Schiavitù antica e ideologie moderne 8842018813, 9788842018810

Come nacque la schiavitù nel mondo greco e romano e come si trasformò nel passaggio al feudalesimo medievale. Quale ruol

229 24 5MB

Italian Pages 284 Year 1981

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Schiavitù antica e ideologie moderne
 8842018813, 9788842018810

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Titolo dell'edizione originale Ancient Slavery and Modern Ideology Chatto & Windus Ltd., London © 1980, M. I. Finley Traduzione di Elio Lo Cascio

Moses I. Finley

SCHIAVITÙ ANTICA E IDEOLOGIE MODERNE

Laterza

1981

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari CL 20-1881-0 Finito di stampare nel maggio 1981

nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari

A Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal-Naquet

Prefazione

Sebbene lo sfruttamento degli schiavi sia feno­ meno comune alla maggior parte delle società, fin dalle più antiche di cui possediamo qualche testimo­ nianza, ci sono state, nel corso della storia, solo cin­ que autentiche società schiavistiche e, di queste cinque, due nell'antichità: la Grecia e l'Italia classiche. Que­ sto libro ha per oggetto queste due società, analizzate non nella loro singolarità, ma attraverso il confronto - nella misura in cui un tale confronto sia significa­ tivo - con le altre tre (tutte affermatesi nel Nuovo Mondo) . Nel libro viene esaminato come le antiche so­ cietà schiavistiche siano sorte e come si siano trasfor­ mate nel corso del lungo processo che condusse al feu­ dalesimo medievale; come la schiavitù abbia funzionato nell'ambito dell'economia antica e all'interno dei si­ stemi politici antichi e come sia stata valutata, dal punto di vista sociale e morale; vi vengono esaminati altresl i vari atteggiamenti degli storici moderni nei confronti della schiavitù antica e le motivazioni di tali a tteggiamenti. Questi argomenti sono intrecciati nel corso dell'analisi: il libro non segue un filo crono­ logico convenzionale, ma esamina quattro temi fon­ damentali uno per uno. In altre parole, sebbene l'in­ dagine sia al tempo stesso volta a delineare gli aspetti dell'istituzione antica e della storiografìa moderna su IX

di essa, questi capitoli non costituiscono una storia della schiavitù antica. Nel corso degli ultimi venticinque anni lo studio della schiavitù degli Stati Uniti, dei Caraibi, del Bra­ sile ha raggiunto un'intensità senza precedenti. La discussione ha spesso assunto toni assai aspri e si è trasformata in un dibattito aperto anche ai non ad­ detti ai lavori, e non semplicemente accademico. La ragione è evidente: l;:t schiavitù moderna è stat� schia­ vitù negra, e non �- ne può perciò discutere seria: mente senza toccare il problema delle odierne tensioni sociali e razziali. Ovviamente, la schiavitù-antica greca e romana non ba le implicazioni dell'attualità. Non­ dimeno, altre considerazioni ideologiche contempora­ nee hanno la loro incidenza su quello che può sem­ brare un terreno remoto d'indagine storica: hanno un'incidenza nel senso che si sottendono, e persino la determinano, a quella che spesso appare a prima vista un'esposizione soltanto « di fatti », « oggettiva ». Per_ qu.�ta r�!9pe, il disaccQrdol anche in questo 'campo, è profondo, i contrasti di opinione çlanno 1w;!go a polemiche. Io credo che un'esposizione esaustiva e franca di come si sia manifestato l'interesse dei mo­ derni per la schiavitù antica è una premessa necessaria all'analisi vera e propria dell'istituzione, e ho perciò iniziato trattando questo tema. Esso poi ritorna nel corso dei capitoli successivi, essenzialmente come ter­ mine di confronto con le mie opinioni in merito ai singoli argomenti esaminati. Il nucleo del libro è costituito da quattro confe­ renze che ho avuto l'onore di tenere al Collège de France nel novembre e dicembre del 1978. L'invito mi ha dato la gradita opportunità di intrattenermi su di un argomento sul quale vado riflettendo da lungo tempo. Il mio interesse per la schiavitù antica risale --------



x

------------------�

, , ...

ai prirpj �noLJrenta, quando ero un perfezionando alla Columbia UniversÌty sotto la guida di. W. L. Westermann; e direttamente su questo tema scrivo e insegno da vent'anni. Durante questo tempo ho accumulato molti debiti, ma qui devo !imitarmi a rin­ graziare John Dunn, Peter Garnsey, Keith Hopkins, Orlando Patterson, Elisabeth Sifton e C. R. Whitta­ ker, che hanno cortesemente letto l'intero mano­ scritto; Yvon Garlan, Elio Lo Cascio, Dieter Metzler, Pierre Vidal-Naquet e mia moglie, che hanno letto singoli capitoli o hanno offerto la loro collaborazione in altri modi. Sono pure molto grato a Douglas Mat­ thews per avere redatto l'indice e a Elio Lo Cascio per l'eccellente traduzione italiana del volume. __ _

M. l. F.

Schiavitù antica e ideologie moderne

l. Schiavitù antica e ideologie moderne

La mole e la veemenza polemica delle opere sulla storia della schiavitù sono tratti caratteristici della storiografia contemporanea. La cosa si comprende age­ volmente per )a schiavitù americana, che era schiavitù negra, sicché anche un'analisi « puramente storica » d'un'istituzione morta ormai da più d'un secolo non riesce a districarsi dall'impellenza delle attuali ten­ sioni tra bianchi e neri. Di recente, un commentatore ha osservato, p iuttosto causticamente, che, a causa della « costrizione dei tempi », ogni « nuova inter­ pretazione della schiavitù si è professata più antiraz­ zista di quella che vuole sostituire » 1 • Preoccupazioni analoghe sono evidenti nelle indagini sulla schiavitù dei Caraibi o del Brasile ovvero sull'impatto che il commercio degli schiavi ha avuto sull'Africa. Ma preoccupazioni del genere non possono ovviamente spiegare il motivo per il quale anche la schiavitù an­ tica è fatta oggetto d'un interesse di ricerca parimenti cospicuo e non meno fervido. Nessuno oggi è co­ stretto a vergognarsi dei s�oi_antenati greci o romani . di condizione servile,_ né si p oss òno individuare odierni malesseri sociali o politici, la responsabilità della cui esistenza si possa far risalire, non importa attraverso quante mediazioni, alla schiavitù antica. Vanno perciò cercate altre spiegazioni, e io tenterò 3

di mostrare come esse abbiano le loro profonde ra­ dici in fondamentali conflitti ideologici. Può essere euristicamente utile operare una distinzione grosso­ lana e in parte artificiosa tra una concezione morale o spirituale e una concezione sociologica del processo storico. Una simile distinzione, è ovvio, non può es­ sere rigidamente rispettata né dallo storico né dall'at­ tivista: nel corso del dibattito sull'abolizione del com­ mercio degli schiavi in età moderna, « capita non meno di frequente di trovare umanitari che utilizzano argo­ mentazioni economiche, di quanto non capiti di tro­ vare loro oppositori che utilizzano argomentazioni umanitarie» 2• Cionondimeno, la distinzione che pro­ pongo risponde alle mie esigenze, come illustrano le sfumature diverse che è possibile rinvenire nelle due seguenti citazioni, pure simili a un'analisi superficiale (e va detto che di entrambe le citazioni è facile trovare paralleli in altri scrittori). La prima è tratta da un'opera di Amold Heeren, l'autorevolissimo filosofo e storico di Gottinga, attivo proprio agl'inizi del diciannovesimo secolo:

. .. tutto ciò che i moderni hanno detto a proposito della schiavitù e contro di essa lo si può applicare ai Greci . . . M a non s i dovrebbe cercare di negare l a verità dell'affer­ mazione secondo la quale, senza lo strumento della schia­ vitù, la cultura deHa classe dirigente in Grecia non sarebbe potuta in alcun modo divenire quella che divenne . Se i frutti prodotti da questa cultura hanno un valore per l'in­ tera umanità civile, allora può esser legittimo almeno espri­ mere il dubbio se sia stato davvero troppo alto il prezzo pagato per conseguire tali frutti, con l'introduzione della schiavitù ( corsivo mio ) 3•

La citazione contrapposta è tratta dall'Antiduhring di Engels: 4

Solo la schiavitù rese possibile che la divisione del la­ voro tra agricoltura e industria raggiungesse un livello considerevole. .. Senza la schiavitù non sarebbero esistiti né lo Stato, né l'arte, né la scienza della Grecia; senza la schiavitù non ci sarebbe stato l'impero romano. Ma senza le basi della civiltà greca e dell'impero romano non ci sarebbe l'Europa moderna . . . È molto facile inveire con frasi generali contro la schiavitù e cose simili e sfogare un elevato sdegno morale contro siffatta infamia... Ma coslnon veniamo a sapere proprio nulla intorno all'origine di queste istituzioni, alle ragioni per le quali esse sussistet­ tero e alla funzione che ebbero nella storia 4• L'ottica di tipo morale-spirituale a tal punto ha dominato la discussione sulla schiavitù antica sin da­ gl'inizi del diciannovesimo secolo e quasi monopoliz­ zato l'attività di ricerca in ambito accademico (con l'eccezione della « neutrale » erudizione antiquaria), che l'opinione oggi comune è che l'interesse moderno per la schiavitù antica « fu risvegliato dall'idea di li­ bertà nel diciottesimo secolo, con gl'inizi della mo­ derna costruttiva critica sociale » 5, e che il culmine di quell'iniziale impulso fu raggiunto nel 1 84 7 , con l'apparizione della Histoire de l'esclavage dans l'anti­ quité di Henri Wallon. Quando Wallon pubblicò i suoi tre volumi, li fece precedere, a mo' d'introdu­ zione, da un capitolo, di 1 64 pagine, su La schiavitù nelle colonie. E ne fornl esplicitamente la ragione nella breve prefazione:

La schiavitù presso gli antichi ! Può sembrare strano che si vada a cercarla cosllontano, quando la schiavitù esi­ ste ancora fra di noi. Nel prendere questo cammino non dis traggo affatto gli spiriti dalla questione coloniale ; al con trario desidererei ricondurveli e forzarli a trovare una soluzione. 5

La soluzione non avrebbe potuto essere più sem­ plice: l'abolizione d'un'istituzione che era radical­ mente non cristiana, che corrompeva allo stesso modo schiavi e padroni e perciò l'intera società. Nel 1 847 il movimento abolizionista era pienamente attuale in Europa. Nel 1 8 79, tuttavia, allorché Wallon pubblicò una seconda edizione della sua opera, la schiavitù era stata proibita in pressoché tutte le colonie del Nuovo Mondo e l'abolizionismo era un retaggio del passato, era un movimento ormai morto. Nondimeno Wallon, divenuto a quel tempo segretario permanente dell'Aca­ démie des Inscriptions et Belles Lettres, decano della Faculté des Lettres di Parigi, e «Padre della Costi­ tuzione», decise di ristampare il suo inattuale capi­ tolo sulle colonie, perché, come scrisse in una nuova prefazione, «può dare un'idea del regime coloniale e dell'atmosfera diffusa in mezzo a noi nel momento preciso in cui la discussione fu troncata, assai prima di quanto si potesse credere» - «grazie a Dio» ag­ giungeva piamente. La Histoire di Wallon resta un'opera senza rivali per le sue dimensioni e per il suo impiego su larga scala delle fonti letterarie e giuridiche, della lettera­ tura patristica e (assai più di quanto generalmente non si ammetta) delle testimonianze epigrafiche. Eppure, di solito, oggi è fatta oggetto d'un'attenzione meta­ mente formale, cui s'aggiungono una o due notazioni di tono negativo su quanto Westermann ha definito «i pregiudizi abolizionistici dell'epoca». La sua «in­ fluenza », continua il Westermann, «nel consolida­ mento della moderna valutazione religioso-moralistica dell'istituzione antica è stata probabilmente la più perniciosa e la meno contrastata» 6• Joseph Vogt evita il tono di denuncia di Westermann, ma le due pagine che egli dedica a Wallon e che sostiene attestino una 6

« speciale attenzione nei confronti di quest'opera in­ signe » si limitano quasi esclusivamente ai giudizi di valore (che « necessitano d'una revisione ») sull'in­ fluenza negativa esercitata dalla schiavitù sulla società e sulla funzione salutare del cristianesimo nel porre fine all'istituzione 7• Non ho bisogno di continuare a elencare altri pareri: da tali commenti e « riassunti » nessuno sarebbe in grado di farsi un'idea del conte­ nuto dei tre volumi di Wallon o della mole del suo contributo scientifico. Egli stesso non sbagliava quan­ do scriveva, chiudendo il lungo capitolo introduttivo sulla situazione moderna: « Del resto, questo libro non è una giustificazione, ma una storia. Senza ban­ dire dalla mia mente il problema moderno, sono ri­ masto al cospetto del fatto antico »: decine di mi­ gliaia di fatti, aggiungerei, sulle dimensioni della po­ polazione servile, sulle fonti della schiavitù, sul prezzo e sull'impiego degli schiavi, sugli iloti, sulla manu­ missione e così via. Vanno dette parecchie cose su questo misto di denuncia e di indifferenza nei confronti di Wallon. La prima è che si tratta d'un fenomeno del ventesimo secolo 8• La seconda è che, per quanto si possano le­ gittimamente criticare le interpretazioni dei dati for­ nite da Wallon, o si possa non essete d'accordo con lui su tali interpretazioni, non abbiamo elementi per accusarlo di avere distorto deliberatamente o di avere omesso di citare delle testimonianze in conseguenza della sua cristiana religiosità o del suo fervore abo­ lizionista. E la terza è che l'atteggiamento anti-Wal­ Ion non riflette l'abbandono d'un'impostazione storia­ grafica di tipo morale-spirituale, come può sembrare su perficialmente, ma è il risultato d'un mutamento, e anche d'un contrasto, nelle concezioni morali degli storici. Semplificando, il conflitto è tra la concezione

7

di Heeren secondo la quale la schiavitù, sebbene fosse un male, non fu un prezzo troppo alto da pagare per­ ché fossero ottenute (e poi lasciate in eredità) le som­ me conquiste culturali dei Greci, e l'insistenza di Wal­ lon sul fatto che non vi può essere alcuna giustifica­ zione per un male che viola così grossolanamente l'essenza del cristianesimo. Raramente le questioni sono state poste in termini così brutali ma non è dif­ ficile andarle a sceverare dalla complessa azione reci­ proca dei differenti sistemi di valori. Wallon ha sof­ ferto post mortem perché, per quanto fosse lodevol­ mente un buon cristiano, fu rigido nel non concedere alcuna attenuante alle tradizioni classiche e ai valori classici. E lo stesso ha fatto qualche altro storico del ventesimo secolo che, partendo da posizioni diverse, ha attribuito il « declino dell'antichità » al solo fattore della schiavitù. Sebbene sia convinto che l'insistenza sui valori morali abbia condotto a una distorsione così dello stu­ dio della schiavitù antica come delle attuali analisi della storiografia sull'argomento, desidero esaminare un po' più distesamente il tema del rapporto fra cri­ stianesimo e schiavitù antica, perché è stato un tema centrale dei dibattiti ideologici in merito alla schiavitù antica; ha rappresentato, anzi, un esempio assoluta­ mente caratteristico di quel che accade quando viene chiamato in causa in dispute morali o teologiche il passato. Westermann, per esempio, che era da un punto di vista religioso un agnostico, o comunque un non credente, attaccò Wallon in un capitolo polemico nel quale non ebbe difficoltà a demolire la concezione secondo cui era stato il cristianesimo a provocare, anche se solo a scoppio ritardato, la scomparsa della schia­ vitù antica. In un mondo senza ideologia quell'attacco polemico non sarebbe stato necessario: la concezione 8

era stata già confutata quasi un secolo prima in forma assai più ampia e con maggiore profondità di analisi da quel teologo radicale, amico di Nietzsche e precur­ sore di Karl Barth, che fu Franz Overbeck 9• E in realtà era stata confutata a sufficienza in tre o quattro pagine nel 177 1 da John Millar 10• La situazione fu riassunta da Ernst Troeltsch mezzo secolo fa: « il rap­ porto di schiavitù, almeno per l'esigenza ideale, è in­ ternamente abolito. Ma esteriormente la schiavitù non è se non una porzione del diritto generale di proprietà e dell'ordinamento statale, che il cristianesimo accetta senza manometterli, anzi rafforzandoli con la sua ga­ ranzia morale » 11• La passione polemica dei ragionamenti di Over­ beck e l'intemperanza del suo linguaggio possono at­ tribuirsi al fatto che egli stava proponendo una po­ derosa argomentazione teologica a proposito della na­ tura del cristianesimo, non stava solo correggendo un errore storiografico ; e possono forse attribuirsi pure alle dimensioni delle stalle di Augia che Overbeck desiderava spazzare. Quando scriveva, nel 1 875, era ormai diventato un dogma che la chiesa primitiva si sarebbe opposta alla schiavitù: sarebbero necessarie molte pagine anche solo per elencare i libri e i saggi nei quali compariva questa dottrina, non tutti disprez­ zabili e qualcuno anzi di notevole qualità scientifica. W allon non fu il creatore del dogma in questione e neppure il suo più popolare portavoce: quest'ultima fu nzione la ebbe probabilmente Paul Allard, il cui Les esclaves chrétiens solo in francese contò ben quattro e diz ioni dopo la prima, apparsa nel 1 876, e ottenne il massimo riconoscimento, la « corona » , dall'Acca­ de mia. La difficoltà che pone il dogma è la sua evidente incompatibilità con le testimonianze concrete. E que9

st'incompatibilità già agl'inizi del diciannovesimo se­ colo costituiva motivo di seria preoccupazione, tanto che vi fu una fioritura di studi sulla chiesa e sulla schiavitù antica. Wallon, vale la pena di rammentarlo, vinse un concorso patrocinato dall'Académie des Scien­ ces Morales et Politiques nel 1837 sul tema della so­ stituzione della schiavitù con la servitù della gleba ; e la sua fu una delle tre opere che vennero alla fine pubblicate in conseguenza del concorso 12• Nel 1845, prima che fossero apparsi i tre volumi di Wallon, i Trustees dell'Hulsean Prize presso l'università di Cam­ bridge fissarono come tema per il loro concorso di quell'anno L'influenza del cristianesimo nel promuo­ vere l'abolizione della schiavitù in Europa; la disser­ tazione che vinse, di Churchill Babington, pubblicata l'anno successivo, si diffondeva per 181 pagine eru­ dite. Nel 1862 , sotto lo stimolo diretto della Guerra Civile americana, la Società per la difesa della reli­ gione cristiana dell'Aja invitò a una più variata ana­ lisi col dare al suo tema una duplice formulazione : l) una « spiegazione scientifica » dei passi della Bib­ bia che si riferiscono alla schiavitù e 2 ) un 'indagine su come dovesse essere considerata la schiavitù « se­ condo lo spirito e i principi del cristianesimo » . Gli organizzatori del premio ottennero almeno una rispo­ sta lunga e degna di nota che li ripagò : il lavoro vin­ citore del premio, dovuto a un insegnante tedesco, Heinrich Wiskemann, pubblicato a Leida nel 1866 col titolo Die Sclaverei. Wiskemann, studioso del mondo classico, teologo e storico con un lungo elenco di serie pubblicazioni al suo attivo, dimostrava l'in ­ sostenibilità dell'idea che il Nuovo Testamento of­ frisse un qualsiasi conforto alle tesi degli abolizionisti, e sosteneva poi che la schiavitù è nondimeno « un male che può essere accettato dalla religione e dalla 10

ragione solo in certe circostanze ( unter Umstanden) ». Insomma, uomini dalla fede salda erano costretti a trovare una qualche sorta di giustificazione alla lunga sopravvivenza della schiavitù dopo il trionfo del cristianesimo. Il terzo volume di Wallon si apre con il riconoscimento del problema e vi ritorna poi molto spesso . Il suo modo di risolvere il dilemma - la schiavitù era una pratica perversa incompatibile con le esigenze morali - non è molto soddisfacente. Né lo è quello adottato da Wiskemann: Cristo e gli apostoli o non si pronunciarono sulla schiavitù o l'ap­ provarono per validi motivi tattici (che è quanto egli intende con « accettato in certe circostanze » ) . Una ri­ sposta non molto rigorosa è comunque meglio della linea di condotta adottata da Joseph Vogt : il quale si mantiene fedele al dogma d'una fondamentale op­ posizione del cristianesimo sin dalle origini, senza nep­ pur tentare di rispondere alle argomentazioni e alle testimonianze che sono state schierate contro un tale dogma, nemmeno a quelle di Westermann, per il quale egli ha espresso molta ammirazione, benché non del tutto acritica. Anche se « è .. . vero », si accontenta di scrivere, che il cristianesimo accettò la « schiavitù come istituzione », quel che importa è che la « con­ trapposizione padrone-schiavo all'interno della nuova comunità » cristiana ha « un significato piuttosto re­ lativo . Un nuovo modo di apprezzare il possesso dei beni e la potenza terrena è entrato nella vita » 13• Ora, questo genere di affermazioni è vicino a Wal­ lon, sebbene abbia un tono leggermente meno pro­ pagandistico. La polemica di Vogt nei confronti di Wallon non investe perciò il cristianesimo ma la ne­ gazione da parte di Wallon dell'eccellenza spirituale dei pagani Greci e Romani. Che Vogt sia in errore nel credere, contro 11

Troeltsch, che «un nuovo modo di apprezzare il pos­ sesso dei beni e la potenza terrena è entrato nella vita » mi sembra sicuro. Mi sembra parimenti innegabile che è un sottrarsi al dilemma centrale limitarsi ad aggiun­ gere, di sfuggita, per poi non curarsi più del proble­ ma, la clausola «sebbene sia vero che il cristianesimo accettò la schiavitù come istituzione ». Ma io non in­ tendo discutere questi aspetti della questione ; quel che m'interessa rilevare, ora, è l'errore metodologico che pervade l'esposizione di Vogt, un errore comune nella storia delle idee, quello che potremmo definire l'«errore teleologico ». Esso consiste nel postulare l'esistenza sin dagl'inizi del tempo, per cosl dire, dei valori di chi scrive - in questo caso, il rifiuto morale della schiavitù come un male - e nell'esaminare poi i pensieri e le azioni di chi ci ha preceduto come se essi si muovessero, o avrebbero dovuto muoversi, nella direzione della realizzazione di tali valori ; come se gli uomini in altre epoche si ponessero le medesime domande o si trovassero a dover affrontare i medesimi problemi di quelli dello storico e del suo tempo 14• L'affermazione falsa secondo la quale l'interesse moder­ no per la schiavitù e la moderna indagine relativa ad essa ebbero le loro radici nell'Illuminismo-e nell'aboli­ zionismo ne è un altro esempio. Si postula che «inte­ resse » e «attività di ricerca » siano delle costanti, sicché queste due cose vengono valutate e giudicate sulla base delle regole che hanno governato l'attività accademica del diciannovesimo e del ventesimo secolo e le forme in cui si è esplicata tale attività, com'è l'opera scientifica di taglio monografico. Non ci do­ vrebbe essere bisogno di dire che ci sono, e ci sono sempre stati, differenti livelli d'interesse o che la ri­ cerca di tipo monografico non è la sola misura dell'at­ tenzione prestata a un dato argomento. 12

Per tutto il corso della stessa antichità l'interesse per la schiavitù in quanto tale fu un interesse contem­ poraneo , non storico. Le poche apparenti eccezioni sono, appunto, apparenti soltanto : le varie spiegazioni, tutte e sempre errate, dell'origine degli iloti spartani ; l'affermazione di Teopompo, storico del quarto secolo a. C. ( citato in Ateneo, 4, 265 B-C ), che i Chioti erano stati i primi a comprare schiavi dai barbari, afferma­ zione fatta nel contesto dell'esposizione del declino di Sparta e dell'invasione greco-macedone della Persia « barbarica » 15; il commento di Dionisio di Alicarnasso (Antichità Romane, 4, 24) sui bei tempi andati, giu­ dicati in flagrante contrasto con la degenerazione che provocò, giusto all'epoca sua, le leggi augustee volte a mettere un freno alle manumissioni. Tali riferimenti al passato, storico o mitico, introdotti per spiegare o giu­ stificare o illustrare una situazione, una credenza o un 'azione contemporanee allo scrittore, erano comuni - basti solo pensare alle odi di Pindaro - ma non tradivano un interesse per il passato in quanto tale, o per la storia, e meno che mai un interesse per la v icenda storica di una particolare istituzione, o per un'indagine storica su di essa. Pensare altrimenti è un'illusione moderna, generata dal fatto che è stata inventata una disciplina chiamata «storia » e che tale dis ciplina è stata introdotta nei programmi scolastici e u niversitari . L'illusione cresce, quando perveniamo a secoli più rec enti , per effetto della posizione del tutto singolare e della del tutto singolare autorità della cultura clas­ sica nella civiltà occidentale. Citare gli autori greci e romani era una tecnica comune in svariati ambienti, ma né la fiducia riposta dall'Aquinate in Aristotele, né la scelta dantesca di Virgilio come guida, né le cita­ zio ni da autori classici dei «Founding Fathers » (i Fon13

datori della Repubblica che fece seguito alla Rivolu­ zione americana ) avevano qualcosa a che fare con il desiderio di studiare e di capire la società greco-romana o la sua storia . Per certi scopi, singoli scrittori e pen­ satori greci e romani venivano scelti come modelli di eccellenza - per lo stile, o per l'educazione, o per la morale, o per la logica -, che andavano utilizzati a fondo in modi adatti alle situazioni contemporanee . Per molti altri scopi non servivano, e perciò li sosti­ tuivano altre autorità: per esempio, nel dibattito sette­ centesco sul diritto inglese, per il quale i paradigmi storici (e più spesso pseudostorici ) erano inglesi, non greci o romani 16• E così pure con i difensori della schia­ vitù : Aristotele offriva non più che un ricamo erudito all'argomentazione fondamentale, che riposava sulla Scrittura 17• Per giustificare la riduzione in schiavitù di alcune creature di Dio, era necessario il sostegno di Dio , non quello della storia o della filosofia pagana , che non conosceva né peccato, né battesimo . L'unica sfera nella quale gli antichi potevano for­ nire , ed effettivamente fornivano , un consistente aiuto era quella, pratica , del diritto. Il diritto romano pre­ sentava una non intermessa continuità, dapprima attra­ verso i codici germanici , poi attraverso la rinascita del diritto romano nel tardo Medioevo . I testi fondamen­ tali sopravvivevano in quantità più che sufficiente ed esistevano ricchi commentari 18• Gli Europei che popo ­ larono il Nuovo Mondo con schiavi africani importati avevano perciò a disposizione un sistema legale bell'e fatto , che adottarono quasi in toto, modificandolo len­ tamente per farlo corrispondere a certe nuove condi­ zioni , per esempio nel limitare alla fine a un minimo la pratica della manumissione. Non sorprende che da questa attività giurisprudenziale non sia stata stimolata alcuna seria analisi della schiavitù antica. Nemmeno 14

Jacques Cujas, grandissimo fra i primi moderni com­ mentatori del Corpus Juris, diede alcun contributo nuovo o penetrante, né lo diede l'occasionale disserta­ zione de iure servorum. E neppure diedero alcun contributo i grandi uomini dell'Illuminismo , nonostante che oggi si con­ sideri comunemente pacifico il contrario . Sebbene l'in­ formazione storica fosse per essi un'arma essenziale nel loro volersi emancipare dal «dominio del pensiero metafisica e teologico » 19, gl'illuministi erano interes­ sati alla storia solo in quanto fonte di paradigmi, non in quanto disciplina scientifica 20 • Il culmine si ebbe con Montesquieu, il primo pensatore, per adoperare le pa­ role di Cassirer, «che abbia concepito il pensiero del ' tipo ideale ' storico o gli abbia dato una forma chiara e sicura. Lo ' Spirito delle Leggi ' è una tipologia politica e sociologica », nella quale i fatti sono ricer­ cati non per se stessi, «ma per amor delle leggi che in essi si manifestano » 21• In esponenti minori della nuova temperie spirituale, specialmente in campo poli­ tico, i «fatti » furono altrettanto inventati quanto ricercati ; la storia non diventò né paradigmatica, né sociologica, ma diventò falsificazione. La rivoluzione fra ncese , osservò Marx all'inizio del Diciotto Brumaio , « indossò successivamente i panni della Repubblica ro­ mana e dell'Impero romano » . Sparta fu preferita ad Atene, per essere poi sostituita nell'età post-rivolu­ zion aria dalla leggenda dell'«Atene borghese » 22• Quando gli uomini dell 'Illuminismo scrissero della s ch iavitù antica , come fecero spesso , anche se breve­ me nte, l'approccio paradigmatico fu ovvio e universale . Il S ettecento francese ( e inglese ) fu profondamente in te ressato sia alla schiavitù nel Nuovo Mondo , che al la servitù della gleba nel Vecchio , considerate come so st anzialmente identiche (per esempio da John Millar 15

e da Adam Smith), ovvero differenziate, nei termmi meramente formali del diritto romano, come schiavitù personale e schiavitù reale ( nell'Encyclopédie, per esem­ pio). L'orientamento dominante era contrario alla schia­ vitù, sebbene l'atteggiamento di un Voltaire e di un Montesquieu fosse piuttosto ambiguo in confronto all'ostilità incondizionata di un Diderot o di un d'Hai­ bach 23• Nemmeno questi ultimi, tuttavia, val la pena di notare, condannarono la schiavitù più aspramente, o con una conoscenza più approfondita delle fonti greche e romane, di quanto non avesse fatto Jean Bodin nel sedicesimo secolo (La République, lib . I , cap. V). La personalità-chiave settecentesca fu Montesquieu . Ci sono parecchie cose che restano, come ben si sa, enigmatiche a proposito della sua discussione relativa­ mente sommaria sulla schiavitù nel libro XV (noi di­ remmo capitolo ) dell'Esprit des lois : è questo il se­ condo di quattro libri dedicati al più ampio tema del clima; è intitolato Come le leggi della schiavitù civile sono in relazione con la natura del clima e offre una curiosa giustificazione della schiavitù nelle zone tro­ picali. Tuttavia, queste poche pagine costituirono il più influente attacco intellettuale contro la schiavitù che sia stato scritto nel Settecento. Così, il cavaliere de J aucourt iniziò il suo articolo sull'«esclavage » nel quinto volume dell'Encyclo pédie ( 1 755 ) con un rico­ noscimento della sua dipendenza da Montesquieu, pro­ seguì definendo la schiavitù come un'istituzione quasi universale «che fa disonore al genere umano » , e non smise, in nessun punto, la sua intransigenza, nel suo abolizionismo . Alla base dell'analisi di Montesquieu stavano ampie letture, ovviamente, degli autori classici , ma anche, più o meno in pari misura, dei codici romani e germanici e dei grandi «viaggi » che descrivevano i 16

costumi delle popolazioni del Nuovo Mondo, del Me­ dio e dell'Estremo Oriente 24• Nulla potrebbe meglio illustrare la conclusione di Cassirer che i fatti venivano ricercati non per se stessi « ina per amor delle leggi che in essi si manifestano ». Nessuno stimolo nacque per alcuna indagine storica, per alcuna historia nel senso greco originario , e men che meno per un'analisi scientifica della schiavitù antica . Si possono naturalmente citare delle eccezioni. Per un verso, c'è il rifiuto , da parte dell'abbé Barthélemy, un celebre érudit, influenzato da Montesquieu, da Vol­ taire e specialmente da Rousseau, di tener conto della schiavitù in tutti e sette i volumi del suo Voyage du jeune Anacharsis en Grèce, pubblicato nel 1 7 89, ri­ stampato almeno cinque volte in francese e tradotto in parecchie lingue già alla fine del secolo, anche se non vi manca qualche accenno radicalmente ostile 25• Per un altro verso, c'è lo stimolo che l'Illuminismo diede allo studio della storia in Germania. Tra il 1 800 e il 1 805 apparve a Lipsia una monumentale storia di Sparta, in molti volumi , di ]. C. F. Manso, inse­ gnante, poeta e storico di Breslavia, e figura impor­ tante e controversa del movimento illuministico del­ l' ep oca sua (ma credo appena noto fuori della Germa­ nia). Questa notevole narrazione, che seguiva la vicenda di Sparta sino all'incorporazione della Grecia da parte di Roma nell 'impero, s'incentrava sulla storia politica e militare , ma dedicava pure dozzine di appendici a un ampio arco di altri temi, come, per fare un esem­ pio, i costi della guerra del Peloponneso ; ed era poi inframmezzata da lunghe riflessive digressioni nelle quali l'uomo dell'Illuminismo rivelava se stesso. La più no tevole, ai fini del presente discorso , è la valutazione che Manso dà della « costituzione di Licurgo » (I 1 7 8192 ) , una critica severa di Sparta, soprattutto per il 17

fatto che la città si fondava sullo sfruttamento degl'iloti e attribuiva una centrale importanza alle virtù mili­ tari . La Sparta di Manso fu presto immeritatamente obliterata dall'apparizione, nel 1 8 24, di quella fanta­ sia perniciosamente influente costituita dalle mille pa­ gine dei Dorier di Karl Otfried Miiller, in cui gl'iloti e il lavoro dipendente negli altri stati cosiddetti dorici erano compressi in venti pagine di smaccata apologe­ tica . Miiller non era né « illuminista » né liberale :!6; se egli tuttavia definiva gli schiavi-merce * di « stati commerciali » come Atene un pericolo permanente « alla moralità e all 'ordine » ( I 39), non era perché fosse un abolizionista, ma perché quest'osservazione incidentale gli serviva ad accentuare la glorificazione di Sparta e la denigrazione di Atene. Come storico , Manso si teneva molto aderente alla materia che era tradizionale sin dall'età greca: gl'iloti apparivano nella narrazione quando era necessario, e, per il resto, se ne trattava in una sola appendice. E così fu pure con colui che rappresenta la più grande « eccezione » fra tutti, Edward Gibbon. Anche se Gibbon « era pienamente di casa nella Parigi degli Enciclopedisti e condivideva molte delle loro con­ vinzioni », derivando per di più da loro le proprie « fondamentali idee politiche, morali e religiose » Zl, egli scrisse The Decline and Fall of the Roman Em­ pire , la prima storia moderna di un periodo del­ l'antichità (e, si può sostenere legittimamente, la pri ­ ma storia moderna tout court ) . La storia romana era * Con