Soglie : i dintorni del testo 8806115162, 9788806115166


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Italian Pages VIII, 443 [457] Year 1989

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Einaudi Paperbacks

I 95

Titolo originale Seuilx © 1987 Éditions du Seuil, Paris 1989 Giulio Einaudi editore s. pf a., Torino ISBN 88-06-I I 5 16-2

Gérard Genette

I dintorni del testo A cura di Camilla Maria Cederna

Indice

p. IX

Nota del traduttore

Soglie 3

Introduzione

17

Il peritesto editoriale

18 22

Formati Collane Copertina e annessi Frontespizio e annessi Composizione, tirature

24 32 34

Il nome dell'autore 37 39

41 46

Luogo Onimato Anonimato Pseudonimato

I titoli

ss 64 66 73 74 75 79 81

85 ss 90

93

Definizioni Luogo Momento Destinatori Destinatari Funzioni Designazione Titoli tematici Titoli rernatici Connotazioni Seduzione? Indicazioni generiche

INDICE

Il priêre d'z`nsérer I02 III

I quattro stadi Derive e annessi

Le dediche 115 124 125 126 128

La dedica d'opera Luogo Momento Dedicatori

133 134

Funzioni La dedica d'esemplare Luogo, momento Dedicatore, dedicatario Funzioni

135 136 138

Dedicatari

Le epigrafi 141

146

147 150

152

153

Storia Luogo, momento Epigrafati Epigrafatori Epigrafatari Funzioni

L'istanza prefativa 158 160 167 168

170

175 191

Definizione Preistoria Forma Luogo Momento Destinatori Destinatari

193

Le funzioni della prefazione originale

195 196

I temi del perché Importanza Novità, tradizione Unità Veridicità Parafulmini I temi del come Genesi Scelta di un pubblico Commento del titolo Contratti di finzione

197 198 203 204 206 207 209 210 212

INDICE

215 215 218 221 226

Ordine di lettura Indicazioni di contesto Dichiarazioni di intenzione Definizioni generiche

Scappatoie

Altre prefazioni, altre funzioni 234 236

Postfazioni Prefazioni ulteriori

244 259 271

Prefazioni tardive

273 276 280 284

Prefazioni allografe Prefazioni attoriali Prefazioni finzionali Autoriali denegative Autoriali fittizie Allografe fittizie

286

Attoriali fittizie

288

Specchi

290

Gli intertitoli

291 292

Caso di assenza Gradi di presenza Finzione narrativa Storia Testi didattici Raccolte Indici, titoli correnti

294 304 306 307

310

Le note 313 316 318 319

322 324 326 330 332 333

Definizione, luogo, momento Destinatori, destinatari Funzioni Testi discorsivi, note originali Ulteriori Tardive Testi di finzione Allografe Attoriali Finzionali

L`epitesto pubblico 337 340 341

Definizioni L'epitesto editoriale L'all0graf0 ufficioso

VIII

INDICE

344 347 349 332 336 338

L'aut0riale pubblico Risposte pubbliche Mediazioni Interviste Conversazioni

360

Autocommenti tardivi

Colloqui, dibattiti

L'epitesto privato 366 380 388

Corrispondenze Confidenze orali Diari intimi Avantesti

398

Conclusione

403

Postfazlone' di Camilla Maria Cederna

421

Indice delle opere

433

Indice dei nomi

378

Nota del traduttore

Vorrei qui brevemente soffermarmi su alcune scelte che dopo molte indecisioni si sono imposte nel corso della traduzione di Seuils. Innanzitutto il titolo Soglie, che traducendo letteralmente Seuils ne dissolve il significativo riferimento alla casa editrice Seuil. Giocando sul doppio statuto di nome comune e nome proprio il titolo francese viene cosí a connotare, tematizzandolo, un importante aspetto dell'oggetto paratestuale

che è la sua derivazione editoriale. Per quanto riguarda alcune forme paratestuali come avantdire e après-dire ho preferito lasciarle in francese poiché, anziché designare una classe di elementi, esse occorrono in quanto definizioni particolari e poco diffuse di alcuni determinati testi prefativi. Diverso è il caso del priêre d 'z'nsérer, pratica parate-

stuale definita attraverso la funzione che le era propria verso la fine dell'Ottocento. Una volta esaurita tale funzione, l'e-

spressione è rimasta a denotare il breve testo riassuntivo e di presentazione generalmente disposto in quarta di copertina. Dato che il paratesto italiano non presenta un elemento esattamente corrispondente al priêre d'z'nsérer, tradurre questa forma paratestuale tipicamente francese con alcuni possibili equivalenti, quali appunto «quarta di copertina» 0 «inserto pubblicitario ›› 0 si fonda, come sappiamo, su alcuni tratti tecnici e commerciali dei quali la dimensione (possibilità di essere tenuto in tasca) non è certamente la piú importante, pur avendo rappresentato per qualche anno 2 un argomento pubblicitario incontestabile. Questa

opposizione è molto piú legata all'antica distinzione tra libri rilegati e in brossura, perpetuata nei paesi di lingua inglese nella distinzione tra bardcover e paperback, e alla lunghissima storia delle collane popolari, che risale almeno ai piccoli Elzevier in-1 2 del XVII secolo, attraverso gli in-12 o in-32 della «Bibliotèque bleue ›› di Troyes del XVIII secolo, e le collane «ferrovia' Quest'ultimo libro spinge lo sfruttamento delle risorse grafiche fino ad utilizzare tre inchiostri di diverso colore: nero, blu e rosso. Un procedimento certamente costoso, ma potenzialmente cosi efficace che ci si stupisce che sia cosí raramente utilizzato al di fuori dei testi scolastici. 2 Certamente non per i primi anni: la menzione «tascabile ››, che non figurava né nel xxx secolo presso Tauchnitz, né nel xx presso Albatross (1932), Penguin (1935) o Pelikan (1937), appare solo nel 1938 con Yamericano Pocket Book e il suo simbolo, il canguro Gertrude. E Pocket era solo una collana tra le altre (Seal, poi Avon, Dell, Bentam, Signet, ecc.) che evidentemente non insistevano sullo stesso argomento. E il quasi-monopolio di circa vent'anni del francese Livre de poche (1953) che ha imposto nel nostro vocabolario il riferimento al formato.

IL PERITESTO EDITORIALE

2I

rie ›› ` del XIX. Non è certo il caso di riprendere un racconto che è stato già fatto piú di una volta', quello della storia e della preistoria del libro «formato tascabile», né di tornare sulla controversia che accolse, in particolare tra l'intelligenci/'a francese, Femergenza di questo fenomeno °. Del tutto simile a quelle che avevano accompagnato la nascita della scrittura, e in seguito quella della stampa, questa controversia si situa-

va su un terreno tipicamente assiologico, per non dire ideologico: si trattava di sapere, o meglio di dire, se la «cultura tascabile ›› fosse un bene o un male. Tali giudizi di valore ovviamente non rientrano nel nostro attuale obiettivo: buona o cattiva, fonte di ricchezza o di penuria culturale, la «cultura tascabile» è oggi un fatto universale, e l°espressione coniata da

Hubert Damisch si è rivelata - qualsiasi valutazione a parte perfettamente corretta, poiché l'« edizione tascabile» - cioè semplicemente la riedizione economica di opere antiche o recenti dopo averle sottoposte alla prova commerciale dell'edi-

zione corrente - è diventata uno strumento di «cultura ››, 0, in altre parole, di costituzione, e naturalmente di diffusione, di un fondo relativamente permanente di opere ipso facto considerate «classici ››. Uno sguardo alla storia dell°edizione mostra, d'altra parte, che - fin dalle origini- questo era proprio l'obiettivo di precursori come Tauchnitz (inizio XIX: classici greci e latini) o, un secolo dopo, dei fondatori di Albatross

(1932, primo titolo: ]oyce, Dubliners): ripubblicare a basso prezzo dei classici antichi o moderni per un pubblico fondamentalmente , e, per quanto ci riguarda, paratestuale, è la garanzia di una selezione che si basa sulla reprise, vale a dire la riedizione. Le speculazioni erratiche circa la possibilità di un'inversione del flusso (pubblicare prima in formato tascabile

e riprendere in seguito con un'edizione piú costosa i titoli che abbiano superato brillantemente la prima prova) sembrano contrarie a tutti i dati tecnici, mediatici e commerciali, ben-

ché alcuni libri abbiano eccezionalmente compiuto questo tragitto paradossale, e alcune collane tascabili accolgano a titolo sperimentale qualche testo inedito che viene cosí immedia-

tamente consacrato. Perché l'edizione tascabile resterà sicuramente a lungo un sinonimo di consacrazione. Solo per questo, essa è in se stessa un formidabile (per quanto ambiguo, e proprio perché ambiguo) messaggio paratestuale.

Collane. Questa breve deviazione nell'immenso continente dell'edizione tascabile ci ha dunque paradossalmente condotti dal-

l'antica nozione di formato alla piú moderna nozione di col-

IL PERITESTO EDITORIALE

23

lana, che probabilmente non è altro che una specificazione piú intensa, e talvolta piú spettacolare, della nozione di marchio editoriale. Il recente sviluppo di questa pratica, della quale non cercherò qui di delineare né la storia, né la geografia, risponde certamente al bisogno dei grandi editori di manifestare e controllare la diversificazione delle loro attività. Questo bisogno è oggi cosí forte che l°assenza di collane è sentita dal pubblico e articolata dai media come una specie di collana implicita o a contrario: cosí, ci si riferisce, con un abuso piuttosto legittimo, alla «collection blanche›› di Gallimard per designare tutto ciò che, nella produzione di questo editore, non ha un marchio specifico. Conosciamo tutti la potenza simbolica di questo grado zero, la cui denominazione ufficiosa trova qui un'ambiguità del tutto efficace, poiché il «bianco ›› svolge la

funzione di segno per assenza di significante. Il marchio della collana, anche in questa forma priva di qualsiasi indicazione, è dunque un raddoppiamento del marchio editoriale, che indica immediatamente al lettore potenziale con quale tipo, se non addirittura con quale genere di opera egli abbia a che fare: letteratura francese o straniera, avanguardia o tradizione, saggistica o narrativa, storia o filosofia, ecc. Sappiamo che le collane tascabili hanno da molto tempo introdotto nella loro nomenclatura una specificazione generica simbolizzata dai vari colori (fin dagli Albatross, e poi dai Penguin degli anni '3o: arancione = narrativa, grigio = politica, rosso = teatro, porpora = saggistica, giallo = varie), da forme geometriche (nella Penguin del dopoguerra: qua-

drato = narrativa, cerchio = poesia, triangolo = mistero, diamante = varie; nelle «Idées-Gallimard ››: un libro aperto = letteratura, una clessidra = filosofia, un cristallo = scienza, un insieme di tre cellule = scienze umane - ci sarebbe da fare uno studio, piuttosto divertente, su queste rustiche simboliz-

zazioni), o ancora, in « Points ››, attraverso l'evidenziazione, a colori, di un dato termine su una lista definita. Grazie a queste incursioni, a volte eccessive, nel campo delle scelte gene-

riche o intellettuali, il paratesto tipicamente editoriale usurpa palesemente le prerogative dell'autore, che si credeva saggista e si ritrova sociologo, linguista o teorico della letteratura. L'edizione (la società, dunque) è a volte strutturata come un

linguaggio, quello del Consiglio Universitario Nazionale o del Comitato Nazionale per la Ricerca Scientifica: per discipline

24

sooL1E

(e per ovvie ragioni). La cosa piú importante per entrare a far parte dei tascabili non è dunque sempre avere un particolare formato, ma piuttosto un particolare «profilo ›› e di farvi fronte.

Copertina e annessi. Passare dal formato al marchio significa passare da un tratto globale e implicito (tranne nelle bibliografie tecniche, e naturalmente nella collana , e che contribuivano decisamente al suo effetto di pastiche; bisogna almeno ammettere che ne esistono due versioni: una nella quale l'intento mimetico è esteso al paratesto tipografico (e ortografico), l°altro nel quale esso è limitato ai temi e allo stile. Questa stessa divisione costituisce paratesto. Molto meno essenziali, mi sembrano, le varie scelte di carta che costituiscono le tirature di lusso di un'edizione ', e alle quali alcuni riservano il termine di «edizione originale». La

differenza tra gli esemplari stampati su velina, carta giapponese o su carta ordinaria è ovviamente meno pertinente rispetto ad un testo della differenza di composizione, probabilmente ' Non c'è niente di piú confuso dell'uso_della parola «edizione », che può estendersi a tutti gli esemplari di un'opera prodotti da uno stesso editore («l'edizione Michel Lévy di Madame Bovary») anche se il testo ne è stato piú volte modificato ad ogni ristampa, o ridursi, come amano fare a volte gli editori per ragioni pubblicitarie, a ogni fetta di mille o cinquecento esemplari di una stessa tiratura. Tecnicamente, i soli termini precisi sono quelli di composizione e di tiratura, 0 di stampa. Su una stessa composizione tipografica, si può fare un numero idealmente indefinito di tirature, e quindi di serie di esemplari in linea di principio identici. Ma ogni tiratura può fornire l'occasione di correzioni di dettagli, e l'epoca classica non si privava neanche delle correzioni durante le tirature, che introducevano delle differenze di testo all”interno di una stessa serie. Cfr. R. Laufer, Introduction à la textologie, Larousse, Paris 1972.

36

sootna

perché se la composizione non è altroche una materializzazione del testo, la carta non è altro che un supporto di questa materializzazione, ancora piú lontano da.ll'idealità costitutiva dell'opera. Le reali differenze sono, dunque, in questo caso, d'ordine estetico (qualità della carta, della stampa), economico (valore di mercato di un esemplare), ed eventualmente materiale (maggiore o minore longevità). Ma esse servono anche, e forse soprattutto, a motivare una differenza simbolica fonda-

mentale, che concerne il carattere «limitato ›› di queste tirature. Questa limitazione compensa in certa misura, per i bibliofili, il carattere ideale e dunque potenzialmente illimitato delle opere letterarie che priva di quasi ogni valore il fatto di pos-

sederle. Limitazione o, in altre parole, rarità, accentuata inoltre dalla numerazione che rende ogni esemplare di una tiratura di lusso assolutamente unico, anche se solo per questo mini-

mo dettaglio. Può anche esserlo per altri due o tre dettagli, ma che non sono piú propriamente d'ordine editoriale: rilegatura personale, dedica manoscritta, iscrizione o contrassegno ex

libris, note manoscritte in margine. L'editore può tuttavia contribuire a tali manovre di singolarizzazione valorizzante. L'esempio piú lampante, ma forse non l”unico nel suo genere, è quello dei cinquanta esemplari delle Ieunes Filles en ƒleurs stampati in-folio nel 1920 (dopo il Goncourt), che includevano al-

cune pagine del manoscritto autentico, cosí esaurientemente distribuite (apparentemente senza aver consultato l'autore) tra questi esemplari, che non sono ancora state ritrovate: strana combinazione di edizione e commercio d'autografi. Nel caso delle tirature di lusso, l”aspetto piú piccante è che,

per ovvie ragioni tecniche, l'indicazione di queste tirature appare su tutti gli esemplari, quelli ordinari compresi, anche se una tale indicazione non li riguarda minimamente. Ma ciò non significa che essa non interessi i lettori che trovano in essa un`informazione bibliografica, e forse anche un motivo di rammarico, il cui pensiero non può che aumentare il piacere dei privilegiati. Poiché non basta essere felici, bisogna anche essere invidiati.

Il nome dell'autore

Luogo. L'iscrizione nel peritesto del nome, autentico 0 fittizio, del-

l'autore non è sempre stata, come ci appare oggi, cosí necessaria e «naturale ››: basti pensare alla pratica classica dell'ano-

nimato, sulla quale tornerò, che mostra come l'invenzione del libro stampato non abbia imposto questo elemento del paratesto con la stessa rapidità e decisione di altri. A maggior ra-

gione per quanto riguarda l'era dei manoscritti antichi e medievali che durante i secoli non hanno avuto a disposizione,

per cosí dire, alcun luogo dove riportare indicazioni quali il nome dell'autore e il titolo dell'opera, a parte la possibilità di integrarle o meglio di sommergerle nelle prime (incipit) 0 nelle ultime (explicit) frasi del testo. In questa forma, che ritroveremo a proposito del titolo e della prefazione, ci pervengono per esempio i nomi di Esiodo (Teogonia, v. 22), di Erodoto

åpriiina parola1dellãSfiorie), dii Tuciålide (sässa disposizioiåeì, iP auto (pro ogo e o Pseu olus), iVirg' 'o (ultimi versi e le Georgiche), del romanziere Caritone di Afrodisiade (all”inizio delle Avventure di Cherea e di Calliroe), di Chrétien de Troyes (all'inizio del Perceval) e di Geoffroy de Lagny, il suo continuatore per il Lancelot, di Guillaume de Lorris e di Jean de Meung, i cui nomi si trovano iscritti nel punto di congiunzione delle due loro opere, al verso 4059 del Roman de la Rose, di «Jean Froissart, tesoriere e canonico di Chimay››, e ovvia-

mente di Dante nel canto XXX, al verso 55, del Purgatorio. Non tengo conto dell'enigmatico Turoldo del Roland, il cui ruolo in quest°opera (autore, recitante, copista?) resta indefi-

nito. Ne avrò probabilmente omesso altre decine, ma resta il fatto che questi nomi d'autore iscritti nel testo sono decisa-

mente meno numerosi di quelli, a cominciare da Omero, che ci sono stati trasmessi solo attraverso la tradizione o la leggen-

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soGL1E

da, e che quindi sono entrati a far parte del paratesto postumo solo molto tardivamente '. La disposizione nel paratesto del nome dell'autore, o di ciò che ne fa le veci, è oggi, allo stesso tempo, molto erratica e molto circoscritta. Erratica: viene disseminato, con il titolo, in tutto l'epitesto, annunci, opuscoli, cataloghi, articoli, interviste, conversazioni, echi o pettegolezzi. Circoscritto: il suo posto canonico e ufficiale si riduce al frontespizio e alla copertina (la prima di copertina, con eventuale richiamo sul dorso o sulla quarta). Sono queste le uniche disposizioni peritestuali del nome dell'autore - il che vuole insomma dire che di solito non si firma un'opera, come una lettera o un contratto, anche se a volte si prova il desiderio di indicarne (alcuni autori,

come Cendrars, lo fanno con insistenza) il luogo 0 la data di redazione. Ma a questa regola negativa vi sono delle eccezioni: è il caso della Jeanne d'Arc di Péguy, che in copertina non presenta il nome dell'autore, mentre ne ha due nel frontespizio: Marcel e Pierre Baudoin, il primo dei quali può essere considerato una sorta di dedica all'amico scomparso, e uno solo, a mo” di firma, nell'ultima pagina: Pierre Baudoin, che è di fatto lo pseudonimo dell'autore, esso stesso in forma di omaggio. In modo piú fantasioso, Queneau firmò la sua poesia Viellir, nel-

l'Instant Fatal, con questi due ultimi versi : « Q-u-e-n-e-a | U-ra-i grec-mond ››. E sappiamo come Ponge finisca Le Pré con la menzione del suo nome nel tratto finale, una civetteria che è stata in seguito imitata in diversi modi. Ma le iscrizioni del nome sul frontespizio e sulla copertina

non hanno la stessa funzione: la prima è modesta e per cosí dire legale, generalmente piú discreta di quella del titolo; la seconda ha dimensioni assai variabili, a seconda della notorie-

tà dell'autore, e - quando le norme della collana si oppongono a qualunque variazione -la sopracoperta gli offre terreno libero, o la fascetta permette la sua ripetizione in caratteri piú insistenti, e a volte solo del cognome per sottolinearne la celebrità. Il principio di questa varianza è in apparenza semplice: piú un autore è conosciuto, piú il suo nome viene esibito, ma

questa proposizione richiede almeno due correttivi: prima di tutto, l'autore può essere celebre per ragioni extra-letterarie, 1 Cfr. E. R. Curtius, Europãische Literatur und lateinisches Mittelalter, Francke, Bern 1948, in particolare l'Excursus XV.

11. NoME DELIJAUTORE

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prima di aver pubblicato qualsiasi' cosa; inoltre, uno stratagemma promozionale di tipo magico (fare finta di per ottenere che) spinge a volte l'editore ad accrescere un po' la fama mimando i suoi effetti.

Onimato. In linea di massima, il momento dellapparizione del nome non è, nell'uso moderno, particolarmente misterioso: è quello della prima edizione ed eventualmente di tutte quelle seguenti. Si tratta dunque, salvo attribuzione iniziale erronea e successivamente corretta (come nel caso dell'apocrifo), di un'iscrizione definitiva. Invece, la regola dell'iscrizione originale non

è assolutamente universale: il nome dell'autore può apparire tardivamente, può perfino non apparire mai, e queste varianti dipendono evidentemente dalla diversità delle denominazioni autoriali. Il nome dell`autore può in effetti soddisfare tre condizioni principali, senza contare qualche livello misto 0 intermedio. L'autore «firma›› (utilizzerò questo verbo per tagliar corto,

malgrado la riserva appena menzionata) con il suo nome di stato civile: si può supporre con buona approssimazione, in assen-

za di statistiche a mia conoscenza, che sia questo il caso piú frequente; oppure firma con un nome falso, preso in prestito o inventato: è lo pseudonimato; oppure non firma affatto, ed è l'anonimato. La tentazione di forgiare sul modello degli altri due il termine di onimato per designare la prima situazione è notevole: come sempre è la condizione piú banale che nel-

l'uso non viene mai nominata, e il bisogno di nominarla risponde al desiderio del descrittore di sottrarla a questa ingan-

nevole banalità. Dopotutto, firmare un'opera con il proprio vero nome è una scelta come un'altra, e non c'è nulla che autorizzi a giudicarla insignificante. L”onimato deriva a volte da

una ragione piú forte o meno neutra della semplice assenza di desiderio, per esempio, di darsi uno pseudonimo: è certamente il caso, già evocato, in cui una persona già famosa produca un libro il cui successo dipenderà da questa celebrità precedente.

Il nome allora non è piú una semplice declinazione d'identità («l'autore si chiama Tal dei tali »), ma il modo di mettere al servizio del libro un'identità, o piuttosto una « personalità ››,

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socuß

come dice bene il linguaggio dei media: «Questo libro è l°opera

dell'illustre Tal dei tali ››. Oppure, la paternità del libro viene rivendicata dall'illustre Tal dei tali, anche se qualche iniziato sa che non lo ha precisamente scritto da solo, e che forse non l'ha nemmeno letto fino in fondo. Evochiamo qui questa pratica del ghost writing, che in francese ha un nome piú spiacevole, per ricordare che le menzioni paratestuali sono piú dell'ordine della responsabilità giuridica che della paternità effettiva: il nome dell'autore, nel regime dell'onimato, è quello di un responsabile putativo, qualunque sia il suo ruolo effettivo

nella produzione dell'opera, e un'eventuale inchiesta di controllo non è minimamente di competenza del paratestologo. Gli effetti obliqui dell'onimato non sono affatto circoscritti ai casi di notorietà precedente. Il nome di un perfetto scono-

sciuto può indicare, al di là della pura «designazione rigida ›› di cui parlano i logici, vari altri tratti dell'identità dell'auto-

re: spesso il suo sesso, che può avere una pertinenza tematica decisiva, a volte la sua nazionalità, o la sua appartenenza so-

ciale (la particella nobiliare fa ancora, per cosí dire, una certa impressione), o la sua parentela con qualche persona piú conosciuta. Inoltre, il «cognome» di una donna non è, nella nostra società, una cosa semplice: una donna sposata deve scegliere tra il nome di suo padre, quello di suo marito, o qualche as-

sociazione tra i due; le due prime opzioni sono, in linea di principio, opache per il lettore, che potrà dunque derivarne uno stato civile, ma non la terza; e molte carriere di letterate sono punteggiate di queste variazioni onimiche rivelatrici di variazioni civili, esistenziali o ideologiche (qui, nessun esem-

pio). Dimentico sicuramente altri casi anch'essi pertinenti, ma questi bastano, mi pare, a confermare il fatto che «conservare

il proprio nome ›› non sia sempre un gesto innocente. Il nome dell'autore svolge una funzione contrattuale d'importanza molto variabile a seconda dei generi: debole 0 nulla nella finzione, molto piú forte in tutti i tipi di scrittura refe-

renziale, dove la credibilità della testimonianza, o della trasmissione, si basa largamente sull'identità del testimone 0 del relatore. Si vedono infatti ben pochi pseudonimi o anonimi tra

le opere di tipo storico o documentario, a maggior ragione quando il testimone è lui stesso implicato nel suo racconto. Il grado massimo di questa implicazione è chiaramente l'autobiografia. A questo proposito non posso che rinviare il lettore ai

IL NOME DELUAUTORE

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lavori di Philippe Lejeune, che mostrano il ruolo decisivo del

nome dell'autore, identico a quello dell'eroe, nella costituzione del «patto autobiografico ››, delle sue diverse varianti e delle sue eventuali frange. Dal punto di vista che qui ci interessa, ho solo una parola da aggiungere: il nome dell'autore non è un dato esterno e facoltativo rispetto a questo contratto, ma un .elemento costitutivo, il cui effetto si combina con quelli di altri elementi, come la presenza 0 l'assenza di un'indicazione generica - o, come precisa Lejeune stesso', questa o quella formula di priêre d 'insérer, o di tutt”altra parte del paratesto. Il contratto generico è costituito, in modo piú o meno coerente, dall'insieme del paratesto, e piú ampiamente dalla relazione fra testo e paratesto, e il-nome dell”autore ne fa evidentemente parte, ; Sollers per Portrait d 'un jouer: ; piú contorto, Truman Capote - e qui abbrevio: «I miei libri piú autobiografici non sono quelli che si pensa, ecc. ›>). Altra domanda-cliché: «Ci sono delle chiavi? ›>; risposta-cliché: « Nessuna chiave: ci sono certamente dei modelli, ma li ho confusi››. «Ha subito l1influenza di X? - Assolutamente no, non l'ho

mai letto ›>; 0 piú perversamente, secondo la tecnica del controfuoco: « No, non di X, ma di Y, al quale nessuno ha mai pensato ›› 1. osr1=Az1oNE

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la ricezione sembra suscitare una serie di ulteriori interroga-

tivi che mettono in evidenza l'essenziale circolarità delle riflessioni aperte dal paratesto; una circolarità che è strettamente connessa all'intreccio tra considerazioni pragmatiche ed altre piú specificamente «poetiche ››, tratto distintivo della relazione paratestuale all`interno della poetica trascendente. L'interrogativo cruciale circa le modalità di lettura del paratesto e dell'intenzione dell'autore in esso espressa, resta in sospeso. Fondandosi sulla pretesa di validità e autorità del messaggio autoriale, l'ideologia del paratesto - spiega Genette - implicita-

mente richiede la sospensione di qualsiasi attività ermeneutica da parte del lettore. Ma quale sia pur minima legittimità viene a questo punto da chiedersi- può assumere una simile richiesta di interpretazione letterale? Genette stesso d'altra

parte afferma piú volte che il lettore non deve necessariamente condividere il punto di vista autoriale. Tuttavia anche il sem-

plice invito di Genette a tenere conto del paratesto in quanto tale non implica, forse, al tempo stesso un invito a riconoscerne e subirne l'autorità della lettera, vale a dire ad accettarne le tacite condizioni di esistenza? La tematizzazione di queste difficoltà appare evidente nella definizione dell'eƒƒetto-Jupien, effetto paradossale e «perverso ››, in base al quale il paratesto può venire testualizzato contraddicendo la richiesta implicita di sospensione di ogni attività ermeneutica. E l'effetto, ad esempio, suscitato dal paratesto finzionale e in particolare la prefazione, che Genette considera la pratica paratestuale piú letteraria. Mentre l'auto-

rità della prefazione di Victor Hugo a Cromwell, ad esempio, non è contraddetta da nessun elemento del paratesto, la finzionalità di , vengono

messe in evidenza dalle prefazioni tardive di Walter Scott nel primo caso, e dal nome dell'autore (Lesage) sul frontespizio, nonché da una «dichiarazione dell°autore ››, nel secondo caso. Cosi, le prefazioni finzionali, come quelle di Scott o quelle de-

negative di Daniel Defoe a Robinson Crusoe o Moll Flanders in cui l'autore disconosce la propria paternità del testo presen-

tandosi come semplice «editore ›› -, tendono a passare dall'altra parte dello specchio, costringendo invece l'interprete a sostare sulla soglia del testo. Spogliata della sua funzione transitiva, la prefazione diviene quindi indice dell'autoriflessivi-

tà finzionale e della letterarietà. Oltre alla prefazione, l'ef-

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1>osT1=Az1oNE

fetto-Jupien, effetto