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Italian Pages 466 [468] Year 2011
BEIHEFTE ZUR ZEITSCHRIFT FÜR ROMANISCHE PHILOLOGIE BEGRÜNDET VON GUSTAV GRÖBER HERAUSGEGEBEN VON GÜNTER HOLTUS UND WOLFGANG SCHWEICKARD
Band 362
ANNA CIEPIELEWSKA-JANOSCHKA
Viaggio d’Oltremare e Libro di novelle e di bel parlar gentile Edizione interpretativa
De Gruyter
A mia madre e mio padre che mi sono sempre stati vicini HDG$GDPFKHPLKDDLXWDWRQHLPRPHQWLSL~GLI¿FLOL
ISBN 978-3-025270-5 e-ISBN 978-3-025272-9 ISSN 0084-5396 Library of Congress Cataloging-in-Publication Data Ciepielewska-Janoschka, Anna. Viaggio d’oltremare e Libro di novelle e di bel parlar gentile : edizione interpretativa / by Anna Ciepielewska-Janoschka. p. cm. -- (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie ; Bd. 362) Transcription of the manuscript of the Codex Panciatichiano-Palatino 32, the oldest manuscript of the Novellino in the National Library in Florence. Includes bibliographical references. ISBN 978-3-11-025270-5 (acid-free paper) 1. Novellino. I. Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Manuscript. Panciatichiano-Palatino 32. II. Title. III. Title: Viaggio d‘oltremare. IV. Title: Libro di novelle e di bel parlar gentile. PQ4253.A3 2011 853‘.108--dc22 2011014756
%LEOLRJUD¿VFKH,QIRUPDWLRQGHU'HXWVFKHQ1DWLRQDOELEOLRWKHN Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen NationalbiblioJUD¿HGHWDLOOLHUWHELEOLRJUD¿VFKH'DWHQVLQGLP,QWHUQHWEHUKWWSGQEGQEGHDEUXIEDU :DOWHUGH*UX\WHU*PE+ &R.*%HUOLQ%RVWRQ *HVDPWKHUVWHOOXQJ+XEHUW &R*PE+ &R.**|WWLQJHQ ∞*HGUXFNWDXIVlXUHIUHLHP3DSLHU 3ULQWHGLQ*HUPDQ\ ZZZGHJUX\WHUFRP
Prefazione
Il codice Panciatichiano 32 (già Panciatichiano-Palatino 138) della Biblioteca Nazionale di Firenze era ben noto a monsignor Vincenzio Borghini, che lo usò nel pubblicare, in una versione controriformistica epurata, il Novellino (intitolandolo, come fa il codice Panciatichiano, Libro di Novelle, et di bel Parlar Gentile), presso la tipografia fiorentina dei Giunti, nel 1572. Dimenticato poi a lungo, fu riscoperto da A. Wesselofsky (Veselovskij). Da allora, gli studiosi vi attinsero ampiamente, sia per l’Itinerario ai luoghi santi (pubblicato da A. Gregorini negli «Annali della Scuola Normale di Pisa», XVIII, 1896, pp. 69–80),1 sia per il Novellino, di cui costituisce il manoscritto più antico. Vi fu chi ne trasse singole novelle, come Pietro Ferrato (Due novelle antichissime inedite, Venezia, Clementi, 1868) e Alessandro D’Ancona, La novella di messer Dianese e di messer Gigliotto, Pisa, Nistri, 1868, o scelte più ampie, 2 come Giovanni Papanti, nel volume I del Catalogo dei Novellieri italiani in prosa raccolti e posseduti da Giovanni Papanti, Livorno, Vigo, 1871.3 Studiò il manoscritto anche Alessandro D’Ancona, nella sua memorabile ricerca sulle fonti: Le fonti del Novellino, in Romania, 2 (1873), pp. 385–422; 3 (1874), pp. 164–94.4 Le prime discussioni sul Novellino cercavano, com’è naturale, di precisarne la formazione e di scoprirne l’autore. Presto il secondo punto risultò senza soluzione accettabile, anche perché si affacciava un secondo quesito: un autore o due o più?, e ci si soffermò piuttosto sul primo punto. In questo caso c’erano due dati che venivano a sovrapporsi. Il primo è il fatto che innegabilmente, dalla fine del Duecento in avanti, s’incontrano nei manoscritti novelle tipologicamente e tematicamente simili a quelle del Novellino; il secondo è che il Novellino stesso si presenta, nelle prime stampe e nei manoscritti, con un testo di consistenza molto variabile, per eliminazione e/o aggiunte di novelle. Così, si faceva strada l’impressione che sia esistito un grande repertorio di novelle, al quale abbiano attinto i vari compilatori, compreso/compresi quello/quelli del Novellino, forse in fasi successive. Di tanta confusione è in buona parte responsabile il Borghini, il quale, partendo dalla redazione documentata dalla princeps del Gualteruzzi (1525) e dal codice
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Edizione condotta con rigorosa filologia è quella di Maurizio Dardano, Un itinerario dugentesco per la Terra Santa in Studi sulla prosa antica, Napoli, Morano Editore, 1992, pp. 129–86. Le Novelluzze tratte dalle cento antiche secondo la lezione di un codice manoscritto della R. Biblioteca Marciana, Venezia, Merlo, 1868, a cura di Andrea Tessier, sono tratte dal codice Marciano italiano cl. VI 211, che, come dimostrato da Aldo Aruch, è descriptus dall’editio princeps. Come volume autonomo, col titolo Novelle Antiche, sempre presso Vigo e con le stesse coordinate. Poi in Alessandro D’Ancona, Studj di critica e storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1880; 1912, vol. II, pp. 3–163.
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Panciatichiano, eliminò nella sua edizione tutte le novelle che offendevano secondo lui la religione e il buon costume, sostituendole con altre di provenienza diversa. Con un impegno poco illuminato, il Borghini creò insomma una redazione che non è mai esistita nei manoscritti. Purtroppo i primi studiosi del Novellino partirono appunto dal confronto fra l’edizione Gualteruzzi e l’edizione Borghini, perdendosi nella ricerca di soluzioni impossibili.5 È curioso che ancora nel 1930, quando la mistificazione del Borghini era ampiamente nota, Letterio Di Francia abbia preparato un’edizione commentata, per altri versi pregevole, del Novellino (Torino, UTET), facendo seguire il testo del Gualteruzzi dalle novelle del Borghini che non vi si trovano. L’apparizione de Le novelle antiche dei codici Panciatichiano-Palatino 138 e Laurenziano-Gaddiano 193, a cura di Guido Biagi, che vi premetteva una Storia esterna del testo del Novellino, Firenze, Sansoni, 1880, fu un avvenimento nel mondo degli studi. È proprio il capitolo quinto di questa Storia che analizza con grande acribia il metodo di lavoro del Borghini,6 e mostra che la sua edizione è inutilizzabile. In più, stampando in edizione interpretativa il testo del Panciatichiano-Palatino e del Laurenziano-Gaddiano, Biagi porta il discorso dalle edizioni ai manoscritti: insomma avvia, anche se non è ancora in grado di concluderlo, il lavoro sulle testimonianze antiche (cui si aggiunge la stampa del Gualteruzzi, che deriva da un esemplare perduto). La filologia di fine Ottocento e di tutto il Novecento riuscirà a dare le risposte desiderate alle principali domande che ci si erano poste sulla formazione del Novellino. Questa storia non voglio farla qui, anche perché la fa già, in questo stesso volume, la signora Ciepielewska-Janoschka (cap. 7). Indicherò solo le fasi più importanti. Anzitutto va ricordato, ad honorem, Aldo Aruch, che recensendo l’edizioncina de Le cento novelle antiche di Enrico Sicardi (Strasburgo, Heitz, s.a., 1909), nella «Rassegna Bibliografica della Letteratura Italiana», XVIII (1910), pp. 35–51, enuncia un principio decisivo per l’individuazione dell’ordinamento originario delle novelle: «Evidentemente rispecchierà meglio la raccolta primitiva quello dei due rami [dello stemma] che permette di spiegare la formazione dell’altro». Sistematizza lo stemma di Aruch Angelo Monteverdi,7 senza però valorizzare il criterio da lui proposto per individuare la redazione originaria. Vengono poi le due edizioni di S. Lo Nigro (Torino, UTET, 1964) e di Guido Favati (Genova, Bozzi, 1970), quest’ultima definita nel frontispizio «critica». Mentre la seconda contiene tutti i materiali dimostrativi, la prima si rifà a una dimostrazione pubblicata in rivista.8 Entrambe le edizioni sono purtroppo prive di utilità per errori nella definizione dello
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Solo alcuni (pochissimi) degli editori anteriori al Biagi tengono anche conto dei manoscritti: per esempio Domenico Carbone (Barbèra, Firenze, 1868, più volte ristampato), che conosce tre manoscritti, ma non pare trarne molto. Cf. pure Guido Biagi, Ancora l’edizione borghiniana del Novellino in Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis, Trieste, Caprin, 1910, vol. 2, nel I, pp. 221–24. Angelo Monteverdi, Che cos’è il «Novellino», in Id., Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954, pp. 127–165. Sebastiano Lo Nigro, Per il testo del «Novellino», Giornale Storico della Letteratura Italiana 141 (1964), pp. 51–102.
stemma;9 quella di Favati anche per l’ipotesi, inconsistente, di un ordinamento delle novelle in gruppi di dieci, come il Decameron. Nelle edizioni si continuò in genere a seguire il testo (cinquecentesco) del codice Vaticano 3214, pubblicato per la prima volta nell’edizione Sicardi, unico, oltre alla edizione princeps di Carlo Gualteruzzi, a presentare la redazione in cento novelle, consacrata appunto dal Gualteruzzi e seguita dai primi editori; si ricorreva eventualmente agli altri manoscritti per correggere gli errori del Vaticano. Ma gli interventi in sede monografica incominciarono a puntare sempre più decisamente verso una nuova sistemazione critica, partendo soprattutto dal codice Panciatichiano e in particolare dal confronto fra le sue due sezioni (cc. 9r–43r e 51r–62r), in cui presenta due differenti sillogi della raccolta, attinte a tradizioni diverse, come notato da Aruch.9 E finalmente Alberto Conte, dopo un articolo fondamentale,10 ha fornito un’edizione critica che presenta il testo risultante dalla sua ricerca: Il Novellino. A cura di A. Conte. Presentazione di Cesare Segre, Roma, Salerno Editrice, 2001. Il risultato più decisivo raggiunto da Conte è l’aver dimostrato che il testo del Novellino contenuto nella prima sezione del Panciatichiano, che si fa risalire all’archetipo alfa, rappresenta fedelmente la redazione originaria della raccolta (inclusi elementi non narrativi, come sentenze e riflessioni), dalla quale è stato tratto, con una serie di scelte successive, il testo, nonché l’ordinamento, del subarchetipo concorrente, ß; ad esso risalgono, in momenti successivi della trascrizione, tutti gli altri testimoni, compresa la seconda sezione del Panciatichiano. Occorre comunque adottare una rappresentazione evolutiva della storia interna del Novellino: una storia che giunge, cronologicamente, sin dopo il Decameron, modello al quale forse risale, nei due testimoni più recenti, la decisione di portare il numero delle novelle a cento, talora con significative forzature. Il codice Panciatichiano si è rivelato così il latore di quello che Conte chiama Ur-Novellino, dato che il titolo Novellino, non avallato dai manoscritti, risale a un letterato cinquecentesco, Giovanni Della Casa, e designa comunque la raccolta di cento novelle. E si deve considerare il Biagi come il primo benemerito dello studio di questo manoscritto. È poi del tutto ovvio, per l’epoca, che la descrizione codicologica del Biagi sia molto sommaria (pp. XCIV–XCVII),11 che si riscontrino numerosi errori di trascrizione ed omissioni, che la numerazione delle novelle sia stata introdotta (con numeri romani) per iniziativa del curatore, e così via. Resta che sinora, almeno per un primo contatto col manoscritto, come pure col Gaddiano, l’edizione Biagi ha reso utili servigi, ed è stata uno stimolo ad applicare la filologia allo studio del testo. La nuova trascrizione completa del codice a cura della signora CiepielewskaJanoschka giunge tra l’altro in una fase degli studi che rivendica la primarietà dei codici rispetto ai testi, frutto, questi ultimi, di un lavoro di astrazione, il quale strappa le opere dal contesto complessivo cui appartengono. E il Novellino, con la sua storia
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Si veda, per Lo Nigro, Aldo Menichetti, Cultura Neolatina 24 (1964), pp. 114–18; per Favati, Cesare Segre, Sull’ordine delle novelle nel «Novellino» (1983) e È possibile una edizione critica del «Novellino»? (1995), in Id., Ecdotica e comparatistica romanze, Milano-Napoli, Ricciardi, 1998, rispettivamente pp. 91–100 e 101–8. Ur-Novellino e Novellino: ipotesi di lavoro, Medioevo Romanzo 20 (1996), pp. 75–115. A p. XCVII si legge, per un refuso, sec. XVI invece che sec. XIV.
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e il suo sviluppo depositati appunto nei codici, costituisce proprio un caso evidente del vantaggio che può dare una lettura dell’opera all’interno del più antico e importante manoscritto che ne possediamo. La Ciepielewska-Janoschka offre in questo volume la sua attentissima trascrizione del manoscritto Panciatichiano, frutto di uno studio paleografico che si avvale, tra l’altro, di un’analisi sistematica delle abbreviazioni e dei simbolismi grafici. Molto utile la statistica delle abbreviazioni. Questo studio, come pure lo spoglio linguistico, distingue i materiali tratti dai tre diversi testi che compongono il manoscritto, e perciò offre argomenti a eventuali riesami delle mani dei copisti, o dell’unico copista, che potrebbe aver operato in tempi diversi.12 Ampie le Note sulla lingua, dalle quali risulta un’origine piuttosto lucchese che pisana dal codice, d’accordo con Conte. Un argomento cui di solito non si presta l’attenzione che merita è l’interpunzione; invece la Ciepielewska, dedicandogli un intero capitoletto, si mostra consapevole non solo del rapporto tra interpunzione e sintassi, incluse le clausole, ma anche dell’influenza dell’impaginazione sull’uso dei relativi segni, che a volte hanno una semplice funzione estetica. Con questa edizione la signora Ciepielewska-Janoschka ottiene due risultati: quello fondamentale, diretto, è di fornire una trascrizione attendibile di un codice così importante; quello secondario, indiretto, è di proporre un modello di descrizione e di analisi a cui si dovranno attenere quanti vorranno allestire, per altri manoscritti, una trascrizione e descrizione analoga. Cesare Segre
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Nel codice si distinguono nettamente almeno due mani, scriveva Gianfranco Folena, in Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, Firenze, Sansoni, 1957, p. 122; si tratta invece della stessa mano a distanza di anni, secondo G. Pomaro, Ancora, ma non solo, sul volgarizzamento di Valerio Massimo, Italia Medievale e Umanistica 36 (1993), pp. 199–232, a p. 221, e Sandro Bertelli, Il copista del «Novellino», Studi di Filologia Italiana LVI (1998), pp. 31–45, alle pp. 43–44. La supposta prima mano include la prima trascrizione del Novellino, mentre la seconda sarebbe da attribuire all’altra mano.
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Sommario
1. Avvertenza ........................................................................................................... 1 2. Manoscritto consultato......................................................................................... 2 2.1 Manoscritto della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ........................ 2 3. Altri manoscritti citati .......................................................................................... 7 3.1 Manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ......................... 7 3.2 Manoscritti della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze ..................... 8 3.3 Manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana della Città del Vaticano. 9 3.4 Manoscritto della Biblioteca Marciana di Venezia ...................................... 9 4. Il titolo del «Novellino»..................................................................................... 10 5. Le piú note edizioni del «Novellino» ................................................................. 12 5.1 L’edizione gualteruzziana .......................................................................... 12 5.1.1 Le Ciento Novelle Antike................................................................ 12 5.1.2 Le Ciento Novelle Antike................................................................ 12 5.2 L’edizione Borghini ................................................................................... 12 5.3 Le edizioni critiche del «Novellino» .......................................................... 14 5.3.1 L’edizione Segre&Marti.................................................................. 14 5.3.2 L’edizione Lo Nigro........................................................................ 14 5.3.3 L’edizione Favati ............................................................................ 14 5.3.4 L’edizione Conte ............................................................................. 15 6. Le edizioni dei testi contenuti nel Panciatichiano 32 ......................................... 16 6.1 Itinerario ai luogi santi (ms. cc. 1r–8v) ...................................................... 16 6.1.1 L’edizione Gregorini ....................................................................... 16 6.1.2 L’edizione Dardano......................................................................... 16 6.2 Libro di novelle e di bel parlare gientile (ms. cc. 9r–43r) .......................... 16 6.2.1 L’edizione Biagi.............................................................................. 16 6.2.2 L’edizione Conte ............................................................................. 17 6.3 Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori (cc.43v–47r) ............... 18 6.4 Libro di Sidrach (cc. 47r–50v) ................................................................... 18 6.5 Le novelle di Pan2 e di Pan3 (cc. 51r–97v)................................................ 18 6.5.1 L’edizione Biagi.............................................................................. 19 7. Dall’Ur–Novellino alla raccolta vulgata: ipotesi di ricostruzione stemmatica ... 20
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8. Caratteristiche interne dell’Ur–Novellino .......................................................... 28 8.1 Il Prologo ................................................................................................... 28 8.2 L’ordinamento tematico delle novelle nel codex vetustior ......................... 33 8.3 Alcune considerazioni sulla tecnica narrativa nell’Ur–Novellino. ............. 36 9. Note sulla lingua del Panciatichiano 32 ............................................................. 40 9.1 Grafia ......................................................................................................... 40 9.2 Fenomeni generali...................................................................................... 45 9.3 Lessico ....................................................................................................... 48 9.4 Pronomi personali ...................................................................................... 48 9.5 Morfologia ................................................................................................. 49 9.6 Conclusioni ................................................................................................ 54 10. Osservazioni sui segni abbreviativi.................................................................. 57 10.1 Segni abbreviativi ................................................................................... 57 10.1.1 Il titulus ...................................................................................... 58 10.1.2 Il punto ....................................................................................... 63 10.2 Segni speciali ................................................................................ 64 10.3 Troncamento ........................................................................................... 67 10.4 Contrazione ............................................................................................. 67 10.5 Conclusioni ............................................................................................. 68 10.6 Appendice ............................................................................................... 71 11. Ars punctandi nel Panciatichiano 32 ................................................................ 87 11.1 Indicazione di paragrafo......................................................................... 87 11.2 La puntuazione....................................................................................... 88 11.2.1 Il periodus................................................................................... 88 11.2.2 Il doppio punto ........................................................................... 89 11.2.3 Il punto ....................................................................................... 91 11.2.3.1 L’uso del punto all’interno del periodo ...................... 94 11.2.3.2 Altri usi del punto....................................................... 95 11.3 Il discorso diretto ................................................................................... 96 11.4 Altri segni interpuntivi ........................................................................... 97 11.5 Conclusioni ............................................................................................ 97 12.
Criteri di trascrizione .................................................................................... 102
Testo ........................................................................................................................105 Riferimenti bibliografci............................................................................................451
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1 Avvertenza
Questo libro deriva dalla mia tesi di dottorato svolta sotto la direzione del prof. Max Pfister e discussa il 10 luglio 2003 presso l’Universität des Saarlandes in Germania. Desidero ringraziare soprattutto il prof. Cesare Segre che, qualche anno fa, con grande cordialitá e simpatia ha seguito il mio lavoro diventando punto di riferimento costante e prezioso per l’intero svolgimento del libro. Sono molto riconoscente alla prof. Halina Manikowska dell’Universitá di Varsavia, sul cui aiuto ho sempre potuto contare, nonché al prof. Harro Stammerjohann a cui devo l’affettuoso appoggio nei momenti di debolezza. Un particolare debito di gratitudine ho nei confronti di Halina Lorenc della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Grazie alla sua disponibilitá sono riuscita a risolvere non pochi problemi venutisi a creare durante il mio soggiorno in Italia. Colgo l’occasione per ringraziare pure suo marito Umberto che, insieme a Halina, mi ha dimostrato una grande ospitalitá ed un grande affetto.
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2 Manoscritto consultato
2.1 Manoscritto della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Pan = il Panciatichiano 32 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; cf. Guido Biagi, Le novelle antiche, Firenze, Sansoni, 1880; Alberto Conte (a cura di), Il Novellino, Roma, Salerno Editrice, 2001 (cc. 9r–43r); descrizione del ms. è tratta da: Gianfranco Folena (a cura di), Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 122–124; Sandro Bertelli (a cura di), I manoscritti della letteratura italiana delle origini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, Edizioni Galluzzo, 2002, pp. 169 s.: «Membranaceo, mm. 200x145, cc. 97; legatura moderna in assi e mezza pelle rossa. Al f. VIIr, l’indicazione del contenuto e l’ex libris Panciatichi, con due precedenti segnature: 138 (ripetuta sulla controguardia anteriore), e V.13. Sul dorso, il cartellino dell’attuale collocazione. La confezione del codice è, secondo Bertelli, opera di un unico copista che, dopo aver trascritto la sez.1 [Pan1], a distanza di pochi anni (non piú di un decennio) integrò la raccolta 1 con la sez. 2 [Pan2]. Così si spiegano alcune variazioni grafiche che appaiono a partire da c. 51r: r rotonda con un tratto discendente abbastanza pronunciato e la comparsa, a livello grafematico, di una k in luogo di ch. Allo stesso copista si ascrive un frammento di una Storia universale contenuto nel Laurenziano Gaddiano reliqui 88 (sec.XIV secondo quarto), e l’ultimo fascicolo del volgarizzamento dei ‹factorum et dictorum memorabilia› di Valerio Massimo, contenuto nel Laurenziano Acquisti e Doni 418 (sec. XIV secondo quarto). Sono dello stesso copista altri due manoscritti: il Magl. XXXVIII.127, databile al secondo quarto del sec. XIV, forse di poco posteriore alla sez.2; infine il Magl. XXII.28, databile alla metà del secolo».
cc. 1r–50v (Toscana occ., sec. XIV primo quarto, databile presumibilmente intorno al 13202): Itinerario ai luoghi Santi (cc. 1r–8v), acefalo; il titolo di mano secentesca lo designa come Viaggio d’oltremare; cf. Maurizio Dardano, Un itinerario dugentesco per la terra santa in Studi sulla prosa antica, Napoli, Morano Editore, 1992, pp. 140–150 (cc. 1r–8v).
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Per Aruch e Folena Pan2 è di mano diversa da quella di Pan1; cf. Aldo Aruch, Recensione a Le cento novelle antiche..., Rassegna Bibliografica della letteratura italiana 18 (1910), pp. 35– 51; Gianfranco Folena, Mostra di codici romanzi, cit., p. 123. Si cf. pure in proposito Lucia Battaglia Ricci, Leggere e scrivere novelle…in AA.VV., Atti del Convegno Internazionale. Il libro e il testo. Urbino, 20–23 settembre 1982, Università degli studi di Urbino, p. 632. Cf. Sandro Bertelli, Il copista del «Novellino», Studi di filologia italiana. Bollettino annuale dell’Accademia della Crusca, vol. LVI (1998), Firenze, p. 43.
Libro di novelle e di bel parlare gientile (cc. 9r–43r): 85 novelle incluso il proemio; esse seguono un ordine diverso da quello della stampa gualteruzziana e contengono racconti di cui l’edizione Gualteruzzi è priva (come, fra 31/32 la nov. di Messer Amari [modulo 53 della presente ed.]3 e fra 50/52 la nov. «Uno savio religioso…» [modulo 73, ibid.],4 corrispondenti, fondamentalmente, ai nn. I–LXXXI (prologo compreso) della vulgata. Fiori e vita di filosofi e d’altri savi ed imperatori (cc. 43v – 47r): cinque capitoli.5 Libro di Sidrach (cc.47r–50v): 23 capitoli, mutili alla fine per lacuna del codice.5 Scrittura: littera bastarda;6 rare note della stessa mano del testo; note marginali di altra mano del sec. XIV (integrazione delle rubriche). Iniziale filigranata bipartita rossa e azzurra a c. 9r; iniziali rosse e azzurre alternate; titolo rubricato; rubriche a partire da c. 47r. Alcuni fogli presentano, per usura, ampie cadute d’inchiostro; molti altri sono restaurati ai margini, ab antiquo, con strisce pergamenacee; restauro avvenuto dopo gli interventi marginali della mano trecentesca, che ha aggiunto le rubriche al testo del Novellino, e che può forse collocarsi al momento della composizione del codice. cc. 51r–97v (Toscana occ., sec. XIV secondo quarto, ascrivibile ad un periodo compreso tra il 1325 ed il 1330).7 (cc. 51r–63r); è la parte nota con la sigla di Pan2; essa contiene solo novelle: alcune sostanzialmente conformi a quelle del ms. Vaticano 3214 (dalla LXXII alla C, esclusa la LXXXI; ripetuta, a cc. 54v–55r, la nov. LXXX, già inclusa da Pan1: cc. 24v–25r) e base della vulgata, mancanti in P1. (cc. 63r – 97v), siglato da alcuni come Pan3,8 il ms. presenta una serie di 20 novelle in stesura piú ampia, di cui sette offrono una redazione piú estesa delle novv. 3, 5, 14, 46, 52, 62, 83 dell’ordine gualteruzziano, altre derivano da raccolte o fonti non identificate. Scrittura: littera bastarda con cambi di inchiostro. Iniziali rosse e azzurre alternate; rubriche fino a c. 62r. Molti fogli sono restaurati ai margini. I ff. 96 e 97 sono in pessimo stato di conservazione a causa sia dell’umidità sia della caduta di supporto.
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Modulo 31 dell’ed. Conte; nov. XXVII del ed. Biagi; cf. A. Conte, Il Novellino, op.cit., p. 207; G. Biagi, Le novelle antiche, cit. Modulo 51 dell’ed. Conte; nov. XLVII dell’ed. Biagi. Cf. p. 18. «Lo strumento scrittorio utilizzato, e che il copista del Novellino sembra prediligere, è dotato di una punta tagliata piuttosto larga. L’uso di una penna con queste e simili caratteristiche ha provocato un contrasto di peso degli articuli all’interno della catena grafica ben evidente. Non però così in Pan2, dove i tratti di attacco e stacco delle singole lettere rendono evidente che, al consueto taglio, si alterna una penna con punta piú sottile […] Un’alternanza che, correlata a leggeri cambiamenti di modulo e d’inchiostro, ha sempre suscitato, nei precedenti editori, l’immediata associazione di questi fenomeni allo avvicendamento di mani diverse imitanti il ductus di Pan.» Cf. Sandro Bertelli, Il copista del «Novellino», op. cit.; la citazione è a p. 37 s. Ibid., p. 44. Cf. Michelangelo Picone, Il racconto, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 607.
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Tav. I: Nel Pan1 ogni nov. inizia con una maiuscola miniata. Si notino le rubriche poste al margine, un’aggiunta posteriore e di un’altra mano (ms. cc. 18v e 19r).
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Tav. II: A cc. 51r–63r le novv. iniziano con un capolettera, ma una rubrica in rosso separa i singoli microtesti (ms. cc. 55v e 56r).
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Tav. III: A cc. 63r–97v fra alcune novelle viene lasciato uno spazio libero. Mancano rubricazioni (ms. cc. 88v e 89r).
3 Altri manoscritti citati
3.1 Manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 1) M = Magliabechiano Strozziano II.III.343 (già Magl. XXV.513, già Strozz., n. 286 in f0); descrizione in: Guido Biagi, Le novelle antiche, op.cit., pp. C–CI, che tuttavia attribuì il ms. ai «primi del sec.XIV»; la presente descrizione è tratta da: Gianfranco Folena (a cura di), Mostra di codici romanzi, cit., pp. 125 e sg: «Cartaceo, mm. 295x220, sec. XIV ex. XV; cc. 86. È composto di due mss. uniti insieme di cui il primo, da cc. 1 a cc. 11, contiene una Storia della guerra tra i Fiorentini e il Conte di Virtú di Goro di Stagio Dati e note di storia fiorentina; da ultimo (c. 12) distici proverbiali rimati. Nel secondo ms. si trovano, a cc. 3–71r, ‹Vite di filosafi› (non è il Fiore di filosofi, ma una redazione molto piú ampia e indipendente); a cc. 71v–86v un frammento del Novellino che abbraccia le novelle 6–58 dell’edizione gualteruzziana. Inoltre, tra la nov. 25/26 compare la nov. di Messer Amari (presente nel Pan1, n. 53) e tra 34/35 la novella ‹Uno savio religioso…› (nel Pan1 n.73); infine, tra 50/51 le due sentenze ‹Tre cose sono che non si possono mai amendare…› e ‹La verità e sí forte…› (che si ritrovano in Laur. Gadd. 193, e la prima anche nel Laur. 90.89, c. 73r; cf. Aldo Aruch, Frammenti del ‹Novellino›, GSLI 68 [1916], pp. 176–85); seguono 10 novelle di tradizione diversa e piú tarda: le prime 9 edite da Giovanni Papanti, Novelle antiche, Livorno, Vigo, 1871, dopo l’Appendix di Pan2 (nn. 24–32 della sua serie); l’ultima, ‹Uno romeo...›, lacunosa, è in G. Biagi, cit., p. CI».
2) Ma = il Magliabechiano VI.10.194; cf. Guido Biagi, op.cit., pp. XCIX–C; la descrizione è tratta da Sebastiano Lo Nigro, Per il testo del «Novellino», Giornale storico della letteratura italiana, vol. 141 (1964), p. 53; nonché da Mostra di codici romanzi, cit., p. 124: «Cartaceo, mm. 210 x 140, della prima metà del secolo XVI, cc. 92. Contiene le novelle 1–80 del Novellino simile a quello dell’edizione Gualteruzzi. Mutilo delle ultime 20 novelle, si interrompe a c. 92v con le parole ‹intra quali li mostrarono palle di›».
3) Pal = il Palatino 566; descritto in: Mostra di codici romanzi, cit., pp. 124 s.; Sandro Bertelli, Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, cit., p. 161, da cui si cita: «Cartaceo, mm. 298x218, della prima metà del sec. XIV, composito. Appartenne a Piero Del Nero, quindi alla Libreria dei Guadagni col N. 163 (f. 1r e cartellino sul dorso); infine passò a Gaetano Poggiali che al f. IVv annotò: Questo codice contiene una parte delle cento Novelle antiche pubblicate già nel ‘400, poscia dal Gualteruzzi, indi dal Manni ma di molto variante dalle copie stampate. Malamente da questi è stato intitolato il Novellino, sotto il qual nome, o titolo si potrebbe equivocamente intendere dell’opera di Masuccio Salernitano, che non ha nulla che fare colla presente. Il detto codice, detto Novellino, è sicuramente scrittura del ‘300, e quello annesso è del ‘400, ed è alquanto scorretto, e scarso di buone voci.
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La prima parte del codice (cc. 1–15), contiene frammenti del Novellino che corrispondono alle novv.: (cc. 1r–4v) 7–19; (cc. 5r–8v) 22–33; (cc. 9r–10v) 42–48; (cc. 11r–15v) 55–64 dell’ed. gualteruzziana. Sono acefale le novv. 6, 21, 41, 54, tronche le novv. 20, 49, 65. Scrittura: littera bastarda su base notarile; rare correzioni interlineari della stessa mano del testo. Rubriche; spazi riservati per le iniziali. I fogli sono laceri, alcuni con gravi perdite di testo (ora restaurati). Foglio 6, nella parte superiore, gravemente colpito dall’umidità; sul recto, una mano moderna ha ravvivato l’inchiostro delle prime 11 linee di scrittura; sul verso, gran parte della stessa porzione di testo è andata perduta. Da c. 16r a c. 225v segue un’altra sezione del tardo Trecento di cui fa parte un volgarizzamento della Prima Deca di Tito Livio, acefalo e mutilo in fine, e una serie di sonetti sui peccati mortali di Fazio degli Uberti».
4) Pal2 = il Palatino 659; descritto in Guido Biagi, Le novelle antiche, cit., pp. XCVII–VIII; nonché in Mostra dei codici romanzi, cit., p. 124 da cui si cita: «Cartaceo, mm. 220x155, della seconda metà del sec. XVI; cc. 66 numerate prima della scomparsa del primo foglio di guardia. Contiene a cc. 2r–65r le Cento novelle antiche derivate direttamente dalla stampa Gualteruzzi».
3.2 Manoscritti della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze 1) L = Laurenziano Gaddiano Reliqui 193; cf. Guido Biagi, Le novelle antiche dei codici Panciatichiano-Palatino N. 138 e Laurenziano Gaddiano N. 193, cit.; descrizione in Mostra di codici romanzi, cit., p. 31 ss. da cui si cita: «Membranaceo, mm. 225x170, sec. XIV (post. 1315), cc. 44, scrittura gotica corsiva. Il codice contiene: I) cc. 1r–7r, Libro di Cato, volgarizzamento dei Disticha Catonis in prosa; II) cc. 7v–9r, la Ballata per la rotta di Montecatini, componimento anonimo; III) cc. 9r– 11r, un trattato morale su ‹I sette modi di timori›; IV) cc. 11r–21r, frammento del Novellino, non rubricato, che contiene le novelle 23–59, secondo l’ordine vulgato. Inoltre, tra la nov. 34 e la 35 è inserito ‹Fue uno savio religioso… › [in Pan1 n. 51], e tra la nov. 50 e la 1 51 le due sentenze ‹Tre cose sono che non si possono mai amendare…› e ‹La verità è sí 2 forte…›, comuni al ms. Magliabechiano Strozziano II.III.343 [v. supra]; V) cc. 22r–41v, ‹i Fiori di filosafi›; VI) cc. 42r–v la Canzone del pregio di Dino Compagni; VII) c. 44, ‹Abici disposto per maestro Guidotto›».
2) L2 = Laurenziano XC sup. 89; cf. Aldo Aruch, Frammenti del «Novellino», Giornale storico della letteratura italiana 68 (1916), pp. 176–185; descrizione accurata in Angelo M. Bandini, Catalogus codd. Bibliothecae Mediceae Laurentianae, Firenze, MDCCXCII, t. V: «Cartaceo, mm. 217x145, seconda metà del sec. XV, cc. 209. È un codice eterogeneo di documenti e orazioni politiche, rime e scritti del Petrarca, di Leonardo Aretino ecc. A cc. 73v–74r si trova una novella ‹Fu una femmina molto bella, ma era molto folle e peccatrice›, seguita dalla sentenza ‹Tre cose sono che non si possono mai amendare›, e dalla
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Pubblicata da Aldo Aruch, Frammenti del Novellino, Giornale storico della letteratura italiana 68 (1916), p. 182. Pubblicata da Paolo A. Tosi, Le Cento novelle antiche secondo l’edizione del MDXXV corrette ed illustrate con note, Milano, 1825.
nov. 52 del Novellino secondo la stampa gualteruzziana. A cc. 178r–179r si trovano la nov. 3 9 secondo l’ordine vulgato, del fumo pagato col suono della moneta [in Pan1 n. 34] e 4 l’aneddoto ‹Una donna da Mantova›».
3.3 Manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana della Città del Vaticano V = Vaticano 3214; il primo ms. trascritto accuratamente da: Enrico Sicardi, Le cento novelle antiche, Strasburgo, Heitz, 1909;5 Cesare Segre / Mario Marti (a cura di), Il Novellino in La prosa del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi Editore, 1958, pp. 793–881; l’edizione recente di Conte segue sostanzialmente il testo di Sicardi e Segre, cf. Alberto Conte (a cura di), Il Novellino, Roma, Salerno Editrice, 2001; descritto da Luigi Manzoni, Il canzoniere Vaticano 3214, Rivista di Filologia Romanza I (1872), p. 71 ss.; Alberto Conte, Dall’Ur-Novellino al Novellino vulgato. Studi sulla tradizione e sul testo. Tesi di dottorato. Università degli Studi di Pavia, 1996, pp. 117 ss.: «Cartaceo, mm. 190x110, sec. XVI, cc. 170. Contiene, da c. 1r a c. 85v, ‹le Ciento novelle antiche› precedute dall’indice delle rubriche in rosso, nonché dal titolo Questo libro parla di alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di be’ risposi, e di belle valentie e di doni secondo ke per lo tempo passato anno fatti molti valenti huomini. Nelle cc. 86v–170 seguono le rime dei poeti duecenteschi. Il ms. appartenne a Pietro Bembo che lo fece trascrivere nel 1523 a Giulio Camillo Del Minio da un codice antico esistente a Bologna. Le novelle sono poste secondo ordine della stampa Gualteruzzi. Dato che l’ultima nov. è abrasa, i racconti, salvo il proemio, sono 99. L’explicit dice: Fine delle Cento novelle».
3.4 Manoscritto della Biblioteca Marciana di Venezia Mar = il Marciano Italiano cl.VI.211; descritto in Aldo Aruch, Il manoscritto Marciano del Novellino, Bibliofilia X (1908–1909), pp. 292–306: «Membranaceo, mm. 189x130, del secolo XVII. È copia di una seconda ristampa della ediz. gualteruzziana e, per qualche novella, fa uso della lezione giuntina curata dal Borghini nel 1572».
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Ed. Conte n. 12. Pubblicata da Aldo Aruch, Frammenti del «Novellino», GSLI 68 (1916), p.178. Cf. la recensione di Aldo Aruch, Rass. bibl. d. lett. ital. 18 (1910), pp. 35–51.
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4 Il titolo del «Novellino»
Nessun manoscritto superstite reca il titolo Novellino. Il codice piú antico, il Panciatichiano 32, è designato da una mano secentesca come: Viaggio d’Oltremare e Libro di Novelle e di bel parlar gentile. Solo Pan1 porta a c. 9r la rubrica: «libro di novelle e di bel parlare gientile». La titolazione Novellino apparve ufficialmente in fronte all’opera solo coll’edizione milanese di uno dei codici nel 1836,1 ma di tale nome si era già servito Giovanni Della Casa in una lettera del 27 luglio 1525 a Carlo Gualteruzzi.2 In quello stesso anno era uscita l’edizione del libro, voluta dal Bembo, coi tipi di
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Il Novellino o sia Le Cento Novelle antiche, nuova edizione fatta per cura dell’editore [Lorenzo Sonzogno] secondo le lezioni del Gualteruzzi e del Borghini, e colle note ed illustrazioni di quest’ultimo, del Manni, del Colombo e di altri, Milano presso l’editore Lorenzo Sonzogno, 1836. Cf. Guido Biagi, Le novelle antiche dei codici Panciatichiano Palatino 138 e Laurenziano-Gaddiano 193, cit., p. LXVII; si rinvia pure a Angelo Monteverdi, Che cos’è il «Novellino» in Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano-Napoli, Ricciardi Editore, 1954, pp. 127–165; Lucia Battaglia-Ricci, Novellino in Letteratura italiana. Le Opere. Vol. I: Dalle Origini al Cinquecento di Alberto Asor Rosa (a cura di), Torino, Einaudi, 1992, p. 61; Alessandro D’Ancona, Del Novellino e delle sue fonti, in ID., Studj di critica e di storia letteraria, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1912, p. 220; Sebastiano Lo Nigro (a cura di), Novellino e Conti del Duecento, cit., p. 14; Sandro Bertelli, Il copista del «Novellino», op. cit., p. 32. «A M. Carlo Gualteruzzi da Fano – A Bologna Pensavo avevi scritto che il sonetto che voi mi mandaste mi pareva buono, ed egli pare, secondo la vostra lettera, che non sia cosí. E’ ben vero ch’io dissi esso essere rubato; ma non per questo non lo intendea di biasimare. Voi non m’avete scritto l’autore. La lettera del Bembo mi pare divina, come credo che sia anco l’ingegno di lui; se ella piacesse cosí a Mons., li vasarj tornerebbono le cose loro in piazza. Non so come il Prevosto farà della sua beffa: ma per mio avviso quelli che l’hanno accusato, non han preso la cosa per il verso: e vedrete che essi si rimarranno col danno e con le beffe. Gli Vicentini hanno campato una gran furia: ed è men male, poi che se n’escono con la vita. Delli denari che voi intendete di rendermi, io vorrei essere tale che a me stesse bene ad offrirveli in dono, e voi non avessi rispetto a prenderli; benché tra noi non si devria guardar rispetto alcuno; anzi vi prego io se mi amate (come fate certo) a tenerli ch’io non ho bisogno alcuno, come potete credere: e voi ne avete forse per lo stampare il novellino, o altre vostre bisogne: il che quando non vogliate fare, dateli al mio Niccolò, il quale li terrà per qualunque di noi ne avrà piú tosto bisogno: e del rimanente, poi che pur vi piace di guardarlo per il sottile, voi mi fate ingiuria a favellarne, non che ad averne vergogna; la quale non ho avuto io a richieder voi quando paruto m’è. Il Beccatello ha commesso a M. Pellegrino quello ch’io avea commesso a lui de’ libri canonici; vedete che non se ne comprino due para. Li miei compagni vi risalutano, ed insieme si raccomandano alla S. di Orsino, ed io similmente. State sano. Dalla Badia alli 27 di luglio 1525 Gio. Della Casa vostro» Cf. Guido Biagi, cit., p. CLI.
Girolamo Benedetti e con il titolo «Le ciento novelle antike», suggerito dallo stesso Gualteruzzi. Egli aveva dichiarato espressamente in una dedica a monsignor Goro Gherio, vescovo di Fano, che il manoscritto, donde aveva tratto l’opera, era privo sia del titolo sia del nome d’autore.3
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Cf. G. Biagi, op. ult. cit., cap. I; A. Monteverdi, op. cit., p. 127.
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5 Le piú note edizioni del «Novellino»
5.1 L’edizione gualteruzziana Intitolata Ciento Novelle / Antike.1 In fine: Impresso in Bologna nelle / Case / di Girolamo Benedetti nel / l’anno MDXXV. Del / mese d’Agosto. // CON PRIVILEGIO. L’edizione contiene una dedica al «Reverendissimo monsignor Goro Gherio vescovo di Fano e dignissimo vicelegato di Bologna, signore e benefattor suo singolarissimo». Si tratta dell’editio princeps apprestata da Carlo Gualteruzzi in base a un codice perduto, collaterale del cod. Vaticano. 5.1.1 Le Ciento Novelle Antike Senza data e luogo di stampa. È una ristampa dell’edizione gualteruzziana del 1525.2 5.1.2 Le Ciento Novelle Antike Senza data e luogo di stampa. «È una seconda ristampa dell’ed.Gualteruzzi, aggiunta alle Cento Novelle scelte da’ piú nobili scrittori della lingua volgare a cura di Francesco Sansovino. In Venetia, appresso gli Heredi di Marchiò Sessa. Quarta impressione, 1571. Di questa Aggiunta si stamparono esemplari separati col titolo Le Cento Novelle Antike».3
5.2 L’edizione Borghini Intitolata Libro di / Novelle, et di bel / Parlar gentile / Nel qual si contengono Cento Novelle altra volta / mandate fuori da Messer Carlo / Gualteruzzi da Fano / Di nuovo ricorrette / Con aggiunta di quattro altre nel fine / Et con una dichiaratione d’alcune delle voci piú antiche. Con licenza, et Privilegio. // In Fiorenza / Nella Stamperia dei Giunti / MDLXXII. Si tratta dell’edizione curata da Vincenzo Borghini è tristemente famosa per l’arbitrio dell’editore. Secondo Biagi:
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Per la descrizione cf. Francesco Zambrini, Le opere volgari a stampa dei sec. XIII e XIV, 4a ed., Bologna, 1884, col. 612 segg. Di cui restano almeno tre esemplari (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, sezione Palatina; Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Rari V, 453; Biblioteca de’ Bardi presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze). Si cita da: Sebastiano Lo Nigro, Per il testo del «Novellino», cit., p. 55.
«[…] restano assolutamente infirmati il valore e l’autenticità dell’edizione del 1572 e si confermano a puntino i dubbi e i sospetti emessi dai bibliografi e dai critici su quella stampa [...] dimostrata pertanto l’apocrifità di essa, cadono di per sé non solo tutte le edizioni che si valsero di quel testo finora tanto decantato, ma cadono anche le opinioni e i giudizi emessi intorno all’età e all’autore del Novellino, che si fondavano sopra dati ricavati dallo esame del contenuto del testo borghiniano per tutto ciò in cui differisce dal Gualteruzzi. Monsignor Vincenzo Borghini può dunque a buon diritto chiamarsi il ‹rassettatore› cosí del 4 Novellino, come del Decamerone».
Di Francia la chiama «una vera e propria raffazzonatura non corrispondente ad alcun manoscritto, la quale può fare il paio con quella piú famigerata del Decameron, rassettato […] nel 1573 dai Deputati 5 alla correzione di esso e dal Borghini medesimo, secondo gli intendimenti della Inquisizione».
Come indicato da Biagi, nell’opera erano state eliminate 17 novelle dell’editio princeps: «[…] eccetto le novelle 57 e 86 notabili per la sconcezza loro e i cui protagonisti sono M. Agnesina e le altre femmine e quel tale con una ‹putta non molto giovane›, in tutte le rimanenti 15 novelle o si parla di gente della Chiesa, o di fatti della Scrittura, o si nomina in 6 qualche luogo Dio».
Queste novelle furono sostituite con altre 18 di provenienza diversa di cui 8 tolte dal ms. Panciatichiano 32 ed altre da autori vari dei primi del Trecento.7 Le 82 novelle
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Cf. G. Biagi, cit., p. CCI. Cf. Latterio Di Francia, Storia dei Generi Letterari Italiani. Novellistica. Vol. I: Dalle origini al Bandello, Milano, Casa Editrice Villardi, 1924, p. 26. Queste novelle sono: 6: Come a David re venne in pensiero di volere al postutto sapere quanti fossero i sudditi suoi; 7: Qui conta come l’Angelo parlò a Salomone e disse che torrebbe Domeneddio il reame al figliuolo per li suoi peccati; 12: Qui conta dell’onore che Aminadab fece al Re David suo natural signore; 16: Qui conta della misericordia che fece S. Paolino vescovo; 17: Della grande limosina che fece uno tavoliere per Dio; 18: Della vendetta che fece Iddio di uno Barone di Carlo Magno, 36: Qui conta come uno re crudele perseguitava i Cristiani; 37: Qui conta di una battaglia che fu tra duo re di Grecia; 39: Qui conta del vescovo Aldobrandino come fu schernito da un frate; 54: Qui conta come il Piovano Porcellino fu accusato; 57: Di M. Agnesina da Bologna; 62: Qui conta una novella di messer Roberto; 75: Qui conta come Domeneddio s’accompagnò con un giullare; 86: Di uno che era fornito a dismisura; 91: Come uno si confessò da un frate; 93: D’un villano che s’andò a confessare; cf. G. Biagi, cit., pp. CLXVII–CLXVIII e p. CLXXI. Le novelle sostituite sono: 5: Qui conta come per subita allegrezza uno si morio; 6: Come un fabbro si riscosse d’una questione; 11: Come non è bello lo spendere sopra le forze; 15: Come un vecchio havendo fatta cortesia si giudica vicino a morte; 16: Di certe pronte risposte e detti di valenti huomini; 17: Della cortese natura di Don Diego di Fenaia; 35: Nuova cortesia del Re Giovane d’Inghilterra; 51: Come il Saladino si fece cavaliere, et il modo che tenne M.Ugo di Tabaria in farlo; 54: Qui conta come una vedova con un sottile avviso si rimaritò; 59: Qui conta una bella provedenza d’Ipocras per fuggire il pericolo della troppo allegrezza; 65: Qui conta di due ciechi che contendeano insieme; 68: Qui conta come fu salvato uno innocente dalla malitia de’ suoi nemici; 74: Qui conta di certi, che per cercare del meglio perderono il bene; 85: Come si dee consigliare, e de’ buoni consigli; 89: Della gran cortesia de’ gentil’ huomini di Brettinoro; 92: Qui conta d’un nobile romano, che conquise un suo nemico in
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rimaste, secondo quanto sostenuto da Lo Nigro, sarebbero state riprodotte in base ad un esemplare della ristampa senza data.8 Preme tuttavia sottolineare che, quanto alla esistenza di una tale ristampa cui Lo Nigro fa riferimento, nessuno dei critici citati nel presente studio si pronuncia in maniera esplicita al proposito. Anzi, D’Ancona sostiene espressamente che un codice che avrebbe riprodotto «non solo nel dettato, ma anche negli argomenti delle novelle l’edizione del Borghini […] a tutt’oggi non si è trovato».9
5.3 Le edizioni critiche del «Novellino»10
5.3.1 L’edizione Segre&Marti Si tratta di Il Novellino curato da Cesare Segre / Mario Marti, inserito nel volume La Prosa del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi Editore, 1958. Gli autori danno il testo in 100 novelle sulla base di V, correggendo gli errori evidenti sulla scorta degli altri testimoni. 5.3.2 L’edizione Lo Nigro Intitolata Novellino e Conti del Duecento, pubblicata a Torino nell’anno 1964. Vi si presenta prima la raccolta di 100 novelle, quindi le novv. di Pan1 ed L. Il testo ha come base il cod. Vaticano 3214 del quale, con l’aiuto del Palatino 566, sono stati corretti gli errori e le lacune. Per la parte mancante di quest’ultimo l’autore si è servito del Pan2. 5.3.3 L’edizione Favati Intitolata il Novellino. Testo critico, introduzione e note, pubblicata a Genova nel 1970. Essa è fortemente criticata da Segre che la ritiene contestabile quasi in ogni punto:
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campo; 99: Come Tristano per amore divenne forsennato; 100: Come un re per mal consiglio della moglie uccise i vecchi di suo reame; cf. G. Biagi, cit., pp. CLXXIII–CLXXIV. Cf. Sebastiano Lo Nigro, Per il testo del Novellino, Giornale storico della letteratura italiana, vol. 141, Torino, Casa Editrice Loescher–Chiantore, (1964), p. 55. Alessandro D’Ancona, cit., pp. 386 s. Circa le fonti del centonovelle, di cui la prima parte riporta in modo abbastanza fedele Ur Novellino, è fondamentale lo studio di D’Ancona [A. D’Ancona:1912, pp. 299–359], che le successive ricerche sono riuscite solo in parte ad ampliare; indi, quello di Di Francia [Latterio Di Francia:1930] la cui edizione delle Cento novelle antiche contiene accurati riferimenti afferenti alle ascendenze di ogni apologo. Un contributo altrettanto valido è indubbiamente quello di Besthorn [Rudolf Besthorn:1935], un approfondimento non solo delle fonti, ma altrettanto l’analisi della discendenza di quelle novelle presenti nel codice Panciatichiano di cui è priva la vulgata, nonché delle novelle edite dal Papanti [Giovanni Papanti:1871]. Molto valido resta lo studio recente di Conte [Alberto Conte:2001, pp. 301–393] che, oltre alla citazione della fonte, mette in risalto le differenze redazionali tra i moduli del Pan1 e i corrispondenti moduli della vulgata.
«Favati […] innova con violenza, presentando nella sua edizione un ordine e una numerazione che non corrispondono ad alcuno dei testimoni antichi. Anzitutto egli sottrae il prologo alla numerazione, diminuendo di un’unità il numero apposto alle novelle successive sino a 19; poi fonde assieme le novelle 19 e 20 di VGz, creando una novella XVIII e sottraendo un’ulteriore unità alle novelle che seguono sino a 25. Poi, ed è piú grave, inserisce una novella XXIV e una novella XXXIV […] presenti, e in posizioni diverse, la prima solo 11 in P1S, la seconda in P1GS».
5.3.4 L’edizione Conte Pubblicata nel 2001 a Roma, Salerno Editrice, ed intitolata Il Novellino. Vi si presenta in prima posizione il testo vulgato, in cento novelle, basato sul codice Vaticano cui segue il testo del Libro di novelle e di bel parlare gientile detto anche UrNovellino. Secondo quanto sostenuto dallo stesso autore, la trascrizione del ms. Vaticano 3214 è, in sostanza, simile a quella di Segre, mentre quella di Pan1 si scosta in piú punti dalla ed. Biagi. Ambedue i testi sono privi di errori piú evidenti sulla scorta degli altri testimoni.12
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Cf. Cesare Segre, Sull’ordine delle novelle nel «Novellino» in AA.VV., Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, I. Dal Medioevo al Petrarca, Firenze, 1983, pp. 129–139, la cit. è a p. 133. Per un giudizio negativo al riguardo cf.: Aldo Menichetti, Cultura Neolatina 29, 1969, pp.114–118; Alberto Conte, Il Novellino, cit., p. 284. Cf. A. Conte, Il Novellino, op. cit., p. 285. Vedi anche p. 18 del presente studio.
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6 Le edizioni dei testi contenuti nel Panciatichiano 32
6.1 Itinerario ai luogi santi (ms. cc. 1r–8v)
6.1.1 L’edizione Gregorini Pubblicata nel 1896 in appendice ad un articolo dedicato allo studio di un gruppo di itinerari trecenteschi toscani (Le relazioni in lingua volgare dei viaggiatori italiani in Palestina nel sec. XIV in «Ann. R. Sc. Norm. Sup. Di Pisa», pp. 69–80). Stando a quanto sostenuto da M. Dardano,1 l’edizione risulta inutilizzabile per frequenti errori di lettura (di cui l’editore offre un ampio elenco), modernizzamenti grafici, nonché la mancata indicazione di integrazioni. 6.1.2 L’edizione Dardano Pubblicata in «Studi medievali», s.III, VII, 1966, pp. 160–169; ripubblicata in Studi sulla prosa antica con il titolo Un itinerario dugentesco per la terra santa, Napoli, Morano Editore, 1992. Il testo è riprodotto fedelmente (al massimo con qualche ammodernamento grafico ed interpuntivo); un’introduzione all’Itinenario ed un commento sui principali fenomeni linguistici corredano il testo. Gli errori di trascrizione sono sporadici, per es.: 2r–9, 10 Et qui|ne medesimo ae due pezzi di quello marmo ms. Et quÕ|ne medesÕmo ae due altrÕ pezzÕ dÕquello marmo; 3r–21 aqu|a ms. acqu|a; 4r–2 mancha ms. manca; 4v–14 è ms. he. Non tutte le correzioni fatte dall’editore sono segnalate in nota: 3v–18 Scalona e Bettelem ms. Scalona ɡbettelem per ‘Scalona con Bettelem’. Inoltre, l’editore non segnala in alcun commento al testo di aver collegato brani che nel codice risultano distinti da una littera notabilior.
6.2 Libro di novelle e di bel parlare gientile (ms. cc. 9r–43r)
6.2.1 L’edizione Biagi Si tratta dell’edizione semidiplomatica curata da G. Biagi [Firenze 1880] ed intitolata Le novelle antiche dei codd. Panciatichiano–Palatino 138 e LaurenzianoGaddiano 193. Purtroppo l’edizione risulta insoddisfacente: 1) nel ms. sono separati
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Cf. M. Dardano, op. ult. cit., p. 122 ss.
da una littera notabilior i moduli che l’editore, arbitrariamente, unisce dando loro la seguente numerazione II, XVI, XXIII, XXIV, LXXXII, LXXXIV, LXXXVI; occorre al tempo stesso puntualizzare che nel codice nessun modulo è numerato; 2) nell’edizione compaiono errori di trascrizione con, a volte, erronee soluzioni di compendi, nonché numerosi errori d’interpretazione, per esempio:2 I–7 amò ms. ama per ‘amà’;3 III–21 pretiose ms. prezÕose; III–26 sembra ms. senbra; III–39, 43, 50 Messere ms. Meɀ ‘Messer’; IX–9 Salomone providde ms. Salamone sÕɁuÕdde; IX–51 giorano ms. gÕurano; XI–29 ingeneravasi ms. ÕngÕenerauasÕ; XI–32 molte sentenzie n’ebbe ms. molte sentenzÕe uebbe; XXII–11 diliberato di ms. dÕlÕberato da; XXII–28 defunti ms. dÕfuntÕ; XXIII–17 Anco ms. Ancho; XXIV–3 cavaliero ms. cavalÕere; XXIV–16 egli ms. ellÕ; XXIV–22 presto ms. pÕu tosto; XXVI–15 herbette ms. erbette; XXXV– 13 iscienze ms. ÕscÕenzÕe; XXXVIII–1 sanza ms. senza; XXXVIII–45 nemico ms. nÕmÕco; XLVI–15 conpagno ms. conpangno; LIII–2 et dera ms. 7 dera per ‘ed era’; LIII–5 Ballaaz ms. Ballaa3 ‘Ballaam’; LVII–11 prudenzia ms. ɁuedenzÕa ‘provedenzia’; LVII–12 insegneroe ms. Õnsengneroe; LXX–20 pretiose ms. prezÕose. Non mancano parole/interi brani omessi da Biagi, p. es.: III–24 quale ti senbra piú riccha valuta ms. quale tÕsenbra dÕpÕu rÕccha Ualuta; III–44: et io vi dicho che voi foste figliuolo4 ms. 7 Õo uÕdÕcho ÕudÕco che voÕ foste fÕglÕuolo; XV–6 mandò per lo Re David che lli piacesse di venire co moltitudine di gente, perciò ch’elli dottava del canpo. ms. mando ȸlo Re davÕd chellÕ pÕacesse | dÕuenÕre alloste comoltÕtudÕne dÕgente ȸcÕo chellÕ | dottaua delcanpo lo Re sÕmosse ÕnɃcɃotanente 7 ando | nelcanpo; XIX–8 providesi d’oservare l’uno et l’altro, cioè misericordia et iustizia; et sentenzioe che allo figliuolo ms. ɁuÕdesÕ do|seruare luno 7 laltro cÕoe mÕserÕcordÕa . 7 IustÕzÕa ÕudÕ|coe 7 sentenzÕoe che allo fÕglÕuolo; XXIII–15 Lo Giularo (andò) allo padre ms. logÕularo ando allo | padre; LXXV–4 allegrarssi sopra la fonte, et l’onbra facea lo simigliante. Credette che quella fosse persona sua che avesse vita ms. alegrarssÕ sopra lafon|te 7 lonbra sua facea losÕmÕglÕante credette che qu|ella fosse ȸsona che auesse UÕta; Un’aggiunta superflua: XXIV–10 Lo cavaliere era pieno di verghonosa verghogna: lil mise sotto ms. locaualÕere pÕeno dÕue|rghonosa uerghogna lÕlmÕse sotto. 3) Il testo è corredato da una serie di note, ciononostante non tutti gli interventi dell’editore vi trovano la loro spiegazione. 4) talvolta Biagi dimostra, con errata punteggiatura, di non aver compreso il testo5 5) L’edizione di Biagi è priva di Itinerario ai luoghi santi che, in verità, costituisce la parte integrante del codice. 6.2.2 L’edizione Conte Inserita in Il Novellino a cura di Alberto Conte, op. cit., pp. 165–264. Un ottimo
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Cf. anche Alberto Conte, Cenni sull’edizione di Biagi in Dall’Ur-Novellino al Novellino vulgato…, cit. pp. 111–116. L’analisi di Conte si limita alle cc. 9r–43r del codice Panciatichiano 32. Cf. ed. Conte, cit., 165. Nella nota a piè di pagina Biagi spiega: ms. vi dicho vi dico. Si confronti Cesare Segre, È possibile un’edizione critica del Novellino? in Da una riva e dall’altra. Studi in onore di Antonio d’Andrea, Firenze, Edizioni Cadmo, 1995, p. 63; Maurizio Dardano, Varianti della tradizione del Novellino, Rivista di cultura classica e medievale, a.VII, nn. 1–3, gennaio-dicembre (1965), p. 389.
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esame linguistico, nonché molto utili note di commento corredano il testo. C’è da dire, comunque, che le osservazioni di Conte non sembrano complete nella parte dedicata ai criteri di trascrizione del Libro. Infatti, egli dichiara di aver sciolto le abbreviazioni di: per, pro, pre, ser; ricorda la presenza nel cod. del titulus, del trattino ondulato sovrapposto e corrispondente a r, della nota tironiana 7, del segno particolare per la preposizione con; infine dichiara di aver interpretato IHS XPS in Gesú Cristo;6 tuttavia non dedica neanche una parola alle abbreviazioni per contrazione presenti nel florilegio, ad esempio: aƯa (per anima), sɃco (per sancto/santo), ɒpo/tɃpo (per tenpo/tempo), ɒra (per terra) ecc.; nessuna menzione del segno somigliante ad un due arabico impiegato in corpo di parola per indicare il nesso er in et2nale o di un altro segno somigliante a un 3 arabico per idicare m [vedi oltre, sez. 9].
6.3 Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori (cc.43v–47r) Come indicato sopra [v. p. 3] il codice contiene solo un frammento dei Fiori di filosafi. Essi fanno parte della già citata edizione Biagi.7 D’Agostino nella sua edizione dei Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori8 dichiara di essersi basato soprattutto sui codici completi pur avendo tenuto conto degli altri mss., fra cui del Panciatichiano 32.9 Nel codice i brani dei Fiori di filosafi compaiono nella sequenza IX, XIV, VIII, XXVII, XXVIII secondo l’edizione D’Agostino.
6.4 Libro di Sidrach (cc. 47r–50v) Si tratta di 23 capitoli di una versione indipendente dall’edizione pubblicata da Bartoli10 e che invece sembra dipendere dal testo francese del Riccardiano 2758.11 Essi fanno parte della già citata edizione Biagi.12
6.5 Le novelle di Pan2 e di Pan3 (cc. 51r–97v) Va precisato che alcune delle venti novelle di Pan3 sono state pubblicate da Papanti in Catalogo dei novellieri italiani in prosa raccolti e posseduti da Giovanni Papanti, aggiuntevi alcune novelle per la maggior parte inedite, Livorno, 1871.
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Vedi A. Conte, Il Novellino, cit., p. 290. Cf. G. Biagi, cit., pp. 85–93. Cf. Alfonso D’Agostino (a cura di), Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1979. Ibid., p. 14. Adolfo Bartoli, Il Libro di Sidrach. Testo inedito del sec. XIV, Bologna, 1868. Cf. S. Bertelli, I manoscritti, op. cit., p. 170; Mostra di codici romanzi, op. cit., p. 123; A. Bartoli, op. ult. cit., p. XXI. G. Biagi, Le novelle antiche, op. cit., p. 93–104.
6.5.1 L’edizione Biagi Riguardo a questa edizione, restano valide le osservazioni espresse a p. 16 s. del presente studio. Ci si limita ora ad indicare alcuni errori di lettura, nonché a qualche svista dell’editore: CVIII–4 albergho ms. albergo; CX–10 perck’io ms. ȸkÕo; CXV–12 anchora ms. ancora; CXVI–11 scienza ms. scÕenzÕa; CXXX–7 chè ms. ke; CXXXIII–9 sententia ms. sentenzÕa; CXXXIII–17 guadagno ms. guadangno; CXXXVII–7 homo ms. huomo; CXXXIX–40 questione ms. quÕstÕone; CXLI–14 E’ detti ambasciadori ms. LÕde|tti ambascÕadorÕ; CXLI–20 E’franceschi ms. LÕfrancÕeschÕ; CXLII–25 una certa fune ms. concerta fune; CXLIII–155 grecho ms. greco; CXLIII–161, 166 et ms. e; CXLIV–63 onbra ms. ombra; CXLIV–66 ombra ms. onbra; CXLIV–76 cerchando ms. cÕerchando; CXLV–20 questi ms. quellÕ; CXLVI– 91 rovini ms. tornÕ; CXLVII–73 choltello ms. coltello; CXLVII–85 Dio ms. ÕdÕo; CXLIX–45 ingiegnoso ms. ÕngÕengnoso; CLIV–143 aparechiare ms. aparecchiare; CLIV–193 palaffreno ms. palafreno; CLVI–70 richi ms. rÕcchÕ; CXXXIX–31 XII gettò via ms. xÕÕ negetto uÕa.
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7 Dall’Ur-Novellino alla raccolta vulgata: ipotesi di ricostruzione stemmatica
Come problema filologico, la questione del Novellino nacque nell’anno 1880 con la scoperta del codice Panciatichiano 138 fatta da Alessandro Wesselovsky. La sua comparsa pose nuovi interrogativi sull’intero quesito che da allora gravitano precipuamente intorno alla minore o maggiore autorevolezza di uno dei due rami della tradizione: quello della vulgata e quello del Pan. Sulla base delle caratteristiche esterne dei manoscritti, Aruch1 giunge ad ipotizzare che la raccolta originaria dovesse comprendere almeno 122 novelle il cui principale tramite sarebbe rimasto il Panciatichiano nelle sue due sezioni P1 e P2: «[...] distinguo il cod. Panciatichiano in due parti di origine e quindi di valore diverse. Nella prima (c.9° – 50b), si trova [...] un’ampia raccolta di novelle cui è preposto un proemio e un titolo. Questa raccolta sarà di per sé da considerare come un codice del Novellino [...] La seconda parte del ms.Panciatichiano [...] (c. 51°–62°) è da considerare come rappresentante parte di un ms. perduto, di un ramo genealogico diverso [...] ciò che segue nel codice 2 da c. 62° sino alla fine [...] non ha riscontro in nessun altro ms. conosciuto».
Nel volgere degli anni, le successive revisioni della raccolta avrebbero portato alla riduzione nel numero delle novelle: prima a poco piú di cento, infine fissando a cento la quantità degli apologhi. Nel tentativo di ricostruire lo stemma codicum, Aruch suddivide i codici del Novellino in due sottoclassi. Da un lato i mss. che rappresentano l’ordinamento delle novelle di tipo gualteruzziano (con rubriche poste dinanzi ad ogni narrazione): il Vaticano 3214, il Magliab. VI 194, il Palatino 659, il Palatino 566, nonché il Pan2. Dall’altro il Pan13 e i codici Magliabechiano II.III.343 e Laurenziano-Gaddiano 193 (chiamati, per brevità, M e L), privi di rubriche e di numerazione alle novelle: «I due rami della tradizione, che chiameremo l’uno A, quello di Pan, e l’altro B, hanno fra loro diversità grandi nella disposizione delle novelle che han comuni o che l’uno o l’altro hanno lor proprie. Evidentemente rispecchierà meglio la raccolta primitiva quello dei due rami che ci permette di spiegare la formazione dell’altro. Messi pertanto a confronto gli ordinamenti di A e B, risulta che quello di B sia sorto per via di scelte successive fatte da una raccolta di cui Pan, quanto alla forma, ci rappresenta meglio di ogni altro ms. noto la prima
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Cf. Aldo Aruch, Le cento novelle antiche: il Novellino, Rassegna bibliografica della letteratura italiana 18 (1910); Il suo metodo è stato analizzato da Alberto Conte, Ur-Novellino e Novellino: ipotesi di lavoro, Medioevo romanzo 20 (1996), pp. 75–115. A. Aruch, cit., p. 46. Nello stemma di Aruch anziché Pan1 si vede solo Pan. Mentre Pan2 fa parte delle redazioni con rubriche.
parte, forse la maggiore, della quale raccolta il ramo B conserva altre novelle appartenenti 4 all’ultima parte di quella».
In definitiva, prosegue Aruch, l’ignota raccolta sarebbe formata dagli 85 capoversi distinti da iniziale colorata che sono in Pan dal proemio (nov. 1) alla nov. 50°, piú altri 37 (le due sentenze di M e L, le nov. 51–59, 72–79, 82–100), in totale almeno 122 capoversi, compreso il proemio, i quali potranno ridursi, in ultima analisi, a 121, se si rinunzia a consiederare la nov. 86, mancante nel codice piú autorevole della redazione con rubriche Pan. Non è improbabile – a suo parere – che nella raccolta primitiva le narrazioni dopo la nov. 50 fossero in numero maggiore di quelle pervenuteci, poiché probabilmente i codd. di B – ovvero Gz, V, P, Pan2 – non ce le tramandano tutte.5 L’ipotesi di Aruch è accettata e ulteriormente precisata da Monteverdi. Secondo egli la raccolta originaria fosse composta da un Libro di bel parlare gentile, piú completo però che non sia nel ms. Panciatichiano: essa doveva cioè contenere, oltre a 85 novelle del Pan1, le novelle che quivi mancano delle Cento antiche, poi «le due sentenze dei manoscritti strozziano e gaddiano, infine, senza dubbio, altre novelle che si sono perdute, o che si trovano singolarmente in qualche codice».6 Dalla raccolta originaria qualcuno ne trasse un’altra, meno estesa: «Di questa seconda e minore raccolta conservano frammenti il manoscritto strozziano e il 6 gaddiano».
Infine, una terza raccolta venne tratta dalla seconda tramite l’eliminazione di qualche apologo e con il numero delle novelle fissato a cento. «Questa terza raccolta è rappresentata dall’edizione gualteruzziana, dal manoscritto vatica6 no e dagli altri affini».
Lo schema di Monteverdi è il seguente (in esso O = raccolta originale di 120/130 novelle; X = la seconda raccolta di piú di 100 novelle in nuovo ordine; Y = la terza di 100 novelle rubricate; P1 = la prima serie del ms. Panciatichiano; P2 = la seconda serie; S = il ms. Strozziano; G = il Gaddiano; V = il Vaticano; A = il Palatino 566; B = il Magliabechiano VI 194; C = il Palatino 659; Gz = l’edizione gualteruzziana):6
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Ibidem, p. 48 s. Ibidem, p. 49 s. Cf. A. Monteverdi, Che cos’è il «Novellino», cit., p. 133 s.
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Secondo Conte, lo stemma proposto da Monteverdi non è impeccabile. In realtà, sostiene lo studioso, nonostante Monteverdi definisca con maggiore esattezza rispetto ad Aruch i rapporti esistenti tra i mss. S G e i testimoni con rubriche, egli trascura importanti attestazioni degli altri codici conducendo la sua dimostrazione sulla base di confronto tra Pan1 con il solo Gz. In piú, ascrivendo S e G allo stesso sottogruppo Z non tiene conto delle due sentenze, ossia quella di Tre cose sono e La verità è sì forte.7 Quanto allo stemma di Lo Nigro, esso è fortemente deprecato da Favati e Menichetti per la valutazione poco convincente del problema ecdotico del Centonovelle.8 Alla luce della sua congettura, i manoscritti del Nov. vanno divisi in due grandi famiglie Į e ȕ di cui la prima rappresentata dal solo P1, mentre la seconda dai mss. M, L, L2, Pal, Pan2, V e dalla stampa Gz:
La possibilità di ricostruire il subarchetipo ȕ, spiega Lo Nigro, da cui dipenderebbero, piú o meno direttamente, tutti i manoscritti esistenti, ad eccezione del solo Pan, «ci permette di risolvere con relativa facilità e sicurezza non pochi dei problemi che il testo del Nov. ha sollevato finora. Parimenti non sarà difficile intravedere il subarchetipo Į, al
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Cf. A. Conte, Dall’Ur- Novellino al Novellino, op. cit., p. 30. Cf. G. Favati, Introduzuine, cit., p. 20 e sg, nota 2; Aldo Menichetti, Cultura Neolatina 24 (1964), p. 115 s.
quale non si potranno attribuire i molti errori e le innovazioni di Pan, come lascia supporre 9 la testimonianza di M e L».
Lo schema confuta Menichetti: «L’intero stemma, del resto rivoluzionario rispetto a quelli precedentemente proposti, è di una regolarità dicotomica troppo ferrea per non apparire subito irreale».
Segre lo definisce «malcerto e contraddittorio».10 Favati11, anch’egli sottoposto a una forte critica, pur sostenendo che V e Gz sono da considerare meno autorevoli di Į, ovvero del gruppo di mss. contenenti rubriche, parte da essi per concludere che l’archetipo dovesse contenere 100 novelle, e precisamente le novelle della vulgata che sarebbero 98 (egli non numera il prologo e riunisce le nov. XIX e XX) piú la nov. di Messere Amari e la nov. Fue uno savio religioso. Cosa piú importante, mentre negli schemi Aruch–Monteverdi (e in quello di Lo Nigro) il primo ramo Į è rappresentato dal solo Pan1, isolato contro tutti gli altri testimoni facenti capo a ȕ, in quello di Favati, nonostante le prove addotte da Besthorn12 e da Monteverdi13 a favore dell’isolamento di Pan1, allo stesso ramo di Pan1 appartengono anche G e S:
Se cosí fosse, spiega Conte, l’ordinamento di V e Gz (cosiddetto «delle cento novelle») troverebbe una conferma in due testimoni, e cioè in G e S appunto, discendenti dal subarchetipo concorrente, e logicamente dovrebbe essere considerato originario. Pan1, trovandosi secondo questa ipotesi in contrasto, oltre che con i testimoni dell’altro ramo, anche con G e S all’interno dello stesso ramo, testimonierebbe un’iniziativa isolata del suo copista.14 I dubbi sollevati dallo schema di Favati sono ampiamente discussi da Segre nel suo saggio Sull’ordine delle novelle nel Novellino.15
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Sebastiano Lo Nigro, Per il testo del Novellino, Giornale storico della Letteratura italiana, vol. 141, Torino, Casa Editrice Loescher-Chantore, (1964), p. 58. Cf. Aldo Menichetti, Cultura Neolatina 29 (1964), pp. 114–118; Cesare Segre, Sull’ordine delle novelle nel «Novellino» in Studi in onore di Vittore Branca .I. Dal Medioevo al Petrarca, Firenze, Olschki, 1983, p. 132. Cf. G. Favati, op. cit., p. 18. Rudolf Besthorn, Ursprung und Eigenart der älteren italienischen Novelle, Halle, Niemer Verlag, 1935. A. Monteverdi, Che cos’è il Novellino, cit., pp. 134–139. Cf. A. Conte, Ur-Novellino e Novellino..., p. 77. Difatti, spiega Segre, mentre la nov. XVIII segue in P1 fedelmente la sua fonte, la Historia Karoli Magni et Rotholandi dello Pseudo Turpino, in ȕ «è vilolentemente abbreviata. Quel
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Fra i critici che accettano lo stemma Aruch–Monteverdi non mancano coloro che mettono in dubbio la possibilità di ricostruire la raccolta originaria. La Mulas, per esempio, ipotizza l’esistenza di un’aggregazione di florilegi autonomi. Alla luce delle sue considerazioni, il Novellino sarà nato come una raccolta di dimensioni piú ridotte della vulgata e dotata del Prologo: «In fasi successive questa raccolta deve aver subito almeno due trasformazioni: una (rappresentata da Pan1) che tentava di ricondurla entro il modello e i canoni della letteratura esemplaristici [...] e una (rappresentata dalla vulgata) che ne rispettava l’impianto e il tono originari, ma la ampliava (con la probabile aggiunta delle novelle dell’ultima parte), fissan16 dola nella misura di centonovelle, ne ammodernava la lingua [...] e la dotava di rubriche».
Congettura, questa, benché interessante, è confutata da Conte, perché non fondata su solide argomentazioni.17 Resta vero, tuttavia, che le novelle dell’ultima parte del Nov. mostrano caratteristiche particolari coll’apertura verso il mondo popolare e per l’ambientazione precipuamente fiorentina, diversi dal resto dell’opera e non attestate nel complesso di Pan1. Per la Battaglia Ricci la solidarietà tra A e V, limitata ad un certo numero di novelle, può solo dimostrare l’appartenenza dei due testimoni – e degli altri testualmente affini – ad una famiglia, ma non l’eccellenza di questa famiglia, data l’inaffidabilità dei stemmi codicum testé esposti. Di conseguenza, la possibilità che «P1 non attesti la forma originaria, bensí una rielaborazione personale del copista dello stesso P1 (o del suo antigrafo) [...] convive con la possibilità che sia invece A (o il suo an18 tigrafo) il libero adattamento compiuto da un ‹copista per passione [...]›».
E prima ancora Segre: «non esistono dunque motivi stemmatici per preferire l’uno o l’altro ordinamento».
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C’è da dire però che, nel suo studio piú recente, Segre considera in modo esplicito la redazione di 100 novelle «un’inveterata» suggestione operata su di noi da V e Gz. Scrive a proposito lo studioso:
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che piú conta, in P1 l’avventura riguarda un cavaliere di Carlo Magno, mentre in ȕ (SAVGz), assurdamente, riguarda l’imperatore stesso (che sarebbe cosí morto durante la guerra contro i Saraceni), in seguito ad una evidente caduta di alcune parole: ‹Essendo Carlo Magno ad oste sopra li Saracini, ad uno suo cavaliere (omesso da ȕ) venne l’ora della morte›. Il Favati dichiara preferibile la redazione ȕ, rifacendosi a S. Battaglia […] che aveva indicato come possibile fonte della redazione breve una narrazione della Legenda aurea (e aveva considerato come spurie, nella redazione P1, due frasi che hanno invece precisa corrispondenza […] nello pseudo-Turpino) […] Resta però che Jacopo da Varazze, come lo pseudo-Turpino, attribuisce la vicenda ad un cavaliere di Carlo Magno. Insomma, l’errore di sostituire Carlo al cavaliere è solo di ȕ, mentre P1 è d’accordo con tutte le fonti latine, per la lezione genuina». Pure l’esame della nov. XXV (XXIII Favati) fa pendere l’ago della bilancia alla superiorità della lezione di Pan1, già sottolineata da S. Lo Nigro (op. cit., p. 102); cf. C. Segre, Sull’ordine, op. cit., p. 135, nota 8. L. Mulas, cit., pp. 164 e 165. A. Conte, Ur-Novellino e Novellino, cit., p. 79. Cf. L. Battaglia Ricci, Novellino, cit., p. 67. Cf. C. Segre, Sull’ordine..., op. cit., p. 130.
«Se, com’è evidente, l’aggiunta delle rubriche è opera di un ramo ȕ […] e se, fatto di ancor maggior rilievo, la numerazione delle novelle manca in tutti i testimoni, salvo V e Gz, si può tranquillamente supporre che nell’originale le novelle si susseguissero separate soltanto da un rigo e/o da una maiuscola miniata […] Nulla dunque per far risaltare che le novelle fossero, seppure lo sono state, 100. Per contro, abbiamo già constatato, piú frequentemente in ȕ, ma talora anche in P1, la tendenza a fondere assieme novelle unite dall’identità del protagonista […] in verità la raccolta cosidetta di 100 novelle ne contiene almeno 114. Si impone dunque l’idea che la raccolta originale fosse costituita, per dir cosí, di moduli in successione: essi potevano essere fusi assieme dall’arbitrio dei copisti. Questo riguarda P1 come il subarchetipo ȕ, che vuol raggiungere il numero 100, in verità utilizzando 114 moduli. Ma non è nemmeno vero che i prodotti del subarchetipo ȕ contengano effettivamente una redazione in 100 novelle, se si escludono i cinquecenteschi V e Gz. A parte che nessuno di questi manoscritti è completo, va sottolineato che S, analogamente a P1 […] inserisce altre novelle estranee tra quelle della raccolta: se dunque fosse completo, supererebbe di molto il numero di 100 […] E ancora, e soprattutto: S e G condividono spesso con P1 la separazione di moduli fusi in ȕ, confermando che il numero 100 è stato instillato nella 20 mente di filologi moderni dal modello di V e Gz».
Accettando la tesi di Aruch, secondo la quale l’ordinamento primitivo sarà quello da cui sia deducibile quello concorrente, Conte, richiamandosi al suo stemma, ipotizza Pan1 essere, anziché «il primo stadio redazionale», il rappresentante di una raccolta che sta proprio prima di quello che noi chiamiamo Novellino: «Indicherei in Pan1 l’Ur-Novellino, in G e S la prima redazione del Novellino, con novelle in un nuovo ordine e con l’aggiunta di nuovi apologhi, senza rubriche e numerazione; V e 21 Gz, invece, rappresentano sicuramente la redazione ultima, piú lontana dall’originale».
Lo stemma proposto dallo studioso – letto, piú che dall’alto al basso, da sinistra a destra, secondo la successione di ß a ß2 – è il seguente (in esso P1 e P2 = le due sezioni del cod. Panciatichiano 32; S = ms. Magliabecchiano-Strozziano II.III.343; G = Gaddiano rel. 193; A = Palatino 566; L= Plut. 90 sup., 89; V = Vaticano 3214; Gz = editio princeps di Carlo Gualteruzzi):22
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Cf. Cesare Segre, È possibile un’edizione critica del Novellino? in Da una riva e dall’altra. Studi in onore di Antonio d’Andrea a cura di Dante Della Terza, Firenze, Edizioni Cadmo, 1995, pp. 61–68; la cit. è a p. 65. Cf. A. Conte, cit., pp. 79–91. La cit. è a p. 91. Cf. A. Conte (a cura di), Il Novellino, Roma, Salerno Editrice, 2001, p. 278.
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Nello stemma il raggruppamento ȕ attesterebbe la ristrutturazione, per mezzo di selezioni e aggiunte, dell’ordinamento originario del florilegio rappresentato piú fedelmente dal Libro di novelle e di bel parlare gientile di Pan1. In effetti, spiega Conte, i testimoni AV e Gz presentano degli errori congiuntivi che li farebbero risalire ad un loro comune ascendente all’interno di ȕ. In piú, gli errori congiuntivi che V e Gz hanno in comune farebbero pensare ad un loro ascendente diretto e collaterale di A. Riguardo a quest’ultimo, condividendo alcune varianti con VGz e altre con Pan1GSC, il cod. Palatino 566 deriverebbe dallo stesso capostipite da cui deriva l’ascendente diretto di VGz, ma attesterebbe una redazione anteriore rispetto alla vulgata, testimoniando una fase intermedia tra la prima ristrutturazione, rappresentata con maggiore fedeltà da SG, della raccolta originaria e la definitiva sistemazione «delle cento».23 Secondo Conte, i mss. GS24 appartengono sicuramente a ȕ dati gli errori che hanno in comune con VGzA e dato che non condividono gli errori significativi di Pan1. Per di piú S e G presentano una serie di varianti loro propria. Nel caso di S,25 il codice fa parte di ȕ, perché presenta «il nuovo assetto della raccolta» e condivide «con gli altri testimoni errori congiuntivi e varianti rispetto a Pan1, ma attesta anche un numero rilevante di varianti in accordo con Pan1 (e alternative a quelle degli altri manoscritti di ȕ); questo può significare che esso testimonia una fase antica di ristrutturazione, ancora vicina alla redazione di Pan1 […] pur condividendo con gli altri manoscritti non so26 lo il nuovo ordinamento ma anche la maggior parte delle varianti».
Pure G27 condivide insieme a S alcune varianti redazionali con Pan1. Esiste tuttavia un interessante gruppo di varianti SG che si giustappongono sia a varianti di Pan1 sia a varianti di VGzA. Si può supporre, spiega Conte,
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Per un’analisi dettagliata cf. A. Conte, Dall’Ur-Novellino al Novellino, op. cit., p. 15 ss. In entrambi i manoscritti, come in Pan1, mancano le rubriche e la numerazione. In S le due novelle corrispondenti ai paragrafi 29 e 75 di Pan1 sono già accostate, ma non sono ancora unite insieme. In S sono ancora separati i moduli 9, 10, 27, 28 di Pan1 che in A risultano uniti.; vi è presente la nov. di Messere Amari assente in VGzA. Op. ult. cit., p. 44. A differenza di S in G le due sentenze Tre cose sono che non si possono mai amendare… e La verità e sí forte… si trovano ormai unite insieme.
«che siano state introdotte da ȕ già nella prima fase di ristrutturazione della raccolta originaria, ma che siano state eliminate a partire dalla redazione di A e non piú attestate nemmeno nella vulgata. Così le varianti di SGA (o di SA, in mancanza di G) alternative a quelle di Pan1 da un lato e di VGz dall’altro, saranno state introdotte nella fase originaria del riordi28 no, ma le avrà eliminate la vulgata, che a sua volta introduce altre innovazioni».
Visto che S mostra, in accordo con Pan1, delle varianti testuali alternative a quelle degli altri testimoni; e visto che G concorda con S e Pan1, in piú condivide alcune varianti con solo S, talvolta alternative a varianti di Pan1 e alle varianti di VGzA, si può asserire, prosegue Conte, che «i due manoscritti sono molto vicini tra loro, o forse che attestano due redazioni simili, che sono piú vicine a Pan1 di quanto non lo siano quelle di A e della vulgata. D’altra parte [...] oltre alle varianti di SG ce ne sono altre di Pan1S che si contrappongono a quelle di GAVGz: ciò significherà che G, pur derivando dallo stesso capostipite di S, tuttavia presenta già varianti ulteriori, alcune delle quali continueranno nelle fasi successive (altre saranno eliminate nella vulgata). G potrebbe derivare da un collaterale dell’ascendente di S, e da quel collaterale potrebbero derivare anche VGz e A: la redazione di G si pone come intermedia tra quella di S e quella successiva in cui saranno introdotte le rubriche, e rimane comunque molto simile a quella di S, sia considerando le varianti che le caratteristiche 29 esterne».
Dall’analisi di Conte si evince in modo esplicito che il ramo ȕ non potrebbe derivare direttamente da Pan1, ma da un suo affine. Nel contempo la redazione di Pan1, contenente Libro di novelle e di bel parlar gientile con il numero di novelle inferiore a cento, non è mutila, bensí rappresenta l’Ur-Novellino. Come giustamente sottolinea Segre, grazie alle ricerche di Conte, lo schema storico del Novellino si fa sempre piú complesso e la raccolta appare sempre piú stratificata in fasi evolutive susseguitesi velocemente nell’arco di uno o due decenni e conclusesi solo nel primo quarto del Cinquecento, quando lo stesso Decameron è ormai diffuso come un classico.30
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Cf. A. Conte, op.ult.cit., p.44. Ibidem, p. 45. Cf. C. Segre, Presentazione a Il Novellino di A. Conte, op. cit., p. IX.
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8 Caratteristiche interne dell’Ur-Novellino
8.1 Il Prologo Restando invariato in Pan1 e in VGz, ergo nel manoscritto piú antico e in quelli piú recenti, il Prologo conferisce all’intero florilegio un’identità, un’integrità che si consolida attraverso diverse «trasformazioni» subite dal testo che gli hanno modificato la forma e la dimensione. Secondo la Mildonian1 ivi, la dedicatio d’ispirazione evangelica cui segue l’appello morale al proprio pubblico ricollegherebbero il florilegio alla topica tradizionale.2 Eppure, a differenza della parte iniziale di numerose raccolte di exempla,3 qui l’esaltazione della parola sarebbe finalizzata ad un utile esclusivamente «estetico»
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Paola Mildonian, Strutture narrative e modelli retorici. Interpretazione di «Novellino», Medioevo romanzo 6 (1979), pp. 63–97. La studiosa poggia sull’edizione Segre&Marti. Il sermone medievale era solito incominciare con un passo della Scrittura come tema; cf. C. Delcorno, Giordano da Pisa..., cit; Per la topica degli exordia v. Ernst R. Curtius, Exordialtopic in op.cit., pp. 95–99. Per uno sgardo rapido sulla tradizione dell’exemplum latino si rinvia a: Thomas F. Crane, The exempla or illustrative stories from the Sermones vulgares of Jacques de Vitry, London, Publications of the Folk-Lore Society, 1890; Frederic C. Tubach, Exempla in the Decline, Traditio XVIII (1962), pp. 407–417; Salvatore Battaglia, La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli, Editore-Liguori, 1965; Cesare Segre, Le forme e le tradizioni didattiche. Didattica morale, religiosa e liturgica in Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters. Volume 6. La litterature didactique, allerorique et satirique, Heilderberg, WinterUniversitätsverlag, 1968; Rudolf Schenda, Stand und Aufgaben der Exemplaforschung, Fabula X (1969), pp. 69–85; James J.Murphy, Ars praedicandi: The Art of Preaching in Rhetoric in the Middle Ages…, California, University of California Press, 1974; Alberto Forni, Giacomo da Vitry, predicatore e sociologo, La cultura 18 (1980); Hans R.Jauss, I generi minori del discorso esemplare come sistema di comunicazione letteraria in Michelangelo Picone, Il racconto, Bologna, Il Mulino, 1985; Jacques Le Goff, L’exemplum in Il racconto di M. Picone (a cura di), op. cit.; Claude Bremond/Jacques Le Goff/Jean C.Schmitt, L’exemplum, Turnhout, Brepols, 1982; Carlo Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione in volgare, Firenze, Olschki, 1975; C. Delcorno, Rassegna di studi sulla predicazione medievale e umanistica, Lettere italiane 33 (1981); C. Delcorno, Studi sulla predicazione medievale e umanistica, Lettere italiane 33 (1981); C. Delcorno, Nuovi studi sull’exemplum, Lettere italiane 36, N.1, gennaio–marzo, Firenze, Olschki (1984); C. Delcorno, La diffrazione del testo omiletico. Osservazioni sulle doppie «reportationes» delle prediche bernardiniane in Lettre italiane 38 (ottobre–dicembre 1986), pp. 457–477; C. Delcorno, Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, Bologna, il Mulino, 1989.
ed «edonistico», quindi difficilmente collocabile in una prospettiva meramente didascalica: «E [se] in alcuna parte, non dispiacendo a lui, si può parlare, per rallegrare il corpo e sovenire e sostentare, facciasi con piú onestade e [con] piú cortesia che fare si puote». (Segre&Marti, Nov.I) «E | se inn alcuna parte, no(n) dispiacendo a llui, si può ho|mo p(ar)lare p(er) allegrare li corpi nostri e sovenire e so|stenere, facciasi co(n) piú honestità e co(n) | piue cortesia che far si può ... » (Pan., c.9r:10–14)
Il passaggio dalla sfera del giudizio etico a quella del giudizio estetico, quest’ultimo sintomatico della novella trecentesca, è ormai evidente. Infatti, la virtú non è piú l’obiettivo esclusivo del racconto, «demonstratio che si sviluppa in seno ad un universale», bensí è funzionale ad esso, giacché il racconto richiede, per essere possibile, «cortesia e onestade» nel narratore cosí come «nobiltà e gentilezza» nel destinatario (Voi ch’avete i cuori gentili e nobili...).4 Similmente, prosegue la Mildonian, l’enunciazione dell’argumentum e l’exhortatio parrebbero a ragione in rapporto diretto con la tradizione dell’exemplum, se anche qui non si insistesse sulla varietà di contenuti:5
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A differenza di Battaglia che inserisce l’intero Novellino nella cultura dell’exemplum, sottolineando come suo unico elemento di differenziazione la pratica piú raffinata della brevitas, la Mulas spiega il concetto della brevità in termini di riduzione dell’evento ai suoi elementi essenzialmente funzionali alla costruzione dell’intreccio e non piú alla messa in risalto della sua esemplarità. Segre, a tal riguardo, parla della «rottura» con l’exemplum e con la maggioranza delle forme della narrativa breve, essa consiste: 1) nell’eliminazione pressoché generalizzata della moralità, «sostituita da una morale implicita o da un’altrettanto implicita pedagogia della vita […] Molte novelle si risolvono nel puro gusto di narrare: sia quelle di argomento cavalleresco, con la loro patina romanzesca, sia quelle di ambiente contemporaneo, non gravate da un passato d’interpretazioni»; 2) nel gusto del particolare, «si vedano nella nov. XCIX le coincidenze, gli stati d’animo, le evenienze casalinghe, i movimenti di gruppo, i paesaggi, le finezze e le astuzie della bella avventura amorosa»; 3) negli effetti di realtà tramite «localizzazioni precise e verosimili, con riferimenti a personaggi della storia e della cultura anche contemporanea»; 4) nel ‘bel motto’. Non resta in sostanziale accordo con quanto appena esposto Fedeli, il quale vede nella parte finale del proemio la conferma del carattere paradigmatico di testi, che dovranno fornire, almeno nelle intenzioni, modelli di comportamento («E chi avrà il cuore nobile e intelligenzia sottile sí li potra simigliare... »). Le novelle di ambientazione classica, in particolare romana, offrirebbero ai lettori le virtú civiche dei Romani come esemplari: «[...] il loro stile presenta quel carattere di essenzialità che è tipico dell’exemplum ed è ben lontano dai toni realistici e vivaci di altre novelle della raccolta. Anche nel Novellino, quindi, il mondo antico continua ad essere presente per il suo carattere di esemplarità»; cf. Salvatore Battaglia, Dall’exemplum alla novella in La coscienza letteraria..., cit.; Angelo Monteverdi, Che cos’è il «Novellino», cit., p. 153; Luisa Mulas, cit., p. 139–153, la cit. è a p. 149 s.; Cesare Segre, La novella e i generi letterari in Atti..., cit., p. 51 e sg; Paolo Fedeli, Modelli classici della novella italiana in Atti..., cit., p. 322. Cf. P. Mildonian, art. cit., p. 68 s.
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«facciamo qui memoria d’alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di belli risposi e di belle valentie, di belli donari e di belli amori» (Segre&Marti, Nov.I) «facciamo qui | memoria d’alquanti fiori di p(ar)lare, di belle cortesie, | di belli risponsi, di belle valentrie, di belli doni e | di belli amori» (Pan., c.9r:16–20)
L’anonimo scrittore risulta quindi ben consapevole delle regole cui ricorre. Ciò si evince altrettanto dalla forma dell’excusatio con la quale egli ci spiega l’abbandono, qualche volta, delle norme della brevitas: «E se i fiori che proporremo fossero misciati intra molte altre parole, non vi dispiaccia; ché ’l nero è ornamento dell’oro, e per un frutto nobile e dilicato piace talora tutto un orto, e per pochi belli fiori tutto un giardino». (Segre&Marti, Nov.I) «E se lli fiori che proporemo fosseno meschiati tra | molte altre parole, no(n) vi dispiaccia, ché llo nero he | ornamento dell’oro et p(er) un frutto nobile e dilicato | piace talvolta tutto un orto, et p(er) pochi belli fiori | tutto un giardino». (Pan., c.9r:25–9v:1) «gioiosa metafora – conclude Mildonian – con cui s’invita a riconoscere nella propria scrittura i pregi dell’ornatus e, anche se in forma piú velata, quella tecnica della dispositio nella quale, sin dall’epoca imperiale, si provava la maggiore abilità dell’oratore e in cui ri6 siede la struttura portante del racconto».
In realtà, in Italia l’ars arengandi non fu mai meno importante dell’ars dictandi e nella fase matura dell’epoca comunale la retorica costituí una parte della politica.7 Ciò spiega la preoccupazione degli italiani per l’organizzazione delle singole frazioni dell’orazione o dell’epistola ed in specie: dell’esordio (affidato alla captatio benevolentie), dell’inventio, quindi della dispositio e dell’actio.8 Non a caso l’ars loquendi e scribendi assunsero presto quel valore dell’‹arte› da foggiare ogni discorso umano; scriveva Brunetto Latini: «che piccola forza è quella di sapienzia s’ella nonn è congiunta con eloquenzia...» Proprio tale concezione di retorica riconosce Mulas9 nel Novellino. Secondo la studiosa, le novelle costituiscano quivi una specie di paradigma delle situazioni locutorie registrabili «nel gran cerchio del mapamondo della terra»: «le argomentazioni, i motti, le facezie, le belle risposte, le sentenze, insomma tutti gli avvenimenti di parola che il testo mette in scena, al di là della loro irripetibile concretezza circostanziale, vengono proposti dal Prologo come possibili discorsi di riuso (li potrà simigliare). L’analogia con le raccolte di dicerie, ambascerie, parlamenti, ecc. è, in questo senso, pertinente, e serve specialmente, al di là della comune propensione a costruire modelli
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Ibidem, p. 70; Per ulteriori chiarificazioni sulla natura della dispositio, inventio ed elocutio si rinvia a Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 1989, pp. 57–114; Heinrich Lausberg, Elemente der literarischen Rhetorik, München, Hueber, 1963, parr. 49–63. Qui si vuole solo ricordare alcuni testi come: la Rhetorica novissima di Boncompagno da Signa, la Rettorica di Brunetto Latini, il Flore di parlare di Ser Giovanni Fiorentino, le Dicerie di Matteo de’Libri, l’Oculus pastoralis, infine i Parlamenti di Guido Faba ed il Fiore di Rettorica di Guidotto da Bologna. Cf. Cesare Segre, La sintassi del periodo nei primi prosatori italiani in Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, Milano, Feltrinelli, 1963. La Mulas poggia sull’edizione Segre&Marti.
di discorso, a rilevare delle differenze: nella raccolta novellistica il discorso–modello contestualizzato in un racconto può essere riferito a tutta quella varietà di situazioni locutorie che Brunetto riassume col dire ‹tuttodie ragionano le genti insieme di diverse materie›; non solo, dunque, a situazioni codificate (cause, ambascerie, delibere, ecc.), ma anche a quelle 10 non sistematizzabili della vita quotidiana».
Il modello dei sermonari cosí esplicito nell’esordio: «Quando lo Nostro Signore Gesú Cristo parlava umanamente con noi, infra l’altre sue parole, ne disse che dell’abondanza del cuore parla la lingua». (Segre&Marti, Nov.I) «Quando il Nostro Singniore Iesu Cristo parlava | humanamente co(n) noi, fra l’aultre sue parole | ne disse che della baldanza del cuore parla la | lingua». (Pan., c. 9r:2–5)
ritorna – secondo la Mulas – per operare lo sdoppiamento della funzione del destinatario. A badar bene, spiega la studiosa, dopo l’iniziale evocazione delle parole di Cristo, il testo passa subito a Voi che avete ... per coloro che non sanno e disiderano di sapere. È proprio questa la parte dell’esordio che la Mulas interpreta secondo la distinzione in destinatari primari e secondari. I primi saranno coloro che, dotati di cuore gentile e di sottile intelligenza, vengono chiamati a «simigliare», ossia imitare, i modelli di bel parlare che la raccolta offre per riproporrli a destinatari di secondo grado («coloro che non sanno e disiderano di sapere»).11 Ciò corrisponderebbe ancora una volta a quanto si riscontra nelle summe di exempla e nei sermonari ad uso dei frati predicatori: ivi, ad un primo grado, il testo è destinato al predicatore, il quale, a sua volta, deve proporre gli insegnamenti contenuti negli exempla al piú vasto uditorio dei fedeli.
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Si rinvia a L. Mulas, op. cit., p. 57. E mentre le situazioni codificate, sottolinea la studiosa, restano, per sommi capi, in funzione dell’autorità imperiale del primo e del secondo Federico (ed. Segre&Marti, nn. II, XXI, XXII, XXIII, XXIV); dei grandi signori, dei rettori delle città fra cui: Ezzelino da Romano (nn. XXXI, LXXXIV, ibid.), Paolo Traversaro (n.XLI, ibid), Giacopino Rangone (n. XLIII, ibid.), Lizio di Valbona e Rinieri da Calboli (n. XLVII, ibid.), Castellano de’ Cafferi (n. LXXXVIII, ibid.); dei baroni, cavalieri, uomini di corte e prelati: Riccar Loghercio (n. XXXII, ibid.), Imberal del Balzo (n. XXXIII, ibid.), Roberto d’Ariminimonte (n. LXII, ibid.), il Saladino (n. XL, ibid.), Marco Lombardo (n. XLIV, LV, ibid.), Beriuolo (n. LVIII, ibid.), Bito fiorentino (n. XCVI, ibid.); dei giurisperiti: Bulgaro e Martino (n. XXIV, ibid.), Francesco d’Accorso (n. L, ibid.); dei vescovi: il vescovo Aldobrandino (n. XXXIX, ibid.), il vescovo Mangiadore (n. LIV, ibid.); dei medici: Mastro Giordano (n. XI, ibid.), Mastro Taddeo (n. XXXV, ibid.) o quello di Tolosa (n. XLIX, ibid.); dei trovatori e dei poeti: Guglielmo di Bergdam (n. XLII, ibid.), Messer Alamanno (n. LXIV, ibid.), Migliore degli Abati (n. LXXX, ibid.); la vita quotidiana subentra con maggiore insistenza insieme ai vari personaggi come: gli studenti (n. XXXV, ibid.), i mercanti (nn. XCVII, XCVIII, ibid.), Madonna Agnesina (n. LVII, ibid.), la comare della crostata (n. XCII, ibid.), la cortigiana (n. LXXXVI, ibid.), il piovan Porcellino (n. LIV, ibid.), la gente di contado (ed. Segre&Marti, n. XCV). Circa la presunta appartenenza dello autore all’ideologia ghibellina si rinvia a A. Paolella, op.cit., pp. 172–174; G. Biagi, cit., pp. XXXVII–XXXVIII. L. Mulas, cit., p. 40.
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«Coloro che hanno cuore nobile e intelligenza sottile sarebbero, piú o meno, dei predicatori laici, incaricati di mediare presso un piú vasto pubblico dei modelli di comportamento 11 (verbale, amoroso, sociale, ecc.) ispirati alla cultura dei ‹gentili e nobili›».
L’autore avrebbe in tal modo disegnato una chiara gerarchia socio–culturale con i nobili e gentili sul gradino piú alto: «acciò che li nobili e gentili sono nel parlare e ne l’opere quasi com’uno specchio appo i minori, acciò che il loro parlare è piú gradito, però ch’esce di piú dilicato stormento [...]» (Segre&Marti, Nov. I) «Acciò che lli nobili e gentili sono nel p(ar)la|re e ne l’op(er)e molte volte quasi come uno specchio | alli minori, acciò ch’è loro parole piú gradito, p(er)ciò | che escie di piú dilicato stormento [...]» (Pan., c. 9r:13–16)
cioè capaci di fornire piú alte prestazioni tanto nelle parole quanto nelle opere, e, al di sotto di essi, i minori, ossia non nobili per nascita, suddivisi essi stessi in due categorie: persone colte con cuore nobile e intelligenzia sottile e quelle incolte che non sanno e disiderano di sapere.11 In fatto di materia, poi, non vi è dubbio che, per il nostro scrittore, la raccolta doveva restare una scelta del meglio da conservare nella memoria o da imitare: «facciamo qui memoria di alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di belli risposi e di belle valentie, di belli donari e di belli amori, secondo che per lo tempo passato hanno fatto già molti». (Segre&Marti, Nov. I) «facciamo qui | memoria d’alquanti fiori di p(ar)lare, di belle cortesie, | di belli risponsi, di belle valentrie, di belli doni e | di belli amori, secondo che p(er) lo tempo passato ànno | fatto giae molti». (Pan., c. 9r:16–20)
L’idea stessa di fiore – prosegue la Mulas – che appare in fronte all’elenco dei temi rimane, di nuovo, in rapporto diretto con una lunga tradizione latina e volgare di testi di carattere morale, didattico od esemplare. Tuttavia basta tener conto della successiva varietà tematica (parole, amori, doni, cortesie ecc.) per capire che l’autore intenderebbe questo termine piú vicino a racconto/novella. In effetti, la raccolta non seleziona fiori di virtú, o di filosafi, o di parlare ecc., ma li riunisce sicché non pare infondata, alla fine del Prologo, la metafora del giardino. «Questa attitudine a rappresentare la multiformità del reale, senza badare agli steccati tematici posti tradizionalmente a guardia dei confini dei generi, è, come già si vede nei vari rami del Novellino, compreso il codice piú antico, e come si conferma in tutta la successiva 11 tradizione novellistica, l’elemento piú icastico della forma novella».
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8.2 L’ordinamento tematico delle novelle nel codex vetustior Gli schemi compositivi evidenziati dal Prologo sono sempre un punto di partenza, e nodo gordiano, per ogni discorso critico sull’ordinamento delle novelle vuoi nel ms. piú antico vuoi nella raccolta cosiddetta ‘delle cento’.12 In linea di massima, e ciò
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Riguardo al Novellino, Favati [G. Favati 1970:28 ss.] suddivide le novelle in dieci gruppi di dieci novelle ognuno, organizzati per argomenti o temi, a guisa di un vero e proprio preDecameron: 1–10 Atti o sentenze capaci di ristabilire il giusto; 11–20 Virtú sociali ed educazione atta a farle acquisire; 21–30 Storie di gabbo; 31–40 Inadeguata riflessività ed i suoi effetti; 41–50 Argomentazioni corrette e argomentazioni capziose; 51–60 Azioni illecite; 61–70 Saggezza; 71–80 Beni perduti, avidità delusa; 81–90 Morti ingiuste e morti meritate; 91–100 Indecorosità, goffaggine, stoltezza. Classificazione, questa, risulta però tutt’altro che ineccepibile. Infatti, in base a quali criteri riconoscere nella XXI (n. XIX secondo la numerazione di Favati) il tema delle virtú sociali, nella XCIX «indecorosità, goffaggine, stoltezza» o il tema della saggezza in LXIII e in LXIV? Segre [C. Segre 1983:134] contesta della classificazione di Favati troppa mescolanza di categorie medievali e contemporanee, di definizioni contenutistiche e formali di cui il Prologo non fa, in verità, alcun cenno: «l’ordinamento ragionato delle novelle cosí come il Favati credette di vederlo, non sussiste». Hall [J. Hall 1984:12], posto al vaglio il Novellino, non vi scorge alcuna base solida da cui evincere una simile tipologia: «I see no basis for Favati’s assertion». In piú, lo studioso, pur accettando l’ipotesi che le novelle saranno organizzate in gruppi di dieci apologhi ciascuno, spiega in seguito: «The author evidently chose not to make his system of composition explicit: perhaps when he began his task he had a scheme of rubrics in mind, but as the work proceeded he found he could not fit the stories into it with any rigour. The tales he collected were enormously varied, but had many elements in common, so that most of them could fit into several of any categories he might devise». [J. Hall 1984:18] Segre [C. Segre 1995:794 s.], poggiando sulla raccolta di cento novelle, vulgo sul codice Vaticano, ritiene di potervi enucleare alcuni blocchi tematici molto piú compatti: «Le prime novelle celebrano, coerentemente al piano generale, esempi di saggezza, dapprincipio solenni e nobilmente inscenati (II, III, IV, V, VI, VII, VIII), poi piú modernamente sottili e spiritosi (IX, X); un secondo ciclo si potrebbe intitolare alla magnanimità (le ‘belle valentie’ e i ‘belli donari’): liberalità, generosità, giustizia (XII, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXV) [...] segue un gruppo di racconti di tipo piú tradizionale, volti cioè a celebrare virtú cardinali o a bollare vizi (XXVI, XXVIII, XXX, XXXIII) [...] Molto bene si enuclea piú avanti una serie dedicata alla società cavalleresca (le ‘belle cortesie’) [...] (LX, LXIII, LXIV, LXV). Subito dopo i racconti di ambiente classico, specialmente romano (LXI, LXVII, LXIX, LXXI) [...] Attorno ai blocchi ora segnalati vagano, infittendosi alla fine della raccolta, le brevi novelle, quasi sempre contemporanee (XXVII, XXXI, XXXV, XXXIX, XL, XLIII, XLIV, XLVII, LV, LVII, LVIII, LXXVII, LXXX, LXXXVI – LXXXIX, XCI), il cui culmine ed ultimo fine è il ‹motto›: risposta dove col minimo di mezzi e col massimo di icasticità e di risonanza si concentra un giudizio acuto di sé e degli altri [...] Infine non mancano nel Novellino (si tratta dei ‘belli amori’) gli abbandoni fantastici». Picone [M. Picone 1995:613], partendo dalla categorizzazione fatta da Segre, la modifica e ne fa una griglia ben piú elastica: «All’inizio della raccolta troviamo infatti delle serie di novelle il cui collegamento è garantito da una similarità tematica (come i nn. II–X che propongono esempi di saggezza, o i nn. XII–XXV che sviluppano esempi di magnanimità); già all’interno di queste serie si notano però dei sottogruppi formati in base a criteri memoriali (come i nn. XVI–XVII ricavati dalla lettura delle Vitae Patrum, e i nn. XIX–XX ripresi dai Conti di antichi cavalieri); verso il centro e la fine dell’opera si osservano invece nuclei no-
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vale per tutti i codici provvisti del proemio, tra modello occidentale e orientale, tassonomico e fonomenologico, l’autore della raccolta avrà preferito il primo, cioè il concatenamento tematico dettato dalle esigenze personali del raccoglitore: nel senso che esso segue il filo della memoria esterna (la sollecitazione delle fonti) e interna (le associazioni mentali) dell’autore.13 Vero è che, a differenza di VGz, nel Panciatichiano 32 il procedimento classificatorio risulta spesse volte molto piú simile ai dettami della letteratura esemplaristica. A testimoniare ciò sarebbero moduli senza sviluppi narrativi, ma pure il congiungimento di diverse unità narrative sotto un’unica categoria morale. L’impressione di disordine che, talvolta, possiamo ricevere in certi casi sarà causata, sostiene a ragione la Battaglia Ricci, piú dalla nostra distanza culturale che ad una effettiva sregolatezza.14 Ma questi rapporti col taglio esemplaristico che Pan conferisce al florilegio diventano uno spunto perché la Mulas possa avanzare una seguente congettura:
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vellistici ispirati ai principi legati al gusto personale dell’autore, come la ricreazione culturale di un ambiente classico (i nn. LXIII–LXV) o cavalleresco (i nn. LXVI–LXXII), oppure rispondenti a esigenze piú propriamente letterarie, di tipo tonale (i nn. XLV–XLVI accomunati dal Leitmotif della «fontana») o stilistico–formale (i nn. XLII, XLIV e LXVII–LXX, inanellati per la similarità degli incipit, e i nn. LXXXVI–LXXXIX, contenenti motti di spirito)». La distribuzione per «categorie umane» mostrerebbe, secondo quanto sostenuto dallo studioso, la condensazione verso l’inizio del florilegio di aneddoti afferenti in particolare a «un’esemplarità tradizionale» la validità dei quali resta utile per la maggior parte degli uomini, mentre verso la fine di «racconti improntati a una esemplarità nuova [...] piú vicina alla dimensione del vissuto e del quotidiano». [Ibid., p. 612] Questo viaggio che porta dai modelli comportamentali alla registrazione di motti arguti e di beffe comporta un parallelo viaggio all’indietro degli strati sociali: dall’apice della piramide sociale verso i ceti sociali piú bassi. «Una piramide rovesciata, dove i popolani sono piú scarsi dei monarchi, e persino dei rappresentanti delle classi superiori». [Segre C. 1983:140] Infatti, ad una statistica grossolana risulta che, i bellatores (i re, quindi, ed i cavalieri) insieme agli uomini di corte ed i filosofi, dominanti nella parte mediana (oratores nell’accezione però molto piú generica del termine) ammontano, in totale, a piú di 60 casi; mentre di mercanti e di popolani, preponderanti nella parte finale, che rispecchiano, ormai diversificato socialmente, l’ordine dei laboratores, ce ne sono circa 16 casi. «Questa corrispondenza rovesciata di cammino formale e cammino sociale che incornicia la raccolta vuole da un lato sintetizzare il processo di acculturazione delle classi medio–basse [...] dall’altro intende confermare la funzione di mediatore che si attribuisce l’autore: il cui gruppo sociale, quello degli intellettuali, viene strategicamente situato fra la classe detentrice del potere e quella addetta al fare pratico». [M. Picone 1995:612] Michelangelo Picone, La codificazione della novella in Manuale di letteratura italiana, cit., p. 611. Difatti la cornice nel florilegio, vuoi in quello piú antico vuoi in quello piú recente, non esiste ed i manoscritti esistenti documentano l’irresistibile frammentarietà della raccolta originaria. Ciò che il Novellino possiede, rileva Segre, è solo il proemio che sottolinea la varietà di utilizzazione, nonché l’equilibrio «tra impegno pedagogico ed estetico della raccolta. La posizione dell’autore, non piú autoritaria, è quella di una disponibilità non contraria all’edonismo». Cf. C. Segre, La novella e i generi letterari, cit., p. 56. L. Battaglia Ricci, cit., p. 21.
«se l’autore delle novelle persegue una modalità narrativa che segna uno scarto rispetto al modello della narrazione esemplare, perché poi dovrebbe riproporre quel modello nello ordinamento delle novelle, nella frequente inserzione di brani di carattere gnomico e aforistico piú che narrativo, nella esibizione di fedeltà ai canoni della narrazione esemplare? Mi sembra si possa affermare con sicurezza che questa fisionomia della raccolta, accentuata dalle ‹note di lettura› aposte ai margini del codice, non può essere quella originaria, mentre appare piú credibile, perché piú coerente con le forme narrative delle novelle, la struttura 15 della raccolta vulgata».
L’ipotesi, questa, non è, però, condivisa da nessuno dei critici finora citati. Anzi, Conte nel suo lavoro recente dimostra proprio il contrario.16 In realtà, la libertà compositiva e la tipologia plurima rendono inconcludente una qualsiasi schematizzazione rigida in fatto della tematica nel codex vetustior. Il compilatore non avrà seguito un programma tematico, bensí, come già detto, procedeva per associazioni, sovente incentrate su personaggi di rilievo, colti in loro comportamenti e decisioni sintomatici.17 Come argomenta la Mulas, anche Pan1 e, secondo un’altra logica, Pan2 e tutti gli altri codici possono essere riportati a qualche ordinamento tematico o hanno qualche personaggio in comune.18 Ed anche se in Pan1 la coesione formale della prima parte viene guastata dall’introduzione della LX dell’ordine vulgato tra la IV e la V e di una «Pronta risposta» tra la IX e la X, a ben guardare, la «Pronta risposta» sta di mezzo a due novelle entrambe concluse da una arguta sentenza. La figura di re Carlo, continua la studiosa, non si distingue poi tanto dalle novelle limitrofe che hanno sempre un monarca per personaggio principale e la corte come scenario. Pure il trattamento che il Panciatichiano riserva ai passi tratti dai Fiori e vita di filosafi et altri savi e imperatori e dal Libro di Sidrach, aggiunge la Battaglia Ricci, lascia supporre che il riordinatore di questo codice avrà adottato criteri personali di compilazione che «gli consentono di trasformare una crestomazia arbitraria in un testo compatto e fortemente orientato».19 Si tenga presente che tutti questi microtesti sono ospitati sotto la comune etichetta di Libro di novelle e di bel parlare gientile e che il trapasso da una serie ad altra avviene senza che ne sia in alcun modo segnalata la reciproca estraneità. Occorre inoltre sottolineare che Pan1 contiene solo testi prosastici con un progetto culturale sostanzialmente omogeneo, tra il didattico, lo scientifico e l’erudito. Quale che fosse l’estensione originaria del florilegio e l’ordine delle novelle, esso nasceva come ‘raccolta d’autore’ in cui il compilator aveva impresso il marchio della propria personalità artistica e del tirocinio culturale.20 Questa scelta, e qui si concorda appieno con la Battaglia Ricci, determinò la sua
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L. Mulas, op.cit., p. 148. Cf. A. Conte, Ur-Novellino e Novellino, cit. Si ponga mente alle novelle plurime, intorno allo stesso protagonista, che non rientrano sempre in un unico ambito tassonomico. Cf. anche C. Segre, Sull’ordine ..., cit., p. 134. L. Mulas, cit., p.19. L. Battaglia Ricci, Leggere e scrivere novelle..., cit., p. 637. Cf. anche L. Battaglia Ricci, Novellino in Letteratura italiana. Le Opere di A. Asor Rosa (a cura di), cit., p. 67; cf. pure M. Picone, L’invenzione della novella italiana in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola..., cit., p. 128; M. Picone, La codificazione della novella in Manuale di letteratura italiana… di F. Brioschi & G. Di Girolamo (a cura di), cit., p. 608.
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posizione dell’auctor e fece del racconto una novella, vale a dire la parola detta con l’arte.21
8.3 Alcune considerazioni sulla tecnica narrativa nell’Ur-Novellino. Come giustamente sottolinea Conte,22 non mancano nel Pan1 riferimenti alla tradizione scritta tipo: «Leggesi di Salamone» [31] «Leggesi che uno fiorentino» [35] «Leggesi della bontà del Re Giovano» [47] «Leggesi del re Currado» [104] «Leggesi di Senecha» [105]
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Ogni tanto viene citata la fonte, ad esempio:24 «Vallerio Maximo i llibro sexto innarra che ... » [43] «[...] secondo che si trova in libro Civitate Dei, i(n) libro sexto, dice che ... » [86]
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Cf. C. Segre, La novella e i generi letterari in La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola..., cit., p. 50: «Nel testo, ’novella’ è solo narrazione orale. La transizione al sgnificato letterario è però presente sia nel titolo del ms.Pan1 […], Libro di novelle e di bel parlar gientile, sia nelle rubriche, non d’autore, ma presenti in codici del primo quarto e prima metà del sec.XIV: LXXII, Qui conta una novella di messere Ruberto; XCIX, Qui conta una bella novella d’amore». Cf. A. Conte, Dall’Ur-Novellino al Novellino vulgato, cit., p. 75 ss. Cf. ed. Conte moduli: 9, 13, 25, 82, 83. Conte mette in risalto questo fatto, sottolineando al tempo stesso che nessun caso anologo è riscontrabile nella seconda parte della vulgata. Per contro, soltanto nella seconda parte della raccolta ‘delle cento’ compaiono alcuni interventi diretti del narratore: Ma inprima diciamo de ciò che va innanzi la lettera [LXXXII. 6, Conte] Ma udite opere ree che ne seguiro poscia de’ pensieri rei che ’l Nemico diè loro [LXXXIII. 6; ibid.] A dire come fu temuto sarebbe gran tela, e molte persone il sanno. Ma sì r[ame]nterò come... [LXXXIV.28–29; ibid] In piú, soltanto nella seconda parte della vulgata compaiono le donne: Era una guasca in Cipri [LI, Conte] Madonna Agnesina di Bologna istando ... [LVII; ibid.] Fue una femina ch’avea ... [XCII; ibid.] Vi sono pure attestate le uniche novelle in cui si parla di confessione: Uno s’andò a confessare al prete suo [LXXXVII, Conte] Uno si confessò da un frate [XCI; ibid.] Uno villano se andò a un giorno a confessare [XCIII; ibid.] Nonché qualche aneddoto ‘imbarazzante’ come la LVII o la LXXXVI. Cf. A. Conte, ult. cit., p. 75. Cf. ed. Conte moduli: 21, 64.
Nell’Ur-Novellino i protagonisti hanno nella maggior parte dei casi26 un nome cui segue una presentazione, anche se sommaria; in piú non vi mancano precisi riferimenti geografici o temporali, per esempio:27 «Lo Presto Giovanni, nobilissimo singnore indiano» [24] «Nelle parti di Grecia ebbe uno singnore che portava corona di re e avea grande reame, e avea nome Filippo» [3] «Carlo, nobile re di Cicilia, quando era conte d’Angiò» [28] «Maestro Francescho, figliuolo del maestro Acorsso, della cittade di Bolognia» [107]
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Se manca il nome, resta un riferimento geografico:29 «Uno re fu nelle parti d’Egitto lo quale dovea portar corona dipo llo padre». [29] «Uno singnore di Grecia, lo quale possedea grandissim|o reame» [33] «Grandissimi savi istavano in una ischuola a Pparigi» [61] «Uno cavaliere di Lonbardia era molto amico dello im|p(er)adore Federigho e avea nome 30 mess(er) G. [65]
Riguardo alla struttura stessa della narrazione Pan1 presenta sovente una serie di lezioni additizie e ridondanti, di ripetizioni che vogliono mettere in evidenza circostanze già note:31 «Allora lo maestro| giudicò e giuroe di no(n) medicare se no acini, e p|oi fece la fisica delle bestie e delli piccioli ani|mali sempre tutta sua vita». [37:18r26–28, 18v–1] «E chi leggie, legha questo p(er) favola, ma no(n) p(er) veritade». [55:24v–23] «Tornarono gli anbasciadori e contaro allo im|p(er)adore come co(n)siglio era tenuto, e come lo fatto era istato». [66:29r–7, 8]
ma, al tempo stesso, particolare rilievo assume in Pan1 la presenza di endiadi, dittologie, coppie di aggettivi, sostantivi o verbi, per esempio:32
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30 31 32
Ad eccezione del modulo 72 [ed. Conte, modulo 50] ove, anziché i nomi dei protagonisti, si usano soltanto le iniziali S. e G. Per un elenco piú ampio si rinvia a A. Conte, op. ult. cit., p. 76 ss. Cf. ed. Conte moduli: 2, 6, 85. Nella seconda parte della vulgata non mancano novelle prive di un qualsiasi riferimento vuoi temporale vuoi geografico, cf.: Uno fedele d’un signore [LXXIV, Segre&Marti] Fue un filosofo, lo quale era molto cortese di volgarizzare la scienza [LXXVIII; ibid.] Fu uno ch’avea [sì grande naturale] [LXXXVI; ibid.] Uno si confessò da un frate [XCI; ibid.] Si rinvia anche ad A. Conte, op. ult. cit., p. 78. Cf. ed. Conte moduli: 7, 11, 61, 65. Tra parentesi quadre abbiamo messo il modulo, il numero della carta e dei versi. Cf. Maurizio Dardano, Varianti della tradizione del «Novellino», Rivista di cultura classica e medioevale Anno VII, nn.1–3 (1965), pp. 384–400; soprattutto cf. A. Conte, cit., p. 79.
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«li cori gientili e nobili» [23:9r–6] «La forma e la i|ntenzione» [24:9v–9, 10] «parlò e disse» [26:11r–15; 27:12r–13; 31:15r–5; 49: 21r–14 ecc.] «Ordinò e stabilio» [26:11r–4, 5] «torneando e facciendo d’arme» [28:14r–6] «l’onore e lo pregio» [37:18r–19] «di che fazioni era e di che guisa vestito» [66:29r –14, 15]
Le terne di aggettivi e di sostantivi sono però rare: «Et feceli co(n)tare tutte le suoi riccheze e le diverse | generazioni delli sudditi suoi e lo modo del suo paese». [24:10r –10, 11] «tutte le be|lle e honeste cose e le piacevili» [83:35r –24, 25]
Abbastanza frequenti nel Pan1 sono gli iperbati: «p(er) allegrare li corpi nostri e sovenire e so|stenere» [23:9r –11, 12] «la | corte sua e li costumi» [24:9v–16, 17] «Li baro|ni venieno e li cavalieri» [25:10r–22, 23] «Lo palafreno sia tuo e | la p(er)sona» [72:32r–5, 6]
Particolare rilevanza assumono le strutture binarie: «Alcuno delli savi lo | riputavano movivento d’omori, alcuno fanculeza | d’animo era cognosciuto» [29:14r–28, 14v–1,2] «io hoe veduta una cosa la quale mi di|spiace e ingiuria l’animo mio molto» [83:35r–14,15]
Sul piano linguistico si riscontra una serie di tratti arcaici sia nella struttura sintattica sia nella scelta degli elementi periodali. Dardano33 mette ad esempio in rilievo l’importanza della giustapposizione, come in: «et della pietra quando vi dissi dello | verme, voi mi stabiliste uno pane intero» [26:11v–21, 22]
e del polisindeto: «Socrate fue nobilissimo filosafo e fue di Roma, e allo | suo t(em)po mandaro li Greci grandissima e nobile an|basceria alli Romani» [52:22v–4,5,6] «Marcho Lonbardo fue nobile homo di corte e fue | molto savio» [98:40v–11, 12]
Ampiamente documentata è nel codice la tendenza all’uso del gerundio per esprimere la contemporaneità dell’azione:34
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Cf. M. Dardano, ult. cit., p. 394. A differenza della vulgata che predilige una proposizione coordinata alla principale, meno di frequente con una secondaria:
«Uno altro gli andava | dietro dicendogli molta villanía e spregiandolo mol|to» [58:26r–1, 2] «Allora l’una riguardando l’altra, no(n) si tr|ovò chi inprima li volesse dare» [94:39v–4, 5]
nonché di costrutti col verbo di modo finito [...]:35 «Lo cav|allo cognovi io ch’era notricato a llatte d’asina p(er) | propio senno naturale» [26:11v–10, 11, 12] 36
«ché io viddi uno | vecchio di grandissimo tempo che facea laide mateze». [83:35r–15, 16]
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«e un altro li venìa di dietro e dicevali molta villania e molto lo spregiava» [XXVII, Segre&Marti] «Allora l’una riguardò l’altra: non si trovò chi prima li volesse dare» [XLII; ibid.] Per il confronto coll’uso dell’articolo e delle preposizioni in P1 e V si rinvia a M. Dardano, op. ult. cit., p. 399 s.; circa l’analisi dei procedimenti sintattici e retorici nel Novellino si voglia consultare soprattutto M. Dardano, Il «Novellino» in Lingua e tecnica narrativa nel Duecento, Roma, Bulzoni, 1969, pp. 148–222. I rispettivi passi della Vulgata hanno il costrutto dell’accusativo con l’infinito: «Il cavallo conobbi a latte d’asin[a] essere nodrito per proprio senno naturale» [III, Segre& Marti] «Ch’io vidi un vecchio di grandissimo tempo fare laide fattezze» [LXVIII; ibid.]
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9 Note sulla lingua del Panciatichiano 32
Per maggiore chiarezza si è suddiviso il cod. in tre parti corrispondenti a: cc. 1r–50v: Pan1, contenente brani del Itinerario ai luoghi santi, 85 novelle precedute dal titolo: libro di novelle e di bel parlare gientile, alcuni capitoli del Fiore di Filosafi e del Libro di Sidrach. cc. 51r–63r: Pan2, contenente solo novelle sostanzialmente conformi a quelle del ms. Vaticano 3214 e precedute da una rubrica. cc. 63r–97v: Pan3, contenente una serie di 20 novelle in stesura piú ampia.
9.1 Grafia j finale per i: c. 1r–50v: luj 1r–16; ellj 7r–3; fiumj 2v–7; apostolj 6v–4; generazionj 10r–11 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: (sporadicamente) annj 63r–14; pannj 89r–5; vennj 93r–21 y: c. 1r–50v: Ysaia 6v–18; mayestade 26v–23; Ysotta 30v–18; ymagine 46v–17 c. 51r–63r: Ypolite 63r–9, Ypolit 63r–10 c. 63r–97v: – x: c. 1r–50v: Allexandro 12r–1; exercito 18v–4; luxuria 44r–24 (accanto a lussuria18v–20); Vallerio Maximo 19r–23; sexto 19r–23 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: luxorioso 66r–10 c/ch dinanzi ad a, o, u: c. 1r–50v: bocca32r–rubr./boccha18r–22/bocha 46v–5; vescovo 19v–5/veschovo 35v–27; Currado 42r–6/Churrado 42r–8, 17; cucina 17r–13/chucina 17r–13 c. 51r–63r: cavallo 49r–4/chavallo 53v–16; cavretto 52v–6/chavretto 52r–20; fico 52r–1/ficho 51r–21; cominciò 57v–28/chominciò 58r–5; cui 61v–14/chui 54r–20 c. 63r–97v: casa 88v–19/chasa 66v–25; cagione 64v–1/chagione 91v–28; cosí 64v– 2/chosí 69r–3; contenzione 82v–3/chontenzione 86r–7; cuore 92r–7/chuore 94v–2 g/gh dinanzi ad a, o, u: c. 1r.–50v: lega 1v–23/legha 4r–2; lungo29v–24/lungho 43r–7; borgo 3r–8/borgho 3r–12, 13; vergogniosa 16v–2/verghogniosamente 23r–13; raghunanza 27r–23; rafighurollo 45r–21 c. 51r–63r: gatta 58v–20/ghatta 58v–23; legare 56r–14 ma leghassero 51v–28; paga40
rono 57r–26 ma paghati 60v–18; Federigo 62r–15, 16/Federigho 58r–13; luogo 54r– 7/ luogho 54r–10 c. 63r–97v: anegato 76v–16/aneghato 76v–26; luogo 83r–12/luogho 86r–28; lungo 75v–1/lungho 95v–1; raghunare 96v–18; aghugliata 89r–19 k: c. 1r–50v: – c. 51r–63r: perké 51r–4; ke 51r–7; kome 51v–5; comanderà 52r–27, 28 c. 63r–97v:– c/ci dinanzi ad a, o, u: c. 1r–50v: fanculeza 14v–1/fanciulleza 14r–13; fancullo 15v–28/fanciullo 34v–22 c. 51r–63r: Ricciardo 52v–24; fanciulli 53r–2, fanciulla 61r–16 (mancano i rispettivi esempi della c non palatalizzata) c. 63r–97v: fanculezza 90v–17; fanciullo 63v–7 g/gi dinanzi ad a, o, u: c. 1r–50v: Gacob 8r–24/Giacob 5v–12; govano 16r–2/giovano 16r–9; gostratori 26v–8/giostratori 23v–4; gularo 32v–9/giularo 32v–8; Gulio 26v–3 c. 51r–63r: proveggia 53v–5, giullare 52r–14 (mancano i rispettivi esempi della g non palatalizzata) c. 63r–97v: vegha 95v–25, ma veggio 74r–9, veggiamo 77r–13; gudice 87v–25/ giudice 88r–20 g/gi dinanzi ad e: c. 1r–50v: gente 2v–14/giente 5v–3; angelo 5v–14/angielo 33v–15; argento 38v–19/ argiento 56v–7 c. 51r–63r: gente 58r–2; Genova 57r–23; fugiendo 59r–7; acorgiendosi 60v–9 c. 63r–97v: agievole 94r–20/agevole 75r–1; giente 84v–7/gente 75r–17; Gienova 96r–25 c/ci dinanzi ad e: c. 1r–50v: cerchare 4v–16/ciercare 4v–18; boce 45v–26/bocie 44r–12 c. 51r–63r: giacea 62r–22/giaciea 57v–27; naviciella 55r–25 c. 63r–97v: franceschi 68r–12/francieschi 67r–20; uccelli 80r–7/ucielli 76v–28 sc(sci) dinanzi ad e: c. 1r–50v: esce 25r–5/escie 2r–3; discepolo 18r–rubr./discepulo43v–2/disciepulo 18r–16 c. 51r–63r: discepuli 59v–5/disciepoli 55v–24; scienzia 54r–6 c. 63r–97v: conosceo 85r–5, conoscesse 85v–10 ma conosciendo 76r–10; masciella 68v–27; ambascieria 67r–7 ngn, ngni, gn, gni per n palatale: c. 1r–50v: singniore 1r–23/sengnore 1r–19/signiore 2r–26; bangnio 6r–17/bangno 6r–17; montangna 2v–10/ montagnia 2v–10; bagnare 1r–6/bagniare 1r–24 c. 51r–63r: ingnudo 56v–4/ignudo59v–5; sengnore 51v–17/sengniori 55r–10/segnori 55r–11; acompangniò 52r–11/aco(m)pagnioe 52r–10; bisongniosi 57v–2/ bisognosi 56r–26 c. 63r–97v: sengnore 64r–1/sengniore 64r–22/segnore 68r–2; ongni 64r–24/ogni 83v–14; ongne 64r–16/ongnie 92r–2 41
li, gl, gli, lgli per l palatale: c. 1r–50v: mogle 34v–27/moglie 15r–17; meglo 48r–5/meglio 1r–12; cogli 1r–24/ colli 13v–3 c. 51r–63r: sciolliere 52r–8, prosciolliere 58v–2; elli 51r–26/egli 51v–1; volglio 59r– 28 (v. ed. Biagi)/voglio 58v–3 c. 63v–97v: voglio 64r–3/voglo 74v–6/volglio82r–17; meglo 68r–5/meglio 75r–4/ melglio 97r–10; moglie 64v–11/molglie 78v–1 l’affricata dentale ç: c. 1r–50v: meçogiorno 4v–11; terça 10v–7; Marçi 26v–21; palaçço 40r–5 c. 51r–63r: provençale 54v–28; Messere Açono 56v–12; Messere Açolino 57r–1; maço 60r–5; alçò 60r–25 c. 63r–97v: dinançi 69v–23; credença 73v–9; donçelle 76v–19; belleççe 78r–5 consonanti scempie in luogo delle doppie: c. 1r–50v: ebe 40v–13/ebbe 10v–14; suditi 16v–7/sudditi 33r–9; inocente 1v–18/ innocente 1r–15; venero 16r–21/vennero 23v–26 c. 51r–63r: berette 61r–1/berrette 61r–2; citade 59r–23/cittade 58r–15 c. 63r–97v: sapiate 65v–16/sappiate 69r–19; quatro 84r–12/quattro 64r–20; mezo 72v–1/mezzo 74r–23 ll in luogo di l all’interno della parola: c. 1r–50v: vollontieri 12v–5; vollendo 13r–7; agievollerai 15v–12; Vallerio 19r–23; parlla 43v–5 c. 51r–63r: chavalliere 53r–21, cavallieri 54v–28 c. 63r–97v:– nella fonosintassi i casi con la l scempia si alternano con la l doppia, anche se quest’ultima prevale: c. 1r–50v: dimandolla 30v–8 (ma anche dimandolo 12r–8, portarolo 13v–17); trovollo 17v–21; avisarollo 22v–18, 19 c. 51r–63r: suscitollo 52r–16; raccomandollo 57v–26; chiamollo 58v–28 (ma anche ischoparolo 59v–6) c. 63r–97v: recholla 97v–5; confessollo 64r–28 (ma anche cominciarolo 77r–10, 11; fornirolo 91r–19) altri casi del raddoppiamento fonosintattico (specie dopo a, che, da, e, se, tra): c. 1r–50v: a ssolazo 1r–5; che lle bestie 47v–18; dipo lla p(er)dita 1v–19, 20; sí ffece 48r–5; da llui 16r–21; se lla natura 14v–8 c. 51r–63r: a ssapere 56v–11; sí ssi schornò molto 51v–27; andò nnela cità 52v–4; che cciò sia vero 56r–3; tra lloro 56v–2 c. 63r–97v: a cchapo 79r–5; tra lloro due 82r–24; da llei 75r–9; quella che ll’avea portato nel suo ventre 63v–27; o cch’elli loro ridesse 76r–3 i raddoppiamenti nel corpo della parola espressi con la n: c. 1r–50v: inmantenente 1r–27; funmo 17v–1; danmi 17v–22 c. 51r–63r: inmantanente 62v–10; chonmiato 54v–7 c. 63r–97v: – consonanti raddoppiate dopo nasale o liquida: c. 1r–50v: giunsse 10r–20; strinsse 10v–8; penssa 27r–3; orsso 20r–7 42
c. 51r–63r: ghanbbe 53v–25; aconccia 56v–17; valsse 56v–7; borssa 55v–3; forsse 58r–7 c. 63r–97v: achonccio 68r–1; strinsse 72v–26; possanzza 71r–10; anzzi 84v–3 la nasale preconsonantica davanti a labiale è resa, in generale, piú frequentemente con n: c. 1r–50v: scanpo 1v–18; tenpo 3r–9; conperare 29v–17; grenbo 32v–10; anbra 25r–4 c. 63r–97v: inperadore 64r–13; inpedimento 80v–10; onbra 76r–26; tonba 97r–26 mentre la m sembra prevalere a: cc. 51r–63r: tempo 52v–20; compangnia 61v–5; ambra 55r–5; Lombardia 56v–26 Fonetica au secondario: c. 1r–50v: faulatore 29v–12, 14, faulieri 29v–25, faulare 29v–13, faula 29v–16 (accanto a favola 24v–10) c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – caratteristico dei dialetti toscani occidentali e di Arezzo [Castellani 2000:288; Conte 2001:294] ie e uo dopo consonante + r: c. 1r–50v: distriere 10v–24/destriere 13v–15; triegua 40r–19; pruova 11v–8 c. 51r–63r: distriere 53r–12; pruova 56r–18, pruovano 52v–21 c. 63r–97v: distriere 72r–14/destriere 72v–10; pruova 90v–12 secondo una tendenza comune ai dialetti toscano–occidentali [Dardano 1992:155; Castellani 2000:287; Conte, ibid.] manca in: c. 1r–50v: trova 2r–4; prego 11v–9; distrere 10v–20; breve 27r–17, trega (per tregua) 46r–27 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: destrere 80v–14 uo>u: c. 1r–50v: umo ‘uomo’ 2v–7; pute ‘puote’ 34v–15; pue ‘puoe’ 18v–10 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – ie>i: c. 1r–50v: distrire 10v–22 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: distrire 72v–23; dicie 96r–19 (altre volte diece 82v–24) tipico dell’aretino–crotonese, noto al fiorentino e senese [Conte, ibid.] altri casi in cui ‘e’ ed ‘o’ aperti non dittongano in ie e uo: c. 1r–50v: Petro 6v–20; rilevo ‘rilievo’ 23r–6; omo 34v–14, homo 24v–11 (accanto a uomo 2r–3, huomo 32v–rubr.); cori 9r–5, cor 9r–23 (accanto a cuore 9r–4) c. 51r–63r: vole ‘vuole’ 61r–20; incorato 52r–5 c. 63r–97v: omo 92r–7, homo 91v–14 (accanto a uomo 69r–5, huomo 65r–1); vole ‘vuole’ 79v–5 43
oltre ai casi succitati si ha sempre il dittongo, anche in sillaba implicata: c. 1r–50v: richiesta 1r–16; pietra 7r–17; sapienzia 15r–14 c. 51r–63r: damigiella 55r–18; naviciella 55r–25 ; pietra 51v–2 c. 63r–97v: pietra 72v–13; sapientissimo 63r–14; fuggiendo 70r–4; giaciendo 63r–22 la caduta dello jod in: c. 1r–50v: pue 2v–5, pu 18v–10; tempo 4r–18 (accanto a tenpio 4r–23, templo 5v– 23); gioelli 25r–2 c. 51r–63r: pue 60v–5 c. 63r–97v: pue 86r–19; gioe 90v–8 la perdita dell’occlusione nell’affricata dentale sorda, ossia s in luogo di z:1 c. 1r–50v: Arsuffo 2v–3; rinomansa 14r–6, 7; provinsale 24v–27 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – uno dei tratti piú importanti del lucchese e del pisano [Castellani 2000:136 s., 295; Conte 2001:295] i protonica: c. 1r–50v: singnoria 17v–5/signoria 43r–24 (ma anche segnioria 3v–26); divotamente 4v–16; intrare 47r–28 (ma anche entrare 37v–13); pigiore 39r–5 c. 51r–63r: dimandare 53v–5; dilicatamente 51r–6; tinore 55v–3; ritonda 55v–15; rivescio 59v–4 c. 63r–97v: disiderato 78r–27; virtù 73r–5 (ma anche vertú 72v–9, vertude 72v–6); disinore 73v–5; disiderato 78r–27; diserto 86v–2; mistiere 92v–2 u>o e o>u protoniche: c. 1r–50v: sogugaro 36v–27 (ma sogochate 37r–20); giucassero 23v–10; sepultura 5r–22/sepoltura 6r–20; lossuria 18v–21/lussuria 18v–20/luxuria 44r–24 c. 51r–63r: romore 61v–25 c. 63r–97v: muneta 80v–12, 13/moneta 82v–27; voluntà 69r–4; luxorioso 66r–10; romore 97v–14 la u protonica in luogo della o caratterizza soprattutto la Toscana occidentale, anche se è comune a tutta la regione [Castellani 2000:290 ss.; Conte2001:294] la u postonica in: c. 1r–50v: populo 7r–5; tabernaculo 8r–27; capitulo 32v–25 c. 51r–63r: seculo 52v–7; discepulo 59v–2 c. 63v–97v: populo 68r–10; mirachulo 77r–7 velarizzazione di l davanti a consonante a u: c. 1r–50v: autressí 50v–1 (accanto a altressí 50v–3); aultre 9r–3 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani1952:47; Castellani 2000:300; Conte 2001:295]
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Secondo Dardano «la rarità del fenomeno s in luogo di z sorda potrebbe far pensare ad un copista non propriamente lucchese, ma proveniente da una zona intermedia tra Lucca e Firenze». Cf. M. Dardano, Studi sulla prosa antica, op.cit., p. 158.
l postconsonantica rotacizzata: c. 1r–50v: obrigho 21v–19; multipricare 1r–3, moltipriconno 1r–9 c. 51r–63r: varvasoro 55r–20 c. 63r–97v: – l intervocalica rotacizzate: c. 1r–50v: banboreggiare 14v–9; mingnoro 18r–23 c. 51r–63r: ciriegie 56v–10 c. 63r–97v: – caratteristico del lucchese e del pistoiese [Castellani 2000:302; Conte 2001:295] un processo inverso di r>l: c. 1r–51r: albitro 44r–27; rettolica 34v–6; malischalchi 10v–21 c. 51v–63r: – c. 63r–97v: malischalcho 74r–19, malischalchi 71r–14 (accanto a marischalchi 71v– 21) vr>r: c. 1r–50v: sorano 10v–23 (accanto a sovrano 26v–4); aree2 ‘avrà’ 9r–20; aranno 31v–2; arebbe 50v–2 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – la riduzione caratteristica della Toscana occidentale [Castellani 2000:304–305; Conte 2001:295] il nesso ar in luogo di er: c. 1r–50v: macomettarie 4r–12; Çaccharia 5v–23, 24 (accanto a Çaccheria 5v–15); pregarie 13r–10; guidardone 16v–21 (accanto a guiderdone 16v–26) c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – er atono > or: c. 1r–50v: perpori 23r–1 c. 51r–63r: avereboro 57v–28 c. 63r–97v: guidordinò 95r–9, 10 (accanto a guiderdonano 95r–3, guiderdoni 73r–26) tendenza lucchese e pistoiese [Conte 2001:294] en protonico > an in: c. 1r–50v: danari 19v–21; sanatore 44v–9/sanatori 35r–7 c. 51r–63r: danari 52r–20 c. 63r–97v: danari 64v–6
9.2 Fenomeni generali sonorizzazione: c. 1r–50v: miga 1v–3; pogo 7v–9 (accanto a pocho 10r–12); affatigati 15v–11; ghastigamento 44r–28
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Ma è possibile che si tratti di un errore di scrittura.
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c. 51r–63r: imp(er)adore 57r–11; lagrimando 61v–20 ma secreto 51v–10 c. 63r–97v: anbasciadori 67v–7 (ma ambasciata 67v–15); nodrire 90v–5; segretamente 67v–19 ma sacreto 81v–13, navichare 97r–13, isbichotirono 97v–15, 16 prostesi di i–, assai frequente dinanzi alle parole che iniziano con s implicata: c. 1r–50v: isforzo 1v–9; ischuola 26v–17; per iscritto 3r–19; fosse isceso 1r–26 c. 51r–63r: era istato 53v–9; istrada 62r–1; istoria 63r–7; ischampare 52v–22, 23 c. 63r–97v: ispada 63v–4; fue isparito 95r–6; istudiare 96v–2; ischanpo 96r–20 epitesi di –e: c. 1r–50v: àe 1v–23; fue 1r–21; altressie 8r–23; quae 30r–7 si noti l’epitesi di –ne in quine 37v–23 c. 51r–63r: lae 57v–8; cosie 51v–12; diroe 51r–27 c. 63r–97v: àe 71r–21; cosie 72r–3; quie 93v–1; sarae 79v–15 epentesi di r dopo t e st: c. 1r–50v: valentre 22r–2; chastra 44v–26 c. 51r–63r: valentre 53r–9 c. 63r–97v: valentrementre 85r–28 sincope vocalica, specie tra consonante e r (tendenza forte nelle voci verbali dei futuri e condizionali): c. 1r–50v: lundì 17r–11; opre 9v–12(accanto a opere 38r–21); arebbe 50v–2; andrò 17v–27(ma anderà 49v–16); diventrebe 40r–8; drai ’darai’ 33v–8; drebe 31v–22 (accanto a darebbe 47v–8); portrò ‘porterò’ 27v–10 c. 51r–63r: andrò 52r–15; vedrete 56r–4 (ma averebbe 60r–25, avereboro 57r–28) c. 63r–97v: mastro 66r–4 (accanto a maestro 67v–20); andrà 70r–20, andremo 67v– 21, (ma averei 85v–10, averesti 96r–6, averemo 83v–8, averebero 96r–13) piú diffusa nella Toscana occidentale che a Firenze [Castellani 2000:311; Conte 2001:295]; nel testo essa non è tuttavia generalizzata. betacismo: c. 1r–50v: boce 45v–26 (accanto a voce 16v–10); corbi 30v–10; nerbi 49v–4 c. 51r–63r: boce 61v–11 c. 63r–97v: boce 70r–20; cerbio 81v–21, cierbia 85r–2 la mancata apocope della vocale negli aggettivi che terminano in –le o –re davanti al suffisso –mente: c. 1r–50v: nobilemente 3r–12; mortalemente 28r–25 (accanto a mortalmente 27v– 28); ragionevilemente 35r–22 (ma ispezialmente 36r–11; vilmente 40r–25) c. 63r–97v: agevolemente 75r–1; orevolemente 94r–13; onorevolemente 82r–4, 5 (ma lealmente 67v–4; igualmente 90r–20; sottilmente 68v–10) a cc. 51r–63r abbiamo trovato soltanto una forma apocopata di: spezialmente 61r–13 fuore: c. 1r–50v: fuore 2r–13 (accanto a fuori 2r–2)3 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: –
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Fuori risulta però leggermente prevalere.
carattere non fiorentino comune a tutta la Toscana [Castellani 1952:41] anco: c. 1r–50v: anco 48r–21, ancho 48r–18 (accanto però ad anche 45v–27)4 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – forma comune a tutta la Toscana non fiorentina [Castellani 2000:317] lassare: c. 1r–50v: lassare 13r–28, si lassino 13v–5, lassate 29v–27, lassava 33v–13, lassò 41r–22 e sim. (accanto a lascia 33v–16, lasciò 36r–17, lasciarono 38v–25 e sim.)5 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:43] oltra: c. 1r–50v: oltra 10v–18 e passim c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 2000:320, 568] –ieri suffisso sostantivale in luogo di –iere: c. 1r–50v: lo suo mistieri 10r–23; lo tesorieri 20v–14; lo cavalieri 28r–17; ismontò dello destrieri 30r–19; (ma anche cavaliere 12r–19, tesoriere 22r–26, distriere 10v– 24)6 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:43] –ile suffisso aggettivale in luogo di –ole: c. 1r–51r: dottevile 2v–12; honorevile 14r–4, 5; arendevile 48v–16; ragionevile 14v– 9 (ma anche colpevole 31r–25, disiderevole 46v–1) c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:44] fine, infine a in luogo di fino, infino a: c.1r–50v: fine a 2v–14, 7v–13 e passim; infine a 15r–24 c.51r–63r: – c.63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:48] dunqua in luogo di dunque: c. 1r–50v: duncqua 41v–21 (ma anche dunque 40v–9) c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:49]
––––––– 4 5 6
Con una chiara predominanza di anco, ancho. Con lassare che quantitativamente prevale. Nel testo prevale tuttavia il suffisso –iere.
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unqua e composti in luogo di unque: c. 1r–50v: unqua 12v–10, qualunqua 36v–7, duncqua 41v–21 c. 51r–63r: unqua 62v–257 c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:50]
9.3 Lessico gallicismi: c. 1r–50v: predone 3r–3 (fr. perron); Porte Oire (testo francese: Portes Oires; v.nota p. 115) 6r–5; amistà 47r–4 (provz. amistat); cotta 25r–23 (fr. cotte); astore 28v–28 (provz. astor) c. 51r–63r: varvasoro 55r–20 (provz. valvassor); magione 61v–8 (fr. maison); damigella 55r–18 (fr. dameisele); ronzino 61r–27 (fr. roncin); monsengniore 55v–19 (fr. monseigneur); donneare 55r–2 (provz. domneiar); dottava 62v–8 (provz. doptar) c. 63r–97v: mentovare 91r–23 (fr. mentevoir); destriere 71r–9 (fr. destrier); messer/e 89v–2 (provz./fr. mesier, messire); torniamento 91r–15 (fr. tourneiement); ontoso 73v–22 (fr. honteux); giostrare 91r–9 (fr. joster) latinismi: c. 1r–50v: discipuli 7r–25; tabernaculo 8r–27; homo 12r–7; gaudio 27r–16; Ansionam 27r–25 (akk. lat.); pax vobis 6v–7, 8 c. 51r–63r: Domine 52r–2; Iudeo 51r–20; secreto 51v–10; Theseus 63–5 c. 63r–97v: pechunia 82r–20; mecho 85v–24, techo 85v–19; pute 69v–18 (lat. putƟre); miserere mei deus sechondum magnam miserichordÕam tuam 66v–16, 17
9.4 Pronomi personali c. 1r–50v: elli 1r–1 e passim (3ª pers.sing.m./3ª pers.plur.m; riferito anche a cose: [quello castello] elli fue giae d’uno barone 2r–25); egli 12v–16 e passim (3ª pers.sing.m.); eglino 44v–20 e passim (3ª pers.plur.m. /3ª pers.plur.f.); esso 29r–1 e passim (3ª pers.sing.m.); ella 8r–17 e passim (3ª pers.sing.f.); elle 34r–10/elleno 24v–12 e passim (3ª pers.plur.f.); lui, lei, loro usati solo in funzione di complemento: mandò per lei 11v–5; io feci co.llui patto 12v–15; se voi direte loro dolce parole 15v–19 ecc. c. 51r–63r: elli 51r–26 e passim (3ª pers.sing.m./3ª pers.plur.m); egli 52r–3 e passim (3ª pers.sing.m.); eglino 53r–2 e passim (3ª pers.plur.m.); esso 55v–27 e passim (3ª pers.sing.m.); ella 61r–21 e passim (3ª pers.sing.f.); elle 54r–9 e passim (3ª pers. plur.f.); essa 54v–10 e passim (3ª pers.sing.f); lui, lei, loro usati in funzione di complemento: giacque co.llei 53r–23; no(n) ebbe nulla da llui 54v–21 ecc. c. 63r–97v: elli 63v–18 e passim (3ª pers.sing.m./3ª pers.plur.m); ellino 67r–15 e passim (3ª pers.plur.m); egli 64v–28/elgli 72r–11 e passim (3ª pers.sing.m./3ª pers. plur. m.); eglino 65v–6 e passim (3ª pers.plur.m.); esso 67v–22 e passim (3ª pers.
––––––– 7
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Una sola attestazione.
sing.m.); ella 63v–7 e passim (3ª pers.sing.f.); elle 75v–13/elleno 77v–12 e passim (3ª pers.plur.f.); lui, lei, loro usati prevalentemente in funzione di complemento: mandò per lui 73v–8; seppe tutto da llei la verità 75r–9; lo ‘mperadore rimandò per loro 65r–28 (ma loro cosífecero i suoi comandamenti 69v–12) ecc.
9.5 Morfologia in del, in nel: c. 1r–50v: indel castello 3r–14; indella quale casa 3r–17, 18; luogo indel quale acqua 3r–22; in nel tempo passato 4r–13; in nel mio chuore 31r–20; in nella tua gioventudine 35r–28 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – carattere toscano–occidentale [Castellani 1952:50; Conte 2001:296] maschili plurali in –e: c. 1r–50v: belle gioelli 24v–22, 23; nimici mortale 27v–18; li sergiente rispuosero 28r–9 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: dolci cante 76v–28; parecche danari 83r–10; nobili cavaliere 92v–13 esito non raro a Lucca e Pisa [Rohlfs 1966:365] nde per ne: c. 1r–50v: sinde 31r–8; nonde 20v–17; aveanonde 27r–20 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – si trova a Lucca, Pisa, Cortona, Pistoia [Conte 2001:296] tuoi e suoi per tue e sue: c. 1r–50v: p(er) tuoi parole 31r–18; tutte le suoi ricchezze 10r–10; p(er) suoi bisognie 26r–1 c. 51r–63r: – c. 63r–97v: – tipicamente pisano–lucchesi [Conte 2001:296] presente indicativo: c. 1r–50v: 3ª pers.pl.: verbi della I classe –ano: dimandano 1v–15; amano 2r–12; portano 6r–24 verbi delle altre classi –eno, –ono: correno 47r–11; giaceno 8r–15; p(er)deno 18v–25 la desinenza in –eno caratterizza il pisano, il lucchese e il pistoiese [Castellani 2000:321] alcune forme monosillabe e bisillabe: può 9r–10/pue 18v–10/puoe 15v–25/puote 23r–24; ò 23r–22/òe 31r–15/hoe 35r–14/abbo 40v–27; à 2r–20; àe 1v–23/hae 17r– 3/àvi 24r–20; vogli 12r–13/voli 14v–17/vuoli 18r–13 (2ªsing.); de ‘deve’2r–19; fo 18r–8 (accanto a faccio 18r–8, 9); sàve ‘sa’ 20v–4; istè 34r–22, istà 41v–6 (per ‘stai’, ‘sta’: pisano–lucchese; Castellani 2000:321)
49
c. 51r–63r: 3ª pers.pl.: verbi della I classe –ano: pruovano 52v–21, chiamano 56v–26 verbi delle altre classi –ono: pianghono 53r–2; piacciono 51v–22; dicono 53r–2 alcune forme monosillabe e bisillabe: può 60r–12/puote 61v–28; dei 56r–10 ‘devi’; dee 53r–19 ‘deve’; vogli 59r–28 ‘vuoi’; vole 61r–20 ‘vuole’ c. 63r–97v: 3ª pers.pl.: verbi della I classe –ano: guiderdonano 95r–3; chontano 78r–20, 21; rechano 81v–23 verbi delle altre classi –ono: intendono 71v–19; piacciono 90r–6, 7 alcune forme monosillabe e bisillabe: può 81r–3/puote 83v–23; vogli /vuolli 85v–14 (2ªsing.); istà 69r–11 (v. supra) imperfetto indicativo: c. 1r–50v: 3ª pers. sing. e pl: verbi della I classe : –ava: logorava 5v–10; adorava 7r–19; passava 10v–19 –avano: cavalcavano 4r–24; toccavano 5v–12, 13; riputavano 14v–1 verbi delle altre classi: –ea: solea 2r–24; credea 20v–18; dicea 25r–23 –eano: soleano 4r–10; credeano 20v–18; diceano 28r–3 –ia: venia 5v–8; convenia 9v–19 –iano: veniano 27v–15; udiano 29v–7; obbediano 37v–5 –ieno: rendieno 24v–21; patieno 34r–14 –evano: battevano 42r–10; vedevano 10r–23 alcune forme monosillabe e bisillabe: avé 40v–15 accanto ad avea 1r–19 (e plur. avevano 10r–14/aveano1r–1/avieno23v–6/aviano 20r–14); paré ‘pareva’ 39r–2; facé ‘faceva’ 16r–10, 11 c. 51r–63r: 3ª pers. sing. e pl: verbi della I classe : –ava: parlava 51r–3; aspettava 53r–17 –avano: cenavano 58r–2, 3; oloravano 55r–5 verbi delle altre classi: –ea: parea 54r–5; rispondea 51r–4; conosciea 51v–8 –eano: pareano 59r–17 –ia: ardia 54r–26; servia 58r–7 –iano: fugiano 61r–4; udiano 62v–8 –ieno: dormieno 62r–3 alcune forme monosillabe e bisillabe: paré ‘pareva’ 61r–11 c. 63r–97v:3ª pers. sing. e pl: verbi della I classe : –ava: churava 63v–25; adoperava 65r–5 –avano: sguardavano 68v–17; domandavano 68v–28; dimoravano 63r–19 verbi delle altre classi: –ea: sapea 64v–9; tenea 68v–25; rendea 65r–4 –eano: sapevano 69r–16; diceano 69r–25; traeano 75v–11 –ia: venia 94v–28; partia 95r–17; sentia 69v–13 50
–iano: veniano 81r–5; partiano 78v–19; sentiano 78r–3 –ieno: sapieno 77v–25; dicieno 73r–5 –evano: potevano 65r–8; vedevano 76r–7 futuro: –ir– protonico > –er– nei verbi della IV classe in pisano, meno frequentemente in lucchese [Castellani 2000:329 s.] c. 1r–50v: ubiderà 15v–25 (ma ubidiroe 31r–27); finerò 38r–24 alcune forme monosillabe e bisillabe: fia 24r–6; fie 48v–1 (e plur. fino 49v–12; finno 24r–7; pisano e lucchese: cf. Conte 2001:296) c. 63r–97v: aserverà 64v–19; uderà 79v–15 alcune forme monosillabe e bisillabe: fia 82v–5 perfetto indicativo: c. 1r–50v: 3ª pers. sing.: verbi della I classe: –ò: andò 1r–16; scanpò 39v–5; chiamò 45r–7 –oe: ischusoe 1v–1; p(er)donoe 5v–16; lodoe 10r–28 –à (sulla scorta di Dardano e Castellani; cf. Dardano 1992:164, Castellani 2000:327): amà 9r–8; mostrà 33r-1 –ette: stette 45r–26 verbi delle altre classi: –é: bevé 29r–26; piové 36r–18; ricevé 17r–1; rispondé 18r–8 –eo: vendeo 17r–18; conbatteo 18v–22; rendeo 21r–3 –io: partio 23r–25; morio 38r–7 –ie: partie 34r–12 –ette: credette 41r–15; vendette 2r–27; perdette 16r–6 tipo – itte in: partitti 43r–26 3ª pers. pl.: verbi della I classe: –àno (cf. Dardano, ibid.; Castellani, ibid.): dimandàno 1v–15; tagliàno 2r–9; cavalcàno 12r–17 –anno: entranno 37v–14; dimandanno 40v–25 –aro: raghunaro 39r–18, 19; mandaro 39r–19; dimandaro 9v–25 –arono: tornarono 29r–7; contarono 9v–28 –onno: divoron(n)o 1r–22; porton(n)o13v–9; menonno 27r–22; andon(n)o 37v–20 –ono: tirono 1v–10; peccono 34r–14; introno 21r–6; mostrono 23v–26 –oro: tornoro 3r–17; lassoro 24r–2 –orno: (con)sigliorno 15v–7 –ettero: soprastettero 27v–16 –ettoro: ristettoro 38r–2 verbi delle altre classi: –ero: rimasero 4r–26; corsero 17r–3 –iro: partiro 23r–13 51
–irono: fuggirono 21r–16 –ino: ubidino 38v–21 –ono: chiusono 14r–25 –eno: viddeno 40v–1; chiuseno 3r–11; corseno 7v–10 –eono: perdeono 37r–1 –ettono: ubidettono 23r–13 –ettero: giacettero 24r–27; temettero 35r–8 –itteno: seguitteno 14r–24 le desinenze –ette, –itte, –eo , –io, –eno caratterizzano soprattutto la Toscana occidentale; –eono, –anno, –à, –àno sono tipicamente lucchesi [Castellani 2000:327, 599] alcune forme mono e bisillabe: fu 5r–6/fue 1r–21 (e plur. furono 12r–17/furno 9v– 18/furo 13v–8/funo 1r–18/funno 1v–13); diè 12v–11 accanto a diede 14r–25; fenno ‘fecero’ 27r–24; volsi ‘volli’ 28r–26; volse ‘volle’ 14v–26; 22v–1 (pisano, lucchese e senese; Castellani 2000:334, 360) c. 51r–63r: 3ª pers. sing.: verbi della I classe: –ò: pensò 51v–22; suscitò 52v–9; manichò 52v–17 –oe: portoe 51v–24; domandoe 52r–3; amoe 55r–20 –à: pensà 62v–21; piglià 62v–16 –ette: stette 53r–22; ristette 58r–11 verbi delle altre classi: –é: penté(si) 54r–14 –eo: batteo 54r–22; rendeo 57v–27 –io: apario 61r–3; morio 55r–18; salio 62r–10 –ie: bandie 52r–12; udie 62r–26 –ette: credette 59r–19 3ª pers. pl.: verbi della I classe: –aro: dismontaro 55v–9; passaro 56r–4; cavalcaro 62r–2 –arono: montarono 60v–18; mostrarono 55r–4; chiamarono 55v–26 –ettero: stettero 62r–6 verbi delle altre classi: –ero: rispuosero54r–9; vendero 60v–16; piacquero 53v–2 –iro: usciro 61v–13; moriro 62r–20 –ettero: stettero 62r–6 alcune forme mono e bisillabe: furo 57v–6 (accanto a furono 51v–23) e passim; diè 54v–12 (accanto a ‘diede’ 51v–10) c. 63r–97v: 3ª pers. sing.: verbi della I classe: –ò: mandò 65r–5; chominciò 63v–7; prestò 64v–8 –oe: pecchoe 66r–27; amoe 66r–18; avelenoe 87r–22 52
–à [sulla scorta di Dardano e Castellani; cf. Dardano 1992:164, Castellani 2000:327]: ringrazià 93r–27; incomincià 72v–23 –ette: stette 78v–25; ristette 78v–17 verbi delle altre classi: –eo: perdeo 95r–6; vendeo 80r–4 –io: partio 80r–17; sentio 97v–10 –ie: salie 95v–7 –ette: ricevette 70v–19; taciette 97r–1 3ª pers. pl.: verbi della I classe: –aro: mangiaro 70r–10; andaro 81v–28; chominciaro 81v–27 –arono: mangiarono 83r–6; andarono 70r–9; chominciarono 86v–25 –ettero: istettero 93r–3; stettero 69v–21 verbi delle altre classi: –ero: abbatero 76v–24; giunsero 68r–20 –iro: partiro 65r–26; moriro 87v–9 –irono: udirono 92r–4 –ono: giunsono 96v–15 –oro: mororo 82r–25 –ettero: ricevettero 67v–15; vivettero 75r–28 alcune forme mono e bisillabe: fu 63v–15/fue 63v–22 (e plur. furono 69r–28/fuoro 67r–21/fuorono 92v–15); diè 72r–19 (accanto a diede 64r–9); viè(llo) 63v–8 (accanto a venne 63v–5) congiuntivo imperfetto: c. 1r–50v: 3ª pers.pl.: –ero: dovessero 1r–3; menassero 7v–4; avisassero 16r–15; venissero 17r–26 –eno: dovesseno 1r–27; p(er)desseno 13v–28; possedesseno 15r–16; insengnasseno 16r–14 la desinenza –eno è caratteristica di Pisa e Lucca [Conte 2001:298] c. 51r–63r: 3ª pers.pl.: –ero: leghassero 51v–28; togliesero 51v–28 c. 63r–97v: 3ª pers.pl.: –ero: vendessero 80v–2; vedessero 84r–7; lasciassero 89v–6 –ono: dovesono 91r–14; andasono 96r–14 la desinenza –ono è caratteristica di San Gimignano e Volterra [Castellani 2000:350] condizionale: c. 1r–50v: 3ª pers. sing.: –é: faré 10r–9; saré 11v–24 –ebe/ebbe: farebbe 1r–6; canbierrebe 36r–8; diventerebe 32v–24 53
3ª pers. pl.: –eno: potreno 31r–21 –enno: perderenno 23r–12 –ebbeno: secherebbeno 47v–12 –ebero: afogherebero 47v–12 –é accanto a –ebbe; –eno, –enno accanto a –ebbeno, –ebero è toscano–occidentale, spec. lucchese e pisano [Castellani 2000:310 s., 599] c. 51r–63r: 3ª pers. sing.: –ebe/ebbe: averebe 60r–17/averebbe 60r–25; direbbe 52v–22; darebbe 56r–28 3ª pers. pl.: –ebero: potrebero 57v–3 –eboro: avereboro 57r–28 c. 63r–97v: 3ª pers. sing.: –ebe/ebbe: gioverebe 95v–18; morebe 91v–8; muterebbe 73v–14; darebbe 91r–10 3ª pers. pl.: –ebero/–ebbero: averebero 65v–7; sarebbero 66v–26
9.6 Conclusioni PAN1 – caratteri toscano–occidentali: ie e uo dopo consonante + r u>o e o>u protoniche (anche se comune a tutta la regione) il nesso ar in luogo di er velarizzazione di l davanti a consonante a u riduzione di vr>r sincope vocalica, specie tra consonante e r (tendenza forte nelle voci verbali dei futuri e condizionali) unqua e composti (accanto a unque e composti) dunqua (accanto a dunque) lassare (accanto a lasciare) –ieri suffisso sostantivale in luogo di –iere –ile suffisso aggettivale in luogo di –ole ‘fine’, ’infine a’ in luogo di ‘fino’, ‘infino a’ oltra nell’ambito della morfologia: in del, in nel nde per ne (anche a Cortona e Pistoia) 3a sing.perf. ind. in –ette, –itte, –eo, –io 3a plur.perf.ind. in –eno 54
–caratteri lucchesi e pisani: la perdita dell’occlusione nell’affricata dentale sorda, ossia s in luogo di z nell’ambito della morfologia: maschili plurali in –e: tuoi e suoi per tue e sue: istè, istà (per ‘stai’, ‘sta’): 3a plur. pres.ind. in –eno (anche pistoiese) futuro –ir– protonico > –er– nei verbi della IV classe; nonché la presenza di forme monosillabe e bisillabe come: fia, fie, fino, finno 3a sing. e plur. perf.ind. in –à, – àno, –anno, –eono, (tipicamente lucchese) 3a plur.cong.imp. in –eno 3a sing.cond. in –é accanto a –ebbe; 3a plur.cond. in –eno, –enno accanto a –ebbeno, –ebero –caratteri lucchesei e pistoiesi: l postconsonantica o intervocalica rotacizzata er atono > or: – caratteri pistoiesi–lucchesi–pisani: nell’ambito della morfologia: 1. 3a plur.pres.ind. –eno – caratteri non fiorentini comuni a tutta la Toscana: fuore accanto a fuori anco accanto ad anche PAN2 – caratteri toscano–occidentali: ie e uo dopo consonante + r u>o e o>u protoniche (anche se comune a tutta la regione) sincope vocalica, specie tra consonante e r (tendenza forte nelle voci verbali dei futuri e condizionali) unqua in luogo di unque (una sola attestazione) nell’ambito della morfologia: 3a sing.perf. ind. in –ette, –eo, –io
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–caratteri lucchesi e pistoiesi: l postconsonantica o intervocalica rotacizzata er atono > or: 3a sing.perf.ind. dei verbi di I classe in –à, (tipicamente lucchese) PAN3 –caratteri toscano–occidentali: ie e uo dopo consonante + r u>o e o>u protoniche (anche se comune a tutta la regione) sincope vocalica, specie tra consonante e r (tendenza forte nelle voci verbali dei futuri e condizionali) nell’ambito della morfologia: 3a sing.perf. ind. in –ette, –eo, –io – caratteri lucchesi e pistoiesi: er atono > or – caratteri lucchesi e pisani: nell’ambito della morfologia: maschili plurali in –e futuro –ir– protonico > –er– nei verbi della IV classe 3a sing.perf.ind. dei verbi di I classe in –à, (tipicamente lucchese) Nel Pan3 la desinenza –ono del congiuntivo imperfetto è caratteristica di San Gimignano e Volterra
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10 Osservazioni sui segni abbreviativi
Nell’analisi dei compendia presenti nel cod. Panciatichiano 32 si è tenuto conto: del segno abbreviativo dei segni speciali della lettera (o lettere) che formano la parola abbreviata.1
10.1 Segni abbreviativi Il codice dispone di due fondamentali simboli abbreviativi: del punto e del titulus, usati soli e, sporadicamente, in combinazione. Scarsi appaiono, invece, gli esempi di lettera minuta2 sovrascritta. In verità, in questi casi particolari, c’è sempre il rischio
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Sulla storia dei segni abbreviativi si rinvia a: Carl T. G. Schönemann, Lehrbuch der allgemeinen besonders aelteren Diplomatik, Leipzig, Vogel, 1818, pp. 580–595: Cesare Paoli (trad. tedesca) Lateinische Palaeographie und Urkundenlehre, Innsbruck, Wagner, 1889; Angelo Fumagalli, Delle istituzioni diplomatiche. 2 volumi, Milano, 1802, v. vol. I, cap. IX, p. 163: Delle sigle, delle cifre, delle abbreviazioni, inserzioni, legamenti e congiunzioni di caratteri e delle note tironiane; Zanino Volta, Delle abbreviature nella Paleografia latina, Milano, 1892; Jaconus de Lausanna, Sulle abbreviature e sulla preparazione della pergamena. Trattato scritto verso il 1300. V. «Miscelle aus Grazer Handschriften», terza serie pubblicata da Anton E. Schonbach, nelle «Mitteil. Des historischen Vereines für Steiermark», Graz, 1900; Edward M. Thompson: Handbook of greek and latin palaeography, London, 1906, pp. 86–107; Elias A. Loew, The beneventan script. A History of south italian minuscule, Oxford, The Clarendon Press, 1914, pp. 153–226; Luigi Schiaparelli, Tachigrafia sillabica nelle carte italiane in Note Paleografiche (1910–32) a cura di Giorgio Cencetti, Torino, Bottega d’Erasmo, 1969; Luigi Schiaparelli, Segni tachigrafici nelle notae iuris, Archivio Storico Italiano a. LXXII, voll. II, Disp. 2 (1914); Luigi Schiaparelli, Avviamento allo studio delle abbreviature latine nel medioevo, Firenze, Olschki, 1926; Adriano Cappelli, Dizionario di abbreviature latine ed italiane, Milano, Hoepli, 1949, pp. XI–LXXIII; Armando Petrucci, Breve storia della scrittura latina, Roma, Bagatto Libri, 1992, pp. 72–79; Wallace M. Lindsay, ’Ancient notae’ and latin text, The Classical Quarterly», London, 1917, vol. XI, pp. 38–42; Wallace M. Lindsay, Palaeographia latina, New York, Georg Olm Verlag Hildesheim, 1974; Malcolm B. Parkes, Scribes, scripts and readers. Studies in the communication, presentation and dissemination of medieval texts, London, The hambledon Press, 1991, pp.19–35; Franca Ageno, Particolarità grafiche di manoscritti volgari, Italia medioevale e umanistica IV, Padova, Editrice Antenore, 1961. Per questo segno abbreviativo Schiaparelli e Volta intendono soprattutto una lettera (vocale o consonante) posta in alto ad un’altra e, solitamente, l’ultima del vocabolo, oppure la sovrascrio zione anche di piú lettere consecutive, sempre però dell’ultima sillaba, per esempio: u =uero, a tis s =substantia, ex =exceptis &c.; cf. Luigi Schiaparelli, op. cit., pp. 61–64; Zanino Volta,
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che si tratti dell’aggiunta di un’altra mano; cf.: 9r:8, 9 pÕma 41r:27 mandȮ In altri tre esempi, nonostante la presenza della lettera/lettere sovrapposte, del vocabolo nulla è tralasciato: 18v:25 cheȸdolceza3 25v:24 pɩÕo 41v:17 pÕacealÕ A cc. 18v, 25v e 41r una tale sovrapposizione è sottolineata dall’aggiunta di un segno a guisa di trattino piegato ad angolo (somigliante al diple) messo in basso dell’ultima lettera cui dovrebbero seguire elementi sovrapposti. A c.11v, eccezionalmente, la letterina è tracciata sotto: 11v:14 louerȴ Curiosa resta la sovrapposizione della letterina a c.74v. Si vede qui la vocale a sovrascritta ed un chiaro punto di espunzione sotto la i in: 74v:19 IlpÕѽastore Correzione erronea, perché nella novella si parla di colui che facea tutto il pane del palazo, ossia di pistore, quindi fornaio, e non di pastore.4 A carta 32v un punto di espunzione compare sotto la i in: 32v:3 dÕmÕserÕѽa vÕta5 10.1.1 Il titulus Si tratta del segno abbreviativo piú comune nel codice. Esso ha, pressoché in tutte le sue ricorrenze, la forma rettilinea (—) e molto piú raramente assume una foggia leggermente ondulata (~) ovvero serpeggiante (^^); di solito perpendicolare (—), incisa sopra o sotto una o piú lettere, può diventare obliqua (/), nonché uncinata alle estremità, tagliando trasversalmente l’asta della p o la s da destra a sinistra. Il suo significato è indeterminato quando indica semplicemente che la parola è abbreviata senza specificare quali elementi mancano, come in:
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Delle abbreviature nella paleografia latina, Milano, Kantorowicz–Editore, 1892, pp. 135– 150; Piú generiche le considerazioni di Cappelli; vedi A. Cappelli, cit., pp. XLI–LII. Per Biagi si tratta dell’aggiunta di un’altra mano. Cf. G. Biagi, Le novelle antiche..., cit., p. 25. Anche Biagi nella sua edizione delle novelle antiche non fa caso della lettera sovrascritta e mantiene la forma originale di ‘pistore’; cf. G. Biagi, op. ult. cit., p. 158. Biagi riporta la forma di ‘miseria vita’; cf. G. Biagi, cit., p. 58.
8r:12 cappɅa 26v:25 caȹlo Nel Panciatichiano la lineetta occupa un posto per lo piú specifico, ossia tra lettere estreme della parte accorciata del vocabolo per mostrare in qual punto vanno restituite lettere soppresse, cf.: 17v:28 aȻa 51v:24 gɣra 67v:22 nɃro A volte il trattino, anche se orizzontale, sembra leggermente ondulato. In questa forma esso ricorre sporadicamente nel ms. ed il suo uso si restringe quivi a pochissimi casi, come in: 47v:16 mȭdo In tutte le sue ricorrenze, comunque, questo segno mantiene il valore proprio della lineetta rettilinea e perpendicolare. Tra i significati specifici che la lineetta prende va anzitutto ricordato il caso del trattino orizzontale e rettilineo, comunissimo nel codice, sovrapposto alle lettere iniziali o medie delle parole per indicarvi la soppressione della m o della n.6 Il caso piú frequente di un tale uso del titulus riguarda l’avverbio negativo non (ɃnɃo) la cui distribuzione nel manoscritto risulta abbastanza omogenea in ambedue le parti del cod. Altrettanto consueta l’abbreviazione della preposizione propria con (ɣcɃo). Qui l’impiego del titulus può, però, dirsi chiaramente sproporzionato nelle due parti del ms. Difatti, assai comune nel P1, esso risulta in chiara diminuzione a partire dalla c. 49v. Altri casi dell’uso del trattino per la sostituzione di n e m sono, ad esempio: 2v:14 acɣcɃopangnato 62r:16 ɣadoe
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Questo suo uso, a detta di Schiaparelli, si ha nei piú antichi manoscritti giuridici e non giuridici. Secondo Traube sarebbe questo un uso importato dalla Grecia grazie ai calligrafi cristiani che ci diedero le prime traduzioni latine della Bibbia. Nel corso delle sue lezioni, tuttavia, lo stesso Traube dà una spiegazione diversa: questa lineetta anziché essere in origine un vero segno abbreviativo risulta piuttosto la riduzione piú semplice di M e N, scritte in forma piú piccola per risparmiare spazio: «Denn m und n, angedeutet durch einen Strich über den ihnen vorangehenden Vokalen und gelegentlich von einander in irgend einer Weise differenziert, diese Schrifterleichterung also, di später so allgemein wird, die sich aber beim Beginn ihres Auftretens nur am Zeilenschluss findet, ist ursprünglich nicht eine Abkürzung, sondern ebenso zu beurteilen wie die Ligaturen an gleicher Stelle, weil der Zeilenschluss durch gewisse Gesetze geregelt ist und Silben nicht willkürlich gebrochen werden dürfen: es sind also die m und n vertretenden Striche ursprünglich nur kleinere Buchstaben, die der Raumersparnis wegen über di Zeile gesetz sind». Cf. Ludwig Traube, Vorlesungen und Abhandlungen, München, ed. Boll, 1909, p. 139; Schiaparelli suppone la sua origine ancora tachigrafica; si veda L. Schiaparelli, Segni..., cit., p. 273 s.
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Non si è invece notato alcuna tendenza, sia nel P1 che nel P2, a distinguere graficamente la soppressione della m da quella della n, ovvero un qualsiasi simbolo speciale: p.es. un punto tracciato sovra o sotto la lineetta o il prolungamento della stessa.7 Per meglio intendere la distribuzione complessiva del titulus, ci si è serviti di un grafico sinottico. Esso indica esplicitamente la compattezza del suo impiego dalla c. 1r fino alla c. 50v e il successivo calo nelle carte seguenti, ove il suo uso in tale ufficio, anche se ancora comune, non riesce a raggiungere alti valori della prima parte del Panciatichiano:
Grafico VI.1 Distribuzione complessiva del titulus come segno abbreviativo per n e m nel Panciatichiano 32.
Il trattino perpendicolare in forma serpeggiante assume sempre nel manoscritto il significato determinato, quello della r. Il suo impiego vi si restringe, comunque, a due esempi: il primo a c. 41r (vedi supra) ed il secondo a c. 26v, ove compare in: 26v:15 teɎeno Piú avanti, a c. 66v, essa fa parte del segno convenzionale per et caetera: 66v:17 .7. ɐ
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Circa l’impiego di tali contrassegni si rinvia a: L. Schiaparelli, Avviamento…, cit, p. 57: e dello stesso autore: Segni tachigrafici nelle «notae iuris», Archivio Storico Italiano a. 72, vol. I, disp. 2a (1915), pp. 272–275; Intorno all’origine e ad alcuni caratteri della scrittura e del sistema abbreviativo irlandese, Archivio Storico Italiano a. 74, vol. 2, disp.3a e 4a (1916); Giorgio Costamagna, Tachigrafia notarile e scritture segrete medioevali in Italia, Roma, A.N.A.I, 1968, pp. 6–32; M. B. Parkes, Scribes..., cit., pp. 1–19; C. T. G. Schönemann, cit., tav. II.
Sempre numerosa la casistica della lineetta in forma obliqua, posta o in principio o in fine del vocabolo, spesso uncinata alle estremità, che taglia trasversalmente la s e prende il valore del nesso er. Il suo impiego piú comune pertiene il compendio messer (meɀ) o messere (meɀe), quest’ultimo assai frequente a cc. 53r–73v. Altri esempi della lineetta obliqua e di simile valore sono, per esempio: 33r:17 obȾuare 56v:11 eɀe 70r:16 ȾuÕgÕo Il seguente diagramma consente una visione simultanea della disposizione della lineetta obliqua con il significato di –er in tutto il codice:
Grafico VI.2 Distribuzione complessiva della lineetta obliqua con il significato di –er nel Panciatichiano 32.
In un caso solo prende il significato di or la lineetta rettilinea che taglia obliquamente l’asta della l nella contrazione di gloria (c. 50v): 50v:3 gáÕa Fra altri segni abbreviativi un gruppo cospicuo nel codice costituisce quello formato dalla p e dal trattino che le si sovrappone, la taglia in gamba oppure la interseca. Il complesso piú ampio rappresenta in nuce la lineetta perpendicolare che taglia l’asta della p (ȸ). Il suo significato equivale al nesso per. Questo segno viene anzitutto adoperato come compendio della preposizione propria per ed il suo uso risulta quasi uniformemente disposto in tutto il ms. Al tempo stesso preme sottolineare che 61
nel impiego di ȸ non c’è nessuna differenza tra la preposizione e la sillaba, 8 donde non mancano altri esempi circa l’uso di questo simbolo abbreviativo nel corpo di parola o in principio della stessa, come in: 19r:20 Imȸadore 56r:8 oȸazÕone 86v:26 ȸsona L’analisi ad hoc di tutti i compendia contenenti ȸ nel manoscritto prova questa sua notevole ripetitività. In effetti, si tratta dell’unico compendio, oltre a quello per et (7), caratterizzato da una tale omogeneità:
Grafico VI.3 Distribuzione complessiva del compendio ȸ per sillaba e preposizione nel Panciatichiano 32.
Oltre al valore di per, la lineetta che taglia in gamba la p può assumere il significato di par oppure di por. Si tratta, però, di pochi casi di cui la maggior parte proviene dal P1: 9r:11 ȸlare 27v:9 ȸtita 49v:15 corȸale 90r:19 aȸtenesse
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Sebbene è da considerare che esso sia sorto come compendio di preposizione; Cf. L. Schiaparelli, cit., p. 75; L. Schiaparelli, Segni Tachigrafici…, cit., p. 251 ss.
Molto piú ristretto nel ms. il gruppo formato dalla p la cui asta è tagliata trasversalmente dalla linnetta (Ɂ): il suo valore è quello di pro. I seguenti esempi provengono solo dal P1, nelle altre parti del codice non se n’è trovato neanche un caso isolato: 24v:27 ɁuÕnsale 27v:1 Ɂdeza 33v:3 Ɂfeta Un altro complesso assai raro forma la p col trattino rettilineo sovrapposto (ɂ): il segno equivale al nesso pre. Pure in questo caso i quattro esempi sono stati desunti dal P1, eccoli: 4v:23 aɂsso 21v:14 ɂstato 48v:22 ɂgÕare Meritano almeno un cenno i casi in cui il compilatore scambiò un segno con un altro per via, forse, della distrazione o fretta, come in: 23v:14 ɂfondare ‘profondare’ 34v:5 Ɂselo ‘preselo’ 44v:8 ȸfetto ‘prefetto’ Piú interessanti i vocaboli nel corpo dei quali si possono trovare due segni abbreviativi, verbigrazia: 32v:23 cɃotinuamɃete 34r:16 toɃrarɃoo 61r:1 cɃoȸo 10.1.2 Il punto considerato il segno abbreviativo piú antico e per molto tempo anche unico,9 è presente nel manoscritto ristretto a pochi casi particolari con posizione a metà della altezza della lettera o in basso della stessa. Va notato soprattutto il suo impiego nelle sigle per troncamento,10 specie nei nomi propri di persona di cui un esempio a c.31r. Il nome di Ysotta è quivi tre volte abbreviato in: 31r:7 .Y.
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L. Schiaparelli, Segni ..., op. ult. cit., p. 260. Numerosi, tuttavia, gli esempi del punto che si pone a fianco di un nome proprio di persona, di un titolo di riguardo non abbreviati, ma scritti per esteso, il cosiddetto ‘punto di rispetto’ (cf. cc.: 15v, 18v, 22v ecc.). A partire da c. 51r. questo impiego del punto dirada in maniera notevole.
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un altro, a c. 31v, nella novella sull’amicizia tra 31v:17 Meɀ .G. e Meɀ .S. a c. 40v si narra il combattimento tra Lancilotto ed un cavaliere col nome di: 40v:21 .G. Una prassi comune, questa – sostiene Cappelli – nelle carte medievali e special– mente nelle scritture giuridiche.11 Si riscontra spesso nel Panciatichiano il punto nella nota di messer/e (meɀ./meɀe.); questo suo impiego, però, non segue regole fisse e nella stessa carta vi sono esempi ove esso ora c’è ora non c’è. Spesso il punto si situa tra la nota di messer/e ed il nome proprio di persona che lo segue, ma non lo si potrebbe chiamare una regola: 13r:9 meɀ. Alardo dÕvallerÕ 56v:27 meɀe. AzolÕno 92r:5 meɀ. DÕanese Piú frequente, sembra, l’impiego del punto con i numerali cardinali.12 L’abitudine di racchiuderli fra i due punti si perpetua nel manoscritto qua e là ma incostantemente. Di conseguenza, possiamo altrettanto trovare il punto ora prima ora dopo il numero, o non trovarlo affatto.13
10.2 Segni speciali Nel Panciatichiano 32 si nota la presenza di notae particolari per sillabe e per interi vocaboli.14
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A. Cappelli, cit., p. XV. Nel testo, quando non messa per iscritto, la numerazione è quella romana. Il numero tre è tracciato per mezzo di tre i consecutive di cui l’ultima scende al di sotto del rigo (iij), il numero quattro, similmente, ne ha iiij; il cinque è rappresentato dalla u che equivale sia alla lett. u sia alla v; infine il nove è scritto uiiij e non IX. Le c o m indicando la moltiplicazione – rispettivamente di cento e mille – possono essere sovrapposte o scritte una accanto all’altra. Sulla numerazione romana ed arabica nel medioevo si rinvia a: A. Cappelli, cit., pp. LII– LVI; Elias A. Loew, The beneventan script. A history of the south italian minuscle, Oxford, Clarendon Press, 1914, p. 296 s.; Z. Volta, cit., pp. 211–229; Cesare Paoli, Lateinische Palaeographie und Urkundenlehre von C. Paoli, aus dem italienischen uebersetzt von dr. Karl Lohmeyer, Innsbruck, 1889, pp. 78–85. I segni abbreviativi della lettera p, trattati supra a proposito della lineetta, sono altrettanto annoverati tra i simboli di antica origine. In effetti nel compendio di prae/pre (ɂ) Schiaparelli scorge il segno tachigrafico di e: si tratterrebbe, quindi, dell’unione della p con la e; in quello di per (ȸ) egli vede una r e l’abbreviatura consisterebbe di p+r. Piú incerta l’origine del compendio pro (Ɂ), ma c’è da credere che anche esso risulti dal nesso dello occhiello della p colla nota tironiana ro: «Il combaciamento dei due occhielli (della p e della o) ci avrebbe dato il noto compendio, che corrisponderebbe a p+ro, colla desinenza espressa da un segno tironiano. E sarebbe cosíspiegata, della comune abbreviatura, la composizione, nonché la forma e il
) la cui origine risalga Tra i segni per sillabe vale ricordare quello di con ( ancora all’antica tachigrafia.15 Nel P1 esso è messo come sillaba iniziale di parole, talora isolatamente, ma il suo impiego risulta molto piú limitato rispetto al piú frequente ɣco (vedi supra): 10v:13 26r:12 33v:2
dÕzÕone tra
Il segno somigliante ad un 2 arabico, ma tagliato in coda da una linea obliqua (Ȭ), pure esso di antica tradizione,16 ricorre con estrema rarità. In un caso solo, a c.5v, esso si pone in fine di parola per indicare la sillaba –rum in: 5v:15 scoȬ mentre a c.51v fa parte del compendio per et caetera:
51v:17 Il segno seguente somigliante in parte al precedente, ossia ad un 2 arabico, fu usato nelle scritture medievali col significato di ur o tur, preferibilmente in fine di parola ed in alto del rigo (2). Nel manoscritto, di preciso nel P1, si è notato un altro suo impiego, quello nel corpo di parola per indicare il nesso er, come in:17 27r:17 et2nale Sorto dalla trasformazione di puntevirgola, il segno che arieggia due c, l’una sopra l’altra ma volti a sinistra, o un 3 arabico soleva supplire nei manoscritti medievali la particella que, est, is, us o et.18 Loew sottolinea invece il suo impiego nelle scritture beneventane, ove prese un altro significato:
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posto del suo segno caratteristico». Cf. L. Schiaparelli, Segni…, cit., p. 251 ss. Si rinvia pure al nn. 6–8 nella tavola inclusa alla fine del suo lavoro. Questo segno speciale, scrive Schiaparelli, ebbe larghissimo uso nella scrittura latina medievale ed è «la riproduzione della corrispondente nota tironiana, con la forma di C rovesciata […] Si differenzia da questa C per l’ochiello superiore piú chiuso, e soprattutto per lo svolazzo o prolungamento a sinistra del tratto finale: ci dà probabilmente il nesso c+o+n»; Cf. L. Schiaparelli, Segni tachigrafici..., op. cit., p. 245–249; A. Cappelli, cit., p. XXV; C. Paoli, cit., p. 21; E. A. Loew, cit., p. 157. Si rinvia pure a Z. Volta, cit., p. 173. Si tratterrebbe della r intersecata da una linea obliqua; Oltre alla finale –rum, esso può indicare qualunque desinenza cominciante per r. Loew lo chiama uno dei piú antichi segni di sospensione; cf. L. Schiaparelli, cit., p. 70; A. Capelli, cit., p. XXVII s.; E. A. Loew, cit., pp. 164 e 192. Cf. A. Cappelli, cit., p. XXVII; Z. Volta, cit. p. 177 s. Ibidem, A. Cappelli, p. XXXIII; Z. Volta, p. 178.
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«One of the most characteristic features of the developed beneventan script is the form of its m–stroke. Whereas in ordinary developed minuscle omitted m was indicated by a horisontal line above the vowel, the Beneventan used a symbol resembling arabic number 3 […] we find it to be a development from the capricious abbreviation–strokes of the 8th and 9th centuries […] when no distinction was made between the abbreviation stroke and the 19 m–stroke».
C’è da dire che nel Panciatichiano esso viene posto sempre in fine di parola in riga con le altre lettere ed il suo valore è proprio quello di m. I pochi esempi ritrovati nel cod. si limitano prevalentemente ai nomi di città o nomi propri di persona: 3v:16, 25 Bettele3, Gerusale3 33v:3 Ballaa3 ma un tale uso di 3 non segue nel codice alcun principio, anzi piú sovente i suddetti sostantivi vengono scritti per esteso, ossia ‘Gerusalem’, ‘Bettelem’, ‘Ballaam’ (basta confrontare le carte indicate sopra). Un’altra volta questo simbolo compare a c. 66v, in una citazione latina tratta dal Salterio: 66v:16, 17 Miserere mei Deus sechondu3 magna3 miserichordia3 tua3 A c. 47r 3 compare in: 47r–8 acq3 e stando a quanto sostenuto da Cappelli: «il segno simile a un 3 arabico dopo la lettera q assume il valore di ue»; infatti cosí succede, dato che si tratta di ‘acque’.20 Fra altri segni speciali, comunissimo nel manoscritto risulta un simbolo speciale per et e somigliante al 7 arabico. Esso viene posto in luogo della congiunzione et, mai però in sostituzione di quella da cui prende inizio un nuovo periodus. Di segni speciali che servono a rappresentare una parola o un’espressione di uso frequente si riscontrano delle notae particolari per indicare monete, e cioè: danari 6v:25 45r:8 libbre/livre/lire 23r:23 soldi 64r:20
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E. A. Loew, cit., pp. 171 s. Cf. A. Cappelli, cit., p. XXXI.
ne fa altrettanto parte la già citata locuzione latina di et caetera nelle sue due foggie:
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10.3 Troncamento Tra varie forme di apocope quella piú antica dicesi per sigla.21 La si nota nel manoscritto a c. 31r, quando il compilatore abbreviò, usando anche il punto, il nome di Ysotta (Y.), nella novella seguente di messer G. e messer S., nonché a c. 40v (v. supra). A c. 37r ‘non’ è accorciato per mezzo della lineetta in Ƀn e trovasi in fin di rigo; infine, i compendia di ser (cc. 59v, 60r e 60v), ma pure sigle incluse fra i segni speciali: quelle per ‘danari’, ‘soldi’ o ‘libbre’ (v. sopra).
10.4 Contrazione Nell’ambito delle abbreviazioni per contrazione22 si distinguono facilmente: – le contrazioni pure, come in: 1v:25 eccɓa 51v:24 gɣra – le contrazioni miste, per es.: 17v:28 aȻa 39v:2 GuÕɅo Nell’ambito delle suindicate abbreviature si enuclea facilmente un complesso di compendia che appartengono ai cosiddetti nomina sacra.23 Essi sono: –l’abbreviazione di Cristo (xpo) dalla contrazione greca di Xp(ȚıIJȩ)Ȣ, donde, per analogia, anche xpiani; –quella di Jesus (ihu) dal IȘ(ıoȪ)Ȣ; nel manoscritto le due notae compaiono sovente unite in Õhu xɣpo/yhu xɣpo; –il compendio greco per spiritus, IJʌ(ȣİȪȝ)Į può aver esercitato un influsso sulla
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Sulle sigle si rinvia a Z. Volta, cit., pp. 47–94; Ernesto Monaci, Esempj di scrittura latina dal secolo .I. dell’era moderna al . XVIII., Roma, Domenico Anders Editore, 1906, tav. 47–50. Cf. L. Schiaparelli, Segni…, cit., pp. 302–322; L. Schiaparelli, Avviamento allo studio…, cit., pp. 85–89; Z. Volta, cit., pp. 267–283; C. Paoli, cit. pp. 8–15. Secondo Traube si tratta di notae entrate nella scrittura latina non come vere abbreviature, ma come segni speciali. Ciò avrebbe permesso loro di conservare per secoli la forma pressoché immutata presente, come si è visto sopra, anche nel Palatino 32. Cf. Ludwig Traube, Nomina Sacra. Versuch einer Geschichte der christlischen Kürzung, München, 1907; W. M. Lindsay, Notae Latinae..., cit., p. 395 e sgg; Smith&Cheetham, A Dictionary of christian antiquities, London, 1875–1880, 2 volumi.
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nota latina sps. Nel nostro testo compare la forma volgarizzata di sɣpo; sul esempio di sps sarebbe sorta la contrazione latina per sanctus (scs/sco &c.), dato che i due vocaboli venivano spesso uniti nell’espressione Spiritus Sanctus. Le contrazioni sɣco/sɣca/sɣcÕ/sɣcÕssÕmo/sɣcÕssÕma sono anche presenti nel Panciatichiano 32 (P1); –abbreviazioni per i nomi dei santi. Nel nostro codice ricorre il nome di Giovanni Battista abbreviato in Ioɍi/Ioʄai.24
10.5 Conclusioni Tra abbreviazioni presenti nel cod. si hanno molti compendia le cui origini risalgono ancora alle antiche note tachigrafiche entrate poi, tramite notae iuris, nel comune sistema abbreviativo medievale e non soltanto in quello latino, ma altrettanto in quello volgare di cui il manoscritto può ritenersi una vera e propria testimonianza. Uno sguardo riassuntivo offrono due grafici comparativi: uno per il P1 (cc. 1r–50v) e l’altro per il P2 (c. 51r–97v), una sintesi di tutto quanto finora esposto. Per maggiore trasparenza il simbolo della lineetta è stato suddiviso in: –trattino rettilineo sovraposto alle lettere per indicare la sopressione della n e della m; –trattino serpeggiante con il significato di r; –trattino obliquo col valore di er e di or; –trattino che taglia in gamba la p ed equivale al per; –trattino che taglia in gamba la p ed equivale al par; –trattino che taglia in gamba la p ed equivale al por; –trattino soprastante alla p con il significato di pre; –trattino che taglia obliquamente la gamba della p e prende il valore di pro; È stato escluso dai segni speciali il simbolo di et, troppo frequente nel manoscritto, nonché il segno abbreviativo di per trattato separatamente. Lo spazio per il troncamento include le abbreviazioni per apocope dei nomi propri di persona, segni convenzionali (per libbre, soldi &c.), pure dei vocaboli messer e ser, l’abbreviazione per non (Ƀn) e sanctorum (scoȬ). L’abbraviazione di con (ɣcǀ) e non (ɣnǀ) è stata inserita nel campo della lineetta sovrapposta e perpendicolare col valore di n ed m; formano un gruppo a sé le abbreviature per contrazione:
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Sulla contrazione di Iesus Christus cf. L. Traube, cit., pp. 149–164; W. M. Lindsay, cit., pp. 402–404 e 406–407; E. A. Loew, cit., pp. 177 e 183; di spiritus, L. Traube, ibid., pp. 164–166; W. M. Lindsay, ibid., pp. 410–411; E. A. Loew, cit., p. 193; di sanctus, L. Traube, ibid., pp. 193–204; W. M. Lindsay, ibid., pp. 409–410; E. A. Loew, cit., p. 192. Per uno sguardo generale si rinvia a L. Schiaparelli, Segni…, cit., pp. 314–322.
Grafico VI.4 Distribuzione complessiva dei segni abbreviativi nel P1 (cc. 1r–50v).
Grafico VI.5 Distribuzione complessiva dei segni abbreviativi nel P2 e nel P3 (cc. 51r–97v).
In sintesi, a partire dalla c. 51r le abbreviazioni cominciano a limitarsi alle notae piú comuni, scompaiono quelle di pro, pre, par, il trattino in forma serpeggiante, nonché altri segni speciali o con il significato determinato il cui uso era pure raro nel P1, ma di cui a cc. 51r–97v non resta alcuna traccia. Nello stesso modo, diradano abbreviazioni per sincope fra cui il gruppo di nomina sacra, anche se in questo caso è importante la tematica: non si dimentichi che la raccolta è preceduta da un Itinerario ai luoghi santi in cui tali abbreviature sono per forza piú frequenti. 69
Tav. I: Il nome di Ysotta abbreviato per apocope in Y e racchiuso fra i due punti (r. 3 e 4); c. 31r.
Tav. II: Il brano contiene numerosi esempi di segni abbreviativi fra cui: ɡ (r.1), Ⱦ (r.8), il titulus (rr.3, 4, 6, 8), ȸ (rr.3, 4, 7, 13), nonché un esempio della contrazione in ‘nostro’ (r.7); c. 15v.
Tav. III: Nella citazione latina dal Salterio si scorge facilmente l’uso del segno che arieggia un 3 arabico posto in fine di parola (r. 2 e 3). Alla citazione segue il compendio per et caetera (r.3); c. 66v.
70
Tav. IV: L’esempio del numerale MM e MMM racchiuso fra i due punti (rr. 3 e 5); c. 22r.
10.6 Appendice Indice delle abbreviazioni nel codice Panciatichiano32 Avvertenza.—L’elenco, desunto dal manoscritto, dà tutte le abbreviature di cui ci si è serviti nel presente studio ed è, nel contempo, la raccolta complessiva di tutte le accorciature reperibili nel detto codice. Di alcuni compendi, e si tratta soprattutto delle abbreviazioni per i verbi, si è fornito solo una forma omettendo vocaboli ad essi contigui. In questi casi si richiamerà ad un’apposita nota. Per maggiore chiarezza, alcune notae sono seguite dalla loro spiegazione tra parentesi scritta in carattere comune: sono, di regola, abbreviazioni per contrazione. L’indicazione delle corrispondenti carte agevolerà le ricerche al riguardo. 25
2v–13 62r–15 83r–27 64v–13 17v–28; 25v–8 37v–20
26
27
28
49v–1 49r–4 4v–23
––––––– 25 26 27
acɃopangnilo, c.24v–15. aȸtenesse, c.90r–19. aȸtamente, c. 65v–1.
71
15v–21 29
78v–17 20r–14 33v–3 3v–16 90v–1 27v–18 2r–15; 5r–16; 8r–12
/cappella/ 26v–25; 33r–19 /cappello/ 23r–17, 18 10r–16 31r–8 20r–9 in fin di rigo: 6r–9; 10r–18v; 22r–23v; 27r– 3; 27v–2, 30r–31v; 36v–18; 39v–42r; 44v– 15; 47r–15; 49v–15, 67r–7; 92r–3; 92v–6; 94r–19; 95v–24 in mezzo del rigo: 18r–13; 20v–18 66v–17 3v–89v
/con/
3v–18; 10v–13; 16v–2 /con/
30
/conbattere/
62v–9/10 26v–4/5
–––––— 28 29 30
72
ɂ|sso, cc.: 2r–13, 14; 4r–16; 5r–26. nel testo: ora veɃne. cɃobatti, c. 34v–3; cɃobatteo, c. 18v–12, 26v–8/9; 30r–17; cɃobattea, c. 40v–21; ricɃobatteo, c. 34v–4.
34r–21 12r–17 46v–6 33r–16 26r–12 12r–16 18v–2; 30r–9
31
12v–22
32
34v–19 57v–23 37v–17 v.3 pers., pass. rem/ 19r–21 17v–4 33
11v–17 92v–18 31r–27 32v–26 14r–14 61r–5 22v–25 49r–8 46v–18/19
––––––– 31 32 33
cɃoducitori, c. 57r–26/27. cɃofessavano, c. 37v–7. cɃognioscendosi, c. 28v–6.
73
11v–27; 22r–8
34
30v–14; 32v–7; 42r–7
35 36
27r–11; 30v–5, 6; 35v–3; 37v–24 13v–28 4v–22 20v–22 6v–24; 83v–6/7 81v–2
37
31r–16 17r–2 61r–1
38
26v–14 41r–2 49v–15 50v–1 39
34r–3,5 1v–14 1r–17; 1v–21 22v–20
40
35r–20 15v–15/16
––––––– 34 35 36 37 38 39
74
ricɃonovesi, c. 32r–8. acɃopagnioe, c. 52r–10. cɃopangno, c. 32r–1, 2; 75r–27; cɃopangnio, c. 52v–11, 12; 83r–15, 16; cɃopangni, c. 42r–10, 11. chonȸai, c. 84r–11. cɃoȸai, c. 39r–21/22. cɃosentiano, c. 34r–9.
34v–12/13 6v–14; 16r–2; 20r–20; 22v–11; 27v–5; 29r– 2, 8; 34v–21, 24, 26; 35r–2, 19; 37r–7 15v–5; 15v–6 41
42
15v–14 41v–9; 77v–17/18 41v–11, 17 19r–16 3v–11; 24r–22 10r–10; 29v–6
43
4r–5 18r–21 17r–23 15v–1 32v–23 7r–5; 8r–5; 23v–21; 27v–11
44
1r–16; 6v–14; 33v–2; 35v–4 12r–12 29r–10 45
36v–13 42r–5
46
18v–18; 39r–24 39r–19
–––––— 40 41 42 43 44 45 46
ricɃosiglio, c. 32r–7; cɃosigliato, c. 37r–5. sigliaste, c. 15–16. cɃosolato, c. 60v–11; cɃosolata, c. 41v–17. cɃota, c. 51r–1; 52r–10; ricɃotare, 48r–27. cɃontra, c. 1v–17. cɃotrarii, c. 35r–25. cɃovenia, cc.:9v–19; 24v–18; cɃovenga, c. 30v–14.
75
,
/denari/ 47
6v–26; 45r–8 65r–16 41v–24 32r–26
48
38r–24 32v–27 28v–11 17r–4; 32v–18 53r–11; 60v–4
49
/et/
8v–7; 35r–5; 36r–15; 41v–9; 94v–21; 95v– 15 1r–97v 66v–17
/et caetera/ 51v–16 /et caetera/ /ecclesia/
1v–24, 25; 2r–1; 3r–2, 3; 3v–12, 14; 4r–3; 5r–21; 5v–21; 6r–13, 23, 25; 6v–10; 7v–9 37v–14 27v–19 56v–11; 61v–27; 73v–14 39r–4 27r–17; 46v–14
50
51v–6 34r–16 17r–22, 28; 25r–14
––––––– 47 48 49 50
76
Raddopiamento fonosintattico in da me. Imperativo pres. doɃne, cc.: 25r–20; 39v–2; 96r–7. Imperativo pres.
32v rubr. 74r–27 3r–1651; 4r–7, 14; 4v–1, 6; 7v–23 50v–3, 6 /gloria/ 6r–25; 17r–4; 55v–23
52
48v–8; 51v–24 /grazia/ Guillielmo/Guiglielmo
39r–9, 12, 19–20, 24; 39v–2 27r–6 20v–17 28v–25 12r–22 3r–13; 10v–rubr; 12r–16; 17v–4; 23v–21; 25v–18; 29v–10; 30v–20; 31r–24; 31v–26; 32v–22, 26; 33v–16; 34r–8, 19; 36r–11, 12; 37v–1; 40v–6 23v–11
53
23v–12; 29v–16, 23 3r–13; 3v–24; 4v–19, 22; 5v–16; 6r–19; 7r– 15, 19; 9r–2; 93r–9 9v–7, 12, 14, 25; 10r–8, 15, 17, 20, 27; 10v–1, 10; 19r–20; 23r–27; 23v–18; 24r–6/7, 11, 13; 26v–6; 28v–16, 20, 21, 24, 27; 29r–5, 9, 12, 14, 17, 21; 29v–5, 8, 9; 33r–4, 6, 7; 35v–13, 25; 42r–19, 20; 44v–5, 8, 9, 24; 45v–3; 57r – 11, 13, 18; 58r–12, 13, 18; 62r–16, 20; 64r– 26; 64v–1, 5, 16; 65r–1, 18, 22, 25, 26, 28; 65v–2, 9; 66r–2, 5 9v–21
––––––– 51 52 53
Gierusale3. grɃadi, c. 43r–25. inɃcɣominciaro, c.24r–8; Ȼcominciarono, 23v–15.
77
10v–8; 26v–4, 18, 22; 27r–8, 12; 44v–11 5r–7 31r–28 18v–8; 33v–19; 72r–6/7 54
37r–16 40r–3 67r–17; 67v–4; 69r–27; 69v–17; 71r–7; 72r–4; 72v–13; 73r–28; 73v–4, 16; 74r–8; 76r–15; 76v–4; 77v–2; 79r–24; 80r–25; 81r–19; 81v–5; 84r–3; 85v–28; 86r–2, 27; 88v–1; 90r–21 67v–9 42v–23 34r–3, 4; 39v–3/4
55
34v–3 14v–26 29r–27 30v–22 5v–24 8v–5
/Iohanni/ 5v–18 /Iohanni/ /libbre/
23r–23; 64v–23; 88r–27 32v–26 23r–19 66v–16
––––––– 54 55
78
ricɃotrare, c. 48r–27. iscɃofisselo, c.34v-5.
41r–27 6v–8
/misericordia/ 56
1v–24; 2r–1, 2; 2v–27; 3r–2, 3, 10, 18; 3v– 12; 4r–3; 5v–21; 6r–20; 8r–22; 10v–5, 12, 27; 11r –26; 11v–3, 10, 19; 12v–6, 13; 13r– 9, 24, 25; 14r–1, 3; 15v –17; 16r–24, 26; 16v–4; 16v–20; 18v–10; 20v–14; 21r–20; 21v–26; 22r–6, 7, 23; 23r–15, 17, 20–23; 23v–20; 24v–24; 25r–5, 9, 12; 28v–9; 29r– 11, 14, 15; 29v–9, 12, 26, 27; 30r–20, 24; 30v–5, 13, 18, 20; 31r–2, 3, 23; 31v–rubr, 17, 19, 28; 32r–1, 4; 32v–5, 10; 33r–4, 5, 13, 15; 35v–5, 7; 37r–23; 37v–4, 6, 10, 12, 23; 38r–1; 39v–7, 14, 15, 26; 40r–5; 40v–21, 25; 42v–21; 43r–13; 47r –24; 51v–1, 12; 52r–5; 53r–6, 11, 26, 27; 53v–4, 13, 18, 22, 23, 27, 28; 54v–15, 16, 23; 55r–6, 8; 56r– 23; 56v–11, 12, 27; 57r –2, 4, 19; 57v–18, 21, 24, 26; 59v–26; 62r–23; 64v–2, 5; 65v– 13; 66v–18; 68r–22; 70v–8, 14, 28; 71r–17; 71v–9, 17; 72r–1; 72v–28; 73r–2, 6; 73v– 15, 17; 79r–19; 80r–20; 80v–26; 81r–1; 81v–7; 85v–21; 91v–3, 4, 13, 23, 27; 92r–1, 4–6, 8, 23, 24; 92v–2, 25, 27; 93r–4, 8, 9, 17, 23, 28; 93v–7, 9, 16–18, 22, 24, 25; 94r– 1, 4, 8, 12, 17, 25; 94v –1, 7, 12, 13, 15; 95r–3, 5, 7 52r–5; 53r–11, 26, 27; 53v–4, 13, 18, 27, 28; 54v–15, 16, 23; 55r–6, 8; 56r–23; 56v–12; 57r–4; 57v–21, 24, 26; 59v–26; 73v–15 19v–7 9v–rubr., 47v–16; 48v–22; 55v–18; 85r–14; 96v–11 62r–15 7r–22 37r–5 1r–97v 5r–18; 6r–18, 23; 8r–17; 8v–6
––––––– 56
mɃondo, c. 84v–7/8.
79
2r–8; 2v–1; 3r–13; 3v–24; 4v–19, 22, 25; 5r– 10, 26; 5v–2, 6, 10; 6r–17; 6v–4, 6, 11; 7r– 14, 18, 23; 7v–2, 6, 11, 14, 18, 22, 26; 8r–8 33r–17 26v–22, 23 56r–8 9r–14; 65v–4 12r–12/13 1r–97v 12r–20 57
9r–11, 17 9v–19; 31r–28; 31v–26/27
58
/parte/ /passioe/
5r–7 2r–17 1r–97v 1r–97v
59
57r–20; 58r–17 60
15r–6; 51r–17/18; 75r–1/2 1v–20
––––––– 57 58 59 60
80
ȸlo, cc.:27r–28; 31r–15. ȸti, cc.:9r–23; 10v–14. imȸcio, c. 55r–22; inȸcio, cc.: 70r–19,28; 70v–5; 71r–21; 74v–28; 76r–9; 79v–11; 84r–5; 85r– 9; 86r–28; 86v–16,17. ȸder, 15r–4; ȸde, cc.: 25r–13; 44v–15; ȸdono, c. 22r–9; 26r–24; 53v–26; ȸdeano, c. 27v–14; ȸdeo, c.34r–19; ȸdesti, c.22r–7; ȸdetti, c. 22r–7; ȸdette, c. 18r–25; 19r–20; ȸse, c. 65; ȸdeono, c. 37r–1; ȸdeno, c. 18v–25; ȸdero, c. 13r–21; ȸdesseno, c. 13v–28; ȸderebe, c. 18v–28; ȸderenno, c. 23r–12; ȸduto, cc.: 1v–18; 10r–14; 16v–19; 22r–6; 24v–7; 35v–rubr.; 51r–17; 55r– 14; 80v–14; ȸduta, cc.: 4r–25; 50v–2; 55r–12; ȸdenti, c. 21v–26/27
61
1v–15
/sost./ 44v–8 /prefetto/ 51r–4, 10, 27; 52r–4, 5; 57v–25; 62r–13 51r–17; 52v–12; 54r–11, 26; 56v–13; 57r–3; 58r–21; 59v–19; 60r–4; 61r–28; 61v–14; 62v–6, 28; 65v–12, 14; 66v–21; 67v–20, 23; 70v–11; 71v–11, 23; 72v–14; 74r–5, 7; 74v– 11; 79r–5; 79v–4; 81r–14; 81v–8; 82r–10, 16; 85r–16; 85v–18; 88r–18; 89r–18, 24, 25; 90r–7; 95r–20; 95v–2, 4, 28; 96r–14; 96v– 22; 97r–12, 17, 19 21v–20
62
27r–16 20r–18 23r–1 33r–27 63
13r–16; 18v–11; 24r–24; 30r–22; 32r–6; 37, 40r–20; 40v–14; 41r–16; 46v–19; 47v–20, 22; 48r–24, 25; 53v–3, 19; 54r–15; 64v–24; 67v–27; 69r–21, 22; 71r–18; 72v–18; 74r– 19; 74v–15; 76r–18; 80v–7; 81r–10; 81v–11; 84v–21, 24; 86v–8, 26; 87v–24; 91v–10, 26; 92r–2; 93r–18; 94v–28; 95v–17 27v–9
/partita/ 41v–17 40r–18
––––––– 61 62
63
ȸdonatemi, c. 38r–5; ȸdonoe, cc.: 5v–16; ȸdonassero, c. 26r–23; ȸdonando, c. 26r–22, 23; ȸdonato, c. 66v–13. inȸo, cc. 67r–17; 67v–4; 68r–6/7; 69r–27; 69v–17; 71r–7; 72r–4; 72v–13; 73r–28; 73v–4, 16; 74r–8; 76r–15; 76v–4; 77v–2; 79r–24; 81r–19; 81v–5; 84r–3; 85v–28; 86r–2, 27; 88v–1; 90r– 21; imȸo, c. 68r–6. ȸsone, cc.: 8v–3; 16r–11; 21v–25; 23r–9–12; 37v–2; 54r–26; 57r–9/10; 68r–14, 15; 73v–7; 90v–17.
81
25v–24
74v–19 9r–8/9 13v–9 48v–22 21v–14/15 6r–10 27v–1; 30r–2; 41r–2 30r–24/25; 39r–10, 21 24v–28
64
3r–27; 5v–10, 15; 7r–20; 25v–14/15; 33v–3, 17, 21, 22 ; 34r–11 23v–14 /profondare/ 65
34r–3 44v–17 49r–2 17v–3
66
67
15v–6; 28v–22/23 13r–7; 32v–26; 45r–6 35r–23
––––––– 64 65
82
Ɂferto, c. 20v–3. Ɂmesso, c. 35r–3.
68
36r–19 10v–7 24v–27 34r–6 5r–26
69
86v–2 49r–4 7v–5 34r–16 9r–22/23 18r–13 22v–13 59v–7, 10; 60r–10, 14, 17; 60v–2, 4
/ser/ 64r–17, 20; 64v–4, 5, 14
/soldi/ 15v–4 70
/sancta/
71
/sancto/
2r–16; 4r–17; 4v–3, 14; 5r–9, 10, 17, 19, 25; 5v–15; 6r–11, 13, 24; 7v–10; 8v–1, 6; 38r– 12 49r–6 2r–1, 2, 5, 27; 2v–27; 3r–2, 4, 18, 27; 3v– 12; 4r–3, 4; 4v–7, 18; 5r–27; 5v–17, 21; 6r– 20, 26, 27; 6v–8, 18; 7r–15, 20; 7v–7, 8, 12, 16, 19, 23, 26; 8r–3, 5, 16, 22, 27; 8v–5; 40r–5 5v–15
–––––— 66 67 68 69 70
Ɂporemo, c. 22v–26; Ɂpuosero, c. 22v–10. Ɂuera, c. 43v–17; Ɂuato, c. 32v–28. Ɂuedera, c. 22v–28; Ɂuidde, c. 15r–18, 21; Ɂuiddero, c. 18v–26/27; Ɂuiddesi, cc.:15r–15; Ɂuidesi, 19v–1. quɃati, c. 19r–22. sɃcassima, c. 7v–27.
83
66v–16 32v–24/25 75r–26 1v–6 83r–24 72
27v–26 63r–4; 97r–19
73
31v–3/4 46r–21 15v–23; 49v–27 49r–16/17, 20; 70r–16/17; 85r–10; 94v–20 88v–19
74
43r–24 74r–27
75
24r–7 27r–5 92v–25 49v–27 7r–20 26v–11; 44r–13 76
–––––— 71 72 73 74 75
84
sɃcissimo, c. 3v–16; sɃci, c. 4v–16. Ⱦgienti, c. 27v–20. Ⱦpenti, c. 48r–22. Ⱦva, c. 24v–15; Ⱦvita, c. 28. Raddoppiamento fonosintattico in si mi.
28v–23
50r–4, 10
77
/spirito/ 49v–13 /spirituale/ 50r–21 78
26r–27; 42v–19; 44r–21 20r–25; 23r–21 50r–17 5v–27 26v–15 34r–16 1r–10; 1v–19; 2r–17; 4r–1, 26; 7r–5; 9v–3; 14r–12, 16; 15r–8; 15v–12; 18v–17; 22v–5; 23v–12; 24r–2, 10 9r–21 9v–2
/terra/
79
3r–23; 3v–3, 15, 20; 4r–8, 14, 25; 4v–10, 11, 13; 7r–19; 12r–17, 25; 20r–11; 23v–28; 26r– 1, 19; 27r–16; 31v–3; 32v–13; 35v–21; 40r– 25; 40v–2, 4, 5; 42v –4; 43r–12, 16; 46r–15; 47r–1, 3, 25; 47v–8, 10; 48r–3, 15; 50r–25; 51r–23; 51v–18; 53v–18; 62v –22, 26; 66v– 14; 68v–21; 77r–21; 92v–10; 93v–14, 22 66v–17 74r–7 20v–17 19v–16 44r–27 76r–21; 91r–5 9v–7 23r–13
–––––— 76 77 78 79
soȸchio, c. 28v–14. sɃpi, c. 50r–6. soȸbia Raddoppiamento fonosintattico in tu mi.
85
11v–14 50r–21 /Ysotta/ /Iesu/
31r–6–8 2v–2; 5r–6, 10, 18; 6v–11, 20, 26; 7v–7, 14, 19; 8r–8, 18; 26r–18 46v–17 2v–2; 3r–13; 3v–24; 4v–19, 22; 5r–6, 10, 18, 26; 5v–16; 6r–19; 6v–20, 26; 7r–15, 18; 7v–7, 14, 19; 8r–8, 18; 9r–2; 26r–18, 22; 50r–21; 55v–23; 93r–9 4v–25 40r–27; 40v–5
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11 Ars punctandi nel Panciatichiano 32
Avvertenza– nella ricerca si è rinunciato alle carte mutile, nonché a quelle che presentano una difficoltà di lettura. Nella citazione degli esempi si rispetta la grafia originale, compresi i segni abbreviativi ivi presenti.
11.1 Indicazione di paragrafo Nel cod. esso non è disegnato tramite un segno grafico particolare,1 bensì per mezzo di una lettera maiuscola colorata di rosso o di blu, per di piú di notevole grandezza (vedi tav.I) che indica facilmente all’occhio l’inizio di una nuova novella2 e, oltre alla novella, essa indica nel P1 l’inizio di una nuova sequenza nell’ambito della stessa. Un esempio di ciò si trova a c. 9v, nell’aneddoto sul Presto Giovanni ed imperatore Federico, ove compaiono due litterae notabilior: la prima dell’incipit che apre l’intero racconto: «LOpresto GÕouannɬ nobÕlÕssÕmo sÕngnore IndÕano | mando rÕccha 7 nobÕle ambascÕarÕa allo nobÕle | Imȸadore federÕgho […]» (ed. diplomatica)
e la seconda del capoverso successivo che fa un esplicito riferimento all’argomento appena svolto invece di introdurre un nuovo apologo: «DAÕndÕ apocho tenpo pensando lopresto . GÕoua|nnɬ chelle pÕetre che auea donate alloImȸad|ore aueuano ȸduto leloro uertude […]» (ed. diplomatica)
In seguito, a c. 44v, la littera notabilior apre l’esordio della novella sul filosofo Secondo: «SEchondo fue Uno FÕlosafo [...]» (ed. diplomatica)
A c. 45v, un’altra lettera maiuscola inizia l’incipit, ove la presenza del deittico «questo» riferito al filosofo Secondo fa nuovamente pensare ad una continuità:3
––––––– 1
2 3
Si cf. la tavola illustrativa dei segni di paragrafo nei codici e manoscritti per i secoli IX–XV. Per la minuziosa descrizione di ognuno di essi si rinvia ad: Albano Sorbelli, Il segno di paragrafo, Scritti di paleografia e diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze, Olschki – Editore, 1944, p. 345. Sul’impiego del segno di paragrafo cf. J. Tognelli, cit., p. 40; M. B. Parkes, Pause and effect..., cit., p. 24 ss. Circa l’analisi della struttura degli incipit nel Novellino si rinvia a M. Dardano, Lingua e tecnica narrativa nel Duecento, cit., pp. 176–179. Biagi ricorre ad un capoverso inserendo la novella nell’ambito della LXXXVI.
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«ADrÕano marauÕglÕandosÕ della fermeza dÕquesto FÕlosafo [...]» (ed. diplomatica)
A cc. 51r–97v la littera notabilior indica solamente l’esordio di ogni novella, mentre un nuovo argomento nell’ambito della stessa viene segnalato coll’andare a capoverso. Si consideri, a tal riguardo, il racconto su Messere Azolino (cc.56r–57r): in effetti, dopo l’incipit che parte da: «MEssere AzolÕno Romano fece una uolta bandÕre [...]» (ed. diplomatica)
altre partizioni all’interno del testo avvengono tramite un «a capo»:4 56v:9 Anche alsuo tempo lÕsÕrÕchÕamoe unuÕllano [...] (ed. diplomatica) 56v:26 InlombardÕa 7 nella marcha sÕchÕamano lepentole olle [...] (ed. diplomatica) 57r:9 AdÕre come fue temuto sarebbe grantela [...] (ed. diplomatica)
Nella novella su Messere Dianese (cc. 91r–95r) il relatore indica tramite un capoverso non solo un nuovo paragrafo, quanto il passaggio da un discorso diretto all’altro; ciò causa talvolta momenti di incoerenza. È possibile, però, che il compilatore lavorasse a fasi alterne, donde, ogni tanto, questa mancanza di uniformità logica.5 La stessa incoesione abbiamo notata nella novella sui quattro figli del re di Gerusalemme (cc. 96r–97v).6 Le restanti novelle (cc. 63r–97v), e in stesura piú ampia, sono prive di un qualunque segno grafico di separazione fra un argomento e l’altro.
11.2 La puntuazione Come indubbi segni d’interpunzione che scompongono il testo in unità sintattiche indicando pause piú o meno forti, si presentano: il punto, posto per lo piú circa a metà altezza del rigo con tendenza, comunque, a sistemarsi in basso; il doppio punto; nonché il periodo. 11.2.1 Il periodus Nel ms. il periodus raffigura di solito la distinctio finalis ed è rappresentato graficamente col punto molteplice, ossia con tre punti disposti a triangolo (:.); sporadicamente il periodus viene indicato tramite due punti disposti verticalmente (:).7 Esso può essere altrettanto adoperato per le partizioni interne, quindi in fine di una sequenza compiuta nell’ambito di un brano piú esteso.8 Un’eccezione in proposito costituisce la novella sul filosofo Secondo (cc. 46r–47r) nella quale il punto molteplice suddivide all’interno dell’aneddoto, in modo coerente, una serie di domande e risposte che questo uomo dotto dà all’imperatore (vedi tav. II). A partire da c.51r le partizioni interne vengono di regola rappresentate dal punto semplice e ‘a capo’.
––––––– 4 5 6 7 8
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Biagi indica tali passaggi per mezzo di un ‘a capo’ anche quando ciò non risulta confermato dal codice. Biagi rifiuta gli ‘a capo’ del compilatore; cf. Biagi, Nov. CLIV. Ibidem, Biagi, Nov. CLVI. Cf. ad esempio cc.: 6r, 25v, 36v, 42v, 44v, 55r. Cf. 2v:8, 9v:13, 56r.
Similmente, le intitulationes in rosso hanno, nella stragrande maggioranza, anche esse in fine i tre punti; poche ne hanno due (cc.: 53r, 59r, 61r) o un punto solo (cc.: 51v, 61r); altrettanto poche sono quelle prive di un qualsiasi segno interpuntivo alla fine (cc. 57r e 60v). Eccezionalmente, a c. 58r, abbiamo rilevato in questa funzione una lineetta orrizzontale (–), ma si tratta, invero, di un caso isolato. 11.2.2 Il doppio punto Nella puntuazione interna, l’impiego del doppio punto sembra ambivalente, soprattutto perché vi dipende molto dalla personale valutazione del compilatore/compilatori. Difatti, è difficile notare regole fisse non solo pertinenti il suo impiego, ma anche il tipo di pausazione9 che esso rappresenta nel testo: e mentre in alcuni casi sembra indicare una pausa maggiore rispetto a quella del punto fermo, in tanti altri sembra avvilirsi alla funzione della virgola. Orbene, lo si trova: – all’interno di un periodo complesso con funzione transitiva; il doppio punto non segna una clausola, ma un trapasso: 9r:5–11 «UoÕ che auete lÕcorÕ gÕentÕlÕ 7 nobÕlÕ | FraglÕaltrÕ acconcÕate lauostra mente 7 leuostre par|ole . prÕmamente nelpÕacere dÕdÕo : parlando honoran|do tenendo 7 laudando quello sÕngnore che cÕama pÕ|ma checÕ creasse : Et prÕma chenoÕ stesse cÕamassÕmo 7 | 7 se ɃÕnalcuna parte ɃnɃo dÕspÕacendo alluÕ sÕpuo ho|mo ȸlare ȸallegrare lÕcorpÕ nostrÕ 7 souenÕre 7 so|stenere faccÕasÕ ɃcɃopÕu honestÕta 7 ɃcɃo pÕue cortesÕa che| far sÕpuo accÕo chellÕ nobÕlÕ 7 gentÕlÕ sono nelȸla|re 7 neloȸe molte uolte quasÕ come Uno specchÕo | allÕmÕnorÕ accÕo che loro parole pÕu gradÕto ȸcÕo | che escÕe dÕpÕu dÕlÕcato stormento». (ed. diplomatica)
– sottolineare le unità sintattiche che tendono a comporsi in strutture parallele: 11v:6–19 «Allora lo Re | sÕrÕnchÕuse Õnuna camera ɃcɃo questo greco 7 dÕsse | Maestro mÕo grande pruoua oe rÕceuuta della tua | sapÕenzÕa . OrtÕprego chemÕ dÕchÕ come tue saÕ qu|este cose RÕspuose logreco . Meɀ Io uÕdÕroe . locau|allo cognouÕ Io chera notrÕcato allatte dasÕna ȸ p|ropÕo senno naturale AccÕo che Õo uÕddÕ che ellÕ au|ea lorecchÕe chÕnatÕ . Et accÕo nonera propÕa natu|ra dÕcauallo: louerȴ Õnella pÕetra conouÕ ȸ qu|esto . lepÕetre sono naturalmente fredde . 7 Io trou|aÕ quella calda . ɃnɃo puote essere naturalmente seɃnɃo | ȸanÕmale che auesse uÕta : Et me come ɃcɃognÕoscestÕ | dÕsse loRe . che Io fossÕ fÕglÕuolo dÕpÕsternaÕo lo greco | rÕspuose 7 dÕsse [...]» (ed. diplomatica) 41v:14–23 «due donne furono Õn . Roma 7 acÕascuna mor|Õo . Uno suo fÕglÕuolo luno era dellÕ carÕ fÕglÕuolÕ del | mondo . 7 laltro era UÕa pue caro . luna sÕdÕede arÕ|ceuere ɃcɃosolazÕone 7 pÕacealÕ dessere ɃcɃosolata . 7 laltra | sÕmÕse Õnuno canto della casa 7 rÕfÕutoe ognÕ ɃcɃosolaz|Õone 7 dÕedesÕ tutta ÕnpÕanto : quale dÕqueste due fe|ce meglÕo : Setu dÕraÕ quella che Uolse essere ɃcɃosolata | dÕraÕ louero duncqua ȸche pÕangÕ . semÕdÕcÕ pÕan|go lofÕglÕuolo mÕo cheȸsua bontade mÕfacea onore| dÕco che ɃnɃo pÕangÕ luɬ ma pÕangÕ lotuo danno [...]» (ed. diplomatica) 46r:1–46v:3 «[...]lauÕta deluomo sÕe Alle greza debuonÕ | crÕstÕzÕa demÕserÕ aspettamento dÕmorte : chee lo | mondo . lomondo sÕe [...] : chee lomare lomare sÕe [...] chee | sole Sole sÕe [...]: che chosae . laluna . laluna sÕe [...] : chee laɒra laɒra sÕe [...] ɥ Che cosae luomo
––––––– 9
Sulla pausa sintattica cf. Josip J. Zagreb, Osservazioni sulla pausa sintattica, Linguistica 25 (1985), pp. 45–52.
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luomo sÕe [...] : Chee labeleza labeleza | sÕe [...] Chee lafemÕna lafemÕna sÕe [...]: (46v)Chee AmÕco AmÕco sÕe [...]Chee RÕ|ccheza rÕccheza sÕe [...]» (ed. diplomatica)
– assicurare una dizione piú incisiva, un incremento di espressività: 21r:14–17 «Allora lo Re gÕouano parlo 7 dÕsse quasta sÕe ruba 7 | ɃnɃo furto auolella tollere ȸ força : Quando lÕcaualÕerÕ | ludÕrono parlare fuggÕrono che ÕnprÕma credeano che | dormÕsse ɥ» (ed. diplomatica) 34v:22–35r:8 «[...]lofancÕullo tornoe acasa lamadre lo | stÕmolaua molto dÕuolere sapere dÕ che lÕ Romanɬ auÕ|ano tenuto ɃcɃosÕglÕo . PapÕrÕo uedendo lauolonta de|lla madre sÕpenso Una bella bugÕa . 7 dÕsse cosÕ lÕrom|anɬ tenero ɃcɃosÕglÕo quale era lomeglÕo tra che glÕuo|mÕnɬ auessero due mogle . OlefemÕne due marÕtÕ . acc(35r)Õo che lagente multÕprÕcasse che terre sÕrÕbellaua|no da Roma . loɃcɃosÕglÕo sÕstabÕlÕo che meglÕo sÕpotea | sostenere 7 pÕu coueneuÕle era che luomo abÕa due | moglÕe : lamadre chellauea Ɂmesso dÕtenere creden|za sÕlomanÕfesto adunaltra doɃna cosÕ andoe duna | Õnaltra sÕche tutta Roma losentÕo ragunarsÕ ledo|nne dÕroma 7 andarono allÕ sanatorÕ dolendosÕ mo|lto . [...]» (ed. diplomatica) 55v:24–56r:6 «ANdando xɃpɃo . ungÕorno codÕscÕepolÕ suoÕ ȸunferesto lu|ogo nelquale ÕdÕscepolÕ cheuenÕeno dÕetro uÕdero luce | dalluna parte pÕastre doro fÕnÕssÕmo ondessÕ chÕamarono | xɃpɃo . marauÕglÕandosÕ ȸcheɃnɃonera rÕstato adesso . SÕlÕdÕssero | sengnÕore prendÕamo quello oro . sÕnne consoleraÕ dÕmolte(56r)bÕsongne chenoÕ patÕamo . xɃpɃo sÕuolse alloro 7 rÕprendend|ollÕ dÕsse uoÕ adÕmandate quelle cose chotollÕe alnostro rengn|o lapÕu parte delanÕme chessÕ perdono . 7 checcÕo sÕa uero | allatornata neuedrete lasempro 7 passaro oltre : Pocho sta|nte due carÕ compangnÕ lotrouarono onde furono molto | lÕetÕ . [...]» (ed. diplomatica)
– accentuare asindeti: 27v:12–14 «[...]laguerra pure fue : Ettor uccÕdea lÕgrecÕ .| Ettor sostenea lÕtroÕanɬ : Ettor . Õscanpaua lÕsuoÕ damo|rte . Morto . Ettor lÕtroÕanɬ ȸdeano onnɬ dÕfensa . » (ed. diplomatica) 35v:2 «LOImȸadre TroÕano fue gÕustÕssÕmo sÕngnore a|ndoe uno gÕorno ɃcɃosua ɃcɃopangnÕa ɃcɃogrande ca|uallerÕa ɡtra lÕsuoÕ nÕmÕcÕ : Una femÕna Uedoua | lÕuenne ÕnanzÕ 7 preselo ȸ lastaffa 7 dÕsse [...]» (ed. diplomatica)
– in una enumerazione per distinguere un concetto dall’altro: 48v:5 «LOpÕu bello ucello delmondo sÕe logallo loquale a | molte bontade Õnse chenosono gÕa Õnaltro ucello . Lo | gallo sÕa corona 7 spronÕ . 7 canta lore dÕdÕ 7 dÕnotte ȸ | lagɃra dÕdÕo . Gallo sÕe molto geloso dÕsua FemÕna pÕu che | nullomo della sua . 7 SÕe tanto largho 7 cortese 7 dÕbuo|narÕe chellÕ patÕsce lafame . 7 da amangÕare allasua fe|mÕna : Gallo fae battaglÕa 7 assalto . sÕcome faluomo . Et se | Gallo fosse ucello dÕchaccÕa tuttÕ glÕaltrÕ ucellÕ lÕfarebbo|no reuerenzÕa 7 dotterebollo chedÕbelleza tuttÕ glÕatrÕ passa ɥ» (ed. diplomatica) 49v:6–17 «GUerra ara tutta uÕa almondo 7 guaÕ aquellÕ cheȸ | luɬ sÕe comÕncÕata . GÕamaÕ anullo gÕorno chesÕa ɃnɃo | sÕe pace ȸtutto lomondo . cheɃnɃouabbÕa guerra pÕchola | ogrande . Et selmondo auesse tutta uÕa pace ellÕ ɃnɃo ser|ebbe mÕcha mondo anzÕ serebbe paradÕso ȸche Inpar|adÕso atutta uÕa pace 7 cosÕ serebelomondo . EȸcÕo chel | mondo emondo gÕamaÕ dÕguerra no fallÕra . Et sÕfÕno | due modÕ dÕguerra . luno spɃuale 7 laltro corporale . losp|ÕrÕtuale . sÕe ȸlonÕmÕco chetutto gÕorno male 7 procha|ccÕa ȸnoÕ Õngannare : Et locorȸale sÕssÕe luna gÕente cɻ | andera sopra laltra : Et chosÕe ɃnɃo fÕnerae fÕna lafÕne | delmondo ɥ» (ed. diplomatica)
– produrre una scansione piú autoritaria del discorso:
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36v:16–23 «[...]dÕsseno lÕ . Romanɬ .| altenpo che auÕano trebuto datutto lomondo pe|nsÕamo dÕregnare InsenpÕterno funo auno fÕsolafo cɻ | auea nome . Socrate 7 dÕsserlÕ . Maestro come sÕpute f|are che noÕ regnÕassÕmo ÕnsenpÕterno : Sacrate rÕspu|ose ɃnɃo puo essere questo che ognɬ Õstato . Uerra meno ma | Io uÕnsengneroe rengnÕare lunghÕssÕma mente dÕss|eno lÕ Romanɬ bene louoglÕamo [...]» (ed. diplomatica) 47v:27–48r:6 «DIo ȸlasua potenzÕa fece bene 7 ordÕnata mente | cÕo chauea afare almondo . ChellÕ fece almondo qua(48r)tro elementÕ : 7 luomo fue fatto dÕquestÕ ÕÕÕɬ . eleme|ntÕ 7 lofece dÕquatro conparazÕone dÕcaldo . dÕfreddo .| dÕsecco 7 dumÕdo EsÕllÕ fece corpo dÕɒra . 7 alle bestÕe co|rpo dÕcalore Et allÕ uccellÕ corpÕ daÕre Et allÕ pescÕ co|rpÕ dÕcqua : SÕffece tutto adÕrÕtto 7 arragÕone meglo | checorpo duomo potesse pensare Õnnullo modo ɥ» (ed. diplomatica)
– introdurre la conseguenza al precedente ragionamento: 49v:12–17 «Et sÕfÕno | due modÕ dÕguerra . luno spɃuale 7 laltro corporale . losp|ÕrÕtuale . sÕe ȸlonÕmÕco chetutto gÕorno male 7 procha|ccÕa ȸnoÕ Õngannare : Et locorȸale sÕssÕe luna gÕente cɻ | andera sopra laltra : Et chosÕe ɃnɃo fÕnerae fÕna lafÕne | delmondo ɥ» (ed. diplomatica)
– contrapporre due periodi: 48r:8–15 «LOsudore delcorpo sÕesce derÕo sangue sÕsÕ muoue | ȸ locorpo 7 rÕnfÕama . 7 sÕsÕmÕschÕa collÕ altrÕ hom|orÕ . 7 gÕtta losuo chalore alcorpo . 7 torna locorpo frale .| 7 uano . 7 aquesto loffa forte mente sudare : Maquando | locorpo eforte 7 sano ellÕ ɃnɃo teme mÕcha tanto quello | chalore 7 ɃnɃosuda poÕ tanto ɥ» (ed. diplomatica)
– anticipare un relativo: 45v:18–22 «ADrÕano marauÕglÕandosÕ della fermeza dÕquesto FÕlosafo sÕglÕ parlo 7 dÕsse dache questa leg|Õe deltacere : laquale tuttaÕ Õmposto ɃnɃosÕ puote dÕ|scÕoglere ȸ neuna cagÕone prendÕ questa tauola 7 | scrÕuÕ 7 fauella colla mano alchuna cosa [...]» (ed. diplomatica)
11.2.3 Il punto Si tratta del segno interpuntivo usato di continuo nel ms. Esso vi ricorre tanto alla fine della clausola – in questo caso il punctus mantiene la sua funzione originaria: quella di indicare la compiutezza di una porzione di testo, di solito un’intera unità di pensiero10 – quanto entro il corpo del periodo, laddove i trattati di grammatica consigliano la virgola o il comma, secondo le esigenze del senso. Nel Pan1, ad indicarci il passaggio da un periodo all’altro sarà oltre al punto – sostiene la Battaglia Ricci11– pure la lettera maiuscola ritoccata in rosso che potenzia il suo valore pausativo. A onor del vero, pure nell’interno di una clausola compaiono parecchie iniziali maiuscole, altrettanto rossastre, ad esempio:
––––––– 10
11
Fra le congiunzioni che solitamente aprono una nuova unità di pensiero, le piú frequenti in assoluto sono: et, allora, onde di valore conclusivo. Altrettanto frequenti risultano alcune formule di giunzione, come: orvenne che/ora venne che, uno giorno avenne che, udito questo. L. Battaglia Ricci, Leggere e scrivere novelle..., op. cit., p. 632.
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22r:24–28 «Et loSaladÕno dÕsse poÕ chetu ɃnɃo uuoglÕ | dÕmorare ɃcɃomecho sÕtÕ faro grazÕa 7 lascÕerottÕ . fe|cÕe chÕamare suo tesorÕere 7 dÕsse dallÕ . MM . MarchÕ | dargÕento lotesorÕere lÕscrÕuea ÕnescÕta dÕnanzÕ daluÕ | lapena lÕcorse 7 scrÕsse . MMM . »(ed. diplomatica) 25r:16–18 «Allora lÕcaualÕerÕ . In|comÕncÕano loro sollazzo 7 fecero festa del parlare | dÕmessere MÕglÕore ɥ»(ed. diplomatica) 37r:8–11 «ERcole fue homo FortÕssÕmo oltra che glÕaltrÕ 7 | auea Una sua moglÕe chelÕdaua molto trauag|lÕo partÕsÕ Uno gÕorno dÕsubÕto 7 andoe nuna gra|nde foresta trouoe leonɬ . OrsÕ . 7 molte fÕere pessÕme [...]» (ed. diplomatica)
Nella stragrande maggioranza sono antroponimi e toponimi (se preceduti da una preposizione è sovente la preposizione ad essere colorata), il pronome personale «io», i titoli di riguardo, come: «maestro», «messer», «sire», «imperadore», «re», «reina», «madonna»; i numerali cardinali, specie quelli che indicano la moltiplicazione, ossia «C» e «M». Lo scopo che, in questi casi particolari, avrebbe spinto l’autore ad adornare le iniziali di certi vocaboli fosse puramente ornamentale; consentisse una maggiore enfasi a quegli elementi della clausola che egli steso riteneva importanti; avesse anche la funzione mnemonica. Al contrario, a cc. 51r–97v unica ad essere colorata resta sempre la littera notabilior. Il passaggio da una frase complessa all’altra viene quivi indicato con il punto semplice cui segue una lettera in maiuscolo senza che questa sia marcata in alcun modo. Nell’interno della clausula l’uso del punto semplice è piú regolato dall’idea che se ne era fatto lo scrittore che dalle regole concrete. Infatti, la sua utilizzazione nel cod. registra continue irregolarità. Talvolta la funzione interpuntiva del punctus è solo intuita, non certo definita con certezza, donde il rifiuto di una rigida classificazione. Le osservazioni in proposito indicheranno solo alcune linee di tendenza e mai potranno considerarsi risolutive. In linea generale, il punto ha spesso la funzione di: – divedere tra loro unità fraseologiche sintatticamente e logicamente compiute. In questo caso è la dimensione maiuscola o minuscola della lettera seguente a distinguere l’intensità della pausa: 12v:8–12 «Allora Allexandro sorrÕse 7 comando chellÕ fosse|ro datÕ . Õɞɬ . MarcÕ darÕento 7 questo sÕscrÕsse ȸlomÕnore | dono chellÕ facesse unqua . locaualÕere prese lÕmarchÕ | 7 dÕellÕ algÕulare . IlgÕularo fu dÕnanzÕ Allexandro 7 dÕmandolÕ che facesse ragÕone [...]» (ed. diplomatica) 41r:11–14 «NArcÕs fue molto bellÕssÕmo . Uno gÕorno auenne –| chellÕ sÕsÕposaua sopra Una bella fontana. Isguard|ando nelacqua . UÕdde lombra sua chera molto bellÕss|Õma . IncomÕncÕo aÕsguardare [...]» (ed. diplomatica) 80r:8–11 «Conperato Õlsegnore questÕ ÕschÕauÕ fece|lÕ Õstare afare ÕsuoÕ bÕsognÕ . acÕascheuno dÕede suo ofÕ|cÕo dÕchellÕ sÕtendea . Questo uno chellÕ auea chonpe|rato cosÕ charo [...]»(ed. diplomatica)
– capita che il punto si frammette tra i vari componenti di una proposizione, addirittura fra il soggetto e il predicato consecutivi: 9v:24 «PoÕ daÕnde apochÕ gÕornÕ glÕanba|scÕadorÕ . dÕmandaro chomÕato [...]» (ed. diplomatica) 20v:20–22 «Uno gÕorno | auenne che Uno caualÕere pouero gÕentÕle . auÕso Un|o coȸchÕo duno nappo dargÕento [...]» (ed. diplomatica)
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36r:23–25 «[...]leuossÕ questa femÕne|lla 7 aÕutalo che perÕa . Inuna UÕle fossÕcella per | pocha prouedenzÕa ɥ» (ed. diplomatica)
–sottolinea vari rapporti di coordinazione:12 41v:15 «[...]luno era dellÕ carÕ fÕglÕuolÕ del | mondo . 7 laltro era UÕa pue caro [...]»(ed. diplomatica) 57r:15 «[...] moltoe bella . MalamÕa ee asaÕ pÕu be|lla [...]»(ed. diplomatica)
Non è infrequente il punto: – che separa strutture dipendenti dallo stesso reggente:13 15v:19–21 «[...]seuoÕ dÕrete loro dolce | parole parra cheuoÕ abbÕate paura che tu abbÕ paura .| chetemÕ Õlpopulo [...]» (ed. diplomatica) 40r:6–9 «[...]loprÕmo gÕorno fa|rae habattere lagrande sala laoue lo Re tenea p|arlamento collÕ suoÕ sergentÕ amÕcÕ . loterzo gÕor|no tutto lorÕmanente . » (ed. diplomatica) 77r:25–27 «Ue|dendo cheɃnɃosÕ leuaua 7 chenonne uscÕua fuorÕ comÕncÕ|arsÕ arramarÕchare molto Õntra loro [...]» (ed. diplomatica)
– si intercala fra strutture parallele:14 15r:24–28 «[...]ordÕno lau|Õta allo fÕglÕuolo comoltÕ amaestramentÕ 7 nodrÕm|entÕ . 7 poÕ fece chellÕ rauno tesaro grandÕssÕmo 7 mÕ|selo Õnluogo sechuro . 7 poÕ fece che ÕnconcordÕa fu con | tuttÕ lÕsÕngnÕorÕ che manÕcauano cholluÕ [...]» (ed. diplomatica) 33r:19–21 «[...]alluno dono caɃpɃpllo | dÕscarlatto 7 palafreno bÕancho . 7 alaltro dono chefacesse | Una leggÕe asuo senno [...]» (ed. diplomatica) 55v:12 «IlRe Artu entro dentro 7 uÕde ladamÕg|Õella . 7 uÕdde glÕarnesÕ [...]» (ed. diplomatica)
– scandisce i membri di un’enumerazione:15
––––––– 12
13
14
15
Non mancheranno eccezioni di quanto appena sostenuto, per esempio: 34r:16–17 «[...]poÕ sÕrÕconoueno 7 feceno penÕtenza 7 caccÕarono | lefemÕne 7 raɃcɃocÕarsÕ ɃcɃodÕo 7 toɃrarɃoo nella loro frɃachÕgÕa ɥ» (ed. diplomatica) 71r:22–25 «UdÕto questo Õlsegnore fue dÕcÕo | assaÕ allegro ma prÕma Õluolle sapere dasuoÕ marescha|lchÕ [...]» (ed. diplomatica) 74v:14–17 «[...]luo|mo sÕauea bella ȸsona delsuo essere onde lauostra ma|dre ɃnɃo essendo sodÕsfatta dalsuo marÕto sÕchomella uolea | sÕssÕ puose chonquesto pÕstore [...]» (ed. diplomatica) Ma non si può parlare di una regola infrangibile come mostra il seguente esempio: 16v:12–14 «alpadre fue racontate queste nouelle | tutte come ÕlfÕglÕuolo auea speso loro tutte ledÕmand|e 7 lerÕsposte che lÕfurono fatte amotto amotto [...]» (ed. diplomatica) Tenendo sempre conto delle possibili trasgressioni alla norma, come in: 41v:6–8 «[...]7 lofrancho Õsta fermo Õnognɬ luogho cosÕe allÕ p|ochÕ come allÕ troppÕ 7 loprode Õsta fermo quando de | 7 asalÕscÕe quando de 7 fuggÕe quando sÕconuÕene ɥ » (ed. diplomatica) Con, però, non sporadici allontanamenti dalla regola, cf.: 19r:1 «[...]7 passato lÕ . x Annɬ sÕlÕfece mostrare lomondo 7 locÕ|elo lomare loro 7 largento 7 lebestÕe 7 gÕente [...]» (ed. diplomatica) 77v:26–28 «Inquesta gÕunse lamadre cholla|ltre Õnamorate 7 forestÕere 7 cÕttadÕne 7 uÕcÕne delpa|ese [...]» (ed. diplomatica)
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23v:2–4 «[...]alluÕ ue|nÕano . trouatorÕ . SonatorÕ . bellÕ parlatorÕ homÕnɬ dar|tÕ . gÕostratorÕ . schermÕdorÕ . 7 dognɬ manÕera gentÕ . »(ed. diplomatica) 47r:24–28 «MEɀ tre sono lÕmarÕ delmondo . loprÕmo sÕe lomare | beree questo chegÕra Õntorno laɒra 7 sÕe Õnsalato com|e uoÕ uedete . losecondo sÕe lomare nero che nullomo ɃnɃo | uÕpuo andare dentro . loterzo sÕe quello cheluomo ape|lla lomare puzolente doue nulluomo puote Õntrare [...]»(ed. diplomatica)
11.2.3.1 L’uso del punto all’interno del periodo Incerto appare l’uso del punto all’interno del periodo per distinguere membri legati da reciproci rapporti di reggenza–dipendenza. Lo troveremo spesso precedere o isolare proposizioni subordinate: 15v:9 «[...]selo | tuo padre fueloro aspro . tu seraÕ loro humÕle 7 benÕgnÕo [...]» (ed. diplomatica) 25r:23–25 «[...] .sio auessi cosi bella cotta co|mella. Io serei isguardata comella . ȸche io sono altre|si bella comella. [...]» (ed. diplomatica) 29v:9–11 «[...] loimȸadore sello trasse disotto. che so|tto lauea ȸdare asenplo 7 auedere chelli era istato Ȼȸso|na [...]» (ed. diplomatica)
salvo, di regola, quei casi in cui la principale è una volitiva o una enunciativa: 11r:26 «Io uoglÕo chetu mÕdÕchÕ dÕchuÕ | fÕglÕuolo Io fuÕ . (ed. diplomatica) 54v:7 «[…]dapoÕ chemÕlÕ conuÕene dona|re chonmÕato sÕuoglÕo chesÕa rÕccho huomo […]» (ed. diplomatica) 57r:3–5 «[…]Õo ȸo dÕcho ke | uoÕ landÕate ampendere . Meɀe noÕ dÕcÕamo cheglÕe | uno ladro […]» (ed. diplomatica) 82v:5 «Io dÕcho che Õl Re fÕa uÕncÕto|re […]» (ed. diplomatica)
Nel caso delle relative il punto semplice: – o precede l’intera proposizione: 30r: 21–23 «[...]quÕe dÕmostro la | sua grande fraceza . laquale era nella sua ȸsona ol|tra che ÕnellÕ altrÕ caualÕerÕ ɥ» (ed. diplomatica) 66r:13–15 «ebbe ueduta auna | fÕnestra una grande 7 gentÕle donna molto bella d|elsuo corpo . laquale auea nome . Bersabe» (ed. diplomatica) 87v:18–20 «INchostantÕnopolÕ sÕauea antÕchamente una grande | pÕazza dÕfuorÕ dallacÕttade nelaquale pÕazza sÕauea | apÕcchata una chanpana . laquale nolasonaua alchuno [...]» (ed. diplomatica)
– o vi si situa in fine: 18v:22–24 «LOre Porro loquale conbatteo co Allexandro . au|no mangÕare fece taglÕare lecorde duna cÕtola | aduno sonattore [...]» (ed. diplomatica) 36r:1–5 «[...]Uno gÕorno | ad Una tauola laouera Uno Frate mÕnore loquale | frate mangÕaua una cÕpolla molto sauorosa mente | 7 ɃcɃofÕno apetÕto . louescouo Õsguardando dÕsse ad u|no suo donzello [...]» (ed. diplomatica)
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– oppure può mancare completamente: 40v:4, 5 «[...]fece coprÕre dÕ tappetÕ lÕqualÕ erano tuttÕ lauoratÕ a | crecÕ ÕspessÕssÕme lÕxɣpÕanÕ ÕstoltÕ entrano dentro [...]» (ed. diplomatica) 51v:18, 19 «UNo fedele dunsengnore Õlquale tenea sua ɒra essendo | auna stagÕone ÕfÕchÕ nouellÕ» (ed. diplomatica) 75v:3–6 «Altempo antÕcho Uno nobÕlÕssÕmo gÕouane bello | delcorpo sopra tuttÕ glÕaltrÕ era nelle partÕ dorÕente | Ilquale ɃnɃo auea altro chese medesÕmo 7 dÕtutta laltra | gente delmondo ɃnɃo churaua tanto Õlparea essere bello […]» (ed. diplomatica)
Non è infrequente il punto semplice che distingue strutture di forma implicita dal corpo della clausola: 16v:27–17r:1 «[...].UdÕta lasenten|zÕa delgÕouano . lopadre collÕ suoÕ baronÕ lodollo dÕgra|nde sauere [...]» (ed. diplomatica) 41r:12–14 «Isguard|ando nelacqua . UÕdde lombra sua chera molto bellÕss|Õma .» (ed. diplomatica)
11.2.3.2 Altri usi del punto Manca nel codice un segno interpuntivo particolare sia per le interrogazioni che per i vocativi assoluti o preceduti da interiezione. Sarà, di nuovo, il punto ad assumersi questo compito; non è raro, tuttavia, che manchi pure esso, cf.: 25v:9, 10 «[...]allora dÕsse lamoglÕe aÕ dÕsleale traÕto tu lofaÕ per | ɃnɃo fare mÕa cotta . [...]» (ed. diplomatica) 28r:7–10 «[...]dÕmando questÕ sergÕentÕ ȸche mena|te UoÕ ampendere questo caualÕere 7 chÕellÕ che cho|sÕe lodÕsonorate uÕllana mente . lÕsergÕente rÕspuo|sero [...]» (ed. diplomatica) 32v:3–5 «[...]UÕdde lofÕlosafo parlo 7 dÕsse OdÕuÕno dÕmÕserÕѽa uÕ|ta dÕmandamɬ cÕo che tÕpÕace 7 darotÕlo lofÕlosafo rÕsp|uose Meɀ Io tÕpregho che mÕtÕleuÕ dalsole ɥ» (ed. diplomatica)
Il comportamento dell’autore/compilatore nell’interpunzione degli incisi, compresi gli incisi minori come le apposizioni, richiede una particolare attenzione: – si trovano brevi incisi con punto tanto al principio che alla fine: 23r:17–19 «[...]passando Meɀ AmarÕ ȸlacontrada quello suo ca|stellɃaosellÕ fece ÕnnanzÕ . Ilquale auea nome Beltrame .| ÕnuÕtollo che douesse prendere albergho assua magÕɃoɃe [...]» (ed. diplomatica) 42v:3–5 «UNo medÕco dÕ Tolosa prese ȸ sua mulÕere Una | gentÕle donna della ɒra . nepote delarcÕues|couo . menolla [...]» (ed. diplomatica) 68v:5–8 «Ora uenne ÕRoma | cheuna grande 7 gentÕle donna . essendo ȸal quanto | tempo rÕmasa uedoua. laquale era pocho tempo dÕmo|rata cholsuo marÕto 7 dera molto gÕouane donna [...]» (ed. diplomatica)
– con il punto solo al principio: 36r:10–13 «UNo loquale ebbe nome MÕlensÕus tale grandÕssÕm|o sauÕo ɃÕmolte ÕscÕenzÕe 7 ÕspezÕalmente ÕnÕsterlo|mÕa . secondo chesÕ troua ÕnlÕbro cÕuÕtate deÕ ɃÕlÕbro | sexto dÕce che [...]» (ed. diplomatica)
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72v:2–5 «Unaltro gÕor|no essendo questo segnore Õnuna sua camera . la doue | auea molte grandÕ 7 rÕcche gÕoe 7 dÕgrande ualore | lÕuenne alemanÕ molte belle pÕetre prezÕose [...]» (ed. diplomatica)
– oppure solo alla fine: 14r:15–18 «logÕouano stando Õnsu larÕngherÕa . | ȸ rÕspondere allÕdettÕ AmbascÕadorÕ loɒpo era turb|ato 7 pÕouea . Uolse lÕocchÕ ȸ Una fÕnestra delpalag|Õo [...]» (ed. diplomatica) 18v:2–4 «AMÕnadab ɃcɃoducÕtore 7 marÕscalco dello . Re da|uÕd . ando congrande exercÕto dÕgente ȸ coma|ndamento dello Re dauÕd . auna cÕtta dÕfÕlÕsteÕ [...]» (ed. diplomatica) 84v:27, 28 «Ora uenne sÕ chome | leuenture uanno 7 uenghono . IlgÕouane Re [...]» (ed. diplomatica)
– assai frequenti sono gli incisi che mancano del punto sia al principio che alla fine: 23r:20–22 «MEɀ AmarÕ sÕngnore dÕmolte ɒre Inproenza au|ea Uno suo castello loquale spendea ÕsmÕsurata m|ente [...]» (ed. diplomatica) 41v:9–11 «UOlendo . Seneca ɃcɃosolare Una doɃna alla quale e|ra morto Unsuo fÕglÕuolo sÕcome sÕleggÕe ÕnlÕbro | dÕɃcɃosolazÕone dÕsse [...]» (ed. diplomatica) 89r:4–6 «Apresso sÕchomera lusança | antÕcha neuno portaua bottone asuoÕ pannɬ ȸ afÕbÕar|sÕ [...]» (ed. diplomatica)
11.3 Il discorso diretto Il discorso diretto, cosí frequente nel manoscritto, non dispone di alcun segno particolare; sovente l’unico a farlo intuire è un verbum dicendi, di solito ‘dire’ e ‘rispondere’: 11r:28 «Et lo Re rÕspuose ɃnɃo mÕrÕspondÕ agrado dÕmÕ(11v)sÕchuramente lauerÕtade [...]» (ed. diplomatica) 69v:4–6 «Et la | donna udÕto cÕo dÕsse bene Õsta checosÕ soe chedÕra|nno dÕme [...]» (ed. diplomatica)
Il punto semplice compare spesso collocato davanti ad un verbo del dire e la congiunzione copulativa et, donde: 9v:25–27 «[...]loÕmȸadore dÕede lo|ro rÕsposta . 7 dÕsse dÕtemÕ aluostro sÕngnore che lamÕ|glÕore cosa delmondo sÕe mÕsura . [...]» (ed. diplomatica) 56r:9, 10 «[...]quellÕ torno colmulo . 7 dÕsse alcompangnÕo Õo | mangÕaÕ alauÕlla [...]» (ed. diplomatica)
Talvolta il punctus precede direttamente il discorso diretto: 18r:18–20 «[...]lodÕscÕepulo ȸlo|llere lonore 7 lopregÕo almaestro dÕsse alpadre | dello Õnfermo . Io ueggÕo segnÕ che morrae [...]» (ed. diplomatica) 26v:23–25 «[...]uenne Uno m|atto 7 dÕsse loro . SÕngnÕorÕ 7 sopra capo dÕquello che alu|no rÕspuose agabbo [...]» (ed. diplomatica) 57v:3, 4 «Allora glufÕcÕalÕ dÕssero tuttÕ . quÕe ɃnɃosÕ potrebero | cernÕre mauadano ÕcÕttadÕnÕ Õnsu quello lengno» (ed. diplomatica)
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anche quando manca un verbum dicendi: 17v:25–27 «UNo borghese dÕbarÕ ando ÕnpelegrÕnaggÕo . lasso | CCC . bÕsantÕ auno suo amÕcho ɃcɃo queste condÕzÕonɬ | 7 pattÕ . Io andro sÕcome pÕacera adÕo [...]» (ed. diplomatica) 26r:3–5 «Unaltro sÕglÕsÕfece Õna|nzÕ . ocheɃnɃo rÕspondÕ acolluÕ che tanta uÕllanÕa tÕdÕ|ce . » (ed. diplomatica)
Nel passaggio da un discorso diretto all’altro il punto può frapporsi tra enunciati consecutivi: 16r:22–26 «[...]luno che auea | pÕu ardÕto chuore 7 lafronte pÕu allegra sÕsÕfece ÕnanzÕ | 7 dÕsse Meɀ che dÕmandÕ logÕouano rÕspuose dÕman|dotÕ onde se 7 dÕche condÕzÕone . 7 quellÕ rÕspuose 7 dÕ|sse Meɀ Õo sono dÕtalÕa [...]» (ed. diplomatica) 85r:11–13 «EÕl Re fue gÕunto 7 dÕsse caualÕere 7 aqual do|nna setu . 7 ellÕ rÕspuose caualÕere sono ala ReÕna | del Re dÕchastello . » (ed. diplomatica)
11.4 Altri segni interpuntivi In tutto il Panciatichiano si nota la presenza, anche se rara, di una lineetta orizzontale posta in fin di rigo, forse per mano dello stesso compilatore/compilatori (vedi tav. IV) che probabilmente non ha alcun ruolo interpuntivo nel testo. Il suo impiego nel ms. sarà dettato, semplicemente, da motivi estetici, ossia di avere i margini laterali, specie il margine destro, uniformi. Come aggiunta ulteriore, e forse di un’altra mano, potrà considerarsi, invece, una barretta obliqua (/) inserita sporadicamente nel codice. Un chiaro segno di pausazione interna, cf.: 17v:18–24 «LEggesÕ che Uno fÕorentÕno era Õncontado 7 auea | Uno molto buono UÕno . 7 Uno suo amÕcho sÕmosse | UngÕorno dafÕrenze ȸ andare abere colluÕ . ando Õnu|Õlla alluÕ 7 trouollo chÕamolo ȸnome 7 dÕsse o cotale | danmÕ bere quellÕ rÕspuose 7 dÕsse . Io ɃnɃoluerso / quellÕ | che auea louÕno fue . Maso leonardÕ / 7 quellÕ cando | ȸbere fue CÕolo dellÕ abatÕ ɥ» (ed. diplomatica) 25r:12–18 «SÕngnÕorÕ ognÕ cosa tratta dalla na|tura . 7 ȸ queste palle sÕȸde / quellÕ dÕmandano come Et | ellÕ dÕsse che lofuɃmo dellanbra 7 aloe tolle aloro lobuon|o odore naturale / che lafemÕna ɃnɃo uale neente seɃnɃo | deuÕene come dÕluccÕo ÕstantÕo . Allora lÕcaualÕerÕ . In|comÕncÕano loro sollazzo 7 fecero festa del parlare | dÕmessere MÕglÕore ɥ» (ed. diplomatica)
11.5 Conclusioni Le regole generali che governano la puntuazione nel cod. Panciatichiano 32 appaiono, in complesso, determinate ora dalla preoccupazione di specificare i rapporti logici tra le varie parti del periodo; ora dalle esigenze del colorito e del rilievo. Quest’ultimo criterio, sembra, sia fortemente sentito dal nostro puntuatore/puntuatori. Parkes, in questi casi, parla dell’interpunzione con qualità ‘deittiche’, perché guidata
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da criteri soggettivi e individuali, e non ‘equiparative’che, secondo lo studioso, garantiscono un’interpretazione piú ‘neutrale’, meno personale di un testo.16 Di conseguenza, la funzione stricte demarcativa dell’usus distinguendi risulta troppe volte compromessa. E nonostante si è tentato di specificare delle costanze funzionali nell’usus punctandi, creando, forse, l’immagine di una, quasi, ’regolarità’ interpuntiva, la puntuazione nel manoscritto presenta, talvolta, dei vuoti inspiegabili, cfr: 32r:9–17 «UNo sauÕo relÕgÕoso fue loquale era grandÕssÕmo tr|allÕ fratÕ predÕcatorÕ Õlquale auea Uno suo fratello | che douea caualcare Õnnelloste nello quale saspetta|ua che battaglÕa fÕa al postutto ando aquesto suo f|ratello frate ȸ ragÕonare colluÕ anzÕ che andasse lo | frate lamunÕo assaÕ 7 dÕsselÕ molte parole tu anderaÕ | alnome dÕdÕo labattaglÕa he gÕusta ȸlotuo comune | sÕe produomo 7 ɃnɃo dubÕtare dÕmorÕre che forsÕ se|nsugnÕ cÕo morestu ɥ» (ed. diplomatica) 73r:19–73v:1 «Unaltro gÕorno questo sengnore pensando Õnsuo chu|ore uedendosÕ nel grande stato doueglÕ era 7 chome | Õlparea essere nellepÕu cose molto uÕllano eschonoscÕe|nte 7 spezÕalmente contra questo grecho suo pregÕ|one delle due sÕgrandÕ cose chomellÕ lÕauea dette | 7 ÕlpÕccÕolo merÕto chelglÕ glÕauea fatto sÕssÕ penso | Õnsuo chuore 7 dÕsse forse ȸlauentura chenolparea | essere legÕttÕmo alle chattÕue cose 7 guÕderdonÕ che | facea altruÕ dÕcosÕ grande cose come glÕerano dette | fatte Õnȸo che nollo daua lasua grande sengnorÕa(73v)dessere chosÕ cupÕdo 7 auaro chomellÕera .» (ed. diplomatica)
––––––– 16
98
«At one end of the scale punctuation can prescribe a particular interpretation by means of selective pointing, by indicating certain emphases, and hence attributing greater value to these than to other possible emphases. Punctuation used in this way has what I propose to call ‘deictic’ qualities. At the opposite end of the scale more extensive pointing can produce a more neutral interpretation which attributes equal value to all the possible emphases in the text. Punctuation used in this way has what I propose to call ‘equiparative’ qualities»; Cf. M. B. Parkes, Pause and effect..., cit., p. 70.
a)
b)
c)
Tav. I: Capolettere: I.a) del proemio che apre il libro di novelle e di bel parlare gientile; c. 9r. I.b) e I.c): di singole novelle; cc. 29r e 56r.
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Tav. II: Il susseguirsi di domande e risposte segnalato tramite il punto semplice, il doppio punto, il punto molteplice; c. 46r.
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Tav. III: Il punctus separa unità fraseologiche logicamente compiute. Si notino, sempre con la stessa funzione, le barrette oblique (/): una probabile aggiunta successiva. Nel margine sinistro si scorge facilmente un segno grafico particolare, una specie di asterisco; c.17v.
Tav. IV: Si consideri una lineetta posta in fin di rigo (rr. 6 e 7) che serve ad assicurare il carattere uniforme del margine destro; c. 15v.
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12 Criteri di trascrizione
L’originale (a sinistra) è trascritto fedelmente, compresa l’interpunzione,1 salvo la riproduzione del punto sopra la i che compare talvolta, ma incostantemente in tutto il cod. Una probabile aggiunta posteriore (specie in riferimento al Pan1) dati numerosi casi del suo inserimento sbagliato, che può ostacolare la comprensione del testo, come in: ms. 9v:22 iuddero per uiddero; ms. 35v:10 guistizia per giustizia; 49v:1 inangiano per mangiano. Nel codice la nota tironiana 7 è in riga con le altre lettere. Le parti illeggibili si indicano mediante i puntini. Nell’edizione interpretativa:2 – viene introdotta la divisione logica delle parole, con maiuscole ai nomi propri e minuscole ai nomi comuni, l’interpunzione e l’accentazione secondo l’uso moderno. – si usa il punto in alto nei casi dell’assimilazione dovuta a fonetica sintattica, dell’omissione della consonante finale, liquida o nasale, dinanzi a consonante identica; dello scempiamento della doppia il cui primo elemento deriva dall’assimilazione. – le parti illeggibili si indicano mediante i puntini. Le letture dubbie si indicano in nota. – tra parentesi rotonde si sciolgono le abbreviazioni, salvo le abbreviazioni per contrazione mista. – tra parentesi quadre si indicano le integrazioni in caso di cadute meccaniche. – tra parentesi aguzze sono collocate le parole da espungere. – si trascurano le ripetizioni a capo di rigo. – le aggiunte d’interlinea vengono inserite nel rigo al quale si riferiscono. – una sbarra verticale indica la fine del verso originale. – si sciolgono i segni abbreviativi: il trattino sovrapposto in luogo della n o della m; il trattino increspato in luogo della r; la p tagliata in luogo di per, la p tagliata in prolungamento del tondo in luogo di pro, la p con una lineetta sovrapposta in luogo di pre; il segno ɡ per con; la s tagliata con sbarra a riccio e il segno (2) in luogo di er; Ȭ per –rum. Si sciolgono le abbreviazioni per troncamento e contrazione.3 La nota
––––––– 1
2 3
Nel caso dei segni interpuntivi si è cercato di riprodurre casi «sicuri», ossia quelli in cui il punto risulta un simbolo di puntuazione interna, anziché il prolungamento di alcune lettere, specie di a, e, o. Nella trascrizione si è tenuto conto delle seguenti edizioni: Papanti [G. Papanti: 1871], Biagi [G. Biagi : 1880], Segre/Marti [C. Segre/M.Marti : 1958], Conte [A. Conte: 2001]. Come giustamente sottolinea Castellani, alcune abbreviazioni si sciolgono con difficoltà. Per esempio il con cui equivale il segno ɡ ricorre nel testo anche sotto forma di chon; qualche perplessità suscita l’abbreviazione lb. che può essere risolta in libbre, libre, lire (nella ed.
102
tironiana 7 è resa con e, visto che nel testo compare spesso 7d = ed. Qualche volta appare et/e con scrittura piena. – è stata mantenuta la distinzione grafica tra i e y, mentre j è stata resa con i. – si riproduce l’affricata dentale ç. – gli omografi vengono distinti tramite l’introduzione di accenti o apostrofi. – si è rinunciato alla tendenza presente nel ms. di racchiudere i numerali fra i due punti, dato che nello stesso codice essa risulta troppe volte compromessa. – le unioni delle particelle pronominali con altre particelle pronominali vel con particelle avverbiali si scrivono separatamente eccetto il caso dell’enclisi. – le preposizioni articolate, dove non v’e raddoppiamento, sono scritte staccate. – a volte risulta difficile distinguere tra si rafforzativo e pronominale. È stato l’esame del contesto a suggerirne la scelta. – quattro punti consecutivi indicano sempre parti illeggibili.
–––––— Conte compare lire) dato che nel codice manca la sua scrittura piena che potrebbe costituire un utile ausilio. Cf. A. Castellani, Nuovi testi fiorentini delDugento …, cit., p. 15; A. Conte, Il Novellino, cit., p. 208.
103
Testo
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(1r)
odÕo chellÕ aueano ÕnsÕeme . Et ȸcÕo chellÕ temea1 dÕdÕstruggÕere . lofratello . palese mente sÕera sua Inte nzÕone che quelle bestÕe douessero multÕ prÕcare Õnq uelloluogo chera come padule . Et chealchuno gÕo rno chellÕ 7 lofratello andassero assolazo . quÕne dÕsta
5
te ȸcagÕone dÕbagnare lofarebbe dÕscendere nella acqua ÕnprÕma ȸche quelle bestÕe lodouessero dÕuo rare EllÕ lefacea pascere tre uolte lasettÕmana dÕ ÕÕÕɬ altre bestÕe scortÕcate Elle moltÕ prÕconno molto Õn grande quantÕtade Aquello ɒpo auenne che quello
10
sÕngnore dÕCesarÕa sacordo 7 fece pace colfratello ȸ poterlo meglÕo Õnganare poÕ auenne che Uno gÕorno delmese dÕgÕugnÕo chellÕ lomeno assolazo a quello luogo laouerano quelle bestÕe EllÕ come ɻo cheera Innocente 7 ɃnɃo sapea lotradÕmento chera
15
ordÕnato ɡntra luɬ . sÕando alla pÕchÕesta delfratello 7 dellÕ suoÕ caualÕerÕ che derano ɃcɃosenzÕentÕ dello tradÕmento . Et quando funo Inquello luogho sÕsol lazÕno Uno pezo ȸ lo luogo . losengnore auea coma ndato bene do uÕÕɬ . gÕornÕ dÕnanzÕ che ɃnɃo fosse da
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ta mangÕare aquelle bestÕe 7 cosÕ fue fatto Undell . funo sÕe afamate che pocho fallÕo che ɃnɃo dÕuoroɃnɃo talÕ 7 qualÕ . Inquello punto rÕchÕese losÕngnÕore s uo fratello abagnÕare coglÕaltrÕ caualÕerÕ essÕ dÕ sponghono losÕngnÕore dÕsse alfratello che dÕscendess
25
e ÕnprÕma accÕo che quando ellÕ fosse Õsceso quelle bestÕe lodouesseno dÕuorare . Inmantenente ȸ lagra (1v)
nde fame cheglÕno aueano Ellɬ sÕsÕschosoe come dÕo uolse 7 dÕsse allo sÕngnore chellÕ dÕscendesse Õn
––––––– 1
Di lettura difficile sono i primi tredici versi in alto a destra.
106
(1r)
odio ch’elli aveano insieme. Et p(er)ciò ch’elli temea
[1]
di distruggiere lo fratello palesemente, sí era sua inte|nzione che quelle bestie dovessero multipricare in q|uello luogo ch’era come padule et che alchuno gio|rno ch’elli e lo fratello andassero a ssolazo quine di sta–
5
te p(er) cagione di bagnare, lo farebbe discendere nella acqua inprima p(er)ché quelle bestie lo dovessero divo– rare. Elli le facea pascere tre volte la settimana di IIII altre bestie scorticate. Elle moltipriconno molto in grande quantitade. A quello t(em)po2 avenne che quello
10
singnore di Cesaria s’acordò e fece pace col fratello p(er) poterlo meglio inganare. Poi avenne che uno giorno del mese di giugnio ch’elli lo menò a ssolazo a quello luogo là ov’erano quelle bestie. Elli, come ho(mo) che era innocente e no(n) sapea lo tradimento ch’era
15
ordinato (co)ntra lui, sí andò alla pichiesta3 del fratello e delli suoi cavalieri ched erano co(n)senzienti dello tradimento. Et quando funo in quello luogho, sí sol– lazino uno pezo p(er) lo luogo. Lo sengnore avea coma|ndato bene do4 VIII giorni dinanzi che no(n) fosse da–
20
t’a mangiare a quelle bestie. E cosí fue fatto. Und’ell[e] funo sie afamate che pocho fallio che no(n) divoron(n)o tali e quali. In quello punto richiese lo singniore s|uo fratello a bagniare cogli altri cavalieri. E ssí di– sponghono. Lo singniore disse al fratello che discendess|e
25
inprima acciò che, quando elli fosse isceso, quelle bestie lo dovesseno divorare inmantenente p(er) la gra|n– (1v)
de fame ch’eglino aveano. Elli sí s’ischosoe5 come Dio volse e disse allo singnore che llì discendesse in
––––––– 2 3 4 5
Cc. 1r–51r: in scrittura piena tempo prevale rispetto a tenpo. 1r–16 richiesta. 1r–20 da. 1v–1 s’ischusoe.
107
prÕma ellÕ ȸcÕo chellÕ ɃnɃo sapea mÕga bene dÕqual parte sÕdouesseno bangnare losÕngnore fue sopra 5
preso della paura dello fratello . sÕ credette dÕscen dere alacqua sÕe pÕano chelle bestÕe ɃnɃolo sentÕssɃeɃo SÕtosto comellɬ fue dÕsceso nellacqua . Uenne Una grande moltÕtudÕne dÕquelle bestÕe channo nome RocchatrÕcÕ . 7 . Uennero amolto grande Õsforzo ue
10
rso luɬ . SÕ che ȸ pÕedÕ 7 ȸbraccÕa 7 ȸmanÕ lotÕro no Õnnello ɂfondo . sÕe chemaÕ poÕ ɃnɃo fue ueduto lofratello 7 lÕcaualÕerÕ chelae erano quando uÕdde no questo funno molto sgomentatÕ lÕcaualÕerÕ che rano ɃcɃosentÕetÕ . dellatradÕgÕone uÕddeno questo fu
15
no molto sgomentatÕ lÕqualÕ dÕmandano ȸdono Alfratello delsÕngnore Et dÕsoglÕ tutto lofatto che ra Õstato ordÕnato ȸlosÕngnore ɃcɃontra dÕluɬ cosÕe scanpo . loÕnocente 7 fue ȸduto lotradÕtore poÕ . dÕmoro Uno grande ɒpo sÕngnore dÕ CesarÕa dÕpo
20
lla ȸdÕta delfratello 7 fece dÕmoltÕ grandÕ benɬ 7 ȸ donoe atuttÕ quellÕ cherano statÕ ɃcɃosenzÕentÕ della tradÕgÕone daquesto luogo allacÕtta dÕ CesarÕa sÕa e Una lega . Inquella cÕttade dÕ CesarÕa ae Una be lla eccɃla fondata allonore dÕ Meɀ SɃcɃo PÕetro . dÕs
25
otto quella eccɃla ameno duna arcata sopra loma re sÕe locastello della cÕttade . loquale castello he mo lto bello 7 forte ma molto he pÕccolo . Sotto lasopra
(2r)
dÕtta eccɃla dÕMeɀ SɃcɃo PÕero sÕe lapregÕone laoue Meɀ SɃcɃo Paulo fue messo . dÕfuorÕ dalle mura della cÕttade come luomo escÕe ȸlamastra porta tutta dÕrÕ tto pÕue duno tratto darcho troua luomo lasepoltu
5
108
ra dÕ SɃcɃo CornellÕ loquale SɃcɃo PÕetro battezoe Et
prima elli, p(er)ciò ch’elli no(n) sapea miga bene di qual parte si dovesseno bangnare. Lo singnore fue sopra– preso della paura dello fratello: sí credette discen–
5
dere a l’acqua sie piano che lle bestie no(n) lo sentisse(n)o. Sí tosto com’elli fue disceso nell’acqua, venne una grande moltitudine di quelle bestie ch’ànno nome rocchatrici6 e vennero a molto grande isforzo ve|rso lui sí che p(er) piedi e p(er) braccia e p(er) mani lo tiro–
10
no in nello p(re)fondo sie che mai poi no(n) fue veduto. Lo fratello e li cavalieri che lae erano, quando vidde|no questo, funno molto sgomentati. Li cavalieri ch’e– rano co(n)sentie[n]ti della tradigione viddeno questo. Fu– no molto sgomentati. Li quali dimandàno p(er)dono
15
al fratello del singnore et disogli tutto lo fatto ch’e– ra istato ordinato p(er) lo singnore co(n)ntra di lui. Cosie scanpò lo inocente e fue p(er)duto lo traditore. Poi dimorò uno grande t(em)po singnore di Cesaria dipo lla p(er)dita del fratello e fece di molti grandi beni, e p(er)–
20
donoe a tutti quelli ch’erano stati co(n)senzienti della tradigione. Da questo luogo alla città di Cesaria si à|e una lega. In quella cittade di Cesaria àe una be|lla eccl(esi)a fondata all’onore di mess(er) sancto7 Pietro. Di s|otto quella eccl(esi)a, a meno d’una arcata sopra lo ma–
25
re, si è lo castello della cittade, lo quale castello he mo|lto bello e forte, ma molto he piccolo. Sotto la sopra– (2r)
ditta eccl(esi)a di mess(er) sancto Piero si è la pregione là ove mess(er) sancto Paulo fue messo. Di fuori dalle mura della cittade, come l’uomo escie p(er) la mastra porta tutt’a diri|tto piue d’uno tratto d’archo, trova l’uomo la sepoltu–
5
ra di sancto Cornelli, lo quale sancto Pietro battezoe, et
––––––– 6 7
1v–9 cocchatrici. Cc. 1r–51r: in scrittura piena solo santo.
109
poÕ fue ArcÕuescouo dÕ CesarÕa . pÕu ÕnnanzÕ troua lo mo Una grande peza dÕmarmo molto grande 7 gro ssa . laquale luomo chÕama latauola dello nɃro sÕng nore : 7 lÕsaracÕnÕ lataglÕano ȸ mezo ȸ forza . Et quÕ 10
ne medesÕmo ae due altrÕ pezzÕ dÕquello marmo medesÕmo tuttÕ tondÕ dÕsotto 7 dÕsopra tuttÕ puntt utÕ lÕqualÕ sÕchÕamano candellÕerÕ Amano dÕrÕtta sopra lomare . Unpocho Õnsuso fuore delle mura ɂ sso duna torre che gÕa era della cÕttade laquale sÕch
15
Õama latorre fortana 7 sÕae Una cappɃlɃla fondata a llonore dÕSɃcɃa MarÕa . Madalena . Indelaquale luogo elle fece Uno ɒpo penÕtɃezÕa dellɬ suoÕ peccatÕ. Quella cappɃlɃla sÕe molto AntÕca 7 uertudÕosa ɥ APresso deluomo andare da . CesarÕa la cÕttade
20
Ad Arzuffo Arzuffo sÕe . Uno castello 7 sÕa Uno poggÕo dÕsopra dalla rÕua delmare . Inuno pogg Õetto . dÕsanza sopra Una pÕaggÕa . EllÕ ee presso della cÕttade dÕCesarÕa a UÕÕÕɬ . lege quello caste llo solea essere antÕcamente molto buono luogo
25
EllÕ fue gÕae duno barone dello . Reame loquale era chÕamato losÕgnÕore . Darzuffo . loquale sÕngn Õore louendette alla MagÕone dÕSɃɃcɃo Joɻaɬ . 7 cÕo
(2v)
fue Indelanno della ÕncarnazÕone del nɃro sÕngnÕ ore yhu xɃpɃo . In MCC delmese dÕmarzo . Intralqua le camÕno dÕ CesarÕa . 7 dar . Suffo amamancha troua luomo Uno fÕume che corre fÕne almare
5
loquale fÕume ae nome lofÕume salso . Et poÕ pue ÕnanzÕ allege troua luomo Unaltro fÕume che lumo chÕama lofÕume del Cane . questÕ due fÕumɬ
110
poi fue arcivescovo di Cesaria. Piú innanzi trova l’o– mo una grande peza di marmo molto grande e gro|ssa, la quale l’uomo chiama la tavola dello N(ost)ro Sing|nore. E li saracini la tagliàno p(er) mezo p(er) forza. Et qui– ne medesimo àe due altri pezzi di quello marmo
10
medesimo tutti tondi di sotto e di sopra tutti puntt|uti, li quali si chiamano candellieri. A mano diritta sopra lo mare un pocho in suso fuore delle mura p(re)|sso d’una torre che già era della cittade, la quale si ch|iama la torre fortana, e si àe una capp(e)lla fondata
15
a|ll’onore di sancta Maria Madalena. Indela8 quale luogo elle9 fece uno t(em)po penite(n)zia delli suoi peccati. Quella capp(e)lla si è molto antica e vertudiosa. Apresso de l’uomo andare da Cesaria la cittade
[2]
ad Arzuffo. Arzuffo si è uno castello e si à uno
20
poggio di sopra dalla riva del mare in uno pogg|ietto di sanza sopra una piaggia. Elli èe presso della cittade di Cesaria a VIIII lege. Quello caste|llo solea essere anticamente molto buono luogo. Elli fue giae d’uno barone dello reame, lo quale
25
era chiamato lo signiore d’Arzuffo, lo quale singn|iore lo vendette alla magione di sancto Joha(nn)i. E ciò (2v)
fue in de l’anno della incarnazione del N(ost)ro Singni|ore Iesu Cristo in MCC del mese di marzo. Intra ’l qua– le camino di Cesaria e d’Arsuffo a ma· mancha trova l’uomo uno fiume che corre fine al mare,
5
lo quale fiume àe nome lo fiume salso. Et poi pue inanzi a […]10 llege trova l’uomo un altro fiume che l’umo chiama lo fiume del cane. Questi due fiumi
––––––– 8 9 10
2r–16 Indelo quale luogo. 2r–17 ella. ed. Dardano [1992:2v–6, p.142]: a [IJ] lege;
111
correno dÕsÕno almare . 7 Ineluno dÕquestÕ due fÕumÕ sÕae molto perÕcoloso passaggÕo che suso 10
Inalto ȸ lacostÕera della mantagnÕa . laquale passa ggÕo sÕchÕama . Roccha taglÕata : Questo camÕno sÕe molto dotteuÕle 7 perÕcoloso . apassare seluomo ɃnɃo uÕuae bene accɃopangnato . ȸ Una manÕera dÕ gente che anno nome beddouÕnɬ lÕqualÕ sÕrÕduc
15
eno quÕe tutto gÕorno ȸ rubare 7 ȸ taglÕare loca mÕno acoloro che Uanno da . CesarÕa lacÕttade . a darzuffo . Ouero a . GÕaffe ɥ DA Arzuffo de luomo andare dÕrÕttamente . a GÕaffe . GÕaffe sÕe sullarÕua delmare presso atre
20
lege . darzuffo . Õnquello camÕno chede tra Arzuffo 7 GÕaffe . sÕae Uno fÕume corente loquale sÕchÕama lÕmolÕnɬ deturchÕ quÕne sÕa molonɬ daqua ordÕn atÕ ȸ macÕnare sopra una parte dÕquella acqua . U no altro braccÕo dacqua troua luomo ÕnanzÕ chesÕa
25
a GÕaffe . GÕaffe sÕe cÕttade 7 castello 7 de duno baro ne cha nome loconte dÕGÕaffe . Inquesto gÕaffe Ru sussÕtoe Meɀ SɃcɃo PÕetro Una buona femÕna che a
(3r)
uea nome . TabÕta . dentro dalcastello dÕ GÕaffe suso Õnalto sÕa una eccɃla fondata alonore dÕMeɀ SɃcɃo PÕetro dentro aquella eccɃla sÕe lopredone dÕmeɀ SɃcɃo Iacopo sopra quello predone dÕce luomo che
5
passoe lomare . GÕaffe sÕe molto nobÕle luogo . 7 deun o dellÕ mÕglÕorÕ luoghÕ chesÕa sopra . MarÕna ellÕ e cosÕ come fondamento 7 chÕaue delpaese dÕtorno . G Õaffe ɃnɃo solea essere seɃnɃo . Chastello 7 borgo 7 none an
112
correno di sino al mare e i· ne l’uno di questi due fiumi si àe molto pericoloso passaggio ch’è suso in alto p(er) la costiera della mantagnia.11 La quale12 passa|ggio
10
si chiama Roccha tagliata. Questo camino si è molto dottevile e pericoloso a passare, se l’uomo no(n) vi vae bene acco(n)pangnato13 p(er) una maniera di gente che ànno nome beddovini, li quali si riduc|eno quie tutto giorno p(er) rubare e p(er) tagliare lo ca–
15
mino a coloro che vanno da Cesaria la cittade a|d Arzuffo overo a Giaffe. Da Arzuffo de l’uomo andare dirittamente a
[3]
Giaffe. Giaffe si è sulla riva del mare presso a tre lege d’Arzuffo. In quello camino ched è tra Arzuffo
20
e Giaffe si àe uno fiume corente, lo quale si chiama li molini de’ Turchi. Quine si à moloni14 d’aqua ordin|ati p(er) macinare. Sopra una parte di quella acqua u|no altro braccio d’acqua trova l’uomo inanzi che sia a Giaffe. Giaffe si è cittade e castello, ed è d’uno baro–
25
ne ch’à nome lo conte di Giaffe. In questo Giaffe ru–15 sussitoe mess(er) sancto Pietro una buona femina che (3r)
a|vea nome Tabita. Dentro dal castello di Giaffe suso in alto si à una eccl(esi)a fondata a l’onore di mess(er) sancto Pietro. Dentro a quella eccl(esi)a si è lo predone di mess(er) sancto Iacopo. Sopra quello predone dice l’uomo che
5
passoe lo mare. Giaffe si è molto nobile luogo ed è un|o delli migliori luoghi che sia sopra marina. Elli è cosí come fondamento e chiave del paese di torno. G|iaffe no(n) solea essere se no(n) chastello e borgo. E non è an–
––––––– 11 12 13 14 15
2v–10 montagnia. 2v–10 lo quale. cf.13r–17, 21 conpangnia e passim. 2v–22 molini. 2v–26 risussitoe.
113
chora grande tenpo chello nobÕle 7 potente Re DÕ 10
francÕa . Meɀ AluÕxe uÕfece una molto bella forteza dÕtorre 7 dÕmura . lequalÕ mura chÕuseno tutto lob orgho molto nobÕle mente . questo fue Õndelanno de lla ÕncarnazÕone del nɃro sÕngnore Õɻu xɃpo ɃÕ MCC lelmese dÕmarzo . Indelcastello dÕ GÕaffe apÕe delma
15
re sÕa una corre fondata laquale sÕchÕama latorre . delpatrÕarcha dÕGÕerusale3 . quÕne solea essere lacasa duno chauea nome SÕmone laoue tornoro Õndella quale casa solea abÕtare Meɀ SɃcɃo PÕetro . Inquello te npo secondo chesÕtroua ȸ ÕscrÕtto . dÕfuorÕ dalle mu
20
ra dÕGÕaffe come lumo escÕe dÕfuore ȸladÕrÕtta parta che luomo chÕama laporta dÕ Gerusalem . sÕa Una acqu a che ɃnɃo corre anzÕ he Uno luogho Õndelquale acqua sabeuerano lebestÕe della ɒra dÕsopra quello luogho dÕrÕtto amandÕrÕtta auno pÕccolo tratto darco suso
25
Õnaltro sopra Uno montÕcello dÕsassÕ . Sopra Una pÕ aggÕa sÕa Una capella molto antÕcha chesÕ chÕama scɃo Abachuc quÕne dÕcÕe luomo che SɃɃcɃo Abachuc Ɂfe
(3v)
ta abÕto ɥ DAgÕaffe deluomo andare a . Remes . Rames sÕe tre lege presso aGÕaffe ȸɒra ferma andando luom o ȸlodÕrÕtto camÕno sÕ lassa amandÕrÕtta sopra laranÕa .
5
delmare Una cÕtta cheda nome ascalona laquale edÕla e aGÕaffe UÕÕÕɬ lÕegue 7 Ancho Unaltra cÕttade che luo mo lassa aquella medesÕma mano dÕla ascolana . ÕÕɬ lÕe gue laquale anome . Sadres della quale cÕttade . Senso ne forte ruppe leportte 7 lporto Õnuno monte ben
10
lungÕ dalla cÕttade . Ascalono solea essere gÕa grande ɃcɃotado 7de delpodere 7 della sÕngnorÕa delconte dÕ
114
chora grande tenpo che llo nobile e potente re di Francia, mess(er) Aluixe, vi fece una molto bella forteza
10
di torre e di mura. Le quali mura chiuseno tutto lo b|orgho molto nobilemente. Questo fue in de l’anno de|lla incarnazione del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo in MCC lel mese16 di marzo. Indel castello di Giaffe a piè del ma– re si à una corre17 fondata, la quale si chiama la torre
15
del patriarcha di Gierusalem. Quine solea essere la casa d’uno ch’avea nome Simone . Indella quale casa solea abitare mess(er) sancto Pietro in quello te|npo, secondo che si trova p(er) iscritto. Di fuori dalle mu– ra di Giaffe, come l’umo escie di fuore p(er) la diritta parta18
20
che l’uomo chiama la porta di Gerusalem, si à una acqu|a che no(n) corre. Anzi he uno luogho indel quale acqua s’abeverano le bestie della t(er)ra. Di sopra quello luogho diritto a man diritta, a uno piccolo tratto d’arco, suso in altro sopra uno monticello di sassi sopra una
25
pi|aggia si à una capella molto anticha che si chiama sancto Abachuc. Quine dicie l’uomo che sancto Abachuc p(ro)fe– (3v)
ta abitò. Da Giaffe de l’uomo andare a Remes. Rames si è
[4]
tre lege presso a Giaffe p(er) t(er)ra ferma. Andando l’uom|o p(er) lo diritto camino, sí lassa a man diritta sopra l’arania 5
del mare una città ched à nome Ascalona, la quale è di la|e a Giaffe VIIII liegue, e ancho un’altra cittade che l’uo– mo lassa a quella medesima mano di là Ascolana III lie– gue, la quale à nome Sadres. Della quale cittade Senso|ne forte ruppe le portte e l’ portò in uno monte ben
10
lungi dalla cittade. Ascalono solea essere già grande co(n)tado, ed è del podere e della singnoria del conte di
––––––– 16 17 18
3r–14 del mese. 3r–15 torre. 3r–20 porta.
115
GÕaffe . Inascalona sÕe la eccɃla dÕmeɀ SɃɃcɃo . Paulo . eÕnÕ solea essere gÕae lasedÕa uescouale laquale he ora Inbettelem quella eccɃla pertÕene aluescouo dÕbet 15
telem 7 lÕcalonacɬ ɃcɃotutte leȸtengnÕse . dÕquella ɒra Ma ȸ loSɃcÕssÕmo luogo dÕbettele3 Uose lopapa tram utore louescouado. dascalono ÕnBettelem . EȸcÕo ɃnɃo rÕmane che . Scalona . ɡbettelem ɃnɃo sÕa tutto unuesc ouado che chÕe uescouo dÕbettelem sÕe uescouo . DÕs
20
calona dÕsopra . aScalona Õnfra ɒra ameza lega . dasca lona aÕÕɬ legue dÕ . Sardes sÕa uno luogho che anom e forbÕta . Inquel luogo fue . laxɃpɃÕnÕta sconfÕtta dallÕ saracÕnÕ . cÕo fue Õndelanno dalla ÕncarnazÕone del nɃro SÕngnore Õɻu xɃpo . Õn MCC delmese dÕmarzo
25
Rames sÕe amandÕrÕtta fuore delcamÕno dÕGerus ale3 . della segnÕorÕa delcante dÕ GÕaffe . 7 luescouo dÕsangÕorgÕo delundaua alcuna ragÕone 7 pÕe uÕ
(4r)
ne solea auere Õnelɒpo passato . lÕdda sÕe daltra par te fuore delcamÕno amanmanca . ameza legha dÕ R ames . In lÕdda sÕe la eccɃla dÕ meɀ SɃcɃo gÕorgÕo 7 quÕ ne sÕe losedÕo uescouale 7 de chÕamato losedÕo dÕSɃcɃo
5
GÕorgÕo dÕlÕdda . quello Uescouo sÕe come cɃote pala dÕno 7 sÕe dÕgrande podere 7 dÕgrande segnorÕa pÕu che nullo altro uescouo del Reame dÕ Gerusale3 luo mo troua che antÕcamente lameta della ɒra dÕ Ra mes . ouero tutta solea essere dÕsua sÕngnorÕa In Ram
10
es soleano auere lÕsaracÕnɬ grande dÕuÕsÕone 7 ann o ancora ellÕ Uanno anchora loro tenpÕo 7 loro orato rÕo 7 loro macomettarÕe . Rames solea essere dÕgrande affare Õnneltempo passato elle sÕe come fondamento della ɒra dÕGerusale3 7 delpaese dÕtorno ɥ
116
Giaffe. In Ascalona si è la eccl(esi)a di mess(er) sancto Paulo, e ini solea essere giae la sedia vescovale la quale he ora in Bettelem. Quella eccl(esi)a pertiene al vescovo di Bet|telem e li calonaci co(n) tutte le p(er)tengni[en]se di quella t(er)ra.
15
Ma p(er) lo sanctissimo luogo di Bettelem vose lo papa tram|utore19 lo vescovado d’Ascalono in Bettelem. E p(er)ciò no(n) rimane che Scalona (con) Bettelem no(n) sia tutto un vesc|ovado, che chi è vescovo di Bettelem si è vescovo di S|calona. Di sopra Ascalona, infra t(er)ra a meza lega d’Asca|lona
20
a III legue di Sardes, si à uno luogho che à nom|e Forbita. In quel luogo fue la christianità sconfitta dalli Saracini. Ciò fue in de l’anno dalla incarnazione del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo in MCC del mese di marzo. Rames si è a man diritta fuore del camino di Gerus|alem
25
della segnioria del cante20 di Giaffe, e ’l vescovo di san Giorgio delundava 21 alcuna ragione e pie vi (4r)
ne solea avere i·nel t(em)po passato. Lidda si è d’altra par– te fuore del camino a man manca a meza legha di R|ames. In Lidda si è la eccl(esi)a di mess(er) sancto Giorgio e qui– ne si è lo sedio vescovale, ed è chiamato lo sedio di sancto
5
Giorgio di Lidda. Quello vescovo si è come co(n)te pala– dino e si è di grande podere e di grande segnoria piú che nullo altro vescovo del reame di Gerusalem. L’uo– mo trova che anticamente la metà della t(er)ra di Ra|mes overo tutta solea essere di sua singnoria. In Ram|es
10
soleano avere li Saracini grande divisione e ànn|o ancora. Elli v’ànno anchora loro tenpio e loro orato– rio e loro macomettarie. Rames solea essere di grande affare in nel tempo passato. Elle si è come fondamento della t(er)ra di Gerusalem e del paese di torno.
––––––– 19 20 21
3v–17 tramutare. 3v–26 conte. 3v–27 ed. Dardano [1992:3v–27, p.144]: di L[idd]a nd’avé.
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15
APresso deluomo andare da Remes Inbettenuble cheua tre lege . Bettenuble sÕe Unluogo che ɂsso a u . lege della SɃcɃa cÕttade dÕ Gerusalem quÕne sole no gÕa stare lÕtemplerÕ deltempo ordÕnatÕ ȸ guard are Uno maluagÕo passo che Õnquella parte 7 p guÕ
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dare lÕpelegrÕnÕ che Uanno ÕnGerusalem ȸlapaura desaracÕnɬ che anno nome beddouÕnÕ 7 questo ordÕ namento fue fatto allo ÕncomÕncÕamento chella Ma gÕone deltenpÕo fue ÕncomÕncÕata cÕo fue quando ellÕ caualcauano due sopra Uno cauallo 7 quel costu
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me tenero uno grande tenpo dÕpo latra ȸduta . Et a ncora none grande ɒpo chesÕne rÕmasero ɥ DAbettenuble Ualuomo alla MagÕoÕo che ua tre
(4v)
lege lamontagnÕa sÕe uno monte che presso aGerusale3 aduelege ȸ quello monte deluomo montare tutto dÕrÕ tto . chÕ dÕrÕttamente Uole andare ÕscÕendÕ Õndella SɃcɃa cÕtta dÕGerusale3 7 ɃnɃodechÕnare nequa nelae cÕoe che
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luomo dedÕscendere tutto dÕrÕtto andare ȸlosol leua nte 7 chÕrÕtta mente uole Intrare . InGerusale3 sÕde Õntrare ȸlaporta dÕ SɃcɃo EstÕano molte altre porte uae maquesta elapue dÕrÕtta aÕntrare ɥ GIerusalem sÕe assÕsa Õnnelmezo delmondo da
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lluna parte uerso orÕente sÕe laɒra dÕ RabÕa 7 uerso meço gÕorno sÕe laɒra de GÕtto . 7 uerso occÕde nte sÕe logrande mare . 7 Uerso tramontana sie la ɒra dÕSorÕa elmare dÕ CÕprÕ ɥ POÕ che luomo he Intrato Õnnella SɃcɃa cÕttade .
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dÕ Gerusalem . sÕcome scrÕtto he dÕsopra sÕde dÕ mandare 7 cerchare dÕuota mente ȸudÕre lÕSɃcɃÕ luo ghÕ che sono spartÕ ȸ lacÕttade 7 dÕfuorÕ prÕmera m ente deluomo cÕercare 7 dÕmandare louerace SɃcɃo sÕpolcro delnɃro sÕngnore Õɻu xɃpɃo. cÕoe lauellÕ fue so
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15
Apresso de l’uomo andare da Remes in Bettenuble:
[5]
che v’à tre lege. Bettenuble si è un luogo ch’è p(re)sso a V lege della sancta cittade di Gerusalem. Quine sole– no già stare li templeri del tempo ordinati p(er) guard|are uno malvagio passo, ch’è in quella parte, e p(er) gui– 20
dare li pelegrini che vanno in Gerusalem p(er) la paura de Saracini che ànno nome beddovini, e questo ordi– namento fue fatto allo incominciamento che lla ma– gione del tenpio fue incominciata. Ciò fue quando elli cavalcavano due sopra uno cavallo. E quel costu–
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me tenero uno grande tenpo dipo la t(er)ra p(er)duta, et a|ncora non è grande t(em)po che si ne rimasero. Da Bettenuble va l’uomo alla Magioio: che v’à tre
(4v)
[6]
lege. La montagnia si è uno monte ch’è presso a Gerusalem a due lege. P(er) quello monte de l’uomo montare tutto diri|tto. Chi dirittamente vole andare isciendi indella sancta città di Gerusalem. E no(n) de chinare né qua né lae: ciò è che
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l’uomo de discendere tutto diritto, andare p(er) lo sol leva|nte. E chi rittamente vole intrare in Gerusalem si de intrare p(er) la porta di sancto Estiano: molte altre porte v’àe, ma questa è la pue diritta a intrare. Gierusalem si è assisa in nel mezo del mondo.
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[7]
Da|ll’una parte verso oriente si è la t(er)ra di Rabia e verso meçogiorno si è la t(er)ra d’Egitto, e verso occide|nte si è lo grande mare, e verso tramontana si è la t(er)ra di Soria e ’l mare di Cipri. Poi che l’uomo he intrato in nella sancta cittade
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[8]
di Gerusalem, sí come scritto he di sopra, si de di– mandare e cerchare divotamente p(er) udire li sancti luo– ghi che sono sparti p(er) la cittade e di fuori. Primeram|ente de l’uomo ciercare e dimandare lo verace sancto sipolcro del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo: cioè là u’ elli fue
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ppelÕta apresso lasua bededÕtta passÕone . Inquella e
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ccɃla dello benedetto sÕpulcro . CÕoe Õnquello chuolo sÕe locɃopassÕo delnɃro sÕngnore Õɻu xɃpɃo che fece quan do ellÕ mÕsuroe Õlmondo aɂsso dÕquÕne sÕe locÕerchÕe llo Õnnelquale Gosepe dÕ AbaramattÕa mÕse lobene dÕtto corpo del nɃro sÕngnore yɻu xpo quando ellÕ lo
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dÕspuose dÕsulacroce quÕne fue ellÕ Untto dÕmÕrra 7 daloe 7 daltrÕ prezÕosÕ UngentÕ ɥ (5r)
POÕ alla scuÕta22 delchuolo amanmanca sÕe monte CaluarÕo laouedÕo fue messo Õncroce . dÕsotto sÕe Gholgota loluogo laoue sangue delnostro sÕngnore ca dde 7 passo lasassa . 7 quÕne presso dentro dalle trefu nɬ23 dello mastro altare . sotto monte CaluarÕo . sÕe la col
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onna laoue lonostro sÕngnore yɻu xɃpo fu legato 7 ba ttuto dallÕ gÕudeÕ tutto Õnudo ɃÕnazÕ sua bɃndÕtta passÕɃoɃe ɥ Allato dÕquÕne auna dÕscÕesa dÕ xl . scaleÕ dÕgradÕ sÕ troua luomo loluogho laoue SɃcɃa lena trouoe . la SɃcɃa uerace croce delnɃro sÕngnore yɻu xɃpo . 7 apresso d
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ello chuolo alla uscÕta delsÕpulcro amandÕrÕtta sÕe la pregÕone del nostro sÕngnore 7 deuÕ essere lacatena co lla quale ellÕ fue leggato ɥ APresso delaltro lato dello sÕpolcro troua luomo xlɬ scaleo dÕgradÕ che ascendono ÕngÕuso ÕnsÕne alla
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capella che sÕchÕama la cappɃlɃla dellÕ grÕfonɬ . Indella qu ale cappɃlɃla soleano essere laSɃcɃa Uerace crocÕe delnostro sÕngnore yɻu xɃpo . 7 quÕnÕ solea essere lamagÕone dÕ nɃra donna . SɃcɃa MarÕa . che parloe alla femÕna degÕtto 7 ɃcɃo uertÕla . 7 apresso ȸ quella uscÕta medesÕma del sepu
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lcro dÕfuorÕ uerso tramontana sÕa una eccɃlɃla . dÕSanto RarÕto 7 lasepultura lauellÕ gÕacÕe dallaltra Õntrata de lsepulcro dÕnanzÕ uerso mezo gÕorno presso dÕquÕne tr
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Lettura incerta. Ecco il testo francese: Emprès la tribune, de cofté le maiǕtre autel, defouz monte Calvaire eǕt la colompne où NoǕtre Sire fu liés & batus [...]; cf. Henri Michelant/Gaston Raynaud, Les pelerinaiges por aller en Jherusalem, Genève, 1882, p. 93 e 94.
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so|ppelita24 apresso la sua bededitta passione. In quella
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e|ccl(esi)a dello benedetto sipulcro, cioè in quello chuolo, si è lo co(n)passio del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo che fece quan– do elli misuroe il mondo. Ap(re)sso di quine si è lo cierchie|llo in nel quale Gosepe di Abaramattia mise lo bene– ditto corpo del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo, quando elli lo
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dispuose di su la croce. Quine fue elli untto di mirra e d’aloe e d’altri preziosi ungenti. (5r)
Poi alla scuita25 del chuolo a man manca si è monte
[9]
Calvario, là ove Dio fue messo in croce. Di sotto si è Gholgota: lo luogo là ove sangue del Nostro Singnore ca|dde e passò la sassa. E quine presso dentro dalle trefu– 5
ni dello mastro altare sotto monte Calvario si è la col|onna là ove lo Nostro Singnore Iesu Cristo fu legato e ba|ttuto dalli giudei tutto inudo i(n)na[n]zi sua b(e)n(e)ditta passio(n)e. Allato di quine a una disciesa di XL scalei di gradi si
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trova l’uomo lo luogho là ove sancta Lena trovoe la 10
sancta verace croce del N(ost)ro Singnore Iesu Cristo. E apresso d|ello chuolo alla uscita del sipulcro a man diritta si è la pregione del Nostro Singnore e devi essere la catena co|lla quale elli fue leggato. Apresso de l’altro lato dello sipolcro trova l’uomo XLI
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[11]
scaleo di gradi che ascendono in giuso insine alla capella che si chiama la capp(e)lla delli Grifoni. Indella qu|ale capp(e)lla soleano essere la sancta verace crocie del Nostro Singnore Iesu Cristo. E quini solea essere la magione di N(ost)ra Donna sancta Maria che parloe alla femina d’Egitto e co(n)–
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vertíla. E apresso p(er) quella uscita medesima del sepu|lcro, di fuori verso tramontana, si à una eccl(esi)a di santo Rarito e la sepultura là u’ elli giacie. Dall’altra intrata de|l sepulcro dinanzi verso mezogiorno presso di quine tr|o–
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4v–20 soppelito. 5r–1 ed. Dardano [1992:5r–1, p.145]: scita.
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oua luomo lalatÕna . Et quÕne presso sÕe loluogho laou e . SɃcɃa MarÕa . Madalena 7 SɃcɃa MarÕa . cleofe pÕanseno
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quɃado ÕlnɃro sÕngnore Õɻu xɃpɃo morÕo ɃÕsulacroce . 7 ɂsso– dÕquÕne sÕe lacasa dello Õspedale dÕscɃo . GÕouannɬ ɥ (5v)
DAuantÕ losÕpulcro tanto quanto . Unarcho saetasse Õndue Uolte urso leuante sÕe lotenpÕo delnɃro sÕn gnÕore . loquale laladÕcha gÕente chÕama templum dnɃÕ loquale tenplo ae quatro Õntrate 7 xxÕɬ portÕ . Innelm ezo dÕquello tenplo sÕe lagrande sassa sagrata laouera
5
larcha delnɃro sÕngnore 7 lauerga da . Aron . 7 letauole deluecchÕo testamento . 7 lÕ uÕɬ . candellÕerÕ deloro 7 la uscÕta26 laouesolea essere lamanna che uenÕa dacÕelo 7 lofuoco che uenÕa 7 che dÕuoraua losacrÕfÕcÕo 7 lolÕo che logoraua dÕche lÕ ReÕ 7 lÕɁfeta del nɃro sÕngnore
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erano Unttɬ . Et quÕne dalato sulasassa fue offerto lofÕ glÕuolo DÕdÕo . 7 quÕnÕ uÕdde GÕacob . lescale che toccau ano ÕnsÕno alcÕelo . 7 uedea glÕangelÕ montare 7 scÕen dere amandÕrÕtta dalato dalla sassa aparue langelo a ÇaccherÕa Ɂfeta 7 . la dÕsotto sÕe SɃcɃa scɃoȬ . 7 quÕne–
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ȸdonoe Õlnostro sÕngnore Õɻu xɃpɃo lopeccato allafemÕna chera presa ÕnauolterÕo 7quÕne fue annosÕato . SɃcɃo IoɻÕ . battÕsta 7 Õnquello luogho adorano . lÕsaracÕnɬ ho ra . E quÕnÕ dÕce luomo che solea essere antÕca mente laltare laoue Abraam . fece sacrÕfÕcÕo adÕo . Apresso–
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dÕquÕ era Una eccɃla onde Meɀ SɃcɃo Iacopo che fue Fra tello denostro sÕngnore fue trabuccato ɥ DI fuore dallo templo sÕae Uno altare laoue . Çacca rÕa fÕglÕuolo . dabarachÕa fue UccÕso cÕo fue ɃÕtra ltenplo 7 laltare secondo che luomo trouoe scrÕtto .–
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ÕneluangelÕo . laÕntrata deltemplo uerso ponente . sÕe laporta che luomo chÕama . DezÕosa . 7 InneltɃeplo .
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Ecco il testo francese: Em mi le Temple eǕt la grant Roche Sacrée où eǕt l’arche de NoǕtre Seignor, ou tens David & là eǕtoit le Viel Testament, & la Verge de Aaron, & li .vij. Candelabre d’or, & la Huche où eǕtoit la Manne qui venoit dou ciel & le Feu qui Ǖoloit devorer le Ǖacrefice que l’en faiǕoit, & les Tables du Viel Testament & l’Uile qui degoutoit, dont li roi & li prophete estoient enoint [...]; cf. H. Michelant/G. Raynaud, Les pelerinaiges…, cit., p. 94 s.
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va l’uomo la Latina. Et quine presso si è lo luogho là ov|e 25
sancta Maria Madalena e sancta Maria Cleofe piansero, qua(n)do il N(ost)ro Singnore Iesu Cristo morio in su la croce. E p(re)sso di quine si è la casa dello ispedale di sancto Giovanni.
(5v)
Davanti lo sipulcro tanto quanto un archo saetasse
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in due volte v[e]rso levante si è lo tenpio del N(ost)ro Sin|gniore, lo quale la ladicha giente chiama templum d(omi)ni. Lo quale tenplo àe quatro intrate e XXII porti. In nel 5
m|ezo di quello tenplo si è la grande sassa sagrata, là ov’era l’archa del N(ost)ro Singnore e la verga d’Aaron e le tavole del Vecchio Testamento e li VII candellieri de l’oro e la uscita, là ove solea essere la manna che venia da cielo e lo fuoco che venia e che divorava lo sacrificio, e l’olio
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che logorava, di che li rei e li p(ro)feta del N(ost)ro Singnore erano untti. Et quine da lato su la sassa fue offerto lo fi– gliuolo di Dio. E quini vidde Giacob le scale che toccav|ano insino al cielo e vedea gli angeli montare e scien– dere. A man diritta da lato dalla sassa aparve l’angelo
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a Çaccheria p(ro)feta. E là di sotto si è Sancta Sanctorum. E quine p(er)donoe il Nostro Singnore Iesu Cristo lo peccato alla femina ch’era presa in avolterio. E quine fue anno[n]siato sancto Ioh(ann)i Battista. E in quello luogho adorano li saracini ho– ra. E quini dice l’uomo che solea essere anticamente
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l’altare là ove Abraam fece sacrificio a Dio. Apresso di qui era una eccl(esi)a onde mess(er) sancto Iacopo, che fue fra– tello de Nostro Singnore, fue trabuccato. Di fuore dallo templo si àe uno altare là ove Çacca|ria
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figliuolo d’Abarachia fue ucciso. Ciò fue i(n)tra 25
’l tenplo e l’altare, secondo che l’uomo trovoe scritto inel Vangelio. La intrata del templo verso ponente si è la porta che l’uomo chiama Deziosa. E in nel te(m)plo
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(6r)
medesÕmo uerso leuante sÕe laporta che luomo chÕama Gerusalem . 7 la dÕfuorÕ uerso quella uscÕta Inelle gradÕ sÕpare lopasso della . AsÕno chedÕo ca ualcoe logÕorno dÕpasqua fÕorÕta Etlae dÕsopra sono leporte che luomo chÕama porte oÕre secon
5
do laladÕcha gÕente ɥ27 Alla uscÕta deltemplo uerso tramontana sÕe . laporta . DÕparadÕso 7 lafontana . daquella uscÕ ta dalato almuro deltemplo sÕe Una pescÕna cɃh anome ɁbatÕca pescÕna . Et Õnquella UÕa quÕne
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presso sÕe SɃcɃa Anna 7 Õlsuo monÕmento . Et quÕ ne afermano alquantÕ chede ɁbatÕca pÕscÕna 7 dÕsopra aSɃcɃa Anna sÕe la eccɃla dÕ SɃcɃa MarÕa MadalɃeɃa : ET Õnuerso ostÕa sÕe lotemplo dÕSalamone . 7 presso dÕquel templo auno canto della cÕtta
15
de uerso leuante sÕae Uno luogo fatto Õnforma dÕ bangno chesÕchÕama lobangnÕo dÕnɃro sÕngnÕore QuÕne dÕce luomo che nɃra donna sÕsolea rÕducere alcuna uolta col nostro sÕngnÕore ÕɃhu xɃpo . 7 quÕ ne sÕe lasepoltura dÕ . Meɀ SɃcɃo SÕmone ɥ
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IPresso dÕsopra uerso lacÕttade troua luomo Uno monte che anome monte . SÕonɬ lae lagrande eccɃla abbatuta 7 loluogho laoue nɃra . donna . SɃcɃa MarÕa trapasso dÕquÕne laportano lÕangÕolÕ . IngÕusafas . dÕsopra aquella grɃade eccɃla
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abbatuta sÕe lacapella dÕ . SɃcɃo . SpÕrÕto quÕne ue nne loSɃcɃo . SpÕrÕto sopra lÕapostolÕ logÕorno della (6v)
pÕantacosta 7 quÕne dÕsopra sÕe laltare amano dÕr Õtta troua luomo latauola laoue Õlnostro sÕngnÕo re mangÕo colÕsuoÕ apostolÕ . Et quÕne dÕsotto sÕe lo luogo laoue nɃro sÕngnÕore lauo lÕpÕedÕ allÕ Apostolɬ
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E il testo francese: Du Temple Domini, vers le levant, eǕt la porte que l’en dit Iherusalem, & là dehors vers cele iǕǕue perent li pas de l’aneǕǕe que Dex chevaucha le ior de PaǕques flories, & là deǕus Ǖont Portes Oires; cf. H. Michelant/G. Raynaud, op. ult. cit., p. 95.
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(6r)
medesimo verso levante si è la porta che l’uomo chiama Gerusalem. E là di fuori verso quella uscita i· nelle gradi si pare lo passo della asino28 che Dio ca– valcoe lo giorno di Pasqua Fiorita. Et lae di sopra sono le porte che l’uomo chiama Porte Oire secon–
5
do la ladicha giente. Alla uscita del templo verso tramontana si è
[14]
la porta di Paradiso e la fontana. Da quella usci– ta da lato al muro del templo si è una pescina ch(e) à nome P(ro)batica pescina. Et in quella via quine
10
presso si è sancta Anna e il suo monimento. Et qui– ne afermano alquanti ched è P(ro)batica piscina. E di sopra a sancta Anna si è la eccl(esi)a di sancta Maria Madale(n)a. Et inverso ostia si è lo templo di Salamone. E
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presso di quel templo, a uno canto della citta–
15
de verso levante, si àe uno luogo fatto in forma di bangno che si chiama lo bangnio di N(ost)ro Singniore. Quine dice l’uomo che N(ost)ra Donna si solea riducere alcuna volta col Nostro Singniore Iesu Cristo. E qui– ne si è la sepoltura di mess(er) sancto Simone.
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Ipresso29 di sopra verso la cittade trova l’uomo
[16]
uno monte che à nome monte Sioni: là è la grande eccl(esi)a abbatuta e lo luogho là ove N(ost)ra Donna sancta Maria trapassò. Di quine la portàno li angioli in Giusafas. Di sopra a quella gra(n)de eccl(esi)a
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abbatuta si è la capella di sancto Spirito. Quine ve|nne lo sancto Spirito sopra li Apostoli lo giorno della (6v)
Piantacosta. E quine di sopra si è l’altare. A mano dir|itta trova l’uomo la tavola, là ove il Nostro Singnio|re mangiò coli suoi apostoli. Et quine di sotto si è lo luogo là ove N(ost)ro Singniore lavò li piedi alli apostoli
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6r–3 asina. 6r–21 Apresso.
125
5
suoÕ : Etancora uÕsÕuede lapÕla . QuÕne apresso SÕe loluogo laoue ÕlnɃro SÕngnore Õntroe essendo lepo rte chÕuse . 7 dÕmostrossÕ allÕ ApostolÕ 7 dÕsse loro pax uobÕs Et allora dÕsse a . SɃcɃo . Meo . mettÕ tua mano– ɃÕnelmÕo costato 7 ɃnɃo sÕÕ Incredulo . QuÕne presso sÕ
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ae Una cappella dauantÕ lagrande eccɃla abbatu ta . QuÕne sÕe loluogo laoue ÕlnɃro sÕngnÕore yɃhu xɃpɃo fue gÕudÕcato 7 battuto 7 fragellato 7 dÕspÕne Incoronato dallÕ falsÕ gÕudeÕ . Quello era gÕae lopr etorÕo . DÕcaÕfas . laoue loɃcɃosÕglÕo fue fatto ɡntra–
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luɬ . Et Inquello monte fue lo Re Salamone Unto 7 poÕ ÕnnanzÕ Õnalto sopra lacÕttade sÕae una pe scÕna che luomo chÕama . NatatorÕa sÕloe E lapre sso fue SɃcɃo ysaÕa soppelÕto dÕsotto monte SÕon sÕa e Una capella che sÕchÕama . GallÕlea . QuÕne apar
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ue Õlnostro sÕngnÕore yɃhu xɃpɃo . a SÕmon . Petro 7 alle femÕne ɥ SOpra quella pescÕna sÕtroua luomo Uno can po chesÕ chÕama . Acaldemacch cÕoe sopra na tutorÕa sÕloe . Quello sÕe locanpo che fue ɃcɃoperato
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ȸlÕ xxx d . che GÕuda lotradÕtore rÕstÕtuÕo . ȸlÕ qualɬ xxxd . ellÕ tradÕo 7 Uendette yɃhu xɃpɃo : questo canpo sÕe apropÕato 7 fue gÕae costÕtuÕto asepolture dellɬ
(7r)
pelegrÕnÕ . Et apresso dÕsotto aportoÕre sÕa Uno Rusch Õello dacqua Indellaualle laquale . RuschÕello sÕ chÕa mo CÕedÕcon . quÕne colse DauÕd . U . pÕetre dÕche ellɬ . UccÕse GholÕa logrande gÕgante dellÕ fÕlÕsteɬ che molto
5
era forte 7 fellone . Aquello ɒpo ɃcɃotra lopopulo dÕdÕo 7 sÕɃnɃo loucÕse ellÕ seɃɃnɃo colle tre pÕetre dÕquelle cÕn que lequalÕ ellÕ lemÕse dentro Õndella fronte luna do
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suoi. Et ancora vi si vede la pila. Quine apresso si è
5
lo luogo là ove il N(ost)ro Singnore introe, essendo le po|rte chiuse, e dimostrossi alli Apostoli e disse loro: – Pax vobis – Et allora disse a sancto [To]meo: – Metti tua mano in nel mio costato e no(n) sii incredulo – Quine presso si àe una cappella davanti la grande eccl(esi)a abbatu–
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ta. Quine si è lo luogo là ove il N(ost)ro Singniore Iesu Cristo fue giudicato e battuto e fragellato e di spine incoronato dalli falsi giudei. Quello era giae lo pr|etorio di Caifas, là ove lo co(n)siglio fue fatto (con)ntra lui. Et in quello monte fue lo re Salamone unto.
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E poi innanzi in alto sopra la cittade si àe una pe– scina che l’uomo chiama Natatoria Siloe. E là pre|sso fue sancto Ysaia soppelito. Di sotto monte Sion si à|e una capella che si chiama Gallilea. Quine apar– ve il Nostro Singniore Iesu Cristo a Simon Petro e
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alle femine. Sopra quella pescina si trova l’uomo uno can–
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po che si chiama Acaldemacch: cioè sopra Na|tutoria Siloe. Quello si è lo canpo che fue co(n)perato p(er) li XXX d(anari)30 che Giuda lo traditore ristituio. P(er) li quali
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XXX d(anari) elli tradio e vendette Iesu Cristo. Questo canpo sí è apropiato e fue giae costituito a sepolture delli (7r)
pelegrini. Et apresso di sotto a Port’Oire si à uno rusch|iello d’acqua indella valle. La quale31 ruschiello si chia– mò Ciedicon. Quine colse David V pietre di che elli uccise Gholia, lo grande gigante delli Filistei, che molto
5
era forte e fellone a quello t(em)po co(n)tra lo populo di Dio. E sí no(n) lo ucise elli, se no(n) colle tre pietre di quelle cin– que, le quali elli le mise dentro indella fronte l’una do–
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Cc. 1r–51r: in scrittura piena solo danari. 7r–2 lo quale.
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po laltra chonsua ronbola chellÕ auea altempo che ellÕ guardaua lepecore ɥ 10
APresso dÕquÕne . Innella Ualle troua luomo GÕ osafas . loluogo laoue labenedetta UergÕne Mar Õa fue soppelÕta quÕne dentro sÕe GÕossemanɬ loluogo laoue dÕo fue preso preso dallÕ gÕudeÕ . Et quÕne sÕsole ano uedere ledÕta delnɃro sÕngnore . Et quÕne lasso nɃro
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sÕngnore ÕɃhu xɃpɃo santo PÕero 7 SɃcɃo Paulo 7 lÕaltrÕ Ap ostolÕ quando ellɬ andoe adadorare adÕo suo padre Ap resso dÕquÕne auno tratto dÕpÕetra sÕe loluogo laoue sudoe nɃro sÕgnÕore ÕɃhu xɃpo . 7 dÕquel sudore caddeno Õ nɒra due candele dÕsangue mentre chellÕ adoraua . Et
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quÕne sono sepellÕto SɃcɃo Iacopo 7 SɃcɃo SÕmɃoɃe 7 ÇacherÕa ɁfetɃa ɥ PIu ÕnanzÕ dÕquesto luogo sÕa Uno monte che ano me monte ulÕueto Õnquel mɃote sÕpare loluogo on de nɃro SÕngnore monto ÕncÕelo lodÕe della AsensÕone Et ancora uÕsÕpare laforma delsuo pÕede mancho . Et
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quÕne comandoe Õlnostro sÕngnore allɬ suoÕ dÕscÕpulÕ 7 dÕsse loro andate ȸ unÕuerso mondo 7 predÕcate louan gelÕo atutte creature . quÕne dalato sÕe lacapella dÕ SɣcɃo
(7v)
Pelagho . Et apresso dÕquÕnÕ sÕae Unaltra cappɃlɃla laoue ÕlnɃro sÕgnÕore scrÕsse pater noster . dÕsotto amonte olÕ ueto sÕe Beffage loluogo quando comandoe allÕ dÕ scepolÕ suoÕ chellɬ menassero lasÕnella collo pulledro
5
logÕorno dÕPasqua fÕorÕta . Et apresso dÕquɃÕe Ua luo mo . aBettanÕa laoue loluogo laoue lonɃro sÕngnÕor e yɃhu xɃpɃo rÕsuscÕto SɃcɃo lazaro . InbrettanÕa sÕa Una molto bella eccɃla fondata alnome dÕ SɃcɃo lazaro : dÕfuorÕ BettanÕa Uno pogo troua luomo loluogo lao
10
ue MarÕa . 7 SɃcɃa MarÕa . Madalena corseno uerso Õl– nɃro sÕngnore quando ellÕ uenne quÕne apresso lamo rte dÕ . SɃcɃo lazaro . loro fratello ɥ DAgerusalem fÕne alla quarentÕna sÕa . uÕɬ . leg
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po l’altra chon sua ronbola ch’elli avea al tempo che elli guardava le pecore. 10
Apresso di quine in nella valle trova l’uomo
[18]
Gi|osafas, lo luogo là ove la benedetta vergine Mar|ia fue soppelita. Quine dentro si è Giossemani, lo luogo là ove Dio fue preso dalli giudei. Et quine si sole|ano vedere le dita del N(ost)ro Singnore. Et quine lassò N(ost)ro 15
Singnore Iesu Cristo santo Piero e li altri Ap|ostoli quando elli andoe ad adorare a Dio suo padre. Ap|resso di quine a uno tratto di pietra si è lo luogo là ove sudoe N(ost)ro Signiore Iesu Cristo. E di quel sudore caddeno i|n t(er)ra due candele di sangue mentre ch’elli adorava. Et
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quine sono sepellito sancto Iacopo e sancto Simo(n)e e Çacheria p(ro)feta. Piú inanzi di questo luogo si à uno monte che à no–
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me monte Uliveto. In quel mo(n)te si pare lo luogo on– de N(ost)ro Singnore montò in cielo lo die della Asensione. Et ancora vi si pare la forma del suo piede mancho. Et 25
quine comandoe il Nostro Singnore alli suoi discipuli, e disse loro: – Andate p(er) universo mondo e predicate lo Van– gelio a tutte creature – Quine da lato si è la capella di sancto
(7v)
Pelagho. Et apresso di quini si àe un’altra capp(e)lla là ove il N(ost)ro Signiore scrisse Paternoster. Di sotto a monte Oli– veto si è Beffage, lo luogo quando comandoe alli di– scepoli suoi che lli menassero l’asinella collo pulledro
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lo giorno di Pasqua fiorita. Et apresso di qui(n)e va l’uo– mo a Bettania , lo luogo là ove lo N(ost)ro Singnior|e Iesu Cristo risuscitò sancto Lazaro. In Brettania si à una molto bella eccl(esi)a fondata al nome di sancto Lazaro. Di fuori Bettania uno pogo trova l’uomo lo luogo là
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o|ve Maria e sancta Maria Madalena corseno verso il N(ost)ro Singnore, quando elli venne quine apresso la mo|rte di sancto Lazaro loro fratello. Da Gerusalem fine alla Quarentina si à VII leg|e.
[20]
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e . quÕne dÕgÕuno ÕlnɃro sÕngnore yɃhu xɃpɃo. xl . gÕ 15
ornɬ 7 xl nottÕ dÕsotto laquarentÕna sÕe logÕardÕno che luomo dÕce dÕ SɃcɃo Abraam . apresso dÕquÕne sÕe GÕerÕco lacÕttade della quarentÕna allo fÕume gÕord ano sÕae due lege quÕne fue battezato ÕlnɃro SÕng nore yɻu xɃpɃo. da SɃcɃo Ioɻaɬ . battÕsta dÕ Sotto Gerusa
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lem uerso ponente sÕae Una lega pÕccola fÕne allo luogo laoue creuue larbore dÕche la . ScɃa Uerace cro cÕe delnɃro sÕngnore fue fatta 7 . Õnuerso tramonta na sÕe SɃcɃo . Samuello presso adue lege dÕGerusale3 QuÕne sÕe lomonte che luomo dÕce dÕmonte gÕoÕa
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da Gerusalem auno castello che ae nome Emau . sÕae due lege . QuÕne aparue nɃro sÕngnÕore a SɃcɃo . lucha 7 Acleofas come pelegrÕno dÕpo lasua scɃassÕma resu
(8r)
rrezÕone ɥ DA Gerusalem auna lega uerso mezo gÕorno tro ua luomo . SɃcɃo ElÕas . 7 lapresso sÕe locanpo fÕorÕ to . 7 appresso dÕla fuore della uÕa sÕa lasepoltura . dÕ
5
SɃcɃo . Raccello . dÕɃcɃotra quello luogo tutto dÕrÕtto suso Õnalto nella montangna sÕe bettelem lacÕttade laqua le epresso dÕGerusalem adue lege Inquella cÕttade dÕ bellee nacque ÕlnɃro . SÕngnore yɻu xɃpɃo . della bened etta UergÕne MarÕa . QuÕne sÕe lamangÕatoÕa lao
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ue ÕlnɃro sÕngnÕore fue messo tralbue 7 lasÕno quan dellÕ fue nato quÕne eloluogho della nattÕuÕtade 7 lacappɃlɃla . 7 laltare dentro dalla caua della monta ngna . 7 dalato dello cuolo della eccɃlÕa amadÕrÕtta sÕe lopozzo laoue cadde lastella che guÕdoe lÕtre MaÕ . da
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mamancha gÕaceno lÕnocentɬ . dÕsotto lochÕostro sÕe la sepoltura dÕ . SɃcɃo . GerolÕme dÕsotto Bettelem sÕae U na cappɃlɃla laoue nɃra donna sÕrÕposo quando ella Ue nne apartorÕre nɃro sÕngnÕore yɻu xɃpɃo daquella ca ppella prende luomo lauÕa dandare asanto Abra
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130
am Inebron ɥ
Quine digiunò il N(ost)ro Singnore Iesu Cristo XL 15
gi|orni e XL notti. Di sotto la Quarentina si è lo giardino che l’uomo dice di sancto Abraam. Apresso di quine si è Gierico, la cittade della Quarentina. Allo fiume Giord|ano si àe due lege. Quine fue battezato il N(ost)ro Sing|nore Iesu Cristo da sancto Ioha(nn)i Battista. Di sotto Gerusa|lem
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verso ponente si àe una lega piccola fine allo luogo là ove crevve l’arbore di che la sancta verace cro– cie del N(ost)ro Singnore fue fatta. E in verso tramonta– na si è sancto Samuello presso a due lege di Gerusalem. Quine si è lo monte che l’uomo dice di Montegioia.
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Da Gerusalem a uno castello che àe nome Emau si àe due lege. Quine aparve N(ost)ro Singniore a sancto Lucha e a Cleofas come pelegrino dipo la sua sanctissima resu|r–
(8r)
rezione. Da Gerusalem a una lega verso mezogiorno tro–
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va l’uomo sancto Elias e là presso si è lo Canpo fiori– to. E appresso di là fuore della via si à la sepoltura di 5
sancto Raccello. Di co(n)tra quello luogo tutto diritto suso in alto nella montangna si è Bettelem, la cittade la qua– le è presso di Gerusalem a due lege. In quella cittade di Bellee nacque il N(ost)ro Singnore Iesu Cristo della bened|etta Vergine Maria. Quine si è la mangiatoia, là
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o|ve il N(ost)ro Singniore fue messo tra ’l bue e l’asino quan|d’ elli fue nato. Quine è lo luogho della nattivitade e la capp(e)lla e l’altare dentro dalla cava della monta|ngna. E da lato dello cuolo della eccl(es)ia a ma’ diritta si è lo pozzo là ove cadde la stella che guidoe li tre Mai. Da
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ma· mancha giaceno l’inocenti. Di sotto lo chiostro si è la sepoltura di sancto Gerolime. Di sotto Bettelem si àe u|na capp(e)lla, là ove N(ost)ra Donna si riposò quando ella ve|nne a partorire N(ost)ro Singniore Iesu Cristo. Da quella ca|ppella prende l’uomo la via d’andare a santo Abra|am
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in Ebron. 131
INebron fece nɃro sÕngnore dÕo adam 7 Adeua quÕne sÕe lacappɃlɃla dÕMeɀ . SɃcɃo . Abraam 7 lae altressÕe lasepoltura dellÕ tre suoÕ PatrÕarche cÕoe assapere Dabraam . dÕ Saac 7 dÕ . Gacob . quÕne altre 25
ssÕ sono soppellÕto Adamo 7 Adeua . Et apresso dÕq uÕne sÕe lacasa dÕ . CaÕme 7 dabel . Inebron sÕe altr essÕ lotabernaculo dÕ SɃcɃo . Abraam . laoue sÕdÕmostro
(8v)
nostro sÕngnore dÕo . Õnforma della . SɃcɃa TrÕnÕtade 7 Abraam sÕcome luomo troua nella scrÕttura . Santo Abraam uÕdde tre ȸsone 7 Una nadoro . presso dÕlae uerso . OrÕente sÕe lacasa laoue nacquero . ÇaccarÕa .
5
profeta 7 SɃcɃo Ioɻaɬ battÕsta suo fÕglÕuolo . Et quÕne saluto nɃra doɃna SɃcɃa MarÕa . 7 SɣcɃa ElÕsabet ɥ
(9r)
lÕbro dÕnouelle 7 dÕbel parlare gÕentÕle ɥ Quando Õlnostro sÕngnÕore Õɻu xɃpɃo parlaua humanamente ɃcɃonoÕ fralaultre sue parole nedÕsse che della baldanza del cuore parlala
5
lÕngua . UoÕ che auete lÕcorÕ gÕentÕlÕ 7 nobÕlÕ FraglÕaltrÕ acconcÕate lauostra mente 7 leuostre par ole . prÕmamente nelpÕacere dÕdÕo : parlando honoran Õ
do tenendo 7 laudando quello sÕngnore che cÕama p
ma checÕ creasse : Et prÕma chenoÕ stesse cÕamassÕmo 7 10
7 se ɃÕnalcuna parte ɃnɃo dÕspÕacendo alluÕ sÕpuo ho mo ȸlare ȸallegrare lÕcorpÕ nostrÕ 7 souenÕre 7 so stenere faccÕasÕ ɃcɃopÕu honestÕta 7 ɃcɃo pÕue cortesÕa che far sÕpuo accÕo chellÕ nobÕlÕ 7 gentÕlÕ sono nelȸla re 7 neloȸe molte uolte quasÕ come Uno specchÕo
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allÕmÕnorÕ accÕo che loro parole pÕu gradÕto ȸcÕo che escÕe dÕpÕu dÕlÕcato stormento . FaccÕamo quÕ
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In Ebron fece N(ost)ro Singnore Dio Adam e Adeva.
[22]
Quine si è la capp(e)lla di mess(er) sancto Abraam. E là è altressie la sepoltura delli tre suoi patriarche, cioè a ssapere d’Abraam, d’Isaac e di Gacob. Quine altre|ssí sono soppellito Adamo e Adeva. Et apresso di
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q|uine si è la casa di Caime e d’Abel. In Ebron si è altr|essí lo tabernaculo di sancto Abraam, là ove si dimostrò (8v)
Nostro Singnore Dio in forma della sancta Trinitade. E Abraam, sí come l’uomo trova nella Scrittura, santo Abraam vidde tre p(er)sone e una n’adorò. Presso di lae verso Oriente si è la casa là ove nacquero Çaccaria profeta e sancto Ioha(nn)i Battista suo figliuolo. Et quine
5
salutò N(ost)ra Don(n)a sancta Maria sancta Elisabet. (9r)
libro di novelle e di bel parlare gientile.
[23]
Quando il Nostro Singniore Iesu Cristo parlava humanamente co(n) noi, fra l’aultre sue parole ne disse che della baldanza del cuore parla la 5
lingua. Voi che avete li cori gientili e nobili fra gli altri, acconciate la vostra mente e le vostre par|ole primamente nel piacere di Dio: parlando, honoran|do, tenendo32 e laudando quello Singnore che ci amà p[r]i– ma che ci creasse, et prima che noi stesse ci amassimo. E
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se inn alcuna parte, no(n) dispiacendo a llui, si può ho– mo p(ar)lare p(er) allegrare li corpi nostri e sovenire e so– stenere, facciasi co(n) piú honestità e co(n) piue cortesia che far si può. Acciò che lli nobili e gentili sono nel p(ar)la– re e ne l’op(er)e molte volte quasi come uno specchio
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alli minori, acciò ch’è loro parole33 piú gradito, p(er)ciò che escie di piú dilicato stormento, facciamo qui
––––––– 32 33
9r–8 Biagi [1880:3], Conte [2001:165]: temendo. 9r–15 Biagi [ibid], Conte [ibid]: parlare.
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memorÕa dalquantÕ fÕorÕ dÕȸlare dÕbelle cortesÕe dÕbellÕ rÕsponsÕ dÕbelle ualentrÕe . dÕbellÕ donÕ . 7 dÕbellÕ amorÕ secondo che ȸlotempo passato anno 20
fatto gÕae moltÕ . Et quale aRee cor nobÕle 7 Õnte llÕgenzÕa sottÕle sÕlÕpotra assÕmÕglÕare nel tɃpo che uerrae ȸ ÕnnanzÕ 7 argomentare 7 dÕdÕre 7 racɃcɃo tare Õnquelle ȸtÕ doue aueranno luogo aprode 7 apÕacere dÕcoloro che ɃnɃo sanno 7 dÕsÕderano dÕsap
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ere 7 sellÕfÕorÕ che proporemo fosseno meschÕatÕ tra molte altre parole ɃnɃo uÕdÕspÕaccÕa chello nero he ornamento delloro . Et ȸun frutto nobÕle 7 dÕlÕcato pÕace tal uolta atutto unorto. Et ȸ pochÕ bellÕ fÕorÕ
(9v)
tutto UngÕardÕno ɃnɃo grauÕ allÕ legÕtorÕ che sono Is usÕ moltÕ che UÕuutÕ sono grande lungeza dÕtɃpo . 7 ÕnuÕta loro anno appena tanto Unbel parlare . Oue ro una cosa dÕmettere Õnconto fralÕbuonÕ ɥ
5
LOpresto GÕouannɬ nobÕlÕssÕmo sÕngnore IndÕano mando rÕccha 7 nobÕle ambascÕarÕa allo nobÕle
·uale lamÕglÕore cosa del mɃodo
Imȸadore federÕgho accoluÕ che UeramɃete fue spe cchÕo delmondo ÕncostumÕ . Et amo molto dÕlÕcato–
parlare 7 ÕstudÕo Õndare sauÕ rÕsponsÕ . laforma 7 laÕ 10
ntenzÕone dÕquella anbascÕarÕa sÕfue solo Õndue co se ȸuolere alpostutto sapere 7 prouare se lopra dello Imȸadore fosse sauÕo Õnparole 7 Õnopre 7 mandollÕ ȸ lÕdettÕ anbascÕdorÕ . tre pÕetre nobÕlÕssÕme prezÕose 7 dÕ sse loro donatele alloImȸadore 7 dÕteglÕ damÕa parte
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che uÕdÕcha quale lamÕglÕore cosa delmondo . Elle sue parole 7 lÕsuoÕ rÕsponsÕ serberrete bene 7 auÕserete la corte sua 7 lÕcostumÕ 7 sechondo che trouerete amee
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memoria d’alquanti fiori di p(ar)lare, di belle cortesie, di belli risponsi, di belle valentrie, di belli doni e di belli amori, secondo che p(er) lo tempo passato ànno fatto giae molti. Et quale aree34 cor nobile e
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inte|lligenzia sottile sí li potrà assimigliare nel t(em)po che verrae p(er) innanzi e argomentare e dire e racco(n)– tare in quelle p(ar)ti dove averanno luogo, a prode e a piacere di coloro che no(n) sanno e disiderano di sap|ere. E se lli fiori che proporemo fosseno meschiati tra
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molte altre parole, no(n) vi dispiaccia, ché llo nero he ornamento dell’oro et p(er) un frutto nobile e dilicato piace talvolta tutto un orto, et p(er) pochi belli fiori (9v)
tutto un giardino. No(n) gravi alli legitori, ché sono is|usi35 molti che vivuti sono grande lungeza di t(em)po e in vita loro ànno appena tanto36 un bel parlare ove– ro una cosa di mettere in conto fra li buoni.
5
Lo Presto Giovanni, nobilissimo singnore indiano,
[24]
mandò riccha e nobile ambasciaria allo nobile [Q]ual è la migliore cosa del mo(n)do
imp(er)adore Federigho, a ccolui che verame(n)te fue spe|cchio del mondo in costumi et amò molto dilicato
parlare e istudiò in dare savi risponsi. La forma e la 10
i|ntenzione di quella anbasciaria si fue solo in due co– se: p(er) volere al postutto sapere e provare se llo imp(er)adore fosse savio in parole e in opre. E mandolli p(er) li detti anbascidori tre pietre nobilissime preziose e di|s– se loro: –Donatele allo imp(er)adore e ditegli da mia parte
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che vi dicha qual è la migliore cosa del mondo. E lle sue parole e li suoi risponsi serberrete bene e aviserete la corte sua e li costumi e, sechondo che troverete, a mee
––––––– 34 35 36
9r–20 Biagi [ibid.], Conte [ibid.]: arae. 9v–2 isuti. 9v–3 Biagi [ibid., p.4], Conte [ibid., p.166]: tratto.
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sanza nessuna mancanza rÕnunzerete : Furno allo In ȸadore 7 salutarlo sÕcome sÕɃcɃouenÕa ȸlaȸte della sua 20
maesta . 7 dalla parte dellor sÕngnore . 7 donarlÕ led ette pÕetre . lɃoɃperadore leprese 7 ɃnɃo dÕmando dÕloro uertude . fecele rÕponere 7 lodolle dÕgrande belleze lÕanbascÕadorÕ feceno ladÕmanda loro . 7 uÕddero lÕco stumÕ delacorte . PoÕ daÕnde apochÕ gÕornÕ glÕanba
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scÕadorÕ . dÕmandaro chomÕato loÕmȸadore dÕede lo ro rÕsposta . 7 dÕsse dÕtemÕ aluostro sÕngnore che lamÕ glÕore cosa delmondo sÕe mÕsura . andarne glÕanbascÕ adorÕ 7 rununzÕaro 7 contarono cÕo che auÕeno u
(10r) eduto 7 udÕto lodando molto lacorte dello . Imȸado re sÕcomera ornata dÕnobÕlÕ costumÕ . 7 lomodo dellÕ suoÕ CaualÕerÕ . lopresto . GÕouannɬ udendo cÕo che rÕnunzÕaro lÕsuoÕ anbascÕadorÕ lodo lomȸadore 7 dÕ 5
sse che molto era sauÕo . Inparole mano ÕnfattÕ ȸcÕo che ɃnɃonauea dÕmandato delle uertu delle pÕetre lequalÕ erano dÕcosÕ grande nobÕlÕtade rÕmandouÕ glÕ anbascÕadorÕ allo Imȸadore 7 profersellÕ sellÕ pÕacesse chel presto . GÕouannɬ Õlfare sÕnÕscalco della sua cor
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te . Et fecelÕ ɃcɃotare tutte lesuoÕ rÕccheze 7 ledÕuerse generazÕonɬ dellÕ suddÕtÕ suoÕ 7 lomodo delsuo paese ɥ DAÕndÕ apocho tenpo pensando lopresto GÕoua nnɬ chelle pÕetre che auea donate alloImȸad ore aueuano ȸduto leloro uertude poÕ che non era
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no ȸloÕmȸadore conoscÕute . tolse uno suo carÕssÕmo lapÕdarÕo 7 mandollo celata mɃete Õndella corte dello Imȸadore 7 dÕsseglÕ alpostutto mettÕ loÕngengnÕo tuo sÕche tue quelle pÕetre mÕrechÕ 7 ȸ nessuno tesoro rÕ mangnÕa . lolapÕdarÕo sÕmosse guernÕto dÕmolte pÕ
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136
etre dÕgrande belleze gÕunsse acorte dello . Imȸadore
dÕ uertu dÕ pÕe··· prezÕose
sanza nessuna mancanza rinunzerete – Furno allo in– p(er)adore e salutârlo sí come si co(n)venia p(er) la p(ar)te della sua 20
maestà e dalla parte del lor singnore, e donârli le d|ette pietre. Lo (im)peradore le prese e no(n) dimandò di loro vertude. Fecele riponere e lodolle di grande belleze. Li anbasciadori feceno la dimanda loro e viddero li co– stumi de la corte. Poi, da inde a pochi giorni, gli anba–
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sciadori dimandaro chomiato. Lo imp(er)adore diede lo– ro risposta e disse: – Ditemi al vostro singnore che la mi– gliore cosa del mondo si è misura – Andârne gli anbasci|adori e rununziaro37 e contarono ciò che avieno
(10r) v|eduto e udito, lodando molto la corte dello imp(er)ado– re, sí com’era ornata di nobili costumi e lo modo delli suoi cavalieri. Lo Presto Giovanni, udendo ciò che rinunziaro li suoi anbasciadori, lodò lo ’mp(er)adore e 5
di|sse che molto era savio in parole, ma no in fatti, p(er)ciò che no(n)n avea dimandato delle vertú delle pietre le quali erano di cosí grande nobilitade. Rimandòvi gli anbasciadori allo imp(er)adore e proferselli, se lli piacesse, che ’l Presto Giovanni il faré siniscalco della sua cor–
10
te. Et feceli co(n)tare tutte le suoi riccheze e le diverse generazioni delli sudditi suoi e lo modo del suo paese. Da indi a pocho tenpo, pensando lo Presto Giova|nni
[25]
che lle pietre che avea donate allo imp(er)ad|ore avevano p(er)duto le loro vertude, poi che non era– 15
Di vertú di pie[tre] preziose
no p(er) lo imp(er)adore conosciute, tolse uno suo carissimo lapidario e mandollo celatame(n)te indella corte dello imp(er)adore e dissegli: – Al postutto metti lo ingengnio tuo sí che tue quelle pietre mi rechi e p(er) nessuno tesoro ri– mangnia – Lo lapidario si mosse guernito di molte
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pi|etre di grande belleze. Giunsse a corte dello imp(er)adore.
––––––– 37
9v–28 rinunziaro.
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puosesÕ presso dallsuo palagÕo questÕ fece bottegha . 7 ÕncomÕncÕo alleghare dÕmolte belle pÕetre lÕbaro nÕ uenÕeno 7 lÕcaualÕerÕ 7 uedeuano losuo mÕstÕerÕ . lolapÕdarÕo era molto sauÕo . quando uedea alcuno cɻ 25
auesse luogo Õncorte donauaglÕ . donoe anella mo lte tanto che laloda dÕluÕ ando dauantÕ allo . Imȸa dore loÕmȸadore mando ȸluÕ 7 mostroglÕ sue pÕetre lomaestro lelodoe ɃnɃodÕgrandÕ uertude dÕmando se
(10v) auesse pÕu care pÕetre loÕmȸadore fece uenÕre le ÕÕɬ . pÕetre prezÕose quelle che lomaestro dÕsÕderaua dÕu edere 7 dauere . Allora lolapÕdarÕo sÕralegro 7 prese– luna dÕqueste tre pÕetre 7 rÕnchusesela Õnmano 7 dÕ 5
sse Meɀ questa pÕetra uale lamÕglÕore cÕttade che uoÕ auete 7 poÕ prese laltra 7 dÕsse questa uale lamÕglÕ ore ɁuÕncÕa cheuoÕ auete . poÕ prese laterça 7 dÕsse questa uale pÕu che tutto Õluostro . ImȸrÕo strÕnsse lop ungno colle dette tre pÕetre . lauertu delluna sÕloce
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lo sÕe che loɬmȸadore nesua gente ɃnɃo lopoteno ued ere . Et andonne ȸlÕgradÕ delpalazo 7 andossÕ uÕa . 7 torno alsuo sÕngnore . Meɀ lopresto GÕouannɬ 7 rapre sentoglÕ lepÕetre ɡgrande allegreza ɥ NElle ȸtÕ dÕgrecÕa ebbe Uno sÕngnore che portaua–
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corona dÕ . Re 7 auea grande Reame 7 auea no
···tenzÕe duno ····safo greco ···era ɃÕɁÕgÕone
me . FÕlÕppo 7 tenea Õnsua pregÕone Uno sauÕo Greco ȸ alcuno malfatto . lo quale . greco era dÕtanta sapÕen
zÕa chello Õntelletto suo passaua oltra lestelle 7 auen ne che aquesto . Re fue presentato delle partÕ dÕspan 20
gnÕa . Uno nobÕle dÕstrere 7 dÕgrande podere 7 dÕbe lla guÕsa . mando lo . Re ȸ malÕschalchÕ ȸsapere labon ta deldÕstrÕre fulÕ detto che Õnnella sua pregÕone e
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Puosesi presso dall suo palagio. Questi fece bottegha e incominciò a lleghare di molte belle pietre. Li baro– ni venieno e li cavalieri, e vedevano lo suo mistieri. Lo lapidario era molto savio: quando vedea alcuno ch(e) 25
avesse luogo in corte, donavagli. Donoe anella mo|lte, tanto che la loda di lui andò davanti allo imp(er)a– dore. Lo imp(er)adore mandò p(er) lui e mostrògli sue pietre. Lo maestro le lodoe no(n) di grandi vertude. Dimandò se
(10v) avesse piú care pietre. Lo imp(er)adore fece venire le III pietre preziose: quelle che lo maestro disiderava di v|edere e d’avere. Allora lo lapidario si ralegrò e prese l’una di queste tre pietre, e rinchusesela38 in mano e 5
di|sse: –Mess(er), questa pietra vale la migliore cittade che voi avete – E poi prese l’altra e disse: – Questa vale la migli|ore p(ro)vincia che voi avete – Poi prese la terça e disse: – Questa vale piú che tutto il vostro imp(er)io – Strinsse lo p|ungno colle dette tre pietre. La vertú dell’una sí lo ce–
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lò, sie che lo imp(er)adore né sua gente no(n) lo poténo ved|ere. Et andonne p(er) li gradi del palazo, e andossi via. E tornò al suo singnore mess(er) lo Presto Giovanni e rapre– sentògli le pietre (con) grande allegreza. Nelle p(ar)ti di Grecia ebbe uno singnore che portava
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[26]
corona di re e avea grande reame, e avea no–
[Sen]tenzie d’uno [filo]safo greco [ch’]era i(n) p(r)igione
me Filippo, e tenea in sua pregione uno savio greco p(er) alcuno malfatto. Lo quale greco era di tanta sapien–
zia che llo intelletto suo passava oltra le stelle. E aven– ne che a questo re fue presentato delle parti di Span|gnia 20
uno nobile distrere e di grande podere e di be|lla guisa. Mandò lo re p(er) malischalchi p(er) sapere la bon– tà del distrire. Fuli detto che in nella sua pregione e–
––––––– 38
10v–4 rinchiusesela.
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ra losorano maestro dÕccÕo . Intendere dÕtutte lecose fece menare lodÕstrÕere alcampo 7 fece traere logr 25
echo dÕpregÕone . 7 dÕsse maestro auÕsa questo dÕstrÕ ere cheme fatto conto che tuse molto saputo . logre co auÕsa locauallo 7 dÕsse . Meɀ ellÕ he dÕbella guÕsa ma tanto ÕudÕco che locauallo . he notrÕchato alatte
(11r) dasÕna lo Re mando ÕnÕspagnÕa arrÕnuenÕre com era stato notrÕto trouossÕ chella destrÕera era m orta 7 lopuledro fue notrÕcato alatte dasÕna . qu esto tenne lo Re agrande marauÕglÕa . OrdÕno 7 5
stabÕlÕo cheglÕ fosse dato mezo pane ȸdÕe alle spe se della corte . Unaltro gÕorno auenne che lo Re rau no sue pÕetre prezÕose RÕmando ȸlo detto suo gre co 7 dÕseglÕ maestro tuse dÕgrande sauere credo cɻ dÕtutte lecose tÕntendÕ . settÕntendÕ delle uÕrtu de
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lle pÕetre . quale tÕsenbra dÕpÕu rÕccha Ualuta legre co auÕso 7 dÕsse UoÕ quale auete ȸ pÕu cara lo Re pre se Una pÕetra tralaltre molto bella 7 dÕsseglÕ . Maestro questa mÕsenbra pÕu bella 7 dÕmaggÕore ualuta lo greco laprese 7 mÕselasÕ nella palma 7 strÕnsse lopu
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ngno 7 mÕsesela allorecchÕe . 7 poÕ parlo 7 dÕsse M essere quÕ ae uno UermÕne . loRe mando ȸlÕmae strÕ 7 fecela spezare 7 trouossÕ Õnella detta pÕetra U no uÕuo uermÕne . Et allotta lo Re lodoe logreco doltra mÕrabÕle senno : Et ordÕnoe che Uno pane
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Intero lÕfosse dato ȸdÕe allespese dÕsua corte . poÕ dÕp o ɃnɃo moltÕ gÕornɬ lo Re rÕpenso dÕno essere legÕttÕ mo . lo Re mando ȸlogreco 7 ebbelo Õluogo segreto . Et comÕncÕo apparlare 7 dÕsse maestro dÕgrande scÕenz Õa tÕtegnÕo 7 manÕfestamente loueduto Õnnelle cose
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ra lo sorano maestro di cciò, intendere39 di tutte le cose. Fece menare lo distriere al campo e fece traere lo 25
gr|echo di pregione, e disse: – Maestro, avisa questo distri|ere, ché m’è fatto conto che tu sè molto saputo – Lo gre– co avisà lo cavallo e disse: – Mess(er), elli he di bella guisa, ma tanto iudico40 che lo cavallo he notrichato a latte
(11r) d’asina – Lo re mandò in Ispagnia a rrinvenire com’ era stato notrito. Trovossi che lla destriera era m|orta e lo puledro fue notricato a latte d’asina. Qu|esto tenne lo re a grande maraviglia. Ordinò e 5
stabilio che gli fosse dato mezo pane p(er) die alle spe– se della corte. Un altro giorno avenne che lo re rau|nò sue pietre preziose. Rimandò p(er) lo detto suo gre– co e disegli: – Maestro, tu sè di grande savere. Credo ch(e) di tutte le cose t’intendi. Se tt’intendi delle virtú
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de|lle pietre, quale ti senbra di piú riccha valuta?– Le gre– co41 avisò e disse: –Voi quale avete p(er) piú cara?– Lo re pre– se una pietra tra l’altre molto bella e dissegli:– Maestro, questa mi senbra piú bella e di maggiore valuta – Lo greco la prese e miselasi nella palma e strinsse lo
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pu|ngno, e misesela all’orecchie, e poi parlò e disse: – M|essere, qui àe uno vermine– Lo re mandò p(er) li mae– stri e fecela spezare. E trovossi inella detta pietra u|no vivo vermine. Et allotta lo re lodoe lo greco d’oltramirabile senno. Et ordinoe che uno pane
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intero li fosse dato p(er) die alle spese di sua corte. Poi dip|o no(n) molti giorni lo re ripensò di no essere legitti– mo. Lo re mandò p(er) lo greco e ebbelo i’ luogo segreto. Et cominciò a pparlare e disse: – Maestro, di grande scienz|ia ti tegnio e manifestamente l’ò veduto in nelle cose
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10v–23 Biagi [ibid., p.7], Conte [ibid., p.170]: intendente. 10v–28 o vi dico (lett. incerta). 11r–11 lo greco.
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laouÕo to dÕmandato . Io uoglÕo chetu mÕdÕchÕ dÕchuÕ fÕglÕuolo Io fuÕ . logreco rÕspuose . Meɀ che domanda mÕ fate UoÕ sapete bene che uoÕ foste fÕglÕuolo dÕcotale padre . Et lo Re rÕspuose ɃnɃo mÕrÕspondÕ agrado dÕmÕ
(11v) sÕchuramente lauerÕtade 7 seɃnɃo ladÕraÕ Io tÕfaro dÕuÕllann morte morÕre . Allora logreco rÕspuose– Meɀ 7 Õo uÕdÕcho ÕudÕco che uoÕ foste fÕglÕuolo du n pÕsternato : Et lo Re dÕsse UoglÕolo sapere dam 5
Õa madre mando ȸleÕ Et costrÕnsela ɃcɃoferocÕ mÕn acce 7 lamadre confessoe lauerÕtade . Allora lo Re sÕrÕnchÕuse Õnuna camera ɃcɃo questo greco 7 dÕsse Maestro mÕo grande pruoua oe rÕceuuta della tua sapÕenzÕa . OrtÕprego chemÕ dÕchÕ come tue saÕ qu
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este cose RÕspuose logreco . Meɀ Io uÕdÕroe . locau allo cognouÕ Io chera notrÕcato allatte dasÕna ȸ p ropÕo senno naturale AccÕo che Õo uÕddÕ che ellÕ au ea lorecchÕe chÕnatÕ . Et accÕo nonera propÕa natu ra dÕcauallo: louerȴ Õnella pÕetra conouÕ ȸ qu
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esto . lepÕetre sono naturalmente fredde . 7 Io trou aÕ quella calda . ɃnɃo puote essere naturalmente seɃnɃo ȸanÕmale che auesse uÕta : Et me come ɃcɃognÕoscestÕ dÕsse loRe . che Io fossÕ fÕglÕuolo dÕpÕsternaÕo lo greco rÕspuose 7 dÕsse . Meɀ quando Io uÕdÕssÕ dello cauallo
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cosa cosÕ marauÕglÕosa . UoÕ mÕstabÕlÕste uno dono dÕ mezo pane ȸdÕe . Et della pÕetra quando uÕdÕssÕ dello uerme UoÕ mÕstabÕlÕste Uno pane Intero pensate cɻ allora mauÕddÕ dÕcuÕ UoÕ erauate fÕglÕuolo che se uoÕ foste stato fÕglÕuolo dÕ Re . auoÕ sarestato pocho adon
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armÕ una nobÕle cÕttade . onde auostra propÕa natu ra parue assaÕ donare amerÕtarmÕ dÕpane sÕ come uostro padre facea . Allora lo Re ɃcɃonoue lasua uÕlta
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là ov’io t’ò dimandato. Io voglio che tu mi dichi di chui figliuolo io fui – Lo greco rispuose: – Mess(er), che domanda mi fate voi? Sapete bene che voi foste figliuolo di cotale padre – Et lo re rispuose: – No(n) mi rispondi a grado. Dimi
(11v) sichuramente la veritade. E se no(n) la dirai, io ti farò di villann morte morire – Allora lo greco rispuose: – Mess(er), e io vi dicho: iudico che voi foste figliuolo d’u|n pisternato42 – Et lo re disse: – Vogliolo sapere da 5
m|ia madre – Mandò p(er) lei et costrinsela co(n) feroci min|acce. E la madre confessoe la veritade. Allora lo Re si rinchiuse in una camera co(n) questo greco e disse: – Maestro mio, grande pruova òe ricevuta della tua sapienzia. Or ti prego che mi dichi come tue sai
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qu|este cose – Rispuose lo greco: – Mess(er), io vi diroe. Lo cav|allo cognovi io ch’era notricato a llatte d’asina p(er) p|ropio senno naturale, acciò che io viddi che elli av|ea l’orecchie chinati: et acciò non era propia natu– ra di cavallo. Lo vermine inella pietra conovi p(er)
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qu|esto: le pietre sono naturalmente fredde e io trov|ai quella calda, no(n) puote essere naturalmente se no(n) p(er) animale che avesse vita – Et me come co(n)gnioscesti – disse lo re – che io fossi figliuolo di pisternaio? – Lo greco rispuose e disse: – Mess(er), quando io vi dissi dello cavallo
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cosa cosí maravigliosa, voi mi stabiliste uno dono di mezo pane p(er) die; et della pietra quando vi dissi dello verme, voi mi stabiliste uno pane intero. Pensate ch(e) allora m’aviddi di cui voi eravate figliuolo: che se voi foste stato figliuolo di re, a voi saré stato pocho a
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don|armi una nobile cittade. Onde a vostra propia natu– ra parve assai donare a meritarmi di pane, sí come vostro padre facea – Allora lo re co(n)nove la sua vilta–
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11v–4 pisternaio.
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de trasselo dÕpregÕone 7 donolÕ rÕccha mente ɥ (12r) STando lo Re Allexandro alla cÕtta DÕgÕadre ɃcɃo moltÕtudÕne dÕgente adasedÕo . Uno nobÕle caua lÕere era fuggÕto dÕpregÕone essendo poueramente adarnese mÕsesÕ adandare adallexandro chellÕ dona 5
sse accÕo che lomondo parlaua dallexandro che don aua pÕue che altro sengnore larghÕssÕmamente . An dando questo CaualÕere ȸlo camÕno trouo Uno homo dÕcorte molto nobÕle mente adarnese dÕmandolo .– ouellÕ andaua . lo CaualÕere rÕspuose Io uado Adalle
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xandro ȸ che uaÕ dÕsse lomo dÕcorte ȸche Io oÕnteso che largamente dona . ondÕo uado perche larga me nte mÕdonÕ . sÕche Io possa ÕnmÕa ɡtrada orreuÕle mɃe te rÕtornare . Allora logÕularo parlo 7 dÕsse che uoglÕ– cheÕo tÕdea 7 daramÕ cÕo che Allexandro tÕdarae loca
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ualÕere rÕspuose . donamÕ cauallo dacaualcare 7 somÕ erÕ 7 robbe 7 dÕspendÕo ɃcɃodoneuÕle arrÕtornare ɃÕmÕa ɒra . logÕularo lÕldonoe 7 furono ÕnɃcɃocordÕa . caualcano 7 gÕunseno ad . Allexandro loquale auea conbattuto– aspra mente lacÕtta . DÕgÕadres 7 era partÕto dalla ba
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ttaglÕa 7 facÕasÕ dÕsarmare sotto Uno bello padÕglÕɃoɃe 7 locaualÕere 7 logÕularo sÕ trassero dauantÕ . 7 locaua lÕere fece sua dÕmanda . Allexandro humÕle mɃete no llÕ fece motto neente neɃnɃolÕfece rÕspondere . locaualÕ ere sÕpartÕo dallo gÕularo 7 mÕsesÕ ÕnuÕa ȸ rÕtornare
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Õnsua ɒra . pocho dÕlungato locaualÕere auenne chellÕ nobÕlÕ caualÕerÕ dÕ . GÕardes recharo lechÕauÕ della cÕ ttade ad . Allexandro ɃcɃopÕenmandato dubbÕdÕre lÕsuoÕ comandamentÕ come alloro sÕngnore . allora lo Re Alle
(12v) xandro sÕuolse uerso lÕbaronÕ 7 dÕsse UechÕmÕ dÕman daua dono Et allora fue mandato ȸlocaualÕere chedo mandasse dono locaualÕere rÕtorno ad Allexandro pa rlo 7 dÕsse nobÕle CaualÕere prendÕ lechÕaue della nobÕ
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lomÕnore don che fecÕe maÕ allexandro
de. Trasselo di pregione e donòli ricchamente. [27]
(12r) Stando lo re Allexandro alla città di Giadre co(n) moltitudine di gente ad asedio, uno nobile cava– liere era fuggito di pregione. Essendo poveramente
Lo minore don[o] che fecie mai Allexandro
ad arnese, misesi ad andare ad Allexandro che lli dona|sse, 5
acciò che lo mondo parlava d’Allexandro che don|ava piue che altro sengnore larghissimamente. An– dando questo cavaliere p(er) lo camino, trovò uno homo di corte molto nobilemente ad arnese. Dimandòlo ov’elli andava. Lo cavaliere rispuose: – Io vado ad
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Alle|xandro – P(er)ché vai?– disse l’omo di corte. – P(er)ché io ò inteso che largamente dona, ond’io vado perché largame|nte mi doni, sí che io possa in mia (con)trada orrevileme(n)– te ritornare – Allora lo giularo parlò e disse: – Che vogli che io ti dea? e dara’ mi ciò che Allexandro ti darae – Lo ca–
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valiere rispuose: – Donami cavallo da cavalcare e somi|eri e robbe e dispendio co(n)donevile a rritornare i(n) mia t(er)ra – Lo giularo lil donoe e furono in co(n)cordia. Cavalcàno e giunseno ad Allexandro, lo quale avea conbattuto aspramente la città di Giadres, e era partito dalla
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ba|ttaglia e faciasi disarmare sotto uno bello padiglio(n)e. E lo cavaliere e lo giularo si trassero davanti. E lo cava– liere fece sua dimanda [ad] Allexandro humileme(n)te. No· lli fece motto neente, né no(n) li fece rispondere. Lo cavali|ere si partio dallo giularo, e misesi in via p(er) ritornare
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in sua t(er)ra. Pocho dilungato lo cavaliere, avenne che lli nobili cavalieri di Giardes recharo le chiavi della ci|ttade ad Allexandro co(n) pien mandato d’ubbidire li suoi comandamenti come al loro singnore. Allora lo re
(12v) Alle|xandro si volse verso li baroni e disse: – U’ è chi mi diman|dava dono?– Et allora fue mandato p(er) lo cavaliere che do– mandasse dono. Lo cavaliere ritornò ad Allexandro. Pa|rlò e disse: – Nobile cavaliere, prendi le chiave della nobi–
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le cÕtta dÕ . GÕardres che Io latÕdono uollontÕerÕ . locau alÕere rÕspuose Meɀ ɃnɃo mÕdonate cÕttade maprego uÕ che mÕdonÕ oro 7 argento 7 robe come tÕsÕa ÕnpÕ acere Allora Allexandro sorrÕse 7 comando chellÕ fosse ro datÕ . Õɞɬ . MarcÕ darÕento 7 questo sÕscrÕsse ȸlomÕnore
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dono chellÕ facesse unqua . locaualÕere prese lÕmarchÕ 7 dÕellÕ algÕulare . IlgÕularo fu dÕnanzÕ Allexandro 7 dÕmandolÕ che facesse ragÕone 7 fece sostenere locau alÕere 7 propuose cosÕ . Meɀ Õo trouaÕ costuÕ ÕncamÕno domandalo ouellÕ andaua 7 perche dÕssemÕ che anda
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ua ad . Allexandro ȸche lÕdonasse Io fecÕ colluÕ patto dÕ darlÕ quello che detto he edeglÕ mÕpromÕse dÕdarmÕ cÕo che Allexandro lÕdonasse . Onde eglÕ ma rotto lÕpattÕ che arÕfÕutata lanobÕle cÕtta dÕ GÕadres 7 apreso lÕmar chÕ dargento ȸche Io dÕnanzÕ dalla uostra sÕngnorÕa
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dÕmando che mÕfacÕate sodÕsfare tanto quanto pÕu ua le lacÕtta che ÕmarchÕ . Allora lochaualÕere parlo prÕm Õera mente ɃcɃofesso lÕpattÕ pÕena mente . poÕ dÕsse ra gÕone uuole quellÕ che mÕdÕmanda sÕe gÕularo 7 Õnco rte dÕgÕularo ɃnɃo puo dÕscendere sÕngnorÕa dÕcÕttade lo
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suo pensÕere fu dargento 7 doro 7 laÕntenzÕone sua fue tale . Io loe pÕenamente fornÕta . Onde latua sÕngnorÕa prouegha Õnnella mÕa dÕlÕberanza sechondo che pÕac era altuo sauÕo consÕglÕo . Allexandro collÕ suoÕ sauÕ ascÕol
(13r) seno locaualÕere 7 lodollo dÕgrande sauere ɥ CArlo nobÕle Re dÕcÕcÕlÕa quando era conte dangÕo sÕamo ȸ amore labella contessa dÕ TetÕ laquale am aua medesÕma mente loconte dunÕuersa . Inquello t 5
empo lo . Re dÕfrancÕa auea comandato sotto pena de llo chuore 7 della uere che nessuno atorneasse locon
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tornÕamento tto ȸamore·· donna
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le città di Giardres che io la ti dono vollontieri – Lo cav|aliere rispuose: – Mess(er) no(n) mi donate cittade, ma prego|vi che mi doni oro e argento e robe, come ti sia in pi|acere – Allora Allexandro sorrise e comandò che lli fosse– ro dati IIM marci d’ariento. E questo si scrisse p(er) lo minore
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dono ch’elli facesse unqua. Lo cavaliere prese li marchi e dielli al giulare. Il giularo fu dinanzi Allexandro e dimandòli che facesse ragione, e fece sostenere lo cav|aliere. E propuose cosí: – Mess(er), io trovai costui in camino. Domanda’lo ov’elli andava e perché. Dissemi che anda–
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va ad Allexandro p(er)ché li donasse. Io feci co llui patto di darli quello che detto he. Ed egli mi promise di darmi ciò che Allexandro li donasse. Onde egli m’à rotto li patti, ché à rifiutata la nobile città di Giadres e à preso li mar– chi d’argento. P(er) che io dinanzi dalla vostra singnoria
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dimando che mi faciate sodisfare tanto quanto piú va– le la città che i marchi – Allora lo chavaliere parlò. Prim|ieramente co(n)fessò li patti pienamente, poi disse: – Ra|gione vuole,43 quelli che mi dimanda si è giularo e in co|rte44 di giularo no(n) può discendere singnoria di cittade. Lo
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suo pensiere fu d’argento e d’oro e la intenzione sua fue tale. Io l’òe pienamente fornita. Onde la tua singnoria provegha in nella mia diliberanza, sechondo che piac|erà al tuo savio consiglio – Allexandro co· lli suoi savi asciol–
(13r) seno lo cavaliere e lodollo di grande savere. Carlo, nobile re di Cicilia, quando era conte d’Angiò,
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sí amò p(er) amore la bella contessa di Teti, la quale am|ava medesimamente lo conte d’Universa. In quello 5
t|empo lo re di Francia avea comandato sotto pena
Torniamento [fa]|tto p(er) amore [di] donna
de|llo chuore e dell’avere che nessuno atorneasse. Lo con–
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12v–23 Conte [ibid., p.176]: Ragionevole . 12v–24 core.
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te dangÕo uollendo Ɂuare quale meglÕo uallesse dar me tralluÕ 7 loconte dunÕuersa sÕe sÕprouÕdde 7 fue congrandÕssÕma pregarÕe a Meɀ . Alardo dÕuallerÕ 7 m 10
anÕfestollÕ comellÕ amaua 7 cuÕ 7 comellÕ era appensato alpostutto dÕprouare Õncanpo colconte dunÕuersa pre gandolo ȸamore che accatasse parola dallo Re Intale m odo che uno solo tornÕamento sÕfacesse 7 ɃcɃosua lÕcentÕa quellÕ domandando cagÕone loconte dangÕo lÕnsengno
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Õnquesta guÕsa lo Re sÕe quasÕ pÕnzochero 7 ȸlagrande bontade dÕ uostra ȸsona ellÕ spera dÕprendere 7 dÕfare prendere drappÕ dÕrelÕgÕone ȸauere lauostra conpang nÕa . Onde Õnquesta domanda sÕa ȸuoÕ chesta grazÕa cɻ Uno solo tornÕamento lassÕ ferÕre . Et UoÕ farete cÕo che
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ellÕ uorrae . Messere Alardo rÕspuose 7 dÕsse ormÕdÕ conte ȸdero Õo laconpangnÕa dellÕ caualÕerÕ ȸ Uno tornÕam ento . Elconte dangÕo rÕspuose Io UÕnprometto lealmen te cheIo uendelÕulÕuerroe . Et sÕfece poÕ ÕntalmanÕera– come Io uÕconterroe Meɀ Alardo sÕando allo Re dÕfra
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ncÕa 7 dÕssellÕ Meɀ quando Io presÕ arme logÕorno dello uostro torneamento grande quantÕtade dellÕ mÕglÕorÕ ch aualÕerÕ delmondo portaro arme Õnquello gÕorno . Onde Io ȸamore dÕuoÕ uollendo dello tutto lassare lomondo
(13v) 7 uestÕmÕ dÕdrappÕ dÕrelÕgÕone pÕaccÕauÕ dÕdonarmÕ Una grazÕa cÕoe che uno tornÕamento sÕfaccÕa laoue Õo portÕ arme collÕ nobÕlÕ caualÕerÕ sÕchelemÕe armÕ sÕlassÕno ÕncosÕe grande festa come sÕpensono allora lo 5
Re lotto leÕo . OrdÕnossÕ lotornÕamento dalluna par te fue loconte dunÕuersa 7 dallaltra loconte dang Õo . la ReÕna dÕfrancÕa 7 altre dame 7 damÕgelle–
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te d’Angiò, vollendo p(ro)vare quale meglio vallesse d’ar– me tra llui e lo conte d’Universa, sie si providde, e fue con grandissima pregaríe a mess(er) Alardo di Valleri e 10
m|anifestolli com’elli amava e cui, e com’elli era appensato al postutto di provare in canpo col conte d’Universa, pre– gandolo p(er) amore che accatasse parola dallo re, in tale m|odo che uno solo torniamento si facesse e co(n) sua licentia. Quelli domandando cagione, lo conte d’Angiò l’insengnò
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in questa guisa: – Lo re si è quasi pinzochero, e p(er) la grande bontade di vostra p(er)sona elli spera di prendere e di fare prendere drappi di religione p(er) avere la vostra conpang|nia. Onde in questa domanda sia p(er) voi chesta grazia ch(e) uno solo torniamento lassi ferire. Et voi farete ciò che
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elli vorrae – Messere Alardo rispuose e disse: – Or mi dí, conte, p(er)derò io la conpangnia delli cavalieri p(er) uno torniam|ento? – E ’l conte d’Angiò rispuose: – Io v’inprometto lealmen– te che io ven delivliverroe45 – Et sí fece poi in tal maniera come io vi conterroe. Mess(er) Alardo sí andò allo re di
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Fra|ncia e disselli: – Mess(er), quando io presi arme lo giorno dello vostro torneamento,46 grande quantitade delli migliori ch|avalieri del mondo portaro arme in quello giorno. Onde io p(er) amore di voi vollendo dello tutto lassare lo mondo
(13v) e vestimi47 di drappi di religione, piacciavi di donarmi una grazia: cioè che uno torniamento si faccia là ove io porti arme colli nobili cavalieri, sí che le mie armi si lassino in cosie grande festa come si pensono.48 Allora lo 5
re l’ottoleiò. Ordinossi lo torniamento. Dall’una par– te fue lo conte d’Universa e dall’altra lo conte d’Ang|iò. La reina di Francia e altre dame e damigelle
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13r–23 deliverroe. 13r–26 Conte [ibid., p. 177]: coronamento. 13v–1 vestirmi. 13v–4 Biagi [ibid., p. 12], Conte [ibid.]: presono.
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dÕgrande paragÕo furo allegre 7 furo alle leggÕe la contessa dÕ . TetÕ uÕfue logÕorno 7 portoɃno arme lÕ 10
fÕorÕ dellÕ chaualÕerÕ chÕduna parte 7 chÕ daltra . Qua ndo ebbeno assaÕ torneato lo conte dangÕo 7 loconte dunÕuersa sÕfecero dÕlÕuerare larÕngo 7 luno contr a laltro sÕmossono collaforza depoderosÕ dÕstrÕerÕ.– Et ɃcɃogrosse astÕ 7 forte Auenne che Õnnelmezo della
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rÕngo lodestrÕere dello conte dunÕuersa cadde ɃcɃotut to loconte Õnnuno monte . onde ledame scÕesero de lle loggÕe 7 portarolo abraccÕa molto soauemente .– Ella contessa dÕ . TetÕ uÕfue aportallo . loconte dangÕo sÕbÕastemaua forte frase medesÕma 7 lamentauasÕ dÕsua
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fortuna . dÕcendo lasso ȸche ɃnɃo cadde lomÕo cauallo come quello delconte dunÕuersa . sÕchella contessa mÕfosse sta ta cosÕ presso come fue alconte dunÕuersa . fue partÕto lotorneamento . lo conte dangÕo fue alla ReÕna dÕfra ncÕa 7 chÕesele mercede chella ȸ amore dellÕ nobÕlÕ
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chaualÕerÕ dÕfrancÕa douesse mostrare cruccÕo allo Re 7 poÕ nella pace lÕdÕmandasse uno dono . 7 lodono fu sse cotale chello Re douesse pÕacere chellÕ gÕouanÕ cau alÕerÕ dÕfrancÕa ɃnɃo ȸdesseno cosÕ nobÕle ɡpangnÕa come
(14r) quella dÕ Meɀ . Alardo dÕuallerÕ . la ReÕna cosÕ fece tu tto fece cruccÕo collo Re . Et Õnella pace lÕdÕmando lo do . 7 lo Re lelpromÕse . Allora fue dÕlÕberato Meɀ Ala rdo della promessa cheauea fatta Et rÕmase colle ho 5
noreuÕle arme collÕ altrÕ prodÕ caualÕerÕ dello reame dÕ francÕa torneando 7 faccÕendo darme sÕcome larÕnom ansa corre ȸlomondo souente dÕgrande bonta 7 oltra merauÕglÕosa prodeza ɥ
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di grande paragio furo allegre e furo alle leggie.49 La contessa di Teti vi fue lo giorno. E porton(n)o arme li 10
fiori delli chavalieri chi d’una parte e chi d’altra. Qua|ndo ebbeno assai torneato, lo conte d’Angiò e lo conte d’Universa si fecero diliverare l’aringo. E l’uno contr|a l’altro si mossono colla forza de’poderosi distrieri et co(n) grosse asti e forte. Avenne che in nel mezo dell’a|ri–
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ngo lo destriere dello conte d’Universa cadde co(n) tut– to lo conte inn uno monte, onde le dame sciesero de|lle loggie e portarolo a braccia molto soavemente. E lla contessa di Teti vi fue a portallo. Lo conte d’Angiò sí biastemava forte fra sé medesima50 e lamentavasi di sua
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fortuna dicendo:– Lasso! p(er)ché no(n) cadde lo mio cavallo come quello del conte d’Universa, sí che lla contessa mi fosse sta– ta cosí presso come fue al conte d’Universa!– Fue partito lo torneamento. Lo conte d’Angiò fue alla reina di Fra|ncia e chiesele mercede, ch’ella p(er) amore delli nobili
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chavalieri di Francia dovesse mostrare cruccio allo re; e poi nella pace li dimandasse uno dono, e lo dono fu|sse cotale che llo re dovesse piacere che lli giovani cav|alieri di Francia no(n) p(er)desseno cosí nobile (con)pangnia come
(14r) quella di mess(er) Alardo di Valleri. La reina cosí fece tu|tto. Fece cruccio collo re et inella pace li dimandò lo do[no]. E lo re lel promise. Allora fue diliberato mess(er) Ala|rdo della promessa che avea fatta. Et rimase colle ho– 5
norevile arme colli altri prodi cavalieri dello reame di Francia torneando e facciendo d’arme, sí come la rinom|ansa corre p(er) lo mondo sovente di grande bontà e oltra– meravigliosa prodeza.
––––––– 49 50
13v–8 loggie. 13v–19 medesimo.
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UNo Re fu nelle partÕ degÕtto loquale douea por 10
tar corona dÕpollo padre . questo suo padre fÕne ap ÕccolÕno fantÕno sÕncomÕncÕo afarlo nodrÕre allÕ sauÕ homÕnÕ dÕ ɒpo sÕche auea Annɬ xu . 7 gÕamaÕ nona uea udÕto nessuna fancÕulleza . UngÕorno auenne che Õlpadre ɃcɃomÕse alluÕ una rÕsposta adambascÕa
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dorÕ dÕ GrecÕa . logÕouano stando Õnsu larÕngherÕa . ȸ rÕspondere allÕdettÕ AmbascÕadorÕ loɒpo era turb ato 7 pÕouea . Uolse lÕocchÕ ȸ Una fÕnestra delpalag Õo 7 uÕdde altrÕ gÕouanÕ che coglÕano acqua pÕouana 7 faceano peschÕera 7 molÕna dÕpaglÕa . logÕouano u
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edendo cÕoe lasso darÕnghare 7 gÕttosÕ gÕusu della sca la delpalagÕo subbÕtamente 7 ando allÕ gÕouanÕ cɻ stauano arÕceuere lacqua pÕouana 7 ÕncomÕncÕo af are lemulÕna colloro 7 lefanculeze . baronÕ 7 chaua lÕerÕ loseguÕtteno assaÕ 7 fecerlo tornare alpalazo
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7 poÕ chusono lafÕnestra . logÕouano dÕede soffÕcÕen te rÕsposta . dÕpollo consÕglÕo sÕpartÕo lagÕente . lop adre rauno lÕfÕlosafÕ 7 sauÕ dÕgrande scÕenzÕa . Et p propuose loro lopresente fatto . alcuno dellÕ sauÕ lo
(14v) rÕputauano mouÕuento domorÕ . alcuno fanculeza danÕmo era cognoscÕuto . Et chÕ dÕcea ÕnfermÕta dÕ ce labro . 7 chÕ dÕcea Una 7 chÕ Unaltra . secondo lauersÕ ta dÕloro scÕenzÕe Uno fÕlosofo dÕsse dÕtemÕ come lo 5
gÕouano he Õstato notrÕcato tutta laguÕsa lÕfue con tato come nodrÕto era ɃcɃosauÕ 7 conomÕnÕ dÕtenpo lu ngÕ da ongnÕ fanculeza Allora lofÕlosafo rÕspuose– ɃnɃouÕ marauÕglÕate sella natura cÕo chellauea ȸdu to ragÕoneuÕle cosa he abanboreggÕare ÕngÕoua
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neza pensare ɥ
Come chÕnonf. lefancÕullezz. dagÕouane lefa poÕ
10
Uno re fu nelle parti d’Egitto lo quale dovea por–
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tar corona dipo llo padre. Questo suo padre fine a
Come chi non f[a] le fanciullezz[e] da giovane le fa poi
p|iccolino fantino sí ’ncominciò a farlo nodrire alli savi homini di t(em)po, sí che avea anni XV e giamai non a|vea udito nessuna fanciulleza. Un giorno avenne che il padre co(m)mise a llui una risposta ad ambascia– 15
dori di Grecia. Lo giovano stando in su l’aringhería p(er) rispondere alli detti ambasciadori, lo t(em)po era turb|ato e piovea, volse li occhi p(er) una finestra del palag|io e vidde altri giovani che cogliano acqua piovana e faceano peschiera e molina di paglia. Lo giovano
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v|edendo ciòe, lassò d’aringhare e gittòsi giusu51 della sca– la del palagio subbitamente, e andò alli giovani ch(e) stavano a ricevere l’acqua piovana. E incominciò a f|are le mulina co· lloro e le fanculeze. Baroni e chava– lieri lo seguitteno assai e fecêrlo tornare al palazo,
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e poi chusono52 la finestra. Lo giovano diede sofficien– te risposta. Dipo llo consiglio si partio la giente. Lo p|adre raunò li filosafi e’ savi di grande scienzia. Et propuose loro lo presente fatto. Alcuno delli savi lo
(14v) riputavano movivento53 d’omori, alcuno fanculeza d’animo era cognosciuto. Et chi dicea infermità di ce– labro, e chi dicea una e chi un’altra, secondo l’aversi– tà di loro scienzie. Uno filosofo disse: – Ditemi come lo 5
giovano he istato notricato? – Tutta la guisa li fue con– tato come nodrito era co(n) savi e con omini di tenpo lu|ngi da ongni fanculeza. Allora lo filosafo rispuose: – No(n) vi maravigliate se lla natura [domanda] ciò ch’ell’avea p(er)du– to. Ragionevile cosa he a banboreggiare in giova–
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neza [e in vechieza] pensare –.
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14r–20 giuso. 14r–25 chiusono. 14v–1 movimento.
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DAuÕd Re stando ȸlabonta dÕdÕo che dÕpecorarÕo lauea fatto sÕngnore sÕe sÕpenso UngÕorno dÕ ··me ÕdÕo m ··ndo mortalÕta ··pra lÕsuddÕtÕ ··dauÕtt ȸ la uanaglorÕa sua
uolere alpostutto sapere quantÕ fossero ȸ numero lÕ suoÕ suddÕtÕ questo fue atto dÕuanaglorÕa . Onde molto dÕspÕacque adÕo 7 mandolÕ langelo suo . Et fecelÕ cosÕ dÕ re . DauÕd tuaÕ peccato 7 cosÕ tÕmanda adÕre lotuo sÕng
nore ouolÕ tu stare ÕÕɬ . annÕ Õnfermo otre mesÕ Õnmano dellÕ tuoÕ nÕmÕcÕ . ouoglÕ stare Õnnello gÕudÕcÕo delle ma nÕ deltuo sÕngnore DauÕd rÕspuose nelle manÕ delmÕo 20
sÕngnore mÕmetto faccÕa dÕme cÕo chellÕ pÕace . or che fe dÕo punÕlo secondo lacolpa che quasÕ lamagÕore parte delpopulo suo lÕtolse ȸmorte ȸcÕo chellÕ sÕuanaglorÕo ȸ logrande Õnnomero cosÕ loscÕemo 7 menÕmo lonumero caualcando Uno gÕorno DauÕd uÕdde langelo dÕdÕo con
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una spada Õnmano nuda cheandaua uccÕdendo lopo pulo . 7 come langelo Uolse colpare Uno . DauÕd sÕÕsmɃoto subbÕta mente dacauallo 7 dÕsse Meɀ mercede ɃnɃonuccÕde te lÕnocentÕ . uccÕdete me dÕcuÕ he lacolpa ȸlabonta dÕ
(15r) quella parola perdono ÕdÕo allo populo dÕ DauÕdÕ 7 rÕmÕse lacessÕone ɥ LEgesÕ dÕSalamone che fece Unaltro dÕspÕacere ad Õo onde cadde ȸsentenzÕa dÕȸder loreame suo . 5
langelo lÕparlo 7 dÕsse . Salamone ȸlatua colpa sede gno dÕȸdere loreame macosÕ tÕmanda nostro sÕngno re adÕre che ȸlÕmerÕtÕ della bonta dello tuo padre ɃnɃo
Come ÕdÕo m· rÕta 7 punÕ··· taluolta lo ȸe del padre nel fÕglÕuo··
teltorrae Intuo ɒpo maellÕ ȸlatua colpa lotollera al lo tuo fÕglÕuolo . 7 cosÕ dÕmostra dÕo lÕguÕdardonÕ de 10
lpadre merÕtatÕ nello fÕglÕuolo . Elle colpe delpadre p unÕte nello fÕglÕuolo ɥ NOta che Salamone sapÕentÕssÕmo studÕosa men te lauoro sotto losole . congrande ÕngÕengnÕo dÕ grandÕssÕma sapÕenzÕa . fece grandÕssÕmo 7 nobÕle re
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gnÕo . poÕ chelebbe fatto ɁuÕddesÕ dÕɃnɃo uolere chello
Come salamon· ɁouÕdde che ·· boam suo f· glÕo tenesse loreame ··p· lamorte s··· dello nol seppe fare
David re stando p(er) la bontà di Dio, che di pecorario
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l’avea fatto singnore, sie si pensò un giorno di [Co]me Idio m[a]|ndò volere al postutto sapere quanti fossero p(er) numero li mortalità [so]pra li sudditi suoi sudditi. Questo fue atto di vanagloria, onde molto [di] Davitt p(er) la vanagloria dispiacque a Dio. E mandòli l’angelo suo et feceli cosí di|re: sua
– David, tu ài peccato. E cosí ti manda a dire lo tuo Sing|nore:
o voli tu stare III anni infermo o tre mesi in mano delli tuoi nimici, o vogli stare in nello giudicio delle ma– ni del tuo Singnore?– David rispuose: – Nelle mani del mio 20
Singnore mi metto. Faccia di me ciò che lli piace – Or che fe’ Dio? Punílo secondo la colpa: ché quasi la magiore parte del populo suo li tolse p(er) morte, p(er)ciò ch’elli si vanagloriò p(er) lo grande innomero; cosí lo sciemò e menimò lo numero. Cavalcando uno giorno, David vidde l’angelo di Dio con
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una spada in mano nuda che andava uccidendo lo po– pulo. E come l’angelo volse colpare uno, David sí ismo(n)tò subbitamente da cavallo e disse: – Mess(er), mercede! no(n)n uccide– te l’inocenti. Uccidete me di cui he la colpa! – P(er) la bontà di
(15r) quella parola perdonò Idio allo populo di Davidi e rimise la cessione. Legesi di Salamone che fece un altro dispiacere a
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D|io, onde cadde p(er) sentenzia di p(er)der lo reame suo. 5
L’angelo li parlò e disse: – Salamone, p(er) la tua colpa sè de– gno di p(er)dere lo reame. Ma cosí ti manda Nostro Singno– re a dire che p(er) li meriti della bontà dello tuo padre no(n)
Come Idio m[e]– rita e puni[sce] talvolta l’o– p(er)e del padre nel figliuo[lo]
tel torrae in tuo t(em)po, ma elli p(er) la tua colpa lo tollerà al– lo tuo figliuolo – E cosí dimostra Dio li guidardoni de|l 10
padre meritati nello figliuolo e lle colpe del padre p|unite nello figliuolo. Nota che Salamone sapientissimo studiosamen– te lavorò sotto lo sole. Con grande ingiengnio di grandissima sapienzia fece grandissimo e nobile re–
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gnio. Poi che l’ebbe fatto, p(ro)viddesi di no(n) volere che llo
[32] Come Salamon[e] p(ro)vidde che [Ro]– boam suo f[i]– glio tenesse lo reame [di]po la morte s[ua e]|d ello nol seppe fare
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possedesseno altre herede che lesue cÕoe fuorÕ dÕsuo lÕ gnagÕo . E accÕo tolse molte moglÕe 7 molte amÕche– ȸ auere assaÕ herede 7 dÕo ɁuÕdde quellÕ che sommo– dÕspensatore . onde Salamone tra tutte lemoglÕ . 7 20
lamÕche cherano tante nonebbe seno Uno fÕglÕuolo Salamone sÕɁuÕdde dÕsottomettere 7 dordÕnaresÕ cɻ loreame sotto questo suo fglÕuolo che auea nome Ro boam che regnÕasse certana mente dÕpoluÕ che fece dalla gÕouentudÕne ÕnfÕne alla uecchÕeza ordÕno lau
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Õta allo fÕglÕuolo comoltÕ amaestramentÕ 7 nodrÕm entÕ . 7 poÕ fece chellÕ rauno tesaro grandÕssÕmo 7 mÕ selo Õnluogo sechuro . 7 poÕ fece che ÕnconcordÕa fu con tuttÕ lÕsÕngnÕorÕ che manÕcauano cholluÕ 7 ordÕno 7 dÕ
(15v) spuose Õnpace senza ɡtenzÕone tuttÕ lÕsuoÕ baronÕ 7 p oÕ feceno collo maestro dello corso delle stelle 7 Õnsegn olÕ auere sengnorÕa sopra lÕdÕmonÕ . tutte queste cose fece ȸ che Robam regnasse dopoluÕ . quando SalamɃoe 5
fue morto Roboam prese suo ɡsÕglÕo 7 fue dÕgente Uecc hÕa 7 sauÕ . Ɂpuose 7 dÕmando ɡsÕglÕo Õnche guÕsa rÕferm asse lopopulo suo . lÕuecchÕ ɡsÕglÕorno 7 Õnsegnono raun eraÕ lopopulo ɃcɃodolce parole parleraÕ 7 dÕraÕ che tu lÕa mÕ come te medesÕmo chellÕ sono latua corona . 7 che selo
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tuo padre fue loro aspro . tu seraÕ loro humÕle 7 benÕgnÕo 7 sellÕ lÕauesse affatÕgatÕ tue lÕterraÕ Õngrande rÕposo . Et se Õnfare lo ɒpo ellÕ fuɃno grauatÕ che tue lÕagÕeuolleraÕ . queste parole lÕnsengnarono lÕuecchÕɬ . dello regnÕo pa rtÕsÕ . Roboam 7 rauno uno ɡsÕglÕo dÕgÕouanÕ 7 fece sÕmÕ
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glÕante proposta . lÕgÕouanÕ dÕmandano come tanno ɡsÕ glÕato coloro ɃcɃo cuÕ ÕnprÕma uÕɡsÕglÕaste Roboam lodÕsse loro tutto amotto amotto . allora dÕssero lÕgÕouanÕ Meɀ
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possedesseno altre herede che le sue: cioè fuori di suo li– gnagio. E acciò tolse molte moglie e molte amiche p(er) avere assai herede. E Dio p(ro)vidde, quelli ch’è sommo dispensatore, onde Salamone tra tutte le mogli e 20
l’amiche, ch’erano tante, non ebbe se no uno figliuolo. Salamone si p(ro)vidde di sottomettere e d’ordinare sí lo reame, sotto questo suo fgliuolo che avea nome Ro|boam, che regniasse certanamente dipo lui. Che fece? Dalla gioventudine infine alla vecchieza ordinò la
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v|ita allo figliuolo co· molti amaestramenti e nodrim|enti. E poi fece ch’elli raunò tesaro grandissimo e mi– selo in luogo sechuro. E poi fece che in concordia fu con tutti li singniori che manicavano cho· llui e ordinò e di–
(15v) spuose in pace senza (con)tenzione tutti li suoi baroni. E p|oi feceno collo maestro54 dello corso delle stelle e insegn|òli avere sengnoria sopra li dimoni. Tutte queste cose fece p(er)ché Roboam regnasse dopo lui. Quando Salamo(n)e 5
fue morto, Roboam prese suo (con)siglio e fue di gente vecc|hia e savi. P(ro)puose e dimandò (con)siglio in che guisa riferm|asse lo populo suo. Li vecchi (con)sigliorno e insegnòno: – Raun|erai lo populo. Co(n) dolce parole parlerai e dirai che tu li a|mi come te medesimo, ch’elli sono la tua corona, e che, se lo
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tuo padre fue loro aspro, tu serai loro humile e benignio, e s’elli li avesse affatigati, tue li terrai in grande riposo. Et se in fare lo t(em)po55 elli fun(n)o gravati che tue li agievollerai – Queste parole l’insengnarono li vecchii dello regnio. Pa|rtísi Roboam, e raunò uno (con)siglio di giovani, e fece simi–
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gliante proposta. Li giovani dimandàno: – Come t’ànno (con)si– gliato coloro co(n) cui inprima vi (con)sigliaste?– Roboam lo disse loro tutto a motto a motto. Allora dissero li giovani: – Mess(er),
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15v–2 Conte [ibid., p. 183]: fece c llo maestrò. 15v–12 Biagi [ibid., p. 17]: templo; Conte [ibid.]: tempo.
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ellÕ tÕnganano che lÕregnÕ ɃnɃo sÕtengnÕono ȸ parole anzÕ ȸ prodeza 7 ȸ francheza . onde seuoÕ dÕrete loro dolce 20
parole parra cheuoÕ abbÕate paura che tu abbÕ paura . chetemÕ Õlpopulo 7 arɃaɃnotÕ sotto mettere 7 ɃnɃo tÕuoran no obedÕre ȸ sÕngnore . Ma fa ȸ nɃro senno noÕ sÕamo tu ttÕ tuoÕ seruÕ . Et losÕngnore puoe fare dellÕ ȾuÕ quello cɻ lÕpÕace . Onde dÕloro ɃcɃouÕuore 7 coardÕre chellÕ sono tuoÕ
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seruÕ 7 chÕ ɃnɃo tubÕdera che tue laueraÕ punÕre seconda latua aspra leggÕe . Et se Salamone lÕgrauoe Õnfare lo te mplo 7 tue laueraÕ agrauare Õnaltro settÕ sarae ÕnpÕace re lopopulo . ɃnɃo tauera ȸ fancullo tuttÕ tÕterranno 7 au
(16r) eranno ȸ sÕngnore . 7 cosÕ terraÕ lacorona 7 lo Reame Et lostoltÕssÕmo . Robam sattene algouano ɃcɃosÕglÕo . 7 rauno lopopulo 7 dÕsse parole ferocÕ . lopopulo sadÕro lÕ baronÕ sÕturbanno 7 feceno posture 7 leggÕe gÕurano 5
ÕnsÕeme certÕ baronÕ Õn . xxxÕÕÕɬ . gÕornÕ dÕpo lamorte dÕ Salamone perdette Robam della sua gÕente delle xÕɬ partÕ le x dÕtutto loReame suo ɥ UNo sÕngnore dÕ GrecÕa loquale possedea grandÕssÕm o Reame . Auea Uno suo gÕouano fÕglÕuolo loquale
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facea nodrÕre 7 ÕnsengnÕare le UÕɬ . lÕberalÕ arte 7 fa ceglÕ Õnsengnare uÕta morale . cÕoe buonÕ costumÕ . Un gÕorno prese questo Re molto oro 7 dÕedelo aquesto suo fÕglÕuolo 7 dÕssellÕ dÕspendelo come tÕpÕacÕe . 7 comando allÕ baronÕ che ɃnɃo lÕnsengnasseno dÕspendere questo oro
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masollÕcÕtamente auÕsassero losuo portamento 7 lomo do che detenesse logÕouano essendo UngÕorno collÕ bar onÕ alle fÕnestre delpalagÕo 7 ellÕ staua molto pensoso UÕ dde passare ȸlocamÕno gÕente che parea assaÕ nobÕle s econdo lÕarnesÕ 7 leȸsone locamÕno correa apÕede dello
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Amaestrame··· moralÕ dÕsap. re sÕgnÕor· ggÕare
elli t’inganano, ché li regni no(n) si tengniono p(er) parole anzi p(er) prodeza e p(er) francheza. Onde se voi direte loro dolce 20
parole, parrà che voi abbiate paura, che tu abbi paura, che temi il populo. E aran(n)oti sottomettere e no(n) ti voran– no obedire p(er) singnore. Ma fa p(er) n(ost)ro senno; noi siamo tu|tti tuoi servi et lo singnore puoe fare delli s(er)vi quello ch(e) li piace. Onde dí loro co(n) vivore e co ardire ch’elli sono tuoi
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servi, e chi no(n) t’ubiderà, che tue l’averai punire seconda la tua aspra leggie. Et se Salamone li gravoe in fare lo te|mplo, e tue l’averai a gravare in altro, se tti sarae in piace|re. Lo populo no(n) t’averà p(er) fancullo. Tutti ti terranno e
(16r) av|eranno p(er) singnore, e cosí terrai la corona e lo reame. Et lo stoltissimo Robam s’atténe al govano56 co(n)siglio. E raunò lo populo e disse parole feroci. Lo populo s’adirò. Li baroni si turbanno e feceno posture e leggie.57 Giuràno 5
insieme certi baroni. In XXXIIII giorni dipo la morte di Salamone perdette Robam della sua giente delle XII parti le X di tutto lo reame suo. Uno singnore di Grecia, lo quale possedea grandissim|o
[33]
reame, avea uno suo giovano figliuolo, lo quale 10
facea nodrire e insengniare le VII liberali arte e fa– cégli insengnare vita morale, cioè buoni costumi. Un
Amaestrame[nti] morali di sap[e]– re signior[e]|ggiare
giorno prese questo re molto oro e diedelo a questo suo figliuolo, e disselli: – Dispendelo come ti piacie – E comandò alli baroni che no(n) l’insengnasseno di spendere questo oro, 15
ma sollicitamente avisassero lo suo portamento e lo mo– do che ’de tenesse lo giovano. Essendo un giorno colli bar|oni alle finestre del palagio, e elli stava molto pensoso, vi|dde passare p(er) lo camino giente che parea assai nobile, s|econdo li arnesi e le p(er)sone. Lo camino correa a piede dello
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16r–2 giovano. 16r–4 Conte [ibid., p. 184]: leghe.
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palagÕo mando questo gÕouano che tutta questa gÕen te fosse menata dÕnanzÕ dalluÕ . fue fatto Uenero lÕuÕa ndantÕ dÕnanzÕ daluÕ 7 tralÕsuoÕ baronÕ luno che auea pÕu ardÕto chuore 7 lafronte pÕu allegra sÕsÕfece ÕnanzÕ 7 dÕsse Meɀ che dÕmandÕ logÕouano rÕspuose dÕman
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dotÕ onde se 7 dÕche condÕzÕone . 7 quellÕ rÕspuose 7 dÕ sse Meɀ Õo sono dÕtalÕa 7 mercatante sono molto rÕc cho 7 quella rÕccheza che Io hoe ɃnɃolo dÕmÕo patrÕmon Õo 7 tutto loguadagnato ȸ mÕa sollÕcÕtudÕne . Ello gÕou
(16v) ano adÕmando loseguente Õlquale he dÕnobÕle fazÕo ne era 7 staua ɡuergognÕosa faccÕa dÕsselÕ che selÕfac esse ÕnanzÕ accÕo che staua pÕu ÕndÕetro che laltro 7 ɃnɃo sÕ ardÕtamente fecesÕ ÕnanzÕ 7 dÕsse Meɀ che mÕdÕm 5
andÕ 7 logÕouano dÕsse dÕmÕ onde se 7 dÕche condÕzÕ onÕ . 7 quellÕ rÕspuose Io sono dÕSorÕa 7 sono Re 7 oe sÕ saputo fare che lÕsudÕtÕ mÕeÕ manno caccÕato . Et all ora logÕouano prese tutto loro 7 dÕedelo aquesto . Re . dÕscaccÕato logrÕdo ando ȸlopalagÕo lÕcaualÕerÕ 7 lÕba
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ronÕ 7 laltra gÕente tuttÕ dÕuoce Õnuoce dÕcÕano spe so he loro che dÕmandaua come tutta lacorte sonaua solo dÕquesto oro . alpadre fue racontate queste nouelle tutte come ÕlfÕglÕuolo auea speso loro tutte ledÕmand e 7 lerÕsposte che lÕfurono fatte amotto amotto . lo . Re
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ÕncomÕncÕo apparlare cholfÕglÕuolo udendo moltÕ ba ronÕ 7 dÕsse come dÕspensastÕ 7 che pensÕere tÕmosse 7 cɻ ragÕone cene mostrÕ che accoluÕ ȸlasua bonta auea gua dagnato ɃnɃo donastÕ neente Et accoluÕ ȸlasua follÕa au ea ȸduto tutto donastÕ loro . logÕouano sauÕo rÕspuose
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7 dÕsse Meɀ Io ɃnɃo donaÕ achÕ ɃnɃomÕnsegnÕoe quello non fu dono anzÕ fue guÕdardone lomercatante ɃnɃo mÕnse ngnÕo ɃnɃo lÕera neente tenuto . maquellÕ chera dÕmÕa
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palagio. Mandò questo giovano che tutta questa gien– te fosse menata dinanzi da llui. Fue fatto. Venero li via|ndanti dinanzi da lui e tra li suoi baroni. L’uno che avea piú ardito chuore e la fronte piú allegra sí si fece inanzi e disse: – Mess(er), che dimandi?– Lo giovano rispuose: – Diman–
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doti onde sè e di che condizione – E quelli rispuose e di|sse: – Mess(er), io sono d’Italia e mercatante sono molto ric– cho. E quella riccheza che io hoe no(n) l’ò di mio patrimon|io, e tutto l’ò guadagnato p(er) mia sollicitudine – E llo giov|a–
(16v) no adimandò lo seguente, il quale di nobile fazio– ne era e stava (con) vergogniosa faccia. Disseli che se li fac|esse inanzi, acciò che stava piú indietro che l’altro e no(n) sí arditamente. Fecesi inanzi e disse: – Mess(er), che mi 5
dim|andi?– E lo giovano disse: – Dimi onde sè e di che condizi|oni – E quelli rispuose: – Io sono di Soria e sono re. E òe sí saputo fare che li suditi miei m’ànno cacciato – Et all|ora lo giovano prese tutto l’oro e diedelo a questo re discacciato. Lo grido andò p(er) lo palagio. Li cavalieri e li ba–
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roni e l’altra giente tutti di voce in voce diciano: – Spe|so he l’oro –; che58 dimandava come; tutta la corte sonava solo di questo oro. Al padre fue racontate queste novelle tutte, come il figliuolo avea speso l’oro, tutte le dimand|e e le risposte che li furono fatte a motto a motto. Lo re
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incominciò a pparlare chol figliuolo, udendo molti ba– roni, e disse: – Come dispensasti? e che pensiere ti mosse? e ch(e) ragione ce ne mostri che a ccolui p(er) la sua bontà avea gua– dagnato no(n) donasti neente, et a ccolui p(er) la sua follia av|ea p(er)duto tutto donasti l’oro? – Lo giovano savio rispuose
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e disse: – Mess(er), io no(n) donai a chi no(n) m’insegnioe. Quello non fu dono, anzi fue guidardone. Lo mercatante no(n) m’inse– ngniò, no(n) li era neente tenuto. Ma quelli ch’era di mia
––––––– 58
16v–11 chi (?).
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condÕzÕone fÕglÕuolo dÕ Re 7 che portaua corona dÕ Re Õlquale ȸlasua follÕa asÕ fatto chellÕ sudÕtÕ suoÕ lanno ca 25
ccÕato . questÕ mae ÕnsengnÕato bene tanto chellÕ mÕeÕ s udÕtÕ ɃnɃo mÕ caccÕeranno . Onde pÕccolo guÕderdone lÕrendettÕ dÕcosÕ rÕccho Õnsegnamento . UdÕta lasenten zÕa delgÕouano . lopadre collÕ suoÕ baronÕ lodollo dÕgra
(17r) nde sauere dÕcendo che dÕgrande speranza rÕceue che ÕndellÕ annɬ ɃcɃopÕutÕ sÕa dÕsÕ grande sapÕenzÕa dache sÕ gÕouano hae Usato talsenno . lelettere corsero ȸlÕ paesÕ allÕ segnorÕ 7 allÕ baronÕ . Efune grɃade dÕsputazÕɃoe trasauÕ ɥ 5
INallexandra laquale he Õnelle partÕ dÕRomanÕa a ccÕo che sono xÕɬ . AllexandrÕe lequalÕ allexandro fe ce fare lomazo dÕnanzÕ che rÕmÕse Õnquella . Allexan drÕa sono lerughe laoue stanno lÕsaracÕnɬ lÕqualÕ fanno lomangÕare dauendere 7 cercando glÕomÕnÕ laruga ȸ
10
llÕ pue nettÕ mangÕarÕ 7 ȸlÕpue dÕlÕcatÕ . sÕcome luo mo cÕerca tranoÕ dellÕ drappÕ . Uno gÕorno dÕlundÕ Uno saracÕno chuoco cheauea nome . Fabratto 7 stando alla chucÕna sua Uno pouero . SaracÕno Uenne alla cucÕna sua conuno pane Õnmano 7 danaÕo ɃnɃo auea dacon
15
perare dacostuÕ tenne lopane sopra louagello 7 rÕce uea lofumo chenuscÕa . InnebrÕato lopane dello odore chenuscÕa dello mangÕare 7 quellÕ lomordea 7 cosÕ lomanÕco tutto questo . Fabratto ɃnɃo uendeo bene lam attÕna . Regoselo amala agura 7 anoÕa . prese questo
20
pouero saracÕno 7 dÕseglÕ pagamÕ dÕcÕo chetuaÕ au uto delmÕo . lopouero lÕdÕcea . Io ɃnɃono preso deltuo mangÕare altro che fuɃɣmo . dÕcÕo chaÕ preso mÕpaga . tanto fue laɃcɃotenzÕone cheȸlanuoua questÕone 7 soza ɃnɃomaÕ pÕu auenuta andarne lenouelle dÕna
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condizione, figliuolo di re, e che portava corona di re, il quale p(er) la sua follia à sí fatto che lli suditi suoi l’ànno 25
ca|cciato, questi m’àe insengniato bene tanto che lli miei s|uditi no(n) mi caccieranno. Onde piccolo guiderdone li rendetti di cosí riccho insegnamento – Udita la senten– zia del giovano, lo padre colli suoi baroni lodollo di gra|n–
(17r) de savere, dicendo che di grande speranza ricevé che indelli anni co(n)piuti sia di sí grande sapienzia, da che sí giovano hae usato tal senno. Le lettere corsero p(er) li paesi alli segnori e alli baroni, e fune gra(n)de disputazio(n)e tra savi. 5
In Allexandra, la quale he inelle parti di Romania,
[34]
a|cciò che sono XII Allexandrie le quali Allexandro fe– ce fare lo mazo dinanzi che rimise,59 in quella Allexan|dria sono le rughe là ove stanno li saracini, li quali fanno lo mangiare da vendere, e cercando gli omini la ruga pe· 10
lli pue netti mangiari e p(er) li pue dilicati, sí come l’uo– mo cierca tra noi delli drappi. Uno giorno di lundì uno saracino chuoco, che avea nome Fabratto, e stando alla chucina sua, uno povero saracino venne alla cucina sua con uno pane in mano, e danaio no(n) avea da con–
15
perare da costui. Tenne lo pane sopra lo vagello e rice– vea lo fumo che n’uscia; innebriato lo pane dello odore che n’uscia dello mangiare, e quelli lo mordea, e cosí lo manicò tutto. Questo Fabratto no(n) vendeo bene la m|attina. Regòselo a mala agura e a noia. Prese questo
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povero saracino e disegli: – Pagami di ciò che tu ài av|uto del mio – Lo povero li dicea: – Io no(n)n ò preso del tuo mangiare altro che fu(n)mo60 – Di ciò ch’ài preso mi paga – Tanto fue la co(n)tenzione che p(er) la nuova questione e soza, no(n) mai piú avenuta, andarne le novelle dina|n–
––––––– 59 60
La scrittura è abrasa. Cc. 1r–51r: in scrittura piena funmo prevale rispetto a fumo.
163
nzÕ allo soldano ȸlamolta nouÕssÕma cosa raghuno
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sauÕ saracÕnɬ 7 comando che costoro uenÕssero ÕnanzÕ formoe laquÕstÕone lÕsauÕ saracÕnɬ comÕncÕarono asso ttÕglÕare laquÕstÕone . chÕ rÕputaua lofuɃɣmo che ɃɣnɃone (17v) ra del chuocho dÕcendone molte ragÕone . lofunmo ɃnɃo sÕpuo rÕtenere che torna daulÕmento 7 ɃnɃona sustanz Õa neɁpÕetade chesÕa utÕle ɃnɃode pagare . AltrÕ dÕcÕano lofunmo era ancora ɃcɃogÕunto collo mangÕare 7 era ɃÕ costuÕ sÕngnÕorÕa 7 scÕa 7 ÕngÕenerauasÕ della sua Ɂp
5
Õetade 7 luomo sta ȸ uendere losuo mÕstÕerÕ 7 chÕ Õn prende Usanza he che paga sella sustanzÕa he sottÕ le 7 apogho pogho paghÕ . molte sentenzÕe uebbe fÕ nalmente UnsauÕo mando consÕglÕo 7 dÕsse poÕ che quellÕ sta ȸuendere dÕsuo mÕstÕerÕ 7 altrÕ ȸ conperare
10
tu gÕusto sÕngnore fa chello faccÕ gÕusta mente paga re secondo lasua Uolonta sella sua cucÕna che uend e dandole hutÕle ɁpÕetade dÕquella suole prendere utÕ le moneta 7 ora cha uenduto funmo fa segnore sona re una moneta che gÕudÕca chello pagamento sÕnten
15
da fatto 7 dello suono chescÕe dÕquella moneta 7 cosÕ gÕudÕco losoldano che fosse olseruato ɥ LEggesÕ che Uno fÕorentÕno era Õncontado 7 auea Uno molto buono UÕno . 7 Uno suo amÕcho sÕmosse pronta rÕ sposta
UngÕorno dafirenze ȸ andare abere collui . ando inu Õlla alluÕ 7 trouollo . chÕamolo ȸnome 7 dÕsse o cotale danmÕ bere . quellÕ rÕspuose 7 dÕsse . Io noluerso /61 quellÕ che auea louÕno fue . Maso leonardÕ / 7 quellÕ cando ȸbere fue . CÕolo dellÕ abatÕ ɥ UNo borghese dÕbarÕ ando ÕnpelegrÕnaggÕo . lasso
25
CCC . bÕsantÕ auno suo amÕcho ɃcɃo queste condÕzÕonɬ sentenzÕa de lo schÕauo dÕ barɬ
7 pattÕ . Io andro sÕcome pÕacera adÕo 7 se Õo ɃnɃo torna
––––––– 61
Le sbarre oblique si considerano l’aggiunta di un’altra mano.
164
25
zi allo soldano. P(er) la molta novissima cosa raghunò savi saracini e comandò che costoro venissero inanzi. Formoe la quistione. Li savi saracini cominciarono a sso|ttigliare la quistione. Chi riputava lo fu(n)mo che no(n)n
(17v) e|ra del chuocho, dicendone molte ragione: lo funmo no(n) si può ritenere, ché torn’ad aulimento e no(n)n à sustanz|ia né p(ro)pietade che sia utile; no(n) de pagare. Altri diciano: lo funmo era ancora co(n)giunto collo mangiare e era i(n) 5
costui singnioria, e scía e ingieneravasi della sua p(ro)p|ie– tade, e l’uomo sta p(er) vendere lo suo mistieri, e chi in– prende usanza he che paga. Se lla sustanzia he sotti– le e a pogho, pogho paghi. Molte sentenzie v’ebbe. Fi– nalmente un savio mandò consiglio e disse: – Poiché
10
quelli sta p(er) vendere di suo mistieri e altri p(er) conperare, tu, giusto singnore, fa che llo facci giustamente paga– re secondo la sua volontà. Se lla sua cucina che vend|e, dando le hutile p(ro)pietade di quella, suole prendere uti– le moneta, e ora ch’à venduto funmo, fa, segnore, sona–
15
re una moneta, che giudica che llo pagamento s’inten– da fatto e dello suono ch’escie di quella moneta – E cosí giudicò lo soldano che fosse olservato.62 Leggesi che uno fiorentino era in contado e avea
[35]
uno molto buono vino. E uno suo amicho si mosse Pronta ri|sposta
un giorno da Firenze p(er) andare a bere co·llui. Andò in v|illa a llui e trovollo. Chiamòlo p(er) nome e disse: – O cotale,
danmi bere – Quelli rispuose e disse: – Io nol verso – Quelli che avea lo vino fue Maso Leonardi, e quelli c’andò p(er) bere fue Ciolo delli Abati. 25
Uno borghese di Bari andò in pelegrinaggio. Lassò
[36]
CCC bisanti a uno suo amicho co(n) queste condizioni Sentenzia de|lo Schiavo di Bari
e patti:– Io andrò sí come piacerà a Dio. E se io no(n) torna|s–
––––––– 62
17v–17 observato.
165
ssÕ daraglÕ ȸ aɃÕa mÕa . 7 seÕo rÕtorno acerto termÕne (18r) quello chetu uorraÕ mÕrenderaÕ 7 glÕaltrÕ tÕterraÕ ando lopelegrÕno Õnsuo uÕaggÕo . rÕtorno altermÕne ordÕnato . dÕmando lÕbÕsantÕ suoÕ . lamÕco rÕspuose co me Õsta lopatto lopelegrÕno loconto apunto apunto bendÕcestÕ dÕsse lamÕco te . x BÕsantÕ tÕuoglÕo rendere
5
lÕ . CClxxxx . mÕtengnÕo lopelegrÕno comÕncÕo a cruccÕa rsÕ dÕcendo che fede he questa tu mÕtollÕ lomÕo falsa mente . lamÕco rÕsponde . Io ɃnɃo tÕfo torto 7 se Io lofa ccÕo uattÕne alla segnorÕa . rÕchÕamossÕne lopelegrÕ no allo schÕauo dÕbarÕ nefue gÕudÕce UdÕte lepartÕ
10
7 furono alaquÕstÕone . Onde nacque questa senten zÕa 7 dÕsse cosÕ accoluÕ che rÕtenea lÕbÕsantÕ rende lÕ CClxxxx bÕsantÕ neuuolÕ rɃedelÕ 7 lÕx cɻtue ɃnɃo u oleÕ tÕtÕene ɥ UNo medÕcho fue chebbe nome maestro63 che
15
auea Uno suo falso dÕscÕepulo . Et auenne cɻ uno fÕglÕuolo duno Re Infermo lomaestro ua ndo 7 dÕsse chera daguarÕre . lodÕscÕepulo ȸlo llere lonore 7 lopregÕo almaestro dÕsse alpadre dello Õnfermo . Io ueggÕo segnÕ che morrae ce
20
rtana mente ɃcɃotendendo lodÕscÕepulo colmae stro sÕe fece aprÕre laboccha allo Õnfermo 7 collo dÕto mÕngnoro lÕpuose ueleno Õnsu lalÕngua m ostrando molta cognÕoscenza dÕluÕ . lo gÕouano mrÕo lomaestro senauÕdde 7 ȸdette lopregÕo
25
suo . eldÕscÕepulo loguadagnÕoe . allora lomaestro gÕudÕco 7 gÕuroe dÕɃnɃo medÕcare seno acÕnÕ 7 p oÕ fece lafÕsÕca delle bestÕe 7 dellÕ pÕccÕolÕ anÕ (18v) malÕ sempre tutta sua uÕta ɥ
––––––– 63
Nel margine destro, sopra la rubrica, una mano scrisse: GÕordano:
166
Come ÕldÕscepo lo ÕngaɃno Õl maestro
si, dara’gli p(er) anima mia. E se io ritorno a certo termine, (18r) quello che tu vorrai mi renderai e gli altri ti terrai – Andò lo pelegrino in suo viaggio. Ritornò al termine ordinato. Dimandò li bisanti suoi. L’amico rispuose: – Co|me istà lo patto? – Lo pelegrino lo contò a punto a punto. 5
– Ben dicesti – disse l’amico – te’, X bisanti ti voglio rendere, li CCLXXXX mi tengnio – Lo pelegrino cominciò a cruccia|rsi dicendo: – Che fede he questa? tu mi tolli lo mio falsa– mente – L’amico rispondé: – Io no(n) ti fo torto, e se io lo fa|ccio, vattine alla segnoria – Richiamossine lo pelegri–
10
no allo Schiavo di Bari ne fue giudice.64 Udite le parti, e furono a la quistione. Onde nacque questa senten– zia, e disse cosí a ccolui che ritenea li bisanti: – Rende li CCLXXXX bisanti ne vuoli, re(n)deli, e li X ch(e) tue no(n) v|olei ti tiene.
15
Uno medicho fue ch’ebbe nome maestro [Giordano], che
[37]
avea uno suo falso disciepulo. Et avenne ch(e) uno figliuolo d’uno re infermò. Lo maestro v’a|ndò e disse ch’era da guarire. Lo disciepulo p(er)
Come il discepo– lo ingan(n)ò il maestro
to|llere l’onore e lo pregio al maestro disse al padre 20
dello infermo: – Io veggio segni che morrae ce|rtanamente – Co(n)tendendo lo disciepulo col mae– stro, sie fece aprire la boccha allo infermo e collo dito mingnoro li puose veleno in su la lingua, m|ostrando molta cognioscenza di lui. Lo giovano
25
m[o]rio. Lo maestro se n’avidde e p(er)dette lo pregio suo, e ’l disciepulo lo guadagnioe. Allora lo maestro giudicò e giuroe di no(n) medicare se no acini, e p|oi fece la fisica delle bestie e delli piccioli ani–
(18v) mali sempre tutta sua vita.
––––––– 64
18r–10 Conte [ibid. p.190]: Richiamossine lo pelegrino, llo Schiavo di Bari ne fue giudice.
167
AMÕnadab ɃcɃoducÕtore 7 marÕscalco dello . Re da uÕd . ando congrande exercÕto dÕgente ȸ coma ndamento dello Re dauÕd . auna cÕtta dÕfÕlÕsteÕ ode 5
ndo . AmÕnadab chella cÕtta ɃnɃo sÕpotea pÕu tenere cɻ sauerebe dÕcorto . mando ȸlo Re . dauÕd chellÕ pÕacesse dÕuenÕre alloste comoltÕtudÕne dÕgente ȸcÕo chellÕ dottaua delcanpo . lo . Re sÕmosse ÕnɃcɃotanente 7 ando nelcanpo dÕmando ȸche mÕcÕaÕ fatto uenÕre . AmÕn
10
adab rÕspuose Meɀ ȸche laccÕta ɃnɃosÕpue putenere 7 Õo uoglÕo chella uostra ȸsona abbÕa lopregÕo dÕcosÕ no bÕle UÕttorÕa anzÕ che Õo ɃcɃobatteo lacÕtta 7 uÕnselalo pregÕo 7 lonore nebbe lo Re dauÕda ɥ ANtÕngo ɃcɃoducÕtore dallexandro . facÕendo . Allex
15
andro Uno gÕorno sonare Una cÕtola ȸsuo dÕletto
tocca asÕgnÕo rÕ ɃcɃotro alla luxurÕa
AntÕngo prese lacÕtula 7 ruppela 7 gÕttola nel fuocho 7 dÕsse allo Re . Allexandro queste parole allo tuo ɒpo 7
alla tua etade sÕɃcɃouÕene dÕrengnare ɃnɃo dÕceterare 7 cosÕ sÕpuo dÕre locorpo delluomo sÕe regnÕo . UÕle cosa– 20
he lussurÕa quasÕ aguÕsa dÕcÕtula . UergognÕsÕ dunqua chÕde regnÕare . InuertudÕe 7 dÕlettasÕ ÕlossurÕa ɥ LOre Porro loquale conbatteo co Allexandro . au no mangÕare fece taglÕare lecorde duna cÕtola
NotabÕlÕa 25
aduno sonattore 7 dÕsse queste parole meglÕo he tag ȸ
lÕare che sonare che ɧdolceza dÕsuonÕ sÕȸdeno uertudɬ ɥ AUno Re nacque Uno fÕglÕuolo lÕsauÕ strologÕ ɁuÕ ddero che sellÕ ɃnɃo stesse . x . annÕ che ɃnɃo uedesse lo sole che ȸderebe louedere . Onde lo . Re lofece guarda
(19r) re 7 passato lÕ . x Annɬ sÕlÕfece mostrare lomondo 7 locÕ elo lomare loro 7 largento 7 lebestÕe 7 gÕente tra laltre cose lÕfece mostrare belle femÕne logÕouano dÕmando chÕerano 7 lo Re lÕfece dÕre cherano dÕmonÕ Allotta log 5
Õouano dÕsse lÕdÕmonÕ mÕpÕaccÕono sopra tutte laltre cose 7 lo Re dÕsse bensÕpuo uedere che Õstrana cosa– he bellezze dÕfemÕna ɥ
168
Come lauagh. za delle fem. ne e pÕacÕeuo. . pÕu che cosa del mondo
Aminadab, co(n)ducitore e mariscalco dello re
[38]
Da|vid, andò con grande exercito di gente, p(er) coma|n– damento dello re David, a una città di Filistei. Ode|ndo 5
Aminadab che lla città no(n) si potea piú tenere, ch(e) s’averebe di corto, mandò p(er) lo re David che lli piacesse di venire all’oste co· moltitudine di gente, p(er)ciò ch’elli dottava del canpo. Lo re si mosse inco(n)tanente e andò nel canpo. Dimandò: – P(er)ché mi ci ài fatto venire? – Amin|adab
10
rispuose: – Mess(er), p(er)ché la ccità no(n) si pue pú tenere, e io voglio che lla vostra p(er)sona abbia lo pregio di cosí no– bile vittoria, anzi che io – Co(n)batteo la città e vinsela. Lo pregio e l’onore n’ebbe lo re Davida. Antingo, co(n)ducitore d’Allexandro, faciendo Allex|andro
15
[39]
uno giorno sonare una citola p(er) suo diletto,
Tocca a’ signio– ri co(n)tro alla luxuria
Antingo prese la citula e ruppela e gittòla nel fuocho, e disse allo re Allexandro queste parole: – Allo tuo t(em)po e
alla tua etade si co(n)viene di rengnare, no(n) di ceterare – E cosí si può dire: lo corpo dell’uomo si è regnio; vile cosa 20
he lussuria, quasi a guisa di citula. Vergognisi dunqua chi de regniare in vertudie e dilettasi i’ lossuria. [40]
Lo re Porro, lo quale conbatteo co Allexandro, a u|no mangiare fece tagliare le corde d’una citola Notabilia 25
ad uno sonattore, e disse queste parole: – Meglio he
tag|liare che sonare, ché p(er) dolceza di suoni si p(er)deno vertudi–. A uno re nacque uno figliuolo. Li savi strologi p(ro)vi|d–
[41]
dero che s’elli no(n) stesse X anni che no(n) vedesse lo sole, che p(er)derebe lo vedere. Onde lo re lo fece guarda– (19r) re. E passato li X anni, sí li fece mostrare lo mondo e lo ci|elo, lo mare, l’oro e l’argento, e le bestie e giente; tra l’altre cose li fece mostrare belle femine. Lo giovano dimandò
Come la vagh[e]– za delle fem[i]– ne è piacievo[le] piú che cosa del mondo
chi erano e lo re li fece dire ch’erano dimoni. Allotta lo 5
g|iovano disse: – Li dimoni mi piacciono sopra tutte l’altre cose – E lo re disse: – Ben si può vedere che istrana cosa he bellezze di femina –. 169
PEr lussurÕa morÕo Õnel populo dÕsdrael . xɞx . hom Õnɬ lo . Re dauÕd nesdegnÕo ɃcɃo domenedÕo 7 fec 10
ene uccÕdere UrÕ pertorlelÕ . Bersabe sua moglÕe . Amon fÕglÕuolo dÕ dauÕd corruppe colla sua suora carnale . onde Assalon suo fratello luccÕse . Salamon amattÕo ȸlusurÕa Sanson loforte nedÕuenne fÕeuÕle . GÕouannɬ batÕsta nefue dÕcollato ȸlacolpa de erode . TroÕa 7 lÕtroÕanɬ
15
nefurono dÕstruttÕ . 7 . GrecÕ moltÕ nefurono mortÕ . 7 ɃcɃosumatÕ senza numero . AccÕlles nefu morto 7 tra dÕto . Aghamenone prÕano elsuo lÕgnÕagÕo mortÕ 7 dÕ sertÕ . tutta lanobÕle corte dalture nefu dÕsfatta . TrÕsta no nefu morto 7 uÕnto lancelotto . NamaccÕo loprÕn
20
cÕ . Ghaleotto neȸdette lauÕta . FederÕgho Imȸadore ne fue ɃcɃofuso . OuÕzÕo uelenoso couerto dÕuÕle dolceza lorda 7 brutta lusurÕa quɃatÕ naÕ mortÕ 7 sottopostÕ 7 UÕntÕ ɥ UAllerÕo MaxÕmo ÕllÕbro sexto Õnnarra che . CalensÕn o rettore duna cÕttade fece una legÕe che chÕanda
25
sse amoglÕe altruÕ douesse perdere lÕocchÕ pocho tenpo passato uÕcadde Uno suo fÕglÕuolo lopopulo tutto grÕd aua mÕserÕcordÕa 7 era buona 7 UtÕle pensando losÕn gnore che lagÕustÕzÕa ɃnɃo uolea perÕre 7 lamore dellÕ suoÕ
(19v) cÕtadÕnɬ lostrÕngea chellÕ grÕdauano mercÕe ɁuÕdesÕ do seruare luno 7 laltro cÕoe mÕserÕcordÕa . 7 IustÕzÕa ÕudÕ coe 7 sentenzÕoe che allo fÕglÕuolo fosse cauato luno occhÕo 7 asse medessÕmo laltro ɥ 5
BEato PaulÕno uescouo dÕluccha fue tanto mÕse rÕcordÕoso che chÕedendolÕ Una pouera femÕna
Caso dÕmÕȾrÕ cordÕa
mɃÕa ȸ Uno suo fÕglÕuolo chera ÕnpregÕone . 7 beato– PaulÕno rÕspuose nono dÕche souenÕrtÕ . ma fa che
tu mÕmenÕ alla carcere laue lotuo fÕglÕuolo meno
170
Come lagÕustÕzÕ. sÕdee seguÕre
[42]
Per lussuria morio inel populo d’Isdrael XX M hom|ini. Lo re David ne sdegniò co(n) Domenedio e fec|ene 10
uccidere Uri per torleli Bersabè sua moglie. Amon, figliuolo di David, corruppe colla sua suora carnale, onde Assalon, suo fratello, l’uccise. Salamon amattio p(er) lusuria. Sanson lo forte ne divenne fievile. Giovanni Batista ne fue dicollato p(er) la colpa de Erode. Troia e li Troiani
15
ne furono distrutti, e Greci molti ne furono morti e co(n)sumati senza numero. Accilles ne fu morto e tra– dito Aghamenone. Priano e ’l suo ligniagio morti e di– serti. Tutta la nobile corte d’Alture ne fu disfatta. Trista|no ne fu morto e vinto. Lancelotto namaccio.65 Lo prin–
20
ci Ghaleotto ne p(er)dette la vita. Federigho imp(er)adore ne fue co(n)fuso. O vizio velenoso, coverto di vile dolceza, lorda e brutta lusuria, qua(n)ti n’ài morti e sottoposti e vinti! Vallerio Maximo i· llibro sexto innarra che Calensin|o,
[43]
rettore d’una cittade, fece una legie che chi anda|sse 25
a moglie altrui dovesse perdere li occhi. Pocho tenpo passato, vi cadde uno suo figliuolo. Lo populo tutto grid|ava
Come la giustizi[a] si dee seguire
misericordia, e era buona e utile. Pensando lo sin|gnore che la giustizia no(n) volea perire, e l’amore delli suoi (19v) citadini lo stringea, che lli gridavano mercié, p(ro)videsi d’o|servare l’uno e l’altro: cioè misericordia e iustizia. Iudi– coe e sentenzioe che allo figliuolo fosse cavato l’uno occhio e a ssé medessimo l’altro. 5
Beato Paulino vescovo di Luccha fue tanto mise–
[44]
ricordioso che, chiedendoli una povera femina Caso di mis(er)i– cordia
misericordia p(er) uno suo figliuolo ch’era in pregione, e beato Paulino rispuose: – Non ò di che sovenirti, ma fa che
tu mi meni alla carcere là u’ è lo tuo figliuolo – Menò|velo
––––––– 65
19r–19 n’amattio.
171
10
uelo 7 dellÕ sÕmÕse ÕnpregÕone Õn mano dellÕ soprasta ntÕ 7 dÕsse rendete lofÕglÕuolo aquesta buona femÕ na 7 me tenete ȸluÕ ɥ DIetro caualÕerÕ fue grande dauere 7 douento sÕe mÕserÕcordÕoso che ÕnprÕma tutto lauere
Caso dÕmÕȾ ricordÕa
dÕspenso allÕ pouerÕ 7 quando ebbe tutto dato . 7 ellÕ sÕ
fece uɃedere 7 lopregÕo dÕede tutto ȸdÕo allÕ pouerÕ ɥ ESsendo Carlo magno adoste sopra lÕsaracÕnɬ adu
no suo caualÕere uenne lora della morte . fece suo testamento tralaltre cose gÕudÕco Õlsuo cauallo 7 su Exenplo dÕ sa tÕsfazÕone ȸ lanÕma de mortÕ
e arme allÕpouerÕ 7 losso auno suo parente cheuen desse 7 dÕspensasse lÕdanarÕ apouerÕ . locaualÕere morÕo
quellÕ uendette larme 7 cauallo lÕdanarÕ sÕrÕtenne
maȸcÕo chella ueggÕanza dello uerace ÕustÕzÕatore 7 prossÕmana almalfaccÕente sÕ aparue ÕldÕfunto acc 25
holuÕ Õncapo de xxx dÕe 7 dÕsseglÕ ȸcÕo che lomÕo ta comandaÕ adÕspensare ÕllÕmosÕna ȸanÕma mÕa . Sa ppÕ che dÕo ma dÕlÕberato datuttÕ lÕmÕeÕ peccatÕ 7 ȸ cÕo chemÕa lÕmosÕna rÕtenestÕ . xxx gÕornÕ maÕ fatto .
(20r) Õstare Õnpena sÕtÕdÕco che Õnquesto luogo oueÕo so no Õstato ÕnteraÕ tue domane 7 Õo mÕneuoe saluo ÕnparadÕso . quellÕ sÕsueglÕo tutto ÕsmarÕto lamatÕna conto ȸloste cÕo chellÕ auea UdÕto sÕcome ellÕ parla 5
ua tralloro dÕsÕ grande marauÕglÕa . 7 eccho uenÕre subbÕta mente Uno grÕdare ÕnellarÕa sopra luÕ sÕco me mughÕamento dÕleone . 7 dÕlupo 7 dorsso Õn quella ora fue rapÕto dÕtraloro tutto uÕuo nella rÕa . ÕÕÕɬ gÕornÕ locercɃoɃno caualÕerÕ 7 sergentÕ ȸ m
10
ontÕ 7 ȸuallÕ matrouare ɃnɃo pottono . xÕɬ gÕornɬ a presso dÕcÕo ando loste dÕ Carlo magno ȸlaɒra dÕn
172
10
ed elli si mise in pregione in mano delli soprasta|nti, e disse: – Rendete lo figliuolo a questa buona femi– na e me tenete p(er) lui –. Dietro66 cavalieri fue grande d’avere e doventò
[45]
sie misericordioso che inprima tutto l’avere Caso di mise– ricordia
dispensò alli poveri. E quando ebbe tutto dato, e elli si fece ve(n)dere e lo pregio diede tutto p(er) Dio alli poveri.
Essendo Carlo Magno ad oste sopra li saracini, ad
[46]
u|no suo cavaliere venne l’ora della morte. Fece suo testamento. Tra l’altre cose giudicò il suo cavallo e su|e Exenplo di sa– tisfazione p(er) l’anima de’ morti
arme alli poveri. E lossò67 a uno suo parente che ven– desse e dispensasse li danari a’ poveri. Lo cavaliere morio. Quelli vendette l’arme e cavallo, li danari si ritenne.
Ma p(er)ciò che lla veggianza dello Verace Iustiziatore è prossimana al malfacciente, sí aparve il difunto a 25
cc|holui in capo de XXX die e dissegli: – P(er) ciò che lo mio t’a|comandai a dispensare i· llimosina p(er) anima mia, sa|p– pi che Dio m’à diliberato da tutti li miei peccati. E p(er)– ciò che mia limosina ritenesti, XXX giorni m’ài fatto
(20r) istare in pena. Sí ti dico che in questo luogo ove io so– no istato interai tue domane e io mi ne voe salvo in Paradiso – Quelli si svegliò tutto ismarito. La matina contò p(er) l’oste ciò ch’elli avea udito. Sí come elli parla– 5
va tra lloro di sí grande maraviglia, e eccho venire subbitamente uno gridare inell’aria sopra lui, sí co– me mughiamento di leone e di lupo e d’orsso. In quella ora fue rapito di tra loro tutto vivo nell’a|ria. IIII giorni lo cerco(n)no cavalieri e sergenti p(er)
10
m|onti e p(er) valli, ma trovare no(n) pottono. XII giorni a|presso di ciò andò l’oste di Carlo Magno p(er) la t(er)ra di
––––––– 66 67
19v–13 Pietro. 19v–20 lassò.
173
auarra . 7 Õnauarra lorÕtrouarono locorpo tutto freddo Õnuno pÕetreto presso atre lege delmare 7 a ÕÕÕɬ . gÕornate dÕbaÕona quÕne auÕɃaɃno lÕdÕauo lÕ gÕttata lacarognÕa 7 lanÕma nello Õnferno por
15
tata ȸquesto exemplo sappÕamo quellÕ che lelÕmos Õne dellÕ dÕfuntÕ rÕtengnono quellÕ sÕ dannano ȸpetuale mente ɥ LEggesÕ della bonta del Re GÕouano guere ando colpadre ȸloɃcɃosÕglÕo . DÕbeltrame delbo
20
rno loquale . beltrame sÕuanto chellÕ auea pÕu se nno che nessuno altro . dÕcÕo nacquero molte sent enzÕe delle qualÕ sono scrÕtte quÕe alquante . Bel trame ordÕno colluÕ chesÕ facesse dare allo padre– lasua parte deltesoro 7 lofÕglÕuolo lodÕmando tɃato
25
che lebbe . Beltrame lÕfece tutto donare agÕentÕlÕ g ÕentÕ 7 apouerÕ caualÕerÕ . sÕche rÕmase aneente 7 nonauea pÕu che donare . Uno homo dÕcorte lÕdÕm (20v) ando chellÕ donasse quellÕ rÕspuose che auea tutto do nato . Matanto merÕmaso ancora che Io abbo Uno la Õdo dente . Onde mÕo padre auea Ɂferto . MM . Ma rchÕ achÕ mÕsauesÕpregare che Õo lo dÕparta dame Uae almÕo padre 7 fattÕ dare lÕmarchÕ . 7 Io mÕtra
5
rro lodente allatua petÕzÕone logÕularo ando allo padre 7 prese lÕmarchÕ 7 dellÕ sÕcauo lodente ɥ ANcho auenne che lo detto Re gÕouano donau a auno gÕouane68 homo . CC . MarchÕ 7 losÕnÕscal It delle cortesÕe dello re gÕoua ne
co ouero tosorÕere prese quellÕ . MarchÕ 7 mÕse un o tappeto sulasala 7 uersolÕ suso 7 sotto lÕdanarÕ m
Õse Uno uÕluppo deltappeto ȸche lomonte delargÕe nto paresse maggÕore . Et andando lo Re ȸlasala sÕe lÕmostro lotesorÕerÕ 7 dÕsse orguarda Meɀ comedo
––––––– 68
Lettura difficile.
174
Delle cortesÕe dello re gÕoua ne .
N|avarra e i· Navarra lo ritrovarono: lo corpo tutto freddo, in uno pietreto presso a tre lege del mare e a IIII giornate di Baiona. Qui ne avia(n)no69 li diavo– 15
li gittata la carognia e l’anima nello Inferno por– tata. P(er) questo exemplo sappiamo: quelli che le limos|ine delli difunti ritengnono, quelli si dannano p(er)petualemente. Leggesi della bontà del Re Giovano, guere–
20
[47]
ando col padre p(er) lo co(n)siglio di Beltrame del Bo|rno, lo quale Beltrame si vantò ch’elli avea piú se|nno che nessuno altro. Di ciò nacquero molte
Delle cortesie dello Re Giova|ne
sent|enzie, delle quali sono scritte quie alquante. Bel|trame ordinò co· llui che si facesse dare allo padre 25
la sua parte del tesoro. E lo figliuolo lo dimandò ta(n)to che l’ebbe. Beltrame li fece tutto donare a gientili g|ienti e a poveri cavalieri, sí che rimase a neente e non avea piú che donare. Uno homo di corte li
(20v) dim|andò che lli donasse. Quelli rispuose che avea tutto do– nato: – Ma tanto m’è rimaso ancora che io abbo uno la|ido dente, onde mio padre avea p(ro)ferto MM ma|rchi a chi mi sàve sí pregare che io lo diparta da me. 5
Vae al mio padre e fatti dare li marchi, e io mi tra|rrò lo dente alla tua petizione – Lo giularo andò allo padre e prese li marchi, ed elli si cavò lo dente. Ancho avenne che lo detto Re Giovano donav|a
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a uno giovane homo CC marchi. E lo siniscal– It(em) delle cortesie dello Re Giova– ne
co, overo tosoriere, prese quelli marchi e mise un|o tappeto su la sala e versòli suso, e sotto li danari
m|ise uno viluppo del tappeto p(er)ché lo monte de l’argie|nto paresse maggiore. Et andando lo Re p(er) la sala, sie li mostrò lo tesorieri e disse: – Or guarda, mess(er), come do–
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20r–14 per aviano ‘avevano’.
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nÕ uedÕ quantÕ sono . CC . MarchÕ chelÕaÕ cosÕe ȸ ne ente lo Re lÕauÕso 7 dÕsse pÕccola quantÕtade mÕpa re questa adonare acosÕ ualɃete ɻo dandelÕ ÕÕɠÕɬ . che troppo credea cɻ fossero pÕu 7 dÕmaggÕore UÕsta lÕ CC MarchÕ ɥ LO Re GÕouano dÕnghÕlterra dÕspendea 7 donau
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a tutto allÕ pouerÕ gentÕlÕ caualÕerÕ . Uno gÕorno
It delle cortesÕe del detto re gÕo uane
auenne che Uno caualÕere pouero gÕentÕle . auÕso Un o coȸchÕo duno nappo dargÕento 7 pensossÕ nelanÕ
mo suo . seÕo loposso ascondere lamasnada mÕa nest ara moltÕ gÕornÕ bene . mÕsesÕ locoȸchÕo sotto . lÕsÕnÕ 25
scalchÕ allo leuare delle tauole comÕncÕollo amette re Õnuoce . 7 acerchare lÕcaualÕerÕ alla porta . lo Re . gÕouano auÕso coluÕ che lauea 7 Uenne alluÕ senza romore 7 dÕsseglÕ chetÕssÕma mente mettÕlo sotto am
(21r) ÕeÕ che ɃnɃo seranno cerchatÕ . locaualÕere pÕeno dÕue rghonosa uerghogna lÕlmÕse sotto lo Re . gÕouano lÕ lrendeo dÕfuorÕ dalla porta 7 mÕselsÕsÕ sotto . PoÕ lofece chÕamare 7 cortesemente lÕdono lasua parte della 5
coppa . 7 pÕue dÕcortesÕa fece Una notte Che pouerÕ caualÕerÕ . Introno una notte nellacamera sua 7 cre dendo sÕchuramente chellÕ dormÕsse . Raunarono lÕa rnesÕ 7 lechose amodo dÕfurto quando ebero tutto fu rato . ebeuÕne uno che maluolontÕerÕ lassaua unaco
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ltre molto bella chelo Re auea adosso mÕsesÕ appÕglÕ arla 7 comÕncÕorla attÕrare lo Re ȸɃnɃo rÕmanere sco perto . comÕncÕolla attÕrare forte lÕcaualÕerÕ ȸfare pÕu tosto glÕandarono adatare . 7 puoseno mano alla coltra Allora lo Re gÕouano parlo 7 dÕsse questa sÕe ruba . 7
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nɃo furto auolella tollere ȸ força : Quando lÕcaualÕerÕ ludÕrono parlare fuggÕrono che ÕnprÕma credeano che dormÕsse ɥ
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ni! vedi quanti sono CC marchi che li ài cosie p(er) ne– ente! – Lo Re li avisò e disse: – Piccola quantitade mi pa– re questa a donare a cosí vale(n)te h(om)o. Dandeli CCCC, ché troppo credea ch(e) fossero piú e di maggiore vista li CC marchi –. Lo Re Giovano d’Inghilterra dispendea e donav|a
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tutto alli poveri gentili cavalieri. Uno giorno
It(em) delle cortesie del detto Re Gio– vane
avenne che uno cavaliere povero gientile avisò un|o cop(er)chio d’uno nappo d’argiento e pensossi ne l’ani–
mo suo: se io lo posso ascondere, la masnada mia ne st|arà molti giorni bene. Misesi lo cop(er)chio sotto. Li sini– 25
scalchi allo levare delle tavole cominciollo a mette– re in voce e a cerchare li cavalieri alla porta. Lo Re Giovano avisò colui che l’avea e venne a llui senza romore, e dissegli chetissimamente: – Mettilo sotto a’ m|iei,
(21r) che no(n) seranno cerchati – Lo cavaliere pieno di ve|rghonosa verghogna lil mise sotto. Lo Re Giovano li|l rendeo di fuori dalla porta e miselsisi70 sotto. Poi lo fece chiamare e cortesemente li donò la sua parte della 5
coppa. E piue di cortesia fece una notte che poveri cavalieri intròno una notte nella camera sua, e cre– dendo sichuramente ch’elli dormisse, raunarono li a|rnesi e le chose a modo di furto. Quando ebero tutto fu– rato, ebevine uno che malvolontieri lassava una
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co|ltre molto bella che lo Re avea adosso. Misesi a ppigli|arla e cominciorla71 a ttirare. Lo Re, p(er) no(n) rimanere sco– perto, cominciolla a ttirare forte. Li cavalieri p(er) fare piú tosto gli andarono ad atare e puoseno mano alla coltra. Allora lo Re Giovano parlò e disse: – Questa si è ruba e
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no(n) furto a volella tollere p(er) força – Quando li cavalieri l’udirono parlare, fuggirono, che inprima credeano che dormisse.
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21r–3 miselsi. 21r–11 cominciolla (vedi il verso seguente).
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UNo gÕorno lo Re UecchÕo padre dÕquesto gÕouano Re lorÕprendea forte dÕcendolÕ oue lotuo tesoro . EllÕ rÕsp 20
uose . Meɀ Õo noe pÕu dÕuoÕ . QuÕne fue losÕe 7 lonoe . In gagÕaronsÕ lepartÕ puosero termÕne Uno gÕorno che cÕa scheduno mostrasse suo tesoro lo Re gÕouano InuÕto tut tÕ lÕcaualÕerÕ dello paese che locotale gÕorno fosseno Õn cotale luogho . Uenuto lodÕe deltermÕne lopadre fecÕe
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tendere Uno rÕccho padÕglÕone 7 fece uenÕre molte uerghe doro 7 molto argÕento . InpÕetre 7 ÕnuasellÕ 7 ar nerÕ assaÕ pÕetre prezÕose uerso suso ȸlÕtappetÕ . poÕ par lo 7 dÕsse allo fÕglÕuolo . mostra lotuo tesoro . Allora lofÕglÕ
(21v) uolo trasse laspada delfodero . lÕcaualÕerÕ cherano raunatÕ trassero 7 uscÕano ȸlerughe 7 ȸlepÕaze . tutta laterra coperta dÕcaualÕerÕ . lo uecchÕo Re . ɃnɃo poteo dÕfendere suo tesoro rÕmase alla sengnorÕa delfÕglÕuolo . Et lo fÕ 5
glÕuolo dÕsse allÕ chaualÕerÕ prendete lotesoro uostro chÕ prendea oro chÕ uagellamento . chÕ una cosa chÕ unaltr a dÕsubÕto fue dÕstrÕbuÕto . lopadre rauno suo Õsforço ȸ prendere lofÕglÕuolo lo . Re gÕouano sÕrÕnchÕuse Õnuno castello . Et Beltrame delborno colluÕ lopadre UÕuenne
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adasedÕo . Uno gÕorno allo Re gÕouano ȸ troppo sÕchur tade lÕuenne Uno quadrello Õnella fronte dÕsauentu rosa mente challa contrarÕa fortuna loseguÕtaua che llo ucÕse . ma anzÕ chellÕ morÕsse ueneno alluÕ lÕsuoÕ cr edÕtorÕ tuttÕ 7 dÕmandano loro tesoro chellÕ aueano ɂ
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stato lo . Re gÕouano rÕspuose loro . sengnÕorÕ amala sta gÕone sÕete uenutÕ che louostro tesoro he dÕspeso lÕar nesÕ sono tuttÕ donatÕ . locorpo mÕo ee Õnfermo dÕme ɃnɃo auereste . ogÕmaÕ buono pegnÕo . mafate uenÕre Uno scr tore fue uenuto scrÕuÕ dÕsse lo . Re che Õo obrÕgho lanÕma
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Uno giorno lo Re Vecchio, padre di questo Giovano Re,
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lo riprendea forte, dicendoli: – Ov’è lo tuo tesoro?– Elli risp|uose: 20
– Mess(er), io n’òe piú di voi – Quine fue lo sie e lo noe. In– gagiaronsi le parti. Puosero termine uno giorno che cia– scheduno mostrasse suo tesoro. Lo Re Giovano invitò tut– ti li cavalieri dello paese che lo cotale giorno fosseno in cotale luogho. Venuto lo die del termine, lo padre fecie
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tendere uno riccho padiglione, e fece venire molte verghe d’oro e molto argiento in pietre e in vaselli, e ar– neri72 assai. Pietre preziose versò suso p(er) li tappeti. Poi par|lò e disse allo figliuolo: – Mostra lo tuo tesoro – Allora lo figli|uolo
(21v) trasse la spada del fodero. Li cavalieri ch’erano raunati trassero e uscíano p(er) le rughe e p(er) le piaze. Tutta la terra coperta di cavalieri. Lo Vecchio Re no(n) poteo difendere suo tesoro. Rimase alla sengnoria del figliuolo. Et lo fi– 5
gliuolo disse alli chavalieri: – Prendete lo tesoro vostro – Chi prendea oro, chi vagellamento, chi una cosa, chi un altr|a: di subito fue distribuito. Lo padre raunò suo isforço p(er) prendere lo figliuolo. Lo Re Giovano si rinchiuse in uno castello et Beltrame del Borno co·llui. Lo padre vi venne
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ad asedio. Uno giorno allo Re Giovano, p(er) troppo sichur– tade, li venne uno quadrello inella fronte disaventu– rosamente, cha lla contraria fortuna lo seguitava, che llo ucise. Ma anzi ch’elli morisse, veneno a llui li suoi cr|editori tutti e dimandàno loro tesoro che lli aveano p(re)–
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stato. Lo Re Giovano rispuose loro: – Sengniori, a mala sta– gione siete venuti, ché lo vostro tesoro he dispeso, li ar– nesi sono tutti donati, lo corpo mio èe infermo: di me no(n) avereste ogimai buono pegnio. Ma fate venire uno scr[i]– tore – Fue venuto:– Scrivi – disse lo Re – che io obrigho l’anima
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21r–27 arnesi.
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mÕa aȸpetua pregÕone fÕne atanto che questÕ mÕeÕ cred ÕtorÕ sÕeno paghatÕ . MorÕo costuÕ andarosÕne alpadre dÕ mandano lamoneta . lopadre rÕspuose loro uÕllana 7 a spramente dÕcendo UoÕ sÕete quellÕ che prestate almÕo fÕglÕuolo quello ondellÕ mÕfacea guerra . onde sotto pen
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a dellauere 7 delle ȸsone partÕteuÕ dÕtutta mÕa forza– Allora parlo luno dÕloro 7 dÕsse Meɀ noÕ ɃnɃo seremo ȸde ntÕ che noÕ auemo lanÕma sua ÕnpregÕone . lo Re dÕm ando Õnche modo quellÕ mostrarono la carta allora lo
(22r) padre saumÕlÕo 7 dÕsse ɃnɃo pÕaccÕa adÕo che lanÕma dÕcosÕ ualentre homo ȸmoneta InpregÕone stea . Com ando chefossero paghatÕ 7 cosÕ fu fatto . poÕ uenne . Be ltrame delborno Õnsua forza lo . Re lÕdÕsse tu dÕcestÕ cɻ 5
aueÕ pÕu senno che homo delmondo oue Õltuo senno BeltraÕme rÕspuose 7 dÕsse Meɀ . Io loe ȸduto . quando loȸdestÕ dÕsse lo Re Meɀ IoloȸdettÕ quando uostro fÕg lÕuolo morÕo . Allora lo Re ɃcɃonoue chello uanto chesÕd aua sÕera ȸlabonta delfÕglÕuolo . ȸdonollÕ 7 lassolo and
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are 7 donollÕ ɥ SAladÕno fue soldano 7 fue nobÕlÕssÕmo sÕngnore prode 7 larggo auenne che auna battaglÕa prese Uno caualÕere francescho conaltrÕ assaÕ loquale . france scho lÕuenne Õngrande grazÕa traglÕaltrÕ 7 amaualo so
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pra tutte lecose delmondo . glÕaltrÕ tenea ÕnpregÕone 7 costuÕ dÕfuorÕ ɃcɃosecho 7 uestÕalo nobÕlemente . Et ɃnɃo parea chello . SaladÕno sapesse stare senza luÕ tanto lamaua . Uno gÕornno auenne che questo caualÕere pe nsaua forte mente frase medesÕmo . loSaladÕno sÕnau
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Õdde fecelo chÕamare 7 dÕsse cheuolea sapere dÕche Õ staua cosÕ pensoso . Et quellÕ ɃnɃo uolendo dÕre lo SaladÕno dÕsse tupure ÕldÕraÕ . locaualÕere uedendo questo che non potea fare altro dÕsseglÕ Meɀ ame souÕene dÕmÕa gente dÕmÕo paese . Et loSaladÕno dÕsse poÕ chetu ɃnɃo uuoglÕ
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mia a p(er)petua pregione fine a tanto che questi miei cred|itori sieno paghati – Morio costui. Andarosine al padre, di– mandàno la moneta. Lo padre rispuose loro villana e a|spramente, dicendo: – Voi siete quelli che prestate al mio figliuolo quello ond’elli mi facea guerra. Onde, sotto pen|a
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dell’avere e delle p(er)sone, partitevi di tutta mia forza – Allora parlò l’uno di loro e disse: – Mess(er), noi no(n) seremo p(er)de|nti, ché noi avemo l’anima sua in pregione – Lo Re dim|andò: – In che modo? – Quelli mostrarono la carta. Allora lo
(22r) padre s’aumiliò e disse: – No(n) piaccia a Dio che l’anima di cosí valentre homo p(er) moneta in pregione stea – Com|andò che fossero paghati, e cosí fu fatto. Poi venne Be|ltrame del Borno in sua forza. Lo Re li disse: – Tu dicesti ch(e) 5
avei piú senno che homo del mondo. Ov’è il tuo senno?– Beltraime rispuose e disse: – Mess(er), io l’òe p(er)duto – Quando lo p(er)desti? – disse lo Re – Mess(er), io lo p(er)detti quando vostro fig|liuolo morio – Allora lo Re co(n)nove che llo vanto che si d|ava si era p(er) la bontà del figliuolo. P(er)donolli e lassòlo
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and|are e donolli. Saladino fue soldano e fue nobilissimo singnore,
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prode e larggo. Avenne che a una battaglia prese uno cavaliere francescho con altri assai, lo quale france– scho li venne in grande grazia tra gli altri, e amavalo so– 15
pra tutte le cose del mondo. Gli altri tenea in pregione e costui di fuori co(n) secho, e vestialo nobilemente. Et no(n) parea che llo Saladino sapesse stare senza lui, tanto l’amava. Uno giornno avenne che questo cavaliere pe|nsava fortemente fra sé medesimo. Lo Saladino si n’av|id–
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de, fecelo chiamare e disse che volea sapere di che i|stava cosí pensoso. Et quelli no(n) volendo dire, lo Saladino disse: – Tu pure il dirai – Lo cavaliere vedendo questo, che non potea fare altro, dissegli: – Mess(er), a me soviene di mia gente, di mio paese – Et lo Saladino disse: – Poi che tu no(n) vuogli
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dÕmorare ɃcɃomecho sÕtÕ faro grazÕa 7 lascÕerottÕ . fe cÕe chÕamare suo tesorÕere 7 dÕsse dallÕ . MM . MarchÕ dargÕento lotesorÕere lÕscrÕuea ÕnescÕta dÕnanzÕ daluÕ lapena lÕcorse 7 scrÕsse . MMM . Allora dÕsse lo . SaladÕno.
(22v) che faÕ lotesorÕere dÕsse Õo eraua uolse danare le . M . lo SaladÕno ȸ ɃnɃo danare lÕdÕsse scrÕuÕ ÕÕɞÕɬ 7 dÕsse ȸmala ue ntura seuna tua penna sara pue larga dÕme ɥ SOcrate fue nobÕlÕssÕmo fÕlosafo 7 fue dÕ . Roma 7 allo 5
suo ɒpo mandaro lÕGrecÕ grandÕssÕma 7 nobÕle an bascerÕa allÕ Romanɬ 7 laforma della loro anbascÕata fue ȸdÕfendere lotrÕbuto dallÕ Romanɬ ȸuÕa dÕragÕo ne . 7 fue cosÕ loro Õnposto dallo . Soldano anderete 7 userete ragÕone 7 sebÕsogna Userete moneta glÕanb
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ascÕadorÕ gÕusero a Roma Ɂpuosero laforma della loro InbascÕata Õnello ɃcɃosÕglÕo dÕ . Roma sÕprouÕdde chella rÕsposta della . InbascÕata 7 dÕmanda dellÕ GrecÕ doue sse fare . Socrate senza nessuno altro tenore rÕformɃado loconsÕglÕo che Roma stesse accÕo che ȸ . Socrate fosserÕ
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sposto . glÕanbascÕadorÕ andarono lae . Socrate habÕtau a molto lungÕ da Roma ȸ opponere leloro ragÕonÕ dÕ nanzÕ daluɬ gÕusero alla casa dÕSocrate laquale era ɃnɃo dÕgrande uÕsta trouarono luÕ che coglÕea erbette auÕs arollo dalla lunga . luomo parea loro dÕɃnɃo grande apa
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rÕscenza parlarono ÕnsÕeme ɡsÕderate tutte lerÕspost e dÕssero traloro dÕcostuÕ aueremo grande mercato . A ccÕo chellÕ assenbra loro anzÕ pouero che rÕccho gÕusse ro alluÕ . 7 salutarlo dÕo tÕsaluÕ homo dÕgrande sapÕe nzÕa . laquale ɃnɃo puo essere pÕccola . poÕ che lÕ RomanÕ
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tanno ɡmessa sÕ alta rÕsposta mostaroglÕ larÕformag Õone dello consÕglÕo dÕ . Roma 7 dÕssero noÕ Ɂporemo dÕnanzÕ date lenostre ragÕonÕ lequalÕ sono molte 7los enno tuo Ɂuedera Õndelnostro dÕrÕtto . Et sappÕendo cɻ
(23r) sÕamo arÕccho sÕngnore prenderaÕ questÕ ȸporÕ lÕqua
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dimorare co(n) mecho, sí ti farò grazia e lascierotti – Fe|cie chiamare suo tesoriere e disse: – Dalli MM marchi d’argiento – Lo tesoriere li scrivea in escita dinanzi da lui. La pena li corse e scrisse MMM. Allora disse lo Saladino:
(22v) – Che fai? –Lo tesoriere disse: – Io erava – Volse danare le M. Lo Saladino p(er) no(n) da[n]nare li disse: – Scrivi IIII M – E disse: – P(er) mala ve|ntura se una tua penna sarà pue larga di me –. Socrate fue nobilissimo filosafo e fue di Roma, e allo 5
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suo t(em)po mandaro li Greci grandissima e nobile an– basceria alli Romani. E la forma della loro anbasciata fue p(er) difendere lo tributo dalli Romani p(er) via di ragio– ne. E fue cosí loro inposto dallo soldano: – Anderete e userete ragione; e se bisogna, userete moneta – Gli
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anb|asciadori giusero a Roma. P(ro)puosero la forma della loro inbasciata inello Co(n)siglio di Roma. Sí providde che lla risposta della inbasciata e dimanda delli Greci dove|sse fare Socrate, senza nessuno altro tenore riforma(n)do lo Consiglio, che Roma stesse a cciò che p(er) Socrate fosse ri–
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sposto. Gli anbasciadori andarono lae, Socrate habitav|a molto lungi da Roma, p(er) opponere le loro ragioni di– nanzi da lui. Giusero alla casa di Socrate, la quale era no(n) di grande vista. Trovarono lui che cogliea erbette. Avis|arollo dalla lunga. L’uomo parea loro di no(n) grande apa–
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riscenza. Parlarono insieme. (Con)siderate tutte le rispost|e, dissero tra loro: – Di costui averemo grande mercato –, a|cciò ch’elli assenbrà loro anzi povero che riccho. Giusse– ro a llui e salutârlo: – Dio ti salvi, homo di grande sapie|nzia, la quale no(n) può essere piccola, poi che li Romani
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t’ànno (con)messa sí alta risposta – Most[r]arogli la riformag|ione dello Consiglio di Roma e dissero: – Noi p(ro)poremo dina[n]zi da te le nostre ragioni, le quali sono molte, e lo s|enno tuo p(ro)vederà indel nostro diritto. Et sappiendo ch(e)
(23r) siamo a riccho singnore, prenderai questi p(er)pori, li qua–
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lÕ sono grande quantÕtade 7 appollo nostro sÕngnore sono assaÕ pÕccola cosa . 7 appote puo essere molto utÕle Socra te parlo 7 dÕsse UoÕ mangerete ÕnanzÕ poÕ Õntender 5
emo alle nostre bÕsongnÕe tenero loÕnuÕto mangaro assaÕ cattÕuamente coɃnɃo molto rÕleuo dopo ÕlmangÕare parlo . Socrate allÕ anbascÕadorÕ 7 dÕsse . SengnorÕ quale he meglÕo tra due cose oduna glÕanbascÕadorÕ dÕssero ledue ora andate 7 ubÕdÕte allÕ . Romanɬ colle ȸsone
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che sello comune dÕ . Roma auera leȸsone dellÕ . GrecÕ bene auera leȸsone 7 lauere seÕo prendessÕ loro lÕ Ro manɬ ȸderenno loro ÕntenzÕonɬ . lÕsauÕ anbascÕadorÕ sÕpartÕro assaÕ uerghognÕosa mɃete 7 ubÕdettono allÕ Romanɬ ɥ
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MEɀ AmarÕ sÕngnore dÕmolte ɒre Inproenza au ea Uno suo castello loquale spendea ÕsmÕsurata m ente . passando Meɀ AmarÕ ȸlacontrada quello suo ca stellɃaosellÕ fece ÕnnanzÕ . Ilquale auea nome . Beltrame . ÕnuÕtollo che douesse prendere albergho assua magÕɃoɃe
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Meɀ . AmarÕ lodÕmando come aÕ tue dÕrendÕta lanno Beltrame rÕspuose . Meɀ tanto 7 tɃato come dÕspendÕ dÕ sse . Meɀ AmarÕ spendo pÕu cheÕo nono dÕtrata pÕu dÕ CC . lb dÕtornesÕ lomese . Allora Meɀ AmarÕ dÕsse queste parole chÕ dÕspende pÕu che ɃnɃo guadagnÕa ɃnɃo puote fa
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re che ɃnɃo saffannɬ . partÕosÕ 7 ɃnɃo uolse rÕmanere ɃcɃoluÕ 7 ando adalbergare conunaltro suo castellano ɥ LO Imȸadore FederÕgho fue nobÕlÕssÕmo sÕngnore 7 lagÕente che auea bonta uenÕa alluÕ dÕtutte par
(23v) tÕ ȸcÕo chellÕ donaua molto uolontÕerÕ 7 mostraua bellÕ senbÕantÕ 7 chÕauea alchuna spezÕale bontade alluÕ ue nÕano . trouatorÕ . SonatorÕ . bellÕ parlatorÕ homÕnɬ dar tÕ . gÕostratorÕ . schermÕdorÕ . 7 dognɬ manÕera gentÕ . Et 5
stando lomȸadore Uno gÕorno 7 facea dare lacqua alle manÕ letauole couerte . ɃnɃo auÕeno seɃnɃo andare atauo
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li sono grande quantitade, e appo llo nostro singnore sono assai piccola cosa, e appo te può essere molto utile. Socra|te parlò e disse: – Voi mangerete inanzi, poi intender|emo 5
alle nostre bisongnie – Tenero lo invito. Mang[i]aro assai cattivamente, co· no(n) molto rilevo. Dopo il mangiare parlò Socrate alli anbasciadori e disse: – Sengnori, quale he meglio tra due cose od una?– Gli anbasciadori dissero: – Le due – Ora andate e ubidite alli Romani colle p(er)sone,
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ché se llo Comune di Roma averà le p(er)sone delli Greci, bene averà le p(er)sone e l’avere. Se io prendessi l’oro, li Ro– mani p(er)derenno loro intenzioni – Li savi anbasciadori si partiro assai verghogniosame(n)te e ubidettono alli Romani.
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Mess(er) Amari, singnore di molte t(er)re in Proenza, av|ea
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uno suo castell[an]o lo quale spendea ismisuratam|ente. Passando mess(er) Amari p(er) la contrada, quello suo ca– stella(n)o se lli fece innanzi, il quale avea nome Beltrame. Invitollo che dovesse prendere albergho a ssua magio(n)e. 20
Mess(er) Amari lo dimandò: – Come ài tue di rendita l’anno?– Beltrame rispuose: – Mess(er), tanto e ta(n)to – Come dispendi?– di|sse mess(er) Amari – Spendo piú che io non ò d’i[n]trata, piú di CC libre di tornesi lo mese – Allora mess(er) Amari disse queste parole: – Chi dispende piú che no(n) guadagnia, no(n) puote fa–
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re che no(n) s’affanni – Partiosi e no(n) volse rimanere co(n) lui, e andò ad albergare con un altro suo castellano. Lo imp(er)adore Federigho fue nobilissimo singnore, e
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la giente che avea bontà venia a llui di tutte par– (23v) ti, p(er)ciò ch’elli donava molto volontieri e mostrava belli senbianti, e chi avea alchuna speziale bontade a llui ve– niano: trovatori, sonatori, belli parlatori, homini d’ar– ti, giostratori, schermidori e d’ogni maniera genti. Et 5
stando lo ’mp(er)adore uno giorno, e facea dare l’acqua alle mani, le tavole coverte, no(n) avieno se no(n) andare a tavo–
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la . Allora gÕunsero tre maestrÕ dÕ gromanzÕa ɃcɃo tre schÕ auÕne Õndosso salutarlo cosÕ dÕsubÕto ellÕ dÕmando qua le he lomaestro dÕuoÕ tre luno sÕfece ÕnanzÕ 7 dÕsse M 10
esere sono Io lomȸadore lÕpregho che gucassero corte se mente . quellÕ gucarono loro artÕ 7 loro ɃÕcantamen tÕ lo ɒpo ɃÕcomÕncÕo aturbare conuna pÕoua repente 7 spesso lÕtuonÕ lÕfolgorÕ lÕusrÕeÕ . sÕche lomondo parea che douesse ɂfondare . Una gragnuola uenne che pa
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rea cappellÕ daccÕaÕo lÕcaualÕerÕ ɃÕcomÕncÕarono affugÕre ȸ lecamere chÕ Õnuna parte chÕ Õnunaltra . rÕschÕaro lo tenpo . lÕmaestrÕ chÕesero chomÕato 7 dÕmandano guÕ dardone lo Imȸadore dÕsse domandate quellÕ dÕmand ano loconte dÕsanbonÕfazÕo chedera pue presso allo . I
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mȸadore lÕmaestrÕ dÕssero Meɀ comandate acostuÕ cɻ uengnÕa ɃÕnostro socorsso ɃcɃotra lÕnostrÕ nÕmÕcÕ . loÕmȸ adore nel prego tenera mente loconte sÕmosse 7 par uellÕ essere menato UÕa Inuna bella cÕttade . UenerlÕ Õn anzÕ caualÕerÕ dÕgrande paragÕo bello dÕstrÕerÕ 7 lar
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me lÕapresentonno 7 dÕsseno Alconte questÕ sono ȸte obedÕre . poÕ lÕmostrono lÕnÕmÕcÕ uennero alabattaglÕa loconte lÕsconfÕsse 7 francho lopaese 7 poÕ nefece tre delle battaglÕe dÕ campo ordÕnate 7 uÕnse laɒra dÕeder
(24r) glÕ moglÕe ebbe fÕglÕuolÕ dÕpo moltÕ tempo tenne lasengnorÕa . lassorolo grandÕssÕmo ɒpo poÕ rÕtornaro lofÕglÕuolo del Conte auea gÕa ben xl Annɬ . loconte lÕ parea essere uecchÕo . rÕtornatÕ lÕmaestrÕ rÕconoruensÕ 5
ÕnsÕeme dÕssero lÕmaestrÕ . Uolete rÕtornare auedere lo Imȸadore . loConte rÕspuose 7 dÕsse . loÕmȸadore fÕa or a pue uolte rÕmutato lagente fÕɃnɃo ora tutte nuoue–
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la. Allora giunsero tre maestri di gromanzia co(n) tre schi|avine indosso. Salutârlo cosí di subito; elli dimandò: – Qua|le he lo maestro di voi tre? – L’uno si fece inanzi e disse: 10
– M|esere, sono io – Lo ’mp(er)adore li preghò che gucassero73 corte– semente. Quelli gucarono74 loro arti e loro i(n)cantamen– ti. Lo t(em)po i(n)cominciò a turbare con una piova repente e spesso,75 li tuoni, li folgori, li usriei, sí che lo mondo parea che dovesse p(ro)fondare. Una gragnuola venne che pa–
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rea cappelli d’acciaio. Li cavalieri i(n)cominciarono a ffugire p(er) le camere, chi in una parte chi in un’altra. Rischiarò lo tenpo. Li maestri chiesero chomiato e dimandàno gui– dardone. Lo imp(er)adore disse: – Domandate – Quelli dimand|àno lo conte di San Bonifazio ched era pue presso allo
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i|mp(er)adore. Li maestri dissero: – Mess(er), comandate a costui ch(e) vengnia i(n) nostro socorsso co(n)tra li nostri nimici – Lo imp(er)|adore nel pregò teneramente. Lo conte si mosse e par– velli essere menato via in una bella cittade. Venerli in|anzi cavalieri di grande paragio, bello distrieri e l’ar–
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me li apresentonno e disseno al conte: – Questi sono p(er) te obedire – Poi li mostròno li nimici. Vennero a la battaglia. Lo conte li sconfisse e franchò lo paese. E poi ne fece tre delle battaglie di campo ordinate. E vinse la t(er)ra. Dieder|gli
(24r) moglie. Ebbe figliuoli. Dipo molti76 tempo tenne la sengnoria. Lassòrolo grandissimo t(em)po, poi ritornaro. Lo figliuolo del conte avea già ben XL anni. Lo conte li parea essere vecchio. Ritornati li maestri, riconorvensi 5
insieme. Dissero li maestri: – Volete ritornare a vedere lo imp(er)adore? – Lo conte rispuose e disse: – Lo imp(er)adore fia or|a pue volte rimutato. La gente fin(n)o ora tutte nuove.
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23v–10 giucassero. 23v–11 giucarono. 23v–13 spessa. 24r–1 molto.
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Oue rÕtornereÕ Õo . lÕmaestrÕ . InɃcɃomÕncÕaro arÕdere 7 dÕsseno noÕ uolemo alpostutto rÕmenaruÕ . mÕsersÕ 10
ÕnuÕa 7 camÕnarono grande ɒpo . gÕunsero acorte trou arono lo . Imȸadore 7 suoÕ caualÕerÕ che ancho none ra lÕuero dÕdare lacqua . quando loConte uando coll Õ maestrÕ . loÕmȸadore lÕfacea contare come auea fa tto . Et quellÕ contaua cosÕ poÕ cheÕo mÕpartÕo abbo a
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uuto moglÕe 7 fÕglÕuolÕ dÕ . xl . Annɬ tre battaglÕe hoe fatte dÕcanpo ordÕnate . poÕ che Õo andaÕ . lomondo he tutto rÕuolto 7 rÕnouato come Ua questo fatto . loÕmȸ adore lÕfece dÕre congrandÕssÕmo sollazo 7 ɃcɃo grande festa . 7 lÕbaronɬ 7 lÕcaualÕerÕ altressÕe ɥ
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ARÕmÕnɬ monte sÕe Õnborgogna 7 auÕ Uno sÕn gnore che sÕchÕama losÕngnore da . RÕmÕnɬ mo nte 7 de grande ɃcɃotado . lacontessa . AntÕoccÕa 7 sue camerÕere sÕauÕeno uno portÕere quasÕ mÕlensso era molto grande della ȸsona 7 auea nome . DomenÕco
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una delle camerÕere comÕncÕo agÕacere colluÕ poÕ lomanÕfesto allaltre cosÕ manÕfestando luna allaltra comellÕ lauea dÕsÕ grande mÕsura gÕacettero tutte co lluÕ . 7 laCantessa dÕpolaltre . loConte lespÕo fecelo a
(24v) mazare 7 dello chuore fece fare Una torta . presentolla alla contessa 7 lecamerÕere ne mangarono . lo Conte . uando adonÕeare dÕmando chente fue latorta tutte rÕspuosero buona allora rÕspuose loConte cÕononem 5
erauÕglÕa che DomenÕcho uÕ pÕacea UÕuo 7 ora ue pÕa cÕuto morto . la Contessa 7 ledonne sÕmarauÕglÕano 7 UÕ ddero bene che aueano ȸduto lonore loro . RendettossÕ amonache 7 fecero Uno Monestero che sÕchÕama lomo nestero . da RÕmÕnɬ monte lomonestero crebe 7 dÕue
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Ove ritornerei io? – Li maestri inco(m)minciaro a ridere e disseno: – Noi volemo al postutto rimenarvi – Misersi 10
in via, e caminarono grande t(em)po. Giunsero a corte. Trov|arono lo imp(er)adore e’ suoi cavalieri, che ancho non e– ra livero di dare l’acqua, quando lo conte v’andò coll|i maestri. Lo imp(er)adore li facea contare come avea fa|tto; et quelli contava cosí: – Poi che io mi partio, abbo
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a|vuto moglie, e figliuoli di XL anni. Tre battaglie hoe fatte di canpo ordinate. Poi che io andai, lo mondo he tutto rivolto e rinovato. Come va questo fatto? – Lo imp(er)|adore li fece dire con grandissimo sollazo e co(n) grande festa, e li baroni e li cavalieri altressie.
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Arimini Monte si è in Borgogna, e àvi uno
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sin|gnore che si chiama lo singnore d’Arimini Mo|nte, ed è grande co(n)tado. La contessa Antioccia e sue cameriere sí avieno uno portiere quasi milensso: era molto grande della p(er)sona e avea nome Domenico. 25
Una delle cameriere cominciò a giacere co·llui, poi lo manifestò all’altre. Cosí manifestando l’una all’altra com’elli l’avea di sí grande misura, giacettero tutte co· llui, e la cantessa77 dipo l’altre. Lo conte le spiò. Fecelo
(24v) a|mazare e dello chuore fece fare una torta. Presentolla alla contessa, e le cameriere ne mangarono.78 Lo conte v’andò a donieare; dimandò: – Chente fue la torta?– Tutte rispuosero: – Buona – Allora rispuose lo conte: – Ciò non è 5
m|eraviglia, ché Domenicho vi piacea vivo, e ora v’è pia– ciuto morto! – La contessa e le donne si maravigliàno, e vi|ddero bene che aveano p(er)duto l’onore loro. Rendettossi a monache e fecero uno monestero che si chiama lo mo– nestero d’Arimini Monte. Lo monestero crebe e dive|n–
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24r–28 contessa. 24v–2 mangiarono.
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nto molto rÕccho . 7 cantasÕne questo Õnfauola chequ
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ando alcuno gÕentÕle homo uÕpassaua comoltÕ arnesÕ elleno lofacÕeno ÕnuÕtare adalbergho . 7 faceuaglÕ gra ndÕssÕmo honore . labadessa 7 lemonache lÕuÕenÕano ÕnanzÕ Õnsulo doneare . quella monacha che pÕu Õsgua rdata quella loȾua 7 aɃcɃopangnÕlo . atauola 7 alletto
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lamattÕna sÕleuaua 7 trouauallÕ lacqua 7 latouaglÕola 7 quando era lauato ella glÕaperecchÕaua Uno agho uoto 7 Uno fÕlo dÕseta 7 ɃcɃouenÕa sesÕuolea affÕbÕare che llÕ medesÕmo metesse lofÕlo nella cruna dellagho . 7se alle tre uolte ɃnɃo nometea ledonne lÕtoglÕano tuttÕ su
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oÕ arnesÕ 7 ɃnɃo lÕrendÕeno nÕente 7 semettea lofÕlo nel lagho sÕlÕrendeano glÕarnesÕ 7 donauaglÕ dÕbelle gÕoe llÕ 7 chÕ leggÕe legha questo ȸfauola maɃnɃo ȸuerÕtade ɥ MEɀ MÕglÕore habate dafÕrenze sÕando . ÕncÕcÕlÕa al lo Re . Carlo ȸ Õnpetrare grazÕa che suoe case non
25
po uerbÕo de la natura delle femÕne
fossero dÕsfatte . locaualÕere era molto bene costumato 7 bene seppe cantare . 7 ɁuÕnsale seppe oltra mÕsurabe
ne Ɂferere caualÕerÕ leggÕadrÕ dÕ CÕcÕlÕa fecero ȸ amo79 (25r) re dÕluÕ Uno coredo fue allo desÕnare mangÕarouÕ poÕ lo menaro adonneare mostoglÕ loro gÕoellÕ 7 loro camere 7 loro dÕlettÕ tralÕqualÕ lÕmostrano palla stanpate dÕram e nelle qualÕ ardÕano lÕcÕcÕlÕanÕ anbra 7 aloe 7 delfumo che nesce odorÕferano lecamere loro . domando Meɀ M
5
ÕglÕore . queste palle che dÕletto uÕrendono dÕtelmÕ ȸ co rtesÕa . fuglÕ rÕsposto Õnquelle palle ardÕamo ambra 7 aloe . onde lenostre donne 7 lecamere sono odofÕre . Allo ra parlo Meɀ MÕglÕore 7 dÕsse sÕngnÕorÕ male auete fatto questo none dÕletto . lÕcaualÕerÕ lÕfecero cercho dÕ
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mandando Õlȸche : Quando Meɀ MÕglÕore lÕudde auÕ satÕ ȸ udÕre sÕdÕsse . SÕngnÕorÕ ognÕ cosa tratta dalla na
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A piè di pagina si legge: ȸamore dÕluɬ.
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tò molto riccho. E cantasine questo in favola: che qu|ando alcuno gientile homo vi passava co· molti arnesi, elleno lo facieno invitare ad albergho e facevagli gra|ndissimo honore. La badessa e le monache li vieniano inanzi. In su lo doneare, quella monacha ch’è piú isgua|r–
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data, quella lo s(er)va e aco(n)pangnilo a tavola e a lletto. La mattina si levava e trovavalli l’acqua e la tovagliola. E quando era lavato, ella gli aperecchiava uno agho voto e uno filo di seta; e co(n)venia, se si volea affibiare, ch’e|lli medesimo metesse lo filo nella cruna dell’agho. E se
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alle tre volte no(n) no metea,80 le donne li togliano tutti su|oi arnesi e no(n) li rendieno niente; e se mettea lo filo nel lagho, sí li rendeano gli arnesi e donavagli di belle gioe|lli. E chi leggie, legha questo p(er) favola, ma no(n) p(er) veritade. Mess(er) Migliore Habate da Firenze sí andò in Cicilia
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[56]
al|lo re Carlo p(er) inpetrare grazia che suoe case non
P[r]overbio de la natura delle femine
fossero disfatte. Lo cavaliere era molto bene costumato e bene seppe cantare, e p(ro)vinsale seppe oltra misura be–
ne p(ro)ferere. Cavalieri leggiadri di Cicilia fecero p(er) amo– (25r) re di lui uno coredo. Fue allo desinare; mangiarovi, poi lo menaro a donneare. Mostògli loro gioelli e loro camere e loro diletti; tra li quali li mostràno palla stanpate di ram|e nelle quali ardiano li ciciliani anbra e aloe, e del fumo 5
che n’esce odoriferano le camere loro. Domandò mess(er) M|igliore: – Queste palle che diletto vi rendono? ditelmi p(er) co|rtesia – Fugli risposto: – In quelle palle ardiamo ambra e aloe, onde le nostre donne e le camere sono odo[ri]fire – Allo|ra parlò mess(er) Migliore e disse: – Singniori, male avete
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fatto: questo non è diletto – Li cavalieri li fecero cercho, di– mandando il p(er)ché. Quando mess(er) Migliore li v[i]dde avi– sati p(er) udire, sí disse: – Singniori, ogni cosa tratta dalla na–
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24v–20 ne metea.
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tura . 7 ȸ queste palle sÕȸde /81 quellÕ dÕmandano come Et ellÕ dÕsse che lofuɃmo dellanbra 7 aloe tolle aloro lobuon o odore naturale / che lafemÕna ɃnɃo uale neente seɃnɃo
15
deuÕene come dÕluccÕo ÕstantÕo . Allora lÕcaualÕerÕ . In comÕncÕano loro sollazzo 7 fecero festa del parlare dÕmessere MÕglÕore ɥ UNo borgÕese dÕ FrancÕa auea Una sua MoglÕe mol to bella Uno gÕorno era auna festa conaltre doɃnɃe
20
della uÕlla aueauÕ Una molto bella donna laquale era molto Õsguardata dalla gÕente 7 lamoglÕe dello borgÕe se dÕcea Õnfrase medesÕmo . sÕo auessÕ cosÕ bella cotta co mella . Io sereÕ Õsguardata comella . ȸche Õo sono altre sÕ bella comella . torno acasa almarÕto 7 mostrolÕ cru
25
ccÕoso senbÕantÕ . lomarÕto ladÕmando pÕu uolte ȸche lla Õstaua cruccÕata . ladonna rÕspuose ȸcÕo che Io ɃnɃo sono uestÕta sÕcheÕo possa dÕmorare colaltre donne . All (25v) a cotale festa fuÕ . laltre donne che ɃnɃosono cosÕe belle co me Õo . sÕsono pÕu Õsguardate dÕme ȸlamÕa laÕda cotta . Allora lomarÕto lenpromÕse delprÕmo guadangnÕo chellÕ facesse chellÕ farebbe Una bella cotta . pochÕ gÕo rnÕ dÕmoro . che uenne alluÕ uno altro borgÕese 7 dÕm
5
andoglÕ . x . MarchÕ Õnprestanza . 7 profersellÕ . Õɬ . Marc hÕ dÕguadagno acerto termÕne . rÕspuose lomarÕto ɃnɃo defareÕ neente chelamÕa aɃÕa neserebbe ÕnperÕcolo dÕm orte allora dÕsse lamoglÕe aÕ dÕsleale traÕto tu lofaÕ per nɃo fare mÕa cotta . loborgÕese ȸlepunture delamoglÕe
10
presto largÕento adue MarchÕ dÕguadagnÕo 7 fecelÕ la cotta ella ando almonestero conaltre donne Õnquella stagÕone sÕuera . MerlÕno . Uno parlo 7 dÕsse ȸ sangÕou annÕ quella he bellÕssÕma donna . MerlÕno losauÕo Ɂf eta rÕspuose 7 dÕsse uera mente ella ebella sellÕ nÕm
15
ÕcÕ dello Õnferno nonauesseno parte Õnsua cotta . la– donna sÕuolsse 7 dÕsse dÕtemɬ . SÕre come lÕnÕmÕcÕ de
––––––– 81
Le sbarre oblique possono essere l’aggiunta di un’altra mano.
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Della cotta che ÕlmarÕto fecÕe alla moglÕera dÕmal guada gnÕo :–
tura, e p(er) queste palle si p(er)de – Quelli dimandàno come. Et elli disse che lo fu(m)mo dell’anbra e aloe tolle a loro lo buon|o 15
odore naturale: che la femina no(n) vale neente se no(n)|de viene come di luccio istantio. Allora li cavalieri in– cominciàno loro sollazzo e fecero festa del parlare di messere Migliore. [57]
Uno borgiese di Francia avea una sua moglie mol– 20
to bella. Uno giorno era a una festa con altre don(n)e della villa; aveavi una molto bella donna la quale era molto isguardata dalla giente. E la moglie dello borgie– se dicea infra sé medesimo: – S’io avessi cosí bella cotta
Della cotta che il marito fecie alla mogliera di mal quada|gnio
co|m’ella, io serei isguardata com’ella, p(er)ché io sono altre|sí 25
bella com’ella – Tornò a casa al marito e mostròli cru|ccioso senbianti. Lo marito la dimandò piú volte p(er)ch’e|lla istava crucciata. La donna rispuose: – P(er)ciò che io no(n) sono vestita sí che io possa dimorare co’ l’altre donne. All|a
(25v) cotale festa fui, l’altre donne che no(n) sono cosie belle co– me io, sí sono piú isguardate di me p(er) la mia laida cotta – Allora lo marito le ’npromise, del primo guadangnio ch’elli facesse, che lli farebbe una bella cotta. Pochi gio|rni 5
dimorò che venne a llui uno altro borgiese e dim|andògli X marchi in prestanza. E proferselli II marc|hi di guadagno a certo termine. Rispuose lo marito: – No(n)|de farei neente, ché la mia anima ne serebbe in pericolo di m|orte – Allora disse la moglie: – A[h]i disleale tràito, tu lo fai per
10
no(n) fare mia cotta!– Lo borgiese p(er) le punture de la moglie prestò l’argiento a due marchi di guadagnio e feceli la cotta. Ella andò al monestero con altre donne. In quella stagione si v’era Merlino. Uno parlò e disse: – P(er) San Giov|anni, quella he bellissima donna!– Merlino, lo savio p(ro)f|eta,
15
rispuose e disse: – Veramente ella è bella, se lli nim|ici dello Inferno non avesseno parte in sua cotta – La donna si volsse e disse: – Ditemi, sire, come li nimici de|llo
193
llo Õnferno anno parte ɃÕmÕa cotta dama dÕsse MerlÕ no . Õo uÕdÕroe . rÕmenbrauÕ quando UoÕ foste Alla fe sta doue laltre donne erano Õsguardate pÕu dÕuoÕ . 7
20
UoÕ pensaste chera ȸ uostra laÕda cotta . tutto ledÕsse MerlÕno apunto apunto comera Õstato 7 comella lauea Õntrodutto 7 poÕ dÕsse seÕo fallo dÕneente cer to sÕre no . dÕsse ladonna . 7 ɃnɃo pɩÕo82 che sÕ malua gÕa cotta dÕmorÕ sopra me . Et uedente tutta gÕe
25
nte lasÕspoglÕo . 7 pregho MerlÕno che laprendesse adÕlÕuerare dÕsÕ maluagÕo perÕcholo : .xenplo dÕsoffe renza
UNo grande homo dallexandra andaua Uno
(26r) gÕorno ȸ suoÕ bÕsognÕe ȸlaɒra . Uno altro glÕandaua dÕetro dÕcendoglÕ molta UÕllanÕa 7 spregÕandolo mo lto 7 quellÕ ɃnɃo lÕfacea motto. Unaltro sÕglÕsÕfece Õna nzÕ . ocheɃnɃo rÕspondÕ acolluÕ che tanta uÕllanÕa tÕdÕ ce . rÕspondeglÕ losofferÕtore rÕspuose accoluÕ che dÕcea
5
che rÕspondesse Õo non rÕspondo ȸ che Io nonodo co sa chemÕ pÕaccÕa ɥ COstume era ȸ loreame dÕFrancÕa che luomo chera gÕudÕcato dessere dÕsonorato 7 guasto sÕ andaua Õnsu lacaretta 7 se auenÕa che ɃnɃo morÕsse gÕamaÕ .
10
ɃnɃo trouaua chÕ uolesse usare ɃcɃoluÕ ne uederlo ȸ nesu na ɡdÕzÕone . lacelotto quando Õnpazo ȸamore della ReÕna GÕneura sÕ ando su lacaretta 7 fecesÕ tÕrare ȸ molte luogora . daquello gÕorno ÕnanzÕ ɃnɃo sÕ spregÕo pÕu lacaretta . AnzÕ sÕmuto lo costume che ledame
15
7 ledamÕgelle 7 caualÕerÕ dÕparaggÕo uÕuanno suso assolazo . Amando errante odÕscongnÕoscente homÕnɬ dÕpocho cortesÕa . quanto fu magÕore yɻu xɃpɃo che fe ce locÕelo 7 laɒra che ɃnɃo fue . laceletto che lacÕlotto fue caualÕere dÕschudo 7 muto 7 rÕuolsse sÕ grande
20
––––––– 82
Le lettere sovrascritte possono essere l’aggiunta di un’altra mano.
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Inferno ànno parte i(n) mia cotta? – Dama – disse Merli|no – io vi diroe. Rimenbravi quando voi foste alla fe– 20
sta dove l’altre donne erano isguardate piú di voi, e voi pensaste ch’era p(er) vostra laida cotta? – Tutto le disse Merlino a punto a punto com’era istato e com’ella l’avea introdutto, e poi disse: – Se io fallo di neente? – Cer|to, sire, no – disse la donna – e no(n) piacia Dio che sí malva–
25
gia cotta dimori sopra me – Et vedente tutta gie|nte, la si spogliò e preghò Merlino che la prendesse a diliverare di sí malvagio pericholo.
[E]xenplo di soffe– renza
Uno grande homo d’Allexandra andava uno
[58]
(26r) giorno p(er) suoi bisognie p(er) la t(er)ra. Uno altro gli andava dietro dicendogli molta villanía e spregiandolo mo|lto, e quelli no(n) li facea motto. Un altro sí gli si fece ina|nzi: – O[h], ché no(n) rispondi a collui che tanta villanía ti di– 5
ce? Rispondegli! – Lo sofferitore rispuose a ccolui che dicea che rispondesse: – Io non rispondo, p(er)ché io non odo co– sa che mi piaccia –. Costume era p(er) lo reame di Francia che l’uomo ch’era
[59]
giudicato d’essere disonorato e guasto, sí andava 10
in su la caretta. E se avenia che no(n) morisse, giamai no(n) trovava chi volesse usare co(n) lui né vederlo p(er) nesu– na (con)dizione. Lacelotto quando inpazò p(er) amore della reina Ginevra, sí andò su la caretta e fecesi tirare p(er) molte luogora. Da quello giorno inanzi no(n) si spregiò
15
piú la caretta: anzi, sí mutò lo costume, che le dame e le damigelle e’ cavalieri di paraggio vi vanno suso a ssolazo. Amando83 errante, o discongnioscente homini, di pocho cortesia! quanto fu magiore Iesu Cristo che fe– ce lo cielo e la t(er)ra, che no(n) fue Laceletto, ché Lacilotto
20
fue cavaliere di schudo, e mutò e rivolsse sí grande
––––––– 83
26r–18 Biagi [ibid., p. 42], Conte [ibid., p. 216]: A[h] mondo.
195
costume nello Reame dÕ FrancÕa 7 era . Reame altr uÕ 7 yɻu xɃpo nɃro sÕngnÕore . ɃnɃo poteo fare ȸdonan do allÕ suoÕ offendÕtorÕ che glÕuomÕnɬ ȸdonassero . nello suo reame ȸdono fÕne alla morte 7 pregho 25
e lopadre suo ȸloro ɥ PArlaua uno gÕorno Uno fÕorentÕno rÕsponden do ad alchuno dÕsuȸbÕa . 7 lodando lasapÕenzÕa dÕcendo cosÕ morte . IlsaladÕno chefue cosÕ poderoso sÕ
(26v) ngnore morte logÕouano . Re dÕnghÕlterra che dono tu tto: mortoe . Allexandro sÕngnore chebbe trÕbuto dattuo Õlmondo . mortoe . GulÕo cesare che coquÕsto loprÕmo ho nore dello ImȸÕo mortoe Hector che fue sourano ɃcɃo 5
battÕtore . mortoe . AccÕlles dÕgrecÕa che passaua dÕpro deze tuttÕ lÕgrecÕ . mortoe Nerone Imȸadore che pas so tuttÕ lÕcrudelÕ dÕcrudeltade . mortoe . lancÕlotto che passo lopregÕo dellÕ gostratorÕ . mortoe . TrÕstano che ɃcɃo batteo sÕe aspro . Alla spada . mortoe Sansone che pa
10
ssoe dÕforteza cÕaschuno . mortoe . Salamone che fue soɃɃɣmo sauere . mortoe . Assalon che fue fontana dÕbell ezze che latondÕtura dellÕ suoÕ capellÕ sÕuendÕano ap eso doro . mortoe . Fracescho Uetturale che IncomÕncÕo Una sua ecclesÕccÕuola 7 concÕaua lÕcoȸtoÕ collÕ fratÕ su
15
oÕ . Come Adorato 7 Uerato ȸ tutto labÕto teɎeno rÕsponda chÕuole ȸcoloro spertÕ sono ɃnɃode neente ɥ GRandÕssÕmÕ sauÕ Õstauano Õnuna Õschuola apparÕgÕ 7 dÕsputauano del cÕelo ImȸÕo 7 molto neparlaua no dÕsÕderosa mente 7 come Õstaua dÕsopra aglÕaltrÕ cÕ
20
elÕ . 7 contauano dello cÕelo laue . Saturno 7 dÕ GÕuppÕter 7 dÕ MarçÕ . 7 dello sole 7 della luna 7 come sopra tuttÕ Õ staua lo ImȸÕo . cÕelo 7 sopra quello staua dÕo padre oɣmÕ
196
Com ...
costume nello reame di Francia, e era reame altr|ui! E Iesu Cristo N(ost)ro Singniore no(n) poteo fare, p(er)donan– do alli suoi offenditori, che gli uomini p(er)donassero. Nello suo reame p(er)donò fine alla morte e pregho|e 25
lo padre suo p(er) loro. Parlava uno giorno uno fiorentino, risponden–
[60]
do ad alchuno di sup(er)bia e lodando la sapienzia, dicendo cosí: – Mort’è il Saladino che fue cosí poderoso
Com ...
(26v) Si|ngnore. Mort’è lo Giovano re d’Inghilterra, che donò tu|tto. Morto è Allexandro singnore, ch’ebbe tributo da ttuo84 il mondo. Morto è G[i]ulio Cesare, che coquistò85 lo primo ho– nore dello imp(er)io. Morto è Hector, che fue sovrano co(n)– 5
battitore.86 Morto è Accilles di Grecia, che passava di pro– deze tutti li Greci. Morto è Nerone imp(er)adore, che pas– sò tutti li crudeli di crudeltade. Morto è Lancilotto, che passò lo pregio delli g[i]ostratori. Morto è Tristano, che co(n)– batteo sie aspro alla spada. Morto è Sansone, che
10
pa|ssoe di forteza ciaschuno. Morto è Salamone, che fue som(m)o savere. Morto è Assalon, che fue fontana di bell|ezze, che la tonditura delli suoi capelli si vendiano a p|eso d’oro. Morto è Fracescho vetturale, che incominciò una sua ecclesicciuola, e conciava li cop(er)toi co·lli frati
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su|oi. Com’è adorato e verato p(er) tutto l’abito ter(r)eno? Risponda chi vole p(er) coloro sperti sono no(n)de neente. Grandissimi savi istavano in una ischuola a Pparigi
[61]
e disputavano del cielo Imp(er)io, e molto ne parlava– no disiderosamente, e come istava di sopra agli altri 20
ci|eli. E contavano dello cielo là u’ è Saturno, e di Giuppiter e di Marçi, e dello Sole e della Luna, e come sopra tutti i– stava lo Imp(er)io cielo, e sopra quello stava Dio Padre om(n)i–
––––––– 84 85 86
26v–2 da tutto. 26v–3 conquisto. Sulla scorta di:12r–19 conbattuto; 18v–23 conbatteo; 30r–5 conbattere.
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potente Õnsua mayestade parlando cosÕ uenne Uno m atto 7 dÕsse loro . SÕngnÕorÕ 7 sopra capo dÕquello che alu 25
no rÕspuose agabbo 7 dÕsse . AuÕ uno caɃpɃpllo lomatto sÕna doe . lÕsauÕ rÕmasero 7 dÕsse luno tu credÕ almatto auere dato ÕlcaɣpɃpllo ma ellÕ erÕmaso anoɬ . ordÕchÕamo sopra capo che assaÕ cernono loro ÕscÕenzÕe ɃnɃo trouano neente . Allora
(27r) dÕssero . Mattoe coluÕ che sÕe ardÕto che lamente dÕfuore dello tondo he UÕapue matto 7 fuore dÕsenno quellÕ che– pena 7 penssa dÕsapere losuo prÕncÕpÕo 7 senza nessuno cɻ uole sapere lÕsuoÕ profondÕssÕmÕ pensÕerÕ quando quellÕ sa 5
uÕ ɃnɃo poteno ÕuenÕre sola mɃete che auesse sopra capo ɥ OUoɬ che dÕsÕderate lÕdÕlettÕ delmondo dÕsse GuÕttɃoe pensate sesarebbe matto 7 fuore dÕsenno quellÕ che potesse nella corte dello ImȸÕo dÕ . Roma pascere dÕlÕcha te uÕuande 7 uolesse anzÕ pascere ghÕande traporcÕ o
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quanto he pÕu matto 7 fuorÕ dÕsenno . 7 scongnÕoscente cÕascheduno che abandona laɃcɃopangnÕa dÕuÕta eterna dÕquella nobÕle corte nelaquale loImȸÕo dÕ . Roma he m eno che Unorto . 7 lÕbaronɬ meno che porrÕ 7 leuÕuande troppo peggÕo che ghÕande o forte natÕ che canbÕo e qu
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esto dare oro 7 prendere pÕonbo . oquanto mattÕ noÕ se mo chedÕamo . CÕelo ȸ ɒra 7 ȸpetuale gaudÕo ȸ fastÕgÕoso 2
dÕletto 7 ȸpetuale et nale UÕta ȸ breue 7 fastÕgÕosa 7 laÕda pÕ ena dognÕa ladezza 7 dÕbruteza fÕnal morte ɥ QUando lÕfÕglÕuolÕ del Re PrÕano ebbero rÕfatta . 20
TroÕa chelauÕeno lÕgrecÕ dÕsfatta . 7 aueanonde me nata loro sora . EsÕonam IngrecÕa lo Re . Talamone . 7 A gramone 7 glÕaltrÕ ne lamenonno 7 fecero lÕTroÕanɬ loro raghunanza 7 amÕsta dÕloro amÕcÕ 7 parlano cosÕ lÕgrecÕ cÕfenno grande onta lagente UcÕseno laccÕta dÕ
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exenplo dÕben fa.. per lanÕma
potente in sua mayestade. Parlando cosí, venne uno m|atto e disse loro: – Singniori, e sopra capo di quello che à? – 25
L’u|no rispuose a gabbo e disse: – Àvi uno capp(e)llo – Lo matto si n’a|[n]doe, li savi rimasero. E disse l’uno: – Tu credi al matto avere dato il capp(e)llo, ma elli è rimaso a noi. Or dichiamo: sopra capo ch’è? – Assai cernòno loro iscienzie, no(n) trovàno neente. Allora
(27r) dissero: – Matto è colui ch’è sie ardito che la mente [mette] di fuore dello tondo – He via pue matto e fuore di senno quelli che pena e penssa di sapere lo suo Principio; e senza nessuno [senno] ch(i) vole sapere li Suoi profondissimi pensieri, quando quelli sa– 5
vi no(n) poténo i[n]venire solame(n)te che avesse sopra capo. – O voi che disiderate li diletti del mondo – disse Guitto(n)e –
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pensate se sarebbe matto e fuore di senno quelli che potesse nella corte dello imp(er)io di Roma pascere dilicha– te vivande, e volesse anzi pascere ghiande tra porci. O 10
Exenplo di ben fa[re] per l’anima
quanto he piú matto e fuori di senno e scongnioscente ciascheduno che abandona la co(n)pangnia87 di vita eterna di quella nobile corte ne la quale lo imp(er)io di Roma he m|eno che un orto, e li baroni meno che porri,88 e le vivande troppo peggio che ghiande. O fortenati,89 che canbio è
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qu|esto? dare oro e prendere pionbo. O quanto matti noi se– mo che diamo Cielo p(er) t(er)ra e p(er)petuale gaudio p(er) fastigioso diletto, e p(er)petuale et(er)nale vita p(er) breve e fastigiosa e laida, pi|ena d’ognia ladezza e di bruteza, final morte. Quando li figliuoli del re Priano ebbero rifatta
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Troia, ché l’avieno li Greci disfatta, e aveanonde me– nata loro sora Esionam in Grecia (lo re Talamone e A|gramone e gli altri ne la menonno), e fecero li Troiani loro raghunanza e amistà di loro amici e parlàno cosí: – Li Greci ci fenno grande onta. La gente uciseno, la ccità di|s–
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Sulla scorta di: 13r–17, 21 conpangnia. 27r–13 Biagi [ibid., p. 45], Conte [ibid., p. 220]: porci. 27r–14 forsennati.
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sfecero nostra . Soro . AnsÕonam nemenarono noÕ sÕamo afforzatÕ lacÕtta he rÕfatta lamÕsta nostra he grande lote soro he raunato mandÕamo allÕ grecÕ che cÕfaccÕano lame nda 7 checcÕ rendano nostra soro . AnsÕonam questo ȸlo .
(27v) ParÕgÕ ello buono . Ettor che passo dÕɁdeza tutte lecau allarÕe delmondo quellÕ chefu lofÕore dellÕ caualÕerÕ cɻ UccÕse dÕsua mano mÕlle traRe . 7 baronɬ 7 caualÕerÕ dÕ paraggÕo . rÕspuose 7 dÕsse cosÕe . SÕngnorÕ laguerra ɃnɃo 5
mÕpÕace nello ɃcɃosÕglÕo mÕo none accÕo ȸcÕo chellÕ gre cÕ sono pÕu poderosÕ . dÕnoÕ 7 noÕ ɃnɃo sÕamo dapotere gu erregÕare contra laloro grande potenzÕa . questo che Io dÕco noldÕco ȸuÕltade che sella guerra sera che ɃnɃo possa rÕmanere . Io dÕfendero Una ȸtÕta sÕcome Uno altro caua
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lÕere 7 portro lopeso della battaglÕa sÕcome sÕde porta re ȸ uno altro caualÕere orquesto he ɃcɃotra lÕardÕtÕ co mÕncÕatorÕ laguerra pure fue : Ettor . uccÕdea lÕgrecÕ . Ettor sostenea lÕtroÕanɬ : Ettor Õscanpaua lÕsuoÕ damo rte . Morto . Ettor lÕtroÕanɬ ȸdeano onnɬ dÕfensa . lÕar
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dÕtÕ comÕncÕatorÕ UenÕano meno . Indelle ardÕteze loro TroÕa fue dÕsfatta 7 soprastettero lÕgrecÕ ɥ LObuono . Re MelÕadus 7 locaualÕere senza paura sÕerano nÕmÕcɬ mortale . ImcɃaɃpo andando Uno gÕor no locaualÕere sanza paura aguÕsa dÕcaualÕere . ErrɃate
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dÕscognoscuta mente trouo suoÕ ȾgÕentÕ che molto lam auano maɃnɃo locognoscÕano 7 dÕsseglÕ dÕte caualÕerÕ Õnfede dÕcaualerÕa quellÕ he mÕglÕore caualÕere tralbu ono caualÕere senza paura . loRe MelÕadus . locavalÕ ere rÕspuose 7 dÕsse cosÕ sergÕentÕ sedÕo buona uentu
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ra mÕdonɬ lo . Re . MelÕadus he lomÕglÕore caualÕere che Insella caualchÕ . loȾgÕente che Uolea male allo Re MelÕadus ȸ amore dello loro . SÕngnore 7 dÕsamauanlo
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fecero. Nostra soro Ansionam ne menarono. Noi siamo afforzati, la città he rifatta, l’amistà nostra he grande, lo te– soro he raunato. Mandiamo alli Greci che ci facciano la me|nda e che cci rendano nostra soro Ansionam – Questo p(ar)lò
(27v) Parigi. E llo buono Ettor, che passò di p(ro)deza tutte le cav|allarie del mondo, quelli che fu lo fiore delli cavalieri, ch(e) uccise di sua mano mille tra re e baroni e cavalieri di paraggio, rispuose e disse cosie: – Singnori, la guerra no(n) 5
mi piace, né llo co(n)siglio mio non è a cciò, p(er)ciò che lli Gre– ci sono piú poderosi di noi e noi no(n) siamo da potere gu|erregiare contra la loro grande potenzia. Questo che io dico, nol dico p(er) viltade, ché se lla guerra serà, che no(n) possa rimanere, io difenderò una p(ar)tita sí come uno altro cava–
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liere, e portrò lo peso della battaglia sí come si de porta– re p(er) uno altro cavaliere – Or questo he co(n)tra li arditi co– minciatori. La guerra pure fue. Ettor uccidea li Greci; Ettor sostenea li Troiani; Ettor iscanpava li suoi da mo|rte. Morto Ettor, li Troiani p(er)deano onni difensa. Li ar–
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diti cominciatori veniano meno indelle arditeze loro. Troia fue disfatta, e soprastettero li Greci. Lo buono re Meliadus e lo Cavaliere Senza Paura
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sí erano nimici mortale im ca(n)po. Andando uno gior– no lo Cavaliere sanza paura a guisa di cavaliere erra(n)te 20
discognosc[i]utamente, trovò suoi s(er)gienti che molto l’am|avano, ma no(n) lo cognosciano. E dissegli: – Dite cavalieri, in fede di cavaleria, quelli he migliore cavaliere tra ’l bu|ono Cavaliere senza paura [o] lo re Meliadus?– Lo cavali|ere rispuose e disse cosí: – Sergienti, se Dio buona ventu–
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ra mi doni, lo re Meliadus he lo migliore cavaliere che in sella cavalchi – L[i] s(er)giente che volea[no] male allo re Meliadus p(er) amore dello loro singnore, e disamavanlo
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Cc.1r–51r: in scrittura piena canpo prevale rispetto a campo.
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mortalmente ÕnÕssora lopresono ȸtradÕgÕone . locaua (28r) lÕere senza paura che ɃnɃo sÕpotea dÕfendere . EsconcÕ amente cosÕe amato comellÕ era lomÕsero trauersone sopra Uno ronzÕno 7 comunalmente dÕceano chello menauano anpÕcchare cosÕe tenendo loro camÕno t 5
rouarono . lo Re MelÕadus che andaua altresÕ auno tornÕamento aguÕsa dÕcaualÕere errante . ɃcɃosue ar me couerte dÕmando questÕ sergÕentÕ ȸche mena te UoÕ ampendere questo caualÕere 7 chÕellÕ che cho sÕe lodÕsonorate uÕllana mente . lÕsergÕente rispuo
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sero ellÕ hae bene ȾuÕta lamorte 7 se UoÕ sapeste come UoÕ lomenereste assaÕ pÕu tosto dÕnoÕ . dÕmandate luɬ medesÕmo dÕsuo malfatto lo . Re MelÕadus sÕfece Õna nzÕ 7 dÕsse caualÕere che aÕ tue malfatto aquestÕ ȾgÕ entÕ chetÕmenano cosÕ laÕdamente . locaualÕere rÕspu
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ose nessuna altra cosa hoe fatta seno cheÕo hoe uolu to mettere lauerÕtade ÕnanzÕ come dÕsse lo Re cÕo ɃnɃo puo essere contatemÕ uostro malfatto lo caualÕerÕ rÕspuose molto UolontÕerÕ . SÕre Io tenea mÕo camÕ no aguÕsa dÕcaualÕere errante trouaɬ questÕ ȾgÕentÕ
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dÕmandandomɬ Õnfe dÕcaualerÕa che Io dÕcesse qua le era mÕglÕore caualÕere trallo . Re . MelÕadus . oloca ualÕere senza paura 7 Io ȸmettere louero ÕnanzÕ . dÕssÕ chello Re MelÕadus era mÕglÕore . 7 ɃnɃo lodÕssÕ p Õu che ȸuerÕta dÕre . Ancora che . lo Re . MelÕadus sÕa
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mÕo mortale nÕmÕco . Incanpo 7 mortale mente lodÕsamo . Et Io ɃnɃo uolsÕ mettere altro nuouo fatto . ȸ questo sola mente mÕfanno onta questÕ ȾgÕentÕ . Allora lo . Re MelÕadus comÕncÕo adabattere lÕȾgÕentÕ 7 dÕlÕ
(28v) berollo 7 fecelo dÕscÕoglÕere 7 donolÕ rÕccho cauallo colla transengnÕa couerta 7 pregollo che ɃnɃo ladÕscroprÕsse dÕfÕ
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mortalmente, in issora lo presono p(er) tradigione lo Cava– (28r) liere Senza Paura che no(n) si potea difendere, e sconci|a– mente cosie a[r]mato com’elli era lo misero traversone sopra uno ronzino, e comunalmente diceano che llo menavano a ’npicchare. Cosie tenendo loro camino, 5
t|rovarono lo re Meliadus che andava altresí a uno torniamento a guisa di cavaliere errante co(n) sue ar– me coverte. Dimandò questi sergienti: – P(er)ché mena– te voi a ’mpendere questo cavaliere, e chi [è] elli che cho|sie lo disonorate villanamente? – Li sergiente rispuo–
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sero: – Elli hae bene s(er)vita la morte. E se voi sapeste come, voi lo menereste assai piú tosto di noi. Dimandate lui medesimo di suo malfatto – Lo re Meliadus si fece ina|nzi e disse: – Cavaliere, che ài tue malfatto a questi s(er)gi|enti che ti menano cosí laidamente? – Lo cavaliere rispu|ose:
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– Nessuna altra cosa hoe fatta, se no che io hoe volu– to mettere la veritade inanzi – Come? – disse lo re – ciò no(n) può essere. Contatemi vostro malfatto – Lo cavalieri rispuose: – Molto volontieri, Sire. Io tenea mio cami– no a guisa di cavaliere errante. Trovai questi s(er)gienti.
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Dimandandomi in fé di cavaleria che io dicesse qua– le era migliore cavaliere tra llo re Meliadus o lo ca– valiere senza paura. E io p(er) mettere lo vero inanzi dissi che llo re Meliadus era migliore. E no(n) lo dissi p|iú che p(er) verità dire, ancora che lo re Meliadus sia
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mio mortale nimico in canpo e mortalemente lo disamo. Et io no(n) volsi mettere altro nuovo fatto.91 P(er) questo solamente mi fanno onta questi s(er)gienti – Allora lo re Meliadus cominciò ad abattere li s(er)gienti, e dili–
(28v) berollo, e fecelo disciogliere, e donòli riccho cavallo colla transengnia coverta, e pregollo che no(n) la discroprisse di fi–
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28r–27 Conte [ibid., p. 223]: Et io non volsi metire. Altro no ò fatto.
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ne allo castello 7 partÕrosÕ daluÕ lasera gÕunse locavali ere senza paura allo Albergho leuo lacouerta della sella 5
trouo larme del Re MelÕadus essendo suo nÕmÕco lo Re MelÕadus ɃnɃo ɃcɃognÕoscendosÕ ÕnsÕeme lÕfece sÕgrande dono 7 sÕbella dÕlÕberanza ɥ UNo caualÕere dÕlonbardÕa era molto amÕco dello Im ȸadore FederÕgho 7 auea nome Meɀ . G . loquale no
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nauea erede chesuo fÕglÕuolo fosse . puosesÕ Õnchuore dÕuo lere tutto dÕsȸdere Õnsua UÕta sÕche losuo ɃnɃo rÕmanesse– dopoluɬ . ÕstÕmo quanto potesse UÕuere 7 sopra puosesÕ be ne x . Annɬ . maɃnɃosÕ sopra puose tanto che Õspendendo lo suo scÕalacquando lÕannɬ soprauenero 7 soȸchÕolÕ tenpo
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rÕmase pouero chauea tutto dÕspeso puosesÕ mente nello suo pouero stato rÕccordossÕ dello . Imȸadore federÕgho de lla grande amÕstade che auea auuta ɃcɃoluɬ . Et Õnsua corte molto auea dÕspeso 7 donato puosesÕ dandare alluÕ crede ndo che lorÕceuesse agrande honore . Ando alluɬ 7 fue dÕ
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nanzÕ allo Imȸadore dÕmando che ellÕ era . tutto che bene locognÕoscÕea ellÕ lÕcontoe suo nome . lo Imȸadore lodÕm ando dÕsuo Õstato . locaualÕere lÕconto tutto come sÕɁpuo se 7 come lotempo lÕera soȸchÕato 7 auea tutto dÕspeso . lo Õmȸadore dÕsse mettetelo fuore dÕmÕa corte . 7 sotto pena
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della UÕta ɃnɃo UenÕre ÕnmÕa forza ȸcÕo che tuse quello hɃo che ɃnɃo uuolÕ che dÕpolÕtuoÕ Annɬ nullo auesse bene ɥ …OÕmȸadore FederÕgho . stando adasedÕo amelano sÕ lÕ fugÕo Uno suo . Astore 7 Uolo dentro Õnmelano . loÕm
(29r) ȸadore fece AnbascÕadorÕ 7 mando ȸ esso . lapotesta neten ne ɃcɃosÕglÕo ArÕnghatorÕ Uebbe assaÕ tuttÕ dÕceano che corte sÕa era arÕmandallo . Uno melanese UecchÕo dÕgrande tenpo ɃcɃosÕglÕo alla podestade 7 dÕsse cosÕe come auemo lastore cosÕe 5
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auessÕmo noÕ luɬ . lo Imȸadore che noÕ lÕfaremo sentÕre dÕqu
ne allo castello. E partirosi da lui. La sera giunse lo Cavali|ere senza paura allo albergho. Levò la coverta della sella. 5
Trovò l’arme del re Meliadus. Essendo suo nimico, lo re Meliadus, no(n) co(n)gnioscendosi insieme, li fece sí grande dono e sí bella diliberanza. Uno cavaliere di Lonbardia era molto amico dello im–
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p(er)adore Federigho e avea nome mess(er) G., lo quale no|n 10
avea erede che suo figliuolo fosse. Puosesi in chuore di vo– lere tutto disp(er)dere in sua vita, sí che lo suo no(n) rimanesse dopo lui. Istimò quanto potesse vivere, e soprapuosesi be– ne X anni. Ma no(n) si soprapuose tanto che ispendendo lo suo, scialacquando, li anni sopravenero e sop(er)chiòli tenpo:
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rimase povero, ch’avea tutto dispeso. Puosesi mente nello suo povero stato: riccordossi dello imp(er)adore Federigho, de|lla grande amistade che avea avuta co(n) lui, et in sua corte molto avea dispeso e donato. Puosesi d’andare a llui, crede|ndo che lo ricevesse a grande honore. Andò a llui e fue di–
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nanzi allo imp(er)adore. Dimandò che92 elli era, tutto che bene lo cogniosciea. Elli li contoe suo nome. Lo imp(er)adore lo dim|andò di suo istato. Lo cavaliere li contò tutto come si p(ro)puo– se e come lo tempo li era sop(er)chiato e avea tutto dispeso. Lo imp(er)adore disse: – Mettetelo fuore di mia corte! e sotto pena
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della vita no(n) venire in mia forza, p(er)ciò che tu sè quello homo che no(n) vuoli che dipo li tuoi anni nullo avesse bene! – [L]o imp(er)adore Federigho stando ad asedio a Melano, sí
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li fugio uno suo astore e volò dentro in Melano. Lo im– (29r) p(er)adore fece anbasciadori e mandò p(er) esso. La potestà ne ten– ne co(n)siglio. Aringhatori v’ebbe assai. Tutti diceano che corte– sia era a rimandallo. Uno melanese vecchio di grande tenpo co(n)sigliò alla podestade e disse cosie: – Come avemo l’astore, cosie 5
avessimo noi lui, lo imp(er)adore, che noi li faremo sentire di
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28v–20 chi.
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ello chellÕ fae allo dÕstretto dÕmelano . cosÕe ɃcɃosÕglÕo che ɃnɃo se llÕ mandasse tornarono glÕanbascÕadorÕ 7 contaro allo Im ȸadore come ɃcɃosÕglÕo era tenuto . 7 come lofatto era Õstato loÕmȸadore udendo cÕo dÕsse come pue essere trouasÕ ne 10
ssuno Õnmelano che ɃcɃotradÕasse alla podestade . rÕspuosero lÕanbascÕadorÕ . Meɀ . sÕe che homo fue Meɀ fue Uno Ue cchÕo ɃnɃo puo essere dÕsse loÕmȸadore che homo UecchÕo dÕcesse cosÕe grande UÕllanÕa che fosse cosÕ nudo dÕsenno Meɀ ellÕ purfue . loÕmȸadore dÕsse dÕtemÕ dÕche fazÕonɬ .
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era 7 dÕche guÕsa uestÕto . Meɀ ellÕ era canuto 7 UestÕto dÕ Uerghato essere puo chellÕ he Uno matto ɥ ANdando loÕmȸadore FederÕgho auna caccÕa conueste UerdÕ come era usato trouoe Uno poltrone ÕnsembÕ ante apÕede duna fontana 7 auÕeuÕ Õstesa Una bÕanchÕ
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ssÕma touaglÕa sulerba uerde 7 aueauɬ suso Uno fÕasco ne ɃcɃouÕno 7 suo mangÕare molto pulÕto . loÕmȸadore lÕ chÕese bere lopoltrone rÕspuose ɃcɃoche tÕdareÕ bere 7 que sto nappo ɃnɃo tÕpporraÕ tue aboccha setu aÕ corno darottÕ de luÕno UolontÕerÕ . loÕmȸadore dÕsse cosÕe prestamÕ tuo ba
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rÕglÕone 7 Io bero 7 ÕnpromettotÕ che ÕnmÕa boccha non tocchera . lopoltrone rÕspuose 7 poseglÕle 7 dellÕ beue te nnelÕ conuento ma ɃnɃo lÕlrendeo lobarÕglÕone 7 ÕsprɃoɃo locauallo 7 fuggÕo conesso . lopoltrone auÕso bene alleuestÕ
(29v) menta dacaccÕa chellÕ fosse dellÕ caualÕerÕ dello IÕmȸad ore . laltro gÕorno andoe allacorte loÕmȸadre dÕsse allÕ Us cÕerÕ . Uno poltrone dÕcotale guÕsa seccÕuÕene fatemÕllo uenÕre dÕnanzÕ . lopoltrone uenne 7 fece suo lamento dÕ 5
nanzÕ allo . Imȸadore dÕsuo barÕglÕone . loÕmȸadore lÕfe ce ɃcɃotare come fue pÕu uolte lÕfece ɃcɃotare Intendendo lanouella congrande sollazo lÕbaronÕ ludÕano ɃcɃogrande festa . Allora loÕmȸadore dÕsse cognÕoscerestÕ tue tuo ba rÕglÕone sÕ Meɀ . loÕmȸadore sello trasse dÕsotto . che so
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tto lauea ȸdare asenplo 7 auedere chellÕ era Õstato ɃÕȸso
qu|ello ch’elli fae allo distretto di Melano – Cosie co(n)sigliò che no(n) se lli mandasse. Tornarono gli anbasciadori e contaro allo im– p(er)adore come co(n)siglio era tenuto, e come lo fatto era istato. Lo imp(er)adore, udendo ciò, disse: – Come pue essere? trovasi 10
ne|ssuno in Melano che co(n)tradiasse alla podestade?– Rispuosero li anbasciadori: – Mess(er) sie – Che homo fue? – Mess(er), fue uno ve|cchio – No(n) può essere – disse lo imp(er)adore – che homo vecchio dicesse cosie grande villanía, che fosse cosí nudo di senno – Mess(er) elli pur fue – Lo imp(er)adore disse: – Ditemi di che fazioni
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era e di che guisa vestito? – Mess(er), elli era canuto e vestito di verghato. Essere può ch’elli he uno matto –. Andando lo imp(er)adore Federigho a una caccia con veste
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verdi, come era usato, trovoe uno poltrone in sembi|ante a piede d’una fontana. E avievi istesa una bianchi|s– 20
sima tovaglia su l’erba verde, e aveavi suso uno fiasco– ne co(n) vino e suo mangiare molto pulito. Lo imp(er)adore li chiese bere. Lo poltrone rispuose: – Co(n) che ti darei bere? E que|sto nappo no(n) ti pporrai tue a boccha. Se tu ài corno, darotti de|l vino volontieri – Lo imp(er)adore disse cosie: – Prestami tuo ba–
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riglione e io berò, e inpromettoti che in mia boccha non toccherà – Lo poltrone rispuose e poseglile, ed elli bevé. Te|nneli convento, ma no(n) lil rendeo lo bariglione. E ispro(n)ò lo cavallo e fuggio con esso. Lo poltrone avisò bene alle vesti–
(29v) menta da caccia ch’elli fosse delli cavalieri dello imp(er)ad|ore. L’altro giorno andoe alla corte. Lo imp(er)ad[o]re disse alli us|cieri: – Uno poltrone di cotale guisa se cci viene, fatemi llo venire dinanzi – Lo poltrone venne e fece suo lamento di– 5
nanzi allo imp(er)adore di suo bariglione. Lo imp(er)adore li fe– ce co(n)tare come fue. Piú volte li fece co(n)tare intendendo la novella con grande sollazo. Li baroni l’udiano co(n) grande festa. Allora lo imp(er)adore disse: – Cogniosceresti tue tuo ba– riglione? – Sí, mess(er) – Lo imp(er)adore se llo trasse di sotto, ché
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so|tto l’avea, p(er) dare asenplo e a vedere ch’elli era istato i(n) p(er)so–
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na allora ȸlaneteza dÕluɬ lÕdonoe rÕccha mente ɥ MEɀ AzolÕno dÕ . Romano auea uno suo faulatore lo quale facea faulare quando le notte erano grand e . Una notte auenne chello faulatore auea grande uogl 15
Õa dÕdormÕre . 7 AzolÕno lopreghaua che faulasse lofau lÕerÕ ɃÕcomÕncÕo Una faula duno UÕllano che auea suoÕ ce nto bÕsantÕ ando auno mercato ȸ conperare peccore eb bere due ȸbÕsante tornando colle peccore Uno fÕume– cheauea passato era molto crescÕuto ȸ una grande pÕou
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a chera Õstata . Õstando alla rÕua brÕgossÕ daccÕuÕre Õnque sto modo che Uno pouero pescatore auea Uno suo pÕcch olo burchÕello sÕpÕccholo che ɃnɃo uÕcapea seno louÕllano 7 Una peccora ȸ Uolta . louÕllano ɃÕcomÕncÕo appassare lofÕume era lungo mÕsesÕ conuna peccora Õnello bur
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chÕello comÕncÕo auoghare uogha 7 passa lofaulÕere fue rÕstato 7 ɃnɃo dÕcea pue . Meɀ AzolÕno dÕsse che faÕ dÕe oltra rÕspuose 7 dÕsse Meɀ lassate passare lepecco re poÕ conteremo lofatto :.
(30r) RIccardo locherÕco fue sÕngnÕore della lÕlla 7 fue grande 7 gentÕle homo dÕɁdeza . 7 passo e dÕɁdeza tuttÕ glÕomÕnɬ dello paese . quando . lÕsaracÕnÕ Uene ro ȸ conbattere laspagnÕa sÕfue ellÕ aquella batta 5
glÕa che sÕchÕamoe laspagnÕa laquale fue lapue .– perÕcolosa battaglÕa che fosse . daquella dellÕ TroÕa nɬ coGrecÕ Õnquae . Allora erano lÕsaracÕnɬ ɃcɃo gran de multÕtudÕne . 7 ɃcɃo moltÕ gÕenerazÕonÕ dÕstorm entÕ . RÕccardo loccherÕco fue ɃcɃoducÕtore della prÕ
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ma battaglÕa . ȸ cagÕone chellÕ cauallÕ ɃnɃo sÕpoteno mettere ÕnanzÕ ȸlo Õspauento dellÕ ÕstormentÕ . sÕco mando atutta sua gente che uolgessero legroppe de
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na. Allora, p(er) la neteza di lui, li donoe ricchamente. Mess(er) Azolino di Romano avea uno suo faulatore, lo
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quale facea faulare quando le notte erano grand|e. Una notte avenne che llo faulatore avea grande vogl|ia 15
di dormire, e Azolino lo preghava che faulasse. Lo fau– lieri i(n)cominciò una faula d’uno villano che avea suoi ce|nto bisanti: andò a uno mercato p(er) conperare peccore, èb– bere93 due p(er) bisante. Tornando colle peccore, uno fiume che avea passato era molto cresciuto p(er) una grande piov|a
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ch’era istata; istando alla riva, brigossi d’accivire in que– sto modo che uno povero pescatore avea uno suo picch|olo burchiello, sí piccholo che no(n) vi capea se no lo villano e una peccora p(er) volta. Lo villano i(n)cominciò a ppassare: lo fiume era lungo. Misesi con una peccora inello bur–
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chiello, cominciò a voghare; vogha, e passa. Lo fauliere fue ristato e no(n) dicea pue. Mess(er) Azolino disse: – Che fai? díe oltra – Rispuose e disse: – Mess(er), lassate passare le pecco– re, poi conteremo lo fatto –.
(30r) Riccardo lo Cherico fue singniore della Lilla, e fue
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grande e gentile homo di P(ro)deza, e passoe di p(ro)deza tutti gli omini dello paese. Quando li Saracini vene– ro p(er) conbattere la Spagnia, sí fue elli a quella batta– 5
glia che si chiamoe la Spagnia, la quale fue la pue pericolosa battaglia che fosse da quella delli Troia– ni co’ Greci in quae. Allora erano li Saracini co(n) gran– de multitudine e co(n) molti gienerazioni di storm|enti Riccardo lo Ccherico fue co(n)ducitore della pri–
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ma battaglia. P(er) cagione che lli cavalli no(n) si poténo mettere inanzi p(er) lo ispavento delli istormenti, sí co– mandò a tutta sua gente che volgessero le groppe de’
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29v–18 ebbene. 30r–2 Conte [ibid., p.227]: Proeza.
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cauallÕ allÕ nemÕcÕ . Et tanto rÕcularo lÕcauallÕ che fu tra nemÕcÕ . poÕ quando fue mÕschÕato traloro 7 15
ellÕ ebbe labattaglÕa . dÕnanzÕ allora uenne UccÕden do adestra 7 asÕnÕstra sÕche mÕsero lÕnÕmÕcÕ adÕstruz Õone Et quando loconte dÕTolosa sÕɃcɃobatteo collo Co nte dÕproenza unaltra ÕstagÕone . RÕccardo Õsmon to dello destrÕerÕ 7 monto su Õnuno mulo . 7 lConte
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lÕdÕsse che eccÕo . RÕccardo . Meɀ uoglÕo dÕmostrare cɻ Io ɃnɃo cÕsono ȸcaccÕare neȸ fuggÕre quÕe dÕmostro la sua grande fraceza . laquale era nella sua ȸsona ol tra che ÕnellÕ altrÕ caualÕerÕ ɥ MEɀ . Inberal dalbalzo grande castellano dÕɁen
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za uÕuea molto adagura aguÕsa Õspagnuola cɻ Uno fÕlosafo che auea nome . PÕttagora 7 fue dÕspag ra 7 fece una tauola ȸ ÕsterlomÕa . laquale secondo lÕ . xÕɬ segnalÕ uerano molte sÕgnÕfÕcazÕonɬ danÕmalÕ
(30v) quando lucellÕ sazufano . quando luomo troua la lo da nella UÕa quando lofuoco suona 7 delle ghÕandaÕe 7 delle ghaze 7 delle cornacchÕe . 7 dÕmoltÕ altrÕ anÕ malÕ moltÕ altre sÕgnÕfÕcazÕonɬ secondo laluna . Et co 5
sÕ Meɀ. Inberal caualcando Uno gÕorno ɃcɃosua ɃcɃopan gnÕa andauasÕ prendendo guardÕa dÕquestÕ ucellɬ ȸcÕo chellÕ temea dÕncontrare agure trouo Una femÕ na nello camÕno . dÕmandolla 7 dÕsse dÕmɬ donna aÕ tu ueduto Õnquesta mattÕna . UcellÕ grandÕ corbÕ . ochorn
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acchÕe lafemÕna rÕspuose 7 dÕsse sÕe UÕddÕ Una corna cchÕa sununo ceppo dÕsalce ormÕdÕ uerso qual parte tenea uolta lacoda rÕspuose lafemÕna ella tenea su a coda uolta uerso cul sennerÕ . Allora Meɀ . Imberal temeo lagura 7 dÕsse asua ɃcɃopagnÕa ɃcɃouenga dÕ eu cɻ
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cavalli alli nemici. Et tanto ricularo li cavalli che fu tra’ nemici. Poi, quando fue mischiato tra loro e 15
elli ebbe la battaglia dinanzi, allora venne ucciden– do a destra e a sinistra, sí che misero li nimici a distruz|ione. Et quando lo conte di Tolosa si co(n)batteo collo co|nte di Proenza un’altra istagione, Riccardo ismon– tò dello destrieri e montò su in uno mulo. E ’l conte
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li disse: – Che è cciò, Riccardo? – Mess(er), voglio dimostrare ch(e) io no(n) ci sono p(er) cacciare né p(er) fuggire – Quie dimostrò la sua grande fraceza,95 la quale era nella sua p(er)sona ol– tra che inelli altri cavalieri. Mess(er) Inberal dal Balzo, grande castellano di P(ro)en–
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za, vivea molto ad agura a guisa ispagnuola; ch(e) uno filosafo che avea nome Pittagora e fue di Spag|ra96 e fece una tavola p(er) isterlomia, la quale, secondo li XII segnali, v’erano molte significazioni d’animali:
(30v) quando l’ucelli s’azufano; quando l’uomo trova l’alo– da nella via; quando lo fuoco suona; e delle ghiandaie e delle ghaze e delle cornacchie, e di molti altri ani– mali molti altre significazioni secondo la luna. Et co– 5
sí mess(er) Inberal, cavalcando uno giorno co(n) sua co(n)pan|gnia, andavasi prendendo guardia di questi ucelli, p(er)ciò ch’elli temea d’incontrare agure. Trovò una femi– na nello camino; dimandolla e disse: – Dimi, donna, ài tu veduto in questa mattina ucelli grandi, corbi o
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chorn|acchie? – La femina rispuose e disse: – Sie, viddi una corna|c– chia sun uno ceppo di salce – Or mi dí, verso qual parte tenea volta la coda? – Rispuose la femina: – Ella tenea su|a coda volta verso cul, senneri – Allora mess(er) Imberal temeo l’agura e disse a sua co(n)pagnia: – Co(n)veng a Dieu ch(e)
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30r–22 francheza. 30r–26 Spagna.
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Õo ɃnɃo caualcherea ogÕ nedÕmane quÕ aquesta agura m olto sÕconto poÕ ȸ prodeza ȸ nouÕssÕma rÕsposta che a uea fatta senza pensare quella femÕna ɥ AMando Meɀ TrÕstano ysotta labÕonda sÕ fecero traloro due Uno segnÕale ɃÕquesto modo che quan
..me ysotta e
.rÕstano parlaro no ÕnsÕeme a la fontana
do Meɀ TrÕstano leuolea parlare sÕ andaua aduno gÕ ardÕno dello Re Marcho nelquale auea Una fontana
ɃÕtorbÕdaua lo rÕscello . dÕquella fontana che passaua ȸ
lopalazo laoue staua ysotta . quando ysotta uedea lac qua torbÕdata sÕsapea che TrÕstano era alafontana . O 25
ra uenne che uno maluagÕo caualÕere sÕnauÕdde . 7 contollo alo . Re Marcho lo Re dÕede lochuore acrede re ordÕno una caccÕa partÕsÕ dallÕ caualÕerÕ 7 ÕsmarÕ sÕ daloro . lÕcaualÕerÕ locercauano ȸlaforesta . lo Re tor
(31r) no monto sununo pÕno chera sopra quella fontana lao ue Meɀ TrÕstano leparlaua essendo lo Re su pÕno dÕnott e 7 Meɀ TrÕstano . Uenne alafontana laoue Meɀ TrÕsta no leparlaua . essendo lo Re su pÕno dÕnotte 7 Messere 5
TrÕstano uenne alafontana . Et IntorbÕdo lacqua 7 rogu ardo alpalazo che . y . UenÕsse uÕdde lombra dello Re sue lopÕno pensosÕ quello chera . y . Uenne alla fÕnestra . TrÕ stano lÕfece ceɃno uerso lo pÕno . y . sÕnde auÕdde . Et Me sere TrÕstano dÕsse cosÕe . Madonna uoɬ mandaste ȸ me m
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aluontÕerÕ cÕsono uenuto . ȸ molte parole che dette sono dÕnoɬ 7 dÕme preghouÕ quanto posso ȸuostro honore che uoÕ ɃnɃo mandÕate pÕu ȸ me ɃnɃo ȸ chÕo rÕfÕutÕ dÕfare cosa che honore uÕsÕa . madÕcolo ȸfare rÕmanere mentÕtorÕ lÕmaluagÕ che ȸ ÕnuÕdÕa ɃnɃo fÕnano dÕmale dÕre . la Re
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Õna ȸlo 7 dÕsse maluagÕo caualÕere dÕsleale Io toe fatto quÕ uenÕre ȸ potermÕ ɃcɃopÕangnere ate medesÕmo dello
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io no(n) cavalcherea ogi né dimane qui a questa agura – M|olto si contò poi p(er) prodeza,97 p(er) novissima risposta che a|vea fatta senza pensare quella femina. Amando mess(er) Tristano Ysotta la bionda, sí fecero
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tra loro due uno segniale i(n) questo modo: che quan– [Co]me Ysotta e [T]ristano parlaro– no insieme a la fontana
do mess(er) Tristano le volea parlare, sí andava ad uno gi|ardino dello re Marcho nel quale avea una fontana,
i(n)torbidava lo riscello di quella fontana che passava p(er)
lo palazo là ove stava Ysotta. Quando Ysotta vedea l’ac– qua torbidata, sí sapea che Tristano era a la fontana. O|r 25
avenne che uno malvagio cavaliere si n’avidde e contollo a lo re Marcho. Lo re diede lo chuore a crede– re. Ordinò una caccia. Partísi dalli cavalieri e ismarí|si da loro. Li cavalieri lo cercavano p(er) la foresta. Lo re tor–
(31r) nò, montò sun uno pino ch’era sopra quella fontana là o|ve mess(er) Tristano le parlava. Essendo lo re su·pino di nott|e, e mess(er) Tristano venne a la fontana et intorbidò l’acqua, e rogu|ar– dò98 al palazo che Y. venisse. Vidde l’ombra dello re sue lo pino: pensòsi quello ch’era. Y. venne alla finestra. Tri|stano li fece cen(n)o verso lo pino, Y. sinde avidde. Et me– sere Tristano disse cosie: – Madonna, voi mandaste p(er) me.
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M|alvontieri ci sono venuto p(er) molte parole che dette sono di noi e di me. Preghovi quanto posso p(er) vostro honore che voi no(n) mandiate piú p(er) me, no(n) p(er)ch’io rifiuti di fare cosa che honore vi sia, ma dicolo p(er) fare rimanere mentitori li malvagi che p(er) invidia no(n) finano di male dire – La re–
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ina p(ar)lò e disse: – Malvagio cavaliere disleale, io t’òe fatto qui venire p(er) potermi co(n)piangnere a te medesimo dello
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30v–17 Conte [ibid., p. 229]: Proeza. 31r–5, 6 raguardò.
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tuo grande malfatto . che gÕamaÕ ɃnɃofu caualÕere ɃcɃota nta dÕslÕeltade quanto tuse che ȸtuoÕ parole aÕ unÕ to tuo Õsseo lo Re Marcho 7 me che seÕto uantando tra 20
llÕ caualÕerÕ . ErrantÕ dÕcose che InnelmÕo chuore ɃnɃo potreno maÕ dÕscendere . Onde Õo tÕdÕsfÕdo dÕtutta mÕa força sanza alcuno altro rÕspetto sÕcome dÕsleale caua lÕere . Allora Meɀ TrÕstano dÕsse sellÕ maluagÕ caualÕerÕ dÕcornuaglÕa parlano dÕme ɃÕquesta manÕera . Io UÕd
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Õcho che gÕamaÕ . TrÕstano dÕcÕo ɃnɃo fue colpeuole ne m aÕ ɃnɃo dÕssÕ cosa che dÕsÕnore fosse dÕmÕo seɃnɃo dÕuoɬ ma dache pure . UÕpÕace UbÕdÕroe louostro ɃcɃomandamɃeto andro . Inaltre ȸte afÕnÕre mÕeÕ gÕornÕ forse che ÕnɃazÕ
(31v) cheÕo moÕa lÕmaluagÕ caualÕerÕ dÕcornuaglÕa aranno soffranta dÕme sÕcome ebbero altenpo della . Amoraldo . dÕrlanda quando dÕlÕuraÕ loro 7 loro ɒra dÕuÕle 7 laÕdo Ⱦ uaggÕo . Allora sÕpartÕo senza pÕu dÕre quasÕ mo rendo da 5
llegreza lamattÕna . TrÕstano fece senbÕante dÕcaualcare 7 fae sellare cauallÕ 7 somÕerÕ . UallettÕ Uanno dÕsu ÕngÕso 7 chÕ aportaua frenÕ 7 chÕ selle lotramazo era grande all o Re ɃnɃo pÕacea suo dÕpartÕmento credendo che ɃnɃo fosse dÕ . TrÕstano 7 dysotta quello che detto era raghuno lÕbar
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onɬ 7 mando comandando a . TrÕstano che ɃnɃo sÕpartÕsse appena delchuore sanza suo chomandamento . TrÕstan o rÕmase lo . Re ordÕno tanto che la ReÕna mandoe adÕ re a TrÕstano che ɃnɃo sÕpartÕsse . 7 cosÕ rÕmase . TrÕstano . che ɃnɃo fue sopreso ne Õnganato ȸlosauÕo auedÕmento cɻ
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bbeno tra loro due ɥ DUe nobÕlÕ caualÕerÕ samauano dÕgrande amore lu no auea nome Meɀ . G . 7 laltro Meɀ . S . 7 questÕ du
.ome meɀ .G. teɃne fauella ameɀ .S. ȸche sÕmagÕno che no glÕ prestasse lo palafreno suo
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e caualÕerÕ saueano lungamente amatÕ luno dÕ questÕ sÕmÕse apensare 7 dÕsse Meɀ . S . ae molto bello palafre
tuo grande malfatto, ché giamai no(n) fu cavaliere co(n) ta|nta dislieltade quanto tu sè, che p(er) tuoi parole ài uni– to tuo isseo lo re Marcho e me. Ché sè ito vantando tra 20
lli cavalieri erranti di cose che in nel mio chuore no(n) potréno mai discendere. Onde io ti disfido di tutta mia força sanza alcuno altro rispetto, sí come disleale cava– liere – Allora mess(er) Tristano disse: – Se lli malvagi cavalieri di Cornuaglia parlano di me i(n) questa maniera, io vi
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d|icho che giamai Tristano di ciò no(n) fue colpevole, né m|ai no(n) dissi cosa che disinore fosse di mio se no(n) di voi. Ma da che pure vi piace, ubidiroe lo vostro co(m)mandame(n)to; andrò in altre p(ar)te a finire miei giorni. Forse che ina(n)zi
(31v) che io moia, li malvagi cavalieri di Cornuaglia aranno soffranta di me, sí come ebbero al tenpo della Amoraldo d’Irlanda, quando dilivrai loro e loro t(er)ra di vile e laido s(er)– vaggio – Allora si partio senza piú dire, quasi morendo 5
d’a|llegreza. La mattina Tristano fece senbiante di cavalcare, e fae sellare cavalli e somieri. Valletti vanno di su in giso;99 e chi aportava freni e chi selle: lo tramazo era grande. All|o re no(n) piacea suo dipartimento, credendo che no(n) fosse di Tristano e d’Ysotta quello che detto era. Raghunò li bar|oni
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e mandò comandando a Tristano che no(n) si partisse a ppena del chuore sanza suo chomandamento. Tristan|o rimase; lo re ordinò tanto che la reina mandoe a di– re a Tristano che no(n) si partisse. E cosí rimase Tristano, che no(n) fue sopreso né inganato p(er) lo savio avedimento
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ch’(e)|bbeno tra loro due. Due nobili cavalieri s’amavano di grande amore. L’u|no
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avea nome mess(er) G. e l’altro mess(er) S. E questi du|e [C]ome mess(er) G. ten(n)e favella a mess(er) S. p(er)ché s’imaginò che no gli prestasse lo palafreno suo
cavalieri s’aveano lungamente amati. L’uno di questi si mise a pensare e disse: – Mess(er) S. àe molto bello palafre–
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31v–6 giuso.
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no seÕo glÕchÕedessÕ donerebemÕlo ellÕ cosÕ pensendo lu no chuore lÕdÕcea sÕdarae 7 laltro lÕdÕcea ɃnɃo darae 7 cosÕ tralsÕe 7 noe uÕnse lopartÕto che ɃnɃo glÕdrebe . locaualÕe re fue turbato 7 IncomÕncÕo affare Õstrano senbÕante 7 Õngrosso contra lamÕco 7 cÕascheduno gÕorno lopen
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sÕerÕ crescea 7 Õo ɃnɃouÕlauereÕ locruccÕo tanto chelÕ lasso dÕparlare 7 nol gÕasÕ quando louedea ɃÕnaltra ȸ te lagÕente sÕmarauÕglÕaua molto . Un gÕorno aue nne che Meɀ . S . che auea lopalafreno sotto ɃnɃo poteo
(32r) sostenere pÕu ando ameɀ . G . 7 dÕsse amore mÕo ɃcɃo pangno mÕo ȸche ɃnɃo mÕparlÕ tue 7 ȸche se tu cru ccÕato mecho . 7 quellÕ rÕspuose ȸcÕo che Io tÕchÕesÕ . lopalafreno tuo 7 tu ɃnɃo meluolestÕ dare 7 Meɀ . G . 5
rÕspuose questo nefue gÕamaÕ . lopalafreno sÕa tuo 7 laȸsona che Io tamo come me medesÕmo allora . loca ualÕere sÕrÕɃcɃosÕglÕo 7 rÕtorno Õnsu lamore 7 Õnsu la mÕsta Usata 7 rÕɃcɃonouesÕ che ɃnɃo auea bene pensato ɥ UNo sauÕo relÕgÕoso fue loquale era grandÕssÕmo tr
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allÕ fratÕ predÕcatorÕ Õlquale auea Uno suo fratello che douea caualcare Õnnelloste nello quale saspetta ua che battaglÕa fÕa al postutto ando aquesto suo f ratello frate ȸ ragÕonare colluÕ anzÕ che andasse lo Frate lamunÕo assaÕ 7 dÕsselÕ molte parole tu anderaÕ
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alnome dÕdÕo . labattaglÕa he gÕusta ȸlotuo comune sÕe produomo 7 ɃnɃo dubÕtare dÕmorÕre che forsÕ se nsugnÕ cÕo morestu ɥ UNo FÕlosafo fue loquale andoe auÕsÕtare Uno fÕglÕu olo dÕ Re che ÕstudÕaua ÕnfÕlosofÕa 7 tenea moltÕ dÕ
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Come uno re lÕgÕoso ɃcɃosÕgl.. uno suo fra tello che dou.. andare alla battaglÕa
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no. Se io gli chiedessi, donerebemilo elli? – Cosí pensendo,100 l’u|no chuore li dicea: – Sí, darae; e l’altro li dicea: – No(n) darae – E cosí tra ’l sie e noe vinse lo partito che no(n) gli drebe. Lo cavalie– re fue turbato e incominciò a ffare istrano senbiante, e ingrossò contra l’amico. E ciascheduno giorno lo pen–
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sieri crescea et io non vilaverei101 lo cruccio; tanto che li lassò di parlare e nolgiasi,102 quando lo vedea, i(n)n altra p(ar)– te. La giente si maravigliava molto. Un giorno ave|nne che mess(er) S., che avea lo palafreno sotto, no(n) poteo
(32r) sostenere piú. Andò a mess(er) G. e disse: – Amore mio, co(n)– pangno mio, p(er)ché no(n) mi parli tue? e p(er)ché sè tu cru|cciato mecho? – E quelli rispuose: – P(er)ciò che io ti chiesi lo palafreno tuo e tu no(n) mel volesti dare – e mess(er) G.103 5
rispuose: – Questo né fue giamai. Lo palafreno sia tuo e la p(er)sona: ché io t’amo come me medesimo – Allora lo ca– valiere si rico(n)sigliò, e ritornò in su l’amore e in su l’a|mistà usata, e rico(n)novesi che no(n) avea bene pensato. Uno savio religioso fue lo quale era grandissimo tr|a
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lli frati predicatori, il quale avea uno suo fratello che dovea cavalcare in nell’oste nello quale s’aspetta– va che battaglia fia al postutto. Andò a questo suo f|ratello frate p(er) ragionare co·llui anzi che andasse. Lo frate l’amuniò assai e disseli molte parole: – Tu anderai
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[73]
Come uno re– ligioso co(n)sigl[iò] uno suo fra– tello che dov[ea] andare alla battaglia
al nome di Dio: la battaglia he giusta; p(er) lo tuo Comune sie produomo e no(n) dubitare di morire che forsi se|ns’ugni ciò morestù –. Uno filosafo fue, lo quale andoe a visitare uno figliu|olo
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di re che istudiava in filosofia, e tenea molti di–
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31v–20 pensando. 31v–25 Biagi [ibid., p. 56]; Conte [ibid., p. 232]: rinnovellava. 31v–26 volgíasi. 32r–4 S.
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lÕcatÕ arnesÕ . lolotto ornatÕssÕmo lacamera tutta dÕpÕn
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ta afÕno oro . lofÕlosafo Õsguardando loÕsmalto era doro 7 leparetÕ . 7 tutta lacamera ornatÕssÕma lofÕlosafo uo lea Õsputare ɃnɃo uedea altro che oro . Õsguardando cos Õe 7 ɃnɃo uolendo Õsputare su loro . quando quello fÕ glÕolo de Re aprÕo laboccha ȸ parlare 7 lofÕlosafo uel
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lÕsputo dɃetro ȸlopÕu uÕle luogho dÕtutta lacamera ɥ UNaltro fÕlosafo fue loquale era molto sauÕo 7 aue a nome . DÕogene quello fÕlosafo sÕera Uno gÕorno (32v) bagnÕato ÕnUna troscÕa dacqua 7 ÕstauasÕ Õnsununa gro tto alsole ascugare . 7 Allexandro passaua ɃcɃogrande caua lerÕa . UÕdde lofÕlosafo parlo 7 dÕsse . OdÕuÕno dÕmÕserÕѽa104 uÕ ta dÕmandamɬ cÕo che tÕpÕace 7 darotÕlo . lofÕlosafo rÕsp uose Meɀ Io tÕpregho che mÕtÕleuÕ dalsole ɥ
5
DOndegÕo dÕfÕenaÕa caualcaua Uno gÕorno nobÕlÕsÕ mamente ɃcɃorÕcche arnesÕ ɃcɃogrande ɃcɃopagnÕa un ..no dono che ..cÕe dondegÕo uno huomo .. pÕccÕola ɃcɃo .ÕzÕone
o gÕularo lÕdÕmando chellÕ donasse ȸcortesÕa . 7 Donde gÕo lÕdono . C MarchÕ dargÕento . quando logularo lebbe Õngrenbo sÕ dÕsse Meɀ questo he lomagÕore dono che gÕ
amaÕ mÕfosse donato . dÕsse dÕtemɬ ȸcortesÕa uostro no me . 7 DondegÕo Õspronoe 7 ɃnɃo lÕrÕspuose logularo gÕtto lÕmarchÕ Õnɒra 7 dÕsse cosÕ ɃnɃo pÕaccÕa adÕo che Io pren da . C MarchÕ dÕdono 7 ɃnɃo sappÕa chÕmellÕ dae Dondeg Õo uedendo cÕoe torno 7 dÕsse da che pure louoglÕ sape
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re . Io oe nome DondegÕo dÕfÕenaÕa logularo rÕspuose lÕmarchÕ 7 dÕsse cosÕe negrado negrazÕe ate . Dondeg Õo furone grandÕ dÕsputazÕɃoɃe 7 fu detto che lo gular o parlo bene che tanto fue adÕre quanto tu tÕnese U sato dÕdonare rÕcchamente ɃnɃo saprestÕ fare altro ne p
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Õu poueramente donare ɥ
––––––– 104
Il punto sotto la Õ è un chiaro punto di espunzione.
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Come uno fÕ losafo Õsput.. Õn bocca al fÕglÕo delre ȸ lopÕu uÕle luogo della casa
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licati arnesi: lo lotto105 ornatissimo, la camera tutta dipin– ta a fino oro. Lo filosafo isguardando, lo ismalto era d’oro e le pareti e tutta la camera ornatissima; lo filosafo vo– lea isputare, no(n) vedea altro che oro. Isguardando cos|ie
Come uno fi– losafo isput[oe] in bocca al figlio del re p(er) lo piú vile luogo della casa
e no(n) volendo isputare su l’oro, quando quello fi– 25
gliolo de re aprio la boccha p(er) parlare, e lo filosafo ve l|l’isputò de(n)tro p(er) lo piú vile luogho di tutta la camera. Un altro filosafo fue, lo quale era molto savio e ave|a
[75]
nome Diogene. Quello filosafo si era uno giorno (32v) bagniato in una troscia d’acqua e istavasi in sun una gro|tto106 al sole a sc[i]ugare. E Allexandro passava co(n) grande cava– leria. Vidde lo filosafo, parlò e disse: – O divino di misera vi– ta, dimandami ciò che ti piace e daròtilo – Lo filosafo 5
risp|uose: – Mess(er), io ti pregho che mi ti levi dal sole –. Don Degio di Fienaia cavalcava uno giorno nobilisi–
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mamente co(n) ricche arnesi, co(n) grande co(n)pagnia. Un|o [D’u]no dono che [fe]cie don Degio [a] uno huomo [di] picciola co(n)– |[d]izione
giularo li dimandò che lli donasse p(er) cortesia e don De|gio li donò C marchi d’argiento. Quando lo gularo l’ebbe in grenbo sí disse: – Mss(er), questo he lo magiore dono che
gi|amai mi fosse donato – Disse:– Ditemi p(er) cortesia vostro no– me – E don Degio ispronoe e no(n) li rispuose. Lo gularo gittò li marchi in t(er)ra e disse cosí: – No(n) piaccia a Dio che io pren– da C marchi di dono e no(n) sappia chi me lli dae – Don Deg|io 15
vedendo cioe, tornò e disse: – Da che pure lo vogli sape– re, io òe nome don Degio di Fienaia – Lo gularo rispuose li marchi e disse cosie: – Né grado né grazie a te, don Deg|io – Furone grandi disputazio(n)e e fu detto che lo gular|o parlò bene che tanto fue a dire quanto: – Tu ti ne sè
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u|sato di donare ricchamente, no(n) sapresti fare altro, né p|iú poveramente donare –.
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32r–20 letto. 32v–1, 2 grotta.
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MAestro Tadeo leggÕendo asuoɬ ÕscolarÕ ɃÕmedÕcÕna trouo che chÕmangÕasse ɃcɃotÕnuamɃete demelonɬ Come Õmello ncÕanÕ faɃno Õnpazzare
UÕÕÕɬ . gÕornÕ che dÕuenterebe matto 7 prouaualo seɃcɃod o fÕsÕca . uno suo ÕscolaÕo udendo quello capÕtulo puosesÕ
dÕuolerlo Ɂuare comɃÕcÕo amɃagÕare demelonɬ ɃÕcapo deu ÕÕÕɬ gÕornÕ uenne dÕnɃazÕ almaestro 7 dÕsse cosÕe maestro locotale capÕtulo che dÕceste ɃnɃone uero che Io loe Ɂuato107 (33r) 7 ɃnɃo son matto . 7 pure azasÕ Õpannɬ 7 mostraglÕ Õlcu lo . IscrÕuete dÕsse Ilmaestro chede prouato 7 faccÕasÕ ne nuoua chÕosa ɥ MEɀ loÕmȸadore FederÕgho auea due grandÕssÕmÕ sa uÕ . luno auea nome Meɀ Bolgaleo 7 laltro Meɀ .
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MartÕno . Õstando loÕmȸadore UgÕorno traquestÕ due sauÕ . luno lÕstaua adestra . 7 laltro asÕnestra . loÕmȸadore fece loro Una quÕstÕone . 7 dÕsse sÕngnÕorÕ secondo lauostra leggÕe possÕo allÕ suddÕtÕ mÕeÕ tollere auno 7 dare aun altro senza altra cagÕone . accÕo che Io sono sÕngnore 7 la
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legÕe dÕce che cÕo che pÕace alsÕngnore puo allegere tra lÕsudÕtÕ suoɬ . dÕtemɬ se Io loposso fare poÕ chemÕ pÕace lu no dellÕ due sauÕ rÕspuose . Meɀ cÕo chetÕpÕace puoÕ fa re . dÕquello detuoÕ suddÕtÕ senza nulla colpa . laltro rÕsp uose 7 dÕsse cosÕ Meɀ ame ɃnɃo pare accÕo che laleggÕe
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he gÕustÕssÕma lesue ɃcɃodÕzÕonɬ sÕuoglÕono gÕustÕssÕma m ente obȾuare 7 seguÕtare . 7 quando uoÕ toleste sÕe sÕu uole sapere ȸche 7 acuÕ date 7 ȸche . luno sauÕo 7 lalt ro dÕcea uero . ȸcÕo dono adanbÕndue alluno dono caɃpɃpllo dÕscarlatto 7 palafreno bÕancho . 7 alaltro dono chefacesse
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Una leggÕe asuo senno . dÕquesto fue questÕonɬ traglÕsauÕ accuɬ auea pÕu rÕcchamente donato . fue tenuto che accoluɬ cheauea dÕtto che potea tollere 7 dare come lÕ pÕacea dÕede roba 7 palafreno come agularo perche lauea lodato . 7 acoluÕ che seguÕtaua lagÕustÕtÕa sÕdÕede
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affare Una leggÕe ɥ
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A piè di pagina si legge: 7 ɃnɃoso matto ɥ
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Come due sa.. ɃcɃosÕglÕaro lomp. radore / luno. ragÕone .l a .... a pÕacÕere
Maestro Tadeo, leggiendo a suoi iscolari i(n) medicina,
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trovò che chi mangiasse co(n)tinuame(n)te de’ meloni Come i mello|n– ciani fan(n)o inpazzare
VIIII giorni, che diventerebe matto. E provavalo seco(n)d|o fisica. Uno suo iscolaio, udendo quello capitulo, puosesi
di volerlo p(ro)vare. Comi(n)ciò a ma(n)giare de’ meloni. I(n) capo de V|IIII giorni venne dina(n)zi al maestro e disse cosie: – Maestro, lo cotale capitulo che diceste no(n)n è vero, ché io l’òe p(ro)vato (33r) e no(n) son matto – E pure a[l]zàsi i panni e mostràgli il cu– lo. – Iscrivete – disse il maestro – ched è provato; e facciasi|ne nuova chiosa –. Mess(er) lo imp(er)adore Federigho avea due grandissimi sa– 5
[78]
vi: l’uno avea nome mess(er) Bolgaleo, e l’altro mess(er) Come due sa[vi] co(n)sigliaro lo ’mp|[e]– savi: l’uno li stava a destra e l’altro a sinestra. Lo imp(er)adore radore: l’uno [a] ragione [e] l’a[ltro] a piaciere fece loro una quistione e disse: – Singniori, secondo la vostra
Martino. Istando lo imp(er)adore u’ giorno tra questi due
leggie poss’io alli sudditi miei tollere a uno e dare a un 10
altro senza altra cagione, acciò che io sono singnore e la legie dice che ciò che piace al singnore può allegere tra li suditi suoi? Ditemi se io lo posso fare, poiché mi piace – L’u|no delli due savi rispuose: – Mess(er), ciò che ti piace puoi fa– re di quello de’ tuoi sudditi senza nulla colpa – L’altro risp|uose
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e disse cosí: – Mess(er), a me no(n) pare; acciò che la leggie he giustissima, le sue co(n)dizioni si vogliono giustissimam|ente obs(er)vare e seguitare. E quando voi toleste, sie si v|uole sapere p(er)ché e a cui date – E p(er)ché l’uno savio e l’alt|ro dicea vero, p(er)ciò donò ad anbindue. All’uno donò capp(e)llo
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di scarlatto e palafreno biancho; e a l’altro donò che facesse una leggie a suo senno. Di questo fue questioni tra gli savi, a ccui avea piú ricchamente donato. Fue tenuto che a ccolui che avea ditto che potea tollere e dare come li piacea, diede roba e palafreno come a gularo, perché
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l’avea lodato. E a colui che seguitava la giustitia, sí diede a ffare una leggie.
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FUe uno Re molto crudele loquale ȸseguÕtaua lop (33v) opulo dÕdÕo 7 dera lasua grandÕssÕma forza 7 ɃnɃo potea a quÕstare neente ɡtra quello populo ȸcÕo chedÕo lamaua quello Re ragÕono ɃcɃo Ballaam Ɂfeta 7 dÕsse dÕmÕ Ballaa3 che eccÕo chellÕ mÕeÕ nemÕcÕ sono assaÕ meno podero 5
sÕ dÕme 7 Io ɃnɃo posso fare loro nullo danagÕo . Et Bal laam . rÕspuose ȸcÕo chellÕ he populo dÕdÕo . ma Io faroe sÕe che tue potraÕ aquÕstare sopra loro . Che Io andro– 7 maladÕrollÕ . Et tue draÕ loro labattaglÕa 7 auera Õ uÕttorÕa sopra loro . Monto questo . Ballaam sunu
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no AsÕno 7 ando suȸ Uno monte . 7 lopopulo era q uasÕ lagÕu allo pÕano . 7 quellÕ andaua ȸ maladÕ glÕ dÕsu lomonte Allora langÕelo dÕdÕo sellÕ fece ÕnanzÕ 7 ɃnɃo lolassaua posare Et quellÕ pungea lasÕno credendo che aonbrasse . lasÕno parlo . 7
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dÕsse ɃnɃo mÕbattete . UedÕ langÕelo dÕdÕo conuna Õspada dÕfuoco ɃÕmano laquale ɃnɃo mÕlascÕa an dare . Allora loɁfeta . Balaam guardo 7 UÕdde la ngÕelo . Et langÕelo parlo 7 dÕsse che eccÕo chetu UaÕ amaladÕre lopopulo dÕdÕo . InɃcɃotanente se
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tu ɃnɃo uuollÕ morÕre lobenedÕ . come tue louoleÕ maladÕre . loɁfeta lobenedÕe . Et lo Re dÕcea que sto none maladÕre che faÕ tu . loɁfeta rÕspuose Me sere . Io ɃnɃo posso altro che langelo dÕdÕo mello com ando onde faraÕ cosÕ . tuaɬ dÕbelle femÕne 7 dellÕ
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nanno carestÕa toletene Una quantÕtade dÕmo lte belle . 7 faloro rÕcche UestÕmenta . Et fa loro po nere dapetto Uno affÕbÕallÕo doro nello quale sÕa
(34r) IntaglÕata lÕdola chetu adorÕ cÕoe lÕdola che sÕchÕa maua lastatua dÕ MarsÕ . 7 dÕraÕ cosÕe loro che elle ɃnɃo sÕa ɃcɃosentano aneuno se ellÕ ɃnɃo Ɂmettono ɃÕprÕ
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Come barlɃaɃm maladÕe lo popolo dÕdÕo ȸ loro pecca to
Fue uno re molto crudele lo quale p(er)seguitava lo (33v) p|opulo di Dio. Ed era, la sua, grandissima forza e no(n) potea a|quistare neente (con)tra quello populo, p(er)ciò che Dio l’amava. Quello re ragionò co(n) Ballaam p(ro)feta e disse: – Dimi, Ballaam,
[79] Come Barla(a)m maladie lo popolo di Dio p(er) loro pecca– to
che è cciò che lli miei nemici sono assai meno podero– 5
si di me e io no(n) posso fare loro nullo danagio? – Et Bal|laam rispuose: – P(er)ciò ch’elli he populo di Dio. Ma io faroe sie che tue potrai aquistare sopra loro: che io andrò e maladirolli, et tue drai loro la battaglia e avera|i vittoria sopra loro – Montò questo Ballaam sun
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u|no asino e andò su p(er) uno monte. E lo populo era q|uasi là giú allo piano, e quelli andava p(er) maladi|gli di su lo monte. Allora l’angielo di Dio se lli fece inanzi e no(n) lo lassava posare.108 Et quelli pungea l’asino, credendo che aonbrasse. L’asino parlò e
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disse: – No(n) mi battete. Vedi l’angielo di Dio con una ispada di fuoco i(n) mano, la quale no(n) mi lascia an– dare – Allora lo p(ro)feta Balaam guardò e vidde l’a|ngielo. Et l’angielo parlò e disse: – Che è cciò, che tu vai a maladire lo populo di Dio? Inco(n)tanente, se
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tu no(n) vuolli morire, lo benedí, come tue lo volei maladire! – Lo p(ro)feta lo benedie. Et lo re dicea: – Que|sto non è maladire. Che fai tu? – Lo p(ro)feta rispuose: – Me|sere, io no(n) posso altro, ché l’angelo di Dio me llo com|andò. Onde farai cosí: tu ài di belle femine, ed elli
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n’ànno carestia; toletene una quantitade di mo|lte belle e fa loro ricche vestimenta, et fa loro po– nere da petto uno affibiallio d’oro, nello quale sia
(34r) intagliata l’idola che tu adori, cioè l’idola che si chia– mava la statua di Marsi. E dirai cosie loro: che elle no(n) si aco(n)sentano a neuno se elli no(n) p(ro)mettono i(n)pri–
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33v–13 pasare.
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ma dadorare quella fÕgura dÕ MarsÕ 7 pon loro 5
grandÕ pene che alpostutto ɃnɃo ɃcɃosentano altra m ente PoÕ quɃade ebbÕ aueranno peccato . Io auero balÕa dÕmaladÕglÕ lo Re cosÕ fece tolse dÕbelle Fe mÕne 7 mandolle ɃÕquello modo nel canpo dellÕ suoÕ nÕmÕcÕ glÕomÕnÕ nerano uoglÕosÕ ɃcɃosentÕano
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7 adorauano lÕdole poÕ peccauano conelle . Allo ra loɁfeta ando 7 maladÕsse lopopulo dÕdÕo 7 dÕo ɃnɃo glÕato 7 partÕe lamore suo daloro . lo Re dÕede labattaglÕa 7 ÕsconfÕssellÕ tuttÕ . onde ȸcÕo lÕgÕustÕ patÕeno pena della colpa dalquantÕ che peccono
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poÕ sÕrÕconoueno 7 feceno penÕtenza 7 caccÕarono lefemÕne 7 raɃcɃocÕarsÕ ɃcɃodÕo 7 toɃrarɃoo nella loro frɃachÕgÕa ɥ DUe Re fenno cherano nelle partÕ dÕGrecÕa lu no era troppo pÕu poderoso delaltro . furono Õn sÕeme a battaglÕa lo pÕu poderoso ȸdeo andonne ɃÕ
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nuna sua camera . Et marauÕglÕosÕ come auesse sog nÕato alpostutto ɃnɃo credea auere ɃcɃobattuto . Inquella langelo dÕdÕo Venne alluɬ 7 dÕsse come Õste che pe nsÕ tue tu nonaɬ sognÕato anzÕ aÕ ɃcɃobattuto 7 se Õsco nfÕtto lo Re Õsguardo langelo 7 dÕsse come puo essere
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cheÕo auea tre cotanta gente dÕluÕ ȸche me auenu to rÕspuose langelo ȸchetuse nÕmÕcho dÕdÕo . lo Re dÕsse ore lonÕmÕco mÕo sÕe amÕco dÕdÕo che ȸcÕo ma
(34v) bÕa UÕnto . ɃnɃo dÕsse langelo madÕo lofae ȸ Uedetta dello nemÕco suo . collo nÕmÕco suo Uatue ɃcɃoloste tua 7 ɃcɃobattÕ coluÕ 7 IsconfÕgeralo comellÕ a ÕsɃcɃofÕtto te . Allora questo Re ando 7 rÕɃcɃobatteo ɃcɃo questo suo 5
nÕmÕco 7 ÕsɃcɃofÕsello 7 Ɂselo sÕcome langelo glÕauea detto ɥ TUlÕo fue fÕlosafo sapÕentÕssÕmo 7 fece larettolÕca
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Come dome nedÕo fae ·· ndetta del nemÕco suo col nemÕc· suo
ma d’adorare quella figura di Marsi, e pon loro 5
grandi pene che al postutto no(n) co(n)sentano altram|ente. Poi, qua(n)de ebbi109 averanno peccato, io averò balía di maladigli – Lo re cosí fece. Tolse di belle fe– mine e mandolle i(n) quello modo nel canpo delli suoi nimici. Gli omini n’erano vogliosi: co(n)sentiano
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e adoravano l’idole, poi peccavano con elle. Allo– ra lo p(ro)feta andò e maladisse lo populo di Dio. E Dio no(n) gli atò, e partie l’amore suo da loro. Lo re diede la battaglia e isconfisselli tutti. Onde p(er)ciò li giusti patieno pena della colpa d’alquanti che peccòno.
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Poi si riconoveno e feceno penitenza, e cacciarono le femine e raco(n)ciarsi co(n) Dio. E tor(n)aro(n)o nella loro fra(n)chigia. Due re fenno110 ch’erano nelle parti di Grecia; l’u|no
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era troppo piú poderoso de l’altro. Furono in– sieme a battaglia: lo piú poderoso p(er)deo. Andonne i(n)|n 20
una sua camera, et maravigliòsi come avesse sog|niato: al postutto no(n) credea avere co(n)battuto. In quella l’angelo di Dio venne a llui e disse: – Come istè? che
Come Dome– nedio fae [ve]|n– detta del nemico suo col nemic[o] suo
pe|nsi tue? Tu non ài sogniato, anzi ài co(n)battuto e sè isco|nfitto – Lo re isguardò l’angelo e disse: – Come può essere, 25
che io avea tre cotanta gente di lui? P(er)ché m’è avenu|to?– Rispuose l’angelo: – P(er)ché tu sè nimicho di Dio – Lo re disse: – Or è lo nimico mio sie amico di Dio, che p(er)ciò
(34v) m’a|bia vinto? – No(n) – disse l’angelo – ma Dio lo fae p(er) ve[n]detta dello nemico suo collo nimico suo. Va tue co(n) l’oste tua e co(n)batti co’ lui, e isconfigera’lo, com’elli à isco(n)fitto te – Allora questo re andò e rico(n)batteo co(n) questo suo 5
nimico, e isco(n)fisello e p(re)selo, sí come l’angelo gli avea detto. Tulio fue filosafo sapientissimo e fece la Rettolica,
[81]
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34r–7 Biagi [ibid., p.62]: qua(n)de elli; Conte [ibid., p. 239]: quand ei. 34r–17 funno.
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cÕoe larte dello bello parlare Uno altro fÕlosafo ·ome tulÕo rÕ ·puose a sa ·ustÕo 10
era aquello tenpo che auea nome SalustÕo loquale uolea grande male a TulÕo 7 mandauaglÕ molte
ranpongnÕe lequalÕ portauano grandÕ dÕspregÕo dÕcendo cosÕ homo laÕdÕssÕmo pÕagÕentÕerÕ . orgho glÕoso allÕamÕcÕ 7 allÕ homÕnɬ 7 maluagÕo ɃcɃosÕglÕe re homo pÕeno dÕcupÕdÕssÕmɬ UÕzÕÕ lÕqualÕ ɃnɃo sono– lÕcÕtÕ adÕre . 7 TulÕo rÕspondea cosÕ lomo che UÕue
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come tue ɃnɃo pute altrÕmente parlare chetu parlÕ 7 chÕ parla come tue ɃnɃo puote honesta mente UÕuereɥ PApÕrÕo fue dÕroma homo potentÕssÕmo 7 sauÕo dÕletossÕ molto . InbattaglÕe 7 credeanosÕ lÕ Ro manÕ dÕfendere da Allexandro ɃcɃofÕdandosÕ della bon
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ta dÕ . PapÕrÕo quando . PapÕrÕo era fancullo lopadre lomenaua seco allÕ ɃcɃosÕglÕ . Uno gÕorno loɃcɃosÕglÕo com ando credenza . lofancÕullo tornoe acasa lamadre lo stÕmolaua molto dÕuolere sapere dÕ che lÕ Romanɬ auÕ ano tenuto ɃcɃosÕglÕo . PapÕrÕo uedendo lauolonta de
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lla madre sÕpenso Una bella bugÕa . 7 dÕsse cosÕ lÕrom anɬ tenero ɃcɃosÕglÕo quale era lomeglÕo tra che glÕuo mÕnɬ auessero due mogle . OlefemÕne due marÕtÕ . acc
(35r) Õo che lagente multÕprÕcasse che terre sÕrÕbellaua no da Roma . loɃcɃosÕglÕo sÕstabÕlÕo che meglÕo sÕpotea sostenere 7 pÕu coueneuÕle era che luomo abÕa due moglÕe : lamadre chellauea Ɂmesso dÕtenere creden 5
za . sÕlomanÕfesto adunaltra doɃna cosÕ andoe duna Õnaltra sÕche tutta Roma losentÕo ragunarsÕ ledo nne dÕroma 7 andarono allÕ sanatorÕ dolendosÕ mo lto . lÕsanatorÕ temettero dÕ maggÕorÕ nouÕtadÕ poÕ sa pÕendo lÕsanatorÕ lofatto lodonno PapÕrÕo dÕgrande
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sauere 7 ordÕnarono che nullo douesse menare suo fÕglÕuolo allo consÕglÕo ɥ
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cioè l’arte dello bello parlare. Uno altro filosafo [C]ome Tulio ri[s]– puose a Sa– [l]ustio 10
era a quello tenpo che avea nome Salustio, lo quale volea grande male a Tulio e mandavagli molte
ranpongnie, le quali portavano grandi dispregio, dicendo cosí: – Homo laidissimo, piagientieri, orgho– glioso alli amici e alli homini, e malvagio co(n)siglie– re; homo pieno di cupidissimi vizii, li quali no(n) sono liciti a dire – E Tulio rispondea cosí: – L’omo che vive
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come tue no(n) pute altrimente parlare che tu parli; e chi parla come tue no(n) puote honestamente vivere –. Papirio fue di Roma, homo potentissimo e savio.
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Diletossi molto in battaglie. E credeanosi li Ro– mani difendere da Allexandro, co(n)fidandosi della bon– 20
tà di Papirio. Quando Papirio era fanc[i]ullo, lo padre lo menava seco alli co(n)sigli. Uno giorno lo Co(n)siglio com|andò credenza. Lo fanciullo tornoe a casa. La madre lo stimolava molto di volere sapere di che li Romani avi|ano tenuto co(n)siglio. Papirio, vedendo la volontà
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de|lla madre, si pensò una bella bugia e disse cosí: – Li Rom|ani tenero co(n)siglio quale era lo meglio tra che gli uo– mini avessero due mogle o le femine due mariti acc|iò
(35r) che la gente multipricasse, ché terre si ribellava– no da Roma. Lo co(n)siglio sí stabilio che meglio si potea sostenere e piú covenevile era che l’uomo abia due moglie – La madre che ll’avea p(ro)messo di tenere creden– 5
za, sí lo manifestò ad un’altra don(n)a. Cosí andoe d’una in altra, sí che tutta Roma lo sentio. Ragunârsi le do|n– ne di Roma e andarono alli sanatori, dolendosi mo|lto. Li sanatori temettero di maggiori novitadi: poi sa– piendo li sanatori lo fatto, lodonno Papirio di grande
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savere e ordinarono che nullo dovesse menare suo figliuolo allo Consiglio.
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ARustotÕle fue grande fÕlosafo . Uno gÕorno Uenne a lluɬ Uno gÕouano conuna nuoua dÕmanda dÕcen do cosÕ maestro Io hoe ueduta Una cosa laquale mÕdÕ 15
spÕace 7 IngÕurÕa lanÕmo mÕo molto che Io UÕddÕ Uno UecchÕo dÕgrandÕssÕmo tempo . chefacea laÕde mateze Onde selauecheza nacolpa . Io macordo anzÕ dÕuolere morÕre gÕouano che InuecchÕare . 7 motteggÕare . ȸdÕo Maestro datemɬ ɃcɃosÕglÕo se essere puote . ArÕstotÕle rÕs
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puose Io ɃnɃo posso ɃcɃosÕglÕare che ÕnuecchÕando lanatu ra ɃnɃo manchÕ 7 lobuono calore naturale uÕene me no lauertu lagÕoneuÕle mente mancha maȸlatua bella ɁuedenzÕa . Io tÕnsengneroe come Io potroe . fa raÕ cosÕe Õnnella tua gÕouentudÕne UseraÕ tutte le be
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lle 7 honeste cose 7 lepÕaceuÕlÕ 7 dallÕ loro ɃcɃotrarÕɬ tÕg arderaÕ alpostutto quando tu seraÕ uecchÕo ɃnɃo ȸnatu ra ma ȸragÕone UÕueraÕ ɃcɃo netezza maȸ lapÕace
(35v) uÕle Usanza che aueraÕ fatta ɥ LOImȸadre TroÕano fue gÕustÕssÕmo sÕngnore a ndoe uno gÕorno ɃcɃosua ɃcɃopangnÕa ɃcɃogrande ca ··ntenzÕa de .. Õnperadore ··oÕano alla dona cha uea ȸduto lo fÕglÕo
uallerÕa ɡtra lÕsuoÕ nÕmÕcÕ : Una femÕna Uedoua lÕuenne ÕnanzÕ 7 preselo ȸ lastaffa 7 dÕsse Meɀ . famÕ ragÕone dÕcoluɬ che atorto mae morto lomÕo
fÕglÕuolo 7 pÕangea molto tenera mente . loImȸado
re rÕspuose Io tÕsodÕsfaroe quando saroe tornato . 7 lafemÕna dÕsse setu ɃnɃo redÕssÕ 7 dellÕ dÕsse seÕo ɃnɃo re 10
dÕroe etÕsodÕsfarae lomÕo soccessore 7 della dÕsse se lo tuo soccessore mÕuÕene meno tue mÕse debÕtore 7 pongnÕamo che pure mÕsodÕsfacesse laltruÕ gÕustÕzÕa
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Arustotile111 fue grande filosafo. Uno giorno venne a llui uno giovano con una nuova dimanda, dicen–
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do cosí: – Maestro, io hoe veduta una cosa la quale mi di– 15
spiace e ingiuria l’animo mio molto, ché io viddi uno vecchio di grandissimo tempo che facea laide mateze. Onde, se la vech[i]eza n’à colpa, io m’acordo anzi di volere morire giovano che invecchiare e motteggiare.112 P(er) Dio, maestro, datemi co(n)siglio, se essere puote – Aristotile
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ris|puose: – Io no(n) posso co(n)sigliare che invecchiando la natu– ra no(n) manchi, e lo buono calore naturale viene me– no, la vertú lagionevilemente113 mancha. Ma p(er) la tua bella p(ro)vedenzia io t’insengneroe come io potroe. Fa– rai cosie: in nella tua gioventudine userai tutte le
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be|lle e honeste cose e le piacevili, e dalli loro co(n)trarii ti g|arderai al postutto; quando tu serai vecchio, no(n) p(er) natu– ra, ma114 p(er) ragione viverai co(n) netezza, ma p(er) la piace–
(35v) vile usanza che averai fatta –. Lo imp(er)ad[o]re Troiano fue giustissimo singnore.
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A|ndoe uno giorno co(n) sua co(n)pangnia co(n) grande ca– [Se]ntenzia de– [lo] inperadore [Tr]oiano alla dona ch’a|vea p(er)duto lo figlio
valleria (con)tra li suoi nimici. Una femina vedova li venne inanzi e preselo p(er) la staffa e disse: – Mess(er), fami ragione di colui che a torto m’àe morto lo mio
figliuolo! – e piangea molto teneramente. Lo imp(er)ado– re rispuose: – Io ti sodisfaroe, quando saroe tornato – E la femina disse: – Se tu no(n) redissi? – Ed elli disse: – Se io no(n)
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re|diroe, e’ ti sodisfarae lo mio soccessore – Ed ella disse:– Se lo tuo soccessore mi viene meno, tue mi sè debitore. E pongniamo che pure mi sodisfacesse, l’altrui giustizia
––––––– 111 112 113 114
35r–12 Aristotile. 35r–18 matteggiare. 35r–22 ragionevilemente. 35r–28 Conte [ibid., p. 243]: .
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che grande ate loÕmȸadore rÕuenne lomalÕfÕcÕo tr ouo chello suo fÕglÕuolo lauea morto correndo lo ca 15
uallo ÕscÕaghurata mente fecene gÕustÕza 7 ɃnɃo uo lse pregho poÕ caualcoe 7 ÕsconfÕsse lÕnÕmÕcÕ . dÕpo ɃnɃo molto tenpo della sua morte . Uenne lobeato Grego rÕo Papa trouando lagÕustÕzÕa sua 7 leggÕendo dÕl uɬ andoe alla statua sua 7 ɃcɃolagrÕme lonoro dÕgran
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de lode 7 fecelo dÕsoppelÕre 7 trouo che tutto era tor nato ɒra saluo che lossa 7 lalÕngua cÕo dÕmostraua com ellÕ era Õstato gÕustÕssÕmo 7 auea gÕustÕssÕma mente pa rlato . Allora beato GregorÕo Papa adoro ȸluɬ 7 dÕce sÕ ȸ uÕdente mÕracolo che allÕ preghÕ dÕbeato Grego
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Õo . loÕmȸadore . TroÕano fu dÕlÕberato dalle pene de llo Inferno 7 era Õstato pagano ɥ
....ta rÕspo ..a
Quando loueschouo . AldebrandÕno era uÕuo ma
(36r) ngÕando allo uescouado suo doruÕeto Uno gÕorno ad Una tauola laouera Uno Frate mÕnore loquale frate mangÕaua una cÕpolla molto sauorosa mente 7 ɃcɃofÕno apetÕto . louescouo Õsguardando dÕsse ad u 5
no suo donzello Uae aquello frate 7 dÕglÕ che uolo ntÕerÕ lÕcanbÕereÕ astomaco . lodonzello fece lanbascÕ ata . lofrate rÕspuose dÕe aMeɀ loueschouo che bene credo che uolontÕerÕ mÕcanbÕerrebe astomaco ma no auescouado ɥ
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UNo loquale ebbe nome MÕlensÕus tale grandÕssÕm o sauÕo ɃÕmolte ÕscÕenzÕe 7 ÕspezÕalmente ÕnÕsterlo mÕa . secondo chesÕ troua ÕnlÕbro cÕuÕtate deÕ ɃÕlÕbro sexto dÕce che questo maestro albergo Una notte Õn Una casetta duna femÕnella lasera quando nando
15
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alletto . dÕsse aquello femÕna UedÕ doɃna luscÕo mÕla
che grande a te?115 – Lo imp(er)adore rivenne lo malificio. Tr|ovò che llo suo figliuolo l’avea morto correndo lo ca– 15
vallo isciaghuratamente. Fecene giustiza e no(n) vo|lse pregho. Poi cavalcoe e isconfisse li nimici. Dipo no(n) molto tenpo della sua morte venne lo beato Grego|rio papa. Trovando la giustizia sua e leggiendo di l|ui, andoe alla statua sua e co(n) lagrime l’onorò di gran–
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de lode e fecelo disoppelire. E trovò che tutto era tor– nato t(er)ra salvo che l’ossa e la lingua: ciò dimostrava com’ elli era istato giustissimo e avea giustissimamente pa|rlato. Allora beato Gregorio papa adorò p(er) lui, e dice|si p(er) vidente miracolo che alli preghi di beato Grego|io
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lo imp(er)adore Troiano fu diliberato dalle pene de|llo Inferno; e era istato pagano.
[Pron]ta rispo|[st]a
Quando lo veschovo Aldebrandino era vivo,
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(36r) ma|ngiando allo vescovado suo d’Orvieto uno giorno ad una tavola là ov’era uno frate minore, lo quale frate mangiava una cipolla molto savorosamente e co(n) fino apetito, lo vescovo, isguardando, disse ad 5
u|no suo donzello: – Vae a quello frate e digli che volo|ntieri li canbierei a stomaco – Lo donzello fece l’anbasci|ata. Lo frate rispuose: – Díe a mess(er) lo veschovo che bene credo che volontieri mi canbierrebe a stomaco, ma no a vescovado –.
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Uno lo quale ebbe nome Milensius Tale, grandissim|o
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savio i(n) molte iscienzie e ispezialmente in isterlo– mía, secondo che si trova in libro Civitate Dei, i(n) libro sexto, dice che questo maestro albergò una notte in una casetta d’una feminella. La sera quando n’andò 15
a lletto, disse a quello116 femina: – Vedi, don(n)a, l’uscio mi la–
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35v–13 Conte [ibid., p. 244]: che grad’è a te. 36r–15 quella.
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scÕa aperto Õstanotte ȸcÕo cheÕo sono costumato aɁu edere lestelle . lafemÕna lascÕo luscÕo aperto . lanotte pÕoue dÕnanzÕ dalla casa auea Una fossa enpÕesÕ da cqua . quando quellÕ sÕleuo ȸ Ɂuedere lestelle cadde 20
uɬ dentro . comÕncÕo agrÕdare aÕtorÕo 7 lafemÕna dÕ mando cheaÕ quellÕ rÕspuose Õo sono caduto Õnnuna fossa . ocattÕuo dÕsse lafemÕnella ortu guatÕ ÕncÕelo 7 ɃnɃo tÕsaÕ tenere mente apÕedÕ leuossÕ questa femÕne lla 7 aÕutalo che perÕa . Inuna UÕle fossÕcella per
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pocha prouedenzÕa ɥ SAladÕno loquale era homo dÕcorte essendo ÕnCÕ cÕlÕa ȸ mangÕare ad Una tauola ɃcɃomoltÕ caual
(36v) ÕerÕ 7 dauasÕ lacqua Uno caualÕere lÕdÕsse . SaladÕno lauatÕ laboccha 7 ɃnɃo lemanɬ . SaladÕno rÕspuose . MeȾȾ Io ɃnɃo parlaÕ oggÕ dÕuoɬ . poÕ quando pÕazegauano co sÕ rÕposando su lomangÕare fue dÕmandato lo . Salad 5
Õno ȸuno altro caualÕere dÕmɬ SaladÕno seÕo uolesse dÕre Una nouella accuɬ ladÕco ȸlopÕue sauÕo dÕuoÕ . S aladÕno rÕspuose . MeȾȾ dÕtela aqualunqua uÕpare lo pue matto . locaualÕere mettendo ÕnquestÕone suod etto . pregaualo che aprÕsse loro sua rÕsposta sÕe chello
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potessero Intendere . SaladÕno parlo 7 dÕsse cosÕ aÕ m attÕ ognÕ matto par sauÕo ȸlasua sÕmÕglÕanza dunq ua quando almatto senbrerae horÕ pÕu matto quello cotale sÕe pÕu sauÕo ȸcÕo chello sauere e ɃcɃotrarÕo della mateza adognɬ matto lÕsauɬ paÕon mattÕ sÕcome aÕs
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auÕ lÕmattÕ paÕono ueramente mattÕ : QUestÕ sono fÕorÕ dÕcertÕ fÕsolafÕ dÕsseno lÕ . Romanɬ . altenpo che auÕano trebuto datutto lomondo pe
Come socra te consÕglÕo Õromanɬ che potessono lu ..amente re gnÕare
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nsÕamo dÕregnare . InsenpÕterno funo auno fÕsolafo cɻ auea nome . Socrate 7 dÕsserlÕ Maestro come sÕpute f
scia aperto istanotte, p(er)ciò che io sono costumato a p(ro)– v|edere le stelle – La femina lasciò l’uscio aperto. La notte piové; dinanzi dalla casa avea una fossa; enpiési d’a|cqua. Quando quelli si levò p(er) p(ro)vedere le stelle, cadde|vi 20
dentro. Cominciò a gridare aitorio. E la femina di– mandò: – Che ài? – Quelli rispuose: – Io sono caduto inn una fossa – O cattivo! – disse la feminella – or tu guati in cielo e no(n) ti sai tenere mente a’ piedi? – Levossi questa femine|lla e aiutàlo che peria in una vile fossicella per
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pocha provedenzia. Saladino, lo quale era homo di corte, essendo in
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Ci|cilia p(er) mangiare ad una tavola co(n) molti caval|ieri, (36v) e davasi l’acqua, uno cavaliere li disse: – Saladino, lavati la boccha e no(n) le mani – Saladino rispuose: – Mess(er), io no(n) parlai oggi di voi – Poi quando piazeg[i]avano co– sí riposando su lo mangiare, fue dimandato lo Salad|ino 5
p(er) uno altro cavaliere: – Dimi, Saladino, se io volesse dire una novella, a ccui la dico p(er) lo piue savio di voi? – S|aladino rispuose: – Mess(er), ditela a qualunqua vi pare lo pue matto – Lo cavaliere mettendo in questione suo d|etto, pregavalo che aprisse loro sua risposta, sie che llo
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potessero intendere. Saladino parlò e disse cosí: – Ai m|atti ogni matto par savio p(er) la sua simiglianza. Dunq|ua, quando al matto senbrerae hori117 piú matto, quello cotale si è piú savio, p(er)ciò che llo savere e co(n)trario della mateza – Ad ogni matto li savi paion matti, sí come ai
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s|avi li matti paiono veramente matti. Questi sono fiori di certi fisolafi. Disseno li Romani
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al tenpo che avíano trebuto da tutto lo mondo: Come Socra– te consigliò i Romani che potessono lu– [ng]amente re– gniare
– Pe|nsiamo di regnare in senpiterno – Funo a uno fisolafo ch(e) avea nome Socrate e disserli: – Maestro, come si pute f|a–
––––––– 117
36v–12 Biagi [ibid., p. 68]; Conte [ibid., p. 246]: hom.
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are che noÕ regnÕassÕmo ÕnsenpÕterno : Sacrate rÕspu ose ɃnɃo puo essere questo che ognɬ Õstato . Uerra meno ma Io uÕnsengneroe rengnÕare lunghÕssÕma mente dÕss eno lÕ Romanɬ bene louoglÕamo . lofÕsolafo dÕsse co sÕe Usate 7 mantenete ragÕonɬ 7 gÕustÕzÕa 7 reng
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nerete lunghÕssÕma mente . Unaltro sauÕo fue che dÕsse mentre chellÕ Romanɬ funo dÕ Roma tutto– lomondo sogugaro quando . Roma fue dellÕ Roma
(37r) nɬ quasÕ ognɬ sÕngnÕorÕa ȸdeono Unaltro sauÕo dÕsse ɃnɃosÕ puote bene reggÕere lo RegnÕo ȸlÕrettorÕ che fa nno della uoglÕa ragÕone ɥ DIsse Uno gÕorno lancelotto ȸ Uno male che aue 5
nnedello quale ellÕ auea ɃcɃosÕglÕato loscanpo 7 Ƀn lÕfue creduto or potete uedere quanto male sÕseguÕ ta aɃnɃo prendere Uno buono ɃcɃosÕglÕo ɥ ERcole fue homo FortÕssÕmo oltra che glÕaltrÕ 7 auea Una sua moglÕe chelÕdaua molto trauag
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lÕo partÕsÕ Uno gÕorno dÕsubÕto 7 andoe nuna gra nde foresta trouoe leonɬ . OrsÕ . 7 molte fÕere pessÕme tutte lesquartaua ȸlasua grande forza 7 tutte luc cÕdea 7 ɃnɃo trouaua bestÕa sÕforte che daluɬ sÕpote sse dÕfendere . Steste Õnquesta foresta grande tenpo
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poÕ torno a casa collÕ pannɬ tuttÕ ÕsquarcÕatÕ 7 con chuoÕa dÕleonɬ adosso . lamoglÕe lÕuenne ÕnɃcɃotro ɃcɃo grande festa 7 dÕsse beneuengnÕa losÕngnore mÕo cɻ nouelle . Ercole rÕspuose Io uegnÕo dalla foresta 7 tu tte lefÕere bestÕe otrouate pÕu humÕle dÕte che tu
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tte loe sogochate 7 UÕnte quelle che Io oe trouate 7 tu aÕ uÕnto me dunqua setu lapÕu forte cosa che . Io maɬ trouassÕ cheaÕ UÕnto coluɬ chetutte laltre cose a uÕnto ɥ
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Come ercole dÕsse chella b.. pÕu forte co·· cheglÕ auesse maÕ trouat· era lamogl··
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re che noi regniassimo in senpiterno? – Sacrate rispu|ose: – No(n) può essere questo, ché ogni istato verrà meno. Ma io v’insengneroe rengniare lunghissimamente – Diss|eno li Romani: – Bene lo vogliamo – Lo fisolafo disse co|sie: – Usate e mantenete ragioni e giustizia, e
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reng|nerete lunghissimamente – Un altro savio fue che disse: – Mentre che lli Romani funo di Roma, tutto lo mondo sogugaro:118 quando Roma fue delli Roma|ni
(37r) quasi ogni singnioria p(er)deono – Un altro savio disse: – No(n) si puote bene reggiere lo Regnio p(er) li rettori che fa|nno della voglia ragione –. Disse uno giorno Lancelotto p(er) uno male che 5
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ave|nne, dello quale elli avea co(n)sigliato lo scanpo e no(n) li fue creduto: – Or potete vedere quanto male si segui– ta a no(n) prendere uno buono co(n)siglio –. Ercole fue homo fortissimo oltra che gli altri e
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avea una sua moglie che li dava molto travag|lio. 10
Partísi uno giorno di subito e andoe ’n una gra|nde foresta. Trovoe leoni, orsi e molte fiere pessime. Tutte le squartava p(er) la sua grande forza e tutte l’uc– cidea, e no(n) trovava bestia sí forte che da lui si pote|sse
Come Ercole disse che lla b[en] piú forte co[sa] ch’egli avesse mai trovat[o] era la mogl[ie]
difendere. Steste119 in questa foresta grande tenpo. 15
Poi tornò a casa colli panni tutti isquarciati e con chuoia di leoni adosso. La moglie li venne inco(n)tro co(n) grande festa e disse: – Bene vengnia lo singnore mio, ch(e) novelle? – Ercole rispuose: – Io vegnio dalla foresta e tu|tte le fiere bestie ò trovate piú humile di te, ché
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tu|tte l’òe sog[i]ochate e vinte, quelle che io òe trovate. E tu ài vinto me. Dunqua sè tu la piú forte cosa che io mai trovassi, ché ài vinto colui che tutte l’altre cose à vinto –.
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36v–27 Biagi [ibid., p. 69]: sogiugaro; Conte [ibid., p. 247]: sogugaro. 37r–14 Stette.
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MEɀ Polo trauersarÕo fue dÕ RomangnÕa 7 fue lo pÕu nobÕle homo dÕtutto lopaese 7 quasÕ tutta ro 25
magnÕa sengnoregÕaua dÕcheto aueauɬ tre caualÕ ere molto leggÕadrÕ allÕ qualÕ ɃnɃo parea che Õnroma gna auesse nessuno homo che ɃnɃo potesseno auere co
(37v) lloro ɃÕquarto . Et ȸcÕo lauellÕ teneano corte aueano fatta Una panca 7 pÕu dÕtre ȸsone ɃnɃo UÕcapeano suso 7 nessuno era ardÕto che suso uÕsedesse temendo la lor o leggÕadrÕa . Et tutto che Meɀ Polo fosse maggÕore 5
dÕloro ellÕ lo bbedÕano nellaltre cose mapure Inquello luogo leggÕadro Meɀ Polo nonardÕa dÕsedere . Tutto ancora che ɃcɃofessauano bene chellÕ era lomÕglÕore dÕ RomangnÕa 7 pÕu presso adouere essere lo quarto che nessuno altro . Chefeceno glÕaltrÕ caualÕerÕ ue
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dendo che Meɀ Polo lÕseguÕtaua troppo muronno Uno UscÕo nelmezo duno loro palazo ȸche ɃnɃo ne ntrasse Uenne Meɀ Polo luomo era grosso dÕȸso na ɃnɃo potendouÕ entrare ÕspoglÕosÕ 7 entrouɬ Õn camÕsa quando lÕtre caualÕerÕ losentÕeno entraɃno
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nellÕ lettÕ 7 fecensÕ coprÕre come malatÕ . Mesere Polo gÕunse chellÕ credea trouare atauola . trouo llÕ sulettÕ ɃcɃofortollÕ 7 dÕmandolÕ dÕloro malauogl Õa 7 auedeasÕ bene dÕcÕo chellÕ aueano fatto dÕm ando chomÕato partÕsÕ daloro . lÕtre caualÕerÕ dÕsse
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no questo none gÕocho andaɃno ad Una UÕlla dellu no dÕloro laoue auea Uno bello castelletto ɃcɃobello fosso . 7 ɃcɃobello ponte leuatoÕo . Et puosenosÕ Õnchu ore dÕfare quÕne louerno . Uno gÕorno Meɀ Polo– uando ɃcɃobella ɃcɃopangnÕa quando uolsse . Intra
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re Õnnello castello quellÕ leuano loponte . assaÕ poteo dÕre chellÕ ɃnɃo uentro dentro . ErÕtorno . In
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Mess(er) Polo Traversario fue di Romangnia e fue lo
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piú nobile homo di tutto lo paese, e quasi tutta 25
Ro|magnia sengnoregiava di cheto. Aveavi tre cavali|ere molto leggiadri, alli quali no(n) parea che in Roma– gna avesse nessuno homo che no(n) potesseno avere co
(37v) lloro i(n) quarto. Et p(er)ciò là u’ elli teneano corte aveano fatta una panca, e piú di tre p(er)sone no(n) vi capeano suso, e nessuno era ardito che suso vi sedesse, temendo la lor|o leggiadria. Et tutto che mess(er) Polo fosse maggiore 5
di loro, elli l’obbediano nell’altre cose, ma pure in quello luogo leggiadro mess(er) Polo non ardia di sedere, tutto ancora che co(n)fessavano bene ch’elli era lo migliore di Romangnia e piú presso a dovere essere lo quarto che nessuno altro. Che feceno gli altri cavalieri, ve–
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dendo che mess(er) Polo li seguitava troppo? Muronno uno uscio nel mezo d’uno loro palazo p(er)ché no(n)n e|ntrasse. Venne mess(er) Polo, l’uomo era grosso di p(er)so– na, no(n) potendovi entrare, ispogliòsi e entròvi in camisa. Quando li tre cavalieri lo sentieno, entran(n)o
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nelli letti e fecensi coprire come malati. Mesere Polo giunse che lli credea trovare a tavola; trovo|lli su’ letti, co(n)fortolli e dimandòli di loro mala vogl|ia, e avedeasi bene di ciò ch’elli aveano fatto. Dim|andò chomiato; partísi da loro. Li tre cavalieri disse–
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no: – Questo non è giocho – Andanno ad una villa dell’u|no di loro, là ove avea uno bello castelletto, co(n) bello fosso e co(n) bello ponte levatoio. Et puosenosi in chu|ore di fare quine lo verno. Uno giorno mess(er) Polo v’andò co(n) bella co(n)pangnia. Quando volsse intra–
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re in nello castello, quelli levàno lo ponte. Assai poteo dire ch’elli no(n) v’entrò dentro, e ritornò in–
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dÕetro passato louerno tornarono lÕtre cacalÕerÕ (38r) alla cÕtta Meɀ Polo . quando lÕuÕdde ɃnɃo sÕleuo dased ere ȸloro 7 dellÕ rÕstettoro 7 luno dÕloro dÕsse aÕ Messe P olo ȸ mala Uentura che cortesÕe sono leuostre quand o lÕforestÕerÕ gÕungeno ÕncÕtta ɃnɃo uÕleuate ȸloro M 5
eɀ Polo rÕspuose ȸdonatemɬ sÕngnorÕ che Io ɃnɃo mÕ leuo seno ȸ loponte chesÕleuo ȸme allora lÕcaualÕerÕ nefeceno grande festa . poÕ morÕo luno detre caualÕe rÕ . 7 lÕ due segono lasua terza parte della pancha ȸ cÕo che ɃnɃo trouono Õntutta RomagnÕa nessuno che
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fosse degnÕo dÕsedere Insuo luogho ɥ QUÕ conta duno IpocrÕto loquale sÕmostraua homo dÕ sɃcɃa uÕta 7 daua molto ȸ dÕo 7 quellÕ chemorÕ ano sÕlÕlassauano oro 7 argÕento adÕspensare apoue rÕ ȸ anÕma loro questo IpocrÕto auea nome . ArgÕstr
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es . Stando MerlÕno Uno gÕorno nel tempÕo uenne questo ArgÕstres 7 adoro molto . 7 moltÕ pouerÕ lÕsta uano dÕntorno . quando ebbe Adorato 7 dellÕ sÕuo lse 7 mÕse mano alla borsa . 7 largamente dÕede ca rÕta 7 . Inquesto dare sÕuolse 7 UÕdde MerlÕno pe
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nsosÕ cosÕe se MerlÕno sae tutto come sÕdÕce . dunqua saellÕ lopere mÕe . che fece Uenne Uerso . MerlÕno 7 ÕncomÕncÕolo arÕprendere dÕcendo cosÕe . che prof eta setu . che dÕcÕ chesaÕ tutte lecose solo ÕdÕo lesae ma poÕ chetusaÕ cotanto dÕɣmÕ come fÕnero Et lo
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sauÕo . MerlÕno rÕspuose maluagÕo . IpocrÕto tue sa raÕ ÕnpÕcchato 7 afogheraÕ Õnacqua 7 arderaÕ Õnf uocho . Allora lo IpocrÕto dÕsse . orudÕte sÕngnorÕ cose
(38v) contrarÕe 7 partÕsÕ 7 penso duccÕdere . MerlÕno . Mer lÕno era allora molto fancullo 7 Õstaua aguardÕa duna sua balÕa . Una mattÕna chella labalÕa era alla chÕesa . 7
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SentenzÕa diɱ lÕno contro a uno ÕpocrÕto
dietro. Passato lo verno, tornarono li tre cacalieri120 (38r) alla città. Mess(er) Polo, quando li vidde, no(n) si levò da sed|ere p(er) loro, ed elli ristettoro; e l’uno di loro disse: – Ai, messe[r] P|olo, p(er) mala ventura, che cortesie sono le vostre? Quand|o li forestieri giungeno in città, no(n) vi levate p(er) loro? – 5
M|ess(er) Polo rispuose: – P(er)donatemi, singnori, che io no(n) mi levo, se no p(er) lo ponte che si levò p(er) me – Allora li cavalieri ne feceno grande festa. Poi morio l’uno de’ tre cavalie– ri, e li due segòno la sua terza parte della pancha, p(er)– ciò che no(n) trovòno in tutta Romagnia nessuno che
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fosse degnio di sedere in suo luogho. Qui conta d’uno ipocrito, lo quale si mostrava homo
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di sancta vita e dava molto p(er) Dio; e quelli che mori|ano sí li lassavano oro e argiento a dispensare a’ pove– ri p(er) anima loro. Questo ipocrito avea nome Argistr|es. 15
Sentenzia di M[er]– lino contro a uno ipocrito
Stando Merlino uno giorno nel tempio, venne questo Argistres e adorò molto, e molti poveri li sta– vano d’intorno. Quando ebbe adorato, ed elli si vo|lse e mise mano alla borsa e largamente diede ca– rità, e in questo dare si volse e vidde Merlino.
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Pe|nsòsi cosie: – Se Merlino sae tutto, come si dice, dunqua sa elli l’opere mie – Che fece? Venne verso Merlino e incominciòlo a riprendere, dicendo cosie: – Che prof|eta sè tu, che dici che sai tutte le cose? Solo Idio le sae. Ma poi che tu sai cotanto, dim(m)i come finerò – Et lo
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savio Merlino rispuose: – Malvagio ipocrito, tue sa|rai inpicchato e afogherai in acqua e arderai in f|uocho – Allora lo ipocrito disse: – Or udite, singnori, cose
(38v) contrarie – E partísi e pensò d’uccidere Merlino. Mer|lino era allora molto fanc[i]ullo e istava a guardia d’una sua balia. Una mattina ch’ella, la balia, era alla chiesa, e
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37v–27 cavalieri.
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lomaluagÕo IpocrÕto ɃcɃo fuocho tenperato apprese laca 5
sa laouera . MerlÕno laquale casa era dÕcapo duna ru ga . laoue abÕtaua questo ArgÕstres quasÕ dalaltro capo . SÕcome pÕaque alnostro sÕgnore dÕo tanto an do lofuoco dÕcasa Õncasa che saprese alla casa dÕque sto . ArgÕstres . ellÕ uollendo soccorere lacasa corse al
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polzo ȸlacqua 7 ÕstudÕosa mente attÕngea la catena sÕruppe 7 cadde Õnsu collo dargÕstres ȸ lopeso lotÕro nelpozo 7 afogo nelacqua . lagÕente che ataua Õspe ngnere lofuocho . gÕttauano lÕlegnɬ accesÕ nelpozo Onde lomaluagÕo IpocrÕto arse tutto . dÕpolamorte
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sua . MerlÕno Õstaua Insu lofuoco 7 ɃnɃo ardea torno– labalÕa 7 atollo 7 portollo dÕnanzÕ aluescouo 7 lou escouo dÕsse dÕccÕ dello maluagÕo . ArgÕstres 7 MerlÕno dÕsse cerchate . Innelle cotalÕ suoe mura 7 trouerete . xl . chuofanÕ dargento amassato lÕqualÕ datÕlɬ lÕfuro
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no adÕspensare ȸdÕo 7 ȸ anÕma dÕcertÕ dÕfuntÕ . Et ellÕ nedÕede alquanto 7 laltro amasso . UbÕdÕno MerlÕ no . 7 trouarono largento come dÕsse MerlÕno . Allora louescouo lodÕmando chefaremo dÕquesto argento– MerlÕno dÕsse laterza parte rendete alle rede dÕcoloro
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che lascÕarono . laltra terza parte tenete aprode depo uerÕ ȸdarne sempre loro lofrutto . laltra terza parte dÕstrÕbuÕte allÕ pouerÕ della prouÕncÕa . louescouo.–
(39r) comando che cosÕ fosse fatto ɥ DIsse Uno gÕorno . TulÕo auno accuɬ ɃnɃo pare auer e buono Õstato alsuo pÕacere . meglÕo he aluomo auere fanghoso Õstato 7 esseɃre certo che mettersÕ arÕ 5
sco dauerlo mÕglÕore opÕgÕore ɥ GUÕglÕelmo dÕ Bergadam fue nobÕle caualÕere– dÕprodeza . Allo tempo delconte . Ramondo dÕbe
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lo malvagio ipocrito co(n) fuocho tenperato apprese la ca– 5
sa là ov’era Merlino, la quale casa era di capo d’una ru– ga là ove abitava questo Argistres quasi da l’altro capo. Sí come piaque al Nostro Signore Dio, tanto an– dò lo fuoco di casa in casa che s’aprese alla casa di que– sto Argistres. Elli, vollendo soccorere la casa, corse al
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polzo121 p(er) l’acqua, e istudiosamente attingea. La catena si ruppe e cadde in su’ collo d’Argistres; p(er) lo peso lo tirò nel pozo, e afogò ne l’acqua. La giente che atava ispe|ngnere lo fuocho gittavano li legni accesi nel pozo, onde lo malvagio ipocrito arse tutto dipo la morte
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sua. Merlino istava in su lo fuoco e no(n) ardea. Tornò la balia e atollo e portollo dinanzi al vescovo, e lo v|escovo disse: – Dicci dello malvagio Argistres – E Merlino disse: – Cerchate in nelle cotali suoe mura e troverete XL chuofani d’argento amassato, li quali datili li furo–
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no a dispensare p(er) Dio e p(er) anima di certi difunti; et elli ne diede alquanto e l’altro amassò – Ubidíno Merli|no, e trovarono l’argento come disse Merlino. Allora lo vescovo lo dimandò: – Che faremo di questo argento? – Merlino disse: – La terza parte rendete alle rede di coloro
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che· lasciarono; l’altra terza parte tenete a prode de’ po– veri p(er) darne sempre loro lo frutto; l’altra terza parte distribuite alli poveri della provincia – Lo vescovo
(39r) comandò che cosí fosse fatto. Disse uno giorno Tulio a uno a ccui no(n) paré aver|e
[93]
buono istato al suo piacere: – Meglio he a l’uomo avere fanghoso istato e esser(n)e certo, che mettersi a ri|sco 5
d’averlo migliore o pigiore –. Guiglielmo di Bergadam fue nobile cavaliere 122
di prodeza
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allo tempo del conte Ramondo di
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122
38v–10 pozzo. Proenza; cf. 39r-10.
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rlÕnghÕera . Uno gÕorno auenne che caualÕerÕ sÕua ntauano . 7 GuÕɃlɃlo sÕuanto 7 dÕsse che ɃnɃo auea caua 10
lÕerÕ ÕnɁenza accuÕ ɃnɃo auesse fatto uotare lasella og Õacuto consua moglÕera . questo dÕsse ÕnaldÕenza dello conte 7 me . GuÕɃlɃlo dÕsse . loconte dÕrouello dÕsse GuÕɃlɃlo fecesÕ uenÕre Uno dÕstrÕere mÕsesÕ lÕspronɬ 7 mÕse lop Õede Õnella staffa 7 prese larcÕone 7 cosÕ apparecchÕa
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to rÕspuose alConte 7 dÕsse Uoɬ sÕngnore ne metto ne tragho 7 monto su lodÕstrÕere 7 Õsprono 7 ando UÕa . loConte sadÕro molto che ɃnɃo UenÕa acorte 7 qu ello era ȸche GuÕɃlɃlo temea uno gÕorno sÕraghuna ro ledonne ad Uno nobÕle ɃcɃouÕto mandaro ȸ GuÕɃlɃlo
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7 lacontessa uÕfue dÕsseno ledonne orcÕdÕe . GuÕɃlɃlo ȸ che aÕtu cosÕ UnÕte ledonne dÕɁenza certo cara laɃcɃo ȸaÕ cÕaschuna donna auea Uno bastone sotto quella– chelÕ parlaua dÕsse pensa . GuÕllÕelmo che ȸlatua fo llÕa tÕɃcɃouÕene morÕre . Uedendo GuÕɃlɃlo chellÕ era co
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sÕ sopra preso parlo 7 dÕsse donne duna cosa uÕpreg ho ȸamore dÕquella cosa cheuoÕ pue amate cheuoÕ m ÕdonÕate Uno dono anzÕ cheÕo moÕa . ledonne rÕspuose
(39v) no uolontÕerÕ . saluo che tu ɃnɃo dÕmandÕ tuo Õsca npamento . Allora . GuÕɃlɃlo parlo 7 dÕsse doɃne IoUÕ pregho ȸamore che lapÕu putta dÕuoÕ mÕfera Ƀɬ prÕma . Allora luna rÕguardando laltra . ɃnɃo sÕtr 5
ouo chÕ ÕnprÕma lÕuolesse dare Et cosÕ Õscanpo aquella uolta ɥ MEɀ IacopÕno Rangonɬ nolÕle caualÕere dÕ lonbardÕa stando Uno gÕorno atauola aue a due guastare dÕfÕnÕssÕmo UÕno InanzÕ bÕancho
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7 uermÕglÕo . Uno buffone Õstaua aquella tauola 7
Be|rlinghiera. Uno giorno avenne che cavalieri si va|ntavano, e Guiglielmo si vantò e disse che no(n) avea cava– 10
lieri in P(ro)enza a ccui no(n) avesse fatto votare la sella o g|iac[i]uto con sua mogliera. Questo disse in aldienza dello conte.– E me, Guiglielmo? – disse lo conte. – Dirovello – disse Guiglielmo. Fecesi venire uno distriere; misesi li sproni e mise lo p|iede inella staffa, e prese l’arcione; e cosí apparecchia–
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to rispuose al conte e disse: – Voi, singnore, né metto né tragho – E montò su lo distriere e ispronò e andò via. Lo conte s’adirò molto, che no(n) venia a corte, e qu|ello era p(er)ché Guiglielmo temea. Uno giorno si raghuna– ro le donne ad uno nobile co(n)vito. Mandaro p(er) Guiglielmo,
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e la contessa vi fue, disseno le donne: – Or ci díe, Guiglielmo, p(er)– ché ài tu cosí unite le donne di P(ro)enza? certo cara la co(n)– p(er)ai123 – Ciaschuna donna avea uno bastone sotto. Quella che li parlava disse: – Pensa, Guillielmo, che p(er) la tua fo|llia ti co(n)viene morire – Vedendo Guiglielmo ch’elli era co–
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sí soprapreso, parlò e disse: – Donne, d’una cosa vi preg|ho p(er) amore di quella cosa che voi pue amate: che voi m|idoniate uno dono anzi che io moia – Le donne rispuose–
(39v) no: – Volontieri, salvo che tu no(n) dimandi tuo isca|npamento – Allora Guiglielmo parlò e disse: – Don(n)e, io vi pregho p(er) amore che la piú putta di voi mi fera i(n)|prima – Allora l’una riguardando l’altra, no(n) si 5
tr|ovò chi inprima li volesse dare; et cosí iscanpò a quella volta. Mess(er) Iacopino Rangoni, nolile124 cavaliere di
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Lonbardia, stando uno giorno a tavola, ave|a due guastare di finissimo vino inanzi: biancho 10
e vermiglio. Uno buffone istava a quella tavola e
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Sulla scorta di: conperare cc.17v–10; 29v–17. 39v–7 nobile.
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ɃnɃo sardÕa dÕchÕedere dÕquello UÕno . UeneglÕne grandÕssÕma uoglÕa . leuossÕ 7 prese Uno moggÕ olo 7 lauollo molto bene 7 dauantaggÕo poÕ gÕr o lamano colmoggÕolo 7 dÕsse Meɀ Io loe lauato 15
7 Meɀ IacopÕno dÕede dÕmano allaguastada 7 dÕsse tue lopettÕneraÕ altroue che quÕe lo buffo ne rÕmase cosÕe 7 nonebbe deluÕno ɥ UNo gÕorno Õstando . MerlÕno Õndella came ra molto solÕtarÕo 7 pÕangÕea molto forte
profezÕa dÕ merlÕno
mente . Uenne Maestro AntonÕo 7 dÕsellÕ ued
endolo pÕangere cosÕ forte che eccÕo MerlÕno ȸ che pÕangÕ tue molto mÕfaÕ marauÕglÕare cɻ gÕamaÕ ɃnɃotÕuÕddÕ pÕangere . 7 MerlÕno dÕsse se Io pÕango Io oe bene ragÕone 7 cagÕone 7 tutto
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loseculo nedouerebe pÕangÕere ȸ Una cosa cheÕo UeggÕo chedee auenÕre . Et Meɀ AntonÕo dÕsse ɃnɃo uuolÕ tue che sÕmetta InÕscrÕtto . MerlÕno dÕsse . sÕe
(40r) ormettÕ Intuo ÕscrÕtto Maestro AntonÕo dÕsse M erlÕno che altempo delgrande dragone dÕbabbel lonÕa Ardera InÕdÕa Uno dellÕ suoÕ mÕnÕstrÕ ȸlocom andamento dello dragone questo mÕnÕstro fara 5
dÕsfare lobello palaçço che hedÕfÕcoe . Meɀ SɃcɃo . Tomaso al . Re GÕdde fordÕndÕa . loprÕmo gÕorno fa rae . habattere lagrande sala laoue lo Re tenea p arlamento collÕ suoÕ sergentÕ amÕcÕ . loterzo gÕor no tutto lorÕmanente . OrmÕdÕ dÕsse Maestro Anto
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nÕo pÕangÕetu cosÕ forte ȸ questo certo sÕe . dÕsse M erlÕno ȸ cosÕ bella cosa che ɃnɃone altro che oro 7 pÕ etre prezÕose . 7 sera dÕsfatto ȸcosÕ UÕle homo che se ra fÕglÕuolo duno UÕle afaÕtatore dÕcalzarÕ ɥ
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no(n) s’ardía di chiedere di quello vino. Venegline grandissima voglia. Levossi e prese uno moggi|olo, e lavollo molto bene e da vantaggio. Poi gir|ò la mano col moggiolo e disse: – Mess(er), io l’òe lavato – 15
E mess(er) Iacopino diede di mano alla guastada, e disse: – Tue lo pettinerai altrove che quie – Lo buffo– ne rimase cosie, e non ebbe del vino. Uno giorno istando Merlino indella came–
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ra molto solitario, e piangiea molto forte– Profezia di Merlino
mente, venne maestro Antonio e diselli,
ved|endolo piangere cosí forte: – Che è cciò Merlino, p(er)– ché piangi tue? Molto mi fai maravigliare, ch(é) giamai no(n) ti viddi piangere – E Merlino disse: – Se io piango, io òe bene ragione e cagione, e tutto
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lo seculo ne doverebe piangiere p(er) una cosa che io veggio che dee avenire – Et mess(er) Antonio disse: – No(n) vuoli tue che si metta in iscritto? – Merlino disse:– Sie,
(40r) or metti in tuo iscritto, maestro Antonio – disse M|erlino – che al tempo del grande Dragone di Babbel|lonia arderà125 in I(n)dia uno delli suoi ministri. P(er) lo com|andamento dello Dragone questo ministro farà 5
disfare lo bello palaçço che hedificoe mess(er) sancto Tomaso al re Giddefor d’India. Lo primo giorno fa– rae habattere la grande sala là ove lo re tenea p|arlamento colli suoi sergenti126 amici. Lo terzo gior– no tutto lo rimanente – Or mi dí – disse maestro Anto|nio –
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piangie tu cosí forte p(er) questo? – Certo sie – disse M|erlino – p(er) cosí bella cosa che no(n)n è altro che oro e pi|etre preziose; e serà disfatto p(er) cosí vile homo che se– rà figliuolo d’uno vile afaitatore di calzari –.
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40r–3 Conte [ibid., p. 255]: aderà. 40r–8 Conte [ibid.]: segeti.
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LOsaladÕno fue Soldano 7 fue nobÕlÕssÕmo dÕco re 7 prodÕssÕmo 7 sauÕo 7 larghÕssÕmo donato
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re . altenpo delsuo soldanatÕco sordÕno Una trÕegu a tra luÕ 7 lÕcrÕstÕanɬ . SaladÕno dÕsse dÕuolere uede re lÕnostrÕ costumÕ 7 lÕnostrÕ modÕ EsellÕ pÕacessɃeɃo dÕuentrebe crÕstÕano . fermosÕ latrÕegua Uenne lo SaladÕno Õnȸsona auedere lÕcostumɬ dexɃpÕanɬ . UÕ
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dde letauole messe ȸ mangÕare ɃcɃotouaglÕe bÕanch ÕssÕme lodole molto . UÕdde lordÕne delle tauole la oue mangÕaua lo Re dÕfrancÕa partÕta dala ltre lodollo assaÕ . UÕdde come lÕpouerÕ mangÕauano Õnɒra UÕlmente . questo rÕprese forte 7 bÕasÕmollo
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molto chellÕ amÕcÕ dello loro sÕngnÕore pÕu UÕlme nte 7 pÕu basso che glÕaltrÕ . poÕ andaro lÕɃxɃpÕanɬ . (40v)
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auedere lÕloro costumɬ . UÕddeno chellÕ SaracÕnɬ . man
gÕauano Õnɒra assaÕ laÕda mente . losaladÕno fece tende re suo padÕglÕone assaÕ rÕccho 7 laouellÕ mangÕaua Õn ɒra fece coprÕre dÕ tappetÕ lÕqualÕ erano tuttÕ lauoratÕ a crecÕ ÕspessÕssÕme lÕxɣpÕanÕ ÕstoltÕ entrano dentro ando
5
no collÕ pÕedÕ suȸle crocÕ ÕsputtandouÕ suso sÕcome ɃÕɒra Allora parlo lo Soldano 7 rÕpreseglÕ forte mente . Et dÕ sse UoÕ predÕcate lacroce 7 quÕ uÕloe ueduta ÕspregÕore dunque pare che UoÕ amate louostro dÕo ÕnsenbÕan tÕ . 7 Inparole mano ÕnfattÕ ɥ
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MArcho lonbardo fue nobÕle homo dÕcorte 7 fue molto sauÕo aduna cÕttade fue Uno natale lao RÕmorchÕo dÕ marco lom bardo huomo dÕcorte 15 ue auute
ue sÕdonauano molte robe . 7 dellÕ ɃnɃouÕnebe nessu na trouo Unaltro dÕcorte senpÕce ȸsona appo luɬ 7 a uÕɬ robe dÕquesto nacque Una bella sente
nzÕa che quello gularo dÕsse a . Marcho che eccÕo che
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In alto una mano scrisse: sÕmonne dÕmatteo chorbÕzzÕ.
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Lo Saladino fue soldano, e fue nobilissimo di co– 15
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re e prodissimo e savio e larghissimo donato– re. Al tenpo del suo soldanatico s’ordinò una triegu|a tra lui e li Cristiani. Saladino disse di volere vede– re li nostri costumi e li nostri modi, e se lli piacesse(n)o diventrebe cristiano. Fermòsi la triegua. Venne lo
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Saladino in p(er)sona a vedere li costumi de’ Cristiani. Vi|dde le tavole messe p(er) mangiare co(n) tovaglie bianch|is– sime: lodòle molto. Vidde l’ordine delle tavole là ove mangiava lo re di Francia partita128 da l’altre: lodollo assai. Vidde come li poveri mangiavano
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in t(er)ra vilmente. Questo riprese forte e biasimollo molto, che lli amici dello loro Singniore [mangiavano] piú vilme|nte e piú basso che gli altri. Poi andaro li Cristiani
(40v) a vedere li loro costumi. Viddeno che lli Saracini man– giavano in t(er)ra assai laidamente. Lo Saladino fece tende– re suo padiglione assai riccho e là ov’elli mangiava in t(er)ra fece coprire di tappeti, li quali erano tutti lavorati a 5
creci ispessissime. Li Cristiani istolti entràno dentro, andò– no colli piedi su p(er) le croci, isputtandovi suso sí come i(n) t(er)ra. Allora parlò lo soldano e ripresegli fortemente, et di|sse: – Voi predicate la croce, e qui vi l’òe veduta ispregiore.129 Dunque pare che voi amate lo vostro Dio in senbian–
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ti e in parole, ma no in fatti –. Marcho Lonbardo fue nobile homo di corte e fue
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molto savio. Ad una cittade fue uno natale, là Rimorchio di Marco Lom– bardo huomo di corte 15 a|vé
o|ve si donavano molte robe, ed elli no(n) vi n’ebe nessu– na. Trovò un altro di corte, senpice p(er)sona appo lui, e avute VII robe. Di questo nacque una bella sente|nzia
che quello gularo disse a Marcho: – Che è cciò che
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40r–23 partite. 40v–8 ispregiare.
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Io oe uÕɬ robe 7 tue ɃnɃo nessuna . Et se troppo mÕglÕore homo 7 pue sauÕo dÕme . Et Marcho rÕspuose enone altro senon che tue trouastÕ pue dellÕ tuoÕ che Io– 20
dellÕ mÕeÕ ɥ MEɀ lancÕlotto ɃcɃobattea Uno gÕorno apÕede dun a fontana conuno caualÕere dÕ . SensongnÕa che auea nome . G . 7 ɃcɃobattea sÕe aspra mente alle Õspad e ÕscaualcatÕ dallÕ loro cauallÕ prendendo lena : lÕdue
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caualÕerÕ sÕdÕmandanno dÕloro nome . Allora Meɀ lanc alotto dÕsse poÕ chetu dÕsÕderÕ dÕsapere mÕo nome . or sappÕ cheÕo abbo nome lancalotto . Allora sÕrÕncomÕncÕo
(41r) labattaglÕa tra loro due . locaualÕere parlo 7 dÕsse pÕu mÕɃcɃoquÕde tuo nome che tua Ɂdeza ɥ UNo grande maestro loquale auea nome NasÕmon dro dÕsse Õnfra lesue sentenzÕe che loprÕncÕpe sÕdo 5
uea adorare IlfÕlosafo Allexandro trouando questa sen tenzÕa . Uno gÕorno essendo ellÕ Õnsununo carro doro Õn grande bondanza dÕgente . UÕdde Uno fÕlosafo Õlquale a uea nome . Socrate . Andando apÕede 7 Allexandro Õs monto delcarro 7 adoro lofÕlosafo sechondo lasente
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nzÕa dÕ . NasÕmondro ɥ NArcÕs fue molto bellÕssÕmo . Uno gÕorno auenne – chellÕ sÕsÕposaua sopra Una bella fontana . Isguard ando nelacqua . UÕdde lombra sua chera molto bellÕss Õma . IncomÕncÕo aÕsguardare 7 alegrarssÕ sopra lafon
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te . 7 lonbra sua facea losÕmÕglÕante credette che qu ella fosse ȸsona che auesse UÕta 7 che Õstesse Õnnellacqua 7 ɃnɃo sacorgea che fosse lonbra sua 7 ÕncomÕncÕola ada mare 7 ÕnnamorossÕ sÕforte che lauosse pÕglÕare . 7 mÕ se lemanɬ Õnellacqua 7 lacqua . IntorbÕdo . 7 lonbra Õs
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parÕo . onde ellÕ . IncomÕncÕo apÕangere sopra lafonte rÕschÕarando lacqua uÕdde lonbra che pÕangea comellÕ Allora . NarcÕs sÕlasso cadere Õnella fonte Õntale guÕsa cɻ
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Come narcÕsso anego nella fontana
io òe VII robe e tue no(n) nessuna? Et sè troppo migliore homo e pue savio di me – Et Marcho rispuose: – E’ non è altro, se non che tue trovasti pue delli tuoi che io 20
delli miei –. Mess(er) Lancilotto co(n)battea uno giorno a piede d’un|a
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fontana con uno cavaliere di Sensongnia che avea nome G. E co(n)battea sie aspramente alle ispad|e, iscavalcati dalli loro cavalli. Prendendo lena, li due 25
cavalieri si dimandanno di loro nome. Allora mess(er) Lanc|[i]alotto disse: – Poi che tu disideri di sapere mio nome, or sappi che io abbo nome Lanc[i]alotto – Allora si rincominciò
(41r) la battaglia tra loro due. Lo cavaliere parlò e disse: – Piú mi co(n)quide tuo nome che tua p(ro)deza –. Uno grande maestro, lo quale avea nome Nasimon|dro,
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disse infra le sue sentenzie che lo principe sí do– 5
vea adorare il filosafo. Allexandro, trovando questa sen– tenzia, uno giorno essendo elli in sun uno carro d’oro in grande bondanza di gente, vidde uno filosafo il quale a|vea nome Socrate, andando a piede. E Allexandro is|montò del carro e adorò lo filosafo sechondo la sente|nzia
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di Nasimondro. Narcis fue molto bellissimo. Uno giorno avenne
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ch’elli sí si posava sopra una bella fontana. Isguard|ando ne l’acqua vidde l’ombra sua ch’era molto belliss|ima. Incominciò a isguardare e alegrarssi sopra la fon– 15
Come Narcisso anegò nella fontana
te, e l’onbra sua facea lo simigliante. Credette che qu|ella fosse p(er)sona che avesse vita e che istesse in nell’acqua; e no(n) s’acorgea che fosse l’onbra sua. E incominciòla ad a– mare, e innamorossi sí forte che la vosse pigliare e mi– se le mani inell’acqua. E l’acqua intorbidò, e l’onbra is–
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pario, onde elli incominciò a piangere sopra la fonte. Rischiarando l’acqua, vidde l’onbra che piangea com’elli. Allora Narcis si lassò cadere inella fonte, in tale guisa ch(e)
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nemorÕo . lotenpo era dÕprÕma uera . donne sÕuenÕano assolazare alla fonte UÕddero lobello . NarcÕs anega 25
to ɃcɃograndÕssÕmo pÕanto locauano delafonte 7 apo gÕarolo rÕtto alle sponde della fontana . Onde lodÕo da more nefece UnbellÕssÕmo . mandɰolto uerde 7 molto
(41v) bene Õstante 7 loprÕmo arbore che prÕma fue fÕorÕ to 7 rÕnouella amore ɥ DIsse ArÕstotÕle che adÕre franchezza era UÕzÕo dÕ prodeza . era Uertu ȸcÕo che lardÕto sÕsÕmÕglÕa al 5
le fÕere che assalÕscÕe cosÕe lagrande forza come lapÕcc ola . 7 lofrancho Õsta fermo Õnognɬ luogho cosÕe allÕ p ochÕ come allÕ troppÕ 7 loprode Õsta fermo quando de 7 asalÕscÕe quando de 7 fuggÕe quando sÕconuÕene ɥ UOlendo . Seneca ɃcɃosolare Una doɃna alla quale e
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ra morto Unsuo fÕglÕuolo sÕcome sÕleggÕe ÕnlÕbro dÕɃcɃosolazÕone dÕsse cotalÕ parole . se tue fossÕ . FemÕna come laltre . femÕne . Io ɃnɃo tÕparlereÕ come Io tÕparlo maȸcÕo chese femÕna 7 aÕ Intelletto duomo sÕtÕdÕco cosÕe due donne furono Õn . Roma 7 acÕascuna mor
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Õo . Uno suo fÕglÕuolo luno era dellÕ carÕ fÕglÕuolÕ del mondo . 7 laltro era UÕa pue caro . luna sÕdÕede arÕ Õ
ceuere ɃcɃosolazÕone 7 p acealÕ dessere ɃcɃosolata . 7 laltra sÕmÕse Õnuno canto della casa 7 rÕfÕutoe ognÕ ɃcɃosolaz Õone . 7 dÕedesÕ tutta ÕnpÕanto : quale dÕqueste due fe 20
ce meglÕo : Setu dÕraÕ quella che Uolse essere ɃcɃosolata dÕraÕ louero duncqua ȸche pÕangÕ . semÕdÕcÕ pÕan go lofÕglÕuolo mÕo cheȸsua bontade mÕfacea onore dÕco che ɃnɃo pÕangÕ luɬ ma pÕangÕ lotuo danno . 7 pÕ angendo lotuo daɃɣno pÕangÕ te medesÕma . 7 assaÕ ela
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Õda cosa apÕangere altrÕ se Õstesse . 7 setu dÕcÕ lochuo re mÕo pÕange ȸ che tanto lamaua . none uero che meno lamɬ tu morto che quando era UÕuo . Et se ȸam
(42r) ore fosse tuo pÕanto ȸche ɃnɃo lopÕangeɬ tu quando
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ne morio. Lo tenpo era di primavera. Donne si veniano a ssolazare alla fonte. Viddero lo bello Narcis anega– 25
to. Co(n) grandissimo pianto lo cavàno de la fonte e apo– giarolo ritto alle sponde della fontana. Onde lo dio d’a– more ne fece un bellissimo mandorlo, molto verde e molto
(41v) bene istante, è lo primo arbore che prima fue fiori– to e rinovella amore. Disse Aristotile che a[r]dire [e] franchezza era vizio; di
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prodeza [che] era vertú, p(er)ciò che l’ardito sí simiglia al– 5
le fiere: che assaliscie cosie la grande forza come la picc|ola; e lo francho istà fermo in ogni luogho cosie alli p|ochi come alli troppi; e lo prode istà fermo quando de e asaliscie quando de, e fuggie quando si conviene. Volendo Seneca co(n)solare una don(n)a alla quale e–
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ra morto un suo figliuolo, sí come si leggie in libro Di co(n)solazione, disse cotali parole: – Se tue fossi femina come l’altre femine, io no(n) ti parlerei come io ti parlo. Ma p(er)ciò che sè femina e ài intelletto d’uomo, sí ti dico cosie: due donne furono in Roma e a ciascuna mor|io
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uno suo figliuolo. L’uno era delli cari figliuoli del mondo e l’altro era via pue caro. L’una si diede a ri– cevere co(n)solazione, e piaceali d’essere co(n)solata; e l’altra si mise in uno canto della casa, e rifiutoe ogni co(n)solaz|ione, e diedesi tutta in pianto. Quale di queste due fe–
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ce meglio? Se tu dirai quella che volse essere co(n)solata, dirai lo vero. Duncqua p(er)ché piangi? Se mi dici: pian– go lo figliuolo mio che p(er) sua bontade mi facea onore, dico che no(n) piangi lui, ma piangi lo tuo danno: e pi|angendo lo tuo dan(n)o piangi te medesima, e assai è
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la|ida cosa a piangere altri se istesse. E se tu dici: lo chuo– re mio piange, p(er)ché tanto l’amava; non è vero che meno l’ami tu morto che quando era vivo. Et se p(er) am|o–
(42r) re fosse tuo pianto, p(er)ché no(n) lo piangei tu quando
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ellÕ era UÕuo . Sapendo che douea morÕre . ɃnɃotÕ schusa re tolletÕ dÕpÕangere selo tuo fÕglÕuolo emorto ɃnɃo pu o essere altro . morto he secondo natura dunqua he 5
morto ȸ ɃcɃoueneulÕe modo 7 tuttÕ douemo morÕre ɥ LEggesÕ del Re Currado padre dÕ ChurradÕno cɻ quando era Gharzone sÕauea Õnsua ɃcɃopagnÕa . xÕɬ . Fancullɬ . dÕsua etade . 7 quando lo Re Churrado fallÕa Õnnessuna cosa eglÕ MaestrÕ chellÕerano datÕ aguar
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dÕa . ɃnɃo batteuano luɬ . mabatteuano dÕquestÕ suoÕ ɃcɃo pangnÕ ȸluɬ 7 quellÕ dÕcea ȸ che battete UoÕ cotesto ro . rÕspondeno lÕmaestrÕ . ȸllÕ fallÕ tuoÕ . 7 quellÕ dÕcea ȸche ɃnɃobatteteuoÕ me che mÕa lacolpa dÕceano lÕ maestrÕ pero chetuse nɃro SÕngnÕore . manoÕ battÕam
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o costoro ȸte assaÕ tÕde dolere setuaÕ gentÕle chuore chaltrÕ portÕ pena delle tue colpe 7 ȸcÕo sÕdÕce che lo Re Churrado sÕguardaua dÕfallÕre ȸla pÕeta dÕcoloro ɥ LEggesÕ dÕSenecha chefu Maestro dÕ Nerone Imȸadore 7 battealo sÕcome ÕscolaÕo . quando .
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Nerone fue fatto Imȸadore rÕcordossÕ dÕ Senecha de lle battÕture chellÕ auea date . fecelo pÕglÕare 7 gÕud Õcollo amorte Macotanto lÕfece dÕgrazÕa chellÕ dÕsse aleggÕtÕ dÕche morte uoglÕ morÕre . Senecha dÕman do dÕfarssÕ aprÕre leuene Õnunbagno caldo . lamog
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lÕe dÕ . Senecha lamentando dÕcea de che doglÕa m e chetu morÕ sanza colpa . Senecha rÕspuose meg lÕo me morÕre senza colpa che ɃcɃocolpa cheseÕo morÕ
(42v) sse ȸ mÕa colpa sareÕ Õschusato choluɬ chemÕ uccÕde atorto 7 senza ragÕone : UNo medÕco dÕ Tolosa prese ȸsua mulÕere Una gentÕle donna della ɒra . nepote delarcÕues 5
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couo . menolla 7 fece adue mesÕ Una fÕglÕuola .
Come nerone Õnperadore fe cÕe morÕre senaca chera Õssuto suo maestro
elli era vivo, sapendo che dovea morire? No(n) ti schusa– re, tòlleti di piangere. Se lo tuo figliuolo è morto, no(n) pu|ò essere altro. Morto he secondo natura; dunqua he 5
morto p(er) co(n)venevlie130 modo, e tutti dovemo morire –. Leggesi del re Currado, padre di Churradino, ch(e)
[104]
quando era gharzone, sí avea in sua co(n)pagnia XII fanc[i]ulli di sua etade. E quando lo re Churrado fallia in nessuna cosa, e gli maestri che lli erano dati a guar– 10
dia no(n) battevano lui, ma battevano di questi suoi co(n)– pangni p(er) lui. E quelli dicea: – P(er)ché battete voi cotesto– ro? Rispondéno li maestri: – P(er) lli falli tuoi – E quelli dicea: – P(er)ché no(n) battete voi me? ch’è mia la colpa – Diceano li maestri: – Però che tu sè n(ost)ro singniore. Ma noi battiam|o
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costoro p(er) te: assai ti de dolere, se tu ài gentile chuore, ch’altri porti pena delle tue colpe – E p(er)ciò si dice che lo re Churrado si guardava di fallire p(er) la pietà di coloro. Leggesi di Senecha che fu maestro di Nerone
[105]
imp(er)adore, e battealo sí come iscolaio. Quando 20
Nerone fue fatto imp(er)adore, ricordossi di Senecha, de|lle battiture ch’elli avea date. Fecelo pigliare e giud|i– collo a morte. Ma cotanto li fece di grazia che lli disse: – Aleggiti di che morte vogli morire – Senecha diman–
Come Nerone inperadore fe– cie morire Senaca ch’era issuto suo maestro
dò di farssi aprire le vene in un bagno caldo. La 25
mog|lie di Senecha, lamentando, dicea: – De[h], che doglia m’ è che tu mori sanza colpa! – Senecha rispuose: – Meg|lio m’è morire senza colpa che co(n) colpa. Ché se io mori|s–
(42v) se p(er) mia colpa, sarei ischusato cholui che mi uccide a torto e senza ragione –. Uno medico di Tolosa prese p(er) sua muliere una
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gentile donna della t(er)ra, nepote de l’arcives– 5
covo. Menolla. E fece a due mesi una figliuola.
––––––– 130
42r–5 convenevile.
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lomedÕco none mostro alchuno cruccÕo anzÕ coso laua ladonna . 7 Mostraua ragÕonÕ secondo fÕsÕ cha chebene potea essere sua dÕragÕone . 7 ɃcɃobe lle parole . 7 conbellÕ senbÕantÕ fece sÕe che delp arto . ladonna nolla poteo trauÕsare . 7 molto on
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ore fece alla donna Õnelporto . Et dÕpo parto sÕ lebbe 7 dÕsse . Õo madonna Uoe onorata quantÕo Uoe potuto 7 saputo : preghouÕ ȸamore dÕme cheuoÕ tornÕate oggÕmaÕ achasa dello Uostro pa dre . lauostra fÕglÕuola lateroe agrande onore ta
15
nto andoe lecose ÕnanzÕ chello ArcÕueschouo lose ntÕo come lomedÕco auea dato chomÕato alla ne pote . mando ȸluÕ 7 accÕo chellÕ era grande homo dÕsse sopra luÕ molte parole meschÕate ɃcɃosuȸbÕa . 7 ɃcɃomÕnaccÕe quando . ebbe asaÕ parlato 7 loMed
20
Õcho rÕspuose 7 dÕsse cosÕ . Meɀ Õo tolsÕ Uostra nepo te ȸmoglÕe credendomɬ della mÕa rÕccheza forn Õre 7 pascere mÕa famÕglÕa . 7 fue mÕa ÕntenzÕɃoɃe dauere dÕleÕ Uno fÕglÕuolo lanno 7 ɃnɃopue . ondela donna ae comÕncÕato afare fÕglÕuolÕ . allÕ due mesÕ
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ȸlaquale cosa Õo ɃnɃosono sÕagÕato sello fatto de cosÕ andare chÕo lÕpotessÕ nutrÕcare ne auoÕ noserebe o131 (43r) nore che Uostro lÕngnaggÕo andasse apouertade 7 ȸcÕo UÕdÕmando mercede cheuoÕ ladÕate auno pÕu rÕccho cheÕo ɃnɃosono che possa notrÕchare lÕsuoÕ fÕglÕuolÕ sÕ che auoÕ ɃnɃosÕa dÕsÕnore ɥ MAestro Francescho fÕglÕuolo del Maestro . Acorsso
5
della cÕttade DÕbolognÕa . quando torno . dÕChÕ terra laouera Õstato lungho tempo fece Una cosÕ fa tta proposta dÕnanzÕ alchomune suo . 7 dÕsse Uno
––––––– 131
A piè di pagina si legge: nore che uostroɥ
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Lo medico no·ne mostrò alchuno cruccio, anzi co[n]so– lava la donna, e mostrava ragioni secondo fisi– cha che bene potea essere sua di ragione. E co(n) be|lle parole e con belli senbianti fece sie che del 10
p|arto la donna no· lla poteo travisare. E molto on|ore fece alla donna inel porto.132 Et dipo parto sí l’ebbe e disse: – Io, madonna, v’òe onorata quant’io v’òe potuto e saputo. Preghovi p(er) amore di me che voi torniate oggimai a chasa dello vostro pa–
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dre. La vostra figliuola la teroe a grande onore – Ta|nto andoe le cose inanzi, che llo arciveschovo lo se|ntio come lo medico avea dato chomiato alla ne– pote. Mandò p(er) lui. E acciò ch’elli era grande homo, disse sopra lui molte parole meschiate co(n) sup(er)bia
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e co(n) minaccie. Quando ebbe asai parlato, e lo med|i– cho rispuose e disse cosí: – Mess(er), io tolsi vostra nepo– te p(er) moglie, credendomi della mia riccheza forn|ire e pascere mia famiglia. E fue mia intenzio(n)e d’avere di lei uno figliuolo l’anno e no(n) pue. Onde la
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donna àe cominciato a fare figliuoli alli due mesi; p(er) la quale cosa io no(n) sono sí agiato, se llo fatto de cosí andare, ch’io li potessi nutricare, né a voi no serebe o–
(43r) nore che vostro lingnaggio andasse a povertade. E p(er)ciò vi dimando mercede che voi la diate a uno piú riccho che io no(n) sono, che possa notrichare li suoi figliuoli sí che a voi no(n) sia disinore –. 5
Maestro Francescho, figliuolo del maestro Acorsso,
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della cittade di Bolognia, quando tornò di Chi– terra,133 là ov’era istato lungho tempo, fece una cosí fa|tta proposta dinanzi al Chomune suo e disse: – Uno
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42v–11 parto. 43r–6, 7 Biagi [ibid., p. 84]: d’Ighilterra; Conte [ibid., p.263]: d’Ighiterra.
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padre duna famÕglÕa sÕpartÕo dÕsuo paese ȸ po 10
uertade . lascÕo losuo fÕglÕuolo 7 ando Õnlontana prouÕncÕa stando Uno tempo 7 dellÕ UÕdde homÕnɬ dÕsua ɒra . lamore delfÕglÕuolo lostrÕsse adÕmandare dÕloro 7 quellÕ rÕspuosero . Meɀ UostrÕ fÕglÕuolÕ anno guadagnato 7 sono moltÕ rÕcchÕ 7 questÕ allora ud
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endo questo sospÕro 7 sÕpropuose dÕrÕtornare Õnsua ɒra . torno . 7 trouo lÕfÕglÕuolÕ rÕcchÕ Adomandoe loro chello rÕmetteseno sulle processÕonɬ . sÕcome padre 7 sÕngnore . lÕfÕglÕuolÕ . negharo dÕcendo chosÕ padre noÕ celauemo guadagnato ɃnɃo naÕ chefare
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delnɃro guadagno . sÕchenenacque pÕato . Onde lag ente Uolsse che lopadre fosse alpostutto sÕngnÕore dÕcÕo chellÕ aueano guadagnato lÕfÕglÕuolÕ 7 cosÕ a domandÕo allo comune dÕBolognÕa chellÕ mÕeÕ fÕ glÕuolÕ sÕɃaɃno amÕa sÕgnorÕa cÕoe demÕeÕ ÕscolaÕ lÕ
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qualÕ sono grɃadÕ MaestrÕ dÕuenutÕ 7 anno molto gu adagnato poÕ cheÕo mÕpartÕttÕ daloro DÕbologna pocheÕo sono tornato cheÕo sÕa sÕgnore 7 padre sÕ come comanda laleggÕe ɥ
(43v) DIo Gene fufÕlosafo ȸ logrande freddo usaua uno mantello duno suo dÕscepulo . elcelÕere suo era una taschetta 7 lochauallo suo era uno b astone chonche sapogÕaua ȸchera debÕle . 7 dÕ 5
questo DÕoGÕene parlla . Senecha 7 dÕce che dÕ oGÕene era pÕu rÕccho che Allexandro che posse dea Õlmondo ȸcÕo che pÕu cose . erano quelle chedÕo GÕene nouolea che quelle chalesandro potea dare ɥ DIogene fu dÕtroppo granuÕrtu 7 dÕgrande cho
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nteza EccÕo mostroellÕ alamorte che anda
padre d’una famiglia si partio di suo paese p(er) po– 10
vertade. Lasciò lo suo figliuolo134 e andò in lontana provincia. Stando uno tempo, ed elli vidde homini di sua t(er)ra. L’amore del figliuolo135 lo strisse a dimandare di loro. E quelli rispuosero: «Mess(er), vostri figliuoli ànno guadagnato e sono molti ricchi». E questi allora,
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ud|endo questo, sospirò e si propuose di ritornare in sua t(er)ra. Tornò e trovò li figliuoli ricchi. Adomandoe loro che llo rimetteseno sulle processioni, sí come padre e singnore. Li figliuoli negharo, dicendo chosí: «Padre, noi ce l’avemo guadagnato; no(n)n ài che fare
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del n(ost)ro guadagno»; Sí che ne nacque piato. Onde la g|ente136 volsse che lo padre fosse al postutto singniore di ciò ch’elli aveano guadagnato li figliuoli. E cosí a– domand’io allo Comune di Bolognia che lli miei fi– gliuoli sian(n)o a mia signoria: cioè de’ miei iscolai, li
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quali sono gra(n)di maestri divenuti e ànno molto gu|adagnato poi che io mi partitti da loro di Bologna. Po’ che io sono tornato, che io sia signore e padre, sí come comanda la leggie –.
(43v) Diogene fu filosafo. P(er) lo grande freddo usava
[108]
uno mantello d’uno suo discepulo, e ’l celiere suo era una taschetta, e lo chavallo suo era uno b|astone chon che s’apogiava, p(er)ch’era debile. E di 5
questo Diogiene parlla Senecha e dice che Di|ogiene era piú riccho che Allexandro che posse|dea il mondo, p(er)ciò che piú cose erano quelle che Dio|giene no volea che quelle ch’Alesandro potea dare. Diogene fu di troppo gran virtú e di grande
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[109]
cho|nteza. E cciò mostrò elli a la morte: che anda–
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43r–10 li suoi figliuoli; vedi v. 13: Mess(er) vostri figliuoli ecc. 43r–12 delli figliuoli. 43r–20, 21 Conte [ibid.]: la .
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ndando eglÕ auntenpÕo oue andaua molta gen te dÕGrecÕa . Una febre chongrande dolore lÕpre se nellauÕa ellÕ sÕtrasse sotto Uno albore nella g rotta della uÕa . glÕamÕcÕ uoglendolo portare Õn 15
sulchauallo oÕnsu nuno carro nolsofersse madÕsse preghouÕ chandÕate ladoue douete chequesta no tte mÕɁuera ouÕncÕtore ouÕnto . sÕo uÕncero lafe bre Õouerro AltempÕo . 7 sella febre uÕncera me– dÕscendero alnÕnferno . Esaro fuor dÕpena ne non
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morro macholamorte chacÕero uÕa lafebre ɥ SCÕpÕo afrÕchano fue chonsolo dÕ Roma 7 fue taglato dÕcorpo Allamadre ȸcÕo fue chÕamato Cesare 7 dÕce Uno . FÕlosafo chequellÕ chenaschono Õnquel modo sono pue auenturosÕ . sÕchome fu qu
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estÕ chefu uÕttorÕoso Õntutte lebattaglÕe chefece EglÕ fue molto sauÕo 7 dÕsse queste sentenzÕe Õn tutte lechose glÕomÕnÕ sono pÕu sauÕ 7 pÕu aue dutÕ . 7 puote dÕre quante chapre 7 quante pecho
(44r) re eglÕa maɃnɃo puo dÕre quantÕ amÕcÕ eglÕae ɥ Platone fue alto FÕlosafo 7 fue dÕscÕepulo dÕ Socr ate . 7 nacque auendo Socrate xlÕÕɬ . AnnÕ lege sÕ che Platone . nato dormendo nella chulla apou 5
enero . 7 rÕnunzÕano poneno mele alle labra del fancullo sÕgnÕfÕcando dolceza 7 sauÕo dÕparlare loquale ebbe sopra tuttÕ lÕfÕlosafÕ Et quando Õlpad re Õlmeno aSocrate chella maestrasse Socrate dÕsse uegÕendo lalabÕa delgharzone ÕlsognÕo mÕo echo
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mpÕuto . Auea songnato lanotte che delseno suo gl uscÕa unpulcÕno dÕmolto bÕanchÕssÕmo colore 7 cho molta chÕara bocÕe 7 delsuo seno uscÕa chantando
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ndando137 egli a un tenpio, ove andava molta gen– te di Grecia, una febre chon grande dolore li pre– se nella via. Elli si trasse sotto uno albore nella g|rotta della via. Gli amici, vogl[i]endolo portare in 15
sul chavallo o in sun uno carro, nol sofersse, ma disse: – Preghovi ch’andiate là dove dovete, che questa no|tte mi p(ro)verà o vincitore o vinto. S’ io vincerò la fe– bre, io verrò al tempio. E se lla febre vincerà me, discenderò al Ninferno, e sarò fuor di pena, né non
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morrò, ma cho’ la morte chacierò via la febre –. Scipio Africhano fue chonsolo di Roma e fue
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tagl[i]ato di corpo alla madre, p(er)ciò fue chiamato Cesare. E dice uno filosafo che quelli che naschono in quel modo sono pue aventurosi, sí chome fu 25
qu|esti, che fu vittorioso in tutte le battaglie che fece. Egli fue molto savio e disse queste sentenzie: – In tutte le chose gli omini sono piú savi e piú ave– duti, e puote dire quante chapre e quante pecho–
(44r) re egli à, ma no(n) può dire quanti amici egli àe –. Platone fue alto filosafo e fue disciepulo di Socr|ate,
[111]
e nacque avendo Socrate XLIII anni. Lege|si che Platone nato, dormendo nella chulla, apo138 5
v|enero e rinunziàno, poneno mele alle labra del fanc[i]ullo, significando dolceza e savio di parlare, lo quale ebbe sopra tutti li filosafi. Et quando il pad|re il menò a Socrate, ché ll’amaestrasse, Socrate disse, vegiendo la labia del gharzone: – Il sognio mio è
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cho|mpiuto – Avea songnato la notte che del seno suo gl[i] uscia un pulcino di molto bianchissimo colore e cho· molta chiara bocie; e del suo seno uscia chantando,
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43v–10, 11 andando. 44r–4 api.
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Euolaua ÕncÕelo . Plato esendo soɣmo FÕlosafo era mo lto rÕccho sÕche Unaltro . FÕlosafo chauea nome dÕo G 15
ene Uenne alluɬ . Etrouo gran letta nella chamera sua nollÕ parlo . seɃnɃo chechollÕ pÕedÕ fanghosÕ ando alletto schalpÕtaua choltrÕce dÕporpore 7 quando au ea forbÕtÕ ÕpÕedÕ 7 deglÕ tornaua fuorÕ 7 rÕnfanga uasÕ uÕepue 7 tornaua aschalpÕtare Õletto . 7 partÕssÕ .
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7 dÕsse . Alato chosÕ sabatte lasoȸbÕa tua chomunaltra suȸbÕa . Allora Plato sÕpartÕo 7 andonne chosuoÕ dÕsc ÕepolÕ ÕnchedanÕa Õnuna UÕlla dÕlungÕ accÕta ɃnɃo so lamente dÕsertÕ . mapestÕlente accÕo chellasprÕta de luogho rompesse lauolonta della luxurÕa della cha
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rne . Plato esendo troppo chaldo chontra unsuo seruo ȸ ofensÕone cheglÕauea fatta temendo dÕnopassare Õ lmodo dellauɃedetta chomÕse ansuo amÕcho lalbÕtro delghastÕghamento ɥ
(44v) Plato fece pÕu lÕbrÕ traqualÕ nefece Uno della mor talÕta dellanÕma Õlquale lÕbro legendo Unaltro FÕlosafo sÕgÕtto atterra dumuro Uolendo morÕre . ȸ dÕsÕderÕo dauere mÕglÕore UÕta : 5
ADrÕano fue Imȸadore . Apresso alamorte . Dello Im ȸadore TroÕano . 7 fu fÕglÕuolo dÕsuo chugÕno efue molto aletterato . 7 molto sauÕo . sÕche prÕmamente fu ȸfetto . 7 poscÕa Sanatore 7 poscÕa Imȸadore esendo .– Imȸadore Õlsanatore dÕ Roma Õlpreghaua cheglÕ fa
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cesse ÕlfÕglÕuolo chera fancullo . Cesare Aghusto . cÕoe parÕ asse neloɬmȸÕo . 7 quellÕ dÕsse chedee bastare– chÕo rengno ɃnɃouolontÕerÕ ɃnɃonesendone dengnÕo 7 prÕncÕpato ɃnɃosÕdee dare ȸ sangue maȸmerÕtÕ . 7 sa
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e volava in cielo. Plato, esendo som(m)o filosafo, era mo|lto riccho, sí che un altro filosafo ch’avea nome Diog|ene 15
venne a llui, e trovò gran letta nella chamera sua. No· lli parlò se no(n) che cholli piedi fanghosi andò al letto. Schalpitava choltrice di porpore; e quando av|ea forbiti i piedi, ed egli tornava fuori e rinfanga– vasi vie pue, e tornava a schalpitare i· letto; e partissi,
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e disse: – Alato,139 chosí s’abatte la sop(er)bia tua chom un’altra sup(er)bia – Allora Plato si partio e andonne cho suoi disc|iepoli in chedania,140 in una villa di lungi a ccità, no(n) so– lamente diserti, ma pestilente, acciò che ll’asprità de’ luogho rompesse la volontà della luxuria della
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cha|rne. Plato, esendo troppo chaldo chontra un suo servo p(er) ofensione che gli avea fatta, temendo di no passare i|l modo della ve(n)detta, chomise a ’n suo amicho l’albitr[i]o del ghastighamento.
(44v) Plato fece piú libri, tra’ quali ne fece uno della mor–
[112]
talità dell’anima, il quale libro legendo un altro filosafo, si gittò a tterra d’u’muro, volendo morire p(er) disiderio d’avere migliore vita. 5
Adriano fue imp(er)adore apresso a la morte dello im–
[113]
p(er)adore Troiano, e fu figliuolo di suo chugino, e fue molto aletterato e molto savio; sí che primamente fu p(re)fetto e poscia sanatore, e poscia imp(er)adore. Esendo imp(er)adore, il sanatore di Roma il preghava che gli fa– 10
cesse il figliuolo, ch’era fanc[i]ullo, Cesare Aghusto, cioè pari a ssé ne lo imp(er)io. E quelli disse: – Dee bastare ch’io rengno no(n) volontieri, no(n) esendone dengnio; e principato no(n) si dee dare p(er) sangue, ma p(er) meriti; e sa|n–
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44r–20 Plato. 44r–22 Academia (?).
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nza utÕlÕta rengno . quellÕ cherÕmase ɃnɃone dengno 15
7 ȸ certo quellÕ ȸde Õlnome el dÕsÕderÕo dÕpadre cɻ fÕglÕuolÕ suoÕ pÕccÕolÕ sopressea chonfascÕo cheglÕ ɃnɃo possano portare equeste euccÕdere 7 ɃnɃo Ɂmuouere suoÕ fÕglÕuolÕ ÕnuÕrtude 7 ÕncostumÕ . 7 quando sono prouatÕ chellÕ passÕ dÕbontade ÕnanzÕ tuttÕ choloro .–
20
chuÕ eglÕno debono regere saghano alla dÕngnÕta de Reale senne sono ÕnuÕtatÕ 7 ɃnɃo sofersse chel fÕgl Õuolo fosse Apellato Cesare ɥ SEchondo fue Uno FÕlosafo molto sauÕo altem po dÕquesto Imȸadore Õlquale ando allo stu
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dÕo molto fancÕullo fuorÕ dÕsuo paese Õstando ÕnÕsch uola UdÕe leggere cheneuna femÕna era chastra sellera rÕcchÕesta . tutte erano sanza uerghongnÕa Õstando grandempo ÕnÕstudÕo sÕchera gÕa chonoscÕto
(45r) ȸ FÕlosafo dasauÕ . torno Õnsuo paese dÕschonoscÕuto Õmodo dunpelegrÕno chonÕschÕauÕna 7 chonbordo ne 7 chongrandÕ chapellÕ . 7 chongra barba 7 alberg ho nella casa sua medesÕma 7 ɃnɃofue conoscÕuto da 5
neuno . nedalamadre chera ancora UÕua . chera bella donna . onde uolendo Ɂuare delle femÕne quello ch auea udÕto ÕnÕschuola chÕamo una delle seruÕgÕa le 7 promÕsele dÕece d . doro sella facesse chelamad re ÕlcorÕcase seco . quella Õlfece 7 aladonna pÕaque
10
sÕchella donna Õlfece uenÕre lasera nella chamera asse 7 chorÕcossÕ Õnuno letto . 7 questÕ sÕpuose laghota Õnsulpetto della madre . AbracÕandola sÕchome sua madre . ȸ buono amore . dolce mente sÕdormÕe trale pope ÕnsÕno allamattÕna dache fu fatto dÕe questÕ sÕ
15
262
leuaua 7 uolea uscÕre deletto . 7 questa Õlprese edÕsse
za utilità rengno141 quelli che no(n) n’è dengno. 15
E p(er) certo quelli p(er)de il nome e ’l disiderio di padre, ch(é) figliuoli suoi piccioli sopressea chon fascio ch’egli no(n) possano portare; e queste è uccidere, e no(n) p(ro)muovere suoi figliuoli in virtude e in costumi. E quando sono provati ch’elli passi di bontade inanzi tutti choloro
20
chui eglino debono regere, sa[l]ghano alla dingnità– de reale, se nne sono invitati – E no(n) sofersse che ’l figl|iuolo fosse apellato Cesare. Sechondo fue uno filosafo molto savio al tem–
[114]
po di questo imp(er)adore, il quale andò allo stu– 25
dio molto fanciullo fuori di suo paese. Istando in isch|uola, udie leggere che neuna femina era chastra, s’ell’era ricchiesta: tutte erano sanza verghongnia. Istando gran dempo142 in istudio, sí ch’era già chonoscito
(45r) p(er) filosafo da’ savi, tornò in suo paese dischonosciuto i·modo d’un pelegrino chon ischiavina e chon bordo– ne, e chon grandi chapelli e chon gra[n] barba. E alberg|hò nella casa sua medesima, e no(n) fue conosciuto da 5
neuno, né da la madre ch’era ancora viva, ch’era bella donna. Onde, volendo p(ro)vare delle femine quello ch’ avea udito in ischuola, chiamò una delle servigia– le e promisele diece d(anari) d’oro s’ella facesse che la mad|re il coricase seco. Quella il fece e a la donna piaque
10
sí, che lla donna il fece venire la sera nella chamera a ssé e choricossi in uno letto. E questi si puose la ghota in sul petto della madre, abraciandola sí chome sua madre p(er) buono amore. Dolcemente si dormie tra le pope insino alla mattina. Da che fu fatto die, questi si
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levava e volea uscire de letto, e questa il prese e disse:
––––––– 141 142
44v–14 rengna. 44v–28 gran tempo.
263
ɃnɃocredÕtu prendere altro solazo altu fatto ȸ proua rmÕ . EquellÕ rÕspuose 7 dÕsse . Madonna 7 madre mÕa 7 none dengnÕo ne ɃnɃo sÕchonuÕene cheÕo sozzÕ Õluasello ondÕo uscÕo . 7 quella dÕmando chÕellÕ fosse 20
7 quellÕ dÕsse . Iosono secondo tuo FÕglÕuolo 7 quella rÕ pensa 7 rÕguardollo 7 rafÕghurollo . uenele sÕgran de uerghongna chella nopotte patÕre . Õnchontane nte morÕo . questo secondo Uegendo che ȸlosuo par lare . lamadre era morta . sÕsÕne dÕede questa penÕte
25
nzÕa . 7 puosesene questa leggÕe dÕɃnɃo parlare pÕu e stette mutolo ÕnsÕno alamorte edera chÕamato . IlfÕl osafo mutolo . facea marauÕglÕa ÕnfÕlosofÕa sopra tuttÕ lÕfÕlosafÕ cherano aquello tempo . sÕche Õnquello tempo
(45v) lomȸadore AdrÕano Uenne Adaccena udÕe lemar auÕglÕe dÕquesto FÕlosafo feceuenÕre asse 7 salutollo prÕmeramente ÕlFÕlosafo ɃnɃo rÕspuose Allora lomȸ adore dÕsse FÕlosafo parla sÕche alchuna cosa Õnpre 5
ndÕamo datte . EquellÕ tacette sÕche lomȸadore ch Õamo UncaualÕere . 7 chomando ÕnanzÕ atuttÕ cha FÕlosafo fosse moza latesta seglÕ ɃnɃo parlasse . Et sa greto dÕsse AlchaualÕere menalo alagÕustÕzÕa . 7 lu sÕnghalo . 7 mÕnaccÕalo sÕchellÕ parlÕ eseglÕ parla fa
10
glÕ taglÕare lattesta . 7 seglÕ sta fermo aɃnɃo parlare rÕ menalo qua . 7 ÕlcaualÕere Õlprese 7 menollo alagÕust ÕzÕa . 7 molto glÕdÕcÕea parla uÕa ȸche moraÕ ȸ tac ere parla . 7 uÕueraÕ . 7 quellÕ ɃnɃo churando lamorte fue ÕnsÕno aquella cheglÕ stese Õlchollo ȸ rÕcÕeuere Õl
15
cholpo della spada 7 mostraua cheglÕ dÕsÕderasse lam orte . 7 ɃnɃo uolle parlare alora locaualÕere lorÕme no . Allomperadore ɥ
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– No(n) credi tu prendere altro solazo? al143 tu fatto p(er) prova|rmi? – E quelli rispuose e disse: – Madonna e madre mia, e non è dengnio, né no(n) si chonviene che io sozzi il vasello ond’io uscío – E quella dimandò chi elli fosse. 20
E quelli disse: – Io sono Secondo, tuo figliuolo – E quella ri– pensa, e riguardollo, e rafighurollo. Venele sí gran– de verghongna, ch’ella no potté patire. Inchontane|nte morio. Questo Secondo, vegendo che p(er) lo suo par– lare la madre era morta, sí si ne diede questa penite|nzia
25
e puosesene questa leggie: di no(n) parlare piú; e stette mutolo insino a la morte, ed era chiamato il fil|osafo mutolo. Facea maraviglia in filosofia sopra tutti li filosafi ch’erano a quello tempo; sí che in quello tempo
(45v) lo ’mp(er)adore Adriano venne ad accena,144 udie le mar|aviglie di questo filosafo, fece venire a ssé e salutollo primeramente. Il filosafo no(n) rispuose. Allora lo ’mp(er)|adore disse: – Filosafo, parla sí che alchuna cosa 5
inpre|ndiamo da tte – E quelli tacette sí che lo ’mp(er)adore ch|iamò un cavaliere e chomandò inanzi a tutti ch’a filosafo fosse moza la testa, s’egli no(n) parlasse. Et sa– greto disse al chavaliere: – Menalo a la giustizia, e lu– singhalo, e minaccialo sí ch’elli parli. E s’egli parla,
10
fa|gli tagliare la ttesta; e s’egli sta fermo a no(n) parlare, ri– menalo qua – E il cavaliere il prese e menollo a la giust|izia, e molto gli diciea: – Parla, via, p(er)ché morai p(er) tac|ere. Parla e viverai – E quelli no(n) churando la morte, fue insino a quella ch’egli stese il chollo p(er) ricievere il
15
cholpo della spada, e mostrava ch’egli disiderasse la m|orte, e no(n) volle parlare. Alora lo cavaliere lo rime– nò allo ’mperadore.
––––––– 143 144
45r–16 ài. 45v–1 Biagi [ibid., p. 89]: Atena.
265
ADrÕano marauÕglÕandosÕ della fermeza dÕque sto FÕlosafo sÕglÕ parlo 7 dÕsse dache questa leg 20
Õe deltacere : laquale tuttaÕ Õmposto ɃnɃosÕ puote dÕ scÕoglere ȸ neuna cagÕone prendÕ questa tauola 7 scrÕuÕ 7 fauella colla mano alchuna cosa . Esede pre se Una tauola 7 scrÕsse Õnquesto modo . AdrÕano Õo ɃnɃo tÕteme neente ȸche paÕ cosÕ sÕngnore dÕque
25
sto tempo tumɬ puoÕ UccÕdere matu ɃnɃonaÕ pod esta dÕfarmÕ parlare una sola boce . loÕmȸado re lesse 7 dÕsse bense Õschusato Maanche tÕpregh o chemÕ ÕscrÕuÕ chee lauÕta deluomo . loFÕlosafo scr
(46r) Õsse 7 dÕsse lauÕta deluomo sÕe Alle greza debuonÕ crÕstÕzÕa demÕserÕ aspettamento dÕmorte : chee lo mondo . lomondo sÕe cerchÕo cheuolue senza rÕp oso fermamento dÕmolte forme 7 uoluÕmento 5
senza errore : chee lomare . lomare sÕe abraccÕa mento delmondo . termÕne Õncoranato . albergho defÕumÕ . fontana della cque 7 dellepÕoggÕe chee sole Sole sÕe ochÕo delcÕelo . cerchÕo delcaldo sple ndore sanza abassamento . ornamento deldÕe dÕuÕ
10
dÕtore delore : che chosae laluna . laluna sÕe porpore delcÕelo contrarÕa delsole nemÕcha demalfattorÕ consolamento demerchatantÕ dÕrÕzamento den auÕcantÕ . sengnÕo dÕsolenpÕtate . largheza dÕrug Õada angura dÕuÕnamento detenpÕ 7 deletenpe
15
ste : chee laɒra laɒra sÕe bassore dellarÕe 7 delcÕelo tuorlo delmondo . guardÕa 7 madre defruttÕ . chop erchÕo delnÕferno . madre dÕtutte cose chenaschono 7 balÕa dÕquelle cose cheuÕuono . dÕuoratrÕce dÕtut tÕ cÕglÕerÕ dellauÕta ɥ Che cosae luomo luomo sÕe
266
Adriano, maravigliandosi della fermeza di que–
[115]
sto filosafo, sí gli parlò e disse: – Da che questa leg|ie 20
del tacere, la quale tu tt’ài imposto, no(n) si puote di|sciogl[i]ere p(er) neuna cagione, prendi questa tavola e scrivi e favella colla mano alchuna cosa – E sedé, pre– se una tavola e scrisse in questo modo: «Adriano, io no(n) ti teme neente, p(er)ché pai cosí singnore di que–
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sto tempo; tu mi puoi uccidere, ma tu no(n)n ài pod|està di farmi parlare una sola boce». Lo imp(er)ado– re lesse e disse: – Ben sè ischusato; ma anche ti pregh|o che mi iscrivi che è la vita de l’uomo. Lo filosafo
(46r) scr|isse : «La vita de l’uomo si è allegreza de’ buoni, cristizia145 de’ miseri, aspettamento di morte». – Che è lo mondo? – « Lo mondo si è cerchio che volve senza rip|o– so, fermamento di molte forme e volvimento 5
senza errore». – Che è lo mare? – «Lo mare si è abraccia– mento del mondo, termine incoranato, albergho de’ fiumi, fontana dell’acque e delle pioggie». – Che è sole? – «Sole si è ochio del cielo, cerchio del caldo, sple|ndore sanza abassamento, ornamento del die, divi–
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ditore de l’ore». – Che chosa è la luna? – «La luna si è porpore del cielo, contraria del sole, nemicha de’ malfattori, consolamento de’ merchatanti, dirizamento de’ n|avicanti, sengnio di solenpitate, largheza di rug|iada, angura, divinamento de’ tenpi e de le tenpe–
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ste». – Che è la t(er)ra? – «La t(er)ra si è bassore dell’arie e del cielo, tuorlo del mondo, guardia e madre de’ frutti, chop|erchio del Niferno, madre di tutte cose che naschono e balia di quelle cose che vivono, divoratrice di tut– ti, ciglieri della vita» – Che cosa è l’uomo? – «L’uomo si è
––––––– 145
46r–2 tristizia.
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mente Õncharnata . fantasma deltempo guard atore dellauÕta . Ⱦuente dellamorte romeo trapa ssante . oste forestÕerÕ dÕluogo anÕma dÕfatÕcha abÕ tatore dÕpÕcholo tempo : Chee labeleza labeleza . sÕe fÕore fracÕdo . beatÕtudÕne charnale desÕderÕo
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della gente Chee lafemÕna lafemÕna sÕe confon dÕmento deluomo . fÕera danosazÕare . contÕnua so lÕcÕtudÕne battaglÕa senza trega . naufragÕo 7 ron pÕmento duomo ɃnɃo contenente serua deluomo :
(46v) Chee AmÕco AmÕco sÕe nome dÕsÕdereuole refugÕo dellauerssÕta beatÕtudÕne senza abbandono Chee RÕ ccheza rÕccheza sÕe pondo doro 7 dargento . mÕstÕerÕ d Õranghole . dÕletto sanza allegreza . InuÕdÕa daɃnɃo sazÕ 5
are desÕderÕo daɃnɃo conpÕere . bocha grandÕssÕma . con ɃcɃochupÕscenzÕa ÕnuÕsÕbÕle Chee pouerta pouerta sÕe bene odÕata madre dÕsanÕtade rÕmouÕmento dÕrango le rÕcoueratrÕce delsauere merchatantÕa sanza danno possedÕmento senza calogna 7 solÕcÕtudÕne Chee UecchÕ
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ezza . UecchÕezza emale dÕsÕderata . morte deuÕuÕ Õnfer mÕta senza morte chefÕata ɥ Chee Sonno sonno sÕe yma gÕne dÕmorte rÕpossamento 7 requÕe delle fatÕche . tale nto dellÕ Õnfermɬ desÕderÕo demÕserÕ : Chee Morte morte 2
sÕe et nale sonno . paura derÕcchÕ . desÕderÕo depouerÕ . au 15
enÕmento daɃnɃo cessare ladrone deglÕuomÕnɬ chaccÕatrÕ ce dÕuÕta resoluÕmento dÕtuttÕ ɥ Chee parola parola sÕe manÕfestamento danÕmo . Chee Corpo corpo sÕe ymagɃÕɃe dellanÕma . Chee barba barba sÕe dÕscrezÕone dando ɃcɃono scÕmento dÕȸsona : Chee fronte fronte sÕe ymagÕne del
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lanÕmo . Chesono glÕoccÕ . glÕoccÕ sono guÕda delcorpo ua gellÕ delume mostratore danÕmo : Chee celabro celabro sÕe guardÕa delamemorÕa : Chee chuore chuore sÕe roccha 7 forteza della uÕta : Chee feghato feghato sÕe guardÕa de
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mente incharnata, fantasma del tempo, guard|a– tore della vita, s(er)vente della morte, romeo trapa|s– sante, oste forestieri di luogo, anima di faticha, abi– tatore di picholo tempo» – Che è la beleza? – «La beleza si è fiore fracido, beatitudine charnale, desiderio
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della gente» – Che è la femina? – «La femina si è confon– dimento de l’uomo, fiera da no saziare, continua so– licitudine, battaglia senza trega, naufragio e ron– pimento d’uomo no(n) contenente, serva de l’uomo».
(46v) – Che è amico? – «Amico si è nome disiderevole, refugio dell’averssità, beatitudine senza abbandono». – Che è ri|ccheza? – «Riccheza si è pondo d’oro e d’argento, mistieri d|iranghole, diletto sanza allegreza, invidia da no(n) sazi|are, 5
desiderio da no(n) conpiere, bocha grandissima, con– chupiscenzia invisibile». – Che è povertà? – «Povertà si è bene odiata, madre di sanitade, rimovimento di rango– le, ricoveratrice del savere, merchatantia sanza danno, possedimento senza calogna e solicitudine». – Che è vecchi|ezza?
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– «Vecchiezza è male disiderata, morte de’ vivi, infer– mità senza morte che fiata». – Che è sonno? – «Sonno si è yma– gine di morte, ripossamento e requie delle fatiche, tale|nto delli infermi, desiderio de’ miseri». – Che è morte? – «Morte si è et(er)nale sonno, paura de’ ricchi, desiderio de’ poveri,
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av|enimento da no(n) cessare, ladrone degli uomini, chacciatri– ce di vita, resolvimento di tutti». – Che è parola? – «Parola si è manifestamento d’animo». – Che è corpo? – «Corpo si è ymagi(n)e dell’anima». – Che è barba? – «Barba si è discrezione dando co(n)no– scimento di p(er)sona». – Che è fronte? – «Fronte si è ymagine
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del|l’animo». – Che sono gli occ[h]i? – «Gli occ[h]i sono guida del corpo, va|gelli de lume, mostratore d’animo» – Che è celabro? – «Celabro si è guardia de la memoria». – Che è chuore? – «Chuore si è roccha e forteza della vita». – Che è feghato? – «Feghato si è guardia de|l
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lcaldo : Chee fÕele fÕele sÕe mouÕmento dÕra : Chee mÕlza 25
mÕlza sÕe albergho dallegreza 7 dÕrÕso . Chee Õstomacho Õstomacho sÕe chuocho decÕbÕ 7 demenbrÕ : Chesono lossa lossa sono fermeza delcorpo : Chesono lÕpÕedÕ lÕpÕedÕ sono mobÕle fondamento . Chee louento louento sÕe turbam
(47r) ento darÕe 7 mouÕmento dacqua secchamento dÕɒra Che sono lÕfÕumÕ lÕfÕumÕ sono chorsÕ cheɃnɃo ueghono me no pascÕmento dÕsole 7 bagnamento dÕɒra : Chee AmÕ sta amÕsta sÕe aguÕglÕanza danÕmo : Chee fede fede 5
sÕe cosa 7 certeza merauÕglÕosa dÕcosa ɃnɃo saputa ɥ Quante manÕere dacque anelmondo ɥ DUe manÕere dacque ae nelmondo . laprÕma 7 lomare loquale ensalato donde tutte lacq3 eschono dÕluÕ . An che sono fontane chechanbÕano locolore ÕÕÕɬ . Uolte lanno
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PrÕmamente nero . 7 poÕ bÕancho . 7 sanguÕgno . 7 possa torbÕdo . 7 chÕara Anche sono fontane checorreno ÕÕÕɬ . g Õornɬ della settÕmana . 7 lure Õstanno chetÕ . uno fÕume e chetutta lasettÕmana corre saluo chel Sabato . UrrÕ fÕum e eanchora alleuante . cheÕlgÕorno corre 7 lanotte ghÕa
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ccÕa . Anche uafontane dÕche luomo fa fuoco lauorato cɻ uola 7 molto arde Altre fontane uae cheguarÕschono de lle fedÕte altre cherendono memorÕa . Altre chequando senebe rendono dÕmentÕchanza . altre chefanno luomo molto gÕacere confemÕna . Altre uenae chauochulano la
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gÕente . Unaltra fontana uae chegÕamaÕ ɃnɃo corre seɃnɃo quando altrÕ uÕfacesse solazo Õntorno consuono dÕstor mentÕ 7 danze con ballÕ ɥ QuantÕ marÕ sono almondo ɥ MEɀ tre sono lÕmarÕ delmondo . loprÕmo sÕe lomare
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beree questo chegÕra Õntorno laɒra 7 sÕe Õnsalato com e uoÕ uedete . losecondo sÕe lomare nero che nullomo ɃnɃo uÕpuo andare dentro . loterzo sÕe quello cheluomo ape lla lomare puzolente doue nulluomo puote Õntrare che
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caldo». – Che è fiele? – «Fiele si è movimento d’ira».– Che è milza? – 25
«Milza si è albergho d’allegreza e di riso». – Che è istomacho? – «Istomacho si è chuocho de’ cibi e de’ menbri». – Che sono l’ossa? – «Ossa sono fermeza del corpo». – Che sono li piedi? – «Li piedi sono mobile fondamento». – Che è lo vento? – «Lo vento si è turbam|ento
(47r) d’arie e movimento d’acqua, secchamento di t(er)ra». – Che sono li fiumi? – «Li fiumi sono chorsi che no(n) ve[n]ghono me– no, pascimento di sole e bagnamento di t(er)ra». – Che è ami|stà? – «Amistà si è aguiglianza d’animo». – Che è fede? – «Fede 5
si è cosa e certeza meravigliosa di cosa no(n) saputa». Quante maniere d’acque à nel mondo?
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Due maniere d’acque àe nel mondo. La prima è lo mare, lo quale è ’nsalato, donde tutte l’acque eschono di lui. An– che sono fontane che chanbiano lo colore IIII volte l’anno: 10
primamente nero, e poi biancho, e sanguigno, e possa torbido, e chiara. Anche sono fontane che correno IIII g|iorni della settimana e l’ure istanno cheti. Uno fiume è che tutta la settimana corre, salvo che ’l sabato. V[a]ri fium|e è anchora a llevante, che il giorno corre e la notte ghia|c–
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cia. Anche v’à fontane di che l’uomo fa fuoco lavorato ch(e) vola e molto arde. Altre fontane v’àe che guarischono de|lle fedite; altre che rendono memoria; altre che quando se ne be’ rendono dimentichanza; altre che fanno l’uomo molto giacere con femina; altre ve n’àe ch’avochulano la
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giente. Un’altra fontana v’àe che giamai no(n) corre se no(n) quando altri vi facesse solazo intorno con suono di stor– menti e danze con balli. Quanti mari sono al mondo?
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Mess(er), tre sono li mari del mondo: lo primo si è lo mare 25
beree, questo che gira intorno la t(er)ra e si è insalato com|e voi vedete; lo secondo si è lo mare nero che null’omo no(n) vi può andare dentro; lo terzo si è quello che l’uomo ape|lla lo mare puzolente, dove null’uomo puote intrare che
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(47v) dÕpuzza ɃnɃo morÕsse . Et sÕe oltra lomare nero Et chossÕ come lomare bettee gÕra lomondo . CossÕ gÕra lomare nero lomare bettee EllosÕmÕglÕante lomare puzzole nte gÕra lomare nero Õntorno ɥ 5
Perche losole chaldo . 7 laluna fredda ɥ SEllo sole ɃnɃofosse caldo 7 laluna fredda gÕa nullo homo uÕuere ɃnɃopotrebbe nenulla creatura nella ɒra ɃnɃo darebbe losuo frutto . ChedÕo ȸlasua potenzÕala stabÕlÕto 7 ordÕnato cosÕ come almondo facea mÕstÕ
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erÕ Losole schalda laɒra 7 fauÕuere lenature tutte Et tutto cÕofae ȸsuo calore . Esello suo chalore fosse dÕgÕo rno 7 dÕnotte legÕente sÕafogherebero . 7 lÕfruttÕ sech erebbeno . Malanotte sÕuÕene lofreddore della luna 7 dellarÕa 7 adtempera localore delsole 7 redde humÕ
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dore aÕfruttÕ 7 lÕnodrÕsce Et sello freddore della luna 7 lochalore delsole ɃnɃofosse lomȭdo uÕuere ɃnɃo potrebbe ɥ QualÕ sono pÕu tragente . bestÕe pescÕ UcellÕ ɥ SEgÕente afatto ÕdÕo meno assaÕ chelle bestÕe 7 leb estÕe sono molto pue chelle gÕente che ȸcÕaschuna
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ȸsona sono pÕu dÕC bestÕe almondo . Et ȸcÕaschuna be stÕa apÕu dÕ M . ucellÕ almondo . 7 ȸcÕaschuno ucello 7 ȸ cÕascuna ȸsona . sono centomÕlÕa pescÕ Õnmare tragran dÕ 7 pÕccholÕ . LÕpescÕ sono quellÕ chedÕo afatto pÕu dÕtut te laltre creature moueuule ɥ
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DÕo loquale tutto possente ȸcheɃnɃofece altre creature chebestÕe pescÕ 7 ucellÕ ɥ DIo ȸlasua potenzÕa fece bene 7 ordÕnata mente cÕo chauea afare almondo . ChellÕ fece almondo qua
(48r) tro elementÕ : 7 luomo fue fatto dÕquestÕ ÕÕÕɬ . eleme ntÕ 7 lofece dÕquatro conparazÕone dÕcaldo . dÕfreddo . dÕsecco 7 dumÕdo EsÕllÕ fece corpo dÕɒra . 7 alle bestÕe co rpo dÕcalore Et allÕ uccellÕ corpÕ daÕre Et allÕ pescÕ co
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(47v) di puzza no(n) morisse. Et si è oltra lo mare nero. Et chossí come lo mare bettee gira lo mondo, cossí gira lo mare nero lo mare bettee; e llo simigliante, lo mare puzzole|nte gira lo mare nero intorno. 5
Perch’è lo sole chaldo e la luna fredda?
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Se llo sole no(n) fosse caldo e la luna fredda, già nullo homo vivere no(n) potrebbe, né nulla creatura nella t(er)ra no(n) darebbe lo suo frutto: ché Dio p(er) la sua potenzia l’à stabilito e ordinato cosí come al mondo facea misti|eri. 10
Lo sole schalda la t(er)ra e fa vivere le nature tutte, et tutto ciò fae p(er) suo calore. E se llo suo chalore fosse di gio|rno e di notte, le giente si afogherebero e li frutti sech|erebbeno. Ma la notte sí viene lo freddore della luna e dell’aria, e adtempera lo calore del sole, e redde humi–
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dore ai frutti e li nodrisce. Et se llo freddore della luna e lo chalore del sole no(n) fosse, lo mo(n)do vivere no(n) potrebbe. Quali sono piú tra: gente, bestie, pesci, ucelli?
[119]
Se giente à fatto Idio meno assai che lle bestie, e le b|estie sono molto pue che lle giente; ché p(er) ciaschuna 20
p(er)sona sono piu di C bestie al mondo; et p(er) ciaschuna be– stia à piú di M ucelli al mondo; e p(er) ciaschuno ucello e p(er) ciascuna p(er)sona sono centomilia pesci in mare, tra gran– di e piccholi. Li pesci sono quelli che Dio à fatto piú di tut– te l’altre creature movevule.
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Dio, lo qual è tutto possente, p(er)ché no(n) fece altre creature
[120]
che bestie, pesci e ucelli? Dio, p(er) la sua potenzia, fece bene e ordinatamente ciò ch’avea a fare al mondo, ch’elli fece al mondo qua|tro (48r) elementi; e l’uomo fue fatto di questi IIII eleme|nti, e lo fece di quatro conparazione: di caldo, di freddo, di secco e d’umido; e sí lli fece corpo di t(er)ra e alle bestie co|rpo di calore, et alli uccelli corpi d’aire, et alli pesci co|r–
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rpÕ dÕcqua : SÕffece tutto adÕrÕtto 7 arragÕone meglo checorpo duomo potesse pensare Õnnullo modo ɥ losudore delcorpo dondesce : LOsudore delcorpo sÕesce derÕo sangue sÕsÕ muoue ȸ locorpo 7 rÕnfÕama . 7 sÕsÕmÕschÕa collÕ altrÕ hom
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orÕ . 7 gÕtta losuo chalore alcorpo . 7 torna locorpo frale 7 uano . 7 aquesto loffa forte mente sudare : Maquando locorpo eforte 7 sano ellÕ ɃnɃo teme mÕcha tanto quello chalore 7 ɃnɃosuda poÕ tanto ɥ DÕquantÕ modÕ sono lebestÕe ɥ
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LIdÕuersÕ modÕ sono lebestÕe sopra ɒra . 7 bestÕe ches sono molte perÕcolose . ChebestÕe sono anmodo duom Õnɬ maschÕ 7 femÕne . 7 sono molto grandÕ 7 pÕlosÕ 7 pe rÕculosÕ . 7 anno nome DonzellÕ BestÕe sono ancho ɃcɃoqu atro pÕedÕ channo due teste 7 sono chÕamate . ghÕnbe
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stÕe . 7 sono sÕe grande che ognuna dÕloro porterebbe sud osso . bene x homÕnÕ . Anco sono bestÕe ɃcɃocorna Õnfronte BestÕe sono admodo dÕȾpentÕ 7 anno faccÕa duomo 7 ca pellÕ dÕfemÕna 7 sono molto perÕcholose chesella Uede laȸsona ÕnanzÕ chelaȸsona ueggÕa leÕ . Õncontanente qu
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ella ȸsona sÕmuore Masella ȸsona uede InnanzÕ labestÕa sÕmuore labestÕa . Anchora sono bestÕe dÕmolte fazÕone donde sarebe troppo lungha storÕa auolerle rÕɃcɃotare 7 so no sÕperÕcolose che ȸloro paura molte contrade sÕdÕsabÕ
(48v) tano MaellÕ nascera Uno Re cheffÕe appellato . Allexan dro chetutte lescacera nelgrande dÕserto doue ɃnɃo sÕuedra lume 7 la staranno sempre : Quale lopÕu bello ucello delmondo ɥ 5
LOpÕu bello ucello delmondo sÕe logallo loquale a molte bontade Õnse chenosono gÕa Õnaltro ucello . Lo
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5
pi dicqua.146 Sí ffece tutto a diritto e a rragione, megl[i]o che corpo d’uomo potesse pensare in nullo modo. Lo sudore del corpo dond’ esce?
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Lo sudore del corpo si esce de rio sangue. Sí si muove p(er) lo corpo e rinfiama, e sí si mischia colli altri hom|ori, 10
e gitta lo suo chalore al corpo e torna lo corpo frale e vano, e a questo lo ffa fortemente sudare. Ma quando lo corpo è forte e sano, elli no(n) teme micha tanto quello chalore e no(n) suda poi tanto. Di quanti modi sono le bestie?
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Li
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diversi modi sono le bestie sopra t(er)ra, e bestie che
s|sono molte pericolose: ché bestie sono a nmodo d’uom|ini maschi e femine, e sono molto grandi e pilosi e pe– riculosi, e ànno nome donzelli. Bestie sono ancho co(n) qu|atro piedi ch’ànno due teste e sono chiamate ghinbe– 20
stie, e sono sie grande che ognuna di loro porterebbe su d|osso bene X homini. Anco sono bestie co(n) corna in fronte. Bestie sono ad modo di s(er)penti e ànno faccia d’uomo e ca– pelli di femina, e sono molto pericholose, ché s’ella vede la p(er)sona inanzi che la p(er)sona veggia lei, incontanente
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qu|ella p(er)sona si muore. Ma se lla p(er)sona vede innanzi la bestia, si muore la bestia. Anchora sono bestie di molte fazione, donde sarebe troppo lungha storia a volerle rico(n)tare, e so– no sí pericolose che p(er) loro paura molte contrade si disabi–
(48v) tano. Ma elli nascerà uno re che ffie appellato Allexan|dro, che tutte le scacerà nel grande diserto dove no(n) si vedrà lume, e là staranno sempre. Qual è lo piú bello ucello del mondo? 5
[123]
Lo piú bello ucello del mondo si è lo gallo, lo quale à molte bontade in sé che no sono già in altro ucello. Lo
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48r–5 d’acqua. 48r–15 Di.
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gallo sÕa corona 7 spronÕ . 7 canta lore dÕdÕ 7 dÕnotte ȸ lagɃra dÕdÕo . Gallo sÕe molto geloso dÕsua FemÕna pÕu che nullomo della sua . 7 SÕe tanto largho 7 cortese 7 dÕbuo 10
narÕe chellÕ patÕsce lafame . 7 da amangÕare allasua fe mÕna : Gallo fae battaglÕa 7 assalto . sÕcome faluomo . Et se Gallo fosse ucello dÕchaccÕa tuttÕ glÕaltrÕ ucellÕ lÕfarebbo no reuerenzÕa 7 dotterebollo chedÕbelleza tuttÕ glÕatrÕ passa ɥ Quale lapÕu bella 7 forte bestÕa chessÕa :
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LApÕu bella bestÕa 7 lapÕu forte delmondo 7 lapÕu ar endeuÕle sÕe lo cauallo . ȸche lÕcauallÕ sÕmantenghono lÕsÕngnorÕ 7 guadagnano lÕonorÕ 7 lepossessÕone 7 lepro uÕncÕe 7 leterre Et sÕnone nulla bestÕa almondo quando fosse chaccÕata comel chauallo quando locaualÕere uesuso
20
armato cheggÕa sÕpotesse mutare . Et locauallo quando e charÕcato sÕe assaÕ pÕu forte chaltra bestÕa dÕscharÕcata o ndellÕ sÕdee molto amore 7 ɃpgÕare sopra tutte bestÕe delmɃodo : QualÕ sono lÕbellÕ chauallÕ : BEllÕ cauallÕ sÕa nelmondo assaÕ . Lobello cauallo de au
25
ere Õnse . ÕÕÕɬ cose lunghe 7 ÕÕÕɬ . cose larghe . 7 ÕÕÕɬ . cos e corte PrÕma sÕde auere Inse lobello chauallo lungho collo . 7 lunghe ganbe . 7 lunghe anghÕe 7 lungha coda Et sÕde auere Õnse largo petto . larghe groppe . largha bo
(49r) cha . 7 larghe nare . 7 sÕde auere Õnse corte gÕunte . torto dosso tortÕ orechÕ . 7 torta coda nolla pelo ma laɁpÕeta dello sso 7 dellacarne . 7 sopra tutto questo sÕdee auere grandÕ occhÕ 7 aȸtÕ Esello cauallo aÕnse tutto Ƀqsto molto dapregÕare : 5
Quale sono lepÕu ÕntendeuÕle bestÕe chessÕano ɥ LEpÕu IntendeuÕle bestÕe delmondo sÕsono ScÕɣme Canɬ . 7 OrsÕ . queste sono lepÕu ÕntendeuÕle bestÕe che
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gallo sí à corona e sproni, e canta l’ore di dì e di notte p(er) la gr(azi)a di Dio. Gallo si è molto geloso di sua femina, piú che null’omo della sua, e si è tanto largho e cortese e di buo– 10
narie ch’elli patisce la fame e dà a mangiare alla sua fe– mina. Gallo fae battaglia e assalto sí come fa l’uomo. Et se gallo fosse ucello di chaccia, tutti gli altri ucelli li farebbo– no reverenzia e dotterebollo, ché di belleza tutti gli a[l]tri passa. Qual è la piú bella e forte bestia che ssia?
15
[124]
La piú bella bestia e la piú forte del mondo, e la piú ar|endevile, si è lo cavallo, p(er)ché li cavalli si mantenghono li singnori e guadagnano li onori e le possessione, e le pro– vincie, e le terre. Et sí, non è nulla bestia al mondo, quando fosse chacciata come ’l chavallo quando lo cavaliere v’è suso
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armato, che ggià si potesse mutare. Et lo cavallo quando è charicato, si è assai piú forte ch’altra bestia discharicata: o|nde lli si dee molto amore e p(re)giare sopra tutte bestie del mo(n)do. Quali sono li belli chavalli?
[125]
Belli cavalli si à nel mondo assai. Lo bello cavallo de 25
av|ere in sé IIII cose lunghe e IIII cose larghe, e IIII cos|e corte. Prima si de avere in sé lo bello chavallo lungho collo e lunghe ganbe e lunghe anghie148 e lungha coda. Et si de avere in sé largo petto, larghe groppe, largha bo–
(49r) cha e larghe nare. E si de avere in sé corte giunte, torto149 dosso, corti orechi e corta coda no· lla150 pelo, ma la p(ro)pietà dell’o|sso e della carne. E sopra tutto questo si dee avere grandi occhi e ap(er)ti. E se llo cavallo à in sé tutto q(ue)sto, molto è da pregiare. 5
Quale sono le piú intendevile bestie che ssiano?
[126]
Le piú intendevile bestie del mondo si sono scim(m)e, cani e orsi. Queste sono le piú intendevile bestie che
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48v–27 unghie. 49r–1 corto. 49r–2 llo.
277
sÕano . 7 dÕo adonato loro ɃcɃonoscenza pÕu challaltre bestÕ e . ChenoÕ sÕtrouÕamo nellÕbro dÕNoe . seruus deÕ chequa 10
ndo fue Õndellarcha ȸlodÕluuÕo che queste tre bestÕe ste tteno pÕu presso dÕluɬ chenulla dellaltre . 7 quando uscÕ ro dellarcha sÕfurono lultÕme chedaluÕ sÕpartÕno . che ȸ loloro ÕntendÕmento aueano sempre paura che lodÕl uuÕo ɃnɃo rÕtornasse adÕetro unaltra uolta ɥ
15
Deluomo dÕmentÕchare quellÕ chelanno seruÕto ɥ LOm ȸcerto ȸ tuttÕ tenpÕ etÕam dÕo sÕa stato loȾuÕg Õo pcho 7 pÕccolo ȸnullo tempo luomo nollode dÕme ntÕchare che quellÕ chegrado 7 appÕacere mÕfa ellÕ mÕda assaÕ delsuo . 7 ȸcÕo dehomo portare amore 7 beneuoglÕe
20
nza aquellÕ chelanno seruÕto . 7 atare loro seɀuÕgÕo etale chelpossÕ fare chebuono guÕdardone sÕde delbene rendere . ȸcÕo cheluomo netenuto sÕcome ȸdeuÕco ɥ QualÕ sono lÕmenbrÕ chelluomo ɃnɃo potesse uÕuere sensessÕ ɥ SEluomo auesse meno lÕpÕedÕ . 7 lemanÕ 7 glÕocchÕ
25
7 glorecchÕ .7 lonaso . odalchuno altro menbro . 7 lalÕn gua . 7 ÕdentÕ fosseno sanÕ 7 ÕnterÕ . luomo potrebbe uÕuere : Et selluomo auesse tuttÕ lÕmenbrÕ sanÕ saluo la lÕngua 7 dentÕ ɃnɃo potrebbe uÕuere ȸche dentÕ 7 lalÕn
(49v) gua sÕaȸtegnono allauÕta delluomo . LÕdentÕ mangÕano lauÕuanda deluomo donde locorpo uÕue . Et lalÕngua sÕa fatto dÕo alcorpo ȸadorare suo santo nome ellÕdentÕ sono fattÕ dÕnerbÕ ghÕaccÕatÕ ɥ 5
Ara tutta uÕa guerra almondo ɥ GUerra ara tutta uÕa almondo . 7 guaÕ aquellÕ cheȸ luɬ sÕe comÕncÕata . GÕamaÕ anullo gÕorno chesÕa ɃnɃo sÕe pace ȸtutto lomondo . cheɃnɃouabbÕa guerra pÕchola ogrande . Et selmondo auesse tutta uÕa pace ellÕ ɃnɃo ser
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ebbe mÕcha mondo anzÕ serebbe paradÕso ȸche Inpar
siano, e Dio à donato loro co(n)noscenza piú ch’ all’ altre besti|e. Ché noi sí troviamo nel libro di Noè servus Dei, che qua|ndo 10
fue indell’archa p(er) lo diluvio, che queste tre bestie ste|tteno piú presso di lui che nulla dell’altre; e quando usci– ro dell’archa, si furono l’ultime che da lui si partíno, ché p(er) lo loro intendimento aveano sempre paura che lo dil|uvio no(n) ritornasse adietro un’altra volta.
15
De l’uomo dimentichare quelli che l’anno servito?
[127]
L’om p(er) certo, p(er) tutt’i tenpi, etiamdio sia stato lo s(er)vig|io p[o]cho e piccolo: p(er) nullo tempo l’uomo no·llo de dime|ntichare. Ché quelli che grado e a ppiacere mi fa, elli mi dà assai del suo, e p(er)ciò de homo portare amore e benevoglie|nza 20
a quelli che l’anno servito, e atare loro, se ss(er)vigio è tale che ’l possi fare: ché buono guidardone si de del bene rendere, p(er)ciò che l’uomo n’è tenuto sí come p(er) devico.151 Quali sono li menbri che ll’uomo no(n) potesse vivere sens’essi?
[128]
Se l’uomo avesse meno li piedi e le mani, e gli occhi, 25
e gl’orecchi, e lo naso od alchuno altro menbro, e la lin– gua e i denti fosseno sani e interi, l’uomo potrebbe vivere. Et se ll’uomo avesse tutti li menbri sani salvo la lingua e denti, no(n) potrebbe vivere, p(er)ché denti e la lin–
(49v) gua si ap(ar)tegnono alla vita dell’uomo. Li denti mangiano la vivanda de l’uomo, donde lo corpo vive; et la lingua sí à fatto Dio al corpo p(er) adorare suo santo nome, e lli denti sono fatti di nerbi ghiacciati. 5
Arà tuttavia guerra al mondo?
[129]
Guerra arà tuttavia al mondo e guai a quelli che p(er) lui si è cominciata. Già mai a nullo giorno che sia no(n) si è pace p(er) tutto lo mondo che no(n) v’abbia guerra pichola o grande. Et se ’l mondo avesse tuttavia pace, elli no(n) 10
ser|ebbe micha mondo, anzi serebbe Paradiso, p(er)ché in Par|a–
––––––– 151
49r–22 debito.
279
adÕso atutta uÕa pace 7 cosÕ serebelomondo . EȸcÕo chel mondo emondo gÕamaÕ dÕguerra no fallÕra . Et sÕfÕno . due modÕ dÕguerra . luno spɃuale 7 laltro corporale . losp ÕrÕtuale . sÕe ȸlonÕmÕco chetutto gÕorno male 7 procha 15
ccÕa ȸnoÕ Õngannare : Et locorȸale sÕssÕe luna gÕente cɻ andera sopra laltra : Et chosÕe ɃnɃo fÕnerae fÕna lafÕne delmondo ɥ LorÕna delluomo ȸchee salata ɥ LOrÕna delluomo sÕe salsa ȸtre cose : LaprÕma ȸchella
20
passa 7 dÕstende della uÕdanda elacola 7 colla losa lsume chenella uÕuanda troua chede dÕnatura dacqua . Laseconda sÕe ȸlosudore chedentro alcorpo 7 tutto tÕra lacqua nellauÕscÕcha dentro . Et losudore sÕe dÕnatura salso Laterza sÕe ȸlochalore chedentro alcorpo . 7 che
25
fa meschÕare 7 bollÕre lacqua ÕnsÕeme colsudore ɥ Quale lamÕglÕore arte chessÕa ɥ LArte 7 lÕmÕstÕerÕ sono ȾuÕ delmondo 7 nulla sɃoɃo uerso larte della lettera . sella lettera ɃnɃo fosse luomo
(50r) sÕmenerebbe uÕta dÕbestÕa . 7 nullomo potrebbe ɃcɃo noscere losuo bene dalsuo male ɥ
ȸche ɃnɃosÕpuote lanÕma uedere ɥ LAnÕma sÕe SɃpo . 7 lospÕrÕto etanto sottÕle cosa cɻ 5
nɃosÕpuote uedere . LÕangelÕ che delcÕelo dÕscen dono . sono sɃpÕ . 7 ueder ɃnɃo sÕpossono . sellÕ ɃnɃo prend ono corpÕ daÕre Et allora sono uedutÕ Chenullo co rpo terreno puo uedere SpÕrÕto sellÕ ɃnɃo prende co rpo dalchuna sÕmÕglÕanza gÕassÕa chello spÕrÕto sÕa lo
10
uono orÕo : chespÕrÕto nompuote senom . SɃpo uedere comellÕ tanto Macome lospÕrÕto edentro locorpo gÕa ɃnɃo puote uedere altro spÕrÕto ɥ
280
diso à tuttavia pace: e cosí serebe lo mondo. E p(er)ciò che ’l mondo è mondo, già mai di guerra no fallirà. Et si fino due modi di guerra: l’uno sp(irit)uale e l’altro corporale; lo sp|irituale si è p(er) lo nimico ch’è tutto giorno male e procha|ccia 15
p(er) noi ingannare; et lo corp(or)ale sí ssi è l’una giente ch(e) anderà sopra l’altra. Et chosie no(n) finerae fin a la fine del mondo. L’orina dell’uomo p(er)ché è salata?
[130]
L’orina dell’uomo si è salsa p(er) tre cose: la prima p(er)ch’ella 20
passa e distende152 della vidanda153 e la cola, e colla lo sa|lsume ch’è nella vivanda; trova ched è di natura d’acqua. La seconda si è p(er) lo sudore ch’è dentro al corpo e tutto tira l’acqua nella viscicha dentro. Et lo sudore si è di natura salso. La terza si è p(er) lo chalore ch’è dentro al corpo e che
25
fa meschiare e bollire l’acqua insieme col sudore. Qual è la migliore arte che ssia?
[131]
L’arte e li mistieri sono s(er)vi del mondo, e nulla so(n)o verso l’arte della lettera. Se lla lettera no(n) fosse, l’uomo (50r) si menerebbe vita di bestia, e null’omo potrebbe co– noscere lo suo bene dal suo male. P(er)ché no(n) si puote l’anima vedere?
[132]
L’anima si è sp(irit)o; e lo spirito è tanto sottile cosa ch(e) 5
no(n) si puote vedere. Li angeli che del cielo discen– dono sono sp(irit)i e veder no(n) si possono s’elli no(n) prend|ono corpi d’aire, et allora sono veduti: ché nullo co|rpo terreno può vedere spirito s’elli no(n) prende co|rpo d’alchuna simiglianza, già ssia che llo spirito sia
10
b|uono o rio; che spirito nom puote se nom sp(irit)o vedere com’elli tanto; ma come lo spirito è dentro lo corpo, già no(n) puote vedere altro spirito.
––––––– 152 153
49v–20 discende. 49v–20 vivanda.
281
ChÕfece loprÕmo stormento ɥ LOprÕmo stormento delmondo sÕfece 7 trouo Uno 15
defÕglÕuolÕ DÕnoe . quellÕ che ȸ nome era GÕaffet appellato 7 lotrouo ÕmprÕma ȸlosuono delacque cor rente chetemȸano losuono delle pÕetre chetrou ano alte 7 basse cheluna damaggÕor suono delal tra . Anchora lotrouo ȸlouento cheffÕere allÕarborÕ
20
cÕoe allefronde 7 falle sonare . Et Õnquesto modo ȸ losuo senno . SÕtrouo 7 ordÕnoe stormɃeto ȸlauolɃota dÕɃxɃpo : Quale pÕu alto tralomare olaterra ɥ LAterra sÕe pÕu alta assaÕ chello mare chella pÕu bassa rÕpa delmondo epÕu alta chelmare : Et se
25
llomare fosse pÕu alto chella ɒra ellÕ lacoperebbe tu tta dacqua donÕgnÕ parte ɥ SedÕo ɃnɃo auesse fatto lomondo chome sarebbe stato ɥ LOmondo serebbe stato come uno grande abbÕ
(50v) sso congrande tenebre 7 autressÕ nulla come cosa che ɃnɃo fosse maÕ Õstata . 7 gÕa ȸcÕo dÕo ɃnɃo arebbe ȸduta sua gáÕa altressÕ bene serebbe stato allora comora . Cheȸlo seculo 7 ȸ altre cose chellÕ cÕfacesse ɃnɃoe ȸcÕo pÕu acre 5
scÕuto Õnsua gɃlÕa . neɃnɃosarebbe peggÕorato ȸche no lla uesse fatto . chetuttauÕa fue senza comÕncÕame nto 7 tutta uÕa sera senza fÕne ɥ CÕo che luomo mangÕa come sÕdÕparte ɥ LAuÕuanda chelluomo mangÕa sÕraghuna tu
10
tta allostomacho . 7 lae sÕchuoce 7 fonde . Et qu andelle bene fonduta allora sÕparte . I u . modÕ . La prÕma parte chepura 7 netta sÕssÕneua alchuore : Laseconda allÕochÕ 7 alleceruella 7 ȸ tutto locapo . La terza ua lcorpo 7 amenbrÕ . 7 alsangue Laquarta al
15
282
polmone 7 alfegato la u . uae affondo ȸ stercore ɥ
Chi fece lo primo stormento?
[133]
Lo primo stormento del mondo sí fece e trovò uno 15
de’ figliuoli di Noè, quelli che p(er) nome era Giaffet appellato, e lo trovò imprima p(er) lo suono de l’acque cor– rente che temp(er)ano lo suono delle pietre che trov– ano alte e basse: ché l’una dà maggior suono de l’al– tra. Anchora lo trovò p(er) lo vento che ffiere alli arbori,
20
cioè alle fronde e falle sonare. Et in questo modo p(er) lo suo senno si trovò e ordinoe storme(n)to p(er) la volo(n)tà di Cristo. Qual è piú alto tra lo mare o la terra?
[134]
La terra si è piú alta assai che llo mare: ché lla piú bassa ripa del mondo è piú alta che ’l mare. Et se 25
llo mare fosse piú alto che lla t(er)ra, elli la coperebbe tu|tta d’acqua d’onigni154 parte. Se Dio no(n) avesse fatto lo mondo, chome sarebbe stato?
[135]
Lo mondo serebbe stato come uno grande abbi|s– (50v) so con grande tenebre e autressí nulla, come cosa che no(n) fosse mai istata. E già p(er) ciò Dio no(n) arebbe p(er)duta sua gl(or)ia; altressí bene serebbe stato allora com’ora. Che p(er) lo seculo e p(er) altre cose ch’elli ci facesse, no(n) è p(er) ciò piú acre– 5
sciuto in sua gl(or)ia, né no(n) sarebbe peggiorato, p(er)ché no ll’avesse fatto; ché tuttavia fue senza cominciame|nto e tuttavia serà senza fine. Ciò che l’uomo mangia come si diparte?
[136]
La vivanda che ll’uomo mangia si raghuna 10
tu|tta allo stomacho e lae si chuoce e fonde. Et qu|and’ell’è bene fonduta, allora si parte i[n] V modi. La prima parte ch’è pura e netta, sí ssi ne va al chuore. La seconda alli ochi e alle cervella, e p(er) tutto lo capo. La terza va ’l corpo e a’ menbri e al sangue. La quarta al
15
polmone e al fegato. La V vae a ffondo p(er) stercore.
––––––– 154
50r–26 ongni.
283
Quanto puo essere locÕelo 7 lonferno grande cheuÕ deano capere tutte lecreature ɥ SEtutta lagente chessono ÕstatÕ 7 sono 7 fÕno fossono tuttÕ ÕnparadÕso 7 anco . C . cotantÕ pÕ ue chÕo ɃnɃodÕcho .7 cÕaschuno dÕloro auesse forno
20
7 gÕardÕno Õnuno albergo cheuÕcapesse . M . homÕ nÕ tutto questo ɃnɃoreÕnpÕerebe ladecÕma parte dÕparadÕso : ElsÕmÕglÕante Õntendere deÕnferno ɥ QualÕ sono pÕu traquellÕ chenaschono ochemuono ɥ QUellÕ chenascono sono assaÕ pÕu dÕquellÕ cheuÕu
25
ono gÕa sÕa cosa chellÕ muono grande quantÕ ta dÕgÕente nelle battaglÕe . logÕorno 7 lanotte so no xxÕÕÕɬ . hore 7 cÕaschuna sÕa . M . lxxx puntÕ . 7 ÕncÕa155 (51r) QuÕ ɃcɃota come Cato . sÕlamentaua contra lauentura ɥ CAto fÕlosafo huomo grandÕssÕmo dÕRoma Õstando Õ npregÕone Õnpouerta parlaua colauentura 7 dolea sÕ molto . 7 dÕcea ȸkemaÕ tanto tolto . Et poÕ rÕspondea Õlluogho delauentura asse medesÕmo . 7 dÕcea cosÕ . FÕglÕ
5
uolo mÕo . quanto dÕlÕcatamente toe alleuato 7 nodrÕto 7 tutto cÕo kemaÕ chesto todato . lasengnorÕa dÕ Roma to data . sengnÕore tofatto . dÕmolte dÕlÕzÕe dÕgrandÕ pal azzÕ . dÕmolto oro . grandÕ cauallÕ 7 moltÕ arnesÕ . OrfÕglÕ uolo mÕo ȸchetÕ ramarÕchÕtue . ȸkÕo mÕparta date Et
10
Cato rÕspondea sÕramarÕcho . Et lauentura parlaua . Or fÕglÕuolo mÕo tuse molto sauÕo . OrɃnɃo pensÕtue cheÕoe fÕ glÕuolÕ pÕccolÕnÕ . ÕqualÕ mÕchonuÕene notrÕchare uotu ch eÕo glÕabandonÕ . ɃnɃo sarebbe ragÕone Or quantÕ pÕccÕolÕ fÕglÕuolÕ oe anutrÕchare fÕglÕuolo mÕo ɃnɃo posso Õstare te
15
cho ɃnɃotÕ ramarÕchare cheÕo ɃnɃoto tolto neente ketusaÕ . checcÕo ketu aÕ ȸduto nonera tuo ȸo keccÕo kessÕ puoȸ dere none proprÕo 7 cÕo kenone propÕo none tuo ɥ
––––––– 155
Il codice ha qui una lacuna.
284
Quanto può essere lo cielo e lo ’nferno grande, che vi
[137]
deano capere tutte le creature? Se tutta la gente che ssono istati e sono e fino, fossono tutti in Paradiso, e anco C cotanti pi|ue 20
ch’io no(n) dicho, e ciaschuno di loro avesse forno e giardino in uno albergo che vi capesse M homi|ni, tutto questo no(n) reinpierebe la decima parte di Paradiso; e ’l simigliante intendere de Inferno. Quali sono piú tra quelli che naschono o che muono?
25
[138]
Quelli che nascono sono assai piú di quelli che viv|ono, già sia cosa ch’elli muono grande quanti|tà di giente nelle battaglie. Lo giorno e la notte so– no XXIIII hore e ciaschuna si à MLXXX punti e in cia ….
(51r) Qui co(n)ta come Cato si lamentava contra la Ventura.
[139]
Cato filosafo, huomo grandissimo di Roma, istando i|n pregione in povertà, parlava co’ la Ventura e dolea|si molto e dicea: – P(er)ké m’ài tanto tolto? – Et poi rispondea 5
i· lluogho de la Ventura a ssé medesimo, e dicea cosí: – Figli|uolo mio, quanto dilicatamente t’òe allevato e nodrito, e tutto ciò ke m’ài chesto t’ò dato: la sengnoria di Roma t’ò data; sengniore t’ò fatto di molte dilizie, di grandi pal|azzi, di molto oro, grandi cavalli e molti arnesi. Or, figli|uolo
10
mio, p(er)ché ti ramarichi tue? p(er)k’io mi parta da te? – Et Cato rispondea: – Sí, ramaricho – Et la Ventura parlava: – Or, figliuolo mio, tu sè molto savio. Or no(n) pensi tue che i’òe fi– gliuoli piccolini, i quali mi chonviene notrichare? Vo’ tu ch|e io gli abandoni? no(n) sarebbe ragione. Or quanti piccioli
15
figliuoli òe a nutrichare! Figliuolo mio, no(n) posso istare te– cho. No(n) ti ramarichare ché io no(n) t’ò tolto neente, ké tu sai che cciò ke tu ài p(er)duto non era tuo, p(er)ò ke cciò ke ssi può p(er)– dere non è proprio, e ciò ke non è propio156 non è tuo –.
––––––– 156
51r–18 proprio.
285
Come Ilsoldano auendo mestÕere dÕmoneta uolle 20
coglÕere cagÕone auno Iudeo ɥ IlsaladÕno auendo mestÕere dÕmoneta fue consÕglÕa to ke choglÕesse cagÕone aduno rÕccho . Iudeo chera Õnsua ɒra . 7 poÕ lÕtoglÕesse ÕlmobÕle suo kera grande oltre numero Ilsoldano mando ȸ questo Iudeo . 7 do
25
mandollo qualfosse lamÕglÕore fede . pensando sedÕra lagÕudea . Io dÕro kellÕ pecchÕ contra lamÕa . Et sedÕra laSaracÕna . 7 Õo dÕroe ordunque ȸke tÕenÕ la gÕudea El gÕudeo udendo ladÕmanda delsengnÕore sÕ rÕspu
(51v) ose cosÕ . Meɀ . eglÕ fue unpadre chauea tre fÕglÕuolÕ 7 auea unsuo anello chonuna pÕetra prezÕosa lamÕglÕore delmo ndo . QuestÕ fÕglÕuolÕ cÕaschuno preghaua Õlpadre che a lla sua fÕne glÕlascÕasse questo anello . EÕlpadre uedendo 5
kome cÕaschuno Õluolea mando ȸuno buono orafa . 7 dÕ sse . Maestro faɣmÕ due anella chosÕ apunto kome questo– 7 mettÕ ÕncÕaschuno una pÕetra che asomÕglÕ aquesta Õlmaestro fece lanella sÕ apunto che neuno conoscÕea ÕlfÕne altro che Õlpadre . Mando ȸ glÕ fÕglÕuolÕ . aduno ad
10
uno 7 achatuno dÕede Õlsuo Õnsecreto . 7 acÕaschuno sÕcre dette auere ÕlfÕne . 7 neuno nesapea ÕldÕrÕtto uero seɃnɃo Õlpadre loro . Et cosÕe delefedÕ . Meɀ . lefedÕ sono tre Õlpadre chelle dÕede sae lamÕglÕore . Et ÕfÕglÕuolÕ cÕosÕamo noÕ cÕ ascuno lasÕcrede auere buona . Allora Ilsoldano udendo
15
costuÕ cosÕ rÕscuotersÕ ɃnɃo seppe chessÕ dÕre pÕu dÕ coglÕglÕ chagÕonÕ sÕlascÕo andare ɥ QuÕ conta una nouella duno sengnore kauea unfedele 7Ȭ . UNo fedele dunsengnore Õlquale tenea sua ɒra essendo auna stagÕone ÕfÕchÕ nouellÕ ÕlsengnÕore passando ȸla
20
contrada dÕquesto suo fedele uÕdde Õnsununa cÕma dun fÕcho unbello fÕcho maturo fecelsÕ coglÕere . Ilfedele sÕpen soe dacheglÕ pÕaccÕono Õo glÕguardero ȸluÕ . sÕssÕ penso dÕnprunaglÕ 7 dÕguardaglÕ sÕche quando furono mat
286
Come il Soldano avendo mestiere di moneta volle 20
[140]
cogliere cagione a uno iudeo. Il Saladino avendo mestiere di moneta fue consiglia– to ke chogliesse cagione ad uno riccho iudeo ch’era in sua t(er)ra, e poi li togliesse il mobile suo k’era grande oltre numero. Il Soldano mandò p(er) questo iudeo e do–
25
mandollo qual fosse la migliore fede, pensando: se dirà la giudea, io dirò k’elli pecchi contra la mia. Et se dirà la saracina, e io diroe: or dunque p(er)ké tieni la giudea? El giudeo, udendo la dimanda del sengniore, si rispu|o–
(51v) se cosí: – Mess(er), egli fue un padre ch’avea tre figliuoli e avea un suo anello chon una pietra preziosa, la migliore del mo|ndo. Questi figliuoli, ciaschuno preghava il padre che a|lla sua fine gli lasciasse questo anello. E il padre, vedendo 5
kome ciaschuno il volea, mandò p(er) uno buono orafa e di|sse: «Maestro, fam(m)i due anella chosí a punto kome questo, e metti in ciaschuno una pietra che asomigli a questa». Il maestro fece l’anella sí a punto che neuno conosciea il fine altro che il padre. Mandò p(er) gli figliuoli ad uno ad
10
uno, e a chatuno diede il suo in secreto; e ciaschuno si cre– dette avere il fine, e neuno ne sapea il diritto vero se no(n) il padre loro. Et cosí è de le fedi, Mess(er). Le fedi sono tre: il Padre che lle diede sae la migliore; et i figliuoli, ciò siamo noi, ci|ascuno la si crede avere buona. Allora il Soldano, udendo
15
costui cosí riscuotersi, no(n) seppe che ssi dire piú di cogli[er]gli chagioni; sí lasciò andare. Qui conta una novella d’uno sengnore k’avea un fedele etc.
[141]
Uno fedele d’un sengnore il quale tenea sua t(er)ra, essendo a una stagione i fichi novelli, il sengniore passando p(er) la 20
contrada di questo suo fedele, vidde in sun una cima d’un ficho un bello ficho maturo; fecelsi cogliere. Il fedele si pen– soe: «Da che gli piacciono, io gli guarderò p(er) lui». Sí ssi pensò d’inprunâgli e di guardâgli, sí che quando furono mat|u–
287
urÕ sÕglÕne portoe una soma credendo uenÕre Õnsua gɃrɃa . 25
Ma quando glÕrecho . lastagÕone era passata . chenerano tantÕ chequasÕ sÕdauano aporcÕ . IlsengnÕore uedendo que sta soma dÕfÕchÕ sÕssÕschorno molto . Et comandoe afantÕ suoÕ cheleghassero 7 toglÕesero quellÕ fÕchÕ 7 tuttÕ lÕgÕttase
(52r) ro auno auno neluolto . Et quando ÕlfÕco lÕuenÕa presso allochÕo 7 que grÕdaua domÕne te lodo I fantÕ ȸlanuoua cosa landaro a dÕre alsengnÕore 7 eglÕ Õldomandoe 7 dÕsse ȸkedÕtu cosÕ . quando ÕlfÕcho cÕuÕene presso 5
alocchÕo . 7 quellÕ dÕsse Meɀe ȸkÕo fuÕ Õncorato dÕ rechare pesche . chessÕo lauesse recchate Õo sareÕ ora cÕ echo . Allora Õlsengnore ÕnchomÕncÕo arrÕdere 7 fecelo scÕollÕere 7 fecelo uestÕre dÕnuouo . 7 donollÕ ȸ la nu oua cosa cheglÕ auea detta ɥ
10
QuÕ ɃcɃota Come domenedÕo saɃcɃopagnÕoe ɃcɃougÕulare ɥ DOmenedÕo sacompangnÕo una uolta conugÕ ulare oruenne . undÕe kesÕ bandÕe una corte dÕ noze . 7 bandÕsÕ un rÕcchÕo huomo kera morto . dÕsse ÕlgÕullare . Io andro alle nozze 7 tu almorto . Domen
15
edÕo ando almorto 7 sucÕtollo . 7 guadagnÕo . C . bÕsan tÕ doro . IlgÕullare andoe alenozze 7 satolossÕ . redÕo acasa . 7 trouo ÕlcompangnÕo suo . chauea guadangnÕ ato . feceglÕ onore quellÕ era dÕgÕuno IlgÕullare sÕfece dare danarÕ 7 andoe 7 compero uno grasso chauretto
20
7 arostÕlo 7 arostendolo sÕne chauoe lÕernÕonÕ 7 ma nÕcholÕssÕ . quando ÕlcompangnÕo lebbe ÕnanzÕ dom andoe lÕ ernÕonÕ . IlgÕullare rÕspuose 7 dÕsse enona nno ernÕonÕ quellÕ dÕquesto paese . Oruenne unaltra uolta cheanche sÕbandÕo uno paÕo dÕnozze 7 unaltro
25
rÕcchÕo huomo kera morto . Allora dÕsse DomenedÕo Õo uoglÕo Õre ora allenozze . 7 tu uae almorto 7 rÕsucÕta
288
ri sí gli ne portoe una soma, credendo venire in sua gr(azi)a. 25
Ma quando gli rechò, la stagione era passata, che n’erano tanti che quasi si davano a’ porci. Il sengniore, vedendo que– sta soma di fichi, sí ssi schornò molto. Et comandoe a’ fanti suoi che [’l] leghassero e togliesero quelli fichi, e tutti li gittase|ro
(52r) a uno a uno nel volto. Et quando il fico li venia presso all’ochio, e que’ gridava: – Domine, te lodo!– I fanti, p(er) la nuova cosa, l’andaro a dire al sengniore e egli il domandoe e disse: – P(er)ké dí tu cosí, quando il ficho ci viene presso 5
a l’occhio? – E quelli disse: – Mess(er)e, p(er)k’io fui incorato di rechare pesche; che ss’io l’avesse recchate, io sarei ora ci|echo – Allora il sengnore inchominciò a rridere e fecelo sciolliere, e fecelo vestire di nuovo, e donolli p(er) la nu|ova cosa che gli avea detta.
10
Qui co(n)ta come Domenedio s’aco(m)pagnioe157 co(n) u[n] giulare.
[142]
Domenedio s’acompangniò una volta con u[n] gi|ulare. Or venne un die ke si bandie una corte di noze, e bandísi un ricchio huomo k’era morto. Disse il giullare: – Io andrò alle nozze e tu al morto – Domen|edio 15
andò al morto e sucitollo, e guadagniò C bisan– ti d’oro. Il giullare andoe a le nozze e satolossi; redio a casa e trovò il compangnio suo ch’avea guadangni|ato. Fecegli onore. Quelli era digiuno. Il giullare si fece dare danari e andoe e comperò uno grasso chavretto
20
e arostílo; e arostendolo, si ne chavoe li ernioni e ma– nicholissi. Quando il compangnio l’ebbe inanzi, dom|andoe li ernioni. Il giullare rispuose e disse: – E’ non à|nno ernioni quelli di questo paese – Or venne un’altra volta che anche si bandio uno paio di nozze, e un altro
25
ricchio huomo k’era morto. Allora disse Domenedio: – Io voglio ire ora alle nozze, e tu vae al morto e risucita|lo,
––––––– 157
Sulla scorta di: acompangniò 52r–1; compangnio 52r–17, 52v–7 e sim.
289
lo 7 Õo tÕnsengneroe come tue faraÕ . sengneralo 7 ko manderalÕ chesÕ leuÕ 7 deglÕ sÕleuera mafattÕ fare (52v) lapromessÕone dÕnanzÕ . dÕsse IlgÕullare bellofaroe Ilm orto era fÕglÕuolo dungrande sengnore . Õlpadre sadÕroe uegÕendo chequestÕ facea beffe mandollo aÕnpendere ȸlaghola . DomenedÕo quando Õlseppe andonnela cÕta 7 5
dÕsse ɃnɃo temere chÕo ÕlrÕsucÕteroe . madÕmÕ Õntua fe chÕ manÕcho lÕernÕonÕ delcauretto . ÕlgÕullare rÕspuose ȸ qu ello santo seculo ouÕo debbo andare compangnÕo mÕo chÕo ɃnɃo glÕ manÕchaÕ . DomenedÕo uedendo ke nolÕle potea fardÕre ÕncrebeglÕ dÕluÕ . andoe 7 suscÕto Õlmor
10
to . Oruenne che questÕ fue dÕlÕbero 7 ebbe lapromessÕ one cheglÕera fatta . torno acasa dÕsse DomenedÕo ɃcɃo pangnÕo mÕo . Io mÕuoglÕo partÕre date ȸo cheÕo ɃnɃo to trouato leale sÕ comÕo credea quellÕ uedendo . chealtro ɃnɃo potea essere dÕsse pÕacemÕ DÕuÕdete 7 Õo pÕglÕero Do
15
menedÕo fece tre partÕ dedanarÕ . Allora dÕsse IlgÕulla re chefateuoÕ noÕ ɃnɃo sÕamo seɃnɃo due dÕsse . Domened Õo bene uero . Maquestuna parte sÕa dÕcoluÕ kemanÕcho lÕernÕonÕ . 7 laltre due sÕa luna mÕa 7 laltra tua . Allora dÕsse IlgÕullare ȸmÕa fede dacheuoÕ dÕte cosÕ . bendÕcho
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kÕo lÕmanÕchaÕ Õo . cheÕo sono dÕtanto tempo chÕo ɃnɃo debbo omaÕ mentÕre . Et cosÕ sÕpruouano talÕ chose ȸ danarÕ lequalÕ dÕce luomo chenolle dÕrebbe ȸ Õscha mpare dÕ morte auÕta ɥ QuÕ conta delagrande ucÕsÕone keffe Õl Re RÕccÕardo ɥ
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Ilbuono Re RÕccÕardo dÕnglÕlterra passoe una uol ta oltre mare chonbaronÕ 7 concontÕ 7 conchaualÕ erÕ prodÕ 7 ualentrÕ ȸnaue sanza cauallÕ . 7 arrÕuoe ne lle terre Delsoldano 7 cosÕ apÕe or dÕnoe sua battaglÕa
(53r) 7 fece deSaracÕnÕ sÕgrande uccÕsÕone chelebalÕe de fancÕullÕ dÕcono quandeglÕno pÕanghono . Eccho Il Re RÕccÕardo . accÕoe ke come lamorte fu temuto dÕ
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e io t’insengneroe come tue farai. Sengnera’ lo e ko– mandera’ li che si levi, ed egli si leverà, ma fatti fare (52v) la promessione dinanzi – Disse il giullare: – Be· llo faroe – Il m|orto era figliuolo d’un grande sengnore. Il padre s’adiroe vegiendo che questi facea beffe. Mandollo a inpendere p(er) la ghola. Domenedio, quando il seppe, andò nnela cità e 5
disse: – No(n) temere ch’io il risuciteroe, ma dimi in tua fé: chi manichò li ernioni del cavretto? – Il giullare rispuose: – P(er) qu|ello santo seculo ov’io debbo andare, compangnio mio, ch’io no(n) gli manichai – Domenedio, vedendo ke no li le potea far dire, increbegli di lui. Andoe e suscitò il mor–
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to. Or venne che questi fue dilibero e ebbe la promessi|one che gli era fatta. Tornò a casa. Disse Domenedio: – Co(m)|pangnio mio, io mi voglio partire da te, p(er)ò che io no(n) t’ò trovato leale sí com’io credea – Quelli, vedendo che altro no(n) potea essere, disse: – Piacemi, dividete e io piglierò –
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Do|menedio fece tre parti de’ danari. Allora disse il giulla– re: – Che fate voi? noi no(n) siamo se no(n) due – Disse Domened|io: – Ben è vero. Ma quest’una parte sia di colui ke manichò li ernioni, e l’altre due: sia l’una mia e l’altra tua – Allora disse il giullare: – P(er) mia fede, da che voi dite cosí, ben dicho
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k’io li manichai, io; ché io sono di tanto tempo ch’io no(n) debbo omai mentire – Et cosí si pruovano tali chose p(er) danari, le quali dice l’uomo, che no· lle direbbe p(er) ischa|mpare di morte a vita. Qui conta de la grande ucisione ke ffe’ il Re Ricciardo.
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[143]
Il buono re Ricciardo d’Inglilterra passoe una vol– ta oltre mare chon baroni e con conti e con chavali|eri prodi e valentri, p(er) nave sanza cavalli; e arrivoe ne|lle terre del Soldano. E cosí a piè ordinoe sua battaglia
(53r) e fece de’ Saracini sí grande uccisione che le balie de’ fanciulli dicono quand’eglino pianghono: – Eccho il re Ricciardo –, accioe ke come la morte fu temuto. Di–
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ce ke SaladÕno uegendo fugÕre lagente sua doman 5
doe quantÕ chaualÕerÕ sono quellÕ ke fanno questa u ccÕsÕone fuglÕ rÕsposto . Meɀe esolamente Õl Re RÕccÕ ardo chonsua gente . 7 sono tuttÕ apÕede Allora rÕsp uose Ilsoldano . 7 dÕsse ɃnɃo uoglÕa ÕlmÕo ÕdÕo checosÕ ualentre huomo sÕa apÕede come ÕlRe RÕccÕardo dÕ
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nghÕlterra . SÕprese uno nobÕle dÕstrÕere 7 dÕsse uame naglÕle ÕlmesaggÕo Õlmeno . 7 dÕɀe . Meɀe Ilsoldano uÕmanda questo dÕstrÕere accÕo keuoÕ ɃnɃosÕate apÕedÕ IlRe fu sauÕo chomando auno suo ÕschudÕere cheuÕ montasse suso 7 prouasselo . Õlfante cosÕ fece . Ilcauallo
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era nodÕtro . Ilfante ɃnɃo potendolo tenere neente sÕssÕ adÕrÕzo uerso IlpadÕglÕone delSoldano asua granfoz a . Ilsoldano aspettaua ÕlRe RÕccÕardo cheuÕ fosse mo ntato su MaɃnɃolÕuenne fatto . 7 cosÕ nellÕamÕcheuolÕ modÕ denemÕcÕ ɃnɃo sÕdee luomo fÕdare :
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QuÕ conta dÕmessere RÕnÕerÕ . damonte nero : Messere RÕnÕerÕ damonte nero chauallÕere dÕcorte sÕ passo IsardÕngna 7 stette choldonno dalborea 7 Õn amorouÕ duna . Sarda kera molto bella . GÕacque colleÕ I lmarÕto uÕtrouoe . nollÕ ofese ma andossÕne dÕnanzÕ a
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ldonno 7 lamentossÕne forte IlsengnÕore amaua quest o sardo mando ȸ Meɀe RÕnÕerÕ 7 dÕsselÕ molte parole dÕgrandÕ mÕnaccÕe 7 Meɀe RÕnÕerÕ ÕschusandossÕ dÕsse che mandasse ȸladonna 7 domandasella chella lÕcho
(53v) ntasse secÕo chellÕ fece fue altro keȸamore legabbe ɃnɃo pÕacquero alsÕngnore chomandoglÕ chellÕ Õsgombrasse Õl paese sotto pena della ȸsona . ɃnɃo auendola ancora merÕt ato dÕsuo Õstallo . Meɀe RÕnÕere lÕdÕsse pÕaccÕauÕ messere 5
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dÕmandare . InpÕsa . alsÕnÕschalcho uostro chemÕ proueggÕa
ce ke Saladino, vegendo fugire la gente sua, doman– 5
doe:– Quanti chavalieri sono quelli ke fanno questa u|ccisione? – Fugli risposto: – Mess(er)e, è solamente il re Ricci|ardo chon sua gente, e sono tutti a piede – Allora ri– sp|uose il Soldano e disse: – No(n) voglia il mio Idio che cosí valentre huomo sia a piede, come il re Ricciardo
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d’I|nghilterra – Sí prese uno nobile distriere e disse: – Va’, me|naglile – Il mesaggio il menò, e diss(er)e:158 – Mess(er)e, il Soldano vi manda questo distriere, acciò ke voi no(n) siate a piedi – Il re fu savio: chomandò a uno suo ischudiere che vi montasse suso e provasselo. Il fante cosí fece. Il cavallo
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era noditro.159 Il fante no(n) potendolo tenere neente, sí ssi adirizò verso il padiglione del Soldano a sua gran fo[r]z|a. Il Soldano aspettava il re Ricciardo che vi fosse mo|ntato su, ma no(n) li venne fatto. E cosí nelli amichevoli modi de’ nemici no(n) si dee l’uomo fidare.
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Qui conta di messere Rinieri da Monte Nero.
[144]
Messere Rinieri da Monte Nero, chavalliere di corte, sí passò i[n] Sardingna e stette chol Donno d’Alborea, e in|amoròvi d’una sarda k’era molto bella. Giacque co·llei. I|l marito vi trovoe. No· lli ofese, ma andossine dinanzi a|l 25
Donno e lamentossine forte. Il sengniore amava quest|o sardo; mandò p(er) mess(er)e Rinieri e disseli molte parole di grandi minaccie. E mess(er)e Rinieri, ischusandossi, disse che mandasse p(er) la donna, e domandasella ch’ella li
(53v) cho|ntasse se ciò chelli fece fue altro ke p(er) amore. Le gabbe no(n) piacquero al singnore. Chomandògli ch’elli isgombrasse il paese sotto pena della p(er)sona. No(n) avendola ancora merit|ato di suo istallo, mess(er)e Riniere li disse: – Piacciavi, messere, 5
di mandare in Pisa al sinischalcho vostro che mi proveggia –
––––––– 158 159
53r–11 disse. 53r–15 nodrito.
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7 Ildonno dÕsse cotesto faroÕo bene . feceglÕ una lettera 7 dÕedeglÕle OrgÕunse ÕnpÕsa 7 fue aldetto sÕnÕschalcho 7 essendo cholla nobÕle gente atauola conto Õlfatto cho mera Õstato poÕ dÕede questa lettera alsÕnÕschalcho laq 10
uale auea rechata 7 quellÕ lalesse 7 trouo chellÕ douese donare unpaÕo dÕcalze lÕne astafetta . cÕoe sanza ped ulÕ 7 ɃnɃo altro . 7 ÕnanzÕ atuttÕ ÕchaualÕerÕ che uerano Meɀe RÕnÕerÕ leuolle 7 auuotele ebeuÕ grandÕ rÕsa 7 grandÕ solazÕ atuttÕ ÕchaualÕerÕ : dÕcÕo ɃnɃo sadÕroe punto
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ȸcÕo chemolto era gentÕle caualÕere . Ora uenne cheglÕ entro Õnuna barcha consuo chauallo 7 consuo fante . 7 torno IsardÕgnÕa . UngÕorno chaualchando Ildonno asso lazzo ȸlaɒra conaltrÕ chaualÕerÕ . 7 Meɀe RÕnÕerÕ era gra nde delaȸsona . 7 auea leghanbe lunghe 7 era Õnsu u
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no magro ronzÕno . 7 auea queste calze Õnghanba san za pedulÕ . Ildonno Õlconobbe 7 conadÕroso anÕmo Õlfe uenÕre dÕnanzÕ 7 dÕsse che eccÕo Meɀ RÕnÕerÕ cheuoÕ ɃnɃo sÕete partÕto . DÕsardÕngnÕa . certo dÕsse Meɀ RÕnÕerÕ sÕssono . MaÕo sono tornato ȸ glÕ ÕschappÕnÕ delle calze
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Õstese leghanbbe . 7 mostro ÕpÕedÕ : allora Ildonno sÕralle groe 7 rÕse 7 ȸdonoglÕ 7 donoglÕ laroba chauea Õndo sso . 7 dÕsse Meɀe RÕnÕerÕ bene aÕ saputo pÕu cheÕo non tÕ ÕnsegnÕaÕ 7 que dÕsse Meɀe eglÕe aluostro onore ɥ
(54r) QuÕ chonta duno . FÕlosafo Õlqualera molto cortese dÕ uolgarezare lescÕenzÕe ɥ Fue uno FÕlosafo chera molto cortese dÕuolgarÕzare la scÕenzÕa asengnorÕ ȸ cortesÕa 7 adaltre gentÕ . Un 5
a notte lÕuenne ÕnuÕsÕone chelÕ parea uedere lodee delascÕenzÕa aguÕsa dÕbelle donne 7 Õstauano nelm ale luogo 7 dauansÕ achÕlle uolea . 7 eglÕ uedendo questo sÕmarauÕglÕo molto 7 dÕsse keequesto ɃnɃo sÕe
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E il Donno disse: – Cotesto farò io bene – Fecegli una lettera, e diedeglile. Or giunse in Pisa e fue al detto sinischalcho; e essendo cholla nobile gente a tavola, contò il fatto cho|m’ era istato; poi diede questa lettera al sinischalcho, la 10
q|uale avea rechata. E quelli la lesse, e trovò ch’elli dovese donare un paio di calze line a stafetta, cioè sanza ped|uli, e no(n) altro. E inanzi a tutti i chavalieri che v’erano mess(er)e Rinieri le volle e, avuotele, ebevi grandi risa e grandi solazi a tutti i chavalieri. Di ciò no(n) s’adiroe punto,
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p(er) ciò che molto era gentile cavaliere. Or avenne ch’egli entrò in una barcha con suo chavallo e con suo fante, e tornò i[n] Sardignia. Un giorno chavalchando il Donno a sso|lazzo p(er) la t(er)ra con altri chavalieri, e mess(er)e Rinieri era gra|nde de la p(er)sona e avea le ghanbe lunghe, e era in su
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u|no magro ronzino, e avea queste calze in ghanba san– za peduli, il Donno il conobbe, e con adiroso animo il fe’ venire dinanzi e disse: – Che è cciò, mess(er) Rinieri, che voi no(n) siete partito di Sardingnia? – Certo – disse mess(er) Rinieri – sí ssono. Ma io sono tornato p(er) gli ischappini delle calze.
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Istese le ghanbbe e mostrò i piedi. Allora il donno si ralle– groe e rise, e p(er)donògli, e donògli la roba ch’avea indo|sso, e disse: – Mess(er)e Rinieri, bene ài saputo piú che io non ti insegniai – E que’ disse: – Mess(er)e, egli è al vostro onore –.
(54r) Qui chonta d’uno filosafo il qual’ era molto cortese di
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volgarezare le scienzie. Fue uno filosafo ch’era molto cortese di volgarizare la scienzia a’ sengnori p(er) cortesia e ad altre genti. Un|a 5
notte li venne in visione che li parea vedere lo160 dee de la scienzia a guisa di belle donne, e istavano nel m|ale luogo e davansi a chi lle volea; e egli, vedendo questo, si maravigliò molto e disse: – Ke è questo? no(n) sie–
––––––– 160
54r–5 le.
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te uoÕ ledee delascÕenzÕa . Et elle rÕspuosero certo sÕ . 10
chome ccÕo uoÕ sÕete Õnquesto chatÕuo luogho 7 uÕtu pueroso . Et elle rÕspuosero beneuero ȸo chetuse quellÕ cheuÕcÕfaÕ Õstare . IsueglÕossÕ 7 pensossÕ ke dÕuolgar Õçare lascÕenzÕa seera menomare ladeÕtade . rÕma sesÕne 7 pentesÕ forte mente . Et sappÕate tutte le
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cose non sono lecÕte aogne ȸsona ɥ QuÕ conta Come ungÕulare adoraua un sengnore ɥ EllÕ fue unsengnÕore cha uea ungÕullare Õnsua co rte 7 questo gÕullare adoraua questo sengnore sÕ come unsuo ÕdÕo . 7 chÕamaualo dÕo . Unaltro gÕullare
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uedendo sÕlÕne dÕsse male 7 dÕsse orchuÕ chÕamÕ tu Õ dÕo . eglÕ ɃnɃone mam uno . 7 quellÕ abaldanza delse ngnÕore sÕlbatteo uÕllanamente . 7 quellÕ cosÕ trÕsto ɃnɃo potendosÕ dÕfendere sÕssÕne andoe arÕchÕamare alsengnÕore 7 dÕsseglÕ tutto Õlfatto IlsengnÕore sene
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fece gabbo quellÕ sÕpartÕo 7 Õstaua molto …. pouerÕ ȸo cheɃnɃo ardÕa astare trabuone ȸsone sÕla vea questÕ concÕo . Ora uenne che IlsengnÕore fue dÕ cÕo molto rÕpreso sÕchellÕ propuose dÕdare ɃcɃomÕato
(54v) aquesto suo gÕullare amodo dÕconfÕnÕ .7 auea cotale uso Õn sua corte checoluÕ chuellÕ presentasse sÕssÕ Õntendea dauere comÕato dalluÕ 7 dÕpartÕrssÕ fuorÕ dÕsua corte Ortolse Õlg Õullare moltÕ danarÕ doro 7 feceglÕ mettere Õnuna torta . 5
Et quandella lÕuenne dÕnanzÕ sÕlla presento aquesto suo gÕ ullare 7 dÕsse frase medesÕmo . dapoÕ chemÕlÕ conuÕene dona re chonmÕato sÕuoglÕo chesÕa rÕccho huomo . Quando questo gÕullare uÕdde latorta fue trÕsto . seppe chauea comÕato . penso ssÕ 7 dÕsse Io mangÕato serberolla 7 darolla aloste mÕa . Anda
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ndone conessa alalbergho trouoe choluÕ chuÕ eglÕ auea cosÕ
te voi le dee de la scienzia? – Et elle rispuosero: – Certo sí 10
– Chom’è cciò, voi siete in questo chativo luogho e vitu– pueroso? – Et elle rispuosero: – Ben è vero, p(er)ò che tu sè quelli che vi ci fai istare – Isvegliossi, e pensossi ke volgar|i– çare la scienzia se era menomare la deitade. Rima– sesine e pentési fortemente. Et sappiate tutte le
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cose non sono lecite a ogne p(er)sona. Qui conta come un giulare adorava un sengnore.
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Elli fue un sengniore ch’avea un giullare in sua co|rte. E questo giullare adorava questo sengnore sí come un suo Idio, e chiamavalo Dio. Un altro giullare 20
vedendo, sí li ne disse male. E disse: – Or chui chiami tu I|dio? Egli no(n)n è mam161 uno – E quelli, a baldanza del se|ngniore, sí ’l batteo villanamente. E quelli cosí tristo no(n) potendosi difendere, sí ssi ne andò a richiamare al sengniore, e dissegli tutto il fatto. Il sengniore se ne
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fece gabbo. Quelli si partio e istava molto tristo, intra 162 poveri, p(er)ò che no(n) ardia a stare tra buone p(er)sone: sí l’a|vea questi concio. Or avenne che il sengniore fue di ciò molto ripreso, sí ch’elli propuose di dare co(n)miato
(54v) a questo suo giullare a modo di confÕni. E avea cotale uso in sua corte, che colui chu’elli presentasse, sí ssi intendea d’avere comiato da llui e di partirssi fuori di sua corte. Or tolse il g|iullare163 molti danari d’oro e fecegli mettere in una torta. 5
Et quand’ella li venne dinanzi, sí lla presentò a questo suo gi|ullare e disse fra sé medesimo: «Da poi che mi li conviene dona– re chonmiato, sí voglio che sia riccho huomo». Quando questo giullare vidde la torta, fue tristo. Seppe ch’avea comiato. Penso|ssi e disse: – I’ò mangiato, serberolla e darolla a l’oste mia –
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Anda|ndone con essa a l’albergho, trovoe cholui chui egli avea cosí
––––––– 161 162 163
54r–21 mai. Biagi, cit., p. 112. 54v–4 cioè il sengnore.
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battuto . mÕsero 7 chattÕuo . preseglÕne pÕatade . andoe Õnuer so luÕ . 7 dÕeglÕ quella torta quellÕ laprese 7 andossÕne cone ssa 7 benfurÕstorato dÕquello chauea rÕceuto daluÕ . Et torn ando alsengnÕore ȸÕscomÕatarsÕ daluÕ . Et ÕlsengnÕore dÕsse 15
orsetuquÕ ornonauestu latorta . Meɀe sÕebbÕ . orchenne facestÕ Meɀe Õo auea allora mangÕato . dÕedÕla auno pouero gÕulla re chemÕdÕcea male ȸchÕo uÕchÕamaua mÕo domenedÕo. Allora lÕdÕsse ÕlsengnÕore ua colla malauentura chebene mÕ glÕore Õlsuo ÕdÕo cheltuo . 7 debeglÕ detto Õlfatto delatorta Q
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uesto gÕullare sÕtenne morto . 7 ɃnɃo sapea chessÕ fare partÕsÕ d alsengnore 7 ɣnɃo nebbe nulla dalluÕ . 7 ando chaendo colluÕ achueglÕ lauea data Non fu uero chemaÕ Õltrouasse ɥ QuÕ Conta una nouella che dÕsse Meɀe MÕglÕore dellÕ abatÕ dÕfÕrenze .
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M...e mÕglÕore dellÕ abatÕ sÕando ÕnCÕcÕlÕa alRe Car lo ȸ Õnpetrare grazÕa chesue case ɃnɃo fossero dÕsfatte . Õlcau alÕere era molto bene costumato 7 bene seppe chantare 7 seppe Õlprouençale oltre mÕsura bene proferere . CauallÕerÕ nobÕlÕ
(55r) dÕCÕcÕlÕa fecero ȸ amore dÕluÕ ungrande coredo 7 eglÕ uÕfue Oruenne kefurono leuate letauole menarlo adonneare . m ostrarlÕ loro gÕoellÕ 7 loro chamere 7 loro dÕlettÕ . IntraqualÕ lÕmostrarono Palle dÕrame stampate nelequalÕ ardÕeno 5
aloe 7 ambra . 7 delfumo chenuscÕua olorauano lecamere loro Inquesto parlo Meɀe MÕglÕore 7 domando questo che dÕletto uÕrende dÕtelmÕ ȸ cortesÕa . luno parloe 7 dÕsse qu ello ȸchelle erano . allora Meɀe MÕglÕore chomÕncÕoe apar lare 7 dÕsse sengnÕorÕ male auete fatto . questo nome dÕletto .
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IcaualÕerÕ lÕfecero cerchÕo dÕntorno domandando Õlȸche 7 quandellÕ lÕuÕdde afÕsatÕ audÕre 7 quellÕ dÕsse segnorÕ on gne cosa tratta della sua natura Matutta eȸduta 7 que do
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battuto, misero e chattivo: presegline piatade,164 andoe inver– so lui e diègli quella torta. Quelli la prese e andossine con e|ssa, e ben fu ristorato di quello ch’avea riceuto da lui. Et torn|ando al sengniore p(er) iscomiatarsi da lui, et il sengniore disse: 15
– Or sè tu qui? or non avestu la torta? – Mess(er)e, sí ebbi – Or che nne facesti? – Mess(er), io avea allora mangiato, diedila a uno povero giulla– re che mi dicea male p(er)ch’io vi chiamava mio Domenedio – Allora li disse il sengniore: – Va’ colla mala ventura: ché ben è mi|gliore il suo Idio che ’l tuo –; ed ebegli detto il fatto de la torta.
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Q|uesto giullare si tenne morto, e no(n) sapea che ssi fare. Partísi d|al sengnore e no(n)n ebbe nulla da llui. E andò chaendo collui a chu’egli l’avea data. Non fu vero che mai il trovasse. Qui conta una novella che disse mess(er)e Migliore delli
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Abati di Firenze. 25
Messere165 Migliore delli Abati sí andò in Cicilia al re Car|lo, p(er) inpetrare grazia che sue case no(n) fossero disfatte. Il cav|aliere era molto bene costumato, e bene seppe chantare, e seppe il provençale oltre misura bene proferere. Cavallieri nobili
(55r) di Cicilia fecero p(er) amore di lui un grande coredo, e egli vi fue. Or venne ke furono levate le tavole; menârlo a donneare; m|ostrârli loro gioelli e loro chamere e loro diletti. Intra’ quali li mostrarono palle di rame stampate ne le quali ardieno 5
aloe e ambra, e del fumo che n’usciva oloravano le camere loro. In questo parlò mess(er) Migliore e domandò: – Questo che diletto vi rende? ditelmi p(er) cortesia – L’uno parloe, e disse qu|ello p(er) ch’elle erano. Allora mess(er)e Migliore chomincioe a par– lare, e disse: – Sengniori, male avete fatto: questo nom166 è diletto.
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I cavalieri li fecero cerchio dintorno, domandando il p(er)ché. E quand’elli li vidde afisati a udire, e quelli disse: – Segnori, on|gne cosa tratta della sua natura, ma tutta è p(er)duta – E que’do–
––––––– 164 165 166
54v–11 pietade. Biagi [cit., p. 114]: Messere. 55r–9 non.
299
mandarono chome eglÕ dÕsse cheÕlfumo delaloe 7 dellam bra dae lor ȸduto Õlbuono odore naturale che lafemÕna ɃnɃo 15
uale neente sedÕleÕ ɃnɃo uÕene chome dÕluccÕo passato allo ra ÕchaualÕerÕ comÕncÕarono afarne dÕcÕo gransollazzi 7 granfesta delparlare dÕmessere MÕglÕore ɥ QuÕ conta Come la damÕgÕella dÕscalot MorÕo per la more dÕlancÕalotto :
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UNa fÕglÕuola dungrande uaruasoro . sÕ amoe lancÕal ot . oltre mÕsura . MaellÕ nolle uolle donare suo amore ÕmȸcÕo chellÕ auea donato . alla ReÕna . GÕneura tanto am o costeÕ . lancÕalotto . kella neuenne alamorte 7 chomando che quando sua anÕma fosse partÕta dalcorpo chefosse arre
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data . una rÕccha nouÕcÕella coperta duno uermÕglÕo scÕa mÕto ɃcɃo uno rÕccho letto Õuentro ɃcɃo rÕcche 7 nobÕlÕ …. ture dÕseta . ornata dÕrÕcche pÕetre prezÕose 7 fosse Õlsuo cor po messo Õnsu questo letto uestÕta desuoÕ pÕu nobÕlÕ uestÕmen
(55v) tÕ 7 chonbella corona Õncapo rÕccha dÕmolto oro 7 dÕmolte care pÕetre 7 ɃcɃorÕccha cÕntura 7 corÕcÕssÕma borsa 7 Õnque sta borssa mÕse una lettera chera delonfrascrÕtto tÕnore . M a ÕnprÕma dÕcÕamo dÕcÕo cheua dÕnanzÕ alla lettera . Ladam 5
Õgella morÕo delmale damore . 7 fue fatto cÕo chella auea de tto della nauÕcÕella sanza uela . 7 sanza remÕ 7 sanza neu no sopra saglÕente . fue messa la detta naue colla donna . Õmare Ilmare laguÕdo ÕnfÕno achamelot . allarÕua rÕste tte . IlgrÕdo fu ȸlacorte . I caualÕerÕ 7 baronÕ dÕsmontaro
10
depalazzÕ . Et ÕlnobÕle Re Artu uÕuenne marauÕglÕando sÕ molto che sanza neuna guÕda era questa nauÕcÕella era cosÕ aportata ÕuÕ . IlRe Artu entro dentro 7 uÕde ladamÕg Õella . 7 uÕdde glÕarnesÕ fece aprÕre laborsa chella auea– allacÕntura . trouarono quella lettera . fecerla leggere . 7
300
mandarono chome. Egli disse che il fumo de l’aloe e dell’am– bra dae lor p(er)duto il buono odore naturale: che la femina no(n) 15
vale neente se di lei no(n) viene chome di luccio passato. Allo– ra i chavalieri cominciarono a farne di ciò gran sollazzi, e gran festa del parlare di messere Migliore. Qui conta come la damigiella di Scalot morio per l’a–
[148]
more di Lancialotto. 20
Una figliuola d’un grande varvasoro si amoe Lancial|ot oltre misura. Ma elli no· lle volle donare suo amore, imp(er)ciò ch’elli avea donato alla reina Ginevra. Tanto am|ò costei Lancialotto, k’ella ne venne a la morte. E chomandò che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arre–
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data una riccha noviciella167 coperta d’uno vermiglio scia– mito, co(n) uno riccho letto iv’entro, co(n) ricche e nobili cover– ture168 di seta, ornata di ricche pietre preziose; e fosse il suo cor– po messo in su questo letto, vestita de’ suoi piú nobili vestimen–
(55v) ti e chon bella corona in capo, riccha di molto oro e di molte care pietre, e co(n) riccha cintura, e co rich[i]ssima borsa. E in que– sta borssa mise una lettera ch’era de lo ’nfrascritto tinore. M|a inprima diciamo di ciò che va dinanzi alla lettera. La 5
dam|igella morio del male d’amore; e fue fatto ciò ch’ella avea de|tto della naviciella sanza vela e sanza remi, e sanza neu|no sopra sagliente. Fue messa la detta nave colla donna i· mare. Il mare la guidò infino a Chamelot, alla riva riste|tte. Il grido fu p(er) la corte. I cavalieri e baroni dismontaro
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de’ palazzi. Et il nobile re Artù vi venne, maravigliando|si molto che sanza neuna guida era questa naviciella cosí aportata ivi. Il re Artù entrò dentro e vide la damig|iella, e vidde gli arnesi. Fece aprire la borsa ch’ella avea alla cintura: trovarono quella lettera. Fecerla leggere, e
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55r–25 naviciella. Biagi, cit., p. 116.
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dÕcea cosÕ . AtuttÕ ÕcaualÕerÕ della tauola rÕtonda man da salute questa damÕgÕella . dÕscalot . SÕcome allamÕgl Õore gente delmondo . 7 seuoÕ uoleste sapere ȸchÕo amÕa fÕne sono uenuta . CÕoe ȸlomÕglÕore chaualÕere delmɃodo 7 ȸlopÕu uÕllano . CÕoe monsengnÕore lancÕalotto dÕlac .
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chegÕa nolseppÕ tanto preghare damore chellÕ auesse dÕme merze 7 chosÕ lassa son morta ȸbene amare chome uoÕ potete uedere ɥ Come andando xɃpɃo codÕscepolÕ suoÕ uÕdero molto grɃade tesoro: ANdando xɃpɃo . ungÕorno codÕscÕepolÕ suoÕ ȸunferesto lu
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ogo nelquale ÕdÕscepolÕ cheuenÕeno dÕetro uÕdero luce dalluna parte pÕastre doro fÕnÕssÕmo ondessÕ chÕamarono xɃɣpɃo . marauÕglÕandosÕ ȸcheɃnɃonera rÕstato adesso . SÕlÕdÕssero sengnÕore prendÕamo quello oro . sÕnne consoleraÕ dÕmolte
(56r) bÕsongne chenoÕ patÕamo . xɃpɃo sÕuolse alloro 7 rÕprendend ollÕ dÕsse uoÕ adÕmandate quelle cose chotollÕe alnostro rengn o lapÕu parte delanÕme chessÕ perdono . 7 checcÕo sÕa uero allatornata neuedrete lasempro 7 passaro oltre : Pocho sta 5
nte due carÕ compangnÕ lotrouarono onde furono molto lÕetÕ . Et Õncontanente dÕconcordÕa ando luno alapÕu pre sso uÕlla . ȸmenare uno mulo 7 laltro rÕmase aguardare . Ma udÕte oȸazÕone cheseguÕtoe poscÕa . depensÕerÕ reÕ chelnem Õcho deloro . quellÕ torno colmulo . 7 dÕsse alcompangnÕo Õo
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mangÕaÕ alauÕlla . 7 tu deÕ auere fame mangÕa questÕ due panÕ cosÕ bellÕ 7 poscÕa charÕcheremo . rÕspuose quellÕ Õo n ono granuoglÕa . dÕmangÕare ora 7 pero charÕchÕamo prÕ ma . Allora pressero acarÕchare 7 quando ebbero presso che carÕcato 7 quellÕ chandoe ȸlomulo . sÕchÕnoe ȸlegare la
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soma . laltro glÕando atradÕmento dÕdÕetro chonuno col tello apuntato 7 uccÕselo . poscÕa prese luno dÕquellÕ pa nÕ 7 dÕedelo almulo . 7 laltro mangÕo eglÕ . Ilpane era a
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dicea cosí: «A tutti i cavalieri della Tavola Ritonda man– da salute questa damigiella di Scalot, sí come alla migl|iore gente del mondo. E se voi voleste sapere p(er)ch’io a mia fine sono venuta, cioè p(er) lo migliore chavaliere del mo(n)do e p(er) lo piú villano: ciò è monsengniore Lancialotto di Lac,
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che già nol seppi tanto preghare d’amore, ch’elli avesse di me merzé. E chosí, lassa!, son morta p(er) bene amare, chome voi potete vedere». Come andando Cristo co’ discepoli suoi, videro molto gra(n)de tesoro. [149] Andando Cristo un giorno co’ disciepoli suoi p(er) un feresto
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lu|ogo, nel quale i discepoli che venieno dietro videro luce[re] dall’una parte piastre d’oro finissimo, ond’essi chiamarono Cristo, maravigliandosi p(er)ché no(n)n era ristato ad esso. Sí li dissero: – Sengniore, prendiamo quello oro, sí nne consolerai di molte
(56r) bisongne che noi patiamo – Cristo si volse a lloro e riprendend|olli disse: – Voi adimandate quelle cose cho169 tollie al nostro rengn|o la piú parte de l’anime che ssi perdono; e che cciò sia vero, alla tornata ne vedrete l’asempro – E passaro oltre. Pocho sta|n– 5
te due cari compangni lo trovarono, onde furono molto lieti. Et incontanente di concordia andò l’uno a la piú pre|sso villa p(er) menare uno mulo, e l’altro rimase a guardare. Ma udite op(er)azione che seguitoe poscia de’ pensieri rei che ’l Nem|i– cho dè loro. Quelli tornò col mulo, e disse al compangnio: – Io
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mangiai a la villa, e tu déi avere fame: mangia questi due pani cosí belli e poscia charicheremo – Rispuose quelli: – Io n|on ò gran voglia di mangiare ora; e però charichiamo pri|ma – Allora pressero a carichare; e quando ebbero presso che caricato, e quelli ch’andoe p(er) lo mulo si chinoe p(er) legare la
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soma, l’altro gli andò a tradimento di dietro chon uno col– tello apuntato, e ucciselo. Poscia prese l’uno di quelli pa– ni e diedelo al mulo, e l’altro mangiò egli. Il pane era
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56r–2 che.
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uelenato . Õnpruoua chadde morto . eglÕ 7 Õlmulo . ÕnanzÕ chesÕmouesero dÕquello luogho . 7 loro rÕmase lÕbero co 20
me dÕprÕma Et lnostro sengnÕore torno ÕndÕ cosuoÕ dÕ scepulÕ neldetto gÕorno 7 mostroe lasempro che pro messo auea ɥ Come Meɀe AzolÕno fece bandÕre una grande pÕetanza ɥ MEssere AzolÕno Romano fece una uolta bandÕre nel
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suo dÕstretto 7 altroue nefece ÕnuÕtata cheuolea fa re una grande lÕmosÕna . 7 pero tuttÕ ÕpouerÕ bÕsognosÕ sÕ huomÕnÕ chome femÕne 7 acerto dÕe fossero nel prato . suo 7 acatuno darebbe nuoua gonella 7 molto damangÕ
(56v) are lanouella sÕsparse traseruÕ dÕtutte partÕ . quando fue ÕldÕe delaragunanza IsÕnÕschalchÕ suoÕ furono tralloro cholle gonelle 7 cholla uÕuanda 7 auno auno lÕfacÕeno ÕsploglÕare 7 Õschalzare tutto Õngnudo 7 poÕ lorÕuestÕa dÕnuouÕ pannÕ 5
7 dauaglÕ mangÕare . quellÕno rÕuolÕeno Õloro ÕstraccÕatÕ Ma neente ualse chetuttÕ lÕmÕse Õnuno monte . 7 mÕseuÕ Õlfuo cho poÕ uÕtrouo tanto oro 7 argÕento strutto cheualsse trop po pÕu cheɃnɃofue laspesa 7 ÕpouerÕ mando condÕo. Anche alsuo tempo lÕsÕrÕchÕamoe unuÕllano dun suo uÕcÕ
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no chellÕauea Õnbolate cÕrÕegÕe . chonparÕo lacusato 7 dÕsse mandate Meɀe assapere secÕo puote eɀe ȸcÕo cheÕlcÕrÕegÕo efÕne mente Õmprunato . Allora Meɀe Açono nefece pruou a . 7 lacusatore condannoe ÕnquantÕta dÕmoneta ȸo che sÕ fÕdoe pÕu neprunÕ chenella sua sengnÕorÕa 7 laltro dÕlÕbero
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ȸtema delasua tÕranÕa lÕportoe una uecchÕa femÕna dÕuÕlla unsaccho dÕbellÕssÕme nocÕ alequalÕ ɃnɃosÕne trouauano somÕ glÕante . 7 essendosÕ ella ÕlmeglÕo aconccÕa kepoteo sÕgÕun se nella sala doueglÕ era cosuoÕ caualÕerÕ . 7 dÕsse Messere dÕ o uÕdea lungha uÕta . 7 eglÕ sospeccÕo 7 dÕsse ȸche dÕcestÕ co
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sÕ . 7 ella rÕspuose ȸche secÕo fÕa noÕ staremo Õnlungho rÕ
a|velenato: in pruova chadde morto egli e il mulo inanzi che si movesero di quello luogho; e l’oro rimase libero co– 20
me di prima. Et ’l Nostro Sengniore tornò indi co’ suoi di– scepuli nel detto giorno, e mostroe l’asempro che pro– messo avea. Come mess(er)e Azolino fece bandire una grande pietanza.
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Messere Azolino Romano fece una volta bandire nel 25
suo distretto, e altrove ne fece invitata, che volea fa– re una grande limosina; e però tutti i poveri bisognosi, sí huomini chome femine, e a certo die, fossero nel prato suo, e a catuno darebbe nuova gonella e molto da mangi|a–
(56v) re. La novella si sparse. Traservi di tutte parti. Quando fue il die de la ragunanza, i sinischalchi suoi furono tra lloro cholle gonelle e cholla vivanda; e a uno a uno li facieno isplogliare170 e ischalzare tutto ingnudo, e poi lo rivestia di nuovi panni, 5
e davagli mangiare. Quellino rivolieno i loro stracciati, ma neente valse: ché tutti li mise in uno monte e misevi il fuo– cho. Poi vi trovò tanto oro e argiento strutto, che valsse trop– po piú che no(n) fue la spesa, e i poveri mandò con Dio. Anche al suo tempo li si richiamoe un villano d’un suo vici–
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no che lli avea inbolate ciriegie. Chonpario l’acusato, e disse: – Mandate, mess(er)e, a ssapere se ciò puote ess(er)e, p(er)ciò che il ciriegio è finemente imprunato – Allora mess(er) Aço[li]no ne fece pruov|a, e l’acusatore condannoe in quantità di moneta, p(er)ò che si fidoe piú ne’ pruni che nella sua sengnioria; e l’altro diliberò.
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P(er) tema de la sua tirania li portoe una vecchia femina di villa un saccho di bellissime noci, a le quali no(n) si ne trovavano somi– gliante. E essendosi ella il meglio aconccia ke poteo, sí giun– se nella sala dov’egli era co’ suoi cavalieri, e disse: – Messere, Di|o vi dea lungha vita – E egli sospecciò e disse: – P(er)ché dicesti
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co|sí?– E ella rispuose: – P(er)ché se ciò fia, noi staremo in lungho ri–
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56v–3 ispogliare.
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poso . Allora quellÕ rÕse . Et fecele mettere unbello sottano Õl quale ledaua agÕnocchÕo . 7 fecelauÕ cÕngnere suso 7 tutte le nocÕ fece uersare ȸlosmalto della sala . 7 poÕ auna auna le fece rÕcoglÕere alafemÕna 7 rÕmetterle nelsaccho 7 poÕ la 25
merÕto grande mente : InlombardÕa 7 nella marcha sÕchÕamano lepentole olle . 7 lafamÕglÕa dÕMeɀe . AzolÕno sÕ auea ungÕorno preso un pen tolaÕo ȸmalleuerÕa . 7 menandolo dÕnanzÕ algÕudÕce . Me
(57r) ssere AçolÕno passaua ȸ lasala 7 dÕsse chÕe costuÕ . luno d elafamÕglÕa rÕspuose . Meɀ euno ladro andallo aÕnp endere . Come messere eglÕe uno ladro . 7 Õo ȸo dÕcho ke uoÕ landÕate ampendere . Meɀe noÕ dÕcÕamo cheglÕe . 5
uno ladro . Et anchora dÕchor dÕcho keuoÕ landÕate– aÕmpendere . Allora ÕlgÕudÕcÕe senacorse 7 fecelne Õn teso . ma ɃnɃo ualse ȸche lauea detto tre uolte chonue nne checholuÕ fosse Õmpeso ɥ AdÕre come fue temuto sarebbe grantela 7 molte ȸ
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sone Õlsanno . masÕ ramentero kome essendo eglÕ ungÕo rno cho lomȸadore achauallo chontutta lor gÕente sÕ ÕnghagÕaro chÕ auesse pÕu bella spada . 7 sodo ÕlgaggÕo lomȸadore trasse delfodero lasua . laqualera marauÕglÕ osamente fornÕta doro 7 dÕpÕetre prezÕose . Allora dÕsse . m
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essere AzolÕno moltoe bella . MalamÕa ee asaÕ pÕu be lla . 7 trassela fuorÕ sanza grande fornÕmento . Allora . DC chaualÕerÕ cherano cholluÕ trassero tuttÕ leloro . qu ando lomȸadore uÕdde Õlnuuolo delespade dÕsse che bene era pÕu bella . PoÕ fue Meɀ AzolÕno preso Õnbata
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glÕa . Õnuno luogho chesÕchÕama chascÕano . 7 ȸcosse tan to Õlcapo suo alferÕsto . delpadÕglÕone oueglÕ era lega to chessuccÕse eglÕ medesÕmo ɥ QuÕ conta duna grande cortesÕa kefu auntempo Õngenoua
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poso – Allora quelli rise, et fecele mettere un bello sottano, il quale le dava a ginocchio, e fecelavi cingnere suso; e tutte le noci fece versare p(er) lo smalto della sala, e poi a una a una le fece ricogliere a la femina e rimetterle nel saccho. E poi la 25
meritò grandemente. In Lombardia e nella Marcha si chiamano le pentole ‘olle’. E la famiglia di mess(er)e Azolino si avea un giorno preso un pen– tolaio p(er) malleveria, e menandolo dinanzi al giudice, me|s–
(57r) sere Açolino passava p(er) la sala e disse: – Chi è costui? – L’uno d|e la famiglia rispuose: – Mess(er), è uno ladro – Andallo a inp|endere – Come messere? Egli è uno ladro – E io p(er)ò dicho ke voi l’andiate a’ mpendere – Mess(er)e, noi diciamo ch’egli è 5
uno ladro – Et anchora dicho ke voi l’andiate a impendere – Allora il giudicie se n’acorse; e fecelne in– teso, ma no(n) valse: p(er)ché l’avea detto tre volte, chonve|nne che cholui fosse impeso. A dire come fue temuto sarebbe gran tela, e molte p(er)–
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sone il sanno. Ma sí ramenterò kome essendo egli un gio|rno cho’ lo’ mp(er)adore a chavallo chon tutta lor giente, si inghagiaro chi avesse piú bella spada. E sodo il gaggio, lo’ mp(er)adore trasse del fodero la sua, la qual’era maravi– gli|osamente fornita d’oro e di pietre preziose. Allora disse
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m|essere Azolino: – Molto è bella. Ma la mia èe asai piú be|lla – E trassela fuori sanza grande fornimento. Allora DC chavalieri ch’erano cho· llui trassero tutti le loro. Qu|ando lo’ mp(er)adore vidde il nuvolo de le spade, disse che bene era piú bella. Poi fue mess(er) Azolino preso in bata–
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glia in uno luogho che si chiama Chasciano, e p(er)cosse tan– to il capo suo al feristo del padiglione, ov’egli era lega– to, che ss’uccise egli medesimo. Qui conta d’una grande cortesia171 ke fu a un tempo in Genova.
[151]
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57r–23 Biagi [ed. cit., p. 120]: carestia.
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INgenoua sÕ auea auno tempo gran caro . 7 la sÕtro 25
uaua sempre pÕu rubaldÕ che nulla terra . pensa rono cosÕ . che tolsero alquante galee 7 pagarono Õ ɃcɃo ducÕtorÕ . 7 mandaro bando chetuttÕ ÕpouerÕ andassero alarÕua . 7 auereboro delpane delcomune . Incontane
(57v) nte uenebe tantÕ che amarauÕglÕa 7 cÕo fu ȸ che moltÕ chenonerano bÕsongnÕosÕ sÕtrauÕsarono 7 andarouÕ Allora glufÕcÕalÕ dÕssero tuttÕ . quÕe ɃnɃosÕ potrebero cernÕre . mauadano ÕcÕttadÕnÕ Õnsu quello lengno 5
7 ÕforestÕerÕ nelaltro . 7 lefemÕne cofancÕullÕ Õnque glÕaltrÕ sÕchetuttÕ uandaro . IconducÕtorÕ furo pre stÕ dÕedero mano aremÕ 7 andarono uÕa 7 aportaro no IsardÕngna 7 lae lÕlascÕarono cheuera douÕzÕa 7 Õngenoua cesso Õlcharo ɥ
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Come uno sandoe aconfessare ɥ UNo sandoe aconfessare alprete suo 7 Õnfralaltre cose lÕdÕsse Ioe Õncasa mÕa una mÕa cognata la quale emoglÕe dunmÕo fratello 7 deglÕe lontano sÕche quandÕo torno Õncasa ella ȸgrande dÕmestÕ
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cheza mÕsÕ pur pone asedere Õngrenbo Come ned ebbo fare . RÕspuose Õlprete ame sÕlfacesse ella che Õo lane paghereÕ bene : QuÕ conta dÕmeɀ Castellano dÕ CafferÕ dÕmantoua ɥ Messere chastellano dÕchafferÕ dÕmantoua stan
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do podesta dÕfÕrenze sÕnacque una quÕstÕone tra Meɀe Pepo allamannÕ . 7 Meɀ Cante chapon sacchÕ tale chenefurono agran mÕnaccÕe . Onde lap odesta ȸ cessare quella brÕgha sÕllÕ mandoe aɃcɃofÕnÕ Meɀe Pepo mando Õncerta parte . 7 Meɀe Cante
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ȸkera grandÕssÕmo suo amÕcho sÕlmandoe aman toua 7 Racomandollo asuoÕ Meɀe Cante lÕne rendeo tale guÕderdone chesÕ gÕacÕea colamoglÕe ɥ QuÕ conta duno huomo dÕcorte che comÕncÕo una
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In Genova si avea a uno tempo gran caro, e là si tro– 25
vava sempre piú rubaldi che nulla terra. Pensa– rono cosí che tolsero alquante galee, e pagarono i co(n)– ducitori, e mandaro bando che tutti i poveri andassero a la riva e avereboro del pane del Comune. Incontane|n–
(57v) te ve n’ebe tanti, ch’è a maraviglia; e ciò fu p(er)ché molti che non erano bisongniosi si travisarono e andarovi. Allora gl’ uficiali dissero: – Tutti quie no(n) si potrebero cernire; ma vadano i cittadini in su quello lengno, 5
e i forestieri ne l’altro, e le femine co’ fanciulli in que|gli altri –; sí che tutti v’andaro. I conducitori furo pre– sti: diedero mano a’ remi e andarono via, e aportaro– no i’ Sardingna. E lae li lasciarono che v’era dovizia. E in Genova cessò il charo.
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Come uno s’andoe a confessare.
[152]
Uno s’andoe a confessare al prete suo, e infra l’altre cose li disse: – I’ òe in casa mia una mia cognata la quale è moglie d’un mio fratello, ed egli è lontano; sí che quand’ io torno in casa, ella, p(er) grande dimesti– 15
cheza, mi si pur pone a sedere in grenbo. Come ne d|ebbo fare? – Rispuose il prete: – A me s’ il facesse ella, che io la ne pagherei bene! – Qui conta di mess(er) Castellano di Cafferi di Mantova.
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Messere Chastellano di Chafferi di Mantova stan– 20
do podestà di Firenze, sí nacque una quistione tra mess(er)e Pepo Allamanni e mess(er) Cante Chapon– sacchi, tale che ne furono a gran minaccie. Onde la p|odestà, p(er) cessare quella brigha, sí lli mandoe a’ co(n)fini: mess(er)e Pepo mandò in certa parte, e mess(er)e Cante,
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p(er)k’ era grandissimo suo amicho, s’ il mandoe a Man– tova, e racomandollo a’ suoi. Mess(er)e Cante li ne rendeo tale guiderdone che si giaciea co’ la moglie. Qui conta d’uno huomo di corte che cominciò una
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(58r) nouella cheɃnɃo uenÕa meno ɥ UNa brÕghata dÕcaualÕerÕ 7 daltra gente Cenaua no una sera . Õnuna grancasa fÕorentÕna 7 aueuauÕ atauola uno huomo dÕcorte Õlquale era grandÕssÕmo 5
fauellatore quandebero cenato . questÕ chomÕncÕo una nouella chenouenÕa meno uno donzello della casa ch e seruÕa ÕnanzÕ . 7 forsse ɃnɃo nera troppo satollo . lochÕa mo ȸnome 7 dÕsse . quellÕ chetÕ ÕnsengnÕo cotesta no uella ɃnɃo latÕ Õnsengno tutta . 7 quellÕ rÕspuose ȸche
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no . 7 que dÕsse ȸche nontÕ Õnsengno larÕstata Onde quellÕ sÕuergono 7 rÕstette ɥ QuÕ conta come lomȸadore uccÕse unsuo falchone LOmȸadore FederÕgho andaua una uolta afalcho ne . 7 aueuane uno chera molto sourano tenea
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lo charo pÕu chuna cÕttade lascÕollo auna grue que lla monto alta . Ilfalchone sÕmÕse ÕnarÕa molto sopra leÕ . uÕdesÕ sotto unaguglÕa gÕouane ȸchossela aterra . 7 tennela tanto cheluccÕse lomȸadore chorse credendo chefosse una grue trouo quello chera . Allora chonÕra chÕ
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amo ÕlgÕustÕzÕere . 7 chomando che alfalchone fosse ta glÕato Õlcapo ȸo cheauea morto Õlsuo sengnore ɥ Come uno sÕchonfesoe daunfrate UNo sÕconfessaua dauno frate 7 dÕsseglÕ che essendo eglÕ una uolta alla ruba duna casa chonassaÕ gente
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7 lontendÕmento ȸchÕo uandaÕ fue dÕtrouare Õnuna cassa Cento fÕorÕnÕ doro . Maneente fue uero anzÕ latro uaÕ uota . ondÕo ɃnɃone credo auere pecchato . Elfrate lÕ dÕsse . certo sÕaÕ tale chome setue glÕauessÕ auutÕ . Onde
(58v) quellÕ sÕmostro molto cruccÕato 7 dÕsse ȸdÕo chonsÕglÕ atemÕ 7 Õlfrate rÕspuose Io ɃnɃotÕ posso proscÕollÕere setue nollÕ rendÕ 7 que dÕsse Õo ÕluoglÕo fare uolontÕ erÕ . Manoso achuÕ 7 Õlfrate rÕspuose rechaglÕ ame 7
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(58r) novella che no(n) venia meno. Una brighata di cavalieri e d’altra gente cenava– no una sera in una gran casa fiorentina, e avevavi a tavola uno huomo di corte, il quale era grandissimo 5
favellatore. Quand’ ebero cenato, questi chominciò una novella che no· venia meno. Uno donzello della casa ch|e servia inanzi, e forsse no(n)n era troppo satollo, lo chia– mò p(er) nome, e disse: – Quelli che ti insengniò cotesta no– vella, no(n) la ti insengnò tutta – E quelli rispuose: – P(er)ché
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no? – E que’ disse: – P(er)ché non ti insengnò la ristata – Onde quelli si vergo[g]nò e ristette. Qui conta come lo’ mp(er)adore uccise un suo falchone.
[155]
Lo’ mp(er)adore Federigho andava una volta a falcho– ne, e avevane uno ch’era molto sovrano: tenea|lo 15
charo piú ch’ una cittade. Lasciollo a una grue. Que|lla montò alta. Il falchone si mise in aria molto sopra lei. Videsi sotto un’aguglia giovane, p(er)chossela a terra e tennela tanto che l’uccise. Lo’ mp(er)adore chorse, credendo che fosse una grue: trovò quello ch’era. Allora chon ira
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chi|amò il giustiziere, e chomandò che al falchone fosse ta– gliato il capo, p(er)ò che avea morto il suo sengnore. Come uno si chonfesoe da un frate.
[156]
Uno si confessava da uno frate, e dissegli che, essendo egli una volta alla ruba d’una casa, chon assai gente: – 25
E lo’ ntendimento p(er) ch’io v’andai fue di trovare in una cassa cento fiorini d’oro. Ma neente fue vero, anzi la tro– vai vota. Ond’io no(n) ne credo avere pecchato – E ’l frate li disse: – Certo stai tale chome se tue gli avessi avuti – Onde
(58v) quelli si mostrò molto crucciato, e disse: – P(er) Dio, chonsi– gli|atemi!– E il frate rispuose: – Io no(n) ti posso prosciolliere se tue no·lli rendi – E que’ disse: – Io il voglio fare volonti|eri, ma no’ so a chui – E il frate rispuose: – Rechagli a me e
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Õo lÕdaroe ȸdÕo . questÕ lÕpromÕse 7 partÕsÕ dalluÕ 7 p
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romÕse 7 partÕsÕ daluÕ 7 presa tanta conteza cheuÕ tornoe laltra mattÕna . 7 ragÕonandoglÕ defattÕ suoÕ sÕdÕsse cheglÕera mandato unbellÕssÕmo IstorÕone che glÕleuolea presentare adesÕnare . Ilfrate latenne 7 re ndeglÕne molte grazÕe . PartÕsÕ questÕ 7 nolÕ mandoe
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lostorÕone . 7 torno laltro dÕe alfrate conalegra cera I lfrate lÕdÕsse ȸchemÕ facestÕ tanto aspettare 7 ɃnɃo mÕ m andastÕ lostorÕone Et que rÕspuose credauate uoÕ auer lo certo sÕ 7 nollaueste . no . DÕcho che altrettale e co me seuoÕ laueste auuto ɥ
15
Duna buona femÕna chauea fatta una sua crostata ɥ FUe una buona femÕna chauea fatta una sua fÕne crost ata danguÕlle 7 aueala messa nelamadÕa . poco stante uÕdde entrare untopo ȸlafÕnestrella chetraeua alolore quella corse 7 aletto lagatta 7 mÕsela nelamadÕa ȸche
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uÕpÕglÕasse entro 7 turo lafÕnestrella . Iltopo sÕnascho se tralafarÕna 7 lagatta sÕmaggÕoe lacrostata 7 quan della aperse lamadÕa eltopo nesalto fuorÕ . 7 laghatta ȸchera satolla nolprese ɥ QuÕ conta duno uÕllano chessandoe aconfessare :
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UNuÕllano sÕ ando ungÕorno aconfessare . 7 pÕglÕoe delacqua benedetta 7 uÕde Õlprete chelauoraua n elcolto . chÕamollo delcolto dalunga 7 dÕsse Sere Io172 (59r) mÕuoreÕ confessare . RÕspuose Õlprete ConfessastÕtue anno 7 que dÕsse chesÕ . OrmettÕ undanaÕo nelcombaÕo 7 aquella medesÕma ragÕone tÕfoe . 7 proscÕolgho uguano kÕo tÕfecÕ aɃno ɥ QuÕ conta delauolpe 7 delmulo ɥ LAuolpe andando ȸ uno boscho sÕtrouoe unmulo 7 maÕ ɃnɃo
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nauea pÕu uedutÕ . sÕnebbe grande paura 7 Õncontane
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A piè di pagina, scritta da un’altra mano: bugÕa a ab.
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io li daroe p(er) Dio – Questi li promise e partísi da llui ; e presa173 tanta conteza che vi tornoe l’altra mattina. E ragionandogli de’ fatti suoi, sí disse che gli era mandato un bellissimo istorione che gli le volea presentare a desinare. Il frate la tenne e
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re|ndégline molte grazie. Partísi questi, e no’ li mandoe lo storione. E tornò l’altro die al frate con alegra cera. I|l frate li disse: – P(er)ché mi facesti tanto aspettare e no(n) mi m|andasti lo storione? – Et que’ rispuose: – Credavate voi aver|lo? – Certo sí – E no·ll’aveste? – No – Dicho che altrettale è
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co|me se voi l’aveste avuto–. D’una buona femina ch’avea fatta una sua crostata.
[157]
Fue una buona femina ch’avea fatta una sua fine crost|ata d’anguille, e aveala messa ne la madia. Poco stante vidde entrare un topo p(er) la finestrella che traeva a l’olore. 20
Quella corse e alettò la gatta, e misela ne la madia p(er)ché vi pigliasse entro, e turò la finestrella. Il topo si nascho– se tra la farina, e la gatta si maggioe174 la crostata; e quan|d’ ella aperse la madia, el topo ne saltò fuori, e la ghatta, p(er)ch’era satolla, nol prese.
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Qui conta d’uno villano che ss’andoe a confessare.
[158]
Un villano si andò un giorno a confessare. E piglioe de l’acqua benedetta, e vide il prete che lavorava n|el colto. Chiamollo del colto da lunga, e disse: – Sere, io (59r) mi vorei confessare – Rispuose il prete: – Confessasti tue anno?– E que’ disse che sí – Or metti un danaio nel co[lo]mbaio, e a quella medesima ragione ti foe e prosciolgho uguano, k’io ti feci an(n)o–. Qui conta de la volpe e del mulo. 5
[159]
La volpe andando p(er) uno boscho, sí trovoe un mulo e mai no(n) n’avea piú veduti. Sí n’ebbe grande paura e incontane|n–
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58v–6 prese. 58v–22 mangioe.
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nte prese afuggÕre . 7 cosÕ fugÕendo trouoe Õlupo 7 dÕseglÕ come auea trouato una nouÕssÕma bestÕa 7 ɃnɃo sapea suo no me . Ilupo dÕsse Õncontanente andÕamuÕ bene mÕpÕace f 10
urono gÕuntÕ almulo . Alupo parue uÕa pÕu nuoua keal tresÕ ɃnɃonauea maÕ uedutÕ . lauolpe Õlprese adÕmandare dÕsuo nome . Ilmulo rÕspuose certo Io ɃnɃo loe bene amen te . massetue saÕ leggere Io loe ÕscrÕtto nel pÕede rÕtto dÕ dÕetro . lauolpe lassa chÕo ɃnɃone soe neente cheuolontÕ
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erÕ ÕlsapreÕ . RÕspuose Õlupo lascÕa farme chesso bene leggere andoe aporre mente Õlmulo Ilmulo …. ÕlpÕede dÕsotto sÕche ÕchÕouÕ pareano lettere dÕsse Õl upo . Io noleuegho 7 Õlmulo dÕsse fattÕ pÕu presso che lle sono mÕnute Illupo lÕcredette fÕcchoglÕsÕ sotto 7
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guardaua fÕso . Ilmulo trasse asse ÕlpÕede 7 dÕeglÕ …. chalccÕo nelcapo tale che luccÕse . Allora senando …. olpe 7 dÕsse ogne huomo che ssae lettera none …. QuÕ conta duno martÕre dÕuÕlla keandaua accÕtade : Unmartore dÕuÕlla uenne a ….
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No farsetto domandoe …. Maestro maeglÕ ɃnɃo uera …. RÕspuose . Io sono …. Setto . Questi ne ….
(59v) amerchato . questÕ nonauea Õlquarto danarÕ allora Õl dÕscepulo mostrandossÕ daconcÕarlÕle dapÕede sÕllÕ apunto lachamÕsa cholfarsetto 7 poÕ dÕsse traÕltÕ quellÕ losÕtrasse arÕuescÕo rÕmase Õgnudo . glÕaltrÕ 5
dÕscepulÕ furono ÕntentÕ cholle coreggÕe 7 colla qua 7 Õschoparolo ȸ tutta la chontrada ɥ QuÕ conta dÕBÕto 7 dÕȾ FrullÕ . dasangÕorgo ɥ BIto fue fÕorentÕno 7 fue bello huomo dÕcorte . 7 dÕ
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te prese a fuggire; e cosí fugiendo trovoe i· lupo. E disegli come avea trovato una novissima bestia, e no(n) sapea suo no– me. I· lupo disse incontanente: – Andiamvi, bene mi piace – 10
F|urono giunti al mulo. A’ lupo parve via piú nuova, ke al– tresí no(n) n’avea mai veduti. La volpe il prese a dimandare di suo nome. Il mulo rispuose: – Certo io no(n) l’òe bene a men|te.175 Ma sse tue sai leggere, io l’òe iscritto nel piede ritto di dietro – La volpe: – Lassa! ch’io no(n) ne soe neente, che volonti|eri
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il saprei – Rispuose i·lupo: – Lascia far me che sso bene leggere – Andoe a porre mente il mulo. Il mulo li mostroe il piede di sotto, sí che i chiovi pareano lettere. Disse i· l|upo:– Io no’ le vegho – e il mulo disse: – Fatti piú presso, ch’e|lle sono minute – Il lupo li credette, ficchòglisi sotto e
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guardava fiso. Il mulo trasse a ssé il piede e diegli un chalccio nel capo tale che l’uccise. Allora se n’andoe la volpe, e disse: – Ogne huomo che ssae lettera, non è savio –. Qui conta d’uno martire di villa ke andava a ccitade. Un martore di villa venne a Firenze per comperare u|no
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[160]
farsetto. Domandoe a una bottegha, dov’era il maestro; ma egli non v’era. Ma il magiore disciepulo rispuose:– Io sono il maestro, che vogli?– Volglio uno far– setto – Questi ne trovò uno et provòglile indosso; furono
(59v) a merchato. Questi non avea il quarto danari. Allora il discepulo, mostrandossi d’aconciarlile da piede, sí lli apuntò la chamisa chol farsetto, e poi disse: – Trailti – Quelli lo si trasse a rivescio. Rimase ignudo. Gli altri 5
discepuli furono intenti cholle coreggie e coll’a|qua, e ischoparolo p(er) tutta la chontrada. Qui conta di Bito e di s(er) Frulli da San Giorgo.176
[161]
Bito fue fiorentino, e fue bello huomo di corte, e di–
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In corsivo vengono messi brani che risultano illeggibili. Li si riporta poggiando sull’ed. Biagi, cit., p. 126. 59v–7 San Giorgio.
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moraua asangÕorgÕo oltrarno . auea uno huomo 10
uecchÕo chauea nome . Ⱦ FrullÕ . 7 auea unsuo podere dÕsopra asangÕorgÕo molto bello sÕche quasÕ tutto l anno uÕdÕmoraua colla sua famÕglÕa . 7 lepÕu mat tÕne mandaua lafante sua auendere frutta . ochama ngÕare alapÕaza delponte uecchÕo 7 era sÕ scarssÕssÕmo
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7 ÕsfÕdato chefacea ÕnanzÕ delcamangÕare cholles ue manÕ 7 anouerauaglÕ alafante . 7 facea laragÕone chepÕglÕaua . ElmagÕore amonÕmento chedaua alafa nte sÕera chenosÕ posasse ÕnsangÕorgÕo conalchuna co sa ȸo cheuauea femÕne ladre . Una mattÕna passaua
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lafante conunpanÕere Õncapo . pÕeno dÕcauolÕ BÕ to chelauea pensato prÕma . sÕsauea messa lapÕu rÕ cchÕa roba dÕuaÕo chellÕ auea . 7 sedendo conessa Õn su lapancha dÕfuorÕ chÕamoe lafante che passaua . 7 ella uenne Õncontanente alluÕ . cheassaÕ femÕne lauea
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chÕamata prÕma ɃnɃouÕ uolle Õre Buona femÕna chome daÕ cotestÕ cauolÕ Meɀe due mazzÕ adanaÕo . Certo qu esta ee buona derrata . MacosÕ tÕdÕcho chedÕtutta lamÕa famÕglÕa ɃnɃocÕ sono rÕmaso se ɃnɃo Õo . 7 lafante mÕa che
(60r) tuttÕ sono ÕtÕ ÕnnuÕlla . sÕche atorene una derata mÕ sarebbe troppo . 7 Õo glÕamo pÕu uolontÕerÕ freschÕ . usau asÕ aqueltempo lemedaglÕe ÕnfÕrenze che ledue uale ano uno danaÕo pÕccolo . 7 ȸo dÕsse BÕto . alleÕ fa cosÕ tuttÕ 5
passÕ ongne mattÕna . damÕne ora pur unmaço 7 damÕ undanaÕo . 7 te questa medaglÕa . 7 domattÕna quando . cÕtorneraÕ sÕmÕdaraÕ laltro maço alleÕ parue chedÕcesse bene . nepÕu nemeno fece . 7 poÕ ando auendere glÕaltrÕ aquella ragÕone cheÕlsengnore auea data . 7 torno aca
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sa . 7 dÕede aȾ . FrullÕ lamoneta quellÕ anouerandoglÕ p Õu uolte pur trouaua meno undanaÕo . allora ÕldÕsse a
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morava a San Giorgio oltr’Arno. Avea uno huomo 10
vecchio ch’avea nome s(er) Frulli, e avea un suo podere di sopra a San Giorgio molto bello, sí che quasi tutto l’|anno vi dimorava colla sua famiglia, e le piú mat– tine mandava la fante sua a vendere frutta o chama|n– giare a la piaza del ponte Vecchio. E era sí scarssissimo
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e isfidato, che facea inanzi177 del camangiare cholle s|ue mani, e anoveravagli a la fante, e facea la ragione che pigliava. El magiore amonimento che dava a la fa|nte si era che no· si posasse in San Giorgio con alchuna co– sa, p(er)ò che v’avea femine ladre. Una mattina passava
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la fante con un paniere in capo pieno di cavoli. Bi|to, che l’avea pensato prima, sí s’avea messa la piú ri|cchia roba di vaio ch’elli avea; e sedendo con essa in su la pancha di fuori, chiamoe la fante che passava, e ella venne incontanente a llui; che assai femine l’avea
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chiamata prima, no(n) vi volle ire: – Buona femina, chome dai cotesti cavoli? – Mess(er)e, due mazzi a danaio – Certo qu|esta èe buona derrata. Ma cosí ti dicho che di tutta la mia famiglia no(n) ci sono rimaso se no(n) io e la fante mia, che
(60r) tutti sono iti inn villa, sí che a torene una derata mi sarebbe troppo, e io gli amo piú volontieri freschi – Usav|asi a quel tempo le medaglie in Firenze, che le due vale|ano uno danaio piccolo. E p(er)ò disse Bito a llei: – Fa’ cosí: tu tti 5
passi ongne mattina, dàmine ora pur un maço e dàmi un danaio, e te questa medaglia; e domattina quando ci tornerai, sí mi darai l’altro maço – A llei parve che dicesse bene; né piú né meno fece. E poi andò a vendere gli altri a quella ragione che il sengnore avea data. E tornò a ca–
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sa, e diede a s(er) Frulli la moneta. Quelli, anoverandogli p|iú volte, pur trovava meno un danaio. Allora il disse a
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59v–15 Biagi [cit., p. 127]: i mazzi.
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la fante . 7 quella rÕspuose ɃnɃo puo essere questÕ rÕscalda ndosÕ colleÕ ladomandoe sesera posata asangÕorgÕo quella uolle negare . matanto lascalzoe Ⱦ FrullÕ chella 15
dÕsse sÕposaÕ auno bello caualÕere chemÕ chÕamo 7 pago mÕ fÕnemente 7 dÕchouÕ cheÕo lÕ debbo dare ancora un m azo dÕcauolÕ . RÕspuose Ⱦ FrullÕ dunque cÕauerebe ora m eno undanaÕo Õnmezo . pensouÕ suso 7 auÕdesÕ delong anno 7 dÕcendo alafante molta uÕllanÕa . sÕla domando
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doue quellÕ Õstaua . quella lÕledÕsse tutto apunto ondellÕ chonobbe chera . BÕco . che molte beffe glÕauea gÕa fatte Incontanente rÕschaldato dÕra lamattÕna ȸtempo sÕle uoe 7 mÕsesÕ sotto lepellÕ una Õspada rugÕnosa 7 uenne cosÕ Õncapo delponte 7 lae trouo BÕco chesedea comolta
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buona gente . Alço questÕ laspada 7 fedÕto lauerebbe n elcapo seɃnɃo fosse . uno chestaua rÕtto ÕnanzÕ cheltenne ȸ labraccÕa legentÕ uÕtrassero Õsmemorate credendo che fosse altro . 7 BÕco ebbe grande paura alaprÕma . MapoÕ
(60v) rÕcordandosÕ comera sÕchomÕncÕo assorÕdere legentÕ che rano ragunate Õntorno . aȾ FrullÕ 7 domandandolo checÕo era quellÕ ÕldÕsse loro chontanta anbascÕa ke apena potea allora BÕco fece cessare legentÕ 7 dÕɀe Ⱦ FrullÕ . Io mÕuoglÕo 5
concÕare conuoÕ Õnquesto modo 7 ɃnɃo cÕabbÕa pue parola . cheuoÕ mÕrendÕate ÕldanaÕo mÕo . 7 rÕteneteuÕ lameda glÕa uostra 7 abÕateuÕ quello ÕnanzÕ cholamaladÕzÕone dÕ dÕo . Ⱦ FrullÕ rÕspuose bemÕ pÕace 7 secosÕ auessÕ detto Õn prÕma tutto questo ɃnɃosarebbe Õstato . 7 ɃnɃo acorgÕendosÕ d
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ella beffa sÕglÕ dÕede uno danaÕo 7 eglÕ tolse una medag lÕa 7 andone ɃcɃosolato . lerÕsa uÕfurono grandÕssÕme ɥ QuÕ conta Come uno merchatante porto uÕno oltre mare UNmerchatante portoe
uÕno
oltre mare 7 lebottÕ erano ad
ue palcora dÕsotto 7 dÕsopra auea uÕno 7 nelmezo au
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la fante, e quella rispuose: – No(n) può essere – Questi, riscalda|ndosi co· llei, la domandoe se s’era posata a San Giorgio. Quella volle negare, ma tanto la scalzoe s(er) Frulli ch’ella 15
disse: – Sí, posai a uno bello cavaliere che mi chiamò, e pagò|mi finemente. E dichovi che io li debbo dare ancora un m|azo di cavoli – Rispuose s(er) Frulli: – Dunque ci averebe ora m|eno un danaio in mezo? – Pensòvi suso, e avidesi de lo’ng|an– no, e dicendo a la fante molta villanía, sí la domandò
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dove quelli istava. Quella li le disse tutto a punto, ond’elli chonobbe ch’era Bico, che molte beffe gli avea già fatte. Incontanente rischaldato d’ira, la mattina p(er) tempo si le– voe, e misesi sotto le pelli una ispada ruginosa, e venne cosí in capo del ponte, e lae trovò Bico che sedea co· molta
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buona gente. Alçò questi la spada, e fedito l’averebbe n|el capo, se no(n) fosse uno che stava ritto inanzi che ’l tenne p(er) la braccia. Le genti vi trassero ismemorate, credendo che fosse altro. E Bico ebbe grande paura a la prima. Ma poi,
(60v) ricordandosi com’era, sí chominciò a ssoridere. Le genti ch’e|rano ragunate intorno a s(er) Frulli, e domandandolo che ciò era; quelli il disse loro chon tanta anbascia ke a pena potea. Allora Bico fece cessare le genti, e diss(er)e:178 – S(er) Frulli, io mi voglio 5
conciare con voi in questo modo, e no(n) ci abbia pue parola, che voi mi rendiate il danaio mio e ritenetevi la meda– glia vostra, e abiatevi quello inanzi cho’ la maladizione di Dio – S(er) Frulli rispuose: – Be· mi piace, e se cosí avessi detto in|prima, tutto questo no(n) sarebbe istato – E no(n) acorgiendosi
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d|ella beffa, sí gli diede uno danaio e egli tolse una medag|lia, e andòne co(n)solato. Le risa vi furono grandissime. Qui conta come uno merchatante portò vino oltre mare.
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Un merchatante portoe vino oltre mare, e le botti erano a d|ue palcora. Di sotto e di sopra avea vino, e nel mezo av|ea
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60v–4 disse.
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ea acqua tanto chelametade acqua dÕsotto 7 dÕsopra a
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uea squÕlletto . 7 nelmezo ɃnɃo . sche questa malÕzÕa uendero lacqua ȸ uÕno 7ra doppÕaro ÕdanarÕ sopra tutto Õlguada ngnÕo . 7 sÕtosto comefurono paghatÕ sÕ montarono Õnu no legno 7 mÕsersÕ Õnmare conquesta moneta . Allora appa rÕo nelanaue ungrande scÕmÕo ȸ sentenzÕa dÕdÕo 7 pre
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se Õltaschetto della moneta 7 andonne Õnsulalbero dela naue QuellÕ ȸ paura cheɃnɃoglÕ gÕtasse Õnmare andaro k o nesso ȸuÕa dÕlusÕnghe . IlbertuccÕo sÕpuose asedere Õn sulalbero delanaue 7 ÕscÕolse Õlsachetto conboccha 7 tr aene fuorÕ questa moneta delloro aduno aduno 7 gÕt
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taua luno Õmare 7 laltro lascÕaua cadere nelanaue . 7 cosÕ fece tanto cheluna metade furono nelanaue chol guadangno chefare sÕnedouea ɥ179 (61r) QuÕ conta Come uno mercatante ɃcɃoȸo berette : UNo merchatante cherechaua berrette sÕlÕsÕbagn aro . 7 auendole tese sÕua parÕo molte scÕmÕe 7 ca tuna sÕne mÕse una Õn capo 7 fugÕano suȸlÕaborÕ A costuÕ neparue male torno adÕetro 7 comȸero chalza
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rÕ 7 presele 7 fecene buono guadangnÕo ɥ QuÕ conta una nouella damore . UNgÕouane dÕfÕrenze sÕ amaua damore una gentÕ le pulcella laquale ɃnɃo amaua neente luÕ Ma am aua sanza mÕsura unaltro gÕouane Õlquale amaua an
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che leÕ . ma ɃnɃo tanto adassaÕ quanto costuÕ . 7 cÕo sÕpare che costuÕ nauea lascÕato ogne altra cosa 7 consumau asÕ come Õsmemorato 7 spezÕalmente ÕlgÕorno chellÕ n olauedea . Aunsuo compangnÕo nencrebbe fece tanto chesalÕe acauallo 7 menollo auno suo belÕssÕmo luogo
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7 lae sÕtrastularo ȸ xu dÕ . Inquelmezo lafancÕulla sÕcru ccÕo colamadre ȸcerta cagÕone . mandoe lafante 7 fe ce parlare acoluÕ chuella amaua chenne uolea anda re coluÕ . onde quellÕ fu molto alegro lafante dÕsse ella
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A piè di pagina si legge: bugÕa a a b.
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acqua, tanto che la metade [era] acqua. Di sotto e di sopra a|vea squilletto, e nel mezo no. S[ì] che [con] questa malizia vendero l’acqua p(er) vino, e radoppiaro i danari sopra tutto il gua– da|ngnio. E sí tosto come furono paghati, si montarono in u|no legno e misersi in mare con questa moneta. Allora appa|rio
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ne la nave un grande scimio p(er) sentenzia di Dio, e pre– se il taschetto della moneta, e andonne in su l’albero de la nave. Quelli, p(er) paura che no(n) gli gitasse in mare, andaro k|on esso p(er) via di lusinghe. Il bertuccio si puose a sedere in su l’albero de la nave, e isciolse il sachetto con boccha, e
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tr|aéne fuori questa moneta dell’oro ad uno ad uno. E git– tava l’uno i· mare e l’altro lasciava cadere ne la nave. E cosí fece, tanto che l’una metade furono ne la nave chol guadangno che fare si ne dovea.
(61r) Qui conta come uno mercatante co(m)p(er)ò berette.
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Uno merchatante che rechava berrette, sí li si bagn|aro, e avendole tese, sí v’apario molte scimie e ca– tuna si ne mise una in capo, e fugiano su p(er) li a[r]bori. A 5
costui ne parve male. Tornò a dietro, e comp(er)erò chalza– ri, e presele, e fecene buono guadangnio. Qui conta una novella d’amore.
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Un giovane di Firenze sí amava d’amore una genti– le pulcella, la quale no(n) amava neente lui, ma 10
am|ava sanza misura un altro giovane, il quale amava an– che lei ma no(n) tanto ad assai quanto costui. E ciò si paré: che costui n’avea lasciato ogne altra cosa, e consumav|asi come ismemorato, e spezialmente il giorno ch’elli n|o’ la vedea. A un suo compangnio ne ’ncrebbe. Fece tanto
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che salie a cavallo e menollo a uno suo belissimo luogo, e lae si trastularo p(er) XV dì. In quel mezo la fanciulla si cru|cciò co’ la madre p(er) certa cagione. Mandoe la fante, e fe– ce parlare a colui chu’ella amava che nne volea anda– re co’ lui; onde quelli fu molto alegro. La fante disse: – Ella
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uole cheuoÕ uegnÕate acauallo gÕa quando fÕa notte fer
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ma 7 ella fara uÕsta dÕscendere nela cella ȸaltro 7 uoÕ sarete aluscÕo aparechÕato 7 ella elegÕere 7 sabene caualchare gÕtterauÕsÕ Õngropa bemÕ pÕace 7 quando ebero cosÕ ordÕnato fece aparecchÕare grande mente a unsuo luogho 7 debbe suoÕ compangnÕ acauallo 7 fe
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ceglÕ Õstare alaporta ȸche ɃnɃo fosse serata quando ellÕ uenÕsse colleÕ mossesÕ conuno fÕne ronzÕno 7 passod alacasa . quella ɃnɃonera potuto ancora ȸo chela madre180 (61v) laguardaua troppo questÕ andoe oltre ȸ tornare a compa ngnÕ . MaquellÕ che consumato era ÕnuÕlla ɃnɃo trouando luogho sÕera salÕto acauallo elcompangnÕo suo colusÕng he nolseppe tanto preghare cheluÕ potesse tenere ɃnɃe Ƀ ɃnɃo uolle lasua compangnÕa GÕunse questa sera alemura le
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porte erano tutte serrate . Matanto acerchÕo chesabateo aquella porta aȸta che coloro guardauano 7 andonne Õnuerso lamagÕone dÕcoleÕ ɃnɃo ȸ ÕntendÕmento dÕued erla mapur dÕuedere lacontrada . 7 essendo rÕstato dÕrÕ ȸto alacasa ȸ guardalla . dÕpoco era passato laltro . 7 lafa
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ncÕulla dÕsero luscÕo 7 dÕsselÕ sotto boce che acostasse Õl ca uallo aluscÕo . quella lÕsÕgÕttoe Õngroppa 7 andarono uÕa . quando uscÕro ȸlaporta ÕcompangnÕ dellaltro . ɃnɃolcono bero 7 ɃnɃolÕ dÕedero brÕgha . ȸo che sefosse stato coluÕ cuÕ ellÕ aspettauano eglÕ sarebbe rÕstato colloro . QuestÕ chau
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alcharo bene x . mÕglÕa tanto chefurono Õnubello prato . Õntorneato dÕgrandÕssÕmÕ alborÕ Õsmontaro 7 legaro Õl cauallo aduno albero 7 prese abascÕarla . Quella Õlconobe 7 acorsesÕ della dÕsauentura . comÕncÕoe apÕangere du ra mente MaquestÕ laprese aconfortare lagrÕmando 7 a
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renderle tanto onore chella lascÕo ÕlpÕangnere 7 presea
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Di lettura difficile sono gli ultimi dieci versi.
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vole che voi vegniate a cavallo già quando fia notte fer– ma; e ella farà vista di scendere ne la cella p(er) altro, e voi sarete a l’uscio aparechiato, e ella è legiere e sa bene cavalchare, gitteràvisi in gropa – Be· mi piace – E quando ebero cosí ordinato, fece aparecchiare grandemente a
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un suo luogho, ed ebbe suoi compangni a cavallo, e fe– cegli istare a la porta, p(er)ché no(n) fosse serata quando elli venisse co· llei. Mossesi con uno fine ronzino, et passò d|a la casa. Quella no(n)n era potuto ancora, p(er)ò che la madre
(61v) la guardava troppo. Questi andoe oltre p(er) tornare a’ compa– ngni. Ma quelli che consumato era, in villa no(n) trovando luogho, si era salito a cavallo. E ’l compangnio suo co’ lusin– g|he nol seppe tanto preghare che lui potesse tenere, né no(n) 5
volle la sua compangnia. Giunse questa sera a le mura. Le porte erano tutte serrate. Ma tanto acerchiò che s’abateo a quella porta ap(er)ta che coloro guardavano, e andonne inverso la magione di colei, no(n) p(er) intendimento di ved|erla, ma pur di vedere la contrada. E essendo ristato di
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ri|perto181 a la casa p(er) guardalla, di poco era passato l’altro, e la fa|nciulla diserò l’uscio e disseli sotto boce che acostasse il ca– vallo a l’uscio. Quella li si gittoe in groppa, e andarono via. Quando usciro p(er) la porta, i compangni dell’altro no(n) ’l cono– bero e no(n) li diedero brigha, p(er)ò che se fosse stato colui cui
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elli aspettavano, egli sarebbe ristato co· lloro. Questi chav|alcharo bene X miglia, tanto che furono in u’ bello prato intorneato di grandissimi àlbori. Ismontaro, e legaro il cavallo ad uno albero. E prese a basciarla. Quella il conobe, e acorsesi della disaventura. Comincioe a piangere du–
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ramente. Ma questi la prese a confortare lagrimando, e a renderle tanto onore ch’ella lasciò il piangnere e prese a
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Rimpetto.
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uolere bene acostuÕ . uegÕendo che lauentura era purdÕ costuÕ allora labraccÕo . Quelaltro chauolcho poscÕa pÕu uolte tanto che uÕdde Õlpadre 7 lamadre . fare grande 25
romore nelagÕo . allora Õntese dalafante chomella nera andata Õncotale modo . QuestÕ tutto ÕsbÕgottÕto tornoe aɃcɃopangnÕ 7 dÕselo loro. Et querÕspuosero bene louedemo passare colleÕ ma ɃnɃo conoscÕemo 7 etanto chepuote eɀe
(62r) bene alunghato 7 andarne ȸcotale Õstrada . mÕsersÕ Õncho tanente attenere loro dÕetro 7 caualcaro tanto cheglÕ tro uarono chesÕ dormÕeno abraccÕatÕ 7 mÕrauaglÕ ȸlo lume delaluna . chera apparÕto . Allora nencrebbe dÕsturballÕ dÕssero 5
aspetÕamo chessÕ ÕsueglÕno . 7 poÕ faremo quello chauerem o afare . 7 cosÕ stettero tanto che Õlsonno lÕgÕunse 7 furono tu ttÕ adormentatÕ . coloro sÕsÕueglÕaro Õnquesto mezo 7 troua ro cÕo chera . fecersÕ grande marauÕglÕa . allora dÕsse ÕlgÕou ane costoro anno fatta tanta cortesÕa che ɃnɃo pÕaccÕa dÕo ke
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noÕ glÕofendÕamo mache fecero salÕo quellÕ Õnsulsuo cha uallo . 7 ella sÕgÕtto Õnsu nunaltro demÕglÕorÕ cheuera 7 poscÕa tuttÕ ÕfrenÕ deglÕaltrÕ cauallÕ taglÕaro 7 andarsÕ uÕa . QuellÕno sÕdestarono poscÕa 7 fecero grande corotto ȸke nolÕ potero pÕu andare cerchando ɥ
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Come lomȸadore federÕgo Ƀadoe alamɃotagna delueglÕo ɥ LOmȸadore federÕgo ando una uolta ÕnfÕno alamontagna delueglÕo . 7 fu lÕfatto grande onore . ElueglÕo ȸ mostra glÕ comera temuto . Õsguardoe ÕnaltÕ 7 uÕde Õnsu latorre . due assessÕnÕ preselÕ ȸ lagrande barba conmano 7 deglÕ
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sÕnegÕttarono Õnterra 7 morÕro . Lomȸadore medesÕmo sÕuo lle prouare lamoglÕe . ȸcÕo cheglÕera detto cheunsuo barone gÕacea colleÕ . leuossÕ una notte 7 andoe alleÕ nella chamera
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volere bene a costui. Vegiendo che la ventura era pur di costui, allora l’abracciò. Quel altro chavolchò182 poscia piú volte, tanto che vidde il padre e la madre fare grande 25
romore ne l’agio. Allora intese da la fante chom’ella n’era andata in cotale modo. Questi, tutto isbigottito, tornoe a co(m)pangni183 e diselo loro. Et que’ rispuosero: – Bene lo vedemo passare co·llei, ma no(n) conosciemo; et è tanto che puote ess(er)e
(62r) bene alunghato. E andarne p(er) cotale istrada – Misersi incho– tanente a ttenere loro dietro. E cavalcaro tanto, che gli tro– varono che si dormieno abracciati, e miravagli p(er) lo lume de la luna ch’era apparito. Allora ne’ncrebbe disturballi. Dissero: 5
– Aspetiamo che ssi isveglino e poi faremo quello ch’averem|o a fare – E cosí stettero tanto, che il sonno li giunse e furono tu|tti adormentati. Coloro si sivegliaro184 in questo mezo e trova– ro ciò ch’era. Fecersi grande maraviglia. Allora disse il giov|ane: – Costoro ànno fatta tanta cortesia che no(n) piacci’ a Dio ke
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noi gli ofendiamo – Ma che fecero? Salio quelli in sul suo cha– vallo, e ella si gittò in sun un altro de’ migliori che v’era, e poscia tutti i freni degli altri cavalli tagliaro, e andârsi via. Quellino si destarono poscia e fecero grande corotto, p(er)ké no li potero piú andare cerchando.
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Come lo’mp(er)adore Federigo a(n)doe a la mo(n)tagna del Veglio.
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Lo ’mp(er)adore Federigo andò una volta infino a la montagna del Veglio, e fuli fatto grande onore. E ’l Veglio, p(er) mostrâ|gli com’era temuto, isguardoe in alti, e vide in su la torre due assessini. Preseli p(er) la grande barba con mano, ed egli 20
si ne gittarono in terra, e moriro. Lo’mp(er)adore medesimo si vo|lle provare la moglie, p(er) ciò che gli era detto che un suo barone giacea co· llei. Levossi una notte e andoe a llei nella chamera,
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61v–23 chavalchò. Sulla scorta di: compangnio 52r–17, 21; 52v–7; 56r–9; 61r–14; 61v–3; compangni 56r–5; compangnia 61v–5 (cc. 51v–63r). 62r–7 si svegliaro.
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7 quella lÕdÕsse . Meɀ uoÕ cÕfoste pur ora unaltra uolta ɥ Come Ercule uccÕse lorÕbÕle GÕgante ȸ força ɥ 25
QUando Ercule fue rÕtornato de Rengno FemÕno ro cauea conbattuto colloro . 7 aueale uÕnte udÕe p arlare duno . GÕgante . fortÕssÕmo amarauÕglÕa quel GÕ gante auea nome Eteus 7 abÕtaua Õnungrande bo
(62v) scho alato aduna grande montangnÕa Õnuna parte dÕ GrecÕa . quello GÕgante era dÕtal manÕera ke secosa au enÕa chellÕ conbatesse conalchuno chaualÕere . o sÕ co naltro huomo 7 dellÕ cadesse ȸ auentura . Õnmantan 5
ente chellÕ sentÕa laterra 7 lasua fredura . Õmantane nte lasua força sÕradopÕaua . Eȸo chellÕ era dÕ talna tura 7 sÕforte 7 sÕcrudele 7 sÕposente Õnuerso tutte . creature sÕ dottauano tuttÕ quellÕ chedÕluÕ udÕano parlare dÕcostuÕ udÕo parlare Ercoles sÕando ȸ ɃcɃo
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battere coluÕ . 7 Õnmantanente che sÕuÕdero . sÕ corse lu no sopra laltro 7 presonsÕ allebraccÕa . che Ercoles ɃnɃo auea portata seco arme . seɃɃnɃo una sua mazza grande 7 ɃnɃonera tale come asÕgrande huomo sÕconuenÕa . comellÕera . 7 questo fecenellÕ ȸ essere pÕu legÕere con
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tra . questo GÕgante . Õnmantanente sÕpresero allebra ccÕa Ercoles pÕglÕa questo GÕgante 7 mettÕlo Õnterra quellÕ sÕrÕleuo lachuÕ força ɃnɃo manchaua sÕche quan do . Ercoles . locredea pueauere conquÕso . 7 eglÕ pue Õltrouaua forte . 7 dÕmÕglÕore lena . Allora sÕmarauÕg
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lÕo molto . Ercoles maɃnɃo sapea checcÕo potesse essere ta nto che allafÕne eglÕ sÕpensa chedeglÕ fara . allora Õlpre se Ercoles 7 leuollo alto daɒra molto uÕgorosamente conanbo lebraccÕa 7 tanto Õltenne alto ÕspÕchato date rra chellÕ Õlfece ÕspasÕmare 7 cosÕ morÕe nelle sue bracÕ
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a . Neunqua ÕlGÕgante ȸ força chellÕ auesse ɃnɃo sÕpo
e quella li disse: – Mess(er), voi ci foste pur ora un’altra volta –. Come Ercule uccise l’oribile Gigante p(er) força. 25
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Quando Ercule fue ritornato de’ rengno femino– ro, c’avea conbattuto co· lloro e aveale vinte, udie p|arlare d’uno Gigante fortissimo a maraviglia. Quel Gi– gante avea nome Eteus e abitava in un grande bo–
(62v) scho a lato ad una grande montangnia in una parte di Grecia. Quello Gigante era di tal maniera ke se cosa av|enia ch’elli conbatesse con alchuno chavaliere o sí co|n altro huomo, ed elli cadesse p(er) aventura, inmantan|ente 5
ch’elli sentia la terra e la sua fredura, imantane|nte la sua força si radopiava. E p(er)ò ch’elli era di tal na– tura e sí forte e sí crudele e sí posente inverso tutte creature, si dottavano tutti quelli che di lui udiano parlare. Di costui udio parlare Ercoles: sí andò p(er) co(n)–
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battere185 co’ lui. E inmantanente che si videro, sí corse l’u|no sopra l’altro e presonsi alle braccia; ché Ercoles no(n) avea portata seco arme se no(n) una sua mazza grande, e no(n)n era tale come a sí grande huomo si convenia com’elli era. E questo fecen’elli p(er) essere piú legiere con–
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tra questo Gigante. Inmantanente si presero alle bra|ccia: Ercoles piglià questo Gigante e mettílo in terra; quelli si rilevò, la chui força no(n) manchava, sí che quan– do Ercoles lo credea pue avere conquiso, e egli pue il trovava forte e di migliore lena. Allora si maravig|liò
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molto Ercoles, ma no(n) sapea che cciò potesse essere, ta|nto che alla fine egli si pensà ched egli farà. Allora il pre– se Ercoles e levollo alto da t(er)ra molto vigorosamente con anbo le braccia; e tanto il tenne alto ispichato da te|rra, ch’elli il fece ispasimare, e cosí morie nelle sue braci|a;
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né unqua il Gigante, p(er) força ch’elli avesse, no(n) si po–
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Sulla scorta di conbattuto 62r–26; conbatesse 62v–3 in scrittura piena (cc. 51v–63r).
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te ÕspaccÕare ȸuenÕre Õnɒra . dÕquesta battaglÕa 7 pro ua come auete udÕto ebbe Ercoles grande nomÕnan za 7 grande lode . ȸo chequesta fue grandÕssÕma prode186 (63r) zza dÕconquÕstare uno tale GÕgante 7 uccÕderlo ȸ sÕfatto modo . come uoÕ auete Õnteso . Et sappÕate che deglÕ fece molte altre cose dÕgrande prodezze chellÕ ɃnɃo dottaua n ulla creatura . neȾpente nealtra bestÕa tanta fosse cru dele . Et sappÕate che Theseus suo compangnÕo fue altr
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essÕ molto pro chedellÕ uccÕse quello Duca che dÕstrusse T ebes cosÕ come conta Õnaltra ÕstorÕa 7 sÕuccÕse altresÕ un altro . GÕgante . cauea nome . Cat . Theseus ebbe uno fÕ glÕuolo delamoglÕe . YpolÕte chellÕ menoe damazone ke bbe nome ypolÕt . 7 sÕebbe unaltro fÕglÕuolo chebbe nome
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AmpÕlocÕd . duna donna chellÕ prese ȸmoglÕe chebbenome phdÕzÕa NEltempo delsapÕentÕssÕmo Re salamone essendo deta dundÕcÕ annɬ . secondo cheparla lascrÕttura Ilsuo padre era uecchÕo che ɃnɃo tenea pÕue corte anzÕ auea Õcoronato Õlsuo fÕglÕuolo . Salamone 7 auea
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lÕ dÕmessa tutta lacorte chenne fosse facÕtore 7 dÕs facÕtore altutto . Ora uenne neldetto tempo due Fem Õne 7 dÕmorauano ÕnsÕeme Õnuna casa 7 Õnuno le tto . 7 cÕaschuna auea uno fÕglÕuolo maschÕo quasÕ duna eta 7 duna ÕncarnazÕone 7 capellÕ . sÕche po
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cho dÕuÕsamento auea daluno alaltro . GÕocÕendo– costoro cosÕ ÕnsÕeme 7 cÕaschuna colsuo fÕ glÕuolo so nne asaÕ male guardÕane odÕuolgersÕ . odÕprotende rsÕ . come candasse luna dÕqueste uccÕse Õlsuo fÕglÕu olo . laltra dormÕa molto fÕsa . questa chelauea morto
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Incontanente penso una grande 7 pessÕma retade prese Õlsuo fÕglÕuolo morto 7 mÕselo nelle pezze 7 (63v) nelle facÕe dÕquello della conpangna sua . 7 tolse Õl
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A piè di pagina una mano scrisse: bugÕa a ab.
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té ispacciare p(er) venire in t(er)ra. Di questa battaglia e pro– va, come avete udito, ebbe Ercoles grande nominan– za e grande lode, p(er)ò che questa fue grandissima prode|z– (63r) za di conquistare uno tale Gigante e ucciderlo p(er) sí fatto modo come voi avete inteso. Et sappiate ched egli fece molte altre cose di grande prodezze, ch’elli no(n) dottava n|ulla creatura: né s(er)pente, né altra bestia tanta fosse cru– 5
dele. Et sappiate che Theseus suo compangnio fue altr|essí molto pro’, ched elli uccise quello duca che distrusse T|ebes, cosí come conta in altra istoria, e sí uccise altresí un altro Gigante c’avea nome Cat. Theseus ebbe uno fi– gliuolo de la moglie Ypolite, ch’elli menoe d’Amazone, k’
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e|bbe nome Ypolit; e si ebbe un altro figliuolo, ch’ebbe nome Ampilocid, d’una donna ch’elli prese p(er) moglie ch’ebbe nome Phdizia. Nel tempo del sapientissimo re Salamone, essendo
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d’età d’undici anni, secondo che parla la Scrittura, il suo padre era vecchio che no(n) tenea piue corte, anzi 15
avea icoronato il suo figliuolo Salamone, e avea|li dimessa tutta la corte che nne fosse facitore e dis– facitore al tutto. Ora venne nel detto tempo due fem|ine, e dimoravano insieme in una casa e in uno le|tto, e ciaschuna avea uno figliuolo maschio quasi
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d’una età e d’una incarnazione e capelli, sí che po– cho divisamento avea da l’uno a l’altro. Giociendo187 costoro cosí insieme, e ciaschuna col suo figliuolo, so|nne asai male guardiane o di volgersi o di protende|rsi, come c’andasse, l’una di queste uccise il suo figliu|olo,
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l’altra dormia molto fisa. Questa che l’avea morto incontanente pensò una grande e pessima retade: prese il suo figliuolo morto e miselo nelle pezze e
(63v) nelle facie di quello della conpangna sua, e tolse il
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63r–22 Giaciendo.
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coleÕ fÕglÕuolo chera uÕuo 7 mÕselo nelle sue fascÕe . 7 cosÕ Õstette sanza dormÕre ÕnfÕno algÕorno accÕo ch ela conpangnÕa ȸ dÕsauentura ɃnɃo facesse ÕlsomÕglÕante 5
OrsÕ uenne facÕendo ÕlgÕorno alto 7 chÕaro 7 cÕaschu na prese Õlsuo ȸ gouernallo sÕcchome usanza era . qu ella auendo ÕlfancÕullo ÕnbraccÕo trouollo morto cho mÕncÕo affare grandÕssÕmo pÕanto uÕello rÕmÕran do nolle parue desso . sÕ chome ɃnɃonera chenollene ue
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nÕa olore neuno sÕcchome douea . uÕello ÕsfacÕando 7 mÕrandolo ɃnɃopotea uedere che fosse Õlsuo fÕgluolo pensossÕ dÕuedere quello dela conpangna . Inconta nente dÕsse questo ee ÕlmÕo . quella lauea gouerna to 7 rÕfascÕato 7 tenealsÕ molto stretto ÕnbraccÕo . la
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contenzÕone fu grande tra anbondue checÕaschu na dÕcea cheÕlfancÕullo uÕuo era Õlsuo . Atanto uene ro chessÕ andarono arÕchÕamare alachorte dÕnanzÕ alRe Salamone udendellÕ laquÕstÕone damendue 7 cÕaschuna pÕangÕea ederano ÕschapÕglÕate . quellÕ
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fece uenÕre Õlsuo gÕustÕzÕere 7 sentenzÕoe chefosse Õs fascÕato 7 dÕuÕso ȸ mezzo 7 dato acÕaschuna lameta de Quella fue laprÕma sentenzÕa che Salamone au ea data . Il gÕustÕzÕere tenedolo ȸ luno depÕedÕ Õnpr esenzÕa dÕSalamone colla Õspada Õmano Õluolea dÕ
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uÕdere . Quella chenonera suo nonne churaua gÕa m olto . 7 dÕcÕea pure dÕuÕdetelo 7 pareale mÕlle annÕ cɻ fosse dÕuÕso . Et quella chellauea portato nelsuo uentre uedendo lostrazÕo chedouea essere fatto delsuo fÕglÕuolo
(64r) lecrepaua Õl chuore 7 grÕdaua adaltÕ bocÕ sengnore pÕaccÕatÕ dÕ ɃnɃo fare fare tale ÕstrazÕo delmÕo caro fÕglÕ uolo . Õo uoglÕo anzÕ chella ÕlsabbÕa cosÕ uÕuo cheÕo gÕ a maÕ nollo rÕuoglo Udendo cÕo ÕlsapÕentÕssÕmo Sa 5
lamone . Õnchontanente lÕlefece rÕporre ÕnbraccÕo 7 a laltra chedÕcea chera suo ȸchera laprÕma achusa che
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colei figliuolo ch’era vivo, e miselo nelle sue fascie. E cosí istette sanza dormire infino al giorno, acciò che la conpangnia p(er) disaventura no(n) facesse il somigliante. 5
Or si venne faciendo il giorno alto e chiaro, e ciaschu– na prese il suo p(er) governallo, sí cchome usanza era. Qu|ella, avendo il fanciullo in braccio, trovollo morto. Cho– minciò a ffare grandissimo pianto; vièllo rimiran– do: no· lle parve desso, sí chome no(n)n era, che no· lle ne
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ve|nia olore neuno, sí cchome dovea; vièllo isfa[s]ciando, e mirandolo no(n) potea vedere che fosse il suo figluolo. Pensossi di vedere quello de la conpangna. Inconta– nente disse: – Questo èe il mio – Quella l’avea governa– to e rifasciato, e tenealsi molto stretto in braccio. La
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contenzione fu grande tra anbondue, ché ciaschu– na dicea che il fanciullo vivo era il suo. A tanto vene– ro che ssi andarono a richiamare a la chorte dinanzi al re Salamone. Udend’elli la quistione d’amendue, e ciaschuna piangiea, ed erano ischapigliate, quelli
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fece venire il suo giustiziere; e sentenzioe che fosse is– fasciato e diviso p(er) mezzo, e dato a ciaschuna la meta– de: quella fue la prima sentenzia che Salamone av|ea data. Il giustiziere, tenedolo p(er) l’uno de’ piedi, in pr|esenzia di Salamone, colla ispada i· mano il volea di–
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videre. Quella che non era suo non ne churava già m|olto, e diciea pure: – Dividetelo – E pareale mille anni ch(e) fosse diviso. Et quella che ll’avea portato nel suo ventre, vedendo lo strazio che dovea essere fatto del suo figliuolo,
(64r) le crepava il chuore, e gridava ad alti boci: – Sengnore, piacciati di no(n) fare fare tale istrazio del mio caro figli|uolo; io voglio anzi ch’ella il s’abbia cosí vivo, che io gi|à mai no· llo rivogl[i]o!– Udendo ciò, il sapientissimo 5
Sa|lamone inchontanente li le fece riporre in braccio, e a l’altra che dicea ch’era suo, p(er)ch’era la prima achusa che
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fatta lÕera dÕnanzÕ sÕlle ȸdono . 7 acholeÕ Õlrendeo sÕ chome Õnteso auete ȸche ueramente chonobbe chera suo . Et questa fue asaÕ grande sentenzÕa chedÕede 7 d 10
opo aquesta nedÕede assaÕ tutte gÕuste 7 buone sÕccho me sauÕo 7 dÕrÕtto sengnore . Altempo dÕFederÕgho Õnperadore era uno fabro che tutto tempo lauoraua dÕsua arte 7 ɃnɃo rÕguardaua nedomenÕcha nedÕe dÕpasqua ne altra festa ɃnɃo ne
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ra sÕgrande 7 tanto lauoraua ongne gÕorno che g uadangnaua . ÕÕÕɬ Ⱦ . poÕ Õntutto quello dÕe ɃnɃo facÕea pÕue neuna cosa 7 ɃnɃo nauerebbe auuto afare nesÕ grande fatto nesÕ grande guadangnÕo che dachellÕ auea guadangnÕato Õquattro Ⱦ. chellÕ facesse poÕ
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neente . Oruenne 7 fue dÕnunzÕato dÕnanzÕ alon peradore sÕcchome quellÕ chera sengnÕore 7 facÕto re delaleggÕe . sÕchome Õlfabro lauoraua contÕnua mente ongnÕ gÕorno 7 sÕ ÕldÕe delepasque 7 delle domenÕche 7 delaltre feste sÕcome ÕdÕ proscÕoltÕ
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UdÕto questo lomȸadore Õncontanente mandoe ȸ luÕ 7 domandollo sera lauerÕta quello che dÕluÕ glÕera detto . 7 Õlfabro rÕspuose 7 confessollo tutto
(64v) Lomȸadore lÕ dÕsse quale lacagÕone chetue faÕ questa cosa . Meɀe Õo moe posto Õnchuore dÕcosÕ fare atuttÕ ÕgÕornÕ dÕmÕa uÕta ȸmÕa lÕberta che ongnÕ dÕe guad angnÕo ÕÕÕɬ . Ⱦ . 7 poÕ ɃnɃo lauoro pÕu Õntutto quello dÕe 5
Et lonȸadore dÕsse chefatu dÕquestÕ cotalÕ ÕÕÕɬ Ⱦ. Meɀ xÕɬ danarÕ nedo ȸdÕo . 7 glÕaltrÕ . xÕɬ . danarÕ rendo au no mÕo padre ȸ sue Õspese chessÕ uecchÕo cheɃnɃonne puote guadangnare cheglÕ mÕpresto quando Õo e ra gÕouane che anchora ɃnɃone sapea guadagnare
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neuno . glÕaltrÕ xÕɬ danarÕ gÕetto uÕa chellÕ doe ȸ sue Õspese aduna mÕa moglÕe 7 ȸcÕo lÕmÕpare gÕttare ȸ chella ɃnɃosafare altro chebere 7 mangÕare . glÕaltrÕ xÕɬ
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fatta li era dinanzi, sí lle p(er)donò; e a cholei il rendeo, sí chome inteso avete, p(er)ché veramente chonobbe ch’era suo. Et questa fue asai grande sentenzia che diede, e 10
d|opo a questa ne diede assai: tutte giuste e buone, siccho– me savio e diritto sengnore. Al tempo di Federigho inperadore era uno fabro che
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tutto tempo lavorava di sua arte, e no(n) riguardava né domenicha né die di Pasqua, né altra festa no(n)n’e– 15
ra sí grande. E tanto lavorava ongne giorno che g|uadangnava IIII s(oldi): poi in tutto quello die no(n) faciea piue neuna cosa, e no(n)n’ averebbe avuto a fare né sí grande fatto, né sí grande guadangnio, che, da ch’elli avea guadangniato i quattro s(oldi), ch’elli facesse poi
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neente. Or venne e fue dinunziato dinanzi a lo ’n|pe– radore, sicchome quelli ch’era sengniore e facito– re de la leggie, sichome il fabro lavorava continua– mente ongni giorno: e sí il die de le Pasque e delle domeniche e de l’altre feste, sí come i dì prosciolti.
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Udito questo, lo ’mp(er)adore incontanente mandoe p(er) lui, e domandollo s’era la verità quello che di lui gli era detto; e il fabro rispuose e confessollo tutto.
(64v) Lo ’mp(er)adore li disse: – Qual è la cagione che tue fai questa cosa? – Mess(er)e, io m’òe posto in chuore di cosí fare a tutti i giorni di mia vita p(er) mia libertà; ché ongni die guad|angnio IIII s(oldi), e poi no(n) lavoro piú in tutto quello die. 5
Et lo ’np(er)adore disse : – Che fa’ tu di questi cotali IIII s(oldi)? – Mess(er), XII danari ne do p(er) Dio, e gli altri XII danari rendo a u|no mio padre p(er) sue ispese, ch’è ssí vecchio che no(n) nne puote guadangnare, ch’egli mi prestò quando io e|ra giovane, che anchora no(n) ne sapea guadagnare
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neuno; gli altri XII danari gietto via, ché lli doe p(er) sue ispese ad una mia moglie, e p(er) ciò li mi pare gittare, p(er)|ch’ ella no(n) sa fare altro che bere e mangiare; gli altri XII
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danarÕ adoȸo ȸlemÕe proprÕe Õspese Et cosÕ dedettÕ ÕÕÕɬ Ⱦ nefo quello chÕo gÕudÕco dodÕcÕ nedo ȸdÕo– 15
xÕɬ nerendo amÕo padre . xÕɬ negetto uÕa 7 dodÕcÕ nadopero . UdÕto questo lomȸadore ɃnɃo seppe chellÕsÕ dÕre . dÕsse Õnsuo chuore sÕo lÕcomandasse che facesse– altrÕ mentÕ metterelo ÕnbrÕgha 7 Õnerrore 7 pero lÕ uofare uno grande comandamento . 7 se ɃnɃo laseruera
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Õo paghero dÕtutto cÕo chellÕ auera fatto ȸadÕetro ch ontra ÕcomandamentÕ dÕdÕo 7 della legge mÕa . Lo mperadore chÕamoe Õlfabro 7 dÕsse uattÕ con dÕo 7 cho mandottÕ cosÕ apena dÕ C lb. chesetu dÕcÕo fossÕ do mandato aȸsona neuna nollo debbÕ dÕre . setu ÕmprÕ
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ma nouedÕ C uolte lamÕa faccÕa . 7 cosÕ fece lomȸ adore alsuo notaÕo scrÕuere quello comandamento Ilfabro sÕpartÕo 7 tornossÕ . alsuo albergho afare ÕfattÕ suoÕ sÕchomera uso dÕfare 7 sappÕate cheglÕ era sauÕo .–
(65r) huomo delsuo essere Unaltro gÕorno lomȸadore uole ndo sapere dasauÕ suoÕ Õlfatto delfabro cÕoerano lÕ ÕÕÕɬ Ⱦ . cheguadangnÕaua cÕoe quello chene facea che de xÕɬ nedaua 7 xÕɬ nerendea . 7 xÕɬ . negÕttaua uÕa 7 xÕɬ 5
nadoperaua . Ormando ȸloro 7 domandorlÕ 7 dÕsse loro tutta laquÕstÕone udendo cÕo lÕsauÕ chÕeserlÕ termÕne otto gÕornÕ 7 cosÕ lÕdÕede loro . Essendo ÕnsÕeme lÕsauÕ ɃnɃo poteuano dÕfÕnÕre laquÕstÕone ora Õnuenero che la quÕstÕone era delfatto delfabro chera Õstato dÕnanzÕ alo
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mperadore . maneuno sapea Õlȸche desauÕ Allora ÕspÕa ro douellÕ dÕmoraua 7 chÕusamente andaro aluÕ alsuo albergho 7 uenerlo domandando . 7 cosÕ ɃnɃonera nee nte chellÕ dÕcesse loro . 7 cosÕ lÕprofersero moneta allora sacordoe dÕdÕre 7 dÕsse dache pure dame Õluolete saȸe
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orandate 7 tratuttÕ uoÕ mÕrechÕate . Cento bÕsantÕ doro 7 altrÕ mentÕ Õneuno modo daɣme nolpotreste sapere . LÕsauÕ uedendo cheɃnɃo poteano fare altro auendo paura
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danari adop(er)o p(er) le mie proprie ispese. Et cosí de’detti IIII s(oldi) ne fo quello ch’io giudico: dodici ne do p(er) Dio, 15
XII ne rendo a mio padre, XII ne getto via e dodici n’adopero – Udito questo, lo ’mp(er)adore no(n) seppe che lli si dire. Disse in suo chuore: «S’io li comandasse che facesse altrimenti, metterèlo in brigha e in errore; e però li vo’fare uno grande comandamento, e se no(n) l’aserverà,
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io pagherò di tutto ciò ch’elli averà fatto p(er) adietro ch|ontra i comandamenti di Dio e della legge mia». Lo ’mperadore chiamoe il fabro, e disse: – Vatti con Dio e cho– màndotti cosí a pena di C libre che, se tu di ciò fossi do– mandato, a p(er)sona neuna nollo debbi dire, se tu impri–
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ma no vedi C volte la mia faccia – E cosí fece lo ’mp(er)|a– dore al suo notaio scrivere quello comandamento. Il fabro si partio e tornossi al suo albergho a fare i fatti suoi, sí chom’era uso di fare; e sappiate ch’egli era savio
(65r) huomo del suo essere. Un altro giorno lo ’mp(er)adore vole|ndo sapere da’ savi suoi il fatto del fabro, ciò erano li IIII s(oldi) che guadangniava, cioè quello che ne facea: ched è XII ne dava e XII ne rendea e XII ne gittava via e XII 5
n’adoperava; or mandò p(er) loro e domandòrli, e disse loro tutta la quistione. Udendo ciò, li savi chieserli termine otto giorni, e cosí li diede loro. Essendo insieme li savi no(n) potevano difinire la quistione. Ora invenero che la quistione era del fatto del fabro, ch’era istato dinanzi a lo
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’mperadore, ma neuno sapea il p(er)ché, de’ savi. Allora ispia– ro dov’elli dimorava e chiusamente andaro a lui al suo albergho, e venerlo domandando; e cosí no(n)n’ era nee|nte ch’elli dicesse loro; e cosí li profersero moneta. Allora s’acordoe di dire, e disse: –Da che pure da me il volete sap(er)e,
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or andate, e tra tutti voi mi rechiate cento bisanti d’oro, e altrimenti i· neuno modo da m(m)e nol potreste sapere – Li savi, vedendo che no(n) poteano fare altro, avendo paura
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che ÕltermÕne che lomȸadore auea dato loro ɃnɃo ualÕca sse dÕederlÕ ÕbÕsantÕ quantellÕ nechÕese EÕlfabro Õncon 20
tanente lÕsÕ rechoe Õnmano ÕnprÕma chellÕ dÕcesse loro 7 poÕ cÕaschuno ȸse puose mente che daluno lato era lafaccÕa delomȸadore conÕata 7 rÕleuata 7 dalaltro lato uera tutto Õntero asedere ÕnsedÕa 7 achauallo armato . quando glÕebbe tuttÕ uedutÕ aduno aduno cÕoe douera
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ÕntaglÕata lafaccÕa delomȸadore sÕdÕsse asauÕ tutto Õlfato sÕcome auea detto alomȸadore ÕnprÕma sÕssÕ partÕro 7 tornarsÕ aloro alberghÕ . ConpÕuto glÕotto gÕornÕ 7 lo mȸadore rÕmando ȸloro chellÕ sÕgnÕfÕcasero ladomɃada
(65v) chauea fatta loro EÕsauÕ lÕdÕsero tutto aȸtamente udÕ toglÕ lomȸadore sÕmarauÕglÕo molto come lauessero saputo . Mandoe Õncontanente ȸlofabro 7 dÕsse Õnsuo chuore costuÕ pagheroÕo bene delle sue oȸe cheÕo soe 5
chelaueranno tanto lusÕnghato omÕnaccÕato chela uera detto loro . 7 altro ɃnɃo potrebbe essere cheglÕno ȸ loro lonta gÕamaÕ nolauerebero potuto sapere on de male lauerae fatto alsuo uopo mandato ȸ lo fabro fue uenuto . lomȸadore lÕdÕsse maestro Õcredo
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chetu aÕ falato troppo contra ÕmÕeÕ comandamentÕ cheme aÕ manÕfestato quello dÕcheÕo tÕchomandaÕ chettue ÕlmÕtenessÕ credenza 7 ȸo Õo credo che ama ro ÕlcomperaÕ el maestro dÕsse Meɀ uoÕ sÕete segno re ɃnɃo che dÕme ma dÕtutto Õlmondo . 7 ȸo Õo sono
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auostrÕ comandamentÕ dÕfare dÕme cÕo cheauoÕ pÕ ace sÕchome amÕo caro padre 7 sengnore . OrsapÕate cheÕo ɃnɃomÕ credo essere partÕto daluostro choman damento cheuoÕ mÕdÕceste che quello cheÕo auea de tto auoÕ Õo ɃnɃo manÕfestasse altruÕ seÕo ɃnɃo uedesse
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prÕma . C uolte lauostra faccÕa OndÕo essendo costre
che il termine che lo ’mp(er)adore avea dato loro no(n) valica|sse, diederli i bisanti quant’elli ne chiese. E il fabro incon– 20
tanente li si rechoe in mano inprima ch’elli dicesse loro; e poi ciaschuno p(er) sé puose mente che da l’uno lato era la faccia de lo ’mp(er)adore coniata e rilevata, e da l’altro lato v’era tutto intero a sedere in sedia e a chavallo armato. Quando gli ebbe tutti veduti ad uno ad uno, cioè dov’era
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intagliata la faccia de lo’mp(er)adore, sí disse a’savi tutto il fato, sí come avea detto a lo ’mp(er)adore inprima. Sí ssi partiro e tornârsi a’ loro alberghi. Conpiuto gli otto giorni, e lo ’mp(er)adore rimandò p(er) loro ch’elli significasero la domanda
(65v) ch’avea fatta loro. E i savi li disero tutto ap(er)tamente. Udi– togli, lo ’mp(er)adore si maravigliò molto come l’avessero saputo. Mandoe incontanente p(er) lo fabro, e disse in suo chuore: «Costui pagherò io bene delle sue op(er)e, ché io soe 5
che l’averanno tanto lusinghato o minacciato che l’a|verà detto loro; e altro no(n) potrebbe essere, ch’eglino p(er) loro lonta188 giamai nol averebero potuto sapere; on– de male laverae fatto al suo uopo». Mandato p(er) lo fabro, fue venuto. Lo ’mp(er)adore li disse: – Maestro, i’ credo
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che tu ài falato troppo contra i miei comandamenti, ché me ài manifestato quello di che io ti chomandai che ttue il mi tenessi credenza, e p(er)ò io credo che ama– ro il comperai – E ’l maestro disse: – Mess(er), voi siete segno– re no(n) che di me, ma di tutto il mondo, e p(er)ò io sono
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a’ vostri comandamenti di fare di me ciò che a voi pi|ace: sí chome a mio caro padre e sengnore. Or sapiate, che io no(n) mi credo essere partito dal vostro choman– damento: ché voi mi diceste che quello che io avea de|tto a voi, io no(n) manifestasse altrui se io no(n) vedesse
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prima C volte la vostra faccia. Ond’io essendo costre|t–
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65v–7 bontà.
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tto dÕcÕo domandato ɃnɃo lÕpotea seruÕre dÕneente seÕo ɃnɃo facesse ÕnprÕma quello cheuoÕ mauauate comandato dÕuedere lauostra faccÕa . Cento uolte o ndÕo lofatto cheprÕma cheÕo ÕldÕcesse Õo mÕfecÕ dare loro . Cento bÕsantÕ doro 7 dÕcÕaschuno uÕdÕ lauostra–
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faccÕa cheue suso conÕata 7 fatto questo Õlloro pres enzÕa ÕldÕssÕ loro . Onde sengnore mÕo Õnquesto cotan to ɃɣnɃomÕ pare auere ofeso . laltra ȸuolere cessare brÕ189 (66r) gha alloro 7 ame Õn questo modo chÕo uodetto Õl dÕssÕ loro . UdÕto questo lomȸadore chomÕncÕo arrÕ dere 7 dÕsellÕ ua buono huomo chetue seÕstato pÕu mastro chetuttÕ ÕmÕeÕ sauÕ . che dÕo tÕdea buona uentura . cosÕ sÕrÕschosse Õlfabro dalomȸadore com
5
e auete udÕto 7 tornossÕ alsuo albergho sano 7 saluo afare defattÕ suoÕ ɥ IlsauÕo Re dauÕt profeta . padre del Re Salamo ne . era huomo molto luxorÕoso . 7 molto sÕguardaua dÕ ɃnɃo fare contra ÕcomandamentÕ dÕdÕo padre . Ora
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uenne che uno gÕorno chaualcando eglÕ ȸ una sua cÕtta consua grande conpagnÕa . ebbe ueduta auna fÕnestra . una grande 7 gentÕle donna molto bella d elsuo corpo . laquale auea nome . Bersabe edera mo glÕe duno caualÕere del Re dauÕt . Õlquale auea no
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me . UrÕa . chuÕ lo Re molto amaua ȸlesue alte prod ezze . DauÕt ueduto costeÕ Õnchontanente lamoe dÕfolle amore uolendo auere dÕleÕ sua uolonta ChesÕ penso pur dÕfare uccÕdere ÕlmarÕto OrdÕno dÕmanda rlo auna battaglÕa 7 dalaltra parte prochaccÕo cho
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me uÕfosse morto 7 cosÕ fue . 7 quando ÕlRe dauÕt se ppe chelsuo buono caualÕere era morto sÕ prochaccÕo tanto chellÕ ebbe ladonna alasua uolonta 7 Inge neroe dÕleÕ sÕchome lascrÕttura ne conta . Salamo ne ÕlsapÕentÕssÕmo . Re Ec cosÕ auete ueduto chel
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A piè di pagina una mano scrisse: bugÕa a ab.
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to, di ciò domandato, no(n) li potea servire di neente, se io no(n) facesse inprima quello che voi m’avavate comandato di vedere la vostra faccia cento volte. O|nd’io l’ò fatto, ché prima che io il dicesse, io mi feci dare 25
loro cento bisanti d’oro: e di ciaschuno vidi la vostra faccia che v’è suso coniata; e fatto questo i· lloro pres|enzia, il dissi loro. Onde, sengnore mio, in questo cotan|to no(n) mi pare avere ofeso. L’altra, p(er) volere cessare bri–
(66r) gha a lloro e a me, in questo modo ch’io v’ò detto, il dissi loro – Udito questo, lo’mp(er)adore chominciò a rri– dere, e diselli: – Va’, buono huomo, ché tue sei stato piú mastro che tutti i miei savi; che Dio ti dea buona 5
ventura – Cosí si rischosse il fabro da lo ’mp(er)adore com|e avete udito, e tornossi al suo albergho sano e salvo a fare de’ fatti suoi. Il savio re Davit profeta, padre del re Salamo–
[169]
ne, era huomo molto luxorioso, e molto si guardava 10
di no(n) fare contra i comandamenti di Dio Padre. Or a|venne che uno giorno, chavalcando egli p(er) una sua città con sua grande conpagnia, ebbe veduta a una finestra una grande e gentile donna, molto bella d|el suo corpo, la quale avea nome Bersabè ed era mo–
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glie d’uno cavaliere del re Davit, il quale avea no– me Uria, chui lo re molto amava p(er) le sue alte prod|ezze. Davit, veduto costei, inchontanente l’amoe di folle amore: volendo avere di lei sua volontà, che si pensò pur di fare uccidere il marito. Ordinò di manda|rlo
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a una battaglia, e da l’altra parte prochacciò cho– me vi fosse morto; e cosí fue. E quando il re Davit se|p– pe che ’l suo buono cavaliere era morto, si prochacciò tanto ch’elli ebbe la donna a la sua volontà. E inge– neroe di lei, sí chome la Scrittura ne conta, Salamo–
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ne il sapientissimo re. E ccosí avete veduto che ’l
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Re dauÕt Õntre modÕ pecchoe chontra laleggÕe . 7 contra ÕcomandamentÕ dÕdÕo . luna che prÕma m (66v) ente chomÕse tradÕmento dÕmandare Õlsuo buono ca190 ualÕere alamorte . Laseconda chomÕse mÕcÕdÕo sÕcchome llÕ fue morto . Laterza chomÕse auolterÕo chebbe affare chon Bersabe moglÕe delsuo chaualÕere . RÕpensandosÕ poÕ Õl Re dauÕt . dÕquello chauea fatto 7 come auea rottÕ
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ÕcomandamentÕ dÕdÕo . paruelÕ auere male fatto . 7 dÕ sse chenonera dengnÕo dauere lamÕserÕcordÕa dÕdÕo se …. none facesse grande penÕtenzÕa . Et cosÕ au …. Õlsuo chuore che Õncontanente fece fare …. stretta 7 molto adentro 7 cosÕ uÕstaua entro Õ
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nsÕno alacÕntura chopÕedÕ . 7 puosesÕ Õnchuore dÕɃnɃo nuscÕrne ÕnsÕno atanto chedÕo ɃnɃo lÕmandasse ȸlosuo angelo adÕre chomellÕ lÕauea ȸdonato . 7 Õntanto ch e uÕstette entro tutto rÕnchalzato colla ɒra Õntorno sÕ fece Uno nobÕle 7 buono salmo Õlquale ee ÕscrÕtto nel
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saltero . 7 dÕce MÕserere meÕ deus sechondu3 magna3 mÕserÕchordÕa3 tua3 . 7.ɐ CÕoe adÕre Õnostro uolghare Meɀ mÕo domenedÕo abbÕ mÕserÕcordÕa dÕme peccha tore . fatto 7 conpÕuto questo salmo . IdÕo lÕmando lan gelo suo 7 dÕsselÕ . DauÕt lÕeuatÕ edescÕ dÕcotesta fossa ȸ
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la tua grande humÕlÕta 7 Õlsalmo chaÕ fatto . Eȸo son o uenuto ate che dÕo ta ȸdonato UdÕto questo Õl Re dauÕt uolendo obbedÕre lÕcomandamentÕ dÕdÕo uscÕo della fossa 7 dallora ÕnanzÕ porto bene lÕsuoÕ dÕ . 7 sap Õate se quella donna sÕ fosse stata Õnchasa affare defattÕ
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suoÕ 7 ɃnɃo fattosÕ alasua fÕnestra queste cose non sare bbero auenute ɥ (67r) Altempo che RomanÕ erano ÕnsÕgrande stato che tutto
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Di lettura difficile sono i primi dieci versi in alto a sinistra.
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re Davit in tre modi pecchoe chontra la leggie e contra i comandamenti di Dio: l’una, che primam|en– (66v) te chomise tradimento di mandare il suo buono ca– valiere a la morte; la seconda, chomise micidio, sicchom’ e|lli fue morto; la terza, chomise avolterio, ch’ebbe a ffare chon Bersabè, moglie del suo chavaliere. Ripensandosi 5
poi il re Davit di quello ch’avea fatto, e come avea rotti i comandamenti di Dio, parveli avere male fatto, e di|sse che non era dengnio d’avere la misericordia di Dio se prima191 none facesse grande penitenzia. Et cosí av|ea chontrito191 il suo chuore che incontanente fece fare
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una fossa191 stretta e molto a dentro, e cosí vi stava entro i|nsino a la cintura cho’ piedi; e puosesi in chuore di no(n) uscirne insino a tanto che Dio no(n) li mandasse p(er) lo suo angelo a dire chom’elli li avea p(er)donato. E intanto ch|e vi stette entro tutto rinchalzato colla t(er)ra intorno, sí
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fece uno nobile e buono salmo il quale èe iscritto nel Saltero, e dice: Miserere mei Deus sechondum magnam miserichordiam tuam etc.; cioè a dire i·nostro volghare: Mess(er) mio Domenedio, abbi misericordia di me peccha– tore. Fatto e conpiuto questo salmo, Idio li mandò l’an–
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gelo suo, e disseli: – Davit, lievati ed esci di cotesta fossa p(er) la tua grande humilità e il salmo ch’ài fatto. E p(er)ò son|o venuto a te, ché Dio t’à p(er)donato – Udito questo, il re Davit, volendo obbedire li comandamenti di Dio, uscio della fossa; e d’allora inanzi portò bene li suoi dì. E
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sap|iate: se quella donna si fosse stata in chasa a ffare de’fatti suoi, e no(n) fattosi a la sua finestra, queste cose non sare|bbero avenute.
(67r) Al tempo che’ Romani erano in sí grande stato che tutto
[170]
––––––– 191
Cf. ed. Biagi, cit., p. 142; G. Papanti, Catalogo dei novellieri italiani, cit. p. XJ.
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Õlmondo rendea loro trebuto . Il Re dÕfrancÕa sentendo sÕ Õngrande Õstato 7 molto rÕccho dauere . ɃnɃo uolendo stare alaseruÕtu dÕne deRomanÕ penso dÕpoterne uscÕ 5
re chontutto Õlsuo Reame 7 dessere francho ȸ Õspendere moneta . osaltro rÕmedÕo uauesse . Fece una rÕccha 7 no bÕle ambascÕerÕa 7 mandolla aRoma 7 amaestro glÕ cɻ sÕ sottÕglÕasero 7 pensassero Õnche unque modo ellÕ po tessero oȸ moneta oȸ neuna altra cosa prochaccÕasero
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sÕchenefossero fuorÕ . 7 larghamente promettesero che Õnchontanente ongnÕ cosa sarebbe fornÕto . 7 ÕncÕo scÕe lse tuttÕ buonÕ huomÕnÕ 7 sauÕ 7 chesÕ sapessero bene Õnframettere . sÕchenauesse dÕcorto buone nouelle . LÕde ttÕ ambascÕadorÕ chaualcharono tanto ȸloro gÕornate
15
chellÕno arÕuarono alanobÕle cÕtta dÕ Roma quando . Õ RomanÕ seppero laloro uenuta fecero loro grande ono re . ȸamore deloro buono sengnore Õnȸo che RomanÕ . molto sÕchonfortauano dÕloro OrsÕ raghunoe uno gra nde parlamento ÕncanpÕ doglÕo quÕ ebbe grande
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7 nobÕle dÕcerÕa . LÕfrancÕeschÕ dÕssero laloro ambascÕa ta sÕcome data era loro dalloro sengnore . molto fuoro bene 7 dÕlÕgente mente udÕtÕ . Apresso ÕRomanÕ tenne ro Õntraloro granconsÕglÕo 7 ȸloro sÕfue dÕtermÕnato che cheunque Senaca Õlgrande FÕlosafo nefacesse 7 dÕ
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cesse chetuttÕ nestauano contentÕ . Seneca ɃnɃonera allo ra alparlamento anzÕ era alsuo albergho . lambascÕado rÕ sÕmossero concerta grande 7 nobÕle conpangnÕa de RomanÕ 7 andarne achasa dÕSeneca . quando Sene
(67v) cha uÕde tanta buona gente marauÕglÕosÕ molto che ccÕo potea essere fece loro quello honore chepotea au engna dÕo chenonera molto rÕccho anzÕ era pou ero Õnȸo chefacea tanto lealmente ÕfattÕ delcom 5
une chellÕ ȸse nonauea neente 7 assaÕ lÕparea– auere quando epotesse fare lÕonorÕ delasua cÕtt
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il mondo rendea loro trebuto, il re di Francia, sentendo|si in grande istato e molto riccho d’avere, no(n) volendo stare a la servitudine de’ Romani, pensò di poterne usci– 5
re chon tutto il suo reame e d’essere francho p(er) ispendere moneta, o s’altro rimedio v’avesse. Fece una riccha e no– bile ambascieria e mandolla a Roma; e amaestrògli ch(e) si sottigliasero e pensassero in cheunque modo elli po– tessero, o p(er) moneta o p(er) neuna altra cosa, prochacciasero
10
sí che ne fossero fuori, e larghamente promettesero, che inchontanente ongni cosa sarebbe fornito: e in ciò scie|lse tutti buoni huomini e savi, e che si sapessero bene inframettere, sí che n’avesse di corto buone novelle. Li de|tti ambasciadori chavalcharono tanto p(er) loro giornate,
15
ch’ellino arivarono a la nobile città di Roma. Quando i Romani seppero la loro venuta, fecero loro grande ono– re p(er) amore de’ loro buono sengnore, inp(er)ò che’ Romani molto si chonfortavano di loro. Or si raghunoe uno gra|nde parlamento in Canpidoglio: qui ebbe grande
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e nobile diceria. Li francieschi dissero la loro ambascia– ta, sí come data era loro dal loro sengnore: molto fuoro bene e diligentemente uditi. Apresso, i Romani tenne– ro intra loro gran consiglio; e p(er) loro si fue diterminato che cheunque Senaca il grande filosafo ne facesse e di–
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cesse, che tutti ne stavano contenti. Seneca no(n)n era allo– ra al parlamento, anzi era al suo albergho. L’ambasciado– ri si mossero con certa grande e nobile conpangnia de’ Romani e andarne a chasa di Seneca. Quando Sene|cha
(67v) vide tanta buona gente, maravigliòsi molto che cciò potea essere. Fece loro quello honore che potea, av|engna dio che non era molto riccho, anzi era pov|ero, inp(er)ò che facea tanto lealmente i fatti del Com|une 5
ch’elli, p(er) sé, non avea neente, e assai li parea avere quando e’ potesse fare li onori de la sua citt|à.
343
a . Ora udÕo quello cheglÕanbascÕadorÕ fracÕeschÕ uo leano dÕre . 7 apresso ÕRomanÕ udÕta laquestÕone so dÕsfecelÕ molto Õnȸtanto che Õ RomanÕ lÕaueano fatto tanto honore sÕchome era dauerlÕ comessa sÕ al
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ta 7 sÕgrande rÕsposta chome quella era . PensossÕ Õn suo chuore dÕdÕlÕberare lasua rÕsposta dÕlÕgente m ente . Istando Õn questa ÕnuÕtoe glÕanbascÕadorÕ ada bergho 7 amangÕare secho dÕquello chauea . Coloro – potendo meglÕo auere laloro ambascÕata rÕceuet
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tero lonuÕto choncredendoglÕle bene merÕtare 7 quello 7 laltro sÕchene starebbe chontento . OrdÕna ndo ÕlmangÕare lÕambascÕadorÕ dÕfrancÕa lÕuollero parlare segretamente eque lÕntese . EdÕssero sappÕ maestro che quello chettÕ dÕremo fÕa Õnfede 7 ȸo tÕ
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pÕaccÕa dÕɃɃnɃo auerlo anoÕa settÕ pÕace andremo Õn anzÕ chonesso . 7 seɃnɃo cÕrÕmaremo nel nɃro stato 7 tu neltuo . 7 ȸo Õnpoche parole ÕltÕdÕrÕmo tu se sauÕo prenderaÕ quello che crederaÕ chesÕa ÕlmÕglÕore . Or sappÕ chel nostro sengnore emolto poderoso dauere
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sopra tuttÕ glÕaltrÕ sÕche alluÕ pocho sarebbe dÕfar tÕ rÕccha ȸsona quando accÕo ataleaÕtassÕ192 . Senecha Õncontanente rÕspuose 7 dÕsse ɣnɃodÕte pÕu cheÕo (68r) ɃnɃosono achonccÕo arÕuendere ÕcÕttadÕnÕ della m Õa cÕtta 7 nolasentÕreÕ ȸ essere segnore delmondo UdÕto glÕanbacÕadorÕ Õluolere dÕSenecha ɃnɃosÕ dÕ stesero ÕnpÕu uolere dÕre sopraccÕo seɃnɃo chemang Õaro almeglo chepotero sÕcchomellÕ auea apare
5
cchÕato Õmȸo che Senecha era ɃnɃo rÕccho huomo Õn ȸo che nonatendea accÕo . dachebero mangÕato ado mandarono larÕsposta cho RomanÕ ÕnsÕeme chera no cholloro dÕquello cheglÕera stato comesso dacÕt tadÕnÕ 7 dalpopulo dÕ Roma . Senecha uolendog
10
lÕ ÕsbrÕghare ȸ leuarlÕsÕ dadosso . dÕsse loro segnorÕ
––––––– 192
Lettura incerta.
344
Ora udio quello che gli anbasciadori fracieschi vo– leano dire, e apresso i Romani. Udita la questione, sodisfeceli molto, inp(er)tanto che i Romani li aveano 10
fatto tanto honore, sí chome era d’averli comessa sí al– ta e sí grande risposta chome quella era. Pensossi in suo chuore di diliberare la sua risposta diligentem|ente. Istando in questa, invitoe gli anbasciadori ad a|bergho e a mangiare secho di quello ch’avea. Coloro
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potendo meglio avere la loro ambasciata, ricevet– tero lo ’nvito choncredendoglile bene meritare e quello e l’altro, sí che ne starebbe chontento. Ordina|ndo il mangiare, li ambasciadori di Francia li vollero parlare segretamente, e que’l’intese. E dissero: – Sappi,
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maestro, che quello che tti diremo fia in fede, e p(er)ò ti piaccia di no(n) averlo a noia. Se tti piace andremo in|anzi chon esso e se no(n), ci rimaremo nel n(ost)ro stato e tu nel tuo. E p(er)ò in poche parole il ti dirimo: tu sè savio, prenderai quello che crederai che sia il migliore. Or
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sappi che ’l nostro sengnore è molto poderoso d’avere sopra tutti gli altri, sí che a llui pocho sarebbe di far|ti riccha p(er)sona quando acciò a tale aitassi – Senecha incontanente rispuose, e disse: – Non dite piú, ché io
(68r) no(n) sono achonccio a rivendere i cittadini della m|ia città, e no’l’asentirei p(er) essere segnore del mondo – Udito gli anbaciadori il volere di Senecha, no(n) si di|stesero in piú volere dire sopra cciò, se no(n) che mang|iaro 5
al megl[i]o che potero, sicchom’elli avea apare|c– chiato, imp(er)ò che Senecha era no(n) riccho huomo, in|p(er)ò che non atendea a cciò. Da ch’ebero mangiato, ado– mandarono la risposta, cho’ Romani insieme ch’era– no cho·lloro, di quello che gli era stato comesso da’cit–
10
tadini e dal populo di Roma. Senecha, volendog|li isbrighare p(er) levarlisi da dosso, disse loro: – Segnori
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franceschÕ uoÕ tornerete neluostro paese aluostro sengnore . OndÕo uÕdÕcho cosÕ . Andate 7 obbedÕte cholle ȸsone aRomanÕ uoÕ 7 ÕuostrÕ cÕttadÕnÕ . 7 15
se obbÕderete colle ȸsone sÕobbÕderete cholauere AccÕo ɃnɃouÕ dÕcho pÕu . uoÕ sÕete sauÕ anderete 7 farete quello cheÕo uodetto . GlÕanbascÕadorÕ sÕpa rtÕro molto cruccÕatÕ sÕchome erano 7 ÕschomÕata rsÕ daRomanÕ 7 mÕsersÕ ȸ chamÕno 7 tanto cha
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ualcharono ȸloro gÕornate chegÕunsero Õlloro pa ese sanÕ 7 saluÕ . 7 rapresentarono laloro ambascÕa ta alloro nobÕle sengnore Meɀ loRe dÕfrancÕa . E quellÕ udÕto laloro rÕsposta uedendo che nonauea no fatto neente dÕquello ȸche erano ÕtÕ . sÕ obedÕo–
25
cholla sua gente 7 fece quello chebbe afare ÕnfÕno che adÕo pÕaque . Ma ɃnɃo passo guarÕ tenpo chefuron o fuorÕ dÕquella seruÕtudÕne sÕtosto come ÕRomanÕ comÕncÕarono adÕsamare laloro cÕtta 7 affare leco
(68v) se che nonerano dÕragÕone ɥ NEltempo antÕcho neuna donna sosaua dÕrÕmarÕtare dapoÕ chelsuo marÕto era morto . 7 gÕa ɃnɃonera sÕgÕo uane . nelmarÕto nelamoglÕe che ȸ cÕo ella sÕrÕmarÕta 5
sse oÕlmarÕto rÕtoglÕesse moglÕe Ora uenne ÕRoma cheuna grande 7 gentÕle donna . essendo ȸal quanto tempo rÕmasa uedoua . laquale era pocho tempo dÕmo rata cholsuo marÕto . 7 dera molto gÕouane donna . 7 molto luxorÕosa . 7 ɃnɃo uolendo uÕtuperare nese nesuoÕ
10
parentÕ ne amÕcÕ . SÕssÕ penso molto sottÕlmente 7 dÕ sse frasse stessa comella uolea torre unaltro marÕto 7 fosse che potesse orɃnɃosapea comel sÕfare . accÕo che nolefosse troppo grande bÕasÕmo ella era dÕmolto grande gentÕle ÕschÕatta . 7 molto rÕchÕssÕma dÕ
15
suo patrÕmonÕo . Onde moltÕ grandÕ chaualÕerÕ 7 altrÕ nobÕlÕ huomÕnÕ dÕ Roma lÕqualÕ nona
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franceschi, voi tornerete nel vostro paese al vostro sengnore. Ond’io vi dicho cosí: andate e obbedite cholle p(er)sone a’ Romani, voi e i vostri cittadini; e 15
se obbiderete colle p(er)sone, sí obbiderete cho’ l’avere. A cciò no(n) vi dicho piú, voi siete savi; anderete e farete quello che io v’ò detto – Gli anbasciadori si pa|rtiro molto crucciati sí chome erano; e ischomiatâ|rsi da’ Romani, e misersi p(er) chamino; e tanto cha–
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valcharono p(er) loro giornate, che giunsero i· lloro pa– ese sani e salvi; e rapresentarono la loro ambascia– ta al loro nobile sengnore, mess(er) lo re di Francia. E quelli, udito la loro risposta, vedendo che non avea|no fatto neente di quello p(er) che erano iti, sí obedio
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cholla sua gente, e fece quello ch’ebbe a fare infino che a Dio piaque. Ma no(n) passò guari tenpo che furon|o fuori di quella servitudine, sí tosto come i Romani cominciarono a disamare la loro città e a ffare le co–
(68v) se che non erano di ragione. Nel tempo anticho neuna donna s’osava di rimaritare
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da poi che ’l suo marito era morto, e già no(n)n era sí gio– vane, né ’l marito né la moglie, che p(er)ciò ella si rimarita|sse 5
o il marito ritogliesse moglie. Or avenne i’ Roma che una grande e gentile donna, essendo p(er) alquanto tempo rimasa vedova, la quale era pocho tempo dimo– rata chol suo marito, ed era molto giovane donna e molto luxoriosa, e no(n) volendo vituperare né sé né suoi
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parenti né amici, sí ssi pensò molto sottilmente e di|sse fra ssé stessa, com’ella volea tòrre un altro marito, e fosse che potesse. Or no(n) sapea come ’l si fare, acciò che no le fosse troppo grande biasimo. Ella era di molto grande gentile ischiatta, e molto richissima di
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suo patrimonio, onde molti grandi chavalieri e altri nobili huomini di Roma, li quali non
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ueuano moglÕe molto lasguardauano 7 ella lo ro . Che ordÕno questa gentÕle donna ebbe uno cha uallo 7 asuoÕ fantÕ Õlfece uÕuo uÕuo scordÕchare 20
tutto cÕoe leuare ÕlchuoÕo dadosso . Et apresso cho nquestÕ due suoÕ fantÕ Õlmando ȸ laɒra . luno Õlm enaua 7 laltro andaua dÕdÕetro alscholtando qu ello che lagente nedÕcea . lagente traea tutta aued ere cÕaschuno molto sene marauÕglÕaua 7 quellÕ sÕ
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tenea ÕlmÕglÕore chÕ prÕma Õlpotea uedere 7 a cÕas chuno parea grande nouÕta 7 quellÕ chelmenaua lauea legato ȸ lamascÕella dÕsotto concerta fune 7 moltÕ domandauano delacondÕzÕone delchauallo 7
(69r) chuÕ era auenuto ÕldÕceano seɃnɃo chandauano oltre ȸlÕ fattÕ loro sÕchetuttÕ ÕcÕttadÕnÕ neteneano gran parlamento dÕchosÕ fatta nouÕta . sÕchome quella ch era 7 moltÕ aueano uolunta dÕsapere chuÕ era 7 qu 5
ellÕ Õlmenauano ÕnfÕno alasera che ongnuomo sen era quasÕ Õto Õnchasa . OrgÕuntÕ achasa ladonna do mando dÕnouelle dÕserle tutto ongnÕ cosa 7 cho me molta gente lauea tratto auedere chÕ pÕu po tea . 7 parea loro molta grande nouÕta . 7 moltÕ dÕ
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mandauano chuÕ era 7 aneuno laueano detto . la donna dÕsse benÕsta . Andate 7 datelÕ bene darode re 7 domane tornerete ȸ laterra 7 farete ÕlsomÕ glÕante . 7 poÕ lasera mÕrÕderete lenouelle schome auerete Õnteso . Uenne laltra mattÕna 7 rÕtraserlo
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fuorÕ 7 uÕa conesso ȸlacÕtta . SÕtosto chome legÕe ntÕ sapeano chera Õlcauallo cosÕ ÕschortÕchato dau na uolta ÕnnanzÕ odadue chÕ lauea ueduto nol uolea pÕu uedere cheacÕaschuno era gÕa assaÕ rÕn crescÕuto 7 sappÕate chenone neuna cosa sÕbella ch
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a|vevano moglie, molto la sguardavano, e ella lo– ro. Che ordinò questa gentile donna? Ebbe uno cha– vallo e a’ suoi fanti il fece vivo vivo scordichare 20
tutto: cioè levare il chuoio da dosso. Et apresso, cho|n questi due suoi fanti il mandò p(er) la t(er)ra: l’uno il m|enava, e l’altro andava di dietro alscholtando193 qu|ello che la gente ne dicea. La gente traea tutta a ved|ere: ciaschuno molto se ne maravigliava, e quelli si
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tenea il migliore chi prima il potea vedere, e a cias|chuno parea grande novità. E quelli che ’l menava, l’avea legato p(er) la masciella di sotto con certa fune, e molti domandavano de la condizione del chavallo, e
(69r) chui era avenuto il diceano, se no(n) ch’andavano oltre p(er) li fatti loro; sí che tutti i cittadini ne teneano gran parlamento di chosí fatta novità, sí chome quella ch’|era, e molti aveano voluntà di sapere chui era; e 5
qu|elli il menavano infino a la sera che ongn’uomo se n’|era quasi ito in chasa. Or giunti a chasa, la donna do– mandò di novelle, diserle tutto, ongni cosa: e cho– me molta gente l’avea tratto a vedere chi piú po– tea, e parea loro molta grande novità, e molti di–
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mandavano chui era, e a neuno l’aveano detto. La donna disse: – Ben istà. Andate e dateli bene da rode|re, e domane tornerete p(er) la terra e farete il somi– gliante, e poi la sera mi riderete le novelle, s[ì] chome averete inteso – Venne l’altra mattina, e ritraserlo
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fuori, e via con esso p(er) la città. Sí tosto chome le gie|nti sapeano ch’era il cavallo cosí ischortichato, da u|na volta innanzi o da due chi l’avea veduto nol volea piú vedere: ché a ciaschuno era già assai rin– cresciuto; e sappiate che non è neuna cosa sí bella,
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68v–22 ascholtando.
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ella ɃnɃo rÕncrescha altruÕ quando chesÕa . 7 quasÕ ne una ȸsona Õluelea pÕu uedere seɃnɃo nerano ȸsone nuoue oferestÕerÕ che nolauessero ueduto . 7 laltra chepocho olore nedouea uenÕre sÕchemoltÕ loschÕ fauano quanto pÕu poteano 7 moltÕ lÕbÕastemÕa
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uano 7 dÕceano menatelo afossÕ acanÕ 7 alupÕ sÕ chera sÕfuggÕto dalepÕu gentÕ chequasÕ noluolea no udÕre rÕchordare Õnȸo chera dÕuersa cosa auedere Uenuto lasera anchora ÕlrÕmÕsero dentro 7 furono ala
(69v) donna 7 ella domando dÕnouelle 7 come aueano fatto erÕspuosero 7 dÕsserle Õlchouenente sÕchome la gente era rÕstuccha 7 ɃnɃouoleuano pÕu uedere 7 mo ltÕ ÕlbÕastemÕauano 7 cÕaschuno dÕcea lasua . Et la 5
donna udÕto cÕo dÕsse bene Õsta checosÕ soe chedÕra nno dÕme . onde sÕa chepuote dÕsse afantÕ andate estanotte lÕdate mangÕare 7 ɃnɃomaÕ pÕu 7 andrete domane anchora alquanto ȸ laterra conesso 7 po Õl menerete afossÕ 7 lascÕeretelo stare alupÕ 7 achanÕ
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7 alaltre bestÕe . 7 poÕ rÕtornerete ame arrÕchontar mÕ lenouelle . DÕce che come ladonna chomando loro cosÕ fecero ÕsuoÕ comandamentÕ . Ilcauallo ɃnɃo potea mangÕare nÕente ÕnȸcÕo choɃnɃosÕ sentÕa Õnp odere daccÕo auendo meno ÕlchuoÕo 7 comÕncÕaua–
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grandemente aputÕre . Oruennero questÕ fantÕ uole ndo ubÕdÕre laloro donna dÕceano Õllore chuore Õ cre do checÕsara oggÕ dato del fangho 7 detorsÕ Õnȸo che questo chauallo pute sÕchecÕaschuno ÕlfuggÕrae Uen ne lamattÕna ladonna sentendo chefantÕ sÕlangna
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uano Õntralloro fece loro grandÕ promesse 7 quellÕno
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ch’|ella no(n) rincrescha altrui quando che sia; e quasi ne|una p(er)sona il velea194 piú vedere, se no(n)n erano p(er)sone nuove o ferestieri195 che no l’avessero veduto; e l’altra che pocho olore ne dovea venire, sí che molti lo schi– favano quanto piú poteano e molti li biastemia–
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vano, e diceano: – Menatelo a fossi, a cani e a lupi, sí ch’era sí fuggito da le piú genti, che quasi nol volea– no udire richordare, inp(er)ò ch’era diversa cosa a vedere. Venuto la sera, anchora il rimisero dentro, e furono a la
(69v) donna; e ella domandò di novelle e come aveano fatto. E’ rispuosero e disserle il chovenente, sí chome la gente era ristuccha e no(n) volevano piú vedere, e mo|lti il biastemiavano, e ciaschuno dicea la sua. Et la 5
donna, udito ciò, disse: – Bene istà, ché cosí soe che dira|nno di me, onde sia che puote – Disse a’fanti: – Andate, e stanotte li date mangiare e no(n) mai piú, e andrete domane anchora alquanto p(er) la terra con esso, e po’ il menerete a’ fossi, e lascieretelo stare a’ lupi e a’ chani
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e a l’altre bestie, e poi ritornerete a me a rrichontar|mi le novelle – Dice che come la donna chomandò, loro cosí fecero i suoi comandamenti. Il cavallo no(n) potea mangiare niente, inp(er)ciò cho196 no(n) si sentia in p|odere da cciò, avendo meno il chuoio, e cominciava
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grandemente a putire. Or vennero questi fanti, vole|ndo ubidire la loro donna, diceano i·llore197 chuore: – I’cre|do che ci sarà oggi dato del fangho e de’torsi, inp(er)ò che questo chavallo pute sí che ciaschuno il fuggirae – Ven– ne la mattina, la donna, sentendo che fanti si langna–
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vano intra lloro, fece loro grandi promesse: e quellino
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69r–21 volea. 69r–22 forestieri. 69v–13 che. 69v–16 lloro.
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nestettero contentÕ orlotrassero fuorÕ 7 comÕncÕarono adandare ȸ lacÕtta sÕchome aueano fatto glÕaltrÕ due gÕornÕ dÕnançÕ . lÕcÕttadÕnÕ dÕ Roma sono moltÕ Õsde ngnosÕ ÕgrandÕ 7 popolarÕ andando ÕfantÕ colchauallo 25
ȸ laterra 7 putÕa sÕchecÕaschuno ÕlfuggÕa quanto p otea 7 bÕastemÕauallÕ molto folle mente 7 Õgharz onÕ chonconsentÕmento deglÕuomÕnÕ chomÕncÕaro asgrÕdarlÕ 7 abÕastemÕarlÕ 7 agÕttare loro Õlfangho
(70r) afarne beffe escherne 7 dÕceano loro seuoÕ cÕtornere te pÕu conesso noÕ uÕgÕtteremo desassÕ chetutta laterra auete aputÕdata . lÕfantÕ andauano Õschorendo chone sso ȸlaterra 7 fuggÕendo legentÕ ȸ paura dÕnonessere 5
mortÕ . RÕceuendo tanta uÕllanÕa 7 oltraggÕo ɃnɃo sapea no chessÕ fare . quando uenne alabassare delgÕorno che grandÕ 7 pÕccÕolÕ 7 maschÕ 7 femÕne tuttÕ nerano sazÕ el chauallo putÕua sÕ che nollÕ potea stare presso ȸso na . Andarono 7 menarlo alfosso 7 ÕuÕ rÕmase quasÕ
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come morto ÕlupÕ 7 canÕ 7 altre fÕere ÕlsÕmangÕaro . O rtornaro acasa 7 racchontaro lenouelle aladonna– sÕchome erano statÕ bÕastemÕatÕ 7 gÕttatÕ loro lÕtorsÕ elfangho 7 mÕnaccÕatÕ 7 fatto loro Õnquello gÕorno molta uÕllanÕa 7 soperchÕanza 7 sÕchome laueano
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lascÕato alfosso . Allora ladonna sÕ rallegro molto 7 a tenne afantÕ lapromessa chauea fatta loro delȾuÕ gÕo chauea rÕceuuto da amendue 7 dÕsse Õnfrasse ste ssa oggÕmaÕ posso Õo fare quello chÕo uoglÕo 7 conpÕe re tutto ÕlmÕo ÕntendÕmento . InȸcÕo dache tutta
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gente laura saputo laboce andra ÕnnanzÕ gÕa otto dÕ o xu ouno mese opÕue 7 dache tutta gente nefÕa rÕstuccha cÕaschuno sÕrÕmarra Õnsuo stato . Oruenne ȸ andare ÕnnanzÕ Õlfatto chauea chomÕncÕato . 7 Uno gÕorno ebbe suoÕ parentÕ 7 amÕcÕ 7 dÕsse loro Õlfatto
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tutto 7 chome auea fatto fare delchauallo 7 lonte
ne stettero contenti. Or lo trassero fuori, e cominciarono ad andare p(er) la città, sí chome aveano fatto gli altri due giorni dinançi. Li cittadini di Roma sono molti isde|ngnosi, i grandi e’ popolari. Andando i fanti col chavallo 25
p(er) la terra, e putia sí che ciaschuno il fuggia quanto p|otea, e biastemiavalli molto follemente, e i gharz|oni, chon consentimento degli uomini, chominciaro a sgridarli e a biastemiarli, e a gittare loro il fangho,
(70r) a farne beffe e scherne, e diceano loro: – Se voi ci tornere|te piú con esso, noi vi gitteremo de’sassi, ché tutta la terra avete aputidata – Li fanti andavano ischorendo chon e|sso p(er) la terra, e fuggiendo le genti p(er) paura di non essere 5
morti. Ricevendo tanta villanía e oltraggio, no(n) sapea– no che ssi fare. Quando venne a l’abassare del giorno, che grandi e piccioli, e maschi e femine, tutti n’erano sazi, e ’l chavallo putiva sí che no· lli potea stare presso p(er)so– na, andarono e menârlo al fosso; e ivi rimase quasi
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come morto: i lupi e’ cani e altre fiere il si mangiaro. O|r tornaro a casa e racchontaro le novelle a la donna, sí chome erano stati biastemiati e gittati loro li torsi e ’l fangho, e minacciati, e fatto loro in quello giorno molta villanía e soperchianza, e sí chome l’aveano
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lasciato al fosso. Allora la donna si rallegrò molto e a|tenne a’ fanti la promessa ch’avea fatta loro del s(er)vi– gio ch’avea ricevuto da amendue, e disse infra ssé ste|ssa: «Oggimai posso io fare quello ch’io voglio, e conpie|re tutto il mio intendimento, inp(er)ciò da che tutta
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gente l’avrà saputo, la boce andrà innanzi già otto dì o XV, o uno mese o piue; e da che tutta gente ne fia ristuccha, ciaschuno si rimarrà in suo stato». Or venne p(er) andare innanzi il fatto ch’avea chominciato, e uno giorno ebbe suoi parenti e amici, e disse loro il fatto
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tutto: e chome avea fatto fare del chavallo, e lo ’nte|n–
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ndÕmento chauea SÕ uolle Õlloro consÕglÕo sÕche cÕa schuno ledÕsse Õlsuo uolere . 7 alquantÕ sacchordarono cholleÕ ÕnȸcÕo che acÕaschuno parea grande nouÕta che (70v) gÕamaÕ neuna donna uedoua ɃnɃosera rÕmarÕtata . La donna udendo ÕlconsÕglÕo desuoÕ parentÕ dÕsse accÕo mo lte buone parole 7 dÕede moltÕ buonÕ asemplÕ sÕchome quella chera sauÕa donna 7 molto rÕccha 7 dÕgrande pa rentado 7 anchora assaÕ gÕouane ÕnȸcÕo che pocho tem
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po era stata col suo buono marÕto chesera morto . Ladon na mando ȸ Uno grande chaualÕere molto gentÕle 7 sa uÕo 7 dÕselle ualentre mente UoÕ Meɀ AghabÕto sÕete grande 7 buono cÕttadÕno dÕ Roma 7 nonauete moglÕe ne Õo nonoe marÕto . so bene che lungho tempo mauete
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portato amore 7 Õo auoÕ ÕlsomÕglÕante Eȸo noncÕ uol glÕo altro sensale odamÕcho dÕmezzo seɃnɃo cheÕo uoglÕo quando auoÕ pÕaccÕa essere uostra moglÕe 7 uoÕ sÕate mÕo sengnore 7 marÕto . Meɀ AghabÕto udÕto questo sÕtenne ÕlpÕu allegro huomo delmondo . DÕsse Madonna Õo sono ȸ
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dÕre 7 ȸ fare cÕo chauoÕ pÕace 7 sÕa cÕo chepuote essere 7 sappÕate chÕo uÕfo sengnore dÕtutte lemÕe chastella 7 po ssesÕonÕ . lequalÕ furono delmÕo patrÕmonÕo 7 del prÕmo mÕo marÕto esposo . EÕlchaualÕere cosÕ rÕceuette Ragh unossÕ Õlparentado dacÕaschuna delle partÕ elfatto ando
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ÕnnanzÕ edebero anbondue ÕnsÕeme molto bene 7 ho nore lungho tempo . Et cosÕ dalora ÕnnanzÕ sÕchomÕn cÕaro arÕmarÕtare ledonne Uedoue sÕcchome auete udÕ to 7 questa fue laprÕma chegÕamaÕ sÕrÕmarÕtasse ÕRoma lagente dÕRoma 7 daltronde netenero grande dÕcerÕa
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mapoÕ cÕaschuno sÕrÕmase Õnsuo stato EdeglÕebero ÕnsÕ eme molto bene 7 honore 7 grandezza . 7 sappÕate che questo Meɀ . AghabÕto fue denobÕlÕ cholonnesÕ delaccÕ198 (71r) ta dÕ Roma grande 7 alto cÕttadÕno quasÕ dÕprÕma schÕatta delachasa edebbe moltÕ fÕglÕuolÕ dÕquesta sua
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A piè di pagina una mano scrisse: bugÕa a ab.
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dimento ch’avea; sí volle il loro consiglio, sí che cia– schuno le disse il suo volere. E alquanti s’acchordarono cho·llei, inp(er)ciò che a ciaschuno parea grande novità, ché (70v) giamai neuna donna vedova no(n) s’era rimaritata. La donna, udendo il consiglio de’ suoi parenti, disse a cciò mo|lte buone parole e diede molti buoni asempli, sí chome quella ch’era savia donna e molto riccha e di grande pa– 5
rentado e anchora assai giovane, inp(er)ciò che pocho tem– po era stata col suo buono marito che s’era morto. La don– na mandò p(er) uno grande chavaliere molto gentile e sa– vio, e diselle valentremente: – Voi, mess(er) Aghabito, siete grande e buono cittadino di Roma, e non avete moglie,
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né io non òe marito. So bene che lungho tempo m’avete portato amore, e io a voi il somigliante; e p(er)ò non ci vol|glio altro sensale od amicho di mezzo, se no(n) che io voglio, quando a voi piaccia, essere vostra moglie, e voi siate mio sengnore e marito – Mess(er) Aghabito, udito questo, si tenne
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il piú allegro huomo del mondo. Disse madonna: – Io sono p(er) dire e p(er) fare ciò ch’a voi piace, e sia ciò che puote essere, e sappiate ch’io vi fo sengnore di tutte le mie chastella e po|ssesioni, le quali furono del mio patrimonio e del primo mio marito e sposo – E il chavaliere cosí ricevette.
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Ragh|unossi il parentado da ciaschuna delle parti, e ’l fatto andò innanzi, ed ebero anbondue insieme molto bene e ho– nore lungho tempo. Et cosí d’alora innanzi si chomin– ciaro a rimaritare le donne vedove, sicchome avete udi– to: e questa fue la prima che giamai si rimaritasse i’ Roma.
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La gente di Roma e d’altronde ne tenero grande diceria, ma poi ciaschuno si rimase in suo stato, ed egli ebero insi|eme molto bene e honore e grandezza. E sappiate che questo mess(er) Aghabito fue de’ nobili Cholonnesi de la cci|tà
(71r) di Roma, grande e alto cittadino quasi di prima schiatta de la chasa; ed ebbe molti figliuoli di questa sua
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donna lÕqualÕ uennero agrande Õstato 7 honore ɥ NElepartÕ dÕ CostantÕnopolÕ antÕchamente Auea uno se 5
ngnore molto grande 7 potente Õlquale portaua choro na sÕchome Re Õnȸo cheueramente sÕcredea essere fÕglÕuolo dÕ Re Orauenne chel Re dÕspangnÕa essendo suo suocero lÕmandoe Uno nobÕle 7 bello 7 grande destrÕere 7 dÕgran de possanzza Õlquale era pÕeno dÕtutte bonta saluo chepo
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rtaua glÕorecchÕ chÕnatÕ sÕcchome lasÕno . Ildetto segno re uolendo dÕcÕo sapere lachagÕone ÕnȸcÕo che cÕaschu no cheluedea molto sene marÕuÕglÕaua . DÕce che chÕa mo suoÕ donzellÕ ȸ mandare ȸ lÕmalÕschalchÕ delsuo reame cheluedessero 7 cheglÕne sapessero dÕre dÕcÕo laue
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rÕta . Udendo questo luno desuoÕ donzellÕ parlo alsen gnore 7 dÕsse Meɀ mÕo uoÕ auete Õnuostra pregÕone ȸ certo malfatto Uno grecho Õlquale euna sauÕa ȸ sona 7 credo cheuÕ sapra dÕre deldestrÕere uostro quello che uoÕ ne uolete saȸe 7 anchora delaltre cose dÕche uoÕ
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Õldomanderete . ÕnȸcÕo chÕo saputo cheglÕae detto dÕm arauÕglÕose cose delle qualÕ eglÕe stato adÕmandato dÕ tutte adetto lauerÕta . UdÕto questo Õlsegnore fue dÕcÕo assaÕ allegro ma prÕma Õluolle sapere dasuoÕ marescha lchÕ sÕche poÕ epotesse sapere selpregÕone dÕcesse poÕ dÕ
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cÕo lauerÕta . ImalÕschalchÕ furono uenutÕ dÕgrande quantÕta 7 uÕdero ÕldestrÕere 7 cÕaschuno ne dÕceua Õl suo parere dÕquello cheneconoseuaro 7 neuno Õlsapea
(71v) quello chera Õsuto . apresso cÕaschuno Õllodaua dÕgra nde bonta 7 come douea essere ÕlmÕglÕore destrÕere chessÕ trouasse 7 chÕdÕcea deglÕorecchÕ chegÕa lauea ueduto adaltrÕ . 7 chÕ dÕcea chera Õstato dÕfalta dÕ 5
choluÕ chellauea auuto anotrÕchare dapÕccholÕno 7 altrÕ dÕceano chellÕ glÕauea ȸ natura . partÕtÕ lÕ malÕschalchÕ elsengnÕore mando ȸ lomastro grecho chelauea ÕnpregÕone . 7 quellÕ sÕtosto come ÕluÕde
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donna, li quali vennero a grande istato e honore. Ne le parti di Costantinopoli antichamente avea uno 5
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se|ngnore molto grande e potente, il quale portava choro– na sí chome re, inp(er)ò che veramente si credea essere figliuolo di re. Or avenne che ’l re di Spangnia, essendo suo suocero, li mandoe uno nobile e bello e grande destriere e di gran– de possanzza, il quale era pieno di tutte bontà, salvo che
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po|rtava gli orecchi chinati sicchome l’asino. Il detto segno– re volendo di ciò sapere la chagione, inp(er)ciò che ciaschu– no che ’l vedea molto se ne marivigliava, dice che chia– mò suoi donzelli p(er) mandare p(er) li malischalchi del suo reame che ’l vedessero, e che gli ne sapessero dire di ciò la ve–
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rità. Udendo questo, l’uno de’ suoi donzelli parlò al sen|gnore, e disse: – Mess(er) mio, voi avete in vostra pregione p(er) certo malfatto uno grecho, il quale è una savia p(er)sona; e credo che vi saprà dire del destriere vostro quello che voi ne volete sap(er)e, e anchora de l’altre cose di che voi
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il domanderete; inp(er)ciò ch’i’ò saputo ch’egli àe detto di m|aravigliose cose delle quali egli è stato adimandato: di tutte à detto la verità – Udito questo, il segnore fue di ciò assai allegro, ma prima il volle sapere da’ suoi marescha|lchi, sí che poi e’ potesse sapere se ’l pregione dicesse poi di
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ciò la verità. I malischalchi furono venuti di grande quantità e videro il destriere, e ciaschuno ne diceva il suo parere di quello che ne conoscevaro, e neuno il sapea
(71v) quello ch’era isuto. Apresso, ciaschuno il lodava di gra|nde bontà e come dovea essere il migliore destriere che ssi trovasse: e chi dicea degli orecchi che già l’avea veduto ad altri, e chi dicea ch’era istato di falta di 5
cholui che ll’avea avuto a notrichare da piccholino, e altri diceano ch’elli gli avea p(er) natura. Partiti li malischalchi, el sengniore mandò p(er) lo mastro grecho che l’avea in pregione; e quelli, sí tosto come il vide,
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dÕsse Meɀ che adomandate uoÕ . ellÕ fece uenÕre Õl 10
destrÕere 7 mostroglÕle 7 dÕsse emedetto chetu tÕn tendÕ dÕmolte cose 7 ȸo tofatto uenÕre questo m Õo destrÕere Õlquale mÕfue mandato delepartÕ dÕs pangnÕa . sÕchÕo uolglÕo chemÕne dÕchÕ Õltuo pa rere . 7 Apresso lemaghangne tutte 7 labonta 7 a
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nchora ȸche porta glÕorecchÕ cosÕ chÕnatÕ . Ilgrecho era sauÕo huomo dÕsenno naturale pÕu che dÕscrÕtt ura . dÕsse Meɀ Õoso chellauete fatto uedere auostrÕ mareschalchÕ 7 alauostra gente cÕosono coloro che dÕcÕo bene sÕntendono 7 credo bene cheuenabbÕa
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no detta tutta lauerÕta . IlsengnÕore dÕsse bello fa tto uedere 7 amÕeÕ marÕschalchÕ 7 adaltrÕ dÕcÕo Õn tendÕtorÕ ma tutta uÕa tu mÕse assaÕ stato lodato sÕ chome dÕcÕo 7 daltre grandÕ cose tÕntendÕ 7 ȸo tÕpÕ accÕa dÕdÕrne quello chenne saÕ 7 credÕ espezÕalme
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nte delportare chefae glÕorecchÕ cosÕ chÕnatÕ . UdÕto questo Õlgrecho 7 uedendo lauolonta delsegnore dÕsse ȸ lauentura sÕo lÕlÕdÕroe emÕfarae trarre dÕpr egÕone 7 potroe uenÕre Õnsuo amore 7 rÕposarmÕ
(72r) Õngrande 7 buono stato . dÕsse Meɀ Õlportare chefa– lÕorecchÕ cosÕ chÕnatÕ sÕe chefue nodrÕto alatte dasÕna 7 cosÕe lauerÕta . UdÕto questo Õlsengnore sÕmara uÕglÕo molto Õnȸo che neuna cosa glÕne aueano 5
detto lÕsuoÕ malÕschalchÕ ne anchora neuno altro chuellÕ nauesse dÕmandato . IlsengnÕore fece ÕnɃcɃo tanente suoÕ mesaggÕ 7 mandoglÕ alsuo suocero InÕspangnÕa aÕnuenÕre lauerÕta deldÕstrÕere sÕcho me Õlgregho lÕauea detto . 7 cosÕ gÕunsero lÕdettÕ–
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mesaggÕ alRe dÕspangnÕa 7 quellÕ fece loro molto– grande honore ȸ amore delsuo genero Õlquale el glÕ m olto amaua 7 cosÕ lÕchontaro laloro ambascÕata Allora ÕlRe dÕspangnÕa mando Õnchontanente aÕnuenÕre de
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disse: – Mess(er), che adomandate voi? – Elli fece venire il 10
destriere e mostròglile, e disse: – E’ m’è detto che tu t’in|tendi di molte cose, e p(er)ò t’ò fatto venire questo m|io destriere, il quale mi fue mandato de le parti di S|pangnia, sí ch’io volglio che mi ne dichi il tuo pa– rere, e apresso le maghangne tutte e la bontà, e
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a|nchora p(er)ché porta gli orecchi cosí chinati – Il grecho era savio huomo, di senno naturale piú che di scrit– t|ura, disse: – Mess(er), io so che ll’avete fatto vedere a’ vostri mareschalchi e a la vostra gente, ciò sono coloro che di ciò bene s’intendono, e credo bene che ve n’abbia–
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no detta tutta la verità – Il sengniore disse: – Be· ll’ò fa|tto vedere e a’ miei marischalchi e ad altri di ciò in– tenditori, ma tuttavia tu mi sè assai stato lodato, sí chome di ciò e d’altre grandi cose t’intendi; e p(er)ò ti pi|accia di dirne quello che nne sai e credi, e spezialme|nte
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del portare che fae gli orecchi cosí chinati – Udito questo il grecho, e vedendo la volontà del segnore, disse: «P(er) la ventura, s’io li li diroe, e’ mi farae trarre di pr|egione, e potroe venire in suo amore, e riposarmi
(72r) in grande e buono stato»; disse: – Mess(er), il portare che fa li orecchi cosí chinati, si è che fue nodrito a latte d’asina, e cosí è la verità – Udito questo, il sengnore si mara– vigliò molto, inp(er)ò che neuna cosa gli ne aveano 5
detto li suoi malischalchi, né anchora neuno altro chu’elli n’avesse dimandato. Il sengniore fece inco(n)– tanente suoi mesaggi, e mandògli al suo suocero in Ispangnia a invenire la verità del distriere, sí cho– me il gregho li avea detto. E cosí giunsero li detti
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mesaggi al re di Spangnia, e quelli fece loro molto grande honore p(er) amore del suo genero, il quale elgli m|olto amava, e cosí li chontaro la loro ambasciata. Allora il re di Spangnia mandò inchontanente a invenire de|l
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lfatto deldÕstrÕere 7 trouo come sÕtosto chelamadre le 15
bbe fatto Õnchontanente morÕo sÕchel gÕomentaro uedendo questo . tostanente procchaccÕo datare ÕldÕstÕ ere . ellÕ auea una sua asÕna molto bella 7 grande che dÕ pochÕ gÕornÕ auea fatto unpuledro tolsele ÕlfÕglÕuolo 7 dÕelle anutrÕcare ÕldÕstrÕere essendo dÕpocho nato . lasÕ
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na ÕlnodrÕo dÕlÕgente mente tanto quanto fue bÕso ngno . 7 cosÕ auemo chel dÕstrÕere fue notrÕcato alatte dasÕna . 7 ȸnatura deldetto notrÕmento portaua glÕo recchÕ chÕnatÕ . UdÕto questo lÕmesaggÕ delsengnore dÕcostantÕnopolÕ sÕpartÕro dal Re dÕspangnÕa 7 tan
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to chaualcharo ȸloro gÕornate che furono tornatÕ Õlloro paese sanÕ 7 saluÕ 7 racchontaro laloro ambas cÕata . UdÕto questo Õlloro sengnÕore sÕsÕ marauÕglÕo molto delgrande senno delgrecho . Allora chomando
(72v) che fosse rÕmesso ÕnpregÕone 7 datolÕ mezo pane ȸ dÕe alespese della carte 7 cosÕ fue fatto . Unaltro gÕor no essendo questo segnore Õnuna sua camera . la doue auea molte grandÕ 7 rÕcche gÕoe 7 dÕgrande ualore 5
lÕuenne alemanÕ molte belle pÕetre prezÕose traqu este sue gÕoÕe uolendo sapere delleloro uertudÕ fusÕ rÕcordato delgrecho chauea ÕnpregÕone dÕsse Õnsuo chuore Õuo sapere sequesto grecho maestro sÕntende delle uertu delle pÕetre prezÕose sÕcomellÕ sÕntese
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delmÕo destrÕere . DÕce che Õncontanente mando ȸ luÕ 7 fue uenuto . ElsengnÕore dÕsse maestro Õo uoglÕo chettÕ pÕaccÕa chetu mÕdÕchÕ settu ÕntendÕ delle uer tu delepÕetre prezÕose Õnȸo cheÕo credo chettu tÕnten dÕ dÕtutte cose Eȸo ponÕ mente queste pÕetre 7 dÕra
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mÕ laloro uertu dÕcÕascheuna ȸse . Ilgrecho uedendo chenolglÕauea fatto honore neuno . ançÕ lauea fatto
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fatto del distriere; e trovò come sí tosto che la madre l’e|b– 15
be fatto, inchontanente morio, sí che ’l giomentaro, vedendo questo, tostanente procchacciò d’atare il disti|ere. Elli avea una sua asina, molto bella e grande, che di pochi giorni avea fatto un puledro: tolsele il figliuolo e dièlle a nutricare il distriere, essendo di pocho nato. L’asi–
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na il nodrio diligentemente tanto quanto fue biso|ngno: e cosí avemo che ’l distriere fue notricato a latte d’asina, e p(er) natura del detto notrimento portava gli o|recchi chinati. Udito questo, li mesaggi del sengnore di Costantinopoli si partiro dal re di Spangnia, e tan–
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to chavalcharo p(er) loro giornate, che furono tornati i·lloro paese sani e salvi, e racchontaro la loro ambas|ciata. Udito questo, il loro sengniore sí si maravigliò molto del grande senno del grecho. Allora chomandò
(72v) che fosse rimesso in pregione, e datoli mezo pane p(er) die a le spese della carte:199 e cosí fue fatto. Un altro gior– no, essendo questo segnore in una sua camera, là dove avea molte grandi e ricche gioe e di grande valore, 5
li venne a le mani molte belle pietre preziose tra qu|este sue gioie; volendo sapere delle loro vertudi, fusi ricordato del grecho ch’avea in pregione; disse in suo chuore: «I’vo’ sapere se questo grecho maestro s’intende delle vertú delle pietre preziose, sí com’elli s’intese
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del mio destriere». Dice che incontanente mandò p(er) lui, e fue venuto. El sengniore disse: – Maestro, io voglio che tti piaccia che tu mi dichi se ttu intendi delle ver– tú de le pietre preziose, inp(er)ò che io credo che ttu t’inten– di di tutte cose; e p(er)ò poni mente queste pietre e dirà|mi
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la loro vertú di ciascheuna p(er) sé – Il grecho, vedendo che nol gli avea fatto honore neuno, ançi l’avea fatto
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72v–2 corte.
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rÕmettere ÕnpregÕone . 7 fattoglÕ dare certa quantÕ ta dÕpane . dÕsse Õnsuo chuore questÕ euÕle ȸ sona 7 molto auaro 7 chupÕdo uolle dÕre chedÕcÕo ɃnɃo sÕnte ndea . Apresso dÕsse forse che accÕo cÕa alchuna chagÕone
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Anchora lÕdÕro dÕcÕo quello chÕo nechonoscero forse pla uentura sÕpotrebbe mutare dÕuolere 7 farmÕ melglÕo che non fece delfatto deldÕstrÕre Et ÕncomÕncÕa atra ssÕnare lepÕetre 7 aderlÕ delle loro uertudÕ 7 qualÕ er ano lemÕglÕorÕ 7 lepÕu chare . InfralequalÕ glÕne ue
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nne alemanÕ una 7 que lastrÕnsse cholpungnÕo 7 p uoselasÕ alorecchÕe 7 cosÕ lasentÕo alquanto calda . D Õsse meɀ orsappÕate che Õnquesta pÕetra ae uno anÕ200 (73r) male uÕuo Õlsengnore sÕmarauÕglÕo molto 7 dÕsse cho me cÕo potea essere 7 dÕsse Meɀ cosÕ elauerÕta Ilsegn ore fece uenÕre orafa 7 altrÕ maestrÕ 7 mostrolla loro 7 apresso lÕne domando neuno nebbe cheneente lÕnesap esse dÕre . seɃnɃo che dÕcÕeno chera certa uÕrtu chauea Õn
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se . Allora Õlgrecho dÕsse Meɀ fatela spezare quando auoÕ pÕaccÕa 7 saprete sÕo dÕcÕo uo detto lauerÕta . Allora Õlsegnore sottÕl mente amaestrÕ lafece rompere 7 cosÕ uÕsÕtrouo entro uno pÕccÕolÕno anÕmale uÕuo cÕo era uno uermÕnuzzo ȸlauolonta dÕdÕo uera entro ed
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Õo ÕlnodrÕa . ueduto questo fatto ÕlsengnÕore 7 ÕmaestrÕ eglÕorafÕ 7 laltra gente lÕqualÕ uerano acompangnÕa delsengnore molto sÕmarauÕglÕaro 7 dÕssero cheuera mente Ilgrecho sapea tutto . Allora ÕlsengnÕore ȸtu tto questo ɃnɃosÕmuto dÕuolonta seɃnɃo che chomando
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che Ilgrecho fosse rÕmesso nelapregÕone 7 fosse bene guardato 7 Apresso lÕfosse dato uno pane Õntero ȸdÕe alle Õspese delacorte . Et sÕcomellÕ comando fue fatto Unaltro gÕorno questo sengnore pensando Õnsuo chu
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A piè di pagina una mano scrisse: bugÕa a a b.
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rimettere in pregione, e fattogli dare certa quanti– tà di pane, disse in suo chuore: «Questi è vile p(er)sona e molto avaro e chupido»; volle dire che di ciò no(n) s’inte|ndea. 20
Apresso disse: «Forse che a cciò ci à alchuna chagione; anchora li dirò di ciò quello ch’io ne chonoscerò, forse p[er] la ventura si potrebbe mutare di volere e farmi melglio che non fece del fatto del distrire». Et incomincià a tra|ssinare le pietre e a derli201 delle loro vertudi, e quali
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er|ano le migliori e le piú chare. Infra le quali gli ne ve|nne a le mani una, e que’ la strinsse chol pungnio e p|uoselasi a l’orecchie, e cosí la sentio alquanto calda. D|isse: – Mess(er), or sappiate che in questa pietra àe uno ani–
(73r) male vivo – Il sengnore si maravigliò molto. E disse cho– me ciò potea essere. E’ disse: – Mess(er), cosí è la verità – Il segn|ore fece venire orafa e altri maestri, e mostrolla loro, e apresso li ne domandò: neuno n’ebbe che neente li ne 5
sap|esse dire, se no(n) che dicieno ch’era certa virtú ch’avea in sé. Allora il grecho disse: – Mess(er), fatela spezare quando a voi piaccia, e saprete s’io di ciò v’ò detto la verità. Allora il segnore sottilmente a’ maestri la fece rompere, e cosí vi si trovò entro uno picciolino animale vivo: ciò
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era uno verminuzzo, p(er) la volontà di Dio v’era entro e D|io il nodria. Veduto questo fatto il sengniore e i maestri e gli orafi e l’altra gente, li quali v’erano a compangnia del sengnore, molto si maravigliaro e dissero che vera– mente il grecho sapea tutto. Allora il sengniore p(er)
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tu|tto questo no(n) si mutò di volontà, se no(n) che chomandò che il grecho fosse rimesso ne la pregione e fosse bene guardato; e apresso li fosse dato uno pane intero p(er) die alle ispese de la corte: et sí com’elli comandò fue fatto. Un altro giorno questo sengnore, pensando in suo chu|o–
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72v–24 dirli.
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ore uedendosÕ nel grande stato doueglÕ era 7 chome Õlparea essere nellepÕu cose molto uÕllano eschonoscÕe nte 7 spezÕalmente contra questo grecho suo pregÕ one delle due sÕgrandÕ cose chomellÕ lÕauea dette 7 ÕlpÕccÕolo merÕto chelglÕ glÕauea fatto sÕssÕ penso
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Õnsuo chuore 7 dÕsse forse ȸlauentura chenolparea essere legÕttÕmo alle chattÕue cose 7 guÕderdonÕ che facea altruÕ dÕcosÕ grande cose come glÕerano dette 7 fatte Õnȸo che nollo daua lasua grande sengnorÕa
(73v) dessere chosÕ cupÕdo 7 auaro chomellÕ era . AnzÕ douea– essere cortese 7 gentÕle 7 largho Õntutte quelle chose che accÕo bÕsongnauano . DÕce chessÕ penso dÕmandare ȸlo Grecho chauea ÕnpregÕone Õnȸo chellÕ parea chesape 5
sse tutto 7 dÕsse Õnfrase medesÕmo . Io so chemÕ dÕra lau erÕta dÕquello chellÕ dÕme chonoscÕera 7 gÕa ȸlauentu ra potrebbe essere buona ȸme 7 ȸluÕ 7 ȸaltre ȸsone . Incontanente mando ȸluÕ 7 dÕsselÕ tutto Õlsuo Õnten dÕmento . 7 prÕma lÕfece gÕurare credença edebbelo
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ÕnusacratÕssÕmo luogho . Et apresso lÕcomando ȸlo sara mento chefatto glÕauea chellÕ douesse dÕre lauerÕta .– Ilgrecho udÕto questo uÕde chenonpotea fare altro dÕsse uscÕeromÕne ȸlapÕu leggÕere chÕo potro 7 gÕa forsse ȸ lauentura potrebbe eɀe chemuterebbe stato . ComÕn
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cÕo adÕre Meɀe ordÕche domandate uoÕ 7 dÕsse Õo uo chettu mÕdÕchÕ sÕo sono legÕttÕmo Õnȸo cheame ɃnɃo pare essere . Elgreco dÕsse de Meɀ orsappÕate che ueram ente foste fÕglÕuolo dÕchotale Re . 7 dÕchotale ReÕna 7 contoglÕ ȸnome . Elre dÕsse tu nondÕ lauerÕta certo
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sÕ dÕcho . Uedendo ÕlRe cheɃnɃoglÕ dÕcea altro sÕlchomÕ ncÕo amÕnaccÕare 7 dÕsse sappÕe settu nolmÕ dÕraÕ . Io tÕfaroe morÕre dontosa 7 dÕuÕllana morte 7 questo guÕ
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re, vedendosi nel grande stato dov’egli era, e chome il202 parea essere nelle piú cose molto villano e schonoscie|nte, e spezialmente contra questo grecho suo pregi|one, delle due sí grandi cose chom’elli li avea dette, e il picciolo merito ch’elgli gli avea fatto; sí ssi pensò
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in suo chuore e disse, forse p(er) la ventura che no ’l parea essere legittimo, alle chattive cose e guiderdoni che facea altrui di cosí grande cose come gli erano dette e fatte; inp(er)ò che no· llodava la sua grande sengnoria
(73v) d’essere chosí cupido e avaro chom’elli era, anzi dovea essere cortese e gentile e largho in tutte quelle chose che a cciò bisongnavano. Dice che ssi pensò di mandare p(er) lo grecho ch’avea in pregione, inp(er)ò che lli parea che sape|sse 5
tutto, e disse infra sé medesimo: «Io so che mi dirà la v|erità di quello ch’elli di me chonoscierà, e già p(er) la ventu– ra potrebbe essere buona p(er) me e p(er) lui, e p(er) altre p(er)sone». Incontanente mandò p(er) lui, e disseli tutto il suo inten– dimento, e prima li fece giurare credença, ed ebbelo
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in u’sacratissimo luogho, et apresso li comandò, p(er) lo sara– mento che fatto gli avea, ch’elli dovesse dire la verità. Il grecho, udito questo, vide che non potea fare altro, disse: «Uscieròmine p(er) la piú leggiere ch’io potrò, e già forsse p(er) la ventura potrebbe ess(er)e che muterebbe stato». Comin–
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ciò a dire: – Mess(er)e, or di che domandate voi? E’ disse: – Io vo’ che ttu mi dichi s’io sono legittimo, inp(er)ò che a me no(n) pare essere – El greco disse: – De[h], mess(er), or sappiate che vera– m|ente foste figliuolo di chotale re e di chotale reina –, e contògli p(er) nome. E ’l re disse: – Tu non di’ la verità – Certo
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sí dicho – Vedendo il re che no(n) gli dicea altro, sí ’l chomi|nciò a minacciare, e disse: – Sappie, se ttu nol mi dirai, io ti faroe morire d’ontosa e di villana morte, e questo gui–
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73r–21 li.
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derdone aueraÕ dame E selmÕ dÕraÕ gÕa ȸ lauentura tÕpotra essere granprode . Ilgreco uedendo chepure 25
uolea sapere quello che agrande dÕsÕnore lÕtornaua 7 cheɃnɃo potea fare cheɃɃnɃo glÕdÕcesse . Anchora lÕuolle dÕre cotalÕ altre parole come lÕauea dette prÕma ac cÕo cheɃnɃo uolesse dÕcÕo sapere pÕu ÕnnançÕ EcomÕn
(74r) cÕollÕ adÕre dÕchuÕ uÕcredete uoÕ essere fÕglÕuolo el Re dÕsse nondÕ coluÕ dÕchuÕo mÕsono tenuto ÕnfÕno aquÕ 7 dÕchu altrÕ mÕtÕene . Certo sengnore mÕo tusse legÕttÕ mo fÕglÕuolo dÕcotale padre 7 delacotale ReÕna sua 5
moglÕe 7 dÕtua madre tÕngenero 7 ȸo uÕpÕaccÕa dÕ cÕo ɃnɃo dubÕtare 7 ɃnɃo uÕdate pÕu ne Õra nepensÕero Anchora lÕdÕsse Õl Re tɃumÕ mentÕ 7 ɃnɃodÕ uero 7 ȸo tÕpregho cheɃnɃomÕtÕfaccÕ fare uÕllanÕa Õnȸo chÕo uegg Õo chetusaÕ tutto ȸche dÕtutte altre cose tÕntendÕ . 7
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cosÕ credo che saÕ dÕquesta . Allora parlo Ilgreco 7 dÕ sse dacche pur uolete sapere quello cheɃnɃouÕ bÕsognÕa eÕo uÕdÕroe . ouoletelo auere ȸmale ouoletelo auere ȸ bene . pÕu che morÕre ɃnɃo possÕo . Onde chome pÕu mÕndugÕo alamorte faro prÕma pÕu lungha lastorÕa
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delamÕa morte . OrsapÕate cheseuoÕ foste Õstato fÕglÕ uolo dÕ Re sÕchome uoÕ sÕete tenuto 7 uoÕ sechondo chemauete detto uÕ credauate essere . quando uÕdÕssÕ de luostro nobÕle destrÕere sÕgrande marauÕglÕa che ɃnɃo trouaste ne malÕschalcho nealtra ȸsona ɃÕntutta lau
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ostra corte cheuÕdÕcesse sÕmÕ douauate Õnchontane nte dÕlÕberare delapregÕone . 7 donarmÕ uno chaste llo ouna uÕlla 7 uoÕ mÕfaceste rÕmettere nelapre …. ne 7 facestemÕ dare uno mezzo pane ȸ gÕorno alesp ese delatua corte . Anchora quando tÕdÕssÕ delle uertu
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delle pÕetre prezÕose 7 spezÕalmente dÕquella d …. ra ÕluermÕne cosÕ pÕccÕolo uÕuo chenneuno maestro dÕ geɣme uene seppe dÕre neente sÕɣmÕ faceste anchora
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derdone averai da me; e se ’l mi dirai già p(er) la ventura ti potrà essere gran prode – Il greco, vedendo che pure 25
volea sapere quello che a grande disinore li tornava, e che no(n) potea fare che no(n) gli dicesse, anchora li volle dire cotali altre parole come li avea dette prima, ac|ciò che no(n) volesse di ciò sapere piú innançi. E comin–
(74r) ciolli a dire: – Di chui vi credete voi essere figliuolo? – E ’l re disse: – Non di colui di chu’io mi sono tenuto infino a qui, e di chu’ altri mi tiene – Certo, sengnore mio, tu ssè legitti– mo figliuolo di cotale padre e de la cotale reina sua 5
moglie, e di tua madre t’ingenerò: e p(er)ò vi piaccia di ciò no(n) dubitare, e no(n) vi date piú né ira né pensiero – Anchora li disse il re: – Tu (m)mi menti e no(n) di’ vero, e p(er)ò ti pregho che no(n) mi ti facci fare villanía, inp(er)ò ch’io vegg|io che tu sai tutto, p(er)ché di tutte altre cose t’intendi; e
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cosí credo che sai di questa – Allora parlò il greco e di|sse: – Dacché pur volete sapere quello che no(n) vi bisognia, e io vi diroe, o voletelo avere p(er) male o voletelo avere p(er) bene, piú che morire no(n) poss’io; onde chome piú m’indugio a la morte, farò prima piú lungha la storia
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de la mia morte. Or sapiate che se voi foste istato figli|uolo di re, sí chome voi siete tenuto, e voi sechondo che m’avete detto vi credavate essere, quando vi dissi de|l vostro nobile destriere sí grande maraviglia, che no(n) trovaste né malischalcho né altra p(er)sona in tutta la
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v|ostra corte che vi dicesse, sí mi dovavate inchontane|nte diliberare de la pregione e donarmi uno chaste|llo o una villa: e voi mi faceste rimettere ne la pregio– ne, e facestemi dare uno mezzo pane p(er) giorno a le sp|ese de la tua corte. Anchora quando ti dissi delle vertú
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delle pietre preziose, e spezialmente di quella dov’e– ra il vermine cosí picciolo, vivo, che nneuno maestro di gem(m)e ve ne seppe dire neente, sí m(m)i faceste anchora
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Õnchontanente rÕmettere nelapregÕone 7 facestemÕ (74v) dare uno pane ȸ gÕorno alle spese della uostra corte 7 cho mandaste anchora alle uostra guardÕe cheÕo fossÕ bene gua rdÕato . EuoÕ Õnchontanente dacche nollauauate fatto prÕ ma ȸ lodestrÕere mÕdouauate dÕlÕberare della pregÕone che unque ofessa Õo auessÕ fatta chesapete uera mente che
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ɃnɃo uÕsono ȸ altro senno chÕ ɃnɃouoglo lascÕare lamÕa leggÕe 7 credere alauostra . ma mangÕore offɃesa auessÕ fatta sÕmɃÕ douauate dÕlÕberare 7 donarmÕ una grande cÕtta . 7 an chora conesso quello chebÕsognÕaua aldetto dono 7 honore 7 sappÕate cheuoÕ rÕtraete della ÕschÕatta onde uoÕ sÕete
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nato . ne neente rÕtraete della uostra madre . Eȸo sappÕ ate chella delsuo buono marÕto nonauea fÕglÕuolÕ sÕche nelpalazo Reale usaua uno pastore Õlquale facea tutto Õlpane delpalazo 7 facea fare sÕchetutta lafornÕa . luo mo sÕauea bella ȸsona delsuo essere onde lauostra ma
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dre ɃnɃo essendo sodÕsfatta dalsuo marÕto sÕchomella uolea sÕssÕ puose chonquesto pÕstore 7 ÕngrauÕdo dÕluÕ 7 fece tan to cheÕnqueltempo ebbe afare cholmarÕto sÕchella dÕsse a
chera grauÕda dÕluÕ . IlpÕѽ store temendo checcÕo ɃnɃo sÕ sape sse Õnchontanente dÕede sue chagÕonÕ 7 partÕsÕ dalachor
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te 7 gÕamaÕ dÕluÕ ɃnɃosÕ seppe alchuna nouella . Quando ÕlRe seppe ueramente che la ReÕna era grauÕda fue Õlp Õu allegro huomo delmondo 7 grande festa nefece cho ntutta lasua corte 7 gÕamaÕ nonebbe pÕu latua madre EchosÕ foste Õngenerato . Allora ÕlsengnÕore sÕturbo tu
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tto 7 ɃnɃo sapea chesÕ fare dÕsse Algreco queste cose che maÕ dette pÕaccÕatÕ che gÕamaÕ altruÕ nolle manÕfestÕ InȸcÕo chesse maÕ sene sapesse nÕente Õo fareÕ ÕlpÕu203 (75r) haunÕto huomo delmondo 7 ageuole mente potreÕ ȸde
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A piè di pagina si legge: haunÕto huomo.
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inchontanente rimettere ne la pregione, e facestemi (74v) dare uno pane p(er) giorno alle spese della vostra corte, e cho– mandaste anchora alle vostra guardie che io fossi bene gua|rdiato. E voi, inchontanente, dacché no· ll’avavate fatto pri– ma p(er) lo destriere, mi dovavate diliberare della pregione, 5
cheunque ofessa io avessi fatta, ché sapete veramente che no(n) vi sono p(er) altro, se nno’ch’i’ no(n) vogl[i]o lasciare la mia leggie e credere a la vostra; ma mangiore offe(n)sa avessi fatta, sí mi dovavate diliberare e donarmi una grande città, e an– chora con esso quello che bisogniava al detto dono e honore.
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E sappiate che voi ritraete della ischiatta onde voi siete nato, né neente ritraete della vostra madre. E p(er)ò sappi|ate ch’ella del suo buono marito non avea figliuoli, sí che nel palazo reale usava uno pastore,204 il quale facea tutto il pane del palazo, e facea fare sí che tutta la fornia. L’uo–
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mo sí avea bella p(er)sona del suo essere, onde la vostra ma– dre, no(n) essendo sodisfatta dal suo marito sí chom’ella volea, sí ssi puose chon questo pistore e ingravidò di lui, e fece tan– to che in quel tempo ebbe a fare chol marito, sí ch’ella disse ch’era gravida di lui. Il piastore,205 temendo che cciò no(n) si sape|sse,
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inchontanente diede sue chagioni, e partísi da la chor– te, e giamai di lui no(n) si seppe alchuna novella. Quando il re seppe veramente che la reina era gravida, fue il p|iú allegro huomo del mondo e grande festa ne fece cho|n tutta la sua corte, e giamai non ebbe piú la tua madre.
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E chosí foste ingenerato – Allora il sengniore si turbò tu|tto e no(n) sapea che si fare. Disse al greco: – Queste cose che m’ài dette, piacciati che giamai altrui no· lle manifesti, inp(er)ciò che sse mai se ne sapesse niente, io farei il piú
(75r) haunito huomo del mondo e agevolemente potrei p(er)de–
––––––– 204 205
74v–13 erroneamente per: pistore. 74v–19 pistore.
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re questo mÕo reame Et accÕo chÕo sÕa pÕu certo dÕ que llo chemaÕ detto sÕluoglÕo ÕnuenÕre dalamÕa madre cortese mente almeglÕo chepotro . Elgreco tutto lÕn 5
sengnÕo chome ledouesse dÕre molto amoreuolemen te 7 sauÕa mente accÕo chella troppo ɃnɃosÕ cruccÕasse Et cosÕ sÕmosse ÕlRe 7 ebbe Õnuna camera molto se creta lasua madre 7 tanto ledÕsse tra peramore 7 ȸmÕ naccÕe che seppe tutto dalleÕ lauerÕta sÕcome Ilgre
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cho lÕauea detto . UdÕto questo ÕlRe sÕmarauÕglÕo molto delgrande senno chelgrecho auea 7 comellÕ sapea tutte lecose tennelo agrande fatto Oruenne ÕlRe ȸlapasqua della pÕantacosta 7 fece grande pa rlamento 7 dÕsse chomera stato amaestrato dacholuÕ
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chera ÕlpÕu sauÕo huomo delmondo . chessÕ chomellÕ Õn fÕno allora erastato auaro 7 chupÕdo cheuolea essere tutto largho 7 cortese 7 dÕlÕbero atutta sua gente . Et chosÕ douemo sapere che trasnaturo esforçossÕ cho ntra laragÕone 7 dÕuento largho 7 cortese atutta
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gente laoue sÕchonuenÕa 7 fece grande allegrezza Õnquella pasqua 7 fecelchaualÕere 7 apresso Õlfe ce suo barone questo grecho 7 ȸlosuo amore amol tÕ gentÕlÕ huomÕnÕ cÕnse spada 7 fecelÕ caualÕerÕ 7 apresso fece grandÕ donÕ 7 grandÕ conuÕtÕ sÕche ȸ
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tuttÕ paesÕ nandoe lanouella . E gÕamaÕ ɃnɃo sÕpartÕo dasse questo grecho anzÕ Õltenne semȸ ȸsuo maestro 7 ɃcɃopangno 7 dÕedelÕ cÕtta 7 chastella 7 uÕlle 7 sempre lÕrendeo honore sÕchome fosse suo padre . Et cosÕ uÕue
(75v) ttero ÕnsÕeme agrande honore lungo tempo ɥ Altempo antÕcho Uno nobÕlÕssÕmo gÕouane bello delcorpo sopra tuttÕ glÕaltrÕ era nelle partÕ dorÕente . Ilquale ɃnɃo auea altro chese medesÕmo . 7 dÕtutta laltra
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re questo mio reame. Et acciò ch’io sia piú certo di que|llo che m’ài detto, sí ’l voglio invenire da la mia madre cortesemente al meglio che potrò – El greco tutto l’in– 5
sengniò chome le dovesse dire molto amorevolemen– te e saviamente, acciò ch’ella troppo no(n) si crucciasse. Et cosí si mosse il re, e ebbe in una camera molto se– creta la sua madre, e tanto le disse, tra per amore e p(er) mi– naccie, che seppe tutto da llei la verità, sí come il gre–
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cho li avea detto. Udito questo, il re si maravigliò molto del grande senno che ’l grecho avea, e com’elli sapea tutte le cose, tennelo a grande fatto. Or venne il re p(er) la pasqua della Piantacosta, e fece grande pa|rlamento, e disse chom’era stato amaestrato da cholui
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ch’era il piú savio huomo del mondo che, ssí chom’elli in|fino allora era stato avaro e chupido, che volea essere tutto largho e cortese, e diliberò a tutta sua gente. Et chosí dovemo sapere che trasnaturò, e sforçossi cho|ntra la ragione, e diventò largho e cortese a tutta
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gente là ove si chonvenia, e fece grande allegrezza in quella pasqua; e fece ’l chavaliere, e apresso il fe– ce suo barone questo grecho; e p(er) lo suo amore a mol– ti gentili huomini cinse spada e feceli cavalieri, e apresso fece grandi doni e grandi conviti, sí che p(er)
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tutt’i paesi n’andoe la novella. E giamai no(n) si partio da ssé questo grecho, anzi il tenne semp(re) p(er) suo maestro e co(m)pangno,206 e diedeli città e chastella e ville, e sempre li rendeo honore, sí chome fosse suo padre. Et cosí vive|t–
(75v) tero insieme a grande honore lungo tempo. Al tempo anticho uno nobilissimo giovane, bello
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del corpo sopra tutti gli altri, era nelle parti d’Oriente; il quale no(n) avea altro che sé medesimo e di tutta l’altra
––––––– 206
Cc. 63r–97v: in scrittura piena questa forma risulta piú frequente.
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gente delmondo ɃnɃo churaua tanto Õlparea essere bello
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7 alquanto ȸ lopocho tempo chauea era sempÕce . lasua grande bellezza era tanta che molte donne 7 donze lle udendo pure rÕchordare Õnchontanente erano pre se damore dÕluÕ ɃnɃo che dÕuederlo . sÕche dÕmoltÕ lon tanÕ paesÕ Õltraeano auedere cÕo erano quelle chesen
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tÕano damore 7 che ÕncosÕ fatto caso poteano chaual chare laouelle ueleano 7 tanto andauano ala doma nda chelle Õltrouauano 7 gÕamaÕ ɃnɃosÕ sapeano par tÕre dalluÕ nesazÕare dÕuederlo . 7 pÕu 7 pÕu losguar dauano pÕue erano prese dÕluÕ damore Ilsuo nome
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era NarcÕscÕ 7 acontare lesue belezze sarebbe lung ha mena ascrÕuere . OrgÕungneano leReÕne 7 lecho ntesse 7 ledonne nobÕlÕ 7 donzelle moglÕe 7 fÕglÕu ole dÕ Re 7 dÕbaronÕ 7 dÕchaualÕerÕ 7 dÕnobÕlÕ donz ellÕ 7 daltrÕ grandÕ 7 gentÕlÕ huomÕnÕ bene aconpang
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nÕatÕ sÕchome acÕaschuna sÕconuenÕa Õnsuo essere 7 tutto ÕlgÕorno ɃnɃo faceano altro chemÕrare lesue– bellezze 7 cÕaschuna dÕcea Õnsuo chuore sua uolonta Apresso dÕcea luna colaltra sequestÕ amasse altruÕ sÕ chomellÕ ama se medesÕmo noÕ potremo dÕre chefo
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sse ueramente ÕlpÕu Õnamorato huomo delmondo 7 dÕcÕo cÕpesa troppo che lo dÕo damore nolla Õnamorato207 (76r) cosÕ daltruÕ chome dÕsemedesÕmo . Et tutto ÕlgÕorno landauano Õsguardando 7 quella sÕtenea molto Õn anzÕ chelpotesse alsuo senno tocchare occhellÕ loro rÕdesse 7 tutte ÕllusÕnghauano 7 faceuallÕ grandÕ promesse 7 grandÕ presentÕ alluÕ 7 auna sua ma
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dre cheÕlguardaua . Eueramente neuna parea che ssÕ sazÕasse dÕuederlo . che come pÕu Õluedeuano pÕu Õlbramauano . Et sÕchome detto auemo eɃnɃo amaua
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A piè di pagina una mano scrisse: bugÕa a a b.
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gente del mondo no(n) churava, tanto il parea essere bello; e alquanto p(er) lo pocho tempo ch’avea era sempice. La sua grande bellezza era tanta che molte donne e donze|lle, udendo pure richordare, inchontanente erano pre– se d’amore di lui, no(n) che di vederlo. Sí che di molti lon–
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tani paesi il traeano a vedere: ciò erano quelle che sen– tiano d’amore, e che in cosí fatto caso poteano chaval– chare là ov’elle veleano,208 e tanto andavano a la doma|nda, ch’elle il trovavano; e giamai no(n) si sapeano par– tire da llui, né saziare di vederlo: e piú e piú lo sguar–
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davano, piue erano prese di lui d’amore. Il suo nome era Narcisci, e a contare le sue belezze sarebbe lung|ha mena a scrivere. Or giungneano le reine e le cho|ntesse e le donne nobili e donzelle, moglie e figliu|ole di re e di baroni e di chavalieri e di nobili donz|elli
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e d’altri grandi e gentili huomini bene aconpang|niati, sí chome a ciaschuna si convenia in suo essere; e tutto il giorno no(n) faceano altro che mirare le sue bellezze, e ciaschuna dicea in suo chuore sua volontà. Apresso dicea l’una co’ l’altra: – Se questi amasse altrui, sí
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chom’elli ama sé medesimo, noi potremo dire che fo|sse veramente il piú inamorato huomo del mondo; e di ciò ci pesa troppo che lo Dio d’amore no·ll’à inamorato
(76r) cosi d’altrui chome di sé medesimo – Et tutto il giorno l’andavano isguardando, e quella si tenea molto in|anzi che ’l potesse al suo senno tocchare, o cch’elli loro ridesse: e tutte il lusinghavano, e facevalli grandi 5
promesse e grandi presenti a llui e a una sua ma– dre che il guardava. E veramente neuna parea che ssi saziasse di vederlo: ché come piú il vedevano, piú il bramavano. Et sí chome detto avemo, e’ no(n) amava
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75v–12 voleano.
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altro chese medesÕmo ȸlasua semplÕcÕta . InȸcÕo che 10
ɃnɃo sapea che fosse amore . EllÕ ɃnɃo conoscÕendo Õltan to lefuggÕa quanto potea . Uno gÕorno essendo ce ssato dalloro nandoe Õnuno bello gÕardÕno tutto fre scho 7 rugÕadoso laoue Õsbernauano lÕusÕngnuo lÕ 7 lecalandre 7 altrÕ bellÕ uccÕellÕ ÕqualÕ erano
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Õnnamare Õnȸo chera tempo dÕprÕmauera . lepra tora erano tutte fÕorÕte . 7 Õnquesto gÕardÕno auea Una nobÕlÕssÕma fontana molto grande 7 bene murata dÕporfÕdÕ 7 daltre buone pÕetre 7 chare lacqua era chÕarÕssÕma come Õstella 7 ÕuÕ ɃnɃo auea
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ȸsona altra che NarcÕscÕ medesÕmo . OrdÕce chome ledÕsauenture uanno questÕ cosÕ tutto solo neueɃɣne arrÕposarsÕ alafontana audÕre chantare luccÕellÕ chetuttÕ Õsbernauano damore 7 quellÕ ȸ grande marauÕglÕa lÕudÕa cosÕ chantare 7 tutto sÕne rall
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egraua . Istando cosÕ uolsesÕ aquesta bellÕssÕma fo ntana . edebbe ueduto Õuentro lonbra sua . rÕsgu ardandola pÕu dapresso Õnchontanente sÕtrauag lÕoe tutto trasse medessÕmo credendo chelombra sua
(76v) fosse unaltro gÕouane Õlquale fosse tutto luÕ medesÕm o 7 dÕccÕo sadÕro molto ȸlasua sempÕcezza mÕse lema nÕ nelacqua delafonte credendo pÕglÕare questa on bra ornollÕ uenne fatto . Õnȸo chenodouea . lacqua ȸ 5
trassÕnare chaueano fatto colle manÕ 7 colle braccÕa ando Õnqua 7 Õlae sÕcome fae almestare NarcÕscÕ Uedendo chenolauea potuto pÕglÕare sadÕro molto 7 ancora ȸ lodÕbattere delacqua ɃnɃo rÕuedea lonbra sua . Incontanente chomÕncÕoe apÕangnere molto d
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uramente . 7 alamentarsÕ frasse medesÕmo lacqua fue rachetata 7 quellÕ uÕrÕguardoe entro 7 rÕuÕde lombra sua chepÕangea sÕchome eglÕ . Allora sadÕro pÕu cheprÕma 7 dÕcea uedÕ chefae beffe dÕme . Et cosÕ adÕ
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altro che sé medesimo p(er) la sua semplicità, inp(er)ciò che 10
no(n) sapea che fosse amore. Elli no(n) conosciendo il tan– to, le fuggia quanto potea. Uno giorno, essendo ce|ssato da lloro, n’andoe in uno bello giardino, tutto fre– scho e rugiadoso, là ove isbernavano li usingnuo– li e le calandre e altri belli uccielli, i quali erano
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inn amare, inp(er)ò ch’era tempo di primavera. Le pra– tora erano tutte fiorite, e in questo giardino avea una nobilissima fontana, molto grande e bene murata di porfidi e d’altre buone pietre e chare: l’acqua era chiarissima come istella, e ivi no(n) avea
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p(er)sona altra che Narcisci medesimo. Or dice chome le disaventure vanno: questi, cosí tutto solo, ne ven(n)e a rriposarsi a la fontana, a udire chantare l’uccielli, che tutti isbernavano d’amore, e quelli p(er) grande maraviglia li udia cosí chantare, e tutto si ne
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rall|egrava. Istando cosí, volsesi a questa bellissima fo|ntana ed ebbe veduto iv’entro l’onbra sua. Risgu|ardandola piú da presso, inchontanente si travag|lioe tutto tra ssé medessimo, credendo che l’ombra sua
(76v) fosse un altro giovane, il quale fosse tutto lui medesim|o: e di cciò s’adirò molto, p(er) la sua sempicezza; mise le ma– ni ne l’acqua de la fonte, credendo pigliare questa on– bra. Or no·lli venne fatto, inp(er)ò che no dovea: l’acqua p(er) 5
trassinare ch’aveano fatto colle mani e colle braccia andò in qua e i’ lae, sí come fae al mestare. Narcisci, vedendo che no’l’ avea potuto pigliare, s’adirò molto, e ancora p(er) lo dibattere de l’acqua no(n) rivedea l’onbra sua. Incontanente chomincioe a piangnere molto
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d|uramente e a lamentarsi fra ssé medesimo. L’acqua fue rachetata, e quelli vi riguardoe entro, e rivide l’ombra sua che piangea sí chome egli. Allora s’adirò piú che prima, e dicea: – Vedi che fae beffe di me – Et cosí adi–
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rato uÕsÕ gÕtto entro 7 ȸ credença dÕpÕglÕarsÕ colonbra s 15
ua chauea pÕanto sÕchome ellÕ 7 chosÕ come pÕacque a lalto dÕo Õnchontanente uÕfue entro anegato 7 morto uolendosÕ atare ɃnɃo poteo 7 cosÕ morÕe NarcÕscÕ edera rÕ UescÕo 7 parea chesÕ dormÕsse Õnquesta fonte Ledonne 7 ledonçelle Õnamorate chellandauano chaendo nollo rÕ
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trouauano 7 dÕcÕo erano molte ÕsbÕghottÕte 7 posto sa uÕeno Õnchuore dÕ ɃnɃo tornare gÕamaÕ alleloro magÕonÕ selle ÕnprÕma ɃnɃo rÕtrouassero 7 nollo rÕuedessero alloro– uolontade Andandone una grande quantÕta dÕloro cÕe rchando dÕluÕ sÕsattatero aquesto bellÕssÕmo prato nel
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quale auea ÕlgÕardÕno douera labelÕssÕma fonte laou era NarcÕscÕ era cosÕ dÕsauenturatamente aneghato . O rdÕce cheÕsguardando dÕla 7 dÕqua noluÕ trouauano 7 pocho chalea loro dedolcÕ cante cheglucÕellÕ faceuano
(77r) damore . luna oledue dÕloro auendo sete oȸ uolere uede re dapresso lafontana ando lanouella era 7 Õsguardando nellacqua Incontanente uÕchonobbe entro narcÕscÕ ɃnɃo sÕ poteo tenere cheuolontÕerÕ sÕ sarebbe tenuta dÕɃnɃo dÕr 5
lo alle compangne 7 allaltra chelandauano chaendo co lleÕ ÕnsÕeme . OrgrÕdo sÕcome fanno lefemÕne tra lagran de letÕzÕa chelle parea auere ȸ logrande mÕrachulo che lleÕ parea uedere 7 nelsuo grÕdare dÕsse correte qua con pangne mÕe chare che Õlbello . NarcÕscÕ equÕ nella fonte
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che dorme quÕ entro lacqua . ledonne trassero la 7 comÕ ncÕarolo tutte arÕguardallo 7 dÕceano Õntra loro orno ne damarauÕglÕare secÕera cosÕ caro 7 seɃɃnɃo sapea che a more sÕfosse altro che Õnse medesÕmo dacche noÕ ueggÕa mo dÕluÕ sÕgrande marauÕglÕa come questa ee chosÕ do
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rmÕre nelacqua come noÕ nelle nostre letta 7 ueramen
rato vi si gittò entro e p(er) credença di pigliarsi co’l’onbra 15
s|ua, ch’avea pianto sí chome elli; e chosí come piacque a l’alto Dio, inchontanente vi fue entro anegato e morto. Volendosi atare no(n) poteo, e cosí morie Narcisci: ed era ri– vescio e parea che si dormisse in questa fonte. Le donne e le donçelle inamorate che ll’andavano chaendo no· llo ri–
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trovavano e di ciò erano molte isbighottite, e posto s’a|vieno in chuore di no(n) tornare giamai alle loro magioni s’elle inprima no(n) ritrovassero, e no· llo rivedessero a lloro volontade. Andandone una grande quantità di loro cie|rchando di lui, sí sattatero209 a questo bellissimo prato, nel
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quale avea il giardino dov’era la belissima fonte, là ov’|era Narcisci cosí disaventuratamente aneghato. O|r dice che isguardando di là e di qua nol vi trovavano, e pocho chalea loro de’dolci cante che gl’ucielli facevano
(77r) d’amore. L’una o le due di loro, avendo sete o p(er) volere vede– re da presso la fontana, andà la novella era,210 e isguardando nell’acqua, incontanente vi chonobbe entro Narcisci: no(n) si poteo tenere, che volontieri si sarebbe tenuta di no(n) dir|lo 5
alle compangne e all’altra che l’andavano chaendo co· llei insieme. Or gridò, sí come fanno le femine tra la gran– de letizia che lle parea avere p(er) lo grande mirachulo che llei parea vedere; e nel suo gridare disse: – Correte qua, con– pangne mie chare, ché il bello Narcisci è qui nella fonte,
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che dorme qui entro l’acqua!– Le donne trassero là, e comi|nciarolo tutte a riguardallo, e diceano intra loro: – Or no|n è da maravigliare se ci era cosí caro e se no(n) sapea che a|more si fosse altro che in sé medesimo, dacché noi veggia– mo di lui sí grande maraviglia come questa èe, chosí
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do|rmire ne l’acqua come noi nelle nostre letta – E veramen–
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76v–24 Biagi [ed. cit., p. 162]: s’abbatéro. 77r–2 Biagi [ibid.]: là ov’ella era.
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te tutte credeano che dormÕsse checÕo parea che facesse Et anchora dÕceano Õntralloro ueramente questÕ ɃnɃone hu omo terreno dachellÕ fae cosÕ grandÕ cose 7 dÕmÕrallo ɃnɃo sÕ poteano sazÕare 7 neuna lardÕa adestare . lanouella an 20
do alamadre 7 allaltre grandÕ 7 gentÕlÕ donne 7 donzelle 7 aquellÕ della ɒra quelle chebe nouelle portauano dÕluÕ dÕceano comellÕ sÕdormÕa nelafonte 7 come ellÕ ɃnɃo ne ra huomo terreno . lamadre chollaltre donne 7 colla gen te assauÕ trasse ledonne cheuerano 7 chellaueuano troua
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to auendo ateso chesÕ leuasse aueallo asaÕ chÕamato . Ue dendo cheɃɃnɃosÕ leuaua . 7 chenonne uscÕua fuorÕ comÕncÕ arsÕ arramarÕchare molto Õntra loro 7 dÕceano eɃɃnɃo puote essere chenoÕ ɃnɃo sÕamo Õnghanate chequestÕ emorto Atre
(77v) dÕceano e ɃnɃo puote essere cheueramente eɃnɃosÕa uÕuo Õnȸo cheglÕae Õlsuo uÕso assaÕ pÕu cholorÕto che grana . Istando Õnquesta chontenzÕone sachordarono dÕtrarlo ne fuorÕ sepotessero . Et cosÕ sÕngÕengnarono tanto ch 5
e uotarono tutta lacqua della fonte . che alquante ÕngrazÕa uentrarono dentro adessere certe dÕluÕ dÕ poterlo tocchare alloro senno ouÕuo omorto chellÕ fo sse . EcosÕ abandonata mente Õlnetrassero chollaÕuto dellaltre fuorÕ delacqua 7 trouandolo morto tutte
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sÕuoleano straccÕare dÕcendo chome malaguardÕa auemo fatta dÕluÕ . Auendolne tratto cosÕ fuorÕ non churauano ȸ che fosse molle edelleno altresÕ seɃnɃo ch e certe Õlteneano rÕtte 7 laltre losguardauano 7 co sÕ mescholatamente pÕangeano 7 abraccÕauarlo
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7 bascÕauarlo tutto 7 dÕceano certe dÕloro dacche ɃnɃotÕ potemo auere uÕuo alanostra uolonta sÕttÕ au eremo morto dacche amore noncÕa dÕte uoluto ɃcɃo solare tante grandÕ 7 gentÕlÕ donne 7 donzelle dÕ
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te tutte credeano che dormisse, ché ciò parea che facesse. Et anchora diceano intra lloro: – Veramente questi no(n)n è hu|omo terreno, da ch’elli fae cosí grandi cose – E di mirallo no(n) si poteano saziare, e neuna l’ardia a destare. La novella an– 20
dò a la madre e all’altre grandi e gentili donne e donzelle, e a quelli della t(er)ra. Quelle che be211 novelle portavano di lui diceano com’elli si dormia ne la fonte e come elli no(n)n e|ra huomo terreno. La madre choll’altre donne e colla gen– te assa’ vi trasse. Le donne che v’erano e che ll’avevano trova–
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to, avendo ateso che si levasse, aveallo asai chiamato. Ve– dendo che no(n) si levava e che non ne usciva fuori, cominci|ârsi a rramarichare molto intra loro, e diceano: – E’ no(n) puote essere che noi no(n) siamo inghanate, ché questi è morto – A[l]tre
(77v) diceano: – E no(n) puote essere che veramente e’ no(n) sia vivo, inp(er)ò ch’egli àe il suo viso assai piú cholorito che grana – Istando in questa chontenzione, s’achordarono di tràrlo|ne fuori, se potessero. Et cosí s’ingiengnarono tanto, ch(e) 5
e’ votarono tutta l’acqua della fonte; che alquante in grazia v’entrarono dentro ad essere certe di lui, di poterlo tocchare al loro senno: o vivo o morto ch’elli fo|sse. E cosí abandonatamente il ne trassero choll’aiuto dell’altre fuori de l’acqua; e trovandolo morto, tutte
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si voleano stracciare, dicendo: – Chome mala guardia avemo fatta di lui! – Avendolne tratto cosí fuori, non churavano p(er)ché fosse molle, ed elleno altresí, se no(n) ch|e certe il teneano ritte e l’altre lo sguardavano, e co– sí mescholatamente piangeano e abracciavarlo,
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e basciavarlo tutto, e diceano certe di loro: – Dacché no(n) ti potemo avere vivo a la nostra volontà, sí tti av|eremo morto, dacché amore non ci à di te voluto co(n)– solare. Tante grandi e gentili donne e donzelle di
––––––– 211
77r–21 le.
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sÕ lontanÕ paesÕ tauauamo uenute auedere 7 della 20
ltre sÕmÕglÕante mente ȸ nostra grandÕssÕma dÕsau entura credo checcÕ sÕa cÕo adÕuenuto . molto male dÕ ceano delamorte dÕcendo come tante ghaÕe 7 gen tÕlÕ donne dalungÕ 7 dapresso auea cosÕ Õschonsolate 7 come Õngrande dÕsgrazÕa ÕlsÕteneano 7 nollo sap
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eano lascÕare 7 ɃnɃollo sapÕeno abandonare tante era anchora lesue belezze Inquesta gÕunse lamadre cholla ltre Õnamorate 7 forestÕere 7 cÕttadÕne 7 uÕcÕne delpa ese 7 dÕtutta lacontrada . ÕlpÕanto fue grande elcordo
(78r) glo sÕ dalamadre 7 sÕdalsuo parentado apresso delle donne cheuerano . sÕche Apertamente parla Õlnostro lÕbre tto quÕ cheledonne 7 ledonzelle chesentÕano damore uollero fare ȸluÕ allo ÕdÕo damore quello chegÕamaÕ ɃnɃo 5
sÕ fece dÕneuno maÕ ȸ lesue belleççe chelle ÕlchÕesero ÕngrazÕa alamadre 7 alsuo marentado dÕfarne fare dÕ luÕ neldetto gÕardÕno quello che gÕamaÕ dÕluÕ nefosse rÕchordanza . 7 cosÕ fue loro dÕmesso . Et quelle Õnconta nente sÕgÕttaro ÕnorazÕone apreghare lodÕo damore
10
che dÕluÕ facesse quello cheÕlloro chuore desÕderaua allo ro amore . 7 ÕdÕo cholluÕ ÕnsÕeme alloro uegente fe dÕ luÕ nascere uno nobÕle 7 bello albero Õlquale eÕlprÕmo che nella prÕmauera fÕorÕscha 7 chefae lÕpÕu bellÕ fÕorÕ elpÕu nobÕle pome Õlquale pome tutto lanno ebuono
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7 uerde 7seccho . CÕoe Õlmandorlo 7 cosÕ puose nome lodÕo damore aquello albero ȸ Amore delbello NarcÕ scÕ 7 questo albero sÕcome tosto uÕene cosÕ tosto falla el suo pome secondo chenoÕ sapemo ae . Õnse molte gran uertu . Et cosÕ auete Õnteso che adÕuenne delbello Nar
20
cÕscÕ nato ÕnorÕente che secondo chelle fauole nechon tano edÕcono chefu nato delaspÕera . delsole oche lasua m adre fue fatta ouero dea depaghanÕ laquale era adorata sÕchome noÕ adorÕamo Õluerace ÕdÕo . AltrÕ dÕchono chellÕ
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sí lontani paesi t’avavamo venute a vedere, e dell’a|ltre 20
simigliantemente. P(er) nostra grandissima disav|en– tura credo che cci sia ciò adivenuto – Molto male di– ceano de la morte, dicendo come tante ghaie e gen– tili donne da lungi e da presso avea cosí ischonsolate, e come in grande disgrazia il si teneano e no· llo
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sap|eano lasciare, e no(n) llo sapieno abandonare: tante era anchora le sue belezze. In questa giunse la madre choll’a|ltre inamorate: e forestiere e cittadine e vicine del pa|ese, e di tutta la contrada. Il pianto fue grande e ’l cordo–
(78r) gl[i]o, sí da la madre e sí dal suo parentado apresso delle donne che v’erano, sí che apertamente parla il nostro libre|tto qui che le donne e le donzelle che sentiano d’amore vollero fare p(er) lui allo Idio d’amore quello che giamai no(n) 5
si fece di neuno mai p(er) le sue belleççe: ch’elle il chiesero in grazia a la madre e al suo marentado di farne fare di lui, nel detto giardino, quello che giamai di lui ne fosse richordanza. E cosí fue loro dimesso. Et quelle inconta– nente si gittaro in orazione a preghare lo Dio d’amore
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che di lui facesse quello che il loro chuore desiderava al lo– ro amore. E Idio, chollui insieme a lloro vegente, fe’ di lui nascere uno nobile e bello albero, il quale è il primo che nella primavera fiorischa e che fae li piú belli fiori e ’l piú nobile pome; il quale pome tutto l’anno è buono
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e verde e seccho: cioè il mandorlo. E cosí puose nome lo Dio d’amore a quello albero p(er) amore del bello Narci|sci: e questo albero sí come tosto viene, cosí tosto falla, e ’l suo pome, secondo che noi sapemo, àe in sé molte gran vertú. Et cosí avete inteso che adivenne del bello
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Nar|cisci nato in Oriente, che secondo che lle favole ne chon– tano e dicono, che fu nato de la spiera del sole o che la sua m|adre fue Fatta, overo dea de’paghani, la quale era adorata sí chome noi adoriamo il verace Idio. Altri dichono ch’elli
381
fue fÕglÕuolo duomo 7 dÕfemÕna sÕchome noÕ . ma molto e 25
damarauÕglÕare quello chelo ÕdÕo damore fece dÕluÕ ɥ UNa uolta era uno rÕccho huomo edauea quasÕ cÕo che sempre auea dÕsÕderato poderÕ 7 case nellacÕtta 7 nelcho
(78v) ntado 7 bella famÕglÕa 7 una gentÕle donna ȸ molglÕe sÕche staua grande mente sechondo Õlsuo essere 7 ȸ legentÕ e ra tenuto cheglÕ Õstaua sÕbene che lapÕu gente dÕcea eɃnɃo na meno altro chellÕra dÕdÕo 7 chosÕ parea alluÕ ÕlsomÕglÕ 5
ante . EllÕ udendo questo comÕncÕollÕ auenÕre ÕnpensÕere dÕuolere sapere che era questa Õra dÕdÕo 7 come lapotessetro uare 7 altre mentÕ nonne domandaua . Uno gÕorno uene ndolÕ dÕcÕo grande uolonta ɃnɃosattese adauerne altro cho nsÕglÕo ofarne altra dÕmanda . Tolse delsuo auere quello ch
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elglÕ parue 7 meno secho unsuo fante ÕnchuÕ ellÕ molto sÕfÕdaua 7 mÕsesÕ ÕnchamÕno 7 Õnauentura dandare tan to cÕerchando chellÕ trouasse questa Õra dÕdÕo laquale glÕe ra tanto rÕchordata . Andando ungÕorno ȸuno grande bo scho chonquesto suo fante . edera uno grande caldo edeglÕ
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ebbero trouatÕ due RamarrÕ molto grandÕ chepareano du e serpentellÕ lÕqualÕ sazuffauano ÕnsÕeme molto adÕrata mente luno chollaltro 7 quellÕ rÕstette auederlÕ ora ueɃɣne che açufandosÕ cosÕ ÕnsÕeme questÕ serpencellÕ 7 morde ndo luno laltro ȸluÕ ɃnɃosÕ partÕano sÕcche luno troncho cho
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dentÕ Õlchapo delaltro . Et quando ebbe fatto cosÕ parue che pensasse Õnsuo chuore che ɃnɃonauea fatto bene Inchontane nte ando 7 recchoe una erba Õnboccha 7 puosela alonbusto delserpentello chera morto 7 poÕ cholasua boccha pÕglÕoe Õlchapo 7 acchoncÕamente Õlpuose allonbusto Õmezo lerba
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pocho Õstette chelcapo fue rapÕcchato alonbusto 7 fue fa tto uÕuo . 7 cosÕ chome fossero Õstate due pecchorelle sena darono ÕnsÕeme anbondue . Lerba chelauea guarÕto sÕrÕ mase ÕuÕ . Allora questo gentÕle huomo conquesto suo fan
(79r) te uedendo partÕre lÕserpentÕ dÕsse cholfante ueramente
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fue figliuolo d’uomo e di femina, sí chome noi; ma molto è 25
da maravigliare quello che lo Idio d’amore fece di lui. Una volta era uno riccho huomo, ed avea quasi ciò che
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sempre avea disiderato: poderi e case nella città e nel cho|n– (78v) tado, e bella famiglia, e una gentile donna p(er) molglie, sí che stava grandemente sechondo il suo essere; e p(er) le genti e|ra tenuto ch’egli istava sí bene che la piú gente dicea: –E’ no(n) à meno altro che ll’ira di Dio –; e chosí parea a llui il somigli|ante. 5
Elli, udendo questo, cominciolli a venire in pensiere di volere sapere che era questa ira di Dio e come la potesse tro– vare, e altrementi non ne domandava. Uno giorno, vene|ndoli di ciò grande volontà, no(n) s’attese ad averne altro cho|nsiglio o farne altra dimanda: tolse del suo avere quello ch|e
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lgli parve, e menò secho un suo fante in chui elli molto si fidava; e misesi in chamino e in aventura d’andare tan– to cierchando ch’elli trovasse questa ira di Dio, la quale gli e– ra tanto richordata. Andando un giorno p(er) uno grande bo– scho chon questo suo fante, ed era uno grande caldo, ed egli
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ebbero trovati due ramarri molto grandi che pareano du|e serpentelli, li quali s’azuffavano insieme molto adirata– mente l’uno choll’altro; e quelli ristette a vederli. Or aven(n)e che açufandosi cosí insieme questi serpencelli, e morde|ndo l’uno l’altro, p(er) lui no(n) si partiano sicché l’uno tronchò cho’
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denti il chapo de l’altro. Et quando ebbe fatto cosí, parve che pensasse in suo chuore che no(n)n avea fatto bene. Inchontane|nte andò e recchoe una erba in boccha, e puosela a lo’nbusto del serpentello ch’era morto; e poi cho’ la sua boccha piglioe il chapo e acchonciamente il puose allo ’nbusto i·mezo l’erba.
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Pocho istette che ’l capo fue rapicchato a lo’nbusto, e fue fa|tto vivo. E cosí chome fossero istate due pecchorelle, se n’a|darono insieme anbondue. L’erba che l’avea guarito sí ri– mase ivi. Allora questo gentile huomo con questo suo fan–
(79r) te, vedendo partire li serpenti, disse chol fante: – Veramente
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questo che auemo ueduto eÕssuto lÕra dÕdÕo chenoÕ andÕamo chaendo . RÕcholse quella erba 7 uÕa dassÕ tanto atorno chon essa chemolta nebbe trouata . fatto questo dÕsse alfante oruedÕ 5
noÕ sÕamo uenutÕ acchapo denostrÕ ÕntendÕmentÕ . Etȸo uo glÕo chefaccÕ ȸmÕo senno chenoÕ prouÕamo questa erba chÕo tÕmozzero Õlchapo cholaspada mÕa . 7 Incontanente lotÕ ra pÕccheroe choladetta erba come fece quello serpentello alaltro assaÕ Õlnepregho Õlfante dÕsse adaltruÕ farete fare cotesta pruo
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ua cheɃɃnɃo ame . leparole furono assaÕ nonnera nulla chelfan te lachosentÕsse assaÕ promesse lÕfacea . Uedendo chenone uo lera fare neente . dÕsse dache ɃnɃo uoglÕ cheÕo lapruouÕ ate 7 tue laproueraÕ ame . ApparecchÕaro assaÕ dÕquella chotale erba . 7 Õlsengnore sacchoncÕo 7 Õlfante colla Õspada lÕtaglÕ
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o latesta . 7 Inchontanente lebbe acozata colonbusto 7 cho ladetta erba EÕlchapo sÕfue rapÕcchato alquanto torto . Ued endosÕ Õlsengnore guarÕto 7 ɃnɃonauendo rÕtto Õlchapo alonb usto chome lauea ÕnprÕma tenesÕ morto . E fece grandÕ mÕ naccÕe aquello fante 7 Õlfante dÕsse Meɀ bellauete torto sÕ
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chemolto mene pesa . ma accÕ uno rÕmedÕo quando uoÕ uo glÕate cheÕo uÕrÕmozzÕ unaltra uolta 7 rÕpÕccheroluÕ chosÕ rÕtto chome uoÕ lauauate ÕnprÕma 7 quello dÕcea ellÕ Õnbu ona fede manonauellÕ sentÕto Õlduolo chomeglÕ . Allora Õls engnÕore dÕsse chotesto ɃnɃomÕ faraÕ tu ora Õnȸo chÕo ɃnɃosento
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gÕa maÕ ÕlsomÕglÕante duolo 7 ueramente tÕdÕcho chÕo ɃnɃo nauea meno altro chelÕra dÕdÕo tanto lasono Õta chaendo chÕ o lotrouata 7 auuta 7 dÕcho chebene mÕstae . E chosÕ sÕtorno achasa collasua malauentura cholchapo torto 7 gÕamaÕ ɃnɃo
(79v) sentÕo bene neuno 7 sÕcchome fattÕ suoÕ 7 lasua famÕ glÕa era Õta dÕbene ÕmeglÕo chosÕ andoe dallora Õnnan zÕ dÕmale ÕnpeggÕo 7 tutto Õlsuo andoe ÕmaladÕzÕo ne dÕdÕo . Eȸo dÕce Uno prouerbÕo antÕcho . chÕ benese
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questo che avemo veduto, è issuto l’ira di Dio che noi andiamo chaendo – Richolse quella erba, e via dàssi tanto atorno chon essa, che molta n’ebbe trovata. Fatto questo, disse al fante: – Or vedi, 5
noi siamo venuti a cchapo de’ nostri intendimenti; et p(er)ò vo|glio che facci p(er) mio senno, che noi proviamo questa erba: ch’io ti mozzerò il chapo cho’ la spada mia e incontanente lo ti ra– piccheroe cho’la detta erba, come fece quello serpentello a l’altro – Assai il ne preghò. Il fante disse: – Ad altrui farete fare cotesta pruo–
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va che no(n) a me – Le parole furono assai, nonn era nulla che ’l fan– te l’achosentisse, assai promesse li facea. Vedendo che no· ne vo– lera212 fare neente, disse: – Da che no(n) vogli che io la pruovi a te, e tue la proverai a me – Apparecchiaro assai di quella chotale erba, e il sengnore s’acchonciò, e il fante colla ispada li tagli|ò
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la testa; e inchontanente l’ebbe acozata co’lo’nbusto e cho’ la detta erba, e il chapo si fue rapicchato alquanto torto. Ved|endosi il sengnore guarito, e no(n)n avendo ritto il chapo a lo’nb|u– sto chome l’avea inprima, tenesi morto, e fece grandi mi– naccie a quello fante. E il fante disse: – Mess(er), be·ll’avete torto, sí
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che molto me ne pesa; ma àcci uno rimedio quando voi vo– gliate che io vi rimozzi un’altra volta, e ripiccherolvi chosí ritto chome voi l’avavate inprima – E quello dicea elli in bu|ona fede, ma non av’elli sentito il duolo chom’egli. Allora il s|engniore disse: – Chotesto no(n) mi farai tu ora, inp(er)ò ch’io no(n) sento
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giamai il somigliante duolo, e veramente ti dicho ch’io no(n) n’avea meno altro che l’ira di Dio: tanto la sono ita chaendo, ch’i|o l’ò trovata e avuta, e dicho che bene mi stae – E chosí si tornò a chasa colla sua mala ventura, chol chapo torto; e giamai no(n)
(79v) sentio bene neuno; e sicchome’ fatti suoi e la sua fami– glia era ita di bene i·meglio, chosí andoe d’allora innan– zi di male in peggio, e tutto il suo andoe i· maladizio– ne di Dio; e p(er)ò dice uno proverbio anticho: chi bene se–
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79r–12 voleva.
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de ɃnɃosÕ mutÕ . 7 chÕuole delamala uentura chosÕ lapu ote auere 7 trouare chome la buona ɥ UNa uolta era uno grande merchatante cheuendea m oltÕ schÕauÕ auendolÕ uendutÕ adunaltro merchata nte . ɃnɃo lÕnera rÕmaso seɃnɃo uno . Allora dÕsse costuÕ ȸch
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e ɃnɃomÕ uendÕ ÕnȸcÕo chÕo loe charo altrattanto quan to tue mabbÕ dato dÕtuttÕ glÕaltrÕ . 7 quale lachagÕo ne dÕcholtÕ etÕ sapra dÕre tutto cÕo chedÕchono lucÕ ellÕ quando ellÕno chantano cÕo saranno quellÕ che glÕ uderae 7 chene sarae domandato . Udendo questo
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Õlmerchatante 7 fÕdandosÕ dÕluÕ . chedÕcÕo lÕdÕcesse lauerÕtade . ɃnɃo lascÕo ȸ danarÕ anzÕ lÕdÕede altretanto dÕquello uno solo quanto lÕauea dato dÕtuttÕ glÕaltrÕ 7 choluÕ era quello chuÕ ellÕ auea pÕu caro udendole sue bontadÕ 7 cheglÕ era cosÕ charo chostato . Oruenne
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questo merchatante chauea chonperatÕ lÕschÕauÕ 7 Õn tro conessÕ imare 7 tanto ando cheglÕ arÕuo Õnuna I sola auno porto loquale era dungrande sengnore Õlq quale era . Re dÕquella Õsola . OrsÕmosse uno chestaua alporto ÕnseruÕgÕo delsengnore 7 demerchatantÕ . 7
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uenne adÕre alsuo segnore . dÕquesto merchatante cha uea lÕschÕauÕ 7 come tralloro nauea uno che Õntende a parlare lÕuccÕellÕ quando cantauano . UdÕto questo .
(80r) Ilsegnore Õnchontanente mando ȸlomerchatante che uenÕsse alluÕ cholÕ suoÕ ÕschÕauÕ chellÕ uolea uede re tuttÕ . Uenuto Õlmerchatante dÕnançÕ alsegnore– sÕllÕ uendeo ÕsuoÕ ÕschÕauÕ . 7 apresso lÕuendeo quelluno 5
tutto cÕo chellÕ auea uendutÕ glÕaltrÕ 7 dÕtuttÕ gua dagnoe 7 anchora nestette Õlsegnore dÕquello cheÕn tendea lÕu ccellÕ alasua lealtade sÕchome dÕgrande merchatante . Conperato Õlsegnore questÕ ÕschÕauÕ fece lÕ Õstare afare ÕsuoÕ bÕsognÕ . acÕascheuno dÕede suo ofÕ
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cÕo dÕchellÕ sÕtendea . Questo uno chellÕ auea chonpe
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de no(n) si muti; e chi vole de la mala ventura, chosí la pu|ote avere e trovare, chome la buona. Una volta era uno grande merchatante che vendea
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m|olti schiavi. Avendoli venduti ad un altro merchata|nte, no(n) li n’era rimaso se no(n) uno. Allora disse:– Costui p(er)ch|é 10
no(n) mi vendi?– Inp(er)ciò ch’io l’òe charo altrattanto quan– to tue m’abbi dato di tutti gli altri – E qual è la chagio|ne?– Dicholti: e’ ti saprà dire tutto ciò che dichono l’uci|elli quando ellino chantano, ciò saranno quelli ch’e|gli uderae e che ne sarae domandato – Udendo questo
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il merchatante, e fidandosi di lui che di ciò li dicesse la veritade, no(n) lasciò p(er) danari, anzi, li diede altretanto di quello uno solo quanto li avea dato di tutti gli altri: e cholui era quello chui elli avea piú caro, udendo le sue bontadi, e che gli era cosí charo chostato. Or venne
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questo merchatante ch’avea chonperati li schiavi, e in– trò con essi i· mare. E tanto andò ch’egli arivò in una i– sola, a uno porto, lo quale era d’un grande sengnore, il q|uale era re di quella isola. Or si mosse uno che stava al porto in servigio del sengnore e de’merchatanti, e
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venne a dire al suo segnore di questo merchatante ch’a|vea li schiavi, e come tra lloro n’avea uno che intende|a parlare li uccielli quando cantavano. Udito questo,
(80r) il segnore inchontanente mandò p(er) lo merchatante che venisse a llui cho’ li suoi ischiavi, ché lli volea vede– re tutti. Venuto il merchatante dinançi al segnore, sí lli vendeo i suoi ischiavi, e apresso li vendeo quell’uno 5
tutto ciò ch’elli avea venduti gli altri; e di tutti gua– dagnoe. E anchora ne stette, il segnore, di quello che in– tendea li uccelli a la sua lealtade, sí chome di grande merchatante. Conperato il segnore questi ischiavi, fece|li istare a fare i suoi bisogni: a ciascheuno diede suo ofi–
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cio di ch’elli s’i[n]tendea. Questo uno ch’elli avea chonpe–
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rato cosÕ charo nolpartÕa dase DÕmorando loschÕa uo nelachorte delsegnore 7 uno bello uccÕello sÕpuo se achantare auna fÕnestra della sala douera Õlse gnore . 7 chomÕncÕo achantare molto dÕlÕgentem 15
ente 7 ɃnɃosÕ partÕa . Ilsegnore essendo cholluÕ . los chÕauo udÕe chantare quello uccÕello 7 quando eb be cantato 7 dellÕ sÕpartÕo 7 debbe uolato uÕa . Ilse gnore domando loschÕauo suo . 7 dÕsse cheadeto que llo uccÕello Õnsuo chantare ȸcÕo chauea fatto cosÕ no
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bÕlÕ uersÕ dÕsÕ bel chanto . Et loschÕauo dÕsse Meɀ mal uolontÕerÕ louÕdÕcho ȸuna cosa 7 ȸunaltra sÕ . SappÕ ate chequello uccÕello ae detto Õnsuo chantare che uoÕ auerete acquestÕ gÕornÕ alquanto traualglÕo che dÕsse che oggÕ a UÕÕɬ gÕornÕ seuoÕ nofate uendere Õl
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uolstro grande destrÕere uoÕ farete ÕschortÕchare Õnȸ o chemorra ealtro ɃnɃopuote essere checosÕ ɃnɃosÕa . UdÕto questo Õlsegnore sÕmarauÕglÕo molto 7 uedendo che ɃnɃo potea altro essere Inchontanente fece uenÕre Õl
(80v) sensalÕ 7 dÕsse comellÕ uolea uendere Õlsuo nobÕle 7 gr ande destrÕere 7 cheglÕ Õluendessero acertÕ forestÕerÕ Õl quale enocredessero che agrandÕ tempÕ etornassero Õn quelle partÕ . IldestÕere fue uenduto acertÕ merchatan 5
tÕ chenne credeano andare conesso Õnlontano paers e . lodestrÕere era sano 7 saluo 7 ɃnɃo mostraua chauesse dÕsagÕo ueruno dÕsua ȸsona 7 cosÕ nebbe quello che uo lle . InanzÕ chemerchatantÕ sÕfossero partÕtÕ delacÕtta– ÕldestrÕere sÕchadde morto entro lastalla sanza auere
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altro male oÕnpedÕmento nullo . UdÕto Õlsegnore cho me ÕldestrÕere era morto nelastalla amerchatantÕ fue Õntanto allegro chellauea uenduto 7 auuta lamune ta Õntanto lÕncrebbe delamorte dÕchosÕ nobÕle de
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rato cosí charo, no’l partia da sé. Dimorando lo schia– vo ne la chorte del segnore, e uno bello ucciello si puo– se a chantare a una finestra della sala dov’era il se– gnore, e chominciò a chantare molto diligentem|ente, 15
e no(n) si partia. Il segnore, essendo cho·llui lo s|chiavo, udie chantare quello ucciello; e quando eb– be cantato, ed elli si partio, ed ebbe volato via. Il se– gnore domandò lo schiavo suo, e disse: – Che à deto que|l– lo ucciello in suo chantare? P(er)ciò ch’avea fatto cosí no–
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bili versi di sí bel chanto – Et lo schiavo disse: – Mess(er), mal– volontieri lo vi dicho p(er) una cosa e p(er) un’altra sí. Sappi|ate che quello ucciello àe detto in suo chantare che voi averete a cquesti giorni alquanto travalglio, ché disse che oggi a VIII giorni, se voi no’ fate vendere il
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volstro grande destriere, voi farete ischortichare, inp(er)|ò che morrà; e altro no(n) puote essere che cosí no(n) sia – Udito questo, il segnore si maravigliò molto; e vedendo che no(n) potea altro essere, inchontanente fece venire il
(80v) sensali e disse com’elli volea vendere il suo nobile e gr|ande destriere, e ch’egli il vendessero a certi forestieri, il quale e’ no credessero, che a grandi tempi e’ tornassero in quelle parti. Il destiere fue venduto a certi merchatan– 5
ti che nne credeano andare con esso in lontano paers|e.213 Lo destriere era sano e salvo, e no(n) mostrava ch’avesse disagio veruno di sua p(er)sona; e cosí n’ebbe quello che vo|lle. Inanzi che’ merchatanti si fossero partiti de la città, il destriere si chadde morto entro la stalla, sanza avere
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altro male o inpedimento nullo. Udito il segnore cho– me il destriere era morto ne la stalla a’ merchatanti, fue intanto allegro che ll’avea venduto e avuta la mune– ta; intanto l’increbbe de la morte di chosí nobile de–
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80v–5 paese.
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strere 7 demerchatantÕ chaueuano ȸduto tanta mon 15
eta . Dallaltra parte amaua sopra tutta lasua famÕ glÕa questo suo ÕschÕauo auendo tanta bontade qua nta ellÕ auea 7 noglÕ guadagnasse 7 nollÕ dÕcesse maÕ altro sÕauea assaÕ pÕu che radoppÕato quello chelauea conperato . molto auea trouato grande senno ÕlluÕ
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Uno altro gÕorno apparue unaltro uccÕello molto be llo Õnsu lafÕnestra delacamera delsegnÕore 7 chomÕn cÕo afare moltÕ bellÕ uersÕ Õnsuo chanto . Ilsegnore cho loschÕauo uera presente . ComÕncÕo Õnchontanente adÕ re dÕo cÕdea buone nouelle . 7 domandoe loschÕauo ch
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eauea detto luccÕello Õnsuo chanto . RÕspuose loschÕau o 7 dÕsse Meɀ sÕcome Õo uÕdÕssÕ lauerÕta deldestrÕere cosÕ uÕdÕroe dÕquello che aurae detto questo uccÕello 7 cÕo dÕcho molto mal uolontÕerÕ Õlsegnore adÕrato dÕsse
(81r) dÕllo Õncontanente . Meɀ edÕce che oggÕ anoue gÕor nÕ lauostra grande torre laoue uoÕ auete Õluostro teso ro sÕ chadrae 7 altro ɃnɃopuo essere udÕto questo Õlsegnore sÕtenne morto uedendo ledÕsauenture che cosÕ spesso lÕ 5
uenÕano . Allora raghunoe Õlsuo consÕglÕo 7 dÕsse loro Õlfatto deldestrÕere 7 appresso delasua torre chome do uea chadere marauÕglÕarsÕ tuttÕ 7 dÕceano ȸ lauentu ra se questÕ ȸlochanto deglÕ uccÕellÕ uÕdÕsse lauerÕta d eluostro destrÕere forse ɃnɃo uÕdÕce Õluero dellatorre che
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ongnÕ ȸsona cheudÕa cheuoÕ Õluolauate uendere non auendo Õlchauallo alchuna malÕzÕa sÕcredeano cheuoÕ foste uenuto alnÕente 7 dacheseppero chera chosÕ morto tenerlo agrande sauere dÕuoÕ che dÕo uauea data ta nto dÕgrazÕa . Et ȸo uÕrÕspondÕamo della torre 7 cosÕ
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uÕconsÕglÕamo chella faccÕate Õschonbrare sÕcheɃnɃouÕ to rnÕ atroppo grande danno UdÕto questo Õlsegnore nefe ce sÕcome fue consÕglÕato 7 Õnchapo de UÕÕÕɬ gÕornÕ sÕchome loschÕauo auea detto latorre sÕchadde tutt
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strere e de’ merchatanti ch’avevano p(er)duto tanta mon|eta. 15
Dall’altra parte amava sopra tutta la sua fami– glia questo suo ischiavo, avendo tanta bontade qua|nta elli avea; e no’ gli guadagnasse e no· lli dicesse mai altro, sí avea assai piú che radoppiato quello che l’avea conperato: molto avea trovato grande senno i· llui.
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Uno altro giorno apparve un altro ucciello molto be|llo in su la finestra de la camera del segniore, e chomin– ciò a fare molti belli versi in suo chanto. Il segnore cho’ lo schiavo v’era presente. Cominciò inchontanente a di– re: – Dio ci dea buone novelle –; e domandoe lo schiavo ch|e
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avea detto l’ucciello in suo chanto. Rispuose lo schiav|o, e disse: – Mess(er), sí come io vi dissi la verità del destriere, cosí vi diroe di quello che avrae detto questo ucciello; e ciò dicho molto malvolontieri – Il segnore, adirato, disse:
(81r) – Dillo incontanente! – Mess(er), e’ dice che oggi a nove gior– ni la vostra grande torre, là ove voi avete il vostro teso– ro, sí chadrae, e altro no(n) può essere – Udito questo, il segnore si tenne morto, vedendo le disaventure che cosí spesso li 5
veniano. Allora raghunoe il suo consiglio e disse loro il fatto del destriere, e appresso de la sua torre chome do– vea chadere. Maravigliârsi tutti, e diceano: – P(er) la ventu– ra, se questi p(er) lo chanto degli uccielli vi disse la verità d|el vostro destriere, forse no(n) vi dice il vero della torre, ché
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ongni p(er)sona che udia che voi il volavate vendere, non avendo il chavallo alchuna malizia, si credeano che voi foste venuto al niente; e da che seppero ch’era chosí morto, tènerlo a grande savere di voi, ché Dio v’avea data ta|nto di grazia. Et p(er)ò vi rispondiamo della torre, e cosí
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vi consigliamo che lla facciate ischonbrare, sí che no(n) vi to|rni a troppo grande danno – Udito questo, il segnore ne fe– ce sí come fue consigliato; e in chapo de VIIII giorni, sí chome lo schiavo avea detto, la torre sí chadde tutt|a
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a 7 fece grandÕssÕmo fracasso Õnȸo chella era molto a 20
lta 7 grossa laonde ÕlsegnÕore molto sÕnadÕroe Õnfra se medesÕmo 7 dÕcea chome Õlparea essere ÕlpÕu Õsuentu rato sengnore chefosse almondo 7 ɃnɃo sapea lachagÕo ne ȸ che cÕo lÕadÕuenÕsse Anchora unaltro gÕorno stan dosÕ questo segnore ȸlosuo palazzo edellÕ uÕdde uenÕre
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unaltro uccÕello 7 puosesÕ achantare presso alsegnore 7 Õnsuo chanto facea moltÕ bellÕ uersÕ . Ilsegnore era– choloschÕauo . Et anchora comÕncÕoe adÕre che dÕo lÕde sse buone nouelle mÕglÕorÕ chenolle auea auute ȸadÕ
(81v) etro uero era che quello schÕauo lauea bene sodÕsfatto dÕcÕo chelauea conȸato quando rÕebbe ÕdanarÕ delsuo destrÕere 7 aquella alquanto sÕchonforto 7 domando lo schÕauo quello chauea detto luccÕello nelsuo chanto . lo 5
schÕauo nolglÕele dÕcea Õnȸo chellÕ parea . auere molte male nouelle ȸlosuo segnore quellÕ uolendolo pure saȸe loschÕauo lÕlÕdÕsse OrsapÕate Meɀ chedÕuoÕ mÕpesa troppo 7 ȸo uÕdÕcho chosa cheɃnɃo uÕparra buona . quello uccÕello a detto molto grande danaggÕo delauostra famÕglÕa . Ilsen
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gnore sadÕro pÕu cheprÕma dacche uÕde chellÕ daua pu re parole 7 comandaglÕ sotto pena delaȸsona che Õn contanente glÕdouesse dÕre EloschÕauo dÕsse dacche questo uolete pÕaccÕauÕ dandarne Õluogho sacreto . Allo ra ɃnɃadaro nelachamera dentro . loschÕauo lÕdÕsse sengn
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ore mÕo Õo sono sotto lauostra grandezza che potete fare dÕme sÕchome deluostro seruo dÕ darmÕ uÕta 7 m orte alauostra uolonta . Et pero sappÕate che quello uccÕello doggÕ sÕgnÕfÕcho nelsuo chanto che uno fÕ glÕuolo chettu aÕ nollo rÕuedraÕ gÕamaÕ Õnquesto m
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ondo uÕuo . essendo ellÕ auna chaccÕa dÕetro auno gra nde CerbÕo achauallo sÕando gÕu ȸuna rÕpa 7 chosÕ chadde Õncontanente morto laonde latua famÕglÕa cherano cholluÕ ÕltÕrechano cosÕ morto . UdÕto questo
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e fece grandissimo fracasso, inp(er)ò ch’ella era molto 20
a|lta e grossa; laonde il segniore molto si n’adiroe infra sé medesimo, e dicea chome il parea essere il piú isventu– rato sengnore che fosse al mondo, e no(n) sapea la chagio– ne p(er)ché ciò li adivenisse. Anchora un altro giorno, stan– dosi questo segnore p(er) lo suo palazzo, ed elli vidde venire
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un altro ucciello, e puosesi a chantare presso al segnore, e in suo chanto facea molti belli versi. Il segnore era cho’ lo schiavo; et anchora comincioe a dire che Dio li de|sse buone novelle, migliori che no·lle avea avute p(er) adi|e–
(81v) tro. Vero era che quello schiavo l’avea bene sodisfatto di ciò che l’avea conp(er)ato quando riebbe i danari del suo destriere, e a quella alquanto si chonfortò, e domandò lo schiavo quello ch’avea detto l’ucciello nel suo chanto. Lo 5
schiavo nol gliele dicea, inp(er)ò che lli parea avere molte male novelle p(er) lo suo segnore. Quelli volendolo pure sap(er)e, lo schiavo li li disse: – Or sapiate, mess(er), che di voi mi pesa troppo, e p(er)ò vi dicho chosa che no(n) vi parrà buona. Quello ucciello à detto molto grande danaggio de la vostra famiglia – Il sen–
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gnore s’adirò piú che prima, dacché vide che lli dava pu– re parole, e comandàgli sotto pena de la p(er)sona che in– contanente gli dovesse dire. E lo schiavo disse: – Dacché questo volete, piacciavi d’andarne i’luogho sacreto – Allo|ra n’a(n)daro ne la chamera dentro. Lo schiavo li disse: – Sengn|ore
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mio, io sono sotto la vostra grandezza, ché potete fare di me sí chome del vostro servo: di darmi vita e m|orte a la vostra volontà. Et però sappiate che quello ucciello d’oggi significhò nel suo chanto che uno fi– gliuolo che ttu ài, no· llo rivedrai giamai in questo
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m|ondo vivo: essendo elli a una chaccia dietro a uno gra|nde cerbio, a chavallo, sí andò giú p(er) una ripa, e chosí chadde incontanente morto; laonde la tua famiglia, ch’erano cho· llui, il ti rechano cosí morto – Udito questo,
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Õlsegnore tennesÕ ÕlpÕu trÕsto huomo delmondo elpÕu 25
Õsuenturato 7 comÕncÕo atrarre grandÕ guaÕ sÕ chome quellÕ chellauea lagente corse alluÕ 7 quando seppero quello cheauea tuttÕ sÕchomÕncÕaro allamentare coll uÕ . Incontanente andaro Õncontro alfÕglÕuolo Õlqua
(82r) le era rechato morto dalachaccÕa . quando gÕunsero cho nesso tutta lagente pÕangea ȸamore delpadre 7 delfÕ glÕuolo Õlamento fue grande ȸtutto ÕlReame 7 acÕas chuna nepesaua asaÕ . EcosÕ Õlfece sopellÕre molto ono 5
reuole mente sÕcome alluÕ sÕchouenÕa comolto gran de trÕstÕzÕa . RÕposato alquanto questo segnore nelesue fatÕche era uno gÕorno Õnuna sua chamera 7 molto pensaua 7 dÕcea nelsuo pensÕero chome domenedÕo lauea molto uÕsÕtato 7 che atutte lechose sÕpotea dare
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quasÕ arghomento saluo che alamorte . Eȸo quando– ate pÕaccÕa puoÕ fare dÕme Õltuo uolere sÕcchome dÕtuo seruo . Et Õn questo molto sÕrachonsolo 7 dÕe ssÕ pace delechose cheglÕerano Õnteruenute sÕ comera delamorte delsuo fÕglÕuolo . Et fece chÕamare questo
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suo schÕauo 7 dÕseglÕ fÕglÕuolo Io mopensato dÕsta re alpÕacere dÕdÕo dÕme 7 dÕtutte lemÕe chose 7 ȸo nolle uolglÕo sapere prÕma chelle uengnano . Onde Õo tÕdÕlÕbero chettu faccÕ cÕoe chetue uoglÕ 7 delan dare 7 delostare . UdÕto questo loschÕauo chÕese com
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Õato daluÕ 7 dellÕ lÕfece dare pechunÕa ȸ Õspese 7 qu ellÕ senandoe Õnsuo paese . 7 ÕlRe rÕmase nelsuo reame ɥ NEltenpo chel Re dÕFrancÕa auea una grande gu erra chol Conte dÕfÕandra . doue ebbe tralloro due grandÕ battalglÕe dÕchampo laoue mororo moltÕ b
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uonÕ chaualÕerÕ 7 altra gente dalluna parte 7 da laltra . malepÕu uolte ÕlRe nebbe ÕlpeggÕore dela sua gente . In questo tempo due cÕechÕ stauano Õn
(82v) sulastrada adachattare lÕmosÕna ȸloro uÕta presso ala
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il segnore tennesi il piú tristo huomo del mondo e ’l piú 25
isventurato, e cominciò a trarre grandi guai, sí chome quelli che ll’avea. La gente corse a llui, e quando seppero quello che avea, tutti si chominciaro a llamentare co· ll|ui. Incontanente andaro incontro al figliuolo, il qua–
(82r) le era rechato morto da la chaccia. Quando giunsero cho|n esso, tutta la gente piangea p(er) amore del padre e del fi– gliuolo. I’lamento fue grande p(er) tutto il Reame, e a cias– chuna ne pesava asai. E cosí il fece sopellire molto ono– 5
revolemente, sí come a llui si chovenia, co· molto gran– de tristizia. Riposato alquanto questo segnore ne le sue fatiche, era uno giorno in una sua chamera, e molto pensava e dicea nel suo pensiero chome Domenedio l’avea molto visitato; e che a tutte le chose si potea dare
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quasi arghomento, salvo che a la morte: «E p(er)ò quando a te piaccia, puoi fare di me il tuo volere sicchome di tuo servo». Et in questo molto si rachonsolò e diè|ssi pace de le chose che gli erano intervenute, sí com’era de la morte del suo figliuolo. Et fece chiamare questo
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suo schiavo, e disegli: – Figliuolo, io m’ò pensato di sta– re al piacere di Dio, di me e di tutte le mie chose; e p(er)ò no· lle volglio sapere prima ch’elle vengnano. Onde io ti dilibero, che ttu facci ciòe che tue vogli, e de l’an– dare e de lo stare – Udito questo, lo schiavo chiese
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com|iato da lui, ed elli li fece dare pechunia p(er) ispese. E qu|elli se n’andoe in suo paese, e il re rimase nel suo reame. Nel tenpo che ’l re di Francia avea una grande gu|erra
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chol conte di Fiandra, dove ebbe tra lloro due grandi battalglie di champo, là ove mororo molti 25
b|uoni chavalieri e altra gente dall’una parte e da l’altra, ma le piú volte il re n’ebbe il peggiore de la sua gente; in questo tempo due ciechi stavano in
(82v) su la strada ad achattare limosina p(er) loro vita presso a la
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cÕtta dÕParÕgÕ . 7 traquestÕ due cÕechÕ era uenuta grande contenzÕone che Õntutto ÕlgÕorno ɃnɃo faceuano altro che ragÕonare del Re dÕfrancÕa 7 del Conte dÕfÕandra . lu no dÕcÕea allaltro cheddÕ Io dÕcho che Õl Re fÕa uÕncÕto
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re . 7 laltro rÕspondea 7 dÕcea anzÕ fÕa ÕlConte 7 apre sso dÕcea sara che dÕo uorra nealtro ɃnɃo rÕspondea 7 q uellÕ tutto ÕldÕe ÕlfrÕggea pure come Õl Re sarebbe uÕ ncÕtore . Uno caualÕere del Re passando ȸ quella stra da consua conpangnÕa rÕstette audÕre lachontenzÕo
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ne dÕquestÕ due cÕechÕ udÕto questo chaualÕere questa contenzÕone tornoe alachorte 7 Õn grande solazzo Õl chontoe al Re . sÕcchome questÕ due cÕechÕ chonten deano tutto ÕlgÕorno dÕluÕ 7 del Conte IlRe Õncom ÕncÕo arÕdere . 7 Inchontanente ebbe uno delasua fa
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mÕglÕa 7 mando assapere dela contenzÕone dÕquestÕ due cÕechÕ . 7 che ponesse sÕchura che rÕchonoscÕesse be ne luno dalaltro . 7 chellÕ Õntendesse bene quello che llÕ dÕceano . Ildonçello andoe 7 Õnuenne ongnÕ cosa 7 torno 7 rachonto al Re lasua anbascÕata . Allora
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ÕlRe udÕto questo mando ȸlosuo sÕnÕschalcho 7 co mandollÕ chefacesse fare due grandÕ panÕ molto bÕanchÕ 7 nelluno ɃnɃomettesse nÕente 7 nellaltro me ttesse quando fosse crudo dÕece tornesÕ doro cosÕ Õsp artÕtÕ ȸ lopane 7 quando fossero cottÕ 7 Õldonçello lÕ
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portasse aquellÕ due cÕechÕ . 7 desselÕ loro ȸamore dÕ dÕo . 7 quello douera lamoneta desse accholuÕ chedÕ cea che ÕlRe uÕncerebbe 7 laltro pane oue ɃnɃonera214 (83r) lamoneta dÕsse aquellÕ chedÕcea sara che dÕo uorra . Il donzello fece come ÕlRe lÕcomandoe Oruenne lase ra lÕcÕechÕ sÕtornarono achasa 7 quellÕ chauea auu to Õlpane doue nonera lamoneta dÕsse cholafemÕna
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A piè di pagina una mano scrisse: la moneta.
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città di Parigi. E tra questi due ciechi era venuta grande contenzione, che in tutto il giorno no(n) facevano altro che ragionare del re di Francia e del conte di Fiandra. L’u|no 5
diciea all’altro: – Che ddí? – Io dicho che il re fia vincito|re – E l’altro rispondea e dicea: – Anzi, fia il conte – E apre|sso dicea: – Sarà che Dio vorrà – Né altro no(n) rispondea. E q|uelli tutto il die il friggea pure come il re sarebbe vi|ncitore. Uno cavaliere del re, passando p(er) quella stra–
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da con sua conpangnia, ristette a udire la chontenzio– ne di questi due ciechi. Udito questo chavaliere questa contenzione, tornoe a la chorte e in grande solazzo il chontoe al re, sicchome questi due ciechi chonten– deano tutto il giorno di lui e del conte. Il re incom|inciò
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a ridere, e inchontanente ebbe uno de la sua fa– miglia, e mandò a ssapere de la contenzione di questi due ciechi, e che ponesse sí chura che richonosciesse be– ne l’uno da l’altro, e ch’elli intendesse bene quello ch’e|lli diceano. Il donçello andoe e invenne ongni cosa;
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e tornò e rachontò al re la sua anbasciata. Allora il re, udito questo, mandò p(er) lo suo sinischalcho e co– mandolli che facesse fare due grandi pani molto bianchi: e nell’uno no(n) mettesse niente, e nell’altro me|ttesse, quando fosse crudo, diece tornesi d’oro cosí
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isp|artiti p(er) lo pane; e quando fossero cotti, e il donçello li portasse a quelli due ciechi, e desseli loro p(er) amore di Dio; e quello dov’era la moneta desse a ccholui che di– cea che il re vincerebbe; e l’altro pane, ove no(n)n era
(83r) la moneta, disse215 a quelli che dicea: sarà che Dio vorrà. Il donzello fece come il re li comandoe. Or venne la se– ra, li ciechi sí tornarono a chasa, e quelli ch’avea avu– to il pane dove non era la moneta, disse cho’ la femina
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83r–1 desse.
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sua donna dacche dÕo cÕafatto bene sÕlcÕ tolglÕmo 7 cosÕ sÕmangÕarono Õlpane 7 parue loro molto bu ono . Et laltro cÕecho chauea auuto laltro dÕsse lase ra cholla femÕna sua . donna serbÕamo questo pa ne 7 nolmanÕchÕamo anzÕ ÕluendÕamo domattÕ
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na 7 auerenne parecche danarÕ 7 poscÕncÕ man gÕare delaltro cheabbÕamo achattato . lamattÕna sÕleuaro 7 cÕascheduno neuenne alluogo doue ra usato dÕstare adachattare . GÕuntÕ amendue lÕcÕ echÕ alastrada 7 ÕlcÕecho chauea mangÕato Õlsuo pa
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ne dÕsse cholafemÕna sua donna orquesto nostro ɃcɃo pangnÕo che achatta chome noÕ chonchuÕo conte ndo tutto ÕlgÕorno nonebbe ellÕ uno pane dalfamÕ glÕaro del Re altressÕ come noÕ . ella dÕsse sÕebbe orche nouaÕ alafemÕna sua 7 sappÕe senolanno mangÕato
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conperalo daloro 7 nolascÕare ȸ danarÕ . chequello chenoÕ auemo mÕparue molto buono . Ella rÕspuose 7 dÕsse orɃnɃocredÕ tu chellÕ ÕlsabbÕano sÕsaputo man gÕare chome noÕ . 7 dellÕ rÕspuose 7 dÕsse forse chenoe– anzÕ ȸ lauentura Õlsaueranno Ⱦ bato ȸauernne pa
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recche danarÕ 7 nollo aueranno ardÕto amanÕchare come uoÕ chera cosÕ grande 7 cosÕ bello 7 bÕancho lafemÕna uedendo lauolonta deluomo suo adoɃnɃe allaltra 7 domando sauea mangÕato Õlpane cha
(83v) ueano auuto ÕerÕ dalfamÕglÕare del Re 7 sellauea no sellÕ Õluoleano uendere ella dÕsse belauemo Õo sapro selconpangnÕo mÕo Õluole uendere sÕchome llÕ dÕsse ierÕ sera domandato chellebbe dÕsse chelu 5
endesse 7 noldesse ȸmeno dÕquattro parÕgÕnÕ pÕ ccÕolÕ chebene Õluale . Oruenne quella edebbe ɃcɃo perato Õlpane 7 torno alsuo huomo conesso 7 qu ando Õlseppe dÕsse benÕstae sÕaueremo Õstasera la buona cena sÕcome lauemo Õersera . Oruenne
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sua donna: – Dacché Dio ci à fatto bene, sí ’l ci tolglimo – E cosí si mangiarono il pane, e parve loro molto bu|ono. Et l’altro ciecho, ch’avea avuto l’altro, disse la se– ra cho· lla femina sua donna: – Serbiamo questo pa– ne e nol manichiamo; anzi il vendiamo domatti–
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na e averenne parecche danari, e posci[a]nci man– giare de l’altro che abbiamo achattato – La mattina si levaro, e ciascheduno ne venne al luogo dov’e|ra usato di stare ad achattare. Giunti amendue li ci|echi a la strada, e il ciecho ch’avea mangiato il suo pa–
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ne disse cho’la femina sua donna: – Or questo nostro co(m)– pangnio che achatta chome noi, chon chu’io conte|ndo tutto il giorno, non ebbe elli uno pane dal fami– gliaro del re altressí come noi? – Ella disse: – Sí, ebbe – Or ché no· vai a la femina sua? e sappie se no’l’ànno mangiato;
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conperalo da loro, e no’lasciare p(er) danari, ché quello che noi avemo mi parve molto buono – Ella rispuose, e disse: – Or no(n) credi tu ch’elli il s’abbiano sí saputo man– giare chome noi? – Ed elli rispuose, e disse: – Forse che noe; anzi, p(er) la ventura il s’averanno s(er)bato p(er) avernne pa–
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recche danari, e no· llo averanno ardito a manichare come voi, ch’era cosí grande e cosí bello e biancho – La femina, vedendo la volontà de l’uomo suo, a[n]don(n)e all’altra e domandò s’avea mangiato il pane ch’a–
(83v) veano avuto ieri dal famigliare del re, e se ll’avea– no, s’elli il voleano vendere. Ella disse: – Be’l’avemo; io saprò se ’l conpangnio mio il vole vendere, sí chom’e|lli disse ieri sera – Domandato che ll’ebbe, disse che ’l v|en– 5
desse, e nol desse p(er) meno di quattro parigini pi|ccioli, che bene il vale. Or venne quella ed ebbe co(m)– perato il pane, e tornò al suo huomo con esso, e qu|ando il seppe, disse: – Ben istàe, sí averemo istasera la buona cena, sí come l’avemo iersera – Or venne
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7 passo ÕlgÕorno tornarsÕ achasa 7 questÕ chaue a conperato Õlpane dÕsse donna cenÕamo 7 que lla quando comÕncÕoe adafettare Õlpane cholco ltello alaprÕma fetta chadde Õnsuldescho uno to rnese doro 7 uÕene afettando adognÕ fetta ne
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chadea uno . Il cÕecho udendo cÕo domando che era quello cheglÕ udÕa sonare 7 della lÕdÕsse Õlfa tto 7 quellÕ ledÕsse orpure afetta mentre chetÕdÕ ce buono . dÕce chebbe tanto afettato 7 afetta afe tta cÕerchato 7 cosÕ uÕtrouo entre ÕdÕece tornesÕ de
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lloro che ÕlRe uauea fatto mettere . Allora dÕce chefu e ÕlpÕue alegro huomo delmondo . Et dÕsse donna an chora dÕchÕo lauerÕta che sara quello che dÕo uorra ne altro puote essere che uedÕ che questo nostro amÕcho tutto ÕlgÕorno chontende mecho 7 dÕce pure chome
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ÕlRe sara uÕncÕtore . 7 Io lÕdÕcho chesara che ÕdÕo u orra questo pane conquestÕ fÕorÕnÕ douea essere no stro 7 tuttÕ quellÕ delmondo nolcÕpoteano torre 7 cÕo fue come ÕdÕo uolle . orlÕrÕpuosero 7 lamattÕna sÕleu
(84r) aro ȸ andare aracchontare lanouella alconpagnÕ one . Et ÕlRe UÕmando lamattÕna ȸtempo ȸsapere chÕauea auuto Õlpane douera Õssuta lamoneta Õnȸo chelaltro gÕorno dÕnanzÕ ɃnɃo naueano dÕcÕo ragÕona 5
to ÕnȸcÕo che nollaueano anchora mangÕato neluno nelaltro OrÕstaua questo famÕglÕare del Re naschosto daulato accÕo chelefemÕne decÕechÕ noluedessero . Or gÕunsero amendue lÕcÕecchÕ la oue erano usÕ dÕstare Õ lgÕorno . Et quellÕ chauea comperato Õlpane chomÕn
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cÕo adÕre cholaltro 7 chÕamarlo ȸnome anchora dÕch oÕo chesara chedÕo uorra . Io chonȸaÕ ÕerÕ uno pane chemÕ costo quatro parÕgÕnÕ pÕccÕolÕ etrouauÕ en tro quandÕo Õlfacea partÕre dÕce buonÕ tornesÕ do ro 7 cosÕ ebbÕ labuona cena 7 aueroe Õlbuno anno
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e passò il giorno; tornârsi a chasa, e questi ch’ave|a conperato il pane disse: – Donna, ceniamo –; e que|lla, quando comincioe ad afettare il pane chol co|ltello, a la prima fetta chadde in sul descho uno to– rnese d’oro: e viene afettando, ad ogni fetta ne
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chadea uno. Il ciecho, udendo ciò, domandò che era quello ch’egli udia sonare, ed ella li disse il fa|tto; e quelli le disse: – Or pure afetta; mentre che ti di– ce buono! – Dice ch’ebbe tanto afettato, e a fetta a fe|tta cierchato, e cosí vi trovò entre i diece tornesi
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de|ll’oro che il re v’avea fatto mettere. Allora dice che fu|e il piue alegro huomo del mondo, et disse: – Donna, an– chora dich’io la verità: che sarà quello che Dio vorrà, né altro puote essere; ché vedi che questo nostro amicho tutto il giorno chontende mecho, e dice pure chome
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il re sarà vincitore, e io li dicho che sarà che Idio v|orrà. Questo pane con questi fiorini dovea essere no– stro, e tutti quelli del mondo nol ci poteano tòrre, e ciò fue come Idio volle – Or li ripuosero, e la mattina si lev|a–
(84r) ro p(er) andare a racchontare la novella al conpagni|one. Et il re vi mandò la mattina p(er) tempo p(er) sapere chi avea avuto il pane dov’era issuta la moneta, inp(er)ò che l’altro giorno dinanzi no(n) n’aveano di ciò ragiona– 5
to, inp(er)ciò che no· ll’aveano anchora mangiato né l’uno né l’altro. Or istava questo famigliare del re naschosto da u’lato, acciò che le femine de’ciechi nol vedessero. Or giunsero amendue li ciecchi là ove erano usi di stare i|l giorno. Et quelli ch’avea comperato il pane chomin–
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ciò a dire chol’altro, e chiamarlo p(er) nome: – Anchora dich|o io che sarà che Dio vorrà. Io chonp(er)ai ieri uno pane che mi costò quatro parigini piccioli, e tròvavi en– tro, quand’io il facea partire, dice buoni tornesi d’o|ro; e cosí ebbi la buona cena, e averoe il buno anno –
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UdÕto questo Õlcompagnone chauea auuto eglÕ prÕ ma quello pane 7 nol seppe partÕre 7 uolenne a nzÕ quatro paregÕnÕ pÕccÕolÕ tornesÕ . tenesÕ morto 7 dÕsse chenouolea pÕu chontendere colluÕ checcÕo che dÕcea era lauerÕta chesara che ÕdÕo uorra UdÕ
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to questo ÕlfamÕglÕaro del Re Õnchontanente torno alachorte 7 rachonto alsuo segnÕore lasua ambascÕ ata sÕ chome lÕdue cÕechÕ aueano ragÕonato ÕnsÕe me delpane chaueano auuto dal Re . Allora Õlseng nore mando ȸloro 7 fecesÕ dÕre tutto Õlfatto acque
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stÕ due cÕechÕ 7 come aueano auuto cÕascuno Õlsuo p ane dalsuo famÕglÕaro 7 chome luno auea uendu to Õlsuo allaltro conpagno 7 comellÕ uauea troua to entro lamoneta 7 lacontenzÕone chefaceuano
(84v) ÕnprÕma tra amendue tutto ÕlgÕorno 7 come quellÕ che dÕcea chel Re sarebbe uÕncÕttore nonebbe poÕ lamon eta . AnzzÕ lebbe quellÕ chedÕcea sara che ÕdÕo uorra . Et udÕto ÕlRe questo fatto dadue cÕechÕ fecelÕ achomÕa 5
tare . 7 poÕ netenne grande solazzo cosuoÕ baronÕ . 7 chaualÕerÕ . EdÕcea ueramente quello cÕecho dÕce la uerÕta esara che ÕdÕo uorra 7 tutta la gÕente delmɃo ndo nolpotrebbe rÕmuouere nÕente . Et chosÕ . e questo uno bello asempro ɥ
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UNo gÕorno la ReÕna del Re dÕchastello ȸsuoÕ gran dÕ bÕsognÕ mandaua unsuo chaualÕere Õnuno luo gho molto cÕelato sanza neunaltra compagnÕa 7 co sÕ tutto solo Õnsununo molto buono palafreno . Cau alchando questo chaualÕere molto tostamente ȸuna
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grande foresta tanto quanto Õlpalafreno Õlnepotea portare . Ora uenne sÕcchome lefortune Õnchontrano altruÕ . alualÕchare duna fossa Õlpalafreno cadde sot to alchaualÕere ÕnsÕ forte punto che gÕa nol potea rÕauere . AuegnÕa ÕdÕo che dellÕ ȸse nonauea auuto
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Udito questo, il compagnone ch’avea avuto egli pri– ma quello pane e nol seppe partire, e vòlenne a|nzi quatro paregini piccioli tornesi, tenesi morto, e disse che no· volea piú chontendere co· llui; che cciò che dicea era la verità: che sarà che Idio vorrà. Udi–
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to questo, il famigliaro del re inchontanente tornò a la chorte e rachontò al suo segniore la sua ambasci|ata, sichome li due ciechi aveano ragionato insie– me del pane ch’aveano avuto dal Re. Allora il seng|nore mandò p(er) loro, e fecesi dire tutto il fatto a cque–
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sti due ciechi: e come aveano avuto ciascuno il suo p|ane dal suo famigliaro, e chome l’uno avea vendu– to il suo all’altro conpagno, e com’elli v’avea trova– to entro la moneta, e la contenzione che facevano
(84v) inprima tra amendue tutto il giorno, e come quelli che dicea che’l re sarebbe vincittore non ebbe poi la mon|eta; anzzi, l’ebbe quelli che dicea: sarà che Idio vorrà. Et udito il re questo fatto da’ due ciechi, feceli achomia– 5
tare, e poi ne tenne grande solazzo co’suoi baroni e chavalieri. E dicea: – Veramente quello ciecho dice la verità: e sarà che Idio vorrà, e tutta la giente del mo|ndo nol potrebbe rimuovere niente – Et chosí è questo uno bello asempro.
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Uno giorno la reina del Re di Chastello, p(er) suoi gran–
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di bisogni, mandava un suo chavaliere in uno luo– gho molto cielato sanza neun’altra compagnia, e co– sí tutto solo, in sun uno molto buono palafreno. Cav|alchando questo chavaliere molto tostamente p(er) una 15
grande foresta, tanto quanto il palafreno il ne potea portare, or avenne, sicchome le fortune inchontrano altrui, al valichare d’una fossa il palafreno cadde sot– to al chavaliere in sí forte punto, che già nol potea riavere; avegnia Idio ched elli, p(er) sé, non avea avuto
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ÕmpedÕmento dÕsua ȸsona . Ora prochaccÕaua Õlme glÕo chepotea dÕrÕauere questo suo palafreno cosÕ tu tto solo . nonera neente dÕpoterlo trarre delafossa– neȸsona nouedea ne dalungÕ nedapresso dachuellÕ potesse auere alchuno socchorso . sÕche Õnfrasse mede
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sÕmo auea molta grande Õra che ɃnɃo sapea chessÕ fare anzÕ auea Õnse molta manÕchonÕa . Ora uenne sÕ chome leuenture uanno 7 uenghono . IlgÕouane Re dÕnghÕ
(85r) terra sÕ era Õnquelle partÕ achaccÕare Õnsununo gro sso palafreno 7 andando dÕetro auna grande CÕerbÕa era tanto trasandato chera rÕmaso tutto solo sanza neuna compagnÕa . Orsabetteo aquesto caualÕere del 5
aReÕna . 7 quellÕ quando ÕluÕdde Õlconosceo ma era tanto Õlsuo bÕsognÕo che sÕnfÕsse dÕɃnɃo conoscerlo chÕ amollo molto dÕlungÕ 7 dÕsse ChaualÕere ȸdÕo uÕe nÕ tosto 7 pÕaccÕatÕ datarmÕ rÕauere questo mÕo palafreno cheme caduto Õnquesta fossa ÕnȸcÕo chÕo
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andaua ȸ grande bÕsogno ÕnȾuÕgÕo delamÕa don na . EÕl Re fue gÕunto 7 dÕsse caualÕere 7 aqual do nna setu . 7 ellÕ rÕspuose caualÕere sono ala ReÕna del Re dÕchastello . allora ÕscÕese delpalafreno sÕcho me quellÕ chera ÕlpÕu cortese sengnÕore delmɃodo
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7 dÕsse oruedÕ sÕre caualÕere Õo cÕsono comÕa cho mpagnÕa achaccÕare 7 ȸo tÕpÕaccÕa dÕtorre ÕlmÕo palafreno che altresÕ buono chome Õltuo . bene ua lea tre . 7 Õo cholÕmÕeÕ compagnÕ sÕprochaccero dÕrÕ auere Õltuo 7 tuttÕ andraÕ ȸlÕbÕsongnÕ dÕtua do
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nna . IlchaualÕere sÕuerghongnÕaua 7 ɃnɃo sapea che ssÕ fare 7 torre Õlpalafreno al Re sÕ era granuÕllan Õa dÕcea Õo ɃnɃo uoglÕo uostro palafreno . chegÕa fareÕ grande oltraggÕo Õl Re lÕlÕpure proferea 7 assaÕ lÕ
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impedimento di sua p(er)sona. Ora prochacciava il me– glio che potea di riavere questo suo palafreno cosí tu|tto solo: non era neente di poterlo trarre de la fossa; né p(er)sona no· vedea, né da lungi né da presso, da chu’elli potesse avere alchuno socchorso; sí che infra ssé mede–
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simo avea molta grande ira, ché no(n) sapea che ssi fare, anzi avea in sé molta manichonia. Or avenne, sichome le venture vanno e venghono, il Giovane Re d’Inghi–
(85r) terra si era in quelle parti a chacciare in sun uno gro|sso palafreno, e andando dietro a una grande cierbia, era tanto trasandato, ch’era rimaso tutto solo sanza neuna compagnia. Or s’abetteo216 a questo cavaliere de 5
l|a reina; e quelli, quando il vidde, il conosceo; ma era tanto il suo bisognio che s’infisse di no(n) conoscerlo. Chi|amollo molto di lungi, e disse: – Chavaliere, p(er) Dio, vie– ni tosto! e piacciati d’atarmi riavere questo mio palafreno che m’è caduto in questa fossa, inp(er)ciò ch’io
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andava p(er) grande bisogno in s(er)vigio de la mia don|na – E il Re fue giunto, e disse: – Cavaliere, e a qual do|nna sè tu? – E elli rispuose: – Cavaliere, sono a la reina del re di Chastello – Allora isciese del palafreno, sí cho– me quelli ch’era il piú cortese sengniore del mo(n)do,
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e disse: – Or vedi, sire cavaliere, io ci sono co· mia cho|mpagnia a chacciare, e p(er)ò ti piaccia di tòrre il mio palafreno ch’è altresí buono chome il tuo, bene va– le a tre; e io cho’ li miei compagni sí prochaccerò di ri– avere il tuo, e tu tti andrai p(er) li bisongni di tua
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do|nna – Il chavaliere si verghongniava e no(n) sapea che ssi fare, e tòrre il palafreno al Re sí era gran villan|ía; dicea: – Io no(n) voglio vostro palafreno, ché già farei grande oltraggio – Il Re li li pure proferea e assai li
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85r–4 abatteo.
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dÕcea che ȸamore dÕchauallerÕa eglÕ douesse torre 25
nonera neente chellÕ Õluolesse ElchaualÕere Õlpur preghaua molto uerghonosa mente chellÕ glÕata sse dÕrÕauere Õlsuo . Allora anbondue Õntraro nelafo ssa 7 ualentre mentre lataua Õl Re sÕcome efosse u
(85v) no UÕllano . Ornonera neente che trarre lonepotesse ro 7 cosÕ ɃnɃo sapeano chesÕ fare IlchaualÕere pure sÕ ramarÕ caua Õnse medesÕmo . sÕchome quellÕ chera – ȸ laltruÕ seruÕgÕo espezÕalmente ȸlasua donna cÕoe 5
ra la ReÕna . gente neuna ɃnɃouarÕuaua ÕlRe assaÕ lÕproferea Õlsuo palafreno ɃnɃo nera neente cheglÕ Õlu olesse torre 7 cÕerto dÕcÕo efacea bene chonoscÕendo cheglÕera ÕlnobÕle Re gÕouannɬ dÕnghÕlterra 7 dÕ cea Õnsuo chuore ueramente sequestÕ fosse uno caual
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Õere oÕo ɃnɃo conoscesse bene auereÕ ardÕmento dÕtor relÕ Õlsuo palafreno . 7 lascÕarlÕ ÕlmÕo 7 andare ȸlÕ mÕeÕ bÕsognÕ . Uedendo ÕlRe chesÕ pure ramarÕcha ua teneasÕ morto . chenol potea atare chomellÕ uole a . DÕsselÕ sÕre chaualÕere che uuollÕ tu fare tu ɃnɃo uog
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lÕ ÕlmÕo palafreno 7 lascÕare Õltuo chome Õo to detto ȸ adÕetro Õo to atato quanto opotuto sÕchÕo ɃnɃoso chÕ o mÕtÕpossa pÕu atare quÕ ɃnɃoarrÕua nedÕmÕa gente nedaltra . Eȸo quÕ ɃnɃona macheuno compenso chom ÕncÕa apÕangÕere eÕo pÕangÕeroe contecho ÕnsÕeme
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UdÕto questo ÕlcaualÕere ɃnɃo sapea chessÕ dÕre ne chesÕfa re dÕcea pure certo Meɀ Õo ȸtutto Õlmondo chÕ cheuoÕ sÕate Õo nouÕ fareÕ sÕgrande uÕllanÕa chome questa sareb be . IlRe molto nera allegro 7 molto sÕne contentaua– chellÕ ÕltoglÕsse 7 dÕsse dache ɃnɃo uoglÕ fare cho mÕo to
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detto sÕttÕ faro tanta compagnÕa che quale che aÕuto cÕdara Õlnostro segnÕore domenedÕo . IlchaualÕere chara mente ÕlrÕngrazÕaua 7 preghaualo cheɃnɃo dÕmorasse– pÕu . Õnȸo chemolto lÕpesaua dÕluÕ cheglÕ lÕauea fatto
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dicea che, p(er) amore di chavalleria, egli dovesse tòrre: 25
non era neente ch’elli il volesse. El chavaliere il pur preghava molto verghonosamente ch’elli gli ata|sse di riavere il suo. Allora anbondue intraro ne la fo|ssa, e valentrementre l’atava il Re, sicome e’ fosse u|no
(85v) villano. Or non era neente che trarre lo ne potesse– ro, e cosí no(n) sapeano che si fare. Il chavaliere pure si ramaricava in sé medesimo, sí chome quelli ch’era p(er) l’altrui servigio, e spezialmente p(er) la sua donna: ciò 5
e|ra la reina. Gente neuna no(n) v’arivava. Il Re assai li proferea il suo palafreno, no(n) n’era neente ch’egli il v|olesse tòrre; e cierto di ciò e’ facea bene, chonosciendo ch’egli era il nobile Re Giovanni d’Inghilterra, e di– cea in suo chuore: «Veramente, se questi fosse uno cava–
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l|iere o io no(n) conoscesse, bene averei ardimento di tòr– reli il suo palafreno e lasciarli il mio, e andare p(er) li miei bisogni». Vedendo il Re che si pure ramaricha– va, teneasi morto che nol potea atare chom’elli vole|a. Disseli: – Sire chavaliere, che vuolli tu fare? tu no(n) vog|li
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il mio palafreno e lasciare il tuo, chome io t’ò detto p(er) adietro. Io t’ò atato quanto ò potuto, sí ch’io no(n) so ch’i|o mi ti possa piú atare: qui no(n) arriva né di mia gente né d’altra, e p(er)ò qui no(n)n à ma che uno compenso, chom|incia a piangiere e io piangieroe con techo insieme –
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Udito questo, il cavaliere no(n) sapea che ssi dire né che si fa– re. Dicea pure: – Certo, mess(er), io p(er) tutto il mondo, chi che voi siate, io no· vi farei sí grande villanía chome questa sareb|be – Il Re molto n’era allegro, e molto si ne contentava ch’elli il toglisse, e disse: – Da che no(n) vogli fare chom’io t’ò
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detto, sí tti farò tanta compagnia, che qualeche aiuto ci darà il Nostro Segniore Domenedio – Il chavaliere chara– mente il ringraziava e preghavalo che no(n) dimorasse piú, inp(er)ò che molto li pesava di lui, ch’egli li avea fatto
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(86r) tanto seruÕgÕo . ElRe lÕrÕspuose oruedÕ ɃnɃone Õncresca pÕue ame che atte Õnȸo chÕo dÕmorro quÕ techo tanto chenosÕa nero chedemÕeÕ compangnÕ qual chessÕa ɃnɃo ncÕ arrÕuÕ . Istanto Õnqueste parole certÕ suoÕ chaualÕerÕ 5
7 donçellÕ 7 altrÕ della famÕglÕa dÕquesto Re landa uano caendo oruenne come leuenture sono Õltroua rono colchaualÕere Õstare Õnquella chontenzÕone . IlRe lÕchÕamo 7 que quando ÕluÕdero tennersÕ allora cor sero Õnchontanente la douellÕ era eataro alchaualÕere
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tanto chetrassero questo palafreno delafossa . 7 dÕcÕo– rÕngrazÕo molto ÕlRe 7 lasua compagnÕa . 7 uÕa ȸ lo camÕno consuo palafreno ȸlÕsuoÕ bÕsognÕ ÕlmeglÕo chepoteo . IlRe sÕrÕtorno colasua compagnÕa alme stÕere delachaccÕa . El chaualÕere fatto Õlsuo chamÕ
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no 7 labÕsognÕa ȸlaquale era Õto . RÕtorno allasua no bÕle ReÕna . 7 rachontolle lasua ambascÕata 7 apresso lagrande auentura cheglÕera Õnchontrata delsuo pa lafreno elgrande seruÕgÕo chelgÕouane Re dÕnghÕl terra lÕauea fatto . laReÕna pue uolte lÕfece rachon
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tare 7 gÕa ɃnɃosÕpotea sazÕare dudÕre lenobÕlÕta 7 lecho rtesÕe delgÕouane Re dÕnghÕlterra 7 molto Õlodaua sÕchomellÕera ÕlpÕu cortese segnore delmondo ɥ ADuno tenpo era uno santo romÕto andando eglÕ ȸ una grande selua sÕtrouo una grandÕssÕma grotta
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laquale era molto alta . elromÕto sÕandaua ȸ rÕposar sÕ Õnȸo chera molto afatÕchato . Come egÕunse alagrotta sÕllauÕde Õncerto luogho molto tralucere ÕnȸcÕo cheu
(86v) auea molto oro . sÕtosto come Õlconobbe Õnchontanente sÕpartÕo 7 chomÕncÕo molto achorrere ȸlodÕserto quɃato ene potea andare . Correndo cosÕ questo santo romÕto sÕsÕntoppo Õntre grandÕ scheranÕ lÕqualÕ stauano Õnquello
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(86r) tanto servigio. E ’l Re li rispuose: – Or vedi no(n) ne incresca piue a me che a tte, inp(er)ò ch’io dimorrò qui techo tanto che no· sia nero, che de’ miei compangni, qual che ssia, no(n) ci arrivi – Istanto217 in queste parole, certi suoi chavalieri 5
e donçelli, e altri della famiglia di questo Re, l’anda– vano caendo. Or venne, come le venture sono, il trova– rono col chavaliere istare in quella chontenzione. Il Re li chiamò e que’, quando il videro, tennersi. Allora cor– sero inchontanente là dov’elli era, e ataro al chavaliere
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tanto che trassero questo palafreno de la fossa. E di ciò ringraziò molto il Re e la sua compagnia, e via p(er) lo camino con’ suo palafreno p(er) li suoi bisogni il meglio che poteo. Il Re sí ritornò co la sua compagnia al me– stiere de la chaccia; e ’l chavaliere, fatto il suo chami–
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no e la bisognia p(er) la quale era ito, ritornò alla sua no– bile reina: e rachontolle la sua ambasciata, e apresso la grande aventura che gli era inchontrata del suo pa– lafreno, e ’l grande servigio che’l Giovane Re d’Inghil– terra li avea fatto. La reina pue volte li fece rachon–
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tare, e già no(n) si potea saziare d’udire le nobilità e le cho|rtesie del Giovane Re d’Inghilterra, e molto i’ lodava sichom’elli era il piú cortese segnore del mondo. Ad uno tenpo era uno santo romito, andando egli p(er)
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una grande selva, sí trovò una grandissima grotta 25
la quale era molto alta: e ’l romito sí andava p(er) riposar– si, inp(er)ò ch’era molto afatichato. Come e’ giunse a la grotta, sí lla vide in certo luogho molto tralucere, inp(er)ciò che
(86v) v’|avea molto oro; sí tosto come il conobbe, inchontanente si partio, e chominciò molto a chorrere p(er) lo diserto qua(n)to e’ ne potea andare. Correndo cosí questo santo romito, sí s’intoppò in tre grandi scherani, li quali stavano in quello
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86r–4 Istando.
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grande dÕserto ȸ rubare chÕunque uÕpassaua egÕamaÕ costoro ɃnɃoserano acortÕ chequesto oro uÕfosse . Uedendo co storo ÕqualÕ stauano naschosÕ fuggÕre cosÕ questo santo romÕto 7 nonauendo dÕetro ȸsona chel chaccÕasse alqua nto ebbero temença ma eransÕ naschosÕ ȸ pÕglÕallo ora
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lÕsÕpararono dÕnanzÕ ȸsapere ȸche fuggÕa 7 dÕcÕo mol to sÕmarauÕglÕauano . EdellÕ rÕspuose 7 dÕsse fratellÕ m ÕeÕ . Io fuggho lamorte chemÕ uÕene dÕetro chaccÕandomÕ Que nouedendo ne huomo nebestÕa cheÕlcacÕasse dÕssero mostracÕ chÕttÕ chaccÕa 7 menacÕ chola doue eglÕe . Allo
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ra Õlsanto romÕto dÕsse loro uenÕte mecho 7 mosterroll auÕ preghandolÕ tutta uÕa che ɃnɃonandasero adessa Õnȸ cÕo chellÕ ȸse lafuggÕa . EdeglÕno pur uolendola troua re ȸuedere come fosse fatta nol domandauano daltro.– El romÕto uedendo chenopotea pÕu 7 auendo paura
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dÕloro chondusselÕ alagrotta ondellÕ sera partÕto 7 dÕsse loro quÕ elamorte chemÕ chaccÕaua 7 mostroloro loro che uera 7 deglÕno Õconobero Õncontanente 7 molto sÕcho mÕncÕarono arallegrare 7 affare ÕnsÕeme grande sollazz o . allora achomÕataro questo santo RomÕto . 7 quellÕ sena
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ndoe ȸlÕfattÕ suoÕ 7 que chomÕncÕarono adÕre Õntraloro chomellÕ era senpÕce ȸsona . RÕmasero questÕ ÕscheranÕ tuttÕ etre ÕnsÕeme aguardare questo auere ÕncomÕncÕ arono aragÕonare quello che uoleano fare luno rÕspuo
(87r) se 7 dÕsse ame pare dacche dÕo cÕadata cosÕ alta uen tura chenoÕ ɃnɃocÕ partÕamo dÕquÕ ÕnfÕno atanto chenoÕ nonne portÕamo tutto questo auere Et laltro dÕsse ɃnɃo faccÕamo cosÕ luno dÕnoÕ netolgha alquanto 7 uada ala 5
cÕttade 7 uendalo 7 rechÕ delpane 7 deluÕno 7 dÕqu ello checcÕ bÕsognÕa 7 dÕcÕo sÕngÕengnÕ ÕlmeglÕo chep uote faccÕa eglÕ purchomellÕ cÕfornÕscha . Aquesto sacho rdarono tuttÕ etre ÕnsÕeme . luno prese dÕquesta moneta quanto lÕparue alluÕ 7 acompangnÕ 7 andonne uerso
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grande diserto p(er) rubare chiunque vi passava, e giamai costoro no(n) s’erano acorti che questo oro vi fosse. Vedendo co– storo, i quali stavano naschosi, fuggire cosí questo santo romito, e non avendo dietro p(er)sona che ’l chacciasse, al qua|nto ebbero temença, ma eransi naschosi p(er) pigliallo. Ora
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li si pararono dinanzi p(er) sapere p(er)ché fuggia, e di ciò mol– to si maravigliavano. Ed elli rispuose, e disse: – Fratelli m|iei, io fuggho la morte che mi viene dietro chacciandomi – Que’, no’ vedendo né huomo né bestia che il caciasse, dissero: – Mostraci chi tti chaccia e menaci cholà dove egli è – Allo|ra
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il santo romito disse loro: – Venite mecho, e mosterròll|avi –; preghandoli tuttavia che no(n)n andasero ad essa, inp(er)– ciò ch’elli p(er) sé la fuggia. Ed eglino pur volendola trova– re p(er) vedere come fosse fatta, nol domandavano d’altro. El romito, vedendo che no’ potea piú, e avendo paura
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di loro, chondusseli a la grotta ond’elli s’era partito, e disse loro: – Qui è la morte che mi chacciava –; e mostrò loro l’oro che v’era. Ed eglino i’ conobero incontanente, e molto si cho– minciarono a rallegrare e a ffare insieme grande sollazz|o. Allora achomiataro questo santo romito, e quelli se
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n’a|ndoe p(er) li fatti suoi, e que’ chominciarono a dire intra loro chom’elli era senpice p(er)sona. Rimasero questi ischerani tutti e tre insieme a guardare questo avere; incominci|a– rono a ragionare quello che voleano fare. L’uno rispuo–
(87r) se, e disse: – A me pare, dacché Dio ci à data cosí alta ven– tura, che noi no(n) ci partiamo di qui infino a tanto che noi non ne portiamo tutto questo avere – Et l’altro disse: – No(n), facciamo cosí: l’uno di noi ne tolgha alquanto, e vada a la 5
cittade e vendalo, e rechi del pane e del vino e di qu|ello che cci bisognia, e di ciò s’ingiengni il meglio che p|uote, faccia egli pur chom’elli ci fornischa – A questo s’acho|r– darono tutti e tre insieme. L’uno prese di questa moneta quanto li parve a llui e a’ compangni, e andonne verso
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lacÕttade ȸ fornÕre se 7 suoÕ conpagnÕ . IldomonÕo eÕn gÕengnÕoso 7 reo dordÕnare dÕfare quanto male epuote mÕse Õn chuore achostuÕ che andaua alacÕtta ȸlo fornÕ mento dacchÕo saro nelacÕttade dÕcea frase medesÕmo Õo uoglÕo mangÕare 7 bere quanto mÕbÕsongnÕa 7 poÕ
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fornÕrmÕ dÕcerte cose delequalÕ Õo mestÕere ora alprese nte 7 poÕ auelenero quello chÕo porto amÕeÕ conpan gnÕ sÕche dacchellÕ saranno mortÕ amendue sÕsaro e poÕ segnore dÕtutto quello auere 7 sechondo chemÕ pare eglÕ e tanto chÕo saro poÕ ÕlpÕu rÕccho huomo dÕtutto questo
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paese daparte dauere . Et chome lÕuenne ÕnpensÕere chosÕ fece . prese uÕuanda ȸse quanta lÕfu bÕsognÕo 7 poÕ tutta laltra auelenoe 7 cosÕe laportoe aquestÕ suoÕ con pagnÕ . Intanto chandoe alacÕttade sÕcome detto auem o sellÕ pensoe 7 ordÕno male ȸuccÕdere lÕsuoÕ conpagnÕ
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accÕo che ongnÕ chosa lÕrÕmanesse EquellÕ pensaro dÕ luÕ ɃnɃopeggÕo chellÕ dÕloro . Et dÕssero Õntralloro sÕtosto cho me questo nostro compagnÕo tornerae cholpane 7 chol uÕno 7 cholaltre cose checcÕ bÕsognÕano sÕllo uccÕdere
(87v) mo 7 poÕ mangeremo quanto uoremo 7 sara poÕ tranoÕ due tutto questo grande auere 7 chome meno partÕ ne faremo tanto naueremo maggÕore parte cÕaschuno dÕ noÕ . Oruenne quellÕ chera Õto alacÕttade aconperare le 5
cose chebÕsognaua loro tornato asuoÕ compangnÕ . Incho ntanente chel uÕdero lÕfurono adosso cholle lancÕe 7 cho lle coltella 7 cosÕ lucÕsero . Dache lebbero morto mangÕa rono dÕquello cheglÕauea rechato 7 sÕtosto chome furo no satollÕ amendue chaddero mortÕ 7 cosÕ morÕro tuttÕ
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etre chelluno uccÕse laltro sÕcome udÕto auete 7 neuno ebbe lauere 7 cosÕ pagha domenedÕo lÕtradÕtorÕ cheglÕ andaro chaendo lamorte 7 Õnquesto modo latrouaro El santo romÕto lafuggÕo cÕoe lamorte dellanÕma . Et cosÕ ue ggÕamo apertamente che apÕu lauere molto grande ela
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la cittade p(er) fornire sé e suoi conpagni. Il domonio è in– giengnioso e reo d’ordinare di fare quanto male e’ puote: mise in chuore a chostui che andava a la citta p(er) lo forni– mento: «Dacch’io sarò ne la cittade – dicea fra sé medesimo – io voglio mangiare e bere quanto mi bisongnia, e poi
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fornirmi di certe cose de le quali i’ò mestiere ora al prese|nte; e poi avelenerò quello ch’io porto a’ miei conpan|gni, sí che, dacch’elli saranno morti amendue, sí saroe poi segnore di tutto quello avere; e sechondo che mi pare egli è tanto, ch’io sarò poi il piú riccho huomo di tutto questo
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paese da parte d’avere». Et chome li venne in pensiere, chosí fece: prese vivanda p(er) sé quanta li fu bisognio, e poi tutta l’altra avelenoe; e cosie la portoe a questi suoi con– pagni. Intanto ch’andoe a la cittade, sí come detto avem|o, s’elli pensoe e ordinò male p(er) uccidere li suoi conpagni,
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acciò che ongni chosa li rimanesse. E quelli pensaro di lui no(n) peggio ch’elli di loro, et dissero intra lloro: – Sí tosto cho|me questo nostro compagnio tornerae chol pane e chol vino e cho’ l’altre cose che cci bisogniano, sí llo uccidere–
(87v) mo e poi mangeremo quanto voremo, e sarà poi tra noi due tutto questo grande avere: e chome meno parti ne faremo, tanto n’averemo maggiore parte ciaschuno di noi – Or venne quelli ch’era ito a la cittade a conperare le 5
cose che bisognava loro; tornato a’ suoi compangni, incho|ntanente che ’l videro li furono a dosso cholle lancie e cho|lle coltella: e cosí l’ucisero. Da che l’ebbero morto, mangia– rono di quello ch’egli avea rechato, e sí tosto chome furo– no satolli amendue, chaddero morti: e cosí moriro tutti
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e tre, ché ll’uno uccise l’altro, sí come udito avete, e neuno ebbe l’avere. E cosí pagha Domenedio li traditori, ch’egli andaro chaendo la morte e in questo modo la trovaro; e ’l santo romito la fuggio: cioè la morte dell’anima. Et cosí ve|ggiamo apertamente che a’piú l’avere molto grande è la
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morte dellanÕma delluomo ede lauollero 7 cosÕ leb bero sÕchomellÕno nerano dengnÕ ɥ IN chostantÕnopolÕ sÕauea antÕchamente una grande pÕazza dÕfuorÕ dallacÕttade nelaquale pÕazza sÕauea apÕcchata una chanpana . laquale nolasonaua alchuno
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seno achuÕ fosse fatto grande torto oÕnauere oÕnperso na dattale dÕ chuÕellÕ ɃnɃo sÕpotesse atare 7 quella chota le chanpana sonauano quechotalÕ achuÕ era fatta long ulÕa 7 ɃnɃo neuna altra ȸsona . Et nella detta pÕazza sta ua uno gudÕce ȸ lochomune della detta cÕttade chon
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certa famÕglÕa 7 ɃnɃonauea adattendere adaltro seɃnɃo a lofÕcÕo della canpana . Questa canpana uera Õstata sÕlun gho tempo alacqua 7 aluento chelafune era tutta ue
(88r) nuta meno 7 ȸ necessÕta uera apÕcchata una uÕta lba . Inquella cÕttade sÕaueua uno nobÕle 7 grande chaualÕere molto rÕcchÕo . 7 Auea uno suo destrÕere Õlquale era molto uecchÕo sÕche ȸ lauecchezza ɃnɃosÕ 5
potea pÕu chaualchare 7 dellÕ noluolea fare scho rtÕchare seprÕma ɃnɃo morÕsse dÕsua molte nefare uccÕ dere . 7 laltra chenonera cosa dadonarlo altruÕ . fece lÕ trarre Õlfreno 7 ÕlcauÕccÕule 7 leuarlÕ lasella . 7 chomando afantÕ suoÕ chelandasero fuorÕ dellasta
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lla che sÕandasse aprochaccÕare dÕsua uÕta chellÕ ȸse nollÕ uolea fardare pÕu mangÕare dacche ɃnɃosÕpot ea chaualchare ne adoperare aglÕaltrÕ suoÕ bÕsognÕ . IfantÕ fecero sÕcome fue loro comandato . Oruenne questo destrÕere 7 andando ȸ lepratora pÕglÕando
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sua uÕta . Oruenne sÕchome leuenture uanno 7 arÕuo e aquesta chanpana 7 ȸlagrande fame pÕglÕo questa uÕtalba ȸ rodere ȸ pÕglÕare sua uÕta . lacanpana sono
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morte dell’anima dell’uomo: ed e’ la vollero, e cosí l’eb– bero, sí chom’ellino n’erano dengni. In Chostantinopoli si avea antichamente una grande
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piazza di fuori dalla cittade, ne la quale piazza si avea apicchata una chanpana, la quale no’ la sonava alchuno 20
se no’ a chui fosse fatto grande torto, o in avere o in perso– na, da ttale di chui elli no(n) si potesse atare; e quella chota– le chanpana sonavano que’ chotali a chui era fatta long|ulia218, e no(n) neuna altra p(er)sona. Et nella detta piazza sta– va uno g[i]udice p(er) lo Chomune della detta cittade chon
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certa famiglia, e no(n) n’avea ad attendere ad altro se no(n) a l’oficio della canpana. Questa canpana v’era istata sí lun– gho tempo a l’acqua e al vento che la fune era tutta ve–
(88r) nuta meno, e p(er) necessità v’era apicchata una vita|lba. In quella cittade si aveva uno nobile e grande chavaliere molto ricchio, e avea uno suo destriere, il quale era molto vecchio, sí che p(er) la vecchezza no(n) si 5
potea piú chavalchare; ed elli nol volea fare scho|rtichare se prima no(n) morisse di sua molte,219 né fare ucci– dere, e l’altra che non era cosa da donarlo altrui. Fece|li trarre il freno e il cavicciule, e levarli la sella, e chomandò a’ fanti suoi che l’andasero fuori della sta|lla,
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che si andasse a prochacciare di sua vita, ch’elli, p(er) sé, no· lli volea far dare piú mangiare, dacché no(n) si pot|ea chavalchare né adoperare agli altri suoi bisogni. I fanti fecero sí come fue loro comandato. Or venne questo destriere, e andando p(er) le pratora pigliando
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sua vita, or venne, sí chome le venture vanno, e arivo|e a questa chanpana, e p(er) la grande fame pigliò questa vitalba p(er) rodere, p(er) pigliare sua vita. La canpana sonò;
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87v–22, 23 Biagi [ed. cit., p. 184]: la ’ngiuria. 88r–6 morte.
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Õlchauallo ɃnɃo lascÕaua ȸo cheɃnɃosapea chessÕ fosse la chanpana pur tÕraua 7 Õlchauallo sonaua . Inque 20
lla lafamÕglÕa delgÕudÕce trasse 7 trouo Õlcauallo che sonaua lachanpana . Incontanente landaro adÕre al gÕudÕce QuellÕ udÕto cÕo sÕmarauÕglÕo molto 7 pur uolea attendere affare ragÕone sÕchome douea secho ndo che dÕcea lostatuto chellÕ conuenÕa osseruare –
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Raghunoe Õlsuo consÕglÕo 7 dÕsse Õlfatto 7 cosÕe fue consÕglÕato dÕmandare ȸ losegnÕore chuÕ era stato questo destrÕere 7 chomandoglÕ soppena dÕ lb CC che mandasse ȸ questo destrÕere 7 tanto Õltenesse quan
(88v) to euÕuesse Inȸo dache lauea seruÕto dacchera gÕoua ne chellÕ ÕlpascÕesse dauecchÕo ÕnfÕno atanto chellÕ uÕue sse Et comeglÕ consÕglÕaro cosÕ andoe ÕlgÕudÕce Õnna nçÕ cholaragÕone 7 mandoe ȸ locaualÕere 7 fecelÕ rÕ 5
menare achasa 7 prese daluÕ certÕ maleuadorÕ datte nere lanpromessa elchomandamento chellÕ fece 7 cho sÕ fue fatto . IlchaualÕere sÕfece rÕmenare ÕldestrÕere achasa 7 tanto Õltenne quanto euÕuette 7 fecelÕ da re lespese sÕcchome lÕbÕsongnaua ɥ
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INuno tempo uerso brettangna sÕauea Una grande magÕone DÕmonache cÕoe monesterÕo lequalÕ eran o molto rÕcche 7 aueano chotale chostume Õnquella magÕone che quando alchuno rÕccho merchatante ȸ auentura arrÕuasse douera questo grande monast
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ero sÕuÕ alberghaua 7 sÕtosto come gÕungnea lÕera fatto grande onore dalabadessa 7 datutte lemonache 7 molto sÕtenea Õngrande grazÕa quella chemeglÕo Õl potesse ȾuÕre . Ora era questo statuto nelacasa che quan do Õlmerchotante era Õsmontato dachauallo sÕglÕera
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il chavallo no(n) lasciava, p(er)ò che no(n) sapea che ssi fosse: la chanpana pur tirava e il chavallo sonava.220 In que|lla 20
la famiglia del giudice trasse e trovò il cavallo che sonava la chanpana. Incontanente l’andaro a dire al giudice. Quelli, udito ciò, si maravigliò molto, e pur volea attendere a ffare ragione, sí chome dovea, secho|ndo che dicea lo statuto che lli convenia osservare.
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Raghunoe il suo consiglio, e disse il fatto; e cosie fue consigliato di mandare p(er) lo segniore chui era stato questo destriere, e chomandògli, soppena di libre CC, che mandasse p(er) questo destriere, e tanto il tenesse, quan–
(88v) to e’ vivesse: inp(er)ò da che l’avea servito dacch’era giova– ne, ch’elli il pasciesse da vecchio, infino a tanto ch’elli vive|sse. Et com’egli consigliaro, cosí andoe il giudice inna|nçi cho’ la ragione; e mandoe p(er) lo cavaliere, e feceli ri– 5
menare a chasa, e prese da lui certi malevadori da tte– nere la ’npromessa e ’l chomandamento ch’elli fece; e cho– sí fue fatto: il chavaliere si fece rimenare il destriere a chasa, e tanto il tenne quanto e’ vivette, e feceli da– re le spese sicchome li bisongnava.
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In uno tempo verso Brettangna si avea una grande
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magione di monache, cioè monesterio, le quali eran|o molto ricche; e aveano chotale chostume in quella magione: che quando alchuno riccho merchatante p(er) aventura arrivasse dov’era questo grande monast|ero, 15
sí vi alberghava; e sí tosto come giungnea, li era fatto grande onore da la badessa e da tutte le monache; e molto si tenea in grande grazia quella che meglio il potesse s(er)vire. Ora era questo statuto ne la casa che, quan– do il merchotante221 era ismontato da chavallo, sí gli era–
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Forse, come propone Papanti, deve leggersi: la chanpana sonava e il chavallo pur tirava. Cf. G.Papanti, cit., p. XXXV. 88v–19 merchatante.
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no tutte Õntorno 7 labadessa choloro . Et ella lÕdÕcea sÕre merchatante mÕra qualunque pÕu tÕpÕace dÕtu tte noÕ Et quellÕ senonera usato dÕcÕo molto sÕmarauÕ glÕaua 7 anche lÕchouenÕa fare lauolonta delle don ne dÕcea questa mÕpÕace cÕo era quella chepÕu lÕata
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lentaua . Equella ÕlseruÕa poÕ atauola 7 mangÕaua colluÕ attaglÕere . apresso sÕchorÕchaua neletto cholluÕ 7 faceuaglÕ tuttÕ quellÕ seruÕgÕ che ÕnpÕacere lÕfossero
(89r) 7 neletto 7 dÕfuorÕ . AlmatÕno sÕleuaua Õlmerchatante 7 quelle lÕerano tutte Õntorno 7 chÕlÕdaua lacqua 7 chÕ lasughatoÕo 7 chÕ ÕlpettÕne 7 atauallo uestÕre 7 achon cÕare sÕchome lÕbÕsongnÕaua . Apresso sÕchomera lusança 5
antÕcha neuno portaua bottone asuoÕ pannɬ ȸ afÕbÕar sÕ damano odapetto asuoÕ pannɬ seɃnɃo checÕaschuno o sÕfaceua affibÕare ofacealsÕ eglÕ stesso lamattÕna quando sÕleuaua cholagho o cholrefe 7 gentÕlÕ 7 grandÕ segno rÕ cholaseta . OruenÕano tutte queste monache sÕchome
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detto auemo altresÕ lamattÕna chome aueano fatto la sera . Elabadessa lÕdÕcea bello merchatante anchora tÕpÕa ccÕa dudÕre laltro chostume della dÕmane dÕquesta nost ra magÕone ChedÕce cosÕ tusse gÕacÕuto Õnquesta notte chepassata Õnquesta magÕone 7 aÕ auuto sÕ chome noÕ
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credÕamo dalanostra conpangnÕa tutto quello pÕacere 7 dÕletto chaÕ saputo prendere . noÕ tauemo dato delacq ua alemanÕ 7 apresso latouaglÕa elpettÕne atuoÕ bÕso ngnÕ . Eȸo quella che gÕacÕuta techo ta portera uno agho 7 una aghuglÕata dÕseta uermÕglÕa 7 uoglÕamo chettÕ
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pÕaccÕa dÕprendere luno 7 laltro 7 mettere laseta nela cruna delagho 7 poÕ tateremo afÕbÕare . 7 se aletre uol te nonaÕ messa ladetta seta nelacruna delagho sÕcho nuerra chetu cÕlascÕ Õltuo palafreno 7 latua soma 7 tu tte letue gÕoÕe 7 andratÕ ȸ lÕfattÕ tuoÕ . Eȸo chae almon
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do altro ɃnɃopuote essere 7 ȸo sÕe barone 7 prode 7 ualen
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no tutte intorno, e la badessa cho’ loro. Et ella li dicea: – Sire merchatante, mira qualunque piú ti piace di tu|tte noi – Et quelli, se non era usato di ciò, molto si maravi– gliava; e anche li chovenia fare la volontà delle don– ne. Dicea: – Questa mi piace –; ciò era quella che piú li ata–
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lentava. E quella il servia poi a tavola e mangiava co· llui a ttagliere; apresso si chorichava ne’ letto cho· llui, e facevagli tutti quelli servigi che in piacere li fossero:
(89r) e ne’ letto e di fuori. Al matino si levava il merchatante, e quelle li erano tutte intorno: e chi li dava l’acqua, e chi l’asughatoio, e chi il pettine, e atavallo vestire e achon– ciare, sí chome li bisongniava. Apresso, sí chom’era l’usança 5
anticha, neuno portava bottone a’ suoi panni p(er) afibiar|si da mano o da petto a’ suoi panni, se no(n) che ciaschuno o si faceva affibiare o facealsi egli stesso la mattina, quando si levava, cho’l’agho o chol refe, e’ gentili e’ grandi segno– ri cho’ la seta. Or veniano tutte queste monache, sí chome
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detto avemo, altresí la mattina chome aveano fatto la sera. E la badessa li dicea: – Bello merchatante, anchora ti pia|ccia d’udire l’altro chostume della dimane di questa nost|ra magione, che dice cosí: tu ssè giaciuto in questa notte, ch’è passata, in questa magione e ài avuto, sí chome noi
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crediamo, da la nostra conpangnia tutto quello piacere e diletto ch’ài saputo prendere: noi t’avemo dato de l’acq|ua a le mani, e apresso la tovaglia e ’l pettine a’ tuoi biso|ngni; e p(er)ò quella ch’è giaciuta techo t’aporterà uno agho e una aghugliata di seta vermiglia; e vogliamo che tti
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piaccia di prendere l’uno e l’altro, e mettere la seta ne la cruna de l’agho; e poi t’ateremo afibiare. E se a le tre vol– te non ài messa la detta seta ne la cruna de l’agho, sí cho|nverrà che tu ci lasci il tuo palafreno e la tua soma e tu|tte le tue gioie, e andràti p(er) li fatti tuoi, e p(er)ò ch’àe al mon–
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do altro no(n) puote essere. E p(er)ò síe barone e prode e valen–
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tre accÕo fare . Ese questo faraÕ sÕttÕ renderemo tutte tue cose 7 apresso tÕdoneremo delle nostre molto alegramen te 7 andrane affare detuoÕ bÕsognÕ . 7 Anchora tÕdÕcÕamo (89v) chesetu auessÕ techo pÕu auere chenonae Õlnostro sen gnore . Messere lo chonte dÕbrettagna sÕnontene lascÕ eremo tanto cheualesse uno baghattÕno . Oruenne la monacha 7 fece sÕchome lusança edellÕ sÕchome cho 5
mandato lÕera . EmoltÕ nerano che couenÕa cheuÕ lascÕassero tutto loloro arnese 7 andauane pouerÕ 7 m ÕserÕ . 7 dÕquellÕ chesapeano fare sÕchome fece chostuÕ chenandarono ghaÕ 7 freschÕ coloro arnesÕ 7 ɃcɃom olte gÕoÕe chelle lÕdonauano ɥ
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ADuno tenpo era uno grande segnore 7 auea uolon ta dÕsapere chome nascea lamore traluomo 7 laf emÕna . sÕ cheluolle prouare Õnquesto modo . EglÕ na que uno fÕglÕuolo maschÕo Õlquale eglÕ Õlfece nodrÕ re asue balÕe almeno chepoteo sÕpocho che gÕa ɃnɃo
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nɃosapea chefosse femÕna . oruenne 7 fecelo stare Õnuno luogho molto solo . choncertÕ huomÕnÕ lÕqualÕ Õlnod rÕano ÕlmeglÕo chellÕ sapeano 7 poteano . 7 Anchora chomando loro sotto grande pena chegÕa maÕ nollÕ rÕchordassero femÕna . IlfancÕullo uenne crescÕendo
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tanto chefue grande quasÕ Õnsua etade . Uno gÕor no Õlpadre lebbe Õnuna camera tutto solo 7 fecelÕ m ostrare dÕtutte quelle belle gÕoÕe 7 delle pÕu chare– dÕtutto Õlmondo . Anche lÕfece mostrare grande tesoro doro 7 dargento 7 dÕtutte belle cose . E apresso lÕfece
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mostrare dÕmolte belle donne 7 donçelle 7 fecelÕ dÕ re chelle sÕchÕamauano domonÕ delnÕferno Inque lla gÕunse Õlpadre 7 domando questo suo fÕglÕuolo
(90r) quale dÕtutte quelle cose lÕpÕacea 7 chellÕ douesse dÕre lauerÕta dÕtutto Õlsuo ÕntendÕmento 7 che dÕnu lla ellÕ ɃnɃo dubÕtasse . UdÕto ÕlgÕouane quello chelsuo
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tre a cciò fare: e se questo farai, sí tti renderemo tutte tue cose, e apresso ti doneremo delle nostre molto alegramen– te, e andràne a ffare de’ tuoi bisogni. E anchora ti diciamo (89v) che, se tu avessi techo piú avere che non àe il nostro sen|gnore, messere lo chonte di Brettagna, sí non te ne lasci|eremo tanto che valesse uno baghattino – Or venne la monacha e fece sí chome l’usança; ed elli sí chome cho– 5
mandato li era. E molti n’erano che covenia che vi lasciassero tutto lo loro arnese e andavane poveri e m|iseri; e di quelli che sapeano fare sí chome fece chostui, che n’andarono ghai e freschi co’ loro arnesi e co(n) m|olte gioie ch’elle li donavano.
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Ad uno tenpo era uno grande segnore, e avea volon–
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tà di sapere chome nascea l’amore tra l’uomo e la f|emina, sí che ’l volle provare in questo modo: e gli na– que uno figliuolo maschio, il quale egli il fece nodri– re a sue balie al meno che poteo, sí pocho che già no(n) 15
sapea che fosse femina. Or venne e fecelo stare in uno luogho molto solo chon certi huomini, li quali il nod|riano il meglio ch’elli sapeano e poteano; e anchora chomandò loro, sotto grande pena, che già mai no· lli richordassero femina. Il fanciullo venne cresciendo,
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tanto che fue grande quasi in sua etade. Uno gior– no il padre l’ebbe in una camera tutto solo, e feceli m|ostrare di tutte quelle belle gioie e delle piú chare di tutto il mondo. Anche li fece mostrare grande tesoro d’oro e d’argento, e di tutte belle cose. E apresso li fece
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mostrare di molte belle donne e donçelle, e feceli di– re ch’elle si chiamavano domoni de l’Ni[n]ferno. In que|lla giunse il padre, e domandò questo suo figliuolo
(90r) quale di tutte quelle cose li piacea, e ch’elli dovesse dire la verità di tutto il suo intendimento, e che di nu|lla elli no(n) dubitasse. Udito il giovane quello che ’l suo
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padre lÕauea detto . DÕsse padre mÕo sÕa che uole or 5
sappÕate chesopra tutte lechose delmondo mÕpÕac cÕono lÕdomonÕ delnÕnferno . 7 tutte laltre cose ɃnɃo sono neente appo loro . Et ȸo semÕ uolete sodÕsfare dÕquellÕ uoglÕo 7 ɃnɃo daltro . UdÕto questo Õlsuo pad re marauÕglÕossÕ molto 7 alora uÕdde ueramente che
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lanatura adomandaua cÕo 7 altro ɃnɃopotea essere Ch e cosÕ comellÕ auea chomandato chenoglÕfossero mostrate . sÕ chomandoe anchora quando Õlgharzo ne era pÕccÕolÕno cheneuno glÕrÕchordasse femÕ na neuna . ne Anchora amore adalchuno dÕletto ca
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rnale sotto pena delchuore . E cosÕ nefue ubÕdÕto.– Dallora ÕnanzÕ Õlpadre nolpoteo tenere cheɃnɃo me ttesse Õlsuo anÕmo 7 uolere Õnamare ledonne 7 le donzelle cÕo erano quelle cherano dÕpregÕo . 7 dÕn euna sapea che dÕparentado lÕaȸtenesse chetutte
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lamaua Õgualmente 7 dÕcÕo nonera darÕprendere Õnȸo che ɃɣnɃo nauea uedute gÕamaÕ neuna . Dallora ÕnanzÕ chellÕ chonobbe male dabene ne udÕta rÕco rdare . SÕche dÕcÕo fue amaestrato chÕera lamadre– 7 lesue suore 7 lesue parentÕ . AccÕo che ɃnɃo pechasse
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chontra labuona leggÕe . Equeste cose uolle prouare Õlpadre anzÕ nelsuo fÕglÕuolo che Õneuno altro 7 cosÕ fue lauerÕta ɥ
(90v) ADuno tenpo Õl Re dÕbueɣmɃe auea uno suo fÕglÕu olo dÕprÕmo genÕto Õlquale dopo lamorte delsuo– padre douea essere Re Õnsuo luogho . Questo suo pa dre amaua tanto questo suo prÕmo fÕglÕuolo chel 5
facea nodrÕre a x grandÕ maestrÕ lÕqualÕ Õlteneano sÕcelato 7 chÕuso Õnuno grande palazzo 7 lae auea Õntorno bellÕ pratÕ 7 grandÕ 7 rÕcchÕ gÕardÕnÕ pÕenÕ dÕtutte legÕoe delmondo cÕoe fruttura damangÕare dÕtutte guÕse Apresso uauea bangnÕ molto sanÕ . 7
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padre li avea detto, disse: – Padre mio, sia che vole, or 5
sappiate che sopra tutte le chose del mondo mi piac– ciono li domoni del Ninferno, e tutte l’altre cose no(n) sono neente appo loro. Et p(er)ò se mi volete sodisfare, di quelli voglio e no(n) d’altro – Udito questo, il suo pad– re maravigliossi molto, e alora vidde veramente che
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la natura adomandava ciò, e altro no(n) potea essere; ch|e cosí com’elli avea chomandato che no’ gli fossero mostrate, sí chomandoe anchora quando il gharzo– ne era picciolino, che neuno gli richordasse femi– na neuna, né anchora amore ad alchuno diletto
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ca|rnale, sotto pena del chuore; e cosí ne fue ubidito. D’allora inanzi, il padre nol poteo tenere che no(n) me|ttesse il suo animo e volere in amare le donne e le donzelle, ciò erano quelle ch’erano di pregio, e di n|euna sapea che di parentado li ap(ar)tenesse, ché tutte
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l’amava igualmente. E di ciò non era da riprendere, inp(er)ò che no(n) n’avea vedute giamai neuna d’allora inanzi ch’elli chonobbe male da bene, né udita rico|rdare: sí che di ciò fue amaestrato, chi era la madre e le sue suore e le sue parenti, acciò che no(n) pechasse
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chontra la buona leggie. E queste cose volle provare il padre, anzi nel suo figliuolo che i· neuno altro; e cosí fue la verità.
(90v) Ad uno tenpo il re di Buem(m)e avea uno suo figliu|olo
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di primo genito, il quale, dopo la morte del suo padre, dovea essere re in suo luogho. Questo suo pa– dre amava tanto questo suo primo figliuolo che ’l 5
facea nodrire a X grandi maestri, li quali il teneano sí celato e chiuso in uno grande palazzo, e lae avea intorno belli prati, e grandi e ricchi giardini, pieni di tutte le gioe del mondo, cioè fruttura da mangiare di tutte guise. Apresso v’avea bangni molto sani e
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acque dÕfume lequalÕ menauano dÕmolte balÕe
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pescÕ 7 questo rÕdotto era fuorÕ delacÕtta doue ÕlRe habÕtaua bene x . mÕglÕa . QuestÕ maestrÕ apruoua lÕ nsengnauano chÕmeglÕo potea accÕo che potessero uenÕre ÕngrazÕa del Re sÕche Õnpocho tenpo Õlfece ro sauÕo Õmolte scÕenzÕe 7 teneallo sÕsotto loro che
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quanto Õlgharzone studÕo conquestÕ maestrÕ ɃnɃo fece fanculezza neuna 7 ɃnɃo uedea gÕamaÕ altre ȸsone che questÕ suoÕ maestrÕ . lÕqualÕ erano tuttÕ uecchÕ dÕ tenpo . Auendo studÕato tanto chellÕ potea bastare a ltretanto quanto aneuno altro sauÕo daparte dÕscr
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Õttura 7 dÕsenno naturale 7 donnÕ altro senno sÕche concÕascheduno desuoÕ maestrÕ sÕdÕsputaua nele loro scÕenzÕe Ilpadre sentendo chel suo caro fÕglÕuo lo era cosÕ sauÕo dÕcÕo nelodaua molto ÕdÕo ÕnançÕ 7 apresso ÕsauÕ maestrÕ cheglÕaueano cosÕ ÕnsegnÕato
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7 amaestrato . Oruenne chelpadre uolle chesÕ dÕpartÕ sse dacertÕ dÕquellÕ cotalÕ maestrÕ lÕqualÕ pÕu nollÕ abÕsongnauano . 7 ÕlRe lÕprouÕdde molto grande222 (91r) AUno tenpo sÕe ebbe nelamarcha dÕtreuÕgÕ uno rÕ ccho caualÕere egentÕle IncomÕncÕo afare sÕngra nde Õspese che ÕstrugÕea tutto cÕoe chellÕ auea . ÕnÕsp endere Õndonare 7 mangÕare . 7 ÕnchauallÕ 7 Õnarme Oruenne chebbe tutto Õspeso cÕoe chellÕ auea . OrueɃne
5
cheɃnɃosapea chesÕfare . 7 Õstando cosÕe 7 deuenne nela terra una nouella che ÕlRe dÕ ChornualglÕa sÕfacea . bandÕre ȸ tutto Õlmondo che qualunque caualÕere uolesse uenÕre agÕostrare alacorte sua 7 dellÕ uÕncÕesse lagÕostra chellÕ lÕdarebbe lasua fÕglÕuola ȸ molglÕe . 7
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mezo ÕlReame suo . sÕcche questo caualÕere udendo qu
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La carta è mutila. A piè di pagina una mano scrisse: mente.
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acque di f[i]ume le quali menavano di molte balie223 pesci; e questo ridotto era fuori de la città dove il re habitava bene X miglia. Questi maestri a pruova l’i|nsengnavano chi meglio potea, acciò che potessero venire in grazia del re, sí che in pocho tenpo il fece–
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ro savio i· molte scienzie, e teneallo sí sotto loro che quanto il gharzone studiò con questi maestri, no(n) fece fanculezza neuna, e no(n) vedea giamai altre p(er)sone che questi suoi maestri, li quali erano tutti vecchi di tenpo. Avendo studiato tanto che lli potea bastare,
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a|ltretanto quanto a neuno altro savio da parte di scr|ittura e di senno naturale e d’onni altro senno, sí che con ciascheduno de’ suoi maestri si disputava ne le loro scienzie. Il padre, sentendo che ’l suo caro figliuo– lo era cosí savio, di ciò ne lodava molto Idio inançi,
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e apresso i savi maestri che gli aveano cosí insegniato e amaestrato. Or venne che ’l padre volle che si diparti|sse da certi di quelli cotali maestri, li quali piú no· lli abisongnavano, e il re li providde molto grande …. (mutila)
(91r) A uno tenpo sie ebbe ne la Marcha di Trevigi uno
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ri|ccho cavaliere e gentile. Incominciò a fare sí ’n gra|nde ispese che istrugiea tutto cioe ch’elli avea in isp|endere, in donare e mangiare, e in chavalli e in arme. 5
Or venne ch’ebbe tutto ispeso cioe ch’elli avea; or ven(n)e che no(n) sapea che si fare. E istando cosie, ed e’ venne ne la terra una novella che il re di Chornualglia si facea bandire p(er) tutto il mondo, che qualunque cavaliere volesse venire a giostrare a la corte sua ed elli vinciesse
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la giostra, ch’elli li darebbe la sua figliuola p(er) molglie e mezo il reame suo. Sicché questo cavaliere, udendo qu|e–
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Forse: di molte belli (?)
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esta nouella sÕlÕuenne uolglÕa dandaruÕ . Õnchonta nente raghuno glÕamÕcÕ suoÕ 7 ÕparentÕ 7 pregho llÕ chellÕ Õldouesono auutare 7 souenÕre che uolea an 15
dare altornÕamento dÕchornoualglÕa ȸcÕo chellÕ Õsta ua bene Õlchuore dÕuÕncere ÕltornÕamento sÕcche m oltÕ uebbe chÕne consÕglÕo . 7 chÕɃnɃo allafÕne fue consÕ glÕato dandaruÕ sÕcche laÕutorÕo ebbe darme 7 dÕ cha uallÕ 7 dÕmoneta 7 fornÕrolo bene darnese dÕcÕoe che
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bÕsongnÕaua 7 dÕbuona conpagnÕa . SÕche ÕlchaualÕere mosse ȸ andare . 7 andando luÕ bene adarnese sÕcchaualcho da xu . gÕornate anzÕ che tro uasse alchuna auentura chesÕa damentouare . 7 poÕ gÕunse presso auno chastello amezzo mÕlglÕo 7 andan
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do luÕ ȸ ladÕrÕtta Õstrada . 7 quellÕ sÕuedea andare . ÕnanzÕ asaÕ gÕente apÕe 7 achauallo 7 andando loro 7 quellÕ uÕdde uscÕre tutta questa gÕente della dÕrÕ tta Õstrada . 7 andauano ȸunauÕa Õstretta chera sÕ
(91v) cche domando alchuno 7 dÕssequesta gÕente ȸche fae questo che lascÕano labuona Õstrada 7 uanone ȸ questa rea 7 quelÕfue rÕsposto 7 dÕsse Meɀ lollo sapete uoÕ . cÕerto ɃnɃo dÕsse ÕlchaualÕere . 7 quellÕ dÕsse Meɀ Õo louÕ 5
dÕro seuoÕ . Andaste ȸladÕrÕtta Õstrada auoÕ 7 chÕ andasse uoÕ trouereste sÕgrande Õlpuzzo duno gentÕle chaualÕere chelae morto dÕnanzÕ auna chÕesa Õnuna bara che morebe delpuzzo chÕuandasse . Onde noÕ cÕ scÕesÕamo lauÕa ȸ ɃnɃo rÕceuere quello puzzo 7 ɃnɃouÕ pa
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ssa ȸsona ȸ quella chagÕone . DÕsse ÕlchaualÕere sedÕo tÕsaluÕ dÕmÕ quale lachagÕ one sequesto caualÕere emorto ȸche ɃnɃosÕsopelÕscÕe . E quellÕ dÕsse . Meɀ lacagÕone sÕe questa Õnquesta terra
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esta novella, sí li venne volglia d’andarvi; inchonta– nente raghunò gli amici suoi e i parenti, e pregho|lli ch’elli il dovésono auutare224 e sovenire: ché volea an– 15
dare al torniamento di Chornovalglia, p(er)ciò che lli ista– va bene il chuore di vincere il torniamento: sicché m|olti v’ebbe chi ne consigliò e chi no(n). Alla fine fue consi– gliato d’andarvi: sicché l’aiutorio ebbe d’arme e di cha– valli e di moneta, e fornírolo bene d’arnese, di cioe che
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bisongniava, e di buona conpagnia. Sí che il chavaliere mosse p(er) andare; e andando lui bene ad arnese, si cchavalchò da XV giornate anzi che tro– vasse alchuna aventura che sia da mentovare, e poi giunse presso a uno chastello a mezzo milglio. E andan–
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do lui p(er) la diritta istrada, e quelli si vedea andare inanzi asai giente a piè e a chavallo; e andando loro, e quelli vidde uscire tutta questa giente della diri|t– ta istrada, e andavano p(er) una via istretta ch’era,
(91v) si|cché domandò alchuno, e disse: – Questa giente p(er)ché fae questo che lasciano la buona istrada e vànone p(er) questa rea? – E queli fue risposto, e disse: – Mess(er), lollo225 sapete voi? – Cierto no(n) – disse il chavaliere; e quelli disse: – Mess(er), io lo vi 5
dirò: se voi andaste p(er) la diritta istrada, a voi e chi andasse, voi trovereste sí grande il puzzo d’uno gentile chavaliere ch’è lae morto dinanzi a una chiesa in una bara, che morebe del puzzo chi v’andasse. Onde noi ci sciesiamo la via p(er) no(n) ricevere quello puzzo, e no(n) vi pa|s–
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sa p(er)sona p(er) quella chagione –. Disse il chavaliere: – Se Dio ti salvi! dimi qual è la chagi|one, se questo cavaliere è morto, p(er)ché no(n) si sopeliscie? E quelli disse: – Mess(er), la cagione si è questa: in questa terra
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91r–14 aiutare. 91v–3 no· llo.
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sÕa questa usanza che quale homo sÕmuore 7 dellÕ ade 15
bÕto ɃnɃosÕ sopelÕscÕe gÕamaÕ seɃnɃo sono prÕma paghatÕ choloro chedebono auere daluÕ . onde questo chaualÕe re che morto sÕe gentÕle chaualÕere 7 pouero dauere 7 dae grande debÕto 7 none rÕmaso delsuo dapote re paghare sÕchenone chÕpaghÕ ȸluÕ neparene ne
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amÕcho ȸcÕoe nonsara maÕ sopelÕto sedebÕtorÕ ɃnɃo sono prÕma paghatÕ . DÕsse ÕlchaualÕere sefosse chÕpaghare ȸluÕ sara elglÕ sopellÕto . 7 quellÕ dÕsse cÕerto Meɀ sÕe Õnchontane nte allora sÕchaualcho ÕlcaualÕere sue alchastello 7
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Õncontanente sÕfece mettere Bando ȸtutto Õlcaste llo che qualunque ȸsona douesse auere alchuna cosa da Meɀ GÕglÕotto Õlquale era portato alachÕesa 7 ɃnɃo nera sopelÕto ȸ chagÕone dedebÕtÕ chellÕ auea chellÕ
(92r) uenÕsse aMeɀ . DÕanese alcotale albergho sapÕendo chellÕ uolea paghare ongnÕe ȸsona . AccÕo chellÕ uo lea che ÕlchaualÕere fosse sopellÕto . onde lagÕente cɻ douea auere dameɀ . glÕotto quando udÕrono questo 5
bando sÕtrassero tuttÕ alalbergho . a Meɀ . DÕanese . 7 meɀ dÕanese sÕmosse apÕetade ȸfare questa cortesÕa chesÕ puose Õncuore dÕuolere paghare ongnÕomo cɻ douesse auere dameɀ . GÕlÕotto accÕo che Meɀ GÕlÕo tto fosse sopelÕto aonore . Incontanente mÕse mano
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apaghare 7 paghoe tutta lamoneta chellÕ auea– 7 anche uendeo tuttÕ ÕsuoÕ cauallÕ 7 arnesÕ saluo chuno cauallo lÕrÕmase . 7 quando ebbe paghato ongnÕ homo 7 deglÕ ÕnuÕtoe tutta lagÕente del ca stello . 7 pretÕ 7 fratÕ 7 tutta ordÕne ÕncherÕcato . 7
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andarono alachÕesa 7 fere sopellÕre questo gentÕle homo agrande honore 7 quandellÕ ebbe cosÕe fatto .
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si à questa usanza che quale homo si muore, ed elli à de– 15
bito, no(n) si sopeliscie giamai, se no(n) sono prima paghati choloro che debono avere da lui; onde questo chavalie– re, ch’è morto, si è gentile chavaliere e povero d’avere, ed àe grande debito, e non è rimaso del suo da pote– re paghare: sí che non è chi paghi p(er) lui, né paren[t]e né
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amicho; p(er) cioe non sarà mai sopelito, se’ debitori no(n) sono prima paghati –. Disse il chavaliere: – Se fosse chi [volesse] paghare p(er) lui, sarà elgli sopellito? – E quelli disse: – Cierto, mess(er), síe, inchontane|nte – Allora si chavalchò il cavaliere sue al chastello; e
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incontanente sí fece mettere bando p(er) tutto il caste|llo che qualunque p(er)sona dovesse avere alchuna cosa da mess(er) Gigliotto, il quale era portato a la chiesa e no(n) era sopelito p(er) chagione de’ debiti ch’elli avea, ch’elli
(92r) venisse a mess(er) Dianese al cotale albergho, sapiendo ch’elli volea paghare ongnie p(er)sona, acciò ch’elli vo– lea che il chavaliere fosse sopellito. Onde la giente ch(e) dovea avere da mess(er) [Gi]gliotto, quando udirono questo 5
bando, sí trassero tutti a l’albergho a Mess(er) Dianese. E mess(er) Dianese si mosse a pietade p(er) fare questa cortesia che si puose in cuore di volere paghare ongni omo ch(e) dovesse avere da mess(er) Giliotto, acciò che mess(er) Gilio|tto fosse sopelito a onore. Incontanente mise mano
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a paghare, e paghoe tutta la moneta ch’elli avea, e anche vendeo tutti i suoi cavalli e arnesi, salvo ch’uno cavallo li rimase. E quando ebbe paghato ongni homo, ed egli invitoe tutta la giente del ca– stello e preti e frati e tutta ordine inchericato, e
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andarono a la chiesa, e fere226 sopellire questo gentile homo a grande honore. E quand’elli ebbe cosie fatto,
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92r–15 fece.
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sÕchaualcho 7 prese comÕato datutta gÕente del cha stello . 7 quando fue chaualcato due mÕlglÕa edera ellÕ 7 Õlcauallo 7 tutta sua chompangnÕa 7 ÕfantÕ sÕ 20
erano apÕede EdÕdÕetro glÕgÕunse uno amodo dÕ merchatante molto orreuole mente chondue cha uallÕ 7 chonbella soma 7 comoltÕ bellÕ arnesÕ . E sa luto Meɀ DÕanese 7 quellÕ rendeo saluto molto corte semente . 7 Õlmerchatante domando Meɀ . DÕanese
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dÕsuo afare 7 ccÕo chelÕera auenuto 7 ȸchellÕ andaua EÕlmerchatante Õo uolglÕo essere uostro compangno Õntutta questa uostra andata 7 cÕoe cheuoÕ odÕo gua dangnÕamo sÕsÕa ȸmezo 7 uoÕ sÕate prode chaualÕere
(92v) eÕo abbo moneta asaÕ 7 fornÕrouÕ dÕmoneta 7 dÕ chau allÕ 7 darme 7 dÕcÕoe cheuÕfarae mÕstÕere Meɀ DÕan ese pensoe Õnsuo cuore questÕ equello chemÕ bÕsongna 7 dÕsse Õo uolglÕo uolontÕerÕ chesÕa come uoÕ auete detto 5
7 chosÕe sÕfermarono ÕnsÕeme oruenero che gÕunsero A una cÕtta 7 quÕuÕ sÕconperarono cauallÕ 7 arme 7 cÕoe cɻ fue bÕsongnÕo 7 fornÕrosÕ bene adarnese 7 chaualcarono tanto chefurono gÕuntÕ alacÕtta del Re 7 quÕuÕ sÕe albe rgharono nelpue oreuole albergho delacÕtta . Õnchonta
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nente ÕnuÕtarono tutta labuona gÕente delaɒra adesÕna re 7 dÕede loro molto nobÕle desÕnare . 7 cosÕe fecero mol te uolte sÕcche tutta lagente della cÕtta dÕcÕe questÕ sono Õlpue nobÕlÕ caualÕere chesÕena uenuto . Oruenne ÕldÕe chedouea essere ÕltornÕamento . lagÕente f
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ue tutta adarme 7 chaualÕerÕ fuorono tuttÕ alagrande pr aterÕa ladoue douea essere ÕltornÕamento 7 quÕuÕ uenne ÕlRe 7 laReÕna 7 lafÕglÕuola . 7 tutta labaronÕa delRea me . 7 quando tutta lagÕente fue uenuta elRe comɃado cheltornÕamento 7 lagÕostra sÕcomÕncÕasse sapÕendo che chÕ
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unque uÕncÕesse lotornÕamento sÕa uerebbe lasua fÕglÕuola ȸ molglÕe 7 mezo ÕlReame suo alora ÕBaronÕ 7 chaualÕ
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sí chavalchò, e prese comiato da tutta giente del cha– stello. E quando fue chavalcato due milglia, ed era elli e il cavallo, e tutta sua chompangnia e i fanti si 20
erano a piede, e di dietro gli giunse uno a modo di merchatante molto orrevolemente chon due cha– valli e chon bella soma e co· molti belli arnesi, e sa– lutò mess(er) Dianese; e quelli rendeo saluto molto corte– semente; e il merchatante domandò mess(er) Dianese
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di suo afare, e cciò che li era avenuto, e p(er)ch’elli andava. E il merchatante: – Io volglio essere vostro compangno in tutta questa vostra andata; e cioe che voi od io gua– dangniamo, sí sia p(er) mezo; e voi siate prode chavaliere,
(92v) e io abbo moneta asai, e forniròvi di moneta e di chav|alli e d’arme, e di cioe che vi farae mistiere – Mess(er) Dian|ese pensoe in suo cuore: «Questi è quello che mi bisongna»; e disse: – Io volglio volontieri che sia come voi avete detto – 5
E chosie si fermarono insieme. Or venero che giunsero a una città, e qui vi si conperarono cavalli e arme e cioe ch(e) fue bisongnio, e fornirosi bene ad arnese; e chavalcarono tanto che furono giunti a la città del re, e qui vi sie albe|rgharono nel pue orevole albergho de la città. Inchonta–
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nente invitarono tutta la buona giente de la t(er)ra a desina– re, e diede loro molto nobile desinare; e cosie fecero mol– te volte, sicché tutta la gente della città dicie: – Questi sono il pue nobili cavaliere che siena venuto –. Or venne il die che dovea essere il torniamento. La giente
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f|ue tutta ad arme, e’ chavalieri fuorono tutti a la grande pr|ateria, là dove dovea essere il torniamento. E quivi venne il re e la reina e la figliuola, e tutta la baronia del rea– me. E quando tutta la giente fue venuta, el re coma(n)dò che ’l torniamento e la giostra si cominciasse, sapiendo che
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chi|unque vinciesse lo torniamento, sí averebbe la sua figliuola p(er) molglie e mezo il reame suo. Alora i baroni e’ chava–
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erÕ tuttÕ furono alagÕostra franchamente 7 bene uauea proe gÕente 7 francha . 7 quÕuÕ sÕfecÕe tanto darme che gÕamaÕ ɃnɃosÕnefecÕe tanto aneuno tornÕamento 7 duro 25
asaÕ allasoɣma . Meɀ . DÕanese fue uÕncÕtore dÕtutto ÕltornÕ amento 7 quando ÕlRe 7 laReÕna uÕdero questo furono molto allegrÕ 7 tutta lagÕente dÕsse grÕdando . Meɀ . DÕane se auÕnto ÕltornÕamento . 7 loRe mandoe ȸluÕ 7 dÕeglÕ
(93r) lafÕglÕuola ȸmolglÕe 7 mezo ÕlReame suo . 7 fecero gran de gÕoÕa 7 grande festa edalegreza . PoÕ Õstettero presso auno mese nelReame 7 quando uÕfuro no ÕstatÕ quanto pÕaque loro emerchatante dÕsse aMeɀ DÕa 5
nese cheuolete uoÕ fare ɃnɃouÕ pare ogÕmaÕ tenpo dÕtornare nelpaese uostro dÕo sÕua fatto molto bene 7 molto onore . sÕ chauete molto darÕngrazÕallo Emeɀ DÕanese dÕsse elglÕe bene uerÕta edÕo nelodo 7 rÕngra zÕo meɀ Õɻu xɃpɃo . 7 lasua madre 7 daloro ÕluolglÕo conoscÕ
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ere 7 dauoÕ chemauete asaÕ ualuto Õnquesto fatto 7 pÕ ue che homo delmondo . SappÕate chÕoe bene uolontade dÕrÕtornare ÕmÕo paese matutto questo ɃnɃopotremo noÕ bene fare sanza lauolonta delRe 7 Õlmerchatante dÕsse uoÕ dÕte uerÕta eȸcÕo sÕamo
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aRe 7 sÕglÕ dÕrete bene 7 sauÕamente elRe esauÕo sÕn gnÕore euÕconsentÕra aluolere uostro . sÕche sachordar ono 7 andarono dÕnanzÕ alRe 7 Meɀ DÕanese dÕse Me ssere loRe uoÕ sapete chÕo sono uostro lauere 7 laȸsona 7 ɃnɃo debbo fare neÕente sanza Õluostro chonsÕglÕo 7 uole
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re eȸcÕo Õo auea chosÕe pensato quando epÕacÕesse auoÕ dÕuolere andare nelpaese laondÕo uennɬ auedere Õpa rentÕ eglÕamÕcÕ 7 dafallÕ allegrÕ dello onore che uoÕ mauete fatto 7 Meɀ . loRe rÕspuose aMeɀ . DÕanese 7 dÕsse Õo uÕtengho charo quanto posso 7 molto map
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agho dÕuoÕ 7 uegÕouÕ uolontÕerÕ anzÕ dapresso che da lungÕ matuttauÕa seglÕe Õluostro uolere . dandare au
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li|eri, tutti furono a la giostra franchamente, e bene v’avea pròe giente e francha; e quivi si fecie tanto d’arme che giamai no(n) si ne fecie tanto a neuno torniamento, e durò 25
asai. Alla som(m)a, mess(er) Dianese fue vincitore di tutto il torni|amento; e quando il re e la reina videro questo, furono molto allegri, e tutta la giente disse gridando: – Mess(er) Diane|se à vinto il torniamento! – E lo re mandoe p(er) lui, e diègli
(93r) la figliuola p(er) molglie e mezo il reame suo; e fecero gran– de gioia e grande festa ed alegreza. Poi istettero presso a uno mese nel reame; e quando vi furo– no istati quanto piaque loro, e’ merchatante disse a mess(er) 5
Dia|nese: – Che volete voi fare? no(n) vi pare ogimai tenpo di tornare nel paese vostro? Dio sí v’à fatto molto bene e molto onore, sí ch’avete molto da ringraziallo–. E mess(er) Dianese disse: – Elgli è bene verità, ed io ne lodo e ringra– zio mess(er) Iesu Cristo e la sua Madre, e da loro il volglio conosci|ere
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e da voi, che m’avete asai valuto in questo fatto, e pi|ue che homo del mondo. Sappiate ch’i’òe bene volontade di ritornare i· mio paese, ma tutto questo no(n) potremo noi bene fare sanza la volontà del re – E il merchatante disse: – Voi dite verità, e p(er)ciò siamo
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a’ re, e sí gli direte bene e saviamente: el re è savio sin|gniore e vi consentirà al volere vostro – Sí che s’achordar|ono, e andarono dinanzi al re. E Mess(er) Dianese dise: – Me|ssere lo re, voi sapete ch’io sono vostro, l’avere e la p(er)sona, e no(n) debbo fare neiente sanza il vostro chonsiglio e vole–
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re; e p(er)ciò io avea chosie pensato, quando e’ piaciesse a voi, di volere andare nel paese, là ond’io venni, a vedere i pa– renti e gli amici, ed a fàlli allegri dello onore che voi m’avete fatto – E mess(er) lo re rispuose a mess(er) Danese, e disse: – Io vi tengho charo quanto posso, e molto
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m’ap|agho di voi, e vegiovi volontieri anzi da presso che da lungi; ma tuttavia s’egli è il vostro volere d’andare a
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edere glÕamÕcÕ 7 parentÕ 7 mÕpÕacÕe 7 quello sara qu ando pÕacera auoÕ . 7 Meɀ . DÕanese ÕlrÕngrazÕa molto (93v) dÕcÕo e chellÕ auea detto . 7 dÕsse alRe dÕquÕe aotto gÕornÕ moueremo adandare alnome dÕdÕo . EÕlre dÕsse che molto glÕpÕacÕea 7 Õnchontanente fe cÕe aparecchÕare chauallÕ 7 tuttÕ arnesÕ chefacÕeno bÕsongnÕo ȸ chellÕ elamolglÕe andasero bene oreu
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ole mente oruenne algÕorno cÕoe aglÕotto dÕe 7 la parechÕamento era tutto fatto ȸchaualchare 7 Meɀ DÕanese sÕrachomando ÕReame alRe . edellÕ tolse aue re assaÕ 7 montarono acauallo . 7 Meɀ DÕanese 7 la donna sua 7 Õlmerchatante 7 moltÕ altrÕ caualÕerÕ alo
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ro compagnÕa . 7 molte altre camerÕere . 7 molte some sÕcome sÕcouenÕa agrande sÕngnÕore 7 Re 7 molta b aronÕa 7 chaualÕerÕ la conpagnÕarono alquante mÕ lglÕa fuorÕ delaɒra Õngrande solazo 7 grande alegre za 7 quando ebero chaualchato cosÕe grande pezzo .
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7 ÕlRe 7 lasua gÕente prese comÕato daMeɀ DÕanese 7 Meɀ . DÕanese anche daluÕ 7 dalla sua gÕente el Re torno alla terra sua 7 Meɀ . DÕanese chaualchato m olte gÕornate Õnsuo chamÕno . Quando uenne chellÕno ebero chaualchato molte gÕo
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rnate congrande fatÕcha ederano gÕae presso auna g Õornata allaɒra . dÕsse Meɀ . DÕanese . 7 andando ȸ loro chamÕno 7 detrouarono due uÕe Õlmerchatante dÕsse aMeɀ DÕanese andate pÕano 7 fate rÕstare tutta questa gÕente 7 Meɀ DÕanese che molto lamaua 7 m
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olto lÕcredea Õnchontanente fecÕe dÕcÕere che neuno ɃnɃo chaualcasse 7 cheonnÕ omo Õstesse fermo . 7 Õlmerchat ante dÕsse sapete uoÕ ȸchÕo uoe fatto rÕstare noe cÕoe dÕ (94r)
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sse Meɀ . DÕanese orÕo uÕldÕcho . 7 quellÕ dÕsse Õo uolglÕo
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Lettura difficile.
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v|edere gli amici e’ parenti, e’ mi piacie; e quello sarà qu|ando piacerà a voi – E mess(er) Dianese il ringrazià molto (93v) di cioe ch’elli avea detto, e disse al re: – Di quie a otto giorni moveremo andare al nome di Dio –. E il re disse che molto gli piaciea; e inchontanente fe– cie aparecchiare chavalli e tutti arnesi che facieno 5
bisongnio, p(er)ch’elli e la molglie andasero bene orev|olemente. Or venne al giorno, cioè agli otto die, e l’a|parechiamento era tutto fatto p(er) chavalchare. E mess(er) Dianese sí rachomandò i’ reame al re, ed elli tolse ave– re assai; e montarono a cavallo: e Mess(er) Dianese e la
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donna sua e il merchatante, e molti altri cavalieri a lo– ro compagnia, e molte altre cameriere e molte some, sí come si covenia a grande singniore. E’ re e molta b|aronia e chavalieri l’aconpagniarono alquante mi|lglia fuori de la t(er)ra in grande solazo e grande alegre–
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za. E quando ebero chavalchato cosie grande pezzo, e il re e la sua giente prese comiato da mess(er) Dianese, e mess(er) Dianese anche da lui e dalla sua giente; e ’l re tornò alla terra sua, e Mess(er) Dianese [ebbe] chavalchato m|olte giornate in suo chamino.
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Quando venne ch’ellino ebero chavalchato molte gio|rnate con grande faticha, ed erano giae presso a una g|iornata alla t(er)ra di Mess(er) Dianese, e andando p(er) loro chamino, ed e’ trovarono due vie. Il merchatante disse a mess(er) Dianese: – Andate piano e fate ristare tutta
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questa giente –; e mess(er) Dianese, che molto l’amava e m|olto li credea, inchontanente fecie diciere che neuno no(n) chavalcasse, e che onni omo istesse fermo. E il merchat|ante disse: – Sapete voi p(er)ch’io v’òe fatto ristare?– Noe cioe228 –
(94r) di|sse Mess(er) Dianese. –Or io vil dicho–; e quelli disse – Io volglio
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93v–28 soe.
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cheuoÕ mategnÕate lanpromessa 7 pattÕ che sono tra uoÕ 7 me . Alora dÕsse Meɀ . DÕanese che pattÕ abÕamo noÕ ÕnsÕeme 5
Õo ɃnɃomÕne rÕcordo allora dÕsse Õlmerchatante uoÕ sape te chequando noÕ andano altornÕamento noÕ cÕachonp angnÕamo ÕnsÕeme edÕcÕemo checÕo chenoÕ guadangna sÕmo fosse ȸmezo allora dÕsse Meɀ . DÕanese bene mÕne rÕchordo 7 bene echosÕe lauerÕta ȸche ÕldÕte uoÕ uole
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te uoÕ ne ente dÕqueste cose chenoÕ abÕamo guadan gnÕato 7 Õlmerchatante dÕsse sÕuolglÕo lameta don gnÕ cosa 7 Meɀ . DÕanese operche none uenÕte uoÕ chomeche Õo uÕterro senpre oreuole mente achasa mÕa 7 none bÕsongnÕo dÕpɃesare dÕnulla 7 starete molto b
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ene 7 oreuolemente sÕcome Õo . EÕlmercatante dÕsse sa pÕate chÕo uolglÕo andare achasa mÕa ȸ cÕoe uolglÕo la meta dÕcÕoe chenoÕ auemo guadangnÕato 7 Meɀ . dÕa nese fue allora molto cruccÕato mapure nouolle uenÕre meno alla promesa chellÕ auea fatto edalalealta sua cɻ
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sa glÕera agÕeuole cosa adÕcÕere uae alauÕa tua chÕno soe chetue tÕdÕe manollo uolle fare anzÕ glÕrÕspuose m olto sauÕamente 7 dÕsse fate quella parte cheuoÕ uole te 7 dÕo Õstaro chontento . EÕlmerchatante dÕsse Õo faro lepartÕ 7 uoÕ pÕlglÕerete
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7 Meɀ dÕanese dÕsse fate auostro senno 7 quellÕ sÕdou Õse Õnquesto modo che dÕsse ladonna cholpalafreno che lla ae sotto sÕa una parte 7 questÕ chaualÕerÕ 7 tutte lesome sÕa laltra parte onde pÕglÕate qualunque uÕpÕa
(94v) uÕpÕace . Allora Meɀ dÕanese fue molto crucÕoso 7 dÕsse Õn suo chuore echo dÕuerse partÕ che questÕ afatte mape nso Õo ɃnɃoposso fare altro che pÕglÕare ladonna . pÕlglÕo lasua donna 7 dalmerchatante lascÕo tutte laltre cose 5
7 alora prese comÕato luno dalaltro 7 quellÕ nandoe ȸuna uÕa 7 quellÕ ȸ laltra 7 molto nando trÕsto 7 cru
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che voi m’ategniate la ’npromessa e’ patti che sono tra voi e me –. Alora disse mess(er) Dianese: – Che patti abiamo noi insieme? 5
io no(n) mi ne ricordo – Allora disse il merchatante: – Voi sape– te che quando noi andàno al torniamento, noi ci achon– p|angniamo insieme, e diciemo che ciò che noi guadangna– simo fosse p(er) mezo – Allora disse mess(er) Dianese: – Bene mi ne richordo, e bene è chosie la verità. P(er)ché il dite voi? vole–
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te voi neente di queste cose che noi abiamo guadan|gniato? – E il merchatante disse: – Sí, volglio la metà d’on|gni cosa – E mess(er) Dianese: – O perché none venite voi cho me? che io vi terrò senpre orevolemente a chasa mia, e non è bisongnio di pe(n)sare di nulla, e starete molto
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b|ene e orevolemente sí come io – E il mercatante disse: – Sa|piate ch’io volglio andare a chasa mia, p(er)ciòe volglio la metà di cioe che noi avemo guadangniato – E mess(er) Dia|nese fue allora molto crucciato, ma pure no· volle venire meno alla promesa ch’elli avea fatto, ed a la lealtà sua, ch’e|s[s]a
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gli era agievole cosa a diciere: «Vae a la via tua, ch’i’no’ soe che tue ti díe»; ma no· llo volle fare, anzi gli rispuose m|olto saviamente, e disse: – Fate quella parte che voi vole– te ed io istarò chontento –. E il merchatante disse: – Io farò le parti, e voi pilglierete –
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E mess(er) Dianese disse: – Fate a vostro senno – E quelli si dov|ise in questo modo che disse: – La donna chol palafreno ch’ e|lla àe sotto sia una parte, e questi chavalieri e tutte le some sia l’altra parte; onde pigliate qualunque
(94v) vi piace – Allora mess(er) Dianese fue molto crucioso, e disse in suo chuore: «Echo diverse parti che questi à fatte! Ma pe|nso io no(n) posso fare altro che pigliare la donna». Pilgliò la sua donna ed al merchatante lasciò tutte l’altre cose. 5
E alora prese comiato l’uno da l’altro, e quelli n’andoe p(er) una via e quelli p(er) l’altra: e molto n’andò tristo e cru|c–
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ccÕoso Meɀ dÕanese Oruenne che Õlmerchatante nadaua chontutta questa gÕente 7 quando fue chaualcato uno pocho 7 quellÕ u 10
olse ȸ una uÕa atrauerso ȸ rÕtornare ȸ essere dÕnanzÕ a M essere dÕanese achauallo molto tosto chontutta questa 7 fue gÕunto Õnsue lastrada edebbe gÕunto Meɀ dÕane se chandaua molto crucÕoso 7 quando Meɀ dÕanese ÕluÕ de sÕsÕ fecÕe grande merauÕglÕa 7 dÕsse ȸche rÕtornate uoÕ
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7 quedÕsse andÕate pÕano Meɀ dÕanese Õstate fermo . Elmerchatante dÕsse elglÕeuero chenoÕ auemo dÕuÕso 7 dau etemÕ bene atenuto lapromesa che uoÕ mauete fatto sÕccho me leale 7 buono chaualÕere onde Õo sono bene sÕngnÕore dÕ questa gÕente 7 possone fare cÕoe chÕo uolglÕo 7 ȸcÕoe Õo sÕl
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auÕrÕdono 7 choncÕedo chesÕeno uostrÕ 7 aluostro ȾuÕgÕo cho lla grande buona uentura chedÕo uÕdea auoÕ 7 alauostra doɃna EuolglÕouÕ dÕre chÕo sono accÕo cheseuoÕ auete seruÕto uo lontÕerÕ 7 fatta cortesÕa elealta ÕnfÕnaquÕe cheuoÕ lafaccÕ ate uolontÕerÕ dÕquÕncÕ ÕnanzÕ chongnÕ bene ueneuera
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auoÕ 7 chÕlafara Io sono ÕlchaualÕere chuoÕ facÕeste sopellÕre alachÕesa cho sÕe orre uolemente 7 Õspendeste Õme tanto deluostro chÕo era Õstato tanto fuorÕ cheongnÕ ȸsona uenÕa puza 7 tutta
(95r) gÕente . ElachortesÕa cheuoÕ mÕfacÕeste sÕe pÕacÕuta adÕo chae uoluto chÕo abÕa auoÕ fatto questo onore equesto bene . Allora dÕsse Meɀ dÕanese dunque semortÕ guÕderdonano ÕseruÕgÕ che debono fare ÕuÕuÕ . allora dÕsse quello chaualÕere 5
ora sappÕate Meɀ dÕanese uoÕ 7 tutta gÕente cheseruÕgÕo no sÕ perdeo maÕ .7 ɃnɃo sÕperdera 7 fue ÕsparÕto detto questo 7 dandossÕne ÕnparadÕso . 7 Meɀ dÕanese nando acasa sua mo lto oreuolemente cholla donna sua 7 Õstettero maÕ sempre grande mente agrande honore 7 tuttÕ glÕamÕcÕ suoÕ guÕd
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ordÕno bene 7 senpre ebono bene . 7 noÕ dea cherÕmangnÕ amo molto bene 7 buona uentura amen amen :
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cioso mess(er) Dianese. Or venne che il merchatante n’a[n]dava chon tutta questa giente, e quando fue chavalcato uno pocho, e quelli 10
v|olse p(er) una via a traverso p(er) ritornare, p(er) essere dinanzi a m|essere Dianese a chavallo molto tosto chon tutta questa [giente]; e fue giunto in sue la strada, ed ebbe giunto mess(er) Diane|se ch’andava molto crucioso. E quando mess(er) Dianese il vi– de, sí si fecie grande meraviglia, e disse: – P(er)ché ritornate voi?
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E que’ disse: – Andiate piano, mess(er) Dianese, istate fermo –. E ’l merchatante disse: – Elgli è vero che noi avemo diviso, ed av|etemi bene atenuto la promesa che voi m’avete fatto, siccho– me leale e buono chavaliere; onde io sono bene singniore di questa giente e possone fare cioe ch’io volglio; e p(er)ciòe io sí
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l|a vi ridono e chonciedo che sieno vostri e al vostro s(er)vigio, cho|lla grande buona ventura che Dio vi dea a voi e a la vostra don(n)a. E volgliovi dire ch’io sono, acciò che se voi avete servito vo– lontieri e fatta cortesia e lealtà infin a quie, che voi la facci|ate volontieri di quinci inanzi, ch’ongni bene ve ne verà
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a voi e chi la farà. Io sono il chavaliere ch[e] voi facieste sopellire a la chiesa cho|sie orrevolemente, e ispendeste i· me tanto del vostro, ch’io era istato tanto fuori che ongni p(er)sona venia puza, e tutta
(95r) giente. E la chortesia che voi mi facieste sí è piaciuta a Dio, ch’àe voluto ch’io abia a voi fatto questo onore e questo bene – Allora disse mess(er) Dianese: – Dunque se’ morti guiderdonano i servigi, che debono fare i vivi? – Allora disse quello chavaliere: 5
– Ora sappiate, mess(er) Dianese, voi e tutta giente, che servigio no· si perdeo mai, e no(n) si perderà – E fue isparito detto questo e|d andossine in Paradiso. E mess(er) Dianese n’andò a casa sua mo|lto orevolemente cholla donna sua, e istettero mai sempre grandemente a grande honore, e tutti gli amici suoi
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guid|ordinò bene, e senpre ebono bene: e noi dea, che rimangni|amo, molto bene e buona ventura. Amen, amen.
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AUno tenpo era uno rÕccho homo 7 dauea una molto be lla donna ȸ molglÕe 7 questo homo leuolea tutto Õlsuo be ne 7 derane molto geloso . Ora uenne chome pÕacque adÕo 15
che questo homo lÕuenne uno male nelglÕocchÕ donde acÕe cho sÕcche ɃnɃo uedea lume . Ora auenÕa che questo homo no sÕ partÕa dalamolglÕe tuttauÕa latenea sÕche nolalascÕaua pa rtÕre dasse ȸ tema chella nollÕ facesse fallo . Ora auenne che uno homo delacontrada ÕnuaghÕo dÕquesta donna . 7 ɃnɃo u
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edea chome lepotesse fauelare ȸo chelmarÕto era tuttauÕa choleÕ 7 questo homo morÕa dÕleÕ . ȸ senbÕantÕ chellÕ facÕea aladonna . 7 ladonna uedendolo chosÕe Õnamorato dÕleÕ sÕe nele crebe 7 dÕsse ȸ senbÕantÕ tue uedÕ chome Õo posso che questÕ ɃnɃosÕ parte maÕ dame sÕche Õlbuono homo ɃnɃo sapea
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chesÕ fare nechesÕdÕre 7 parea che uolese morÕre ȸ sebÕan tÕ altro modo nosapea trouare chome sauenÕsse cholla do nna . 7 ladonna uedendo ÕmodÕ dÕquesto gentÕle homo ch ome facÕea sÕnelecrebe 7 penso dÕuolere seruÕre chostuÕ
(95v) ora fecÕe fare uno chanone dÕcanna lungho 7 puoselo al orecchÕe dÕquesto gentÕle homo 7 fauelollÕ Õnquesto modo ȸo cheɃnɃouolea chelmarÕto lodÕsse 7 dÕsse aquesto gentÕle homo dÕte mÕncresce eȸo Õoe pensato dÕseruÕrtÕ . VattÕne nelgÕar 5
dÕno nostro 7 salÕ Õnsununo pero cheuae molte belle pere 7 aspettamÕ lasuso edÕo ueroe lasue ate . Ilbuono homo Õnchontanente nando nelgÕardÕno 7 salÕe Õnsulpero eda spettaua ladonna . Ora uenne Õltenpo cheladonna era nel gÕardÕno euolea andare aseruÕre Õlbuono homo 7 ÕlmarÕto
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era tuttauÕa coleÕ . 7 ladonna dÕsse eme uenuto uolglÕa dÕ quelle pere chesono Õnsue quello pero chesono cosÕe belle ema rÕto dÕsse chÕama chÕtÕnecholgha 7 ladonna dÕsse Õo mene cholglÕero pure Õo chaltrÕ mentÕ nomÕne gÕouerebe . alotta sÕmosse ladonna ȸandare Õnsulpero 7 ÕlmarÕto sÕmosse eue nne
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coleÕ ÕnfÕno apÕe delpero 7 ladoɃna andoe Õnsue Õlpe ro 7 ÕlmarÕto abraccÕa Õlpedale delpero ȸche ɃnɃo uandasse
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dela donna d... pere
A uno tenpo era uno riccho homo, ed avea una molto
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be|lla donna p(er) molglie; e questo homo le volea tutto il suo be– ne, ed erane molto geloso. Or avenne, chome piacque a Dio, 15
che questo homo li venne uno male nelgli occhi, donde acie–
De la donna d[e le] pere
chò, sicché no(n) vedea lume. Ora avenia che questo homo no· si partia da la molglie; tuttavia la tenea sí che no’ la lasciava pa|rtire da ssé, p(er) tema ch’ella no· lli facesse fallo. Ora avenne che uno homo de la contrada invaghio di questa donna, e no(n) 20
v|edea chome le potesse favelare, p(er)ò che ’l marito era tuttavia cho’ lei; e questo homo moria di lei p(er) senbianti ch’elli faciea a la donna; e la donna, vedendolo chosie inamorato di lei, sie ne le ’[n]crebe e disse p(er) senbianti: – Tue vedi chome io posso, ché questi no(n) si parte mai da me! – Sí che il buono homo no(n) sapea
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che si fare né che si dire; e parea che volese morire p(er) sebian– ti, altro modo no· sapea trovare chome s’avenisse cholla do|nna; e la donna, vedendo i modi di questo gentile homo ch|ome faciea, sí ne le ’[n]crebe, e pensò di volere servire chostui.
(95v) Ora fecie fare uno chanone di canna lungho e puoselo a l’|orecchie di questo gentile homo, e favelolli in questo modo, p(er)ò che no(n) volea che ’l marito l’odisse; e disse a questo gentile homo: – Di te m’incresce, e p(er)ò i’òe pensato di servirti. Vattine nel giar– 5
dino nostro e sali in sun uno pero che v’àe molte belle pere, e aspettami là suso, ed io veròe là sue a te – Il buono homo inchontanente n’andò nel giardino, e salie in sul pero ed a|spettava la donna. Ora venne il tenpo che la donna era nel giardino, e volea andare a servire il buono homo, e il marito
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era tuttavia co’ lei. E la donna disse: – E m’è venuto volglia di quelle pere che sono in sue quello pero, ché sono cosie belle – E’ ma– rito disse: – Chiama chi ti ne cholgha – E la donna disse:– Io me ne cholglierò pure io, ch’altrimenti no· mi ne gioverebe – Alotta si mosse la donna p(er) andare in sul pero, e il marito si mosse e venne
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co’ lei infino a piè del pero; e la don(n)a andoe in sue il pe– ro; e il marito abraccia il pedale del pero p(er)ché no(n) v’andasse
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ȸsona dÕetrole Ora uenne chela donna fue sue pero cholam Õcho chella aspettaua . eÕstauano Õngrande solazzo eÕlpero sÕ menaua tutto sÕche lepere chadeuano Õnterra adosso almar 20
Õto . Onde dÕsse ÕlmarÕto che faÕ tue donna che none uÕenÕ tue faÕ cadere tante pere 7 ladonna lÕrÕspuose Õo uolea de lle pere duno ramo nonne potea auere altrÕmentÕ . Ora uolglÕo chesapÕate che domenedÕo 7 sanpÕero uedendo questo fatto dÕsse sanpÕero adomenedÕo nouedÕtue labeffa cɻ
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quella donna fae almarÕto . defae chelmarÕto uegha lume sÕcche ellÕ uegha cÕoe chelamolglÕe fae 7 domenedÕo dÕsse Õo tÕdÕcho sanpÕero chesÕtosto chome ellÕ uedra lume ladonna auera trouata lachagÕone Õoe laschusa eȸo uolglÕo che ue
(96r) ga lume 7 uedraÕ quello chella dÕrae . Ora uÕdde lume 7 g uato Õnsue 7 uÕdde quello cheladonna facÕea . alora dÕsse al adonna che fateuoÕ cocotesto homo none onore neauoÕ 7 dame 7 none lealta dÕdonna . 7 ladonna rÕspuose Õnconta 5
nente dÕsubÕto 7 dÕsse sÕo nonauessÕ fatto chosÕe conchostuÕ tue ɃnɃonauerestÕ maÕ ueduto lume alotta udendo ÕlmarÕto ch osÕe dÕre Õstette contento . 7 chosÕe uedete chome ledoɃne 7 lefemÕne sono lealÕ 7 chome trouano tosto laschusa . IRe dÕgerusale aquello tempo . sÕauea quatro fÕglÕuolÕ
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7 derano molto cortesÕ 7 molto belÕssÕmÕ dÕloro corpo 7 derano molto grandÕssÕmÕ ÕspendÕtorÕ 7 Õspendeuano tanto pÕue chenonera lantrata delRe loro padre che Õnpocho ten po auerebero chonsumato tutto Õloro Reame sÕe cheȸcÕo fu orono ÕnsÕeme aprouedere che cÕoe ɃnɃopotesse ÕnteruenÕre eȸo
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prouÕdero choloro padre ÕnsÕeme . che questÕ suoÕ fÕglÕuolÕ sÕdo uesono partÕre daqueste Õspese 7 andasono fuorÕ delreame aprocchacÕare loro auentura . 7 ÕlRe rÕmanesse 7 guardase ÕlReame 7 puosono ÕnsÕeme che cÕaschuno douesse tornare Õncapo dÕdÕcÕe annɬ 7 ɃnɃo prÕma 7 Õnquesto modo uÕdero
20
Õloro Õschanpo . Ora uenne chedÕsse ÕlmaggÕore Õo mÕpartÕro 7 andronne Õ
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p(er)sona dietro le’. Or avenne che la donna fue sue pero cho’l’am|i– cho ch’ella aspettava; e istavano in grande solazzo, e il pero si menava tutto, sí che le pere chadevano in terra a dosso al mar|ito. 20
Onde disse il marito: – Che fai tue, donna? Ché none vieni? tue fai cadere tante pere – E la donna li rispuose: – Io volea de|lle pere d’uno ramo, non ne potea avere altrimenti –. Ora volglio che sapiate che Domenedio e San Piero, vedendo questo fatto, disse San Piero a Domenedio: – No· vedi tue la beffa ch(e)
25
quella donna fae al marito? De[h], fae che ’l marito vegha lume, sicché elli vegha cioe che la molglie fae– E Domenedio disse: – Io ti dicho, San Piero, che sí tosto chome elli vedrà lume, la donna averà trovata la chagione, [c]ioè la schusa; e p(er)ò volglio che ve–
(96r) ga lume, e vedrai quello ch’ella dirae – Ora vidde lume e g|uatò in sue, e vidde quello che la donna faciea. Alora disse a l|a donna: – Che fate voi co’cotesto homo? Non è onore né a voi e|d a me, e non è lealtà di donna – E la donna rispuose inconta– 5
nente di subito, e disse: – S’io non avessi fatto chosie con chostui, tue no(n) n’averesti mai veduto lume – Alotta udendo il marito ch|osie dire, istette contento. E chosie vedete chome le don(n)e e le femine sono leali, e chome trovano tosto la schusa. I’re di Gerusale’ a quello tempo si avea quatro figliuoli,
10
[185]
ed erano molto cortesi e molto belissimi di loro corpo, ed erano molto grandissimi ispenditori, e ispendevano tanto piue che non era la’ntrata del re loro padre: ché in pocho ten– po averebero chonsumato tutto i’loro reame. Sie che p(er)ciò fu– orono insieme a provedere, che cioe no(n) potesse intervenire; e p(er)ò
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providero cho’loro padre insieme che questi suoi figliuoli si do– vésono partire da queste ispese, e andasono fuori del reame a procchaciare loro aventura, e il re rimanesse e guardase il reame. E puosono insieme che ciaschuno dovesse tornare in capo di dicie anni e no(n) prima; e in questo modo videro
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i’ loro ischanpo. Or avenne che disse il maggiore: – Io mi partirò, e andronne
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nfrancÕa aparÕgÕ . EÕlsecondo fratello dÕsse 7 Õo mÕpartÕro 7 andronne ÕnCÕcÕlÕa . EÕlterzo fratello dÕsse 7 Õo mÕpartÕ ro 7 andronne ÕnChatalongnÕa . EÕlquarto fratello dÕsse 7 Õo mÕpartÕroe 7 andronne . AgÕenoua sÕche furono Õnqu
25
esta conchordÕa 7 chatuno andoe asuo chamÕno Õnsuo …. se sÕcome auÕeno ordÕnato ÕnsÕeme Ora uenne chemagÕore fratello gÕonse ÕnparÕgÕ …. (96v)229 ncÕo auedere achesÕpotesse aprendere dÕfare asaÕ prouÕdde 7 fÕnalmente prouÕdde dÕuolere ÕstudÕare Õntutte ÕscÕenzÕe 7 chosÕe fecÕe EÕlsecondo fratello gÕunse ÕnCÕcÕlÕa 7lae prouÕ dde Õlpaese 7 quando ebbe asaÕ proueduto nouÕ trouoe dapo tere altro fare chessere balestÕere 7 questo aparo 7 dÕueneneÕl
5
mÕglÕore che sÕtrouasse EÕlterzo fratello gÕunse Incatalon gnÕa elae prouÕdde 7 nouÕ trouoe altro cheladronÕ sÕcche qu esto chouenne chellÕ aparasse adouentare ladrone edouento ne Õlpue sottÕle chessere potesse EÕlquarto fratello gÕunse ÕnGÕenoua 7 prouÕdde che potesse fare pÕaquellÕ daparare
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afare lenauÕ 7 galee edÕuenene ÕlmÕglÕore maesto delmɃodo 7 Õnqueste cose tuttÕ 7 quatro apararono 7 dÕuenerne chosÕe cherano fÕnÕsÕmo cÕaschuno dÕloro artÕ chome detto eÕe Ora uenne Õltenpo che dÕecÕe annɬ erano chonpÕutÕ 7 cÕaschu no penso dÕuolere tornare Õnsuo Reame mosesÕ 7 gÕunsono
15
ne Reame alloro padre 7 fecÕero grande festa 7 grande alle greza ȸlaloro tornata 7 poÕ Õstettero pochÕ dÕe che ÕlRe dÕgÕ erusale loro padre fecÕe raghunare ÕsuoÕ baronÕ 7 poÕ mandoe ȸ suoÕ fÕglÕuolÕ 7 dÕsse loro fÕglÕuolÕ mÕeÕ uoÕ sÕete Õstato fuorÕ dÕquesto reame x annɬ 7 sapete cheame rÕmase ÕlReame agua
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rdare edÕo loe guardato 7 auanzato leuostre eredÕtate sÕco me noÕ ordÕnamo eȸo uolglÕo cheuÕpÕaccÕa che catuno dÕuoÕ dÕcha ÕmÕa presenzÕa chome auete fatto quello cheȸuo an
––––––– 229
Lettura difficile.
444
i|n Francia, a Parigi – E il secondo fratello disse: – E io mi partirò, e andronne in Cicilia – E il terzo fratello disse: – E io mi parti|rò, e andronne in Chatalongnia – E il quarto fratello disse: 25
– E io mi partiroe, e andronne a Gienova – Sí che furono in qu|esta conchordia; e chatuno andoe a suo chamino in suo pae– se,230 sí come avieno ordinato insieme. Or avenne che’ magiore fratello gionse in Parigi, comi|n–231
(96v) ciò a vedere a che si potesse aprendere di fare: asai providde, e finalmente providde di volere istudiare in tutte iscienzie, e chosie fecie. E il secondo fratello giunse in Cicilia, e lae provi|dde il paese, e quando ebbe asai proveduto, no· vi trovoe da po– 5
tere altro fare ch’essere balestiere: e questo aparò, e divenene il migliore che si trovasse. E il terzo fratello giunse in Catalon|gnia, e lae providde, e no· vi trovoe altro che ladroni: sicché qu|esto chovenne ch’elli aparasse a doventare ladrone, e doventò|ne il pue sottile ch’essere potesse. E il quarto fratello giunse
10
in Gienova, e providde che potesse fare: piaquelli d’aparare a fare le navi e galee, e divenene il migliore maesto del mo(n)do. E in queste cose tutti e quatro apararono, e divenerne chosie ch’erano finisimo ciaschuno di loro arti, chome detto èie. Or avenne il tenpo che diecie anni erano chonpiuti, e ciaschu–
15
no pensò di volere tornare in suo reame: mosesi, e giunsono ne’ reame al loro padre; e feciero grande festa e grande alle– greza p(er) la loro tornata. E poi istettero pochi die che il re di Gi|erusale’, loro padre, fecie raghunare i suoi baroni, e poi mandoe p(er) suoi figliuoli, e disse loro: – Figliuoli miei, voi siete istato fuori
20
di questo reame X anni, e sapete che a me rimase il reame a gua|rdare, ed io l’òe guardato e avanzato le vostre ereditate sí co– me noi ordinamo; e p(er)ò volglio che vi piaccia che catuno di voi dicha i· mia presenzia chome avete fatto quello che p(er) vo’
––––––– 230 231
Cf. ed. Biagi, cit., p. 202; G.Papanti, cit., p. XLV. Ibid. G. Papanti: giunse in Parigi e tosto cominciò, cit., p. XLV.
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daste sÕcche uedendo ÕsuoÕ fÕglÕuolÕ lauolonta delRe loro pa dre comÕncÕo ÕlmagÕore suo fÕglÕuolo 7 dÕsse Io andaÕ ÕnfrancÕa
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aparÕgÕ 7 oe ÕstudÕato Õntutte ÕscÕenzÕe edoe tanto aparato ….232 (97r)233 zÕa tanta quanto Õoe aparata 7 tacÕette ɃnɃoe dÕsse pÕue Ilsecondo fÕglÕuolo dÕsse Õo andaÕ Õn CÕcÕlÕa elae trouaÕ chÕo potese aparare altro chessere BalestÕere 7 questo soe fare me lglÕo che huomo delmondo 7 tacÕette 7 ɃnɃoe dÕsse .... EÕlterzo fÕglÕuolo dÕsse Õo andaÕ InchatalongnÕa elae notro
5
uaÕ seɃnɃo ladronÕ eme chouenne chÕo aparasse dÕsapere Õnb olare 7 sono Õlpue sottÕle ladro chesÕa almondo 7 tacÕette 7 ɃnɃone dÕsse pÕu Ilquarto fÕglÕuolo dÕsse Õo andaÕ ÕnGÕenoua lae mÕpuosÕ adaparare afare lenauÕ 7 solle melglÕo fare che homo del
10
mondo 7 uolglÕo che sapÕate che Gerusale nosapeno che nauÕ negalee sÕfossero efue tenuto grande fatto ȸo chel ae ɃnɃosÕsapea nauÕchare 7 tacÕette 7 ɃnɃodÕsse pÕue Alotta ÕlmagÕore fratello dÕcostoro udendo tutto cÕoe che auea detto ÕsuoÕ fratellÕ 7 che catuno sapea dÕsua arte dÕsse
15
padre nostro noÕ sÕamo tuttÕ rÕcchÕ 7 tutte .... che noÕ sapÕamo cÕfanno bÕsongnÕo eȸo Õo soe .... quale eÕe Õnuna Õsola dÕmare .... guarda uno Ⱦpente eȸo . tue chesaÕ fare .... anderemo ȸesso Ora dÕsse chelanaue .... questa gÕe
20
nte monto Õnsue lanaue tuttÕ 7 quatro ....7 andar ono ȸquesto auere 7 nauÕcharono tanto …. laouera questo auere 7 Õsmontarono …. agÕore fratello ches …. atello cÕoe quello ….
25
––––––– 232 233
I due versi che seguono sono illeggibili. Lettura difficile.
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an|daste – Sicché vedendo i suoi figliuoli la volontà del re loro pa– 25
dre, cominciò il magiore suo figliuolo, e disse: – Io andai in Francia, a Parigi, e òe istudiato in tutte iscienzie, ed òe tanto aparato… (mutila)
(97r) zia tanta quanto i’òe aparata –; e taciette, no(n)e disse piue. Il secondo figliuolo disse: – Io andai in Cicilia e lae trovai ch’io potese aparare altro ch’essere balestiere, e questo soe fare me|lglio che huomo del mondo –; e taciette, et no(n)e disse piue234. 5
E il terzo figliuolo disse: – Io andai in Chatalongnia e lae no’ tro– vai se no(n) ladroni, e me chovenne ch’io aparasse di sapere inb|olare, e sono il pue sottile ladro che sia al mondo –; e taciette, e no(n)ne disse piú. Il quarto figliuolo disse: – Io andai in Gienova, lae mi puosi
10
ad aparare a fare le navi, e solle melglio fare che homo del mondo, e volglio che sapiate che [in] Gerusale’ no sapeno che navi né galee si fossero, e fue tenuto grande fatto p(er)ò che l|ae no(n) si sapea navichare –; e taciette, e no(n) disse piue. Alotta il magiore fratello di costoro, udendo tutto cioe che
15
avea detto i suoi fratelli, e che catuno sapea di sua arte, disse: – Padre nostro, noi siamo tutti ricchi, e tutte quelle cose234 che noi sapiamo ci fanno bisongnio, e p(er)ò io soe .... il quale èie in una isola di mare, in una tonba; quale avere234… guarda uno s(er)pente, e p(er)ò tue che sai fare ....
20
anderemo p(er) esso. Ora disse che la nave .... questa gie|nte montò in sue la nave tutti e quatro .... e andar|ono p(er) questo avere, e navicharono tanto .... là ov’era questo avere, e ismontarono .... m|agiore fratello che sapea l’avere, e .... fr|a–235
25
tello, cioè quello ....
––––––– 234 235
Cf. ed. Biagi, cit., p. 203; G. Papanti, cit., p. XLVI. Cf. ed. Biagi, cit., p. 204.
447
Õnquesta tonba 7 …. dde che Õld …. …. quando …. (97v)
236
…. eladrone fecÕe cenno aladonzella
…. alotta ladonzella Õstette cheta cala …. Õlsuo mantello edauolselo el …. aldraghone 7 puoseuÕ suso Õlcapo al draghone eleuoe ladonzella 7 recholla fuorÕ della ton
5
ba 7 .... dentro chonuno saccho 7 rÕchonne . tutto lauere cheuera tante uolte uÕfecÕe 7 quando ebero cosÕ fatto 7 dellÕ rÕsalÕrono Õnsu lanaue cholla donzella 7 collauere 7 uenÕenne congrande festa neloro .... pocho Õstante Õldraghone sÕe sÕsÕsentÕo
10
7 guardo 7 ɃnɃoVÕde ladonzella Õnchontanente uscÕo f uorÕ delatonba efue ÕnsulÕsola 7 guardo 7 uÕdde Õmare costoro che nauÕchauano forte Õnchontanen te sÕgÕttoe ȸmare loro dÕetro facÕendo grande romore .... alotta costoro delanaue ÕsbÕchotÕro
15
no edebero grande paura 7 tenosÕ mortÕ . alotta dÕsse …. Õl balestro ɃnɃo dubÕate nenonabÕate paura …. dÕellÕ ȸluno deglÕ occhÕ 7 poÕ …. nelaltro occhÕo sÕe cheldrag …. uÕde lume 7 ɃnɃosapea doue sandare
20
.... la naue uocharono forte 7 andaro .... daldraghone 7 tornaro neloro …. mondo 7 fecÕero gr237
––––––– 236 237
Lettura difficile. Sono illeggibili gli ultimi quattro versi.
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in questa tonba e .... dde che il draghon .... 238 .... quando .... (97v) .... e ladrone fecie cenno a la donzella .... alotta la donzella istette cheta cala .... il suo mantello ed avolselo el .... al draghone e puosevi suso il capo al 5
draghone, e levoe la donzella e recholla fuori della ton– ba e .... dentro chon uno saccho, e richonne tutto l’avere che v’era, tante volte vi fecie; e quando ebero cosí fatto, ed elli risalirono in sulla nave cholla donzella e coll’avere, e venienne con grande festa
10
ne’ loro .... Pocho istante il draghone sie sí si sentio e guardò, e no(n) vide la donzella; inchontanente uscio f|uori de la tonba, e fue in su l’isola; e guardò e vidde i· mare costoro che navichavano forte. Inchontanen– te si gittoe p(er) mare loro dietro, faciendo grande romore
15
.... alotta costoro de la nave isbichotiro– no ed ebero grande paura, e tenosi morti. Alotta disse il fratello .... il balestro: –Non dubiate né non abiate paura .... balestro et dièlli p(er) l’uno degli occhi e poi .... et dàlli238 ne l’altro occhio, sie che ’l drag|o–
20
ne fue cieco238 .... vide lume e no(n) sapea dove s’andare sí che alotta238 .... la nave vocharono forte, e andaro .... dal draghone, e tornaro ne’ loro .... mondo, e feciero gr
––––––– 238
Cf. ed. Biagi, cit., p. 204.
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