Strumenti per pensare 886030654X, 9788860306548

Riflettere in maniera corretta e con eleganza su questioni difficili" è l'obiettivo di Daniel Dennett nel pres

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Italian Pages 554 Year 2014

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Strumenti per pensare
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Co lla n a d i r e tta da Giulio Glorcllo

Dello stesso autore

Vevoluzione della libertà Sweet Dreams Illusioni filosofiche sulla coscienza

Rompere 11 incantesimo La religione come fenomeno naturale

Daniel C. Dennett

Strumenti per pensare

~ Raffaello Cortina Editore

www.raffaellocortina.it

~.

Titolo originale

Intuition Pumps and Other Tools /or Thinking © 2013 Daniel C. Dennett Traduzione Simonetta Frediani ISBN 978-88-6030-654-8

© 2014 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2014 Stampato da Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese) per conto di Raffaello Cortina Editore Ristampe

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1 2 4 5 3 2014 2015 2016 2017 2018

INDICE

xv

Prefazione I. INTRODUZIONE. CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE? II. UNA DOZZINA DI STRUMENTI GENERALI PER PENSARE

1

17

1. Commettere errori 2. Il "ragionamento per parodia": usare la reductio

19

ad absurdum 3. Le regole di Rapoport

30

4. La legge di Sturgeon 5. Il rasoio di Occam 6. La scopa di Occam 7. Usare come esca un pubblico di profani 8. Il Jootsing 9. Tre specie di gouldazione: il piuttostamento, la gonfiatura e il two-step 10. L'operatore "certamente": un blocco mentale 11. Domande retoriche 12. Che cos'è una profonderia?

38

35

40

42 44

47

51 56

58 59

Sommario

61

III. STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO O CONTENUTO

63

13. Omicidio a Trafalgar Square 14. Un fratello maggiore che vive a Cleveland

VII

65

69

INDICE

15. "Papà è un dottore" 16. Immagine manifesta e immagine scientifica 17. Psicologia popolare 18. L'atteggiamento intenzionale 19. La distinzione tra "personale" e "subpersonale" 20. Una cascata di homunculi 21. L'operatore sorta 22. Il tessuto miracoloso 23. Prigioniero nella stanza di controllo del robot

110

rv. UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

115

24. I sette segreti del potere dei computer 25. Macchine virtuali 26. Algoritmi 27. Automatizzare l'ascensore

117

72

73 77 82

93 99 104 106

142 150

153

Sommario

158

V. ALTRI STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO

161

28. Qualcosa di personale contro i rossi 29. Il two-bitser errante, la Terra Gemella e il robot gigantesco 30. La traduzione radicale e un cruciverba quineano 31. Motori semantici e motori sintattici 32. L'Uomo della palude incontra uno squalo-mucca 33. Due scatole nere

163 167 187 191

193 198

Sommario

213

VI. STRUMENTI PER PENSARE ALL'EVOLUZIONE

217

34. L'acido universale 35. La biblioteca di Mendel: "enorme" ed "evanescente"

219

VIII

222

INDICE

36. I geni come parole o come subroutine 3 7. L'albero della vita 38. Gru e ganci appesi al cielo, l'innalzamento nello spazio dei progetti 39. Competenza senza comprensione 40. Princìpi giustificativi in fluttuazione libera 41. Le locuste capiscono i numeri primi? 42. Come spiegare lo stotting 43. Attenzione al Primo Mammifero 44. Quando avviene la speciazione? 45. Fabbricanti di vedove, Eva mitocondriale e incoronazioni retrospettive 46. Cicli 47. Che cosa dicono in realtà al cervello gli occhi della rana? 48. Grandi balzi nella biblioteca di Babele 49. Chi è l'autore di Spamleto? 50. Rumore nell'albergo virtuale 51. Herb, Alice e Hai, il bambino 52. Memi

232 235 236 252 254 257 259 261 265 268 274 278 281 283 291

295 298

Sommario

301

VII. STRUMENTI PER PENSARE ALLA COSCIENZA

303

53. Due controimmagini 54. L'Impressione Zombica 55. Zombi e zimbo 56. La Maledizione del Cavolfiore 57. Vis: quanto vale in "moneta reale"? 58. Il triste caso di Mr Clapgras 59. Il Mazzo Accordato 60. La Stanza Cinese

305

IX

307 312 320 324 327 336 345

INDICE

61. La discesa teleclonica da Marte 62. Il sé come centro di gravità narrativa 63. Eterofenomenologia 64. Mary, la scienziata del colore: una stampella esplosiva svelata

367

Sommario

378

VIII. STRUMENTI PER PENSARE AL LIBERO ARBITRIO

381

356 359

373

65. Un neurochirurgo davvero scellerato 66. Un giocattolo deterministico: il gioco Vita di Conway 67. La morra cinese 68. Due lotterie 69. Fatti storici inerti 70. Una maratona di scacchi con il computer 71. La responsabilità ultima 72. Lo sphexismo 73. I ragazzi venuti dal Brasile: un'altra stampella esplosiva

432

Sommario

437

IX. CHE COSA SI PROVA A ESSERE UN FILOSOFO?

441

74. 75. 76. 77.

443

Un patto faustiano La filosofia come autoantropologia ingenua Le verità di ordine superiore degli scocchi Il 10 per cento buono

385 387 398 404 407

413 423 427

446

450 457

X. USATE GLI STRUMENTI E NON STANCATEVI DI FARE ESERCIZIO

461

XI. OMISSIONI

463

X

INDICE

Appendice. Soluzioni degli esercizi sulla macchina a registri Fonti Bibliografia Crediti Indice analitico

XI

465 477 483

495 497

Alla Tu/ts University, la mia casa accademica

PREFAZIONE

La Tufts University è stata la mia sede accademica per più di quarant'anni, e ai miei occhi è sempre sembrata proprio perfetta, come la zuppa di Riccioli d'oro: non troppi carichi, non troppi vizi, colleghi brillanti da cui imparare e solo una minima quantità di primedonne accademiche, studenti bravi e tanto seri da meritare attenzione senza per questo pensare di avere diritto ad assistenza ventiquattr'ore su ventiquattro, una: torre d'avorio in cui tutti sono profondamente impegnati a risolvere problemi del mondo reale. Sin dalla creazione del Center for Cognitive Studies, nel 1986, la Tufts ha sostenuto la mia ricerca, risparmiandomi gran parte delle sofferenze e degli obblighi destinati a chi esercita I'arte di ottenere finanziamenti e mi ha concesso una grande libertà di lavorare con studiosi di molti settori, permettendomi tanto di viaggiare in Paesi lontani per raggiungere seminari, laboratori e congressi quanto di invitare i ricercatori a lavorare al Center. Questo libro mostra a che cosa mi sono dedicato in tutti questi anni. Nella primavera del 2012 misi alla prova una prima versione del testo in un seminario tenuto al dipartimento di Filosofia della Tufts. Era mia abitudine da anni, ma quella volta volevo che gli studenti mi aiutassero a rendere il libro quanto più accessibile ai profani, quindi esclusi i dottorandi e gli specializzandi, e limitai la classe ad appena una dozzina di intrepide matricole, le prime dodici - in realtà tredici, a causa di un errore di trascrizione- che si offrirono volontarie. Ci siamo guidati reciprocamente in un viaggio spensierato attraverso i vari argomenti, da cui gli studenti hanno imparato di poter contrastare il professore, e io di poter risalire ancora più indietro nel tempo e spiegare tutto meglio. Ringrazio quindi i miei giovani collaboratori per il coraggio, l'immaginazione, I'energia e I'entusiasmo: Tom Addison, Nick Boswell, Tony Cannistra, Bren-

xv

PREFAZIONE

dan Fleig-Goldstein, Claire Hirschberg, Caleb Malchik, Carter Palmer, Amar Patel, Kumar Ramanathan, Ariel Rascoe, Nikolai Renedo, Mikko Silliman e Eric Tondreau. La seconda versione che emerse da quel seminario è stata poi letta dai miei cari amici Bo Dahlbom, Sue Stafford e Dale Peterson, che mi hanno offerto altri commenti e suggerimenti sinceri e proficui, che per lo più ho seguito, e dal mio editor, Drake McFeely, abilmente assistito da Brendan Curry, alla WW. Norton, entrambi inoltre responsabili di molti miglioramenti, di cui sono grato. Ringrazio in modo particolare Teresa Salvato, coordinatrice di progetto al Center for Cognitive Studies, che ha contribuito direttamente all'intero progetto in innumerevoli modi, e mi ha aiutato indirettamente gestendo il Center e i miei viaggi in modo così efficace da permettermi di dedicare più tempo ed energia alla costruzione e all'utilizzo dei miei strumenti per pensare. Infine, come sempre, esprimo i miei ringraziamenti e il mio amore a mia moglie, Susan. Siamo una squadra da cinquant'anni e lei è responsabile quanto me di ciò che, insieme, abbiamo fatto.

Daniel C. Dennett Blue Hill, Maine agosto 2012

XVI

I INTRODUZIONE

CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE? Senza strumenti, a mani nude, il falegname non può fare granché e senza strumenti; con il solo cervello, il pensatore non può fare granché. BODAHLBOM

Pensare è difficile. Pensare.a certi problemi è così difficile che il solo pensiero di pensare a quei problemi può far venire mal di testa. Il mio collega neuropsicologo Marcel Kinsbourne suggerisce che quando pensare ci sembra difficile è sempre perché il percorso accidentato per arrivare alla verità è in competizione con altre vie più facili e allettanti, che poi risultano essere vicoli ciechi. È questione di resistere alle tentazioni e la fatica del pensare è dovuta per lo più a questo. Subiamo continui agguati e dobbiamo armarci di coraggio per realizzare il compito. Puah ! C'è un famoso aneddoto suJohn van Neumann, il matematico e fisico che trasformò l'idea di Alan Turing (ciò che oggi chiamiamo macchina di Turing) in un vero e proprio computer elettronico (ciò che oggi chiamiamo macchina di von Neumann, come per esempio un portatile o uno smartphone). John van Neumann era un virtuoso del pensiero, leggendario per la sua capacità di eseguire a mente calcoli incredibili con velocità fulminea. Secondo l'aneddoto, che come tutte le storie famose ha diverse versioni, un collega un giorno gli propose un problema che si poteva risolvere sia con una serie di calcoli complicati e impegnativi sia grazie a una soluzione elegante e istantanea, di quelle che vengono in mente in un lampo. Il collega aveva una

STRUMENTI PER PENSARE

teoria: in casi come questi, un matematico calcola la soluzione faticosa, mentre il fisico (più pigro, ma anche più geniale) si ferma a riflettere e trova la soluzione facile e rapida. Quale soluzione avrebbe trovato von Neumann? Il problema è: due treni viaggiano sullo stesso binario in direzione l'uno dell'altro e si trovano a 100 chilometri di distanza; il treno A viaggia a 30 chilometri all'ora e il treno B a 20. Un uccello che vola a 120 chilometri all'ora parte dal treno A (quando i treni sono a 100 chilometri l'uno dall'altro), vola fino al treno B, torna indietro fino al treno A e così via, fino a quando i due treni si scontrano. Quanti chilometri ha percorso l'uccello al momento in cui avviene lo scontro? "240 chilometri", rispose von Neumann quasi all'istante. "Accidenti!", replicò il collega, "avevo scommesso che avresti scelto la strada difficile ricorrendo alla somma di serie infinite." "Ah!", esclamò imbarazzato von Neumann, battendosi la fronte, "c'è una strada facile!" (Suggerimento: quanto tempo passa prima dello scontro?) Certe persone, come von Neumann, sono naturalmente tanto geniali da poter superare facilmente le situazioni più complicate, e altre procedono lentamente e faticosamente, ma hanno la fortuna di possedere una "forza di volontà" straordinaria che le aiuta a tenere duro nella loro ostinata ricerca della verità. In mezzo ci siamo tutti noi che non siamo calcolatori prodigio e siamo un po' pigri, ma comunque aspiriamo a comprendere tutto ciò che incontriamo. Che cosa possiamo fare? Possiamo usare strumenti per pensare, ne esistono decine e decine. Questi comodi apparati protesici per potenziare l'immaginazione e mantenere l'attenzione ci permettono di riflettere in maniera corretta e anche elegante su problemi veramente difficili. Questo libro è una collezione dei miei strumenti preferiti. È mia intenzione non solo descriverli, ma anche usarli per farvi viaggiare mentalmente senza scossoni attraverso un territorio disagevole fino a raggiungere una visione davvero radicale del significato, della mente e del libero arbitrio. Inizieremo con alcuni strumenti semplici e generali, che si possono applicare ad argomenti di ogni genere. Certi sono ben noti, ma altri non hanno mai destato molta attenzione e non sono stati discussi più di tanto. Poi

CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?

vi presenterò alcuni strumenti che hanno proprio una funzione particolare, essendo stati ideati per demolire una specifica idea seducente, permettendo di abbandonare un'abitudine inveterata che ancora intrappola e confonde gli esperti. Incontreremo e demoliremo anche una gran varietà di cattivi strumenti, strampalati dispositivi di persuasione che possono essere fuorvianti se non si presta attenzione. Indipendentemente dal fatto che arriviate comodamente alla destinazione che propongo - e che decidiate di restarvi insieme a me - il viaggio vi farà acquisire nuovi modi di pensare agli argomenti e di pensare al pensare. Il fisico Richard Feynman forse è stato un genio ancora più leggendario di von Neumann e senza dubbio aveva un cervello di prim'ordine, però amava anche divertirsi e possiamo essergli grati per il piacere particolare che provava a rivelare i trucchi del mestiere che usava per rendersi più facile la vita. Per quanto si possa essere intelligenti, lo si è di più se si sceglie la via facile, quando ne esiste una. I suoi libri autobiografici, Sta scherzando Mr Feynman! e Che t'importa di dò che dice la gente?, dovrebbero essere tra le letture richieste a ogni aspirante pensatore, poiché contengono molti suggerimenti su come rendere trattabili i problemi più ardui - e persino su come abbagliare un uditorio con qualche falsità, se non viene in mente nulla di meglio. Ispirato dalla profusione di osservazioni utili nei suoi libri, e dal candore con cui rivelava i suoi meccanismi mentali, ho deciso di tentare di realizzare un progetto simile, meno autobiografico e con il fine ambizioso di convincervi a pensare a questi argomenti a modo mio. Farò di tutto per persuadervi ad abbandonare alcune delle vostre convinzioni più salde, ma senza avere un asso nella manica. Uno dei miei obiettivi principali è rivelare via via che cosa sto facendo e perché. Come tutti gli artigiani, un fabbro ha bisogno di attrezzi, ma - secondo una vecchia osservazione (per la verità ormai quasi del tutto dimenticata) - i fabbri sono gli unici che costruiscono i propri strumenti. Non sono i falegnami a fabbricare i martelli e le seghe, non sono i sarti a fabbricare le forbici e gli aghi, non sono gli idraulici a fabbricare le chiavi e le pinze, ma i fabbri sanno forgiare martelli, tenaglie, incudini e scalpelli dalla materia

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STRUMENTI PER PENSARE

prima, il ferro. E gli strumenti per pensare? Chi li costruisce? E di che cosa sono fatti? I filosofi sono stati gli artefici di alcuni tra i migliori strumenti - fatti di null'altro che idee, strutture informative utili. Cartesio ci ha dato le coordinate cartesiane, gli assi x e y senza i quali il calcolo infinitesimale - uno strumento del pensiero par excellence inventato simultaneamente da Isaac Newton e dal filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz- sarebbe quasi impensabile. Blaise Pascal ci ha dato la teoria delle probabilità, che permette di calcolare facilmente i quozienti di scommessa. Il reverendo Thomas Bayes, anch'egli matematico di talento, ci ha lasciato il teorema di Bayes, il pilastro del pensiero statistico detto appunto bayesiano. Gli strumenti che compaiono in questo libro, tuttavia, per la maggior parte sono più semplici, non sono le macchine precise e sistematiche della matematica e della scienza, ma gli utensili a mano della mente. Eccone alcuni:

Le etichette. A volte il solo fatto di dare un nome accattivante a qualcosa ci aiuta a non perderlo di vista mentre lo rigiriamo nella mente cercando di comprenderlo. Tra le etichette più utili, come vedremo, vi sono le etichette di avvertimento, o allarmi, che ci mettono in guardia contro probabili fonti di errore.

Gli esempi. Alcuni filosofi pensano che usare esempi nel loro lavoro sia, se non proprio un inganno, quanto meno superfluo - un po' come i romanzieri evitano le illustrazioni nei loro libri. Il romanziere è orgoglioso di fare tutto con le parole, e i filosofi vanno fieri di fare tutto con generalizzazioni astratte presentate in ordine rigoroso, quanto più possibile simili a dimostrazioni matematiche. Buon per loro, ma non possono aspettarsi che io raccomandi il loro lavoro a più di un paio di studenti eccezionali. Molto semplicemente, è più difficile del necessario.

Le analogie e le meta/ore. Mettere in corrispondenza le caratteristiche di qualcosa di complesso con le caratteristiche di un altro oggetto complesso che già conosciamo (o crediamo di conoscere) è uno strumento del pensiero

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CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?

famoso per essere potente, ma lo è in misura tale da poter facilmente fuorviare i filosofi quando a catturare la loro immaginazione è un'analogia ingannevole.

Le impalcature. Possiamo mettere la copertura a un tetto, dipingere una casa o riparare un camino usando soltanto una scala, spostandola via via e potendo realizzare ogni volta solo una piccola parte del lavoro, ma alla fin fine spesso è assai più facile montare un'impalcatura robusta che permette di spostarsi rapidamente e in sicurezza per tutta l'area di lavoro. Molti dei più preziosi strumenti per pensare presentati in questo libro sono esempi di impalcature che hanno un tempo di allestimento un po' lungo, ma poi permettono di affrontare insieme una gran varietà di problemi - senza dover continuare a spostare la scala. Infine, vi è quel genere di esperimenti mentali che ho soprannominato pompe dell'intuizione. Gli esperimenti mentali sono tra gli strumenti preferiti dei filosofi e non c'è da stupirsi: chi ha bisogno di un laboratorio, se riesce a immaginare la soluzione di un problema grazie a qualche deduzione ingegnosa? Anche gli scienziati, da Galileo a Einstein e ad altri in seguito, hanno usato gli esperimenti mentali con risultati positivi, quindi non sono soltanto strumenti per i filosofi. Certi esperimenti mentali sono analizzabili come argomenti rigorosi, spesso nella forma di una reductio ad absurdum, 1 in cui dalle premesse dei propri avversari si deriva una contraddizione formale (un risultato assurdo), mostrando che non possono essere tutte corrette. Uno dei miei preferiti è la dimostrazione attribuita a Galileo che i corpi pesanti non cadono più velocemente di quelli leggeri (quando l'attrito è trascurabile). Se fosse invece così, poiché la pietra pesante A cadrebbe più velocemente della pietra leggera B, se legassimo B 1. Le parole e le espressioni in grassetto sono i nomi di strumenti per pensare descritti e discussi in maniera più dettagliata in altre pagine del libro. Per trovarli il lettore può consultare l'indice analitico, poiché ad alcuni di essi non è dedicato un intero capitolo.

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STRUMENTI PER PENSARE

a A, la pietra B agirebbe da freno, rallentando A. Ma A legata a B è più pesante della sola A. Abbiamo concluso che legando B a A si produce qualcosa che cade più velocemente, ma anche più lentamente di A, il che è una contraddizione. Altri esperimenti mentali sono meno rigorosi, ma spesso altrettanto efficaci: sono storielle ideate per provocare un'intuizione sincera e convincente- "Sì, certo, dev'essere così!" - riguardo alla tesi che viene difesa, quale che sia. Li ho chiamati pompe dell'intuizione.L'espressione comparve nella mia prima critica pubblica del famoso esperimento mentale della Stanza Cinese del filosofo John Searle (Searle, 1980; Dennett, 1980) e alcuni pensatori ne hanno concluso che attribuisco loro un significato dispregiativo. È vero il contrario, le adoro! Certe sono eccellenti, qualcuna è dubbia e solo alcune sono davvero ingannevoli. Le pompe dell'intuizione sono state per secoli una forza dominante nella filosofia. Sono la versione filosofica delle favole di Esopo, che sono state riconosciute come magnifici strumenti per pensare prima ancora che esistessero i filosofi. 2 Se avete studiato filosofia all'università, probabilmente vi siete imbattuti in qualche classico come la caverna di Platone, nella Repubblica, in cui le persone sono incatenate e possono vedere soltanto le ombre degli oggetti reali proiettate sulla parete, o l'altro suo esempio, nelMenone, dell'insegnamento della geometria a uno schiavo, o il genio maligno di Cartesio, che con l'inganno lo induce a credere che il mondo sia completamente illusorio - il primo esperimento mentale sulla realtà virtuale - o lo stato di natura di Hobbes, in cui la vita è "sofferta, brutale e breve" (Hobbes, 1651, pp. 206-207). Pur non essendo famosi come Al lupo! Al lupo! o La formica e la cicala, sono molto conosciuti e ciascuno è ideato per pompare qualche intuizione. La caverna di Platone mira a illuminarci sulla natura della percezione e della realtà, e lo schiavo dovrebbe illustrare la nostra conoscenza innata; il genio maligno è il massimo generatore 2. Esopo, come Omero, è mitico quasi come le sue favole, che furono trasmesse oralmente per secoli prima di essere scritte per la prima volta qualche secolo prima dell'epoca di Platone e Socrate. È possibile che Esopo non fosse greco: alcune prove indiziarie suggeriscono che fosse etiope.

6

CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?

di scetticismo e il punto essenziale della parabola di Hobbes è il miglioramento rispetto allo stato di natura quando ci impegniamo con un contratto a formare una società. Queste sono le melodie durature della filosofia - la loro capacità di resistenza garantisce che gli studenti le ricorderanno, in maniera molto chiara e precisa, quando da anni avranno dimenticato tutte le complicate discussioni e analisi degli argomenti in questione. Una buona pompa dell'intuizione è più robusta di ogni sua particolare versione. Prenderemo in esame una gran varietà di pompe dell'intuizione contemporanee, tra cui alcune imperfette, e l'obiettivo sarà capire a che cosa servono, come funzionano, come usarle e anche come costruirne di nuove. Consideriamo un esempio semplice e breve: il Secondino Stravagante. Ogni notte il secondino aspetta fino a quando tutti i prigionieri dormono profondamente e poi va in giro ad aprire tutte le porte, lasciandole spalancate per ore e ore. Domanda: i prigionieri sono liberi? Hanno l'opportunità di andarsene? Non proprio. Perché no? Ecco un altro esempio: i Gioielli nel Cassonetto dei Rifiuti. Si dà il caso che nel cassonetto a cui siete passati accanto una notte qualcuno avesse buttato un sacchetto di gioielli di immenso valore. Può sembrare che abbiate un' occasione d'oro per diventare ricchi, invece non è affatto d'oro perché è una pura opportunità: è estremamente improbabile che la riconosciate come tale e quindi agiate di conseguenza - e persino che la prendiate in considerazione. Questi due semplici scenari pompano intuizioni che altrimenti potrebbero non essere ovvie, mostrando quanto sia importante essere avvisati in maniera tempestiva delle opportunità autentiche, in modo tale che le informazioni possano farcele prendere in considerazione in tempo per agire. Nella nostra smania di scegliere "liberamente", senza essere mossi- ci piace pensare - da "forze esterne", tendiamo a dimenticare che non dovremmo desiderare di essere completamente isolati da tutte queste forze; il libero arbitrio non aborrisce la nostra iinmersione in un ricco contesto causale; in realtà la richiede. Spero che pensiate che vi sia molto altro da dire sull'argomento! Queste minuscole pompe dell'intuizione sollevano una

STRUMENTI PER PENSARE

questione in modo chiaro, ma non risolvono nulla - non ancora. (Più avanti, al libero arbitrio sarà dedicata un'intera parte.) Dobbiamo diventare esperti nell'arte di trattare con prudenza questi strumenti, badando a dove mettiamo i piedi e facendo attenzione alle trappole. Se pensiamo che una pompa dell'intuizione sia uno strumento di persuasione progettato con cura, possiamo immaginare che potrebbe essere proficuo applicare l'ingegneria inversa allo strumento, controllando tutte le parti mobili per capire che cosa fanno. Quando Doug Hofstadter e io componemmo I: io della mente, nel 1981, Doug mi offrì il consiglio giusto a questo proposito: occorre considerare la pompa dell'intuizione come uno strumento con molte configurazioni e "ruotare tutte le manopole" per verificare se le stesse intuizioni vengono ancora pompate quando si considerano le variazioni. Cerchiamo quindi di individuare le manopole, e di ruotarle, nel caso del Secondino Stravagante. Supponete - a meno che non venga dimostrato il contrario - che ogni parte abbia una funzione e considerate quale sia tale funzione sostituendola con un'altra, o modificandola leggermente.

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Ogni notte il secondino aspetta fino a quando tutti i prigionieri dormono profondamente e poi va in giro ad aprire tutte le porte, lasciandole spalancate per ore e ore.

Ecco una delle molte variazioni che potremmo considerare: Una notte il secondino ordinò alle guardie di narcotizzare uno dei prigionieri e queste, una volta eseguito il compito, lasciarono accidentalmente aperta la porta della cella del prigioniero per un'ora. Così l'atmosfera dello scenario cambia decisamente, non

è vero? In che modo? Il punto principale è identico (vero?), ma non è reso con altrettanta efficacia. La differenza sostan-

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CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?

ziale pare essere tra addormentarsi in maniera naturale - ci si può svegliare in qualsiasi momento - ed essere narcotizzati o comatosi. Un'altra differenza sottolinea, "accidentalmente", il ruolo dell'intenzione o della disattenzione del secondino e delle guardie. La ripetizione ("ogni notte") sembra modificare la probabilità a favore dei prigionieri. Quando e perché conta la probabilità? Quanto paghereste per non dover partecipare a una lotteria in cui viene venduto un milione di biglietti e il "vincitore" viene fucilato? Quanto paghereste per non dover giocare alla roulette russa con una rivoltella a sei colpi? (Qui usiamo una pompa dell'intuizione per illuminarne un'altra, un trucco da ricordare.) Altre manopole da ruotare sono meno ovvie. L'Ospite Diabolico chiude a chiave le stanze dei suoi ospiti mentre dormono. Il Manager dell'Ospedale, preoccupato dell'eventualità di un incendio, di notte lascia aperte tutte le porte delle camere e dei reparti, ma non informa i pazienti, pensando che, se non lo sanno, dormiranno meglio. E che cosa succede se la prigione è molto più grande del solito, se è grande come l'Australia, poniamo? È impossibile chiudere a chiave o aprire tutte le porte in una tale prigione. Che differenza fa? La prudenza consapevole con cui dovremmo accostarci a qualsiasi pompa dell'intuizione è essa stessa uno strumento importante per il pensiero, la tattica preferita dei filosofi: going meta, cioè passare a un livello superiore di astrazione - pensare al pensare, parlare del parlare, ragionare sul ragionare. Il metalinguaggio è il linguaggio che usiamo per parlare di un altro linguaggio e la metaetica è una rassegna panoramica delle teorie etiche. (Come dissi una volta a Doug, "Tutto quello che potete fare io lo posso fare meta".) Questo libro, naturalmente, è tutto un esempio di passaggio al livello superiore di astrazione: esplora come riflettere con cura sui metodi per riflettere con cura (sui metodi per riflettere con cura ecc.). 3 Di recente, 3. Il filosofo WV.O. Quine (1960) ha chiamato ascesa semantica questo innalzamento dal parlare di elettroni, della giustizia, dei cavalli o di qualsiasi altra cosa al parlare di parlare di elettroni, della giustizia, dei cavalli o di qualsiasi altra cosa. A volte qualcuno disapprova questa mossa dei filosofi ("Con voi, tutto è sempre

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STRUMENTI PER PENSARE

Doug ha presentato un elenco di alcuni dei suoi utensili a mano preferiti (Hofstadter, 2007, p. 219): -

battaglie contro i mulini a vento pacchianeria tiri mancini uva acerba olio di gomito giganti dai piedi d'argilla mine vaganti rotelle mancanti adesioni di facciata - scoperte dell'acqua calda - feedback

Se queste espressioni vi sono familiari, allora per voi non sono "soltanto parole": ciascuna espressione è uno strumento cognitivo astratto, proprio come "divisione complicata" e "trovare la media"; ciascuna ha un ruolo in un ampio spettro di contesti, facilitando la formulazione di ipotesi da controllare e il riconoscimento di forme e regolarità del mondo passate inosservate, essendo utili nella ricerca di somiglianze importanti e così via. Ogni parola del vostro vocabolario è un semplice strumento per pensare, ma alcune sono più utili di altre. Se qualche espressione non fa parte del vostro equipaggiamento, può darsi che la vogliate acquisire: dotati di questi strumenti potrete concepire pensieri che altrimenti sarebbero relativamente difficili da formulare. Naturalmente, come dice un vecchio adagio, quando il solo strumento che hai è un martello, tutto ti sembra un chiodo, e di ognuno di questi strumenti si può fare un uso eccessivo. Consideriamo una di queste espressioni: uva acerba. Viene da una favola di Esopo, La volpe e l'uva, e attira l'attenzione su come a volte le persone fingano di non provare interesse per solo semantica!"), e a volte la mossa è davvero inutile e anche confondente, ma quando è necessaria, quando le persone si parlano fraintendendosi a vicenda, oppure sono ingannate da assunti impliciti sul significato delle proprie parole, l'ascesa semantica, il passaggio al metalivello, è la chiave per fare chiarezza.

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CHE COS'È UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?

ciò che non possono avere denigrandolo. Pensate quanto può essere significativo commentare qualcosa che vi hanno appena detto con la semplice domanda: "L'uva è acerba?". Il vostro interlocutore prenderà in esame una possibilità che altrimenti gli sarebbe potuta sfuggire e questo lo indurrà senz'altro a cambiare idea o a riflettere sul problema in questione da una prospettiva più ampia- oppure a offendersi (gli strumenti possono essere usati anche come armi). La morale della favola è tanto conosciuta che si può aver dimenticato la trama della storia o le sue sottigliezze - se sono importanti, e a volte non lo sono. Acquisire nuovi strumenti e usarli con giudizio sono due capacità distinte, ma il primo passo è comunque l' acquisizione, o la creazione, degli strumenti. Gli strumenti per pensare che presento in queste pagine sono per lo più mie invenzioni e di ogni strumento che ho acquisito da altri citerò l'autore al momento opportuno. 4 Anche se non ha inventato nessuno degli utensili del suo elenco, Doug è l'autore di alcuni elementi pregevoli della mia cassetta degli attrezzi, come il jootsing e lo sphexismo. Alcuni tra gli strumenti più potenti sono matematici, ma oltre a citarli non dedicherò loro molto spazio, poiché questo è un libro che celebra il potere degli strumenti non matematici, informali, gli strumenti della prosa e della poesia, se volete, un potere che gli scienziati sottovalutano spesso. Vediamo perché. Anzitutto, la cultura della prosa scientifica nelle riviste di ricerca favorisce - anzi, esige - una presentazione dei problemi impersonale e ridotta all'osso, con un minimo di espressioni fiorite, di retorica e di allusioni. L'inesorabile grigiore delle pagine delle riviste scientifiche più serie ha una buona ragione. Come mi scrisse nel 1965 uno dei membri della commissione esami4. Molti brani di questo libro sono tratti da miei libri e articoli pubblicati, modificati in modo da renderli più versatili, adatti a essere usati in contesti diversi da quelli originari - una caratteristica della maggior parte degli strumenti utili. Per esempio, l'aneddoto su von Neumann citato all'inizio è tratto da Videa pericolosa di Darwin (Dennett, 1995a) e questa discussione degli utensili di Hofstadter è tratta da un mio articolo del 2009 pubblicato sui PNAS, "Darwin's 'strange inversion of reasoning"'. Invece di inserire ogni volta una nota a piè pagina, ho preferito fornire l'elenco delle fonti alla fine del libro.

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natrice che mi conferì il dottorato, il neuroanatomistaJohn Zachary Young, che disapprovava la prosa piuttosto fantasio,sa della mia tesi (in filosofia, non in neuroanatomia) a Oxford, "L'inglese sta diventando la lingua universale della scienza, ed è doveroso per noi di madrelingua inglese scrivere lavori che possano essere letti da 'un cinee [sic] paziente dotato di un buon dizionario"'. I risultati di questa disciplina autoimposta parlano da soli: uno scienziato, che sia cinese, tedesco o brasiliano - e persino francese -, fa di tutto per pubblicare i suoi lavori più importanti in inglese, un inglese essenziale, traducibile con difficoltà minime, e con la minima quantità possibile di allusioni alla cultura, sfumature, giochi di parole e persino metafore. Il livello di comprensione reciproca raggiunto nell'ambito di questo sistema internazionale è inestimabile, ma c'è un prezzo da pagare: una parte delle riflessioni che vanno fatte a quanto pare richiede un atteggiamento informale in cui si producono metafore e si impongono piccole modifiche dell'immaginazione, dando l'assalto alle barricate della mentalità chiusa con ogni possibile mezzo; se una parte di tutto ciò non si lascia tradurre facilmente, dovrò sperare da un lato nel virtuosismo dei traduttori e dall'altro in una crescente conoscenza dell'inglese da parte degli scienziati di tutto il mondo. Un'altra ragione per cui gli scienziati sono spesso sospettosi nei confronti delle discussioni teoriche basate "soltanto sulle parole" è che riconoscono che il compito di criticare un argomento che non sia espresso da un insieme di equazioni matematiche è molto più complicato e di solito meno conclusivo. Il linguaggio della matematica rende sempre più persuasivo un argomento. È come la rete del canestro nel gioco del basket: elimina i motivi di disaccordo e la necessità di giudicare se la palla è entrata (chiunque abbia giocato a basket in un cortile con un canestro senza rete sa quanto possa essere difficile distinguere un canestro da un tiro sbagliato che non tocca né il canestro né il cartellone). A volte, però, i problemi sono troppo scabrosi e sconcertanti per essere domati dalla matematica. Ho sempre pensato che se non so spiegare ciò che faccio a un gruppo di studenti in gamba, vuol dire che in realtà non lo 12

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capisco bene, e questa sfida mi ha sempre guidato in tutto ciò che ho scritto. Alcuni professori di filosofia sognano di insegnare corsi avanzati solo a specializzandi. Non appartengo a questo gruppo. Spesso i dottorandi, troppo ansiosi di dimostrare agli altri e a se stessi di agire con sagacia, utilizzano il gergo professionale con sicurezza e abilità, confondono i non addetti ai lavori (è così che si accertano che ciò che fanno richieda perizia) e fanno sfoggio della capacità di farsi strada attraverso gli argomenti tecnici più tortuosi (e tormentosi) senza perdersi. La filosofia scritta per i propri dottorandi e colleghi, di solito, è quasi illeggibile - e perciò, di solito, non viene letta. Un curioso effetto collaterale della mia politica di cercare di scrivere argomenti e spiegazioni che possano essere facilmente compresi da persone estranee ai dipartimenti di filosofi.a è che alcuni filosofi non prendono sul serio i miei argomenti per una questione di "principio"! Durante una delle fohn Locke Lectures che tenni a Oxford di fronte a un pubblico in piedi, molti anni or sono, un eminente filosofo fu sentito borbottare, uscendo dalla sala: "Che mi venga un colpo se imparo qualcosa da qualcuno capace di attirare non filosofi alle John Locke Lectures !". Fedele alla parola data, non ha mai imparato nulla da me, per quanto ne so. Da parte mia, non ho mai modificato il mio stile e non mi sono mai pentito di pagarne il prezzo. Nella filosofia vi sono momenti e sedi che richiedono argomenti rigorosi, con tutte le premesse numerate e le regole di inferenza indicate, ma è raro che sia necessario sfoggiarle in pubblico. Ai nostri dottorandi chiediamo di dimostrare di esserne capaci nelle dissertazioni e alcuni mantengono questa abitudine tutta la vita, purtroppo. A essere onesti va detto che neanche il peccato opposto della roboante retorica europea, infarcita di abbellimenti letterari e dichiarazioni di profondità, favorisce . la filosofia. Se dovessi scegliere, preferirei in ogni occasione il cavillatore analitico e spietato ali' erudito dalla prosa fiorita: quanto meno, di solito, si riesce a capire di che cosa parla e che cosa giudicherebbe sbagliato. È nel terreno di mezzo, grosso modo a metà strada tra la poesia e la matematica, che i filosofi, secondo me, possono of13

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frire il contributo migliore, chiarendo in misura significativa problemi profondamente sconcertanti. Non esistono algoritmi possibili per questo genere di lavoro. Dato che si può sostenere qualsiasi cosa, i propri punti fissi vanno scelti con la dovuta prudenza. Il più delle volte il colpevole risulta essere un assunto "innocente" accettato con noncuranza da tutti.L'esplorazione di questi territori concettuali insidiosi è molto facilitata dall'uso di strumenti per pensare ideati sul momento per chiarire le strade alternative e gettare luce sulle loro possibilità. Questi strumenti per pensare stabiliscono di rado un punto fisso fisso - un "assioma" valido per ogni indagine futura -, piuttosto presentano un candidato meritevole al titolo di punto fisso, un probabile vincolo per le indagini future, ma soggetto esso stesso a revisione o al completo abbandono, se qualcuno riuscirà a capire perché è necessario farlo. Non stupisce che molti scienziati non amino la filosofia; tutte le possibilità sono aperte, nulla è sicuro al cento per cento e le complicate reti di argomenti costruite per collegare questi punti "fissi" restano temporaneamente in sospeso, non poggiando sui fondamenti ben definiti di dimostrazioni o confutazioni empiriche. Così questi scienziati voltano le spalle alla filosofia e vanno avanti con il proprio lavoro, al prezzo però di ignorare alcune delle domande più importanti e affascinanti. "Non fare domande! Non dire nulla! E prematuro affrontare il problema della coscienza, del libero arbitrio, della morale, del significato e della creatività! " Ma pochi possono moderarsi a tal punto e in anni recenti gli scienziati sono partiti per una specie di corsa all'oro in questi territori finora evitati. Spinti dalla pura e semplice curiosità (o forse, a volte, da un desiderio di celebrità), iniziano ad affrontare i grandi interrogativi e ben presto scoprono quanto sia difficile fare progressi. Devo confessare che provo un immenso piacere (seppur mescolato a un senso di colpa) quando vedo scienziati eminenti, che solo qualche anno fa esprimevano un totale disprezzo per la filosofia, 5 inciampare in maniera im5. Due commenti tra i migliori: "La filosofia sta alla scienza come i piccioni stanno alle statue" e "La filosofia sta alla scienza come la pornografia sta al

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barazzante nei propri tentativi di chiarire al mondo questi temi con qualche estrapolazione dalla propria ricerca scientifica argomentata in modo sbrigativo. Ancora più piacevole è quando richiedono, e accettano, un piccolo aiuto da noi filosofi. Nella parte che segue presenterò una dozzina di strumenti generali, multiuso, e in quelle successive tutti gli altri saranno raggruppati in base non al genere, ma al contesto in cui funzionano meglio, partendo dall'argomento filosofico fondamentale del significato, o contenuto, per poi passare all'evoluzione, alla coscienza e al libero arbitrio. Alcuni degli strumenti che presento sono veri e propri programmi per computer, facili da usare, che possono fare per l'immaginazione ciò che i telescopi e i microscopi possono fare per gli occhi. Lungo il percorso, presenterò anche alcuni falsi amici, strumenti che gettano fumo negli occhi invece di far luce. Avevo bisogno di un nome per questi arnesi pericolosi e ho trovato le mot juste grazie alla mia esperienza di navigatore. Spesso i velisti amano i termini nautici che sconcertano i profani: babordo e tribordo, femminella e agugliotto, sartie e crocette, brancarelle e passascotte e tutto il resto. Una volta, durante una traversata, ci divertimmo a inventare false definizioni per questi termini. Così l'allunamento dei fiocchi era una nevicata sulla Luna, le manovre dormienti erano i movimenti complessi dei sonnambuli e il boom crutch [amantiglio del boma] era una stampella esplosiva. Da allora non sono più capace di pensare a un boom crutch senza immaginare per un attimo un poveretto con una gamba ingessata a cui esplode una bomba sotto l'ascella. Ho scelto quindi questa espressione per indicare gli strumenti per pensare controproducenti, quelli che sembrano aiutare a comprendere, ma che in realtà diffondono buio e confusione, non luce. Disseminata per questi capitoli troverete una gran varietà di stampelle esplosive, opportunamente segnalate come pericolose, e di esempi da deplorare. In chiusura, presenterò qualche sesso: è più economica, più facile e alcuni la preferiscono". (Non citerò gli autori di questi commenti; se lo desiderano, possono decidere di rivendicarne la paternità.)

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altra riflessione su che cosa si prova a essere un filosofo, nel caso qualcuno desiderasse saperlo, compresi alcuni consigli dello zio Dan a chiunque di voi abbia scoperto di apprezzare questo modo di indagare il mondo e si domandi se è tagliato per una carriera in questo settore.

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II

UNA DOZZINA DI STRUMENTI GENERALI PER PENSARE La maggior parte degli strumenti per pensare presentati in questo libro sono strumenti specialistici, ideati appositamente per essere usati nel contesto di un particolare argomento e persino di una particolare controversia in merito a un argomento. Prima di passare a queste pompe dell'intuizione, però, prenderemo in esame alcuni strumenti, idee e pratiche generali che hanno dato prova di sé in una gran varietà di contesti.

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1. COMMETTERE ERRORI

Colui che dice: "È meglio stare per sempre senza alcuna credenza, piuttosto che credere a una menzogna", non fa altro che esprimere il proprio soverchiante orrore personale di diventare un fantoccio. [ ... ] È come se un generale dicesse ai suoi soldati che è meglio astenersi per sempre dalla battaglia piuttosto che correre il rischio di una sola ferita. Le vittorie sui nemici o sulla natura non si conquistano in questo modo. Ricordiamoci che i nostri errori non sono poi quella cosa terribile e grave che ci immaginiamo. In un mondo in cui siamo così sicuri di incorrere in errore, nonostante tutte le nostre precauzioni, una certa leggerezza di cuore sembra essere un atteggiamento più sano di questo eccesso di paura nei confronti dell'errore. WILLIAMJAMES,

La volontà di credere

Se avete deciso di controllare una teoria, o di spiegare qualche nuovo concetto, dovete pubblicarne i risultati, qualsiasi questi siano. Se pubblichiamo risultati soltanto di un tipo, possiamo far apparire valida la nostra argomentazione. Ma dobbiamo pubblicare anche i dati negativi. RICHARD FEYNMAN, Sta

scherzando Mr Feynman!

Gli scienziati mi domandano spesso perché i :filosofi dedichino tanti sforzi a insegnare e a imparare la storia del loro settore. I chimici, di solito, se la cavano con una conoscenza elementare della storia della chimica, che si forma nel corso degli anni, e molti biologi molecolari, a quanto pare, non mostrano alcun interesse per tutto ciò che è accaduto nella biologia prima del 1950. La mia risposta è che la storia della :filosofia è in gran parte la storia di persone molto intelligenti che hanno commesso errori molto allettanti, quindi se non si conosce questa storia, si è destinati a commettere gli stessi dannati errori più e più volte. È per questo che insegniamo la storia della filosofia ai nostri studenti e gli scienziati che con leggerezza ignorano la :filosofia lo fanno a proprio rischio e pericolo. Non esiste scienza indi19

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pendente dalla filosofia, ma solo scienza praticata senza la minima considerazione per i suoi assunti filosofici fondamentali. Gli scienziati più in gamba o più fortunati a volte riescono a evitare le trappole con notevole abilità (forse sono "filosofi nati" - oppure sono intelligenti proprio come pensano di essere), ma sono eccezioni rare. Non che i filosofi di professione non commettano - e persino difendano - i vecchi errori. Se i problemi non fossero difficili, non varrebbe la pena occuparsene. A volte non vogliamo rischiare di fare errori: in realtà, vogliamo proprio commetterne - se non altro per avere qualcosa di chiaro e di dettagliato da stabilire. L'errore è la chiave per fare progressi. Com'è ovvio, in certi momenti è davvero importante non compiere neanche il minimo errore - domandate a un chirurgo o a un pilota d'aereo che cosa ne pensa. Meno riconosciuto è il fatto che esistono anche situazioni in cui sbagliare è l'unico modo per procedere. Molti studenti che arrivano in un'università molto competitiva si vantano di non commettere errori- dopotutto, è per questa ragione che sono andati molto più avanti dei loro compagni, o questo è quanto sono stati indotti a credere. Spesso scopro di doverli incoraggiare a coltivare l'abitudine di commettere errori, le migliori opportunità di imparare che esistano. Vengono colpiti dal "blocco dello scrittore" e sprecano ore agitandosi vanamente sulla linea di partenza. Li sprono: "Tirate fuori qualcosa senza riflettere! ". A quel punto sulla pagina hanno qualcosa a cui lavorare. Noi filosofi siamo gli specialisti dell'errore (lo so, sembra una brutta barzelletta, ma aspettate la fine del discorso). Mentre altre discipline sono specializzate nel trovare le risposte giuste agli interrogativi fondamentali, noi filosofi siamo specializzati negli innumerevoli modi di far diventare le cose tanto confuse, tanto profondamente sbagliate, che nessuno è più certo di quali siano le domande giuste, e tantomeno le risposte. Porre le domande sbagliate rischia di far partire qualsiasi indagine con il piede sbagliato. Quando la situazione è questa, è un lavoro da filosofi! La filosofia - in ogni campo di indagine - è ciò che dobbiamo fare fino a quando non riusciamo a capire quali sono le domande da cui saremmo dovuti partire. È una 20

UNA DOZZINA DI STRUMENTI GENERALI PER PENSARE

situazione che a certi non piace affatto: preferirebbero prendere le domande dallo scaffale, tutte ben confezionate, pulite, stirate, e pronte per essere affrontate. Chi ha preferenze simili può occuparsi di fisica, matematica, storia o biologia. Il lavoro non manca e ce n'è per tutti. Noi filosofi preferiamo occuparci degli interrogativi che hanno bisogno di essere chiariti prima che se ne possa trovare la risposta. Non è per tutti. Provateci, però; potrebbe piacervi. In queste pagine criticherò aspramente quelli che a mio giudizio sono errori commessi da altri, ma voglio assicurarvi di avere io stesso una grande esperienza in materia di errori. Ne ho commessi alcuni davvero notevoli e spero di farne ancora molti. Uno dei miei obiettivi in questo libro è aiutarvi a commettere errori utili, quelli che fanno luce a tutti. Prima la teoria e poi la pratica. Gli errori non sono soltanto opportunità per imparare: in un senso molto importante sono le uniche opportunità per imparare o per creare qualcosa di veramente nuovo. Prima che sia possibile l'apprendimento, deve esistere chi apprende e chi apprende può venire al mondo soltanto in due modi, a parte i miracoli: o si evolve o viene progettato e costruito da qualcuno che si è evoluto. L'evoluzione biologica procede mediante un grandioso e inesorabile processo di tentativi ed errori - e senza gli errori i tentativi non porterebbero a nulla. Come disse una volta Gore Vidal, "Riuscire non basta. Occorre anche che altri falliscano". I tentativi possono essere alla cieca o lungimiranti. Voi, che conoscete molte cose, ma non la risposta alla domanda in questione, potete compiere balzi in avanti - salti lungimiranti. Potete considerare dove vi porterebbe il salto e quindi essere un po' guidati sin dall'inizio da ciò che sapete. Voi non dovete necessariamente formulare ipotesi a casaccio, ma non disprezzate le scelte dettate dal caso: tra i loro magnifici prodotti ci siete anche voi! L'evoluzione è uno dei temi principali di questo libro, come di tutti i miei libri, per la semplice ragione che è il processo fondamentale che permette non soltanto la vita, ma anche la conoscenza, l'apprendimento e la comprensione. Se tentate di decifrare il mondo delle idee e dei significati, del libero arbitrio

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e della morale, dell'arte e della scienza, e anche della filosofia stessa, privi di una conoscenza profonda e piuttosto dettagliata dell'evoluzione, siete in condizioni svantaggiate. Più avanti prenderemo in esame alcuni strumenti concepiti per aiutare a riflettere su alcuni degli interrogativi più stimolanti dell' evoluzione, ma ora dobbiamo gettare le fondamenta. Per l'evoluzione, che non conosce nulla, i passi verso la novità sono compiuti alla cieca dalle mutazioni, che sono "errori" casuali di copiatura nel DNA. Questi errori tipografici per la maggior parte sono privi di conseguenze, poiché non vengono letti! Sono irrilevanti come le brutte copie dei compiti in classe non consegnate al professore. Il DNA di una specie è un po' come una ricetta per costruire un nuovo individuo e nel corso di tutto il processo la maggior parte del DNA, in realtà, non viene mai consultata (proprio per tale ragione, spesso questa parte è chiamata "DNA spazzatura"). Nelle sequenze di DNA che invece vengono lette e producono effetti durante lo sviluppo, la vasta maggioranza delle mutazioni è dannosa; molte, di fatto, producono rapidamente conseguenze fatali. Poiché la maggioranza delle mutazioni "espresse" è deleteria, il processo della selezione naturale opera per mantenere molto basso il tasso di mutazioni. Ciascuno di noi ha nelle proprie cellule un ottimo sistema di copiatura. Nel nostro corpo, per esempio, abbiamo all'incirca mille miliardi di cellule e ogni cellula ha una copia perfetta o quasi perfetta del nostro genoma, composto da tre miliardi di simboli, la nostra ricetta comparsa per la prima volta quando la cellula uovo e lo spermatozoo dei nostri genitori hanno unito le forze. Per fortuna, il sistema di copiatura non produce sempre risultati perfetti; se lo facesse, infatti, l'evoluzione finirebbe per fermarsi per l'inaridimento delle fonti di novità. Quei minuscoli difetti, quelle "imperfezioni" del processo, sono la fonte di tutto il meraviglioso progetto e della complessità del mondo vivente. (Non posso fare a meno di aggiungere: se esiste qualcosa che merita di essere chiamato peccato originale, sono proprio questi errori di copiatura.) Il trucco principale per fare errori utili consiste nel nonnasconderli- specie a voi stessi. Invece di girare la testa dall'altra 22

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parte rifiutandovi di riconoscere la verità ogni volta che sbagliate, dovreste diventare intenditori dei vostri errori, esaminandone ogni aspetto come se fossero capolavori, il che in un certo senso è vero. La reazione fondamentale a ogni errore dovrebbe essere questa: "Bene, questo errore non lo rifarò!". La selezione naturale, in realtà, non ha questo pensiero, ma elimina semplicemente chi commette errori stupidi prima che si possa riprodurre; la selezione naturale non rifarà quel!'errore, quanto meno non spesso. Gli animali capaci di imparare - a non fare quel rumore, a non toccare quel filo, a non mangiare quel cibo - hanno nel cervello qualcosa con una forza selettiva simile. (Burrhus Skinner e i comportamentisti capirono che ciò è necessario e lo chiamarono apprendimento "per rinforzo"; quella risposta non viene rafforzata e va incontro a "estinzione".) Negli esseri umani il processo raggiunge un livello di maggiore rapidità ed efficienza. Riflettendo su ciò che abbiamo appena fatto, possiamo davvero pensare: "Bene, questo errore non lo rifarò!". Quando riflettiamo, inoltre, ci confrontiamo direttamente con il problema che chiunque commetta un errore deve risolvere: che cos'è, esattamente, questo errore? Quali sono gli aspetti di ciò che ho fatto che mi hanno messo nei pasticci? Il trucco sta nello sfruttare i dettagli particolari del guaio che avete combinato e così il vostro tentativo successivo non sarà una mossa alla cieca. "In quel momento mi sembrava una buona idea" - un ritornello sconsolato che a tutti è capitato di sentire-è una frase che ormai viene interpretata come la triste riflessione di un idiota, un segno di stupidità, mentre, in realtà, dovremmo considerarla un pilastro della saggezza. Ogni essere, ogni agente in grado di dire sinceramente "in quel momento mi sembrava una buona idea" mostra un accenno di intelligenza. Noi esseri umani ci vantiamo della nostra intelligenza e una delle sue caratteristiche è la capacità di ricordare ciò che pensavamo in passato e di riflettere su come ci sembravano i nostri ragionamenti, sui motivi per cui li abbiamo trovati seducenti e su cosa è andato storto. Che io sappia, nulla indica che altre specie del pianeta siano in grado di concepire questi pensieri. Se ne fossero capaci, sarebbero intelligenti quasi quanto noi. 23

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Quando commettete un errore, dovreste pertanto imparare a fare un bel respiro profondo, stringere i denti e quindi esaminare i vostri ricordi dell'errore nel modo più spietato e spassionato possibile. Non è facile. Le reazioni naturali a un errore sono l'imbarazzo e la collera (che raggiunge i massimi livelli proprio quando è nei confronti di noi stessi), e dovete fare un grande sforzo per dominare queste reazioni emotive. Provate invece a prendere la strana abitudine di assaporare i vostri errori, dilettandovi a scoprire le bizzarre combinazioni che vi hanno portato fuori strada. Poi, una voltà che avrete estratto tutto ciò che di buono si può ricavare dal fatto di averli compiuti, potete allegramente lasciarveli alle spalle e andare incontro alla prossima grande opportunità. Ma non basta: dovreste anche ricercare attivamente nuove occasioni per compiere errori importanti, per potervi poi riprendere anche da quelli. Nella sua forma più semplice, è una tecnica che abbiamo imparato tutti nel corso dei primi anni di scuola. Pensate a come sembravano strane e spaventose le prime volte le divisioni tra numeri di molte cifre: avevate davanti due numeri imponderabilmente grandi e dovevate capire come iniziare. Il divisore sta nel dividendo cinque, sei o sette volte? E chi lo sa? Non occorreva saperlo; dovevate semplicemente fare un tentativo, con un numero qualsiasi, e controllare il risultato. Ricordo che quando mi dissero che avrei dovuto iniziare "tirando a indovinare" fu quasi uno shock. Ma non era matematica? In una materia così seria non si dovrebbe giocare a indovinare, no? Ma alla fine apprezzai, come tutti, la bellezza della tattica. Se il numero scelto risultava troppo piccolo, si iniziava da capo con quello immediatamente successivo; se era troppo grande, si ripartiva con quello immediatamente precedente. Il bello del metodo era che funzionava sempre, anche se la prima scelta era quanto mai stupida, nel qual caso occorreva semplicemente un po' più di tempo. Questa tecnica generale di formulare un'ipotesi più o meno plausibile, capirne le implicazioni e usare il risultato per operare una correzione per la fase successiva ha trovato molte applicazioni. Un elemento fondamentale di questa tattica consiste 24

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nel fare un errore che sia abbastanza chiaro e preciso da avere implicazioni ben determinate. Prima dell'avvento del GPS, i navigatori determinavano la propria posizione in mare per prima cosa formulando un'ipotesi (sui valori esatti della latitudine e della longitudine a cui si trovavano) e poi calcolando esattamente a quale altezza nel cielo si sarebbe dovuto trovare il Sole se quella fosse stata - per un'incredibile coincidenza la posizione effettiva. Quando usavano questo metodo, non si aspettavano di cogliere nel segno al primo colpo. Non era necessario: al passo successivo misuravano l'angolo di elevazione del Sole (esattamente) e confrontavano i due valori. Con qualche altro calcolo semplice, erano in grado di stabilire l'entità, e la direzione, della correzione da apportare all'ipotesi iniziale. 1 Con questo metodo è utile formulare una prima ipotesi piuttosto buona, ma non importa che sia quasi certamente sbagliata; la mossa importante è commettere l'errore, così si ha qualcosa di concreto da correggere. (Un ricevitore GPS usa la medesima strategia di ipotesi e correzione per stabilire la propria posizione relativamente ai satelliti che lo sorvolano.) Com'è ovvio, più complesso è il problema che si affronta più difficile è analizzarlo. Nel settore dell'Intelligenza Artificiale (IA) la questione è nota come problema dell'"attribuzione dei meriti" (si potrebbe anche chiamare attribuzione delle colpe). Riuscire a capire a che cosa attribuire meriti e colpe è uno dei 1. Ciò che si ottiene non è la posizione effettiva, un punto sul globo, ma una linea: ci si trova in qualche punto di quella linea di posizione (LOP). Si aspetta per qualche ora fino a quando il Sole si sarà spostato di un bel po', poi si sceglie un punto sulla LOP, un punto qualsiasi, e si calcola quanto sarebbe alto il Sole in quel momento se quel punto fosse proprio la scelta giusta. Si fa l'osservazione, si confrontano i risultati, si applica la correzione e si ottiene un'altra LOP. Il punto di intersezione delle due LOP è il punto in cui ci si trova. Nelle ore trascorse non sarà cambiata solo l'altezza del Sole, ma anche il suo orientamento, quindi le linee formeranno un notevole angolo. In pratica, di solito ci si sposta durante queste ore, perciò si fa avanzare la prima LOP nella direzione che si sta seguendo calcolando la propria velocità e disegnando un'altra LOP parallela alla prima. Nella vita reale, tutto è un po' approssimativo, quindi si cercano di ottenere tre LOP diverse. Se si incontrano tutte in un punto vuol dire che si è incredibilmente bravi, o incredibilmente fortunati, ma più comunemente le tre LOP formano un piccolo triangolo, detto tricorno. Ci si considera al centro del tricorno e questa è la nuova posizione calcolata.

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problemi più scabrosi nell'IA e anche la selezione naturale lo affronta. Ogni organismo terrestre, dopo una vita complicata di qualche genere, prima o poi muore. Com'è possibile che la selezione naturale veda attraverso la nebbia di tutti questi dettagli per capire quali fattori positivi "ricompensare" con la discendenza e quali fattori negativi "punire" facendo morire l'organismo senza discendenza? Può essere davvero accaduto che qualcuno dei figli dei nostri antenati sia morto senza discendenza perché aveva le palpebre della forma sbagliata? Se non è vero, come può il processo di selezione naturale spiegare perché le nostre palpebre hanno finito per avere la forma perfetta che hanno? Una parte della risposta è nota: seguendo il vecchio adagio "Se funziona, non modificarlo", la selezione naturale lascia al loro posto quasi tutte le soluzioni progettuali tradizionali e corre rischi avendo una rete protettiva. La selezione naturale conserva automaticamente tutto ciò che fino a quel momento ha funzionato, ed esplora senza paura innovazioni grandi e piccole; quelle grandi quasi sempre portano immediatamente alla morte. Uno spreco tremendo, ma nessuno tiene i conti. In massima parte le nostre palpebre erano già state plasmate dalla selezione naturale molto prima che esistessero gli esseri umani, i primati e addirittura i mammiferi. Hanno avuto più di cento milioni di anni per raggiungere la forma attuale, subendo soltanto alcune modifiche di poco conto negli ultimi sei milioni di anni, dato che abbiamo un antenato in comune con gli scimpanzé e i bonobo. Un'altra parte della risposta è che la selezione naturale opera su un gran numero di casi, e così anche vantaggi minuscoli sono statisticamente evidenti e si possono accumulare automaticamente. (Altri fattori che contribuiscono alla risposta sono dettagli tecnici che esulano da una trattazione elementare dell'argomento.) Consideriamo ora una tecnica sfruttata nella cartomagia - quanto meno dai prestigiatori più bravi - con risultati sorprendenti. (Non mi aspetto di suscitare la collera dei maghi rivelandovi questo trucco, poiché non è un particolare gioco di prestigio, ma un principio generale.) Un bravo cartomago conosce molti trucchi che dipendono dalla fortuna - non

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funzionano sempre e neanche spesso. Esistono effetti - non si possono chiamare trucchi - che possono funzionare una volta su mille! Ecco come procede l'illusionista: inizia dicendo al pubblico che eseguirà un gioco di prestigio e, senza specificare quale sia, cerca di produrre l'effetto "uno su mille". Poiché naturalment~ questo non funziona quasi mai, passa senza interruzioni al secondo tentativo - mirato a produrre un effetto che funziona una volta su cento, poniamo - e quando anche questo fallisce (come farà quasi sempre) passa con eleganza a un terzo effetto, che funziona una volta su dieci, quindi si terrà pronto per il quarto effetto, che funziona metà delle volte (poniamo). Se tutto il resto fallisce (e a quel punto, di sollto una delle prime reti di protezione lo avrà già salvato da quest'ultimo caso, che è il peggiore), ricorre a un effetto sicuro, che non farà una grande impressione, ma almeno è un trucco che riesce sempre. Nel corso di tutto uno spettacolo, dev'essere davvero molto sfortunato per dover sempre ricorrere all'ultima rete di sicurezza e ogni volta che riesce a produrre uno degli effetti più bizzarri il pubblico sarà sbalordito. "Impossibile! Come poteva sapere quale carta avevo scelto?" In realtà, il mago non lo sapeva, ma ha abilmente messo in atto un promettente tentativo alla cieca che ha avuto successo. Nascondendo tutti i casi di "errore" -i tentativi che falliscono - si crea un "miracolo". L'evoluzione funziona nello stesso modo: tutti gli errori "muti" tendono a essere invisibili e così non vediamo altro che una magnifica successione di trionfi. Per esempio, la vasta maggioranza - molto più del 90 per cento - di tutte le creature mai vissute sulla Terra è morta senza discendenza, ma neanche uno deivostri antenati ha subìto questo destino. Davvero una stirpe di persone fortunate! Una notevole differenza tra la disciplina della scienza e la disciplina dell'illusionismo è che un prestigiatore fa del suo meglio per nascondere al pubblico le false partenze, mentre uno scienziato rivela pubblicamente i propri errori. Li rende noti perché tutti possano trarne insegnamento. Il vantaggio è che in tal modo ognuno conosce anche l'esperienza di tutti gli altri, non solo il proprio peculiare percorso attraverso lo spazio 27

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degli errori. (Wolfgang Pauli, com'è noto, manifestò il suo disprezzo per il lavoro di un collega definendolo "neanche sbagliato". Meglio comunicare ai critici una palese falsità che una cosa senza capo né coda.) Questo, tra l'altro, è uno dei motivi per cui la nostra specie è molto più intelligente di tutte le altre. Non tanto perché il nostro cervello è più grande o più potente, e neanche perché siamo capaci di riflettere sugli errori compiuti, quanto perché condividiamo i vantaggi che ogni singolo cervello ha ottenuto grazie alla propria storia di tentativi ed errori. 2 Mi stupisce che tante persone intelligenti non capiscano che è possibile commettere grandi errori in pubblico ed emergere incolumi dall'esperienza. Conosco alcuni illustri ricercatori che farebbero anche cose irragionevoli per evitare di dover ammettere di essersi sbagliati. A quanto pare, non si sono mai accorti che la terra non inghiotte le persone che dicono: "Ops, hai ragione. Mi sa che ho fatto un errore". Anzi, le persone apprezzano moltissimo quando qualcuno ammette di aver sbagliato. E a tutti piace far notare gli errori altrui. I più generosi apprezzano che offriate loro l'opportunità di aiutarvi e che ne riconosciate loro il merito, se ci riescono. I più meschini si divertono a farvi fare una brutta figura. Lasciateli fare. Comunque vada, tutti ne traggono vantaggio. In generale, com'è ovvio, le persone non amano correggere gli errori stupidi degli altri. Dovete aver fatto un errore che valga la pena correggere, qualcosa di originale su cui si possa avere torto o ragione, qualcosa che richieda la costruzione di quella specie di piramide di ipotesi arrischiate che abbiamo visto nel caso del prestigiatore. Costruendo con cura il vostro lavoro basandovi sui lavori degli altri, potete finire in una situazione pericolosa. C'è anche un premio a sorpresa: se siete una per2. Questo è l'ideale, di cui tuttavia, essendo la natura umana quella che è, non sempre siamo all'altezza. Un problema riconosciuto, ma irrisolto, dell'attuale pratica scientifica è il fatto che i risultati negativi - gli esperimenti che non hanno scoperto ciò che erano stati ideati per scoprire - non vengono pubblicati abbastanza spesso. Questo difetto del sistema, com'è noto, è stato esplorato e deplorato da Richard Feynman nella Cargo Cult Lecture, il discorso di inaugurazione dell'anno accademico che tenne al Caltech nel 1974 (pubblicato anche in Feynman, 1985). /

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sona che rischia grosso, la gente proverà un immenso piacere a correggere i vostri occasionali errori stupidi, che mostrano che non siete tanto speciale, ma siete proprio un pasticcione come chiunque altro. Conosco filosofi estremamente cauti che - apparentemente - non hanno mai commesso errori nel proprio lavoro. Tendono a non realizzare granché, ma quel poco che producono è senza macchia, seppur non ardito. La loro specialità è far notare gli errori degli altri, il che può essere di grande utilità, ma nessuno scusa i loro errori con una risatina amichevole. È giusto dire che, purtroppo, la parte migliore del loro lavoro spesso viene offuscata e ignorata, travolta dai carri di passaggio guidati da pensatori più audaci. Nel capitolo 76 vedremo che la pratica generalmente buona di compiere errori marchiani ha anche qualche effetto collaterale spiacevole. Un metaconsiglio: non prendete troppo sul serio nessun consiglio!

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2. IL "RAGIONAMENTO PER PARODIA'' USARE LA REDUCTIO AD ABSURDUM

Il palanchino dell'indagine razionale, la grande leva che rafforza la coerenza, è la reductio ad absurdum, cioè il ragionamento per assurdo. Si prende l'asserzione o la congettura in questione e si controlla se sia possibile derivarne qualche contraddizione (o qualche implicazione assurda). Se è possibile, l'asserzione deve essere scartata o rispedita al mittente per una riformulazione. È qualcosa che facciamo tutti di continuo senza preoccuparci di spiegarne la logica: "Se questo è un orso, allora gli orsi hanno le corna" o "Arriverà in tempo per la cena solo se sa volare come Superman". Quando la questione è una complicata controversia teorica, il palanchino viene usato con destrezza e con grande vigore, ma in questi casi è difficile tracciare una distinzione tra la critica corretta e la confutazione di una caricatura della tesi. Il vostro avversario può essere tanto stupido da credere all'enunciato che avete appena ridotto all'assurdo con qualche abile mossa? Una volta, correggendo l'articolo di un mio studente, trovai un errore di distrazione che imprevedibilmente aveva prodotto un risultato interessante: invece di by parity o/reason [ragionando per analogia], c'era scritto by parody o/ reason [ragionando per parodia]. Mi pare che "ragionamento per parodia" sia un'espressione utilissima per indicare quegli strampalati argomenti basati sulla reductio ad absurdum che sono fin troppo comuni nelle zuffe che caratterizzano le controversie scientifiche e filosofiche. Ricordo che in un convegno sulla scienza cognitiva che sitenne al MIT qualche anno fa, sotto la direzione del linguista Noam Chomsky e del filosofo Jerry Fodor, il pubblico veniva regolarmente deliziato da esilaranti confutazioni a spese di scienziati cognitivisti di altre sedi che non godevano dell' approvazione dei due illustri scienziati. Ali' epoca la bete noire era Roger Schank, il direttore del laboratorio di Intelligenza Artifi30

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ciale dell'Università di Yale; stando alla versione di Chomsky, Schank doveva essere una specie di perfetto idiota. Conoscevo Roger e il suo lavoro abbastanza bene e, nonostante i miei personali punti di disaccordo, pensavo che la versione di Noam avesse poco a che fare con l'originale, quindi alzai la mano e avanzai l'ipotesi che Noam non si rendesse conto di alcune delle sottigliezze del (>Unto di vista di Roger. "Oh no", disse lui, con una risatina. "E proprio ciò che sostiene!" E ritornò al suo lavoro di demolizione, con grande divertimento dei presenti. Dopo aver ascoltato qualche altro minuto, intervenni di nuovo. "Devo ammettere", dissi, "che le opinioni che sta criticando sono semplicemente assurde", e Noam sorrise in segno di approvazione, "ma ciò che voglio sapere è perché spreca il suo tempo e il nostro criticando questa robaccia." Fu una secchiata d'acqua fredda piuttosto efficace. Che dire delle mie reductiones delle opinioni altrui? Sono state più oneste? Ne prenderemo in esame alcune e poi deciderete voi stessi. In un convegno che si tenne a Venezia, il neuroscienziato Jean-Pierre Changeux e io discutemmo della coscienza e del cervello con il neuroscienziato Sir J ohn Eccles e il filosofo Sir Karl Popper. Changeux e io eravamo i materialisti (secondo i quali la mente è il cervello), e Pop per e Eccles i dualisti (secondo i quali una mente non è un oggetto materiale come un cervello, ma un'entità di un qualche genere diverso che interagisce con il cervello). Eccles aveva vinto il premio Nobel molti anni prima per la scoperta della sinapsi, il microscopico spazio vuoto tra due neuroni che le molecole di glutammato e altri neurotrasmettitori e neuromodulatori attraversano milioni di milioni di volte ogni giorno. Secondo Eccles, il cervello è come un organo a canne e i milioni di milioni di sinapsi costituiscono le tastiere. La mente immateriale - secondo Eccles, cattolico devoto, l'anima immortale - suona le sinapsi incoraggiando in qualche modo l'agitazione quantistica delle molecole di glutammato. "Dimenticate tutta la discussione teorica delle reti neurali e simili; è robaccia priva di importanza", disse Eccles a Venezia. "La mente è nel glutammato!" Quando venne il mio turno di parlare, dissi che volevo essere certo di aver ca-

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pito il suo punto di vista e domandai: "Se è vero che la mente sta nel glutammato, se versassi una ciotola di glutammato nel lavandino si tratterebbe di omicidio?". "Be"', rispose Eccles, preso alla sprovvista, "sarebbe molto difficile da dire, vero?" 3 Sarebbe ragionevole pensare che Sir John Eccles, il dualista cattolico, e Francis Crick, il materialista ateo, abbiano molto poco in comune, a parte il fatto di aver vinto un premio Nobel, e invece, quanto meno per un certo periodo, le loro concezioni della coscienza ebbero in comune una dubbia semplificazione eccessiva. I non scienziati, in generale, non si rendono conto di quanto possano essere meravigliose le semplificazioni eccessive nella scienza: permettono di procedere in un contesto spaventosamente complesso con un modello operativo che è quasi giusto e di rimandare lo studio dei dettagli complicati. Forse si può dire che l'uso migliore della semplificazione "eccessiva" nella storia della scienza è stato la corsa finale di Crick e James Watson per individuare la struttura del DNA, mentre Linus Pauling e altri procedevano a fatica cercando di capirne tutti i dettagli. Crick era molto favorevole a tentare un'iniziativa ardita, che forse avrebbe potuto risolvere il problema tutto in una volta, ma ovviamente non è un metodo che funzioni sempre. Una volta ebbi l'opportunità di dimostrarlo a uno dei famosi tè di Crick a La Jolla. Quelle sessioni pomeridiane erano riunioni di laboratorio di carattere informale in cui i visitatori potevano 3. Un altro mio ricordo indelebile di quel congresso è il bagno di Popper nel Canal Grande. Scivolò scendendo da una barca a motore all'arrivo all'Isola di San Giorgio e cadde nel canale di piedi; prima che due agili barcaioli lo ripescassero e lo portassero sul molo, i pantaloni gli si inzupparono fino alle ginocchia. I padroni di casa erano mortificati e disposti a tornare in tutta fretta ali' albergo affinché il nonagenario Sfr Karl potesse togliersi i pantaloni bagnati, ma quelli che indossava erano gli unici che si era portato - e di li a mezz'ora doveva dare il via al congresso! L'ingegnosità italiana trovò una soluzione e dopo neanche cinque minuti ebbi il piacere di assistere a una scena indimenticabile: Sir Karl, seduto regalmente su una seggiolina esattamente al centro di una stanza (progettata dal Palladio) con il pavimento di marmo e il soffitto a cupola, circondato da almeno sei ragazze in minigonna, che in ginocchio gli asciugavano i pantaloni con il phon. Le prolunghe si estendevano radialmente fino alle pareti, facendo somigliare la scena a una specie di margherita umana multicolore, con Sir Karl, calmo ma accigliato, al centro. Un quarto d'ora dopo era asciutto e batteva i pugni sul podio per dare maggiore rilievo alla sua visione dualistica.

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sollevare questioni e partecipare alla discussione generale. In quella particolare occasione Crick fece una dichiarazione ardita: di recente era stato dimostrato che i neuroni dell'area corticale V4 "si occupano" del colore (ovvero reagiscono in modo differenziale al colore) e lui avanzò l'ipotesi straordinariamente semplice che l'esperienza cosciente del rosso, per esempio, fosse l'attività nei neuroni sensibili al rosso di quell'area retinica. Uhm, non mi pareva convincente. "Vuol dire, allora, che se prelevassimo alcuni di quei neuroni sensibili al rosso e li tenessimo in vita in una capsula di Petri, stimolandoli con un microelettrodo, ci sarebbe coscienza del rosso nella capsula di Petri?" Uno dei modi possibili di replicare a una reductio consiste nel prendere il toro per le corna e confermare la conclusione - nell'essere, come ho detto una volta, "più smart di Smart" (il filosofo australiano John J. C. Smart è famoso per aver detto che sì, secondo la sua teoria dell'etica, a volte è giusto incastrare e impiccare un innocente!). Crick decise di fare questa mossa e disse: "Sì! Sarebbe un caso isolato di coscienza del rosso! ". La coscienza del rosso di chi? Non lo disse. In seguito Crick ha perfezionato il suo pensiero a questo riguardo; comunque, né lui né il neuroscienziato Christof Koch, nella loro ricerca di ciò che chiamano NCC (correlati neurali della coscienza), hanno mai smesso del tutto di essere fedeli a questa idea. Considerando ancora un altro incontro forse si chiarirà meglio che cosa c'è di problematico nell'idea di un pizzico dicoscienza in una capsula. Dalla collaborazione tra il fisico e matematico Roger Penrose e l'anestesiologo Stuart Hameroff è nata una teoria della coscienza che dipende non dal glutammato, ma dagli effetti quantistici all'interno dei microtubuli dei neuroni. (I microtubuli sono catene proteiche tubulari che fungono da impalcature di sostegno e da autostrade nel citoplasma di tutte le cellule, non solo dei neuroni.) Al secondo congresso internazionale di Tucson sulla scienza della coscienza, dopo la presentazione di tale teoria da parte di Hameroff, come membro del pubblico domandai: "Stuart, tu sei un anestesiologo; hai mai assistito a uno di quegli interventi chirurgici drammatici per reimpiantare una mano o un braccio amputati?". No,

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non ne aveva esperienza diretta, però li conosceva. "Dimmi se sbaglio, Stuart: data la tua teoria, se tu fossi l'anestesista in uno di questi interventi, ti sentiresti moralmente obbligato ad anestetizzare la mano amputata distesa su un letto di ghiaccio, giusto? Dopotutto, i microtubuli nei nervi della mano assolverebbero il loro compito, esattamente come i microtubuli nel resto del sistema nervoso, e la mano proverebbe un grande dolore, no?" L'espressione sul volto di Stuart indicava che non gli era mai venuto in mente prima. L'idea che la coscienza (del rosso, del dolore, di qualsiasi cosa) sia una specie di proprietà di rete, qualcosa che comporta l'attività coordinata di miriadi di neuroni, sulle prime può non essere molto attraente, ma questi tentativi di reductiones possono aiutare le persone a capire perché andrebbe presa sul serio.

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3. LE REGOLE DI RAPOPORT

Quanto dovremmo essere indulgenti quando critichiamo le opinioni di un avversario? Se la sua tesi contiene qualche contraddizione palese, dovremmo fargliela notare con fermezza. Se le contraddizioni sono meno evidenti, dovremmo cautamente metterle in luce - e poi criticarle aspramente. Ma la ricerca di contraddizioni nascoste spesso sconfina nella ricerca del pelo nell'uovo, nell'atteggiamento da avvocato marittima4 e - come abbiamo visto - nella vera e propria parodia. Il brivido della caccia all'errore e la convinzione che il nostro avversario abbia necessariamente fatto qualche confusione nel suo ragionamento ci induce a darne un'interpretazione ingenerosa, che ci fornisce un facile bersaglio da attaccare. Ma, di solito, questi bersagli non hanno nulla a che fare con i problemi veri, e fanno semplicemente perdere tempo e la pazienza a tutti, anche se divertono i nostri sostenitori. Il miglior antidoto che io conosca contro questa tendenza a mettere in caricatura gli avversari è l'elenco di regole formulate molti anni or sono da Anatol Rapoport, psicosociologo sociale e teorico dei giochi (creatore di "Tit far Tat", la strategia vincente nel leggendario torneo di dilemma del detenuto - o, come altri dice, del prigioniero-, di Robert Axelrod). 5 4. Il diritto marittimo è notoriamente complicato, cosparso di trappole nascoste e clausole liberatorie tra cui sa destreggiarsi soltanto un esperto, un avvocato marittimo, perciò avere un atteggiamento da avvocato marittimo vuol dire sfruttare cavilli per eludere le responsabilità o attribuire la colpa ad altri. 5. Il torneo di Axelrod (Axelrod, Hamilton, 1981; Axelrod, 1984) aprì la strada al fiorente settore della ricerca teorica sull'evoluzione dell'altruismo. Ne ho presentato una descrizione introduttiva in Videa pericolosa di Darwin (Dennett, 1995a, p. 612) e in tempi più recenti si è avuta un'esplosione di variazioni in laboratori di tutto il mondo, nella forma sia di simulazioni sia di esperimenti. La realizzazione magnificamente semplice di Rapoport dell'idea "se tu non colpisci me, io non colpirò te" è il seme da cui si sono sviluppati tutti gli studi e i modelli successivi.

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Ecco come comporre un commento critico efficace: 1. Dovremmo cercare di riformulare la posizione del nostro avversario in modo così chiaro, vivace e corretto da fargli dire: "Grazie, vorrei che mi fosse venuto in mente di esprimerla così". 2. Dovremmo elencare qualsiasi punto su cui conveniamo (specie se sono questioni in merito alle quali non vi è un accordo unanime o generale). 3. Dovremmo citare qualunque cosa abbiamo imparato dal nostro avversario. 4. Solo a questo punto ci è permesso dire anche una sola parola per confutare o criticare qualcosa. Uno degli effetti immediati del rispetto di queste regole è che la persona a cui rivolgiamo le nostre critiche sarà disposta ad ascoltarle: avremo già dimostrato di comprendere il suo punto di vista tanto quanto lei e di avere una buona capacità di giudizio (siamo d'accordo su alcuni punti importanti e alcune sue affermazioni ci hanno convinti). 6 Seguire le regole di Rapoport è sempre, quanto meno per me, una bella lotta. Certe persone francamente non meritano questa rispettosa attenzione, e a volte - lo ammetto - è una grande gioia infilzarle nello spiedo e arrostirle. Ma quando ciò è dovuto, e la cosa funziona, i risultati sono gratificanti. Nell' Evoluzione della libertà (Dennett, 2003) ho cercato con particolare cura di rendere giustizia alla marca di incompatibilismo di Robert Kane (Kane, 1996) - una concezione del libero arbitrio che non mi convince affatto - e custodisco gelosamente la lettera che mi scrisse quando gli inviai le bozze del capitolo: [ ... ]in realtà, sono molto soddisfatto, malgrado le nostre differenze. La discussione delle mie idee è ampia e generalmente corretta, molto di più in confronto a ciò che si ottiene di solito 6. Questa formulazione delle regole di Rapoport è farina del mio sacco e si basa sui miei ricordi delle lettere che Rapoport e io ci scambiammo molti anni or sono, che a quanto pare sono andate perse. Samuel Ruth mi ha fatto notare di recente che le fonti originarie delle regole di Rapoport sono il libro Fights, Games,

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dai critici. Lei comunica la complessità della mia concezione e

la serietà dei miei sforzi di affrontare questioni difficili invece di nasconderle. Per questo, come per l'approfondita trattazione, le sono riconoscente.

Altri beneficiari della mia attenzione guidata dalle regole di Rapoport sono stati meno cordiali. In certi casi, più la critica sembra corretta più pare difficile da tollerare. Vale la pena rammentare a noi stessi che un tentativo eroico di trovare un'interpretazione difendibile di un autore, se si dimostra vano, può essere ancora più devastante di una stroncatura rabbiosa. Lo raccomando.

and Debates (Rapoport, 1960) e larticolo "Three modes of conflict" (Rapoport, 1961), che descrive chiaramente la regola 1, attribuendola a Carl Rogers, e alcune variazioni delle altre regole. La mia versione è un po' più agile e versatile.

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4. LA LEGGE DI STURGEON

Lo scrittore di fantascienza Ted Sturgeon, parlando al congresso mondiale di fantascienza che si tenne a Filadelfia nel settembre 1953, disse: Quando le persone parlano di letteratura del mistero, citano

Il falcone maltese e Il grande sonno. Se parlano di letteratura western, ricordano La via del West e Shane. Ma quando parlano di fantascienza, la chiamano "quella roba alla Buck Rogers" e dicono: "Il 90 per cento della fantascienza è pattume". Be', hanno ragione. Il 90 per cento della fantascienza è pattume. Ma il 90 per cento di qualsiasi cosa è pattume ed è il 10 per cento che non è pattume a essere importante; il 10 per cento della fantascienza che non è pattume ha lo stesso valore, o è migliore, di qualunque testo di qualunque genere.

Di solito, la legge di Sturgeon è espressa in modo meno decoroso: il 90 per cento di qualsiasi cosa è una stronzata. Significa che il 90 per cento degli esperimenti di biologia molecolare, delle poesie, dei libri di filosofia, degli articoli matematici pubblicati dalle riviste scientifiche ecc. è una stronzata. È proprio così? Be', forse è un'esagerazione, ma si può convenire che in tutti i campi ci sono molti lavori mediocri (i più polemici sostengono che probabilmente sono il 99 per cento, ma non voglio entrare in questo gioco). Una buona morale che si può trarre da questa osservazione è che quando volete criticare un settore di ricerca, un genere letterario, una disciplin~, una forma d'arte ... non perdete tempo, e non fatene perdere agli' altri~ fissandovi sulle stronzate! Occupatevi delle cose importanti oppure lasciate perdere. Questo consiglio viene spesso ignorato dagli ideologi decisi a minare la reputazione della filosofia analitica, della psicologia evoluzionistica, della sociologia, dell'antropologia culturale, della macroeconomia, della

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chirurgia plastica, del teatro d'improvvisazione, delle serie televisive, della teologia filosofica, della massoterapia, o di qualunque altra cosa. Partiamo pure dal presupposto che in giro c'è molta robaccia deplorabile, scadente e stupida, di ogni genere. Quindi, per non sprecare il vostro tempo e non mettere alla prova la pazienza altrui, fate in modo di concentrarvi sul meglio che riuscite a trovare, sugli esempi ritenuti più significativi dai maggiori esponenti del settore, sulle idee che hanno ottenuto un riconoscimento, non sulle sciocchezze. Notate lo stretto collegamento con le regole di Rapoport: se non siete dei comici il cui scopo principale è far ridere la gente, risparmiateci le prese in giro. Queste considerazioni valgono in maniera particolare, a mio avviso, quando il bersaglio è un filosofo. Le migliori teorie e analisi di qualunque filosofo, dai grandi saggi dell'antica Grecia agli eroi intellettuali del passato recente (Bertrand Russell, Ludwig Wittgenstein, John Dewey e Jean-Paul Sartre - per citare quattro pensatori assai distanti l'uno dall'altro), possono essere fatte sembrare totali idiozie - o tediose ricerche di cavilli - con un paio di piccole e astute modifiche. Puah ! Non fatelo. Gli unici che screditereste sareste voi stessi.

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5. IL RASOIO DI OCCAM

Attribuito a Guglielmo di Occam (o Ockham), logico e filosofo del Trecento, questo strumento del pensiero, in realtà, è una regola pratica molto più antica. Il suo nome latino era lex parsimoniae. Di solito assume la forma della massima "non moltiplicare gli elementi più del necessario". L'idea è semplice: non dobbiamo inventare una teoria complicata e stravagante, se ne abbiamo una più semplice (con meno ingredienti, meno entità) che spiega altrettanto bene il fenomeno. Se l'esposizione a un'aria molto fredda è in grado di spiegare tutti i sintomi ·del congelamento, è inutile ipotizzare l'esistenza di "germi della neve" o "microbi artici" che nessuno ha mai visto. Le leggi di Keplero spiegano le orbite dei pianeti, non abbiamo bisogno di ipotizzare piloti che li guidano da pannelli di controllo nascosti sotto la superficie. Questi non sono esempi controversi, ma le estensioni del principio non sempre sono state accettate da tutti. Conwy Lloyd Morgan, uno psicologo britannico dell'Ottocento, sviluppò l'idea per trattare i casi di attribuzione di una mente agli animali. Il suo "canone di parsimonia" ci consiglia di non attribuire una mente di fantasia a insetti, pesci, e anche delfini, cani e gatti, se il loro comportamento può essere spiegato in modo più semplice (Lloyd Morgan, 1894, p. 128): In nessun caso l'attività di un animale deve essere interpretata in funzione di processi psicologici superiori, se può essere pienamente interpretata in funzione di processi che si trovano a un livello inferiore nella scala dell'evoluzione psicologica e dello sviluppo.

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Usata in modo eccessivo, questa regola può essere considerata come un'esortazione a trattare tutti gli animali e anche le persone come esseri viventi dotati di un cervello, ma non di

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una mente. Come vedremo, non esistono veti assoluti che risolvano le tensioni che emergono quando si discute della mente. Uno dei tentativi meno convincenti di applicare il rasoio di Occam a un problema spinoso è l'affermazione (e le obiezioni che scatena) che presupporre l'esistenza di un Dio creatore dell'universo sia più semplice, e più economico, delle alternative. Come può essere economico ipotizzare l'esistenza di un' entità soprannaturale e incomprensibile? A me sembra il massimo dello sperpero, ma forse esistono anche modi gentili per confutare questa proposta. Non voglio discuterne. Dopotutto, il rasoio di Occam è solo una regola pratica, un suggerimento che spesso si rivela utile. Ma trasformarlo in un "principio metafisico" o in un "requisito fondamentale della razionalità" capace di reggere il peso di dimostrare o confutare l'esistenza di Dio in un solo passo è semplicemente ridicolo. Sarebbe come cercare di confutare un teorema della meccanica quantistica dimostrando che contraddice l'assioma "Non puntare mai tutto su una carta sola". Alcuni pensatori hanno portato agli estremi il rasoio di Occam, usandolo per negare l'esistenza del tempo, della materia, dei numeri, dei buchi, dei dollari, del software e così via. Uno dei primi pensatori ultraparsimoniosi fu Parmenide: il suo catalogo di cose esistenti era davvero minimo. Durante un esame un mio studente scrisse una frase memorabile a questo proposito: "Parmenide è quello che disse: 'Esiste un'unica cosa - e non si tratta di me'". Mi duole dirlo, ma mi sembra che sia proprio ciò che Parmenide cercava di dirci. Senza dubbio, con la traduzione si perde qualcosa. Noi filosofi ci abituiamo a prendere sul serio queste idee non foss' altro perché non siamo mai in grado di dire se di un'idea "folle" poi si capirà che era stata valutata in modo scorretto e sciocco, che era una vittima della mancanza di immaginazione.

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6. LA SCOPA DI OCCAM

Il biologo molecolare Sidney Brenner ha inventato di recente un delizioso gioco di parole, introducendo la nuova espressione scopa di Occam, per descrivere il processo in cui Hatti scomodi vengono spazzati via, nascosti, da difensori intellettualmente disonesti di una qualche teoria. Questa è la nostra prima stampella esplosiva, uno strumento che ostacola il pensiero, a cui dovreste prestare la massima attenzione. La pratica è particolarmente insidiosa quando è usata da propagandisti che rivolgono i propri sforzi al pubblico profano, poiché, come il famoso indizio di Sherlock Holmes del cane che di notte non abbaiava, l'assenza di un fatto che è stato spazzato via dalla scena dalla scopa di Occam può essere notata soltanto dagli esperti. Per esempio, i creazionisti trascurano invariabilmente il gran numero di prove imbarazzanti che le loro "teorie" non sono in grado di spiegare, e per chi non è un biologo le loro descrizioni elaborate con cura possono essere molto convincenti, semplicemente perché il lettore profano non è in grado di vedere che cosa non c'è. Com'è possibile tenersi in guardia da qualcosa di invisibile? Gli esperti possono offrire un aiuto. Il libro Signature in the Celi (2009) di Stephen Meyer ha la pretesa di palesare la sistematica impossibilità che la vita abbia un'origine naturale (non soprannaturale) e presenta quella che - anche a un lettore relativamente ben informato - sembra una rassegna corretta ed esauriente delle teorie e dei modelli a cui si lavora in tutto il mondo, mostrando quanto siano tutti irrimediabilmente inadeguati. La tesi di Meyer è tanto convincente che nel novembre 2009, sul Times Literary Supplement di Londra, una delle riviste di critica letteraria più autorevoli del mondo, l'eminente filosofo Thomas Nagel dichiarò che a suo giudizio si trattava del miglior libro dell'anno! Nel vivace scambio di lettere che

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ebbi con lui dopo la pubblicazione di quella recensione entusiastica, Nagel dimostrò di avere una buona conoscenza della storia delle ricerche sull'origine della vita, sufficiente a fargli pensare di potersi fidare del proprio giudizio. Come osservò in una lettera al Times Literary Supplement (gennaio 2010), "il libro di Meyer sembra scritto in buona fede". Se Nagel avesse consultato gli scienziati che lavorano nel settore, si sarebbe potuto accorgere dell'utilizzo della scopa di Occam da parte di Meyer, per nascondere alla vista i fatti scomodi, e forse avrebbe anche appreso con sgomento che agli esperti non erano state spedite le bozze del libro di Meyer, che N agel invece aveva ricevuto, e non era stato richiesto un giudizio prima della pubblicazione. Scoprire che il libro che ammirava era frutto di un'operazione surrettizia forse avrà fatto vacillare la sua fiducia nel proprio giudizio, o forse no. Si sa che l' establishment scientifico qualche volta ha soffocato ingiustamente le critiche dei ribelli, e forse - forse - Meyer non aveva altra scelta che lanciare un vile attacco. Ma Nagel avrebbe fatto bene a esplorare questa prospettiva con prudenza prima di schierarsi. È giusto osservare che gli scienziati che si occupano dell'origine della vita non hanno ancora una teoria certa che gode del consenso generale, ma di certo i candidati non mancano - lo scenario è una sovrabbondanza di ricchezza, non un'arena quasi vuota. I teorici del complotto sono maestri nell'uso della scopa di Occam; a questo proposito, un esercizio istruttivo consiste nell'andare a cercare su Internet una nuova teoria del complotto, per vedere se riuscite (voi che non siete esperti dell' argomento) a trovare le pecche, prima di cercare su altri siti web le confutazioni degli esperti. Quando coniò l' espressione, Brenner non stava parlando di creazionismo né di teorie del complotto; stava facendo notare che, nella foga della battaglia, anche gli scienziati seri a volte non sanno trattenersi dal "trascurare" alcuni dati che minano gravemente la teoria che prediligono. È una tentazione a cui si deve resistere, a qualunque costo.

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7. USARE COME ESCA UN PUBBLICO DI PROFANI

Un buon sistema per impedire alle persone di utilizzare involontariamente la scopa di Occam è offerto da una tecnica che raccomando da anni e che ho messo alla prova diverse vòlte ma mai nel modo ambizioso che vorrei. Diversamente dalle altre pratiche che ho descritto, questa richiede tempo e denaro per funzionare bene. Spero che altri proseguano lo studio di questa tecnica e ne riferiscano i risultati. Ho deciso di inserirla qui perché affronta alcuni dei problemi di comunicazione che incontrano anche altri strumenti generali. In molti settori, non solo nella filosofia, sono in atto controversie che paiono infinite e in parte artefattuali: le persone parlano di cose diverse pensando di parlare della stessa cosa e non fanno lo sforzo necessario per comunicare in maniera efficace. Gli animi si accendono, e iniziano a prendere piede l'irriverenza e la derisione. Chi sta ai bordi del campo prende posizione per gli uni o per gli altri, anche se non capisce appieno le questioni. La situazione può diventare sgradevole e ciò può avere una ragione molto semplice. Quando gli esperti si rivolgono ad altri esperti, della propria disciplina o di altre, spiegano sempre troppo poco. La ragione non è difficile da capire: se un esperto eccede nelle spiegazioni parlando a un altro esperto, è un insulto molto grave - è come se pensasse: "Devo spiegargli tutto dalla A alla Z" - e nessun esperto vuole insultare i colleghi. Così, per non sbagliare, tutti eccedono nella direzione opposta. Non lo fanno intenzionalmente, per lo più, ed è quasi impossibil~ trattenersi dal farlo - il che in realtà è un bene, dato che essere gentili in maniera spontanea è un tratto caratteriale che si apprezza in chiunque. Questa cortese tendenza a sopravvalutare la conoscenza del proprio distinto pubblico ha uno spiacevole effetto collaterale: quando gli esperti parlano tra loro, spesso si fraintendono reciprocamente.

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Non esiste un rimedio diretto: chiedere insistentemente a tutti gli esperti presenti a un workshop o a un congresso di spiegare sufficientemente nei dettagli le proprie tesi può produrre tante belle promesse sincere, ma non funziona. Semmai, peggiorerà la situazione, perché a quel punto tutti saranno particolarmente sensibili al problema di insultare involontariamente qualcuno. Esiste, però, una cura indiretta abbastanza efficace: convincere tutti gli esperti a presentare le proprie opinioni a un pubblico ristretto di profani curiosi (qui alla Tufts University ho il vantaggio di avere a disposizione molti studenti in gamba), mentre gli altri esperti stanno ad ascoltare come semplici spettatori. Non devono origliare; il mio non è un suggerimento subdolo. Al contrario, tutti possono e dovrebbero essere pienamente informati che lo scopo dell'esercizio è mettere i partecipanti nelle condizioni ideali per parlare in termini comprensibili a chiunque. Rivolgendo le proprie osservazioni agli studenti (il pubblico-esca), gli oratori non devono affatto preoccuparsi di poter insultare gli esperti, perché non è a loro che si rivolgono. (Forse potrebbero preoccuparsi di insultare gli studenti, ma questa è un'altra questione.) Quando tutto va bene, l'esperto A spiega i diversi punti della controversia agli studenti mentre l'esperto B sta ad ascoltare. Può capitare che a un certo punto il volto di B si accenda. "Ah, è questo che cercava di dire! Ora ho capito." O forse gli effetti positivi arriveranno in seguito, quando sarà B a spiegare agli stessi studenti quali sono i punti in questione, producendo una simile reazione piacevole in A. Può darsi che i risultati non siano eccellenti, ma di solito sono buoni e tutti ne traggono beneficio. Gli esperti eliminano alcuni dei fraintendimenti artefattuali dei propri punti di vista e gli studenti vivono un'esperienza educativa di prim'ordine. Ho preparato diverse volte questi incontri alla Tufts, grazie al generoso sostegno dell'amministrazione. Scelgo accuratamente un piccolo gruppo di studenti (una dozzina al massimo) e li informo della loro funzione: non devono accettare nulla che non comprendano. Sono tenuti ad alzare la mano, a interrompere, a richiamare l'attenzione degli esperti su qualunque argomento trovino confondente o vago. (D'altra parte, so-

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no anche tenuti a studiare attentamente, prima dell'incontro, alcune pubblicazioni da me scelte, quindi non sono del tutto digiuni della materia; sono dilettanti interessati.) Gli studenti apprezzano molto questo ruolo, come è giusto che sia: assistono a lezioni fatte su misura per loro e impartite da alcuni pezzi grossi. Gli esperti, dal canto loro, spesso giudicano che il fatto di essere stati incaricati (molto in anticipo) di spiegare il proprio punto di vista in queste condizioni li abbia aiutati a esprimere efficacemente le proprie idee in modi migliori di tutti quelli che avevano concepito fino a quel momento. A volte gli esperti sono "protetti" da tempo da strati di altri esperti, borsisti post-doc e dottorandi e hanno proprio bisogno di una sfida del genere.

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8. IL ]OOTSING

È difficile trovare un'applicazione per la scopa di Occam, dato che la sua funzione è spazzar via e celare alla vista i fatti scomodi, e ancora più difficile è mettere in atto ciò che Doug Hofstadter chiamajootsing, che sta per ''jumping out of the system" [saltar fuori dal sistema] (Hofstadter, 1979, 1985). È una tattica importante non solo nella scienza e nella filosofia, ma anche nelle arti. La creatività, una virtù ricercata con tanto ardore ma raramente posseduta, spesso è una violazione mai immaginata prima delle regole del sistema da cui trae origine. Può trattarsi del sistema dell'armonia classica nella musica, delle regole della metrica e della rima nei sonetti (o anche nei limerick), o del "canone" del gusto o della forma in qualche genere di arte. Oppure possono essere gli assunti e i princìpi di qualche teoria o programma di ricerca. La creatività non è solo questione di andare alla ricerca di qualcosa di nuovo - questo lo sa fare chiunque, poiché la novità si trova in qualsiasi giustapposizione casuale di elementi - ma di far uscire la novità da qualche sistema, un sistema ormai affermato, e per buone ragioni. Quando una tradizione artistica raggiunge il punto in cui "va bene qualsiasi cosa", letteralmente, chi vuole essere creativo ha un problema: non esistono regole stabilite a cui ribellarsi, aspettative dettate dal compiacimento da mandare in frantumi, nulla da sconvolgere, nessuno scenario in cui creare qualcosa che sia sorprendente e tuttavia significativo. Se si desidera sovvertire la tradizione, è utile conoscerla. Ecco perché così pochi dilettanti e principianti riescono a produrre qualcosa di veramente creativo. Se vi sedete al piano e provate a tirar fuori una nuova melodia gradevole, scoprirete ben presto quanto sia difficile. Avete tutti i tasti a disposizione, in tutte le combinazioni che volete, ma fino a quando non trovate qualcosa a cui appoggiarvi, uno

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stile, un genere, uno schema da stabilire e sfruttare un po', o a cui alludere, prima di alterarlo, non tirerete fuori null'altro che rumore. Per ottenere il risultato non basta una violazione qualsiasi delle regole. So che esistono almeno due arpisti jazz che hanno fatto carriera - o meglio che riescono a sopravvivere -, ma proporsi di diventare famosi suonando Beethoven con i bonghi probabilmente non è un buon piano. È riguardo a questo proposito che l'arte ha una caratteristica in comune con la scienza: una disputa teorica ha sempre un gran numero di presupposti mai considerati, ma cercare di negarli uno alla volta fino a quando se ne trova uno vulnerabile non è una buona ricetta per il successo nella scienza come nella filosofia. (Sarebbe come prendere una melodia di Gershwin e modificarla, una nota alla volta, alla ricerca di una discendente meritevole. Buona fortuna! Le mutazioni sono quasi sempre deleterie.) Il compito è più difficoltoso, ma a volte si ha fortuna. Consigliare a qualcuno di fare progressi saltando fuori dal sistema è un po' come raccomandare a un investitore di comprare a poco e vendere a molto. Sì, certo, l'idea è quella, ma come si fa a realizzarla? Si noti che il consiglio all'investitore non è del tutto inutile o inutilizzabile, e il richiamo aljootsing è ancora più utile, poiché chiarisce che aspetto ha il vostro obiettivo, se mai vi capiterà di intravvederlo. (L'obiettivo più soldi sanno tutti com'è.) Quando affrontiamo un problema scientifico o filosofico, il sistema da cui dobbiamo saltar fuori di solito è tanto radicato da essere invisibile come l'aria che respiriamo. Di regola, quando un'annosa controversia sembra non portare a nulla, con entrambe le "parti" che sostengono ostinatamente di avere ragione, il più delle volte il problema è che c'è qualcosa su cui entrambe concordano, ma è sbagliato. Tutt'e due le parti lo considerano un punto tanto ovvio, di fatto, da non citarlo mai esplicitamente. Individuare quèsti avvelenatori invisibili del problema non è un compito facile, poiché qualunque cosa sembri ovvia agli esperti in conflitto tenderà a sembrare ovvia, se ci pensiamo, praticamente a tutti. Quindi, la raccomandazione di tenere gli occhi aperti per scoprire eventuali assunti impliciti condivisi e falsi non ha gran-

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di possibilità di produrre risultati, ma almeno è più probabile che ne troviate uno, se sperate di trovarlo e avete qualche idea di come dovrebbe essere. A volte c'è qualche indizio. Molti casi significativi dijootsing hanno comportato l'abbandono di qualcosa che godeva di grande considerazione, ma che poi si è scoperto essere inesistente. Un tempo si riteneva che ilflogisto fosse un elemento del fuoco e che il calorico, un invisibile fluido o gas repellente, fosse l'ingrediente principale del calore, ma i due concetti in seguito sono stati abbandonati; come quello di etere, che veniva considerato un mezzo in cui viaggia la luce così come il suono viaggia nell'aria e nell'acqua. Altri casi mirabili di jootsing, tuttavia, hanno comportato aggiunte, non sottrazioni: i germi e gli elettroni e - forse - l'interpretazione dei molti mondi della meccanica quantistica! Non è mai ovvio fin dal principio se occorre uscire dal sistema o no. Ray Jackendoff e io abbiamo sostenuto che dobbiamo lasciar cadere l'assunto quasi sempre implicito che la coscienza sia il fenomeno mentale "più elevato" o "più fondamentale", e io ho sostenuto che pensare alla coscienza come a un mezzo speciale (un po' come l'etere) in cui i contenuti vengono convertiti o tradotti è un'abitudine di pensiero diffusa, e a cui non si fa caso, che andrebbe persa. Come molti altri, ho anche sostenuto che chi ritiene semplicemente ovvia l'incompatibilità tra libero arbitrio e determinismo si sbaglia di grosso. Torneremo su questo punto più avanti. Un altro indizio: a volte un problema nasce quando qualcuno dice: "Supponiamo, per amor di discussione, che ... " e tutti sono d'accordo, per amor di discussione, ma poi nel botta e risposta che ne segue dopo un po' di tempo tutti dimenticano come è iniziato il problema! Secondo me in certi casi, per lo meno nel settore della filosofia, ai contendenti piace tanto azzuffarsi che nessuno vuole rischiare di porre fine all'intero esercizio esaminando le premesse. Ecco due esempi antichi, che naturalmente sono controversi: (a) "Perché c'è qualcosa e non il nulla?" è un interrogativo profondo che ha bisogno di una risposta; (b) "Dio ordina qualcosa perché è giusto, o qualco-

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sa è giusto perché Dio lo ordina?" è un'altra domanda importante. Penso che sarebbe magnifico se qualcuno trovasse una buona risposta a uno di questi interrogativi, quindi riconosco che chiamarli falsi problemi che non meritano lattenzione di nessuno non è molto soddisfacente, ma ciò non dimostra che io abbia torto. Nessuno ha mai detto che la verità debba essere divertente.

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9. TRE SPECIE DI GOULDAZIONE IL PIUTTOSTAMENTO, LA GONFIATURA E IL TWO-STEP

Il biologo StephenJay Gould era un vero virtuoso dell'ideazione e dello sfruttamento di stampelle esplosive. Consideriamone tre specie collegate, appartenenti al genere da me chiamato Gouldazione in onore di chi ne ha fatto l'uso più efficace. Il piuttostamento è un modo per far scivolare rapidamente e con delicatezza al di là di una falsa dicotomia. La forma generale di un piuttostamento è: "Non è vero che blablabla, come vorrebbe farvi credere l'ortodossia; è vero piuttosto che taltaltalcosa - il che è radicalmente diverso". Certi piuttostamenti vanno benissimo: occorre davvero scegliere tra le due alternative presentate; in questi casi, si tratta di un'autentica e inevitabile dicotomia. Altri piuttostamenti, però, sono poco più che giochi di prestigio, dovuti al fatto che la parola "piuttosto" implica - senza discutere- che esiste una significativa incompatibilità tra le due tesi che la fiancheggiano. Ecco un beli' esempio di piuttostamento di Gould nel contesto della descrizione degli equilibri punteggiati (1992b, p. 12, corsivo mio): Il cambiamento di solito non avviene in base a un' alterazione impercettibilmente graduale dell'intera specie, ma piuttosto grazie all'isolamento di piccole popolazioni e alla loro trasformazione, istantanea dal punto di vista geologico, in nuove specie.

Questo brano ci invita a credere che il cambiamento evolutivo non possa essere allo stesso tempo "geologicamente istantaneo" e "impercettibilmente graduale". Ma ovviamente non è vero. In realtà, il cambiamento evolutivo deve proprio essere così, a meno che Gould non voglia dire che l'evoluzione tende a procedere per salti (balzi giganteschi nello spazio dei progetti) - ma altrove ha sostenuto fermamente di non aver mai

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approvato il saltazionismo. Una speciazione "geologicamente istantanea" può avvenire nel corso di un "breve" periodo- cinquantamila anni, poniamo, un intervallo temporale a malapena distinguibile nella maggior parte degli strati geologici. In quel breve periodo, un membro rappresentativo di una specie può crescere in altezza da mezzo metro, poniamo, a un metro, con un aumento del 100 per cento, però al ritmo di un millimetro al secolo, il che mi pare proprio un cambiamento impercettibilmente graduale. Vediamo qualche altro esempio di piuttostamento, per essere sicuri che la natura dell'espediente sia chiara. Non è che siamo "robot umidi" (come dice Dilbert, con il consenso della maggior parte degli scienziati cognitivisti); è piuttosto che siamo dotati di libero arbitrio e siamo moralmente responsabili delle nostre azioni, buone o cattive che siano.

Di nuovo, perché non dovrebbero essere vere entrambe le cose? Manca un argomento che dimostri che i "robot umidi" non possono essere anche persone dotate di libero arbitrio e moralmente responsabili. Questo esempio specula su un assunto comune - ma controverso. Eccone un altro: La religione non è l'oppio dei popoli, come ha detto Marx; è piuttosto un segno profondo e consolante del riconoscimento da parte degli esseri umani dell'inevitabilità della morte.

Anche in questo caso, perché non può essere l'uno e l'altro? Il punto vi sarà chiaro ormai e potete iniziare ad andare a caccia di piuttostamenti, più facili da trovare in un documento rispetto alle false dicotomie, che non vengono mai annunciate come tali: basta digitare "piuttosto" nella casella di ricerca e vedere che cosa viene fuori. Ricordate: non tutti i "piuttosto" sono piuttostamenti; alcuni sono legittimi. Qualche piuttostamento, inoltre, non contiene la parola "piuttosto". Eccone uno che usa la forma più stringata: "X, non Y"; l'ho costruito con elementi presenti nel lavoro di diversi ideologi della scienza cognitiva.

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I sistemi nervosi vanno considerati come sistemi che generano attivamente sonde del loro ambiente, non come semplici computer che operano in modo passivo in base ai segnali forniti dagli organi di senso.

Chi ha detto che un computer che agisce in base ai segnali di ingresso non possa generare attivamente sonde dell' ambiente? Questo ben noto contrasto tra i computer desolatamente "passivi" e gli organismi meravigliosamente "attivi" non è mai stato propriamente giustificato, ed è uno dei fattori di blocco dell'immaginazione più onnipresenti che io conosca. Una variante del piuttostamento usata spesso da Gould si potrebbe chiamare gonfiatura (Gould, 1989a, p. 14): Parliamo della "marcia dalla monade all'uomo" (di nuovo, un linguaggio vecchio stile) come se levoluzione seguisse vie di progresso continue attraverso stirpi ininterrotte. Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Che cosa non potrebbe essere più lontano dalla realtà? Sulle prime può sembrare che Gould dichiari che non esiste una stirpe continua tra le "monadi" (organismi unicellulari) e noi, mentre ovviamente esiste. Anzi, non c'è implicazione della grande idea di Darwin più sicura di questa. Che cosa può voler dire, allora? Presumibilmente dovremmo mettere l'accento su "vie di progresso" - è (solo) la credenza nel progresso a essere "lontana dalla realtà". Le vie sono senz'altro stirpi continue, ininterrotte, ma non stirpi di progresso (globale). Questo è vero: sono stirpi continue (ininterrotte) di progresso (soprattutto) locale. Se non si sta in guardia, questo brano ci lascia la sensazione che Gould abbia messo in luce la presenza di qualcosa di profondamente sbagliato nell'usuale asserzione della teoria dell'evoluzione che esistono vie continue (stirpi ininterrotte) dalle monadi all'uomo. Tuttavia, per usare le stesse parole di Gould, "Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà". Un altro dei suoi espedienti è il "two-step di Gould", un meccanismo da me descritto molto tempo fa (Dennett, 1993, p. 43), a cui poi ha dato il nome il teorico dell'evoluzione Ro-

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bert Trivers, in onore del suo inventore (corrispondenza personale, 1993): Nella prima fase, create l'argomento capzioso e poi lo "confutate" (questo è un trucco che conoscono tutti). Nella seconda (il colpo di genio è questo), attirate voi stessi l'attenzione sull'evidenza del fatto che siete stati voi a fare il primo passo - evidenza del fatto che i vostri avversari, in realtà, non hanno l'opinione che avete loro attribuito - ma interpretate queste citazioni come loro riluttanti concessioni al vostro attacco!

In questa stessa lettera al direttore della New York Review o/ Books, su cui due mesi prima (19 novembre 1992) Gould aveva criticato ferocemente il bel libro di Helena Cronin Il pavone e la formica, presentai tre esempi del two-step di Gould. Ecco quello più facilmente comprensibile, avulso dal contesto (Dennett, 1993, p. 44): Il caso più chiaro è l'invenzione da parte di Gould del1'" estrapolazionismo", descritto come un'estensione logica dell'"adattazionismo di Cronin". Si tratta di una dottrina di pancontinuità e pangradualismo che viene confutata comodamente - anzi, banalmente - dal dato di fatto delle estinzioni di massa. "Ma se le estinzioni di massa sono autentiche interru" zioni della continuità, se in tempi normali la lenta costruzione dell'adattamento non si estende con il successo previsto oltre i confini delle estinzioni di massa, allora l' estrapolazionismo fallisce e l' adattazionismo ne viene travolto." Non riesco a capire perché un adattazionista dovrebbe essere tanto sciocco da avallare in qualche modo l"'estrapolazionismo" in una forma tanto "pura" da negare la possibilità, e persino la verosimiglianza, che le estinzioni di massa possano avere un ruolo importante nella potatura dell'albero della vita, per usare l'espressione di Gould. Nessuno ha mai dubitato che anche il dinosauro più perfetto soccombe se una cometa colpisce il suo territorio con una forza pari a cento volte quella di tutte le bombe all'idrogeno mai costruite. Non c'è una sola parola nel libro di Cronin che confermi l'opinione di Gould che Cronin abbia commesso questo errore. Se Gould pensa che il ruolo delle estinzioni di massa nell'evoluzione sia pertinente all'uno o all'altro dei problemi fondamentali affrontati da Cronin, la selezione sessua-

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le e l'altruismo, non dice né come né perché. Quando Cronin passa, nell'ultimo capitolo, a un'eccellente discussione della questione centrale della teoria dell'evoluzione su cui non si è concentrata, l'origine delle specie, e fa notare che è ancora un problema notevole, Gould la fa diventare una rivelazione dell'ultimo minuto, un'ironica ammissione di sconfitta del "panadattazionismo" di Cronin. Assurdo!

Ecco un buon progetto per uno studente di retorica: riunire l'immenso corpo delle pubblicazioni di Gould e catalogare le diverse specie di stampelle esplosive che ha sfruttato, a cominciare dal piuttostamento, dalla gonfiatura e dal two-step.

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10. L'OPERATORE "CERTAMENTE" UN BLOCCO MENTALE

Quando leggete o scorrete un saggio polemico, in particolare se l'autore è un filosofo, ecco un semplice stratagemma che può farvi risparmiare un sacco di tempo e di fatica, specie oggi che è facile fare ricerche al computer: cercate nel documento la parola "certamente" e controllate ogni sua occorrenza. Non sempre, e neanche nella maggior parte dei casi, ma spesso la parola è praticamente una luce lampeggiante che segnala un punto debole dell'argomentazione, un'etichetta che mette in guardia da una probabile stampella esplosiva. Perché? Perché indica il limite di ciò di cui I' autore è cèrto e di cui spera che siano certi anche i suoi lettori (se l'autore fosse davvero certo che tutti i lettori sono d'accordo, non avrebbe bisogno di dirlo). Poiché il punto in questione si trova su questo limite, I' autore ha dovuto valutare se tentare o no di dimostrarlo, o di fornirne le prove e - poiché la vita è breve - ha deciso a favore di un'asserzione esplicita, con la previsione presumibilmente ben fondata di un consenso generale. La situazione ideale per trovare un "truismo" malamente analizzato che non è affatto vero! Notai per la prima volta il ruolo util~ di "certamente" commentando un saggio di Ned Block, che presentava diversi esempi classici rivolti contro la mia teoria della coscienza. Eccone uno, che I' autore ha opportunamente scritto in corsivo7 per accentuarne tipograficamente l'ovvietà (Block, 1994, p. 27): Ma certamente non è nient'altro che un dato biologico - non una costruzione culturale - il fatto che alcune rappresentazioni nel cervello persistano abbastanza a lungo da influenzare la memoria, il comportamento di controllo ecc. 7. Per non essere da meno, il filosofo Jerry Fodor (2008) ha adottato la pratica di scrivere i suoi "certamente" in corsivo -e di ripeterli (per esempio, a p. 38), come per dire: "Tieni, beccati questa, lettore scettico! ".

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Secondo l'autore, ciò dovrebbe bastare a liquidare - senza una discussione - la mia teoria della coscienza umana come qualcosa che, di fatto, deve essere imparato, un insieme di microabitudini cognitive la cui presenza non è garantita alla nascita. "Ogni volta che Block dice 'certamente'", scrissi, "cercate qualcosa che potremmo chiamare un blocco mentale" (Dennett, 1994a, p. 549). Block è uno dei filosofi che più abusano dell'operatore "certamente", ma altri se ne servono in maniera regolare, e ogni volta che lo fanno dovrebbe suonare un piccolo campanello d'allarme. "È lì che avviene il gioco di prestigio involontario, che fa sparire rapidamente la falsa premessa dei censori con un colpetto di gomito e una strizzatina d'occhi" (Dennett, 2007b, p. 252). Di recente ho deciso di controllare la mia impressione riguardo all'avverbio "certamente" in maniera un po' più sistematica e ne ho verificato la presenza in decine di articoli - una sessantina - sulla filosofia della mente disponibili all'indirizzo philpapers.org/. Nella maggior parte degli articoli, la parola non compare mai. In quelli in cui invece è usata (da una a cinque volte), le occorrenze sono per lo più palesemente innocenti, alcune sono discutibili e nei restanti sei casi il suono del campanello d'allarme è forte e chiaro (per me). Per altre persone, naturalmente, la soglia di ovvietà può essere molto diversa e pertanto in questo esperimento informale non ho badato a tabulare i miei "dati". Un esempio particolarmente deplorevole sarà demolito pezzo per pezzo più avanti, nel capitolo 64.

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11. DOMANDE RETORICHE

Oltre a tenere gli occhi aperti quando incontrate un "certamente", dovreste anche sviluppare la vostra sensibilità nei confronti delle domande retoriche all'interno di qualsiasi argomentazione o polemica. Per quale motivo? Perché, proprio come l'uso di "certamente", segnalano il desiderio dell'autore di prendere una scorciatoia. Anche se termina con un punto interrogativo, una domanda retorica non vuole una risposta: l'autore non si prende il disturbo di aspettarla perché è tanto ovvia che chiunque si sentirebbe in imbarazzo a rispondère. In altre parole, il più delle volte una domanda retorica è una reductio ad absurdum in forma condensata, troppo ovvia per aver bisogno di essere spiegata nei dettagli. Ecco una buona abitudine che vi consiglio di prendere: provate, ogni volta che incontrate una domanda retorica, a formulare - mentalmente una risposta non ovvia. Se ne trovate una buona, sorprendete il vostro interlocutore rispondendo alla domanda! Ricordo una vignetta dei Peanuts di tanto tempo fa che illustra bene questa tattica. Charlie Brown domandava, retoricamente: "Chi può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato in questo caso?". E Lucy rispondeva: "lo".

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12. CHE COS'È UNA PROFONDERIA?

Un mio compianto amico, l'informatico Joseph Weizenbaum, desiderava ardentemente essere un :filosofo e alla fine della sua carriera cercò di seguire la propria inclinazione occupandosi non di dettagli tecnici, ma di concetti profondi. Una volta mi raccontò che una sera a tavola sua figlia Miriam, una bambina, dopo aver pontificato con grande fermezza e con la fronte corrugata, disse: "Wow! Papà ha appena detto una profonderia! ". Un'invenzione estemporanea davvero magnifica! 8 Ho deciso di adottare il termine e di impiegarlo in modo un po' più analitico. Una profonderia è un'asserzione che sembra importante e vera - e profonda- ma produce questo effetto perché è ambigua. Secondo un'interpretazione, è palesemente falsa, però se fosse vera avrebbe conseguenze importanti; secondo l'altra, è vera ma irrilevante. L'ascoltatore incauto, cogliendo il barlume di verità della seconda interpretazione e la sconvolgente importanza della prima, pensa: "Caspita! Questa è una profonderia". Eccone un esempio (è meglio che vi sediate perché è roba pesante): Amore è solo una parola. Eccezionale! Stupefacente, giusto? Sbagliato. In base alla prima interpretazione, è manifestamente falso. Non so bene che cosa sia l'amore - forse un'emozione o un legame affettivo, forse un rapporto interpersonale, forse lo stato più alto che la mente umana possa raggiungere - ma tutti sappiamo che 8. Di recente, Miriam ha scoperto su Internet come uso il suo termine e si è messa in contatto con me. La sua versione dei fatti è un po' diversa, ma il succo non cambia: "Nella mia famiglia, questa parola ha un significato po' derisorio indica un'idea mascherata da grande verità allo scopo di esaltare chi la presenta". Miriam mi ha gentilmente concesso di usare la versione che mi ha raccontato suo padre (così come la ricordo) e la mia nuova definizione, più ristretta, del suo splendido neologismo.

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non è una parola. Non è in un dizionario che si trova l'amore! Possiamo arrivare ali' altra interpretazione avvalendoci di una convenzione di cui i filosofi si preoccupano moltissimo; quando parliamo di una parola, la mettiamo tra virgolette, quindi: "Amore" è solo una parola. Questo è vero. È una parola, ma solo una parola, non un enunciato, per esempio. Inizia con la "a", è composta da cinque lettere e nel dizionario sta dopo "amoralità" e prima di "amoreggiare", e anche queste sono solo parole. "Cheeseburger" è solo una parola; "parola" è solo una parola. Ma non è giusto, direte voi. Chiunque abbia dichiarato che l'amore è solo una parola di certo intendeva dire qualcos'altro. Senza dubbio, ma non l'ha detto. Forse intendeva dire che "amore" è una parola che induce erroneamente le persorie a pensare che indichi qualcosa di meraviglioso che però in realtà non esiste affatto, come "unicorno"; o forse intendeva che la parola è tanto vaga che nessuno potrà mai sapere se si riferisce a un particolare oggetto, rapp~rto o evento. In realtà, tuttavia, entrambe le ipotesi non sono molto plausibili. "Amore" può essere una parola problematica, difficile da definire e l'amore può essere uno stato difficile da accertare, ma quelle sono ipotesi ovvie, non particolarmente informative o profonde. Non tutte le profonderie sono altrettanto facili da analizzare. Qualche tempo fa Richard Dawkins mi ha fatto notare una bella profonderia di Rowan Williams, ali' epoca' arcivescovo di Canterbury, che ha descritto la propria fede come la silenziosa attesa della verità, starsene semplicemente seduti a respirare in presenza del punto interrogativo.

Lascio al lettore come esercizio l'analisi di questa frase.

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SOMMARIO

Uno strumento utilizzato bene diventa una parte di voi stessi quasi come le mani e i piedi, e ciò è particolarmente vero nel caso degli strumenti per pensare. Disponendo di questi semplici strumenti generali, potete affrontare le esplorazioni difficili con i sensi più acuti: potere vedere una possibilità, sentire un campanello d'allarme, fiutare l'inganno o percepire un passo falso che senza il loro aiuto potrebbero facilmente sfuggirvi. Avete anche qualche massima da tenere a mente - le regole di Rapoport e la legge di Sturgeon, per esempio - che può sussurrarvi un consiglio nell'orecchio, come il Grillo Parlante, ricordandovi di controllare l'aggressività quando vi tuffate audacemente nella mischia brandendo le vostre armi. Sì, gli strumenti per pensare sono anche armi e l'immagine del combattimento è appropriata. La competitività, a quanto pare, è un sottoprodotto nàturale dell'ambizione intellettuale e dell'audacia necessarie per affrontare i problemi più difficili. Abbiamo visto che nella foga della battaglia anche i grandi pensatori possono ricorrere a mosse scorrette pur di farvi adottare il loro punto di vista e le critiche costruttive possono sfumare rapidamente nel ridicolo quando si presenta l'opportunità di fare una battuta caustica. Le questioni che affronteremo sono tutte molto delicate: il significato, l'evoluzione, la coscienza e in particolare il libero arbitrio. Proverete timore o ripugnanza accostandovi a certe prospettive e non sarete i soli, siatene certi: anche i più celebrati esperti sono soggetti a credere erroneamente che ciò che pensano sia vero e possono essere resi ciechi nei confronti della realtà da una convinzione sostenuta da un legame affettivo più che dalla ragione. Per le persone è davvero molto importante sapere se sono dotate di libero arbitrio, sapere come la mente possa dimorare nel corpo e come - e forse anche se - vi possa essere significato in un mondo composto solo di atomi e mole-

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STRUMENTI PER PENSARE

cole, fotoni e bosoni di Higgs. Dovrebbe esserlo. Che cosa potrebbe essere più importante, alla fin fine, di questi interrogativi: che diavolo siamo noi e che cosa dovremmo fare? Attenti quindi a dove mettete i piedi. Il cammino da percorrere è insidioso e le mappe non sono attendibili.

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III

STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO O CONTENUTO

Perché iniziare dal significato? Partirò dal significato perché è al cuore di tutti i problemi difficili, per una semplice ragione: sono problemi che non emergono fino a quando non iniziamo a parlarne, a noi stessi e agli altri. Un istrice non si preoccupa del libero arbitrio e neanche i delfini possono essere tormentati dal problema della coscienza, perché porre domande non fa parte del loro repertorio. La curiosità può portare alla morte un gatto, ma noi esseri umani riflessivi ne veniamo condotti in gineprai inestricabili. Forse è questo il lato negativo del linguaggio e noi ce la caveremmo meglio - saremmo mammiferi più felici e più sani -, se fossimo ignari di tali questioni come le scimmie antropomorfe nostre parenti. Ma poiché possediamo il linguaggio siamo condannati a porci i "grandi interrogativi", che, comunque la si pensi, non sembrano affatto banali. Il primo passo in un'esplorazione efficace consiste nel fare la massima chiarezza possibile sul nostro punto di partenza e sul nostro equipaggiamento. Le parole hanno un significato. Com'è possibile? Noi utilizzatori di parole esprimiamo significati pronunciando parole. Com'è possibile? Come facciamo a capirci? Il nostro cane sembra essere capace di "capire" (in qualche modo) alcune parole, anche qualche centinaio, ma a parte queste pantomime domestiche e i rudimentali sistemi di segnalazione che si trovano in natura (tra i primati, gli uccelli ... le seppie!), le parole sono ciò che distingue la mente umana da quella di tutti gli altri animali. È una differenza notevolissima, ma sembra comunque che alcuni animali non umani - animali

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"superiori" - abbiano una mente e quindi che, in qualche modo forse limitato, abbiano a che fare con i significati: i significati dei loro stati percettivi, impulsi, desideri e persino sogni. Talvolta gli animali ci danno l'impressione di essere molto simili a noi, come persone mascherate con costumi da gatto, da orso o da delfino. È vero in ogni cultura umana: gli animali sono visti come esseri che vedono, sanno, vogliono, cercano, temono, decidono, bramano, ricordano e così via. In breve si considera che come noi abbiano una mente piena di "qualcosa" (idee, credenze, rappresentazioni mentali?) dotato di significato. Come può il cervello contenere significati? Un'idea che è sempre stata allettante è che forse, dato che le parole hanno significato, le cose significative nel nostro cervello - e in quello degli animali - sono come parole, che formano frasi mentali, esprimendo credenze e così via. Ma se le parole ricevono il proprio significato dalla mente di chi le pronuncia, da dove proviene il significato delle parole mentali? Il cervello degli animali contiene forse le parole mentali e le loro definizioni, in una specie di dizionario cerebrale? E se gli animali - quanto meno gli animali "superiori" - hanno sempre avuto un cervello pieno di parole mentali, perché non possono parlare? 1 L'idea di un linguaggio del pensiero è profondamente problematica, ma i nostri pensieri e le nostre credenze devono essere composti da qualcosa. Che cos'altro potrebbe essere? 2

1. Possono farlo, dirà qualche entusiasta, in un linguaggio che non abbiamo ancora scoperto o tradotto. È un'idea che è sempre stata attraente, ma le ricerche approfondite condotte negli ultimi anni sulla comunicazione tra le antropomorfe, tra gli uccelli e tra i delfini indicano che la capacità degli animali di "comunicare i propri pensieri" è molto limitata. Se quello è un linguaggio, allora le termiti sono ingegneri, le mantidi religiose hanno una religione e i lupi un regime parlamentare. 2. Jerry Fodor brandiva questa domanda retorica in modo molto efficace in The Language o/Thought, il suo pionieristico libro del 1975, e ne metteva in evidenza la risposta implicita citando l'insolente osservazione di LyndonJohnson: "Sono l'unico presidente che abbiate" (p. 27).

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13. OMICIDIO A TRAFALGAR SQUARE

Ecco la nostra prima pompa dell'intuizione. Jacques colpisce a morte suo zio a Trafalgar Square e viene arrestato sul posto da Sherlock; Tom legge questa notizia sul Guardiane Boris ne viene informato dalla Pravda. J acques, Sherlock, Tom e Boris hanno avuto esperienze notevolmente diverse - per non parlare degli eventi precedenti della loro vita e delle loro prospettive future -, ma hanno qualcosa in comune: credono tutti che un francese abbia commesso un omicidio a Trafalgar Square. Nessuno di loro lo ha detto, neanche a se stesso; quella proposizione, possiamo ipotizzare, non è "venuta in mente" a nessuno di loro e, se l'avesse fatto, avrebbe avuto un significato molto diverso per Jacques, Sherlock, Tome Boris. Eppure, tutti credono che un francese abbia commesso un omicidio a Trafalgar Square. Questa è una proprietà comune che è visibile, in effetti, solo da un punto di vista molto limitato - il punto di vista della psicologia popolare. Gli "psicologi popolari", cioè tutti noi, non hanno difficoltà ad attribuire alle persone queste utili proprietà comuni. Lo facciamo senza sapere granché di ciò che passa per la testa delle persone a cui attribuiamo simili credenze. Possiamo pensare che i quattro debbano avere anche qualcos'altro in comune - un qualche cosa di forma simile nel cervello che in qualche modo registra la loro credenza comune -, ma se lo facciamo scivoliamo nella teorizzazione dubbia. Di fatto potrebbe esistere qualche struttura neurale simile comune - se si dà il caso che tutti e quattro i cervelli "esprimano" nello stesso modo la credenza che un francese abbia commesso un omicidio a Trafalgar Square - ma ciò non è affatto necessario, e in realtà è molto improbabile, per ragioni che esploreremo brevemente. Le due frasi "I'm hungry" e "Ho fame" hanno una proprietà in comune, nonostante siano composte da lettere diverse (o

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da fonemi diversi, quando vengono pronunciate), appartengano a lingue diverse e abbiano strutture grammaticali diverse: entrambe significano, o riguardano, la stessa cosa, cioè la fame del soggetto. Questa proprietà comune, il significato (delle due frasi nelle rispettive lingue), o il contenuto (delle credenze che esprimono), è un argomento fondamentale nella filosofia e nella scienza cognitiva. La proprietà di riferirsi a qualcosa [aboutness], che possiedono per esempio le frasi, le immagini, le credenze e, senza dubbio, alcuni stati cerebrali, nel gergo filosofico è nota come intenzionalità, una scelta infelice per un termine tecnico, dato che i non addetti ai lavori la confondono sistematicamente con l'idea comune di fare qualcosa intenzionalmente (come in "Che intenzioni ha?"). Ecco alcuni esempi per ricordare le differenze: una sigaretta non si riferisce al fumo, o a qualsiasi altra cosa, malgrado il fatto che verrà fumata; la scritta "Vietato fumare" si riferisce al fumo e quindi mostra intenzionalità; anche la credenza che dietro quell'albero si nasconda un rapinatore indica intenzionalità (si riferisce a un rapinatore, seppur forse inesistente), ma non è certo intenzionale nel senso usuale della parola (la persona non lo "crede di proposito", le è semplicemente venuto in mente); allontanarsi di corsa dall'albero è intenzionale nel senso usuale, ma non si riferisce ad alcunché. Se prenderete l'abitudine di sostituire mentalmente il termine filosofico "intenzionalità", ogni volta che lo incontrate, con "proprietà di riferirsi a qualcosa", sbaglierete raramente. A parte l'accordo sul fatto che il significato e il contenuto sono fenomeni strettamente collegati e dipendenti l'uno dall'altro, o addirittura un unico fenomeno (l'intenzionalità), c'è ancora ben poco consenso su cosa sia il contenuto (o il significato) e sul modo migliore di coglierlo. Ecco perché dobbiamo accostarci all'argomento con molta cautela. I problemi sono innumerevoli, però possiamo affrontare le domande un po' alla volta. L'esempio dell'omicidio di Trafalgar Square dovrebbe dimostrare come cervelli diversi possano avere poco in comune pur condividendo una proprietà "intenzionale": credere "la stessa cosa". Jacques è stato un testimone oculare - anzi, l' esecutore-dell'omicidio, Sherlock ha avuto un'esperienza dell' e-

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vento solo lievemente meno diretta, ma Tome Boris hanno appreso del fatto in modi decisamente differenti. Vi è un numero illimitato di modi diversi di acquisire l'informazione che un francese ha commesso un omicidio a Trafalgar Square - e un numero illimitato di modi diversi di usare tale informazione per favorire i propri progetti (per rispondere alle domande dei quiz televisivi, per scommettere, per conversare con turisti francesi a Londra ecc.). Se esiste una buona ragione per pensare che tutte queste fonti e conseguenze debbano incanalarsi attraverso qualche struttura cerebrale comune, alla fine lo scopriremo, ma nel frattempo non dovremmo saltare alle conclusioni. Prima di lasciare questa pompa dell'intuizione dovremmo seguire il consiglio di Doug Hofstadter e ruotare le manopole per vedere come si comportano le varie parti. Perché ho scelto proprio quella particolare proposizione? Perché avevo bisogno di qualcosa di tanto sorprendente e indimenticabile da essere riferito in lingue diverse a molti chilometri di distanza dalla scena. Nella maggior parte dei casi, l'acquisizione delle nostre credenze è completamente differente e questo è un fatto che vale la pena notare. Per esempio, Jacques, Sherlock, Tome Boris hanno in comune un numero illimitato di altre credenze non legate ad avvenimenti drammatici: la credenza che le sedie siano più grandi delle scarpe, che la minestra sia liquida, che gli elefanti non volino, per esempio. Se tentassi di informarvi che i salmoni selvaggi non portano apparecchi acustici, mi fareste notare che lo sapete, ma quando l'avete imparato? Non lo sapete dalla nascita, non fa parte di nessun programma scolastico ed è estremamente improbabile che abbiate mai formulato mentalmente una frase simile. Quindi, anche se può sembrare ovvio che Boris sia venuto a conoscenza dell'omicidio di Londra "trasferendo semplicemente" nel suo cervello la frase russa pertinente letta nella Pravda, e che poi l'abbia "tradotta" in, come dire, "cervellese", non è affatto ovvio che sia corretto supporre che alla notizia sui salmoni il cervello di Boris abbia svolto un lavoro simile (traducendo in cervellese da che cosa?). Consideriamo un'altra manopola: supponiamo che anche Fido, un cane, e Clyde, un piccione, siano testimoni oculari 67

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dell'omicidio; può darsi che qualcosa dell'evento resti in loro, una modifica del cervello che in seguito potrebbe influenzare il loro comportamento, ma non sarebbe il fatto che un francese ha commesso un omicidio a Trafalgar Square, benché le informazioni che confermano il fatto potessero essere presenti nella luce e nei suoni percepiti dai loro organi di senso. (Un filmato dell'evento potrebbe costituire una prova legale, per esempio, ma non sarebbe apprezzato come tale da Fido e da Clyde.) Questa pompa dell'intuizione rischia pertanto di inserire una tendenza gravemente antropocentrica nella nostra esplorazione del signifìcato. Anche se le parole e gli enunciati sono veicoli di signifìcato esemplari, gli animali non le usano e l'idea che invece i loro cervelli lo facciano è quanto meno stiracchiata - il che non la rende falsa. Se si rivelerà corretta, sarà una scoperta quanto mai sorprendente, ma non sarebbe il primo caso del genere. I fenomeni dell'intenzionalità sono del tutto familiari-nella nostra vita quotidiana sono salienti quanto il cibo, i mobili e i vestiti -, e tuttavia per le prospettive scientifiche risultano sistematicamente elusivi. È raro che qualcuno abbia difficoltà a distinguere tra una frase augurale, una minaccia di morte e una promessa, ma consideriamo il compito ingegneristico di costruire un rivelatore di minacce di morte affidabile. Che cos'hanno in comune tutte le minacce di morte? Soltanto il loro significato, sembra. E il significato non è, a differenza della radioattività o dell'acidità, una proprietà che uno strumento ben regolato rileva facilmente. Lo strumento più simile a un rivelatore di signifìcato di uso generale mai realizzato finora è Watson, il sistema di Intelligenza Artifìciale dell'rnM, che è molto più bravo a ordinare per signifìcato di qualsiasi sistema precedente, ma va notato che non è affatto semplice e comunque (probabilmente) sbaglierebbe a classificare alcune espressioni che un bambino interpreterebbe facilmente nel modo corretto. Anche i bambini piccoli riconoscono che quando uno di loro grida a un altro: "Giuro che se lo fai un'altra volta, ti ammazzo!", in realtà non si tratta di una minaccia di morte. Le dimensioni e la complessità di Watson sono quanto meno misure indirette di quanto sia elusiva la proprietà familiare del signifìcato.

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14. UN FRATELLO MAGGIORE CHE VIVE A CLEVELAND

Malgrado tutto, il significato non è una proprietà completamente misteriosa. In un modo o nell'altro, le nostre strutture cerebrali "registrano" le nostre credenze. Quando venite a sapere che i pudu sono mammiferi, deve cambiare qualcosa nel vostro cervello; qualcosa deve assumere una struttura relativamente fissa che non aveva quando non avevate mai sentito parlare dei pudu e in un modo o nell'altro, qualunque cosa sia, deve avere la proprietà di riferirsi a qualcosa [aboutness], abbastanza per rendere conto della vostra nuova capacità di stabilire che un pudu è più simile a un bufalo che a un barracuda. Quindi è davvero allettante immaginare che le credenze siano "immagazzinate nel cervello" un po' come i file di dati in un hard disk, codificate in qualche maniera sistematica - che può essere diversa da un individuo all'altro, come le impronte digitali. Le credenze di Jacques sarebbero scritte nel suo cervello in jacquese e quelle di Sherlock in sherlockese. Questa idea attraente, però, presenta alcuni problemi. Supponiamo di essere entrati nell'età dell'oro della neurocrittografia e che uno specialista di "microneurochirurgia cognitiva" possa, armeggiando un po', inserire nel cervello di una persona una nuova credenza, scrivendo la proposizione pertinente nei suoi neuroni, usando il linguaggio cerebrale locale, ovviamente. (Se possiamo imparare a leggere la scrittura del cervello, presumibilmente possiamo scriverla, se i nostri strumenti sono abbastanza sensibili.) Supponiamo di voler inserire nel cervello di Tom la falsa credenza: "Ho un fratello maggiore che.vive a Cleveland". Supponiamo che il microneurochirurgo cognitivo sia in grado di realizzare il nuovo cablaggio necessario, nella misura e con la delicatezza desiderate. La razionalità fondamentale di Tom forse risulterà danneggiata, o forse no. Consideriamo le due possibilità. Tom è seduto in un bar e un

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amico gli domanda: "Hai fratelli o sorelle?". Tom risponde: "Sì, ho un fratello maggiore che vive a Cleveland". "Come si chiama?" Che succede ora? Tom potrebbe rispondere: "Chi? Oh, mio Dio, che cosa sto dicendo! Io non ho un fratello maggiore! Per un attimo mi è sembrato di avere un fratello maggiore che vive a Cleveland!". Oppure potrebbe rispondere: "Non lo so" e, messo alle strette, confessare di non conoscere affatto questo fratello e fare affermazioni come: "Sono figlio unico e ho un fratello più grande che vive a Cleveland". Il nostro microneurochirurgo cognitivo non è riuscito a inserire una nuova credenza in nessuno dei due casi. Nel primo, l'intatta razionalità di Tom cancella l'intruso (isolato e non confermato) appena fa la sua comparsa. Un'evanescente tendenza a dire "Ho un fratello maggiore che vive a Cleveland" non può essere considerata una credenza - ha più la natura di un tic, come una manifestazione della sindrome di Tourette. E se il povero Tom insiste nel comportamento patologico, come nella seconda alternativa, la sua evidente irrazionalità riguardo all'argomento dei fratelli maggiori esclude che lui creda veramente a ciò che ha detto. Se non capisce che è impossibile essere figli unici e avere un fratello maggiore che vive a Cleveland, in realtà non capisce realmente ciò che ha affermato e ciò che non capiamo realmente possiamo ripeterlo a pappagallo, non crederlo. Questo esempio fantascientifico mette in luce l'implicito presupposto di competenza mentale che sta alla base dell'attribuzione di qualsiasi credenza; a meno di non avere un repertorio ampliabile all'infinito di modi di usare la nostra presunta credenza in contesti diversi, non si tratta di una credenza in qualunque senso lontanamente riconoscibile. Se il chirurgo è intervenuto con delicatezza, non intaccando la competenza del cervello, il cervello annullerà l'operato appena si presenta il problema - oppure, patologicamente, lo circonderà di strati di confabulazioni piene di lustrini ("Si chiama Sebastiano, è un acrobata circense e vive su una mongolfiera"). La confabulazione è qualcosa di conosciuto; le persone affette dalla sindrome di Korsakoff (l'amnesia che colpisce spesso gli alcolisti) possono essere straordinariamente convincenti quando 70

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raccontano le storie del proprio passato "ricordato", che non contengono neanche un brandello di verità. Ma proprio questa elaborazione indica chiaramente che la persona non ha soltanto una "proposizione" isolata nel suo cervello; anche una credenza delirante necessita del sostegno di una vasta schiera di credenze non deliranti e della capacità di riconoscere tutte le loro implicazioni. Se Tom non crede anche che suo fratello maggiore sia un maschio, respiri, si trovi a ovest di Boston, a nord di Panama e così via, sarebbe più che fuorviante dire che l'impresa del chirurgo è stata l'inserzione di una credenza. Questa pompa dell'intuizione mostra che nessuno può avere soltanto una credenza. (Non si può credere che un cane abbia quattro zampe senza credere che le zampe siano arti, che quattro sia maggiore di tre ecc.) 3 Fa vedere anche altre cose, ma non mi soffermerò a elencarle. Né cercherò di spiegare come si possa usare una variante di questo strumento molto specifico per altri scopi - anche se siete invitati a girare le manopole voi stessi, per vedere che cosa ne ricavate. Desidero presentare un vasto assortimento di questi strumenti prima di riflettere in maniera più approfondita sulle loro caratteristiche.

3. Spesso questa conclusione viene chiamata olismo del mentale (o intenzionale); l'olismo è stato fermamente negato daJerry Fodor, che sostiene di non avere difficoltà a immaginare una creatura con una sola credenza (Fodor, Lepore, 1992).

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15. "PAPÀ È UN DOTTORE"

Alla domanda: "Che cosa fa il tuo papà?", una bambina risponde: "Papà è un dottore". Crede davvero a ciò che ha detto? In un certo senso, naturalmente sì, ma che cosa dovrebbe sapere per crederlo veramente? (E come sarebbe se avesse risposto: "Papà è un arbitraggista", o "Papà è un attuario"?) Supponiamo di sospettare che la bambina abbia parlato senza capire e di decidere di metterla alla prova. Deve essere in grado di produrre parafrasi, o di sviluppare l'affermazione dicendo che suo padre cura la gente malata? È sufficiente se sa che il fatto che il padre sia un dottore esclude il suo essere un macellaio, un fornaio, un fabbricante di candelieri? Può sapere che cos'è un dottore, se è priva del concetto di ciarlatano, di falso dottore, di professionista non autorizzato? Se è per questo, quante cose deve capire per sapere che "papà" è suo padre? (Il padre adottivo? Il padre biologico?) Sicuramente la comprensione della bambina di che cosa significa essere un dottore, come di che cosa vuol dire essere un padre, crescerà con gli anni, quindi crescerà anche la sua comprensione della frase "Papà è un dottore". Possiamo specificare - in un qualsiasi modo non arbitrario - tutto ciò che deve sapere per comprendere "completamente" questa frase? Se comprendere ammette gradi, come mostra questo esempio, allora, dal momento che comprendere è una condizione del credere, anche credere deve ammettere gradi, anche nel caso di proposizioni banali come queste. La bambina sorta crede che suo padre sia un dottore - il che non vuol dire che nutra riserve o dubbi, ma che manca della comprensione che è un requisito importante per qualunque concetto utile di credenza.

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16. IMMAGINE MANIFESTA E IMMAGINE SCIENTIFICA

Prima di procedere nella nostra ricerca per capire che cosa siano i significati è opportuno montare qualche impalcatura. Prenderemo in esame uno strumento per pensare che offre una prospettiva preziosa su un numero tale di questioni che dovrebbe far parte dell'equipaggiamento di chiunque e tuttavia non è ancora molto diffuso al di fuori della filosofia, dove ha avuto origine. Il filosofo Wilfrid Sellars lo ideò nel 1962 per chiarire la riflessione su ciò che ci mostra la scienza rigl,lardo al mondo in cui viviamo. L'immagine manifesta è il mondo come ci appare nella vita quotidiana, pieno di oggetti solidi, colori, odori e sapori, voci e ombre, piante e animali, e persone con tutto il loro corredo: non soltanto tavoli e sedie, ponti e chiese, dollari e contratti, ma anche cose intangibili come canzoni, poesie, opportunità e libero arbitrio. Pensate a tutti gli interrogativi sconcertanti che emergono quando cerchiamo di mettere in corrispondenza tutte queste cose con gli oggetti presenti nell'immagine scientifica: molecole, atomi, elettroni, quark ecc. Esiste qualcosa che sia realmente solido? Il fisico Sir Edward Eddington, all'inizio del Novecento, scrisse delle "due tavole", quella solida dell'esperienza quotidiana e quella composta di atomi molto distanziati l'uno dall'altro in uno spazio per lo più vuoto, più simile a una galassia che a un pezzo di legno. Alcuni dissero che ciò che la scienza mostra è che nulla è davvero solido, che la solidità è un'illusione, ma Eddington ebbe abbastanza buon senso da non arrivare a tanto. Alcuni hanno dichiarato che il colore è un'illusione. È vero? La radiazione elettromagnetica nel limitato intervallo di sensibilità dell'occhio umano (la regione tra l'infrarosso e l'ultravioletto) non è fatta di piccole cose colorate, e gli atomi non sono colorati- neanche quelli di oro. In ogni caso, tuttavia, il colore non è un'illusione nel senso che conta: nessuno pensa che la Sony menta quando di73

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ce che i suoi televisori a colori mostrano davvero il mondo del colore, o che la Sherwin-Williams dovrebbe essere processata per frode perché vende pitture e vernici di vari colori. Che dire dei dollari? Oggi la stragrande maggioranza dei dollari non è fatta di argento e neanche di carta. È virtuale, fatta di informazioni, non materiale, proprio come le poesie e le promesse. Significa forse che sono un'illusione? No, ma non andateli a cercare tra le molecole. Com'è noto, Sellars scrisse (1962, p. 25): "Lo scopo della filosofia, formulato astrattamente, è comprendere come le cose, nel senso più ampio possibile del termine, stiano insieme, nel senso più ampio possibile del termine". È la migliore definizione della filosofia che io abbia mai incontrato. Riuscire a capire come mettere in corrispondenza tutte le cose familiari della nostra immagine manifesta con tutte le cose relativamente sconosciute dell'immagine scientifica non è un compito per cui gli scienziati siano particolarmente preparati. Mi dica, dottor Fisico, che cos'è un colore? Esiste qualche colore secondo la sua teoria? Dottor Chimico, può offrirci la formula chimica di un a/fare? Certamente (drin!), gli affari esistono. Di che cosa sono fatti? Ehm. Forse gli affari non esistono, non realmente! Ma allora qual è la differenza-la differenza chimica - tra qualcosa che è un affare e qualcosa che è un affare soltanto in apparenza? Invece di proseguire su questa strada, considerando un gran numero di questioni misteriose che solo i filosofi hanno cercato in tutti i modi di risolvere, facciamo un passo indietro, come ci invita a fare Sellars, ed esaminiamo il fatto che esistono queste due prospettive notevolmente diverse sul mondo. Perché sono due? O forse ne esistono molte altre? Cerchiamo di rispondere a questa domanda partendo dall'immagine scientifica e verificando se da quella prospettiva possiamo individuare l'emergere dell'immagine manifesta. Per ogni organismo, che sia un batterio o un membro della specie Homo sapiens, esiste un certo insieme di cose del mondo che contano e che quindi l'organismo ha bisogno di discriminare e prevedere come meglio può. I filosofi chiamano ontologia 1'elenco di ciò che è giudicato esistente. Ogni or-

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ganismo ha quindi un'ontologia. Un altro termine che indica questo concetto è la Umwelt [ambiente] dell'organismo (von Uexkiill, 1957). La Umwelt di un animale è fatta soprattutto di a/fordances (Gibson, 1979), cose da mangiare, da evitare o con cui accoppiarsi, opportunità da esplorare o da cui guardarsi, tane in cui nascondersi, cose su cui basarsi e così via. La Umwelt di un organismo è in un certo senso un ambiente interiore, un'ontologia "soggettiva" e persino "narcisistica", composta soltanto da ciò che più conta per l'organismo, ma la sua Umwelt non è necessariamente interiore o soggettiva nel senso di essere cosciente. In realtà, la Umwelt è un concetto dell'ingegneria; consideriamo l'ontologia di un ascensore controllato da un computer, vale a dire l'insieme di tutte le cose che deve monitorare per funzionare a dovere. 4 Uno degli studi di von Uexkiill aveva come oggetto la Umwelt di una zecca. Possiamo presumere che la Umwelt di una stella marina, di un verme o di una margherita sia più simile all'ontologia dell'ascensore che alla nostra Umwelt che, di fatto, è la nostra immagine manifesta. La nostra immagine manifesta, a differenza dell'ontologia o della Umwelt di una margherita, è davvero manifesta, è realmente soggettiva in un senso forte. È il mondo in cui viviamo, il mondo secondo noi. 5 Come l'ontologia della margherita, tuttavia, gran parte della nostra immagine manifesta è stata plasmata dalla selezione naturale nel corso degli eoni e fa parte del nostro patrimonio genetico. Uno dei miei esempi preferiti di quanto una Umwelt possa essere differente da un'altra mette a confronto un formichiere con un uccello insettivoro (Wimsatt, 1980). L'uccello insegue singoli insetti e per poter seguire i loro schemi di volo irregolari ha una soglia di fusione dello sfarfallamento alta (in effetti vede più "fotogrammi al secondo" di noi, quindi un film gli sembrerebbe una proiezione di diapositive). Il formichiere fa semplicemente una media su tutta 4. Analizzeremo i dettagli importanti di questo esempio nel capitolo 27. 5. Mi scuso con i lettori che amano fantasticare su che cosa si prova a essere una margherita e come consolazione offro loro il concetto di Umwelt: vi permette di rendere giustizia all'effettiva capacità di discriminazione di una margherita senza perdere la testa.

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l'area infestata dalle formiche e lascia che sia la sua grande lingua a fare tutto il lavoro. Un filosofo potrebbe dire che per un formichiere "formica" è un termine collettivo, come "acqua", "ghiaccio" e "mobilio", non un termine numerabile come "olive", "gocce di pioggia" e "sedie". Quando un formichiere vede un bella massa di formiche, la raccoglie con la lingua e la trangugia, ignaro dei singoli individui come lo siamo noi delle singole molecole di glucosio che ingeriamo mangiando un dolce. La maggior parte della nostra immagine manifesta non è ereditata geneticamente, ma viene in qualche modo inculcata nell'esperienza della prima infanzia. Le parole sono una categoria di cose molto importante per noi e sono il mezzo mediante il quale viene trasmessa la maggior parte della nostra immagine manifesta; ma la capacità di categorizzare alcuni eventi del mondo come parole, e il nostro desiderio di parlare, pqtrebbero benissimo essere, almeno in parte, un talento che si eredita per via genetica - come la capacità degli uccelli di distinguere singoli insetti volanti, o il desiderio di una vespa di costruire un nido. Anche senza una grammatica che le riunisce in frasi, le parole sono semplici etichette che possono aiutare a inserire e mettere bene a fuoco categorie importanti nella nostra immagine manifesta: mamma, micio, biscotto. Riuscireste mai a formulare un concetto chiaro di affare, di sbaglio o di promessa - e tantomeno di home run o di scapolo - senza l'aiuto delle parole che ho appena usato per menzionarli? La nostra considerazione dell'elenco di strumenti per pensare preferiti da Doug Hofstadter ci ha già mostrato come i termini possano strutturare e stimolare la nostra mente, arricchendo la nostra immagine manifesta personale di cose - mine vaganti, adesioni di facciata e feedback - che altrimenti sono praticamente invisibili.

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17. PSICOLOGIA POPOLARE

Probabilmente l'elemento più importante nella nostra immagine manifesta, dato che àncora molte altre categorie per noi importanti, è ciò che chiamo psicologia popolare. Nel suo significato attuale, l'espressione è stata coniata da me nel 1981, ma a quanto pare aveva già avuto un'incarnazione nelle opere di Wilhelm Wundt, Sigmund Freud e altri (VOlkerpsychologie), in cui indicava qualcosa riguardante il carattere nazionale (il Geist del Volk tedesco - a cui non penso siate interessati). Questo antecedente mi era sfuggito, come è sfuggito a molti altri che hanno adottato l'espressione. In base alla mia proposta, "psicologia popolare" indica un talento che abbiamo tutti: l'innata capacità di interpretare le persone intorno a noi- e gli animali, i robot e anche i semplici termostati- come agenti che hanno informazioni sul mondo in cui agiscono (credenze) e sugli obiettivi (desideri) che si sforzano di raggiungere, scegliendo il piano d'azione più ragionevole, dati i loro desideri e le loro credenze. Ad alcuni ricercatori piace chiamare la psicologia popolare "teoria della mente", ma secondo me è fuorviante, perché tende a stabilire anzitempo come riusciamo ad avere questo talento, lasciando intendere che abbiamo, e applichiamo, una teoria. Con un atteggiamento simile, dovremmo dire che abbiamo una teoria della bicicletta, se sappiamo andare in bicicletta, e che è la nostra teoria dell'alimentazione che spiega la nostra capacità di evitare di morire di fame e di astenerci dal mangiare la sabbia. Non mi pare un modo proficuo di riflettere su queste competenze. Poiché tutti convengono che siamo dotati di questo talento interpretativo, ma non c'è accordo su come facciamo a essere tanto competenti, penso che per il momento sia meglio lasciare da parte la parola "teoria" e usare un termine un po' più neutrale. La psicologia scientifica che si

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insegna nelle università si occupa anch'essa di spiegare e prevedere la mente degli altri e ha effettivamente alcune teorie: il comportamentismo, il cognitivismo, i modelli neurocomputazionali, la psicologia della Gestalt e molte altre ancora. La psicologia popolare è un talento in cui eccelliamo senza aver seguito un regolare corso di studi. La fisica ingenua, in maniera analoga, fa riferimento alla nostra innata capacità di aspettarci che i liquidi scorrano, che gli oggetti privi di sostegno cadano, che le sostanze calde ci brucino, che l'acqua ci disseti e che pietra smossa non faccia muschio. Un'altra questione interessante è come possa il cervello formulare senza sforzi queste previsioni quasi sempre corrette, anche se non abbiamo mai studiato la fisica. La psicologia popolare è "ciò che tutti sanno" della propria mente e di quella degli altri: le persone possono provare dolore, fame o sete e sanno distinguere queste sensazioni, ricordano eventi del proprio passato, prevedono molte cose, vedono ciò che hanno davanti agli occhi, sentono ciò che viene detto a portata di orecchio, ingannano e vengono ingannate, sanno dove si trovano, riconoscono gli altri e così via. La sicurezza con cui presumiamo tutto ciò è sbalorditiva, considerando quanto poco sappiamo di ciò che accade realmente nella testa delle altre persone (per non parlare di quella di altri animali). Siamo tanto certi di tutte queste cose che per rendercene conto dobbiamo prendere energicamente le distanze da noi stessi. Gli artisti e i filosofi sono d'accordo su un punto: uno dei compiti che si sono assegnati è "rendere strano ciò che è familiare" .6 Alcuni grandi colpi di genio ci fanno superare la crosta della familiarità eccessiva, rendendo possibile il jootsing e, una volta usciti dal sistema, dalla nuova prospettiva possiamo guardare le cose ordinarie e ovvie con occhi nuovi. Gli scienziati non potrebbero essere più d'accordo. Il colpo di genio di Newton fu domandarsi perché la mela cadesse giù dall'albero (una ben strana domanda per la persona comune, 6. Tra coloro ai quali viene attribuito questo aforisma vi sono il filosofo Ludwig Wittgenstein, l'artista Paul Klee e il critico Viktor Borisovic Sklovskij.

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il non genio: "E perché non dovrebbe? È pesante!" - come se fosse una spiegazione soddisfacente). Se non siete ciechi e avete amici ciechi, probabilmente confermerete questo mio sospetto: indipendentemente dalla quantità di tempo che avete passato in loro compagnia, di tanto in tanto vi ritrovate comunque a usare le mani per indicare un oggetto o per disegnare qualche forma esplicativa davanti ai loro occhi ciechi, per far loro credere e comprendere ciò che credete e comprendete voi. L'aspettativa per così dire "automatica" quando siete in presenza di un altro essere umano sveglio è che possiate entrambi vedere le stesse cose, e sentire gli stessi suoni e gli stessi odori. Viaggiate in superstrada a 100 chilometri all'ora e il fatto che una macchina che viaggia nella carreggiata opposta vi stia venendo incontro alla vostra stessa velocità non vi turba minimamente. Come fate a sapere che non vi scontrerete? Senza riflettere, presumete che la persona alla guida (che non potete neanche vedere e quasi certamente non conoscete) voglia continuare a vivere e sappia che il sistema migliore consiste nel restare sul lato destro della strada. Notate che per avere uno stato d'animo più ansioso vi basterebbe sentire alla radio la notizia che quello stesso giorno sulla strada che state percorrendo viene collaudata una robocar a guida automatica. Sì, sì, è progettata per essere sicura e, dopotutto, l'ha creata Google, ma riguardo alla razionalità e alla competenza avete più fiducia nel guidatore medio che nel decantato robot (tranne forse a tarda notte di sabato). Com'è che "tutti conoscono" la psicologia popolare? Forse, dopotutto, è una "teoria della mente", una specie di teoria che si impara da bambini? È in qualche misura innata oppure, se anche in minima parte la impariamo, quando e come lo facciamo? Questi problemi sono stati oggetto di una valanga di studi negli ultimi trent'anni. La mia risposta è (ancora, dopo tutti questi anni di ricerca) che non si tratta tanto di una teoria quanto di una pratica, di un modo di indagare il mondo e questo modo ci viene tanto naturale che deve avere qualche base genetica nel cervello. In parte viene "succhiato con il latte della madre" e chi in qualche modo venisse privato di qualsiasi con-

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tatto con altri esseri umani durante la crescita probabilmente mostrerebbe una straordinaria inettitudine in materia (oltre ad altre gravi incapacità), ma in ogni caso negli esseri umani è molto forte l'impulso a interpretare le cose che si muovono in maniera irregolare (diversamente da un pendolo o da una palla che rotola giù da una collina) come agenti. Nei corsi introduttivi di psicologia una delle dimostrazioni preferite di questa nostra caratteristica è un breve film animato (girato con la tecnica dello stop-motion) realizzato da Fritz Heider e MaryAnn Simmel nel 1944. Nel filmato si vedono due triangoli e un cerchio che si muovono in continuazione, entrando e uscendo da una scatola. Le forme geometriche non potrebbero somigliare di meno alle persone (o agli animali), eppure è quasi irresistibile pensare che le loro interazioni siano piene di significato, indotte dalla cupidigia, dalla paura, dal coraggio e dalla collera. Questa antica dimostrazione si può trovare in molti siti web (per esempio, all'indirizzo http://thescientistvideographer.com/wordpress/bully-triangles-and-terrified-circles/). Tutti noi nasciamo con un ~ "dispositivo di riconoscimen~ to di agenti" (Barrett, 2000; si veda anche Dennett, 1983), che scatta con estrema facilità. Quando funziona male, come capita spesso in situazioni di stress, tendiamo a vedere fantasmi, folletti maligni, diavoletti, ~-----.... elfi, gnomi, fate, demoni e simili non importa quale scegliete, a condizione che i comandi di salto indichino i passi giusti.)

II.

Che cosa succede quando il programma cerca di sottrarre 3 da 3 o4da4?

III.

Quale possibile errore si evita azzerando il registro 3 prima di tentare la sottrazione al passo 3 e non dopo il passo 4?

Avendo al nostro attivo l'addizione e la sottrazione, è facile progettare la moltiplicazione e la divisione. Moltiplicare n per m equivale a sommare n a se stesso m volte, perciò possiamo istruire il computer a procedere in questo modo, usan129

STRUMENTI PER PENSARE

do un registro come contatore e contando alla rovescia da m a O decrementando una volta a ogni completamento del loop di addizione.

Eserdzio3 I.

Disegnate un diagramma di flusso (e scrivete un programma in RAP) per moltiplicare il contenuto del registro 1 per il contenuto del registro 3, mettendo il risultato nel registro 5.

II.

(FacoltativoY Copiando e spostando, migliorate il moltiplicatore che avete creato per il problema I, facendo in modo che, al termine del!' operazione, sia ripristinato il contenuto originario del registro 1 e del registro 2, cost'potete controllare facilmente la correttezza degli input e degli output dopo un'esecuzione.

III.

(Facoltativo) Disegnate un diagramma di/lusso e scrivete un programma RAP che esamina i contenuti del registro 1 e del registro 3 (senza distruggerli!), scrive l'indirizzo (1 o 3) del registro con il contenuto minore nel registro 2 e mette 2 nel registro 2, se i contenuti del registro 1 e del registro 3 sono uguali. (Dopo l'esecuzione di questo programma, i contenuti del registro 1 e del registro 3 dovrebbero essere invariati e il registro 2 dovrebbe indicare se sono uguali e, in caso contrario, quale dei due registri ha il contenuto minore.)

In maniera analoga, si può eseguire la divisione continuando a sottrarre il divisore e contando quante volte lo si fa. Possiamo lasciare il resto, se c'è, in uno speciale registro del resto. Ma dobbiamo fare attenzione ad aggiungere una misura di sicurezza cruciale: non dobbiamo dividere per zero (vero?), quindi prima dell'inizio di qualsiasi divisione dovremmo effettuare un semplice controllo sul divisore, cercando di decrementar3. Ciò significa che gli altri esercizi sono obbligatori! Dico sul serio. Se volete sfruttare questo strumento del pensiero, dovete continuare a esercitarvi fino a quando non procederete spediti. Riuscire a risolvere i semplici esercizi obbligatori potrà richiedervi un'ora o due, ma ne vale la pena.

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

lo. Se possiamo farlo, dovremmo incrementarlo una volta (ripristinando il valore corretto) e poi procedere con la divisione. Se quando cerchiamo di decrementarlo incontriamo uno zero, tuttavia, dobbiamo lanciare un allarme. Possiamo, per esempio, riservare un registro per un flag di errore: un 1 nel registro 5 può significare "TILT! Mi è stato appena richiesto di dividere per zero!". Ecco il diagramma di flusso per dividere il contenuto del registro 1 per il contenuto del registro 2, mettendo il risultato nel registro 3, il resto nel registro 4 e un eventuale "messaggio di errore" nel registro 5 (1 significa "Mi è stato richiesto di dividere per zero").

a

Imposta il flag di errore ----+

n

Seguite passo per passo il diagramma di flusso e notate che il divisore nullo interrompe l'operazione e dà l'allarme impostando il flag di errore. Notate, inoltre, che il registro 4 ha un duplice ruolo, servendo non solo da copia del divisore, per ri131

STRUMENTI PER PENSARE

pristinarne il contenuto a ogni sottrazione successiva, ma anche da registro per il potenziale resto. Se il registro 1 si azzera prima che il registro 4 possa riversare il suo contenuto nel registro 2 per un'altra sottrazione, quel contenuto è il resto, che si trova proprio dove si deve trovare. Competenza senza comprensione. Qualcosa- per esempio, una macchina a registri- può eseguire operazioni aritmetiche nel modo corretto senza che sia necessario che capisca cosa fa. PRIMO SEGRETO:

La macchina a registri non è una mente; non comprende nulla. Però sorta capisce tre semplici cose - Inc, End e Deb- nel senso che esegue pedissequamente queste tre "istruzioni" ogni volta che le incontra. Non sono vere istruzioni, naturalmente; sono sorta istruzioni. A noi sembrano istruzioni e la macchina a registri le esegue come se fossero istruzioni, quindi è più che utile chiamarle istruzioni. Come potete vedere, Deb, Decrement-or-Branch, è la chiave del potere della macchina a registri. È l'unica istruzione che permetta al computer di "notare" (sorta notare) qualcosa e di usare ciò che nota come guida per il passo successivo. In realtà, questo salto condizionato è la chiave del potere di tutti i computer a programma memorizzato, un fatto che Ada Lovelace riconobbe nella prima metà dell'Ottocento, quando scrisse una splendida analisi della "macchina analitica" di Charles Babbage, il prototipo di tutti i computer.4 Scrivere questi programmi mettendo insieme le varie parti può diventare un esercizio di routine quando si capisce come fare. Una volta composte le routine aritmetiche, possiamo usarle più volte. Supponiamo di numerarle: ADD è l'operazione O, SUBTRACT è l'operazione 1, MULTIPLY è l'operazione 2 e così via. 4. Ada Lovelace, figlia del poeta Byron, fu una matematica straordinaria e molto altro. Nel 1843 pubblicò la traduzione del commento del matematico Luigi Menabrea (1842) sulla macchina analitica di Babbage, corredata di note che erano più lunghe e profonde del testo che aveva tradotto. Queste note comprendono un sistema dettagliato per usare la macchina di Babbage per calcolare i numeri di Bernoulli. Per questa ragione, Ada Lovelace viene spesso acclamata come la prima persona al mondo che abbia programmato un computer.

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

potrebbe essere I'operazione 5, MOVE la 6, e così via. Potremmo, quindi, usare un registro per memorizzare un'istruzione (rappresentata da un numero).

coPY

Eserdzio 4 (Facoltativo) Disegnate un diagramma di flusso, e scrivete un programma in una macchina a registri in una semplice calcolatrice tascabile, nel modo seguente:

RAP che trasforma

I.

Usate il registro 2 per l'operazione: O=ADD

1 =SUBTRACT 2 =MULTIPLY

3 =DIVIDE II.

Mettete i valori su cui operare nei registri 1 e 3. (Cast' 3 O6 significa 3 + 6, 5 1 3 significa 5 - 3, 4 2 5 significa 4 x 5, 9 3 3 significa 9: 3.) Poi mettete i risultati delle operazioni nei registri dal 4 al 7, usando il registro 4 per il segno (O, se positivo e 1, se negativo), il registro 5 per il valore numerico del risultatq, il registro 6 per!'eventuale resto di una divisione e il registro 7 come allarme, che segnala un errore nell'input (una divisione per zero o un'operazione non definita nel registro 2).

Notate che in questo esempio il contenuto dei registri (in tutti i casi, un numero) è usato per rappresentare quattro cose molto diverse: un numero, un'operazione aritmetica, il segno di un numero e un flag di errore.

Ciò che rappresenta un numero in un registro dipende dal programma che abbiamo scritto.

SECONDO SEGRETO:

Usando gli elementi di base che abbiamo già creato, possiamo costruire operazioni più complicate. Se abbiamo la pazienza sufficiente, possiamo disegnare il diagramma di flusso e scrivere il programma che calcola la radice quadrata del numero nel registro 7, per esempio, o la media dei contenuti dei registri dall'l al 20, o la fattorizzazione del contenuto del re-

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STRUMENTI PER PENSARE

gistro 6, mettendo un 1 nel registro 5, se 5 è uno dei fattori, o ancora che confronta i contenuti del registro 3 e del registro 4, e mette il contenuto maggiore nel registro 5, a meno che il secondo non sia esattamente il doppio del primo, nel qual caso imposta un flag nel registro 7. E così via. Particolarmente utile sarebbe una routine che cerca un particolare valore in cento registri e inserisce nel registro 101 il numero dell'indirizzo del registro che contiene quel valore. (Come funzionerebbe? Si mette il numero da cercare nel registro 102 e una sua copia nel registro 103; si annulla il registro 101, poi, iniziando dal registro 1, si sottrae il suo contenuto dal contenuto del registro 103 - dopo aver incrementato il registro 101 controllando se il risultato è zero. Se è diverso da zero, si passa al registro 2 e così via. Quando si trova un registro che contiene il numero cercato, la routine termina; l'indirizzo di quel registro è contenuto nel registro 101.) Grazie alla capacità "sensoriale" di base incorporata nell'istruzione Deb-la sua capacità di "notare" uno zero quando cerca di decrementare un registro - possiamo rivolgere gli "occhi" della macchina a registri verso se stessa, in modo che possa esaminare i propri registri, spostandone i contenuti e passando a operazioni diverse a seconda dei valori che trova. TERZO SEGRETO: Poiché un numero in un registro può rap-

presentare qualsiasi cosa, si può far sì, in linea di principio, che una macchina a registri "noti" qualsiasi cosa, "discrimini" qualunque configurazione o caratteristica che possa essere associata a un numero - o a un insieme di numeri. Per esempio, un'immagine in bianco e nero - qualsiasi immagine in bianco e nero, compresa un'immagine di questa pagina - può essere rappresentata da un grande banco di registri (uno per ogni pixel), che contengono O, se il pixel corrispondente è bianco e 1, se è nero. Ora scrivete un programma per una macchina a registri che esamina migliaia di immagini alla ricerca dell'immagine di una linea orizzontale nera su uno sfondo tutto bianco. (Non cercate realmente di farlo. La vita

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

è breve. È sufficiente che immaginiate in maniera abbastanza dettagliata il processo difficile e lunghissimo che realizza l' obiettivo.) Una volta ideato - mentalmente - il riconoscitore di linee orizzontali, e poi il riconoscitore di linee verticali e di semicerchi, pensate a come potreste utilizzarli insieme a qualche altra (decina di) routine di discriminazione per scrivere un programma capace di riconosce!e la lettera maiuscola "A" - scritta in centinaia di font diversi! E uno dei trionfi abbastanza recenti della programmazione: il software di OCR ( Optical Character Recognition) esegue la scansione di una pagina stampata e la trasforma con al massimo pochi errori in un file di testo (in cui ogni simbolo alfabetico o numerico è rappresentato da un numero in codice ASCII, di modo che si possono eseguire ricerche e tutte le altre stregonerie dei programmi di elaborazione dei testi- mediante null'altro che l'aritmetica). Un programma OCR è capace di leggere? Non proprio; non comprende affatto il testo. Lo sorta legge, e questa è una competenza incredibilmente utile che possiamo aggiungere al nostro ampio assortimento di parti mobili. QUARTO SEGRETO: Potendo rappresentare qualsiasi cosa, un numero può rappresentare un'istruzione o un indirizzo.

Possiamo usare un numero in un registro per rappresentare un'istruzione, come ADD, SUBTRACT, MOVE o SEARCH, e per rappresentare indirizzi (registri del computer), quindi possiamo memorizzare un'intera sequenza di istruzioni in una serie di registri. Se abbiamo un programma principale (il programma A) che istruisce la macchina ad andare da un registro all'-altro facendo ciò che il registro la istruisce a fare, in quei registri possiamo memorizzare un secondo programma B. Quando facciamo eseguire alla macchina il programma A, la prima cosa che fa è consultare i registri che le indicano di eseguire il programma B. Ciò significa che potremmo memorizzare il programma A una volta per tutte nell'unità centrale di elaborazione della macchina a registri in un insieme riservato di registri (potrebbe essere "firmware" memorizzato nella ROM, la memoria di sola

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STRUMENTI PER PENSARE

lettura) e poi usare il programma A per eseguire il programma B, C, D e così via, a seconda dei numeri che inseriamo nei registri regolari. Installando il programma A nella nostra macchina a registri, la trasformiamo in un computer a programma

memorizzato. Il programma A dà alla nostra macchina a registri la capacità di eseguire fedelmente qualunque istruzione (rappresentata da un numero) venga messa nei suoi registri. Tutti i programmi possibili che può eseguire consistono in una serie di numeri, in un certo ordine, che il programma A consulterà, in quell' ordine, facendo esattamente ciò che specifica ciascun numero. Se stabiliamo un sistema per indicare queste istruzioni in una forma non ambigua (per esempio, imponendo che il nome di un'istruzione abbia sempre la stessa lunghezza-due cifre, poniamo), possiamo trattare l'intera serie di numeri che compongono il programma B, per esempio

86,92,84,29,08,50,28,54,90,28,54,90, come un unico numero molto lungo:

869284290850285490285490. Questo numero è sia il "nome" che identifica un programma, il programma B, sia il programma stesso, che viene eseguito, un passo alla volta, dal programma A. Un altro programma è

284570297590287529075489274902754248509284285 40423, e un altro ancora è

890829647249028495249885674339043850388245980 2854544254789653985, ma la maggioranza dei programmi più interessanti avrebbe nomi decisamente più lunghi, composti da milioni di cifre. I programmi memorizzati nel vostro laptop, come un word processor o un browser, sono proprio numeri lunghi molti milioni di cifre (binarie). Un programma lungo 1Omegabyte è una stringa di ottanta milioni di Oe 1.

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

A ciascun programma possibile può essere assegnato come nome un numero diverso, che poi può essere trattato come un elenco di istruzioni che possono essere eseguite da una macchina universale.

QUINTO SEGRETO:

Fu il geniale teorico e filosofo Alan Turing a elaborare questo schema, usando un altro computer immaginario, una macchina che si sposta avanti e indietro su nastro di carta diviso in quadratini detti celle e le cui azioni dipendono (ah, il salto condizionato!) dal fatto che legga Oo 1 nella cella che si trova sotto la testina di lettura. Tutto ciò che può fare la macchina di Turing è invertire il bit (cancellando Oe scrivendo l, o viceversa) oppure lasciarlo invariato e poi spostarsi di una cella asinistra o a destra, e andare al!'istruzione successiva. Converrete che scrivere programmi di addizione, sottrazione o altre funzioni per la macchina di Turing, usando soltanto i numeri binari Oe 1 invece di tutti i numeri naturali (O, 1, 2, 3, 4, 5 .. .) e spostandosi di una cella alla volta, sia un esercizio più spaventoso dei nostri esercizi sulla macchina a registri, ma il punto dimostrato da Turing è identico. Una macchina di Turing universale è una macchina con un programma A (integrato nell'hardware, sevolete) che le permette di "leggere" il programma B dal nastro di carta e poi eseguire quel programma usando qualsiasi altra cosa presente sul nastro come dato o input del programma B. La macchina a registri di Hao Wang può eseguire qualunque programma che sia possibile ridurre a operazioni aritmetiche e salti condizionati, come può fare la macchina di Turing. Entrambe le macchine hanno la meravigliosa capacità di prendere il numero di qualsiasi programma ed eseguirlo. Invece di costruire migliaia di macchine di calcolo diverse, ciascuna delle quali ha un certo programma complicato integrato nell'hardware, costruiamo una sola macchina universale (con il programma A installato) e poi possiamo far sì che esegua i nostri ordini inserendovi programmi che creano macchine virtuali. La macchina di Turing universale è un'imitatrice universale, in altre parole. Lo è anche la meno famosa macchina a registri universale. E anche il vostro laptop. Il vostro laptop non 137

STRUMENTI PER PENSARE

può fare nulla che la macchina a registri universale non possa fare e viceversa. Attenzione, però: nessuno ha detto che tutte le macchine siano altrettanto veloci. Come abbiamo visto, la macchina a registri è penosamente lenta già nell'arduo caso di una divisione, che esegue con una serie di sottrazioni, per amor del cielo! Non esistono modi per accelerare le cose? Certo che esistono. In realtà, la storia dei computer sin dai tempi di Turing è proprio la storia di modi sempre più veloci di fare ciò che fa una macchina a registri- e null'altro. Tutti i miglioramenti dei computer da quando Turing inventò la sua macchina immaginaria col nastro di carta sono semplicemente modi per renderli più veloci. SESTO SEGRETO:

Per esempio, John von Neumann creò l'architettura per il primo computer funzionante serio e, per renderlo più veloce, ampliò la finestra, la testina di lettura, della macchina di Turing da "un bit alla volta" a "molti bit alla volta". In generale, i primi computer leggevano "parole" da 8, 16 o anche 12 bit. Oggi usano comunemente "parole" da 32 bit. È ancora un collo di bottiglia- il collo di bottiglia di von Neumann - ma è trentadue volte più largo del collo di bottiglia della macchina di Turing! Semplificando, possiamo dire che ogni parola viene copiata dalla memoria, una alla volta, in un registro speciale (il registro delle istruzioni), dove viene letta ed eseguita. Di solito, una parola ha due parti, il codice operativo (per esempio, ADD, MULTIPLY, MOVE, COMPARE,JUMP-IF-ZERO) e un indirizzo, che indica al computer in quale registro andare a prendere il contenuto su cui operare. Così 10101110 11101010101 potrebbe dire al computer di eseguire l'operazione 10101110 sul contenuto del registro 11101010101, mettendo il risultato, sempre, in un registro speciale chiamato Accumulatore. La grossa differenza tra la macchina a registri e una macchina di von Neumann è che la prima può operare su qualsiasi registro (soltanto Inc e Deb, naturalmente), mentre una macchina di von Neumann esegue tutte le operazioni aritmetiche nell' Accumulatore e poi non fa altro che copiare o spostare (o me138

UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

morizzare) i contenuti nei registri che costituiscono la memoria. Tutti gli spostamenti e le copie in più sono ripagati dalla capacità di eseguire molte operazioni fondamentali diverse, ciascuna delle quali è integrata nell'hardware. In altre parole, esiste un circuito elettronico particolare per ADD, un altro per soBTRACT, un altro ancora per JUMP-IF-ZERO e così via. Il codice operativo è un po' come il codice di avviamento postale o il prefisso nel sistema telefonico: invia ciò su cui sta agendo, qualunque cosa sia, nel posto giusto per l'esecuzione. È così che il software incontra l'hardware. Di quante operazioni primitive dispongono i computer oggi? Possono essere centinaia o migliaia, oppure, come nei bei tempi andati, un computer può essere un RISC (Reduced Instruction Set Computer), che ce la fa con qualche decina di operazioni primitive, compensando però questa limitazione con un'incredibile velocità di esecuzione. (Se le istruzioni !ne e Deb potessero essere eseguite un milione di volte più velocemente di un'operazione ADD integrata, sarebbe vantaggioso comporre quest'ultima utilizzando !ne e Deb, come abbiamo fatto poc'anzi, e tutte le somme con meno di un milione di passi sarebbero più veloci.) Quanti registri hanno i computer di oggi? Milioni o anche miliardi (però, ogni registro è finito e così i numeri molto grandi devono essere ospitati in un gran numero di registri). Un byte è composto da 8 bit. Se il vostro computer ha 64 megabyte di RAM (la memoria ad accesso casuale), ha sedici milioni di registri da 32 bit, o l'equivalente. Come abbiamo visto, i numeri contenuti nei registri possono rappresentare non solo interi positivi. Per memorizzare i numeri reali (come 11 o V2 o 113) si usa un sistema di rappresentazione "in virgola mobile", che divide il numero in due parti, la base e l'esponente, come nella notazione scientifica (1,495 x 1041 ), che permette alle operazioni aritmetiche del computer di trattare (approssimazioni di) numeri diversi dai numeri naturali. Le operazioni in virgola mobile sono soltanto operazioni aritmetiche (in particolare, moltiplicazioni e divisioni) che usano come valori questi numeri in virgola mobile, e il computer più veloce in vendita

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STRUMENTI PER PENSARE

vent'anni or sono (quando scrissi la prima versione di questo capitolo) poteva eseguire più di 4 megaflop, cioè più di quattro milioni di operazioni al secondo su numeri in virgola mobile. Se questa velocità non vi basta, è utile mettere in parallelo molte macchine, in modo che funzionino tutte insieme, non serialmente, aspettando in coda i risultati su cui operare. Tutto ciò che può fare una tale macchina parallela può essere fatto anche da una macchina puramente seriale, solo più lentamente. In realtà, la maggior parte delle macchine parallele studiate in maniera approfondita negli ultimi vent'anni è composta da macchine virtuali simulate su macchine di von N eumann standard (non parallele). È stato sviluppato hardware parallelo per applicazioni particolari e attualmente i progettisti di computer stanno esplorando i costi e i benefici di un ampliamento del collo di bottiglia di von Neumann, e di una velocizzazione del traffico che lo attraversa, in modi di ogni genere, con coprocessori, memorie cache e vari altri approcci. Oggi, il computer K della Fujitsu può eseguire 10,51 petaflop, cioè più di dieci milioni di miliardi di operazioni al secondo su numeri in virgola mobile. Questa velocità potrebbe essere quasi sufficiente per simulare l'attività computazionale del cervello umano in tempo reale. Il cervello è il processore parallelo per eccellenza: i neuroni sono all'incirca cento miliardi e ognuno è un piccolo agente complicato con un proprio programma da svolgere. Il solo "nervo" ottico, che trasmette le informazioni visive dagli occhi al cervello, è formato da diversi milioni di fibre ottiche (neuroni). I neuroni, però, agiscono più lentamente, molto più lentamente, dei circuiti dei computer. Un neurone può cambiare stato e inviare un impulso (plausibilmente, la sua versione di !ne e Deb) in qualche millisecondo - non in milionesimi o miliardesimi di secondo. I computer spostano i bit quasi alla velocità della luce, ed è per questo motivo che diminuirne le dimensioni è una mossa cruciale per renderli più veloci; la luce impiega circa un miliardesimo di secondo a percorrere 30 centimetri, quindi se vogliamo che due processi comunichino in un tempo minore, la distanza che li separa deve essere minore. 140

UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

SETTIMO SEGRETO:

Non esistono altri segreti!

Forse la caratteristica più mirabile dei computer è il fatto che, essendo costituiti, attraverso semplici passi, di parti (operazioni) anch'esse estremamente semplici, non possono nascondere alcun segreto. Nessun ectoplasma, nessuna "risonanza morfi.ca", nessun campo di forza invisibile, nessuna legge della fisica ancora sconosciuta, nessun tessuto miracoloso. Sappiamo che se riusciamo a modellare un certo fenomeno con un programma, non ci sono cause in azione nel modello oltre alle cause che sono composte da tutte le operazioni aritmetiche. Che cosa possiamo dire della computazione quantistica, oggi di gran moda? Non è vero che i computer quantistici sono capaci di fare cose che nessun computer normale può fare? Sì e no. Ciò che possono fare è risolvere molti problemi, calcolare molti valori contemporaneamente, grazie alla "sovrapposizione quantistica", la strana e delicata proprietà per cui un'entità non osservata può essere in "tutti i possibili" stati nello stesso momento, fino a quando l'osservazione produce il "collasso del pacchetto d'onda" (per saperne di più, consultate il sito o il libro divulgativo di fisica che preferite). Fondamentalmente, un computer quantistico è semplicemente l'ultima, e impressionante, innovazione in materia di velocità - un salto quantico, si potrebbe dire, della velocità di elaborazione. Ciò che può fare in piccoli intervalli di tempo - minuti, ore o giorni - una macchina di Turing che si muove avanti e indietro a scatti sul nastro di carta, o una macchina a registri che procede incrementando e decrementando un registro alla volta, ha un limite molto preciso. Un supercomputer come il modello K della Fujitsu può fare le stesse cose migliaia di miliardi di volte più velocemente, ma questa velocità non è ancora sufficiente per risolvere alcuni problemi, specie nella crittografia. È in questo settore che la velocità extra dei computer quantistici potrebbe produrre benefici - se si riusciranno a risolvere i problemi ingegneristici terribilmente difficili che si presentano nella costruzione di un computer quantistico stabile. Può darsi che non sia possibile, nel qual caso forse dovremmo accontentarci di milioni di miliardi di FLOP, 141

25. MACCHINE VIRTUALI

Le macchine vere sono fatte di parti mobili materiali e di solito prendono il nome dalla funzione per cui sono state progettate. I tosaerba, gli apriscatole e i macinacaffè hanno una gran varietà di modelli, a volte basati su princìpi fisici differenti, ma tutte le macchine con lo stesso nome svolgono la stessa funzione a qualche livello di descrizione. Alcune, forse, la svolgono in modo migliore, ma tutto dipende dalle esigenze di chi le usa. Chi ha un piccolo giardino può preferire un tosaerba lento ma poco rumoroso; il proprietario di un bar può preferire un macinacaffè regolabile con precisione anche se più difficile da far funzionare. Certe macchine sono versatili: inserendo un accessorio diverso si può trasformare un trapano in una sega o in una levigatrice. Anche i computer sono versatili, soltanto che invece di poter svolgere qualche decina di funzioni possono fare fantastiliardi di cose diverse. E invece di dover inserire un accessorio diverso per ogni compito, apriamo un programma diverso - una lunghissima stringa di Oe 1 - che imposta nel modo opportuno tutti gli interruttori interni necessari per svolgere il compito. Ciascuno di questi diversi sistemi di imppstazione è una macchina diversa - una macchina virtuale diversa, una macchina "fatta di istruzioni", non di ingranaggi e cuscinetti, fili elettrici e pulegge. Nei computer le istruzioni possono prendere il posto di ingranaggi e pulegge perché, invece di trattare pasta del pane, pasta di cellulosa o billette di acciaio, i computer elaborano informazioni e le informazioni possono sempre essere tradotte in codice binario, O e 1, l'unico codice che il computer può- o deve - "leggere". Questi Oe 1 vengono smistati a milioni di milioni nei circuiti stampati sui chip di silicio, aprendo e chiudendo temporaneamente i gate, spostando i flussi di informazione da un circuito all'altro, controllandone in tal modo il comportamento. I milioni di minuscoli elemen142

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ti dell'hardware che possono essere nello stato O o nello stato 1 sono le uniche "parti mobili" della macchina e la particolare macchina che un computer è in un dato momento dipende dall'impostazione di migliaia o milioni di piccoli elementi. Una macchina virtuale è ciò che si ottiene imponendo una particolare configurazione di istruzioni (più letteralmente, disposizioni) su una macchina vera che possiede una grande plasticità - parti interagenti che possono essere in molti stati diversi. Poiché una macchina virtuale opera sull'informazione, può eseguire lo stesso compito di un computer le cui "parti mobili" sono cambiamenti di stato dell'hardware realizzando tutti questi cambiamenti di stato in rappresentazioni di queste parti mobili. Potete calcolare una divisione complicata usando carta e matita oppure, se siete molto bravi, la potete calcolare "a mente" rappresentando - immaginando - i simboli e i passaggi su una pagina o lavagna immaginaria. Il prodotto è altrettanto buono in entrambi i casi poiché si tratta di informazione: è un risultato. Immaginare di preparare un panino col prosciutto, per contro, è un ben misero surrogato se avete fame. I computer sono tanto bravi a lavorare sull'informazione "a mente" (rappresentando la macchina che svolge il lavoro) che può essere quasi impossibile capire se la macchina che si sta usando e con cui si sta interagendo è una macchina "dedicata", cablata per un obiettivo particolare, oppure una macchina virtuale che gira su un chip adatto per qualsiasi applicazione. Per esempio, quasi tutti, se non tutti, i minuscoli chip a basso costo contenuti oggi negli ascensori e nei condizionatori, nelle automobili, nei frigoriferi e nei telecomandi dei televisori in realtà sono computer universali, capaci di eseguire versioni di tutti i programmi che fate girare sul vostro laptop, ma condannati a trascorrere tutta la vita eseguendo un solo programma relativamente semplice (il programma di controllo dell'accensione, il ciclo di sbrinamento ecc.) memorizzato in una ROM che congela tutta la loro meravigliosa competenza in una o due capacità limitate. Tutto ciò è più economico rispetto a costruire chip per applicazioni particolari progettati per svolgere solamente questi semplici compiti.

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STRUMENTI PER PENSARE

Il concetto di macchina virtuale è tra i più utili strumenti di potenziamento dell'immaginazione derivati dall'informatica e ora, avendo dimostrato il proprio valore in quel dominio, è maturo per essere importato in altri settori. Uso questa espressione in un senso piuttosto ampio (e spiegherò perché, a tempo debito), quindi è importante che sappiate qual è il suo significato originario - secondo alcuni, quello corretto. Furono gli informatici Gerald Popek e Robert Goldberg a introdurre l'espressione, nel 1974. Nell'uso originario significava "una copia efficiente e isolata di una macchina reale" - una copia fatta di... istruzioni. Una macchina vera, chiamiamola A, in realtà è fatta di hardware, di chip di silicio e fili elettrici e così via, e una macchina virtuale è un programma (che viene eseguito su un'altra macchina vera, diversa, B) che imita alla perfezione l'hardware A: può girare un po' più lentamente, poiché deve comporre tutte le operazioni elementari di A a partire dalle operazioni elementari offerte dal proprio hardware, B, però esegue tutti gli stessi programmi. Un programma scritto per girare sull'hardware A dovrebbe girare senza difficoltà sull'hardware B anche quando questo esegue la macchina virtuale che imita A. È uno stratagemma di notevole utilità, e non solo a causa dell'evidente risparmio che suggerisce. Immaginate, per esempio, di non avere un Mac, ma di disporre di molti programmi di grande valore che girano soltanto sui Mac. Basta che scriviate una macchina virtuale (MV) che imita un Mac e può girare sul vostro PC e quest'ultimo potrà far girare tutto il software per Mac eseguendo la MV che imita un Mac. Il vostro PC "fingerà" di essere un Mac e il software non ne saprà nulla! Pensate a una persona con un braccio ingessato; il gesso limita gravemente i movimenti del braccio, e in più il suo peso e la sua forma rendono necessarie alcune modifiche di tutti gli altri movimenti del corpo. Ora pensate a un mimo (Marcel Marceau, per esempio) che imita qualcuno con un braccio ingessato; se il mimo è bravo, i movimenti del suo corpo saranno limitati esattamente negli stessi modi: il mimo ha un gesso virtuale - che sarà "quasi visibile". Un PC che imita un Mac eseguendo una MV Mac do144

UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

vrebbe essere indistinguibile - per il software che vi gira e per l'osservatore esterno - da un vero Mac. Nella realtà, il mio esempio è più o meno ribaltato. Anche se sono state sviluppate MV Mac che girano sui PC, che io sappia si tratta più di dimostrazioni che di software serio, utilizzabile. I Mac, invece, dispongono di una MV affidabile e di facile uso che fa girare il sistema operativo dei PC, Windows, permettendo a chi possiede un Mac di utilizzare qualsiasi programma per Windows. Oggi la maggior parte dei programmi non è scritta per girare su un hardware particolare, ma su un particolare sistema operativo (che a sua volta gira su diversi hardware). Questa è una delle ragioni per ampliare il concetto di macchina virtuale in modo che comprenda anche l'imitazione virtuale di un sistema operativo. Un sistema operativo è esso stesso una specie di macchina virtuale, che permette a hardware leggermente diversi di far girare gli stessi programmi, ma un sistema operativo è solo software; non imita un hardware reale, ma crea, per convenzione in realtà, una macchina immaginaria che obbedisce a certe regole, accetta certi input e così via. Un'altra ragione per ampliare il concetto è che una delle macchine virtuali oggi più popolari e onnipresenti è la ]ava Virtual Machine·(JvM), che, come un sistema operativo, non è un'imitazione di qualche macchina hardware reale, ma esiste solo come macchina software. J ava è l'invenzione maggiormente responsabile della versatilità di Internet; rende possibile il download dai siti web di piccoli programmi - le applet J ava che ci permettono di risolvere cruciverba, giocare a Sudoku, esplorare mappe, ingrandire fotografie, partecipare a giochi d'avventura con altri giocatori di mezzo mondo e anche di eseguire programmi di calcolo "seri". Un progettista di siti web può scrivere programmi nel linguaggio di programmazione J ava senza dover sapere in anticipo se i computer dei visitatori del sito saranno Mac o PC (o macchine Linux), perché un'applet Java gira sempre su una}VM progettata specificamente per girare sia sui Mac sia sui PC sia su macchine Linux. Al momento del download, in pochi secondi viene installata la JVM opportuna e a quel punto l'appletJava gira sullaJVM, come per ma-

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STRUMENTI PER PENSARE

gia. (Forse avrete notato gli aggiornamenti Java che vengono scaricati regolarmente sul vostro computer - o forse no! Idealmente, potete scordarvi del genere di JVM installata! sul vostro computer ed essere certi che qualunque sito visitiate conterrà applet Java che possono girare sulla vostra JVM oppure installerà immediatamente I' aggiornamepto Java opportuno in modo che vi possano girare.) Facendo riferimento al senso più ampio dell'espressione, allora, quasi ogni programma può essere considerato una macchina virtuale, poiché è software - un elenco sistematico di istruzioni - che, quando viene eseguito, trasforma un computer universale in una macchina specializzata che avrebbe potuto essere progettata e realizzata come hardware. Uno dei più geniali contributi di Alan Turing alla scienza - anzi, alla civiltà umana a partire dalla metà del Novecento- è l'idea di un "computer universale" (ciò che oggi chiamiamo "macchina di Turing universale"), che può essere trasformato in qualunque altro computer ben progettato semplicemente installandovi un programma e facendolo girare! (Nel caso che abbiate deciso di saltare quella parte, l'idea è spiegata dettagliatamente nel capitolo 24.) Non occorre che costruiate tutte le macchine hardware immaginabili: ve ne basterà una, poiché il software farà tutto il resto. ' Sin dai tempi di Turing, sappiamo di poter prendere una complicata collezione di materiali (l'hardware) dotata di grande plasticità (contenitori di "memoria" modificabili, o registri) e inserire in quei contenitori un insieme di istruzioni che, al momento dell'esecuzione, trasformerà il nostro materiale in qualunque computer possiamo chiaramente immaginare. Una macchina di Turing, come un laptop, esegue un'istruzione alla volta e passa all'istruzione successiva, però possiamo generalizzare l'idea considerando computer "paralleli" che possono eseguire molte istruzioni, molti milioni di istruzioni, alla volta. Un registro è una qualunque parte dell'hardware che possa restare in un dato stato (come lo stato zero e lo stato uno dei bit del vostro computer, ma non è necessario che i possibili stati siano soltanto due) fino a quando qualcosa le impone di cambiare stato. Ogni sistema di registri in grado

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

di eseguire alcune operazioni elementari in base a questi stati (come modificare lo stato di un registro o usarlo per determinare l'operazione successiva da effettuare) può avere i registri impostati in modo tale da "calcolare una funzione" o "eseguire un programma". Pertanto, un tale hardware può eseguire una macchina virtuale progettata per sfruttare questi passi elementari. Per di più, un espediente che si può usare una volta può essere usato altre due, tre o più volte, implementando una macchina virtuale in una macchina virtuale in una macchina virtuale ... nell'hardware. Consideriamo un programma che gioca a scacchi scritto in Common LISP (un linguaggio di alto livello) che gira su Windows 7 (un sistema operativo) che gira su un PC. Abbiamo, quindi, un PC che finge di essere una macchina Windows che finge di essere una macchina LISP che finge di essere una macchina che gioca a scacchi. Per un osservatore che sappia di computer e di scacchi i dettagli del programma al livello più alto sono più o meno comprensibili ("Ah! Questa subroutine genera tutte le mosse lecite in risposta allo spostamento dell'alfiere e poi chiama la subroutine di valutazione che ... "). Per contro, esaminare il codice macchina dello stesso programma, le stringhe di Oe 1 che vengono inserite nel registro delle istruzioni, è un buon sistema per impazzire o rovinarsi gli occhi, quindi rivolgiamo saggiamente l'attenzione ai livelli più alti. A ciascun livello, riusciamo ad avere una visione d'insieme perché i dettagli di livello inferiore sono opportunamente invisibili. Il parallelo tra la cascata di macchine virtuali su un computer e la cascata di homunculi nel funzionalismo omuncolare in relazione alla mente non è una semplice coincidenza. È lo spettacolare successo delle macchine virtuali come ausili alla creazione e alla comprensione di implementazioni di compiti in precedenza inimmaginabili (prenotare voli aerei, giocare a scacchi, formulare previsioni meteorologiche, scrivere sotto dettatura ecc.) a ispirare la speranza di poter portare a compimento un'impresa simile- soltanto simile- applicando l'ingegneria inversa al cervello. Forse, allora, le somiglianze tra i cervelli dei francofoni, nonostante tutte le differenze anatomiche osservabili, sono de147

STRUMENTI PER PENSARE

scrivibili nel modo migliore al livello della macchina virtuale: i francofoni hanno tutti una qualche versione della macchina virtuale francese (MVF), un sistema composto da microabitudini o disposizioni interdipendenti memorizzato, in qualche modo, nei miliardi di registri del cervello. I cervelli degli anglofoni saranno distinguibili grazie a un sistema simile di configurazioni regolari, la macchina virtuale inglese (MVI). Se un francofono si sente dire: "Donnez-moi le sei, s'il vous plait", la MVF controllerà sistematicamente lo stesso comportamento che si provoca in un anglofono inserendo nella MVI del suo cervello l'input "Please pass me the salt". Come si fa a costruire una MVF o una MVI che giri in un cervello? Non sappiamo ancora come descrivere questi diversi livelli di attività cerebrale di chi gioca a scacchi o parla francese. 5 Senza dubbio non troveremo mai nulla di simile alle corrispondenze precise che hanno permesso ai programmatori di pro5. Le neuroscienze cognitive e le neuroscienze computazionali sono i filoni di ricerca che cercano di capire questi livelli. La differenza tra i due sottosettori è più che altro una questione di enfasi: i neuroscienziati computazionali insistono di più sulla creazione di veri e propri modelli funzionanti delle loro idee, mentre i neuroscienziati cognitivisti spesso si accontentano di descrivere a grandi linee forme di competenze e interazioni di livello superiore che devono essere implementate in qualsiasi modello di livello inferiore. Un analogo braccio di ferro è andato avanti per anni nell'informatica, tra i visionari dell'IA che non si curano di scrivere programmi veri, ma si accontentano di dimostrare fatti relativi alle specifiche per qualunque programma che realizzi questo o quel compito e, dall' altra parte, gli inflessibili e cinici ricercatori dalla mentalità ingegneristica che non si lasciano impressionare da nulla finché non vedono un programma che gira e funziona. Tutto il resto, dichiarano con sarcasmo, non è software: è vapourware. Il loro atteggiamento impaziente nei confronti dei colleghi più inclini alla speculazione è nulla in confronto all'ostilità che si può osservare tra neuroscienziati di diverso genere. Come mi disse una volta il direttore di un laboratorio (specializzato nei canali per il calcio degli assoni neuronali): "Nel nostro laboratorio abbiamo una massima. Se ti occupi di un neurone, è neuroscienza. Se ti occupi di due neuroni, è psicologia". E non era un complimento! Poiché le neuroscienze cognitive dominano l'attenzione dei media (tutti sono affascinati da nuove scoperte sulle illusioni visive, sulla memoria, sulla coscienza, sulla parola e sulla comprensione, ma non tutti si emozionano per le centinaia di neuromodulatori e per i loro recettori, per le interazioni tra astrociti e neuroni, o per ... i canali per il calcio), spesso gli atteggiamenti dei neuroscienziati computazionali nei confronti dei propri vicini delle neuroscienze cognitive sono influenzati da un alto livello di gelosia professionale.

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gettare le loro invenzioni ai livelli più alti con la certezza che da un compilatore (un programma che esamina le istruzioni di alto livello e le traduce in codice che può girare sull'hardware) emergerà un programma funzionante. Ora, però, abbiamo una prova concettuale importante: conosciamo almeno un modo per interpretare le competenze di alto livello di una macchina con migliaia di miliardi di parti mobili - senza invocare qualche tessuto miracoloso.

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26. ALGORITMI

In I:idea pericolosa di Darwin, ho presentato questo mqdo di riformulare la grande idea di Darwin (Dennett, 1995a, p. 62): La vita sulla Terra è stata generata nel corso di miliardi di anni da un qualche processo algoritmico, dando luogo a un unico albero dalle molte ramificazioni: l'albero della vita.

Che cos'è, esattamente, un algoritmo? Esistono vari significati contrastanti del termine e il mio è forse il più ampio. Quanto segue è tratto, con alcune modifiche, da quel mio altro libro. Darwin scoprì la potenza di un algoritmo. Per quel genere di processo formale che è un algoritmo, si ha la garanzia - logica che, quando lo si fa "girare", vale a dire funzionare, produce sempre un certo tipo di risultato. Non si tratta di qualcosa di nuovo né lo era ai tempi di Darwin. Molte procedure matematiche che ci sono familiari, come una divisione tra numeri di molte cifre o il calcolo del saldo del conto in banca, sono algoritmi, come pure le procedure decisionali per giocare bene a tris o per mettere in ordine alfabetico una lista di parole. Ciò che è relativamente nuovo - e che consente un'utile comprensione a posteriori della scoperta di Darwin - sono le riflessioni teoriche dei matematici e dei logici del xx secolo sulla natura e sulla potenza degli algoritmi in generale, uno sviluppo che ha portato alla nascita del computer, che a sua volta ha portato a un'interpretazione molto più profonda e vivida della potenza degli algoritmi in generale. Il termine algoritmo discende, attraverso il latino (algorismus) e l'inglese antico (algorism e in seguito, erroneamente, algorithm), da al-Khwarizmì, soprannome di al-Muhammad ibn Musa, un matematico persiano il cui libro sulle procedure matematiche, scritto nel IX secolo, fu tradotto in latino nell'xr 150

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secolo da Adelardo di Bath e Roberto di Chester. L'idea che un algoritmo sia una procedura infallibile e in qualche modo "automatica" è vecchia di secoli, ma fu il lavoro pionieristico di Alan Turing, Kurt Godel e Alonzo Church negli anni Trenta del secolo scorso a determinare all'incirca l'attuale interpretazione del termine. Tre sono le caratteristiche chiave importanti per noi e ciascuna è piuttosto difficile da definire. 1. Neutralità rispetto al substrato: la procedura per effettuare una divisione complicata funziona altrettanto bene con la matita o con la penna, sulla carta o sulla pergamena, con la luce al neon o con le scritte tracciate da un aereo in volo, usando qualunque sistema simbolico si desideri. La potenza della procedura è dovuta alla sua struttura logica, non ai poteri causali delle sostanze utilizzate nella realizzazione, a condizione che questi consentano di seguire fedelmente i passi prescritti. 2. Non vi è a fondamento la presenza di una mente: benché il processo complessivo della procedura possa essere geniale, o produrre risultati geniali, ogni passo costitutivo, come la transizione tra i passi, è semplicissimo. Quanto semplice? Quel tanto che lo renda eseguibile da parte di un imbecille obbediente, o di un meccanismo automatico diretto. Secondo l'analogia classica citata dai manuali, un algoritmo è una specie di ricetta, congegnata per essere seguita da cuochi principianti. In un libro di ricette per grandi chef si potrebbe trovare la frase "sobbollite il pesce in un vino adatto fino a cottura quasi ultimata", mentre un algoritmo per lo stesso processo potrebbe iniziare così: "Scegliete un vino bianco, assicurandovi che compaia la scritta 'secco' sull' etichetta; prendete un cavatappi e aprite la bottiglia; versate un dito di vino sul fondo di un tegame; accendete il fuoco sotto il tegame ... " - una noiosissima scomposizione del processo in passi semplicissimi che non richiedono decisioni giudiziose, valutazioni delicate o intuizioni da parte di chi legge la ricetta. 151

STRUMENTI PER PENSARE

3. I risultati sono garantiti: un algoritmo, se lo si esegue senza errori, arriva sempre al risultato che deve conseguire, quale che sia. Un algoritmo è una ricetta infallibile.

È facile capire perché queste caratteristiche abbiano reso possibile il computer. Tutti i programmi per computer sono algoritmi, composti in definitiva da passi semplicissimi che possono essere eseguiti con precisione mirabile da qualche semplice meccanismo. I circuiti elettronici sono la scelta usuale, ma la potenza dei computer non deve nulla (tranne la velocità) alle proprietà causali degli elettroni che guizzano nei chip di silicio. I medesimi algoritmi possono essere eseguiti anche più rapidamente da congegni che fanno viaggiare i fotoni in fibre di vetro o assai più lentamente da squadre di esseri umani attrezzati di carta e penna. Darwin in realtà non scoprì un algoritmo, ma piuttosto una grande classe di algoritmi che egli non aveva modo di distinguere in maniera netta.

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27. AUTOMATIZZARE L'ASCENSORE

Prima di abbandonare il nostro interludio sui computer, desidero presentare un altro gruppo di idee utili, sul codice sor-gente, i commenti e il codice oggetto, che hanno un'importante applicazione nella nostra ricerca mirata a comprendere come il significato possa dimorare nel cervello. Prima di affrontare un problema che fa vacillare la mente, in molti casi è sensato studiare nei dettagli un esempio semplicissimo, per acquisire padronanza dei concetti. (Nel settore dell'Intelligenza Artificiale, si parla di problemi giocattolo: prima si risolve il problema giocattolo e poi si affronta il problema difficile del mondo reale.) A tal scopo, prenderemo in esame una storia - inventata, per semplicità, tuttavia realistica - su come gli addetti umani agli ascensori furono sostituiti da chip. Quando ero giovane esistevano gli ascensoristi, il cui lavoro consisteva nell'andare su e giù per tutto il tempo in un ascensore, fermandosi ai piani giusti per far entrare e uscire i passeggeri. Nei primi tempi, gli ascensoristi manovravano uno strano manubrio che poteva essere girato in senso orario o antiorario per far salire o scendere l'ascensore e dovevano essere molto abili per farlo fermare all'altezza giusta. Spesso i passeggeri dovevano scendere o salire di qualche centimetro prima di entrare o uscire dalla cabina e gli ascensoristi non mancavano mai di metterli in guardia a questo proposito. Dovevano tenere conto di un gran numero di regole riguardo a che cosa dire e quando, e a quali piani andare per primi, a come aprire le porte e così via. Il loro addestramento consisteva nell'imparare a memoria queste regole e nel metterle in pratica: seguire le regole fino a farne una seconda natura. Le regole stesse erano state messe a punto nel corso degli anni in un processo di progettazione che aveva comportato una gran quantità di lievi modifiche e migliorie. Supponiamo che questo processo si fosse più o me153

STRUMENTI PER PENSARE

no concluso, lasciando come prodotto un regolamento ideale. Funzionava a meraviglia. Chiunque seguisse le regole in modo preciso era un eccellente ascensorista. Immaginiamo ora che cosa accadde quando divenne possibile trasferire a un semplice programma per computer tutti i compiti di controllo dell'ascensorista. (In realtà, la sostituzione avvenne per gradi, con l'introduzione di vari congegni meccanici automatici per liberare l'ascensorista dai compiti più impegnativi, ma per semplicità immagineremo che il passaggio dagli operatori umani ai sistemi totalmente automatici sia avvenuto in un solo passo.) Il produttore di ascensori, supponiamo, chiama una squadra di ingegneri del software - programmatori- e mostra loro il regolamento seguito dagli ascensoristi: "Questa è una descrizione dettagliata delle prestazioni desiderate; scrivete un programma che segue tutte queste regole come fa il miglior operatore umano e saremo soddisfatti". I programmatori esaminano l'insieme di regole e compilano un elenco di tutte le azioni che devono essere eseguite, con le condizioni in cui sono prescritte o proibite. Nel corso del processo possono eliminare le eventuali regole superflue. Per esempio, se incorporano nell'impianto dei sensori che garantiscono che l'ascensore si fermi sempre proprio all'altezza giusta, possono eliminare il loop che impone all'ascensorista di dire: "Attenzione, scalino da salire" o "Attenzione, scalino da scendere", scegliendo poi se inserire un messaggio vocale registrato che annuncia: "Attenzione, [N]esimo piano". Al passo successivo, i programmatori scrivono un abbozzo del programma nel cosiddetto pseudocodice, una specie di linguaggio ibrido che sta a metà strada tra il linguaggio ordinario e il sistema più impegnativo del codice sorgente. Una riga di pseudocodice può avere più o meno questo aspetto: "if pianorichiesto > pianocorrente, then SALI unti! pianorichiesto = pianocorrente and FERMATI; APRIPORTA; ASPETTA ... ". Quando il piano scritto in pseudocodice è chiaro, e sembra corrispondere alle richieste, lo pseudocodice può essere tradotto in codice sorgente, che è un sistema di operazioni molto più rigoroso e strutturato, che comprende le definizioni

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

dei termini - variabili, subroutine e così via. Gli esseri umani possono comunque decifrare il codice sorgente piuttosto facilmente - dopotutto, sono loro a scriverlo - pertanto le regole e i termini del regolamento vi sono rappresentati in modo abbastanza esplicito, se si sa dove andare a cercarli. La ricerca·~ facilitata da due caratteristiche: la prima è che i nomi delle variabili e delle operazioni di solito vengono scelti in modo che il loro significato sia evidente (pianorichiesto, sommatoriapesi, INDICAPIANO ecc.) e la seconda è che, come abbiamo visto nel capitolo 24, i programmatori possono aggiungere commenti al codice sorgente, spiegazioni parentetiche che indicano ad altri lettori umani del codice sorgente che cosa aveva in mente il programmatore e che cosa dovrebbero fare le varie parti. Quando si scrive un programma, è buona norma aggiungere commenti via via che si procede, poiché non è difficile dimenticare che cosa si era pensato che facesse quella riga di codice. Quando si passa a correggere gli errori di programmazione, i commenti si rivelano molto utili. Il codice sorgente deve essere composto con cura secondo una sintassi rigorosa, mett~ndo ogni elemento al posto giusto e ogni segno di punteggiatura nell'ordine giusto, poiché deve essere inserito in un programma compilatore, che prende il codice sorgente e lo traduce nelle sequenze di operazioni fondamentali (nel codice oggetto) che la macchina reale (o virtuale) può eseguire. Non si può chiedere a un compilatore di indovinare che cosa intende un programmatore con una riga di codice sorgente; il codice sorgente deve indicare con precisione al compilatore quali operazioni eseguire- ma il programma compilatore può disporre di molti modi diversi per svolgere questi compiti e sarà in grado di scegliere quello più efficiente date le circostanze. Alcuni compilatori sono migliori di altri; se si inserisce lo stesso programma (scritto in codice sorgente) in due compilatori diversi, il codice oggetto prodotto da uno può girare in un tempo significativamente minore rispfttO al codice oggetto prodotto dall'altro, per esempio. Immaginate di scrivere un programma che gioca a scacchi e di inserire il suo codice sorgente in due compilatori diversi. A quel punto, fate giocare

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l'una contro l'altra su un computer le due versioni compilate. Benché le due versioni "pensino tutti gli stessi pensieri nello stesso ordine" (sono tenute a farlo, poiché hanno esattamente lo stesso codice sorgente), può darsi che una batta sempre l' altra semplicemente perché pensa quei pensieri più velocemente, usando meno cicli macchina fondamentali, e quindi può valutare più mosse nel tempo a disposizione! Torniamo al nostro ascensore. Una volta che il compilatore ha compilato il codice oggetto, questo può essere eseguito (è un file eseguibile e di solito il suo nome ha il suffisso ".exe") dalla macchina (virtuale). Può darsi che siano necessari diversi cicli di correzione degli errori (debugging) del programma (si riesamina il codice sorgente, lo si modifica e poi lo si ricompila ecc.), ma alla fine si ottiene un prodotto "finito", che può essere memorizzato nella ROM in un minuscolo chip che contiene una macchina universale - e un numero qualsiasi di macchine virtuali costruite l'una sull'altra - e installato nell'ascensore. Per installarlo è necessario farvi arrivare i segnali provenienti dai trasduttori, come i pulsanti all'interno della cabina, dalla bilancia che misura il peso totale dei passeggeri e da altre parti, e collegare le uscite agli effettori (per azionare i motori che aprono e chiudono la porta, e fanno scendere e salire la cabina, per aggiornare le informazioni visualizzate e per far partire i messaggi registrati). Et voilà! Una macchina ha sostituito un essere umano in carne e ossa - non un ipotetico homunculus. E la macchina segue le medesime regole dell'addetto umano. È così? Davvero? D'accordo, non è così. La macchina sorta segue le medesime regole. È un interessante caso intermedio tra un essere umano che impara a memoria - e quindi rappresenta davvero nella sua mente, e consulta - le regole che stabiliscono il suo comportamento e i pianeti, le cui orbite sono elegantemente descritte da equazioni a cui i pianeti "obbediscono". Anche tutti noi spesso occupiamo un livello intermedio, quando abbiamo interiorizzato mediante la pratica un insieme di regole esplicite che poi possiamo abbandonare e persino dimenticare (come le regole di pronuncia che impariamo nei primi anni di scuola). È anche possibile sorta seguire regole che non sono an-

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UN INTERLUDIO SUI COMPUTER

cora state messe in forma esplicita e priva di errori: un esempio è dato dalle regole della grammatica inglese, che continuano a costituire una sfida per i linguisti. Per usare i termini di questo esempio, i linguisti continuano a dibattersi nel tentativo di scrivere l'insieme di regole per parlare un buon inglese, mentre ogni bambino di dieci anni di madrelingua inglese in qualche modo ha perfezionato e installato una discreta versione del codice oggetto per la macchina virtuale inglese! 6 Prima di abbandonare questo esempio, notate che i commenti inseriti nel codice sorgente per aiutare i programmatori a tenere traccia degli scopi di tutte le parti di software interagenti non hanno equivalenti nel processo di progettazione che crea tutto l'hardware, il firmware e il software che caratterizzano il nostro cervello. Quando la selezione naturale installa nel cervello varie strutture funzionali, è come un codice privo di commenti - è lì per una ragione, ma la ragione non è rappresentata nella struttura da un'etichetta o da una spiegazione, che il cervello in ogni caso non potrebbe capire. (L'argomento sarà discusso più nei dettagli nel capitolo 40.) Anche le ragioni delle modifiche che seguono lo sviluppo e l'apprendimento non sono accompagnate da commenti. Noi, come i linguisti, stiamo ancora lottando per applicare l'ingegneria inversa a tutte queste "regole" e "procedure". È un compito ancora più difficile rispetto all'applicazione dell'ingegneria inversa al codice oggetto per recuperare il codice sorgente (esclusi i commenti), ma in linea di principio è possibile.

6. Per il mio collega Ray Jackendoff (1993) questo è il paradosso dell'apprendimento del linguaggio: i bambini in qualche modo assimilano senza difficoltà, e seguono, regole grammaticali che i linguisti non hanno ancora capito come esprimere.

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SOMMARIO

Per secoli abbiamo avuto una grande abbondanza di evidenze del fatto che il cervello è in qualche modo la sede dell'anima, ma fino alla metà del Novecento sarebbe stato quasi impossibile immaginare come ciò potesse essere vero. Era possibile osservare che il cervello è composto di molti organi diversi, dalle forme curiose, spesso in coppie, con un elemento a destra e uno a sinistra, battezzati in modo realistico dai primi anatomisti -ippocampo, amigdala (mandorla), corteccia- ma che diavolo facevano quelle parti? Non digerivano il cibo e non purificavano il sangue, giusto? Forse il cervello era semplicemente un organo per raffreddare il sangue, una specie di radiatore, come pensava Aristotele? Le parti erano collegate da fibre nervose, quindi forse comunicavano in qualche modo. Cartesio avanzò l'ipotesi che alcune fibre nervose fossero simili a cordoni di campanelli-tirando a un'estremità, succede qualcosa ali' estremità opposta, ma che cosa, esattamente? Un campanello che suona non sembra aiutare a comprendere la relazione tra mente e cervello, ma nessuno aveva un'idea migliore.7 Poi arrivò Turing che, sviluppando una tradizione che risaliva a Babbage, Pascal, Leibniz e altri, ipotizzò che il cervello potesse essere composto da parti che in ultima analisi erano semplicemente meccaniche (come una trappola per topi, un campanello, una serratura e una chiave, una sinapsi), ma che, 7. In realtà, la grande immaginazione di Cartesio lo portò quanto meno ad avvicinarsi a qualche idea eccellente: immaginò che questi fili, tirati, potessero aprire minuscoli cancelli, o pori, rilascianti flussi di "spiriti animali" (fluido cerebrospinale) in grado di svolgere qualche tipo di lavoro idraulico; niente male come descrizione sommaria di un amplificatore! Grazie a un'intuizione ancora più notevole, capl che quanto meno un po' di lavoro intelligente (adatto, appropriato) avrebbe potuto essere effettuato in maniera completamente automatica da un tale meccanismo: un riflesso automatico. In un suo esempio famoso il calore mette in tensione il minuscolo filo e l'individuo allontana bruscamente il piede dal fuoco: tutto avviene grazie a un meccanismo cerebrale, non è richiesta la mente!

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se fossero state organizzate in modo da interagire in modi ingegnosi, avrebbero potuto realmente essere capaci di fare qualcosa di intelligente senza l'intervento umano, e senza la guida di qualche "fantasma nella macchina". Avrebbero potuto eseguire calcoli. Prima che Turing concepisse questa idea, la parola computer indicava una professione: l'industria e il governo assumevano migliaia di persone come computer, per calcolare vari tipi di tabelle numeriche che venivano usate nel commercio, nella navigazione, nell'artiglieria, nelle attività bancarie. Forse, suppose Turing, il cervello stesso è come un computer (umano); forse elabora le informazioni seguendo pedissequamente enormi elenchi di istruzioni semplicissime (come Inc e Deb). Appena i primi teorici della scienza cognitiva, Alan Turing e John von Neumann, il creatore della cibernetica Norbert Wiener, e il creatore della teoria dell'informazione Claude Shannon, insieme a molti altri, svilupparono l'idea, poteva persino sembrare evidente che fosse giusta - com'era possibile che non l' avessimo mai capito? Era chiaro che il cervello deve assimilare le informazioni provenienti dagli organi sensoriali ed elaborarle, facendo in qualche modo dei calcoli, fino a' quando non ne ha estratto il minerale prezioso del significato, che poi, dopo altri calcoli, può classificare e memorizzare per poterlo usare in seguito al fine di guidare il comportamento del corpo, che gli fornisce l'energia e un contenitore protettivo. L'innovaz_ione fondamentale della visione di Turing era l'eliminazione di un elemento imbarazzante fin troppo evidente nelle precedenti fantasie di elaborazione dell'informazione: le connessioni che richiedevano un impiegato, un traduttore o un bibliotecario, in breve un agente di qualche tipo capace di comprendere per valutare il significato dei segnali. Turing capì che in un certo senso era qualcosa di inevitabile: un processo intelligente avrebbe sempre avuto bisogno di scegliere tra diverse linee d'azione sulla base della discriminazione di qualche differenza nel segnale. Però si poteva ridurre questa comprensione al minimo indispensabile: il salto condizionato, il processo grazie al quale un congegno privo di mente decide (sorta decide) di andare a sinistra e non a destra perché percepisce (sorta percepisce) 1 e

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non O, A e non B, x e non y. Questo, e le operazioni aritmetiche, era tutto ciò che occorreva. Con questi mezzi, si potevano costruire congegni capaci di qualsiasi livello di discernimento impilando una sull'altra una serie di macchine virtuali - detto in termini anacrdnistici. È stata una visione allettante per più di cinquant'anni, ma i suoi dettagli, come abbiamo già iniziato a vedere, non si stanno chiarendo più di tanto. Se il cervello è un computer, non somiglia granché ai computer che usiamo tutti i giorni. Dobbiamo tenere presenti le caratteristiche fondamentali dei computer per poter riuscire a considerare alternative biologicamente più realistiche delle architetture concrete che compaiono nei nostri stereotipi. L'obiettivo di questo interludio era chiarire tale visione, aggiungendo una minima quantità di dettagli, per permettervi di usarla come strumento per pensare, come protesi dell'immaginazione che vi renderà più facile comprendere le questioni che stiamo per affrontare: in primo luogo qualcosa di più su come i significati possano dimorare nel cervello (e in altre macchine) e poi su come queste architetture intelligenti possano essere state create dall'evoluzione senza l'assistenza di un Maestro Programmatore, di un Progettista Intelligente. A quel punto sarete in condizione di usare gli strumenti che avete acquisito per riflettere in maniera proficua sulla coscienza e sul libero arbitrio, i due argomenti più insidiosi che io conosca.

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ALTRI STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO

28. QUALCOSA DI PERSONALE CONTRO I ROSSI

Abbiamo già incontrato alcuni problemi insiti nell'idea altrimenti allettante che tutte le informazioni che abbiamo nel cervello - credenze, percezioni, ricordi, linee di condotta e così via - siano suddivise in frammenti simili a frasi che sono archiviati e pronti a essere risvegliati. La scrittura del cervello non può semplicemente installare una falsa credenza e più persone possono avere una stessa credenza (riguardo a quell' omicidio di Londra, per esempio) apparentemente senza avere in comune anche una formula in cervellese. Ma che cos'altro potrebbe memorizzare informazioni nel cervello? Noi esseri umani possiamo imparare le cose "un poco alla volta", quindi deve esistere un modo per aggiungere fatti indipendenti più o meno uno alla volta. Spesso gli economisti (e altri) fanno notare che non si può fare soltanto una cosa. Fare "una cosa" provoca sempre qualche conseguenza. Analogamente, è dubbia anche l'idea di poter imparare una singola cosa. In prima approssimazione, però, è possibile. Come avete letto in un capitolo precedente, esiste un mammifero che si chiama pudu. A meno che non vi siate presi la briga di controllare questo fatto, probabilmente dei pudu potete dire soltanto che allattano i piccoli, hanno una spina dorsale e sono relativamente rari (altrimenti, ne avreste certamente sentito parlare). Come avete imparato che esistono i pudu non è un mistero: avete letto un enunciato e l'avete preso per vero. Ma gli animali e i bambini che ancora non parlano possono imparare un unico fatto (come quello che si può esprimere con un semplice enunciato) da un'esperienza interessante? L'idea che la conoscenza, la credenza o l' apprendimento debbano essere scomponibili in pezzi grandi come un enunciato probabilmente è un'illusione generata dall'antropomorfismo. Noi esseri umani sentiamo dire e leggiamo una 163

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gran quantità di enunciati dichiarativi nel corso di una giornata e in tal modo veniamo a conoscenza di fatti di ogni genere (e crediamo a qualche falsità). Alcuni li conserviamo in archivi e biblioteche, altri solo nel nostro cervello. È raro che impariamo a memoria gli enunciati veri e propri, ma quando immagazziniamo l'essenza di un'asserzione letta o ascoltata, deve trattarsi- no? - di qualcosa di simile a un enunciato, una formulain cervellese. Se non è vero, quali sono le alternative? Supponiamo che Pat dica che Mike ha "qualcosa di personale contro i rossi". Con ciò Pat intende, pressappoco, che Mike ha in mente uno stereotipo dei rossi piuttosto spregiativo che influenza le sue aspettative riguardo ai rossi e le sue interazioni con loro. Non è semplicemente che è prevenuto nei loro confronti: Mike è mosso da qualcosa di molto personale e particolare. Pat potrebbe avere ragione - più di quanto creda! Potrebbe risultare, infatti, che Mike ha qualcosa nel cervello, non un'idea, un pensiero, una credenza, un'immagine o qualsiasi altro elemento tradizionale della nostra esperienza cosciente, ma un meccanismo cognitivo subpersonale, che si riferisce ai rossi nel senso che entra sistematicamente in azione ogni volta che I' argomento sono le persone o una persona con i capelli rossi e modifica vari parametri dell'apparato cognitivo di Mike, rendendo meno probabile che egli formuli, o confermi, ipotesi lusinghiere sui rossi, spingendolo verso un comportamento relativamente aggressivo nei loro confronti più di quanto accadrebbe altrimenti. E così via. Questo qualcosa di personale contro i rossi può avere un funzionamento molto complesso, oppure semplicissimo. Il suo ruolo potrebbe essere perfettamente determinato e anche innegabilmente significativo, e tuttavia nessuna espressione di questo significato nella forma di un enunciato-creduto-vero potrebbe essere nulla di più di un'etichetta mnemonica. In altre parole, potrebbe essere impossibile descrivere il ruolo di questo qualcosa come la credenza, estremamente specifica o estremamente vaga, che tutti i rossi sono F. .. (in cui al posto di F inseriamo qualunque contenuto sembri descrivere meglio l'atteggiamento di Mike). Mike ha certamente un atteggiamento nei confronti dei rossi, ma non è un 164

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atteggiamento proposizionale particolare, per usare il gergo filosofico. In altre parole, è impossibile da esprimere nella forma Mike crede che: per ogni x, sex ha i capelli rossi, allora ... , anche facendo un uso esagerato e contorto di clausolè di esclusione, qualificatori, operatori probabilistici e altri modificatori espliciti del contenuto. I filosofi (e altri teorici) hanno cercato spesso di "ridurre" tutti gli stati cognitivi a stati contenenti informazioni - chiamiamoli credenze e desideri - che sono esprimibili con tali formule, ma anche se è una tattica eccellente per ottenere una descrizione sommaria della psicologia di una persona (è l'atteggiamento intenzionale, in effetti), l'idea di renderla ultraprecisa è irrealizzabile. Possiamo dire, se vogliamo, che nel sistema sono implicite varie credenze, il che significa che il sistema è progettato (al momento) per funzionare "sulla base dell'assunto" che i rossi di tutto il mondo hanno certe caratteristiche. Quando i programmatori inseriscono un commento nel codice sorgente, indicante che il sistema si basa su un insieme definito di assunti, ne sanno abbastanza per non dedicare sforzi al tentativo di rendere precise le proposizioni, sapendo che sono etichette mnemoniche per noi osservatori, non qualcosa che il computer debba sorta leggere e sorta capire, e anche per noi osservatori i commenti non sono specificazioni del contenuto che possano essere usate così come un chimico usa le formule per descrivere le molecole. Interpretare in base all'atteggiamento intenzionale qualche struttura cerebrale subpersonale è come inserire un commento ad alcune righe di codice; se lo si fa bene, si produce un'etichetta chiarificante, non una traduzione in un linguaggio naturale di qualche formula in cervellese che il cervello usa per l'elaborazione delle informazioni. Facendosi sfuggire questo punto, alcuni filosofi hanno creato mondi immaginari di meccanismi interni di manipolazione di enunciati, in cui si figurano che vi sia una grande differenza se il contenuto di un particolare evento cerebrale è espresso da un predicato disgiuntivo (Vedo un bambino o una bambina) oppure da un predicato privo di una struttura logica (Vedo un bambino), per esempio. 165

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A che cosa serve questa pompa dell'intuizione? È semplicemente un tentativo di insinuare che il ben noto ritornello a favore del linguaggio del pensiero - "Che cos'altro potrebbe essere?" - potrebbe avere una buona risposta, forse in grado di far abbassare la cresta a chi lo giudica ovvio. Vorrei poter offrire un'ambiziosa architéttura computazionale che dimostrasse trionfalmente di essere un'alternativa funzionante, ma non posso. Nessuno può farlo per il momento, e del resto quasi nessuno ci prova, poiché è ancora molto diffusa la convinzione che il linguaggio del pensiero sia "l'unica cosa a cui attaccarsi", come disse qualcuno molti anni or sono. Tenete a mente che anche nella scienza cognitiva nessuno ha sviluppato un modello funzionante del linguaggio del pensiero né ha fatto grandi sforzi per riuscirci. È un problema difficile, molto difficile. 1 Vorrei incoraggiare il lettore a non avere preconcetti al riguardo.

1. Una digressione per gli esperti: cvc (Lenat, Guha, 1990) è senza dubbio il più notevole sistema di Intelligenza Artifìciale che implementi qualcosa di simile a un linguaggio del pensiero, un grande database ("encvclopedic") in gran parte codificato manualmente e controllato da un motore inferenziale. cvc viene sviluppato da più di venticinque anni, da molte persone, e ha raggiunto le sue capacità grazie a un progetto brutalmente non biologico e non psicologico. (Si veda leccellente voce di Wikipedia al riguardo.) Il qualcosa di personale di Mike contro i rossi quasi certamente non è una microteoria assiomatizzata sui rossi formulata in cervellese e incorporata in un grande database simile a cvc. Non sappiamo ancora quanto possa fare una schiera di questo genere di "cose che si riferiscono ad altre cose", perché non le abbiamo ancora studiate direttamente, tranne in alcuni modelli molto semplici - come le architetture a sussunzione dei robot insettoidi di Rodney Brooks e della sua équipe (Brooks, 1987). L'interesse teorico per il progetto Cog di Brooks - un robot umanoide (si veda Dennett, 1994b) - è motivato principalmente dal fatto che ha spinto questi modelli for- "' temente non proposizionali di strutture piene di contenuto in un territorio che può essere identifìcato con la psicologia umana.

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29. IL TWO-BITSER ERRANTE, LA TERRA GEMELLA E IL ROBOT GIGANTESCO

Avendo citato nello stesso capoverso il qualcosa di personale di Mike contro i rossi e il codice sorgente, potrebbe sembrare che intenda incoraggiare il lettore a ignorare una crepa nelle fondamenta, un abisso spalancato nel bel mezzo della mia discussione dell'intenzionalità: il problema dell'intenzionalità originaria. L'espressione fu coniata daJohn Searle (1980) e la sua netta distinzione tra intenzionalità originaria e derivata a prima vista è intuitivamente soddisfacente e anche profondamente convincente. Secondo la dottrina dell'intenzionalità originaria, mentre alcuni dei nostri artefatti potrebbero avere un tipo di intenzionalità derivata da noi - i libri e i film, i computer e i segnali stradali, per esempio - noi abbiamo un'intenzionalità originaria (o intrinseca), assolutamente non derivata. Per esempio, le parole stampate su questa pagina si riferiscono alla filosofia soltanto perché noi lettori e scrittori abbiamo pensieri e credenze sulla filosofi.a che riusciamo a trasmettere usando questi tratti d'inchiostro, che non si riferirebbero ad alcunché senza di noi, utilizzatori di parole. I nostri pensieri e le nostre credenze, per contro, hanno il significato che hanno indipendentemente da ogni altro eventuale utilizzatore; essi manifestano un'intenzionalità originaria e in definitiva sono la fonte di tutta l'intenzionalità derivata di molti nostri artefatti. Questi comprendono non solo le parole, le frasi e i libri, ma anche le carte geografiche, i film, i quadri, i segni, i simboli, i diagrammi, altre rappresentazioni tecniche e, importantissimi, i computer. Una lista della spesa su un pezzo di carta e una lista della spesa su un iPhone si riferiscono al supermarket soltanto in virtù dell'uso che fate di queste strutture simboliche, dell'interpretazione che ne date, per soddisfare il vostro desiderio di comprare generi alimentari e la vostra credenza che il supermarket sia il luogo giusto dove andare, i quali riguardano 167

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i generi alimentari in maniera più diretta e originaria. Per Aristotele Dio è il Motore Immobile e questa dottrina annuncia che noi siamo la Sorgente Ultima di Significato. Possiamo tutti convenire con Searle che nulla ha un'intenzionalità intrinseca soltanto in virtù della propria forma fisica o di qualche altra proprietà simile. Se, per una coincidenza cosmica, comparisse la forma BIRRA GRATIS

nelle tracce di minerali diversi su una scarpata rocciosa di Marte, non sarebbe ("di per sé") un annuncio riguardante una bevanda alcolica, anche se qualche lettore terrestre la interpreterebbe entusiasticamente in quel modo. La forma non si riferirebbe ad alcunché, malgrado l'apparenza. Se alcuni eventi e oggetti complicati del mondo si riferiscono ad altre cose, devono in qualche modo derivare questa proprietà, l'aboutness, dal fatto di essere al servizio della rappresentazione, dell'interpretazione di sistemi intenzionali i cui stati (credenze, desideri, stati cerebrali) in qualche modo hanno già intenzionalità. Il problema quindi è se esista qualcosa che possiede intenzionalità originaria! A prima vista può sembrare evidente che qualcosa debba avere un'intenzionalità originaria, poiché quella derivata deve appunto derivare da qualcosa. E ovviamente la candidata sarebbe la mente umana. Non sorprende, quindi, che alcuni filosofi eminenti che per il resto sono in netto disaccordo con Searle su molte questioni - per esempio, Jerry Fodor e Saul Kripke- convengano con lui su questo punto. Come molti altri che sono della stessa opinione, pensano che la mente umana (o i suoi stati mentali) abbia un'intenzionalità originaria e sia radicalmente diversa dal sistema di controllo di un robot da questo punto di vista. Si sbagliano tutti di grosso. Sì, si sbagliano. Dico sul serio. Dato l'innegabile fascino della distinzione tra intenzionalità originaria e derivata, qualsiasi tentativo di metterla in dubbio corre il rischio di essere mandato a monte da un atto di carità fuori luogo: "Non è possibile che dica seriamente che ci sbagliamo su questo! Deve intendere qualcos'altro, qualche tesi 168

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filosofica esoterica che con poco buon senso ha camuffato con queste vesti ridicolmente provocatorie! ". Il modo migliore per convincere tutti che dico sul serio probabilmente consiste nel presentare il caso di intenzionalità derivata più netto e chiaro che possa trovare, per poi mostrare che l'amato contrasto tra quel caso e la mente umana come caso di intenzionalità originaria svanisce a un esame più accurato. È un compito assai diffìcile, ma voglio tentare. Per riuscire nell'impresa mi occorrono tre pompe dell'intuizione collegate. 1. Il two-bitser errante. Si consideri un normale distributore automatico di bevande, progettato e costruito negli Stati Uniti e dotato di un trasduttore per accettare o rifiutare quarti di dollaro; chiamiamo questo dispositivo two-bitser. 2 Normalmente il two-bitser, quando vi si inserisce un quarto di dollaro, entra in uno stato, chiamiamolo Q, che "significa" (notate le virgolette, lo stato Q sorta significa): "Ora percepisco/accetto un autentico quarto di dollaro americano". I two-bitser sono piuttosto capaci e raffinati, ma certamente non infallibili: a volte "commettono errori". In altre parole, fuor di metafora, qualche volta entrano nello stato Q quando si inserisce un gettone o qualche altro oggetto diverso da un quarto di dollaro, e a volte rifiutano monete perfettamente legali, ovvero non riescono ad andare nello stato Q quando dovrebbero. È senz'altro possibile discernere alcune regolarità in questi casi di "percezione erronea". E senza dubbio quanto meno alcuni dei casi di "errore di identificazione" potrebbero essere previsti da qualcuno dotato di una sufficiente conoscenza delle leggi fisiche pertinenti e dei parametri progettuali del meccanismo trasduttore del two-bitser. Da varie applicazioni delle leggi della fisica potrebbe discendere direttamente che non solo i quarti di dollaro, ma anche gli oggetti del genere K provocano lo stato Q, a diffe2. Probabilmente quando creai questa pompa dell'intuizione non avrei dovuto usare questo termine obsoleto dello slang per il dispositivo che riconosce quarti di dollaro (two-bits), però l'ho fatto, e da allora il termine ha avuto una discreta diffusione, quindi non è più il caso di cambiare. L'origine oscura del termine two-bits per il quarto di dollaro americano ci riporta ai "pezzi da otto" reali, ai dobloni e ad altre vestigia dei tempi dei pirati.

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renza degli oggetti del genere} (troppo pesanti) e di quelli del genere L (magnetici, diversamente dai quarti di dollaro). Gli oggetti del genere K, quindi, sarebbero ottimi gettoni, poiché "ingannano" sempre il trasduttore. (Notate l'uso dell'operatore sorta in questo capoverso, in modo che io possa utilizzare l'atteggiamento intenzionale quando vi do le specifiche di progetto del two-bitser. Cercate di riscrivere il capoverso senza usare l'atteggiamento intenzionale e vi renderete conto di quanto sia efficiente e di come l'operatore sorta possa essere quasi indispensabile per questi scopi.) Se gli oggetti del genere K diventassero più comuni nell' ambiente normale del two-bitser, ci si aspetterebbe che i proprietari e i progettisti di two-bitser elaborassero trasduttori più raffinati e sensibili capaci di discriminare con certezza tra gli autentici quarti di dollaro americani e i gettoni di genere K. Naturalmente, a quel punto potrebbero comparire contraffazioni più astute, che richiederebbero ulteriori progressi nei trasduttori utilizzati per il riconoscimento delle monete. Con questa escalation ingegneristica a un certo punto si otterrebbero guadagni minori, poiché non esistono meccanismi infallibili. Nel frattempo, gli ingegneri e gli utenti fanno bene ad accontentarsi dei rudimentali two-bitser standard, dato che proteggersi da abusi insignificanti non è sensato dal punto di vista dei costi. L'unica cosa che fa sì che il dispositivo riconosca i quarti di dollaro e non i gettoni oppure i-quarti-di-dollaro-o-i-gettoni è l'intenzione comune ai progettisti, ai costruttori, ai proprietari e agli utenti dell'artefatto. È soltanto nell'ambiente o contesto di queste persone e delle loro intenzioni che possiamo identificare alcune delle realizzazioni dello stato Q come "veritiere" e altre come "errate". È soltanto in relazione a tale contesto di intenzioni che si può giustificare il fatto stesso di chiamare twobitser il dispositivo. Mi immagino che finora Searle, Fodor, Kripke e altri abbiano annuito in segno di approvazione: con questi artefatti le cose stanno proprio così, si tratta di un esempio da manuale di intenzionalità derivata, nuda e cruda. Pertanto, non imbarazza nessuno riconoscere che si potrebbe installare un particola170

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re two-bitser, giunto direttamente dalla fabbrica americana e recante l'etichetta "Two-bitser Modello A", su un distributore di bibite di Panama, dove inizierebbe a fare il suo dovere accettando e rifiutando quarti di balboa, la valuta legale di Panama, facilmente distinguibili dai quarti di dollaro (da parte degli ~sseri umani) per il disegno e le scritte, ma non per il peso, lo spessore, il diametro o la composizione materiale. Non me lo sto inventando. Sono venuto a sapere da fonte autorevole - Albert Erler del Flying Eagle Shoppe (monete rare) - che i distributori automatici normali non distinguono i quarti di dollaro americani dai quarti di balboa panamense emessi tra il 1966 e il 1984. La cosa non stupisce più di tanto, poiché furono coniati utilizzando le riserve di quarti di dollaro delle zecche americane. Inoltre - per soddisfare i curiosi, sebbene sia del tutto irrilevante per l'esempio - al tasso di cambio attuale (2011) una balboa vale 0,98 dollari, quindi un quarto di balboa oggi vale appena leggermente meno di un quarto di dollaro. Il nostro two-bitser, una volta installato a Panama, continuerebbe normalmente ad andare in un certo stato fisico - lo stato dotato delle caratteristiche fisiche con cui identificavamo lo stato Q - ogni volta che vi si inserisce un quarto di dollaro o un oggetto del genere K o un quarto di balboa panamense, ma ora contano tome errori stati diversi. Nel nuovo ambiente i quarti di dollaro equivalgono ai gettoni, come gli oggetti del genere K, poiché inducono all'errore, alla percezione erronea, alla rappresentazione sbagliata. Dopotutto, se si ritorna negli Stati Uniti un quarto di balboa è un gettone. Una volta che il two-bitser è stato trasferito a Panama, dovremmo dire che lo stato che chiamavamo Q continua a realizzarsi? Lo stato fisico in cui il dispositivo "accetta" le monete continua a realizzarsi, ma forse ora dovremmo dire che va identificato come "realizzazione" di un nuovo stato, da chiamare QB? Ebbene, siamo molto liberi riguardo a ciò che dovremmo dire, poiché dopotutto un two-bitser è soltanto un artefatto e parlare delle sue percezioni giuste e sbagliate, dei suoi stati "veritieri" ed "errati" - della sua intenzionalità, in breve- è "sol171

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tanto una metafora". Lo stato interno del two-bitser (chiamatelo come preferite), in realtà (in origine, intrinsecamente), non significa né "Ora c'è un quarto di dollaro americano" né "Ora c'è un quarto di balboa panamense". In realtà non significa alcunché- ecco cosa sosterrebbero Searle, F odor e Kripke (inter alia). Il suo stato interno significa qualcosa soltanto nel senso che sorta significa qualcosa, ma ciò è sufficiente per sollevare alcuni problemi che si possono presentare anche per noi che possediamo un'intenzionalità originaria. Esaminiamo i dettagli. In origine, il two-bitser era stato progettato per riconoscere i quarti di dollaro americano. Questa era la sua "funzione propria" (Millikan, 1984) e, in maniera del tutto letterale, la sua raison d'etre. Nessuno si sarebbe preso l'incomodo di idearne uno se non avesse avuto in mente questo obiettivo. Inoltre, dato che questo fatto storico riguardo alla sua origine autorizza un certo modo di parlare, tale dispositivo può essere descritto primariamente o correttamente come un two-bitser, un oggetto che ha la funzione di riconoscere quarti di dollaro, e così relativamente a quella funzione si possono identificare sia gli stati veritieri (quando riconosce gli oggetti) sia gli errori. Questo non impedirebbe a un two-bitser di essere strappato dalla sua nicchia originaria e sfruttato per un nuovo scopo - qualunque scopo a cui, in base alle leggi della fisica, potrebbe servire: per riconoscere gli oggetti di genere K o i quarti di balboa, oppure come fermaporta o come arma letale. Nel nuovo ruolo, si potrebbe avere un breve periodo di confusione o indeterminatezza. Quante esperienze deve accumulare una cosa per non essere più un two-bitser, bensì un riconoscitore di quarti di balboa - oppure un fermaporta o un'arma letale? 3 Al suo debutto come riconoscitore di quarti di balboa, dopo dieci anni di onorato servizio come two-bitser, il suo stato Q è 3. Un ferro da stiro - come quello che usava una delle vostre nonne - è un ottimo fermaporte. Se ne cercate uno nei negozi di antiquariato e nei siti web di oggetti da collezione, assicuratevi di comprarne uno autentico, non una copia: certe volte sono soltanto fermaporte di ferro a forma di ferro da stiro antico. Tra cent'anni qualcuno potrebbe produrre curiosi fermaporte a forma di two-bitser: "i dispositivi che usavano i nostri bisnonni quando erano ancora in circolazione le monete".

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già un riconoscimento veritiero di un quarto di balboa, oppure può esistere una specie di errore dovuto alla "forza dell'abitudine" o una nostalgia, un'errata classificazione di un quarto di balboa come quarto di dollaro? Come si è visto, il two-bitser è incredibilmente diverso da noi, poiché non ha memoria delle esperienze passate - o meglio sorta memoria delle sorta esperienze passate. Ma è una mancanza a cui si potrebbe rimediare facilmente, se lo si ritenesse determinante. Per cominciare dalla considerazione più semplice, supponiamo che il two-bitser (per indicarlo con il suo nome di battesimo) sia dotato di un contatore, che dopo dieci anni di servizio segna il numero 1.435.792. Supponiamo che nessuno abbia azzerato il contatore durante il volo per Panama e quindi che al suo debutto laggiù passi a segnare 1.435.793. Questo fa pendere la bilancia in favore della tesi che non è ancora passato al compito di identificare i quarti di balboa? (Dopotutto, sorta sbaglia classificando l'evento come l'ennesimo evento q - riconoscimento di quarti di dollaro americano- che è stato progettato per riconoscere.) Aggiungendo complicazioni e variazioni del tema, le vostre intuizioni verrebbero spinte in direzioni diverse? (Girate tutte le manopole di questa pompa dell'intuizione per vedere che cosa succede alle vostre intuizioni.) Possiamo essere certi che non vi è nulla di intrinseco nel twobitser considerato rigorosamente di per sé e in modo indipendente dalla sua storia passata che lo distinguerebbe da un autentico riconoscitore di quarti di balboa, costruito su ordinazione per incarico del governo panamense. Tuttavia, date le sue origini, non c'è un problema riguardo alla sua funzione, al suo scopo, al suo significato, in questa prima occasione in cui entra nello stato che siamo tentati di chiamare Q? Entra nello stato Q (che significa "Ora c'è un quarto di dollaro americano") o nello stato QB (che significa "Ora c'è un quarto di balboa panamense")? Direi, come Millikan (1984), che considerare il suo debutto panamense come un'entrata nello stato Q oppure nello stato QB dipende completamente dal fatto che il two-bitser, nella sua nuova nicchia, sia stato scelto per la capacità di riconoscere quarti di balboa - scelto in senso letterale, per esempio, dal 173

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concessionario dell'esclusiva per Panama della Pepsi-Cola. Se è stato scelto per questo, anche se i nuovi proprietari si fossero dimenticati di azzerare il contatore, il primo atto "percettivo" del two-bitser sarebbe considerato come un'identificazione corretta di un quarto di balboa, perché a quel punto è a questo che servirebbe. Avrebbe acquisito come sua nuova funzione il riconoscimento di quarti di balboa. Se, d'altro canto, il two-bitser fosse stato mandato a Panama per sbaglio, o vi fosse arrivato per puro caso, la sua mossa inaugurale non significherebbe alcunché, anche se la sua utilità potrebbe ben presto - anche immediatamente - essere riconosciuta e apprezzata dalle autorità pertinenti (coloro che possono metterlo in funzione nel suo nuovo ruolo) e quindi i suoi stati successivi sarebbero considerati casi di QB. Ma fino a quando non viene scelto per il nuovo compito, indipendentemente dalla sua capacità di riconoscere quarti di balboa, il suo stato di accettazione non significherebbe (nel suo sorta modo derivato, da artefatto) "Ora c'è un quarto di balboa panamense". Presumo che Searle e colleghi acconsentirebbero a lasciarmelo dire, poiché, dopotutto, il two-bitser è solo un artefatto. Non ha un'intenzionalità originaria, quindi non esiste una verità "più profonda" che potremmo cercare di scoprire. Direbbero che è solamente una questione pragmatica riguardante il modo migliore di esprimersi quando si parla metaforicamente e antropomorficamente degli stati del dispositivo. Ora che abbiamo una buona comprensione dell'intenzionalità derivata, consideriamo le presunte caratteristiche diverse dell'intenzionalità originaria, la nostra. È su questo punto che Searle, Fodor, Kripke e molti altri sono in disaccordo non solo con me, ma anche con i filosofi Ruth Millikan, Paul e Patricia Churchland, gli scienziati cognitivisti Douglas Hofstadter, Marvin Minsky e quasi chiunque altro nel settore dell'Intelligenza Artificiale. Dopo più di trent'anni di dispute, gli animi continuano a infiammarsi. Qual è il punto in questione?

2. La Terra Gemella. Supponiamo che un essere umano, Jones, guardi fuori dalla finestra e pensi di vedere un cavallo. Che un cavallo ci sia o no, il fatto che Jones sia nello stato mentale in 174

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cui pensa di vedere un cavallo non è affatto una questione di interpretazione (dicono Searle e gli altri); è un fatto nudo ecrudo, un esempio di intenzionalità originaria. Vediamo che cosa succede, allora, se costruiamo un esperimento mentale perfettamente analogo alla storia immaginaria di Panama. (Suggerimento: sarà una reductio ad absurdum.) Supponiamo, allora, che il pianeta Terra Gemella sia identico alla Terra a parte il fatto che al posto dei cavalli esistono gli scravalli.4 Gli scravalli sembrano cavalli, e sono quasi indistinguibili dai cavalli per chiunque tranne un biologo esperto armato di kit per il test del DNA, ma gli scravalli non sono cavalli più di quanto i delfini siano pesci. Gli abitanti della Terra Gemella chiamano gli scravalli cavalli, horses, chevaux o Pferde e così via - ricordate, la Terra Gemella è identica alla Terra, a parte gli scravalli. Supponiamo di portare velocemente Jones sulla Terra Gemella, il pianeta degli scravalli, senza che lui se ne renda conto (lo trasportiamo narcotizzato e facciamo in modo che si svegli nella copia esatta del suo letto sulla Terra Gemella). Quando poi gli facciamo vedere uno scravallo, naturalmenteJones dirà, e penserà: "Toh, un cavallo!". In quel momento, o Jones è, ancora, spinto nello stato in cui crede di vedere un cavallo (una credenza sbagliata, non veritiera) oppure lo scravallo lo spinge a credere, per la prima volta nella vita (e in modo veritiero), di vedere uno scravallo. Quale delle due è la verità, e come potremmo stabilirlo? La credenza provocata dallo scravallo è vera o falsa? Se la sua prima reazione è stata credere erroneamente di aver appena visto un cavallo, quanto tempo impiegherà, vivendo tra gli scravalli e parlando di scravalli con gli abitanti 4. Il filosofo Hilary Putnam (1975) inventò la Terra Gemella molti anni or sono e la mia pompa dell'intuizione è modellata con cura in modo da riprodurre i dettagli pertinenti della sua. La mia storia del two-bitser, in realtà, è soltanto il frutto di una diversa regolazione delle manopole della sua pompa dell'intuizione. Negli ultimi trentacinque anni i filosofi hanno discusso decine o forse anche centinaia di altre variazioni. Nel racconto originario di Putnam a essere differenti erano l'acqua terrestre e l'acqua della Terra Gemella, identica ma di composizione chimica diversa (non H,O, ma XYZ), ma ciò crea alcune complicazioni che non hanno a che vedere con il nostro uso della pompa dell'intuizione, quindi in questa storia lelemento analogo al quarto di balboa sarà lo scravallo.

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della Terra Gemella, a modificare il significato del suono "cavalli" nella sua lingua (senza rendersene conto!)? Se avesse dei figli sulla Terra Gemella, la loro parola "cavalli", imparata dal papà quando erano piccoli, significherebbe "cavalli" o "scravalli"? I figli diJones, vi ricordo, non hanno mai visto un cavallo. Solo scravalli. Si tratta, ovviamente, di un esempio bizzarro, estremo, che però solleva un problema interessante: che cos'è a determinare il significato dei nostri termini e come lo determina? L'unica cosa che conta è la storia, sempre, oppure l'uso corrente può sconfiggere o dominare la storia? In questo caso, J ones non ha intuizioni personali da offrirci; non ha idea di non essere più sulla Terra, quindi presumibilmente sosterrebbe che la sua parola "cavalli" significa cavalli. La sua parola, la parola che pronuncia, deriva il proprio significato dalla sua credenza percettiva ed egli sa che cosa crede: sta guardando un cavallo. È per questo che ha detto: "Toh, un cavallo!". ("Non c'è nulla di più ovvio", avrebbe potuto aggiungere.) Se però gli raccontassimo del suo viaggio e della sottile ma importante differenza tra i cavalli e gli scravalli, che cosa direbbe, o che cosa dovrebbe dire, e - punto fondamentale - esiste una buona ragione per pensare che qualunque cosa dica sia decisiva? Supponiamo che dica che la sua parola "cavallo" ora significa scravallo - quando vede uno scravallo e lo chiama cavallo, non commette un errore. Sarebbe buona norma adattarsi alle usanze del Paese in cui ci si trova. Jones può semplicemente dichiarare che cosa significano le sue parole e risolvere in tal modo la questione? E se in seguito dimenticasse ciò che ha dichiarato? A volte diciamo cose come: "D'ora in avanti con 'bruz' intenderò 'sale'. Passami il bruz, per piacere!". Nel contesto delle teorie scientifiche formulare definizioni stipulative è una pratica importante e consolidata, che però si basa su una comunità di comunicatori che cooperano. Se J ones possiede un'intenzionalità originaria, presumibilmente dovrebbe esistere una verità sul significato dei suoi termini in qualsiasi circostanza, ma a quanto pareJones non è capace di consultare la sua intenzionalità originaria più di quanto possia176

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mo fare noi. Se, per esempio, gli raccontiamo il falso riguardo al suo rapimento eJones crede alle nostre falsità (nelle pompe dell'intuizione dei filosofi le persone possono essere enormemente credulone), se poi dicesse che la sua parola "cavallo" ora significa scravallo, avrebbe ragione? Ma allora, visto che per quel che ne sappiamo anche noi potremmo essere stati portati sulla Terra Gemella, non dovremmo ammettere tutti di non avere idea neanche noi di ciò che intendiamo con "cavallo"? Chi di noi è dubbioso nei confronti di tutta l'idea di intenzionalltà originaria ha una risposta pronta per ognuna di queste domande, ma ci occorre un terzo esperimento mentale per fare abbastanza chiarezza da avere una possibilità di successo contro l'intuizione tradizionale. (Quindi caveat lector! Cercherò di convincervi ad abbandonare un'intuizione preziosa.)

3. Il robot gigantesco. Supponete di aver deciso di voler vivere l'esperienza della vita nel xxv secolo e supponete che l'unico modo conosciuto per mantenere in vita il corpo per così tanto tempo richieda di metterlo in una specie di congegno per l'ibernazione, in cui riposerebbe, rallentato e comatoso, per tutto il tempo che volete. Potreste infilarvi nella capsula di sostegno, mettervi a dormire, per essere automaticamente risvegliato e lasciato libero nel 2401. Progettare la capsula non è il vostro unico problema ingegneristico, poiché occorre proteggerla e rifornirla dell'energia richiesta (per il raffreddamento e ogni altra funzione necessaria) per quasi quattrocento anni. Non potrete contare sui vostri figli e nipoti per la gestione, poiché nel 2401 saranno morti da tempo e non potete aspettarvi che discendenti ancora più lontani, se ve ne saranno, siano fortemente interessati al vostro benessere. Dovete, quindi, progettare un supersistema che protegga la capsula e che fornisca l'energia necessaria per quattrocento anni. Le strategie di fondo da considerare sono due. In base alla prima, dovreste individuare il posto ideale, per quanto potete prevedere, per un'installazione fissa, ben fornita di acqua, di luce e di qualsiasi altra cosa di cui la capsula (e il supersistema 177

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stesso) possa aver bisogno durante tutto il periodo. L'inconveniente principale di installazioni o "impianti" di questo genere è che non li si può spostare, se capita qualcosa che li danneggia: se qualcuno decide, poniamo, di costruire un'autostrada che passa proprio per quel punto. La seconda alternativa è molto più sofisticata, ma evita questo inconveniente: dovreste progettare una struttura mobile che alloggi la capsula, insieme ai dispositivi di allarme immediato e ai sensori indispensabili per farla allontanare dal pericolo e andare alla ricerca di nuove fonti di energia quando ne ha bisogno. In breve, dovreste progettare un robot gigantesco e installare la capsula (con voi dentro) al suo interno. Queste due strategie fondamentali sono ovviamente copiate dalla natura: corrispondono grosso modo alla divisione tra piante e animali. Una terza possibilità indicata dalla natura, una spora o un seme che possono sopravvivere a tempo indeterminato nella propria corazza, non è disponibile per voi, poiché il vostro sistema per la sopravvivenza ha grandi necessità energetiche, e le spore sono inerti e a basso consumo di energia nella misura permessa dalla natura. Dato che la strategia animale è adatta ai vostri scopi, supponiamo che decidiate di costruire un robot che alloggi la capsula. Dovreste cercare di progettarlo in modo che, più di ogni altra cosa, "scelga" le azioni che più favoriranno i vostri interessi. Mosse imprudenti e cambiamenti sbagliati tenderanno a renderlo incapace di svolgere il suo ruolo di protettore fino al 2401 - che è la sua unica raison d' etre. Com'è ovvio, si tratta di un problema ingegneristico estremamente difficile, che richiede il massimo livello di conoscenza e abilità per la progettazione di un sistema "visivo" che guidi la locomozione del robot e di altri sistemi "sensoriali". Inoltre, dato che sarete in coma per tutto il tempo, e quindi non potrete guidare e pianificare le strategie del supersistema, dovrete progettarlo in modo che generi da solo i propri piani in reazione alle mutevoli circostanze. Deve "sapere" come "ricercare", "riconoscere" e poi sfruttare le fonti di energia, come spostarsi in territori più sicuri, come "anticipare" ed "evitare" i pericoli. Essendo tanto numerose le cose da fare, e da fare alla svelta, vi 178

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converrebbe basare l'organizzazione sulle cose essenziali: non dovreste dare al robot una capacità discriminatoria superiore a quella di cui probabilmente avrà bisogno al fine di distinguere ciò che è necessario distinguere nel mondo. Si noti, ancora una volta, che ho messo tra virgolette tutti i termini intenzionali o "mentalistici", come "sensoriali", "ricercare" e "anticipare", per indicare che questo è un genere specifico di sorta intenzionalità, di intenzionalità derivata, di intenzionalità completamente dipendente dagli scopi umani. È il vostro artefatto, e qualunque intenzionalità abbia, la deve a voi, il suo artefice. Se non avessi aggiunto le virgolette, avrebbero potuto accusarmi di aver inserito furtivamente qualcosa di ideologico, facendo affidamento sul fatto che gli ingegneri e altre categorie usano sistematicamente questo modo di esprimersi- senza virgolette - parlando delle specifiche di progetto di un dispositivo che elabora informazioni (come il sistema di controllo dell'ascensore). Ho scelto deliberatamente di non fare questa mossa; ammetto, per amor di discussione, che qualsiasi uso di un linguaggio intenzionale per descrivere o prescrivere le capacità di un artefatto è puramente metaforico. Si noti, altresì, che ai meccanismi del robot, come a quelli del two-bitser, si applicano considerazioni di carattere economico: è necessario che il robot "scopra" o "discrimini" molte cose, ma i suoi "discriminatori" non saranno infallibili. Può commettere errori, ma che cosa viene considerato un errore dipende in definitiva dalle esigenze e dai desideri del suo artefice. Se questi voleva progettare un buffo down-robot che si muovesse goffamente per il mondo tendendo a "classificare male" gli oggetti, alcuni di questi "errori" sarebbero casi di comprensione perfetta, trionfi del sistema di controllo del clown. Tornando alla pompa dell'intuizione, il vostro compito sarà reso più difficile dal fatto che non potete essere certi che il vostro robot sia l'unico in circolazione con una missione del genere. Se la vostra mania dovesse prendere piede, il vostro robot potrebbe trovarsi a contendersi con altri (e con i vostri discendenti umani) fonti limitate di energia, acqua dolce, lubrificanti e così via. (Per una breve discussione dell'importanza

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della presenza di altri agenti si veda il capitolo 67 .) Senza dubbio fareste bene a progettare il vostro robot con un sistema di controllo abbastanza sofisticato da permettergli di calcolare i rischi e i vantaggi derivanti dalla cooperazione con altri robot, o dalla formazione di alleanze intese per il reciproco vantaggio. Anche in questo caso, tuttavia, qualunque calcolo simile sarà necessariamente un'approssimazione calcolata alla beli' e meglio, troncata arbitrariamente a causa dei pressanti vincoli temporali. Il risultato del progetto sarebbe un robot capace di manifestare una specie di autocontrollo, poiché quando vi metterete a dormire dovrete cedergli il controllo, un controllo in tempo reale e di grana molto fìne. Quindi il robot sarà in grado di derivare i suoi obiettivi secondari in base alla sua valutazione dello stato in cui si trova al momento e del valore di tale stato per l'obiettivo principale (che è, in ogni caso, mantenere in vita voi). Tali obiettivi secondari possono portarlo molto lontano nel corso di progetti di durata secolare, alcuni dei quali possono essere avventati, nonostante tutti i vostri sforzi durante la fase di progettazione. Il vostro robot potrebbe intraprendere azioni antitetiche ai vostri obiettivi, azioni addirittura suicide, essendo stato "convinto" da un altro robot, per esempio, a subordinare la propria missione vitale a qualche altro scopo. Si noti anche che a questo punto tutti gli atti e gli stati intenzionali del robot, pur derivando dai vostri scopi, iniziano in qualche modo a separarsene. Poiché avete progettato il robot in modo che in una certa misura "pensi da solo", il suo "pensiero" può oltrepassare i confini che avete previsto. Per un esempio del mondo reale di un tale artefatto, consideriamo un computer che gioca a scacchi capace di battere il suo creatore. È vero che l'unica ragione per cui possiamo dire che il computer sta "indagando" le possibili mosse per l'arrocco della regina e "decidendo" di non arroccare è che si tratta di un artefatto progettato da un essere umano per fare proprio quel genere di cose. Ma è anche vero che, dato l'obiettivo dell'artefice di realizzare un computer che gioca bene a scacchi, molte sue decisioni su ciò a cui si riferiscono (in modo derivato) gli stati del 180

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computer sono forzate: dato il fatto che un giocatore di scacchi ha bisogno di informazioni precise sulle regole e sullo stato del gioco, devono esistere stati che riguardano ciascun alfiere e ciascun pedone, e stati che richiedono una valutazione del gioco se con la mossa corrente la regina del computer ha catturato il cavallo dell'avversario e così via. E nessun insieme di ordini dell'autore può fare in modo che uno stato del computer si riferisca (in modo derivato) al numero dei pedoni ancora sulla scacchiera, se quello stato non è stato collegato in maniera opportuna alla localizzazione di tutti i pedoni presenti sulla scacchiera. Una volta che il progettista ha stabilito il suo obiettivo più ampio (realizzare un robot gigantesco, un computer che gioca a scacchi, un simulatore di uragani), il controllo viene assunto dalla natura crudele, che determina che cosa funzionerà e che cosa non funzionerà, e quindi quali stati di quale sistema sono da considerare sbagliati o imprecisi. Forse i poeti possono cavarsela dichiarando che una poesia che sembra riferirsi ai cavalli in realtà si riferisce ai professori- "le tigri dell'ira sono più sagge dei cavalli dell'istruzione", scrisse William Blake-ma le intenzioni degli ingegneri informatici non possono essere imposte in modo simile alle loro creazioni. Facciamo il punto. Gli stati mentali del robot gigantesco non sarebbero altro che un simulacro di stati mentali - non un decidere, un vedere, uno stupirsi e un pianificare reali, ma solo come se. Dovremmo fare una pausa per assicurarci di capire che cosa implica questa asserzione. L'immaginario robot è senz'altro molto più sofisticato del modesto two-bitser; gli è stata conferita la capacità di "pianificare" nuove linee di azione, di "imparare" dagli errori commessi, di "formare alleanze" e di "comunicare" con i suoi rivali. Inoltre, per realizzare tutta questa attività di "pianificazione'', "apprendimento" e "comunicazione", dovrà essere dotato di strutture di controllo con una grande capacità di "riflettere" su se stesse, di monitorare se stesse. In altre parole, avrà un accesso ai suoi stati interni simile al nostro e sarà capace di "riferire", "ammettere" e "commentare" il senso che "attribuisce" ai suoi stati interni (quando "decide" di non "voler" "mentire"). Avrà "opinioni" 181

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su che cosa significano questi stati e senza dubbio dovremmo interpretare seriamente queste "opinioni" come evidenze eccellenti - probabilmente le migliori che possiamo ottenere con facilità - di che cosa significano questi stati metaforicamente parlando (ricordate: è soltanto un artefatto e non ha un'intenzionalità originaria; stiamo considerando la sua intenzionalità derivata, che per gli osservatori non sarà più evidente della nostra intenzionalità di agenti "reali"). Al two-bitser non era stata data una simile capacità di influenzare i nostri giudizi interpretativi comunicando "ammissioni", apparentemente degne di fede, di non avere idea di trovarsi a Panama o di essere sorpreso di venire a sapere dei quarti di balboa. Si può reagire a questa pompa dell'intuizione in molti modi, che prenderemo brevemente in esame, ma prima voglio mettere in luce l'implicazione più sorprendente della fedeltà al presupposto iniziale: nessun artefatto, indipendentemente da quante magie di Intelligenza Artificiale incorpori il suo progetto, ha un'intenzionalità che non sia derivata. Se aderiamo a questa visione, la conclusione è necessariamente che la nostra stessa intenzionalità è identica a quella del robot. La storia fantascientifica che ho narrato, infatti, non è nuova: è una variante della concezione di Richard Dawkins (1976), che vede noi umani e tutte le altre specie biologiche come "macchine da sopravvivenza" progettate per prolungare il futuro dei nostri geni egoisti. Siamo artefatti, progettati nel corso di eoni come macchine da sopravvivenza per i geni che non possono agire rapidamente e sulla base di tutte le informazioni a favore dei propri interessi. I nostri interessi così come li concepiamo e gli "interessi" dei nostri geni possono benissimo divergerebenché se non fosse per gli "interessi" dei nostri geni noi non esisteremmo. La loro conservazione è la nostra raison d' étre originaria, anche se possiamo imparare a ignorare quell' obiettivo e a concepire il nostro personale summum bonum, grazie all'intelligenza, alla capacità di apprendere, che i nostri geni hanno installato in noi. Quindi, la nostra intenzionalità deriva dall'intenzionalità dei nostri geni "egoisti". Sono loro la Sorgente Ultima di Significato, non noi! 182

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Com'è ovvio, l'intenzionalità dei nostri geni non è in alcun senso intrinseca; il "significato" di qualsiasi gene dipende dall'intero sistema "alfabetico" di codoni ACGT che si è evoluto, dalla sintesi delle proteine e dallo sviluppo, tanto per cominciare. Però è originario nel senso che è il primo di molti sistemi di rappresentazione che si sono evoluti. In tutti i sistemi sviluppati in seguito esistono agenti - sistemi intenzionali - le cui rappresentazioni ricavano la propria intenzionalità dagli obiettivi che perseguono (proprio come l'intenzionalità del robot gigantesco). 5 Questa visione, pur fornendo una soluzione soddisfacente al problema dell'origine della nostra intenzionalità, in realtà sembra lasciarci nell'imbarazzo, poiché fa derivare la nostra intenzionalità da entità - i geni - la cui intenzionalità è un caso paradigmatico di una mera intenzionalità come se. Com'è possibile che qualcosa di letterale dipenda da qualcosa di metaforico? Inoltre, vi è senza dubbio una mancanza di analogia tra la mia storia fantascientifica e quella di Dawkins: nel mio racconto supponevo che la creazione del robot derivasse da un'attività ingegneristica cosciente, metodica e lungimirante, mentre se noi siamo, come sostiene Dawkins, il prodotto di un processo di progettazione in cui i principali beneficiari sono i nostri geni, si tratta di un processo in cui manca completamente un ingegnere cosciente, metodico e lungimirante. Ma questa non è un'obiezione valida, come vedremo. La bellezza della teoria della selezione naturale è data principalmente dal fatto che ci mostra come eliminare l'artefice in5. Nell'importante articolo "Nano-intentionality: A defense of intrinsic intentionality" (2008), Tecumseh Fitch ha avanzato l'ipotesi che le cellule eucariote - ma non le loro antenate, le cellule procariote - siano state le prime entità evolute dotate di un'intenzionalità "intrinseca", perché le loro capacità di autoprotezione erano (a suo giudizio) incredibilmente superiori a quelle delle loro antenate. Il rilievo dato all'autonomia, alla facoltà di agire, delle singole cellule ha fortemente influenzato le revisioni del mio funzionalismo omuncolare (si veda il capitolo 20); però, non sono d'accordo con il tentativo di Fitch di fermare il regresso infinito agli eucarioti. I procarioti non possono essere "sostituiti da una macchina" più degli eucarioti; la facoltà di agire arriva fino alle proteine, raggiungendo il livello più basso con i geni egoisti.

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telligente dalla nostra descrizione delle origini. Tuttavia, il processo di selezione naturale è responsabile di progetti mirabili. I geni non sono i progettisti; di per sé, non potrebbero essere più stupidi; non sanno ragionare né rappresentare o capire qualcosa. Non sono i progettisti, sono semplicemente i beneficiari del processo di progettazione-i clienti, potremmo dire. (Nella nostra storia, potrebbero corrispondere a un cliente molto stupido e molto ricco che assume i migliori ingegneri per farsi costruire una macchina da sopravvivenza. Se non fosse per lui, gli ingegneri non avrebbero un incarico né i finanziamenti necessari ed è la sua sopravvivenza che ripaga lartefatto che costruiscono.) Chi o che cosa è responsabile della progettazione? Madre Natura, ovviamente, o, più alla lettera, il lungo e lento processo di evoluzione per selezione naturale. Per me, la caratteristica più affascinante del processo di evoluzione è la sua sorprendente capacità di rispecchiare alcune proprietà della mente umana (il Progettista Intelligente) pur non possedendone altre. L'argomento sarà approfondito nella parte VI, sugli strumenti per pensare ali' evoluzione, ma nel frattempo voglio fare chiarezza sul fortissimo legame che propongo tra qualsiasi teoria accettabile del significato e la teoria dell'evoluzione. Anche se non si potrà mai sottolineare abbastanza che la selezione naturale opera senza lungimiranza e senza scopo, non dovremmo perdere di vista il fatto che il processo di selezione naturale si è dimostrato squisitamente sensibile a ragioni fondamentali, compiendo miriadi di "scelte" giudiziose, "riconoscendo" e "valutando" in modo corretto molte relazioni elusive. Per dirla in modo ancor più provocatorio, quando la selezione naturale seleziona, può "scegliere" un progetto particolare per una ragione piuttosto che per un'altra, senza mai "rappresentare" consciamente - o inconsciamente! - la scelta o le ragioni. Il cuore è stato "scelto" per la sua perfezione come pompa per far circolare il sangue, non per il ritmo affascinante del suo battito, anche se quella avrebbe potuto essere la ragione della "scelta" di altre cose da parte della selezione naturale. Proprio come il concessionario dell'esclusiva per Panama della Pepsi-Cola può scegliere il two-bitser per la sua capacità 184

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di riconoscere quarti di balboa e può adottarlo come riconoscitore di quarti di balboa, così l'evoluzione può scegliere un organo per la sua capacità di ossigenare il sangue e può adottarlo come polmone. È soltanto in relazione proprio a queste "scelte" progettuali, a questi scopi "approvati" dall'evoluzione - raisons d' etre - che possiamo identificare comportamenti, azioni, per~ezioni, credenze o qualsiasi altra categoria della psicologia popolare. 6 L'idea che noi siamo artefatti progettati dalla selezione naturale è convincente e conosciuta; alcuni arriverebbero ad affermare che non può essere messa seriamente in discussione. 7 Perché, allora, incontra l'opposizione non solo dei creazionisti e degli ideologi del "Progetto Intelligente", ma anche (in maniera piuttosto subliminale) di persone come Searle, Fodor e compagnia bella? La mia impressione è che l'idea abbia due conseguenze tutt'altro che evidenti che alcuni trovano estremamente sgradevoli. La prima è che, se siamo "soltanto" artefatti, ciò che significano i nostri pensieri più reconditi è qualcosa riguardo alla quale noi, che pure siamo i soggetti che pensano questi pensieri, non abbiamo una particolare autorità. Il twobitser si trasforma in un riconoscitore di quarti di balboa senza mai cambiare la sua natura interiore; lo stato che prima significava una cosa ora ne significa un'altra. In linea di principio, la stessa cosa potrebbe accadere a noi, se siamo soltanto artefatti, se la nostra intenzionalità quindi non è originaria ma derivata. (Jones, per esempio, non è una fonte autorevole per stabilire se sta pensando ai cavalli o agli scravalli.) La seconda è che, se siamo artefatti, non solo non abbiamo un accesso privilegiato garantito ai fatti più profondi che determinano il significato dei ' 6. Per una decisa e appassionata smentita di tutto questo capoverso si veda il libro Gli errori di Darwin (Fodor, Piattelli Palmarini, 201 O). O quel libro è completamente sbagliato oppure lo è quello che state leggendo. Per una difesa più particolareggiata della concezione presentata in questo libro, rimando il lettore alla parte vr, e al saggio "The evolution of reasons" (Dennett, 2014a, in stampa). 7. Ruth Millikan ha sviluppato questa tesi in modo più dettagliato di me, in una serie di magnifici libri pubblicati a partire dal 1984. Per un resoconto dello stato attuale delle cose si veda il nuovo volume Millikan and Her Critics (Ryder, Kingsbury, Williford, 2013).

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nostri pensieri, ma questi fatti più profondi non esistono. A volte l'interpretazione funzionale è ovvia (il cuore è ovviamente una pompa; gli occhi servono ovviamente a vedere), ma quando non lo è, quando cerchiamo di leggere la mente di Madre Natura, non c'è un testo da interpretare. Quando "la verità" sulla funzione propria è controversa - quando più di un'interpretazione è corroborata da prove-la "verità", molto semplicemente, non esiste.

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30. LA TRADUZIONE RADICALE

E UN CRUCIVERBA QUINEANO

La tesi secondo cui quando due interpretazioni funzionali altrettanto valide sono in contrasto non esistono fatti più profondi che possano risolvere la questione è stata difesa nel modo più abile e memorabile dal filosofo W.V.O. Quine (1960), grazie al principio di indeterminatezza della traduzione radicale, che giustificò con l'aiuto di una famosa pompa dell'intuizione. Immaginate di scoprire un'isola remota nel mezzo dell'Oceano Pacifico, poniamo, abitata da persone arrivate da chissà dove, che parlano una lingua che nessun altro parla. Non potendo disporre di interpreti bilingui, gli antropologi e i linguisti devono riuscire a capire questa lingua mediante l'osservazione e l'interazione con gli indigeni, procedendo per tentativi ed errori, un compito che Quine chiama "traduzione radicale". In . linea di principio, sostiene Quine, due di questi studiosi, dato il compito di produrre un manuale di traduzione per questa lingua esotica, potrebbero produrre due manuali sostanzialmente differenti ma altrettanto buoni, che attribuiscono significati diversi alle parole pronunciate dagli indigeni, e tali per cui potrebbe non esistere alcuna verità riguardo a quale sia la traduzione corretta! A molti filosofi questa idea è sembrata troppo radicale per essere presa sul serio - e quindi la ignorano e perseverano nei loro modi tradizionali. Ora prenderemo in esame uno strumento del pensiero concepito per far sì che l'idea sembri quanto meno plausibile, se non del tutto ovvia. È necessario spiegare (1) come potrebbe essere vera ("in linea di principio") la tesi di Quine e (2) come ciò malgrado potrebbe essere quasi impossibile citarne un esempio reale. Presento regolarmente questo cruciverba ai miei studenti, chiedendo loro di risolverlo. Nel giro di qualche minuto, i più dichiarano di esserci riusciti. Provateci anche voi prima di proseguire la lettura. 187

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1.

2.

3.

Orizzontali 1. Dirty stuff 5. A great human need 6. To make smooth 7. Movie actor

4.

5.

Verticali 1. Vehicle dependent on H20 2. We usually want this 3. Just above 4. US state (abbrev.)

6.

7.

Orizzontali: 1. Sporcizia; 5. Ne abbiamo un gran bisogno; 6. Eliminare le pieghe; 7. Star del cinema. Verticali: 1. Veicolo dipendente da H,O; 2. Ciò che si vuole di solito; 3. Appena sopra; 4. Stato degli USA (abbrev.).

L'avete risolto? Se sì, quale soluzione avete scoperto? Il cruciverba ne ha due, più o meno altrettanto buone (sono nascoste più avanti, per darvi la possibilità di trovarle tutt'e due prima che vi vengano svelate). Nonostante le sue dimensioni ridotte, mi ci sono volute alcune ore per realizzarlo, perché i vincoli multipli che vanno soddisfatti interagiscono limitando drasticamente le possibilità. Se siete scettici, provate a comporne uno più grande! (Vi prego di mandarmelo, se ci riuscite. Lo userò al posto del mio.) Chiunque domandi: "Qual è la soluzione reale?" sarà giudicato colpevole di un certo genere di malinteso realismo. Non e'è nessuna verità. Ho deliberatamente costruito il cruciverba in modo che non esistesse nessuna verità. Per esempio, non ho composto il cruciverba con un insieme di soluzioni (le originarie, le prime in ordine cronologico, e "quindi" le soluzioni reali) per poi cercarne un altro, ma ho elaborato le due soluzioni in parallelo, scegliendo gli elementi da un elenco già preparato di coppie di parole di quattro lettere dal significato simile. È possibile costruire un tale cruciverba perché esistono regole per le definizioni che ammettono una certa flessibilità. Entrambe le soluzioni comprendono parole che corrispondono a malapena alla propria definizione, ma la cospirazione di 188

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tutte le corrispondenze vicine (1' olismo, nel gergo dei filosofi) trascina le parole in due configurazioni stabili. Quanto è probabile secondo voi che non esista una terza soluzione che sia alla pari con una o l'altra deUe due? In generale, vale la norma del crittografo: se riesci a trovare una soluzione, hai trovato l'unica soluzione. Solo circostanze particolari permettono di avere due soluzioni, ma questi casi mostrano che l'esistenza di un'unica soluzione a problemi del genere non è una necessità metafisica, ma solo l'effetto immensamente probabile di vincoli molto forti. Le persone sono molto più complicate dei cruciverba e dei computer. Hanno un cervello circonvoluto pieno di neuromodulatori e attaccato a un corpo che è intrecciato a tutti i livelli con il mondo, e hanno una storia evolutiva e personale che le integra nel mondo con un grado molto maggiore di compenetrazione rispetto all'integrazione di un cruciverba in una comunità linguistica. Pertanto Ruth Millikan (per esempio) ha ragione a sostenere che, data la natura dei vincoli di progetto, è estremamente improbabile che possano esistere due strade differenti che producono due interpretazioni di pari valore, globalmente indeterminate e radicalmente diverse. L'indeterminatezza della traduzione radicale in pratica è veramente trascurabile. Il principio, tuttavia, sopravvive. La ragione per cui non abbiamo un'indeterminatezza della traduzione radicale non è la presenza, come dato di fatto metafisico, di "significati reali" nella testa (ciò che Quine chiamava il "mito del museo" del significato, il suo bersaglio principale). La ragione per cui non si ha indeterminatezza nel mondo reale è che, dato il gran numero di vincoli indipendenti da soddisfare, la norma del crittografo ci garantisce che la probabilità che accada è piccola in maniera evanescente. Nel mondo reale, quando l'indeterminatezza è una minaccia, è sempre un maggior numero di fatti legati al comportamento e al carattere - una questione di quantità- a far vincere una determinata interpretazione, non qualche inesplicabile "potere causale" o "semanticità intrinseca". L'interpretazione intenzionale arriva quasi sempre al limite a una sola interpretazione, ma 189

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in ogni caso nell'immaginario caso catastrofico in cui due interpretazioni superino tutti i controlli non esisterebbero fatti più profondi per stabilire quale sia quella "giusta". In realtà, i fatti risolvono questioni simili, ma si tratta sempre di fatti "superficiali".

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31. MOTORI SEMANTICI E MOTORI SINTATTICI

Come fa il significato a essere importante? Non sembra essere quel genere di proprietà fisica, come la temperatura, la massa o la composizione chimica, che può provocare qualcosa. Il cervello serve a estrarre significato dal flusso di energia che colpisce gli organi di senso, allo scopo di migliorare le prospettive del corpo che lo protegge e gli fornisce l'energia necessaria. Il compito del cervello è "produrre futuro" sotto la forma di previsioni sulle cose del mondo che contano per guidare il corpo nei modi appropriati. Il cervello è un organo che consuma molta energia e se non può svolgere bene questo compito importante, non si guadagna da vivere. Il cervello, in altre parole, si suppone che sia un motore semantico. Però il cervello è composto da fantastiliardi di pezzi molecolari che interagiscono in obbedienza alle rigorose leggi della chimica e della fisica, reagendo a forme e forze; il cervello, in altre parole, in realtà è soltanto un motore sintattico. Immaginate di chiedere a un' équipe di ingegneri di costruire un riconoscitore di banconote autentiche oppure, cosa del tutto equivalente, un rilevatore di banconote false: le sue specifiche di progetto sono che dovrebbe mettere tutte le banconote autentiche in una pila e tutte quelle false in un'altra. Impossibile, rispondono gli ingegneri, spiegando che tutti gli oggetti che costruiscono possono reagire soltanto a proprietà "sintattiche", vale a dire alle caratteristiche fisiche - lo spessore e la composizione chimica della carta, le forme e i colori delle macchie di inchiostro, la presenza o assenza di altre proprietà fisiche difficili da contraffare. Ciò che possono costruire, dicono gli ingegneri, è un rivelatore di banconote false abbastanza buono, ma non infallibile, basato su queste proprietà "sintattiche". Sarà costoso, ma in modo indiretto e imperfetto riuscirà a individuare le contraffazioni abbastanza bene da guadagnarsi da vivere.

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Ogni configurazione di parti del cervello è soggetta agli stessi limiti. Le forze fisico-chimiche gli faranno fare ciò che fa indipendentemente da ciò che significano (o sorta significano) i segnali in ingresso. Non fate l'errore di immaginare che il cervello, essendo vivo, o fatto di proteine, e non di silicio e metallo, possa rilevare i significati direttamente, grazie a qualche tessuto miracoloso al suo interno. La fisica avrà sempre la meglio sul significato. Un autentico motore semantico, che reagisce direttamente al significato, è come una macchina del moto perpetuo - fisicamente impossibile. Allora, come fa il cervello a svolgere questo compito? Ci riesce essendo un motore sintattico che imita la competenza dell'impossibile motore semantico. 8 Ma è davvero possibile? Alcuni filosofi hanno sostenuto che se la storia microcausale del funzionamento del cervello è completa (senza lacune misteriose), è semplicemente impossibile che il significato sia importante. Nel capitolo 33 incontreremo una pompa dell'intuizione che dimostra che ciò è falso, facendo vedere come le proprietà semantiche -la verità, il significato e il riferimento - abbiano un ruolo ineliminabile in alcuni semplici processi causali. Si tratta di una pompa dell'intuizione piuttosto complessa e prima di esaminarla voglio considerare un modello più semplice, che mi permetterà di farvi conoscere alcuni sospetti sulle pompe dell'intuizione in generale, e, se tutto va bene, di dissipare alcuni timori che potrebbero ostacolare la comprensione.

8. Secondo il filosofo John Haugeland (1981, p. 25), il primo principio dell'IA

è "se ci si prende cura della sintassi, la semantica si prenderà cura di se stessa". È uno slogan che si può interpretare in modi diversi; nella sua prima versione, eccessivamente speranzosa, ha motivato il tentativo di costruire un enorme database, una formalizzazione assiomatizzata della conoscenza del mondo che possa essere mantenuta e sfruttata da un motore inferenziale (puramente sintattico). ( CYC ne è l'esempio migliore.) Questo obiettivo si è dimostrato irrealizzabile (secondo la maggior parte degli esperti), ma lo slogan sopravvive come un buon modo di esprimere l'idea che il cervello sia una specie di computer (e quindi un motore sintattico) che, grazie al suo progetto, fa approssimativamente il lavoro di un motore semantico.

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32. L'UOMO DELLA PALUDE INCONTRA UNO SQUALO-MUCCA

Le pompe dell'intuizione dovrebbero funzionare in modo pulito ed efficiente, pompando l'intuizione ricercata per poi essere accantonate, ma capita spesso che questi strumenti ispirino un parossismo di confutazioni, controconfutazioni, rettifiche e approfondimenti. Una volta Donald Davidson, uno dei maggiori filosofi del Novecento, mi raccontò di rammaricarsi di aver inventato questa pompa dell'intuizione, che aveva fomentato una disputa esagerata e solo di tanto in tanto illuminante. Si tratta dell'Uomo della palude, uno dei favoriti dalla filosofia- se non da Davidson (1987, p. 24): Supponete che un fulmine colpisca un albero che cade nel fango mentre io mi trovo nelle vicinanze. Il mio corpo viene ridotto ai suoi elementi, mentre solo per combinazione, e a partire da molecole diverse, l'albero viene trasformato nella mia replica fisica. La mia replica, l'Uomo della palude, si muove esattamente come me; seguendo la sua natura si allontana dalla palude, incontra e apparentemente riconosce i miei amici e sembra ricambiare i loro saluti in italiano. Si insedia in casa mia e pare scrivere articoli sull'interpretazione radicale. Nessuno sarebbe in grado di notare alcuna differenza. Ma una differenza e' è. La mia replica non può riconoscere i miei amici, non può ri-conoscere nulla, dal momento che non ha mai conosciuto nulla una prima volta. Non può conoscere i nomi dei miei amici (per quanto dia l'impressione di conoscerli), non può ricordare la mia casa. Per esempio, con la parola "casa" non può intendere ciò che intendo io, perché il suono "casa" che emette non è stato appreso in un contesto che gli darebbe il corretto significato, o anche soltanto un significato. Anzi, non vedo proprio come si possa pensare che la mia replica intenda qualcosa con i suoni che emette, o che possieda dei pensieri.

Non può essere sfuggito all'attenzione dei filosofi che spesso negli ambienti accademici di altri settori- specie nelle 193

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scienze - i nostri colleghi hanno difficoltà a nascondere il loro incredulo divertimento quando proponiamo argomenti come la Terra Gemella e l'Uomo della palude per un'analisi apparentemente seria. La verità è che gli scienziati sono filistei che dimostrano di non avere orecchio per le sottigliezze dell'indagine filosofica, o piuttosto (suggerimento) che i filosofi hanno perso il contatto con la realtà? Preferisco non pronunciarmi. Questi es_empi bizzarri cercano sempre di dimostrare un punto concettuale riducendo deliberatamente a zero tutte le caratteristiche di un fenomeno tranne una, in generale sottovalutata, in modo che ciò che conta davvero possa rifulgere. Nell'esempio della Terra Gemella la somiglianza interna è posta al massimo (il protagonista viene portato sulla Terra Gemella senza avere la minima possibilità di registrare l'enorme cambiamento) in modo da poter dimostrare che il contesto esterno è responsabile di qualunque cosa ci suggeriscano le nostre intuizioni. La pompa dell'intuizione dell'Uomo della palude tiene costanti le tendenze future e gli stati interni, e riduce la "storia" a zero. Si può dunque dire che questi esperimenti mentali imitano gli esperimenti scientifici, cercando di isolare un'interazione fondamentale tra le variabili tenendo costanti le altre variabili. Un problema di questi esperimenti è che la variabile dipendente è l'intuizione - sono pompe dell'intuizione - e il contributo dell'immaginazione alla generazione delle intuizioni è più difficile da controllare di quanto abbiano mai ammesso i filosofi. (Molte delle stampelle esplosive che smantelleremo, in realtà, inibiscono l'immaginazione dei lettori, alterandone le intuizioni e quindi invalidando i "risultati" dell' esperimento mentale.) Questi esperimenti presentano, però, anche un problema più grave. Immaginarsi esempi per "dimostrare" qualche punto concettuale è un gioco da ragazzi. Supponiamo che una mucca abbia dato alla luce un essere indistinguibile a livello atomico da uno squalo. Sarebbe uno squalo? Se lo domandate a un biologo, se è generoso, lo prende come un penoso tentativo di raccontare una barzelletta. Supponiamo che un demone maligno possa solidificare l'acqua a temperatura ambiente sorriden194

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dole; l'acqua demoniaca sarebbe ghiaccio? È un'ipotesi troppo sciocca per meritare una risposta. Secondo alcuni filosofi, demoni che sorridono, squali-mucca, zombi e uomini delle paludi sono tutti logicamente possibili, pur non essendo normologicamente (causalmente) possibili, e questi filosofi pensano che ciò sia importante. Io no. Presumibilmente, la motivazione per gettare una rete di controfattualità così ampia è far sì che la soluzione che si recupera riveli qualcosa dell'essenza dell' argomento in questione. Ma chi crede in simili essenze reali al giorno d'oggi? lo no. Consideriamo una domanda analoga che si potrebbe porre riguardo ai magneti, dopo aver notato che esistono diversi candidati al titolo di "fattore di verità" - proprietà caratterizzante o essenza- dei magneti: (a) tutti i magneti sono oggetti che attraggono il ferro e (b) tutti i magneti sono oggetti che hanno una certa struttura interna (chiamiamola allineamento M). Il vecchio criterio comportamentale (a) ha finito per essere sostituito dal nuovo criterio della struttura interna (b), o quest'ultimo non fa altro che spiegare in maniera riduttiva il primo? Per scoprirlo, dobbiamo immaginare di porre agli scienziati un paio di domande nello stile "Uomo della palude". Supponete di aver scoperto un oggetto che attrae il ferro, ma non ha un allineamento M (come i magneti ordinari). Direste che è un magnete? Supponete, invece, di aver scoperto un oggetto che ha un allineamento M, ma non attrae il ferro. Direste che è un magnete? I fisici risponderebbero che se si imbattessero in uno di questi oggetti immaginari, come chiamarlo sarebbe l'ultima delle loro preoccupazioni. L'intero quadro scientifico dipende dall'esistenza di una profonda regolarità tra l'allineamento di dipoli atomici in domini magnetici e l'attrazione del ferro, e il "fatto" che sia logicamente possibile violare questa regolarità ha un interesse quasi nullo per i fisici. Il punto interessante, in ogni caso, è la covarianza reale dei fattori "strutturali" e "comportamentali". Se i fisici scoprono violazioni delle regolarità, modificano la scienza di conseguenza, senza preoccuparsi del destino dei termini. L'Uomo della palude pensa o no? Uno squalo-mucca è una mucca? Nuota come uno squalo e si accoppia con successo 195

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con altri squali. Ma c'è una cosa che non vi ho detto: a livello atomico è indistinguibile da uno squalo, a parte il fatto che in tutte le sue cellule c'è il DNA di una mucca. Impossibile? Non logicamente impossibile (dicono i filosofi). Ma abbastanza im12ossibile da rendere del tutto inutile continuare la discussione. E chiaro che è fisicamente impossibile tanto che le "tracce" dei ricordi di Davidson, poniamo, compaiano nella struttura del cervello dell'Uomo della palude quanto che uno squalo sia formato da cellule contenenti DNA di mucca. L'Uomo della palude potrebbe non essere logicamente impossibile, se non altro perché coincidenze cosmiche quali quelle che avrebbero prodotto l'Uomo della palude per definizione non sono logicamente impossibili; però, non avvengono mai, e quindi a chi importa che cosa diremmo, se si realizzassero? "A me", dice il filosofo alla ricerca di domande retoriche. "Penso che sia sempre importante definire i termini con il massimo rigore, considerando tutte le eventualità logicamente possibili. È così che si arriva alla verità." Ma è proprio vero? Nel mondo reale, la storia passata e la funzione futura sono unite dai cavi a molti fili dell'evoluzione, dello sviluppo e dell' apprendimento. È a causa del fatto che il suo corpo ha seguito la particolare traiettoria che ha seguito per anni di fila che Davidson aveva tutti quei ricordi, quelle credenze e quei progetti, e non esiste nulla di reale che possa sostituire questi processi naturali di accumulazione. Non capisco a che cosa possa servire decidere il verdetto per casi immaginari che violano tali condizioni. In realtà, simili esempi forzati mi danno l'impressione di rappresentare occasioni appositamente create per imporre una dicotomia immaginaria per poi procedere impunemente a un piut" tostamento. "No", dice il filosofo, "non è una falsa dicotomia! Si sospendono le leggi della fisica per amor di discussione. Non fece forse altrettanto Galileo quando bandì l'attrito dai suoi esperimenti mentali?" È vero, ma questo confronto fa emergere una regola pratica generale: l'utilità di un esperimento mentale è inversamente proporzionale al suo allontanamento dalla realtà. La Terra Gemella è fisicamente impossibile, ma non quanto l'Uomo della palude! (Non pensiate che l'interpretazione dei

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molti mondi della meccanica quantistica, che gode di crescente favore in alcuni ambienti, mostri che la Terra Gemella dopotutto è fisicamente possibile; anche se "là fuori" esistono infiniti universi, tra cui molti - infiniti? - che contengono pianeti molto simili alla Terra, non possiamo mandare un terrestre a visitarne uno.) Il viaggio del two-bitser a Panama, per contro, non solo è possibile, ma può benissimo essersi realizzato più volte. Non dobbiamo sospendere alcuna legge di natura per immaginarlo con tutti i dettagli che vogliamo.

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33. DUE SCATOLE NERE

R

V

G

C'erano una volta una scatola nera A e una scatola nera B, connesse da un lungo filo di rame, isolato. Sulla scatola A vi erano· due pulsanti, contrassegnati da a e ~, e sulla scatola B tre luci, una rossa, una verde e una gialla. Gli scienziati che studiavano il comportamento di queste scatole osservavano che ogni volta che si premeva il pulsante a della scatola A, sulla scatola B si accendeva per un po' la luce rossa, e ogni volta che si premeva il pulsante ~ della scatola A, sulla scatola B si accendeva per un po' la luce verde. La luce gialla sembrava non accendersi mai. Gli scienziati effettuarono miliardi di esperimenti, con una grandissima quantità di condizioni diverse, e non trovarono eccezioni. Conclusero che vi era una regolarità causale, che riepilogarono in maniera appropriata nel modo che segue: Tutte le a causano la luce rossa. Tutte le ~ causano la luce verde. Gli scienziati stabilirono che la causa doveva passare in qualche modo attraverso il filo di rame, poiché se lo si tagliava non si aveva più alcun effetto sulla scatola B e se si schermavano le due scatole l'una dall'altra senza recidere il filo, la regolarità non si interrompeva. È naturale, quindi, che fossero curiosi di capire come passasse per il filo la regolarità causale che aveva-

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no scoperto. Forse premendo il pulsante a si generava un impulso a bassa tensione che passava sul filo e accendeva la luce rossa e premendo il pulsante psi generava un impulso ad alta tensione che accendeva la luce verde. Oppure, forse, premendo a si generava un unico impulso, che accendeva la luce rossa, e premendo p si generava un doppio impulso. Chiaramente, doveva esistere qualcosa che accadeva sempre nel filo quando si premeva il pulsante a e qualcosa di diverso che accadeva sempre nel filo quando si premeva il pulsante p. Scoprire di che cosa si trattava avrebbe spiegato la regolarità causale che avevano individuato. Una specie di intercettatore del segnale posto sul filo rivelò ben presto che le cose erano più complicate. Ogniqualvolta si premeva uno o l'altro dei pulsanti su A, attraverso il filo si trasmetteva rapidamente alla scatola B un lungo flusso di impulsi e intervalli (acceso e spento, dei bit insomma) - diecimila bit, per essere precisi. Ma la configurazione di bit era diversa ogni volta! Chiaramente le sequenze di bit dovevano avere una caratteristica, una proprietà, che facesse scattare la luce rossa in un caso e quella verde nell'altro. Quale poteva essere? Gli scienziati decisero di aprire la scatola B per vedere che cosa sarebbe successo alla sequenza di bit al loro arrivo. All'interno di B trovarono un normale supercomputer digitale seriale, dotato di una grande memoria, contenente un programma e un database enormi, scritti, come è ovvio, in altre sequenze di bit. Quando si misero a seguire gli effetti delle sequenze di bit in arrivo sul programma, non trovarono alcunché fuori dall'ordinario: la sequenza si faceva sempre strada nel modo usuale nella CPU (unità di elaborazione centrale), in cui provocava l'esecuzione di alcuni miliardi di operazioni in pochi secondi, terminando con un segnale di uscita che era, ogni volta, o 1 (e si accendeva la luce rossa) o O (e si accendeva la luce verde). In ogni caso, scoprirono, erano in grado di spiegare ogni passo della relazione causale al livello microscopico senza alcuna difficoltà o discussione. Non avevano il sospetto che agissero cause occulte; inoltre, per fare un esempio, quando mandavano in entrata

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più e più volte la stessa sequenza di diecimila bit, il programma nella scatola B generava sempre lo stesso segnale d'uscita. La cosa era, però, leggermente sconcertante, perché lascatola B, pur dando sempre lo stesso segnale d'uscita, non lo faceva ogni volta attraversando gli stessi passi intermedi. Di fatto, quasi sempre attraversava stati fisici diversi prima di generare il medesimo segnale d'uscita. Questo, di per sé, non era un mistero, poiché il programma conservava una copia di ciascun segnale d'ingresso ricevuto, e così, quando arrivava in entrata lo stesso segnale una seconda o terza o decimillesima volta, lo stato della memoria del computer era ogni volta leggermente diverso. Ma in uscita si aveva sempre lo stesso segnale; se la prima volta che entrava una particolare sequenza si accendeva la luce rossa, allora con quella sequenza come segnale d'entrata si sarebbe accesa sempre la luce rossa e la stessa regolarità valeva anche per le sequenze verdi (come iniziarono a chiamarle gli scienziati). Ebbero la tentazione di ipotizzare che ogni sequenza fosse o una sequenza rossa (che provocava l'accensione della luce rossa) o una sequenza verde (che faceva accendere la luce verde). Ma naturalmente non provarono ogni possibile sequenza- soltanto le sequenze emesse dalla scatola A. Decisero quindi di saggiare l'ipotesi scollegando temporaneamente A da B e inserendo variazioni delle sequenze inviate da A a B. Con loro grande sconcerto e costernazione, scoprirono che se alteravano una sequenza proveniente da A, si accendeva quasi sempre la luce gialla! Era quasi come se la scatola B si fosse accorta del loro intervento. Senza alcun dubbio, tuttavia, la scatola B riconosceva prontamente le sequenze rosse o verdi generate dagli sperimentatori e faceva accendere la luce opportuna. Era soltanto quando si modificava almeno un bit di una sequenza rossa o verde che si accendeva - quasi sempre -la luce gialla. "L'hai uccisa!", si lasciò sfuggire qualcuno una volta, dopo aver visto una sequenza rossa "manomessa" e trasformata in una sequenza gialla e l'episodio generò nel più grande trambusto la congettura che le sequenze rosse e verdi fossero in qualche modo vive - forse di genere

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maschile e femminile - mentre quelle gialle erano sequenze morte. L'ipotesi, per quanto affascinante, non risultò portare da nessuna parte, benché una marea di esperimenti con alcuni miliardi di variazioni casuali di sequenze di diecimila bit fornisse agli scienziati la decisa indicazione che in realtà vi erano tre qualità di sequenze: quelle rosse, quelle verdi e quelle gialle - avendo queste ultime una superiorità numerica di molti ordini di grandezza (a questo proposito si veda il capitolo 35). Quasi tutte le sequenze erano gialle, il che rendeva ancor più appassionante e misteriosa la regolarità rosso/verde che avevano scoperto. Che cosa avevano le sequenze rosse (verdi) che faceva accendere la luce rossa (verde)? Naturalmente, in ogni caso specifico, non vi era alcun mistero. Gli scienziati erano in grado di seguire le relazioni causali di ogni specifica sequenza nel supercomputer all'interno di Be capire come, con un piacevole determinismo, produceva l'accensione di una luce rossa, verde, o gialla, a seconda dei casi. Quel che non riuscivano a scoprire, tuttavia, era un modo per prevedere quale dei tre possibili effetti avrebbe avuto una sequenza nuova, soltanto esaminandola (senza simularne "manualmente" l'effetto sulla scatola B). Sapevano dai dati empirici che vi era una probabilità molto alta che una qualsiasi sequenza nuova facesse accendere la luce gialla - a meno che non fosse una sequenza che era stata emessa da A, nel qual caso vi era invece una probabilità inferiore a uno su un miliardo che fosse gialla, ma nessuno sapeva dire se si sarebbe accesa la luce rossa oppure quella verde senza farla passare per B per vedere il risultato del programma. Forse la soluzione del mistero si trovava nella scatola A. L' aprirono e trovarono un altro supercomputer, di marca e modello differenti, che eseguiva un altro programma colossale, ma era pur sempre un ordinario computer digitale. Gli scienziati scoprirono ben presto che esisteva un "orologio" interno che batteva milioni di volte al secondo e ogni volta che si premeva uno o l'altro dei pulsanti come prima cosa il computer prendeva il "tempo" dall'orologio (per esempio, 101101010101010111) e lo scomponeva in sequenze che poi usava per determinare 201

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quali subroutine chiamare, in quale ordine e a quale parte di memoria accedere per prima durante la preparazione di una sequenza di bit da inviare lungo il filo di rame. Gli scienziati riuscirono a capire che era questa consultazione dell'orologio (che era praticamente casuale) a costituire una specie di garanzia che non venisse mai inviata la stessa sequenza di bit. Nonostante questa casualità o pseudocasualità, tuttavia, continuava a essere vero che premendo il pulsante a la sequenza di bit congegnata dal computer produceva ogni volta la luce rossa e premendo il pulsante ~ generava invece la luce verde. In realtà, gli scienziati scoprirono alcuni casi anomali: all'incirca una volta ogni miliardo di prove, premendo a veniva emessa una sequenza verde o, viceversa, premendo ~ veniva emessa una sequenza rossa. Questa lieve mancanza di perfezione non fece altro che stimolare il grande desiderio degli scienziati di ottenere una spiegazione della regolarità. Poi, un giorno, arrivarono i due hacker, esperti di intelligenza artificiale, che avevano costruito le scatole, e raccontarono tutto. (Non proseguite, se volete risolvere il mistero da soli.) Al, che aveva costruito la scatola A, aveva lavorato per anni a un "sistema esperto" - composto da un database contenente "proposizioni vere" su ogni cosa al mondo e da un motore inferenziale per dedurre ulteriori implicazioni dagli assiomi contenuti nel database. Il database comprendeva statistiche del più importante campionato di baseball, registrazioni meteorologiche, tassonomie biologiche, eventi storici di tutte le nazioni del mondo e una gran profusione di quisquilie. Nello stesso periodo Bo, lo svedese che aveva costruito la scatola B, aveva lavorato a un altro database di "conoscenza globale" per il suo sistema esperto. Ciascuno aveva riempito il proprio database con tutte le "verità" che era riuscito a individuare in anni di lavoro. 9 9. Il supercomputer Watson dell'mM è arrivato giusto in tempo per trasformare la mia descrizione fantascientifica in qualcosa di molto vicino a un fatto scientifico. Potete immaginare che Watson si trovi nella scatola A, per esempio, e che la scatola B contenga un'alternativa svedese a Watson, sviluppata in maniera indipendente da Bo. Quando pubblicai per la prima volta questo esperi-

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Col passare degli anni, i due si erano scocciati dei sistemi esperti, decidendo entrambi di aver sopravvalutato enormemente quella tecnologia. In realtà, i sistemi non erano granché bravi a risolvere problemi interessanti, a "pensare", a "trovare soluzioni creative ai problemi". Tutto ciò che sapevano fare bene, grazie ai loro motori inferenziali, era generare enormi quantità di proposizioni vere (nei loro rispettivi linguaggi) e controllare la verità o la falsità di una qualsiasi di queste (nei loro rispettivi linguaggi) - in relazione alla loro sorta conoscenza. Quindi, Al e Bo si erano messi insieme, immaginandosi come utilizzare i frutti del loro tentativo sprecato. Decisero di costruire un giocattolo filosofico. Scelsero una lingua franca per tradurre da un sistema di rappresentazione ali' altro (si trattava dell'inglese, in realtà, in codice ASCII standard) 10 e collegarono con un filo le due macchine. Il pulsante a di A, se premuto, dava istruzione a A di scegliere in modo casuale (o pseudocasuale) una delle sue "opinioni" (uno degli assiomi del database oppure una loro implicazione derivante da un'inferenza), di tradurla in inglese (in un computer, i caratteri inglesi sono già rappresentati in ASCII), aggiungere dopo il punto un numero sufficiente di bit per arrivare a diecimila e inviare la sequenza risultante a B, che traduceva il segnale d'entrata nel proprio linguaggio mento mentale (Dennett, 1995a), non potei dire nulla di meglio che: "Per un esempio del mondo reale di un progetto siffatto si veda il gigantesco progetto CYC (abbreviazione di encyclopedia) di Douglas Lenat alla MCC (Microelectronics and Computer Technology Corporation) (Lenat, Guha, 1990)". Si veda anche la nota a piè di pagina su CYC nel capitolo 28. L'approccio all'IA esemplificato da Watson per lo più non era stato ancora concepito nel lontano 1995, ma da allora ha compiuto grandi passi avanti. A differenza di CYC, che in gran parte è codificato manualmente, Watson sa andare autonomamente alla ricerca delle verità su Internet e utilizzare con grande efficienza le proprietà statistiche dei dati disponibili. Sia Watson sia CYC, in modi diversi, sorta capiscono i dati contenuti nei rispettivi database - decisamente molto più di altri computer che utilizzano grandi database. 10. Quando scrissi per la prima volta di questa pompa dell'intuizione, il codice ASCII (American Standard Code /or In/ormation Interchange) era la codifica standard usata quasi universalmente per lelaborazione dei testi, la posta elettronica e Internet. Da allora è stato soppiantato dal codice UTF-8, ovvero Universal [Character-set] Trans/ormation Format- 8-bit, più ampio e compatibile (in altre parole, ASCII fa comunque parte di UTF-8).

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(che era una versione svedese del LISP) e lo confrontava con le proprie "opinioni" - con il proprio database. Poiché entrambi i database erano composti di verità, all'incirca le stesse, grazie ai motori inferenziali, ogni volta che A mandava a B qualche cosa che "credeva" vero, anche B lo "credeva" vero e lo segnalava accendendo la luce rossa. Quando A mandava a B quella che riteneva una falsità, B comunicava di giudicarla una falsità accendendo la luce verde. E ogniqualvolta qualcuno interferiva con la trasmissione, il risultato era quasi sempre una sequenza che non corrispondeva a un enunciato inglese corretto, a meno che le alterazioni non riguardassero soltanto la parte finale, casuale e priva di significato. Poiché B non aveva la minima tolleranza per gli errori "tipografici", rispondeva a questi accendendo la luce gialla. Scegliendo una sequenza di bit a caso, la probabilità che non fosse un enunciato inglese corretto in codice ASCII, vero o falso che fosse, era "enorme" e questo era il motivo della preponderanza delle sequenze gialle. Quindi, come rivelarono Al e Bo, la misteriosa proprietà causale del rosso era, in realtà, la proprietà di essere un enunciato inglese vero e quella del verde era la proprietà di essere un enunciato inglese falso. Tutto d'un tratto, la ricerca che aveva sconcertato gli scienziati per anni divenne un gioco da bambini. Chiunque sapeva comporre sequenze rosse ad nauseam; bastava scrivere il codice ASCII corrispondente a "Una casa è più grande di una nocciolina", oppure "Le balene non volano", oppure "Tre per quattro è uguale a due per sei", per esempio. Volendo una sequenza verde, bastava prendere "Nove è più piccolo di otto" oppure "New York è la capitale della Spagna". I filosofi si imbatterono ben presto in alcuni trucchi ingegnosi, come individuare sequenze che erano rosse le prime cento volte che arrivavano a B, ma verdi nel seguito (per esempio, il codice ASCII corrispondente a "Questo enunciato è stato inviato per la valutazione un numero di volte inferiore o uguale a 100"). Alcuni filosofi, tuttavia, dissero che le proprietà del rosso e del verde, in realtà, non erano verità in inglese e falsità in inglese. Dopotutto, esistono verità in inglese che richiedono milio204

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ni di bit di codice ASCII e, inoltre, nonostante tutti i loro sforzi, Al e Bo non avevano inserito sempre fatti nei loro programmi. Per esempio, una parte di ciò che passava per conoscenza comune quando costruivano i loro database si era dimostrata in seguito falsa. Erano moltissimi i motivi per cui la proprietà della sequenza - la proprietà causale - di essere rossa non era esattamente identica alla proprietà di essere una verità in inglese. Forse, pertanto, la si sarebbe potuta definire in maniera migliore come un'espressione inglese relativamente corta e codificata

in ASCII di qualcosa sorta creduto vero dalla scatola B (le cui sorta opinioni corrispondono quasi tutte alla verità). Qualcuno era soddisfatto, ma altri trovarono da ridire, insistendo, per varie ragioni, che non si trattava di una definizione precisa, oppure che non consentiva di escludere alcuni casi negativi se non in modi costruiti ad hoc. E così via. Tuttavia, come fecero notare Al e Bo, non si sarebbero potuti trovare candidati migliori per definire la proprietà e, inoltre, gli scienziati non si erano forse dedicati alla bramosa ricerca di una tale spiegazione? Il mistero delle sequenze rosse e verdi non era forse del tutto svanito? Di più, ora che era svanito, non si capiva forse come non vi fosse alcuna speranza di spiegare la regolarità causale con cui si è iniziato il racconto - tutte le a causano la luce rossa e tutte le ~ causano la luce verde - senza usare qualche termine semantico (o mentalistico)?

Alcuni filosofi sostennero che, pur essendo possibile usare la nuova descrizione della regolarità nell'attività del filo per prevedere il comportamento della scatola B, dopotutto non si trattava di una regolarità causale. La verità e la falsità (e tutti i sostituti appena considerati per il caso in questione) sono proprietà semantiche e come tali sono del tutto astratte, e quindi non possono causare alcunché. Sciocchezze, replicarono altri. Premere il pulsante a fa accendere la luce rossa proprio come la chiavetta d'accensione fa partire la macchina. Se si fosse scoperto che la differenza tra ciò che veniva trasmesso sul filo era semplicemente una differenza di tensione, piuttosto che il numero degli impulsi, sarebbero stati tutti d'accordo che si trattava di un sistema causale esemplare. Il fatto che sia risultato 205

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che questo sistema è una macchina ridicolmente e inutilmente complicata non dimostra che l'affidabilità del collegamento tra a e la luce rossa sia meno causale. Di fatto, in ogni singolo caso gli scienziati potevano seguire l'esatto percorso microcausale che spiegava il risultato. 11 Convinti da questa linea di ragionamento, altri filosofi iniziarono a sostenere come il tutto mostrasse che la proprietà di essere rossa, verde o gialla non era in realtà una proprietà semantica o mentalistica, dopotutto, ma soltanto una finta proprietà semantica, una mera proprietà semantica "come se". In realtà, si trattava di proprietà sintattiche molto, molto complicate. Questi filosofi si rifiutarono, tuttavia,· di dire qualcosa di più e specificare di quali proprietà sintattiche si trattasse, o di spiegare come è possibile che persino i bambini piccoli riescano a generarne casi particolari con grande facilità, o a riconoscerle. I filosofi erano nondimeno convinti che dovesse esistere una descrizione puramente sintattica della regolarità, poiché, dopotutto, i sistemi causali in questione erano "soltanto" computer e i computer sono "soltanto" motori sintattici, privi di una semantica vera e propria. "Noi riteniamo", replicarono Al e Bo, "che, se aveste trovato noi all'interno delle nostre scatole nere, impegnati a giocarvi , uno scherzo seguendo il medesimo schema, vi sareste placati e converreste che la proprietà causale operativa era un'autentica verità (o creduta tale, in ogni caso). Sapete proporre un buon motivo per tracciare tale distinzione?" Questo spinse alcuni a dichiarare che in un certo senso importante Al e Bo erano stati nelle scatole, dal momento che erano responsabili della creazione dei rispettivi database, come modelli delle loro opinioni. Altri invece negarono che esistesse realmente alcuna proprietà semantica o mentalistica da qualche parte nel mondo. Il contenuto, dissero, era stato eliminato. Il dibattito proseguì per anni, ma il mistero iniziale era risolto. 11. Solo per i filosofi: alcuni hanno sostenuto che la mia descrizione delle regolarità (Dennett, 1991b) è eptfenomenismo applicato al contenuto. Questa è la mia risposta.

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Bloccare le uscite Il racconto delle due scatole nere finisce qui. L'esperienza insegna, tuttavia, che non esistono esperimenti mentali la cui presentazione sia tanto chiara da impedire che qualche filosofo possa interpretarli erroneamente; quindi, al fine di prevenire alcuni tra i più affascinanti travisamenti, porterò l'attenzione, in maniera assai poco elegante, su alcuni dettagli critici e ne spiegherò il ruolo in questa pompa dell'intuizione. 1. I dispositivi nelle scatole A e B non sono nient'altro che enciclopedie meccaniche - non sono neanche "enciclopedie ambulanti", soltanto "scatole della verità''. Nella storia, nulla presuppone o implica che questi dispositivi siano coscienti, vale a dire cose pensanti, e neanche agenti, tranne nel senso minimo in cui un termostato è un agente. Sono sistemi intenzionali assolutamente noiosi, rigidamente predisposti per soddisfare un unico, semplice obiettivo (come è vero, naturalmente, anche per Watson dell'rnM). Contengono un gran numero di proposizioni vere e il meccanismo inferenziale necessario per generare altre verità e per controllare la "verità" di una proposizione candidata mettendola a confronto con il database. 2. Poiché i due sistemi sono stati creati in maniera indipendente, non è ragionevole supporre che contengano (in realtà, ma anche soltanto ai fini pratici) esattamente le stesse verità; ma, affinché nella storia lo scherzo funzioni proprio come ho detto, si deve supporre che la sovrapposizione fosse molto grande, rendendo, quindi, molto improbabile che una verità generata da A non venisse riconosciuta come tale da B. Sostengo che due considerazioni rendono plausibile la cosa: (a) Al e Bo possono vivere in Paesi diversi e avere lingue madri diverse, ma abitano nello stesso mondo e (b) benché esistano fantastilioni di proposizioni vere riguardo a quel mondo (il nostro), il fatto che Al e Bo si prefiggessero entrambi di creare un database utile dovrebbe garantire una grande 207

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sovrapposizione tra i due sistemi creati in modo indipendente. Nonostante Al possa sapere che nel giorno del suo ventesimo compleanno il suo piede sinistro era più vicino al Polo Nord che al Polo Sud, e nonostante Bo non abbia dimenticato che il suo primo insegnante di francese si chiamava Dupont, sono verità che nessuno dei due probabilmente inserirebbe nel database. Se dubitate che il solo fatto che fossero entrambi intenzionati a creare un'enciclopedia di utilità mondiale garantisca una corrispondenza così stretta tra i loro rispettivi database, basta aggiungere un dettaglio niente affatto elegante: durante gli anni della loro attività di hacker Al e Bo confrontarono i loro appunti sugli argomenti da considerare. 3. Perché non prendere Al e Bob (un collega americano) o, per quel che vale, perché non avere semplicemente una copia del sistema di Al nella scatola B? Perché un punto critico della mia storia è che non esiste una corrispondenza sintattica semplice, facilmente scopribile, che possa spiegare la regolarità. Questo è il motivo per cui il sistema di Bo è in una versione svedese del LISP - per nascondere a occhi indiscreti le sottostanti caratteristiche semantiche comuni tra le strutture di dati consultate da A nel corso della generazione di un enunciato e da B durante la traduzione e il controllo del valore di verità. I computer, in quanto sistemi fisici, sono necessariamente, tutt'al più, motori sintattici, che rispondono direttamente a differenze fisicamente convertibili, non a significati. A e B, tuttavia, sono state entrambe progettate per rispecchiare quanto più possibile l'immaginario sapientone tuttologo, un motore semantico di verità comprese. Se due sistemi sintattici diversi, A e B, sono stati progettati per rispecchiare lo stesso motore semantico, si può rendere conto della notevole regolarità che manifestano soltanto salendo al livello del motore semantico, dove le verità sono ritenute vere e le asserzioni sono intenzionali. L'idea consisteva, quindi, nel creare due sistemi che presentas-

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sero l'affascinante regolarità di comportamento esterno che si è descritta, ma che internamente fossero quanto più differenti possibile, di modo che soltanto il fatto che le loro viscere fossero sistematiche rappresentazioni di un mondo comune potesse spiegare la regolarità. (Ricordo che questo era il tema del capitolo 13.) Si può fare una pausa per chiedersi se due sistemi siffatti possano mai essere tanto imperscrutabili da non essere passibili di un'analisi di ingegneria inversa. In altre parole, lo sconcerto degli scienziati sarebbe potuto durare tanto a lungo? La crittografia si è spostata in regioni tanto rar~fatte e arcane che occorrerebbe pensarci almeno tre volte prima di pronunciarsi, in un senso o nell'altro. Non ho idea se qualcuno possa presentare un'argomentazione valida a favore del fatto che esistono, o che non esistono, crittografie indecifrabili. Comunque, a parte le crittografie, gli hacker gradiscono che tutti i commenti opportuni e i segnali che si piazzano nel codice sorgente quando si compone un programma svaniscano quando questo viene "compilato", lasciando un groviglio di istruzioni di macchina quasi impossibile da decifrare. "Decompilare", ovvero ricostruire il codice sorgente a partire dal codice oggetto, in pratica a volte è possibile (in linea di principio è sempre possibile?), sebbene non si riesca a ripristinare i commenti, ma soltanto a rendere evidenti le strutture nèl linguaggio di livello superiore. Il mio assunto che gli sforzi degli scienziati per decompilare il programma e decifrare i database non abbiano avuto alcun esito si potrebbe rafforzare ipotizzando la crittografia, se necessario. Nella storia così come è stata raccontata, si può convenire che è bizzarro che gli scienziati non abbiano mai pensato di controllare se esisteva una traduzione in codice ASCII dei flussi di bit che passavano per il filo. Come possono essere stati tanto sciocchi? Possiamo rimediare a questa pecca mandando tutto il congegno (le scatole A e Be il filo che le collega) su "Marte" e lasciando che siano gli scienziati extraterrestri a cercare di individuare la regolarità. Il fatto che tutte le a producono una

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luce rossa, tutte le ~ una luce verde e tutte le sequenze casuali di bit una luce gialla sarà visibile per loro quanto lo è per noi, ma essi saranno del tutto ignari del codice ASCII. Ai loro occhi, questo dono arrivato dallo spazio presenterà una regolarità assolutamente misteriosa, del tutto fuori dalla portata di qualsiasi indagine analitica, a meno che non si imbattano nell'idea che ogni scatola contiene una descrizione di un mondo e che le descrizioni riguardano lo stesso mondo. 12 È il fatto che ogni scatola abbia svariate relazioni semantiche con le stesse cose, pur se espresse in "terminologie" differenti e assiomatizzate in modi diversi, che motiva la regolarità. Quando tentai questo esperimento mentale con Danny Hillis, il creatore della Connection Machine, un pionieristico computer a elevato parallelismo costruito dalla sua società, la Thinking Machines, nei primi anni Ottanta, egli pensò immediatamente a una "soluzione" crittografica dell'enigma e riconobbe che è conveniente considerare la mia soluzione come un caso speciale della sua: "Al e Bo usavano il mondo come 'chiave usa e getta'!" - un'allusione a una tecnica crittografica standard. Si capisce il punto centrale immaginando una variante. Insieme al vostro migliore amico, state per essere catturati da forze ostili (pirati spaziali, poniamo) che possono conoscere la vostra lingua, ma non conoscono molto del vostro mondo. Voi conoscete entrambi il codice Morse e improvvisate il seguente schema crittografico: per una linea, si dice un' asserzione vera, per un punto un'asserzione falsa. I vostri carcerieri possono ascoltarvi parlare: "Gli uccelli depongono le uova e i rospi volano. Chicago è una città, i miei piedi non sono di latta e il baseball si gioca ad agosto", dite voi, rispondendo "No" (linea-punto; linea-linea-linea) a quello che vi ha appena chiesto il vostro amico. La prossima volta, per dire "No" userete asserzioni diverse. Anche se i vostri carcerieri conoscessero il codice Morse, a meno che non sappiano determinare la verità 12. Una volta concepita questa idea, i marziani possono dedicarsi a una versione della traduzione radicale di Quine, ma il compito sarà reso doppiamente difficile dal fatto che non sono in grado di interrogare i loro "informatori", A e B, sollevando un oggetto e domandando "palla?", "penna?" e cosi via.

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e la falsità di queste asserzioni, non possono individuare le proprietà che stanno al posto del punto e della linea. Alla storia, per renderla più gustosa, si potrebbe aggiungere una variante nel modo che segue: invece di inviare su Marte il sistema di computer, mettiamo nelle scatole Al e Bo, e ci mandiamo loro. I marziani saranno sconcertati, se Al e Bo giocheranno il tiro del codice Morse, tanto quanto lo sarebbero alla vista dei computer, a meno che non traggano la conclusione (ovvia per noi, ma non per i marziani) che questi oggetti nelle scatole si devono interpretare semanticamente. Il succo della storia è semplice. L'atteggiamento intenziona· le non ha sostituti; o lo si adotta, e si spiega la configurazione individuando i fatti del livello semantico, oppure non si smette mai di rimanere sconcertati dalla manifesta regolarità - la regolarità causale. 13 In questa circostanza il lettore, se somiglia a molti filosofi, potrebbe ancora una volta essere attratto dalla tesi che questa pompa dell'intuizione "funziona" soltanto perché le scatole A e B sono artefatti, la cui intenzionalità, per quel che vale, è del tutto derivata. Le strutture di dati presenti nelle loro memorie traggono significato (se ne traggono uno) dalla dipendenza indiretta dagli organi sensoriali, dalle storie personali e dagli obiettivi dei loro creatori, Al e Bo. La vera origine del significato, della verità, della semanticità degli artefatti è l'artefice umano. Al e Bo hanno un'intenzionalità originaria, e A e B hanno soltanto un'intenzionalità derivata. (Era questo, naturalmente, il punto dell'indicazione che in un certo senso Al e Bo erano all'interno delle loro scatole.) Avrei potuto raccontare la storia in un modo diverso: dentro le scatole c'erano due robot, Al e Bo, ciascuno dei quali aveva passato una "vita" piuttosto lunga in giro per il mondo a raccogliere fatti prima di entrare nella 13. Si può ricavare la stessa morale riguardo all'interpretazione dei fatti della storia dell'evoluzione. Anche se si riuscisse a descrivere, in dettagli di ineguagliabile minuzia, ogni fatto causale della storia di ogni giraffa mai vissuta, a meno di non salire di un livello o due e domandarsi "perché?" - alla ricerca delle ragioni approvate da Madre Natura - non si sarà mai in grado di spiegare le regolarità manifeste - il fatto che le giraffe siano arrivate ad avere il collo lungo, per esempio. (Riprenderemo questo argomento nella parte VI.)

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STRUMENTI PER PENSARE

scatola. Ho scelto una strada più semplice, per prevenire tutte le domande riguardo al fatto che la scatola A o B "pensasse veramente", ma se volete riesaminare l'esperimento mentale con questa complicazione, notate che la pompa dell'intuizione del robot gigantesco-macchina da sopravvivenza ha già messo in dubbio l'idea, altrimenti convincente, che in un artefatto non possa emergere un'autentica intenzionalità. ·'

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SOMMARIO

Ventuno strumenti per pensare - una dozzina di pompe dell'intuizione e alcuni concetti utili - messi in fila e applicati al concetto fondativo di significato. Che cosa abbiamo costruito con il loro aiuto? Funzionano tutti bene? Va notato che una pompa dell'intuizione si può dimostrare preziosa in due modi. Se è ben costruita, o le intuizioni che pompa sono degne di fede e convincenti, e in questo caso blocca elegantemente qualche strada altrimenti allettante che porta all'errore, oppure se le intuizioni continuano a sembrare dubbie, e in questo caso può aiutare a capire quali problemi presentano i suoi presupposti. In entrambi i casi, lo strumento è una specie di leva, come un'altalena costituita da una tavola in equilibrio su un sostegno - se un'estremità sale, l'altra deve scendere-, ma soltanto se lo strumento non si piega e non si rompe a metà. Le pompe dell'intuizione sono più complicate delle altalene, quindi dobbiamo esaminare le possibili posizioni delle manopole. È ciò che abbiamo appena fatto con le due scatole nere, ma abbiamo senza dubbio altre manopole da controllare prima di accontentarci di quel verdetto. E quali sono i verdetti di questa lunga parte sul significato? Una mescolanza di pessimismo e ottimismo. Non scopriremo mai che il significato è una semplice proprietà che possiamo mettere facilmente in corrispondenza con il cervello e non scopriremo da nessuna parte fatti "più profondi" che risolvono la questione di che cosa significhino realmente un enunciato, un pensiero o una credenza. La cosa migliore che possiamo fare - ed è più che sufficiente - è trovare e ancorare le interpretazioni (apparentemente) migliori di tutti i dati di cui disponiamo adottando l'atteggiamento fisico (e l'atteggiamento progettuale). Se riusciremo a trovare una soluzione a un dilemma quineano sul significato, quasi certamente avremo trovato la 213

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soluzione - nel senso che potremmo essere fiduciosi che non resti da scoprire una soluzione migliore. Come ha mostrato il trasloco del two-bitser a Panama, il significato è sempre relativo a un contesto della funzione e non è necessaria un'intenzionalità originaria oltre all'intenzionalità dei nostri geni (sorta) egoisti, che derivano la loro sorta intenzionalità dal contesto funzionale dell'evoluzione per selezione naturale, non da un Progettista Intelligente che ha il ruolo del nostro ricco cliente che ordina un robot gigantesco. La pompa dell'intuizione delle due scatole nere, inoltre, mostra che l'atteggiamento intenzionale, malgrado tutta la sua tolleranza per le sorta credenze e altre cose simili, non è facoltativo quando si desidera capire e spiegare molte delle regolarità causali del mondo. Oggi, nel XXI secolo, le nostre indagini in merito a questi problemi sono rese molto più proficue dal fatto che, per la prima volta, abbiamo la possibilità di pensare in maniera rigorosa ed efficace a meccanismi composti da migliaia di miliardi di parti mobili - che funzionano in modi misteriosi. Grazie a Turing, ora possiamo quanto meno intrawedere un percorso, dalla materia bruta priva di comprensione (l'atteggiamento fisico) attraverso una cascata di nuove disposizioni (l'atteggiamento progettuale e i sorta significati) alla comprensione di noi stessi come esempi paradigmatici del credere, del conoscere e del comprendere (descritti in maniera semplificativa come sistemi intenzionali dall'atteggiamento intenzionale). Ciascuna di queste proposizioni è, o è stata, oggetto di controversie e vi sono ancora moltissimi esperti che non le hanno sottoscritte tutte. Forse lo schieramento di tutte queste proposizioni farà crescere la loro capacità persuasiva provocando un fenomeno di "massa critica" che attirerà chi non ha capito come si coordinano bene le parti. D'altro canto, averle schierate tutte in questo modo potrebbe facilitare ai critici il compito di trovare un elemento comune di errore. In entrambi i casi faremmo progressi. O forse in molti strumenti scopriremo un trucco, capace di offuscare la verità invece di illuminarla. Per trovare i difetti, tornate indietro, girate ancora un po' le manopole e state a vedere che cosa succede. Come minimo, la sco214

ALTRI STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO

perta di un difetto equivale a uno spiacevole tipo di progresso:

il miglioramento che deriva dal fare luce su idee allettanti ma sbagliate, qualcosa che i filosofi fanno da millenni. Non pretendo di aver fornito una teoria del significato in questa parte, ma soltanto uno spazio logico piuttosto ampio in cui un'adeguata teoria scientifica del significato deve trovare posto - se sono nel giusto. 14 Ora che abbiamo sistemato grossolanamente l'aspetto del contenuto della mente, possiamo passare al grande mistero dei misteri, la coscienza? Non ancora. Dobbiamo costruire altre fondamenta. Troppi problemi che emergono quando si cerca di comprendere la coscienza hanno implicazioni, o presupposti, che hanno a che fare con l'evoluzione, come abbiamo visto in questa parte. Molti dei temi che abbiamo iniziato a sviluppare fanno ricorso a considerazioni evoluzionistiche, quindi prima di procedere è opportuno presentarle e chiarirle. Per di più, è un argomento che non smette mai di affascinare.

14. La mia ipotesi è che un'adeguata teoria scientifica del significato sostituirà le strutture rigide, booleane (logiche), della GOFAI, la "buona vecchia Intelligenza Artificiale", con reti più flessibili, bayesiane (statistiche, probabilistiche), di agenti che vanno alla ricerca di configurazioni; ma sviluppare queste idee è un compito adatto a un altro momento e a un'altra sede.

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VI STRUMENTI PER PENSARE ALL'EVOLUZIONE

L'idea di Darwin di evoluzione per selezione naturale è, a mio giudizio, l'idea migliore in assoluto che chiunque abbia mai concepito, poiché in un sol colpo, decisamente audace, unisce il significato alla materia, due aspetti della realtà che sembrano opposti. Da una parte, abbiamo il mondo della mente e dei suoi significati, dei nostri obiettivi, delle nostre speranze e dei nostri desideri, e il più onorato - e trito - di tutti gli argomenti filosofici, il "significato della vita". Dall'altra, abbiamo galassie che ruotano incessantemente, pianeti che seguono la propria orbita, meccanismi chimici senza vita che fanno ciò che ordina la fisica, il tutto senza uno scopo e senza una ragione. Darwin mostrò che i primi emergono dai secondi, creando significato nel corso del processo, e questa visione in cui l'importanza emerge dal basso rovesciò la visione tradizionale di ricadute dall'alto verso il basso. L'idea di selezione naturale non è molto complessa, ma è tanto potente che alcuni non possono neanche prenderla in considerazione e distolgono disperatamente l'attenzione come se si trattasse di una medicina disgustosa. Nelle pagine che seguono presenterò alcuni strumenti per pensare che ci aiutano a capire come questa idea illumini gli angoli bui dell'esistenza trasformando i misteri in problemi che possiamo risolvere e rivelando le glorie della natura come mai prima.

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34. L'ACIDO UNIVERSALE

Avete mai sentito parlare dell'acido universale? È una fantasia con cui mi divertivo insieme ad alcuni compagni di scuola; non ho idea se I' avessimo inventata oppure ereditata da qualcuno, insieme alla cantaride e al salnitro, come parte della cultura giovanile underground. L'acido universale è un liquido così corrosivo da corrodere qualsiasi cosa! Il problema è: dove conservarlo? Distrugge rapidamente tanto i sacchetti di carta quanto le bottiglie di vetro e i barattoli di acciaio inossidabile. Che cosa succederebbe, se si avesse a disposizione o si preparasse una certa quantità di acido universale? Si arriverebbe alla fin fine alla distruzione dell'intero pianeta? Che cosa lascerebbe dietro di sé? In seguito alla trasformazione di tutte le cose dopo l'incontro con l'acido universale, che aspetto avrebbe il mondo? Non mi rendevo conto che dopo qualche anno mi sarei imbattuto in un'idea - l'idea di Darwin - che mostra un'indubbia somiglianza con l'acido universale: corrode quasi ogni concetto tradizionale, lasciando dietro di sé una visione del mondo rivoluzionata, con la maggior parte dei vecchi punti di riferimento ancora riconoscibile, ma trasformata in maniera sostanziale.' Molti che temono Darwin non hanno (deliberatamente?) colto il nocciolo della questione quando ho presentato questa immagine dell'idea pericolosa di Darwin, nel 1995. Mi sono sforzato di rassicurare i miei lettori che dopo il passaggio dell' acido universale sui loro argomenti preferiti - I' etica, l'arte, la cultura, la religione, l'umorismo e sì, anche la coscienza - ciò che resterebbe sarebbe altrettanto meraviglioso, ancor più me1. Alcuni commentatori hanno pensato che il mio paragone tra l'idea di Darwin e l'acido universale fosse stato ispirato dal DNA - che, dopotutto, è l'acido deossiribonucleico - ma io intendo qualcosa di più universale: il DNA non è l'unico mezzo di evoluzione sul nostro pianeta, e chissà quali altri casi di evoluzione esistono in tutto l'universo!

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raviglioso sotto molti profili, ma sottilmente trasformato. L'idea di Darwin è un'idea rivoluzionaria, non c'è dubbio, ma non distrugge ciò che ci sta a cuore in tutte queste cose; al contrario, le pone su basi migliori e le unisce in modo elegante al resto della conoscenza. Per secoli "le arti e le discipline umanistiche" sono state considerate non solo distinte dalle scienze, ma anche in qualche modo protette dalle indagini invasive a cui si dedica la scienza; tuttavia, questo isolamento tradizionale non è il modo migliore di preservare ciò che amiamo. Cercare di nascondere i nostri tesori dietro un velo di mistero ci impedisce di capire come ancorarli nel modo adeguato al mondo fisico. È un errore abbastanza comune, specie nella filosofia. Quando le persone hanno la sensazione che qualcosa che amano sia minacciato, la loro prima reazione è costruire un muro "impenetrabile", una linea Maginot - e per essere ancora più sicure decidono di racchiudere anche altro territorio, una zona cuscinetto, all'interno delle fortificazioni. Sembra un'idea buona, dettata dalla prudenza. Sembra proteggerci dalla terribile brutta china, dal primo anello insidioso di una catena di eventi nocivi, e poi, come tutti sanno, se si concede un dito si perde tutto il braccio. Scavate il fossato! Tirate su il muro! E quanto più in là potete. Di solito, però, questa politica impone ai difensori il peso di un insieme vulnerabile, stravagante (non plausibile, indifendibile) di dogmi che non può essere difeso razionalmente - e quindi deve essere difeso, alla fine, graffiando e gridando. Nella filosofia, questa scelta strategica spesso si manifesta sotto forma di un assolutt'smo di qualche genere: la sacralità della vita (umana) è infinita; al cuore della grande arte c'è sempre l'inesplicabile e divino genio; per noi semplici esseri umani la coscienza è un problema troppo difficile da capire. Un altro esempio è ciò che chiamo realismo isterico, uno dei miei bersagli preferiti: vi sono sempre fatti più profondi che risolvono i problemi difficili di significato. Si tratta di fatti reali, davvero reali, anche se siamo sistematicamente incapaci di scoprirli. È un'idea allettante, in parte perché fa appello al nostro senso della giusta modestia umana: chi siamo noi per dire che non esistono fatti che risolvono questi problemi? La

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notoria resistenza di Einstein all'indeterminazione della meccanica quantistica è un esempio grandioso del fascino di questa idea. "Dio non gioca a dadi!" era il motivo della sua resistenza, sentito ma in definitiva irragionevole. A pensarci, inoltre, chi siamo noi- o chi è Einstein- per dire che Dio non gioca a dadi? Probabilmente, questo non è il modo giusto per affrontare problemi simili e in seguito considereremo alcune opportunità per il realismo isterico - e vedremo come resistergli. Il pensiero evoluzionistico è un buon antidoto.

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35. LA BIBLIOTECA DI MENDEL "ENORME" ED "EVANESCENTE"

Il genoma umano è stato sequenziato da Craig Venter e altri, ma che cosa significa? Il DNA non è diverso da una persona all'altra? Sì, e di fatto è tanto diverso che anche un frammento piuttosto piccolo di DNA trovato sulla scena di un crimine è sufficiente per identificare una persona con un grado di certezza superiore al 99 per cento. Tuttavia, il DNA umano è anche tanto simile che agli scienziati basta solo qualche frammento di un genoma completo per distinguerlo dal DNA di altre specie. Come può essere? Com'è possibile che il nostro DNA personale sia tanto diverso, eppure tanto simile? Un buon sistema per comprendere questo fatto sorprendente consiste nel mettere a confronto il DNA con i testi dei libri, e lo scrittore argentino Jorge Luis Borges ci ha regalato una piccola fiaba, La biblioteca di Babele (1962), che illustra in modo vivido come questa differenza e questa somiglianza possano coesistere. Borges racconta delle disperate esplorazioni e congetture di persone che si ritrovano a vivere in un enorme deposito di libri, strutturato a nido d'ape e composto da migliaia (o milioni o ~iliardi) di cavedi esagonali, in cui a ogni piano si ha una balconata tutta tappezzata di scaffali. Affacciandosi a qualsiasi ringhiera, nessuno riesce a vedere né la sommità né il fondo del cavedio. E nessuno ha mai trovato un cavedio che non sia circondato da altri sei cavedi. Le persone si chiedono se il deposito non sia infinito. Alla fine, decidono che non lo è, ma potrebbe anche esserlo, poiché gli scaffali sembrano contenere - ahimè, in nessun ordine - tutti i libri possibili. Si supponga che ogni libro abbia 500 pagine e che ogni pagina sia formata da 40 righe di 50 spazi; ogni pagina ha quindi 2000 caratteri. Gli spazi contengono un carattere, che appartiene a un insieme di 100 caratteri possibili (le lettere minuscole e maiuscole dell'alfabeto inglese e di altre lingue europee, lo spa222

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zio vuoto più i segni di interpunzione). 2 In qualche parte della biblioteca di Babele vi è un volume con le pagine tutte bianche, poi ve n'è un altro composto interamente di punti interrogativi, ma la vasta maggioranza consiste di farneticazioni tipografiche; non vi è alcuna regola ortografica o grammaticale che precluda la presenza di un volume, per non parlare del significato. Cinquecento pagine da 2000 caratteri significano un milione di caratteri per libro, quindi se ogni libro contenesse una delle possibili permutazioni dei caratteri, vi sarebbero 1001.ooo.ooo libri nella biblioteca di Babele. Poiché secondo le stime' esistono soltanto (più o meno) 10040 particelle (protoni, neutroni ed elettroni) nella regione osservabile dell'universo, la biblioteca di Babele non è neanche alla lontana un oggetto fisicamente possibile, ma, grazie alle regole precise con cui Borges la costruisce nella sua fantasia, la si può immaginare chiaramente. Si tratta davvero dell'insieme di tutti i possibili libri? Evidentemente, no - poiché si limitano a essere i libri composti "soltanto" da 100 caratteri diversi, escludendo i caratteri greci, russi, arabi e cinesi, e tralasciando, quindi, molti tra i più importanti libri esistenti. Tuttavia, è ovvio che di tutti questi la biblioteca contiene magnifiche traduzioni in inglese, francese, tedesco, italiano e così via, oltre a innumerevoli miliardi di traduzioni scadenti. I libri con più di 500 pagine iniziano in un vo; lume e continuano senza interruzioni in uno o più altri volumi. 2. I numeri scelti da Borges erano leggermente diversi: i libri avevano 410 pagine, con 40 righe di 80 caratteri. Il numero totale di caratteri per libro è abbastanza vicino al mio (1.312.000 contro 1.000.000) da rendere irrilevante la differenza. La mia scelta dei numeri ha lo scopo di facilitare i calcoli. Borges scelse un insieme formato soltanto da 25 caratteri, che è sufficiente per scrivere tutto in maiuscolo in spagnolo (le lettere, lo spazio e come unici segni d'interpunzione la virgola e il punto), ma non in inglese. Ho scelto 100 per lasciare tutto lo spazio necessario alle lettere maiuscole e minuscole, e alla punteggiatura di tutte le lingue che usano l'alfabeto latino. 3. Stephen Hawking (1988, p. 152) insiste a metterla così: "Nella regione di universo che noi possiamo osservare ci sono qualcosa come cento milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni di milioni (1 seguito da 80 zeri) di particelle". Michael Denton (1985) fornisce una stima di 10'0 atomi nell'universo osservabile. Manfred Eigen (1992, p. 37) dà come stima del volume dell'universo 1084 centimetri cubi.

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È divertente pensare ad alcuni dei volumi che devono trovarsi da qualche parte nella biblioteca di Babele. Uno è lavostra biografia, la migliore e più accurata che si possa scrivere in cinquecento pagine, dalla vostra nascita alla vostra morte. Individuare la posizione del volume, tuttavia, sarebbe quasi impossibile, poiché la biblioteca contiene anche fantastilioni di volumi che sono biografie magnificamente fedeli di voi fino a dieci, venti, trenta, quarant'anni e più, per diventare assolutamente sbagliate per quanto riguarda gli eventi successivi della vostra vita - con fantastilioni di divertenti variazioni. In questo enorme deposito è, però, estremamente improbabile trovare anche un solo volume leggibile. Sono necessari alcuni termini per indicare le quantità in questione. La biblioteca di Babele non è infinita, quindi le probabilità di trovarvi qualche cosa di interessante non sono letteralmente infinitesimali. 4 Queste parole sono esagerazioni di uso comune, ma andrebbero evitate. Purtroppo, tutte le metafore usuali- "astronomicamente grande", "un ago nel pagliaio", "una goccia nel mare" - sono insufficienti in modo comico. Le quantità astronomiche reali (come il numero di particelle elementari nell'universo, o il tempo trascorso dal Big Bang, misurato in nanosecondi) non si vedono neanche in confronto a questi numeri elevatissimi seppur finiti. Se trovare un libro leggibile in tutta la biblioteca fosse facile quanto trovare una goccia nel mare, sarebbe un affare! Se finissi in un punto qual4. La biblioteca di Babele'è finita; ma, caso strano, contiene tutti gli enunciati grammaticalmente corretti dell'inglese: quello è un insieme infinito e la biblioteca è finita! Peraltro, tutti gli enunciati in inglese, di qualunque lunghezza, possono essere scomposti in pezzi da 500 pagine, ciascuno dei quali è da qualche parte nella biblioteca! Com'è possibile? Alcuni libri possono essere usati più di una volta. Il caso più degenere è anche il più facile da capire: dato che esistono volumi che contengono un solo carattere, l'uso ripetuto di questi cento volumi crea qualsiasi testo di qualsiasi lunghezza. Come fa notare Quine (1987) nel piccolo saggio istruttivo e spassoso intitolato "Biblioteca universale", se ci si avvale della strategia di riutilizzare i volumi e si traduce ogni cosa nel codice usato dai programmi di elaborazione dei testi, si può immaginare l'intera biblioteca di Babele in due volumetti esilissimi: nel primo è stampato uno Oe nel secondo compare un 1 ! (Quine fa anche notare che lo psicologo Theodor Fechner aveva proposto la fantasia della biblioteca universale molto prima di Borges.)

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siasi della biblioteca, la probabilità che avrei di imbattermi in un volume contenente anche un solo enunciato che rispetti la grammatica sarebbe piccola in maniera tanto evanescente che faremmo bene a scrivere il termine tra virgolette - "evanescente" -e ad assegnargli un aiutante, "enormemente", che sta per "molto più che astronomicamente" .5 C'è anche un altro modo per farsi un'idea di quanto sia assurdamente grande la biblioteca di Babele. Come abbiamo appena osservato, solo un sottoinsieme "evanescentemente" piccolo dei libri è composto da parole inglesi. Questo sottoinsieme è di per sé "enorme" e un suo sottoinsieme "evanescente" è formato dai libri in cui le parole formano enunciati grammaticalmente corretti (l"'enorme" maggioranza consiste di volumi pieni di sequenze di parole come questa: "buono poiché Parigi aiutando facile da di cui nondimeno democrazia spogliarello tigri"). Un sottoinsieme "enorme" ma "evanescente" dei libri grammaticalmente corretti è composto da enunciati che hanno senso uno dopo l'altro (il resto è composto da enunciati che potrebbero essere stati scelti a caso da libri composti da enunciati grammaticalmente corretti). Un sottoinsieme "enorme" ma "evanescente" di questi libri

5. Quine (1987) conia il termine "iperastronomico" per lo stesso fine.

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sensati riguarda qualcuno di nome John, e un sottoinsieme "enorme" ma "evanescente" di questi riguarda l'assassinio diJohn F. Kennedy e un sottoinsieme ancora "enorme" (ma "evanescente") di questi ultimi dice il vero- e un sottoinsieme "enorme" ma "evanescente" di questi libri veritieri sull'assassinio diJohn F. Kennedy è composto interamente da limerick! Sì, i possibili libri veritieri in limerick sull'assassinio di J ohn F. Kennedy sono più numerosi di tutti i volumi della Liberia del Congresso! Con tutta probabilità, non ne è mai stato pubblicato neanche uno, ed è un bene che sia così. Moby Dick è nella biblioteca di Babele, però vi si trovano anche cento milioni di mutazioni ingannatrici che differiscono dalla versione canonica di Moby Dick per un unico errore tipografico. Non è ancora un numero "enormé", ma quando si aggiungono le varianti che differiscono per 2 o 10 o 1000 errori tipografici il totale cresce rapidamente. Anche un volume con 1000 errori tipografici- due per pagina in media- sarebbe senza dubbio riconoscibile come Moby Dick e il numero di questi volumi è" enorme". Se soltanto riuscissi a trovarne uno, non avrebbe alcuna importanza quale particolare volume è. Quasi tutti sarebbero pressappoco altrettanto meravigliosi da leggere; tutti raccontano la medesima storia, fatta eccezione per un paio di differenze davvero trascurabili- quasi impercettibili. Non tutti, comunque. A volte un solo errore tipografico, in una posizione critica, può essere fatale. Peter de Vries, un altro narratore filosoficamente delizioso, ha pubblicato un romanzo6 che inizia così: "Chiamatemi, Ismaele". Che cosa può fare una sola virgola! Nella storia di Borges i libri non sono disposti negli scaffali secondo un certo ordine, ma anche se fossero in ordine alfabe6. The Vale o/ Laughter (de Vries, 1953). (Prosegue cosi: "Non fatevi problemi. Chiamatemi a qualsiasi ora del giorno o della notte ... ".) Può darsi che sia stato de Vries a inventare il gioco di vedere quali effetti (deleteri o meno) si possano raggiungere con un unico cambiamento. Uno dei migliori: "Di chi sono questi boschi, penso di sapere: la sua casa è nel villaggio [villagelpillage] ... ". Anche altri si sono dedicati al gioco: allo stato di natura, afferma una mutazione di Hobbes, "la moglie [wi/ellife] dell'uomo è solitaria, misera, ripugnante, brutale e breve". Si consideri anche la domanda: "Sono forse io il guardiano del mio bordello [brothell brother]? ".

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tico stretto, si avrebbero problemi insolubili a trovare un libro in particolare (per esempio, la versione "essenziale" di Moby Dick). Si immagini di viaggiare su un'astronave nella galassia Moby Dick della biblioteca di Babele. La galassia è di per sé "enormemente" più grande dell'intero universo :fisico, quindi, indipendentemente dall;i direzione in cui si procede, per secoli e secoli, anche viaggiando alla velocità della luce, tutto ciò che si vede sono soltanto copie di Moby Dick, praticamente indistinguibili tra loro - non si raggiungerebbe mai un libro che somigli a qualcos'altro. In questo spazio David Copperfield si trova a una distanza inimmaginabile, pur essendo vero che esiste una strada-la più breve, ignorando i fantastilioni di altre - che va dall'uno ali' altro dei due grandi romanzi per successione di singole variazioni tipografiche. (Se mi trovassi su · questa strada, anche disponendo di entrambi i libri mi sarebbe quasi impossibile dire, con un'analisi locale, in quale direzione òccorre spostarsi per arrivare a David Copperfield.) In altre parole, questo spazio logico è tanto "enorme" che molte idee usuali sulla posizione, la ricerca e il ritrovamento, e su altre ordinarie attività pratiche non hanno alcuna applicazione immediata; Borges mette i libri sugli scaffali in ordine casuale, un bel colpetto che gli offre lo spunto per parecchie riflessioni dilettevoli, ma si considerino i problemi che si sarebbe creato se avesse cercato di disporli in ordine alfabetico. Dato che vi sono soltanto cento caratteri alfabetici diversi (nella nostra versione), si può scegliere come ordine alfabetico una particolare sequenza-per esempio, a, A, b, B, e, C, ... z, Z, ?, ;, ,, ., !, ), (, %, ... à, è, é ... A questo punto, si possono mettere tutti i libri che iniziano con il medesimo carattere sullo stesso piano. In tal modo la biblioteca ha soltanto 100 piani; meno della Sears (o Willis) Tower di Chicago. Si può dividere ogni piano in 100 corridoi, uno per ognuno dei possibili caratteri in seconda posizione. In ciascun corridoio si possono collocare 100 scaf /ali, uno per ognuno dei possibili caratteri in terza posizione. In tal modo i libri che iniziano con "aborigeni amano Mozart" - e quanti sono! - sono tutti nello stesso scaffale nel secondo corridoio del primo piano. Comunque, si tratta di uno scaffale

a, e,

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assai lungo e forse sarebbe meglio raccogliere i libri in cassetti perpendicolari allo scaffale, un cassetto per ogni possibile carattere in quarta posizione. In tal modo, ogni scaffale può essere lungo, mettiamo, soltanto 30 metri. Ma così i cassetti hanno una profondità spaventosa e raggiungono il fondo dei cassetti degli scaffali del corridoio vicino, quindi. .. ma ora le dimensioni lungo le quali disporre i libri sono finite. È necessario uno spazio a un milione di dimensioni per disporre in ordine i libri e se ne hanno soltanto tre: sopra-sotto, sinistra-destra e davanti-dietro. Dovremo, quindi, far finta di riuscire a immaginare uno spazio multidimensionale, in cui ogni dimensione è "perpendicolare" a tutte le altre. Questi iperspazi, come vengono chiamati, sono concepibili, pur essendo impossibile visualizzarli. Gli scienziati li usano regolarmente per organizzare la formulazione delle teorie. La geometria di questi spazi (che li si consideri immaginari o no) non è affatto selvaggia e i matematici l'hanno esplorata bene. Per questi spazi logici si può tranquillamente parlare di posizioni, strade, traiettorie, vc;:>lumi (ipervolumi), distanze e direzioni. A questo punto è possibile considerare una variazione sul tema di Borges, che chiamerò la biblioteca di Mendel. La biblioteca contiene "tutti i possibili genomi", tutte le possibili sequenze di DNA. Richard Dawkins descrive uno spazio simile, che chiama "terra biomorfa", nel suo libro !.:orologiaio cieco (1986). La sua analisi ha ispirato la mia e le due descrizioni sono del tutto compatibili, ma voglio sottolineare alcuni punti su cui Dawkins ha deciso di sorvolare. . Se consideriamo che la biblioteca di Mendel è composta da descrizioni di genomi, si vede che è un sottoinsieme proprio della biblioteca di Babele. Il codice standard per descrivere il DNA è formato soltanto da quattro caratteri, A, e, G e T (che stanno per adenina, citosina, guanina e timina, i quattro tipi di nucleotidi). Tutte le permutazioni da 500 pagine di queste quattro lettere, quindi, si trovano già nella biblioteca di Babele. Di solito, però, i genomi sono molto più lunghi dei libri normali. Il genoma umano ha approssimativamente 3 miliardi di nucleotidi, perciò la descrizione completa di un genoma urna-

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no coprirebbe all'incirca 3000 dei volumi da 500 pagine della biblioteca di Babele. Il confronto tra un genoma umano e i volumi della galassia di Moby Dick ci offre la spiegazione cercata della differenza e della somiglianza tra i genomi umani. Come possiamo parlare di trascrizione del genoma umano, se ogni genoma umano è diverso da tutti gli altri non soltanto in un punto, ma in centinaia o migliaia di punti (loci, nel linguaggio della genetica)? Come nel caso proverbiale dei fiocchi di neve o delle impronte digitali, non esistono due genomi umani reali che siano esattamente uguali, neanche quelli di due gemelli monozigoti (l'eventualità di errori tipografici è sempre presente, persino nelle cellule di un solo individuo). Il DNA dell'uomo si distingue immediatamente da quello di ogni altra specie, compresi gli scimpanzé, il cui DNA è identico al nostro in più del 90 per cento dei loci. Ogni genoma umano mai esistito realmente è contenuto in una galassia di genomi umani possibili che è a una distanza "enorme" dalle galassie dei genomi di altre specie, eppure nell'ambito della galassia vi è tutto lo spazio affinché nessun genoma umano sia uguale a un altro. Tutti noi abbiamo due versioni di ciascuno dei geni, una proveniente dalla madre e una dal padre, che ci hanno trasmesso esattamente metà dei loro geni, presi a caso da quelli ricevuti dai loro genitori, i nostri nonni; tuttavia, dato che anche i nostri nonni sono membri di Homo sapiens, i loro genomi concordano in quasi tutti i loci, quindi il più delle volte quale sia stato il nonno che ha fornito l'uno o l'altro dei nostri geni non ha alcuna importanza. Ciò nondimeno, i genomi dei nonni differiscono in molte migliaia di loci e quali sono i geni che riceviamo per quelle posizioni è una questione di puro caso - un lancio di moneta incorporato nel sistema che stabilisce il contributo dei genitori al nostro DNA. Nei mammiferi, inoltre, le mutazioni si accumulano al ritmo di circa·lOO per genoma per generazione: "Ciò significa che i geni dei vostri figli avranno circa un centinaio di differenze rispetto a voi e al vostro partner, in seguito a errori casuali di copiatura compiuti dai vostri enzimi, o a mutazioni nelle vostre ovaie o testicoli prodotte dai raggi cosmici" (Ridley, 1993, p. 48). 229

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La descrizione del genoma di un cavallo o di un cavolo o di un polipo è composta dalle stesse lettere, A, C, G, T. I genomi animali misurati sono per la maggior parte più piccoli del genoma umano, ma certe piante hanno un genoma dieci volte più grande del nostro e il genoma di alcune amebe unicellulari è ancora più grande! Amoeba dubia detiene attualmente il record mondiale: in base alle stime il suo genoma contiene 670 miliardi di coppie di basi, quindi è oltre 200 volte più grande del nostro. Ma supponiamo, arbitrariamente, che la biblioteca di Mendel consista di tutte le sequenze di DNA descritte in tutti gli insiemi da 3000 volumi composti esclusivamente da questi quattro caratteri. In tal modo sarebbe compresa una parte dei genomi "possibili" sufficiente per qualsiasi obiettivo teorico serio. Affermando che la biblioteca di Mendel contiene "tutti i possibili" genomi ho esagerato. Così come la biblioteca di Babele ignorava la lingua russa e quella cinese, la biblioteca di Mendel ignora la possibilità di alfabeti genetici alternativi.basati, per esempio, su componenti chimici diversi. Pertanto, a qualsiasi conclusione si arrivi in merito a quanto è possibile relativamente a questa biblioteca di Mendel, può darsi che sia necessario riesaminarla per poterla applicare a un concetto più ampio di possibilità. Di fatto, non si tratta di una debolezza, bensì di una forza della nostra strategia, dato che consente di non' perdere d'occhio di quale genere di modesta e circoscritta possibilità si sta parlando. Una delle caratteristiche importanti del DNA è che dal punto di vista chimico le permutazioni di sequenze di adenina, citosina, guanina e timina sono quasi tutte altrettanto stabili. In linea di principio, le si potrebbe costruire tutte nei laboratori di gene-splicing e, una volta costruite, avrebbero una durata illimitata, come un libro in una biblioteca. Ma di tali sequenze della biblioteca di Mendel non tutte corrispondono a un organismo che può vivere. La maggior parte delle sequenze di DNA -1"' enorme" maggioranza - è uno sproloquio, una ricetta che non porta ad alcunché di vivo. Tutti i genomi che vediamo, che esistono realmente oggi, sono il prodotto di miliardi di anni di aggiustamento e revisione, un processo di editing senza inten230

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zionalità che è efficace perché la maggior parte dello sproloquio (tutto tranne un filo "evanescentemente" sottile di "testo" significativo, utile) viene automaticamente scartata, mentre il resto viene incessantemente riutilizzato, copiato fantastilioni di volte. Abbiamo tutti più di un miliardo di copie del nostro genoma all'interno del nostro corpo in questo preciso momento, una copia in ogni cellula umana, e ogni giorno, nelle nuove cellule della pelle, delle ossa e del sangue prodotte, vengono installate nuove copie del nostro genoma. Il testo che può essere copiato - poiché sta in un'azienda in attività, una cellula vivente - viene copiato. Il resto si dissolve. Pubblica o muori.

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36. I GENI COME PAROLE O COME SUBROUTINE

L'analogia tra geni e parole è utile, come abbiamo appena visto, ma ne esiste una migliore che ora, grazie all'interludio sui computer, siamo in grado di comprendere. Nel suo capolavoro, Il racconto dell'antenato, Richard Dawkins riconosce a un altro brillante autore di libri sull'evoluzione, Matt Ridley, il merito di aver messo in rilievo, nel Gene agile (2004), le profonde somiglianze tra geni e subroutine. Di solito non inserisco in un mio libro una citazione tanto lunga tratta dal lavoro di qualcun altro, ma ho scoperto che i miei tentativi di parafrasare questo brano ne sacrificavano invariabilmente la chiarezza e la vivacità ottenendo in cambio soltanto un pizzico di originalità; pertanto, con la sua autorizzazione, riporto la versione originale così come appare nel libro (Dawkins, 2004, pp. 167-168): La maggior parte del genoma che sequenziamo non è un libretto di istruzioni o un software per costruire un uomo o un topo, anche se parti di esso lo sono; se fosse davvero così, sarebbe logico attendersi che il programma per l'uomo fosse più grande del programma per il topo. La maggior parte del genoma somiglia di più al dizionario per scrivere il libretto di istruzioni o, come vedremo, alla serie di subroutine che viene richiamata dal programma principale. Come osserva Ridley, l'elenco di parole di David Copperfield e quello del Giovane Holden sono quasi identici. Entrambi i libri utilizzano il vocabolario di un anglofono istruito; quello che è completamente diverso, nei due romanzi, è l'ordine in cui le parole sono disposte. Quando vengono creati un uomo o un topo, le due embriologie attingono allo stesso vocabolario di geni, al normale vocabolario delle embriologie dei mammiferi. La differenza tra un essere umano e un topo è data dall'ordine diverso in cui sono disposti i geni tratti dal vocabolario comune a tutti i mammiferi, dalle aree diverse dell'organismo in cui i geni si attivano e dal momento in cui vengono attivati. Tutto ciò è sotto il controllo di geni specifici, il cui compito è attivare a cascata altri

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geni secondo una modalità complessa e una tempistica perfetta. Ma questi geni regolatori rappresentano solo una minoranza dei geni del genoma. Non si pensi che I"' ordine" sia l'ordine in cui i geni sono disposti sui cromosomi. Con notevoli eccezioni, [ ... ]l'ordine dei geni su un cromosoma è arbitrario quanto l'ordine in cui sono elencate le parole nel dizionario - un ordine solitamente alfabetico, ma a volte, specie nei vocabolarietti per stranieri, dettato dalla praticità, come il frasario utile negli aeroporti, il frasario utile nell'ambulatorio medico, il frasario utile nei negozi e così via. L'ordine in cui i geni sono disposti sui cromosomi non è importante: l'importante è il fatto che il meccanismo cellulare trova il gene giusto quando ne ha bisogno, e lo trova con metodi sempre più comprensibili per noi. [. . .] Sotto un profilo, però, la similitudine del dizionario è fuorviante. Le parole sono più brevi dei geni e alcuni autori hanno paragonato ciascun gene a una frase. Ma l'analogia con le frasi non è valida per un altro motivo: i libri non vengono scritti permutando un repertorio fisso di frasi. Quasi tutte le frasi sono uniche. Come le parole, ma diversamente dalle frasi, i geni sono usati più volte in contesti diversi. Un'analogia migliore della parola o della frase è data da una subroutine in un computer. [. .. ] Il Macintosh ha una cosiddetta toolbox [cassetta degli attrezzi] di routine archiviata nella ROM (la memoria di sola lettura) o in file di sistema sempre caricati all'avvio del computer. Queste routine sono migliaia e ciascuna esegue un' operazione specifica, di cui probabilmente programmi diversi avranno bisogno, più e più volte, in maniere leggermente diverse. Per esempio, la routine chiamata "Nascondi-cursore" fa sparire il cursore dallo schermo fino a quando non si sposta nuovamente il mouse. Senza che noi lo vediamo, il "gene" N ascondi-cursore è attivato ogniqualvolta si comincia a usare la tastiera e il cursore sparisce. Le routine della toolbox sono alla base delle caratteristiche condivise da tutti i programmi per Mac (e dai corrispondenti programmi per il sistema Windows che li hanno imitati): menu a tendina, barre di scorrimento, finestre dimensionabili che si possono trascinare in ogni punto dello schermo con il mouse e via dicendo.

Tutto ciò aiuta a capire perché un esperto riconosce con estrema facilità il genoma di un mammifero: ha la toolbox dei mammiferi, che oltre agli strumenti specializzati per la pro233

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duzione di mammiferi comprende anche attrezzi della toolbox dei rettili, di quella dei pesci e persino di quella dei vermi. Gli strumenti più vecchi sono comuni a tutti gli esseri viventi, compresi i batteri.

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37. L'ALBERO DELLA VITA

I genomi oggi esistenti sono collegati da fili di discendenza ai genomi dei loro genitori e nonni e così via, a ritroso nel tempo fino all'inizio della vita sulla Terra. L'illustrazione dell'albero della vita (tavola 2, di fronte a p. 257) mostra come ogni persona abbia legami di parentela relativamente stretti con ogni altra persona - avendo antenati umani in comune nelle ultime centinaia di migliaia di anni, oltre a condividere antenati con ogni cane e ogni balena negli ultimi duecento milioni di anni, e con ogni margherita e ogni sequoia negli ultimi due miliardi di anni. L'albero della vita può essere disegnato in molti modi. In questa illustrazione, il presente è rappresentato lungo le cime più esterne dei rami. Soltanto le stirpi ancora vive raggiungono questo bordo esterno. La figura mostra che i dinosauri (con l'eccezione degli uccelli che da essi discendono) si sono estinti più di 60 milioni di anni or sono. Tutti i fili sono collegati alla fine, alle origini della vita - e più avanti ne riparleremo. Se ingrandissimo il disegno di mille miliardi di volte, potremmo vedere l'albero genealogico di ogni mosca, pesce e rana mai vissuti, e quali ebbero una discendenza, e quali morirono senza (la maggioranza, com'è ovvio).

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38. GRU E GANCI APPESI AL CIELO, L'INNALZAMENTO NELLO SPAZIO DEI PROGETTI

La vita è sorprendente. Se pensiamo ai miliardi di sistemi solari che sono quasi certamente del tutto privi di vita, è ,in. credibile che esista anche un modo qualunque di essere vivi. Ed è sorprendente riflettere sulla varietà delle forme di vita, dai batteri ai pesci, agli uccelli, alle margherite, alle balene, ai serpenti,· agli aceri, agli esseri umani. Forse, l'aspetto più sorprendente è la tenacia degli esseri viventi, i mille e mille modi che hanno di aggrapparsi alla vita e di riprodursi, sbarcando il lunario nonostante ostacoli formidabili, grazie a milioni di ingegnosi meccanismi e disposizioni, dalle intricate cascate di meccanismi di produzione delle proteine all'interno di ciascuna cellula, all'ecolocazione dei pipistrelli, alla proboscide degli elefanti, alla capacità del cervello umano di riflettere su ogni argomento "sotto il sole" e molti altri ancora. Tutta questa magnifica corrispondenza dei mezzi ai fini richiede una spiegazione, poiché non si può trattare di puro caso! Si conoscono soltanto due possibilità: il Progetto Intelligente e l'evoluzione per selezione naturale. In entrambe le evenienze vi è un'enorme quantità di lavoro di progettazione da realizzare, miracolosamente da parte di un Progettista Intelligente oppure laboriosamente, senza preveggenza, stupidamente - ma non miracolosamente - da parte della selezione naturale. Chiamiamo il lavoro di progettazione ricerca e sviluppo (R&S), l'espressione che si usa nell'ambito industriale, e riconosciamo che è sempre costoso. Richiede tempo ed energia. La bellezza della grande idea di Darwin sta nel fatto che egli capì come, dati miliardi di anni per lavorare e una quantità prodigiosa di movimenti "sprecati" (fantastilioni di tentativi sfociati in errori), i miglioramenti progettuali si possono accumulare senza miracoli, automaticamente, senza intenzione, preveggenza e comprensione. Robert Beverley MacKenzie, 236

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uno dei più ferventi critici di Darwin, descrisse nel 1868 il processo in maniera eloquente:

e

Nella teoria di cui ci dobbiamo occupare, l'artefice l'Igno, ranza Assoluta; si può quindi enunciare come principio fondamentale dell'intero sistema che, AL FINE DI COSTRUIRE UNA MACCHINA PERFETTA E MERAVIGLIOSA, NON È NECESSARIO SAPERE COME FARE A COSTRUIRLA. A un attento esame, si scoprirà che questa

dichiarazione esprime, in forma concisa, lo spirito essenziale della teoria e che sintetizza in poche parole tutto quanto intende il signor Darwin, il quale, con un ragionamento bizzarramente capovolto, sembra pensare che l'Ignoranza Assoluta abbia tutti i titoli per prendere il posto della Saggezza Assoluta in tutte le realizzazioni delle capacità creative.

Proprio così! E da quando Darwin propose questa idea sbalorditiva gli scettici si sono sempre domandati se vi sia stato il tempo necessario per portare a termine tutto quel lavoro creativo nel modo laborioso. Per immaginare il lavoro progettuale che deve essere stato realizzato è utile pensarlo come innalzamento nello spazio dei progetti. Che cos'è lo spazio dei progetti? Come la biblioteca di Babele e la biblioteca di Mendel, la cosa migliore è concepirlo come uno spazio multidimensionale. Di fatto, lo spazio dei progetti contiene queste due biblioteche e .molto altro, poiché include non solo tutti i libri (progettati, con un autore) e tutti gli organismi (progettati, evoluti), ma anche tutte le altre cose ben descritte dall'atteggiamento progettuale (si veda il capitolo 18), come le case, le trappole per topi, le accette, i computer e le astronavi. Inoltre, così come la maggior parte della biblioteca di Babele è composta da testi insensati, la maggior parte dello spazio dei progetti è piena di ciarpame, cose che non possono fare nulla di buono. Se siete come me, riuscite a immaginare soltanto tre dimensioni alla volta, ma più si stimola l'immaginazione trastullandosi con l'idea più diventa facile J?ensare che le tre dimensioni familiari siano al posto di molte. (E uno strumento del pensiero che migliora con la pratica.) Se immaginiamo di collocare l'albero della vita nella biblioteca di Mendel, possiamo vedere come tutti gli esseri vi237

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venti realmente esistiti su questo pianeta siano collegati l'uno all'altro da linee di discendenza. Quelle stirpi trasmettono i miglioramenti progettuali basilari "scoperti" dalla selezione naturale, conservando i primi lavori di R&S per usarli in tutti gli esseri viventi successivi. (L'"apparato" all'interno di ogni cellula, dai batteri ai neuroni, comprende migliaia di nanomeccanismi splendidamente progettati che funzionano da più di tre miliardi di anni, la sala macchine fondamentale della vita che abbiamo in comune con gli alberi, gli uccelli e le cellule di lievito.) Al livello multicellulare, troviamo il cuore, i polmoni, gli occhi, le braccia, le gambe, le ali, che riusano e migliorano progetti sviluppati inizialmente "soltanto" due miliardi di anni or sono. Oltre alle parti degli organismi, però, vi sono gli artefatti degli organismi: le tele dei ragni, i nidi degli uccelli e le dighe dei castori, per esempio. Anche questi mostrano segni inequivocabili di R&S e i frutti di quella R&S devono essere stati trasmessi in qualche modo lungo le stesse linee di discendenza - nei geni oppure grazie all'imitazione dei genitori da parte della prole. Di tanto in tanto emerge una novità - mediante una mutazione, un esperimento o un incidente - che è un miglioramento e la novità viene copiata, copiata e ancora copiata. Gli esperimenti falliti si estinguono. Ancora una volta, pubblica o muori. Poi vi sono gli artefatti umani: gli aratri, i ponti e le cattedrali, i dipinti, le opere teatrali, le poesie e ancora i torchi tipografici, gli aeroplani, i computer, i tosaerba e ... gli strumenti per pensare. Che cosa ne possiamo dire? Non pendono dai rami di una parte dell'albero della vita - la stirpe umana? Ciascuno strumento dipende da uno o più autori o inventori e la maggior parte da innumerevoli migliaia o milioni di persone che hanno contribuito alla ricerca e allo sviluppo che vi sta dietro. Shakespeare non dovette inventare il sonetto e Beethoven non dovette inventare la sinfonia, ma adattò qualcosa che esisteva già. Una motosega è composta da decine o centinaia di elementi preesistenti, già inventati, già ottimizzati. Alcuni dei nostri artefatti probabilmente sono copiati dagli artefatti di altri animali. Il nido degli uccelli tessitori ha ispirato l'invenzione della 238

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tessitura della tela? Il ripiano di neve rialzato sul pavimento di un igloo inuit, che permette all'aria fredda di defluire dal tunnel d'ingresso, più basso, imita il fondo rialzato nelle tane degli orsi polari o sono due invenzioni indipendenti (o gli orsi polari hanno copiato gli inuit)? Le profonde somiglianze funzionali tra i cuori e le pompe, tra l'ecolocazione dei pipistrelli e il sonar e il radar, tra le dighe dei castori e le dighe di irrigazione, tra gli occhi e le macchine fotografiche, non sono un caso; processi simili di esplorazione - di R&S - li hanno plasmati, affinati e perfezionati nel corso dei secoli. Metteteli tutti in uno spazio comune: lo spazio dei progetti, lo spazio di tutti i possibili progetti. Per i biologi è una mossa discutibile, per una ragione che credo di comprendere, e che deploro. Molti biologi sono estremamente riluttanti a parlare di "progetto" in relazione a esseri viventi, poiché pensano che rechi aiuto e conforto al movimento del Progetto o Disegno Intelligente, la disonesta campagna pseudoscientifica e criptoreligiosa per minare la più che meritata autorità della biologia evoluzionistica. (Tra questi oppositori vi sono due miei stimatissimi colleghi e amici, i biologi evoluzionisti Richard Dawkins eJerry Coyne.) Parlando di scopi e progetti nella natura, noi (in apparenza) diamo per buona alla banda del Progetto Intelligente metà della sua tesi; è meglio, così pensano alcuni, mantenere un embargo intransigente su questi temi e insistere che a rigar di termini non esiste nulla di progettato nella biosfera oltre a ciò che è stato progettato da artefici umani. La natura genera sistemi complessi (organi, comportamenti) in un modo tanto diverso da quello di un artefice umano, pensano, che non dovremmo usare lo stesso linguaggio per descriverli. Richard Dawkins parla - di tanto in tanto (per esempio in Dawkins, 1996, p. 4) - di caratteristiche progettualoidi degli organismi e, nel Racconto del!'antenato, dice: "L'illusione di progettualità suscitata dalla selezione naturale darwiniana è straordinariamente forte" (2004, p. 501). Non sono d'accordo con questa politica di austerità, che può risultare assai controproducente. Di recente, in un bar mi è capitato di ascoltare una conversazione tra alcuni giovani sulle 239

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meraviglie dei nanomeccanismi scoperti all'interno di tutte le cellule. "Quando vedi tutti quei fantastici piccoli robot sempre al lavoro", ha esclamato un ragazzo, "come puoi credere nell'evoluzione!", e un altro ha annuito saggiamente. Per qualche motivo questi giovani si erano fatti l'idea che per i biologi evoluzionisti la vita non sia poi così complessa, che le sue componenti non siano poi così prodigiose. Questi scettici dell' evoluzione non erano persone rozze e ignoranti, ma studenti di medicina di Harvard! Sottovalutano enormemente la potenza della selezione naturale, perché i biologi evoluzionisti hanno detto e ripetuto che non esiste un progetto reale in natura, ma solo l'apparenza di un progetto. Questo·episodio mi è sembrato una chiara indicazione del fatto che la "conoscenza comune" sta iniziando a incorporare l'idea sbagliata che i biologi evoluzionisti sono riluttanti ad "ammettere" o "riconoscere" tutto il progetto evidente che esiste in natura. Si consideri a questo proposito Christoph Schonborn, l' arcivescovo cattolico di Vienna, che è stato ingannato da quelli del Progetto Intelligente. Com'è noto, ha scritto un articolo di opinione sul New York Times, intitolato "Finding design in Nature" (Schonborn, 2005): · La Chiesa cattolica, pur lasciando alla scienza molti dettagli riguardo alla storia della vita sulla Terra, proclama che alla luce della ragione l'intelletto umano può facilmente e chiaramente discernere una finalità e un progetto nel mondo naturale, compreso il mondo degli esseri viventi. L'evoluzione nel senso di antenati comuni potrebbe essere vera, ma l'evoluzione nel senso neodarwiniano - un processo non guidato e non pianificato di variazione casuale e selezione naturale - non lo è. Qualunque sistema di pensiero che neghi o cerchi di spiegare in altro modo le prove schiaccianti del progetto nella biologia è un'ideologia, non scienza.

Quale campagna vogliamo condurre noi evoluzionisti? Vogliamo cercare di convincere i profani che non vedono davvero il progetto che è incredibilmente evidente a qualsiasi scala nella biologia, o preferiamo cercare di far capire che, mirabi240

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le dictu, ciò che Darwin ha fatto vedere è che può esistere un progetto - un progetto reale, estremamente reale - senza un Progettista Intelligente? Abbiamo convinto il mondo che la Terra gira intorno al Sole e che il tempo è relativo, non assoluto. Perché rifuggire dal compito pedagogico di mostrare che può esistere un progetto senza un progettista? Difendo quindi (ancora una volta, con rinnovato vigore) la tesi seguente: la biosfera è completamente satura di progetti, finalità e ragioni. Ciò che chiamo atteggiamento progettuale prevede e spiega caratteristiche di tutto il mondo vivente usando gli stessi assunti che funzionano alla perfezione quando applichiamo l'ingegneria inversa ad artefatti realizzati da progettisti umani (alquanto) intelligenti. L'evoluzione per selezione naturale è un insieme di processi che "trovano" e "inseguono" ragioni perché le cose siano organizzate in un modo e non in un altro. La differenza principale tra le ragioni trovate dall'evoluzione e quelle individuate da progettisti umani è che le seconde di solito (ma non sempre) sono rappresentate nella mente dei progettisti, mentre le prime di solito sono rappresentate per la prima volta da investigatori umani che riescono ad applicare l'ingegneria inversa ai prodotti della natura. In altre parole, i progettisti umani pensano alle ragioni per le caratteristiche dei propri artefatti e quindi hanno idee che rappresentano le ragioni. In generale, osservano, valutano, elaborano, perfezionano e poi comunicano, discutono e criticano le ragioni dei propri progetti. L'evoluzione non fa nulla di tutto ciò, ma passa semplicemente al setaccio senza intenzionalità la variazione che genera e la roba buona (che è buona per ragioni non pensate e non rappresentate dal processo di sdezione naturale) viene copiata. Si potrebbe fare buon uso del termine progettualoide per indicare semplicemente il progetto apparente, ma non nella biologia. Quando penso alla mera apparenza di progetto, mi viene in mente il modo in cui vengono impostate le vignette sugli scienziati, con teste d'uovo barbute di fronte a una lavagna ricoperta di simboli (in realtà privi di senso), o in un laboratorio di chimica in mezzo a una selva impressionante di provette e di ,hecher, o con l'inventore pazzo che lavora a una macchina del 241

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tempo piena di quadranti, antenne e aggeggi hi-tech. Queste cose in realtà non potrebbero realizzare alcun lavoro; hanno solo un'apparenza di funzionalità. I progetti della natura, invece, sono davvero efficaci. Di fatto, spesso sono dimostrabilmente molto più efficaci e potenti di qualunque elemento analogo di progettazione umana inventato finora. Ecco un esempio di battuta progettualoide.

CHE NE È STATO DELLE SOLUZ:IONI ELEGANTI?

Un giovanotto in piena salute può camminare, portando con sé tutto il cibo e l'acqua di cui ha bisogno per sopravvivere, per circa una settimana, fermandosi a riposare quando vuole, arrivando forse a percorrere 250 chilometri. (Il grosso del peso è dovuto ali' acqua e uno zaino che contenga 22 chili di acqua, 7 di alimenti e 4 di indumenti è davvero molto pesante; se l'uomo potesse trovare qualche fonte d'acqua lungo il percorso, potrebbe andare avanti per mesi.) Per fare un paragone, consideriamo il robot camminatore Ranger realizzato alla Cornell University dall' équipe guidata da Andy Ruina, che ha battuto ogni record precedente percorrendo senza fermarsi 65 ,2 chilometri in un'ultramaratona per robot che si è tenuta a Tokyo nei primi due giorni di maggio del 2011. I progettisti di Ranger 242

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hanno sfruttato le proprietà dinamiche degli arti per creare un camminatore con un'eccellente efficienza energetica (cammina su una pista piana circolare per ore e ore di seguito, guidato da un essere umano con un joystick). Un altro magnifico robotcamminatore a quattro gambe, Big Dog, è circa quindici volte meno efficiente dal punto di vista energetico, ma la sua capacità di procedere su terreni difficili è davvero straordinaria. Gli esseri umani sono ancora sistemi di traspo"rto notevolmente più efficienti (di un fattore 4 o 5) di Ranger e, a differenza del robot, possono reagire autonomamente a ogni genere di caratteristica del mondo (si veda Ruina, 2011). Non si può andare avanti così. O definiamo un "progetto" come il prodotto di un Progettista Intelligente (come un creatore di poesie o di automobili, per esempio) o ammettiamo che possa esistere un progetto - un autentico progetto - senza un Progettista Intelligente. La tradizione e l'etimologia sembrano essere a favore della prima alternativa; non dimentichiamo, però, che atomo (dal greco a-roµo