«Sacerdotium» nelle Novelle di Giustiano. «Consonantia» e «amplificatio» della res publica 9788892119482

La monografia scientifica "Sacerdotium nelle Novelle di Giustiniano. Consonantia e amplificatio della res publica&q

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Italian Pages 182 [201] Year 2019

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Indice
Premessa e linee di ricrca
PARTE I
I. Sacerdotium e imperium nella praefatio della Novella 6
II. Consonantia
PARTE II
I. Usi del termine sacerdotium nelle Novelle
II.
Usi del termine sacerdotium in materia di ius publicum
III. Usi del termine sacerdotium in materia di ius privatum
Osservazioni finali
Indice delle fonti
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«Sacerdotium» nelle Novelle di Giustiano. «Consonantia» e «amplificatio» della res publica
 9788892119482

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Collana di Scienze Giuridiche e Sociali

17

Sezione Ricerca

MARIA TERESA CAPOZZA

Sacerdotium nelle Novelle di Giustiniano Consonantia (συμφωνία) e amplificatio della res publica

G. Giappichelli Editore – Torino

© Copyright 2018 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it ISBN/EAN 978-88-921-1948-2

ISBN/EAN 9788892182189 (ebook)

Il presente volume è stato oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review) da parte di due referee. L’Editore conserva la relativa documentazione.

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

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Titolo capitolo

V

Ai miei genitori

VI

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VII

«[…] intellegi potest eorum imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent» (Cic., De nat. deor. 2,8)

VIII

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Indice

IX

INDICE

pag. PREMESSE E LINEE DI RICERCA 1. Religio, populus e imperium 2. Termini e concetti: per una corretta ricostruzione del rapporto tra sacerdotium e imperium 3. “Autoproiezioni” moderne e contemporanee: a proposito dell’Isolierung 4. Sacerdotes e magistratus 5. “Laicità” tra diritto e religione A) Elementi romani della “laicità”: a proposito di sacerdotes, magistratus e populus 6. “Sviluppo storico” della “sinfonia” di sacerdotium e imperium nella legislazione del IV secolo A) «Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua»: l’editto di Galerio B) «[…] Nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti, placatum ac propitium possit existere»: l’editto di Milano C) La rinuncia di Graziano al titolo di pontifex maximus D) L’editto Cunctos populos (CTh. 16,1,2 = C. 1,1,1) 7. Giustiniano e la consonantia (συμφωνία) di sacerdotium e imperium: a proposito della legislazione novellare 8. Linee di ricerca

1 5 8 14 18 21 22 23 25 27 28 30 33

X

Indice

pag.

PARTE I LA “SINFONIA”: A PROPOSITO DI SACERDOTIUM E IMPERIUM CAPITOLO I SACERDOTIUM E IMPERIUM NELLA PRAEFATIO DELLA NOVELLA 6 1. La praefatio della Novella 6 2. «Maxima quidem in hominibus sunt dona dei»: sacerdotium e imperium 3. L’origine di sacerdotium e imperium A) “Origine” e “fondamento” del potere: una distinzione necessaria a) Gli antecedenti di sacerdotium e imperium (sacerdotes e magistratus): una linea di continuità nel differente fondamento del potere b) Fondamento divino del sacerdotium (Nov. 6,1,5; Nov. 6,1,9) c) Fondamento popolare dell’imperium (D. 1,4,1 pr.; C. Deo Auctore,7; Nov. 62 praef.) d) Aspetto divino dell’imperium e) Coesistenza dell’aspetto umano e dell’aspetto divino dell’imperium 4. Le competenze di sacerdotium e imperium 5. I caratteri di sacerdotium e imperium 6. Unità e distinzione: Dio e popolo

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CAPITOLO II CONSONANTIA 1. «[…] Erit consonantia quaedam bona, omne quicquid utile est humano conferens generi» (Nov. 6 praef.) 2. Significati del termine consonantia nelle fonti 3. Consonantia nelle fonti giustinianee A) Consonantia nelle costituzioni programmatiche a) C. Imperatoriam maiestatem,2 b) C. Tanta pr. B) Consonantia in Inst. 2,10,3 e Inst. 3,7,3 C) Consonantia in C. 6,58,14

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Indice

XI pag.

D) Consonantia (συμφωνία/συνέχεια) in Nov. 6 praef., Nov. 12,4 e Nov. 42 praef. 4. Il concetto giuridico di consonantia come espressione di ‘armonia del sistema’

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PARTE II SACERDOTIUM NELLE NOVELLE CAPITOLO I USI DEL TERMINE SACERDOTIUM NELLE NOVELLE 1. Rilievo del sacerdotium nella legislazione giustinianea: le Novelle 2. Il criterio adottato nell’analisi delle Novelle 3. Quadro generale degli usi del termine sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία) nelle Novelle

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CAPITOLO II USI DEL TERMINE SACERDOTIUM IN MATERIA DI IUS PUBLICUM 1. Honestas, pudicitia e puritas del sacerdotium: la Novella 6 A) La pudicitia del sacerdotium: l’obbligo di celibato e il divieto di avere figli B) La pudicitia delle diaconissae e l’obbligo di nubilato C) La puritas del sacerdotium: a proposito dell’accusatio mossa al vescovo ordinando D) Il sacerdotium come ‘referente’ del popolo a livello locale E) «Sed neque pecuniis [oportere] emere sacerdotium ei permittimus» (Nov. 6,1,5) 2. La tutela della vita religiosa dei monaci A) Vita monachalis e honestas: la Novella 5 B) «Singularis vita eiusque contemplatio res est sacra»: la Novella 133 3. Il “testo unico” sul sacerdotium: la Novella 123 A) Alcune disposizioni a tutela dell’honestas, della pudicitia e della puritas del sacerdotium B) Ancora sul divieto di acquistare l’episcopatus «per suffragium auri aut aliarum rerum» (Nov. 123,2,1)

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XII

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pag. C) Condizione servile e ascrittizia Ancora sui requisiti di ordinazione: la Novella 137 Ecclesia “mater” dell’imperium: la Novella 3 Ecclesia “fons” del sacerdotium: la Novella 9 «[...] Ministeria non per venditionem neque per mercationem fieri aliquam volumus»: il particolare caso della Magna Ecclesia di Costantinopoli nella Novella 56 8. Pariter concurrentia tra diviniora e humana e consonantia tra sacerdotium e imperium: la Novella 42 9. Le praerogativae dell’archiepiscopus Primae Justinianae: la Novella 11 10. Il sacerdotium e il programma di riforme del 535-539 A) La ridefinizione del ruolo e delle funzioni dell’episcopato a livello locale a) Novella 8: una lex generalis per l’utilitas publica b) Il ruolo del sacerdotium nella nomina del defensor civitatis: la Novella 15 c) Il ruolo del sacerdotium nella nomina del pater civitatis e del frumentarius: la Novella 128 d) Il sacerdotium e la funzione di garanzia per il populus B) Il riordino di diocesi e vicariati a) A proposito della continuità del sacerdotium: la Novella 28, la Novella 29 e la Novella 31 b) Il sacerdotium nel quadro di difesa del populus e di mantenimento dell’ordine pubblico: la Novella 30, la Novella 103 e la Novella 154 4. 5. 6. 7.

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CAPITOLO III USI DEL TERMINE SACERDOTIUM IN MATERIA DI IUS PRIVATUM 1. Sacerdotium e matrimonio: la Novella 22 A) Divortium bona gratia B) Ancora sull’obbligo di celibato C) Secundae nuptiae 2. Sacerdotium e legittimazione per rescriptum principis 3. La disciplina dei beni ecclesiastici: peculiarità del rapporto tra sacerdotium e imperium e rilevanza dell’utilitas della res publica A) Il divieto di alienazione dei beni ecclesiastici: la Novella 7 B) «[...] Nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium, et sacrae res a communibus et publicis» (Nov. 7,2,1)

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Indice

XIII pag.

4. Ancora sugli scambi tra ecclesia e imperium e tra ecclesia e venerabiles domus: la Novella 54 e la Novella 55 5. Il regime dei beni appartenenti al sacerdotium: la Novella 131 6. L’episcopalis audientia nella Novella 83

152 154 157

OSSERVAZIONI FINALI 1. Consonantia (συμφωνία): a proposito dell’amplificatio della res publica e dell’imperium «quod semper est» 2. A proposito del cosiddetto “cesaropapismo” 3. “Religione del popolo”

163 166 171

Indice delle fonti

175

XIV

Indice

Premesse e linee di ricerca

1

PREMESSE E LINEE DI RICERCA

SOMMARIO: 1. Religio, populus e imperium. – 2. Termini e concetti: per una corretta ricostruzione del rapporto tra sacerdotium e imperium. – 3. “Autoproiezioni” moderne e contemporanee: a proposito dell’Isolierung. – 4. Sacerdotes e magistratus. – 5. “Laicità” tra diritto e religione. – A) Elementi romani della “laicità”: a proposito di sacerdotes, magistratus e populus. – 6. “Sviluppo storico” della “sinfonia” di sacerdotium e imperium nella legislazione del IV secolo. – A) «Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua»: l’editto di Galerio. – B) «[…] Nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti, placatum ac propitium possit existere»: l’editto di Milano. – C) La rinuncia di Graziano al titolo di pontifex maximus. – D) L’editto Cunctos populos (CTh. 16,1,2 = C. 1,1,1). – 7. Giustiniano e la consonantia (συμφωνία) di sacerdotium e imperium: a proposito della legislazione novellare. – 8. Linee di ricerca.

1. RELIGIO, POPULUS E IMPERIUM Negli anni ’40 del secolo scorso Riccardo Orestano in un fondamentale studio sulle nozioni originarie di fas e ius osservava come nella storia di Roma domini «il concetto che non solo le principali vicende, ma i principi stessi dell’organizzazione sociale fossero rispondenti alla volontà degli Dei» 1. Il sistema romano si caratterizza, invero, per un profondo rapporto tra religio, populus e imperium, che si inserisce nel solco della concezione originaria secondo cui la giustificazione dell’egemonia politica di Roma andava rintracciata nella volontà divina 2 e nel costante mantenimen1 R. ORESTANO, “Dal ius al fas. Rapporto fra diritto divino e umano in Roma dall’età primitiva all’età classica”, in BIDR, 46, 1940, p. 198 (ora in ID., Scritti, II, Napoli 1998, p. 565). 2 Vedi F. SINI, Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, p. 6 ss.: «I sacerdoti romani, fin dalle prime elaborazioni teologiche e giuridiche, rilevabili peraltro anche nelle versioni annalistiche delle più antiche vicende storiche di Roma, teorizzarono sempre un rapporto di imprescindibile causalità con la religio per tutte le manifestazioni significative della vita e della storia del Popolo romano». L’A. è più volte ritorna-

2

Premesse e linee di ricerca

to di una favorevole situazione di benevolenza e di amicizia da parte degli Dei 3. Come è noto, fin dall’epoca più antica le fonti ricollegano al favor Dei la fortuna dell’imperium populi Romani e la sua estensione sine fine 4; in questa prospettiva la fondazione dell’urbs Roma 5 e la crescita della civitas (civitas augescens, civitas amplianda secondo le diverse espressioni del giurista Pomponio e dell’imperatore Giustiniano: D. 1,2,2,7; C. 7,15,2) 6 risultano causalmente correlate al volere divino. to sul tema del rapporto tra religione e imperium populi Romani vedi ID., “Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana”, in Diritto@storia, 3, 2004; ID., A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C., Torino 1995, p. 104 ss.; ID., Bellum Nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, Sassari 1991, p. 256 ss. 3 Nell’epoca arcaica e repubblicana la sapientia sacerdotale perseguiva la finalità di instaurare e preservare la pax deorum; vedi R. ORESTANO, I fatti di normazione nell’esperienza romana arcaica, Torino 1967, p. 114; R. FIORI, Homo sacer. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa, Napoli 1996, p. 173 s. Per un ampio esame delle fonti attestanti i comportamenti suscettibili di violare siffatta pax e sul concetto di “legalismo religioso” vedi P. VOCI, “Diritto sacro romano in età arcaica”, in SDHI, 19, 1953, p. 49 ss. (ora in ID., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, p. 226 ss.); M. SORDI, “Pax deorum e libertà religiosa nella storia di Roma”, in La pace nel mondo antico, Milano 1985, p. 146 ss.; E. MONTANARI, “Il concetto originario di ‘pax’ e la ‘pax deorum’”, in Concezioni della pace, Atti dell’VIII Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, a cura di P. Catalano e P. Siniscalco, Roma 2006, p. 39 ss.; F. SINI, “Diritto e pax deorum in Roma antica”, in Diritto@storia, 5, 2006; L. FRANCHINI, “Principi di ‘ius pontificium’”, in Religione e diritto romano. La cogenza del rito, a cura di S. Randazzo, Tricase 2015, p. 265 ss. 4 Virgilio, Aen. 1,275-279: «Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus excipiet gentem et Mavortia condet moenia Romanosque suo de nomine dicet. His ego nec metas rerum nec tempora pono: imperium sine fine dedi». Per approfondimenti vedi P. BOYANCÉ, La religion de Virgile, Paris 1963, p. 54; G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma 1974, p. 209; R. TURCAN, “Rome éternelle et les conceptions grécoromaines de l’éternité”, in Roma Costantinopoli Mosca, Atti del I Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, Napoli 1983, p 16; A. MASTINO, “Orbis, kosmos, oikoumene: aspetti spaziali dell’idea dell’Impero universale da Augusto a Teodosio”, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, Atti del III Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, Napoli 1986, p. 71. L’influsso della concezione virgiliana dell’imperium sine fine sulla codificazione giustinianea è oggetto di analitica indagine in P. CATALANO, “Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico”, in Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di L. Prosdocimi, II, Roma 2000, p. 41 s. 5 Ennio, Ann. 501: «Augusto augurio postquam inclita condita Roma est»; Livio 1,4,1: «Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium». Per approfondimenti, A. GRANDAZZI, La fondation de Rome. Réflexion sur l’histoire, Paris 1991. Da ultimo, F. SINI, “Fondazione della urbs Roma”, in Diritto@storia, 15, 2017. 6 Sui concetti romani di civitas augescens e civitas amplianda vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 20112, p. 53 ss.; P. CATA-

Premesse e linee di ricerca

3

Cicerone, “giureconsulto laico” 7, nel De natura deorum efficacemente esprime siffatto rapporto di profonda causalità tra religio, res publica e imperium: «C. Flaminium Coelius religione neglecta cecidisse apud Transumenum scribit cum magno rei publicae vulnere. Quorum exitio intellegi potest eorum imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent. Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores» 8. L’Arpinate afferma che neglegere la religio 9 ha sempre cagionato grandi LANO,

“Cinque premesse ‘inattuali’ per studi sulla cittadinanza romana”, in BIDR, 108, 2013, p. 4 s.; A. SACCOCCIO, “Una alternativa alla globalizzazione è possibile: Roma communis patria”, in Città e diritto. Studi per la partecipazione civica. Un “codice” per Curitiba, Napoli 2016, p. 125; p. 137 s. Rilevanti sotto questo aspetto anche le osservazioni di M. CACCIARI, “Il mito della civitas augescens”, in Il Veltro. Rivista della civiltà italiana, 41.2-4, 1997, p. 161 ss. Di recente, l’illustre A. è tornato su queste tematiche al VI Seminario di studi “Tradizione repubblicana romana” su la Cittadinanza MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana (Roma, Campidoglio 17-18 dicembre 2012). 7 L’espressione “Cicerone giureconsulto” è tratta dal noto lavoro di E. COSTA, Cicerone giureconsulto, Bologna 1927. Per quanto, invece, concerne l’espressione “giureconsulto laico”, essa viene adoperata con riferimento a Cicerone da M.P. BACCARI, s. v. Diritti umani, in Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica, a cura di E. Sgreccia e A. Tarantino, IV, Napoli 2011, p. 369 ss. L’A. ricorda l’uso dell’appellativo “laico” fatto da Giorgio La Pira sia pure in riferimento a Virgilio. Osserva La Pira: «Ma Virgilio è, in certo senso, il profeta laico di quell’età augustea che è davvero unica ed esemplare nella storia intera del mondo: in essa, infatti, si attuò, con l’Incarnazione e la Nascita di Cristo, la pienezza dei tempi (san Paolo, Lettera ai Galati), la pace ed in certo senso la giustizia (templum iustitiae) dei popoli di tutta la terra, toto orbe terrarum in pace composito». Sul punto vedi P. CATALANO, “Da Roma a Betlemme. A proposito della ‘strategia romana’ di Cristo e degli Apostoli secondo Giorgio La Pira”, in Studium, 2, marzo-aprile 2001, anno 97°, p. 222 s. 8 Cic., De nat. deor. 2,8; su cui vedi C. BAILEY, Phases in the Religion of Ancient Rome, Berkeley 1932 (rist. Westport 1972), p. 274 s.; R. TURCAN, Religion romaine, II, Le culte, Leiden-New York-København-Köln 1988, p. 5 s.; M. HUMBERT, “Droit et religion dans la Rome antique”, in Mélanges Felix Wubbe, Fribourg 1993, p. 196 s.; F. SINI, Sua cuique civitati religio, cit., p. 11 s. Più in generale riguardo alle concezioni religiose di Cicerone vedi M. VAN DEN BRUWAENE, La théologie de Cicéron, Louvain 1937; L. TROIANI, “Cicerone e la religione”, in Rivista Storica Italiana, 96, 1984, p. 920 ss.; C. BERGEMANN, Politik und Religion im spätrepublikanischen Rom, Stuttgart 1992. 9 Sull’ambito semantico del termine vedi H. FUGIER, Recherches sur l’expression du sacré dans la langue latine, Paris 1963, p. 172 ss.; É. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, II, Pouvoir, droit, religion, Paris 1989, p. 265 ss.; G. LIEBERG, “Considerazioni sull’etimologia e sul significato di religio”, in Rivista di Filologia e di Istruzione Classica, 102, 1974, p. 34 ss.; E. MONTANARI, s. v. Religio, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma

4

Premesse e linee di ricerca

vulnera al popolo romano, mentre l’osservanza dei precetti religiosi non può che garantire la prosperità della res publica e che i Romani si sono dimostrati rispetto agli altri popoli «religione, id est cultu deorum, multo superiores». L’amplificatio della res publica è strettamente connessa alla peculiare cautela verso la religio mostrata dai Romani, in particolar modo da coloro i quali detengono l’imperium («[…] imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent»). È ancora Cicerone a sottolineare come la religio costituisca il fundamentum della civitas, la quale non avrebbe potuto raggiungere la propria grandezza «sine summa placatione deorum immortalium» 10 e senza la solerte attenzione manifestata dal popolo per la preghiera e le cerimonie religiose. Il carattere provvidenziale dell’Impero, funzionalmente collegato alla profonda religiosità del popolo romano, è tema ricorrente nelle opere dell’Arpinate che nell’orazione De haruspicum responsis ribadisce come la pietas e la religio rendano i Romani superiori “ad omnes gentes et nationes” 11. La centralità della pietas e della fides del popolo per la propiziazione del favore divino anche per l’imperium è poi chiarita da Livio che afferma come gli Dei si sarebbero mostrati in ogni circostanza benevoli verso coloro i quali praticano la pietas e onorano la fides: «[…] favere enim pietati fideique deos, per quae populus Romanus ad tantum fastigii venerit» 12. 1988, p. 423 ss. Sulle definizioni ciceroniane di religio vedi F. SINI, “Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana”, cit. 10 Cic., De nat. deor. 3,5: «Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisse». 11 Cic., De har. resp. 19: «Etenim quis est tam vaecors qui aut, cum suspexit in caelum, deos esse non sentiat et ea quae tanta mente fiunt, ut vix quisquam arte ulla ordinem rerum ac necessitudinem persequi possit, casu fieri putet, aut, cum deos esse intellexerit, non intellegat eorum numine hoc tantum imperium esse natum et auctum et retentum? Quam volumus licet, patres conscripti, ipsi nos amemus, tamen nec numero Hispanos nec robore Gallos nec calliditate Poenos nec artibus Graecos nec denique ipso huius gentis ac terrae domestico nativoque sensu Italos ipsos ac Latinos, sed pietate ac religione atque hac una sapientia, quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus, omnis gentis nationesque superavimus». Sul passo vedi M. HUMBERT, “Droit et religion dans la Rome antique”, cit., p. 191 ss. 12 Liv. 44,1,9-11: «Paucis post diebus consul contionem apud milites habuit. Orsus a parricidio Persei perpetrato in fratrem, cogitato in parentem, adiecit post scelere partum regnum veneficia, caedes, latrocinio nefando petitum Eumenen, iniurias in populum Romanum, direptiones sociarum urbium contra foedus, ea omnia quam diis quoque invisa

Premesse e linee di ricerca

5

La stretta connessione, tipicamente romana, tra religio, populus e imperium è il punto di partenza da cui non può prescindere uno studio che intenda ricostruire le dinamiche sottese al rapporto tra sacerdotium e imperium in Roma antica. Tanto più che, secondo una continuità che abbraccia un lungo arco di secoli, la consapevolezza dell’incidenza della religio sulla vita dell’imperium e del populus costituisce un leitmotiv costante nella storia del sistema giuridico romano, che resiste ancora in epoca imperiale. L’esistenza di un profondo e imprescindibile rapporto tra poteri religiosi e istituzioni (politiche e giuridiche) continua, invero, a costituire elemento cardine dell’imperium populi Romani anche nel corso dei secoli successivi. Se si ascolta il linguaggio delle fonti, infatti, emerge come ancora nel VI secolo la devozione dei sacerdoti verso Dio e le loro preghiere rappresentino il miglior presidio per l’imperium e per l’amplificatio della res publica: la convinzione caratteristica dell’età più antica secondo cui la salvezza del populus dipende dall’alleanza con la divinità emerge con evidenza nella legislazione giustinianea e, in particolare, in quella novellare. Come avremo modo di approfondire nel corso del presente lavoro, la cosiddetta “teoria della sinfonia” (consonantia/συµφωνία) tra sacerdotium e imperium che Giustiniano formula nella praefatio della Novella 6 del 535 è funzionale al perseguimento dell’utilitas degli uomini («[…] omne quicquid utile est humano conferens generi») e implica a più riprese la necessità di una costante preghiera dei sacerdoti cui consegue il favor Dei per l’imperium oltre che, più in generale, la prosperità della res publica.

2. TERMINI E CONCETTI:

PER UNA CORRETTA RICOSTRUZIONE DEL RAPPORTO TRA SACERDOTIUM E IMPERIUM

Alla luce del profondo rapporto tra religio, populus e imperium che caratterizza il sistema giuridico romano sin dall’epoca più antica, possiamo intraprendere il cammino volto a puntualizzare i caratteri di sacerdotium e imperium. essent, sensurum in exitu rerum suarum: favere enim pietati fideique deos, per quae populus Romanus ad tantum fastigii venerit». Sulle concezioni religiose di Livio vedi G. STÜBLER, Die Religiosität des Livius, Stuttgart-Berlin 1941; A. PASTORINO, Religiosità romana dalle Storie di Tito Livio, Torino 1961; W. LIEBESCHUETZ, “The Religious Position of Livy’s History”, in The Journal of Roman Studies, 57, 1967, p. 45 ss.

6

Premesse e linee di ricerca

Il rapporto tra potere sacerdotale e potere imperiale costituisce certamente una delle questioni maggiormente discusse dagli studiosi, anche romanisti, esaminata mediante l’assunzione di diverse e spesso contrastanti prospettive 13. I risultati prodotti dalle ricerche soffrono per lo più i limiti di un metodo inadeguato, basato sull’utilizzo di termini e concetti moderni (“autoproiezioni” 14), che sovente non trovano riscontro nelle fonti e che hanno finito con l’offuscare non solo la memoria storica ma, via via, anche ogni aspetto concreto insito nei concetti romani di sacerdotium e imperium. Il rilievo critico che può essere generalmente mosso alle ricerche condotte sulla relazione tra i due poteri è infatti proprio quello di non aver sufficientemente analizzato la storia giuridica dei termini e dei concetti e, in tale direzione, tratto le relative conseguenze giuridiche. È necessario, invece, qualora si voglia procedere a una corretta indagine del problema, abbandonare le astrazioni elaborate dalla dottrina moderna e contemporanea e liberarsi dalle deviazioni e sovrapposizioni concettuali, individuando principi «che permangono (o comunque “resistono”) nel divenire storico» 15. 13

Sul tema generale e assai dibattuto del rapporto tra sacerdotium e imperium, visto da angolature diverse, vasta è la letteratura; mi limito a citare, per quanto concerne gli studi romanistici, B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, Milano 1952, p. 168 ss.; J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958, p. 192 ss.; G.G. ARCHI, Teodosio II e la sua codificazione, Napoli 1976, p. 151 ss.; G. NOCERA, “La polemica tra l’Impero e il cristianesimo dopo Costantino”, in Atti del III Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1979, p. 265 ss.; L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano: alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa-Stato, Napoli 2005. In particolare sull’epoca giustinianea vedi P. BATIFFOL, “L’empereur Justinien et le siège apostolique”, in Recherches de Science Religieuse, 16, 1926, p. 193 ss.; B. BIONDI, Giustiniano Primo. Principe e legislatore cattolico, Milano 1936, p. 117 ss.; K. VOIGT, Staat und Kirche von Konstantin dem Großen bis zum Ende der Karolingerzeit, Stuttgart 1936, p. 44 ss.; p. 57 ss.; J. MEYENDORFF, “Justinian, the Empire and the Church”, in Dumbarton Oaks Papers, 22, 1968, p. 43 ss.; M. AMELOTTI, “Giustiniano tra teologia e diritto”, in L’imperatore Giustiniano. Storia e mito (Giornate di studio a Ravenna 14-16 ottobre 1976), a cura di G.G. Archi, Milano 1978, p. 31 ss.; P.G. CARON, Corso di storia dei rapporti fra Stato e Chiesa, I, Chiesa e Stato dall’avvento del cristianesimo agli inizi della monarchia assoluta, Milano 1981, p. 11 ss.; ID., “Natura giuridica del sistema dei rapporti fra Stato e Chiesa nell’Impero romano e nell’Impero bizantino”, in Studi in onore di C. Sanfilippo, II, Milano 1982, p. 61 ss. 14 Sui procedimenti di “autoproiezione” attraverso cui si collocano (‘proiettano’) nel passato teorie elaborate molti secoli dopo vedi infra. 15 P. CATALANO, “Il diritto romano attuale dell’America Latina”, in Index, 6, 1976, p. 97; più approfonditamente ID., Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, p. VII ss.

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L’Orestano già nel secolo scorso evidenziava il rischio cui si va incontro allorquando si operi una “autoproiezione” di concetti moderni sulle antiche fonti: «termini, concetti, regole e forme della tradizione romanistica i quali, fino nel nostro presente, possono sembrare analoghi o addirittura eguali a quelli dell’esperienza romana, non lo furono né lo sono mai, perché hanno assunto un valore diverso nei singoli contesti storici che li hanno autonomamente rivissuti» 16. Quando si tratta di indagare il sistema giuridico romano, il rischio più grave – dal punto di vista metodologico – è proprio quello di introdurvi elementi a esso estranei, adoperando termini (e concetti) assenti nelle fonti «mediante un procedimento astrattivo in funzione astorica» 17. Da questo punto di vista risulta, dunque, indispensabile il recupero degli antichi concetti e con essi di quel rigore terminologico ormai da troppo tempo trascurato 18, come acutamente osservava Biondo Biondi che defini16 R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, Torino 1968, p. 185 ss. Dello stesso A. vedi anche Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, p. 402 ss., ove l’A. intitola un paragrafo “Degli «spostamenti», delle «generalizzazioni», delle «autoproiezioni»” ed evidenziando la cura che si richiede, soprattutto rispetto alle esperienze del passato, nell’adoperare nozioni astratte, sottolinea che i “procedimenti astrattivi” «si verificano in particolare quando nozioni astratte, del tutto create nel presente e per il presente, vengono spostate e spesso generalizzate a esprimere esperienze del passato oppure anche del presente, ma diverse da quelle in cui si sono formate». Per un approfondimento del concetto di “autoproiezione” in Riccardo Orestano vedi M. BRUTTI, “Storiografia e critica del sistema pandettistico”, in Quaderni fiorentini, 8, 1979, p. 317 ss. Nella stessa linea dell’Orestano, evidenziando la pericolosità delle moderne “autoproiezioni” sulle fonti antiche, si muovono P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 218 ss. e M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 3 ss. Cfr. M. BRUTTI, “Rileggere Orestano. Teoria e storiografia del diritto”, in RISG, 4, 2013, p. 6, nt. 8. 17 P. DE FRANCISCI, “Categorie astratte nella storia del diritto romano”, in Studi in onore di E. Volterra, I, Milano 1971, p. 2; ID., Primordia civitatis, Roma 1959, p. 6 ss., ove viene evidenziato che per comprendere la formazione e l’evoluzione del sistema romano è necessario «a differenza da quanto talvolta avviene, e specialmente da parte di giovani studiosi, prescindere il più possibile da quel complesso di concetti, di categorie, di schemi che costituiscono i fondamenti della dogmatica giuspubblicistica moderna». 18

È stata più volte evidenziata dal Catalano l’utilità di una revisione terminologica e della riscoperta della concretezza propria della giurisprudenza romana. Vedi, ad es., P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 196 ss.; ID., “Alcuni concetti e principi giuridici romani secondo Giorgio La Pira”, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (Padova, Venezia, Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di L. Garofalo, I, Padova 2003, p. 61 ss. Nello stesso senso vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 3

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va la terminologia «mezzo sicuro e prezioso» oltre che «prima dommatica giuridica» 19. Senza dubbio un primo sforzo per puntualizzare i caratteri di sacerdotium e imperium in aderenza al dettato delle fonti – caratteri che diventano punti focali per cogliere pienamente la cosiddetta “teoria della sinfonia”, enunciata nella Novella 6 dell’imperatore Giustiniano – è stato compiuto nell’ambito del XIV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” sul tema «Laïcité entre droit et religion». Questo Seminario ha costituito un’importante occasione per precisare come i concetti di sacerdotium e imperium possano essere compresi solo a partire dalla distinzione repubblicana di sacerdotes e magistratus, nonché per fare chiarezza sul corretto modo di intendere il rapporto tra i due poteri alla luce della profonda compenetrazione tra ius, mos e religio che caratterizza il sistema romano.

3. “AUTOPROIEZIONI” L’ISOLIERUNG

MODERNE E CONTEMPORANEE: A PROPOSITO DEL-

Allo scopo di eliminare le incrostazioni concettuali che si sono venute sedimentando nel corso dei secoli sui concetti romani di sacerdotium e imperium è necessario tornare alle fonti, recuperando i principi propri della nostra più antica tradizione giuridica e cioè quella concezione in cui ius, mos e religio sono profondamente compenetrati. Gli studi sul rapporto tra sacerdotium e imperium – e su un piano più gess.; p. 27 s.; ID., “Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo nella globalizzazione”, in Teoria del diritto e dello Stato. Rivista europea di cultura e scienza giuridica, 1, 2005, p. 1 ss. 19 Vedi B. BIONDI, “La terminologia romana come prima dommatica giuridica”, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, II, Napoli 1953, p. 73 ss. (ora in ID., Scritti giuridici, I, Milano 1965, p. 181 ss.). Sull’importanza della terminologia vedi anche F.C. VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. a cura di V. Scialoja, I, Torino 1886, p. 25 (System des heutigen römischen Rechts, I, Berlin 1840, p. XLIII), il quale pone in rilievo la necessità di una «cura specialissima» per l’esatta «determinazione della terminologia conforme alle fonti [...] tale importanza deriva dal fatto che tra il linguaggio inesatto e l’erronea ricostruzione o connessione dei concetti v’ha innegabilmente una pericolosa reciproca influenza [...]. Solo sarà prudente evitare sempre quelle espressioni inesatte, che per il loro intimo legame con i falsi concetti si ravvisano veramente pericolose». Sul punto vedi anche le riflessioni di R. ORESTANO, Diritto. Incontri e scontri, Bologna 1981, p. 265 ss.; p. 549; p. 737.

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nerale tra religione e diritto – hanno, invero, subito per lungo tempo il condizionamento di fuorvianti impostazioni storiografiche e metodologiche, prima fra tutte quella che suppone la “Isolierung” del diritto dalla morale e dalla religione nel sistema romano, sia precristiano che cristiano. Come è noto, negli anni ’30 del secolo scorso Fritz Schulz – probabilmente suggestionato da quanto già sostenuto da Rudolf von Jhering a proposito della separazione tra religione e diritto in Roma antica 20 – intitola “Isolierung” uno dei capitoli più stimolanti 21 del celebre Prinzipien des römischen Rechts 22. 20

In tal senso vedi M. BRETONE, “La storia del diritto romano fra scienza giuridica e antichistica”, in Iura, 39, 1988 [ma 1991], p. 14, il quale a proposito dell’insistenza sull’Isolierung da parte di Schulz afferma: «Io vi intravedo un filo che risale a Weber (oltre che a Jhering)»; L. SOLIDORO MARUOTTI, Tra morale e diritto. Gli itinerari dell’aequitas. Lezioni, Torino 2013, p. 35. Sulle riflessioni dello Jhering in ordine all’antitesi tra i concetti di fas e ius vedi R. VON JHERING, Geist des römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, I, Leipzig 1852, qui citato nella trad. francese a cura di O. De Meulenaere, L’esprit du droit romain dans les diverses phases de son développement, I, Paris 1886 (rist. an. Bologna 2004), p. 267 s.; ID., Les Indo-Européens avant l’histoire, trad. francese a cura di O. De Meulenaere, Paris 1895, p. 70. La posizione assunta dallo Jhering su questi temi ha notevolmente influenzato la dottrina successiva; solo per citarne alcuni: L. MITTEIS, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians, I, Leipzig 1908, p. 22 s.; G. SEGRÈ, Corso di diritto romano. Le cose, parte I, Torino 1927, p. 21 ss.; B. BIONDI, Corso di Istituzioni di diritto romano, I, Catania 1929, p. 74 ss.; C. FERRINI, s. v. Fas, in Nuovo Digesto Italiano, V, Torino 1938, p. 919; P. DE FRANCISCI, Storia del diritto romano, I, Milano 1939, p. 281 ss.; p. 338 ss.; R. ORESTANO, “Dal fas al ius. Rapporto fra diritto divino e umano in Roma dall’età primitiva all’età classica”, cit., p. 197, nt. 3; ID., Introduzione allo studio storico del diritto romano, Parte speciale: Su talune concezioni del diritto nell’esperienza giuridica romana, I, Torino 1953, p. 257 ss.; A. SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino 2005, p. 72 ss. Di recente su queste tematiche vedi i contributi apparsi nel volume Religione e diritto romano. La cogenza del rito, cit., in particolare F. CHINI, “Idee vecchie e nuove intorno a ius e fas”, p. 115 ss.; G. TURELLI, “‘Fetialis religio’. Una riflessione su religione e diritto nell’esperienza romana”, p. 449 ss. 21 Così G. PUGLIESE, “L’autonomia del diritto rispetto agli altri fenomeni e valori sociali nella giurisprudenza romana”, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Atti del primo Congresso Internazionale della Società italiana di storia del diritto, Firenze 1966, p. 161 ss. Sotto tale profilo è interessante il richiamo dell’A. alla posizione assunta sul punto dall’Orestano, il quale qualificava invece il capitolo sull’Isolierung come “uno dei meno appaganti”. 22 Sul non trascurabile rilievo assunto dalle teorizzazioni di Fritz Schulz sulla dottrina romanistica vedi M. BRETONE, “Uno sguardo retrospettivo. Postulati e aporie nella History di Schulz”, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani, Napoli 19842, p. 340 ss.; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte: Erster Abschnitt. Einleitung, Quellenkunde, Frühzeit und Republik, I, München 1988, p. 502 s. In particolare sull’influenza esercitata dalla cosiddetta “teoria

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Lo Schulz afferma che – a partire da una separazione del diritto dal nondiritto – il sistema romano avrebbe assistito a una frammentazione interna dello ius che «permetterebbe di distinguere in modo netto tra diritto laico e diritto sacro, tra diritto umano e diritto divino, tra diritto pubblico e diritto privato» 23. Lo studioso tedesco sostiene che a partire dalla separazione (Sonderung) tra norme giuridiche ed extragiuridiche in atto già a partire dalla legge delle XII Tavole 24 e a quella tra diritto sacro e diritto profano propria dell’età repubblicana 25, nel corso del III secolo a. C. si sarebbe pervenuti a un vero dell’Isolierung” vedi G.G. ARCHI, “Componenti pregiuridiche del diritto privato romano”, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, cit., p. 87 ss.; G. PUGLIESE, “L’autonomia del diritto rispetto agli altri fenomeni e valori sociali nella giurisprudenza romana”, cit.; A. VARSALLONA, “Il principio di isolamento nel diritto romano”, in AG, 200-201, 1980-1981, p. 37 ss. Di recente su questi temi, L. GAROFALO, Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica, Nuovi saggi, Torino 2015, p. 1 ss.; E. STOLFI, “Diritto romano e storia del pensiero giuridico”, in Nel mondo del diritto romano. Convegno ARISTEC (Roma, 10-11 ottobre 2014), a cura di L. Vacca, Napoli 2017, p. 105 ss. Per ulteriori approfondimenti vedi infra, nt. 26. 23 L. GAROFALO, Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica, cit., p. 3. 24 Lo Schulz sostiene che agli albori il diritto risultasse geneticamente e funzionalmente congiunto con il non-diritto, tanto è vero che «accanto all’ordinamento del diritto sta l’ordinamento del costume e della morale, quella cerchia di obblighi extragiuridici che proprio nel mondo romano ha tanta importanza anche per la vita del diritto». Tuttavia, lo studioso tedesco ritiene che già a partire dalla legge delle XII Tavole si sarebbe verificata una separazione tra le norme giuridiche e quelle extragiuridiche, gradualmente operata anche da parte della giurisprudenza: «i rapporti economico-politici che hanno determinato la formazione di una regola di diritto» – afferma lo Schulz – «non sono mai descritti e neppure considerati». Tale circostanza troverebbe diretta conferma nelle fonti, le quali testimonierebbero che, ad esempio, in materia matrimoniale i complessi usi nuziali non risulterebbero normativamente tipizzati, o ancora in materia contrattuale i formulari si limiterebbero ad accennare soltanto a legami extragiuridici quali la pietas, la fides o la reverentia. Vedi F. SCHULZ, Prinzipien des römischen Rechts, München und Leipzig 1934, qui citato in trad. it. a cura di V. Arangio-Ruiz, I principi del diritto romano, Firenze 1946, p. 17; p. 21. Di recente, sull’influenza esercitata dal “momento religioso” nell’elaborazione e nello sviluppo di alcuni istituti fondamentali di ius privatum durante l’età arcaica vedi F. ARCARIA, “Religio e ius privatum in Roma antica”, in Religione e diritto romano. La cogenza del rito, cit., p. 21 ss. 25 Tale dato secondo lo Schulz troverebbe immediato riscontro nelle fonti, quale ad. es. Cic., De leg. 2,21,52 che denoterebbe come già al tempo dell’Arpinate vi fossero esperti di diritto sacro che non si occupavano di diritto profano. Inoltre, continua l’A., «negli scritti di diritto profano il diritto sacro non è citato né per stabilire paralleli né per rilevare contrasti; la dottrina delle res sacrae, sanctae e religiosae è esposta incompletamente, perché solo entro certi limiti interessa il diritto profano. Ed è naturale che, venendo meno la fede negli dei, anche l’interesse per il diritto sacro scompaia». Vedi F. SCHULZ, Prinzipien des

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e proprio “Isolamento” (Isolierung) 26 e a una ‘secolarizzazione’ 27 dello ius, conseguenza del passaggio da una forma di giurisprudenza pontificale a una forma di giurisprudenza ‘laica’ 28. L’ideologia liberale ha, dunque, importato una separazione tra ciò che è giuridico e ciò che è morale e religioso sconosciuta al sistema romano 29, un römischen Rechts, cit., p. 21 s.; ID., History of Roman Legal Science, Oxford 1946, qui citato in trad. it. a cura di G. Nocera, Storia della giurisprudenza romana, Firenze 1968, p. 80 ss. 26 Come già evidenziato, la c.d. “teoria dell’Isolierung” ha esercitato una straordinaria influenza sulla dottrina romanistica, tendente generalmente ad avallare le conclusioni dello Schulz e a porre in rilievo la distinzione tra le norme giuridiche e quelle morali e religiose nel sistema romano. Basterà ricordare, senza alcuna pretesa di completezza, quanto affermato sul punto da M. KASER, “Religione e diritto in Roma arcaica”, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Catania, 3, 1948-1949, p. 77 ss., il quale sostiene che «l’uomo primitivo fu a presupposti di carattere religioso molto più legato dei suoi evoluti posteri, e la progressiva ‘laicizzazione’ delle sue concezioni si inquadra nello sviluppo storico generale della civiltà». In tal senso vedi anche K. LATTE, Religiöse Begriffe im frührömischen Recht, in ZSS, 67, 1950, p. 47 ss.; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte, cit., p. 503; p. 322 s., il quale nega qualsivoglia identità originaria tra la sfera della vita religiosa e quella della vita giuridica e qualifica la Isolierung dello ius come Teilsystem, che trarrebbe origine dalle rappresentazioni giuridiche dell’età arcaica e dalla sapienza propria del collegio pontificale. Particolare rilevanza assumono, da questo punto di vista, le riflessioni di G. PUGLIESE, “L’autonomia del diritto rispetto agli altri fenomeni e valori sociali nella giurisprudenza romana”, cit., p. 162 ss. L’A. – se pure riconosce l’equivocità del termine “Isolierung” e ancor più dell’italiano “isolamento” in quanto «potrebbero far pensare a un’artificiosa separazione tra scienza giuridica e vita», sconosciuta ai Romani – afferma che nel periodo primitivo il diritto traeva alimento dai mores «o in essi addirittura si risolveva» ma «già nel I sec. a.C. (se non in epoca anche più antica) i giuristi avevano voluto e saputo distinguere la religione, l’etica, il costume dal diritto» e negli scritti dei giuristi romani sarebbero sì presenti considerazioni di natura extragiuridica ma si tratterebbe di una “percentuale minima” «rispetto alla totalità di considerazioni da essi svolte». Sulla posizione assunta dal Pugliese in riferimento alla c.d. “teoria dell’Isolierung” vedi le osservazioni di A. GUARINO, Le ragioni del giurista. Giurisprudenza e potere imperiale nell’età del principato romano, Napoli 1983, p. 451 s., nt. 35. Nella medesima linea del Pugliese, tra gli altri, anche F. CASAVOLA, Giuristi adrianei, Napoli 1980, p. 71. 27 L’espressione adoperata dallo Schulz è “secularization”, vedi F. SCHULZ, History of Roman Legal Science, cit., p. 11. 28 Sul concetto di “laicizzazione” della giurisprudenza vedi infra, nt. 53. Sull’attività interpretativa dei pontifices vedi, per tutti, L. FRANCHINI, Aspetti giuridici del pontificato romano. L’età di Publio Licinio Crasso (212-183 a.C.), Napoli 2008, p. 147 ss. 29 Sulla separazione tra religione e diritto operata dall’ideologia liberale è interessante quanto osservato da P. VOCI, “Diritto sacro romano in età arcaica”, cit., p. 45; p. 99 ss.: «L’ideologia liberale ha insegnato il principio della separazione della religione dal diritto: la religione è un fatto di coscienza, e deve rimaner tale; non può imporsi se non con la persuasione, priva di qualsiasi appoggio o aiuto secolare. Ora tutto ciò ha avuto un valore

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sistema giuridico-religioso 30 in cui ius, mos e religio sono profondamente compenetrati e sono concetti «al tempo stesso e indifferentemente» 31 giuridici, morali e religiosi. Da tali incrostazioni concettuali possiamo liberarci tornando alle fonti. Il sistema romano antico, sia precristiano che cristiano, non conosce alcuna forma di “isolamento” del diritto dalla morale e dalla religione. Tale dato emerge anzitutto dal concetto di ius; l’unica definizione romana del diritto è quella di Celso, riferita da Ulpiano nelle sue Institutiones e posta da Giustiniano in apertura dei Digesta: «Iuri operam daturum prius nosse oportet, unde nomen iuris descendat. est autem a iustitia appellatum: nam, ut eleganter Celsus definit, ius est ars boni et aequi» (D. 1,1,1 pr.) 32. deontologico, ed anche positivo, in tempi recenti: ma non può essere adoperato come canone di conoscenza per definire la religione nelle sue manifestazioni storiche». Tuttavia si osserva a riguardo come, sebbene il Voci metta in guardia dall’adoperare con riferimento all’esperienza del passato l’idea “liberale” della separazione tra religione e diritto, affermi poi – in aperto contrasto con tali premesse – che alla compenetrazione tra religio e ius, caratterizzante l’epoca arcaica, si sarebbe successivamente verificato in Roma un «tramonto dell’ordinamento religioso» conseguenza della «progressiva laicizzazione» dello ius publicum. 30 Adopero l’espressione «sistema giuridico-religioso» in luogo di «ordinamento giuridico» sulla base di quanto sostenuto da P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino 1965, p. 30 ss., in particolare p. 37, nt. 75; ID., Populus Romanus Quirites, Torino 1974, p. V ss.; ID., Diritto e persone, cit., p. VIII ss., in part. p. XI ss. Di contro al concetto di “sistema giuridico-religioso” viene riaffermata la validità del concetto di “ordinamento giuridico” negli ultimi scritti di R. ORESTANO, Diritto. Incontri e scontri, cit., p. 395 ss.; ID., “Le nozioni di ordinamento giuridico e di esperienza giuridica nella scienza del diritto”, in Riv. trim. dir. pubbl., 4, 1985, p. 959 ss., in part. p. 964 ss.; ID., Introduzione allo studio del diritto romano, cit., p. 348 ss. Sulle utilizzazioni del concetto di “ordinamento giuridico” negli studi romanistici vedi M. BRUTTI, s. v. Ordinamento giuridico (storia), in Enc. dir., XXX, Milano 1980, p. 659 ss. 31 L’espressione è di P. CATALANO, “Premessa”, in Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca, Atti dell’XI Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, a cura di M.P. Baccari, Roma 1994, p. VIII; ID., “Elementi romani della cosiddetta laicità”, in Laicità tra diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca, Atti del XIV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, a cura di P. Catalano e P. Siniscalco, Roma 2009, p. 3. 32 Sulla definizione celsina di ius inteso come “ars boni et aequi” (D. 1,1,1 pr.) vedi P. CATALANO, “Diritto, soggetti, oggetti: un contributo alla pulizia concettuale sulla base di D. 1,1,12”, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca, 2, Napoli 2001, p. 97 ss.; F. GALLO, “Ars boni et aequi e ius naturale”, in SDHI, 75, 2009, p. 1 ss.; ID., Celso e Kelsen. Per la rifondazione della scienza giuridica, Torino 2010; L. SOLIDORO MARUOTTI, Tra morale e diritto. Gli itinerari dell’aequitas, cit., p. 1 ss.: «nella definitio celsina del diritto, veniva individuata nei ‘valori’ del bonum e dell’aequum l’essenza stessa dello ius, inteso quest’ultimo quale ‘tecnica’ demandata ai sacerdotes iuris e diretta alla pratica realizzazione di ciò che era bonum et ae-

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Da qui deriva l’accattivante qualificazione dei giuristi quali “sacerdotes iustitiae” (D. 1,1,1,1) 33. Una conferma della profonda compenetrazione tra le norme giuridiche e quelle morali e religiose è poi fornita dalla definizione di iurisprudentia in D. 1,1,10,2: «Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia» 34. Nella medesima prospettiva lo ius del popolo romano (ius publicum), stando alla testimonianza di Ulpiano, è tripartito “in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus” e – secondo quanto di qui a breve si dirà – tale tripartizione è già sottesa al De legibus di Cicerone e diventa punto centrale per comprendere la “teoria della sinfonia” tra sacerdotium e imperium. Allo stesso modo la erga deum religio viene considerata da Pomponio in D. 1,1,2 quale principio di ius gentium, comune a tutti gli uomini e quindi parte dello ius Romanum 35. Le fonti sopra menzionate danno contezza di come il sistema romano antico, sia precristiano che cristiano, non conosca alcuna forma di “isolamento” del diritto dalla morale e dalla religione e «l’uso crescente e prevalente di concetti astratti, cioè “l’astrattismo” moderno, serve a nascondere manipolazioni concettuali o, comunque, a edulcorare situazioni antigiuridiche, sottraendole al rigore del diritto» 36. In questa prospettiva, occorre tener presente che il rapporto tra potere quum». In particolare, in rapporto al concetto di iustitia vedi da ultimo, A. SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino 20172, p. 403 ss. 33 D. 1,1,1,1: «Cuius merito quis nos sacerdotes appellet: iustitiam namque colimus et boni et aequi notitiam profitemur, aequum ab iniquo separantes, licitum ab illicito discernentes, bonos non solum metu poenarum, verum etiam praemiorum quoque exhortatione efficere cupientes, veram nisi fallor philosophiam, non simulatam affectantes». Sulla raffigurazione ulpianea dei giuristi quali sacerdotes iustitiae vedi approfonditamente, G. FALCONE, “La ‘vera philosophia’ dei ‘sacerdotes iuris’. Sulla raffigurazione ulpianea dei giuristi”, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, 49, 2004, p. 1 ss. 34 Sulla definizione ulpianea di iurisprudentia vasta è la letteratura; vedi da ultimo, R. CARDILLI, “Vir bonus e bona fides”, in AA.VV., Vir bonus. Un modello ermeneutico della riflessione giuridica antica, a cura di A. Lovato, Bari 2013, p. 180 ss.; p. 181, nt. 6 per la bibliografia. 35 Per approfondimenti sulla erga deum religio quale principio di ius gentium vedi A. DÍAZ BIALET, Fas, ius gentium y ius naturale, Cordova 1952; G. LOMBARDI, “Sul concetto di ius gentium”, in SDHI, 12-14, 1947-1948, p. 376 ss.; ID., “Diritto umano e ius gentium”, in SDHI, 16, 1950, p. 254 ss. Di recente sul concetto di erga deum religio in relazione al rapporto religiopopulus vedi M.P. BACCARI, “Alcune osservazioni sui diritti umani”, in Revista General de Derecho Romano, 12, 2009; ID., s. v. Diritti umani, cit., p. 362 ss. 36 M.P. BACCARI, “Alcuni principi del diritto romano per la difesa dell’uomo nella globalizzazione”, cit., p. 1 ss.

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sacerdotale e potere imperiale può essere compreso solo se si considera che i preconcetti liberali, come appunto quello dell’Isolierung, «impediscono di scorgere la continuità dei mutevoli rapporti tra sacerdotia e imperia nel diritto romano precristiano e cristiano» 37. Nel sistema romano il momento giuridico e quello morale e religioso potevano coesistere, con la conseguenza che «una norma religiosa (ove in essa ricorrano gli estremi della giuridicità) non solo si può, ma pur si deve definire come giuridica» 38.

4. SACERDOTES E MAGISTRATUS Eliminata metodologicamente l’incrostazione concettuale dell’Isolierung tra ius, mos e religio nel sistema romano, è necessario un lavoro di ricostruzione dei concetti di sacerdotes e magistratus, antecedenti “repubblicani” di sacerdotium e imperium: un itinerario e al contempo una linea di continuità utili per interpretare correttamente la “teoria della sinfonia” enunciata nella richiamata praefatio della Novella 6. Come è noto, secondo la tripartizione di Ulpiano lo ius publicum, che concerne lo status rei Romanae, consiste «in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus» (D. 1,1,1,2) 39. La tripartizione ulpianea affonda le sue radici dal punto di vista sistematico nel pensiero di Cicerone, che nel De legibus tratta prima della religione e dei sacerdoti (Pontefici, Vestali, Auguri, Feziali e Aruspici) e poi dei magistrati (del senato e dei comizi) 40. 37 P. CATALANO, “Apertura dei lavori: alcuni sviluppi del concetto giuridico di imperium populi Romani”, in Studi sassaresi, 8, Serie III, 1980-1981, p. 20, nt. 33 (estratto). 38 P. VOCI, “Diritto sacro romano in età arcaica”, cit., pp. 38-47. Cfr. B. BIONDI, “La giuridicità del Vangelo”, in Jus, 2, 1951, p. 23 ss.; P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, Torino 1960, p. 255; p. 263 ss.; p. 319. 39 Su D. 1,1,1,2 e sulla partizione ius publicum e ius privatum vasta è la letteratura; vedi fra gli altri, G. ARICÒ ANSELMO, “Ius publicum – ius privatum in Ulpiano, Gaio e Cicerone”, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, 37, 1983, p. 447 ss.; M. KASER, “‘Ius publicum’ und ‘ius privatum’”, in ZSS, 103, 1986, p. 1 ss. Cfr. G. NOCERA, “Ius publicum e ius privatum secondo l’esegesi di Max Kaser”, in SDHI, 68, 2002, p. 1 ss.; G. FALCONE, “Un’ipotesi sulla nozione ulpianea di ius publicum”, in Tradizione romanistica e Costituzione, dir. L. Labruna, a cura di M.P. Baccari e C. Cascione, Torino 2006, II, p. 1168 ss.; da ultimo, F. VALLOCCHIA, “Qualche riflessione su publicum-privatum in diritto romano”, in Riv. it. scienze giur., 7, 2016, p. 415 ss. 40 Cic., De leg. 1,7,23: «Est igitur, quoniam nihil est ratione melius, eaque est et in

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Con l’avvento della repubblica, in luogo della unicità del potere regio si perfeziona la dialettica tra sacerdozi e magistrature. I sacerdotes costituiscono uno degli elementi su cui si fonda «quel ius che ha per riguardo la stabile esistenza della res romana» 41 e si distinguono nettamente dai magistratus per il diverso fondamento del potere: divino per i primi, popolare per i secondi e tale distinzione sta alla base del regime repubblicano 42, secondo quanto nitidamente emerge da Cic., De leg. agr. 2,7,18: «Item, inquit, eodemque modo, capite altero, ut comitiis pontificis maximi. Ne hoc quidem vidit, maiores nostros tam fuisse popularis ut, quem per homine et in deo, prima homini cum deo rationis societas. Inter quos autem ratio, inter eosdem etiam recta ratio [et] communis est: quae cum sit lex, lege quoque consociati homines cum dis putandi sumus. Inter quos porro est communio legis, inter eos communio iuris est. Quibus autem haec sunt inter eos communia, ei civitatis eiusdem habendi sunt. Si vero isdem imperiis et potestatibus parent, multo iam magis parent [autem] huic caelesti discriptioni mentique divinae et praepotenti deo, ut iam universus sit hic mundus una civitas communis deorum atque hominum existimanda». Sul punto vedi P. CATALANO, “La divisione del potere in Roma (a proposito di Polibio e di Catone)”, in Studi in onore di G. Grosso, VI, Torino 1974, p. 676; con adesione di C. NICOLET, “Notes complémentaires”, in Polybe, Histoires, Livre VI, Paris 1977, p. 149 ss. e di J. SCHEID, “Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdotes et le droit public à la fin de la République”, in Des ordres à Rome, a cura di C. Nicolet, Parigi 1984, p. 269 ss. Per ulteriori approfondimenti vedi F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, Sassari 1983, p. 213 s.; ID., “Dai documenti dei sacerdoti romani: dinamiche dell’universalismo nella religione e nel diritto pubblico di Roma antica”, in Diritto@Storia, 2, 2003, anche con riferimento al fondamento della tripartizione ulpianea in elaborazioni sacerdotali; V. MAROTTA, Ulpiano e l’Impero, I, Napoli 2000, p. 157, il quale sostiene che «Ulpiano, scrivendo che “ius publicum in sacris, in sacerdotibus … consistit”, rinnova, nella peculiare situazione politica e religiosa dei suoi tempi, il punto di vista tradizionale di derivazione ciceroniana: se gli auspici di Romolo e i riti di Numa posero le fondamenta della res publica, Roma appartiene ai suoi dèi in ogni momento e in ogni aspetto della vita quotidiana». Diversamente, A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, Napoli 19905, p. 454 s., considera la tricotomia ulpianea sacra-sacerdotes-magistratus una «elencazione davvero sconcertante, e quanto meno frettolosa», escludendo (sia pure implicitamente) ogni collegamento con il De legibus di Cicerone. 41 G. FALCONE, “Un’ipotesi sulla nozione ulpianea di ius publicum”, cit., p. 1170. 42 Vedi G. LOBRANO, “Qualche idea, dal punto di vista del Diritto romano, su origini e prospettive del principio di laicità”, in Diritto@storia, 10, 2011-2012. Sulle relazioni tra sacerdozi e magistrature vedi in generale, J. SCHEID, “Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdotes et le droit public à la fin de la République”, cit., pp. 243-280. Quanto alla distinzione tra i due poteri vedi ampiamente, P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., passim; cfr. ID., Populus Romanus Quirites, cit., p. 133 ss.; S. MAZZARINO, “Storia e diritto nello studio delle società classiche”, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, cit., p. 51 ss.; F. DE MARTINO, “La costituzione della città-stato”, in Storia di Roma, a cura di A. Momigliano e A. Schiavone, I, Torino 1988, p. 361 ss.; A. MAGDELAIN, Ius imperium auctoritas. Études de droit romain, Roma 1990, pp. 216-218.

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populum creari fas non erat propter religionem sacrorum, in eo tamen propter amplitudinem sacerdoti voluerint populo supplicari. Atque hoc idem de ceteris sacerdotiis Cn. Domitius, tribunus plebis, vir clarissimus, tulit, quod populus per religionem sacerdotia mandare non poterat, ut minor pars populi vocaretur; ab ea parte qui esset factus, is a conlegio cooptaretur» 43. Orbene, la creatio dei sacerdotes, caratterizzata dall’inauguratio, dipendeva dalla cooptatio collegiale o dalla scelta del pontifex maximus e l’intervento della volontà popolare era escluso «propter religionem sacrorum». La creatio dei magistratus, invece, si fondava sull’elezione popolare e la lex curiata veniva mantenuta «auspiciorum causa» 44 per il conferimento del potere. Pertanto, mentre nel sistema romano i sacerdoti non erano mandatari del popolo, tanto è vero che il populus non può creare sacerdoti, i magistrati non solo ricevevano il potere dal popolo ma erano «nella potestà del popolo» 45. La distinzione tra il fondamento del potere sacerdotale e quello del potere magistratuale trae ragion d’essere dalla collocazione su piani distinti del potere divino e del potere del popolo: la titolarità degli auspicia è propria dei 43 Numerose, ulteriori testimonianze pongono il populus a fondamento del potere dei magistrati: «Maiestatem minuere est de dignitate aut amplitudine aut potestate populi aut eorum, quibus populus potestatem dedit, aliquid derogare» (Cic., De inv. 2,17,53); «[…] Nemo mutavit quin ei qui populo agros essent adsignaturi ante acciperent a populo» (Cic., De leg. agr. 2,7,19). Sul punto vedi R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, cit., p. 208 s., il quale pone in rilievo come la posizione dei magistratus «viene rapportata ai concetti procuratio e di gestio fino ad arrivare a fare dire a Cicerone» che «Proprium munus magistratus intellegere se gerere personam civitatis» (Cic., De off. 1,34,124) e che per il magistrato «Salus populi suprema lex esto» (Cic., De leg. 3,3,8). 44 Cic., De leg. agr. 2,27: «Nunc, Quirites, prima illa comitia tenetis, centuriata et tributa, curiata tantum auspiciorum causa remanserunt. Hic autem tribunus plebis quia videbat potestatem neminem iniussu populi aut plebis posse habere, curiatis eam comitiis quae vos non initis confirmavit, tributa quae vestra erant sustulit. Ita cum maiores binis comitiis voluerint vos de singulis magistratibus iudicare, hic homo popularis ne unam quidem populo comitiorum potestatem reliquit». Vedi P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 230 ss.; ID., “Per lo studio dello «ius divinum»”, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, 1, 1962, p. 138 ss.; F. VALLOCCHIA, Collegi sacerdotali ed assemblee popolari nella repubblica romana, Torino 2008, p. 10 s. 45

G. LOBRANO, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, p. 125. L’A. evidenzia la natura potestativa del rapporto tra popolo e magistrati. In tal senso vedi già P. CATALANO, “Il principio democratico in Roma”, in SDHI, 28, 1962, p. 321 ss.; ID., “La divisione del potere in Roma”, cit., passim.

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singoli cives, dei magistrati e dei sacerdoti 46, ma mentre i sacerdoti non sono titolari del potere di consultare la divinità sulla base degli auspici del popolo e le loro auspicazioni «sono qualificabili come auspicazioni di privati» 47, gli auspicia populi si pongono a fondamento degli auspicia magistratuum, qualificati anch’essi come auspicia populi 48. Tuttavia, sebbene il diverso apporto della volontà divina nelle due investiture determini la netta distinzione tra sacerdozi e magistrature, non può concludersi in favore di una separazione tra i due poteri, i quali risultano «incontrarsi nel populus» 49. Secondo quanto correttamente evidenziato dallo Scheid, «la République est effectivement une association de trois partenaires: les dieux, le peuple et les magistrats» 50. Tale dato si ricollega al profondo carattere “popolare” della Romana religio 51 ed è di immediata percezione nella definizione ciceroniana di res publica quale “cosa del popolo”, immediatamente seguita dalla definizione di popolo come “società” 52. 46

Sul concetto di auspicia vedi P. CATALANO, s. v. Auspicia, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1948, p. 424 s.: «il significato giuridico pregnante di auspicia esprime una compenetrazione dei poteri auspicali con i poteri umani, dei quali gli auspicia appunto sono la proiezione sul piano del diritto divino». Dello stesso A. vedi anche, per un’ampia prospettiva, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 438 ss. Da ultimo su questi temi, E. TASSI, Auspicium imperiumque. Sui fondamenti del potere dei magistrati, Roma 2012. 47 P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, cit., p. 133. 48 Vedi Cic., De domo 14,38; De nat. deor. 2,4,11; Liv. 4,2,5. 49 F. VALLOCCHIA, Collegi sacerdotali ed assemblee popolari nella repubblica romana, cit., p. 11. 50 J. SCHEID, “Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdotes et le droit public à la fin de la République”, cit., p. 269 s. 51

Vedi P. CATALANO, “Elementi romani della cosiddetta laicità”, cit., p. 3. Sul punto, anche con riferimento al concetto di “laicità repubblicana-laicità degli antichi” e sulle differenze tra questa e la “laicità dei moderni” vedi G. LOBRANO, “Qualche idea, dal punto di vista del Diritto romano, su origini e prospettive del principio di laicità”, cit. 52

Cic., De re pub. 1,25,39: «Est igitur, inquit Africanus, res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus». In generale su questi temi vedi G. LOMBARDI, “Su alcuni concetti del diritto pubblico romano: civitas, populus, res publica, status rei publicae”, in AG, 126.2, 1941, p. 192 ss.; G. LOBRANO, Res publica res populi, cit., passim; ID., “Dottrina della ‘inesistenza’ della costituzione e ‘modello del diritto pubblico romano’”, in Tradizione romanistica e Costituzione, I, cit., p. 321 ss.; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 56 ss.

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Nel sistema repubblicano il potere di “governo” può, dunque, essere inteso solo in riferimento al potere religioso e tra di essi sussiste una effettiva e costante interlocuzione. La necessaria interazione tra sacerdoti e magistrati propria dell’epoca repubblicana giunge – secondo una precisa linea di continuità – fino all’Impero e, come avremo modo di verificare nelle pagine che seguono, trova espressa formulazione nella praefatio della Novella 6 ove l’interlocuzione tra sacerdotium e imperium è definita con il lemma latino “consonantia” (e greco “συμφωνία”).

5. “LAICITÀ” TRA DIRITTO E RELIGIONE Nella separazione (che è al contempo interazione) tra sacerdotes e magistratus v’è la manifestazione specifica di quel fenomeno che alcuni studiosi ritengono di potere individuare nella “laicità” repubblicana romana. Proprio in questa linea, come poc’anzi accennato, è stata autorevolmente aperta una riflessione critica sul tema “laicità” e sulle sue “radici romane” nell’ambito del XIV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, che ha affrontato il tema «Laïcité entre droit et religion». Prima di addentrarci negli elementi caratterizzanti la “laicità” repubblicana, occorre prestare attenzione al sovrapporre alle concezioni romane idee e schemi a esse estranee. Non può, invero, evitarsi di notare che l’utilizzo del termine “laicità” nel contesto antico – e, in particolare, in relazione al rapporto tra sacerdotes e magistratus (quindi, sacerdotium e imperium) – potrebbe condurre a equivoci e a sovrapposizioni falsificanti 53. 53

Altrettanto pericolosa, anche perché accolta pressoché acriticamente dalla dottrina e con eccezione di alcuni più attenti autori è l’espressione “laicizzazione” per indicare il passaggio della iurisprudentia dal monopolio del collegio sacerdotale dei pontefici a un’attività di interpretazione da parte di privati giureconsulti. Aldilà della correttezza del dato storico, attestato da Pomponio nel frammento dell’Enchiridion riportato in D. 1,2,2,6-7, il luogo comune di “laicizzazione” della giurisprudenza risulta inappropriato proprio alla luce delle fonti. Basti a tal proposito richiamare la nota definizione di Ulpiano in D. 1,1,10,2, dalla quale si evince chiaramente l’unitarietà del sistema giuridico-religioso romano, a cui si ricollega la qualificazione dei giuristi come sacerdotes iustitiae. Sorge allora spontaneo domandarsi come possa essere considerata “laicizzata” una giurisprudenza che ancora nel

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Alcune precisazioni terminologiche (e concettuali) sono, dunque, d’obbligo. “Laicità” è termine che – come è noto – nasce in epoca moderna 54 con la conseguenza che esso risulta assente nelle fonti antiche o comunque, più in generale, nel lessico latino e greco. Quanto all’aggettivo “laico”, esso da un punto di vista etimologico deriva, invece, dall’aggettivo del greco antico “lαιkός” (corrispondente al latino “laicus”), formato a sua volta dal sostantivo greco “λαός” che vuol dire popolo 55. Risulta, dunque, evidente il nesso etimologico (e concettuale) sussistente tra “laicità” e popolo; tuttavia l’autentico significato del termine contrasta con la comune, odierna accezione della “laicità” quale esclusione della religione dalla vita pubblica mediante il relativo confinamento nell’ambito del privato e della coscienza individuale 56. VI secolo è definita come «divinarum atque humanarum rerum notitia». Sul punto vedi le acute riflessioni di F. VALLOCCHIA, Collegi sacerdotali, cit., p. 5: «come si può interpretare questo testo, se si procede dalla prospettiva della secolarizzazione della giurisprudenza intesa quale presupposto della “laicizzazione” dell’intero ordinamento della civitas?». Il concetto di “laicizzazione della giurisprudenza” è presente, tra gli altri, in M. BRUTTI, “La laicizzazione del sapere giuridico fino a Sesto Elio Peto Cato”, in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, a cura di M. Talamanca, II, Milano 1989, p. 331; M. BERTOLISSI-U. VINCENTI, “Laicità e diritto”, in AA.VV., Laicità. Una geografia delle nostre radici, a cura di G. Boniolo, Torino 2006, p. 76 ss. Da ultimo, L. FRANCHINI, “La nozione di «laicità» nella giurisprudenza romana”, in Rivista di Diritto romano, 10, 2010, p. 1 ss. 54 Sul punto vedi A. PALMA, “Identità e laicità nella recente giurisprudenza italiana”, in SDHI, 77, 2011, p. 479, il quale evidenzia che «Quanto al tempo del concepimento del termine ‘laicità’, com’è noto, esso cade intorno alla fine del Medioevo e all’inizio dell’Età Moderna, con la naissance de l’ésprit laïque, e con una accezione, almeno tendenzialmente, negativa e minimale, nel senso, cioè, di ‘ciò che non è’». L’A. a tal proposito ricorda la nota definizione proposta nel Discorso preliminare dell’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, diretta da Diderot e D’Alambert, pubblicata nel XVIII secolo, manifestazione degli ideali dell’illuminismo. 55 Per approfondimenti sul concetto di “laico” nelle fonti greche e romane vedi I. DE LA POTTERIE, “Le concept de laïc dans les sources grecques et romaines”, in Laicità tra diritto e religione, cit., p. 15 ss.; ID., “L’origine et le sens primitif du mot ‘laïc’”, in I. DE LA POTTERIE, S. LYONNET, La vie selon l’Esprit, condition du chrétien, Paris 1965, pp. 13-29. 56 Il Document d’introduction al XIV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” precisa che sebbene il termine “laico”, in aderenza alle antiche fonti, indichi colui il quale appartiene al popolo, in ragione delle «nombreuses significations que le mot a pris aujourd’hui dans la conscience linguistique commune» con esso si è soliti intendere «la condition, l’état, la qualité d’une personne qui, dans une perspective chrétienne, n’appartient ni au clergé ni à un ordre ou à une congrégation religieuse» o, più

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Alla luce dell’autentico significato del termine “laicità” appare evidente come l’odierna accezione dallo stesso assunta sia frutto di un’arbitraria manipolazione delle antiche fonti, posto che essa tende a eliminare la rilevanza pubblica (e popolare) del fattore religioso, non tenendo conto del processo storico di emersione del concetto. Sotto tale profilo preme ribadire come nel sistema romano non esista alcuna forma di monopolio quanto alla consultazione della volontà divina: la titolarità degli auspicia è propria dei singoli cives, dei magistrati e dei sacerdoti e gli auspicia populi si pongono a fondamento degli auspicia magistratuum, qualificati anch’essi come auspicia populi o auspicia publica. Orbene, in un sistema ove tanto i singoli cittadini quanto i magistrati e i sacerdoti sono capaci di entrare in comunicazione con gli Dei, alcun posto potrebbe essere riservato alla “laicità”, almeno nella odierna, comune accezione del termine 57. comunemente, «celui qui s’inspire du laïcisme». Su questi temi, visti da angolature diverse, la letteratura è sterminata, mi limito a richiamare A.C. JEMOLO, “La classifica dei rapporti fra Stato e Chiesa (a proposito di un libro)”, in AG, 119, 1938, p. 3 ss.; G. DALLA TORRE, “Laicità dello Stato. A proposito di una nozione giuridicamente inutile”, in Il primato della coscienza. Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea, Roma 1992; ID., Europa. Quale laicità?, Cinisello Balsamo 2003; ID., “Sana laicità o laicità positiva? “, in AG, 2, 2016, p. 339 ss.; V. MATHIEU, “Il fondamento romano e cristiano della laicità”, in L’identità in conflitto con l’Europa. Cristianesimo, laicità, laicismo, a cura di L. Paoletti, Bologna 2005, p. 157 ss.; M.P. BACCARI, “Imperium e sacerdotium: a proposito di universalismo e diritto romano”, in Le sfide del diritto. Scritti in onore del cardinale Agostino Vallini, a cura di G. Dalla Torre e C. Mirabelli, Soveria Mannelli 2009, p. 258 ss.; F. MACIOCE, Una filosofia della laicità, Torino 2007; AA.VV., Lessico della laicità, a cura di G. Dalla Torre, Roma 2007; C. CARDIA, Le sfide della laicità. Etica, multiculturalismo, islam, Cinisello Balsamo 2007; AA.VV., Laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, Atti del Colloquio Internazionale (Bari 4-5 novembre 2010), a cura di R. Coppola, in Diritto@storia, 10, cit. Sulle recenti applicazioni del cosiddetto “principio di laicità” e sulle sue ricadute operative vedi A. PALMA, “Identità e laicità nella recente giurisprudenza italiana”, cit., p. 479 ss. 57

Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla locuzione “Stato laico”, su cui vedi il discorso di Giorgio La Pira all’Assemblea costituente l’11 marzo 1947: «Non esiste uno Stato agnostico: come si concepisce la realtà umana, come si concepisce la società, così si costruisce la volta giuridica. Ora, se l’uomo ha questa orientazione intrinsecamente religiosa, senza una qualifica, ed allora, che significa laico, se lo Stato è l’assetto giuridico della società? Se l’uomo ha questa intrinseca orientazione religiosa, se necessariamente questa intrinseca orientazione si esprime in comunità religiosa, non esiste uno Stato laico. Esiste uno Stato rispettoso di questa orientazione religiosa e di queste formazioni religiose associate». Vedi G. LA PIRA, Scritti editi, VI, p. 46 ss. (citato da P. CATALANO, “Alcuni principi costituzionali alla luce della dottrina di Giorgio La Pira”, in AA.VV., Tradizione romanistica e Costituzione, I, cit., p. 111 s.); U. DE SIERVO, “Giorgio La Pira e l’elaborazione della

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Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta evidente come l’interpretazione del sistema romano sulla base del concetto di “laicità”, come oggi comunemente (ed erroneamente) inteso, risulti pericolosa in quanto insostenibile sulla base delle fonti e, quel che più conta, inadatta ad afferrare il dato storico giacché, da un lato, oblitera l’elemento popolare e, dall’altro, implica una giuridicità “isolata” dalla morale e dalla religione. A) ELEMENTI ROMANI DELLA “LAICITÀ”: A PROPOSITO DI SACERDOTES, MAGISTRATUS E POPULUS

La “laicità” repubblicana romana si sintetizza nella distinzione tra sacerdotes e magistratus basata sul diverso fondamento del potere, nella costante interazione tra di essi, nel ruolo centrale assegnato al populus e nel profondo carattere popolare (o preferendo il termine di radice greca, potremmo dire “laico”) della Romana religio. Come già rilevato, i magistrati repubblicani sono mandatari del popolo, mentre «populus per religionem sacerdotia mandare non poterat» 58; tuttavia tra di essi v’è una costante collaborazione che si manifesta concretamente nell’esercizio da parte dei sacerdoti di rilevanti funzioni in materia di governo della res publica, nonché dei magistrati in materia di religio 59 e in tale contesto il popolo assume un ruolo centrale. Tali elementi giungono sino all’Impero e, come avremo modo di approfondire nelle pagine che seguono, risultano enunciati nella praefatio della Novella 6 di Giustiniano ove l’interlocuzione repubblicana di sacerdoti e magistrati trova espressa qualificazione in termini di consonantia (συμφωνία). Sacerdotium e imperium, caratterizzati ancora nel VI secolo da un differente fondamento del potere, devono cooperare per l’utilitas degli uomini e, nel quadro di una precisa continuità che consolida una tradizione risalente Costituzione italiana”, in AA.VV., Tradizione romanistica e Costituzione, I, cit., p. 99 ss. Per approfondimenti vedi M.P. BACCARI, “Audizione al Parlamento italiano, I Commissione Affari costituzionali dell’11 gennaio 2007”, in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XV legislatura, p. 24 ss.; p. 41 (ora pubblicata in Chi difende i principi non negoziabili? La voce dei giuristi, I quaderni dell’Archivio Giuridico, 3, a cura di M.P. Baccari, Modena 2011, p. 185 ss.) a proposito dei disegni di legge “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi”. 58 Cic., De leg. agr. 2,7,18. 59 Per indicazioni su fonti e dottrina vedi F. SINI, “Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana”, cit.

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all’epoca più antica, il concetto di consonantia richiama l’idea dell’Impero universale e implica a più riprese la necessità di difendere la religio e il munus sacerdotalis, al fine di garantire la prosperità dell’imperium, oltre che – più in generale – del populus.

6. “SVILUPPO

STORICO” DELLA “SINFONIA” DI SACERDOTIUM E IMPERIUM NELLA LEGISLAZIONE DEL IV SECOLO

Sebbene sia Giustiniano a formulare espressamente la cosiddetta “teoria della sinfonia” tra sacerdotium e imperium, l’idea della profonda collaborazione tra i due poteri, posta a vantaggio della res publica, risulta sottesa anche alla legislazione imperiale precedente, ove la consapevolezza che la fortuna dell’imperium populi Romani dipende dalla scrupolosa osservanza dei doveri religiosi costituisce motivo ricorrente. Pertanto, una volta stabiliti gli strumenti terminologici e concettuali da adoperare può risultare utile allo scopo della presente ricerca tracciare, sia pure nelle grandi linee, lo “sviluppo storico” 60 delle relazioni intercorrenti tra sacerdotium e imperium attraverso alcuni Imperatori vissuti nel corso del IV secolo, al fine di dimostrare come l’idea della “sinfonia” costituisca l’espressione di un leitmotiv che caratterizza stabilmente il divenire giuridico-religioso romano. La scelta di limitare il campo di indagine al IV secolo non è casuale ma è dovuta al fatto che, secondo quanto osservato dal Biondi, proprio in quel periodo si delinea con chiarezza un rapporto tra potere sacerdotale e potere imperiale «che possiamo chiamare di collaborazione» 61, che si concretizza nella previsione di specifiche disposizioni poste tutela di coloro i quali geriscono il munus sacerdotalis, finalizzate a preservare la purezza della loro vita e a evitare che essi vengano sottratti alla cura delle cose divine. In questa prospettiva, altrettanto centrale è il rilievo assegnato all’idea 60 L’espressione è di M.P. BACCARI, “All’origine della sinfonia di sacerdotium e imperium: da Costantino a Giustiniano”, in Laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, Atti del Colloquio Internazionale (Bari 4-5 novembre 2010), cit. 61 B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 206. Sulla legislazione del IV secolo in materia religiosa la letteratura è sterminata vedi per tutti, AA.VV., Legislazione imperiale e religione nel IV secolo, Roma 2000, in particolare il contributo di J. GAUDEMET, “La politique religieuse impériale au IVe siècle (envers les païens, les juifs, les hérétiques, les donatistes)”, p. 7 ss.

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della preghiera62, strettamente connessa alla salvezza dell’imperium e, più in generale, del populus. A riguardo, un dato mi sembra significativo: ancorché tali tematiche assumano una peculiare rilevanza nella legislazione del IV secolo, mette conto evidenziare come esse sollecitino l’attenzione degli Imperatori pure al tempo delle feroci persecuzioni dei cristiani63. In un editto sugli impedimenti matrimoniali del 295, compreso nel titolo de nuptiis del libro V del Codex Gregorianus, Diocleziano statuisce che il favore degli Dei immortali per il nomen Romanum dipende dalla vita pia, religiosa, quieta e casta («pia, religiosaque et quieta et casta») di tutti coloro che agiscono «sub imperio nostro» (Coll. 6,4,1; cfr. ibid. 6) e richiama alla religio, alla sanctitas, alla disciplina e alle leges Romanae (ibid. 4). L’Imperatore utilizza «il concetto di ius Romanum in stretta connessione con gli antichi valori religiosi per riaffermare tali valori nei confronti di tutti gli agentes nell’Impero e con ciò perseguire la linea dell’unificazione giuridica»64. A) «UNDE IUXTA HANC INDULGENTIAM NOSTRAM DEBEBUNT DEUM SUUM ORARE PRO SALUTE NOSTRA ET REI PUBLICAE AC SUA»: L’EDITTO DI GALERIO

«Un documento ufficiale comincia a segnare all’inizio del IV secolo la svolta decisiva nei rapporti dell’Impero romano con la Chiesa: l’editto di Galerio» 65. 62

L’invito a pregare per gli Imperatori è tema costante nella tradizione apostolica e uno dei testi maggiormente significativi si trova nel corpus delle lettere paoline, segnatamente nella prima lettera a Timoteo (I,2,1-4). Per approfondimenti vedi E. CATTANEO, “La preghiera per «coloro che governano»”, in La Civiltà Cattolica, III, 2003, p. 258 ss. 63 All’inizio del III secolo già Tertulliano afferma che si prega per gli Imperatori, per un Impero tranquillo e per un popolo onesto: «[…] precantes sumus semper pro omnibus imperatoribus […] imperium securum […] populum probum» (Tert., Apol. 30,4). Nell’Ad Scapulam 2,1 ss. Tertulliano ricorre al concetto di ius humanum, al fine di rifiutare ogni coazione in materia religiosa e giungere così ad affermare il valore dei sacrifici offerti dai cristiani per la salute dell’Imperatore, vedi M.P. BACCARI, s. v. Diritti umani, cit., p. 363. Sull’importanza della preghiera per la vita dell’imperium vedi anche Hier., Ep. 100,16 (PL 22,827): «Oremus pro piissimis imperatoribus». Sulla base giuridica dei processi e delle condanne inflitte ai cristiani vedi L. SOLIDORO MARUOTTI, “La base giuridica delle persecuzioni dei cristiani”, in Profili storici del delitto politico, Napoli 2002, p. 79 ss. 64 P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 63. 65 P. SINISCALCO, “L’editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce

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Nell’aprile del 311 l’Imperatore pubblica a Nicomedia un provvedimento di straordinaria rilevanza mediante il quale pone fine a una dura fase repressiva di persecuzione nei confronti dei cristiani, riconoscendo loro la libertà di culto. Si tratta di «un fatto di grande importanza per l’unificazione, il consolidamento dell’unità, il recupero dei valori e la comunione tra i diversi popoli intorno alla disciplina romana» 66. Il testo dell’editto, sia pure con diverse varianti, ci è pervenuto nel testo originale latino dal De mortibus persecutorum di Lattanzio e tradotto in greco nella Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea 67. Sin dalle prime battute dell’editto 68 emerge la volontà dell’Imperatore di perseguire i commoda e l’utilitas della res publica («rei publicae commoda della terminologia”, in Atti del X Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Napoli 1995, p. 41. 66 M.P. BACCARI, “All’origine della sinfonia di sacerdotium e imperium: da Costantino a Giustiniano”, cit.; ID., Cittadini popoli e comunione, cit., p. 185 s. In generale, sull’importanza di questo editto, vedi M. AMELOTTI, “Da Diocleziano a Costantino. Note in tema di costituzioni imperiali”, in SDHI, 27, 1961, p. 280 ss.; G. LOMBARDI, “L’editto di Milano del 313 e la laicità dello Stato”, in SDHI, 50, 1984, p. 1 ss.; T. GRÜNEWALD, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, p. 57 ss.; P. SINISCALCO, “L’editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce della terminologia”, cit., p. 41 ss., in part. p. 47 s. Da ultimo M.U. SPERANDIO, Nomen christianum, I, La persecuzione come guerra al nome cristiano, Torino 2009, p. 3 ss., anche per i riferimenti alla bibliografia precedente e alle differenti interpretazioni dell’editto poste in essere dagli studiosi, p. 3, nt. 1; p. 7 ss. 67 Lact., De mort. pers. 34,1-5; Eus., Hist. eccl. 8,17,3-11. Per un confronto puntuale tra il testo di Lattanzio e quello di Eusebio vedi H. HÜLLE, Die Toleranzerlasse römischer Kaiser für das Christentum bis zum Jahre 313, Berlin 1895, p. 420 ss. Sul tempo e sui luoghi di composizione e pubblicazione dell’editto vedi P. SINISCALCO, “L’editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce della terminologia”, cit., p. 41, nt. 1. 68 Si riportano di seguito alcuni passaggi del testo latino: «Inter cetera quae pro rei publicae semper commodis atque utilitate disponimus, nos quidem volueramus antehac iuxta leges veteres et publicam disciplinam Romanorum cuncta corrigere atque id providere, ut etiam Christiani, qui parentum suorum reliquerant sectam, ad bonas mentes redirent, siquidem quadam ratione tanta eosdem Christianos voluntas invasisset et tanta stultitia occupasset, ut non illa veterum instituta sequerentur, quae forsitan primum parentas eorundem constituerant, sed pro arbitrio suo atque ut isdem erat libitum, ita sibimet leges facerent quas observarent, et per diversa varios populos congregarent. […] Ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant. aliam autem epistolam iudicibus significaturi sumus quid debeant observare. Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua, ut undique versum res publica praestetur incolumis et securi vivere in sedibus suis possint» (Lact., De mort. pers. 34,1-5).

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atque utilitas») e il momento centrale è rappresentato dalla concessione dell’indulgentia ai cristiani mediante il riconoscimento della libertà di culto, nei limiti dell’osservanza delle leges veteres e della publica disciplina, precisandosi che i cristiani in diversi luoghi attirano svariati popoli («per diversa varios populos congregarent») 69. Non si indugerà qui a esaminare le implicazioni religiose dell’editto e le motivazioni che hanno indotto Galerio a prevedere siffatte disposizioni 70; allo scopo della presente ricerca è utile sottolineare la portata straordinaria della misura introdotta dall’Imperatore, destinata a incidere notevolmente sulle relazioni tra Impero romano e cristianesimo. Degno di nota è poi che l’editto si chiuda con un sorprendente invito rivolto ai cristiani di pregare il loro Dio per la salute dell’Imperatore, della res publica e di loro stessi («pro salute nostra et rei publicae ac sua»), affinché risulti consolidata l’integrità della res publica ed essi possano vivere sicuri nelle proprie sedi. È di immediata percezione, dunque, la centralità assegnata – da un lato – all’utilitas publica, il raggiungimento della quale costituisce il fine ultimo della disposizione imperiale e – dall’altro – il richiamo, ancora una volta, alla preghiera quale fonte di benefici non solo per l’Imperatore, ma più ampiamente per il popolo. B) «[…] NOBIS ATQUE OMNIBUS QUI SUB POTESTATE NOSTRA SUNT CONSTITUTI, PLACATUM AC PROPITIUM POSSIT EXISTERE»: L’EDITTO DI MILANO

Nel febbraio del 313 Costantino e Licinio a Milano promulgano un editto nel solco di quanto già stabilito da Galerio pochi anni addietro: gli Imperatori accordano a tutti la libertà di seguire la religione che ciascuno crede. Come è noto non disponiamo di un testo preciso ma la notizia e il contenuto dell’editto ci sono stati trasmessi da Lattanzio e da Eusebio di Cesarea 71; 69

Sulla rilevanza di questa espressione, riferita ai cristiani fuori dall’Impero che pure fanno parte della comunione cristiana, e sul concetto di “disciplina romana” anche in riferimento all’editto di Tarracius Bassus del 375-376 vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 31; p. 185 ss. 70 Per una profonda analisi dei nuclei tematici e terminologici dell’editto e con particolare riferimento al binomio leges veteres-publica disciplina Romanorum vedi P. SINISCALCO, “L’editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce della terminologia”, cit., p. 43 ss. 71 Lact., De mort. pers. 48,2-12; Eus., Hist. eccl. 10,5,1-14. Sull’editto di Milano la bibliografia è sterminata, vedi per tutti, G. LOMBARDI, Persecuzioni laicità libertà religiosa. Dall’E-

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ambedue i testi concordano nell’affermare che Costantino e Licinio si fossero riuniti per esaminare e provvedere sui problemi relativi ai commoda e alla securitas publica e abbiano reputato la questione religiosa particolarmente rilevante. In Eusebio si osserva come gli Imperatori ritengano che la libertà religiosa (ἐλευθερία τῆς θρησκεία) non debba essere negata e che ciascuno secondo il proprio discernimento e la propria volontà debba poter trattare le cose religiose. Lattanzio afferma che viene concessa ai cristiani “libera atque absoluta facultas colendae religionis”, aggiungendo che tale facoltà viene riconosciuta anche a tutti gli altri «pro quiete temporis nostri» 72. Baccari osserva a tal proposito come «profondamente rivoluzionario è l’atteggiamento di Costantino a proposito di religio» 73, posto che la libertà religiosa è concessa a tutti affinché la divinità che sta in cielo possa dare pace e prosperità all’imperium e al popolo («qui sub potestate nostra sunt»). Analogamente a quanto riscontrato con riferimento a Galerio, anche nell’editto di Milano due dati assumono un rilievo centrale: da un lato l’utilitas publica costituisce presupposto e fine ultimo della disposizione imperiale, dall’altro la salvezza dell’imperium è strettamente connessa alla difesa della religio. Il ruolo fondamentale attribuito da Costantino ai valori religiosi per la prosperità della res publica si manifesta nell’attenzione riservata dall’Imperatore al sacerdotium; in una lettera al proconsole d’Africa Anulino, Costantino esenta dai munera i chierici dell’ecclesia catholica legata a Roma ditto di Milano alla “Dignitatis humanae”, Roma 1991, p. 119 ss. Da ultimo, M.P. BACCARI, “Costantino Magno, imperatore rivoluzionario? A proposito di religio, pax e matrimonium”, in L’Editto di Costantino 1700 anni dopo. Quaderni di Giornate canonistiche Baresi (Nuova serie), II, a cura di R. Coppola e C. Ventrella, Bari 2015, p. 23 ss. 72 Nota a tal proposito M. SORDI, “Persona e libertà religiosa fra l’editto di Serdica e l’editto di Milano”, in Atti del XVII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Roma 2010, p. 63: «la libertas e la libera facultas colendi la divinità che ciascuno vuole ricorrono continuamente nel testo, che ci fornisce, in un certo senso, la prima definizione di libertà religiosa, che non è affatto tolleranza, ma riconoscimento pieno della libertà di ciascuno di praticare la religione che liberamente ha scelto». 73

M.P. BACCARI, “Costantino Magno, imperatore rivoluzionario? A proposito di religio, pax e matrimonium”, cit., p. 26. Il noto storico Santo Mazzarino definisce Costantino come «il più violento rivoluzionario della storia romana» rilevando che «la sua rivoluzione religiosa è parallela alla sua rivoluzione economico-sociale e alla trasformazione degli ordinamenti militari», vedi S. MAZZARINO, Trattato di storia romana, in G. Giannelli e S. Mazzarino, Roma 1968, p. 423 ss.; p. 431 ss.; p. 450 ss.

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affinché essi non siano sollecitati da alcuna preoccupazione (Eus., Hist. eccl. 10,7,2): se il sacerdotium si mostra incline alla preghiera ne derivano immensi vantaggi per gli affari pubblici 74. Inoltre, in una costituzione del 319, collocata in CTh. 16,2,2, l’Imperatore conferma ai chierici l’esenzione dai munera 75, ancora una volta motivando siffatta disposizione con la necessità che essi non siano sottratti ai servizi divini: «Qui divino cultui ministeria religionis inpendunt, id est hi, qui clerici appellantur, ab omnibus omnino muneribus excusentur, ne sacrilego livore quorundam a divinis obsequiis avocentur». A riguardo il De Giovanni osserva che i provvedimenti nei confronti del sacerdotium assumono a partire da Costantino «un assoluto carattere di universalità» e che «non sono da ascrivere genericamente alla generosità» dell’imperium, ma costituiscono dei «veri e propri atti dovuti […] a vantaggio del bene comune, poiché le fortune dell’Impero dipendono dalla religione» 76. C) LA RINUNCIA DI GRAZIANO AL TITOLO DI PONTIFEX MAXIMUS

Rispetto alla distinzione “repubblicana” tra sacerdoti e magistrati, la cristianizzazione comporta una certa “separazione” tra i due poteri: non più le medesime persone presiedono alla religione e al governo della res publica 77. Giova a tal proposito precisare come il potere del pontifex maximus non 74 Sui nuclei tematici della lettera vedi da ultimo, L. DE GIOVANNI, “L’esperienza giuridica nella tarda antichità”, in L’ordine costituzionale come problema storico, Atti del Convegno della Società Italiana di Storia del Diritto (Parma, 15-16 dicembre 2011), a cura di S. Puliatti, Torino 2016, p. 13. 75 Vedi anche CTh. 16,2,10 del 353 (320?) a proposito delle immunità, tra cui anche quelle dai munera sordida, per i chierici i cui guadagni non erano soggetti a tassazione poiché dovevano essere utilizzati per beneficiare i meno abbienti («ut ecclesiarum coetus concursu populorum ingentium frequentetur»). 76 Sulla politica religiosa di Costantino la letteratura è sterminata; vedi per la varietà degli aspetti in riferimento alle problematiche giuridiche, L. DE GIOVANNI, L’imperatore Costantino e il mondo pagano, Napoli 2003; gli Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana; i Seminari di studi organizzati dall’Università di Sassari su “Tradizioni religiose e istituzioni giuridiche del popolo sardo”: AA.VV., Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini e P.P. Onida, Torino 2003; AA.VV., Costantino prima e dopo Costantino, a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, Bari 2012; AA.VV., Lex et religio. XL Incontro di Studiosi dell’Antichità Cristiana (Roma, 10-12 maggio 2012), Roma 2013. Da ultimo, per alcuni aspetti, V.M. MINALE, Legislazione imperiale e manicheismo da Diocleziano a Costantino: genesi di un’eresia, Napoli 2013, p. 131 ss. 77

Vedi P. CATALANO, “Elementi romani della cosiddetta laicità”, cit., p. 3.

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debba essere confuso con l’imperium, anche se fino al 379 si sarebbero potuti sommare nella medesima persona. Il rapporto tra sacerdotium e imperium viene innovato allorquando Graziano, probabilmente già nel 379 78, rinunzia per la prima volta al titolo di pontifex maximus 79, assunto dagli Imperatori a cominciare da Augusto. A tal proposito il Biondi ha evidenziato come la rinuncia «riguarda la persona di Graziano» ma «si afferma con i suoi successori, per i quali la qualifica di pontefice non è più che un ricordo storico». Si determina così anche la formale separazione della potestà religiosa dalla potestà imperiale sicché «l’imperatore conserva la somma dell’autorità terrena, ed in questa sfera di attività può anche legiferare in materia religiosa, ma come principe, non perché rivestito da alcuna autorità religiosa» 80. D) L’EDITTO CUNCTOS POPULOS (CTH. 16,1,2 = C. 1,1,1)

Tra gli Imperatori del IV secolo Teodosio occupa un ruolo centrale, posto che i provvedimenti più significativi che egli ha adottato concernono proprio la materia religiosa. Al fine di comprendere le motivazioni che hanno spinto l’Imperatore a stabilire specifiche disposizioni in ordine alle questioni attinenti alla religio e al sacerdotium, è utile richiamare la lettera con cui Teodosio per la domenica di Pentecoste del 431 convoca a Efeso Cirillo e gli altri vescovi metropolitani. Si osservi: «½rthtai tÁv e„v qeÕn eÙsebe…av ¹ tÁv ¹metšrav polite…av kat£stasiv kaˆ polÝ taÚtaiv œnesti tÕ suggenšv te kaˆ prosfušv» 81. 78

Sulla datazione della rinuncia di Graziano vedi V. MESSANA, La politica religiosa di Graziano, Roma 1998, p. 82 ss. 79 Vedi Zosim., Hist. 4,35-36; Auson., Grat. Actio 7,35. Sulla rinuncia di Graziano vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 329 ss.; L. DE GIOVANNI, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardo antico: alle radici di una nuova storia, 2007, p. 243. Il termine “pontefice” venne poi utilizzato dai cristiani per indicare il vescovo di Roma vedi F. VAN HAEPEREN, “Des pontifes païens aux pontifes chrétiens. Transformations d’un titre: entre pouvoirs et représentations”, in Revue belge de Philologie et d’Histoire, 81, 2003, p. 137 ss. 80

B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 330. Vaticana 25,1, ACO 1,1,1, p. 114-115. Cfr. D. LASSANDRO, “Ambrogio, Teodosio e il perdono”, in AA.VV., Responsabilità perdono e vendetta nel mondo antico, a cura di M. Sordi, Milano 1998, p. 291 ss., a proposito dell’episodio avvenuto a Milano nel 390 allorquando Ambrogio impedì a Teodosio, colpevole dell’eccidio di Tessalonica, l’ingresso in 81

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Il bene dell’Impero dipende, dunque, dalla religione e v’è una stretta connessione tra l’uno e l’altra: «tali due cose si compenetrano e ciascuna di esse trae vantaggio dall’accrescimento dell’altra e, pertanto, la vera religione è debitrice della giustizia e, a sua volta, l’imperium è debitore della religione e della giustizia» 82. In questo contesto di difesa della religio e dell’imperium, si inserisce l’editto Cunctos populos emanato da Teodosio a Tessalonica nel 380 – indirizzato ad populum urbis Constantinopolitanae e collocato in CTh. 16,1,2 (= C. 1,1,1) 83 – mediante il quale l’Imperatore ordina che tutti i popoli sottoposti alla sua obbedienza seguano la religione «quam divinum Petrum apostolum tradidisse Romanis», formulata «secundum apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et filii et spiritus sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia trinitate». La rilevanza assunta dall’editto Cunctos populos 84 nella storia dei rapporti tra sacerdotium e imperium è stata già ampiamente esaminata dagli studiosi 85; mi limito a evidenziare come nella prospettiva dell’Imperatore del IV Chiesa e gli impose, prima di ammetterlo, pubblica penitenza. Dinanzi a tale spaventoso eccidio, un sinodo, in quei giorni riunito a Milano, condannò l’accaduto e Ambrogio scrisse all’Imperatore una lettera nella quale affermava che egli non avrebbe più celebrato la messa in presenza di chi si era macchiato del sangue di vittime innocenti, ingiungendogli di chiedere perdono a Dio («Peccatum non tollitur nisi lacrimis et paenitentia», Ambr., Ep. 51,11). Sicché Teodosio fece pubblica penitenza nel giorno di Natale. 82 L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano. Saggi sul libro XVI, Napoli 1980, p. 21. 83 CTh. 16,1,2 (= C. 1,1,1): «Cunctos populos, quos clementiae nostrae regit temperamentum, in tali volumus religione versari, quam divinum Petrum apostulum tradidisse Romanis religio usque ad nunc ab ipso insinuata declarat quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum Alexandriae episcopum virum apostolicae sanctitatis, hoc est ut secundum apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et filii et spiritus sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia trinitate credamus». Nel Codex Iustinianus la costituzione in esame è posta all’inizio del primo titolo, de summa trinitate et de fide catholica, del primo libro (C. 1,1,1), dunque a fondamento dell’intero Codice. Vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 210 s. anche per la bibliografia in ordine al diverso valore attribuito alla medesima costituzione nel Codex Theodosianus e nel Codex Iustinianus. 84 Sull’espressione “cunctos populos”, riflesso linguistico dell’universalismo giuridico romano, vedi P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 63 ss.; p. 73 ss. 85 Mi limito a citare, senza alcuna pretesa di completezza, F. DE MARTINO, Storia della costituzione Romana, V, Napoli 1975, p. 530 ss.; J. GAUDEMET, “L’Èglise et l’état au IVe siècle”, in Studi in onore di A. Biscardi, I, Milano 1982, p. 5 ss.; L. DE GIOVANNI, Il libro XVI del Codice Teodosiano. Alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa-Stato, Napoli 1985, p. 32 ss.; A. DI MAURO TODINI, Aspetti della legislazione religiosa del IV seco-

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secolo l’unità nella religione christiana catholica è assunta a fondamento dell’unità dell’Impero. Si stabilisce, infatti, che cuncti populi professino la religione trasmessa dal divino apostolo Pietro, la quale «riceve dall’imperatore la qualificazione di lex»: «l’Imperatore Teodosio vuole mettere in luce il primato di Pietro e della sua sede. Roma è la città nella quale la sede del divino apostolo fu stabilita e dalla quale fu impartito il suo insegnamento, il centro di quella comunità che sola può prendere, come si legge nella costituzione, il nome di ecclesia» 86.

7. GIUSTINIANO E LA CONSONANTIA (συmφωνία) DI SACERDOTIUM RIUM: A PROPOSITO DELLA LEGISLAZIONE NOVELLARE

E IMPE-

Il cammino che abbiamo intrapreso, a partire dalla distinzione repubblicana di sacerdotes e magistratus e passando attraverso il rapporto sacerdotium-imperium come emergente dalla politica religiosa di alcuni Imperatori del IV secolo, ci conduce a Giustiniano. L’Imperatore ci fornisce nella praefatio della Novella 6 una precisa definizione dell’interazione tra potere sacerdotale e potere imperiale, qualificata in termini di “consonantia” (συμφωνία). Come avremo modo di approfondire nelle pagine che seguono, l’intento di Giustiniano è quello di realizzare un’effettiva collaborazione tra sacerdotium e imperium e, quindi, di dare una concreta attuazione all’idea di “sinfonia”. Tale intento risulta evidente alla luce della previsione all’interno della legislazione novellare di specifiche disposizioni volte a garantire che il sacerdotium si renda testimone di onestà e rettitudine, concentrandosi unicamente sulla cura delle cose divine e sulla preghiera funzionale all’ottenimento della benevolenza divina per la res publica. L’obiettivo della presente ricerca è, dunque, quello di individuare le caratteristiche del rapporto tra potere sacerdotale e potere imperiale come delineato da Giustiniano nelle Novellae constitutiones 87. lo, Roma 1990, p. 117 ss.; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 47 ss. Da ultimo, per alcuni aspetti, M.T. CARBONE, “La definizione dello ‘status’ di ‘cristiano’ o ‘cattolico’ e di ‘eretico’, in CTh. 16,1”, Teoria e storia del diritto privato, 10, 2017, p. 12 ss. 86

M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 48 s. Giustiniano adeguandosi a una prassi linguistica da tempo consolidata – posto che Novellae già venivano chiamate le costituzioni non comprese nel Codex Theodosianus – definisce sempre “novellae” le proprie costituzioni post Codicem: «novellae nostrae tam decisiones 87

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Ciò impone di compiere la ricerca mediante un’analisi terminologica: è indispensabile verificare le concrete dinamiche caratterizzanti il rapporto tra i due poteri come emergenti dalle fonti in esame. In questa prospettiva, l’indagine concernerà dapprima le occorrenze del termine consonantia (συμφωνία) nel Corpus iuris civilis, per poi concentrarsi su quelle del lemma sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία) nelle Novelle. Risulta, tuttavia, indispensabile effettuare alcune precisazioni rispetto all’analisi della legislazione novellare che si andrà conducendo. Secondo quanto evidenziato dalla Lanata, per lungo tempo le Novelle «sono state una sorta di Cenerentola all’interno del Corpus iuris civilis giustinianeo» 88: esse sono state oggetto di approfondimento da parte della filologia giuridica 89 in misura non inferiore ai Digesta o al Codex, mentre non hanno suscitato particolare interesse nella dottrina romanistica. Oggi, tuttavia, si nota un’inversione di tendenza, in considerazione dell’interesse mostrato negli ultimi cinquant’anni per la legislazione novellare 90, quam constitutiones, quae post nostri codicis confectionem latae sunt» (C. Cordi, 2). In tal senso vedi anche Nov. 87,1; Nov. 154,1; Ed. 7,4. 88 G. LANATA, “Le ‘Novelle’ giustinianee e la traduzione dell’Autentico: a proposito del ‘Legum Iustiniani Imperatoris Vocabularium’”, in Byzantion, 49, 1979, cit., p. 239. 89 Vedi F.A. BEIENER, Geschichte der Novellen Justinians, Berlin 1823, rist. Aalen 1970; G.E. HEIMBACH, Autenticum Novellarum constitutionum Iustiniani versio vulgata, Lipsiae 1846-1851; K.E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Imperatoris Iustiniani Novellae quae vocantur sive constitutiones quae extra Codicem supersunt ordine chronologico Digestae, I e II, Lipsiae 1881 (Appendix, 1884). 90 Gli studi sulla legislazione novellare si sono arricchiti, negli ultimi cinquant’anni, di numerose indagini; vedi ad es., G. CRIFÒ, Rapporti tutelari nelle Novelle giustinianee, Napoli 1965; E. VOLTERRA, “Sulla Novella XXI di Giustiniano”, in RISG, 17, 1973, p. 1 ss.; F. GORIA, “La Nov. 134,10; 12 di Giustiniano e l’assunzione coattiva dell’abito monastico”, in Studi in onore di G. Grosso, VI, cit., p. 55 ss.; J. MARUHN, “Eine unbekannte Bearbeitung einer justinianischen Novelle”, in Fontes Minores, I, 44-72, 1976, p. 16 ss.; R. LAMBERTINI, I caratteri della Novella 118 di Giustiniano, Milano 1977; D. SIMON-S.P. TROIANOS-G. WEISS, “Zum griechischen Novellenindex des Iulian”, in Fontes Minores, II, 1-29, 1977, p. 1 ss.; R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535: Nov. Iustiniani 8: Venalità delle cariche e riforme dell’amministrazione periferica, Bologna 19893; ID., Studi sull’età giustinianea, Rimini 19902; ID., Ricerche di diritto giustinianeo, Milano 19902; S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano. Lo statuto civile e l’ordinamento militare della prefettura africana, Milano 1980; ID., Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, I, Problemi di diritto pubblico, Milano 1984; ID., Ricerche sulle Novelle di Giustino II. La legislazione imperiale da Giustiniano I a Giustino II, II, Problemi di diritto privato e di legislazione e politica religiosa, Milano 1991; G. LANATA, Legislazione e natura nelle Novelle giustinianee, Napoli 1984; F. CASAVOLA, “Sessualità e matrimonio nelle Novelle giustinianee”, in Mondo classico e cri-

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la quale – per quanto concerne specificamente il tema oggetto della presente indagine – risulta particolarmente preziosa. Difatti, è nelle Novelle che si rinviene la definizione giustinianea del rapporto tra sacerdotium e imperium, delle rispettive competenze, dei caratteri che li contraddistinguono, delle finalità cui le loro azioni sono preordinate e tali fonti offrono un quadro per quanto possibile definito dell’interlocuzione tra i due poteri, che consentirà di dimostrare come quella della consonantia (sumfwn…a) costituisca una teoria giuridico-religiosa concretamente attuata nella realtà del tempo. A tali ragioni risponde, dunque, la scelta restringere il campo di indagine alle Novelle per la disamina delle occorrenze del termine sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία), tanto più che i testi che si intende esaminare non sembrano essere stati oggetto di analisi globale nella prospettiva da noi scelta. Ancora un’ultima precisazione: non è possibile qui, ed esorbiterebbe dal nostro campo, soffermarsi sulle molteplici questioni tutt’oggi aperte che involgono le raccolte della legislazione novellare 91. stianesimo, Roma 1982, p. 183 ss.; D. LIEBS, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien, Berlin 1987, p. 220 ss.; H. JONES, “Justiniani Novellae ou l’autoportrait d’un législateur”, in RIDA, 25, 1988, p. 149 ss.; F. SITZIA, “L’azione nelle Novelle di Giustiniano”, in BIDR, 9899, 1995-1996, p. 171 ss.; E. FRANCIOSI, Riforme istituzionali e funzioni giurisdizionali nelle Novelle di Giustiniano: studi su Nov. 13 e Nov. 80, Milano 1998. Da ultimo AA.VV., Novellae constitutiones. L’ultima legislazione di Giustiniano tra Oriente e Occidente da Triboniano a Savigny, Atti del Convegno internazionale (Teramo, 30-31 ottobre 2009), a cura di L. Loschiavo, G. Mancini, C. Varo, Napoli 2010. In generale sull’attenzione manifestata negli ultimi decenni da parte degli studiosi rispetto alle fonti tardo imperiali vedi F. SITZIA, “Il Syntagma Novellarum di Atanasio ed il Breviarium Novellarum di Teodoro”, in Studi in onore di R. Martini, III, Milano 2009, p. 593. 91 Sulle collezioni delle Novelle vedi P. NOAILLES, Les collections des Novelles de l’empereur Justinien, I, Origines et formation sous Justinien, Paris 1912, e II, La collection graeque des 168 Novelles, Paris 1914; H.J. SCHELTEMA, “Subseciva XI, Das Authenticum”, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 31, 1963, p. 275 ss.; ID., L’enseignement de droit des antécesseurs, Leiden 1970; P. PESCANI, s.v. Novelle di Giustiniano, in Noviss. Dig. it., XI, Torino 1965, p. 444 ss.; N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, aperçu systématique du contenu des Novelles de Justinien, Groningen 1998; P.E. PIELER, “Byzantinische Rechtsliteratur”, in Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, II, [Handbuch der Altertumswissenschaft, XII,5,2], München 1978, p. 409 ss.; p. 425 ss.; p. 436 ss.; W. KAISER, Die Epitome Iuliani Beiträge zum römischen Recht im frühen Mittelalter und zum byzantinischen Rechtsunterricht, Frankfurt 2004, p. 353; p. 360. Per quanto concerne la versione dell’Authenticum vedi il breve glossario di N. TAMASSIA, “Per la storia dell’Autentico”, in Atti dell’Istituto Veneto, 1897-1898, p. 538 ss.; C. LONGO, “Vocabolario delle costituzioni latine di Giustiniano”, in BIDR, 10, 1897-1898; G. SCHERILLO, s.v. Authenticum, in Noviss. Dig. it., I, Torino 1957, p. 1551; R. REGGI, “Per un indice dell’Authen-

Premesse e linee di ricerca

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Mi limito a rilevare che la ricerca terminologica condotta sia sulla Collectio Graeca che sull’Authenticum evidenzia come, almeno per quanto concerne i provvedimenti di nostro interesse, non sussista una significativa divergenza tra i testi greci e quelli latini, i quali si presentano per lo più analoghi, sia dal punto di vista semantico dei termini analizzati, che dal punto di vista concettuale del contesto in cui gli stessi sono adoperati da Giustiniano. Pertanto, lo spoglio delle fonti sarà condotto principalmente sulla base della versione latina dell’Authenticum, fatta eccezione per le costituzioni rilevanti ai fini della nostra analisi e non ricomprese in tale raccolta per le quali si procederà all’analisi del testo greco della Collectio 92. A tal fine, sarà adoperata l’edizione Schoell-Kroll 93 che, come è noto, presenta i testi della Collectio Graeca, nella sua versione “Marciana”, a fronte di quelli latini dell’Authenticum e che, come rilevato dal Van Der Wal 94, è frutto di un eccellente lavoro di collazione dei manoscritti, caratterizzato altresì da una dettagliata valutazione critica dei provvedimenti imperiali.

8. LINEE DI RICERCA Nella prima parte di questo lavoro sarà analizzata la praefatio della Novella 6 mediante la ricostruzione dogmatica della terminologia adoperata da Giustiniano, al fine di valutare le concrete implicazioni normative scaturenti dall’idea di “sinfonia” tra i due poteri. ticum”, in Studi Parmensi, 13, 1967, pp. 165 ss.; G. LANATA, “Le ‘Novellae’ giustinianee e la traduzione dell’Autentico: a proposito del ‘Legum Iustiniani Imperatoris Vocabularium’”, cit., p. 257 s.; A.M. BARTOLETTI COLOMBO, Lessico delle Novellae di Giustiniano nella versione dell’Authenticum A-D, Roma 1983; ID., Lessico delle Novellae di Giustiniano nella versione dell’Authenticum E-M, Roma 1986; F. BRIGUGLIO, “Sull’origine dell’Authenticum”, in AG, 219, 1999, p. 501 ss. Degno di nota è altresì il Legum Iustiniani Imperatoris Vocabularium Novellae: pars Latina, a cura di G.G. Archi e A.M. Bartoletti Colombo, I-X, Milano 1977-1979; pars Graeca, I-VII, Milano 1986-1989. 92 Sulle coincidenze (e divergenze) tra le Novelle nella versione dell’Authenticum e della Collectio Graeca vedi, per alcuni aspetti, F. GORIA, “Le raccolte delle Novelle di Giustiniano e la Collezione greca delle 168 Novelle”, in Diritto@storia, 6, 2007. 93 L’edizione di riferimento è Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, recognovit R. Schoell, opus Schoellii morte interceptum absolvit G. Kroll, Berolini 1895 e successive edizioni. 94 N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., p. XV.

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Premesse e linee di ricerca

Come poc’anzi accennato, sarà altresì condotta una ricerca lessicale sul termine “consonantia” (συμφωνία) nel Corpus iuris civilis che consentirà di individuare le ragioni, anche di natura giuridica, che hanno indotto l’Imperatore del VI secolo all’utilizzo dello stesso. Tale analisi consentirà di tracciare la linea di continuità che caratterizza il divenire istituzionale giuridico-religioso romano: dall’antico rapporto tra sacerdoti e magistrati repubblicani alla nuova “teoria della sinfonia” di sacerdotium e imperium. Nella seconda parte del lavoro verrà condotta un’analisi terminologicoconcettuale, rispondente all’obiettivo di ricostruire un quadro generale degli usi di sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία) nelle Novelle e, conseguentemente, di definire le concrete dinamiche del rapporto tra il potere sacerdotale e il potere imperiale nel VI secolo. L’analisi delle occorrenze del termine sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία) nelle Novelle verrà condotta utilizzando un criterio funzionale all’individuazione e alla valutazione delle implicazioni normative derivanti dall’uso del termine nelle fonti esaminate, quale punto di partenza per una riflessione che consenta di ricostruire i concetti sottesi alla terminologia e al contempo di individuare alcuni principi che resistono al divenire storico.

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PARTE I

LA “SINFONIA”: A PROPOSITO DI SACERDOTIUM E IMPERIUM

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La “sinfonia”: a proposito di sacerdotium e imperium

Sacerdotium e imperium nella praefatio della Novella 6

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CAPITOLO I SACERDOTIUM E IMPERIUM NELLA PRAEFATIO DELLA NOVELLA 6

SOMMARIO: 1. La praefatio della Novella 6. – 2. «Maxima quidem in hominibus sunt dona dei»: sacerdotium e imperium. – 3. L’origine di sacerdotium e imperium. – A) “Origine” e “fondamento” del potere: una distinzione necessaria. – a) Gli antecedenti di sacerdotium e imperium (sacerdotes e magistratus): una linea di continuità nel differente fondamento del potere. – b) Fondamento divino del sacerdotium (Nov. 6,1,5; Nov. 6,1,9). – c) Fondamento popolare dell’imperium (D. 1,4,1 pr.; C. Deo Auctore,7; Nov. 62 praef.). – d) Aspetto divino dell’imperium. – e) Coesistenza dell’aspetto umano e dell’aspetto divino dell’imperium. – 4. Le competenze di sacerdotium e imperium. – 5. I caratteri di sacerdotium e imperium. – 6. Unità e distinzione: Dio e popolo.

1. LA PRAEFATIO DELLA NOVELLA 6 Nella praefatio della Novella 6 1 del 535 2, indirizzata a Epifanio, archiepiscopus Constantinopolitanus 3, rubricata Quomodo oporteat episcopos et 1 N. VAN DER WAL, “La versione Florentine de la Collection des 168 Novelles”, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 49, 1981, p. 149 ss., evidenzia come la Novella 6 sia stata inserita nella Collectio delle 168 Novelle sulla base del manoscritto Marcianus graecus 179, mentre invece risulti assente nel manoscritto Laurentianus plut. LXXX, 4. 2 Esula dai fini della presente ricerca la questione relativa alla datazione delle Novelle, per cui si rinvia alle proposte di sistemazione cronologica di K.E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Imperatoris Iustiniani Novellae quae vocantur, cit.; Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit.; N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit. E ciò anche in considerazione del fatto che le datazioni proposte per le Novelle esaminate nel corso della presente indagine, pur oscillando lievemente, non fuoriescono dai limiti cronologici considerati. 3 Sulla figura di Epifanio, patriarca di Costantinopoli, succeduto a Giovanni II nel febbraio del 520, vedi E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, De la disparition de l’Empire d’Occident à la mort de Justinien (476-565), Paris-Bruges 1949, rist. Amsterdam 1968, p. 230 ss. Sulla prassi giustinianea di indirizzare le costituzioni a Epifanio vedi F.M. DE ROBERTIS, “Sull’accesso delle donne agli ordini sacri”, in Atti dell’VIII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1990, p. 503.

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La “sinfonia”: a proposito di sacerdotium e imperium

reliquos clericos ad ordinationem deduci, Giustiniano tratta del rapporto tra sacerdotium e imperium (ἱερωσύνη e βασιλεία). Si riporta di seguito il testo latino e il testo greco. «Maxima quidem in hominibus sunt dona dei a superna collata clementia sacerdotium et imperium, illud quidem divinis ministrans, hoc autem humanis praesidens ac diligentiam exhibens; ex uno eodemque principio utraque procedentia humanam exornant vitam. Ideoque nihil sic erit studiosum imperatoribus, sicut sacerdotum honestas, cum utique et pro illis ipsis semper deo supplicent. Nam si hoc quidem inculpabile sit undique et apud deum fiducia plenum, imperium autem recte et competenter exornet traditam sibi rempublicam, erit consonantia quaedam bona, omne quicquid utile est humano conferens generi»; «Μέγιστα ἐν ἀνθρώποις ἐστὶ δῶρα θεοῦ παρὰ τῆς ἄνωθεν δεδομένα φιλανθρωπίας ἱερωσύνη τε καὶ βασιλεία, ἡ μὲν τοῖς θείοις ὑπηρετουμένη, ἡ δὲ τῶν ἀνθρωπίνων ἐξάρχουσά τε καὶ ἐπιμελομένη, καὶ ἐκ μιᾶς τε καὶ τῆς αὐτῆς ἀρχῆς ἑκατέρα προϊοῦσα καὶ τὸν ἀνθρώπινον κατακοσμοῦσα βίον. ὥστε οὐδὲν οὕτως ἂν εἴη περισπούδαστον βασιλεῦσιν ὡς ἡ τῶν ἱερέων σεμνότης, εἴγε καὶ ὑπὲρ αὐτῶν ἐκείνων ἀεὶ τὸν θεὸν ἱκετεύουσιν. Εἰ γὰρ ἡ μὲν ἄμεμπτος εἴη πανταχόθεν καὶ τῆς πρὸς θεὸν μετέχοι παρρησίας, ἡ δὲ ὀρθῶς τε καὶ προσηκόντως κατακοσμοίη τὴν παραδοθεῖσαν αὐτῇ πολιτείαν, ἔσται συμφωνία τις ἀγαθή, πᾶν εἴ τι χρηστὸν τῷ ἀνθρωπίνῳ χαριζομένη γένει». Nella prospettiva universalista dell’Imperatore il sacerdotium e l’imperium sono stati donati da Dio agli uomini, rappresentano realtà istituzionali distinte sia in relazione ai caratteri che li contraddistinguono, che ai compiti specifici loro assegnati e la necessità che tra di essi intercorra “bona consonantia” (συμφωνία τις ἀγαθή) è funzionale al perseguimento dell’utilitas del genere umano.

2. «MAXIMA QUIDEM IN HOMINIBUS SUNT DONA DEI»: SACERDOTIUM E IMPERIUM

Nella praefatio della Novella 6 Giustiniano afferma anzitutto che sacerdotium e imperium rappresentano i massimi doni elargiti dalla clementia (φιλανθρωπία) 4 di Dio agli uomini. 4

È frequente nelle Novelle il riferimento alla clementia divina (φιλανθρωπία) correla-

Sacerdotium e imperium nella praefatio della Novella 6

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Orbene, l’Imperatore nel qualificare sacerdotium e imperium adopera il concetto di donatio 5: entrambi i poteri sono stati concessi in donazione da Dio agli uomini. A ben vedere, peraltro, dopo poche battute Giustiniano utilizza nuovamente il concetto di donatio, allorquando statuisce che dall’onestà dei sacerdoti discendono “maxima dona” provenienti da Dio e posti a beneficio dell’intera res publica: «Nos igitur maximam habemus sollicitudinem circa vera dei dogmata et circa sacerdotum honestatem, quam illis obtinentibus credimus quia per eam maxima nobis dona dabuntur a deo, et ea, quae sunt, firma habebimus, et quae nondum hactenus venerunt, adquirimus» 6. L’honestas (σεμνότης) dei sacedotes si pone, dunque, come condizione del favor divino cui consegue la prosperità dell’imperium e, più ampiamente, della res publica. La rilevanza assegnata dall’Imperatore ai doni concessi da Dio agli uomini risulta evidente anche al cap. 1 della Novella 14 del 535, indirizzata agli abitanti di Costantinopoli e rubricata De lenonibus, ove Giustiniano afferma di voler proibire e punire lenocinium 7 tanto a Costantinopoli quanto ta, in particolare, alla utilitas del populus, vedi Nov. 37,11: «homines qui tam laudabiles tamque deo acceptabiles actus et pias facere oblationes deproperant satis et nos laudamus et dei caelestis remuneratur clementia»; Nov. 80 praef.: «Semper cum dei auxilio omnem facimus providentiam, ut subiecti ab eius clementia traditi nobis illaesi serventur»; «Ἀεὶ μετὰ τῆς ἐκ θεοῦ βοηθείας πᾶσαν ποιούμεθα πρόνοιαν τοῦ τὸ ὑπήκοον τὸ παρὰ τῆς αὐτοῦ φιλανθρωπίας παραδοθὲν ἡμῖν ἀβλαβὲς φυλάττεσθαι». 5 Sull’utilizzo del concetto di donatio con riferimento a sacerdotium e imperium nella praefatio della Nov. 6 vedi F. VALLOCCHIA, “Sul concetto giuridico di ‘consonantia’”, in BIDR, 105, 2011, p. 309. L’A. pone in rilievo come attraverso l’espressione “dona collata” Giustiniano abbia riproposto la terminologia utilizzata dai giuristi per descrivere i caratteri della donazione: «Circa l’indicazione del destinatario dei ‘maxima dona’, la forma adottata nella Novella non segue il modello che dalle fonti emerge in relazione alla donatio; infatti, in luogo dell’accusativo del donatario, come richiesto dalla formulazione ordinaria riscontrabile nelle fonti giuridiche, nel testo della Novella appare la preposizione ‘in’ seguita dall’ablativo plurale di ‘homo’». Tale rilievo, continua l’A., troverebbe spiegazione nella «caratteristica di diffusione tra tutti gli uomini di sacerdozio ed Impero, secondo la duplice prospettiva di esercizio, da parte di taluni, e di effetti, nei confronti di tutti; in hominibus appunto». 6 Nov. 6 praef.: «Ἡμεῖς τοίνυν μεγίστην ἔχομεν φροντίδα περί τε τὰ ἀληθῆ τοῦ θεοῦ δόγματα περί τε τὴν τῶν ἱερέων σεμνότητα, ἧς ἐκείνων ἀντεχομένων, πεπιστεύκαμεν, ὡς δι' αὐτῆς μεγάλα ἡμῖν ἀγαθὰ δοθήσεται παρὰ θεοῦ, καὶ τά τε ὄντα βεβαίως ἕξομεν τά τε οὔπω καὶ νῦν ἀφιγμένα προσκτησόμεθα». 7 Ampia attenzione è dedicata al tema della prostituzione a Roma da L. SOLIDORO MARUOTTI, “La prostituzione femminile nel diritto imperiale”, in I percorsi del diritto: esempi di evoluzione storica e mutamenti del fenomeno giuridico, II, Torino 2014, p. 3 ss.; S. PULIATTI, “Quae ludibrio corporis sui quaestum faciunt. Condizione femminile, prostituzione e lenocinio nelle

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nelle province «quae ab initio nostrae sunt reipublicae et quae nunc a domino Deo donata sunt», poiché la castità delle donne rappresenta una preoccupazione costante per l’Imperatore che desidera preservare la purezza dei doni concessi da Dio («[…] eo quod dei dona, quae circa nostram fecit rempublicam, volumus conservari pura ab omni tali necessitate, et domini dei circa nos munere esse et permanere digna» 8).

3. L’ORIGINE DI SACERDOTIUM E IMPERIUM Dopo aver premesso che il donator di sacerdotium e imperium è Dio nella sua “superna clementia”, Giustiniano si sofferma sull’origine dei due poteri e afferma che «ex uno eodemque principio utraque procedentia humanam exornant vitam». È significativo che l’Imperatore adoperi il termine principium (αρχή) con riferimento al sacerdotium e all’imperium; si tratta di un concetto fondamentale espresso nel celebre frammento di Gaio, riportato nelle prime pagine dei Digesta («[…] et certe cuiusque rei potissima pars principium est», D. 1,2,1) 9 e il cui significato va interpretato come inizio che ha in sé l’origine di ciascun istituto del sistema giuridico. fonti giuridiche dal periodo classico all’età giustinianea”, in Da Costantino a Teodosio il Grande. Cultura, società, diritto, Atti del Convegno Internazionale (Napoli 26-28 aprile 2001), a cura di U. Criscuolo, Napoli 2003, p. 31 ss. Sulla Novella 14 vedi J.E. SPRUIT, “L’influence de Théodora sur la législation de Justinien”, in RIDA, 24, 1977, p. 389 ss., in part. p. 408; H. JONES, “Justiniani Novellae”, cit., p. 149 ss., in part. p. 172. Da ultimo, L. SANDIROCCO, “Giustiniano e le mulieres scaenicae. Una rilettura della Novella 14 del 535”, in SDHI, 83, 2017, p. 165 ss. 8 Nov. 14,1: «[…] τε ἐξ ἀρχῆς τῆς ἡμετέρας οὖσι πολιτείας τοῖς τε νῦν παρὰ τοῦ δεσπότου θεοῦ δεδωρημένοις ἡμῖν· καὶ μάλιστά γε ἐν ἐκείνοις, διότι τὰς τοῦ θεοῦ δωρεάς, ἃς περὶ τὴν ἡμετέραν ἐποιήσατο πολιτείαν, βουλόμεθα φυλάττεσθαι καθαρὰς πάσης τοιαύτης ἀνάγκης καὶ τῆς παρὰ τοῦ δεσπότου θεοῦ περὶ ἡμᾶς δωρεᾶς εἶναί τε καὶ διαμένειν ἀξίας». 9 Su questo frammento, tratto dal commento di Gaio alle XII Tavole, vasta è la letteratura, vedi per tutti, F. GALLO, “La storia in Gaio”, in Il modello di Gaio nella formazione del giurista (Atti Convegno 4-5 maggio 1978 in onore di S. Romano), Torino 1981, p. 71 ss.; S. SCHIPANI, “Principia iuris. Potissima pars principium est. Principi generali del diritto. Schede sulla formazione di un concetto”, in Nozione formazione e interpretazione del diritto, dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo, Napoli 1997, p. 631 ss. In particolare, sul significato di principium nel frammento gaiano vedi L. LANTELLA, “Potissima pars principium est”, in Studi in onore di C. Sanfilippo, IV, Milano 1983, p. 298 ss.; O. DILIBERTO, “La Legge delle XII Tavole nel Basso Impero”, in Koinonia, 38, 2014, p. 241: «il principium è la potissima pars del tutto, cioè la parte prevalente del diritto nel suo complesso».

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È in questa prospettiva che va, quindi, inteso il principium che accomuna sacerdotium e imperium, che si ricollega all’aspetto divino del potere imperiale e che può essere correttamente inteso solo se valutato in coerenza con quanto emerge dal dettato delle fonti. A) “ORIGINE” E “FONDAMENTO” DEL POTERE: UNA DISTINZIONE NECESSARIA

Al fine di evitare fraintendimenti occorre operare una preliminare distinzione tra il concetto di “origine” e quello di “fondamento” del potere, posto che generalmente la dottrina con riferimento all’imperium tende a confondere tali concetti ed è proprio a questa confusione che, a mio avviso, vanno addebitati i principali pregiudizi che hanno segnato nel tempo lo studio di questi temi. Da questo punto di vista, fondamentale rilievo assume quanto osservato dal De Francisci proprio riguardo alla necessità di tenere distinto il concetto di «origine divina del potere» da quello di «attribuzione» e «conferimento della potestas» all’Imperatore, trattandosi di concetti che spesso «si fondono o confondono» tra loro 10. a) GLI ANTECEDENTI DI SACERDOTIUM E IMPERIUM (SACERDOTES E MAGISTRATUS): UNA LINEA DI CONTINUITÀ NEL DIFFERENTE FONDAMENTO DEL POTERE

Tale riflessione (im)pone di richiamare ancora una volta gli antecedenti di sacerdotium e imperium, rappresentati in epoca repubblicana da sacerdotes e magistratus. Come già rilevato nelle pagine che precedono, i due termini richiamano la tripartizione ulpianea dello ius publicum di D. 1,1,1,2 oltre che il pensiero di Cicerone. La distinzione tra sacerdoti e magistrati è segnata fin dall’epoca più antica dalla diversità di fondamento dei poteri, correlata al differente apporto della volontà divina nelle relative investiture: l’inauguratio è propria della “investitura” sacerdotale e la lex curiata viene mantenuta “auspiciorum causa” per il conferimento del potere ai magistrati. Viceversa, dalla “investitu10 P. DE FRANCISCI, Arcana imperii, III.II, Roma 1970, p. 86. Mette conto rilevare come sebbene l’A. inquadri la problematica in esame in una prospettiva corretta, perviene a talune conclusioni non condivisibili in ordine alla legittimazione del potere imperiale, su cui vedi infra, nt. 28.

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La “sinfonia”: a proposito di sacerdotium e imperium

ra” dei sacerdoti è escluso l’intervento della volontà popolare, tanto è vero che il populus non può creare sacerdoti 11. Tuttavia, fermo restando il diverso apporto della volontà divina nelle due investiture, sarebbe errato concludere in favore di una separazione tra sacerdozi e magistrature, posto che il sistema repubblicano si caratterizza per una costante interazione tra i due poteri funzionale al perseguimento dell’utilitas della res publica. Allo stesso modo, secondo una precisa linea di continuità che lega l’epoca repubblicana all’epoca imperiale, va interpretato il fondamento di sacerdotium e imperium: nella praefatio della Novella 6 alla comune origine divina dei due poteri, i quali procedono «ex uno eodemque principio», corrisponde un differente fondamento, che è divino per il primo e popolare per il secondo. b) FONDAMENTO DIVINO DEL SACERDOTIUM (NOV. 6,1,5; NOV. 6,1,9)

Quanto al sacerdotium – così come durante l’epoca repubblicana la creatio dei sacerdotes dipendeva dalla cooptatio collegiale o dalla scelta del pontifex maximus – nel VI secolo il fondamento del potere resta divino, secondo quanto emerge al cap. 1,5 della Novella 6 ove è chiarito che l’ordinazione sacerdotale è concessa direttamente da Dio («Sed neque pecuniis [oportere] emere sacerdotium ei permittimus, solum vero respicere cum domini dei culturam volumus» 12). Il fondamento divino del sacerdotium è altresì chiarito al cap. 1,9 della medesima costituzione («et hanc non pecuniis emere neque per rerum aliquarum dationem suscipere, sed puram percipere et sine mercede, tamquam a deo datam» 13).

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Cic., De leg. agr. 2,7,18; su queste tematiche vedi supra, Premesse e linee di ricerca, par. 4. 12 Nov. 6,1,5: «Ἀλλ’ οὐδὲ χρημάτων ὠνήσασθαι τὴν ἱερατείαν αὐτῷ συγχωροῦμεν, μόνῃ δὲ προσέχειν αὐτὸν τῇ τοῦ δεσπότου θεοῦ θεραπείᾳ βουλόμεθα».

Nov. 6,1,9: «καὶ ταύτην μὴ χρημάτων ὠνεῖσθαι μηδὲ διὰ πραγμάτων τινῶν δόσεως λαμβάνειν, ἀλλὰ καθαρὰν δέχεσθαι καὶ ἄμισθον, οἷα παρὰ θεοῦ δεδομένην». 13

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c) FONDAMENTO POPOLARE DELL’IMPERIUM (D. 1,4,1 PR.; C. DEO AUCTORE,7; NOV. 62 PRAEF.)

Quanto all’imperium, all’origine divina corrisponde un fondamento popolare del potere: in continuità con l’epoca repubblicana durante la quale la creatio dei magistratus si fondava sull’elezione popolare, nel VI secolo l’imperium si basa ancora sullo iussum conferito dal populus all’Imperatore, secondo quanto chiaramente emerge dall’analisi delle fonti. Nel dettaglio, il fondamento popolare del potere imperiale risulta evidente non solo in D. 1,4,1 pr. ma altresì nella costituzione Deo auctore del 15 dicembre 530 con cui viene ordinata la compilazione dei Digesta 14. Nel principium di D. 1,4,1 si legge che sulla base di una lex regia, «quae de imperio eius lata est», l’imperium è concesso all’Imperatore dal popolo: «Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum lege regia, quae de imperio eius lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat» 15. Nel paragrafo 7 della costituzione Deo Auctore emerge l’idea dello iussum conferito dal popolo all’Imperatore, sulla base del quale questi è tenuto a gerire il potere per conto del popolo stesso: «Cum enim lege antiqua, quae regia nuncupabatur, omne ius omnisque potestas populi romani in imperatoriam translata sunt potestatem, nos vero sanctionem omnem non dividimus in alias et alias conditorum partes, sed totam nostram esse volumus, quid possit antiquitas nostris legibus abrogare?». Analogamente il fondamento popolare del potere imperiale emerge dalla praefatio della Novella 6 ove all’imperium è attribuito il compito di reggere la res publica che gli è stata affidata dal popolo («[…] imperium autem recte et competenter exornet traditam sibi rempublicam»). Inoltre, il fondamento popolare dell’imperium risulta precisato dalla praefatio della Novella 62 16 del 537, indirizzata a Giovanni, praefectus prae14

Su questi temi la bibliografia è sterminata; mi limito a richiamare per una recente ricognizione, L. HECKETSWEILER, La fonction du peuple dans l’Empire romain. Réponses du droit de Justinien, Paris 2009, p. 1 ss. 15 Giustiniano utilizza la rappresentazione ulpianea anche nelle Institutiones, mutandone però la forma verbale e il tempo: «Sed et quod principi placuit legis habet vigorem, cum lege regia quae de imperio eius lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem concessit» (Inst. 1,2,6). Per approfondimenti vedi G. NOCERA, “La teoria dell’assolutismo imperiale in un testo giuridico bizantino”, in RISG, 12, 1937, p. 251 ss.; L. CHIAZZESE, Confronti testuali. Contributo alla dottrina delle interpolazioni giustinianee, parte generale, Cortona 1931, p. 414 s.; P. CATALANO, “Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico”, cit., p. 36. 16 Su Nov. 62 vedi P. GARBARINO, Contributo allo studio del senato in età giustinianea, Napoli 1992, passim; spec. p. 5 ss. per una profonda analisi del testo della praefatio; L. PEPPE, s. v. Popolo (dir. rom.), in Enc. dir., XXXIV, Milano 1983, p. 318 s.

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torio 17, rubricata De senatoribus, ove si osserva che: «Postea vero quam ad maiestatem imperatoriam ius populi Romani et senatus felicitate reipublicae translatum est». Nel quadro di una valutazione della storia di Roma dalla repubblica al principato, Giustiniano nella praefatio della Novella 62 ricorda la preminenza rivestita dal senatus nei tempi antichi: «Antiquissimis temporibus Romani senatus auctoritas tanto vigore potestatis effulsit, ut eius gubernatione domi forisque habita iugo Romano omnis mundus subiceretur, non solum ad ortus solis et occasus, sed etiam in utrumque latus orbis terrae Romana dicione propagata: communi etenim senatus consilio omnia agebantur». Dopo aver rilevato come l’auctoritas del senato 18 si fosse così accresciuta da riuscire ad assoggettare l’orbis terrae 19 alla dominazione romana, l’Imperatore – ponendosi in una prospettiva di stretta connessione tra «l’innovazione» e «un antico fondamento storico» 20 – richiama i tempi più recenti in cui si sarebbe verificato il trasferimento dello ius populi Romani et senatus 21 all’imperatoria maiestas per il bene della res publica 22. 17

Sulla figura di Giovanni di Cappadocia, praefectus praetorio Orientis, vedi J.R. MARThe Prosopography of the Later Roman Empire, A.D. 527-641, vol. III A, Cambridge 1992, p. 627 ss. Per ulteriori approfondimenti vedi E. STEIN, “Justinian, Johannes der Kappadozier und das Ende des Konsulats”, in Byzantinische Zeitschrift, 30, 1929-1930, p. 376 ss.; P. LAMMA, “Giovanni di Cappadocia”, in Aevum, 21, 1947, p. 80 ss.; R. BONINI, “L’età giustinianea”, in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, cit., pp. 681-684; S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano. Lo statuto civile e l’ordinamento militare della prefettura africana, cit., p. 4 ss. 18 Sul ricordo operato da Giustiniano all’antica autorità e al senato vedi P. DE FRANCISCI, Arcana imperii, III.II, cit., p. 192, nt. 7; V. MAROTTA, Ulpiano e l’Impero, cit., p. 18 s. il quale osserva come la praefatio della Novella 62 «scandisce in poche battute le tappe principali dello sviluppo della costituzione romana. L’auctoritas del senato si era accresciuta a tal punto che sotto la sua guida il mondo intero era stato assoggettato alla dominazione romana e ogni cosa era condotta secondo il commune consilium dell’assemblea». Sul ruolo del senato in epoca imperiale vedi U. VINCENTI, “Note sull’attività giudiziaria del senato dopo i Severi”, in Labeo, 33, 1986, p. 55 ss.; spec. p. 64 s. 19 Sull’espressione “orbis terrae” adoperata da Giustiniano nella praefatio della Nov. 62 che riflette un’idea di “totalità” vedi F. LANCIOTTI, “Lo ‘spazio romano’ nella terminologia delle fonti giuridiche giustinianee”, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., p. 355. 20 P. CATALANO, s. v. Giustiniano, in Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, p. 749. Nelle Novelle giustinianee sono presenti diverse praefationes caratterizzate da notazioni storicogiuridiche, vedi ad es. Novv. 24; 25; 89 e 105. Per approfondimenti, H. HUNGER, Prooimion elemente der byzantinischen Kaiseridee in den Arengen der Urkunden, Wien 1964, p. 173 ss. 21 Si tratta dell’unica ricorrenza nelle Novelle in lingua latina del termine populus Romanus, sul punto vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 149. TINDALE,

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Risulta, dunque, evidente come – secondo quanto rilevato dal Bretone – non sussista alcuna frattura «ma uno sviluppo continuo, fra repubblica e Impero, senato e principe» e come il nesso storico «fra quei due ordinamenti, e fra gli organi fondamentali che li rappresentano» si esprima «attraverso il concetto di una delega “popolare” della sovranità» 23. d) ASPETTO DIVINO DELL’IMPERIUM

L’aspetto divino dell’imperium, che si ricollega alla comune origine dei due poteri, è chiarito dalla tripartizione dello ius publicum e specificato nella Novella 6 quanto al rapporto tra sacerdotium e imperium 24. A ben vedere, peraltro, tale aspetto emerge con particolare evidenza nella legislazione novellare: nella praefatio della Novella 73 del 538 si legge

22 Nel richiamo alla translatio del ius populi Romani et senatus è evidente il collegamento tra D. 1,4,1 pr., C. Deo Auctore,7 e Nov. 62 praef. Tre particolarità degne di nota emergono dal confronto tra le suddette fonti: va anzitutto rilevato che mentre D. 1,4,1 pr. e C. Deo Auctore,7 richiamano espressamente la lex de imperio, il riferimento è invece implicito nella praefatio della Nov. 62 ove viene posto in risalto il ruolo svolto dal populus, contitolare insieme al senato dello ius poi trasferito all’Imperatore. Inoltre, la praefatio della Nov. 62 – nel riferirsi, sia pure implicitamente, alla lex de imperio – richiama accanto alla figura del popolo anche quella del senato, a differenza di D. 1,4,1 pr. e di C. Deo Auctore,7 ove non si parla affatto del senato e viene menzionato solo il populus. Più precisamente, mentre ricorre la locuzione “ius populi Romani et senatus”, in C. Deo Auctore,7 viene menzionato solo il populus («populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat») e in D. 1,4,1 pr. si rinviene la locuzione “ius omnisque potestas”. Per approfondimenti vedi P. GARBARINO, Contributo allo studio del senato, cit., p. 5 ss. L’A. è di recente tornato sul tema in “Lex de imperio o Deo auctore? Giustiniano e il fondamento del potere imperiale”, in Legal Roots. The International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law, 7, 2018, p. 256 ss. 23 M. BRETONE, Tecniche e ideologie, cit., p. 48. Cfr. P. GARBARINO, Contributo allo studio del senato, cit., p. 14, il quale considera Nov. 62 praef. come riprova dell’intento di Giustiniano di mettere in ombra il popolo esaltando, per contro, il ruolo del senato: il populus sarebbe menzionato quale semplice “contitolare” assieme al senatus dello ius trasferito all’Imperatore; L. PEPPE, s. v. Popolo, cit., p. 318 s., secondo cui il richiamo al popolo andrebbe ivi inteso come espressione di una duplice dialettica: da un lato la dialettica senatus/populus tipica dell’età repubblicana «con la prevalenza del senato» e dall’altro la dialettica populus-senatus/princeps propria dell’Impero «con la prevalenza sempre più decisa dell’Imperatore». 24 Vedi P. CATALANO, “Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico”, cit., p. 37. Sull’aspetto divino del potere vedi anche L. DE GIOVANNI, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico: alle radici di una nuova storia, cit., p. 149; ID., “L’esperienza giuridica nella tarda antichità”, cit., p. 14.

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che «Quia igitur imperium propterea deus de caelo constituit» e nel medesimo senso depongono il cap. 1,1 della Novella 47 del 537 («Sicque in omnibus nominentur imperii anni et nostri, in quantum eos deus elongaverit»), il cap. 2,1 della Novella 112 del 541 («ut undique nostro imperio superna maiestate [divinitate] crediti pro sua indemnitate laetentar») e il cap. 3 della Novella 113 del 541 («imperium deo dante») 25. In questa prospettiva al cap. 2,4 della Novella 105 del 536 si osserva che «Omnibus enim a nobis dictis imperatoris excipiatur fortuna, cui et ipsas deus leges subiecit, legem animatam eum mittens hominibus» 26: è, dunque, Dio ad aver inviato l’Imperatore agli uomini come lex animata. e) COESISTENZA DELL’ASPETTO UMANO E DELL’ASPETTO DIVINO DELL’IMPERIUM

Chiarita la distinzione tra il concetto di “origine” e quello di “fondamento” del potere, mette conto rilevare come gran parte della dottrina romanistica tenda a confonderli, ritenendo che il passaggio dall’epoca repubblicana e quella imperiale abbia segnato un profondo mutamento circa il fondamento dell’imperium. Si tratta senza dubbio di un’interpretazione che non solo risente dell’errata sovrapposizione tra il concetto di “origine” e quello di “fondamento” del potere, ma che altresì mira a recidere la tracciata linea di continuità tra l’epoca repubblicana e l’epoca imperiale e che conduce a una svalutazione del ruolo giuridico rivestito dal populus nel periodo tardo. Non è possibile qui, ed esorbiterebbe dal nostro campo, indagare tale problematica che da tempo è oggetto di un vivace dibattito in dottrina 27; 25 Nov. 73 praef.: «Ἐπειδὴ τοίνυν βασιλείαν διὰ τοῦτο ὁ θεὸς ἐξ οὐρανοῦ καθῆκεν»; Nov. 47,1,1: «οὕτω τε ἐν ἅπασιν ὀνομαζέσθω τὰ τῆς βασιλείας ἔτη τῆς τε ἡμετέρας, ἐφ’ ὅσον ἂν αὐτὴν ὁ θεὸς μηκύνῃ, τῆς τε τῶν ἐφεξῆς αὐτοκρατόρων»; Nov. 112,2,1: «ὥστε πανταχόθεν τοὺς τῷ ἡμετέρῳ κράτει παρὰ τῆς ἄνωθεν ῥοπῆς καταπιστευθέντας ἀβλαβεῖς φυλαχθῆναι»; Nov. 113,3: «τε αὐτοὶ τὴν βασιλείαν θεοῦ δόντος παρελάβομεν φυλάττεσθαί». 26 Nov. 105,2,4: «Πάντων δὲ δὴ τῶν εἰρημένων ἡμῖν ἡ βασιλέως ἐξῃρήσθω τύχη, ᾗ γε καὶ αὐτοὺς ὁ θεὸς τοὺς νόμους ὑπέθηκε νόμον αὐτὴν ἔμψυχον καταπέμψας ἀνθρώποις». Su Nov. 105,2,4 vasta è la bibliografia, per una ricognizione analitica vedi V. GIUFFRÈ, “Dall’Imperatore ‘legge vivente’ alla identificazione del diritto con la legge”, in Seminarios Complutenses de Derecho Romano, 20-21, 2007-2008, p. 233 ss. Da ultimo, A. LOVATO, “Giustiniano e la consummatio nostrorum digestorum”, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 125.2, 2013, p. 397. 27 Per una recente e dettagliata disamina vedi L. HECKETSWEILER, La fonction du peuple dans l’Empire romain, cit., p. 23 s.

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mi limito solo a osservare come gran parte degli studiosi riconosca un fondamento divino dell’imperium per l’epoca imperiale. Tale affermazione risulta correlata a una svalutazione delle fonti che ancora assegnano rilevanza al popolo nel periodo tardo e, segnatamente, D. 1,4,1 pr. e di C. Deo Auctore,7. Si tende, infatti, a ritenere che tali fonti riferiscano al populus il fondamento dell’imperium come mero “ricordo storico” 28; si tratterebbe, a dire dell’Orestano, del «‘de profundis’ del populus Romanus» e degli «ultimi guizzi di una concezione ormai superata dai fatti»: il trasferimento della potestas dal popolo sarebbe ricordato come un fatto del passato, «avvenuto una volta per tutte e irreversibile» 29, con la conseguenza che il fon28

Vedi P. DE FRANCISCI, Arcana imperii, III.II, cit., p. 232 ss.; B. BIONDI, “Fondamento e limiti della sovranità nell’Impero romano-cristiano”, in Jus, 4, 1953, p. 145 ss., il quale sostiene che l’antica concezione democratica durante l’epoca giustinianea si sarebbe definitivamente ridotta a mero «ricordo storico; innocente registrazione di eruditi o aspirazione filosofica». Dello stesso A. vedi anche “Religione e diritto canonico nella legislazione di Giustiniano”, in Acta Congressus Iuridici Internationalis VII saeculo a Decretalibus Gregorii IX et a XIV a Codice Iustiniano promulgatis, Romae 12-17 novembris 1934, I, Roma 1935, p. 105; ID., Giustiniano Primo, cit., p. 14; M. SARGENTI, “Considerazioni sul potere normativo imperiale”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, VI, Napoli 1994, pp. 2637-2639. L’A. rileva come il riferimento alla lex de imperio rappresenterebbe non «un dato di attualità politico-costituzionale» ma «un evento collocato nell’indefinita dimensione storica di una lex antiqua, quae regia nuncupabatur, al quale, tuttavia, l’Imperatore si richiama per giustificare concretamente la propria posizione di legislatore ed il carattere normativamente unitario della raccolta che deve nascere dall’opera di compilazione». Sul punto cfr. quanto osservato, tra gli altri, dagli studiosi citati infra, nt. 31. 29

R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche», cit., p. 230 s.; p. 268. L’A. mette ben in guardia dal non «lasciarsi fuorviare dai richiami che i giuristi dell’età degli Antonini e dei Severi facevano al populus Romanus quale titolare dell’imperium». Dello stesso A. vedi anche “Elemento divino ed elemento umano nel diritto di Roma”, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, 21, 1941, p. 26 ss. (ora in ID., Scritti, II, cit., p. 669 ss.). Da ultimo su queste tematiche vedi P. GARBARINO, “Lex de imperio o Deo auctore? Giustiniano e il fondamento del potere imperiale”, cit., p. 237 ss.; in part. p. 256 ss.; p. 262 ss. L’A. sostiene che il riferimento alla lex de imperio in C. Deo Auctore sarebbe connesso alla giustificazione del potere imperiale e, quindi, all’aspetto più specificamente normativo del potere stesso: «Ulpiano, a vero dire, precisa che con tale lex il popolo conferisce (conferat) all’imperatore omne suum imperium et potestatem, ma l’affermazione è fatta per spiegare perché quod principi placuit legis habet vigorem ed è dunque riconducibile anch’essa all’aspetto più specificamente normativo del potere imperiale […] per chiarire che omne ius omnisque potestas del popolo romano è stato trasferito dal popolo nella imperatoria pote-

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damento del potere imperiale sarebbe da considerare essenzialmente divino. In altre parole, essendosi il popolo definitivamente spogliato di ogni ius e potestas, oramai trasferiti all’imperatoria maiestas, il potere dell’Imperatore troverebbe unico fondamento nella volontà divina. Tuttavia, a fronte delle interpretazioni dottrinali che considerano oramai eclissato il ruolo giuridico del popolo favorendo l’idea della legittimazione divina del potere, si pongono le fonti che – come abbiamo osservato – lasciano emergere la concretezza del ruolo del populus in relazione all’imperium ancora in epoca tarda. Si tratta, come evidenziato dal Tondo, di un potere che si connota per una «investitura dal basso» e, al contempo, di una «copertura dall’alto» 30 e, in questa prospettiva, il richiamo alla lex de imperio operato da Giustiniano si pone a conferma del fatto che il populus ancora nel VI secolo «non è solo strumento della volontà di un despota, ma l’originario autore di ogni sovranità» 31 e come, quindi, l’imperium continui a promanare dalla sovranità del popolo, secondo quanto nitidamente e continuativamente risulta emergere dalle fonti. Peraltro, secondo quanto avremo modo di verificare nelle pagine che seguono, il rilievo centrale assunto dal popolo nel quadro della “sinfonia” tra sacerdotium e imperium risulta suffragare, a mio avviso, l’idea che esso abbia continuato a svolgere una funzione “attiva” ancora nel periodo tardo. Quanto alla coesistenza dell’aspetto divino e dell’aspetto umano del potere imperiale, essa è evidente sin dall’epoca repubblicana ove «sia per quanto riguarda il potere sia per quanto riguarda il suo fondamento, si distinguono stas e che l’imperatore non intende condividere questo potere con altri conditores, considerandolo proprio ed esclusivo». 30 S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana, parte terza, Milano 2010, p. 335 s. 31 G. NOCERA, “La teoria dell’assolutismo imperiale in un testo giuridico bizantino”, cit., p. 251 ss.; S. SCHIPANI, “Sull’uso della storia del diritto in P.T. 1,2,5”, in Studi in onore di G. Grosso, VI, cit., pp. 658-661; F. GALLO, “Sul potere normativo imperiale”, in SDHI, 68, 1982, p. 430; p. 446 s. sulla lex de imperio; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 163 s., la quale pone in rilievo l’estrema contraddittorietà di chi riconosce il populus quale «punto di riferimento nell’intero arco della storia romana» e poi conclude che esso non avrebbe, già a partire dal principato, alcuna funzione attiva nella costituzione romana posto che «proprio la decadenza dalla forma comiziale» evidenzierebbe «quasi paradossalmente […] le potenzialità della concretezza del populus». Da ultimo sul punto, L. HECKETSWEILER, La fonction du peuple dans l’Empire romain, cit., p. 132.

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volontà divina e volontà umana: si distingue fra uno ius (pubblico e privato) con carattere religioso o, potremmo dire, naturale, e ad esempio un potere (legislativo, elettorale, giudiziario) del popolo che, anche quando sia produttivo di ius, trova nel ius limiti formali e materiali insuperabili» 32. Tale coesistenza permane in epoca imperiale e risulta precisata dalla praefatio della Novella 6 con riferimento alla comune origine divina di sacerdotium e imperium e al differente fondamento, divino e popolare, dei due poteri.

4. LE COMPETENZE DI SACERDOTIUM E IMPERIUM Dopo avere identificato la (comune) origine divina dei due poteri, Giustiniano espone le competenze di sacerdotium e imperium, affermando che: «Illud quidem divinis ministrans, hoc autem humanis praesidens ac diligentiam exhibens». Il sacerdotium riguarda le cose divine e l’attività che pone in essere consiste nel “divinis ministrare” 33, mentre l’imperium concerne le cose umane e si occupa di “humanis praesidere” 34. A ben vedere, dunque, le differenti competenze attribuite ai due poteri riflettono quella che l’Orestano definiva come la suprema distinzione di tutti i rapporti, riferita al piano del divinum e dell’humanum e che «ci riporta a quella che è stata la più antica concezione romana del mondo, rimasta costante in tutta la tradizione, secondo la quale la totalità degli esseri ragionevoli si divideva in due gruppi, gli Dei e gli uomini» 35. 32

P. CATALANO, “Il principio democratico in Roma”, cit., p. 323. Cfr. F. GALLO, “Sulla solutio legibus”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, II, cit., p. 679, nt. 49. 33 Il termine “ministrare”, da intendersi come “ministerium exhibere”, si ricollega all’idea di compimento dei munera sacerdotalia. Vedi s. v. Ministrare, in H.E. DIRKSEN, Manuale latinitatis fontium iuris civilis Romanorum, Berolini 1837, p. 588. 34 Il termine “praesidere”, nel significato concernente gli homines, indica l’esercizio di una publica potestas. Vedi s. v. Praesideo, in H.E. DIRKSEN, Manuale latinitatis fontium iuris civilis Romanorum, cit., p. 749. Quanto all’aggettivo humanus nota M.P. BACCARI, s. v. Diritti umani, cit., p. 362 come oltre al significato “ad homines spectans, et ordinem rerum naturalem” «ha anche un significato ‘profano’, opposto a divinum “ad deum”». 35 R. ORESTANO, Introduzione allo studio storico del diritto romano. Parte speciale: Su talune concezioni del diritto nell’esperienza giuridica romana, cit., p. 276, cui si rinvia per una profonda analisi delle due concezioni dello ius divinum e dello ius humanum; ID., “Dal ius

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L’antica concezione sottesa alla distinzione tra divinum e humanum emerge dalla summa rerum divisio riportata da Gaio nel celebre passo delle Institutiones tra res divini iuris e res humani iuris («summa itaque rerum divisio in duos articulos diducitur: nam aliae sunt divini iuris, aliae humani» 36). Sono di diritto divino le res sacrae, le res religiosae e le res sanctae; sono invece pubbliche o private le res «quae humani iuris sunt» 37. Inoltre, la distinzione tra il divino e l’umano riflette una concezione unitaria dello ius cui può ricondursi la celebre definizione ulpianea di iurisprudentia, riportata da Giustiniano nelle prime pagine dei Digesta («Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia», D. 1,1,10,2) 38 e che lascia emergere l’unitarietà del sistema giuridico-religioso romano. L’unitarietà cui sul piano generale del sistema vengono ricondotte le differenze tra il divino e l’umano corrisponde a quell’unitarietà cui sul piano particolare del rapporto tra sacerdotium e imperium sono rapportate le distinte funzioni assegnate ai due poteri e che si manifesta nella costante interazione (consonantia/συmφωνία) volta a un medesimo fine: adornare “vitam humanam”. V’è poi uno stretto collegamento tra il concetto di consonantia e l’intima compenetrazione dell’elemento divino e dell’elemento umano: nella praefatio della Novella 42 del 536 39 si legge, infatti, che la consonantia discende da una «pariter concurrentia» tra «diviniora» e «humana» («ὥστε τὰ θειότερά τε καὶ ἀνθρώπινα συνδραmόντα mίαν συmφωνίαν ταῖς ὀρθαῖς ποιήσασθαι ψήφοις»).

al fas”, cit., p. 201. Su questi temi vedi anche le riflessioni di F. SINI, “Uomini e Dèi nel sistema giuridico-religioso romano: Pax deorum, tempo degli Dèi, sacrifici”, in Diritto@ storia, 1, 2002. 36

Gaio, Inst. 2,2.

37

Gaio, Inst. 2,10. Sulla summa rerum divisio vedi per tutti, G.G. ARCHI, “La summa divisio rerum in Gaio e Giustiniano”, in SDHI, 3, 1937, p. 5 ss. 38

Su D. 1,1,10,2 vedi supra, Premesse e linee di ricerca, par. 3.

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Su Nov. 42 vedi infra, Parte II, Cap. II, par. 8.

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5. I CARATTERI DI SACERDOTIUM E IMPERIUM Giustiniano richiama i caratteri che sacerdotium e imperium devono rivestire per poter realizzare il fine cui sono preposti e che si pongono quali necessari prodromi alla “teoria della sinfonia”. Secondo quanto rilevato dal Vallocchia, l’Imperatore utilizza un linguaggio tecnico allorquando afferma che il sacerdotium deve mostrarsi “inculpabilis” e “apud deum fiducia plenum” 40. Il termine “inculpabilis” 41 (¨memptov) assume un preciso significato tecnico correlato al concetto di colpa e di responsabilità imputabile al reus; con esso Giustiniano vuole porre in evidenza la necessità, più volte rimarcata nelle Novelle, che i sacerdoti si comportino con rettitudine, gerendo il munus loro affidato in maniera onesta e irreprensibile. Non bisogna, infatti, dimenticare che – secondo quanto affermato proprio nella praefatio della Novella in esame – niente è più a cuore agli imperatori che l’onestà dei sacerdoti, posto che essi pregano Dio anche per loro («Ideoque nihil sic erit studiosum imperatoribus, sicut sacerdotum honestas, cum utique et pro illis ipsis semper deo supplicent»). Inoltre, al cap. 1,7 della medesima costituzione si precisa che coloro i quali amministrano il munus sacerdotalis devono rendersi testimoni di una vita onesta e integerrima («Igitur ordinandus episcopus aut ex monachis aut ex clericis sit, etiam in huiusmodi vita testimonii boni et honestus et gloria fruens bona, et hoc fundamentum pontificatus deponens animae» 42). Nella medesima chiave interpretativa va inteso l’altro carattere che per Giustiniano deve contraddistinguere il sacerdotium: esso deve mostrarsi “apud Deum fiducia plenum”. L’Imperatore ricorre ancora una volta a un termine tecnico quale quello di “fiducia” 43 per rimarcare la necessità che il sacerdotium si mostri confi40

F. VALLOCCHIA, “Sul concetto giuridico di ‘consonantia’”, cit., p. 317. Mette conto rilevare come il termine “inculpabilis” non ricorra né nei Digesta, né nel Codex, mentre esso è assai frequente nelle Novelle ove appare undici volte: Nov. 8,14; Nov. 12,1; Nov. 12,3,1; Nov. 15,3 pr.; Nov. 22,5; Nov. 28,8 (nella versione greca corrispondente a ¨memptov); Nov. 133,1 (nella versione greca corrispondente a ¢nep…lhptov); Nov. 6,1,10; Nov. 6,2; Nov. 8 iusiur.; Nov. 12 praef. (nella versione greca corrispondente a ¢neÝqunov). 42 Nov. 6,1,7: «Ὁ τοίνυν χειροτονούμενος ἐπίσκοπος ἢ ἀπὸ μοναχῶν ἢ ἀπὸ κληρικῶν ἔστω, εἴγε καὶ ἐν τῷ τοιούτῳ βίῳ μαρτυροῖτο σεμνὸς καὶ δόξης ἀπολαύων ἀγαθῆς, καὶ ταύτην κρηπῖδα τῆς ἀρχιερωσύνης ἐναποθέμενος τῇ ψυχῇ». 43 Il termine fiducia ricorre nel medesimo senso anche nella praefatio della Nov. 14 ove 41

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dente in Dio, cosicché possa garantire la propiziazione del favor Dei anche per l’imperium. Quanto al potere imperiale, Giustiniano afferma che esso deve amministrare recte e competenter la res publica che gli è stata trasferita («tradita»). Traditio è il termine che viene utilizzato nel testo della praefatio per indicare il trasferimento della res publica all’imperium da parte del popolo: esso indica in concreto l’idea di “consegna” 44 ed è sovente adoperato proprio nella legislazione novellare con riferimento alla dialettica res publicaimperium e populus-imperium 45. Si tratta, a ben vedere, del medesimo schema adoperato al paragrafo 7 della costituzione Deo Auctore con riferimento al rapporto tra Deus, imperator e populus, con la differenza che in quest’ultimo caso Giustiniano non ricorre al concetto di traditio bensì a quello di translatio. Anche translatio è termine di fondamentale importanza che viene utilizzato per esprimere il “principio unificante” del trasferimento dello ius populi Romani nella imperatoria potestas 46. l’Imperatore esorta gli abitanti di Costantinopoli a “castitatem agere” «quae etiam sola Deo cum fiducia potis est hominum animas presentare». 44 Vedi P. VOCI, La tradizione, Messina, p. 1: «Tradere significa in lingua latina consegnare; perciò traditio significa consegna»; L. LABRUNA, “‘Tradere’ … Evoluzione sociale e mutamenti giuridici nella circolazione dei beni dall’età arcaica alla fine della repubblica”, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne, cit., p. 403 ss. In generale sui significati dei termini traditio e tradere nelle fonti giuridiche romane vedi H.E. DIRKSEN, Manuale latinitatis fontium iuris civilis Romanorum, cit., p. 304; p. 962 s.: «cessio iuris nostri minus solemnis; possessio dumtaxat rei in alium translata». Sull’utilizzo del termine traditio nella praefatio della Nov. 6 vedi F. VALLOCCHIA, “Sul concetto giuridico di ‘consonantia’”, cit., p. 313. 45 Vedi Nov. 8,11: «Traditae nobis a deo reipublicae curam habentes et in omni iustitia vivere nostros subiectos studentes subiectam legem conscripsimus, quam etiam tuae sanctitati, et per eam omnibus qui tuae provinciae sunt, facere manifestam bene habere putavimus»; «Τῷ μεγάλῳ τοίνυν θεῷ καὶ σωτῆρι ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστῷ πάντες ὁμοίως ἀναπεμπέτωσαν ὕμνους ὑπὲρ τούτου δὴ τοῦ νόμου, ὃς αὐτοῖς δώσει καὶ τὰς πατρίδας οἰκεῖν ἀσφαλῶς καὶ τὰς οἰκείας περιουσίας ἔχειν βεβαίως καὶ τῆς τῶν ἀρχόντων ἀπολαύειν δικαιοσύνης»; Nov. 80 praef.: «Semper cum dei auxilio omnem facimus providentiam, ut subiecti ab eius clementia traditi nobis illaesi serventur»; «Ἀεὶ μετὰ τῆς ἐκ θεοῦ βοηθείας πᾶσαν ποιούμεθα πρόνοιαν τοῦ τὸ ὑπήκοον τὸ παρὰ τῆς αὐτοῦ φιλανθρωπίας παραδοθὲν ἡμῖν ἀβλαβὲς φυλάττεσθαι»; Nov. 81 praef.: «Quicquid ad utilitatem et ornatum respicit a deo traditae nobis reipublicae, hoc semper cogitantes ad effectum deducere festinamus»; «Εἴ τι πρὸς ὠφέλειαν καὶ κόσμον ὁρᾷ τῆς ὑπὸ τοῦ θεοῦ παραδοθείσης ἡμῖν πολιτείας, τοῦτο ἀεὶ βουλευόμενοι πρὸς ἔργον ἄγειν σπουδάζομεν». 46

Vedi P. CATALANO, “Ius Romanum. Note sulla formazione del concetto”, cit., p. 556

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Il medesimo passaggio emerge, come poc’anzi rilevato, anche dalla praefatio della Novella 62 con riferimento al trasferimento dello ius populi Romani et senatus alla maiestas imperatoria («Postea vero quam ad maiestatem imperatoriam ius populi Romani et senatus felicitate reipublicae translatum est»). Non è casuale, peraltro, che nel delineare i caratteri del sacerdotium Giustiniano faccia emergere l’elemento divino, mentre l’elemento popolare resti evidente nel riferimento alla traditio della res publica all’Imperatore 47.

6. UNITÀ E DISTINZIONE: DIO E POPOLO Alla luce delle considerazioni che precedono emerge con evidenza come sacerdotium e imperium rappresentino realtà istituzionali distinte ma che, al contempo, si compongono a unità. La distinzione emerge dal differente fondamento dei due poteri, dai distinti compiti che vengono loro attribuiti oltre che dai diversi caratteri che li contraddistinguono e che riflettono nitidamente il piano del divino e il piano dell’umano. L’unità resta, invece, evidente nella comune origine divina e nel comune scopo che entrambi i poteri perseguono: il conseguimento dell’utilitas degli uomini cui risulta preordinata la loro reciproca collaborazione. Orbene, da un lato ‘Dio’ e dall’altro il ‘popolo’ 48 costituiscono i pun(ora in ID., Diritto e persone, cit., p. 85). Sul punto vedi anche la Ricerca d’ateneo dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” su “Aspetti storico-religiosi e giuridici dell’idea di Roma” del 1981, in Atti del I Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, 21-23 aprile 1981, Roma Costantinopoli Mosca, in particolare l’appendice a p. 559 ss. con i contributi di P. Catalano e P. Siniscalco. 47 Il fondamento popolare del potere è sotteso, come abbiamo più volte rilevato, al concetto di res publica: «Est igitur, inquit Africanus, res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus» (Cic., De re pub. 1,25,39). 48

“Dio e il popolo” sono, come è noto, i perni su cui si fonda il sistema di Mazzini, secondo quanto rappresentato nell’opera Dei doveri dell’uomo; sul punto vedi P. CATALANO, “La religione romana ‘internamente’”, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, 62, 1996, p. 143 ss.; p. 163 ss.; G. CRIFÒ, “Mazzini e il diritto”, in Rivista storica del Risorgimento, 2, 2008, p. 163 ss.; M.P. BACCARI, s. v. Diritti umani, cit., p. 372 s.

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ti d’incontro della dialettica che connota il rapporto tra sacerdotium e imperium nella praefatio della Novella 6 e che, come vedremo, si pone a fondamento del rapporto tra i due poteri in tutta la legislazione novellare.

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CAPITOLO II CONSONANTIA

SOMMARIO: 1. «[…] Erit consonantia quaedam bona, omne quicquid utile est humano conferens generi» (Nov. 6 praef.) – 2. Significati del termine consonantia nelle fonti. – 3. Consonantia nelle fonti giustinianee. – A) Consonantia nelle costituzioni programmatiche. – a) C. Imperatoriam maiestatem,2. – b) C. Tanta pr. – B) Consonantia in Inst. 2,10,3 e Inst. 3,7,3. – C) Consonantia in C. 6,58,14. – D) Consonantia (συμφωνία/συνέχεια) in Nov. 6 praef., Nov. 12,4 e Nov. 42 praef. – 4. Il concetto giuridico di consonantia come espressione di ‘armonia del sistema’.

1. «[…] ERIT

CONSONANTIA QUAEDAM BONA, OMNE QUICQUID UTILE EST HUMANO CONFERENS GENERI» (NOV. 6 PRAEF.)

Nella praefatio della Novella 6 Giustiniano afferma che per l’utilitas 1 del genere umano è necessario che tra sacerdotium e imperium (ἱερωσύνη e βασιλεία) proceda bona consonantia (συμφωνία τις ἀγαθή). 1

Sul concetto di utilitas vedi J. GAUDEMET, “Utilitas publica”, in RHD, 29, 1951, p. 465 ss.; G. LONGO, “Utilitas publica”, in Labeo, 18, 1972, p. 168 ss.; M. NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei giuristi romani, Torino 2002. Per una recente ricognizione vedi R. SCEVOLA, Utilitas publica. Emersione nel pensiero greco e romano, Milano 2012, p. 350 ss.; ID., Utilitas publica. Elaborazione della giurisprudenza severiana, Milano 2012, p. 347 ss.; M.P. BACCARI, “Contro gli astrattismi lo ius naturale: per il ‘bene comune’ o per la ‘utilitas singulorum’ (e ‘utilitas nostra’)?”, in Verità e metodo in giurisprudenza. Scritti dedicati al Cardinale Agostino Vallini in occasione del 25° Anniversario della consacrazione episcopale, a cura di G. Dalla Torre e C. Mirabelli, Città del Vaticano 2014, p. 71 ss. A proposito della “utilitas reipublicae” quale leitmotiv della legislazione giustinianea e, in particolare, di quella novellare, vedi H. JONES, “Justiniani Novellae”, cit., p. 169: «elle revient tout au long des préfaces et des épilogues, accompagnée d’ailleurs du vouloir, affirmé obstinément par Justinien, que tous ses sujets en prennent conscience». In particolare, sul concetto di utilitas con riferimento al rapporto sacerdotium e imperium nella legislazione novellare mi sia consentito rinviare ad “Ancora su sacerdotium e imperium: la tutela del sacerdotium e utilitas della res publica nelle Novelle di Giustiniano”, in SDHI, 80, 2014, p. 275 ss.

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Il concetto di consonantia richiama la necessità di una collaborazione tra il sacerdotium e l’imperium posta a beneficio del genere umano che, secondo quanto evidenziato da Baccari, diventa per Giustiniano una «caratteristica essenziale» strettamente collegata alla «idea dell’Impero universale» 2. Al fine di cogliere il rilievo, anche giuridico, sotteso al concetto di consonantia (sumfwn…a) e le implicazioni da esso scaturenti in relazione al rapporto intercorrente tra sacerdotium e imperium è utile effettuare alcune precisazioni dal punto di vista terminologico.

2. SIGNIFICATI DEL TERMINE CONSONANTIA NELLE FONTI Consonantia è termine ricco di suggestioni; esso generalmente corrisponde al greco συmφωνία 3 e nelle fonti romane assume il significato di concordia tra suoni 4, oltre che quello di armonia tra le res o le personae 5. 2 M.P. BACCARI, “Imperium e sacerdotium: a proposito di universalismo e diritto romano”, cit., p. 282 s.; ID., “All’origine della sinfonia di sacerdotium e imperium: da Costantino a Giustiniano”, cit. 3 Vedi Fav. Eul., 15,32: «consonantiam […] quae dicitur symphonia»; Hier., Ep. 21,29 (PL 30, 389): «Male autem quidam de Latinis symphoniam putant esse genus organi, cum concors in Dei laudibus concentus hoc vocabulo significetur: symphonia quippe consonantia exprimitur in Latino». Occorre, tuttavia, precisare che al cap. 4 della Nov. 12 di Giustiniano al lemma consonantia della traduzione latina corrisponda il termine sunšceia nella versione greca. Gellio adopera “symphonia” per indicare il ritmo con cui si muove il sangue nelle vene e nelle arterie (Noctes Atticae 3,10,13: «Venas etiam in hominibus vel potius arterias medicos musicos dicere ait numero moveri septenario, quod ipsi appellant ten dia tessaron symphonian, quae fit in collatione quaternarii numeri»). Inoltre, il termine συmφωνία risulta frequentemente adoperato nella letteratura cristiana per indicare la concordia e l’armonia, con riferimento alla rivelazione di Cristo e all’unità divina: Clem., Str. 6,15: «ἡ συμφωνία νόμου τε καὶ προφητῶν τῇ κατὰ τὴν τοῦ κυρίου»; Ephiph., Anc. 67: «tri¦v aÛth ¡g…a kale‹tai, tri…a ×nta m…ia sumfwn…a mi…a qeÒthv». 4 Con questa accezione il termine appare già nel capitolo sulla musica del De architectura di Vitruvio (5,4,9; 5,5,3-4; 5,5,7). Sui significati di consonantia nelle fonti giuridiche romane s. v. consonantia: “concordia, aequalitas”, in H.E. DIRKSEN, Manuale latinitatis fontium iuris civilis Romanorum, cit., p. 200. 5 Con questa accezione il termine appare, in particolare, nella letteratura cristiana antica ove assume valenze metaforiche per esprimere il concetto filosofico-religioso della “armonia del creato”, vedi ad. es. Iren., Adversus haer. 2,2,4: «[…] omnibus consonantiam et ordinem suum et initium creationis donans». Sul punto, per approfondimenti, vedi L. SPITZER, Armonia del mondo. Storia semantica di un’idea, Bologna 1967, pp. 26-42; p. 109 s.

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Entrambi i suddetti significati risultano strettamente connessi in relazione al rapporto sussistente tra gli elementi cui siffatta consonantia inerisce. Quanto al primo dei due significati sopra enunciati, occorre osservare come il termine consonantia esprima un concetto di armonia musicale, secondo la nota definizione di Severino Boezio «Est enim consonantia dissimilium inter se vocum in unum redacta concordia» (De institutione musica 1,3) 6. Boezio, dopo aver premesso che consonantia «omnem musicae modulationem regit, praeter sonum fieri non potest», afferma che essa postula necessariamente una pluralità di voci e una differenza di ritmi 7. Pertanto, requisito necessario affinché possa esservi consonantia è la sussistenza di elementi diversi, condotti a unità senza che venga provocata alcuna confusione tra gli stessi. Consonantia viene, quindi, a indicare prima di ogni altra cosa una diversità – atteso che solo tra elementi distinti si può creare armonia – sulla base della quale si genera quella concordia che si realizza mediante la coesistenza di elementi diversi, la cui specifica individualità non viene comunque compromessa 8. Orbene, il significato assunto da consonantia nell’ambito del linguaggio musicale sollecita qualche riflessione dal punto di vista giuridico. Così come la consonantia tra i suoni inerisce a elementi differenti che mantengono la propria specificità, analogamente il concetto di “consonantia” espresso da Giustiniano nella praefatio della Novella 6 si riferisce a due realtà istituzionali distinte tra loro, sacerdotium e imperium, ricondotte a “unità” sia sotto il profilo della comune origine, che del fine cui la loro reciproca cooperazione è preordinata. Questo modo di esprimersi chiaramente “musicale” diventa frequente nella legislazione dell’Imperatore del VI secolo, caratterizzandosi per un 6 Per approfondimenti sulla figura di Severino Boezio vedi G. MASSERA, Severino Boezio e la scienza armonica tra l’antichità e il Medio Evo, Parma 1976. In particolare, sul concetto di “consonantia” nel De institutione musica vedi M.A. PETRETTO, “Consonantia e dissonantia nel De Institutione Musica di Boezio”, in Sandalion, 26-28, 2007, p. 215 ss. 7 Analogamente, il termine greco sumfwn…a denota l’armonia nel canto o comunque l’accordo di due differenti suoni, come attestato in diverse occasioni da Platone (tra cui, Crat. 405 D). 8

Sul punto vedi le riflessioni di S. PACIOLLA, “La consonantia canonum e la solutio contrariorum. Alle origini della scientia del diritto canonico”, in Angelicum, 85, 2008, p. 363 ss.

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impiego avente una specifica valenza giuridica 9 e richiama la stretta relazione tra il diritto e la musica. Rileva, a tal proposito, il Bretone che «c’è stato più di un momento, nella storia del pensiero, in cui il diritto e la musica hanno celebrato sulla terra il loro incontro» 10 e un esempio luminoso ci viene offerto dalla legislazione giustinianea. Peraltro, proprio nelle Novelle si registra un frequente ricorso a immagini musicali nell’ambito di un contesto giuridico: al cap. 2,1 della Novella 25 del 535 l’Imperatore traduce in termini di armonia, addirittura di musicalità, la psicologia e l’azione del funzionario modello: «Oportet enim eum hoc cingulum adsumentem undique sine suffragio constitutum, et ipsum sine muneribus esse et contentum solis quae fiscus praebet, sicut etiam de administrationibus iam posita loquitur lex, et pure atque iuste uti causis: et sicut ei mixta sunt cingula, sic etiam animi congruentia temperata sit, et utatur aliquando quidem asperioribus et vehementioribus, aliquando vero mitioribus et placidis elocutionibus» 11. A proposito del «contemperamento di emozioni e sentimenti che deve ispirare l’etica comportamentale di chi assume la responsabilità di pubbliche funzioni» viene evocato un armonioso comporsi di suoni, che rappresenta «il temperarsi reciproco dei moti contrastanti dell’animo che agitano chi, viceversa, per il ruolo ricoperto, dovrebbe fare della temperanza il proprio emblema» 12. 9

Quanto alla rilevanza del termine consonantia nella legislazione giustinianea vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 152; p. 221 ss.; III, Milano 1954, p. 361 s.; ID., Giustiniano primo, cit., p. 13 s.; p. 93; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 312; ID., “Imperium e sacerdotium”, cit., p. 282 s., in part. nt. 80 e nt. 81; sull’impiego del termine consonantia per esprimere concetti giuridici vedi F. VALLOCCHIA, “Sul concetto giuridico di ‘consonantia’”, cit., p. 317 ss. 10 M. BRETONE, Soliloquio sul diritto antico. La filosofia di una tecnica, Lecce 2013, p. 15. 11 Nov. 25,2,1: «δεῖ γὰρ αὐτὸν τὴν ἀρχὴν παραλαμβάνοντα ταύτην πανταχόθεν ἄμισθον οὖσαν καὶ αὐτὸν ἀδωρότατον εἶναι καὶ ἀρκεῖσθαι μόνοις οἷς τὸ δημόσιον δίδωσι (καθὰ καὶ ὁ περὶ τῶν ἀρχῶν ἤδη τεθειμένος διαλέγεται νόμος), καθαρῶς τε καὶ δικαίως χρῆσθαι τοῖς πράγμασι, καὶ ὥσπερ αὐτῷ μεμιγμένα τὰ τῆς ἀρχῆς ἐστιν, οὕτως αὐτῷ καὶ τὴν τῆς ψυχῆς ἁρμονίαν κεκρᾶσθαι ποτὲ μὲν ὀξυτέροις τε καὶ ἐπιτεταμένοις, ποτὲ δὲ πρᾳοτέροις τε καὶ ἀνειμένοις τοῖς φθόγγοις». 12 S. PULIATTI, “Concordiam dabimus qua nihil fit pulchrius. L’idea di pace nella legislazione di Giustiniano”, in Trent’anni di studi sulla Tarda Antichità: bilanci e prospettive, Atti del Convegno internazionale (Napoli, 21-23 novembre 2007), a cura di U. Criscuolo e L. De Giovanni, Napoli 2009, p. 322 s.

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3. CONSONANTIA NELLE FONTI GIUSTINIANEE Nelle fonti giuridiche antegiustinianee il termine consonantia non appare 13 e lo stesso vale per il lemma συμφωνία. Quanto alle occorrenze nella legislazione giustinianea, mette conto evidenziare come in un breve lasso di tempo, dal dicembre del 531 all’agosto del 536, consonantia venga adoperato da Giustiniano per esprimere concetti giuridici. Consonantia appare per la prima volta in una costituzione del 531 collocata in C. 6,58,14, successivamente il termine ricorre in due costituzioni programmatiche del 533 (C. Imperatoriam maiestatem,2 e C. Tanta pr.) e nelle Institutiones (Inst. 2,10,3 e Inst. 3,7,3). Inoltre, il lemma appare in alcune Novelle (Nov. 6 praef.; Nov. 12,4; Nov. 42 praef.), datate tra il 535 e il 536 ed esso corrisponde a συμφωνία nella versione greca, con la sola eccezione di Nov. 12,4 laddove consonantia traduce συνέχεια 14. Richiamando sul punto i significati del termine poc’anzi esaminati, giova precisare come nelle fonti sopra menzionate consonantia venga adoperato per indicare l’armonia tra constitutiones (in C. Imperatoriam maiestatem, 2 e in C. Tanta pr.), tra iura (in Inst. 2,10,3), tra norme giuridiche (in C. 6,58,14, in Inst. 3,7,3 e in Nov. 12, 4), tra diviniora e humana (in Nov. 42 praef.) e tra sacerdotium e imperium (in Nov. 6 praef.).

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È attestato, invece, fin da Gaio l’utilizzo della forma verbale “consono” (D. 35,1,90).

Il termine συνέχεια appare nella versione greca delle Novelle complessivamente otto volte ed evoca l’idea di unione e profonda connessione: Nov. 8,2: «οἷα μιᾶς τάξεως καθεστώσης, μὴ διῃρημένης αὐτῆς παντελῶς, ἀλλὰ κατὰ μίαν ἁπάντων στρατευομένων συνέχειαν»; Nov. 8,3: «τῆς τάξεώς τε ὁμοίως ἀναμιγνυμένης καὶ κατὰ μίαν, ὡς εἴρηται, νοουμένης καὶ ἀριθμουμένης συνέχειαν»; Nov. 12,4: «ὅπερ οὐδεμίαν ὀρθὴν καὶ ἀκόλουθον ἔχει συνέχειαν»; Nov. 22,2,1: «καὶ τὰ πρὸ τοῦ πενθίμου χρόνου καὶ μετ’ ἐκεῖνον, καὶ μίαν τινὰ συνέχειαν ποιούμενος παντὸς δὴ τούτου τοῦ συγγράμματος, καὶ νομοθεσίαν πάλαι μὲν ἀρξαμένην»; Nov. 22,30: «Ἐπειδὴ δὲ τὰ κέρδη πανταχοῦ κατὰ τὴν τοῦ λόγου συνέχειαν εἰς τὰς ἀπὸ τελευτῆς διαζεύξεις ἐνομοθετήσαμεν»; Nov. 22,48: «ἀλλὰ συνειλεγμένος πανταχόθεν καὶ συνεσπειραμένος ὑπὸ μίαν συνέχειαν καὶ ἅπαντα σχεδὸν τὰ περὶ δευτέρων ἀπαγγέλλων γάμων»; Nov. 44,1: «ἀλλὰ μηδὲ τοὺς πόρους αὐτοῖς ἐλάττους γίνεσθαι κατὰ τοῦτο διὰ τὴν τῶν ἐπιταττόντων συνέχειαν προφασιζέσθωσαν»; Nov. 79,2: «ὥστε ἐξ ὀλίγου τούτου τοῦ γράμματος μίαν συνέχειαν τοῦ νόμου ἐφ’ ἅπασαν προελθεῖν τὴν ὑπήκοον». 14

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A) CONSONANTIA NELLE COSTITUZIONI PROGRAMMATICHE

Il termine consonantia appare in due costituzioni programmatiche 15 del 533: la costituzione Imperatoriam maiestatem 16 del 21 novembre 533, indirizzata alla cupida legum iuventus, mediante la quale venivano pubblicate le Institutiones e la costituzione Tanta (Δέδωκεν nel testo greco 17) del 16 dicembre 533, indirizzata ad senatum et omnes populos 18, di pubblicazione dei Digesta. Al paragrafo 2 della C. Imperatoriam maiestatem si legge di una consonantia tra constitutiones, mentre nel principium della C. Tanta Giustiniano riferisce della consonantia tra ius civile e ius praetorium. a) C. IMPERATORIAM MAIESTATEM,2

Il concetto di consonantia viene adoperato da Giustiniano nella costituzione Imperatoriam maiestatem nel quadro del generale richiamo alla grandiosità del progetto compilatorio: «et bellicos quidem sudores nostros barbaricae gentes sub iuga nostra deductae cognoscunt et tam Africa quam aliae innumerosae provinciae post tan15 Così vengono qualificate le costituzioni che accompagnano le diverse parti del Corpus iuris, su cui vedi M. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenza, II.I, Perugia 2001, p. 5 ss.; per una recente ricognizione bibliografica, A.S. SCARCELLA, “Adnotatiunculae. Su una costituzione greca indirizzata da Giustiniano ai professori di diritto”, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, 60, 2017, p. 165, nt. 1. 16

Sulla costituzione Imperatoriam maiestatem vedi le riflessioni di G. FALCONE, “‘Legum cunabula’ e ‘antiquae fabulae’ (cost. Imperatoriam 3)”, in Studi in onore di A. Metro, II, Milano 2010, p. 283 ss. L’A. è di recente tornato sul tema in “La versione greca della cost. Imperatoriam e la sua attribuzione”, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, 59, 2016, p. 291 ss. 17 Sulle relazioni interne e sulle differenze tra la costituzione latina Tanta e la costituzione greca Dšdwken vedi approfonditamente, T. WALLINGA, Tanta/Dšdwken. Two introductory constitutions to Justinian’s Digest, Groningen 1989; per un’attenta analisi vedi anche D. MANTOVANI, “Le costituzioni introduttive ai Digesta”, in Index, 23, 1995, p. 576 ss. Da ultimo, G. DI MARIA, “Tanta/Δέδωκεν. Quando la retorica assume forma e vigore di legge”, in Mediaeval Sophia, 12, 2012, p. 116 ss. 18 Sull’utilizzo del termine “omnes populi” da parte di Giustiniano vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 191 ss.; F. GORIA, “Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale nelle costituzioni di Giustiniano”, in La nozione di «romano» tra cittadinanza e universalità, Atti del II Seminario Internazionale di Studi storici “Da Roma alla terza Roma”, Napoli 1984, p. 341.

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ta temporum spatia nostris victoriis a caelesti numine praestitis iterum dicioni Romanae nostroque additae imperio protestantur. omnes vero populi legibus iam a nobis vel promulgatis vel compositis reguntur. Et cum sacratissimas constitutiones antea confusas in luculentam ereximus consonantiam, tunc nostram extendimus curam et ad immensa prudentiae veteris volumina et opus desperatum, quasi per medium profundum euntes, caelesti favore iam adimplevimus». Come è dato riscontrare frequentemente nelle costituzioni programmatiche, Giustiniano riepiloga ivi quanto già realizzato 19 e ricorda i successi ottenuti mediante l’aiuto divino («adnuente Deo») e la summa providentia dell’imperium: le barbaricae gentes sono state soggiogate, l’Africa e altre innumerevoli province «post tanta temporum» sono state nuovamente ridotte sotto la signoria romana («dicio Romanae») e «additae imperio». Il discorso si concentra poi su quanto di straordinario è stato compiuto con riferimento all’opera compilatoria e l’Imperatore afferma di aver dapprima condotto a una “luculenta consonantia” le costituzioni imperiali fino a quel momento confuse e di aver poi rivolto l’attenzione «ad immensa prudentiae veteris volumina» portando a compimento, grazie al favor caelestis, un’opera che mai si sarebbe sperata («et opus desperatum, quasi per medium profundum euntes, caelesti favore iam adimplevimus»). In tale contesto il termine consonantia viene, dunque, utilizzato al fine di porre in rilievo come da una situazione di confusione del sistema giuridico si sia giunti a una riunione ‘armonica’ di costituzioni imperiali e di opere dei giureconsulti 20. b) C. TANTA PR.

Nel principium della C. Tanta Giustiniano adopera il termine consonantia per indicare la contrapposizione tra un precedente ed esecrato stato di cose e il progresso ottenuto con l’opera compilatoria che ha consentito di pervenire a un sistema giuridico organico ed unitario. 19

Un riepilogo iniziale di quanto già operato è presente anche in C. Summa e in C. Deo Auctore; sulla C. Imperatoriam maiestatem osserva M. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenza in Pomponio e Giustiniano, II.II, Perugia 2007, p. 35: «ci si sarebbe aspettati una illustrazione maggiormente dettagliata […] invece il riepilogo in Imperatoriam è breve, quasi frettoloso. Concentrato in un solo periodo di poche righe». 20 Sul punto vedi S. SCHIPANI, “A proposito di Diritto romano, rivoluzioni, codificazioni”, in Index, 14, 1986, p. 2.

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Si osservi: «Tanta circa nos divinae humanitatis est providentia, ut semper aeternis liberalitatibus nos sustentare dignetur. post bella enim Parthica aeterna pace sopita postque Vandalicam gentem ereptam et Carthaginem, immo magis omnem Libyam Romano imperio iterum sociatam et leges antiquas iam senio praegravatas per nostram vigilantiam praebuit in novam pulchritudinem et moderatum pervenire compendium: quod nemo ante nostrum imperium umquam speravit neque humano ingenio possibile esse penitus existimavit. erat enim mirabile Romanam sanctionem ab urbe condita usque ad nostri imperii tempora, quae paene in mille et quadringentos annos concurrunt, intestinis proeliis vacillantem hocque et in imperiales constitutiones extendentem in unam reducere consonantiam, ut nihil neque contrarium neque idem neque simile in ea inveniatur et ne geminae leges pro rebus singulis positae usquam appareant». Ciò che emerge con evidenza è che, a differenza di quanto rilevato con riferimento alla C. Imperatoriam maiestatem, nella C. Tanta la descrizione della raggiunta consonantia è da reputarsi ancora più ambiziosa poiché riferita non solo a quanto già realizzato con il Codice, ma in generale a tutto il progetto compilatorio. Difatti Giustiniano precisa come abbia, da un lato, consentito al vecchio materiale legislativo di «pervenire in novam pulchritudinem» e, dall’altro, sia riuscito a «reducere in unam consonantiam» tutta la legislazione romana dalla fondazione di Roma fino ai tempi dell’Impero, realizzando così uno stato di perfetta armonia 21. Sicché, continua l’Imperatore, si è provveduto ad annullare quanto vi era di contraddittorio e a eliminare il simile e l’identico di modo che ogni questione pratica fosse disciplinata da una norma sola («neque contrarium neque idem neque simile in ea inveniatur et ne geminae leges pro rebus singulis positae usquam appareant»). Il riferimento è, come detto, allo stato di ordine e armonia cui risulta pervenuta l’intera compilazione e che più che riguardare Codice e Digesto separatamente, appare incorporarli in una prospettiva del tutto unitaria. A ciò consegue che il raggiungimento della consonantia viene definito dallo stesso Imperatore come mirabile e in alcun modo ritenuto possibile per l’ingegno umano («humanae vero imbecillitati nullo modo possibile»). Inoltre, da questo punto di vista, il senso di sorpresa e di ammirazione 21

Giustiniano adopera i termini pulchritudo e consonantia, l’uno evocante l’idea della magnificenza, l’altro quella dell’armonia ed entrambi carichi di un’insolita forza espressiva di concetti giuridici.

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traggono ragion d’essere proprio dalla discrepanza tra materiale giuridico di partenza, versante in uno stato di evidente e indubbio disordine, e l’armoniosa unità cui si dà l’obiettivo di riportarlo 22. B) CONSONANTIA IN INST. 2,10,3 E INST. 3,7,3

Nelle Institutiones Giustiniano adopera il termine consonantia con riferimento alla fusione dello ius civile e dello ius praetorium realizzatasi nel tempo in materia testamentaria. Nel libro II, titolo X (De testamentis ordinandis) sono esposte brevemente le antiche forme di testamento previste dallo ius civile unitamente ai requisiti minimi necessari ai fini della bonorum possessio secundum tabulas, richiesti successivamente dal pretore (Inst. 2,10,1-2). In tale contesto l’Imperatore afferma che, sia per effetto dell’uso fattone dagli uomini («ex usu hominum»), sia per mezzo degli emendamenti operati dalle costituzioni («ex costitutionum emendationibus»), a poco a poco lo ius civile e lo ius praetorium sono stati condotti «in unam consonantiam». Si osservi: «Sed cum paulatim tam ex usu hominum quam ex constitutionum emendationibus coepit in unam consonantiam ius civile et praetorium iungi, constitutum est, ut uno eodemque tempore, quod ius civile quodammodo exigebat, septem testibus adhibitis et subscriptione testium, quod ex constitutionibus inventum est, et ex edicto praetoris signacula testamentis imponerentur: ut hoc ius tripertitum esse videatur [...]». Orbene, Giustiniano adopera il termine consonantia 23 per indicare l’avvenuta fusione dello ius civile con lo ius praetorium, agevolata dalla prassi giuridica e dalle costituzioni imperiali, che ha condotto alla creazione di una figura unica di testamento cui il sistema giuridico attribuisce gli effetti in precedenza pienamente riconosciuti al solo testamento civile 24. 22

Vedi M. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenza, II.II, cit., p. 135 s. Nel corrispondente luogo della Parafrasi di Teofilo, l’antecessore adopera il termine συμφωνία per indicare l’avvenuta fusione dello ius civile e dello ius praetorium, vedi PT. 2,10,3. 24 Su questo processo di fusione in materia di diritto ereditario vedi B. BIONDI, La legittimazione processuale nelle azioni divisorie romane, Perugia 1913, p. 11 ss.; S. RICCOBONO, “La fusione del ius civile e del ius praetorium”, in Fest. Zitelmann (Archiv. fur Rechtsphilosophie), 1922, p. 503 ss.; G. LUCHETTI, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, Milano 1996, p. 206 s. 23

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Più precisamente, come rilevato dal Luchetti, il riferimento è a quella serie di riforme «con cui, in epoca postclassica, la legislazione imperiale, fondendo “in unitaria armonia” diritto civile e diritto pretorio, aveva definito il nuovo regime del testamento scritto, fissandone appunto, secondo la terminologia specificamente utilizzata proprio dal testo istituzionale, la c.d. disciplina tripartita» 25. Inoltre, sempre nelle Institutiones il termine consonantia appare nel libro III, titolo VII (De successione libertorum), ove si legge che «paene enim consonantia iura ingenuitatis et libertinitatis in successionibus fecimus» 26 (Inst. 3,7,3). Giustiniano si occupa della successione dei liberti e – nel richiamare la precedente disciplina, dalla legge delle XII Tavole, all’editto del pretore, alla lex Papia – si concentra su quanto disposto con la costituzione collocata in C. 6,4,4 del 531 e afferma che in materia di successioni per ingenui e libertini sono state dettate norme pressoché consonanti 27. C) CONSONANTIA IN C. 6,58,14

Giustiniano in una costituzione del 531, collocata in C. 6,58,14, adopera il termine consonantia con riferimento alle norme contenute nella legge delle XII Tavole a proposito della successione ab intestato: «Lege duodecim tabularum bene romano generi prospectum est, quae unam consonantiam tam in maribus quam in feminis legitimis et in eorum successionibus nec non libertis observandam esse existimavit, nullo discrimine in successionibus habito, cum natura utrumque corpus edidit, ut maneat suis vicibus immortale et alterum alterius auxilio egeat, ut uno semoto et alterum corrumpatur». L’Imperatore afferma che la legge delle XII Tavole 28 ben provvide Ro25

G. LUCHETTI, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, ibid. Nel corrispondente luogo della Parafrasi di Teofilo il concetto di consonantia tra iura in materia di successioni di ingenui e libertini è così espresso: «σύνφωνα τὰ καὶ τῆς ἐυγενείας καὶ τῆς ἀπελευθερότης». Vedi PT. 3,7,3. 27 Sul punto vedi P. VOCI, Diritto ereditario romano, II, Milano 1963, p. 50; G. LUCHETTI, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, cit., p. 378. 28 Sul tema della conoscenza della legge delle XII Tavole nell’età giustinianea e sulla circolazione dei materiali a essa ascrivibili vedi O. DILIBERTO, “Conoscenza e diffusione delle XII Tavole nell’età del Basso Impero. Primo contributo”, in Studi in onore di F. Gallo, I, Napoli 1997, p. 205 ss.; ID., “Le XII tavole nel Digesto”, in Ius antiquum, Accademia delle Scienze di Mosca, 2 (16), 2005, p. 50 ss. 26

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mano generi quando, conformemente a quanto disposto dalla natura, osservò la medesima consonantia tra i maschi e le femmine legittimi, chiamando all’eredità tutti gli agnati prossimi che si trovassero nel medesimo grado e non operando alcuna distinzione tra maschi e femmine. Questi ultimi vengono reputati parimenti indispensabili per la conservazione del genere umano, con la conseguente necessità avvertita da Giustiniano di eliminare quella “non piam differentiam” tra i due sessi introdotta dalla giurisprudenza successiva alla legge delle XII Tavole, che aveva condotto all’esclusione delle agnate ultra consanguineorum gradum dalla successione legittima degli agnati 29. D) CONSONANTIA (συμφωνία/συνέχεια) IN NOV. 6 PRAEF., NOV. 12,4 E NOV. 42 PRAEF.

In disparte la già esaminata occorrenza di consonantia (sumfwn…a) nella praefatio della Novella 6, il termine appare altresì al cap. 4 della Novella 12 del 535, indirizzata al comes divinae rei privatae Floro 30 e rubricata De incestis et nefariis nuptiis 31: «Nam et si legitimorum quisquam sit pater, et obeunte eius uxore ex ho29 Sulle innovazioni disposte da Giustiniano mediante la costituzione in esame, con particolare riferimento all’eliminazione delle limitazioni che il diritto classico aveva osservato nella chiamata delle donne alla successione ereditaria, vedi P. VOCI, Diritto ereditario romano, II, cit., p. 409; R. LAMBERTINI, I caratteri della Novella 118 di Giustiniano, cit., p. 18 ss.; G. LUCHETTI, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, cit., p. 336. Sulle implicazioni con il diritto naturale, M.P. BACCARI, Matrimonio e donna, I, Concetti ulpianei, Torino 2012, p. 36. Sulla diversa funzione rivestita dai due sessi nel disegno divino della procreazione che «non influisce sulla uguaglianza giuridica» vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, II, Milano 1952, p. 18; p. 211; p. 214; III, cit., p. 339. 30 Sulla figura di Floro, comes rerum privatarum, che ricoprì tale carica tra il 531 e il 536 vedi J.R. MARTINDALE, The Prosopography of the Later Roman Empire. A.D. 527-641, cit., p. 490, ove sono altresì indicate le Novelle allo stesso indirizzate. 31 Giustiniano si occupa ampiamente della repressione dell’incesto attraverso l’emanazione di ben tre costituzioni: oltre a Nov. 12 il tema risulta oggetto di trattazione anche in Nov. 139 e in Nov. 154. Sul punto vedi S. PULIATTI, Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, Milano 2001, pp. 189-227. L’A. sostiene che l’attenzione rivolta alla disciplina dell’incesto vada ricollegata al programma di riforme dell’amministrazione periferica, varato negli stessi anni, in quanto le disposizioni generali su tale reato si alternano a norme speciali indirizzate alle comunità periferiche, particolarmente interessate dalle riforme amministrative. Sul punto vedi anche B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit., p. 478 s.

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minibus, aut etiam legitime transigente, habuerit quasdam consuetudinem ad aliam mulierem, quam licebat etiam legitime ducere uxorem, et fuerint filii ei aut ante dotalia documenta, si tamen ea fecit. aut etiam postea, vel etiam soli maneant ante dotalia filii, secundis aut non procreatis aut etiam postquam nati sunt morientibus, aestimaverunt quidam non posse secundos esse legitimos, quoniam praeexistant et ex priori coniuge alii legitimi et proprii filii. Quod nullam rectam et consequentem habet consonantiam» 32. Giustiniano affronta il tema della legitimatio per subsequens matrimonium e stabilisce che la presenza di figli legittimi nati da un precedente matrimonio non impedisca la legittimazione di quelli nati da un successivo rapporto di concubinato seguito da matrimonio. Difatti, osserva l’Imperatore, obbedisce a una “recta” e “consequens consonantia” (συνέχεια) garantire la parità di trattamento sul piano dei diritti successori tra i figli nati dalla prima moglie e quelli nati successivamente 33. Nella praefatio della Novella 42 del 536, indirizzata a Mena 34 e rubricata De depositione Anthimi, Severi, Petri et Zoorae, il termine consonantia (sumfwn…a) appare con riferimento al rapporto tra diviniora e humana: «Rem non insuetam imperio et nos agentes ad praesentem venimus legem. Quotiens enim sacerdotum decretum aliquos indignorum sacerdotio sacerdotalibus deposuit sedibus, velut Nestorium, Eutychen, Arium ac Macedonium Eunomiumque et alios quosdam in malitia non minores illorum, totiens et imperium condecernens sacerdotium auctoritati fuit, ut diviniora et humana concurrentia unam consonantiam rectis facerent decretis» 35. Nov. 12,4: «Εἰ γάρ τις καὶ γνησίων εἴη παίδων πατὴρ καὶ ἀπελθούσης αὐτοῦ τῆς γαμετῆς ἐξ ἀνθρώπων ἢ καὶ νομίμως διαλυθείσης ἔχοι τινὰ συνήθειαν πρὸς ἄλλην γυναῖκα, ἣν ἐξῆν καὶ νομίμως ἄγεσθαι γαμετήν, καὶ γένοιντο παῖδες αὐτῷ πρὸ τῶν προικῴων συμβολαίων, εἴ γε ταῦτα ποιήσειεν, ἢ καὶ μετὰ ταῦτα, εἰ καὶ μόνοι μείνοιεν οἱ πρὸ τῶν προικῴων παῖδες, δευτέρων ἢ οὐ γενομένων ἢ καὶ μετὰ τὸ γενέσθαι τελευτησάντων, ᾠήθησάν τινες μὴ δύνασθαι τοὺς δευτέρους εἶναι γνησίους, ἐπειδὴ προϋπῆσαν καὶ ἐκ τῆς προτέρας γαμετῆς ἕτεροι νόμιμοί τε καὶ γνήσιοι παῖδες. ὅπερ οὐδεμίαν ὀρθὴν καὶ ἀκόλουθον ἔχει συνέχειαν». 33 Sul punto vedi J. GAUDEMET, “Union libre et mariage dans la Rome impériale”, in IURA, 40, 1989, p. 21. 34 Sull’episcopus Mena vedi S. COSENTINO, Prosopografia dell’Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, p. 389. Per approfondimenti su Nov. 42 vedi infra, Parte II, Cap. II, par. 8. 35 Nov. 42 praef.: «Πρᾶγμα οὐκ ἄηθες τῇ βασιλείᾳ καὶ ἡμεῖς πράττοντες ἐπὶ τὸν παρόντα ἐληλύθαμεν νόμον. ὁσάκις γὰρ ἡ τῶν ἱερέων ψῆφός τινας τῶν οὐκ ἀξίων τῆς 32

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Come avremo modo di approfondire nelle pagine che seguono, la praefatio della Novella 42 pone in evidenza come le «rectae sententiae» emanate dal sacerdotium (ἱερωσύνη) trovino unanime riscontro da parte dell’imperium (βασιλεία). Esse sono espressione della consonantia tra i due poteri («unam consonantiam rectiis sententiis facere») che discende dalla «pariter concurrentia» fra le forme divine (diviniora) e le forme umane (humana).

4. IL CONCETTO GIURIDICO DI CONSONANTIA COME ESPRESSIONE DI ‘ARMONIA DEL SISTEMA’ Dall’esame delle fonti che è stato condotto emerge come il termine consonantia assuma un preciso significato giuridico 36 e un’insolita forza espressiva che si ricollega all’idea di una generale armonia del sistema, cui contribuiscono sia la raggiunta organicità tra gli iura, sia la concordia tra il sacerdotium e l’imperium. Consonantia esprime l’idea dell’unitarietà dell’opera compilatoria realizzata da Giustiniano mediante la quale si concretizza, una volta per tutte, quella certezza del diritto, massima aspirazione dell’Imperatore del VI secolo e degli uomini del suo tempo. L’armonia tra le constitutiones, da un lato, e quella tra gli iura dall’altro riflette perfettamente l’idea di un sistema giuridico unitario e armonico, caἱερωσύνης τῶν ἱερατικῶν κατεβίβασε θρόνων (ὁποῖον δὴ Νεστόριόν τε καὶ Εὐτυχέα Ἄρειόν τε καὶ Μακεδόνιον καὶ Εὐνόμιον καὶ ἄλλους δή τινας εἰς κακίαν οὐκ ἐλάττους ἐκείνων), τοσαυτάκις καὶ ἡ βασιλεία σύμψηφος γέγονε τῇ τῶν ἱερέων αὐθεντίᾳ, ὥστε τὰ θειότερά τε καὶ ἀνθρώπινα συνδραμόντα μίαν συμφωνίαν ταῖς ὀρθαῖς ποιήσασθαι ψήφοις». 36 Osserva sul punto F. VALLOCCHIA, “Sul concetto giuridico di ‘consonantia’”, cit., p. 318 come il fatto che Giustiniano adoperi consonantia per esprimere concetti giuridici risulti comprovato dagli aggettivi che vanno a qualificare il termine nel linguaggio adoperato dall’Imperatore. Nel dettaglio, egli riferisce di “una consonantia” tra iura (Inst. 2,10,3), tra norme giuridiche (C. 6,58,14 e Inst. 3,7,3), tra leges (C. Tanta pr.) e tra diviniora e humana (Nov. 42 praef.). Ancora, dalla “luculenta consonantia” tra costituzioni (C. Imperatoriam maiestatem,2) e dalla “recta” e “consequens consonantia” tra norme giuridiche (Nov. 12,5) si perviene alla “bona consonantia” tra sacerdotium e imperium (Nov. 6 praef.). La necessità di qualificare il termine, precisa l’A., risulta funzionale alla volontà di attribuire allo stesso un preciso valore giuridico: si tratta di quel procedimento già verificatosi nei secoli addietro con il termine fides, il quale «aveva subito un processo di qualificazione che ne aveva prodotto, in certi ambiti, l’ampliamento in ‘bona fides’».

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ratterizzato da una coerenza totale mai prima verificata ovvero di una sistemazione organica «capace di superare la confusione mediante un discorso unitario all’interno del quale solo poteva realizzarsi quella symphonia, quella consonantia che si intendeva raggiungere» 37. Se già con la costituzione Imperatoriam maiestatem l’Imperatore afferma che si è pervenuti a una “luculenta consonantia”, con la costituzione Tanta dà atto del ben più ambizioso e mirabile impegno di «reducere in unam consonantiam» la Romana sanctio dalla fondazione di Roma ai suoi tempi («ad nostrii imperii tempora») 38. Il disegno compilatorio, mediante la sistemazione del materiale giuridico esistente, «rispondeva al più ampio progetto di edificare un vero e proprio tempio della giustizia» e denota quella «propensione universalistica che è caratteristica precipua del diritto romano, fin dalle origini» 39. Nella prospettiva dell’Imperatore del VI secolo, alla generale armonia del sistema contribuisce poi la consonantia tra sacerdotium e imperium e, più in generale, tra diviniora e humana posta a beneficio dell’intero genere umano.

37 S. PULIATTI, “«Eas quas postea promulgavimus constitutiones». Sui rapporti NovellaeCodex nella prospettiva giustinianea”, in Novellae constitutiones, cit., p. 14 s. 38 M. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenza, II.I, cit., p. 39. 39 A. SACCOCCIO, “Il ‘sistema’ del diritto romano come patrimonio comune dell’umanità”, in Ius Romanum, 2, 2017, p. 172, cui si rinvia anche per un’analitica riflessione sulla tensione universalistica delle costituzioni programmatiche.

Titolo capitolo

PARTE II

SACERDOTIUM NELLE NOVELLE

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Sacerdotium nelle Novelle

Usi del termine sacerdotium nelle Novelle

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CAPITOLO I USI DEL TERMINE SACERDOTIUM NELLE NOVELLE

SOMMARIO: 1. Rilievo del sacerdotium nella legislazione giustinianea: le Novelle. – 2. Il criterio adottato nell’analisi delle Novelle. – 3. Quadro generale degli usi del termine sacerdotium (ἱερωσύνη/ἱερατεία) nelle Novelle.

1. RILIEVO DEL SACERDOTIUM NELLA LEGISLAZIONE GIUSTINIANEA: LE NOVELLE

«Le leggi di Giustiniano, specie le Novelle, contengono un compiuto ordinamento del sacerdozio: dalla ordinazione dei sacerdoti e vescovi alla vita dei religiosi». È lo stesso Imperatore nella praefatio della Novella 83 del 539 a riconoscere di aver promulgato in tal senso “plurimae leges” «e l’affermazione non sembra esagerata» 1: il sacerdotium è oggetto di numerose disposizioni volte a regolamentare diversi aspetti della vita religiosa. 1

B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 395; ID., Giustiniano Primo, cit., p. 77; J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire Romain (IVe-Ve siècles), cit., p. 510 s.: «La législation impériale s’est également préoccupée de la plupart des grands problèmes posés par les débuts de l’organisation ecclésiastique: statut des clercs et des évêques, des diaconesses, des moniales, règles d’accès aux orders, élection pontificale, affirmation de la primauté temporel ecclésiastique, discipline monastique». Nella medesima linea già G. LE BRAS, “Le droit romain au service de la domination pontificale”, in RHD, 27, 1949, p. 382 s.; ID., La Chiesa del diritto. Introduzione allo studio delle istituzioni ecclesiastiche, trad. it. di F. Margiotta Broglio, Bologna 1976, p. 242. Sul punto vedi anche, C. CAPIZZI, Giustiniano I tra politica e religione, Soveria Mannelli 1994, p. 159 s.; G. CRIFÒ, “Chiesa e Impero nella storia del diritto da Costantino a Giustiniano”, in Chiesa e Impero: da Augusto a Giustiniano, a cura di E. Dal Covolo e R. Uglione, Roma 2001, p. 340 ss.: «La normazione imperiale è molto penetrante […] dalla prescrizione delle regole di vita monastica al regolamento di funzioni specifiche relative all’organizzazione ecclesiastica […] l’imperatore disciplina e dispone

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L’attenzione dedicata al sacerdotium da parte di Giustiniano trova la propria ratio nel fondamentale ruolo a esso riconosciuto quale intermediario tra Dio e Imperatore, tra provvidenza e res publica 2, cui si ricollega la consapevolezza della rilevante “funzione sociale” 3 dallo stesso espletata. L’Imperatore ha cura della retta disciplina sacerdotale in quanto la preghiera assicura la clementia divina verso l’imperium 4: essa garantisce la prosperità della res publica, il successo degli eserciti e la retta amministrazione delle civitates (Nov. 133,5,1). L’onestà dei sacerdoti è costante preoccupazione dell’Imperatore in quanto considerata funzionale ad assicurare la salvezza della res publica mediante la scrupolosa osservanza dei doveri religiosi 5 e dalla quale discende che «maxima nobis dona dabuntur a deo, et ea, quae sunt, firma habebimus, et quae nondum hactenus venerunt, adquirimus» (Nov. 6 praef.). In questa prospettiva, la religione assicura dunque l’esistenza e la sicurezza dell’Impero: «Unam nobis esse in omni nostrae reipublicae et imperii vita in deo spem credimus» (Nov. 109 praef.) 6. Appare, pertanto, evidente non solo il rispetto e la devozione ma altresì l’alta considerazione mostrata dall’Imperatore verso il sacerdotium che si concretizza nella previsione di numerose disposizioni legislative volte a garantire una recta disciplina di tutta la gerarchia ecclesiastica.

intorno a arcivescovati e vescovati, procedimenti e regole di ordinazione di vescovi e preti e loro doveri […] preoccupandosi minuziosamente della venalità delle funzioni». 2 Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 111. 3 L’espressione è di L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano, cit., p. 71. L’A. richiama, a tal proposito, CTh. 16,2,16 ove si legge che la res publica è retta «magis religionibus quam officiis et labore corporis vel sudore». In tal senso già B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 359: «Il sacerdozio […] si considera come la più alta funzione sociale, e il sacerdote cristiano, investito appunto di una funzione divina, che ridonda a vantaggio del popolo, si eleva al di sopra di tutti gli uomini». 4

L’efficacia della preghiera è tema costante nella legislazione giustinianea. In tal senso vedi anche C. 1,3,41(42) pr.; C. 1,4,34 pr. Vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 113 ss., il quale pone in rilievo come l’efficacia della preghiera sia «tema pressoché costante nella legislazione giustinianea», così come «tema altrettanto frequente è quello del profitto dell’onestà» per la vita dell’imperium che, per mezzo di essa, si giova della clemenza divina. 5

In tal senso anche C. 1,3,43(44),6; C. 1,3,43(44),9; Nov. 133,6; Nov. 137,1. Nov. 109 praef: «Μίαν ἡμῖν εἶναι βοήθειαν ἐπὶ παντὶ τῷ τῆς ἡμετέρας πολιτείας τε καὶ βασιλείας βίῳ τὴν εἰς θεὸν ἐλπίδα πιστεύομεν». 6

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2. IL CRITERIO ADOTTATO NELL’ANALISI DELLE NOVELLE L’analisi del sistema giuridico romano viene svolta sulla base di tre distinti livelli: termini e concetti, principi e regolamentazione 7. In questa prospettiva saranno esaminate le occorrenze nelle Novellae constitutiones del termine sacerdotium 8 – nonché dei corrispondenti lemmi greci ἱερωσύνη e ἱερατεία 9 – quale punto di partenza per una riflessione 7

Vedi P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 148 ss. È stata condotta un’indagine tesa ad accertare l’etimologia del termine sacerdotium al fine di verificare, da un lato, la corrispondenza del suo impiego all’etimologia e, dall’altro, la corrispondenza dei concetti alla terminologia. Etimologicamente sacerdotium deriva dal termine sacerdos, il quale a sua volta è composto dall’aggettivo “sacer” e della radice “*dhē”, che esprime l’idea di “porre”, “fondare”, “istituire”, “compiere l’atto sacro”: vedi tra gli altri Varr., De ling. lat. 5,83: «sacerdotes universi a sacris dicti»; Isid., Origines 7,12,17: «Sacerdos nomen habet compositum ex graeco et latino, quasi sacrum dans». A siffatta etimologia corrisponde un’accezione generale del termine in ragione della quale sacerdos è considerato colui che presiede le cerimonie sacre e designa «en latin les différents types de prêtres, sacerdos se distingue comme celui qui, par son exstension plus large, embrasse et recouvre tout les autres» (É. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indoeuropéennes, II, cit., p. 151; p. 159 cui si rinvia anche per un’analisi etimologica del greco ἱερός). L’impiego del termine sacerdotium nelle fonti esaminate corrisponde perfettamente a siffatta etimologia, atteso che lo stesso viene adoperato da Giustiniano con riferimento ai diversi gradi della gerarchia ecclesiastica e con particolare riferimento ai vescovi e ai presbiteri. Per ulteriori approfondimenti sull’etimologia del termine vedi J. TOUTAIN, s. v. Sacerdos, in Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, XIV, Graz 1969, p. 942 ss.; s. v. Sacerdos, in Dictionnaire d’archêologie chrètienne et de la liturgie, XV, première partie, Paris 1953, p. 240; P. RIEWALD, s. v. Sacerdotes, in Pauly-Wiss. Realencyclopädie, I, Stuttgart 1920, coll. 1631-1653; H. FUGIER, Recherches sur l’expression du sacré dans la langue latine, cit., pp. 20-24. 9 Dall’esame condotto emerge come al termine sacerdotium nel testo latino dell’Authenticum corrispondano per la quasi totalità delle occorrenze i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία nel testo greco della Collectio; per un quadro generale delle occorrenze vedi infra, par. 3. Mette conto rilevare come, per completezza, l’analisi terminologico-concettuale è stata estesa agli Iustiniani XIII Edicta quae vocantur che, come è noto, figurano nel Corporis CLXVIII Novellarum Appendices dell’edizione Schöll-Kroll, su cui vedi N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., pp. XIV s.: «Il s’agit de treize lois ajoutées à la fin de l’un des deux manuscrtis de la Collectio CLXVIII Novellarum et appelées – à tort – “édits” par celui qui les a ajoutées». Per quanto concerne, appunto, gli Editti di Giustiniano, nel testo latino dell’Authenticum si registra un’occorrenza di sacerdotium (corrispondente a ἱερωσύνη nel testo della Collectio Graeca). Si tratta dell’Editto 8 del 548, rubricato De revocatione vicarii Ponticae, ove vengono descritte le delicate funzioni che l’Imperatore intende riassegnare al vicario, precedentemente soppresso nel 535, il quale viene preposto a vegliare sull’ordine pubblico. A tal proposito, si legge al cap. 1 che nessuno può ritenersi esente dalla iurisdictio del vicario, alla cui potestas sono sottomessi tanto i privati, quanto coloro i quali siano 8

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che consenta di ricostruire i concetti sottesi alla terminologia e al contempo di individuare alcuni principi che presiedono al rapporto tra potere sacerdotale e potere imperiale. Lo spoglio delle fonti sarà condotto, per le ragioni già evidenziate, sulla base della traduzione latina dell’Authenticum, fatta eccezione per le costituzioni non ricomprese in tale raccolta e ove appaiono i termini ἱερωσύνη e ἱερατεία, per le quali si procederà all’esame del testo greco della Collectio. Tale analisi verrà condotta utilizzando un criterio che risulti funzionale all’individuazione e alla valutazione delle implicazioni normative derivanti dall’uso dei termini esaminati mediante la classificazione delle relative occorrenze in relazione al contenuto prevalente di ciascuna delle costituzioni, secondo una particolare divisione in materie. Più precisamente, l’indagine terminologica e concettuale sarà condotta distinguendo l’uso della terminologia nelle Novelle che riguardano una stessa specie di atti e di rapporti giuridici, secondo le duae positiones dello studium iuris di D. 1,1,1,2: ius publicum e ius privatum 10. onorati da una dignitas (ἀξία), dall’appartenenza alla militia (ζώνη) o al sacerdotium (ἱερωσύνη). Per quanto concerne gli Editti di cui ci è pervenuto esclusivamente il testo greco, si rilevano le seguenti occorrenze: il termine ἱερωσύνη appare una volta nell’Editto 10 e tre volte nell’Editto 13. L’Editto 10, privo sia di data (ma databile intorno al 535), che di destinatario, rubricato πεr… τaxeètwn, e l’Editto 13, indirizzato al prefetto del pretorio Giovanni, anch’esso privo di data (ma databile tra il 538 e il 539, sebbene v’è chi ipotizza anche un data oscillante tra il 553 e il 554), rubricato πεr… τÁj Alexandrewn kaˆ tîn A„gÚptiakwn œp£rciwn. Entrambi gli Editti rispondono all’esigenza avvertita dall’Imperatore di garantire un adeguato gettito tributario, in considerazione della situazione di urgenza che si stava verificando, in particolar modo nelle province della diocesi egiziana, a causa della dilagante corruzione di coloro i quali presiedevano la riscossione. Nell’Editto 10 ἱερωσύνη appare al cap. 1 con riferimento al divieto imposto al sacerdozio di concedere di propria iniziativa e a propria discrezione il lógos asylías, facoltà del governatore di promettere un’immunità temporanea nell’ambito delle controversie civili, il quale avrebbe potuto essere accordato solo alle condizioni fissate dai funzionari preposti all’esenzione. Al cap. 10,2 e al cap. 28 dell’Editto 13 si legge che laddove i vescovi abbiano concesso il lógos contrariamente a quanto disposto, essi avrebbero pagato il danno inferto alla cosa pubblica e sarebbero stati allontanati dal sacerdozio (ἱερωσύνη). Sull’Editto 8 vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., pp. 31 s.; N. VAN DER WAL, “Die Textfassung der spätrömischen Kaisergesetze in den Codices”, in BIDR, 83, 1980, p. 6. Sull’Editto 10 e sull’Editto 13 si rinvia per un dettagliato esame a A.M. DEMICHELI, L’Editto XIII di Giustiniano. In tema di amministrazione e fiscalità dell’Egitto bizantino, Torino 2000, passim. 10 Sulla partizione ius publicum e ius privatum di D. 1,1,1,2 vedi infra, Premesse e linee di ricerca, par. 4.

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A tal proposito mette conto rilevare come la legislazione novellare si caratterizzi per una peculiare prevalenza delle tematiche di diritto pubblico su quelle di diritto privato; osserva a tal proposito il Bonini come «mentre la Compilazione presenta un mondo intessuto in prevalenza di rapporti privatistici e incentrato sul diritto privato – con scarso spazio per il diritto pubblico – le Novelle spostano il rapporto fra privato e pubblico» 11 ed è quindi rintracciabile una preminenza numerica delle tematiche pubblicistiche. Circoscrivendo il raggio di interesse alle Novelle in cui ricorre il termine sacerdotium, nonché i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία, si rileva come tali occorrenze risultino particolarmente concentrate nelle costituzioni che affrontano questioni rilevanti sul piano dello ius publicum e, segnatamente, in quei provvedimenti che concernono più da vicino la materia “ecclesiastica” 12. 11

R. BONINI, “Note sulla legislazione giustinianea dell’anno 535”, in L’imperatore Giustiniano. Storia e mito, cit., p. 161 ss.; ID., “L’ultima legislazione pubblicistica di Giustiniano (543-565)”, in Il mondo del diritto nell’epoca giustinianea, cit., p. 139 ss. In tal senso anche G.G. ARCHI, “La legislazione di Giustiniano e un nuovo vocabolario delle costituzioni di questo imperatore”, in SDHI, 42, 1976, p. 1 ss.; in part. p. 4 s.; E. FRANCIOSI, Riforme istituzionali e funzioni giurisdizionali nelle Novelle di Giustiniano, cit., p. 7 ss., la quale pone in rilievo come «su un totale di 174 novelle e editti, per quanto si estende l’attività postcompilatoria giustinianea, si possono individuare 88 disposizioni d’argomento pubblicistico o parzialmente pubblicistico». 12

Preme a riguardo precisare come buona parte degli studiosi qualifichi le costituzioni giustinianee aventi a oggetto la trattazione di aspetti rilevanti per il sacerdotium e, più in generale, per l’ecclesia come provvedimenti di “diritto ecclesiastico romano”. Vedi, ad. es., N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., che intitola “droit ecclésiastique” una delle sezioni del proprio lavoro di catalogazione delle Novelle; F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit.; L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano. Profili storico-giuridici, Bologna 1969; G.L. FALCHI, Fragmenta iuris romani canonici, Roma 1998. Sul punto degne di rilievo risultano le considerazioni di G. DALLA TORRE, “Un diritto ecclesiastico romano?”, in Fides humanitas ius. Studi in onore di L. Labruna, II, Napoli 2007, p. 1301 ss., in part. p. 1306 ss. il quale evidenzia come all’interrogativo se possa correttamente parlarsi di un “diritto ecclesiastico romano” debba rispondersi affermativamente «se con tale espressione si intende fare riferimento non tanto alla riflessione scientifica sui dati normativi posti a disciplina del fenomeno religioso, quanto alla sussistenza dei dati normativi in questione». Ma, aggiunge l’A., il ricorso a tale espressione risulta improprio sia dal punto di vista storico che dogmatico in quanto, da un lato, trattasi di terminologia di conio moderno che emerge tra il XVII e il XVIII secolo e dall’altro presuppone il modello dualista cristiano, non ancora del tutto maturo durante l’epoca romana. E precisa: «difficilmente potrebbe configurarsi l’Impero romano alla stregua dello Stato in senso moderno, costruito tutto su quell’idea filosofico-

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Sacerdotium nelle Novelle

A mio avviso tale dato non è casuale: come è noto, lo ius del popolo romano (ius publicum), secondo la definizione ulpianea, è tripartito in sacra, in sacerdotes, in magistratus e i sacerdotes di epoca repubblicana rappresentano l’antecedente storico-giuridico del sacerdotium di epoca imperiale. Ne consegue che i sacerdotes (e il sacerdotium) sono un elemento portante della struttura organizzativa su cui si fonda il modo di essere (status) della res romana e, pertanto, qualsivoglia disposizione che li concerne non può che assumere rilevanza dal punto di vista dello ius publicum. A ben vedere, però, «quella del rapporto tra pubblico e privato è una storia fatta di partizione e di differenze, ma anche di costanti intrecci e di comuni basi» 13, tanto più che proprio Ulpiano, nel porre in rilievo la distinzione ius publicum e ius privatum, premette che si tratta di duae positiones del sistema unitario ius. In questa prospettiva alcune occorrenze del termine sacerdotium risultano individuate in ambiti che assumono al contempo rilevanza sia dal punto di vista dello ius publicum, che dello ius privatum; basti pensare alle occorrenze in materia di matrimonio. Sotto tale profilo già Baccari ha avuto modo di porre in rilievo come il matrimonio costituisca un istituto che coinvolge sotto plurimi profili questioni attinenti lo ius publicum, ma che in ogni caso rimane un istituto fondato sullo ius naturale 14 (e quindi sullo ius privatum).

3. QUADRO GENERALE DEGLI ἱερατεία) NELLE NOVELLE

USI DEL TERMINE SACERDOTIUM

(ἱερωσύνη/

Nel testo latino dell’Authenticum il termine sacerdotium appare complessivamente quarantasette volte e nel testo della Collectio Graeca esso politica di sovranità in cui si radica anche la rivendicazione statuale diretta a disciplinare il fenomeno religioso, come ogni altro fenomeno sociale». 13

F. VALLOCCHIA, “Qualche riflessione su publicum-privatum in diritto romano”, cit., p. 415. L’A. si pone l’interrogativo se la partizione pubblico-privato debba essere intesa sotto il profilo della “distinzione” o della “separazione” e nota come la questione non sia di poco conto, tanto più che «la comune base definitoria della partizione pubblico-privato rende ancor più evidente l’unicità del sistema ‘ius’, cui concettualmente si relazionano pubblico e privato». 14

Vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. XIII.

Usi del termine sacerdotium nelle Novelle

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corrisponde per la maggior parte delle occorrenze ai lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία. In particolare: – trentotto occorrenze corrispondono a ἱερωσύνη nel testo greco; – quattro occorrenze corrispondono a ἱερατεία nel testo greco; – tre occorrenze corrispondono nel testo greco rispettivamente a χειροτονία (Nov. 6,1,9), ἀρχιερωσύνη (Nov. 7 praef.) e ιερός (Nov. 42 praef.); – due occorrenze non trovano rispondenza nel testo greco in quanto rintracciabili nella praefatio della Novella 9 e nella praefatio della Novella 11, entrambe redatte in latino nel testo originale. Per quanto, invece, concerne il termine iερωσύνη, nella Collectio Graeca esso ricorre complessivamente quarantatré volte, di cui: – trentotto occorrenze corrispondono a sacerdotium nel testo latino; – cinque occorrenze non trovano rispondenza nel testo latino in quanto rintracciabili in provvedimenti non ricompresi nell’Authenticum, vale a dire la Novella 137 (ove appare quattro volte) e la Novella 154 (ove appare una volta). Con riferimento al lemma ἱερατεία, esso appare complessivamente cinque volte, di cui: – quattro occorrenze corrispondono a sacerdotium nel testo latino; – una occorrenza corrisponde nel testo latino all’aggettivo sacerdotalis, al cap. 1,10 della Novella 6.

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Sacerdotium nelle Novelle

TAVOLA SINOTTICA DELLE OCCORRENZE DEL TERMINE SACERDOTIUM NELLE NOVELLAE CONSTITUTIONES Novelle

Anno

Occorrenze

Novella 6

535

6 praef.; 6,1,4; 6,1,5; 6,1,7; 6,1,9; 6,1,9; 6,1,10; 6,5; 6,5; 6,6; 6,7; 6 epil.

Novella 7

535

7 praef.; 7,2,1; 7,9

Novella 9

535

9 praef.

Novella 11

535

11,4

Novella 22

535

22,42; 22,42; 22,42; 22,44,1; 22,44,7

Novella 28

535

28,2

Novella 29

535

29,1; 29,1

Novella 30

536

30,11

Novella 31

536

31,2,1

Novella 42

536

42 praef.; 42 praef.; 42,1,2; 42,1,2; 42,3,3

Novella 56

537

56,1

Novella 83

539

83 praef.

Novella 89

539

89,9

Novella 103

536

103,3,1

Novella 123

546

123,2; 123,2,1; 123,2,1; 123,3; 123,3; 123,4; 123,11,2; 123,11,2; 123,16,1; 123,29

Novella 131

545

131,13,1

79

Usi del termine sacerdotium nelle Novelle

TAVOLA SINOTTICA DELLE OCCORRENZE DEL TERMINE ἱερωσύνη NELLE NOVELLAE CONSTITUTIONES Novelle

Anno

Occorrenze

Novella 6

535

6 praef.; 6,1,4; 6,1,7; 6,1,9; 6,1,9; 6,1,10; 6,5; 6,6; 6 epil.

Novella 7

535

7,2,1; 7,9

Novella 22

535

22,42; 22,42; 22,42; 22,44,1; 22,44,7

Novella 28

535

28,2

Novella 29

535

29,1; 29,1

Novella 30

536

30,11

Novella 31

536

31,2,1

Novella 42

536

42,1,2; 42,1,2; 42,3,3

Novella 56

537

56,1

Novella 89

539

89,9

Novella 103

536

103,3,1

Novella 123

546

123,2; 123,2,1; 123,2,1; 123,3; 123,3; 123,4; 123,11,2; 123,11,2; 123,16,1; 123,29

Novella 131

545

131,13,1

Novella 137

565

137,1; 137,1; 137,1; 137,3

Novella 154

535-536

154,1

TAVOLA SINOTTICA DELLE OCCORRENZE NOVELLAE CONSTITUTIONES

DEL TERMINE

ἱερατεία

Novelle

Anno

Occorrenze

Novella 6

535

6,1,10; 6,1,5; 6,5; 6,7

Novella 83

539

83 praef.

NELLE

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Sacerdotium nelle Novelle

Usi del termine sacerdotium in materia di ius publicum

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CAPITOLO II USI DEL TERMINE SACERDOTIUM IN MATERIA DI IUS PUBLICUM

SOMMARIO: 1. Honestas, pudicitia e puritas del sacerdotium: la Novella 6. – A) La pudicitia del sacerdotium: l’obbligo di celibato e il divieto di avere figli. – B) La pudicitia delle diaconissae e l’obbligo di nubilato. – C) La puritas del sacerdotium: a proposito dell’accusatio mossa al vescovo ordinando. – D) Il sacerdotium come ‘referente’ del popolo a livello locale. – E) «Sed neque pecuniis [oportere] emere sacerdotium ei permittimus» (Nov. 6,1,5). – 2. La tutela della vita religiosa dei monaci. – A) Vita monachalis e honestas: la Novella 5. – B) «Singularis vita eiusque contemplatio res est sacra»: la Novella 133. – 3. Il “testo unico” sul sacerdotium: la Novella 123. – A) Alcune disposizioni a tutela dell’honestas, della pudicitia e della puritas del sacerdotium. – B) Ancora sul divieto di acquistare l’episcopatus «per suffragium auri aut aliarum rerum» (Nov. 123,2,1). – C) Condizione servile e ascrittizia. – 4. Ancora sui requisiti di ordinazione: la Novella 137. – 5. Ecclesia “mater” dell’imperium: la Novella 3. – 6. Ecclesia “fons” del sacerdotium: la Novella 9. – 7. «[…] Ministeria non per venditionem neque per mercationem fieri aliquam volumus»: il particolare caso della Magna Ecclesia di Costantinopoli nella Novella 56. – 8. Pariter concurrentia tra diviniora e humana e consonantia tra sacerdotium e imperium: la Novella 42. – 9. Le praerogativae dell’archiepiscopus Primae Justinianae: la Novella 11. – 10. Il sacerdotium e il programma di riforme del 535-539. – A) La ridefinizione del ruolo e delle funzioni dell’episcopato a livello locale. – a) Novella 8: una lex generalis per l’utilitas publica. – b) Il ruolo del sacerdotium nella nomina del defensor civitatis: la Novella 15. – c) Il ruolo del sacerdotium nella nomina del pater civitatis e del frumentarius: la Novella 128. – d) Il sacerdotium e la funzione di garanzia per il populus. – B) Il riordino di diocesi e vicariati. – a) A proposito della continuità del sacerdotium: la Novella 28, la Novella 29 e la Novella 31. – b) Il sacerdotium nel quadro di difesa del populus e di mantenimento dell’ordine pubblico: la Novella 30, la Novella 103 e la Novella 154.

1. HONESTAS, PUDICITIA E PURITAS DEL SACERDOTIUM: LA NOVELLA 6 Giustiniano si sofferma sui requisiti di ordinazione del sacerdotium nella Novella 6 del 535, nella Novella 123 del 546 e nella Novella 137 del 565; analoghe disposizioni risultano poi stabilite, come vedremo, dalla Novella 5 del 535 e dalla Novella 133 del 539 con riferimento ai monaci. L’analisi della legislazione novellare in materia attesta come l’Imperato-

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Sacerdotium nelle Novelle

re, in continuità con quanto già sancito dai suoi predecessori 1, manifesti una solerte attenzione nei confronti del sacerdotium, finalizzata a salvaguardarne l’onestà e la purezza della vita personale 2. In tale contesto si inseriscono le prescrizioni relative all’imposizione dell’obbligo di celibato (e nubilato per le diaconissae), all’esigenza che i vescovi ordinandi non si siano resi colpevoli di azioni illecite, alla repressione del fenomeno di venalità delle cariche ecclesiastiche. Inoltre, significativa rilevanza assumono le disposizioni che proibiscono ai membri del sacerdotium di allontanarsi dalla Chiesa se non per determinate e motivate esigenze, in considerazione della peculiare funzione a essi assegnata quali punti di riferimento per il popolo e portavoce dei diritti dei più deboli. Per quanto concerne specificamente la Novella 6 del 535 3, in essa l’Imperatore si occupa dei requisiti di ordinazione di vescovi e chierici e in tal senso coglie perfettamente nel segno la rubrica del provvedimento “Quomodo oporteat episcopos et reliquos clericos ad ordinationem deduci, et de expensis ecclesiarum”. Nella Novella 6 il termine sacerdotium (iερωσύνη/ƒερατεία) appare dodici volte. Giustiniano stabilisce apposite disposizioni finalizzate a garantire che coloro i quali accedono al sacerdotium si rendano testimoni di pudicitia e di honestas, in considerazione della consapevolezza che a tali caratteristiche 1 Nel titolo II del libro XVI del Codex Theodosianus, sotto il titolo De episcopis, ecclesiis et clericis, si rivengono plurime disposizioni che danno dimostrazione di come la legislazione imperiale sembra volersi fare garante delle caratteristiche etiche dei chierici e soprattutto dei vescovi. Per approfondimenti vedi L. DE GIOVANNI, Il libro XVI del Codice Teodosiano. Alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa-Stato, cit., p. 39 ss. 2 La necessità di una fama illibata del prescelto emerge con evidenza dalla lettera di San Paolo apostolo a Tito (ad Tit. 1,5-9) che si sofferma sulle doti richieste ai presbiteri e ove si legge che nessuna macchia deve offuscare la vita di colui sul quale il popolo deve riporre la propria fiducia. Inoltre, è stabilito che i presbiteri debbano avere una sola moglie: primo passo verso l’obbligo di celibato che la Chiesa in seguito impone a coloro i quali è affidato il sacro ministero. Per gli altri cristiani, invece, l’apostolo permette espressamente le seconde nozze (cfr. ad Rom. 7,2 s.; I ad Cor. 7,39; I ad Timoth. 5,14). 3 Sul rilievo assunto dalla Nov. 6 nella legislazione giustinianea sotto il profilo degli ordinamenti ecclesiastici, anche in relazione alle altre Novelle in materia vedi L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano, cit., p. 194. In particolare sugli interventi che la Novella realizza negli interna corporis della Chiesa vedi R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, in Novella constitutio. Studies in honour of Nicolaas Van Der Wal, Groningen 1990, p. 40.

Usi del termine sacerdotium in materia di ius publicum

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consegue il favor Dei per l’imperium, oltre che la prosperità della vita pubblica 4. A ben vedere, infatti, il cap. 1 della Novella si apre proprio con la generale prescrizione secondo cui qualora debba procedersi all’ordinazione di un vescovo occorre anzitutto esaminare se la vita di lui sia honesta, inculpabilis e irreprehensibilis: Nov. 6,1: «Sancimus igitur sacras per omnia sequentes regulas, dum quispiam sequenti omni tempore ad ordinationem episcopatus adducitur, considerari prius eius vitam secundum sacrum apostolum, si honesta et inculpabilis et undique irreprehensibilis sit, et in bonis testimonium habeat, et sacerdotum decens» 5. Inoltre, secondo quanto emerge al cap. 1,7 il vescovo da ordinarsi deve essere scelto «aut ex monachis aut ex clericis» e deve rendersi testimone di onestà di vita e di buona fama, posto che è su tali principi che deve fondarsi il pontificatus: Nov. 6,1,7: «Igitur ordinandus episcopus aut ex monachis aut ex clericis sit, etiam in huiusmodi vita testimonii boni et honestus et gloria fruens bona, et hoc fundamentum pontificatus deponens animae» 6. La rilevanza delle disposizioni adottate dall’Imperatore è poi confermata dall’epilogus della Novella ove si legge che chi non osserva le prescrizioni sancite dalla costituzione in esame debba essere punito come indegno dell’ordine sacerdotale, posto che le stesse sono state sancite affinché resti inviolata la sacra disciplina («ubique dei culturam et sacram disciplinam custodientes inviolatam, poena imminente haec praevaricanti, quod penitus alienus sit a deo et imposito sibi sacerdotii ordine; nam velut indignus hoc excluditur») 7. 4 Vedi L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano, cit., p. 62. In tal senso anche B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 403. Sulla rilevanza assegnata all’honestas sacerdotum dalla legislazione giustinianea vedi F.M. DE ROBERTIS, “Sull’accesso delle donne agli ordini sacri”, cit., p. 503. 5 Nov. 6,1: «Θεσπίζομεν τοίνυν τοῖς θείοις διὰ πάντων ἑπόμενοι κανόσιν, ἡνίκα τις εἰς τὸν λοιπὸν ἅπαντα χρόνον ἐπὶ χειροτονίαν ἐπίσκοπος ἄγοιτο, σκοπεῖσθαι πρότερον αὐτοῦ τὸν βίον κατὰ τὸν θεῖον ἀπόστολον, εἰ σεμνός τε καὶ ἄμεμπτος καὶ πανταχόθεν ἀνεπίληπτος εἴη καὶ ἐπ’ ἀγαθοῖς μεμαρτυρημένος τε καὶ ἱερεῖ πρέπων». 6 Nov. 6,1,7: «Ὁ τοίνυν χειροτονούμενος ἐπίσκοπος ἢ ἀπὸ μοναχῶν ἢ ἀπὸ κληρικῶν ἔστω, εἴγε καὶ ἐν τῷ τοιούτῳ βίῳ μαρτυροῖτο σεμνὸς καὶ δόξης ἀπολαύων ἀγαθῆς, καὶ ταύτην κρηπῖδα τῆς ἀρχιερωσύνης ἐναποθέμενος τῇ ψυχῇ». 7 Nov. 6 epil.: «πανταχοῦ τὴν τοῦ θεοῦ λειτουργίαν καὶ τὴν ἱερὰν εὐκοσμίαν τηροῦντες ἀκέραιον, ποινῆς ἐπικειμένης τῷ ταῦτα παραβαίνοντι τοῦ παντελῶς αὐτὸν ἀλλότριον

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Sacerdotium nelle Novelle

I sacerdoti indegni vengono, dunque, rimossi e messi in condizione di non poter nuocere, giacché la loro presenza rappresenta nell’ottica dell’utilitas publica un “pericolo sociale”. Straordinaria importanza assume da questo punto di vista la prospettiva universalista in cui si pone Giustiniano in chiusura della Novella, laddove accanto ai concetti di sacerdotium e sacra disciplina richiama l’idea dell’imperium «quod semper est». Emerge in tutta evidenza l’idea della “eternità imperiale”, strettamente correlata all’integrità di vita del sacerdotium e alla volontà divina: è, dunque, precisato il nesso tra imperium, sacerdotium (e sacra disciplina) e immortalità della res publica 8. A) LA PUDICITIA DEL SACERDOTIUM: L’OBBLIGO DI CELIBATO E IL DIVIETO DI AVERE FIGLI

Tra i requisiti di ordinazione sanciti da Giustiniano nella Novella 6 particolare rilevanza assume l’imposizione del celibato: la legislazione novellaεἶναι θεοῦ τε καὶ τῆς ἐπικειμένης αὐτῷ κατὰ τὴν ἱερωσύνην ἀξίας· ὡς γὰρ ἀνάξιος ταύτης ἐξελαθήσεται». Vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 411; p. 417. L’A. evidenzia che «si attribuisce […] a chiunque la facoltà di denunziare al principe qualsiasi trasgressione. È notevole che il principio di non considerare come sacerdote l’indegno si motiva con la considerazione che le disposizioni sono prese secondo i canoni». Da ultimo sul punto vedi J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, Madrid 2015, p. 222. 8 Nella medesima prospettiva di universalità e “immortalità” dell’imperium deve essere interpretata la praefatio della Novella 47 del 537, indirizzata a Giovanni, praefectus praetorio, rubricata Ut praeponatur imperatoris nomen documentis, et ut latinis litteris apertius tempora praescribantur, che secondo quanto evidenziato dal Catalano risulta dotata di «una singolare importanza ideologica». Tale costituzione tratta della datazione dei documenti e, a tal proposito, l’Imperatore afferma che i contratti e gli atti ove si fa menzione della memoria temporis, nonché quelli decorati dalla commemoratio dell’imperium sono da considerare quali i più gloriosi. Viene, a riguardo, ricondotta la memoria all’antica res publica (πολιτεία) mediante l’indicazione di tre “origini” o “principi” dell’imperium (βασιλεία): si ricorda Enea, il nomen romano dei re Romolo e Numa i quali edificarono la civitas mediante la promulgazione delle leges. Infine, sono richiamati Cesare e Augusto, grazie ai quali la res publica si è resa immortale. Osserva, ancora, il Catalano come nelle parole adoperate dall’Imperatore si connetta «l’innovazione legislativa con un antico fondamento storico» e come «la nuova regolamentazione» venga posta «nel quadro del generale rapporto tra tempo e potere imperiale». Vedi P. CATALANO, “Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico”, cit., p. 43, nt. 61. Per approfondimenti sul contenuto della costituzione vedi M. AMELOTTI, “Il documento nel diritto giustinianeo. Prassi e legislazione”, in Il mondo del diritto nell’epoca giustinianea, cit., p. 125 ss.

Usi del termine sacerdotium in materia di ius publicum

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re prescrive un generale divieto di contrarre matrimonio per i vescovi, i presbiteri, i diaconi (e le diaconesse) e i suddiaconi 9. È lo stesso Imperatore al cap. 5 della Novella a porre in rilievo come la ratio di tale prescrizione vada ricercata nella necessità che coloro i quali intendano essere ordinati e, in particolare, coloro i quali mirino a ottenere l’episcopato, si rendano testimoni di pudicitia 10: ai membri del sacerdotium «pudice […] pertinet vivere» – afferma Giustiniano – ed è più semplice individuare «ex multis viris bonis» persone degne di essere innalzate «ad primum gradum sacerdotii» («πρὸς ἱερωσύνην ἀξίων»). A tal proposito vale la pena evidenziare come i concetti di pudor e pudicitia siano assai rilevanti nel sistema romano: essi, infatti, devono orientare l’agire dell’uomo e della donna (libera, serva etc.) 11 e sono strettamente connessi all’idea di iustitia 12. Tornando all’obbligo di celibato, per quanto riguarda specificamente i vescovi esso è prescritto al cap. 1,3 della Novella 6 ove si proibisce l’ordinazione del vescovo che si sia precedentemente unito in matrimonio a una donna vedova o separata dal marito. Diversa è, invece, la situazione per i chierici, i quali avrebbero potuto contrarre matrimonio finché non avessero fatto accesso a ordini superiori, comunque già a partire dal suddiaconato 13. 9

Sul punto vedi anche C. 1,3,44(45) pr. Il celibato è altresì ribadito in Nov. 6,1,3; Nov. 123,1; Nov. 137,2 e in Nov. 5,8 con riferimento ai monaci. In generale su questo tema vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 420 s. 10 Vedi L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano, cit., p. 62: «Il legislatore tiene particolarmente a garantire due valori molto sentiti nella coscienza religiosa: la pudicizia e la povertà». 11 Vi era addirittura un pudore degli animali; vedi ad. es., Sen., Phaedra 913-914; Plin., Naturalis historia 8,12; Marz., Epigrammata 1,109. Sui concetti di pudor e pudicitia vedi M.P. BACCARI, Matrimonio e donna, cit., p. 80 ss.; S. FUSCO, “Edictum de adtemptata pudicitia”, in Diritto@storia, 9, 2010. Per alcuni aspetti, con particolare riferimento alle fonti extragiuridiche, vedi M. LIBRÁN MORENO, “Pudicitia y fides como tópicos amorosos en la poesía latina”, in Emerita. Revista de lingüística y filologia clásica, 75, 2007, p. 3 ss. 12 Vedi C.J. ERRÁZURIZ, “La dimensione giuridica del pudore”, in Iustitia, 4, 2007, p. 461, il quale nel domandarsi per quale motivo il pudore abbia una dimensione giuridica, afferma che probabilmente il miglior modo di rispondere è che «la possiede nella misura in cui ha una dimensione di giustizia. Attraverso la relazione con la giustizia possiamo riavvicinare il pudore al mondo del diritto e farlo in modo tale da evitare alla radice il pericolo del positivismo relativista». 13 Per approfondimenti vedi L. BRÉHIER, Les institutions de l’Empire byzantin, Paris 1970, p. 407 s. L’A. evidenzia come a differenza dei vescovi, i chierici avrebbero potuto esercitare le proprie funzioni anche in costanza di matrimonio: «La legislation de Justinien,

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Tuttavia, resta ferma la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη) per il chierico che sia stato sposato due volte o che si sia unito in matrimonio a una donna vedova o separata 14. Al cap. 5 della Novella 6 si proibisce altresì l’ordinazione a diaconus o a presbyter per colui il quale abbia avuto in moglie una donna vedova, separata o concubina e si sancisce la destituzione dall’ordine (ἱερατείa) per il presbyter, il diaconus o il subdiaconus che prenda con sé una moglie o una concubina, tanto manifestamente quanto occultamente. Nella medesima prospettiva di difesa della pudicitia, al cap. 1,7 è sancito che il vescovo non debba avere nipoti o moglie e, qualora abbia contratto matrimonio antecedentemente l’ordinazione, dovrà essersi separato e aver professato la vita monachica o aver rivestito il clericato per sei mesi, pena la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη). Particolare interesse suscita da questo punto di vista anche quanto stabilito al cap. 1,4 della Novella in esame ove si legge che l’ordinando vescovo non debba avere figli sia legittimi che illegittimi, oltre che nipoti 15 e che qualora si sia proceduto all’ordinazione in spregio a tale prescrizione non solo colui il quale sia stato ordinato sarebbe stato destituito dal sacerdotium (ἱερωσύνη), ma anche chi abbia proceduto a tale illegittima ordinazione sarebbe stato allontanato dall’episcopato («neque filios aut nepotes habens neque cognitos legi neque illi odibiles; alioquin qui praeter haec aliquid agit, et ipse cadet sacerdotio, et qui eum ordinat, foris episcopatum sectabitur, hanc legem offendens» 16). restée fondamentale […]. Non seulement, d’après ses novelles, un clerc ne peut avoir été marié deux fois ou avoir épousé une veuve, mais, s’il se marie une fois ordonné, il encourt la déposition; marié ou non, il doit vivre en état de chasteté. Bien plus, le simple lecteur qui se marie après son ordination se ferme l’accès des ordre majeurs. Ces dispositions rigoureuses furent reproduites dans les lois postérieures». 14 Analogamente è disposto in Nov. 123,15 e in Nov. 22,42 ove è comminata la destituzione dal sacerdotium per colui il quale, «inter reverentissimos clericos» di grado superiore rispetto al lector o al cantor, contragga matrimonio. Inoltre, il lettore che contragga matrimonio successivamente all’ordinazione non potrà avere accesso agli ordini maggiori e qualora addivenga «ad secundas nuptias propter aliquam inevitabilem necessitatem» non potrà aspirare a un grado sacerdotale maggiore. Né potrà ottenere il sacerdotium un laico che si scopre abbia moglie (la quale sia separata dal marito oppure a questi «non legitime coniuncta») o che sia addivenuto «ad secundas nuptias». Per approfondimenti su Nov. 123 e Nov. 22 vedi infra par. 3 e Cap. II, par. 1. 15 In tal senso anche C. 1,3,41(42),1. 16 Nov. 6,1,4: «οὔτε παῖδας ἢ ἐγγόνους ἔχων, οὔτε γνωριζομένους τῷ νόμῳ οὔτε ὑπ’ ἐκείνου μεμισημένους· ἐπείτοιγε ὁ παρὰ ταῦτά τι πράττων αὐτός τε ἐκπεσεῖται τῆς

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Peraltro, come avremo modo di approfondire successivamente, anche al cap. 1 della Novella 123 del 546 Giustiniano ribadisce come i vescovi non debbano avere né moglie, né figli e tale divieto è stabilito anche con riferimento ai chierici al cap. 12 della medesima Novella in considerazione della necessità che questi ultimi si rendano testimoni di una vita retta e onesta. Ebbene, sotto tale profilo mette conto rilevare come con Giustiniano si assista a una vera e propria evoluzione intorno ai requisiti dell’ordinazione, che diventano sempre più precisi e rigorosi e ciò con particolare riferimento al divieto di avere figli che non trova invece riscontro nelle Sacre Scritture, tanto che San Paolo suppone che il vescovo abbia prole (I ad Timoth. 3,4-5) 17. B) LA PUDICITIA DELLE DIACONISSAE E L’OBBLIGO DI NUBILATO

Giustiniano dedica il cap. 6 della Novella 6 alle diaconissae 18, con riferimento alle quali sancisce specifiche disposizioni che danno dimostrazione del singolare interesse da egli manifestato per il diaconato femminile 19. L’Imperatore non manca di precisare i termini del loro status particolare e i doveri che lo stesso comporta: utilizza con riferimento alle diaconesse il termine “ecclesiasticum ministerium” (“ƒer£ diakon…a”) 20 e vieta l’ordinaἱερωσύνης καὶ ὁ τοῦτον χειροτονῶν ὁμοίως ἔξω τῆς ἐπισκοπῆς ἐλαθήσεται, τῷ νόμῳ τούτῳ προσκεκρουκώς». 17 Vedi B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 85, anche con riferimento alla sacrae regulae che avrebbero indotto Giustiniano a emanare siffatte disposizioni. Da ultimo sul punto, J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 200. 18 Sulla posizione giuridica delle diaconesse nella Chiesa vasta è la letteratura vedi A. KALSBACH, s. v. Diakonisse, in Reallexikon für Antike und Christentum, III, Stuttgart 1957, pp. 917-928; H. LECLERCQ, s. v. Chanoinesses, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, III, Paris 1913, coll. 248-256; R. GRYSON, Le ministère des femmes dans l’Église ancienne, Gembloux 1972, p. 31 ss.; A.G. MARTIMORT, Les diaconesses. Essai historique, Roma 1982. Da ultimo, P. LAURENCE, “La castitas féminine dans le Code Théodosien: rencontre entre l’Église et l’État?”, in Empire chrétien et Église aux IVe et Ve siècles. Intégration ou «concordat»? Le témoignage du Code Théodosien, Paris 2008, p. 386 ss. 19 Sul rilievo assunto dalle diaconissae nella legislazione giustinianea vedi P.G. CARON, “Lo ‘status’ delle diaconesse nella legislazione giustinianea”, in Atti dell’VIII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, cit., p. 509 ss.; L. DESANTI, “Sul matrimonio di donne consacrate a Dio nel diritto romano cristiano”, in SDHI, 53, 1987, p. 285 s. 20 Vedi F.M. DE ROBERTIS, “Sull’accesso delle donne agli ordini sacri”, cit., p. 503. L’A. evidenzia come delle diaconesse si tratti «non come di un istituto creato e legittimato ex novo, ma come di un ufficio ecclesiale già operante nella Chiesa del tempo» e come Giu-

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zione di quelle donne anche soltanto sospettate di coabitare con uomini che non fossero i loro padri o i loro fratelli. Per quanto concerne, in particolare, il cap. 6 della Novella in esame mette conto rilevare come si tratti della prima testimonianza da parte dell’Imperatore sulla presenza e sul ruolo delle diaconesse nell’organizzazione ecclesiastica dell’Impero e sin dalle prime battute emerge la rilevanza assegnata al loro ufficio, definito appunto come “ecclesiasticum ministerium”. Come i vescovi e i chierici devono rendersi testimoni di una vita onesta e irreprensibile, analogamente è prescritto per le diaconissae e le disposizioni in tal senso emanate dimostrano una «equiparazione assoluta, quanto alle norme disciplinari, tra la condizione dei sacerdoti e dei diaconi e quella delle diaconesse» 21. Le diaconissae sono chiamate a dare esempio di pudicitia, caratteristica che «maxime mulieres ornat» 22, e preservare quanto risulti conveniente alla loro natura e al sacerdotium (ἱερωσύνh) di cui sono rivestite. Ne consegue l’obbligo di nubilato, sanzionato con la pena di morte anche in caso di legitimae nuptiae, attenuata solo successivamente al cap. 30 della Novella 123 con la reclusione a vita in un monastero femminile. Tal ultima pena viene poi stabilita per le diaconesse che siano state rapite, sedotte o corrotte 23. stiniano anche in altre costituzioni non manchi di porre in evidenza l’importanza di questa figura, addetta ai sacri ministeri. Inoltre, vale la pena evidenziare come nell’ordine di precedenza le diaconissae seguivano i diaconi ma precedevano i suddiaconi. 21 P.G. CARON, “Lo ‘status’ delle diaconesse nella legislazione giustinianea”, cit., p. 514. Sul punto vedi anche F.M. DE ROBERTIS, “Sull’accesso delle donne agli ordini sacri”, cit., p. 503, il quale ritiene significativo il fatto che nella Novella il diaconato sia considerato come un ufficio unitario da affidare sia a uomini che a donne. In tal senso vedi anche Nov. 123,13, con riferimento ai limiti di età per l’ordinazione di presbiteri, diaconi, suddiaconi, lettori e diaconesse. 22 L’esigenza di preservare la pudicitia e la castitas per le diaconissae viene acutamente evidenziata da H. JONES, “Justiniani Novellae”, cit., p. 189: «Tant pour le laïcs que pour les ecclésiastiques, une autre vertu par excellence, aux yeux de l’empereur, est la chasteté [...]. De fait, elle est recommandée fréquemment dans les Novelles, pas plus spécialement aux femmes qu’aux hommes d’ailleurs, encore que, dans le cas des premières, pudicitia […] quam maxime mulieres ornat». 23 Nel cap. 6,6 della Novella 6 si tratta, altresì, del ratto di religiose; sul punto vedi S. PULIATTI, “La dicotomia vir-mulier e la disciplina del ratto nelle fonti legislative tardo imperiali”, in SDHI, 61, 1995, p. 524, il quale richiama anche Nov. 123,43 rilevando come, per contro, Nov. 6,6 «non rientrerebbe direttamente nella tradizione legislativa sulla repressione del ratto ma in quella che disciplina il matrimonio dei religiosi».

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Le severe misure repressive stabilite sorprendono «per lo straordinario rigore che si abbatte sulla diaconessa» 24 e danno contezza del singolare interesse mostrato da Giustiniano rispetto al problema della castità delle donne consacrate 25, che conduce l’Imperatore a colpirne il matrimonio scegliendo la via della repressione criminale 26. Viene, invero, stabilito che qualora le diaconesse abbandonino il sacro ministero sposandosi o abbracciando «aliam vitam» – vale a dire una convivenza sospetta o comunque una condotta che faccia emergere la corruzione della religiosa – debbano essere sottoposte alla pena di morte e le loro sostanze debbano essere devolute alle sanctissimae ecclesiae o ai monasteri in cui sono collocate 27. Parimenti è previsto per coloro i quali le abbiano prese in moglie o le abbiano sedotte, con la sola differenza che in tale ipotesi i beni di questi sono devoluti al fiscus. Difatti, continua Giustiniano, come «in antiquis legibus» venivano condannate a morte le Vestali che si fossero lasciate corrompere 28, la medesima pena deve essere inflitta alle diaconesse. 24 L. DESANTI, “Sul matrimonio di donne consacrate a Dio”, cit., p. 286. Per ulteriori approfondimenti vedi J. GAUDEMET, “Justum matrimonium”, in Études de droit romain, III, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino, 1979, p. 524, in particolare sulla repressione delle nozze illecite. 25 Sull’imposizione del nubilato alle diaconissae vasta è la letteratura, vedi per tutti, B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, II, cit., p. 253 ss.; L. DESANTI, “Vestali, vergini cristiane”, in Annali dell’Università di Ferrara. Scienze giuridiche, II, 1988, p. 271; p. 287 ss. Sull’attenzione dedicata da Giustiniano alla tutela dei boni mores e in particolare alla castitas delle donne vedi anche le disposizioni della Novella 14, che nella praefatio qualifica la castità come un dono divino e le disposizioni della Novella 51 del 537 sul giuramento delle scaenicae. Su questi temi vedi da ultimo, L. SANDIROCCO, “Giustiniano e le mulieres scaenicae. Una rilettura della Novella 14 del 535”, cit., p. 165 ss. 26 Giustiniano tornerà ad affrontare il tema del matrimonio delle diaconissae al cap. 17 della Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii, limitandosi a disporre lo scioglimento delle unioni che nel frattempo si fossero concluse. Sulla Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii vedi infra la bibliografia citata in nt. 152. 27 Tale pena sarà mitigata da Nov. 123,30 che infligge la reclusione in convento, vedi E. KARABELIAS, “Monde byzantine”, in RHD, 65, 1997, p. 415; P.G. CARON, “Lo ‘status’delle diaconesse nella legislazione giustinianea”, cit.; F.M. DE ROBERTIS, “Sull’accesso delle donne agli ordini sacri nella Chiesa primitiva”, cit., pp. 489-507; L. DESANTI, “Vestali, vergini cristiane”, cit., pp. 473-488. 28 Sulla rilevanza assunta dalle Vestali nella Romana religio e sugli aspetti giuridici di tale sacerdozio vedi G. GIANNELLI, Il sacerdozio delle Vestali romane, Firenze 1913; F. GUIZZI, Aspetti giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968; L. DESANTI, “Vestali e vergini cristiane”, cit., p. 287 ss.; M.C. MARTINI, Le vestali: un sacerdozio funzio-

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C) LA PURITAS DEL SACERDOTIUM: A PROPOSITO DELL’ACCUSATIO MOSSA AL VESCOVO ORDINANDO

A conferma dell’importanza della honestas e della puritas del sacerdotium, nonché della necessità che colui il quale venga ordinato sia testimone di una vita irreprensibile, depone quanto sancito al cap. 1,10 della Novella 6 a proposito del caso in cui taluno si opponga all’ordinazione, asserendo che il vescovo abbia commesso delle azioni illecite. Ne discende che egli non possa conseguire il sacerdotium (ἱερωσύνη) se prima non venga dichiarato innocente a seguito di una legitima examinatio dell’accusa. Laddove, invece, si proceda ugualmente ad ordinationem, quest’ultima deve essere dichiarata nulla e colui il quale vi abbia provveduto «sine probatione» deve essere destituito dal grado sacerdotale (ἱερατεία) poiché mostratosi reo innanzi a Dio «qui praecipue omnium quaerit suorum sacerdotum puritatem». La puritas costituisce, invero, un elemento fondamentale nella vita degli ordinati e i sacerdoti indegni sono perciò ritenuti un vero e proprio “pericolo sociale” per la res publica. D) IL SACERDOTIUM COME ‘REFERENTE’ DEL POPOLO A LIVELLO LOCALE

La peculiare funzione svolta dal sacerdotium induce Giustiniano a prevedere specifiche disposizioni volte a garantire una costante presenza dei vescovi a livello locale, considerati dei veri e propri punti di riferimento per il popolo e portavoce dei diritti dei più deboli. A tal proposito, secondo quanto evidenziato dal Barone Adesi, sussiste nella legislazione giustinianea una profonda convergenza tra res publica ed ecclesia che si manifesta nell’esigenza dell’Imperatore di «offrire alla città un pater destinato a presiedere l’ecclesia per tutto il tempo del suo ministero» 29. nale al “cosmo” romano, Bruxelles 2004. In particolare, sulla tutela della castità delle Vestali, elemento funzionale a garantirne la vicinanza agli Dei vedi L. FRANCHINI, Aspetti giuridici del pontificato romano, cit., p. 254, nt. 506 (ivi bibliografia); da ultimo, C. MASI DORIA, “Acque e templi nell’Urbe: uso e riti. Il caso della Vestale Tuccia”, in Il governo del territorio nell’esperienza storico-giuridica, a cura di P. Ferretti, M. Fiorentini, D. Rossi, Trieste 2017, p. 95 ss. 29 G. BARONE ADESI, “L’urbanizzazione episcopale nella legislazione tardoimperiale”, in L’évêque dans la cité du IVe au Ve siècle. Image et autorité. Actes de la table ronde de Rome (1er et 2 décembre 1995), Roma 1998, p. 58. L’A. osserva come il vescovo sia destinato a

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In tale contesto si inseriscono le prescrizioni che proibiscono ai vescovi di allontanarsi dalla Chiesa in cui esercitino il proprio ministero e quelle che sanciscono severe sanzioni a carico dei chierici che abbandonino la Chiesa per migrare «ad alteram vitam». Peraltro, Giustiniano già in C. 1,3,42(43) del 528 ha prescritto che i sacerdoti non debbano assentarsi dalle rispettive sedi, così da non esser distolti dall’esercizio delle proprie funzioni. Nella medesima linea, al cap. 2 della Novella 6 l’Imperatore dispone che, fatta eccezione per l’ipotesi di espressa autorizzazione da parte dell’imperium o del Patriarca o del metropolita 30, i vescovi non possano assentarsi per oltre un anno dalla Chiesa loro assegnata 31. La ratio di tale disposizione – peraltro ribadita anche al cap. 9 della Novella 123 – è immediatamente chiarita da Giustiniano: il vescovo «per la sua stessa funzione di perno che testimonia l’unità e la pace tra gli uomini» 32 è posto a servizio del popolo che deve poter contare sulla sua costante presenza 33. Analogamente, al cap. 7 della Novella 6 non è consentito derelinquere il guidare la Chiesa locale alla quale è stato preposto e non se ne deve allontanare per nessuna ragione, neppure per recarsi dall’Imperatore, secondo quanto anche sancito dai can. antiocheni 11-12. Inoltre, l’A. evidenzia che tra il IV secolo e la metà del V, alcuni canoni promulgati dai sinodi svoltisi in Oriente completino la definizione dell’immagine episcopale, ancorandola al rapporto che unisce ogni singolo episcopus all’ecclesia della città nella quale è posta la relativa cattedra episcopale. 30 Sull’ufficio del metropolita nella tradizione ecclesiale latina vedi D. CECCARELLI MOROLLI, “La figura del metropolita sui iuris tra storia e realtà codiciale”, in Strutture sovraepiscopali nelle Chiese orientali, a cura di L. Sabbarese, Città del Vaticano 2011, p. 75 ss. 31 Nov. 6,2: «Hoc enim non habet decentem rationem, ut cum multitudine, quam necesse est episcoporum habere ministeria, lustrent peregre et expendant, et neque ullum sanctissimis ecclesias praebere iuvamen neque secundum quod decet sacerdotes proprium habere habitum»; «Τοῦτο γὰρ οὐκ ἂν ἔχοι πρέποντα λογισμόν, τὸ μετὰ πλήθους, ὅπερ ἀνάγκη τὰς τῶν ἐπισκόπων ἔχειν θεραπείας, περινοστεῖν τε ἐν ξένῃ καὶ δαπανᾶν, καὶ μηδεμίαν ταῖς ἁγιωτάταις ἐκκλησίαις παρέχειν ὠφέλειαν, μηδὲ κατὰ τὸ πρέπον ἱερεῦσι διαγίνεσθαι σχῆμα, παρόν». Anche per tale ipotesi Giustiniano prescrive specifiche sanzioni da comminarsi qualora i vescovi abbiano agito in spregio al divieto: dovranno essere richiamati dal Patriarca o dai metropoliti e, in caso di mancata ottemperanza a detto richiamo, è stabilita la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη) e la sostituzione con chi si dimostri degno di tale ministero. 32 L. DE GIOVANNI, Il libro XVI del Codice Teodosiano. Alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa-Stato, cit., p. 44. 33 Sul divieto imposto ai vescovi di abbandonare le proprie sedi vedi anche Nov. 67,3, Nov. 86,8 e Nov. 123,9, vedi N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., p. 7 nt. 4. Sulle prescrizioni di Nov. 6,2 in rapporto a Nov. 123,9, vedi L. CHEVAILLER, J.C. GENIN, “Recherches sur les apocrisiaires. Contribution à l’histoire de la représentation pontificale (V-VIII s.)”, in Studi in onore di G. Grosso, III, cit., p. 379, nt. 50.

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sacerdotium (ƒerate…a) e migrare «ad alteram vitam» per coloro i quali siano stati ordinati diaconi o presbyteri, così come prescritto per i subdiaconi e i lectores. Orbene, il profondo legame sussistente tra il sacerdotium e il luogo in cui si esercita il sacrum ministerium si ricollega all’esigenza di tutelare il popolo che, come detto, considerava i sacerdoti dei veri e propri punti di riferimento, soprattutto a livello locale. E) «SED NEQUE PECUNIIS [OPORTERE] EMERE SACERDOTIUM EI PERMITTIMUS» (NOV. 6,1,5)

Tra i requisiti di ordinazione sanciti da Giustiniano rientra anche quello relativo alla necessità che la stessa non sia avvenuta all’esito del pagamento di una somma di denaro. Tale fenomeno «che si manifesta – o almeno si fa giuridicamente rilevante – soprattutto a certi livelli della gerarchia ecclesiastica» 34 è oggetto di particolare attenzione da parte dell’Imperatore che in plurime occasioni si sofferma sulla questione relativa al mercimonio delle cariche ecclesiastiche e, più in generale, di quelle pubbliche 35. Le motivazioni poste a fondamento dell’attenzione prestata da Giustiniano a tale tematica sono essenzialmente riconducibili a due differenti, ma correlate esigenze. Da un lato, quella di reprimere – nella generale ottica di perseguimento dell’utilitas publica – un fenomeno risalente nel tempo, che era stato già affrontato da altri Imperatori ma evidentemente mai risolto 36: dalla cessazione dell’illecito traffico di cariche pubbliche avrebbe tratto giovamento non solo l’imperium ma, più ampiamente, il populus. Dall’altro, la mancanza di avidità e il disinteresse per il patrimonio costituiscono caratteristiche imprescindibili del sacerdotium, secondo quanto anche evidenziato da fonti precedenti. 34

R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535. Nov. Iustiniani 8: venalità delle cariche e riforme dell’amministrazione periferica, Bologna 19802, p. 127 s. Sul punto vedi anche, R. RIZZO, “Papa Gregorio Magno e la simoniaca haeresis”, in Augustinianum, 51.1, 2013, p. 199 ss.; J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 211. 35 Sul punto vedi infra, con particolare riferimento a Nov. 8 praef. 36 Vedi L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano, cit., p. 64; A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, Milano 1990, p. 46.

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Conformemente al generale orientamento della Chiesa 37, Ammiano Marcellino disapprova i chierici che, ascesi all’episcopato, si arricchiscono mediante le offerte delle matrone 38 e l’avidità del sacerdotium è fortemente deplorata anche dai Padri della Chiesa. In una lettera di Ambrogio indirizzata a Valentiniano II nell’anno 384 si legge che «malo enim nos pecunia minores esse quam gratia» 39. Inoltre, mette conto rilevare come l’esigenza avvertita da Giustiniano di vietare espressamente la compravendita delle cariche ecclesiastiche sia stata già fortemente avvertita dai suoi predecessori 40. Basti, a tal proposito, menzionare due costituzioni di Leone e Antemio del 469, collocate in C. 1,3,30(31) pr. e C. 1,3,30(31),4 ove si legge, rispettivamente, che possa essere innalzato alla dignità di vescovo solo colui che «puris hominum mentibus nuda electionis conscientia sincero omnium iudicio proferatur» e che «Non pretio, sed precibus ordinetur antistes». Il merito è, dunque, la sola via per raggiungere il seggio vescovile e nessuno può considerare in vendita il “gradum sacerdotii”: l’ordinazione deve essere fondata non sul prezzo dell’acquisto ma esclusivamente sulla preghiera 41. In questa prospettiva, al cap. 1,5 della Novella 6 Giustiniano afferma che non è consentito all’ordinando vescovo di comperare il sacerdotium 37

Vedi, ad es., il concilio di Cartagine del 397 («ut episcopi, et presbyteri, et diaconi, vel clerici, non sint conductores, neque procuratores privatorum, neque ullo turpi, vel inhonesto negotio victum quaerant») e il successivo concilio di Arles del 443 che prescrive la scomunica a carico del chierico che «pecuniam dederit ad usuram, aut conductor alienae rei voluerit esse, aut turpi lucri gratia aliquid negotiationis exercuerit». 38 Amm. Marc., 27,3,14-15: «Neque ego abnuo, ostentationem rerum considerans urbanarum, huius rei cupidos ob impetrandum, quod appetunt, omni contentione laterum iurgari debere, cum id adepti, futuri sint ita securi ut ditentur oblationibus matronarum, procedantque vehiculis insidentes circumspecte vestiti, epulas curantes profusas adeo ut eorum convivia regales superent mensas. Qui esse poterant beati re vera, si magnitudine urbis despecta, quam vitiis opponunt, ad imitationem antistitum quorundam provincialium viverent, quos tenuitas edendi potandique parcissime, vilitas etiam indumentorum et supercilia humum spectantia perpetuo numini verisque eius cultoribus ut puros commendant et verecundos. Hactenus deviasse sufficiet, nunc ad rerum ordines revertamur». 39 Ambros., Ep. 18,14 (PL 16,976). 40 Per un’analisi della legislazione imperiale precedente vedi L. DE GIOVANNI, Il libro XVI del Codice Teodosiano. Alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa-Stato, cit., p. 41 ss. 41 Sul punto vedi A. TRISCIUOGLIO, Studi sul crimen ambitus in età imperiale, Milano 2017, p. 122 ss. (ivi bibliografia). L’A. osserva che «il contegno “ambizioso” del vescovo» venga ivi equiparato al crimen maiestatis, sia pure da un punto di vista esclusivamente procedimentale.

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(ἱερατεία) mediante pecuniae ed è necessario che egli non si distragga con alcuna humana cogitatio, dovendosi rivolgere soltanto alla cura delle cose divine: Nov. 6,1,5: «Sed neque pecuniis [oportere] emere sacerdotium ei permittimus, solum vero respicere cum domini dei culturam volumus, et non plurimis humanis cogitationibus protrahi» 42. Tale prescrizione rappresenta, a ben vedere, l’evoluzione di quanto già sancito in C. 1,3,41(42),19 ove è stabilito, in conformità alla disciplina ecclesiastica, il principio della non venalità delle cariche ecclesiastiche (vescovo, corepiscopo, visitatore, presbitero, chierico) e paraecclesiastiche (es. economo, defensor ecclesiae), pena la destituzione dell’ordinando dalla funzione attribuitagli e una non precisata punizione spirituale («domini dei vindicta») 43. E ancora, al cap. 1,9 della Novella 6 è proibito al vescovo di accedere al sacerdotium (ἱερωσύνη) versando del denaro o conferendo in cambio altre cose: Nov. 6,1,9: «Et hanc non pecuniis emere neque per rerum aliquarum dationem suscipere, sed puram percipere et sine mercede, tamquam a deo datam» 44. L’intento è chiaro: l’ordinatio è concessa direttamente da Dio, pertanto è necessario che essa sia pura e ricevuta «sine mercede». Allo stesso modo, come vedremo, anche nella Novella 56 del 537 Giustiniano tiene a precisare come, proprio perché discendenti da Dio, le cariche ecclesiastiche non possano essere oggetto di venditio o di mercatio 45. Le conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle disposizioni sancite al cap. 1,9 della Novella 6 sono particolarmente severe: Giustiniano stabilisce che anche laddove il vescovo possegga tutti i requisiti prescritti ai fini dell’ordinazione, sarà comunque costretto a rinunciare al proprio offiNov. 6,1,5: «Ἀλλ’ οὐδὲ χρημάτων ὠνήσασθαι τὴν ἱερατείαν αὐτῷ συγχωροῦμεν, μόνῃ δὲ προσέχειν αὐτὸν τῇ τοῦ δεσπότου θεοῦ θεραπείᾳ βουλόμεθα, καὶ μὴ πολλαῖς ἀνθρωπίναις φροντίσι περιέλκεσθαι». 43 Vedi S. PULIATTI, “Antiquitatis reverentia e funzionalità degli istituti nelle riforme costituzionali di Giustiniano”, in Tradizione romanistica e Costituzione, II, cit., pp. 1391-1393. 44 No. 6,1,9: «καὶ ταύτην μὴ χρημάτων ὠνεῖσθαι μηδὲ διὰ πραγμάτων τινῶν δόσεως λαμβάνειν, ἀλλὰ καθαρὰν δέχεσθαι καὶ ἄμισθον, οἷα παρὰ θεοῦ δεδομένην». 45 Su Nov. 56 vedi infra, par. 7. 42

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cium qualora si scopra che abbia acquistato l’episcopatus mediante pecuniae o altre res 46. Inoltre, la sanzione fissata dall’Imperatore consiste non solo nella decadenza dal sacerdotium (ἱερωσύνη), dettata anche per colui il quale sia stato complice del reo, ma altresì nella restituzione dell’oro e delle res «quae occasione ordinationis datae sunt». E ciò, tanto nel caso in cui tali res siano state ricevute da un vescovo (il quale sarà destituito dal vescovato), quanto laddove esse siano state assegnate a un altro membro del sacerdotium (il quale sarà pure soggetto alla destituzione), di modo che colui il quale abbia ricevuto la retribuzione non solo perderà l’ordine sacerdotale ma dovrà altresì restituire alla Chiesa il denaro o le cose che gli siano state date a motivo dell’ordinazione stessa. Analogamente vale laddove ad aver ricevuto una qualche retribuzione sia stato un laico (extraneus), ma in tal caso tutto quanto illecitamente ricevuto deve essere restituito alle sanctissimae ecclesiae «in duplum» e laddove il soggetto corrotto «administrationem habet» deve essere condannato all’exilium perpetuum. A ben vedere, peraltro, le prescrizioni di Nov. 6,1,9 sono speculari, anche se più dettagliate, rispetto a quelle di Nov. 123,2,1 ove – come vedremo – pure si proibisce l’ordinazione episcopale per chi abbia offerto oro o altre cose: in caso di mancata ottemperanza tanto il dans quanto l’accipiens sono sanzionati con la decadenza dal sacerdotium e quanto illegittimamente conferito per tale scopo è devoluto alla Chiesa di cui si sarebbe voluto acquistare il sacerdozio 47. 46 Sul punto vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit. p. 473; R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 133: «In questo testo, sicuramente, […] il fenomeno […] appare […] di assoluta evidenza; e l’intervento del legislatore può essere spiegato soltanto con l’effettivo – e non sporadico – verificarsi di simili casi di corruzione». 47 Sulla specificità delle sanzioni prescritte dall’Imperatore, anche in rapporto a quanto disposto da Nov. 123,2,1 vedi A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 50 s. Inoltre l’A. evidenzia come le prescrizioni di Nov. 6,1,9 siano più dettagliate rispetto a quelle di Nov. 123,2,1: «nei confronti del laico oltre alla pena del doppio comminano l’esilio perpetuo, questo almeno nel caso in cui il soggetto interessato avesse ricoperto qualche “magistratura”; del vescovo che ha “acquistato” la dignità precisano che non solo dovrà decadere da essa, ma anche da quella di presbitero o diacono se dianzi la rivestiva (sanzione questa implicita nell’esclusione dal clero prevista anche da Nov. 123)». Su Nov. 123,2,1 vedi infra, par. 3.

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2. LA TUTELA DELLA VITA RELIGIOSA DEI MONACI Le disposizioni sancite da Giustiniano nella Novella 6 con riferimento ai vescovi e ai chierici trovano rispondenza in quanto prescritto dall’Imperatore riguardo ai monaci nella Novella 5 del 535 e nella Novella 133 del 539. Sotto tale profilo mette conto precisare come nelle suddette Novelle il termine sacerdotium non appaia, né ricorrono nella versione greca i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία; tuttavia, è utile esaminare alcune disposizioni di tali costituzioni al fine di porre in rilievo come la necessità di garantire una condotta di vita onesta e integerrima, posta a beneficio dell’imperium e del populus, venga fermamente sottolineata da Giustiniano anche con riferimento ai monaci. Giova, a riguardo, premettere che – secondo quanto acutamente rilevato dal De Giovanni – il monachesimo, particolarmente nella fase iniziale della sua espansione, è un movimento così complesso e sfaccettato che è assai difficile individuarne linee di tendenza omogenee 48. Tuttavia, la normativa giustinianea in materia si presenta assai completa e non poche prescrizioni risultano, a ben vedere, ispirate a quanto sancito da San Benedetto in ordine alla tutela della vita dei monaci e alla loro totale consacrazione a Dio, volta a preservare i religiosi da contatti dannosi con il mondo profano e a favorire la perpetuità della loro scelta spirituale 49. Inoltre, per quanto concerne specificamente la “vita monachalis” alcune disposizioni sancite dall’Imperatore risultano in linea con quanto già disposto sul punto da parte dei suoi predecessori, con particolare riferimento alla necessità di una condotta di vita raccolta e solitaria. Basti, a tal proposito, richiamare CTh. 16,3,1 di Valentiniano, Teodosio e Arcadio del 390, ove – anche in conformità a quanto sancito dalle fonti patristiche 50 – è stabilito che i monaci debbano abitare in «deserta loca et vastas 48

L. DE GIOVANNI, “Monaci pericolosi. A proposito di CTh. 16.3.1 e CI. 1.3.29”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, II, cit., p. 998 s. 49 Vedi P. COLLINET, “La règle de saint Benoit et la législation de Justinien”, in Revue de l’histoire des religions, 104, 1931, p. 1931. 50 Girolamo scrive nel 395 al sacerdote Paolino «Si cupis esse quod diceris, monachus, id est solus, quid facias in urbibus […]?» (Hier., Ep. 58,5,1-2 [PL, 22,583]), ponendo al contempo in rilievo la missione espletata dai sacerdoti all’interno della Chiesa, di guida per il popolo che deve essere da essi istruito («Monachus non doctoris habet, sed plangentis officium», Hier., Contra Vigilantium 15 [PL 23,367A]).

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solitudines» 51, attestazione dell’esigenza avvertita dagli Imperatori di sancire l’obbligo per i monaci di risiedere al di fuori dei centri abitati ove possano raccogliersi in preghiera e non essere distratti dalle umane sollecitudini. Nel medesimo senso depone anche C. 1,3,29 di Leone e Antemio del 471 che vieta ai monaci di uscire dai monasteri e di fare ingresso nelle città al fine di evitare dispute sulla religione e la seduzione degli animi del popolo 52. A) VITA MONACHALIS E HONESTAS: LA NOVELLA 5

Giustiniano attribuisce, dunque, al fenomeno monastico grande rilievo, preoccupandosi di assicurare la separazione dei monaci dal mondo profano; sicché nella Novella 5 del 535, indirizzata a Epifanio e rubricata De monachis, detta un complesso organico di norme sui monasteri, i monaci e più in generale sulla vita monastica. Nella praefatio si legge che la vita monachalis deve essere improntata all’honestas: chi voglia abbracciare lo stato monacale deve rendersi testimone di integrità di vita e, pertanto, l’Imperatore prevede specifiche disposizioni riferite alla condotta che i monaci sono chiamati a osservare. La Novella 5 stabilisce, tra le altre, apposite prescrizioni in ordine alla costruzione dei monasteri (cap. 1), alle regole di accesso alla vita monacale (cap. 2), alla vita monastica in comune (cap. 3), all’abbandono del monastero da parte del monaco (cap. 4), ai doveri spettanti al monaco dimesso dal monastero (cap. 5), al passaggio del monaco da un monastero all’altro (cap. 7) e all’obbligo di celibato (cap. 8). 51 CTh. 16,3,1: «Quicumque sub professione monachi repperiuntur, deserta loca et vastas solitudines sequi adque habitare iubeantur». Gli stessi Imperatori nel 392 attenuano tale disposizione, prescrivendo che i monaci avrebbero potuto fare ingresso in città (CTh. 16,3,2: «Monachos, quibus interdictae fuerant civitates, dum iudiciariis aluntur iniuriis, in pristinum statum submota hac lege esse praecipimus; antiquata si quidem nostrae clementiae iussione liberos in oppidis largimur eis ingressus»). Su queste costituzioni vedi ampiamente, L. DE GIOVANNI, “Monaci pericolosi. A proposito di CTh. 16.3.1 e CI. 1.3.29”, cit., p. 998 ss. Con particolare riferimento ai motivi che avrebbero indotto gli Imperatori a intervenire in materia vedi G.L. FALCHI, “Osservazioni su C.Th. 1,6 ‘De monachis’”, in Atti del IV Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1981, p. 229 ss.; G. BARONE ADESI, Monachesimo ortodosso d’Oriente e diritto romano del tardo antico, Milano 1999, p. 139 ss. Quest’ultimo pone, peraltro, in rilievo come la presenza nel Codice Teodosiano di un titolo specifico de monachis, assente in quello Giustinianeo (che, invece, si riferisce congiuntamente a chierici, vescovi e monaci in C. 1,3) testimoni la peculiare attenzione accordata al fenomeno monastico durante il V secolo. 52 Su C. 1,3,29 vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 170.

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Tali disposizioni sono state oggetto di approfondimento da parte di una già vasta letteratura 53, mi limito pertanto a richiamare alcuni passaggi che appaiono interessanti ai fini della disamina che vado conducendo. Da questo punto di vista, particolare rilevanza assumono le disposizioni del cap. 7 della Novella ove l’Imperatore qualifica come caratteristiche imprescindibili della vita monastica la pazienza, la costanza e la perseveranza d’animo («Erronea namque talis est vita monachica, nullatenus tolerantiae proxima, neque constantis et persistentis animae, sed indicium habens circumlatae et aliunde alia requirentis» 54). Inoltre, i vescovi sono chiamati a vigilare sugli spostamenti dei monaci, in linea con quanto sancito al cap. 42 della Novella 123 ove Giustiniano – dopo aver ribadito che essi non devono abbandonare i propri monasteri – ne vieta la circolazione nelle città, a eccezione degli apocrisari 55. Particolare rilevanza assumono altresì le disposizioni sancite al cap. 4 della Novella 5 in relazione al regime giuridico dei beni appartenenti ai monaci: Giustiniano, in parziale riforma di C. 1,3,52(53),9, stabilisce che se un monaco abbandoni un monastero per dedicarsi a vita solitaria, i beni di cui sia stato proprietario al momento della monacazione debbano essere attribuiti al monastero stesso 56. Tali previsioni risultano, peraltro, confermate dalla Novella 76 del 538, indirizzata a Giovanni, praefectus praetorio, rubricata Haec constitutio in53

Vedi per tutti, R. ORESTANO, “Beni dei monaci e monasteri nella legislazione giustinianea”, in Studi in onore di P. De Francisci, IV, 1956, p. 563 ss. (ora in ID., Scritti, III, cit., p. 1275 ss.); L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano, cit., p. 153 ss.; G. BARONE ADESI, Monachesimo ortodosso d’Oriente e diritto romano del tardo antico, cit., p. 383 ss.; A.S. SCARCELLA, “Condotta dei monaci e legislazione imperiale da Teodosio I a Giustiniano”, in BIDR, 35-36, 1993-1994, p. 317 ss. 54 Nov. 5,7: «Προσῆκον δέ ἐστι, τοὺς εὐλαβεστάτους ἡγουμένους μὴ εἰσδέχεσθαι τὸν τοῦτο πράττοντα. ἀλήτης γὰρ ὁ τοιοῦτος βίος, καὶ μοναχικῆς καρτερίας οὐδ’ ὅλως ἐγγύς, οὐδὲ σταθερᾶς καὶ μονίμου ψυχῆς, ἀλλὰ περιφερομένης τε καὶ ἄλλοτε ἄλλα ζητούσης ἀπόδειξιν ἔχων». 55 Sul punto vedi G. L. FALCHI, “Osservazioni su C.Th. 1,6 ‘De monachis’”, cit., p. 244 s.; A.S. SCARCELLA, “Condotta dei monaci e legislazione imperiale da Teodosio I a Giustiniano”, cit., p. 340 ss. Sulle Novelle che richiamano la figura degli apocrisari (Nov. 6,2, Nov. 37,1; Nov. 123,25; Nov. 153 praef.) vedi N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., p. 8. 56 Su C. 1,3,52(53),9 e sulle disposizioni del Codex che disciplinano il regime dei beni dei monaci vedi R. ORESTANO, “Beni dei monaci e monasteri nella legislazione giustinianea”, cit., p. 565 ss.; L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano, cit., p. 245 ss.

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terpretatur priorem constitutionem de his qui ingrediuntur in monasterium et de substantiis eorum et ex quo tempore oporteat eam valere, la quale introduce un particolare regime transitorio per tutti coloro che si trovavano già nello stato monastico alla data di pubblicazione della Novella 5 57. Tale regime risulta, invece, temperato dalla Novella 123, la quale introduce apposite deroghe per l’ipotesi di esistenza di figli: al cap. 38 si legge che in assenza di questi ultimi, il patrimonio di cui il monaco non abbia disposto prima della monacazione debba essere attribuito al monastero. Viceversa, in presenza di figli, al monaco «viene restituito – in certi casi ed entro certi limiti – il potere di disporre del proprio patrimonio anche dopo la monacazione» 58. B) «SINGULARIS VITA EIUSQUE CONTEMPLATIO RES EST SACRA»: LA NOVELLA 133

Sulla condotta di vita dei monaci Giustiniano si sofferma anche nella Novella 133 del 539, indirizzata al beatissimus episcopus Mena 59 e rubricata Quomodo oportet monachos vivere. La Novella coglie nel segno sin dalle prime battute ove l’Imperatore qualifica la vita monastica, congiunta alla meditazione, come “res sacra” poiché eleva l’anima “ad deum” e non solo questo è di grande utilità per coloro i quali la professano, ma per tutti gli altri uomini: Nov. 133 praef.: «Singularis vita eiusque contemplatio res est sacra et ex hoc evehens animas ad deum, et non solum iuvans eos qui ad hoc accedunt 57 Nella praefatio della Novella 76 si legge che una donna aveva fatto ingresso nella vita monastica prima del 535 e non aveva provveduto per tempo a disporre del proprio patrimonio nei confronti di un figlio legittimo. Proprio sulla scorta di tale fattispecie, Giustiniano stabilisce che le disposizioni della Novella 5 non debbano trovare applicazione con riferimento a coloro i quali abbiano fatto accesso alla vita monastica prima della pubblicazione della costituzione del 535, restando quindi essi legittimati a disporre anche in seguito dei beni che possedevano in quel momento. 58 R. ORESTANO, “Beni dei monaci e monasteri nella legislazione giustinianea”, cit., p. 576. Alla luce di tale riforma, secondo l’A., i principi fondamentali in materia avrebbero potuto essere così sintetizzati: «1) piena e insindacabile libertà per il monacando di disporre come meglio credesse dei suoi beni prima della monacazione; 2) passaggio automatico al monastero – in caso di mancanza di figli – di tutti i beni di cui fosse ancora proprietario al momento della monacazione; 3) mantenimento di un certo potere di disposizione da parte del monaco sul proprio patrimonio nel caso che egli avesse figli; 4) diritto dei figli a ottenere, comunque, sui beni che il monacando apportava al monastero, una quota (pars legitima) pari a quella che sarebbe dovuta loro spettare sui beni del genitore in caso di una normale successione mortis causa». 59 Sull’episcopus Mena vedi S. COSENTINO, Prosopografia dell’Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, p. 389.

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sed etiam aliis omnibus per eius puritatem et supplicationem ad deum praebens inspectam utilitatem. Unde et priscis imperatoribus studii fuit et a nobis non pauca sancita sunt de eorum honestate et ornatu» 60. L’Imperatore ribadisce, quindi, con fermezza l’importanza delle disposizioni poste a tutela dell’honestas e dell’ornatus dei monaci, tale da aver indotto anche i suoi predecessori ad approfondire siffatte tematiche. Secondo quanto rilevato dal Puliatti, le parole adoperate nella praefatio in esame rendono evidente come «il sacerdozio e, più in generale, la vita monastica espletano la loro sacralità nell’opera di conciliazione dell’uomo con Dio» 61. Orbene, è in questa prospettiva che vanno lette le specifiche e rigorose disposizioni emanate dall’Imperatore nella Novella in esame: al cap. 2 è posto in evidenza che i monaci non debbano distrarsi con “humanae sollicitudines”; al cap. 4 si stabilisce di dare corso a frequenti ispezioni nei monasteri da parte dei responsarii, ai quali era proprio assegnato il compito di mantenere la disciplina monastica; al cap. 6 si stigmatizza la condotta del monaco sorpreso “in taberna”. Particolare rilievo assumono poi al cap. 5 le sanzioni comminate ai monaci in caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni in esame, rispetto alle quali viene effettuata una triplice distinzione: per l’ipotesi di lieve trasgressione è prevista un’ammonizione e una penitenza che consenta l’emenda del reo; in caso di reato più grave il reo è sottoposto a un’ammonizione più rigorosa e a una pena più severa. Ma, precisa l’Imperatore, laddove anche tale rimedio si fosse rivelato inutile, il peccatore avrebbe dovuto essere espulso dal monastero anche al fine di non contaminare gli altri «per eius malum», come avviene nelle epidemie degli animali («sicut morbosorum et inexcusabiliter languentium iumentorum»). Da questo punto di vista, dunque, la pena assume una funzione di “purificazione” del monastero che è stato contaminato e il fine ultimo è senza dubbio rappresentato dalla necessità di evitare che alla mancata repressio60 Nov. 133 praef.: «Ὁ μονήρης βίος καὶ ἡ κατ’ αὐτὸν θεωρία πρᾶγμά ἐστιν ἱερὸν καὶ ἀνάγον αὐτόθεν τὰς ψυχὰς εἰς θεόν, καὶ οὐ μόνον ὠφελοῦν αὐτοὺς τοὺς εἰς τοῦτο παριόντας, ἀλλὰ καὶ τοῖς ἄλλοις ἅπασι διὰ τῆς αὐτοῦ καθαρότητος καὶ τῆς πρὸς θεὸν ἱκετείας παρεχόμενον τὴν πρέπουσαν ὠφέλειαν. ὅθεν τοῖς τε πρώην αὐτοκράτορσι τοῦτο διεσπούδασται καὶ ἡμῖν οὐ μέτρια νενομοθέτηται περὶ τῆς αὐτῶν σεμνότητός τε καὶ κοσμιότητος». 61 S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 112.

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ne del singolo monaco corrisponda un generale decadimento degli altri religiosi 62. Infine, Giustiniano sottolinea come tali questioni non debbano essere trascurate dall’imperium poiché dell’honestas dei monaci beneficia l’intera res publica: Nov. 133,5,1: «Si enim illi puris manibus et nudis animabus pro re publica supplicent habebit bene et civitates bene disponentur terraque nobis offeret fructus et mare quae sua sunt dabit, illorum oratione propitiationem dei ad omnem rempublicam deducente. Sed et ipsum commune schema hominum reverentius erit et vivet melius illorum erubescens perdurationem. Ideoque pariter conspiratio erit omnium simul pro malitia omni, melioribus et sanctioribus studiis introductis et decentibus rerum. Quod nos requirentes causam agimus ut putamus utilem» 63. Se, dunque, i monaci innalzeranno preghiere a Dio, l’exercitus riuscirà nelle imprese, le civitates prospereranno, la terra e il mare daranno abbondanti frutti e ne deriverà un mirabile giovamento per gli uomini, che saranno indotti a una condotta di vita più pura. È proprio sulla scorta di tali considerazioni che l’Imperatore rimarca l’importanza di far osservare le disposizioni emanate, poiché non v’è nulla di più santo che far godere la res publica della clemenza di Dio attraverso la puritas dei monaci. 62 Vedi F. FASOLINO, Pena, amnistia, emenda: una prospettiva storico-giuridica, Napoli 2016, p. 142 s. il quale rinviene nella Nov. 133,5,1 una conferma della concezione giustinianea in ordine alle funzioni della pena «non in una logica di retribuzione, mirante a calibrare il castigo sulla entità del delitto commesso, ma pur sempre con una finalità di emenda in quanto la portata dell’illecito viene usata quale parametro per un giudizio prognostico sulla recuperabilità del colpevole». 63 Nov. 133,5,1: «εἰ γὰρ ἐκεῖνοι καθαραῖς ταῖς χερσὶ καὶ γυμναῖς ταῖς ψυχαῖς τὰς ὑπὲρ τοῦ πολιτεύματος εὐχὰς προσάγοιεν τῷ θεῷ, πρόδηλον ὡς καὶ τὰ στρατεύματα ἕξει καλῶς καὶ αἱ πόλεις εὐσταθήσουσι (θεοῦ δὲ ἵλεώ τε καὶ εὐμενοῦς καθεστῶτος πῶς οὐκ ἔσται πάντα μεστὰ πάσης εἰρήνης τε καὶ εὐνομίας) καὶ ἡ γῆ τε ἡμῖν οἴσει καρποὺς καὶ ἡ θάλαττα τὰ οἰκεῖα δώσει, τῆς ἐκείνων εὐχῆς τὴν εὐμένειαν τοῦ θεοῦ πρὸς ἅπασαν τὴν πολιτείαν συναγούσης. ἀλλὰ καὶ αὐτό γε τὸ κοινὸν σχῆμα τῶν ἀνθρώπων αἰδεσιμώτερον ἔσται καὶ ζήσει κάλλιον τὴν ἐκείνων αἰσχυνόμενον καθαρότητα. ὥστε μία σύμπνοια γενήσεται, πάντων ὁμοῦ πρὸς τοῦτο συντρεχόντων καὶ ἐξοριζομένης καθ’ ὅσον οἷόν τέ ἐστι κακίας ἁπάσης, τῶν καλλιόνων τε καὶ ὁσιωτέρων ἐπιτηδευμάτων ἀντεισαγομένων τε καὶ ἐμπρεπόντων τοῖς πράγμασιν· ὅπερ ἡμεῖς ἐπιζητοῦντες πρᾶγμα πράττομεν, ὥς γε πεπιστεύκαμεν, χρηστόν».

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3. IL “TESTO UNICO” SUL SACERDOTIUM: LA NOVELLA 123 Le disposizioni stabilite da Giustiniano con la Novella 6 relativamente ai requisiti di ordinazione di vescovi e chierici e con le Novelle 5 e 133 relativamente alla condotta dei monaci vengono ricapitolate e integrate dalla Novella 123 64 del 546, indirizzata al praefectus praetorio Pietro 65 e rubricata De sanctissimis et Deo amabilibus et reverentissimis episcopis et clericis et monachis. Si tratta di un ampio provvedimento, composto da ben 44 capita che – come rilevato dall’Orestano – è destinato a coordinare «in una specie di testo unico» 66 le precedenti disposizioni concernenti i vescovi, i chierici e i monaci. E, invero, quello che di nuovo reca la Novella 123, rispetto ai precedenti provvedimenti – osserva il Bonini –, «è forse proprio l’unitaria considerazione del “personale” ecclesiastico» 67. Giustiniano esprime, dunque, la volontà di approfondire e completare la legislazione in materia ecclesiastica fino ad allora emanata, ferma restando comunque la possibilità di emendationes ai testi precedenti, secondo quanto emerge sin dalla praefatio: Nov. 123 praef.: «De gubernatione et privilegiis aliisque diversis capitulis ad sanctissimas ecclesias et alias venerabiles domos pertinentibus iam quae64 Tale numerazione corrisponde a quella della Collectio Graeca, il numero della Novella nella raccolta dell’Authenticum è 145; vedi la tabella di confronto collocata nell’Index II in fondo al volume Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit. 65 Sulla figura di Pietro di Barsime vedi J.R. MARTINDALE, The Prosopography of the Later Roman Empire, cit., p. 999 ss. Qualche riferimento anche in L. DE GIOVANNI, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico, cit., p. 39. Nota sul punto F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit., p. 108, come «le più importanti costituzioni di diritto ecclesiastico siano dirette a magistrati civili, come la lunghissima novella “De diversis ecclesiasticis capitibus”, della quale è destinatario il maestro dei sacri uffici». 66 R. ORESTANO, “Beni dei monaci e monasteri nella legislazione giustinianea”, cit., p. 575. Vedi anche R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 46, il quale considera la Novella in esame una sorta di «ricapitolazione, particolarmente ampia e dettagliata, di molti aspetti della legislazione»; ID., “L’ultima legislazione pubblicistica di Giustiniano (543-565)”, cit., p. 163 ss., anche per quanto concerne il rapporto tra le disposizioni di Nov. 123 e quelle di Nov. 6, Nov. 5 e Nov. 133. 67 R. BONINI, “L’ultima legislazione pubblicistica di Giustiniano (543-565)”, cit., p. 163. Sul punto vedi anche L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano, cit., p. 199: «è una delle disposizioni di diritto ecclesiastico giustinianeo meglio strutturate. In particolare, la novella approfondisce e completa le disposizioni precedenti sui monaci e sui monasteri esponendole ed inquadrandole nell’ambito di disposizioni destinate anche ad altri rappresentanti della Chiesa cristiana».

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dam disposuimus, super sanctissimis autem episcopis et clericis et monachis dudum in diversis constitutionibus disposita cum competenti correctione hac comprehendere lege perspeximus» 68. Nel provvedimento in esame il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare dieci volte. A) ALCUNE DISPOSIZIONI A TUTELA DELL’HONESTAS, DELLA PUDICITIA E DELLA PURITAS DEL SACERDOTIUM

Anche dall’esame delle disposizioni della Novella 123 emerge l’esigenza che i membri del sacerdotium si rendano testimoni di honestas, pudicitia e puritas. In questa prospettiva, al cap. 1 Giustiniano ribadisce quanto già sancito al cap. 1,4 della Novella 6 in ordine al divieto per i vescovi di avere moglie, in considerazione della necessità che essi si rendano testimoni di una vita retta e onesta. Inoltre, al cap. 29 della Novella 123 si proibisce ai presbiteri, ai diaconi e ai suddiaconi di tenere presso la propria abitazione una donna, con eccezione della madre, della sorella, della figlia o di altra persona rispetto alla quale si possa fugare ogni sospetto 69. Nov. 123 praef.: «Περὶ διοικήσεως καὶ προνομίων καὶ ἄλλων διαφόρων κεφαλαίων εἰς τὰς ἁγιωτάτας ἐκκλησίας καὶ τοὺς ἄλλους εὐαγεῖς οἴκους ἀνηκόντων ἤδη τινα διετυπώσαμεν, ἐπὶ δὲ τοῦ παρόντος τὰ περὶ τῶν ὁσιωτάτων ἐπισκόπων καὶ κληρικῶν καὶ μοναχῶν πρώην ἐν διαφόροις διατάξεσι διατυπωθέντα μετὰ τῆς προσηκούσης ἐπανορθώσεως τῷδε περιλαβεῖν τῷ νόμῳ συνείδομεν». 69 Vedi B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 80; ID., Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 417: «Ai presbiteri, diaconi e suddiaconi si vieta di tenere in casa donne che non siano moglie, madre, figlie e sorelle, “secundum sanctorum canonum vim”; e se, nonostante l’ammonizione, persistono nel tenere in casa donne che non siano quelle sopra indicate, saranno rimossi dal vescovo “secundum ecclesiasticos canones”». In tal senso vedi anche CTh. 16,2,2, che estende ai vescovi quanto già sancito in CTh. 16,2,20 con riferimento agli ecclesiastici e a coloro i quali desiderino essere chiamati col nome di ‘continenti’ in ordine al divieto di visitare le case di vedove e pupille, al fine di eliminare ogni equivoco o sospetto sulla loro moralità. Sul punto, peculiare rilievo assume anche quanto emerge dalle fonti patristiche e, in particolare, da Ambr., De off. 1,20,87, ove è raccomandato ai sacerdoti di non recarsi presso le case delle vedove e delle giovanette, se non laddove sussistano gravi motivi e in compagnia di preti più anziani o, in casi di particolare delicatezza, del vescovo. In tal senso anche Hier., Ep. 52,5,4; 52,5,6-7, il quale sostiene come l’uomo di Dio non debba dare adito a supposizioni false e a sospetti. 68

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Infine, si stabilisce che laddove il vescovo contravvenga a siffatta proibizione debba essere espulso dall’episcopatus poiché con tale comportamento si è mostrato indegno del sacerdotium (ἱερωσύνη). In conformità a quanto sancito al cap. 1,10 della Novella 6, al cap. 2 della Novella 123 si stabilisce la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη) per il vescovo che sia stato ordinato in presenza di un’accusatio a proprio carico e senza che si sia prima proceduto a un’indagine circa la fondatezza o meno delle contestazioni che gli siano state mosse. Inoltre, specifiche sanzioni sono comminate a carico di colui il quale abbia proceduto a detta ordinazione: la proibizione dell’esercizio del sacrum ministerium per tre anni, oltre che la devoluzione dei propri beni in favore della Chiesa. A conferma del fondamentale rilievo attribuito al munus sacerdotalis, al cap. 11 della Novella 123 Giustiniano si occupa del caso in cui un vescovo, rigettato dal sacerdotium, si sia mostrato così temerario da abbandonare il luogo in cui gli era stato ordinato di passare la vita, rientrando nella civitas «ex qua pulsus est». Pertanto l’Imperatore prescrive che questi, al fine di correggere gli errori commessi, debba essere condotto in un monastero situato «in alia regione» 70. Sotto tale profilo mette conto rilevare come nel provvedimento in esame, in plurime occasioni, l’Imperatore commini la pena della reclusione in monastero 71 per i membri del sacerdotium: essa è stabilita per i vescovi e i chierici sorpresi a “tabulas ludere” o ad assistere a pubblici spettacoli (Nov. 123,10,1), così come per i presbiteri e i diaconi che abbiano reso una falsa testimonianza in una causa pecuniaria (Nov. 123,20). E ancora, siffatta pena è sancita con riferimento alla diaconessa che 70

Nov. 123,11,2: «Si quis autem episcopus secundum ecclesiasticas regulas sacerdotio pulsus praesumpserit ingredi civitatem ex qua pulsus est, relinquens locum in quo iussus est degere, iubemus hunc monasterio in alia regione constituto tradi, ut quae in sacerdotio deliquit degens in monasterio corrigat»; «Εἴ τις δὲ ἐπίσκοπος κατὰ τοὺς ἐκκλησιαστικοὺς κανόνας τῆς ἱερωσύνης ἐκβληθεὶς τολμήσειεν ἐπιβῆναι τῆς πόλεως ἐξ ἧς ἐξεβλήθη, ἢ καταλιπεῖν τὸν τόπον ἐν ᾧ ἐκελεύσθη διάγειν, κελεύομεν τοῦτον μοναστηρίῳ ἐν ἄλλῃ ἐπαρχίᾳ καθεστῶτι παραδίδοσθαι, ἵνα ἅπερ ἐν τῇ ἱερωσύνῃ ἥμαρτε διάγων ἐν τῷ μοναστηρίῳ διορθώσηται». 71 Vedi F. GORIA, “La Nov. 134,10; 12 di Giustiniano e l’assunzione coattiva dell’abito monastico”, in Studi in onore di G. Grosso, VI, cit., p. 60, anche con riferimento ad altre Novelle in cui è comminata detta sanzione (per le donne adultere in Nov. 134,10; 12 o per il coniuge che divorzi “sine iusta causa” in Nov. 117,13 e Nov. 127,4).

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conviva con un uomo dando così adito a sospetti e reiteri tale condotta, nonostante l’avvertimento del sacerdote (Nov. 123,30). Inoltre, qualora taluno avesse rapito o sedotto una donna data alla santa vita, una diaconessa, una monaca o altra mulier che porti il venerabile abito, ella avrebbe dovuto essere rinchiusa in un monastero per non essere indotta a ricadere nel medesimo crimen (Nov. 123,43). B) ANCORA SUL DIVIETO DI ACQUISTARE L’EPISCOPATUS «PER SUFFRAGIUM AURI AUT ALIARUM RERUM» (NOV. 123,2,1)

Particolare rilevanza assumono le disposizioni della Novella 123 finalizzate a frapporre un ostacolo alla venalità dei sacerdoti. Al cap. 2,1 Giustiniano ribadisce in modo particolarmente incisivo il divieto di conseguire l’episcopatus «per suffragium auri aut aliarum rerum». Così prescrive che colui il quale abbia versato o ricevuto qualcosa, oppure abbia funto da intermediario dello scambio illecito, avrebbe dovuto essere rimosso dal sacerdotium (ἱερωσύνη) e quanto sia stato illecitamente versato avrebbe dovuto essere rivendicato a profitto di quella ecclesia nella quale il “corruttore” avrebbe dovuto essere insediato. Inoltre, è stabilito che tanto colui il quale si sia lasciato corrompere, quanto l’intermediario dello scambio, siano a loro volta tenuti a versare alla Chiesa il doppio di quanto illecitamente ricevuto, ferma restando la nullità delle eventuali cautiones, dationes pignorum vel fideiussorum o delle oblationes accordate al corruttore. Sotto tale profilo, mette conto rilevare come al cap. 3 della Novella in esame l’Imperatore consideri lodevoli le offerte che il vescovo «ante ordinationem vel postea» abbia posto in essere in favore della Chiesa «cuius sacerdotium accepit», trattandosi di “offerte” e non di “vendite” («hoc non est emptio, sed oblatio») 72, comunque ferma restando la necessità di eliminare ogni venalità da parte del sacerdozio (ἱερωσύνη). Oltre a tali offerte, sono poi consentiti i cosiddetti “enfanistici”, vale a dire donazioni di denaro per l’intronizzazione, cui si aggiungono altre somme per coloro i quali partecipino alla cerimonia. 72 Vedi R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 140 ss.; G.G. ARCHI, “La ‘pollicitatio’ nel diritto romano”, in Scritti di diritto romano, II, Studi di diritto privato, 2, Milano 1981, p. 1323 s., il quale ritiene che tali offerte vadano poste sul medesimo piano delle pollicitationes ob honorem: «Non emptio, ma oblatio dunque. E così pure era l’offerta del pollicitante dell’epoca classica».

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Giustiniano torna sul problema della necessaria gratuità delle ordinazioni anche al cap. 16 della Novella 123 ove è proibito ai chierici di qualunque grado di offrire al vescovo una retribuzione al fine di conseguire l’ordinazione o di pagare gli “enfanistici” ai chierici già installati nella medesima Chiesa 73. Pratica questa – come vedremo – già proibita dalla Novella 56 del 537 e mantenuta in vigore unicamente per i chierici assegnati alla chiesa di Costantinopoli. Rispetto a quanto stabilito dalle costituzioni precedentemente emanate, la Novella 123 non si limita a stigmatizzare la condotta dei membri del sacerdotium ma estende la questione all’assunzione, altrettanto illecita, di cariche da parte di coloro i quali presiedano gli ospizi dei pellegrini, degli infermi, dei poveri e in generale degli amministratori delle venerabiles domus. A ben vedere, altrettanto rigorose risultano le sanzioni previste per chi non abbia ottemperato a dette disposizioni: per il chierico è sancita la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη) e per l’amministratore delle pie case la perdita della gubernatio dell’istituto religioso, oltre che la restituzione della somma illecitamente ricevuta in favore del venerabilis locus con riferimento al quale si sarebbe voluto acquistare la carica. Tuttavia, così come prescritto ai capita precedenti con rifermento alle offerte e agli “enfanistici” in favore dei vescovi, Giustiniano ritiene meritevole di apprezzamento la condotta dei chierici e degli amministratori delle pie case che, antecedentemente o successivamente l’ordinazione o l’insediamento nell’ufficio ecclesiastico, abbiano fatto spontaneamente dono alla Chiesa o all’istituto corrispondente di una parte delle proprie sostanze. Difatti, sottolinea l’Imperatore, trattasi di offerta nell’interesse della loro anima («pro salute animae suae»). C) CONDIZIONE SERVILE E ASCRITTIZIA

Il sacerdotium e, in particolare, l’episcopato estinguono la condizione servile e ascrittizia sicché «l’elevazione alla carica di vescovo liberava l’eletto» 74 e tanto i liberi quanto i servi avrebbero potuto accedere alla vita sacerdotale. 73 Su Nov. 123,2,1; 123,3,1 e 123,16,1 vedi A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 51; R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 146. 74 S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, I, cit., p. 168 cui si rinvia per un’a-

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In questa prospettiva, al cap. 4 della Novella 123 è stabilito che i vescovi post ordinationem avrebbero dovuto essere affrancati dalla condizione servile o ascrittizia 75. Viceversa, l’ascesa al sacerdotium (ἱερωσύνη) non risulta idonea a emancipare dalla condizione curiale o officiale.

4. ANCORA SUI REQUISITI DI ORDINAZIONE: LA NOVELLA 137 Nella Novella 137 del 565 indirizzata al μάγιστος τῶν θείων ὀφφικίων Pietro e rubricata περὶ χειροτον…αv ἐπισκόπων καˆ κληρικῶν, il termine ἱερωσύνη appare quattro volte. Giustiniano torna ad affrontare il tema dell’ordinazione di vescovi e chierici e la necessità di intervenire ancora una volta su queste tematiche sarebbe stata sollecitata – secondo quanto emerge dalla praefatio – da alcune interpellationes volte a sottoporre all’attenzione dell’Imperatore la circostanza che chierici, monaci e vescovi non vivessero secondo le sacre regole. Adoperando il medesimo “schema” dei provvedimenti precedentemente emanati in materia 76, Giustiniano sottolinea la necessità che l’ordinazione sia preceduta da apposita examinatio circa la fede e l’onestà di colui il quale deve essere ordinato. E ciò in quanto – afferma l’Imperatore al cap. 1 – il compito principale del sacerdotium è pregare per il popolo: «εἰ γὰρ οἱ ἐπιτετραμμένοι εὔχεσθαι ὑπὲρ τοῦ λαοῦ ἀνάξιοι τῆς τοῦ θεοῦ ὑπηρεσίας εὑρεθεῖεν, πῶς ὑπὲρ τῶν τοῦ λαοῦ πλημμελημάτων ἐξιλεοῦσθαι δυνήσονται τὸν θεόν; ὅτι δὲ τὰς χειροτονίας τῶν ἱερέων μετὰ πάσης ἀκριβείας προσήκει γίνεσθαι». nalisi della condizione giuridica dell’ascrittiziato nei secoli V e VI, con particolare riferimento alla legislazione di Giustiniano: p. 163 ss.; p. 186 ss. L’A. nota che quanto sancito da Nov. 123,4 costituirebbe una deroga alla regola secondo cui il vincolo servile e quello ascrittizio fossero talmente radicali da «sussistere anche nella fattispecie di assunzione di ordini sacri da parte del colono: l’ordinazione non liberava il religioso di provenienza ascrittizia dall’obbligo della coltivazione della terra, né poteva avvenire fuori dal fondo cui egli ineriva». 75 In generale sul punto, A.H.M. JONES, The Later Roman Empire 284-602 – A Social, Economic and Administrative Survey, III, Oxford 1964, p. 1370 ss.; M. MELLUSO, La schiavitù nell’età giustinianea, Milano 2000, p. 207, il quale ritiene che tale prescrizione si basi sull’esigenza di Giustiniano di «dare applicazione giuridica al principio cristiano di uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio». 76 Analogamente a Nov. 6 e a Nov. 123, anche in Nov. 137 Giustiniano dopo aver sottolineato l’esigenza di una condotta di vita integra da parte di chi intenda accedere al sacerdotium, si occupa al cap. 1 del divieto di seconde nozze per i chierici e al cap. 3 dell’accusatio mossa nei confronti del vescovo ordinando.

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A tal proposito è richiamato l’insegnamento di San Gregorio in ordine a chi debba essere promosso al sacerdozio (ἱερωσύνη), secondo cui le ordinazioni devono essere eseguite con ogni diligenza e rigore e, sulla scorta di quanto anche sancito da San Paolo, i vescovi e i presbiteri devono emergere per sobrietà e castità. L’Imperatore riferisce altresì le parole di San Basilio in ordine al divieto per i chierici di avere una seconda moglie, richiamando quanto decretato sul punto dal sacerdozio (ἱερωσύνη) in occasione del Concilio di Nicea. Inoltre, al cap. 3 della Novella si legge che laddove si fosse proceduto all’ordinazione in presenza di un’accusa rivolta all’ordinando si sarebbe dovuto procedere con la destituzione dalla funzione sacerdotale (ἱερωσύνη). Infine, degno di nota è quanto sancito al cap. 6 ove è dato riscontrare che i sacerdoti devono innalzare preghiere a Dio così da poter essere uditi da tutto il popolo e a questo proposito sono riferiti testualmente due passi di S. Paolo (I ad Cor. 1,14,16; ad Rom. 10,10) 77.

5. ECCLESIA “MATER” DELL’IMPERIUM: LA NOVELLA 3 La Novella 3 del 535, indirizzata a Epifanio, archiepiscopus Constantinopolitanus e patriarcha universalis 78, e rubricata Ut determinatus sit numerus clericorum sanctissimae maioris ecclesiae, et ceterarum sanctarum ecclesiarum Constantinopolis, affronta una specifica questione di natura finanziaria in quanto mira a intervenire sul fenomeno di sovrappopolazioNov. 137,6: «οὕτως γὰρ καὶ ὁ θεῖος ἀπόστολος διδάσκει, λέγων ἐν τῇ πρὸς Κορινθίους πρώτῃ ἐπιστολῇ·ἐπεὶ ἐὰν εὐλογήσῃς τῷ πνεύματι, ὁ ἀναπληρῶν τὸν τόπον τοῦ ἰδιώτου πῶς ἐρεῖ τὸ ἀμὴν τῷ θεῷ ἐπὶ τῇ σῇ εὐχαριστίᾳ; ἐπειδὴ τί λέγεις οὐκ οἶδε. σὺ μὲν γὰρ καλῶς εὐχαριστεῖς, ἀλλ’ ὁ ἕτερος οὐκ οἰκοδομεῖται. καὶ πάλιν ἐν τῇ πρὸς Ῥωμαίους οὕτως λέγει καρδίᾳ μὲν γὰρ πιστεύεται εἰς δικαιοσύνην, στόματι δὲ ὁμολογεῖται εἰς σωτηρίαν». 78 Epifanio è qualificato non solo come archiepiscopus Constantinopolitanus ma anche come patriarcha universalis. Quest’ultima qualifica attribuita dalla versione greca della Novellae («Ἐπιφανίῳ ἀρχιεπισκόπῳ τῆς βασιλίδος ταύτης πόλεως καὶ οἰκουμενικῷ πατριάρχῃ») non trova sempre rispondenza nella versione dell’Authenticum; per approfondimenti vedi F. DVORNIK, Byzantium and the Roman Primacy, New York 1966, p. 79 ss.; L. MAGI, La sede romana nella corrispondenza degli imperatori e patriarchi bizantini (VIVII secolo), Roma-Louvain 1972, p. 170 ss.; per una ricognizione critica A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 2, nt. 2, cui si rinvia anche per una dettagliata analisi delle disposizioni di Nov. 3 e sui riferimenti ivi contenuti alle chiese di Costantinopoli e alla loro organizzazione (p. 17 ss.). 77

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ne 79 della Magna Ecclesia di Costantinopoli e delle ulteriori chiese della Capitale. Si trattava di un vero e proprio “stato di emergenza” secondo quanto emerge dalla praefatio della Novella, ove la stessa è qualificata in termini di lex specialis (di contro alla Novella 6, in essa espressamente richiamata come «lex communis et generalis») 80. Nella Novella 3 il termine sacerdotium non appare, né nella versione greca ricorrono i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία; tuttavia essa assume una particolare rilevanza sotto il profilo del peculiare interesse manifestato da Giustiniano nei confronti della Magna Ecclesia di Costantinopoli. Secondo quanto è dato riscontrare dalla praefatio della Novella, la cancelleria aveva avvertito la necessità di prendere visione delle tavole di fondazione delle chiese di Costantinopoli e in tale occasione sarebbe emerso come il tetto massimo di personale per esse stabilito sarebbe stato superato in misura del tutto evidente, con conseguente e ingente aggravio economico. Sicché Giustiniano intende ridurre il numero di ordinazioni dei chierici al fine di non gravare eccessivamente di spese la Chiesa e – dopo aver richiamato quanto già prescritto in linee generali dal cap. 8 della Novella 6 rispetto alla necessità che gli ordinati non trascendano il numero stabilito – precisa di voler introdurre una speciale disciplina per quanto concerne i chierici della Magna Ecclesia. Degno di nota è che l’Imperatore qualifichi la chiesa di Costantinopoli come madre dell’imperium («nostri imperii matrem») 81, a volerne sottolineare il ruolo politico, oltre che prettamente religioso 82: l’imperium si sente in dovere di difenderla e preservarla in considerazione del sostentamento che essa garantisce al popolo e all’Impero stesso. 79

Il superamento degli organici era un fenomeno abbastanza frequente; vedi ad esempio quanto sancito da Nov. 35 del 535 per quanto riguarda il personale “civile”. Per approfondimenti R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 43. 80 Questa Novella sarebbe stata dettata da un vero e proprio stato di emergenza e per tale ragione risulterebbe definita nella praefatio come lex specialis; sul punto vedi A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 17 s., in part. p. 18, nt. 3; R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 43. 81 Nella versione greca si rinviene la medesima espressione: “τὴν τῆς ἡμετέρας βασιλείας μητέρα”. 82 In C. 1,2,24 pr. la chiesa di Costantinopoli è qualificata come “mater omnium” vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 150; L. VANNICELLI, Normativa sui monaci e sui monasteri nel diritto ecclesiastico romano, cit., p. 178.

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Proprio per tale ragione Giustiniano ritiene di intervenire al fine di ridurre il numero di chierici, così da non gravare eccessivamente di spese la Chiesa, già oberata di numerosi debiti 83. Pertanto, si prescrive che qualora fossero stati nominati chierici in numero maggiore di quello stabilito, i vescovi e gli economi 84 avrebbero dovuto provvedere a rifondere all’ecclesia le maggiori spese e, in caso di loro negligenza, l’imperium avrebbe potuto ordinare il risarcimento dovuto, determinando così la fine di ogni confusio o tumultus. Inoltre, al cap. 2 della Novella l’Imperatore affronta la questione dei trasferimenti dei chierici da una Chiesa all’altra, molti dei quali avvenivano mediante la pratica illecita del “patrocinium” 85. Al precipuo scopo di evitare l’ulteriore diffusione di tale deprecabile fenomeno, al pari di quanto già stabilito con riferimento ai monaci al cap. 7 della Novella 5, è sancito un generale divieto di spostamenti con la sola eccezione di quelli avvenuti in subentro a un chierico mancante. 83 Si legge che solo contraendo mutui, ipotecando e dando in pegno i propri beni la Chiesa avrebbe potuto far fronte a siffatte spese e al cap. 1 si precisa che per il futuro non debba mutarsi il numero attuale dei chierici, delle diaconesse e degli ostiari ed è altresì stabilito il numero massimo di presbiteri, diaconi, diaconesse, suddiaconi, lettori e cantori per la chiesa di Costantinopoli. 84 A proposito degli economi, mette conto rilevare come la Novella 3 ne faccia espressa menzione sia al cap. 2,1, che al cap. 3, ponendone in rilievo il ruolo di amministratori all’interno della Chiesa. Difatti, crescendo con lo sviluppo della proprietà ecclesiatica il peso dell’amministrazione, essa distoglieva i vescovi dalle cure pastorali e, pertanto, vennero introdotti gli economi, principali collaboratori dei vescovi, i quali svolgevano anche la funzione di “controllori” al fine di evitare possibili malversazioni da parte dei vescovi stessi. Sui richiami nelle Novelle alla figura degli economi vedi N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., p. 8. Sulle mansioni degli economi e sulla loro rilevanza vedi H.G. BECK, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, München 1959, p. 100 ss.; E. WIPSZYCKA, Les ressources et les activités économiques des églises en Égypte du IVe au VIIIe siècle, Bruxelles 1972, pp. 125-130; pp. 134-139; P.G. CARON, “La proprietà ecclesiastica nel diritto del tardo Impero”, in Atti dell’XI Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Napoli 1993, p. 228 ss. Da ultimo L. DE SALVO, “Il ruolo dell’economo nella Chiesa di IV-VI secolo”, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.), a cura di G. Bonamente, Bari 2010, p. 183 ss. 85 Il termine utilizzato nella versione greca è prostάv, il quale indica una sorta di “raccomandazione retribuita”. Sul punto vedi J. PARGOIRE, L’Église byzantine de 527 à 847, Paris 1905, p. 60 s.; C. COLLOT, La pratique et l’institution du suffragium au Bas-Empire, Paris 1965, p. 186 ss.; A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 45 ss. Più approfonditamente sul significato del temine vedi R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 46, nt. 66.

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A ben vedere, dunque, anche la Novella in esame mira a stigmatizzare quel radicato sistema di corruzione correlato alla compravendita e al traffico delle cariche ecclesiastiche, che denotava uno stato di disordine nella ecclesia tale da rendere necessario l’intervento dell’imperium. Al contempo l’interesse dell’Imperatore di evitare spostamenti da una Chiesa all’altra si ricollega alla necessità di garantire una precisa continuità al sacerdotium dal punto di vista locale al fine di salvaguardare, in ultima istanza, il populus che considerava i sacerdoti delle vere e proprie guide.

6. ECCLESIA “FONS” DEL SACERDOTIUM: LA NOVELLA 9 Nella Novella 9 del 535, indirizzata all’archiepiscopus e patriarcha veteris Romae Giovanni 86 e rubricata Ut ecclesia romana centum annorum habeat praescriptionem, Giustiniano fissa in cento anni il termine di prescrizione in favore della chiesa di Roma 87. Sul punto stupisce la rapida successione delle disposizioni sancite dall’Imperatore: dapprima in C. 1,2,23 pr., nel raccomandare di mantenere una distinzione «inter divinum publicumque ius et privata commoda» – così da tenere separate le res divinae e le res publicae – stabilisce che le azioni derivanti da eredità, legato, fedecommesso, donazione o compravendita in favore delle chiese di Costantinopoli, delle opere pie 88 e delle città non siano soggette al solito termine di prescrizione, il quale viene quindi stabilito in cento anni, equivalente alla durata della vita di un uomo longevo. Con la Novella 9, invece, Giustiniano estende tale principio alla chiesa di Roma per poi ridurlo a soli quarant’anni con la Novella 131 del 545. 86 Su Giovanni II vedi M.C. PENNACCHIO, s. v. Giovanni II, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, pp. 499-503. 87 Sulle disposizioni di Nov. 9 vedi approfonditamente, F. DE MARINI AVONZO, “Giustiniano e le vicende della «praescriptio centum annorum»”, in Studi in onore di E. Betti, III, Milano 1962, p. 103 ss. Per alcuni aspetti vedi anche, T. CR. KUNDEREWICZ, “Disposizioni testamentarie e donazioni a scopo di beneficenza nel diritto giustinianeo”, in SDHI, 47, 1981, p. 71 ss. 88 Sul tema delle “piae causae” la letteratura è sterminata, vedi per tutti, G. PUGLIESE, “Assistenza all’infanzia nel Principato e ‘piae causae’ del diritto romano cristiano”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, VII, cit., p. 3175 ss. Da ultimo, L. PEPPE “Il problema delle persone giuridiche in diritto romano”, in Studi in onore di R. Martini, III, cit., p. 18. In particolare, sull’utilizzo del termine “piae causae” nel lessico giustinianeo vedi T. CR. KUNDEREWICZ, “Disposizioni testamentarie e donazioni a scopo di beneficenza nel diritto giustinianeo”, cit., p. 72.

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Ciò che colpisce della praefatio della Novella 9 – ove il termine sacerdotium appare una volta – è il ruolo centrale assegnato alla città di Roma qualificata come apice del summus pontificatus, patria della legge e fonte del sacerdotium, quasi a volerne sottolineare l’unità e l’universalità 89: Nov. 9 praef.: «Et legum originem anterior Roma sortita est, et summi pontificatus apicem apud eam esse nemo est qui dubitet. Unde et nos necessarium duximus patriam legum, fontem sacerdotii, speciali nostri numinis lege illustrare, ut ex hac in totas catholicas ecclesias, quae usque ad oceani fretum positae sunt, saluberrimae legis vigor extendatur, et sit totius occidentis, nec non orientis, ubi possessiones sitae inveniuntur ad ecclesias nostras sive nunc pertinentes seu postea eis acquirendae, lex propria ad honorem dei consecrata». A ben vedere, la tensione universalista sottesa alle parole dell’Imperatore emerge ancor più chiaramente allorché Giustiniano sancisce l’esecutività della costituzione verso tutte le terrae e le insulae «totius occidentis», le quali si estendono «usque ad ipsos oceani recessus» 90 e nei cui confronti la providentia dell’imperium avrebbe operato in eterno 91. Sottolinea a tal proposito il Goria come «la Nov. 9 non si ferma alla Chiesa di Roma o all’Italia» ma «è destinata a tutte le Chiese occidentali le quali avrebbero potuto invocare questa disposizione nei diversi regni in cui si trovavano in quanto si trattava di lex Romana» 92. 89

Vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 151. In tal senso anche, S. PURicerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 165, cui si rinvia per un’approfondita analisi delle fonti sul primato della chiesa di Roma nella legislazione giustinianea (p. 166 ss.). L’A. afferma che «la concezione ecclesiologica di Giustiniano insiste sull’idea del primato, dell’ecumenicità e della superiorità della funzione docente della Chiesa di Roma. Oltre alle affermazioni sulla realtà mistica (mater omnium, madre anche dell’Impero), sulla sovratemporalità (eternità come prospettiva d’azione) e sull’universalità (umanità intera come oggetto del magistero) della Chiesa, Giustiniano sostiene che la vera Chiesa è quella di Roma, in quanto istituzione divina, sede di Pietro per segno del Cristo (sede summi apostoli Petri), vertice del Papato (summi pontificatus apex), centro dell’ecumenismo e fonte del sacerdozio (fons sacerdotii)». 90 Nota, a proposito di siffatta perifrasi, F. LANCIOTTI, “Lo ‘spazio romano’ nella terminologia delle fonti giuridiche giustinianee in lingua latina”, cit., p. 352, nt. 4, come essa venga ivi utilizzata per indicare una parte dello ‘spazio romano’. 91 Nov. 9, praef. 3: «Quod igitur nostra aeternitas ad omnipotentis dei honorem venerandae sedi summi apostoli Petri dedicavit, hoc habeant omnes terrae, omnes insulae totius occidentis, quae usque ad ipsos oceani recessus extenduntur, nostri imperii providentiam per hoc in aeternum reminiscentes». 92 F. GORIA, “Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale”, cit., p. 338. In tal senso vedi anche P. PESCANI, s. v. Novelle di Giustiniano, cit., p. 441 s.: «Tutta

LIATTI,

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Risulta, dunque, evidente «l’idea del primato, dell’ecumenicità e della superiorità della funzione docente della Chiesa di Roma» 93 cui consegue la qualifica della stessa in termini di vertice del Papato e fonte del sacerdozio, oltre che patria della legge. Al contempo emerge nitidamente l’ideale universalista che l’Imperatore si sforzava di realizzare, riferito alla concezione dell’ambito spaziale proprio dell’imperium Romanum («omnes terrae, omnes insulae totius occidentis, quae usque ad ipsos oceani recessus extenduntur») 94: è sottesa alle parole di Giustiniano quell’idea della ‘eternità imperiale’, già espressa nell’epilogus della Novella 6 («imperium quod semper est»), ancora una volta correlata ad un preciso rapporto di “causa-effetto” rispetto alla volontà divina ed evocata in stretta connessione ai concetti di sacerdotium ed ecclesia.

7. «[…] MINISTERIA NON PER VENDITIONEM NEQUE PER MERCATIONEM FIERI ALIQUAM VOLUMUS»: IL PARTICOLARE CASO DELLA MAGNA ECCLESIA DI COSTANTINOPOLI NELLA NOVELLA 56 Giustiniano torna a occuparsi della questione della venalità delle cariche ecclesiastiche nella Novella 56 del 537, indirizzata a Mena e rubricata Ut ea quae vocantur insinuativa super clericis in maiori quidem ecclesia dentur, in aliis autem ecclesiis penitus non dentur 95. questa attività legislativa ubbidisce sempre ad un imperativo, quello di mantenere quanto più saldo possibile l’Impero, con il venire incontro ai desideri dei sudditi e con l’evitare che essi possano recriminare contro l’amministrazione della giustizia. Di qui la costante preoccupazione dell’Imperatore di far conoscere le sue disposizioni anche negli angoli più remoti dell’Impero». 93 S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 165. Sul nesso inscindibile tra Roma e la Romana ecclesia vedi anche M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 160 s. L’A. analizza CTh. 16,2,13 ed evidenzia come in una lettera a Graziano e Valentiniano I nel 381 Ambrogio solleciti gli Imperatori a vigilare affinché la Chiesa di Roma, caput dell’orbe romano, non sia distrutta poiché da essa si estendono tutte le altre Chiese e gli iura communionis. 94 In tal senso vedi anche Nov. 30,11,2: «usque ad utriusque oceani fines». Sugli aspetti spaziali dell’imperium Romanum e in particolare sui concetti di orbis terrarum, fines imperii e limen vedi P. CATALANO, “Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico”, cit., pp. 39-43; ID., s. v. Giustiniano, cit., p. 759 s.; F. LANCIOTTI, “Lo ‘spazio romano’ nella terminologia delle fonti giuridiche giustinianee in lingua latina”, cit. 95 Su Nov. 56 vedi ampiamente R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ec-

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In essa il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare una volta. Nella praefatio l’Imperatore afferma di essere stato espressamente sollecitato all’adozione del provvedimento da numerose interpellationes del popolo finalizzate a porre fine alla “crudelissima” pratica, molto diffusa tra chi già esercitava il ministero, di chiedere il pagamento ai nuovi chierici di “frequentes aditiones” a titolo di “installazione” 96. In particolare, al cap. 1 si legge che i chierici ordinandi fossero sottoposti alla più grande di tutte le crudeltà: il pagamento di una vera e propria “tassa di buona entrata” – «quae vocantur insinuativa» – per poter accedere alle sanctissimae ecclesiae 97. L’unica eccezione al generale divieto sancito da Giustiniano riguarda la chiesa di Costantinopoli ove è mantenuta in vigore la consuetudo in virtù della quale il neo-ordinato avrebbe dovuto versare una somma di denaro in vista dell’accesso al sacerdotium 98. E ciò a dimostrazione del singolare rilievo assunto nella legislazione giustinianea da tale Chiesa 99 che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, viene qualificata come mater dell’imperium nella praefatio della Novella 3. Viceversa, nel caso di ordinazione in una delle altre Chiese è assolutaclesiastiche”, cit., p. 45 ss.; A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 51 ss. 96 Su questi temi vedi R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 46; ID., Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 127 ss.; in part. p. 138 ss. 97 Nov. 56,1: «Sancimus igitur beatitudinem tuam hoc validissime custodire, et si quid quidem consuetudo est dare eos qui ordinantur in sanctissima maiore ecclesia, hoc eos praebere (nihil enim de his quae dantur in sanctissima maiore ecclesia novamus), praeterea vero in aliis omnibus nulli in eis clericorum licentiam esse penitus pro his quae vocantur insinuativa aliquid ferre»; «Θεσπίζομεν τοίνυν, τὴν μακαριότητα τὴν σὴν τοῦτο ἐρρωμενέστατα φυλάξαι, καὶ εἴ τι μὲν εἰωθός ἐστι διδόναι τοὺς καταταττομένους ἐν τῇ ἁγιωτάτῃ μεγάλῃ ἐκκλησίᾳ, τοῦτο αὐτοὺς παρέχειν (οὐδὲν γὰρ περὶ τῶν δεδομένων εἰς τὴν ἁγιωτάτην μεγάλην ἐκκλησίαν καινίζομεν), χωρὶς δὲ αὐτῆς ἐν ταῖς ἄλλαις πάσαις μηδενὶ τῶν ἐν αὐταῖς κληρικῶν παρρησίαν εἶναι παντελῶς ὑπὲρ τῶν καλουμένων ἐμφανισίμων τι κομίζεσθαι». 98 Tale prescrizione, a ben vedere, risulta analoga a quella sancita in Nov. 123,16 che vieta ai chierici di qualunque grado, assegnati a una determinata Chiesa, di versare alcunché al vescovo ordinante e di procedere a qualsivoglia pagamento in favore dei chierici già installati nella medesima Chiesa. E ciò, con eccezione dei cosiddetti “enfanistici”. Per approfondimenti vedi supra, par. 3. 99 R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 46, evidenzia come siffatta prescrizione con riferimento a Costantinopoli confermi «senza dubbio l’appetibilità di tale Chiesa».

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mente proibito di esigere alcunché dai chierici per il loro insediamento e per l’ipotesi di mancata ottemperanza a siffatte disposizioni è sancita la destituzione del sacerdotium (ἱερωσύνη) ed è altresì conferito apposito incarico ai defensores ecclesiae di impedire che si verificassero in futuro episodi simili a quelli denunciati 100, posto che le ordinazioni devono avvenire gratuitamente («sed gratis omnia procedere»). Nella prospettiva di rigorosa repressione dei fenomeni corruttivi che interessavano il sacerdotium, singolare rilievo assumono le parole adoperate da Giustiniano in chiusura del cap. 1 della Novella ove si ribadisce con fermezza la necessaria gratuità delle cariche ecclesiastiche, le quali – sottolinea l’Imperatore – non devono essere negoziate («nulla venditione ac mercatione facienda») in quanto discendenti direttamente da Dio 101. Tale principio riveste un’importanza centrale sotto il profilo delle motivazioni che avevano indotto Giustiniano ad affrontare in diverse occasioni il tema della venalità delle cariche ecclesiastiche e si ricollega direttamente al fondamento del potere sacerdotale. La necessità di reprimere il mercimonio denunciato dall’Imperatore diventa ancora più stringente proprio quando investe il sacerdotium poiché, secondo quanto si legge già al cap. 1,5 della Novella 6, l’ordinazione sacerdotale viene concessa direttamente da Dio e, pertanto, deve essere ricevuta «sine mercede». Allo stesso modo anche nella Novella 56 Giustiniano tiene a precisare come, proprio perché discendenti da Dio, le cariche ecclesiastiche non possano essere oggetto di venditio o di mercatio.

100

Sul punto vedi J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 212. 101 Nov. 56,1: «Sed gratis omnia procedere: domini etenim dei functiones et ministeria non per venditionem neque per mercationem fieri aliquam volumus, sed pure et citra redemptionem. Sic enim rei digni fient, nulla venditione ac mercatione facienda»; «τὰς γὰρ τοῦ δεσπότου θεοῦ λειτουργίας τε καὶ ὑπηρεσίας οὐ κατὰ πρᾶσιν οὐδὲ κατ’ ἐμπορίαν γίνεσθαί τινα βουλόμεθα, ἀλλὰ καθαρῶς τε καὶ ἀδωροδοκήτως. οὕτω γὰρ ἂν τοῦ πράγματος ἄξιοι γίνοιντο, μηδεμιᾶς πράσεως ἢ ἐμπορίας γινομένης».

116

Sacerdotium nelle Novelle

8. PARITER

CONCURRENTIA TRA DIVINIORA E HUMANA E CONSONANTIA TRA SACERDOTIUM E IMPERIUM: LA NOVELLA 42

Giustiniano, avvertita la forza destabilizzante assunta dal monofisismo, ne avversa i tentativi di organizzazione sul piano istituzionale e politico e la Novella 42 102 del 536, indirizzata a Mena e rubricata De depositione Anthimi, Severi, Petri et Zoorae, nasce proprio come rigoroso provvedimento di repressione anti-monofisita e di condanna della dottrina severiana. In essa il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare cinque volte. L’insediamento da parte dei monofisiti in alcune sedi patriarcali aveva sollecitato l’intervento di Papa Agapito I che nel marzo del 536 non intese riconoscere la nomina di Antimo a Patriarca di Costantinopoli e fece eleggere al suo posto Mena. Il sinodo Costantinopolitano del 536, riunitosi dopo la morte di Agapito I sotto la presidenza di Mena, affrontò la questione dei monofisiti e terminò con l’anatema e la deposizione da ogni dignità ecclesiastica dei capi della setta, oltre che con la condanna delle loro dottrine. Ebbene, quanto pronunciato dai vescovi in sede conciliare necessitava di una sanzione imperiale e, pertanto, Giustiniano traduce sul terreno dell’imperium i risultati del sinodo; dalla praefatio della Novella 42, ove è eposta l’occasio legis, emerge nitidamente il rapporto di profonda collaborazione tra potere sacerdotale e potere imperiale nella lotta antiereticale: «Rem non insuetam imperio et nos agentes ad praesentem venimus legem. Quotiens enim sacerdotum decretum aliquos indignorum sacerdotio sacerdotalibus deposuit sedibus, velut Nestorium, Eutychen, Arium ac Macedonium Eunomiumque et alios quosdam in malitia non minores illorum, totiens et imperium condecernens sacerdotium auctoritati fuit, ut diviniora et humana concurrentia unam consonantiam rectis facerent decretis» 103.

102 Tale numerazione corrisponde a quella della Collectio Graeca, il numero della Novella nella raccolta dell’Authenticum è 40; vedi la tabella di confronto collocata nell’Index II in fondo al volume Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit. 103 Nov. 42 praef.: «Πρᾶγμα οὐκ ἄηθες τῇ βασιλείᾳ καὶ ἡμεῖς πράττοντες ἐπὶ τὸν παρόντα ἐληλύθαμεν νόμον. ὁσάκις γὰρ ἡ τῶν ἱερέων ψῆφός τινας τῶν οὐκ ἀξίων τῆς ἱερωσύνης τῶν ἱερατικῶν κατεβίβασε θρόνων (ὁποῖον δὴ Νεστόριόν τε καὶ Εὐτυχέα Ἄρειόν τε καὶ Μακεδόνιον καὶ Εὐνόμιον καὶ ἄλλους δή τινας εἰς κακίαν οὐκ ἐλάττους ἐκείνων), τοσαυτάκις καὶ ἡ βασιλεία σύμψηφος γέγονε τῇ τῶν ἱερέων αὐθεντίᾳ, ὥστε τὰ θειότερά τε καὶ ἀνθρώπινα συνδραμόντα μίαν συμφωνίαν ταῖς ὀρθαῖς ποιήσασθαι ψήφοις».

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Si legge, infatti, che non è insolito per l’imperium emanare appositi provvedimenti finalizzati a confermare quanto già disposto dai decreta sacerdotum (τῶν ἱερέων ψῆφος) in ordine alla deposizione dalle sedes sacerdotales (τῶν ἱερατικῶν θρόνοι) di coloro i quali si siano mostrati indegni del sacerdotium (ἱερωσύνη). In tale contesto, l’Imperatore ricorda il precedente per cui il sacerdotium «sacerdotum decretum aliquos indignorum sacerdotio sacerdotalibus deposuit sedibus» e l’imperium «condecernens sacerdotium auctoritati fuit» e afferma che intende seguire siffatta tradizione anche per la deposizione dei monofisiti, già condannati all’esito del sinodo 104. Orbene, ogni qualvolta un decreto sacerdotale ha deposto taluni dalle rispettive sedi è intervenuto un concorde 105 provvedimento imperiale volto a confermare quanto già disposto dal sacerdotium (ἱερωσύνη) 106. In questa prospettiva, Giustiniano sottolinea altresì come le «rectae sententiae» emanate da un lato dal sacerdotium e, dall’altro, dall’imperium siano espressione della consonantia (συμφωνία) tra i due poteri, che trae origine da una «pariter concurrentia» fra le forme divine (diviniora) e le forme umane (humana). Nelle parole adoperate dall’Imperatore divinum e humanum, sacerdotium e imperium concorrono a una sola armonia sul piano dello ius e la profonda compenetrazione tra i due poteri, così come tra legge divina e legge umana, rappresenta il leitmotiv di tutta la legislazione giustinianea. La consonantia tra sacerdotium e imperium è poi ancora una volta strettamente correlata alla ferma distinzione tra i due poteri: mentre il sacerdotium «sacerdotum […] quosdam indignos sacerdotio de sacris sedibus deposuit», l’imperium «eiusdem sententiae et ordinationis cum sacerdotum auctoritate fuit». Difatti, Giustiniano si limita a condannare all’esilio i capi della setta monofisita che aveva determinato perturbazioni e tumulti tra il popolo, ma la 104

Vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 183; p. 206 ss. Da ultimo sul punto, J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 143; p. 171. 105 Nella versione greca il termine per indicare siffatta concordia, unanimità è “sÚmyhfov” (“condecernens” nella traduzione dell’Authenticum) e a esso viene accostato il termine συμφωνία (“consonantia”). Entrambi richiamano quell’idea di armonia, concordia, collaborazione tra il sacerdotium e l’imperium costantemente evocata nella legislazione giustinianea. 106 Sul punto vedi B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 13. Sulla tendenza della legislazione imperiale a confermare quanto disposto dal sacerdotium vedi J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire Romain (IV-V siècles), cit., p. 511.

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deposizione avviene per opera dell’autorità religiosa: «l’Imperatore non può privare il sacerdote del suo ufficio, ma ha solo il potere di esiliare vescovi e sacerdoti, qualora siano deposti e dichiarati eretici dalla Chiesa. In tali casi soggetto a giurisdizione imperiale non è più il sacerdote ma l’uomo» 107. A ben vedere, la disposizione in esame risulta in linea con quanto stabilito dal cap. 21,1 della Novella 123 secondo cui nelle materie di competenza dell’autorità religiosa la giurisdizione è esclusivamente ecclesiastica e la sanzione conseguente è quella della destituzione dal sacerdotium “secundum ecclesiasticas regulas”. Il tribunale “secolare” si limita, invece, a esaminare la questione “secundum leges” 108. È di tutta evidenza la concezione della diversità di competenze e mansioni attribuite ai due poteri: al sacerdotium spettano le decisioni dogmatiche, mentre l’imperium si limita a tradurle in legge. In questa prospettiva, al cap. 1 della Novella 42 a proposito dell’esecuzione della sententia di deposizione di Antimo – che in spregio ai santi canoni si era impossessato della sede sacerdotale di Costantinopoli, allontanatosi dai “vera dogmata” – Giustiniano afferma che l’imperium conferma la decisione emanata «a sancto concilio» e, dal canto suo, lo condanna all’esilio. Allo stesso modo al cap. 2 si legge che l’imperium non approva Pietro, episcopus Apamiae – anch’egli deposto e colpito da anatema – e conferma la decisione dei sanctissimi pontifices; al cap. 3 a proposito della deposizione di Zoara è statuito che l’imperium conferma la sententia emanata dal sacerdotium (ἱερωσύνη) che lo ha dichiarato scismatico. L’interesse dell’Imperatore è quello di evitare la propagazione di false dottrine e la seduzione degli animi più semplici («dum etenim non videntur, sibi nocent tantummodo, publicantes vero sua dogmata plurimis simplicioribus occasionem perditionis impertiunt», Nov. 42,2 109). L’attenzione manifestata da Giustiniano per le delicate tematiche affrontate dalla Novella 42 si ricollega, ancora una volta, al fondamentale 107 B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 416. L’A. precisa che «l’Imperatore dunque non fa altro che dare esecuzione alle decisioni della Chiesa, e anzi ha lo scrupolo di premettere l’esistenza della decisione ecclesiastica a guisa di motivazione della sanzione terrena, nell’intento, esplicitamente enunciato, che intervenga sempre armonia tra le cose divine e le cose umane. L’Imperatore non entra minimamente in merito». Sul punto cfr. F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit., p. 43. Da ultimo, J.A. BUENO DELGADO La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 174. 108 Su Nov. 123,21,1 vedi supra, par. 3. 109 Nov. 42,2: «ἀφανεῖς μὲν γὰρ ὄντες ἑαυτοὺς καταβλάψουσι μόνους, δημοσιεύοντες δὲ τὰ ἑαυτῶν δόγματα πολλοῖς τῶν ἀφελεστέρων ἀφορμὴν ἀπωλείας παρέχουσιν».

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ruolo assegnato al sacerdotium, la cui tutela riflette non solo un particolare interesse dell’ecclesia ma è posta a giovamento dell’intera res publica, secondo quanto emerge al cap. 3,3: «Pro communi pace sanctissimarum ecclesiarum haec decernimus sanctorum patrum sequentes dogmata, quatinus sacerdotium omne inconturbatum nobis de cetero permaneat, per quod etiam [et] reliqua nobis valida sit respublica supernam habens pacem, quam omnibus magnus deus et salvator noster Iesus Christus trinitatis unus existens unigenitum dei verbum praedicat et subministrat germane se et vere colere et adorare promerentibus» 110. L’osservanza delle disposizioni sancite dall’Imperatore, conformi ai dogmi dei Santi Padri 111, avrebbe consentito che il sacerdotium non fosse più turbato nell’avvenire, così da garantire non solo la pax communis (κοινή εἰρήνη) delle sanctissimae ecclesiae ma altresì la superna pax reipublicae. Ancora una volta, dunque, la difesa della res publica costituisce elemento centrale della consonantia tra sacerdotium e imperium, posto che Giustiniano sottolinea come il provvedimento emanato sia volto ad assicurare, in ultima istanza, la pax della res publica e, quindi, a evitare che il popolo fosse turbato da accadimenti simili a quelli stigmatizzati dalla Novella 42.

9. LE

PRAEROGATIVAE DELL’ARCHIEPISCOPUS VELLA 11

PRIMAE JUSTINIANAE:

LA

NO-

Nella Novella 11 del 535, indirizzata al beatissimus archiepiscopus Primae Iustinianae Catelliano 112 e rubricata De privilegiis archiepiscopi Primae Iustinianae, il termine sacerdotium appare una volta. Nov. 42,3,3: «Ταῦτα ὑπὲρ τῆς κοινῆς εἰρήνης τῶν ἁγιωτάτων ἐκκλησιῶν νομοθετοῦμεν, ταῦτα ψηφιζόμεθα τοῖς τῶν ἁγίων πατέρων κατακολουθοῦντες δόγμασιν, ὅπως ἂν τὸ ἱερατικὸν ἅπαν ἀτάραχον ἡμῖν τοῦ λοιποῦ διαμένοι. οὗπερ ἐν εἰρήνῃ φυλαττομένου καὶ τὸ λοιπὸν ἡμῖν εὐθηνήσει πολίτευμα τὴν ἄνωθεν ἔχον εἰρήνην, ἣν ἅπασιν ὁ μέγας θεὸς καὶ σωτὴρ ἡμῶν Ἰησοῦς Χριστὸς ὁ τῆς τριάδος εἷς, ὁ μονογενὴς τοῦ θεοῦ λόγος, κηρύττει τε καὶ χορηγεῖ τοῖς γνησίως αὐτὸν καὶ ἀληθῶς δοξάζειν τε καὶ προσκυνεῖν ἠξιωμένοις». 111 S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 169 evidenzia come in questa Novella Giustiniano tenga a precisare che «il legislatore intende seguire fedelmente i patrum dogmata affinché regni nella Chiesa quella pace che la Trinità largisce a coloro che l’adorano»; cfr. E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., p. 279. 112 Sulla figura di Catelliano vedi M. LE QUIEN, Oriens Christianus in quatuor patriarchatus Digestus, quo exhibentur ecclesiae, patriarchae, caeterique praesules totius Orientis, Paris 1740, p. 286. 110

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Sacerdotium nelle Novelle

Giustiniano detta specifiche disposizioni con riferimento alle competenze attribuite all’arcivescovo di Prima Giustiniana 113, che si inseriscono nel quadro delle riforme e delle conseguenti, nuove strutturazioni cui l’Imperatore dà corso mediante l’aggregazione di più province o città 114 con effetti anche sul piano della giurisdizione civile e militare, nonché di quella religiosa. Difatti, con la Novella 11 Giustiniano attribuisce la funzione arcivescovile alla città di Prima Giustiniana, assoggettandovi la Dacia Mediterranea, la Dacia Ripense, la Mesia I, la Dardania, la Prevalitana, la Macedonia II e la Pannonia II. Nella praefatio si legge che Giustiniano desidera incrementare («augere») con ogni sorta di vantaggi la patria nella quale, secondo quanto egli stesso afferma, «deus praestitit nobis» 115. È indicativo che l’Imperatore adoperi la forma verbale “augeo” 116 per 113 Sul punto vedi H. HAMMOND, Miscellaneous Theological works, Oxford 1849, p. 250; E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., p. 397 s., anche con riferimento alle disposizioni sancite da Giustiniano mediante la costituzione in esame. 114 Vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 33 s., il quale evidenzia come: «Giustiniano inverte la tendenza a ridurre l’estensione delle province, invalsa dal IV secolo in poi, con la creazione di circoscrizioni più ampie mediante l’aggregazione o di più province o di città o di fasce territoriali. E, come sempre, sottende motivazioni di ordine etnico, geografico ed economico, allegando anche le difficoltà delle comunicazioni col centro, la necessità del pronto intervento dell’azione amministrativa e, quindi, l’opportunità del decentramento soprattutto nell’amministrazione della giustizia». 115 Giustiniano afferma che il territorio della res publica è considerevolmente aumentato mediante l’aiuto di Dio: «Cum igitur in praesenti deo auctore ita nostra respublica aucta est». Sul punto vedi C. DIEHL, Justinien et la civilisation byzantine au VIe siècle, Paris 1901, p. 275: «Il avait d’autre part un sincère désir de bien faire, une sollicitude réelle pour ses sujets; il considérait que le rôle de réformateur était un devoir de sa fonction impériale, un acte de reconaissance envers Dieu qui l’avait comblé de ses bienfaits; ardemment il s’appliquait à faire oeuvre utile, et ce n’est pas seulement par métaphore qu’il parlait de ses travaux et de ses veilles consacrées au bonheur de son peuple». 116 Sull’importanza di questo verbo vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 56 ss.: «la radice aug- esprime l’idea di accrescimento, di rafforzamento, di incremento» e la forma incoativa augesco, utilizzata da Pomponio nel noto passo del Liber singulari enchiridii D. 1,2,2,7, richiama «l’“aumento” della civitas, potenzialmente universale, senza condizionamenti etnici (o nazionali) […]. Il processo di aumento del numero dei cives ha il suo fondamento nel principio di apertura della civitas (asylum di Romolo), il punto saliente nella constitutio Antoniniana (cfr. D. 1,5,17: qui in orbe Romano sunt) ed il punto conclusivo in Giustiniano con l’eliminazione delle nozioni di Latinus e di peregrinus (nel senso di straniero)».

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dare contezza della volontà di accrescimento, di rafforzamento della civitas, strettamente connessa al favore divino e che concerne prima di tutto il sacerdotium, intermediario tra Dio e imperium. Difatti, l’intento di Giustiniano è quello di garantire un ampliamento «circa sacerdotalem censuram» affinché il sacrosantus antistes primae Justinianae ricopra non solo la carica di metropolita ma altresì quella di arcivescovo, estendendo la propria auctoritas su tutte le altre province. In questa prospettiva, rivolgendosi a Catelliano, l’Imperatore statuisce come tanto questi, quanto i suoi successori, avrebbero detenuto la praerogativa di arcivescovo e sarebbe stata loro attribuita ogni facoltà, compresa quella di procedere alle ordinazioni. Pertanto, in tutte le province sarebbe spettato ai vescovi – a cui si accompagna sempre l’appellativo di “Deo amabilis” o simili – “primum honorem”, “primam dignitatem”, “summum sacerdotium” e “summum fastigium”. Tale previsione risulta poi ribadita al cap. 3 della Novella 131 del 545 ove è attribuita all’arcivescovo di Prima Giustiniana una priorità gerarchica sui vescovi delle province allo stesso sottoposte, oltre che conferite le veci della sede apostolica di Roma.

10. IL SACERDOTIUM E IL PROGRAMMA DI RIFORME DEL 535-539 Giustiniano tra il 535 e il 539 dà corso a un ampio, quanto complesso programma di riforma dell’amministrazione centrale e provinciale dell’Impero che rappresenta non solo uno dei punti focali della politica dell’Imperatore, ma altresì uno dei temi oggetto di particolare trattazione nella legislazione novellare 117. «Una volta intrapreso il disegno universalistico di ricostituzione dell’orbis Romanus e di restaurazione dell’unità dell’Impero», il problema istitu117 Sulle riforme predisposte da Giustiniano tra il 535 e il 539 ampia è la letteratura, vedi A.H.M. JONES, The Later Roman Empire 284-602 – A Social, Economic and Administrative Survey, III, cit., p. 280 ss.; E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., pp. 463-475; K. VISKY, “Justinian für die Rechtseinheit in den Provinzen”, in RIDA, 22, 1975, p. 367 ss.; A. GITTI, “L’ordinamento provinciale dell’Oriente sotto Giustiniano”, in Bull. Commiss. Archeol. Comunale di Roma, 60, 1932, pp. 47-79; S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 1 ss. L’A. è di recente ritornato sul tema in “Le riforme costituzionali dal tardo Impero all’età bizantina”, in Introduzione al diritto bizantino. Da Giustiniano ai Basilici, a cura di J.H.A. Lokin e B.H. Stolte, Pavia 2011, p. 3 ss.

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Sacerdotium nelle Novelle

zionale si imponeva «a livello operativo non meno che ideologico e con caratteri di preminenza» 118. In questa prospettiva e per quanto di interesse in codesta sede, il progetto di riforma si articola in interventi finalizzati alla precisazione del rapporto intercorrente tra sacerdotium e imperium nel quadro di una generale ridefinizione del ruolo e delle funzioni dell’episcopato anche rispetto agli organi locali dell’amministrazione imperiale, nonché al riordino delle diocesi e dei vicariati 119. A) LA RIDEFINIZIONE DEL RUOLO E DELLE FUNZIONI DELL’EPISCOPATO A LIVELLO LOCALE

Nella prospettiva della ridefinizione del ruolo e delle funzioni dell’episcopato, Giustiniano riconosce al sacerdotium specifiche competenze di supervisione e controllo di alcuni organi dell’imperium, correlate all’esigenza di garantire un’efficace gestione della res publica. Tali funzioni si concretizzano nel controllo esercitato dal vescovo nei confronti dei funzionari imperiali, che si manifesta sotto un duplice profilo: da un lato un controllo preventivo esercitato attraverso la partecipazione del vescovo alle operazioni di nomina dei funzionari, con particolare riferimento a quelli cui è attribuita una singolare rilevanza dal punto di vista “sociale”; dall’altro un controllo successivo finalizzato a prevenire e reprimere usurpazioni e abusi commessi a danno del popolo. In ogni caso, è evidente la posizione di alta responsabilità riconosciuta al sacerdotium da parte dell’imperium e la profonda fiducia riposta nella costante interazione tra il vertice dell’ordinamento ecclesiastico e gli esponenti di spicco dell’imperium a livello locale. Il vescovo, infatti, nella complessa vita di una civitas «è il pater populi che dà salutis opem e nella cui persona totius populi salus consistit. Egli è il protettore e il difensore delle classi sociali deboli e povere; egli assume la 118

Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit.,

p. 1 s. 119

Vedi ampiamente S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 16 ss.; ID., “‘Omnem facultatem damus sanctissimis episcopis’. Rapporti tra gerarchia ecclesiastica e gerarchia statale nella legislazione di Giustiniano”, in Diritto@storia, 6, 2007; E. FRANCIOSI, Riforme istituzionali e funzioni giurisdizionali nelle Novelle di Giustiniano, cit., p. 15 s.; M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, Torino 1989, p. 23 s.

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tuitio di categorie impotenti; organizza servizi annonari durante momenti di necessità e di assedio; vigila l’opera delle magistrature ordinarie» 120. Le disposizioni in tal senso stabilite dall’Imperatore sono state oggetto di approfondita disamina da parte di illustri studiosi 121; mi limito a richiamare taluni provvedimenti, pur non apparendo all’interno degli stessi il termine sacerdotium (né nella versione greca appaiono i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία), al solo fine di dare contezza dell’importanza assegnata da Giustiniano al munus sacerdotalis anche nel quadro delle riforme dell’amministrazione provinciale dell’Impero. a) NOVELLA 8: UNA LEX GENERALIS PER L’UTILITAS PUBLICA

Al fine di comprendere le linee generali di ispirazione delle riforme giustinianee, particolare rilevanza assume la Novella 8 del 535 – indirizzata al prefetto del pretorio Giovanni 122 e rubricata Ut iudices sine quoquo suffragio fiant – la quale è qualificata dall’Imperatore come lex generalis 123 e in tal senso è stata efficacemente definita dal Bonini come una vera e propria “legge-quadro” 124 in materia. Si tratta, invero, di un provvedimento generale volto a individuare e fis120 S. MOCHI ONORY, “Vescovi e città (secoli IV-VI)”, in Rivista di storia del diritto italiano, 4, 1931, p. 246. In tal senso vedi, tra gli altri, anche M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, cit., p. 25; E. DOVERE, “‘Auctoritas’ episcopale e pubbliche funzioni (secc. IV-VI)”, in Studi economico-giuridici, 57, 1997-1998 (pubbl. 2000), p. 523. 121 Vedi per tutti, S. PULIATTI, “Le funzioni civili del vescovo in età giustinianea”, in Athenaeum, 92, 2004, p. 139 ss.; ID., “I rapporti fra gerarchia ecclesiastica e gerarchia statale nella legislazione di Giustiniano”, in Studi in onore di G. Nicosia, VI, Milano 2007, p. 299 ss.; ID.,“‘Omnem facultatem damus sanctissimis episcopis’”, cit. 122 L’inscriptio come appare dalla collezione greca sottolinea il fatto che Giovanni ricopre per la seconda volta la carica di prefetto del pretorio («Ὁ αὐτὸς βασιλεὺς Ἰωάννῃ ἐπάρχῳ πραιτωρίων τὸ β´, ἀπὸ ὑπάτων καὶ πατρικίῳ»). 123 Sull’espressione “lex generalis” L. DE GIOVANNI, “L’esperienza giuridica nella tarda antichità”, cit., p. 5 osserva come: «la forma assolutamente imperativa […], il suo rivolgersi non a un singolo destinatario ma a un popolo, a una regione o anche a tutto l’Impero, l’astrattezza e la generalità del comando, l’ordine di pubblicazione a carico del funzionario cui era indirizzato il provvedimento, affinché i sudditi fossero davvero in grado di conoscerlo» costituiscono elementi idonei a manifestare la volontà dell’Imperatore in modo rapido ed efficace. 124 Sul carattere di “legge-quadro” da attribuire a Nov. 8 e a Nov. 17 vedi R. BONINI, Introduzione allo studio dell’età giustinianea, Bologna 1979, p. 68; ID., “Note sulla legislazione giustinianea dell’anno 535”, cit., p. 161 ss. Nella medesima linea, S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 3. Da ultimo A. LOVATO, “Giustiniano e la consummatio nostrorum digestorum”, cit., p. 397, nt. 3.

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sare le direttive fondamentali per la riorganizzazione politico-amministrativa dell’Impero e che, a tal fine, affronta con particolare incisività la questione relativa alla necessità di risanare le finanze pubbliche e, quindi, di arginare il sempre più dilagante fenomeno di compravendita delle cariche. Tale intento emerge chiaramente sin dalla praefatio ove si legge che l’Imperatore trascorre tutte le notti e tutti i giorni «cum omni lucubratione et cogitatione» a occuparsi di quanto risulti utile al popolo e possa piacere a Dio 125. Così – afferma Giustiniano – «non in vano vigilias ducimus»: tanto la veglia quanto il giorno vengono dedicati a profonde meditazioni affinché il popolo sia liberato da ogni inquietudine 126. Le disposizioni adottate dall’Imperatore rispondono allo scopo di restaurazione dell’Impero nell’ottica della utilitas publica, ivi strettamente collegata al criterio dell’approvazione divina 127; egli si preoccupa di ricercare con la massima attenzione quanto Dio ha proposto di introdurre per l’utilitas del populus 128 ed è proprio questa «incessante e articolata dialettica» 129 fra sacerdotium e imperium, Deus e populus, a connotare profonda125 Nov. 8 praef.: «Omnes nobis dies ac noctes contingit cum omni lucubratione et cogitatione degere semper volentibus, ut aliquid utile et placens deo a nobis collatoribus praebeatur: et non in vano vigilias ducimus, sed in huiusmodi eas expendimus consilia pernoctantes et noctibus sub aequalitate dierum utentes, ut nostri subiecti sub omni quiete consistant sollicitudine liberati, nobis in nosmet ipsos pro omnibus cogitationem suscipientibus»; «Ἁπάσας ἡμῖν ἡμέρας τε καὶ νύκτας συμβαίνει μετὰ πάσης ἀγρυπνίας τε καὶ φροντίδος διάγειν ἀεὶ βουλευομένοις, ὅπως ἂν χρηστόν τι καὶ ἄρεσκον θεῷ παρ’ ἡμῶν τοῖς ὑπηκόοις δοθείη. Καὶ οὐ πάρεργον τὴν ἀγρυπνίαν λαμβάνομεν, ἀλλ’ εἰς τοιαύτας αὐτὴν ἀναλίσκομεν βουλὰς διημερεύοντές τε καὶ νυξὶν ἐν ἴσῳ ταῖς ἡμέραις χρώμενοι, ὥστε τοὺς ἡμετέρους ὑπηκόους ἐν εὐπαθείᾳ γίνεσθαι πάσης φροντίδος ἀπηλλαγμένους, ἡμῶν εἰς ἑαυτοὺς τὰς ὑπὲρ ἁπάντων μερίμνας ἀναδεχομένων». 126 Su Nov. 8 praef. vedi le considerazioni di B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 139; p. 141 s.; C. CAPIZZI, “Potere e ideologia imperiale da Zenone a Giustiniano”, in L’Imperatore Giustiniano. Storia e mito, cit., p. 33: «l’Imperatore […] è […] il pater et dominus, che “giorno e notte” lavora e prega per l’accrescimento della Chiesa e la pace e la concordia dei fedeli; egli è conscio che appartiene alla provvidenza imperiale fornire abbondantemente ai sudditi, grazie a un esame provvidente, sicurezza non solo per il presente, ma anche per l’avvenire». 127 Vedi G. LONGO, “«Utilitas publica»”, cit., p. 61 s., il quale sottolinea come l’utilitas publica si ricolleghi all’aspetto divino del potere: «in questo senso, le leges sono dettate “ut aliquid utile et placens deo … praebeatur”. Così verranno a procurare “utilitas nostris subiectis”». Sul punto vedi anche, R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 11 s. 128 In questo senso depongono anche le disposizioni dell’Editto annesso a Nov. 8, laddove Giustiniano afferma che i provvedimenti sono stati adottati in vista della utilitas del popolo («pro vestra utilitate perferimus laborem»). 129

R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 59.

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mente la disposizione in esame e, più in generale, i provvedimenti di riforma emanati da Giustiniano. È proprio in tale ottica che vanno, dunque, lette le prescrizioni della Novella volte a reprimere la venalità e il commercio delle cariche pubbliche, nonché a stroncare il rapporto di causa ed effetto fra venalità delle cariche ed estorsioni di rivalsa da parte dei governatori 130. Afferma, infatti, l’Imperatore che si eviterebbero disordini e malversazioni ove i preposti alle civiles administrationes si dimostrino onesti e si accontentino degli emolumenti ricevuti dal fiscus 131. Degne di nota risultano altresì le parole adoperate nell’epilogus, ove si legge che l’imperium intende operare con cura la selezione di onesti magistrati al fine di mostrare la propria sollecitudine e providentia nei confronti del popolo («nostrum circa subiectos studium») 132, per la cui difesa nulla è stato omesso 133. 130 Il fenomeno di compravendita delle cariche mediante suffragium era divenuto nei secoli V e VI così dilagante da essere considerato un’ordinaria via di accesso all’amministrazione pubblica. Peraltro i funzionari una volta incardinati, anche per rifarsi delle spese sostenute, si abbandonavano a ogni malversazione ed estorsione nei riguardi del popolo. La Nov. 8 abolisce il suffragium e impone ai funzionari un giuramento mediante il quale si impegnavano a non dare o promettere denaro in cambio della nomina. Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 22 ss.; D. LIEBS, “Ämterkauf und Ämterpatronage in der Spätantike”, in ZSS, 95, 1978, p. 158 ss. 131 Nov. 8 praef. 1: «Cogitatio igitur nobis facta est, quid agentes omnia quaecumque in nostris provinciis sunt, uno actu communi ad meliora migraremus. Hoc enim omnino eventurum credimus, si praesides gentium, quicumque civiles administrationes provinciarum habent, puris procuraremus uti manibus et omni abstinere acceptione pro illis, solis contentos eis quae a fisco dantur»; «Ἔννοια τοίνυν ἡμῖν γέγονε, τί ποτε ἂν πράξαντες ἅπαν, ὅσον ἐν ταῖς ἡμετέραις ἐπαρχίαις ἐστὶν ἐπιβλαβές, πράξει μιᾷ κοινῇ πρὸς τὰ κρείττω μεταστήσαιμεν. τοῦτο δὲ πάντως ἀποβησόμενον εὑρίσκομεν, εἰ τοὺς ἡγουμένους τῶν ἐθνῶν, ὅσοι τὰς πολιτικὰς ἀρχὰς τῶν ἐπαρχιῶν ἔχουσι, καθαραῖς παρασκευάσαιμεν χρῆσθαι ταῖς χερσὶ καὶ παντὸς ἀπέχεσθαι λήμματος, μόνοις ἀρκουμένους τοῖς παρὰ τοῦ δημοσίου διδομένοις». 132 È frequente nella legislazione imperiale l’immagine dell’Imperatore che si assume tutte le responsabilità e le preoccupazioni per il bene del popolo, vedi ad es. una costituzione di Teodosio II del 439 (Nov. 16 praef.) e una costituzione di Valentiniano III del 442 (Nov. 2 praef.). Nelle Novelle giustinianee, inoltre, in plurime occasioni l’Imperatore mette in evidenza come, pur di assicurare la gratuità delle cariche pubbliche, sia disposto a subire ogni sacrificio economico: vedi Nov. 8 praef. 1: «Consideravimus enim quia, licet quaestus non modicus imminuitur imperio, attamen nostris subiectis incrementum maximum percipientibus, si indemnes a iudicibus conserventur, et imperium et fiscus abundabit utens subiectis locupletibus, et uno hoc introducto ordine plurima rerum et innumerata erit ubertas»; «ἐσκοπήσαμεν γὰρ ὅτιπερ, εἰ καὶ πόρος οὐ μικρὸς ἐλαττοῦται τῇ βασιλείᾳ, ἀλλ’ οὖν τῶν ἡμετέρων ὑποτελῶν ἐπίδοσιν μεγάλην λαμβανόντων, εἴπερ ἀζήμιοι παρὰ τῶν ἀρχόντων

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In tale contesto, al cap. 8,1 della costituzione in esame Giustiniano attribuisce al vescovo il compito di sorvegliare i funzionari e di provvedere a informare tempestivamente l’imperium circa gli illeciti dagli stessi commessi 134, prevedendo anche specifiche sanzioni pecuniarie per l’ipotesi di inottemperanza a detta funzione di “sorveglianza” 135. Allo stesso modo, anche l’editto annesso alla Novella 8 136 da un lato rammenta ai vescovi l’obbligo di segnalare all’imperium gli illeciti commessi dagli amministratori locali, dall’altro attribuisce loro il potere di sorvegliare il buon operato dei defensores civitatum. φυλάττοιντο, ἥ τε βασιλεία τό τε δημόσιον εὐθηνήσει χρωμένη ὑπηκόοις εὐπόροις, μιᾶς τε ταύτης εἰσαγομένης τάξεως πολλὴ καὶ ἀμύθητος ἔσται τοῦ πράγματος ἀφθονία»; Nov. 28,4,2: «Haec nos exoraverunt non solum ex hoc lucra repudiare, sed etiam de proprio superexpendere multum, et sicubi aliquibus venalis a praecedentibus nos administrationis dabatur figura, hoc redimere et liberos nostros sinere collatores et ex proprio ferre solacium percipientibus, ut et hanc eis impertiremus libertatem»; «Ταῦτα ἡμᾶς ἐδυσώπησεν οὐ μόνον τοῖς ἐντεῦθεν κέρδεσιν ἀπειπεῖν, ἀλλὰ καὶ οἴκοθεν προσδαπανῆσαι μεγάλα, καὶ εἴ που τισὶν ὤνιον παρὰ τῶν πρὸ ἡμῶν τὸ τῆς ἀρχῆς ἐδίδοτο σχῆμα, τοῦτο ἐξωνήσασθαι καὶ ἐλευθέρους τοὺς ἡμετέρους ἀφεῖναι συντελεῖς τοῦ τοιούτου δασμοῦ καὶ οἴκοθεν ἀντεισαγαγεῖν τὴν παραψυχὴν τοῖς λαμβάνουσιν, ἵνα καὶ τούτοις μεταδῶμεν ἐλευθερίας». In tal senso anche Nov. 24,2; Nov. 27 epil.; Nov. 28,4,1 e Nov. 30,11,2. 133 Giustiniano adopera frequentemente il termine “subiecti” per indicare i cives e in tale prospettiva – considerata la rilevanza dell’elemento popolare – i subiecti non devono essere intesi come “assoggettati”, “sottoposti”, “sudditi” ma l’uso del termine va considerato in questa luce, per essere correttamente confrontato con quelli di cives o di Romani. Sul punto vedi P. CATALANO, Diritto e persone, cit., p. 84; ID., “Ius Romanum. Note sulla formazione del concetto”, cit., p. 554 s. Nella medesima linea vedi anche M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 207; F. GORIA, “Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale nelle costituzioni di Giustiniano”, cit., p. 296. Cfr. R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche», cit., p. 275, secondo il quale con la svalutazione del ruolo giuridico del popolo in età imperiale «al posto di cives Romani e di populus Romanus si hanno oramai i subiecti (nel senso di “assoggettati”, “sottoposti”, “sudditi”)». 134 Si tratta secondo il Puliatti di una vera e propria “prassi ispettiva”, su cui si soffermano anche Nov. 24,3, Nov. 25,3 e 4, Nov. 26,3,1 e Nov. 30,8; sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 29, nt. 50. 135 In tal senso vedi anche Nov. 8,9; Nov. 8 ed. pr. 1. 136 Si sofferma sul contenuto del documento R. BONINI, Ricerche sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, cit., p. 44 ss.; p. 68 ss. Alla Nov. 8 sono annessi quattro documenti: un edictum indirizzato “scriptum in omni terra deo amabilibus archiepiscopis et sanctissimis patriarchis”; un edictum indirizzato ai Costantinopolitani; una notitia delle somme dovute dai neo magistrati agli uffici che partecipano alla loro nomina; uno ius iurandum, vale a dire il richiamato giuramento da prestarsi da parte dei giudici. Sulla struttura complessa di Nov. 8 vedi P. NOAILLES, Les collections de Novelles de l’empereur Justinien, I, Origine et formation sous Justinien, cit., p. 70; p. 76 ss.

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b) IL RUOLO DEL SACERDOTIUM NELLA NOMINA DEL DEFENSOR CIVITATIS: LA NOVELLA 15

Giustiniano, nel più ampio quadro di riorganizzazione dell’apparato amministrativo dell’Impero e di riqualificazione delle magistrature, assegna un singolare rilievo alla figura del defensor civitatis (ἐκδίκov). Con la Novella 15 del 535, indirizzata al prefetto del pretorio Giovanni e rubricata De defensoribus civitatum, l’Imperatore realizza una profonda ristrutturazione della defensio civitatis mediante la specificazione dei compiti attribuiti al defensor 137, primo fra tutti quello di difesa del popolo. Giustiniano, infatti, mediante la costituzione in esame non si limita a ridefinire il carattere dell’ufficio, connotato da peculiari esigenze di probità e onestà, ma detta altresì disposizioni in ordine alle funzioni che nell’ambito della generale competenza di tutela del popolo sono a esso attribuite. Oltre a competenze di natura squisitamente amministrativa e di polizia 138, al defensor civitatis – nell’espresso intento di rendere allo stesso l’autonomia e il prestigio d’un tempo – viene assegnata la giurisdizione nelle cause pecuniarie entro un certo limite di valore 139, nonché nei procedimenti penali connessi a reati meno gravi 140, ferma restando comunque la centrale funzione di difesa del popolo contro le vessazioni dei potenti e, in particolare, dei funzionari della cancelleria e del governatore. Per quanto di interesse in codesta sede, giova evidenziare come secondo quanto emerge dall’epilogus della Novella – in linea con quanto stabilito in C. 1,55,8 pr. e in C. 1,55,11 141 – la nomina dei defensores civitatum è attribuita ai possessores, ai vescovi, ai chierici e alle persone di buona fama, sotto il controllo del prefetto del pretorio 142. 137 In generale sulla figura del defensor civitatis, sulla sua istituzione e sulle ragioni che l’avrebbero ispirata vedi V. MANNINO, Ricerche sul «defensor civitatis», Milano 1984 (cui si rinvia per una profonda esegesi di Nov. 15 e sulla defensio civitatis in età giustinianea, p. 164 ss., in part. p. 187 ss.); F. PERGAMI, “Sulla istituzione del defensor civitatis”, in SDHI, 61, 1995, p. 413 ss.; R.M. FRAKES, Contra potentium iniurias. The Defensor Civitatis and late Roman justice, München 2001. Da ultimo, A. PALMA, “Note sul defensor civitatis. Organo pubblico e privato patrocinatore”, in Koinonia, 41, 2017, p. 251 ss. 138 Nov. 15,3 pr. 1. 139 Nov. 15,3,2. 140 Nov. 15,6,1. 141 Sulle ragioni sottese alla modifica da parte di Giustiniano del sistema di nomina del defensor civitatis vedi S. PULIATTI, “‘Omnem facultatem damus sanctissimis episcopis’”, cit. 142

Nov. 15 epil.: «semper quidem decreto cum iureiurando faciendo, ipsoque, dum fu-

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c) IL RUOLO DEL SACERDOTIUM NELLA NOMINA DEL PATER CIVITATIS E DEL FRUMENTARIUS: LA NOVELLA 128

Nella medesima linea dei provvedimenti poc’anzi esaminati si pone la Novella 128 del 545, indirizzata al prefetto del pretorio Pietro e rubricata De collatoribus et aliis capitulis, mediante la quale si realizza una vera e propria riforma in materia tributaria 143, ispirata al perseguimento dell’utilitas dei contribuenti 144. Al cap. 16 risulta assegnata al vescovo una specifica competenza in ordine alla nomina del pater civitatis (πατήρ τῆς πόλεως) e del frumentarius (σιτώνηv 145), oltre che una generale funzione di sorveglianza e correzione delle attività svolte da questi ultimi, con particolare riferimento al controllo dei rendiconti finanziari da essi annualmente redatti 146. A ben vedere, il pater civitatis e il frumentarius rappresentano due figure che assumono una singolare rilevanza dal punto di vista “sociale” «perturus fuerit curam suscipere, definitum iusiurandum subeunte, et electione eius facienda a deo amabili episcopo et venerabili clero et aliis in civitate opinioni studentibus»; «aεὶ μὲν τῆς ψήφου μεθ’ ὅρκου γινομένης, αὐτοῦ δέ, ἡνίκα ἂν μέλλοι τοῦ φροντίσματος ἀντέχεσθαι, τὸν ὡρισμένον ὅρκον ὑπέχοντος, καὶ τῆς προβολῆς αὐτοῦ γινομένης παρά τε τοῦ θεοφιλεστάτου ἐπισκόπου καὶ τοῦ εὐαγοῦς κλήρου καὶ τῶν ἄλλων τῶν κατὰ τὴν πόλιν ὑπολήψεως ἀντεχομένων». Sul punto, anche in rapporto alle prescrizioni di C. 1,55,8 pr. e C. 1,55,11 vedi V. MANNINO, Ricerche sul «defensor civitatis», cit., p. 198; p. 95; p. 146. 143

S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 317 definisce la costituzione in esame come “carta delle contribuzioni”. 144 Nov. 128 praef.: «ad utilitatem nostrorum collatorum respiciunt»; «πρὸς ὠφέλειαν τῶν ἡμετέρων ὑποτελῶν ὁρᾷ σπουδάζοντες διαπράττεσθαι». 145

Il termine greco “σιτώνηv” corrisponde al latino “frumentarius” del linguaggio giuridico seguendo D. MAGIE, De Romanorum iuris publici sacrique vocabulis solemnibus in Graecum sermonem conversis, Lipsiae 1905, p. 133. Considerate le peculiari implicazioni storico-giuridiche sottese alla figura del frumentarius (σιτώνηv), meritevoli di indagine risultano le occorrenze del termine nella legislazione novellare, che si auspica di poter approfondire in altra sede. 146

Nov. 128,16: «sed civitatis sanctissimum episcopum et primates nec non et eius possessores constituere quidem patrem civitatis et frumentarium et alios huiusmodi dispensatores, singulis autem annis impletis sanctissimum episcopum cum quinque primatibus civitatis rationes exigere eos qui ab ipsis ordinati sunt»; «ἀλλὰ τὸν ἑκάστης πόλεως ὁσιώτατον ἐπίσκοπον καὶ τοὺς πρωτεύοντας τῆς πόλεως, οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ τοὺς αὐτῆς κτήτορας προβάλλεσθαι μὲν τὸν πατέρα τὸν τῆς πόλεως καὶ τὸν σιτώνην καὶ ἄλλους τοιούτους διοικητάς, ἑκάστου δὲ ἐνιαυτοῦ πληρουμένου τὸν ὁσιώτατον ἐπίσκοπον μετὰ πέντε πρωτευόντων τῆς πόλεως τοὺς λογισμοὺς ἀπαιτεῖν τοὺς παρ’ αὐτῶν προβληθέντας».

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ché da loro dipende la soluzione di problemi riguardanti sia la gestione delle sostanze civiche, sia l’alimentazione della popolazione urbana» 147. E ciò con particolare riferimento al frumentarius, residuo del vecchio sistema delle frumentationes di origine graccana, che con i suoi interventi nel campo delle distribuzioni alimentari contribuiva alle necessità del popolo e al mantenimento dell’ordine pubblico 148. Inoltre, al cap. 17 Giustiniano attribuisce al vescovo la facoltà di denunciare le usurpazioni perpetrate a danno dell’imperium – e quindi anche del populus – da parte dei funzionari della prefettura pretoriana 149. Nella medesima prospettiva la Novella 134 del 556, anch’essa indirizzata a Pietro e rubricata Ut nulli iudicum liceat habere loci servatorem nisi certis in causis divina concesserit iussio, al cap. 3 riconosce ai vescovi la facoltà di denunciare e reprimere gli abusi attuati dai pubblici funzionari 150. Analoga previsione si rinviene altresì al cap. 2 dell’Editto 12 del 535, rubricato perί Ell»spontou, con riferimento all’ipotesi di imposizioni fiscali illegittime attuate in Ellesponto 151. 147

S. PULIATTI, “‘Omnem facultatem damus sanctissimis episcopis’”, cit. Sulle figure del curator e del frumentarius vedi R. GANGHOFFER, L’évolution des institutions municipales en Occident et en Orient au Bas-Empire, Paris 1963, pp. 155-162; M. CLAUSS, “Frumentarius Augusti”, in Epigraphica, 42, 1980, pp. 131-34. 148 Sulle distribuzioni alimentari, con particolare riferimento a quanto attestato da Cic., Tusc. Disp. 3,20,48 circa la concretezza degli effetti delle distribuzioni sul populus vedi R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, cit., p. 296; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 198 s. 149 Nov. 128,17: «Sed si quid huiusmodi fiat, licentiam habere uniuscuiusque civitatis sanctissimum episcopum et eius primates non respondere pro memoratis capitulis talibus personis, referre autem ad nos, ut hoc agnoscentes et illatum civitatibus damnum ex eorum substantia restitui iubeamus et competentem vindictam talibus inferamus»; «ἀλλ’ εἴ τι τοιοῦτο γένηται, ἄδειαν ἔχειν τὸν ἑκάστης πόλεως ὁσιώτατον ἐπίσκοπον καὶ τοὺς ταύτης πρωτεύοντας μὴ ἀποκρίνεσθαι ὑπὲρ τῶν εἰρημένων κεφαλαίων τοῖς τοιούτοις προσώποις, ἀναφέρειν δὲ εἰς ἡμᾶς, ἵνα τοῦτο γινώσκοντες καὶ τὴν ἐπαχθεῖσαν ταῖς πόλεσι ζημίαν ἐκ τῆς αὐτῶν οὐσίας ἀποκαταστῆναι κελεύσωμεν καὶ τὴν προσήκουσαν ἐκδίκησιν τοῖς τοιούτοις ἐπαγάγωμεν». 150 Nov. 134,3: «Omnem vero damus licentiam locorum sanctissimis episcopis et primatibus civitatum huiusmodi praesumptiones prohibere, et studere ut haec omnia sine impedimento et sine dispendio secundum legum virtutem procedant, et de his nobis nuntiare»; «πᾶσαν δὲ δίδομεν ἄδειαν τοῖς κατὰ τὸν τόπον ὁσιωτάτοις ἐπισκόποις καὶ τοῖς πρωτεύουσι τῶν πόλεων τὰ τοιαῦτα ἐγχειρήματα κωλύειν, καὶ φροντίζειν τοῦ ταῦτα πάντα ἀνεμποδίστως καὶ ἀζημίως κατὰ τὴν τῶν νόμων δύναμιν προϊέναι, καὶ τὰ περὶ τούτων μηνύειν ἡμῖν». 151 Ed. 12,2: «Adeian de d…domen kaˆ to‹v ™piskÒpoiv, e„ r¬qum»sein Ð tÁv ™parc…av ¹goÚmenov kaˆ m¾ tÕn pragmatikÕn ™pisco…h tÚpon, ¢ll— ™ndo…h tù toàton metaceirizomšnñ».

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Inoltre, vale la pena evidenziare come il sacerdotium sia chiamato a partecipare alla nomina del governatore provinciale, secondo quanto emerge dalla Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii 152 del 554, contenuta nell’Appendix constitutionum dispensarum VII ed emanata su richiesta di Papa Vigilio per ristabilire l’assetto politico, economico e giuridico dell’Italia, profondamente turbata da lunghe lotte contro gli Ostrogoti. Essa consta di 27 capita che, a ben vedere, non sembrano caratterizzarsi per particolare chiarezza e organicità, mancando una logica trattazione degli argomenti enunciati che vanno, tra gli altri, dalla materia delle donazioni a quella della proprietà e dei tributi fino all’estensione all’Italia dell’obbligo di applicare il Codice, il Digesto e le Novelle 153. Al cap. 12 Giustiniano stabilisce che il vescovo, unitamente ai primates uniuscuiusque regionis, debba partecipare alla nomina del governatore provinciale 154. Si tratta, secondo quanto evidenziato dal Bonini, di un’innovazione finalizzata a «coinvolgere il più possibile gli italici nell’amministrazione del loro territorio» nel più ampio disegno di concordia «fra l’Impero e le forze più vive rimaste in Italia, fra le quali emergevano la Chiesa e i suoi uomini investiti di più ampie responsabilità» 155. Il coinvolgimento del vescovo nella nomina del governatore si pone, inve152 Su tale costituzione vasta è la letteratura, vedi per tutti, G.G. ARCHI, “Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii”, in Festschrift für F. Wieacker zum 70. Geburtstag, Göttingen 1978, p. 11 ss. (ora in ID., Scritti di diritto romano, III, cit., p. 1971 ss., spec. p. 1994); R. BONINI, Studi sull’età giustinianea, cit., pp. 30-33; p. 106 s. Da ultimo, A. TRISCIUOGLIO, “La tuitio del defensor civitatis nell’Italia ostrogota. Spunti dalla lettura delle Variae di Cassiodoro”, in Ravenna Capitale. Territorialità e personalità: compresenza di diversi piani normativi, Sant’Arcangelo di Romagna 2013, p. 41 ss. 153 In tal senso P. PESCANI, s. v. Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii, in Noviss. Dig. it., XIII, Torino 1966, p. 553 ss., cui si rinvia per un’ordinata indicazione degli argomenti trattati da Giustiniano nel provvedimento in esame. In tal senso vedi anche le osservazioni di G.G. ARCHI, “Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii”, cit., p. 1971: «lo studioso, che oggi si avvicina al testo contenuto in Appendix constitutionum dispensarum VII, nell’edizione delle Iustiniani Novellae curata dallo Schoell e dal Kroll, rimane deluso dalla sua lettura e per lo stile e per il contenuto normativo». 154 App. Nov. 7,12: «Provinciarum etiam iudices ab episcopis et primatibus uniuscuiusque regionis idoneos eligendos et sufficientes ad locorum administrationem ex ipsis videlicet iubemus fieri provinciis, quas administraturi sunt, sine suffragio». 155 R. BONINI, Studi sull’età giustinianea, cit., p. 32; p. 78; p. 108; tale innovazione sarà poi estesa ai territori orientali dell’Impero a opera di Giustino II con la Novella 149 del 569 anche allo scopo di arginare il problema della venalità delle cariche. Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, I, cit., pp. 133-140.

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ro, a garanzia di onestà e rettitudine, nonché di una scelta ponderata e adeguata nei confronti del popolo anche allo scopo di assicurare un’efficiente gestione dei territori oggetto di riforma e si pone senza dubbio a conferma della peculiare fiducia accordata dall’imperium al sacerdotium. d) IL SACERDOTIUM E LA FUNZIONE DI GARANZIA PER IL POPULUS

Dall’analisi delle disposizioni sopra menzionate emerge la straordinaria rilevanza assegnata al sacerdotium quale punto di riferimento a livello locale per il popolo e portavoce dei diritti dei più deboli. La partecipazione del vescovo alla nomina di funzionari posti al vertice dell’apparato imperiale locale trae ragion d’essere dalla volontà di Giustiniano di dotarsi di una garanzia di onestà e affidabilità. Invero, il sacerdotium interviene in quei campi che rivestono una particolare rilevanza per il popolo, nonché per il mantenimento dell’ordine pubblico e «assolve a una funzione di garanzia tanto nei confronti delle comunità affidate alle sue cure quanto in relazione al potere centrale in ragione della conoscenza delle situazioni locali e delle qualità che lo contraddistinguono» 156. Risulta, peraltro, di manifesta percezione come Giustiniano attribuisca al sacerdotium importanti funzioni a livello locale proprio perché ne concepisce la rettitudine come certezza di imparzialità e trasparenza, oltre che di moralità, onestà e affidabilità. B) IL RIORDINO DI DIOCESI E VICARIATI

Il riordino di ampi settori dell’amministrazione è correlato alla volontà di Giustiniano di ricostituire l’orbis Romanus mediante una costante interazione tra politica e legislazione: «scopo ne era o il rinnovamento totale o la semplice rivitalizzazione delle istituzioni mediante l’eliminazione delle insufficienze, disfunzioni e inefficienze che le strutture dell’apparato amministrativo, a parere dell’Imperatore, presentavano» 157. Da questo punto di vista, le Novelle ci forniscono una compiuta descrizione non solo degli interventi riformatori volti all’abolizione del fenomeno di venalità delle cariche pubbliche, ma altresì delle disposizioni miranti 156

S. PULIATTI, “‘Omnem facultatem damus sanctissimis episcopis’”, cit. S. PULIATTI, “Antiquitatis reverentia e funzionalità degli istituti nelle riforme costituzionali di Giustiniano”, cit., p. 1377. 157

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a incidere su specifiche circoscrizioni territoriali mediante il riordino delle diocesi e dei relativi vicariati e che sollecitano l’Imperatore a interrogarsi sul ruolo svolto dal sacerdotium nel quadro delle riforme in esame. a) A PROPOSITO DELLA CONTINUITÀ DEL SACERDOTIUM: LA NOVELLA 28, LA NOVELLA 29 E LA NOVELLA 31

Per quanto riguarda specificamente le disposizioni novellari volte a incidere sui territori periferici dell’Impero mediante la soppressione delle diocesi e dei vicariati 158, mette conto rilevare come Giustiniano si interroghi sul ruolo svolto dal sacerdotium nel quadro del progetto di riforma cui sta dando corso. Dall’analisi dei provvedimenti in materia ove ricorre il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) – e, segnatamente, le Novelle 28 e 29 del 535 e la Novella 31 del 536, indirizzate al prefetto del pretorio Giovanni – emerge come Giustiniano, pur prevedendo una serie di misure riformatrici atte a incidere sulle istituzioni provinciali, sottolinei di non voler predisporre alcuna innovazione quanto al sacerdotium. La riorganizzazione dell’assetto provinciale trova, pertanto, un limite nella necessità di non incidere sul munus sacerdotalis, segno di una continuità che non viene meno neanche di fronte alle concrete esigenze dell’imperium. Continuità dovuta senza dubbio al fondamentale ruolo “sociale” assegnato ai sacerdoti e alle rilevanti funzioni agli stessi attribuite a livello locale. Nella Novella 28, rubricata De moderatore Helenoponti, il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) appare una volta. Giustiniano riconduce in un’unica provincia i territori dell’Elenoponto e del Ponto Polemoniaco che fino a quel momento erano stati divisi «absque rationabili causa». L’Imperatore nella praefatio esordisce asserendo che non è conveniente a un solido Impero disporre innovazioni o divisioni sopra le istituzioni fatte in antico, se non laddove sussistano concrete ed effettive ragioni di intervento e a riguardo Giustiniano precisa che «non enim in nominum multitudine forti158 Vedi G. LANATA, Legislazione e natura nelle Novelle giustinianee, cit., p. 132: «Si tratta di una serie di costituzioni che hanno in comune il fatto di predisporre una nuova sistemazione amministrativa per altrettanti territori periferici dell’Impero (Pisidia, Licaonia, Tracia, Arabia, Egitto e così via), e inoltre il fatto che il discorso del legislatore, nel delineare il nuovo assetto dei vari territori, si concentrava in modo prevalente sulla figura del funzionario chiamato a governarli: in questo senso colgono perfettamente nel segno le varie rubriche».

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tudo ponenda est, sed in vero rerum effectu»: la forza dell’Impero non consiste in parole, bensì in ciò che viene realmente operato. Dopo aver istituito due metropoli per la nuova provincia, al cap. 2 della Novella l’Imperatore afferma che con riferimento ai territori interessati dalla riforma nulla deve essere innovato circa il sacerdotium (ἱερωσύνη) e manifesta la volontà di mantenere in vigore la disposizione in virtù della quale l’ordinazione dei vescovi metropoliti debba svolgersi a Costantinopoli e che coloro i quali dipendono da questi ultimi debbano essere ordinati per mano dei vescovi cui è affidata la cura della metropoli stessa 159. Nella Novella 29, rubricata De praetore Paphlagoniae, il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) appare due volte. Mediante tale costituzione viene disposta una nuova strutturazione territoriale mediante l’unificazione della Paflagonia e dell’Onoriade sotto la denominazione di Paflagonia 160, alla quale Giustiniano intende rendere l’antica forma, essendo stata privata al tempo di Onorio di alcune sue civitates. Ancora una volta l’Imperatore, nel quadro del disegno di riforma esposto, statuisce al cap. 1 che alcun mutamento è prescritto «quantum ad locum» di ordinazione dei vescovi metropoliti, che rimane stabilito a Costantinopoli 161. Nella Novella 31 del 536, rubricata De dispositione quattuor administrationum Armeniae, il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) appare una volta. 159

Nov. 28,2: «Nihil enim circa sacerdotium eorum novamus, quoniam et in una provincia etiam vetus tempus et hoc, quod nunc ornatum a nobis est, novit talia plurima statuta super deo amantissimis episcopis consistentia»; «οὐδὲν γὰρ τῶν περὶ τὴν ἱερωσύνην αὐτῶν καινίζομεν, ἐπειδὴ καὶ ἐπὶ μιᾶς ἐπαρχίας καὶ ὁ πάλαι χρόνος καὶ οὗτος ὁ νῦν κατακοσμηθεὶς ὑφ’ ἡμῶν οἶδε πολλὰς τοιαύτας καταστάσεις ἐν τοῖς θεοφιλεστάτοις ἐπισκόποις τυγχανούσας». 160 Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulla legislazione «regionale» di Giustiniano, cit., p. 33, nt. 60, ove richiama anche le altre strutturazioni territoriali cui ha dato corso Giustiniano; J. CAIMI, Burocrazia e diritto nel De magistratibus di Giovanni Lido, Milano 1984, p. 14, nt. 21. 161 Nov. 29,1: «Et hic quoque circa sacerdotia quidem nihil novamus, sed metropolitae primitus sacerdotia hic suscipientes manent in ipso ordine, super eis quantum ad locum ordinatione non permutata, sed a beatissimo patriarcha felicis huius ordinandi civitatis, ipsi vero qui sub eis sunt ordinantes, quos hactenus ordinabant, nihil alterutris de his neque contendentes neque permiscentes»; «Κἀνταῦθα δὲ περὶ μὲν τὰς ἱερωσύνας οὐδὲν καινίζομεν, ἀλλ’ οἵ τε μητροπολῖται οἱ πρώην τὰς ἱερωσύνας ἐνταῦθα δεχόμενοι μενοῦσιν ἐπὶ τῆς αὐτῆς τάξεως, τῆς ἐπ’ αὐτοῖς τό γε ἐπὶ τῷ τόπῳ χειροτονίας οὐκ ἀμειβομένης, ἀλλ’ ὑπὸ τοῦ μακαριωτάτου πατριάρχου τῆς εὐδαίμονος ταύτης χειροτονούμενοι πόλεως, αὐτοί τε τοὺς ὑφ’ ἑαυτοὺς χειροτονοῦντες οὓς μέχρι νῦν ἐχειροτόνουν, οὐδὲν ἀλλήλοις περὶ τούτων οὔτε στασιάζοντες οὔτε φυρόμενοι».

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Essa stabilisce le circoscrizioni e i presidi dell’Armenia 162, disponendo una divisione del territorio in quattro province 163; a ben vedere, peraltro, siffatta tematica ha suscitato più volte l’interesse dell’Imperatore: la questione relativa alla riorganizzazione di tale territorio viene infatti affrontata anche nell’Editto 3 del 535, rubricato De Armeniorum successione, e nella Novella 21 del 536, rubricata De Armeniis ut ipsi per omnia sequantur Romanorum leges 164. Quanto all’occasio legis, nella praefatio si legge che l’Imperatore intende rimediare al gran disordine in cui versava l’Armenia e, analogamente a quanto stabilito dalla Novella 28 e dalla Novella 29, al cap. 2,1 della Novella 31 si legge che nonostante le misure riformatrici disposte, alcuna innovazione viene dettata quanto al sacerdotium 165 (ἱερωσύνh). In particolare, l’Imperatore sottolinea che nulla viene emendato «neque de metropolico iure neque de ordinationibus», conferendosi a tal proposito pieno riconoscimento alle norme locali dell’Armenia 166.

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In generale sulla rilevanza assegnata a tale provincia dalla legislazione giustinianea vedi N. ADONTS, N. G. GARSOÏAN, Armenia in the Period of Justinian. The Political Conditions Based on the Naxarar System, Lisbona 1970; E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., pp. 470-472. 163 Sulla riorganizzazione del territorio dell’Armenia vedi E. VOLTERRA, “Sulla Novella XII di Giustiniano”, in RISG, 17, 1973, p. 6; K. VISKY, “Justinian für die Rechtseinheit in den Provinzen”, cit., p. 368 ss.; F. GORIA, “Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale nelle costituzioni di Giustiniano”, cit., p. 308, con particolare riferimento allo status degli abitanti dell’Armenia minor e dell’Armenia interior, i primi divenuti verosimilmente cittadini romani con l’Editto di Caracalla, i secondi dopo l’emanazione della Nov. 31. 164 Sul rapporto tra le disposizioni di Ed. 3 e quelle di Nov. 21 e Nov. 31 vedi E. VOLTERRA, “Sulla Novella XII di Giustiniano”, cit., p. 1 ss.; G.G. ARCHI, “La legislazione di Giustiniano e un nuovo vocabolario delle costituzioni di questo Imperatore”, cit., p. 1961. 165 Nov. 31,2,1: «Quae tamen de sacerdotiis sunt, sicut saepe diximus, manere secundum prius volumus schema in nullo neque de metropolico iure neque de ordinationibus causa mutata aut innovata, sed his qui prius ordinabant etiam nunc habentibus ordinationis potestatem, et prioribus metropolitis in suo manentibus ordine, ut nihil quantum ad has innovatum sit»; «Τὰ μέντοι περὶ τὰς ἱερωσύνας, καθὰ πολλάκις εἰρήκαμεν, μένειν κατὰ τὸ πρότερον βουλόμεθα σχῆμα, οὐδὲν οὔτε περὶ τὸ μητροπολιτικὸν δίκαιον οὔτε περὶ τὰς χειροτονίας τοῦ πράγματος ἀμειβομένου ἢ καινιζομένου, ἀλλὰ τῶν πρότερον χειροτονούντων καὶ νῦν ἐχόντων τὴν τῆς χειροτονίας ἐξουσίαν, καὶ τῶν προτέρων μητροπολιτῶν ἐπὶ τῆς ἑαυτῶν μενόντων τάξεως, ὥστε μηδὲν τό γε ἐπ’ αὐταῖς καινισθῆναι». 166 Sul punto vedi F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit., p. 148; J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 125.

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b) IL SACERDOTIUM NEL QUADRO DI DIFESA DEL POPULUS E DI MANTENIMENTO DELL’ORDINE PUBBLICO: LA NOVELLA 30, LA NOVELLA 103 E LA NOVELLA 154

Nella Novella 30 del 536, indirizzata al prefetto del pretorio Giovanni e rubricata De proconsule Cappadociae, Giustiniano – dopo avere espresso nella praefatio le ragioni che lo hanno indotto a istituire per la Cappadocia la figura del proconsole – si sofferma sulle funzioni e sui compiti da quest’ultimo esercitati. In essa il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) appare una volta. Al cap. 11 emerge in tutta evidenza la prospettiva universalista dell’Imperatore, il quale afferma di non aver badato a spese per l’ottenimento della pace e la sottomissione di numerosi territori anche grazie al favor Dei nei confronti dell’imperium. E, come già evidenziato, tale affermazione è ricorrente nelle Novelle ed è volta da un lato a indicare il programma politico-militare di Giustiniano, dall’altro a porre in rilievo la figura dell’Imperatore che si addossa tutte le cure del popolo. In tale contesto, Giustiniano afferma che tra le competenze del proconsul Cappadociae (¢νθÚπατov Kαππαδοκ…αv 167) rientra la lotta ai reati di ratto e stupro delle vergini 168: egli è chiamato a punire adulteria, raptus vir167

Il termine greco “¢νθÚπατov” corrisponde al latino “proconsul” del linguaggio giuridico seguendo D. MAGIE, De Romanorum iuris publici sacrique vocabulis solemnibus in graecum sermonem conversis, cit., p. 83. 168 In tal senso anche Nov. 17,5 ove ai magistrati è assegnato il compito di reprimere «homicidia autem et adulteria virginumque direptiones et invasiones et oppressiones ita cum vehementia corriges, puniens delinquentes secundum nostras leges, ut paulatim supplicium alios omnes faciat salvos»; «Φόνους δὲ καὶ μοιχείας καὶ παρθένων ἁρπαγὰς καὶ ἐφόδους καὶ ἀδικίας οὕτω μετὰ σφοδρότητος μετελεύσῃ, κολάζων τοὺς ἁμαρτάνοντας κατὰ τοὺς ἡμετέρους νόμους, ὡς τῇ κατ’ ὀλίγων τιμωρίᾳ τοὺς ἄλλους ἅπαντας σώζειν»; analogamente in Nov. 24,2 con riferimento alle funzioni attribuite al preside di Pisidia («homicidia et adulteria expellens de provincia et virginum raptus et iniustitiam omnem, et haec delinquentes secundum nostras puniat leges, et erubescat nullum violentorum»; «ἀνδροφονίας τε καὶ μοιχείας ἐξελαύνειν τῆς χώρας καὶ παρθένων ἁρπαγὰς καὶ ἀδικίαν ἅπασαν, καὶ τοὺς ταῦτα πλημμελοῦντας κατὰ τοὺς ἡμετέρους κολάζειν νόμους, καὶ ἐρυθριᾶν γε μηδένα τῶν ἀδικούντων»); in Nov. 25,2,2 a proposito dei compiti del pretore della Licaonia («Et odio quidem habeat simul et puniat adulterium universum, et ante illud homicidium, et quicquid vehementius est virginum raptus»; «Καὶ μισείτω μὲν ἅμα καὶ κολαζέτω μοιχείαν ἅπασαν, καὶ πρό γε ἐκείνης ἀνδροφονίαν, καὶ ἔτι σφοδρότερον τὰς τῶν παρθένων ἁρπαγάς»). Su questi temi ampia è la letteratura, vedi per tutti, S. PULIATTI, “Il diritto penale dell’ultima legislazione giustinianea: i crimini contro la moralità e la famiglia. I reati sessuali: adulterio, stuprum, lenocinio”, in Fides humanitas ius. Studi in onore di L. Labruna, VIII, cit., p. 4491 ss. Da ultimo, F. FASOLINO, Pena, amnistia, emenda: una prospettiva storico-giuridica, cit., p. 139 s.

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ginum, violentiae e homicidia affinché mediante il supplicium paucorum anche gli altri colpevoli vengano indotti alla moderazione. La ratio sottesa al provvedimento è ben evidente nelle parole adoperate dell’Imperatore: «Non enim inhumanum est hoc, maxima magis humanitas, dum paucorum correptione multum salvum est» 169. Si tratta senza dubbio di un atteggiamento severo e rigoroso 170, che al contempo denota la profonda umanità dell’Imperatore nel più ampio quadro di tutela della res publica 171. E proprio in ragione della necessità che si dia corso a una rigorosa applicazione delle emanande disposizioni da parte del proconsul che Giustiniano tiene a precisare come non sia ammessa alcuna condotta negligente o di favoreggiamento nei confronti di chi tenti di sottrarsi alla iurisdictio dello stesso in ragione della militia (ζώνη), della dignitas (ἀξία) o del sacerdotium (ἱερωσύνη) 172. Analoghe disposizioni sono stabilite dalla Novella 103 173 del 536, indi169 Nov. 30,11: «οὐ γὰρ ἀπανθρωπία τοῦτο, μεγίστη δὲ δὴ μᾶλλον φιλανθρωπία, τὸ τῇ τῶν ὀλίγων ἐπιστροφῇ πολὺ τὸ σωζόμενον εἶναι». Vedi O.F. ROBINSON, Penal practice and penal policy in ancient Rome, London 2007, p. 166. Quanto al concetto di ‘giustizia’ sotteso alle parole dell’Imperatore vedi H. JONES, “Justiniani Novellae ou l’autoportrait d’un legislateur”, cit., p. 203 s. 170 Gli intenti repressivi della costituzione risultano ben espressi dal linguaggio severo che la cancelleria imperiale adopera: ne è un esempio l’aggettivo “πικρός” (dai plurimi significati di duro, crudo, aspro, amaro) che si rinviene nella versione greca e che sottolinea tale aspetto intransigente. In tal senso vedi supra, par. 2, le disposizioni del cap. 5 della Novella 133 ove l’Imperatore nel porre in rilievo l’esigenza di reprimere le condotte illecite dei monaci afferma che i colpevoli avrebbero dovuto essere espulsi dal monastero anche al fine di non contaminare gli altri «per eius malum», come avviene nelle epidemie degli animali («Sicut morbosorum et inexcusabiliter languentium iumentorum»). 171 Vedi F. FASOLINO, Pena, amnistia, emenda: una prospettiva storico-giuridica, cit., p. 119, nt. 66. L’A. richiama sul punto quanto prescritto da Nov. 154,1 in ordine alla repressione delle nozze incestuose, ove Giustiniano giustifica la severità delle pene previste con il timore che qualora il delitto non fosse stato adeguatamente represso il male si sarebbe diffuso per mutua imitazione. Per ulteriori approfondimenti vedi anche, E. FRANCIOSI, “Il regime delle nozze incestuose nelle Novelle giustinianee”, in Estudios Iglesias, II, Madrid 1988, p. 727 ss. 172 Nov. 30,11: «Si vero passus fuerit aliquem in talibus accusatum, qui ei militiam aut dignitatem aut sacerdotium aut aliquid tale proponens speravit se abstrahere illius manibus, sciat nostra se indignum ostendi sententia»; «Εἰ δὲ ἀνάσχοιτό τινος ἐπὶ τοιούτοις ἐγκαλουμένου, ὃς αὐτῷ ζώνην ἢ ἀξίαν ἢ ἱερωσύνην ἤ τι τοιοῦτο προβαλλόμενος ἤλπισεν ἑαυτὸν ἐξαρπάζειν τῶν ἐκείνου χειρῶν, ἴστω τῆς ἡμετέρας οὐκ ἄξιος φανησόμενος γνώμης· οὐδεμίαν γὰρ οὔτε ἰσχὺν οἰκείαν οὔτε τὴν ἑτέρωθεν προστασίαν οὐδεὶς προϊσχόμενος ἐπὶ τοιούτοις ἐγκλήμασι διαφεύξεται τὸν νόμον». 173 Tale numerazione corrisponde a quella della Collectio Graeca, il numero della No-

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rizzata al prefetto del pretorio Giovanni e rubricata De proconsule Palaestinae, mediante la quale la Palestina è elevata a dignità proconsolare 174. In questa costituzione il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare una volta; Giustiniano, dopo aver illustrato i compiti e le funzioni del proconsole, afferma che non è concesso «fraudare publicum» o «laedere populos» e l’autore di una sedizione non potrà avvalersi del cingulum (ζώνη), della dignitas (ἀξία) o del sacerdotium (ἱερωσύνη) 175 per sottrarsi alla iurisdictio del proconsole. Tali prescrizioni rispecchiano la volontà di Giustiniano di rendere l’Impero «una poderosa unità» e, pertanto, egli vuole «che tutti si inchinino davanti alla maestà della legge e ad essa ubbidiscano, siano laici o ecclesiastici, specialmente ove si tratti del pagamento di tributi o di tentativi di sommossa» 176. E ciò in quanto, osserva Baccari, «la tranquillità del populus e la quies publica erano tra le massime preoccupazioni degli Imperatori. Si volevano impedire tumulti e sedizioni da chiunque fossero provocati» 177. Nella Novella 154 – databile tra il 535 e il 536 178, indirizzata a Floro e rubricata περ… τîν ἐν Oσροηνη ἄθεmιτωv συναλλάττοντων ˗ il termine ἱερωσύνη appare una volta. Vengono ivi sancite severe sanzioni nei confronti di coloro i quali convella nella raccolta dell’Authenticum è 108; vedi la tabella di confronto collocata nell’Index II in fondo al volume Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit. 174 Vedi B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 24. In generale, sulla figura del pronconsul Palaestinae nel quadro di Nov. 103 vedi E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., p. 467, nt. 4; p. 801. Sulla praefatio della Novella e, in particolare, sui cives della Palestina, vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 70. 175 Nov. 103,3,1: «Publicorum tamen tributorum causa vel seditionis publicae nullus excipietur omnino spectabilis proconsulis iurisdictione, sed omnium praesidebit, omnibus iubebit, et nullus resultabit dispositionibus eius nec habebit occasionem ullam aut publicum fraudare aut populos laedere publicae seditionis auctor, neque utetur nec cingulo nec dignitate nec sacerdotio nec alio quolibet dignitatis privilegio, sed semet ipsum abripiet solummodo noxiis si innoxius sit»; «Δημοσίων μέντοι φόρων ἕνεκεν ἢ στάσεως δημοτικῆς οὐδεὶς ἐξαιρεθήσεται παντελῶς τῆς τοῦ περιβλέπτου ἀνθυπάτου δικαιοδοσίας, ἀλλὰ πάντων ἄρξει, πᾶσιν ἐπιτάξει, καὶ οὐδεὶς ἀντιστήσεται ταῖς διατυπώσεσι ταῖς αὐτοῦ οὐδὲ ἕξει πρόφασιν οὐδεμίαν ἢ τὸ δημόσιον ἀποστερεῖν ἢ τοὺς πολίτας ἀδικεῖν δημοσίας στάσεως ἐξάρχων, οὐδὲ χρήσεται οὔτε ζώνης οὔτε ἀξίας οὔτε ἱερωσύνης οὔτε ἑτέρας τινὸς αἰτίας προνομίῳ, ἀλλ’ ἑαυτὸν ἐξαρπάσει μόνον τῶν εὐθυνῶν τῷ ἀνεύθυνος εἶναι». 176 P. PESCANI, s. v. Novelle di Giustiniano, cit., p. 440. 177 M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 170. Sul punto vedi anche C. 1,3,29, C. 1,3,52(53) e Nov. 123,42. 178 Tale costituzione non risulta datata ma è collocata da F.A. BIENER, Geschichte der Novellen Justinian’s, Berlin 1824, p. 534, tra il 535 e il 536 in considerazione dell’intestazione a Floro, in quel periodo comes rei privatae.

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traggano nozze illecite nella Mesopotamia e nell’Osroene in violazione delle leggi romane («τοὺς ῥωμαϊκοὺς παραβαίνουσι νόμους»), non temendo le pene dalle stesse stabilite e tenendo un atteggiamento di deliberata resistenza alla legislazione giustinianea in materia di matrimonio e, in particolare, di incesto 179. Così al cap. 1 si legge che in caso di contravvenzione alle prescrizioni previste dalla costituzione in esame non si avrà riguardo ad alcuno, sia egli di stato o condizione maggiore o minore o anche appartenente al sacerdozio 180 (ἱερωσύνη). Orbene, anche dall’analisi di siffatte disposizioni emerge come il sacerdotium sia rigorosamente punito laddove assuma atteggiamenti che denotino la volontà di non ossequiare quanto sancito dalle istituzioni imperiali, soprattutto allorquando siffatta condotta risulti idonea a compromettere la quies publica.

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La Mesopotamia e l’Osroene avevano subito una profonda influenza delle regole dei Parti e dei Persiani, in particolare con riferimento al modello matrimoniale basato sull’endogamia, di contro a quello romano fondato sull’esogamia; per approfondimenti vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 37 ss. 180 Nov. 154,1: «ἀλλ’ αὐτόν τε καὶ γυναῖκα καὶ παῖδας ἐξ ἀθεμίτων γινομένους γάμων μετὰ τὴν ἡμετέραν, ὡς εἴρηται, θείαν διάταξιν μετελευσόμεθα, καὶ τὸν εἰς κεφαλὴν κίνδυνον καὶ τὴν εἰς περιουσίαν αὐτοῖς ποινὴν ἐπιστήσομεν, οὐδενὸς φειδόμενοι οὔτε εἰ μείζονος οὔτε εἰ ἐλάττονος εἴη καταστάσεως ἢ τύχης ἢ ἱερωσύνης».

Titolo capitolo

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CAPITOLO III USI DEL TERMINE SACERDOTIUM IN MATERIA DI IUS PRIVATUM

SOMMARIO: 1. Sacerdotium e matrimonio: la Novella 22. – A) Divortium bona gratia. – B) Ancora sull’obbligo di celibato. – C) Secundae nuptiae. – 2. Sacerdotium e legittimazione per rescriptum principis. – 3. La disciplina dei beni ecclesiastici: peculiarità del rapporto tra sacerdotium e imperium e rilevanza dell’utilitas della res publica. – A) Il divieto di alienazione dei beni ecclesiastici: la Novella 7. – B) «[...] Nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium, et sacrae res a communibus et publicis» (Nov. 7,2,1). – 4. Ancora sugli scambi tra ecclesia e imperium e tra ecclesia e venerabiles domus: la Novella 54 e la Novella 55. – 5. Il regime dei beni appartenenti al sacerdotium: la Novella 131. – 6. L’episcopalis audientia nella Novella 83.

1. SACERDOTIUM E MATRIMONIO: LA NOVELLA 22 La Novella 22 del 536, indirizzata al praefectus praetorio Giovanni e rubricata De nuptiis, è una costituzione di ampio respiro, composta da ben 48 capita, che rappresenta la principale espressione legislativa della concezione di Giustiniano in ordine al matrimonio e che, pertanto, è stata definita dalla storiografia giuridica come un vero e proprio “codice matrimoniale” 1, mediante il quale l’Imperatore ha inteso dare corso a una sistemazione organica e generale della materia. 1 In tal senso vedi F.M. DE ROBERTIS, “Oscillazioni nella ermeneutica neotestamentaria sul divorzio e ripensamenti normativi di Giustiniano”, in Atti del VII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1988, p. 302; C. FAYER, La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari. Sponsalia, matrimonio, dote, II, Roma 2005, p. 328. Su Nov. 22 la letteratura è sterminata: vedi per diversi aspetti, E. ROBLEDA, El matrimonio en derecho romano. Esencia, requisitos de validez, efectos, desolubilidad, Roma 1970, p. 265 ss.; E. VOLTERRA, s. v. Matrimonio, in Enc. dir., XVI, Milano 1975, p. 791 ss.; C. CASTELLO, La definizione di matrimonio secondo Modestino, Roma 1979, p. 275 s.; G. LANATA, “L’immortalità artificiale. Appunti sulla Novella 22”, in Società e diritto nel mondo tardo antico. Sei saggi sulle Novelle giustinianee, Torino 1994, p. 83 ss.

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Nella praefatio 2 si legge che lo scopo sotteso alla costituzione è proprio quello di riordinare e correggere le disposizioni già adottate in un settore così delicato 3, che richiede la massima attenzione: il matrimonio «ex filiorum procreatione» impedisce la distruzione del genere umano e ne garantisce l’immortalità («ut humano generi videatur immortalitatem artificem introducere») 4. A riguardo la Lanata ha posto in rilievo come tale tema rivesta un’importanza centrale: «se il matrimonio assicura, attraverso la procreazione, la continuità stessa della vita sociale che il diritto è chiamato a regolare; se questa continuità costituisce il più generale degli interessi che la legge può tutelare, la normativa sul matrimonio deve costituire per il legislatore una preoccupazione primaria» 5. La Novella 22 contiene, dunque, un gran numero d’importanti decisioni che la rendono una delle costituzioni giustinianee più ricche di contenuto, con particolare riferimento all’articolata disciplina delle cause di scioglimento del matrimonio e delle seconde nozze. 2 Su Nov. 22 praef. vedi O. BEHRENDS, Der biblische Gesetzesbegriff: auf den Spuren seiner Säkularisierung, Göttingen 2006, p. 263. 3 Con le Novv. 74 e 117 Giustiniano torna a occuparsi del matrimonio, introducendo ulteriori disposizioni; non sembra, dunque, che l’Imperatore con la Nov. 22 abbia raggiunto il contemplato scopo di definitiva sistemazione della materia; sul punto vedi R. ORESTANO, La struttura giuridica del matrimonio romano dal diritto classico al diritto giustinianeo, Milano 1951, p. 21. 4 Nov. 22 praef.: «Plurimae quidem iam variaeque positae sunt leges a nobis unicuique parti prius a nobis sancitorum aut dispositorum quidem, visorum autem nobis habere non recte, ad meliora dantes viam et exponentes subiectis, quo competat degere modo. Hoc autem quod nunc a nobis fit, lex quaedam est communis, omnibus propria rebus competentem ordinem ponens. Si enim matrimonium sic est honestum, ut humano generi videatur immortalitatem artificem introducere, et ex filiorum procreatione renovata genera manent iugiter, dei clementia, quantum est possibile, nostrae immortalitatem donante naturae, recte nobis studium de nuptiis est»; «Πολλοὶ μὲν ἤδη καὶ ποικίλοι τέθεινται νόμοι παρ’ ἡμῶν καὶ ἑκάστῳ μέρει τῶν πρότερον ἡμῖν νομοθετηθέντων ἢ διαταχθέντων μὲν, δοξάντων δὲ ἡμῖν ἔχειν οὐκ ὀρθῶς τὴν ἐπὶ τὰ κρείττω διδόντες ὁδὸν καὶ ὑφηγούμενοι τοῖς ὑπηκόοις ὃν προσήκει διαζῆν τρόπον. Τὸ δὲ δὴ νῦν τοῦτο τὸ παρ’ ἡμῶν γινόμενον νόμος τίς ἐστι κοινός, τῷ πάντων καιριωτάτῳ τῶν πραγμάτων τὴν προσήκουσαν τάξιν ἐπιτιθείς. Εἰ γὰρ ὁ γάμος οὕτως ἐστὶ σεμνόν, ὡς τῷ ἀνθρωπίνῳ γένει δοκεῖν ἀθανασίαν ἐπιτεχνητὴν εἰσηγεῖσθαι, καὶ ἐκ τῆς παιδοποιΐας ἀνανεούμενα τὰ γένη μένει διηνεκῆ, τῆς τοῦ θεοῦ φιλανθρωπίας καθ’ ὅσον ἐστὶ δυνατὸν τῇ καθ’ ἡμᾶς τὸ ἀθάνατον χαριζομένης φύσει, εἰκότως ἡμῖν περισπούδαστα τὰ περὶ τῶν γάμων ἐστί». 5 G. LANATA, “L’immortalità artificiale. Appunti sulla Novella 22”, cit., p. 86.

Usi del termine sacerdotium in materia di ius privatum

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In siffatto contesto il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare cinque volte e l’ambito in cui si rintracciano tali occorrenze concerne le cause di scioglimento del matrimonio, l’obbligo di celibato e le seconde nozze. A) DIVORTIUM BONA GRATIA

Al cap. 5 della Novella in esame, a proposito del divortium bona gratia , l’Imperatore afferma che esso risulta ammesso in tre casi: impotenza, elezione della vita monastica e prigionia di guerra. In particolare, la scelta della vita monastica è qualificata come causa incolpevole di scioglimento del matrimonio in quanto non imputabile né all’uno, né all’altro coniuge e pertanto l’Imperatore precisa che, con riferimento alle implicazioni sul piano matrimoniale, essa debba essere equiparata alla morte. Sul punto, inoltre, nel richiamare quanto già stabilito da C. 1,3,52(53),15 Giustiniano evidenzia come, una volta intervenuto lo scioglimento del matrimonio, il coniuge che abbracci la vita monastica debba comunque provvedere al risarcimento dell’altro, cui viene peraltro conferito il lucrum che essi stabilirono doversi percepire in seguito alla morte di uno dei due 7. 6

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Vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit. p. 184; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, I, Diritto di Famiglia, Roma 1925, p. 358. L’A. evidenzia come l’epiteto bona gratia costituisca una locuzione classica della lingua latina, volta a indicare una “cosa fatta all’amichevole” e come nel diritto giustinianeo, in particolare nelle Novelle, il concetto di divortium bona gratia abbia assunto il valore tecnico di una separazione unilaterale per causa incolpevole, ossia non imputabile a nessuno dei due coniugi. In tal senso vedi anche, S. DI MARZO, Lezioni sul matrimonio romano, rist. anast., Milano 1972, p. 89; D. DALLA, L’incapacità sessuale in diritto romano, Milano 1978, p. 252, nt. 60. Di differente opinione è S. SOLAZZI, “Studi sul divorzio”, in BIDR, 34, 1925, p. 305, nt. 5; ID., “Divortium bona gratia”, in Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, 71, 1938, p. 524 (ora in ID., Scritti di diritto romano, IV, Napoli 1963, p. 33). L’A. nega la derivazione classica della terminologia (e del concetto) di divortium bona gratia, con tutte le conseguenze che ne discendono anche in termini interpolazionistici. 7 Analogamente al cap. 40 della Novella 123 è prescritto che qualora il marito avesse voluto darsi alla vita monastica, avrebbe dovuto prima restituire alla moglie la dote e quanto dalla stessa avesse comunque ricevuto e avrebbe dovuto altresì corrispondere quanto le sarebbe spettato della donazione nuziale in ipotesi di morte del marito stesso. La medesima disposizione è poi sancita per l’ipotesi in cui ad abbracciare la vita monastica sia stata la moglie. Inoltre, laddove ambedue i coniugi avessero fatto accesso al monachesimo, Giustiniano stabilisce che il marito avrebbe dovuto ritenere la donazione antenuziale e la moglie ricevere la dote con tutto ciò che ella avesse conferito allo stesso, di modo che «neque ex pactis nuptialibus viro aut mulieri lucrari aliquid conceditur».

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Da questo punto di vista giova altresì rilevare come al titolo I del libro XXIV dei Digesta, sotto la rubrica De donationibus inter virum er uxorem, il sacerdotium sia considerato causa incolpevole di scioglimento del matrimonio al pari della sterilità, oltre che della vecchiaia, della malattia e dell’accesso alla militia 8: D. 24,1,60,1 (Hermogenianus libro secundo iuris epitomarum): «Divortii causa donationes inter virum et uxorem concessae sunt: saepe enim evenit, uti propter sacerdotium vel etiam sterilitatem» 9; D. 24,1,61 (Gaius libro undecimo ad edictum provinciale): «vel senectutem aut valetudinem aut militiam satis commode retineri matrimonium non possit». B) ANCORA SULL’OBBLIGO DI CELIBATO

Giustiniano ritorna al cap. 42 della Novella in esame sulla questione dell’obbligo di celibato, già prescritto dalla Novella 6 con riferimento ai vescovi e ai chierici, dalla Novella 5 riguardo ai monaci e ulteriormente precisato dalla Novella 123 e dalla Novella 137. Tale obbligo è imposto ai chierici di grado superiore rispetto al lector 8

Su questi frammenti vedi P. BONFANTE, Corso, I, cit., p. 359; S. SOLAZZI, “Divortium bona gratia”, cit., p. 29 s. Da ultimo, P.P. ONIDA, “Il matrimonio dei militari in età imperiale”, in Diritto@storia, 14, 2016. 9 Mette conto evidenziare come la dottrina si sia interrogata sulla genuinità del termine sacerdotium in D. 24,1,60,1, sul punto vedi per tutti le considerazioni del Solazzi: «che la parola sacerdotium sia frequentemente adoperata nei Digesti, lascia aperta la questione se nel fr. 60.1 sia genuina e scritta da Ermogeniano per i sacerdoti pagani o sia stata aggiunta per segnalare un motivo di divorzio indotto da nuove forme di vita cristiana. [...] Noi mettiamo il problema in termini generali: per assumere il sacerdozio occorreva disfarsi del coniuge? La religione pagana non esigeva di solito questo sacrificio e non l’esigeva neppure il cristianesimo». Pertanto, continua l’A., «è probabile che nella compilazione giustinianea il sacerdotium di D. 24,1,60,1 si debba intendere come allusivo allo stato di monaco, per cui si richiede il voto di castità e per cui tanto C.I. 1,3,52,15 quanto Nov. 22,5 parlano di divortium bona gratia. Ma, per interpolare in D. 24,1,60,1 la menzione del monachesimo, Triboniano verosimilmente avrebbe scelto locuzioni più esatte e più chiare di sacerdotium». Sotto tale profilo preme osservare che, secondo quanto emerso dalle fonti esaminate nel corso del presente lavoro, sussiste un preciso obbligo di celibato con riferimento ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi (e alle diaconesse), nonché ai suddiaconi; ne discende che a mio avviso il termine sacerdotium in D. 24,1,60,1 non possa essere inteso come allusivo al solo stato di monaco, ma debba essere altresì riferito ai gradi della gerarchia ecclesiastica poc’anzi richiamati.

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o al cantor ed è prevista la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη) per l’ipotesi di mancata ottemperanza a quanto stabilito dalla costituzione di cui trattasi («Sed et si quis inter reverentissimos constitutus clericos, ultra lectorem aut cantorem dicimus, omnino contraxerit nuptias, hunc ex nostra constitutione cadere sacerdotio constituimus atque volumus» 10). Più precisamente, l’Imperatore statuisce che laddove un lector addivenga «ad secundas nuptias propter aliquam inevitabilem necessitatem» non potrà aspirare a un ordine maggiore in quanto ha preferito anteporre l’affectus verso la donna ai maggiori gradi sacerdotali. Siffatta previsione risulta peraltro in linea con quanto già stabilito da Nov. 6,1,5 ove si legge che nessuna ordinazione sacerdotale è possibile per colui che abbia una seconda moglie ed è comminata la destituzione dal sacerdotium per il chierico che sia stato sposato due volte 11. C) SECUNDAE NUPTIAE

Il sacerdotium risulta oggetto di trattazione anche al cap. 44 della Novella 22 ove Giustiniano si occupa del caso in cui venga disposto un lascito ereditario in favore del coniuge superstite, subordinandolo alla condizione che questi non contragga nuovo matrimonio. A proposito delle disposizioni mortis causa limitanti la libertà di sposarsi, in disparte le note implicazioni scaturenti dalla c.d. cautio Muciana 12, mette conto rilevare come al cap. 43 della Novella in esame l’Imperatore si riferisca a una lex Iulia Miscella, “antiqua” e “vetusta” 13, avente lo scopo di incentivare la procreazione e mediante la quale si consentiva alle donne di acquisire la disposizione a loro favore, purché con un giuramento avessero manifestato il loro desiderio di avere figli e che 10 Nov. 22,42: «Ἀλλὰ κἂν εἴ τις ἐν τοῖς εὐλαβεστάτοις τελῶν κληρικοῖς, τοῖς ὑπὲρ τὸν ἀναγνώστην ἢ ψάλτην φαμέν, ὅλως ὁμιλήσειε γάμοις, τοῦτον ἐκ τῆς ἡμετέρας διατάξεως ἐκπίπτειν τῆς ἱερωσύνης διεταξάμεθά τε καὶ βουλόμεθα». 11 Vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit., p. 149 s.; da ultimo, J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 203 s. Per approfondimenti su Nov. 6,1,5 vedi supra, Cap. I, par. 1. 12 Sul tema la bibliografia è sterminata, vedi per tutti, P. VOCI, Diritto ereditario romano, II, cit., p. 604; A. MASI, “In tema di «cautio Muciana»: note e discussioni”, in IURA, 13, 1962, p. 175 ss. 13 In questa legge “antica” e “vetusta” chiamata Iulia Miscella, comunemente gli studiosi riconoscono la lex Iulia et Papia. Per approfondimenti vedi R. ASTOLFI, La lex Iulia et Papia, Milano 1986, p. 158.

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tale fosse il motivo del nuovo matrimonio. Siffato giuramento avrebbe, quindi, consentito l’acquisto definitivo del lascito, senza obbligo di restituzione 14. Giustiniano era già intervenuto sul punto mediante una costituzione – collocata in C. 6,40,2 del 531 – che esonerava la donna, destinataria della condicio viduitatis, dall’obbligo di tale giuramento e dalla prestazione della relativa cautio (sia ove ella avesse avuto figli, sia ove non ne avesse avuti) e contestualmente dichiarava rimessa in sostanza la condizione. Tuttavia, con la Novella 22 l’Imperatore ritorna sui propri passi allorquando al cap. 43 e al cap. 44 statuisce che, qualora il coniuge si fosse sposato entro l’anno, avrebbe perduto il lascito per sempre; mentre decorso l’anno avrebbe ottenuto il lascito ma, laddove avesse inteso sposarsi, avrebbe dovuto procedere alla sua restituzione. Orbene, fermo restando che il lascito non si sarebbe potuto acquisire prima che fosse decorso un anno, è prevista apposita eccezione per il caso in cui il coniuge superstite fosse asceso al sacerdotium («nisi tamen modus sacerdotii adveniens alteri personarum statim praebeat perceptionem», Nov. 22,44,1 15). Difatti, laddove si fosse verificata tale ipotesi si sarebbe potuto richiedere il lascito prima del trascorrere di un anno in considerazione dell’intervenuto avveramento della condizione, posto che l’ascensione al sacerdotium (ἱερωσύνη) avrebbe eliminato ogni possibilità di contrarre nuove nozze (Nov. 22,44,7) 16. 14 Vedi A. MANFREDINI, “Natalità e legislazione tardoimperiale”, in Atti dell’VIII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana, cit., p. 530 ss. Da ultimo, F. GALGANO, “Cautio Muciana e crisi di un’élite”, in Rivista di Diritto romano, XVI-XVII, 2016-2017, p. 10 s. 15 Nov. 22,44,1: «Sed ut non causa suspensa sit et post tempera forsitan longa revertatur rursus exactio, propterea bene nobis visum est habere determinare causam, et usque ad annum quidem non esse penitus petitionem relicti, nisi tamen modus sacerdotii adveniens alteri personarum statim praebeat perceptionem, utpote nequaquam nuptiarum existente spe»; «Ἀλλ ‘ ἵνα μὴ τὸ πρᾶγμα μετέωρον ᾖ καὶ μετὰ χρόνους ἴσως μακροὺς ἐπανίοι πάλιν ἡ εἴσπραξις, διὰ τοῦτο καλῶς ἡμῖν ἔδοξεν ἔχειν ὁρίσαι τὸ πρᾶγμα, καὶ εἴσω μὲν ἐνιαυτοῦ μὴ εἶναι παντελῶς ἀπαίτησιν τοῦ καταλελειμμένου, πλὴν εἰ μὴ τρόπος ἱερωσύνης ἐπιγενόμενος θατέρῳ τῶν προσώπων εὐθὺς δοίη τὴν λῆψιν, ὡς οὐκ ἔτι γάμων οὔσης ἐλπίδος». 16 Nov. 22,44,7: «Si vero usus fuerit quod relinquitur, minus idonee vero se habeat ad fideiussionem et nec ipse dignus sit cui hoc credatur, manere quidem apud illum a quo relictum est, ex tertia vero centesimae eius usuram praestari, quam usque tunc solvat,

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2. SACERDOTIUM E LEGITTIMAZIONE PER RESCRIPTUM PRINCIPIS Nella legislazione novellare il sacerdotium costituisce presupposto per l’ottenimento della legittimazione per rescriptum principis. La Novella 89 del 539, indirizzata al praefectus praetorio Giovanni e rubricata Quibus modis naturales efficiuntur sui, et de eorum ex testamento seu ab intestato successione, offre una compiuta regolamentazione della posizione giuridica dei liberi naturales mediante il riordino in un unico testo normativo delle disposizioni sancite sul punto da Giustiniano e dai suoi predecessori: si tratta, infatti, della legittimazione per oblationem curiae (Nov. 89,2-6), per susseguente matrimonio (Nov. 89,8 e 11 pr.) e per rescriptum principis (Nov. 89,9-10) 17. Nel provvedimento in esame il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare una volta e, precisamente, al cap. 9 ove, come poc’anzi osservato, Giustiniano affronta la questione della legittimazione dei figli naturali per mezzo di rescritto, già oggetto di approfondimento nella Novella 74 del 538 18. donec aut secundas ille contrahat nuptias (quando et restitutio praestitarum usurarum suscipiet facultatem) aut [si] fiat manifestum nullatenus posse istum ad nuptias pervenire, sive secundum modum sacerdotii (tunc enim ei dabit quod relictum est) sive morte»; «Εἰ δὲ χρυσίον εἴη τὸ καταλελειμμένον, ἀπόρως δὲ ἔχοι πρὸς ἐγγύην καὶ οὐδὲ αὐτὸς ἀξιόχρεως εἴη τοῦτο καταπιστευθῆναι, μενεῖ μὲν παρ’ ἐκείνῳ τῷ ἐξ οὗ καταλέλειπται, τὸν δὲ ἐκ τρίτου ἑκατοστῆς αὐτῷ τόκον τελέσει, ὃν μέχρι τότε καταβαλεῖ ἕως ἢ δευτέροις ἐκεῖνος ὁμιλήσειε γάμοις (ὅτε καὶ τὰ τῆς ἀναδόσεως τῶν καταβεβλημένων τόκων λήψεται χώραν) ἢ γένοιτο φανερὸν οὐκ ἔτι δύνασθαι τοῦτον πρὸς γάμον ἐλθεῖν εἴτε κατὰ τρόπον ἱερωσύνης (τηνικαῦτα γὰρ αὐτῷ δώσει τὸ καταλειφθέν) ἢ καὶ θανάτῳ· λήψονται γὰρ αὐτὸ πάντως οἱ τούτου κληρονόμοι, οὐδὲν οὐδὲ τῶν δεδομένων τόκων ἀναδιδόντες». Sul punto vedi B. BIONDI, Successione testamentaria e donazioni, Milano 1943, p. 557; P. VOCI, Diritto ereditario romano, II, cit., p. 805; R. ASTOLFI, La lex Iulia et Papia, Milano 19964, p. 169. 17 Per approfondimenti su Nov. 89 e, in particolare, sull’evoluzione normativa delle tre forme di legittimazione conosciute dal diritto romano tardoimperiale e giustinianeo, nonché sui rapporti tra le stesse vedi G. LUCHETTI, La legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo imperiali e giustinianee, cit., passim. Sulla legittimazione per rescriptum principis vedi anche H. JANEAU, Recherches sur l’histoire de la légitimation en Droit Romain. De l’adrogation des liberi naturales à la légitimation par rescrit du prince, Paris 1947, passim. 18 Nov. 89 riprende ivi il tenore di Nov. 74,1-2 fornendo «il quadro finale della disciplina giustinianea»: G. LUCHETTI, La legittimazione dei figli naturali, cit., p. 308. Sul punto vedi anche N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, cit., p. 61; C. VAN DE WIEL, “Complements a la légitimation par mariage subséquent sous Justinien et dans le droit gréco-romain”, in RIDA, 26, 1979, p. 458.

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L’Imperatore propone un riepilogo di quanto stabilito dalla cancelleria a proposito di tale strumento di legittimazione e riassume le condizioni necessarie per poter richiedere e ottenere l’intervento imperiale. L’impossibilità di dare corso alla legittimazione dei figli naturali mediante matrimonio, con la conseguente possibilità di ricorrere al rescriptum principis, si verifica anche laddove tanto il padre quanto la madre siano ascesi al sacerdotium. Osserva, a tal proposito, il Luchetti: «è significativo notare che, ammettendo la possibilità di ricorrere al rescritto del principe anche nel caso in cui lo stesso padre si fosse dato al sacerdozio, si veniva in qualche modo a derogare al principio secondo cui il rimedio della legittimazione per rescritto doveva essere concesso solo nel caso in cui l’impossibilità di ricorrere alla legittimazione per susseguente matrimonio non fosse imputabile al padre» 19.

3. LA

DISCIPLINA DEI BENI ECCLESIASTICI: PECULIARITÀ DEL RAPPORTO TRA SACERDOTIUM E IMPERIUM E RILEVANZA DELL’UTILITAS DELLA RES PUBLICA

Il regime giuridico dei beni ecclesiastici risulta oggetto di una peculiare disciplina nella legislazione novellare, sia per quanto concerne le modalità e i limiti di utilizzo di tali beni, sia per ciò che riguarda le relative finalità di impiego, comunque correlate al perseguimento dell’utilitas publica. Dalla lettura delle disposizioni emanate sul punto da Giustiniano emerge come l’esigenza di disciplinare compiutamente i beni ecclesiastici e di prevenire il dilagare di fenomeni corruttivi idonei a minare la solidità economica della Chiesa tragga ragion d’essere dal fatto che le ricchezze di quest’ultima vengono considerate funzionali alla difesa dei più deboli e, in particolare, alla cura degli indigenti 20. 19

G. LUCHETTI, La legittimazione dei figli naturali, cit., p. 309, nt. 34. Vedi D. ANNUNZIATA, Opulenta ecclesiae. Alle origini della proprietà ecclesiastica, Napoli 2017, p. 123 il quale pone in rilievo come a partire da Costantino la legislazione imperiale dedichi una particolare attenzione ai beni ecclesiastici e che tali ricchezze vengano incoraggiate proprio perché finalizzate alla cura degli indigenti. Sul punto vedi anche, A. FRASCHETTI, “Principi cristiani, templi e sacrifici nel Codice Teodosiano e in altre testimonianze parallele”, in Archeologia e società tra Tardo Antico e Alto Me20

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In questa prospettiva, le disposizioni sancite rispondono a un’opera di «revisione e definitiva sistemazione» della materia, coerentemente alle «prospettive già emerse nella legislazione precedente» 21 e risultano finalizzate a garantire l’integrità e la consistenza dei patrimoni ecclesiastici. Il vescovo, coadiuvato dai presbiteri e dai diaconi, è dichiarato legittimo amministratore del patrimonio ecclesiastico e Giustiniano, anche per ovviare a possibili malversazioni, istituisce la figura dell’economo, al quale viene attribuito un ruolo centrale nella gestione del patrimonio ecclesiastico e che era periodicamente chiamato a rendere conto del proprio operato 22. Inoltre, preme rilevare come dall’analisi delle Novelle in materia emerga con particolare evidenza la singolarità del rapporto sussistente tra sacerdotium e imperium: al cap. 2,1 della Novella 7 del 535 Giustiniano prevede un’eccezione al generale divieto di alienabilità dei beni ecclesiastici mediante il riconoscimento della possibilità di scambi immobiliari tra l’ecclesia e l’imperium. Invero, tale deroga viene giustificata proprio in considerazione del fatto che sacerdotium (ἱερωσύνη) e imperium (βασιλεία) non differiscono molto tra loro («nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium»), così come le res sacrae non si distanziano molto dalle res communes e publicae. A) IL DIVIETO DI ALIENAZIONE DEI BENI ECCLESIASTICI: LA NOVELLA 7

La Novella 7 del 535, indirizzata a Epifanio e rubricata De non alienandis aut permutandis ecclesiasticis rebus immobilibus aut in specialem hypothecam dandis creditoribus, sed sufficere generales hypothecas, ha a oggetto il divieto di alienazione di beni ecclesiastici 23 e in essa il termine sacerdotium (ἱερωσύνη) appare tre volte. dioevo, Documenti di Archeologia, a cura di G.P. Brogiolo e A. Chavarría Arnau, Mantova 2007, p. 123 ss. 21 G. BARONE ADESI, “Il sistema giustinianeo delle proprietà ecclesiastiche”, in La proprietà e le proprietà, Atti del Convegno di Pontignano 1985, Milano 1988, p. 75. 22 In tal senso vedi C. 1,3,41(42),10 e Nov. 123,23. Sulla figura dell’economo vedi supra, Cap. I, par. 5. 23 Vedi J.L. MURGA, “La extracomercialidad de los bienes afectados a un destino colectivo en el bajo imperio romano”, in RIDA, 18,1971, p. 584 ss.; R. BONINI, “Alcune note sulla venalità delle cariche ecclesiastiche”, cit., p. 177, ma nello stesso senso, già, B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 359 ss.; ID., Giustiniano Primo, cit., p. 46 ss.

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Nella praefatio 24 Giustiniano ricorda come l’unico intento sotteso alla propria attività legislativa sia stato sempre quello di chiarire quanto prima era confuso e di rendere completo quanto prima era incompleto 25. È a tale intento che va ricollegata la volontà dell’Imperatore di intervenire sulla legislazione precedente, dando corso a un riordino della normativa relativa all’alienazione delle res sacrae. Egli manifesta la volontà di correggere quanto già disposto dalle leggi di Leone e Anastasio in ordine al divieto di alienazioni: il primo emanò unitamente ad Antemio una costituzione, contenuta in C. 1,2,14,1-2, mediante la quale stabilì il divieto di alienazione dei patrimoni ecclesiastici, circoscrivendolo però alla sola chiesa di Costantinopoli. Tali disposizioni vennero successivamente confermate da Anastasio, attraverso una costituzione contenuta in C. 1,2,17, che provvide a ulteriormente specificare e chiarire i presupposti di alienabilità dei beni attribuiti alla chiesa della Capitale 26. Da questo punto di vista, l’intervento di Giustiniano è finalizzato a estendere siffatto divieto anche a tutte le altre Chiese 27: si legge, infatti, nella praefatio che la legge di Anastasio pur essendo «per loca foris posita», restava in ogni caso “imperfecta”, poiché limitata al sacerdotium (ἱερωσύνη) e alla diocesi «constitutam sub beatissimo patriarcha huius regiae et felicissimae civitatis» 28. 24

Su Nov. 7 praef. vedi A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 30 s. Sull’importanza di questa praefatio caratterizzata da una “cierta belleza literaria” vedi J.L. MURGA, “La continuidad ‘post mortem’ de la fundacion cristiana y la teoría de la personalidad juridica colectiva”, in AHDE, 38, 1968, p. 545, nt. 119. 25 Sulla tendenza di Giustiniano a porre in rilievo a più riprese il proprio intento di realizzare uno stato di ordine e armonia sul piano normativo vedi supra, Parte I, Cap. II, par. 3, con particolare riferimento a C. Imperatoriam maiestatem,2 e a C. Tanta pr. 26 Su C. 1,2,17 vedi G. BARONE ADESI, “Il sistema giustinianeo delle proprietà ecclesiastiche”, cit., p. 86; S. TAROZZI, Norme e prassi. Gestione fondiaria ecclesiastica e innovazioni giuridiche negli atti negoziali ravennati dei secoli V-VII, Napoli 2017, p. 26. 27 Sul rapporto tra C. 1,2,14, C. 1,2,17 e Nov. 7 vedi A. DESJARDINS, “De l’aliénation et de la prescription des biens de l’église dans le droit du Bas-Empire et dans le droit des capitulaires”, in RHD, 6, 1860, p. 254 ss.; M. KAPLAN, Les propriétés de la couronne et de l’Église dans l’Empire byzantine (V-VI siècles), Paris 1976, p. 45. Per una differente impostazione vedi J.L. MURGA, La venta de las “res divini iuris” en el derecho romano tardio, Santiago de Compostela 1971, p. 95 ss. 28 Nov. 7 praef.: «ἐκχεθεὶς γὰρ καὶ ἐπὶ τοὺς ἔξω τόπους οὐδὲν ἧττον ἔμεινεν ἀτελής, πρὸς μόνην τὴν ἀρχιερωσύνην καὶ τὴν διοίκησιν ὁρῶν τὴν τεταγμένην ὑπὸ τὸν μακαριώτατον πατριάρχην τῆς βασιλίδος ταύτης καὶ εὐδαίμονος πόλεως».

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Risulta, dunque, evidente il disegno universalista dell’Imperatore, manifestato dalla volontà di introdurre una normativa generale applicabile a tutti i territori imperiali e non limitata alle sole circoscrizioni della sede di Costantinopoli, secondo quanto anche emerge dall’epilogus della Novella 29. Inoltre, l’intento dell’Imperatore è quello di prevenire e reprimere quelle condotte, tendenzialmente rilevate nelle province dell’Impero 30, di effettuare alienazioni di monasteri in favore di privati, contrariamente a quanto disposto dalla legge 31. B) «[...] NEC MULTO DIFFERANT AB ALTERUTRO SACERDOTIUM ET IMPERIUM, ET SACRAE RES A COMMUNIBUS ET PUBLICIS» (NOV. 7,2,1)

Fermo il generale divieto di alienabilità dei beni ecclesiastici, al cap. 2,1 della Novella 7 Giustiniano prevede un’eccezione, riconoscendo la possibilità di scambi immobiliari tra le sanctissimae ecclesiae e l’imperium: Nov. 7,2,1: «Sinimus igitur imperio, si qua communis commoditas est et ad utilitatem reipublicae respiciens causa et possessionem exigens talis alicuius immobilis rei qualem proposuimus, hoc ei a sanctissimis ecclesiis 29 Nov. 7 epil.: «Haec nobis super ecclesiasticarum aut omnino ptochicarum rerum alienatione posita sit lex, Leonis quidem piae memoriae sequens constitutionem, et non aliud quidem curans, aliud autem incuratum relinquens, sed in omni terra, quam Romanorum continet lex et catholicae ecclesiae sanctio»; «Οὗτος ἡμῖν ἐπὶ τῆς τῶν ἐκκλησιαστικῶν ἢ ὅλως πτωχικῶν πραγμάτων ἐκποιήσεως ἀποκείσθω νόμος, τῇ Λέοντος μὲν τοῦ τῆς εὐσεβοῦς λήξεως εὐσεβῶς ἑπόμενος διατάξει, ἀλλ’ οὐ τὸ μὲν ἰώμενος, τὸ δὲ ἀθεράπευτον καταλιμπάνων. ἀλλ’ ἐπὶ πάσης τῆς γῆς, ἣν ὁ Ῥωμαίων ἐπέχει νόμος καὶ ὁ τῆς καθολικῆς ἐκκλησίας θεσμός». 30 Vedi Nov. 7,11. Nella versione dell’Authenticum troviamo l’espressione “alii imperii locis” mentre nella versione greca il sintagma corrisponde a “tîn uphkÒn” (Øp»kooi, oƒ, come anche in App. Nov. 9). A proposito del sostantivo “Øp»kooi” vedi le riflessioni di F. GORIA, “Romani, cittadinanza ed estensione della legislazione imperiale nelle costituzioni di Giustiniano”, cit., p. 296: «Giustiniano non usa abitualmente i vocaboli civis o pol…thj per indicare i cittadini romani, ma adopera altri termini, parlando molto spesso di subiecti (talvolta qualificati come nostri o nostro imperio) o semplicemente di Øp»kooi». Da un confronto tra le due versioni possiamo notare come, generalmente, il termine imperium, presente nella traduzione dell’Authenticum, corrisponda al termine basile…a nella versione greca, con eccezione di Nov. 9 praef. e Nov. 112,2,1 ove corrisponde al termine kr£toj; di Nov. 6 epil. e Nov. 8 epil. ove corrisponde al termine basilikÒj ed infine in Nov. 24,2 pr. ove corrisponde al lemma ¹metšra. 31 A proposito della proibizione fissata per la vendita dei luoghi sacri, qualificata ivi come “delitto”, vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 140.

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et reliquis venerabilibus domibus et collegiis percipere licere, undique sacris domibus indemnitate servata et recomponsanda re eis ab eo qui percepit aequa aut etiam maiore, quam data est. Quid enim causetur imperator, ne meliora det? cui plurima deus dedit habere et multorum dominum esse et facile dare, et maxime in sanctissimis ecclesiis, in quibus optima mensura est donatarum eis rerum immensitas. […] utique cum nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium, et sacrae res a communibus et publicis, quando omnis sanctissimis ecclesiis abundantia et status ex imperialibus munificentiis perpetuo praebetur» 32. Orbene, viene concesso all’imperium (βασιλεία), laddove possa ridondare all’utilitas della res publica (πρὸς λυσιτέλειαν τῆς πολιτείας) di incamerare un immobile appartenente a uno stabilimento ecclesiastico, rendendo però a quest’ultimo un bene di valore non inferiore 33. La ratio sottesa a siffatta eccezione è immediatamente chiarita: la grandezza dell’Impero è dovuta a Dio, il quale lo ha reso possessore di beni immensi e sovrano di una moltitudine di uomini, donandogli così i mezzi necessari per potersi mostrare generoso. Pertanto, «la migliore misura di donazione alla Chiesa è proprio l’assenza di misura»: «optima mensura est donatarum eis rerum immensitas» 34. 32 Nov. 7,2,1: «Ἐφίεμεν τοίνυν τῇ βασιλείᾳ, εἴπου τις κοινωφελής ἐστι καὶ πρὸς λυσιτέλειαν τῆς πολιτείας βλέπουσα χρεία καὶ κτῆσιν ἀπαιτοῦσα τοιούτου τινὸς ἀκινήτου πράγματος ὁποῖον ὑπεθέμεθα, τοῦτο αὐτῇ παρὰ τῶν ἁγιωτάτων ἐκκλησιῶν καὶ τῶν λοιπῶν εὐαγῶν οἴκων τε καὶ συστημάτων λαμβάνειν ἐξεῖναι, τοῦ πανταχόθεν ἀζημίου τοῖς ἱεροῖς οἴκοις φυλαττομένου, καὶ ἀντιδιδομένου πράγματος αὐτοῖς παρὰ τοῦ λαμβάνοντος ἴσου ἢ καὶ πλείονος τοῦ διδομένου. τί γὰρ ἂν καὶ αἰτιάσαιτο βασιλεὺς πρὸς τὸ μὴ δοῦναι τὸ κάλλιον; ᾧγε πολλὰ μὲν δέδωκεν ὁ θεὸς ἔχειν, πολλῶν δὲ κύριον καθεστάναι, καὶ ῥᾳδίως διδόναι, καὶ μάλιστα εἰς ἁγιωτάτας ἐκκλησίας, ἐφ’ ὧν ἄριστον μέτρον ἡ τῶν δωρουμένων καθέστηκεν ἀμετρία. […] Καὶ γὰρ οὐδὲ πολλῷ διεστᾶσιν ἀλλήλων ἱερωσύνη τε καὶ βασιλεία, καὶ τὰ ἱερὰ πράγματα τῶν κοινῶν τε καὶ δημοσίων· ὅπου γε πᾶσα ταῖς ἁγιωτάταις ἐκκλησίαις εὐπορία τε καὶ σύστασις ἐκ τῶν παρὰ τῆς βασιλείας φιλοτιμιῶν διηνεκῶς ἐπιδίδοται. ἀλλήλαις οὖν ἀντιδιδοῦσαι τὰ πρέποντα οὐκ ἂν ὑπό τινος εἰκότως μεμφθεῖεν». 33 Vedi A.M. DEMICHELI, La MEGALH EKKLESIA nel lessico e nel diritto di Giustiniano, cit., p. 32, nt. 33; A. SACCOCCIO, Aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare, Milano 2008, p. 285 s. il quale rileva come la dismissione della proprietà di un immobile da parte dell’ente ecclesiastico avvenisse con «modalità non proprio identificabili con quelle di una vendita». 34 Sul punto vedi B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 47; A.M. DEMICHELI, “Disposizioni in ‘bonum animae’ e ‘quota per l’anima’ in Oriente tra IV e X secolo”, in Atti del XVII Convegno Internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana in onore di G. Crifò, I, 2010, p. 446, nt. 23.

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Sicché, precisa l’Imperatore, qualora tali scambi avvengano in ottemperanza alle modalità prescritte dalla costituzione in esame e siano, quindi, preceduti da una pragmatica sanctio 35 che espressamente autorizzi l’imperium, le parti non soggiaceranno alle pene previste dalla legge di Leone 36. A ben vedere, il criterio sulla base del quale Giustiniano ammette la possibilità di derogare al generale divieto di alienabilità del patrimonio ecclesiastico risulta fondato su due principi. Da un lato, il principio dell’utilitas della res publica che «sta a sé e sovrasta ogni altro interesse tutelabile», conformemente alla tendenza legislativa di Giustiniano di garantire l’interesse dei cives in tal senso «coincidente con l’interesse reipublicae» 37. Difatti, lo scambio tra l’ecclesia e l’imperium viene ammesso solo laddove risulti ravvisabile un interesse di natura pubblica. Dall’altro, il regime di eccezione trae ragion d’essere dalla comune origine dei poteri interessati dallo scambio: il sacerdotium e l’imperium non differiscono molto tra loro («nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium»), così come le res sacrae non si distanziano molto dalle res communes e publicae. Siffatta affermazione va ricollegata a quel concetto di consonantia espresso nella praefatio della Novella 6: è proprio in vista di questa consonantia (sumfwn…a) che Giustiniano può affermare che «neque enim multum inter se distant sacerdotium et imperium». A riguardo, osserva Baccari come alle parole dell’Imperatore è evidentemente sottesa una prospettiva universalista: «l’Impero è aperto ad accogliere tutti e la Chiesa è aperta ad accogliere tutti. Sacerdotium e imperium sono considerati massimi doni elargiti da Dio agli uomini, nec multo differant ab alterutro; né distano molto sacrae res a communibus et 35

Su tale tipo di provvedimento la letteratura è sterminata, vedi, per tutti, A. DELSul concetto di pragmatica sanctio, Roma 1945; P. KUSSMAUL, Pragmaticum und lex – Formen spätrömischer Gesetzgebung 408-457, Göttingen 1981; AA.VV., Le fonti di produzione del diritto romano: epoca classica e postclassica, a cura di F. Arcaria, Catania 2001, p. 99 s. 36 Sulle condizioni e sulle pene previste in caso di contravvenzione alle disposizioni della costituzione vedi G. BARONE ADESI, “Il sistema giustinianeo delle proprietà ecclesiastiche”, cit., p. 100 s. 37 G. LONGO, “«Utilitas publica»”, cit., p. 68; p. 63. Sul punto vedi anche, J. PLESCIA, “The Development of the Exercise of the Ownership Right in Roman Law”, in BIDR, 88, 1985, p. 197. L’ORO,

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publicis», sia pure nella consapevolezza che «la distanza, pur nella vicinanza, ovviamente rimane» 38. Infine, al cap. 9 della Novella 7 Giustiniano contempla l’ipotesi in cui un privato mediante raggiri riesca a ottenere una pragmatica sanctio che gli consenta di eludere il divieto di alienazione dei beni ecclesiastici. Le sanzioni fissate dall’Imperatore risultano all’evidenza rigorose: per i quaestori che abbiano reso siffatto rescritto è sancita la pena del pagamento di cento libbre d’oro, così come per i giudici che li abbiano indotti a commettere tale atto illecito. Inoltre, per i tabelliones che abbiano redatto l’atto di alienazione è sancita l’applicazione delle sanzioni previste dalla costituzione di Leone e i vescovi e gli economi che abbiano dato adempimento alla pragmatica sanctio sono puniti con la destituzione dal sacerdotium (ἱερωσύνη).

4. ANCORA SUGLI SCAMBI TRA ECCLESIA E IMPERIUM E TRA ECCLESIA E VENERABILES DOMUS: LA NOVELLA 54 E LA NOVELLA 55 Giustiniano torna a occuparsi del tema della inalienabilità dei beni ecclesiastici nella Novella 54 del 537 e nello stesso anno l’Imperatore nella Novella 55 affronta la questione relativa alle permute che intervengono tra ecclesia e imperium. Il termine sacerdotium non appare nelle costituzioni sopra richiamate, né ricorrono nella versione greca i lemmi ἱερωσύνη e ἱερατεία; tuttavia, nel quadro dell’indagine che vado conducendo risulta utile esaminarne alcune disposizioni. Con la Novella 54, indirizzata al praefectus praetorio Giovanni e rubricata Constitutionem quae ex adscripticio et libera natos esse liberos vult non his qui ante constitutionem nati sunt sed qui post constitutionem prodesse. Et ut venerabiles domus commutationes faciant adinvicem immobilium rerum decreto prius iterposito, excepta hac maiore ecclesia, Giustiniano intende anzitutto reagire ai tentativi di applicazione delle disposizioni di C. 11,48,24 39 ai figli degli adscripticii nati precedentemente a tal ultimo provvedimento. 38

M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 312. In tal senso anche, B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 14; cfr. F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit., p. 43. 39 Giustiniano in C. 11,48,24 stabilisce che il figlio è di condizione ascrittizia o

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Dopo aver, dunque, stabilito con fermezza l’irretroattività della costituzione collocata in C. 11,48,24, l’Imperatore si concentra sulle permute dei beni ecclesiastici e al cap. 2 della Novella stabilisce che – fatta eccezione per la chiesa di Costantinopoli – ove sussistano ragioni di urgenza e utilità reciproca è consentita la permuta tra le Chiese e le venerabiles domus, di modo che la licentia di effettuare commutationes con la Chiesa non risulti posta esclusivamente a beneficio dell’imperium 40, come già fissato dalla Novella 7 41. Quanto alla Novella 55, indirizzata a Mena e rubricata Ut de cetero commutationes ecclesiasticarum rerum non fortuite fiant ad piissimum Imperatorem et hoc modo ad alias personas transeant res, sed haec tantummodo fiant ad imperialem domum. Et ut liceat perpetuam emphyteuschiava a seconda della condizione della madre; per un’analisi del testo della costituzione vedi L. LÓPEZ HUGUET, “El colonato privado bajoimperial: consideraciones fiscales y administrativas de su vinculación territorial”, in Hacia un Derecho Administrativo, Fiscal y Medioambiental Romano III, a cura di A. Fernández de Buján, Madrid 2016, p. 573 s. (ivi bibiliografia). 40 Nov. 54,2: «Et per quandam inevitabilem occasionem et utilem et danti et accipienti venerandae domui, hoc est aut ecclesiae ad ecclesiam aut ptochio ad ptochium aut xenodochio ad xenodochium, aut simpliciter venerabili domui ad aliam venerabilem domum, hoc est aut ecclesiam aut ptochium aut monasterium aut venerandam domum aut xenodochium aut nosocomium, aut illis ad ecclesiam aut alterutrum aut unum horum quae prius a nobis dinumerata sunt, aut alteri cuilibet venerabili domui, licentiam damus praesidibus horum per hanc legem commutationem facere, et hoc valere, et non solum imperium, sicuti prior dabat lex, licentiam habere commutare, sed etiam venerabiles domos quae regi omnium dicatae sunt deo»; «κατά τινα ἀπαραίτητον πρόφασιν καὶ συμφέρουσαν τῷ τε διδόντι τῷ τε λαμβάνοντι εὐκτηρίῳ οἴκῳ, τουτέστιν ἢ ἐκκλησίᾳ πρὸς ἐκκλησίαν ἢ πτωχείῳ πρὸς πτωχεῖον ἢ ξενῶνι πρὸς ξενῶνα, καὶ ἁπλῶς εὐαγεῖ οἴκῳ πρὸς ἕτερον σεβάσμιον οἶκον, τουτέστιν ἢ ἐκκλησίᾳ πρὸς πτωχεῖον ἢ μοναστηρίῳ πρὸς εὐκτήριον οἶκον ἢ ξενῶνα ἢ νοσοκομεῖον, ἢ ἐκείνοις πρὸς ἐκκλησίαν ἢ πρὸς ἄλληλα ἢ πρὸς ἓν τῶν ἔμπροσθεν ἡμῖν ἠριθμημένων, ἢ ἑτέρῳ οἱῳδήποτε εὐαγεῖ οἴκῳ, ἄδειαν δίδομεν τοῖς προεστῶσιν αὐτῶν διὰ τοῦδε τοῦ νόμου ἄμειψιν ποιεῖσθαι, καὶ τοῦτο πολιτεύεσθαι, καὶ μὴ μόνην τὴν βασιλείαν, καθάπερ ὁ πρότερος ἔλεγε νόμος, ἄδειαν ἔχειν ἀμείβειν, ἀλλὰ καὶ τοὺς εὐαγεῖς οἴκους τοὺς τῷ βασιλεῖ πάντων ἀνειμένους θεῷ· οὕτω μέντοι, ὥστε καὶ δέκρετον πράττεσθαι σὺν ἀκριβείᾳ πάσῃ καὶ μεθ’ ὅρκου, καὶ παρὰ τῷ τῶν τόπων μητροπολίτῃ ταῦτα σκοπεῖσθαι· καὶ εἴπερ ταῖς ἀληθείαις ἀποδειχθείη μεθ’ ὅρκου, ὡς συμφέρον ἐστὶν ἑκατέρῳ μέρει τὸ τοιοῦτο, πράττεσθαί τε αὐτὸ καὶ πολιτεύεσθαι καὶ κρατεῖν, καὶ μὴ δεῖσθαι μήτε ἰδικῆς κελεύσεως μήτε θείου πραγματικοῦ τύπου». 41 Sulle modalità con cui attraverso la permuta ammessa da Nov. 7 e la successsiva alienazione da parte dell’Imperatore si sarebbe realizzata una vera e propria frode alla legge vedi F. SITZIA, “Il diritto di proprietà nelle Novelle”, in La proprietà e le proprietà, cit., p. 133 s.

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sin agi ab oratoriis in oratoria decreto videlicet interposito, excepta hac maiore ecclesia, ne tamen in privatam personam transeat emphyteusis, l’occasio legis è rappresentata dalla illecita prassi in base alla quale veniva “aggirato” il disposto della Novella 7, sicché «per medium imperium» («διὰ τῆς βασιλείας») i privati riuscivano ad acquisire i beni ecclesiastici 42. L’Imperatore sottolinea, dunque, la necessità che detti beni «perpetuo apud imperium maneant et non trasferantur ad privatum». Tuttavia, è stabilito che – laddove siffatta circostanza si fosse verificata – gli economi avrebbero dovuto restituire la proprietà alla Chiesa come se le permutationes nei confronti dell’imperium non fossero state «ab initio» effettuate. Inoltre, nel caso d’infrazione della disposizione, gli economi vengono legittimati a reclamare i beni in questione, esclusi dalla prescrizione 43.

5. IL REGIME 131

DEI BENI APPARTENENTI AL SACERDOTIUM: LA

NOVELLA

Nella Novella 131 44 del 545, indirizzata al praefectus praetorio Pietro e rubricata De ecclesiasticis titulis 45, il termine sacerdotium (ἱερωσύνh) appare una volta. 42 Nov. 55,1: «De cetero autem sancimus nulli penitus ullam esse licentiam aliquid tale agere, sed illas solas valere permutationes quae in imperialem domum in hoc factae sunt, ut perpetuo apud imperium maneant et non transferantur ad privatum neque illarum ius per medium imperium ad eos proficiscatur»; «τοῦ λοιποῦ δὲ θεσπίζομεν μηδενὶ παντελῶς μηδεμίαν εἶναι παρρησίαν τοιοῦτό τι πράττειν, ἀλλ’ ἐκείνας μόνας ἐρρῶσθαι τὰς ἀμείψεις τὰς πρὸς τὴν βασιλικὴν οἰκίαν ἐπὶ τούτῳ γινομένας, ὥστε διηνεκῶς παρὰ τῇ βασιλείᾳ μένειν καὶ μὴ μεταβάλλειν εἰς ἰδιώτην μηδὲ τῆς ἐκείνου γίνεσθαι δεσποτείας διὰ μέσης τῆς βασιλείας ἐπ’ αὐτὸν ὁδευούσας». 43 Vedi G. BARONE ADESI, “Il sistema giustinianeo delle proprietà ecclesiastiche”, cit., p. 104. 44 Tale numerazione corrisponde a quella della Collectio Graeca, il numero della Novella nella raccolta dell’Authenticum è 133; vedi la tabella di confronto collocata nell’Index II in fondo al volume Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit. 45 In generale su Nov. 131 vedi R.A. MARKUS, “Carthage – Prima Justiniana – Ravenna: an Aspect of Justinian’s Kirchenpolitik”, in Byzantion, 49, 1979, p. 285 ss. Per una differente impostazione vedi A. HONORÉ, Tribonian, London 1978, p. 237 ss.; G. LANATA, Legislazione e natura, cit., p. 97 s.

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Essa tratta di talune questioni inerenti “ad sacrosanctas ecclesias et reliquas venerabiles domos” e al cap. 1 viene predisposta una «risistemazione organica della materia dei canoni» 46 mediante il conferimento del valore di legge a quelli approvati nei concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. Inoltre, al cap. 2 è ribadito il primato del Papa e della sede apostolica romana rispetto al Patriarca di Costantinopoli, mentre nei capita successivi l’Imperatore si concentra sulla materia ereditaria, con particolare riferimento al problema della successione di monaci e vescovi e alla devoluzione dei loro beni mediante la previsione di un regime unificato di trattamento 47. In particolare, al cap. 13 della Novella viene disciplinato il regime che seguono i beni ricevuti dai vescovi successivamente all’ordinazione; si tratta di una delle ipotesi di successione ab intestato della Chiesa: è proibito ai vescovi di disporre per testamento dei beni mobili o immobili che abbiano acquistato successivamente all’ordinazione e la proprietà di tali beni è assegnata alla ecclesia in cui essi abbiano esercitato il sacerdotium, secondo quanto anche emerge da C. 1,3,41(42),7 48. 46

Vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 316; B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 154; p. 239; R. BONINI, “L’ultima legislazione pubblicistica di Giustiniano (543-565)”, cit., p. 83; L. CHEVAILLER, R. CHABANNE, “Justinien et la pentarchie”, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, II, cit., p. 728. Da ultimo, D. CECCARELLI MOROLLI, “Justinian and the Obligation of an Annual Synod. A Concrete Case of the Influence of Roman Law on Oriental Canon Law”, in Iustitia – Dharmaram Journal of Canon Law, 5.2, 2014, p. 198. 47 Sui principi regolanti il problema della devoluzione dei beni economici appartenenti ai monaci, in specie con riguardo alle fonti monastiche vedi G. BARONE ADESI, Monachesimo ortodosso d’Oriente e diritto romano del tardo antico, cit., p. 176 s. Quanto alle innovazioni disposte con la presente costituzione vedi J.J. MURGA GENER, “Las práticas consuetudinarias en torno al ‘bonum animae’ en el Derecho romano tardío”, in SDHI, 24, 1968, p. 144, nt. 100. Per una differente impostazione, B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 391; ID., Successione, cit., p. 130. 48 C. 1,3,41(42),7: «Τίς γὰρ ἂν ἀμφισβητήσειεν, ὡς οἱ τούτοις τὰς ἰδίας οὐσίας καταλείψαντες ἢ καὶ καταλιμπάνοντες ἢ καὶ καθ᾿ ἕτερον τρόπον παραπέμψαντες ἢ παραπέμποντες οὐκ ἀφεωράκασιν εἰς τὴν αὐτὴν ἱερωσύνην καὶ πιστεύσαντες, ὡς οὐ μόνον τὰ παρ᾿ αὐτῶν καταλειφθέντα εὐσεβῶς δαπανήσουσιν, ἀλλὰ καὶ τὰς ἰδίας αὐτῶν οὐσίας τούτοις προσθήσουσι, τοῦτο ποιοῦσι». In generale si riteneva che i vescovi, quali successori degli apostoli, non fossero dei veri e propri proprietari dei beni, ma meri amministratori con la conseguenza che alla loro morte il patrimonio doveva ritornare alle rispettive Chiese. Su questo profilo, per alcuni aspetti, vedi M. CARNÌ, Il diritto metropolitico di spoglio sui vescovi suffraganei. Contributo alla storia del diritto canonico ed ecclesiastico nell’Italia meridionale, Torino 2015, p. 10.

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Tuttavia, Giustiniano afferma che questi beni possono anche essere impiegati per la redemptio dei prigioneri 49, per i pabula dei poveri e per altre piae causae, così come per l’utilitas della ecclesia 50. Interessanti sul punto le considerazioni del Biondi, il quale precisa che «i beni pervenuti al vescovo dopo l’ordinazione, si devolvono alla Chiesa di cui è titolare, restando esclusa qualsiasi disposizione, sia tra vivi che mortis causa, giacché si presume che l’attribuzione al vescovo sia stata fatta all’ufficio piuttosto che alla persona», fatta eccezione per l’ipotesi poc’anzi richiamata in cui il disponente li devolva per il riscatto dei prigionieri o altro scopo pio 51. Sotto tale profilo giova precisare che ai vescovi è riconosciuta esclusivamente la facoltà di alienare o devolvere quei beni in riferimento ai quali sia fornita la prova che appartenessero loro ante episcopatum o a quelli che durante l’episcopato siano stati loro assegnati dagli ascendenti o da quelli ai quali essi possono succedere ab intestato fino al quarto grado. Inoltre, qualora un vescovo, un chierico, un ministro di qualsiasi grado ecclesiastico o una diaconessa fossero morti senza aver fatto testamento e in assenza di legittimi successori, la successione sarebbe spettata alla Chiesa in cui essi avevano esercitato il sacrum ministerium (Nov. 131,13,3) 52. 49 La redemptio ab hostibus quale eccezione al principio di inalienabilità delle res sacrae si era inizialmente affermata su iniziativa di Ambrogio, il quale aveva alienato dei vasi sacri al fine di procurarsi del denaro mediante cui riscattare alcuni chierici dalla prigionia (Ambr., De off. 2,28,137). Sul punto, anche con riferimento alle ulteriori eccezioni al generale principio di inalienabilità vedi A. SACCOCCIO, Aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare, cit., p. 286. 50 T. KUNDEREWICZ, “Disposizioni testamentarie e donazioni a scopo di beneficenza nel diritto giustinianeo”, cit., p. 78 s., nt. 230. Su questo argomento vedi anche B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit., p. 243: «Più rigorosa è la Nov. 131,13 del 545, la quale vieta ai vescovi non solo di testare ma anche di alienare a favore di chicchessia i beni che hanno acquistato dopo l’assunzione all’episcopato, i quali devono essere adibiti per il riscatto dei prigionieri, per altre opere pie, e per bisogni della Chiesa cui sono addetti. La successiva Nov. 123,38 del 546 consente che il vescovo possa dividere i beni acquistati dopo l’assunzione dell’episcopato tra i figli, computando tra di essi anche sé stesso, la cui quota però va al monastero». Quanto al concetto di utilitas ivi adoperato vedi le riflessioni di G. LONGO, “Utilitas publica”, cit., p. 62. 51 Sul punto vedi C. BUENACASA PEREZ, “La constitución y protección del patrimonio eclesiástico y la apropiación de los santuarios paganos por parte de la Iglesia en la legislación de Constancio II (337-361)”, in Pyrenae, 28, 1997, p. 229 ss. 52 In tal senso vedi anche C. 1,3,20 pr. di Teodosio e Valentiniano del 434: «Si quis presbyter aut diaconus aut diaconissa aut subdiaconus vel cuiuslibet alterius loci clericus aut monachus aut mulier, quae solitariae vitae dedita est, nullo condito testamento deces-

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Infine, al cap. 13,2 della Novella 131 risultano fissati i medesimi principi con riferimento ai beni acquistati dagli amministratori delle opere pie durante la loro carica.

6. L’EPISCOPALIS AUDIENTIA NELLA NOVELLA 83 Gli interventi di Giustiniano in materia di episcopalis audientia – come è noto – furono assai numerosi, secondo quanto testimoniato da una vasta letteratura sul punto 53. I provvedimenti emanati dall’Imperatore, che recepiscono anche la legislazione dei suoi predecessori 54, tendono a escludere il riconoscimento in favore del sacerdotium di qualunque “privilegium fori ratione serit nec ei parentes utriusque sexus vel liberi vel si qui agnationis cognationisve iure iunguntur vel uxor extiterit, bona, quae ad eum vel ad eam pertinuerint, sacrosanctae ecclesiae vel monasterio, cui fuerat destinatus aut destinata, omnifariam socientur». 53 Sul tema dell’episcopalis audientia vasta è la letteratura su diversi aspetti; vedi G. VISMARA, Episcopalis audientia. L’attività giurisdizionale del vescovo per la risoluzione delle controversie private tra laici nel diritto romano e nella storia del diritto italiano fino al secolo nono, Milano 1937; H. JAEGER, “Justinien et l’episcopalis audientia”, in RHD, 38, 1960, p. 214 ss.; W. SELB, “Episcopalis audientia von der Zeit Konstantins bis zur Nov. XXXV Valentinians III”, in ZSS, 84, 1967, p. 162 ss.; I. MARTÍN SÁNCHEZ, “Funciones civiles de los obispos en la legislación de Justiniano”, in Revista de la Faculdad de Derecho de la Universidad de Madrid, 37, 1970, p. 333 ss.; F. CUENA BOY, La episcopalis audientia, Valladolid 1985; M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, cit.; F. PERGAMI, “Giurisdizione civile e giurisdizione ecclesiastica nella legislazione del Tardo Impero”, in Processo civile e processo penale nell’esperienza giuridica del mondo antico, Atti del Convegno in memoria di A. Biscardi (Siena, Certosa di Pontignano, 13-15 dicembre 2001), Siena 2002, p. 2 ss.; S. PULIATTI, “L’episcopalis audientia tra IV e V secolo”, in Koinonia, 40, 2016, p. 299 ss. Da ultimo F. CUENA BOY, “La episcopalis audientia de Constantino a Juliano el apostata”, in SDHI, 92, 2017, p. 117 ss. Sulle origini dell’episcopalis audientia e sul divieto di adire i tribunali “ordinari” per dirimere le controversie tra fratelli, con particolare riferimento a quanto attestato da Paul., I ad Cor. 6,1-7 vedi O. DILIBERTO, “Paolo di Tarso, I ad Cor., VI, 1-8 e le origini della giurisdizione ecclesiastica nelle cause civili”, in St. economico-giuridici, 49, 1979, p. 183 ss. 54 Sull’episcopalis audientia nella legislazione di Costantino e postcostantiniana vedi per tutti, M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, cit., p. 31 ss.; O. HUCK, “La «création» de l’episcopalis audientia par Constantin”, in Empire chrétien et Église au IVe et Ve siècles. Intégration ou «concordat»? Le témoignage du Code Théodosien, cit., p. 295 ss. Da ultimo, D. ANNUNZIATA, Opulentia ecclesiae, cit., p. 101 ss.

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personae”, fatta eccezione per la materia strettamente ecclesiastica e ferma la possibilità di ricorrere volontariamente al vescovo per ottenere una soluzione arbitrale delle controversie civili 55. Specificamente, secondo quanto emerge da C. 1,4,7 e da C. 1,4,8 – che sembrano riferirsi tanto alle liti fra laici, quanto a quelle fra chierici e a quelle miste – per l’ipotesi di contese civili è riconosciuta la possibilità di ricorrere all’arbitrato del vescovo sulla base di un accordo tra le parti 56. L’esclusione del privilegium fori in materia penale 57 risulta invece attestata, tra gli altri, da C. 1,3,25 pr. e C. 1,3,36(37),2, oltre che da C. 1,4,29 e ferma comunque restando la possibilità di ricorrere anche in sede penale al tribunale del vescovo, qualora fosse stata questa la volontà dell’accusatore. Giustiniano torna su queste tematiche nel 539 con tre costituzioni incidenti sulla natura dell’episcopalis audientia: la Novella 79, rubricata Apud quos oporteat causam dicere monachos et ascetrias, la Novella 83 rubricata Ut clerici apud proprios episcopos primum conveniantur et post haec apud civiles iudices e la Novella 86 rubricata Ut differentes iudices 55

A riguardo si osserva come anche le fonti patristiche attestino una competenza esclusiva in materia ecclesiastica in favore della Chiesa; Sant’Ambrogio ricorda a Valentiniano II quanto sancito dal padre, Valentinano I, esortandolo a seguirne l’esempio: «in causa fidei vel ecclesiastici alicuius ordinis eum iudicare debere qui nec munere impar sit nec iure dissimilis» (Ambros., Ep. 75,2 [PL 16,1045]). Inoltre, dalle fonti patristiche emerge come la prassi di rivolgersi al vescovo per le controversie fosse assai diffusa, tanto che Agostino si lamenta dell’eccessivo impegno che ne derivava (August., De oper. monach. 29,37 [PL 40,576]; Enarr. in Psalm. 118,24,3 [PL 37,1570]). Per l’analisi di alcune fonti patristiche in materia di episcopalis audientia vedi C.M.A. RINOLFI, “Episcopalis audientia e arbitrato”, in Diritto@storia, 8, 2009. 56 Sul punto vedi M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, cit., p. 97 ss.; G. VISMARA, Episcopalis audientia. L’attività giurisdizionale del vescovo per la risoluzione delle controversie private tra laici nel diritto romano e nella storia del diritto italiano fino al secolo nono, cit., p. 32 ss.; B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 456 ss. 57 Occorre comunque rilevare che nel IV secolo i tribunali ecclesiastici tendevano a estendere le proprie competenze anche in campo penale e particolarmente significativa risulta, in tal senso, una lettera che Ambrogio indirizza a Teodosio nel 388 a proposito dell’incendio di una sinagoga avvenuto a Costantinopoli. L’Imperatore aveva affidato la questione al tribunale “secolare”, prescrivendo che il vescovo, accusato dell’incendio, fosse condannato alla ricostruzione della sinagoga. Ambrogio pone, dunque, in rilievo i rischi di turbamento dell’ordine pubblico potenzialmente derivanti dall’esecuzione di una tale decisione, richiedendo che il vescovo fosse giudicato da un tribunale “ecclesiastico” (Ambros., Ep. 1,40, 6 ss. [PL 16,1150 ss.]).

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audire interpellantium allegationes cogantur ab episcopis hoc agere; et ut quando in suspicionem habuerint iudicem, pariter audiat causam et civitatis episcopus; et de cautela quam oportet omnino episcopum agere 58. Non è mia intenzione analizzare tali provvedimenti che, come poc’anzi osservato, sono già stati oggetto di approfondito esame da una vasta e articolata letteratura; mi limiterò a citate alcuni passaggi della Novella 83 59 – l’unica tra quelle sopra citate in cui appare il termine sacerdotium (ἱερατεία) –, i quali assumono un particolare rilievo ai fini dell’indagine che vado conducendo, in quanto riferiti al rapporto fra giurisdizione episcopale e giurisdizione imperiale nelle cause concernenti il sacerdotium. Nella praefatio della Novella 83, indirizzata al praefectus praetorio Giovanni, l’Imperatore esordisce affermando che «plurimae sacrae leges» sono state promulgate con riferimento al sacerdotium (ἱερατεία) e alla questione relativa alla giurisdizione cui deferire le controversie concernenti i monaci 60. Il riferimento è, a ben vedere, alla Novella 76 che, innovando rispetto alle disposizioni precedenti, stabiliva che monaci e monache potessero essere convenuti in giudizio, tanto in sede civile quanto in sede pena58 Nov. 79 stabilisce che monaci o monache avrebbero potuto essere convenuti in giudizio, sia in sede civile che criminale, solo innanzi al vescovo sotto la cui giurisdizione ricadeva il monastero, con esclusione dei tribunali “secolari”. Nov. 86 prescrive invece che per ogni causa, civile o criminale, sarebbe stato necessario adire il giudice provinciale e in caso di mancato ottenimento di giustizia sarebbe stato possibile rivolgersi al vescovo, il quale avrebbe tentato di convincere il governatore a compiere il proprio dovere. Se nonostante ciò, ancora non fosse stata resa giustizia, il vescovo avrebbe dovuto fornire una lettera al privato per darne informazione all’imperium. Sul punto vedi U. ZILLETTI, Studi sul processo civile giustinianeo, Milano 1965, p. 261, nt. 89; H. JAEGER, “Justinien et l’‘episcopalis audientia’”, cit., p. 234 ss.; C.M.A. RINOLFI, “Episcopalis audientia e arbitrato”, cit. 59 Tale numerazione corrisponde a quella della Collectio Graeca, il numero della Novella nella raccolta dell’Authenticum è 82; vedi la tabella di confronto collocata nell’Index II in fondo al volume Corpus Iuris Civilis, III, Novellae, cit. 60 Nov. 83 praef.: «Plurimas sacras scribentes leges et de deo amabilibus episcopis et reliquo omni sacerdotio, nec non de reverentissimis monachis et nuper hoc agentes in quibus volumus reverentissimos monachos apud solos civitatis episcopos sub quibus sunt monasteria conventiones suscipere»; «Πολλοὺς ἱεροὺς γεγραφότες νόμους περί τε τῶν θεοφιλεστάτων ἐπισκόπων τῆς τε ἐφεξῆς ἱερατείας ἁπάσης, καὶ μὴν καὶ περὶ τῶν εὐλαβεστάτων μοναχῶν καὶ ἔναγχος τοῦτο πεπραχότες ἐν οἷς ἠβουλήθημεν τοὺς εὐλαβεστάτους μοναχοὺς παρὰ μόνοις τοῖς τῶν πόλεων ἐπισκόποις ὕφ’ οὕς ἐστι τὰ μοναστήρια τὰς ἐναγωγὰς ὑπομένειν».

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le, innanzi al vescovo sotto la cui iurisdictio ricadeva il monastero e con conseguente esclusione dei tribunali “secolari”. Tale normativa viene successivamente emendata dalla Novella 83, la quale risulta del tutto innovativa rispetto alla disciplina emergente dal Codex e, segnatamente, da C. 1,4,7 e C. 1,4,8. È, infatti, stabilito che se taluno intenda azionare una causa pecuniaria contro un chierico debba rivolgersi al vescovo cui questi risulta essere sottoposto, il quale istituisce un giudizio esclusivamente orale («non scripto») e senza necessità di ricorrere ai giudici civili («auditoria civilia»). Il processo deve, dunque, svolgersi sommariamente, ferma restando la possibilità per le parti di richiedere la redazione di una sentenza scritta 61. Laddove poi non risulti possibile ricorrere al vescovo «propter causae naturam aut propter forte quandam difficultatem», la causa avrebbe potuto essere devoluta al giudice “ordinario” che avrebbe dovuto decidere con la massima tempestività 62. Sotto tale profilo mette conto rilevare come una parte della dottrina abbia interpretato la disposizione in esame quale forma di riconoscimento in favore dei chierici di una sorta di “privilegium fori” in sede civile 63. Viceversa, alcuni studiosi – la cui impostazione risulta maggiormente aderente al dettato della Novella 83 e che, pertanto, ritengo di poter condividere – affermano che l’Imperatore si sia ivi limitato a prevedere un “tentativo di conciliazione” da parte del vescovo che qualora fosse fallito, per la natura della causa o per altra difficoltà, non avrebbe comunque impedito alle parti di rivolgersi al tribunale “secolare”. 61 Vedi B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, III, cit., p. 389. In particolare, al cap. 1 si legge che il chierico è chiamato a comparire innanzi al vescovo e che l’esito del giudizio deve concludersi con un iudicium non scritto. Tanto adempiuto, alcun ulteriore disturbo deve essergli arrecato: né deve esser condotto davanti ai tribunali civili, né tantomeno gli si deve impedire di assolvere i sacri ministeri. Il processo deve svolgersi sommariamente, senza spese e senza sentenza scritta, a meno che le parti non lo richiedano. Per quanto, invece, attiene alle cause criminali contro i chierici, Nov. 83,1 stabilisce la competenza esclusiva dei vescovi per l’ipotesi di crimini concernenti la materia ecclesiastica. 62

Il ricorso per le cause civili all’episcopalis audientia si caratterizzava proprio per i vantaggi di celerità che l’istituto offriva rispetto ai costi e alle lungaggini della giurisdizione “ordinaria”; vedi W. KUNKEL, Linee di storia giuridica romana, trad. it. di T. e B. Spagnuolo Vigorita, Napoli 1973, p. 194. 63

Vedi G. VISMARA, Episcopalis audientia, cit., p. 57; K. VOIGT, Staat und Kirche von Konstantin dem Großen bis zum Ende der Karolingerzeit, cit., p. 58.

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Tale dato risulta, a ben vedere, confermato dal principium del cap. 21 della Novella 123 64 ove Giustiniano riprende il tema dell’episcopalis audientia. Si legge, infatti, che qualora si fosse voluta intentare un’azione contro un chierico, una monaca, una diaconessa o comunque una donna che abbia preso i voti la competenza sarebbe stata assegnata, in primo luogo, presso il vescovo cui ciascuno di essi fosse stato subordinato. Se ambedue le parti avessero acquiesciuto alla decisione senza appellarla, quest’ultima avrebbe dovuto essere eseguita da parte del giudice del luogo. Qualora invece una delle parti avesse inteso appellare, avrebbe dovuto procedervi entro dieci giorni e la causa sarebbe stata deferita al giudice “secolare”, il quale avrebbe potuto confermarla «per sententiam propriam» e darne esecuzione, con conseguente impossibilità di proporre appello («et non liceat secundo in tali causa victo appellare») 65. Tuttavia, nel caso in cui la sentenza del giudice “secolare” fosse risul64

Nov. 123,21 pr.: «Si quis contra aliquem clericum aut monachum aut diaconissam aut monastriam aut ascetriam habet aliquam actionem, doceat prius sanctissimum episcopum cui horum unusquisque subiacet, ille vero causam inter eos iudicet. Et si quidem utraque pars his quae iudicata sunt adquieverit, iubemus per loci iudicem haec executioni perfectae contradi. Si quis autem litigantium intra X dies contradicat his quae iudicata sunt, tunc locorum iudex causam examinet. Et si invenerit iudicium recte factum, etiam per sententiam propriam hoc confirmet et executioni propriae tradat quae iudicata sunt, et non liceat secundo in tali causa victo appellare»; «Εἴ τις κατά τινος κληρικοῦ ἢ μοναχοῦ ἢ διακονίσσης ἢ μοναστρίας ἢ ἀσκητρίας ἔχοι τινὰ ἀγωγήν, διδασκέτω πρότερον τὸν ὁσιώτατον ἐπίσκοπον ᾧτινι τούτων ἕκαστος ὑπόκειται, ὁ δὲ τὸ πρᾶγμα μεταξὺ αὐτῶν διακρινέτω. καὶ εἰ μὲν ἑκάτερον μέρος τοῖς κρινομένοις ἐφησυχάσει, κελεύομεν διὰ τοῦ κατὰ τὸν τόπον ἄρχοντος ταῦτα ἐκβιβασμῷ τελείῳ παραδίδοσθαι. εἰ δέ τις τῶν δικαζομένων ἐντὸς δέκα ἡμερῶν ἀντείποι τοῖς κεκριμένοις, τηνικαῦτα ὁ τῶν τόπων ἄρχων τὸ πρᾶγμα ἐξεταζέτω, καὶ εἰ εὕροι τὴν κρίσιν ὀρθῶς γενομένην, καὶ διὰ ψήφου ἰδίας ταύτην βεβαιούτω καὶ ἐκβιβασμῷ παραδιδότω τὰ κριθέντα, καὶ μὴ ἐξέστω τῷ δεύτερον ἐν τῷ τοιούτῳ πράγματι ἡττηθέντι ἐκκαλεῖσθαι». 65 Inoltre, sempre al cap. 21 si legge che laddove un chierico, un monaco o una monaca fossero stati accusati di un crimine presso il vescovo, costui – constatane la colpevolezza – avrebbe dovuto procedere a spogliare l’accusato e a deferirlo al tribunale “secolare”. Se, invece, l’accusa fosse “secolare”, il giudice avrebbe dovuto deferirlo al vescovo e laddove quest’ultimo avesse concordato con il giudizio reso, il condannato sarebbe stato spogliato della dignità sacerdotale e consegnato all’autorità ecclesiastica per l’esecuzione della pena. Qualora, infine, lo stesso vescovo non avesse ritenuto le prove acquisite sufficientemente convincenti, la questione avrebbe dovuto essere sottoposta all’Imperatore. Sul punto, per approfondimenti, vedi M.R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, cit., p. 144.

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tata contrastante con quella emanata dal vescovo si sarebbe potuto procedere con l’appellatio. Pertanto, con la Novella 123 le sentenze ecclesiastiche – nell’ipotesi in cui fosse coinvolto un religioso – divennero oggetto di possibile riesame da parte dei tribunali “secolari”. Contro la decisione vescovile era espressamente ammesso l’appello al tribunale civile: la decisione del tribunale avrebbe acquistato il carattere della definitività solo ove avesse confermato la prima pronuncia, mentre in caso di difformità sarebbe stata oggetto di possibile nuovo gravame secondo le regole ordinarie. A ben vedere, dunque, la normativa richiamata non sancisce alcuna forma di privilegium fori in materia civile, posto che da un lato la Novella 83 riconosce la possibilità di ricorrere al tribunale “secolare” laddove il tentativo “ecclesiastico” non fosse andato a buon fine «propter causae naturam aut propter quandam forte difficultatem», dall’altro la Novella 123 espressamente contempla la possibilità di appellatio della decisione vescovile innanzi al giudice “ordinario”.

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SOMMARIO: 1. Consonantia (συμφωνία): a proposito dell’amplificatio della res publica e dell’imperium «quod semper est». – 2. A proposito del cosiddetto “cesaropapismo”. – 3. “Religione del popolo”.

1. CONSONANTIA (συμφωνία): A PROPOSITO DELL’AMPLIFICATIO RES PUBLICA E DELL’IMPERIUM «QUOD SEMPER EST»

DELLA

I dati acquisiti nel corso della presente indagine forniscono un più chiaro quadro di riferimento in ordine alle modalità in cui si estrinseca il rapporto tra sacerdotium e imperium nella legislazione novellare e consentono di prospettare alcune considerazioni di sintesi, dense di implicazioni giuridico-religiose. Giustiniano nella praefatio della Novella 6 qualifica in termini di “consonantia” (συμφωνία) la relazione che deve intercorrere tra sacerdotium e imperium e immediatamente precisa che siffatta interazione è posta a presidio dell’utilitas del genere umano («[…] erit consonantia quaedam bona, omne quicquid utile est humano conferens generi»). È, dunque, di manifesta percezione quella dialettica tra sacerdotium e imperium – e su un piano più generale tra Dio e popolo – che si pone quale leitmotiv della legislazione novellare e, in questa prospettiva, l’idea di consonantia (συμφωνία) costituisce la sintesi concettuale di una complessa costruzione dogmatica di cui le Novelle presentano al contempo gli aspetti divini e popolari. Ritengo, invero, possa individuarsi nella praefatio della Novella 6 un “manifesto” del disegno universalistico di ricostituzione dell’orbis Romanus che secondo Giustiniano può compiutamente realizzarsi solo mediante una mirabile e continua collaborazione tra poteri religiosi e istitu-

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zioni (politiche e giuridiche), funzionale al perseguimento dell’utilitas publica e mediante il costante ausilio della volontà divina. L’Imperatore una volta asceso al potere avverte l’esigenza di affermare come tra sacerdotium e imperium debba intercorrere bona consonantia (συμφωνία τις ἀγαθή) e il riscontro condotto attraverso l’esame delle costituzioni oggetto della presente ricerca lascia emergere come, lungo tutto l’arco di tempo in cui egli presiede l’imperium, concretamente dà attuazione all’idea di “sinfonia”. Basti pensare che ancora nel 565 Giustiniano nella Novella 137 torna ad affrontare il tema dell’ordinazione di vescovi e chierici, evidenziando la necessità della testimonianza di una vita onesta, vissuta secondo i precetti evangelici, e dell’importanza della loro preghiera per l’intercessione presso Dio, in favore del popolo 1. La consonantia (συμφωνία) di sacerdotium e imperium non rimane, dunque, un mero “ideale” ma diventa una teoria giuridico-religiosa concretamente attuata nel rapporto tra i due poteri, che si manifesta sotto un duplice profilo. Da un lato, il sacerdotium coadiuva l’imperium nell’esercizio di delicate funzioni al fine di garantire un’efficace gestione della res publica; basti richiamare a tal proposito le esaminate disposizioni che assegnano a coloro i quali geriscono il munus sacerdotalis specifiche competenze di supervisione e controllo di quegli organi dell’imperium particolarmente rilevanti dal punto di vista “sociale”: dalla nomina del governatore provinciale, a quella del defensor civitatis, del pater civitatis e del frumentarius (App. Nov. 7,12; Nov. 15 epil.; Nov. 128,16). Il sacerdotium è investito dall’imperium di siffatte competenze in quanto la sua partecipazione alla nomina dei funzionari imperiali è considerata sigillo di onestà, affidabilità e trasparenza e si pone a difesa degli interessi non solo dell’imperium ma più ampiamente della res publica, in quanto volta a eliminare ogni malversazione a danno del popolo. Dall’altro, l’imperium è particolarmente attento a che il sacerdotium si comporti rettamente e Giustiniano promulga con riferimento a esso “plurimae leges” (Nov. 83 praef.), volte a tutelarne l’honestas, la pudicitia e la puritas. 1 Vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 164 s.: «la Chiesa è sostegno dell’Impero e, in quanto res divina, è un quid superius rispetto alle cose umane, è ispirata a fini soprannaturali operando per l’eternità, è intermediaria tra l’uomo e Dio, come pure tra potere politico e regno celeste».

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Nella prospettiva universalista dell’Imperatore l’osservanza di una condotta di vita irreprensibile garantisce non solo la pax communis delle sanctissimae ecclesiae, ma più ampiamente la superna pax reipublicae (Nov. 42,3,3) e da questo punto di vista la sensibilità verso la religio garantisce la salvezza dell’imperium e del popolo. I rilievi che precedono si inseriscono nel solco della concezione originaria secondo cui l’osservanza dei doveri religiosi si pone a presidio dell’amplificatio della res publica: in apertura del presente lavoro abbiamo evidenziato il profondo rapporto sussistente sin dagli albori del sistema romano tra religio, populus e imperium che risulta perfettamente chiarito da Cicerone allorquando afferma che «[…] intellegi potest eorum imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent» (Cic., De nat. deor. 2,8). Si tratta, invero, di una consapevolezza che attraversa un lungo arco di secoli e che rimane intatta ancora con Giustiniano, il quale però vi aggiunge un elemento: quello della consonantia (συμφωνία) tra sacerdotium e imperium posta a beneficio del genere umano cui si ricollega il costante riferimento alla preghiera del sacerdotium che sola può assicurare la prosperità della res publica, il successo degli eserciti e la retta amministrazione delle civitates (Nov. 133,5,1). Si delinea così quell’idea dell’imperium «quod semper est» (Nov. 6 epil.), strettamente correlata alla devozione del sacerdotium e alla volontà divina, cui consegue che senza la religione la nozione giuridica di “Impero” è incomprensibile e altrettanto incomprensibile è il concetto di “Impero universale”. La consonantia tra sacerdotium e imperium è, invero, strettamente connessa all’idea dell’Impero universale secondo una precisa linea di continuità: nella suggestiva rogatio del tribuno Canuelio, riportata da Livio, imperia e sacerdotia sono richiamati quali elementi su cui si fonda l’aeternitas dell’urbs: «Quis dubitat quin in aeternum urbe condita, in immensum crescente, nova imperia, sacerdotia, iura gentium hominumque instituantur?» (Livio 4,4,4) 2. Nella medesima linea di continuità, l’eternità dell’imperium tratteggiata da Giustiniano si ricollega da un punto di vista storico-giuridico all’idea dell’imperium sine fine che Iuppiter promette ai Romani subito 2

Vedi M.P. BACCARI, “All’origine della sinfonia di sacerdotium e imperium: da Costantino a Giustiniano”, cit.

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dopo la fondazione dell’urbs 3: l’elemento religioso è posto a fondamento della magnificenza e dell’universalità dell’imperium e costituisce principio unificante del sistema giuridico-religioso romano dalla nascita dell’urbs sino al VI secolo.

2. A PROPOSITO DEL COSIDDETTO “CESAROPAPISMO” Un ulteriore dato emerge con straordinaria evidenza se si ascolta il linguaggio delle fonti, che assume un rilievo centrale nel quadro delle teorizzazioni sedimentatesi nel corso del tempo in ordine al rapporto tra sacerdotium e imperium. Il riferimento è al concetto (errato e fuorviante) di “cesaropapismo”, frequentemente adoperato dagli studiosi per indicare le relazioni tra i due poteri nel sistema romano, in particolare con riferimento all’epoca di Giustiniano. Come è noto, l’interpretazione del rapporto tra sacerdotium e imperium alla luce del concetto di “cesaropapismo” costituisce una stratificazione che viene da lontano e, considerata la notevole complessità del problema anche per le implicazioni storico-giuridiche che ne discendono, «se non si scorge o si perde di vista» tale complessità «si cade nell’illusione che esso sia – ed a molti è effettivamente sembrato essere – semplice o, addirittura, assai semplice» 4.

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Particolarmente suggestivi sono i noti versi di Virg., Aen. 1,278-279 riferiti alla solenne promessa di Iuppiter sul futuro potere dei Romani: «His ego nec metas rerum nec tempora pono: imperium sine fine dedi». Vedi anche Servio, Ad Aen. 1, 278. Sul concetto di eternità dell’imperium come emergente dalle Novelle, oltre a Nov. 6 epil. vedi anche Nov. 47 praef. Sul rapporto tra imperium sine fine e aeternitas dell’urbs vedi R. TURCAN, s. v. Aeternitas, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., p. 43 s.; più in generale su questi temi vedi F. PASCHOUD, Roma Aeterna. Études sur le patriotisme romain dans l’Occident latin à l’époque des grandes invasions, Neuchâtel 1967; P. SINISCALCO, “L’idea dell’eternità e della fine di Roma negli autori cristiani primitivi”, in Studi romani, 25, 1977, p. 1 ss.; ID., “Roma e le concezioni cristiane del tempo e della storia nei primi secoli della nostra era”, in Roma, Costantinopoli, Mosca, Atti del I Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, cit., p. 31 ss.; M. CAMPOLUNGHI, “‘Urbs Aeterna’. Una ricerca su testi giuridici”, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., p. 163 ss.; F. SINI, Bellum nefandum, cit., p. 74 ss. 4 C. CAPIZZI, “Sul Cesaropapismo di Giustiniano”, in Studi Salentini, 69, 1992, p. 85.

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Occorre, dunque, preliminarmente precisare che quello di “cesaropapismo” è termine assente nelle fonti 5, che si risolve in una “semplificazione” indebita della relazione tra il potere sacerdotale e il potere imperiale 6. Il termine “cesaropapismo” nasce, infatti, nel XVIII secolo a opera del canonista protestante Justus Henning Böhmer, peraltro proprio con riferimento a Giustiniano, il quale – a dire dell’Autore – «a clero deceptus, sub praetextu salutis ecclesiae mirum in modum caesaro-papiam exercuit» 7. Esso viene per lo più adoperato per indicare «il sistema di relazioni fra potere civile (Cesare) e potere religioso (Papa), nel quale il primo estende la sua giurisdizione anche su terreni tradizionalmente riservati al secondo, come la definizione di controversie dogmatiche o l’organizzazione disciplinare interna della Chiesa» 8. Non è questa la sede per esaminare la molteplicità e la complessità delle implicazioni storico-giuridiche sottese a siffatta concettualizzazione; basti dare conto del fatto che sul punto la dottrina romanistica tende generalmente a sostenere che il sistema dei rapporti tra sacerdotium e imperium sarebbe stato connotato, in particolare al tempo di Giustiniano, da una subordinazione della Chiesa al potere imperiale, tanto da essere intesa come una sorta di “organo” dell’imperium e quasi fusa con esso. Mi limito sotto tale profilo a richiamare il pensiero del De Francisci, il quale considera Giustiniano il “rappresentante tipico” del cesaropapi5

Vedi P. CATALANO, “Apertura dei lavori: alcuni sviluppi del concetto giuridico di imperium populi Romani”, cit., p. 30, nt. 72; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 3. 6 Vedi J. MEYENDORFF, “Justinian, the Empire and the Church”, cit., p. 43 ss.; ID., s. v. “Byzanz”, in Theologische Realenzyklopädie, VII, 1981, p. 501 s.; G. DRAGON, Empereur et prêtre. Étude sur le “césaropapisme” byzantin, Paris 1996, p. 290 ss.; p. 314 ss. 7 J.H. BÖHMER, Ius ecclesiasticum protestantium, I.14 Dissertatio praeliminaris, Halle 1738, p. 10 s. Sul punto vedi G. DRAGON, Empereur et prêtres. Étude sur le “césaropapisme” byzantin, cit., pp. 290-303. 8 C. CAPIZZI, “Sul Cesaropapismo di Giustiniano”, cit., p. 88; ID., “La pax romana e Giustiniano”, in Concezioni della pace, Atti dell’VIII Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, a cura P. Catalano e P. Siniscalco, Roma 2006, p. 3 ss. In tal senso vedi anche J. GOUILLARD, s. v. Césaropapisme, in Encyclopedia universalis, IV, Paris 1980, p. 86 ss.; A. PIOLA, s. v. Cesaropapismo, in Noviss. Dig. it., III, Torino 1959, p. 136; U. SCHEUNER, “Caesaropapismus”, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, 3, Aufl., I, Tubinga 1957, col. 1582; A.C. JEMOLO, “Chiesa e Stato”, in Dizionario di politica, a cura del Partito Nazionale Fascista, Roma 1940, p. 464 ss.

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smo in quanto egli avrebbe mirato «a sostituirsi o a sovrapporsi al capo della Chiesa, a fare di questa un proprio strumento di governo» 9. Anche l’Orestano qualifica Giustiniano «l’esponente più tipico di questo atteggiamento» in quanto, secondo l’illustre Autore, nel corso del VI secolo «il potere imperiale» avrebbe preso il sopravvento su quello sacerdotale e «l’imperatore si sarebbe posto come suprema autorità anche in campo religioso» 10. Tali affermazioni si basano, invero, su un’errata analisi delle fonti e, segnatamente, della legislazione di Giustiniano con riferimento al sacerdotium, (malamente) interpretata come sintomatica della tendenza dell’Imperatore di esercitare la propria competenza in un campo riservato al potere sacerdotale e di porre il sacerdotium sotto una pressante tutela, limitandone la libertà. È proprio alla luce delle costituzioni esaminate nel corso del presente lavoro che il concetto di “cesaropapismo” dimostra la propria assoluta sterilità, atteso che tali fonti smentiscono chiaramente l’asserita tendenza di Giustiniano a definire controversie dommatiche, a indebitamente disciplinare questioni inerenti il sacerdotium e a rendere la ecclesia un mero “strumento” dell’imperium. Sin dalle prime battute della Novella 6 Giustiniano tiene a precisare che sacerdotium e imperium sono due realtà istituzionali distinte e siffatta distinzione emerge con riferimento al differente fondamento del potere, divino per il sacerdotium e popolare per l’imperium, nonché dalle specifiche e diverse competenze loro assegnate, “divinis ministrare” per il primo e “humanis praesidere” per il secondo. Tuttavia, se tale separazione implica autonomia reciproca, essa non esclude punti di contatto: da un lato ‘Dio’, comune origine di sacerdotium e imperium, dall’altro il ‘popolo’ posto che entrambi i poteri sono chiamati a collaborare per adornare la vita degli uomini. Peraltro, tale dato risulta evidente anche al cap. 2,1 della Novella 7 ove, a proposito degli scambi immobiliari tra ecclesia e Imperatore, sacerdotium e imperium sono posti su piani distinti, sebbene i due poteri – 9 P. DE FRANCISCI, Arcana Imperii, III.II, cit., p. 180; p. 192; p. 265 ss.; in tal senso, tra gli altri, F.G. SAVAGNONE, “Studi sul diritto romano ecclesiastico”, cit., p. 1 ss.; E. STEIN, Histoire du Bas-Empire, II, cit., p. 397. Da ultimo su questi temi, anche per una ricognizione bibliografica, J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 163 ss., in part. p. 163, nt. 245. 10 R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, cit., p. 268.

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precisa Giustiniano – non differiscono molto tra loro («nec multo differant ab alterutro sacerdotium et imperium»), al pari di come le res sacrae non si distanziano molto dalle res communes e publicae. Il dettato delle fonti smentisce poi nettamente anche l’asserita volontà dell’Imperatore di intervenire nella definizione di controversie aventi carattere religioso. Abbiamo, infatti, posto in rilievo come Giustiniano abbia ben chiaro che al sacerdotium spettino le decisioni dommatiche, mentre l’imperium si limita a tradurle in legge 11: nella praefatio della Novella 42 l’Imperatore conferma mediante un proprio provvedimento quanto già disposto dai decreta sacerdotum in ordine alla deposizione dalle sedes sacerdotales dei capi della setta monofisita. Egli si limita, invero, a condannarli all’esilio a fronte della già intervenuta deposizione a opera dell’autorità religiosa; ne consegue che alcuna interferenza è esercitata dall’Imperatore in siffatte controversie. Allo stesso modo, al cap. 21,1 della Novella 123 è sancito che nelle materie di competenza dell’autorità religiosa la giurisdizione è esclusivamente ecclesiastica e la sanzione che ne discende è quella della destituzione dal sacerdotium “secundum ecclesiasticas regulas”, mentre il tribunale “secolare” si limita a esaminare la questione “secundum leges”. Emergono, dunque, nitidamente i differenti ambiti di competenza dei due poteri, al pari di come le rispettive decisioni producono effetti su piani diversi: da un lato il piano strettamente “ecclesiastico”, dall’altro quello imperiale. Quanto alla solerte attenzione manifestata da Giustiniano nei confronti del sacerdotium e della conseguente volontà di intervenire a disciplinare questioni attinenti gli interna corporis della Chiesa, mette conto evidenziare come – ai fini di un corretto intendimento delle intenzioni dell’Imperatore – tali elementi debbano essere contestualizzati ed esaminati in relazione al fine cui gli stessi risultano orientati. Ebbene, secondo quanto chiaramente emerge dalle fonti esaminate, ogni qualvolta Giustiniano si occupa del sacerdotium non lo fa perché intende sostituirsi ai vertici della gerarchia ecclesiastica o per rendere la Chiesa uno “strumento” dell’imperium: egli mira esclusivamente a garantire la prosperità della res publica e a salvaguardare il populus. L’Imperatore detta specifiche disposizioni volte a preservare l’onestà 11

Sul punto vedi S. PULIATTI, Ricerche sulle Novelle di Giustino II, II, cit., p. 163 s., nt. 24.

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e la purezza del sacerdotium affinché esso non si distragga con alcuna “humana cogitatio” e si concentri soltanto sulla cura delle cose divine e sulla preghiera finalizzata alla propiziazione del favore divino per l’imperium e per la res publica. L’alta “funzione sociale” riconosciuta al sacerdotium quale guida per il popolo, e soprattutto per i più deboli, costituisce altresì il fine cui sono preordinate le ulteriori prescrizioni legislative sancite dall’Imperatore con riferimento al munus sacerdotalis. A mio modo di vedere sono, dunque, queste le motivazioni che inducono Giustiniano a disciplinare alcuni aspetti concernenti il sacerdotium, che non denotano affatto la volontà di sopraffazione del potere sacerdotale da parte dell’imperium. Certamente, come già rilevato, è innegabile che l’Imperatore del VI secolo abbia legiferato largamente in materia religiosa, tuttavia ciò non implica che egli abbia inteso usurpare il potere del sacerdotium o invaderne le competenze, né che egli abbia confuso sia teoricamente che praticamente il potere sacerdotale con quello imperiale. Ne consegue che il profondo rapporto tra sacerdotium e imperium non può essere compreso attraverso il concetto di “cesaropapismo”, il quale – utilizzando le parole del Biondi – costituisce «un’aperta falsificazione storica» 12, sfatata sul terreno giuridico anche sulla scorta delle fonti esaminate nel corso della presente ricerca. Emerge, invece, quella mirabile idea di protezione dell’imperium per il sacerdotium, che «non importa necessariamente una signoria del protettore sul protetto» 13 ma sottende la consapevolezza della fondamentale importanza della collaborazione tra i due poteri e del sostegno della Chiesa per la prosperità della res publica.

12 B. BIONDI, Giustiniano Primo, cit., p. 84; ID., “Giustiniano”, in IURA, 16, 1965, p. 4. Riserve sul “cesaropapismo”, tra gli altri, anche in M. AMELOTTI, “Giustiniano tra teologia e diritto”, cit., p. 133 ss.; A.W. ZIEGLER, “Die byzantinische Religionspolitik und der sogenannte Cäsaropapismus”, in Münchener Beiträge zur Sklavenkunde. Festschrift für P. Diels, a cura di E. Koschmieder e A. Schmaus, München 1953, pp. 8197; D.J. GEANAKOPLOS, “Church and State in the Byzantine Empire. A Reconsideration of the Problem of Caesaropapism”, in Church History, 34, 1965, p. 381 ss.; H. AHRWEILER, L’idéologie politique de l’Empire byzantin, Paris 1975, pp. 129-133. 13 B. BIONDI, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 191. In tal senso, da ultimo, J.A. BUENO DELGADO, La legislación religiosa en la compilación justinianea, cit., p. 169 s.

Osservazioni finali

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3. “RELIGIONE DEL POPOLO” Abbiamo più volte posto in rilievo lo stretto rapporto di continuità tra la distinzione “repubblicana” di sacerdotes e magistratus di D. 1,1,1,2 e quella “imperiale” di sacerdotium e imperium, emergente dalla legislazione novellare. L’incessante interazione tra potere religioso e potere di “governo” giunge sino all’Impero ove trova espressa definizione in termini di consonantia (συμφωνία) e nelle cui dinamiche il popolo continua a rivestire un ruolo centrale. Tale dato emerge inequivocabilmente dalle fonti esaminate: sacerdotium e imperium sono chiamati a collaborare per l’utilitas del genere umano e le disposizioni emanate dall’Imperatore a tutela del munus sacerdotalis risultano complessivamente preordinate a garantire la prosperità della res publica. Una concreta pluralità di uomini, dunque, operante nella realtà del tempo 14 per la cui difesa nulla viene omesso dall’Imperatore che trascorre ogni notte e ogni giorno a meditare su ciò che possa ridondare all’utilitas publica per il presente e per l’avvenire, mediante il costante ausilio della volontà divina (Nov. 8 praef.). Il concetto di res publica (res populi) è richiamato da Giustiniano in stretta connessione a quello di imperium e di fides: «Unam nobis esse in omni nostrae reipublicae et imperii vita in deo spem credimus» (Nov. 109 praef.). Orbene, si intravede con chiarezza il profondo carattere “popolare” della Romana religio, così vivo ancora nel VI secolo. Il dato mi sembra significativo a fronte delle astrazioni moderne e contemporanee su questi temi; mi riferisco, in particolare, al concetto di “religione di stato” frequentemente adoperato dalla dottrina per indicare le relazioni tra sacerdotium e imperium nel sistema giuridico romano, 14

In Ambrogio si rinviene sovente il termine populus, adoperato per indicare coloro che svolgono una funzione attiva: il vescovo non prendeva decisioni senza aver interpellato il suo popolo (Ambr., Explan. in Psalm. 40,36 [PL 14,1082]: «et populus respondet: fiat, fiat [...] populus respondet: amen»). Inoltre, esso talvolta veniva convocato per giudicare su determinati scandali che si verificavano nella comunità: «qui volebamus eum, praesentibus clericis, et fideli populo in Ecclesia, patienter audiri, et servari in persona eius cum omni timore Dei, et mansuetudine Ecclesiasticam regulam» (Hier., Ep. 92,3 [PL 22,765]). Vedi M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 203 s.; p. 317.

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Osservazioni finali

a partire dalla nota interpretazione mommseniana della Romana religio in termini di “Staatsreligion” 15. Non è questa la sede per discorrere dell’inadeguatezza e della pericolosità insita nell’utilizzo del concetto di “Stato” per definire e interpretare la concreta realtà dello ius publicum, trattandosi di tema già ampiamente approfondito da illustri studiosi 16. Mi limito a rilevare come il concetto di “Stato” – e, conseguentemente, quello di “religione di stato” – costituisca una “autoproiezione” sulle fonti giuridiche romane, che comporta la deformazione o la cancellazione di categorie e concetti propri dello ius publicum, nonché di quei principi che contrastano con le teorie borghesi dominanti 17. Siffatte teo15 Mommsen nel libro IV del Römisches Strafrecht afferma che a partire da Teodosio I e Graziano la Chiesa si sarebbe trovata sotto la dipendenza dello “Stato” e, pertanto, il Cristianesimo avrebbe potuto essere a giusta guisa definito come “religione di stato”. Mentre tratta del giudaismo, l’illustre studioso utilizza i concetti di “Stato cristianizzato” (verchristlichten Staat) e di “religione di Stato” (Staatsreligion). Vedi TH. MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig 1899, p. 597; p. 610. A riguardo M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 4 ss., osserva come «forse più grave, sia per le sue implicazioni teoriche, sia perché accolto pressoché acriticamente dalla dottrina, è l’uso del termine (o del concetto) “religione di stato” per indicare (e comprendere) le relazioni tra Impero e Chiesa, nel sistema giuridico romano». L’A. evidenzia altresì come occorra prendere le distanze non solo dal concetto di “religione di stato” ma altresì da quello di “religione dello stato” sovente adoperato, sebbene con qualche eccezione, quale sinonimo del primo, fatta eccezione per alcuni più attenti autori (tra cui, ad es., G. LOMBARDI, Persecuzioni laicità libertà religiosa, cit., p. 147). Sul concetto di “religione dello stato” vedi per tutti, L. SPINELLI, s. v. Religione dello stato, in Noviss. Dig. it., VI, Torino 1986, p. 624 s. 16 Vedi R. ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, cit., p. 185 ss. Nella stessa linea dell’Orestano, evidenziando la pericolosità dell’uso di astrazioni concettuali quale quella di “Stato”, si muovono P. CATALANO, Diritto e persone, cit., passim e M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., passim. Seguono l’Orestano, fra gli altri, anche M. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenza in Pomponio e in Giustiniano, II.II, cit., p. 303 e A. MANTELLO, Diritto privato romano. Lezioni, I, Torino 2009, p. 71. Adopera recentemente il concetto di “Stato” in riferimento al sistema romano G. VALDITARA, Lo Stato nell’antica Roma, Soveria Mannelli 2008, p. 491 ss. 17 Alla nota affermazione di Mommsen secondo cui «Populus ist der Staat, insofern er auf der nationalen Zusammengehörigkeit der Personen ruht» consegue un procedimento di cancellazione della memoria storica del popolo che conduce all’affermazione della sovranità dello Stato, all’annullamento della differenza tra “Impero” e “Stato”, alla subordinazione dell’individualità concreta dei cives all’astratto Stato (quindi all’eliminazione della “contrapposizione storica” tra popolo, senato e magistrati) e all’interpretazione della religione in chiave statualistica. Su questi temi vedi ampiamente R.

Osservazioni finali

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rie tendono a espungere l’elemento religioso dal sistema giuridico mediante l’identificazione del diritto con entità astratte, quale quella di “Stato”, che «impedisce di cogliere unità ed esclusioni che riguardano l’universalità degli uomini, insite nei concetti di sacerdotium e imperium, di religio e ius Romanum» 18. Parlare, dunque, di una “religione di Stato” o addirittura identificare questa entità astratta con il “soprannaturale” significa appiattire realtà universali distinte. Emerge, invece, la straordinaria aderenza al dettato delle fonti del concetto di “religione del popolo”; a riguardo Baccari ha posto in rilievo l’attualità di tale espressione, che si collega all’antica nozione di populus: «quasi per paradosso l’attualità coincide con la tradizione» 19. È il popolo che professa la religione e, secondo quanto emerso nel corso della presente ricerca, il sistema romano si caratterizza sin dall’epoca ORESTANO, Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, cit., p. 196 ss.; P. CATALANO, “La divisione del potere in Roma”, cit., p. 667 ss.; ID., “Imperium, Staat, Civitas. Ein kritischer Beitrag zum postmodernen Konzept der Macht. Imperium, Stato, Civitas. Contributo critico alla concezione postmoderna del potere”, a cura di E. Calore e R. Marini, Stuttgart 2015, p. 11 ss.; G. LOBRANO, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1983, p. 96 ss.; M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 4; p. 6 ss., cui si rinvia per una profonda analisi dei concetti di “Staatsreligion”, “Staatsbürger” e “bürgerliche Zurücksetzung”; V. MANNINO, “Riflessioni intorno alla giuridicizzazione della ‘persona’ nella res publica”, in Individui e res publica. Dall’esperienza giuridica romana alle concezioni contemporanee. Il problema della ‘persona’, Atti del VI Seminario Internazionale ‘Diritto romano e attualità’ (S. Maria C.V. – Napoli 26-29 ottobre 2010), a cura di L. Monaco e O. Sacchi, Napoli 2013, p. 189 ss. 18 M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 8. Sul punto vedi anche quanto osservato da K.H. ZIEGLER, rc. a M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, in ZSS, 118, 2000, p. 603 ss. 19 M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione, cit., p. 315. Vedi anche P. CATALANO, “La religione romana ‘internamente’”, cit., p. 145 ss.: «questo concetto di popolo che professa la religione è centrale: in tal senso, si può, si deve parlare di religione del popolo»; R. PETTAZZONI, “Per lo studio della religione dei Romani. Riassunto”, in Atti del I Congresso Nazionale di Studi Romani, I, Roma 1929, p. 244 ss., il quale adopera l’espressione “religione collettiva”. Sul punto mette conto rilevare come G. NOCERA, “Il pensiero pubblicistico romano”, in Studi in onore di P. De Francisci, II, Milano, 1956, p. 575 ss., analizzando l’aspetto strutturale della religione romana, ne riconosca un primitivo carattere “popolare”, sebbene concluda in favore di una successiva “statalizzazione” della stessa. Circa l’attualità dell’espressione “religione del popolo”, vedi R. BACCARI, “La religione cattolica da religione dello Stato a patrimonio del popolo”, in Il Diritto ecclesiastico, 98, 1987, p. 13 ss.

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Osservazioni finali

più antica per un profondo rapporto tra religio, populus e imperium, nonché tra potere religioso e potere di “governo”, che rappresenta una caratteristica essenziale dello ius publicum ed elemento centrale dell’imperium populi Romani anche nel corso dei secoli successivi.

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Osservazioni finali

INDICE DELLE FONTI

AMBROSIUS

BOETHIUS

De officiis ministrorum 1,20,87 10369 2,28,137 15649

De institutione musica 1,3 57

Epistulae 1,40,6 18,14 51,11 75,2

M. TULLIUS CICERO 15857 9339 2981 15855

Explanatio Psalmorum XII 17114 40,36

AMMIANUS MARCELLINUS Rerum gestarum libri 9338 27,3,14-15

AURELIUS AUGUSTINUS De opere monachorum 29,37 15855 Enarrationes in Psalmos 118,24,3 15855

D. MAXIMUS AUSONIUS Gratiarum actio dicta domino Gratiano Augusto 7,35 2879

De domo 14,38

1748

De haruspicum responsis 19 411 De inventione 2,17,53 1643 De lege agraria 2,7,18 15; 2158; 4211 2,7,19 1643 2,27 1644 De legibus 1,7,23 2,21,52 3,3,8

1440 1025 1643

De natura deorum 2,4,11 1748 2,8 38; 165 3,5 410 De officiis 1,34,124

1643

176 De re publica 1,25,39

Indice delle Fonti

52

17 ; 53

47

Tusculanae disputationes 3,20,48 129148

CLEMENS ALEXANDRINUS Stromata 6,15

563

CODEX THEODOSIANUS 16,1,2 29; 2983 16,2,2 27; 10369 16,2,10 2775 16,2,13 11393 16,2,16 723 16,2,20 10369 16,3,1 96; 9751 16,3,2 9751 MOSAICARUM ET ROMANARUM LEGUM COLLATIO 6,4,1 23 6,4,4 23 6,4,6 23 CORPUS IURIS CIVILIS Institutiones C. Imperatoriam maiestatem 2 59; 60; 6736; 14825 1,2,6 4315 2,10,1-2 63 2,10,3 59; 63; 6736 3,7,3 59; 64; 6736 Digesta C. Deo auctore 7 43; 4522; 47; 52 C. Tanta pr.

59; 60; 61; 6736; 14825

1,1,10,2 1,1,2 1,2,1 1,2,2,6-7 1,2,2,7 1,4,1 pr. 24,1,60,1 24,1,61 35,1,90

12; 1232 13; 1333 14; 1439; 41; 74; 7410; 171 13; 1853; 50; 5038 13 40 1853 2; 120116 43; 4522; 47 142 142; 1429 5913

Codex C. Cordi 2 1,1,1 1,2,14 1,2,14,1-2 1,2,17 1,2,23 pr. 1,2,24 pr. 1,3,20 pr. 1,3,25 pr. 1,3,29 1,3,30(31) pr. 1,3,30(31),4 1,3,36(37),2 1,3,41(42) pr. 1,3,41(42),1 1,3,41(42),7 1,3,41(42),10 1,3,41(42),19 1,3,42(43) 1,3,43(44),6 1,3,43(44),9 1,3,44(45) pr. 1,3,52(53) 1,3,52(53),9 1,3,52(53),15 1,4,7 1,4,8 1,4,29

3187 29; 2983 14827 148 148; 14827 111 10982 15652 158 97; 9752; 137177 93 93 158 724 8615 155; 15548 14722 94 91 725 725 859 137177 98; 9856 141 158; 160 158; 160 158

1,1,1 pr. 1,1,1,1 1,1,1,2

1,4,34 pr. 1,55,8 pr. 1,55,11 6,4,4 6,40,2 6,58,14 7,15,2 11,48,24 Novellae 3 3 praef. 3,1 3,2 3,2,1 3,3 5 5 praef. 5,1 5,2 5,3 5,4 5,5 5,7 5,8 6

6 praef.

6,1 6,1,3 6,1,4 6,1,5 6,1,7 6,1,9 6,1,10 6,2

Indice delle Fonti

177

6,5 6,6 6,7 6,8 6 epil.

78; 79; 85; 86 78; 79; 87; 88; 8823 78; 79; 91 109 78; 79; 83; 837; 113; 14930; 165; 1663 147; 14827; 153; 154 77; 78; 148; 14824; 14828 78; 79; 147; 149; 15032; 168 78; 79; 152 14930 149; 14929 123; 123124; 125130; 126136 9235; 124; 124125; 124126; 125131; 125132; 171 5914 5914 126 126135 5245 5141 124128;126 126135 5141 125; 14930 111; 11187 77; 78; 112; 11291; 14930 119; 120 77; 120 78 6531 5141 5141 5141 563; 59; 5914; 65; 6632 6736 407 5143; 8925 39; 408 127 5141 127138 127139

724 127; 128142 127; 128142 64 144 59; 64; 6736 2 152; 15239; 153 108; 10878; 109 109 11083 110 11084 11084 81; 96; 97; 99; 9957; 102; 10266;142 97 97 97 97 97; 98 97 97; 98; 9854; 110 859; 97 8; 43; 45; 81; 82; 823; 84; 96; 102; 10266; 10776; 109; 142; 168 5; 14; 18; 21; 30; 33; 37; 38; 395; 396; 42; 49; 51; 5244; 54; 55; 57; 59; 65; 6736; 78; 79; 151; 163 83; 835 85; 859 78; 79; 86; 8616; 103 42; 4212; 78; 79; 93; 94; 9442; 115; 143; 14311 51; 5142; 78; 79; 83; 836; 86 42; 4212; 77; 78; 79; 94; 9444; 95; 9547 5141; 77; 78; 79; 90; 104 5141; 91; 9131; 9133; 9855

7 7 praef. 7,2,1 7,9 7,11 7 epil. 8 8 praef. 8,2 8,3 8,8,1 8,9 8,11 8,14 8 ed. 8 ed. pr. 1 8 iusiur. 8 epil. 9 9 praef. 11 11 praef. 11,4 12 12 praef. 12,1 12,3,1 12,4 12,5 14 14 praef. 14,1 15 15,3 pr. 15,3 pr. 1 15,3,2

178 15,6,1 15 epil. 17 17,5 21 22 22 praef. 22,2,1 22,5 22,30 22,42 22,43 22,44 22,44,1 22,44,7 22,48 24 24,2 24,2 pr. 24,3 25 25,2,1 25,2,2 25,3 25,4 26,3,1 27 epil. 28 28 praef. 28,2 28,4,1 28,8 29 29,1 30 30 praef. 30,8 30,11 30,11,2 31 31 praef. 31,2,1 35 37,1

Indice delle Fonti

127140 127; 127142; 164 123124 135168 134; 134164 8614; 139; 1391; 140; 1403 140; 1402; 1404 5914 5141; 141 5914 78; 79; 8614; 142; 14310 143; 144 143; 144 78; 79; 144; 14415 78; 79; 144; 14416 5914 4420 126132; 135168 14930 126134 4420 58; 5811 135168 126134 126134 126134 126132 132; 134 132 78; 79; 133; 133159 126132 5141 132; 133; 134 78; 79; 133; 133161 135 135 126134 78; 79; 135; 136169; 136172 11394; 126132 132; 133 134 78; 79; 134165 10979 9855

37,11 42 42 praef.

42,1 42,1,2 42,2 42,3 42,3,3 44,1 47 praef. 47,1,1 51 54 54,2 55 55,1 56 56 praef. 56,1 62 62 praef. 67,3 73 praef. 74 74,1-2 76 76 praef. 79 79,2 80 praef. 81 praef. 83 83 praef. 83,1 86 86,8 87,1 89

394 5039; 6634; 116; 118; 119 50; 59; 65; 66; 6635; 67; 6736; 77; 78; 116; 116103; 169 118 78; 79 118; 118109 118 78; 79; 119; 119110; 165 5914 848; 1663 46; 4625 8925 152 153; 15340 152; 153 15442 94; 9445; 106; 113; 11395; 115 114 78; 79; 114; 11497; 115; 115101 4316 43; 44; 4418; 4419; 4522; 4523; 53 9133 45; 4625 1403; 145 14518 98 9957 158; 15958 5914 394; 5245 5245 158; 159; 160; 162 71; 78; 79; 159; 15960; 164 16061 158; 15958 9133 3187 4420; 145; 14517; 14518

179

Indice delle Fonti

89,2-6 89,8 89,9 89,9-10 89,11 pr. 103 103,3,1 105 105,2,4 109 praef. 112,2,1 113,3 117 117,13 123 123 praef. 123,1 123,2 123,2,1 123,3 123,3,1 123,4 123,9 123,10,1 123,11 123,11,2 123,12 123,13 123,15 123,16 123,16,1 123,20 123,21 123,21 pr. 123,21,1 123,23 123,25 123,29 123,30 123,38 123,40 123,42

145 145 78; 79 145 145 136; 137174 78; 79, 137175 4420 46; 4626 72; 726; 171 46; 4625; 14930 46; 4625 1403 10471 81; 8614; 99; 102; 10266; 103; 106; 10776; 142; 162 102; 10368 859; 87; 103; 105 78; 79; 104 78; 79; 95; 9547; 105; 10673; 169 78; 79; 105 10673 78; 79; 107; 10774 91; 9133 104 104 78; 79; 10470 87 8821 8614 106 78; 79, 10673 104 16165 161; 16164 118; 1188 14722 9855 78; 79; 103 88; 8927; 105 99 1417 98; 137177

123,43 127,4 128 128 praef. 128,16 128,17 131 131,1 131,2 131,3 131,13 131,13,1 131,13,2 131,13,3 133 133 praef. 133,1 133,2 133,4 133,5 133,5,1 133,6 134,3 134,10 134,12 137 137 praef. 137,1 137,2 137,3 137,6 139 153 praef. 154 154,1

8823; 105 10471 128 128144 128; 128146; 164 129; 129149 111; 154; 15445 155 155 121 155 78; 79 157 156 81; 96; 99; 102; 10266 99; 100; 10060 5141 100 100 100; 136 72; 101; 10162; 10163; 165 725; 100 129; 129150 10471 10471 77; 81; 107; 142; 164 107 725; 79; 107; 10776 859 79; 10776; 108 108; 10877 6531 9855 6531; 77; 137 3187; 79; 136171; 138; 138180

Appendix constitutionum dispensarum 7,12 130; 130154; 164 7,17 8926 9 14930

EDICTA IUSTINIANI 3 134; 134164

180 7,4 8,1 10,1 12,2 13,10,2 13,28

Indice delle Fonti

3187 739 749 129; 129151 749 749

Q. ENNIUS Annales 501

563

Disputatio de Somnio Scipionis 563

EUSEBIUS CAESARIENSIS Historia ecclesiastica 8,17,3-11 2467 10,5,1-14 2571 10,7,2 27

GAIUS Institutiones 2,2 2,10

Contra Vigilantium 15 9650

Adversus haereses 2,2,4 565

FAVONIUS EULOGIUS 15,32

10369 10369 9650 17114 2363

IRENAEUS

25

EPIPHANIUS Ancoratus 67

52,5,4 52,5,6-7 58,5,1-2 92,3 100,16

5036 5037

ISIDORUS Etymologiae sive Origines 7,12,17 738

L. CAECILIUS FIRMIANUS LACTANTIUS De mortibus persecutorum 34,1-5 2467; 2468 48,2-12 2571

T. LIVIUS Ab urbe condita 1,4,1 25 4,2,5 1748 4,4,4 165 44,1,9-11 412

A. GELLIUS

LEGES NOVELLAE AD THEODOSIANUM

Noctes Atticae 3,10,13 563

PERTINENTES

Theodosius II 16 praef.

HIERONYMUS Epistulae 21,29

56

3

125132

Valentinianus III 2 praef. 125132

181

Indice delle Fonti

M. VALERIUS MARTIALIS Epigrammata 1,109

8511

MAURUS SERVIUS HONORATUS et SCHOLIA DANIELIS (= Servio Dan.) in Vergilii Aeneida 1, 278 1663

NOVUM TESTAMENTUM (VULGATA) Pauli epistulae ad Romanos 7,2 822 10,10 108 I ad Corinthios 1,14,16 108 6,1-7 15753 7,39 822 I ad Timotheum 2,1-4 2362 3,4-5 87 5,14 822 ad Titus 1,5-9

82

2

Apologeticum 30,4

2363

Ad Scapulam 2,1

2363

THEOPHILUS Institutionum paraphrasis 2,10,3 6323 3,7,3 6426

M. TERENTIUS VARRO De lingua latina 738 5,83

VATICANA FRAGMENTA 25,1 2881

PLATO Cratylus 405 D

Q. SEPTIMIUS FLORENS TERTULLIANUS

577

M. VITRUVIUS POLLIO

C. PLINIUS SECUNDUS (VULGO PLINIUS MAIOR)

De architectura 5,4,9 564 5,5,3-4 564 5,5,7 564

Naturalis historia 8,12 8511

P. VERGILIUS MARO

L. ANNAEUS SENECA Phaedra 913-914

8511

Aeneis 1,275-279 1,278-279

24 1663

ZOSIMUS Historia nova 4,35-36

2879

184

Osservazioni finali

Finito di stampare nel mese di dicembre 2018 nella Stampatre s.r.l. di Torino – via Bologna, 220

Volumi pubblicati

1.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, seconda edizione, 2002, pp. VIII-328 (Sezione Materiale didattico).

2.

GIUSEPPE DALLA TORRE-FRANCESCO D’AGOSTINO (scritti raccolti da), La cittadinanza. Problemi e dinamiche in una società pluralistica, 2000, pp. IV-360 (Sezione Ricerca).

3.

ROBERTO TOMEI, L’ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione. Tra conferma della tradizione e critica del privilegio, 2000, pp. VI138 (Sezione Ricerca).

4.

Per il diritto. Omaggio a Joseph Ratzinger e Sergio Cotta, 2000, pp. XIV-118 (Sezione Ricerca).

5.

OTTAVIO DE BERTOLIS, Il diritto in San Tommaso D’Aquino. Un’indagine filosofica, 2000, pp. VI-110 (Sezione Ricerca).

6.

GIUSEPPE GRECO, I regolamenti amministrativi, 2001, pp. IV-344 (Sezione Ricerca).

7.

ADRIANO BOMPIANI-ADRIANA LORETI BEGHÈ-LUCA MARINI, Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario, 2001, pp. XII276 (Sezione Ricerca).

8.

PASQUALE LILLO, Diritti fondamentali e libertà della persona, 2001, pp. VIII-200 (Sezione Ricerca).

9.

GIOVANNI GIACOBBE, Annali 2001, 2002, pp. VI-350 (Sezione Ricerca).

10/I. PAOLO CAVANA, Enti ecclesiastici e controlli confessionali. Vol. I. Gli enti ecclesiastici nel sistema pattizio, 2002, pp. VI-256 (Sezione Ricerca). 10/II. PAOLO CAVANA, Enti ecclesiastici e controlli confessionali. Vol. II. Il regime dei controlli confessionali, 2002, pp. VIII-176 (Sezione Ricerca). 11.

GIOVANNI GIACOBBE, Lezioni di diritto privato, 2002, pp. VI-654 (Sezione Materiale didattico).

12.

LAURA PALAZZANI, Introduzione alla biogiuridica, 2002, pp. X-314 (Sezione Materiale didattico).

13.

FRANCESCO BONINI, Lezioni di storia delle istituzioni politiche, 2002, pp. VIII-204 (Sezione Materiale didattico).

Nuova serie – Collana della Facoltà di Giurisprudenza 1.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto canonico, terza edizione, 2009, pp. X314 (Sezione Materiale didattico).

2.

EMANUELA GIACOBBE, Il concepito come persona in senso giuridico, 2003, pp. VIII-280 (Sezione Ricerca).

3.

GIAMPAOLO FREZZA, I luoghi della famiglia, 2004, pp. X-342 (Sezione Ricerca).

4.

TIZIANA DI MAIO, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. Tra superamento del passato e processo di integrazione europea (1945-1954), 2004, pp. XVIII-382 (Sezione Ricerca).

5.

GUIDO VALORI, Il diritto nello sport. Principi, soggetti, organizzazione, 2005, pp. XIV-490 (Sezione Materiale didattico).

6.

GIUSEPPE DALLA TORRE-CESARE MIRABELLI (a cura di), Radio Vaticana e Ordinamento Italiano. Atti del seminario di Studi. Roma 26 aprile 2004, 2005, pp. VI134 (Sezione Ricerca).

7.

GIUSEPPE DALLA TORRE (a cura di), Annali 2002-2004, 2005, pp. VI-434 (Sezione Ricerca).

8.

FRANCESCO RICCIARDI CELSI, Le relationes ad limina. Aspetti della esperienza storica di un istituto canonistico, 2005, pp. XII-132 (Sezione Ricerca).

9.

LAURA PALAZZANI (a cura di), Il diritto tra uguaglianza e differenza di genere, 2005, pp. VIII-264 (Sezione Centro di Studi Biogiuridici).

10.

RICCARDO ROSSANO-SALVATORE SIBILLA (a cura di), La tutela giuridica della vita prenatale, 2005, pp. XII-184 (Sezione Ricerca).

11.

PIETRO PAGANINI-GABRIELE PAGLIALONGA, Innovazione: dalle teorie al territorio. Paradigmi e strategie nella società dell’informazione, 2006, pp. XVI-272 (Sezione Ricerca).

12.

MONICA LUGATO, Trattati di estradizione e norme internazionali sui diritti umani, 2006, pp. X-262 (Sezione Ricerca).

13.

FRANCESCO BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, 2006, pp. XII184 (Sezione Ricerca).

14.

GIOVANNI GIACOBBE, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca, II edizione ampliata, 2011, pp. X-358 (Sezione Materiale didattico).

15.

PASQUALE LILLO, Diritti fondamentali e libertà della persona, seconda edizione, 2006, pp. VIII-208 (Sezione Ricerca).

16.

MARIA PIA BACCARI, Diritto alla vita tra ius e biotecnologie. I. La difesa del concepito, 2006, pp. VIII-104 (Sezione Ricerca).

17.

GIOVANNI GIACOBBE-LIA FAVA GUZZETTA (a cura di), Ermeneutica giuridica ed ermeneutica letteraria: Emilio e Ugo Betti. Giornata di studio - Roma 4 giugno 2004, 2006, pp. VI-130 (Sezione Ricerca).

18.

GIOVANNI GIACOBBE, Lezioni di diritto privato. Ristampa aggiornata, 2006, pp. VI-662 (Sezione Materiale didattico).

19.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Quarta edizione, 2011, pp. VIII-388 (Sezione Materiale didattico).

20.

GIUSEPPE IGNESTI (a cura di), Annali 2005-2006, 2007, pp. VI-808 (Sezione Ricerca).

21.

ANDREA MARIA AZZARO-ITALO SCALERA (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Linee guida della riforma. Atti del Convegno Lumsa del 27 gennaio 2006, 2007, pp. IV-140 (Sezione Ricerca).

22.

FRANCESCO ZINI, Il perdono come problema filosofico giuridico, 2007, pp. VIII232 (Sezione Ricerca).

23.

FRANCO VALLOCCHIA, Collegi sacerdotali ed assemblee popolari nella repubblica romana, 2008, pp. XII-276 (Sezione Ricerca).

24.

ENRICO GIARNIERI, Lo status della Santa Sede e della Svizzera presso l’ONU. Una neutralità differenziata, 2008, pp. VI-134 (Sezione Ricerca).

25.

GIUSEPPE DALLA TORRE-PASQUALE LILLO (a cura di), Sovranità della Chiesa e giurisdizione dello Stato, 2008, pp. IV-516 (Sezione Ricerca).

26.

FIAMMETTA MIGNELLA CALVOSA (a cura di), Annali 2007-2008. Le scienze dell’amministrazione nella società italiana. La formazione per la governance del Paese, 2009, pp. IV-340 (Sezione Ricerca).

27.

EDOARDO GIARDINO, La plurilateralità della funzione amministrativa. L’esercizio del potere amministrativo nella crisi dell’unilateralità del provvedimento, 2012, pp. XII-508 (Sezione Studi).

Nuova serie – Collana di Scienze Giuridiche e Sociali 1.

LAURA PALAZZANI-ROBERTO ZANNOTTI (a cura di), Il diritto nelle neuroscienze. Non “siamo” i nostri cervelli, 2013, pp. XII-244 (Sezione Ricerca).

2.

GIUSEPPE DALLA TORRE-GERALDINA BONI, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, 2014, pp. VI-362 (Sezione Scuola di Alta Formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano).

3.

DANIELA BIANCHINI JESURUM, Dante giurista? Sondaggi nella Divina Commedia, 2014, pp. XII-172 (Sezione Ricerca).

4.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto canonico, quinta edizione, 2018, pp. XVI-344 (Sezione Materiali didattici).

5.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, quinta edizione, 2014, pp. VIII-400 (Sezione Materiali didattici).

6.

PIETRO VIRGADAMO, Danno non patrimoniale e “ingiustizia conformata”, 2014, pp. XIV-402 (Sezione Ricerca).

7.

MATTEO CARNÌ, Il diritto metropolitico di spoglio sui vescovi suffraganei. Contributo alla storia del diritto canonico ed ecclesiastico nell’Italia meridionale, 2015, pp. XII-188 (Sezione Scuola di Alta Formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano).

8.

MONICA LUGATO (a cura di), La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori - International Religious Freedom and the Global Clash of Values, 2015, pp. VIII-168 (Sezione Scuola di Alta Formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano).

9.

MARÍA DE LAS MERCEDES GARCÍA QUINTAS, El prelegado en Derecho Romano Clásico: Fundamentos y régimen jurídico, 2016, pp. XII-180 (Sezione Ricerca).

10.

GIOVANNI GIACOBBE, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca, III edizione aggiornata, a cura di Pietro Virgadamo, 2016, pp. X342 (Sezione Materiali didattici).

11.

GIUSEPPE DALLA TORRE, L’“extraterritorialità” nel Trattato del Laterano, 2016, pp. X-134 (Sezione Scuola di Alta Formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano).

12.

ANDREA MARIA AZZARO, Le procedure concordate dell’impresa in crisi, 2017, pp. XX-380 (Sezione Ricerca).

13.

GIUSEPPE PUMA, Complicità di Stati nell’illecito internazionale, 2018, pp. XXVI350 (Sezione Ricerca).

14. 15.

MARCO EVOLA, I lavoratori di Stati terzi nel diritto dell’Unione europea, 2018, pp. VIII-312 (Sezione Ricerca). EMANUELE ODORISIO, Il principio di diritto nell’interesse della legge, 2018, pp. X422 (Sezione Ricerca).

16.

GIUSEPPE DALLA TORRE, Lezioni di diritto vaticano, 2018, pp. XIV-242 (Sezione Scuola di Alta Formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano).

17.

MARIA TERESA CAPOZZA, Sacerdotium nelle Novelle di Giustiniano. Consonantia (συμφωνία) e amplificatio della res publica, 2018, pp. XIV-186 (Sezione Ricerca).