Sbatti Bellocchio in sesta pagina. Il cinema nei giornali della sinistra extraparlamentare 1968-76 8860367662, 9788860367662

Per la generazione del '68 il cinema è stato uno straordinario strumento di socializzazione. Ecco perché è molto pr

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Sbatti Bellocchio in sesta pagina. Il cinema nei giornali della sinistra extraparlamentare 1968-76
 8860367662, 9788860367662

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SBATTI BELLOCCHIO IN SESTA PAGINA Il cinema nei giornali della sinistra extraparlamentare 1968-76

A cura di Steve Della Casa e Paolo Manera

Introduzione di Marino Sinibaldi

Saggine

OOMZElU rnrrou

Per la generazione del '68 il cinema è stato uno straordinario strumento di socializzazione. Ecco perché è molto presente sui giornali che la sinistra extraparlamentare ha prodotto fino al 1976, anno in cui la spinta del '68 finisce, la partecipazione di massa scompare e tutto cambia. Sono i giornali (da «Lotta continua» a «Vedo rosso», da «Servire il popolo» alla «Vecchia talpa», dal «Quotidiano dei lavoratori» al «manifesto») che hanno formato una nuova generazione di giornalisti e un modo nuovo di intendere il giornalismo. In quelle testate il cinema fa spesso capolino, con stroncature spettacolari oppure con titoli a effetto. Gli articoli non sono mai firmati, ma la memoria orale indica nomi di un certo peso: Umberto Eco, Adriano Sofri, Pio Baldelli, Peppino Ortoleva, Vincenzo Vita, Valentino Parlato; Taviani, Bellocchio, Petri, Montaldo, Kubrick, gli autori più recensiti. Si tratta di articoli taglienti, vigorosi, a volte paradossali, forse incomprensibili se non collocati nella durezza del dibattito di quegli anni. Sono segnali di una passione, quella per il cinema, che non ha mai più avuto la stessa importanza nel dibattito culturale. Un gioco della memoria, sospeso tra autoironia e nostalgia. Un libro che racconta un pezzo di storia del nostro paese, uno straordinario «come eravamo», che con un tono semiserio scopre contraddizioni e verità di un mondo che

non c'è più, ma che per molti versi è lo specchio del nostro presente. Qualcuno ha parlato di anni di piombo, altri li hanno definiti formidabili. Sicuramente sono stati anni di celluloide.

Steve Della Casa (Tori no, 1953 ), dopo aver militato in Lotta continua ed essersi da su hico occupato di cinema, aprendo, insieme ad altri studenti universitari, il Movie Club di Torino, è stato direttore del Torino Film f-estival e autore di libri; conduttore dal 1994 di Hollywood Party su Rai-Radiutre, dirige dal 2008 il RomafictionFest.

Paolo Manera (Torino, 1?67) ha lavorato presso i principali enti cinematografici torinesi, tra cui il Torino rilm Festival, e dal 2006, alla film Commission Torino Piemonte, si occupa di web e documentari. Ha scritto saggi su cinema e musica, collaborato a programmi radiofonici e televisivi, curato programmi speciali e retrospettive per diversi festival e appuntamenti internazionali.

_ _ _ SBATTI BELLOCCHIO IN SESTA PAGINA _ __

Indice

p. 1x

Introduzione. Il cineforum (non) salvato dai ragazzini di Marino Sinibaldi I. «Lotta continua»

5

Roma. De Laurentiis speculatore licenzia e denuncia i lavoratori e sfratta gli studenti del Cine Tv

7

Una precisazione sul film marzo 1943-luglio 1948

s

La classe operaia non va in paradiso

9

Sbatti Bellocchio in sesta pagina

11

«Il manifesto» è pazzo

12

Allonsanfàn

16

L'esorcista

18

Quei contadini sono del tutto falsi

22

Novecento: arriva sui grandi schermi

il compromesso storico 26

I prezzi del cinema sono troppo cari: a Milano 3000 giovani occupano le «prime visioni» V

_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _ II.

«Vedo rosso»

31

Sacro e Vanzetti

34

Due film politici: Crepa padrone e Il potere

37

Sbatti il mostro

40

Cinema [senza titolo]

44

Cinema politico?

49

Cinema [senza titolo]

53

Cinema [senza titolo] III. «La

vecchia talpa»

59

Cinema: La classe operai.a va in paradiso

65

Televisione: il ciclo dei film di John Ford

72

La cecità del «Marxista• Pasolini: Il fwre delle mille e una notte

75

Il fantasma della libertà: la libertà borghese è una farsa per tutti (anche per chi lo dice)

78

Romanzo popolare: per fare un operaio non basta la tuta

83

C'eravamo tanto amati: vogliamoci bene nello spirito della Resistenza IV.

«Servire il popolo»

89

Due film del partito

93

La XXXI edizione del festival di Venezia. Film di regime

98

Homo Eroticus

100

Decamerone nero V!

_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Indice _ _ _ _ _ _ _ _ _ __

v. «Quotidiano dei lavoratori» Allonsanfàn: i fratelli Taviani mirano alto ma sbagliano il colpo

107

111

La conversazione

112

Cattolico vicino all'eresia. Il Bresson di Lancillotto

116

Sugarland Express: chi sgarra viene ammazzato

121

Rossellini difende Anno Uno ma dimentica che l'illuminismo è fallito e che Rusconi è fascista

127

Le parole possono comare quando servono a riflettere

132

Il capitalismo e rozzo e volgare ma il comunismo è solo morte: e allora?

137

John Wayne malato: l'ultimo dei «duri .. americani se ne va?

140

La dolce vita stasera in cv. Bel documentario che inganna

143

Sui nostri schermi le schifezze Usa più un buon film VI.

149

«Il manifesto» Il cinema conta

ISO

Il massacro degli indiani in due film democratici

153

Cerchiamo di usare anche Toro Seduto

157

Ancora Dedalus

158

Un film politico

161

Un film di qualità

164

La grande operazione

167

Cinema verità. Gli hippies denunciano la polizia. Fellini no VII

-

_ _ Della Casa e Man era, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _ 169

Registi. Finalmente Fellini ha firmato !'esposto degli hippies contro la polizia

170

La protesta che piace ai padroni

173

La classe operaia sta all'inferno

178

Dietro il muro un altro inferno

182

Revisionista il film di Petri

vn . .cRe nudo» 187

[Recensioni cinematografiche]

189

Film. Fritz il gatto (colore - cartone animato)

191

Films

192

Allonsanfàn

194

Pasolini-Salò. Potere: Sbatti il mostro sullo schermo!

197

I critici cinematografici: gli uomini di celluloide

202

Di Kolossale c'è solo la noia ovvero invito a non buttare via i quattrini per vedere Novecento e Barry Lyndon

209

Postfazione. La celluloide c'era, eccome di Steve Della Casa e Paolo Manera

225

Indice dei film

Vlll

_ _ _ SBATTI BELLOCCHIO IN SESTA PAGINA _ __

Introduzione Il cineforum (non) salvato dai ragazzini di Marino Sinibaldi In un liceo romano dei primi anni settanta un giorno il cineforum chiuse. Il prete illuminato che lo ospitava nel bel cinema parrocchiale gettò la spugna all'ennesimo corteo interno (si stava proiettando Fragole e sangue, se ricordo bene) che culminò con il rogo di una bandiera americana. Gli studenti più grandi e scafati se ne fregarono: avevano altri cinema e altre occasioni. Un gruppo ridotto - la mia classe e poco più - decise che non se ne poteva fare a meno e provò a proseguire l'esperienza. Con generosa dedizione, sconsiderato coraggio e fatale inesperienza trovammo un'altra sala (anch'essa parrocchia1e, naturalmente: dal punto di vista immobiliare il secolo dagli altri anni settanta era passato praticamente invano), cominciammo ad affittare enormi pizze con le pellicole, a trasportarle faticosamente da un capo all'altro della città, infine a proiettarle. E ovviamente a discuterle. I problemi nacquero lì: un cineforum senza dibattito non aveva senso ma poi il dibattito tolse senso al cineforum. Era accaduto che il mio intelligentissimo compagno di banco iniziasse a leggere, nel cuore di quelle infiammate discussioni e tra il crescente stupore del pubblico, efferate stroncature. Me lo vedo ancora: un film "'pullula di casi umani, al di fuori di ogni seria proix

_ _ _ _ _ _ _ _ MarinoSinibaldi _ _ _ _ _ _ __ spettiva di classe», un altro «propone la falsa convinzione che gli aspetti negativi di una società ricca come quella americana possano essere eliminati semplicemente migliorando dall'alto il sistema», altri liquidati come «dilemmi di intellettuali borghesi e individualisti», o perché «con la scusa delle ricerche formali e artistiche, il cinema si adegua ai tempi per svolgere sempre meglio il suo ruolo di corruzione ideologica». Per chiudere con la sentenza definitiva, chissà quante volte ripetuta: un film che il regista «si poteva e ci poteva risparmiare». Era molto convincente il mio amico, ma è ovvio che dopo un po' il nostro cineforum autogestito cominciava a svuotarsi. Finché anche gli ultimi frequentatori si arresero con il comprensibile argomento che non potevano più perdere tempo a seguire, magari appassionandosi, film che venivano regolarmente stroncati dagli stessi organizzatori. Fu così che gettammo la spugna anche noi. Nel libro a cura di Steve Della Casa e Paolo Manera potrete rinvenire l'esatta fonte di quelle stroncature: un sottobosco di giornali e riviste della sinistra alternativa che con una certa sistematicità bollavano quelle stesse nostre povere proiezioni con argomenti e parole che qui ritroverete intatte, come pietrificate nel tempo. Tanto da consentirmi, con una forzatura spero perdonabile, di (ri)metterle in bocca al mio amico di allora. Ma da dove provenisse davvero una tale visione del cinema (e per estensione di ogni fenomeno artistico) è un po' più complesso da ricordare. Intanto da una grande passione, ma ancora prima da un atto di riconoscimento fondamentale e condiviso che vedeva nel cinema un luogo decisivo nel quale si formavano opinioni e visioni del mondo. Non accadeva in canti luoghi e nessuno era affollato quanto il cinema (e non inX

_ _ _ _ _ _ _ _ _ Introduzione _ _ _ _ _ _ _ _~

tendo il mondo del cinema ma la sala: perché lì solo i film si vedevano). Lo ricordano i curatori citando Ortoleva, e del resto basterebbero due cifre: cinquecentoventicinque milioni di biglietti all'inizio degli anni settanta, poco più di cento oggi. Ecco, solo le assemblee erano più affollate delle sale cinematografiche (e non sempre, davvero non sempre). A una generazione che non considerava nulla irrilevante, quel luogo pieno di coetanei appariva fondamentale. Ma era un campo di battaglia dell'immaginario, per una generazione che si autorappresentava come impegnata invece in una lotta materiale e di classe (c'era la struttura e la sovrastruttura allora, per chi ci credeva ... ). E dunque ambiguo, difficile da maneggiare: più della freddezza di certe stroncature nelle pagine che seguono colpisce l'imbarazzo che traspare in molte recensioni, con cautele, ammissioni, oscillazioni. Non solo per la latente contraddizione tra giudizio politico e godimento estetico. Ma per il disorientamento verso morali e visioni del mondo che avanzavano in altre direzioni, difficili da riconoscere e da ammettere. Anche nella fitta rete del cinema, l'acqua ci scappava da tutte le parti. E si reagiva con l'arma, già logora ai tempi, dell'ideologia: fino ad apparire (come evitare questa impressione, leggendo alcuni dei testi qui raccolti?) ignoranti e stupidi, semplicemente (altre volte, però, emergeva più che altro una sorta di spavalda irriverenza: e se è lecito citare qualcosa che ha a che fare non con il mio io di allora ma con quello di oggi, una traccia, appena un filo - di più stonerebbe - di quell'atteggiamento ogni tanto affiora ancora timidamente, felicemente nel lavoro che Steve Della Casa insieme ad altri fa oggi, a Radio3, con Hollywood Party). Xl

_________ Marino Sinibaldi _________ Era, il cinema, un luogo nel quale ci si riconosceva (anche qui, nulla di figurato: ci si andava e ci si incontrava lì, in quei due cinema che si sapeva, come da pochissime altre parti). Se non altro per questo, non se ne potevano ignorare la funzione e l'importanza. Non solo come un campo di battaglia ma di (auto)formazione. Troverete una sorta di decalogo, verso la fine di questo libro, che vorrebbe spiegare perché quei film, anche se criticati, andassero visti: «Vederli non vuol dire accettarli come capolavori, ma discuterli uno per uno» (bella questa distinzione, che non massificava - come pure capitava spesso, allora). E discuterli per «costruire dei criteri nostri», discuterli per «non subire». Non saprei dire chi parla, chi qui dice noi e nostri: un movimento, una classe, una generazione? Ma so che in questa rivendicazione c'è il cuore di quegli anni o almeno di queste recensioni. C'è quello che, visti da qui, molto da lontano, con la benevolenza consentita dal riparo degli anni, rende irrilevanti le ingenuità, gli equivoci, gli altrimenti insopportabili schematismi. Erano tempi in cui si ereditavano troppe menzogne, troppe ipocrisie, troppe violenze. Se «costruire» è stato difficile e forse fallimentare, si poteva almeno provare a «non subire». È meglio sbagliare per eccesso di spirito critico che finire a fare i soliti idioti. Lo sapevano o lo sentivano quei ragazzini. Non hanno salvato il cineforum ma forse il cineforum ha (un po') salvato loro.

XII

Sbatti Bellocchio in sesta pagina



I curatori ringraziano il Centro studi Piero Gobetti di Torino e Albeno Faggioni per aver reso più agevole il lavoro di consultazione e raccolta degli articoli. Senza il loro contributo questo libro non sarebbe stato possibile.

I. «Lotta continua»

_ _ SBATTI BELLOCCHIO IN SESTA PAGINA _ __

Roma De Laurentiis speculatore licenzia e denuncia i lavoratori e sfratta gli studenti del Cine Tv (15 luglio 1972)

Padron De Laurentiis sta superando davvero i limiti. Dopo essersi imbarcato negli anni '60 in una serie di «Kolossal» cinematografici, fallimentari ma di fatto vantaggiosi per i sovvenzionamenti statali e americani, ed essersi fatto costruire dalla Cassa per il Mezzogiorno (con circa 4 miliardi) uno dei più attrezzati e ricercati complessi di produzione d'Europa, cerca oggi di mantenersi a galla sulla pelle dei lavoratori di Dinocittà e degli studenti dell'Istituto Cinematografico di Stato di via Vasca Navale. Gli 85 lavoratori di Dinocittà dopo essere stati licenziati, circa un mese fa hanno occupato gli stabilimenti sulla via Pontina; per sensibilizzare il mondo del lavoro e dello spettacolo sulla loro volontà di difesa del posto di lavoro e di attacco alla crisi dei padroni. Venerdì 7 gli occupanti hanno ricevuto dalla Procura di Roma i mandati di comparizione in seguito alla richiesta di sgombero sporta da De Laurentiis e dalla Società Stabilimenti Pontini. Di pari passo gli studenti dell'Istituto Cinematografico di Stato, che occupano gli ex stabilimenti Ponti-De Laurentiis, hanno appreso di essere stati sfrattati dall'Enel (proprietaria del complesso) per morosità in quanto la 5

_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

Provincia in 5 anni non ha mai pagato l'affitto dei locali e degli stabilimenti di posa. Ma la cosa bella è che De Laurentiis ha già affittato gli stabilimenti e i locali fino al 1978. Già da ora difatti la nuova casa di produzione creata da Dino De Laurentiis sta producendo nei teatri di posa di via della Vasca Navale alcuni film da cassetta. I lavoratori e gli studenti del cinema e della televisione si impegnano con una serie di assemblee e con varie forme di lotta a respingere questo attacco alla loro unità e alla loro volontà di lotta.

6

. _ _ _ _ _ _ _ _ _ «Lotta continua» _ _ _ _ _ _ _ __

Una precisazione sul film marzo 1943-luglio 1948 (25 luglio 1972)

Alla redazione di «LC», Ogni tanto nel giornale appare l'annuncio del film MARZO 1943-LUGLIO 1948.

In seguito ad un errore dei compagni di Torino, l'autore risulta uno solo, invece sono due: Renato Ferraro e Alessandro Ojetti. Scusate il disturbo, se non volete più mettere il nome degli autori va bene lo stesso, l'importante è scriverli giusti. Saluti comunisti. Renato Ferraro

7

_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

La classe operaia non va in paradiso (5 settembre 1972)

Per tre giorni consecutivi abbiamo seguito alla televisione con la speranza di vedere sui telegiornali il funerale del povero operaio diciannovenne, e militante di Lotta continua, Mariano Lupo; vigliaccamente assassinato con una pugnalata al cuore dai killers fascisti; perché contrario alle marce idee degli squadristi del boia Almirante. Però per la morte del cardinale Angelo Dell'Acqua, la tmozza del video era giornalmente colma di sue immagini e biografie. Per quanto concerne questo santo apostolo, umile pastore della santa chiesa cattolica romana, deceduto per collasso cardiaco ali' età di 69 anni; dunque un trapasso naturale e pnvo di sofferenze, e crediamo che nemmeno nel passato abbia tribolato; mentre il povero Mario Lupo, a soli 19 anni aveva già percorso la via d'un triste e pesante calvario per la sopravvivenza. Ma per Lupo, non esiste paradiso; perché militante comunista rivoluzionario; mentre per sua em. il card. Angelo Dell'Acqua, «San Pietro avrà di già dischiuso il grande cancello che conduce al regno dei cieli». Compagno Lupo sarai vendicato. Un saluto a pugno chiuso. Un gruppo di anziani proletari triestini simpatizzanti di Lotta continua 8

_ _ _ _ _ _ _ _ _ .. Lotta continua» _ _ _ _ _ _ _ __

Sbatti Bellocchio in sesta pagina (1° novembre I 972)

Marco Bellocchio, ottima persona, ha appena presentato un film -Sbatti il mostro in prima pagina - che si poteva e ci poteva risparmiare. Un film politico, in cui non occorre essere professionisti per riconoscere il «Corriere della Sera», il suo cronista-squillo, la questura di Milano, la Zublena teste a carico degli anarchici per incarico di Calabresi, e così via. Naturalmente all'inizio del film si avverte che «i riferimenti sono del tutto casuali». li guaio è che è vero. Per esempio nel film ci sono «i compagni»: stanno in una sede di Lotta continua, attaccano manifesti di Lotta continua, gridano slogan di Lotta continua. Ora, l'idea che Bellocchio ha dei compagni e delle sedi di Lotta continua e l'idea che ne offre agli spettatori è decisamente artistica (dato che l'arte è un'intuizione lirica) e assomiglia molto all'idea che ne offrirebbe uno Zicari qualunque. Notevolmente imbecilli, sporchi quanto basta, questi «compagni» dormono ammucchiati nelle sedi, coi capelli molto lunghi e gli slip molto corti, e quando i poliziotti irrompono per sfasciare tutto, loro, i compagni, gli gridano: «Ti ho visto: hai fatto apposta». Ma fin qui, poco male, si dirà: basta che Bellocch,o vada a vedere come sono davvero le sedi e i compagni, per il suo prossimo film politico. Il fatto è che, nel film di Bel9

_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

locchio, i «nemici» sono altrettanto folkloristici e incredibili. Un cronista «onesto» del «Corriere» che, scemo così, la mamma non lo fa più; un padrone-finanziatore (che dite, sarà un petroliere?) che parla proprio come uno che va al cinema s'immagina che debba parlare; una questura milanese ridotta a un commissario fascista cretino e servile; una professoressa mitomane e spia che, alla fin fine, fa tenerezza con tutti i suoi problemi di madre mancata; e, dulcis in fundo, uno Zicari, Gianmaria Volomé, cinico e baro di una simpatia straordinaria: il migliore. Su tutto, campeggia il senso profondo dell'onnipotenza del «Corriere della Sera» e del sistema, il quale con dei così formidabili cronisti, e con dei nemici così irrimediabilmente deficienti, può dormire sonni tranquilli. No, scusate; alla fine il capitalista-macchietta dice che ci sono gli operai, e agli operai non gli va di produrre. Col che, la presenza della classe operaia nel film è assicurata: una classe operaia che, in mancanza di altre espressioni, rischia di apparire, invece che classe potenzialmente rivoluzionaria, una classe di sfaticati. Che le montature del «Corriere» e del sistema possano essere smascherate, siano state smascherate, di questo Bellocchio non si è accorto. Un sistema mostruoso, cinico, ma di entusiasmante efficienza: ecco il capitalismo. No, un momento, c'è un'ultima scena con un canale milanese rigurgitante di rifiuti. Un simbolo della distruzione di tutti noi, o l'insinuazione che là c'è una speranza, nell'ecologia? Ci dispiace per Marco Bellocchio, ottima persona: ma ha fatto un film il cui riferimento con la realtà, quando c'è, è puramente casuale, appunto.

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_ _ _ _ _ _ _ _ •Lotta continua» _ _ _ _ _ _ _ __

«Il manifesto» è pazzo (9 dicembre 1972)

«li manifesto», come Orietta Beni, è pazzo. Non è opportunista, è pazzo. Monomaniaco, parla di sé così: «Arriviamo in collera a questo dodici dicembre», dice. E la terra, ingrata, non trema. Protesta contro il revisionismo che non scende in piazza, e l'estremismo che ci scende. Lui, «il manistesto», il giusto mezzo, sta a mezz'aria. Scende in piazza, ma solo «unitariamente», cioè dove c'è il sindacato o il Pci. In compenso, accusa «i gruppi» di «frontismo». Scende in piazza, ma solo se non c'è il rischio dello scontro. Non vuole gli «scontri impossibili»: lo scontro impossibile per lui è ogni scontro, tranne, forse, la finalissima, dove, a furia di non scontrarsi, si sarà allenata la squadra capace della vittoria militare definitiva. Annuncia che sarà presente, il 12 dicembre, qua e là, per portare il suo decisivo contributo di «passione e collera». Proprio così, né impegno militante, né organizzazione, né linea politica, né obiettivi, bensì «passione e collera». Alida Valli e Amedeo Nazzari. Quanto al governo Andreotti, non chiedete al «manifesto» di pronunciarsi: deve restare, deve cedere, non deve né restare né cedere? Appassionati e collerici, gli scrittori del «manifesto» non ce lo dicono.

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• _ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

Allonsanfàn (20 ottobre l 974)

Come in tutti i loro cinque film precedenti, i fratelli Taviani raccontano una storia politica, o meglio le vicende private e pubbliche di personaggi, in genere di origine borghese, che sono militanti «rivoluzionari». Come nei loro film precedenti, sostengono che rispetto all'epoca analizzata, che cambia da film a film (da una specie d, mondo pnm1tivo di favola alla fine dell'800, dal dopoguerra ai funerali di Togliatti) è troppo tardi o troppo presto per fare la rivoluzione, che l'intreccio tra aspetti esistenziali e aspetti politici nella storia di ogni militante è poco districabile, e che i primi determinano in fin dei conti i secondi. In realta essi non raccontano storie di lotta d1 classe, non analizzano sviluppi storici complessivi, non trattano di masse o di proletariato e neanche di storia, ma centrano tutto il loro interesse sui dilemmi di intellettuali quasi sempre borghesi e molto individualisti, dalle coscienze tormentate e infelici perché la realtà non dà riscontro alle loro fantasie e ai loro tentativi di azione. Insomma, parlano di sé stessi e della categoria - gli intellettuali - a cui appartengono e non della rivoluzione; i dilemmi che attribuiscono ai loro ripetuti protagonisti sono in realtà i loro dilemmi, ma però un po' idealizzati, in quanto, per quel che si sa, non è che il loro agire politico sia mai andato ol12

_ _ _ _ _ _ _ _ _ «Lotta continua»

tre al rito della tessera, alle proteste della corporazione, e al fare film. A noi questo loro ultimo film Allonsanfàn, non è piaciuto per niente. Ma non è della «ricerca,. del film che vogliamo parlare, bensì del loro modo di intendere la politica, poiché è rappresentativo di molti altri. In questo film si racconta la storia di un borghese che ha aderito nell'B0O, ai tempi di Pisacane (che, sia chiaro, era un compagno serio, non una specie d1 sonnambulo deficiente come il Tito di questo film), a una associazione segreta rivoluzionaria, quella degli immaginari Fratelli Sublimi, ma poi, visto che la rivoluzione non scoppiava, e la repressione era dura, è rientrato ali ·ovile della bella famiglia aristocratica e raggiunto dalla congrega, più cretina che sublime, del suo gruppo, compie per liberarsene turpi e comici tradimenti l'uno appresso all'altro, fino a lasciarci però le penne in una spedizione nel sud in cui i contadini, invece d1 accogliere i Sublimi a braccia aperte, li massacrano sobillati dal prete. I personaggi dei rivoluzionari sono tutti borghesi o aristocratici nevrotici, o folli dolci, o folli fanatici e con gli occhi cerulei, che inseguono vanamente i loro sogni senza nessun raffronto con la realtà, con nessuna analisi della realtà. Personaggi da operetta, neanche da opera come vorrebbero i registi. Le loro illusioni e le loro delusioni sono il risultato di uno stesso distacco, di una stessa smania erotica e individualistica, capita la quale il protagonista (Mastroianni) cerca di reintegrarsi nella propna classe e nei suoi privilegi, da menagramo che porta iella anche a se stesso. In ogni caso, sono tutti delle proiezioni di dilemmi esistenziali e non politici (se politica vuol dire confronto con la storia e tentativo di guidarla), traditori della propria 13

. _ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

classe solo a metà, in quanto incapaci di assumere un rapporto con le classi oppresse, e una scienza reale. E se il film fosse volutamente caricaturale e comico, andrebbe bene, come caricatura di un certo modo ridicolo, eccezionale, libresco, di intendere la politica e la rivoluzione. Il guaio è che i Taviani ai dilemmi dei loro personaggi prestano fiducia e li soffrono in quanto loro stessi problemi, secondo un'ottica di vaga derivazione sartriana, incapaci di vedere i rivoluzionari come qualcosa di diverso dagli intellettuali loro simili; e d'altra parte, anche se fanno film storici, è chiaro che vogliono parlare proprio del presente, e che quindi questo «troppo tardi» o «troppo presto» per fare la rivoluzione diventa un troppo tardi e un troppo presto pressoché eterno, visto che i momenti rivoluzionari non li affrontano mai, e visto che non rientra nel loro orizzonte mentale l'idea che fare la rivoluzione sia questione di sempre, per il rivoluzionario, e cioè intervento costante, in epoche buie come in epoche entusiasmanti (quelle in cui le contraddizioni del sistema esplodono), azione o preparazione in rapporto con i modi in cui la lotta di classe volta a volta si esprime, costruzione che procede ad ogni momento. La loro superliciale visione della politica e della storia portava un tempo alla superficialità delle crisi e delle analisi, ma oggi precipita in un volgare giustificazionismo, che non è affatto, come forse vorrebbero far credere, un discorso sui «tempi lunghi», ma finisce per essere un discorso sul mai. Incapaci di stabilire un rapporto con la realtà della lotta di classe, incapaci di studiare i nodi del presente e i suoi germi di futuro, i Taviani si uniscono così alla vasta schiera di intellettuali dal pessimismo facile, che cercano giustificazioni alla loro separatezza, al loro isolamento, alle loro 14

- - - - - - - - ~ L o t t a continua» _ _ _ _ _ _ _ __

scelte revisioniste o reazionarie, con discorsi sempre più metafisici e sempre meno storici, proprio in un periodo storico in cui più ricche sono le possibilità di intervento e più entusiasmante la maturità dei proletari. Non stupisce così che il loro film venga esaltato dai giornalisti della borghesia e da quelli del Pci, sempre entusiasti di chi sostiene che la rivoluzione è lontanissima o impossibile.

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_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

l'esorcista (20 ottobre 1974)

Qualche tempo fa è stato ripescato e rappresentato alla Scala di Milano un balletto che ebbe un enorme successo alla fine dell'800: il Ballo Excelsior. In questi giorni nei cinema italiani incassa decine di miliom (dopo aver incassato miliardi nei cinema di mezzo mondo) un filmaccio parrocchiale girato male e recitato peggio, intitolato L'esorcista. :È un contrasto ben curioso. Al centro del Ballo Excelsior c'era il trionfo della luce (elettrica) sull'oscurantismo, che simboleggiava bene l'ottimismo materiale e ideologico della borghesia della fine dell'800. Al centro dell'Esorcista c'è la sconfitta della «ragione laica» di fronte al vecchio arsenale della Chiesa cattolica: contro le forze sconosciute che minacciano l'individuo vale più un gesuita che uno psichiatra, più l'acqua santa che gli elettroencefalogrammi. :È vero che neanche L'esorcista ha il coraggio di essere reazionario fino in fondo, e agli spettatori più smaliziati ammicca fornendo contemporaneamente una rudimentale spiegazione psicoanalitica (sono i contrasti tra i genitori separati che nevrotizzano la bambina, e la rendono «indemoniata»). Ma il «messaggio» proclamato dal film è l'altro: il trionfo del gesuita. Se fosse arrivato in tempo per il referendum sul divorzio, qualche democristiano specialista in public relations avrebbe magari presentato L'esorcista con 16

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uno slogan del tipo «con famiglie unite, niente bambini indemoniati». Ma c'è sempre la possibilità delle elezioni anticipate: perché non proiettarlo nelle piazze al grido di «esorcizza il demonio rosso votando Dc» ? In ogni caso il successo dell'Esorcista va ben al di là dei suoi possibili usi, nella situazione italiana. La rappresentazione della bancarotta dell'ideologia razionalistica di fronte alla religione è sintomatica. Quell'ideologia si era affermata alla fine ddl'S0O, in un momento in cui la borghesia europea si lanciava con piena tranquillità infruttuosissime conquiste coloniali, credendo di aver imbavagliato definitivamente la lotta di classe in casa propria. Quando i dividendi crescono e non ci sono nemici pericolosi a sinistra, la borghesia può permettersi anche il lusso di trattare con sufficienza la religione. Ma oggi, con la fine del vecchio colonialismo, la crisi energetica, e il proletariato che non sta al gioco, c'è poco da scherzare: bisogna ricorrere di nuovo alle collaudate capacità di controllo della chiesa. Se l'ideologia razionalistica perde colpi e non è all'altezza della situazione, c'è sempre un gesuita dietro l'angolo. È sempre conveniente spiegare alla gente che il male è il demonio e non lo sfruttamento. Peccato che anche la Chiesa cattolica abbia le sue gatte da pelare. Nonostante rutto, questo puntello della borghesia non è più così solido come una volta. Non per niente Paolo VI, che pure del diavolo se n'intende, piange o fa l'indiano.

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Quei contadini sono del tutto falsi (1 R settembre 1976)

Caro Baldelli, malgrado la mia formaz10ne sia «marxista-leninista» e non «operaista» e quindi non trovi giusto scrivere su «Lotta continua», di cui non condivido ideologia e linea politica, aderisco a scrivere alcune osservazioni che mi hai richiesto su Novecento perché 11 film mi sembra sbagliato e quindi falso nel ripensare alla storia del proletariato dei nostri nonni e padri. Certamente nel ripensare quegli avvenimenti, Bertolucci non li ha voluti rivivere dal punto di vista militante; ma poiché ha voluto, dietro ed insieme alla storia dei due amici-nemici provenienti dalle due classi contrapposte, fare un romanzo storico nel quale padroni e contadini della Bassa Padana fanno da sfondo e da coro e forse, nella sua volontà, da personaggi principali, ritengo sia dovere di tutti noi rilevarne difetti ed errori. A parte ogni valutazione estetica sui film (altri hanno competenza per farlo) - «la Bassa», piena di sterco, di latte e soprattutto di sesso, in una visione estetizzante (verista? naturalista? non so, ma certamente non realista) - i contadini e i fascisti sono del tutto falsi. Forse lo sono meno i padroni della terra. Comincio dalle cose non vere più piccole. Ai primi del Novecento, le leghe contadine nelle campagne parmensi erano già fiorenti da quasi trent'anni, e non sorgono, come narra il film, in que18

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gli anni. Il circolo della Lega nel 1921 in quelle zone si chiamava «casa del popolo», come m Toscana. La maestra comunista più politicizzata viene da una zona della provincia del Veronese, che era tra le più cattoliche. E proprio lei non si sposa, ma convive divenendo «compagna» d1 Olmo senza neppure sposarsi non dico in chiesa, ma neppure in comune! La parte finale avviene nel 1921 a novembre (S. Martino) perché vi è già il Partito comunista e sempre in quel periodo si forma il Fascio. Ma ciò non è vero perché il fascismo si radica nella Padana già con la fine del 1920, e cioè un anno prima quando non esisteva ancora il Partito comunista. Come vedi, sono piccole inesattezze, giustificate forse dall'economia del racconto; ma sono già di per sé gravi per un'opera che vuole essere un affresco storico. Ma quello che è più grave sono i grandi errori storici contenuti in Novecento. I contadini sono descritti come degli sfruttati in istintiva latente rivolca; ma non si dice nulla della loro organizzazione come si era venuta formando in decine di anni di lotta. Non vi è traccia, neppure nei personaggi minori, né dei maestri dei diseredati, né dei medici dei poveri, né degli «evangelizzatori» della Padana che negli ultimi 20 anni dell'Ottocento erano stati i militanti del movimento. Non vi è traccia, neppure nei personaggi minori, di capi lega, veri capi contadini emanati dalla classe. Sembra di essere tornati trent'anni indietro, ali 'inizio, eppure anche allora - negli anni '80 - c'erano gli ex garibaldini, gli internazionalisti e gli operaisti che organizzavano i contadini. Siamo invece nel 1908, quando il socialismo italiano aveva una fitta intelaiatura organizzativa proprio nella Padana dove dura era la lotta tra i riformisti e «rivoluzionari» (e Parma era la culla dei rivoluzionari). 19

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Di costoro, nel film, non vi è traccia, né eco, salvo far svolgere questa funzione al burattinaio davanti alla stazione o al suonatore di fisarmonica internazionalista sul binario. E nel 1919-21, quando la Padana è in mano alle leghe contadine, nel film la rivolta del contadino ex combattente è fatta istintivamente da Olmo a titolo individuale dalla maestra comunista che sembra una figura - quella sì - di cinquanta anni prima. La verità storica è che nel '20 rutta la Padana era dominata dalle leghe contadine che la governavano, imponevano taglie, obbligavano e piegavano i padroni alla ripartizione dei prodotti come da loro voluta, rilasciavano lasciapassare da un paese ali' altro, ecc. Altro che rivolte spontanee e sporadiche per l'escomio di San Martino! Nel 1920, nella «Bassa» non si sfrattava nessuno. L'errore del movimento socialista contadino fu di non avere compreso che occorreva abbattere nazionalmente lo stato nemico, e per questo i socialisti furono sconfitti. Ma localmente, nella Padana, in quell'anno comandavano loro. Il fascismo sorse proprio per questo e proprio in quella zona e non in altre. Perché i padroni erano stati esautorati. Altro che convegno nella chiesa barocca da parte dei proprietari in tenuta e schioppi da cacciatori con le pellicce che ricordano la rivolta dei boiari di Ivan il Terribile! E le squadre di azione fasciste non sorgono per iniziativa di un fattore sadico. I vari ras erano gente anche sadica, ma che conosceva perfettamente l'organizzazione militare che aveva appresa nelle trincee: erano ex ufficiali, ex arditi, spostati e squattrinati, che divennero da subito la guardia bianca degli agrari. E i contadini che gli si opposero non erano i 4 vecchietti che giocano alla morra per finire bruciati nel circolo, ma erano militanti che, mal diretti nazio20

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nalmcnte, non seppero opporre mobilità a mobilità, organizzazione militare a organizzazione militare, ma lottarono con abnegazione e slancio attraverso scontn. arresti, esili. Circa 5000 furono i morti nella guerra clVÌle da ambo le parti nel biennio 1920-22. A Parma, poi, i fascisti non entrarono mai, o meglio, vi entrarono dopo il 28 ottobre, perché gli Arditi del Popolo gli si opposero con le armi. Tutto questo non appare minimamente nel film. Forse per questo piace tanto alla nostra borghesia estetizzante tardo-capitalista. Renzo Del Carria

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Novecento: arriva sui grandi schermi il compromesso storico (19 settembre 1976)

Abbiamo chiesto a Renzo Del Carria un intervento sul

film Novecento, non come «esperto» «specialista» di cultura (storiografia del movimento operaio), ma come uno dei pochi intellettuali italiani rigorosamente impegnato a contrastare la tradizionale separazione tra cultura e politica nel campo dei «proletari senza rivoluzione». È utile occuparsi, anche da parte nostra, di qut:sto film? Penso che sia utile, ma non per indugiare sull'opera d'arte clamorosa o sull'autore celebrato. Il film di Bertolucci costituisce un episodio significativo nel quadro degli assestamenti politici, e dunque culturali, di questo periodo. In particolare indica le seguenti circostanze: A) La combinazione tra capitale italiano e capitale statunitense, la cui egemoma spinge verso la produzione «colossale»: qui i padroni lasciano un certo spazio alle civetterie culturali e alle impennate poetiche dell'autore europeo, a condizione che 1I prodotto sia internamente disossato e socialmente inoffensivo. B) Il peso crescente dei mezzi di comunicazione di massa chic sono m grado d1 imporre consumi immensi con un martellamento pubblicitario che va dalla telev1sione, alla radio, al settimanale, alla stampa quotidiana, alla



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scuola. In questo quadro l'industria culturale, legata al potere politico, pattuisce le prestazioni con la corporazione degli intellettuali. Ad esempio, prima ancora che Novecento venisse proiettato, il pubblico era stato in qualche modo raggiunto da due «film sul film» che narrano la leggendaria storia dicome Novecento fu realizzato; dalle cronache sul seminario interdisciplinare tenuto alla Biennale di Venezia, sull'argomento «Il cinema d'oggi e il film Novecento»; dalla pubblicazione, da parte di Einaudi, della sceneggiatura di Novecento; dal romanzo scritto apposta per l'uscita del film; dalle cronache del congresso della Società Psicanalitica Italiana, a fine maggio, durante il quale il film di Bertolucci fu esaminato in due sedute. C) Infine si intravede una delle facce del compromesso storico strisciante: il film viene sostenuto concordemente dal Pci e dalla borghesia estetizzante tardo-capitalista, dalla Rai e insieme dai quotidiani revisionisti: infatti l'opera, in poesia e cultura, propaganda l'ideologia del compromesso storico: imponenza, efficienza, tolleranza, un gran raccontare «dietro lo scudo della Nato» e fuori dal «realismo socialista»; e dunque una politica culturale eclettica: ad ogni parte del «popolo» la sua confezione: la sceneggiata napoletana ed Eduardo De Filippo, la mostra di Rauschenberg e il ballo liscio e la tombola alle case del popolo, l'elegante e il primitivo, il teatro di avanguardia, il prezioso Visconti e il volgare Matarazzo, ecc., e sempre nel quadro di un socialismo indolore nel presente, truce al massimo per il passato remoto, che predica la conversione ragionata dell'avversario di classe. Bertolucci e i suoi sostenitori propongono: una ambiziosa impalcatura storiografica. Ma essa non viene sorret23

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ta da una vera preparazione, da un'ossatura adeguata. Il film pretende di essere la storia dei rapporti tra le classi subalterne e i gruppi dirigenti nella prima metà del secolo, e finisce invece col fornire una rassegna di stampo populista, in cui i contadini (ossia i «buoni») si scontrano con il «male», i decadenti e fatiscenti padroni, è un modo trito di considerare la storia in cui si perde il senso delle contraddizioni e sfugge la fisionomia dura dello scontro di classe. In fondo, in questa visione «bene-male» perdura l'ideologia della razza padrona, l'angolatura storiografica resta da «signore», da figlio scaltrito del padrone, magari benevolente e liricamente mischiato nella simpatia per il mondo primitivo dei contadini. A dirla brutalmente, credo che Bertolucci della storia dei contadini non gliene importi niente. Parlo dei contadini in carne ed ossa, non dei contadini apparizioni cinematografiche preziosamente manipolate dal regista. Non si tratta di rimproverare l'ambizione di questa storiografia, ma la sua maschera paternalistica che rimuove i tratti significati della realcà come un ingombro non poetico. Allora la struttura che dovrebbe reggere l'immensa impalcatura del film viene a cadere e ne emerge soltanto una aggregazione magniloquente di episodi, non un tronco con le varie ramificazioni. Questo spiega anche l'innesto di certe «varianti» erotiche nella vicenda: non accessorie all'economia del racconto ma inserite con il solito ammiccamento alla platea a garanzia del successo di cassetta. Insomma, Bertolucci crede - e suoi sostenitori fanno eco - di essere in primo luogo il poeta nazionale popolare 1976, autore di un cinema epico. E corre dietro alla strategia della lotta di classe. Mentre l'elemento valido del film resta quello favoloso-elegiaco: la parte dell'infanzia in cui il paesaggio e le figure che si muovono vengono compene24

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trati nella esperienza autobiografica dell'autore che lo trasferisce teneramente in favola «regionale» locale. Stranamente questo elemento sembra essere messo in secondo piano dal bombardamento pubblicitario, Bertolucci e i suoi complici si arrabattano e fabbricano l'immagine di un narratore epico e di una storiografia gigantesca. Lasci perdere Benolucci la strategia dello scontro di classe, si tenga cara la sua ispirazione giusta, la sua Strategia del Ragno.

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I prezzi del cinema sono troppo cari: a Milano 3000 giovani occupano le «prime visioni» (8 novembre 1976)

MILANO, 8 - I compagni dei circoli giovanili di Milano ci hanno inviato una lettera sull'occupazione di alcuni cinema avvenuta domenica, che pubblichiamo. «Per la seconda domenica consecutiva i cinema di prima visione, un lusso riservato ai borghesi, sono stati invasi dai giovani di Milano dell'hinterland. La prima voi ta eravamo in 600, oggi, a distanza di una sola settimana, in 3000 abbiamo occupato 5 cinema nel pieno centro della città. Neanche noi ci aspettavamo di essere così in tanti e quando ci siamo trovati tutti in piazza Vera per "marciare" verso il centro della città, ci siamo resi conto della nostra forza. "Siamo sempre più incazzati, siamo i giovani organizzati", "prima visione facciamo l'autoriduzione", "contro la stangata, prima visione ribassata", questi gli slogan più gridati, ma troppo piccoli per esprimere la gioia di chi sta lottando contro l'emarginazione e la disgregazione e finalmente comincia ad avere la forza di contare, di incidere nella realtà. Con questa lotta i giovani a Milano stanno ritrovando una unità spontanea senza precedenti, e la voglia di vivere e di lottare che ne esce sarà difficilmente contenibile o re-

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primibìle da parte dei reazionari o dei riformisti. Il corteo, alla conclusione degli spettacoli, si è allargato sempre più con giovani venuti a caso nel centro di Milano, ed in piazza Duomo eravamo quasi 5000. La sensazione di forza è cresciuta così tanto che oggi appare riduttiva qualsiasi proposta di contrattazione con il Comune per il controllo sui prezzi e sulla qualità dei film proiettati nelle sue 4 sale cinematografiche. Risulta decisivo estendere questa lotta, trasformarla in pratica comune dei giovani tutte le domeniche, arrivare all'invasione di tutti i cinema di prima visione imponendo il prezzo politico di lire 500, almeno la domenica, per tutti i proletari. È importante trasformare questa lotta in un momento di rivoluzione culturale in cui si affermi il diritto dei proletari al lusso, si affermi l'opposizione ai privilegi e disuguaglianze del sistema, si impedisca la proiezione di film che offendono la donna o che attivizzano le maggioranze silenziose. In ogni quartiere si deve affermare il controllo dei giovani, delle donne e dei proletari sul prezzo e la qualità culturale, la contestazione della società borghese, dell'ideologia del sacrificio, si deve affermare dal basso il potere popolare. Con questa forza e con la crescente chiarezza, i giovani organizzati di Milano vanno preparando il convegno nazionale dei circoli giovanili, il 27-28 novembre. Su questi temi, per continuare la lotta, è convocata martedì sera alle ore 21 in via Ciovassino 1 (mm Cairoli) l'assemblea cittadina di coordinamento dei circoli e collettivi giovanili. Mercoledì sera alle ore 18 è indetta una manifestazione sotto il comune alle ore 21, sempre in via Ciovassino 1, una riunione dei circoli del proletariato giovani dell'hinterland». 27

II.

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Vedo rosso»

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Sacco e Vanzetti ( I 970, ciclostilato n. 3)

«Giravamo armati perché avevamo paura della polizia. Perché avevamo ancora davanti agli occhi il corpo del nostro compagno Andrea Salsedo trovato sfracellato dal 14° piano della questura di New York», grida Vanzetti. Il presidente Taylor sospende la seduta, ci sono tafferugli in aula. È una scena del film Sacco e Vanzetti che si proietta in questi giorni in prima visione. E a tutta la platea sembra proprio che abbia detto: «Sfracellato dal quarto piano dello questura di Milano». Sacco e Vanzetti sono due anarchici italiani, emigrati negli Stati Uniti negli anni '20 e condannati a morte su prove inesistenti per una rapina a mano armata in cui morì un fattorino. Il film racconta la storia di questo processo. Siamo nell'America del primo dopoguerra. I padroni si lanciano in una campagna isterica contro un «complotto bolscevico» e con questo pretesto si scagliano contro i quartieri degli operai emigrati, distruggono, picchiano, arrestano, deportano gli operai, li uccidono in questura. In questo clima terribile di repressione vengono fermati due operai italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e subito vengono accusati di una rapina. Sacco e Vanzetti giravano armati di due pistole (cosa comunissima in Amertca) 31

_ _ Della Casa e Manera, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

e stavano mettendo in salvo dalle perquisizioni dei materiale di propaganda anarchico. Le prove vengono rapidamente costruite dal procuratore generale e suffragate da una sfilata di testimoni pagati o ricattati dalla polizia, che palesemente mentono e si contraddicono, ma che riusciranno a portare ugualmente gli imputati sulla sedia elettrica dopo sette anni di vicenda giudiziaria. Le testimonianze a discarico degli imputati, numerosissime, non verranno prese in considerazione perché fatte da operai e immigrati. «Straccioni», per il procuratore generale. L"indagine svolta dall'avvocato difensore nel periodo che separa la condanna dall'esecuzione porterà alla scoperta dei veri autori della rapina, ma il giudice si rifiuta di rivedere il processo. Mentre procuratore e polizia si danno da fare per occultare le prove palesi dell'innocenza degli imputati, mentre in rutto il mondo milioni di operai scendono in piazza per manifestare per la liberazione di Nick e Bart. Il film è di un'attualità incredibile. Si riconoscono benissimo negli aguzzini americani del 1920 i Calabresi, gli Amati, i picchiatori fascisti di oggi, i magistrati servi del padrone. Certo, la borghesia ha fatto dei progressi. Ieri polizia e magistratura si limitavano a attribuire agli anarchici reati compiuti da altri, oggi organizzano direttamente le loro stragi fatte su misura per capri espiatori prescelti. Sacco e Vanzetti sono due dei nostri. Vanzetti è un pescivendolo piemontese, un tribuno: parla dell'anarchia, della violenza borghese, del comunismo; accetta con fermezza la sua sorte perché sa di essere diventato una bandiera per il proletariato. Sacco è un operaio di calzaturificio pugliese, parla dei suoi bisogni, della sua vita, della sua famiglia, delle condi32

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zioni di immigrato in un paese razzista. Detesta la politica come molti operai di oggi - perché la vede come una cosa dei padroni. Detesta le manifestazioni fatte per la sua hhcrazione perché sa che la pubblicità data alla sua persona fa sì che la sua sorte sia segnata. Non è un eroe, ma la classe operaia non è fatta di eroi, ma di uomini che lottano, pazientemente, per vivere meglio in un mondo diverso. Non tutto il film è bello ed attuale come nei momenti in cui parlano gli operai. Ma quando si arriva all'ultima scena, dove Sacco e Vanzetti vengono assassinati «scientificamente» sulla sedia elettrica, non si può trattenere l'odio verso i carnefici che li hanno assassinati. Sacco e Vanzetti devono ancora essere vendicati. E di carnefici come quelli che h hanno assassinati sono piene le procure, le questure e i comodi uffici dell'industria dei padroni.

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Due film politici: Crepa padrone e Il potere (s.d. [1972], ciclostilato n. 2)

Che il cinema sia un importante strumento di comunicazione di massa, capace di raggiungere milioni di persone, di ogni strato sociale, è cosa nota. Che sia possibile usare questo strumento per fare un preciso discorso politico è una vecchia aspirazione degli intellettuali impegnati. Il problema è di fare un film che pur essendo «politico» non sia un «mattone», e sia quindi in grado di raggiungere i milioni di spettatori. Ci hanno riprovato, di recente, un celebre regista francese, Godard, e uno sconosciuto regista italiano, Tretti. li film di Godard parte da un'idea felice: rifare Love story. Fare cioè un film d'amore, con due grossi attori di richiamo (Yves Montand e Jane Fonda). Scrive Godard: «Essi si amano e si agitano come in tutti i film. Ma noi definiamo ciò che li separa o ciò che li unisce: lotta di classe E ciò che fa sì che Jane Fonda, giornalista, o Yves Man tand, regista cinematografico, passino dall'io ti amo allo io non ti amo più, e poi di nuovo ad un secondo "io ti amo", questa volta diverso dal primo; è che tra i due "'io ti amo" ci sono quaranta minuti in cui essi sono stati sequestrati in una fabbrica». La storia d'amore si intreccia con una lotta di classe (la donna, appunto giornalista, è andata in una fabbrica, accompagnata dall'uomo, per in34

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tcrvistare il direttore proprio mentre scoppia uno sciopero «duro» e gli operai sequestrano direttore e ospiti). L'idea è buona, ma è la realizzazione che è modesta. E, peggio ancora, è propriamente l'analisi politica della Francia '68- '72 che è insufficiente. Il film è ambientato nel '72 ma il punto di riferimento ideale è il maggio '68 (e numerosi sono i flashback relativi al maggio). Il maggio è l'esplosione dell' «autonomia operaia», sfuggita al controllo del sindacato, capace di inchiodare il capitalismo alla crisi economica, ma incapace - per mancanza di una organizzazione rivoluzionaria, di un partito rivoluzionario-di far precipitare la crisi economica in lotta insurrezionale per la conquista del potere, per l'abbattimento del potere borghese. Gli anni '68-'72 sono gli anni in cui gli obiettivi del maggio (che nel maggio erano delle grandi fabbriche intorno a Parigi) si estendono a una miriade di piccole e medie fabbriche: gli obiettivi dei massicci aumenti salariali e della rivoluzione dell'orario di lavoro (anche se le lotte per questi obiettivi raramente sono vincenti). Di questa complessa realtà operaia che cosa coglie invece Godard? Coglie l'aspetto fenomenico, più esterno, superficiale, più vistoso: coglie il tipo di lotta «dura» (il sequestro del direttore, l'assalto finale al supermercato). Ma esaltare il particolare tipo di lotta «dura», come fa Godard, senza mostrare cosa c'è dietro a questa scelta, significa offrire una rappresentazione parziale, schematica, insufficiente. Ancora più schematico è il film di Tretti, Il potere: e per forza di cose dal momento che tenta una sintesi del «potere» dalla preistoria a oggi, attraverso una serie di episodi significativi (i Romani, cioè Tiberio Gracco; Indiani d 'America e uomini bianchi; il fascismo; !a situazione odierna). Precede il tutto un prologo collocato nell'età della pietra, 35

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che mostra il sorgere del potere religioso, ma che sta un po' a sé nel complesso del film. I quattro episodi storici sono intervallati da sequenze a colori {il resto del film è in bianco e nero) che mostrano tre personaggi con maschere di animali al posto del capo che simboleggiano il potere economico, il potere giudiziario e il potere militare (gli ultimi due in pratica sono al servizio del primo, che parla con la «erre moscia», sì da ricordare Agnelli). Come dire che al di là del mutare delle varie situazioni storiche resta una costante, che è quella del potere economico (appoggiato sistematicamente dal potere militare e da quello giudiziario). La scelta dei due brani storici del passato (Romani e Indiani) è un po' gratuita, con scarsi legamenti interni. Più convincenti le due parti finali, più «moderne,., e anche più lunghe come durata, e quindi più approfondite. Il fascismo è giustamente mascherato per quello che è, difesa degli interessi capitalistici in una particolare fase dello sviluppo storico. C'è una cosa che però non ci convince nel film ed è la tendenza a fare inconsciamente l'apologia del «potere», a mostrare le infinite risorse attraverso le quali le classi dirigenti mantengono il potere: ad es., come nell'ultimo episodio, fingendo di abbracciare la causa degli sfruttati (il centro-sinistra, cioè l'apertura ai socialisti come modo di rafforzare il potere capitalistico). Insomma da un lato, in alto, sta l'iniziativa capitalistica, la sua infinita intelligenza; e dall'altro lato, in basso, sempre subalterne, sempre sconfitte, stanno le classi sfruttate. Non si tratta, evidentemente, di presentare una sconfitta del capitalismo che finora non c'è stata; si tratta però di guardare alla realtà dal punto di vista della classe operaia, della classe rivoluzionaria, che lentamente si organizza e prepara la rivoluzione.

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Sbatti il mostro (s.d. [gennaio 1973], numero unico) « Vedo rosso,. ha intervistato Goffredo Fofi, sceneggiatore del film.

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Vedo rosso»: Sbatti il mostro in prima pagina è un giallo?

No. Il film doveva essere un giallo scritto e diretto da Donati, che era stato collaboratore di Sergio Leone. Il soggetto, l'apparato tecnico e gli attori erano già stati fissati quando il film fu affidato a Bellocchio (Donati fu sostituito «perché malato», ma probabilmente fu scartato dai produttori, n.d.r.). Ci siamo così trovati tra le mani la storia di un delitto montato ad arte dai giornali e dalla polizia, e avevamo a disposizione un attore bravo e famoso come Volonté. Abbiamo allora pensato di tener ferma la struttura poliziesca, ma di costruirgli intorno un discorso politico, rivolto ad un pubblico molto vasto, che demistificasse i mezzi d'informazione. Abbiamo deciso inoltre di legare la vicenda ad alcuni momenti significativi della lotta di classe in Italia in questi ultimi mesi. «VR»: Qual è il «pubblico molto vasto» a cui avete voluto rivolgervi? Direi al normale pubblico delle sale cinematografiche italiane. A tutti coloro che subiscono quotidianamente le 37

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menzogne e le deformazioni dei giornali e dei mezzi d'informazione di massa e che non immaginano nepl?ure che questo avvenga, né tanto meno come possa avvemre. «VR»: Il vostro obiettivo principale era quindi quello di far capire agli spettatori come i giornali deformino la realtà e inducano il lettore a pensare e sentire esattamente come si vuole che pensi e senta. Certo. Il giornale è un giornale di destra, di quelli cosiddetti indipendenti. Il padrone del giornale è un grosso industriale (Monti-Agnelli=Montelli) come di fatto è, che finanzia i fascisti, come avviene in realtà. I giornalisti, in collaborazione con la polizia, costruiscono e sostengono falsi indizi, inventano prove inesistenti, nascondono i veri colpevoli, sfruttano il delitto e cercano in ogni modo di addebitare agli «estremisti di sinistra», per orientare a destra l'opinione pubblica (non si stupisce che Pestelli abbia scritto su «La Stampa»: «Come giornalisti di un quotidiano siamo un po' avviliti a dover recensire un film come questo», n.d.r.). Il giovane anarchico ingiustamente accusato ha dei chiari riferimenti a Val preda, anche se in questo caso è imputato dell'omicidio di una ragazzina e non della strage di Piazza Fontana. I meccanismi che stanno dietro alla provocazione poliziesca e alla montatura dei giornali sono simili a quelli usati per accusare gli anarchici e la sinistra extraparlamentare degli attentati e delle altre belle imprese che invece sappiamo essere opera dei fascisti. Vittime della provocazione sono ì gruppi rivoluzionari e, attraverso questi, il movimento operaio. Un secondo livello del film è il discorso su cos'è laborghesia. Una borghesia che non ha nessun valore in cui cre38

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dere e da proporre (la fogna delle immagini finali del film); una borghesia che in fondo divora anche se stessa; la ragazzina uccisa e, in una certa misura, il giornalista Roveda, simbolo dell'incapacità di tanti «progressisti» di uscire dalla contraddizione tra servire i padroni e salvarsi la coscienza. Sbatti il mostro è un film da vedere assolutamente, anche se gli si possono muovere alcune critiche. Gli autori hanno voluto ricreare il clima pre-elezioni '72 attraverso alcuni riferimenti alla cronaca di quei giorni: gli scontri dell'J 1 marzo, l'assalto al «Corriere», i funerali di Feltn·nell~ i comiz~ i cortei ecc. Soltanto in alcuni casi però (come per l'assalto al giornale), questi episodi riescono a legarsi col film, mentre in altn' casi restano esterni ad esso. Il gruppo dei ragazzi, gli anarchici vittime della montatura giornali-polizia, viene descritto in modo un po' superficiale e convenzionale: sono un po' troppo folkloristici insomma, sia per quanto riguarda l'aspetto e gli atteggiament~ sia il linguaggio. Pur non essendo un'opera eccezionale, è comunque un buon film, interessante per le cose che dice ed avvincente per come la storia è costruita e svolta.

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_ _ Della Casa e Mancra, Sbatti Bellocchio in sesta pagina _ _

Cinema [senza titolo] (s.d. (settembre 1973], anno 1, n. 4)

Al cinema qualcosa da vedere c'è sempre. Capita che oggi c'è un film da vedere assolutamente. Si tratta di Il fascino discreto della borghesia, un tipo di film che non capita spesso di poter vedere, un avvenimento da non lasciarsi scappare. È un film diverso per la capacità di analisi che possiede, per la semplicità delle riprese, per il divertimento intelligente che procura. Allo stesso tempo descrizione spiritosa e critica f eroee di un modo di vivere Il fascino discreto della boTghesia ha bisogno da parte nostra di molta attenzione e quindi di un po' di disintossicazione dalle mutande, dai calci in bocca e dalle pistolettate in pancia che, anche nostro malgrado, ci condizionano nei nostri gusti cinematografici. Film diverso perché bisogna esercitare, vedendolo, l'intelligenza, Il fascino discreto della borghesia è senza dubbio il migliore film dell'anno insieme ad Arancia meccanica: entrambi da vedere e da rivedere. Che cosa ci racconta Bunuel? Il suo film è la descrizione dell'impotenza di vita di una classe attraverso la rappresentazione cinematografica delle sue paure, delle sue angosce, dei suoi fantasmi. Borghesi sempre affamati che sognano la morte, i personaggi di Bunuel non hanno una storia particolare da raccontare, semplicemente si analizzano e si 40

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descrivono ora nell'orrore della loro funzione sociale (spacciatori di droga uomini di potere, industriali), ora nel ridicolo del loro formalismo (come si beve un Martini?), ora nel terrore per il mondo che li circonda (la rivoluzione scava in profondo). Di qui il continuo ricorrere di Bufmel ai sogni che si incastrano uno dentro l'altro impedendo di distinguere la realtà dall'immaginazione, le paure reali degl'incubi: è questo il modo più efficace per descrivere una classe di morti viventi che, pur possedendo potere e ricchezza, non ha più né la capacità né una ra~ione per vivere: :È una lezione da ricordare, Luis Buòuel ha il merito di ricordarcela con un film cosi compiuto, così ricco di invenzioni spiritose e di feroce ironia da lasciarci incantati.

C'è altro? L'Amerikano di Costa-Gavras vale la pena di essere cercato e visto per la convincente semplicità con cui racconta la funzione imperialista degli Usa in America Latina. Non ci sono pause né momenti di noia, il film è appassionante: bisogna andarci e mandare a vederlo tutti quelli che conosciamo. Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-nam ha senza dubbio un merito quello di cercare di affrontare la condizione di un operaio-immigrato da un punto di vista rigorosamente documentario. Girato da E. Scola (quello di Dramma della gelosia, Il commissario Pepe, La più bella serata della mia vita, ecc.) con la collaborazione di alcuni dirigenti del Pci torinese, il film si può vedere e magari anche apprezzare come un tentativo, criticandolo tuttavia a fondo. 41

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Infatti nel tentativo di metterci dentro tutto: (i dormitori pubblici, le pensioni, le camere di affitto, i preti buoni, le sezioni del Pci, i sindacati, gli extraparlamentari, Porta Palazzo, i sottoproletari di Porta Nuova, la scuola serale, il lavoro alla Fiat) regista e collaboratori hanno perso il filo, tutto è vero ma non sta insieme. La descrizione di Torino come città trappola è fatta di tanti quadri staccati che non si compongono in un'analisi sociale e in una proposta politica stanno lì e basta. Se a questi limiti della parte documentaria del film si aggi unge la storia d'amore tra l'operaio e l'extraparlamentare la critica non può che essere più dura. Se infatti da un lato c'è troppa realtà, dall'altro la falsità della situazione è troppo scoperta. Un idillio con margherite e qualche lacrima furtiva in un mondo disumano, solo la semplicità e la sincerità della protagonista femminile riscattano questa parte del film e la rendono godibile, ma Fiat-nam che cosa c'entra?

Alcuni vecchi e bravi americani

J. Mankiewicz, Gli insospettabili è un gioco di rara eleganza da cui bisogna prendere un po' le distanze. Storia di un gioco crudele con due soli protagonisti che si affrontano e si sbranano con sorrisi e civiltà fino alla morte Gli insospettabili è un divertimento intellettualistico che non si può fare a meno di apprezzare, ma con cui abbiamo poco o nulla in comune. B. Wilder, Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? è una commedia americana piena di belle battute e di situazioni ridicole, ma totalmente e disperatamente finta. 42

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