Storia di un'anima. Manoscritti autobiografici
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I CLASSICI DELLO SPIRITO

Teresa di Lisieux

STORIA DIUNANIMA MANOSCRITII AUTOBIOGRAFICI

Traduzione e introduzione di GIOVANNI GENNARI Presentazione di S.E. MONS. ClAUDIO M. CELLI (Are. tit. di Civitanova)

FABBRI EDITORI

STORIA DI UN'ANIMA

© 1997 Edizioni PIEMME S.p.A., Casale Monferrato (AL) Sulla collana I CLASSICI DELLO SPIRITO "'> 1997 R.C.S. Libri S.p.A., Milano Pubblicazione periodica settimanale Registrazione presso il Tribunale di Milano n.

728 del 21.11.1997

Direttore responsabile

GIANNI VALIARDI

Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa n. 00262 vol. III, Foglio 489 dd 20.09.1982 In copertina:

Grsù Bambino (part.), XIX sec., intaglio su carta

PRESENTAZIONE

In una lettera del 17 luglio 1933, poco prima di en­ trare nel Carmelo, Edith Stein scriveva a un'amica: «La sola impressione che io ho avuto, è che io mi trovavo davanti una vita umana unicamente e totalmente attra­ versata fino in fondo dall'amor di Dio. Io non conosco nulla di più grande e, in quanto possibile, vorrei trasfe­ rire un poco di questo nella mia vita e nella vita di co­ loro che mi circondano» . Sono molti coloro che, come Edith Stein, di fronte alla dottrina-esperienza di Teresa di Lisieux potrebbero formulare i medesimi giudizi ed esprimere gli stessi sen­ timenti. Nel contesto di un mondo occidentale che in­ vecchia sempre più e perde di vista i grandi valori del Vangelo, pur conservandone una profonda nostalgia, è importante ritornare alle pagine della «petite sorcière» (è una definizione del Card. Daniélou) e mi auguro che questa nuova traduzione in lingua italiana della Storia di un 'anima curata da Gennari, fine e acuto conoscito­ re della vita e della teologia di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, possa apportare frutti ab­ bondanti di bene per i singoli lettori e per la Chiesa. Di tempo ne è passato da quel lontano 30 settembre 1898, appena un anno dopo la morte di Teresa, quando usci in 2.000 esemplari la prima Storia di un'anima cu­ rata da Madre Agnese di Gesù. Rieditato 46 volte e tra­ dotto in più di 50 lingue, questo testo ha dimostrato una straordinaria fecondità spirituale e ha suscitato e soste5

nuto il lavoro di esegeti e specialisti delle varie discipli­ ne, come Gennari ha puntualmente sottolineato nella sua Introduzione. Madre Agnese di Gesù, come lei stessa dirà al Pro­ cesso canonico 1, aveva compreso molto bene quali e quanti frutti avrebbe prodotto la lettura dei Manoscritti e la sequela della vita e della dottrina della «piccola» Teresa. Non è mio desiderio, in questa circostanza, toc­ care il delicato e complesso problema dell'edizione dei testi originali e integrali delle opere teresiane. Ci s aran­ no altre occasioni nel futuro per manifestare il nostro ringraziamento a colui che con sapiente e tenace lavo­ ro ha dato inizio e promosso un autentico lavoro scien­ tifico capace di ridonarci il vero volto di Teresa. Altri l'hanno seguito e ora la Chiesa ha nelle sue mani uno strumento prezioso, utile per accompagnare e illuminare il progetto della nuova evangelizzazione con la dottri­ na-esperienza di Teresa. La Santa del silenzio di Dio, di un Dio che è Amore Misericordioso, ci prende per mano e ci accompagna nella scoperta sempre nuova di uno Spirito che vivifica la Chiesa 2 • E sarà lo Spirito increato che darà alla «pic­ cola» carmelitana il suo posto nella Chiesa: «Sì, ho tro­ vato il mio posto nella Chiesa, e questo posto siete voi, o mio Dio che me l'avete donato . . . nel Cuore della Chie­ sa, mia Madre, io sarò l'Amore ... così io sarò tutto... così il mio sogno si sarà realizzato» . Sarà lo Spirito che farà di lei la grande Missionaria, la Patrona delle Missioni, perché la conduce pian piano a comprendere che non l •En rélisant !es manuscrits que j'avais entre !es mains, j'eus l'impression que je possédais un trésor qui pourrait faire beaucoup de bien aux àmes. C'est pour cela que je songeai à le publier•, PO, p. 149. 2 H.U. von Balthasar sostiene giustamente che la teologia di Teresa è •essentiellement une théologie de l'Esprit Saint», TIIÉRÈSE DE Lisrnux, Confé­ rences du Centenaire (1873- 1 973), Paris 1 973, p. 1 12.

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c'è apostolato senza contemplazione, che non si dà con­ templazione che non inserisca sempre più profondamen­ te nella missione salvatrice della Chiesa perché lui è Amore che si dona, che perdona, che salva, che trasfor­ ma nell'Amato. Evidente è l'attualità di questa dottrina-esperienza di Teresa, e la pubblicazione di una nuova e fedele tradu­ zione italiana dei Manoscritti mi fa auspicare e pregare affinché ancora una volta si possa verificare quanto ri­ chiesto da Teresa: «Attirami, noi correremo» 3• M. CELLI titolare di Civitanova

+ CLAUDIO

Are.

3 Man. C., ff. 3Sv-36r (pp. 307-308): ·Che vuoi dunque dire chiedere di essere Attirato, se non (chiedere) di unirsi in una maniera intima all'oggetto che imprigiona il cuore? Se il fuoco ed il ferro avessero la ragione e se que­ st'ultimo dicesse all'altro: Attirami, non proverebbe che vuole identificarsi con il fuoco in modo che esso lo penetri e che lo imbeva della sua ardente sostan­ za e sembri non fare che una sola cosa Man. C., f. 36r (pp. 307-308): •Madre amatissima, ecco la mia preghiera, io chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi cosl stret­ tamente a Lui, che Egli viva ed agisca in me. Io sento che più il fuoco del­ l'amore infiammerà il mio cuore, più dirò: Attirami, più anche le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo pezzetto di ferro inutile, se mi allonta­ nassi dalla fornace divina), più queste anime correranno velocemente all'odo­ re dei profumi de/loro Amato, perché un'anima infiammata d'amore non può restare inattiva •. ...•.

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Introduzione

IL FUOCO, IL FERRO, LA NEBBIA Per restituire Teresa a se stessa, alla Chiesa, a tutti

l. Teresa di Lisieux, davvero maestra di cc dottrina»?

«Ringraziamenti al grande Dottore». Chi legge questo libro può vedere nell'ultima di copertina un autografo di Teresa, ccritagliato» da una lettera del 1 6 ottobre 1 892 alla cugina Marie Guérin: mezza riga con quattro paro­ le. È uno dei 27 pezzi in cui quella lettera fu sbriciola­ ta, come tante altre, dalle sorelle di Teresa, che erano abituate a far dono dei frammenti degli scritti della loro «sorellina» in piena libertà, considerandosene assolute proprietarie. Quella lettera, ricostruita a fatica dai pez­ zi superstiti, e da copie anteriori alle «donazioni», è oggi pubblicata alle pp. 369-370 del secondo volume della Correspondance Générale, edita nel 1 973. ll frammento originale, con i «ringraziamenti al grande Dottore», fu regalato da Madre Agnese di Gesù e suor Genéviève del Santo Volto, rispettivamente Paolina e Celina, le sorelle di Teresa, con dedica autenticante, all'Abbé André Com­ bes ( 1 899- 1 969), professore alla Sorbona e all'Istituto cattolico di Parigi e poi alla Pontificia Università del Laterano a Roma, grande studioso della storia della spi­ ritualità cristiana. Combes dal 1 946 stava studiando sul posto, a Lisieux, vivendo nel Carmelo stesso, tutti i testi di Teresa, in vi­ sta di una loro sistematica edizione integrale e scienti­ fica. Per Combes quella pubblicazione era la premessa 9

unica per una seria interpretazione della dottrina di Te­ resa, che egli intuiva «grande e nuova», ma che era an­ cora sommersa da tanti luoghi comuni di devozione e di divulgazione che non le rendevano giustizia. Furono quattro anni di lavoro intensissimo, che tuttavia passa­ rono in un estenuante tira e molla proprio con le due sorelle di Teresa, Paolina e Celina, e con altre suore del Carmelo di Lisieux, per ottenere la pubblicazione inte­ grale dei testi. Nell'originale di quella lettera a Marie Guérin, da cui siamo partiti, il «grande Dottore » era il dr. Francis La Néele, che di mestiere proprio il medico faceva, e aveva sposato la sorella di Marie. Evidentemente, quando le due sorelle di Teresa, il 30 novembre 1 947, giorno del suo onomastico, regalarono ad André Combes proprio quel frammento di autografo della Santa, volevano estendere a lui il ringraziamento per il lavoro che stava conducendo, ma che, come vedremo in seguito, sareb­ be stato interrotto. Qui e ora interessa il termine «dottore » , per 'porre una domanda: lo si può applicare, sul serio, a Teresa Martin, Suor Teresa del Bambino Gesù, Santa «Teresina» delle devozioni infantili, della «pioggia di rose», delle pic­ cole cose e delle piccole virtù praticabili da tutti? Tere­ sa di Lisieux «dottore», e addirittura «Dottore della Chie­ sa »? Anche il semplice pensare a una cosa simile, fino a qualche tempo fa, avrebbe fatto sorridere tanta gente. La «piccola » Teresa «dottore » come le «grandi» Caterina da Siena e Teresa d'Avila, le due sole donne che in 2.000 anni la Chiesa ha proposto come tali? Non scherziamo ... Eppure tutti sappiamo che la questione del «dotto­ rato» di Teresa di Lisieux l'ha posta Giovanni Paolo II: commissioni di storici, di teologi, di vescovi e cardinali hanno discusso il problema, e hanno dato al Papa una risposta positiva. Al momento in cui scrivo queste rilO

ghe la proclamazione di Teresa di Lisieux «Dottore della Chiesa>> non è sicura, ma quello che è certo è che nes­ suno, che senta e viva i problemi della Chiesa, di Cri­ sto, della salvezza del mondo, sorride più a una simile ipotesi. È un segno dei tempi, e anche del tempo che passa e che rende giustizia alla verità: sempre. A cento anni dalla morte di Teresa è forse venuto dav­ vero il momento di eliminare definitivamente un velo di nebbia, che pur con le migliori intenzioni le è stato creato intorno, e recuperare il suo vero messaggio per la Chiesa e per l'umanità intera di questa fine di secolo e di millennio, se naturalmente ne ha uno davvero suo. Teresa sapeva, con chiarezza assoluta, di avere un messaggio suo, una sua dottrina, una sua via, e sapeva con altrettanta chiarezza che chi le aveva dato questo messaggio, chi le aveva offerto questa via, chi le aveva dato luce per questa dottrina era solo Gesù, il «Dottore dei dottori>> (A, p. 22 1), colui che lei più volte nei suoi scritti, con l'orgoglio santo della verità dei fatti, dichia­ rava come il suo vero ed unico «Direttore>> spirituale. Anche questa è una singolare caratteristica di questa ra­ gazza normanna di fine secolo scorso: si è fatta mona­ ca, ha vissuto radicalmente la sua vocazione, anzi tutte le sue «infinite>> vocazioni, come dice nel Manoscritto B alla sbalordita sorella Maria del Sacro Cuore - forse la sorella che l'ha capita di più, e cui più si è davvero rive­ lata - ha elaborato un suo modo di essere e di cammi­ nare sulla via della perfezione, senza avere mai avuto propriamente un direttore spirituale. Al Padre Almire Pi­ chon, gesuita, vero direttore spirituale delle sue sorelle, lei, ultima arrivata proprio mentre lui partiva defini­ tivamente per il Canada, scriverà una lettera al mese per quasi dieci anni - un patrimonio purtroppo del tutto per­ duto - ma da lui ne riceverà solo una all'anno. Lo rac­ conta lei stessa (cfr. A, p. 193 e nota 154): perciò si è 11

rivolta, di sua iniziativa, a Gesù stesso, Direttore di tutti i veri direttori di spirito, che le ha fatto elaborare una sua dottrina, l'ha spinta su una sua via, «tutta nuova, tutta dritta, molto corta» (C, p. 250). Una sua «dottrina»? A poche righe dalla fine del suo ultimo Manoscritto, quando la sua mano di inferma non ce la fa più a scrivere intingendo nel calamaio, e perciò continua a matita, è lei stessa che, parlando di sé, si inse­ risce inconsapevolmente, ma esplicitamente, in una com­ pagnia di grandi Dottori e di grandi Santi da far girare la testa. Eccoli: «S. Paolo, Agostino, Giovanni della Cro­ ce, Tommaso d'Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri Amici di Dio» (C, p. 308). E scusate se pare poco ... Dottore, dunque, Teresa di Lisieux? Proclamata o meno, lei ha detto esplicitamente di considerare questa una delle sue vocazioni impossibili poi diventate realtà: «Io mi sento la vocazione di Dottore . Ah! malgrado la mia piccolezza io vorrei illuminare le anime, essere come i Profeti, i Dottori . » (B, p. 234). È un passo della lette­ ra del settembre 1 896 alla sorella Maria del Sacro Cuo­ re, il Manoscritto B. Nei suoi tre Manoscritti, stesi tra il gennaio 1895 e il giugno 1897, la sua Storia di un'ani­ ma, Teresa usa undici volte la parola «docteur» (dotto­ re): tre volte la usa nel senso ovvio di «medico» , una volta racconta che l'Abbé Domin, che alla Abbazia la preparò alla prima Comunione, la chiamava «mio pic­ colo dottore» (A, p. 117), una volta ricorda che Gesù è il vero «Dottore dei dottori» della Chiesa, e sei volte usa il termine indicando proprio i «Dottori» della Chiesa, cioè quei Santi illustri per la loro dottrina con cui han­ no «illuminato le anime», indicando la via da percorrere. li «piccolo dottore», Teresa di Lisieux, è diventata dun­ que grande? Lei ha avuto la coscienza netta di essere piccola, certo, lo ha scritto nell'ultima pagina a inchio­ stro, subito prima dell'elenco sorprendente dei suoi com..

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pagni che abbiamo ricordato sopra. Si è paragonata a «un piccolo pezzetto di ferro » , ma non si è vista da sola. Ecco le sue righe: «Se il fuoco e il ferro avessero la ragio­ ne, e quest'ultimo dicesse al primo: Attirami, esso dimo­ strerebbe il desiderio di identificarsi con il fuoco in modo che esso lo penetri e lo imbeva della sua ardente sostanza e non sembri costituire con esso che una cosa sola... Io sarei un povero pezzettino di ferro inutile, se mi allonta­ nassi dal fuoco divino . . . » (C, p. 308). n discorso è chiaro e forte: il piccolo pezzetto di fer­ ro, inutile da solo, diventa fuoco, «identificandosi» con la «sostanza» stessa della «Fornace Divina» , e lancia a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo, senza ec­ cezioni - con al primo posto, per ragioni biografiche ed esistenziali che chi legge il Manoscritto C comprende perfettamente, i peccatori, gli atei, i disperati, gli ulti­ mi - un messaggio di speranza e di santità grande, un «appello » a compiere l'opera di Dio in Gesù Cristo e nello Spirito Santo, in pratica un «appello» a «sollevare il mondo » (C, p. 309). Questo, ed è il caso di sottolinearlo con forza, non è un discorso teorico, un'elucubrazione astratta, un'idea scientifica elaborata sui libri: è un messaggio di vita che una ragazza di ventiquattro anni, gravemente ammala­ ta, a poche settimane dalla sua «morte d'amore», lancia alla Chiesa e al mondo. n ferro, oscuro e trascurabile se solo, si è lasciato in­ fiammare e bruciare dal «Fuoco divino» , trasformare per grazia di colui che «Vuole ciò che vuole» (Romani 9, 18) e che dà ai suoi quello che chiede loro, nella sua so­ stanza ardente, ed è diventato capace di attirare una «le­ gione » di anime, come Teresa ha scritto esplicitamente a conclusione del Manoscritto B, fino alla fine del mon­ do, al seguito del Sole Divino che ha attirato e trasfor­ mato lei stessa. L3

Questa è stata Teresa Martin. Questo i suoi scritti, recuperati a poco a poco alla loro purezza originaria, alla loro nudità integrale - e mi spiegherò tra poco - ci stanno rivelando in modo chiarissimo. Questo hanno capito alcuni che hanno saputo leggere, quasi per istin­ to connaturale, nonostante apparisse a prima vista se­ polta da una pesante nebbia di sotterfugi, di minimiz­ zazioni, di convenienze, di pie tradizioni, di rivendi­ cazioni fraterne magari sincere, ma nei fatti ingiuste, la grandezza di colei che possiamo pure continuare a chiamare, certamente, la «piccola Teresa», ma solo se questo non significa più, come è stato quasi universal­ mente finora, mettere in silenzio la «parola» che Dio stesso ha voluto pronunciare in lei per la Chiesa e per il mondo. Questa «piccola » Teresa è «grande » . San Pio X, che di santità in ogni caso doveva intendersi, alla prima let­ tura dell'allora pur rimaneggiata, mutilata e ridotta Sto­ ria di un 'anima, lo capl subito, chiamandola «la più grande santa dei tempi moderni » e autorizzando poi l'av­ vio della causa canonica, prima diocesana e poi roma­ na. Anche Pio XI, l'intellettuale fine e il rude montana­ ro, così poco incline alle smancerie di moda ai suoi tempi, che la volle beata nel 1 923 e solo due anni dopo santa, e la chiamò «la stella del mio Pontificato », ono­ randola del titolo di Patrona di tutte le Missioni alla pari di San Francesco Saverio, ne intuì come per istin­ to la grandezza vera. Essa fu intuita anche, al di là e al di sopra dei testi, da grandi spiriti sia di Chiesa che di lettere e arti. Penso, senza ordine, a Georges Bernanos, a Paul Claudel, al grande romanziere Joseph Roth, che ne descrive il fascino sottile nella sua Leggenda del Santo Bevitore , e penso ai teologi, tra cui spicca Hans Urs von Balthasar, che le ha dedicato lunghi e profon­ di studi. 14

travagliata storia dei testi: dal caso Combes ad oggi

2. La

Eppure, a cent'anni dalla morte, al di là dei discorsi devoti e di religiosità popolare, sempre più in difficoltà, va detto che l'immagine divulgata di Teresa di Lisieux non è per tutti quella di una grande Santa, di una grande don­ na, di una grande maestra di vita e di dottrina. Lei è an­ cora per tanti, per troppi, la «santina» delle «piccole cose», delle «piccole virtù », dei fioretti, dei «piccoli sacrifici», delle «storie primaverili del fiorellino bianco», la «piccola regina» del «Piccolo Re» che era il suo Papà, la sorellina delle sue sorelle monache carmelitane, la più piccola della famiglia, e con un'immagine che ha avuto una fortuna straordinaria in passato, la «Santina delle rose» . Quando più di cinquant'anni o r sono, nel 1946, un prete e studioso di storia e di testi della spiritualità cri­ stiana, l'Abbé André Combes, che allora aveva 47 anni, arrivò a Lisieux, perché pensava di dedicare un corso universitario all1nstitut Catholique di Parigi a Teresa di Lisieux, e voleva studiarne direttamente gli scritti, non pensava certo che sarebbe rimasto n quattro anni filati, installato nel Cannelo stesso. Fu accolto benissimo, al­ l'inizio, e le sue proposte suscitarono entusiasmo, an­ che se con qualche apprensione, nelle due sorelle di Te­ resa, Paolina e Celina. Ma egli si trovò di fronte, subito, a una sorpresa non gradita. Appena mise a confronto le diverse edizioni dei testi, prodotte dal Canne lo stesso, magari copiate dalla stessa mano di Madre Agnese, si accorse delle diversità criticamente intollerabili che gli stessi testi rivelavano. Pensò allora, per primo e con suc­ cesso iniziale, a una «edizione critica integrale » di tutti gli scritti di Teresa, e cominciò dalle Lettere, il cui pa­ norama era, allora, veramente da impazzire. Centinaia di testi perduti negli originali, altri spezzettati in striscio15

line da regalare ai devoti e agli amici, altri stampati nelle varie edizioni con cambiamenti essenziali in assoluta libertà. A poco a poco egli venne a trovarsi di fronte a ostacoli umanamente insormontabili. Il fatto è che Combes per primo accertò che per mille e mille ragioni umane, comprensibili o meno, sulle opere autografe, e di conseguenza anche sulla divulgazione del pensiero di Teresa - pur fatti salvi, cosa ovviamente essenziale per una Santa già beatificata e canonizzata, i diritti della verità sostanziale relativa ai documenti offerti dal Car­ melo di Lisieux per i Processi sia diocesani che romani, integrali e più che sufficienti allo scopo cui la causa stes­ sa di Teresa tendeva - si erano verificate delle autenti­ che catastrofi documentali dei testi, con grattamenti, tagli, riscritture varie, copiature maldestre e diverse, di­ struzioni di originali, aggiunte di passi non di Teresa fatti credere come suoi, commenti, pie riflessioni, il tutto posto quasi sempre sullo stesso piano, a insindacabile e unico giudizio delle sorelle di Teresa, e talora anche di qualche suora che Teresa non l'aveva neppure cono­ sciuta, ma aveva avuto incarico di aiutare Madre Agnese e Celina nella «divulgazione » dei testi stessi... Oggi, a cento anni dalla morte di Teresa e in pratica dalla prima pubblicazione dei suoi scritti, a cinquanta dalla vicenda che intercorse tra Combes e le due sorelle superstiti di Teresa, la situazione è accertata. Jean François Six, che sta conducendo quasi in solitudine uno straordinario e puntiglioso lavoro di recupero degli ori­ ginali teresiani, e solo di quelli, ha documentato già in due volumi, che ricorderò anche in appendice a questa Introduzione, che già per la prima edizione del 1898, a un anno dalla morte di Teresa, per pubblicare solo una parte degli scritti della «Sorellina», Madre Agnese operò ben «Settemila ritocchi», e cioè variazioni, tagli e inter­ polazioni, in assoluta libertà. 16

Quei testi, pubblicati in milioni di copie da allora in poi, in migliaia di edizioni, spesso diverse per le conti­ nue aggiunte e sottrazioni, per i cambiamenti successi­ vi senza altro criterio che il giudizio di opportunità del Carmelo di Lisieux, hanno suscitato, come noto, un «uragano di gloria» che portò alla universale devozione per la piccola ragazza normanna, suora carmelitana scalza, fiorellino primaverile di Dio nel deserto del mon­ do, poi Serva di Dio, Venerabile, Beata, Santa e infine Patrona delle Missioni e anche della Francia, alla pari della sua grande amica ideale, Giovanna D'Arco. Per avere un'idea del modo con cui Madre Agnese e Suor Genéviève, le sorelle maggiori di Teresa, conside­ ravano tutti i testi di Teresa, basterà una sola citazione. Madre Agnese a Natale del 1 926, e dunque con Teresa già canonizzata dalla Chiesa cattolica e sottratta, come ovvio, a ogni esclusiva di proprietà personale, scrive alla sorella Leonia che non accetta che altri parlino e scri­ vano di Teresa senza passare attraverso di lei, unica «depositaria» e unica erede dei suoi scritti, e anche del suo pensiero: « È ormai tempo che noi (noi, quindi le so­ relle di Teresa, NdR) facciamo vedere che le parole di Te­ resa sono nostra proprietà» (cfr. JEAN FRANçms SIX, Thérèse de Lisieux par elle-meme. L'épreuve et la grace, Grasset & Desclée De Brouwer, Paris, Bruxelles, 1 997, p. 348). Non si può negare che sia un testo significativo, e segno di un'epoca durata parecchi decenni, in pratica fino alla morte di Madre Agnese, nel 1 95 1 , ma in qualche modo anche ben oltre ... Del resto anche Celina, l'altra sorella di Teresa, ha mantenuto per quasi tutta la sua vita, e lo ha esplicita­ mente detto a molti personaggi, tra i quali importante il Padre Paul Philippe, domenicano, inviato da Roma per i problemi interni del Carmelo circa la pubblicazio­ ne dei testi di Teresa, che vedremo poi, che Teresa era 17

«morta troppo giovane », e che toccava a loro, «le sorelle di Teresa, completare quello che lei non aveva fatto in tem­ po a dire » . Era una convinzione che nessuno per cinquant'anni aveva messo in discussione. Ora, e torniamo agli anni 1 946- 1 950, nella vicenda di Combes a Lisieux accadeva che appunto a cinquant'anni dalla morte di Teresa arri­ vava al Carmelo un professore, uno storico insigne, un cultore scrupoloso della verità dei testi, con l'appoggio di vescovi e anche di Roma, e proponeva, prima cosa, di pubblicare «tutte le Lettere» che era possibile recupe­ rare, e restituendole, dove possibile, viste le devastazioni subite, al testo originario. Egli fu accolto bene, all'ini­ zio, e con due anni di lavoro durissimo, in condizioni davvero pesanti, perché mai ebbe a disposizione i testi autografi, se non per una sola ora e una sola volta, arri­ vò a una buona edizione delle Lettere, pubblicata nel 1 948. Ho in mio possesso la prima copia stampata, rilega­ ta in pelle verde e scritte in oro, che Madre Agnese e Celina vollero dedicare con scritta grata e autografa a Combes stesso: «Hommage de très profonde gratitude a Celui qui a tant contribué à la publication de ce Recueil. Sr Agnès de Jésus c.d. i. Sr Genéviève de la Sainte Face et de Ste Thérèse c.d. i. 30 Septembre 1948» . Era il cin­ quantunesimo anniversario della morte di Teresa, il cin­ quantesimo della pubblicazione della prima Storia di un anzma. Non è questo il luogo per raccontare nei particolari questa storia, che tuttavia deve ancora essere racconta­ ta, e lo sarà. In ogni caso fu ben presto evidente che per Combes il recupero del testo delle Lettere era un primo passo. Dopo aver curato questa edizione servendosi soprattut­ to del suo scrupolo di critica interna e senza poter con'

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sultare gli originali, ma arrivando - ed è solo un esem­ pio - a rimandare indietro un testo anche per sette vol­ te, perché capiva che le versioni successive, tutte pre­ sentate come autentiche, non lo erano fino in fondo, l'Abbé Combes avanzò l'idea fatale, e cioè quella di re­ cuperare integralmente anche i testi autografi dei Ma­ noscritti e di presentarli in una edizione critica comple­ ta . Il 1 7 novembre del 1 946, durante una conversazione nel parlatorio del Carmelo, Madre Agnese e Celina gli avevano posto tra le mani non più le copie fatte da loro, ma gli stessi Manoscritti di Teresa. Egli non ne poté leg­ gere che «alcune pagine», come scrive nel suo diario, ma quando qualche tempo dopo gli venne presentata come «integrale » una nuova copia fatta a mano da Madre Agnese stessa proprio per lui, constatò subito che c'era­ no ancora «differenze abbastanza profonde e talora dav­ vero riprovevoli ». La sua idea di pubblicare «tutto», però, divise il Car­ melo, e divise anche le sorelle stesse di Teresa. Il 6 ago­ sto 1 948 Celina gli scrive una lettera in cui approva la sua idea di pubblicare integralmente i Manoscritti, si ral­ legra dell'incoraggiamento venuto da Roma con una let­ tera di Mons. Natucci, del S. Offizio, e dichiara che Com­ bes «è alla base dell'impresa di questa pubblicazione»: «Voi ci avete condotte a decidere di pubblicare il manoscritto integrale ». E tuttavia proprio in quella lettera Celina ag­ giunge anche queste righe: «La Nostra cara piccola Ma­ dre (e cioè Madre Agnese, NdR) sostenuta da alcune suo­ re, si contraddice di continuo. Vuole e non vuole». In ogni caso, continua Celina, «è urgente fare questo cambiamento mentre è viva, e invece ella invecchia . . . » . La conclusione è incoraggiante: « Vì prego, aiutateci a fare rapidamente questa pubblicazione, a far decidere così la nostra piccola Madre. Dopo che avete giocato così bene il vostro ruolo (per le Lettere) questo è il compito che vi spetta» . Sem19

bra tutto in discesa, e invece no. In un turbinio che scon­ volse la vita anche interna del Carmelo, e i cui effetti durarono per anni e anni, si scatenarono delle tempeste interne, con gelosie, ripicche, rifiuti, ricorsi di suore e religiosi alla Curia generalizia dell'Ordine Carmelitano e alla Curia romana ... All'inizio del 1 949 una nuova let­ tera del S. Offizio, stavolta a firma di Mons. Alfredo Ottaviani, ma in senso opposto agli incoraggiamenti pre­ cedenti, avverte che a Roma la pubblicazione integrale dei Manoscritti è giudicata «inopportuna». È un segna­ le. Combes, nonostante avesse ricevuto da poche setti­ mane, a firma Giovanni Battista Montini, le congratula­ zioni di Pio XII per il lavoro svolto sulle Lettere, nel giu­ gno 1 950 è allontanato dal Carmelo nel corso di una «vi­ sita» canonica del Padre Eugenio, carmelitano, giunto apposta da Roma su mandato della Congregazione dei religiosi e del Cardinale Piazza, carmelitano, sollecitato da fonti francesi, anche interne al Carmelo stesso: que­ sto studioso sta mettendo in pericolo la «tradizione» di Lisieux, l'onore del Carmelo, la reputazione delle sorel­ le, e la pace interna del monastero. Anche Madre Agnese, nominata Priora a vita da Pio XI, di fatto viene deposta dalla carica, e viene nominata Sottopriora, ma di fatto con pieni poteri, proprio la suora che di più aveva resi­ stito alla pubblicazione e che più di ogni altra aveva provocato il passo di Roma, Suor Françoise Thérèse. La comunità è sottosopra, e lo resterà per anni. Madre Agnese muore quasi subito, nel 1 95 1 . Celina morirà, an­ che con dubbi e rimorsi, nel 1 959. Per lunghi decenni il Carmelo di Lisieux non troverà più pace, al punto che per le nuove priore si è costretti a chiamare suore da Carmeli lontani, in particolare dal Belgio. Ma ormai la spinta era stata data, irreversibile. La verità dei testi doveva emergere. Nel 1 956 un carme­ litano illustre, Padre François de S. te Marie, aveva pub20

blicato finalmente i Manoscritti in edizione fototipica integrale, con tra le righe la rivelazione di tante peripe­ zie dei testi. Per una edizione critica delle Lettere, con il titolo di Correspondance Générale, finalmente completa al massimo possibile, occorrerà attendere ancora ven­ titré anni, e cogliere l'occasione del centenario della na­ scita di Teresa, nel 1 973. E tuttavia, come documenta ampiamente Six nella sua opera citata, ancora in corso di pubblicazione, e come avevano avvertito studiosi seri come Laurentin, non si è avuto il coraggio di tagliare davvero con il pas­ sato. E così si è continuato a presentare come di Teresa testi che sono stati scritti e definitivamente formulati dalle sorelle anche venti anni dopo la morte della San­ ta. È il caso dei Derniers Entretiens, di Madre Agnese, e dei Conseils et Souvenirs di Celina, che non sono di Te­ resa. La cosa ha pesato, soprattutto, nell'opera di divul­ gazione e di pubblicazione di libri sulla dottrina di Te­ resa, in cui i testi tardivi delle due sorelle sono sempre messi sullo stesso piano degli autografi di Teresa stes­ sa, o addirittura preferiti a essi nella loro volontà di «spiegare» a modo loro le idee di Teresa, con conseguen­ ze che ancora pesano molto. Per quanto riguarda in particolare i Derniers En­ tretiens, si trattava di un testo meglio noto da quasi cin­ quant'anni come Novissima Verba, tratto da appunti che Madre Agnese aveva preso durante gli ultimi mesi della malattia di Teresa, nel corso del 1 897. Nella edizione del centenario della nascita di Teresa essi sono stati pubbli­ cati in due volumi, ma il loro testo originale viene di­ chiarato pudicamente «perduto». In realtà del testo ori­ ginario esiste solo un pezzetto di foglio volante, e i testi ora conservati sono di ben trent'anni successivi alla mor­ te di Teresa. Di più: nelle versioni storicamente succes­ sive dello stesso testo, le differenze sono sostanziali, e 21

tali da dimostrare che non solo quei testi non sono di Teresa, ciò che ufficialmente è noto a tutti, compresi co­ loro che continuano a dare ai testi la stessa autorità de­ gli autografi, ma anche che in realtà nelle edizioni più antiche mancano passi che sono stati ritenuti capitali per tutta l'interpretazione della dottrina di Teresa. La cosa oggi è scontata: alle pagine 1 68 e 1 69 del se­ condo volume della Edizione del centenario dei Derniers Entretiens risulta evidente in particolare un'assenza im­ portante dalle edizioni più antiche. Agli inizi degli an­ ni '50, quando Combes era a Lisieux, egli aveva appun­ to scoperto che nella più antica copia fatta da Madre Agnese, un piccolo quaderno, Petit carnet, mancava del tutto la famosa definizione della via di Teresa come «in­ fanzia spirituale» , segnata al 17 luglio, invece, nelle co­ pie fatte per i Processi e per i Novissima Verba. Madre Agnese ammise di aver aggiunto quella definizione, e anche quel termine, del tutto ignoto a Teresa, e cioè «in­ fanzia spirituale», come la sua propria via, attorno al 1908, quando copiò i testi per i Processi diocesani. È dawero un fatto singolare: Teresa non ha quindi mai parlato, nei suoi scritti, di «infanzia spirituale» , non ha mai usato questa espressione che poi è singolarmente diventata, per decenni, il suo Messaggio . . . Lo dimostra­ va proprio il Petit Carnet, la copia più antica, scritta dalla mano stessa di Madre Agnese, dell'originale perduto. Ebbene, proprio quella copia del «piccolo quaderno » è stata distrutta volontariamente. Quando a Natale del 1 95 1 , dopo e anche in conseguenza della vicenda Com­ bes, arrivò da Roma il Padre Paul Philippe, domenicano e Visitatore apostolico - che non pareva disposto a «la­ sciar correre», come il carmelitano Padre Eugenio, pre­ cedente Visitatore, per il buon nome del Carmelo di Te­ resa e delle sue sorelle -, per affrontare le divisioni in­ terne della Comunità, ma anche i dissensi sulla inter22

pretazione della dottrina di Teresa, awenne che per pau­ ra che quel documento cadesse nelle mani del Visitato­ re, esso fu bruciato nella stufa della sacrestia del Car­ melo per ordine della nuova Priora, Suor Françoise Thérèse, e i resti furono gettati nei gabinetti del Carmelo. Era la notte tra il 30 e il 3 1 dicembre 1 95 1 , e la suora che ebbe l' «obbedienza» di bruciare quel testo fu Suor Madeleine de St. Joseph, scelta apposta perché era una di quelle che su mandato della priora, Madre Agnese, più avevano lavorato e collaborato con Combes. Eviden­ temente qualcuno al Carmelo pensava che se il Visita­ tore, dalla lettura di quel testo, avesse constatato che mancava proprio il cardine della interpretazione tradi­ zionale del pensiero di Teresa, e cioè !'«infanzia spiri­ tuale» , allora sarebbe stato portato a riconsiderare le ra­ gioni di Combes, e questo non si voleva assolutamente. È, anche questa, solo una spia del grande problema co­ stituito dalla tradizione di Lisieux confrontata con la «verità vera» di Teresa, cioè dei suoi scritti e della sua dottrina. Se poi a tutto questo si aggiunge il fatto che il famoso testo di Matteo, 18, 3 («Se non diventerete come fanciulli, non entrerete nel Regno dei Cieli»), che dovreb­ be essere il testo fondamentale di tutta la dottrina divul­ gata come quella di Teresa di Lisieux, non è mai stato scritto da Teresa, che pure abbonda di citazioni del Van­ gelo, e di Matteo in specie, se non una sola volta dietro un'immaginetta e su richiesta esplicita di Celina, allora si capisce quanto era fondato il dubbio di Combes, e quindi la paura del Carmelo che portò alla distruzione del Petit Carnet, e tante altre cose. In ogni caso è una paura che è durata molto, al Carmelo di Lisieux. Quando attorno all'inizio degli an­ ni '70 il Padre generale dei Carmelitani, Anastasio Balle­ strero, poi cardinale e presidente della Conferenza Episcopale Italiana si recò a Lisieux, al Carmelo che 23

anche dopo la morte di Madre Agnese e Celina aveva dato all'Ordine molte preoccupazioni per le divisioni interne che perduravano anche a causa degli strascichi della vicenda Combes, ebbe la sorpresa di trovare le por­ te sbarrate, e non poté entrare neppure in parlatorio. Al Padre generale dei Carmelitani fu impedito di anda­ re a «visitare» le Figlie del suo Ordine! La ragione del divieto, gli fu detto a chiare lettere, era il fatto che la rivista teologica ufficiale dei Carmelitani Scalzi, «Ephe­ merides Carmeliticae», negli ultimi anni aveva pubbli­ cato due studi, uno di Mons. Combes, Sainte Thérèse de Lisieux, modèle de vie contemplative, nel 1 962, e uno del sottoscritto, più recente e ancora più grave, perché rac­ contava anche alcuni risvolti della vicenda di Combes a Lisieux, Teresa di Lisieux, un 'eco del cuore di Dio, nel 1 968, lungo ben l 04 pagine. A Lisieux trascorsi più di vent'anni, non era tornata la pace. Così va talora il mon­ do, anche nei conventi. In ogni caso, e vale davvero la pena di sottolinearlo e di rallegrarsene, almeno per quanto riguarda i Mano­ scritti, e quindi la Storia di un 'anima, la pubblicazione del Padre François de S.te Marie ha colmato da trent'an­ ni e definitivamente il vuoto materiale. È il testo uscito dalle mani di Teresa, riportato per quanto possibile con tutti i mezzi della tecnica disponibile agli originali. È quello che qui, almeno nelle intenzioni di chi vi ha la­ vorato, è fedelissimamente tradotto. Da questo punto di vista il lettore di quest'opera può stare sicuro. È già molto. 3. Alla ricerca della vera divino, e il «piccolo frammento di ferro», per usare il paragone fatto da Teresa stessa e sopra citato, è an­ cora pesante la nuvola, la nebbia costituita dalla divul­ gata immagine della piccola Teresina, della Santina del­ l'infanzia spirituale, del modello delle piccole virtù, e cosi via, che non rendono ragione non solo alla verità piena di Teresa in persona, ma neppure a quella dei suoi testi presi nella loro evidenza. È anche questa una conseguenza della storia tra­ vagliata dei testi. Anche a pubblicazione di essi awe­ nuta, infatti, non si è ancora avuto il coraggio pieno di affrontare di petto la questione della interpretazio­ ne della dottrina di Teresa. Tutto è in teoria noto, ma non se ne sono volute trarre le conseguenze necessa­ rie. È stato come posto un silenziatore su ogni voce che uscisse anche un poco dalla tradizione di Lisieux. Chi ha cercato di fare luce è stato come isolato e bloc­ cato. Dopo Combes la sorte è toccata, in pratica, an­ che a René Laurentin e soprattutto a Jean François Six, che avevano risollevato, da prospettive diverse, ma interessanti e documentate, i problemi non solo dei testi, ma anche dell'interpretazione della dottrina di Teresa. Ristabiliti con ritardo e a fatica i testi, insomma, la cosa è stata fatta con il patto esplicito di non «rivanga­ re il passato», di ri-mettere a tacere chi disturbava il cliché della «piccola via». Non si è avuto il coraggio di andare fino in fondo, e si è cercato un continuismo di dottrina anche con i testi «nuovi». Per fare un solo esem­ pio, come ha annotato Laurentin nella sua opera dedi­ cata a Teresa (Thérèse de Lisieux, mythes et réalité, Beauchesne, Paris 1972) allo scopo di tutelare lo sche­ ma della «piccolezza » come criterio unico e fondante della dottrina teresiana, si è deliberatamente omesso, in 25

tutte le concordanze dei testi, pur accurate, dei Mano­ scritti, di inserire l'aggettivo grande, che pure è presen­ te moltissime volte nella Storia di un'anima ... Tra l'altro, ancora a proposito dei testi, non si è avu­ to il coraggio di fare il secondo passo decisivo, non più quello di recuperare i testi di Teresa, ma quello di di­ stinguerli dai testi «costruiti» dalle sorelle, in particola­ re da Agnese per i Novissima Verba e da Celina per Conseils et Souvenirs, che hanno continuato ad essere considerati alla pari, in pratica, con i testi di Teresa. Dal 1973, per esempio, e riprendendo la «lezione» di Com­ bes, prematuramente scomparso nel 1 969, in un dialo­ go con Laurentin pubblicato da Cerf, Jean François Six aveva lanciato l'idea di escludere dalle opere di Teresa tutti i testi che non fossero stati scritti materialmente «dalla mano di Teresa stessa» . Una ovvietà, apparente­ mente, ma che restò e ancora oggi resta in gran parte inascoltata. Per l'immagine divulgata e immediata di Teresa di Lisieux, infatti, restano spesso ancora decisivi più i testi delle sorelle che i suoi. È dunque tuttora aperta la questione del messaggio vero, della sua dottrina propria, e quindi della sua mis­ sione. Questa è ancora oggi anchilosata e ridotta ai ter­ mini della cosiddetta «infanzia spirituale» , vista come ricerca della piccolezza umana, delle «piccole cose» , delle piccole virtù. C'è anche questo i n Teresa, m a non è roba sua propria: è delle sorelle, della sua famiglia di origine, delle devozioni alimentate da tanti anni di manipolazioni testuali e dottrinali. Sono cose anche belle, fondate indirettamente sul famoso testo di Mat­ teo 1 8, 3 o su citazioni sparse di Teresa, scritte qua e là anche da lei soprattutto per corrispondere con le so­ relle stesse, ma non sono la dottrina di Teresa di Lisieux. 26

3a. La nebbia: ciò che non è la «via» di Teresa Prima di indicare al lettore alcune piste per trovare nei testi di Teresa, e in particolare nei testi dei Mano­ scritti, qui tradotti, come spiega la Nota di traduzione seguente, con uno scrupolo di fedeltà totale, debbo dare ancora alcune indicazioni sui possibili equivoci della «piccola via», se per essa si intende quello che in gene­ re è ovvio, e cioè solo la «piccola via dell'Infanzia spiri­ tuale» . I testi dicono che Teresa parla d i piccolezza, quasi sempre, quando scrive alle sorelle, Paolina, Maria, Celina, perché per loro lei era stata, ed era sempre re­ stata, la più piccola della famiglia. Lo dice di un'epoca precisa, lei, ma per loro essa è rimasta quasi tutta in quell'immagine: «Celina voleva continuare a trattarmi come un bebè, perché ero la più piccola della famiglia» (A, p. 134). A lei le sorelle avevano tante volte corretto i compiti, da bambina, e poi anche dopo la sua morte, anche dopo la canonizzazione, avrebbero corretto, in piena libertà e anche in buona fede, i testi più preziosi. Del resto, se la «via vera» di Teresa è quella dell'infan­ zia spirituale, che ha per modello il bambino piccolo e per metodo l'esercizio fedele e costante delle piccole vir­ tù, degli atti ripetuti di fedeltà nei doveri quotidiani, nella vita ordinaria di tutti i giorni, senza voli mistici, senza «desideri infiniti», che invece sappiamo quanto ab­ biano contato nella sua vita e nella sua dottrina - e ba­ sterà rileggere tutta la parte iniziale del Manoscritto B allora sono almeno tre i veri maestri di Teresa, ed essa non ha fatto altro che divulgare una spiritualità che ha imparato da altri. La prima fonte dichiarata da Teresa è la sorella Ma­ ria: «Maria... poi mi indicava il mezzo per essere santa attraverso la fedeltà alle più piccole cose; lei mi regalò il -

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piccolo foglio: sulla rinuncia, che io meditavo con gran­ de piacere » (A, p. 108). Questa fonte Teresa non la di­ menticherà mai, e infatti nel 1896 scriverà, sempre a Maria: «Sei tu che mi hai insegnato ad accogliere gli in­ segnamenti divini» (B, pp. 227-228). Eppure proprio in quel contesto lei rivela alla stessa Maria di aver «final­ mente trovato la sua vocazione» , che non è nelle picco­ le cose, ma nella comprensione piena del modo in cui Gesù desidera essere amato, con il suo stesso Amore divino, per riamarsi in noi come Egli stesso si ama: questa è la nuova «via» di Teresa, quella che Maria non conosce, e dalla cui rivelazione si dichiarerà «sbalordi­ ta» e commossa. Se la piccola via di Teresa è quella delle piccole vir­ tù, della cosiddetta «infanzia spirituale », misurata non su Gesù «enfant de Dieu» , e cioè Figlio di Dio, ma sulle virtù del «petit enfant», del bambino piccolo, allora Te­ resa stessa ha dichiarato di praticarla fino dal 1888, come ha scritto a Madre Agnese poco prima di rievoca­ re il giorno della sua professione: «io mi applicavo so­ prattutto a praticare le piccole virtù, non avendo la facili­ tà di praticare quelle grandi» (A, p. 201). Dunque quella via non è la via propria di Teresa, ma di Maria, la sorel­ la maggiore, la madrina di Battesimo, quella che l'ha preparata alla prima Comunione, la sua terza mam­ ma, dopo la madre e dopo Paolina, rubatale non dalla morte, ma dalle mura del Carmelo. Con quale coraggio Teresa avrebbe chiamato questa via ((tutta nuova» {C, p. 250), sapendo che era proprio sua sorella Maria quella che gliel'aveva insegnata per prima? Del resto è noto che Maria questa via, delle piccole vir­ tù, del nascondimento, dei sacrifici continui nell'ombra, l'aveva appresa dal suo Direttore spirituale, il Padre Almire Pichon, gesuita, che l'ha insegnata in tutto il mon­ do, come ha dimostrato proprio l'Abbé Combes curando 28

la pubblicazione di un corso di esercizi che «il Padre>> - così lo chiamavano nella famiglia Martin - predicò in Canada (cfr. A. PICHON, Rétraite, éditée et presentée par André Combes, Rome-Paris 1 967, p. 3 1 4). Lei sarebbe sta­ ta solo il megafono provvidenziale degli insegnamenti del «Padre delle anime» delle sue sorelle . . . Tutto qui. Basta? Non basta ancora. Se la via vera di Teresa di Lisieux è ancora e solo quella della santità delle «picco­ le virtù ordinarie», «senza rivelazioni» e «senza grazie spe­ ciali», «senza illusioni» di grandezza e senza non solo desideri «infiniti», su cui invece Teresa stessa scriverà nel Manoscritto B, parlando della «sua» via e della «sua» dottrina, ma anche senza desideri «grandi», allora ella ha avuto un altro modello, e ne ha parlato a chiare let­ tere sempre verso la fine del Manoscritto A, dopo il rac­ conto della sua professione. Questo modello perfetto del­ la «piccola via», creduta e fatta passare per «via» di Te­ resa, è Teresa stessa che lo attribuisce alla Madre Gené­ viève, fondatrice del suo Carmelo di Lisieux, raccontan­ do la «felicità di aver conosciuto» in lei