivate, sulle quali riversa i «canali»552 della vita; infine è necessario che il terzo conservi la demiurgia universale553 nella sua superiorità rispetto ai suoi prodotti e nel suo rimanere stabilmente fissa in se stessa, e che la custodisca nella sua inflessibilità in rapporto alle entità oggetto della sua cura provvi- 5 denziale ed unica e perfetta, nella sua superiore semplicità, rispetto ad ogni tipo di produzione particolare.

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leV Iqi dh; ou\n ajpo; th'" ajorivstou tauvth" kai; koinh'" peri; tw'n qew'n touvtwn didaskaliva" kai; th;n Ellhnikh;n peri; 10 aujtw'n fhvmhn uJpo; tou' Plavtwno" hJmi'n paradoqei'san eij" mevson ajgavgwmen kai; ejpideivxwmen aujto;n kai; mevcri tw'n ojnomavtwn eJpovmenon toi'" par Ellhsi qeolovgoi", kaqavper ejn th'/ tw'n triw'n basilevwn mustikh'/ qewriva/, kajn th'/ tw'n ajcravntwn qew'n ejxhghvsei th'" ejkeivnwn oujk ajfistavmenon 15 uJfhghvsew". Tiv" ga;r oujk oi\de tw'n kai; smikra; th'" Ellhnikh'" qeosofiva" ajkhkoovtwn e[n te tai'" ajrrhvtoi" aujtw'n teletai'" kai; tai'" a[llai" peri; tw'n qew'n pragmateivai" th;n tw'n Kourhvtwn tavxin par aujtoi'" diaferovntw" uJmnhmevnhn wJ" th'" ajcravntou 20 proestw'san ijdiovthto" *** th'" qea'" hJgemonou'san kai; th;n froura;n tw'n o{lwn eij" eJauth;n ajnadhsamevnhn Ou|toi gou'n oiJ qeoi; kai; th;n basilivda Revan levgontai frourei'n kai; to;n tw'n o{lwn dhmiourgovn, kai; mevcri tw'n aijtivwn th'" meristh'" zwogoniva" te kai; dhmiourgiva" proi>ovnte" thvn te 128 Kovrhn ejn ejkeivnoi" kai; to;n Diovnuson ejxh/rhmevnou" tw'n deutevrwn fulavttein, w{sper ejntau'qa ta;" th'" o{lh" zwogoniva" kai; th'" pantelou'" dhmiourgiva" prwtourgou;" ajnevcousi monavda". 5 Tauvthn dh; ou\n th;n Kourhtikh;n tavxin ouj movnon Orfeu;" kai; oiJ pro; tou' Plavtwno" e[gnwsan qeolovgoi kai; gnovnte" ejqrhvskeusan, ajlla; kai; oJ Aqhnai'o" xevno" ejn Novmoi" ajnuvmnhsen: ta; ga;r ejn Krhvth/ tw'n Kourhvtwn ejnovplia paivgnia pavsh" th'" eujruvqmou kinhvsew" ei\naiv fhsin 10 ajrchgika; paradeivgmata. Kai; nu'n oujde; tou'to ajpevcrhsen aujtw'/, to; th'" Kourhtikh'" mnhsqh'nai tauvth" tavxew", ajlla; kai; prostivqhsi kai; th;n mivan aujtw'n eJnavda, th;n devspoinan hJmw'n Aqhna'n, h|" kai; hJ para; toi'" pro; aujtou' qeolovgoi" mustagwgiva th;n o{lhn ejxavptei tw'n Kourhvtwn provodon, 15 a[nw me;n aujtou;" peristevfousa toi'" Aqhnai>koi'" sumbovloi" wJ" th'" ajeiqalou'" zwh'" kai; th'" ajkmaiva" nohvsew" prostavta", kavtw de; perifanw'" uJpotavttousa th'/ th'" Aqhna'" pronoiva/. OiJ me;n ga;r prwvtistoi Kouvrhte" a{te th'" nohth'"

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35 [Attraverso più riferimenti testuali come, secondo Platone, bisogna chiamare gli dèi incontaminati; in questo capitolo si è esposto anche quale sia la loro unità, quale la loro distinzione e quale il loro carattere specifico] Forza dunque! Da questo indefinito e generale insegnamento su questi dèi passiamo a presentare la tradizione greca su questi 10 dèi che ci è stata tramandata da Platone, e mettiamo in luce che egli segue, finanche nei nomi, i teologi dei greci554, come nel caso della dottrina misterica dei tre re, senza scostarsi, anche nel caso della esposizione degli dèi incontaminati, dalla loro 15 dottrina-guida. Chi infatti, anche tra coloro che hanno solo vaghe nozioni della teosofia greca, non sa che, sia nei loro ineffabili riti di iniziazione sia nelle altre pratiche concernenti gli dèi555, da essi viene celebrato in particolare l’ordinamento dei Cureti come quello che presiede al carattere della incontaminatezza, in quanto è a capo 556 della dea ed ha vincolato a se stesso la custodia dell’universo nella sua totalità? Questi dèi sono per l’appunto detti custodire la regina Rea ed il Demiurgo dell’universo, e, dato che procedono fino ai principi causali, ad un tempo, della generazione di vita e della demiurgia particolari, essi sono detti custodire, al livello di questi 128 principi causali, sia Core che Dioniso nella loro trascendenza rispetto alle entità derivate, proprio come, in questo livello , trattengono nel loro carattere originario le monadi dell’universale generazione di vita e della demiurgia compiutamente perfetta. Ebbene, questo ordinamento curetico non lo hanno conosciu- 5 to solo Orfeo e i teologi anteriori a Platone557 e, avendolo conosciuto, lo hanno reso oggetto di culto, ma anche lo Straniero di Atene lo ha celebrato nelle Leggi: infatti dice che i «giochi in armi dei Cureti»558 a Creta sono modelli originari di tutto il movimen- 10 to ben cadenzato. E in questo passaggio non si è accontentato di menzionare questo ordinamento curetico, ma vi aggiunge anche la loro unica enade, la nostra signora e padrona Atena, dalla quale anche la dottrina misterica dei teologi anteriori a Platone559 fa dipendere l’intera processione dei Cureti, dottrina che, in alto, li 15 incorona560 con i simboli d’Atena in qualità di patroni della vita sempre florida e della intellezione “nel suo pieno vigore”561, in basso invece li subordina con splendore alla provvidente cura di Atena562. Infatti i primissimi Cureti, in quanto sono compagni

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o[nte" qeou' kai; krufiva" ojpadoi; toi'" ejkei'qen proi>ou'sin ajrkou'ntai sunqhvmasin, oiJ de; ejn tai'" deutevrai" kai; trivtai" tavxesi th'" noera'" Aqhnai>kh'" ejxhvrthntai monavdo". Tiv ou\n dhv fhsin oJ Aqhnai'o" ãxevno"Ã peri; th'" monavdo" tauvth" th'" ajcravntw" eij" eJauth;n ejpistrefouvsh" ta;" Kourhtika;" proovdou" H de; au\ pou par hJmi'n kovrh kai; 25 devspoina eujfranqei'sa th'/ th'" coreiva" paideiva/ kenai'" cersi;n oujk wj/hvqh dei'n ajquvrein, panopliva/ 129 de; pantelei' kosmhqei'sa ou{tw th;n o[rchsin diaperaivnei. Dia; dh; touvtwn th;n suggevneian th'" Kourhtikh'" triavdo" pro;" th;n Aqhnai>kh;n monavda deivknusin ejnargw'" oJ Aqhnai'o" xevno". Wsper ga;r ejkeivnhn ejnovplia 5 paivzein ei[rhken, ou{tw dh; kai; th;n hJgemonou'san aujtw'n qeo;n panopliva/ pantelei' kekosmhmevnhn th'" ejnruvqmou kinhvsew" aujtoi'" ejxavrcein fhsiv: kai; w{sper ejkeivnhn ajpo; th'" kaqarovthto" Kourhtikh;n proshgovreusen, ou{tw dh; kai; tauvthn wJ" aijtivan aujtw'n th'" ajcravntou dunavmew" 10 kovrhn ajpekavlese. To; ga;r korovn, w{" fhsin oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth", shmaivnei to; kaqaro;n kai; ajkhvraton: o{qen dh; kai; oiJ Kouvrhte" th;n ejpwnumivan e[lacon th'" ajcravntou proestw'te" kaqarovthto" tw'n qew'n, kai; hJ mona;" aujtw'n devspoina kai; kovrh diaferovntw" 15 ajnuvmnhtai, th'" ajklivtou kai; ajkmaiva" corhgo;" ou\sa toi'" qeoi'" hJgemoniva". To; me;n ou\n korovn, w{sper ei[pomen, suvmbolovn ejsti th'" kaqarovthto", h|" oi{de oiJ qeoi; prohgou'ntai kai; kaq h}n uJpo; tw'n a[llwn metevcontai. To; de; ejnovplion th'" 20 frourhtikh'" ejsti dunavmew" suvnqhma, kaq h}n ta; o{la sunevcousi kai; frourou'sin ejxh/rhmevna tw'n deutevrwn kai; ejn auJtoi'" eJstw'ta diafulavttousi. Kai; tiv ga;r a]n a[llo kai; par ajnqrwvpoi" gevnoito tw'n o{plwn o[felo" plh;n th'" ajp aujtw'n froura'" Tau'ta gavr ejsti ta; tw'n povlewn dia25 ferovntw" fulakthvria. Dio; kai; oiJ mu'qoi toi'" ajcravntoi" qeoi'" th;n ajnantagwvnistonp rJwvmhn, ejnovplion aujtoi'" ajpodedwvkasi skeuhvn: aujth;n de; a[ra th;n mivan aujtw'n eJnavda pantelei' panopliva/ kosmhvsante" uJperivdrusan ejkeivnwn. Prohgei'tai ga;r to; pantele;" tw'n kata; mevrh dih/rh130 mevnwn, kai; hJ panopliva th'" meristh'" tw'n frourhtikw'n dunavmewn dianomh'" prou>fevsthke. Kaiv moi dokei' dia; touvtwn pavlin oJ Plavtwn ta; aujta; levgein toi'" uJpo; tw'n qew'n u{steron 20

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Cfr. nota alla traduzione.

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della dea intelligibile e celata, sono contenti dei segni distintivi 20 che procedono da essa, invece quelli presenti nei secondi e terzi ordinamenti risultano dipendenti dalla monade intellettiva d’Atena. Ebbene, che cosa dice lo Straniero di Atene a proposito di questa monade che fa convertire in modo incontaminato verso se stessa le processioni curetiche? « Poi a sua volta quella che presso di noi è “vergine [“kóre”], nostra signora e padrona”, allietata 25 dall’educazione alla danza, non ha pensato di dover prender parte al divertimento a mani nude, ma ornatasi di un’armatura completa, è 129 in questo modo che porta a termine la danza»563. Proprio attraverso queste parole lo Straniero di Atene mostra chiaramente l’affinità della triade curetica con la monade di Atena. Come infatti ha affermato che quella “si diverte in armi”, allo stesso modo dice 5 che la dea che è guida dei Cureti, «ornatasi di un’armatura completa», dà inizio per loro al movimento ben cadenzato; e come ha denominato questa triade “dei cureti” dalla “purezza”, così ha chiamato questa dea “kóre” come causa della loro potenza incontaminata. Infatti il termine «“korós”», come afferma Socrate nel Cratilo, «significa “il puro” e “l’intatto”»564; è proprio da qui che i Cureti hanno avuto in sorte la loro denominazione in quanto presiedono alla “purezza” incontaminata degli dèi, e che la loro monade è stata celebrata in particolare come “vergine sovrana”, 15 in quanto è garante per gli dèi della condotta di governo inflessibile e “piena di vigore”. Il carattere “korón”[“puro”] dunque, come si è detto, è simbolo della purezza, della quale gli dèi sono i principali detentori ed in base alla quale sono partecipati dalle altre entità. Invece l’“essere in armi” è segno distintivo della potenza guardiana, in base alla 20 quale565 tengono insieme l’universo nella sua totalità, lo custodiscono nella sua trascendenza rispetto alle entità inferiori e lo conservano nella sua stabilità. Ed in effetti anche presso gli esseri umani che altra utilità potrebbero venire ad avere le armi se non la guardia protettiva che proviene da esse? Queste infatti sono le difese a salvaguardia in particolare delle città. Ecco perché 25 i miti hanno attribuito agli dèi immacolati la forza invincibile come loro equipaggiamento armato566; di conseguenza poi, avendo ornato l’unica loro enade stessa di «un’armatura completa», la hanno posta al di sopra di questi dèi. Infatti ciò che è completamente perfetto è superiore per livello alle entità divise in parti, e 130 l’armatura completa preesiste alla distribuzione particolare delle potenze guardiane. Ed a me sembra che Platone, attraverso queste considerazioni appunto, dica ancora una volta le stesse cose

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pefasmevnoi", kai; h}n ejkei'noi pavnteucon proseirhvkasi, tauvthn panopliva/ pantelei' kekosmhmevnhn eujfhmei'n: Kai; ga;r dh; pavnteuco" ejnovplio" ei\ka qehv.

To; ga;r pantele;" ejn th'/ tw'n o{plwn tw'n purricivwn e{xei kai; to; a[cranton ejn th'/ dunavmei th'/ me;n Aqhnai>kh'/ monavdi kata; 10 Plavtwna proshvkei, th'/ de; panteuvcw/ kata; th;n tw'n logivwn uJfhvghsin. Eti toivnun oJ rJuqmo;" kai; hJ o[rchsi" suvnqhma th'" qeovthtov" ejsti tauvth" mustikovn, diovti dh; th'" zwh'" th'" qeiva" th;n a[cranton sunevcousi duvnamin kai; diovti ta;" o{la" aujth'" 15 proovdou" tetagmevna" ajei; kaq e{na to;n qei'on o{ron diafulavttousi kai; diovti th'" u{lh" aujta;" ejxh/rhmevna" ajnevcousi. To; ga;r ajneivdeon kai; to; ajovriston kai; to; a[rruqmon th'" u{lh" ejsti;n ijdivwma: to; toivnun a[ulon kai; to; wJrismevnon kai; to; a[cranton e[nruqmovn ejsti kai; tetagmevnon kai; noerovn. 20 Dia; ga;r tou'to kai; oJ oujrano;" ajidivw" coreuvein levgetai kai; pavnte" oiJ kat oujrano;n kuvkloi th'" ejnruvqmou kai; ejnarmonivou metevcousi kinhvsew", a[nwqen ajpo; tw'n ajcravntwn qew'n th'" dunavmew" tauvth" ajpoplhrouvmenoi. Diovti me;n ga;r kuvklw/ kinou'ntai, to;n nou'n ajpotupou'ntai kai; th;n 25 noera;n periforavn: diovti de; ejnarmonivw" kai; kata; tou;" prwvtou" kai; ajrivstou" rJuqmouv", th'" tw'n frourhtikw'n qew'n metevcousin ijdiovthto". 131 Kai; mh;n th'" ajkrovthto" tw'n noerw'n qew'n hJ tw'n ajcravntwn hJgemovnwn tria;" ejxhvrthtai: kai; o{ti proveisin ajp ejkeivnh", aujto;" oJ Plavtwn ajnadidavskei th;n prwtivsthn th'" kaqarovthto" aijtivan ejn tw'/ Krovnw/ tiqevmeno", tw'/ basilei' th'" noera'" 5 aJpavsh" eJbdomavdo". Ekei' ga;r to; korovn ejsti prwvtw", wJ" aujto;" ejn Kratuvlw/ paradevdwken hJmi'n, kai; ãhJÃ prwtourgo;" aijtiva th'" kaqarovthto" eJniaivw" ejn aujtw'/ prou>fevsthke. Dia; ga;r tou'to kai; hJ Aqhnai>kh; mona;" proseivrhtai kovrh kai; hJ Kourhtikh; tria;" to;n trovpon tou'ton ajnuvmnh10 tai, th'" ejn tw'/ noerw'/ patri; kaqarovthto" ejxhrthmevnh.

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che sono state manifestate in seguito dagli dèi567, e che celebri come «ornata di un’armatura completa» la dea che quelli hanno appellato «armata di tutto punto»:

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«Ed infatti, armata di tutto punto con le mie armi »568. In effetti il carattere del “compiutamente perfetto”, trattandosi del possesso delle armi per le danze pirriche, e quello dell’“incontaminato”, trattandosi della potenza, si addicono, secon- 10 do Platone, alla monade di Atena, e si addicono alla “armata di tutto punto” secondo la dottrina-guida degli Oracoli. Inoltre il ritmo e la danza sono segno distintivo misterico di questa natura divina, poiché contengono la potenza incontaminata della vita divina, poiché custodiscono tutte le sue 15 processioni sempre ordinate in base all’unico criterio divino e poiché le trattengono nella loro trascendenza rispetto alla materia. Infatti l’essere privo di forma, l’essere indefinito e l’essere privo di ritmo sono caratteristica specifica della materia; pertanto l’essere immateriale, l’essere definito e l’essere incontaminato hanno natura “ritmica”, “ordinata” ed “intellettiva”. In effetti è per questo 20 motivo che il cielo è detto “danzare in eterno”569 e tutti i cerchi nel cielo partecipano del moto ritmico ed armonico, dato che dall’alto sono ricolmati di questa potenza dagli dèi incontaminati. Infatti, da un lato, è «per il fatto che si muovono in circolo» che essi riproducono «l’intelletto» e la rivoluzione intellettiva570; dal- 25 l’altro, è per il fatto che lo fanno in modo armonico e secondo i primi e migliori ritmi, che partecipano della proprietà specifica degli dèi guardiani. Ed in effetti la triade dei sovrani incontaminati risulta dipen- 131 dente dalla sommità degli dèi intellettivi; ed il fatto che essi procedano da quella, lo insegna Platone stesso ponendo la causa primissima della purezza in Crono, il re di tutta quanta l’ebdomade 5 intellettiva571. Infatti lì si trova in modo primario il carattere “korón” [“puro”], come egli ci ha tramandato nel Cratilo572, e la causa originaria della purezza preesiste in lui in modo unitario. In effetti è appunto per questo motivo che la monade di Atena è appellata “kóre”573 e la triade curetica è celebrata in questo modo574, in quanto dipende dalla purezza insita nel padre intellet- 10 tivo.

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lıV Peri; me;n ou\n tw'n ajcravntwn hJgemovnwn tosau'ta kata; th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin ei[comen levgein. Loiph; dev ejstin hJ th'" noera'" eJbdomavdo" aJpavsh" sugkleivousa to;n 15 ajriqmo;n kai; th'" o{lh" diairevsew" prwtivsth kai; eJnoeidh;" aijtiva, peri; h|" kata; to; eJxh'" poihsovmeqa tou;" lovgou". AiJ me;n ou\n para; pa'sin toi'" ta; qei'a sofoi'" par Ellhsin uJmnhmevnai tomai; tw'n noerw'n qew'n, ta;" ejn aujtoi'" aijnissovmenai diakrivsei", kata; th;n eJbdovmhn aujtoi'" 20 ajpotelou'ntai monavda, th;n th'" diairevsew" aijtivan, kaq h}n tw'n te uJperkeimevnwn eJautou;" dievsthsan qew'n eij" eJtevran tavxin proelqovnte" kai; tw'n katadeestevrwn ejxh/rhmevnhn e[lacon e{nwsin kai; kaq eJautou;" th;n diwrismevnhn e[cousi tavxin kai; th;n kat ajriqmo;n ajforizomevnhn provodon. O dev 25 ge Plavtwn sugcwrei' me;n toi'" foibolhvptoi" poihtai'" mustikw'" ta; toiau'ta aijnivssesqai, tou;" de; pollou;" ejxeivrgei 132 th'" touvtwn ajkroavsew", toi'" muqikoi'" th'" ajlhqeiva" parapetavsmasin ajbasanivstw" peiqomevnou", o} dh; kai; to;n Eujquvfrona paqovnta dihvlegxen oJ Swkravth" wJ" tw'n qeivwn ajnepisthvmona. Kai; kat aujto;n a[ra to;n tou' Plavtwno" 5 e[nqeon nou'n ta; toiau'ta pavnta meqarmovzonte" eij" th;n peri; tw'n o{lwn ajlhvqeian kai; th;n ejn aujtoi'" ajpokruptomevnhn qewrivan ajnaptuvssonte" teuxovmeqa th'" peri; to; qei'on eijlikrinou'" qerapeiva". Epei; kai; tou;" desmou;" tou;" Kronivou" oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth" ejxevfhne kai; th;n 10 mustikh;n aujtw'n e[nnoian ajnhvplwse, kai; wJ" oujk a[ra h\n ta; tw'n palaiw'n kai; kleinw'n ejkeivnwn qeavmata th'" ajlhqeiva" ajpopesovnta diaferovntw" ejpevdeixe. Kata; ta; aujta; dh; ou\n kai; ta;" toma;" ta;" noera;" kai; th;n touvtwn oijstikh;n duvnamin kata; ta;" ejnqevou" ejpibola;" sugcwrhvsei para15 lambavnein toi'" eJautou' fivloi" kai; meta; tw'n desmw'n ejn ejkeivnoi" qewrei'n. Eti toivnun oJ ejn tw'/ Gorgiva/ mu'qo" ejnargevsteron th;n tou' Dio;" ajrch;n th'" Kroniva" diivsthsi basileiva" kai; deutevran tauvthn ajp ejkeivnh" kai; newtevran ajpokalei'.

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36 [Come si potrebbero trarre delle considerazioni di partenza anche sulla settima monade da quanto è detto da Platone in modo misterico solo per cenni] Dunque riguardo ai sovrani incontaminati questo è tutto ciò che avevamo da dire secondo l’insegnamento di Platone. Rimane allora da parlare della causa, primissima ed uni-forme, che racchiude insieme la serie complessiva di tutta quanta l’ebdomade intellettiva e dell’intera sua divisione, causa della quale tratteremo subito di seguito. Allora, i “sezionamenti”575 degli dèi intellettivi, sezionamenti che sono celebrati, presso i greci, da tutti i sapienti in questioni divine576 e che indicano per allusione le distinzioni insite in questi dèi, sono realizzati in essi in base alla settima monade, cioè la causa 20 della divisione in base alla quale si sono separati dagli dèi che sono ad essi superiori, per procedere verso un diverso ordinamento, hanno ricevuto una unificazione che trascende le entità inferiori ed hanno di per se stessi un loro distinto ordinamento e una loro processione definita in senso numerico. Dal canto suo, Platone consente ai poeti ispirati da Apollo di esprime- 25 re tali concetti in modo iniziatico per il tramite di allusioni, mentre proibisce ai più di ascoltarli, poiché essi credono, senza analisi 132 interpretativa, ai miti che velano la verità; ed in questo errore in effetti era caduto anche Eutifrone e per questo Socrate lo ha confutato dimostrando che non aveva alcuna conoscenza delle realtà divine577. E di conseguenza noi, direttamente secondo l’intelletto 5 divinamente ispirato di Platone, adattando tutte le concezioni di questo tipo alla verità sulle entità universali e rendendo esplicita la teoria che è celata al loro interno, potremo raggiungere il culto puro rivolto alla realtà divina. In effetti Socrate ha rivelato nel Cratilo i “legami” Cronii578, ha esplicato il loro significato misterico, ed ha mostrato in particolare come di conseguenza le visioni di 10 questi personaggi antichi ed illustri non fossero prive di verità. Ebbene, precisamente allo stesso modo consentirà ai suoi amici di prendere in considerazione, sulla base delle intuizio- 15 ni divinamente ispirate, i «sezionamenti intellettivi»579 e la potenza che li produce e di contemplarli congiuntamente ai “legami” di cui si parla lì. Inoltre poi, il mito del Gorgia in modo ancora più chiaro separa dal regno di Crono il dominio di Zeus e lo denomina “secondo a partire da quello di Crono e più recente”580.

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Tiv" ou\n aijtiva ta;" patrika;" tauvta" dievkrine monavda" Tiv" noera; duvnami" th;n noera;n ajrch;n ajpo; th'" ejxh/rhmevnh" parhvgagen Anavgkh ga;r ei\nai par aujtoi'" toi'" qeoi'" th;n prwtourgo;n th'" diairevsew" phghvn, di h}n kai; oJ Zeu;" eJauto;n ejk th'" tou' patro;" diakrivnei monavdo" kai; oJ Krovno" 25 ejk th'" Oujranou' basileiva" kai; ta; deuvtera tou' Dio;" eij" uJfeimevnhn tavxin proelqovnta th'" pantelou'" aujtou' diakevkritai pronoiva". Kai; mh;n kai; aujto;" oJ dhmiourgo;" ejn th'/ poihvsei tw'n meq eJauto;n genw'n oJmou' me;n th'" eJnwvsewv" 133 ejstin aujtoi'" ai[tio", oJmou' de; kai; tw'n pantoivwn ejxavrcei diairevsewn. Epei; kai; th;n yuch;n e}n o{lon ajpergasavmeno" eij" moivra" diakrivnei kai; dunavmei" polueidei'": ou| dh; kai; aujto;" oJ Plavtwn ta;" diakrivsei" tauvta" kai; kat 5 oujsivan diairevsei" toma;" ajpokalei'n oujk ajphxivwse: Moivra" e[ti ejkei'qen ajpotevmnwn kai; tiqei;" eij" to; metaxu; touvtwn. Kai; pavlin ejn toi'" ejpimerizomevnoi": Kai; ou{tw dh; to; micqevn, ejx ou| tau'ta katevtemnen, h[dh pa'n kathnalwvkei. Tiv ou\n e[ti qaumasto;n eij kai; 10 oiJ muqoplavstai ta;" tw'n noerw'n hJgemovnwn diairevsei" toma;" proseirhvkasin, o{pou kai; oJ Tivmaio", ouj muvqou" plavttwn, ajlla; th;n kat oujsivan eij" plh'qo" provodon tw'n yucw'n ejndeiknuvmeno", tw'/ th'" tomh'" kevcrhtai sunqhvmati Pw'" de; oujci; kai; toi'" ajkrotavtoi" tw'n qeolovgwn sumfwnovtato" 15 oJ Plavtwn, to;n dhmiourgo;n kai; aujto;" tai'" noerai'" ajstravptonta tomai'" paradidouv" Wsper toivnun th;n oujsivan paravgwn tw'n yucw'n kata; to; o[ntw" o]n aujth;n uJfivsthsi, kai; th;n zwh;n ajpogennw'n kata; th;n ejkei' zwh;n aujth;n ajpogenna'/, kai; to;n nou'n to;n ejn aujtai'" kata; to;n 20 ejn eJautw'/ nou'n, ou{tw dh; kai; tevmnwn aujth;n ajf eJauth'" kai; diakrivnwn kata; ta;" ejkei' toma;" kai; diakrivsei" ejnergei' kai; th;n mivan aujtw'n kai; noera;n aijtivan. Estin a[ra kai; kata; to;n Plavtwna tw'n o{lwn diairevsewn ejn toi'" noeroi'" hJ prwtivsth monav", kai; meta; tw'n dittw'n 25 triavdwn, th'" te patrikh'" levgw kai; th'" ajcravntou, sumplhroi' th;n noera;n o{lhn eJbdomavda: kai; hJmei'" taujta; tw'/ te Plavtwni kai; toi'" a[lloi" qeolovgoi" eJpovmenoi sugkecwrhvkamen. 20

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Quale causa dunque ha distinto queste monadi paterne? Qua- 20 le potenza intellettiva ha introdotto il dominio intellettivo a partire da quello trascendente? In effetti è necessario che presso gli dèi stessi vi sia la fonte originaria della divisione, in virtù della quale Zeus si separa dalla monade del padre e Crono dal regno di Ura- 25 no, e le entità inferiori a Zeus, essendo procedute verso un ordinamento inferiore, si sono separate dalla sua perfetta cura provvidenziale. Ed inoltre il Demiurgo stesso, nella produzione dei generi che vengono dopo di lui, al contempo è per essi principio 133 causale di unità ed è anche originatore delle divisioni di ogni sorta. In effetti, dopo aver realizzato l’anima come un unico intero, la distingue in parti e potenze multiformi581; e proprio in riferimento ad esso Platone stesso non ha disdegnato di chiamare 5 “sezionamenti” queste distinzioni e queste divisioni essenziali: «da lì ancora sezionò delle parti e le pose nello spazio intermedio tra questi intervalli»582. E di nuovo tra quelle ulteriormente divise: «E così la mescolanza, dalla quale aveva ricavato queste sezioni, a questo punto l’aveva utilizzata per intero»583. Perché dunque ancora stupirsi se anche gli autori di miti hanno appellato “sezioni” le 10 suddivisioni dei sovrani intellettivi, visto che anche Timeo, che non elabora miti, ma che mette in luce la processione secondo essenza delle anime verso la molteplicità, si è servito del segno simbolico del sezionamento? Come poi è possibile che Platone non sia pienamente in accordo anche con i più eminenti dei teo- 15 logi584, dato che anch’egli ha tramandato il Demiurgo come «rifulgente di sezionamenti intellettivi»585? Pertanto, come, avendo prodotto l’essenza delle anime, la fa sussistere in base all’essere reale, e come, generando la vita, la genera in base alla vita di lassù586, e l’intelletto che è nelle anime in base all’intelletto che 20 è in lui stesso, allo stesso modo, sezionando l’essenza dell’anima così da differenziarla in se stessa, egli opera in base ai sezionamenti e alle differenziazioni di quella realtà là e in base alla loro unica causa intellettiva. Di conseguenza anche secondo Platone la primissima monade delle divisioni universali esiste tra gli intellettivi, ed insieme alle duplici triadi, intendo dire quella paterna e quella incontaminata, 25 costituisce l’intera ebdomade intellettiva587; anche noi, dal canto nostro, abbiamo convenuto sulla medesima dottrina seguendo Platone e gli altri teologi.

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lzV Iqi dh; ou\n ejp ajrch;n ajnadravmwmen kai; ta; aujta; to;n Parmenivdhn ejpideivxwmen peri; th'" noera'" eJbdomavdo" tauvth" diatattovmenon kai; tai'" triplai'" diakosmhvsesi tw'n nohtw'n 5 a{ma kai; noerw'n qew'n sunech' paravgonta to;n eJbdomadiko;n tou'ton aijw'na kai; th;n noera;n movnw" tw'n qew'n ijdiovthta. Kai; prw'ton peri; tou' patro;" tw'n noerw'n kai; au\ th'" suntetagmevnh" aujtw'/ dunavmew" th'" ajcravntou qewrhvswmen oJpoi'av fhsi. Meta; ga;r to; sch'ma to; tripleke;" kai; 10 th;n pavnta telesiourgou'san tw'n qew'n tavxin ejmfaivnetai me;n to; ejn auJtw'/ kai; ejn a[llw/, sunqhvmata de; tau'ta th'" noera'" ajkrovthto" ejpideivknutai tw'n noerw'n monavdwn. O ga;r prwvtisto" tw'n ejn tw'/ diakovsmw/ touvtw/ path;r a{ma kai; th;n patrikh;n e[lace pro;" tou;" meq eJauto;n uJperoch;n 15 kai; nou'" ejsti tw'n prwvtwn nohtw'n. Pa'" ga;r ajmevqekto" nou'" tw'n pro; aujtou' levgetai nou'" kai; pro;" ejkeivnou" e[cei th;n noera;n ejpistrofh;n ajf w|n paravgetai kai; ejn oi|" wJ" prwtourgoi'" aijtivoi" i{drusen eJautovn. Oqen dh; kai; oJ dhmiourgiko;" nou'" tw'n uJpe;r eJautovn ejsti nou'", kai; pros20 ecw'" me;n tou' sfetevrou patrov", ajf ou| kai; proveisin, ejxh/rhmevnw" de; kai; tw'n ejpevkeina nohtw'n eJnavdwn. O toivnun prwvtisto" basileu;" ejn toi'" noeroi'" kai; pathvr ejsti noero;" kai; nou'" patrikov": ajlla; path;r me;n noero;" tw'n ajf eJautou' qew'n, nou'" de; patriko;" tw'n pro; aujtou' nohtw'n. 135 Esti me;n ga;r kat oujsivan noerov", e[cei de; th;n nohth;n ejn toi'" noeroi'" uJperochvn, diovti dh; kai; ajnavlogon i{drutai th'/ te ajgnwvstw/ tavxei tw'n nohtw'n a{ma kai; noerw'n qew'n kai; th'/ krufivw/ tw'n nohtw'n triavdi: kai; w{sper ejkei'nai tw'n meq 5 eJauta;" uJperhvplwntai triadikw'n uJpostavsewn, ou{tw dh; kai; oJ tw'n noerw'n path;r aJpavsh" ejsti; th'" noera'" eJbdomavdo" uJperhplwmevno" pathvr, eij dh; patrikov" ejsti nou'" kai; ajnavlogon tai'" eijrhmevnai" tavxesi tw'n qew'n ejn ejkeivnai" 134

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134 37 [Come ha tramandato nel “Parmenide” la sommità degli dèi intellettivi]

Coraggio dunque, ritorniamo all’inizio e dimostriamo che Parmenide espone le stesse concezioni circa questa ebdomade intellettiva e, in continuità con gli ordinamenti triplici degli dèi ad un 5 tempo intelligibili ed intellettivi, introduce questo livello di realtà ebdomadico ed il carattere specifico solamente intellettivo di questi dèi. E per prima cosa, a proposito del padre degli intellettivi e, a sua volta, della potenza incontaminata che risulta a lui coordinata, dobbiamo considerare quali siano le sue affermazioni. In effetti dopo la «figura»588, che è triplice, e l’ordinamento degli dèi che 10 porta alla perfezione tutte le cose589, si manifesta il carattere dell’«in sé ed in altro»590, e questi caratteri, dal canto loro, si presentano come i segni distintivi della sommità intellettiva delle monadi intellettive. Infatti il primissimo padre delle entità presenti in questo ordinamento ha ottenuto in sorte la superiorità paterna rispetto agli dèi che vengono dopo di lui ed al contempo è l’in- 15 telletto dei primi intelligibili. Infatti ogni intelletto impartecipabile è detto “intelletto” degli dèi che gli sono superiori ed è verso questi dèi che ha la sua conversione intellettiva, dèi dai quali esso è prodotto e nei quali ha posto se stesso come nelle sue cause originarie. Ed è proprio per via di questo aspetto che l’intelletto demiurgico risulta intelletto delle entità che sono poste al di sopra di esso, e, da un lato, è intelletto in modo diretto di suo padre, dal 20 quale procede, mentre in modo trascendente è intelletto anche delle enadi intelligibili che sono poste al di là. Pertanto il primissimo re tra gli intellettivi è sia padre intellettivo sia intelletto paterno; ma è padre intellettivo degli dèi che vengono da esso, mentre è intelletto paterno degli intelligibili che lo precedono. Infatti è in 135 modo essenziale intellettivo, e d’altra parte possiede la superiorità intelligibile tra gli intellettivi, proprio per il fatto che è posto in modo analogo all’ordinamento inconoscibile degli dèi ad un tempo intelligibili e intellettivi591 ed anche alla triade celata degli intelligibili592; e come questi ordinamenti risultano superiori per 5 semplicità rispetto alle sussistenze triadiche che vengono dopo essi, così il padre degli intellettivi è padre superiore per semplicità rispetto a tutta quanta l’ebdomade intellettiva, se è vero che è intelletto paterno, che ha posto se stesso in questi ordinamenti in modo

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i{drusen eJauto;n kai; plhrou'tai par ejkeivnwn th'" patrikh'" kai; nohth'" eJnwvsew" kai; dia; tou'to kai; kruvfiov" ejsti kai; ta;" eJautou' gonivmou" dunavmei" ejn eJautw'/ kleivei kai; ta;" o{la" aijtiva" ajf eJautou' paragagw;n ejn eJautw'/ pavlin eJdravzei kai; eij" eJauto;n ejpistrevfei. Tau'ta toivnun kai; oJ Parmenivdh" ejndeiknuvmeno" toi'" 15 dittoi'" touvtoi" sunqhvmasin th;n tavxin tauvthn ajposemnuvnei kai; to;n prwvtiston basileva kai; patevra tw'n noerw'n dia; touvtwn carakthrivzei tw'n ijdiothvtwn: kai; ga;r ejn eJautw'/ ejsti kai; ejn a[llw/. Kaq o{son me;n gavr ejstin oJ o{lo" nou'", pro;" auJto;n ejnergei', kaq o{son de; ejn toi'" pro; aujtou' 20 nohtoi'" ejstin, ejn a[llw/ th;n eJautou' pantelh' novhsin i{druse. Tou'to ga;r dh; to; ejn a[llw/ tou' ejn auJtw'/ krei'ttovn ejstin, ei[per, wJ" aujto;" oJ Parmenivdh" diatavttetai, kata; me;n to; o{lon aujtw'/ to; ejn a[llw/ proshvkei, kata; de; ta; mevrh to; ejn auJtw'/. Pou' dh; ou\n prou>pavrcei to; 25 a[llo kai; poiva/ tavxei proshvkei tw'n pro; aujtou' qew'n H kai; tou'to daimonivw" tw'/ hJmetevrw/ kaqhgemovni gevgraptai, 136 kai; to; a[llo tou'to th'/ tavxei diafevrein tauvth/ kaq h}n hJ th'" eJterovthto" duvnami" prw'ton ejxevlamyen, e[kgono" ou\sa th'" nohth'" kai; patrikh'" dunavmew". Dio; kai; ejn th'/ prwvth/ triavdi krufivw" h\n to; a[llo, kaq o{son kai; hJ duvnami", kai; 5 diaferovntw" ejkfaivnetai kata; th;n prwtivsthn tavxin tw'n nohtw'n oJmou' kai; noerw'n: ejkei' ga;r hJ prwvth eJterovth" kai; to; qh'lu tw'n qew'n kai; hJ patrikh; duvnami" kai; a[fqegkto". Nohto;" ou\n w]n kaq o{son ejsti;n o{lon oJ prwvtisto" tw'n noerw'n patevrwn ejn tai'" nohtai'" triavsi tw'n pro; aujtou' 10 diakovsmwn e[sthsen eJautovn, uJf w|n dh; kai; plhrou'tai tw'n hJnwmevnwn kai; krufivwn ajgaqw'n, kai; dia; tou'to ejn a[llw/ levgetaiv te ei\nai kai; e[stin: ãkai; e[stinà ejn ejkeivnai" ªme;nº to; a[llo, krufivw" me;n kai; kat aijtivan ejn th'/ nohth'/ tw'n nohtw'n, kat oujsivan de; ejn th'/ nohth'/ tw'n nohtw'n kai; noerw'n. 15 Hnwtai dh; ou\n ta; nohta; pavnta, to; me;n tw'n nohtw'n kai; noerw'n tw'/ tw'n prwvtwn nohtw'n, to; de; tw'n noerw'n ajmfoi'n. Kai; to; me;n ejn a[llw/ th'" kata; to;n eJniai'on ajriqmo;n eJterovthto" ajntevcetai, oJ de; eJniai'o" ajriqmo;" th'" tou' eJno;" o[nto" ejxhvrthtai krufiva" eJnwvsew", dio; kai; eJniai'ov" ejsti. 20 Eti toivnun kai; w|de levgomen, o{ti th'" ejpistrofh'" ou[sh" ejn ejkeivnoi" ditth'", kai; th'" me;n ou[sh" pro;" eJautav, th'" de; 10

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analogo ai suddetti ordinamenti degli dèi e che è ricolmato da essi 10 della unità paterna ed intelligibile; ed è per questo motivo che è celato ed al contempo «racchiude» in se stesso le sue «potenze» generative593, ed avendo prodotto da se stesso le cause universali, di nuovo le ha fissate in se stesso e le converte verso se stesso. Questi pertanto sono gli aspetti che mette in luce Parmenide per mezzo di questi duplici segni distintivi, e così celebra questo 15 ordinamento e caratterizza il primissimo re e padre degli intellettivi attraverso queste proprietà specifiche: ed in effetti esso è «in se stesso ed in altro»594. Infatti nella misura in cui è intelletto nella sua universalità, agisce in relazione a se stesso, mentre nella misura in cui è negli intelligibili che lo precedono, ha posto «in altro» 20 la sua perfetta intellezione. In effetti questo carattere dell’essere «in altro» è superiore a quello dell’essere «in se stesso», se è vero che, come Parmenide stesso stabilisce595, in base al carattere della totalità all’intelletto appartiene l’essere in altro, invece in base alle parti gli appartiene l’essere in se stesso. Dove dunque preesiste “l’altro” ed a quale ordinamento degli dèi che gli sono superiori 25 appartiene? Oppure anche questo è stato scritto in modo straordinario dalla nostra guida596, cioè che questo “altro” appartiene a 136 questa classe in base alla quale la potenza dell’alterità è divampata per la prima volta, in quanto è prodotto generato della potenza intelligibile e paterna. Ecco perché nella prima triade, come si è visto, “l’altro” è in modo celato, in quanto v’è anche la potenza597, e si rivela in particolare in base al primissimo livello degli intelli- 5 gibili e intellettivi ad un tempo: infatti è lì che la prima forma di alterità, il carattere femminino degli dèi e la potenza paterna ed inesprimibile598. Dunque, essendo intelligibile, in quanto è un intero, il primissimo dei padri intellettivi si è stabilito nelle triadi intelligibili degli 10 ordinamenti che gli sono superiori, dai quali, appunto, è ricolmato dei beni unificati e celati, e per questo si dice che è, ed in effetti è, “in altro”: e nelle triadi intelligibili si trova “l’altro”, in modo celato ed in senso causale nella triade intelligibile degli intelligibili, mentre in modo essenziale nella triade intelligibile degli intelligibili-intellettivi. Dunque, tutti gli intelligibili sono uniti, l’intelli- 15 gibile degli intelligibili-intellettivi all’intelligibile dei primi intelligibili, mentre l’intelligibile degli intellettivi ad entrambi. E l’«in altro» dipende dall’alterità conforme al numero unitario, mentre il numero unitario, a sua volta, risulta dipendente dalla unità celata dell’Uno-che-è: ecco perché è appunto unitario599. Diciamo 20 ancora così: dal momento che la conversione è duplice in quelle

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pro;" ta;" aijtiva" aujtw'n (qevmi" ga;r ou[t h\n ou[te e[stai toi'" qeivoi" ejpistrevfein kai; oJpwsou'n pro;" ta; met aujtav), kai; tw'n me;n nohtw'n qew'n monivmw" ta; pavnta 25 gennwvntwn, tw'n de; nohtw'n kai; noerw'n, oi} th;n ajmevqekton zwh;n katalavmpousi, th;n th'" proovdou toi'" pa'sin ajrchgo;n aijtivan parecomevnwn, tw'n de; noerw'n kat ejpistrofh;n ta; 137 o{la diakosmouvntwn, e[dei dhvpou th;n ajkrovthta tw'n noerw'n to; o{lon kai; pantele;" ei\do" th'" ejpistrofh'" ejx eJauth'" profaivnousan ajmfotevroi" carakthrivzesqai toi'" ejpistreptikoi'" sumbovloi" kai; pro;" eJauth;n a{ma kai; pro;" ta; pro; 5 aujth'" ejpistrevfein. Oujkou'n diovti me;n eij" eJauth;n ejpevstraptai, ejn eJauth'/ ejsti, diovti de; kai; pro;" ta;" ejpevkeina eJauth'" nohta;" tavxei", ejn a[llw/ ejstiv: to; ga;r a[llo krei'ttovn ejsti th'" noera'" aJpavsh" diakosmhvsew". Wsper toivnun hJ tw'n nohtw'n ajkrovth" kat aujto; to; nohto;n ijdivwma prwvtw" 10 uJfevsthke kai; monivmw" uJperivdrutai tw'n o{lwn, kai; w{sper hJ tw'n nohtw'n kai; noerw'n th;n th'" tavxew" tauvth" ijdiovthta prwvtw" ejxevfhne kata; th;n eJterovthta th;n qeivan uJposta'sa th;n pa'sin aijtivan tw'n pantoivwn proovdwn, ou{tw dh; kai; hJ tw'n noerw'n nohth; qeovth" ta; th'" ejpistrofh'" ei[dh ditta; 15 kaq e{nwsin ajf eJauth'" deivknusin, ejn a[llw/ me;n ou\sa kata; to; krei'tton th'" ejpistrofh'" ei\do", ejn eJauth'/ de; kata; to; cei'ron: to; ga;r eij" eJauth;n ejpistrevfesqai katadeevsteron th'" eij" ta; kreivttona strofh'". Pavlin toivnun to; me;n ejn a[llw/ th'" noera'" ejsti kai; 20 patrikh'" ejxaivreton ijdiovthto" (nohto;n gavr ejsti to; a[llo, kai; hJ eJterovth" hJ proelqou'sa duvnami" h\n tw'n nohtw'n patevrwn ajpo; tw'n ejn auJtoi'" monivmw" iJdrumevnwn: to; toivnun ejn ejkeivnh/ periecovmenon kai; par ejkeivnh" plhrouvmenon patrikovn ejsti kai; nohtovn): to; d au\ ejn auJtw'/ th'" ajcravntou 25 monavdo" ejsti;n oijkei'on suvnqhma. Sunhvnwntai gavr, wJ" kai; provsqen ei[pomen, aiJ duvo tw'n noerw'n triavdwn ajkrovthte": kai; hJ th'" frourhtikh'" triavdo" mona;" ejn th'/ patrikh'/ diaiwnivw" i{drusen auJthvn, kai; ta; proi>ovnta ajp aujth'" eJdravzei 138 pavlin ejn eJauth'/ kai; ejpistrevfei pro;" auJthvn: kai; oJ noero;" path;r oJ prwvtisto" di eJauto;n mevn ejsti pathvr, dia; de; th;n a[cranton ãaijtivanà ejn eJautw'/ ta; eJautou' gevnh perievcei kai;

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entità, e l’una è rivolta verso esse stesse, mentre l’altra verso le loro cause («infatti non era né sarà lecito»600 alle entità divine convertirsi in un modo qualunque verso le entità che vengono dopo di loro), e dal momento che gli dèi intelligibili generano tutta le cose 25 in modo stabile, mentre gli intelligibili-intellettivi, che fanno risplendere la vita impartecipabile, forniscono a tutte le entità la causa principiale della processione, e dal momento che, infine, gli intellettivi danno, in base alla conversione, ordine all’universo 137 nella sua totalità, bisognava a mio giudizio, che la sommità degli intellettivi, dato che fa apparire da se stessa la forma totale e compiutamente perfetta della conversione, fosse caratterizzata da entrambi i simboli della conversione e che si convertisse verso se 5 stessa ed al contempo verso le entità che la precedono. Quindi, per il fatto che si converte verso se stessa, è in se stessa, mentre per il fatto che si converte verso i livelli intelligibili che sono al di là di essa, è «in altro»: in effetti «l’altro» è superiore a tutto quanto l’ordinamento intellettivo. Pertanto, come la sommità degli intelligibi- 10 li è venuta a sussistere in modo primario in base al carattere intelligibile stesso ed è stabilmente posta al di sopra della totalità delle cose, e come la sommità degli intelligibili-intellettivi ha rivelato in modo primario la proprietà specifica di questo livello, facendo sussistere in base all’alterità divina quella che per tutte le cose è la causa di tutti i tipi di processione, alla stesso modo anche la divinità intelligibile degli intellettivi mostra da se stessa nell’unità le 15 duplici forme della conversione, in quanto è «in altro» in base alla forma superiore della conversione, mentre è in se stessa in base a quella di livello inferiore: infatti il convertirsi verso se stessa è inferiore alla conversione verso le entità superiori. Pertanto, di nuovo, l’«in altro» è carattere distintivo della proprietà intellettiva e paterna (infatti “l’altro” è intelligibile, e l’alte- 20 rità è, come si è visto601, la potenza dei padri intelligibili che è proceduta a partire dalle entità che sono poste stabilmente in se stesse; pertanto ciò che è compreso in questa potenza e che da questa potenza è ricolmato, è paterno e intelligibile); invece l’“in sé” è 25 segno distintivo proprio della monade incontaminata. Infatti, come abbiamo detto anche in precedenza, le due sommità delle triadi intellettive risultano strettamente unite602; e la monade della triade guardiana si è posta eternamente nella sommità paterna, e fa risiedere le entità che procedono da essa di nuovo in se stessa e 138 le converte verso se stessa; ed il primissimo padre intellettivo è padre, sì, in virtù di se stesso, ma è in virtù della 603 incontaminata che comprende in se stesso i suoi propri generi, che li

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monivmw" eij" eJauto;n ajnakalei'tai kai; th'/ eJautou' pantovthti ta; nohta; plhvqh sunevcei tw'n noerw'n ajnekfoivthta th'" eJautou' monavdo". Ama a[ra tw'/ patri; kai; oJ prwvtisto" uJfevsthken hJgemw;n th'" frourhtikh'" diakosmhvsew". Kai; perievcei me;n oJ path;r th;n a[cranton aijtivan, perievcetai de; uJpo; tw'n prwtivstwn nohtw'n: kai; w{sper aujto;" ejn ejkeivnoi" 10 i{drutai nohtw'", ou{tw dh; kai; th;n mivan ajkrovthta tw'n ajklivtwn qew'n h{drasen ejn eJautw'/ kai; peri; eJauto;n uJpevsthse. Nou'" a[ra kaqaro;" hJmi'n oJ aujto;" kai; ejn tw'/ Parmenivdh/ qeo;" ajnafaivnetai, diovti mevn ejsti nou'", eij" th;n nohth;n periwph;n ajnateinovmeno" kai; dia; tou'to ejn a[llw/, kaq 15 o{son ejsti;n o{lo", iJdrumevno": diovti de; au\ kaqaro;" kai; a[ulo", eij" eJauto;n ejpestrammevno" kai; ejn eJautw'/ pavsa" ta;" eJautou' dunavmei" katakleivwn. Ta; ga;r mevrh th'" oJlovthto" tauvth" dunavmei" eijsi; merikwvterai, speuvdousai me;n eij" th;n ajpo; tou' patro;" provodon, eJdrazovmenai de; ejn 20 aujth'/ kai; periecovmenai pantacovqen ajp aujth'". Kai; hJ oJlovth" au{th qeovth" ejsti; sunektikh; tw'n nohtw'n ejn eJauth'/ merw'n, wjdivnousa me;n to; plh'qo" to; noero;n kai; pavnta gennw'sa monivmw" kai; ta; gennhqevnta pavlin ejgkolpizomevnh kai; sunavgousa eij" auJth;n kaiv, w{" fasin oiJ tragikwvteroi 25 tw'n muvqwn, katapivnousa kai; ejn eJauth'/ katatiqemevnh. Ditta; ga;r ta; gennhvmata aujth'", ta; me;n eij" aujth;n oi|on ajnaluvonta, ta; de; ajp aujth'" diairouvmena, kai; ta; me;n dia; 139 th;n a[cranton monavda th;n prwvthn ejn aujth'/ mevnonta, ta; de; kata; th;n govnimon tw'n noerw'n qew'n aijtivan proi>ovnta kai; th'" tou' patro;" eJnwvsew" uJperkuvptonta kai; tavxew" eJtevra" prokatavrconta kai; th'" tw'n deutevrwn diakosmhvsew". 5

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lhV H me;n toivnun prwtivsth tavxi" tw'n noerw'n qew'n ejn touvtoi" uJpo; tou' Parmenivdou paradevdotai. Deutevra de; met aujth;n hJ ta; mevsa gevnh perievcousa tw'n o{lwn kai; th'" proovdou toi'" pa'sin aijtiva kai; th'" gonivmou dunavmew" sunech;" ou\sa pro;" tauvthn ajnafaivnetai. Tiv dh; ou\n ejsti tw'/ nohtw'/ panta-

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richiama stabilmente verso se stesso e che per mezzo della sua propria totalità contiene le molteplicità intelligibili degli intelletti- 5 vi in modo che siano inseparabili dalla sua propria monade. Di conseguenza contemporaneamente al padre è venuto a sussistere anche il primissimo sovrano dell’ordinamento guardiano. Ed il padre comprende la causa incontaminata, mentre è a sua volta compreso dai primissimi intelligibili: e come egli stesso è posto in 10 quelli in modo intelligibile, allo stesso modo ha fatto, a sua volta, risiedere in se stesso l’unica sommità degli dèi inflessibili e l’ha fatta sussistere in relazione a se stesso. Di conseguenza lo stesso dio ci appare come intelletto puro anche nel Parmenide, per il fatto che è intelletto, proteso verso la “specola”604 intelligibile, e per questa ragione posto “in altro”, 15 nella misura in cui è intelletto intero; mentre per il fatto che è a sua volta puro e immateriale, appare convertito verso se stesso e «racchiudente» “in se stesso” tutte le sue «potenze»605. In effetti le parti di questa totalità sono potenze più particolari, che aspirano a procedere dal padre, ma che sono fatte risiedere in questa 20 totalità e sono cinte da ogni parte da essa. E questa totalità è una divinità che contiene in se stessa le parti intelligibili, che è gravida della molteplicità intellettiva, che genera con stabilità tutte le cose, che di nuovo riporta nel suo grembo le entità generate, che le raccoglie in se sessa e, come dicono i più tragici tra i miti, le 25 «divora»606 e le ripone in se stessa. Infatti duplici sono i suoi prodotti generati, gli uni per così dire si dissolvono in essa, mentre gli altri si separano da essa, e gli uni, in virtù della prima monade 139 incontaminata, permangono in essa, mentre gli altri, in base alla causalità generatrice propria degli dèi intellettivi, procedono, cercano di sottrarsi all’unità del padre e danno origine ad un diverso livello ed all’opera di ordinamento delle entità inferiori. 38 [Come Parmenide ha rivelato l’ordinamento intermedio dell’ambito intellettivo e attraverso quali segni specifici] Ecco pertanto come il primissimo livello degli dèi intellettivi è tramandato da Parmenide. Al secondo livello dopo di esso viene quello che comprende i generi intermedi della totalità delle cose e che è causa per tutte le entità della processione e della potenza generativa: tale livello appare in diretta continuità rispetto a quello precedente. Che altro, dunque, ha in ogni ambito diretta conti-

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cou' kai; tw'/ o[ntw" o[nti sunece;" a[llo plh;n th'" zwh'" Mevsh ga;r au{th tou' te nou' kai; tou' nohtou', sunavptousa tw'/ nohtw'/ to;n nou'n kai; th;n nohth;n ajpotupoumevnh duvnamin th;n sunagwgo;n tou' te eJno;" kai; tou' o[nto". Anavlogon dh; 15 ou\n ejstin, wJ" to; nohto;n pro;" to; e}n kai; th;n u{parxin, ou{tw" h{ te zwh; pro;" th;n duvnamin kai; oJ nou'" pro;" to; o[n. Kai; w{sper ejn ejkeivnoi" ejfeto;n mevn ejsti to; e{n, to; de; o]n th'" tou' eJno;" metousiva" ajntevcetai, sunavgei de; hJ duvnami" tov te o]n eij" th;n tou' eJno;" mevqexin kai; to; e}n eij" th;n pro;" to; 20 o]n koinwnivan (ouj ga;r h\n to; ajmevqekton e{n, to; pavsh" dunavmew" ejxh/rhmevnon), ou{tw dh; kai; to; nohto;n ojrektovn ejsti tou' nou', plhrou'tai de; oJ nou'", hJ de; zwh; sundei' me;n tw'/ nohtw'/ to;n nou'n, ejkfaivnei de; tw'/ nw'/ to; nohtovn. Oqen oi\mai kai; oiJ ta; qei'a pavnta sofoi; to; me;n e}n kai; th;n u{parxin 25 nohto;n ejkavloun, to; de; prwvtw" o]n nou'n to;n prwvtiston, 140 kata; th;n ajnalogivan tauvthn ajpokalou'nte". All ou\n hJ zwh; tou' te o[nto" ejsti; metaxu; kai; tou' nou', kaqavper hJ duvnami" tou' eJno;" kai; tou' o[nto": kai; tau'ta pavnta, to; nohtovn, hJ zwhv, oJ nou'", prwvtw" mevn ejstin ejn toi'" nohtoi'", 5 ãdeutevrw" de; ejn toi'" nohtoi'"Ã kai; noeroi'", kata; de; trivthn u{fesin ejn toi'" noeroi'". All ejn me;n toi'" nohtoi'" to; ei\nai kat oujsivan, ta; de; loipav, kai; hJ zwh; kai; oJ nou'", kat aijtivan uJpavrcei: ejn de; toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" to; me;n ei\nai kata; mevqexin, hJ de; zwh; kat oujsivan (ejkei' ga;r prwvtw" 10 ejstiv), nou'" de; kat aijtivan: ejn de; toi'" noeroi'" kat oujsivan me;n oJ nou'", ta; de; pro; touvtou kata; mevqexin. Trich'/ toivnun th'" zwh'" qewroumevnh", ejn me;n toi'" nohtoi'" kat aijtivan, ejn de; toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" kat oujsivan, ejn de; toi'" noeroi'" kata; mevqexin, ajnavgkh dhvpou th;n ejntau'qa zwh;n 15 kai; zwh;n ei\nai kai; metevcein tw'n pro; aujth'" gennhtikw'n tou' zh'n aijtivwn. Estin a[ra to; e}n to; tw'n noerw'n qew'n ejn mevsw/ tetagmevnon ouj kivnhsi", ajlla; kinouvmenon. Pavlai me;n ga;r uJpo; tou' Plavtwno" a{pasa zwh; kivnhsi" uJpavrcousa devdeiktai: kai; 20 ga;r hJ yuch; aujtokivnhto", o{ti aujtovzw", kai; oJ nou'" dia; tou'to kinei'tai, diovti zwh;n e[cei th;n ajrivsthn: kai; toivnun kai; hJ prwvth zwogovno" aijtiva tw'n noerw'n qew'n prwvtw"

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nuità con l’intelligibile e con l’essere reale se non la Vita607? In effetti questa è intermedia fra l’Intelletto e l’intelligibile, in quanto congiunge l’Intelletto all’intelligibile e riproduce la potenza intelligibile che riunisce insieme l’uno e l’essere. Dunque, l’intelligi- 15 bile ha, rispetto all’uno e rispetto alla realtà autentica, lo stesso rapporto che ha la Vita rispetto alla potenza e l’Intelletto rispetto all’essere. E come nell’ambito intelligibile l’uno è oggetto di desiderio, l’essere, dal canto suo, si tiene stretto alla partecipazione dell’uno, la potenza, infine, unisce insieme l’essere alla partecipazione all’uno e l’uno alla comunione con l’essere (infatti, come si 20 è visto608, non si tratta dell’Uno impartecipabile, che trascende ogni potenza), allo stesso modo l’intelligibile è oggetto dell’appetizione dell’Intelletto, l’Intelletto è ricolmato, la vita poi collega l’Intelletto all’intelligibile e rivela all’Intelletto l’intelligibile. Ed è da qui, a mio avviso, che i sapienti in tutte le questioni concernenti la dimensione divina609 chiamavano “intelligibile” l’uno e la 25 realtà sostanziale, e l’essere in senso primo “Intelletto primissi- 140 mo”, denominandoli610 in base a questo rapporto analogico. Ad ogni modo, la Vita è intermedia tra l’Essere e l’Intelletto, come la Potenza è intermedia tra l’Uno611 e l’Essere; e tutti questi termini, l’intelligibile, la Vita e l’Intelletto, si trovano a livello primario negli intelligibili, 612, ed infine, in base ad un terzo livello di decadimento, negli intellettivi. Ma negli intelligibili l’essere si trova a livello di essenza, mentre gli altri termini, sia la vita sia l’intelletto, sussistono a livello di causa; negli intelligibili-intellettivi poi l’essere si trova a livello di partecipazione, la vita a livello di essenza (lì infatti si trova per la prima volta) e l’intelletto a livello di causa; infine negli 10 intellettivi l’intelletto si trova a livello di essenza, mentre i termini che lo precedono613 a livello di partecipazione. Pertanto, dal momento che la vita viene considerata in tre forme distinte, negli intelligibili a livello di causa, negli intelligibili-intellettivi a livello di essenza, infine negli intellettivi a livello di partecipazione, è necessario, a mio parere, che la vita di qua sia vita ed al contempo par- 15 tecipi dei principi causali che la precedono, generatori di vita. Di conseguenza l’uno degli dèi intellettivi, che è posto per ordinamento a livello intermedio, non è movimento, ma mosso. Infatti da tempo è stato mostrato da Platone che tutta quanta la vita è di fatto movimento614: ed infatti l’anima è mossa da se stes- 20 sa, in quanto è vivente in se stessa, e l’intelletto si muove per il motivo che ha la vita migliore615; e pertanto a sua volta anche la prima causa generatrice di vita ha ricevuto il movimento in modo

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e[lace th;n kivnhsin. All eij me;n hJ prwtourgo;" h\n kai; ajkrotavth zwhv, kivnhsin aujthvn, ajll ouj kinouvmenon e[dei 25 prosonomavzein: ejpeidh; de; zwh; mevn ejstin wJ" ejn noeroi'", plhrou'tai de; ajpo; th'" ejxh/rhmevnh" zwh'", a{ma kai; kivnhsiv" ejsti kai; kinouvmenon. Eijkovtw" a[ra kai; oJ Parmenivdh" to; e}n ejn tauvth/ th'/ tavxei kinouvmenon ajpofaivnei, diovti dh; 141 proh'lqen ajpo; tw'n uJperkeimevnwn aijtivwn th'" sumpavsh" zwh'" kai; e[stin ajnavlogon tw'/ mevsw/ kevntrw/ tw'n nohtw'n kai; th'/ mevsh/ triavdi tw'n nohtw'n kai; noerw'n. Dio; kai; oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" oujrano;n th;n triavda tauvthn ajpo5 kalei': zwh; gavr ejstin hJ o{lh kai; kivnhsi". To; de; kinouvmenon ejn toi'" noeroi'" ejsti mevson, a{te plhrouvmenon ajp ejkeivnh". Epei; kai; oJ aijw;n kata; th;n oJlovthta th;n nohth;n tetagmevno" zwh; pantelhv" ejsti kai; hJ pa'sa zwh; kata; to;n Plwti'non. All ejkei' me;n to; mevson hJ kat aijtivan zwhv, ejn de; toi'" 10 noeroi'" hJ kata; mevqexin, ejn de; toi'" metaxu; touvtwn hJ kat oujsivan, proelqou'sa me;n ajpo; th'" nohth'" (wJ" dhloi' kai; oJ Parmenivdh", kata; th;n oJlovthta carakthrivzwn ajmfotevra", eij kai; hJ oJlovth" a[llh me;n ejn toi'" nohtoi'", a[llh de; ejn toi'" nohtoi'" kai; noeroi'", wJ" ei[rhtai provteron), 15 paravgousa de; th;n noera;n meta; tauvthn. To; ga;r kinouvmenon th'/ perifora'/ tou' oujranou' kai; th'/ noera'/ kai; nohth'/ zwh'/ pavntw" dhvpou suggene;" uJpavrcei. Kai; mh;n kai; hJ stavsi" hJ th'/ kinhvsei tauvth/ suvstoico" oujc e{n ti gevno" ejsti; tou' o[nto", w{sper oujde; hJ kivnhsi". 20 Tw'n me;n ga;r tou' o[nto" genw'n ta; o[nta metevcein pevfuke, ta; de; uJperouvsia tw'n qew'n ajgaqa; th'" tw'n o[ntwn uJperhvplwtai tavxew". Eij toivnun oJ Parmenivdh" ejntau'qa to; me;n o]n e[qhken wJ" tou' eJno;" uJpavrcon, to; de; e}n aujto; kaq auJto; paralabw;n ejn touvtw/ kai; th;n kivnhsin qewrei' kai; th;n 25 stavsin, ouj ta; ãtou'Ã o[nto" dhvpou stoicei'a toi'" qeoi'" ajnativqhsin, ajlla; ta;" proshkouvsa" aujtoi'" pantelei'" kai; uJperecouvsa" tw'n o[ntwn ijdiovthta". 142 Kai; ou{tw dh; to; e}n kinei'sqai kai; eJstavnai levgwn, kata; me;n th;n kivnhsin th;n zwogovnon u{parxin paradivdwsi tw'n qew'n kai; th;n gennhtikh;n tw'n o{lwn phgh;n kai; th;n pavntwn ajrchgo;n aijtivan, kata; de; th;n stavsin th;n th'/ kinhv5 sei suntetagmevnhn a[cranton monavda th;n ta; mevsa kevntra sunevcousan th'" frourhtikh'" triavdo". W" ga;r tw'/ prwvtw/

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primario fra gli intelligibili. Ma se si trattava della Vita originaria e suprema, si doveva chiamarla “movimento in sé”, non “cosa mossa”; invece, dato che è vita nell’ambito degli intellettivi, ed è 25 ricolmata dalla Vita trascendente, essa è al contempo movimento e cosa mossa. Di conseguenza è naturale che anche Parmenide dichiari l’uno in questo ordinamento «mosso»616, proprio per il fatto che è proceduto dai principi causali superiori di tutta la vita 141 nella sua interezza ed è analogo al centro intermedio degli intelligibili ed alla triade mediana degli intelligibili-intellettivi. Ecco perché Socrate nel Fedro chiama questa triade «cielo»: infatti è 5 nella sua interezza vita e movimento617. Invece ciò che è mosso tra gli intellettivi è intermedio, in quanto è ricolmato da quella vita. In effetti l’eternità, posta per ordinamento nell’ambito della totalità intelligibile618 è vita perfetta ed è la vita nella sua interezza secondo Plotino619. Ma lì il termine mediano è la vita a livello di causa, mentre negli intellettivi il termine mediano è la vita a livel- 10 lo di partecipazione, infine nell’ambito di realtà intermedio fra questi620 il termine mediano è la vita a livello di essenza, vita che è, sì, proceduta da quella intelligibile (come mette in luce anche Parmenide quando caratterizza entrambe in base alla «totalità»621, seppure una sia la totalità negli intelligibili, mentre un’altra è la totalità negli intelligibili-intellettivi, come si è detto in precedenza)622, ma che produce la vita intellettiva che viene dopo la vita 15 intelligibile. Infatti ciò che è mosso, a mio avviso, è assolutamente congenere alla «rotazione» del cielo623 ed alla vita intelligibileintellettiva. Ed in realtà la «quiete»624 che è coordinata a questo movimento non è un determinato genere dell’essere, come neppure lo è il movimento. Infatti gli enti risultano per natura partecipi dei gene- 20 ri dell’essere, mentre i beni sovraessenziali degli dèi sono superiori per semplicità all’ordine degli enti625. Se pertanto Parmenide, qui, ha posto l’essere626 come appartenente all’uno, e se, avendo assunto l’uno di per se stesso, considera in questo uno sia il movimento che la quiete, non sono, a mio parere, gli elementi dell’es- 25 sere che attribuisce agli dèi, bensì le proprietà che ad essi si confanno, perfette e superiori agli enti. E così, dicendo che l’uno «si muove ed è in quiete»627, in rife- 142 rimento al movimento tramanda la realtà generativa di vita degli dèi, la fonte generatrice dell’universo nella sua totalità e la causa principiale di tutte le cose628, mentre in riferimento alla quiete tramanda la monade incontaminata coordinata al movimento che 5 contiene i centri intermedi della triade guardiana. Come infatti la

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patri; sunhvnwtai kata; th;n prwvthn uJpovstasin hJ th'" triavdo" th'" frourhtikh'" ajkrovth", ou{tw dh; kai; th'/ gennhtikh'/ tw'n qew'n pavntwn aijtiva/ th'/ kinouvsh/ ta; o{la kai; tauvth/ prwvtw" 10 ajf eJauth'" kinoumevnh/ sunufevsthken oJmofuw'" oJ to;n mevson suvndesmon sunevcwn tw'n ajcravntwn hJgemovnwn, di o}n ejpi; pavnta proi>o;n to; govnimon th'" qeou' tauvth" i{drutai monivmw" ejn eJautw'/ kai; pavnta paravgon kai; pollaplasiavzon ejxhv/rhtai tw'n o{lwn kai; ajkline;" ajf eJautou' tw'n ajpogennw15 mevnwn prou>pavrcei. Kivnhsi" ou\n ejntau'qa kai; stavsi", hJ me;n phgh; th'" ejpi; pavnta proercomevnh" zwh'" kai; gennhtikh; duvnami", *** eJdravzousa me;n th;n o{lhn zwogovnon phgh;n ejn eJauth'/, plhroumevnh de; ejkei'qen tw'n th'" zwh'" gonivmwn ojcetw'n. 20 Tau'ta a[ra kai; th;n provodon aujtw'n oJ Parmenivdh" hJmi'n paradidouv", to; me;n kinouvmenon ejk tou' ejn a[llw/, to; de; eJstw;" ejk tou' ejn auJtw'/ deivknusin ajpogennwvmenon. Th'" ga;r patrikh'" triavdo" hJ prwvth mona;" uJfivsthsi ta;" met aujthvn, kai; th'" ajcravntou kata; ta; aujta; to; ajkrovtaton kai; 25 nohto;n wJ" ejn th'/ triavdi tauvth/ to; mevson oJmou' kai; to; e[scaton ejkdivdwsi. Kai; dia; tou'to kai; hJ kivnhsi" ejntau'qa th'" stavsew" krei'tton: wJ" ga;r to; ejn a[llw/ tou' ejn 143 auJtw'/ kat aijtivan ejsti; presbuvteron, ou{tw dh; kai; to; kinouvmenon tou' eJstw'to". OiJ ga;r a[crantoi qeoi; dunavmei" eijsi;n uJpopevzioi tw'n patevrwn kai; ejn aujtoi'" perievcontai.

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lqV To; trivton toivnun tw'/ swth'ri, fasiv, kai; th;n dhmiourgikh;n monavda nohvswmen ejkfainomevnhn meta; tw'n ejn aujth'/ sustoivcwn qew'n. Prw'ton me;n ou\n ejntau'qa kai; hJ pro;" ta; a[lla koinwniva tou' eJno;" ajnafaivnetai: kai; oujkevti kaq auJto; to; e}n movnon, ajlla; kata; th;n pro;" ta; a[lla scevsin ejpiskopou'men, diovti dh; kai; hJ dhmiourgikh; tavxi" ta; o{la ajf eJauth'" paravgei kai; diakosmei' th;n swmatikh;n fuvsin kai; ta;" deutevra" aJpavsa" ajpogenna'/ tw'n qew'n kai; uJpourgika;" aijtiva". Oti

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sommità della triade guardiana risulta unita al primo padre in base alla prima forma di sussistenza, così insieme alla causa generatrice di tutti gli dèi che muove la totalità delle cose e che così è mossa in senso primario da se stessa, è venuto a sussistere contem- 10 poraneamente, per identità di natura, il dio che contiene il legame mediano dei sovrani incontaminati, in virtù del quale il carattere generativo, che procede verso tutte le cose, di questa dea, è posto stabilmente in se stesso e, producendo tutte le cose e moltiplicandole, trascende la totalità delle cose e nella propria fissità rispetto 15 a se stesso preesiste alle entità generate. Qui dunque v’è movimento e quiete, l’uno fonte della vita che procede verso tutte le cose e potenza generatrice, 629 che fa risiedere in se stessa tutta quanta la fonte generatrice di vita, e che è a sua volta ricolmata, da di là630, dei «canali»631 fecondi della vita. Di conseguenza, Parmenide, avendoci tramandato queste enti- 20 tà e le loro processioni, mostra che il “mosso” è generato dall’“in altro”, mentre l’“in quiete” è generato dall’“in sé”632. Infatti la prima monade della triade paterna fa sussistere le monadi che la seguono, ed allo stesso modo il termine della triade incontaminata più elevato ed intelligibile, come può esserlo al livello di questa 25 triade, produce ad un tempo il termine intermedio e il termine ultimo. E appunto per questo motivo il movimento qui è superiore alla quiete: come infatti l’“in altro” è anteriore in senso causale 143 all’“in sé”, così il “mosso” è anteriore all’“in quiete”. Infatti gli dèi incontaminati sono potenze di livello inferiore rispetto ai padri e sono compresi in quelli. 39 [Come Parmenide definisce il terzo ordinamento degli intellettivi e attraverso quali proprietà specifiche] Orbene per terzo, che, dicono, è in onore di Zeus Salvatore633, prendiamo in considerazione la monade demiurgica che si rivela insieme agli dèi coordinati che sono in essa. Per prima cosa, dunque, si rivela qui la comunione dell’uno con gli altri; e noi non prendiamo più in esame solo l’uno di per se stesso, ma l’uno in relazione con le altre entità, per il fatto che l’ordinamento demiurgico produce da se stesso la totalità delle cose, dà ordine alla natura corporea e genera tutte quante le cause seconde rispetto agli dèi e al loro servizio. In effetti, che bisogno

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ga;r ta; a[lla th'" swmatikh'" ejsti sustavsew" suvnqhma, tiv a]n levgoimi, pavlai tw'n Puqagoreivwn th;n me;n ajswvmaton fuvsin tw'/ eJni; carakthrivzein ajxiouvntwn, th;n de; peri; to; sw'ma meristh;n dia; tw'n a[llwn hJmi'n ejndeiknumevnwn Deuvteron de; oJ tw'n sumperasmavtwn ajriqmo;" diplasiavzetai. Ouj ga;r e[ti to; e}n ajpodeivknutai movnon taujto;n h] kai; 20 e{teron, w{sper ejn auJtw'/ kai; ejn a[llw/, kai; kinouvmenon dhvpou kai; eJstwv", ajlla; kai; tw'n a[llwn e{teron kai; toi'" a[lloi" taujtovn. To; de; di;" tou'to th'/ dhmiourgikh'/ monavdi pantelw'" prosh'kon hJmi'n ajnefavnh kai; provsqen, katav te tou;" a[llou" qeolovgou" kai; kata; to;n 25 ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravthn, to; dhmiourgiko;n o[noma suvnqe144 ton ejk duoi'n ei\nai levgonta. To; trivton toivnun to; plh'qo" tw'n aijtivwn ejntau'qa diakrivnetai kai; pa'sai tw'n qew'n aiJ monavde" ajnafaivnontai kata; th;n dhmiourgikh;n provodon: kai; ga;r hJ patrikh; tou' dhmiourgou' tavxi" kai; hJ govnimo" 5 duvnami" hJ suvstoico" aujtw'/ kai; hJ a[cranto" mona;" hJ th'" ejxh/rhmevnh" pronoiva" aijtiva kai; hJ diairetikh; tw'n o{lwn phgh; kai; pa'sai meta; touvtwn, wJ" eijpei'n, aiJ peri; to;n dhmiourgo;n tavxei", kaq a}" kai; paravgei ta; pavnta kai; swv/zei kai; tw'n paragomevnwn ejxh/rhmevno" ejn eJautw'/ monivmw" 10 i{drutai kai; diakrivnei th;n eJautou' basileivan ajpo; th'" tou' patro;" hJnwmevnh" ajrch'". Pw'" ou\n tau'ta kai; dia; tivnwn ajnafaivnetai To; me;n dh; taujto;n eJautw'/ (tou'to ga;r oJ Parmenivdh" prwvtiston ajpodeivknusi) peri; th;n tou' eJno;" fuvsin th;n monadikh;n kai; 15 patrikh;n ijdiovthta parivsthsi, kaq h}n kai; e[stin oJ dhmiourgov": dio; kai; taujto;n eJautw'/ levgetai to; e{n. Ta; me;n ga;r a[lla kata; th;n tw'n diafovrwn aijtivwn periochvn ejstin ejn aujtw'/, to; de; taujto;n th'" oijkeiva" uJpavrxew" aujtou', th'" patrikh'" levgw, suvnqhma profaivnetai. Ei|" ga;r w]n kai; tw'n 20 o{lwn ejxh/rhmevno" path;r kai; dhmiourgov", th;n oijkeivan e{nwsin e[sthsen ejn eJautw'/, kai; to; monoeide;" kai; to; tw'/ pevrati suggene;" ejn tw'/de diaferovntw" deivknusi. To; de; dh; taujto;n toi'" a[lloi" th'" gonivmou dunavmewv" ejstin ejxaivreton ajgaqo;n kai; th'" ejpi; pavnta proi>ouvsh" kai; dia; pavntwn ajkw25 luvtw" dihkouvsh" aijtiva". Pavresti ga;r pa'sin oi|" paravgei kai; ejn pa'sivn ejstin oJ aujto;" oi|" diakosmei', th;n gennhtikh;n tw'n o{lwn aijtivan ejn eJautw'/ prosthsavmeno". Eij dh; tau'ta 15

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avrei di dire che la nozione di “altri” è segno distintivo della com- 15 posizione corporea, visto che da lungo tempo i Pitagorici ritengono di dovere caratterizzare la natura incorporea con la nozione di “uno”, mentre la natura divisa in relazione al corpo ce la indicano con la nozione di “altri”?634 In secondo luogo, poi, il numero delle conclusioni è raddoppiato. Infatti non viene più dimostrato solamente che l’uno è «identico» o anche «diverso», come viene 20 dimostrato che è «in sé e in altro», e certamente che è «in movimento ed in quiete», ma anche che è «diverso dagli altri ed identico agli altri»635. D’altronde questo raddoppiamento ci è apparso anche in precedenza636 assolutamente confacentesi alla monade demiurgica, sia secondo gli altri teologi sia secondo Socrate nel 25 Cratilo, quando afferma che il nome del Demiurgo è composto da 144 due elementi637. In terzo luogo, quindi, si distingue qui la molteplicità delle cause e si rivelano tutte le monadi degli dèi nella processione demiurgica: ecco infatti l’ordinamento paterno del Demiurgo, la potenza generativa che è ad esso coordinata, la monade incontaminata che è causa della provvidenza trascendente, la fonte che divide la totalità delle cose e, per così dire, tutti gli ordinamenti, insieme con questi, che sono in relazione con il Demiurgo, in base ai quali egli, al contempo, produce tutte le cose, le conserva, si stabilisce saldamente in se stesso trascendendo tutti i suoi prodotti e distingue il suo regno dal dominio unifi- 10 cato del padre. Come dunque si rivelano queste entità e attraverso quali tramiti? Il carattere dell’«identico a se stesso»638 (infatti Parmenide dimostra innanzi tutto questo aspetto) presenta in relazione alla natura dell’uno la proprietà monadica e paterna in base alla quale 15 appunto esiste il Demiurgo: perciò l’uno viene detto «identico a se stesso». Infatti “gli altri” sono in lui in base al fatto che egli comprende in sé le differenti cause, mentre “l’identico” si manifesta come segno distintivo della sua specifica forma di realtà, intendo dire di quella paterna. Infatti dato che è uno ed è padre e 20 Demiurgo che trascende l’universo nella sua totalità, ha posto in se stesso la propria unità, e proprio in questo soprattutto mostra il suo carattere uniforme e congenere al limite. Dal canto suo, l’«identico ad altri»639 è di fatto il bene distintivo della potenza generativa e della causa che procede in tutte le cose e che attraverso tutte si diffonde senza impedimenti. Infatti è 25 presente in tutte le cose che produce ed è il medesimo in tutte le cose alle quali dà ordine, in quanto ha prestabilito in se stesso la causa generatrice dell’universo nella sua totalità. Se queste nostre

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ojrqw'" levgomen, kai; to; pevra" ejn aujtw'/ kai; to; a[peirovn ejsti 145 dhmiourgikw'": kai; to; me;n ejn th'/ cwristh'/ tw'n a[llwn ejsti;

taujtovthti, to; de; ejn th'/ dunavmei th'/ gennwvsh/ ta; a[lla. Pantacou' ga;r hJ duvnami" govnimov" ejsti tw'n deutevrwn, hJ de; kata; to; pevra" ajrch; th'" hJnwmevnh" uJpavrcei kai; staqera'" 5 uJpostavsew" corhgov". Kai; mh;n kai; to; e{teron tw'n a[llwn th;n a[cranton aujtou' kaqarovthta dhloi' kai; th;n ejxh/rhmevnhn tw'n deutevrwn aJpavntwn uJperochvn. Kai; ga;r oJ prwvtisto" nou'" dia; tou'to kaqaro;" kai; ajkhvrato" h\n, wJ" oJ ejn Kratuvlw/ Swkrav10 th" e[lege, diovti dh; th'" pro;" ta; aijsqhta; pavnta suntavxew" h] koinwniva" uJperivdruto. Ouj ga;r eij" u{lhn eJh;n duvnamin kataklivnei, fhsiv ti" qew'n, ajlla; pavsh" oJmou' th'" dhmiourgiva" ejxh/rhmevnw" ejpavrcei. Paralabw;n de; oJ dhmiourgiko;" nou'" ejkei'qen th;n o{lhn duvnamin kai; th;n basi15 likh;n ejpikravteian, kosmei' me;n ta; aijsqhta; kai; pa'san uJfivsthsi th;n swmatikh;n fuvsin, oJmou' de; th'/ gonivmw/ periousiva/ kai; th'/ pronoiva/ tw'n deutevrwn uJperevcei tw'n ajpogennwmevnwn kai; ejn tw'/ eJautou' mevnei kata; trovpon h[qei, kaqavper oJ Tivmaio" levgei, dia; th;n a[kliton froura;n 20 th;n sunou'san aujtw'/ kai; th;n ajp aujth'" ejndidomevnhn eij" aujto;n a[cranton ajpo; tw'n a[llwn tw'n metecovntwn duvnamin. Oujkou'n th'/ me;n ajnekleivptw/ corhgiva/ tw'n ajgaqw'n kai; th'/ pronoiva/ kai; tai'" ajpogennhvsesi tw'n katadeestevrwn oJ aujtov" ejstin aujtoi'": metevcetai ga;r uJp aujtw'n kai; plhroi' 25 ta; eJautou' gennhvmata th'" eJautou' promhqeiva": th'/ de; kaqarovthti kai; th'/ ajcravntw/ dunavmei kai; tai'" ajklivtoi" 146 ejnergeivai" cwristov" ejstin ajf o{lwn kai; dievsthken ajp aujtw'n kai; ajmevqektov" ejsti toi'" a[lloi". Kai; wJ" oJ prwvtisto" tw'n noerw'n basileu;" aujto; to; eij" th;n u{lhn ajrrepe;" dia; th;n sunhnwmevnhn aujtw'/ froura;n e[lace kai; th;n a[cran5 ton monavda, kai; w{sper hJ zwogovno" qeo;" th;n movnimon kai; ajklinh' duvnamin ajpo; th'" deutevra" e[cei tw'n frourhtikw'n qew'n aijtiva", ou{tw dh; kai; oJ dhmiourgiko;" nou'" th;n cwristh;n tw'n a[llwn uJperoch;n kai; th;n ejkbebhkui'an tou' plhvqou" e{nwsin frourei' dia; th;n trivthn monavda tw'n th'" kaqarovthto" 10 hJgemovnwn. Suvstoico" gavr ejsti fulakhv, dhmiourgw'/ me;n ta; pavnta *** speuvdonti kai; dia; pavntwn dihvkein hJ th'" cwristh'" pronoiva" aijtiva, zwogovnw/ de; qeovthti kinoumevnh/ pro;" th;n tw'n o{lwn ajpogevnnhsin hJ th'" monivmou dunavmew"

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affermazioni sono corrette, allora in lui si trovano sia il limite sia l’illimitato a livello demiurgico: ed il primo si trova nella identità 145 separata “dagli altri”, mentre il secondo si trova nella potenza che genera “gli altri”. Infatti in ogni ambito la potenza è generativa delle entità inferiori, mentre il principio conforme al limite risul5 ta elargitore della sussistenza unificata e stabile. Ed inoltre, «il diverso dagli altri»640 rivela la purezza incontaminata del Demiurgo e la sua superiorità trascendente rispetto a tutte quante le entità derivate. Ed infatti il primissimo intelletto per questo motivo è risultato641 «puro ed intatto»642, come diceva 10 Socrate nel Cratilo, cioè perché è stato posto al di sopra della coordinazione e della comunione con tutti i sensibili. «In effetti non fa piegare in basso la sua potenza verso la materia »643, afferma uno degli dèi644, ma egli governa su tutta la demiurgia nel suo insieme in modo trascendente. Dal canto suo, l’intelletto demiurgico, avendo preso da lì tutta la potenza nella sua interezza e la sovranità regale, ordina i sensibili e fa sussistere tutta la natura 15 corporea, ma nel medesimo tempo per la sua sovrabbondanza feconda e per la sua cura provvidenziale verso le entità derivate egli è al di sopra dei prodotti da lui generati e «permane nella condizione che gli è abituale»645, come afferma Timeo, in virtù della guardia inflessibile che è a lui strettamente unita e della potenza 20 che questa guardia gli ha consegnato, nella sua incontaminatezza da tutte le altre entità che ne partecipano. Quindi, per l’elargizione inesauribile dei beni, per la cura provvidenziale e per le generazioni delle entità inferiori egli rimane per esse identico: in effetti è partecipato da esse e ricolma i suoi prodotti generati della sua 25 provvidenza; mentre per la purezza, per la potenza incontaminata, per le attività inflessibili, egli è separato da tutte quante le cose, 146 è distinto da esse ed è impartecipabile per tutte le altre entità. E come il primissimo re degli intellettivi ha ottenuto la forza di non piegarsi verso la materia in virtù della guardia a lui strettamente unita e della monade incontaminata, e come la dea generatrice di 5 vita possiede la sua potenza stabile ed inflessibile in virtù della seconda causa degli dèi guardiani, così l’intelletto demiurgico custodisce la sua superiorità separata dalle altre entità e la sua unità trascendente rispetto alla molteplicità in virtù della terza monade dei sovrani della perfezione. Infatti per il Demiurgo che si impe- 10 gna 646 tutte le cose ed a diffondersi attraverso tutte, funge da custodia coordinata la causa della provvidenza separata; invece da custodia coordinata alla divinità generatrice di vita che si muove in vista della generazione della totalità delle cose, funge

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TEOLOGIA PLATONICA

corhgov", nw'/ de; plhquomevnw/ kata; ta;" nohvsei" hJ th'" ejpistrofh'" tw'n ejnergeiw'n pasw'n eij" aujto;n parecomevnh th;n a[cranton e{nwsin. Loipo;n toivnun ejsti;n hJ tw'n noerw'n touvtwn monavdwn eJbdovmh tetagmevnh, sunou'sa me;n aJpavsai" aujtai'" kai; meta; pasw'n ejnergou'sa, diaferovntw" de; ejn th'/ dhmiourgikh'/ tavxei 20 profaivnousa eJauthvn. }Hn dh; kai; oJ Parmenivdh" hJmi'n oJmou' tw'/ o{lw/ dhmiourgw'/ paravgwn ejn eJterovthti me;n ajforivzetai, kaqavper dh; kai; th;n a[cranton aijtivan th;n ejn tw'/ dhmiourgw'/: th;n de; eJterovthta tauvthn aujth;n eJauth'" diakrivnein fhsi; th;n dhmiourgikh;n monavda. Kai; ga;r ejn toi'" provsqen ejlev25 gomen o{ti diakrivsewv" ejsti corhgo;" a{pasi toi'" noeroi'" qeoi'" hJ tavxi" au{th. Kaqavper ou\n oJ aujtov" ejstin auJtw'/ dia; th;n patrikh;n e{nwsin oJ dhmiourgov", kata; ta; aujta; dh; 147 kai; diakevkritai ajf eJautou' kai; tou' sfetevrou patro;" kata; th;n eJterovthta tauvthn. Povqen ou\n aujtw'/ kaqhvkein fhsi; th;n duvnamin tauvthn Apo; tou' ejn auJtw'/, fhsiv, kai; tou' ejn a[llw/. Tau'ta ga;r hJnwmevnw" me;n h\n ejn tw'/ prwvtw/ 5 patriv, diakekrimevnw" de; ejn tw'/ trivtw/: kat aijtivan ou\n ejkei' prou>ph'rcen hJ diavkrisi", ejn de; tw'/ dhmiourgw'/ prolavmpei kai; th;n eJauth'" ejkfaivnei duvnamin. Oti de; kai; ejkei' pw" hJ th'" diairevsewv" ejstin aijtiva, dedhvlwken oJ Parmenivdh" kata; th;n prwvthn uJpovqesin eijpw;n o{ti pa'n to; ejn auJtw'/ o}n duav" 10 pwv" ejsti kai; diakevkritai ajf eJautou'. All ejkei' me;n krufivw" hJ duav", ejntau'qa de; ejnargevsteron uJfevsthken, ou| dh; kai; pa'n ejkfaivnetai to; noero;n plh'qo". H ga;r eJterovth" e[kgonov" ejsti th'" ejkei' monivmw" eJstwvsh" duavdo". Au{th toivnun kai; to;n dhmiourgiko;n nou'n diivsthsi tw'n pro; aujtou' qew'n 15 kai; ta;" ejn aujtw'/ monavda" ajp ajllhvlwn diakrivnei. Eij ga;r kaq o{son mevn ejstin ejn a[llw/, sunhvnwtai pro;" to; eJautou' nohtovn, kaq o{son de; ejn auJtw'/, dievsthken ajp ejkeivnou, diovti dh; kai; aujto;" kaq eJkatevran ejkeivnou tavxin proelhvluqen, ajnavgkh pou th;n eJterovthta tauvthn aijtivan ei\nai th'" 20 ajpo; tou' patro;" aujtw'/ diakrivsew". 15

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la causa garante della potenza stabile; infine da custodia coordinata all’intelletto moltiplicato in conseguenza degli atti di intellezioni, funge la causa della conversione di tutte le attività verso di 15 esso, garantendo così l’unità incontaminata. Rimane pertanto quella che, fra queste monadi intellettive, è posta nell’ordine come settima, la quale è unita a tutte quante queste monadi ed opera insieme ad esse, ma si manifesta in parti- 20 colare nell’ordinamento demiurgico647. È precisamente questa monade che Parmenide ci presenta insieme al Demiurgo e che definisce in termini di differenza648, come fa anche a proposito della causa incontaminata che è insita nel Demiurgo; inoltre a proposito di questa differenza egli afferma che essa distingue la monade demiurgica da se stessa. Ed in effetti dicevamo in precedenza649 che questo livello è elargitore di distinzione per tutti 25 quanti gli dèi intellettivi. Come dunque il Demiurgo è identico a se stesso in virtù dell’unità paterna, allo stesso modo egli è anche 147 distinto da se stesso e dal suo proprio padre in base a questa differenza. Da dove arriva dunque, secondo Parmenide, questa potenza? Dall’«in sé», egli afferma, e dall’«in altro»650. Questi aspetti sono risultati651 in forma unificata nel primo padre, men- 5 tre in forma distinta nel terzo; là dunque la distinzione preesiste, come si è visto, in forma di causa, mentre nel Demiurgo si manifesta in tutta la sua luce e rivela la sua potenza. D’altra parte, il fatto che anche là in un certo modo vi sia la causa della distinzione, Parmenide lo ha messo in luce quando ha affermato, nella prima ipotesi652, che tutto ciò che è in sé è in certo modo diade e 10 risulta distinto da se stesso. Ma là la diade è in modo celato, qui invece è venuta a sussistere in modo più manifesto, qui dove appunto si rivela tutta la molteplicità intellettiva653. Infatti la differenza è prodotto generato dalla diade654 che là invece rimane stabilmente in quiete. È questa pertanto che separa l’intelletto demiurgico dagli dèi che sono ad esso superiori ed al contempo 15 distingue le une dalle altre le monadi in esso insite. Se infatti, nella misura in cui è in altro, risulta unificato al proprio intelligibile, mentre nella misura in cui è in se stesso, si è separato da quello, proprio perché esso è proceduto in base ad entrambi i livelli di quell’intelligibile655, è in qualche modo necessario che questa alterità sia causa della sua distinzio- 20 ne dal padre.

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ãmVÃ Apasai dh; ou\n aiJ monavde" hJmi'n pefhvnasin aiJ noerai; sustoivcw" ajllhvlai" uJfistavmenai. Kai; to; me;n ejn a[llw/ suvnqhma tou' patrov" ejsti, to; de; ejn auJtw'/ th'" ajcravntou 148 prwtivsth" monavdo": hJ de; au\ kivnhsi" th'" zwogovnou ajgaqovthto", kai; hJ stavsi" th'" tauvth/ sunezeugmevnh" ajklivtou dunavmew": kai; to; me;n taujtovn, tov te pro;" auJto; kai; to; pro;" a[llo, th'" dhmiourgikh'" ijdiovthto", 5 to; de; e{teron tw'n a[llwn th'" peri; to;n dhmiourgo;n froura'": ejf a{pasi de; to; eJautou' e{teron th'" eJbdovmh" noera'" monavdo", h} kat aijtivan me;n ejn tw'/ prwvtw/ patri; kai; krufivw", ejnargevsteron de; ejn tw'/ dhmiourgw'/ th;n uJpovstasin e[lace. 10 Kaiv moi dokei' kai; oJ Parmenivdh" dia; tau'ta, ta; th'" dhmiourgiva" sunqhvmata dielwvn, ejn mevsoi" aujtoi'" ejkfh'nai ta;" ijdiovthta" th'" te ajcravntou monavdo" kai; th'" diairetikh'", kaq o{son kai; au|tai perievcontaiv pw" ejn th'/ mia'/ dhmiourgiva/. Prwvtiston me;n ga;r ajpodeivknusi tw'n sumpera15 smavtwn, o{ti to; e}n taujto;n eJautw'/, deuvteron de; o{ti e{teron eJautou', kai; trivton o{ti tw'n a[llwn e{teron, tevtarton de; o{ti taujto;n toi'" a[lloi", th'/ me;n eJnwvsei th'/ patrikh'/ th;n diairetikh;n duvnamin suntavttwn, th'/ de; cwristh'/ tw'n deutevrwn uJperoch'/ th;n pronohtikh;n aujtw'n 20 aijtivan sumplevkwn. Dei' ga;r ejn toi'" qeoi'" th'" me;n diakrivsew" prou>pavrcein th;n e{nwsin, th'" de; tw'n deutevrwn pronoiva" th;n ajmigh' pro;" aujta; kaqarovthta, di h}n kai; pantacou' o[nte" oujdamou' eijsi kai; pa'si parovnte" pavntwn ejxhv/rhntai kai; ta; pavnta o[nte" oujdevn eijsi tw'n ajpogennw25 mevnwn.

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[Esposizione complessiva della teoria concernente l’ebdomade intellettiva a partire dalle conclusioni del “Parmenide”] Ebbene, tutte quante le monadi intellettive ci sono apparse sussistere in modo coordinato tra loro. E l’«in altro» è segno distintivo del padre, mentre l’«in sé»656 lo è della primissima 148 monade incontaminata; d’altro canto il «movimento», a sua volta, è segno distintivo della bontà generatrice di vita, e la «quiete»657 è segno distintivo della potenza inflessibile che è congiunta ad essa; e l’«identico», sia «in rapporto a sé» che «in rapporto ad altro», è segno distintivo del carattere specifico demiurgico, men- 5 tre il «diverso dagli altri» è segno distintivo della guardia rivolta al Demiurgo; infine, oltre a tutti questi aspetti, il «diverso da sé»658 è segno distintivo della settima monade intellettiva, che nel primo padre è al livello di causa ed in modo celato, mentre in modo più manifesto ha avuto sussistenza nel Demiurgo. E a me pare che per questi motivi anche Parmenide, quando 10 individua i segni distintivi propri della demiurgia, in mezzo ad essi abbia rivelato le proprietà sia della monade incontaminata che di quella che divide, nella misura in cui anche queste monadi sono comprese nell’unica demiurgia. In effetti la primissima delle conclusioni da lui dimostrate è che l’uno è «identico a se stesso», la 15 seconda che è «diverso da se stesso»659, la terza che è «diverso dagli altri», la quarta infine che è «identico agli altri»660; e così coordina all’unità paterna la potenza che divide, mentre alla superiorità separata dalle entità derivate intreccia la causa che provve- 20 de ad esse. In effetti bisogna che negli dèi alla distinzione preesista l’unità, d’altro canto alla provvidenza sulle entità derivate preesista la purezza non mescolata ad esse, in virtù della quale , pur essendo in ogni luogo, non sono in nessuno, pur essendo presenti a tutte le entità, le trascendono tutte, pur essendo tutte le entità, non sono nessuna di quelle da loro generate661. 25

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1

PROKLOU PLATWNIKOU FILOSOFOU

PERI THS KATA PLATWNA QEOLOGIAS KEFALAIA TOU EKTOU 5

10

aV. Oti sunechv" ejsti toi'" noeroi'" oJ hJgemoniko;" tw'n qew'n diavkosmo": kai; o{ti th;n eij" ta;" phga;" kai; ajrca;" diaivresin lavboi ti" a]n kai; ejk tw'n Plavtwno" dia; th'" peri; ta;" yuca;" qewriva". bV. Pw'" proh'lqon oiJ hJgemonikoi; qeoiv, kai; uJperkovsmio" ijdiovth" touvtoi" movnoi" proshvkei toi'" qeoi'".

o{ti

hJ

gV. Tiv" hJ ijdiovth" tw'n hJgemonikw'n qew'n, kai; o{ti to; ajfomoiwmatiko;n aujtw'n ejsti mavlista carakthristikovn kai; pw'" me;n ejn tw/' dhmiourgw/', pw'" de; ejn tw/' nohtw/' paradeivgmati proeivlhptai ta; th'" ajfomoiwvsew" ai[tia. 15

20

2

5

dV. Tivne" aiJ dunavmei" tw'n ajfomoiwmatikw'n qew'n, tivne" aiJ ejnevrgeiai, povsa ta; ajp aujtw'n ejndidovmena ajgaqa; tw/' te kovsmw/ kai; toi'" ejgkosmivoi" a{pasin. eV. Tivne" aiJ diairevsei" tw'n ajfomoiwmatikw'n qew'n, kai; o{ti peri; tw'n mevswn ejn aujtoi'" tavxewn oJ plei'sto" givnetai lovgo". ıV. Apodeivxei" pleivou" o{ti kai; kata; Plavtwna kai; kata; tou;" a[llou" qeolovgou" ei\" dhmiourgov" ejsti pro; tw'n triw'n. zV. Oti ditto;" oJ Zeuv", oJ me;n pro; tw'n triw'n Kronidw'n, ***: kai; pw'" oiJ trei'" ajpov te tou' Krovnou proevrcontai kai; tou' eJno;" Diov".

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Proclo

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Filosofo Platonico

Sulla Teologia secondo Platone Punti capitali del libro VI 1. Sul fatto che l’ordinamento sovrano degli dèi è in diretta continuità con gli dèi intellettivi; e sul fatto che si potrebbe trarre la divisione in “fonti” e “principi” anche dalle opere di Platone attraverso la sua teoria in riferimento alle anime.

5

2. Come gli dèi sovrani sono proceduti, e sul fatto che solo a questi dèi si confà il carattere specifico ipercosmico.

10

3. Qual è la specificità degli dèi sovrani, e sul fatto che il loro carattere di assimilatori è ciò che soprattutto li contraddistingue; e come nel Demiurgo da un lato, come dall’altro nel modello intelligibile risultano precompresi i principi causali della assimilazione. 4. Quali sono le potenze degli dèi assimilatori, quali le attività, quanti sono i beni che da essi vengono forniti al cosmo ed al contempo a tutte le entità encosmiche. 5. Quali sono le suddivisioni degli dèi assimilatori, e sul fatto che la parte più ampia del discorso concerne gli ordinamenti intermedi tra essi.

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6. Più dimostrazioni del fatto che, sia secondo Platone sia se- 2 condo gli altri teologi I, v’è un solo Demiurgo superiore ai tre demiurghi. 7. Sul fatto che Zeus è duplice: l’uno viene prima dei tre Cronidi, II; e come i tre procedano a partire da Crono e dall’unico Zeus III. I Si noti come Platone, secondo la prospettiva neoplatonica procliana, sia considerato a tutti gli effetti come un teologo, anzi, si dovrebbe dire, come “il teologo” per eccellenza. II Il testo presenta qui una lacuna. Accolgo l’ipotesi dei due Editori SaffreyWesterink, che, in base a quanto viene affermato a p. 35.10, propongono di integrare: fevsthke kai; ta; eJnoeidh' tou' o[nto" gevnh kata; mivan aijtivan perievcousi, kai; pro; touvtwn to; pevra" ãkai;Ã 20 to; a[peiron, ejx w|n kai; ta; o[nta pavnta kai; tw'n qew'n ai uJperouvsioi tavxei" ajpogennw'ntai), deuvteroi meta; touvtou" uJpevsthsan oiJ nohtoi; kai; noeroi; qeoiv, kat ajriqmo;n me;n to;n aujto;n diairouvmenoi kai; to; th'" pantelou'" triavdo" mevtron ejn deutevra/ tavxei fulavttonte", proavgonte" de; eij" 25 plh'qo" ta;" tw'n nohtw'n eJnavda" kai; ta; eJniai'a pevrata tw'n triavdwn ejkeivnwn eij" oujsiwvdei" uJpostavsei" kai; metecouvsa" tou' eJno;" metalambavnonte", ajnti; de; tw'n o{lwn kai; ajdiakrivtwn kai; krufivwn dunavmewn eij" ta;" dih/rhmevna" kai; polu; proi>ouvsa" ajpo; tou' eJno;" aijtiva" meqistavmenoi: 30 trivtoi de; au\ meta; tou;" nohtou;" qeou;" oiJ noeroi; kalouvme-

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[Come gli dèi sovrani sono proceduti, e sul fatto che solo a questi dèi si confà il carattere specifico ipercosmico] Dunque per quel che concerne i nomi degli ordinamenti divini, sia che si vogliano impiegare questi sia che se ne vogliano im- 20 piegare degli altri, per noi ciò non deve comportare alcuna differenza; ma, una volta che abbiamo appreso il loro carattere specifico, qualunque esso sia, in base alla tradizione dei Teologi, dob- 8 biamo tradurre la dottrina misterica tramandata da essi nell’insegnamento di Platone. In questo modo infatti potremmo rendere la ricerca sulle questioni in oggetto coerente con quanto è stato detto in precedenza ed al contempo potremmo far risultare i di- 5 scorsi concernenti tali questioni conformi alla considerazione della realtà dei fatti15. Ebbene, partendo dall’alto, dobbiamo riprendere i principi della scienza riguardante questi dèi e dimostrare che la dottrina che li concerne è consequenziale alle cause primissime16. Dunque, gli dèi intelligibili in base ad una suprema superiorità risultano 10 ulteriori rispetto alla totalità dell’universo e partecipano in modo primario dell’unità e della luce divina, nella quale tutti gli dèi hanno posto in modo perfetto le loro stesse realtà, e dato che producono da se stessi tutte le cose in modo unitario sulla base della volontà paterna e generosa di rendere partecipi dei beni, ed hanno anticipatamente posto in se stessi in modo celato le cause ori- 15 ginarie delle entità inferiori (ed infatti le misure universali e comuni delle Forme sono preesistite in essi e i generi uni-formi dell’essere essi li comprendono in base ad un’unica forma di causalità, e prima ancora di questi generi il limite e l’illimitato, dai quali sono 20 generati non solo tutti gli enti, ma anche gli ordini sovraessenziali degli dèi); secondi dopo gli dèi intelligibili sono venuti a sussistere gli dèi intelligibili-intellettivi, che da un lato sono suddivisi secondo lo stesso numero 17 e conservano ad un livello inferiore la misura della triade compiutamente perfetta18, e che dall’altro fanno procedere le enadi intelligibili verso la molteplicità e i limiti inferiori unitari delle triadi intelligibili ver- 25 so realtà che hanno connotazione di essenze, e che rendono queste ultime partecipi dell’unità, mentre modificano le potenze universali, non distinte e celate nelle cause suddivise e che procedono allontanandosi di molto dall’unità; a loro volta per terzi a partire dagli dèi intelligibili sono stati disposti gli dèi denominati 30

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noi dietavcqhsan, oJmou' me;n eij" uJfeimevnhn tw'n pro;" aujtw'n 9 diakovsmhsin proelqovnte", oJmou' de; to;n ajriqmo;n kaq o}n

uJfesthvkasin ejxallavttonte": ajnti; ga;r tw'n telesiourgw'n triavdwn kaq eJbdomavda" dih/vrhntai noerw'", kai; ªtw'n eJbdomavdwnº aiJ me;n eij" duvo triavda" aujtw'n diairevsei" 5 a[nwqen ajpo; tw'n prwvtwn h{kousi triavdwn, aiJ de; eij" monavda" ajpoperatwvsei" ta; tevlh tw'n diakovsmwn ejkeivnwn ajpetupwvsanto. Pa'n ga;r to; th'" eJterovthto" kai; tou' plhvqou" i[dion ejkei'qen eij" pavnta ta; gevnh proveisi tw'n qew'n. 10 Pavlin toivnun ajpo; touvtwn aiJ tw'n ajrcw'n ajpogennw'ntai polueidei'" tavxei", merizovmenai me;n ajnavlogon toi'" nohtoi'" a{pasi qeoi'" kai; toi'" pro; touvtwn ªtw'n noerw'n dhladhvº, oJmou' nohtoi'" kai; noeroi'" ejpikaloumevnoi", e[cousai de; th;n me;n prosech' kai; ijdivan aujtw'n uJpovstasin 15 ejk th'" mia'" dhmiourgiva", th;n de; hJnwmevnhn meta; tw'n noerw'n ajpogevnnhsin ejk th'" trivth" triavdo" tw'n nohtw'n. Ekeivnh ga;r hJ pantelh;" aijtiva kai; ta;" o{la" ajf eJauth'" paravgei diakosmhvsei" tw'n qew'n: dio; kai; oJ Parmenivdh" plh'qo" a[peiron aujth;n proseivrhken wJ" pavnta ta; 20 gevnh tw'n o[ntwn kai; ta;" pavsa" tavxei" tw'n qeivwn ejkfaivnousan kai; mia/' dunavmei pantelei' pro;" th;n tw'n o{lwn ejxarkou'san ajpogevnnhsin. Eti dh; ou\n kajkei'no levgwmen peri; tw'n aujtw'n touvtwn hJgemonikw'n qew'n, o{ti tw'n noerw'n monavdwn kata; to;n 25 ajmevqekton nou'n th;n provodon poihsamevnwn, kaqavper dh; kai; oiJ pro; aujtw'n th;n ajmevqekton zwh;n katevlampon, kai; pro; pavntwn oiJ nohtoi; qeoi; th;n o[ntw" ou\san oujsivan kai; nohth;n peri; eJautou;" uJpevsthsanpa'" ga;r qeo;" metevcetai me;n uJpo; tw'n o[ntwn, kai; dia; tou'to th'" ajmeqevk10 tou kai; tw'n pavntwn ejxh/rhmevnh" eJnavdo" ajpoleivpetai, proveisi de; a[llo" kat a[llhn ijdiovthta: kai; oiJ me;n kat aujto; to; ajgaqo;n to; a[rrhton ajfwrismevnoi ta;" nohta;" aijtiva" tw'n o{lwn perievcousin, oiJ de; ta;" zwopoiou;" 5 dunavmei" paravgousi kai; sunevcousi ta; prw'ta gevnh tw'n qew'n, oiJ de; ta;" noera;" aJpavsa" ajnelivxei" ejkfaivnousin kai; ta;" poihtika;" tw'n dih/rhmevnwn uJpostavsewn eJnavda" proi?stantai tw'n metecovntwntw'n toivnun noerw'n qew'n kata; to;n ajmevqekton nou'n prwvtw" uJfesthkovtwn kai; dia; 10 tou'to noerw'n ejponomazomevnwn, oiJ met aujtou;" prw'ton

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“intellettivi”, che sono proceduti verso un ordinamento che è 9 inferiore rispetto a quelli degli dèi che li precedono e che al contempo hanno cambiato il numero in base al quale essi sono venuti a sussistere19: infatti invece di essere divisi nelle triadi perfezionatrici sono divisi in modo intellettivo in ebdomadi, e le divisioni in due triadi di queste ebdomadi giungono dall’alto a partire dalle 5 prime triadi, mentre le terminazioni in monadi hanno riprodotto le componenti terminali degli ordinamenti intelligibili. Infatti tutto ciò che appartiene specificamente all’alterità e alla molteplicità procede da quel livello verso tutti i generi degli dèi. Riprendiamo dunque: dagli dèi intellettivi sono generati gli or- 10 dini multiformi degli dèi-princípi, che da un lato sono suddivisi in modo analogo a tutti quanti gli dèi intelligibili e a quelli che precedono gli dèi intellettivi, chiamati intelligibili ed intellettivi ad un tempo, e che dall’altro vengono ad avere la loro specifica esistenza direttamente dalla demiurgia unica20, mentre la loro generazio- 15 ne unificata con gli dèi intellettivi dalla terza triade degli intelligibili. Infatti essa è la causa compiutamente perfetta che produce da sé anche la totalità degli ordinamenti degli dèi: perciò Parmenide l’ha denominata «molteplicità illimitata»21, in considerazione del fatto che fa apparire tutti i generi degli enti e tutti gli ordini delle 20 entità divine e con un’unica potenza compiutamente perfetta è in grado da sola di farsi carico della generazione dell’universo nella sua totalità. Ebbene, ancora questo dobbiamo dire riguardo a questi dèi sovrani: dal momento che le monadi intellettive hanno compiuto 25 la loro processione in base all’intelletto impartecipabile22, allo stesso modo in cui gli dèi che le precedono fanno risplendere, come si è visto23, la vita impartecipabile, e, al di sopra di tutti, gli dèi intelligibili hanno fatto sussistere in relazione a se stessi «quella che è realmente essenza» ed è intelligibile – in effetti ogni dio è partecipato dagli enti, e per questo motivo è inferiore all’Enade 10 impartecipabile che trascende tutte le cose24, ma ciascun dio procede secondo una proprietà differente: e gli uni, essendo stati definiti in base al Bene stesso che è indicibile, comprendono in sé le cause intelligibili della totalità delle cose, gli altri producono potenze generatrici di vita e contengono i primi generi degli dèi, gli 5 altri ancora rivelano tutti quanti i dispiegamenti intellettivi e sono preposti alle enadi artefici delle entità suddivise che ne partecipano – poiché dunque gli dèi intellettivi sussistono principalmente in base all’intelletto impartecipabile e per questo motivo sono 10 denominati “intellettivi”, gli ordinamenti che procedono imme-

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eujqu;" proi>ovnte" diavkosmoi th;n ajkrovthta dhladh; tou' metecomevnou katalavmpousi nou', kai; eijsi; noeroi; me;n wJ" pro;" tou;" uJfeimevnou" kai; merizomevnou" h[dh kata; th;n tou' kovsmou provnoian, deuvteroi de; tw'n prwvtwn noerw'n 15 kai; merikwtevran ejpistasivan lacovnte": w{sper dh; kai; oiJ tw'n noerw'n prwvtistoi nohtoi; mevn eijsi pro;" tou;" ajf eJautw'n paragomevnou", th'" de; tw'n prwvtwn nohtw'n eJnwvsew" ajpoleivpontai: kaqavper ou\n ejkei'noi th;n prwtivsthn kai; ajmevqekton zwh;n ejkfaivnousin, h}n kat aijtivan movnon 20 kai; krufivw" aiJ nohtai; prou>pevsthsan ejn eJautai'" monavde" (pavnta ga;r ejkei' kata; mivan kai; a[fraston e{nwsin ta; ai[tia tw'n o{lwn proeivlhptai), kata; ta; aujta; dh; kai; oi{de oiJ qeoi; prw'toi tw'n noerw'n ejkfainovmenoi tou;" eJautw'n uJpostavta" ajpeikonivzontai, kai; eijsi; noeroi; mevn, ajlla; th;n ajkraifnh' 25 kai; eJnoeidh' kai; oJlikh;n tw'n patevrwn u{parxin eij" deutevran kai; peplhqusmevnhn kai; peri; auJtou;" diairoumevnhn provodon kai; oujsiva" u{fesin proavgousi kai; tai'" ajpo; tw'n prwtourgw'n kai; aujqupostavtwn phgw'n ejkbolai'" prwvtistoi oJmoivw" tw'n noerw'n ejkfaivnontai qew'n. Dio; dh; kai; tw'n 30 aJpavntwn merikw'n diakovsmwn eij" eJautou;" ajnedhvsanto ta;" 11 hJgemonika;" kai; gennhtika;" kai; presbeiva/ kai; dunavmei prou>parcouvsa" aijtiva": kai; sullhvbdhn eijpei'n tauvthn e[lacon pro;" tou;" a[llou" qeou;" th;n uJperochvn, h}n oiJ nohtoi; pro;" tou;" ajf eJautw'n paragomevnou". Kai; 5 ga;r ejkei'noi th;n nohth;n u{parxin a[mikton kai; eijlikrinh' proesthvsanto kaq eJauthvn, o{lwn tw'n noerw'n genw'n uJperhplwmevnoi, kai; oi{de oiJ qeoi; th;n uJperkovsmion e{nwsin kai; th;n ijdiovthta tauvthn ejxh/rhmevnhn pavnth/ tw'n ejgkosmivwn ejn eJautoi'" iJdruvsanto. Kai; w{sper ejpi; tw'n ajmeqevktwn 10 kai; oJlikw'n uJpostavsewn e[sti me;n aujto; kaq auJto; to; nohto;n gevno", e[sti de; a[llo trivton ajpo; touvtou to; noerovn, e[sti de; kai; to; sunagwgo;n ajmfoi'n ejn mevsw/ tw'n nohtw'n oJmou' kai; noerw'n ajnumnouvmenon, ou{tw dh; kai; ejn toi'" merikoi'" touvtoi" diakovsmoi" prou>pavrcei me;n kaq auJth;n 15 hJ tw'n uJperkosmivwn qew'n ijdiovth", tw'n tou' panto;" merw'n ejxh/rhmevnh kai; ajsuvntakto" pro;" tovnde to;n kovsmon kai; kat aijtivan aujto;n pantacovqen perievcousa, trivthn de;

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diatamente dopo di essi, fanno con tutta chiarezza brillare la sommità dell’intelletto partecipato, e sono intellettivi in rapporto a quelli che sono inferiori ed ormai suddivisi in base alla cura provvidenziale nei riguardi del cosmo, ma essi sono inferiori ai primi intellettivi in quanto hanno avuto in sorte un dominio ancora più 15 particolare; proprio nello stesso modo in cui i primissimi dèi intellettivi sono intelligibili in rapporto agli dèi da loro stessi prodotti, mentre sono inferiori all’unità degli dei primi intelligibili. Dunque, proprio come gli dèi intelligibili rivelano la vita primissima ed impartecipabile, la quale le monadi intelligibili hanno fatto preesi- 20 stere in se stesse solo a livello di causa ed in modo celato (in effetti nell’ambito intelligibile tutte le cause delle realtà universali sono originariamente precomprese in base ad un’unica ed indicibile forma di unione), allo stesso modo questi dèi qui che si rivelano per primi tra gli intellettivi, riproducono a livello di immagini quelli che sono origine della loro stessa sussistenza, e sono sì intellettivi, ma fanno procedere l’esistenza intatta, uni-forme ed univer- 25 sale dei padri in una processione inferiore, moltiplicata e suddivisa in relazione a loro stessi e verso un decadimento di essenza, e per mezzo degli zampilli che sgorgano dalle Fonti originarie e autonomamente sussistenti si rivelano parimenti come primissimi tra gli dèi intellettivi. Ecco perché essi hanno collegato a se stessi 11 le cause sovrane, generative e preesistenti «per dignità e potenza»25 di tutti quanti gli ordinamenti degli dèi particolari; e per dirla in breve, essi hanno avuto in sorte rispetto agli altri dèi la stessa superiorità che hanno gli intelligibili rispetto agli dèi che sono prodotti da loro stessi. Ed in effetti gli dèi intelligibili hanno prestabi- 5 lito in se stessi l’esistenza intelligibile, priva di mescolanza e pura di per se stessa, in quanto risultano superiori per semplicità rispetto a tutti quanti i generi intellettivi, e questi dèi qui hanno posto in se stessi l’unificazione ipercosmica e questo carattere specifico che trascende completamente gli dèi encosmici. E come nel caso delle forme di sussistenza impartecipabili ed universali esiste da un lato 10 il genere intelligibile in sé e per sé, dall’altro esiste un ulteriore terzo genere, quello intellettivo, che deriva dal genere intelligibile, e d’altra parte esiste in mezzo tra gli intelligibili e gli intellettivi anche quello che è celebrato come il genere “che raccoglie insieme” gli intelligibili e gli intellettivi, allo stesso modo anche in questi ordinamenti particolari preesiste di per se stesso il carattere 15 specifico degli dèi ipercosmici, che è trascendente rispetto alle parti che formano il Tutto, che non è coordinato a questo nostro cosmo e che in qualità di causa lo comprende in sé da ogni parte;

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e[lace tavxin hJ tw'n ejgkosmivwn aJpavntwn qew'n oujsiva, prosecw'" ejpocoumevnh tai'" tou' kovsmou merivsi kai; 20 sumplhrou'sa to;n e{na tou'ton kai; monogenh' qeo;n kai; ta;" ejn aujtw/' diafovrou" sunevcousa proovdou", mevshn de; keklhvrwtai suvndesin tw'n a[krwn hJ tw'n ajpoluvtwn qew'n hJgemoniva, toi'" te pa'sin ejnexousiavzousa kai; koinwnou'sa mevn pw" tai'" peri; to;n kovsmon diairevsesi, pollai'" de; a{ma 25 merivsin hJnwmevnw" ejpibaivnousa kai; tou;" memerismevnou" ajriqmou;" tw'n ejgkosmivwn qew'n eij" eJniai'a pevrata kai; aJploustevra" aijtiva" sunavgousa: h/| kai; uJpevstrwtai pa'n to; ejgkovsmion tw'n qew'n gevno", sunecovmenon pantacovqen uJp aujth'" kai; teleiouvmenon kai; tw'n prwtivstwn plhrouv30 menon ajgaqw'n. 12 Eij toivnun e[sti ti to; uJperkovsmion ejn toi'" qeoi'" kai; eij diwrismevnhn tina; parevcetai th'" oujsiva" u{parxin aujtoi'" kai; eij dunavmewn ijdiovthta kai; tavxew" ajforivzei tina; kaq auJth;n uJperochvn, ejn toi'" hJgemonikoi'" aujto; nohvswmen 5 qeoi'" prwvtw" uJfistavmenon ajpo; tw'n noerw'n patevrwn, ajmige;" pro;" to; ejgkovsmion: kaqovlou me;n wJ" pro;" tou;" a[llou" a{panta" meristou;" tw'n qew'n ojcetouv", meriko;n de; wJ" pro;" th;n pantelh' kai; mivan kai; o{lhn tw'n noerw'n basileivan. Pantacou' ga;r ajnavgkh ta;" tw'n deu10 tevrwn diakovsmwn ejxhgoumevna" aijtiva" oJmoiou'sqaiv pw" tai'" tw'n uJperidrumevnwn ajpoteleuthvsesi: kai; ou{tw dh; miva kai; sunechv" ejstin hJ tw'n qew'n provodo", a[nwqen ajpo; tw'n nohtw'n kai; krufivwn eJnavdwn eij" to;n e[scaton merismo;n teleuthvsasa th'" qeiva" aijtiva". W" ga;r ejn toi'" aijsqhtoi'" 15 oujk ajmevsw" tw/' aijqerivw/ cuvmati sumpevfuke ta; pacuvtata kai; ta; sterevmnia tw'n swmavtwn, ajlla; ta; aJpla' kai; aju>lovtera tw'n a[llwn prosecw'" uJpevstrwtai tai'" oujranivai" periovdoi" kai; tw'n periecovntwn ajei; swmavtwn ta; periecovmena meivzona koinwnivan e[lacon h] ta; povrrw 20 keivmena kai; dia; mevswn aujtoi'" a[llwn sunaptovmena, ou{tw dh; kai; ejn tai'" pro; tou' kovsmou qeivai" oujsivai" sunecei'" mevn eijsin oiJ deuvteroi diavkosmoi toi'" pro; aujtw'n, di oJmoiovthto" de; aiJ provodoi sumplhrou'ntai tw'n o[ntwn, sunhvnwntai de; ta; pevrata tw'n uJperkeimevnwn tai'" tw'n 25 deutevrwn ajrcai'": kai; miva seira; kai; tavxi" ajdiavluto"

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dal canto suo l’essenza di tutti quanti gli dèi encosmici ha avuto una posizione di terzo rango, in quanto è posta direttamente al di sopra di tutte le parti che compongono il cosmo, costituisce que- 20 sto dio «unico e solo nel suo genere» e mantiene insieme le differenti processioni in esso insite; infine ad avere avuto in sorte una posizione intermedia di collegamento tra i livelli estremi è la sovranità degli dèi non-vincolati, che ha potere supremo su tutti gli esseri ed al contempo in un certo modo si rende partecipe delle suddivisioni relative al cosmo, e che inoltre, ad un tempo, sor- 25 monta in modo unificato molteplici parti e riunisce le serie divise degli dèi encosmici in limiti estremi unitari ed in cause più semplici26; a questa sovranità degli dèi non-vincolati risulta sottoposto tutto il genere degli dèi encosmici, che da essa è tenuto insieme da ogni parte, è reso perfetto ed è ricolmato dei primissimi beni27. 30 Se dunque tra gli dèi esiste un determinato carattere iperco- 12 smico, se esso procura ad essi un determinato e ben distinto livello di realtà essenziale e se definisce una specifica tipologia di potenze ed una determinata ed intrinseca superiorità di livello, noi dobbiamo pensare che è in modo primario negli dèi sovrani che tale carattere viene a sussistere a partire dai padri intellettivi, sen- 5 za alcuna mescolanza con il carattere encosmico; questo carattere è sì universale se considerato in rapporto a tutti quanti gli altri «canali» particolari degli dèi28, ma è particolare se considerato in rapporto al regno compiutamente perfetto, unico e universale degli intellettivi. In ogni ambito infatti è necessario che le cause 10 che dirigono gli ordinamenti inferiori siano in qualche modo simili ai gradi finali degli ordinamenti che sono superiori; ed in tal modo la processione degli dèi risulta una sola e continua, a partire dall’alto dalle enadi intelligibili e celate fino a concludersi nell’estremo frazionamento della causalità divina29. Come infatti, nell’ambito dei sensibili, i corpi più massicci e quelli solidi non sono 15 per natura direttamente uniti all’elemento fluido dell’etere, mentre i corpi semplici e più immateriali degli altri risultano posti direttamente al di sotto delle rivoluzioni celesti, e i corpi che sono avvolti hanno avuto in sorte una comunanza maggiore con quelli che li avvolgono rispetto ai corpi che si trovano più lontano e che 20 sono connessi ad essi per il tramite di altri corpi intermedi, allo stesso modo anche tra le essenze divine che sono superiori al cosmo gli ordinamenti inferiori da un lato sono in diretta continuità con quelli che li precedono, dall’altro le processioni degli enti si costituiscono per somiglianza, ed inoltre i limiti inferiori delle entità sovrastanti risultano uniti insieme alle parti iniziali di quelle 25

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a[nwqen kaqhvkei dia; th;n th'" prwtivsth" aijtiva" ajnupevrblhton ajgaqovthta kai; to; eJniai'on kravto" aujth'". Diovti 13 me;n ga;r e{n ejstin, eJnwvsewv" ejsti corhgov", diovti de; tajgaqovn, kai; ta; pro;" auJth;n o{moia pro; tw'n ajnomoivwn uJfivsthsi: kai; ou{tw dh; sunech' pavnta ajllhvloi". Th'" ga;r suneceiva" diakoptomevnh", oujd a]n e{nwsi" h\n, kai; tw'n 5 ajnomoivwn pro;" a[llhla kata; to; eJxh'" tetagmevnwn, oujd a]n to; pro;" th;n ajrch;n oJmoiovteron presbutevran ei\ce th;n eij" to; ei\nai pavrodon. Eij dh; tau'ta ojrqw'" levgomen, ajnavgkh dhvpou kai; tw'n merikw'n diakovsmwn ta;" prwtivsta" uJpostavsei" oJlika;" ei\nai kata; th;n noera;n uJperoch;n ãh}nà ejn 10 toi'" dih/rhmevnoi" gevnesi tw'n qew'n eijlhvcasia, ou{tw dh; ta; deuvtera pavnta kat aijtivan perievcein kai; sunavptein toi'" pro; aujtw'n qeoi'". Sunech;" gou'n ejstin hJ tw'n hJgemonikw'n qew'n diakovsmhsi" th/' basileiva/ tw'n noerw'n: dio; kai; oJ Parmenivdh" prosecw'" ajpo; th'" dhmiourgikh'" aujth;n 15 monavdo" uJfivsthsin.

20

25

gV jAlla; tau'ta me;n eij" u{steron e[stai katafnh': pro;" de; to; paro;n th;n koinh;n ijdiovthta pavsh" th'" tavxew" tauvth" qewrhvswmen, i{na dh; kai; th;n tou' Plavtwno" e[nqeon novhsin kata; duvnamin ajgasqw'men, ta; mustikwvtata tw'n dogmavtwn hJmi'n ejkfhvnasan. Levgetai me;n ou\n uJperkovsmio" ei\nai tw'n qew'n touvtwn hJ provodo", kaqavper ei[pomen, kai; deutevran e[cein meta; tou;" noerou;" qeou;" ejn toi'" o{loi" ejxousivan. Afwrismevnh de; kat aujth;n tauvth" th'" oujsiva" th;n u{parxin ejkfaivnei me;n to; hJnwmevnon tw'n noerw'n qew'n, proavgei de; eij" plh'qo" ta;" ejn aujtoi'" periecomevna" aijtiva", ajpo; de; tw'n oJlikw'n kai; prwtourgw'n monavdwn ta; merikwvtera gevnh tw'n o[ntwn

a

Cfr. nota alla traduzione.

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inferiori; e così un’unica catena ed un ordine indissolubile si discendono dall’alto in virtù della Bontà insuperabile della primissima Causa e della sua potenza unitaria30. In effetti, per il fatto che questa prima Causa è l’Uno, essa è garante di unità, 13 mentre per il fatto che essa è il Bene, fa sussistere anche le entità a lei stessa simili prima di quelle a lei dissimili: ed è in tal modo che tutte le cose risultano in diretta continuità le une rispetto alle altre. Infatti, se questa unità venisse interrotta, non vi sarebbe più neppure unità, e se le entità dissimili tra loro fossero disposte in 5 diretta successione, ciò che è più simile al principio non avrebbe l’accesso più originario all’essere31. Allora, se queste nostre considerazioni sono corrette, è necessario, a mio giudizio, che anche tra gli ordinamenti particolari le primissime sussistenze siano universali in base alla superiorità intellettiva hanno ricevu- 10 to in sorte32 tra i generi suddivisi degli dèi, allo stesso modo appunto è necessario che comprendano a livello di causa tutte le entità inferiori e le congiungano agli dèi che sono ad esse superiori. Quindi l’ordinamento degli dèi sovrani è in diretta continuità con il regno degli intellettivi; ecco perché Parmenide33 fa 15 sussistere questo ordinamento direttamente a partire dalla monade demiurgica. 3 [Qual è la specificità degli dèi sovrani, e sul fatto che il loro carattere di assimilatori è ciò che soprattutto li contraddistingue; e come nel Demiurgo da un lato, come dall’altro nel modello intelligibile risultano precompresi i principi causali della assimilazione] Ma questi aspetti risulteranno palesi in seguito34; per il momento invece dobbiamo considerare il carattere specifico comune di tutto questo ordinamento nel suo insieme, per ammirare, per quanto ci è possibile, il pensiero di Platone frutto di divina ispirazione, pensiero che ci ha rivelato le dottrine più segrete. Ebbene, la processione di questi dèi, come abbiamo detto35, si afferma che è “ipercosmica” e che possiede, nella totalità dell’universo, un potere di secondo livello dopo quello degli dèi intellettivi. D’altra parte , essendo determinata in base all’esistenza stessa di questa essenza , rivela da un lato il carattere unificato degli dèi intellettivi, dall’altro fa procedere in una molteplicità le cause che sono comprese in questi dèi, ed inoltre, a partire dalle monadi universali ed originarie,

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14 diakosmei' kai; diairei' kata; tavxin e{kasta kai; suntavttei

pro;" a[llhla, pavnta de; ta; deuvtera sunavgei kai; sundei' kai; koinwnivan aujtoi'" ejntivqhsi tw'n te oujsiw'n kai; tw'n dunavmewn qaumasthvn: kai; e[ti pro;" touvtoi" ta; meq 5 eJauth;n pavnta toi'" pro; aujth'" sunavptei, kai; tw'n me;n ejxh/rhmevnwn aijtivwn prokalei'tai th;n ajgaqourgo;n bouvlhsin eij" th;n tw'n deutevrwn provnoian, tw'n de; uJfeimevnwn ta;" uJpavrxei" ejnidruvei toi'" prwtivstoi" kai; sunevceian toi'" ou\sin a{pasi kai; to;n e{na th'" uJpostavsew" eiJrmo;n ejndivdw10 si. Kai; tau'ta pavnta parecomevnh ta; ajgaqa; kata; mivan ijdiovthta th;n corhgivan aujtw'n ejn eJauth/' perieivlhfe: pavnta ga;r ajfomoioi', tav te katadeevstera toi'" pro; aujtw'n kai; ta; suvstoica ajllhvloi", kai; dia; th'" oJmoiovthto" oJmou' me;n ta;" oujsiva" aujtw'n ejkfaivnei kai; ta;" dunavmei" ta;" 15 polueidei'", oJmou' de; sunagwgov" ejsti tw'n pollw'n eij" e{nwsin kai; tw'n dih/rhmevnwn eij" th;n qeivan koinwnivan tw'n ajgaqw'n. jEnteu'qen dh; ou\n prwvtw" kai; tw'n diafovrwn eijkovnwn aiJ tavxei" uJfivstantai. Pa'sa ga;r eijkw;n kata; th;n tou' 20 paradeivgmato" ajfomoivwsin paravgetai, to; de; ajfomoiou'n ta; deuvtera toi'" prwvtoi" kai; di oJmoiovthto" sundei'n ta; pavnta toi'" qeoi'" ejsti touvtoi" mavlista prosh'kon. Tiv ga;r a[llo kai; to;n kovsmon aujto;n kai; ta; tw/' kovsmw/ pavnta pro;" ta; sfevtera paradeivgmata dunato;n ajfomoiou'n h] to; 25 uJperkovsmion tou'to tw'n qew'n gevno" Ta; me;n ga;r noera; pavnta kata; mivan e{nwsin kai; pantelh' provnoian uJfivsthsi ta; ejn tw/' kovsmw/ kai; ajmerivstw" aujtw'n ejxhgei'tai th'" oujsiva", ta; de; ajpovluta gevnh tw'n qew'n ejfavptetaiv pw" h[dh tou' kovsmou kai; suntavttetai toi'" ejgkosmivoi": ajnavgkh de; 30 au\ to; ajfomoiou'n pantacou' kat oujsivan me;n ejxh/rh'sqai tw'n oJmoioumevnwn kai; tw'n dia; th'" oJmoiwvsew" tupoumevnwn, 15 meta; diakrivsew" de; kai; th'" kat ei[dh diairevsew" ta; deuvtera kosmei'n. Pw'" ga;r a]n a[lla a[lloi" oJmoiou'n duvnaito kai; pavnta toi'" eJautw'n paradeivgmasin oijkeivw" sunavptein kata; th;n oJmoiovthta, mh; mevcri tw'n ejscavtwn 5 eijdw'n proi>o;n kai; pavnta diakri'non ajp ajllhvlwn, o{swn ejsti;n ajkivnhta ai[tia prou>pavrconta Dokei' me;n ga;r kai; oJ dhmiourgo;" oJmoiou'n pavnta pro;" eJauto;n ãkaivÃ, wJ" oJ Tivmaiov" fhsi, ajgaqo;" w]n di

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dà ordine ai generi più particolari degli enti, divide con ordine cia- 14 scuno di questi generi e li coordina gli uni agli altri, e poi riunisce tutte le entità inferiori, le lega insieme ed introduce in esse una comunione mirabile delle essenze con le potenze; ed ancora, oltre a ciò, connette tutte le entità che vengono 5 dopo di lei a quelle che la precedono, ed incita la volontà benefica delle cause trascendenti a prendersi provvidenzialmente cura delle entità derivate, e d’altro canto stabilisce saldamente le realtà inferiori in quelle primissime e concede a tutti quanti gli enti una connessione e, con ciò, quell’unica catena continua che costituisce l’esistenza. E, fornendo tutti questi beni, essa ha compreso in se 10 stessa, in base ad un’unica proprietà, l’elargizione di essi; infatti rende simili tutte le cose, sia le inferiori alle superiori sia le une alle altre quelle coordinate, e per il tramite della somiglianza rivela le loro essenze e le loro potenze multiformi, ed al contempo è riunitrice delle entità molteplici in un’unità e delle 15 entità suddivise nella divina comunanza dei beni36. È dunque da questo ordinamento che vengono a sussistere in modo primario i differenti livelli di immagini. Infatti ogni immagine viene prodotta in base alla somiglianza con il modello, e d’altra 20 parte il rendere simili le entità derivate a quelle originarie ed il legare insieme tutta le cose per il tramite della somiglianza si confà soprattutto a questi dèi. Infatti che cos’altro è in grado di rendere simili ai propri modelli il cosmo stesso ed al contempo tutte le entità presenti nel cosmo se non questo genere degli dèi ipercosmici? 25 Infatti tutti i generi degli dèi intellettivi fanno sussistere le entità presenti nel cosmo in base ad un’unica unità e ad una perfetta cura provvidenziale, e senza distinzioni di sorta hanno il controllo sull’essenza di tali entità; dal canto loro invece i generi degli dèi nonvincolati sono già, in certo modo, in contatto con il cosmo e sono coordinati agli dèi encosmici; d’altra parte è necessario che a sua 30 volta ciò che assimila trascenda per essenza, in ogni ambito, le entità che sono rese simili e che sono modellate per somiglianza, ed inoltre che dia ordine alle entità inferiori unitamente a distinzione 15 ed alla suddivisione in specie. Infatti in che modo potrebbe rendere entità diverse simili fra loro e come potrebbe congiungere appropriatamente tutte le cose ai loro modelli in base alla somiglianza, se non procedesse fino alle specie ultime e se 5 non distinguesse le une dalle altre tutte quante quelle cose i cui principi causali preesistono immobili?37 In effetti anche il Demiurgo sembra rendere tutte le cose simili a se stesso e, come dice Timeo, «essendo buono», in virtù della

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aujth;n th;n ajgaqoeidh' bouvlhsin pavnta paraplhvsia auJtw/' poiei'n: kai; dh; kai; th'" tou' crovnou tavxew" metadivdwsi tw/' kovsmw/, pro;" to; nohto;n zw/'on aujto;n oJmoiovteron ajpotelw'n, kai; o{lw" dia; th;n pro;" to; paravdeigma tou' panto;" oJmoiovthta pavnta paravgei kai; telesiourgei' to; eJautou' dhmiouvrghma. All ejn tw/' dhmiourgw/' 15 pavnta kat aijtivan ejstiv, kai; ta; deuvtera gevnh tw'n qew'n: kai; w{sper tw'n pro; aujtou' plhvrwma pavntwn ejstivn, ou{tw dh; kai; tw'n met aujto;n perievcei ta;" hJnwmevna" aijtiva". Dio; dh; kai; telesiourgei' to; pa'n kai; ajfomoiwtikw'" ejnergei' kai; zwogonei' ta; o{la kai; tw'n yucw'n ejsti path;r kai; tw'n 20 swmavtwn khroplavsth" kai; th'" aJrmoniva" corhgo;" kai; tw'n ajluvtwn desmw'n uJpostavth" kai; tw'n ajmerivstwn kai; tw'n meristw'n genw'n ai[tio" kai; schmavtwn aJpavntwn poihthv": kai; tau'ta me;n eJniaivw" ejkei'no" uJfivsthsi, dih/rhmevnw" de; oiJ met aujto;n qeoiv. Mh; dh; 25 tou'to legevtw ti", o{ti to; ajfomoiwtiko;n ejn tw/' dhmiourgw/' prwvtw" ejstivn, ajll o{ti kata; taujto;n tw/' dhmiourgw/' to; ei\nai pavrestin. Eij de; ajp ejkeivnou me;n to; o{moion ejn pa'sin, 16 ejkeivnw/ de; to; taujtovn, wJ" oJ Parmenivdh" e[deixe, ãproshvkeiÃ, prosece;" me;n aujtw/' to; toiou'ton gevno" tw'n qew'n ei\nai sugcwrhvsomen, o} kai; prw'ton aujtou' th;n poivhsin o{lhn ejkfaivnei kai; toi'" deutevroi" ejntivqhsin, e{teron de; kat 5 oujsivan aujtou' kai; deuterourgo;n kai; th'" ejn aujtw/' prwtourgou' tw'n pavntwn ajrch'" ajpoleipovmenon. In ou\n sunelovnte" ei[pwmen, hJ me;n dhmiourgikh; mona;" kai; pa'n to; tauvth/ suntetagmevnon plh'qo" eJnoeidw'" kai; ajrchgikw'" kai; ajmerivstw" proevsthke th'" tw'n o{lwn 10 ejxomoiwvsew", hJ de; tw'n hJgemonikw'n qew'n diakovsmhsi" diairei' me;n to; hJnwmevnon th'" dhmiourgikh'" poihvsew", ajnaploi' de; to; oJliko;n th'" ejnergeiva" tw'n noerw'n qew'n, eij" de; poikilivan proavgei th;n aJplovthta th'" ejkeivnwn pronoiva". Wste kai; hJ oJmoiovth" ajpo; touvtwn ejfhvkei toi'" ejn tw/' 15 kovsmw/ pa'si, prwvtoi" te kai; mevsoi" kai; teleutaivoi" ei[desi th'" zwh'": to; ga;r oJmoiouvmenon dia; th;n ajpo; tw'n aijtivwn provodon deuvteron koinwniva" ei\do" proesthvsato pro;" ta;" oijkeiva" ajrcav". Eij de; bouvlei kai; kaq e{kaston ejxetavzwn skopei'n th;n 20 dia; th'" oJmoiovthto" ejpi; pavnta kaqhvkousan provnoian, euJrhvsei" kai; to;n suvmpanta kovsmon dia; tauvthn tw'n aji>divwn qew'n a[galma gegonovta kai; ta;" ejn aujtw/' 10

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sua volontà stessa “di forma simile al Bene”38 rende «tutte le cose quasi identiche a lui stesso»39; ed, in particolare, rende il cosmo 10 partecipe dell’ordine del tempo40, rendendolo così più simile al «Vivente intelligibile»41, e, in modo generale, è per via della somiglianza al modello del Tutto che produce tutte le cose e rende perfetta la sua produzione demiurgica. Ma nel Demiurgo tutte le cose 15 sono presenti a livello di causa, anche i generi inferiori degli dèi; e come egli è piena realizzazione di tutte le entità che lo precedono, allo stesso modo comprende anche le cause unificate delle entità che vengono dopo di lui. Ecco perché rende perfetto il Tutto, agisce come un assimilatore, vivifica la totalità dell’universo ed è padre delle anime, «modellatore»42 dei corpi, elargitore dell’ar- 20 monia43, origine del sussistere dei «legami indissolubili»44, causa dei generi «indivisibili e divisibili»45 ed artefice di ogni tipo di figura46; e queste cose egli le fa sussistere in modo unitario, mentre gli dèi che vengono dopo di lui

  • in modo diviso. Non si dica allora che il carattere assimilatore è presente in modo 25 primario nel Demiurgo, bensì che l’essere è presente nel Demiurgo nella forma dell’identità. D’altra parte se è da lui che deriva il carattere del simile in tutte le cose, mentre a lui, 16 come ha mostrato Parmenide47, l’identità, noi ammetteremo che il genere degli dèi in questione è in diretta continuità con lui, genere di dèi che rivela in primo luogo tutta per intero l’attività produttrice del Demiurgo e la immette negli dèi inferiori, differente per essenza dal Demiurgo, secondaria ed inferiore 5 rispetto al principio originario in lui insito di tutte le cose. Quindi, per dirla riassumendo, la monade demiurgica e tutta la molteplicità coordinata ad essa ha presieduto in modo uni-forme, principale ed indiviso alla assimilazione completa della totali- 10 tà dell’universo, mentre l’ordinamento degli dèi sovrani divide il carattere unificato della produzione demiurgica, dispiega il carattere universale dell’attività degli dèi intellettivi, fa procedere verso la varietà la semplicità della loro cura provvidenziale. Sicché anche la somiglianza perviene a partire da questi dèi a tutte le spe- 15 cie della vita presenti nel cosmo, prime, intermedie ed ultime; infatti ciò che è reso simile, in virtù della processione dai principi causali, ha prestabilito in sé una forma inferiore di comunione con i propri specifici principi. Ma se si intende, prendendo in considerazione ogni singolo aspetto, esaminare la provvidenza che, in virtù della somiglianza, 20 si estende a tutte le cose, si scoprirà che anche tutto il cosmo nel suo insieme in virtù di tale somiglianza «è divenuto un’immagine

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    pavsa" oJlovthta" tw'n sfetevrwn paradeigmavtwn wJsauvtw" ejxhrthmevna" kai; yuca;" ta;" o{la" ajei; peri; to; nohto;n 25 coreuouvsa" kai; ta; kreivttona gevnh toi'" qeoi'" sunepovmena kai; tw'n hJmetevrwn yucw'n ta;" eujdaivmona" ajpo; th'" genesiourgou' plavnh" ejpi; th;n oijkeivan phgh;n ajnateinomevna": 17 o{lw" de; kai; ta;" proovdou" aJpavsa" kai; ta;" ejpistrofa;" dia; th;n th'" oJmoiovthto" aijtivan ejpiteloumevna". Kai; ga;r pa'n to; proi>o;n di oJmoiovthto" th'" pro;" to; gennh'san uJfevsthke kai; pa'n to; ejpistrevfon oJmoiouvmenon tai'" 5 oijkeivai" ajrcai'" poiei'tai th;n pro;" aujta;" ejpistrofhvn. Kai; mh;n kai; to; ajnevkleipton tw'n ejn tw/' kovsmw/ pavntwn eijdw'n hJ oJmoiovth" frourei' diaiwnivw", a[nwqen ajp aujtw'n ejfhvkousa tw'n qew'n: kai; oujk ejn toi'" aju?loi" movnon, ajlla; kajn toi'" ejnuvloi" ei[desi kai; ejn metabolh/' feromevnoi" th;n 10 me;n ajnivdruton tw'n kaq e{kasta paravllaxin hJ tw'n eijdw'n oJmoiovth" eJstw'sa pavlin eij" to;n kuvklon ejpanavgei th'" genevsew", th;n de; a[peiron poikilivan tw'n genhtw'n eij" peperasmevnhn sugkleivei perivodon, th;n de; pantoivan tw'n lovgwn diaivresin eij" hJnwmevnhn ajnafevrei th;n prwtourgo;n 15 aijtivan. Kai; dia; tau'ta oJ kovsmo" ajei; pantelh;" uJpo; tw'n o{lwn sumpeplhvrwtai genw'n te kai; eijdw'n: kai; dia; tau'ta o{moio" tw/' nohtw/' zw/vw/, pavnta eijkonikw'" e[cwn te kai; perievcwn o{sa paradeigmatikw'" to; pantele;" zw/'on. Oujk a[ra smikrovn ti kai; ejp ojlivgon diatei'non qhsovmeqa 20 to; th'" oJmoiovthto" gevno", o} kai; tw/' panti; kovsmw/ th'" teleiovthtov" ejstin ai[tion, kai; thvn te prwvthn aujtou' gevnesin ajpoplhroi' di oJmoiwvsew" kai; th;n aujtavrkeian kai; th;n oJlotelh' tw'n pavntwn perioch;n ajf eJautou' corhgei'. jAll oujd eij" e{n ti noero;n ei\do" th;n toiauvthn ajnavgein 25 sugcwrhvsomen poivhsin. To; ga;r ejpi; pavnta diatei'non, ta; uJperouvsia gevnh tav te oujsiwvdh, tav te noera; kai; ta; yucikav, tav te ajswvmata kai; ta; swmatoeidh', prou>pavrcei kai; tw'n eijdw'n pavntwn kai; tw'n genw'n, kai; tw'n ajswmavtwn kai; tw'n swmatikw'n aijtivwn. Ouj ga;r dia; to; noero;n ei\do" 30 th'" oJmoiovthto" oiJ ejn tw/' kovsmw/ qeoi; proelhluvqasin 18 oJmoiouvmenoi toi'" eJautw'n aijtivoi": oujde; dia; th;n tou' ajnomoivou paradeigmatikh;n ijdevan dih/vrhntai me;n aiJ uJperouvsioi tw'n qew'n eJnavde", diakevkritai de; hJ noera; fuvsi"

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    degli dèi eterni»48, che tutte le totalità in esso insite49 dipendono allo stesso modo dai propri modelli, che le anime universali danzano sempre intorno all’intelligibile50, che i generi superiori51 ac- 25 compagnano, seguendoli, gli dèi, ed infine che quelle felici tra le nostre anime si protendono in alto, lontano dal vagare nell’ambito della generazione, verso la loro propria fonte; ed inoltre che, in generale, anche tutte quante le processioni e le conversioni si realizzano a causa della somiglianza. Ed infatti tutto ciò che procede è venuto a sussistere attraverso la somiglianza con ciò che lo ha generato e tutto ciò che si converte compie di fatto la 5 sua conversione rendendosi simile ai propri principi. Ed inoltre la somiglianza, che si diffonde dall’alto a partire dagli dèi stessi, veglia eternamente sul carattere di inesauribilità proprio di tutte le specie insite nel cosmo; e non solo nelle specie immateriali, ma anche in quelle materiali, che sono trascinate nel cambiamento, la somiglianza delle specie, nella sua fissità, riconduce di nuovo nel 10 ciclo della generazione la deviazione irregolare delle entità individuali, serra la varietà illimitata degli esseri generati in un ciclo periodico limitato, ed infine riporta ogni genere di suddivisione dei rapporti all’unità della causa originaria. Ed è per queste ragioni 15 che il cosmo risulta costituito, nella sua perenne completezza, dalla totalità dei generi e delle specie; ed è ancora per queste ragioni che esso è simile al «Vivente intelligibile»52, in quanto possiede e comprende a livello di immagine tutte quelle cose che il «Vivente compiutamente perfetto»53 possiede e comprende a livello di modello. Di conseguenza noi non considereremo come un qualcosa di poco conto e scarsamente esteso il genere della somiglianza, il 20 quale è principio causale di perfezione per tutto il cosmo nella sua interezza, porta a completezza mediante assimilazione sia la prima generazione del cosmo sia la sua autosufficienza, e direttamente da se stesso gli garantisce di comprendere integralmente tutte le cose. Ma non ammetteremo neppure che si faccia risalire una tale 25 azione produttiva ad un’unica forma intellettiva. Ciò che si estende a tutte le cose, sia ai generi sovraessenziali che a quelli di natura essenziale, sia ai generi intellettivi che a quelli psichici, sia ai generi incorporei che a quelli di natura corporea, preesiste sia a tutte le specie che a tutti i generi, sia alle cause incorporee che a quelle corporee. Infatti non è in virtù della forma intellettiva della somi- 30 glianza che gli dèi presenti nel cosmo sono proceduti assimilando- 18 si ai propri principi causali; e non è neppure in virtù della Idea paradigmatica del “dissimile” che le enadi sovraessenziali degli dèi si sono suddivise, che la natura intellettiva si è distinta da se

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    ajf eJauth'", aiJ de; yucai; th;n ejn tavxei provodon e[lacon. All oi\mai kai; hJ oJmoiovth" kai; ãhJÃ ajnomoiovth" ajnavlogon th/' noera/' taujtovthti kai; eJterovthti th;n uJpovstasin e[cousi: kai; w{sper ejkei'nai prwvtw" mevn eijsin ejn aujtoi'" toi'" qeoi'", deutevrw" de; ejn toi'" noeroi'" ei[desin oJmou' tai'" tw'n qew'n uJpavrxesin ejkfainovmenai, ou{tw dh; kai; to; o{moion tou'to kai; 10 to; ajnovmoion prohgoumevnhn me;n ejn tai'" uJperousivoi" eJnavsin e[lacen u{parxin, eJpomevnhn de; ejn tai'" katiouvsai" proovdoi" tw'n o[ntwn. Kai; dia; tau'ta oJ Parmenivdh", w{sper kinouvmenon kai; eJstw;" kai; taujto;n dhvpou kai; e{teron to; e}n 15 ajpevfaine tou' o[nto" cwriv", ou{tw dh; kai; to; o{moion hJmi'n ajpodeivknusi kai; to; ajnovmoion ejn aujtai'" tai'" eJnoeidevsi tw'n qew'n uJpavrxesi. Kai; oJ me;n Swkravth" a[ra to; o{moion kai; to; ajnovmoion proteivnwn ejn ajrch/' tou' dialovgou paravdeigmav ti touvtwn eJkatevrou ajfwrivzeto cwristovn, 20 ajpo; tw'n pollw'n oJmoivwn te kai; ajnomoivwn ejxh/rhmevnon: oJ dev ge Parmenivdh" ejp aujta;" ta;" uJperousivou" tw'n o{lwn uJpostavsei" ajnadramw;n ejkei'qen ta; o[nta proavgei kata; ta;" ijdiovthta" tw'n prwvtwn aijtiw'n. W" ga;r ta; ejn genevsei pavnta toi'" ei[desin ajpo; tw'n oujsiw'n diakekovsmhtai, ou{tw 25 dhvpou kai; tai'" oujsivai" aJpavsai" ejk tw'n uJperousivwn 19 ejfhvkousin aiJ tw'n uJpavrxewn ijdiovthte". Gevnesi" me;n ga;r oujsiva" eijkwvn: hJ de; oujsiva kata; th;n uJperouvsion e{nwsin e[cei th;n provodon. Prwvtw" ou\n ejn qeoi'" to; th'" oJmoiovthto" gevno", deu5 tevrw" de; ejn toi'" noeroi'" ei[desi dih/vrhtai. Kai; dia; tou'to kaq oJmoiovthta me;n aiJ provodoi tw'n o{lwn, di oJmoiovthto" de; aiJ pro;" ta;" ajrca;" ejpistrofai; pavntwn, ejk tou' qeivou kai; proi>evnai legomevnwn kai; th;n th'" ejpistrofh'" devcesqai duvnamin. ãKai;Ã to; me;n paravdeigma to; nohto;n th;n 10 prwtivsthn kai; kruvfion aijtivan ejn eJautw/' proeivlhfe tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n: ouj gavr ejstin ajrgo;n ejf eJautou' kai; a[gonon iJdrumevnon, ajlla; paravgei pavnta ta; pro;" aujto; kat oujsivan oJmoiouvmena kai; patrikw'" uJfivsthsi kai; tw/' ei\nai movnon ªejstivº, kai; thvn te u{parxin toi'" deutevroi" kai; 15 th;n th'" ajfomoiwvsew" th'" pro;" aujto; duvnamin ejpilavmpei. To; d au\ dhmiourgiko;n tw'n qeivwn gevno" eij" th;n tou' 5

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    stessa, ed infine che le anime hanno ottenuto in sorte la loro ben ordinata processione. Ma, a mio giudizio, sia la somiglianza che la 5 dissomiglianza possiedono un livello di esistenza analogo a quello dell’identità e della differenza; e queste ultime esistono a livello primario negli dèi stessi, mentre a livello secondario nelle forme intellettive in quanto si rivelano nello stesso tempo delle esistenze degli dèi, allo stesso modo il “simile” ed il “dissimile” hanno otte- 10 nuto in sorte un’esistenza principale nelle enadi sovraessenziali, mentre un’esistenza susseguente nelle processioni discendenti degli enti. Ed è per queste ragioni che Parmenide, come ha mostrato che 15 l’uno separato dall’essere è «mosso e in quiete» ed anche, certamente, che è «identico e diverso»54, allo stesso modo ci dimostra che «il simile ed il dissimile» si trovano nelle stesse realtà uni-formi degli dèi55. E Socrate, di conseguenza, proponendo di affrontare la questione del simile e del dissimile all’inizio del dialogo, ha definito un determinato modello separato per ciascuna di queste entità, e trascendente, rispettivamente, la molteplicità delle cose 20 simili e la molteplicità delle cose dissimili56; dal canto suo Parmenide, risalendo alle realtà sovraessenziali stesse della totalità delle cose, da di là fa procedere gli enti in base alle caratteristiche specifiche delle cause prime. Infatti, come a tutte le cose che si trovano nell’ambito della generazione è stato dato ordine da parte delle essenze, allo stesso modo, a mio giudizio, a tutte quante le essen- 25 ze le caratteristiche specifiche delle loro esistenze pervengono dal- 19 le loro sovraessenziali. In effetti la generazione è un’immagine dell’essenza; dal canto suo l’essenza deve la sua processione all’unità sovraessenziale. Dunque il genere della somiglianza si trova a livello primario negli dèi, mentre a livello secondario risulta suddiviso nelle forme 5 intellettive. E per questo motivo le processioni della totalità delle cose avvengono secondo somiglianza, mentre per il tramite della somiglianza avvengono le conversioni di tutte le cose ai loro principi, dal momento che tutte le cose sono dette sia procedere sia ricevere la capacità di convertirsi da parte della realtà divina. Ed il modello intelligibile ha precompreso in se stesso la causa primis- 10 sima e celata degli dèi assimilatori; infatti esso non è stabilito in se stesso inattivo e improduttivo, bensì produce tutte le cose che si rendono ad esso simili per essenza, le fa sussistere in modo paterno e per il solo fatto di essere, e fa risplendere sulle entità inferio- 15 ri la realtà e la capacità di assimilarsi a lui. A sua volta il genere demiurgico delle entità divine, che è sospeso alla causa principale

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    paradeivgmato" tou' nohtou' prohgoumevnhn aijtivan ajnhrthmevnon kajkeivnh" ejxecovmenon kai; peri; ejkeivnhn ejnergou'n, oJmoioi' me;n pavnta kai; pro;" eJauto; kai; pro;" ejkeivnhn, ajll 20 oujk ejn tw/' th'" oJmoiovthto" gevnei th;n oijkeivan u{parxin ajfwvrise, perievcei de; au\ noerw'" kai; hJnwmevnw" ta; th'" oJmoiwvsew" tw'n o{lwn ai[tia kai; crh'tai toi'" toiouvtoi" gevnesi tw'n qew'n uJpourgoi'" pro;" th;n tw'n deutevrwn ajpogevnnhsin. To; de; tw'n hJgemonikw'n qew'n fu'lon, o{lon 25 me;n ejn toi'" meristoi'" diakovsmoi" tetagmevnon, prw'ton de; th;n noera;n ejkfai'non poivhsin tou' patrov", ejxavptei me;n auJto; dia; th'" oJmoiovthto" tw'n ejn ejkeivnw/ prou>parcovntwn aijtivwn, pavnta de; ajnateivnei kai; ajnaploi' pro;" th;n e{nwsin 20 th;n dhmiourgikhvn, ejpistrevfei de; ta; merika; gevnh tw'n qew'n eij" th;n ajmevriston taujtovthta th;n noeravn, ajfomoioi' de; ta;" proelqouvsa" diakosmhvsei" toi'" nohtoi'" paradeivgmasi kai; mivan seira;n ajpoplhroi' tw'n o[ntwn aJpavntwn. 5 Eijkovtw" a[ra kai; oiJ ta; qei'a sofoi; thvn te ejscavthn triavda tw'n nohtw'n aijtivan e[legon tw'n te phgaivwn kai; tw'n ajrcikw'n qew'n kai; peri; to;n patevra to;n noero;n a{pasan th;n tw'n ajrcw'n seira;n uJfestavnai paredivdosan. Kai; ga;r tw/' teleivw/ paradeivgmati proshvkei to; tw'n ajfomoiwtikw'n 10 gevno", w{sper dh; kai; to; tw'n oJmoioumevnwn ejk trivtwn tacqevn (pavnta ga;r oJmoiou'tai tw/' prwvtw/ paradeivgmati kai; pa'sin ejp ejkei'no di oJmoiovthto" hJ ejpistrofh; toi'" deutevroi"), kai; tw/' dhmiourgw/' tw'n o{lwn sunhvnwtai, th;n th'" noera'" taujtovthto" kai; eJterovthto" aijtivan th/' th'" 15 oJmoiovthto" kai; ajnomoiovthto" dunavmei meristw'" ejkfai'non kai; to; e}n kai; o{lon th'" poihvsew" ejkeivnh" ei\do" tai'" dih/rhmevnai" ejnergeivai" kai; tai'" th'" oujsiva" diakrivsesin ejpi; pavnta ta; o[nta proavgon.

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    ãdVÃ Oti me;n ou\n to; tw'n meristw'n qeivwn genw'n prwvtiston kai; oJlikwvtaton kai; toi'" noeroi'" diakovsmoi" sunhnwmevnon

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    del modello intelligibile, che dipende da quella e che agisce in relazione ad essa, rende sì simili tutte le cose sia a se stesso sia alla causa, ma ha determinato la propria realtà non nel genere della 20 somiglianza; d’altra parte essa comprende in se stessa a sua volta in modo intellettivo ed unificato i principi causali della somiglianza della totalità delle cose, e si serve di questi generi degli dèi come di aiutanti per la generazione delle entità inferiori. Dal canto suo la stirpe degli dèi sovrani, in quanto è posta per ordinamento interamente nei livelli particolari57, e d’altra parte in 25 quanto rivela per la prima volta l’azione produttrice intellettiva del Padre, da un lato si connette per il tramite della somiglianza ai principi causali che preesistono in lui, dall’altro fa tendere verso l’alto tutte le cose e le fa dispiegare verso la complessiva unifica- 20 zione demiurgica, ed inoltre converte i generi particolari degli dèi verso l’identità intellettiva indivisa, infine rende gli ordinamenti che sono proceduti simili ai modelli intelligibili e forma un’unica catena ricolmandola di tutti gli esseri. Di conseguenza a buon diritto i sapienti nelle questioni divi- 5 ne58 dicevano che l’ultima triade degli intelligibili è causa degli dèi “fontali” e “principiali”, e tramandavano che tutta quanta la catena dei principi sussiste in relazione al Padre intellettivo. Ed infatti è con il modello perfetto che ha attinenza il genere degli dèi assimilatori, allo stesso modo del genere delle entità assimilate, che è 10 posto per ordinamento al terzo livello (infatti tutte le entità sono rese simili al primo modello e per tutte le entità inferiori la conversione verso quello avviene per somiglianza), ed esso risulta strettamente unito al Demiurgo della totalità dell’universo, poiché 15 tale genere rivela in modo suddiviso la causa dell’identità e della differenza intellettive per mezzo della potenza della somiglianza e della dissomiglianza, e poiché esso fa procedere l’unica e totale forma di quell’attività produttrice verso tutti gli enti per mezzo delle attività suddivise e delle distinzioni dell’essenza59.

    [Quali sono le potenze degli dèi assimilatori, quali le attività, quanti sono i beni che da essi vengono forniti al cosmo ed al contempo a tutte le entità encosmiche] Dunque, attraverso tali considerazioni ci si deve rammentare che il primissimo ed il più universale dei generi divini particolari, che inoltre è strettamente unito agli ordinamenti intellettivi, ha

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    th;n ajfomoiwtikh;n e[lacen ijdiovthta kai; kata; tauvthn ajfwrismevnon sunavptei ta; pavnta pro;" th;n dhmiourgikh;n monavda, dia; touvtwn uJpemnhvsqw, kai; o{pw" e[k te tou' 25 nohtou' paradeivgmato" proh'lqe kai; toi'" ejgkosmivoi" 21 a{pasi prokatavrcei th'" ajpogennhvsew". Epetai de; au\ toi'" e[mprosqen lovgoi" ta;" dunavmei" ta;" ajfomoiwtika;" aJpavsa" diakri'nai kai; tavxai kata; trovpon kai; peri; th;n mivan oujsivan tw'n qew'n proi>ouvsa" qewrh'sai. 5 Touvtwn toivnun prwtivsta" me;n ei\nai tivqetai kai; hJgemonikwtavta", ai} th;n noera;n ejkfaivnousi poivhsin tou' patro;" kai; ajnaplou'sin eij" a{panta" tou;" dih/rhmevnou" tw'n o[ntwn diakovsmou": deutevra" de; ta;" sunektika;" tw'n o{lwn kai; mivan seira;n kai; sumplokh;n ajdiavluton throuvsa" tw'n 10 qeivwn proovdwn: trivta" de; ta;" th'" teleiovthto" prokaqhgoumevna" toi'" deutevroi" a{pasi kai; ta;" proovdou" aujtw'n kai; ta;" ejpistrofa;" aujtotelei'" dia; th'" oJmoiovthto" pro;" ta;" ajrca;" ajpergazomevna": ejfexh'" de; tauvtai" ta;" ajnateinouvsa" ta; proelqovnta pavnta gevnh tw'n qew'n eij" 15 ta;" ajmerivstou" monavda" kai; sunagwgou;" tw'n meristw'n prou>parcouvsa": e[ti toivnun ta;" uJpostatika;" tw'n dih/rhmevnwn genw'n kai; tou' ei\nai corhgou;" kai; th'" oujsiva" toi'" te prwvtoi" kai; mevsoi" kai; teleutaivoi" diwrismevnw": kai; pro;" tauvtai" aJpavsai" ta;" th'" ajcravntou dianomh'" 20 kai; th'" ajei; eJstwvsh" teleiovthto" aijtiva": kai; mh;n tav" te th'" gonivmou poihvsew" ajrchgou;" kai; ta;" tou;" meristou;" ojcetou;" th'" zwh'" ejpirreouvsa" kai; dianemouvsa" ejpi; pavnta ta; deuvtera meta; touvtwn e[gwge qeivhn a[n: e[ti de; ejpi; tauvtai" ta;" ajnagwgou;" tw'n deutevrwn, ta;" ajpokoptouv25 sa" pa'n to; e[nulon kai; plhmmelev", ta;" tw'n ajgaqw'n pavntwn corhgouv". Oujde;n gavr ejsti tw'n ejn tw/' kovsmw/ pavntwn kalw'n, o} mh; proveisin ejk th'" diakosmhvsew" ãtauvth"Ã tw'n qew'n kai; plhroi' ta; metevconta tw'n qeivwn ajgaqw'n. H povqen ajei; me;n 22 oJ kovsmo" ejnivdrutai tai'" oijkeivai" ajrcai'", mevnei de; a[trepto" hJ periforav, sunevcetai de; toi'" ajluvtoi" desmoi'" to; pa'n, ta; de; pevrata tw'n periovdwn ajrcai; givgnontai tw'n ejfexh'" ajnakuklhvsewn, oJ de; th'" genevsew" 5 kuvklo" mimei'tai th;n tw'n oujranivwn ajnexavllakton coreivan, pavnta de; ejpevstraptai pro;" ta; qeiovtera, kai; hJ me;n

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    avuto in sorte il carattere specifico di “assimilatore” ed essendo definito in base ad esso, connette tutte le entità alla monade demiurgica, ed inoltre ci si deve rammentare in che modo esso sia 25 proceduto a partire dal modello intelligibile e come per tutte le 21 entità encosmiche sia l’origine prima della loro generazione60. A loro volta poi subito dopo i precedenti discorsi61 si devono distinguere tutte quante le potenze assimilatrici, metterle nell’opportuno ordine e prenderle in considerazione nel loro procedere in relazione all’essenza unica degli dèi. 62 stabilisce dunque che vi sono tra queste potenze 5 quelle primissime e quelle “più sovrane” in assoluto, le quali rivelano l’azione produttiva del Padre, la dispiegano in tutti quanti gli ordinamenti suddivisi degli enti; seconde sono le potenze connettive della totalità dell’universo e che custodiscono in un’unica catena ed in un indissolubile intreccio le processioni divine; terze 10 sono le potenze preposte alla perfezione di tutte quante le entità inferiori e che per mezzo della somiglianza rendono in se stesse compiute e perfette le processioni e le conversioni di queste entità; subito dopo queste vengono quelle potenze che fanno tendere in alto tutti i generi degli dèi che sono proceduti verso le monadi indivisibili e riunitrici delle entità particolari in quanto ad esse 15 preesistenti; ed ancora quelle che sono origine del sussistere dei generi suddivisi e che sono elargitrici dell’essere e dell’essenza in modo distinto rispettivamente per le entità prime, per le intermedie e per quelle che vengono per ultime; ed, oltre a tutte quante queste potenze, quelle che sono causa della distribuzione incontaminata e della perfezione che rimane sempre stabile;63 ed inoltre 20 io personalmente porrei insieme a queste anche quelle che hanno il controllo dell’azione produttrice generativa, che riversano i «canali»64 particolari della vita e che li distribuiscono a tutti gli esseri di livello inferiore; e poi ancora, oltre a queste, quelle potenze che elevano gli esseri di livello inferiore, che recidono tutto ciò 25 che è materiale e privo di regola, e che sono elargitrici di tutti i beni65. Infatti non v’è nessuna di tutte le cose belle insite nel cosmo che non proceda da questo ordinamento degli dèi e che non ricolmi le entità che ne partecipano. Altrimenti, da dove deri- 22 va il fatto che il cosmo è saldamente stabilito nei suoi propri principi? Che la rivoluzione permane immutabile? Che il Tutto è tenuto insieme per mezzo dei «legami indissolubili»66, che i limiti dei cicli periodici diventano inizi delle rotazioni cicliche seguenti? Che il ciclo della generazione imita il movimento 5 circolare immodificabile dei corpi celesti? Che tutte le entità risul-

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    u{lh dia; tw'n ejscavtwn ejmfavsewn th'" eijdopoii?a" oJmoiou'tai toi'" ou\si, to; de; plhmmelw'" kai; ajtavktw" kinouvmenon eij" tavxin kai; o{ron periavgetai toi'" 10 dhmiourgikoi'" lovgoi" toi'" ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" eJstw'sin oJmoiouvmenon, ta; de; ejn genevsei poikivlh/ kai; metabolai'" polueidevsi ferovmena toi'" oujranivoi" kuvkloi" ajpeikavzetai kai; sunevpetai kinouvmena pantoivw", aiJ de; tou' oujranou' peripolhvsei" ta;" yucika;" ajpeikonivzontai pe15 riovdou" kai; oi|on ejpigravfontai ta;" ejkeivnwn nohvsei" aiJ tw'n sfairw'n ajnakuklhvsei" Kai; oJ crovno" ou|to" oJ kat ajriqmo;n periporeuovmeno" kai; kuvklw/ pericoreuvwn o{pw"b tai'" eJstwvsai" ajfomoiou'tai nohvsesi kai; tw/' mevtrw/ tw'n nohtw'n pavntwn Mevnonto" ga;r aijw'no" ejn eJni; 20 gevgonen oJ suvmpa" ouJtosi; crovno" eijkwvn, kat ajriqmo;n wJsauvtw" ajnelissovmeno". Pavnta toivnun kai; th;n eij" to; ei\nai pavrodon e[lace kai; th;n th'" teleiovthto" kata; mevtra dianomh;n ejk tw'n ajfomoiwtikw'n hJgemovnwn kai; sunevcei th;n eJautw'n oujsivan dia; th'" oJmoiovthto". 25 Kai; mh;n kai; th;n sumpavqeian tw'n ejn tw/' kovsmw/ kai; th;n pro;" a[llhla koinwnivan prutaneuvei diaferovntw" hJ tavxi" au{th tw'n qew'n. Pavnta ga;r dia; th'" oJmoiovthto" ajllhvloi" sunevrcetai kai; metadivdwsin w|n e[cei dunavmewn, 23 kai; ta; me;n prw'ta toi'" deutevroi" ejpilavmpei th;n eJautw'n dovsin ajfqovnw", ta; de; ajpotelevsmata toi'" aijtivoi" ejnivdrutai, sumplokh; de; ajdiavluto" kai; koinwniva tw'n o{lwn kai; suvndesi" tw'n poiouvntwn kai; pascovntwn ejn tw/' kovsmw/ 5 qewrei'tai. Kai; ga;r ejn toi'" ajpotelevsmasivn ejsti ta; gennhtika; aujtw'n ai[tia dia; th'" oJmoiovthto" kai; ejn toi'" aijtivoi" ta; ajp aujtw'n proi>ovnta gennhvmata kata; perioch;n uJfevsthke: kai; pavnta ejn ajllhvloi" ejsti; kai; sunagwgo;" pavntwn hJ oJmoiovth". Kai; kata; tou'ton dh; to;n lovgon ta; 10 me;n ejn oujranw/' tw'n oijkeivwn ajporroiw'n divdwsin a[fqonon toi'" th/'de th;n metavdosin, ta; de; uJpo; selhvnhn oJmoiouvmenav pw" ejkeivnoi" metalagcavnei th'" proshkouvsh" aujtoi'" teleiovthto": seirai; de; a[nwqen kaqhvkousin a[cri tw'n

    b Non mi pare necessaria la correzione proposta da Saffrey-Westerink: pw" invece del tràdito o{pw".

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    tano convertite verso quelle più divine e che la materia viene resa simile agli enti per il tramite degli ultimi riflessi della produzione delle forme? Che ciò che «è soggetto ad un movimento irregolare e disordinato sia ricondotto all’ordine»67 e al limite, assimilato, dai di- 10 scorsi di principio68 demiurgici, alle entità che rimangono fisse sempre allo stesso modo nelle medesime condizioni? Che le cose che sono trascinate nella varietà della generazione e nella multiformità dei mutamenti riproducono a livello di immagini i cerchi celesti e si connettono ad essi con ogni possibile sorta di movimento? Che le rivoluzioni del cielo riproducono a livello di immagini i movimenti circolari delle anime, e le rotazioni cicliche delle sfere, per 15 così dire, iscrivono le intellezioni di queste anime69? E questo nostro tempo, che procede «secondo il numero» e che ruota circolarmente come in una danza, in che modo viene assimilato alle intellezioni fisse ed alla misura di tutti gli intelligibili70? In effetti, 20 tutto quanto questo nostro tempo è divenuto un’«immagine dell’eternità che permane nell’uno», dispiegandosi in modo lineare «secondo il numero»71. Tutti gli esseri pertanto hanno avuto in sorte la processione verso l’essere e la distribuzione della perfezione secondo misura da parte degli sovrani assimilatori e tengono insieme la loro propria essenza per il tramite della somiglianza. Ed inoltre questo ordine degli dèi regola in modo specifico il 25 rapporto simpatetico tra gli esseri presenti nel cosmo e la loro comunione reciproca72. Infatti è per il tramite della somiglianza che tutte le cose si uniscono le une alle altre e si comunicano reciprocamente le potenze di cui dispongono, e che gli esseri superio- 23 ri fanno risplendere con generosità il loro dono su quelli inferiori, e gli effetti, dal canto loro, sono saldamente stabiliti nelle loro cause, ed inoltre che si contempla nel cosmo un intreccio indissolubile, una comunione universale fra tutti gli esseri ed un legame tra gli esseri attivi e quelli passivi. Ed infatti per il tramite della 5 somiglianza sono venuti a sussistere negli effetti i principi causali che li hanno generati e, nella forma del comprendere in sé, sono venuti a sussistere nei principi causali i prodotti generati che procedono a partire da questi principi causali; e così tutte le cose sono presenti le une nelle altre ed a riunire fra loro tutte le cose è la somiglianza. Ed è proprio in base a tale ragionamento che gli esseri celesti concedono generosamente a quelli di questo nostro mon- 10 do73 di partecipare dei loro propri efflussi, e che, dal canto loro, gli esseri sublunari ottengono di partecipare della perfezione a loro consona rendendosi in certo modo simili a quelli celesti; inoltre vi sono catene che dall’alto pervengono fino agli esseri di ulti-

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    ejscavtwn, ajei; tw'n deutevrwn ajpeikazomevnwn ta;" pro; aujtw'n dunavmei", kai; th'" me;n proovdou th;n oJmoiovthta ejlattouvsh", pavntwn de; o{mw", kai; tw'n ajmudrovtata tou' ei\nai metascovntwn, th;n pro;" ta; ai[tia ta; prw'ta feromevnwn ajpeikasivan kai; sumpascovntwn ajllhvloi" te kai; toi'" eJautw'n ajrchgikoi'" aijtivoi". Kai; ga;r hJ oJmoivwsi" 20 ditth; pevfuke toi'" proelqou'si: kai; ga;r ajllhvloi" ajfomoiou'ntai kata; th;n ajf eJno;" provodon kai; th;n eij" to; aujto; pavlin ejpistrofhvn, kai; toi'" hJgemonikoi'" aujtw'n kai; prwtourgoi'" aijtivoi". Kai; dia; me;n th'" eJtevra" oJmoiovthto" sumpnei' kai; sumfuvetai kai; sugkirna'tai ta; suvstoica 25 ajllhvloi", dia; de; th'" loiph'" ejpeivgetai pro;" ta;" oijkeiva" ajrca;" kai; sunavptetai toi'" paradeivgmasi. Dia; dh; tau'ta th'" me;n Hlivou perifora'" ejxhvrthtai pavnta ta; th'" Hliakh'" ajporroiva" metevconta (levgw de; ouj ta; kreivttona gevnh movnon hJmw'n, ajlla; kai; yucw'n ajriqmo;" 30 kai; zw/vwn kai; futw'n kai; livqwn), th'" de; Ermai>kh'" 24 ejxevcetai pavnta ta; th;n ijdiovthta tou' qeou' touvtou katadexavmena, kajpi; tw'n a[llwn wJsauvtw" qew'n. Apante" ga;r hJgemovne" eijsi; kai; a[rconte" ejn tw/' pantiv, kai; pollai; me;n ajggevlwn tavxei" pericoreuvousin aujtouv", polloi; de; dai5 movnwn ajriqmoiv, pollai; de; hJrwvwn ajgevlai, pamplhqei'" de; yucai; merikaiv, polueidh' de; tw'n qnhtw'n zw/vwn gevnh, poikivlai de; futw'n dunavmei". Kai; pavnta me;n ejfivetai tw'n sfetevrwn hJgemovnwn kai; to; suvnqhma e}n pa'sivn ejsti th'" oijkeiva" monavdo", ajll ou| me;n tranevsteron, ou| de; ajmudrov10 teron: ejpei; kai; hJ oJmoiovth" ejn me;n toi'" prwtivstoi" tw'n gennhmavtwn meizovnw" uJfevsthken, ejn de; toi'" mevsoi" kai; toi'" ejscavtoi" ajmudrou'tai kata; to;n th'" proovdou lovgon. Eijkovne" ou\n kai; paradeivgmata dia; th;n sunagwgo;n oJmoiovthta th;n uJpovstasin e[lacon, kai; e{kaston eJautw/' te 15 kai; toi'" sustoivcoi" proshvgorovn ejsti dia; th;n oJmoiovthta. Filiva de; ajsavleutov" ejsti tw'n ejn tw/' kovsmw/ sustoiciw'n dia; th;n th'" oJmoiovthto" parousivan: ejpei; kai; ta; ejnantiva kai; plei'ston ajllhvlwn ajfistavmena lovgoi" ajnelevgktoi" sundei' kai; pro;" th;n tou' panto;" sumplevkei 20 teleiovthta. Sullhvbdhn ou\n ei[pwmen o{ti kai; paravgousin ajf eJautw'n pavnta kai; gennw'sin oiJ ajfomoiwtikoi; tw'n o{lwn 15

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    mo livello, dal momento che sempre riproducono a livello di 15 immagini le potenze di quelli che sono ad essi superiori e la processione riduce la somiglianza, ma tutti gli esseri comunque, anche quelli che partecipano nel modo più oscuro dell’essere, riflettono la somiglianza a livello di immagine rispetto ai principi causali primi e sono soggetti ad una relazione simpatetica tra di loro ed anche con i loro principi causali precipui. Ed, in effetti, per gli esseri che hanno avuto processione la assimilazione è per 20 natura duplice: infatti essi sono resi simili gli uni agli altri in base alla processione a partire da un’unità e, in senso inverso, in base alla conversione verso la medesima unità, ed al contempo essi sono resi simili ai loro principi causali sovrani ed originari. E per il tramite della prima forma di somiglianza gli esseri coordinati tra loro coesistono, si uniscono e si combinano reciprocamente, men- 25 tre per il tramite dell’altra forma di somiglianza si stringono verso i loro propri principi e si congiungono ai propri modelli. Precisamente per queste ragioni tutti gli esseri che partecipano dell’efflusso del Sole dipendono dalla rivoluzione del Sole (intendo dire non solo i generi che sono superiori a noi, ma anche il numero complessivo delle anime, dei viventi, delle piante e delle pietre), 30 mentre dipendono dalla rivoluzione di Ermes gli esseri che hanno 24 accolto il carattere specifico di questo dio, e lo stesso vale a proposito di tutti gli altri dèi. Tutti quanti gli dèi, in effetti, sono sovrani e reggitori nell’universo, e a danzare intorno a loro ci sono molti ordini di angeli, molte serie di demoni, molte schiere di eroi, gran 5 masse di anime, multiformi generi di viventi mortali, ed infine variegate tipologie di piante74. E tutte le cose tendono ai propri sovrani e a tutte appartiene il segno distintivo unico della propria monade, ma in alcuni casi in modo più evidente, in altri invece in modo più oscuro; in effetti la somiglianza è sussistita in misura maggiore 10 nei primissimi esseri, mentre in quelli intermedi ed in quelli che vengono per ultimi è più indistinta in rapporto al loro livello nella processione. Dunque immagini, e modelli hanno avuto in sorte il loro livello di esistenza in virtù della somiglianza che li collega reciprocamente, e ciascun essere in virtù della somiglianza è sodale con 15 se stesso e con quelli coordinati. Inoltre in virtù della presenza della somiglianza vi è un’amicizia incrollabile tra gli esseri coordinati nel cosmo: in effetti essa collega anche gli elementi contrari ed in assoluto più lontani fra loro per mezzo di «ragionamenti inconfutabili»75 e li intreccia in vista della perfezione del Tutto. 20 Dunque in breve dobbiamo dire: gli dèi sovrani assimilatori della totalità dell’universo producono e generano da se stessi tutte

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    hJgemovne" (dia; ga;r oJmoiovthto" aiJ provodoi, kai; pa'n to; uJfistavmenon oJmoiou'sqai filei' pro;" th;n gennhtikh;n 25 aijtivan): kai; ejpistrevfousi pro;" ta;" ajrcav" (pa'sa ga;r ejpistrofh; di oJmoiovthto"): kai; ajllhvloi" ta; suvstoica sundevousin (hJ ga;r koinwniva th'" mia'" aijtiva" oJmoiovthta me;n ejnapergavzetai toi'" metevcousin, ejk de; tauvth" sumplokh;n ajdiavluton ejndivdwsin aujtoi'"): kai; pavnta sumpaqh' 30 kai; fivla kai; proshvgora ajllhvloi" ajpotelou'si, ta; me;n uJyhlovtera ejn toi'" camaizhlotevroi" dia; th'" 25 meqevxew" ejpideiknuvmenoi, ta; de; katadeevstera ejn toi'" teleiotevroi" dia; th'" kat aijtivan perioch'": seira;" de; kai; proovdou" a[nwqen a[cri tw'n teleutaivwn diateivnousi: kai; ta;" me;n monavda" dia; tw'n oijkeivwn ajriqmw'n eij" u{fesin 5 proavgousi, ta; de; plhvqh sunavgousi dia; th'" koinwniva" th'" kat oujsivan eij" e{nwsin: kai; ta; me;n o{la toi'" mevresin ejfarmovzousi, ta; de; mevrh toi'" o{loi" perilambavnousi: kai; ta; me;n ajtelh' dia; th'" pro;" ta; tevleia sunafh'" telesiourgou'si, ta; de; tevleia dia; th'" oJmoiva" aijtiva" frourou'sin 10 ajmetastavtw": kai; toi'" oJmoivoi" ei[desiv te kai; lovgoi" to;n th'" ajnomoiovthto" povnton eij" wJrismevnhn a[gousi diakovsmhsin, toi'" de; eJstw'si paradeivgmasi th;n polumetavbolon gevnesin tw'n th/'de sumperaivnousi.

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    eV Koinh/' me;n ou\n tau'ta peri; th'" tavxew" ãtauvth"Ã tw'n qeivwn c ei[comen levgein, h}n prosech' me;n toi'" noeroi'" qeoi'", hJgemonikh;n de; kai; ajfomoiwtikh;n tw'n deutevrwn aJpavntwn ei\naiv famen pro;" ta;" oijkeiva" ajrcav". To; de; ejnteu'qen bouvlomai pro; th'" tou' Parmenivdou qewriva" ajnadidavxai poivwn oJ Plavtwn qew'n kai; ejn toi'" a[lloi" dialovgoi" th;n ijdiovthta tauvthn ejcovntwn diamnhmoneuvei: tavca ga;r a]n ou{tw kai; hJ tou' Parmenivdou paravdosi" gevnoito pistotevra kai; tw/' lovgw/ katafanhv".

    c Non pare necessaria la correzione proposta da Saffrey-Westerink: qew'n invece del tràdito qeivwn.

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    LIBRO VI, 5

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    le cose (infatti è tramite somiglianza che le processioni , e tutto ciò che viene a sussistere ama rendersi simile alla propria causa generatrice), le convertono verso i principi (infatti ogni 25 conversione tramite somiglianza), legano insieme fra loro gli esseri coordinati (infatti l’avere in comune un’unica e medesima causa produce una somiglianza negli esseri che partecipano , ed in base a questa somiglianza conferisce ad essi una connessione indissolubile), rendono tutte le cose 30 simpatetiche e «amiche e sodali le une con le altre» [cfr. Teeteto 25 146a7-8], in quanto mostrano che gli esseri di livello più elevato sono presenti in quelli di livello più basso per partecipazione, mentre gli esseri di livello inferiore si trovano in quelli più perfetti perché sono compresi in questi ultimi a livello causale; inoltre estendono catene e processioni dall’alto fino agli esseri di ultimo livello; fanno procedere le monadi per il tramite delle loro proprie serie verso un abbassamento di livello, ma, per un altro verso, riunisco- 5 no le forme di molteplicità in unità per il tramite della comunione in base ad essenza; e connettono gli interi con le parti, e d’altro canto fanno comprendere le parti negli interi; conducono alla perfezione gli esseri imperfetti per il tramite della connessione con gli esseri perfetti, mentre custodiscono costantemente gli esseri perfetti per il tramite della causa della somiglianza; infine per mezzo 10 delle forme ed al contempo delle proporzioni simili conducono ad un ordine ben determinato «il mare della dissomiglianza»76, mentre per mezzo dei modelli fissi conchiudono la generazione soggetta a continui mutamenti degli esseri di questo nostro mondo. 5 [Quali sono le suddivisioni degli dèi assimilatori, e sul fatto che la parte più ampia del discorso concerne gli ordinamenti intermedi tra essi] In generale, dunque, queste erano le considerazioni che avevamo da fare su questo ordinamento di esseri divini, il quale diciamo che è in diretta continuità con gli dèi intellettivi, ed inoltre che è sovrano ed assimilatore di tutte quante le entità inferiori ai loro propri principi. D’altronde, incominciando da qui, io intendo illustrare, prima di prendere in esame il Parmenide, quali sono gli dèi, dotati di questo carattere specifico77, dei quali Platone fa menzione anche negli altri dialoghi; infatti così anche la dottrina tramandata nel Parmenide potrebbe forse divenire più degna di fede e palese per la ragione.

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    TEOLOGIA PLATONICA

    Trich/' toivnun tw'n hJgemonikw'n qew'n dih/rhmevnwn kai; tw'n me;n toi'" noeroi'" basileu'sin hJnwmevnwn kai; pa'san th;n uJf 26 eJautou;" seira;n eij" th;n pro;" ejkeivnou" e{nwsin ajnateinovntwn, tw'n de; ta; mevsa gevnh sumplhrouvntwn kai; th;n pantelh' provodon tw'n qew'n touvtwn kataneimamevnwn, tw'n de; to; pevra" sugkleiovntwn th'sde th'" tavxew" kai; toi'" 5 deutevroi" ejkfainovntwn ta;" touvtwn dunavmei", oiJ me;n ejn toi'" a[kroi" tetagmevnoi dhvpou th'" oJmoiovthto" tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n oujk ajmevsw" meteilhvcasin, ajll oiJ me;n uJperivdruntaiv pw" aujth'" kai; sumplevkontai toi'" noeroi'" qeoi'" kata; th;n oujsivan, oiJ de; proelhluvqasin ajp 10 aujth'" kai; toi'" deutevroi" ejpimivgnuntai gevnesi: movnoi de; oiJ to; mevson plavto" sumplhrou'nte" ajkraifnh' th;n u{parxin ajforivzousin ejn auJtoi'" th'" diakosmhvsew" tauvth". jApo; touvtwn dh; ou\n kai; hJmei'" oJrmhqevnte" th;n o{lhn tou' Plavtwno" qewrivan tw/' logismw/' sunevlwmen: euJrhvsomen 15 ga;r kai; ejn touvtoi" ta; mevtra th'" hJgemonikh'" tavxew" hJmi'n uJp aujtou' tevlea televw" paradedomevna. Pavlin toivnun tw'n mevswn touvtwn diakovsmwn eij" triavda th;n o{lhn provodon ejpanenevgkwmen, a[nwqen ajpo; tw'n triw'n noerw'n patevrwn th;n toiauvthn diaivresin lacou'san: dio; dh; pa'sa me;n hJ 20 tavxi" au{th tw'n qew'n eij" th;n dhmiourgikh;n ajnhvrthtai monavda, paravgei de; oJ dhmiourgiko;" nou'" tou;" me;n ajf eJautou' te kai; tou' noerou' patrov", tou;" de; ajf eJautou' te kai; th'" o{lh" zwogoniva", tou;" de; ajpo; tw'n oijkeivwn ojcetw'n: dio; dh; kai; tw'n uJfistamevnwn oiJ me;n patrikh;n 25 e[lacon ajxivan kai; eijsi;n hJgemonikoi; patevre", oiJ de; zwogovnon kai; gennhtikhvn, oiJ de; ajnagwgo;n kai; ejpistreptikhvn. jEpeidh; de; eJkavstw/ tw'n noerw'n basilevwn sunhvnwtaiv ti" kai; tw'n ajcravntwn qew'n tavxi", ajnavgkh dhvpou kajn toi'" hJgemonikoi'" qeoi'" th;n ajp ejkeivnwn profaivnesqai deutevran 30 provodon, kai; dia; tou'to tai'" eijrhmevnai" triplai'" dia27 kosmhvsesi sumfuvesqai th;n frourhtikh;n tavxin, oijkeivw" eJkavsth/ sunufistamevnhn, patrikw'" me;n dhladh; th/' prwvth/, zwogonikw'" de; th/' mevsh/, noerw'" de; kai; ejpistreptikw'" th/' trivth/: kai; ou{tw dh; to;n o{lon toutoni; diavkos5 mon tw'n qew'n tai'" te patrikai'" dih/rh'sqai dunavmesi kai; tai'" gonivmoi" proovdoi" kai; tai'" ajnagwgoi'" tw'n deutevrwn 25

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    LIBRO VI, 5

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    Pertanto, poiché gli dèi sovrani sono suddivisi in tre, e poiché 25 gli uni sono uniti ai re intellettivi e fanno protendere in alto la cate- 26 na che è posta sotto di loro verso l’unità con i re intellettivi, mentre gli altri costituiscono i generi intermedi e si sono distribuiti la processione completa di questi dèi, e gli altri ancora serrano il limite inferiore di questo ordinamento e rivelano agli esseri di livello infe- 5 riore le potenze di questi dèi, gli dèi posti alle due estremità, a mio giudizio, non risultano immediatamente partecipi della somiglianza degli dèi assimilatori, ma gli uni sono posti in certo modo al di sopra di essa e sono intrecciati, in base alla loro essenza, agli dèi intellettivi, invece gli altri sono proceduti a partire da questa somiglianza e si sono mescolati ai generi inferiori ; dunque 10 solo quelli che costituiscono l’ambito intermedio determinano in se stessi l’effettiva realtà di questo ordinamento nella sua purezza78. Dunque a nostra volta, prendendo le mosse da questi riferimenti, dobbiamo mettere insieme con il ragionamento tutta intera la dottrina di Platone: scopriremo infatti che proprio in essi 15 vengono da lui tramandate in modo perfetto le misure perfette dell’ordinamento degli dèi sovrani. Pertanto di nuovo dobbiamo ricondurre ad una triade l’intera processione di questi livelli , triade che ha avuto tale suddivisione dall’alto a partire dai tre padri intellettivi; ecco perché tutto questo ordinamento di dèi 20 dipende dalla monade demiurgica, e dal canto suo l’intelletto demiurgico produce alcuni di questi dèi a partire da se stesso e dal padre intellettivo, altri a partire da se stesso e da tutta la generazione di vita nel suo insieme, altri ancora poi a partire dai propri «canali»79; ecco perché, tra gli dèi che vengono a sussistere, gli uni hanno ricevuto una dignità paterna e sono padri sovrani, gli altri 25 hanno ricevuto in sorte una dignità vivificante e generatrice, gli altri ancora, infine, hanno ricevuto in sorte una dignità elevatrice e convertitrice. Inoltre dal momento che a ciascuno dei re intellettivi è strettamente unito anche un determinato ordine di dèi incontaminati, è necessario, a mio giudizio, che anche negli dèi sovrani si manifesti una seconda processione che parte da essi, e per 30 questa ragione agli ordinamenti di tre sorte appena menzionati è unito per natura l’ordine custode, che viene a sussistere contem- 27 poraneamente in modo corrispettivo a ciascun ordinamento, cioè in modo paterno in rapporto al primo, in modo vivificante in rapporto al secondo, in modo intellettivo e convertitore in rapporto al terzo; e così tutto questo livello di dèi nel suo insieme sia suddiviso nelle potenze paterne, nelle processioni 5 generative, nelle 80 e nelle custodie incontamina-

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    TEOLOGIA PLATONICA

    aJpavntwn *** kai; tai'" ajcravntoi" frourai'". Ek ga;r tw'n noerw'n qew'n th;n uJpovstasin e[lacon, oiJ me;n toi'" mevresin oJlikw'" ejpibebhkovte", oiJ de; toi'" o{loi" meristw'" ejpirrevonte" ta;" eJautw'n ajfqovnou" dunavmei": kai; th;n tou' dhmiourgou' kai; patro;" katanevmontai provnoian, oiJ me;n diakosmou'nte" to; pa'n prwvtoi" te kai; mevsoi" kai; teleutaivoi" ei[desi poihvsew", oiJ de; tou;" th'" zwh'" ojcetou;" ejpi; pavnta proavgonte", oiJ de; ajnavgonte" ta; proelqovnta kai; ajnakalouvmenoi pro;" to;n patevra, oiJ de; th'" ajcravntou proi>stavmenoi tw'n deutevrwn fulakh'".

    ıV Anwqen dh; ou\n ajpo; th'" patrikh'" aijtiva" labovnte" th;n ajrch;n th'" tou' Plavtwno" qewriva" ouJtwsi; levgwmen. O me;n 20 toivnun dhmiourgo;" kai; path;r tou'de tou' pantov", th;n trivthn tavxin lacw;n ejn toi'" noeroi'" basileu'sin, wJ" provteron devdeiktai, ta; o{la parh'gen oJlikw'" kai; pavnta pro;" to; e}n ei\do" ajnavgwn tou' kovsmou kai; th;n mivan teleiovthta tou' pantov", ou{tw dh; kai; ta; mevrh diekovsmei 25 kai; suneplhvrou to; o{lon, tav te ajqavnata pavnta kai; ta; 28 qnhta; gevnesin e[cein tou' panto;" e{neka mhcanwvmeno". ’O kai; pro;" tou;" nevou" qeou;" ejn Timaivw/ pepoivhtai levgwn: In ou\n qnhtav te h/\ tov te pa'n tovde o[ntw" a{pan h/\, trevpesqe kata; fuvsin uJmei'" 5 ejpi; th;n tw'n zw/vwn dhmiourgivan. Epeidh; de; pantacou' meta; th;n monavda to; prosece;" ajpogenna'sqai plh'qo" ajnavgkh th/' monavdi kai; pro; th'" pantelou'" diairevsew" to;n hJnwmevnon ajriqmo;n uJfivstasqai (ouj ga;r to; pavnth/ proelqo;n tw/' meivnanti suggenev", oujde; to; pantoivw" 10 memerismevnon tw/' ajmerivstw/ sumfuvesqai dunatovn), proavgei me;n oJ tw'n o{lwn dhmiourgo;" ajf eJautou' te kai; tou' patro;" to;n prosech' th/' monavdi tw'n patevrwn ajriqmovn, oiJ de; uJpostavnte" trei'" ejx eJno;" kai; prw'toi paralabovnte" to; th'" dhmiourgiva" kravto" a[llou" ajf eJautw'n paravgousi

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    LIBRO VI, 6

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    te81. Infatti è dagli dèi intellettivi che hanno ricevuto la loro esistenza, sicché gli uni sormontano in modo universale le parti, gli altri invece in modo individuale riversano sulle totalità le proprie potenze generose; ed essi si distribuiscono la cura provvidenziale del «Demiurgo e padre»82, gli uni dando ordine al Tutto con forme prime, mediane ed ultime di azione produttiva, gli altri facendo procedere in tutti gli esseri i «canali» della vita, gli altri ancora elevando gli esseri che sono proceduti e richiamandoli verso il loro padre, gli altri infine presiedendo alla guardia incontaminata degli esseri di livello inferiore.

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    6 [Sul fatto che Zeus è duplice: l’uno viene prima dei tre Cronidi, ; e come i tre procedano a partire da Crono e dall’unico Zeus] Dunque, se noi assumiamo che la dottrina di Platone inizia dall’alto a partire dalla causa paterna, dobbiamo parlare in questi termini. Pertanto il Demiurgo e «padre di questo nostro Tutto», 20 avendo ricevuto in sorte il terzo livello tra i re intellettivi, come si è mostrato in precedenza83, ha prodotto la totalità dell’universo in modo universale elevando tutte le cose all’unica forma del cosmo e all’unica perfezione del Tutto; proprio in questo modo dava ordine alle parti e costituiva l’universo facendo in modo che sia 25 tutti gli esseri immortali sia quelli mortali venissero generati in 28 vista del Tutto. E questo è ciò che è stato fatto dire nel Timeo agli «dèi giovani»84: «Affinché dunque vi siano esseri mortali e questo Tutto sia realmente un tutto, dovete voi occuparvi, secondo natura, della realizzazione demiurgica dei viventi»85. D’altra parte, dal 5 momento che in ogni ambito dopo la monade deve necessariamente essere generata la molteplicità che è in diretta continuità con la monade, e dal momento che prima della divisione perfettamente compiuta deve necessariamente sussistere la serie complessiva unificata (infatti ciò che è completamente proceduto non è congenere a ciò che permane, e ciò che risulta suddiviso in tutti i 10 modi possibili non è possibile che sia per natura unito a ciò che è indivisibile), il Demiurgo dell’universo nella sua totalità fa procedere a partire da se stesso e dal padre la serie che è in diretta continuità con la monade dei padri, mentre i tre padri che sono venuti a sussistere dall’unico padre e che hanno ricevuto per primi il potere della demiurgia introducono direttamente da loro stessi

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    TEOLOGIA PLATONICA

    deutevrou" kai; trivtou" dhmiourgouv", wJ" a]n dia; th'" kata; mevtra proi>ouvsh" uJfevsew" to;n o{lon ajnelivxwsi dhmiourgiko;n ajriqmovn, o}n kat aijtivan me;n hJ dhmiourgikh; perievcei mona;" ejn eJauth/', prohvgage de; eij" ejmfane;" hJ tou' plhvqou" ejn tavxei provodo". Kai; ou{tw dh; proelqovnte" oiJ trei'" 20 hJgemonikoi; tw'n o{lwn patevre" diorivzousi ta;" eJautw'n poihvsei" prwvtoi" te kai; mevsoi" kai; teleutaivoi" th'" dhmiourgiva" o{roi", kai; eijsi;n oJlikoi; me;n pavnte", ajlla; tw'n merw'n oJlikw'" dhmiourgoi; kai; patevre", dia; me;n th;n pro;" monavda sunevceian to; th'" poihvsew" ei\do" oujk ejxallavt25 tonte", dia; de; th;n uJfeimevnhn provodon to; diatei'non ajmerivstw" ejpi; pavnta th'" ejnergeiva" oujk e[conte". Kai; oJ me;n ei|" dhmiourgo;" pro; th'" triavdo" tetagmevno" eJnoeidw'" ejn eJautw/' ta;" pavntwn perieivlhfe poihvsei", oiJ de; trei'" ou|toi patevre" plhquvousi me;n to; eJniai'on kravto" tou' 30 prwtivstou dhmiourgou', diairou'si de; th;n ajmevriston 29 poivhsin, proavgousi de; eij" ta; deuvtera th;n movnimon ejnevrgeian tou' patrov". Kai; e[stin hJ me;n ejxh/rhmevnh mona;" to; pantele;" mevtron th'" triavdo" ejn eJauth/' perilabou'sa kat a[kran e{nwsin, hJ de; tria;" th;n th'" monavdo" ajdiaivre5 ton duvnamin ajf eJauth'" ejkfaivnousa. Touvtou" dh; ou\n tou;" trei'" dhmiourgou;" kai; patevra" uJmnei' me;n kai; ejn a[lloi" oJ Plavtwn dialovgoi", diaferovntw" de; ejn tw/' Gorgiva/, kai; th;n e[nqeon poivhsin th'" peri; aujtw'n qewriva" marturouvmeno", th;n me;n o{lhn provodon 10 aujtw'n eij" to;n patevra tw'n noerw'n qew'n ajnafevrwn to;n Krovnon kajkei'qen aujtoi'" th;n prwvthn e[kfansin didouv", ejxairw'n de; kai; to;n dhmiourgiko;n nou'n th'" triadikh'" aujtw'n diairevsew" kai; tw/' patri; suntavttwn kai; deutevran met ejkei'non ajrch;n proi?stasqai levgwn noeravn, kai; 15 pai'da" me;n aujtou;" tou' Krovnou kalw'n, ejndeiknuvmeno" de; o{ti kai; th;n ajpo; tou' Dio;" e[lacon provodon. Ditto;" ga;r oJ Zeu;" katav te Plavtwna kai; pa'san wJ" eijpei'n th;n Ellhvnwn qeologivan, oJ me;n th'" noera'" triavdo" to; pevra" sunelivsswn eij" th;n ajrchvn, oJ de; th'" hJgemonikh'" th;n ajkrovthta 20 lacwvn: kai; oJ me;n tw'n o{lwn dhmiourgo;" oJlikw'", oJ de; ta; prw'ta th'" dih/rhmevnh" dhmiourgiva" klhrwsavmeno": kai; oJ me;n pro; tw'n triw'n patevrwn tetagmevno", oJ de; ei|" tw'n triw'n oJ prwvtisto" kai; prosech;" toi'" loipoi'" patravsin. 15

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    LIBRO VI, 6

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    altri demiurghi di secondo e di terzo livello, in modo che attraver- 15 so l’abbassamento di livello graduale prodotto dalla processione dispieghino l’intera serie demiurgica, che la monade demiurgica comprende in se stessa a livello causale, mentre la processione ordinata del molteplice l’ha portata a piena manifestazione. Ed essendo proceduti precisamente in questo modo, i tre padri sovra- 20 ni della totalità dell’universo delimitano le proprie azioni produttive con i limiti primi, secondi e terzi della demiurgia, e sono tutti sì universali, ma nel senso che sono in modo universale demiurghi e padri delle parti, non modificando, in virtù della loro diretta continuità con la monade, la forma della loro azione produttiva, ma senza avere d’altro canto la capacità di estendere la loro attivi- 25 tà in modo indistinto a tutte le cose per via del livello inferiore che occupano nella processione. E l’unico Demiurgo, essendo per ordinamento superiore alla triade, risulta comprendere in se stesso in modo uni-forme le produzioni di tutte le cose, mentre questi tre padri rendono molteplice il potere unitario del primissimo 30 Demiurgo, ed inoltre suddividono la sua azione produttrice non 29 divisa86, ed infine fanno procedere negli esseri di livello inferiore l’attività stabilmente fissa del padre. Ed è la monade trascendente che comprende in se stessa, nella forma di una suprema unità, la misura compiutamente perfetta della triade, mentre è la triade che rivela a partire da se stessa la potenza indivisa della monade. 5 Ebbene, questi tre demiurghi e padri Platone li celebra anche in altri dialoghi, ma specialmente nel Gorgia, ove, chiamando come testimone della dottrina dei tre demiurghi la poesia divinamente ispirata87, riporta l’intera loro processione al padre degli 10 dèi intellettivi, Crono, e da lì concede ad essi la prima manifestazione, ma esclude l’intelletto demiurgico dalla loro divisione triadica, li coordina con il padre, afferma che un secondo principio intellettivo, successivo a Crono, è preposto ad essi, li chiama “figli 15 di Crono”88, però mette in luce che la processione l’hanno avuta a partire da Zeus. In effetti Zeus è duplice, non solo secondo Platone, ma anche, per così dire, secondo tutta la teologia dei greci: il primo fa convergere nel suo insieme il limite inferiore della triade verso il principio, mentre il secondo ha avuto in sorte la sommità della triade degli dèi sovrani; ed inoltre l’uno è Demiurgo 20 dell’universo nella sua totalità a livello universale, mentre all’altro sono stati assegnati in sorte i primi prodotti della demiurgia divisa; e l’uno è per ordinamento posto prima dei padri, l’altro è l’unico dei tre ad essere quello che è primissimo ed in diretta continuità con gli altri restanti padri.

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    TEOLOGIA PLATONICA

    Oqen oi\mai kai; tou;" pollou;" tw'n tau'ta pragmateuomevnwn e[laqen wJ" oujk a[ra h\n oJ dhmiourgo;" tou' panto;" Zeu;" tw'n triw'n patevrwn oJ prwvtisto" h] wJ" oujk e[stin oJ tw'n noerw'n basilevwn hJgemw;n Krovno" oJ aujto;" tw/' dhmiourgikw/' nw/'. Th'" ga;r patrikh'" tou' Krovnou basi30 leiva" ejxavyante" eujqu;" th;n triavda tw'n hJgemonikw'n patevrwn, oiJ me;n th;n o{lhn dhmiourgivan ejp aujto;n ajnafevrousi to;n Krovnon, oiJ de; to;n a[kron ejn th/' triavdi th'" tw'n o{lwn ajpogennhvsew" aijtiw'ntai. Kaivtoi pw'" oujc eJkavteron 5 ajduvnaton O me;n gavr, ejn eJautw/' mevnwn kai; pa'n to; proelqo;n eij" auJto;n ejpistrevfwn, ejxh/vrhtai th'" dhmiourgikh'" poihvsew": oJ dev, toi'" o{loi" ajntidih/rhmevno" patravsin, oujk a]n ei[h tw'n o{lwn ajmevristo" uJpostavth". Dei' ga;r dh; to;n o{lon kai; pantelh' tou' kovsmou dhmiourgo;n mhvte 10 sunariqmei'sqai toi'" a[lloi" dhmiourgoi'" mhvte th'" monivmou kai; ejn eJauth/' televw" iJdrumevnh" aijtiva" ajnekfoivthton ei\nai (ão} dh;Ã d tw/' kai; to; proelqo;n ajnakalei'sqai kai; ajnekfoivthton eJautou' pavlin ajpofaivnein ejnantivw" e[cei, kai; to; pa'si parei'nai tw/' cwristw'" ejnergei'n) kai; th;n gennhtikh;n 15 aujtou' duvnamin ajfairei'n oujdamh/' proshvkei. Pw'" ou\n oJ tou;" eJautou' pai'da" eij" eJauto;n ejpistrevfwn kai; kleivwn ejn eJautw/' ta; eJautou' gennhvmata tw/' pavnta ejkfaivnonti kai; eij" plh'qo" proavgonti dhmiourgw/' th;n aujth;n a]n e[coi duvnamin Pw'" de; oJ meta; tw'n loipw'n dhmiourgw'n diaklhrouv20 meno" to; pa'n monoeidw'" ejstin ai[tio" tou' pantov" Skevyai gavr, eij bouvlei, kaq e{kaston tw'n triw'n touvtwn dhmiourgw'n kai; qewvrei to; sumbai'non ejk tou' lovgou. To;n me;n dh; prwvtiston aujtw'n ai[tion ei\naiv famen th'" oujsiva" kai; tou' ei\nai toi'" ejn tw/' kovsmw/ dhmiourghvmasin, to;n de; deuvteron 25 kinhvsew" kai; zwh'" kai; th'" genevsew" tw'n aijsqhtw'n uJpostavthn, to;n de; trivton th'" eijdopoii?a" th'" dih/rhmevnh" kai; th'" meristh'" perigrafh'" kai; th'" kata; kuvklon ejpistrofh'" tw'n o{lwn eij" th;n mivan ajrchvn. Kai; tau'ta 31 diorizovmeqa, tw'n triw'n eJkavstou th;n poivhsin ejpi; to;n o{lon kovsmon diateivnein tiqevmenoi, to;n de; th'" poihvsew" trovpon 25

    d

    Così a mio avviso occorre qui integrare il testo.

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    Da ciò, a mio giudizio, deriva appunto il fatto che alla maggior parte di coloro che si occupano di tali questioni è sfuggito che 25 Zeus, il Demiurgo del Tutto, non è, come si è visto, il primissimo dei tre padri, o ancora che Crono, il sovrano dei re intellettivi, non è identico all’intelletto demiurgico89. In effetti, dal momento che hanno connesso il regno di Crono immediatamente alla triade dei 30 padri sovrani, gli uni riconducono tutta la demiurgia nella sua interezza allo stesso Crono, gli altri invece ritengono il demiurgo posto alla sommità della triade responsabile della generazione della totalità dell’universo90. E di certo, come possono entrambe queste concezioni non risultare impossibili? Infatti il primo 5 , permanendo in se stesso e convertendo verso di sé tutto ciò che ha avuto processione, trascende l’azione produttrice demiurgica; mentre il secondo , essendo completamente distinto dai padri universali, non potrebbe essere l’origine indivisa del sussistere dell’universo nella sua totalità. In effetti bisogna certamente che il Demiurgo universale e perfetto della totalità 10 dell’universo non sia né enumerato tra gli altri demiurghi né che sia inseparabile dalla causa stabile e perfettamente fissata in se stessa ( è il contrario del richiamare indietro ciò che ha avuto processione e del farlo risultare a sua volta inseparabile da se stesso, così come l’essere presente in ogni cosa è il contrario dell’agire in modo separato), e non è in alcun modo opportuno 15 negare la potenza generativa del Demiurgo. Come dunque colui che converte verso di sé i suoi propri figli e che racchiude in se stesso le entità da lui generate91 potrebbe avere la stessa potenza del Demiurgo che fa apparire tutte le cose e le fa procedere verso la molteplicità? Come, d’altra parte, colui che insieme agli altri demiurghi ha avuto in sorte il Tutto può essere in modo unico 20 principio causale del Tutto? Si prenda in esame, infatti, se si vuole, singolarmente ciascuno di questi tre demiurghi e si consideri ciò che consegue da questo ragionamento. Noi diciamo precisamente che il primissimo dei demiurghi è principio causale dell’essenza e dell’essere per i prodotti demiurgici presenti nel cosmo, mentre il secondo origine del sussistere di movi- 25 mento, di vita, della generazione, degli oggetti sensibili, il terzo infine diciamo che è origine del sussistere della produzione suddivisa di forme, della delimitazione ripartita e della conversione circolare della totalità dell’universo in direzione del suo unico principio. E queste sono le distinzioni che noi operiamo quando, 31 da un lato, stabiliamo che l’azione produttiva di ciascuno dei tre demiurghi si estende su tutto il cosmo nella sua interezza, mentre

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    i[dion ejf eJkavstou qewrou'nte", to;n me;n oujsiopoiovn, to;n de; zwopoiovn, to;n de; noerovn, kai; to;n me;n th'" uJpavrxew", to;n de; th'" kinhvsew", to;n de; th'" ejpistrofh'" ai[tion levgomen, i{na dh; kai; oJ pa'" kovsmo" wJ" me;n tou' o[nto" metalagcavnwn ajpo; tou' prwvtou paravghtai patrov", wJ" de; dia; kinhvsew" uJfistavmeno" kai; gevnesi" w]n ajpo; tou' deutevrou th;n provodon uJpodevchtai, wJ" de; pavnth/ dih/rhmevno" kai; meta; th;n pantoivan diaivresin ejpistrevfwn eij" th;n oijkeivan ajrchvn, ajpo; tou' trivtou.

    zV Touvtwn dh; ouJtwsi; diwrismevnwn kativdwmen o{pw" oJ ejn Timaivw/ dhmiourgo;" kai; path;r tou'de tou' panto;" 15 oJmou' kai; ajmerivstw" uJfivsthsi to;n kovsmon kai; thvn te oujsivan aujtw/' divdwsi kai; to; ei\nai corhgei', tav te swvmata plavttwn kai; ta;" yuca;" ejn mevsw/ th'" ajmerivstou kai; th'" meristh'" oujsiva" ajpogennw'n kai; tou;" nou'" uJfista;" ajgennhvtw" kai; ajdiairevtw" ejk tw'n prwvtwn 20 genw'n: kai; e[ti pro;" touvtoi" ta;" kinhvsei" dianevmei tai'" te yucai'" kai; toi'" swvmasin a[lla" a[lloi" kai; diairei' pantoivw" e{kasta kata; tou;" aJrmonikou;" lovgou" kai; sundei' tai'" ajnalogivai" kai; pro;" eJauto;n ejpistrevfei kai; th;n eJautou' bouvlhsin. Pw'" ou\n e[ti to;n toiou'ton dhmiour25 go;n eij" taujto;n a[xomen eJni; tw'n triw'n touvtwn patevrwn A 32 ga;r ou|toi dih/rhmevnw" levgontai didovnai tw/' pantiv, tau'ta ajmerivstw" ejkei'no" uJfivsthsin ajf eJautou', kai; ouj ta; me;n prohgoumevnw", ta; de; kata; sumbebhkov", ajll aujtw/' tw/' ei\nai kai; th;n oujsivan ajpogenna/' kai; ta;" kinhvsei" corhgei' 5 kai; ta;" diairevsei" proteivnei tw'n ejgkosmivwn eijdw'n, kai; meta; th;n tw'n o{lwn provodon ejpistrevfei pavnta pro;" eJauto;n mevnwn ejn tw/' eJautou' kata; trovpon h[qei. Deuvteron toivnun tou;" trei'" dhmiourgou;" ajp ajllhvlwn diestavnai famevn, diovti patrikw'" me;n oJ prw'to" perievcei 10 tou;" loipou;" kai; e[sti th'" o{lh" triavdo" tauvth" pathvr,

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    quando consideriamo la modalità dell’azione produttiva in modo specifico a proposito di ciascuno di essi, noi diciamo che il primo demiurgo è produttore di essenza, il secondo produttore di vita, il terzo infine intellettivo, e che il primo è principio causale dell’esistenza, il secondo del movimento, il terzo della conversione, proprio perché il cosmo intero, nella misura in cui viene a partecipare dell’essere, venga prodotto dal primo padre, mentre, nella misura in cui viene a sussistere per mezzo di movimento ed è generazione, riceva la sua processione da parte del secondo demiurgo ed infine, nella misura in cui risulta completamente diviso e dopo ogni sorta di divisione si converte verso il proprio principio, riceva la sua processione dal terzo demiurgo.

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    7 [Più dimostrazioni del fatto che, sia secondo Platone sia secondo gli altri Teologi, v’è un solo Demiurgo superiore ai tre demiurghi] Operate dunque in questo modo tali distinzioni, consideriamo in che modo nel Timeo il Demiurgo e «padre di questo nostro Tutto»92 faccia sussistere tutto insieme ed in modo indiviso il 15 cosmo ed, al contempo, gli dia l’essenza e gli elargisca l’essere, sia plasmando i corpi sia generando le anime «a metà tra l’essenza indivisibile e l’essenza divisibile»93, e facendo sussistere in modo ingenerato e senza divisione gli intelletti a partire dai generi primi; 20 ed ancora oltre a ciò distribuisca i movimenti alle anime ed ai corpi, alle anime movimenti di un determinato tipo, ai corpi movimenti di un tipo diverso, suddivida in ogni modo possibile ciascun corpo sulla base dei rapporti armonici, lo leghi insieme per mezzo delle proporzioni e lo converta verso se stesso e alla sua propria volontà94. Come dunque potremo ancora identificare tale 25 Demiurgo con uno di questi padri? In effetti le cose che si dice 32 questi ultimi donino al Tutto in forma divisa, il Demiurgo le fa sussistere a partire da sé in forma indivisa, e non le une in modo principale, mentre le altre in modo accidentale, ma, per il fatto stesso di essere, al contempo genera l’essenza, elargisce i movimenti, propone le divisioni delle forme encosmiche e dopo la processione 5 della totalità dell’universo converte tutte le cose verso se stesso «permanendo in se stesso nella condizione che gli è abituale»95. In secondo luogo, inoltre, affermiamo che i tre demiurghi sono distinti fra loro, poiché il primo comprende in modo paterno gli altri due ed è padre di tutta questa triade nella sua interez- 10

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    TEOLOGIA PLATONICA

    duvnami" de; oJ deuvterov" ejsti kai; metevcei tw'n a[krwn kata; th;n th'" dunavmew" ijdiovthta, nou' de; oJ trivto", kai; to; patriko;n aujtw/' kai; hJ duvnami" noerav: kai; wJ" to; o{lon eijpei'n, path;r me;n ajmfoi'n oJ prw'to", duvnami" de; ajmfoi'n oJ 15 deuvtero", nou'" de; ajmfoi'n oJ trivto". Pw'" ou\n oJ tw'n o{lwn dhmiourgo;" eJni; tw'n eijrhmevnwn ejsti; patevrwn oJ aujtov" Ekei'no" gavr, w{" fhsin oJ Tivmaio", pathvr ejsti tou' panto;" kovsmou kai; duvnamin e[lacen eJautw/' patrikh;n kai; nou'n qei'on ejpistrevfonta ta; pavnta eij" th;n 20 ªtou'º eJautou' periwphvn. Pavlin ou\n ta;" merista;" tw'n triw'n ijdiovthta" ajmerivstw" ejn ejkeivnw/ kai; monoeidw'" prou>parcouvsa" ajneuvromen: kai; w{sper hJ tria;" hJ dhmiourgikh; metevcei th'" pro;"e aujto;n eJnwvsew" dia; th;n ajperivgrafon th'" monavdo" uJper25 ochvn, ou{tw dh; kai; hJ mona;" proeivlhfe krufivw" ejn eJauth/' th;n triavda kata; th;n th'" aijtiva" duvnamin. Kai; ouj dei' tau'ta ejn ajllhvloi" sugcei'n, ajll ejxairei'n me;n th;n 33 monavda th'" triavdo", ejxavptein de; th;n triavda th'" monavdo", kai; mhvte tou;" trei'" patevra" th'" o{lh" dhmiourgiva" a[rconta" poiei'n mhvte to;n ejn aujtoi'" prwvtiston eij" taujto;n a[gein tw/' eJni; dhmiourgw/'. To; ga;r suntetagmevnon ai[tion 5 tou' ejxh/rhmevnou pavnth/ diafevrei kai; to; kata; perioch;n ta; pavnta paravgon tou' pa'sin oJmoivw" parovnto" kai; ejx i[sou tw'n pavntwn ajfestw'to". Kai; ejpi; touvtoi" to; plh'qo" pantacou' th'" oijkeiva" ejxevcetai monavdo", kai; w{sper tw'n o{lwn diakovsmwn proh10 gei'tai to; e{n, ou{tw dh; kai; eJkavsth tavxi" tw'n qew'n ajpo; monavdo" e[cei th;n provodon: ejpei; kai; e{kasto" qeo;" prohgoumevnhn e[lace th;n e{nwsin tou' ejn aujtw/' plhvqou". Eij de; tov te suvmpan tw'n qew'n gevno" wJsauvtw" kai; e{kasto" proveisin, ajnavgkh dhvpou kai; tw'n dih/rhmevnwn tavxewn 15 eJkavsthn to;n aujto;n e[cein th'" uJpostavsew" trovpon. To; dh; trivton levgwmen o{ti tou;" trei'" touvtou" dhmiourgou;" kai; oJ Plavtwn kai; hJ tw'n Ellhvnwn ajrcaiva qeologiva dielevsqai fhsi; tou' patro;" Krovnou th;n eJnoeidh' basileivan, kai; to;n me;n ta; prw'ta diakosmei'n eJkastacou', to;n 20 de; ta; mevsa, to;n de; ta; e[scata tw'n o{lwn: kai; oujk ejn th/' dhmiourgiva/ movnon tauvthn keklhrw'sqai th;n tavxin e{kaston, ajlla; kajn th/' pronoiva/ tw'n merikw'n yucw'n: kai; ga;r e Non ritengo necessaria la correzione proposta dai due Editori: peri; invece del tràdito pro;".

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    za, il secondo è una potenza e partecipa delle componenti poste alle estremità in base al carattere specifico della potenza, il terzo infine è intelletto, e ad esso appartiene il carattere paterno e la potenza intellettiva; e, per dirla in generale, il primo è padre degli altri due, il secondo è potenza degli altri due e il terzo infine è intelletto degli altri due. Come dunque è possi- 15 bile che il Demiurgo della totalità dell’universo sia identico ad uno dei tre suddetti padri? Infatti quello, come afferma Timeo96, è «padre» dell’intero cosmo ed ha ottenuto in sorte per se stesso una potenza paterna ed un intelletto divino che converte tutte le entità «alla sua propria specola»97. 20 Di nuovo dunque giungiamo a scoprire le specifiche proprietà divise dei tre , le quali sono preesistenti nel Demiurgo in modo indiviso e uniforme; e come la triade demiurgica partecipa dell’unificazione a lui in virtù della superiorità delimitabile della monade, allo stesso modo la monade, a sua volta, risulta pre- 25 comprendere in se stessa in maniera celata la triade «in modo conforme alla potenza propria della causa»98. E non si devono confondere tra loro monade e triade, ma si deve separare la triade dalla 33 monade, e non bisogna rendere i tre padri reggitori della demiurgia universale né bisogna identificare il primissimo fra loro con l’unico Demiurgo. Infatti il principio causale coordinato differisce da quello completamente trascendente e ciò che produce 5 tutte le cose comprendendole in sé differisce da ciò che è parimenti presente in tutte, ed è nella stessa misura separato da tutte99. Ed inoltre in ogni ambito la molteplicità dipende dalla propria specifica monade, e come l’Uno è superiore alla totalità dei livelli , così ciascun ordinamento degli dèi ha la sua processio- 10 ne a partire da una monade; in effetti ciascun dio ha avuto in sorte l’unità che è superiore rispetto alla molteplicità in lui insita. Se poi allo stesso modo procedono tutto il genere divino nella sua interezza e ciascun singolo dio, è necessario, a mio giudizio, anche che ciascuno degli ordinamenti suddivisi venga ad avere sussistenza 15 nello stesso modo. In terzo luogo dobbiamo dire che, sia secondo Platone sia secondo l’antica teologia dei Greci100, questi tre demiurghi si sono divisi il regno uni-forme del padre Crono, e l’uno dà ordine in ogni singolo caso alle componenti prime della totalità delle universo, l’altro a quelle seconde, l’altro ancora, infine, a quelle che 20 vengono per ultime; inoltre, , ad essi è stato assegnato in sorte questo determinato ruolo non solo nella demiurgia, ma anche nella cura provvidenzia-

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    touvtwn ta;" me;n pro; th'" genevsew" uJpo; to;n prw'ton telei'n, ta;" de; th;n gevnesin sumplhrouvsa" uJpo; to;n mevson, ta;" de; 25 meta; th;n gevnesin kaqavrsew" deomevna" uJpo; to;n trivton. Alla; mh;n oJ prwvtisto" dhmiourgov", wJ" ejn Timaivw/ gevgraptai, to;n suvmpanta paravgei kovsmon. Aujto;" ga;r kai; th;n taujtou' perifora;n uJfivsthsi kai; th;n qatevrou diakosmei' kai; ta; uJpo; selhvnhn pavnta kai; 34 mevcri th'" gh'", h}n fuvlaka nukto;" kai; hJmevra" ejmhcanhvsato, peri; to;n dia; panto;" povlon tetamevnon ajkivnhton eJstw'san: kai; plhroi' ta;" o{la" merivda" tw'n oijkeivwn ajriqmw'n kai; pa'sin ejndivdwsi th;n 5 gevnesin, toi'" te fanerw'" peripolou'si kai; toi'" fainomevnoi" kaq o{son a]n ejqevlwsin: e[ti de; au\ tai'" merikai'" yucai'" th;n o{lhn ajforivzei perivodon kai; ta; mevtra th'" eij" gevnesin kaqovdou kai; ta;" ajmoiba;" th'" ejntau'qa zwh'" kai; ta;" eij" to; suvnnomon 10 ãa[stronà ajpokatastavsei", kai; pavnta" tou;" eiJmarmevnou" novmou" aujtai'" ejkfaivnein levgetai kai; th;n fuvsin ejpideiknuvnai tou' pantov". Oujk a[ra tw'n triw'n touvtwn ejsti; patevrwn oujde; suntevtaktai pro;" aujtouv", ajll ejxh/vrhtai pantelw'" ajpo; th'" triavdo" kai; 15 uJperhvplwse th;n oijkeivan patronomikh;n ejpistasivan kai; cwri;" eJkavstou kai; koinh/' pavntwn: kai; ta; me;n touvtwn ejnerghvmata dih/vrhtai peri; aujto;n kai; dieivlhptai toi'" merikwtevroi" o{roi", hJ de; ejkeivnou poivhsi" ajperivgrafov" ejsti kai; miva kai; o{lh kai; ajmevristo". hV Oti me;n ou\n hJ dhmiourgikh; mona;" th'" triavdo" tw'n hJgemonikw'n patevrwn ejxh/rhmevnh kata; mivan ajdiaivreton aijtivan ajpogenna/' ta; o{la diaiwnivw", e[stw fanero;n ejk 35 touvtwn. Eij dev ejstin, w{sper ejn toi'" provsqen ajpedeivknumen lovgoi", oJ ei|" kai; o{lo" tou' monogenou'" kovsmou 20

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    le esercitata sulle anime particolari; ed infatti fra queste le une, prima di far parte dell’ambito della generazione, sono soggette al primo demiurgo, le altre, che fanno parte dell’ambito della generazione, sono soggette al demiurgo intermedio, le altre ancora, che necessitano di purificazione dopo aver preso parte all’ambito 25 della generazione, sono soggette al terzo. Ma per certo il primissimo Demiurgo, come è stato scritto nel Timeo, produce tutto il cosmo nel suo insieme. Egli infatti fa sussistere «il movimento circolare dell’Identico», dà ordine a «quello del diverso»101 ed anche a tutti gli esseri posti al di sotto della luna fino alla terra, la quale 34 «ha costruito come guardiana della notte e del giorno», fissata immobile «intorno all’asse che attraversa il Tutto»102; e ricolma tutte le porzioni delle proprie specifiche serie e concede a tutti gli esseri la loro generazione, «sia a quelli che 5 effettuano la loro rotazione in modo visibile sia a quelli che si manifestano solo quando lo intendano fare»103; ed ancora determina per le anime particolari l’intero periodo ciclico, le misure della discesa nell’ambito della generazione, le successioni della vita terrena104 e i ritorni periodici all’« apparentato»105, e viene det- 10 to che ad esse rivela tutte le «norme stabilite dal fato» e «mostra la natura del Tutto»106. Di conseguenza non fa parte di questi tre padri né è coordinato ad essi, ma è completamente trascendente rispetto alla triade ed ha reso superiore per sempli- 15 cità il proprio governo paterno107 sia rispetto a ciascun padre considerato separatamente sia rispetto a tutti i padri considerati nel loro insieme; e le attività di questi padri sono suddivise in riferimento al Demiurgo e risultano distinte da limiti più particolari, invece l’azione produttiva del Demiurgo è non delimitabile, unica, universale ed indivisa. 8 [Sul fatto che anche secondo Platone la monade demiurgica è venuta a sussistere prima dei tre Cronidi; dimostrazioni tratte da quanto è affermato nel “Politico” e nelle “Leggi”]

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    Dunque il fatto che la monade demiurgica, che trascende la triade dei padri sovrani, genera eternamente la totalità dell’universo sulla base di un’unica forma di causalità indivisibile, deve risultare evidente da queste considerazioni. Ma se, come dimostra- 35 vamo nei precedenti discorsi108, Zeus è, secondo Platone, l’unico ed universale Demiurgo del cosmo «unico per genere»109, e se noi

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    dhmiourgo;" kata; Plavtwna oJ Zeuv", kai; hJmei'" oujk ejxapatwvmenoi tau'ta wJmologhvkamen, wJ" de; nu'n levgetai 5 kai; oJ ejn Gorgiva/ Swkravth" ajnadidavskei, kai; oJ tw'n dhmiourgw'n prwvtisto" tw'n dielomevnwn th;n tou' Krovnou basileivan wJsauvtw" ajpokalei'tai Zeuv", ditto;" a]n ei[h kata; tauvthn th;n qewrivan oJ Zeuv", oJ me;n pro; tw'n triw'n patevrwn noero;" qeov", oJ de; hJgemoniko;" kai; ajfomoiwtiko;" 10 kai; ajrchgikov", ejn toi'" trisi;n ejp a[krw/ tetagmevno". Diei'lon gavr, fhsiv, th;n tou' patro;" ajrch;n o{ te Zeu;" kai; oJ Poseidw'n kai; oJ Plouvtwn, ejx eJno;" oi|on megavlou basilevw" trei'" uJpostavnte" hJgemovne" tw'n o{lwn kai; th;n mivan phgh;n th'" dhmiourgikh'" seira'" eij" 15 triavda pantelh' proagagovnte" ajrcikhvn, h}n kai; oJ Plavtwn ejndeiknuvmeno" ajrch;n proseivrhke th;n ejn toi'" trisi; dih/rhmevnhn provnoian, to; prwtourgo;n kai; monoeide;" toi'" pro; touvtwn ajponevmwn qeoi'". Eij de; mh; movnon au|tai tou' Diov" eijsin aiJ tavxei", ajlla; kai; a[llo plh'qov" ejsti Divi>on, 20 kai; o{pw" proveisin, ejn toi'" eJpomevnoi" e[stai fanerovn. Eijsi; me;n ga;r kai; oiJ trei'" ou|toi patevre" a{pante" th'" proshgoriva" th'" aujth'" meteilhcovte" kai; wJsauvtw" uJmnouvmenoi kai; para; tw'n foibolhvptwn poihtw'n: ajll oJ me;n aJplw'" Zeuv", oJ de; ejnavlio" Zeuv", oJ de; katacqovnio" Zeuv": prwvtw" 25 de; ejn th/' triavdi thvn te patrikh;n ajxivan e[cei kai; th;n ejpwnumivan tou' megavlou Dio;" oJ tw'n triw'n hJgemwvn. Dia; ga;r th;n a[kran e{nwsin h}n e[lace pro;" to;n ejpevkeina tw'n 36 triw'n phgai'on dhmiourgo;n kai; tou' ojnovmato" ajdiakrivtw" koinwnei' tw/' o{lw/ Diiv. Kai; kata; tou'ton oi\mai to;n lovgon oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth", ajpo; tw'n ojnomavtwn th;n peri; tw'n qew'n ajpovrrhton hJmi'n mustagwgivan ejmfanivzwn, tote; 5 me;n tw/' Krovnw/ suntavttwn to;n Diva, tote; de; toi'" loipoi'" dhmiourgoi'", oujk ajxioi' di;" peri; tw'n aujtw'n poiei'sqai tou;" lovgou", ajll ejn toi'" peri; tou' pantelou'" dhmiourgou' nohvmasi kai; th;n peri; tou' prwvtou tw'n triw'n paradivdosqai dia; th;n tw'n ojnomavtwn ajlhvqeian. Ouj ga;r h\n a[llw" 10 pw" dianoei'sqai to;n toi'" ojnovmasin eJpomevnhn ajpofaivnonta th;n ejn toi'" pravgmasi qewrivan, ejpei; kai; ajdiairevtw" h{nwtai tw/' o{lw/ dhmiourgw/' th'" triavdo" tauvth" oJ pathvr. Alla; touvtwn me;n a{li", ejkei'no dev, eij bouvlei, prosqw'-

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    non siamo in errore nell’aver convenuto su tali affermazioni, se inoltre, come viene detto ora e come Socrate illustra nel Gorgia110, 5 il primissimo dei demiurghi che si sono divisi il regno di Crono viene denominato allo stesso modo “Zeus”, in base a tale concezione Zeus dovrebbe essere duplice: quello che precede i tre padri è un dio intellettivo, l’altro invece è un dio sovrano, assimilatore e che ha rango di principio, in quanto è posto per ordinamento al 10 livello più alto tra i tre padri. In effetti «Zeus, Poseidone e Plutone» hanno diviso, egli afferma, «il dominio»111 del padre, in quanto a partire da un unico, per così dire, “Gran Re”112 sono venuti a sussistere come tre sovrani della totalità dell’universo, ed hanno fatto procedere 15 l’unica fonte della catena demiurgica in una triade principiale compiutamente perfetta, la quale appunto Platone indica quando denomina “dominio” la cura provvidenziale suddivisa fra questi tre sovrani, attribuendo così il carattere di “originario” e di “uniforme” agli dèi che li precedono. Ma se siano non solo questi tre i livelli di Zeus, ma anche un’ulteriore molteplicità di Zeus, ed in che modo proceda, risulterà evidente in seguito113. In 20 effetti questi tre padri risultano tutti quanti partecipi della medesima denominazione e sono celebrati allo stesso modo anche da parte dei poeti ispirati da Febo: ma il primo è puramente e semplicemente “Zeus”, il secondo invece è “Zeus marino”114, il terzo infine è “Zeus degli inferi”115; d’altra parte nella triade a possede- 25 re in modo primario il rango paterno ed al contempo la denominazione di “Grande Zeus” è il sovrano dei tre . Infatti in virtù della somma unificazione che egli ha avuto in sorte con il Demiurgo “fontale” posto al di là dei tre , egli senza 36 distinzione ha in comune il nome con lo Zeus universale. E sulla base di questo ragionamento, a mio giudizio, Socrate nel Cratilo, quando mostra a partire dai nomi la dottrina misterica, per noi ineffabile, concernente gli dèi116, coordinando Zeus ora a Crono, 5 ora invece agli altri demiurghi117, non ritiene opportuno affrontare per due volte le medesime questioni, ma laddove espone le sue concezioni riguardanti il Demiurgo assolutamente perfetto, ritiene di dover tramandare, per mezzo della verità propria dei nomi, anche la dottrina misterica concernente il primo dei tre padri. Infatti colui che sostiene che la riflessione speculativa sulla realtà 10 è in accordo con i nomi, non poteva pensarla in alcun altro modo, dato che il padre di questa triade risulta unito inseparabilmente al Demiurgo universale. Ma su tali questioni questo è quanto basta; dobbiamo invece

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    men toi'" eijrhmevnoi". Isw" ga;r a[n ti" uJpolavboi kai; to;n ejn Gorgiva/ mu'qon toi'" trisi; Kronivdai" th;n pavrodon ajpo; tou' Krovnou didovnai prosecw'", ajll ouj dia; mevsh", w{sper ei[pomen, th'" dhmiourgikh'" monavdo": dielevsqai ga;r au\ th;n ajrch;n th;n Kronivan tou;" trei'", ajll oujci; th;n tou' o{lou dhmiourgou' kai; patrov". In ou\n mh; pevra tou' 20 mevtrou toi'" muqikoi'" eJpovmenoi plavsmasi th'" te tou' Plavtwno" dianoiva" kai; th'" tw'n pragmavtwn ajlhqeiva" aJmartovnte" lavqwmen, dioristevon ejx ajrch'" o{ti proveisi me;n ajpo; tou' patro;" tw'n noerw'n qew'n o{ te o{lo" dhmiourgo;" kai; hJ tria;" au{th tw'n hJgemonikw'n patevrwn: ajll oJ mevn, 25 o{lo" ajf o{lou proelqwvn, ajmerivstw" metevcei tou' patrov" (mevnei ga;r ejn th/' pantovthti th'" ejkeivnou dunavmew" kai; to; monoeide;" aujtou' kai; ajplhvqunton, eij qevmi" eijpei'n, mimei'tai tw/' monadiko;" ei\nai kai; o{lo" kai; oJ aujto;" prwvtwn te kai; mevswn kai; teleutaivwn pathvr), oiJ de; dih/rhmevnw" metevcou37 si th'" tou' gennhvsanto" aijtiva" kai; proevrcontai merisqevnte" me;n ajp ajllhvlwn, merizovmenoi de; th;n eJniaivan ejkeivnou provnoian. Kai; oJ me;n Krovno" ei|" ejsti kai; polu;" qeov", ejn eJautw/' to; plh'qo" eJdravzwn kai; toi'" oijkeivoi" o{roi" 5 krufivw" perilambavnwn: oJ de; Zeu;" th;n monavda th;n patrikh;n ajpotupou'tai kai; proavgei to; eJniai'on aujth'" eij" th;n tw'n o{lwn promhvqeian: oiJ de; trei'" Kronivdai to; ejkei' plh'qo" ejkfaivnousin ejn tw/' pantelei' th'" triavdo" o{rw/, dio; kai; diairei'sqai levgontai th;n tou' patro;" ajrchvn, h}n 10 ajdiairevtw" ei\cen oJ Zeuv". Wste oJ mevn (eij crh; tolmhvsanta favnai) proelqwvn ejstin oJ path;r kai; diakosmei'n ejpeigovmeno" kai; wjdivnwn eij" ajpogevnnhsin tw'n o{lwn: oiJ de; th;n ejkeivnou merivzontai provnoian, taujto;n de; eijpei'n o{ti kai; th;n tou' Diov". H ga;r provodo" h\n aujtoi'" ajf eJkatevrou, tou' 15 me;n Krovnou kata; to; ajf ou|, tou' de; Dio;" kata; to; uJf ou|: kai; ga;r ejkfaivnei me;n aujtou;" oJ Zeuv", proevrcontai de; ajpo; tw'n Kronivwn ajduvtwn. Eij de; au\ bouvlei,f kai; kata; to;n Plavtwno" Parmenivdhn ejn th/' Kroniva/ tavxei kai; th'" oJlovthto" ou[sh" kai; tw'n 20 merw'n kai; kata; me;n to; o{lon tou' ejn a[llw/, kata; de; ta; mevrh tou' ejn auJtw/' th;n uJpovstasin ejkei' labovnto", oJ me;n pro; tw'n triw'n Zeu;" kata; to; o{lon proelhvluqe tou' 15

    f I due Editori, accogliendo un’indicazione di Luna, individuano qui una lacuna che però non pare sussistere.

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    aggiungere, se si vuole, questa considerazione a quanto si è detto. In effetti qualcuno forse potrebbe supporre che anche il mito pro- 15 posto nel Gorgia attribuisca ai tre Cronidi l’entrata in scena direttamente a partire da Crono, ma senza l’intermediazione, come noi invece abbiamo detto118, della monade demiurgica: in effetti che i tre si sono divisi il «dominio» Cronio, ma non quello del Demiurgo universale e padre. Affinché dunque nel seguire oltremisura le invenzioni mitiche 20 non ci capiti, senza rendercene conto, di non cogliere il pensiero di Platone e la verità dei fatti reali, bisogna stabilire fin dall’inizio che a procedere dal Padre degli dèi intellettivi sono sia il Demiurgo universale sia questa triade dei padri sovrani; ma il primo, essendo proceduto come un intero da un intero, partecipa in modo 25 indiviso del Padre (infatti permane nella totalità della potenza del Padre, e, se è lecito dirlo, imita il suo carattere uniforme e non moltiplicato, in quanto è monadico, universale e, rimanendo il medesimo, padre rispettivamente di entità di primo, di secondo e di terzo livello119), invece gli altri, in quanto partecipano in modo diviso della causalità propria di colui che li ha generati, procedo- 37 no da un lato essendo divisi fra loro e dall’altro spartendosi la provvidenza unitaria di Crono. E Crono è un dio unico e molteplice, dal momento che fa risiedere in se stesso la molteplicità e la comprende in modo celato per mezzo dei propri limiti; invece 5 Zeus riproduce la monade paterna e fa procedere il carattere unitario di questa monade verso la cura provvida che egli si prende per la totalità dell’universo; infine i tre Cronidi, rivelano nel limite perfettamente compiuto della triade la molteplicità che appartiene al loro livello, perciò si dice che essi si sono divisi «il dominio» del Padre, dominio che Zeus, come si è visto, possiede in 10 modo indiviso. Sicché l’uno (se si deve avere il coraggio di dirlo) è il padre che è proceduto, che è sollecito nel dare ordine e che è gravido e bramoso di generare la totalità dell’universo, gli altri120 invece si suddividono la provvidenza di Crono, il che è lo stesso che dire quella di Zeus. Infatti essi, come si è visto, sono proceduti da entrambi, da Crono inteso come “causa originaria”, invece 15 da Zeus inteso come causa agente; ed infatti è Zeus che li fa apparire, mentre è dai “penetrali di Crono” che essi procedono. Ma se si vuole, anche secondo il Parmenide di Platone, dato che nell’ordinamento di Crono vi è non solo la totalità, ma anche le parti, e lì ha avuto sussistenza l’«in altro» in base all’intero, 20 mentre l’«in sé»121 ha avuto sussistenza in base alle parti, lo Zeus che è superiore ai tre demiurghi è proceduto in base all’intero del

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    patrov", oiJ de; trei'" dhmiourgoi; kata; ta; mevrh. Dio; kai; basileuvei me;n oJ Zeuv", e[cwn ejn eJautw/' nou'n basili25 kovn, wJ" oJ ejn Filhvbw/ levgei Swkravth", a[rcousi de; ou|toi, dih/rhmevnw" kai; kata; mevrh klhrwsavmenoi to; pa'n. 38 Dia; tau'ta toivnun oJ me;n Eleavth" xevno" ejn tw/' Politikw/' duvo touvtou" ajnumnei' basileva" noerouv", to;n me;n th'" ajfanou'" ai[tion zwh'" toi'" o{loi" kai; th'" eJtevra" ajnakuklhvsew", to;n de; th'" ejmfanou'" diakosmhvsew" uJpostavthn 5 kai; th'" parouvsh" periovdou, kai; tw/' Dii; th;n ajmfoi'n aijtivan ajpodivdwsin, ajll ou| me;n wJ" ejpi; th;n tou' Krovnou basileivan hJgoumevnw/ toi'" ejn tw/' panti; pa'sin, ou| de; eij" eJauto;n ajnadhsamevnw/ th;n tw'n deutevrwn provnoian. Kai; ga;r h{nwtai tw/' patri; kata; tou;" noerou;" desmouv", w|n 10 kai; oJ ejn Kratuvlw/ mnhmoneuvei Swkravth", kai; o{lo" pro;" o{lon ajnateivnetai kai; oi|on ejfarmovzei tw/' fwti; pro;" to; ejkeivnou fw'" kai; deutevra" a[rcei basileiva": dio; kai; ajforivzein levgetai th;n provnoian tou' patrov". O de; Aqhnai'o" xevno" ejpi; th;n mivan dhmiourgikh;n 15 basileivan ajnateivnwn hJma'" ãkai;Ã eij" to;n ejkei' novmon kai; th;n divkhn th;n o{lhn, qeovn fhsi kata; to;n lovgon ajrchvn te kai; mevsa kai; teleuth;n tw'n o[ntwn aJpavntwn e[cein kai; ta; pavnta eujqeiva/ peraivnein kata; fuvsin periporeuovmenon. Diovti me;n ga;r ouj to;n 20 prwvtiston qeo;n ajxiou'men ejn touvtoi" ajkouvein tou' Plavtwno" levgonto" oujde; a[llon tina; tw'n nohtw'n h] noerw'n patevrwn, ajlla; to;n o{lon dhmiourgovn, ajrkei' me;n toi'" kai; metrivw" tw'n toiw'nde katakouvein dunamevnoi" kai; to; eujqeiva/ peraivnein aujto;n kai; to; periporeuvesqai 25 kata; fuvsin, ajrkei' de; kai; to; th;n Divkhn ojpado;n eijrh'sqai tou'de tou' qeou', tou' qeivou novmou timwro;n gignomevnhn. Kai; ga;r oJ prw'to" qeo;" kai; pavnte" oiJ th'" telesiourgou' tavxew" uJperidrumevnoi tou' te eujqevo" 39 ejxh/vrhntai kai; tou' periferou'", wJ" oJ tou' Parmenivdou lovgo", kai; dh; kai; kinhvsew" aJpavsh" uJperanevcousin: oJ de; prwvtisto" meta; th;n kivnhsin proelqw;n o{lo" ejsti; kai; pantevleio" dhmiourgov". Touvtw/ toivnun kai; to; eujqeiva/ 5 peraivnein ta; o{la proshvkei kai; to; periporeuvesqai kai; to; th;n Divkhn aujtw/' sunevpesqai: to; ga;r eJpovmenon kinoumevnw/ dhladh; fhvsomen e{pesqai. Kai;

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    Padre, mentre i tre demiurghi in base alle parti. Ecco perché Zeus regna avendo in se stesso un «intelletto regale», come afferma So- 25 crate nel Filebo [cfr. ibid. 30d2], mentre i tre demiurghi governano avendo ricevuto in sorte il Tutto in modo suddiviso e ripartito. Per queste ragioni lo Straniero di Elea nel Politico celebra que- 38 sti due re intellettivi, l’uno come principio causale per la totalità dell’universo della vita invisibile e dell’una delle due rotazioni cicliche122, mentre l’altro come origine del sussistere del livello della realtà visibile e del presente periodo ciclico, ed attribuisce a 5 Zeus la causa di entrambi i movimenti circolari, ma in un caso in quanto Zeus guida tutte le cose presenti nel Tutto per così dire verso il regno di Crono, nell’altro in quanto ha legato a se stesso la cura provvidenziale per le entità inferiori. Ed in effetti egli risulta unito al padre in base ai «legami» intellettivi, dei quali Socrate 10 fa menzione nel Cratilo123, e si eleva come un intero verso un intero e, per così dire, si adatta per mezzo della sua luce alla luce di quello e governa un regno inferiore: ecco perché si dice che delimita la cura provvidenziale del padre124. Inoltre lo Straniero di Atene125, elevandoci all’unico regno de- 15 miurgico, verso la legge ivi insita e verso la giustizia universale, afferma, secondo la nota espressione che «dio possiede il principio, le parti centrali e la fine di tutti quanti gli enti» e che «conduce “diritte” a compimento» tutte le cose «compiendo in modo conforme a natura la sua rotazione»126. In effetti, per quale motivo127 non riteniamo che si debba intendere questo pas- 20 so come se qui Platone parlasse del primissimo dio e neppure di qualche altro dei padri intelligibili o dei padri intellettivi, ma del Demiurgo universale, è sufficiente per coloro che hanno anche una moderata capacità di seguire tali questioni anche il fatto che egli «conduce “diritte” a compimento» e che ««compie in modo conforme a natura la sua rotazione», e d’altro canto è sufficiente anche 25 il fatto che la «Giustizia» venga detta “compagna” di questo dio, in quanto essa diventa «vindice della legge divina»128. Ed in effetti il Primo Dio e tutti gli dèi che sono posti al di sopra dell’ordinamento perfezionatore trascendono sia il “diritto” sia il 39 “curvo”129, secondo il ragionamento di Parmenide, ed inoltre sono anche posti al di sopra di ogni tipo di «movimento»130; ma il primissimo a procedere dopo il movimento è il Demiurgo universale e compiutamente perfetto. Pertanto a questi si addice il «condurre “diritta” a compimento» la totalità dell’universo, il «compie- 5 re la rotazione» e che la «Giustizia lo accompagni seguendolo» [Leggi IV, 716a1-2]: in effetti diremo che ciò che segue, segue

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    mh;n kai; oiJ deuvteroi tou' dhmiourgou' qeoi; th;n eJniaivan ejpikravteian oujk e[cousi tw'n o{lwn, w{sper ejkei'no", oujde; tw'n o[ntwn aJpavntwn ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh proeilhvfasin: ajll oiJ me;n tw'n merikw'n oJlikw'" proesthvkasin, w{sper oiJ trei'" ou|toi patevre", oiJ de; tw'n o{lwn meristw'", w{sper oiJ dih/rhmevnw" tou;" th'" zwh'" ojcetou;" ejpi; pavnta proavgonte", oiJ de; kai; tw'n merw'n meristw'" a[rcousin, w{sper oiJ tw'n dhmiourgw'n e[scatoi kai; perikovsmioi. Movno" ou\n oJ tw'n o{lwn ei|" kai; ajmevristo" dhmiourgo;" ajrch;n kai; mevsa kai; teleuth;n tw'n o[ntwn aJpavntwn ejn eJautw/' perieivlhfe kai; kata; mivan aijtivan ejx i[sou tw'n deutevrwn ejpikratei' pavntwn, e{petai de; aujtw/' Divkh th;n ajxivan oJrivzousa tw'n o{lwn kai; perigravfousa e{kaston ejn toi'" oijkeivoi" o{roi". Kai; tau'ta oJ Aqhnai'o" xevno" ejn toi'" proeirhmevnoi" dedhvlwke rJhvmasin, oJ de; Orfeu;" kai; diarrhvdhn eij" to;n o{lon ajnapevmpei dhmiourgovn. Hdh ga;r aujtw/' basileuvonti kai; diakosmei'n ajrcomevnw/ to; pa'n e{pesqaiv fhsi th;n o{lhn Divkhn: Tw/' de; Divkh poluvpoino" ejfevspeto pa'sin ajrwgov"

    40

    Kai; dh; kai; o{ti tw'n o{lwn ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh perievcei, levgei pro;" touvtoi" oJ qeolovgo": Zeu;" ajrchv, Zeu;" mevssa, Dio;" d ejk pavnta pevfuke.

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    Kaiv moi dokei' kai; oJ Plavtwn eij" a{pasan th;n Ellhnikh;n qeologivan ajpoblevpwn, kai; diaferovntw" th;n Orfikh;n mustagwgivan, ajneipei'n wJ" a[ra oJ palaio;" lovgo" to;n qeovn fhsin ajrch;n kai; mevsa kai; teleuth;n tw'n o[ntwn aJpavntwn e[cein, eujqeiva/ ta; o{la peraivnonta, kata; fuvsin periporeuovmenon, kai; Divkhn e[cein ojpadovn, di h|" kai; to; ajfistavmenon pa'n th'" patronomikh'" ejpistasiva" tou' Dio;" ejpistrevfei pro;" aujth;n kai; tugcavnei tou' proshvkonto" aujtw/' tevlou". All o{ti me;n eij" to;n o{lon dhmiourgo;n kai; oJ Aqhnai'o" xevno" ajpoblevpwn toiau'ta ajnakhruvttei toi'" eJautou' trofivmoi" uJpevmnhstai dia; touvtwn. Eij de; ojrqw'" tau'ta diwvristai, pavntw" dhvpou kat oujsivan me;n ejxairei' to;n e{na

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    chiaramente una cosa che si muove. Ed inoltre gli dèi inferiori al Demiurgo non possiedono un controllo unitario sulla totalità dell’universo, come il Demiurgo, e non risultano precomprendere in se stessi cominciamenti, parti intermedie e finali di tutti quanti gli enti; ma gli uni sono posti a capo in modo universale delle componenti particolari , come questi tre padri in questione, gli altri sono posti a capo in modo particolare sulla totalità dell’universo, come quelli che fanno procedere in modo suddiviso i «canali» della vita in tutti gli esseri, gli altri ancora, infine, governano pure sulle parti, ma in modo particolare, come quelli che vengono per ultimi fra i demiurghi e che risultano pericosmici131. Dunque è solo il Demiurgo unico ed indivisibile della totalità dell’universo che risulta comprendere in se stesso «principio, parti intermedie e fine» di tutti quanti gli enti e che, secondo un’unica forma di causalità, domina allo stesso modo su tutti gli esseri di livello inferiore; inoltre «a seguirlo è Giustizia»132 che definisce il rango di tutte le cose nel loro insieme e delimita ciascuna cosa nei suoi propri confini. E questi aspetti lo Straniero di Atene li ha messi in luce nelle affermazioni precedentemente riportate; Orfeo, dal canto suo, riferisce tali aspetti, anche in modo esplicito, al Demiurgo universale. Infatti afferma che la Giustizia universale segue il Demiurgo che regna già sul Tutto e incomincia a dargli ordine:

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    «Al suo seguito veniva Giustizia, severa punitrice, che di tutti è soccorritrice.»133 E proprio a proposito del fatto che compren- 40 de in se stesso principi, parti intermedie e fini della totalità delle cose, il Teologo134 dice oltre a ciò: «Zeus principio, Zeus ciò che sta in mezzo, tutte le cose sono nate da Zeus.»135 E a mio parere è guardando a tutta quanta la teologia greca, ed in particolare alla dottrina misterica Orfica, che Platone ha proclamato: «l’antico discorso» dice che «il dio possiede principio, parti intermedie e fine di tutti quanti gli enti, in quanto conduce diritte a compimento tutte le cose, compiendo la sua rotazione secondo natura», ed ha «Giustizia»136 come compagna, attraverso la quale tutto ciò che si è allontanato dal governo paterno di Zeus si converte137 verso esso ed ottiene il compimento che gli si addice. Ma allora, che anche lo Straniero di Atene proclami tali nozioni ai suoi «allievi»138 guardando al Demiurgo universale, si consi-

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    dhmiourgo;n tw'n triw'n touvtwn. Eij ga;r oJ me;n ta;" ajrca;" tw'n ejn tw/' kovsmw/ pavntwn, oJ de; ta; mevsa perieivlhfen, oJ de; ta; pevrata sunelivssei pantacou', to;n toivnun eJnoeidw'" 20 panto;" ejpikratou'nta pw'" oujk ajnavgkh pavntwn uJperidru'sqai tw'n dih/rhmevnwn aijtivwn Divdwsi de; aujtw/' kai; th;n gennhtikh;n duvnamin th'" triavdo" tauvth": eij ga;r ajrchvn te kai; mevsa perievcei tw'n o{lwn kai; teleuthvn, kata; me;n th;n ajrchgikh;n aijtivan ajpogenna/' 25 to;n ta; prw'ta diakosmou'nta dhmiourgovn, kata; de; ta; mevsa to;n sumplhrou'nta tou;" mevsou" o{rou" th'" dhmiourgiva", kata; de; th;n teleuth;n to;n toi'" ejscavtoi" th;n oijkeivan 41 ejfarmovzonta poivhsin. Movnon ou\n oujci; levgei safw'" kai; oJ Aqhnai'o" xevno" o{ti toi'" trisi; Kronivdai" hJ dianomh; kai; ta; mevtra th'" pronoiva" kai; o{lw" hJ provodo" ejxhvrthtai tou' megavlou Diov", kai; wJ" ejkei'nov" ejstin oJ tou;" klhvrou" 5 aujtoi'" ajforivzwn a[nwqen kai; perievcwn a{panta" ejn eJautw/' monoeidw'". Kai; mh;n to; eujqeiva/ peraivnein kai; to; periporeuvesqai kata; fuvsin, to; me;n th;n ajp aujtou' provodon dhloi' tw'n o{lwn (proovdou ga;r to; eujqu; 10 suvmbolon), to; de; th;n eij" aujto;n ejpistrofhvn (aujto;" ga;r ejn eJautw/' mevnwn kai; eij" eJauto;n noerw'" ejpestrammevno" ejpi; th;n eJautou' pavnta sunelivssei periwphvn). Eij dev ejstin ejn toi'" telesiourgoi'" qeoi'" tov te eujqu; prw'ton kai; to; periferev", plhrou'tai me;n ejkei'qen oJ tw'n o{lwn 15 dhmiourgov", plhroi' de; ta; met aujto;n tw'n ajp aujtou' dunavmewn. Kai; w{sper kata; th;n triplh'n aijtivan tw'n o{lwn th;n triavda tw'n dhmiourgw'n tw/' patri; sunufivsthsin, ou{tw dh; kai; kata; tauvta" ta;" ditta;" dunavmei" dittou;" ajpogenna/' qeouv", to;n me;n kata; to; eujqu; to; ejn aujtw/' 20 diakosmou'nta to; aijsqhtovn, to;n de; kata; to; perifere;" ajnavgonta ta; pavnta pro;" aujtovn. Kai; mh;n kai; diovti proh'lqe me;n ajpo; th'" o{lh" dhmiourgiva", metevcei de; th'" telesiourgou' triavdo", tov te eujqu; tou'to kai; to; perifere;" sumplevkei th/' kinhvsei. Kai; ga;r to; peraivnein 25 kat eujqei'an kai; to; periporeuvesqai kinhvsewv"

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    deri fissato nella memoria attraverso queste considerazioni. D’altra parte se questi distinzioni sono state operate correttamente, a mio giudizio è assolutamente in base ad essenza che separa l’unico Demiurgo da questi tre demiurghi. In effetti, se l’uno risulta comprendere in sé i principi della totalità delle cose insite nel cosmo, l’altro le parti intermedie, l’ultimo fa convergere 20 in ogni ambito i limiti inferiori, allora quello che ha il dominio in modo uni-forme su ogni cosa come può non essere posto al di sopra di tutti i principi causali divisi? Inoltre gli attribuisce anche la potenza generativa di questa triade: se infatti «comprende in sé principio, parti intermedie e fine» della totalità dell’universo, allora è in base alla causalità propria del principio 25 che egli genera il demiurgo che dà ordine agli esseri di primo livello, mentre è in base alle parti intermedie che genera il demiurgo costituente i limiti intermedi della demiurgia, e, per concludere, è in base alla fine che genera il demiurgo che adatta la propria azio- 41 ne produttiva agli esseri di ultimo livello. Dunque lo Straniero di Atene non dice chiaramente solo che la distribuzione tra i tre Cronidi, le misure della cura provvidenziale ed, in generale, la processione dipendono dal Grande Zeus, e che egli è colui che determina dall’alto le parti assegnate ad essi e che le comprende 5 tutte quante in modo uniforme in se stesso. Ed inoltre il «portare diritto a compimento» e il «compiere la rotazione secondo natura» significano rispettivamente la processione della totalità dell’universo a partire da Zeus (infatti il «diritto» è simbolo di processione), e la conversione verso di lui (infat- 10 ti egli, permanendo in se stesso ed essendosi convertito verso se stesso in modo intellettivo, fa convergere tutte le cose in direzione della «sua propria specola»139). Se poi il «diritto» ed il «curvo» si trovano dapprima negli dèi perfezionatori140, allora è da lì che il Demiurgo della totalità dell’universo è ricolmato e a sua volta 15 ricolma le entità che vengono dopo di lui delle potenze che provengono da lui. E come in base alla triplice causa della totalità dell’universo fa sussistere insieme al Padre la triade dei demiurghi, allo stesso modo in base a queste duplici potenze genera due sorte di dèi: l’uno dà ordine al sensibile in base al «di- 20 ritto» che è in lui, mentre l’altro in base al «curvo» eleva tutti gli esseri verso di lui. Ed inoltre per il fatto che, da un lato, è proceduto dalla demiurgia universale, dall’altro partecipa della triade perfezionatrice, intreccia al movimento sia il «diritto» di questo mondo sia il «curvo». Ed infatti il «portare in modo diritto a compimento» ed il «compiere la rotazione» sono 25

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    ejstin ajforistikav, to; me;n th'" ejpi; pavnta proi>ouvsh" kai; pavnta diakosmouvsh" pevrasi kai; ei[desi kai; lovgoi", to; de; th'" eij" auJth;n sunelissomevnh" kai; ejf eJauth;n ta; pavnta ajnakaloumevnh". 42 Pavlin ou\n oJ Plavtwn ejn tw/' eJni; dhmiourgw/' th;n th'" triavdo" aijtivan tiqevmeno" devdeiktai kai; tou'ton me;n o{lon ejn eJautw/' meivnanta th'" kata; mevro" poihvsew" ejxairw'n, ejkeivnoi" de; th;n diaivresin kata; tou'ton ajpodidouv". Epei; 5 kai; oJ Tivmaio" patrikh;n aijtivan ejn aujtw/' kai; duvnamin gennhtikh;n kai; nou'n basiliko;n uJpoqevmeno", ta; aujta; tw/' Aqhnaivw/ xevnw/ peri; aujtou' qeologei'. To; me;n ãga;rà patriko;n ajrchgikovn ejsti pantacou', tou' de; mevsou hJ duvnami", oJ de; nou'" to; tevlo" sumperaivnei th'" triavdo": 10 H me;n ga;r duvnami" su;n ejkeivnw/, nou'" d ajp ejkeivnou, kata; to; lovgion. Oujkou'n kai; tw'n proelqovntwn oJ mevn ejsti path;r th'" o{lh" triavdo", ãoJ de; duvnami"Ã, oJ de; nou'": kai; oJ me;n th;n ajrch;n keklhvrwtai th'" o{lh" dhmiourgiva", oJ de; to; mevson sumplhroi' th'" tw'n o{lwn ajpogennhvsew", oJ de; 15 ajforivzei th;n teleuthvn. Kai; mhde; ejntau'qa parw'men th;n tou' Plavtwno" ajkrivbeian, ajll ejpisthvswmen o{pw" oJ Aqhnai'o" xevno" ta; me;n a[kra tw'n triw'n eJnikwtevroi" ojnovmasin ajpesevmnune, th;n ajrch;n kai; teleuth;n eijpwvn, to; de; metaxu; tw'n a[krwn 20 kajn toi'" aijtivoi" dia; tou' plhvqou" ejdhvlwse, mevsa ga;r aujta; proseivrhken. Epei; kai; hJ duvnami" a{te tw/' ajpeivrw/ suvstoico" ou\sa, ma'llon de; ajpeiriva ti" ou\sa, plhvqou" ejsti;n aijtiva kai; diairevsew" toi'" o{loi". Dio; kai; tw'n triw'n dhmiourgw'n oJ me;n th'" monivmou katastavsewv" ejsti toi'" 25 ejgkosmivoi" ai[tio", oJ de; th'" ejpi; pa'n proi>ouvsh" genevsew", oJ de; th'" ejpi; th;n ajrch;n ajnakuklhvsew".

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    atti a definire un movimento, il primo è atto a definire il movimento che procede verso tutte le cose e che dà ordine a tutte per mezzo di limiti, di forme e di rapporti, il secondo invece è atto a definire il movimento che si arrotola su se stesso e che richiama a sé tutte le cose. Di nuovo dunque Platone, ponendo nell’unico Demiurgo la 42 causa della triade, ha mostrato di voler separare il Demiurgo, dato che permane tutto intero in se stesso, dall’azione produttiva parziale, e d’altro canto di voler attribuire a quelli141 la suddivisione in conformità con il Demiurgo. In effetti Timeo142, supponendo 5 che vi siano in esso una causa paterna, una potenza generatrice ed «un intelletto regale»143, propone la stessa dottrina teologica concernente il Demiurgo che ha proposto lo Straniero di Atene. In effetti il carattere paterno è in ogni ambito al livello di principio, mentre la potenza appartiene al livello intermedio ed infine l’intelletto segna il termine della triade: 10 «Infatti la potenza con lui, l’intelletto invece da lui»144 secondo l’Oracolo. Quindi anche tra i demiurghi che hanno avuto processione, il primo è padre dell’intera triade, , il terzo è intelletto; ed il primo ha ottenuto in sorte il livello di principio dell’intera demiurgia, il secondo costituisce il livel- 15 lo mediano della generazione della totalità dell’universo, il terzo infine delimita il termine. E neppure in questo caso dobbiamo sottovalutare la precisione di Platone, ma fissare l’attenzione su come lo Straniero di Atene ha celebrato le componenti poste alle estremità della triade con nomi al singolare, quando dice il «principio» e il «termine», 20 mentre ciò che si trova in mezzo a queste estremità, intese anche a livello di principi causali, ha indicato tramite il plurale; infatti le ha denominate «parti intermedie». In effetti la potenza, in quanto è coordinata all’illimitato, o meglio in quanto è una sorta di illimitatezza, è causa di molteplicità e di divisione per la totalità delle cose. Ecco perché, dei tre demiurghi, il primo è principio causale 25 per gli esseri encosmici della loro fissa stabilità, il secondo è principio causale della generazione che procede verso ogni cosa, il terzo del ritorno circolare verso il principio.

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    TEOLOGIA PLATONICA

    ãqVÃ All ejkei'se ejpanevlqwmen o{qen eij" tau'ta ejxetravphmen, kai; tou;" peri; tou' prwvtou dhmiourgou' lovgou", o{qen diairei'sqai levgontai th;n tou' patro;" ajrch;n o{ te Zeu;" kai; 5 oJ Poseidw'n kai; oJ Plouvtwn: ejpeidh; pro; touvtwn h\n ajdiairevtw" kai; monoeidw'" paradexavmeno" th;n tou' patro;" basileivan. Amfw me;n ga;r ejkei'qen e[lacon kai; th;n ejx ajrch'" provodon kai; th;n ejpikravteian tw'n deutevrwn, h{ te mona;" hJ dhmiourgikh; kai; hJ triav": ajll hJ me;n aj10 merivstw", hJ de; meristw'", kai; hJ me;n monadikw'", hJ de; triadikw'". In ou\n mh; to;n aujto;n trovpon uJpolavbh/" touvtou" te proi>evnai tou;" trei'" ajpo; tou' patro;" kai; to;n e{na basileva to;n pro; tw'n triw'n, dielevsqai fhsi;n aujtou;" oJ Swkravth" 15 ejn muvqou schvmati th;n ajrch;n tou' patrov", kai; dia; tou'to deutevrwn novmwn dehqh'nai kai; tavxew" uJfeimevnh" kai; toi'" mevresi prepouvsh". O ga;r ejpi; Krovnou novmo" kai; oJ tou' Dio;" newsti; th;n ajrch;n e[conto" th/' pronoiva/ tw'n meriko;n kai; poikivlon ei\do" zwh'" probeblhmevnwn 20 oujdamh/' proshvkwn ejfaivneto. Kai; oJra/'" o{pw" tw/' me;n o{lw/ Dii; kai; tw/' Krovnw/ th;n ejxh/rhmevnhn divdwsin uJperoch;n kai; to;n e{na novmon ajmfotevrai" sunavptei tai'" basileivai", toi'" de; dielomevnoi" th;n ajrch;n oi|on politeivan a[llhn kai; novmou" poikilwtevrou" ajforivzei, summevtrou" toi'" ajp 25 aujtw'n pronooumevnoi" O te Plouvtwn, fhsiv, kai; oiJ ejpimelhtai; parh'san deovmenoi tou' Dio;" peri; th'" 44 deutevra" nomoqesiva": oJ de; dikasta;" a[llou" kai; novmou" proshvkonta" ejfivsthsi tai'" meristai'" zwai'". Pavlin ou\n oJ ajforivzwn ta; toiau'ta Zeu;" kai; tou;" trei'" dikasta;" ajpogennw'n oujk e[stin oJ aujto;" tw/' pro; tw'n triw'n: oJ me;n 5 ga;r h\n a{ma tw/' patri; kata; to;n provteron novmon kai; th;n aJplovthta th'" qeiva" zwh'", oJ de; meta; tou' Plouvtwno" th;n poikilivan tw'n merikw'n eij" tavxin a[gei kai; o{ron kai; novmwn hJgei'tai deutevrwn. Novmo" ou\n qei'ov" ejsti para; toi'" noeroi'" basileu'si 10 tw/' te Krovnw/ kai; tw/' Diiv, kai; Divkh tou' qeivou novmou 43

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    43 [Richiami più chiari alle medesime conclusioni desunte da quanto è affermato nel “Gorgia” e nel “Cratilo”] Ma ora ritorniamo là da dove abbiamo incominciato questa nostra digressione, cioè i discorsi relativi al primo Demiurgo, là dove si dice che Zeus, Poseidone e Plutone si dividono il dominio 5 del padre145: ed in effetti prima di questi , come si è visto, ha ricevuto il regno del padre in modo indiviso ed uniforme. In effetti è da lì che entrambi, cioè la monade demiurgica e la triade, hanno avuto fin da principio la loro processione ed al contempo il loro controllo sulle entità inferiori, ma la monade in modo indiviso, la triade in modo suddiviso, la prima in modo 10 monadico, la seconda in modo triadico. Affinché dunque non si supponga che questi tre e l’unico re che è superiore a questi tre procedano allo stesso modo a partire dal padre, Socrate afferma, in forma di mito, che essi si sono sud- 15 divisi il dominio del padre e che per questo motivo hanno avuto bisogno di leggi di secondo rango, e di un livello inferiore e appropriato alle entità particolari. Infatti la «legge al tempo di Crono» e «di Zeus che, nella fase presente, possiede il dominio»146, non appaiono, come si è visto, in nessun modo adatte alla cura provviden- 20 ziale su quegli esseri che hanno prodotto una forma di vita particolare e varia. E si riesce a vedere come attribuisca allo Zeus universale e a Crono una superiorità trascendente, e come egli congiunga l’unica legge ai loro regni, mentre per coloro che si sono divisi il dominio definisce, per così dire, una forma di governo diversa e leggi di natura più diversificata, commisurate ad esseri che sono soggetti alla provvidenza di Crono e di Zeus? 25 «Plutone», egli afferma, «e i sopraintendenti»147 si erano presentati da Zeus148 perché avevano bisogno di lui a proposito della legislazione di livello inferiore; ed egli istituì altri giudici e leggi 44 appropriate alle vite connotate dalla particolarità. Di nuovo dunque lo Zeus che definisce tali aspetti e che genera i tre giudici non è il medesimo Zeus che è superiore ai tre ; il primo Zeus infatti è insieme al padre, come si è visto, in base alla legge 5 che viene per prima ed alla semplicità della vita divina, l’altro Zeus invece, con Plutone, conduce all’ordine e al limite la varietà degli esseri particolari e presiede a leggi di un livello inferiore. Dunque vi sono presso i re intellettivi, Crono e Zeus, una «leg- 10 ge divina» e «Giustizia vindice della legge divina», come afferma

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    timwrov", w{" fhsin oJ Aqhnai'o" xevno": novmoi de; e{teroi poikilwvteroi para; toi'" trisi; Kronivdai", kai; dikastai; suvstoicoi toi'" toiouvtoi" novmoi", wJ" ejn Gorgiva/ gevgraptai: kajkei' me;n ajmerivstw" pavnta kai; hJnwmevnw", ejntau'qa 15 de; dih/rhmevnw" kai; meristw'". Kai; tw'n ejkei' prwvtw" o[ntwn oJ me;n novmo" Krovniov" ejsti ma'llon, hJ de; Divkh sunevpetai tw/' megavlw/ Diiv: kai; tw'n deutevrwn wJsauvtw" oiJ me;n novmoi telou'sin uJpo; to;n prwvtiston tw'n Kronidw'n, oiJ de; dikastai; th;n tou' trivtou sumplhrou'sin hJgemonivan, kai; 20 metevcei th'" tw'n novmwn diakrivsew" Plouvtwn ajpo; tou' deutevrou Diov", w{sper oJ o{lo" Zeu;" ajpo; tou' Krovnou paradevcetai to;n e{na novmon th'" o{lh" aujtw/' dhmiourgiva" sundiaqevthn ejsovmenon. Olw" de; oJ Zeu;" Poseidw'ni me;n kai; Plouvtwni suntat25 tovmeno" oJ th'" ajrcikh'" triavdo" ejsti;n ajkrovtato", tw/' de; Krovnw/ kai; th/' despoivnh/ Reva/ th'" noera'" oJ trivto". Dio; kai; oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth" tote; me;n ajpo; tou' Dio;" ejpi; to;n Krovnon a[neisi kai; sunavptei ta;" duvo basileiva", tote; de; ajpo; tou' Dio;" ejpi; to;n Poseidw'na kai; to;n Plouvtwna 45 kai; mivan ajpofaivnei th;n hJgemonikh;n tauvthn triavda: kaqavper dh; kai; ejn tw/' Gorgiva/ sunufaivnei me;n ajllhvloi" tovn te Krovnion diavkosmon kai; to;n Divi>on, o{tan e{na novmon ejp ajmfoi'n ei\nai levgh/ kai; to;n aujtovn, suntavttei de; ou\n kai; 5 to;n deuvteron Diva kai; merikwvteron tw/' Plouvtwni kata; th;n fainomevnhn ejpanovrqwsin tou' protevrou novmou kai; th;n diakovsmhsin tw'n deutevrwn novmwn.

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    iV Peri; me;n ou\n touvtwn ajrkeivtw tosau'ta: loipo;n de; peri; tw'n triw'n touvtwn patevrwn ajrxavmenoi levgwmen, ejpeidh; pavnte" th'" dhmiourgikh'" eijsi monavdo" ejxhrthmevnoi kai; deuvteroi met ejkeivnhn hJmi'n pefhvnasin o[nte" eJpomevnoi" tai'" tou' Plavtwno" mustikai'" uJfhghvsesin. OiJ toivnun trei'" ou|toi tw'n o{lwn hJgemovne" kai; a[rconte" probevblhntai me;n ajpo; tw'n noerw'n patevrwn kai; dih/vrhntai kat ejkeivnou", ejkfaivnontai de; ejn aJpavsai" tai'" meristai'" diakosmhvsesi tw'n qew'n. Kai; ga;r ejn toi'" hJgemovsi th;n prwvthn e[lacon tavxin kai; eijsi;n ajnavlogon

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    lo Straniero di Atene149; invece presso i tre Cronidi vi sono leggi differenti e più diversificate, e giudici appartenenti allo stesso livello di tali leggi, come è stato scritto nel Gorgia150; e a quel livello tutte le cose sono in modo indiviso e unificato, qui invece sono in modo suddiviso e separato. E tra le cose che si trovano là a 15 livello primario, la legge è in misura maggiore Cronia, mentre la Giustizia accompagna, seguendolo, il grande Zeus; e tra le cose di livello inferiore, allo stesso modo, le leggi dipendono dal primissimo dei Cronidi, mentre i giudici vanno a costituire la sovranità del terzo Cronide151, e Plutone partecipa della distinzione delle 20 leggi da parte del secondo Zeus, allo stesso modo in cui lo Zeus universale riceve da Crono l’unica legge che lo assiste nel dirigere152 la produzione demiurgica universale. Allora, in termini generali, lo Zeus coordinato a Poseidone e a Plutone è quello più elevato della triade principiale153, mentre a 25 Crono ed a Rea è coordinato lo Zeus che è terzo nella triade intellettiva. Ecco perché Socrate nel Cratilo154 ora risale da Zeus a Crono e congiunge i due regni, ora invece da Zeus passa a Poseidone e Plutone e dimostra che un’unica triade è questa triade degli dèi 45 sovrani; proprio allo stesso modo in cui nel Gorgia155 egli intreccia tra loro l’ordinamento Cronio e quello di Zeus, allorché afferma che esiste per entrambi un’unica e medesima legge, ma coordina il secondo e più particolare Zeus a Plutone sulla base di quel- 5 lo che appare come un emendamento della prima legge e, cioè, sulla base del riordino delle leggi di secondo livello. 10 [Chi sono i tre demiurghi e quale ordinamento hanno avuto gli uni rispetto agli altri, quali sono le loro processioni ed al contempo le loro divisioni nel cosmo] Riguardo a tali questioni sia sufficiente quanto si è detto. Invece dobbiamo ancora incominciare a parlare di questi tre padri, dal momento che sono tutti dipendenti dalla monade demiurgica ed a noi che seguiamo le dottrine misteriche di Platone sono apparsi secondi dopo tale monade. Allora, questi tre dèi sovrani e reggitori della totalità dell’universo, da un lato sono stati prodotti dai padri intellettivi e sono stati divisi in modo conforme ad essi, dall’altro si rivelano in tutti gli ordinamenti particolari degli dèi. Ed infatti tra gli dèi sovrani essi hanno ottenuto in sorte il primo livello e, in rapporto a tutta

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    toi'" nohtoi'" te kai; noeroi'" patravsi pro;" a{pasan th;n ajfomoiwtikh;n seiravn: kai; ejn toi'" ajpoluvtoi" qeoi'" deutevran poihsavmenoi provodon ejnexousiavzousi tw/' pantiv: kai; meta; tw'n ejgkosmivwn plhrou'si to;n ejmfanh' diavkosmon, a[llw" me;n ejn oujranw/' th;n oujsivan dialacovnte", a[llw" de; uJpo; selhvnhn kataneimavmenoi ta;" o{la" merivda", panta25 cou' de; patrikw'" kai; dhmiourgikw'" ejnergou'nte" kai; th;n 46 mivan dhmiourgivan ejxaplou'nte" kai; toi'" mevresin ejfarmovzonte". Lh'xi" de; aujtw'n kai; dianomh; prw'ton mevn, eij bouvlei, kaq o{lon to; pa'n, tou' me;n ta;" oujsiva" paravgonto", tou' de; ta;" zwa;" kai; genevsei", tou' de; ta;" eijdhtika;" 5 diairevsei" ejpitropeuvonto": kai; tou' me;n eJdravzonto" ejn tw/' eJni; dhmiourgw/' pavnta ta; ejkei'qen proi>ovnta, tou' de; eij" th;n provodon ejkkaloumevnou, tou' de; ejpistrevfonto" eij" aujtovn g. Deuvteron de; kata; ãta;Ã mevrh tou' pantov": oJ me;n ga;r prwvtisto" th;n ajplanh' katakosmei' kai; th;n tauj10 tou' periforavn, oJ de; mevso" to; planwvmenon kateuquvnei kai; ta;" ejn aujtw/' polueidei'" kinhvsei" drasthrivou" ajpotelei' kai; gonivmou", oJ de; e[scato" to;n uJpo; selhvnhn tovpon ejpitropeuvei kai; to;n cqovnion kovsmon teleioi' noerw'". Trivton de; au\ kai; ejn tw/' genhtw/' ta;" trei'" tauvta" 15 qewvrhson dhmiourgika;" proovdou", ejpei; kai; oJ Tivmaio" diamnhmoneuvei tw'n ejntau'qa Kronidw'n: oJ me;n toivnun Zeu;" th;n ajkrovthta dievpei tw'n genhtw'n kai; th;n tou' puro;" sfai'ran diakuberna/' kai; tou' ajevro" to; eujagevstaton, oJ de; Poseidw'n ta; mevsa stoicei'a kai; polumetavbola 20 kinei' pantoivw" kai; th'" uJgra'" aJpavsh" oujsiva" e[n te ajevri kai; u{dati qewroumevnh" e[forov" ejstin, oJ de; Plouvtwn th;n gh'n kai; ta; ejn th/' gh/' pavnta pronoiva" ajxioi', dio; kai; cqovnio" ajpokalei'tai Zeuv". Tevtarton toivnun aujth'" o{lh" gh'" oJ me;n Zeu;" ta; a[kra kai; ta; ajnevconta tw'n 25 a[llwn e[lacen, ejn oi|" kai; lhvxei" eijsi;n eujdaimovnwn yucw'n, w{" fhsin oJ ejn tw/' Faivdwni Swkravth", a{te uJpo; tw/' Dii; politeuomevnwn e[xw genevsew": oJ de; Poseidw'n ta; koi'la kai; u{pantra, par oi|" kai; hJ gevnesi" kai; hJ kivnhsi" 47 kai; hJ tw'n seismw'n e[mptwsi", dio; kai; seisivcqona 20

    g Non pare necessario correggere il tràdito aujto;n con auJto;n, come propongono gli Editori.

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    la serie assimilatrice, ricoprono un ruolo analogo ai padri intelligibili-intellettivi; e tra gli dèi non-vincolati, avendo compiuto una 20 processione di livello inferiore, essi esercitano un controllo supremo sul Tutto; ed insieme agli dèi encosmici essi vanno a ricolmare il livello della realtà visibile, essendosi ripartiti, in un modo, in cielo l’essenza, mentre in un altro si sono distribuiti la totalità delle parti nell’ambito della realtà sublunare, ma agendo 25 ovunque a livello paterno e demiurgico, dispiegando l’unica 46 demiurgia e adattandola alle parti. D’altro canto il ruolo ad essi assegnato in sorte e la distribuzione sono in primo luogo, se si vuole, in rapporto al Tutto nella sua interezza, dato che al primo spetta il compito di produrre le essenze, al secondo quello di produrre le vite e gli esseri generati, al terzo di soprintendere alla divisione in specie; e ancora al primo spetta il compito di stabili- 5 re nell’unico Demiurgo tutte le cose che procedono a partire da lì, mentre al secondo quello di incitarle alla processione, e al terzo, infine, quello di farle volgere verso il Demiurgo. In secondo luogo poi viene in rapporto alle parti del Tutto: in effetti il primissimo mette in ordine la sfera 10 delle stelle fisse ed il «movimento circolare dell’Identico»156, quello intermedio dirige l’insieme dei pianeti e rende efficaci e fecondi i movimenti multiformi in esso insiti157, mentre l’ultimo presiede al luogo sublunare e rende perfetto in modo intellettivo il cosmo terrestre. In terzo luogo poi si considerino, a loro volta, anche nell’ambito di ciò che è generato queste tre processioni 15 demiurgiche, dal momento che Timeo menziona i Cronidi di questo livello158: Zeus si occupa della sommità degli esseri generati e dirige la sfera del fuoco159 e «ciò che vi è di più puro nell’aria»160, mentre Poseidone muove in tutti i modi possibili gli elementi intermedi e soggetti a molteplici mutamenti, ed è sorve- 20 gliante di tutta quanta la sostanza umida che si può osservare nell’aria e nell’acqua; infine Plutone riserva la sua cura provvidente alla terra e a tutte le cose che sono sulla terra: ecco perché viene chiamato “Zeus ctonio”161. In quarto luogo poi, per quanto riguarda tutta la terra nella sua interezza, Zeus ha avuto in sorte le regioni superiori e quelle che si trovano al di sopra delle altre, 25 nelle quali vi sono le destinazioni assegnate alle anime felici, come afferma Socrate nel Fedone162, in quanto esse, al di fuori dell’«ambito della generazione, sono soggette al governo di Zeus; dal canto suo Poseidone le regioni delle cavità e delle caverne, presso le quali si trovano la generazione, il movimento e si verificano gli scuotimenti sismici, ed ecco perché 47

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    kalou'si to;n qeovn: oJ de; Plouvtwn ta; uJpo; gh'n, tav te poikivla rJeuvmata kai; to;n Tavrtaron aujto;n kai; o{lw" ta; dikaiwthvria tw'n yucw'n. Oqen kai; aujtw'n tw'n yucw'n ta;" me;n ou[pw proelqouvsa" eij" gevnesin, ajll ejn tw/' nohtw/' menouvsa" Dii?a" ei\naiv fasi, ta;" de; ejn genevsei politeuomevna" uJpo; tw/' Poseidw'ni tetavcqai, ta;" de; meta; th;n gevnesin kaqairomevna" h] kolazomevna" kai; planwmevna" uJpo; gh'" kata; th;n cilievth poreivan h] ejpistrefouvsa" au\qi" eij" th;n eJautw'n ajrch;n kai; ajnagomevna" uJpo; tw/' Plouvtwni telei'n. Pevmpton dh; ou\n levgwmen o{ti kai; kata; ta; kevntra dih/vrhntai tou' panto;" aiJ lhvxei" aujtw'n: kai; oJ me;n Zeu;" to; ajnatoliko;n e[cei kevntron wJ" puri; th;n ajnavlogon tavxin eijlhcov", oJ de; Poseidw'n to; mevson, o} dh; kai; th/' zwogoniva/ proshvkei kai; kaq o} mavlista hJ gevnesi" ajpolauvei tw'n oujranivwn, oJ de; Plouvtwn to; dutikovn, ejpei; kai; th/' gh/' th;n duvsin suvstoicon ei\naiv famen wJ" nuvcion kai; tou' ajfanou'" aijtivan: kai; ga;r hJ skia; ajpo; gh'", kai; hJ fwto;" stevrhsi" ajpo; duvsew" eij" ajnatolhvn. Olw" de; kata; pa'san diaivresin tou' kovsmou ta; me;n prwvtista kai; hJgemonou'nta Divi>a tiqevmeqa, ta; de; mevsa th/' tou' Poseidw'no" basileiva/ proshvkein famevn, ta; de; e[scata th'" Plouvtwno" ajrch'" ajpologizovmeqa. iaV H me;n ou\n tria;" tw'n hJgemonikw'n patevrwn dia; touvtwn hJmi'n ajnumnhvsqw tw'n lovgwn: deutevran de; a[llhn diakovsmhsin qewrhvswmen ejn th/'de th/' proovdw/ govnimon kai; zwopoio;n uJpo; tou' Plavtwno" ejnqevw" paradedomevnhn. Apo; pavntwn ga;r tw'n noerw'n patevrwn aiJ prosecei'" uJpobavsei" kai; ajpogennhvsei" ejn toi'" ajfomoiwtikoi'" ejkfaivnontai qeoi'" kai; tw'n ejkei' monoeidw'" uJfesthkovtwn ejntau'qa meristai; provodoi gegovnasin, h/|per dh; kai; qevmi"

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    chiamano questo dio «scuotitore della terra»163; infine Plutone le regioni del sottosuolo, i vari corsi d’acqua ed il Tartaro164 stesso, ed in generale «i luoghi dove vengono giudicate le anime»165. Da qui deriva il fatto che, anche tra le anime stesse, quelle che non sono ancora procedute nell’ambito della generazione, ma che permangono nell’intelligibile, sono, dicono, “di Zeus”, mentre quelle che hanno cittadinanza nell’ambito della generazione sono soggette per ordinamento al governo di Poseidone, quelle poi che, dopo essere state nell’ambito della generazione, sono purificate o castigate e vagano «sotto terra» in «un viaggio lungo mille anni»166, oppure si convertono di nuovo verso il proprio principio e si elevano, sono soggette al controllo di Plutone. In conclusione, in quinto luogo diciamo che le parti assegnate in sorte ad essi sono state suddivise in base ai punti cardinali del Tutto: Zeus possiede l’oriente, in considerazione del fatto che gli è stato assegnato l’ordinamento che ha analogia con il fuoco; Poseidone invece la regione intermedia, che si addice alla generazione ed in base alla quale la generazione beneficia al massimo grado degli esseri celesti; Plutone infine l’occidente, poiché diciamo che l’occidente appartiene all’ordinamento corrispondente alla terra, in quanto notturno e causa dell’oscurità; ed infatti l’ombra viene dalla terra e la privazione di luce va da occidente ad oriente167. Allora, per riassumere, in base a tutta la divisione del cosmo noi stabiliamo che gli esseri primissimi e predominanti sono “di Zeus”, quelli intermedi diciamo che appartengono al regno di Poseidone, ed infine quelli ultimi li computiamo come appartenenti al domino di Plutone.

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    48 11 [Qual è la triade generatrice di vita negli dèi sovrani, e da quali opere di Platone potremmo trarre considerazioni di partenza sulla sua unità ed al contempo sulla sua divisione]

    La triade dei padri sovrani sia da noi celebrata attraverso questi discorsi. Ora consideriamo in questa processione un altro ed inferiore ordinamento che è stato tramandato da Platone come fecondo e vivificante. Infatti è a partire da tutti i padri intellettivi che si rivelano, negli dèi assimilatori, il succedersi progressivo delle diminuzioni di livello e generazioni, e che sono sorte processioni particolari degli esseri che a quel livello sussistono in

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    ejsti; ta; gennhvmata pantacou' tw'n aijtivwn uJfeimevnhn tavxin lacovnta plhquvein me;n ta;" monavda", pollaplasiavzein de; ta;" monivmou" ejkeivnwn uJpostavsei", sunqetwtevra" de; poiei'sqai ta;" ejnergeiva" th'" ejn toi'" prwvtoi" aJplovthto". Wsper ou\n ajpo; th'" patrikh'" monavdo" hJ tria;" uJpevsth 15 tw'n hJgemonikw'n dhmiourgw'n, ou{tw dh; kai; ajpo; th'" zwogovnou phgh'", to; mevson kevntron ejn ejkeivnoi" klhrwsamevnh", oJ zwogoniko;" diavkosmo" probevblhtai tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n, kai; e[sti kajntau'qa tria;" uJpo; mia'" sunecomevnh monavdo". Epei; kai; hJ patrikh; tria;" 20 kaq e{na nou'n uJfesthvkei tevleion kai; h\n monadikhv, kaqavper levgomen: kata; ta; aujta; dh; ou\n kai; hJ th'" zwh'" corhgo;" triav" ejsti monadikhv, plhvrh" me;n gonivmou dunavmew", plhvrh" de; ajcravntou teleiovthto", metevcousa me;n th'" o{lh" zwogoniva" kai; toi'" th'" zwh'" ojcetoi'" 25 ajpoplhrou'sa ta; deuvtera pavnta tw'n gennhtikw'n ajgaqw'n kai; proavgousa to; zwogoniko;n fw'" eij" th;n tw'n uJfeimevnwn 49 a[fqonon metousivan kai; pavnta me;n ejpistrevfousa pro;" eJauthvn, pa'si de; parou'sa kai; metadidou'sa tw'n oijkeivwn dunavmewn, kai; dihvkousa me;n a[nwqen a[cri tw'n uJstavtwn tou' kovsmou merivdwn, pantacou' de; th;n eJauth'" e{nwsin 5 ajmigh' pro;" ta; metevconta fulavttousa, kai; th'" me;n dhmiourgikh'" monavdo" to; gennhtiko;n kai; tevleion kai; ajgaqoeide;" fw'" ejgkolpizomevnh, sunufaivnousa de; tw/' trivtw/ patri; to;n th'" zwh'" diavkosmon kai; ta; pevrata tw'n o{lwn sundiatavttousa deovntw": wJ" de; aJplw'" eijpei'n, ejk 10 mevsh" eJauth'" ejpi; pavnta ta; gevnh diateivnousa tw'n hJgemovnwn tav te prw'ta kai; ta; e[scata, kai; met ejkeivnwn me;n ta; deuvtera pavnta teleiou'sa kai; tw/' dhmiourgikw/' to; gennhtiko;n suntavttousa, meta; de; touvtwn toi'" pa'si th;n ajnavlogon ejpilavmpousa duvnamin kai; tw/' ejpistreptikw/' to; 15 a[cranton sundiaplevkousa. Proshvkei ga;r toi'" me;n dhmiourgikoi'" gevnesin hJ movnimo" duvnami", toi'" de; ajnagwgoi'" hJ a[cranto" kaqarovth". Tauvthn toivnun th;n triavda kalei' me;n oJ Plavtwn, w{sper kai; Orfeuv", eJni; ojnovmati. ejndeivknutai dev pw" kai; to; 20 plh'qo" tw'n ejn aujth/' dunavmewn. Apasa ga;r hJ par 10

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    modo uniforme, come appunto è norma che in ogni ambito i pro- 10 dotti generati, avendo avuto in sorte un livello inferiore rispetto alle loro cause, da un lato moltiplichino le monadi, dall’altro rendano molteplici le loro sussistenze stabili, ed inoltre rendano le proprie attività più composite rispetto alla semplicità insita nelle entità che vengono per prime. Dunque allo stesso modo in cui dalla monade paterna è venuta a sussistere la triade dei demiurghi che appartengono all’ordinamento degli dèi sovrani, così 15 dalla fonte generatrice di vita168, che ha ottenuto in sorte tra di essi «il centro intermedio»169, è stato prodotto l’ordinamento generatore di vita proprio degli dèi assimilatori; ed anche a questo livello vi è una triade che è tenuta insieme da un’unica monade. In effetti la triade paterna è venuta a sussistere in base ad un 20 unico intelletto perfetto ed è risultata, come diciamo, monadica; ebbene, proprio allo stesso modo, anche la triade elargitrice di vita è monadica, da un lato ricolma di potenza generativa, dall’altro di perfezione incontaminata, in quanto partecipa della generazione di vita universale e «per mezzo dei canali della vita»170 25 ricolma tutti gli esseri di livello inferiore dei beni della generazione, e fa procedere la luce generatrice di vita perché le entità pos- 49 sano partecipare generosamente ; ed inoltre fa convertire tutti gli esseri verso se stessa, e d’altra canto è presente in tutti e li rende partecipi delle proprie potenze; ed ancora, si diffonde dall’alto fino alle estreme ripartizioni del cosmo, ma in ogni ambito essa mantiene la propria unità non-mescolata con gli 5 esseri che ne partecipano; e stringe al suo grmbo la luce generatrice, perfetta e “di forma simile al Bene”171 propria della monade demiurgica, e d’altra parte intesse insieme al terzo padre l’ordinamento della vita e dispone in ordine, in modo conveniente, i limiti della totalità dell’universo; ma per dirla in breve, 10 proprio in base alla sua propria natura intermedia essa si estende a tutti i generi degli sovrani, sia ai primi sia ai secondi, ed insieme ai primi porta alla perfezione tutti gli esseri di livello inferiore e coordina al carattere demiurgico quello generatore, mentre insieme ai secondi fa risplendere su tutti gli esseri la potenza corrispondente al loro livello ed intreccia insieme il carattere 15 incontaminato a quello che converte. Infatti si addice ai generi demiurgici la potenza stabile, mentre la purezza incontaminata ai generi elevatori. È questa pertanto la triade che Platone, come anche Orfeo, chiama sì con un unico nome, ma indicando in certo modo anche la molteplicità delle potenze insite in essa. In effetti tutta quanta 20

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    Ellhsi qeologiva th;n deutevran zwogonivan Korikh;n ejponomavzei kai; sunavptei th/' o{lh/ phgh/' th/' zwogovnw/ kai; th;n uJpovstasin ajp ejkeivnh" e[cein fhsi; kai; met ejkeivnh" ejnergei'n. Oujdamou' ga;r ta; aijtiata; th'" tw'n aijtivwn ajpev25 spastai pronoiva": ajll aiJ me;n plavnai kai; aiJ zhthvsei" kai; aiJ kata; periovdou" meqevxei" tw'n pronooumevnwn eijsivn, hJ de; qeiva th'" meristh'" zwh'" aijtiva sunhvnwsen auJth;n ejx aji>divou pro;" th;n o{lhn zwogovnon phghvn, h}n kai; mhtevra kalou'sin oiJ qeolovgoi th'" hJgemonikh'" qeou' kai; oJ Plavtwn 30 aujtov", pantacou' sunavptwn th/' Dhvmhtri th;n Kovrhn kai; 50 th;n me;n wJ" gennhtikh;n aijtivan proi>stavmeno", th;n de; wJ" ajp ejkeivnh" plhroumevnhn kai; ta; deuvtera plhrou'san ajnumnw'n. Ditth'" de; ou[sh" th'" Korikh'" tavxew", kai; th'" me;n uJpe;r 5 to;n kovsmon profainomevnh", o{te dh; kai; suntavttetai tw/' Dii; kai; met ejkeivnou to;n e{na dhmiourgo;n uJfivsthsi tw'n meristw'n, th'" de; ejn tw/' kovsmw/ deutevra", ou| dh; kai; uJpo; tou' Plouvtwno" aJrpavzesqai levgetai kai; yucou'n kai; ta; e[scata tou' pantov", w|n oJ Plouvtwn ejpetrovpeuen, ajmfotev10 ra" oJ Plavtwn hJmi'n televw" ejxevfhne, tote; me;n th/' Dhvmhtri th;n Kovrhn sunavptwn, tote; de; tw/' Plouvtwni, kai; suvzugon aujth;n ajpofaivnwn tou'de tou' qeou'. Kai; ga;r hJ tw'n qeolovgwn fhvmh tw'n ta;" aJgiwtavta" hJmi'n ejn Eleusi'ni teleta;" paradedwkovtwn, a[nw me;n aujth;n ejn toi'" th'" 15 mhtro;" oi[koi" mevnein fhsivn, ou}" hJ mhvthr aujth/' kateskeuvasen ejn ajbavtoi" ejxh/rhmevnou" tou' pantov", kavtw de; meta; Plouvtwno" tw'n cqonivwn ejpavrcein kai; tou;" th'" gh'" mucou;" ejpitropeuvein kai; zwh;n ejporevgein toi'" ejscavtoi" tou' panto;" kai; yuch'" metadidovnai toi'" par eJautw'n 20 ajyuvcoi" kai; nekroi'". Ou| dh; kai; qaumavsai" a]n o{pw" hJ Kovrh Dii; me;n kai; Plouvtwni suvnesti, tw/' mevn, w{" fasin oiJ mu'qoi, biasamevnw/, tw/' de; aJrpavsanti th;n qeovn, Poseidw'ni de; ou[. Movno" ga;r ou|to" tw'n Kronidw'n ouj suzeuvgnutai th/' Kovrh/, diovti dh; 25 to; mevson kevntron ejn th/' triavdi lacw;n zwopoio;n ajxivan kai; duvnamin ejklhrwvsato kai; kata; tauvthn carakthrivzetai. Par eJautou' toivnun e[cei th;n zwogonikh;n aijtivan kai; yucoi' pavnta to;n oijkei'on klh'ron kai; zwh'" 51 plhroi' th'" mevsh" ajpo; th'" oijkeiva" ijdiovthto". Epei; kai; oJ me;n Plouvtwn sofiva" ejsti; corhgo;" kai; nou' tai'" yucai'" kata; to;n ejn Kratuvlw/ Swkravthn, oJ de; Zeu;" tou' ei\nai toi'"

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    la teologia dei greci denomina “Corica”172 la seconda forma di generazione di vita173 e la congiunge alla fonte universale generatrice di vita ed afferma che deve la sua sussistenza a questa fonte ed agisce insieme a quest’ultima. Di fatto in nessun ambito gli effetti risultano radicalmente separati dalla cura provvidenziale eser- 25 citata dalle cause; ma da un lato le erranze, le ricerche e le partecipazioni stabilite in base a periodi determinati appartengono agli esseri soggetti alla cura provvidenziale, dall’altro la causa divina della vita particolare si è eternamente unita alla fonte universale generatrice di vita, che i Teologi chiamano anche “madre” della dea sovrana174, e così anche lo stesso Platone che ovunque175 a 30 Demetra congiunge Core e pone a capo la prima come causa ge- 50 neratrice, mentre l’altra la celebra come ricolmata dalla prima e ricolmante a sua volta gli esseri di livello inferiore. D’altra parte l’ordinamento “Corico” è di due sorte176: l’uno si manifesta al di sopra del cosmo, quando appunto si coordina a 5 Zeus ed insieme a lui fa sussistere l’unico demiurgo degli esseri particolari, mentre l’altro ordinamento, inferiore, nel cosmo, dove appunto si dice che è rapito da Plutone177 e che anima anche gli ultimi fra gli esseri dell’universo, sui quali, come si è visto178, governa Plutone. Così Platone ci ha perfettamente 10 rivelato questi due ordinamenti, una volta collegando Core a Demetra, un’altra collegandola a Plutone, e mettendo in luce che essa è sposa di questo dio. Ed in effetti la tradizione dei Teologi che ci hanno trasmesso le più sacre iniziazioni, quelle di Eleusi, dice che in alto Core permane nella dimora della madre, dimora 15 che la madre ha per lei disposto nelle regioni inaccessibili, risultando così trascendente rispetto all’universo, mentre in basso essa governa con Plutone gli esseri degli inferi, ha il controllo dei recessi della terra, concede la vita agli esseri dell’universo che vengono per ultimi e rende partecipi di anima quegli 20 esseri che di per se stessi sono inanimati e morti179. A questo punto ci si potrebbe meravigliare di come Core sia unita a Zeus ed a Plutone – dei quali il primo, come dicono i miti, le ha fatto violenza180, mentre l’altro ha rapito la dea – ma non a Poseidone. In effetti solo questo tra i Cronidi non è congiunto a Core, per il fatto che, occupando nella triade «il centro interme- 25 dio», ha ottenuto in sorte una dignità ed una potenza vivificanti ed è caratterizzato in base a questa potenza. Da se stesso pertanto egli possiede la causalità generatrice di vita, anima tutto l’ambito che gli è stato assegnato in sorte e lo ricolma del livello inter- 51 medio di vita che deriva dal carattere specifico che appartiene al

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    ou\sin ai[tio" wJ" th'" triavdo" pathvr. All ou\n hJ Kovrh toi'" a[kroi" sunaptomevnh, kai; pro; me;n tou' kovsmou tw/' Dii; patrikw'", ejn de; tw/' kovsmw/ tw/' Plouvtwni kata; th;n ajgaqoeidh' bouvlhsin tou' patrov", ou| me;n biavzesqai levgetai para; tou' Diov", ou| de; aJrpavzesqai para; tou' Plouvtwno", i{na kai; ta; prw'ta kai; ta; e[scata tw'n 10 dhmiourghmavtwn metavsch/ th'" zwogoniva". Wsper ga;r hJ o{lh phgh; th'" zwh'" tw/' o{lw/ sunou'sa dhmiourgw/' kata; mivan ajmevriston aijtivan pa'sin ejpilavmpei to; zh'n, ou{tw dh; kai; hJ Kovrh prw'tav te kai; mevsa kai; e[scata toi'" hJgemovsi tou' panto;" sunufaivnousa *** th;n eJauth'" zwogonivan. 15 Alla; th;n me;n e{nwsin th'" o{lh" triavdo" dia; touvtwn para; tw/' Plavtwni gnwrivzomen tw'n sunqhmavtwn, oJpovtan aujth;n oJmou' th/' Dhvmhtri Kovrhn prosonomavzwn ajnumnh/': th;n de; au\ diaivresin aujth'" ejn oi|" ejndeivknutai kataqeatevon. Triw'n ga;r oujsw'n ejn aujth/' monavdwn, kai; th'" me;n kata; th;n 20 u{parxin tetagmevnh" ajkrotavth", th'" de; kata; th;n duvnamin th;n oijstikh;n th'" zwh'", th'" de; kata; to;n nou'n to;n zwogonikovn, kai; tw'n qeolovgwn th;n me;n Artemin Korikh;n eijwqovtwn kalei'n, th;n de; Persefovnhn, th;n de; Aqhna'n Korikhvn levgw de; tw'n th'" Ellhnikh'" qeologiva" 25 ajrchgw'n, ejpei; parav ge toi'" barbavroi" ta; aujta; di eJtevrwn ojnomavtwn dedhvlwtai: th;n me;n ga;r prwtivsthn ejkei'noi monavda kalou'sin Ekavthn, th;n de; mevshn yuchvn, th;n de; trivthn ajrethvn toi'" d ou\n Ellhvnwn ojnovmasi 52 to;n eijrhmevnon trovpon touvtwn hJmi'n gnwrizomevnwn oJ Plavtwn th;n me;n th'" Aqhna'" th'" Korikh'" tavxin ejndeivknutai devspoinan aujth;n ejponomavzwn kai; kovrhn ajnumnw'n kai; th'" o{lh" ajreth'" aijtivan levgwn filovso5 fovn te kai; filopovlemon kai; hjqonovhn prosagoreuvwn (a{panta ga;r tau'ta ta; ojnovmata tov te noero;n aujth'" kai; to; hJgemoniko;n kai; to; th'" o{lh" ajreth'" parektiko;n iJkanw'" parivsthsi), th;n de; th'" Persefovnh", a[ntikru" Ferrevfattan aujth;n ajneufhmw'n kai; touvtw/ 10 tw/' ojnovmati crwvmeno" w/| dh; kai; oiJ a[lloi pavnte" qeolovgoi (dhloi' de; tau'ta ejn Kratuvlw/ to; th'" Ferrefavtth" o[noma kai; th;n ejn aujtw/' kekrummevnhn ajlhvqeian ajnaplw'n), th;n de; th'" Artevmido", oJpovtan ejn tw/' aujtw/' dialovgw/ th;n 5

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    dio. In effetti, secondo Socrate nel Cratilo181, Plutone è elargitore di sapienza e di intelletto per le anime, mentre Zeus è principio causale dell’esistere per gli enti in quanto è padre della triade. Ma Core allora è congiunta alle estremità: in modo paterno a Zeus 5 anteriormente al cosmo, mentre nel cosmo a Plutone in base alla volontà “di forma simile al Bene” del padre, ed in un caso si dice che subisce violenza da Zeus, mentre nell’altro che viene rapita da Plutone, in modo tale che sia i primi sia gli ultimi tra i prodotti 10 dalla demiurgia siano partecipi della generazione di vita. Infatti, nel modo in cui la fonte universale della vita, essendo unita al Demiurgo universale, in base ad un’unica forma di causalità indivisibile fa risplendere il vivere su tutte le cose, allo stesso modo Core, intrecciando insieme182 gli esseri primi, intermedi ed ultimi ai sovrani dell’universo 183 la sua propria generazione di vita. Ma certamente noi conosciamo ora l’unità di tutta la triade nel 15 suo insieme attraverso i segni distintivi184 riscontrabili in Platone, allorché insieme a Demetra egli celebra questa triade denominandola “Core”; d’altra canto, la divisione di questa triade va presa in esame sulla base delle indicazioni fornite da Platone. In effetti, dal momento che in questa triade si trovano tre monadi, e la prima, la più elevata, occupa il livello dell’esistenza, la seconda quello della 20 potenza apportatrice della vita, la terza infine quello di intelletto generatore di vita, e dal momento che i Teologi sono soliti denominare la prima “Artemide Corica”, la seconda “Persefone”, la terza infine “Atena Corica” – e per “teologi” io intendo i fonda- 25 tori della teologia greca185, dato che presso i barbari186, in verità, sono stati sì messi in luce i medesimi livelli, ma con nomi diversi: in effetti essi chiamano la primissima monade “Ecate”, quella intermedia “Anima”, la terza infine “Virtù”187 – ebbene, dato che con i nomi dati dai Greci queste monadi sono a noi note nel modo 52 che si è detto, Platone indica il livello di Atena Corica denominandola «signora e padrona», celebrandola come «core»188, e, dicendo che essa è causa di tutta la virtù nella sua totalità, chiamandola «amante del sapere ed amante della guerra»189, ed «Ethonóe»190 (in 5 effetti tutti quanti questi nomi manifestano in modo adeguato il suo carattere intellettivo e sovrano, e la sua capacità di produrre tutta la virtù nella sua totalità); di Persefone, proclamandola esplicitamente come «Pherréphatta»191 e servendosi di questo nome che impiegano anche tutti gli altri 10 teologi (ciò egli lo mette in luce nel Cratilo quando esplica il nome «Pherréphatta» e la verità in esso celata); infine fevsthke to; ei\do" eJkatevrwn, th'" te ajreth'" levgw kai; th'" yuch'": ejpei; kai; to; ajqavnaton aujtw'n ajpo; th'" oJmoiovthto" oJ Swkravth" sullogivzetai pro;" to; qei'on. Eij dh; kat oujsivan aujth;n e[lacon, 20 ajnavgkh dhvpou kai; to; oJmoiou'n aujta;" ejn qeoi'" ei\nai prwvtw": oJmoiou'ntai me;n ga;r pro;" th;n eJautw'n phghvn, metevcousi de; th'" oJmoiwvsew" ejk tw'n ajfomoiwtikw'n aijtivwn: ejn ejkeivnoi" a[ra kai; hJ th'" toiauvth" ajqanasiva" aijtiva prolavmpei tw'n yucw'n. Dio; kai; oJ Swkravth" ajpo; th'" 25 oJmoiovthto" ejpiceirw'n, a[rcein aujtav" fhsi kai; despovzein proshvkein tw'n swmavtwn, ejpei; kai; to; a[rcein kai; to; despovzein ejkei'qen e[lacon ajf ou| kai; th;n oJmoiovthta. Prou>fevsthken a[ra pavntwn tw'n meristw'n eijdw'n th'" 55 zwh'" to; e}n ai[tion aujto; ejn toi'" ajfomoiwtikoi'" hJgemovsi, pasw'n de; tw'n th;n oJmoiovthta parecomevnwn ajretw'n hJ miva

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    getto ad un continuo movimento. Per quanto concerne poi il suo carattere incommensurabile rispetto alla molteplicità e l’essere “oggetto di timore” e “terribile”, sono aspetti che appartengono alla potenza, insita in questa dea, trascendente rispetto a tutte le 25 cose, invisibile ed inconoscibile per i più. Ad ogni modo, anche i barbari200 chiamano “dea che incute spavento e timore”201 colei che ha la sovranità su questa triade, sicché non è senza fondamento che 54 Platone fornisce tali indicazioni anche a proposito di questa dea che è per noi grandissima202, e che, di conseguenza, enuncia i nomi che si confanno alla dottrina teologica concernente questa dea. Dunque tutti i caratteri di cui si è parlato appartengono da un 5 lato alla Core che sta in basso e che si unisce con Plutone, in base a partecipazione e, come si potrebbe dire, in base al suo rendersi simile alla Core complessiva203, dall’altro a quella sovrana204 conformemente al suo primissimo livello di sussistenza. E queste tre divinità risultano realmente coesistere: e come colei che è generatrice universale di vita205 comprende in se stessa, come si è visto206, le fonti sia della virtù sia dell’anima, fonti delle quali il Demiurgo207 rende partecipe il 10 cosmo avendolo fatto così sussistere in una forma perfetta, allo stesso modo questa dea qui208, possedendo la causa originaria di tutte le forme particolari della vita, possiede anche la causa delle anime e delle virtù, ed è per questo motivo, a mio giudizio, che anche per le anime particolari la risalita avviene tramite somiglianza e la virtù è somiglianza con gli dèi. Ecco perché tra gli dèi 15 assimilatori preesiste la forma di entrambe, intendo dire della virtù ed anche dell’anima; in effetti l’immortalità di queste ultime Socrate la deduce dalla somiglianza con la realtà divina. Certo, se le anime hanno avuto in sorte per essenza la somiglianza, è necessario, a mio giudizio, che anche la loro capacità di ren- 20 dersi simili si trovi in modo primario negli dèi; infatti le anime da un lato sono rese simili alla loro fonte, dall’altro partecipano del rendersi simili a partire dai principi causali assimilatori; di conseguenza è in questi dèi che risplende la causa di questa immortalità delle anime. Ecco perché Socrate, argomentando a partire 25 dalla somiglianza, afferma che conviene che le anime «governino ed esercitino il dominio» sui corpi, dal momento che il governare e l’esercitare il dominio lo hanno avuto in sorte da quello stesso ambito di lassù da cui traggono anche la somiglianza209. Di conseguenza a preesistere a tutte le forme particolari della vita è l’unico principio causale stesso insito negli sovrani assimi- 55 latori, mentre a preesistere a tutte le virtù che garantiscono la

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    kai; o{lh kai; ajmevristo" ajrethv: kai; ou[te hJ kat oujsivan oJmoiovth" tw'n yucw'n ou[te hJ dia; th'" ajreth'" oJmoivwsi" ajllacovqen h] ejk touvtwn ejfhvkei tw'n ajrcw'n. Trittw'n dev, w{sper ei[rhtai, monavdwn oujsw'n ejn th/' Kovrh/, kai; th'" me;n pavnta eJdrazouvsh" ejn eJauth/', th'" de; pavnta eij" gevnesin ajgouvsh" (yuch/' ga;r dh; proshvkei to; genna'n), th'" de; ejpistrefouvsh" eij" aujthvn (tou'to gavr ejstin e[rgon ejxaivreton th'" ajreth'"), kai; pasw'n televw" ejn aujth/' protetagmevnwn, hJ tw/' Plouvtwni sunou'sa metevcei mevn pw" kai; tw'n a[krwn, diaferovntw" de; kata; to; mevson e[lace th;n provodon: dio; kai; Persefovnh kalei'tai dia; to; ejpafwvmenon, wJ" ei[rhtai, th'" genevsew" kai; tw'n feromevnwn. Epei; kai; toi'" me;n a[kroi" to; ajmige;" h\n prosh'kon kai; to; parqevnion, tw/' de; mevsw/, proovdoi" caivronti kai; pollaplasiasmoi'", hJ mivxi" oijkeiva kai; hJ tw'n genhtw'n ejpafhv. Tou'to toivnun to; aJrpazovmenon th'" Kovrh", ejn aujth/' me;n televw" iJdrumevnon, metadido;n de; kai; toi'" ejscavtoi" eJautou' kai; th'" ajf eJautou' zwogoniva". Dio; kai; oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth" th;n Persefovnhn suntavttei tw/' Plouvtwni, th/' de; Dhvmhtri pantacou' th;n Kovrhn, th;n me;n o{lhn kai; aujto;" tw/' th'" Kovrh" ojnovmati perilambavnwn, th;n de; proi>ou'san ajp aujth'" eij" to; kavtw duvnamin tw/' th'" Persefovnh": ejn ga;r tauvth/ kat oujsivan me;n to; yucikovn, kat e[mfasin de; ta; loipav, kai; ouj prwvtw", kaqavper ei[rhtai. ibV Peri; me;n ou\n th'" zwogonikh'" triavdo" tosau'ta lektevon, ejpei; kai; ojlivga" ajforma;" peri; aujth'" hJmi'n oJ Plavtwn paradivdwsin, ejx w|n w{sper pureivwn tribomevnwn pro;" a[llhla ajnavptein dunato;n to; th'" ajlhqeiva" fw'".

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    somiglianza è l’unica, universale e indivisibile virtù; e per le anime né la somiglianza per essenza né l’assimilazione per il tramite della virtù è pervenuta da un’altra parte se non da questi principi. D’altra parte, dato che triplici, come si è detto210, sono le monadi presenti in Core, e l’una fa risiedere in se stessa tutti gli esseri, mentre l’altra li conduce tutti alla generazione (infatti è proprio all’anima che si confà il generare), l’altra ancora infine li converte verso di essa (infatti questo è per eccellenza il compito della virtù), e poiché tutte queste monadi risultano poste originariamente in essa211, la Core che è unita a Plutone partecipa in certo modo anche delle componenti poste agli estremi, e d’altra parte ha ottenuto la sua processione in modo specifico al livello intermedio; ecco perché viene denominata “Persefone” in virtù del suo “entrare in contatto”, come si è detto212, con la generazione e con le cose che sono soggette a movimento. In effetti i caratteri che si confanno alle componenti poste alle estremità sono, come si è visto213, quello della non-mescolatezza e quello della verginità, mentre alla componente intermedia, che si compiace delle processioni e delle moltiplicazioni, appartiene in modo specifico la mescolanza ed il contatto con gli esseri generati. Pertanto questo è il carattere di Core che viene rapito: esso infatti è perfettamente stabilito in lei, ed inoltre rende partecipi gli esseri di ultimo livello di se stesso e della generazione di vita che proviene da esso214. Ecco perché Socrate nel Cratilo coordina Persefone a Plutone, e d’altro canto, ovunque215, Core a Demetra216, dato che anche lui comprende sotto il nome di “Core” la Core complessiva, e sotto il nome di “Persefone” la potenza che procede da Core verso il basso217; in Persefone infatti la facoltà di rendere animato è a livello di essenza, mentre tutti gli altri caratteri sono a livello di riflesso, e non in modo primario, come si è detto218.

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    12 56 [Qual è la triade convertitrice negli dèi sovrani e qual è la monade in essa; in questo capitolo sono state fornite anche definizioni sulla unità di Apollo con Elios, e in che modo in base ai discorsi su Apollo si potrebbe essere condotti alla dottrina degli ordinamenti Eliaci] Questo è dunque quanto bisogna dire sulla triade generatrice di vita, dal momento che Platone ci tramanda solo pochi spunti riguardo ad essa, a partire dai quali, «come pietre focaie sfregate l’una con l’altra»219, è possibile far scaturire la luce della verità. In

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    To; de; dh; trivton peri; tw'n ajnagwgw'n dievlqwmen ejn toi'" hJgemonikoi'" qew'n kai; th'" triavdo" th'" pavnta ejpistrefouvsh" eij" th;n eJautw'n ajrchvn. Triw'n gavr, w{sper ei[pomen, noerw'n monavdwn protetag10 mevnwn ejn toi'" pro; touvtwn qeoi'" trei'" proelhluvqasin aujtw'n kat ejkeivna" triavde", hJ me;n patrikh; kata; th;n prwvthn, dio; kai; Kronivdai prosonomavzontai kai; dielevsqai levgontai th;n tou' patro;" ajrchvn: hJ de; zwogonikh; kata; th;n mevshn, dio; kai; th/' Dhvmhtri th;n Kovrhn wJ" aijtiva/ 15 prohgoumevnh/ suntavttein eijwvqamen: hJ de; ejpistreptikh; kata; th;n trivthn, dio; kai; th;n ijdivan aijtivan aujth'" ejn tw/' dhmiourgw/' tiqevmeqa. Pa'sai me;n ga;r ejxhvrthntai th'" dhmiourgikh'" monavdo" kai; pavsai" ejk tauvth" hJ provodo": ajlla; th;n me;n uJfivsthsi meta; tou' patrov", th;n de; meta; th'" 20 zwogovnou qea'", th;n de; ajpo; th'" ejn aujtw/' phgh'": eijsi; ga;r ejn tw/' pantelei' dhmiourgw/' pollai; phgai; prou>pavrcousai pavntwn tw'n deutevrwn kai; trivtwn ajpogennhmavtwn. Ekei' ga;r hJ phgh; tw'n ijdew'n, kaq h}n diakosmei' to; pa'n, ei[desi kai; lovgoi" diaschmativzwn e{kasta kai; 25 tavttwn kai; eij" o{ron a[gwn kai; morfhvn: ejkei' kai; hJ tw'n 57 yucw'n phgh; kai; hJ tw'n noerw'n pavntwn qew'n tw'n ajp aujtou' proelhluqovtwn (e[cei ga;r basilikh;n me;n yuchvn, basiliko;n de; nou'n kata; th;n th'" aijtiva" duvnamin, w{" fhsin oJ ejn tw/' Filhvbw/ Sw5 kravth"): ejkei' kai; oJ phgai'o" Hlio". Dio; kai; oJ Tivmaio" meta; th;n tw'n swmavtwn eJpta; gevnesin kai; eij" ta;" o{la" perifora;" qevsin fw'" ajnavyai fhsi;n aujto;n ejn th/' deutevra/ ajpo; gh'" periovdw/, tou'to o} nu'n keklhvkamen Hlion, wJ" a]n ajf eJautou' kai; ejk th'" 10 oijkeiva" oujsiva" tw/' Hlivw/ parascovnta th;n uJpovstasin: to; ga;r ajnavpton o{lon aujto; paravgei kai; uJfivsthsi to; ajnaptovmenon. O toivnun dhmiourgo;" e[cwn te kai; perievcwn ejn auJtw/' th;n Hliakh;n phghvn, ajpogenna/' kajn tai'" ajrcai'" tw'n o{lwn ta;" Hliaka;" dunavmei" kai; th;n triavda tw'n 15 Hliakw'n qew'n, di h|" pavnta ajnavgetai kai; teleiou'tai kai; plhrou'tai tw'n noerw'n ajgaqw'n, ajpo; me;n th'" ãmia'"Ãh monavdo" ajcravntou metalagcavnonta fwto;" kai; aJrmoniva" nohth'",

    h

    Si accoglie qui l’integrazione proposta da Taylor.

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    terzo luogo poi tra gli dèi sovrani dobbiamo trattare degli dèi elevatori e della triade che converte tutte gli esseri verso il loro proprio principio. In effetti, dal momento che, come abbiamo detto220, vi sono tre monadi intellettive poste originariamente negli dèi anteriori a 10 questi, sono procedute tre triadi di essi in modo conforme a quelle monadi: l’una paterna, in modo conforme alla prima monade, perciò sono denominati “Cronidi”221 e si dice che si dividano il dominio del padre222; l’altra generatrice di vita, in modo conforme alla monade intermedia, perciò siamo soliti coordinare Core a Demetra come ad una causa antecedente; 15 l’altra ancora, infine, convertitrice, in modo conforme alla terza monade, e perciò poniamo nel Demiurgo la causa specifica di questa triade. Tutte infatti risultano dipendere dalla monade demiurgica e per tutte la processione viene da questa monade; ma fa sussistere la prima triade in unione con il padre, la seconda in unione con la dea generatrice di vita223, la terza infine a partire dalla fonte insita nel Demiurgo stesso; in effetti nel 20 Demiurgo compiutamente perfetto224 vi sono molteplici fonti che preesistono a tutte le generazioni di secondo e terzo livello. Là infatti si trova la “fonte delle Idee”225, in base alla quale egli dà ordine all’universo, «dando una differente figura» a ciascuna cosa «per mezzo di forme» e proporzioni226, collocandola al suo posto e facendola pervenire ad una delimitazione ed una figura 25 specifiche; è là infatti che si trova la fonte delle anime227 ed anche 57 quella di tutti gli dèi intellettivi che sono proceduti dal Demiurgo228 (infatti egli possiede «un’anima regale ed un intelletto regale in virtù della potenza propria della causa», come dice Socrate nel Filebo229); là infatti si trova anche il Sole fontale230. 5 Ecco perché Timeo, dopo la generazione dei setti corpi231 e la loro collocazione «nei movimenti di rotazione»232 universali, afferma che il Demiurgo «ha acceso una luce nella seconda orbita a partire dalla terra», vale a dire ciò che «ora abbiamo chiamato Sole»233, come se da se stesso e a partire dalla propria essenza 10 avesse fornito al Sole la sussistenza; in effetti ciò che accende produce per intero e fa sussistere ciò che è acceso. Il Demiurgo pertanto, possedendo e comprendendo in se stesso la fonte Eliaca, genera anche nei principi della totalità dell’universo le potenze Eliache e la triade degli dèi Eliaci, per il cui tramite tutte le cose 15 sono elevate, rese perfette e ricolmate di beni intellettivi, ottenendo dall’unica monade incontaminata di partecipare di luce allo stato puro e di armonia intelligibile, mentre dalle altre due mona-

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    ajpo; de; tw'n loipw'n duoi'n drasthrivou dunavmew" kai; ajkmh'" kai; teleiovthto" dhmiourgikh'". 20 Pw'" ou\n oJ Plavtwn ta;" qeiva" tauvta" hJmi'n tavxei" paradivdwsi kai; pou' peri; aujtw'n ejndeivknutai Th;n me;n ou\n o{lhn triavda kajntau'qa di eJno;" ojnovmato" perilambavnei, kaqavper dh; kai; th;n pro; aujth'": kai; w{sper ejkei' tw/' th'" Kovrh" ojnovmati to; suvmpan ejdhvlou gevno" tw'n zwogonikw'n 25 ajrcw'n, ou{tw dh; kai; ejpi; touvtwn Apollwniakh;n me;n a{pasan prosagoreuvei, tai'" de; pollai'" tou' qeou' touvtou dunavmesi to; ejn tauvth/ plh'qo" ejndeivknutai. 58 Prw'ton dh; tou'to katanohvswmen, o{pw" kai; aujtov", w{sper Orfeuv", to;n Hlion eij" taujtovn pw" a[gei tw/' Apovllwni kai; wJ" th;n koinwnivan presbeuvei touvtwn tw'n qew'n. Ekei'no" me;n ga;r diarrhvdhn levgei, kai; dia; pavsh" 5 wJ" eijpei'n ãth'"Ã poihvsew": oJ de; Aqhnai'o" xevno" ejndeivknutai dia; th'" eJnwvsew" aujtw'n, koinovn tina new;n Apovllwni kai; Hlivw/ kataskeuavzwn, kai; tote; me;n ajmfoi'n diamnhmoneuvwn, tote; de; qatevrou movnon, wJ" kata; mivan e{nwsin aujtw'n uJfesthkovtwn. Levgei de; tautiv: Kat ejniauto;n e{kas10 ton meta; tropa;" Hlivou ta;" ejk qevrou" eij" ceimw'na xunievnai crew;n pa'san th;n povlin eij" Hlivou koino;n kai; Apovllwno" tevmeno", tw/' qew/' ajpofainomevnou" a[ndra" aujtw'n trei'". En dh; touvtoi" koinh/' peri; ajmfoi'n eijpwvn, wJ" a[ra Hlivou 15 kai; Apovllwno" ei\nai proshvkei to; tevmeno" eij" o} xunievnai dei' meta; tropa;" qerina;" a{pasan th;n povlin, wJ" peri; eJno;" ajmfoi'n ejn toi'" eJxh'" dialevgetai prosqei;" tw/' qew/' ajpofainomevnou" a[ndra" aujtw'n trei'", ajpo; me;n th'" diairevsew" aujtoi'n ejpi; th;n e{nwsin ajnatrevcwn, 20 th;n de; koinwnivan aujtw'n th;n ejn ajllhvloi" lelhqovtw" ejndeiknuvmeno". Kai; au\ pavlin ejn toi'" eJpomevnoi" tote; mevn fhsin ajkroqivnion koino;n ajnateivnesqai tou;" a[ndra" Hlivw/ kai; Apovllwni, tote; de; Hlivw/ movnon, wJ" a]n ejn touvtw/ kai; tou' Apovllwno" o[nto". 25 Suvzeuxi" a[ra kata; Plavtwna tw'n qew'n touvtwn oJmofuh;" kai; koinwniva tw'n dunavmewvn ejsti kai; e{nwsi" a[rrhto". Epei; kai; oJ Swkravth" ejn Kratuvlw/ me;n th;n tou' Apovllwno" oujsivan ajpo; th'" ejpwnumiva" ajneurei'n proqevmeno" ejpi; 59 th;n aJplovthta th'" uJpavrxew" kai; th;n th'" ajlhqeiva" ejkfantorikh;n duvnamin kai; to;n nou'n to;n th'" gnwvsew" ai[tion ajnavgetai tou' qeou', to; ajplhvqunton aujtou' kai; aJplou'n kai; monoeide;" hJmi'n iJkanw'" ejndeiknuvmeno": ejn de; 5 th/' Politeiva/ to;n Hlion ajnavlogon tw/' ajgaqw/' tavttwn kai;

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    di ottiene di partecipare di potenza operativa, di vigore e di perfezione demiurgica. Come dunque Platone ci tramanda questi ordinamenti divini 20 e dov’è che ci fornisce indicazioni riguardo ad essi? Ebbene, anche in questo caso, egli abbraccia l’intera triade per mezzo di un unico nome, come ha fatto anche nel caso della triade precedente234; e come là con il nome di “Core” indicava tutto insieme il genere dei principi generatori di vita, allo stesso modo anche nel 25 caso di questi dèi egli appella tutta quanta la triade “Apollinea”, e, d’altro canto, con le molteplici potenze di questo dio egli indica la molteplicità insita in questa triade. Per prima cosa prendiamo in considerazione in che modo 58 anche Platone, come Orfeo, identifichi in certo modo il Sole con Apollo e come egli onori la comunanza tra questi dèi. In effetti Orfeo lo afferma esplicitamente235, e per tutta, per così dire, la sua 5 poesia236; dal canto suo lo Straniero di Atene lo esprime attraverso l’unificazione di questi dèi, quando propone di costruire un tempio comune per Apollo e per il Sole, ed ora fa menzione dei due dèi insieme, ora invece solo di uno dei due, come se essi sussistessero in base ad un’unica unità. Egli parla in questi termini: 10 «Ogni anno, dopo che il Sole avrà segnato il passaggio dall’estate all’inverno, tutta la città dovrà riunirsi nel luogo consacrato in comune al Sole e ad Apollo, presentando al dio tre uomini fra loro»237. Proprio in questo passo, parlando in comune di entrambi gli dèi, egli dice che conviene che al Sole e ad Apollo apparten- 15 ga il luogo sacro nel quale dopo il solstizio d’estate deve riunirsi tutta quanta la città; e subito dopo discute di entrambi gli dèi come di uno solo, quando aggiunge: «presentando al dio tre uomini fra loro»; per un verso egli così dalla divisione tra i due dèi risale alla loro unità, per un altro indica in modo celato la loro comu- 20 nanza reciproca. E di nuovo, nel seguito, egli una volta dice di offrire «questi uomini come primizia comune al Sole e ad Apollo»238, un’altra invece dice solo «al Sole»239 come se in quest’ultimo fosse compreso anche Apollo. Di conseguenza, secondo Platone, v’è fra 25 questi dèi una congiunzione dovuta alla somiglianza delle loro nature, una comunione di potenze ed un’unità ineffabile. In effetti Socrate nel Cratilo, proponendosi di scoprire l’essenza di Apollo dalla sua denominazione, si eleva alla semplicità della sua realtà, 59 alla sua potenza rivelatrice di verità e al suo intelletto, causa di conoscenza, indicandoci in modo adeguato il suo carattere nonmoltiplicato, semplice e uniforme240; d’altro canto nella 5 Repubblica, ponendo il Sole come analogo al Bene, e la luce sensi-

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    to; aijsqhto;n fw'" tw/' ejkei'qen eij" to; nohto;n proi>ovnti, kai; to; fw'" ajlhvqeian prosagoreuvwn to; tw/' nohtw/' paro;n ejk tou' ajgaqou' kai; sunavpton pro;" a[llhla nou'n kai; nohtovn, dh'lov" ejsti sunavgwn ta;" duvo tauvta" seirav", thvn te 10 Apollwniakh;n levgw kai; th;n Hliakhvn. Anavlogon ga;r eJkavtero" touvtwn tw/' ajgaqw/', to; de; aijsqhto;n fw'" kai; hJ ajlhvqeia hJ noera; tw/' uJperousivw/ fwtiv: kai; triva tau'ta eJxh'" ajllhvloi" fw'ta, to; qei'on, to; noerovn, to; aijsqhtovn, to; me;n ejk tou' ejmfanou'" hJlivou toi'" aijsqhtoi'" ejfh'kon, to; de; ejx 15 Apovllwno" toi'" noeroi'", to; de; ejk tajgaqou' toi'" nohtoi'". Pavlin ou\n sumfuei'" me;n ajllhvloi" oi{de oiJ qeoi' kata; th;n pro;" tajgaqo;n ajnalogivan ajpodeivknuntai, meta; de; th'" eJnwvsew" kai; th;n proshvkousan aujtoi'" diavkrisin e[conte". Dio; kai; toi'" foibolhvptoi" tw'n poihtw'n diafevronta me;n 20 aujtw'n ta; gennhtika; ai[tia ajnumnei'tai kai; aiJ phgai; par w|n th;n uJpovstasin e[lacon diakevkrintai, sumfuei'" de; ajllhvloi" kai; hJnwmevnoi paradivdontai kai; tai'" ajllhvlwn eujfhmouvmenoi proshgorivai": o{ te ga;r Hlio" Apovllwn uJmnouvmeno" caivrei diaferovntw" kai; oJ Apovllwn Hlio" 25 ajnakalouvmeno" eujmene;" prolavmpei to; th'" ajlhqeiva" fw'". Eij toivnun h{nwntai me;n ajllhvlai" aiJ tw'n qew'n touvtwn uJpavrxei" kai; met ajllhvlwn uJfesthvkasi, pollai; de; tou' Apovllwno" dunavmei" hJmi'n uJp aujtou' tou' Plavtwno" paradevdontai kai; th'" proshkouvsh" qewriva" hujmoivrh60 san, proshvkei dhvpou kai; ta;" Hliaka;" proovdou" ejk touvtwn sullogivzesqai. Levgw de; tau'ta eij" to;n ejn Kratuvlw/ Swkravthn kai; th;n ejkei' dia; tw'n eijkovnwn ejpibolh;n tw'n Apollwniakw'n dunavmewn ejpiblevya". ’En 5 ga;r o]n to; o[noma tou'de tou' qeou' pavsa" aujtou' ta;" dunavmei" ejkfaivnei toi'" th'" ajlhqeiva" filoqeavmosin. Esti dh; kai; tou'to th'" ijdiovthto" mavla th'" Apollwniakh'" ejxaivreton gnwvrisma, to; ta; plhvqh sunavgein eij" e}n kai; ejn eJni; perilambavnein to;n ajriqmo;n kai; ejx 10 eJno;" proavgein ta; polla; kai; dia; th'" noera'" aJplovthto" pa'san th;n tw'n deutevrwn poikilivan ajnelivssein eij" eJauto;n kai; th/' mia/' uJpavrxei ta;" polueidei'" oujsiva" te kai; dunavmei" eJnivzein eij" e{n. O kai; to; o[noma peponqevnai fhsi;n oJ Swkravth", ejn eJni; ta;" poikivla" kai; diaferouvsa" tou' qeou' 15 dunavmei" shmaivnein ajrkou'n, wJ" kai; th;n ejscavthn eijkovna tou' qeou' kai; ajmudrotavthn e[mfasin ajp aujtou' katadexa-

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    bile come analoga a quella che da là241 procede verso l’intelligibile, ed inoltre denominando «verità» «la luce» che è presente nell’intelligibile a partire dal Bene e che congiunge fra loro intelletto ed intelligibile242, è chiaro che riunisce queste due catene, intendo 10 dire quella di Apollo e del Sole. In effetti questi ultimi sono entrambi in rapporto analogico con il Bene, e dal canto loro la luce sensibile e la verità intellettiva sono in rapporto analogico con la luce sovraessenziale243; e queste tre luci si succedono nell’ordine una dopo l’altra, quella divina, quella intellettiva e quella sensibile: quella che proviene dal sole visibile perviene ai sensibili, quella che proviene da Apollo perviene agli intellettivi, infine 15 quella proveniente dal Bene perviene agli intelligibili. Di nuovo dunque questi dèi si dimostrano naturalmente uniti tra loro, ma insieme all’unità essi possiedono anche la distinzione a loro confacentesi. Ecco perché presso i poeti ispirati da Febo, le cause gene- 20 rative di questi dèi vengono celebrate come differenti, e le fonti dalle quali hanno ottenuto in sorte la loro sussistenza risultano distinte, mentre vengono tramandati come naturalmente uniti tra loro, come unificati e come celebrati, scambiando fra loro le rispettive denominazioni: infatti il Sole si compiace in modo particolare di essere celebrato come “Apollo” e Apollo, a sua volta, quando viene invocato come “Sole”, fa rispendere pro- 25 pizia la luce della verità. Se pertanto le realtà di questi dèi risultano unite fra loro e sono venute a sussistere le une insieme alle altre, se, dal canto loro, gli ambiti di potenza di Apollo ci vengono tramandati da Platone come molteplici, ed infine se essi hanno ottenuto la considerazione specifica loro spettante, è opportuno, a mio giudizio, 60 dedurre da queste anche le processioni Eliache. D’altra parte io dico ciò prendendo in considerazione Socrate nel Cratilo244 e la sua intuizione, in questo dialogo, delle potenze di Apollo attraverso le immagini245. In effetti il nome di questo dio, pur essen- 5 do uno solo, rivela tutte le sue potenze «agli amanti dello spettacolo della verità»246. E questo è certamente un segno distintivo del carattere specifico di Apollo, cioè riunire insieme le molteplicità in un’unità, comprendere il numero in un’unità, far procede- 10 re da un’unità i molti, attraverso la semplicità intellettiva far convergere verso se stesso tutta la varietà degli esseri di livello inferiore, e con un’unica forma di realtà unificare le essenze e potenze multiformi in un’unità. E questo è appunto ciò che è avvenuto al suo nome, afferma Socrate247, in quanto è sufficiente ad 15 indicare in un’unità le potenze varie e differenti del dio, come

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    mevnhn ajpeikavzesqai pro;" th;n eJnopoio;n aujtou' kai; sunagwgo;n u{parxin kai; pro;" ajnavmnhsin hJmi'n kai; tou'to suntelei'n th'" Apollwniakh'" ijdiovthto". En gou'n to; 20 o[noma tou'to legovmenon krufivw" e[cei ta;" polla;" ejndeivxei" tw'n tou' qeou' dunavmewn. Kai; th/' me;n ejxh/rhmevnh/ tou' plhvqou" aJplovthti th;n ajlhvqeian hJmi'n, h}n oJ qeo;" dia; th'" mantikh'" ejkfaivnei toi'" deutevroi", probevblhtai: to; ga;r aJplou'n tw/' ajlhqei' taujtovn: th/' de; th'" ajpoluvsew" 25 ejmfavsei th;n kaqartikh;n kai; a[cranton aujtou' shmaivnei kai; swthvrion tw'n o{lwn duvnamin: th/' de; ajpoluvsei tw'n belw'n th;n ajnairetikh;n panto;" tou' ajtavktou kai; plhmmelou'" kai; ajsummevtrou dia; th'" toxikh'" aijtivan: th/' de; oJmopolhvsei th;n ejnarmovnion tw'n o{lwn kivnhsin 61 kai; th;n eij" aujto;n suniou'san kai; sundevousan ta; pavnta sumfwnivan. Tauvta" toivnun ta;" tevttara" tou' qeou' dunavmei" ejp aujta; ta; ei[dh ta; proshvkonta tai'" dunavmesin ajnavgonte", 5 ou{tw" aujta;" kai; tai'" Hliakai'" ejfarmovswmen monavsin. Oujkou'n hJ me;n ejkfantorikh; th'" ajlhqeiva" ejsti; kai; tou' noerou' fwto;" krufivw" o[nto" ejn aujtoi'" toi'" qeoi'": hJ de; ajnairetikh; panto;" tou' plhmmelou'" kai; ajfanistikh; pavsh" th'" ajtaxiva": hJ de; pavnta suvmmetra kai; 10 proshvgora ajllhvloi" ajpergazomevnh dia; tw'n aJrmonikw'n lovgwn: hJ de; a[cranto" kai; kaqarovthto" aijtiva proevsthke, pa'si me;n to; tevleion kai; to; kata; fuvsin ejpilavmpousa, ta; de; ejnantiva touvtwn ajposkeuazomevnh. Th'" toivnun Hliakh'" triavdo" hJ me;n prwtivsth mona;" 15 ejkfaivnei to; noero;n fw'" kai; ejxaggevllei pa'si toi'" deutevroi" kai; plhroi' pavnta th'" o{lh" ajlhqeiva" kai; ajnavgei pro;" to;n nou'n to;n tw'n qew'n, o} dh; kai; th'" Apovllwno" mantikh'" e[rgon ejlevgomen, th;n ejn aujtoi'" periecomevnhn toi'" qeivoi" ajlhvqeian eij" fw'" proavgein kai; to; a[gnwston 20 ãgnwsto;nà toi'" deutevroi" ajpotelei'n. H de; deutevra kai; trivth drasthvrion ajkmh;n probevblhntai kai; dhmiourgikh;n eij" ta; o{la poivhsin kai; ejnevrgeian teleivan, kaq h}n kosmou'si me;n pa'n to; aijsqhtovn, ejxorivzousi de; to; ajovriston kai; a[takton ejk tou' pantov": kai; e[stin 25 ajnavlogon hJ me;n th/' dia; mousikh'" eij" ta; o{la poihvsei kai;

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    pure l’ultima immagine del dio, che ha ricevuto il riflesso più oscuro proveniente da lui, ha ancora una somiglianza con la realtà unificatrice e riunitrice del dio, e questo contribuisce a farci ritornare in mente il carattere specifico di Apollo. Questo nome, 20 che è detto essere uno solo, contiene in modo celato le molteplici indicazioni delle potenze del dio. E per mezzo della semplicità che trascende il molteplice ci ha posto innanzi la verità che il dio rivela, attraverso la mantica248, agli esseri di livello inferiore: infatti «il semplice» [haploûn] è identico al vero249; d’altra 25 parte con il riflesso della «liberazione dai mali [guarigione]» [apólysis] egli indica la potenza del dio, purificatrice, incontaminata e salvatrice della totalità dell’universo250; poi con il «rilascio [apólysis] dei dardi»251 egli indica la causa che annienta, per mezzo dell’arte del tiro con l’arco, tutto ciò «che è disordinato, irregolare»252 ed eccessivo; con la «rotazione concordante» [homopolêsis], il movimento armonico della totalità dell’universo e l’accordo che unisce e collega tutti gli esseri a questo dio253. 61 Dunque, riconducendo queste quattro potenze del dio alle forme stesse corrispondenti a questi significati, in base a ciò dob- 5 biamo accordare queste potenze anche alle monadi Eliache. Così dunque la prima potenza è rivelatrice della verità e della luce intellettiva che si trova in modo celato negli dèi stessi; la seconda potenza è annientatrice di tutto ciò che è irregolare e fa sparire ogni forma di disordine; la terza potenza, attraverso i rapporti armonici, rende tutte le cose proporzionate ed in rapporto di cor- 10 rispondenza reciproca; la quarta infine è incontaminata ed è preposta come causa di purezza, da un lato facendo risplendere su tutte le cose il carattere del perfetto e del conforme a natura, dall’altro sbarazzandole dei caratteri contrari a questi. Pertanto, per quel che concerne la triade Eliaca, la sua primissima monade rivela la luce intellettiva, la annuncia a tutti gli esseri di livello inferio- 15 re, li ricolma tutti della verità totale e li fa ascendere verso l’intelletto degli dèi, e questo è precisamente il compito che abbiamo attribuito254 alla mantica di Apollo, cioè quello di portare alla luce la verità che è compresa nelle entità divine stesse e di rendere l’in- 20 conoscibile conoscibile per gli esseri di livello inferiore. Inoltre la seconda e terza monade hanno prodotto un vigore attivo, un’azione produttiva demiurgica rivolta alla totalità dell’universo ed un’attività perfetta, in base alla quale esse da un lato danno ordine a tutto il sensibile, dall’altro bandiscono dal Tutto ciò che è indeterminato e disordinato; e l’una è analoga all’azione esercita- 25 ta sulla totalità dell’universo attraverso la musica ed alla cura

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    th/' ejnarmonivw/ pronoiva/ tw'n kinoumevnwn, hJ de; th/' ajnairetikh/' pavsh" th'" ajtaxiva" kai; th'" ejnantiva" pro;" to; ei\do" kai; th;n diakovsmhsin tw'n o{lwn tarach'". Loipo;n de; 62 hJ toi'" pa'si corhgou'sa th;n metavdosin tw'n kalw'n a[fqonon kai; to; eu\ ejporevgousa kai; th;n makariovthta proteivnousa th;n ajlhqinhvn, sugkleivei me;n ta;" Hliaka;" ajrcav", frourei' de; kai; th;n triplh'n aujtw'n provodon, 5 wJsauvtw" kai; ejpilavmpei toi'" ajnagomevnoi" to; tevleion kai; noero;n mevtron th'" eujdaivmono" zwh'", tai'" kaqartikai'" kai; paiwnivoi" tou' basilevw" Apovllwno" dunavmesin ajnavlogon ejn Hlivw/ proi>stamevnh. Kai; mh;n ejk tw'n ejn Politeiva/ peri; tou' Hlivou gegram10 mevnwn ta; aujta; sullogivzesqai dunatovn. Exh/rhmevnhn me;n ga;r aujtw/' tou' genhtou' panto;" oJ ejkei' Swkravth" divdwsin uJperochvn, kai; tw'n ejn aijsqhvsei feromevnwn uJperidru'sqaiv fhsin aujtovn, w{sper dh; kai; tajgaqo;n tw'n nohtw'n televw" ejkbevbhke, genna'n de; ai[sqhsin kai; aijsqhta; kai; gevnesin kai; 15 ta; ginovmena, kaqavper dh; kai; tajgaqo;n oujsivan kai; o[ntw" o]n paravgei kai; nou' kai; nohtw'n ai[tion protevtaktai. Eij toivnun oJ me;n aijsqhto;" ouJtosi; kovsmo" genhtov" ejstin, wJ" oJ Tivmaio" levgei, kai; gevnesi" kai; qei'on genhtovn, wJ" oJ ejn Politeiva/ lovgo", ejpevkeina de; genevsew" Hlio", wJ" 20 oJ Swkravth" diateivnetai, kai; o{lw" tw'n aijsqhtw'n ejxhllagmevnhn e[lacen oujsivan, panti; dh; katafane;" o{ti th;n uJperkovsmion ejn tw/' kovsmw/ tavxin keklhvrwtai kai; th;n ajgevnhton ejn toi'" genhtoi'" uJperoch;n kai; th;n noera;n ejn toi'" aijsqhtoi'" ajxivan ejpideivknusi. 25 Dio; kai; oJ Tivmaio" ditth;n aujtw/' th;n ajpo; tou' dhmiourgou' provodon divdwsi, th;n me;n suntetagmevnhn toi'" a[lloi", th;n de; ejxh/rhmevnhn kai; uJperfua' kai; a[gnwston. Kai; ga;r swvmata poiw'n oJ dhmiourgo;" eJpta; kai; ejntiqei;" aujta; tai'" oijkeivai" periovdoi" oJmou' meta; tw'n a[llwn uJfivsthsi to;n 30 Hlion, th;n me;n Selhvnhn prw'ton ajpo; gh'" tavttwn, to;n de; 63 Hlion ejn th/' deutevra/ perifora/', kai; ejpi; touvtoi" to; fw'" ajnavptei kata; th;n Hliakh;n sfai'ran oujdeni; tw'n a[llwn ejoikov", oujde; ejk th'" u{lh" tou'to th'" uJpokeimevnh" labwvn, ajlla; aujto;" ajf eJautou' paragagw;n kai; gennhvsa" kai; 5 oi|on ejx ajduvtwn tinw'n suvmbolon proteivna" tw'n noerw'n toi'" ejgkosmivoi" oujsiw'n kai; to; ajpovrrhton tw'n uJpe;r to;n

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    provvidenziale armonica sugli esseri soggetti a movimento, l’altra, dal canto suo, è analoga alla annientatrice di tutto il disordine e del tumulto che si oppone alla forma e all’opera di ordinamento dell’universo nella sua totalità. Rimane poi la monade che elargisce a tutti gli esseri la partecipazione generosa alle 62 cose belle, che concede ciò che è bene e che offre l’autentica beatitudine, e da un lato conclude i principi Eliaci, dall’altro custodisce anche la loro triplice processione, allo stesso modo in cui fa 5 risplendere sugli esseri che si elevano la misura perfetta ed intellettiva della vita felice, essendo originariamente posta nel Sole come analoga alle potenze purificatrici e guaritrici di Apollo. Ed inoltre, da ciò che è scritto nella Repubblica riguardo al Sole è possibile giungere con il ragionamento alle medesime con- 10 clusioni. Infatti Socrate in quel dialogo attribuisce al Sole una superiorità trascendente rispetto a tutto ciò che è generato, ed afferma che esso è posto al di sopra degli esseri che nell’ambito del sensazione sono trascinati, proprio come il Bene è totalmente ulteriore rispetto agli intelligibili, e che esso genera sensazione ed oggetti sensibili, generazione e gli esseri generati, proprio nello 15 stesso modo in cui il Bene produce essenza ed essere reale, e risulta posto al primo livello come principio causale di intelletto e di intelligibili255. Se pertanto questo nostro cosmo sensibile è «generato», come afferma Timeo256, ed è generazione ed «un divino prodotto generato», come si dice nella Repubblica257, e se d’altro canto il Sole è al di là della generazione, come sostiene Socrate258, 20 ed in generale ha ottenuto un’essenza completamente diversa dai sensibili, è certamente palese per ciascuno che il sole ha ricevuto in sorte nel cosmo il livello ipercosmico e che esso manifesta la superiorità ingenerata tra gli esseri generati e la dignità intellettiva tra i sensibili. Ecco perché Timeo attribuisce al Sole una duplice processio- 25 ne ad opera del Demiurgo, l’una coordinata agli altri , l’altra trascendente, sovrannaturale e inconoscibile. Ed infatti il Demiurgo, quando plasma sette corpi259 e li colloca nelle loro specifiche orbite, fa sussistere il Sole insieme agli altri , ponendo, nell’ordine, la Luna subito dopo la Terra, ed il Sole, a sua volta, nella seconda rotazione, ed oltre a ciò «fa sca- 63 turire la luce»260 nella sfera eliaca, luce che non assomiglia a nessuna delle altre, e non l’ha ricavata dal sostrato della materia, ma è egli stesso che l’ha prodotta da sé, l’ha generata e per così dire da luoghi inaccessibili l’ha presentata agli esseri 5 encosmici come simbolo delle essenze intellettive, ed ha rivelato

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    kovsmon qew'n ejkfhvna" tw/' pantiv. Dio; kai; ejxevplhxen aujtou;" oJ Hlio" faneiv", kai; pavnte" peri; ejkei'non coreuvein ejqevlousi kai; plhrou'sqai tou' fwtov", kai; oJ kovsmo" ou|to" 10 kalo;" kai; hJlioeidhv". All ou\n, o{per ejlevgomen, kajk th'" ejn Timaivw/ dhmiourgiva" oJ me;n Hlio" ejpevkeina tw'n aijsqhtw'n tauvthn e[cwn th;n tavxin ejpideivknutai kai; th;n oujsivan uJpe;r pa'n to; gignovmenon lacwvn, ta; de; ejn tw/' kovsmw/ pavnta par aujtou' kai; th;n 15 teleiovthta kai; th;n oujsivan uJpodecovmena. Dio; kai; oJ ejn Politeiva/ Swkravth" e[kgonon aujto;n ajpokalei' tou' ajgaqou' kai; dhmiourgo;n tou' genhtou' kai; panto;" tou' ejgkosmivou fwto;" uJpostavthn. Tau'ta toivnun ajnavlogon kai; peri; th;n hJgemonikh;n tou' qeou' tavxin nohvswmen: 20 ejkei'qen ga;r ejfhvkei kai; eij" to;n ejmfanh' tou'ton Hlion, kai; dia; tou'to kajntau'qa th;n ejxh/rhmevnhn e[lacen uJperoch;n pro;" tou;" ejn tw/' kovsmw/ qeou;" oJ Hlio", diovti kajn toi'" hJgemovsi tw'n o{lwn th;n prohgoumevnhn ei\cen uJpovstasin. Esti toivnun kai; ejn ejkeivnoi" toi'" qeoi'" h{ te tou' fwto;" 25 aijtiva prwtourgov", ta;" uJperkosmivou" ajkti'na" ajpogennw'sa kai; noerav", di a}" kai; aiJ yucai; kai; pavnta ta; kreivttona th'" ajnagwgou' tugcavnei poreiva", kai; hJ dhmiourgikh; duav", tav te aJpla' kai; ta; suvnqeta parav64 gousa tav te hJgemonikwvtera kai; ta; katadeevstera kai; o{lw" ta;" ditta;" sustoiciva" ejpitropeuvousa tou' kovsmou. Dio; kai; cei'ra" me;n aujta;" oiJ qeovsofoi kalou'sin wJ" drasthrivou" kai; kinhtika;" tw'n o{lwn kai; dhmiourgikav", 5 ditta;" de; uJpotivqentai, th;n me;n dexiavn, th;n de; ajristeravn: a} dh; kai; prwvtw" ejn tai'" oujranivoi" periovdoi" oJ Tivmaio" ei\nai sugcwrei' kai; ajpo; tou' prwvtou dhmiourgou' th;n diaivresin tauvthn paravgesqaiv fhsin. Eij toivnun kai; pro; tou' kovsmou to;n Hliako;n uJpevsthse diavkosmon hJ dhmiourgikh; 10 monav", tiv qaumasto;n eij kai; ejn ejkeivnw/ th;n dhmiourgikh;n duavda kata; to; dexio;n kai; ajristero;n uJpevsthsen ajllhvlwn Epei; kai; oJ Swkravth" ta;" tw'n Moirw'n kinhtika;" dunavmei" cei'ra" ajpokalei' kai; th;n presbutavthn tw'n triw'n ajmfotevrai" fhsi; tai'" cersi; to; pa'n kinei'n: w{ste 15 oujde; to; o[noma tw'n ceirw'n paraitoi'to a]n ejpi; ta; qei'a metafevrein. Kai; mh;n kai; hJ teleutaiva tw'n Hliakw'n ajrcw'n pw'" oujk a]n ei[h kata; Plavtwna, par h|" th;n eujdaivmona zwh;n kai; tou;" ajcravntou" karpou;" ejpoceteuvesqai toi'" o{loi" fasi;n

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    al Tutto il carattere ineffabile degli dèi posti al di sopra del cosmo. Ecco perché il Sole, una volta apparso, li261 ha sbalorditi, e tutti vogliono danzare intorno a lui e ricolmarsi della sua luce, e questo nostro cosmo risulta bello e «di forma simile al Sole»262. 10 Ma dunque, come dicevamo263, anche stando alla demiurgia del Timeo, il Sole risulta possedere questo livello al di là dei sensibili e aver avuto in sorte la sua essenza al di sopra di tutto ciò che è generato, mentre tutti gli esseri presenti nel cosmo ricevono da esso la perfezione ed anche il loro essere specifico264. 15 Ecco perché Socrate nella Repubblica lo denomina «prole del Bene»265, demiurgo di ciò che è generato ed origine del sussistere di tutta la luce encosmica266. Pertanto dobbiamo considerare questi caratteri in modo analogo anche in relazione all’ordinamento sovrano del dio; infatti è da lì che pervengono anche a questo Sole 20 visibile, e per questo motivo anche qui il Sole ha avuto in sorte la superiorità trascendente rispetto agli dèi presenti nel cosmo, cioè grazie al fatto che anche tra gli dèi sovrani della totalità dell’universo è risultato possedere una forma di sussistenza di livello superiore. Pertanto anche al livello di quegli dèi v’è267 la causa ori- 25 ginaria della luce, che genera i raggi ipercosmici ed intellettivi in virtù dei quali le anime ed al contempo tutti gli esseri superiori riescono a pervenire al cammino che conduce all’ascesa, ed al contempo v’è la diade demiurgica268 che produce sia le entità semplici sia quelle composte, sia quelle più sovrane sia quelle inferio- 64 ri, e che, in generale, ha il dominio sulle duplici serie coordinate del cosmo. Ecco perché i teosofi269 chiamano queste serie “mani”, in quanto esse sono attive, motrici della totalità dell’universo e demiurgiche, ed inoltre si presentano come duplici, l’una destra, 5 l’altra sinistra270; sono queste le distinzioni che, come riconosce Timeo, sono presenti a livello primario nei movimenti circolari celesti, ed egli afferma che questa divisione è prodotta dal primo Demiurgo271. Se pertanto la monade demiurgica, prima anche del cosmo, ha fatto sussistere l’ordinamento Eliaco, che cosa v’è di 10 sorprendente se essa ha fatto sussistere anche nel cosmo la diade demiurgica secondo la reciproca distinzione fra destra e sinistra?272 In effetti Socrate denomina “mani” le potenze motrici proprie delle Moire ed afferma che la più venerabile delle tre muove il Tutto con entrambe le mani273; sicché non ci si 15 dovrebbe rifiutare di trasferire il termine “mani” alla realtà divina. Ed inoltre l’ultimo dei principi Eliaci come potrebbe non essere secondo Platone quello dal quale, come affermano gli interpreti della realtà divina, vengono riversati sulla totalità dell’universo 20

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    oiJ tw'n qeivwn ejxhghtaiv, ei[per tou' ajgaqou' kalei' to;n Hlion e[kgonon kai; tou'to kat oujsivan aujtw/' proshvkei Dh'lon ga;r o{ti, kaqavper to; ajgaqo;n a{pasi toi'" ou\si proteivnei th;n eujdaimonivan, ou{tw dh; kai; oJ Hlio" toi'" ejgkosmivoi" proteivnei ta; mevtra th'" eJkavstoi" prosh25 kouvsh" eujdaimoniva" kai; tauvthn di oJmoiovthto" ajpoplhroi' kai; th'" pro;" to;n o{lon dhmiourgo;n ajnatavsew". Oqen oi\mai kai; to; eujdaimonei'n oJmoiou'sqai levgetai qew/', 65 kai; pa'si toi'" ejn tw/' kovsmw/ qeoi'" hJ eujdaimoniva proshvkei kata; th;n mivan aujtw'n hJgemonikh;n aijtivan: ejkei'qen ga;r ejpirrei' pa'si kai; hJ teleiovth" kai; to; makavrion. 20

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    igV Tosau'ta kai; peri; touvtwn eJpovmenoi toi'" Plavtwno" sullogizovmeqa. Prosqw'men d e[ti toi'" eijrhmevnoi" kai; th;n peri; tw'n ajcravntwn qew'n ejn tai'" ajrcikai'" uJpostavsesi qewrivan: divdwsi ga;r kai; th'" touvtwn mnhvmh" oJ Plavtwn hJmi'n ajformav". Epei; kai; ajnavgkh toi'" noeroi'" basileu'sin ajnavlogon uJfesthkovta" tou;" hJgemovna" tw'n o{lwn, eij kai; meta; diairevsew" kai; merismou' pepoivhntai th;n provodon, kaqavper ta;" patrika;" aujtw'n kai; gennhtika;" kai; ejpistreptika;" memivmhntai dunavmei", kata; ta; aujta; dh; kai; ta;" ajtrevptou" ejn aujtoi'" i monavda" kata; th;n hJgemonikh;n ijdiovthta paradevxasqai kai; prosthvsasqai frourhtika;" aijtiva" deutevra" tw'n oijkeivwn proovdwn. Kai; touvtwn ejnargevsteron me;n hJ tou' Orfevw" mustikh; paravdosi" diamnhmoneuvei: peiqovmeno" de; tai'" teletai'" oJ Plavtwn kai; toi'" peri; aujta;" drwmevnoi" ejndeivknutai peri; aujtw'n, ejn me;n toi'" Novmoi" th'" ejk Korubavntwn kataulhvsew" hJma'" ajnamimnh/vskwn th'" pa'n to; a[takton kai; qorubw'de" kivnhma katastellouvsh", ejn de; tw/' Eujqudhvmw/ tou' qronismou' memnhmevno" o}n ejn toi'" Korubantikoi'" ejpetevloun: w{sper dh; kai; ejn a[lloi" th'" Kourhtikh'" ejpemnhvsqh tavxew", Kourhvtwn te ejnovplia

    i Non pare necessaria la correzione proposta da Saffrey-Westerink: ejn auJtoi'" invece del tràdito ejn aujtoi'".

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    la vita felice e i frutti incontaminati, se è vero che Platone chiama il Sole «prole del Bene» [Repubblica VI, 508b12-13] e questo carattere gli si addice in modo essenziale? In effetti è chiaro che, come il Bene protende a tutti quanti gli enti la felicità, così il Sole protende agli esseri encosmici le misure della felicità confacentesi 25 a ciascuno di essi e rende completa questa felicità grazie alla somiglianza ed alla tensione che eleva verso il Demiurgo universale. Ed è da qui che deriva, a mio giudizio, non solo il fatto che l’essere felici è detto «rendersi simili a dio»274, ma anche che la felicità 65 appartiene a tutti gli dèi presenti nel cosmo sulla base della loro unica causa sovrana275: è da lì infatti che la perfezione e la beatitudine si riversano su tutti gli esseri. 13 [Qual è l’ordinamento incontaminato degli dèi sovrani, e in che modo si potrebbero trarre anche dalle opere di Platone nozioni riguardo ad esso] Tante sono le conclusioni su tali argomenti che possiamo ricavare con il ragionamento rifacendoci agli scritti di Platone. Dobbiamo poi aggiungere ancora a ciò che si è detto anche la dottrina concernete gli dèi incontaminati nell’ambito dei livelli di realtà principiali; infatti Platone non ci fornisce che degli spunti per far menzione di questi dèi. In effetti i sovrani della totalità dell’universo, essendo sussistiti come analoghi ai re intellettivi, benché la loro processione sia stata accompagnata da divisione e separazione, come hanno imitato le potenze paterne, generatrici e convertitrici proprie dei re intellettivi, allo stesso modo devono aver necessariamente accolto, a livello conforme al loro carattere di sovrani, anche le monadi immutabili insite nei re intellettivi ed hanno posto a capo delle proprie processioni cause custodi di secondo livello. E di questi dèi la tradizione della dottrina misterica di Orfeo fa menzione in modo più chiaro; Platone invece, prestando fede alle iniziazioni ed ai riti che vengono compiuti durante queste iniziazioni276, fornisce solo indicazioni riguardo a questi dèi, richiamando alla nostra memoria nelle Leggi «l’incantamento» che viene dai Coribanti e che reprime tutto il movimento disordinato e tumultuoso277, e nell’Eutidemo278 facendo menzione del rito dell’“intronizzazione”279 che si compiva nei riti Coribantici; allo stesso modo anche altrove ha fatto menzione dell’ordinamento

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    levgwn, ejpei; kai; periestavnai levgontai to;n tw'n o{lwn dhmiourgo;n kai; pericoreuvein ajpo; th'" Reva" ajnafanevnte". En me;n ou\n toi'" noeroi'" qeoi'" hJ Kourhtikh; tavxi" hJ prwtivsth th;n uJpovstasin e[lacen, ajnavlogon de; 5 toi'" ejkei' Kouvrhsin hJ tw'n Korubavntwn probaivnousa th/' Kovrh/ kai; frourou'sa pantacovqen aujthvn, w{" fhsin hJ qeologiva: dio; kai; th;n ejpwnumivan e[lacon tauvthn: eij de; bouvlei kai; kata; th;n Platwnikh;n sunhvqeian levgein, o{ti proi?stantai th'" kaqarovthto" kai; sw/vzousin a[cranton 10 th;n Korikh;n tavxin kai; ejn tai'" ajpogennhvsesin a[trepton kai; ejn tai'" eij" tou;" kovsmou" proovdoi" movnimon, dia; tou'to Koruvbante" ejklhvqhsan. To; ga;r koro;n pantacou' th'" kaqarovthtov" ejsti shmantikovn, w{" fhsin oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth", ejpei; kai; aujth;n th;n devspoinan hJmw'n 15 th;n Kovrhn oujk ajllacovqen wjnomavsqai faivh" a]n h] ejk th'" kaqarovthto" kai; th'" ajcravntou zwh'". Dhloi' de; oijkeivw" e[cousa pro;" thvnde th;n tavxin, ditta;" paravgousa triavda" frourhtikav", th;n me;n meta; tou' patrov", th;n de; aujth; kaq eJauth;n kai; ajf eJauth'", 20 mimoumevnh kai; tauvth/ th;n o{lhn zwogovnon qeovn: kai; ga;r ejkeivnh tou;" prwtivstou" uJpevsthse Kouvrhta". Pantacou' me;n ãga;rà hJ frourhtikh; kai; a[cranto" tavxi" ou{tw" uJpo; th'" Ellhnikh'" qeologiva" ajpokalei'tai: ajll a[nw me;n aJploustevra kai; ajmevristov" ejsti, kavtw de; ejn toi'" hJgemoni25 koi'" meta; diairevsew" ajnafaivnetai kai; poikiliva". Dio; kai; th'" Aqhnai>kh'" devontai monavdo", kai; diaferovntw" oiJ trivtoi, th;n provodon eJnizouvsh" aujtw'n kai; th;n ejnovplion 67 kivnhsin ajnecouvsh" kai; o{lw" ejpistrefouvsh" aujtou;" eij" ta;" oijkeiva" ajrcav". Kai; mh;n kai; oJ ajriqmo;" ou|to", hJ triav", proshvkei tai'" frourhtikai'" tauvtai" dunavmesin wJ" tevleio" kai; perievcwn ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh monoeidw'" 5 tw'n deutevrwn: pa'n ga;r to; frourou'n pantacovqen speuvdei perilambavnein to; frourouvmenon kai; tav" te oujsiva" aujtw'n kai; ta;" dunavmei" kai; ta;" ejnergeiva" ajklinei'" diafulavttein. En me;n ãou\nà toi'" noeroi'" qeoi'" aiJ trei'" monavde" tw'n 10 Kourhvtwn peri; tou;" trei'" ejmerivzonto patevra": ejntau'qa de; hJ tria;" th;n Kovrhn levgetai frourei'n pantacovqen, ejpeidh; kai; aujth; tripla'" ejn eJauth/' proesthvsato monavda", wJ" provsqen ei[pomen. Apasai toivnun uJpo; tw'n ajcravntwn

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    Coribantico, quando parla dei «giochi in armi dei Cureti»280: in 66 effetti si dice che essi circondino il Demiurgo del Tutto e danzino in cerchio intorno a lui, una volta che essi sono stati fatti apparire da Rea. Dunque è tra gli dèi intellettivi che il primissimo ordinamento Curetico ha avuto la sua sussistenza, mentre ad aver avuto la sua sussistenza in modo analogo ai Cureti di lassù 5 è l’ordinamento dei Coribanti che “procede innanzi a Core” e la custodisce da ogni lato, come afferma la teologia; ecco perché hanno avuto tale denominazione281; ma se si vuole parlare anche secondo l’abituale terminologia platonica, è poiché essi presiedono alla purezza e conservano l’ordinamento Corico incontami- 10 nato, immutabile nelle sue generazioni e stabile nelle sue processioni verso i cosmi, che sono stati chiamati “Coribanti”. Infatti il carattere korón [“puro”] in ogni ambito sta a significare la “purezza”, come afferma Socrate nel Cratilo282, dal momento che non si potrebbe dire che la nostra signora e padrona stessa, Core, abbia da altro il suo nome se non dalla sua purezza e dalla sua 15 vita incontaminata. È d’altra parte evidente che Core ha un rapporto specifico con questo ordinamento, in quanto essa produce una duplice triade guardiana, l’una congiuntamente al padre, l’altra essa stessa di per sé e da se stessa, imitando anche in tale modo la dea universale 20 generatrice di vita283; ed in effetti è quest’ultima che ha fatto sussistere i primissimi Cureti. Ad ogni livello l’ordinamento custode e incontaminato viene denominato dalla teologia greca in tal modo; ma in alto esso è più semplice e indiviso, mentre in basso, a livello degli sovrani, esso si manifesta accompagna- 25 to da divisione e varietà. Ecco perché necessitano della monade Atenaica284, ed in particolare quelli che vengono per terzi, dato che tale monade unifica la loro processione, sostiene il 67 loro movimento in armi ed in generale li converte verso i loro propri principi. Ed inoltre questo numero, il tre, si confà a queste potenze custodi in quanto perfetto e comprendente uniformemente principi, parti intermedie e termini degli esseri di livello 5 inferiore; infatti tutto ciò che custodisce da ogni parte si impegna a circondare ciò che è custodito e a salvaguardare nella loro immutabilità le sue essenze, le sue potenze e le sue attività. negli dèi intellettivi le tre monadi dei Cureti si sud- 10 dividono, come si è visto285, tra i tre padri; qui invece la triade viene detta custodire da ogni lato Core, dal momento che essa ha prestabilito in se stessa triplici monadi, come abbiamo detto in precedenza286. Pertanto tutte quante sono

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    qew'n a[treptoi frourou'ntai kai; mevnousai kai; proi>ou'sai. Kai; tiv ou{tw proshvkei tai'" gonivmoi" suntetavcqai dunavmesin wJ" to; frourhtiko;n tw'n qew'n gevno", i{na ta;" ejpi; paventa proovdou" aujtw'n ajnevcwsi kai; tou;" pollaplasiasmou;" tou;" ejn tai'" ajpogennhvsesi kai; ta;" kinhvsei" ajtrevptou" kai; ejn eJautai'" eJstwvsa" ajpofaivnwsi Kai; dia; tou'to pavnta me;n eJautw'n plhrou'sin oiJ qeoi; kai; pavnta gennw'si kai; oujdeno;" ajfesthvkasin, ou[te tw'n prwvtwn ou[te tw'n ejscavtwn: tw/' de; ejn eJautoi'" ei\nai pa'si pavreisi kai; eJautou;" peplhrwkovte" pavnta ta; deuvtera plhrou'si, kai; ou[te to; ajkline;" aujtw'n a[gonon e{sthken ou[te to; govnimon eijsdevcetaiv ti para; tw'n ceirovnwn, ajll h{ te govnimo" periousiva kai; hJ a[trepto" duvnami" oJmofuw'" ejn aujtoi'" sunevzeuktai. idV Tau'ta peri; th'" ajcravntou qeovthto" th'" toi'" hJgemonikoi'" qeoi'" uJpo; tou' Plavtwno" kai; tw'n par Ellhsi qeolovgwn suntattomevnh" eijrhvsqw suntovmw". Pavlin de; ajnalabovnte" koinh/' peri; th'" tavxew" o{lh" tw'n ajfomoiwtikw'n kaloumevnwn ajrcovntwn te kai; hJgemovnwn dievlqwmen oJpovsa oJ Parmenivdh" hJma'" ajnadidavskei peri; aujtw'n. Dei' gavr, w{sper kai; ejn toi'" e[mprosqen lovgoi", th;n dih/rhmevnhn a{pasan qewrivan eij" th;n koinh;n kai; mivan ajnafevrein tou' Parmenivdou mustagwgivan: ejkei' ga;r kai; tw'n qeivwn diakovsmwn th;n sunevceian kai; ta;" koina;" dunavmei" ejn tavxei paradedomevna" hJmi'n uJpo; tou' Plavtwno" euJrhvsomen. Th'" me;n toivnun dhmiourgikh'" tavxew" kai; tw'n tauvth/ suntetagmevnwn qew'n to; taujto;n kai; e{teron hJmi'n ajforivzei th;n ijdiovthta, kai; kata; tau'ta thvn te patrikh;n aijtivan kai; th;n govnimon tou' dhmiourgou' thvn te a[cranton aujtou' phgh;n kai; th;n diakritikh;n ejn aujtw/' duvnamin, kaq h}n diorivzei th;n eJautou' basileivan ajpo; th'" Kroniva", ejxhgouvmeqa dia; tw'n provteron eijrhmevnwn. Epei; de; hJ tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n diakovsmhsi" a{pasa th'" dhmiourgikh'" ejxhvrthtai monavdo" kai; peri; ejkeivnhn uJfevsthke kai;

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    custodite immutabili, sia nel loro permanere sia nel loro procedere, dagli dèi incontaminati. E che cosa conviene che sia coordinato alle potenze generative così come il genere custode degli dèi, affinché essi tengano sotto controllo le processioni di queste potenze in tutti gli esseri ed il loro moltiplicarsi nei loro atti di generazione, e facciano apparire immutabili e fissati in se stessi i loro movimenti? E per questo motivo che gli dèi ricolmano di se stessi tutti gli esseri, li generano tutti e non si separano da nessuno, né tra i primi né tra quelli che vengono per ultimi; d’altra parte per il fatto che gli dèi sono in se stessi, essi sono presenti in tutti gli esseri, e, essendosi ricolmati essi stessi, ricolmano a loro volta tutti gli esseri di livello inferiore, e così né il loro carattere immutabile rimane infecondo né il loro carattere fecondo lascia penetrare in essi qualcosa da parte degli esseri inferiori, ma la loro sovrabbondanza feconda e la loro potenza immutabile sono in essi congiunte in modo da costituire un’unica e medesima natura.

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    14 68 [Come Parmenide, subito dopo l’ordinamento demiurgico, ha sviluppato compiutamente il suo discorso sugli dèi sovrani, e sul fatto che è attraverso la somiglianza e la dissomiglianza che ha caratterizzato tutto il loro ordinamento] A proposito della divinità incontaminata che viene coordinata agli dèi sovrani da Platone e dai teologi dei Greci, tali sono le considerazioni che succintamente si devono fare. Poi, di nuovo riprendendo la questione in termini generali, a proposito dell’intero ordinamento degli dèi assimilatori denominati “reggitori e sovrani” dobbiamo passare in esame tutti gli insegnamenti che Parmenide ci fornisce riguardo ad essi. In effetti, come anche nei discorsi precedenti287, si deve riportare tutta quanta la teoria, presentata in modo frammentario, alla generale ed unica dottrina misterica del Parmenide; lì infatti scopriremo la continuità tra gli ordinamenti divini e le loro potenze comuni288, trasmesseci in bell’ordine da Platone. Ebbene, «l’identico ed il diverso»289 ci forniscono la definizione della proprietà specifica dell’ordinamento demiurgico e degli dèi ad esso coordinati, ed è in base a questi caratteri che noi abbiamo spiegato, attraverso ciò che si è detto in precedenza290, la causa paterna e la causa generativa del Demiurgo, la sua fonte incontaminata ed anche la potenza separatrice insita in esso, in

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    ejpevstraptai pro;" aujth;n kai; ajp aujth'" teleiou'tai, dei' dhvpou kai; ta; th'sde th'" tavxew" sunqhvmata pro;" ta; 25 dhmiourgika; to;n lovgon ajnafevrein kai; ajp ejkeivnwn aujtoi'" didovnai ejn mevtroi" proi>ou'san eu[takton ajpogevnnhsin. 69 Ou{tw ga;r a]n kai; to; sunece;" tw'n qeivwn genw'n pro;" a[llhla ma'llon gevnoito a]n katafane;" kai; hJ tw'n deutevrwn ajpo; tw'n presbutevrwn e[kfansi" di aujtw'n ejkeivnwn hJmi'n televw" gnwrivzoito. 5 Tivna dh; ou\n ejsti ta; th'" tavxew" tauvth" i[dia th'" uJp a[llwn hJgemonikh'" uJmnhmevnh", ajfomoiwtikh'" de; uJpo; tw'n lovgwn ajpodedeigmevnh" Pa'n dh; to; ajfomoiwtiko;n pavsh" me;n oJmoiovthto" ejndivdwsi metousivan toi'" ajpeikonizomevnoi" uJf eJautou' kai; th'" pro;" ta; paradeivgmata koinwniva", 10 oJmou' de; tw/' oJmoivw/ kai; to; ajnovmoion paravgei kai; summivgnusin, ejpeidh; tai'" eijkovsin ajmige;" to; th'" oJmoiovthto" gevno" tou' ejnantivou cwri;" ouj pevfuke parei'nai. Eij toivnun kai; h{de tw'n qew'n hJ tavxi" ajpeikavzei ta; aijsqhta; toi'" noeroi'" kai; pavnta ta; meq eJauth;n kata; th;n pro;" ta; 15 ai[tia paravgei mivmhsin, oJmoiovthto" dhvpou toi'" meq eJauthvn ejstin aijtiva prwtourgov": eij de; tauvth", kai; ajnomoiovthto" th'" th/' oJmoiovthti sustoivcou: pavnta ga;r ta; metevconta tou' oJmoivou, kai; tou' ajnomoivou metalagcavnein ajnavgkh. Kai; toi'" me;n prosecestevroi" tw'n ajpogen20 nwmevnwn meizovnw" to; o{moion tou' ajnomoivou divdwsi, toi'" de; porrwvteron proi>ou'si tw'n ajrcw'n kata; th;n ajnomoiovthta ma'llon h] th;n oJmoiovthta th;n oujsivan uJfivsthsin. Olw" ga;r hJ me;n oJmoiovth" ajnavlogon ejn aujth/' toi'" patrikoi'" aijtivoi" e{xei th;n uJpovstasin kai; toi'" ejpistre25 ptikoi'" pro;" ta;" ajrcav", hJ de; ajnomoiovth" toi'" gonivmoi" kai; plhvqou" kai; diairevsew" proi>stamevnoi": kai; ga;r ajnavlogon hJ me;n tw/' nohtw/' pevrati proelhvluqen, hJ de; th/'

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    base alla quale egli delimita il suo regno distinguendolo da quello Cronio. D’altra parte, dato che l’ordinamento degli dèi assimilatori dipende tutto quanto dalla monade demiurgica, è venuto a sussistere in relazione a quella, si è convertito verso di essa e da essa è reso perfetto, bisogna, a mio avviso, che il nostro discorso 25 riporti anche i segni distintivi di questo ordinamento a quelli demiurgici, e che a partire da questi segni distintivi esso attribuisca a tali dèi una generazione ben ordinata che proceda in modo regolare. In effetti in questo modo non solo diverrebbe più mani- 69 festo il carattere di continuità e connessione reciproca tra i generi divini, ma attraverso questi stessi segni distintivi diverrebbe per noi perfettamente noto il modo in cui le entità inferiori si manifestano a partire da quelle superiori. Quali sono dunque i caratteri specifici di questo ordinamento 5 che viene celebrato come “sovrano” da altri291, ma che dai ragionamenti è stato dimostrato essere “assimilatore”?292 Certamente tutto ciò che è assimilatore concede agli esseri che, a livello di immagini, sono da esso resi simili di partecipare di una somiglianza completa e di avere comunanza con i modelli originari; tuttavia, insieme al carattere del simile produce anche quello del dis- 10 simile e li mescola insieme, dal momento che nelle immagini il genere della somiglianza non può per natura essere presente senza mescolanza con quello ad esso opposto. Se dunque, questo ordinamento degli dèi rende simili, a livello di immagini, i sensibili agli intellettivi, ed al contempo produce tutti gli ordinamenti 15 che sono ad esso successivi secondo l’imitazione rispetto ai principi causali, , a mio giudizio, è causa originaria di somiglianza per gli ordinamenti che sono ad esso successivi; ma se questa somiglianza, esso è anche causa di dissomiglianza che è coordinata alla somiglianza; infatti tutti gli esseri che partecipano del carattere di “simile”, devono necessariamente trovarsi a partecipare del carattere di “dissimile”. E a quelli che fra i suoi prodotti generati gli sono più contigui dona li carattere di “simile” in misura maggiore rispetto a quello di “dis- 20 simile”, mentre nel caso di quegli esseri che procedono più lontano dai propri principi, esso fa sussistere la loro essenza più in base a dissomiglianza che in base a somiglianza. In effetti, in generale, la somiglianza avrà in questo ordinamento una sussistenza analoga ai principi causali paterni e a quelli che convertono verso i principi, mentre la dissomiglianza analoga ai generativi che sono preposti a molteplicità e divisione; ed infatti l’una è proceduta come analo-

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    ajpeiriva/. Dio; kai; sunagwgo;" me;n hJ oJmoiovth", diakritikh; de; tw'n proi>ovntwn hJ ajnomoiovth". 70 Epei; de; pa'n to; qei'on ajf eJautou' th'" ejnergeiva" a[rcetai, ka]n pro;" ta; deuvtera ejnergh/' kai; th'" oijkeiva" ijdiovthto" metadidw/' toi'" katadeestevroi", auJto; pro; tw'n a[llwn kat ejkeivnhn i{sthsi kai; ajforivzei, pavntw" dhvpou 5 kai; to; toi'" a[lloi" tou' oJmoivou kai; ajnomoivou corhgou'n th;n mevqexin, eJautw/' kai; pro;" eJauto; to; o{moion e{xei tou'to kai; to; ajnovmoion, kai; e[sti suvmmikton ajp ajmfoi'n, eij kai; wJdi; me;n ma'llon th;n oJmoiovthta probeblhmevnon, wJdi; de; th;n ajnomoiovthta. Sunhvnwtai ga;r ta; gennhtika; toi'" 10 patrikoi'" kai; ta; a[cranta toi'" ejpi; pa'n proi>evnai speuvdousi: kai; ãaiJÃ dittai; sustoicivai tw'n qeivwn genw'n ajllhvloi" sumplevkontai kai; met ajllhvlwn ejnergou'si kai; ejn ajllhvloi" uJfesthvkasi. To; a[ra hJgemoniko;n tw'n qew'n gevno" o{moiovn ejsti kai; ajnovmoion eJautw/' te kai; 15 toi'" a[lloi". All eJautw/' me;n o{moion kai; ajnovmoion uJpavrcon eJauto; kai; sunavptei tai'" ajrcai'" kai; diakrivnei, tou;" oijkeivou" o{rou" th'" proovdou fulavtton: toi'" de; a[lloi" o{moion kai; ajnovmoion, eij" auJto; kai; ta; a[lla ejpistrevfei kai; sunavgei kai; ajf eJautou' 20 dii?sthsi. Toiau'tai me;n ou\n aiJ tw'n qew'n touvtwn ijdiovthte". Oti de; ajpo; th'" dhmiourgikh'" monavdo" kai; tw'n ejkei' prou>parcovntwn sunqhmavtwn kai; tau'ta proveisin eij" thvnde th;n tavxin, iJkanw'" oJ Parmenivdh" hJmi'n ajpodeivknusi. To; ga;r 25 taujto;n to; dhmiourgiko;n kai; to; e{teron th'" ejntau'qa proevsthken oJmoiovthto" kai; ajnomoiovthto" ai[tion, wJ" aujtov" fhsin. Epeidh; dev, eij kai; tw'n merikw'n genw'n kai; meristw'" ejnergouvntwn h{de hJ tavxi" tw'n qew'n ajkrovth" 71 ejstivn, ajll oJlikh;n e[cei pro;" aujta; th;n uJperochvn, i{na kai; sunech;" h/\ toi'" oJlikoi'" diakovsmoi" tw'n qew'n, oujk ajpo; tw'n dih/rhmevnwn aijtiw'n hJ touvtwn provodo" diakekrimevnw" th;n ajpogevnnhsin e[lacen, ajll ajf o{lou tou' dhmiourgou' 5 proveisin eJkavteron tw'n oi|on ajntikeimevnwn. Kai; ga;r to; o{moion ejk tou' taujtou' kai; eJtevrou kai; to; ajnovmoion ajp ajmfoi'n th;n uJpovstasin devcetai, kai; ou{tw

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    ga al limite intelligibile, mentre l’altra come analoga all’illimitatezza. Ecco perché la somiglianza è riunitrice, mentre la dissomiglianza è separatrice degli esseri che procedono. D’altra parte, dato che tutta la realtà divina dà inizio alla pro- 70 pria attività a partire da se stessa, e, anche qualora agisca sugli esseri di natura inferiore e renda quelli di livello più basso partecipi del suo proprio carattere specifico, in base a questa attività si pone e si definisce al di sopra di tutte le altre realtà, fuor di ogni dubbio anche quella che garantisce a tutte le altre realtà la parte- 5 cipazione al “simile” ed al “dissimile” è rispetto a sé ed in relazione a se stessa che dovrà avere questo “simile” e questo “dissimile”, e risulta una mescolanza di entrambi, benché per un verso presenti in misura maggiore la somiglianza, mentre per un altro la dissomiglianza293. In effetti le entità generative risultano strettamente unite a quelle paterne e le entità 10 incontaminate a quelle che si sforzano di realizzare la loro processione sino a completarla; e le duplici serie coordinate dei generi divini sono intrecciate le une alle altre, agiscono le une insieme alle altre e sono venute a sussistere le une nelle altre. Di conseguenza il genere degli dèi sovrani è «simile e dissimile rispetto a se stesso ed agli altri». Ma essendo 15 di fatto «simile e dissimile a sé», si congiunge ai principi ed al contempo se ne separa, salvaguardando i limiti specifici della propria processione; mentre «simile e dissimile rispetto agli altri», converte gli altri verso se stesso, li riunisce insieme e li separa da se stesso294. 20 Tali dunque sono le proprietà specifiche di questi dèi. D’altra parte che è dalla monade demiurgica e dai segni distintivi lì preesistenti che questi caratteri295 procedono verso questo ordinamento , Parmenide ce lo dimostra a sufficienza. Infatti «l’identico ed il diverso» che appartengono all’ordinamento de- 25 miurgico sono prestabiliti come principio causale della somiglianza e della dissomiglianza di questo livello, come egli afferma296. Dal momento che poi questa classe di dèi, benché essa sia la sommità dei generi particolari e che operano in modo distinto, ha tut- 71 tavia una superiorità universale in rapporto ad essi, così da essere direttamente connessa agli ordinamenti universali degli dèi, non è a partire dai principi causali suddivisi che la processione di questi dèi ha avuto la sua generazione, bensì è a partire dal Demiurgo universale che ciascuno dei due generi, che sono per così dire 5 opposti, procede. Ed infatti il “simile” viene dall’“identico” e dal “diverso” ed il “dissimile” riceve la sua esistenza da entrambi, e

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    dh; metevcei th'" o{lh" tou' dhmiourgou' monavdo" eJkavteron: o} dh; th'" oJlikh'" ejstin uJpavrxew" gnwvrisma, to; kai; tw'n 10 oi|on merw'n tw'n diaferovntwn e{kaston eij" o{lon ajnafevresqai to; poiou'n. Genna/' d ou\n kai; hJ taujtovth" th;n oJmoiovthta kai; hJ eJterovth", ajll hJ me;n patrikw'", hJ de; ajcravntw", kai; hJ me;n gennhtikw'", hJ de; diakritikw'": kai; pavlin eJkatevra th;n 15 ajnomoiovthta uJfivsthsin oijkeivw" eJauth/'. Kai; ou{tw dh; ta; gevnh poikivlletai tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n, patrika; kai; gennhtika; kai; sunagwga; tw'n o{lwn uJfistavmena. Kata; ga;r ta;" prou>parcouvsa" aijtiva" diplasiazovmena th;n e[kfansin e[lacen, kai; hJ dhmiourgikh; dua;" eij" e{kaston 20 ejnergou'sa tw'n ejn aujth/' proesthkovtwn aijtivwn th;n ajf eJkavstou provodon eij" ta; deuvtera poiei': kai; ta; me;n o{la sumperavsmata duadikav, perilambavnetai de; uJpo; th'" dhmiourgikh'" tetravdo" ejn o{roi" toi'" protetagmevnoi", kai; th/' aJplovthti tw'n noerw'n genw'n to; plh'qo" sunelivssetai 25 tw'n ajfomoiwtikw'n proovdwn eij" e{nwsin. Kai; tw'n proi>ovntwn e{kaston th;n me;n uJperfua' kai; a[gnwston toi'" polloi'" e[cei provodon, th;n de; ejmfanh' kai; pa'si gnwvrimon. Levgw dev, oi|on to; o{moion ajpo; me;n th'" eJterovthto" uJfistavmenon dusepinovhton e[cei th;n ejkei'qen pavrodon, ajpo; 30 de; th'" taujtovthto" proi>o;n katafanh' to;n th'" aijtiva" 72 proi?statai lovgon: kata; ta; aujta; de; kai; hJ ajnomoiovth" th;n eJterovthta katavdhlon e[cei th'" oijkeiva" uJpavrxew" ajrchvn, th;n de; taujtovthta dusepivgnwston. Dio; dh; kai; oJ Parmenivdh" ajpo; tw'n toi'" polloi'" ajgnwvstwn, movnh/ de; 5 ejpisthvmh/ kai; nw/' katafanw'n ajrxavmeno" eij" ta; pa'sin gnwvrima kai; rJhta; katevlhxen: ejpei; kai; par aujtoi'" toi'" qeoi'" prohgei'tai tou' rJhtou' to; a[rrhton kai; tou' gnwstou' kata; th;n provodon oJ lanqavnwn kai; a[gnwsto" aujtw'n th'" uJpostavsew" trovpo".

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    così ciascuno dei due partecipa della monade demiurgica universale; e questo è il segno distintivo che consente di riconoscere la realtà universale, ovvero il fatto che anche ciascuna di queste, per 10 così dire, parti differenti si riferisce alla causa universale che la produce297. Allora, sia l’identità che la differenza generano la somiglianza, ma l’una in modo paterno, l’altra in modo incontaminato, e l’una in modo generativo, l’altra in modo separativo; e di nuovo ciascuna delle due fa sussistere in modo appropriato a se stessa la disso- 15 miglianza. E così i generi degli dèi assimilatori sono diversificati, in quanto vengono a sussistere come paterni, generatori e riunitori della totalità degli esseri. In effetti hanno fatto la loro apparizione essendo raddoppiati in base alle loro cause preesistenti, e la diade demiurgica, agendo in direzione di 20 ciascuno dei principi causali prestabiliti in essa, produce la processione che parte da ciascun principio causale verso gli esseri di livello inferiore; e da un lato i prodotti conclusivi nella loro totalità hanno carattere diadico, dall’altro essi sono compresi dalla tetrade demiurgica298 in limiti prestabiliti, e per mezzo della semplicità dei generi intellettivi la molteplicità delle processioni degli 25 dèi assimilatori viene riavvolta in un’unità. E ciascuno degli esseri che procedono ha una duplice processione, l’una sovrannaturale ed inconoscibile ai più, l’altra manifesta e nota a tutti. Intendo dire, per esempio: è difficile da comprendere che il “simile”, nella misura in cui viene a sussistere a partire dalla differenza, faccia da lì la sua comparsa; mentre, nella misura in cui procede a partire 30 dall’identità, esso presenta in modo manifesto il rapporto che esso 72 ha con la sua causa; allo stesso modo, d’altra parte, la dissomiglianza ha nella differenza un principio manifesto della propria realtà, mentre ha nell’identità un principio difficile da comprendere. Ecco perché Parmenide, dopo aver cominciato a partire dalle realtà inconoscibili ai più, e d’altra parte manifeste solamente per mezzo della scienza e dell’intelletto, ha finito passando alle 5 realtà note e dicibili per tutti; in effetti anche presso gli dèi stessi l’ineffabile precede il dicibile e la modalità nascosta ed inconoscibile della loro sussistenza precede ciò che è conoscibile nella loro processione.

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    TEOLOGIA PLATONICA

    ieV Tau'ta kai; ejk tou' Parmenivdou peri; tw'n qew'n touvtwn ei[comen levgein. Arch;n de; a[llhn qevmenoi peri; tw'n ejfexh'" diakovsmwn dievlqwmen. Tw'n toivnun ejn toi'" qeoi'" merikw'n diakovsmwn trich/' dih/rhmevnwn kata; to; pantele;" th'" 15 triavdo" mevtron, a[nwqen ajpo; tw'n prwtivstwn nohtw'n mevcri kai; tw'n ejscavtwn proelhluqo;" kai; ta; pavnta katametrou'n kai; ajforivzon, wJ" ta; lovgiav fhsi, th;n me;n prwvthn kai; ajnwtavtw tavxin e[lacon oiJ hJgemonikoi; qeoiv, prosech' meta; th;n noera;n diakovsmhsin poihsavmenoi th;n 20 provodon, kai; ajnavgonte" ta; deuvtera kai; sunavptonte" tw/' dhmiourgw/' tw'n o{lwn kai; pavnta ejkfaivnonte" ta; ajmevrista kai; hJnwmevna tw'n noerw'n ajgaqw'n toi'" deutevroi" kai; th;n oujsivan aujtw'n kai; th;n teleiovthta sunevconte" ejxh/rhmevnw": th;n de; ejscavthn diakovsmhsin kai; to; pevra" th'" 25 qeiva" proovdou sugkleivousin oi} to;n kovsmon to;n aijsqhto;n sumplhrou'nte" ejklhrwvsanto qeoiv, kata; mevrh dielovmenoi 73 to; pa'n kai; lhvxei" ejn aujtw/' kai; uJpodoca;" dialacovnte" aji>divou" kai; dia; touvtwn mivan kai; ajrivsthn tou' kovsmou politeivan sunufaivnonte": metaxu; de; touvtwn eijsiv, tw'n te ejgkosmivwn hJmw'n ajrcovntwn kai; swthvrwn kai; tw'n uJper5 kosmivwn hJgemovnwn, oiJ cwristh;n a{ma kai; ajcwvriston tavxin tw'n aijsqhtw'n klhvrwn prosthsavmenoi kai; kata; tauvthn ajforivzonte" th;n oijkeivan provodon, ejxh/rhmevnoi te a{ma tw'n ejn ãtw/'Ã panti; qew'n kai; suntetagmevnoi pro;" aujtouv", kai; th'" me;n ejxisazouvsh" toi'" dih/rhmevnoi" tou' kovsmou mevresi 10 lhvxew" uJperhplwmevnoi kai; pleivosin a[nwqen ejpibaivnonte" qew'n ejgkosmivwn ajriqmoi'", th'" de; ejpi; ãta;Ã pavnta kai; ta; o{la diateinouvsh" hJgemoniva" uJfeimevnhn poihsavmenoi th;n provodon. W" ga;r sullhvbdhn eijpei'n, mevsoi tw'n te uJperkosmivwn o[nte" kai; tw'n ejgkosmivwn qew'n ejpikoinwnou'15 siv pw" ajmfotevroi" kai; koinwnivan a[luton e[cousi pro;" ajmfotevrou" ejgkovsmioiv te a{ma kai; uJperkovsmioi kata; th;n tavxin eijsivn, a[nwqen me;n uJpo; tw'n ajrcikw'n hJgemovnwn 10

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    LIBRO VI, 15

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    15 [Qual è il genere ipercosmico-encosmico degli dèi, e come, attraverso il loro livello intermedio, preservano la continuità degli dèi che sono proceduti a partire dal Demiurgo]

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    Queste erano le considerazioni, ricavate anche dal Parmenide, che avevamo da proporre su questi dèi. Ora, fissando un altro punto di partenza, passiamo a trattare degli ordinamenti che seguono299. Dunque, tra gli ordinamenti particolari che sono suddivisi in tre sulla base della misura perfetta della triade, misura che 15 dall’alto, a partire dai primissimi intelligibili è proceduta fino a giungere ai livelli ultimi, «misurando tutte le cose» e determinandole, come dicono gli Oracoli300, gli dèi sovrani hanno avuto in sorte il primo e più alto livello, in quanto effettuano la loro processione immediatamente dopo l’ordinamento intellettivo, ed ele- 20 vano gli esseri di livello inferiore, li congiungono con il Demiurgo del Tutto, rivelano agli esseri inferiori quelli che tra i beni intellettivi sono indivisibili ed unificati e contengono in modo trascendente sia la loro essenza sia la loro perfezione301; invece a conchiudere l’ultimo ordinamento ed il livello inferiore della processione 25 divina sono quegli dèi che hanno avuto in sorte di andare a costituire il cosmo sensibile, essendosi suddivisi in parti il Tutto, distri- 73 buendosi, in esso, parti assegnate e ricettacoli eterni, e tessendo insieme per mezzo di questi elementi un’unica e ottima forma di governo del cosmo; infine in mezzo a questi ordinamenti, vale a dire tra gli dèi encosmici che governano su di noi e sono nostri protettori, e i sovrani ipercosmici, vi sono gli dèi che si sono messi 5 alla guida di un livello separabile ed al contempo non separabile dalle loro assegnazioni nell’ambito del sensibile, che definiscono in base a questo livello la propria specifica processione, trascendendo gli dèi presenti nel Tutto ed al contempo essendo rispetto ad essi coordinati, che sono superiori per semplicità alla parte 10 assegnata in sorte che corrisponde alle componenti suddivise del cosmo, che sormontano dall’alto moltissime serie di dèi encosmici, ma che, d’altro canto, rendono la propria processione inferiore alla sovranità che si estende a tutti gli esseri ed alla totalità delle cose. Infatti, per dirla in breve, essendo intermedi tra gli dèi ipercosmici e gli dèi encosmici, essi comunicano in certo modo con 15 entrambi questi ordinamenti e possiedono una comunione indissolubile con entrambi, e in base al loro ordinamento sono ad un tempo encosmici ed ipercosmici, essendo unificati dall’alto dagli

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    TEOLOGIA PLATONICA

    eJnizovmenoi, kavtwqen de; uJpo; tw'n nevwn, w{" fhsin oJ Tivmaio", qew'n eij" plh'qo" proagovmenoi. Toi'" me;n ga;r 20 ejpocou'ntai kai; ejp a[krwn aujtw'n i{druntai ajcravntw", tw'n de; ejxhvrthntai kai; peri; aujtou;" uJfesthvkasi: kai; tw'n me;n h{nwntai ma'llon, tw'n uJpodeestevrwn, tw'n de; plhquvontai ma'llon: kai; tw'n me;n ta;" monavda" o{la" diairou'sin eij" teleivou" ajriqmouv", tw'n de; ta; plhvqh kai; tou;" ajriqmou;" 25 eij" hJnwmevna pevrata sunavgousin, ejpistrevfonte" me;n tou;" ejgkosmivou" ejpi; ta;" ejxh/rhmevna" ajrcav", prokalouvmenoi de; tou;" uJpe;r to;n kovsmon qeou;" eij" th;n ajpogevnnhsin kai; th;n provnoian tw'n aijsqhtw'n kai; to; mevson ei\do" th'" ejpistasiva" ejn eJautoi'" ajtrevptw" diasw/vzonte". Pavnta ga;r ta; 30 gevnh tw'n qew'n aiJ mevsai sumplhrou'si sundevsei": ejpei; kajn 74 toi'" nohtoi'" th'" nohth'" kai; krufiva" diakosmhvsew" kai; th'" paradeigmatikh'" triavdo" kai; tou' pantelou'" plhvqou" metaxu; to; kevntron ejsti; to; nohtovn, wjdi'non me;n to; plh'qo" kai; ta; ãgevnh ta;Ã prwvtista, th/' de; eJnoeidei' tw'n 5 prwvtwn perioch/' kratouvmenon: pavlin ejn toi'" nohtoi'" kai; noeroi'" to; sunektiko;n gevno", ejk mevsou diatei'non ejpi; pavnta ta; a[kra, sunavptei kai; sundei' pavsa" aujtw'n ta;" oujsiva" kai; ta;" dunavmei" kai; ta;" pronoiva". Kata; ta; aujta; dh; ou\n kai; ejn toi'sde toi'" diakovsmoi", toi'" te ejxh/rhmevnoi" 10 tou' panto;" basileu'si kai; toi'" suntetagmevnoi" tw/' pantiv, oiJ ta;" ijdiovthta" ajmfotevrwn eJnoeidw'" ejn auJtoi'" proballovmenoi th;n pro;" ajllhvlou" parevcontai koinwnivan. Oqen dh; kai; to; diaporqmeutiko;n aujtoi'" proshvkei tw'n prwvtwn eij" ta; deuvtera kai; to; ejpistreptiko;n tw'n deutevrwn eij" ta; 15 prw'ta kai; to; sunektiko;n ajmfotevrwn th'" ajluvtou sumplokh'" kai; hJ froura; th'" o{lh" ejn tw/' kovsmw/ tavxew". Esti toivnun touvtwn tw'n qew'n to; a[trepton, to; ajklinev", to; eu[luton ejn tai'" pronoivai", to; ejnexousiavzein toi'" o{loi" kai; pollou;" a{ma klhvrou" qew'n meristou;" ejpitropeuvein 20 kai; polla;" aujtw'n proovdou" kai; diakosmhvsei" ajnevlkein eij" th;n uJperkovsmion teleiovthta. Dio; kai; ajpovluton to; gevno" tou'to tw'n qew'n ajnumnei'n eijwvqamen, wJ" pavsh" th'" kata; mevrh diairevsew" ajfeimevnon, kai; uJperouravnion, wJ"

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    LIBRO VI, 15

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    sovrani principiali, mentre dal basso sono fatti procedere nella molteplicità dagli «dèi giovani»302, come dice Timeo. In effetti sormontano gli uni e sono posti in modo incontaminato sopra 20 le loro sommità, mentre dipendono dagli altri e sono venuti a sussistere in relazione ad essi; e rispetto agli uni, cioè agli inferiori, sono più unificati, mentre sono più pluralizzati rispetto agli altri; e dividono le monadi universali degli uni in serie numeriche perfette, mentre riuniscono le molteplicità degli altri e le loro serie 25 numeriche in limiti unificati, in quanto fanno volgere gli dèi encosmici verso i principi trascendenti, mentre incitano gli dèi posti al di sopra del cosmo a generare e a prendersi provvidenzialmente cura degli esseri sensibili, e salvaguardano in modo immutabile in se stessi la forma intermedia del loro dominio. In effetti i legami intermedi completano tutti i generi degli dèi; infatti negli intelligi- 30 bili, in mezzo tra l’ordinamento intelligibile e celato e la triade 74 che ha carattere di modello, cioè la molteplicità compiutamente perfetta, v’è il centro intermedio intelligibile303, gravido da un lato della molteplicità e dei generi primissimi, dall’altro dominato dalle entità prime che lo comprendono uni-formemente; negli 5 intelligibili-intellettivi a loro volta il genere connettivo, che si estende dal punto intermedio verso tutte le estremità, congiunge e lega strettamente tutte le loro essenze, le loro potenze e le loro forme di cura provvidenziale304. Allo stesso modo dunque anche tra questi ordinamenti, vale a dire i re trascendenti il Tutto e quelli che sono coordinati al Tutto, quelli che presenta- 10 no in modo uni-forme in se stessi le proprietà specifiche di entrambi questi due livelli di dèi, procurano la comunione reciproca degli uni con gli altri. È proprio da qui che deriva la loro proprietà di trasportare i caratteri delle entità prime verso le seconde, quella di convertire le entità seconde verso le entità prime, quella di tenere insieme l’intreccio indissolubile delle une 15 con le altre, ed infine da lì deriva la loro azione di custodia dell’intero ordine presente nel cosmo. Pertanto a questi dèi appartiene il carattere dell’inflessibilità, quello dell’invariabilità, quello della scioltezza305 nell’esercitare le loro forme di cura provvidenziale, il fatto di avere il controllo sulla totalità delle cose e di dirigere al contempo molteplici raggruppamenti particolari di dèi ad essi assegnati in sorte e di far 20 volgere le loro molteplici processioni ed ordinamenti verso la perfezione ipercosmica. Ecco perché abbiamo l’abitudine di celebrare questo genere di dèi come “non-vincolato”306, in quanto è staccato da tutta la divisione in parti, come “sovraceleste”, in quanto

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    TEOLOGIA PLATONICA

    prosecw'" uJperidru'san eJauto; tw'n ejn oujranw/' qew'n, kai; a[cranton, wJ" mh; rJevpon eij" ta; ceivrona mhde; th;n ejxh/rhmevnhn uJperoch;n ejklu'on th/' peri; to;n kovsmon promhqeiva/, kai; ajnagwgovn, wJ" ajnatei'non tou;" ejgkosmivou" qeou;" 75 eij" th;n noera;n kai; nohth;n periwphvn, kai; tevleion, wJ" th'" teleiovthto" pa'sin ejpilavmpon ta; mevtra toi'" oujranivoi". Epeidh; toivnun sunech;" mevn ejstin hJ tavxi" au{th toi'" ajfomoiwtikoi'" hJgemovsi, protevtaktai de; tw'n ejgkosmivwn 5 qew'n, proshvkei dhvpou kai; th;n peri; aujth'" qeologivan ejxhrthmevnhn ajpofaivnein th'" peri; tw'n hJgemonikw'n qew'n didaskaliva" kai; ta;" ajrca;" oJmou' parecomevnhn toi'" peri; tw'n aijsqhtw'n dianohvmasin ajf eJauth'". O me;n toivnun nohto;" tw'n noerw'n pavntwn basileu;" kai; 10 ta;" prwtivsta" kai; metrouvsa" ta; o{la par eJautw/' profaivnwn aijtiva", kata; th;n ejn aujtw/' pantelh' triavda kai; ta; a[lla pavnta mevcri kai; tw'n ejscavtwn oJrivzei kai; ta;" ajf eJautou' proovdou" triplasiavzei tw'n qew'n, w{ste trei'" me;n ajpogenna'n diakovsmou", e{kaston de; aujtw'n eij" mivan 15 ajnafevrein monavda kai; nohth;n uJperochvn: dia; tou'to trei'" me;n uJpevsthse ta;" sunagwgou;" tw'n noerw'n pavntwn aijtiva", trei'" de; ta;" sunektikav", trei'" de; ta;" telesiourgouv", ejpi; pavnta to; triadiko;n ejkteivnwn fw'" kai; to; tevleion ejn tai'" proovdoi" ejpilavmpwn tw'n oijkeivwn gennhmavtwn, eij" 20 ajrca;" kai; mevsa kai; tevlh tw'n pavntwn diakrinomevnwn. O de; au\ dhmiourgov" te kai; pathvr, mimouvmeno" to;n eJautou' patevra kai; propavtora, pro;" o}n kai; th;n o{lhn ajnateivnei novhsin, tou'to w]n ejn toi'" noeroi'" o{per ejkei'no" ejn toi'" nohtoi'", kai; sumperaivnwn to; tw'n noerw'n patevrwn 25 gevno", w{sper au\ ejkei'no" sugkleivei to;n patriko;n tw'n nohtw'n buqovn, trei'" ajf eJautou' paravgei diakovsmou" qew'n, kai; w{sper aiJ oJlikai; provodoi triadikw'" ajp ejkeivnou dih/revqhsan, ou{tw" aiJ merikai; kata; th;n triavda teleiou'ntai dia; tou'ton. Kai; dia; tou'to trei'" me;n aiJ tavxei" aiJ ajp 76 ejkeivnou, proveisi de; eJkavsth kata; to; prosh'kon eJauth/' tevlo": kai; hJ me;n uJperkovsmiov" ejsti movnon, hJ de; ejgkovsmio", hJ de; ªkai;º mevsh pwv" ejstin ajmfoi'n. Kai; to; me;n triplou'n e[lacon prosecw'" ajpo; th'" patrikh'" aijtiva", to; 5 de; i[dion eJkavsth/ th'" uJpavrxew" ajpo; tw'n diwrismevnwn 25

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    si colloca immediatamente al di sopra degli dèi presenti nel cielo, come “incontaminato”, in quanto non si inclina verso gli esseri di 25 livello inferiore né fa venir meno la sua trascendente superiorità, pur prendendosi provvidenzialmente cura del cosmo, come “elevatore”, in quanto fa protendere in alto gli dèi encosmici verso la 75 specola intellettiva ed intelligibile, ed infine come “perfetto”, in quanto fa risplendere su tutte le entità celesti le misure della perfezione. Pertanto dal momento che questo ordinamento da un lato è in diretta continuità con i sovrani assimilatori, dall’altro è anteposto per ordinamento agli dèi encosmici, è opportuno, a mio giudizio, 5 mostrare che la dottrina teologica concernente tale ordinamento dipende dall’insegnamento riguardante gli dèi sovrani, e che esso al contempo garantisce, direttamente a partire da se stesso, i principi per le riflessioni sugli sensibili. Pertanto il re intelligibile di tutti gli intellettivi, che fa appari- 10 re presso di sé le cause primissime che danno misura alla totalità delle cose, in base alla triade compiutamente perfetta in lui insita, limita tutte le altre entità fino ad arrivare a quelle di ultimo livello ed al contempo triplica le processioni, da lui stesso derivanti, degli dèi, sicché egli genera tre ordinamenti e riporta, a loro volta, 15 ciascuno di essi ad un’unica monade e ad un’unica superiorità intelligibile; per questo motivo ha fatto sussistere tre cause riunitrici di tutti gli intellettivi, tre cause connettive, ed infine tre cause perfezionatrici307, estendendo su tutte le entità la luce triadica e facendo risplendere il carattere della perfezione nelle processioni di tutti i propri prodotti generati, distinti in principi, parti inter- 20 medie e parti finali di tutte le cose. A sua volta poi «il Demiurgo e padre»308, imitando suo padre ed il suo progenitore309, verso il quale fa tendere in alto tutta la sua intellezione, in quanto egli è tra gli intellettivi ciò che quello è tra gli intelligibili, e segna il termine del genere degli dèi intellettivi, così come quello a sua volta 25 conchiude «la profondità paterna»310 degli intelligibili, produce da se stesso tre ordinamenti di dèi, e come le processioni universali sono state suddivise da quello311 in modo triadico, allo stesso modo quelle particolari sono condotte alla perfezione in base alla triade ad opera sua. E per questo motivo tre sono gli ordinamenti che derivano da lui, mentre ciascuno, dal canto suo, procede in 76 base alla finalità che gli si addice; e l’uno è solamente ipercosmico, l’altro encosmico, l’altro ancora è in certo modo intermedio tra i due. Ed essi hanno avuto in sorte il carattere triplice immediatamente dalla causa paterna, mentre per ciascuno il carattere 5

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    TEOLOGIA PLATONICA

    ajrcw'n kai; th'" kata; mevtra proi>ouvsh" uJfevsew". Ou[te ga;r ijsovtimon e[cousi th;n uJpovstasin, w{sper aiJ maqhmatikai; monavde" ejpi; th'" triavdo", oujde; a[takton th;n th'" ajxiva" diaforavn, ajlla; tov te th'" uJfeimevnh" oujsiva" diavforon kai; to; tetagmevnon th'" ajpogennhvsew" ajpo; tw'n aijtivwn paradevcontai tw'n prwvtwn. Kai; ou{tw" oiJ me;n hJgemonikoi; th;n ajnwtavtw tavxin ejn aujtoi'" ejklhrwvsanto kai; th;n ejxh/rhmevnhn aijtivan tw'n proi>ovntwn: oiJ de; ajpovlutoi th;n deutevran, uJpotetagmevnoi me;n toi'" hJgemonikoi'", ejpocouvmenoi de; toi'" ejgkosmivoi": oiJ de; ejgkovsmioi th;n trivthn, ajnagovmenoi me;n dia; tw'n ajpoluvtwn, eJnizovmenoi de; uJpo; tw'n hJgemonikw'n pro;" tou;" noerou;" qeouv".

    ãiıVÃ All o{pw" me;n tw'n hJgemonikw'n metevcousi qew'n oi{ te ejn 20 tw/' kovsmw/ qeoi; kai; pavnta ta; ejgkovsmia gevnh, provteron ei[pomen. Tw'n de; ajpoluvtwn ajrcovntwn tou' panto;" e{kasta kata; to; prosh'kon eJautoi'" mevtron ajpolauvei th'" ejnergeiva", kai; mavlisq o{sa sunevpesqai duvnatai tai'" ajnagwgoi'" aujtw'n dunavmesi. Ditth;n ga;r kajn toi'" qeoi'" aujtoi'" 25 oJrw'men th;n ejnevrgeian, th;n me;n suntetagmevnhn toi'" 77 pronooumevnoi", th;n de; ejxh/rhmevnhn kai; cwristhvn. Kata; me;n ou\n th;n eJtevran podhgetou'si ta; aijsqhta; kai; ajnakuklou'si kai; pro;" eJautou;" ejpistrevfousi, kata; de; th;n eJtevran sunevpontai toi'" ajpoluvtoi" kai; met aujtw'n ejpi; th;n 5 nohth;n ajnavgontai fuvsin. Kai; dia; tou'to oJ Eleavth" xevno" ditta;" ejpoivei ta;" periovdou" kai; tou' kovsmou panto;" kai; tw'n ejn aujtw/' qew'n eJkavstou: kai; ga;r h{lion kai; e{kaston tw'n ejn oujranw/' kat ajmfotevra" ei\nai ta;" ajnakuklhvsei", th;n noera;n kai; th;n 10 ejgkovsmion, h[, eij bouvlei levgein, thvn te kinhtikh;n tw'n deutevrwn kai; th;n sunaniou'san toi'" ajpoluvtoi". Kai; mh;n

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    specifico della propria esistenza e dell’abbassamento graduale di livello proviene dai principi fra loro separati e distinti. Infatti tali ordinamenti non hanno una sussistenza di pari livello, come nel caso delle monadi intese in senso matematico presenti nel numero tre, né, d’altra parte, la loro differenza di livello è disordinata, ma essi ricevono dalle cause prime la diversità della loro essenza soggetta all’abbassamento di livello e l’ordine stabilito della loro generazione. E così gli sovrani hanno ricevuto in sorte tra questi dèi il livello più alto e la loro trascendente forma di causalità degli esseri che procedono ; dal canto loro gli non-vincolati hanno ricevuto in sorte il secondo livello, in quanto risultano sottomessi agli sovrani, mentre, a loro volta, stanno sopra gli encosmici; infine gli encosmici hanno ricevuto in sorte il terzo livello, in quanto da un lato sono elevati per il tramite degli non-vincolati, dall’altro sono unificati dagli dèi sovrani agli dèi intellettivi.

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    [Qual è la proprietà specifica degli dèi non-vincolati, in base alla quale essi sono caratterizzati; e come, in base a questa proprietà, ad un tempo trascendono l’universo e sono coordinati agli dèi encosmici] Ma in che modo gli dèi presenti nel cosmo ed al contempo 20 tutti i generi encosmici partecipino degli dèi sovrani, lo abbiamo detto in precedenza312. Dal canto suo, ciascuna delle entità nonvincolate che governano il Tutto, fruisce della modalità di agire in base al livello ad essa confacentesi, e specialmente tutte quelle entità che sono in grado di seguire le potenze elevatrici appartenenti agli dèi sovrani. In effetti anche tra gli dèi stessi vediamo che 25 la modalità di agire è duplice, l’una coordinata agli esseri soggetti 77 alla loro cura provvidenziale, l’altra trascendente e separata. Secondo una delle due modalità di agire guidano passo per passo gli esseri sensibili, li fanno ruotare indietro e li convertono verso se stessi, mentre in base all’altra essi seguono gli nonvincolati ed insieme ad essi si elevano verso la natura intelligibile. 5 E per questo motivo lo Straniero di Elea313 considerava due tipi di rotazioni cicliche: quella del cosmo intero e quella di ciascuno degli dèi presenti in esso: infatti il sole e ciascuno dei corpi celesti sono soggetti ad entrambi i movimenti ciclici di rotazione, quello intellettivo e quello encosmico, o, se 10 si vuole dire così, quello che muove gli esseri inferiori e quello che

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    kai; ta;" hJmetevra" yuca;" kai; pavnta ta; cwristh;n e[conta swmavtwn zwhvn, tote; me;n kat ejkeivnhn zh'n th;n ajnagwgo;n poreivan, tote; de; kata; tauvthn, kai; nu'n me;n ejk neovthto" 15 ejpi; gh'ra" oJdeuvein, ejpeidh; th'" me;n ajkmaiva" kai; ajcravntou zwh'" ajpevsthmen, eij" de; gh'n ferovmeqa kai; gevnesin, tote; de; ajnavpalin ajpo; ghvrw" ejpi; neovthta, diovti pro;" to; ajkmai'on kai; noero;n kai; ajfeimevnon ei\do" th'" ejnergeiva" periagovmeqa: dio; kai; to; swmatoeide;" hJmw'n ajfanivzetai kata; mikro;n 20 kai; o{son hJma'" ojpisqobarei'" ajpergavzetai kai; ajcwrivstou" ajpofaivnei tou' pantov", to; de; ajswvmaton kai; a[u>lon ajnalavmpei kai; plhrou'tai tw'n hJgemovnwn th'" toiauvth" zwh'" qew'n. Eij de; bouvlei, kai; ajpo; tw'n ejn Faivdrw/ gegrammevnwn to; 25 aujto; sullogizwvmeqa. Levgei toivnun kai; ejn ejkeivnoi" oJ Swkravth" televan ou\san th;n yuch;n kai; ejpterwmevnhn metewropolei'n te kai; to;n suvmpanta kovsmon diakosmei'n: kai; o{ti th/' hJmetevra/ yuch/' tou'tov pote kai; o{tan eij" to; ajkrovtaton ajfivkhtai th'" 30 eujdaivmono" zwh'" uJpavrcei, toi'" de; kreivttosin hJmw'n gevnesi 78 kai; aujtoi'" toi'" qeoi'" pollw/' meizovnw" pavresti: kai; ga;r tai'" hJmetevrai" yucai'" di ejkeivnou" hJ teu'xi" tou' toiouvtou tevlou" kai; th'" ajlhqinh'" tauvth" makariovthto". Povqen ou\n a[lloqen oi[ei kai; ejk poivwn aijtiw'n ejfhvkein 5 hJmi'n te kai; toi'" hJmw'n kreivttosin ejn tw/' kovsmw/ th;n eu[luton kai; ejnexousiavzousan toi'" o{loi" ejnevrgeian h] ejk tw'n ajpoluvtwn qew'n Ekasto" me;n ga;r tw'n ejgkosmivwn to;n eJautou' kateuquvnein e[lace klh'ron kai; th;n oijkeivan seiravn, h|" a[rcei kai; h}n peri; aujto;n uJpesthvsato kata; th;n 10 tou' patro;" bouvlhsin (kai; ga;r daimovnwn ajgevla" kai; yuca;" merika;" uJpevtaxen eJkavstoi" oJ dhmiourgov", wJ" oJ Tivmaio" levgei): to; de; eij" a{panta to;n kovsmon ejnergei'n uJperfuev" ejstin ajgaqo;n kai; th'" ejxh/rhmevnh" tw'n uJperouranivwn hJgemoniva" i[dion. Ap ejkeivnwn toivnun kai; toi'" 15 ejgkosmivoi" ejfhvkei qeoi'" kai; tai'" hJmetevrai" yucai'". H pw'" to; meriko;n eij" to; o{lon diateivnei th;n oijkeivan ejnevrgeian, pw'" de; th'" auJtou' dih/rhmevnh" ijdiovthto" ajposta;n ajllavttetai th;n zwhvn To; ga;r pro;" to; pa'n ejnergou'n th'" ejn mevrei katatetagmevnh" ejxivsthsin eJautov. Tou'to dh; ou\n

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    li fa ascendere insieme agli non-vincolati. Ed inoltre le nostre anime e tutti gli esseri che hanno una vita separabile dai corpi, ora vivono secondo questo percorso ascendente, ora invece secondo l’altro percorso, ed ora procedono dalla giovinezza verso la 15 vecchiaia, dal momento che ci siamo separati dalla vita piena di vigore ed incontaminata, lasciandoci così trasportare verso la terra e l’ambito della generazione, ora invece, all’inverso, dalla vecchiaia alla giovinezza, poiché ci lasciamo condurre verso la forma di attività piena di vigore, intellettiva e non condizionata; ecco perché la nostra natura corporea sparisce a poco a poco e 20 anche tutto ciò che con il suo peso ci sbilancia all’indietro e ci rende inseparabili dal Tutto, mentre la nostra natura incorporea ed immateriale risplende dall’alto e si ricolma degli dèi sovrani di questa forma di vita. Ma, se si vuole, anche da quanto è scritto nel Fedro deducia- 25 mo la stessa conclusione. Qui dunque Socrate afferma che l’anima, «essendo perfetta e alata, si leva in alto ed al contempo dà ordine a tutto il cosmo nel suo insieme»314; d’altra parte poiché questa condizione appartiene alla nostra anima, solo nel momento in cui essa sia pervenuta alla più alta sommità della vita felice, allora 30 è a maggior ragione presente in quei generi che sono a noi superiori e negli dèi stessi; ed infatti è in virtù degli dèi 78 che le nostre anime riescono a conseguire tale meta e questa autentica beatitudine. Dunque da quale altro ambito e da quali altre cause si può ritenere che pervenga a noi ed al contempo agli esseri che nel co- 5 smo sono a noi superiori l’attività che è lasciata libera ed ha il controllo sulla totalità dell’universo, se non da parte degli dèi nonvincolati? Infatti ciascuno degli dèi encosmici ha avuto di dirigere l’ambito che gli è stato assegnato e la propria serie che governa e che ha fatto sussistere in relazione a se stesso in base alla volontà del padre (infatti il Demiurgo ha subordinato a cia- 10 scuno schiere di demoni ed anime particolari, come afferma Timeo315); d’altra parte l’agire sul cosmo nella sua interezza è un bene sovrannaturale ed una specifica prerogativa della sovranità degli sovracelesti. Pertanto è da questi ultimi che perviene agli dèi encosmici ed alle nostre anime . Altrimenti in che modo ciò che è particolare può estendere la propria attività all’universo, e come, d’altra parte, abbandonando il suo carattere diviso, può modificare la sua vita? In effetti ciò che agisce in relazione al Tutto pone se stesso al di fuori della vita che è intrinsecamente segnata dalla particolarità. E

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    to; qei'on ajgaqo;n mhdamovqen fw'men ajllacovqen parei'nai toi'" ejgkosmivoi" h] ajpo; tw'n qew'n touvtwn, tw'n prosecw'" uJpe;r to;n kovsmon iJdrusamevnwn th;n eJautw'n basileivan. Wsper ou\n hJ di oJmoiovthto" provodo" toi'" pa'si kai; ãhJÃ kata; th;n oJmoivwsin th;n pro;" ta;" aijtiva" ejpistrofh; para; 25 tw'n hJgemovnwn tw'n ajfomoiwtikw'n ejndivdotai, kai; toi'" oujranivoi" qeoi'" kai; hJmi'n kai; toi'" metaxu; gevnesin, ou{tw dh; kai; to; ajfeimevnon ajpo; tw'n merikw'n kai; to; eu[luton kai; to; ejpi; polla; tai'" ejnergeivai" aujtexousivw" ferovmenon suvnqhma tw'n ajpoluvtwn ejsti;n hJgemovnwn. 79 Alla; tau'ta me;n peri; th'" ajp aujtw'n pronoiva" eij" a{panta kaqhkouvsh" kai; tw'n ajgaqw'n w|n dwrou'ntai toi'" uJfeimevnoi": to; de; i[dion th'" oujsiva" aujtw'n, kaq o} th;n tavxin tauvthn keklhvrwntai, prosqw'men toi'" proeirhmev5 noi". Tw'n me;n toivnun noerw'n qew'n nou'" a[u>lo" ejxhvrthtai kai; qei'o": e[sti de; toiou'to" oJ cwristo;" nou'" kai; o{lo", dio; kai; noeroi; prosagoreuvontai. Kata; me;n ga;r ta;" eJautw'n uJpavrxei" oujsiva" ejpevkeina kai; plhvqou" o[nte", kata; de; ta;" meqevxei" ta;" uJpodexamevna" aujtw'n th;n e[llamyin 10 th'" toiauvth" proovdou oJmoiwtikoi; kalouvmenoi. Kai; ga;r eij noera;" e[cousin uJpostavsei" kai; eij dunavmei" teleiva", ejpeidh; tw'n metecovntwn to; e[scaton nou'" ejsti kai; to; noero;n ijdivwma th;n o{lhn aujtw'n oujsivan ajforivzei, tauvthn e[lacon th;n ejpwnumivan. Tw'n de; ejgkosmivwn qew'n metevcei 15 me;n hJ noera; fuvsi" prwvtw", metevcei de; kai; a[cranto" yuchv, metevcei de; kai; tou' kovsmou meriv", meq h|" to; o{lon ajpotelou'si zw/'on noero;n kai; qei'on, kai; mevcri tw'n swmavtwn th;n eJautw'n ejllavmyante" ai[glhn kai; dovnte" kai; touvtoi" th'" eJautw'n ijdiovthto" i[cno". Anavgkh toivnun tou;" 20 mevsou" ajmfotevrwn diakovsmou" prosqhvkai" mevn tisi caivrein ma'llon tw'n noerw'n kai; tai'" eij" ta; metevconta proovdoi", eJnikwtevrou" de; kai; aJploustevrou" ei\nai tw'n ejgkosmivwn: aiJ ga;r uJfevsei" tw'n qeivwn oujsiw'n plhquvousi ta;" ejxhrthmevna" uJpodocav". Oujkou'n meta; th'" noera'" 25 ijdiovthto" th;n yucikh;n proseilhfovte" a]n ei\en duvnamin, 20

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    allora dobbiamo dire che questo bene divino non ha altra origine 20 per le entità encosmiche se non questi dèi che hanno posto il loro regno immediatamente al di sopra del cosmo. Come dunque la processione attraverso somiglianza e la conversione in base alla assimilazione alle cause sono donati dagli sovrani assimilato- 25 ri a tutti gli esseri, cioè agli dèi celesti, a noi e ai generi di livello intermedio, così il carattere di separatezza dagli esseri particolari, quello di “svincolatezza” e la tendenza spontanea ad occuparsi con le proprie attività di molteplici esseri è segno distintivo degli sovrani non-vincolati. Ma questo è quanto si poteva dire a proposito della cura prov- 79 videnziale che da questi dèi discende su tutti quanti gli esseri e a proposito dei beni che essi elargiscono agli esseri inferiori; ora invece dobbiamo aggiungere a quanto si è detto il carattere specifico della loro essenza, in base al quale essi hanno avuto in sorte questo livello. Ebbene, dagli dèi intellettivi dipende un intelletto 5 immateriale e divino; ora, ad essere tale è l’intelletto separato ed universale; perciò essi sono denominati “intellettivi”316. Infatti, in considerazione delle loro realtà, essi sono al di là dell’essenza e della molteplicità, mentre in considerazione delle entità che per partecipazione ricevono la loro illuminazione essi sono detti “assimilatori” di tale processione317. Ed infatti se possiedono sus- 10 sistenze intellettive e se possiedono potenze perfette, dal momento che, tra le entità che partecipano, l’ultima è un intelletto ed il carattere specifico intellettivo definisce tutta la loro essenza nella sua interezza, essi hanno avuto in sorte questa denominazione. D’altra parte, a partecipare degli dèi encosmici è a livello primario la natura dotata di intelletto, mentre poi ne partecipa un’ani- 15 ma incontaminata ed infine ne partecipa anche una parte del cosmo, insieme alla quale essi rendono l’universo un vivente intellettivo e divino, arrivando a far brillare il loro splendore anche sui corpi e dando anche a questi ultimi una traccia del loro proprio carattere specifico. Pertanto è necessario che gli ordinamenti intermedi tra questi due318 da un lato si compiacciano, più di 20 quelli intellettivi, di determinate aggiunte e delle processioni verso gli esseri che partecipano , e che, d’altra parte, siano più unificati e più semplici degli dèi encosmici: infatti gli abbassamenti di livello delle essenze divine moltiplicano i ricettacoli che da esse dipendono319. Quindi insieme al carattere intellettivo dovrebbero aver acquisito anche la poten- 25 za psichica320, in modo da possedere, per via della loro incorporeità, il carattere ipercosmico in forma pura, e, d’altra parte, in

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    i{na tw/' me;n ajswmavtw/ kaqarw'" to; uJperkovsmion e[cwsi, tw/' de; yucikw/' tw'n noerw'n pleonavzwsi. Kai; ga;r au\ kai; kaq eJtevran tw'n lovgwn oJdo;n ejn toi'" noeroi'" yuch'" ajnafaneivsh" kai; th'" mia'" phgh'" tw'n 80 o{lwn yucw'n kai; tw/' dhmiourgw/' ta; pavnta sunufistavsh", pw'" oujk ajnavgkh kai; th'" yucikh'" ijdiovthto" metevcein tou;" uJperkosmivou" Ouj ga;r ajmevsw" oiJ peri; to;n kovsmon dih/rhmevnoi th'" eJniaiva" plhrou'ntai yuch'", ajlla; dia; 5 mevswn a[llwn oJlikwtevrwn kai; ajnekfoithvtwn th'" monavdo" kai; aijwnivan ejcousw'n zwhvn. Ekei'qen toivnun kai; toi'" hJgemonikoi'" hJ th'" yuch'" parousiva kai; toi'" ajpoluvtoi", ajpo; tou' krath'ro" tw'n yucw'n. Epei; kai; oJ dhmiourgo;" Zeuv", w{" fhsin oJ ejn tw/' Filhvbw/ Swkravth", basi10 likh;n me;n e[cwn ejn auJtw/' yuchvn, basiliko;n de; nou'n kata; to;n th'" aijtiva" lovgon, kai; kaq o{lon eJauto;n ajpogennw'n tou;" ajrcikou;" tw'n uJperkosmivwn kai; tw'n ejgkosmivwn qeouv", pavntw" dhvpou kai; th'" noera'" aujtoi'" kai; th'" yucikh'" metadivdwsin ijdiovthto". 15 All oiJ me;n uJperkovsmioi prwvtw" ejkfanevnte" pleivono" metevcousi th'" noera'" oujsiva", dio; kai; to; yuciko;n ejn aujtoi'" krufivw" ejstivn, oiJ de; th;n mevshn klhrwsavmenoi tavxin profaivnousin h[dh th;n ijdiovthta th;n yucikhvn, meta; diakrivsew" pleivono" uJpostavnte", oiJ de; ejgkovsmioi kai; 20 pantelw'" aujth;n ejxevfhnan: ejpei; kai; oJ nou'" krufivw" me;n h\n ejn toi'" prwtivstoi" noeroi'", proefaivneto de; ejn toi'" mevsoi", ejn de; toi'" ejscavtoi" ejxevlamyen. Kai; oiJ me;n uJperkovsmioi televw" o[nte" ejpoceteuvontai me;n th;n th'" yuch'" duvnamin ajpo; tou' noerou' krath'ro" h] th'" basi25 likh'" ejn tw/' dhmiourgw/' yuch'", proesthvsanto de; a[llhn ejn eJautoi'" monavda tw'n merizomevnwn yucikw'n genw'n: oiJ de; ajpovlutoi kai; toi'" ejgkosmivoi" koinwnou'nte" h[dh th'" oujsiva" dicovqen e[cousi to; yucikovn, e[k te th'" phgh'" tw'n o{lwn yucwvsewn kai; th'" ajfomoiwtikh'" ajrch'": loipoi; de; 81 oiJ ejgkovsmioi pavntwn uJpodevcontai tw'n pro; aujtw'n ta;" ejllavmyei". Dio; kai; ejnexousiavzousi tw/' pantiv, mimouvmenoi tou;" ajpoluvtou": kai; toi'" ei[desi diakosmou'si ta; th/'de kai; toi'" noeroi'" paradeivgmasin ajfomoiou'si, mimouvmenoi tou;" 5 hJgemonikouv": kai; pa'san th;n ajcwvriston zwh;n ajporrevousi, th'" mia'" phgh'" tw'n yucw'n eijkovna prosthsavmenoi

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    modo tale da risultare, per via del loro carattere psichico, in numero superiore rispetto agli intellettivi321. Ed in effetti, secondo un’altra via di ragionamento, dato che l’anima si manifesta negli intellettivi e l’unica fonte322 della totali- 80 tà delle anime congiuntamente al Demiurgo ha fatto sussistere tutti gli esseri, come può non essere necessario che gli dèi ipercosmici partecipino anche della proprietà psichica?323 In effetti gli dèi che sono suddivisi nel cosmo non si ricolmano direttamente dell’anima unitaria, ma per l’intermediazione di altre anime più 5 universali, inseparabili dalla monade324 e che hanno una vita eterna. È dunque a partire da lì che sia negli sovrani sia in quelli non-vincolati è presente l’anima, cioè dal “cratere” delle anime325. In effetti lo Zeus Demiurgo, come afferma Socrate nel 10 Filebo, avendo in se stesso «un’anima regale ed un intelletto regale in virtù della potenza della causa»326, e generando in modo interamente conforme a se stesso gli dèi che comandano quelli ipercosmici e quelli encosmici, fuor di ogni dubbio li rende partecipi del carattere specifico intellettivo e di quello psichico. Ma gli dèi ipercosmici, che sono apparsi per primi, partecipa- 15 no in misura maggiore dell’essenza intellettiva, motivo per cui il carattere psichico è presente in essi in modo celato; invece gli dèi che hanno avuto in sorte il livello intermedio327, incominciano ormai a manifestare la proprietà psichica, dal momento che sono venuti a sussistere con un maggiore livello di distinzione; infine gli dèi encosmici hanno rivelato appieno tale carattere. In effetti l’in- 20 telletto, come si è visto328, è presente in modo celato nei primissimi intellettivi, incomincia a manifestarsi in quelli intermedi, ed infine negli ultimi ha preso a risplendere pienamente. E quegli dèi che sono in modo perfetto ipercosmici fanno scorrere su se stessi la potenza dell’anima a partire dal “cratere” intellettivo o dall’ani- 25 ma regale insita nel Demiurgo, e d’altra parte hanno prestabilito in se stessi un’altra monade a capo dei generi suddivisi delle anime; invece gli dèi non-vincolati e che ormai hanno in comune l’essenza con gli dèi encosmici, hanno il loro carattere psichico da due differenti origini, vale a dire dalla fonte delle animazioni universali e dal principio assimilatore; per ultimi infine gli dèi enco- 81 smici ricevono le illuminazioni da tutti gli dèi che li precedono. Ecco perché essi hanno il controllo sul Tutto, imitando in questo gli dèi non-vincolati; e per mezzo delle forme danno ordine alle cose di questo mondo e le rendono simili ai loro modelli intellettivi, imitando in questo gli sovrani; ed essi riversano tutta la 5 vita non-separata , avendo preposto a se stessi un’im-

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    kai; pro;" ejkeivnhn eJautou;" sunavptonte". Olw" de; tw'n genw'n pavntwn eij" th;n tw'n yucw'n ajpogevnnhsin ejn th/' phgh/' tw'n yucw'n uJpo; tou' dhmiourgou' 10 kerannumevnwn, aiJ diavforoi tavxei" tw'n yucw'n aiJ me;n a[llo provceiron e[cousin, aiJ de; a[llo: kai; tai'" me;n to; oujsiw'de" ejpikratei' tw'n loipw'n, tai'" de; hJ taujtovth", tai'" de; hJ eJterovth". AiJ de; toi'" ajfomoiwtikoi'" sumfuei'" kata; th;n oujsivan e[lacon th;n o{lhn uJpovstasin, dio; kai; th'" noera'" 15 uJpavrxew" ejgguv" eijsi kai; th;n nohth;n uJperoch;n kai; kruvfion ejn tw/' gevnei keklhvrwntai tw'n yucw'n: aiJ de; toi'" ajpoluvtoi" suntattovmenai kata; th;n taujtovthta carakthrivzousi th;n oijkeivan provodon, dio; kai; toi'" sundetikoi'" kai; sunagwgoi'" tw'n te uJperkosmivwn kai; tw'n ejgkosmivwn 20 sunupevsthsan: aiJ de; toi'" ejgkosmivoi" sundih/rhmevnai kata; th;n eJterovthta th;n eJautw'n oujsivan ajforivzousi, kai; dia; tou'to kai; oJ dhmiourgo;" ãth;nà tou' panto;" yuch;n uJfista;" th;n eJterovthta levgetai sunarmovttein toi'" a[lloi" biva/. Kai; dh; kai; oJ merismo;" ejpi; touvtwn kai; hJ di 25 aJrmoniva" e{nwsi" kai; hJ kata; crovnon ejnevrgeia, th'" eJterovthto" ejklamyavsh": a[nw de; oujsiva kai; taujtovth", par ai|" hJ aijwvnio" zwh; kai; hJ e{nwsi" tw'n dunavmewn. Tau'ta me;n ou\n peri; touvtwn. Sullogizwvmeqa de; ejk tw'n eijrhmevnwn o{ti tw'n ajpoluvtwn qew'n nou'" me;n ejxhvrthtai kai; 30 oujsiva kai; zwh; noerav, profaivnetai de; ejn aujtoi'" kai; hJ 82 yuch; kai; hJ fuvsi" tw'n uJperouranivwn yucw'n. Uperivdruntai ga;r tw'n oujranivwn qew'n, oi} kai; swvmasin ejpocou'ntai, kaqavper ou|toi tw'n uJpo; selhvnhn ejxh/vrhntai kai; th;n u{lhn ejpitropeuvein lacovntwn. Eij dev ejsti toiou'ton to; gevno" 5 aujtw'n, eijkovtw" dhvpou tw'n merikw'n ei\nai levgontai diakovsmwn, w{sper dh; kai; oiJ pro; aujtw'n. All ejkei'noi me;n oJlikwvteroi, diovti krufivw" h\n ejn aujtoi'" to; yuciko;n ijdivwma, profanevsteron de; ou|toi to; meriko;n ejn tai'" pronoivai" e[cousi, diovti kai; hJ yucikh; duvnami" ejnargevste10 rovn ejstin ejn touvtoi", wJ" oi{ ge ejgkovsmioi kai; merikw'n h[dh klhvrwn proevsthsan, th;n yucikh;n oujsivan televw" ejkfhvnante": ta; de; o{la kai; ajmevrista gevnh tw'n qew'n mevcri th'"

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    magine dell’unica fonte delle anime e congiungendosi ad essa. In generale poi, dato che tutti i generi destinati a produrre le anime sono mescolati dal Demiurgo nella fonte delle anime, i 10 diversi livelli delle anime presentano immediatamente, le une un determinato genere, le altre un altro; e nelle une a prevalere sugli altri è il genere riconducibile all’essenza, mentre nelle altre è l’identità, nelle altre ancora l’alterità329. Inoltre le anime che sono connaturali agli dèi assimilatori hanno ricevuto tutta intera la loro sussistenza in base all’essenza: ecco perché sono in prossimità 15 della realtà intellettiva, ed hanno avuto in sorte, all’interno del genere delle anime, la superiorità intelligibile e celata; mentre quelle che sono coordinate agli dèi non-vincolati caratterizzano la propria processione in base all’identità: ecco perché sono venute a sussistere insieme agli dèi che collegano e riuniscono insieme gli dèi ipercosmici e quelli encosmici; quelle altre anime ancora che 20 sono suddivise come gli dèi encosmici definiscono la propria essenza in base alla differenza, ed è per questo motivo che anche il Demiurgo, quando fa sussistere l’Anima del Tutto, si dice che «armonizza» l’alterità con gli altri generi «ricorrendo alla forza»330. Ed inoltre in questo livello di realtà la suddivisione, l’unificazione 25 tramite armonia e l’attività che si svolge nel tempo perché la differenza ha preso a risplendere; mentre in alto essenza ed identità, presso le quali si trova la vita eterna e l’unificazione delle potenze. Dunque, queste sono le considerazioni su tali argomenti. Ora, invece, dobbiamo dedurre da quanto si è detto che intelletto, essenza e vita intellettiva dipendono dagli dèi non-vin- 30 colati, ed inoltre che in essi si mostrano appieno sia l’anima sia la 82 natura delle anime sopracelesti. In effetti sono posti al di sopra degli dèi celesti che sormontano corpi331, allo stesso modo in cui questi trascendono gli dèi sublunari che hanno avuto in sorte il controllo sulla materia. Ma se tale è il genere di questi 5 dèi, è naturale, a mio giudizio, che essi siano detti appartenere agli ordinamenti particolari, come vale anche per gli dèi che li precedono332. Ma questi ultimi sono più universali, poiché in essi il carattere psichico si trova, come si è detto333, in forma celata, mentre questi altri334 manifestano in modo più evidente il carattere particolare nelle loro attività di cura provvidenziale, appunto perché in essi la potenza psichica è più evidente, come vale anche nel 10 caso degli dèi encosmici che sono stati assegnati e preposti ad ambiti ormai particolari, rivelando così in modo perfetto la loro essenza psichica; dal canto loro i generi universali e indivisibili

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    noera'" uJpostavsew" kata; th;n eJautou' fuvsin.

    ejxefavnhsan,

    nou'"

    ga;r

    ajmevristo"

    ãizVÃ Toiouvtwn toivnun tw'n ajpoluvtwn o[ntwn hJgemovnwn nohvswmen aujtw'n ta;" polueidei'" dunavmei" th/' tavxei tauvth/ proshkouvsa": kai; ta;" me;n diaporqmivou" kalevswmen, o{sai ta;" tw'n ajfomoiwtikw'n genw'n proovdou" ejkfaiv20 nousi toi'" deutevroi": ta;" de; ajnagwgouv", o{sai ta;" ejgkosmivou" diatavxei" ajnevlkousin eij" th;n cwristh;n ejnevrgeian: ta;" de; sundetikav", o{sai th;n koinwnivan tw'n a[krwn ejx i[sou prutaneuvousi: ta;" de; ajcravntou", o{sai th;n u{lhn a[rdhn ajfanivzousi kai; to; eu[luton ejpilavmpousi tai'" 25 tw'n deutevrwn pronoivai": ta;" de; telesiourgouv", o{sai th'" teleiovthtov" eijsi corhgoi; toi'" ejgkosmivoi": ta;" de; 83 gonivmou", o{sai plhquvousi ta;" proovdou" tw'n uJfeimevnwn. Kata; ga;r tauvta" kai; e[ti touvtwn pleivou" kai; tai'" hJmetevrai" nohvsesin ajperilhvptou" dunavmei" proesthvkasi tw'n ejn tw/' kovsmw/ qew'n kai; sumplhrou'si ta; mevsa tw'n te 5 ejxh/rhmevnwn kai; tw'n suntetagmevnwn tai'" tou' panto;" moivrai" qeivwn genw'n. Kai; mh;n kai; ta;" ejnergeiva" aujtw'n sumfwvnw" tai'" dunavmesin ajpodotevon, eujluvtou" kai; pantacou' fainomevna" kai; ajpokoptouvsa" pa'n to; e[nulon kai; swmatoeide;" kai; proballomevna" th;n a[cranton kai; 10 ajnafh' kai; ajswvmaton ijdevan kai; ejpistrefouvsa" pavnta ta; deuvtera pro;" eJautou;" kai; ajnateinouvsa" ejpi; to; noero;n fw'": e[ti de; pro;" touvtoi" ejkfainouvsa" ta;" ejxh/rhmevna" ajrca;" tou' pantov", kai; touvtwn kreivttou" ta;" ejpi; tou;" noerou;" qeou;" ajnelkouvsa", kai; touvtwn uJyhlotevra" ta;" 15 toi'" noeroi'" aujtoi'" sunaptomevna" kai; th;n ajcrwvmaton kai; ajschmavtiston kai; ajnafh' oujsivan ejpideiknuouvsa". Eti toivnun kat a[llon trovpon, ta;" me;n peri; tou;" deutevrou" qeou;" ejnergouvsa" kai; sunagwgou;" tw'n qeivwn eJnavdwn ejpi; th;n e{nwsin th;n pro; tou' kovsmou, ta;" de; 15

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    degli dèi si sono rivelati fino alla realtà intellettiva; infatti l’intelletto, in base alla sua propria natura, è indivisibile.

    [Quali sono le potenze comuni, quali le attività comuni degli dèi non-vincolati, le quali sono in accordo con quanto è stato tramandato sulla loro essenza]

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    Considerato che tale è la natura degli dèi sovrani non-vincolati, prendiamo in considerazione le multiformi potenze che si confanno a questo ordinamento ; e chiamiamo335 “intermediarie” tutte quelle che rivelano agli esseri di livello inferiore le 20 processioni dei generi assimilatori; “elevatrici” tutte quelle che fanno salire gli ordinamenti encosmici verso l’attività separata; “colleganti” tutte quelle che sono garanti della comunione, allo stesso livello, fra le componenti poste alle estremità; “incontaminate”, tutte quelle che fanno sparire completamente la materia e fanno risplendere il carattere svincolato sulle forme di provviden- 25 za esercitata sugli esseri di livello inferiore; “perfezionatrici” tutte quelle che sono dispensatrici di perfezione per gli dèi encosmici; infine “generative” tutte quelle che moltiplicano le processioni 83 degli esseri inferiori. In effetti è in base a queste potenze e ad altre ancora più numerose e non coglibili dalle nostre intellezioni che risultano posti alla testa degli dèi presenti nel cosmo e costituiscono i generi divini intermedi tra quelli trascendenti e 5 quelli che sono coordinati alle parti assegnate del Tutto. Ed inoltre si devono attribuire a questi dèi attività336 che siano in accordo con le loro potenze, vale a dire attività che sono svincolate, che si manifestano in ogni ambito, che recidono tutto ciò che è materiale e di livello corporeo, che presentano la Forma incontamina- 10 ta, senza contatto ed incorporea, che convertono tutti gli esseri secondi verso questi stessi dèi, che fanno tendere in alto verso la luce intellettiva; ed ancora oltre a ciò, attività che rivelano i principi trascendenti del Tutto; ed attività superiori a queste ultime, quelle che fanno salire verso gli dèi intellettivi; ed attività ancora più elevate di queste, quelle che congiungono agli dèi intellettivi 15 stessi e che manifestano l’essenza «priva di colore», «priva di figura» e «priva di contatto»337. poi ancora in un altro modo: le une sono quelle che agiscono sugli dèi di livello inferiore e riuniscono le enadi divine nell’unità che viene prima del cosmo, le altre invece sono quelle che

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    peri; tou;" nou'" tou;" ejgkosmivou" kai; ta;" nohvsei" aujtw'n ajpo; tw'n sustoivcwn nohtw'n ejpi; ta; prwvtista kai; ejxh/rhmevna tou' panto;" ajnateinouvsa", ta;" de; yucw'n ajnagwgou;" ejpi; th;n mivan aujtw'n phghvn, kai; ta;" me;n aujtw'n tw'n qeivwn yucw'n hJgoumevna", ta;" de; toi'" kreivttosin hJmw'n 25 gevnesin ejfestwvsa", ta;" de; kai; ta; plhvqh tw'n merikw'n sunelissouvsa" ejpi; th;n a[cranton zwhvn. Anwqen ga;r oi|on ajgelavrcai tine;" ejpibebhkovte" toi'" ejn tw/' kovsmw/ pa'si kai; oi|on daivmone" qeoiv, qew'n prosecw'" ejxavrconte", hJgou'ntai th'" ejpi; to; nohto;n poreiva" toi'" me;n a[llw", toi'" de; 30 a[llw", kata; th;n proshvkousan toi'" ajnagomevnoi" tavxin. Metevcei me;n ga;r e{kasta tw'n ajpoluvtwn, ajll hJ mevqexi" 84 diavforo", h] kata; to; qei'on kai; daimovnion kai; merikovn, h] kata; to; eJnoeide;" kai; noero;n kai; yucikovn. Apanta dev, wJ" eijpei'n, to; cwristo;n th'" zwh'" kai; to; eu[luton th'" ejnergeiva" kai; to; uJperfue;" th'" pronoiva" kai; to; koino;n 5 th'" ejpistasiva" ajpo; tauvth" e[lace th'" tavxew" tw'n qew'n. 20

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    ãihVÃ O me;n ou\n koino;" peri; tw'n ajpoluvtwn qew'n diorismo;" e[stw toiou'to". Epetai de; toi'" proeirhmevnoi" th;n tou' Plavtwno" qewrivan ejkfh'nai, prw'ton h}n ejn toi'" a[lloi" e[cei dialovgoi", e[peita h}n ejn tw/' Parmenivdh/ kai; peri; touvtwn e[stin ajneurei'n pantelh' didaskalivan. En Faivdrw/ toivnun ejnqousiavzwn oJ Swkravth" kai; ajnaplw'n to;n eJautou' nou'n eij" th;n o{lhn tw'n qeivwn diakovsmwn sunevceian, kai; ouj movnon ta;" ejgkosmivou" aujtw'n proovdou", ajlla; kai; ta;" peri; to;n kovsmon ajperihghvtou" kai; makariva" qeva" te kai; diexovdou" ejpopteuvwn, trich/' me;n diairei'tai pavsa" ta;" ejn tw/' kovsmw/ cwrista;" uJpostavsei" ajpo; tw'n dioikoumevnwn, kai; qeiva" me;n ta;" prwtivsta", daimoniva" de; ta;" mevsa" ajpokalei', ta;" de; ejscavta" ajpo; tw'n hJmetevrwn sumplhroi' yucw'n:

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    agiscono sugli intelletti encosmici e che fanno tendere le loro 20 intellezioni dagli intelligibili ad essi coordinati verso quelli primissimi e trascendenti il Tutto, le altre ancora infine sono quelle che elevano le anime verso la loro unica fonte, e tra queste le une sono alla guida delle anime divine, le altre risultano preposte ai generi 25 a noi superiori, le altre ancora fanno convergere anche la molteplicità delle anime particolari verso la vita incontaminata. Infatti dall’alto, per così dire come capi truppa, essendo posti al di sopra di tutti gli esseri presenti nel cosmo e per così dire come demoni dèi, comandando degli dèi in modo diretto, essi guidano il cammino verso l’intelligibile per gli uni in un modo, per gli altri in un altro, in base all’ordinamento confacen- 30 tesi a coloro che vengono elevati. In effetti ciascun essere partecipa degli non-vincolati, ma la partecipazione è differente, o 84 in base al carattere divino, a quello demonico o a quello particolare, oppure in base al carattere uni-forme, a quello intellettivo o a quello psichico. D’altra parte tutti quanti gli esseri hanno ricevuto in sorte da questo livello degli dèi , per così dire, il carattere separato della loro vita, quello svincolato della loro attività, quello sovrannaturale della loro cura provvidenziale e quello comune 5 del loro dominio.

    [Circa i dodici dèi sovrani nel “Fedro”, sul fatto che occupano un ordinamento non-vincolato] Tale dunque sia la definizione comune a proposito degli dèi non-vincolati. Dopo quanto si è detto in precedenza, si deve passare a rivelare la dottrina di Platone, in primo luogo quella che egli propone negli altri dialoghi, e successivamente è possibile riscontrare anche su queste tematiche l’insegnamento in forma compiuta e definitiva che egli ci impartisce nel Parmenide338. Nel Fedro, dunque, Socrate, «divinamente ispirato»339, dispiegando il suo intelletto in direzione della universale connessione che collega gli ordinamenti divini, e giungendo alla visione conclusiva non solo delle processioni degli dèi encosmici, ma anche degli indescrivibili e «beati spettacoli e percorsi»340 nel cosmo, divide in tre tutte le realtà sostanziali presenti nel cosmo, separate dagli esseri che esse governano, e chiama le primissime “divine”, quelle poste a livello intermedio “demoniche”, mentre quelle che vengono per ultime le fa consistere delle nostre anime; e fa

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    kai; ejxavptei ªme;nº ta;" me;n merista;" yuca;" tw'n daimovnwn (dio; kai; sunopadou;" aujta;" prosagoreuvei) kai; dia; mevswn tw'n daimovnwn ejpi; th;n qeivan hJgemonivan ajnateivnei, ta;" de; daimoniva" tavxei" tw'n qew'n tw'n ejgkosmivwn (touvtwn 25 gavr eijsin oiJ daivmone" ojpadoiv), tauvta" de; ta;" qeiva" o{la" 85 hJgemoniva" kai; ta;" daimoniva" ajgevla" kai; tou;" corou;" tw'n merikw'n yucw'n eij" th;n ajpovluton ajnapevmpei diakovsmhsin, kai; uJpo; tauvth" ajnagomevnhn th;n triadikh;n tw'n ejgkosmivwn stratia;n ejpiv te tou;" noerou;" qeou;" kai; tou;" 5 nohtou;" sunavptesqai tai'" prwtivstai" fhsi;n aijtivai". Tou;" toivnun ajpoluvtou" pavnta" qeou;" ajperivlhpton e[conta" plh'qo" kai; tai'" ajnqrwpivnai" ejpibolai'" ajnarivqmhton, ejntau'qa kata; to; th'" dwdekavdo" mevtron ajforivzei. Kaivtoi ge ou[te tw'n qeolovgwn o{soi ti peri; aujtw'n 10 gegravfasin oJrivsai deduvnhntai to;n o{lon aujtw'n ajriqmovn, w{sper to; ajrciko;n plh'qo" h] to; tw'n noerw'n qew'n h] to; tw'n nohtw'n: ajll o{ ge Plavtwn to;n duwdekavdo" ajriqmo;n proshvkein uJpevlabe toi'" ajpoluvtoi" qeoi'" wJ" pantelh' kai; ejk tw'n prwtivstwn ajriqmw'n ajpotelesqevnta kai; ejk tw'n 15 teleivwn sumplhrouvmenon, kai; pavsa" ta;" proovdou" aujtw'n ejn touvtw/ tw/' mevtrw/ perieivlhfen. Apanta ga;r aujtw'n ta; gevnh kai; ta;" ijdiovthta" ejpi; tauvthn ajnavgei th;n duwdekavda kai; ajforivzei kat aujthvn. Pavlin de; au\ th;n dwdekavda merivsa" ei[" te duvo monavda" 20 kai; mivan dekavda, pavnta me;n ejxavptei tw'n duvo monavdwn, eJkatevran de; touvtwn kata; th;n eJauth'" u{parxin ejnergou'san eij" th;n meq eJauth;n paradivdwsi: kai; th;n me;n eJtevran Divi>on ajpokalei', th;n de; loiph;n Estivan ejponomavzei. Mevmnhtai de; kai; a[llwn hJgemoniw'n merikwtevrwn kai; th;n eijrhmevnhn 25 dekavda sumplhrousw'n, oi|on Apovllwno", Areo", Afrodivth", to; me;n mantiko;n th'" zwh'" ei\do" ejxavptwn th'" Apollwniakh'" hJgemoniva", to; de; ejrwtiko;n th'" Afrodisiakh'", to; de; diairetiko;n th'" Arei>kh'". Kai; ga;r ta; gevnh 86 tw'n bivwn ejnteu'qen ta; oJlikwvtata kai; prwvtista, kaq a} kai; ta;" neotelei'" yucav" ãfhsiÃ, eijsoikizomevna" ejn tw/' kovsmw/ ta;" me;n a[llo, ta;" de; a[llo zwh'" ei\do" proi?stasqai. Kaiv moi dokei', kaqavper oJ Tivmaio" th;n diaivresin 5 tw'n yucw'n tote; me;n uJperkovsmion poiei'tai, tote; de; ejgkovsmion (kai; ga;r dianevmei yuca;" ijsarivqmou" toi'" a[stroi" kai; speivrei ta;" me;n eij" gh'n, ta;" de; eij" selhvnhn, ta;" de; eij" ta; a[lla o[rgana tou'

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    dipendere le anime particolari dai demoni (ecco perché denomina “accompagnatrici”341 queste anime) e per l’intermediazione dei demoni le fa tendere in alto verso la sovranità divina; gli ordinamenti demonici, dal canto loro, li fa dipendere dagli dèi encosmici (infatti i demoni sono i compagni di questi dèi); infine egli 25 riconduce queste sovranità divine universali, le schiere demoniche 85 e i cori delle anime particolari, all’ordinamento non-vincolato, e così l’armata triadica degli dèi encosmici, egli afferma, essendo elevata dall’ordinamento non-vincolato verso gli dèi intellettivi ed anche verso gli dèi intelligibili, si congiunge alle primissime cause. 5 Dunque tutti gli dèi non-vincolati, che pure hanno una molteplicità incoglibile ed innumerabile per le intuizioni umane, in questo dialogo li definisce sulla base della misura della dodecade342. E, comunque, neanche quei teologi che hanno scritto 10 qualcosa di significativo su di essi, sono stati capaci di definire il loro numero totale, come invece nel caso della molteplicità che ha ruolo di principio o di quella degli dèi intellettivi o di quella degli dèi intelligibili343; ma Platone, dal canto suo, ha ritenuto che il numero dodici si confacesse agli dèi non-vincolati in quanto compiutamente perfetto, formato dai primissimi numeri e costituito 15 da quelli perfetti344, ed ha compreso tutte le loro processioni345 in questa misura. In effetti fa risalire tutti quanti i generi di questi dèi e i loro caratteri specifici a questa dodecade e li delimita in base ad essa. Di nuovo346 poi, avendo a sua volta diviso la dodecade in due monadi ed una decade, fa dipendere tutto l’insieme dalle due mona- 20 di, ed inoltre insegna che ciascuna di queste due agisce conformemente alla propria forma di esistenza su quella che la segue; e l’una la chiama “di Zeus”, l’altra la denomina “Estia”347. Egli inoltre ha fatto menzione anche di altre sovranità più particolari e costituenti 25 la suddetta decade, per esempio di Apollo, di Ares e di Afrodite: e la vita di natura divinatoria la fa dipendere dalla sovranità di Apollo, quella di natura amorosa dalla sovranità di Afrodite, quella che ha la capacità di separare dalla sovranità di Ares. Ed infatti i generi più 86 universali e primissimi dei tipi di vita vengono da lì, generi in base ai quali, , le anime appena iniziate, quando si insediano nel cosmo, presentano le une una determinata forma di vita, le altre un’altra348. E a me sembra che, come Timeo opera la 5 divisione delle anime, in un primo tempo delle anime ipercosmiche, in un secondo di quelle encosmiche (ed infatti egli distribuisce «le anime in numero eguale agli astri», e «dissemina le une sulla terra, le altre sulla luna, le altre ancora sugli altri strumenti del tempo»349),

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    crovnou), kata; ta; aujta; dh; kai; oJ Swkravth" dittou;" aujtw'n protavttein a[rconta" kai; hJgemovna", prosecw'" me;n tou;" ejgkosmivou" qeouv", ajnwtevrw de; e[ti touvtwn tou;" ajpoluvtou". All ou\n, o{per ejlevgomen, oiJ dwvdeka qeoi; pa'n to; ejgkovsmion gevno", ei[te qei'on, ei[te daimovnion, ajnelivssousin 15 eij" th;n tw'n nohtw'n qevan kai; hJgou'ntai pa'sin eij" th;n fuvsin touvtwn kai; th;n cwristh;n aujtw'n teleiou'sin ejnevrgeian, kai; pavnta ta; gevnh ta; uJperouravnia perieilhvfasin ejn eJautoi'": w{ste ei[te patriko;n tw'n ajpoluvtwn ei[h gevno", ei[te zwogonikovn, ei[te a[cranton kai; frourhtikovn, ejn tw/'de tw/' 20 ajriqmw/' perilambavnesqai. Kai; ga;r to;n ajriqmo;n oujc oi|on ejn monavsi dwvdeka qewrhtevon (ouj ga;r toiou'to" ejpi; tw'n qew'n oJ ajriqmov"), ajll ejn ijdiovthti th'" uJpavrxew". W" ga;r hJ dua;" th'" gonivmou dunavmew" proevsthken ejn ejkeivnoi" kai; hJ tria;" th'" prwtivsth" teleiovthto", ou{tw dh; kai; hJ 25 duwdeka;" th'" pantelou'" ejsti proovdou suvmbolon. Epeidh; ga;r oi{de oiJ qeoi; kai; to; pevra" sugkleivousi tw'n ajfanw'n kai; ejxh/rhmevnwn tou' kovsmou dunavmewn kai; ejpibebhvkasi toi'" oujranivoi", kaq eJkavteron aujtoi'" hJ 87 duwdeka;" proshvkei, kai; wJ" to; pantele;" ejn th/' proovdw/ tw'n uJperkosmivwn sumperaivnousi kai; wJ" tw'n oujranivwn proesthkovsi qew'n. Kai; ga;r touvtoi" th;n eij" dwvdeka dianomh;n ajf eJautw'n parevcontai kai; frourou'sin aujtou;" 5 ejn tw/'de tw/' ajriqmw/' diaferovntw". 10

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    ãiqVÃ H me;n ou\n ajrcikh; duwdeka;" uJperkovsmio" h\n pantelw'", hJ de; oujraniva dh'lon wJ" ejgkovsmio" movnon: hJ de; tw'n ajpoluvtwn hJgemovnwn th;n koinwnivan sunevcei tw'n a[krwn kai; sundei' th;n meq eJauth;n th/' pro; auJth'". Kai; dia; tou'to telesiourgoi; mevn eijsin oiJ ajpovlutoi qeoi; tw'n ejgkosmivwn

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    allo stesso modo Socrate preponga ad esse due tipi di reggitori e di 10 sovrani, cioè da un lato direttamente gli dèi encosmici, dall’altro, ancora più in alto rispetto a questi, gli dèi non-vincolati. Ma dunque, come dicevamo350, i dodici dèi fanno volgere in alto tutto insieme il genere encosmico, sia che si tratti di quello divino, sia che si tratti di quello demonico, verso la visione degli 15 intelligibili, li guidano tutti verso la natura degli intelligibili, conducono alla perfezione la loro attività separata e comprendono in se stessi tutti i generi sovracelesti; sicché il genere degli dèi non vincolati, che sia paterno, che sia generatore di vita, o che sia incontaminato e custode, è comunque compreso in questo numero. 20 Ed in effetti si deve considerare il numero non come suddiviso in dodici monadi (infatti nel caso degli dèi il numero non è di tale sorta), ma consistente in uno specifico carattere dell’esistenza351. Come infatti la diade, al livello degli dèi, è preposta alla potenza generativa, e la triade alla primissima perfezione, allo stesso modo la dodecade è simbolo della processione compiutamente perfetta. 25 In effetti, dal momento che questi dèi conchiudono il limite inferiore delle potenze invisibili e trascendenti rispetto al cosmo, ed al contempo risultano posti sopra gli dèi celesti, in base ad entrambi questi aspetti ad essi si confà la dodecade, sia in considerazio- 87 ne del fatto che essi portano a compimento il carattere compiutamente perfetto insito nella processione degli dèi ipercosmici, sia in considerazione del fatto che risultano preposti agli dèi celesti. Ed infatti a questi ultimi essi forniscono, a partire da se stessi, la ripartizione in dodici e li custodiscono in questo numero in modo 5 specifico.

    [Più numerose e più chiare dimostrazioni del fatto che sia il grande Zeus sovrano sia tutta la dodecade degli dèi sovrani sono non-vincolati] Dunque la dodecade principiale352 è, come si è visto, in modo compiutamente perfetto ipercosmica, mentre la dodecade celeste353 è chiaro che è solo encosmica; dal canto suo la dodecade dei sovrani non-vincolati garantisce la comunione tra le dodecadi estreme e collega quella che la segue a quella che la precede. E questo è il motivo per cui gli dèi non-vincolati sono perfezionatori ed elevatori degli dèi encosmici, mentre a loro volta dipendono direttamente dagli dèi principiali e sono stati prodotti da questi

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    kai; ajnagwgoiv, prosecw'" de; aujtoi; tw'n ajrcikw'n ejxhvrthntai kai; par ejkeivnwn probevblhntai, kai; prutaneuvousi th;n ajdiavluton ajmfoi'n sumplokhvn. Ina de; mh; ta;" 15 hJmetevra" ejpinoiva" ajnagravfwmen, ajlla; th;n tou' Plavtwno" qewrivan toi'" filoqeavmosi th'" ajlhqeiva" kata; duvnamin ejkfhvnwmen, skeywvmeqa kaq hJma'" aujtou;" pou' corou' taktevon tou;" hJgemovna" touvtou", ou}" oJ ejn Faivdrw/ Swkravth" ajnumnei', kai; to;n mevgan aujtw'n 20 a[rconta kai; pthno;n a{rma ejlauvnonta tivsi proshvkei sunariqmei'n kai; poivoi" diakovsmoi" qew'n suntavttein. Anavgkh ga;r h] noera;n aujtw/' didovnai tavxin h] ajfomoiwtikh;n h] ajpovluton h] ejgkovsmion: au|tai gavr eijsin aiJ th;n provodon e[cousai tou' megavlou Dio;" uJpobavsei". 25 All eij me;n ou|tov" ejstin oJ noero;" Zeuv", o}n dhmiourgo;n ejlevgomen tou' pantov", kai; to;n Plavtwna mavrtura poiouv88 menoi tw'n lovgwn, pw'" th'" eijrhmevnh" hJgei'tai duwdekavdo" Pw'" de; ajntidih/vrhtai pro;" th;n th'" Estiva" hJgemonivan H ga;r dhmiourgikh; mona;" sugkleivei me;n to; noero;n plavto", aJpavntwn de; tw'n a[llwn ajriqmw'n ejxh/vrhtai, kai; 5 pavsa" perievcei ta;" proovdou" tw'n qew'n kai; ajsuvntaktov" ejsti pro;" pavsa". Qevmi" ga;r ou[te h\n ou[te e[sti ta; aijtiata; th;n ajntidih/rhmevnhn e[cein toi'" eJautw'n aijtivoi" uJpovstasin. Ouj toivnun dwvdeka tw'n o{lwn hJgemovna" e[dei poiei'n, ajll e{na to;n tw'n aijtivwn a[riston, w{" fhsin 10 oJ Tivmaio". Kai; mh;n kai; oJ me;n dhmiourgiko;" Zeu;" ejxh/vrhtai tou' pantov", wJ" a]n aujto;" uJpostavth" w]n th'" fainomevnh" diakosmhvsew", oJ de; tw'n dwvdeka prwvtisto" ejn oujranw/' to; pthno;n a{rma ejlauvnein uJpo; tou' Swkravtou" levgetai. Pw'" ou\n to; tw/' kovsmw/ sumplekovme15 non kai; toi'" ejn oujranw/' suneggivzon qeoi'" eij" taujto;n a[xomen tw/' pavntwn ejxh/rhmevnw/ kai; ejn tw/' auJtou' mevnonti kata; trovpon h[qei, w{" fhsin oJ Tivmaio" “Eti toivnun oJ me;n Zeu;" ou|to" to;n filovsofon bivon proesthvsato, kai; tou'ton aiJ yucai; diazw'sai to;n bivon 20 Divi>oi kalou'ntai, mantiko;n de; a[llo" qeov", kai; ejrwtikovn, kai; poihtikovn: oJ de; tw'n o{lwn dhmiourgo;" aJpavntwn e[cei ta; paradeivgmata tw'n bivwn ejn eJautw/', kai; w{sper th;n oujsivan tw'n yucw'n, ou{tw dh; kai; ta;" diafovrou" aujtw'n th'" zwh'" ejxallaga;" aJpavsa" eJnoeidw'" perieivlhfen. Oujk a[ra 25 memerismevnw" ai[tiov" ejsti tw'n ejn aujtai'" bivwn, ajlla;

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    ultimi e procurano l’indissolubile intreccio fra le due dodecadi. D’altra parte, per non riportare quelle che sono solo le nostre 15 intuizioni, ma per rivelare, nella misura del possibile, la dottrina di Platone agli «amanti dello spettacolo della verità»354, dobbiamo prendere in esame da noi stessi dove, nel coro , si devono porre per ordinamento questi dèi sovrani che Socrate celebra nel Fedro, con quali dèi conviene enumerare il grande reg- 20 gitore «che conduce il carro alato»355, e a quali ordinamenti di dèi conviene coordinarlo. In effetti gli si deve necessariamente attribuire o un ordinamento intellettivo, o assimilatore, o non-vincolato, o encosmico; questi infatti sono gli abbassamenti di livello cui è soggetta la processione del grande Zeus. Ma se questo è lo Zeus intellettivo, che dicevamo “Demiurgo” 25 del Tutto356, e se si assume Platone come testimone di questi ra- 88 gionamenti, come è possibile che guidi la dodecade di cui si è detto? E come può risultare contraddistinto all’interno del medesimo livello rispetto alla sovranità di Estia? In effetti la monade demiurgica conchiude l’ambito intellettivo, ma trascende tutte le altre serie , comprende tutte le processio- 5 ni degli dèi e non è coordinata a nessuna. Infatti «non era né è lecito»357 che i causati abbiano la loro sussistenza contraddistinta all’interno del medesimo livello rispetto ai loro principi causali358. Pertanto non si devono presumere, come si è mostrato, dodici sovrani della totalità dell’universo, bensì uno solo, «il migliore dei 10 principi causali», come dice Timeo359. E certamente lo Zeus Demiurgo trascende il Tutto, così da essere lui stesso origine del sussistere dell’ordinamento visibile360, mentre lo Zeus che è primissimo tra i dodici dèi è detto da Socrate «condurre nel cielo il 15 carro alato»361. Come dunque potremo identificare ciò che è intrecciato al cosmo e che è congiunto con gli dèi presenti in cielo a ciò che trascende tutti gli esseri e che «permane nella condizione che gli è abituale», come dice Timeo?362 Ancora poi, questo Zeus ha posto innanzi agli altri il genere di vita filosofico, e le anime che 20 conducono questo tipo di vita sono denominate “di Zeus”, mentre un altro è il dio che ha posto davanti agli altri il genere di vita divinatorio, amoroso e poetico363; invece il Demiurgo della totalità dell’universo possiede in se stesso i modelli di tutti quanti i generi di vita, e come risulta comprendere l’essenza delle anime, allo stesso modo egli comprende in modo uniforme anche tutte quante le diverse variazioni della vita delle anime. Di conseguenza non è in modo diviso e separato principio 25 causale dei generi di vita presenti nelle anime, ma ha predisposto

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    pavsa" me;n ta;" periovdou" aujtw'n, pa'san de; th;n poikilivan th'" zwh'", pavnta de; ta; mevtra tw'n bivwn kata; mivan aijtivan dhmiourgikh;n proesthvsato. Kai; w{sper ouj tw'nde me;n 89 ai[tiov" ejstin oJ ejgkovsmio" Hlio", tw'nde de; oJ dhmiourgikov", ajlla; kai; w|n aujto;" uJpostavth", meizovnw" ejkei'no" dhmiourgov" ejsti kai; proaivtio", ou{tw dh; kajn toi'" bivoi" tw'n yucw'n ouj crh; dih/rhmevnw" ejp ejkei'non th;n aijtivan 5 ajnafevrein. Amevristo" ga;r aijtiva kai; koinh; pavntwn kai; miva proevsthken hJ dhmiourgikh; monav", aiJ de; kata; tou;" bivou" diairevsei" kai; ta; diavfora tw'n ejgkosmivwn paradeivgmata toi'" met aujto;n proshvkousi qeoi'". Eij de; tauvth" me;n hJma'" th'" uJpoqevsew" ajfivstasqaiv ti" 10 ajxiwvseien, ejgkovsmion de; to;n Diva tou'ton kai; tou;" a[llou" hJgemovna" levgein, pou' tou;" eJpomevnou" aujtw/' qeou;" taktevon Tw/' de; e{pesqaiv fhsi stratia;n qew'n kai; daimovnwn kata; ta; e{ndeka mevrh kekosmhmevnhn. Eijsi; me;n ga;r kai; ejn tw/' panti; perilhptikwvte15 rai qew'n tavxei" kai; merikwvterai, kai; aiJ me;n hJgoumevnwn, aiJ de; eJpomevnwn e[cousi lovgon: ajlla; to; mevgeqo" th'" hJgemoniva" to; uJpo; tou' Swkravtou" ajnumnouvmenon ouj th;n suntetagmevnhn hJmi'n dhloi' tw'n ejgkosmivwn uJperochvn, ajlla; th;n ejxh/rhmevnhn. En ga;r ajswmavtoi" oujsivai" to; 20 mevga toiauvthn ijdiovthta parevcetai touvtoi" oi|" a]n parh/': kai; w{sper oJ Erw" oujc aJplw'" daivmwn uJpo; th'" Diotivma" kalouvmeno", ajlla; daivmwn mevga", aJpavntwn uJperhplwmevno" tw'n daimovnwn ajpodeivknutai kai; qeo;" w[n, ajll oujk ejn tw/' gevnei tw'n daimovnwn tetagmevno", ou{tw dh; 25 kai; oJ Zeu;" mevga" hJgemw;n ajneufhmouvmeno", oujc wJ" ejgkovsmio" ejgkosmivwn hJgouvmeno", ajll wJ" ejkbebhkw;" ajp aujtw'n kai; uJperanevcwn th'" ejgkosmivou tavxew" tauvthn e[lace th;n ejpwnumivan. Eij de; oJ Zeu;" tw'n ejn tw/' kovsmw/ qew'n 90 ejxh/vrhtai, kai; tou;" a[llou" hJgemovna" ajnavgkh prohgoumevnhn e[cein th;n oujsivan tw'n eJpomevnwn tw/' Diiv: pavnte" ga;r hJgemonikh;n ajxivan eijlhvcasin. Eij de; oiJ me;n ejgkovsmioi tacqei'en, oJ de; Zeu;" movno" ejpevkeina touvtwn hJgoi'to, pavlin 5 ajpo; th'" duwdekavdo" ejpi; th;n Dii?an monavda th;n o{lhn hJgemonivan metafevromen: dei' de; kai; pa'si to; hJgemoniko;n ajponevmein kravto" kai; tw/' Dii; to; prwtei'on ejn aujtoi'" fulavttein. Leivpetai toivnun h] tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n

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    in base ad un’unica causalità demiurgica tutti i loro periodi, tutta la varietà dell’esistenza e tutte le misure dei generi di vita. E come degli esseri di questo nostro mondo non è principio causale il Sole encosmico, ma di questi è causa il Sole demiurgico, e tuttavia 89 anche di quegli esseri di cui il Sole demiurgico è origine, a maggior ragione quell’altro Zeus è Demiurgo e pre-causa, allo stesso modo anche nei generi di vita delle anime non si deve far risalire, in modo diviso, la causa a quest’ultimo. Infatti la monade demiurgica è preposta come causa indivisibile, comune ed unica per tutti 5 gli esseri, mentre le divisioni secondo i generi di vita e i differenti modelli degli esseri encosmici spettano agli dèi che vengono dopo il Demiurgo. Ma se qualcuno ritenesse che noi dobbiamo abbandonare questa ipotesi, e dire invece che questo Zeus è encosmico e con lui gli 10 altri sovrani, dove si devono porre per ordinamento gli dèi che lo seguono? «Lo segue», egli afferma, «un’armata di dèi e di demoni, ordinata in undici schiere»364. In effetti nel Tutto vi sono ordinamenti di dèi più comprensivi ed più particolari, e gli 15 uni hanno il ruolo di coloro che guidano, gli altri invece di coloro che seguono; ma la grandezza della sovranità , che viene celebrata da Socrate, non ci mostra la superiorità degli dèi encosmici che risulta ad essi coordinata, bensì quella che è trascendente. In effetti, nell’ambito delle essenze incorporee, il carattere del 20 “grande” conferisce tale carattere specifico a quegli esseri nei quali si trovi presente; e come, quando Eros viene chiamato da Diotima non puramente e semplicemente “demone”, bensì «gran demone»365, viene con ciò messo in luce che egli è superiore per semplicità rispetto a tutti quanti i demoni e che è un dio, ma non che è posto per ordinamento nel genere dei demoni, allo stesso 25 modo anche Zeus, quando viene proclamato «grande sovrano»366, non ha avuto in sorte questa denominazione in quanto guida encosmica di encosmici, bensì in quanto è ulteriore rispetto ad essi e si leva al di sopra dell’ordinamento encosmico. Ma se 90 Zeus trascende gli dèi presenti nel cosmo, gli altri sovrani devono necessariamente avere un’essenza superiore rispetto a dèi al seguito di Zeus; infatti hanno tutti avuto in sorte la dignità di sovrani. Ma se gli uni venissero posti per ordinamento come encosmici, e Zeus solo, al di là di questi ultimi, comandasse, di nuovo trasferiremmo dalla dodecade alla monade 5 di Zeus tutta la sovranità nella sua interezza; bisogna però assegnare a tutti il potere sovrano e riservare a Zeus la preminenza tra di essi. Pertanto delle due l’una: o tale sovranità propria degli dèi

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    ei\nai th;n toiauvthn tw'n qew'n hJgemonivan h] tw'n ajpovluton lacovntwn ejxousivan ejn tw/' pantiv, kaqavper hJmei'" ejlevgomen. All eij tw'n ajfomoiwtikw'n aujto;n qhsovmeqa diakovsmwn, triavdo" hJghvsetai dhmiourgikh'", ajll ouj th'" nu'n uJmnoumevnh" duwdekavdo". Esti dh; kai; ejn ejkeivnoi" Zeuv", o}n ejdeivknumen e[mprosqen, oJ tw'n Kronidw'n prwvtisto": ajll 15 ejkei'no" mevn, eij" triva tw'n o{lwn dih/rhmevnwn – dieivlonto gavr, w{" fhsin oJ ejn Gorgiva/ Swkravth", th;n o{lhn tou' Krovnou basileivan, kai; oJ mevn ejsti prwvtwn, oJ de; mevswn, oJ de; ejscavtwn uJpostavth" trich/' d ou\n th'" tw'n ejgkosmivwn diairevsew" genomevnh", hJgemw;n a]n oJ prwvtisto" 20 aujtw'n kaloi'to tw'n kata; triavda dih/rhmevnwn, kai; to; prosecw'" ejxhmmevnon aujtou' plh'qo" to; prwvtiston a]n ei[h th'" triadikh'" ejn tw/' panti; diairevsew": oJ de; hJgemw;n tw'n dwvdeka stratia'" hJgei'tai th'" kata; ta; e{ndeka mevrh nenemhmevnh". Wste th;n ijdivan ejpikravteian oJ me;n ejn 25 toi'" trivtoi" ajforivzei tw'n o{lwn, oJ de; ejn toi'" duwdekavtoi", kai; kata; th;n th'" perioch'" duvnamin oJ me;n kata; triavda th;n hJgemonivan ajforivzei, oJ de; kata; th;n eJndekavda. 91 Pollou' a[ra dei' th;n aujth;n eijlhcevnai tavxin touvtwn eJkavtero". Oujkou'n oJ me;n dhmiourgo;" kai; swth;r Zeu;" ajsuvntaktov" ejsti toi'" pa'sin, oJ de; ajfomoiwtiko;" th'" eij" triva diairev5 sew" hJgei'tai tw'n o{lwn, oJ de; ejgkovsmio" tw'n eJpomevnwn ejstivn, ajll ouj tw'n ejxh/rhmevnwn hJgemovnwn, oJ de; uJpo; tou' Swkravtou" uJmnhqei;" ejn tw/' Faivdrw/ kai; suntevtaktai toi'" a[lloi" hJgemovsi kai; hJgei'tai tw'n kata; e{ndeka mevrh kekosmhmevnwn, ajll ouj tw'n trich/' dih/rhmevnwn, kai; 10 ejxh/vrhtai pavntwn tw'n ejgkosmivwn dia; to; mevgeqo" th'" hJgemonikh'" uJperoch'". Apavntwn a[ra tw'n eijrhmevnwn diakovsmwn ejxhvllaktai kai; ejn oujdeni; th;n ijdiovthta tauvthn h}n nuni; proesthvsato deivknusi. Leivpetai a[ra toi'" ajpoluvtoi" aujto;n sunariqmei'n, i{na kai; prosech;" h/\ toi'" ejg15 kosmivoi" (kai; dia; tou'to ejn oujranw/' levgetai) kai; ejxh/rhmevno" ajp aujtw'n (kai; dia; tou'to mevga" ajnumnei'tai). Pollacou' ga;r aiJ mesovthte" ajpo; tw'n a[krwn hJmi'n ejkfaivnontai kata; mivxin qewroumevnwn: ejpei; toivnun kai; ejn oujranw/' levgetai to; pthno;n a{rma ejlauvnein kai; 20 mevga" ejponomavzetai, suntevtaktai dhvpou toi'" oujranivoi" kai; ejxh/vrhtai ajp aujtw'n. O de; a{ma kai; suntetagmev10

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    appartiene agli dèi assimilatori, oppure a quelli che hanno avuto 10 in sorte un potere non-vincolato nel Tutto, come appunto dicevamo367. Ma se lo porremo come appartenente agli ordinamenti degli dèi assimilatori, egli guiderà una triade demiurgica, ma non la dodecade ora celebrata. Certo v’è anche fra quelli uno Zeus, come abbiamo mostrato in precedenza368, cioè il primissimo dei 15 Cronidi; ma quello Zeus, dato che la totalità dell’universo è divisa in tre parti – infatti si sono divisi, come afferma Socrate nel Gorgia, l’intero regno di Crono, e l’uno è origine del sussistere degli esseri primi, l’altro dei secondi, l’altro ancora infine degli ultimi369 – ebbene, dato che gli encosmici sono stati divisi in tre, il primissimo sarebbe chiamato “sovrano” di questi 20 dèi che sono suddivisi in una triade, e la molteplicità che risulta dipendere direttamente da lui sarebbe quella primissima della divisione triadica nel Tutto; dal canto suo il «sovrano» dei dodici guida «un’armata» distribuita «in undici schiere»370. Sicché 25 l’uno371 delimita il proprio dominio sull’universo suddividendolo in tre parti, mentre l’altro372 in dodici parti, ed in considerazione della loro capacità di comprendere in sé, l’uno delimita la sua sovranità in base ad una triade, l’altro in base ad una endecade373. Di conseguenza l’uno e l’altro Zeus sono ben lontani dall’ave- 91 re avuto in sorte il medesimo livello. Quindi lo Zeus Demiurgo e salvatore è non-coordinato con tutti gli esseri, mentre lo Zeus assimilatore comanda la divisione 5 dell’universo in tre parti, e dal canto suo lo Zeus encosmico appartiene agli dèi al seguito, ma non ai sovrani trascendenti; infine lo Zeus celebrato da Socrate nel Fedro risulta coordinato agli altri sovrani e guida «che sono ordinati in undici schiere», ma non quelli che sono suddivisi in tre, e trascende tutti gli dèi 10 encosmici per la grandezza della sua superiorità di sovrano. Di conseguenza risulta differente rispetto a tutti gli ordinamenti di cui si è detto e non mostra in nulla questo carattere specifico che , come si è appena visto, ha proposto. Di conseguenza non rimane che enumerarlo insieme agli dèi non-vincolati, in modo che sia in diretta continuità con gli dèi egemonici (e per questo motivo si dice che è “in cielo”) e sia 15 trascendente rispetto ad essi (e per questo motivo viene celebrato come “grande”). Spesso, in effetti, i livelli intermedi si rivelano a noi a partire da quelli posti alle estremità, considerati in base alla loro mescolanza; poiché dunque si dice che «conduce in cielo il carro alato» ed al contempo viene denominato 20 “grande”, egli, a mio giudizio, risulta coordinato agli dèi celesti e

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    no" toi'" ejn tw/' panti; qeoi'", w|n th;n ajkrotavthn e[lacen ajxivan oujranov", kai; ejxh/rhmevno" ajpo; touvtwn, tw'n ajpoluvtwn ejstivn, ei[per ojrqw'" ajfwrisavmeqa dia; tw'n 25 provsqen lovgwn wJ" oiJ me;n ejxh/vrhntai tou' pantov", oiJ de; sumplhrou'si to; pa'n, oiJ de; a{ma kai; th;n suntetagmevnhn provnoian ejklhrwvsanto kai; th;n ejxh/rhmevnhn uJperochvn. Apovluto" a[ra kai; uJperouravniov" ejstin ou|to" oJ mevga" hJgemw;n ejn oujranw/' Zeuv", kai; pa'sa hJ 92 duwdeka;" ejn tauvth/ tw'n qew'n th/' tavxei prolavmpei. Ei|" gavr ejstin ajriqmo;" pantelh;" kai; qei'o", o}n oiJ dwvdeka sumplhrou'sin hJgemovne": w{ste ajnavgkh to;n o{lon ajriqmo;n ejn th/' aujth/' tivqesqai diakosmhvsei tw'n qew'n, ajll ouj 5 dih/rhmevnw" tw'n hJgemovnwn qew'n tou;" me;n ejgkosmivou", tou;" de; uJperkosmivou" levgein. All ei[per oJ prwvtisto" aujtw'n uJperkovsmio", kai; oiJ loipoi; kata; ta; aujta; pavnte" uJperivdrusan eJautou;" tw'n ejn tw/' kovsmw/, kai; hJgei'tai plhvqou" e{kasto" oijkeivou: kai; peri; eJauto;n me;n e[cei polu;n 10 o[clon daimovnwn, polu;n de; qeivwn, ejp ejscavtw/ de; tw'n eJpomevnwn kai; yuca;" proesthvsanto merikav". Kai; ga;r au|tai sundih/vrhntai toi'" te daivmosi kai; toi'" qeivoi" kai; metevcousi th'" ajpoluvtou tw'n qew'n hJgemoniva", kaq o{son aujtai'" dunatovn: e{petai ga;r oJ ajei; ejqevlwn te 15 kai; dunavmeno", w{" fhsin oJ Swkravth".

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    kV All o{ti me;n oiJ ejn tw/' Faivdrw/ dwvdeka tw'n o{lwn hJgemovne" uJpo; tou' Swkravtou" uJmnhmevnoi tw'n ajpoluvtwn eijsi; qew'n, dia; touvtwn uJpemnhvsqw: povqen de; a[ra oJ suvmpa" ou|to" ajriqmo;" ejp aujtou;" h{kei, meta; tau'ta levgwmen. Oujkou'n ajnavgkh me;n aujtou;" ejk tw'n pro; aujtw'n th;n uJpovstasin e[cein: ejpei; kai; toi'" ajfomoiwtikoi'" ajpo; tw'n noerw'n patevrwn hJ provodo" h\n, kai; touvtoi" a[nwqen ejk tw'n nohtw'n dhvpou kai; noerw'n, kaqavper dh; kai; touvtoi" ajpo; tw'n prwtivstwn nohtw'n. Epei; de; pro; aujtw'n e[sti me;n kai; hJ

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    trascendente rispetto ad essi. D’altra parte colui che al contempo è coordinato agli dèi presenti nel Tutto, tra i quali il cielo ha avuto in sorte il rango in assoluto più elevato, e trascendente rispetto ad essi, fa parte degli dèi non-vincolati, se abbiamo effettivamente definito in modo corretto, attraverso i ragionamenti precedenti374, 25 che gli uni trascendono il Tutto, mentre gli altri costituiscono il Tutto, e gli altri ancora hanno ricevuto in sorte nel medesimo tempo sia una provvidenza coordinata sia la superiorità trascendente. Di conseguenza lo «Zeus grande sovrano in cielo»375 è non-vincolato e sovraceleste, e tutta la dodecade risplende originariamen- 92 te in questo livello di dèi. In effetti una sola, compiutamente perfetta e divina è la serie che costituiscono i dodici sovrani; sicché è necessario che l’intera serie sia posta nel medesimo ordinamento degli dèi, ma non si deve dire che in modo diviso tra gli dèi sovra- 5 ni gli uni sono encosmici, mentre gli altri ipercosmici. Ma se è vero che il primissimo tra di essi è ipercosmico, anche tutti gli altri allo stesso modo hanno posto se stessi al di sopra degli esseri encosmici, e ciascuno comanda la sua specifica molteplicità; ed ha intorno a se stesso una grande folla di demoni ed una grande folla 10 di esseri divini, ed inoltre all’ultimo livello delle entità al seguito sono preposti anche ad anime particolari. Ed infatti queste anime sono divise in modo corrispondente ai demoni ed agli esseri divini, ed esse partecipano, nella misura in cui è ad esse possibile, della sovranità non-contaminata propria degli dèi; infatti «a seguire è sempre chi lo vuole e ne è in grado», come afferma Socrate376. 20 [Da dove viene il numero della “dodecade” negli dèi non-vincolati, dimostrazione a partire dai principi causali antecedenti] Orbene, che i dodici sovrani dell’universo celebrati da Socrate nel Fedro facciano parte degli dèi non-vincolati, si dia per ricordato attraverso tali considerazioni; ma ora dopo ciò dobbiamo dire da dove sia giunto ad essi questo numero complessivo. È dunque necessario che questi dèi abbiano la loro sussistenza da parte di quelli che li precedono; in effetti la loro processione deriva agli dèi assimilatori, come si è visto377, dai padri intellettivi, e la processione di questi ultimi deriva dall’alto, senza dubbio dagli intelligibili-intellettivi, proprio allo stesso modo in cui la processione di questi ultimi, a sua volta, deriva dai primissimi intelligibili.

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    93 tw'n ajrcw'n tw'n ajfomoiwtikw'n diakovsmhsi", e[sti de; kai; hJ

    5

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    tw'n noerw'n basilevwn triav", ma'llon de; hJ dhmiourgikh; monav", th'" eij" triva diairevsew" tw'n o{lwn ejn eJauth/' to; pantele;" mevtron iJdrusamevnh, kat a[mfw dhladh; th;n ajpogevnnhsin tw'n ajpoluvtwn ta; ai[tia qewrhvsomen, tov te dhmiourgiko;n mevtron kai; ta; tw'n ajfomoiwtikw'n gevnh qew'n: ejkdivdontai ga;r ajpo; touvtwn aiJ diavforoi tavxei" aujtw'n. Alla; mhvn, eij memnhvmeqa tw'n e[mprosqen eijrhmevnwn, tetrach/' ta;" tw'n ajfomoiwtikw'n mevsa" dih/rhvmeqa proovdou": kai; ta;" me;n aujtw'n patrika;" ejlevgomen, ta;" de; gonivmou", ta;" de; ajnagwgouv", ta;" de; frourhtikav". Th'" toivnun dhmiourgikh'" monavdo" eij" prw'ta kai; mevsa kai; e[scata diairouvsh" ta; proi>ovnta, kaqavper dh; kai; oJ nohto;" pro; aujth'" pathvr, tw'n de; met aujth;n qew'n tetradikw'" eij" ta; deuvtera tou;" eJautw'n ojcetou;" ejkdidovntwn, hJ duwdeka;" hJmi'n au{th tw'n ajpoluvtwn ajnefavnh qew'n, a[nwqen me;n kata; th;n triavda proi>ou'sa, kavtwqen de; tetradikw'" pollaplasiazomevnh. Dio; kai; tw'n sumplhrouvntwn aujth;n hJgemovnwn oiJ me;n triadikw'" e[lacon to; dhmiourgiko;n kai; patrikovn, oiJ de; triadikw'" to; gennhtiko;n kai; zwogonikovn, oiJ de; to; ajnagwgo;n triadikw'", oiJ de; to; a[cranton kai; frourhtiko;n wJsauvtw". AiJ me;n ga;r ijdiovthte" a{pasai para; tou' plhvqou" ejfhvkousin aujtoi'" tw'n ajfomoiwtikw'n, hJ de; eij" prw'ta kai; mevsa kai; e[scata diaivresi" ajpo; th'" dhmiourgikh'" aijtiva".

    kaV Tosau'ta kai; peri; tou' ajriqmou' lektevon, o{qen te kai; o{pw" ajpegennhvqh para; toi'" ajpoluvtoi" qeoi'". Dwvdeka 94 dev, wJ" kai; provteron ei[pomen, o[ntwn hJgemovnwn aJpavntwn me;n tw'n ejgkosmivwn qew'n, aJpavntwn de; tw'n daimovnwn, e[ti de; yucw'n merikw'n o{sai pro;" to; nohto;n ajnateivnesqai duvnantai, pavlin th'" duwdekavdo" aujth'" hJgemonikwtevran tavxin 5 e[lacon o{ te mevgisto" Zeu;" kai; hJ Estiva, touvtoi" de; hJ tw'n loipw'n hJgemoniva suntavttetai kai; deutevran e[cousin

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    D’altra parte, dal momento che prima di questi dèi viene l’ordinamento degli dèi-princípi assimilatori, ma anche 93 la triade dei re intellettivi, o meglio la monade demiurgica che ha posto in se stessa la misura compiutamente perfetta della divisione in tre della totalità dell’universo, noi ora prenderemo in consi- 5 derazione la generazione degli dèi non-vincolati, avvenuta chiaramente in base ad entrambi questi principi causali, cioè la misura demiurgica e i generi degli dèi assimilatori: infatti i differenti ordini degli dèi non-vincolati sono prodotti da questi 378. Ma in verità, se ci ricordiamo di ciò che è stato detto in precedenza379, abbiamo suddiviso in quattro le processioni intermedie degli dèi assimilatori; e dicevamo tra esse le prime “pater- 10 ne”, le seconde “generatrici”, le terze “elevatrici”, le quarte “custodi”. Pertanto, dato che la monade demiurgica divide gli esseri che procedono in primi, secondi ed ultimi, proprio come fa anche il padre intelligibile380 che le è superiore, e a loro volta gli dèi che vengono dopo questa monade fanno procedere in modo 15 tetradico i loro propri «canali»381 verso gli esseri di livello inferiore, questa dodecade è apparsa a noi propria degli dèi non-vincolati, in quanto essa procede dall’alto in base alla triade, mentre dal basso è moltiplicata in modo tetradico382. Ecco perché, fra gli sovrani che la costituiscono, gli uni hanno avuto in sorte in modo triadico il carattere demiurgico e paterno, gli altri in modo 20 triadico quello generativo e generatore di vita, gli altri ancora in modo triadico quello elevatore, gli altri, infine, ancora in modo triadico, quello incontaminato e custode. In effetti tutti quanti questi caratteri specifici pervengono ad essi dalla molteplicità degli assimilatori, mentre la divisione in parti prime, medie e ultime, proviene dalla causa demiurgica. 25 21 [Qual è la divisione in due monadi ed una decade degli dèi sovrani non-vincolati, e qual è il loro carattere specifico] Tanto si deve dire a proposito di questo numero, da dove e in che modo è stato generato presso gli dèi non-vincolati. Dato poi che dodici, come abbiamo detto anche in precedenza383, sono i 94 sovrani di tutti quanti gli dèi encosmici, di tutti quanti i demoni, ed ancora, tra le anime particolari, di tutte quelle che sono in grado di elevarsi verso l’intelligibile, a loro volta il grandissimo 5 Zeus ed Estia di questa stessa dodecade hanno avuto in sorte un

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    ajxivan. Kai; oJ me;n Zeuv", ou[te nou'" w]n tou' pantov", wJ" e[nioi levgousin, ou[te oJ ejn hJlivw/ nou'" ou[te o{lw" tw'n ejgkosmivwn ti" h] novwn h] yucw'n, ajlla; pavntwn uJperhplwmevno" kai; ejn 10 toi'" ajpoluvtoi" prou>pavrcwn, ajnavgei me;n kai; to;n eJpovmenon aujtw/' coro;n tw'n qew'n kai; tw'n kreittovnwn hJmw'n genw'n kai; metadivdwsi tw/' pro;" aujto;n ejpestrammevnw/ plhvqei th'" patrikh'" ajgaqovthto", hJgei'tai de; kai; tw'n a[llwn aJpavntwn ajriqmw'n o{soi telou'sin uJpo; tou;" dwvdeka qeouv". 15 H de; au\ Estiva kratei' me;n tou' oijkeivou plhvqou", ou[te de; l yuch'" e[cousa tavxin th'" prwvth" ou[te hJ ejn tw/' panti; Gh' legomevnh, pro; de; touvtwn hJgemonikh;n klhrwsamevnh duvnamin ejn toi'" uJperouranivoi": metadivdwsi de; kai; toi'" tw'n a[llwn hJgemovnwn ajriqmoi'" th'" oijkeiva" ijdiovthto", 20 kaqavper dh; kai; oJ Zeuv". OiJ ga;r th'" dekavdo" ejxhmmevnoi kai; tw'n duvo touvtwn monavdwn metevcousin: ajll oJ me;n Zeu;" kinhvsew" ai[tio" w]n pa'si th'" eij" to; nohto;n poreiva" ejsti;n hJgemwvn, hJ de; Estiva th;n movnimon kai; ajklinh' duvnamin ejpilavmpei pa'sin. Kaivtoi kai; oJ Zeu;" ejn eJautw/' 25 mevnwn ou{tw" ejpi; th;n nohth;n ajnavgetai periwphvn, kai; hJ Estiva dia; th;n ajklinh' kai; a[cranton ejn eJauth/' monh;n sunavptetai toi'" prwvtoi" aijtivoi": ajll hJ th'" ejxhllagmevnh" ijdiovthto" probolh; th;n th'" hJgemoniva" parevcetai 95 diaforavn. Tw'n ga;r ejpistrofw'n dittw'n uJparcousw'n ejn toi'" qeivoi" (pavnta ga;r kai; pro;" eJauta; kai; pro;" ta;" eJautw'n ajrca;" ejpevstraptai) to; me;n sunamfovteron th'" ejpistrofh'" ei\do" ajmerivstw" h\n ejn tw/' basilei' Krovnw/ (kai; 5 ga;r ejn auJtw/' kata; to;n Parmenivdhn ejdeivknuto kai; ejn a[llw/, kai; to; me;n h\n th'" pro;" to; krei'tton ejpistrofh'", to; de; th'" pro;" eJautovn), ejn de; toi'" deutevroi" kai; merikwtevroi" qeoi'" dih/rhmevnw" tau'ta profaivnetai: kai; hJ me;n Estiva th;n a[cranton ejn eJautoi'" i{drusin parevcei toi'" 10 ejgkosmivoi", oJ de; Zeu;" th;n ajnagwgo;n ejpi; ta; prw'ta kivnhsin. Kai; gavr ejstin hJ me;n Estiva th'" ajcravntou seira'", oJ de; Zeu;" th'" patrikh'": dih/vrhntai de; tw/' ejn aujtw/' kai; ejn a[llw/ katav te to; a[cranton kai; to; patrikovn, wJ" ejn ejkeivnoi" ejlevgomen. 15 Apan toivnun to; movnimon kai; a[trepton kai; ajei; wJsauvtw" e[con a{pasi toi'" ejgkosmivoi" ejk th'" uJperouranivou kaqhvl

    Si conserva il tràdito de; che invece viene espunto dai due Editori.

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    livello più sovrano, mentre a questi è a sua volta coordinata la sovranità degli dèi restanti, che hanno un rango inferiore. E Zeus, non essendo intelletto del Tutto, come invece alcuni affermano384, né è l’intelletto insito nel sole, né in generale una delle entità encosmiche, o intelletti o anime, ma, essendo superiore per semplicità rispetto a tutti e preesistendo negli non-vincolati, da un lato 10 eleva il coro al suo seguito, formato dagli dèi ed anche dai generi che sono a noi superiori385, e rende partecipe la molteplicità convertitasi verso di lui della bontà paterna, dall’altro comanda anche tutte le altre serie che sono soggette ai dodici dèi. Dal canto, suo 15 Estia domina, a sua volta, la propria specifica molteplicità, ma non perché occupa il livello della prima anima, né perché è detta “Terra” nel Tutto386, bensì perché ha avuto in sorte, prima di queste entità, una potenza sovrana tra gli sovracelesti; inoltre essa rende partecipi del proprio carattere specifico anche le serie degli altri sovrani, proprio come Zeus. Infatti gli dèi che di- 20 pendono dalla decade387 partecipano anche di queste due monadi; ma Zeus, essendo causa di movimento per tutti gli esseri, è guida sovrana del loro cammino verso l’intelligibile, mentre Estia fa risplendere su tutti la potenza stabile ed inflessibile. Tuttavia Zeus, permanendo in se stesso, si eleva in tal modo verso la spe- 25 cola intelligibile, ed Estia, in virtù del suo permanere inflessibile ed incontaminato in se stessa, si congiunge ai principi causali primi; ma è il presentarsi del diversificato carattere specifico a mostrare la differenza della sovranità. Infatti, dal 95 momento che negli esseri divini sussistono due tipi di conversione (infatti tutti gli esseri divini risultano convertiti verso se stessi e verso i loro propri principi), le due forme di conversione sono, come si è detto388, in modo indiviso nel re Crono (ed in effetti, sulla base del Parmenide389, come si è visto390, egli si mostra «in se 5 stesso» ed «in altro», e quest’ultimo carattere appartiene alla conversione verso ciò che è superiore, mentre l’altro alla conversione verso se stesso), mentre negli dèi inferiori e più particolari queste forme di conversione si manifestano in modo diviso; ed Estia fornisce agli dèi encosmici la loro propria incontaminata stabilità in se stessi, mentre Zeus il movimento elevatore verso le entità 10 prime. Ed infatti appartiene alla serie incontaminata, mentre Zeus a quella paterna; ed essi risultano distinti dall’«in sé ed in altro» rispettivamente in base al carattere incontaminato e a quello paterno, come dicevamo in quel contesto391. Pertanto si deve dire che tutto il carattere della stabilità, 15 immutabilità e del permanere sempre allo stesso modo, perviene

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    kein Estiva" lektevon: kai; dia; tauvthn kai; tou;" povlou" ajkinhvtou" ei\nai pavnta" kai; tou;" a[xona" peri; ou}" ajnelivssousin eJauta;" aiJ tw'n sfairw'n ajnakuklhvsei": kai; 20 dh; kai; aujta;" ta;" oJlovthta" tw'n periforw'n eJdraivw" iJdru'sqai kai; th;n gh'n ejn mevsw/ mevnein ajklinh' kai; ta; kevntra th;n ajsavleuton e[cein diamonhvn. Pavlin toivnun aJpavsa" ta;" kinhvsei" kai; ta;" ejnergeiva" ta;" cwrista;" kai; ãta;"Ã tw'n deutevrwn ejpi; ta; prw'ta strofa;" ejk tou' Dio;" ejfhvkein toi'" 25 o{loi" uJpoqetevon: kai; ga;r aiJ noerai; tavxei" ouj movnon toi'" sustoivcoi" h{nwntai nohtoi'", ajlla; kai; toi'" ejxh/rhmevnoi" aujtw'n, dia; th;n ajnagwgo;n tou' Dio;" poreivan: kai; aiJ qei'ai 96 yucai; mevcri tw'n prwtivstwn aijtivwn ajnateivnontai sunepovmenai tw/' megavlw/ Diiv: kai; oiJ touvtwn ojpadoi; sunanavgontai toi'" qeoi'" ejxhmmevnoi th'" patronomikh'" tou' Dio;" ejpistasiva". OiJ de; au\ loipoi; pavnte" hJgemovne" e{kasto" 5 hJgei'tai seira'" oijkeiva" kai; divdwsin ajf eJautou' th;n ijdiovthta tw/' plhvqei panti; kai; mevcri tw'n ejscavtwn, oJ me;n th;n ejkfantorikhvn, oJ de; th;n govnimon, oJ de; th;n a[trepton, uJperkovsmion kai; aujtoi; klhrwsavmenoi tavxin kai; ajnevlkonte" polu;n strato;n tw'n meristw'n qew'n. 10 Dio; kai; oJ Swkravth" a{ma kai; a[rconta" aujtou;" ejponomavzei kai; tetavcqai fhsi; kai; ejnergei'n eij" ta; deuvtera kata; th;n tavxin h}n ejtavcqhsan: tw'n de; a[llwn o{soi ejn tw/' tw'n dwvdeka ajriqmw/' tetagmevnoi qeoi; a[rconte" hJgou'ntai kata; tavxin h}n 15 e{kasto" ejtavcqh. Proshvkei de; a[ra to; me;n ajrciko;n movnon m kai; to; hJgemoniko;n toi'" uJperkosmivoi" movnon qeoi'", to; de; tetavcqai kai; to; tetagmevnon aujto; kaq auJto; toi'" ejgkosmivoi" (ou|toi gavr eijsin oiJ th'" tavxew" meteilhfovte" kai; kata; metousivan th;n tavxin 20 lacovnte"), to; de; sunamfovteron toi'" ajpoluvtoi". Kai; ga;r a[rcontev" eijsin kai; hJgemovne" wJ" toi'" hJgemonikoi'" kai; ajrcikoi'" qeoi'" sunecei'" o[nte", kai; tetagmevnoi kai; tavxew" metevconte" wJ" toi'" ejgkosmivoi" prosecei'": mevsoi de; o[nte" ajmfoi'n sunavptousin aujtw'n ta;" o{la" proovdou" kaq e{na 25 suvndesmon noerovn. Eti toivnun, wJ" me;n ejn oujranw/' th;n

    m Secondo gli Editori il tràdito movnon è da espungere. A mio avviso è possibile conservarlo.

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    a tutti quanti gli dèi encosmici da parte dall’Estia sovraceleste; ed è in virtù di quest’ultima che i poli e gli assi, intorno ai quali ruotano le sfere con i loro movimenti rotatori ciclici, sono tutti immobili; e in particolare che le totalità stesse delle rivo- 20 luzioni sono poste in modo stabile, che la terra permane immutabile nel mezzo e che i punti cardinali hanno una salda ripartizione. Si deve dunque supporre che, a loro volta, tutti quanti i movimenti, le attività separate e le conversioni delle entità inferiori verso le entità prime pervengano alla totalità dell’universo da parte di Zeus; ed in effetti gli ordinamenti intellettivi risultano 25 uniti non solo a quelli intelligibili ad essi coordinati, ma anche con quelli che sono rispetto ad essi trascendenti, in virtù del cammino di elevazione indicato da Zeus; e le anime divine si elevano fino ai 96 principi causali primissimi seguendo il grande Zeus; e i compagni di queste anime sono riuniti insieme agli dèi poiché essi dipendono dall’autorità del governo paterno di Zeus. A loro volta poi per quanto concerne tutti gli altri rimanenti sovrani, ciascuno coman- 5 da la sua propria serie e dà da se stesso la sua proprietà specifica a tutta la sua molteplicità anche fino ad arrivare agli ultimi livelli, l’uno la proprietà rivelativa, l’altro quella generativa, l’altro ancora quella immutabile, poiché anche essi stessi hanno avuto in sorte un livello ipercosmico e sollevano una grande armata degli dèi particolari. Ecco perché Socrate li denomina “capi” ed al tempo stesso 10 afferma che essi risultano “disposti per ordine” e che agiscono sugli esseri di livello inferiore in base all’ordinamento che è stato ad essi assegnato: «tra gli altri, tutti gli dèi che nel numero di dodici hanno avuto il rango di capi, comandano secondo il rango che è stato assegnato a ciascuno di loro»392. Di conseguenza, solamente il 15 carattere di capo e quello di sovrano si addicono solo agli dèi ipercosmici, mentre l’“essere disposti per ordine” ed il “disposto per ordine” in se stesso si addicono agli dèi encosmici (questi infatti sono gli dèi che hanno partecipato dell’ordine e che hanno ottenuto l’ordine per partecipazione), e d’altra parte l’insieme di en- 20 trambi i caratteri si addice agli dèi non-vincolati. Ed infatti sono capi e sovrani in considerazione del fatto che sono in diretta continuità con gli dèi che hanno rango di capi e di sovrani, e sono disposti per ordine e partecipano di ordine in considerazione del fatto che sono in diretta continuità con gli dèi encosmici; inoltre, poiché sono intermedi fra entrambi , essi congiungono la totalità delle processioni di questi ultimi in base ad un unico legame intellettivo. Inoltre è proprio in considerazione del fatto 25

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    TEOLOGIA PLATONICA

    hJgemonikh;n prosthsavmenoi tavxin a{ptontai dhvpou tw'n ejgkosmivwn: kai; ejn auJtoi'" o[nte" kai; eij" to; nohto;n ajnateinovmenoi cwristh;n e[lacon ajpo; tou' panto;" uJperoch;n kai; ejxh/vrhntai tw'n metecovntwn. kbV Peri; me;n ou\n th'" prwtivsth" diairevsew" tw'n qew'n touvtwn ajrkeivtw ta; eijrhmevna. Epei; de; tetradikw'" te kai; triadikw'" aujtou;" th;n provodon pepoih'sqai proeivpomen, 5 ta;" ijdiovthta" tw'n tetagmevnwn triavdwn suntovmw" ajforiswvmeqa. Touvtwn toivnun kata; triavda" wJ" ei[rhtai diatetagmevnwn, th'" me;n dhmiourgikh'" triavdo" e[lacen th;n uJyhlotavthn tavxin Zeuv", a[nwqen ajpo; tou' nou' yuca;" kai; swvmata ka10 teuquvnwn kai; pavntwn ejpimelouvmeno", w{" fhsin oJ Swkravth". O de; Poseidw'n sumplhroi' kajntau'qa ta; mevsa th'" dhmiourgikh'", kai; mavlista to;n yuciko;n diavkosmon kuberna/': kinhvsew" ga;r oJ qeov" ejstin ai[tio" kai; genevsew" pavsh", hJ de; yuch; prwtivsth tw'n genhtw'n ejsti kai; 15 kivnhsi" kata; th;n oujsivan. O de; Hfaisto" th;n fuvsin ejmpnei' tw'n swmavtwn kai; pavsa" ta;" ejgkosmivou" e{dra" tw'n qew'n dhmiourgei'. Th'" de; au\ frourhtikh'" kai; ajtrevptou prwtivsth me;n hJ Estiva, diovti to; ei\nai tw'n pragmavtwn aujto; kai; th;n 20 oujsivan a[cranton diasw/vzei: kai; ga;r oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth" th;n ajkrotavthn aujth/' devdwke tavxin wJ" ta;" ajkrovthta" sunecouvsh/ tw'n o{lwn. H de; Aqhna' ta;" mevsa" zwa;" ajklinei'" fulavttei dia; nohvsew" kai; aujtenerghvtou zwh'", ajnevcousa aujta;" ajpo; th'" u{lh". O de; Arh" tai'" 25 swmatoeidevsi fuvsesin ajkmh;n ejpilavmpei kai; duvnamin kai; to; a[rraton, w{" fhsin oJ ejn tw/' Kratuvlw/ Swkravth": dio; kai; uJpo; th'" Aqhna'" teleiou'tai kai; metevcei noerwtev98 ra" ejpipnoiva", w{" fhsin hJ poivhsi", kai; th'" cwristh'" ajpo; tw'n genhtw'n zwh'". Th'" ge mh;n zwogonikh'" ejxavrcei me;n hJ Dhmhvthr, o{lhn ajpogennw'sa th;n ejgkovsmion zwhvn, thvn te noera;n kai; th;n 5 yucikh;n kai; th;n ajcwvriston tou' swvmato". H de; Hra th;n 97

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    che in cielo sono posti soprattutto in base al loro livello di sovrani, che, a mio giudizio, essi sono in contatto con gli dèi encosmici; ed è perché sono in se stessi e si protendono in alto verso l’intelligibile che essi hanno avuto una superiorità separata dal Tutto e trascendono gli dèi che partecipano di essi. 22 97 [Dottrina teologica su ciascuno dei dodici dèi, la quale rivela le loro specifiche proprietà a partire dalle entità che sono da essi governate] Dunque, riguardo alla primissima divisione di questi dèi, basti quanto si è detto. Ora però, dal momento che abbiamo detto in precedenza393 che essi hanno compiuto la loro processione in modo tetradico e triadico, dobbiamo definire brevemente le pro- 5 prietà specifiche delle triadi nel loro effettivo ordine394. Dunque questi dèi, come si è detto395, sono stati ordinati in triadi, e Zeus ha avuto in sorte il livello più alto della triade demiurgica, in quanto dall’alto del suo intelletto egli dirige le anime e i corpi e «si prende cura di tutte le cose», come afferma So- 10 crate396. Dal canto suo, Poseidone costituisce anche in questo livello397 le parti intermedie della triade demiurgica, e governa soprattutto il livello di realtà psichico; infatti questo dio è principio causale di movimento e di ogni generazione, mentre l’anima è primissima tra gli esseri generati ed è nella sua essenza movimen- 15 to; infine Efesto infonde la natura nei corpi e costruisce tutte le sedi encosmiche degli dèi. A sua volta nella triade guardiana ed immutabile, primissima è Estia, poiché conserva in se stessa l’essere delle realtà determinate ed incontaminata la loro essenza; ed infatti Socrate nel Cra- 20 tilo398 le ha attribuito il livello più elevato in considerazione del fatto che essa contiene le sommità della totalità dell’universo; Atena poi custodisce il carattere di inflessibilità delle vite intermedie attraverso intellezione ed una vita che agisce da sé, innalzandole dal livello della materia. Ares infine fa risplendere sulle natu- 25 re di tipo corporeo vigore, potenza e il “carattere della solidità”, come afferma Socrate nel Cratilo399; ecco perché è reso perfetto da Atena e partecipa di un’ispirazione più intellettiva, come dice 98 la poesia400, e della vita separata dagli esseri generati. Per quel che concerne la triade generatrice di vita, è Demetra ad averne il controllo, in quanto genera tutta intera la vita encosmica, sia quella intellettiva sia quella psichica e quella separata 5

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    TEOLOGIA PLATONICA

    mesovthta sunevcei, th;n th'" yuch'" ajpogevnnhsin proi>emevnh: kai; ga;r hJ noera; tw'n ªa[llwnº yucikw'n genw'n ajf eJauth'" proujbavlleto pavsa" ta;" proovdou". H de; Artemi" to; pevra" ejklhrwvsato, pavnta" kinou'sa tou;" fusi10 kou;" lovgou" eij" ejnevrgeian kai; to; ajtele;" th'" u{lh" teleiou'sa: dio; kai; Locivan aujth;n oi{ te qeolovgoi kai; oJ ejn Qeaithvtw/ Swkravth" kalou'sin, wJ" th'" fusikh'" proovdou kai; gennhvsew" e[foron. Loiph'" toivnun th'" ajnagwgou' triavdo" oJ me;n Ermh'" 15 filosofiva" ejsti; corhgov", kai; dia; tauvth" ajnavgei ta;" yuca;" kai; tai'" dialektikai'" dunavmesin ejp aujto; to; ajgaqo;n ajnapevmpei tav" te o{la" kai; ta;" merikav". H de; Afrodivth th'" di o{lwn dihkouvsh" ejrwtikh'" ejpipnoiva" ejsti;n aijtiva prwtourgov", kai; pro;" to; kalo;n oijkeioi' ta;" 20 ajnagomevna" uJf eJauth'" zwav". O de; Apovllwn dia; mousikh'" ta; pavnta teleioi' kai; ejpistrevfei paventa oJmopolw'n, w{" fhsin oJ Swkravth", kai; di aJrmoniva" kai; rJuqmou' pro;" th;n noera;n ajnevlkwn ajlhvqeian kai; to; ejkei' fw'". 25 Koinh/' de; peri; pavntwn levgomen o{ti tw'n ejgkosmivwn uJperidruvsante" eJautou;" to;n pavnta sunevcousi tw'n ajpoluvtwn corovn. Kai; yucai; me;n aujtw'n ejxhvrthntai, noerai; de; kai; oi|on dunavmei" gennhtikai; yucw'n. Dio; kai; oJ 99 Swkravth" a{rmata kai; touvtoi" divdwsi: kai; ga;r oJ Zeu;" pthno;n a{rma ejlauvnein levgetai kai; oiJ a[lloi qeoi; kata; taujta; dhvpou tw/' Dii; crw'ntai toi'" deutevroi" ojchvmasin. Tau'ta de; tiv a]n a[llo levgoimen h] ta;" yuca;" 5 ta;" uJperkosmivou" ai|" ejpocou'ntai, noerai'" me;n uJparcouvsai", merismou' de; kai; diairevsew" ajrch;n prosthsamevnai", ajf w|n aiJ perikovsmioi th;n uJpovstasin e[lacon, pleivono" diakrivsew" kai; merw'n ejn aujtai'" fanevntwn di ajnalogiva" sundei'sqai pefukovtwn En me;n ou\n toi'" 10 ajpoluvtoi" to; yuciko;n h{nwsen eJauto; pro;" to;n nou'n, dio; kai; to; a{rma levgetai pthno;n a[neu diairevsew", wJ" noero;n kai; ajnekfoivthton tou' aju?lou kai; qeivou nou': ejn de; toi'" ejgkosmivoi" i{ppwn kai; hJniovcwn diairevsei" paradivdontai: Qew'n me;n ou\n i{ppoi te kai; hJniovcoi 15 pavnte" aujtoiv te ajgaqoi; kai; ejx ajgaqw'n. Dio; kai; hJ kata; crovnon ejn tauvtai" ejnevrgeia prwvtw" ejxevlamyen, o{pou pleivwn hJ tw'n dunavmewn diavkrisi": ejn ejkeivnai" de; oJ crovno" eij" aijw'na telei' kai; oJ merismo;" eij" e{nwsin.

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    dal corpo. Era, dal canto suo, contiene il livello intermedio, in quanto fa procedere la generazione delle anime; ed infatti la intellettiva, come si è visto, fa scaturire da se stessa tutte le processioni dei generi psichici401. Infine Artemide ha avuto in sorte il limite inferiore , in quanto muove tutti i principi razionali della natura verso l’attività e perfeziona il carat- 10 tere imperfetto della materia: ecco perché sia i Teologi sia Socrate nel Teeteto la chiamano “Lochia”402, in quanto protettrice della processione naturale e della generazione. Dunque, in quella che rimane, cioè nella triade elevatrice, Ermes è garante di filosofia, ed attraverso questa eleva le anime e 15 con le potenze della dialettica le fa risalire, sia quelle universali sia quelle particolari, verso il Bene in sé. Afrodite, dal canto suo, è causa originaria dell’ispirazione amorosa che si diffonde per la totalità dell’universo, indirizza verso il Bello le vite da lei stessa 20 elevate. Infine Apollo attraverso l’arte delle Muse porta a compimento tutte le cose, converte «tutte le cose facendole ruotare insieme», come afferma Socrate403, e sospingendole, attraverso armonia e ritmo, verso la verità intellettiva e la luce ivi presente. In modo generale, poi, dobbiamo dire riguardo a tutti questi 25 dèi che, avendo posto se stessi al di sopra degli dèi encosmici, tengono insieme l’intero coro degli dèi non-vincolati. Ecco perché attribuisce dei carri anche a questi; ed infatti Zeus è 99 detto «condurre il carro alato» e gli altri dèi allo stesso modo di Zeus, a mio giudizio, si servono di veicoli di livello inferiore. Ma questi ultimi che altro potremmo dire che siano se non le anime ipercosmiche sulle quali salgono, anime che sono sì intel- 5 lettive, ma che rappresentano l’inizio della frammentazione e della divisione, dalle quali le anime pericosmiche hanno ricevuto la propria sussistenza, dato che in queste anime si è manifestata una distinzione più grande e parti che sono per natura legate insieme per mezzo della proporzione? Dunque negli dèi non-vincolati lo 10 psichico si è unito all’intelletto; ecco perché «il carro» è detto «alato» senza distinzione, in considerazione del fatto che è intellettivo ed inseparabile dall’intelletto immateriale e divino; invece negli dèi encosmici vengono tramandate distinzioni fra cavalli e aurighi: «Dunque cavalli ed aurighi degli dèi sono tutti 15 buoni essi stessi ed al contempo derivano da buoni»404. Ecco perché l’attività scandita dal tempo ha preso a risplendere dapprima in queste anime, ove più grande è la distinzione fra le potenze; mentre nella anime ipercosmiche il tempo giunge a compimento divenendo eternità, e la frammentazione giunge a compimento dive-

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    TEOLOGIA PLATONICA

    Arcai; gavr eijsin yucw'n kai; aijtivai tw'n ejgkosmivwn kai; oi|on spevrmata noera; mevnonta ejn tai'" eJautw'n noerai'" periocai'".

    kgV Tau'ta kai; peri; touvtwn lekteva. Bouvlomai de; kai; ejx a[llwn tou' Plavtwno" grammavtwn ejpidei'xai th;n ijdiovthta 25 th'" ajpoluvtou tavxew", oJpoivan hJmi'n aujto;" parista/'. En 100 toivnun th/' Politeiva/ th;n tou' panto;" tavxin ajnadidavskwn th;n dihvkousan di o{lwn tw'n ejgkosmivwn a[nwqen ajpo; th'" ajplanou'", kai; o{sh th;n ajnqrwpivnhn diakuberna/' zwhvn, a[llote a[llwn bivwn aiJrevsei" probavllousa kai; to; 5 prosh'kon aujth/' mevtron th'" divkh" ejxallavttousa, eij" monavda kai; triavda tw'n o{lwn ejxh/rhmevnhn ajnafevrei th;n th'" tavxew" tauvth" prwtourgo;n aijtivan. Kai; th/' me;n monavdi to; kravto" divdwsi th'" ejpistasiva", diateivnwn aujth'" th;n ejpikravteian ejpi; pavnta to;n oujranovn, oJmou' kai; 10 ajmerivstw" toi'" pa'si parou'san kai; pavnta podhgetou'san ajdiairevtw" kai; kata; mivan ejnevrgeian kai; kinou'san ta; o{la tai'" peripezivoi" eJauth'" dunavmesi, th/' de; triavdi th;n me;n provodon ejk th'" monavdo" didouv", th;n de; eij" to; pa'n ejnevrgeian kai; th;n poivhsin meristh;n ajponevmwn. To; ga;r 15 aJplou'n kai; hJnwmevnon th'" ejxh/rhmevnh" pronoiva" eij" plh'qo" proavgetai dia; th'" deutevra" ejpistasiva": kai; ou{tw dh; kuriwvteron me;n to; e}n ai[tion tou' plhvqou", prosecevsteron de; to; dih/rhmevnon toi'" ajpoteloumevnoi" ajnafaivnetai. Pa'sa ga;r hJ poikiliva tw'n ejn tw/' kovsmw/ 20 dunavmewn kai; hJ tw'n kinhvsewn ajpeiriva kai; hJ tw'n lovgwn polueidh;" diaforovth" uJpo; th'" Moiraiva" sunelivssetai triavdo": au{th de; pavlin hJ tria;" eij" th;n mivan ajnateivnetai monavda th;n pro; tw'n triw'n, h}n oJ Swkravth" Anavgkhn proseivrhken, oujk wJ" biva/ tw'n o{lwn ejpikratou'san oujd wJ" 25 to; aujtokivnhton th'" zwh'" th'" hJmetevra" ejnafanivzousan oujd wJ" nou' kai; gnwvsew" ajrivsth" ejsterhmevnhn, ajll wJ"

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    nendo unità. Infatti sono principi e cause delle anime encosmiche e, per così dire, semi intellettivi che permangono nei loro propri ambiti intellettivi.

    20

    23 [Sulla madre delle Moire nella “Repubblica” e sulla triade stessa delle Moire, quale ordine hanno tra loro, quali sono le loro potenze che sono tramandate attraverso i simboli divini, quali le attività, come connota il loro carattere specifico non-vincolato] Queste sono le considerazioni che si dovevano fare su tali argomenti. Ora però intendo dimostrare anche a partire da altri dialoghi di Platone il carattere specifico dell’ordinamento non-vinco- 25 lato, quale Platone ce lo presenta. Nella Repubblica dunque, illu- 100 strando l’ordine del Tutto che si diffonde attraverso la totalità degli esseri encosmici dall’alto, dalla sfera delle stelle fisse, e quanto grande sia l’ordine che governa la vita umana, proponendo di volta in volta scelte di vita differenti e facendo 5 variare la misura della giustizia corrispondente alla scelta, fa risalire la causa originaria di quest’ordine ad una monade e ad una triade che trascendono la totalità dell’universo405. Ed alla monade attribuisce il potere dell’autorità, estendendo il suo dominio a tutto il cielo, dominio che è presente simultaneamente ed in modo indiviso in tutti gli esseri, che li guida tutti 10 senza distinzione passo per passo ed in base ad un’unica attività, e che muove la totalità dell’universo per mezzo delle sue potenze più prossime alla base406; alla triade invece attribuisce, da una lato, la processione a partire dalla monade, dall’altro l’attività sul Tutto e l’azione produttiva particolare407. In effetti il carattere del semplice ed unificato della cura provvidenziale tra- 15 scendente viene fatto procedere in direzione della molteplicità attraverso l’autorità di livello inferiore; e così l’unità si rivela principio causale principale della molteplicità, e d’altra parte il diviso come causa più immediata per le entità che sono prodotte. Infatti tutta la varietà delle potenze presenti nel cosmo, l’illimitatezza dei 20 movimenti e la multiforme differenza dei principi razionali sono arrotolati insieme dalla triade delle Moire408; questa triade a sua volta si tende in alto verso l’unica monade che viene prima delle tre , che Socrate ha chiamato “Necessità”409, non perché domini sul Tutto con la forza, né perché faccia scomparire il carat- 25 tere automotorio della nostra vita, e neppure perché sia privata di

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    pavnta perilambavnousan noerw'", kai; toi'" me;n ajorivstoi" o{ron, toi'" de; ajtavktoi" tavxin ejpifevrousan, e[ti de; wJ" pavnta kathvkoa poiou'san eJauth'" kai; ajnateivnousan ejpi; 101 to; ajgaqo;n kai; wJ" toi'" dhmiourgikoi'" qesmoi'" uJpokataklivnousan kai; wJ" pavnta frourou'san e[ndon tou' kovsmou kai; wJ" kuvklw/ perievcousan ta; ejn tw/' panti; kai; mhde;n a[moiron ajpoleivpousan th'" ejpiballouvsh" aujtw/' divkh" 5 mhde; ajfiei'san ajpodra'naiv ti to;n qei'on novmon. Epeidh; toivnun ta; ai[tia th'" tavxew" tou' kovsmou dich/' dieivlomen, kai; to; me;n ejqevmeqa monadikovn, to; de; triadikovn, kai; th;n me;n monavda th'" triavdo" oijstikh;n wJmologhvsamen ei\nai tw/' Plavtwni peiqovmenoi, th;n de; triavda th'" monavdo" 10 e[kgonon ajpefhnavmeqa, kativdwmen ejn poiva/ diakosmhvsei tavttein eJkavtera dunatovn: tou'to ga;r katamaqei'n boulovmenoi tou;" peri; aujtw'n ejn tw/' parovnti lovgou" proesthsavmeqa. H me;n toivnun monav", h{n, w{sper ei[pomen, Anavgkhn oJ Swkravth" ajpokalei', pavnth/ tw'n ejgkosmivwn 15 ejxh/vrhtai kai; tai'" ejscavtai" eJauth'" dunavmesi kivnhsin ejndivdwsin eij" to;n o{lon oujranovn, ou[te ejpistrevfousa pro;" aujto;n ou[te ejnergou'sa peri; aujtovn, ajll aujtw/' tw/' ei\nai kai; tw/' monivmw" iJdru'sqai th;n tetagmevnhn perifora;n tw/' kovsmw/ parecomevnh: kinei'sqai ga;r dh; to;n a[trakton 20 ejn toi'" govnasi th'" Anavgkh", aujth;n de; mivan basilikw'" ejn qrovnw/ pevra tou' panto;" iJdruvsasan eJauth;n ajyovfw/ keleuvqw/ kateuquvnein to;n oujranovn. H de; tria;" suntevtaktaiv pw" h[dh tai'" tou' oujranou' periforai'" kai; tai'" cersi;n aujta;" periavgei kai; ejnergei' peri; aujtav", 25 kai; oujkevti aujtw/' tw/' ei\nai movnon, ajlla; kai; ãtw/'Ã poiei'n ti kai; pravttein aijtiva th'" tavxewv" ejsti kai; tw'n ajnakuklhvsewn tou' pantov", kajn tauvth/ th'" ejnergeiva" diafovrou 102 tugcanouvsh": hJ me;n ga;r Lavcesi" ajmfotevrai" kinei' tai'" cersivn, eJkatevra de; tw'n loipw'n th/' eJtevra/ movnon. Alla; tou'to me;n eijsau'qi". Oti de; th'" poihvsew" tauvth" ou[sh" katav te th;n monavda kai; th;n ajp aujth'" triavda, th;n 5 me;n ejn presbutevra/ tavxei qew'n, th;n de; ejn uJpodeestevra/ sugcwrhvsomen iJdruvesqai, panti; katafanev". Th;n me;n toivnun Anavgkhn, mhtevra tw'n Moirw'n legomevnhn, ejn toi'" noeroi'" qeoi'" th;n prwvthn uJposth'naiv famen ajnavlogon th/' th'" Adrasteiva" nohth/' kai; noera/' monavdi, kajkei'qen ejn toi'" 10 ajrcikoi'" diakovsmoi" ejkfanei'san ajpogennh'sai th;n triavda

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    intelletto e della migliore forma di conoscenza, ma perché comprende in modo intellettivo tutti gli esseri, ed a quelli privi di limite conferisce un limite, mentre a quelli disordinati un ordine; ed ancora perché rende tutte le cose soggette e sottomesse a lei stessa e le fa tendere in alto verso il bene, perché le sottomette 101 alle leggi demiurgiche, perché le custodisce tutte all’interno del cosmo, perché comprende in un cerchio gli esseri presenti nel Tutto, e non ne lascia nessuno privo della giustizia che gli spetta né lascia che alcunché si sottragga alla norma divina. 5 Dunque, dal momento che abbiamo diviso in due i principi causali dell’ordine del cosmo, ed abbiamo posto il primo come monadico, mentre il secondo come triadico, ed abbiamo convenuto, persuasi da Platone, che la monade è apportatrice della triade, mentre abbiamo mostrato che la triade è un prodotto genera- 10 to della monade, consideriamo in quale ordinamento è possibile porre l’una e l’altra; infatti è perché intendiamo appurare ciò, che al momento abbiamo proposto questi discorsi riguardo ad esse. Dunque la monade che, come abbiamo detto410, Socrate denomina “Necessità”, trascende sotto ogni aspetto gli esseri encosmici e 15 assegna, per mezzo delle sue estreme potenze, un movimento a tutto il cielo nella sua interezza, non rivolgendosi411 verso di esso né agendo in relazione ad esso, bensì fornendo al cosmo, per il fatto stesso di essere e di risultare posta in modo stabile, la rotazione ben regolata; infatti che «il fuso» viene mosso «sulle ginocchia di Necessità»412, mentre essa stessa, da sola, 20 essendosi posta in modo regale su un trono413 al di là del Tutto, dirige il cielo «per un cammino silenzioso»414. Dal canto suo la triade risulta in certo modo già coordinata alle rotazioni del cielo, le fa compiere con le proprie mani ed agisce su di esse, e non più solo con il fatto stesso di essere, ma anche con l’azione effettiva e 25 concreta, è causa dell’ordine e dei movimenti rotatori ciclici del Tutto, appunto perché l’attività in questa triade viene ad essere 102 differente; infatti Lachesi muove con entrambe le mani, mentre ciascuna delle altre due solamente con una mano o con l’altra415. Ma su ciò ritorneremo di nuovo in seguito416. D’altro canto per ciascuno è palese che, se questa azione avviene sia secondo la monade sia secondo la triade che da essa deriva, noi dovremo ammettere che l’una è posta in un ordinamento superiore di dèi, 5 mentre l’altra in uno inferiore. Pertanto dobbiamo dire che Necessità, che è detta “madre delle Moire”, è venuta a sussistere originariamente tra gli dèi intellettivi in modo analogo alla monade intelligibile-intellettiva di Adrastea417, e da lì rivelatasi negli 10

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    tw'n Moirw'n tauvthn. To; ga;r oJliko;n ejn th/' pronoiva/ kai; to; pro; tou' ejnergei'n aujtw/' tw/' ei\nai ta; o{la periavgon th'" noera'" ejstin uJperoch'" kai; to; diateivnein ajmerivstw" ejpi; pavnta th;n poivhsin sunexisou'tai pro;" th;n dhmiourgikh;n 15 ejpistasivan. Kaiv moi dokei' th;n a[rrhton froura;n ejpilavmpein a{pasi toi'" tou' dhmiourgou' gennhvmasin hJ qeo;" au{th, kai; w{sper ejkei'no" tw'n o{lwn ejsti;n ajmerivstw" gennhvth", ou{tw dh; kai; hJ Anavgkh pavnta ajklinw'" frourei'n ejn eJauth/' kai; perievcein monadikw'", a[luton th;n tavxin th;n ajpo; tou' 20 dhmiourgou' proelqou'san eij" to;n kovsmon fulavttousa. Tauvth" de; toiauvthn lacouvsh" ejpikravteian kai; basileivan ejn toi'" o{loi", hJ tw'n Moirw'n tria;" ajpoluvtw" ejnexousiavzei tw/' pantiv. Kai; ga;r ejfavptetai tou' oujranou' kai; dialeivpei crovnon, w{" fhsin oJ Swkravth". 25 Dia; me;n th'" ejpafh'" suntevtaktai pro;" ta; kinouvmena kai; sumfuvetai pro;" tau'ta, dia; de; th'" ejpoch'" tw'n ejnergeiw'n ajnafhv" ejsti kai; cwristh; tw'n dioikoumevnwn kai; ejxh/vrhtai ajp aujtw'n: oJmou' de; ajmfotevra" lacou'sa 103 ta;" ijdiovthta" ejn toi'" ajpoluvtoi" ejsti; qeoi'". Ouj ga;r to; a{ptesqai kai; to; mh; a{ptesqai kai; to; kinei'n kai; to; mh; kinei'n, wJ" oJ mu'qo" levgei, para; mevro" ªoJº ejn toi'" qeoi'", ajll oJmou' sunupavrcei kai; met ajllhvlwn uJfevsthken. 5 Oujde; ga;r kata; crovnon metabavllei ta; qei'a ta;" eJautw'n ejnergeiva", oujd w{sper aiJ merikai; yucai; pote; me;n cwristw'" ejnergei', pote; de; pronoei' tw'n deutevrwn: ajlla; kai; mevnonta ejn eJautoi'" pantacou' proveisi kai; pa'si parovnta th'" eJautw'n oujk ajfivstatai periwph'". En eJni; dh; 10 ou\n kai; tw/' aujtw/' tov te ajnafe;" uJpavrcei tai'" Moivrai" kai; hJ tw'n oujranivwn periovdwn ejpafhv, tov te ejxh/rhmevnon tw'n aijsqhtw'n kai; ãto;Ã ajpovluton kata; mivan ijdiovthta kai; to; suntetagmevnon aujtoi'" kai; suggene;" pro;" aujta; perieilhvfasin: kai; dia; tau'ta th;n ajpovluton e[cousi tavxin pro;" 15 to;n o{lon oujranovn. Eij de; kai; ejgkovsmiov" ejstin aujtw'n tria;" kai; provnoia prosech;" toi'" dioikoumevnoi", ouj qaumastovn.

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    ordinamenti degli dèi principi ha generato questa triade delle Moire. In effetti, il carattere universale nella provvidenza e la capacità di far ruotare la totalità dell’universo, prima dell’agire, con il suo stesso essere, è proprio della superiorità intellettiva, e la capacità di estendere in modo indivisibile la sua azione produttrice a tutti gli esseri si rende uguale al dominio demiurgico. E a me 15 sembra che a far risplendere la custodia ineffabile su tutti i prodotti generati dal Demiurgo sia questa dea, e, come quello è in modo indiviso generatore della totalità dell’universo, così Necessità, , custodisce in se stessa in modo inflessibile tutti gli esseri e li comprende monadicamente, vegliando sulla indissolubilità dell’ordine che procede dal Demiurgo nel cosmo. 20 Ora, se ha ricevuto tale dominio e regalità nell’ambito della totalità dell’universo, la triade delle Moire esercita la sua autorità sul Tutto senza essere ad esso vincolata. Ed infatti essa «è in contatto» con il cielo e «fa passare intervalli di tempo», come afferma Socrate418. Attraverso il contatto è coordinata con 25 gli esseri che sono mossi ed è unita in modo naturale ad essi, mentre attraverso la sospensione delle sue attività è priva di contatto, è separata dagli esseri che sono da essa governati ed è trascendente rispetto ad essi; ora, è perché ha ricevuto in sorte nello stesso tempo entrambe queste proprietà specifiche che fa parte degli dèi 103 non-vincolati. In effetti l’essere in contatto ed il non essere in contatto, il mettere in movimento ed il non mettere in movimento, come afferma il mito419, non sono presenti negli dèi ora sì ora no, ma coesistono nel medesimo tempo e sono venuti a sussistere l’uno insieme all’altro. Ed in effetti gli esseri divini non mutano le 5 loro attività nel tempo, né, come le anime particolari, ora agiscono in modo separato, ora invece esercitano la loro cura provvidenziale sugli esseri inferiori; ma, pur permanendo in se stessi, procedono ovunque, ed al contempo, pur essendo presenti in tutte le cose, non abbandonano la loro specola420. Dunque in un solo e medesimo momento appartiene alle Moire sia l’essere 10 senza contatto sia il contatto con le rotazioni cicliche celesti, e risultano comprendere in sé in base ad un’unica proprietà specifica la trascendenza rispetto agli esseri sensibili e la loro non-vincolatezza, ed al contempo la loro coordinazione con essi e la loro affinità naturale rispetto ad essi; e per queste ragioni occupano, rispetto a tutto il cielo nella sua totalità, il livello non-vincolato. 15 Ma se quella delle Moire è anche una triade encosmica e se la loro è una cura provvidenziale in diretta connessione con gli esseri da esse governati, non v’è motivo di meravigliarsi. Ed infatti a Zeus,

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    Kai; ga;r Dio;" kai; Hra" kai; Apovllwno" kai; Aqhna'" meta; th;n uJperouravnion lh'xin kai; meta; tw'n ejgkosmivwn qew'n koinai; provodoi kai; suntavxei" eijsivn: kai; ga;r ajpo; 20 pavntwn tw'n ajpoluvtwn kaqhvkousin eij" to; pa'n dunavmei" sumplhrou'sai th;n ejscavthn diakovsmhsin tw'n qew'n. All o{ ge Swkravth" ta;" ajpoluvtou" tw'n Moirw'n kai; uJperkosmivou" basileiva" uJmnhvsa" aJptomevna" te aujta;" kai; oujc aJptomevna" paradevdwke tw'n o{lwn periforw'n, 25 ta;" tw'n ijdiothvtwn diafora;" merivsa" th/' kata; crovnon ejxallagh/'. To; ga;r dialipei'n crovnon e[mfasin parevcetai th'" kata; to;n crovnon tw'n ejnergeiw'n ajmoibh'": ajlla; tou'to th'" proshkouvsh" ejsti; th/' qeomuqiva/ kruvyew". Kai; ga;r tw'n ajgenhvtwn genevsei" kai; tw'n aJplw'n sunqevsei" 104 kai; tw'n ajmerivstwn dianoma;" oiJ mu'qoi pareiskuklou'nte" uJpo; polloi'" parapetavsmasin ejpiskiavzousi th;n tw'n pragmavtwn ajlhvqeian. Eij dev, w{sper th;n ajp aijtiva" eij" to; ei\nai pavrodon gevnesin ajpokalou'sin kai; th;n kat aijtivan 5 tw'n sunqevtwn ejn toi'" aJploi'" perioch;n suvnqesin ªaujtw'nº ejponomavzousin kai; th;n tw'n deutevrwn peri; ta; prw'ta diaivresin tw'n prwvtwn merismo;n ei\nai levgousin, ou{tw kai; to; para; mevro" a{ptesqaiv te kai; cwrivzesqai tw'n kinoumevnwn mh; kata; crovnon uJpolavboimen, wJ" to; fainovmenon 10 levgei th'" muqopoii?a", ajlla; kata; ta;" diafovrou" tw'n Moirw'n ijdiovthta" kai; th;n suvmmikton ajpo; tw'n a[krwn uJpovstasin, ejggutavtw th'" tou' Plavtwno" dianoiva" ejsovmeqa. Kai; tou'to me;n ouj pollou' deovmenon ejn toi'" parou'si 15 lovgou mevcri touvtwn ejcevtw tevlo", aujth;n de; th;n tavxin tw'n Moirw'n kaq auJth;n ejpiskeptevon. Kai; ga;r touvtwn oiJ me;n prwvthn ajxiou'si tetavcqai th;n Lavcesin, oiJ de; ejscavthn: kai; tw'n loipw'n oiJ me;n th;n Atropon ejn monavdo" tavxei proi?stantai tw'n a[llwn, oiJ de; th;n Klwqwv. Tou' de; 20 Plavtwno" ejn Novmoi" safw'" ouJtwsi; levgonto" prwtivsthn me;n Lavcesin, deutevran de; Klwqwv, trivthn de; Atropon, proshvkein hJgou'mai kai; tou;" ejn Politeiva/ lovgou" ejpi; tauvthn ajnavgein th;n diwrismevnhn ejn aujtai'" tavxin kai; mhde;n kainotomei'n eJpovmenon toi'" a[llote 25 ejp a[lla feromevnoi" tw'n ejxhghtw'n doxavsmasin. Levgei toivnun oJ Swkravth" th;n me;n Lavcesin a/[dein ta; gegonovta, th;n de; Klwqw; ta; parovnta, th;n de; Atropon ta; mevllonta, kajntau'qa th/' tavxei th'" 105 kata; ta;" ejnergeiva" aujtw'n diairevsew" wJsauvtw" crhsavmeno", kai; th/' me;n Lacevsei ta; prwtei'a dou;" kai; th;n eJnoeidh'

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    Era, Apollo e Atena appartengono, dopo l’assegnazione sovraceleste, anche processioni in comune e coordinazioni con gli dèi encosmici; ed infatti da tutti gli dèi non-vincolati discendono nel 20 Tutto potenze che costituiscono l’ultimo livello degli dèi. Ma Socrate, dal canto suo, quando ha celebrato i regni nonvincolati e ipercosmici delle Moire, le ha presentate come al contempo in contatto e non in contatto con la totalità dei movimenti di rotazione, avendo distinto le differenze fra le loro proprietà 25 specifiche per mezzo di una variazione intesa come successione nel tempo. Invero il fatto di «far passare degli intervalli» rappresenta un riflesso dell’alternarsi delle loro attività in successione nel tempo; ma questo aspetto fa parte della dissimulazione tipica del mito. Ed infatti i miti, introducendo senza darlo a vedere per gli 104 esseri ingenerati generazioni, per gli esseri semplici composizioni, e ripartizioni per gli esseri indivisibili, celano sotto molteplici velami la verità delle cose. Me se, come chiamano “generazione” il venire all’essere a partire da una causa, e denominano “composizione” il fatto che le entità composte siano comprese, in 5 senso causale, nelle entità semplici, e dicono che la divisione delle realtà seconde in relazione alle prime è una frammentazione delle prime, se allo stesso modo intendessimo l’essere ora in contatto ed ora separato rispetto agli esseri in movimento, non nel senso di una successione nel tempo, come sembra apparentemente affer- 10 mare il mito, bensì in base alle differenti proprietà specifiche delle Moire e secondo quella realtà che risulta dalla mescolanza di caratteri specifici estremi, noi saremo assolutamente vicini al vero intendimento di Platone. E dato che tale questione non richiede al momento di un lungo discorso, che essa abbia a questo punto termine; occorre inve- 15 ce prendere in esame di per se stesso l’ordine delle Moire. Ed in effetti, tra queste, gli uni sostengono che Lachesi deve essere posta per prima, gli altri invece per ultima; e tra le Moire restanti gli uni sostengono che si debba porre Atropo al livello di monade prima delle altre, altri invece Cloto. D’altra parte, dato che Plato- 20 ne nelle Leggi afferma chiaramente «primissima Lachesi, seconda Cloto, terza infine Atropo»421, ritengo che convenga ricondurre anche i discorsi della Repubblica a questo ordine che è stato stabilito tra di esse e che non si debba introdurre alcuna innovazione seguendo le opinioni sempre diverse degli interpreti. Dunque 25 Socrate dice che «Lachesi canta il passato, Cloto il presente, ed infine Atropo il futuro»422, e qui si serve allo stesso modo dell’ordine 105 della divisione in base alle loro attività, e così a Lachesi attribui-

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    tw'n loipw'n ejpikravteian, th/' de; Klwqoi' th;n uJpodeestevran me;n th'" Lacevsew", perilhptikwtevran de; th'" Atrovpou 5 basileivan, th/' de; loiph/' th;n trivthn, kai; ãperiecomevnhnà ajp ejkeivnwn ajmfotevrwn kai; ãtattomevnhnà uJp ejkeivnai". Lanqavnei de; a[ra tou;" pollou;" toi'" cronikoi'" morivoi" th'" kat aijtivan perioch'" sumbovloi" crwvmeno". To; me;n ga;r gegono;" kai; mevllon h\n pote kai; parovn, ãto; de; 10 paro;nà ou[pw mevn ejsti gegonov", ãmevllon de; h\n pote, to; dev ge mevllon ou[te parovn ejstin ou[te gegonov"Ã, ajll ejn tw/' mevllein e[cei th;n o{lhn oujsivan. Anavlogon toivnun toi'" trisi; touvtoi" morivoi" ta;" tritta;" aijtiva" ajpolavbwmen: kai; to; me;n teleiovtaton kai; perilhptikwvtaton tw'n a[llwn 15 ta; gegonovta fame;n a/[dein wJ" aijtivan kai; w|n aijtiva parevcesqai th;n ejnevrgeian (ta; ga;r gegonovta kai; tw'n mellovntwn h\n kai; tw'n parovntwn periektikav), to; de; deuvteron kai; th/' me;n perievcon, th/' de; periecovmenon, ta; parovnta (kai; ga;r tau'ta mevllonta provteron 20 uJph'rcen), to; de; trivton kai; ajp ajmfoi'n periecovmenon, ta; mevllonta (tau'ta ga;r kai; tou' parovnto" dei'tai kai; tou' gegonovto", kai; tou' me;n ejkfaivnonto" aujtav, tou' de; oJrivzonto" aujtw'n th;n provodon). H me;n a[ra Lavcesi" aijtiva prwtourgov" ejsti ta;" a[lla" ejn eJauth/' perilabou'sa, tw'n 25 de; loipw'n eJkatevra perievcetai uJp aujth'": kai; hJ me;n Klwqw; tavxin uJpertevran e[lacen, hJ d Atropo" uJpodeestevran. Kai; dia; tou'to hJ me;n Lavcesi" ajmfotevrai" kinei' 106 tai'" cersi;n wJ" ta; merikwvteron uJp ejkeivnwn ejnergouvmena meizovnw" kai; oJlikwtevrw" ajpoplhrou'sa, hJ de; Klwqw; th/' dexia/' to;n a[trakton ejpistrevfei kai; hJ Atropo" th/' ajristera/', kaq o{son hJ me;n prokatavrcei 5 tw'n ejnergeiw'n, hJ de; sunevpetai kai; met ejkeivnh" pavnta podhgetei'. Kai; ga;r ejn toi'" qnhtoi'" zw/voi" to; dexio;n kinhvsewv" ejstin ajrch; kai; ejn toi'" o{loi" hJ ejpi; dexia; kivnhsi" th'" ejp ajristera; perilhptikhv. Pevfhnen toivnun dia; touvtwn hJ Moiraiva tria;" e[n te 10 Novmoi" kai; ejn Politeiva/ kata; th;n aujth;n tavxin uJpo; tou' Plavtwno" eij" prw'tav te kai; mevsa kai; e[scata dih/rhmevnh. Kai; oujk ejn touvtoi" movnon toi'" eijrhmevnoi", ajlla; kajn tw/' tevlei tou' panto;" muvqou th;n yuch;n uJf hJgemovni tw/' lacovnti daivmoni katavgwn eij" to;n qnhto;n tovpon kai; th;n 15 genesiourgo;n politeivan a[nwqen ajpo; tou' oujranou' kai; th'" ajkrovthto" tou' pantov", prwtivsth/ me;n aujta;" uJpotavttei

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    sce il primato e l’uni-forme autorità sulle altre Moire; a Cloto attribuisce il livello inferiore rispetto a quello di Lachesi, ma al contempo una regalità più comprensiva di quella di Atropo; a 5 quella che resta, infine, attribuisce una regalità di terzo livello, che è dalle altre due ed 423 ad esse. Di conseguenza ai più sfugge che 424 si serve delle parti del tempo come di simboli del comprendere in sé in forma causale. In effetti il passato è stato una volta futuro e presente, mentre non è ancora passato, 425, ma ha tutta la sua essenza per intero nel futuro. Pertanto dobbiamo considerare la triplice causalità in modo analogo a queste tre parti del tempo; e diciamo che l’entità più perfetta e comprensiva rispetto alle altre “canta il passato” in quanto è causa e fornisce l’attività 15 alle entità di cui è causa (infatti le cose passate comprendono, come si è visto, le cose future e le cose presenti), mentre il presente viene per secondo e la seconda entità, che per un verso comprende, mentre per un altro è compresa, “canta le cose presenti” (queste ultime infatti sono state in precedenza future), infine la 20 terza entità che è compresa dalle altre due, “canta le cose future” (queste ultime, infatti, hanno bisogno del presente e del passato, e l’uno le rivela, l’altro ne delimita la processione). Di conseguenza Lachesi è causa originaria, in quanto comprende in se stessa le altre, e d’altra parte ciascuna delle altre due è compresa da que- 25 sta; e Cloto ha avuto in sorte il livello superiore, mentre Atropo quello inferiore. Ed è per questo motivo che Lachesi muove con entrambe le mani, in quanto porta a maggiore e più universale 106 completamento le operazioni da loro compiute in modo più particolare, mentre Cloto fa ruotare «il fuso con la mano destra» e Atropo «con la mano sinistra»426, nella misura in cui l’una dà inizio alle attività, mentre l’altra la segue ed insieme a lei guida passo 5 per passo tutti gli esseri. Ed infatti tra i viventi mortali la destra è principio di movimento e nell’universo il movimento verso destra è comprensivo del movimento verso sinistra427. Dunque, attraverso tali considerazioni, la triade delle Moire è apparsa, sia nelle Leggi che nella Repubblica, suddivisa da Platone 10 secondo il medesimo ordine in elementi primi, intermedi ed ultimi. E non solo in questo passo cui si è fatto riferimento, ma anche alla fine dell’intero mito, quando dall’alto del cielo e della sommi- 15 tà del Tutto fa discendere l’anima, sotto la guida del demone al quale è stata assegnata in sorte, verso il luogo mortale428 e la forma di governo soggetta alla generazione429, egli assoggetta le anime

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    th/' Lacevsei, deutevra/ de; th/' Klwqoi', trivth/ de; th/' Atrovpw/: kai; meta; tauvta" uJpo; to;n th'" Anavgkh" qrovnon televa" genomevna" ejpi; to; th'" Lhvqh" a[gei pedivon 20 kai; to;n Amevlhta potamovn. Anavgkh toivnun h] th;n kavqodon ejpitaravttein kai; th;n sunevceian th'" uJfevsew" ajnairei'n h}n tai'" yucai'" hJ tou' daivmono" ejpistasiva parevcetai tou' kateuquvnonto" aujtav", h] th;n Lavcesin uJyhlotevran tw'n a[llwn tivqesqai Moirw'n, th;n de; deutevran 25 Klwqwv, kai; th;n Atropon trivthn wJsauvtw". H ga;r eij" gevnesin provodo" ajpo; tw'n teleiotevrwn wJrmhmevnh kai; uJfizavnousa kata; th;n eij" to; ghvinon rJophvn, a[rcetai me;n ajpo; th'" Lacevsew", teleuta/' de; eij" th;n Atropon. Eti 107 toivnun oiJ klh'roi kai; ta; paradeivgmata tw'n bivwn ajpo; tw'n gonavtwn th'" Lacevsew" dia; mevsou tou' profhvtou ãlevgontaià proteivnesqai tai'" yucai'", kai; w{sper aujto;n to;n o{lon a[trakton ejn 5 toi'" govnasi th'" Anavgkh" strevfesqai proeivrhken, ou{tw dh; kai; th;n peri; ta;" merika;" yuca;" provnoian tw'n th'" Lacevsew" ejxavptei gonavtwn oJ mu'qo", tai'" me;n cersi;n wJ" uJyhlotevrai" dunavmesi to; pa'n kinouvsh" aji>divw", ejn de; toi'" govnasin uJfeimevnw" ta;" aijtiva" tw'n 10 yucikw'n periovdwn ejcouvsh". Dio; kai; tauvthn oJ profhvth" diaferovntw" Anavgkh" ajnumnei' qugatevra: Anavgkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" o{de lovgo". H de; au\ Klwqw; ta; eJpovmena tai'" aiJrevsesi tw'n yucw'n ejpiklwvqein aujtai'" levgetai kai; dianevmein th;n proshvkousan 15 moi'ran eJkavstai": kai; meta; tauvthn hJ Atropo" toi'" keklwsmevnoi" to; a[trepton kai; wJrismevnon ejndidovnai, to; tevlo" sumperaivnousa tw'n Moiraivwn kanovnwn kai; th'" ajpo; tou' panto;" eij" hJma'" kaqhkouvsh" tavxew". Eij toivnun hJ me;n Lavcesi" kai; pro; th'" aiJrevsew" eij" ta;" yuca;" 20 ejnergei' kai; meta; th;n ai{resin pavsa" aujtw'n ajforivzei ta;" genesiourgou;" periovdou" toi'" kallivstoi" o{roi", aiJ de; a[llai meta; th;n ai{resin aujtai'" ajpoklhrou'si ta; proshvkonta kai; suntavttousin aujtw'n tou;" bivou" th/' tou' panto;" diakosmhvsei, pw'" oujci; prohgei'tai me;n hJ Lavcesi" ajmfoi'n, 25 e{pontai de; ejkei'nai kai; meta; tauvth" ajpoplhrou'si th;n oijkeivan promhvqeian Eoike gou'n hJ me;n Lavcesi" th;n th'" mhtro;" ajxivan deutevrw" e[cein pro;" ta;" a[lla" Moivra" 108 kai; ei\nai suntetagmevnh ti" aujtai'" monav", w{sper hJ Anavgkh to;n ejxh/rhmevnon trovpon ta;" pasw'n perievcei dunavmei",

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    per primissima a Lachesi, per seconda a Cloto, ed infine per terza ad Atropo; e dopo che le anime sono divenute perfette «sotto il trono di Necessità», verso «la pianura dell’Oblio» ed «il fiume Amelete»430. Dunque necessariamente : o sconvolgere discesa ed eliminare la continuità del decadimento che procura alle anime il controllo del demone che le guida, oppure porre Lachesi ad un livello più alto delle altre Moire, Cloto al secondo livello, ed infine 25 Atropo, allo stesso modo, al terzo livello. In effetti la processione verso la generazione, partendo dai livelli più perfetti e abbassandosi in base alla propensione verso ciò che è terrestre, incomincia a partire da Lachesi, e giunge a conclusione arrivando Atropo. E ancora che «le assegnazioni per sorteggio» ed «i mo- 107 delli dei generi di vita» sono presentati innanzi alle anime «dalle ginocchia di Lachesi» per il tramite dell’«araldo»431, e come ha detto in precedenza che «l’intero fuso stesso ruota sulle ginocchia 5 di Necessità»432, allo stesso modo il mito fa dipendere dalle ginocchia di Lachesi la cura provvidenziale rivolta alle anime particolari, in quanto da un lato essa muove eternamente il Tutto con le mani come con delle potenze più elevate, dall’altro tiene “sulle ginocchia”, ad un livello inferiore, le cause dei periodi ciclici delle 10 anime433. Ecco perché l’“araldo” celebra Lachesi in modo particolare come «figlia di Necessità»: «Ecco il discorso della vergine Lachesi, figlia di Necessità»434. Dal canto suo Cloto è detta tessere per le anime le conseguenze determinate dalle loro scelte e distribuire a ciascuna di esse il destino che le spetta; e dopo di lei 15 Atropo conferire ai destini che sono stati tessuti il carattere dell’immutabilità e della determinazione435, segnando così il compimento dei decreti delle Moire e l’ordine che dal Tutto discende fino a noi. Se pertanto Lachesi agisce in direzione delle anime anche prima della loro scelta, e se, dopo la loro scelta, defi- 20 nisce tutti i loro periodi ciclici nell’ambito della generazione con le più belle delimitazioni, e se dal canto loro le altre Moire, dopo la scelta , assegnano in sorte ad esse quanto conviene e coordinano i loro generi di vita all’ordinamento del Tutto, come può non essere Lachesi a precedere le altre due, men- 25 tre queste ultime, dal canto loro, seguono ed insieme a lei adempiono al loro proprio compito di cura provvidenziale? In ogni caso pare che Lachesi abbia il rango di madre ad un livello inferiore rispetto alle altre Moire e che sia una sorta di monade ad 108 esse coordinata, come Necessità, in modo trascendente, comprende le potenze di tutte loro, mentre sembra che le altre Moire, dal

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    aiJ de; a[llai Moi'rai prosecw'" me;n uJpo; th;n Lavcesin telei'n, ajnwtevrw de; e[ti tauvth" uJpo; th;n Anavgkhn. 5 H me;n ou\n tavxi" aujtw'n toiauvth noeivsqw kata; th;n tou' Plavtwno" uJfhvghsin: ta; de; dh; suvmbola, o{sa aujtai'" oJ mu'qo" prosavptei, ta;" aujtw'n ajposemnuvnei basileiva". To; me;n ga;r ejpi; tw'n kuvklwn bebhkevnai ta;" ejxh/rhmevna" aujtw'n shmaivnei kai; cwrista;" ejpikrateiva", to; de; 10 ejn qrovnoi" iJdru'sqai, kai; oujk ejn aujtoi'" toi'" kuvkloi", wJ" ta;" Seirh'na", ta;" uJpodoca;" ejndeivknutai ta;" prwvtw" uJp aujtw'n ejllampomevna" uJperidru'sqai tw'n oujranivwn: kai; ga;r oJ qrovno" o[chma kai; uJpodoch; tw'n iJdrumevnwn ejsti; kai; toi'" qeoi'" toi'" meqektoi'" ta; metevconta pavnta uJpobev15 blhtai oi|on ojchvmata, kai; ejn aujtoi'" i{druntai diaiwnivw" oiJ qeoi; kai; ejpocou'ntai aujtoi'" kai; di aujtw'n ejnergou'sin. To; de; di i[sou kaqh'sqai th;n ejn tavxei diavkrisin aujtw'n dhloi' kai; th;n ajnavlogon proi>ou'san u{fesin kai; th;n a[nwqen ejk th'" mhtro;" ejfhvkousan dianomhvn: ejkei'qen ga;r 20 to; tetagmevnon ejn th/' proovdw/ kai; to; kat ajxivan ejn tai'" ejnergeivai" ejndivdotai tai'" Moivrai". Kai; mh;n kai; to; stevmmata ejpi; tw'n kefalw'n e[cein qeivw/ fwti; ta;" noera;" aujtw'n ajkrovthta" perilavmpesqaiv fhsi gonivmoi" te kai; ajcravntoi" aijtivai" kekosmh'sqai, di w|n kai; to;n 25 oujrano;n plhrou'sin dunavmewv" te gennhtikh'" kai; th'" ajtrevptou kaqarovthto". To; de; leuceimonei'n pavnta" aujtw'n tou;" e[xwqen probeblhmevnou" lovgou" kai; ta;" zwa;" a}" eJautw'n proesthvsanto noera;" ajpofaivnei kai; fwtoei109 dei'" kai; th'" qeiva" ai[glh" peplhrwmevna": kai; ejoivkasin oiJ me;n citw'ne" ta;" oujsiva" ejndeivknusqai ta;" metecouvsa" aujtw'n, oiJ de; qrovnoi ta;" ejn toi'" prwtivstoi" sterewvmasin uJpodocav", ejpei; kai; par hJmi'n oiJ me;n citw'ne" prosecw'" 5 oJmilou'si toi'" swvmasin, ta; de; ojchvmata porrwvteron hJmw'n ajntilambavnontai. Alla; tou'to me;n ejx a[llh" qeologiva" eijlhvfqw, par h|" kai; tou;" ejpevkeina th'" ajplanou'" diakovsmou" memaqhvkamen. To; de; uJmnei'n ta;" Moivra", th;n me;n ta; gegonovta, th;n de; ta; parovnta, th;n de; 10 trivthn ta; mevllonta, pavsa" aujtw'n ta;" eij" ta; e[xw proi>ouvsa" ejnergeiva" ejmmelei'" kai; noera;" kai; aJrmoniva" plhvrei" ejndeivknutai: kai; ga;r ta;" tw'n Seirhvnwn w/jda;" kai; ta;" eujruvqmou" kinhvsei" tou' oujranou' teleiou'sin aiJ Moi'rai kai; pavnta plhrou'sin toi'" eJautw'n u{mnoi", prokalouv-

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    canto loro, siano direttamente soggette a Lachesi, e, ad un livello ancora superiore rispetto a quest’ultima, a Necessità. Dunque in questi termini si deve concepire il loro ordinamen- 5 to sulla base dell’insegnamento-guida di Platone; dal canto loro i simboli, quanti il mito attribuisce alle Moire, celebrano le loro forme di regalità. In effetti «il trovarsi sui cerchi»436 sta a significare i loro domini trascendenti e separati, mentre l’essere poste «su 10 troni», e non direttamente sui cerchi stessi, come le Sirene, indica che i ricettacoli illuminati principalmente da esse sono posti al di sopra delle entità celesti; ed infatti il trono è veicolo e ricettacolo delle entità che vi sono poste e tutte le entità che partecipano degli dèi partecipabili risultano poste, come si trattas- 15 se, per così dire, di veicoli, al di sotto di essi, ed in essi gli dèi sono posti eternamente e si fanno trasportare da essi e attraverso essi agiscono. E d’altra parte il fatto che esse «siano assise ad eguale distanza»437 mette in luce che esse sono disposte ordinatamente, che il loro graduale abbassamento di livello procede proporzionalmente, e che dall’alto, dalla madre giunge la loro ripartizione; è da lì infatti che alle Moire vengono assegnate la disposizione 20 ordinata nella processione e la distribuzione delle loro attività in base al rango. E, inoltre, il fatto di «portare delle bende sul capo»438 vuol dire che le loro sommità intellettive sono illuminate tutt’intorno di luce divina e che esse sono adornate delle cause generatrici ed incontaminate, per mezzo delle quali ricolmano il cielo di potenza generativa ed al contempo della purezza 25 immutabile. Inoltre il fatto che siano «vestite di bianco»439 mostra che tutti i principi razionali che esse proiettano all’esterno e tutte le vite che esse hanno posto innanzi a sé stesse sono intellettive, di natura luminosa e ricolmate dello splendore divino; e i chitoni 109 sembrano indicare le essenze che partecipano di esse, i troni, dal canto loro, i ricettacoli presenti nei “primissimi firmamenti”440, dal momento che, anche presso di noi, i chitoni sono direttamen- 5 te aderenti ai corpi, mentre i veicoli sono uniti a noi, ma non in modo così diretto. Ma ciò va desunto da un’altra teologia, dalla quale abbiamo appreso anche gli ordinamenti posti al di là della sfera delle stelle fisse441. Il fatto poi che le Moire «cantino celebrandole», l’una «le cose passate», l’altra «quelle presenti», la terza infine «quelle future», indica tutte le loro attività volte verso 10 l’esterno, ben proporzionate, intellettive e ricolme di armonia; ed in effetti i canti delle Sirene e i movimenti ben ritmati del cielo sono le Moire che li rendono perfetti, ed esse ricolmano tutte le cose dei loro inni, invocando l’azione della madre sul Tutto per 15

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    menai me;n th;n th'" mhtro;" poivhsin eij" to; pa'n dia; tw'n noerw'n u{mnwn, ejpistrevfousai de; pavnta pro;" auJta;" dia; th'" ejnarmonivou tw'n o{lwn kinhvsew".

    kdV Pavnta dh; tau'ta th;n teleivan kai; a[cranton kai; uJperou20 ravnion tw'n Moirw'n tavxin hJmi'n iJkanw'" ejnedeivxato. Loipo;n toivnun hJmi'n ejsti to;n Parmenivdhn ejpimartuvrasqai th'" peri; tw'n qew'n touvtwn didaskaliva": kai; ga;r oJ Plavtwn ejn ejkeivnw/ th;n mivan aujtw'n ijdiovthta safevstata paradevdwken. 25 Meta; ga;r th;n tw'n ajfomoiwtikw'n diakovsmwn provodon, ejn oi|" to; o{moion kai; ajnovmoion ajpo; th'" noera'" taujtovthto" kai; eJterovthto" ejkfainovmena, pote; 110 me;n kat ajnalogivan, pote; de; kata; th;n ejxhllagmevnhn kai; dusqewvrhton gevnesin, to; e}n aJptovmenon ãkai; mh; aJptovmenonà deivknutai kai; eJautou' kai; tw'n a[llwn. Apanta ga;r ta; qei'a gevnh meta; th;n monavda th;n 5 dhmiourgikh;n diplasiavzei ta;" eJautw'n ejnergeiva": kai; ga;r pro;" auJta; kai; pro;" ta; a[lla ta; meq eJauta; pevfuken ejnergei'n, proovdoi" caivronta kai; th/' pronoiva/ tw'n deutevrwn, uJphretou'nta th/' boulhvsei tou' patro;" kai; th;n uJperfua' kai; ajmevriston aujtou' kai; pantelh' poivhsin 10 prokalouvmena kai; toi'" deutevroi" ejpoceteuvonta. Tou'to dh; ou\n pro; tw'n a[llwn aJpavntwn, to; th'" aJfh'" kai; diairevsew" th'" pro;" ta; katadeevstera, pw'" oujci; th;n ajpovluton hJmi'n ijdiovthta parivsthsin To; me;n ga;r a{ptesqai th'" pro;" hJma'" suggeneiva" h\n kai; th'" sunte15 tagmevnh" pronoiva", to; de; au\ mh; a{ptesqai th'" ejxh/rhmevnh" kai; cwristh'" ajp aujtw'n uJperoch'". Toiou'ton gou'n kai; ejn toi'" e[mprosqen hJmei'" ejdeivknumen to; tw'n ajpoluvtwn qew'n gevno", oJmou' me;n sunafe;" pro;" tou;" oujranivou", oJmou' de; uJperhplwmevnon aujtw'n, kai; ejpi; pavnta proi>o;n ajscevtw". 20 Kai; dia; tau'ta kai; ta;" Moivra" uJperouranivou" ejtiqevmeqa:

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    mezzo dei loro inni intellettivi, e d’altro canto fanno convertire verso loro stesse tutti gli esseri per mezzo del movimento armonioso della totalità dell’universo. 24 [Come Parmenide ha concluso il discorso sugli dèi non-vincolati subito dopo gli dèi assimilatori, e come ha caratterizzato la proprietà specifica del loro ordinamento attraverso il carattere dell’“essere in contatto” e dell’“essere separato”] Tutti queste considerazioni ci hanno indicato in modo adegua- 20 to l’ordinamento perfetto, incontaminato, sovraceleste delle Moire. Pertanto non ci rimane che chiamare il Parmenide a testimone dell’insegnamento relativo a questi dèi442; ed infatti Platone in questo dialogo ha tramandato in modo chiarissimo la loro unica caratteristica specifica. In effetti, dopo la processione degli ordinamenti assimilatori, 25 nei quali il «simile e dissimile» sono rivelati a partire dall’«identità e differenza»443 intellettive, ora in base ad analogia, ora invece 110 in base a quella forma di generazione che è completamente diversa e difficile da concepire444, mostra che «l’uno è in contatto »445 sia «con se stesso» sia «con gli altri». In effetti tutti quanti i generi divini dopo la monade demiurgica duplicano le proprie attività; ed infatti essi sono per natura 5 portati ad agire in rapporto a se stessi e in rapporto agli altri che vengono dopo di loro, compiacendosi delle processioni e della cura provvidenziale che essi esercitano sugli esseri inferiori, essendo al servizio della volontà del padre, suscitando la sua sovranna- 10 turale, indivisibile e assolutamente perfetta azione produttiva e facendola riversare sugli esseri di livello inferiore. Ebbene, prima di tutte le altre cose, questo carattere del contatto e della divisione in rapporto agli esseri inferiori, come può non mostrarci la proprietà specifica della non-vincolatezza? In effetti l’essere in contatto è riconducibile, come si è visto446, all’affinità naturale con noi ed alla cura provvidenziale coordinata, mentre, al 15 contrario, il non essere in contatto è riconducibile alla superiorità trascendente e separata rispetto agli esseri inferiori447. Di tal sorta, in ogni caso, come abbiamo mostrato in precedenza448, è il genere degli dèi non-vincolati, ad un tempo in contatto con gli dèi celesti e superiore ad essi per semplicità, e procedente verso tutti gli esseri senza avere con essi relazione. Ed è per queste ragioni 20

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    kai; ga;r a{ptesqai tw'n periforw'n oJ Swkravth" e[lege: kai; ejn Kratuvlw/ th;n ejgkovsmion Kovrhn th;n tw/' Plouvtwni sunou'san kai; pa'san th;n gevnesin ejpitropeuvousan a{ptesqai th'" feromevnh" oujsiva" ejtivqeto, kai; dia; th;n 25 ejpafh;n tauvthn klhqh'nai Ferrevfattan. Kai; e[ti pro;" touvtoi" ejn tw/' Faivdwni to;n trovpon hJma'" th'" kaqartikh'" zwh'" tw'n yucw'n ajnadidavskwn oJpoi'ov" tiv" 111 ejstin, o{tan, fhsiv, mh; prosomilou'sa tw/' swvmati hJ yuch; a{pthtai tou' o[nto". Dia; pavntwn dh; touvtwn th;n me;n aJfh;n th'" ajcwrivstou pronoiva" e[rgon ei\nai kai; th'" suntetagmevnh" ejpista5 siva" ejndeivknutai, th;n de; tauvth" ajpovfasin th'" kecwrismevnh" kai; ajscevtou kai; tw'n dioikoumevnwn ejxh/rhmevnh". To; toivnun aJptovmenon tw'n a[llwn e}n kai; oujc aJptovmenon kai; sunevzeuktai pro;" ta; a[lla kai; uJperivdrutai aujtw'n: dio; dh; kai; a{ma thvn te tw'n uJperidrumevnwn kai; tw'n ejgkos10 mivwn e[lace duvnamin: ejn mevsw/ ga;r o]n ajmfotevrwn ejn eJni; suneivlhfe ta;" dih/rhmevna" tw'n a[krwn ijdiovthta". Kai; mh;n kai; eJautou' pro; tw'n a[llwn a{ptetaiv te kai; oujc a{ptetai, diovti dh; kai; ejn aujtw/' plh'qo" e[sti kai; diavkrisi" oJlovthto" kai; tw'n tauvth" merw'n kai; e{nwsi" panto;" tou' plhvqou" 15 sunagwgov". Eij ga;r proelhvluqen ajpo; tw'n ajrcw'n kai; eij meristw'" ejnergei', poikivlon ejsti; kai; polueidev" (pa'sa ga;r provodo" ejlattoi' me;n ta;" tw'n proi>ovntwn dunavmei", au[xei de; to; ejn aujtoi'" plh'qo"): kai; eij mh; pavnth/ proelhvluqen, oJmou' tw/' plhvqei kai; to; eJnoeide;" th'" oujsiva" profaivnei. 20 Suntevtaktai ou\n toi'" ejgkosmivoi" to; gevno" tou'to tw'n qew'n kai; uJperanevcei tw'n dioikoumevnwn, kai; e[stin ajpovluton, tw'n pavnth/ dih/rhmevnwn ejkbebhkov". Eij toivnun kai; e{n ejsti kai; plh'qo", proavgon me;n eij" ta; deuvtera tou;" pollou;" tw'n phgw'n ojcetouv", uJperanevcon de; tw'n meristw'n 25 diaklhrwvsewn, a{ma kai; a{ptoito a]n eJautou' kai; oujc a{ptoito, dia; me;n th;n e{nwsin th;n cwristh;n oujde; th'" aJfh'" prosdeovmenon, dia; de; th;n eij" plh'qo" provodon aJptovmenon eJautou'. Perievcei ga;r ejn auJtw/' ta; polla; kai; 112 a{ptetai eJautou', kaq o{son ejsti;n ejn auJtw/', fhsi;n oJ Parmenivdh".

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    che abbiamo considerato le Moire come sovracelesti449; ed infatti Socrate affermava che esse sono in contatto con le rivoluzioni ; e nel Cratilo450 riteneva che la Core encosmica che è unita a Plutone e che governa tutto l’ambito della generazione «è in contatto» con l’essenza «soggetta a movimento», e per via di tale «contatto» [“epaphé”] essa è stata chiamata “Pherréphatta”451 25 ed ancora oltre a ciò nel Fedone, illustrandoci di che tipo mai sia la modalità della vita purificata delle anime, afferma che è quella 111 che si ha allorché l’anima, non avendo più a che fare con il corpo, è in contatto con l’essere452. È proprio attraverso tali considerazioni che mostra che il contatto è compito della cura provvidenziale non separata e del dominio coordinato, mentre la negazione del contatto è com- 5 pito del dominio che risulta separato, privo di relazione e trascendente rispetto agli esseri che sono governati. Pertanto l’uno che è in contatto con gli altri e non in contatto, è congiunto agli altri ed al contempo è posto al di sopra di essi; ecco appunto perché ha ottenuto in sorte ad un tempo la potenza delle entità superiori ed anche degli esseri encosmici; in effetti, trovandosi ad un livello in- 10 termedio tra i due , ha riunito in un’unità le caratteristiche specifiche suddivise dei livelli posti alle estremità. Ed inoltre è in contatto ed al contempo non in contatto con se stesso prima che con gli altri, per il fatto che v’è in esso molteplicità, distinzione tra totalità e parti di questa totalità, e unità che racco- 15 glie insieme tutta la molteplicità. In effetti se è proceduto dai principi e se agisce in modo diviso, esso è diversificato e multiforme (infatti ogni processione diminuisce le potenze delle entità soggette alla processione ed accresce la molteplicità insita in esse); e se non è proceduto completamente, esso manifesta insieme alla molteplicità anche il carattere uni-forme dell’essenza. Dunque, questo genere degli dèi risulta coordinato agli dèi enco- 20 smici e si leva al di sopra degli esseri governati, ed è non-vincolato, in quanto è ulteriore rispetto agli esseri completamente divisi. Se pertanto è uno e molteplice, in quanto da un lato fa procedere verso gli esseri inferiori i molteplici «canali» delle fonti, dall’altro si leva al di sopra delle distribuzioni parziali, si potrebbe dire che 25 è al contempo in contatto ed anche non in contatto con se stesso, in quanto in virtù della unificazione separata non ha bisogno del contatto, mentre in virtù della processione verso la molteplicità è in contatto con se stesso. Infatti comprende in se stesso i molti ed è in contatto con se stesso, nella misura in cui è 112 in se stesso, afferma Parmenide453.

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    In ou\n sunelovnte" ei[pwmen, wJ" me;n ãajpovlutonà ajnafev" ejstin, wJ" de; ajf eJautou' proi>o;n kai; ejn eJautw/' 5 pavlin iJdrumevnon a{ptetai eJautou': kai; wJ" me;n ejn toi'" a[lloi" o]n a{ptetai tw'n a[llwn, wJ" de; ajsuvntakton pro;" ta; a[lla kai; wJ" ajriqmo;n oujk e[con ejkeivnoi" suvstoicon kecwvristai aujtw'n. Ama a[ra kai; eJnoeidev" ejsti kai; peplhqusmevnon, kai; monoeide;" ãkai;à ejxallattovmenon to; 10 gevno" tou'to tw'n qew'n, kai; mevnon kai; proi>ovn, kai; metecovmenon uJpo; tw'n ajtelestevrwn kai; ajmevqekton aujtw'n prou>pavrcon. Apanta de; tau'ta th'" uJperouranivou diakosmhvsewv" ejsti stoicei'a, th;n suvgkraton ajpo; tw'n pavnth/ diwrismevnwn ijdiothvtwn hJmi'n uJpovstasin ejmfanivzonta. 15 Tau'ta me;n ou\n eijrhvsqw peri; th'" oujsiva" aujtw'n kai; th'" uJpavrxew", h}n ejn touvtoi" oJ Parmenivdh" parivsthsi: dei' de; kai; ta; ai[tia th'" ajpogennhvsew" aujtw'n ejk tw'n prokeimevnwn labei'n. Oujkou'n kat aujth;n me;n th;n e{nwsin ejpevkeina pavsh" diakrivsew" meristh'" kai; aJfh'" ajpodeiknuvmenoi, 20 th;n ajpo; tou' eJno;" a]n e[coien provodon: pa'si ga;r ejkei'qen hJ e{nwsi", ajpo; th'" eJnavdo" th'" prwtivsth" kai; panto;" plhvqou" kai; diairevsew" pavsh" ejxh/rhmevnh". Kata; de; to; ejn auJtw/' th;n tou' a{ptesqai duvnamin eJautw'n proeilhfovte", ajpo; tw'n ajcravntwn uJfesthvkasi qew'n: to; ga;r ejn auJtw/' ãejn 25 tw/'à prwtivstw/ tw'n noerw'n patevrwn th'" ajklinou'" aijtiva" h\n kai; ajtrevptw" ajnecouvsh" to; plh'qo" ajpo; tw'n deutevrwn 113 suvmbolon. Eij toivnun dia; to; ejn auJtw/' to; e}n tou'to a{ptetai eJautou', dia; th;n a[cranton ejn th/' proovdw/ duvnamin eJdravzei to; plh'qo" ejn tw/' eJni; kai; ta; mevrh th/' oJlovthti sunevcei. Kajkei' me;n to; ejn auJtw/' prwvtw" ejkfane;n th;n aJfh;n kat 5 aijtivan perieivlhfen, w{sper devdeiktai dia; th'" prwvth" hJmi'n uJpoqevsew": ejntau'qa de; kata; mevqexin me;n to; ejn auJtw/', kat oujsivan de; hJ aJfh; tw/' eJni; touvtw/ kai; toi'" ejn aujtw/' sunufevsthken. Eti toivnun ejn a[lloi" me;n o]n a{ptetai tw'n a[llwn, kat oujdevna de; aujtoi'" koino;n ajriqmo;n suntattov10 menon kecwvristai ajp aujtw'n. En dh; touvtoi" dokei' me;n ajpo; tou' ejn a[llw/ poiei'sqai th;n ejpibolhvn, ejpei; kai; to; eJautou' a{ptesqai dia; tou' ejn

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    Dunque, per dirla in breve, in quanto non-vincolato, è privo di contatto, mentre in quanto procede da se stesso ed è a sua volta 5 posto in se stesso, è in contatto con se stesso; ed in quanto è negli altri, è in contatto con gli altri, mentre in quanto è non-coordinato con gli altri ed in quanto non forma una serie coordinata con essi, ne risulta separato. Di conseguenza questo genere di dèi è nello stesso tempo uni-forme ed anche moltiplicato, di una sola forma ed al contempo mutante, permanente ed anche proceden- 10 te, partecipato dagli esseri più imperfetti e impartecipato in quanto preesiste da essi. Tutte queste proprietà sono elementi dell’ordinamento sovraceleste, i quali rendono a noi manifesto il livello di realtà prodotto dalla mescolanza delle proprietà completamente definite nella loro distinzione. Tali sono dunque le considerazioni che si devono fare a propo- 15 sito dell’essenza e dell’esistenza di questi dèi, che il Parmenide presenta nei passi citati; d’altra parte occorre anche desumere i principi causali della loro generazione a partire da quanto si è detto in precedenza. Quindi, dato che , proprio in considerazione della loro unità, si dimostrano al di là di ogni distinzione particolare e contatto, essi dovrebbero avere la loro proces- 20 sione a partire dall’Uno: infatti è da lì che per tutti gli esseri proviene l’unità, vale a dire dall’Enade primissima e trascendente ogni molteplicità ed ogni divisione. D’altra parte in base al carattere dell’“in sé” avendo assunto originariamente la capacità di essere in contatto con se stessi, essi sono venuti a sussistere a partire dagli dèi incontaminati; infatti il carattere dell’“in sé” nel primissimo dei padri intellettivi è risultato454 simbolo riconducibile 25 alla causa inflessibile che tiene indietro immutabilmente la molteplicità derivante dalle entità inferiori. Se, pertanto, per via del 113 carattere dell’“in sé” questo uno è in contatto con se stesso, per via della potenza incontaminata insita nella sua processione fa risiedere la molteplicità nell’unità e tiene insieme le parti con la totalità. E là il carattere dell’“in sé”, rivelatosi in modo primario, risulta comprendere in senso causale in se stesso il contatto, come 5 ci è stato mostrato attraverso la prima ipotesi455; qui invece il carattere dell’“in sé” è per partecipazione, mentre il contatto è venuto a sussistere insieme a questo uno ed alle entità che sono insite in esso. Ed inoltre dato che è in altri, esso è in contatto con gli altri, e d’altra parte dato che non è coordinato in base a nessuna serie comune con essi, risulta da essi separato. 10 In questo luogo la conclusione cui si perviene è ricavata a partire dall’«in altro», eppure456 in precedenza457 il

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    TEOLOGIA PLATONICA

    auJtw/' devdeiktai provteron: qau'ma de; o{pw" ejn th/' prwvth/ proovdw/ to; ejn a[llw/ tou' ejn auJtw/' krei'tton uJpostavn, ejn th/' 15 meqevxei tw'n ajpoluvtwn qew'n katadeevsterovn ejsti tou' ejn eJautw/'. To; ga;r tw'n a[llwn a{ptesqai kai; suntetavcqai a[lloi" tou' eij" eJauto; to; plh'qo" ejpistrevfein pavntw" dhvpou fhvsomen ajtelevsteron uJpavrcein. Hmei'" dh; ou\n ajpo; th'" dhmiourgikh'" aujto; kai; th'" ajfomoiwtikh'" dia20 kosmhvsew" e[cein th;n provodon levgwmen: dio; kai; oujk ejn a[llw/ fhsi;n oJ Parmenivdh" ei\nai to; e{n, ajlla; ejn a[lloi", ta; de; a[lla prwvtw" me;n ãth'" dhmiourgikh'"Ã ejxh'ptai monavdo", deutevrw" de; tw'n ajfomoiwtikw'n qew'n. Ekei'qen ou\n kai; oiJ ajpovlutoi paredevxanto to; ejn a[lloi" 25 ei\nai: to; ga;r dhmiourgiko;n e{n, taujto;n uJpavrcon kai; e{teron, taujtovthto" aujtoi'" metedivdou kai; eJnwvsew" ejxh/rhmevnw", to; de; ajfomoiwtiko;n aujtoi'" oJmoiovthta ejpev114 lampe cwristhvn, to; de; tw'n ajpoluvtwn ejn aujtoi'" ejstin h[dh, kaq o{son suntevtaktai aujtoi'" kai; prosecw'" ejpistatei', diovti de; au\ diafevrei tw'n ejgkosmivwn eJnavdwn, pavnta to;n oijkei'on ajriqmo;n ejxh/rhmevnon e[lacen ajpo; tw'n 5 a[llwn. Kai; ou{tw dh; ta; a[lla, mhdeno;" ajriqmou' metevconta koinou' pro;" tou'to to; e{n, oujd a]n prosecw'" aujtou' duvnaito metevcein. Oujkou'n kai; ajpo; tw'n prwvtwn aijtivwn kai; ajpo; tw'n suvneggu" tetagmevnwn hJ provodov" ejsti toi'" ajpoluvtoi" 10 qeoi'": kai; ga;r ajpo; tou' eJnov", ejpeivper, wJ" ejkei'no tw'n nohtw'n, ou{tw dh; kai; ou|toi tw'n aijsqhtw'n ejxh/vrhntai: kai; ajpo; th'" ajcravntou tavxew", ejpeidh; kai; to; eu[luton oujk ajllacovqen e[cousin h] ajpo; th'" ajtrevptou dunavmew" kai; th'" dhmiourgikh'" aijtiva": kai; dh; kai; ejk tw'n ajfomoiw15 tikw'n qew'n ajpogennhqevnte" kai; th;n kata; ta; a[lla paredevxanto koinwnivan kai; ajf eJautw'n uJperivdrusan, kai; ga;r to;n oijkei'on ajriqmo;n th'" tw'n a[llwn uJpostavsew" uJperivdrusan. Tosau'ta kai; peri; touvtwn tw'n qew'n ejk tou' Parmenivdou 20 paralhptevon: th;n de; tw'n kaq e{kasta dihkribwmevnhn ejxhvghsin ejn a[lloi" pepoihvmeqa kai; oujde;n dei' ta; aujta; kajn touvtoi" ajnagravfein.

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    fatto di essere in contatto con se stesso è stato mostrato attraverso l’“in sé”; d’altra parte è motivo di stupore in che modo, mentre nella prima processione l’“in altro” risulta superiore rispetto all’“in sé”, nel caso della partecipazione da parte degli dèi non- 15 vincolati, esso risulta invece inferiore all’“in sé”458. In effetti l’essere in contatto con gli altri e l’essere coordinato ad altri diremo che risulta senza alcun dubbio più imperfetto rispetto al convertire verso se stesso il molteplice. Ebbene, noi dobbiamo dire che ha la sua processione a partire dall’ordi- 20 namento demiurgico e da quello assimilatore; ecco perché Parmenide non dice che l’uno è in altro, bensì che è «in altri»459, e «gli altri», dal canto loro, dipendono a livello primario dalla monade 460, mentre a livello secondario dagli dèi assimilatori. È dunque da lì che gli dèi non-vincolati hanno ricevuto il loro essere «in altri»; infatti l’uno demiurgico, risultando «identico e 25 diverso»461, in modo trascendente concede ad essi, come si è visto462, di partecipare di identità e di unità, mentre l’uno assimilatore ha fatto risplendere su di essi una somiglianza separata, e dal 114 canto suo l’uno degli non-vincolati è già in essi, nella misura in cui risulta coordinato ad essi ed è direttamente preposto ad essi, ma per il fatto che a sua volta differisce dalle enadi encosmiche, tutta la serie che esso ha avuto in sorte è trascendente rispetto «agli altri»463. E proprio così «gli altri», non partecipando di 5 nessuna serie comune con quest’uno, non potrebbero neppure partecipare direttamente di esso. Quindi gli dèi non-vincolati hanno la loro processione sia a partire dai principi causali primi sia da quelli che sono posti per ordinamento in prossimità ; ed infatti è dall’Uno , proprio perché, come esso trascende gli intelligibili, così questi trascendono i sensibili; ed a partire dall’ordinamento incontaminato, dal momento che il loro carattere di svincolatezza non lo vengono ad avere da altro se non dalla potenza inflessibile e dalla causa demiurgica; ed in particolare è per il 15 fatto di essere stati generati dagli dèi assimilatori che essi hanno ricevuto la comunanza con «gli altri» ed al contempo si sono posti da sé al di sopra . Tutte queste sono le considerazioni che vanno ricavate dal Parmenide per quel che concerne questi dèi; d’altra parte noi abbia- 20 mo proposto altrove464 l’esegesi minuziosa e dettagliata di ciascuna di queste considerazioni e non v’è alcun bisogno di riportare anche qui le medesime cose.

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    COMMENTO AL TESTO

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    COMMENTO AL LIBRO I 1 Pericle, come si ricava dal cap. 29 della Vita di Proclo scritta da Marino, fu un allievo e discepolo di Proclo e da questi molto stimato. Egli viene citato da Proclo anche nel Commentario al Parmenide per una sua interpretazione di un difficile passo di tale dialogo: cfr. IV, 872.14-15 [ed. Steel]. 2 L’aggettivo ajgaqoeidhv" («di forma simile al Bene») è ripreso da Repubblica VI, 509a3. 3 Cioè gli dèi. 4 Le anime umane sono costrette a vivere nella dimensione del divenire. 5 Secondo la concezione procliana, dunque, originariamente la filosofia platonica si delinea di fatto come il frutto dell’ispirazione divina stessa. 6 Espressione tratta da Fedone 66c2. Come si chiarirà nel prosieguo dell’argomentazione procliana, la filosofia platonica, dopo essersi “ritirata in se stessa”, è ritornata alla luce grazie alla tradizione esegetica inaugurata da Plotino, ossia proprio quello che per noi è il Neoplatonismo di cui Proclo stesso è uno dei massimi rappresentati. 7 In questo passo, piuttosto complesso, la correlazione tra mevn e dev è centrale: se, da un lato, originariamente fu la volontà degli dèi a ispirare a Platone la sua filosofia, dall’altro è stato Platone stesso che, come un sacerdote, l’ha resa una mustagwgiva (l’iniziazione misterica), la quale può essere rivelata solo agli individui che sono già «iniziati» e che dunque sono già «in contatto» con la realtà divina: attraverso la mustagwgiva la verità si delinea a tutti gli effetti come rivelazione. 8 Espressione tratta dal Fedro 254b7. 9 L’espressione kata; crovnon va intesa in contrapposizione all’avverbio diaiwnivw" di 5.18: l’iniziazione ai misteri, nella misura in cui è fondata nella realtà divina, è posta in una dimensione eterna e senza tempo. Gli uomini invece si servono di essa, una volta che è stata rivelata, nell’ambito della temporalità. 10 di’ eJno;" ajndrov": Platone stesso, che è qui considerato come un sommo sacerdote dei riti misterici concernenti le divinità. 11 Cfr. Fedro 250b8-c3. 12 L’ejpopteiva è il momento fondamentale e conclusivo del rito misterico: la visione della realtà divina.

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    COMMENTO

    Cioè Platone. Si tratta di Siriano, che fu maestro e guida spirituale di Proclo. 15 Proclo sembra qui indicare i dialoghi platonici come rivelatori di «visioni beate». 16 Riferimento a Timeo 39b4. 17 Cfr. Timeo 27c1-2. La «temperanza» è, secondo la gerarchia delle virtù concepita nell’ambito del Neoplatonismo, una delle «virtù etiche» fondamentali ed imprescindibili per poter giungere alla conoscenza autentica. 18 Allusione al metodo dell’«etimologia» dei teonimi come via per giungere alla conoscenza delle divinità. Sul rapporto tra «etimologia» e «teologia» in Proclo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone nel volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, pp. 7-252. 19 Cfr. Fedro 257a7. 20 Il termine eJstiva indica propriamente la parte «più interna» e «centrale» della casa: essa è il luogo in cui si riunisce la famiglia anche per la celebrazione ed il culto degli dèi, da cui appunto il significato di «altare». In questo contesto, dunque, l’espressione figurata viene ad indicare la «famiglia» in senso spirituale, e dunque la «scuola». 21 Questo impiego dell’espressione to; a[nante" rinvia a Fedro 247b1. 22 Probabile riferimento a Fedro 270a1-2. 23 Proclo si riferisce qui ai teurghi che sono in grado di preparare oijkeiva" ta;" uJpodoca;", ovvero «ricettori» (meglio di «ricettacoli») adatti ed in grado di accogliere in se stessi le manifestazioni delle entità divine. La mente degli uditori deve dunque essere predisposta, come gli strumenti del rito teurgico, ad accogliere la verità divina. 24 La teurgia è fondata sul concetto della sumpavqeia cosmica: un dio si manifesta solo in quegli oggetti o per mezzo di quegli oggetti che hanno una qualche affinità simbolica con esso. 25 Riferimento a Menone 98a3-4. 26 Cfr. Fedone 67b2. 27 Cfr. Parmenide 135c8-136c5. 28 Si accoglie l’integrazione proposta nell’edizione SaffreyWesterink: ãi{na kajnÃ. 29 Espressione tratta da Timeo 53c1-2. Il riferimento è alle conoscenze matematiche. 30 Riferimento ad Oracoli Caldaici: cfr. fr. 46 des Places = p. 26 Kroll. 31 Cfr. Simposio 212b3-4. 32 Cfr. Teeteto 173c7 : Socrate, in questo passo, accenna ai corifei 14

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    AL LIBRO I,

    NOTE

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    in quanto, rispondendo a Teeteto, trae spunto dal loro ruolo di guide del coro negli spettacoli drammatici per alludere a chi deve svolgere la funzione di guida nella formazione alla ricerca filosofica. 33 Il riferimento, con ogni probabilità, è agli Stoici. 34 Difficile è qui stabilire con certezza a chi si riferisca Proclo. Una prospettiva molto simile a quella qui delineata viene da lui attribuita, nel suo Commento al Timeo II, 122.11 segg. [ed. Diehl], a Teofrasto. Potrebbe altresì trattarsi anche di Anassagora. 35 Il riferimento è qui certamente alla concezione aristotelica. 36 Riferimento a Parmenide 114b 1-2. 37 Questo uso del termine a[nqo" («fiore») in riferimento all’intelletto viene dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 1 e 49 des Places = p. 11 e 27 Kroll. 38 Cfr. Fedro 249d7. 39 Tale dottrina risale ad Empedocle (cfr. 31 B 109 Diels-Kranz) ed è centrale in tutto il Neoplatonismo. 40 Cfr. Alcibiade I 133b7-c6. 41 Riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 116 des Places = p. 52 Kroll. 42 Espressione tratta da Plotino, Enneadi, I 6 (1), 8.25. 43 In tutto questo passo Proclo si rifà a Fedro 243e9-257b7. Il termine νυμφόλητος (“posseduto dalla ninfe”) qui impiegato da Proclo è ripreso da Fedro 238d1. Secondo l’intepretazione procliana, Platone in Fedro 243e9 segg. fornisce dottrine riguardanti gli dèi intellettivi e quelli ipercosmici-encosmici, indicati con l’espressione “sovrani non-vincolati” in quanto trascendono il cosmo e fanno tendere verso la dimensione intelligibile gli dèi encosmici i quali, invece, sono direttamente in contatto con il cosmo materiale. Degli dèi ipercosmici-encosmici Proclo tratterà specificamente più avanti, nel VI libro capp. 15-24. 44 Cfr. Sofista 242b6-245e2. 45 Cfr. Parmenide 137c1-155e3. 46 Cfr. Gorgia 523a1-524a7. 47 Cfr. Simposio 203b1-e5. 48 Cfr. Protagora 320c8-322d5. 49 Cfr. Timeo 53c4-55c6. 50 Cfr. Politico 269c4-274e4. 51 Cfr. Orphicorum fragmenta, p. 142 Kern. 52 Proclo affronterà tale questione successivamente nei capitoli 7-12. 53 Tutto il passo fa riferimento a Fedro 229b4-230a6. 54 Cfr. Gorgia 523a1-524a7. 55 Cfr. Protagora 320c8-322d5. 56 Cfr. Leggi X, 899d4-907b9.

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    COMMENTO

    Come vedremo, è in particolare la Lettera II (considerata autentica dagli autori neoplatonici) che verrà presa in considerazione da Proclo nel II libro: soprattutto il noto passo 312e1 segg. 58 Cfr. Filebo 20b6-d11; 23c9-d1; 64a7-65a6. 59 Cfr. Timeo 27c1-43a6. 60 Cfr. Fedro 246e4-247e6. 61 Cfr. Politico 268d5-274e4. 62 Qui Proclo accenna alla particolare interpretazione del finale del Sofista elaborata nell’ambito del tardo Neoplatonismo. 63 Secondo la tradizione, Orfeo avrebbe iniziato alle conoscenze misteriche Aglaofamo (o Aglaofemo) che poi a sua volta avrebbe iniziato Pitagora. Agli autori neoplatonici era noto un testo dal titolo Discorso Sacro che viene citato da Giamblico nella Vita di Protagora 146, p. 82.15-17. A tale proposito si veda Ch. Riedweg, Pitagora. Vita, dottrina e influenza, trad. it., Milano 2007, pp. 55-56. 64 Cfr. Filebo 16c8. 65 Espressione tratta da Timeo 40d9-e1. In questo passo Proclo si riferisce in generale a Timeo 40d6 segg. 66 Cfr. Cratilo 402b1-c3. 67 Il testo è lacunoso. È possibile integrare la lacuna in base al senso: nella traduzione si è seguita l’ipotesi degli Editori. 68 Cfr. Gorgia 523a3-4. 69 Espressione tratta da Fedro 235c8-d1. 70 Cfr. Protagora 320c8-322d5. 71 Cfr. Repubblica X, 614b2-621c2. 72 Cfr. Gorgia 523a1-524a7. 73 Cfr. Timeo 40d6-41a3. 74 Cfr. Filebo 16c5-17a5; 23c1-30e8. 75 Cfr. Timeo 39e3-40a2. 76 Cfr. Fedro 246e4-247e6; 249b6-256e2. 77 Cfr. Timeo, 29b4-5. 78 Riferimento alla interpretazione dialettica del Parmenide secondo la quale il dialogo è un esercizio logico che si sviluppa su due diversi punti di partenza: l’ipotesi dell’Uno che è e dell’Uno che non è. 79 Espressione tratta da Sofista 248a4. 80 Cfr. ad esempio Iliade III v. 172; XVIII v. 394. 81 Espressione ripresa da Fedone 79a3. 82 Tutto il passo si riferisce a Parmenide 136a4-137a6. 83 Riferimento al frammento 287 Page del poeta Ibico, vissuto nel VI secolo a.C.: egli si paragona ad un cavallo uso alle vittorie che, ormai non più giovane, controvoglia deve riprendere a gareggiare. 84 Gioco di parole, che non si può rendere in italiano, fra gli aggettivi neoprepei'" e noerwtavtwn.

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    AL LIBRO I, 85

    NOTE

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    Il riferimento è a Parmenide 137b1-4. Espressione probabilmente tratta da Fedro 249d3. 87 Il testo è qui irrimediabilmente lacunoso: ogni tentativo di integrazione apparirebbe puramente congetturale. 88 Cfr. Timeo 51d3-e6. 89 Riferimento a Aristotele Topici I 10, 104a3-8; 11, 105a7-9. 90 Il testo è qui corrotto. Il senso comunque appare ricostruibile in base al contesto. 91 Proclo afferma qui che non bisogna nemmeno ammettere quella prospettiva interpretativa secondo la quale il Parmenide ha per oggetto l’essere autentico congiuntamente a tematiche di tipo logicodialettico. 92 Il senso è piuttosto intricato e di non immediata comprensione. Platone non può essere accusato di imitazioni inverosimili, nella misura in cui egli stesso incolpa i poeti proprio di questo: essi infatti hanno attribuito a «figli di dèi» una vita soggetta a passioni. 93 Con tale espressione Proclo intende qui chiaramente riferirsi a Parmenide. 94 Il giovane in questione è lo stesso Teeteto che dà nome al dialogo. 95 Cfr. Teeteto 183e3-184a3. 96 Cfr. ibid. 184a1. 97 Cfr. Sofista 217c2-7. 98 Cfr. Repubblica VII, 534e2-3. 99 Il termine qrigkov" possiede una polivalenza semantica che non può essere resa nella traduzione: il suo significato «fregio, ornamento» passa a «sommità, cima» (per questo significato cfr. più avanti il punto 39.20) e da qui a «baluardo, muro di cinta». 100 Espressione tratta da Repubblica VII, 533d2. 101 Espressione tratta da Repubblica VI, 511d6. 102 Cfr. Repubblica VII, 533d4. 103 Il termine ejpanabibasmoi'" è un hapax in Proclo. Esso compare, inoltre, una volta in Ermia e una volta anche in Simplicio. 104 L’eristica è una tecnica di argomentazione sofistica, criticata da Platone in particolare nell’Eutidemo, il cui unico scopo è quello di confutare le tesi dell’avversario. Essa si propone dunque come un falso metodo di ricerca filosofica che non ha di mira la verità, ma l’illusione prodotta dalla persuasione. 105 Espressione tratta da Repubblica V, 475e4. 106 Come molto spesso accade in Proclo, il periodo, assai lungo, rasenta l’anacoluto. 107 Su ciò si veda quanto Proclo afferma nel Commento al Parmenide VI, 1051.26-1064.14 [ed Steel]. 86

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    COMMENTO

    Si tratta ancora di Siriano, maestro e guida di Proclo. Espressione tratta da Omero: cfr. Odissea XIX, v. 179. 110 Il testo è lacunoso. È possibile comunque evincere il senso dal contesto. Nella traduzione si è seguita l’ipotesi dei due Editori Saffrey-Westerink. 111 Come spesso in Proclo la frase non ha un soggetto esplicito. Qui Proclo si riferisce con ogni probabilità a Platone e al metodo di analisi e argomentazione da lui impiegato nei dialoghi. 112 Il termine sumpevrasma ha una duplice valenza semantica: esso indica sia la «conclusione» cui si approda concettualmente sia la «determinazione» ontologica compiuta di una realtà. 113 Il riferimento è a Plotino, Enneadi, VI 6 (34), 9 e 16. Su questo trattato si veda C. Maggi (a cura di), Plotino. Sui numeri. Enneade VI 6 [34], Introduzione, testo, traduzione e commento, Napoli 2009. 114 È assai difficile rendere in italiano la polivalenza semantica del termine ajriqmov". Esso infatti designa al contempo il concetto di «numero», ma anche quello di «computo complessivo», dunque «insieme totale». 115 Questo trattato di Porfirio è andato perduto. 116 Questo trattato è citato da Giamblico stesso nel suo De Mysteriis VIII 8, p. 271.13, ed inoltre nel Protreptico 21, p. 120.7. Il trattato comunque è andato perduto. 117 Nel suo insieme unitario, l’ordinamento psichico, secondo una concezione che si ritrova già in Plotino, è caratterizzato da un’intrinseca e strutturale pluralità, in quanto in esso sono necessariamente incluse le singole anime nella loro specifica individualità. Per questo la sua unità procede verso la molteplicità ed è come “assorbita” dalla sua essenza intrinsecamente molteplice. Il participio καταpινόμενον (“inghiottito”, “assorbito”) è probabilmente ripreso dalla tradizione orfica: cfr. Orphicorum fragmenta fr. 167 Kern. 118 Proclo si riferisce qui al suo Commentario al Parmenide, ed in particolare ai libri VI e VII: una parte di quest’ultimo sopravvive solo nella traduzione di Guglielmo di Moerbeke. 119 Gli Editori segnalano in questo passo una lacuna che, comunque, è colmabile in base al senso. 120 Proclo si riferisce qui a Leggi X, 893b1-899d3; 899d4-905d1; 905d1-907b9. 121 Espressione tratta da Timeo 37d5. 122 Cfr. Leggi X, 895a6-b3. 123 Pare necessaria l’integrazione proposta dagli editori: ãkinouvmenaÃ. 124 Cfr. supra, p. 60.19-21. 125 Per questo riferimento a Teofrasto, cfr. Proclo, Commento al Timeo, vol. II, p. 122.16-17 [ed. Diehl]. 109

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    NOTE

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    Cfr. Timeo 30b7-8. Cfr. Parmenide 28B3 Diels-Kranz. Sull’interpretazione procliana dell’ontologia parmenidea si veda nel presente volume il saggio integrativo Parmenide nella Teologia Platonica tra “reinterpretazione” e “superamento”. Per un ulteriore approfondimento della questione rinvio inoltre al mio volume Parmenide e i Neoplatonici. Dall’Essere all’Uno e al di là dell’Uno, Alessandria 2010, in particolare pp. 157-200. 128 Cfr. Leggi X, 897b1-2. 129 Cfr. Plotino, Enneadi, VI 7 (38), 35.19-28. 130 Cfr. Leggi X, 899d4-905d1. 131 Cfr. supra p. 70.7-21. 132 Espressione tratta da Crizia 109c2. 133 Espressione tratta da Filebo 65a1. 134 Citazione da Euripide, Troiane, vv. 887-888. 135 Su Issione vi sono varie tradizioni mitiche; secondo una di esse egli è posto negli inferi dove è stato condannato da Zeus a girare in eterno una ruota infuocata per aver cercato di violentare Era. Nel presente contesto probabilmente Proclo si rifà a questo filone mitico, considerando Issione come proverbiale modello di una fatica estrema, inutile ed improduttiva. 136 Citazione da Euripide, Troiane vv. 887-888. 137 Si noti la struttura chiastica. 138 Espressioni tratte da Leggi X, 904b4-5. 139 Espressione tratta da Leggi IV, 711b7. 140 Si è qui cercato di attenuare il forte anacoluto presente nel testo procliano. 141 Secondo l’interpretazione neoplatonica di Proclo, la drammaturgia, in realtà, cela come con «veli» le verità più segrete concernenti gli dèi. 142 Cfr. Fedro 251b1-2. 143 Questo sembra qui essere il valore dell’imperfetto h\n. 144 Proclo si occupa del problema della teodicea del male, oltre che nel De subsistentia malorum, anche nella dissertazione IV del Commento alla Repubblica, ove egli fornisce una chiarissima ed efficace sintesi del suo pensiero intorno a tale difficile e complessa questione filosofica. Anche in quest’ultimo testo Proclo definisce il male come parupovstasi", cioè «forma di esistenza collaterale». Su ciò rinvio al mio articolo: Parypóstasis: il concetto di male nella quarta dissertazione del ‘Commento alla Repubblica’ di Proclo, in «Rivista di Storia della Filosofia», 1 (1998), pp. 109-115. 145 Cfr. Fedro 246b3. 146 Cfr. Euripide, Troiane, vv.887-888; questi versi sono stati citati da Proclo anche in precedenza al cap. 16, p. 77.8-9. 127

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    COMMENTO

    Cfr. Leggi X, 899d4-905d1. I Giganti nella mitologia greca sono (con i Titani) tra i prototipi dei ribelli alla divinità, che fanno dilagare il male nel mondo, benché destinati alla sconfitta da parte di Zeus e delle altre divinità olimpiche. 149 Cfr. supra, cap. 18, pp. 86.26-87.21. 150 Cfr. Timeo 29a5-6; 30a7, 37a1-2. 151 Cfr. ibid. 30d1-2. 152 Cfr. Repubblica II, 381c8-9. 153 Così a mio avviso bisogna intendere il vago e poco chiaro tou'to nella frase: pavresti de; kai; eJkavstw/ tou'to k.t.l. 154 Cfr. supra, pp. 88.16-20. 155 Cfr. Timeo 42e5-6. 156 Cfr. ibid. 33d2; 68e3. 157 Cfr. ibid. 32d1. 158 Per questa espressione cfr. Timeo 37c7; cfr. anche Politico 269d9. 159 Il testo aujtavrkeiav ejstin h] ou{tw" non ha alcun senso. Per questo i due Editori individuano qui una corruttela o una lacuna. Non mi pare molto convincente la proposta di correzione: e{kasto" de; aJplw'" ajgaqovth", ãhJ de; aJplw'" ajgaqovth"Ã aujtavrkeiav ejstin hJ o[ntw" k.t.l. Comunque, accogliendo questo emendamento, la traduzione sarebbe: «ciascun dio è semplicemente bontà; d’altra parte la bontà allo stato puro, quella che è veramente bontà, è autosufficienza etc.». 160 Come apparirà chiaro in seguito, Proclo si riferisce qui alla volta celeste e ai corpi celesti nella loro globalità. 161 Cfr. Timeo 35a1-3. 162 Riferimento ad Aristotele, De Anima III 5, 430a18. 163 Cfr. Timeo 32c3. 164 Cfr. Politico 269e1. 165 Cfr. Fedro 246b7. 166 Il riferimento è a Timeo 40b6. 167 Cfr. Timeo 43a5, d1. 168 Espressione tratta da Plotino, Enneadi, III 8 (30), 8.34. 169 Cfr. Politico 269d5-6. 170 Il riferimento è ai τύpoι pερὶ θεολογίας delineati da Platone per bocca di Socrate nel libro II della Repubblica 380d1-383a6). 171 Cfr. Repubblica II, 381c9. 172 dokei' de; aJplou'n ei\nai kaq o{son dih/rhmevnon e[cei to; koino;n ei\do". Oujd oi|on to; ejn toi'" polloi'" katatetagmevnon ei\do". Il termine ei\do" viene qui impiegato per due volte di seguito, rispettivamente con il significato prima di «forma» e poi di «specie». 173 Si tratta della dimensione materiale, nella quale la natura, nell’ottica neoplatonica procliana, si divide in una indistinta molteplicità, 148

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    AL LIBRO I,

    NOTE

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    perdendo così il carattere di unità che dovrebbe contraddistinguerla. 174 Cfr. Timeo 35a1-3; si veda inoltre supra, cap. 19, p. 92.7-8. 175 Espressione tratta da Omero, Iliade, IV v. 443. 176 Il testo ha qui una evidente lacuna. È possibile integrare basandosi sul senso della frase come si è proposto nella traduzione. 177 Probabile rinvio a Plotino, Enneadi, I 1 (53), 8.9. 178 Cfr. Fedro 250c2-4. 179 Espressione tratta da Fedro 252c3. 180 Cfr. Timeo 42c5-6. 181 Per questa espressione cfr. Cratilo 403b5 e Gorgia 523e1. 182 Cfr. Repubblica II 382e6. 183 Qui Proclo si riferisce alle componenti prime del linguaggio, cioè i nomi, le parole e con esse le lettere stesse che le compongono. 184 Cfr. Cratilo 385b2-d1. 185 Sulla questione alla quale qui accenna Proclo si può vedere ad esempio F. FERRARI, Esistono forme καθ᾽ἕκαστα? Il problema dell’individualità in Plotino e nella tradizione platonica antica, in «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino», Classe di Scienze morali, 131 (1997), pp. 23-63. Si veda anche Plotino, Enneadi V 7 (38), ove il filosofo sembra sostenere l’esistenza di Idee di entità individuali. 186 Su ciò si veda Commento al Parmenide III, 825, 9 segg., 828.15 segg., 833, 5 segg. [ed. Steel]. 187 In base alla prospettiva procliana, ogni ambito del reale risulta riconducibile alla dimensione divina. Proprio in ciò consiste la complessiva teologizzazione del reale elaborata da Proclo. Sulla questione rinvio al mio volume Il divino tra unità e molteplicità. Saggio sulla Teologia Platonica di Proclo, Alessandria 2008, in particolare pp. 11-16. 188 Cfr. Fedro 247a6-7. 189 Cfr. Repubblica II, 379b16. 190 Cfr. Fedro 247b3. 191 Cfr. Sofista 254a10-b1. 192 Cfr. Leggi V, 730c1-2. 193 Questa è in estrema sintesi l’interpretazione che Proclo propone dell’analogia tra il sole e il Bene, esposta da Platone nel VI Repubblica. Proclo interpreta tale analogia in modo dettagliato nella dissertazione XI del Commento alla Repubblica, in particolare pp. 278.17-280.8. Per la traduzione ed il commento di questo brano rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004, rispettivamente pp. 247-250 per la traduzione, e pp. 394-396 per il commento. Sull’interpretazione procliana del Bene in Platone si veda inoltre il fondamentale lavoro di W. BEIERWALTES, Proklos’ Begriff des Guten aus der Perspektive seiner Platon-Deutung, in A. KIJEWSKA (a cura di), Being or Good? Metamorphoses of Neoplatonism, Lubin

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    COMMENTO

    2004, pp. 99-120. Sulla medesima questione rinvio inoltre al mio volume Parmenide e i Neoplatonici, op. cit., pp. 188-195. 194 Cfr. Fedro 246d8-e1. 195 Cfr. supra, cap. 12 p. 58.14. 196 Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea I 1, 1094a3; X 2, 1172b14-15; Topici III 1, 116a19-20; Retorica I 6, 1362a23; cfr. inoltre Plotino, Enneadi, I 8 (51), 2.3. 197 L’aggettivo hJlioeidhv" («di forma simile al sole») è tratto da Repubblica VI, 508b3; 509a1. 198 eJteromoiovth": si tratta di un hapax. Il suo significato è “identità/somiglianza nella diversità”. 199 Probabile riferimento a Plotino, Enneadi, III 6 (26), 11.31-33. 200 Cfr. Simposio 206e2-5. 201 Il testo va qui integrato sulla base del così detto «Grande frammento». Su ciò si veda C. STEEL-G. VAN RIEL, Le Grand Fragment de la Théologie Platonicienne, in A. PH. SEGONDS-C STEEL, Proclus et la Théologie Platonicienne, Paris 2000, pp. 533-51, in particolare p. 533. 202 Qui il termine eJstiva indica in senso figurato il fondamento autentico e originario di una determinata realtà. 203 Cfr. Simposio 204a1. 204 Cfr. Repubblica VI, 490b5-6. 205 Cfr. Teeteto 150c7-8. 206 Cfr. Plotino, Enneadi, I 6 (1), 6.18-32. 207 Si tratta dei corpi celesti. 208 Cfr. Fedro 250d6-7. 209 Cfr. ibid. 251e3. 210 Cfr. ibid. 245a2. 211 Cfr. ibid. 253a7. 212 Cfr. ibid. 251b1-2 213 Cfr. Simposio 204c4-5. 214 Cfr. Fedro 256d8. 215 Qui Proclo si rifà al passo di Fedro 250b6-250d8. 216 Cfr. Fedro 265b2-c3. 217 Cfr. Simposio 204b3. 218 Cfr. Fedro 250b6; d3; d8. 219 Come risulterà chiaro in seguito, questi elementi intermedi che connettono tutte le entità alla triade Bello-Sapienza-Bene formano a loro volta la triade Amore-Verità-Fede che viene delineata negli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 46 des Places = p. 26 Kroll ed in questo I libro, supra, cap. 2, p. 11.13-21) ai quali Proclo evidentemente attinge anche in questo contesto. 220 Come chiarisce Proclo nel prosieguo dell’argomentazione l’elemento che connette alla Bellezza divina è l’amore, quello che connet-

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    AL LIBRO I,

    NOTE

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    te alla Sapienza divina è la verità, infine quello che connette al Bene divino è la fede. 221 Per questo riferimento cfr. Simposio 201d8-203a8, 204a1-b7. 222 uJph'rce: l’imperfetto qui indica che questo argomento è stato già trattato in precedenza e se ne dà per scontata l’acquisizione. In riferimento a ciò cfr. supra, p. 100.12-15. 223 Espressione tratta da Plotino, Enneadi, I 6 (1), 8.25; cfr. anche supra p. 16.15. 224 Qui Proclo intende spiegare che la pivsti" cui egli si riferisce non è quella di cui Platone, in base all’immagine della linea alla fine del VI libro della Repubblica, parla come del secondo livello di conoscenza che ha per oggetto la dimensione sensibile. 225 Le due «conoscenze scientifiche» alle quali si riferisce qui Proclo sono rispettivamente la novhsi" e la diavnoia, sulla base dell’immagine della linea divisa proposta da Platone in Repubblica VI, 509d6511e5, con la quale egli, si potrebbe dire per sintetizzare, intende illustrare come a ciascuno dei livelli del reale corrisponda una specifica forma di conoscenza. Secondo tale immagine la novhsi" e la diavnoia apparterrebbero al livello intelligibile della realtà (quindi, nell’ottica platonica, alla realtà autentica), ma la diavnoia risulta inferiore alla novhsi" poiché ha per oggetto gli enti matematici, mentre la novhsi" ha per oggetto le entità intelligibili stesse. Nell’ottica neoplatonica di Proclo la «fede» supererebbe anche la novhsi". Proclo finisce così, in un certo senso, per capovolgere la gerarchia delle forme di conoscenza proposta da Platone, ponendo al primo livello la pivsti", che Platone invece pone al penultimo livello, in quanto la considera come una forma di conoscenza non rivolta alla ricerca della verità, ma che «passivamente» si adegua a considerare le cose solo per come appaiono. In fin dei conti anche la pivsti" cui Proclo fa qui riferimento è caratterizzata rispetto alle altre forme di conoscenza da una sorta di «passività» rispetto ad una realtà che non può «essere indagata», ma che si deve «rivelare da sé». 226 Espressione ripresa probabilmente da Plotino, Enneadi, I 4 (46), 6.13. 227 Cfr. Simposio207a7-208b6. 228 Accolgo la correzione proposta dagli Editori: teu'xin invece di tavxin. 229 Il riferimento è agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 46 des Places = p. 26 Kroll. 230 Nella traduzione si segue un suggerimento proposto da A.J. FESTUGIÈRE in Notes critiques sur le livre I de la Théologie Platonicienne, in Proclus et la Théologie Platonicienne, ed. A.PH. SEGONDS C. STEEL, Paris 2000, p. XXXIX.

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    1026 231

    COMMENTO

    Cfr. Leggi V, 730c4-6. Cfr. ibid. I, 629d2. 233 Il riferimento è a Fedro 247d5-e2. 234 Proclo affronta tale questione nel libro III al cap. 22. 235 Cfr. Fedone 80a10-b3. 236 Cfr. ibid. 80b4. 237 Cfr. supra, cap. 3, pp. 14.5-15.1. 238 Il testo tràdito non ha senso. Accolgo nella traduzione l’ipotesi di emendamento degli Editori e leggo pertanto: kai; ãou[te metevcon ou[teà metecovmenon. 239 Proclo affronterà tale questione nel libro III al cap. 2. 240 Cfr. Leggi X, 899a7-c1. 241 Cfr. Fedro 246a8-b1. 242 Cfr. ibid. 248a1. 243 Cfr. Fedro 248a1; Timeo 41a7; Alcibiade I 105d5, e5, e7; 124c8. 244 Cfr. Sofista 216a5-6. 245 Cfr. supra cap. 14, p. 67.10-17. 246 Cfr. Leggi X 897b1-2 e supra cap. 14, p. 66.5-8. 247 Cfr. Politico 270a4. Proclo, in linea con quanto è affermato nel Politico, intende questa “immortalità che si rinnova” come l’unica forma di immortalità che è concessa alla dimensione sensibile e che è propria dei corpi celesti. 248 Cfr. Fedone 69e6-107b10. 249 Cfr. Repubblica X, 608c1-611a3. 250 Questo è qui il senso dell’aggettivo ajkhvrato", nello specifico significato di «non toccato dalle Kh're"», che sono nel mito la personificazione del destino di morte. 251 Cioè gli dèi. 252 Cfr. Fedro 245c5, c9. Cfr. inoltre supra, cap. 15, p. 69.20-21. 253 Cfr. Simposio 202d11-e1. 254 Cfr. Timeo 28c3-29a6; 30c2-31b3. 255 Il testo ha qui una lacuna non colmabile. 256 Cfr. Timeo 28c3-29a6; 30c2-31b3. 257 Cfr. Fedone 80b1. 258 Nell’intelligibile essere e pensiero sono così strettamente uniti e connessi l’uno all’altro da identificarsi tra loro. 259 L’espressione pa'n to; meqekto;n tw'n eJnavdwn gevno" significa letteralmente: «tutto il genere partecipabile delle enadi». 260 Anche tale questione verrà affrontata da Proclo nel libro III al cap. 2. In effetti, l’Uno, il Principio primissimo, è al di sopra anche delle enadi di livello più alto e quindi impartecipabili. 261 Cfr. Timeo 41b2-4. 262 Cfr. supra, cap. 25, pp. 112.25-113.10. 232

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    AL LIBRO I, 263

    NOTE

    231-278

    1027

    Su ciò cfr. infra libro III, cap. 5 e capp. 12-14. Cfr. Timeo 27d6. 265 Cfr. Fedro 245c7-d3. 266 Cfr. Timeo 41a7-b6. 267 Cfr. ibid. 37a2. 268 Cfr. Simposio 203c2-3. 269 Su ciò cfr. Orphicorum fragmenta, 68 Kern, tratto, peraltro, proprio da Proclo nel Commento al Cratilo: cfr. ibid., CIX, p. 59.14 segg., e CXV, p. 66.28.segg. [ed. Pasquali]. Per la traduzione di questi passi rinvio al volume da me curato Proclo. Commento al Cratilo, op. cit., rispettivamente p. 415 e pp. 433-435. 270 Il riferimento è con ogni probabilità ad Aristotele: cfr. De caelo I, capp. 10 e 12. 271 Cfr. Simposio 203b6. 272 Cfr. Timeo 50d3; 52d4-5. 273 Cfr. Cratilo 397c4-6. Sull’interpretazione teologica di Proclo del Cratilo di Platone rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone nel volume da me curato Proclo. Commento al Cratilo di Platone, op. cit., in particolare 25-33. 274 Cfr. Parmenide 142a3. 275 Si tratta dell’Uno-che-è, sul quale è incentrata la seconda ipotesi del Parmenide. 276 Cfr. Parmenide 155d8. 277 L’espressione è tratta da Repubblica X, 597e7. 278 Cfr. Filebo 12c3. 264

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    1028

    COMMENTO

    COMMENTO AL LIBRO II 1 Espressione di origine anassagorea, divenuta proverbiale ed impiegata da Platone in Fedone 72c4 e 101e5, ed in Gorgia 465d5. 2 Il testo presenta qui una lacuna. Secondo Saffrey-Westerink non è sufficiente integrare qui con kaiv, che peraltro è attestato in alcuni manoscritti. Essi sostengono infatti che ejpelqei'n richiede un complemento. Tuttavia ejpelqei'n può anche essere impiegato in senso assoluto e senza dunque bisogno di complementi. Qui si è ritenuto opportuno integrare il testo solo con ãkai;Ã. 3 Cfr. supra p. 3.13-14. 4 Cfr. cfr. supra p. 3.13-14 e p. 4.8-9. 5 Cfr. Parmenide 139e7-140b5. 6 Cfr. ibid. 139b4-e6. 7 Dei' de; Ê eijpei'n tivna eij" Ê ta; polla; polla; kai; oujc e{n k.t.l. Il luogo è certamente corrotto. Si potrebbe leggere, per rendere ragione della corruttela: Dei' de; ei[pevr te kai; i{na h/\ k.t.l. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 8 Cfr. supra p. 7.9-14. 9 Cfr. Parmenide 144e8-145a4. 10 Cfr. ibid. 145a5-b1. 11 Cfr. ibid. 145b1-5. 12 Cfr. ibid. 145b6-e6. 13 Cfr. supra 9.22-25. 14 Cfr. supra 9.22-10.3. 15 Cfr. Parmenide 145e7-146a8. 16 Cfr. ibid. 146a9-147b8. 17 Cfr. ibid. 147c1-148d4. 18 Cfr. ibid. 148d5-149d7. 19 Il testo presenta qui una lacuna. È comunque possibile risalire al senso della conclusione di questo passo: perché l’uno possa avere relazione con altro, «dovrebbe ». 20 Cfr. Parmenide 149d8-151e2. 21 Così si deve intendere se si accoglie l’integrazione proposta da Saffrey-Westerink. Tuttavia è anche possibile conservare il testo tràdito senza apportare alcuna modifica, intendendo: «e se non può assolutamente trovarsi in un nulla». 22 Cfr. supra p. 4.8-9.5.

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    AL LIBRO II, 23

    NOTE

    1-38

    1029

    Cfr. supra 11.25-26. Cfr. supra 4.8-9.5 e 11.24-25. 25 Riferimento a Filebo 27b9. 26 Cfr. supra 12.16-17. 27 wJ" ªoujkº a[ra tav te polla; tou' eJno;" k.t.l. L’espunzione di oujk appare necessaria. Accolgo dunque la correzione proposta dai due Editori. Qui wJ" ha valore esplicativo. 28 Non credo si debba espungere il primo en nell’espressione to; en oujk e{n. Ritengo infatti che con to; en oujk e{n (l’uno non-uno) Proclo intenda alludere alla natura uni-molteplice dell’Uno-che-è che viene identificato dagli autori neoplatonici con la totalità unitaria dell’Essere, implicante in sé a livello potenziale molteplicità. 29 Il testo è lacunoso. Nella traduzione si è accolta l’integrazione proposta dagli Editori: ãto; dh; ma'llon ajgaqovnÃ. 30 kai; eij mh; oujsivan, h] katadeestevran pavsh" oujsiva" h] meqekth;n uJpo; oujsiva" h] ajmevqekton. Come osservano gli Editori ci si aspetterebbe: katadeestevran ãoujsiva" h] kreivttona pavsh" oujsiva": kai; eij kreivttonaà pavsh" oujsiva". In questo caso la traduzione sarebbe: «inferiore ad ogni sostanza etc.». Tale integrazione sarebbe anche confermata da quanto viene detto alla p. 22.4-19. Tutto il passo riprende Aristotele, Fisica I 2, 184b15-22. 31 A mio avviso non è necessario integrare, come propongono gli Editori: ãto;à th;n pro;" a[llhla sumpavqeian kai; th;n kata; fuvsin koinwnivan parascovn. Infatti il senso appare chiarissimo considerando parascovn participio congiunto. Quel carattere che è onnipresente e insito in tutti i principi è l’unità, che li connette fra loro garantendo nel Tutto una forma di comunanza universale e simpatetica. 32 Cfr. Aristotele, Fisica I 1, 184a12-14. 33 Questa è la definizione del numero data da Nicomaco di Gerasa in Introduzione all’aritmetica I 7, 1. 34 Se questo carattere comune risultasse diviso in una molteplicità di parti, non vi potrebbe anche in questo caso essere più alcunché di unitario ed intero, ma sussisterebbe solo una indistinta molteplicità. Quindi il carattere comune e identico presente nelle parti che costituiscono un intero deve essere incorporeo e indivisibile. 35 Cfr Fedro 245d4-6. 36 Si tratta di tutta quanta l’argomentazione che è stata condotta dalla p. 16.24 fino a questo punto (p. 19.2). 37 Espressione tratta da Timeo 30a6. 38 L’integrazione proposta dagli Editori appare assolutamente necessaria. 24

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    COMMENTO

    Nota espressione tratta dall’Etica Nicomachea di Aristotele: cfr. ibid. I 1, 1094a3; X 2, 1172b14-15. 40 Se l’uno e l’essenza sono, in senso gerarchico, posti sullo stesso livello, allora i molti verranno prima dell’uno in quanto la molteplicità delle diverse essenze li presuppone. Prima dunque si dovrà presupporre una pluralità di essenze e solo in un secondo momento la loro specifica ed individuale unità. 41 Cfr. supra p. 13.22-14.7. 42 Cfr. Parmenide 142b7-c2. 43 Cfr. Aristotele, Metafisica L 10, 1076a3-4. 44 ouj ga;r a]n ei[h qemito;n ta; deuvtera th'" te ajrch'" pevri kai; tw'n ajp aujth'" *** bevltion krivnein th'" eJautw'n ajrch'". Il testo, lacunoso, può così essere integrato e corretto: ouj ga;r a]n ei[h qemito;n ta; deuvtera th'" te ajrch'" pevri kai; tw'n ajp aujth'" ãzhtou'ntià beltivona krivnein th'" aujtw'n ajrch'". Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. Macchinosa mi sembra l’ipotesi di integrazione proposta dai due Editori: ouj ga;r a]n ei[h qemito;n ta; deuvtera th'" te ajrch'" pevri kai; tw'n ajp aujth'" ãskopou'nta, e{terovn tià bevltion krivnein th'" eJautw'n ajrch'". In questo caso la traduzione sarebbe: «Infatti non sarebbe lecito che gli esseri inferiori, indagando intorno al principio ed al contempo a ciò che da esso deriva, giudichino qualcos’altro migliore del loro proprio principio». 45 Cfr Parmenide 144b1-2. 46 Chiaro riferimento alla Lettera II, 312e1-2. 47 Cfr. Parmenide 144c7. 48 aujth; ga;r ãhJ kivnhsi"Ã, h|/ kivnhsiv" ejsti, stavsew" k.t.l. Forse non è necessario accogliere l’integrazione ãhJ kivnhsi"Ã, in quanto aujthv potrebbe essere pronome e il suo valore si evincerebbe dal contesto. La traduzione sarebbe: «esso, in quanto movimento etc.». Il senso comunque non cambia in modo rilevante. 49 Kai; mhv toi qaumavswmen eij kai; aujto; tw'n o[ntwn ejstivn. *** oujsiva" a]n h[dh metevcoi. Il testo lacunoso, ad esempio, potrebbe così venire integrato in base al senso: Kai; mhv toi qaumavswmen eij kai; aujto; tw'n o[ntwn ejstivn ãkaqo; gegono;" ejstiv: ajlla; h|/ gegonov", oujkevtià oujsiva" a]n h[dh metevcoi. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. Un’altra possibilità, certamente più semplice, ma meno convincente, sarebbe di integrare come segue: Kai; mhv toi qaumavswmen eij kai; aujto; ãkaqo;à tw'n o[ntwn ejstivn oujsiva" a]n h[dh metevcoi. In questo caso la traduzione sarebbe: «Non dobbiamo meravigliarci se anch’esso, nella misura in cui fa parte degli enti, partecipasse allora dell’essere determinato». Occorre in effetti precisare che, in base al senso complessivo, nel presente contesto il termine oujsiva ha un valore più generale rispetto ad “essenza”, in quanto indica qui l’“essere in forma stabile e determinata” di un ente.

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    AL LIBRO II, 50

    NOTE

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    1031

    Si tratta dei “generi sommi” di cui Platone tratta nel Sofista (254d4-5; 254e2-255a1). 51 to; genovmenon a[moiron tou' e{n, oujde;n a]n ei[h to; paravpan. Chiaramente Proclo intende qui “in senso etimologico” oujdevn («nulla»), vale a dire come oujq e{n. Nella traduzione si è cercato di riprodurre questa sfumatura semantica. 52 Cfr. Parmenide 144c7. 53 to; o{lon oujk a[llo *** eujqu;" e{n. Il testo lacunoso potrebbe così essere integrato: to; o{lon oujk a[llo h] en kai; eujqu;" e{n. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 54 Cfr. Parmenide 144b1-2. 55 La connessione delle realtà inferiori con quelle superiori è una tesi centrale nella metafisica procliana: oltre che nella stessa Teologia Platonica, ad esempio in I 12, p. 57.12-7, essa rappresenta uno dei concetti fondamentali degli Elementi di Teologia, in particolare nelle proposizioni 112 e 147. 56 Si accoglie il modo in cui gli Editori sanano il testo che nella versione tràdita appare corrotto. 57 tou'to sunelivttetai k.t.l. Il pronome tou'to riprende tw'n o[ntwn e{kaston della riga precedente, onde «quest’altro» va qui inteso come «ciascuno degli enti». 58 Si ha qui uno spunto di critica all’indirizzo probabilmente degli Epicurei e degli Stoici, cioè in generale dei così detti “filosofi materialisti”. 59 ou[te to; pavntwn ajmudrovtaton kata; to; ei\nai th;n tosauvthn u{fesin e{xei tou' teleiotevrou pantelw'" ajmoirou'n. Evidentemente il participio congiunto ajmoirou'n ha qui valore consecutivo. Proclo si riferisce qui con ogni probabilità alla dimensione della materia. 60 Gli Editori rinviano, a proposito di quanto è qui affermato da Proclo, al Commento al Parmenide, libro III 788.29-789.7 ed. Cousin, che corrisponde a 788.20-789.5 ed. Steel., ove viene fatto riferimento alla natura della dimensione fenomenica. 61 Ciò che è mescolato al non-essere, ma che al contempo partecipa dell’essere, è il divenire. Riferimento al Fedone 74a9-75b9. 62 Origene fu un filosofo neoplatonico del III sec. d.C., allievo e discepolo di Ammonio Sacca. Molti studiosi ritengono che lo si debba distinguere da Origene cristiano, anch’esso allievo di Ammonio. Proprio questa coincidenza porta alcuni a sostenere che si tratti del medesimo filosofo convertitosi al Cristianesimo. Per il riferimento qui fatto da Proclo cfr. fr. 7 Weber (K.O WEBER, Origenes der Neuplatoniker. Versuch einer Interpretation, München 1962). 63 Per questa testimonianza cfr. Porfirio, Vita di Plotino 3.24 segg. = fr. 2 Weber.

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    1032 64

    COMMENTO

    Cfr. Repubblica VI, 508b8-509c4. Cfr. ibid. VI, 509b2-10. 66 Proclo riprende gli aggettivi hjlioeidev" («simile al sole») e ajgaqoeidev" («simile al Bene») da Resp. 509a1-3 (w{sper ejkei' fw'" te kai; o[yin hJlioeidh' me;n nomivzein ojrqovn, h{lion d hJgei'sqai oujk ojrqw'" e[cei, ou{tw kai; ejntau'qa ajgaqoeidh' me;n nomivzein tau't ajmfovtera ojrqovn). 67 Si tratta della luce che viene dal Bene. 68 Analogamente al modo in cui la totalità del reale si rivolge indietro e si converte alla sua Origine suprema, ovvero al Bene-Uno, v’è anche una sorta di «conversione» della luce sensibile verso la sfera solare. 69 Espressione tratta da Repubblica V, 475e4. 70 Cfr. Sofista 243d8-e6; 249e7-250d4. 71 Così si deve tradurre accogliendo la correzione proposta da Dodds: meteilhvcein al posto del tràdito meteivlhcen. Il più che perfetto indica un periodo ipotetico dell’irrealtà nel passato. 72 kaqavper dh; kai; tw'n o[ntwn ejkbebhko;" to; prwvtiston *** ejn toi'" o{loi" uJpotivqesqai. Il testo presenta qui una insanabile corruttela. Unicamente per congetture è possibile comprendere anche solo il senso complessivo del ragionamento di Proclo. Considerato che immediatamente dopo si parla del nou'" come di una primissima forma di determinazione dell’Essere, verrebbe da supporre che qui Proclo intenda mostrare che se l’Uno è al di sopra dell’Essere, e se l’Essere nella sua originarietà a sua volta trascende i singoli enti, che potremmo considerare appunto come determinazioni dell’Essere, allora l’Intelletto che è a sua volta la primissima forma di determinazione dell’Essere, non potrà avere una natura più originaria di quest’ultimo. Come infatti spesso ribadisce Proclo, non tutte le cose sono partecipi di intelletto, mentre ciò che è autenticamente ed originariamente «primo» deve essere partecipato da ogni singola realtà. Sulla base di questa ipotesi circa il probabile senso del ragionamento procliano, mi sembra che la migliore congettura, in grado di rendere anche in qualche modo ragione della lacuna, sia la seguente: kaqavper dh; kai; tw'n o[ntwn ejkbebhko;" to; prwvtiston ãto;n me;n nou'n ouj dunato;n prwvtistonà ejn toi'" o{loi" uJpotivqesqai (il mevn appare necessario in considerazione del to; de; o[n della riga 8). Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 73 Cfr. Filebo 11b4-c2. 74 Cfr. ibid. 60c2-4. 75 Cfr. ibid. 20b3-21e4. Come si è già visto nel libro I (cfr. cap. 22), i «caratteri fondamentali del Bene» sono «il desiderabile», «l’adeguato» ed «il perfetto». 76 pw'" oujk ajnavgkh kai; ejn ejkeivnoi" k.t.l. Qui ejn ejkeivnoi" può 65

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    AL LIBRO II,

    NOTE

    63-90

    1033

    indicare in generale la realtà intelligibile, oppure, in senso specifico, gli enti. Nella traduzione si è preferita la prima possibilità, ma in ogni caso il senso non cambia. 77 Riferimento a Filebo 28c1-31b1. 78 I due Editori propongono di integrare il testo come segue: kai; dia; tou'to qei'ov" ejsti ãkai; ajgaqoeidhv"Ã, ajgaqoeidh;" me;n w]n k.t.l. A mio avviso l’integrazione ãkai; ajgaqoeidhv"Ã non è necessaria: l’intelletto divino è tale proprio in quanto è simile al Bene in virtù del fatto che è direttamente partecipe del Bene. La successiva correlazione tra ajgaqoeidh;" mevn e qeio;" dev spiega da un lato che la partecipazione al Bene e l’unificazione con esso rendono l’intelletto divino «simile al Bene» (ajgaqoeidh;" mevn), mentre il suo carattere divino (qeio;" dev) deriva dal dipendere direttamente dalla prima forma di divinità, la quale è insita nell’Uno stesso che infatti è l’Origine stessa della realtà divina. Accogliendo l’integrazione degli Editori, la traduzione sarebbe: «per questo è divino , da un lato perché è di forma simile al Bene in base alla partecipazione del Bene, mentre è divino in quanto risulta dipendere dalla prima forma di divinità». 79 Il riferimento è a Parmenide 141e7-10. 80 Cfr. Ibid. 138b7-139b3. 81 Il riferimento è a quanto Proclo ha affermato nel libro I, cap. 11, p. 47.1 segg. 82 Si tratta del contenuto dei capitoli immediatamente procedenti. 83 Cfr. Repubblica VI, 506d8-509c4. 84 Cfr. Parmenide 137c4-142a8. 85 Il soggetto non è espresso, ma si tratta chiaramente del Primo Principio, il Bene-Uno. 86 I due Editori propongono di integrare: tou'to ou\sa pro;" o{lon to;n suvzugon auJth'" ãajriqmo;nÃ. Dodds invece propone ãeiJrmo;nÃ. Il senso comunque non cambia. 87 Cfr. Sofista 258b1-2. 88 pro;" ejkei'no: il riferimento è al Principio Primo, il Bene-Uno 89 Cfr. su ciò supra, cap. 5. 90 Nel libro VI della Repubblica Platone, come è noto, parla dell’Idea del Bene. A tale concetto, interpretato secondo l’ottica neoplatonica, si riferisce qui Proclo. In effetti, nel libro VI attraverso la così detta «analogia solare» Platone sottolinea che come il sole è causa di luce, l’Idea del Bene è causa della verità in quanto dà la possibilità agli oggetti intelligibili di essere pensati e, a chi pensa, di averne intellezione (cfr. Resp. VI, 508a4 segg.). Qui però Proclo aggiunge alcuni elementi propri della interpretazione neoplatonica della metafora solare, elementi che troviamo già in Plotino (su ciò rinvio al mio studio Il Bene in Plotino e in Proclo, in Platone. La Repubblica, vol. V, ed. M. VEGETTI,

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    1034

    COMMENTO

    Napoli 2001, pp. 625-678): nell’ottica neoplatonica il Bene è la causa della verità, la quale è ciò che unifica fra loro intelletto ed oggetto di intellezione. In questa prospettiva la verità diviene in sostanza il fondamento dell’unità di essere e pensiero, vale a dire dell’unità della seconda Ipostasi, che viene identificata dai neoplatonici con la seconda ipotesi del Parmenide, cioè l’Uno-che-è, ovvero Uno-molti. Su ciò rinvio inoltre al mio volume Parmenide e i Neoplatonici, op. cit., pp. 188-195. 91 Questo «Uno», che viene identificato dai neoplatonici con il Primo Principio, corrisponde, secondo l’esegesi neoplatonica, alla così detta prima ipotesi del Parmenide (166c2 segg.), cioè quella dell’Uno-in-sé. 92 hJ de; e[fesi" pantacou' tw'n ejfiemevnwn ejsti; pro;" to; oijkei'on ejfetovn. Nella traduzione si è cercato di conservare il costrutto anaforico/allitterante del testo greco. 93 Cioè, in generale, i teologi. 94 Cfr. Repubblica VI, 508e1 segg. 95 Cfr. Parmenide 137c4 segg. 96 Le «componenti del discorso» sono, in questo contesto, i nomi rispetto ai quali l’Uno è assolutamente trascendente. 97 Cfr. supra, p. 41.18-42.16. 98 Cfr. supra, capp. 5 e 6. 99 Tivne" me;n ou\n oiJ trovpoi th'" peri; tou' prwvtou didaskaliva", kai; dia; poivwn ojnomavtwn aujto; mhnuvein oJ Plavtwn ejpiceirei', kai; povqen *** tav te ojnovmata kai; tou;" trovpou" touvtou" th'" ãtou'à ajrrhvtou kai; ajgnwvstou toi'" pa'si deivxew", oi\mai dia; touvtwn gegonevnai katafanev". Secondo gli Editori la frase presenta una lacuna. Il testo può venir così integrato per congettura: kai; povqen ãlambavneià tav te ojnovmata kai; tou;" trovpou" touvtou". Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. Come si è visto (cfr. supra cap. 5), secondo l’esegesi procliana, le modalità attraverso le quali Platone cerca di rivelare la natura assolutamente trascendente del Principio Primo sono quella analogica della Repubblica e quella apofatica del Parmenide. La loro finalità, in ultima istanza, è quella di mostrare la sua natura assolutamente indicibile e inconoscibile in quanto è posto al di là di tutto ciò che è. 100 Con l’espressione ejn toi'" Platwnikoi'" lovgoi" (lett. «nei discorsi di Platone») Proclo si riferisce in generale alle opere di Platone. 101 Si tratta del metodo analogico. 102 Come verrà esplicitato in modo ancora più chiaro subito dopo, Proclo fornisce qui un’interepretazione fortemente connotata in senso teologico della parte centrale del VI libro della Repubblica, 507c-509d. 103 La parola kovsmo"/kovsmoi è sempre stata tradotta «cosmo/ cosmi» in considerazione del fatto che il termine in questione implica anche la nozione di «ordine».

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    AL LIBRO II, 104

    NOTE

    91-117

    1035

    Degli ordinamenti divini ai quali qui Proclo si riferisce, quello intelligibile verrà esaminato dettagliatamente nel libro III, quello intellettivo nel libro V, quello ipercosmico nel libro VI. Nella Teologia Platonica manca peraltro una trattazione dettagliata e specifica delle divinità encosmiche. 105 Il riferimento qui è all’analogia solare. 106 Seconda in senso assiologico. Chiaramente qui il riferimento è al sole. Per la definizione del sole come «prole del Bene» cfr. Platone, Repubblica, VI 507a3. 107 to; de; ajgaqo;n to; prwvtiston, o kai; sunenivzonte" tou[noma tajgaqo;n eijwvqamen ajpokalei'n. Nella traduzione non è possibile rendere quanto qui afferma Proclo: in greco l’aggettivo sostantivato to; ajgaqovn («il Bene») ha anche la forma tajgaqovn prodotta dalla crasi della vocale o dell’articolo tov con la vocale a iniziale dell’aggettivo ajgaqovn. Con questa osservazione Proco sembra voler alludere alla natura assolutamente semplice ed unitaria del Bene, inteso come Principio Primo o Uno-in-sé al quale è estranea ogni forma di molteplicità. 108 Cfr. Repubblica VI, 509b9. 109 Cfr. ibid. 507b5-8. 110 tw'n aijsqhtw'n kalw'n te kai; ajgaqw'n kai; o{lw" tw'n metecomevnwn. Il bello ed il bene sensibili, come tutto ciò che fa parte della dimensione fenomenica, sono partecipati in modo tale da essere presenti, suddivisi e distribuiti in una molteplicità di oggetti. 111 Cfr. Lettera II, 312e2-3. Come è stato detto, gli autori neoplatonici consideravano autentica la Lettera II. Proclo fa riferimento ad essa sempre a proposito della natura del Bene anche nella dissertazione XI del Commento alla Repubblica, vol. I, p. 287.12 segg. [ed. Kroll]: a proposito di questo passo rinvio al volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004, pp. 265, per la traduzione, e pp. 400-401, per il commento. 112 Il carattere dell’assoluta trascendenza del Bene è desunto da Proclo sulla base della propria interpretazione di Resp. VI, 505a-509b. 113 Cfr. Parmenide 138c4-142a8. 114 Come spesso in Proclo, il soggetto non è espresso. 115 Cfr. Repubblica VII, 518c9. 116 Proclo intende qui spiegare il senso in cui deve essere intesa l’espressione fanovtaton tou' o[nto", ossia «parte luminosissima (o più luminosa) dell’essere», che compare in Repubblica VII, 518c9, in riferimento al Bene: esso non partecipa della luce, ma è la primissima luce da cui ogni forma di luminosità procede in ogni ambito del reale. In questo modo Proclo può sottolineare il carattere dell’assoluta trascendenza e originarietà del Bene rispetto alla totalità del reale. 117 Cfr. supra, pp. 44.1-48.19.

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    COMMENTO

    Cfr. Repubblica VI, 508b12-c2. Anche qui il soggetto non è espresso. 120 Cfr. Lettera II, 312d5-313a6. 121 Secondo gli Editori il riferimento sarebbe ad Amelio (filosofo neoplatonico vissuto nel III sec. d.C. appartenente alla scuola di Plotino) che, come sappiamo dallo stesso Proclo (cfr. Commentario al Timeo, vol I, pp. 306.1-14 e vol. III, pp. 103.18-28, ed. Diehl) avrebbe individuato tre diversi Demiurghi nel Timeo: egli avrebbe poi identificato questi tre Demiurghi con i tre Re della Lettera II. Tuttavia quanto qui afferma Proclo non sembra direttamente riconducibile a queste tesi di fondo. Probabilmente egli intende riferirsi in modo generico ad altri esegeti neoplatonici che, in considerazione dell’assoluta trascendenza del Primo Principio, ritengono che esso non possa venir identificato con il primo dei tre Re della Lettera II: per costoro, infatti, il Principio, in considerazione della sua assoluta semplicità e trascendenza, dovrebbe comunque risultare ulteriore rispetto a ogni dimensione triadica. 122 La frase non ha soggetto: il riferimento è ancora a quel «qualcuno» (cfr. supra, p. 51.25) che potrebbe disapprovare l’identificazione del Bene con il Primo Re della Lettera II. 123 Per queste e le seguenti espressioni cfr. Lettera II, 312 e1-4. 124 Cioè quella forma di causalità che comprende in se stessa i suoi effetti. 125 Cfr. Lettera II, 313a1-2. 126 Si tratta di Archedemo, al quale nella Lettera II si fa riferimento. 127 Cfr. Lettera II, 312d5-e3. 128 Cfr. ibid. 313a3-4. 129 Kai; ouj th;n ajnqrwpivnhn yuch;n movnon kaqareuvein proshvkei tw'n eJauth'" sustoivcwn ejn th'/ pro;" to; prw'ton eJnwvsei kai; koinwniva/ pa'n to; eJauth'" plh'qo" e[xw kataleivpousan. L’anima, per essere in grado di unirsi al Principio primo, deve liberarsi dalla molteplicità che contraddistingue il livello di realtà che essa occupa. 130 Si tratta di Plotino che in Enneadi I 6 (1), 8.25 afferma che l’anima può congiungersi con il Principio solo liberandosi della molteplicità «avendo chiuso gli occhi», dunque, potremmo dire, rimanendo sola con se stessa. 131 La frase ajlla; kai; nou'" k.t.l. riprende kai; ouj th;n ajnqrwpivnhn yuch;n movnon della riga 5. 132 Riferimento agli Oracoli Caldaci: cfr. fr. 130 des Places = p. 54 Kroll. 133 Proclo in questa frase cita ancora gli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 39 e 108 des Places = p. 25 e 50, n. 3 Kroll. 134 Cfr. Repubblica VI, 490b7 e b2. 119

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    AL LIBRO II,

    NOTE

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    To; ga;r toiou'ton tw'n ojnomavtwn ei\do" k.t.l. Si tratta appunto dei termini come «ineffabile», «semplice», «ulteriore», impiegati appena prima da Proclo, che di fatto non dicono nulla sulla natura assolutamente trascendente del Principio. 136 ou[te prostivqhsin oujde;n tw'/ ajgnwvstw/ *** ajpo; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon, ou[te k.t.l. il testo lacunoso può essere, in base al senso, ad esempio così integrato: ou[te prostivqhsin oujde;n tw'/ ajgnwvstw/ ãfulavtton aujto;Ã ajpo; tw'n o{lwn ejxh/rhmevnon k.t.l. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 137 Per tale riferimento cfr. Plotino, Enneadi I 6 (1), 6.15. 138 Proclo ha già accennato in precedenza alle realtà che vengono subito dopo l’Uno: su ciò cfr. supra, p. 49.1-3 e pp. 58.26-59.4. 139 Tale questione viene affrontata nel libro III, capp. 12-14. 140 Proclo si riferisce qui ai libri VI e VII del suo Commento al Parmenide. 141 Questa è appunto l’interpretazione neoplatonica delle così dette «prima» e «seconda ipotesi» del Parmenide, che trattano, secondo tale interpretazione, rispettivamente dell’Uno-in-sé (Parm. 137c4142a8) e dell’Uno-che-è (Parm. 142b1-155e3). 142 Cfr. Parmenide 137c4-5. 143 Alla luce della propria interpretazione del Parmenide, Proclo intende qui riferirsi a Parmenide141e7-142a1. 144 wJ" oujk eijsi; sterhtikai; tw'n uJpokeimevnwn ajlla; gennhtikai; tw'n oi|on ajntikeimevnwn. Qui Proclo propone un gioco di parole fra uJpokeivmena («ciò che è in oggetto») e ajntikeivmena (ciò che è opposto/contrario») che non si può rendere nella traduzione. 145 Cfr. Parmenide 137c4-5. 146 Cfr. ibid. 137c5-d3. 147 Cfr. ibid. 142a3. 148 Cfr. ibid. 142a3-6. 149 Cfr. ibid. 142a6-8. 150 Il fatto che il metodo che ricorre alle negazioni non dica nulla a proposito della natura dell’Uno, è diretta e necessaria conseguenza dell’assoluta ineffabilità e inconoscibilità del Primo Principio. Anche la negazione dunque non è assolutamente in grado di cogliere l’indeterminatezza originaria ed assolutamente trascendente dell’Uno. Come afferma Proclo nel libro VII del Commento al Parmenide (una parte del quale è a noi pervenuta solo nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke), l’Uno, per via della sua assoluta trascendenza, è posto al di sopra di ogni opposizione e di ogni negazione (cfr. Commento al Parmenide VII, ed. Steel 518, 77-78: exaltatum est propter simplicitatem ab omni oppositione et omni negatione). Il Primo Principio si rivela dunque come assolutamente ineffabile perché la 135

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    COMMENTO

    sua natura non si può esprimere nemmeno per via negativa. Sulla ineffabilità dell’Uno rinvio al mio articolo Il «linguaggio dell’ineffabile» nella concezione procliana dell’Uno-in-sé, in «Elenchos», XXII (2001), pp. 305-327. 151 Il riferimento è al v. 422 nel VIII dell’Iliade. A questo verso si riferisce anche Plotino in un contesto simile: cfr. Enn. V 5 (32), 8.6. 152 Con queste parole Proclo descrive sinteticamente la struttura gerarchica della realtà divina che procede dal Principio Primo, concepito al contempo come Dio Primo: gli dèi intelligibili, gli dèi intellettivi, gli dèi ipercosmici ed infine quelli encosmici. 153 Per questa espressione rinvio ancora la mio articolo Il «linguaggio dell’ineffabile» etc., art. cit., in particolare pp. 324-327. 154 Tale, a mio avviso, è in questo contesto il significato del verbo probavllein. 155 Il testo tràdito è: kai; ga;r ejnteu'qen ejpevkeina diabavllein mhvpote diabaivnein kai; k.t.l. Non è possibile conservarlo così com’è. Ritengo che il modo migliore per emendare il passo sia quello che ho riportato direttamente nel testo. Pertanto ritengo che il tràdito ejpevkeina vada corretto con ejp ejkei'no; ipotizzando poi che mhvpote diabaivnein (ossia: «forse diabaivnein») sia una glossa inglobata successivamente nel testo, ritengo che il glossatore abbia visto giusto e che in effetti il verbo diabaivnein, anche in considerazione dell’uso che Proclo ne fa proprio nella Teologia Platonica, sia qui più corretto rispetto a diabavllein. Saffrey-Westerink propongono invece di correggere il testo come segue: kai; ga;r ejnteu'qen ejp ejkei'na diabavllein ªmhvpote diabaivneinº kai; au\qi" dunatovn. In questo caso la traduzione sarebbe: «ed infatti da lì è anche di nuovo possibile passare a quelli [scil. i principi causali primi]». 156 Secondo la tradizione mitica, i Titani si sarebbero ribellati agli dèi, portando scompiglio nell’ordine universale. In base a quanto qui afferma Proclo, dunque, tutte le nostre facoltà che riguardano la dimensione sensibile scompongono e frantumano l’unità del nostro intelletto e ci trascinano in basso verso il mondo fenomenico nel quale sussistono solo le “mere immagini degli enti” e non la stabile fissità e la determinatezza ontologica propria della dimensione intelligibile. 157 Cfr. Parmenide 137e4-5. 158 Proclo affronterà, sulla scorta della seconda ipotesi del Parmenide, la trattazione concernente la specola intelligibile e il determinarsi della molteplicità trascendente nell’ordinamento degli dèi intelligibili-intellettivi nel libro IV, in particolare nei capp. 21, 27 e 30. 159 Cfr. supra, cap. 10, p. 63.9-12. 160 Su ciò cfr. Parmenide 137c4-5. 161 Cfr. supra, p. 66.15-16.

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    AL LIBRO II,

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    Meta; ga;r dh; tauvthn, w{sper ei[pomen, *** tw'n qew'n tavxin th;n sunevcousan to; plavto" aujtw'n kai; oJrivzousan uJfivsthsin ajpo; th'" ejxh/rhmevnh" aijtiva". Il testo tràdito è irraparabilmente lacunoso. Si può ipotizzare in base al senso la seguente integrazione e correzione: Meta; ga;r dh; tauvthn, w{sper ei[pomen, ãth;n tw'n prwvtwn noerw'nà qew'n tavxin. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. In base alla concezione procliana, i primi dèi intellettivi sono probabilmente riconducibili all’ordinamento divino intelligibile-intellettivo. 163 Cfr. Parmenide 142c7-d9. 164 L’avere parti e l’essere intero sono caratteri che vengono eliminati per via negativa dall’Uno. 165 Cfr. Parmenide 137c5-d3. 166 Come si evince da quanto Proclo afferma nel IV libro, cap. 35, la relazione "intero-parti" contraddistingue il livello intermedio dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. Di conseguenza si dovrebbe concludere che nel passo qui in oggetto Proclo intende riferirsi alla totalità della dimensione intelligibile concepita come insieme dell’ordinamento propriamente intelligibile e di quello intelligibile-intellettivo. 167 Au{th me;n ga;r ajpo; tw'n deutevrwn uJfivstatai genw'n kai; th'" oJlovthto" Ê tw'n genw'n Ê kai; noera'". Secondo gli Editori tw'n genw'n è una corruttela forse di th'" nohth'". Nella traduzione si è seguita tale ipotesi. I secondi generi, in questo contesto, stanno a indicare con ogni probabilità le divinità poste al livello più alto dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, le quali risultano inferiori rispetto a quelle puramente intelligibili. 168 Cfr. supra p. 67.9-13. 169 Cfr. Parmenide 137d4-138a1. 170 Cfr. supra, p. 66.12-17 ed anche p. 67.6-13. 171 Il testo è chiaramente lacunoso. Accolgo l’ipotesi dei due Editori e leggo pertanto: ãcwri;" me;n o{ti mh; ajrch;n h] mevson h] teleuth;n [non oujc e[con: chiaramente una svista dei due Editori] e[con:à cwri;" de; o{ti mh; e[scata e[con, k.t.l. 172 Cfr. Parmenide 138a2-3. 173 Gli Editori propongono di integrare il testo in questo modo: oJmou' me;n th'" trivth" ãtriavdo"à tw'n uJperkeimevnwn qew'n metevcousan, oJmou' de; k.t.l. Le tre triadi di cui partecipa la sommità degli intellettivi sono quelle che scandiscono le articolazioni dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, del quale, come si è detto, Proclo tratta diffusamente nel libro IV. 174 Per questa parte in cui si nega che l’Uno sia in quiete o in movimento Proclo riprende Parm. 138b7-139b3. 175 Cfr. Parmenide 138a2-3 e supra, p. 68.9-16. 162

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    Cfr. Parmenide 145e7-146a8. Proclo affronterà in modo specifico tale questione nel libro V, cap. 38. 177 Cfr. Parmenide 139b4-e6. 178 A mio giudizio il kai;, che i due Editori espungono, può essere conservato: dopo aver negato la differenza per quel che concerne l’Uno, viene ora anche negata l’identità. 179 Il riferimento è ai quattro generi moto, quiete, differenza e identità che Proclo ha dimostrato non essere applicabili all’Uno. Si tratta chiaramente dei “generi sommi” del Sofista. 180 Proclo per questa dimostrazione della non applicabilità dei concetti di simile e dissimile all’Uno si rifà a Parmenide 139e7-140b5. 181 Il riferimento è a Leggi X, 898c1-899d3. 182 Accolgo l’integrazione proposta da Saffrey-Westerink, benché non risulti assolutamente necessaria ai fini del senso. 183 Le tre parti del tempo sono ovviamente passato, presente e futuro. Nel libro VI, cap. 23, p. 105.7 segg. Proclo riconduce alla triade delle Moire, le tre Parche, la determinazione del tempo suddiviso in passato presente e futuro. Ad esse vanno ricondotti il destino delle anime e i demoni a queste ultime assegnati in sorte. 184 Cfr. Parmenide 141d7-e7. 185 Cfr. ibid. 141e7-142a1. 186 Proclo si riferisce qui alla conclusione della prima ipotesi del Parmenide: cfr. ibid. 142a3-8. 187 Cfr. supra, cap. 2, pp. 21.1-23.12. 188 L’Uno connesso all’essenza è quello della seconda ipotesi del Parmenide, ovvero l’Uno-che-è.

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    COMMENTO AL LIBRO III 1 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 126 des Places = p. 53 Kroll. 2 Cfr. Parmenide 142b1-155e3. 3 Il testo tràdito è kaq j oJmoiovthta tw'n toiouvtwn. Nella traduzione si è seguita tale lezione. Tuttavia i due Editori suggeriscono come ipotesi la correzione kaq j oJmoiovthta tw'n proi>ovntwn che dal punto di vista del senso pare più plausibile rispetto al testo tràdito. In questo caso la traduzione sarebbe: «in base alla somiglianza delle entità procedenti», con riferimento alle processioni delle diverse realtà a partire dal Primo Principio. 4 Kai; ga;r hJ fuvsi" kai; oJ nou'" kai; tw'n gennhtikw'n aijtivwn e{kaston pro; tw'n ajnomoivwn ta; o{moia pro;" aujto; kai; paravgein pevfuke kai; sunavptein eJautoi'". I due Editori segnalano che al posto di pro;" aujtov ci si aspetterebbe pro;" aujtav. D’altro canto, pro;" aujtov si potrebbe riferire a tw'n gennhtikw'n aijtivwn e{kaston («ciascuno dei principi causali generatori») di cui fanno parte anche la natura e l’Intelletto. 5 Cfr. supra, nel presente capitolo, p. 6.18-21. 6 Il testo tràdito è hJ tw'n maqhmatikw'n kai; ajriqmw'n monav". I due Editori espungono il kaiv, ma a mio avviso esso è necessario, come suggerisce il pavnta della riga seguente che si riferisce a ta; maqhmatikav. 7 Plh'qo" ou\n uJfivstatai peri; aujto; kai; k.t.l. Secondo i due Editori peri; aujtov va inteso come se fosse peri; τὸ ἕν e quindi la traduzione sarebbe «in relazione all’unità» (essi ipotizzano anche che il testo possa essere corretto con peri; aujthvn, scil. th;n monavda). A mio parere invece peri; aujtov si riferisce a to; gennw'n desumibile dalla r. 25 di p. 8 (th;n tou' gennw'nto" periousivan). Nella traduzione si è seguita questa interpretazione. 8 Cfr. cfr. supra, p. 8.3-9 9 hJ de; th'" oujsiva" u{fesi" pleonavzei dia; th;n pro;" to; ai[tion ajnomoiovthta kai; th;n ajpovstasin th'" prwvth" ajrch'". Questa frase piuttosto criptica può essere compresa solo alla luce di uno dei principi fondamentali e costitutivi della metafisica procliana. Tutto ciò che è più lontano dal Principio Primo è caratterizzato da una diminuzione di purezza ontologica, ovvero di semplicità: la molteplicità rispetto all’assoluta semplicità dell’Uno si delinea quindi come un eccesso cui corrisponde conseguentemente una diminuzione di potenza e capacità produttiva. Se si considera che l’Uno nella sua originaria semplici-

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    tà è la Causa di tutte le cose, ogni entità che si rivela intrinsecamente più molteplice e quindi più separata dal Principio possiede al contempo un’inferiore capacità produttiva rispetto a ciò che è più semplice e dunque più prossimo al Principio. In questa prospettiva eccedere nella direzione della molteplicità diviene sinonimo di inferiorità. 10 Le realtà che appartengono a se stesse dovrebbero essere le entità intelligibili che risultano nella loro essenza autonome in quanto non sono partecipi di altro al di fuori di se stesse. È tuttavia anche possibile integrare il testo tràdito come segue: τὰ ἑαυτῶν ὄντα. In questo caso la traduzione sarebbe: «gli enti che sono tali in se stessi». 11 In effetti nel libro II, cap. 11, p. 65.12, il Primo Principio, Primo Dio, è stato definito Enade tra le enadi. 12 L’Uno fa apparire in primo luogo quelle realtà che sono più simili e dunque più vicine ad esso: queste infatti sono caratterizzate da un maggior livello di uni-formità e unitarietà. 13 Cfr. supra, cap. 2, p. 8.1. 14 Sul numero divino (oJ qei'o" ajriqmov") che si può anche intendere come «serie divina», cfr. libro IV, cap. 29. 15 Cfr. Parmenide 142b1-155e3. 16 Citazione non letterale da Timeo 30a6-7. 17 Cfr. ibid. 29e1-3. 18 hJ phgh; tw'n o{lwn ajgaqw'n ta;" eJauth'/ kata; fuvsin hJnwmevna" ajgaqovthta" paravgei. L’Uno inteso come il Bene è l’origine primissima e il fondamento delle forme determinate e molteplici di bontà, a partire da quelle appartenenti alle realtà che sono ad esso più vicine. Come si evince da quanto Proclo afferma nella prop. 133 degli Elementi di Teologia, ogni dio è un’enade benefica, mentre il Dio Primissimo è puramente e semplicemente il Bene: ogni dio che viene dopo di esso è, di conseguenza, una forma determinata di bontà. 19 Proclo si pone qui la domanda se le enadi siano assolutamente trascendenti e separate o se ciascuna di esse sia singolarmente partecipata da un determinato livello degli enti, come una sorta di dimensione ontologica unitaria e originaria che può essere considerata «fiore», «sommità» e «centro» dell’essere. 20 Cfr. Parmenide 142d9-143a3. 21 Il soggetto, come spesso in Proclo, non è espresso. 22 La «molteplicità simile», cioè la molteplicità fatta di entità fra loro simili, si trova in mezzo, tra il simile ed il dissimile. 23 Anche qui il soggetto non è espresso. Tuttavia esso è facilmente desumibile dalla riga 7 (hJ ga;r oJmoiovth" aujthv) e successivamente dalla riga 12 (oJmoiovth"). 24 Qui Proclo ha in mente Repubblica VI, 508d4-509a5, ma in modo particolare quanto egli stesso scrive nella dissertazione XI del

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    suo Commentario alla Repubblica, vol I, p. 279.17-29 [ed. Kroll]. A tale proposito rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., Milano 2004, p. 249, e le relative note di commento alla traduzione, p. 395. 25 Cfr. Repubblica VI, 509a1. 26 Cfr. ibid. 509a3. 27 Non c’è differenza tra parlare della luce che proviene dall’Uno e parlare dell’Uno, perché la prima risulta implicare di per se stessa l’Uno, come prova il fatto che essa congiunge e unifica fra loro gli intelligibili, rendendoli una realtà strutturalmente unitaria e quindi di forma simile al Bene-Uno. 28 Nella traduzione si è considerato to; aujtov come un accusativo di relazione, simile alla forma τρόpον τὸν αὐτόν («allo stesso modo»). Secondo i due Editori si potrebbe integrare to; aujto; ãplh'qo"Ã. In questo caso la traduzione sarebbe: «nella stessa quantità». 29 Si accoglie la correzione proposta dai due Editori: ajnavgkh al posto del tràdito a]n ei[h. Si potrebbe anche, invece di correggere, integrare: pavntw" ãajnavgkhà a]n ei[h. In questo caso la traduzione è: «sarebbe assolutamente necessario». 30 ta; me;n ejggutevrw tou' eJno;"...ta; de; porrwvteron. Ci si aspetterebbe: ta;" me;n [scil. monavda"] ejggutevrw...ta;" de; porrwvteron. 31 Il testo presenta una lacuna. Solo in base al senso si può, per via puramente congetturale, tentare di colmarla. Si potrebbe integrare in questo modo: ta; me;n ga;r pleiovnwn ai[tia kai; tw'/ pavntwn aijtivw/ kata; th;n duvnamin ãoJmoiwvtera aJplouvstera tw'n ajp aujtw'n, ta; de; ejlattovnwn kata; th;n duvnaminà tw'n pro; aujtw'n poikilwvtera kata; th;n oujsivan ejstivn. La ripetizione di kata; th;n duvnamin spiegherebbe il motivo della lacuna. Nella traduzione si è seguita questa congettura. Simile è la proposta di integrazione dei due Editori: ta; me;n ga;r pleiovnwn ai[tia kai; tw'/ pavntwn aijtivw/ kata; th;n duvnamin ãprosecevstera aJplouvstera tw'n met aujtav ejsti, ta; de; ejlavttw kata; th;n duvnaminà tw'n pro; aujtw'n k.t.l. 32 In questo passo Proclo propone una triplice classificazione delle anime: anime divine, demoniche ed umane. Ciascuna di esse è caratterizzata da «veicoli» specifici, ovvero dai «corpi» nei quali sono poste: le anime divine hanno veicoli luminosi, quelle demoniche hanno veicoli di natura pneumatica e sono rivestite di etere («tuniche eteree»), infine le anime umane sono associate, oltre che a veicoli di natura celeste, ai corpi per via del loro rivestimento materiale («tuniche materiali»). Proclo affronta tali questioni anche nelle prop. 205210 degli Elementi di teologia. Come osserva E.R. Dodds nel commento alla sua traduzione degli Elementi di teologia di Proclo (cfr. Proclus. The Elements of Theology, Oxford 1963, p. 307) la parola

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    COMMENTO

    citwvn («tunica») sembra essere stata in origine impiegata in ambito orfico-pitagorico per indicare il «corpo». Egli inoltre osserva (ibid. p. 308) che il primo ad aver parlato del «corpo pneumatico» come di un citwvn fu Porfirio. 33 Cfr. Fedro 245c8. 34 diovti Ê kai; meivzou" Ê dunavmei" pantacou'. Il testo è chiaramente corrotto. In base al senso ritengo possibile integrare e correggere il testo tràdito come segue: diovti kai ão{lou"Ã kai; ajmeristou'" dunavmei" pantacou'. Nella traduzione si è seguita tale congettura. 35 Questo è il senso dell’imperfetto h\n. 36 Il riferimento è ad Aristotele, De generatione animalium II 1, 731 b 29. 37 Il male subentra nelle anime nell’ambito del particolare. Per comprendere questa affermazione bisogna ricordare che secondo Proclo il male non ha una sussistenza autonoma, bensì collaterale: esso subentra in corrispondenza di ciò che è molteplice e particolare. Egli definisce questa forma di esistenza collaterale del male con il termine parupovstasi". Tale tesi è sostenuta da Proclo in particolare nell’opera De subsistentia malorum. Inoltre un significato particolare riveste il concetto di male come parupovstasi" nella dissertazione IV del Commento alla Repubblica per la cui traduzione e commento rinvio al volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., pp. 42-67, e per il commento pp. 341-349. Rinvio inoltre al mio studio: Parypóstasis: il concetto di male nella quarta dissertazione del Commento alla Repubblica di Proclo, in «Rivista di Storia della Filosofia», 53/1 (1998), pp. 109-115. 38 Si tenga presente che anche nella successione gerarchica triadica Essere-Vita-Intelletto, la Vita, secondo la prospettiva neoplatonica procliana, precede appunto l’Intelletto. In generale, in base alla concezione neoplatonica, la successione di ogni gerarchia metafisica è orientata dal punto di vista assiologico in ordine decrescente da ciò che possiede una maggiore universalità a ciò che la possiede in misura inferiore. Tale principio viene esplicitato da Proclo poco più avanti alle righe 19 e segg. 39 Proclo si riferisce qui a quanto ha affermato poco sopra alle righe 2-3, ove si precisa che l’intelletto ha fissato la sua essenza e la sua attività nell’ambito dell’eternità. 40 Probabile riferimento ad Aristotele, De anima I 5, 410b23. 41 Proclo si riferisce qui a quanto affermato supra, nel cap. 2, alle pp. 9.12-10.14. 42 Dato che l’intelletto ha una natura più universale rispetto a quella dell’anima, esso necessariamente, secondo la prospettiva procliana, è superiore rispetto ai limiti intrinseci dell’anima. Le Forme

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    intelligibili, infatti, sono oggetti e prodotti del pensiero, ma non sono dotate di anima. Su ciò si veda la prop. 57 degli Elementi di Teologia. 43 Cfr. Repubblica I 353d3-5. 44 Cfr. Fedro 245c5. 45 Cfr. Timeo 41d1-3. 46 Cfr. Filebo 21b6-c8. 47 La razionalità in quanto tale e dunque la ragione in se stessa sono aspetti specifici dell’anima. Entro tale prospettiva, la ragione appare come una particolare immagine-manifestazione dell’anima, della quale la ragione risulta necessariamente partecipe. 48 Cfr. Timeo 77b1-6. 49 Il senso dell’argomentazione di Proclo è chiaro: tutti gli esseri viventi per il fatto stesso di esistere sono partecipi in modi differenti dell’essere, mentre non tutti gli enti risultano partecipi della vita. 50 Cfr. Timeo 36d8-9. 51 Cfr. Leggi X, 898a3-b3. 52 Nel presente contesto è possibile leggere sia ἐξαίρει sia ἐξαιρεῖ. Accogliendo ἐξαιρεῖ, la traduzione sarebbe: «inoltre nel Sofista sottrae l’essere da tutti quanti i generi e anche dal movimento». 53 Cfr. Sofista 250c6-7. 54 In base alla prospettiva esegetica qui assunta da Proclo, l’Essere inteso nella sua originarietà e purezza risulta al di sopra dei generi della quiete e del movimento di cui Platone parla nel Sofista. Eterna, invece, è la Vita intesa come specifico livello della realtà intelligibile. Chiaramente in questo passo Proclo si riferisce alla struttura triadica intelligibile Essere-Vita-Intelletto, al cui interno l’Essere è inteso come il livello più universale e originario. 55 Secondo i principi fondativi della metafisica neoplatonica di Proclo l’intelletto, che è terzo, nell’ordine, dopo la vita e l’essere, rappresenta la compiuta e perfetta determinazione di entrambi: esso quindi li include in sé. Si tenga presente che nelle successioni gerarchiche ogni livello via via inferiore è sempre partecipe, in modo più o meno diretto, di tutti quelli che lo precedono. Ciò vale in special modo per quei livelli che fanno parte degli ordinamenti più elevati e trascendenti della realtà. 56 Con ogni probabilità Proclo si riferisce qui alle Forme intelligibili che fanno parte dell’Intelletto e che per la loro natura di enti puramente intelligibili sono partecipi di ciò che realmente ed in modo primario è. 57 Zwh; de; uJpe;r nou'n tetagmevnh dicw'" tw'n aujtw'n aijtiva prou>pavrcei. La vita è causa delle stesse entità prodotte dall’intelletto; tuttavia essa, in quanto è posta al di sopra dell’intelletto, è in senso più originario principio causale di quelle entità di cui è causa l’intelletto.

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    Si tratta di un immagine tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 65 e 66 des Places = Kroll p. 35. 59 Chiaramente qui Proclo si riferisce specificamente alle «privazioni» che, proprio in quanto tali, non possono partecipare dell’essere, ma che comunque per risultare determinate come privazioni devono partecipare dell’Uno. In considerazione del senso della frase è anche possibile correggere il tràdito ἃ (pronome relativo plurale neutro) con ἂς (pronome accusativo plurale femminile) in quanto riferito al femminile στερήσεις. 60 Cfr. Sofista 248e6-249a2. 61 Cfr. ibid. 249a6-7. 62 Non è possibile stabilire con esattezza a chi Proclo intenda qui riferirsi. 63 Questo è il senso dell’aggettivo perilhptikwvtero", che significa letteralmente «più comprensivo», nel senso di «che contiene in sé un numero maggiore di entità». Si tratta di uno dei principi generali fondanti della metafisica neoplatonica di Proclo: le realtà superiori comprendono in sé, per il loro carattere più originario e dunque più universale, un numero maggiore di entità rispetto a quelle che sono inferiori per ordinamento. 64 Per questo riferimento si veda supra, cap. 2, pp. 10.15-11.16. 65 Il riferimento è al cap. 5 che è tutto incentrato su tale argomento. 66 Non mi pare risulti indispensabile l’integrazione proposta dai due Editori: ejn eJautw'/ ãw]nÃ. 67 In base all’interpretazione metafisico-teologica procliana, la parte del Parmenide (142b1-155e3) che ha per oggetto l’Uno-che-è descrive in modo articolato, a partire dalla sommità del livello intelligibile, la successione di tutti gli ordinamenti divini che da essa derivano e dipendono. 68 Cfr. Repubblica IV, 435a4. 69 Proclo si riferisce qui al libro VI della Repubblica dove viene sviluppato il discorso concernente l’Idea del Bene. Nel Commento alla Repubblica Proclo dedica l’intera XI dissertazione all’interpretazione del Bene nella Repubblica. Per la traduzione di questo testo rinvio nuovamente al volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., pp. 230-265, e il relativo commento alle pp. 386401. 70 Il riferimento è alla prima ipotesi del Parmenide nella quale gli autori neoplatonici individuano una descrizione per via apofatica della assoluta trascendenza del Principio primo, l’Uno-in-sé. 71 Il riferimento è alla Lettera II, in particolare al passo 312e1 segg. Tale epistola nella tradizione neoplatonica veniva considerata autentica. Interpretata secondo una prospettiva teologico-metafisica, essa

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    forniva agli occhi degli autori neoplatonici un richiamo alla struttura autentica del reale scandita dalle diverse ipostasi. Si veda a tale proposito quanto Proclo afferma nel cap. 8 del libro II della Teologia Platonica. 72 Cfr. Filebo 23c7-d8; 26e1-27c2. 73 Proclo popone qui una sorta di invocazione rivolta al Primo Dio celebrando la sua trascendenza assoluta con i vari appellativi che si confanno al Primissimo Principio posto al di là della totalità del reale. 74 Secondo la prospettiva procliana l’assoluta trascendenza del Primo Principio, proprio in considerazione del suo carattere autenticamente originario, non può essere colta attraverso il pensiero o il linguaggio. Solo il silenzio può in qualche modo avvicinare alla ineffabilità propria di ciò che è al di là dell’essere e del pensiero. Su ciò rinvio al mio studio Il «linguaggio dell’ineffabile» nella concezione procliana dell’Uno-in-sé, in «Elenchos», XXII (2001), pp. 305-327. L’«unione che viene prima del silenzio» è quella forma di contemplazione che conduce all’“unione mistica” con il Principio Primo, la quale rappresenta la meta suprema ed autentica del destino trascendente dell’anima umana, destino che si compie attraverso il silenzio mistico. 75 Probabile riferimento ad Eschilo: cfr. fr. 387 Nauk. 76 kata; ga;r th;n pavtrion qeologivan. Con questa espressione viene indicata l’intera tradizione teologica greca, sostanzialmente quella orfica e pitagorica. 77 Su ciò cfr. fr. 44 B 1 Diels-Kranz. Filolao fu il filosofo pitagorico, vissuto nella seconda metà del V secolo a.C., che, secondo la tradizione, avrebbe messo per iscritto le dottrine della scuola. 78 Cfr. Sofista 245b7-8. 79 Probabilmente qui Proclo ha in mente in primo luogo la conclusione della prima ipotesi del Parmenide, secondo la quale all’Uno-insé non si addice nemmeno la nozione di «uno» (cfr. Parmenide 142e12). Tale considerazione appare centrale nella speculazione filosofica procliana concernente l’assoluta trascendenza del Primo Principio: esso viene concepito come totaliter aliter, per usare un’espressione della teologia negativa, e dunque come assoluta differenza rispetto alla totalità del reale. Nemmeno il nome di «uno» si addice, secondo Proclo, al carattere assolutamente originario del Principio Primo. Su ciò rinvio al mio volume Parmenide e i Neoplatonici, op. cit., pp. 194217. 80 L’Uno-in-sé nella sua assoluta trascendenza è anche al di là dell’unità stessa (ejpevkeina eJnwvsew"). 81 Il testo tràdito è: tou' de; aijtivan gennhtikh;n k.t.l. Appare assolutamente necessario correggere il testo nel seguente modo: tw'n de; aijtivan gennhtikh;n k.t.l. Tale correzione viene proposta anche dagli

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    Editori, che però non la introducono direttamente nel testo (cfr. app.: «tou': an tw'n leg.»). 82 Si tratta dei principi del limite e dell’illimitato che Proclo, come si è appena visto, ricava dal Filebo. 83 Cfr. Filebo 23c9-10. 84 L’aggettivo sunektikov" significa, al contempo, «che contiene», «che tiene insieme», «che connette», «che mantiene» nel senso di «che conserva». Nella traduzione si è reso, a seconda dei casi, con gli aggettivi «connettivo», «contenitivo» e «conservativo»: tali aggettivi esprimono i diversi significati appena menzionati. 85 Cfr. Fedro 245c6-7. 86 Cfr. Aristotele, De anima III 5, 430 a 10-11. 87 Cfr. Filebo 25b5; 27b8. 88 Cfr. ibid. 23c9-10. 89 Il testo presenta qui una lacuna insanabile 90 Qui in maiuscolo in quanto Proclo intende riferirsi alla struttura triadica Essere-Vita-Intelletto, sulla quale si rinvia all’ancora fondamentale studio di W. BEIERWALTES: Proclo. I fondamenti della sua metafisica, Milano 19902, in particolare pp. 137-161. 91 Il testo presenta anche qui una lacuna: in base al senso si può integrare con hJ ãoujsiva me;nÃ, anche se la lacuna, come segnalano i due Editori, è probabilmente più ampia. 92 Secondo la visione tradizionale greca il «focolare» (eJstiva) rappresenta il punto più interno e protetto della casa. Con questa immagine Proclo intende dunque dire che l’essenza e ciò che di essa partecipa provengono dalla parte più autentica e celata dell’essere. Per l’uso del termine eJstiva in rapporto al concetto di «essere» ed «essenza» si veda Plotino, Enneadi, V 5 (32), 5, 24-25. 93 Cfr. Filebo 26e6-8. 94 Proclo si riferisce qui a Repubblica VI 509b7-8. Su ciò cfr. anche la dissertazione XI del Commento alla Repubblica. 95 Su ciò cfr. Timeo 35a1-8. 96 Cfr. supra 36.20-21. 97 Cfr. Filebo 64a7-65a6. 98 Proclo affronta tale questione più avanti in questo libro, nel cap. 11, alle pp. 43-44. 99 Il testo presenta in questo punto una lacuna. Anche in considerazione del fatto che in generale qui il ragionamento procliano non appare del tutto perspicuo, risulta problematico comprendere il senso complessivo di tale ragionamento. Nella parte di testo andata perduta Proclo ha probabilmente affrontato il problema del rapporto tra essere e non-essere alla luce di quanto è affermato nel Sofista, ove come noto viene introdotto il concetto di non-essere nel senso di

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    differenza. Ma ciò che appare più problematico è il fatto che qui, stando al testo tràdito, Proclo ponga la questione in termini sostanzialmente opposti rispetto a quanto è affermato nel Sofista. Egli infatti sostiene, riferendosi al Sofista, che il problema centrale è che l’essere non è in misura inferiore rispetto al non-essere. In realtà il Sofista affronta la questione in termini del tutto opposti: il problema è che il non-essere è reale, contro il principio parmenideo secondo cui il nonessere non è e non è nemmeno pensabile. Forse Proclo nella parte mancante metteva in luce come il non-essere, inteso come genere della differenza, riferendosi potenzialmente a un numero maggiore di termini rispetto all’essere, si riveli addirittura superiore al genere dell’essere. Ciò tanto più se si considera, in base alla prospettiva filosofica procliana, che vi sono livelli metafisici che sono anteriori, in quanto più originari, rispetto all’essere stesso. 100 Il riferimento è a Timeo 35a1-8. 101 Proclo si rifà qui a quanto si afferma nel Filebo nel passo 21a1422a6. L’espressione oJ eujdaivmwn bivo" è una citazione del punto 11d6. 102 Riferimento a Sofista 247d8. 103 Cfr. ibid. 247e3-4. 104 Su ciò si veda Plotino, Enneadi, II 4 (12), 2-5. 105 La forma che è presente nella materia. 106 Cfr. Timeo 28a3. 107 Su ciò cfr. Filebo 64a7-65a5. 108 Cioè il limitato e l’illimitato. 109 Proclo si riferisce qui al passo 27d1-10 del Filebo. 110 Cfr. Filebo 20d1-11. 111 Cfr. ibid. 64a7-65a5. 112 tou' o[nto" ejsti;n. Con questa espressione Proclo intende dire che l’essere in senso primario è per così dire la parte più autentica dell’essere. Tale concetto appare ribadito subito dopo dall’aggettivo ajkrovtaton con cui viene indicata la parte più elevata dell’essere. 113 Proclo riprende questo riferimento a Giamblico successivamente al cap. 13, p. 48.25-49.2. 114 Proclo affronterà tale questione in modo diffuso più avanti, al cap. 18 pp. 62.11-63.21. 115 Si tratta di una citazione tratta dal Filebo al punto 64c1 e 64a765a6. Tale citazione compare anche nella dissertazione XII del Commento alla Repubblica, vol. I, p. 295.12 e 21. 116 Cfr. Leggi IV, 716c4. 117 Si tratta di un riferimento al passo 312e2-3 della Epistola II, la cui interpretazione Proclo ha affrontato nel II libro al cap. 8. 118 Tale questione in effetti viene affrontata da Proclo al cap. 18, pp. 62.11-64.12.

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    Proclo intende qui riferirsi con ogni probabilità all’ordinamento intellettivo degli dèi, di cui discuterà ampiamente nel libro V. 120 Cfr. supra, cap. 9, p. 35.8-24. 121 Si veda ad esempio quanto Proclo afferma in questo libro a p. 39.3-4, 20-21; 45.6-8. 122 Il riferimento è ad Aristotele, Fisica VIII 1, 250b14. 123 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 21 des Placet = p. 19 Kroll. 124 Cioè Platone stesso. 125 Il riferimento è ancora a Filebo 64a7-65a5. 126 Cfr. Timeo 30d1-2. 127 Proclo in effetti riprende la questione al cap. 15, pp. 52-54. 128 Probabile riferimento a Parmenide 144c6-8. 129 Dato che anche il cosmo sensibile stesso in ogni sua parte risulta governato – come insegna il Timeo – da un’anima cosmica, ovvero da un intelletto cosmico di natura divina, a maggior ragione la realtà intelligibile in tutti i suoi livelli risulterà partecipe delle entità divine intelligibili che ne fanno direttamente parte e la costituiscono. 130 Th'" d ou\n triavdo" tauvth" ejpistrefouvsh" ta; nohta; pavnta pro;" th;n prwvthn k.t.l. La terza triade riconduce la totalità degli intelligibili all’unità della prima triade, ossia all’Uno-che-è. In effetti, la capacità di far volgere e convertire verso una forma di unità originaria e complessiva, in base alla prospettiva neoplatonica procliana, è una caratteristica propria dei livelli terminali di ogni ordinamento divino/metafisico. 131 Le tre triadi da cui risulta costituito l’intero livello intelligibile sono gerarchicamente ordinate in modo analogo ai livelli divini che dipendono dalla dimensione intelligibile, ossia, nell’ordine quello intelligibile-intellettivo e quello intellettivo; di conseguenza la prima triade è dio intelligibile in senso primo, la seconda triade è dio intelligibile-intellettivo, la terza infine è dio intellettivo. 132 Proclo intreccia qui in modo molto sintetico due considerazioni distinte, una di carattere teologico ed una di carattere metafisico: ogni ordinamento divino deriva, in ultima istanza, da quello intelligibile, costituito da tre monadi. Ad esse, infatti, devono essere ricondotti tutti gli ordinamenti divini successivi e gli dèi che ne fanno parte, dai quali dipendono, a loro volta, tutte le altre entità. D’altra parte le tre monadi intelligibili sono al contempo tre triadi, poiché sono intrinsecamente caratterizzate da specifiche forme di distinzione. Queste ultime conducono alla molteplicità intelligibile originaria che, a sua volta, si dispiega progressivamente negli ordinamenti successivi. 133 Leggo qui invece del tràdito diaivresin, probabilmente corrotto, u{parxin.

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    Cfr. Parmenide 132d1-2. L’Uno che è “celatamente molti”, ovvero l’Unificato, costituisce la sommità della dimensione intelligibile. 136 In modo molto sintetico Proclo descrive qui il passaggio progressivo dall’Uno-che-è – sommità dell’intelligibile ed in se stesso unitario – alla molteplicità intelligibile che è insita nella terza triade. 137 Il riferimento è a Siriano, maestro di Proclo e sempre, più o meno esplicitamente, presente nelle opere di quest’ultimo. 138 Cfr. Timeo 28c6; 29b4. 139 Cfr. ibid. 31a4-5. 140 Cfr. ibid. 31b1. L’aggettivo pαντελής (e in modo affine l’avverbio pαντελῶς) a seconda dei contesti può significare “compiutamente perfetto”/“perfettamente compiuto”, “assolutamente perfetto” e “completo”. L’aggettivo, dunque, è stato tradotto nel corso dell’intero testo in base ad uno di questi significati a seconda del caso. 141 Cfr. ibid. 30d1-2. 142 Cfr. ibid. 31b3. 143 Cfr. ibid. 37d1; 39e8. 144 Si tratta delle quattro forme/specie di esseri che il Demiurgo plasma conformemente alla natura dei quattro elementi: su ciò cfr. Platone, Timeo 39e10-40a2. 145 Come viene chiarito subito dopo, si tratta qui delle Forme intelligibili che costituiscono i paradigmi delle diverse entità sensibili. 146 Con l’espressione «tetrade intelligibile» Proclo si riferisce qui alle specie/forme intelligibili che sono insite in modo originario nel Vivente intelligibile e in base alla quali sono plasmati gli esseri che fanno parte dell’intero cosmo vivente. 147 Il soggetto non è espresso, ma in considerazione del senso deve trattarsi del Demiurgo. 148 Secondo l’interpretazione procliana anche il cratere stesso, nel quale il Demiurgo pone gli elementi per plasmare l’Anima del mondo, è una divinità generatrice. Su ciò si veda l’interpretazione del cratere proposta da Proclo nel libro V, capp. 30-31. 149 Cfr. Timeo 48e6; 92c7. 150 Cioè nel Vivente-in-sé. 151 Proclo ha affrontato tale questione in precedenza, cap. 14, pp. 51.20-52.7. 152 Cfr. Timeo 37d3. 153 Cfr. ibid. 38c1-2. 154 Ancora una citazione dal Timeo: al punto 36b6 si afferma che il tempo «è nato insieme al cielo». 155 I termini aijwvn e aijdiovth" sono sinonimi. Dato che in italiano non v’è un esatto equivalente di tale sinonimia, si è tradotto in questo 135

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    contesto aijwvn con «eternità» e aijdiovth" con «condizione di eternità». 156 Kai; tou'to kai; oJ daimovnio" Aristotevlh" *** ojrqw'" ajqavnaton k.t.l. Il testo è chiaramente lacunoso, e si può integrare, come suggeriscono gli Editori, con sunei'den. 157 Il riferimento è al De caelo, I 9, 279a27-28. 158 Cfr. Fedone 106d5-6. 159 th'" yucikh'" ajqanasiva". Letteralmente: «della immortalità psichica». 160 Cfr. Sofista 250c6-7. 161 Proclo si riferisce qui ai generi sommi dell’essere trattati da Platone nel Sofista. Dunque con l’espressione kai; ta; loipa; tw'n o[ntwn gevnh («e i rimanenti generi dell’essere) Proclo intende il genere dell’identità e quello della differenza. 162 Cfr. Timeo 37d6. Tale passo verrà citato a più riprese in questo III libro ed ancora, in particolare, nel libro IV. 163 In effetti nel Timeo (37d5) si afferma che il Demiurgo ha fatto sussistere il tempo come immagine mobile dell’eternità. 164 Il testo presenta qui una lacuna, nella quale Proclo deve aver affrontato, come si evince da quanto detto alle righe 9-10, la questione se l’eternità sussista «secondo la vita o secondo l’intelletto intelligibile». Considerato che subito dopo la lacuna si ha l’ultima parte del ragionamento concernente la questione se l’eternità sussista secondo la vita, si deve concludere che manca tutta la parte che riguarda la questione se l’eternità sussista secondo l’intelletto intelligibile: in base alla concezione procliana, la risposta a tale questione non può che essere negativa. 165 Proclo ha affrontato tale questione precedentemente, nel cap. 8, p. 32.23-28, e ancora nel cap. 14, p. 50.4-10. 166 Proclo si riferisce qui ai tre caratteri principali in base ai quali risulta costituito il reale nella sua totalità: la permanenza, la processione e la conversione. 167 Allusione all’interpretazione etimologica di aijwvn come ajei; w[n. 168 Cfr. Timeo 37d6. 169 Ancora un riferimento alla etimologia del termine aijwvn come ajei; w[n. 170 Il riferimento è agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 49.4 des Places = p. 27 Kroll. 171 Citazione da Aristotele, Fisica IV 18, 218a24. 172 In base alla concezione procliana, tutti gli ambiti della realtà sono connessi a quelli che li precedono in modo analogo a come l’immagine è connessa al proprio modello. Poco più avanti (cfr. in questa pagina le righe. 6-7), in effetti, la considerazione che l’eternità e il tempo, il quale è a sua volta un’immagine dell’eternità, risultano uni-

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    tari, anche se in forma molto diversa, è ricondotta da Proclo al fatto che il carattere dell’unitarietà è un’immagine dell’“Uno”. 173 «L’illimitatezza che rimane in quiete» è quella dell’eternità alla quale Proclo ha poco prima fatto cenno, mentre l’illimitatezza che si muove è quella del tempo. 174 In realtà Proclo usa il termine pathvr («padre»): infatti il termine aijwvn («eternità») è maschile. Per questo motivo si è tradotto con il termine «origine». 175 Per questa citazione di Plotino cfr. Enneadi, III 7 (45), 5.20 e 26. 176 Su ciò cfr. quanto Proclo ha affermato in precedenza al cap. 9, p. 35.16-18. 177 Cfr. Timeo 31a4-6. 178 Aijwvnio" de; au\ prosagoreuvetai kata; th;n duvnamin th;n aujth'" k.t.l. Gli Editori correggono il tràdito th;n aujth'" con th;n auJth'". In realtà th;n aujth'" può riferirsi a ajpeiriva che si trova in effetti piuttosto lontano, alla riga 19: Proclo sembra qui contrapporre il carattere di «unico nel suo genere» del Vivente-in-sé, che dipende dal limite, a quello dell’eternità, che deriva invece dalla potenza propria della illimitatezza alla quale nell’ambito intelligibile è ricondotta la nozione di potenza. A mio avviso, invece, davvero problematica è la frase immediatamente successiva: solo con una qualche forzatura semantica si può intendere, in questo contesto, il verbo pροσήκει nel senso di “è connessa” (scil. la terza triade) o “è imparentata”. Si potrebbe dunque supporre una lacuna dopo αὐτῆς. In base a quanto Proclo afferma subito dopo alla riga 23 si potrebbe così integrare il testo: κατὰ ταύτην μάλιστα τῷ αἰωνίῳ pροσήκει. In questo caso la traduzione sarebbe: «infatti è in base a quest’ultima che si confà specialmente al carattere dell’eternità». 179 Come correttamente osservano gli Editori (cfr. vol. III p. 62, n. 1 alla loro traduzione), Proclo in questo modo salda l’interpretazione del Filebo con quella del Timeo: il limite, l’illimitato ed il misto del Filebo, in base alla prospettiva procliana, corrispondono rispettivamente all’«unico nel suo genere», all’«eterno» ed al «compiutamente perfetto» del Timeo. 180 Proclo sintetizza qui i passi del Timeo nei quali si parla del rapporto tra il modello intelligibile e il cosmo sensibile. Cfr. a tale proposito Timeo 31a2 segg.; 37c6 segg; 39e3 segg. 181 Cfr. supra, cap. 11, p. 43.1-44.20. 182 Come si evince da quanto viene qui affermato, secondo Proclo l’ordine effettivo della triade desunta da Filebo 64a7-65a5 è il seguente: verità-bellezza-proporzione. Tuttavia al livello della prima triade intelligibile, ovvero dell’Uno-che-è, il quale nella dimensione intelligi-

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    bile corrisponde al limite, è la proporzione il termine che si manifesta in modo più determinato. Esso infatti, proprio in quanto è ultimo rispetto agli altri due, manifesta un maggior grado di determinazione e funge, per così dire, da collegamento con le altre due triadi intelligibili. Dal canto loro verità e bellezza all’interno della prima triade intelligibile risultano “celati” in quanto sono più originari e, dunque, meno determinati. 183 Probabilmente qui Proclo intende riferirsi alla dimensione intelligibile nel suo insieme. 184 Proclo ha affermato in precedenza (cfr. cap. 13, p. 48.23-24) che la proporzione costituisce il primo misto. 185 Il testo tràdito è: ei\nai me;n ejkei' th;n summetrivan, ei\nai de; kavlliston k.t.l. Nella traduzione accolgo l’integrazione proposta dagli Editori: ei\nai me;n ejkei' th;n summetrivan, ãei\nai de; th;n ajlhvqeianÃ, ei\nai de; kavlliston. Tuttavia tale integrazione non mi sembra del tutto convincente dal punto di vista della struttura del periodo. Forse il testo da integrare è più ampio. La citazione successiva, relativa al Vivente-in-sé, è tratta da Timeo 30d1-2. 186 Si tratta probabilmente del trattato Sulle tre monadi al quale Proclo fa riferimento allo stesso proposito nel Commento alla Repubblica, dissertazione XII, vol. I, p. 295.25. 187 Il riferimento è a Fedro, 248d3-4, ove i tre termini designano rispettivamente chi è «amante del sapere», chi è «incline all’amore» e chi è «legato alle Muse». 188 Per questa espressione si veda supra, cap. 11, p. 44.9 e la relativa nota di commento alla traduzione. 189 Nella metafora l’espressione ejn toi'" ajduvtoi" è in relazione con ejn toi'" proquvroi": il «vestibolo» in cui si trova la Bellezza è l’accesso all’interno del tempio, inaccessibile ai profani, ove si cela il Bene. 190 Proclo si riferisce qui a Timeo 39e7-40a2. Sulla interpretazione procliana di questo passo si veda il Commento al Timeo, III, p. 105.14-107.26 [ed. Diehl]. 191 I generi degli enti sono i “generi sommi” dell’essere trattati da Platone nel Sofista. 192 Proclo connette qui alla dottrina sulle triadi i cinque generi sommi del Sofista che sono appunto: essere, quiete e movimento, identità e differenza. Su ciò cfr. Sofista 250a8-251c7. 193 Cfr. Timeo 30c5-7. 194 Cfr. ibid. 40a2. 195 Cfr. ibid. 40a1. 196 Cfr. ibid. 40a1. 197 Cfr. ibid. 30c5-7. 198 Vale a dire il «misto».

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    NOTE

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    1055

    In questa estrema sintesi del pensiero parmenideo è in sostanza implicito il senso della critica che, attraverso l’esegesi del Sofista, gli autori neoplatonici rivolgono a Parmenide. Per un parallelo già in Plotino cfr. Enneadi V 1 (10), 8,15 segg. 200 Riferimento a Sofista 245b7-8. 201 Si tratta dell’interpretazione secondo la prospettiva neoplatonica dei vv. 5-6 del fr. 8 di Parmenide (Diels-Kranz). Su ciò cfr. nel presente volume il saggio in appendice. 202 Citazione da Sofista 244b6-c3. 203 Così se si accoglie l’ipotesi di integrazione dei due Editori: ou[te to; o[noma pravgmato" o[noma e[stai ãou[te to; pra'gma ojnovmato" pra'gmaÃ, ajlla; k.t.l. 204 Tutta questa argomentazione si rifà a Sofista 244c4-d13. 205 Non c’è soggetto, ma è chiaro che Proclo si riferisce a Platone. La citazione seguente è tratta da Sofista 244d14-245b3, ove vengono citati i vv. 43-45 del fr. 8 di Parmenide (Diels-Kranz). 206 Nuovo riferimento a Sofista 245b7-8. 207 Con ogni probabilità Proclo qui si riferisce alle due componenti che originariamente costituiscono l’intero intelligibile, ossia l’uno e l’essere. 208 Cfr. Sofista 245a1-3. 209 Il termine oJlomelev" è ripreso da Parmenide, fr. 8 v. 4, ove compare la forma oujlomelev". 210 Proclo affronta tale questione in modo particolare nel Commento al Parmenide: cfr. ad esempio I, 665; VI 1065, 1078, 1102; VII 1150, 1158, 1209 [ed. Steel]. 211 Di ciò Platone parla in Timeo 37c6-d7. 212 Il probabile riferimento è ancora all’uno e all’essere che costituiscono le parti dell’intero intelligibile. 213 Il tempo risulta illimitato per via delle parti che lo costituiscono, cioè il passato e il futuro (su ciò cfr. anche quanto Proclo afferma nel Commento al Parmenide, VII, 1216,1), mentre l’istante presente, l’“ora”, è ciò che lo rende delimitato. 214 Tali questioni vengono riprese da Proclo ai capp. 24-26. 215 Con tale appellativo Proclo può riferirsi allo Straniero di Elea del Sofista oppure a Parmenide stesso. 216 Proclo ha parlato specificamente di tre triadi (ovvero di tre monadi triadiche) nel cap. 14, p. 50.16 segg. e p. 51.11 segg.; nel cap. 20, p. 67.21 segg., p. 71.25 segg., p. 72.23 segg. Nel cap. 18, p. 58.13 segg., si parla di tre livelli intelligibili. 217 Il riferimento è agli Oracoli Caldaici, fr. 3 e 4 des Places = p. 12-13 Kroll. 218 Riferimento alla Lettera VI – precisamente al punto 323d4 –

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    COMMENTO

    che come tutte le altre veniva ritenuta autentica dagli autori neoplatonici. 219 Cfr. Sofista 247d8; e3-4. 220 Così bisogna tradurre secondo il testo tràdito ejx aujth'". Correggendo con ejx auJth'", la traduzione sarebbe: «riempie di se stessa». 221 Il riferimento è probabilmente a Plotino e alla sua scuola. 222 oJ mevn si contrappone al oJ dev di p.75.3. 223 Il senso è che il terzo termine della triade intelligibile non va considerato intelletto nel senso di un intelletto che ha per oggetto una determinata essenza, bensì nel senso di Intelletto per così dire “come ipostasi” del mondo intelligibile, e che è Intelletto del Padre intelligibile (in base alla triade Padre-Potenza-Intelletto) e della natura divina stessa dell’intelligibile. Nell’ambito dell’intelligibile il Padre è la sommità intelligibile, vale a dire l’Essere in senso primario, ovvero l’Unoche-è. Su tutto ciò si veda anche quanto Proclo afferma poco più avanti in questo stesso libro, cap. 24, p. 85.20 segg. 224 Principio generale del Neoplatonismo procliano. 225 Cioè i tre termini della triade Padre-Potenza-Intelletto. 226 Cfr. Timeo 41a7. 227 Cfr. ibid. 41c5-6. 228 Il soggetto sottointeso del verbo è ovviamente ancora Platone. 229 Cfr. Timeo 41d4-6. 230 Cfr. ibid. 39e7-9. 231 Cfr. ibid. 41a7-8. 232 Cfr. ibid. 39a7-40d5. 233 Cfr. ibid. 42d5-e4. 234 Anche in questo contesto Proclo delinea una triade: proaiwvnio" («anteriore all’eternità»)-aijwvn («eternità»)-aijwvnio" («eterno»). 235 L’anima dunque non è eterna perché è intelletto, bensì per la sua specifica essenza, in sé implicante, per così dire, il carattere dell’eternità/immortalità. Di conseguenza se, da un lato, ogni intelletto è in sé eterno, ciò non implica che tutto ciò che è eterno sia un intelletto. 236 Cfr. Fedro 228d1. 237 Cfr. ibid. 246d8-e2. 238 Cfr. ibid. 247d3-5. 239 La realtà intelligibile è infatti, secondo la concezione procliana, il livello più elevato della realtà divina. Dunque essa avrà i caratteri della realtà divina in modo primario. Si tenga infatti presente che, benché il Primo Principio sia considerato al contempo Primo Dio, esso per via della sua assoluta trascendenza non è connotato da alcun carattere determinabile in senso positivo, ossia in termini catafatici. 240 L’uso dell’imperfetto h\n indica qui, come anche altrove, che una determinata considerazione è già stata stabilita ed appurata in

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    AL LIBRO III,

    NOTE

    219-260

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    precedenza da Proclo. Qui il riferimento è al libro I, cap. 22, p. 101.1-3. 241 Proclo si riferisce qui a Filebo 65a2, da cui egli ricava la triade proporzione-verità-bellezza. In linea con la propria prospettiva esegetica, egli precisa qui che ogni singolo termine di questa triade ha predominanza in ciascuna delle tre triadi intelligibili: come è stato detto in precedenza, nella prima domina la proporzione, nella seconda la verità e nella terza la bellezza. Su ciò si veda quanto Proclo afferma supra cap. 11 pp. 43-44. 242 Proclo ha accennato alla relazione fra proporzione e Bene precedentemente, nel cap. 13, p. 48.15-17. 243 Cfr. Filebo 20d1-11. 244 Si tratta di un riferimento a Repubblica VI, 490b5-6. La sapienza, in questo contesto, va intesa come uno dei caratteri della realtà divina desumibili secondo Proclo dal Fedro. 245 Su ciò si veda quanto Proclo ha affermato in precedenza, nel libro I, cap. 23, pp. 105.24-106.3. 246 Cfr. supra libro I, cap. 24. 247 Cfr. Simposio 204c4. 248 Cfr. Fedro 250b5-6. 249 Cfr. ibid. 256d8. 250 Cfr. ibid. 250d2-3. 251 Per questo riferimento cfr. Met. A 1, 980a27; De sensu, 1, 437a5-6. 252 Cfr. Fedro 250d1. 253 Cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 86 Kern. 254 Proclo deriva la triade amore-fede-verità dagli Oracoli Caldaici. Cfr. fr. 46 des Places = p. 26 Kroll. 255 Cfr. supra, libro I, cap. 25. 256 Proclo si riferisce qui a quanto in precedenza affermato nel libro I capp. 10-12. 257 Con tinev" Proclo si riferisce qui probabilmente a Giamblico e alla sua scuola. 258 Cioè Parmenide, protagonista dell’omonimo dialogo. 259 Come correttamente osservano gli Editori, nell’espressione to;n e{na è sottinteso qeovn. 260 Tou'tov te ou\n, w{sper e[fhn, devdeiktai kai; o{ti tavxin e[cei ta; sumperavsmata pro;" a[llhla th;n tw'n protevrwn kai; uJstevrwn kai; aijtivwn kai; aijtiatw'n. Con questa frase estremamente sintetica Proclo intende chiarire che le conclusioni del Parmenide descrivono una successione gerarchicamente ordinata di realtà, in base alla quale i termini che precedono sono principi causali di quelli che seguono.

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    1058

    COMMENTO

    ejn toi'" uJpomnhvmasi: cioè il Commento al Parmenide che ha in effetti la forma dell’uJpovmnhma, vale a dire del commento sistematico di ogni singola parte del testo. La forma plurale è comune. 262 Il riferimento è a Siriano, maestro di Proclo e da quest’ultimo, come si è già detto, spesso ricordato anche con riferimenti specifici ai suoi insegnamenti. 263 Cfr. Fedro 234d5-6. 264 Cfr. Clitofonte 408c3-4. 265 Il testo presenta qui una lacuna. Accolgo l’ipotesi di integrazione proposta dai due Editori: leggo pertanto kai; ãajkrovth"Ã th'" prwtivsth" nohth'" trivado". 266 Non mi sembra necessario correggere il tràdito sumferomevnh con sumfuomevnh come ipotizzano i due Editori. Il termine del resto ritorna anche a p. 86.5. 267 L’“uno” al quale qui si riferisce Proclo è quello dell’Uno-che-è, il quale rappresenta nella prospettiva procliana la sommità unitaria della dimensione intelligibile. 268 Cfr. Parmenide 142d1-2. 269 Cfr. ibid.142b5-c7 270 La triade cui Proclo fa qui riferimento è quella Padre-PotenzaIntelletto. La Potenza si trova in mezzo ai termini (Padre ed Intelletto) posti rispettivamente alle estremità di questa triade. 271 Cfr Sofista 249a9-c9. 272 Cfr ibid.250c6-7. 273 Ciò che Proclo vuol qui dire è che nella denominazione e{n o[n (letteralmente: uno essere) non compare il termine intermedio, la duvnami": essa infatti, come Proclo ha illustrato, è presente in modo nascosto, cioè non esplicitato, nella prima triade. Tuttavia è in essa presente in modo implicito, poiché senza potenza la triade non può avere processione. 274 La potenza attraverso la partecipazione mette in relazione fra loro l’uno e l’essere. 275 L’allusione più evidente è al verso 306 del X libro dell’Odissea: qeoi; dev te pavnta duvnantai. 276 Proclo ha affrontato tale questione in rapporto al Sofista in precedenza al cap. 20. 277 Come è stato affermato appena prima da Proclo (cfr. supra p. 86.23), è la potenza che è causa della divisione. Dunque se vi è divisione, vi sono le parti e l’intero. Di conseguenza la distinzione fra parti ed intero deriva in ultima istanza dalla potenza insita in questa triade. 278 Cfr. Parmenide 142d1-2. 279 Cfr. Parmenide 142c7-d9. 280 Proclo riprenderà questo argomento al cap. 26. 261

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    AL LIBRO III, 281

    NOTE

    261-296

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    Cfr. Politico 262a8-263b10. Cfr. Timeo 33a7. 283 Nella traduzione si è voluto conservare l’anacoluto del testo greco. 284 La seconda forma di totalità è quella che risulta costituita da parti. Essa deriva dalla potenza che come elemento intermedio della struttura triadica uno-potenza-essere risulta partecipe dell’uno e dell’essere, i quali, in questa prospettiva, si delineano al contempo come i termini estremi della seconda forma di totalità. 285 Il riferimento è ancora alla seconda triade che è posta al centro dell’ordinamento intelligibile. 286 Proclo riprende questa espressione dagli Oracoli Caldaici, fr. 198 des Places = p. 18, n. 2 Kroll. 287 Nella seconda triade, come si è visto, uno ed essere risultano separati dal termine mediano, cioè dalla potenza. Per questo la seconda triade intelligibile è caratterizzata da un minore livello di unità rispetto alla prima ed è “totalità intelligibile”, comprendente a livello potenziale la molteplicità intelligibile: nella seconda triade, infatti, la potenza tiene separati fra loro l’uno e l’essere, mentre nella prima triade uno e essere costituiscono un’unità, si potrebbe dire, perfettamente unificata. 288 Riferimento ad Oracoli Caldaici, fr. 32.1 des Places = p.19 Kroll. 289 Cfr. Parmenide 142d9-143a3. 290 Riferimento a Oracoli Caldaici, fr. 31.1 des Places = p. 15 Kroll. 291 Per questo riferimento cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 64 Kern. Questa triade è «primo-genita» nel senso che, come chiarisce subito dopo Proclo, è la prima che è «nata», ovvero si è venuta a determinare successivamente, mentre le triadi che la precedono sono «preesistenti». 292 Proclo cita qui Parmenide 142e4-143a1. L’ultima frase è già stata citata in precedenza da Proclo alle righe 3-4 di questa pagina. 293 To; toivnun sucnw'/ tw'/ th'" genevsew" ojnovmati crh'sqai k.t.l. Si è dovuto tradurre tw'/ th'" genevsew" ojnovmati (lett.: «con la parola “generazione”») «con l’espressione “venire ad essere”» per conservare nella traduzione l’affinità dei termini prwtogenhv", givgnomai e gevnesi" (indicanti al contempo il concetto di «generazione» e di «divenire») che è difficile da rendere in italiano. 294 Non è possibile dire a chi Proclo intenda qui riferirsi. Hanno forse ragione i due Editori (cfr. la loro nota di commento al testo: p. 146, n. 3) che ritengono si possa trattare di non meglio precisati commentatori del Parmenide. 295 Nella traduzione si è mantenuto l’anacoluto del testo greco. 296 In sostanza Proclo afferma che l’illimitatezza della molteplicità intelligibile non va intesa in senso quantitativo, poiché l’illimitatezza 282

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    COMMENTO

    originaria, che fa sussistere la molteplicità intelligibile, si delinea come potenza illimitata e non come quantità illimitata. Di conseguenza la molteplicità intelligibile, che partecipa di questa illimitatezza originaria, è illimitata anch’essa per così dire in senso potenziale: essa infatti manifesta la propria illimitatezza come potenza che comprende in sé la totalità delle entità intelligibili e, in forma non dispiegata e determinata, anche di quelle che derivano e dipendono dal livello intelligibile. Sulla natura potenziale e non quantitativa della illimitatezza propria della dimensione intelligibile si può vedere anche quanto Proclo afferma nella prop. 86 degli Elementi di Teologia. 297 Cioè la molteplicità intelligibile che è la prima di tutte le forme di molteplicità. 298 Poco sopra alle righe 13-14 Proclo ha affermato che la molteplicità intelligibile «non può essere compresa da nient’altro», nel senso che, per via della sua illimitatezza, non può essere contenuta e inclusa in nessun altro livello di realtà. 299 Proclo ricapitola qui di seguito quanto discusso rispettivamente nel cap. 17 sulla prima triade intelligibile in base al Timeo, nel cap. 24 sulla prima triade intelligibile in base al Parmenide, e nei capitoli 8 e 9 sulla prima triade intelligibile in base al Filebo. 300 Cfr. Timeo 37d6. 301 Cioè rispettivamente l’uno e l’essere. 302 Il riferimento è alla seconda ipotesi del Parmenide. 303 Cioè dal limitato e dalla illimitatezza. Il riferimento è qui a Filebo 23c9-d1. 304 Secondo l’interpretazione di Proclo, nel Timeo la triade è indicata solo con il nome «unità», nel Parmenide con i due nomi «uno» ed «essere» (e{n o[n, cioè «uno-che-è»), nel Filebo infine con i tre termini limite, illimitato e misto. 305 Per la denominazione «eternità» in relazione al Timeo si veda quanto Proclo afferma supra al cap. 16; circa la denominazione «totalità» cfr. cap. 25. 306 Cioè il concetto di eternità e quello di totalità. 307 Come spesso in Proclo, qui il soggetto non è espresso. Si tratta comunque di Platone. 308 Su ciò si veda quanto Proclo afferma supra al cap. 15 sulla terza triade intelligibile in base al Timeo. 309 Proclo ha trattato tale argomento al cap. 26 dedicato alla terza triade intelligibile in base al Parmenide. 310 Su ciò cfr. supra nel presente libro il cap. 20 sulla terza triade intelligibile in base al Sofista. 311 Cfr. Timeo 30c5-7. 312 Secondo i due Editori nel testo v’è una lacuna (Kai; oJ Parme-

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    AL LIBRO III,

    NOTE

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    1061

    nivdh" pantele;" *** plh'qo" ajpofaivnwn to; en o]n to; th'/ tavxei tauvth/ sunufestwv"). A mio avviso è possibile mantenere il testo così com’è, sottintendendo l’espressione aujth;n ei\nai tivqetai ricavabile dalla riga 19. Stando al testo tràdito, dunque, la terza triade intelligibile si rivela “compiutamente perfetta” in considerazione del fatto che l’Unoche-è sussiste contemporaneamente e congiuntamente ad essa: in base a tale prospettiva, l’unitarietà originaria dell’Uno-che-è dovrebbe quindi fungere da fondamento della compiuta perfezione della terza triade intelligibile. Si segnala infine che la forma corretta del participio perfetto neutro di συνυφίστημι è συνυφεστός e non συνυφεστώς che compare nel testo. 313 Proclo si riferisce qui a quanto da lui affermato in precedenza nel cap. 26, pp. 91.25-92.28. In tale passo tra l’altro Proclo afferma che la molteplicità intelligibile è illimitata. 314 Cfr. Timeo 30c5-7. 315 Per aijwvnion («eterno») cfr. Timeo 37d3; per monogenev" («unico nel suo genere») cfr. ibid. 31b3. 316 Cfr. Parmenide 142e5-8. 317 Cfr. Repubblica VI, 501d2. 318 Cfr. ibid. V, 475e4. 319 Pro;" ga;r en ei\do" pavnta genovmena pw'" oujk e[cei morfh;n th;n aujth;n kai; fuvsin. Il termine ei\do" indica la Forma intelligibile, mentre il termine morfhv indica la forma in senso fisico, da cui anche il senso di «figura». Nella traduzione si è marcata la differenza fra i due termini ricorrendo qui nel caso di ei\do" alla lettera iniziale maiuscola. 320 Cfr. Fedro 246d7. 321 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 34.3-4 des Places = p. 20 Kroll. 322 Cioè la distinzione interna ai singoli ordinamenti. 323 Si tratta di un riferimento al Timeo 42d5-e4, ove si dice che il Demiurgo affida agli «dèi giovani» il compito di plasmare i corpi mortali. 324 Cfr. Leggi X, 899b9. 325 Le entità angeliche sono, nella prospettiva neoplatonica procliana, intermedie fra gli dèi e i demoni. 326 Per tale concetto si veda la prop. 132 degli Elementi di Teologia, che recita: Pa'sai tw'n qew'n aiJ tavxei" mesovthti sundevdentai. 327 Per questa citazione cfr: Oracoli Caldaici fr. 34.2-3 des Places = p. 20 Kroll. Giustamente i due Editori sottolineano (cfr.nota n. 1 alla loro traduzione) come Proclo metta di fatto in bocca a Platone le parole degli Oracoli Caldaici, quasi a voler ribadire che v’è perfetto accordo tra i versi di quest’opera e quanto afferma Platone. 328 La triade cui si riferisce qui Proclo è quella costituita dal Vivente intelligibile: come è affermato poco sopra, nel presente capi-

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    COMMENTO

    tolo p. 95.11 segg., il Vivente intelligibile è la terza triade dell’ordinamento intelligibile. 329 ojcetw'n: si tratta di un termine ripreso da Oracoli Caldaici (fr. 65.2 des Places = p. 35 Kroll) e che Proclo ha impiegato, come si è visto, anche in precedenza al cap. 6, p. 26.1. 330 Cfr. Fedro 246d7 331 Cfr. Timeo 28a1-2 332 Nel suo insieme unitario, il genere intelligibile degli dèi risulta superiore rispetto ai diversi livelli intelligibili, sia a quelli connotati da una maggiore universalità (le entità puramente intelligibili), sia a quelli connotati da una maggiore determinatezza e specificità (come l’ordinamento intelligibile-intellettivo). Il genere intelligibile degli dèi, infatti, è superiore agli altri livelli trascendenti di realtà, allo stesso modo in cui, a sua volta, l’Uno, il Dio Primo, è superiore rispetto a tutto quanto “il genere degli dèi”. Ciò significa che il genere intelligibile degli dèi è connotato da una maggiore unitarietà e semplicità rispetto alla determinatezza e specificità sempre maggiori degli altri livelli divini. 333 Riferimento al titolo del trattato 5 (32) del V libro delle Enneadi di Plotino. 334 Qui l’aggettivo merikov" indica ciò che ha una determinata e specifica forma di realtà.

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    AL LIBRO IV,

    NOTE

    1-16

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    COMMENTO AL LIBRO IV 1

    La citazione è da Oracoli Caldaici, fr. 77.1 des Places = p. 40 Kroll. Proclo ha trattato tale questione nel III libro al cap. 9. 3 Riferimento a Fedro 246d7. 4 La vita in effetti occupa il livello intermedio nella triade essere (in senso primo)-vita-intelletto. Per questo motivo essa delimita l’essere e l’intelletto. 5 Su ciò cfr. supra III 9, p. 38.18-39.14. 6 Tale questione è stata affrontata da Proclo nel libro III al cap. 28, p. 100.6-9. 7 ajxiou'men koinh'/ prosonomavzein: cioè per l’appunto «intelligibili-intellettivi». Si noti la macchinosa – e per certi versi anche faticosa – costruzione di tutto il periodo. Nella traduzione non si è potuto riprodurre completamente la struttura sintattica del testo greco. 8 Nella traduzione si è conservato l’anacoluto del testo greco. 9 th'" mia'" ajrch'". Qui l’aggettivo miva è sostanzialmente equivalente a prwvth, in quanto il Principio Primo è l’unica autentica origine della totalità del reale. 10 In base a quanto Proclo afferma nel Commentario al Timeo, I p. 432,18-26, si evince che gli dèi intelligibili sono espressi dalla tetrade, mentre quelli intellettivi dalla decade. Perciò gli dèi che non possono essere compresi nella decade sono quelli inferiori rispetto agli dèi intellettivi: dunque sono gli dèi ipercosmici ed encosmici. 11 ta;" ijdiovthta" aujtw'n ajnexhghvtou" ei\nai kai; tw'n hJmetevrwn ejpibolw'n ajperihghvtou". Il genitivo tw'n hJmetevrwn ejpibolw'n non convince. È possibile integrare ãajpo;Ã tw'n hJmetevrwn ejpibolw'n, o ancora meglio correggere con il dativo ταῖς ἡμετέραις ἐpιβολαῖς. 12 Cfr. supra libro III cap. 15, p. 53.22-54.20. 13 Per la loro diretta connessione e continuità rispetto all’ordinamento intelligibile gli dèi di cui Proclo tratta in questo IV libro, sono al contempo intelligibili ed intellettivi. Si tenga sempre presente che il principio della continuità fra i diversi livelli del reale è centrale nel Neoplatonismo tardo, del quale Proclo è il massimo esponente. 14 Il termine ajpovstasi" indica in questo contesto un progressivo e graduale distanziamento rispetto a ciò che è nella sua forma originaria. 15 Cfr. supra libro III cap. 9, p. 35.8-24 e cap. 12, p. 46.5-12. 16 Anche qui l’imperfetto indica che la tesi è già stata in preceden2

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    COMMENTO

    za dimostrata. Proclo infatti ha messo in luce questo concetto poco prima nel cap. I, p. 6.17-7.13 ed ancora nel cap. II, p. 11.27-29. 17 Il livello intelligibile-intellettivo, se considerato in base alle sue componenti estreme risulta caratterizzato in modo specifico da una delle due componenti che lo caratterizzano, invece in base al suo livello intermedio esso risulta partecipare del carattere intelligibile ed intellettivo nella stessa misura. 18 Cfr. libro III, cap. 21, p. 75.8-21. 19 Qui amicizia è sinonimo di rapporto armonico e simpatetico. 20 Proclo probabilmente si riferisce qui a quanto affermato poco sopra: cfr. ivi cap. 2 pp. 12.28-13.2. 21 Nella traduzione si è conservato l’anacoluto del testo greco. 22 In questo capitolo Proclo dimostra che gli dèi intelligibili-intellettivi si dividono in tre diversi modi (13.25: Merivzontai me;n dh; kai; ou|toi trich'/) in base a tre triadi: il primo modo in cui risultano suddivisi è in base alla loro «sommità», al loro «livello intermedio» e alla loro «estremità» (p. 14.1-6); il secondo modo in cui risultano divisi è in relazione alla triade essere-vita-intelletto (p. 14.7-14); il terzo, come si vedrà, è delineato dalla struttura triadica permanenza-processioneconversione. 23 Cfr. libro III, cap. 13, p. 47.2-5, ove Proclo afferma che la prima triade è tutte le cose in forma intelligibile ed unitaria. 24 Riferimento a Timeo 37d6. 25 Cfr. libro III, cap. 27, p. 96.15. 26 Proclo ha affrontato tale questione nel libro III, cap. 14, p. 49.12-18. 27 eJkavsth tria;" to; trivton movnon ei\ce th'" tou' o[nto" moivra". Stando al testo tràdito, la traduzione letterale sarebbe: «ciascuna triade aveva solo il terzo termine della parte assegnata all’essere». Anche correggendo il tradito εἶχε con μετεἶχε e considerando τὸ τρίτον μόνον come accusativo di relazione, il testo non risulta comunque convincente. 28 Nella sezione che va dal cap. 4 al cap. 26, Proclo propone una articolata, anche con riferimenti ad altri dialoghi, interpretazione del noto passo del Fedro 246e4-248c2 ove viene descritta la processione degli dèi e delle anime nel cielo. Egli riprende, anche con dirette citazioni tale passo, interpretandolo come una descrizione della dimensione intelligibile-intellettiva. 29 Non si può dire a chi Proclo intenda qui riferirsi. 30 Cfr. Fedro 246e4. 31 Cfr. ibid. 246b7-c2. 32 Così si deve intendere in base al testo tràdito kai; touvtwn oujk eujdaimovnwn.

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    AL LIBRO IV,

    NOTE

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    Letteralmente il termine νῶτος, tratto da Fedro 247c1, significa “dorso”. Proclo lo intende come se indicasse una specifica parte del cielo e, quindi, come uno specifico livello di realtà. In considerazione del senso complessivo dell’interpretazione procliana si è tradotto il termine in questione con “convessità” del cielo. 34 Oltre al Timeo, Proclo qui, nominando lo Straniero di Atene, si riferisce ovviamente alle Leggi. Subito dopo, in effetti, egli cita nell’ordine i seguenti passi: Leggi X 896e8-9; Timeo 34b4, 36e2-5; Leggi X 897a4-5. 35 Tale è in questo contesto il senso effettivo del verbo katakolouqei'n, che significa letteralmente «seguire conformemente». 36 Per il riferimento a Plotino cfr. Enneadi V 8 (31), 3.27-4.6. Per quanto riguarda Giamblico, cfr. In Phaedr. fr. 3 Dillon. Sulla concezione giamblichea Proclo tornerà più avanti nel cap. 23, p. 68.18 segg. 37 Cfr. per questo riferimento Orphicorum Fragmenta, fr. 128 e 139 Kern. 38 Proclo si riferisce qui alle (pseudo-)etimologie dei due teonimi «Crono» ed «Urano» proposte da Platone nel Cratilo, al punto 396a2-c1. Per l’interpretazione procliana di tali etimologie, rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone nel volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, rispettivamente pp. 139-142 e pp. 143-145. 39 Allusione alle (pseudo-)etimologie di «Crono» e «Urano» nel Cratilo. 40 Zeus è il Demiurgo dell’universo; Crono è colui che contiene l’intelletto divino, infine Urano è intellezione degli intelligibili primi. Proclo analizzerà più diffusamente le etimologie dei teonimi «Urano», «Crono» e «Zeus» nel libro V, dedicato agli dèi intellettivi. 41 Si ricordi che in greco il termine oujranov" indica il «cielo», ma è anche il nome proprio del dio «Urano». 42 Allusione alla pseudo-etimologia di Krovno" come kovro" tou' qeivou nou', cioè «sazietà dell’intelletto divino», che Proclo discute diffusamente nel Commento al Cratilo, CVII, pp. 107.1-5. Tale pseudo-etimologia rappresenta una rielaborazione in chiave metafisico-teologica del mito riguardante il tentativo compiuto da Crono di sbarazzarsi dei propri figli divorandoli. 43 Riferimento a Fedro 247c1. 44 Si tenga sempre presente l’identificazione Urano-cielo. 45 Ancora un’allusione alla etimologia del teonimo Oujranov". 46 Cfr. Fedro 247c3-248c2. 47 Espressione ripresa da Fedro 247c7-8. 48 Non si può dire con certezza a chi si riferisca qui Proclo: forse 33

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    COMMENTO

    in generale alla scuola giamblichea, anche se la posizione qui enunciata non sembra compatibile con quanto a proposito dell’interpretazione giamblichea afferma Ermia: cfr. Ermia, In Phaedr. 150, 23-25 (ed. Couvreur). 49 La «triade compiutamente perfetta» è la terza triade degli intelligibili, la quale contiene in sé in modo più determinato e dispiegato ciò che nelle triadi intelligibili che la precedono è presente in modo celato e non specificamente determinato. Dal canto suo il «luogo sopraceleste» rappresenta la prima triade intelligibile-intellettiva che comprende in sé ad un livello di maggiore determinazione e, di conseguenza, di maggiore molteplicità i termini presenti nelle triadi intelligibili che la precedono. Si tenga sempre presente che il grado di molteplicità segna nella prospettiva neoplatonica di Proclo un corrispettivo livello di allontanamento dall’unità originaria. 50 Citazione da Repubblica VI 509b9. 51 Riferimento a Fedro 247d4; 248c1-2; 247e1. 52 Citazione da Fedro 246e1-4. 53 Espressione ripresa da Fedro 250b6. 54 ojcetwn': si tratta di un termine che, come si è più volte segnalato, Proclo riprende dagli Oracoli Caldaici. Cfr. fr. 65 e 66 des Places = p. 35 Kroll. 55 Cfr. Fedro 247a8-b1, b6-c1. 56 Così si deve intendere qui l’aggettivo ajkmai'o", che Proclo riprende probabilmente dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 130.2 des Places. 57 La volta subceleste ha continuità rispetto al cielo ed è ad esso unita. 58 Si tratta di un riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 2.3 e 109.3 des Places = p. 50.51 Kroll. 59 Il riferimento è ai teurghi. 60 Si ricordi che con i termini «fonti» e «sovrani» Proclo si riferisce a specifiche classi e generi di dèi. 61 Cfr. Fedro 247a4. 62 La causa dell’alterità e differenziazione nella realtà divina, come verrà chiarito più avanti nel presente libro (cfr. in particolare cap. 27, p. 79.20 segg.), è originariamente posta al livello intelligibile-intellettivo. 63 Letteralmente: «l’abbassamento di livello che è posto in maniera immediatamente contigua». 64 Cioè presso i seguaci di Platone. 65 Qui l’espressione ta; o{la sta probabilmente ad indicare l’insieme delle entità universali che sono collegate in modo analogico a quelle particolari. 66 Cioè nel Fedro.

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    AL LIBRO IV, 67

    NOTE

    49-85

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    Prima cioè che le anime si trovino incarnate nei corpi e relegate nella dimensione del divenire. 68 Citazione da Fedro 250b5-c1. 69 Cfr. Fedro 250c1-4. 70 Il linguaggio qui impiegato da Proclo riprende quello simbolico e mistico degli Oracoli Caldaici. Su ciò cfr. fr. 2.3 e 109.3; fr. 108.2; fr. 108.1 des Places = p. 50-51 Kroll. 71 Citazione da Fedro 250c4-6. 72 Cfr. Fedro 248a2-3. 73 Per queste tre cause, «amore», «verità» e «fede» Proclo si rifà ancora agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 46 des Places = p. 26 Kroll. Si veda anche quanto egli ha affermato precedentemente nel libro I, cap. 25, pp. 109.10-113.10 e nel libro III, cap. 22, pp. 81.14-17. 74 Cioè nel «luogo sovraceleste» che per la sua natura intelligibile contiene in se stesso la verità. 75 Cfr. Fedro 247c3-7. 76 Proclo, dunque, sembrerebbe qui affermare che il “luogo sovraceleste” è l’oggetto verso il quale è rivolta la “rivoluzione celeste” e dal quale essa risulta determinata. A meno di intendere ταύτης come riferito al termine ψυχή, ipotesi però poco plausibile, poiché esso, stando al testo tràdito, è piuttosto lontano. 77 Cfr. Fedro 247d5-e3. 78 Riferimento alla etimologia del teonimo «Crono» proposta nel Cratilo al punto 396b3-7. Sulla interpretazione di questa etimologia nel Commento al Cratilo di Proclo rinvio ancora al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 143-145. 79 Il solito imperfetto per indicare una tesi che è stata dimostrata in precedenza. Nel presente caso l’argomento è stato affrontato nel libro III al cap. 24. 80 Si tratta della triade del «luogo sopraceleste», che Proclo desume senza ulteriori chiarimenti in base all’affermazione secondo cui esso è venuto a sussistere in modo analogo alla primissima triade. 81 La prima triade è garante dell’unità stessa dell’essere, nella misura in cui, come afferma Proclo poco sopra, essa è ciò che Platone chiama «Uno-che-è». 82 Proclo considera il «luogo sopraceleste» come il primo livello o la prima triade dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. 83 Cfr. libro III, cap. 21. 84 Cioè la potenza con cui si identifica l’illimitatezza stessa. 85 uJpodochv, «ricettacolo». Proclo riprende tale termine da Platone: cfr. Timeo 49a6. Nella traduzione si è reso il termine con «entità atta ad accogliere»: in tal modo si è cercato di rendere la parola

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    COMMENTO

    greca in rapporto al connotazione femminina che Proclo attribuisce al «luogo sopraceleste». 86 Questa espressione si trova in realtà in Aristotele, De anima, III4, 429a27-28. Tuttavia il concetto di «ricettacolo», quale viene delineato in Timeo 52b segg., come ciò che è atto a ricevere le forme, può aver suggerito a Proclo questa immagine. 87 Il “luogo sopracelste” ha avuto per Proclo tale denominazione in quanto, come si è visto, esso va inteso come “ricettacolo” delle Forme, che rinvia al suo carattere femminino. 88 Proclo si riferisce a quanto fin qui affermato nel corso di questo capitolo: il concetto di «luogo» suggerisce quello di «entità atta ad accogliere», «ricettacolo». Proprio questo aspetto dimostra agli occhi di Proclo il carattere «femminino» e «materno» del «luogo sopraceleste», che, in questa prospettiva, viene considerato anche come generatore delle realtà derivate. 89 Proclo chiarirà tale questione al cap. 15, p. 46.1-6. 90 kai; pavnta oJ Swkravth" ta; ejn aujtw'/ qei'a toiau'ta paralambavnei k.t.l. Proclo afferma che le entità presenti in questo luogo sono toiau'ta, cioè «di tale natura», vale a dire quella «femminile» che contraddistingue il «luogo sopraceleste» inteso come «entità atta ad accogliere» ed al contempo «il prato» inteso come «fonte» della natura che genera vita. 91 kai; ouj tou;" a[llou" movnon qeolovgou". Proclo con il termine qeolovgoi indica solitamente gli Orfici. Anche in questo caso egli intende probabilmente riferirsi alla tradizione orfica. Si tenga inoltre presente che per Proclo Platone stesso è in assoluto il sommo tra i teologi. 92 Il termine è impiegato da Proclo in senso teurgico. I sunqhvmata sono i caratteri specifici che contraddistinguo una divinità rispetto ad un’altra. 93 Qui il termine ajrcaiv ha un significato duplice: si tratta dei «principi» che formano al contempo il «livello iniziale» delle realtà seconde. 94 Cfr. supra, cap. 2, p.13.4-10. 95 Riferimento a Timeo 28c3-5. Proclo cita esplicitamente questo passo più avanti, a p 38.19-21. 96 Tale causa assolutamente trascendente è certamente il Principio Primo. 97 Il termine è preso dal Simposio: cfr. 202e3. 98 Cfr. Timeo 28c3; 29a3, e1. 99 Cfr. Timeo 28c4-5. 100 Nella prospettiva procliana le negazioni relative ad un determinato livello del reale sono sempre riconducibili a specifici caratteri che sono affermati nei livelli inferiori.

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    AL LIBRO IV, 101

    NOTE

    86-113

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    La realtà divina deriva la sua stessa natura divina dal primissimo Principio, l’Uno che è primo Dio. 102 Nella nota alla loro traduzione di questo passo i due Editori sottolineano giustamente il modo di procedere di Proclo: egli si sente autorizzato a dire che Platone denomina l’ordinamento celeste «colore» per il solo fatto che Platone denomina «privo di colore» il luogo sovraceleste. 103 L’espressione ejn toi'" aduvtoi" si può anche intendere in senso figurato: «nella parte più interna [inaccessibile per i «non-iniziati»] del tempio». Per questo significato figurato cfr. libro III, cap. 18, p. 64.11. 104 Questi aggettivi vanno ovviamente intesi in senso figurato: si tratta infatti di una invisibilità e visibilità di natura intellettiva. 105 Tale concezione compare nel De anima di Aristotele: cfr. III 5, 430a16-17. 106 Riferimento alla etimologia di oujranov" contenuta nel Cratilo: cfr. 396b8-c1. 107 Riferimento a Parmenide 145b3-5. Proclo tornerà sulla questione alla fine di questo libro: cfr. cap. 37, p. 108.19-22. 108 Cfr. Parmenide 138 a 3-7. 109 Questa integrazione proposta dai due Editori non mi sembra assolutamente necessaria. L’argomentazione procliana, infatti, appare anche senza tale integrazione del tutto coerente e perspicua. 110 La conclusione evidente, in base a tale argomentazione, è che l’Uno non è «in se stesso». 111 Secondo Proclo, dunque, la prima forma di “contatto” avviene nel livello intellettivo, in quanto è in questo livello che, per il tramite del Demiurgo, il paradigma intelligibile diviene a tutti gli effetti modello del cosmo. Direttamente dal Demiurgo, del resto, derivano e dipendono gli dèi non-vincolati, ossia gli dèi ipercosmici-encosmici, che sono posti direttamente al di sopra del cosmo: il loro modello originario è il Demiurgo stesso. 112 Nella traduzione si è cercato di conservare la relazione strutturale e semantica tra i termini ajfhv («contatto»), sunafhv («connessione per contatto») e ejpafhv («conoscenza per contatto»). I termini sunafhv e ejpafhv vengono impiegati nell’ambito del Neoplatonismo per indicare rispettivamente una specifica forma di connessione e di contatto fra entità distinte e una forma di conoscenza di carattere immediato e puramente intuitivo. Per i diversi impieghi di questi termini si rinvia a quanto osservano gli Editori Saffrey-Westerink, note n. 1 p. 145 e n. 2 p. 146. 113 Il riferimento è a Fedro 247c4 ove si afferma che bisogna avere l’ardire (tolmhtevon) di dire il vero, soprattutto se si intende parlare della verità.

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    1070 114

    COMMENTO

    Il testo è lacunoso, in forma tale da non consentire ipotesi di integrazione. Il senso si può comunque evincere in qualche modo dal contesto: non possiamo parlare in modo adeguato della sommità degli intellettivi accostandoli alle entità sensibili; per poter cogliere la vera natura di tale dimensione, occorre una particolare potenza/facoltà attraverso la quale è possibile arrivare a conoscere la verità che è al di là della dimensione sensibile. 115 Con il termine fusikoiv Proclo si riferisce forse agli aristotelici, come sostengono i due Editori. Tuttavia si potrebbe anche pensare a filosofi presocratici, come per esempio Anassagora. Per quel che concerne l’espressione qeolovgwn pai'de" («figli di teologi»), Proclo si riferisce con essa in generale ai continuatori della tradizione orfica. Secondo la concezione neoplatonica procliana, di questa tradizione fanno parte di fatto anche Omero ed Esiodo, che vengono considerati a tutti gli effetti come teologi. 116 Riferimento a Parmenide 142d1; 143a3 ed in particolare a quanto esplicitato «poco prima» dallo stesso Proclo al cap. 10, p. 33.2-7. L’imperfetto anedivdasken indica, come si è sottolineato per vari casi analoghi, che Proclo ha affrontato tale questione in precedenza. Per questo è stato qui tradotto con il passato prossimo. 117 Citazione da Fedro 247c7. In relazione al modo in cui essa è riportata da Proclo si è accolta la correzione proposta dai due Editori: qeathv al posto del tràdito qeath', per qeath'/. 118 Si tratta degli dèi unitari di cui Proclo ha appena parlato. Il neutro suggerisce in certo modo la natura non meglio precisabile, in considerazione della loro trascendenza, di questi dèi unitari che sono «i principi causali originari di tutti gli intelligibili». 119 Qui Proclo enuncia in sostanza la natura dell’identità tra pensato e pensante. 120 Citazione tratta da Fedro 247c8. 121 Espressione con la quale Proclo definisce la meta finale dell’anima, il cui viaggio è una ricerca del Principio autentico, Padre di tutto ciò che è. Per un’espressione simile cfr. libro I, cap. 25, p. 111.25. 122 Proclo indica qui la differenza fra la scienza e l’intelletto nella loro diversa modalità di contemplazione dell’essere: la prima sembra danzare intorno ad esso per passaggi, ovvero attraverso il ragionamento discorsivo (tale significato figurato è implicito nell’avverbio μεταβατικῶς), cioè servendosi della «mediazione» del ragionamento e del linguaggio; il secondo contempla l’essere ricorrendo all’intellezione priva di ogni forma di mediazione ed in questo senso semplice e pura. 123 Proclo qui allude alla Scienza che, in base a quanto è affermato nel Fedro (247d7), si trova nel «luogo sovraceleste».

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    AL LIBRO IV, 124

    NOTE

    114-143

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    Non sappiamo a chi precisamente intenda riferirsi Proclo. Cfr Fedone 75d2. 126 Proclo chiarisce qui che la Giustizia, la Temperanza e la Scienza poste nel «luogo sovraceleste» non sono Forme. Se ad esempio Scienza e Temperanza fossero state considerate qui come Forme, Platone le avrebbe indicate con i termini aujtoepisthvmh aujtodikaiosuvnh. Egli invece parla di aujth;n dikaiosuvnhn kai; aujth;n swfrosuvnhn kai; aujth;n ejpisthvmhn ed in questo modo, stando all’argomentazione procliana, sembra che voglia alludere a particolari forme di divinità. 127 Espressione tratta dalle Troiane di Euripide, vv. 887-888. Essa viene citata da Proclo, come si è visto, anche nel Libro I, cap. 15, p. 75.7. Questi versi sono piuttosto noti e citati in ambito platonico. Tra gli altri anche Plotino vi fa riferimento in un contesto diverso in Enn. IV 4 (28), 45.28. 128 Il testo è qui lacunoso. Nella traduzione si è accolta l’integrazione ipotizzata dai due Editori: kata; th;n proshvkousan ãtavxin ajforivzousa ta; ejpiballonta tou'toi" noerw'", w{sperà ejkeinh k.t.l. 129 Il nettare e l’ambrosia sono rispettivamente, come è noto, bevanda e cibo degli dèi. Vale la pena sottolineare che entrambi i termini sono connessi dal punto di vista etimologico con la nozione di «immortalità». Per un’interessante analisi etimologico-linguistica dei due termini si rinvia al fondamentale studio di R. LAZZERONI, Il nettare e l’ambrosia. Su alcune denominazioni indoeuropee della morte, in «Studi e Saggi Linguistici», XXVIII (1988), pp. 177-199. 130 Cfr. Fedro 247e4-6. 131 Così accogliendo l’integrazione proposta da Saffrey-Westerink. 132 Come risulterà chiaro subito dopo, questi principi sono il limite e l’illimitatezza. 133 Proclo ha sviluppato tale argomento nel presente libro al cap. 3, p. 15.3-13 e al cap. 11, p. 37.3-5. 134 Il riferimento è ancora una volta a Siriano, al quale Proclo non si rifà solo nella Teologia Platonica, ma anche in altre sue opere. 135 Cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 159 Kern e add., p. 358. 136 Cioè nel luogo sopraceleste, ove si trovano anche il «prato» ed il «nutrimento» degli dèi. 137 Cfr. Fedro 248c3-4. 138 Per questa espressione cfr. libro III, cap. 18, p. 64.11 e supra nota n. 103. 139 Aggettivo tratto da Fedro 248c4. 140 Citazione da Gorgia 523a5-6. 141 Cfr. Leggi IV, 716a2-3. 142 Cfr. Timeo 41e2-3. 143 Espressione ricavata da Fedro 248c2. Proclo, come verrà espli125

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    1072

    COMMENTO

    citato a p. 53.4-5, sottolinea la differenza semantica fra qesmov" e novmo". Il primo è «ciò che è stabilito» da una divinità; il novmo", in cui si conserva il significato originario di «norma» nel senso di «uso», «consuetudine», «costume», è invece meno vincolante: è la «regola» in senso normativo. 144 Cfr. Oracoli Caldaici, p. 40 Kroll. 145 Citazione orfica: cfr. fr. 152 Kern. Il tràdito αἴγηκες (“di pelle caprina”) è corrotto. Una plausibile correzione è λιγυηχές (“dal suono squillante”). Su ciò cfr. A. Bernabé (ed.), Poetae epici Graeci. Testimonia et fragmenta, Pars II, Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta, Fasc. 1, München-Leipzig 2004, p. 184. 146 Cfr. Fedro 248c2-4. 147 Proclo propone qui una paretimologia del termine qesmov", che in realtà è connesso con il verbo tivqhmi («pongo», «colloco» e dunque «stabilisco»). 148 Anche qui Proclo propone un’interpretazione etimologica: il termine novmo" è in effetti connesso col verbo nevmw («distribuisco», «divido», da cui anche il significato di «governare» e «amministrare» unitamente a quello di «pascolare»). Con tale verbo è a sua volta connesso il termine dianomhv («distribuzione», «regola»). 149 Citazione da Fedro 248c4-5. 150 Come si è visto, si tratta di Scienza, Temperanza e Giustizia. 151 Termine tratto dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 28 des Places = p. 18 Kroll. 152 Altra immagine tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr, fr. 39.2 des Places = p. 25 Kroll. 153 Il riferimento è agli Stoici. In effetti la terminologia impiegata da Proclo subito dopo è stoica. 154 Termine ripreso da Timeo 37a5. 155 Cfr. Sofista 246b9-c2. 156 Citazione da Aristotele: cfr. De anima I 5, 411b18-19. 157 Forma nell’ambito della materia e stato (condizione acquisita) sono necessariamente inerenti a qualcosa: non possono riferirsi a se stessi. 158 Proclo ha qui in mente quanto viene affermato a proposito delle anime nel Timeo: cfr. 35a1-36b5. 159 Proclo cita qui nuovamente Fedro 247a4. 160 Si tratta dei racconti mitici sulle castrazioni di Urano e di Crono, castrazioni che, interpretate secondo la chiave di lettura simbolica propria del Neoplatonismo, descrivono le divisioni e le distinzioni presenti nell’ordinamento intelligibile-intellettivo e in quello intellettivo. Di tale questione Proclo tratta diffusamente nel suo commento al Cratilo: cfr. In Crat. in particolare CXI, 64.15 segg. [ed.

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    AL LIBRO IV,

    NOTE

    144-175

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    Pasquali], per la cui traduzione rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, p. 427. 161 Anche qui Proclo impiega un imperfetto per indicare che un argomento è stato affrontato e dimostrato in precedenza: in questo caso cfr. III, cap. 13, p. 47.22-48.10. 162 Cfr. III, cap. 14, p. 51.11-19. Si tenga presente che il termine ἕνωσις, a seconda del contesto, può significare “unione”/“unificazione” ed anche ciò che dall’unione si determina, ossia l’“unità”. 163 Cfr. supra i capp. 10-18. 164 Tale argomento verrà affrontato da Proclo nel presente libro ai capp. 23-25. 165 Il riferimento è a Timeo 58a4-7. 166 Il termine sumpavqeia indica qui il collegamento e la comunanza esistenti fra le varie entità che fanno parte di uno stesso livello di realtà. Secondo la prospettiva neoplatonica, in effetti, esiste una sumpavqeia universale che collega fra loro le varie realtà anche appartenenti a livelli differenti, in considerazione della loro comune derivazione dall’Uno. V’è poi una sumpavqeia, per così dire «particolare» e riflesso di quella universale, che connette fra loro le entità corporee che fanno parte del cosmo sensibile. 167 Qui l’espressione hJ yuch'" fuvsi" è una perifrasi per indicare “l’anima” in generale. 168 Per questa espressione cfr. Aristotele, Fisica, VIII 1, 250b14. 169 Proclo ricava il concetto di bavqo" («profondità») dall’espressione to; ei[sw tou' oujranou' («l’interno del cielo») in Fedro 247e4. 170 Proclo connette, secondo una paretimologia, il termine nw'ton («dorso»/«convessità») all’aggettivo nohtovn («intelligibile»). 171 Espressione tratta da Timeo 58a7. 172 A questo punto gli Editori individuano una lacuna, che in realtà non sembra sussistere. Il mevn dell’inizio della frase alla riga 8 (to; me;n dh; nw'ton k.t.l.) è in realtà ripreso dal dev (nohth; de; wJ" k.t.l.) dalla riga 10: i due Editori considerano invece la frase nohth; de; wJ" k.t.l. come una parentetica. 173 Citazione da Fedro 247b7-c1. 174 Riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 130.2 des Places = p. 54 Kroll. 175 Il testo presenta qui una lacuna. In base al senso complessivo del discorso di Proclo si può giungere alla seguente ipotesi: la «volta celeste» è il limite intelligibile (dunque verso «l’alto») degli dèi intelligibili-intellettivi, mentre la «volta subceleste» è il limite intellettivo (verso il «basso») degli dèi intelligibili-intellettivi. Si potrebbe dunque congetturare un’integrazione di questo genere: dio; kai; eJkavteron

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    COMMENTO

    aJyi;" kalei'tai, ãto; me;n to; nohto;n, to; de;Ã to; noero;n pevra" tw'n nohtw'n kai; noerw'n. Tale integrazione consentirebbe anche di rendere conto del motivo della lacuna. 176 L’imperfetto e[dei suggerisce l’idea che la triade connettiva è connotata come descritto perché fin dalla sua origine doveva essere così. 177 L’espressione tou' oujranou' fuvsi" è una perifrasi per indicare il «cielo» nel suo insieme. 178 Anche qui, come già supra, cap. 20, p. 59.18-20, Proclo cita Timeo 58a7. 179 Cfr. Timeo 34b1. 180 Cfr. Fedro 247b6-c1. 181 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 84 des Places = p. 42 Kroll, ove, come segnalano i due Editori, si deve considerare pavnta" ga;r sunevcwn aujto;" pa'" e[xw uJpavrcei come un unico e medesimo esametro. 182 Come osservano Saffrey-Westerink, si tratta di un’espressione ricavata con ogni probabilità dal medesimo contesto del frammento precedente degli Oracoli Caldaici. 183 Cfr. supra cap. 10, p. 32.7-23. 184 Il testo non è molto chiaro. Comunque, queste tre monadi sono con ogni probabilità la «convessità» del cielo, la «profondità» e la «volta» celeste. 185 Si tratta delle due pseudo-etimologie che vengono proposte nel Cratilo rispettivamente per il teonimo Oujranov" (oJra'n ta; a[nw) e Krovno" (to;n kaqaro;n nou'n): su ciò cfr. Cratilo 396b7; c3. Per il valore di queste etimologie secondo la prospettiva neoplatonica procliana rispetto al significato che hanno nel Cratilo di Platone rinvio al mio volume Dalla etimologia alla teologia, Casale Monferrato, 2001, pp. 103108. 186 Proclo cita qui il Cratilo (396b8-c1) in riferimento di un nuovo alla etimologia appena sopra menzionata. 187 Cfr. Cratilo 396c1-3. 188 Gli intelligibili unitari dovrebbero essere gli ultimi intelligibili, in quanto la loro unità si manifesta ormai come implicante una forma, per così dire, di contratta e potenziale molteplicità. 189 Questa primissima monade è la «convessità» del cielo. 190 La terza monade è la «volta» subceleste. 191 Cfr. su ciò Orphicorum fragmenta fr. 107 Kern. Come sappiamo dallo stesso Proclo (cfr. Commento al Timeo III, p. 168.17-25) presso gli Orfici l’ordinamento divino è così costituito: Fanes, Notte, Urano, Crono, Zeus e Dioniso. Tale ordinamento è ripreso anche nel Commento al Cratilo: cfr. CV, pp. 54.12-55.22. Per la traduzione di

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    AL LIBRO IV,

    NOTE

    176-202

    1075

    questo passo rinvio al volume da me curato Proclo. Commento al Cratilo, op. cit., pp. 403 e 405. 192 La monade intermedia è rappresentata dalla «profondità» celeste. 193 Chiaramente si tratta della sommità insita in questo ordinamento intermedio: quindi del «luogo sovraceleste», denominato poco sopra «primissima monade». 194 Qui Proclo intende sottolineare la continuità fra il livello divino intelligibile-intellettivo e quello intellettivo. Egli tratterà della natura dei «padri intellettivi» nel libro V, dedicato appunto agli dèi intellettivi, al cap. 3. 195 Come verrà esplicitato subito dopo «gli uni» e «gli altri» sono rispettivamente Teodoro di Asine con la sua cerchia e Giamblico con la sua scuola. 196 Si tratta di Teodoro di Asine, filosofo del IV sec. d.C., esponente di spicco della così detta scuola neoplatonica di Siria insieme al più noto Giamblico, di cui fu seguace e continuatore. Per quanto riguarda il suo trattato Sui nomi, al quale Proclo fa esplicito riferimento subito dopo, cfr. Test. 8 Deuse (Thedoros von Asine. Sammlung der Testimonien und Kommentar, Wiesbaden 1973). 197 Nelle Enneadi di Plotino non si trova una dottrina riconducibile a quella che viene attribuita da Proclo a Teodoro di Asine. Si è parlato anche per Plotino di dottrine orali alla quali forse qui Proclo si riferisce. È tuttavia possibile che qui Proclo intenda sottolineare che Teodoro di Asine sostiene una passaggio diretto, senza mediazioni, tra il Principio primo e l’ipostasi dell’intelligibile. Tale dottrina in effetti, secondo l’interpretazione procliana, è sostenuta anche da Plotino. A tale prospettiva Proclo contrappone la propria (derivata dagli insegnamenti del suo maestro Siriano) in base alla quale tra il Primo e la molteplicità delle realtà intelligibili si trovano le enadi. 198 Su ciò cfr. J.M. Dillon, Iamblichi Chalcidiensis in Platonis dialogos commentariorum Fragmenta, Leiden 1973, p. 97, fr. 5 ed il relativo commento pp. 252-253. 199 Il verbo diastevllein indica propriamente il «distinguere separando» o «separare distinguendo». 200 Il senso è che se Giamblico e Teodoro in modo ispirato si sono occupati della dottrina di Platone, Siriano, maestro e guida di Proclo, appare come oJ wJ" ajlhqinw'" Bavkco", vale a dire «il vero ed autentico ispirato da Bacco». In base all’immagine suggerita da Fedone 69d1-2, i veri filosofi sono autentici seguaci di Bacco, cioè, secondo la tradizione, gli ispirati per eccellenza. 201 Riferimento alla etimologia di oujranov"/Oujranov" esposta nel Cratilo al punto 396b8-c1. 202 Cfr. Fedro 247c3.

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    1076 203

    COMMENTO

    Secondo la critica procliana, l’identificazione del «cielo» con il Principio primo finisce per implicare l’identificazione fra realtà intelligibile ed Uno: quest’ultimo invece, proprio in quanto Primo principio assolutamente trascendente, è al di là di tutte le cose. Inoltre, se l’Uno viene identificato con il cielo, seguendo il Fedro, si dovrebbe concludere che le anime si elevano al di là dell’Uno, in quanto proprio nel Fedro (247b7-c1) si afferma che esse si posano sulla «convessità» del cielo. 204 La critica di Proclo a Giamblico consiste dunque nel fatto che nella concezione di quest’ultimo non viene proposta una chiara e precisa gerarchia della successione dei livelli a partire dal Principio Primo. Di conseguenza Giamblico, secondo Proclo, non avrebbe operato alcuna distinzione fra l’ordinamento puramente intelligibile e quello intelligibile-intellettivo. 205 I padri «spirituali» di Proclo sono Siriano e Plutarco di Atene, predecessore di Siriano; mentre i progenitori o avi sono, in questo caso, Giamblico e Teodoro. 206 In questo contesto l’“unione somma” alla quale si riferisce Proclo è probabilmente l’unità originaria della dimensione intelligibile, riconducibile, a sua volta, alla sua sommità, ossia all’Uno-che-è. 207 Come verrà chiarito nel V libro, dedicato agli dèi intellettivi, questi dèi sono i Titani, Crono, Rea e Zeus che secondo il mito orfico si sono ribellati a Urano. Proclo riprende tale concezione mitica interpretandola in chiave metafisico-teologica. 208 Il riferimento è agli aristotelici. Le entelechie, nella prospettiva aristotelica, rappresentano lo stato di compiuta e completa attuazione al quale le singole sostanze sono di per se stesse in grado di pervenire. 209 Come osservano i due Editori, Proclo qui si riferisce ad un’interpretazione etimologica del termine ejntelevceia, in base alla quale esso sarebbe composto da ejntelev" («perfetto», «compiuto») e sunevcein («connettere», «tenere insieme»). 210 Proclo sintetizza qui la fondamentale differenza fra la filosofia aristotelica e quella platonica. Per gli aristotelici non v’è una forma di perfezione originaria e trascendente rispetto alle specifiche sostanze determinate. Nella prospettiva platonica, invece, l’essenza intelligibile, intesa come Idea, è la forma in sé perfetta e originaria che fa parte dell’essere autentico trascendente rispetto alla realtà sensibile. 211 Il riferimento è ad Anassagora: come si evince da quanto Proclo afferma nel Commento al Parmenide, libro VII, 1214.9 (ed. Steel), Anassagora avrebbe sostenuto la tesi secondo cui l’anima è causa suprema di ogni perfezione. 212 Cioè la perfezione che è propria delle Forme intelligibili e che rientra nell’ambito di ciò che eterno.

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    AL LIBRO IV, 213

    NOTE

    203-231

    1077

    La vita che avviene secondo periodi ciclici è la vita dell’anima Proclo si riferisce qui alla Vita intesa come livello ipostatico della realtà intelligibile. 215 Probabilmente si tratta di una nuova allusione agli aristotelici e alla teoria del Primo Motore immobile come «pensiero di pensiero». Ma si potrebbe anche trattare di pensatori seguaci della filosofia del Nous di Anassagora. Oppure Proclo si sta qui riferendo a Origene platonico la cui concezione egli ha criticato precedentemente nel libro II, cap. 4, p. 9.31 segg. 216 Cfr. Fedro 247a8-b1. 217 Il verbo telei'n significa «portare a compimento», «condurre a perfezione» e da qui assume il senso di «iniziare ai misteri». 218 Proclo impiega ancora questa espressione che viene dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 28 des Places = p. 18 Kroll. 219 Cfr. Fedro 250b8-c1; c4. 220 L’aggettivo teletavrcai («teletarchi»), ripreso dagli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 86, 177.1 des Places = p. 43 Kroll), indica propriamente i «fondatori del rito misterico e dell’iniziazione», da cui «originatori dell’iniziazione». 221 L’“iniziazione” viene qui identificata da Proclo direttamente con gli “dèi perfezionatori” dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. 222 In modo analogo al livello che lo precede, anche la sommità del livello degli dèi perfezionatori è intelligibile. 223 La triade connettiva ha come suo riflesso nell’ordinamento perfezionatore tre dèi che fungono, secondo lo schema triadico, da principi causali di perfezione. Infatti, come Proclo affermerà chiaramente poco più avanti a p. 75.17-20, l’ordinamento perfezionatore è per natura connesso a quello connettivo ed una monade perfezionatrice è posta al di sotto di tutti gli dèi connettivi. Tale monade è appunto il dio perfezionatore di cui qui si parla. 224 Questi tre dèi perfezionatori che costituiscono i tre termini della triade riconducono quest’ultima ai tre momenti della manenza, processione e conversione. 225 Riferimento alla rotazioni compiute dalle anime parallelamente alla «rivoluzione celeste»: su ciò cfr. supra cap. 20, p. 59.11-14. 226 Riferimento a Timeo 31b1. 227 Cfr. Timeo 33a7. 228 Per questo riferimento cfr. Timeo 32c5-33b1. 229 Su ciò cfr. supra, p. 74.8-9. 230 Cfr. Timeo 30d2. 231 Come già si è osservato in altri casi, qui l’imperfetto indica un carattere che appartiene ad un’entità in modo assolutamente originario, al di fuori del tempo. 214

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    1078 232

    COMMENTO

    Il testo presenta qui una lacuna. In base al senso si potrebbe così integrare, come propongono Saffrey-Westerink: miva phgh; pavsh" h\n teleiovthto" hJ tria;" ejkeivnh: ãw{sper ou\n hJ sunektikh; tria;"à th'" nohth'" sunoch'" ejstin ajnevlixi" k.t.l. 233 Come si è detto, il verbo telei'n significa «rendere perfetto» e «iniziare ai riti». Qui chiaramente i due significati sono entrambi presenti. 234 Termine ripreso dagli Oracoli Caldaici e già impiegato da Proclo nel libro III, cap. 18, p. 59.21: cfr. fr. 49.4 des Places = p. 27 Kroll. 235 Il soggetto non è espresso: qui può trattarsi di Platone, oppure della triade di cui Proclo sta appunto parlando. 236 Sulle autofanie degli dèi rinvio al mio saggio introduttivo nel volume da me curato, Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., pp. LXXXVII-XCI. 237 Il termine ejpopteiva indica la visione mistica conclusiva nella celebrazione dei riti misterici. A tale visione suprema è possibile giungere, secondo la prospettiva neoplatonica procliana, liberandosi di ogni forma di molteplicità per ricongiungersi così all’unità originaria, derivante direttamente dall’Uno, della realtà divina. A questo «liberarsi della molteplicità attraverso la semplificazione» allude qui il verbo ajnaplou'n. 238 Cfr. Fedro 250c2-4. 239 Secondo Saffrey-Westerink, il testo presenta qui una lacuna. Nella traduzione si accoglie l’ipotesi dei due Editori e si legge, seguendo la possibile congettura da loro proposta: Kai; ga;r telou'sin hJma'" oiJ telesiourgoi; tw'/ nohtw'/ di eJautw'n, ãkai; ta; nohta; favsmata muou'sin oiJ sunqetikoi; qeoi; di eJautw'nà kai; th'" ejpopteiva" kaqhgou'ntai k.t.l. 240 Gli dèi non si manifestano solo comunicando, ma anche attraverso specifiche azioni, come appunto sono le «autofanie» divine. 241 Cfr. Fedro 246e4. 242 Riferimento a Fedro 250c2 243 L’uso del termine in questo contesto è forse riconducibile agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 130.4 des Places = p. 54 Kroll. 244 Espressione ripresa da Repubblica V, 475e4. 245 Il testo è lacunoso. Nella traduzione si è accolta la plausibile ipotesi di integrazione proposta dai due Editori. Si legge pertanto: hn eJpovmenoi tw'/ qeivw/ Plavtwni toi'" filoqeavmosi th'" ajlhqeiva" ãejpei; pro;" to; peivqein tou;" th'" ajlhqeiva"à ajpostrovfou" oujde;n iJkanovn. 246 Espressione figurata che sta ad indicare in sostanza, come chiarisce subito dopo Proclo, che i discorsi (le diverse ipotesi) di Parmenide, nella misura in cui riproducono l’ordinamento stesso della realtà in tutte le sue diverse articolazioni, finiscono quasi per «generare» essi stessi i livelli entro i quali si articola il reale.

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    AL LIBRO IV, 247

    NOTE

    232-265

    1079

    Il solito imperfetto impiegato da Proclo per indicare una questione già trattata in precedenza: in questo caso cfr. supra libro III, capp. 24-27. 248 Proclo individua queste triadi in base a quanto è affermato in Parmenide cfr. 142d1-145a6. 249 Cfr. libro III, cap. 25, p. 88.19-20. 250 In questo contesto il termine “enadi” indica, in generale, forme di unità molteplici e determinate. 251 Benché frammentati, l’uno e l’essere del livello intelligibileintellettivo permangono nella loro interezzae non si disgregano nella molteplicità. 252 In effetti l’alterità, come Proclo ha mostrato poco sopra, a p. 79.20 segg., è ciò che determina originariamente la molteplicità insita nella natura dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. 253 L’“uno” al quale qui si riferisce Proclo è quello che connota la natura della realtà intelligibile-intellettiva, che non è Uno-che-è, ossia l’unità intelligibile, bensì “intero” che comprende in sé una molteplicità di parti. 254 Su ciò cfr. libro III, cap. 26, p. 89.11-21. 255 Cfr. libro III, cap. 24, p. 84.9-23, p. 87.10-11. 256 Cfr. libro III, cap. 26, p. 90.16-21. 257 Riferimento a Parmenide 143a1. 258 Qui in corsivo perché si tratta dei principi dai quali deriva la molteplicità intelligibile. 259 Cfr. libro III, cap. 15. Nel terzo dio è insito il Vivente-in-sé che, in quanto tale, è al contempo mascolino e femminino. Ciò si evince dall’espressione ejn ejkeivnw/ che non può che riferirsi al terzo dio. 260 Nel Vivente-in-sé di cui si parla nel Timeo sono compresenti il carattere femminino e quello mascolino; nel Parmenide, secondo l’interpretazione neoplatonica procliana, le diverse forme di molteplicità intelligibile risultano riconducibili ai principi metafisici equivalenti al carattere mascolino e femminino, vale a dire alla monade e alla diade. 261 Probabilmente qui Proclo si riferisce a quanto detto poco sopra, p. 81.14 segg., ovvero che nella realtà intelligibile la monade è causa in senso paterno, la diade in senso materno. Si veda inoltre anche quanto è affermato supra cap. 10, pp. 33.25-34.1. 262 Chiaramente nella realtà intelligibile-intellettiva. 263 Cfr. supra l’inizio del cap. 27 e la relativa nota di commento n. 246. 264 Cfr. Parmenide 143a4-5. 265 Nel testo v’è una lacuna di almeno una parola. È possibile integrare con ãajpoperatwvsew"Ã, come suggeriscono gli Editori. Nella traduzione si è seguita tale ipotesi.

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    1080 266

    COMMENTO

    Cfr. libro III, cap. 24, p. 85.17-21. Cfr. supra, cap. 28, p. 81.4-6. 268 Mentre la molteplicità connota in se stessa qualcosa che rimane unitario nella misura in cui è circoscrivibile, il numero suggerisce una forma di molteplicità più determinata e specifica, che, nella successione numerica, tende a perdere il suo originario e complessivo carattere unitario. 269 Frase estremamente sintetica con la quale Proclo vuole sottolineare il fatto che l’intelligibile è l’ambito a partire dal quale sussiste il numero: infatti in esso sono presenti i principi causali stessi del numero, ossia la monade e la diade: su ciò cfr. supra cap. 27, 81.10 segg. Invece nella realtà intelligibile-intellettiva, molteplice in misura maggiore, in quanto più determinata e dunque pluralizzata, la molteplicità viene a sussistere come partecipazione al numero che si delinea, in questa dimensione, come entità che determina la molteplicità e il suo livello di pluralizzazione. 270 Cfr. Parmenide 143a4-6. 271 Cfr. libro III, cap. 24, pp. 84.24-85.4. 272 Espressione che ricalca in qualche modo Repubblica VII, 518e9. 273 A differenza dell’“alterità” che deriva e dipende dalla diade, l’“identità” ha il carattere del dispari poiché deriva e dipende dalla monade/enade. 274 Cfr. Timeo 53b2. 275 Il riferimento è alle serie di coppie di opposti, modellate sulle opposizioni fondamentali limitato-illimitato e dispari-pari, che furono elaborate in ambito pitagorico. In base a queste serie, alle opposizioni fondamentali appena menzionate vengono ricondotte anche tutte le altre coppie di opposti alla luce del presupposto secondo cui il dispari (simbolo di limite, unitarietà e razionalità) rappresenta, in senso assiologico, il carattere superiore, rispetto al pari (simbolo di illimitatezza, pluralità e irrazionalità) che rappresenta invece quello inferiore. Tali serie sono state trasmesse da Aristotele: cfr. Metafisica A 5, 986a22-26. 276 Nella traduzione si è accolta l’integrazione proposta dagli Editori, che appare, nel complesso, convincente. 277 Citazione da Timeo 53b5. 278 Cfr. Leggi IV, 717a6-b2. 279 La citazione è dal Repubblica VIII, 546b3-4. Al numero divino cosmico Proclo ha dedicato un trattato autonomo inserito successivamente nel corpus di testi che costituiscono il Commento alla Repubblica: si tratta della dissertazione XIII, vol. II pp. 1-80 [ed. Kroll]. 280 Cfr. Repubblica VIII, 546a7-b3. 267

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    AL LIBRO IV, 281

    NOTE

    266-301

    1081

    Riferimento a Fedro 248e5-249a2. Cfr. Timeo 37d6. 283 Cfr. ibid. 53b5. 284 Come si chiarirà nel seguito dell’argomentazione, qui Proclo distingue fra il numero intelligibile, che preesiste in modo unitario e uniforme alla molteplicità dispiegata, ed il numero intellettivo, che risulta differenziato e compiutamente dispiegato. 285 Cfr. Timeo 39e10. 286 Cioè nella realtà intelligibile. 287 Si tratta del numero intelligibile, che non è molteplicità dispiegata, ma corrisponde alla natura monadica del Vivente-in-sé. 288 Due possono essere i passi che a tal proposito ha in mente Proclo: Parmenide 143a1 segg. e 144a5 segg. Ma più probabilmente qui Proclo si riferisce alla propria interpretazione della seconda ipotesi del Parmenide in base alla quale la molteplicità è compresa in forma unitaria nella terza triade degli intelligibili, mentre il numero contraddistingue la natura della prima triade intelligibile-intellettiva. 289 Proclo si riferisce alla frase, precedentemente citata, le Forme/Idee «sono quattro» in Timeo 39e10. 290 Cfr. supra, cap. 1, p. 9.10-21. 291 Cfr. libro III, cap. 28, p. 101.16-21 ed inoltre nel presente libro cap. 28, p. 81.5-6. 292 Cfr. libro III, cap. 25, p. 87.7-8, e nel presente libro cap. 27, p. 79.18-19. 293 Cioè dall’ambito in cui, come è stato appena prima affermato, si manifestano differenziazione e quindi numero, ossia a partire dall’ordinamento intelligibile-intellettivo. 294 Cioè presso le entità divine non-vincolate al mondo sensibile: come si evince in particolare dal libro VI gli dèi non-vincolati fanno parte dell’ordinamento ipercosmico-encosmico. 295 Espressione probabilmente ripresa da Parmenide 144b4 segg. e 144e4. 296 Su ciò cfr. Sofista 254e2 segg. 297 L’aggettivo μία (unica) è qui sostanzialmente sinonimo di pρώτη (prima). 298 Cioè «l’Altro», inteso come Differenza, e quindi come uno dei generi dell’essere. 299 Cioè l’alterità sovraessenziale e originaria, che è l’autentica origine della molteplicità dispiegata. 300 Cfr. in particolare Parmenide 146a9-147b8. 301 Platone non può ripetere due volte in ciascuna ipotesi la stessa conclusione, perché le singole ipotesi rispecchiano in tutto e per tutto, secondo l’interpretazione neoplatonica procliana (cfr. ad esem282

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    1082

    COMMENTO

    pio in questo libro quanto Proclo afferma al cap. 27, p. 78.10-13), l’ordinamento e la successione del reale. Una ripetizione significherebbe una assurda duplicazione di un determinato livello di realtà. 302 Cfr. Parmenide 142c7-d9 e 144e8-145a4. 303 Cfr. libro III, cap. 25, p. 88.24-27; cfr. anche supra nel presente libro cap. 27, p. 79.8-12. 304 Cfr. libro III, cap. 25, pp. 86.20-87.16. 305 Proclo impiega qui ancora una volta questa espressione, ripresa da Timeo 37d6. 306 Citazione da Timeo 41c5; d2. 307 Cfr. Sofista 247e3-4. 308 Cfr. supra, cap. 27, p. 79.20-23. 309 Cfr. libro III, cap. 25, p. 88.19-20, e supra, cap. 27, pp. 79.2380.4. 310 I termini estremi nella triade uno-alterità-essere sono ovviamente uno ed essere. 311 Le tre triadi sarebbero in base a tale prospettiva così costituite: uno-alterità-essere, alterità-essere-uno, essere-alterità-uno. 312 Cfr. Parmenide 143e1-7. 313 Nel cap. 29 del presente libro (p. 84.1 segg.), in effetti, Proclo afferma che il numero intelligibile, o numero divino, che fa parte dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, fa sussistere tutte le entità che vengono dopo tale ordinamento, in quanto dispiega compiutamente, in forma determinata e in varie modalità, la molteplicità intelligibile. 314 Cioè dall’«una volta», dal «due volte» e dal «tre volte». 315 Cfr. supra, cap. 29, p. 85.13-14 e p. 86.19-26. 316 Cfr. supra, cap. 29, p. 88.5-8. 317 La monade di cui qui si parla è la primissima divinità cui Proclo ha fatto accenno a p. 93.1-4: essa rappresenta la sommità degli intelligibili-intellettivi e dunque, in quanto tale, permane tra gli intelligibili, senza separarsi da questi. 318 Si tratta dell’uno, dell’alterità e dell’essere, cioè le tre monadi di cui Proclo ha parlato appena sopra a p 92.6-10 e che sono, a loro volta, oltre che monadi, anche diadi e triadi. 319 Il numero nella sua universalità è quello che è anteriore al numero particolare che sta ad indicare una specifica e determinata quantità di elementi numerabili.. 320 Cfr. Parmenide 144a2-3. 321 Cfr. ibid. 144e4. 322 Proclo ha affrontato questo argomento nel libro III, cap. 26. 323 Proclo cita qui due espressioni di Parmenide 144a6. 324 Cfr. Parmenide 144a6. 325 Proclo ha già chiarito la differenza che intercorre fra l’illimita-

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    AL LIBRO IV,

    NOTE

    302-345

    1083

    tezza in senso potenziale e quella in senso «quantitativo» nel III libro, al cap. 26, p. 91.25 segg. 326 Come viene osservato da Saffrey-Westerink (cfr. p. 181, nota n. 3 alla traduzione) è Plotino che ha affrontato il problema del numero illimitato in Enneadi, VI 6 (34), 2-3; 17-18. 327 Cfr. Parmenide 143a6-9. 328 Il testo presenta qui una lacuna. Si segue la seguente ipotetica integrazione, sulla scorta di quella proposta dai due Editori: [...] tou' te eJno;" o[nto" ãkai; tou' nohtou' plhvqou", ejkgovnon me;n o[nta tou' prwtivstou o[nto"Ã, bavsin de; o[nta k.t.l. Per il riferimento alla concezione plotiniana secondo cui il numero precede il Vivente-in-sé e occupa un livello intermedio tra l’essere e la molteplicità, cfr. Enn. VI 6 (34), 8-9. 329 Termini che Proclo riprende da Plotino, Enn. VI 6 (34), 9.38; 10.3. 330 Cfr. Timeo 30d2. 331 Cfr. ibid. 33a7. Proclo cita questa espressione nel libro III, cap. 25, p. 88.3-6. Si veda inoltre quanto Proclo afferma nel presente libro al cap. 27. 332 Su ciò cfr. Parmenide 142d9-e7. Proclo ha discusso ciò nel libro III, cap. 26, pp. 89.18-90.1. 333 Cfr. Timeo 31b3; La questione inerente la natura «unica nel suo genere» del Vivente-in-sé viene discussa da Proclo nel libro III, in particolare cap. 15, pp. 52.23-54.10 334 Su ciò cfr. supra cap. 29, pp. 84.22-85.16. 335 Pare necessaria l’integrazione proposta dai due Editori. 336 In considerazione del senso non sembra necessaria la correzione proposta dagli Editori che al posto del tràdito to; pavntwn eijdw'n plh'qo" propongono di correggere to; pa'n tw'n eijdw'n plh'qo". Se proprio occorre, la soluzione migliore è integrare il testo: to; pavntwn ãtw'nà eijdw'n plh'qo". 337 Proclo ha esposto tale concetto nel libro III, cap. 19, p. 65.23. 338 Cfr. Timeo 39e7-40a2. 339 Proclo ha sviluppato tale concetto nel libro III, cap. 19, pp. 65.23-66.7. 340 L’integrazione proposta da Saffrey-Westerink appare necessaria e assolutamente plausibile in considerazione di quanto è affermato, come sottolineano gli Editori, negli Elementi di Teologia, § 112: Pavsh" tavxew" ta; prwvtista morfh;n e[cei tw'n pro; aujtw'n. 341 Cfr. Parmenide 142d9-143a3; 143a4-144e7. 342 Cfr. Timeo 31b3. 343 Cfr. Parmenide 143a4-6. 344 Cfr. ibid. 143d7-8. 345 Cfr. ibid. 143e7-144a2.

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    1084 346

    COMMENTO

    Si tratta della triade che risulta formata dalle tre monadi di cui parla qui Proclo. 347 Cfr. Parmenide 144e5-7. 348 Cfr. libro III, cap. 27, p. 93.2-18. 349 Su ciò si veda Nicomaco (filosofo neopitagorico vissuto fra il I ed il II sec. d.C.), Introduzione aritmetica, I 8, 1-4 e 9,1 [ed. Hoche]; e Giamblico, Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco, p. 20.7-9 [ed. Pistelli 1891, nuova ed. con correzioni Klein 1975]. 350 Riconducendo la terza monade al numero unitario, Parmenide impiega, agli occhi di Proclo, la nozione di «conversione», ovvero, in termini generali, di «ritorno» al principio, che in questo specifico caso è rappresentato dalla prima monade. 351 Cfr. Parmenide 144a6. 352 Cioè le intuizioni degli esseri particolari. 353 Cfr. Timeo 31b1. 354 Il concetto di sumpavqeia cosmica è il fondamento teorico della teurgia: è proprio il legame originario tra i diversi livelli di realtà che garantisce al teurgo la possibilità di entrare in contatto con gli esseri divini e di evocarli. 355 Cioè solari, ovvero riconducibili al sole. 356 Cioè lunari, in quanto la luna, così come il sole, nella concezione neoplatonica procliana costituisce un determinato livello di realtà e una specifica dimensione divina. 357 Su ciò cfr. supra cap. 25, p. 74.21 segg. 358 Cfr. Repubblica VII, 527b9. 359 Probabilmente Proclo si riferisce qui al numero che rientra nella dimensione sensibile. 360 Cfr. Timeo 37c6-d7. 361 Cfr. Fedro 247c1. 362 Cfr Repubblica VIII, 546b3-4. 363 Cfr. ibid. 546c7-d1. 364 Cfr. supra, capp. 19-20. 365 Cfr. Parmenide 145a2-3. 366 Cfr. supra, cap. 33, p. 99.6-9. 367 Proclo qui distingue fra l’eande che caratterizza la sommità dell’ordinamento intelligibile-intellettivo e quella che caratterizza il suo livello mediano. 368 Cfr. supra, cap. 33, 99.1-9. 369 Cfr. Parmenide 144e5-7 e supra, cap. 33, p. 98.13-16. 370 Proclo qui intende probabilmente affermare che nella triade intermedia dell’ordinamento intelligibile-intellettivo è implicita, insieme alla connessione uno-molti, quella tra intero-parti e limitato-illimitato.

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    AL LIBRO IV, 371

    NOTE

    346-384

    1085

    Cfr. supra, cap. 34, p. 100.5-8; su ciò cfr. anche Parmenide 144e3-5. 372 Il testo è qui lacunoso. Nella traduzione si è accolta l’integrazione proposta, come ipotesi, dai due Editori. Si legge pertanto: dio; kai; nohthv ejstin ãhJ de; tw/' o{lw/ ejn toi'" nohtoi'"Ã hJ de; th'/ trivth/ tavxei k.t.l. 373 Proclo ha trattato tale questione in precedenza nel libro III, cap. 26, p. 90.16-21. 374 Nel codice il capitolo 36 inizia più avanti a p. 107.13. Qui si accoglie la correzione apportata dai due Editori. 375 Cfr. Parmenide 145a2-3. 376 Proclo riprende qui un verso degli Oracoli Caldaici, fr. 28 des Places = p. 18 Kroll. 377 Termine ripreso dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 32.3 des Places = p. 19 Kroll. 378 Il termine a[nqo", «fiore», che indica per così dire il punto focale e di forza di una determinata entità, Proclo lo riprende dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 1.1 des Places = p. 19 Kroll. 379 Cfr. supra, cap. 33, p. 99.10-12. 380 Probabilmente Proclo si riferisce qui a Plotino: su ciò cfr. libro I, cap. 10, p. 42.2-9. Si veda inoltre quanto affermano SaffreyWesterink nella nota n. 5 alla traduzione. 381 Secondo Proclo il fatto che il limite corrisponda alla volta del cielo risulta più evidente degli altri due aspetti, cioè che l’uno connettivo sia identico alla «convessità del cielo» (τὸ νῶτον τοῦ οὐρανοῦ, letteralmente “il dorso del cielo”), e che l’intero sia identico alla profondità del cielo. In effetti, seguendo il ragionamento procliano, questa serie di corrispondenze sembra poggiare proprio sull’analogia più immediatamente intuitiva fra limite e volta del cielo: quest’ultima, per associazione, suggerisce appunto la nozione di limite inferiore del cielo, da cui limite in senso metafisico. In base a questa analogia si possono stabilire, in base alle «medesime nozioni di fondo» le corrispondenze anche fra uno connettivo e convessità del cielo e fra intero e profondità del cielo. 382 Si accoglie la correzione proposta dai due Editori: aijtivan invece del tràdito oujsivan. 383 Si tratta di una locuzione che già all’epoca di Platone significa di fatto «infine». Tale espressione deriva dall’uso antico, a conclusione dei banchetti, di dedicare la terza coppa a «Zeus Salvatore». In Platone si ritrovano alcune ricorrenze di tale espressione: cfr. Carmide 167a9, Filebo 66d4, Repubblica IX, 583b2-3. 384 Proclo qui di seguito si rifà anche con dirette citazioni a Parmenide 145a4-b5.

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    1086 385

    COMMENTO

    Cfr. supra cap. 35, p. 103.8-9. La figura «mista» comprende in sé sia la forma circolare che quella rettilinea. 387 Esso infatti può avere, come Proclo ha affermato sopra al cap. 37, p. 108.20-21, figura circolare, mista o rettilinea. Proprio in quanto fornisce delimitazione («figura») e determinazione specifica, il «sovrano intellettivo» risulta principio causale di limite e perfezione. 388 Qui kaiv sembra avere valore epesegetico. 389 Cioè la triade connettiva e la triade perfezionatrice. 390 Cfr. supra, cap. 35, pp. 103.25-104.1. 391 Il riferimento è a Platone Timeo 33b4 e agli Orfici: cfr Orphicorum Fragmenta, fr. 71a-b Kern. D’altra parte qui Proclo può anche avere in mente quei filosofi che come Parmenide (fr. B 8.43 DK) ed Empedocle (frr. B 27; 29; 31 DK) hanno fatto riferimento alla “sfera” e allo “sfero”. 392 Tutto questo capitolo è imbevuto di riferimenti più o meno espliciti agli Oracoli Caldaici. Per tali riferimenti si rinvia all’apparato critico dell’edizione Saffrey-Westerink e alle note alle pp. 188-189. 393 Cfr. supra, cap. 11, p. 35.11-12 e 37.5-7. 394 Suddivisione ricavata dagli Oracoli Caldaici: cfr. in particolare fr. 76 des Places. Inoltre nel suo commentario al Timeo lo stesso Proclo fa riferimento alla tradizione oracolare per la divisione dell’universo in empireo, etere e mondo II, p. 57.10-14. 395 Cfr. Parmenide 145a4-5. 396 Si tratta di un’espressione, con la quale viene designato l’empireo (ossia la parte “infuocata” sommitale del cielo), ripresa dagli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 85 des Places = p. 42 Kroll). 397 Cioè anch’esso costituito da parti iniziali, da parti mediane e da parti finali. 398 Aggettivi ripresi, rispettivamente, da Fedro 247c6 (ajschmavtiston: «privo di figura») e da Timeo 51a7 (a[morfon: «privo di forma»). 399 Cioè quella forma che comprende in se stessa sia la figura circolare che quella rettilinea e che dunque possiede una forma mista. 400 In questo passo Proclo ripropone secondo una prospettiva teologico-metafisica la tripartizione del cielo – tripartizione che si ritrova anche negli Oracoli Caldaici (su ciò cfr. R. MAJERCIK, The Chaldean Oracles. Text, translation, and commentary, Leiden–New York–København–Köln 1989, pp. 16-19) – in empireo, etere e regione materiale. 401 Probabile riferimento, sulla base di un frammento degli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 57 des Places), alle sette sfere planetarie, intese a loro volta come ordinamenti e livelli specifici di realtà, costituiti da una monade e da due triadi. 386

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    AL LIBRO IV, 402

    NOTE

    385-410

    1087

    Si tratta della triade «riunente», definita da Proclo in precedenza (cfr. supra cap. 38, p. 109.24) «triade riunente e inconoscibile». 403 Cfr. Parmenide 145a4-5; b3. 404 Occorre tenere presente che il carattere specifico degli dèi intelligibili-intellettivi è basato sui termini intermedi delle triadi. 405 Proclo ha spiegato tale definizione gia nel III libro al cap. 21. 406 Cfr. Parmenide 144a6. 407 Cfr. ibid. 144a3. 408 Cfr. ibid. 145a3. 409 Cfr. ibid. 145b4-5. 410 Proclo ha affrontato questo tema nel libro III, cap. 27, pp. 93.1-96.20.

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    1088

    COMMENTO

    COMMENTO AL LIBRO V 1 L’ordinamento intellettivo, segnando il termine dei livelli divini trascendenti, si ricongiunge ai livelli ad esso superiori, venendo così a formare un unico insieme circolare, in cui i termini ultimi si convertono verso quelli superiori: da ciò si evince che per Proclo gli ordinamenti divini trascendenti possono essere concepiti anche sulla base della triade manenza-processione-conversione: gli dèi intelligibili, nella loro trascendente unità, rappresentano il momento della manenza; gli dèi intelligibili-intellettivi, come manifestazione originaria di una molteplicità ontologica che giunge a determinarsi, rappresentano il momento della processione; infine gli dèi intellettivi, ricongiungendo tutta la realtà divina nel suo complesso al Principio autenticamente originario di tutti i livelli del reale, rappresentano il momento della conversione. 2 Cioè le processioni degli dèi ipercosmici, di quelli ipercosmiciencosmici e infine di quelli encosmici che non sono caratterizzati dalla trascendenza propria degli dèi che sono ad essi superiori. 3 Gli intelligibili sono a tutti gli effetti entità autonome rispetto all’intelletto: essi non appartengono allo stesso ordine dell’intelletto, né si distinguono rispetto ad esso solo in base ad una astrazione del pensiero. Dal canto loro gli intellettivi si differenziano dagli intelligibili perché in essi la pluralità e la determinazione, intese in senso ontologico, non sono «unitarie» e «celate» come nel caso degli intelligibili, bensì esplicite e dispiegate. D’altro canto, proprio perché sono posti al limite estremo degli ordinamenti trascendenti, gli intellettivi determinano anche il momento della conversione e ricongiungono la molteplicità e pluralità in essi insita all’unitarietà originaria dell’intelligibile. 4 Proclo in questo passo sottolinea come l’ordinamento intellettivo riceva da ciascuno dei livelli che lo precedono le proprietà che lo contraddistinguo: dall’Uno le unificazioni, dagli intelligibili le essenze, e infine dagli intelligibili-intellettivi le sue forme di vita che ne determinano la natura. Infine da se stessi gli intellettivi derivano il loro specifico carattere intellettivo. 5 Allusione all’etimologia, peraltro falsa, di zh'n («vivere») da zei'n («bollire»), nota ed impiegata in ambito neoplatonico. 6 Tanto per rendere conto dello stile di Proclo, spesso macchinoso ed involuto, è opportuno osservare che il paragrafo che va da p.

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    AL LIBRO V,

    NOTE

    1-21

    1089

    7.12 a p. 8.2 è costruito con un solo verbo di modo finito cui fa seguito una lunga serie di participi congiunti. 7 Cfr. libro IV, cap. I, pp. 7.14-9.9. 8 Cfr. libro III, cap. 28, p. 100.4-22. 9 Nuova ripresa di questo termine che viene dagli Oracoli Caldaici: cfr. 65.2 des Places = p. 35 Kroll. 10 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 66 des Places = p. 35 Kroll. 11 Proclo tratta della natura degli dèi ipercosmici nel libro VI della Teologia Platonica. 12 Proclo intende qui sottolineare la stretta affinità analogica che connota la prima triade intellettiva rispetto alle tre triadi triadi intelligibili intese come “Padre”, “Potenza” e “Intelletto”, di cui si è trattato nel libro III, cap. 21. 13 Dovrebbe trattarsi degli dèi intelligibili-intellettivi che vengono prima di quelli intellettivi. 14 Aggettivo che negli Oracoli Caldaici indica una particolare categoria di divinità che Proclo identifica, come si vedrà più dettagliatamente in seguito, con la seconda delle due triadi intellettive, ovvero con quella dei “Cureti”. 15 Il termine Sfai'ro" compare, come si è visto in precedenza, in Empedocle (cfr. in particolare B 27.4 Diels-Kranz) per indicare lo stato transitorio di perfetta unità e armonia di tutto il reale. Qui viene impiegato da Proclo per indicare la dimensione intellettiva nel suo insieme e nella sua unitarietà. 16 Come le triadi che procedono secondo scansioni di tre termini, l’ebdomade procede secondo scansioni di sette termini. Sull’origine storica, religiosa e filosofica della struttura ebdomadica della realtà intellettiva si veda l’introduzione al V libro della Teologia Platonica di Saffrey-Westerink, pp. IX-XXXVII. 17 Cioè un insieme di sette termini. 18 Come Proclo ha delineato poco sopra, a p. 10.19 segg., la realtà intellettiva è costituita da due triadi e da una monade che è causa di differenziazione: nel loro insieme esse formano l’ebdomade intellettiva che connota specificamente la natura dell’ordinamento intellettivo nel suo insieme. 19 Cfr. supra, p. 11.18-19, ove si parla dello «Sfero» intellettivo. 20 Cfr. supra, libro III, cap. 4, p. 14.11-15. 21 A meno di ipotizzare un soggetto sottinteso, ad esempio Platone o Parmenide, protagonista dell’omonimo dialogo, il che pare in questo contesto e così ex abrupto piuttosto improbabile, il verbo al singolare uJpevsthse non è spiegabile. Ciò ha spinto gli editori ad indicare qui una lacuna di cui non è possibile neppure ipotizzare, oltre che al contenuto, l’ampiezza e l’estensione.

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    COMMENTO

    Il termine ajriqmov" significa, oltre che «numero», anche «serie numerica» da cui deriva anche il significato di «serie» in senso generale. Nel presente contesto la parola è impiegata da Proclo in quest’ultimo senso. 23 Sia la monade che l’ebdomade sono dispari per numero. Inoltre l’ebdomade è costituita da una monade e da due triadi, ciascuna delle quali è a sua volta formata da tre monadi: si deve ricordare, infatti, che all’interno della triade il carattere unitario di ciascun termine monadico, che la costituisce, coesiste con quello della pluralità. 24 Su questa identificazione fra l’eptade e la luce dell’intelletto si veda W. BURKERT, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Cambridge (Mass.) 1972, p. 247, n. 44. 25 Come sempre Proclo cerca l’accordo della tradizione teologica – cioè quella orfica e degli Oracoli Caldaici, congiuntamente alla poesia omerica ed esiodea – con Platone, anche a costo di «forzare» la dottrina platonica in modo che si riveli in perfetta armonia con la tradizione teologica. 26 Proclo ha esposto tale interpretazione nel libro IV, in particolare nei capp. 5 e 22. 27 Per questo riferimento cfr. Cratilo 396c1 e Fedro 246e4-248a1. 28 Proclo ha messo in luce che la «volta subceleste» non è di fatto separabile dal cielo nel libro IV al cap. 7. 29 Il testo appare lacunoso. Nella traduzione si è accolta l’integrazione proposta, in base al senso, da Seffrey-Westerink. Pertanto si legge: ãoujdevna a[llon fhsi;nà oJ ejn tw'/ Kratuvlw/ Swkravth" k.t.l. 30 Riferimento alla interpretazione pseudo-etimologica del teonimo Krovno" come kaqarov" nou'" («intelletto puro») proposta nel Cratilo al punto 396b4-7. 31 Cfr. Filebo 30d1-2. 32 Cfr. Cratilo 404a5-6. 33 Per questo riferimento a Plutone cfr. Cratilo 403d7-404a7. Proclo esamina questo passo nel Commento al Cratilo, CLII, pp. 86.2587.3, e CLXII, pp. 89.19-90.4; cfr. anche Commento alla Repubblica II, p. 185.12-18. 34 Cfr. Timeo 43a2. 35 Riferimento alla pseudo-etimologia di Zeuv" come di on zh'n («colui a causa del quale il vivere»): cfr. Cratilo 396a7. Sulla interpretazione procliana di tale etimologia rinvio al mio saggio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone nel volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, pp. 136-139. 36 Viene così introdotta da Proclo la dea Rea, che è il termine intermedio nella triade Crono-Rea-Zeus. Proclo tratterà diffusamente 22

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    AL LIBRO V,

    NOTE

    22-57

    1091

    delle proprietà specifiche di Rea più avanti in questo stesso libro al cap. 11. 37 Il dio del primo livello è Crono, la dea del secondo livello è Rea ed infine il dio del terzo livello è Zeus. È opportuno osservare che anche la prima triade intellettiva Crono-Rea-Zeus è costituita in modo analogo alla struttura triadica Essere-Vita-Intelletto. 38 I termini estremi nella prima triade intellettiva sono Crono e Zeus. 39 Si potrebbe mettere in relazione tale considerazione con quanto è affermato da Proclo nel libro IV, cap. 30, p. 91, 21 segg. 40 Qui si delinea la seconda triade degli dèi intellettivi, ossia la triade dei Cureti, denominati da Proclo sia “dèi implacabili” sia “dèi incontaminati”. Si tenga presente che anche l’aggettivo ajmeivlikto" viene dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 35 e 36. 41 I Cureti sono secondo la tradizione mitica entità divine che avrebbero allevato Zeus a Creta. 42 Cfr. Leggi VII, 796b4-5. 43 Cfr. Orphicorum Fragmenta in particolare fr. 151.1 Kern. Si veda inoltre quanto Proclo afferma più avanti in questo libro al cap. 35, pp. 127.8-128.21. Circa il rapporto tra Orfeo e la tradizione teologica greca, Proclo nel libro I al cap. 5, p. 25.26-27, afferma che tutta la teologia greca deriva dalla dottrina misterica di Orfeo. 44 Proclo, rifacendosi a Cratilo 396b6-7, connette in modo piuttosto artificioso tra loro i termini di significato analogo korov" e kaqarov" (“puro”), e questi due al nome Kouvrhte" («Cureti»). 45 Cfr. supra p. 15.6-13. 46 Proclo si riferisce qui a Repubblica II 377e6-378a6. 47 Il significato allegorico dei miti può essere compreso dai sapienti che sono in grado di coglierne il vero senso teologico-filosofico. 48 Citazione da Timeo 40d8. Con tale espressione Proclo si riferisce qui ai teologi. 49 Cfr. Eutifrone 5e5-6a5 e Repubblica II 377e6-378a6. 50 Cfr. Cratilo 403d7-404a7. 51 Proclo fa riferimento a questa sorta di metodo che fa ricorso alle immagini anche nel libro I, cap. 4, p. 20.8-12. 52 Proclo si riferisce qui a Timeo 36d1 segg. Si tratta del modo in cui è configurata l’Anima del mondo. 53 Sul termine Sfai'ro" cfr. supra nota n 15. 54 Cfr. Timeo 36d1-7. 55 Il soggetto qui, come spesso in Proclo, non è espresso. 56 Riferimento alla struttura dell’Anima del mondo esposta in Timeo 35a1 segg. 57 Proclo affronta tale questione più avanti in questo libro al cap. 39.

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    1092 58

    COMMENTO

    Cfr. Parmenide 146a9-b1. Cfr. ibid. 145b3. La «figura», come si ricava da quanto Proclo ha affermato nel libro IV, al cap. 37, pp. 108.5-109.21, fa parte della terza ed ultima triade degli dèi intelligibili-intellettivi. 60 Cfr. Parmenide 147c1. Il «simile» ed il «dissimile», come Proclo afferma più avanti, nel libro VI al cap. 14, caratterizzano gli dèi ipercosmici. 61 Cioè i cerchi dei pianeti. 62 Cfr. Cratilo 396b6-7. 63 Proclo riprende qui il titolo del trattato V 5 (32) delle Enneadi di Plotino. Proclo ha già citato in precedenza questo titolo nel libro III 28, p. 100.18-19. 64 Su tale principio generale cfr. Elementi di teologia, prop. 167. 65 Proclo si rifà qui a quanto è affermato in Timeo 39e7-9. 66 Cfr. Timeo 30d1-2. 67 Amelio (filosofo neoplatonico del III sec. d.C. appartenente alla scuola di Plotino), come ci informa lo stesso Proclo (cfr. Commentario al Timeo, vol I, pp. 306.1-14 e vol. III, pp. 103.18-28, ed. Diehl), avrebbe individuato tre diversi Demiurghi nel Timeo, considerandoli come tre differenti principi intellettivi. Proclo si riferisce con ogni probabilità alla dottrina di Amelio, come si è visto, anche nel libro II della Teologia Platonica, cap. 8, p. 51.25 segg. 68 Cfr. supra cap. 3, p. 15.21-25. 69 Cfr. Cratilo 396b7. 70 Su ciò cfr. Orphicorum Fragmenta, fr. 137 Kern. Secondo la tradizione orfica Urano viene mutilato degli organi genitali da Crono e quest’ultimo a sua volta da Zeus. 71 Cfr. Politico 269e1-270a8. 72 Proclo si riferisce qui a Politico 271c8-272b2. 73 Cfr. Politico 272b1-3. 74 Cfr. ibid. 269a7-8. 75 Il testo è lacunoso. In via ipotetica si può integrare th;n noera;n corhgei' ãteleiovthtaÃ. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 76 Probabile riferimento a Politico 272e5. 77 Riferimento a Oracoli Caldaici, fr. 8.2 des Places = p. 14 Kroll. 78 Cioè gli esseri umani nella loro dimensione corporea e materiale, distinta da quella che connota le loro anime. 79 Allusione al mito di Erittonio, primo uomo nato direttamente dalla terra. 80 Riferimento a Politico 271a5. 81 Con questa espressione Proclo intende differenziare i corpi degli esseri umani dai corpi di natura celeste. 82 Cfr. Politico 272 a3-b1. In questo passo Platone parla degli 59

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    AL LIBRO V,

    NOTE

    58-103

    1093

    uomini che vivono sotto il regno di Crono. Benché Proclo citi questo passo in riferimento alle anime, egli mantiene nella citazione il soggetto plurale al maschile dell’originale. 83 Espressione che Proclo riprende da Fedro 248b5. 84 Il verbo ejpirrei'n (lett. «scorrere sopra») viene qui impiegato da Proclo in senso transitivo, 85 Cioè dei corpi. 86 Le Ore, figlie di Zeus, sono le forme divinizzate delle stagioni. 87 Cfr. Politico 271c4 e 272b1-2. 88 Cfr. ibid. 272b8. 89 Cfr. ibid. 271e5. 90 Cfr. Fedro 247d4, c3, 248c1. Per l’interpretazione procliana del «luogo sopraceleste» e del «prato» nel Fedro si veda supra libro IV, cap. 6, pp. 23.5-24.12. 91 Riferimento agli Oracoli Caldaici, fr. 17 des Places = p. 19 Kroll. 92 Si tratta rispettivamente degli dèi intelligibili-intellettivi e degli dèi intellettivi. 93 Cfr. Fedro 247a8-b1. Come Proclo ha illustrato nel libro IV, cap. 7, la «volta subceleste» rappresenta il limite inferiore dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. 94 Cfr. ibid. 247a4. 95 La triade perfezionatrice è la triade inferiore degli dèi intelligibili-intellettivi, come Proclo, in base alla sua interpretazione, ha illustrato nel libro IV al cap. 24; la triade celeste a sua volta è la triade intermedia dell’ordinamento intelligibile-intellettivo, come è stato spiegato da Proclo nel libro IV al cap. 20. Si tenga inoltre sempre presente che con «triade celeste» (Oujraniva) Proclo allude al contempo al livello di Urano, che è gerarchicamente anteriore a Crono, secondo l’interpretazione teologico-metafisica procliana. 96 Cfr. Fedro 247c3. 97 Cfr. Leggi IV, 713a6-714b2. 98 Cfr. Gorgia 523a3-5. 99 Proclo cita qui Leggi IV, 714a1-2. 100 Cfr. ibid. 713c8-d2. 101 Il participio femminile perilabou'sai si può spiegare solo supponendo che Proclo abbia perso di vista il soggetto maschile della frase (oiJ daivmone") e l’abbia inavvertitamente sostituito, mentalmente, con un soggetto femminile come per esempio aiJ dunavmei". Sicuramente meno probabile è che si tratti di un errore di trascrizione: in questo caso si dovrebbe correggere il tràdito perilabou'sai con perilabovnte". È anche ipotizzabile che il testo tràdito sia lacunoso. 102 Cfr. Politico 271c8-272b2. 103 Cfr. ibid. 272e5

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    1094 104

    COMMENTO

    Cfr. ibid. 273b1-2. Cfr. ibid. 269e7-270a8. 106 Cfr. ibid. 269a1-2. 107 Questi due dèi sono chiaramente Crono e Zeus. 108 Si tratta di un uso del verbo στέλλω che ha una certa frequenza soprattutto nell’ambito della poesia lirica e tragica. Su ciò cfr. Liddell-Scott s.v. στέλλω. 109 Cfr. Leggi I, 631d5. 110 Cfr. Gorgia 523a5-6. 111 Riferimenti rispettivamente a Leggi IV, 714a1-2 e a Cratilo 396b7. Proclo, sulla scorta di Leggi IV, 714a1-2, connette, in senso etimologico, fra loro i termini nou'", novmo" e dianomhv, accostando a questo passo quello del Cratilo in cui viene proposta l’etimologia del teonimo «Crono». 112 Cfr. Fedro 247c3; 248c2. Proclo ha illustrato il ruolo di Adrastea nell’ordinamento intelligibile-intellettivo precedentemente nel libro IV, cap. 17. 113 Cfr. Timeo 41e2-3. 114 Su ciò cfr. Gorgia 523a5-6. 115 Il testo è qui lacunoso: non è dato sapere quanto ampia sia la lacuna. Nella traduzione si accoglie l’integrazione proposta in via puramente ipotetica dai due Editori: ãkai; ejntau'qa me;nà tw'/ plhvqei k.t.l. Si tenga però presente che, come segnalano i due editori (cfr. apparato critico), la lacuna sembra essere più ampia. 116 Cfr. Fedro 248c2. 117 Proclo riassume qui quanto è stato detto nel libro IV, cap. 17, pp. 52.22-53.20 a proposito della «legge suprema di Adrastea». 118 Allusione alla teologia caldaica con la quale vanno identificati gli Oracoli Caldaici. Per il presente riferimento cfr. Oracoli Caldaici fr. 187 des Places. Per il riferimento immediatamente successivo a Orfeo cfr. Orphicorum Fragmenta fr. 130 Kern. 119 Cfr. Politico 270e1-4. 120 Da questo punto fino alla riga 16, il testo appare estremamente lacunoso. Il frammento orfico, riportato da Proclo (fr. 142 Kern), proprio per il cattivo stato del testo, è stato oggetto di varie interpretazioni. Solo in base al senso complessivo si può tentare una ricostruzione, assolutamente congetturale, del frammento. 121 Nella traduzione si segue l’integrazione proposta da Hermann: ajlla; ãperi; krotavfoisin e[ceinà ejriqhleva lavcnhn. 122 Letteralmente: «che non si possono incantare». 123 Aggettivo ripreso, come si è detto, dagli Oracoli Caldaici, fr. 35.1 des Places = p. 20 Kroll. 124 Riferimento diretto alla pseudo-etimologia, proposta nel 105

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    AL LIBRO V,

    NOTE

    104-142

    1095

    Cratilo al punto 396b6-7, del teonimo Krovno" interpretato come kovro" nou'": Proclo impiega l’aggettivo composto korovnou". Sul senso dell’interpretazione procliana della spiegazione paraetimologica di tale teonimo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 139-142. 125 Non possediamo questa parte del testo cui qui accenna Proclo e che avrebbe dovuto anche contenere l’interpretazione di Parmenide 154a5-6, al quale Proclo si riferisce alla fine del capitolo precedente, forse perché andò perduta o forse perché non fu mai scritta. 126 Questa serie di genitivi assoluti descrive in modo piuttosto sintetico e con un linguaggio di natura sostanzialmente iniziatica le caratteristiche specifiche di Crono, dal quale deriva Rea. 127 Espressione che proviene dagli Oracoli Caldaici. 128 Rea insieme a Crono fa sussistere Zeus, che è il Demiurgo dell’universo nella sua totalità. 129 Riferimento alla pseudo-etimologia del teonimo Zeuv" proposta nel Cratilo al punto 396a7. 130 Cioè Zeus. 131 Riferimento a Cratilo 402b4. In questa parte del Cratilo viene presa in considerazione l’etimologia del teonimo Reva, connesso con rJeu'ma («flusso») e rJohv («corrente»). Su ciò rinvio ancora al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 145-146. 132 Cfr. Cratilo 402a9. 133 Termine che, come si è più volte osservato, Proclo riprende in questa accezione figurata dagli Oracoli Caldaici. 134 Cfr. Cratilo 402c4-d2. Oceano e Teti, divinità fontali secondo la prospettiva procliana, sono i genitori di Rea. 135 Riferimento a Fedro 245c9. 136 Proclo si riferisce qui alla generazione della “vita indivisibile” che caratterizza l’Anima del mondo e alla generazione di quella “divisibile” che connota le singole anime individuali. 137 Ancora una volta Proclo impiega il termine “ὀχετοί” (“canali”) nell’accezione in cui viene impiegato negli Oracoli Caldaici. 138 Espressione ripresa da Repubblica V, 475e4. 139 In effetti nel Cratilo Socrate considera insieme Crono e Rea nel passo 401e2 segg., poi in seguito, nel passo 404b8-c4, prende in considerazione le divinità Demetra ed Era, ed in relazione a quest’ultima fa riferimento anche a Zeus. 140 Cfr. Leggi VI, 782b4-5. 141 Su ciò cfr, Orphicorum Fragmenta, fr. 145 Kern. 142 Le Titanidi sono secondo la tradizione orfica le figlie di Urano e Gea.

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    1096 143

    COMMENTO

    Il soggetto anche qui è sottinteso. Gli imperfetti in questo contesto indicano, come altrove si è già osservato, qualcosa che è stato in precedenza appurato. Proclo infatti si riferisce qui a quanto è stato da lui esposto in questo libro ai capp. 5-10. Il primissimo tra gli intellettivi è Crono. 145 Crono, in virtù dell’identità che lo contraddistingue, mantiene unite le entità che da esso derivano e dipendono. 146 Si tratta della dea Rea: cfr. supra cap. 11. 147 Cioè Zeus. 148 Cfr. libro III, cap. 14. 149 Cfr. libro IV, cap. 2, pp. 11.21-13.2. 150 A proposito del carattere tetradico della molteplicità intellettiva, Proclo si rifà a quanto affermato in Timeo 39e10-40a2. Per quanto riguarda invece il carattere tetradico nell’ambito intelligibile, la questione è stata affrontata nel libro III al cap. 19. 151 L’intelletto intelligibile è il termine inferiore degli dèi intelligibili e fa parte della terza triade intelligibile. 152 Su ciò si veda quanto Proclo afferma nel libro VI, capp. 6 e 7. In base alla concezione teologico-metafisica procliana il mondo è diviso tra i tre figli di Crono. 153 Riferimento agli ordinamenti degli dèi ipercosmici. 154 Cfr. supra, cap. 12. 155 Si tratta di Crono. 156 Cfr. Timeo 41a7-d3, ove si afferma che il Demiurgo si rivolge e dà direttive agli «dèi giovani». 157 Espressione tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 3.1 des Places = p. 12 Kroll. 158 L’ordinamento generatore di vita è quello con cui viene identificata Rea. 159 Cfr. Timeo 41a7. 160 Cfr. su ciò libro IV, cap. 19, pp. 57.10-58.8. 161 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. 1.4 des Places = p. 11 Kroll. Chiaramente i «sezionamenti» corrispondono alle «castrazioni» di Urano e di Crono, intese negli Oracoli in senso allegorico e simbolico, ossia come rinvii ai diversi gradi di determinazione, separazione e divisione che vengono a sussistere tra il livello intelligibile-intellettivo e quello intellettivo, e inoltre alle distinzioni insite all’interno di quest’ultimo. 162 La sommità degli intellettivi è Crono. 163 Il termine è probabilmente tratto da Politico 272e5. 164 Il centro intermedio degli intellettivi è Rea. 165 Nel testo manca una parola (forse sottintesa), che può essere ajxivan o tavxin. 144

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    AL LIBRO V, 166

    NOTE

    143-188

    1097

    Riferimento ad Amelio, per il quale si veda supra n. 67, e a Teodoro di Asine: per quest’ultimo si veda quanto Proclo afferma nel Commentario al Timeo, vol. I, p. 309.14-20 [ed. Diehl]. 167 Come ha mostrato Proclo in precedenza, al cap. 11, si tratta di quell’unica forma di generazione di vita che appartiene alla dea Rea. 168 Cfr. Timeo 30c4. 169 Cfr. ibid. 31b1. 170 Cfr. ibid. 31b3. 171 Cfr. ibid. 31a6-8. 172 Cfr. ibid. 41a7. 173 Si tratta con ogni probabilità di Attico (filosofo medioplatonico del II sec. d.C.): è lo stesso Proclo ad informarci, nel Commento al Timeo (cfr. vol. I, p. 431.14-20), che Attico considerava il Demiurgo al di sopra del Vivente-in-sé. 174 Cfr. Timeo 31a3-b3. 175 Si tratta dei tre diversi demiurghi dell’ipotesi che Proclo qui intende confutare e la cui disamina costituisce l’oggetto di questo cap. 14 del libro V. 176 Gli dèi ipercosmici sono posti tra la realtà intellettiva e quella cosmica: dunque non possono essere gli artefici dell’universo nella sua totalità, in quanto non possono attingere direttamente alla dimensione intelligibile-intellettiva ove risiedono le Forme intelligibili in base alle quali risulta modellato il cosmo. Proclo tratterà in modo dettagliato degli dèi ipercosmici nel libro VI. 177 Tale concetto è stato in effetti esposto da Proclo in questo libro, al cap. 13, p. 42.6-9. 178 Riferimento ai sette cerchi dell’anima del mondo di cui Platone tratta in Timeo 36d2. 179 Su ciò cfr. supra, libro IV, cap. 3. 180 Per quanto riguarda i cerchi del cielo cfr. Timeo 38c7-8. Circa le sette parti dell’anima cfr. Timeo 35b6-c2. 181 Per questi riferimenti cfr. Timeo 39e7-9; 47e4; 48a1. 182 Cfr. ibid. 30b1. 183 Ciò è stato dimostrato da Proclo nel libro III, al cap. 14. 184 Su ciò cfr. libro III, cap. 24, pp. 85.17-86.14. 185 Cfr. Cratilo 396b6-7. 186 Proclo ha mostrato che Crono è la sommità degli intellettivi in precedenza in questo libro, al cap. 5. 187 Cioè tra gli intelligibili-intellettivi, dove la Vita, in base alla triade Essere-Vita-Intelletto, rappresenta il livello caratterizzante. 188 Come Proclo chiarisce subito dopo, nell’ambito degli intellettivi l’intelletto è presente a livello di essenza, mentre l’essere e la vita sono presenti a livello di partecipazione.

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    1098 189

    COMMENTO

    Cioè negli intelligibili-intellettivi. Cfr. Timeo 39e9. 191 Cfr. ibid. 41a7. 192 Cfr. ibid. 30b4-5. 193 Dunque, nell’interpretazione procliana, il Demiurgo è intelletto impartecipabile intellettivo che ha fatto sussistere l’intelletto partecipato. 194 Cfr. Timeo 41a7. 195 Cfr. ibid. 28c3-5. 196 Cfr. ibid. 41c3. 197 Cfr. Sofista 265b8-10. 198 Come Proclo ha illustrato nel libro III, cap. 8, pp. 32.28-33.2, anche nell’ambito dei generi divini ogni opposizione deriva dall’opposizione fondamentale tra limite ed illimitato. Sul carattere femminino, dunque materno e generativo, dell’illimitato, cfr. libro IV, cap. 30, p. 91. 12-13. 199 Cfr. Lettera VI (sicuramente spuria, ma ritenuta autentica dagli autori neoplatonici) 323d4; cfr. anche Repubblica VI, 506e6. 200 Espressione ripresa da Timeo 30a6-7. 201 Sulla natura assolutamente inconoscibile del Primo Dio, Primo Principio ed Uno-in-sé, e sulla inadeguatezza dei termini «Uno» e «Bene» per definirlo, si veda quanto Proclo ha affermato nel libro II, cap. 6, p. 41.1-17. 202 Per questi caratteri degli dèi intelligibili si veda quanto Proclo ha affermato nel libro III, cap. 28. 203 Cfr. libro III, cap. 15. 204 Cfr. Timeo 31b1. 205 Il Vivente-in-sé, dunque, è per Proclo «padre e artefice», mentre il Demiurgo è «artefice e padre». 206 Nel Timeo, in effetti, si afferma che il Demiurgo è produttore anche di divinità: su ciò cfr. Timeo 40a2-d5; 41a3-b6. 207 Il carattere di «padre» è, in quanto più universale, superiore a quello di «artefice». Pertanto nel limite inferiore degli intelligibili prevale il carattere di «padre», mentre nel limite inferiore degli intellettivi prevale il carattere di «artefice». 208 Cfr. Timeo 39e7-9. 209 Cfr. ibid. 32d1. 210 Cfr. ibid. 30d2. 211 Cfr. ibid. 29a6. 212 Cfr. ibid. 28c3-4. 213 Cfr. ibid. 41a7-8. 214 Cfr. Politico 273b1-3. 215 Cioè delle questioni concernenti i nomi. 190

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    AL LIBRO V, 216

    NOTE

    189-245

    1099

    Il soggetto è sottointeso. Cfr. Timeo 41c5-6. 218 Cfr. ibid. 39e7-9. Tale passo è già stato citato da Proclo poco sopra, a p. 56.17-20. 219 Cfr. Timeo 41a7. 220 Cfr. ibid. 41c5. 221 Cfr. supra, cap. 15, p. 50.12-13. 222 Si tratta del livello costituito da Rea. 223 Proclo affronterà in effetti tale questione più avanti, ai capp. 30-32. 224 Proclo accenna qui alle divinità encosmiche che hanno funzione di demiurghi coordinati dal Demiurgo universale. 225 Cfr. Timeo 29e1 segg. 226 Cfr. supra, cap. 16, p. 59.7-8. 227 Il soggetto non è espresso. 228 Cfr. Timeo 29e3. 229 Cfr. ibid. 30a2-3. L’espressione kata; duvnamin, per come qui la intende Proclo, significa non «per quanto è possibile», bensì «secondo potenza». 230 Proclo subito dopo, alle righe 27-30, spiega che la materia viene a sussistere a partire dai primissimi principi che per via della loro sovrabbondanza giungono a generare anche le entità di ultimo livello. 231 Cfr. Timeo 30a4. 232 Cfr. ibid. 30b1-3. 233 Cioè non un unico ed unitario atto di pensiero. 234 Il Demiurgo realizza per così dire «materialmente con le proprie mani» ciò che invece nell’ambito intelligibile ha una forma di esistenza trascendente ed universale. 235 L’espressione novhsi" noou'sa non può essere resa perfettamente in italiano, a meno di tradurre: «intellezione che ha intellezione». 236 Cfr. Timeo 30b1. 237 Cfr. ibid. 30a3 238 Cfr. ibid. 39e7-9. 239 Espressione che ricalca quella di Repubblica VII, 518c9. 240 Proclo si riferisce qui a quanto da lui affermato nel libro III, cap. 22, p. 80.24-27. 241 Cfr. Fedro 250b6; 250d2. 242 In questo contesto si deve tradurre il termine ejnevrgeia secondo l’uso ed il senso aristotelici: quindi «atto». 243 Cioè «esterne» all’intelletto. 244 Cfr. Timeo 42e5-6. 245 In realtà questa citazione non è del Timeo, bensì del Politico: cfr. ibid. 272e5. 217

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    1100 246

    COMMENTO

    In modo non immediatamente perspicuo, Proclo intende qui riferirsi ai discorsi che il Demiurgo rivolge agli «dèi giovani»: cfr. Timeo 41a7-d3. In base alla prospettiva interpretativa procliana, in effetti, tutto ciò che il Demiurgo dice agli «dèi giovani» assume al contempo il valore di una serie di principi regolatori e ordinatori relativi alla struttura stessa del cosmo. Ciò viene chiarito nel prosieguo del testo. 247 Nella parte di testo che segue il termine lovgoi viene impiegato da Proclo in un’accezione più specifica rispetto a quella di «discorsi», ossia in quella di «ragioni» nel senso di «principi razionali». Nel termine greco lovgo", infatti, come è noto, sono compresenti entrambi questi significati oltre a vari altri. È in considerazione di ciò che si è qui tradotto lovgoi con «discorsi di principio». Infatti il riferimento è ancora ai discorsi che il Demiurgo rivolge agli dèi giovani, discorsi che sono di per se stessi «principi razionali» che regolano la realtà e sono fondativi di essa. 248 Su ciò cfr. Fedro 245e5-6. 249 Cfr. Timeo 42d6. 250 Così si deve intendere in base al testo proposto dagli Editori che espungono lovgwn. Per poter conservare lovgwn occorrerebbe infatti posporre λόγων a ἀγαθῶν, intendendo così: «perfezionatori dei principi razionali buoni, in esse insiti». 251 Cioè nelle entità che accolgono i discorsi demiurgici. 252 Nella traduzione si è conservato l’andamento del testo greco che rasenta l’anacoluto: Proclo costruisce qui un periodo ipotetico con due protasi indipendenti fra loro, quasi che, nel procedere del discorso, si fosse persa la prima lunga protasi (pp. 66.26-67.1). Tutto questo passo è un nuovo esempio dello stile contorto e spesso prolisso di Proclo. 253 Cfr. Timeo 42d6. 254 La «demiurgia assolutamente perfetta» è quella che appartiene al Demiurgo stesso e che si distingue da quella “particolare” e “limitata” degli dèi giovani. 255 Cfr. Timeo 41a7. 256 Cfr. supra, p. 65.23-26. 257 Su ciò cfr. Timeo 41b2-5. 258 Il significato di questa frase, piuttosto criptica, è che gli dèi giovani sono indissolubili in considerazione della loro essenza, ma la loro indissolubilità non è originaria: ciò che li rende indissolubili è il legame e la connessione che essi hanno con il Demiurgo. Per questo i loro prodotti non sono immutabili ed eterni. L’essere causa dell’indissolubilità è una prerogativa che spetta al solo Demiurgo. Proclo si riferisce qui a quanto viene affermato in Timeo 41a6 segg.

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    AL LIBRO V, 259

    NOTE

    246-279

    1101

    L’espressione è ripresa da Politico 270a4. In questo IV libro sulla natura del livello intellettivo, Proclo ricorre spesso a citazioni tratte dal Politico. 260 Cfr. Timeo 41b4. 261 Il soggetto non è espresso. Con ogni probabilità si tratta del Demiurgo, meno plausibilmente di Platone. 262 Cioè quelle potenze che sono immediatamente connesse alla «sovranità paterna e generatrice». 263 Cfr. Timeo 41d3. 264 Si tenga sempre presente che gli esseri prodotti dagli dèi giovani sono mortali e corruttibili, mentre la natura che costituisce il cosmo nella sua totalità, che è prodotto direttamente dal Demiurgo, non è soggetta a corruzione. 265 Secondo gli Editori il testo è qui lacunoso: essi propongono di integrare con un verbo come ajnatiqevasi. Nella traduzione si segue questa ipotesi, benché non sia possibile stabilire con certezza quale sia l’effettivo verbo impiegato da Proclo nel passo in questione. 266 Su quanto qui afferma Proclo cfr. Timeo 41a7-d3. 267 Cfr. ibid. 41c2-3. 268 Tutto questo passo è in riferimento a Timeo 41d4-42d4. 269 In questo passo Proclo si riferisce in particolare a quanto viene affermato in Timeo 41d4-42e4. 270 Probabilmente qui Proclo si riferisce in generale a tutti i predecessori di Giamblico, il quale sembra essere stato il primo a individuare, sulla scorta del Timeo, livelli diversi di anime. D’altra parte nel suo Commentario al Timeo (cfr. In Tim. III, pp. 245.19-246.28), Proclo sembra attribuire, oltre che a Plotino, in particolare a Teodoro di Asine una teoria secondo la quale tutte le anime appartengono allo stesso livello. 271 Cfr. Timeo 41d4-7. 272 Su ciò cfr. ibid. 41e2-3; 42b2 segg. 273 Non è dato sapere esattamente a quali testi Proclo si riferisca. Forse al Commentario al Timeo, o più probabilmente a qualche opera specifica che egli intendeva dedicare a questo argomento. 274 Tali questioni verranno affrontate da Proclo nel presente capitolo a partire da p. 75.10 segg. Egli, infatti, inizialmente propone una sintesi di quanto appurato in precedenza, ai capp. 18 e 19. 275 Cfr. Timeo 28c3-4. 276 Cfr. ibid. 29a6. 277 La «serie» o «catena» demiurgica è quella formata dal Demiurgo stesso, dai tre demiurghi ipercosmici e dagli «dèi giovani». 278 Cfr. Timeo 30b8. 279 Cfr. ibid. 39e1; 31b1.

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    1102

    COMMENTO

    Cfr. ibid. 31b3. Il termine μονογενές in questo contesto sta a indicare che il cosmo è “unigenito” nel senso che è “unico nella sua specie”. 281 Proclo fa qui riferimento al passo 31c2-32a1 del Timeo. 282 Cfr. ibid. 32d1. 283 Cfr. ibid. 33a2-3. 284 Su ciò cfr. ibid. 33b1-4. 285 Cfr. ibid. 33c6-d3. 286 Cfr. ibid. 34a1-7. 287 Proclo si riferisce qui probabilmente a quanto viene affermato in Timeo 34b3 segg. 288 Su ciò cfr. ibid. 35b4-36d7. 289 Cfr. ibid. 37c6-e3. Questi dèi che rivelano le «misure del tempo» sono i corpi celesti. 290 Cfr. ibid. 39b4-5. 291 Cfr. ibid. 39e3-40a2. 292 Cfr. ibid. 92c7-9. 293 Cfr. ibid. 40b8-c3. 294 Probabilmente qui Proclo si riferisce, nella sua interezza, al discorso che il Demiurgo rivolge agli dèi giovani (Timeo 41a7 segg.). Attraverso tale discorso, in base all’intepretazione procliana, il Demiurgo fa volgere gli dèi che da lui derivano e dipendono verso se stesso. 295 Per tutto questo passo cfr. Timeo 41e1-3. 296 Cfr. ibid. 42b3 segg. 297 Cfr. ibid. 42d2-3. Proclo impiega qui il termine politeiva che in greco significa «forma di governo», ma talvolta anche «modo di vivere da cittadino». Qui i due sensi sono entrambi presenti e nella traduzione non è possibile rendere appieno tale sovrapposizione di significati. 298 Cfr. Politico 272e5. Proclo ricorre molto spesso a questa espressione tratta dal Politico. 299 Cfr. Timeo 42d6. 300 Cfr. ibid. 42e5-6. 301 Cfr. ibid. 42e6-7. 302 Cfr. supra p. 72.10-13. 303 Cfr. Timeo 28c4-5. 304 Cfr. in questo libro supra, cap. 5, p. 21.1-10, e cap. 11, p. 36.1217. 305 Cfr. supra, cap. 12. 306 Qui Proclo si riferisce specificamente a Timeo 24e1 segg. Si veda comunque anche Crizia 108e1 segg. Sull’avidità e sete di potere degli abitanti di Atlantide, come conseguenza della degenerazione della loro indole, cfr. ibid. 121a8 segg. 280

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    AL LIBRO V, 307

    NOTE

    280-323

    1103

    Cfr. su ciò Crizia 113c2-3. Cfr. Timeo 24e2-3. 309 Il riferimento è ad Omero, che all’inizio dell’Iliade descrive l’assemblea degli dèi. 310 Proclo, in questo brano, si riferisce alla parte finale del Crizia 121b7-c4: a questo punto il dialogo platonico si interrompe. Poco più avanti il passo in questione viene direttamente citato da Proclo (cfr. p. 77.14-22). 311 Cfr. Crizia 121b7-c4. 312 Cfr. Timeo 41a7. 313 Cfr. ibid. 42d2-4. 314 Cioè il fatto che «si deve dimostrare che la dottrina teologica del Timeo concernente il Demiurgo è in accordo anche con quanto altrove è stato scritto da Platone su questo dio»: cfr. supra cap. 21, p. 76.14-17. 315 Socrate in effetti nel Cratilo propone una «etimologia unitaria» di questi teonimi: su ciò cfr. Cratilo 401e1-403a8. Invece, come Proclo qui intende sottolineare, il teonimo «Zeus» viene spiegato in base alle due forme di accusativo: Zhvna e Diva (da queste forme derivano anche quelle dei casi obliqui). Sull’interpretazione procliana di questa pseudo-etimologia contenuta nel Cratilo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 136-138. 316 Proclo si riferisce qui alla pseudo-etimologia del teonimo «Zeus» esposta nel Cratilo al punto 395e5 segg. Sull’etimologia del teonimo «Zeus» nel Cratilo di Platone rinvio al mio studio: Il problema del linguaggio nel mondo greco ed il Cratilo di Platone, in M. NEGRI (a cura di), Navadhyayi, Roma 1996, pp. 233-253, in particolare pp. 237-238. 317 I due Editori individuano qui una lacuna che propongono di integrare con l’aggettivo gnwvrimo". Nella traduzione si segue tale ipotesi. 318 Diiv e Diov" sono le forme, costruite sulla radice «Di-», rispettivamente del dativo e del genitivo del teonimo Ζεύς. 319 Cfr. Cratilo 395e5-396b3. Accanto a Dií, il teonimo Zeús ha anche la forma di dativo Zení. 320 Cfr. Timeo 30b7-8. 321 Queste tre forme di vita sono rispettivamente: quella intellettiva, quella corporea e, ad un livello intermedio fra queste, quella psichica. 322 Riferimento a Timeo 30d3-31a1, ove si afferma che il Demiurgo, intendendo rendere il mondo simile al più bello e compiuto degli esseri viventi, lo compose come un unico vivente visibile. 323 Cfr. Cratilo 396b1. 308

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    1104 324

    COMMENTO

    Su ciò cfr. ibid. 396a6-b2. Proclo cita qui nell’ordine Timeo 28c4-5 e Cratilo 396a1. 326 Il riferimento è agli Oracoli Caldaici cui Proclo si rifà nella parte a seguire. 327 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 8.1 des Places = p. 14 Kroll. 328 Cfr. Timeo 41c5. 329 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 1.4 des Places = p. 11 Kroll. Proclo cita più volte in questo V libro questo frammento per il significato del quale si veda supra nota n. 161. 330 Probabile riferimento a Timeo 32c3. 331 I due nomi, che indicano, se combinati fra loro, la vera essenza di Zeus, sono intesi come una sorta di riflesso del carattere «diadico» originario di Zeus: la diade è in effetti il primo principio della pluralità. Essa si manifesta nella stessa essenza di Zeus, espressa dai suoi nomi. 332 Nei capitoli precedenti Proclo, in effetti, ha più volte ribadito questo concetto: cfr. ad esempio cap. 5, p. 21.27-28; cap. 12, pp. 41.27-42.4; il cap. 13 nella sua interezza; cap. 15, p. 51.4; cap. 16, p. 58.7-8; cap. 20, 76.3-4. 333 Cfr. Politico 272e5. 334 Espressione brachilogica: come appare chiaro dal seguito, si tratta di Crono e Rea. 335 Cioè Crono. 336 Questa divinità è Rea. 337 Con questa espressione Proclo si riferisce a Rea, che è, nell’ambito degli intellettivi, la fonte originaria della vita stessa. Secondo l’interpretazione di Proclo, Zeus avrebbe ottenuto il nome «Día» dal padre Crono, il nome «Zêna» dalla madre Rea. 338 Cfr. Timeo 29d7-e1. 339 Riferimento alla pseudo-etimologia del teonimo Zeuv" inteso come di on zh'n («colui per via del quale il vivere»). 340 Cfr. Cratilo 396b1-2. La citazione appare lievemente modificata rispetto all’originale platonico. 341 Cfr. Filebo 28c6-30d8. 342 Cfr. ibid. 28e3. 343 Cfr. ibid. 28c6-7e 28d7-8. Il riferimento è con ogni probabilità ad Anassagora e Diogene di Apollonia. 344 Cfr. ibid. 28e4-5. 345 Il riferimento è, in primo luogo, alla tradizione atomistica greca, quindi a Democrito ed agli epicurei. 346 Cfr. Filebo 29b6. 347 Probabile riferimento a Filebo 29c1 segg. 348 Cfr. ibid. 30c9-10. 325

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    AL LIBRO V, 349

    NOTE

    324-376

    1105

    Cfr. ibid. 30c3-7. Cfr. Timeo 30b3. 351 Cfr. Filebo 30c9-10. 352 Cfr. Timeo 30b8. 353 Cfr. Filebo 30d1-4. 354 Cfr. Timeo 31b3. 355 La triade Cronia, di cui Proclo tratterà nel libro VI ai capitoli 6-7, è costituita dai figli di Crono, cioè Zeus, Poseidone e Plutone, vale a dire la prima triade divina dell’ordinamento ipercosmico. 356 Cfr. Gorgia 523a4-5. 357 Cfr. Cratilo 396a7. 358 Probabile riferimento a Giamblico e Teodoro di Asine, i quali, in base a quanto si legge nel Commento al Timeo (III, p. 190.4191.24), vengono criticati per le loro concezioni sul ruolo da attribuire a Crono, Rea e Zeus. 359 Cfr. Protagora 320c8-322d5. 360 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 114 des Places = p. 52 Kroll. 361 In effetti gli Oracoli Caldaici sono considerati, proprio in quanto oracoli, provenienti dagli dèi stessi. 362 Il nome proprio Προμηθεύς (“Prometeo”) viene, correttamente, accostato al verbo pρομηθεῖσθαι, che significa appunto «prendersi cura». 363 Cfr. Protagora 321d4-7. 364 Cfr. ibid. 322c2. 365 Su ciò cfr. ibid. 322c5-d5. 366 Il testo presenta qui una lacuna che solo in base al senso si può in qualche modo colmare. 367 Cfr. Timeo 41e2-3. 368 Cfr. Fedro 248c2. 369 Qui intesa come divinità. 370 Per tutto questo passo cfr. Timeo 41d8-42d5. 371 Cfr. Protagora 321d4-5. 372 Cfr. Repubblica IX, 592b2-5. Del ruolo di Zeus come «Politico» dell’universo Proclo parla anche nella dissertazione V del Commento alla Repubblica, vol. I, p. 68.24-69.6: per la traduzione ed il commento di questo passo rinvio al volume da me curato: Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004, rispettivamente alle pp. 113-114 e pp. 353-354. 373 Cfr. Protagora 321d5. 374 Espressione tratta da Fedro 254b7. 375 Riferimento a Timeo 30a4-5. 376 Il soggetto non è espresso, può trattarsi indifferentemente di Timeo o dello stesso Platone. 350

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    1106 377

    COMMENTO

    Cfr. Timeo 30a6-7. La dea Qevmi" è la dea dell’ordine cosmico. 379 Sui Titani si veda il significato teologico-metafisico che ad essi attribuisce Proclo nel Libro II, cap. 11, p. 65.22-26. 380 Cfr. Protagora 321d6. 381 Secondo Saffrey-Westerink questi teologi sono Omero ed i suoi commentatori (cfr. n. 2 alla loro traduzione, p. 195). Può anche trattarsi di un riferimento ad un frammento orfico o degli Oracoli Caldaici che non ci è pervenuto. 382 La realtà intellettiva, proprio per il carattere dinamico-intellettivo che la contraddistingue, ha un moto rotatorio che si riflette, a sua volta, sul cosmo sensibile. Sulla rotazione ciclica nel cosmo sensibile in relazione con la complessiva rotazione intellettiva si veda quanto Proclo afferma nei capp. 6 e 7, e nel capitolo seguente, p. 92.1 segg. 383 Espressione tratta da Timeo 58a7. Il riferimento alle «profondità dei cosmi» richiama il linguaggio degli Oracoli Caldaici. 384 Cfr. Timeo ad esempio 36c4-5; 42c4-5. 385 Cfr. ibid. 39c2. 386 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 57 des Places = p. 31 Kroll. 387 Cfr., in questo libro, supra, capp. 6 e 7. 388 Su tutto questo passo cfr. Politico 269e1-272b2. 389 Cfr. ibid. 270a4. 390 Cfr. ibid. 272e5. 391 Cfr. ibid. 272b8. 392 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 17 des Places = p.19 Kroll. Come si è detto, gli Oracoli sono ritenuti provenire dagli dèi stessi. 393 Cfr. Fedro 247c1-3. 394 Cfr. ibid. 247d2. 395 Cfr. Ibid. 248a3. 396 Il testo presenta qui una lacuna: il senso può essere solo ricostruito solo per via congetturale. 397 Questa espressione rinvia all’immagine del «porto» che indica, nel linguaggio simbolico procliano tratto dagli Oracoli Caldaici, la meta suprema del lungo e difficile viaggio dell’anima alla ricerca della conoscenza autentica: su ciò si veda quanto Proclo afferma nel libro IV, cap. 13, p. 43.19-20. 398 Espressione tratta da Repubblica VI, 508c4-509a5. Sulla base di quanto fin qui ha affermato Proclo, si comprende che vi sono tre gradi di anime: quelle che giungono ad un livello intellettivo inferiore; quelle che giungono alla sommità degli intellettivi; infine quelle che arrivano fino al livello intelligibile stesso. 399 Su questo «periodo ciclico» cfr. Politico 272e3-6. Secondo il mito del Politico il cosmo, finché è seguito nel suo moto circolare dal 378

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    AL LIBRO V,

    NOTE

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    dio, è ordinato e procede nel modo migliore; invece quando, ciclicamente, viene abbandonato dal dio, esso si muove circolarmente nella direzione inversa. Quest’ultimo movimento di rotazione è identificato da Proclo con la dimensione stessa del divenire che connota intrinsecamente la natura e la vita del cosmo sensibile. Proclo così interpreta il mito sulla base del presupposto che il periodo ciclico "Cronio" corrisponde a quello invisibile e di natura intellettiva, mentre quello durante il quale il cosmo procede autonomamente viene ricondotto al Demiurgo Zeus che dà vita al cosmo e gli conferisce così la sua specifica natura. D’altro canto, come Proclo chiarisce più avanti (cfr. pp. 94.23-95.21), durante la rivoluzione "Cronia", in realtà, entrambi i principi causali divini risultano ad essa preposti: Crono in quanto elargitore di vita intellettiva, mentre Zeus in quanto eleva tutte le cose verso la sommità intellettiva che si identifica con Crono. La rotazione ciclica visibile, dal canto suo, ossia quella che connota l’effettivo divenire del cosmo, ha la sua causa trascendente in Zeus in quanto è il dio che ha dotato il cosmo della natura e della vita che lo connotano. 400 Cfr. Politico 270a2-7. 401 Secondo i due Editori, che traducono «servitude de la matière» si tratta di un’espressione tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 99.1 des Places = p. 48 Kroll. Il senso comunque è chiaro: ai tempi di Crono la condizione di vita delle anime non risultava dipendere dal vincolo della materia. 402 Cfr. Politico 272b1-3. 403 Cfr. ibid. 269e9-270a2. Alla luce di questo passo Proclo dimostra che non è possibile che Zeus operi solo in rapporto ad una delle due rivoluzioni, cioè alla rivoluzione attuale: egli deve avere un ruolo anche nell’altra, cioè quella di Crono. 404 Cfr. ibid. 272e6. 405 Cfr. ibid. 270a3-5. 406 Nuovo riferimento alla pseudo-etimologia del nome Zeuv" come di on zh'n, cioè «colui in virtù del quale il vivere». Su ciò cfr. Cratilo 395e5 segg. 407 Cfr. Timeo 41a7. 408 Cfr. Politico 273b1-2. 409 Proclo ha affrontato tale questione diffusamente nel cap. 16. 410 Cfr. Timeo 41a7. 411 Cfr. supra in questo libro, cap. 16. 412 Su ciò cfr. Timeo 35c2-36a5, 36d8 segg., 37e1 segg. Alla luce di questi passi, Proclo sembra concludere che, mentre l’anima è intrinsecamente determinata nella sua natura da rapporti armonici, la dimensione corporea, invece, procede secondo il numero, in quanto essa è

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    COMMENTO

    connotata e determinata universalmente dal carattere della temporalità e, pur essendo partecipe del divenire e del mutamento, conserva la sua natura in quanto ogni realtà corporea partecipa di una determinata essenza che, in quanto tale, rimane immutabile. 413 Il passo precedentemente citato è tratto da Leggi VI 757b5-7. Un simile riferimento al «giudizio di Zeus» si trova anche nel Commento alla Repubblica I, p. 289.2 [ed. Kroll]. 414 Cfr. Timeo 31c2. 415 Cfr. ibid. 35a1-3. 416 Cfr. ibid. 35b4-36a1. 417 Tutto questo passo va inteso alla luce di quanto è affermato in Timeo 35b4-36b5. I «limiti dell’uguaglianza» sono i rapporti numerici che mantengono armonica e unitaria la struttura articolata dell’anima. 418 Si tratta dei quattro elementi (fuoco, terra, acqua e aria) di cui l’universo risulta interamente composto, come viene illustrato in Timeo 31b-32c. 419 Cfr. Timeo 31c4-32c4. 420 Cfr. supra, p. 98.1 segg. 421 Il legislatore nel dare ordine alla città imita il Demiurgo che dà ordine al Tutto: su questa analogia e su come viene sviluppata da Proclo nel Commento alla Repubblica si rinvia al saggio introduttivo nel volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica, op. cit., in particolare pp. XCVI-XCIX. 422 In questo contesto il verbo kosmei'n è impiegato in base ad entrambi i suoi significati «dare ordine» ed «ornare». 423 Il riferimento è probabilmente a tutta la poesia greca di argomento mitico: in particolare Omero, Esiodo e la tradizione orfica unitamente a quella, più tarda, oracolare caldaica. 424 Con questa espressione Proclo si riferisce a tutti gli esegeti di Platone che lo hanno preceduto. Fra questi in particolare Plotino, Porfirio, Giamblico e Teodoro di Asine. 425 Il riferimento, oltre che ad alcuni autori medioplatonici (come Plutarco) che identificano le Idee con i pensieri del Demiurgo stesso, è soprattutto a Plotino, il quale identifica il Demiurgo con la realtà intelligibile stessa, oltre che, come è noto, con l‘Anima del mondo. Secondo tali prospettive dunque il Demiurgo conterrebbe in se stesso il paradigma intelligibile dell’universo o si identificherebbe direttamente con esso. Che il riferimento qui sia a Plotino, appare confermato da quanto Proclo sottolinea nel Commento al Timeo I, p. 322.20-21 [ed. Diehl]. 426 Il riferimento è con ogni probabilità a Porfirio, in base a quanto si legge nel Commento al Timeo di Proclo, I, p. 322.22-24. 427 Cfr. Timeo 31b1.

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    AL LIBRO V, 428

    NOTE

    413-447

    1109

    Con ogni probabilità qui Proclo si riferisce a Longino, come si può evincere dal Commento al Timeo I, p. 322.24. 429 Cioè tutta la serie dei demiurghi, comprendente il Demiurgo dell’universo, vale a dire lo stesso Zeus, i tre demiurghi ipercosmici e infine gli dèi giovani che corrispondono, in base all’interpretazione procliana, agli dèi encosmici. 430 Il Vivente-in-sé è il principio autenticamente originario della vita in tutte le sue forme. Proclo ha discusso della natura del Viventein-sé in modo dettagliato nel libro III, cap. 15. 431 Ancora un’allusione alla pseudo-etimologia, tratta dal Cratilo, del teonimo «Zeus». 432 Cfr. Timeo 30c2-31b3; 39e7-8. 433 Cfr. ibid. 41a7. 434 Proclo ha affrontato tale questione nel libro III, al cap. 18. 435 Probabile riferimento ad Enneadi, III 7 (45), 3.36-38. 436 Crono è la sommità degli intellettivi e come tale ha una natura in base alla quale riproduce a livello intellettivo il carattere e la natura propri dei livelli intelligibili che gli sono anteriori (per il carattere specifico di Crono cfr. supra, capp. 5-6 e 9-10). Nel presente passo si fa allusione al mito di Crono secondo il quale egli avrebbe divorato i propri figli. Anche questo aspetto del mito è interpretato da Proclo in chiave teologico-metafisica. 437 Questo ordinamento intellettivo è quello rappresentato da Rea, per la cui natura generatrice di vita cfr. supra cap. 11. 438 Cioè della vita intelligibile. 439 Cfr. Timeo 37d3. 440 L’impiego di questo termine in contesto teologico-metafisico, come si è visto, viene dagli Oracoli Caldaici. 441 Cfr. Timeo 28c3. 442 Cfr. ibid. 31b1. 443 Sul carattere specifico di Zeus come «artefice-padre» e Demiurgo cfr. supra, in particolare cap. 16. 444 Cioè il Vivente compiutamente perfetto o Vivente-in-sé. 445 Il testo tràdito è dia; tw'n o{lwn che però non sembra accettabile. Si accoglie pertanto la correzione proposta dai due Editori e si legge: διὰ τῶν λόγων. Conservando il testo tràdito si dovrebbe, in effetti, intendere come segue: «…nella misura in cui gli era possibile celebrare attraverso l’universo nella sua totalità la sua superiorità uniforme, unificata e trascendente rispetto all’universo nella sua totalità». 446 Cfr. Timeo 28c3-5. 447 Il riferimento è, con ogni probabilità, alla tradizione orfica in generale che identifica il principio e il sovrano dell’ordine dell’universo con Zeus.

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    COMMENTO

    Riferimento alla etimologia del teonimo Zeuv" che Proclo ha discusso supra, al cap. 22, pp. 79.7-81.17. 449 Si tratta dei molteplici nomi e caratteri distintivi con cui il Vivente intelligibile o Vivente-in-sé è stato indicato nel libro III, cap. 27, p. 95.11 segg. 450 È questo uno dei principi generali costitutivi della metafisica neoplatonica, in base alla quale tutto il reale può essere raffigurato come una struttura piramidale: ciò che è più vicino al vertice è caratterizzato da una pluralità minore, e di conseguenza, nell’ottica neoplatonica, da una maggiore universalità rispetto a ciò che via via si allontana dal vertice e che, in conseguenza di ciò, risulta pluralizzato e particolare. 451 Secondo gli Editori il testo presenta qui una lacuna. Pur presentando qualche difficoltà, il senso comunque appare abbastanza chiaro anche senza ipotizzare una lacuna. In sostanza le entità più universali, in considerazione della loro originarietà, non si manifestano direttamente, ma solo nel loro rapporto con le entità più particolari ed inferiori per essenza. 452 Su questi dèi cfr. libro IV, cap. 18: si tratta degli dèi che fanno parte del livello intermedio degli intelligibili-intellettivi. 453 Cfr. Timeo 28c3-4. 454 Cfr. ibid. 29a6. 455 Cfr. Parmenide 142a2-6. 456 Cfr. Timeo 28c3-5. 457 Cfr. ibid. 29e1. 458 Sulla natura dell’Uno-Bene come principio assolutamente ineffabile si veda quanto Proclo afferma nel libro II, cap. 11 e nel libro III, cap. 7, p. 30.7 segg. Sulla ineffabilità dell’Uno rinvio inoltre al mio articolo Il linguaggio dell’ineffabile nella concezione procliana dell’Uno-in-sé, in «Elenchos», XXII (2001), pp. 305-327. 459 Cfr. Fedro 250b8-c1. 460 Cfr. Timeo 31b1. 461 Il Vivente completo o Vivente-in-sé si identifica, come si è visto nel libro III, cap. 15, con la terza triade degli dèi intelligibili. 462 Cfr. Timeo 30d2. 463 Cfr. ibid. 29a6. 464 Cfr. Filebo 64c1. Tale espressione è stata citata da Proclo anche in precedenza: ad esempio cfr. libro III, cap. 11, p. 44.9. 465 Accolgo l’integrazione proposta dai due Editori, che pare necessaria ai fini del senso. 466 In modo piuttosto macchinoso Proclo sostiene che gli aggettivi superlativi «il migliore» ed «il più bello» si possono impiegare per indicare una relazione interna ad un determinato ordinamento. Una 448

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    AL LIBRO V,

    NOTE

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    1111

    entità può essere «la migliore» nel suo ordinamento, ma non per questo il suo essere «la migliore» significa essere «in assoluto la migliore». Così, benché i due aggettivi siano posti, in senso assiologico, a livelli differenti (il Bene infatti, secondo la concezione neoplatonica procliana, è assiologicamente superiore al Bello), li si può impiegare anche in senso relativo, ovvero in riferimento ad un determinato ordinamento. 467 Cfr. Timeo 30b1. 468 Cfr. ibid. 29e1-30a2. 469 Cfr. ibid. 39e6-40a2. 470 Gli Editori accolgono la correzione proposta da Taylor e leggono ejxhrthmevnoi" al posto del tràdito ejxhrhmevnoi" (per ejxh/remevnoi" = “trascendenti”). Tale correzione pare necessaria ai fini del senso. 471 Cfr. Repubblica VI, 508b12-13. 472 Cfr. Timeo 29e1-30a2. 473 Cfr. ibid. 41d4. 474 Probabilmente Proclo si riferisce alle diverse interpretazioni del «cratere» che sono state proposte in ambito neoplatonico. Ma forse si tratta anche di un riferimento a testi che, come gli Oracoli Caldaici, sviluppano in termini poetici tematiche teologico-metafisiche, anche con riferimenti alla filosofia platonica. 475 I generi dell’essere (discussi da Platone nel Sofista: in particolare 254b-257a) sono l’essere stesso, la quiete, il moto, l’identità e la differenza. 476 Su ciò cfr. supra, libro III, capp. 16-17. 477 Cfr. Timeo 37d6. 478 Per questo riferimento a Plotino cfr. Enneadi III, 7 (45), 3.37. Sul problema dell’eternità in Plotino è fondamentale il lavoro di W. BEIERWALTES, Eternità e tempo. Plotino, Enneade III 7, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1995. Si veda inoltre F. FERRARI - M. VEGETTI (a cura di), Plotino. L’eternità e il tempo, EGEA, Milano 1991. 479 Teodoro è terzo dopo Plotino, in quanto discepolo, a sua volta, di Giamblico. Per questo riferimento a Teodoro di Asine si veda nella raccolta di testimonianze e frammenti curata da Deuse la test. 24. 480 Su ciò si veda quanto Proclo ha affermato supra, libro III, cap. 19, pp. 64.17-65.13. 481 Cioè conforme al livello della «vita», come grado metafisico. 482 Su ciò cfr. supra, libro IV, cap. 13. 483 Cfr. Fedro 247c6-d1. 484 Su ciò cfr. supra, libro IV, cap. 21. 485 Si tratta degli ordinamenti intellettivi. 486 Cioè Crono. 487 Si tratta infatti di Rea. 488 Si tratta del livello intellettivo costituito da Zeus.

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    1112 489

    COMMENTO

    Il riferimento, cui anche in precedenza Proclo ha fatto più volte ricorso, è agli Oracoli Caldaici, fr. 1.4 des Places = p. 11 Kroll. 490 Cioè di tutte quelle realtà che non partecipano ancora della dimensione cui appartengono le entità particolari: in effetti gli dèi intellettivi rappresentano l’ultimo livello delle realtà universali e completamente trascendenti; dopo di essi vengono gli ordinamenti di dèi connessi in qualche modo al cosmo: ipercosmici, ipercosmici-encosmici (a questi ordinamenti è dedicato il libro VI) ed encosmici. 491 Cfr. Timeo 35a1-4. 492 Questa espressione, tratta dagli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 65 des Places = p. 35 Kroll), sembra indicare, come segnalano i due Editori (cfr. p. 202, nota n. 4 alla traduzione), gli esseri materiali. 493 Il soggetto non è espresso. 494 Cfr. Timeo 30b1-6. 495 Cfr. ibid. 34b10-36d7. In questo passo, occorre precisare, non viene fatta ancora menzione del “cratere”, che viene esplicitamente nominato più avanti al punto 41d4. 496 Cfr. ibid. 55c6. 497 Cfr. ibid. 47e5-48a2. 498 Il riferimento è probabilmente alla parte andata perduto del Commento al Timeo, con riferimento al passo 47e5-48e2 del Timeo. 499 Secondo gli Editori, Proclo intende qui riferirsi a Numenio (fr. 52.121-129 des Places) e ad Attico (fr. 4.101-104 des Places). Tuttavia è pure possibile che qui Proclo intenda riferirsi in generale agli autori medioplatonici che, per lo più, consideravano, nella loro interpretazione del Timeo, la componente materiale del cosmo come dominata dal vincolo della necessità. 500 Con ogni probabilità qui Proclo intende riferirsi al livello assolutamente originario della natura. 501 Cfr. Timeo 48a1. 502 Cfr. ibid. 41d7. 503 Sul carattere «fontale» del cratere Proclo ritornerà più avanti nel capitolo seguente a p. 120.22-25. Proclo riprende il termine «fontale» dagli Oracoli Caldaici. In essi (cfr. fr. 42.3 des Places = p. 25 Kroll) si fa riferimento a «crateri fontali» (phgaivou" krath'ra"): questa espressione viene esplicitamente citata da Proclo nel passo sopra indicato del cap. 32, p. 120.23-24. 504 Cfr. Filebo 30d1-2. 505 Cfr. Fedro 245c8-9. Occorre segnalare che Proclo con to; aujtokivnhton («ciò che si muove da sé») si riferisce a Fedro 245e3, ove è usata l’espressione τὸ ὐφ᾽ ἑαυτοῦ κινούμενον («ciò che è mosso da se stesso»), mentre al punto 245c5 compare l’espressione τὸ ἀεικivnητον (“cio che sempre si muove”).

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    AL LIBRO V, 506

    NOTE

    489-525

    1113

    Il riferimento è probabilmente agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 49.3 des Places = p. 27 Kroll. 507 Cfr. Fedro 245d1-2. 508 Su ciò si veda Timeo 34b10-c6. 509 Espressione tratta da Repubblica V, 475e4. 510 Il riferimento è, come osservano Saffrey-Westerink, agli Oracoli Caldaici: combinando fra loro i fr. 51, 52 e 54 des Places (= p. 2829 Kroll) si ottiene un’immagine di Ecate, simile a quella che subito dopo Proclo sembra riferire alla dea intellettiva Rea. Occorre in effetti segnalare che la dottrina teologica degli Oracoli Caldaici sembra in qualche modo attribuire funzioni e caratteri simili a Rea e ad Ecate. Probabilmente Rea, negli Oracoli Caldaici, è identificata con la divinità originariamente “fontale” della vita, mentre Ecate è sostanzialmente identificata con l’Anima del mondo. Per quanto riguarda Rea cfr. Oracoli Caldaici fr. 56 des Places = p. 30 Kroll. 511 Cfr. supra in questo libro, cap. 31, p. 115.4-15. 512 Secondo gli Editori il testo presenta qui una lacuna. A mio giudizio non è necessario supporre una lacuna. Ritengo invece che sia corrotto il verbo pοιοῦσιν. Si potrebbe correggere, ad esempio, con ἀpοδίδωσιν (“assegna”) o ἐνδίδωσιν (“concede”) o anche pαραδίδωσιν (“trasmette”), forme che potrebbero in qualche modo spiegare la corruttela. 513 I due Editori correggono il tràdito kaq jauJth;n con kat jaujth;n. Tale correzione appare, in base al senso complessivo del passo, necessaria. 514 Cfr. Timeo 34b3-8. 515 Cfr. ibid. 41e2-3. 516 Proclo si riferisce qui agli Oracoli Caldaici che, come si è già osservato, proprio in quanto «oracoli», sono considerati provenire dagli dèi stessi. 517 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 102 des Places = p. 49 n. 2 Kroll. 518 Su questa rotazione «più naturale», che è quella governata da Zeus, si veda quanto Proclo ha affermato in precedenza in questo libro al cap. 25, p. 95.17-21. 519 Cfr. Politico 272e5-6. 520 Cfr. ibid. 272b2. 521 Proclo ricapitola qui quanto da lui precedentemente anticipato alle pp. 117.23-118.1. 522 Cfr. Leggi VII, 808d6. 523 Cfr. ibid. I, 636d6-8. 524 Cfr. supra in questo libro, cap. 31, p. 115.10-26. In questo passo si afferma che “fonte” delle anime è il cratere. 525 Cfr. Cratilo 402c6-7.

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    1114 526

    COMMENTO

    Cfr. ibid. 402b2-4. Su ciò si veda anche quanto afferma Proclo supra in questo libro, cap. 11, p. 37.7-23. 527 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 42.3 des Places = p. 25 Kroll. 528 Proclo potrebbe aver trattato ulteriormente questi argomenti in qualche sezione che intendeva aggiungere al Commento al Timeo o forse in qualche opera specificamente dedicata agli Oracoli Caldaici. 529 Cioè rispettivamente Crono, Rea e Zeus. 530 Termine tratto, nella presente accezione, dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 1.1 des Places = p. 11 Kroll. Il «fiore» indica, nel linguaggio degli Oracoli mutuato da Proclo, il punto più puro, autentico ed unitario di una determinata realtà. 531 Probabile riferimento a Plotino: cfr. Enneadi IV 4 (28), 2.15-16. 532 Cfr. Simposio 211d8-e4. 533 Cfr. Leggi VI, 757b6. 534 Così si deve intendere accogliendo la correzione apportata da Saffrey-Westerink (oujranovn invece del tràdito ajriqmovn) sulla base di Timeo 32b7-8, passo al quale Proclo qui si riferisce. 535 Cfr. Leggi VI, 760a6. 536 Cfr. ibid. XI, 920a6. 537 Riferimento alla prima triade intellettiva costituita da CronoRea-Zeus. 538 Proclo ha già affrontato in questo libro, a proposito di Zeus, l’analisi del mito del Protagora: cfr. cap. 24, p. 88.16 segg. 539 Qui Proclo si riferisce a Protagora 321d4-7. 540 Cfr. Timeo 42e5-6. 541 Cfr. Protagora 321d7. 542 Cfr. Oracoli Caldaici, p. 42 Kroll e fr. 82.1 des Places. 543 Nuova allusione alla pseudo-etimologia di Krovno" come kovro" nou'" esposta nel Cratilo (396b6-7). Proclo ha già trattato tale questione in precedenza in questo libro, al cap. 3, p. 17.4-7. 544 Cfr. Cratilo 390e1-2. 545 Si tratta probabilmente di un riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. p. 16 Kroll. 546 Crono dunque riunisce in se stesso il carattere di divinità intellettiva e quello di divinità incontaminata. La purezza della sua natura intellettiva lo rende re degli dèi intellettivi. E in considerazione del fatto che l’ordinamento delle divinità incontaminate forma l’ordinamento «custode», Crono, come suprema divinità pura ed incontaminata, è custode di tutti gli ordinamenti intellettivi. 547 Si tratta dei due padri intellettivi Crono e Zeus, che è terzo in quanto preceduto da Rea. 548 Cfr. Cratilo 404a6.

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    AL LIBRO V, 549

    NOTE

    526-564

    1115

    Come è stato spiegato da Proclo nel libro IV, la triade degli dèi connettivi fa parte dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. Su ciò cfr. libro IV, in particolare cap. 19 e cap. 20. 550 Il testo presenta qui una lacuna. Nella traduzione si accoglie, sostanzialmente, l’ipotesi di integrazione proposta da SaffreyWesterink e si legge pertanto: hJ de; sunupavrcousa aujtoi'" ãtoi'" noeroi'" patravsi [S.-W.: basileu'si] kai; ajnevcousaà ajpo; k.t.l. 551 Vale a dire Rea. 552 Il termine, come più volte si è segnalato, deriva dagli Oracoli Caldaici: cfr. ad esempio fr. 2.4 = p. 51 Kroll. 553 La demiurgia universale indica l’operare di Zeus, che è appunto il Demiurgo dell’universo. 554 Proclo si riferisce qui agli orfici. 555 Si tratta probabilmente dei riti e delle pratiche di carattere teurgico. 556 Il testo è qui lacunoso: a mio avviso è possibile integrare come segue: […] ijdiovthto", ãth'" fulakh'"à th'" qea'" k.t.l. 557 Riferimento forse a poeti che, come Esiodo, sono stati autori di opere di argomento teogonico. In effetti si è conservato un frammento di Esiodo nel quale si accenna ai “Cureti”: cfr. fr. 123.3 ed. Merkelbach-West. 558 Cfr. Leggi VII, 796b4-5. Si veda inoltre quanto Proclo afferma nel presente libro, al cap. 3, p. 16.26-28. 559 Si tratta degli orfici: cfr. fr. 185 e 186 Kern. 560 Si accoglie l’emendamento proposto dai due Editori: peristevfousa invece del tràdito peristrevfousa. 561 L’uso dell’aggettivo ἀκμαῖος in questo contesto teologico è riconducibile, come si è già osservato, al linguaggio degli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 130.2 des Places = p. 54 Kroll. 562 Questo passo si può comprendere, come affermano gli Editori, solo sulla base della tradizione orfica e di quanto Proclo afferma nel Commento alla Repubblica, I p. 138.11-15: i rami d’ulivo, simboli di Atena, incoronano i livelli più alti dell’ordinamento dei Cureti; invece i livelli più bassi sono contraddistinti dall’armatura di Atena, per tradizione considerata splendente. 563 Cfr. Leggi VII, 796b6-c2. Occorre segnalare che nella citazione del passo delle Leggi riportato da Proclo v’è la lezione paideiva/ al posto di paidia'/, attestata dalla tradizione diretta del testo platonico. Come segnalano gli Editori la lezione che si trova nel testo procliano compare anche in Eusebio di Cesarea: cfr Praeparatio Evangelica XIII, 19, 3, t. II, p. 246.2-5. 564 Cfr. Cratilo 396b6-7. Proclo qui stabilisce una relazione «etimologica» tra le parole Kouvrhte" («Cureti») e kovrh («fanciulla»,

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    1116

    COMMENTO

    «vergine», da cui la nozione di «purezza») e korov" («puro»), riprendendo quest’ultimo termine dalla pseudo-etimologia del teonimo Krovno" esposta nel Cratilo. 565 Si accoglie la correzione proposta dagli Editori e si legge pertanto kaq j hn invece del tràdito kaq j en. 566 Gli Editori individuano qui una lacuna che però non pare sussistere: se si considera ejnovplion skeuhvn come complemento predicativo di th;n ajnantagwvniston rJwvmhn, il testo non richiede alcuna integrazione. 567 Come osservano gli Editori, in base a quanto qui afferma Proclo, egli considera gli Oracoli Caldaici posteriori a Platone. 568 Questo verso degli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 72 des Places = p. 36 Kroll) è corrotto: Kai; ga;r dh; pavnteuco" ejnovplio" Êei\ka qehvÊ. Non è ancora stata trovata una correzione soddisfacente. Nella traduzione si sono scelte, fra le diverse correzioni proposte, quella di Lewy (h|ka invece di ei\ka) e di Ludwich (qeeivh invece di qehv). 569 Probabile riferimento a Epinomide 982e4-5. 570 Probabile riferimento a Plotino, Enneade II 2 (14), 1.1. 571 Crono, in quanto primo dio dell’ordinamento intellettivo, è re della totalità intellettiva, la quale, come è stato mostrato a più riprese, ha una struttura ebdomadica. Su ciò cfr. nel presente libro in particolare il cap. 2. Sul carattere della purezza di Crono si veda in particolare quanto Proclo ha precedentemente affermato in questo libro al cap. 5, p. 24.3-21. 572 Nuovo riferimento alla pesudo-etimologia del teonimo Krovno" esposta in Cratilo 396b6-7. 573 Cfr. Leggi VII, 796b6. 574 Cioè tramite l’appellativo «Kourhtikhv», che, derivando dal nome Kouvrhte", è messo da Proclo in correlazione con i termini kovrh e korov", alludenti entrambi alla nozione di «purezza». Su ciò cfr. supra la nota di commento n. 564. 575 Riferimento, proposto da Proclo più volte in questo libro, anche in relazione agli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 1.4 des Places), al significato simbolico-metafisico del mito della mutilazione di Urano e di Crono secondo la tradizione orfica. 576 Il riferimento è in generale alla tradizione poetica di argomento mitico che ha in Omero, Esiodo ed Orfeo i suoi fondamentali punti di riferimento. 577 Su ciò si veda Eutifrone 4e4-6c3. 578 Cfr. Cratilo 404a6. Su ciò si veda quanto Proclo ha affermato in questo libro al cap. 3, p. 15.21-25 e al cap. 5, pp. 21.11-22.2. 579 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 1.4 des Places = p. 11 Kroll. 580 Cfr. Gorgia 523a3-5.

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    AL LIBRO V, 581

    NOTE

    565-600

    1117

    Su ciò si veda quanto Proclo ha affermato in precedenza in questo libro al cap. 9, pp. 30.8-31.26. 582 Cfr. Timeo 36a1-2. 583 Cfr. ibid. 36b5-6. 584 Il riferimento è probabilmente ai teurghi. 585 Citazione (come al cap. 13, p. 43.27) tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 1.4 des Places = p. 11 Kroll. Si noti come per Proclo sia sufficiente trovare in Platone un riferimento a «sezionamenti», per attribuirgli direttamente la concezione espressa negli Oracoli. 586 Cioè la vita che fa parte della dimensione intelligibile. 587 Ecco come Proclo delinea la struttura ebdomadica della realtà intellettiva: due triadi che sono, rispettivamente, la triade paterna (Crono, Rea, Zeus) e la triade dei Cureti, e una monade che è origine di separazione e distinzione. 588 Cfr. Parmenide 145a4-b5. 589 Nel libro IV, cap. 37 Proclo ha mostrato che la «figura» designa la terza triade degli dèi intelligibili-intellettivi e che essa è perfezionatrice. 590 Cfr. ibid. 145e5. 591 Si tratta della prima triade degli intelligibili-intellettivi sulla quale si veda quanto Proclo ha affermato nel libro IV, al cap. 11, p. 35.17-20. 592 Vale a dire la prima triade degli intelligibili per la quale cfr. libro III, cap. 27, p. 93.4-6. 593 Riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 5.2 des Places = p 13 Kroll. 594 Cfr. Parmenide 145e5. 595 Cfr. ibid. 145e3-5. 596 Il riferimento è a Siriano, maestro e guida di Proclo. 597 Sul ruolo della “potenza” nella prima triade intelligibile si veda quanto viene affermato nel libro III, cap. 24, pp. 84.9-86.6. 598 Come Proclo illustra nel libro IV, cap. 27, p. 79.20 segg. e cap. 31, p. 92.6 segg., nella prima triade degli intelligibili-intellettivi si manifesta a tutti gli effetti l’alterità, che nei livelli superiori è presente in modo celato. All’alterità viene ricondotto anche il «carattere femminino» degli dèi: su ciò si veda libro IV, in particolare cap. 10, pp. 33.17-34.23. 599 Sul “numero unitario” si veda quanto Proclo afferma in particolare nel libro IV, cap. 34, p. 99.3 segg. Si tratta del numero nella sua forma originaria che fa la sua comparsa nella terza monade dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. Tale numero viene anche definito “divino”: su ciò cfr. libro IV, cap. 28 e cap. 29. 600 Citazione dal Timeo: cfr. 30a6-7.

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    1118 601

    COMMENTO

    Come si è più volte segnalato, qui l’imperfetto sta ad indicare un concetto già appurato in precedenza: in questo caso, cfr. supra, p. 136.3-7. 602 Il riferimento è probabilmente a quanto è stato affermato nel cap. 10 del presente libro, p. 35.3 segg., ove, in riferimento alla “etimologia” del teonimo “Crono” che allude al suo carattere di “intelletto puro”, si afferma che questo dio mantiene in relazione a se stesso la sommità dell’ordinamento incontaminato, che costituisce a sua volta la seconda triade intellettiva. La stessa concezione è esposta anche nel cap. 35, p. 131.1 segg. 603 Gli Editori, che integrano con ãaijtivanÃ, segnalano che si potrebbe anche integrare con ãmonavdaÃ. 604 Termine ripreso da Politico 272e5. 605 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 5.2 des Places = p. 13 Kroll. 606 Allusione al mito secondo il quale Crono ha divorato i suoi figli (a eccezione di Zeus). Su ciò cfr. Esiodo, Teogonia, vv. 459-462. 607 Come è stato dimostrato da Proclo nel libro III, cap. 6, la Vitain-sé, sulla base della struttura triadica Essere-Vita-Intelletto, occupa un livello intermedio fra l’intelligibile e l’Intelletto. 608 Cfr. libro III, cap. 24, pp. 83.22-84.23. 609 Probabile riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 1 des Places = p. 11 Kroll. 610 Così si deve intendere se si accoglie la correzione proposta dai due Editori: ἀpοκαλοῦντες invece del tràdito ἀναλύοντες. Se si conserva il testo tràdito, la traduzione sarebbe: «analizzandoli in base a questa analogia». 611 Qui «l’Uno» è inteso come primo livello della struttura triadica Uno-Potenza-Intelletto. 612 Si accoglie l’integrazione proposta dai due Editori. Tale integrazione appare indispensabile. 613 Cioè l’essere e la vita, secondo la triade Essere-Vita-Intelletto, alla quale si riferisce Proclo in questo passo. 614 Cfr. Fedro 245c5-246a2 e Leggi X, 895e10-896b8. 615 Cfr. Leggi X, 897e5-898b8. 616 Cfr. Parmenide 145e7. 617 Su ciò cfr. Fedro 245d7 segg. Proclo ha affrontato l’interpretazione del «cielo» nel mito del Fedro, nel libro IV, cap. 5. 618 Sull’eternità nella seconda triade degli intelligibili si veda quanto Proclo ha affermato nel libro III, cap. 27, pp. 93.26-95.10. 619 Per questo riferimento cfr. Plotino, Enneadi, III 7 (45), 3.37. 620 Proclo si riferisce qui agli intelligibili-intellettivi. 621 Cfr. Parmenide 142d4-9 e 144d2-3. 622 Su ciò si veda quanto affermato nel libro IV, al cap. 27, p. 79.8-15.

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    AL LIBRO V, 623

    NOTE

    601-646

    1119

    Cfr. Fedro 247c1. Cfr. Parmenide 145e8. 625 La «quiete» e il «movimento» ai quali accenna qui Proclo non vanno intesi come generi dell’essere, ma in riferimento alla nozione metafisica stessa di “vita”. Essi dunque devono venire considerati in relazione a quest’ultima come «beni sovraessenziali» in virtù dei quali anche il cosmo stesso risulta un essere vivente unitario. 626 Si accoglie la correzione proposta da Saffrey-Westerink: to; me;n o]n e[qhken, invece del tràdito to; me;n ajnevqhken. 627 Cfr. Parmenide 145e7-8. 628 Il riferimento è a Rea. 629 Il testo presenta qui una lacuna: si potrebbe integrare, in base al senso, ãhJ de; frourhtikh; duvnami"à eJdravzousa k.t.l. Nella traduzione si è seguita tale ipotesi. 630 Cioè dalla dea Rea, che è la fonte originaria della vita. 631 Il termine, come si è osservato più volte, è ripreso in questa particolare accezione dagli Oracoli Caldaici: cfr. ad esempio fr. 65.2 des Places = p. 35 Kroll. 632 Cfr. Parmenide 145e7 segg. 633 Per questa espressione cfr. libro IV, cap. 37, p. 108.6 e la relativa nota di commento al passo. 634 La fonte di questa testimonianza sui Pitagorici potrebbe essere Aristotele nell’opera perduta Sulla filosofia di Archita: cfr. fr. 207 Rose. 635 Cfr. Parmenide 145b6-146a8. 636 Cfr. in questo libro cap. 22. 637 Ennesima allusione alla pseudo-etimologia del teonimo Zeuv" inteso come di on zh'n. Su ciò si veda quanto Proclo afferma in questo libro, cap. 22, pp. 78.27-79.17. 638 Cfr. Parmenide 146a9. 639 Cfr. ibid. 146b1. 640 Cfr. ibid. 146d4-5. 641 Su ciò si veda quanto Proclo ha affermato in questo libro, al cap. 5, p. 21.3-4. 642 Cfr. Cratilo 396b6-7. 643 Citazione dagli Oracoli Caldaici. La versione riportata, secondo il testo tràdito, da Proclo si discosta in parte da quella del fr. 5.2 des Places = p. 13 Kroll. 644 Si ricordi che i versi degli Oracoli Caldaici, proprio in quanto ritenuti oracolari, sono considerati come provenienti dagli dèi stessi. 645 Cfr. Timeo 42e5-6. 646 Il testo ha qui probabilmente una lacuna che a senso si può integrare con ãparavgeinà (= introdurre/produrre) o ãkosmei'nà (= ordinare). 624

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    1120 647

    COMMENTO

    Come si è visto, alle tre monadi intellettive, Crono, Rea e Zeus, sono coordinate tre monadi guardiane o custodi. Pertanto quella che viene qui presa in considerazione da Proclo è la settima monade nell’intero ordinamento intellettivo. Con ciò viene definitivamente dimostrata la struttura ebdomadica della realtà intellettiva. 648 Probabilmente qui Proclo si riferisce a Parmenide 143b6 segg., ove il “diverso” viene distinto esplicitamente sia dall’uno sia dall’essere. 649 Cfr. in questo libro, cap. 36, p. 133.23-24. 650 Cfr. Parmenide 145b6-e6. 651 Cfr. in questo libro, cap. 37, p. 136.8-19. 652 Cfr. Parmenide 138a2-b7. 653 Nel primo padre, Crono, la diade, primo segno originario di molteplicità, è celata; invece nel terzo padre, Zeus, è manifesta, in quanto è proprio nel Demiurgo che si manifesta tutta la molteplicità intellettiva. 654 Sulla alterità come prodotto generato dalla diade si veda quanto Proclo ha affermato nel libro IV, cap. 27, pp. 79.20-80.6. 655 L’intelligibile dell’intelletto demiurgico è Crono. Sui due livelli di Crono, ossia quello in base al quale il dio è connesso alla dimensione intelligibile e quello in base al quale egli è il livello intelligibile dell’ordinamento intellettivo, cfr. supra nel presente libro, cap. 37, pp. 137.13-139.4. 656 Sull’«in altro» e sull’«in sé», cfr. Parmenide 145b6-e6. 657 Sul «movimento» e sulla «quiete», cfr. ibid. 145e7-146a8. 658 Sull’«identico» e sul «diverso», cfr. ibid. 146a9-147b8. 659 Sull’uno «identico a sé» e «diverso dagli altri», cfr. ibid. 146a9d4. 660 Sull’uno «diverso dagli altri» ed «identico agli altri», cfr. ibid. 146d4-146b8. 661 Come notano assai opportunamente i due Editori, questo quinto libro si conclude in modo solenne con una insistita allitterazione della consonante p: […] di hn kai; pantacou' o[nte" oujdamou' eijsi kai; pa'si parovnte" pavntwn ejxhv/rhntai kai; ta; pavnta o[nte" oujdevn eijsi tw'n ajpogennwmevnwn.

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    AL LIBRO VI,

    NOTE

    1-16

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    COMMENTO AL LIBRO VI 1 L’espressione oJ eJbdomadiko;" aijwvn per indicare l’ordinamento intellettivo è impiegata da Proclo anche nel libro V, al cap. 37, p. 134.5-6. 2 Cfr. Timeo 41a7. 3 Cfr. ibid. 29b4-5. 4 Qui con il termine aiJ phgaiv Proclo indica gli “dèi fontali”, appartenenti all’ordinamento intellettivo, e con l’espressione aiJ tw'n arcw'n pa'sai diakosmhvsei" vengono indicati gli “dèi-princípi” o “dèi principiali”, appartenenti all’ordinamento ipercosmico. Proclo riprende tale terminologia dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 49 des Places = p. 27 Kroll. 5 Cfr. supra, libro V, cap. 31, pp. 115.16-116.20. 6 Cfr. Fedro 245c9. 7 Cioè, come si è già chiarito, dagli dèi fontali. 8 L’ordinamento degli dèi encosmici è posto al di sotto di quello degli dèi ipercosmici (“dèi princípi”) e degli dèi ipercomsici-encosmici (“dèi non vincolati”). A questi due ordinamenti divini è dedicato questo VI libro. 9 Cfr. Timeo 29a4-b1; 36e5-37a2; 40d3-5. 10 Cfr. Fedro 245d1. 11 Non vincolata cioè al cosmo sensibile. 12 Il soggetto, come spesso in Proclo, non è espresso. 13 Cfr. Fedro 245d1-2. 14 Qui il termine ejxousiva indica al contempo “potere” e “autorità”. 15 In modo non del tutto perspicuo, Proclo intende qui affermare che i discorsi sugli dèi ipercosmici rispecchieranno la realtà dei fatti, solo a condizione che le concezioni concernenti gli dèi ipercosmici risultino coerenti con l’insieme delle dottrine platoniche esposte in precedenza. 16 Nel passo che segue Proclo sintetizza, secondo la stessa scala gerarchica seguita nei libri precedenti, i caratteri fondamentali degli ordinamenti divini fin qui trattati: gli dèi intelligibili (libro III), quelli intelligibili-intellettivi (libro IV) e quelli intellettivi (libro V). Questa sintesi è finalizzata a presentare gli ordinamenti divini che sono oggetto del libro VI, cioè, come si è detto, l’ordinamento degli dèi ipercosmici e quello degli dèi ipercosmici-encosmici.

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    COMMENTO

    Cioè la struttura triadica in base alla quale procedono anche gli dèi intelligibili. 18 La “triade compiutamente perfetta” è la terza triade degli intelligibili; sulla natura di questa triade cfr. in particolare nel libro III, cap. 27, p. 95.11 segg. 19 In effetti gli dèi intellettivi, come Proclo ha ampiamente mostrato nel libro V e come chiarisce qui subito dopo, sono caratterizzati da una struttura ebdomadica, non più solo triadica, come invece nel caso degli dèi intelligibili e degli dèi intelligibili-intellettivi. 20 Cioè la demiurgia propria del Demiurgo stesso. 21 Cfr. Parmenide 143a2. Proclo tratta della “molteplicità illimitata”, cioè la terza triade degli intelligibili, nel libro III, al cap. 26 e al cap. 27, in particolare p. 95.11 segg. 22 Sull’intelletto impartecipabile si veda quanto Proclo afferma nel libro III, cap. 6, p. 27.17 segg. Si tratta dell’intelletto che si manifesta originariamente nell’ordinamento intelligibile sulla base della struttura triadica Essere-Vita-Intelletto e che determina originariamente la natura della realtà intellettiva nel suo insieme. 23 Cfr. supra, libro IV, cap. 1, p. 8.10 segg. La vita impartecipabile, che è assiologicamente superiore all’intelletto impartecipabile, connota specificamente la natura dell’ordinamento intelligibile-intellettivo. 24 Come Proclo afferma nella proposizione 116 degli Elementi di Teologia, ogni dio è partecipabile tranne l’Uno, che è il Primo Dio assolutamente trascendente. Occorre inoltre precisare che sulla base della struttura triadica Essere-Vita-Intelletto l’ordinamento intelligibile è connotato specificamente dall’essere, che è superiore sia all’intelletto sia alla vita. 25 Espressione tratta da Repubblica VI, 509b9. 26 Il compito degli dèi ipercosmici è in sostanza quello di collegare e fare da intermediari tra Zeus, il Demiurgo del Tutto, e il cosmo alla cui unità di insieme ed armonia essi sono preposti. Essi inoltre danno ordine, delimitandola, alla molteplicità degli dèi encosmici. 27 I primissimi beni sono appunto quelli dell’unità complessiva e della connessione con i livelli superiori. 28 Ennesima ripresa del termine impiegato negli Oracoli Caldaici: cfr. in particolare fr. 65 e fr. 66 des Places = p. 35 e 55 Kroll. Sui “canali particolari degli dèi” cfr. libro V, cap. 1, pp. 8.23-9.8 e, con particolare riferimento alla dea Rea, cap. 11, p. 37.11-12. 29 Proclo enuncia qui il principio generale secondo cui tutti i livelli di realtà, pur nella loro pluralità e frammentazione, devono formare un unico insieme continuo, unitario e, si potrebbe aggiungere, assolutamente armonico.

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    AL LIBRO VI, 30

    NOTE

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    La struttura unitaria della realtà è determinata in ultima analisi dal Principio stesso di ogni forma di unità, l’Uno che, trascendendo la totalità del reale, garantisce a quest’ultimo, in ogni suo livello, unità e coesione. 31 Il concetto espresso qui da Proclo è piuttosto complesso: se non esistesse la continuità fra i livelli simili e contigui del reale, non vi sarebbe più una successione armonica e graduale fra i diversi ordinamenti ed al contempo i livelli che sono più vicini al loro principio, e che dunque sono assiologicamente superiori, non avrebbero più quel carattere di maggiore originarietà che li contraddistingue rispetto ai livelli di realtà più lontani dal loro principio. 32 Il testo appare lacunoso. A mio giudizio esso andrebbe integrato e corretto come segue: […] kata; th;n noera;n uJperoch;n ãhnà ejn toi'" dih/rhmevnoi" gevnesi tw'n qew'n eijlhvcasi [invece del tràdito lacou'san]. Nella traduzione si è seguita questa ipotesi. 33 Su ciò cfr. Parmenide 147c1-148d4. 34 Proclo prenderà in esame il rapporto fra Demiurgo e dèi sovrani più avanti, nel cap. 14. 35 Cfr. supra nel presente libro, cap. 2, p. 12.1. 36 La processione degli dèi ipercosmici ha dunque come suo carattere specifico quello di rendere le entità di livello inferiore un insieme armonico ed unitario. Come Proclo chiarirà subito dopo, è il carattere assimilatore degli dèi ipercosmici che fa sì che le entità che fanno parte del cosmo risultino collegate non solo fra loro, ma anche alle entità superiori dalle quali dipendono e derivano. 37 I “principi causali immobili” sono, in questo contesto, quelle entità che permangono trascendenti e completamente separate dagli esseri da loro prodotti: si tratta dunque di tutte quelle realtà divine che trascendono la mutevolezza del cosmo sensibile. 38 L’aggettivo ajgaqoeidhv" è ripreso da Repubblica VI, 509a3. 39 Cfr. Timeo 29e1-3. 40 Cfr. ibid. 37d5 segg. 41 Cfr. ibid. 39e1. 42 Cfr. ibid. 74c6. 43 Cfr. ibid. 30b4 segg. ove viene descritto il modo in cui il Demiurgo collega tra loro armonicamente il cosmo sensibile a la sua Anima. 44 Cfr. ibid. 32c3-4; 43a2. I legami costituiti dal Demiurgo sono indissolubili. 45 Cfr. ibid. 35a1-4. Si tratta dei generi che vanno a costituire il cosmo sensibile nelle sue diverse articolazioni, psichiche e corporee. 46 Cfr. ibid. 33b1-c4. Si tenga inoltre presente che il Demiurgo nel Timeo si serve di figure geometriche per far sussistere i quattro elementi fondamentali che sono alla base dell’insieme della realtà fisica.

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    COMMENTO

    Sull’“identità” come carattere specifico del Demiurgo in rapporto a quanto viene affermato in Parmenide 146a9-147b8, si veda ciò che Proclo scrive alla fine del libro V, al cap. 39, p. 144.12-16 e p. 148.3-4. 48 Cfr. Timeo 37c6-7. 49 Cioè tutti gli elementi del cosmo che formano insiemi specifici ed autonomamente completi, come ad esempio i quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra), l’intero complesso degli astri e, in ultima analisi, la stessa Anima del mondo. 50 Le anime universali hanno la loro sede nel mondo celeste: dunque la loro danza è, in fondo, la danza dei corpi celesti che nel loro movimento armonico ed ordinato suggeriscono l’immagine della danza intorno a ciò che è fonte originaria e prima di ogni ordine ed armonia: la realtà intelligibile. 51 Riferimento ai generi superiori rispetto agli esseri umani, vale a dire, secondo la concezione neoplatonica procliana, angeli, demoni, eroi e le anime di livello più elevato. 52 Cfr. Timeo 39e1. 53 Cfr. ibid. 31b1. 54 Proclo ha messo in luce, sulla scorta di Parmenide 145e7-146a8, che l’uno è “mosso e in quiete” negli dèi della seconda triade degli intellettivi nel libro V, cap. 38, p. 142.1-19; mentre che l’uno è “identico e differente”, egli lo dimostra sempre nel libro V, al cap. 39, pp. 143.5-147.20, sulla scorta di Parmenide 146a9-147b8, in riferimento al Demiurgo e alla settima monade intellettiva in virtù della quale egli risulta distinto dalle altre divinità intellettive, nella sua identità con se stesso. D’altra parte egli risulta al contempo anche diverso da sé, poiché appare collegato alla prima triade intellettiva e, insieme, distinto rispetto alle altre due divinità che di essa fanno parte. 55 L’uno risulta “simile e dissimile” negli dèi ipercosmici: Proclo evince ciò da Parmenide 147c1-148d4. 56 Cfr. Parmenide 128e5-129b6. 57 Cioè negli ordinamenti degli dèi che, venendo dopo la dimensione intellettiva, risultano più particolari. 58 Il riferimento è agli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 49 des Places = p. 27 Kroll, e fr. 40 des Places = p. 37 Kroll) o più in generale a coloro che hanno scritto opere e commenti su di essi. 59 In sostanza l’ordinamento degli dèi assimilatori costituisce il legame fra gli dèi intellettivi e le realtà inferiori: ciò che negli intellettivi è presente a livello di modello e di principio universale, negli dèi assimilatori (che rappresentano il primo livello degli dèi ipercosmici) si manifesta ad un livello più particolare e determinato. 60 L’inizio del cap. 4 è in sostanza un riassunto di tutto ciò che è stato detto in precedenza: cfr. cap. 3, pp. 13.22-20.4.

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    NOTE

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    Proclo, nei capitoli precedenti, ha preso in considerazione il rapporto che caratterizza l’ordinamento ipercosmico rispetto a quelli che lo precedono, come esso sia venuto sussistere da questi ultimi e quali siano i caratteri generali che lo contraddistinguono. Egli passa ora ad esaminare in dettaglio quali siano le prerogative e le funzioni proprie dei differenti livelli degli dèi ipercosmici. 62 Anche qui, come in altri passi, il soggetto non è espresso. 63 In tutta questa lunga elencazione Proclo si rifà a quanto è affermato in Timeo 41a7-d3. 64 La solita espressione che Proclo riprende dagli Oracoli Caldaici (fr. 65 e 66 des Places = p. 35 e 55 Kroll) per indicare come la vita si diffonde nelle singole entità particolari. 65 Questi beni sono gli effetti prodotti dalle potenze, appena elencate, delle divinità assimilatrici. 66 Cfr. Timeo 43a2. 67 Cfr. ibid. 30a4-5. 68 Per questo particolare significato del termine lovgoi si veda nel libro V, cap. 18, p. 65.26 segg., e la nota n. 247 alla traduzione. 69 Riferimento a Leggi X, 897c4-9. 70 Cfr. Timeo 38b6-c3. 71 Cfr. ibid. 37d6-7. 72 Proclo si riferisce qui alla sumpavqeia cosmica in base alla quale tutti gli esseri risultano armonicamente uniti gli uni agli altri in una complessiva ed universale “comunanza di sentire”. 73 Cioè del nostro mondo. 74 Proclo usa per la verità un’altra espressione, poikivlai futw'n dunavmei", che significa letteralmente «variegate potenze di piante». Con tale espressione si indicavano in generale le doti officinali dei vegetali. L’espressione indica anche semplicemente, come qui, le varie specie arboree. 75 Citazione da Timeo 29b7-8. 76 Espressione tratta da Politico 273d6-e1, con cui viene indicata la dimensione del divenire. 77 Cioè che siano al contempo sovrani ed assimilatori. 78 Anche l’ordinamento degli dèi sovrani è suddiviso in tre: alla sommità sono posti gli dèi sovrani che sono connessi con i re intellettivi ed al limite inferiore gli dèi sovrani che sono in qualche modo connessi con gli dèi encosmici che sono di livello inferiore; dunque solo l’ordinamento intermedio degli dèi sovrani ha un carattere realmente assimilatore: questi dèi non sono direttamente collegati né alle divinità che sono ad essi superiori né a quelle inferiori e così si manifestano nella loro purezza per quello che effettivamente sono. 79 Seguendo l’argomentazione procliana nel suo insieme, si deve

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    concludere che gli dèi sovrani sono divisi in modo triadico allo stesso modo dei padri intellettivi (di cui Proclo ha trattato nel libro V). Il Demiurgo, Zeus, è di fatto il dio che fa sussistere, anche con la collaborazione di Crono (padre intellettivo) e Rea (generazione di vita universale), i vari livelli degli dèi sovrani, che Proclo esplicita subito dopo. Si segnala, inoltre, alla fine di questo passo il consueto uso del termine ὀχετοί («canali») sulla base degli Oracoli Caldaici (cfr. in particolare fr. 65 e fr. 66 des Places). 80 Nella traduzione ho accolto l’integrazione ãejpistrofai'"Ã proposta dai due Editori. 81 In base a quanto viene affermato da Proclo in questo passo, l’ordinamento degli dèi assimilatori è formato dai seguenti livelli: 1) dèi paterni e sovrani; 2) dèi vivificanti e generatori; 3) dèi elevatori e convertitori; 4) dèi incontaminati e guardiani. Quest’ultima categoria di dèi deriva dalla seconda triade intellettiva, quella degli dèi incontaminati, ed è a sua volta suddivisa in base ai tre livelli intellettivi, cioè paterno, vivificante e convertitore. Successivamente Proclo dirà a quali dèi corrispondono queste triadi: 1) la triade degli dèi paterni e sovrani è costituita da Zeus, Poseidone e Plutone (cap. 8); 2) la triade degli dèi vivificanti e generatori è costituita da: Artemide, Persefone e Atena (cap. 11); 3) la triade degli dèi elevatori e convertitori è costituita da: Helios/Apollo in tre forme differenti (cap. 12); 4) la triade degli dèi incontaminati e guardiani è formata dai Cureti, o anche Coribanti, di livello ipercosmico e diversi da quelli intellettivi (cap. 13). 82 Per questa denominazione cfr. Timeo 41a7. 83 Cfr. supra, libro V, cap. 13. L’espressione «padre di questo nostro Tutto», che compare poco sopra, è tratta da Timeo 28c3-4. 84 Cfr. Timeo 42d6. 85 Cfr. ibid. 41c3-5. 86 Il Demiurgo produce le cose in modo unitario, senza suddividere e particolarizzare la sua attività in rapporto a ciò che produce. Invece gli dèi giovani, i demiurghi di secondo rango identificati propriamente da Proclo con gli dèi encosmici, producono ad un livello più particolare e parziale, e dunque la loro azione produttiva risulta suddivisa e distinta a seconda delle entità prodotte. Sul ruolo attribuito da Proclo agli dèi giovani si veda l’articolo di J. OPSOMER, La démiurgie des jeunes Dieux selon Proclus, in «Les Études Classiques», 71 (2003), pp. 5-49. 87 Su ciò cfr. Gorgia 523a3-6 ed Omero, Iliade, XV, vv. 187-189, versi ai quali in questo passo del Gorgia si fa riferimento. 88 Il riferimento è probabilmente a Gorgia 523a4-5, ove si afferma che Zeus, Poseidone e Plutone si sono spartiti il potere che hanno ere-

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    ditato dal padre Crono. Forse Proclo ha anche presente qui Timeo 41a1-2, ove si afferma che da Crono e Rea nacquero Zeus ed Era e tutti gli dèi che sono detti fratelli di questi ultimi. 89 Qui Proclo intende riferirsi a Giamblico e Teodoro di Asine che egli critica per le loro particolari concezioni concernenti il Demiurgo, a proposito delle quali si veda quanto è affermato nel libro V, cap. 23, pp. 86.20-87.13 e la nota n. 358 alla traduzione. 90 Il riferimento è ancora alle concezioni di Giamblico e di Teodoro circa la natura del Demiurgo. 91 Il riferimento è a Crono, che secondo il mito, avrebbe divorato i propri figli. Tale tradizione mitica viene interpretata da Proclo in senso allegorico ed in chiave metafisico-teologica. 92 Cfr Timeo 28c3-4. 93 Cfr. ibid. 35a1-3. 94 Il Demiurgo è stato descritto negli stessi termini anche nel libro V, cap. 20, p. 73.2-14. In tutto il presente passo Proclo riprende quanto viene affermato in Timeo 30b1-42e4 a proposito della costruzione dell’universo da parte del Demiurgo. 95 Cfr. Timeo 42e5-6. Questo passo è più volte citato a proposito della natura del Demiurgo nel libro V: cap. 18, p. 65.13-14; cap. 34, p. 124.2-3; cap. 39, p. 145.13-19. 96 Cfr. Timeo 28c3-4. 97 Per questa espressione, più volte impiegata da Proclo, cfr. Politico 272e5. 98 Cfr. Filebo 30d2-3. 99 Sulla differenza fra “causa coordinata” e “causa trascendente” si veda la proposizione 75 degli Elementi di Teologia di Proclo. 100 Riferimento alla poesia “teologica” di Omero ed Esiodo, ma forse anche alla poesia orfica. 101 Cfr. Timeo 36c4-5: il “movimento circolare dell’Identico” ed il “movimento circolare del Diverso” sono le componenti fondamentali dell’Anima del mondo. 102 Riferimento, non letterale, a Timeo 40c1-2. 103 Cfr. ibid. 41a3-4. 104 Riferimento alla dottrina platonica della trasmigrazione delle anime. Proclo si rifà qui a quanto è affermato in Timeo 41d8-42d2. 105 Cfr. ibid. 42b4. 106 Cfr. ibid. 41e2-3. 107 L’espressione patronomikh; ejpistasiva (lett. «cura e controllo che pertiene all’autorità paterna») è particolarmente indicata per il Demiurgo che è appunto “padre del Tutto” e lo governa prendendosene cura. 108 Cfr. supra, libro V, capp. 21-26.

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    Aggettivo tratto da Timeo 31b3. Proclo ha spiegato il significato di questo aggettivo in relazione al cosmo nel libro V, cap. 14, pp. 45.21-46.17. 110 Riferimento a Gorgia 523a3-5. 111 Cfr. ibid. 523a4. 112 Appellativo tradizionalmente attribuito al re dei Persiani. 113 Proclo tratterà tale questione nel cap. 19, p. 91.3-11. 114 Cioè Poseidone, dio del mare. 115 Cioè Plutone, dio degli inferi. 116 Il riferimento è a quella parte del Cratilo che ha per oggetto le “etimologie” dei teonimi. Sul valore attribuito da Proclo alle etimologie dei teonimi proposte nel Cratilo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone nel volume da me curato: Proclo. Commento al Cratilo, Traduzione e commento, Milano 2017, in particolare pp. 28-31 e pp. 185-188. 117 Su ciò cfr. Cratilo 396b3-7; 402d3-404b4. 118 Cfr supra nel presente capitolo, p. 35.11-15. 119 Qui Proclo riprende la dottrina esposta da Platone in Leggi IV, 715e7-716a2, passo che verrà esplicitamente citato e preso in esame più avanti a p. 38.16-19 ed a p. 40.5-10. 120 Cioè i tre Cronidi. 121 Cfr. Parmenide 145b6-e6. 122 Su ciò cfr. Politico 271c8-274b1. Le rotazioni cicliche cui si fa qui riferimento sono rispettivamente quella che caratterizza il regno di Crono (l’età dell’oro) e quella che caratterizza il regno di Zeus (l’era contemporanea). Proclo ha descritto la vita nell’età dell’oro, ovvero quella del regno di Crono, nel libro V, cap. 6, pp. 24.25-25.1. Quella che caratterizza il regno di Zeus è descritta subito dopo, a p. 25.1-3. 123 Cfr. Cratilo 404a5-6. Proclo ha trattato di questi “legami intellettivi” nel libro V, cap. 5, pp. 21.11-22.20. 124 Su ciò cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 137 Kern. Proclo ha esposto lo stesso concetto nel libro V, cap. 5, p. 24.14. 125 Si tratta del personaggio delle Leggi. 126 Cfr. Leggi IV, 715e7-716a2. 127 Non è necessario correggere il tràdito diovti, in quanto tale forma può, come è noto, anche introdurre una interrogativa indiretta. 128 Cfr. Leggi IV, 716a2-3. 129 Cfr. Parmenide 137e5-138a1. Ecco un altro esempio del modo in cui Proclo collega, nella sua interpretazione, passi di dialoghi che non hanno alcun effettivo argomento in comune: è sufficiente per Proclo individuare l’espressione avverbiale eujqeiva/ peraivnein (“condurre diritto ad effetto”) nel passo appena citato delle Leggi, per

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    ricondurre tale passo a quanto viene affermato in Parmenide 137e5138a1 ove si afferma che l’Uno non è eujquv (“diritto”/“retto”). Come si vedrà, in tutta questa argomentazione Proclo ricorre a tali sottili ed un poco capziosi ragionamenti su singoli termini impiegati da Platone, che vengono estrapolati con una certa disinvoltura dal loro effettivo contesto. 130 Cfr. Parmenide 138b7-139b3. 131 L’aggettivo “pericosmici” (pερικόσμιοι) sembra qui venire impiegato da Proclo sostanzialmente come sinonimo di “encosomici”. È tuttavia anche possibile che con tale aggettivo egli intenda indicare un particolare livello divino che è caratterizzato da un minore livello di particolarità rispetto a quello propriamente encosmico. 132 Riferimento, rispettivamente, a Leggi IV 715e8-716a1 e 716a2. 133 Cfr. Orphicorum Fragmenta, fr. 158 Kern. 134 Con tale appellativo Proclo indica spesso Orfeo. 135 Cfr. Orphicorum Fragmenta, fr. 168.2 Kern. 136 Per tutto questo passo cfr. Leggi IV, 715e8-716a2. 137 Qui il verbo ejpistrevfein è usato in senso intransitivo. 138 Cfr. Leggi VII, 804a4. Il termine trovfismo" indica in generale “chi è allevato e nutrito” ed, in senso traslato, “allievo”. 139 Espressione cui Proclo ricorre, come si è visto, spessissimo, tratta da Politico 272e5. 140 Gli “dèi perfezionatori” sono quelli che costituiscono la terza triade degli dèi intelligibili-intellettivi: di essi Proclo ha trattato nel libro IV, al cap. 37, p. 108.5-22. 141 Cioè ai tre demiurghi. 142 Riferimento a Timeo 30a2-6. 143 Espressione ripresa da Filebo 30d2. 144 Citazione dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 4 des Places = p. 13 Kroll. 145 Benché la digressione concernente il primo Demiurgo abbia occupato per intero i tre capitoli precedenti, vale a dire dal 6 all’8, Proclo qui sembra indicare in modo specifico l’inizio del cap. 8, ove, dopo aver fatto esplicito riferimento alla triade Zeus-Poseidone-Plutone, che si divide il dominio del padre (cfr. supra, cap. 8, p. 35.11 segg.), egli ritorna a prendere in esame la natura del Demiurgo e padre universale. 146 Cfr. Gorgia 523a5-6 e 523b5. 147 Cfr. ibid. 523b7. 148 Qui come verrà chiarito in seguito, si tratta, in base all’interpretazione di Proclo, dello Zeus che fa parte dell’ordinamento ipercosmico insieme a Poseidone e Plutone. 149 Cfr. Leggi IV, 716a2-3.

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    COMMENTO

    Riferimento generale a quanto è affermato in Gorgia 523a-b. Cioè Plutone. 152 L’aggettivo sundiaqevth", formato sul verbo sundiatiqevnai, è un hapax. Negli Acta Andreae si trova ἀσυνδιάθετον. 153 Cioè della triade degli dèi “princípi”. Si tenga presente che in questa triade Poseidone e Plutone sono a loro volta considerati rispettivamente come lo “Zeus marino” e lo “Zeus degli inferi”. Su ciò cfr. supra, cap. 8, p. 35.24. 154 Su ciò cfr. Cratilo 396b3-7; 402d7-9. 155 Su ciò cfr. Gorgia 523a5-524a8. 156 Cfr. Timeo 36c7-d1. 157 Dal movimento dei pianeti dipendono, infatti, secondo la teoria cosmologica procliana, la vita e la generazione nel mondo sensibile. 158 Cfr. Timeo 41a1-2. 159 Cioè la regione dell’etere. 160 Cfr. Timeo 58d1-2. 161 Cioè “Zeus degli Inferi”. 162 Cfr. Fedone 81a5-6. 163 L’aggettivo seisivcqwn viene impiegato da Pindaro nella Istmica I v. 52. Il termine si ritrova anche nella tradizione poetica orfica: cfr. Argonautiche orfiche, v. 345 [ed. Vian]. 164 Il Tartaro è il luogo degli inferi, posto nei più profondi abissi della terra e del mare. Su ciò cfr. Omero, Iliade VIII, vv. 13 segg., ed Esiodo, Teogonia, 720 segg. 165 Citazione da Fedro 249a6-7. 166 Citazione da Repubblica X, 615a2-3. 167 La “privazione di luce che va da occidente ad oriente” è la notte. 168 Cioè Rea. 169 Espressione che, come si è già visto, Proclo trae dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 50 des Places = p. 27 Kroll. 170 Spessissimo, come si è avuto modo di osservare, Proclo ricorre a questa espressione tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 65 e 110 des Places = p. 35 e p. 51 Kroll. 171 Aggettivo ripreso da Repubblica VI, 509a3. 172 L’aggettivo Κορική (“Corica”) è ricavato dal teonimo Κόρη (“Core”) e significa “appartenente a Core”. 173 La “prima forma di generazione di vita” è quella che contraddistingue il livello di Rea (fonte universale generatrice di vita) e che appartiene al livello intermedio della prima triade intellettiva. Quella di cui qui parla Proclo è la “generazione di vita” di grado inferiore che appartiene al livello degli dèi ipercosmici. 174 È proprio Proclo che nel Commento al Cratilo ci informa sulla tradizione orfica (cfr. fr. 145 Kern) in base alla quale Rea e Demetra 151

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    AL LIBRO VI,

    NOTE

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    sono un’unica e medesima dea che viene denominata Rea come sposa di Crono, mentre Demetra come madre di Zeus. Cfr. anche fr. 206 Bernabé. Sul legame fra Rea, Demetra e Core si veda anche quanto Proclo ha affermato nel libro V, cap. 11, p. 39.8 segg. 175 In realtà Platone parla di Demetra con esplicito riferimento a Core solo nelle Leggi VI, 782b4-5. Nel Cratilo, al punto 404b8-9 viene proposta l’etimologia del teonimo “Demetra”, mentre al punto 404c5-d8 quella del teonimo “Persefone”, con cui viene identificata “Core”. Di conseguenza si deve concludere che l’elaborata costruzione proposta qui da Proclo non sembra avere diretti e precisi riscontri nei dialoghi di Platone. 176 Nella traduzione si è dovuto spezzare questo lungo periodo introdotto dal genitivo assoluto ditth'" de; ou[sh" th'" Korikh'" tavxew". 177 Riferimento al mito secondo cui Plutone avrebbe rapito la figlia di Demetra. Poco sopra, con l’espresisone “l’unico demiurgo degli esseri particolari” Proclo si riferisce con ogni probabilità a Dioniso che è considerato il Re degli dèi encosmici (su ciò cfr. Proclo, Commento al Cratilo, CLXXI, p. 95, 4-8.), con i quali vengono identificati gli dèi giovani di cui si parla nel Timeo. 178 Anche qui l’imperfetto ha la funzione di indicare che un determinato aspetto è già stato preso in considerazione ed appurato in precedenza. In questo caso cfr. cap. 10, p. 46.12-14 e 21-23, ove si mette in luce che Plutone ha il controllo sul “cosmo ctonio”, cioè, appunto, sul livello più basso del cosmo. 179 Si tratta, in effetti, degli esseri che si trovano nella dimensione ctonia e che per questo sono di per se stessi privi di vita e morti. 180 Proclo fa riferimento alla tradizione orfica secondo cui Core subisce violenza da Zeus ed è rapita da Plutone anche nel Commento al Cratilo, CL, p. 85.18-23. Su ciò cfr. anche fr. 195 Kern. 181 Su ciò cfr. Cratilo 403e4-7; 404d5-6. 182 Come osservano i due Editori, si tratta di un’allusione al motivo orfico di Core tessitrice: cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 192, 193, 196. 183 Il testo appare qui lacunoso. Nella traduzione si è accolta l’ipotesi di integrazione proposta da Saffrey-Westerink: . I due Editori considerano anche la possibilità che nel testo si possa sottintendere il verbo ejpilavmpei della riga 12. In questo caso la traduzione sarebbe: «Core, intrecciando insieme gli esseri primi, intermedi ed ultimi» la sua propria generazione di vita. 184 In base alla prospettiva esegetica procliana, in vari dialoghi di Platone sono disseminati συνθήματα, ovvero “segni distintivi”, che messi in relazione fra loro consentono di ricostruire in modo organico e sistematico una determinata dottrina teologica.

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    1132 185

    COMMENTO

    Si tratta degli Orfici: cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 187, 188, 197 Kern. 186 Cioè presso la teologia caldaica. 187 Cfr. Oracoli Caldaici, fr. 51 e 52 des Places = p. 28 Kroll. 188 Cioè “vergine”. Cfr. Leggi VII, 796b6. 189 Cfr. Timeo 24c7-d1. 190 Riferimento all’etimologia del teonimo Aqhna' proposta in Cratilo 407b8-c2: il termine Hqonovh (che si potrebbe intendere all’incirca come “che ha indole di intelletto”) risulta dalla composizione di h\qo" e nou'", cioè rispettivamente “indole, carattere, natura” ed “intelletto”. 191 Cfr. Cratilo 404c5-d8. “Pherréphatta” è un'altra forma del nome di Persefone. 192 Cfr. ibid. 406b3. 193 Accolgo la correzione proposta da Saffrey-Westerink: monav" invece del tràdito triav". 194 Cioè verso ciò che è al di fuori della triade. 195 Cfr. Cratilo 404c5-d8. 196 Qui Proclo si rifà a quanto viene affermato da Aristotele in Etica Eudemia I 5, 1216b6, ove viene esposta e discussa la tesi socratica secondo la quale la virtù è un sapere. Le primissime fra le virtù, secondo la scala gerarchica neoplatonica (elaborata in modo sistematico per la prima volta nell’ambito della scuola giamblichea), sono le virtù contemplative: su ciò si veda il fondamentale studio di D.J. O’MEARA, Platonopolis. Platonic Political Philosophy in Late Antiquity, Clarendon Press, Oxford 2003, in particolare capp. V e VI. Rinvio inoltre alla mia recensione a questo volume apparsa in «Elenchos», XXV/I (2004), pp. 208-213. 197 Cfr. Simposio 204a1. 198 L’“amore per il sapere” è appunto la “filosofia”, che non può essere presente tra gli dèi poiché essi posseggono originariamente il sapere e non sono, quindi, protesi verso esso. 199 Su ciò cfr. quanto Proclo ha affermato nel libro I, cap. 23, p. 105.5-12. 200 Cioè i teologi non greci ai quali viene ricondotta la “teologia caldaica”. Proclo si riferisce qui alla dea Ecate. 201 Cfr. Oracoli Caldaici, p. 31 Kroll (non compare nell’edizione degli Oracoli Caldaici curata da des Places). 202 Opportunamente i due Editori rimandano a quanto afferma Marino nella sua Vita di Proclo al § 28: Proclo aveva dedicato a questa dea uno scritto – evidentemente andato perduto – ove venivano descritte le “apparizioni luminose” di Ecate, alle quali aveva personalmente assistito Proclo.

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    AL LIBRO VI, 203

    NOTE

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    Come è stato affermato a p. 51.15 segg. e poco più avanti, a p. 52.19 segg., e come verrà ancora ribadito a p. 55.6 segg., in Core sono presenti tre monadi: Artemide, Persefone e Atena. La “Core complessiva” o “totale” dovrebbe quindi essere l’insieme di queste tre monadi, che Proclo sembra identificare con Demetra: su ciò cfr. p. 51.15-17 e p.55.22-23. Come risulta evidente da questi passi, Proclo cerca una complessa e difficile armonizzazione tra Platone, la tradizione orfica e quella oracolare caldaica. 204 Il riferimento è, pare di capire, ad Artemide che è la sommità della triade “Corica” e che ha il rango di dea sovrana. 205 Qui Proclo si riferisce a Rea che è fonte originaria ed universale di vita. 206 Su ciò si veda supra, libro V, cap. 11, dedicato alla descrizione delle proprietà specifiche di Rea. 207 Il riferimento è qui allo Zeus Demiurgo universale dell’ordinamento intellettivo. 208 Proclo si riferisce qui alla Core/Persefone dell’ordinamento ipercosmico, la quale possiede in se stessa la causa delle anime individuali e al contempo, venendo prima di Atena, anche quella della virtù. 209 Su ciò cfr. Fedone 79e8-80a5. 210 Cfr. supra, in particolare pp. 51.19-52.18. 211 Cioè in Core, che, come si è visto, non è qui intesa come una particolare dea, ma come una sorta di livello divino specifico che comprende in sé tre diverse monadi. 212 Cfr. supra, p. 53.5-6. 213 Consueto uso dell’imperfetto per indicare che un argomento è stato affrontato in precedenza. Le estremità della triade in oggetto sono Artemide e Atena. Il carattere di purezza di Artemide si evince soprattutto dal fatto che essa è primissima all’interno di questa triade: su ciò cfr. supra, p. 54.6-7. Per quanto riguarda il carattere di verginità, implicante anche quello della purezza, di Atena cfr. supra, pp. 52.27-53.2. 214 Spesso Proclo ricorre ad un linguaggio del tutto astratto, spinto ai limiti delle proprie possibilità espressive: di esso Proclo si serve per rendere il carattere dell’astrattezza delle realtà divine di cui tratta. Nel presente passo il linguaggio procliano si fa quasi criptico e difficilmente interpretabile. Si potrebbe parafrasare il testo procliano come segue: Core, in quanto rapita da Plutone, viene ricondotta al livello di realtà rappresentato da Plutone, vale a dire il mondo della generazione di ciò che è destinato a perire; di conseguenza il mondo della generazione, in questo livello di realtà, è al contempo l’ambito della morte. In conclusione, è proprio in quanto rapita da Plutone che

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    COMMENTO

    Core rende partecipi del destino di nascita e morte gli esseri derivanti dal livello di realtà di cui Core stessa è parte e, potremmo dire, simbolo. 215 Forzatura ed esagerazione di Proclo, come già a p. 49.30. Per il riferimento al Cratilo immediatamente precedente: cfr. Cratilo 404d5-6. 216 In effetti Plutone e Demetra rappresentano rispettivamente il perire ed il nascere degli esseri di livello inferiore. 217 Cioè verso il mondo della generazione. 218 Cfr. supra, p. 54.4-7. 219 Nota espressione tratta da Repubblica IV 435a1-2. 220 Le tre monadi intellettive alle quali qui si riferisce Proclo sono quelle che costituiscono il primo livello dell’ordinamento intellettivo: Crono-Rea-Zeus. Di esse Proclo ha ampiamente discusso nel libro precedente. 221 Cfr. Gorgia 523a4-5. 222 Cioè Crono. 223 La dea per eccellenza “generatrice di vita” è, come si più volte osservato, Rea. 224 Il Demiurgo, ovvero lo Zeus degli dèi intellettivi, in effetti comprende in se stesso tutti i livelli della demiurgia, anche quelli inferiori, in quanto ne è il principio causale. 225 Espressione ricavata, probabilmente, dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 37.1-3 des Places = p. 23-24 Kroll. 226 Riferimento a Timeo 53b4-5. 227 Probabile riferimento a Oracoli Caldaici: cfr. fr. 51 des Places = p. 28 Kroll. 228 Gli dèi intellettivi che sono proceduti dal Demiurgo dovrebbero essere i “Cureti” (gli dèi incontaminati) di cui Proclo ha trattato nel libro V, cap. 35. Proclo si riferisce anche al “cratere fontale” che nel cap. 31 del libro V, p. 115.10 segg., viene menzionato proprio in relazione al medesimo passo del Filebo che viene citato subito dopo anche nel presente brano. 229 Cfr. Filebo 30d1-3. 230 Cioè il Sole (Helios) inteso come divinità di natura “fontale”, in quanto appunto “fonte di luce”, e dunque di esistenza nell’ambito della generazione. 231 Cioè i sette pianeti. 232 Cfr. Timeo 38c7-d1. 233 Cfr. ibid. 39b4-5. 234 Cfr. supra, cap. 11, p. 49.18-19 e p. 51.15-17. 235 Cioè che il Sole e Apollo sono in qualche modo identici ed hanno comunanza fra loro.

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    AL LIBRO VI, 236

    NOTE

    215-254

    1135

    Cfr. Orphicorum fragmenta, fr. 172 ed inoltre fr. 62 e fr. 212. Cfr. Leggi XII, 945e4-946a1. 238 Cfr. ibid. 946b7-c2. 239 Cfr. ibid. 946b7. 240 Il carattere della “semplicità” attribuita al dio Apollo è connesso alla nota interpretazione del teonimo in questione che viene inteso come a-poluv" e aJplovo", ovvero “non-molteplice” e “semplice”. Proclo, proponendo tale “etimologia”, si rifà a quanto è affermato in Cratilo 405c2-5. Per l’interpretazione procliana di quanto è affermato in questo passo del Cratilo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 147-149. 241 Cioè dal Bene. 242 Su ciò cfr. Repubblica VI, 508a4-509a5. Proclo affronta in modo piuttosto dettagliato tale passo nella dissertazione XI del Commento alla Repubblica, vol. I, p. 276.23-277.9 [ed. Kroll]. A tale proposito rinvio al volume da me curato Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004, pp. 243-245 per la traduzione e pp. 392-393 per il commento. Proclo ha trattato dell’analogia solare anche nel libro II della Teologia Platonica, cap. 4, pp. 32.1-33.1, e nel cap. 7, in particolare p. 44.1-16, ove viene presa in considerazione l’analogia fra luce sensibile e luce intelligibile. Sull’intepretazione dell’analogia solare in relazione alla riflessione ontologica procliana rinvio al mio volume Parmenide e i neoplatonici. Dall’Essere all’Uno e al di là dell’Uno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2010, pp. 188-195. 243 Cioè la luce divina, “promanata” direttamente dal Bene. 244 Cfr. Cratilo 404d8-406a3. 245 Secondo la concezione neoplatonica procliana, i teonimi sono vere e proprie immagini della vera essenza della divinità. Su tale concezione rinvio ancora al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., in particolare pp. 129-130. 246 Espressione tratta da Repubblica V, 475e4. 247 Cfr. Cratilo 404e7-405a3. 248 Cioè l’arte del vaticinare. 249 Su questo passo cfr. Cratilo 405c2-5. 250 Cfr. ibid. 405a7-c1. 251 Qui il termine ἀpόλυσις viene a significare propriamente lo «scagliare i dardi». Proclo riprendendo le “etimologie” del teonimo “Apollo” proposte da Platone, ne sviluppa a sua volta il significato e le implicazioni, ricorrendo ad ulteriori artificiose espressioni di proprio conio. 252 Espressione tratta da Timeo 30a4-5. 253 Su quest’ultima parte cfr. Cratilo 405c5-e2. 254 Cfr. supra, p. 60.21-24. 237

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    1136 255

    COMMENTO

    Su questo passo cfr. Repubblica VI, 508b12-509d4. Cfr. Timeo 28b8-c2. 257 Cfr. Repubblica VIII, 546b3. 258 Cfr. ibid. VI, 509b4. 259 Cioè i sette pianeti. Per tutto questo passo di Proclo cfr. Timeo 38c3-d2. 260 Riferimento a Timeo 39b4. 261 Cioè i pianeti che Proclo considera a loro volta dèi. Molto spesso, come si è già osservato, Proclo abusa di deittici e di pronomi, rendendo il suo già complesso periodare ancora più difficile e, talvolta, criptico. 262 Proclo riprende l’aggettivo hjlioeidhv" (“di forma simile al Sole”) da Repubblica VI, 509a1. 263 Cfr. supra, p. 62.16-24. 264 Questo è in tale contesto il significato del termine oujsiva. 265 Cfr. Repubblica VI, 508b12-13. 266 Qui Proclo si riferisce a quanto affermato in Repubblica VI, 508a11-b11 e 509b2-4. 267 Così si deve intendere accogliendo la correzione proposta dagli Editori Saffrey-Westerink: e[sti invece del tràdito e[ti. Conservando invece il testo tràdito, la traduzione, sottintendendo il verbo ἔστι, sarebbe: «Pertanto ancora al livello di quegli dèi etc.». 268 Alla “diade demiurgica” è ricondotta qui la serie di opposizioni coordinate (come maschio-femmina, destra-sinistra) che determinano la natura del cosmo sensibile. Come viene sottolineato subito dopo, tale “diade demiurgica” ha relazione con le potenze divine motrici che nella tradizione caldaica vengono denominate “mani” (destra-sinistra), con riferimento alle Moire: su ciò cfr. Oracoli Caldaici fr. 210c des Places. La diade demiurgica ha certamente anche a che fare con il “circolo dell’Identico” e con il “circolo del Diverso” che costituiscono l’Anima del mondo e che sono plasmati direttamente dal demiurgo. 269 Ovvero gli “esperti in questioni divine”, tanto i teologi che i teurghi. Qui però il riferimento è soprattutto a questi ultimi, i quali si rifanno alla “teologia caldaica”. In effetti il linguaggio figurato che qui Proclo attribuisce a questi “teosofi” richiama quello degli Oracoli Caldaici. 270 Si tratta delle serie coordinate di opposti della tradizione pitagorica. Ad esse Proclo fa riferimento anche nel libro IV, cap. 29, p. 84.24 segg. Si rinvia alla nota di commento n. 275 a tale passo. 271 Cfr. Timeo 36c5-7. 272 Probabilmente si tratta ancora di un riferimento a Timeo 36c57, ove si afferma che il “circolo dell’Identico” viene fatto ruotare dal 256

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    AL LIBRO VI,

    NOTE

    255-284

    1137

    Demiurgo verso destra, mentre il “circolo del Diverso” verso sinistra. Subito dopo Proclo fa poi esplicito riferimento anche alle Moire descritte nel mito di Er nel X libro della Repubblica. 273 Proclo si riferisce qui a Repubblica X, 617c5-d2, ove, all’interno della sezione nota come “mito di Er”, vengono descritte le tre Moire, che decidono, tessendoli, i destini degli uomini. La Moira più venerabile è Lachesi, che, in base all’interpretazione procliana, fa procedere per il suo corso l’insieme dell’universo. 274 Si tratta del tema della oJmoivwsi" qew/', sulla scorta di quanto viene affermato in Teeteto 176b1, tema che diviene centrale nella speculazione filosofica neoplatonica. L’“assimilazione al divino” è di fatto la suprema meta, congiuntamente alla unione mistica con il Primo Principio, della filosofia neoplatonica. 275 Cioè il Sole stesso. 276 Come osservano opportunamente gli Editori, si tratta di un’allusione alla legge del silenzio che si deve osservare a proposito dei riti misterici di iniziazione. 277 Proclo si riferisce qui a Leggi VII, 790d2-e4. I “Coribanti” erano sacerdoti di Rea/Cibele che per celebrare la dea ricorrevano a riti implicanti forme di incantamento, indotte con il suono di particolari strumenti come il flauto, al quale il termine katauvlhsi" (“incantamento prodotto con il suono del flauto”) allude. Nella prospettiva teologica procliana, i Coribanti costituiscono il livello degli “dèi incontaminati” nell’ordinamento ipercosmico. 278 Cfr. Eutidemo 277d6-8. 279 Si tratta di un rito che precedeva l’iniziazione ai misteri: l’iniziato veniva fatto sedere su un trono mentre i Coribanti danzavano e cantavano intorno a lui. 280 Cfr. Leggi VII, 796b4-5. Tale passo viene citato nel libro V come punto di partenza per delineare le caratteristiche dei Cureti, la seconda triade degli dèi intellettivi: su ciò cfr. libro V, cap. 3, p. 16.2428, e cap. 35, p. 128.5-10. 281 Proclo propone qui una “etimologia”, che egli riprende probabilmente dalla teologia orfica, del termine Korubavnte" che viene interpretato come tavxi" probaivnousa th/' Kovrh/, vale a dire “come ordinamento che procede innanzi a Core”. Per quanto riguarda i Coribanti nella tradizione orfica cfr. fr. 279 Bernabé = fr. 191 Kern, ove viene riportato proprio il presente passo di Proclo. 282 Cfr. Cratilo 396b6-7; Proclo prende in considerazione questo passo anche nel libro V, cap. 35, p. 129.10-19. 283 Solita definizione, più volte incontrata, di Rea. 284 Atena è, come viene affermato nel libro V, cap. 35, p. 128.1021, enade dell’ordinamento Curetico; dunque, dato che tale ordina-

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    1138

    COMMENTO

    mento è analogo a quello dei Coribanti, essa esercita il suo influsso come monade, come qui si afferma, anche su questi ultimi. 285 Cfr. libro V, cap. 3, p. 17.8-9. 286 Cfr. supra, nel presente libro, cap. 11, p. 55.6-7. 287 Cfr. supra, nel presente libro, cap. 1, p. 5.8-11. Come a proposito di tutte le altre dottrine teologiche esposte nei libri precedenti, Proclo ribadisce anche qui il criterio fondamentale del suo metodo esegetico: ogni concezione desunta dai diversi dialoghi platonici va di volta in volta ricondotta, per una definitiva e sistematica conferma, a quanto viene affermato nel Parmenide, ossia, nella prospettiva neoplatonica procliana, il dialogo teologico per eccellenza. 288 Così si deve intendere sulla base del testo tràdito. Tuttavia, secondo gli Editori, l’espressione tràdita ta;" koina;" dunavmei" non sembra appropriata nel presente contesto, ove vengono invece considerate le proprietà specifiche e caratterizzanti di questo ordinamento divino: essi pertanto propongono di leggere ta;" ijdiva" dunavmei" («le loro potenze specifiche») o ta;" ijdiovthta" («i loro caratteri specifici). 289 Cfr. Parmenide 146a9-147b10. 290 Cfr. supra, libro V, cap. 39, p. 144.1-11. 291 Riferimento a Giamblico che ha denominato “sovrani” questi dèi ipercosmici, come si evince dal Commento al Parmenide di Damascio: cfr. In Parmenidem III, 123.7 segg. (ed. Westerink): oJ de; mevga" Iavmblico" ÆhJgemonikh;nÆ aujth;n [scil. tauvthn th;n diakovsmhsin] ajneufhmei'. 292 Su ciò cfr. supra, cap. 3 e cap. 4. 293 Tutto il passo è un ennesimo esempio dello stile spesso involuto e prolisso di Proclo. Certamente questa è una conseguenza delle complesse strutture metafisico-teologiche che costituiscono e permeano la natura stessa della riflessione procliana. Si potrebbe parafrasare quanto viene qui affermato nel modo seguente: ogni livello in cui si articola la realtà divina opera direttamente sulle entità che le sono inferiori, senza che ciò comporti una modificazione della sua superiorità originaria. Inoltre ogni ordinamento divino è a sua volta collegato a quelli che lo precedono in una forma di connessione continua ed ininterrotta, in modo che ogni carattere di volta in volta trasmesso alle entità di livello inferiore si configuri come una graduale determinazione di questo stesso carattere a partire dagli ordinamenti più trascendenti e originari. Al contempo lo specifico carattere che ogni ordinamento divino comunica agli esseri che da esso dipendono appartiene in senso originario e specifico a tale ordinamento; di conseguenza anche gli dèi assimilatori devono originariamente possedere in se stessi i caratteri della somiglianza e della dissomiglianza che essi comunicano alle entità che sono ad essi successive.

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    AL LIBRO VI, 294

    NOTE

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    Il riferimento è a Parmenide 147c1-148d4. Cioè il “simile” ed il “dissimile”. 296 Cfr. Parmenide 148c7-d4. 297 Il “simile” ed il “dissimile” sono ricondotti all’“identico” e al “diverso” che appartengono ad un livello superiore rispetto al “simile” ed al “dissimile”. La loro causa originaria è comunque il Demiurgo universale. 298 La “tetrade demiurgica”, come sembra possibile evincere da quanto Proclo ha affermato nel libro V, cap. 13, p. 42.6 segg., è costituita dai quattro livelli della demiurgia: quello intellettivo universale, che è proprio del Demiurgo in quanto tale; quello ipercosmico dei tre dèi sovrani; quello ipercosmico-encosmico – come vedremo – dei dodici dèi; infine quello encosmico, ossia quello degli dèi giovani ai quali il Demiurgo demanda il compito di far sussistere gli esseri viventi mortali. Ma qui con “tetrade demiurgica” Proclo potrebbe anche riferirsi a quanto spiegato nel libro IV, cap. 32, p. 97.1-9, ove si afferma che il Vivente-in-sé comprende «le quattro cause originarie». In tal caso, questa tetrade sarebbe qui detta “demiurgica” in quanto essa è l’origine della prima produzione di forme: ad essa si rifà il Demiurgo per far sussistere il Tutto. 299 Con queste formule di passaggio, viene segnalato che la trattazione concernente gli dèi ipercosmici è terminata. Nella parte seguente Proclo prenderà in esame l’ordinamento degli dèi ipercosmiciencosmici. 300 Riferimento agli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 23 des Places (non presente in Kroll). 301 Proclo propone qui una sorta di ricapitolazione complessiva dei caratteri specifici degli dèi sovrani sulla base di ciò che è stato appurato nei capitoli precedenti. 302 Espressione tratta da Timeo 42d6. 303 Il “centro intermedio intelligibile” è, come si ricava dal libro III, cap. 13, la seconda triade intelligibile; d’altro canto l’“ordinamento intelligibile e celato” è la prima triade intelligibile, come si evince in particolare da quanto Proclo afferma nel libro III, cap. 14, p. 52.78. Infine la “triade che ha carattere di modello” è la terza triade (ovvero il Vivente intelligibile), nella quale si manifesta a livello originario e in forma complessivamente unitaria la molteplicità intelligibile, come si è visto nel libro III, in particolare capp. 14-15. 304 Su ciò si veda supra, libro IV, in particolare cap. 19. 305 Pare necessaria la correzione proposta dagli Editori: eu[luton invece del tràdito a[luton (“indissolubile”), che non sembra, in questo contesto, avere senso. 306 Non-vincolata, cioè, al cosmo sensibile. 295

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    Su queste triadi intelligibili-intellettive si veda quanto Proclo ha affermato nel libro IV, ai capp. 16, 19, 20 e 24. 308 Espressione, come si è visto, tratta da Timeo 41a7 e da Politico 273b1-2. 309 Si tratta di Crono ed Urano, che sono, rispettivamente, il padre ed il nonno di Zeus, il Demiurgo dell’universo. 310 Espressione tratta dagli Oracoli Caldaici: cfr. fr. 18 des Places = p. 18 Kroll. 311 Cioè il re intelligibile di tutti gli intellettivi, come pare possibile evincere dalle righe 9 e segg. Il riferimento dovrebbe dunque essere al dio intelligibile-intellettivo Urano. 312 Cfr. supra, cap. 4. 313 Su quanto qui e di seguito afferma Proclo cfr. Politico 269e1270a8. 314 Proclo qui si rifà a Fedro 246b7-c2. Egli riporta, in modo più fedele, questo passo del Fedro anche nel libro IV, cap. 5, p. 19.15-17, con la stessa variante metewropolei'n invece di metewroporei'n, verbo che nel testo platonico, secondo la tradizione manoscritta, compare nella forma μετεωροpoρεῖ (ossia III pers. indic. sing.). 315 Nel Timeo non si trova una tale concezione: essa viene ricavata da Proclo sulla base della sua libera interpretazione di Timeo 41d8-e1. 316 Con questo riferimento agli dèi intellettivi, come risulterà più chiaro nel seguito dell’argomentazione, Proclo intende mostrare che gli ordinamenti divini successivi a quello intellettivo, possiedono per derivazione anch’essi una natura di tipo intellettivo. Ne consegue che l’ordinamento ipercosmico, quello ipercosmico-encosmico e infine quello encosmico sono, come tutti gli altri ordinamenti, caratterizzati in modo analogo a quelli che li precedono: pertanto essi sono partecipi, a diverso grado, della proprietà specifica propria dell’ordinamento intellettivo. 317 Così bisogna intendere stando al testo tràdito. In effetti, anche in considerazione del senso complessivo, a mio avviso, il testo è qui in qualche modo corrotto. Si tenga in primo luogo presente che l’aggettivo ὁμοιωτικός viene usato pochissimo da Proclo: esso compare solo nel presente passo e, in un contesto diverso, nel commento al Parmenide. Al suo posto Proclo usa in modo sistematico ἀφομοιωτικός nel senso di “assimilatore”, aggettivo che nella Teologia Platonica viene impiegato per indicare gli dèi ipercosmici. Invece qui, stando al testo tràdito, Proclo sembra riferirsi agli dèi intellettivi che non vengono in nessun altro luogo definiti come “assimilatori” poiché comunicherebbero il carattere intellettivo alle processioni che da essi derivano e dipendono. Comunque ciò che qui e subito dopo Proclo sembra intendere è evidentemente che il carattere intellettivo si diffonde

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    dall’ordinamento intellettivo fino al livello encosmico. A livello ipercosmico ed anche a livello ipercosmico-encosmico, tuttavia, tale carattere risulta più originario, perché l’ordinamento ipercosmico viene subito dopo quello intellettivo. 318 Proclo si riferisce qui all’ordinamento ipercosmico e a quello ipercosmico-encosmico, che sono posti tra il livello intellettivo e quello propriamente encosmico. 319 Altro concetto che viene qui espresso da Proclo con estrema concisione, tanto da risultare criptico: i ricettacoli sono le entità sensibili nelle quali sono specificamente presenti le proprietà di quei livelli divini dai quali esse derivano e dipendono. Man mano che ci si avvicina alla dimensione del particolare aumentano proporzionalmente anche le entità con cui gli esseri divini hanno una naturale affinità. 320 Qui Proclo si riferisce alla dimensione psichica, intesa come livello inferiore, in considerazione della gerarchia complessiva del reale, rispetto a quella intellettiva. 321 Si tenga sempre presente che, secondo la prospettiva neoplatonica procliana, un livello di realtà inferiore rispetto ad un altro comporta un maggior grado di determinazione e con ciò una maggiore molteplicità e pluralizzazione. 322 Come Proclo ha affermato nel libro V, al cap. 32 e come verrà esplicitato poco più avanti nel presente contesto, la fonte originaria della totalità delle anime è il “cratere”. 323 Dato che è nella realtà intellettiva, e per la precisione per il tramite del “cratere” (cfr. V, cap. 32, p. 118.3-5), che viene a sussistere la dimensione psichica nel suo complesso, di essa deve partecipare anche l’ordinamento ipercosmico. 324 Questa monade, come si evince anche da quanto Proclo afferma subito dopo, è il “cratere” per il cui tramite vengono a sussistere tutte le anime. Su ciò ciò cfr. nuovamente libro V, cap. 32, p. 118.3-5. 325 Sul “cratere”, per il tramite del quale il Demiurgo fa sussistere le anime, si veda quanto Proclo afferma nel libro V, al cap. 30. 326 Cfr. Filebo 30d1-3. Proclo ha preso dettagliatamente in esame nel libro V al cap. 23 ciò che Platone afferma nel Filebo a proposito del Demiurgo. 327 Cioè gli dèi ipercosmici-encosmici. 328 Cfr. supra, libro V, cap. 5, pp. 21.11-22.2. 329 Proclo si riferisce qui evidentemente alla composizione delle anime quale viene descritta in Timeo 35a1-b2. 330 Cfr. Timeo 35a8. 331 Si tratta delle divinità encosmiche poste in cielo alle quali è abbinato uno specifico corpo celeste.

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    Proclo ha più volte affermato in precedenza che gli dèi sovrani fanno parte degli ordinamenti particolari: cfr. ad esempio cap. 2, p 13.7 segg.; cap. 3, p. 19.24-25; cap. 15, p. 72.13-18. 333 Cfr. supra, p. 80.16-17. 334 Cioè gli dèi non-vincolati. 335 Proclo ricava tutte le denominazioni divine che seguono dagli Oracoli Caldaici. In effetti si deve sempre tenere presente che uno degli obiettivi fondamentali della Teologia Platonica è quello di mostrare il completo accordo e la perfetta armonia tra la dottrina platonica e la teologia, frutto di divina ispirazione, degli Oracoli Caldaici. 336 Come osservano gli Editori Saffrey-Westerink, con il riferimento alle “attività” degli dèi Proclo indica l’ultimo termine della struttura triadica essenza-potenza-attività alla luce della quale si esaminano gli dèi non-vincolati. 337 Questi caratteri sono ripresi da Fedro 247c6-7. Proclo li ha interpretati nel libro IV, capp. 11-12, come attributi del luogo sovraceleste, inteso come livello specifico degli dèi intelligibili-intellettivi. 338 Come già in altri luoghi della Teologia Platonica, anche qui Proclo propone lo stesso modo di procedere: egli prima prende in esame quanto, a proposito di una determinata dottrina teologica, viene esposto nei diversi dialoghi, e solo in seguito passa a considerare a proposito della stessa dottrina quanto è affermato nel Parmenide. Secondo la prospettiva neoplatonica procliana, infatti, il Parmenide contiene nella sua forma più perfetta tutta la dottrina teologica di Platone. In sostanza, partendo dagli altri dialoghi, Proclo si propone di individuare in essi quelle dottrine che si trovano sistematicamente confermate nel Parmenide, in una sorta di suprema e perfetta ricapitolazione. Nel presente caso, a proposito della dottrina concernente gli dèi non-vincolati, Proclo, prima di passare al Parmenide (capitolo 24, l’ultimo del presente libro), esamina il Fedro (dal capitolo 18 al capitolo 22) e la Repubblica (capitolo 23). 339 Espressione ripresa da Fedro 241e5. 340 Cfr. ibid. 246e4-247a4. Per quanto riguarda il riferimento alle anime 247b4 segg. 341 Cfr. ibid. 248c3. 342 Qui Proclo si rifà a Fedro 247a2-4, ove si parla di dodici dèi, ciascuno dei quali è a capo della propria schiera. 343 In effetti, nel presente libro, al cap. 8, p. 35.15 si parla della “triade principiale” o “triade dei principi”, costituita dai tre sovrani ipercosmici, Zeus, Poseidone e Plutone: dunque anche «la molteplicità che ha ruolo di principio», vale a dire la triade degli dèi principi, è caratterizzata da un numero specifico noto. A loro volta, come si è visto nel libro V, gli dèi intellettivi sono contraddistinti dall’ebdoma-

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    de, mentre gli dèi intelligibili, come si è visto nel libro III, sono caratterizzati da tre triadi. Quindi, secondo Proclo, per quanto riguarda il numero complessivo degli dèi non-vincolati, ipercosmici-encosmici, sarebbe stato solo Platone a ritenere che la dodecade caratterizzasse al meglio il loro ordinamento. 344 Lo stesso Proclo nel suo ampio commento al mito di Er, un saggio autonomo inserito poi successivamente tra i testi che compongono il Commento alla Repubblica, afferma che il numero 12 deriva dalla moltiplicazione dei primissimi numeri (ejk tw'n prwtivstwn ajriqmw'n pollaplasiasavntwn ajllhvlou"), cioè dalla moltiplicazione del 3 con il 4; egli afferma inoltre che il numero 3 (triav") è perfezionatore e convertitore verso i principi (telesiourgov" ejstin kai; ejpistreptikh; pro;" ta;" ajrcav"), mentre il numero 4 (tetrav") è fecondo, stabilizzatore ed armonizzatore delle entità generate (govnimo" kai; eJdrastikh; tw'n gennwmevnwn a{ma kai; ejnarmovnio"): su ciò cfr. Commento alla Repubblica, vol II, p. 120.24-28. 345 Così si deve intendere, accogliendo la correzione di Taylor: proovdou" invece del tràdito periovdou". Conservando il testo tràdito si dovrebbe intendere: «ha compreso tutte le rotazioni cicliche in questa misura»; in questo caso il riferimento sarebbe allo Zodiaco, composto da dodici segni che scandiscono la misura dei movimenti “periodici” celesti. 346 In effetti, in base all’interpretazione procliana, questa divisione della dodecade degli dèi ipercosmici-encosmici è ulteriore, cioè successiva rispetto a quella degli dèi ipercosmici. 347 Cfr. Fedro 246e4-247a1, ove si afferma che Zeus (inteso, nell’esegesi procliana, come la prima monade della dodecade) guida la processione degli dèi (la decade), mentre Estia (la seconda monade) rimane a custodire la casa degli dèi. 348 Su ciò cfr. Fedro 248d2-e3. 349 Cfr. Timeo 41d8-e1; 42d4-5. 350 Cfr. supra, pp. 84.12-85.5. 351 Al livello degli dèi i numeri non vanno intesi in senso quantitativo, ovvero come insiemi complessivi di entità numeriche discrete, ma come insiemi unitari ed unici; così, nel presente caso, la dodecade è un insieme unitario e non suddiviso in dodici singole unità discrete: il fatto di essere una dodecade è un carattere specifico dell’esistenza e della realtà dell’ordinamento degli dèi non-vincolati. 352 La dodecade principiale è costituita dai dodici dèi ipercosmici, i quali hanno rango e ruolo di principi in relazione alla dimensione encosmica nel suo complesso. Dal canto suo, come viene chiarito subito dopo, la dodecade ipercosmica-encosmica degli dèi non-vincolati fa da collegamento tra la dodecade ipercosmica e quella encosmica.

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    Probabile allusione allo zodiaco. Espressione, come si è visto, più volte citata da Proclo, tratta da Repubblica V, 475e4. 355 Cfr. Fedro 246e4-5. 356 Cfr. supra, libro V, cap. 13, pp. 42.27-43.17. 357 Espressione tratta, come si è già osservato, da Timeo 30a6-7. 358 Come osservano gli Editori Saffrey-Westerink, l’ajntidiaivresi" indica una divisione per contrapposizione all’interno di un medesimo genere. In effetti principio causale e causato non possono appartenere allo stesso genere/livello di realtà. Dunque la monade demiurgica non può essere coordinata alle processioni degli dèi di cui è causa. 359 Espressione tratta da Timeo 29a5-6. 360 Secondo la concezione neoplatonica procliana, proprio in quanto trascendente la totalità del cosmo sensibile, lo Zeus Demiurgo è di fatto, in senso metafisico, l’autentica e originaria causa di esso. 361 Cfr. Fedro 246e4-5. 362 Cfr. Timeo 42e5-6. 363 Così si dovrebbe intendere sulla base del testo tràdito. Tuttavia in base a quanto è affermato poco sopra, al cap. 18, p. 85.26-28, in cui si dice che la forma di vita divinatoria dipende da Apollo, quella amorosa da Afrodite e quella capace di separare (διαιρετικόν, evidentemente dalla dimensione materiale) da Ares, si deve concludere che il testo è qui incerto e difficilmente sanabile. 364 Cfr. Fedro 246e6-247a1. 365 Cfr. Simposio 202d13. 366 Cfr. Fedro 246e4. 367 Cfr. supra, p. 87.22-23. 368 Cfr. supra, cap. 8, p. 35.5 segg. 369 Su ciò cfr. supra, cap. 8, p. 35.11-20. I Cronidi ai quali qui si riferisce Proclo sono i tre dèi ipercosmici Zeus-Poseidone-Ade, indicati anche come i "tre Zeus" ipercosmici. Tale dottrina è ricavata, come si è già segnalato, da Gorgia 523a3-5. Si segnala infine la forte struttura anacolutica del periodo. 370 Proclo si riferisce qui di nuovo a Fedro 246e4-247a1. 371 Si tratta qui dello Zeus ipercosmico che fa parte dei tre demiurghi ipercosmici, ossia dei tre Cronidi, e che è distino dallo Zeus ipercosmico-encosmico che è a capo degli altri dèi di tale ordinamento. 372 Qui Proclo si riferisce allo Zeus ipecosmico-encosmico che fa parte ed è a capo dei dodici dèi. 373 Riferimento a quanto viene affermato in Fedro 246e6-a1: secondo l’esegesi teologica procliana lo Zeus ipercosmico-encosmico sembra comprendere in sé le undici schiere degli altri dèi ipecosmiciencosmici di cui egli è a capo. Dunque, incluso lo Zeus ipecosmico354

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    encosmico che li guida, gli dèi che fanno parte di questo ordinamento sono in tutto 12. Dal canto suo, il primissimo Zeus, al quale qui Proclo si riferisce, non è il Demiurgo intellettivo, bensì lo Zeus ipercosmico, che guida la triade degli Zeus ipercosmici – ossia celeste (Zeus), marino (Poseidone), ctonio (Ade) – la cui suddivisione implica al contempo la parallela tripartizione degli ambiti di competenza degli dèi encosmici. 374 Cfr. supra, in questa pagina, righe 13-17. 375 Cfr. Fedro 246e4. 376 Cfr. ibid. 247a6-7. 377 Cfr. supra, cap. 1, pp. 5.6-6.5. 378 In effetti gli dèi non-vincolati, in considerazione della continuità fra i vari livelli di dèi, dipendono, in quanto dèi ipercosmici-encosmici, sia originariamente da Zeus Demiurgo sia, a un livello meno originario e più determinato, dagli dèi assimilatori della triade demiurgica dell’ordinamento divino ipercosmico. 379 Cfr. supra, cap. 5, pp. 26.13-27.16. 380 Qui il riferimento deve essere a Crono. Infatti, come Proclo ha affermato nel libro V cap. 5, p. 23.22 segg., Crono, primo dio della prima triade intellettiva, tra gli intellettivi e in relazione ad essi ha il carattere di Padre e al contempo di intelligibile. Su Crono come Padre e intelletto intelligibile tra gli dèi intellettivi. rispetto a Zeus che è Padre e intelletto intellettivo, cfr. inoltre libro V, cap. 3, p. 15.15-25. 381 Con ogni probabilità qui Proclo si riferisce a quanto appena affermato in questa medesima pagina alle righe 9-11, ossia che le processioni intermedie degli dèi assimilatori sono divise in quattro: “paterne”, “generatrici”, “elevatrici” e “custodi”. Tale divisione è in qualche modo affine a quella esposta nel libro V, cap. 18, p. 69.3-6, ove si afferma che fra gli dèi che obbediscono al Demiurgo, gli uni sono donatori dell’unità ai frutti della loro generazione, gli altri della permanenza indissolubile, gli altri della vita, gli altri ancora presiedono alla rigenerazione. Come si è segnalato più volte, l’uso del termine ojcetoiv (“canali”) in contesto teologico viene dagli Oracoli Caldaici: cfr. ad esempio 65.2 des Places = p. 35 Kroll. 382 In base a ciò che qui afferma Proclo, la dodecade che caratterizza l’ordinamento divino ipercosmico-encosmico sarebbe da ricondurre alla moltiplicazione del numero 3 per il 4. 383 Cfr. supra, cap. 18. 384 Come segnalano Saffrey-Westerink, il riferimento è probabilmente a Porfirio che, come sappiamo da un frammento del suo trattato perduto Peri; ajgalmavtwn, sosteneva che Zeus è «l’intelletto del cosmo» (cfr. fr. 354, p. 411.5 Smith); anche lo stesso Plotino, in Enn. III 5 (50), 8.6-20, considera Zeus identico all’intelletto dell’Anima del mondo.

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    I generi a noi superiori sono, nell’ordine, quello degli angeli, quello dei demoni e quello degli eroi. 386 Lo stesso Proclo, nel suo Commento al Timeo, III, p. 140.8-11 [ed. Diehl], afferma che Plotino chiama l’Intelletto della Terra “Estia”. Il riferimento è a Plotino, Enn. IV 4 (28), 27.15-17, ove si afferma che gli uomini, ricorrendo alla rivelazione divina, chiamano una parte dell’Anima della terra (concepita come un unitario essere vivente) e il suo intelletto “Estia” e “Demetra”. 387 La decade di dèi alla quale qui si riferisce Proclo è quella che Zeus guida e che insieme alla due monadi “Zeus” ed “Estia” costituisce la dodecade ipercosmica-encosmica, di cui, secondo l’esegesi procliana, tratta Platone nel Fedro là dove si riferisce ai “dodici dèi” posti ciascuno a capo della propria schiera: cfr. Fedro 247a2-4. Questo passo è esplicitamente citato da Proclo poco più avanti. 388 Cfr. supra, cap. 8, pp. 36.24-37.26. 389 Cfr. Parmenide 145b7-e5. 390 Su ciò cfr. libro V, cap. 37, p. 135.14-21. 391 Il riferimento è a quanto Proclo ha affermato nel libro V, al cap. 38, pp. 142.20-143.3, ed al cap. 40, pp. 147.22-148.1. 392 Cfr. Fedro 247a2-4. 393 Cfr. supra, cap. 20, p. 93.11-18. 394 Proclo in questo capitolo prende in considerazione quattro triadi divine ipercosmiche-encosmiche così suddivise e costituite: 1) triade demiurgica: Zeus, Poseidone, Efesto; 2) triade custode: Estia, Atena, Ares; 3) triade generatrice di vita: Demetra, Era, Artemide; 4) triade elevatrice: Ermes, Afrodite, Apollo (in quest’ordine tali divinità vengono considerate da Proclo). 395 Cfr. supra, cap. 20, p. 93.8-22. 396 Cfr. Fedro 246b6. 397 In effetti, come è stato mostrato supra, al cap. 8, p. 35.11 segg., Poseidone occupa il livello intermedio anche nella triade ipercosmica dei tre dèi sovrani (Zeus, Poseidone e Plutone). 398 Cfr. Cratilo 401b1-e1. Proclo prende in esame in modo piuttosto dettagliato questo passo nel Commento al Cratilo CXXXVIIICXL, pp. 79.3-80.6 [ed. Pasquali], per la cui traduzione rinvio al volume da me curato Proclo. Commento al Cratilo, op. cit., pp. 467-469. 399 Riferimento alla spiegazione etimologica del teonimo Arh" in base all’aggettivo a[rrato" (“fermo”, “duro”, “solido”, da cui anche “instancabile”), che viene esposta in Cratilo 407d1-4. 400 Probabile riferimento, sulla base di un’interpretazione in chiave allegorico-teologica, allo scontro fra Ares ed Atena descritto da Omero, Iliade, XXI vv. 400-414. 401 La dea intellettiva generatrice di vita è propriamente Rea, secon-

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    da monade della prima triade intellettiva, di cui Proclo ha ampiamente discusso nel libro V al cap. 11. Dunque è probabile che Proclo individui qui in Era il corrispettivo a livello ipercosmico-encosmico di Rea. 402 Ad Artemide “Lochia”, cioè “protettrice dei parti”, fa riferimento Euripide nell’Ifigenia in Tauride al v. 1097 e nelle Supplici al v. 958; ma probabilmente qui Proclo fa riferimento a qualche testo della tradizione orfica. Platone, dal canto suo, fa riferimento alla dea in Teeteto 149b9-10, ove si afferma che essa è “protettrice dei parti” benché sia vergine. Sulla questione si veda F. FERRARI (a cura di), Platone. Teeteto, Milano 2011, pp. 234-235, nota n.45. 403 Allusione all’interpretazione etimologica del teonimo Apovllwn come oJmopolw'n. Tale etimologia è proposta nel Cratilo al punto 405d4. Sull’interpretazione procliana delle diverse etimologie di questo teonimo che vengono proposte nel Cratilo rinvio al mio saggio introduttivo Proclo commentatore e interprete del Cratilo di Platone, op. cit., pp. 146-151. 404 Cfr. Fedro 246a7-8. Il riferimento, poco precedente, al «carro alato» condotto da Zeus è tratto da Fedro 246e4-5. 405 Come si evince da quanto è affermato nel commento procliano specificamente dedicato all’esegesi del mito di Er, commento che, come si è detto, è stato inserito nel corpus di scritti noto come Commento alla Repubblica, la monade e la triade cui si fa qui riferimento sono rappresentate rispettivamente dalla Necessità e dalle tre Moire/Parche: cfr. Commento alla Repubblica, vol. II, p. 100.5-8. 406 Come osservano gli Editori, l’aggettivo peripevzio" (lett. “che sta attorno ai piedi”) suggerisce l’immagine del cosmo come un essere vivente la cui testa è in cielo ed i cui piedi poggiano sulla terra. 407 Per quanto è affermato da p. 99.25 a p. 100.14, Proclo si riferisce a Repubblica X, 617b4-d2. 408 Si tratta delle tre Moire/Parche che nella tradizione mitologica greca, ripresa da Platone nel mito di Er, sono presentate come tessitrici del destino degli uomini, immagine alla quale allude qui Proclo. 409 Cfr. Repubblica X, 617b4; c1-2. 410 Cfr. supra, p. 100.23-24. 411 Qui il verbo ejpistrevfein è usato chiaramente in senso intransitivo. 412 Cfr. Repubblica X, 617a5; b4. 413 Il riferimento al “trono” su cui si è posta Necessità è tratto da Repubblica X, 621a1. 414 Espressione ripresa da Euripide, Troiane, vv. 887-888. Questo verso, già citato da Proclo nel libro I, cap. 15, p. 75.7, suggerisce l’immagine della quiete e della serena armonia che pervadono le entità governate e guidate dalla realtà divina.

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    COMMENTO

    Il riferimento è a Repubblica X, 617c5-d1. Proclo ritornerà sulla questione in seguito, a pp. 105.27-106.8 417 Sul ruolo di Adrastea nell’ambito della prima triade degli dèi intelligibili-intellettivi si veda quanto Proclo afferma nel libro IV, al cap. 17. A proposito della definizione di Necessità come “madre delle Moire”, cfr. Repubblica X, 617c1-2, ove si afferma che le Moire sono “figlie di Necessità”. 418 Cfr. Repubblica X, 617c6-7. 419 Cioè il mito di Er, al quale qui Proclo si riferisce: cfr. Repubblica X, 617c5-d1. 420 Questo è in effetti il carattere che contraddistingue gli dèi ipercosmici-encosmici: essi, pur rivolgendo la loro cura agli esseri inferiori, permangono nella loro trascendenza. 421 Cfr. Leggi XII, 960c7-9. 422 Citazione non letterale di Repubblica X, 617c3-5. 423 Così si deve intendere, accogliendo le integrazioni proposte da Saffrey-Westerink. Si tenga comunque presente che nello stile procliano talvolta i predicati verbali, anche in forma participiale, possono essere sottintesi, e forse lo stesso si può ipotizzare anche nel presente caso. 424 Il soggetto non è qui espresso: si può trattare di Platone o anche di Socrate. 425 L’integrazione proposta dai due Editori è assolutamente indispensabile. 426 Cfr. Repubblica X, 617c5-8. 427 Su tale concezione cfr. ad esempio Aristotele, De caelo II 2, 284b28, 285a23, 285b16; De incessu animalium 4, 705b16-21. 428 Il riferimento è ovviamente all’ambito della generazione e del divenire, intrinsecamente connotato dal nascere e perire. In effetti tale dimensione è, secondo la gerarchia neoplatonica, l’unica che è contrassegnata dalla morte. 429 In base all’ordine universale che regna nel Tutto, anche la dimensione del divenire è una politeia, una “forma di governo” che per volontà divina ha le sue leggi ed un suo specifico ordinamento, anche se tale ordinamento è intrinsecamente soggetto all’instabilità che contraddistingue il mondo fenomenico. 430 Cfr. Repubblica X, 620d7-621a5. La pianura del Lete/Oblio è il luogo dove l’anima dimentica, bevendo l’acqua del fiume Amelete (ossia il fiume della «non curanza»), il suo passato e si prepara alla rinascita. 431 Cfr. ibid. 617d2-5. 432 Cfr. ibid. 617a5; b4. 433 Come segnalano gli Editori, nel commento al mito di Er (inserito, come si è detto, nel Commento alla Repubblica), viene affermato 416

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    AL LIBRO VI,

    NOTE

    415-449

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    da Proclo che le ginocchia sono i simboli delle forze motrici presso gli dèi. Su ciò cfr. Commento alla Repubblica, vol. II, p. 227.10-11: kai; ga;r ta; govnata suvmbola kinhtikw'n ejstin para; toi'" qeoi'" dunavmewn. 434 Cfr. Repubblica X, 617d6. 435 Su ciò cfr. ibid. X, 620e1-6. 436 Cfr. ibid. X, 617b4-5. Per il riferimento ai troni cfr. ibid. 617c1. Infine per il riferimento, poco più avanti, alle Sirene cfr. ibid. 617b56. In effetti, in base al mito di Er narrato da Socrate, non sono le Moire ad essere poste sui cerchi, bensì le Sirene. Proclo propone qui, a tale riguardo, un’interpretazione alquanto macchinosa. 437 Cfr. ibid. 617b7-c1. 438 Cfr. ibid. 617c2-3. 439 Cfr. ibid. 617c2. 440 A questi “firmamenti” Proclo ha fatto cenno nel libro V, al cap. 24, p. 91.18. L’uso in questa accezione del termine in questione deriva quasi certamente dagli Oracoli Caldaici (cfr. fr. 57 des Places = p. 31 Kroll). Si tratta probabilmente di corpi celesti posti ai limiti più elevati del cielo sensibile e dunque vicini alle realtà ipercosmicheencosmiche. 441 Quest’“altra dottrina teologica” è quella che è esposta nel Parmenide, ove vengono descritti, secondo la prospettiva esegetica tardo neoplatonica, in modo estremamente dettagliato e preciso i vari livelli della realtà divina. Alla dottrina teologica del Parmenide, dunque, rinvia qui Proclo: essa verrà infatti ripresa nell’ultimo capitolo di questo VI libro, a conclusione della trattazione concernente gli dèi ipercosmici-encosmici. 442 Proclo realizza in questo ultimo capitolo quanto preannunciato nel cap. 18, p. 84.9-11, cioè, dopo aver preso in considerazione quanto viene affermato negli altri dialoghi a proposito degli dèi nonvincolati, passa «all’insegnamento compiutamente perfetto» del Parmenide. 443 Cfr. Parmenide 147c1-148d4. 444 Su ciò cfr. supra cap. 14, p. 69.5-29 e pp. 71.12-72.9. 445 Così si deve intendere, accogliendo l’integrazione proposta da Taylor sulla base del passo parallelo del Parmenide: 148d5-149d7. Si veda, inoltre, quanto Proclo afferma nel Commento al Parmenide: VII, 1202.26 segg. [ed. Steel]. 446 Proclo si riferisce qui con ogni probabilità a quanto affermato nel capitolo precedente, a p. 103.9-15 in riferimento alle Moire. 447 Qui il pronome aujtw'n si riferisce con ogni probabilità a ta; katadeevstera della riga 12. 448 Cfr. supra, cap. 1, p. 6.28-7.3 e cap. 23, pp. 102.25-103.4. 449 Cfr. supra, cap. 23, p. 108.10-12 e cap. 24, p. 109.19-20.

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    1150 450

    COMMENTO

    Cfr. Cratilo 404d1-8. Allusione alla pseudo-etimologia del teonimo “Pherréphatta” (altro nome di “Persefone”), inteso come ejpafh; tou' feromevnou («il contatto con ciò che è in movimento»), proposta in Cratilo 404d3-8. 452 Il riferimento è a Fedone 65b9-11. 453 Cfr. Parmenide 148d5-e3. 454 Cfr. supra, libro V, cap. 37. p. 138.1-11. 455 Il riferimento è a Parmenide 138a3-b5. 456 Qui ejpei; kai; ha valore tra il limitativo e l’avversativo, secondo un uso piuttosto comune. 457 Cfr. Parmenide 148e2-3 e quanto è affermato nel presente libro, pp. 111.28-112.2. 458 In effetti nella prima ipotesi, Parmenide (cfr. Parmenide 138a3b5) incomincia ad argomentare partendo dal carattere dell’“in altro”, da cui ricava poi quello dell’“in sé”. Invece nella ipotesi che Proclo, secondo l’ottica tardo neoplatonica, interpreta come descrizione del livello di realtà degli dèi non-vincolati, il carattere dell’“in sé” precede quello dell’“in altro” (cfr. Parmenide 145b6-7). 459 Cfr. Parmenide 148d8. 460 Nella traduzione si accoglie l’integrazione proposta da SaffreyWesterink. 461 Cfr. Parmenide 147c1-148d4. Alla questione Proclo ha specificamente dedicato il cap. 39 del libro V. 462 Probabile riferimento a quanto è stato affermato supra, al cap. 16, p. 81.26-27: qui viene detto che al livello di realtà di cui fa parte il Demiurgo vi sono essenza e identità presso le quali si trova anche l’unificazione delle potenze. Si veda inoltre quanto Proclo afferma nel libro V, cap. 39, p. 144.14-22. 463 Cfr. Parmenide, 148d8. 464 Con ogni probabilità Proclo si riferisce qui alla parte, andata perduta, del suo Commento al Parmenide, in cui doveva venire proposto il commento sistematico e dettagliato di tutto il passo 148d4149d7, al quale, nel presente contesto, egli ha fatto solo alcuni cenni. 451

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    SAGGIO INTEGRATIVO di Michele Abbate

    Parmenide nella Teologia Platonica tra “reinterpretazione” e “superamento”*

    * Il presente studio costituisce una rielaborazione e un ampliamento complessivi di quello da me proposto nel 2005. Nel mio volume Parmenide e i neoplatonici. Dall’Essere, all’Uno e al di là dell’Uno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2010, ho approfondito diverse questioni alle quali in questo breve studio ho potuto fare solo alcuni accenni.

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    Alcuni studi sono stati dedicati al ruolo giocato dall’interpretazione del Parmenide di Platone nella speculazione neoplatonica di Proclo ed in particolare nella sua Teologia Platonica. Questo dialogo è, in effetti, essenziale, secondo la prospettiva neoplatonica, per giungere ad una comprensione perfettamente sistematica del pensiero platonico intorno alla gerarchia che costituisce i diversi livelli della realtà1. In generale, l’interpretazione in chiave “teologica” del Parmenide si delinea di fatto come il punto di riferimento teorico intorno al quale ruota l’intera esegesi di Platone nell’ambito del tardo Neoplatonismo di cui Proclo è probabilmente il più grande esponente: nel Parmenide quest’ultimo trova la suprema conferma, validazione e ricapitolazione sistematica del pensiero “teologico” platonico2. Se il Parmenide gioca un ruolo così rilevante nella Teologia Platonica, ruolo comunemente riconosciuto dalla moderna ricerca scientifica, v’è un filone tematico che appare in qualche modo trascurato e che tuttavia risulta, a mio avviso, essenziale non solo per 1 Su ciò si veda l’eccellente studio di C. STELL, Le Parménide est-il le fondement de la Théologie Platonicienne?, in Proclus et la Théologie Platonicienne. Actes du Colloque International de Louvain (13-16 mai 1998), édités. par A.PH. SEGONDS et C. STEEL, Leuven-Paris 2000, pp. 373-397. Come osserva l’autore, il Parmenide è inteso da Proclo, più che come il fondamento teorico della Teologia Platonica, come una sintesi ed una ricapitolazione generale e complessiva della dottrina platonica sulla divinità (cfr. ibid., in particolare, pp. 384-385). 2 Come esempio eclatante di ciò, si veda quanto Proclo afferma nel libro VI, cap. 18, p. 84.7-11: nel Parmenide è possibile ritrovare in forma perfetta e compiuta l’insegnamento teologico di Platone.

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    MICHELE ABBATE

    comprendere appieno il ruolo di questo dialogo platonico nell’ambito della speculazione metafisico-teologica neoplatonica di Proclo, ma anche, in generale, per cogliere appieno il senso autentico di tale speculazione, anche in rapporto agli influssi da quest’ultima esercitati sulla successiva tradizione filosofico-teologica occidentale3: qual è il ruolo attribuito al presocratico Parmenide nella Teologia Platonica, che rappresenta a tutti gli effetti una summa complessiva del pensiero filosofico tardo neoplatonico4? Trovare una risposta a questa domanda, come si cercherà di dimostrare, significa in sostanza comprendere una delle problematiche teoretiche fondamentali affrontate dal Neoplatonismo. Si tratta, in effetti, di una questione teoretica che si rivela essenziale anche in considerazione della stessa genesi della speculazione neoplatonica e degli influssi da quest’ultima esercitati sulla successiva speculazione filosofica occidentale: il problema concernente il rapporto tra l’Uno ed i molti. Per far ciò, occorre in primo luogo prendere dettagliatamente in esame i passi della Teologia Platonica ove Proclo si riferisce esplicitamente a Parmenide di Elea, e non al “Parmenide” protagonista dell’omonimo dialogo platonico. Come si vedrà, se da un lato Proclo inserisce Parmenide nella grande tradizione che, all’interno della storia millenaria del pensiero greco, dall’Eleatismo e da Platone si sviluppa nella sua continuità e nella sua interna coerenza sino alla speculazione neoplatonica, dall’altro nell’esegesi procliana tende di fatto a delinearsi una sorta di radicale reinterpretazione della filosofia parmenidea: tale reinterpretazione è finalizzata a dimostrare la continuità fra l’ontologia parmenidea e il pensiero filosofico platonico. In realtà quella che Proclo propone nella Teologia Platonica non è puramente e semplicemente una reinterpretazione, ma vi si delinea di fatto come una sorta di “superamento” dell’Eleatismo sulla scorta 3

    Sulla Wirkungsgeschichte del Neoplatonismo nell’ambito del pensiero filosofico occidentale si rinvia ai fondamentali studi di W. BEIERWALTES: Identità e differenza, (ediz. orig. 1980) trad. it. Milano 1989; Platonismo e Idealismo, (ediz. orig. 1972) trad. it. Bologna 1987; Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, (ediz. orig. 1985) trad. it. Milano 1991. 4 Uno studio molto interessante, specificamente dedicato ai riferimenti a Parmenide in Plotino e Proclo, è quello di C. GUÉRARD, Parménide d’Élée chez les Néoplatoniciens, in: Études sur Parménide, a cura di P. AUBENQUE, vol. II, Paris 1987, 294-313. In tale studio viene presa in esame la questione da un punto di vista soprattutto storico-filosofico.

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    SAGGIO INTEGRATIVO

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    del così detto “parricidio di Parmenide”5 compiuto da Platone nel Sofista, laddove l’immobilità e l’assoluta unità nell’auto-identità dell’essere parmenideo vengono superate con l’introduzione della nozione di heterótes, ovvero di differenza. In questa prospettiva è proprio la differenza intrinseca dell’essere a fare di quest’ultimo qualcosa di “vivo” e “dotato di intelletto”6. Nella ontologia parmenidea sono proprio l’assoluta unità ed auto-identità dell’essere – che possono essere colte solo dal pensiero – a determinare l’impensabilità del non-essere, anche inteso come differenza, pluralità e movimento. Di qui l’apparente tautologia: “l’essere è, il non-essere né è né può in alcun modo essere”. Invece, nell’ottica neoplatonica, sono proprio la pluralità e molteplicità originarie dell’essere a determinarne l’autentica natura. Come vedremo, i riferimenti espliciti a Parmenide nella Teologia Platonica vanno tutti letti nella chiave di una reinterpretazione, che è al contempo anche un superamento (seppure forse non considerato effettivamente come tale da Proclo ed in generale dai neoplatonici), della ontologia eleatica.

    5 Come è noto l’espressione “parricidio di Parmenide” deriva dall’ironico impiego del termine patraloías (“parricida”) in Sofista 241d3. In effetti Platone non afferma esplicitamente che la nozione di heterótes si delinea come un “parricidio di Parmenide”. Come osserva J. A. PALMER, nel suo studio Plato’s reception of Parmenides, Oxford 1999, pp. 145-146, Platone non afferma mai nel Sofista di aver compiuto un figurato “parricidio di Parmenide”. Tuttavia rimane, a mio avviso, indubbio che l’introduzione della differenza nell’essere, e dunque il fatto di rendere l’essere molteplice e dinamico, rappresenta a tutti gli effetti un “superamento” della ontologia parmenidea. A tale proposito è sufficiente richiamare alla memoria gli argomenti di Zenone contro la molteplicità ed il movimento. 6 Cfr. su ciò Sofista 248e6 segg.: XE. Tiv de; pro;" Diov" wJ" ajlhqw'" kivnhsin kai; zwh;n kai; yuch;n kai; frovnhsin h\ rJa/divw" peisqhsovmeqa tw'/ pantelw'" o[nti mh; parei'nai, mhde; zh'n aujto; mhde; fronei'n, ajlla; semno;n kai; a{gion, nou'n oujk e[con, ajkivnhton eJsto;" ei\nai QEAI. Deino;n menta[n, w\ xevne, lovgon sugcwroi'men. XE. ÆAlla; nou'n me;n e[cein, zwh;n de; mh; fw'men. È anche alla luce di questo passo che nel Neoplatonismo in generale l’essere viene definito in termini di “vita”, come “soggetto a movimento” e come intrinsecamente “molteplice”.

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    1. I riferimenti espliciti a Parmenide nella Teologia Platonica: la molteplicità dell’essere Proclo cita esplicitamente Parmenide, con riferimento a specifici versi del suo poema Sulla natura, in quattro differenti luoghi della Teologia Platonica7: libro I, cap. 14, p. 66.4 libro III, cap. 20, p. 68.7-10 libro III, cap. 20, p. 70.6-10 e p. 71.24

    fr. B 3 (ed. Diels-Kranz) fr. B 8, 5-6. fr. B 8, 43-45

    Come risulta immediatamente evidente il filosofo cita in tre casi su quattro alcuni versi del fr. 8, il più lungo, ove Parmenide delinea alcuni attributi dell’essere. D’altro canto il fr. 3, citato nel libro I, consiste nella nota formulazione parmenidea dell’identità di essere e pensiero8. Proprio dall’analisi del contesto in cui Proclo cita quest’ultimo frammento appare possibile comprendere in modo piuttosto chiaro in quale direzione proceda l’interpretazione procliana della ontologia parmenidea. È infatti proprio in considerazione del particolare contesto in cui Proclo cita il fr. 3 di Parmenide nel libro I della Teologia Platonica che è possibile farsi un’idea immediata della particolare interpretazione procliana dell’ontologia parmenidea; come risulterà evidente, non si tratta solo di una reinterpretazione di Parmenide, ma di fatto di un vero e proprio stravolgimento del senso complessivo della dottrina di quest’ultimo. «Il corpo e tutta questa dimensione sensibile fanno parte delle realtà che sono mosse da altro, mentre l’anima è automoventesi, in quanto riconnette a se stessa tutti i movimenti corporei, mentre l’intelletto precede quest’ultima in quanto è immobile. E non si pensi che io ritenga questa immobilità iden-

    7 Per un quadro sinottico di tutti i frammenti di Parmenide citati da Proclo in tutte le sue opere si veda nel già citato saggio di C. GUÉRARD, Parménide d’Élée chez les Néoplatoniciens, lo schema a p. 313. Si tenga presente che Proclo è una delle nostre principali fonti per la conservazione dei frammenti di Parmenide. 8 Si tratta del noto fr. 28 B 3 Diels-Kranz: to; ga;r aujto; noei'n ejstivn te kai; ei\nai. Tale frammento è stato interpretato in molti differenti modi in tutta la storia della filosofia occidentale. Gli autori neoplatonici sembrano tutti interpretare tale frammento nel senso dell’identità di essere e pensiero.

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    SAGGIO INTEGRATIVO

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    tica a ciò che noi definiamo inattivo, inanimato e privo di respiro, ma a ciò che noi definiamo principio causale originario di ogni movimento e fonte, se si vuole, di ogni vita, sia di quella che si rivolge verso se stessa sia di quella che ha in altre entità il proprio fondamento. […] Se poi, per giunta, questo intelletto non solo è da un lato intelletto in senso essenziale, dal momento che «lo stesso sono il pensare e l’essere»9, dice Parmenide, ma è anche dio per partecipazione […] è necessario a mio giudizio che anche il cielo nella sua interezza risulti dipendere dalla divinità e dall’unità dell’intelletto, e che in tutto questo nostro universo sia presente, da un lato, ad opera dell’anima, il movimento, dall’altro, ad opera dell’intelletto, l’eterna permanenza e il rimanere nella stessa condizione, mentre l’unica e sola unificazione, il senso di affinità che lo permea, la comunanza di sentire e la misura perfetta a partire dall’Enade, ad opera della quale, al contempo, l’intelletto è uni-forme, l’anima una e ciascuno degli enti intero e perfetto secondo la sua propria natura [...]»10

    Come risulta subito manifesto, Proclo inserisce la citazione di Parmenide in un contesto in cui si sottolinea la dimensione vitale e viva della realtà sensibile che, secondo la prospettiva neoplatonica, risulta inoltre caratterizzata anche da una natura intellettiva. In quest’ottica l’intelletto è concepito come «principio causale originario di ogni movimento» e «fonte di ogni vita», universale o particolare che sia. Questo intelletto, afferma ancora Proclo, non è solo da considerarsi nella sua relazione di perfetta identità con l’essere, secondo il detto di Parmenide, ma anche come un “dio per partecipazione”. In quest’ultima affermazione di Proclo è possibile cogliere due aspetti che appaiono fondamentali per l’intera elaborazione dell’impianto teoretico su cui poggia la strutturazione gerarchica della realtà divina secondo la prospettiva neoplatonica procliana. Occorre premettere che tutto il reale in tutte le sue diverse e specifiche articolazioni è, per usare un’espressione cara allo stesso Proclo, “ricolmo di dèi”. La teologizzazione del reale consente di ricondurre al divino anche il fondamento intelligibile ed intellettivo della dimensione sensibile. In questa prospettiva, l’identità assoluta di essere e pensiero, di cui parla Parmenide,

    9

    Cfr. Parmenide 28 B 3 Diels-Kranz. Cfr. TP I, cap. 14, pp. 65.14-66.14.

    10

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    finisce per sdoppiarsi nelle due dimensioni dell’essere e dell’intelletto: è la dimensione intellettiva dell’essere a rendere quest’ultimo “vivo” ed al contempo “molteplice”. A sua volta l’intelletto, in quanto dimensione dinamica dell’auto-identità dell’essere, risulta il fondamento non solo della dinamicità del reale, che si determina nell’ipostatizzazione dell’anima, ma anche della identità che pervade tutti i livelli del reale: il “rimanere nella stessa condizione” è ciò che l’intelletto determina anche nell’ambito della realtà sensibile, che, pur soggetta al mutamento continuo che appartiene specificamente alla dimensione fenomenica, rivela tuttavia una sua forma di identità nella stabilità ed immutabilità del movimento e della natura dei corpi celesti. In ultima istanza, ad impedire il disgregarsi della realtà in tutte le sue diverse articolazioni è l’unitaria identità di essere e pensiero, che si riflette, a gradi ed in forme differenti, in tutti i diversi livelli di realtà che procedono a partire dalla dimensione intelligibile. Tuttavia, al contempo, l’identità di essere e pensiero viene anche intesa come fondamento originario della dinamicità stessa del reale. Appare dunque chiaro come Proclo ricorra all’autorità di Parmenide per fondare una concezione del reale che appare radicalmente estranea, se non addirittura opposta, all’ontologia parmenidea. A tutto questo occorre aggiungere un’ulteriore considerazione che, come risulterà chiaro in seguito, acquista un particolare significato se messa in relazione con la particolare “interpretazione” neoplatonica di Parmenide: se l’intelletto, per via della sua identità dinamica con l’essere, è ciò che garantisce “il rimanere nella stessa condizione” e la stabilità anche nella dimensione mutevole del sensibile, è necessario, nella prospettiva neoplatonica procliana, un ulteriore fondamento che assicuri l’unità interna, l’armonia e l’ordine della realtà sensibile, alla quale l’intelletto fornisce “solo” una forma di permanente stabilità: si tratta dell’Enade, principio astratto di unità, che garantisce la coesione a tutti i livelli in base ai quali risulta, a sua volta, articolata la realtà sensibile. In sintesi, si potrebbe dire che la pluralità del reale, in tutte le sue diverse dimensioni, richiede un fondamento originario di unità che trascende anche l’identità stessa di essere e pensiero. In verità, come vedremo negli altri passi in cui Proclo cita esplicitamente Parmenide, è proprio l’assunto dell’intrinseca molteplicità dell’essere a richiedere un principio a partire da quale anche l’unità/identità di essere e pensiero risulti a sua volta fondata. La stessa scansione dei diversi ordinamenti di divinità che governano, ciascuno, su specifici e determinati ambiti della realtà, deve esse-

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    re ricondotta ad un’unità di insieme, assoluta ed onnicomprensiva. Quelle stesse divinità, che assicurano l’unità e la coesione della dimensione alla quale sono preposte, vengono ricondotte ad un’ulteriore grado di unità, superiore e sempre più trascendente. Il Tutto appare così organicamente unitario, governato, in ogni suo livello, da divinità che – come in una catena i cui singoli anelli dipendono, in senso assiologico, da quelli che li precedono – derivano da quelle superiori, di volta in volta caratterizzate da un maggior grado di trascendenza ed intrinseca unità. Per molti aspetti si potrebbe considerare l’intera Teologia Platonica come una fondazione metafisico-teologica delle diverse gradazioni del molteplice secondo una serie progressiva, in direzione di un sempre maggiore grado di astrattezza, di differenti livelli di unità. A questo punto legittima appare la domanda: quale esigenza teorica spinge Proclo, e come lui gli altri autori del tardo Neoplatonismo, a moltiplicare la serie dei principi (considerati a tutti gli effetti come divinità) costitutivi del reale? Per rispondere a questa domanda, illuminante appare proprio il brano precedentemente citato, ove, come si è visto Proclo cita esplicitamente Parmenide. Per comprendere nella giusta luce quanto viene affermato in questo passo, è bene tener presente un concetto che Proclo espone sempre nel libro I, in un contesto assai simile a quello del passo precedentemente citato. Delineando la natura della molteplicità dei differenti livelli che costituiscono la realtà nel suo complesso, egli afferma che «la natura dell’essere non è unica, semplice e indivisibile»11: è proprio in base a tale concetto che Proclo sembra in certo modo rendere ragione della molteplicità che è presente, a maggior o a minor livello, in tutti i gradi del reale. Come appare evidente, l’affermazione appena citata si pone in radicale opposizione con la dottrina parmenidea dell’essere, in base alla quale l’essere risulta caratterizzato proprio dall’unità, dalla non-molteplicità e dalla non-divisibilità12. Nella prospetti11 Cfr. TP I, cap. 10, p. 42.20-21: Ouj gavr ejstin hJ tou' o[nto" fuvsi" miva kai; aJplh' kai; ajdiaivreto". 12 È sufficiente prendere in considerazione il frammento 28 B 8, ove Parmenide delinea gli attributi fondamentali dell’essere, per rendersi conto di come la concezione neoplatonica procliana dell’essere risulti radicalmente opposta rispetto a quella dell’Eleate: ad esempio quest’ultimo afferma che l’essere è uno (v. 6: e{n), non è divisibile (cfr. v. 22: oujde; diairetovn ejstin), è immobile (cfr. v. 26: ajkivnhton), e rimane identico nella sua auto-identità (cfr. v. 29: taujtovn t∆ ejn taujtw'i te mevnon).

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    MICHELE ABBATE

    va neoplatonica, la pluralità intrinseca in tutti livelli della realtà, anche se in gradazioni diverse, appare come una diretta conseguenza della molteplicità intrinseca dell’Essere che, inteso come principio originario del reale, riflette la sua natura molteplice su tutti i livelli di realtà che vengono dopo di esso. Ecco perché il Tutto risulta intrinsecamente molteplice in ogni sua specifica e determinata articolazione. Per garantire la sua unità complessiva sono necessari molteplici principi posti nei diversi livelli del reale e capaci di ricondurre le varie forme di molteplicità a strutture unitarie d’insieme.

    2. La critica sistematica a Parmenide nel III libro della Teologia Platonica alla luce del Sofista Come è noto, Platone elabora nel Sofista un’articolata discussione sulla dottrina parmenidea relativa alla natura dell’essere. È principalmente a questo dialogo che Proclo si riferisce nella sua “reinterpretazione” dell’ontologia eleatica. In realtà, come appare evidente fin dalle prime battute, questa “reinterpretazione” si delinea a tutti gli effetti come una critica ed un “superamento” del pensiero parmenideo. Nella Teologia Platonica la critica sistematica all’“incompletezza”, secondo la prospettiva procliana, della dottrina di Parmenide non potrebbe trovare una migliore collocazione del III libro, specificamente dedicato alla dimensione intelligibile della realtà e alle triadi divine intelligibili. Anche in questo caso, in considerazione della densità concettuale dei passi in cui Proclo, sulla scorta del Sofista, propone il suo punto di vista sull’ontologia parmenidea, è opportuno citare direttamente il testo procliano. «Lo Straniero di Elea, sollevando in questo testo difficoltà alla tesi di Parmenide secondo cui il tutto è uno, e rivelando la molteplicità intelligibile e mostrando come essa dipenda dall’Uno, dapprima argomenta a partire dall’Uno-che-è, ed in seguito, dopo aver ricordato che questo è «uno in quanto si è passivamente trovato ad avere tale carattere»13 e partecipa dell’uno, ma non è uno-in-sé né in senso primario uno, a partire dalla nozione di “intero” ricava la concezione della distinzione fra l’Uno impartecipato e l’essere. In effetti se l’Uno-che-è 13

    Riferimento a Sofista 245b7-8.

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    è anche un tutto, come Parmenide attesta, e d’altro canto il tutto ha parti, ma ciò che ha parti non è uno-in-sé, l’Uno-cheè non potrebbe essere identico all’Uno. In terzo luogo egli argomenta a partire dalla nozione di “compiutamente perfetto”; in effetti ciò che è totalmente diviso e contiene un gran numero di parti non potrebbe mai avere la stessa forma di sussistenza di ciò che è in modo compiutamente perfetto uno. E fino a tal punto si è spinto mostrando che il “non-soggetto-amolteplicità” trascende in base alla sua propria natura l’Unoche-è, procedendo attraverso tre argomentazioni, e prendendo le mosse ora dalla nozione di “uno-che-è”, ora invece da quella di “intero”, ora da quella di “tutto”.»14

    Qui Proclo interpreta nei termini di un’effettiva critica quanto lo Straniero di Elea, che si rifà al fr. 8, afferma a proposito della dottrina parmenidea15. Il senso complessivo di tale critica può essere riassunto come segue: se l’uno di Parmenide è la realtà intelligibile nella sua interezza e totalità, esso deve contenere in sé la molteplicità che caratterizza intrinsecamente la dimensione intelligibile; in questo prospettiva l’uno parmenideo non è un puro e originario uno, ma è uno in quanto partecipa a sua volta dell’Uno in senso autentico, cioè dell’Uno-in-sé che è, nella prospettiva neoplatonica, il Primo Principio trascendente la totalità del reale. L’uno di Parmenide, prosegue Proclo, non può dunque essere l’Uno-in-sé, proprio perché è intrinsecamente molteplice. È evidente che qui Proclo dà per assunto il superamento della ontologia parmenidea che Platone intende operare nel Sofista: l’essere è intrinsecamente molteplice e non originariamente uno, come invece afferma Parmenide. Alla luce di questo presupposto, Proclo riconduce l’essere parmenideo all’Uno-che-è della seconda ipotesi del Parmenide, che viene considerato dagli autori neoplatonici come l’ipostasi, cioè il livello specifico di realtà, dell’intelligibile. Proprio perché l’essere risulta intrinsecamente molteplice, esso richiede un principio originario di unità posto al di sopra del-

    14

    Cfr. TP III, cap. 20, p. 67.27 segg. Il participio ajporw'n (cfr. III, cap. 20, p. 68.1) indica in questo contesto il “muovere difficoltà e critiche”. Ed in effetti, in considerazione di quanto viene affermato nel Sofista, si delinea in questo dialogo non una semplice “rielaborazione” dell’ontologia parmenidea, ma in modo evidente una critica radicale, che comporta l’inserimento nell’essere della dimensione della differenza e della molteplicità. 15

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    l’essere stesso. In questa prospettiva, l’assoluta trascendenza del Primo Principio sembra per certi versi delinearsi come un superamento dell’ontologia di Parmenide: l’unità originaria, che quest’ultimo individua al livello dell’essere, è in realtà un’unità derivata, proprio perché l’essere è intrinsecamente molteplice. Ma per quale ragione l’essere non può che risultare, secondo la prospettiva procliana, intrinsecamente molteplice? A tale questione si potrebbe rispondere rinviando ancora al fr. 3 di Parmenide, ove viene affermata l’identità di essere e pensiero. Nell’ottica neoplatonica è proprio il fatto che l’essere è identico al pensiero, a rendere molteplice e dinamico l’essere. L’intelletto, secondo gli autori neoplatonici, è in se stesso contraddistinto dal movimento e dalla dinamicità: se l’essere è identico all’intelletto, l’essere deve riflettere in se stesso questa dinamicità. Di fatto, nella prospettiva neoplatonica, la pluralità intrinseca dell’essere consente di liberare quest’ultimo dall’immobilità e dalla pura auto-identità che caratterizzano in modo essenziale l’essere in base alla concezione ontologica parmenidea. Nella continuazione del brano del III libro della Teologia Platonica appena citato, il senso dell’argomentazione procliana in relazione alla critica mossa da Platone all’ontologia eleatica si fa ulteriormente chiaro. «Ma è meglio prestare attenzione direttamente alle parole di Platone. Ebbene, il fatto che l’Uno non è identico all’Unoche-è, lo stabilisce con queste argomentazioni: «E poi? Da coloro che affermano che il tutto è uno, non dovremmo farci dire, nei limiti del possibile, che cosa mai intendono dire con il termine “essere”? – Come no? – Ebbene che rispondano a questo: «voi dite, se non vado errato, che v’è solo una cosa che è?». «In effetti lo affermiamo» diranno. Non è forse vero? –Sì – «E poi? Con “essere” viene da voi nominato un qualcosa?». «Sì». «Forse ciò che è uno, servendovi per la stessa cosa di due nomi, o come?». – Quale sarà dopo ciò, la loro risposta, straniero?»16. Proprio attraverso tali argomentazioni Platone, distinguendo tra loro l’uno e l’essere e mostrando che una è la nozione dell’uno, un’altra quella dell’essere, e che queste sono diverse l’una dall’altra, mette in luce che l’Uno in senso assolutamente proprio e primario trascende l’Uno-che-è. Infatti l’Unoche-è non permane in modo puro nella forma di realtà non-

    16

    Citazione da Sofista 244b8-c3.

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    soggetta-a-molteplicità e uni-forme, mentre dal canto suo l’Uno risulta trascendere ogni aggiunta: infatti qualunque cosa gli si aggiunga, si diminuisce la sua suprema ed ineffabile unità. Pertanto da un lato si deve porre per ordinamento l’Uno prima dell’Uno-che-è, dall’altro si deve far dipendere l’Uno-che-è da quello che è solamente Uno. Se infatti l’Uno e l’Uno-che-è fossero la stessa cosa e non vi fosse nessuna differenza nel dire “uno” ed “essere” – se infatti vi sarà differenza, di nuovo l’Uno risulta diverso dall’Uno-che-è – se dunque l’Uno non differisce in nulla dall’Uno-che-è, “uno” saranno tutte le cose e non vi sarà negli enti la molteplicità, né sarà possibile dare nome alle cose, perché non si vengano ad avere due entità distinte, il nome e la cosa. Infatti, se ogni forma di molteplicità e di divisione risultano eliminate, non vi saranno né nome né definizione, ma il nome risulterà identico alla cosa ed il nome non sarà nome di una cosa, né la cosa sarà cosa indicata da un nome, ma il nome sarà nome di un nome, se è vero che la cosa è identica al nome ed il nome alla cosa, e la cosa sarà nome di una cosa. Infatti tutte le caratteristiche che concernono il nome saranno le stesse che concernono la cosa in virtù dell’unità della cosa e del nome. Se dunque si vengono ad avere queste conclusioni assurde, vi sono sia l’uno sia l’essere e se l’essere partecipa dell’uno, l’Uno e l’Uno-che-è non sono identici.»17

    Qui Proclo, citando esplicitamente il Sofista di Platone, dimostra che in base al concetto stesso di Uno-che-è – la seconda ipotesi del Parmenide che gli autori neoplatonici identificano con la realtà intelligibile stessa –, l’essere non può venir considerato come un’unità originaria: esso dipende invece a sua volta dall’Uno-in-sé, il principio assolutamente originario della totalità del reale. Nella sua intrinseca molteplicità, dunque, l’essere non ha il fondamento della sua unità in se stesso, come invece avviene nell’ontologia parmenidea, ma richiede un ulteriore principio che ne garantisca l’unità: ecco perché l’Uno-in-sé è necessariamente ejpevkeina tou' o[nto", vale a dire al di là dell’essere. Dal canto suo la pluralità dell’essere viene considerata come un assunto imprescindibile per rendere ragione della molteplicità che si manifesta nei vari livelli del reale. A questo punto Proclo passa a prendere in esame quella che

    17

    Cfr. TP III, cap. 20, p. 68.18 segg.

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    nel Sofista è la critica, fondata, secondo l’interpretazione procliana, sul concetto di “intero”, che viene rivolta a Parmenide per aver identificato fra loro uno ed essere. Nel brano in questione Proclo riporta il passo 244d14-245b3 del dialogo platonico ove vengono citati i vv. 43-45 del fr. 8 di Parmenide. «Il fatto poi che anche l’intero, se è vero che esiste, non potrebbe essere identico all’Uno, Platone lo dimostra di seguito, incominciando da qui: «E poi? Diranno che l’intero è diverso dall’uno-che-è o identico a questo? – Come potranno e come fanno di fatto a dire di no? – Se pertanto è un intero, come anche Parmenide dice, “da ogni parte simile a massa di ben rotonda sfera, a partire dal centro uguale in ogni parte (infatti né più grande né più piccolo è necessario che sia in una parte o in altra),”18

    se l’essere è tale, l’essere ha un centro ed al contempo degli estremi; ma se ha questi, è necessario che abbia parti. Oppure come? — Così – Ma di fatto nulla impedisce che ciò che risulta diviso in parti si trovi passivamente ad avere il carattere dell’uno in tutte le sue parti, ed in tal modo, essendo un tutto ed un intero, bisogna che sia uno. – Che cosa lo vieta? – Ma ciò che si trova in tale condizione non è forse vero che è impossibile che sia uno in sé? – Come potrebbe? – Privo di parti si deve dire ciò che è veramente uno in base al corretto ragionamento? – In effetti bisogna che lo sia – Ma ciò che è tale, essendo costituito di molte parti, non sarà in accordo con il discorso precedente. – Capisco». Attraverso tali considerazioni appunto lo Straniero di Elea, argomentando, dopo l’uno-che-è, a partire dalla nozione di totalità e dalla divisione delle parti propria della totalità, mostra che il tutto non è uno. Se infatti v’è l’intero fra gli enti, come attesta Parmenide nel suo poema, le cose tutte non potrebbero essere uno. Infatti l’uno è privo di parti, mentre l’intero ha parti; dunque l’intero non è uno-in-sé. Esso infatti trascende tutte le parti e la totalità; ma l’intero è uno «in quanto ha passivamente acquisito il carattere dell’uno»19, perciò è stato denominato “intero”: l’intero infatti non è uno-in-sé. Dunque tutti gli enti nel loro insieme non sono un uno senza distinzione e non soggetto a molteplicità.»20

    18

    Cfr. Parmenide fr. B 8 vv. 43-45. Cfr. Sofista 245b7-8. 20 Cfr. TP III, cap. 20, p. 69.27 segg. 19

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    Nella conclusione di questo passo, come appare evidente, viene in certo modo ribadito il senso complessivo della critica rivolta all’ontologia parmenidea: la totalità dell’essere implica in se stessa la nozione di molteplicità e pluralità. Proprio perché esistono gli enti, l’essere non può risultare un’unità in senso originario. Esso richiede un fondamento per essere unitario, ovvero, per usare il termine al quale ricorre lo stesso Parmenide, una “sfera”21, cioè un tutto assolutamente uniforme. Tuttavia questa uniformità in Parmenide è connessa all’identità ed unità intrinseche dell’essere e alla negazione della sua molteplicità. In Proclo, invece, alla luce della critica rivolta dallo Straniero di Elea nel Sofista, l’unità dell’essere è la stessa che connette le parti al tutto: non è, cioè, unità autenticamente originaria. L’essere risulta, dunque, uni-forme, proprio nella misura in cui la sua unità deriva dall’Uno-in-sé al di sopra dell’essere, ovvero dal Principio supremo di tutto il reale. In base a queste considerazioni appare evidente che quella che viene proposta dagli autori neoplatonici e dallo stesso Proclo come una sorta di “reinterpretazione” di Parmenide è di fatto un “capovolgimento” degli assunti parmenidei. Come vedremo, questa critica all’ontologia eleatica comporta, in seno al Neoplatonismo procliano, una rielaborazione radicale del concetto di identità di essere e pensiero, che, se in Parmenide risultava fondata in se stessa sull’unità ed auto-identità originarie dell’essere, nell’ottica neoplatonica richiede invece un fondamento ulteriore, ad un tempo al di sopra dell’essere e del pensiero. A tale rielaborazione dell’assunto dell’identità di essere e pensiero corrisponde nel Neoplatonismo una particolare concezione della verità. Essa non viene considerata come un carattere specifico dell’essere, bensì come una proprietà che ha il proprio fondamento originario nel Primissimo Principio che, nella sua assoluta trascendenza, risulta posto anche al di là della verità stessa.

    21 L’immagine della sfera è ripresa anche nel libro IV, cap. 38, p. 110.1820, per descrivere il carattere complessivamente unitario e uniforme dell’Intelletto, da intendersi in quel contesto, con ogni probabilità, come determinato livello ipostatico del reale.

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    3. Il problema della verità in considerazione del “superamento” dell’ontologia parmenidea Secondo la prospettiva parmenidea, la verità si delinea come l’assoluta e perfetta identità di essere e pensiero22, anzi si potrebbe dire che la verità è l’identità stessa di essere e pensiero. L’essere ha la sua connaturale dimora nel pensiero, poiché esso è identico al pensiero. Detto in altri termini, nella ontologia di Parmenide la verità è l’essere nella sua originaria identità con il pensiero, sicché, in ultima analisi, l’identità è un tutt’uno con le nozioni di essere e pensiero: identità, essere e pensiero esprimono la stessa unica realtà. In questa prospettiva la molteplicità, il movimento e la mutabilità, proprio in quanto concetti estranei alla verità che è l’identità di essere e pensiero, sono relegati all’oscura ed ingannevole dimensione della doxa, vale a dire dell’opinione. Da Platone in poi, sia in senso storico sia in senso teoretico, la filosofia di Parmenide viene considerata come quella prospettiva di pensiero che nega in sé la pensabilità della differenza. Nel Sofista l’aggiramento o, meglio, il superamento del precetto parmenideo secondo il quale il non-essere non è neppure autenticamente pensabile, si delinea come un obiettivo fondamentale dal quale pare dipendere la possibilità stessa del procedere del pensiero filosofico: nell’immobilità dell’essere parmenideo non sembra esservi spazio per la ricerca e l’investigazione filosofiche; d’altra parte all’interno di tale prospettiva non è neppure possibile, secondo la lettura di Platone, rendere conto e ragione della mutevolezza della realtà sensibile, alla quale, comunque, gli esseri umani sono a tutti gli effetti vincolati. Il Platonismo non è conciliabile con l’immobilità dell’essere, cardine dell’ontologia di Parmenide. Il Sofista è proprio il tentativo compiuto da Platone di “oltrepassare” i vincoli limitativi e limitanti della filosofia eleatica. È del resto proprio in questa prospettiva che, come si è visto, lo stesso Proclo interpreta questo dialogo platonico. Nei passi della Teologia Platonica sopra citati, più che ad un ripensamento della posizione parmenidea, pare piuttosto di assistere ad una serrata confutazione: affermare che l’essere è intrinsecamente molte22

    Per una trattazione più ampia e articolata di tale questione rinvio al mio volume Parmenide e i neoplatonici. Dall’Essere all’Uno e al di là dell’Uno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2010, in particolare pp. 9-15.

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    plice significa di fatto capovolgere l’assunto della filosofia parmenidea. Quanto finora si è detto emerge con piena evidenza se si prende in esame la particolare concezione della verità, elaborata nell’ambito del Neoplatonismo in base ad una particolare interpretazione della così detta “analogia solare” esposta da Platone nel VI libro della Repubblica, analogia in cui, come è noto, il Bene/Uno (secondo l’interpretazione neoplatonica) viene paragonato al sole. In base a questa metafora il Principio Primo viene concepito come la fonte prima della luce che illumina la realtà intelligibile23. Decisamente rilevanti per comprendere come, nell’ottica neoplatonica, il Principio Primo rappresenti il fondamento originario della verità sono la particolare funzione ed il significato che Proclo attribuisce alla luce promanata dal Bene in relazione alla realtà intelligibile. Fondamentale appare a tale proposito un breve passo del I libro della Teologia Platonica, ove Proclo sintetizza la sua interpretazione della metafora solare. Egli afferma che «nella Repubblica la luce che procede dal Bene, la quale unisce fra loro, congiungendoli, l’intelletto e colui che ha intellezione, Platone la chiama “verità”»24. Occorre soffermarsi brevemente su tale considerazione, poiché in essa è possibile, a mio avviso, cogliere la più evidente conseguenza del “superamento” dell’ontologia parmenidea. Come si è detto in precedenza, in Parmenide la verità appare come un aspetto intrinseco dell’identità di essere e pensiero: si potrebbe dire che tale identità si delinea proprio come verità nella sua forma più originaria ed autentica. Nel Neoplatonismo, invece, la prospettiva muta radicalmente proprio in conseguenza della concezione relativa alla intrinseca molteplicità dell’essere. Quest’ultimo, proprio in quanto molteplice, non può più essere considerato come il fondamento stesso della sua unità ed autoidentità: esso richiede un fondamento che lo renda uni-forme. Questo fondamento è il Bene/Uno che proietta la sua “luce” sulla 23 Per un’analisi dettagliata dell’interpretazione di questa analogia in Plotino e Proclo rinvio al mio lavoro Il Bene nell’interpretazione di Plotino e di Proclo, in M. VEGETTI (a cura di), Platone. La Repubblica, vol. V, Napoli 2003, pp. 625-678. Inoltre sull’interpretazione procliana del Bene si veda il saggio di W. BEIERWALTES, Proklos’ Begriff des Guten aus der Perspektive seiner Platon-Deutung, in A. KIJEWSKA (a cura di), Being or Good? Metamorphoses of Neoplatonism, Lubin 2004, pp. 99-120. 24 Cfr. TP I, cap. 21, p. 100, 14-15: to; ejn Politeiva/ proi>o;n ajpo; tou' ajgaqou' fw'", to; sunavpton tw'/ nohtw'/ to;n nou'n, ajlhvqeian oJ Plavtwn kalei'.

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    dualità originaria di pensato e pensante, di oggetto di intellezione e di intelletto, ovvero di essere e pensiero. L’effetto prodotto da questa luce è la connessione di essere e pensiero: è la verità che deriva dal Bene/Uno a fondare l’identità di essere e pensiero. La verità dunque non è più, come invece in Parmenide, un aspetto intrinseco dell’essere, bensì una “proprietà” che ha la propria origine e il proprio fondamento nel Primo Principio, l’Uno-in-sé posto al di là dell’essere e del pensiero. Ciò significa, in ultima analisi, che il fondamento dell’identità di essere e pensiero è quel Principio che per la sua intrinseca natura è assolutamente altro dall’essere e dal pensiero. L’Uno-in-sé è in grado di fondare l’unità-identità di essere e pensiero proprio in quanto è posto al di là dell’essere e del pensiero. D’altra parte, in quanto fondamento della verità, il Primo Principio risulta al di sopra della verità stessa. Si comprende allora in che senso Proclo riconduca al Bene/Uno l’unità, la verità e la natura divina stessa degli dèi, i quali, secondo la prospettiva della Teologia Platonica, sono a loro volta principi causali, ai vari livelli in cui sono posti, di tutte le entità via via inferiori: l’unità del Tutto ed al contempo dei diversi livelli di divinità che lo costituiscono è in ultima analisi fornita e garantita dal Principio Primo e Dio Primo che trascende il Tutto. «Ed in effetti l’essenza e l’intelletto si dice che hanno avuto sussistenza principalmente ad opera del Bene, che intorno al Bene hanno la loro esistenza, che sono colmi della luce, da lì proveniente, della verità, e che ricevono dall’unificazione la partecipazione, che si riversa su di loro, a questa luce, la quale è più divina dell’intelletto stesso e dell’essenza, considerato che essa risulta dipendere principalmente dal Bene e negli enti è apportatrice della somiglianza a ciò che è primo. Ed infatti tutto ciò che è visibile è la luce che promana dal sole a farlo diventare «simile al sole», e a rendere l’intelligibile «simile al Bene» e divino è la partecipazione alla sua luce. E l’intelletto pertanto è divinità in virtù della luce intellettiva, e l’intelligibile che è più importante dell’intelletto in virtù della luce intelligibile, e l’intelligibile ed al contempo ciò che è intellettivo in virtù della pienezza della luce, che discende verso esso, risultano partecipi della realtà divina, e, per dirla in breve, è in virtù di questa luce che ciascuna delle divinità è ciò che si dice ed al contempo risulta unificata alla causa di tutti gli enti»25.

    25

    Cfr. TP II, cap. 4, p. 33.5 segg.

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    Proprio per la sua assoluta trascendenza anche rispetto all’intelletto e alla totalità degli enti26, il Principio Primo risulta il fondamento dell’unità dell’essere pur nella sua intrinseca molteplicità, ovvero la realtà intelligibile, essa stessa suddivisa secondo precisi livelli e scansioni. «Siamo pertanto molto lontani dalla possibilità che il primissimo Bene giunga all’identità con l’intelletto ed al contempo che l’intelligibile sia più importante di tutta quanta l’esistenza della totalità delle cose, intelligibile che è anche inferiore alla luce che proviene dal Bene, e che, essendo reso perfetto a partire da questa, è connesso, conformemente al proprio ordinamento, al Bene stesso. Infatti non allo stesso modo diremo che l’intelligibile e la luce risultano uniti a ciò che è primo, ma l’una in virtù della connessione con esso risiede direttamente nel Bene, mentre l’altro è in virtù di questa connessione che partecipa della prossimità ad esso»27.

    Seguendo il ragionamento procliano, la verità stessa, superiore all’intelligibile, in quanto è il fondamento dell’unità di quest’ultimo, è inferiore al Bene/Uno, poiché esso è anche, al contempo, la sua origine. Il Principio Primo, infatti, è assimilato alla fonte prima della luce che illumina la realtà intelligibile. Fuor di metafora ciò significa che il fondamento della verità dell’intelligibile e della sua autoidentità è l’assoluta trascendenza di ciò che si delinea come totaliter aliter. Quindi, in ultima analisi, il fondamento dell’identità di essere e pensiero è dunque un principio che per la sua intrinseca natura è assolutamente altro dall’essere e dal pensiero. Questa assoluta ulteriorità del Primo Principio, su cui si fonda il reale in tutte le sue diverse articolazioni, conduce Proclo all’elaborazione di una teologia negativa, in base alla quale, unicamente, risulta possibile esprimere il carattere assolutamente altro della Causa Primissima di tutte le cose.

    26 Cfr. ad esempio ibid., p. 31.25-26, ove si afferma che la Causa Primissima è ejpevkeina tou' nou' kai; tw'n o[ntwn aJpavntwn, ossia al di là dell’intelletto e di tutti quanti gli enti. 27 Cfr. ibid., p. 33.22 segg.

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    4. Il “superamento” di Parmenide: l’apertura alla mistica dell’Uno? A questo punto pare inevitabile chiedersi; sono davvero la critica ed il supermanto della ontologia parmenidea a condurre il pensiero neoplatonico nella direzione della teologia negativa e, oltre quest’ultima, verso il misticismo? Certo non si può affermare che l’ammissione della molteplicità nell’essere comporti ed implichi di per se stessa un’apertura in direzione della mistica. Tuttavia, specialmente nell’ambito del Neoplatonismo tardo, si può dire che l’esigenza di conservare e fondare l’identità di essere e pensiero porta a concepire il Principio Primissimo come posto necessariamente al di là dell’essere e del pensiero: è quest’ultimo aspetto che pare in certo modo implicare in se stesso un’apertura quasi inevitabile alla dimensione del misticismo: l’unione mistica con l’Uno. «E questa è la parte migliore della nostra attività: nella quiete delle nostre facoltà elevarci verso il divino stesso, danzarvi intorno, riunire senza posa tutta la molteplicità dell’anima in questa unificazione, e, tralasciate tutte quante le cose che vengono dopo l’Uno, porci accanto ad esso e stabilire un contatto con esso che è ineffabile ed al di là di tutti gli enti. Infatti fino a questo punto è lecito che l’anima ascenda, cioè finché non concluda la sua ascesa giungendo fino al Principio stesso di tutti gli enti. Inoltre è lecito che l’anima, una volta pervenuta in quel luogo e contemplato quel luogo, ridiscendendo da quel luogo, passando attraverso gli enti, dispiegando le molteplicità delle Forme, attraversando l’insieme delle loro monadi e discernendo intellettivamente in che modo ogni cosa dipenda dalle proprie relative monadi, ritenga di possedere la perfettissima scienza della realtà divina, avendo contemplato in modo uni-forme le processioni degli dèi negli enti ed al contempo le differenziazioni fra gli enti in rapporto agli dèi»28.

    In questo passo della Teologia Platonica sembra racchiuso tutto il senso più profondo ed autentico di quest’opera di Proclo, che appare a tutti gli effetti come una “summa” completa del pensiero neoplatonico. In essa la pluralità stessa degli dèi che sono preposti ai diversi livelli del reale è ricondotta all’unità in virtù della trascendenza originaria ed assoluta dell’Uno-in-sé e Dio Primo. 28

    Cfr. TP I, cap. 3, 16.19 segg.

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    Nella sua assoluta trascendenza il Principio Primo si rivela come al di là di tutte le cose. L’unico modo, infatti, per avvicinarsi a esso è quello di concepirlo in termini puramente apofatici, ossia come indicibile e inconoscibile poiché non è nessuna di tutte le cose ed è nella stessa misura ulteriore a tutte, anche all’essere e al pensiero stessi. D’altra parte è proprio quest’assoluta trascendenza e originarietà, nello stesso tempo meta-ontologica e meta-noetica, a garantire il fondamento autentico dell’unità complessiva dell’essere e, con esso, della dimensione intelligibile nel suo insieme. Dal Primo Dio quest’ultima deriva il suo carattere divino che è trasmesso a ogni livello della totalità del reale: esso risulta così integralmente divinizzato. La sua conseguente e sistematica teologizzazione costituisce la via attraverso la quale Proclo mostra come il Tutto, essendo permeato integralmente dal carattere del divino in virtù del suo fondamento assolutamente originario, permanga nel suo insieme armonicamente unitario. Tale unitarietà è garantita dalle complesse gerarchie di ordinamenti divini collegati fra loro in modo tale da costituire un intreccio coerente e armonico. A loro volta, la minuziosa differenziazione e la conseguente sistematizzazione gerarchico-assiologica da parte di Proclo dei molteplici livelli divini che formano il Tutto possono essere intese come un modo per colmare il “salto abissale” fra il Primissimo Principio assolutamente trascendente ed il determinarsi della molteplicità del reale in tutti le sue diverse articolazioni. In questa prospettiva la successione gerarchica dei diversi gradi della realtà divina a partire dall’Uno si delinea come il tentativo, quasi ossessivo, di individuare dei principi mediatori fra l’assoluta trascendenza dell’Uno al di là del Tutto e la realtà nelle sue diverse forme di determinazione: enadi, dèi intelligibili, dèi intelligibili-intellettivi, dèi intellettivi, dèi ipercosmici, dèi ipercosmici-encosmici e dèi encosmici indicano in ordine assiologico i livelli attraverso i quali si articola e viene a determinarsi il molteplice. Esso tuttavia, proprio in virtù dell’ordine gerarchico che lo costituisce, appare al contempo armonicamente unitario. In conclusione, come si è visto nel saggio introduttivo, quella che possiamo definire come l’ontoteologia del molteplice elaborata da Proclo intende fornire una soluzione al problema del passaggio dall’Uno ai molti e della conservazione nella molteplicità dell’unità di tutto l’essere. Certo non è possibile sostenere che questa complessa organizzazione gerarchica del Tutto, sia una diretta conseguenza del superamento dell’ontologia parmenidea. Tuttavia è legittimo affermare che nella prospettiva neoplatonica procliana l’esigenza di moltipli-

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    MICHELE ABBATE

    care i principi intermedi, garanti di volta in volta ed a livelli differenti di coesione ed unità, dipenda, in ultima analisi, dal considerare l’essere come originariamente molteplice, in radicale ed oggettiva contrapposizione al principio fondativo dell’Eleatismo. Senza dubbio gli autori neoplatonici ritenevano che l’ontologia di Parmenide rappresentasse una parte di quella unitaria tradizione filosofica che giungeva fino a loro stessi. Per questo lo stesso Proclo cercò in qualche modo di inserire nel proprio sistema metafisico-teologico alcuni dei caratteri fondamentali dell’essere parmenideo, come quelli dell’eternità, dell’immutabilità e infine dell’auto-identità, ma certamente non quello dell’assoluta unità. Per Proclo, infatti, è il cosmo stesso nel suo insieme, che è plasmato a immagine del paradigma intelligibile, a dimostrare l’intrinseca molteplicità dell’essere. Quindi nella prospettiva neoplatonica procliana all’essere deve venire attribuita una costitutiva molteplicità che è incompatibile con la concezione parmenidea, in base alla quale, invece, nell’essere non può esistere alcuna differenza, implicante di per sé una forma di non-essere. Di ciò Proclo sembra perfettamente consapevole: per questo egli propone un effettivo capovolgimento della posizione parmenidea. Si potrebbe concludere che nell’ottica neoplatonica è l’assunto della molteplicità dell’essere a implicare, per molti aspetti, come si è visto, la necessità di un fondamento meta-ontologico e meta-noetico in grado di garantire l’unità dell’essere. Per questa assoluta trascendenza, tale fondamento, che è al contempo Dio Primo, rende necessario, come si è visto ancora nel saggio introduttivo, il ricorso a una forma di teologia apofatica e, con essa, a una forma di mistica del silenzio. Per il tramite di quest’ultima il pensiero, interrompendo la propria attività e sospendendosi, lascia lo spazio all’esperienza dell’“unione mistica” con l’Uno che, in quanto fondamento originario dell’identità di essere e pensiero, risulta paradossalmente posto al di sopra dell’essere e del pensiero.

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    BIBLIOGRAFIA Si indica qui di seguito una bibliografia essenziale distinta in 6 diversi gruppi in base ai quali il lettore può facilmente orientarsi per specifici approfondimenti. 1. Edizioni critiche delle opere di Proclo citate V. COUSIN: Procli Commentarium in Platonis Parmenidem, Parisii 1864; rist. Hildesheim, 1961. E. DIEHL: In Platonis Timaeum commentaria, 3 voll., Lipsiae 1903, 1904, 1906; rist. 1965. E.R. DODDS: The Elements of Theology. A revised text with translation and commentary, Oxford 1933; 19632; rist. 1992. W. KROLL: In Platonis Rem publicam commentarii, 2 voll., Lipsiae 1899, 1901; rist. Amsterdam 1965. C. LUNA - A.PH. SEGONDS: Proclus. Commentaire sur le Parménide de Platon, Texte établi, traduit et annoté par Concetta Luna et Alain Philippe Segonds, vol. I-VI, Paris 20072017 [edizione giunta al libro VI del Commento al Parmenide]. G. PASQUALI: In Platonis Cratylum commentaria, Lipsiae 1908. H.D. SAFFREY - L.G. WESTERINK: Théologie platonicienne. Texte établi et traduit, 6 voll., Paris 1968, 1974, 1978, 1981, 1987, 1997. A.PH. SEGONDS: Proclus, Sur le Premier Alcibiade de Platon, Texte étabili et traduit, 2 voll., Paris 1985 e 1986. C. STEEL ET AL.: Procli in Platonis Parmenidem Commentaria, I-III, Oxford 2007-2009.

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    BIBLIOGRAFIA

    2. Traduzioni e commenti delle opere procliane citate M. ABBATE: Proclo. Commento alla Repubblica, Milano 2004. —, Proclo. Commento al Cratilo, Milano 2017. M. CASAGLIA - A. LINGUITI: Proclo. Teologia Platonica, Torino 2007. E. DI STEFANO: Proclo. Elementi di teologia, Catania 1994. C. FARAGGIANA DI SARZANA: Proclo Licio Diadoco: I manuali (‘Elementi di Fisica’, ‘Elementi di Teologia). I testi magicoteurgici. Marino di Neapoli: Vita di Proclo. Saggio introduttivo di G. Reale, Milano 19992. A.J. FESTUGIÈRE: Proclus. Commentaire sur la République, 3voll., Paris 1970. —: Proclus. Commentaire sur le Timée, 5 voll., Paris 1966-68. D. GIORDANO: Proclo. Inni, Firenze 1956. G.R. MORROW - J.M. DILLON: Proclus’ Commentary on Plato’s ‘Parmenides’, Princeton (New Jersey) 1987; rist. con correzioni 1992. F. ROMANO: Proclo. Lezioni sul ‘Cratilo’ di Platone, Università di Catania 1989. M. TIMPANARO-CARDINI: Proclo, Commento al I libro degli Elementi di Euclide, Pisa 1978. R. VAN DEN BERG: Proclus’ Hymnes: essays, translations,commentary, Leiden-Köln 2001. 3. Studi sulla tradizione platonica e neoplatonica M. ABBATE, Non-dicibilità del «Primo Dio» e via remotionis nel cap. X del Didaskalikos, in F. Calabi (a cura di) Arrhetos Theos. L’ineffabilità del primo principio nel medio platonismo, Pisa 2002, pp. 55-75. —, Tra esegesi e teologia. Studi sul Neoplatonismo, MilanoUdine 2012. M. BARBANTI e F. ROMANO (a cura di), Il Parmenide di Platone e la sua tradizione. Atti del III Colloquio Internazionale del Centro di Ricerca sul Neoplatonismo. Università degli Studi di Catania, 31 maggio-2 giugno, Catania 2002. M. BONAZZI, Il platonismo, Torino 2015. R. CHIARADONNA, Platonismo, Bologna 2017. E.R. DODDS, The ‘Parmenides’ of Plato and the Origin of the Neoplatonic One, «Classical Quarterly», XXII (1928), pp. 129-142.

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    BIBLIOGRAFIA

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    P. DONINI, Le scuole l’anima l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino 1982 (rist. 1993). H. DÖRRIE - M. BALTES, Der Platonismus in der Antike, vol. III, Der Platonismus im 2. und 3. Jahrundert nach Christus. Bausteine 73-100. Text, Übersetzung, Kommentär, Stuttgart 1993. F. FERRARI, Introduzione a Platone, Bologna 2018. M. ISNARDI PARENTE, Platone e la prima Accademia di fronte al problema delle Idee degli artefacta, in «Rivista critica di Storia della Filosofia», 19 (1964), pp. 123-158. A.C. LLOYD, The Anatomy of Neoplatonism, Oxford 1990. D.O’MEARA, Pythagoras revived. Mathematics and Phylosophy in Late Antiquity, Oxford 1989. —, Platonopolis. Platonic political Philosophy in late Antiquity, Oxford 2003. P. MERLAN, Dal Platonismo al Neoplatonismo, (ediz. orig. 1953, 19602), trad. it. Milano 19942. G. REALE, Storia della filosofia antica, vol. IV, Milano 19875. H.D. SAFFREY, Recherches sur le Néoplatonisme après Plotin, Paris 1990. H. SENG, Un livre sacré de l’Antiquité tardive: les Oracles Chaldaïques, Turnhout 2016. 4. Studi sulle forme e sulle strutture dei commentari neoplatonici AA.VV., Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I tomo III, Roma 1994. G. CAMBIANO, Proclo e il libro di Euclide, in AA.VV., Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità. Atti del Convegno tenuto a Catania, Università degli studi, 27 sett. - 2 ott. 1982, Roma 1985, I, pp. 265-279. J.A. COULTER, The Literary Microcosm. Theories of Interpretation of the Later Neoplatonists, Leiden 1976. —, Literary Criticism in the Platonic Scholia, in AA.VV., Columbianum. Essays in honor of Paul Oscar Kristeller, New York 1987, pp. 63-72 A.J. FESTUGIÈRE, Modes de compositions des Commentaires de Proclus, «Museum Helveticum», 20 (1963), pp. 77-100. —, L’ordre de lecture des dialogues de Platon aux Ve/VIe siècles, «Museum Helveticum», 26 (1969), pp. 281-96. I. HADOT, Les introductions aux commentaires exégétiques chez les auteurs néo-platoniciens et les auteurs chrétiens, in AA. VV., Les règles de l’interprétation, Paris 1987, pp. 99-122.

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    E. LAMBERZ, Proklos und die Form des philosophischen Kommentars, in AA.VV., Proclus lecteur et interprète des anciens. Actes du Colloque international du C.N.R.S., Paris 2-4 oct. 1985, Paris 1987, pp. 1-20. D. O’MEARA, Plato’s ‘Republic’ in the School of Iamblichus, in M. VEGETTI - M. ABBATE (a cura di), La Repubblica di Platone nella tradizione antica, Napoli 1999, pp. 193-205. J. MANSFELD, Prolegomena. Questions to be settled before the study of an author, or a text, Leiden - New York - Köln 1994. I. MUELLER - G.R. MORROW: Proclus. A Commentary on the First Book of Euclid's ‘Elements’. Translated with Introduction and notes, by Glenn R. Morrow. With a new foreward by Ian Muller, Princeton (New Jersey) 19922 F. ROMANO, Genesi e strutture del commentario neoplatonico, in AA.VV., Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità. Atti del convegno tenuto a Catania, Univ. degli studi, 27 sett.-2 ott. 1982, Roma 1985, I, pp. 219-237 (già nella raccolta di saggi dello stesso autore Studi e ricerche sul Neoplatonismo, Napoli 1983, cap. IV, pp. 49-66). M. UNTERSTEINER, Problemi di filologia filosofica, a cura di L. SICHIROLLO e M. VENTURI FERRIOLO, Milano 1980; rist. 1992. 5. Studi specifici sul pensiero e sull’opera di Proclo AA.VV., Proclus et la Théologie Platonicienne. Actes du Colloque International de Louvain (13-16 mai 1998), édités. par A.PH SEGONDS et C. STEEL, Leuven-Paris 2000. M. ABBATE, Parypóstasis: il concetto di male nella quarta dissertazione del ‘Commento alla Repubblica’ di Proclo, in «Rivista di Storia della Filosofia», 1 (1998), pp. 109-115. —, Gli aspetti etico-politici della Repubblica nel commento di Proclo (Dissertazioni VII/VIII e XI), in M. VEGETTI - M. ABBATE (a cura di), La Repubblica di Platone nella tradizione antica, Napoli 1999, pp. 207-218. —, Il ‘linguaggio dell’ineffabile’ nella concezione procliana dell’Uno-in-sé, in «Elenchos», XXII (2001), pp. 305-327 —, Dall’etimologia alla teologia. Proclo interprete del ‘Cratilo’, Casale Monferrato 2001. —, Il Bene nell’interpretazione di Plotino e di Proclo, in M. VEGETTI (a cura di), Platone. La Repubblica, vol. V, Napoli 2003, pp. 625-678.

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    BIBLIOGRAFIA

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    —, Il divino tra unità e molteplicità. Saggio sulla Teologia Platonica di Proclo, Alessandria 2008. —, Parmenide e i neoplatonici. Dall’Essere all’Uno e al di là dell’Uno, Alessandria 2010. P. BASTID, Proclus et le crépuscule de la pensée grecque, Paris 1969. W. BEIERWALTES, Proclo. I fondamenti della sua metafisica, (ediz. orig. 1965; 19792) trad. it. Milano 19902. —, Proklos’ Begriff des Guten aus der Perspektive seiner PlatonDeutung, in A. KIJEWSKA (a cura di), Being or Good? Metamorphoses of Neoplatonism, Lubin 2004, pp. 99-120. L. CARDULLO, Il linguaggio del simbolo in Proclo, Università di Catania 1985. R. CHLUP, Proclus. An Introduction, Cambridge 2012. U. CRISCUOLO, Iconoclasmo bizantino e filosofia delle immagini divine nel Neoplatonismo, in S. GERSH - C. KANNENGIESSER (a cura di), Platonism in Late Antiquity, Notre Dame, Indiana 1992, pp. 83-102. M. ERLER, Interpretieren als Gottesdienst. Proklos’ Hymnen vor dem Hintergrund seines Kratylos-Kommentars, in AA. VV., Proclus et son influence. Actes du Colloque de Neuchâtel, juin 1985, Zürich 1987, pp. 179-217. C. FARAGGIANA DI SARZANA, Le commentaire à Hésiode et la paideia encyclopédique de Proclus, in AA.VV., Proclus lecteur et interprète des anciens. Actes du colloque international du C.N.R.S, Paris 2-4 oct. 1985, Paris 1987, pp. 21-41. I. HADOT, Le problème du néoplatonisme alexandrin. Hiéroclès et Simplicius, Paris 1978 M. HIRSCHLE, Sprachphilosophie und Namenmagie im Neuplatonismus, Meisenheim am Glan 1979. P. D’HOINE – M. MARTIJN (eds.), All From One. A Guide to Proclus, Oxford 2017. P.O. KRISTELLER, Proclus as a reader of Plato and Plotinus, and his influence in the Middle Ages and in the Renaissance, in Proclus lecteur et interprète des anciens. Colloque international du CNRS, Paris 2-4 octobre 1985, a cura di J. PÉPIN e H.D. SAFFREY, Paris 1987, pp. 191-211. O. KUISMA, Proclus’ defence of Homer, Helsinki 1996. G. MARTANO, Psicologia e dialettica nel Neoplatonismo in una pagina di Proclo, in AA.VV., Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità. Atti del Convegno tenuto a Catania, Università degli studi, 27 sett.-2 ott. 1982, Roma 1985, I, pp. 239-246.

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    E. A. MOUTSOPOULOS, Les structures de l’imaginaire dans la philosophie de Proclus, Paris 1985. J.-M. NARBONNE, De l’un matière a l’un forme. Le réponse de Proclus à la critique aristotélicienne de l’unité du politique dans la République de Platon (In Rem. II, 361-368), in J.M. NARBONNE e A. RECKERMANN (a cura di) Penées de l’Un dans la tradition métaphysique occidentale, Paris-Montréal 2003. J. OPSOMER, La démiurgie des jeunes Dieux selon Proclus, in «Les Études Classiques», 71 (2003), pp. 5-49. J. PÉPIN, Linguistique et théologie dans la tradition platonicienne, in Linguaggio. Scienza-Filosofia-Teologia, «Atti del XXV convegno di assistenti universitari di filosofia», Padova 1981, pp. 23-53. S. RAPPE, Reading Neoplatonism. Non-discursive Thinking in the Texts of Plotinus, Proclus, and Damascius, Cambridge University Press 2000. G. REALE, Introduzione a Proclo, Roma-Bari 1989. —, L’estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero metafisico e teurgico di Proclo, in PROCLO, I manuali (Elementi di fisica; Elementi di teologia). I testi magico-teurgici; MARINO, Vita di Proclo, Traduzione, prefazione, note e indici a cura di C. FARAGGIANA DI SARZANA, Milano 19992. F. ROMANO, Proclo lettore e interprete del Cratilo in J. PÉPIN e H. D. SAFFREY (a cura di), Actes du Colloque International du CNRS, Paris 2-4 octobre 1985, Paris 1987, pp. 113-136. H.D. SAFFREY, Nouveaux liens objectifs entre le Pseudo-Denys et Proclus, in «Revue de Sciences Philosophiques et Théologiques», 63 (1979), pp. 3-16; tradotto anche in lingua inglese in Neoplatonismo and Early Christian Thought. Essays in honour of A.H. Armstrong, edited by A.J BLUMENTHAL and R.A. MARKUS, London 1981, pp. 6474. A.D.R. SHEPPARD, Studies on the 5th and 6th Essays of Proclus’ Commentary on the Republic, Göttingen 1980. —, Proclus’ Attitude to Theurgy, in «Classical Quarterly», 32 (1982), pp. 211-224. —, Proclus’ philosophical method of exegesis, in J. PÉPIN e H. D. SAFFREY (a cura di), Actes du Colloque International du CNRS, Paris 2-4 octobre 1985, Paris 1987, pp. 137-151. L. SIORVANES, Proclus. Neo-Platonic Philosophy and Science, Yale University Press, New Haven and London 1996.

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    BIBLIOGRAFIA

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    C. STEEL, L’anagogie par les apories, in AA. VV., Proclus et son influence. Actes du Colloque de Neuchâtel, juin 1985, Zürich 1987, pp. 101-128. —, Le Sophiste comme texte théologique dans l’interprétation de Proclus, in On Proclus and his Influence in Medieval Philosophy, edited by E.P. BOS and P.A. MEIJER, Leiden New York - Köln 1992, pp. 51-64. J. TROUILLARD, Réminiscence et procession de l’âme selon Proclos, in Revue philosophique de Louvain, 69 (1971), pp. 177-189. —, L’Un et l’âme selon Proclus, 1972. —, L’activité onomastique selon Proclus, in AA.VV., De Jamblique à Proclus, neuf exposés suivis de discussions, «Entretiens sur l’Antiquité Classique», 21, VandoeuvresGenève 1975, pp. 239-251 . —, La mystagogie de Proclos, Paris 1982. L.G. WESTERINK, Exzerpte aus Proklos’ Enneadenkommentar bei Psellos, «Byzantinische Zeitschrift», 52 (1959), pp. 110.

    6. Studi concernenti gli influssi procliani ed in genere neoplatonici sul pensiero medievale, rinascimentale e moderno M. ABBATE, Il “superamento” di Parmenide: il fondamento ineffabile di “evidenza” e “verità”, in «Oltrecorrente», 5 (2002), pp. 135-146. W. BEIERWALTES, Identità e differenza, (ediz. orig. 1980) trad. it. Milano 1989. —, Platonismo e Idealismo, (ediz. orig. 1972) trad. it. Bologna 1987. —, Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, (ediz. orig. 1985) trad. it. Milano 1991. E.P. BOS - P.A. MEIJER, On Proclus and his Influence in Medieval Philosophy, Leiden - New York - Köln 1992. D.D. BUTORAC - D.A. LAYNE (eds.), Proclus and his Legacy, Berlin/Boston 2017. N. SCOTTI, Aspetti di attualità teoretica del pensiero procliano negli studi di Werner Beierwaltes, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 82 (1990), pp. 120-145.

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    BIBLIOGRAFIA

    Sulla bibliografia procliana N. SCOTTI MUTH, Proclo negli ultimi quarant’anni. Bibliografia ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il pensiero procliano e i suoi influssi storici (anni 19491992), Milano 1993. Un utile repertorio bibliografico, pressochè completo dal 1990 al 2018, curato dal gruppo di ricerca coordinato da Carlos Steel, è consultabile sul sito web (“Katholieke Universiteit Leuven”): https://hiw.kuleuven.be/dwmc/ancientphilosophy/proclus/proclusbiblio.html

    Da parte dello stesso gruppo di ricerca è stata inoltre pubblicata una bibliografia ragionata in cui sono presentati gli studi su Proclo dal 1990 al 2004: Proclus: fifteen years of research (19902004): an annotated bibliography, ed. by P. d'Hoine, Ch. Helmig, C. Macé, L. Van Campe, under the direction of Carlos Steel, Göttingen 2005 [=«Lustrum» 44, 2002].

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    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI (i riferimenti sono indicati secondo la numerazione di pagina e di riga dell’edizione Saffrey-Westerink)

    ANASSAGORA (ed. Diels-Kranz) 59 B 1: II, 4.1 ARISTOTELE De anima I 2, 405 b 15: I, 15.17-18 I 5, 410 b 23: III, 22.20-21 I 5, 411 b 18-19: IV, 55. 20-21 III 4, 429 a 27-28: IV, 33.22 III 5, 430 a 10-11: III, 34.7 III 5, 430 a 16-17: IV 40.6-7 III 5, 430 a 18: I, 66.24; 92.11 De incessu animalium 4, 705b16-21: VI, 106.6-8 De caelo I 9, 279 a 27-28: III, 55.21 I 10, 12: I, 121.19 II 1, 284 a 27-35: I, 75.16-18 II 2, 284 b 28: VI, 106.6-8 II 2, 285 a 23: VI, 106.6-8 II 2, 285 b 16: VI, 106.6-8 De generatione animalium II 1, 731 b 29: III, 21.18-19

    20.22-23 Fragmenta fr.207 (Rose): V, 143.15-17 Metaphysica I, 1, 980 a 27: III, 80.18 XI, 10, 1076 a 3-4: II, 22.8-9 Physica I 1, 184 a 12-14: II, 16.11-13 I 2, 184 b 15-22: II, 15.1-9 IV 10, 218 a 24: III, 59.26 VIII 1, 250 b 14: III, 46.18; – IV 60.13-14 Retorica I 6, 1362 a 23: I, 101.27 Topica I 1, 100 a 18-20: I, 38.11-12 I 1, 100 a 27-101 a 4: I, 40.3-5 I 10, 104 a 3-8: I, 36.1-3 I 10, 105 a 7-9: I, 36.1-3 III 1, 116 a 19-20: I, 101.27 De mundo 6, 397 b 23: I, 11.22

    De sensu 1 437 a 5-6: III, 80.18 Ethica Eudemia I 5, 1216 b 6: VI, 53.10-12 Ethica Nicomachea I 1, 1904 a 3: I, 101.27; –II 20.22-23 X 2, 1172 b 14-15: I, 101.27; –II,

    ATTICO (ed. des Places) fr. 34: V, 46.20

    EMPEDOCLE (ed. Diels-Kranz) 31 B 17. 19 ss.: IV, 110.20 31 B 27.4: V, 11.18-19; 19.17-18

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    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    ESCHILO fr. 387 (Nauck): III, 30.8

    ESIODO Teogonia 459-462: V, 138.25

    EURIPIDE Ifigenia in Tauride 1097: VI, 98.11 Supplici 958: VI, 98.11 Troiane 887-888: I, 75.7; 77.8-9; 87.17-18; – IV, 45.3; – VI, 101.22

    FILOLAO (ed. Diels-Kranz) 44 B 1: III, 30.22

    GIAMBLICO Sugli dèi I, 52.3 Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco p. 20.7-9: IV, 99.20

    NICOMACO Introduzione all’aritmetica I 7, 1: II, 16.15 I 8, 1-4: IV, 99.20 I 9, 1: IV, 99.20

    OMERO Iliade III 172: I, 33.19-20 IV 443: I, 95.11 VII 422: II, 65.1 XV 187-189: VI, 29.8 XVIII 394: I, 33.19-20 XXI 400-414: VI, 98.1 Odissea VIII 22: I, 33.10-20 XIX 179: I, 42.10

    ORACOLI CALDAICI (ed. des Places) fr. 1.1: I, 15.3-4; – IV, 106.3; – V, 121.13; 139.24-25 fr. 1.4: V, 43.27; 82.15-16; 111.1718; 132.13; 133.15-16 fr. 2.3: IV, 26.23; 30.12; 35.19; 36.14; 41.13; 54.7 fr. 3: III, 73.20-21 fr. 3.1: V, 43.7 fr. 3.2: IV, 64.15 fr. 4: I, 80.21-22; – III, 73.20-21; – IV, 91.14; – VI, 42.10-11 fr. 5.2: V, 135.16-17; 145.11-12 fr. 8.1: V, 82.10 fr. 8.2: V, 26.18-20 fr. 17: V, 29.20; 93.1-2 fr. 18: VI, 75.25-26 fr. 21: III, 47.4 fr. 23: VI, 72.16-17 fr. 27: V, 45.3-5 fr. 28: IV, 54.8-12; 72.24; 106.1 fr. 31.1: III, 91.5 fr. 32.1: III, 90.3 fr. 32.3: IV, 28.4; 106.1 fr. 34.2-3: III, 99.14-15 fr. 34.3-4: III, 97.21-24 fr. 35.1: V, 35.4 fr. 37: IV, 27.11 fr. 37.1-3: VI, 56.23 fr. 39: II, 56.21 fr. 39.2: IV, 54.13 fr. 40: VI, 20.7-8

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1183

    ESCHILO

    fr. 42.3: V, 115.8-9; 120.23-24 fr. 43: I, 11.13-21; 109.13-110.6; 112.1-3 fr. 46: III, 81.15-17; – IV, 31.6-8 fr. 49: VI, 6.1-3; 20.5-6 fr. 49.2: I, 15.3-4 fr. 49.3: I, 69.20-21; – VI, 7.20-21 fr. 49.4: III,59.21-22; – IV, 76.19 fr. 50: V, 36.12; 40.2; – VI, 48.16: 50.25 fr. 51: V, 117.24; – VI, 51.25-28 fr. 51.2: VI, 56.25-57.1 fr. 52: V, 117.24; – VI, 51.25-28 fr. 54: V, 117.24; 119.9-11 fr. 57: V, 91.18 fr. 65: III, 26.1; 99.21; – IV, 24.11; – VI, 12.7; 21.22; 26.24; 27.13-14; 39.13; 48.24 fr. 65.2: V, 8.24; 112.27; 120.20; 127.2; 142.19 fr. 66: III, 26.1; – IV, 24.11 ¸– V, 9.5-6; – VI, 12.7; 21.22; 26.24; 27.13-14; 39.13 fr. 72: V, 130.7 fr. 77.1: IV, 6.11; 10.10 fr. 82.1: V, 124.11 fr. 84: IV, 64.11-12 fr. 85: IV, 111.19 fr. 86: IV, 27.19-20; 73.7 fr. 99.1: V, 94.19 fr. 102: V, 119.12 fr. 108: II, 56.21 fr. 108.1: I, 24.3-5; – IV, 30.16 fr. 108.2: IV, 30.14 fr. 109.3: IV, 26.23; 30.12; 35.19; 36.14; 41.13; 54.7; – V, 102.20 fr. 110: VI, 48.24 fr. 112.1: I, 11.13-14 fr. 114: V, 87.24-25 fr. 116.2: I, 16.6 fr. 126: III, 5.15 fr. 130: II, 56.13 fr. 130.2: IV, 61.21; – V, 128.16 fr. 130.4: IV, 78.1 fr. 163.5: I, 16.6 fr. 177: IV, 73.14-15 fr. 187: V, 33.22; – VI, 51.22-25

    – PARMENIDE

    1183

    fr. 188: VI, 51.22-25 fr. 197: VI, 51.22-25 fr. 198: III, 89.1

    ORIGENE fr. 2: II, 31.8-9 fr. 7: II, 31.4-22

    ORPHICORUM FRAGMENTA (ed. Kern) fr. 64: III, 91.11,23; 96.11 fr. 68: I, 121.6-11 fr. 71 a-b: IV, 110.20 fr. 81: IV, 81.20 fr. 86: III, 80.26-27 fr. 107: I, 26.13-14; – IV, 67.4-5 fr. 128: IV, 21.16-18 fr. 130: V, 33.23-25 fr. 1134: V, 35.26-27 fr. 137: V, 24.12-13; – VI, 38.13 fr. 139: IV, 21.16-18 fr. 142: V, 34.10-14 fr. 144: V, 90.20-22 fr. 145: V, 39.10-14; – VI, 49.28-29 fr. 151: V, 16.28-17.1; 127.21-128.2; – VI, 66.1-7 fr. 152: IV, 52.18.21; 54.11-12 fr. 158: VI, 39.24-28 fr. 159: IV, 48.21-22 fr. 167: I, 58.7; – V, 56.25 fr. 168.2: VI, 40.1-4 fr. 172: VI, 58.4-5 fr. 185: V, 128.13-14 fr. 186: V, 128.25 fr. 191: VI, 66.1-7 fr. 195: VI, 50.12-22 fr. 198: VI, 50.4-12 p. 298, n° 12: VI, 65.22-24 p. 308, n° 20: VI, 65.22-25

    PARMENIDE (ed. Diels-Kranz) 28 B 3: I, 66.4 28 B 8 , 43-45: III, 68.8; 70.6-10; 71.24 28 B 8.43: IV, 110.20

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1184

    1184

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    PINDARO Istmiche I. 52: VI, 47.1

    PLATONE Alcibiade I 133 B 7-C 6: I, 15.21-23 Clitofonte 408 C 3-4: III, 83.17-18 Cratilo 385 B 2-D 1 . I, 97.15-17 390 E 1-2: V, 124.25 395 E 5-396 B 3: V, 79.21-80.8 396 A 2-C 1: IV, 21.15-25 396 A 4: V, 83.21 396 A 6-B 2: V, 96.5-6 396 A 7: V, 16.8-9; 36.20-21; 87.2-3 396 A 7-8: V, 82.22-23 396 A 8: V, 81.21-22; 84.23-24 396 B 1: V, 81.3 396 B 1-3: V, 78.27-79.7; 83.22-23 396 B 3-7: VI, 36.2-5; 44.26-28 396 B 4-7: IV, 32.18-19; – V, 15.6-8 396 B 6-7: V, 17.4-5; 21.3-4; 35.5; 51.6-7; 124.21-22; 129.10-12; 131.5-6; 145.9; –VI, 66.12-14 396 B 7: IV, 65.16-17; – V, 23.23; 32.6-7 396 B 8-C 1: IV, 40.8; 66.6-8 396 C 1: V, 14.24 396 C 1-2: IV, 67.22-23 396 C 1-3: IV, 66.15-17 396 C 3: IV, 65.16-17 397 C 4-6: I, 123.20-21 401 B 1-E 1: VI, 97.20-22 401 E 1-403 A 7: V, 79.3-4 402 A 9: V, 37.9 402 B 1-C 3: I, 26.16-17 402 B 2-4: V, 120.19 402 B 3-404 B 4: VI, 36.5-9 402 B 4: V, 37.7-9 402 C 4-D 2: V, 37.14

    402 C 6-7: V, 120.17-18 402 D 7-9: VI, 44.26-28 403 B 5: I, 96.18 403 D 7-404 A 7: V, 15.25-27; 18.78 403 E 4-7: VI, 51.1-3; 52.11-14 404 A 5-6: V, 15.22; – VI, 38.9-10 404 A 6: V, 18.21; 21.11; 125.18; 132.8-9 404 B 8-C 4: V, 39.2-8 404 B 8-9: VI, 48.29-30 404 C 5-D 8: VI, 48.29-30; 52.9-11; 53.5-8 404 C 8: VI, 53.22 404 D 1-5: VI, 110.21-25 404 D 5-6: VI, 51.1-3; 55.20-22 404 D 8-406 A 3: VI, 60.2-7 404 E 7-405 A 3: VI, 60.13-19 405 A 7-C2: VI, 60.24-26 405 B 9 : VI, 60.26 405 C 2-5: VI, 58.27-28: 60.21-24 405 C 5-E 2: VI, 60.26-61.2 405 D 4: VI, 98.21-22 407 B 8-C 2: VI, 52.5 407 D 1-4: VI, 97.24-26 Crizia 109 C 2: I, 72.13-14 113 B 7-C 1: I, 68.25-69.1 121 A 8-B 7: V, 76.23-77.4 121 B 7-C 4: V, 77.14-22 121 C 2-3: V, 78.12-14 Eutidemo 277 D 6-8: V, 65.22-24 Eutifrone 5 E 5-6 A 5: V, 18.5-6 5 E 5-6 C 3: V, 132.2-4 Fedone 62 B 8: I, 72.7 65 A-B 8: IV, 19.25 65 B 9-11: IV, 110.25-111.2 66 C 2: I, 5.14-15; 40.9-10 67 B 2: I, 10.16-17 67 C 8: I, 16.21

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1185

    PINDARO

    69 E 6-107 B 10: I, 116.14-15 72 C 4: II, 4.1 74 A 9-75 B 9: II, 30.16-20 75 D 1-2: IV, 44.15-16 78 B 4-85 B 9: VI, 54.17-18 79 A 3: I, 33.26 79 E 8-80 A 5: VI, 54.24-28 80 A 10-B 6: I, 113.18-114.2 80 B 1: I, 118.11-13 80 B 2: I, 118.17-18 81 A 5-6: VI, 46.25-26 84 B 1: I, 17.13 97 E 1: I, 9.27 101 E 5: II, 4.1 106 D 5-6: III, 55.28-56.3 Fedro 229 B 4-230 A 6: I, 22.11-23.3 229 D 2-E 4: I, 22.20-21 229 D 4: I, 22.18-19 234 D 5-6: III, 83.14-15 235 C 5-D 3: I, 18.10-12 235 C 8-D 1: I, 28.6-7 238 D 1: I, 17.25; – III, 78.22 241 E 1-5: I, 18.10-12 241 E 5: VI, 84.12 243 E 9-257 B 7: I, 17.25-18.10 245 A 2: I, 106.25 245 C 5-246 A 2: I, 62.22-25; – V, 140.18-19 245 C 5: I, 69.20-21; 116.24-25; – III, 23.19 245 C 6-7: III, 33.16 245 C 7-D 3: I, 120.4-5 245 C 8-9: V, 115.18-19 245 C 8: III, 20.18-19 245 C 9: I, 60.20-21; – V, 37.19; 116.13; – VI, 6.11 245 D 1-2: V, 116.16-17 245 D 4-6: II, 18.13-15 245 E 5-6: V, 66.6-8 246 A 7-8: VI, 99.14-15 246 A 8-B 1: I, 115.2-3 246 B 1: I, 72.2 246 B 3: I, 85.19 246 B 6: VI, 97.10 246 B 7-C 2: VI, 77.26-28

    – PLATONE

    1185

    246 B 7: I, 93.11-12 246 C 1-2: IV, 19.15-17 246 D 7: I, 15.9; 16.15; 44.14; 88.19; – III, 97.14-15; 100.5, 13; 101.23-24; – IV, 7.16 246 D 8-E 4: IV, 24.5-7 246 D 8-E 1: I, 101.1-2; – III, 78.21-22 246 E 4-248 A 1: I, 25.12-15; 30.37; – V 14.24 246 E 4-247 D 5:IV, 18.1-21 246 E 4-247 A 4: IV, 115.12-18; – VI, 84.16-20; 85.19-23; 90.2224; 94.4-5 246 E 4-5: VI, 87.19-20; 88.13; 91.18-20; 99.1-2, 11 246 E 4: I, 72.2; – IV, 19.8-9; 77.24; – V, 141.3-5; – VI, 89.20; 91.15 246 E 6-247 A 1: IV, 72.12-13; – IV, 89.12-14 246 E 6: VI, 16.24-25 247 A 1-4: VI, 96.10-15 247 A 1: VI, 91.8-9 247 A 2: VI, 85.8-9 247 A 3: I, 72.2 247 A 4-5: IV, 19.22-23 247 A 4: IV, 25.2-3; 27.13-14; 56.26; – V, 29.24-25 247 A 6-7: I, 99.22; – VI, 92.14-15 247 A 8-B 1: IV, 22.7-8; 25.5-9; 72.15-17; 73.18-19; - V, 29.2324 247 A 8: IV, 48.1 247 B 1: I, 8.10; – IV, 21.8; 24.1415; 28.11-13; 40.14; 60.19; 62.18; 68. 6, 22; 70.13-14, 22; 72.9-10; 73.16; 76.24; – V, 15.1-2 247 B 3: I, 99.24 247 B 6-C 1: IV, 25.8; 64.5-7 247 B 7-C 1: IV, 20.18-20; 60.17-18; 61.15-16; 62.13-14; 63.19-20; 107.15-17 247 B 7: IV, 32.8; 60.10; 64.20; 68.13; 70.19; 72.13-14; 73.17 247 C 1-3: V, 93.2-4 247 C 1: IV, 21.7, 27; 24.19-20; 28.11; 30.5-6; 32.5; 59.1; 60.12;

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1186

    1186

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    63.10; 65.1; 69.6; 70.14; 72.18; 73.23; 74.2; 76.16; 77.5; 102.6-7; - V, 110.25-26; 142.16 247 C 2: IV, 32.8; 60.10; 64.20; 68.13; 70.19; 72.13-14; 73.17 247 C 3-248 C 2: IV, 22.10-15 247 C 3-5: IV, 36.15-16 247 C 3: IV, 22.7-8, 20-21; 28.14; 30.12; 31.23; 33.19, 25-26; 34.24-25; 37.13, 27-28; 38.2122; 41.2-4, 17-18; 42.14; 49.12-13; 50.13-14; 53.23; 60.20-21; 61.17; 64.13; 69.5, 21-22; 70.21; 72.14; 73.17; – V, 29.6-8, 27-28; 32.17 247 C 4-6: IV, 42.7-8 247 C 6-D 1: V, 110.22-24 247 C 6-7: IV, 35.13-14; 38.2-3; 39.15; 41.2-4; 48.17; – VI, 83.15-16 247 C 6: IV, 111.22-23 247 C 7-8: IV, 2.21; 43.16-17 247 C 7: III, 15.17; – IV, 23.16; 31.24; 33.3; 37.27-28; 38.23; 42.18; 42.23-43.1; – VI, 9.27 247 C 8: IV, 43.14-15, 19 247 D 1-2: IV, 45.20; 47.28 247 D 2: IV, 48.25; –, 93.5 247 D 3-5: III, 79.1 247 D 4-E 2: IV, 18.18-20; 35.3-6 247 D 4: IV, 24.4-5; 28.20-21; 45.20; 47.28; 48.25 – V, 29.6-8 247 D 5-E 2: I, 112.22-23; – IV, 32.9-13 247 D 5-7: IV, 44.8-10 247 D 5: IV, 59.1; 60.12 247 D 6-7: IV, 44.17-18; 48.18-19 247 E 4-6: IV, 46.14-16 247 E 4: IV, 60.17 248 A 1-5: VI, 16.26-27 248 A 1: I, 115.4-5; – IV, 47.8-10 248 A 2-3: IV, 31.3-4 248 A 3-4: IV, 18.20-21 248 A 3: V, 93.7-8 248 A 4: IV, 59.1; 60.12 248 A 6-B 5: IV, 20.12-14 248 B 5-C 2: IV, 18.15-18

    248 B 5: V, 27.27-28 248 B 6: IV, 23.5-6; 31.10; 35.5; 37.28; 38.1, 24; 45.19; 48.34 248 B 7-C 2: IV, 23.10-24; 25.13-14 248 C 1-2: IV, 24.4-5 248 C 1: IV, 35.2; 37.28-38.1; 45.19; 48.24; 54.5; – V, 29.6-8 248 C 2-4; IV, 52.25-53.1 248 C 2: IV, 35.6; 51.3, 25; 52.16; 53.22; – V, 32.18; 33.13; 89.1920 248 C 3-4: IV, 49.15; – VI, 96.2-4 248 C 3: VI, 84.22 248 C 4-5: IV, 53.15-16 248 C 4: IV, 51.6 248 D 2-E 3: VI, 86.1-4; 88.18-21 248 D 3-4: III, 63.18-21 248 E 5-249 A 2: IV, 87.11-14 249 A 4-5: IV, 87.11-14 249 A 6-7: VI, 47.3-4 249 B 6-256 E 2: I, 30.3-7 249 D 3: I, 35.12-13 250 B 5-C 1: VI, 29.18-21; – V, 105.7-9 250 B 5-6: III, 80.10 250 B 6: I, 107.18-19; 108.19; – IV, 24.10; – V, 63.18-19 250 B 8-C 3: I, 6.3-5 250 B 8-C 1: I, 96.10; – IV, 73.1-5; 77.1-2 250 C 1-4: IV, 30.2-4 250 C 2-4: I, 96.11-20; – IV, 77.6-8 250 C 2: IV, 77.25-26 250 C 4-6: IV, 30.21-22 250 C 4: IV, 30.24; 73.1-5 250 C 8- D 1: I, 107.19-20 250 D 1-3: I, 107.21-23; 108.20; – III, 80.16-17 250 D 1: III, 80.23-24 250 D 2: V, 63.18-19 250 D 6-7: I, 106.22 250 D 7-8: I, 107.23-25; 108.20 251 B 1-2: I, 84.3; 107.1-2 251 E 3: I, 106.23 253 C 3: I, 7.19; 96.16; – V, 38.2324 252 D 1: VI, 16.23

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1187

    PLATONE

    253 A 7: I, 107.1 254 B 7: I, 5.17; – V, 90.12-13 256 D 8: I, 107.17; – III, 80.14 257 A 7: I, 8.8 263 D 1-2: I, 18.10-12 263 E 2: I, 34.20 265 B -5: VI, 98.18-19 265 E 1: I, 52.19 270 A 1-2: I, 8.22 273 E 2-3: V, 47.14-16 Filebo 11 B 4-C 2: II, 35.13-15 11 D 6: III, 38.20 12 C 1-3: I, 125.3-4 16 C 5-17 A 5: I, 29.21-24; 44.21-25 16 C 8: I, 26.5-6 17 A 3-5: I, 40.3-5 20 B 3-21 E 4: II, 35.15-18 20 B 6-D 11: I, 25.4-8 20 D 1-11: I, 101.16; – III, 42.2122; 79.9-10 21 A 14-22 A 6: III, 38.20-21 21 B 6-C 8: III, 24.1-5 23 C 1-30 E 8: I, 29.21-24 23 C 7-D 8: III, 29.28-30.1; 30.1920 23 C 9-D 1: I, 25.4-8; – III, 93.1415 23 C 9-10: III, 32.6-7; 34.12-14; 35.1-4; 36.10-13 23 D 5-8: III, 36.23-27.2 25 B 5: III, 34.23-24; 40.10 26 E 1-27 C 2: III, 29.28-30.1 26 E 6-8: III, 36.15-16 27 B 8: III, 34.23-24; 40.10 27 B 9: II, 12.21-22 27 D 1-10: III, 42.12-13 28 C 1-31 B 1: II, 35.18-22 28 C 6-30 D 8: V, 84.2 28 C 7: V, 84.5-6 28 E 3: V, 84.4-5 28 E 4-5: V, 84.6-7 29 B 6: V, 84.14-15 29 D 7-30 A 7: V, 84.8-9 30 B 3: V, 85.13-15 30 B 4-7: V, 84.15-16

    1187

    30 B 8: V, 85.26 30 C 3-7: V, 85.7-11 30 C 9-10: V, 85.18-19 30 C 9: V, 84.18-19 30 D 1-4: V, 86.1-5 30 D 1-3: VI, 57.2-4; 80.9-11 30 D 1-2: V, 15.18-20; 115.12-13 30 D 2-3: VI, 32.26 30 D 2: VI, 37.24-25; 42.6 55 C 6-7: I, 47.2-3 60 C 2-4: II, 35.14 64 A 7-65 A 6: I, 25.4-8; – III, 38.67; 41.25-27; 43.4-6; 44.25-27; 48.25 64 C 1: III, 44.8-9; 64.11; – V, 106.6-8 65 A 1: I, 75.1 35 A 2: III, 79.5-7 Gorgia 465 D 5: II, 4.1 472 B 5-6: I, 39.1-2 523 A 1-524 A 7: I, 18.25-27; 24.1920; 28.25 523 A 3-5: I, 26.17-18; – V, 30.1719; 86.25-87.2; 132.16-19; –VI, 29.8 523 A 4-5: VI, 37.9; 56.12-13; 90.15-18 523 A 4: VI, 35.11-12; 36.14-19 523 A 5-B 4: VI, 45.2-4 523 A 5-6: IV, 51.19-20; – V, 32.4-6; 33.10-11; – VI, 29.15; 43.17-18 523 B 4-524 A 8: VI, 45.4-7 523 B 5: VI, 43.17-18 523 B 7: VI, 43.25-26 523 E 1: I, 96.18 Leggi I 629 D 2: I, 112.18 I 630 C 5: I, 112.18 I 631 D 5: I, 13.1; – V, 31.25 I 636 D 6-8: V, 120.4-6 IV 711 B 7: I, 79.5-6 IV 713 A 6-714 B 2: V, 30.11-12 IV 713 C 8-D 2: V, 30.23-26 IV 714 A 1-2: V, 30.20-23; 32.6

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    1188

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    IV 715 E 7-716 A 2: VI, 38.16-19; 40.7-10; 42.18-22 IV 716 A 2-3: IV, 51.21-22; – VI, 38.25-26; 44.9-11 IV 716 C 4: III, 44.11-12 IV 717 A 6-B 2: IV, 86.26-87.1 V 727 E 1: I, 80.10; – II, 64.24 V 730 C 1-2: I, 100.5-7 V 730 C 4-6: I, 112.10-11 VI 757 B 5-7: V, 98.4-6; 122.23-25 VI 760 A 6: V, 123.1-2 VI 782 B 4-5: V, 39.8-10; –VI, 49.29-30; 51.16-17 VI 790 D 2-E 4: VI, 65.20-22 VII 796 B 4-5: VI, 65.24-66.1 VII 796 B 5: V, 16.27 VII 796 B 6-C 2: V, 128.8-9; 128.24129.2 VII 796 B 6: V, 131.8; – VI, 52.3, 28 VII 804 A 4: VI, 40.15-16 VII 808 D 6: V, 120.1-2 X 893 B 1-907 B 9: I, 59.14-20 X 895 A 6-B 3: I, 61.9-15 X 895 E 10-896 B 8: V, 140.18-19 X 896 E 5-6: I, 87.24 X 896 E 8-9: IV, 20.20-22 X 897 A 4-5: IV, 20.25 X 897 B 1-2: I, 66.5-8 X 897 C 4-9: VI, 22.13-16 X 897 E 5-898 B 8: V, 140.19-21 X 898 A 3-B 3: III, 25.3-4 X 898 C 1-899 D 3: II, 71.17-19 X 899 A 4: I, 71.23 X 899 B 9: III, 98.23 X 899 D 4-907 B 9: I, 24.20-21 X 899 D 4-905 D 1: I, 69.10-14; 87.20-21 X 900 D 2: I, 74.10; 78.5 X 902 B 8: I, 72.7 X 904 B 4-5: I, 79.1-2 X 905 D 1-907 B 9: I, 77.6-11 X 906 A 7: I, 72.7 X 907 A 2: I, 78.12-13 XI 920 A 6: V, 123.5 XII 945 E 4-946 A 1: VI, 58.9-13 XII 946 B 7-C 2: VI, 58.22-23 XII 946 B 7: VI, 58.23

    XII 960 C 7-9: VI, 104.19-22 XII 960 C 7: VI, 64.13 XII 963 A 8: I, 13.1 Lettera II 312 D 2-313 C 3: I, 24.24-25.2 312 D 5- 313 A 6: II, 51.21-22 312 D 5-E 3: II, 54.22-55.3 312 E 1-4: II, 52.26-53.2; 57.5; – III, 29.25-28 312 E 1-2: II, 52.19; 56.9-10; 59.7-8 312 E 1: II, 54.7 312 E 2-3: II, 47.9-10; 54.15-16; 60.12; – III, 44.16-17 312 E 2: II, 52.20; 60.9-10 312 E 3: II, 52.21 313 A 1-2: II, 54.10-12 313 A 3-4: II, 55.20-21 Lettera VI 323 D 3-4: I, 72.2; – III, 73.25-74.1; – V, 54.18 Menone 98 A 3-4: I, 9.25 Parmenide 128 E 5-129 B 6: VI, 18.17-20 132 D 1-2: III, 52.3 135 C 2: I, 35.1 135 C 8-136 C 5: I, 10.22-23 135 D5: I, 39.18-19 135 D 7-136 C 5: I, 18.23-24 136 A 4-137 A 6: I, 34.6-17 136 A 6-7: I, 56.11-13 136 E 2: I, 10.23 137 B 1-4: I, 35.8-11 137 B 4: I, 56.11-13 137 C 1-155 E 3: I, 18.20-24 137 C 4-142 A 8: I, 49.13-15; 56.1720; – II, 37.17; 42.27; 48.7-8; 61.19; – III, 29.22-25 137 C 4-D 3: II, 63.12; 67.3-6; – IV, 80.7-8 137 C 4-5: II, 63.1-3, 10-12; 66.7-8, 19-20 137 D 4-138 A 1: II, 67.19-21

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1189

    PLATONE

    137 E 5-138 A 1: VI, 39.1-2; 41.13, 19-20, 23-24 138 A 2-B 7: II, 36.23-24; – V, 147.7-8 138 A 2-3: II, 68.9-10; 69.9 138 A 3-7: IV, 40.20-23 138 B 7-139 B 3: II, 7.8-8.4; 36.2021; 68.24-69.14; – VI, 39.3 139 B 4-E 6: II, 6.19-7.3; 69.17 139 E 7-140 B 5: II, 6.3-18; 70.1927; – III, 82.14-15 140 B 6-D 8: II, 71.1 140 E 1-141 D 6: II, 71.19-72.2 141 D 7-E 7: II, 72.5-11 141 E 7-142 A 1: II, 63.4-7; 73.5-8 141 E 7-10: II, 36.12-16 142 A 2-6: II, 63.25-26; – V, 104.1517 142 A 3-8: II, 73.11-14 142 A 3: I, 123.24; – II, 63.22-23 142 A 6-8: II, 63.27 142 B 1-155 E 3: I, 49.16-17; 56.2057.7; – II, 61.21; – III, 6.11-12; 13.19-22; 28.20-21 142 B 1-C 7: I, 48.23-25; 50.2-5 142 B 5-143 A 3: I, 54.14 142 B 5-C 7: I, 51.15; 53.13; – III, 84.24-25; 85.11-16 142 B 7-C 2: II, 21.11-12 142 C 7-143 A 3: I, 47.23-25 142 C 7-D 9: I, 51.15; 53.12-13; – II, 67.2; – III, 87.18-22; – IV, 90.9-10 142 D 1-143 A 1: III, 49.6-7 142 D 1-2: III, 84.27; 87.14-16 142 D 1: III, 93.11; – IV, 32.2; 33.3; 42.22-23; 78.18-19; 79.17 142 D 4-143 A 3: IV, 81.23-26 142 D 4-9: V, 141.11 142 D 8: III, 94.1; – IV, 78.19 142 D 9-143 A 3: I, 51.15; – III, 15.9-15; 90.10-15 ; –IV, 97.1621 142 D 9-E 7: IV, 96.8 142 E 4-5: III, 91.14-15 142 E 5-8: III, 96.6-10 142 E 6: III, 91.16-17

    1189

    142 E 7-143 A 1: III, 91.3-4, 17-18 143 A 1: IV, 81.12 143 A 2: III, 91.8; 92.4; 95.13-14; – IV, 78.19; – VI, 9.19 143 A 3: IV, 42.22-23 143 A 4-145 B 5: IV, 78.6-10 143 A 4-144 E 7: IV, 97.16-21 143 A 4-B 8: I, 54.15 143 A 4-6: IV, 83.15-16; 98.4-7 143 A 4-5: IV, 82.15-17 143 A 6-9: IV, 95.7 143 C 1-155 E 3: I, 54.16 143 C 1-144 A 9: I, 48.3; 51.16 143 D 7-8: IV, 98.8-9 143 E 1-7: IV, 93.7-8 143 E 7-144 A 2: IV, 98.10-12 144 A 2-3: IV, 94.9-10 144 A 3: IV, 113.15-16 144 A 4: IV, 78.20; 79.19 144 A 6: IV, 94.17-18, 25; 100.5-6; 113.9 144 B 1-2: I, 14.3; – II, 23.18; 26.2-3 144 C 2-8: IV, 95.3-4 144 C 7: II, 24.14; 25.21 144 D 2-3: V, 141.11-13 144 E 3-5: IV, 104.3 144 E 4: IV, 89.12; 94.15 144 E 5-7: IV, 98.13-16; 104.1-2 144 E 5: III, 39.20 144 E 7-145 B 5: I, 48.4; 51.16; 53.14 144 E 8-145 A 4: II, 9.8-11; – IV, 90.9-10 144 E 8: IV, 78.20 145 A 2-3: IV, 103.8-9; 105.17-19 145 A 3: IV, 113.16-17 145 A 4-B 5: IV, 108.9-22; – V, 134.9 145 A 4-5: IV, 111.18; 112.16-17 145 A 5-B 1: II, 9.12-15 145 A 5-6: IV, 78.21; 111.19-20 145 B 1-5: II, 9.16-21 145 B 3-5: IV, 40.16-17 145 B 3: IV, 112.16-17; – V, 20.9 145 B 4-5: IV, 111.21-22; 113.17-18 145 B 6-E 6: I, 53.13-14; – II, 9.2210.3; – V, 134.11; 135.17-18;

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1190

    1190

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    142.20-22; 143.20; 147.3-4, 2324; – VI, 37.18-20 145 B 6: III, 28.14 145 B 7-E 5: VI, 95.4-6 145 E 3-5: V, 135.22-24 145 E 7-146 A 8: I, 48.4; 51.16-17; – II, 10.4-13; 69.12-13; – V, 143.20-21; 148.1-3; – VI, 18.1314 145 E 7: V, 140.27-28; 142.1 145 E 8: V, 141.18 146 A 9-147 B 8: II, 10.14-21; – IV, 90.5-7; – V, 143.19-22; 148.3-6; – VI, 16.1; 18.14; 68.15 146 A 9-C 1: V, 148.14-15 146 A 9-B 1: V, 20.4-5 146 A 9: V, 144.12-13 146 B 1: V, 144.22-23 146 C 1-D 4: V, 148.15-16 146 C 1-4: V, 146.20-21 146 D 4-E 6: V, 148.16 146 D 4-5: V, 145.6 146 E 6-147 B 8: V, 148.17 147 C 1-148 D 4: I, 52.12-13; – II, 10.21-25; – VI, 13.10-12; 18.1516; 70.13-20; 109.25-27, 113.2426 147 C 1: V, 20.10 148 C 7-D 4: VI, 70.24-27 148 D 5-149 D 7: II, 11.1-7; – III, 82.14-15; – VI, 110.2-4 148 D 8: VI, 113.21-22; 114.4-5 148 E 1-3:VI, 112.1-2; 113.13 149 D 8-151 E 2: I, 52.13; – II, 11.8-17 151 E 3-155 D 6: I, 48.23-25; 50.2-5 154 A 5-6: V, 35.18-20 155 D 8: I, 124.2 155 E 4-157 B 5: I, 49.17-18; 57.1215 157 B6-159 B 1: I, 57.1, 5-17 159 B 2-160 B 4: I, 57.18-20 159 E 2-6: I, 57.20 160 B 6-166 C 2: I, 58.11-16 165 B 4-5: IV, 80.3-4 166 C 2-5: I, 58.21-22; – II, 40.7 in generale: I, 31.12-32.12

    Politico 262 A8-263 B 10: III, 88.1-2 268 D 5-274 E 4: I, 25.15-17 269 A 1-2: V, 31.15-16 269 A 7-8: V, 25.22-24 269 C 4-274 E 4: I, 19.14 269 D 5-6: I, 94.4-5 269 D 6: V, 84.12 269 D 9: I, 90.16-17 269 E 1-270 A 8: V, 24.22-25; – VI, 77.6-23 269 E 1: I, 93.5-6; – V, 92.1-9 269 E 7-270 A 8: V, 31.13-15 269 E 9-270 A 2: V, 95.4-7 270 A 2-7: V, 94.7-14 270 A 3-5: V, 95.26-27 270 A 4: I, 116.10; 117.1; 119.21; – V, 67.25 270 E 1-4: V, 67.5-8 271 A 4: V, 26.24 271 A 5: V, 27.3-4 371 C 4: V, 28.17-18 271 C 8-272 B 2: V, 24.26-25.1; 31.4-7 271 E 5: V, 29.3 272 A 3-B 1: V, 27.15-22 272 B 1-3: V, 24.9-11; 28.17-18; 94.20-22 272 B 2: V, 119.21-22 272 B 8: V, 25.25; 92.25-26 276 D 6-273 E 9: VI, 38.1-8 272 E 3-6: V, 93.23 272 E 4-5: VI, 41.12; 94.24-25 272 E 5-6: V, 119.18-19 272 E 5: I, 16.1; – IV, 38.1; 61.19; 64.17; 71.9-10; 77.15; 86.8; – V, 26.3-4; 31.8-10; 44.8; 65.14-15; 74.25-27; 83.2; 91.8; 92.21; 138.14; – VI, 32.19-20 276 E 6: V, 95.18-19 273 B 1-3: V, 57.27-58.2 273 B 1-2: V, 31.10-12; 96.13-14; – VI, 75.21 273 B 2: I, 72.1 273 D 6-E 1: VI, 25.10-11

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1191

    PLATONE

    Protagora 320 C 8-322 D 5: I, 19.1-2; 24.20; 28.23-24; – V, 87.22-88.11 321 D 4-7: V, 88.15-21; 123.19-24 321 D 4-5: V, 90.2-3 321 D 5: V, 90.12 321 D 6: V, 91.4 321 D 7: V, 124.2-3 322 C 1-2: V, 88.21-23 322 C 5-D 5: V, 88.23-29 Repubblica I 342 E 6-11: I, 77.12-15 I 353 D 3-5: III, 23.18-19 II 361 D 5: I, 6.22 II 376 E 2-383 C 7: I, 21.18-28 II 377 E 6-378 A 6: V, 17.11-12; 18.5-6 II 378 E 4-383 C 7: I, 80.23-25 II 379 A 5-6: I, 12.8 II 379 A 7-380 C 10: I, 81.14-17 II 379 B 16: I, 99.23 II 380 C 2: I, 81.4 II 380 D 1-383 A 6: I, 94.13 II 380 D 1-381 E 7: I, 88.12-15 II 380 D 5: I, 94.12 II 381 C 8-9: I, 89.18-20 II 381 C 9: I, 94.16-17 II 381 E 8-383 A 6: I, 97.8-10 II 382 E 6: I, 97.9 II 383 A 2, C 6: I, 81.4III 391 C 7-E 2: I, 37.10-12 III 391 D 5: I, 37.11-12 IV 435 A 1-2: VI, 56.4 IV 435 A 4: III, 29.8 IV 445 C 1: I, 31.1 V 462 A 3-4: I, 21.5-6 V 475 E 4: I, 35.1-2; 40.23-24; 44.22; – II, 34.9-10; – III, 97.6; – IV, 78.2-3; – V, 39.1; 117.910; – VI, 60.6-7; 87.16 VI 490 A 8-9: I, 39.23 VI 490 B 2: II, 57.1 VI 490 B 5-6: I, 105.13-14; – III, 79.21 VI 490 B 7: II, 57.1 VI 501 D 2: III, 96.23

    1191

    VI 505 A 2-B 3: II, 47.11-14 VI 506 D 8-509 C 4: II, 37.15; – III, 29.20-22 VI 506 E 1: II, 40.5; – III, 29.18-20 VI 506 E 3: II, 44.12 VI 506 E 6: V, 54.18 VI 507 A 3: II, 45.19 VI 507 A 7-B 8: II, 45.26 VI 507 B 5-8: II, 46.22-25 VI 507 B 9-508 D 10: II, 46.1 VI 507 B 9-C 5: II, 43.26 VI 507 B 9-10: II, 47.11-14 VI 507 C 6-508 C 3: II, 44.4 VI 508 A 4-509 A 5: VI, 59.4-10 VI 508 A 4-6: VI, 63.18 VI 508 B 3: I, 102.4 VI 508 B 8-509 C 4: II, 32.1 VI 508 B 12-509 D 4: VI, 62.9-16 VI 508 B 12-C 2: II, 44.12; 48.3, 25 VI 508 B 12-13: V, 108.20; – VI, 63.15-17; 64.20-21 VI 508 B 13: III, 29.18-20 VI 508 C 4-509 A 5: V, 93.22 VI 508 C 4-D 10: II, 44.7 VI 508 D 4-509 A 5: III, 16.19-21; – VI, 8.9-12 VI 508 D 4-9: II, 48.3 VI 508 E 1-509 B 10: II, 42.25; 46.3; 47.24-27 VI 508 E 1-509 A 5: II, 44.9 VI 508 E 1-3: I, 100.13-15; – II, 47.17-18 VI 508 E 3: II, 40.5; 48.3-4 VI 508 E 5: II, 48.3 VI 509 A 1: I, 102.4; – II, 33.13; – III, 16.24; – VI, 59.7; 63.10 VI 509 A 2-5 II, 47.11-14 VI 509 A 3: III, 16.27 VI 509 B 2-10: II, 32.13-22; 44.7 VI 509 B 2-4: VI, 63.17-18 VI 509 B 4: VI, 62.19 VI 509 B 6-10: II, 48.3 VI 509 B 7-8: III, 37.6-9 VI 509 B 9: II, 46.19-20; – IV, 23.28-24.1; V, 108.21; – VI, 11.1-2; 79.8 VI 509 D 1-4: II, 44.12; 53.25

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1192

    1192

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    VI 511 B 6: I, 39.13-14 VII 517 B 8-C 1: I, 39.24 VII 518 C 9: II, 48.9; – V, 63.15-16 VII 518 D 1: II, 40.5 VII 521 C 2: I, 39.10 VII 523 A 10-B 4: IV, 19.25 VII 527 B 9: IV, 101.21-22 VII 532 B 4: I, 39.21 VII 533 B 4: I, 39.17-18 VII 533 D 2: I, 39.12 VII 534 E 2-3: I, 39.10 VIII 546 A 7-B 3: IV, 87.10-11 VIII 546 B 3-4: IV, 87.7-9; 102.1113, 21-22 VIII 546 B 3: VI, 62.18 VIII 546 B 7: VI, 61.9-10 VIII 546 C 7-D 1: IV, 102.23-24 IX 592 B 2-5: V, 90.6-8 X 597 E 7: I, 124.7 X 608 C 1-611 A 3: I, 116.16 X 614 B 2-621 C 2: I, 28.24-25 X 615 A 2-3: VI, 47.9 X 616 B 1-621 B 8: I, 24.21-23 X 617 A 5: VI, 101.19-20; 107.4-5 X 617 B 4-D 2: VI, 100.1-14 X 617 B 4-5: VI, 108.8 X 617 B 4: VI, 100.23; 101.19-20; 107.4-5, 9 X 617 B 5-6: VI, 108.10-11 X 617 B 7-C 1: VI, 108.17 X 617 C 1: VI, 108.10 X 617 C 2-3: VI, 108.22 X 617 C 2: VI, 108,26 X 617 C 3-5: VI, 104.25-28; 109.810 X 617 C 5-D 2: VI, 64.11-14; 102.12 X 617 C 5-8: VI, 106.2-4 X 617 C 7: VI, 103.26 X 617 D 1-2: VI, 107.7-9 X 617 D 2-5: VI, 107.1-3 X 617 D 6: VI, 107.11-12 X 620 D 7-621 A 5: VI, 106.18-20 X 620 E 1-6: VI, 107.12-16 X 621 A 1: VI, 101.21

    Sofista 217 C 2-7: I, 38.16-22 242 B 6-245 E 2: I, 18.13-20 243 D 8-E 6: II, 34.17-24 244 B 6-245 B 10: II, 34.24-35.4 244 B 6-C 3: III, 68.20-69.1 244 D 14-245 B 3: III, 70.1-21 245 A 1-3: III, 71.15-17; 95.14-16 245 B 7-8: I, 47.7-8; – III, 31.2; 68.4; 71.4; – IV, 33.6-7 245 D 1-2: VI, 7.7-10 245 D 1: VI, 6.28 246 B 9-C 2: IV, 55.9-12 247 D 8: III, 39.4-6; 74.11-13 247 E 3-4; III, 39.9; 74.11-13; – IV, 91.23-24 248 A 4: I, 32.25-33.1 248 D 4-E 5: II, 36.19-20 248 E 6-249 A 2: III, 26.12-18 249 A 6-7: III, 27.1-3 249 A 9-C 9: III, 85.24-25 249 E 7-250 D 4: II, 34.17-24 250 A 8-251 C 7: III, 65.6-9 250 C 6-7: III, 25.7-9; 56.10-12; 85.26-27 254 A 10-B 1: I, 100.1-3 254 D 4-255 E 7: I, 52.4 254 D 4-5: II, 25.9-10 254 E 2-255 A 1: I, 25.9-10 258 A 11-B 3: III, 38.10-11 258 B 1-2: II, 39.1-2 256 B 8-10: V, 53.28-29 266 B 3-4: I, 72.7 Simposio 177 D 5: I, 51.14 202 D 13: VI, 89.22 202 E 3: IV, 38.7 203 B 1-E 5: I, 19.1 203 B 2-C 4: I, 121.1-2; 122.15-16 204 A 1-2: I, 105.7-8 204 A 1: VI, 53.14-15 204 B 3: I, 108.6 204 C 4-5: I, 107.11-15 204 C 4: I, 108.2; – III, 80.9 204 C 5: I, 108.15 206 E 2-5: I, 103.2

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1193

    PLATONE

    207 A 7-208 B 6: I, 111.19-21 211 C 3: I, 39.23-24 211 D 8-E 4: V, 122.11-14 212 B 3-4: I, 11.14-15 Teeteto 146 A 7-8: VI, 24.30 149 B 9-10: VI, 98.11-12 150 C 7-8: I, 105.22-23 173 C 7: I, 11.25-26 176 B 1: VI, 64.27 179 D 3-4: I, 47.2-3 183 E 3-184 A 3: I, 37.20-38.4; 38.9-10, 23-24 183 E 5-184 A 1: I, 33.19-20 184 B 4-186 E 12: IV, 19.25 Timeo 24 C 7-D 1: VI, 52.4-5, 24-28 24 D 5-6: I, 72.7 24 E 2-3: V, 77.3-4 26 E 4: V, 133.11-13 27 C 1-43 A 6: I, 25.8-12 27 C 1-2: I, 7.22-23 27 D 6: I, 120.4 28 A 1-4: IV, 19.25 28 A 1-2: III, 100.7-8 28 A 1: I, 11.11; 15.12 28 A 2-3: I, 117.16-17 28 A 3: III, 41.2 28 B 8-C 2: VI, 62.16-18 28 C 3-29 A 6: I, 117.25-26 28 C 3-5: IV, 37.16-19; – V, 52.1418; 57.17-18, 24; 102.12-14; 104.16-18 28 C 3-4: V, 72.17-18; 104.11-12; – VI, 27.20; 31.14; 32.17-18 28 C 3: I, 72.1; 89.15-16; – IV, 38.16; – V, 101.16; – VI, 32.18 28 C 4-5: IV, 38.20-21; – V, 75.2122; 82.1-2 28 C 6: III, 52.23 29 A 3: IV, 38.16 29 A 4-B 1: VI, 6.23 29 A 5-6: I, 89.8-11; – VI, 88.9 29 A 6: V. 57.7; 72.25-26; 104.11; 106.3, 25; 107.8; 108.12

    1193

    29 B 4-5: I, 23.8; 32.11-12; 46.3; – VI, 5.17-18 29 B 4: III, 52.23 29 B 7-8: VI, 24.18-19 29 D 7-E 1: V, 83.12-13 29 E 1-30 A 2: V, 108.4-7, 22-23 29 E 1-3: III, 13.27-14.2; – VI, 15.810 29 E 1: III, 14.6; – IV, 38.16; – V, 60.7; 104.28-29 29 E 3: V, 60.18; 61.7 30 A 2-6: VI, 42.4-7 30 A 2-3: V, 61.18-19 30 A 3: V, 63.7 30 A 4-5: V, 90.18-19; – VI, 22.8-9; 60.27-28; 61.8-9 30 A 4: V, 61.25 30 A 6-7: III, 13.24-25; 65.17; – V, 54.24; 136.22-23; VI, 88.6 30 A 6: II, 19.16-17 30 A 7: I, 89.8-11 30 B 1-C 1: VI, 31.19-20 30 B 1-6: V, 113.15-17 30 B 1-3: V, 62.5-7 30 B 1: V, 50.6; 63.5; 107.3-4, 9 30 B 4-5: V, 51.28-29 30 B 7-8: I, 65.22-23 30 B 8: V, 73.4; 80.16-17 30 C 2-31 B 3: I, 117.25-26; – V, 100.8-10 30 C 4: V, 45.22 30 C 5-7: III, 65.11; 67.6-7; 95.20; 96.2-3 30 C 7-D 1: V, 102.17-20 30 C 7: III, 53.24; 95.12 30 D 1-2: I, 89.13; – III, 48.21-22; 52.26; 62.11-12; 64.15-16; 79.56; – V, 23.8-9 30 D 2: III, 62.2; 95.12; – IV, 10.1114; 76.1; 96.2; – V, 57.2; 106.2; 107.1-2 31 A 2-B 3: III, 62.8; – V, 46.22-22 31 A 4-6: III, 61.14-17 31 A 4-5: III, 52.24-25; 62.3-4 31 A 5: III, 53.24; 95.12 31 A 6-8: V, 45.25-28 31 A 8-B 3: III, 95.13; 96.4

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1194

    1194

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    31 B 1: III, 52.26; 61.24; 62.2; 65.9; 95.12; – IV, 75.11; 100.9; – V, 45.23; 55.18; 73.6; 99.22; 101.17; 105.16-17; 107.4-5; – VI, 17.18 31 B 3: III, 53.1; 61.10-11, 20; – IV, 96.7; 97.21; – V, 45.24; 73.7-8; 86.24-25; – VI, 11.20; 35.2 31 B 4-34 B 9: VI, 31.14-17 31 B 8-32 C 4: VI, 31.21-22 31 C 1-4: V, 89.17 31 C 2-32 A 1: V, 73.11-14 31 C 2: V, 98.11-13 31 C 4-32 C 4: V, 98.22-25 32 B 7: V, 122.25-26 32 C 3-4: VI, 15.21 32 C 3: I, 93.4 32 C 5-33 B 1: IV, 75.17 32 D 1-33 A 1: IV, 75.14-15 32 D 1: I, 90.14-15; – V, 57.4; 73.14 33 A 2-3: V, 73.15 33 A 7: III, 88.3-4; – IV, 75.14; 96.7-8 33 B 1-C 4: VI, 15.22-23 33 B 1-4: V, 73.16-18 33 B 4: IV, 110.19 33 C 6-D 3: V, 73.18-22 33 D 2: I, 90.14 34 A 1-B 3: VI, 31.20-21 34 A 1-7: V, 73.22-24 34 B 1: IV, 63.22-23 34 B 3-4: V, 73.24-26; 118.13-20 34 B 4: IV, 20.22-24 34 B 8: I, 84.19; 86.13 34 B 10-36 D 7: I, 19.16-17; – V, 113.19-21 34 B 10-C 6: V, 19.5-11; 116.22-23 35 A 1-8: III, 37.11-20; 38.18-20; 53.17-18; – V, 109.7-9 35 A 1-4: IV, 56.6-7; – V, 111.24-27; – VI, 15.21-22 35 A 1-3: I, 92.7-8; 95.8-9; – V, 98.16-17; – VI, 13.17-18 35 A 3-8: IV, 56.7-8 35 A 8: VI, 81.21-24 35 B 4-36 D 7: V, 74.2-3 35 B 4-36 B 5: IV, 56.8-9; – VI, 15.20 35 B 4-36 A 1; V, 98.19-20

    35 B 4: V, 43.1 35 C 2-36 A 5: V, 96.16-22 36 A 1-2: V, 133.5-7 36 B 5-6: V, 133.7-9 36 B 6-C 6: VI, 15.22-23 36 C 3-5: V, 19.12-13 36 C 4-5: VI, 33.28-29 36 C 5-7: VI, 64.6-8 36 C 7-D 1: VI, 46.9-10 36 D 1-7: V, 19.20-22 36 D 8-37 C 5: VI, 31.20-21 36 D 8-9: III, 25.1-3 36 E -5: IV, 20.22-24 36 E 4: I, 66.8 36 E 5-37 A 2: VI, 6.23 37 A 1-2: I, 89.8-11 37 A 2: I, 120.11-15 37 A 5: IV, 55.8-9 37 A 6: VI, 53.21 37 C 6-38 B 3: III, 62.9 37 C 6-D 7: III, 73.3; – IV, 102.1-5; – V, 74.4-7 37 C 6-D 2: VI, 15.10-11 37 C 6-7: VI, 16.21-22 37 C 7: I, 90.16-17; – V, 74.13; – VI, 32.18 37 D 1: III, 53.2; 59.5; 95.12; – IV, 32.1; – V, 102.17-20 37 D 3: III, 54.23-24; 31.21; 96.3; V, 101.12 37 D 5: I, 61.1 37 D 6-7: VI, 22.16-21 37 D 6: III, 56.18; 57.9-10; 58.22; 59.3; 72.19-22; 93.8-9; 93.2694.1; – IV, 14.17; 32.1; 87.1516; 91.8; – V, 109.17-18, 24 38 B 6-C 3: IV, 22.16-19 38 B 6: III, 5.9-10 38 C 1-2: III, 54.24-25 38 C 3-D 2: VI, 62.27-30 38 C 7-D 1: VI, 57.5-7 39 A 7-40 D 5: III, 77.14-15 39 B 4-5: V, 74.7-9; – VI, 57.7-9 39 B 4: I, 32.2; – VI, 63.1-2 39 C 2: V, 91.13-14 39 E 1; V, 73.6; 102.17-20; – VI, 15.11; 17.17

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1195

    PLATONE

    39 E 3-41 A 6: V, 55.26 39 E 3-40 A 2: I, 29.24-26; – III, 62.9-10; – V, 74.10-12 39 E 6-40 A 2: III, 53.10-11; 64.1719; 96.24-97.3; – IV, 97.7-8; – V, 108.7-8 39 E 7-9: III, 61.4-6; 72.25-73.2; 76.23-77.2; – V, 23.2-8; 50.5-6; 56.17-20; 58.15-18; 63.10; 100.8-10 39 E 7-8: V, 58.26-27; – VI, 32.19 39 E 8: III, 53.2; 95.12; – IV, 81.2326 39 E 9: V, 51.23 39 E 10-40 A 2: V, 41.17 39 E 10: IV, 88.2-4, 17-18 40 A 1: III, 68.8, 14, 19 40 A 2-D 5: V, 43.2 40 A 2: III, 66.5-6 40 B 6: I, 93.20 40 B 8-C 3: V, 74.13-15 40 C 1-2: VI, 64.1-3 40 C 3: VI, 16.23 40 D 3-5: VI, 6.3 40 D 6-41 A 6: I, 26.10-16; 29.10-14 40 D 8: V, 18.8-9 41 A 1-2: VI, 46.15-16 41 A 3-6: V, 77.8-9 41 A 3-4: VI, 34.5-6 41 A 7-D 3: V, 43.2-3; 65.23-26; 68.22-26; – VI, 21.5-20 41 A 7-B7: I, 120.12-13; – V, 74.1517 41 A 7-8: III, 77.12; – V, 57.20-22 41 A 7: III, 76.4-5; – V, 43.13; 46.17; 51.24; 52.9; 59.23-24; 67.17-18; 72.22; 78.1; 96.10-11, 24; 100.12; 108.1-2; – VI, 5.1112; 27.10-11; 32.18; 75.21 41 B 2-4: I, 119.17-19 41 B 3-6: V, 67.21-24 41 B 4: V, 68.1-2 41 B 6: V, 82.17 41 B 8: V, 68.6 41 C 2-3: V, 69.21-22 41 C 3-5: VI, 28.3-5 41 C 3: V, 53.7

    1195

    41 C 5-6: III, 76.6-7; – V, 58.13-15 41 C 5: IV, 91.19-20; – V, 58.24; 82.12-13; – VI, 32.18 41 C 6-D 3: V, 68.12-14 41 D 1-3: III, 23.21 41 D 2: IV, 91.19-20 41 D 4-42 D 4: V, 70.6-20; 89.22-27 41 D 4-6: III, 53.17-18; 76.17-20 41 D 4: V, 109.4; 113.11; – VI, 80.8 41 D 5-7: V, 71.20-22 41 D 7: V, 114.27 41 D 8-42 D 2: VI, 34.7-12 41 D 8-E 1: VI, 78.10-12; 86.6-7 41 E 2-3: IV, 51.23-24; 53.10-11; – V, 33.6-7; 71.27; 89.18-19; 119.2-3; – VI, 34.10-11 41 E 2: V, 74.20; – VI, 34.10-12 42 B 4: VI, 34.9 42 C 4-5: V, 91.12-13 42 C 6: V, 27.13 42 D 2-5: V, 74.20-21; 78.11-12 42 D 4-5: VI, 86.7-9 42 D 5-E 6: V, 74.27-28 42 D 5-E 4: III, 77.16; 98.4-5 42 D 6: VI, 28.2; 73.17-19 42 E 2-3: V, 74.21 42 E 5-6: I, 90.2-3; 96.17; – V, 65.12-14; 124.2-3; 145.18-19; VI, 32.7; 88.16-17; 94.24-25 42 E 6-7: V, 74.27-28 42 E 7: VI, 32.18 43 A 2: V, 16.2; – VI, 15.21; 22.2-3 43 A 5, D 1: I, 93.21 47 E 4: V, 50.5-6 47 E 5-48 A 2: V, 113.23-24 48 A 1: V 50.5-6; 114.7 48 E 6: III, 53.24; 95.12 49 A 6: IV, 33.19, 23 50 D 3: I, 122.19; – IV, 33.23 51 A 7: IV, 111.23 51 D 3-E 6: I, 35.22-24 52 D 4-5: I, 122.20 52 D 5: IV, 33.23 53 B 2: IV, 84.25 53 B 4-5: VI, 56.24 53 B 5: VI, 86.16; 87.20 53 C 1-2: I, 11.5-6

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1196

    1196

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    53 C 4-55 C 6: I, 19.14-16 58 A 4-7: IV, 59.18-20 58 A 7: IV, 61.11; 63.7, 18-19; – V, 91.11 58 D 1-2: VI, 46.18-19 68 E 2: V, 72.22 68 E 3: I, 90.14 69 C 3: V, 72.22 69 C 4: I, 72.7 71 D 5: VI, 32.18 74 C 6: VI, 15.20 77 B 1-6: III, 24.9-11 92 C 7-9: V, 74.12-13 97 C 7: III, 53.24; 95.12 92 C 8-9: VI, 11.20

    VI 6 (34), 9.38: IV, 95.18 VI 6 (34), 10.3: IV, 95.18 VI 6 (34), 17-18: IV, 95.5 VI 7 (38), 35.19-28: I, 67.1-2

    PORFIRIO De principiis: I, 51.4 Vita Plotini: 3.24-25: II, 31.8-9

    PROCLO De tribus monadibus: III, 63.17

    PLOTINO Enneadi I 1 (53), 8.9: I, 15.13; 67.10-11; 95.24 I 4 (46), 6.13: I, 111.17 I 6 (1), 6.15: II, 59.21 I 6 (1), 6.18-32: I, 106.6 I 6 (1), 8.25: I, 16.15; 110.10; – II, 56.9 I 8 (51), 2.3: I, 101.27 II 2 (14), 1.1: V, 130.23-24 II 3 (52), 7.16-18: I, 66.8-13 II 4 (12), 2.5: III, 39.25-26 III 6 (26), 11.31-33: I, 102.9-10 III 7 (45), 3.36-38: V, 100.21-23; 109.19-21; 141.7-8 III 7 (45), 3.37: III, 60.18-22 III 7 (45), 5.20 et 26: III, 60.18-22 III 8 (30), 8.34: I, 93.24 IV 4 (28), 2.15-16: V, 122.6-7 V 1 (10), 8.23-27: I, 42.4-9 V 1 (10), 8.25-26: I, 47.10-11; 95.17 V 5 (32), titolo: III, 100.18-19; – V, 22.11 V 5 (32), 8.6: II, 65.1 VI 6 (34), 1.1: 46.9 VI 6 (34), 2-3: IV, 95.5 VI 6 (34), 8-9: IV, 95.15-18 VI 6 (34), 9.16: I, 50.15-19

    Elementatio theologica § 112: II, 27.13 § 147: II, 27.13 In Cratylum § CLXXVI, p. 101.27-28: VI, 64.3 In Parmenidem III, 788.20-789.5: II, 31.16 VI e VII: II, 61.17-18 VII, 1202.26 segg.: VI, 113.5 In Rempublicam II, p. 252.20-21: VI, 64.3 Platonica Theologia I 10-12: III, 81.25-82.22 I 10, p. 42.2-9: IV, 106.18-19 I 11, p. 47.1-6: II, 36.26 I 11: III, 82.23-83.2 I 12, p. 57.2-7: II, 27.13 I 15, p. 69.18-21: VI, 6.8 I 22, P. 101.1-3: III, 79.3 I 24: III, 80.9 I 25: III, 81.17 II 10, p. 63.8-17: IV, 39.5 III 4, p. 14.11-15: V, 12.26 III 4, p. 16.19-21: VI, 8.9-12 III 9: IV, 6.16-17 III 9, p. 35.8-24: IV, 11.27

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1197

    PLOTINO

    III 9, P. 38.18-39: IV, 8.1 III 12, p. 46.5-12: IV, 11.27 III 13, P. 47.22-48.10: IV, 57.12 III 14: V, 41.20 III 14, p. 49.12-18: IV, 16.7 III 14, p. 51.11-19: IV, 57.20 III 15: V, 55.18 III 15, p. 53.1: IV, 96.9 III 15, p. 53.22-54.20: IV, 10.15 III 18: V, 100.18 III 19, p. 65.23: IV, 97.2 III 20: IV, 10.15 III 21: IV, 33.12 III 21, p. 75.8-21: IV, 13.5 III 22, p. 80.24-27: V, 63.16 III 24: IV, 32.15 III 24, p. 83.22-84.23: V, 139.20 III 24, p. 84.9-23: IV, 81.7; – V, 136.4 III 24, p. 84.24-85.4: IV, 83.19 III 24, p. 85.17-21: IV, 82.24 III 25, p. 86.20-87.16: IV, 90.21 III 25, p. 87.7-8: IV, 88.23 III 25, p. 87.10-11: IV, 81.7 III 25, p. 88.3-6: IV, 96.7 III 25, p. 88.19-20: VI, 79.23; 92.11 III 25, p. 88.24-27: IV, 79.10; 90.11 III 26, p. 89.11-21: IV, 80.16 III 26, p. 89.18-90.1: IV, 96.8 III 26, p. 90.16-21: IV, 81.10; 105.13 III 27: IV, 15.17; 78.18 III 27, p. 93.1-96.20: IV, 113.22 III 27, p. 93.2-18: IV, 98.22 III 27, p. 93.12-13: IV, 79.24 III 27, p. 96.14-15: IV, 79.3 III 28, p. 100.2-22: IV, 96.21 III 28, p. 100.4-22: V, 8.12-13 III 28, p. 100 6-9: IV, 8.25 III 28, p. 100.18-19: V, 22.11 III 28, p. 101.16-21: IV, 88.21 IV 1, p. 7.14-9.9: V, 8.4 IV 2, p. 11.21-13.2: V, 41.12 IV 5: V, 14.25 IV 7: V, 15.3 IV 19, p. 57.10-58.8: V, 43.25 IV 22: V, 14.25

    – PROCLO

    1197

    IV 22, p. 67.17-68.2: V, 10.9 IV 27, p. 79.8-15: V, 141.14 IV 33, P. 99.6-9: V, 136.6 V 3, p. 17.8-9: VI, 67.10 V 5, p. 21.11-22.2: VI, 80.21 V 5, p. 24-14: VI, 38.13 V 13: VI, 27.22 V 13, p. 42.27-43.17: VI, 87.26 V 18: VI, 21.2 V 21-26: VI, 35.1-2 V 23, p. 86.20-87.13: VI, 29.24-25 V 31, p. 115.16-116.20: VI, 6.8 V 37, p. 135.14-21: VI, 95.6 V 37, p. 138.1-11: VI, 112.26 V 38: II, 69.12-13 V 38, p. 142.20-143.3: VI, 95.13-14 V 39, p. 144.1-11: VI, 68.20 V 39, p. 147.23-148.1: VI, 95.13-14 VI in generale: V, 9.10 VI 1, p. 5.6-6.5: VI, 92.23 VI 1, p. 5.8-11: VI, 68.8 VI 1, p. 6.28-7.3: VI, 110.16-17 VI 3,: VI, 69.6-7 VI 4: VI, 76.19 VI 5, p. 26.13-27.16: VI, 93.8 VI 8, p. 35.8-9: VI, 90.14 VI 8, p.. 35.11-15: VI, 36.16-17 VI 8, p. 36.24-37.26: VI, 95.4 VI 11, p. 51.15-17: VI, 57.24 VI 11, p. 51.19-52.18: VI, 55.6 VI 11, p. 51.24-28: VI, 54.9 VI 11, p. 52.27-53.2: VI, 54.15 VI 11, p. 53.5-6: VI, 55.14 VI 11, p. 54.4-7: VI, 55.26 VI 11, p. 55.6-7: VI, 67.13 VI 12, p. 60.21-24: VI, 61.18 VI 12, P. 62.16-24: VI, 63.11 VI 16, p. 80.16-17: VI, 82.7 VI 18: VI, 94.1 VI 18, p. 84.12-85.5: VI, 86.13 VI 19, p. 87.22-23: VI, 90.10 VI 19, p. 91.3-11: VI, 35.20 VI 20, p. 93.8-22: VI, 97.7 VI 20, p. 93.11-18: VI, 97.4 VI 23, p. 100.23-24: VI, 101.13 VI 23, p. 102.25-103.4: VI, 110.1617

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1198

    1198

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    VI 23, p. 105.27-106.8: VI, 102.3 VI 23, p. 108.10-12: VI, 110.20

    TEODORO DI ASINE (ed. Deuse) Test. 8: IV, 68.15-18; 69.17-18 Test. 24: V, 109.21-22

    SIRIANO TEOFRASTO In Metaphysica M 8, p. 153.5-6: I, 57.20

    De caelo: I, 64.17-18

    0150.biblio:Layout 1 12/04/19 06:42 Pagina 1199

    INDICE GENERALE PREMESSA ALLA NUOVA EDIZIONE PREFAZIONE di Werner Beierwaltes SAGGIO INTRODUTTIVO di Michele Abbate

    VII IX XVII

    TEOLOGIA PLATONICA

    LIBRO I LIBRO II LIBRO III LIBRO IV LIBRO V LIBRO VI

    3 185 295 449 619 841

    COMMENTO

    1013

    SAGGIO INTEGRATIVO

    1151

    BIBLIOGRAFIA

    1173

    INDICE DEGLI AUTORI E DEI PASSI CITATI

    1181