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Italian Pages 198 Year 1992
OCEANIA Arte, cultura e popoli della Melanesia
n catalogo con iene È iui a colori e oltre 200 oggetti esposti: sculture, oggetti rituali, armi, ornamenti, oggetti d’uso, oltre ad una collezione di clave lignee, da guerra e rituali, usate per ‘uccidere i nemici destinati al festino cannibalesco; di notevole interesse la grande piroga delle Isole Salomone, usata per la caccia alle teste. : Oltre ai saggi che illustrano le origini, la storia, gli ‘usi e costumi, l’arte e la situazione politica attuale di questi popoli, una parte del volume è dedicata al “diario di viaggio” di Luigi Maria D'Albertis Alla Nuova Guinea. Ciò che ho veduto e ciò che ho fatto, pubblicato per la prima e unica RE a Londra nel. 1880. La trascrizione di ampi brani, He riportano let prime impressioni del viaggiatore esploratore dell’Ottocento, ci offrono una immagine viva e immediata di quelle popolazioni, prima che la colonizzazione europea ne cancellasse quasi RR li dentità originaria. £
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CENTRO MOSTRE DI FIRENZE Consiglio di
Amministrazione
Gianni Conti, presidente Piero Betti, Paolo Giannarelli
Collegio dei Sindaci Revisori Salvatore Silvestro, presidente Ricciotti Corradini, Sandro Quagliotti Direttore
Sergio Salvi
Ufficio Silvana Castaldi, Adriana
Chiariotti, Maria Milani, Paola Pelanti, Aleandro Banchi, Bianca Maria Mannelli Responsabile
amministrativo
Pietro Menichini Comune di Firenze
Provincia di Firenze,
Regione Toscana
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OCEANIA NERA Arte, cultura e popoli della Melanesia nelle collezioni
del Museo
di Antropologia
e Ftnologia di Firenze
Firenze, Sala d’Arme di Palazzo Vecchio
30 aprile - 9 agosto 1992
CANTINI
Copyright © 1992 Cantini & C Borgo Santa Croce 8, Firenze Gruppo D’Adamo Editore ISBN 88-7737-165-X
Mostra a cura di Sara Ciruzzi con la collaborazione di Marzia Fabiano Coordinamento generale
Sergio Salvi Organizzazione Adriana Chiariotti
Gestione Aleandro
Banchi
Amministrazione Pietro Menichini
Allestimento Piero Micheli
Ufficio Stampa Cantini Ornella D'Alessio Gli oggetti esposti provengono Museo di Antropologia Firenze
tutti dalle collezioni del
ed Etnologia
Fotografie: Antonio Quattrone Cartine: Studio Lecci
Grafica: Studio Breschi Fotocomposizione: Leadercomp Fotoliti: Alfacolor Stampa: Tipostampa
dell’Università
di
Sommario
Presentazione
Gianni Conti Introduzione Pietro Furieri
Le popolazioni
ll
Edoardo Pardini Ambiente, economia, Marzia Fabiano
17
tecniche
Culture e stili tribali nelle collezioni del Museo Sara Ciruzzi i L'arte dell'Occidente
e l’Oceania
25,
nera
Anna Imponente La Melanesia: Sergio Salvi
popoli, lingue, stati
Catalogo Luigi Maria D'Albertis e l'esplorazione della Nuova Guinea Luigi Pruneti Glossario
187
Bibliografia
189
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https://archive.org/details/oceanianeraariec0000muse
Presentazione
E con Oceania Nera, una mostra
di carattere etnografico, che il Centro
Mostre di Firenze
inizia la stagione espositiva 1992. La cosa non sorprenderà il pubblico fiorentino che ormai sa come il Centro Mostre, caratterizzato da un programma incentrato sulle arti visive, abbia proposto di tanto in tanto eventi culturali diversi, dalla Civiltà degli Etruschi, ai Vichinghi, all'Africa Nera, ai Balti. E una scelta questa che intende stimolare una pluralità di interessi soddisfacendo anche particolari aspettative culturali che rimangono spesso disattese. Questa mostra sull’“arte, la cultura e i popoli della Melanesia”
mostra Da Francis Bacon a Gli oggetti esposti Etnologia di Firenze, una nostra città. Tra gli scopi
subentra
così, nella Sala d’Arme
di Palazzo Vecchio,
alla
oggi sulla nuova figurazione britannica. provengono dalle collezioni del Museo Nazionale di Antropologia ed prestigiosa istituzione che costituisce uno dei tesori poco noti della dell'esposizione c’è quello di valorizzare parte dell'immenso patrimo-
nio etnologico di questo museo
(che, fondato nel 1869, è forse il più antico museo
universitario
d’Europa), presentando prodotti della cultura melanesiana così come appariva prima che il contatto con la civiltà occidentale ne confondesse le caratteristiche originarie: così come si presentò agli scienziati-esploratori Odoardo Beccari e Luigi Maria D’ Albertis quando, alla fine dell’Ottocento, si avventurarono in quei territori. Di pregevole fattura, e in alcuni casi di indubbio valore artistico, questi oggetti sono tutti pervasi
da
un’accentuata
sacralità
che
suggerisce
l’intima
connessione
tra
umano
e divino.
Suggestivi i korvar, raffigurazioni degli antenati a scopo propiziatorio, che ornano anche i più comuni oggetti d’uso; unica la bellissima piroga delle isole Salomone; di sorprendente qualità estetica le decorazioni delle tapa. L'opportunità di avvicinarci a queste antiche culture melanesiane e ai diversi stili tribali offertaci da Oceania Nera è qualcosa che forse non è più possibile ottenere visitando quei luoghi lontani dove poche sono ormai le tracce delle originarie culture aborigene. Stralci dal diario di viaggio di Luigi Maria D'Albertis che si recò in Melanesia in missione scientifica, accuratamente selezionati e riportati nel bel catalogo edito da Cantini, completano con note piene di suggestione questo impatto con le antiche culture melanesiane. Sono sinceramente grato a Pietro Furieri, direttore del Museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze, per aver reso possibile questa interessante iniziativa. Ringrazio Sara Ciruzzi,
conservatore
del
museo,
che
ha curato
la mostra
con
la collaborazione
di Marzia
Fabiano, all’editore Cantini che ha prodotto il bellissimo catalogo e a tutti coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione.
Il mio riconoscimento
a Sergio Salvi, direttore del Centro
Mostre, che ha coordinato l’iniziativa, a Adriana Chiariotti per l’organizzazione della mostra e a Piero Micheli per il suo allestimento. Dopo il grande successo di Gustav Klimt a Palazzo Strozzi, ho il piacere di proporre una significativa iniziativa del tutto diversa, che mi auguro venga altrettanto apprezzata. Gianni Conti Vice-sindaco di Firenze Assessore alla Cultura Presidente del Centro Mostre
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Introduzione
Il Museo di Antropologia ed Etnologia è oggi una delle sei sezioni confluite nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, al quale una nuova legge dovrebbe dare status di tipo dipartimentale per vivificare le interazioni tra attività istituzionali e di ricerca e ricaduta didattica utile a diversi Corsi di Laurea. E in fase di progettazione l’adeguamento dei vecchi macelli fiorentini a nuova sede di quello che in definitiva sarà il Museo Nazionale di Storia Naturale. In questo contesto il Museo di Antropologia ed Etnologia occupa uno spazio importante, caratteristico e, in un certo senso, interdisciplinare: specchio della molteplicità delle attività umane nella componente etnologica e della storia naturale vera e propria della nostra specie in quella antropologica. Quest'ultima componente non è molto conosciuta dal grosso pubblico mentre è indispensabile al mondo degli specialisti per le sue ricche collezioni osteologiche e di maschere facciali. La parte etnologica, ovviamente, è preponderante sia per numero e qualità delle collezioni che per lo spazio espositivo occupato nell’intero Museo. Essendo di cattivo gusto inserirsi in graduatorie di merito dirò solo che nessuna mostra di buon
livello, nel settore, ha potuto fare a meno
del prestito di oggetti delle nostre collezioni.
Siamo ormai riemersi dall’alluvione del °66, abbiamo restaurato la maggior parte degli oggetti
finiti
sott'acqua,
modernizzandole
abbiamo
riaperto,
con
batticuore,
le sale
ostensive
del
pianoterra,
alquanto. Si stanno riorganizzando i magazzini in modo da rendere visibili,
quasi in ostensione, tutti gli oggetti a collezione; è particolarmente curata la conservazione degli
oggetti più deperibili. E curata la visita delle numerose scolaresche che la richiedono; allestimento una saletta didattica di rilevamenti antropometrici.
è in
Caratteristica degli oggetti delle collezioni è la loro rigorosa autenticità, siano essi antichi
o recenti, preziosi 0 poveri, piacevoli o sgraditi; ma sempre essi mostrano la traccia creativa dell’artigiano, la destinazione ad uno specifico uso, la tradizione di una cultura perfettamente adeguata alla funzione ed al possesso delle tecniche sufficienti. Credo utile ricordare che l’artigiano di cui si parla non era ancora entrato nell’età del ferro ed anche quando è venuto in possesso di taglienti occidentali, non ha migliorato la qualità del manufatto, già perfetto. E motivo di soddisfazione, per noi, constatare che oggetti del tutto comuni, fatti con materiali di scarso valore merceologico, ottenuti con semplicità per usarli quotidianamente, mostrino, in sovrappiù, particolari ornamentali che certamente hanno gratificato il costruttore e
meravigliano per la loro inessenziale pertinenza estetica, e dobbiamo riconoscere che nonostante la povertà tecnologica, i risultati sono contemporaneamente funzionali e belli. Ci piace dare testimonianza della perfetta lettura del messaggio scritto dalla esperta mano di un Ignoto che, estraendo dalla materia il suo progetto, ci tramanda la sua “idea”; e chi chiama
“Primitivo” nel senso di arretrato o peggio di “Selvaggio” questo Ignoto, non ha che confrontarsi con Lui: nel suo ambiente ed a parità, non tanto di conoscenze, quanto di mezzi. Credo che il
risultato sarebbe scontato. Siamo quindi orgogliosi di poter mettere in Mostra una discreta quantità di manufatti che, nell’interessamento di uno sguardo, riportano alle avventure di Cook o alla vita, definitivamente perduta, delle popolazioni dell'Oceania che senza lattanza ma consapevolmente ci
| i i mostrano la loro civiltà. a Sono lieto di dire il mio “Grazie” agli ideatori ed organizzatori della Mostra dell’Oceani
9
Nera per averci permesso di poter offrire al popolo dei visitatori tanti preziosi cimeli che solitamente giacciono nelle bacheche del nostro Museo che purtroppo non fa parte del grande circuito delle guide, e di poter ricordare a ciascuno che tutti i magnifici oggetti esposti sono oggetti “vissuti”; e con poca fantasia si può scorgere la mano che impugna l’ascia o il collo ornato dalla collana e poco dopo vedere la danza rituale sotto la luna o l’armo che pagaia cantando, insomma, quel residuo di umanità magicamente trasmessa dai nostri fratelli. Pietro Furieri Direttore del Museo Nazionale
di Antropologia e Etnologia
Le popolazioni Edoardo Pardini
#
In Oceania vivono diversi popoli che in una prima grossolana distinzione possono essere divisi in due grandi rami: popolazioni a pelle chiara rappresentate essenzialmente dai Polinesiani e, in misura minore, dai Micronesiani e da popolazioni a pelle scura. Quest’ultime possono essere
riunite
in un
unico
gruppo
artificiale
che,
correttamente,
dovrebbe
essere
definito
austro-melanesoide. A questo gruppo appartengono attualmente gli aborigeni australiani e quel complesso assai differenziato e polimorfo che va sotto il nome di razza melanesiana che sarebbe forse più corretto indicare come papua-melaneside o melano-papuaside. Ma al di là delle denominazioni, è questo complesso popolazionistico che formerà l’oggetto di questa rassegna e che occorre fin da ora collocare geograficamente e spazialmente nel suo habitat naturale. L'areale distributivo compreso fra l’equatore e il tropico del Capricorno si sviluppa intorno al Mar dei Coralli in una specie di triangolo sferico che ha come vertice a occidente Gilolo, la più grande delle Molucche, a oriente il gruppo delle Figi, a sud la Nuova Caledonia, comprendendo un insieme di isole grandi e piccole spazialmente non lontane, raggruppate in arcipelaghi quasi contigui che, a partire dalla Nuova Guinea, si sviluppano con andamento sud orientale quali l’Ammiragliato, le Bismarck, le Salomone, le Nuove Ebridi ecc... Si tratta perlopiù
di isole montagnose le cui vette vanno oltre i tre-quattro mila metri e che sono in gran parte caratterizzate dalla lussureggiante foresta tropicale che, per la sua densità e impenetrabilità, deve aver svolto un ruolo non
indifferente sia per la conservazione
di forme umane,
primitive,
sia per la trasformazione endogena di gruppi di popolazioni isolate favorita da particolari nicchie ecologiche dove l'isolamento deve essere stato notevolmente severo. Questo forse potrebbe spiegare, almeno in parte, l'estremo polimorfismo somatico di queste popolazioni dove è agile distinguere almeno due tipi antropologici: il neocaledone e il papuano, ma è estremamente arduo fissarne le delimitazioni in quanto l’abbondanza delle forme intermedie è tale che i due trapassano quasi gradatamente l’uno nell’altro dando l'impressione, almeno in certi gruppi, di una specie di metamorfismo più o meno stabilizzato. Dei due tipi suddetti, i neocaledone, distribuito perlopiù nell’isola omonima,
è quello che
indubbiamente conserva, fra tutta l'umanità attuale, l'aspetto più primitivo rasentando in alcuni soggetti motivi pitecoidi. La pelle ha un colorito molto scuro con sfumature giallo-rossicce e la pigmentazione è così forte da invadere anche le mucose conferendo per esempio alle labbra una densa colorazione violacea. Discreta la pelosità corporea con barba e baffi sovente molto folti. I capelli di color nero
ulotrichi strettamente
o castano
scuro, talvolta tuttavia con
avvolti in spirali che vengono
sfumature
rossastre,
sono
talora disposte intorno al viso. Le iridi
sempre nere e brillanti. Eppure generalmente negli infanti neocaledoni il capello è liscio o, tuttalpiù, ondulato con tonalità molto chiare e, solo nei primi anni dell'infanzia, acquista la
pigmentazione scura e la forma ulotrica, denunciando forse con questa precoce inversione di dominanza una lontana genesi ibrida. La faccia è grande e grossolana, caratterizzata da forte prognatismo con fronte talvolta diritta e perfino bombata, talvolta inclinata fortemente all'indietro, con arcate sopraciliari sempre forti e sporgenti, talora riunite a mo’ di visiera. Il naso largo con radice infossata e depressa con dorso concavo provvisto di larghe narici si avvicina notevolmente per la struttura a quello degli antropoidi; le labbra piuttosto grosse sono sporgenti soprattutto per il forte prognatismo sottonasale spesso accompagnato da profatnia (gli
incisivi superiori, specie i mediali, protrudono in avanti). L'aspetto facciale in genere è di tipo neandertaloide ossia molto primitivo (forti rilievi sopraorbitari a mo’ di toro o visiera, radice nasale infossata, ampiezza mascellare ecc.), mentre quello neurocranico caratterizzato da una ILil
testa stretta, lunga e decisamente alta, ve lo discosta notevolmente ravvicinandolo invece al ceppo australiano. La corporatura è in genere muscolosa e tarchiata con statura negli uomini fra i 166 e 168 cm di media e con notevole sviluppo dei segmenti distali degli arti sui prossimali specie
per
l’arto
Dal
superiore.
punto
di vista
infine,
emotipologico,
il tipo neocaledone
sl
discosta notevolmente dagli altri gruppi melanesoidi per la bassa frequenza della modalità B compresa fra il 5-3%. L’altro tipo è il papua della Nuova Guinea che, per quanto scomponibile in diverse varietà anche prescindendo dai vari idiomi, indizio non ultimo di quella frammentarietà ecologica accennata all’inizio, per non complicare ulteriormente
la visione ai non iniziati, sarà trattato in
modo unitario. Questo tipo si discosta notevolmente dal precedente per l'insieme delle forme, più ingentilite, più armoniche e talvolta anche secondo il nostro canone, belle. La pelle è bruna con sfumature rossicce, le iridi nere. I capelli generalmente “frisés” sono decisamente lunghi
malgrado la spiralatura e quasi sempre neri; il corpo è generalmente glabro; barba e baffi poco sviluppati. La faccia, di contorno ovalare, metricamente si esprime in tutte le forme; la fronte stretta perlopiù diritta o leggermente inclinata presenta arcate sopraciliari appena accennate; gli zigomi piuttosto appiattiti lateralmente giustificano spesso la cameprosopia (faccia bassa); il naso lungo e diritto ha ponte nasale rilevato con radice stretta, ma metricamente tutte le forme sono rappresentate denunciando forse, insieme alle varietà delle forme della testa e della faccia, un lontano meticciamento fra morfologie opposte. La rima palpebrale è assai stretta, la bocca è grande con labbra piuttosto grosse, il grado di prognatismo è ridotto rispetto ai neocaledoni, né mancano visi ortognati. La testa è stretta ed alta, più frequentemente dolicocefala, pur non
mancando gruppi mesocefali mentre irrilevante è la brachicefalia. Il canone corporeo è spesso longilineo, malgrado la costituzione robusta e muscolosa, e questo in genere si realizza perché gli arti ben
sviluppati
si presentano
dolicocherchici
e dolico
cnemici,
cioè
con
avambraccio
e
gamba molto allungati. La statura molto variabile a seconda dei gruppi oscilla fra i 156 e 170 cm. Dal punto di vista emotipologico da segnalare infine nei Papua, specie quelli dell’interno della Nuova
Guinea, una elevata frequenza delle modalità B che in certi gruppi supera il 20%.
A questi due tipi principali le cui fisionomie trapassano quasi indistintamente l’una nell’altra, se si analizzano le popolazioni degli arcipelaghi intermedi fra la Nuova Guinea e la Nuova Caledonia, si devono aggiungere inoltre reminiscenze spesso molto chiare dei caratteri australiani
in non
pochi
gruppi,
specie
all’interno,
nelle
zone
montuose
delle
isole,
senza
contare poi la sensibile influenza di caratteri polinesoidi nelle Figi e di quelli indonesiani a Gilolo e nel tratto occidentale della stessa Nuova Guinea. Un cenno a parte meritano infine i gruppi pigmoidi melanesiani che si ritrovano un po’ in quasi tutte le principali
isole e che sono
stati interpretati,
più che come
una
unica
forma
razziale, piuttosto verosimilmente come gli effetti di una depauperizzazione di stirpe applicata a gruppi spesso numericamente piccoli, fortemente endogamici e severamente isolati. Tuttavia fra questi almeno i Tapiro, che vivono nell'interno della Nuova Guinea, anche per la loro numerosità, si preferisce inserirli in quell’artificiale gruppo umano che va sotto il nome di
pigmei extrafricani 0, più comunemente, anche se impropriamente, di “Negritos”. Pure per i Tapiro occorrerebbero diverse suddivisioni in gruppi localizzabili all’interno di particolari areali
montuosi
della
Nuova
Guinea,
ma
ci si contenterà
di elencarne
in modo
unitario
i
principali caratteri antropologici tralasciando le diversificazioni fra gruppo e gruppo. I Tàpiro sono caratterizzati da una
pelle nera con sfumature
giallastre, da iridi nere, capelli neri, corti,
crespi e talvolta a grano di pepe. La testa è mesocefala, la faccia bassa e larga con naso mesorrino piuttosto voluminoso e con prognatismo di tipo sottonasale più o meno pronunciato. Le proporzioni corporee sono normosome con testa piuttosto grossa rispetto al corpo, la statura varia a seconda dei gruppi, ma è generalmente compresa
fra i 142 e 144 cm. Particolarità che li
accomuna quasi tutti è l'elevata frequenza della modalità 0 nel sistema emotipologico ABO, frequenza che raggiunge quasi il 90%, caratteristica questa del resto che si ritrova in quasi tutte le popolazioni residuali. Se ci si domanda infine come sono giustificabili in relativo poco spazio territoriale una tale varietà di morfologie umane delle quali alcune decisamente ancestrali, bisogna tener presente la posizione geografica di questa zona oceanica che funge ora, e ancor più nel passato, da ponte di collegamento tra l’Asia insulare, il continente australiano e la dispersa Polinesia. Generalmente si ammettono almeno tre distinte ondate di popolamento per l’Oceania. La prima, verso il termine dell’ultima glaciazione, superando eventualmente qualche braccio di mare fra Indonesia e Australia, si sarebbe biforcata in due rami: quello occidentale raggiungendo per via continentale la Tasmania, quello orientale la Nuova Guinea e qualche arcipelago 12
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ii) . Australiani del Sud Papua
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Lingue e popoli dell'Oceania occidentale
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Uomo e donna della Nuova Caledonia fotografati in norma frontale e in norma laterale.
grande e grossolana, forte prognatismo, labbra sporgenti, forti arcate sopraciliari. I capelli sono ulotrichi, strettamente avvolti in spirali disposte talora intorno al viso.
Il tipo neocaledone, distribuito perlopiù nell’isola omonima,
(Da Sarasin, 1922).
presenta
un aspetto
molto
primitivo:
pelle molto
scura,
faccia
IE
Gruppo di Papua.
I Papua hanno un aspetto più ingentilito rispetto ai Neocaledoni. La pelle e bruna con sfumature rossic , 1 capelli sono lunghi e spiralati del tipo “frisés” e sempre neri. La faccia ha, in
genere, contorno ovale e confronte perlopiù diritta. Il corpo e glabro, piuttosto longilineo e leptosomico. (Da Meyer & Parkinson, 1894)
Un Tapiro.
I Tàpiro vivono nelle zone montuose più impervie della Nuova Guinea. La pelle e nera con sfumature giallastre, i capelli sono neri, corti crespi e talvolta a grano di pepe. La faccia e bassa e larga con naso piuttosto voluminoso e con prognatismo di tipo sottonasale. La struttura corporea è normolinea, la statura decisamente bassa (142-144 cm). (Da Wollaston, 1912)
melanesiano. A tale ondata si è propensi ad assegnare caratteri tasmanoidi, razza questa che eufemisticamente consideriamo si sia estinta verso la fine del secolo scorso. Sarebbero anche da ricollegare a tale ondata di popolamento, se non tutti i gruppi pigmoidi degli arcipelaghi melanesiani, almeno i Tapiro. Quale ipotetico ascendente di tale ondata migratoria viene spesso indicato l’uomo di Solo. La seconda ondata (meso-neolitico?) di popolamento originatasi forse dall'Asia orientale e strettamente
collegata ai reperti di Wadjak ed anch'essa
suddivisa
in due rami
(occidentale
e
orientale), avrebbe invaso il continente australiano, la Nuova Guinea e gli arcipelaghi melanesiani. Sarebbe questa la tipica portatrice dei caratteri australoidi che talora si rinvengono sporadicamente in alcune popolazioni melanesiane degli interni isolani o che riaffiorano in certe morfologie specie neocaledoni.
La terza ondata infine, abbastanza recente, collocabile nei primi secoli dell’età cristiana, a ragione o a torto fatta originare dall’alta valle dell’Indo ma comunque con un passaggio e forse anche con un non corto stazionamento in Indonesia, sarebbe quella portatrice delle caratteristiche polinesoidi, ondata che prima di disperdersi nei vasti arcipelaghi polinesiani venne di certo a contatto con le popolazioni a pelle scura melanesiane lasciando traccia ben evidente di tale miscelamento nelle popolazioni micronesiane. Non fa meraviglia quindi in tale ottica né la varietà di tipi umani riscontrati nell’Oceania Nera, né il perdurare in essa di forme arcaiche
perché il genere di habitat si dimostra
favorevoli sia al fenomeno endogamico sia alla mutazione di gruppo.
16
tra i più
Ambiente, economia, tecniche Marzia Fabiano
AMBIENTE
La Melanesia si presenta come un complesso di isole, localizzato tra Equatore e tropico del Capricorno, che quasi ininterrottamente si estende dal margine sud-orientale del continente asiatico fino nel cuore dell’Oceano Pacifico. Appartengono a questo complesso: la grande isola
della Nuova Guinea e la serie degli Arcipelaghi Melanesiani tra i quali i più importanti sono quello di Bismarck, delle Salomone, di Santa Cruz, le Nuove Ebridi, la Nuova Caledonia, e più lontano, verso l’area polinesiana, le Isole Figi. Questa serie di isole si colloca lungo un sistema di fratture della crosta terrestre, sottolineato da una serie di fosse oceaniche che, partendo da quella di Timor-Giava ad occidente sì raccorda, percorrendo in tutta la sua lunghezza la parte settentrionale della Nuova Guinea, con quella della Nuova Britannia - Isole Salomone, verso oriente.
Lungo questo sistema di fratture, la zolla australiana tende pacifica causando una intensa attività sismica e vulcanica; non a caso melanesiane è di origine vulcanica e presenta vulcani attivi. La natura la causa principale della loro morfologia aspra e talora dirupata, con
a scorrere sopra a quella la quasi totalità delle isole vulcanica di queste isole è vette piuttosto elevate che
arrivano a sfiorare i 4000 m, e nel caso della Nuova Guinea, oltrepassano anche i 5000 m. Solo gli
isolotti minori, per lo più di origine corallina, hanno una morfologia piatta; isolotti di questo tipo si presentano in gran numero nei pressi delle isole maggiori, dove si sviluppa un’ampia scogliera corallina. La Nuova Guinea invece si presenta geologicamente più simile all’Australia, le rocce cristalline che affiorano nella imponente catena centrale sono del tutto simili a quelle dell’estremità
settentrionale
del continente
australiano
e ciò dimostrerebbe
che, sotto
il Mar
degli Arafura, le loro strutture si raccordano; nelle pianure meridionali tali rocce risultano coperte da imponenti spessori di sedimenti alluvionali. Nella parte nord, invece, la Nuova Guinea presenta una natura vulcanica, simile a quella del vicino Arcipelago di Bismarck, del quale sembra essere la continuazione naturale; in questa zona sono presenti anche diversi vulcani attivi. Instabilità geologica e piogge abbondantissime contribuiscono ad una rapida modificazione del paesaggio; la piovosità di queste zone è forse la più elevata del mondo. Questo territorio è in generale interessato da un clima di tipo equatoriale, con temperature medie annue comprese tra i 20°30°C e una piovosità di oltre 2000mm
annui, che talvolta raggiunge anche gli 8000mm,
distribuita su tutto l’arco dell’anno. Estensione dei rilievi e influenza del clima monsonico contribuiscono a modificare sensibilmente le condizioni climatiche locali. La temperatura, ad esempio, diminuisce
velocemente
con l’altitudine e, a quote di 2500 m, dove si trovano spesso
dei villaggi, scende facilmente al di sotto di 0°C. Per quel che riguarda la piovosità poi, ci sono zone con una spiccata stagionalità, specie in Nuova Guinea, e questo determina variazioni sensibili anche nelle associazioni vegetali.
Il tipo di vegetazione più diffuso in queste zone è quello della “foresta pluviale”, caratterizzata da vegetazione ad alto fusto in cui la chioma degli alberi più alti può arrivare a circa
50m
dal suolo;
conferendole
una
le specie arboree
struttura
che
le compongono
stratificata. Tipica delle zone
si sviluppano
pianeggianti,
a diverse
altezze
la foresta pluviale è
caratterizzata da piante del genere Pometia, Elaeocarpus, diverse specie dei generi Celtis, Pterocarpus, Ficus, Myristica, oltre al Pandanus e diverse varietà di palme. Nel sottobosco
abbondano piante di epifite, che possono vivere in condizioni di bassa luminosità. 7
Nelle zone
di pianura dove
il drenaggio
del terreno
è scarso,
si forma
la “foresta
impaludata” dominata dal Pandano e dalla Palma da sago, varietà molto importante per l'alimentazione delle popolazioni. Nelle zone costiere e alla foce dei fiumi si forma la foresta a mangrovie, tipica dei terreni paludosi con acque salmastre, le cui radici aeree, trattenendo i banchi di fango, contribuiscono all’avanzamento verso il mare delle terre emerse. Nelle zone dove le precipitazioni hanno andamento stagionale, la foresta pluviale è sostituita da quella monsonica, che presenta varietà di piante a foglie caduche. Se poi il periodo siccitoso diventa troppo prolungato, si forma la savana dominata da diverse specie di Eucalipti. Oltre i 700m di altitudine, si hanno foreste tipiche delle zone montane caratterizzate da Pandano, Faggio antartico, Arucaria, Felce arborea. Alle quote più elevate il suolo è coperto essenzialmente da vegetazione erbacea. La vegetazione riveste un ruolo importante nell'economia delle popolazioni di queste zone, sia perché quasi tutti gli oggetti tradizionali sono realizzati per lo più in legno o fibre vegetali, sia perché, oggigiorno, molti legni tropicali sono esportati in tutto il mondo. Questa vegetazione così rigogliosa ed intricata, nasconde una fauna non meno ricca e variata; abbondano soprattutto uccelli, rettili, insetti ed altissimo è anche il numero delle loro specie; le particolari condizioni ambientali hanno favorito l'isolamento di organismi immigrati in Nuova Guinea, proveniendo sia dall'Australia che dall’Indonesia; questi in seguito ad una evoluzione divergente si sarebbero diversificati in un grandissimo numero di specie (sorte simile avrebbero subito anche le piante). Molto modesta è invece la fauna mammaliana,
tra cui alcuni
marsupiali come l’echidna, i canguri arborei ed il cusco. Tra i placentati è presente soprattutto una fauna di ratti e pipistrelli. Nel mondo dei rettili vi sono: tartarughe, coccodrilli, diverse varietà di lucertole, varani, serpenti anche di grossa taglia, agamidi; ma dove la natura si è particolarmente sbizzarrita, è stato nella varietà dell’avifauna, sia terrestre che marina, della quale occorre ricordare le Paradisee, dallo splendido piumaggio, il grandissimo numero di varietà di pappagalli, il bucero, molti tipi di passeriformi, colombi, tra cui caratteristiche sono le Goure, rapaci, ed il grande Casuario, uccello che come lo struzzo è incapace di volare e può raggiungere un ‘altezza anche:dittoun. La ricchezza di varietà faunistiche e floristiche, tipica della Nuova Guinea, non è paragonabile a quella degli arcipelaghi dove si ha una variabilità molto meno accentuata.
A differenza della vegetazione che riveste un ruolo molto importante nell'economia e nel sostentamento delle popolazioni indigene, la fauna selvatica non rappresenta un elemento importante nell’alimentazione; oggetto di caccia sono soprattutto gli uccelli, il cui coloratissimo
piumaggio è utilizzato soprattutto per creare ornamenti.
ECONOMIA
La difficoltà di penetrazione opposta dalla foresta pluviale ai colonizzatori europei, ha permesso che la cultura, le attività economiche tradizionali, ed il livello tecnologico delle popolazioni melanesiane si mantenessero pressoché inalterati quasi fino ai giorni nostri,
soprattutto nelle zone interne. Le zone costiere hanno invece subito influenze maggiori, non solo ad opera dei colonizzatori, ma anche per i contatti mantenuti fin da epoche remote, con gli abitanti di isole vicine: la navigazione è infatti conosciuta da tempi molto antichi e l’uso di canoe a bilancere ha permesso di effettuare spostamenti in mare aperto anche su grandi distanze.
In tutto il territorio melanesiano la tecnologia è essenzialmente lignea e litica e l’attività economica
prevalente è quella agricola.
Un villaggio è generalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare; la coltivazione dei campi
viene al
per lo più a livello familiare
e vi è una
netta divisione
di compiti
tra
uomini e donne. Gli attrezzi utilizzati sono primitivi: asce litiche immanicate, bastone da scavo, zappe rudimentali; per contro
l’uso di certe tecniche colturali come il terrazzamento dei versanti
scoscesi, drenaggio delle acque, canalizzazioni, fatte con tronchi scavati, per irrigare i campi, rotazione
delle colture,
contrasta
fortemente
con
la rudimentalità
degli attrezzi
utilizzati.
Le
varietà coltivate sono soprattutto la palma da sago, l’igname ed il taro, due varietà di tuberi, la patata dolce introdotta dall'America; vengono inoltre sfruttate piante come la palma da cocco, il banano
ed il pandano.
Dal tronco della palma da sago si ricava una farina con cui si prepara una sorta di polenta. Percuotendo
il tronco
con
piccole accette
si forma 18
una
sostanza
farinosa; questa
operazione
Neoguineano che sta levigando un coltello di pietra strofinandolo su una lastra di pietra (da V.L. Grottanelli, 1965)
Nuova Guinea. Indigeno scolpisce una maschera di legno con la tipica accetta con manico “a gomito”; la lama è legata con fibre di vegetali (da W. Stòhr, 1972)
lascia nella farina del sago molte fibre del tronco, che vengono eliminate facendo scorrere dell’acqua sulla farina e filtrando la miscela; questa viene raccolta in un recipiente di foglie di palma, dove viene pressata ed essiccata per la conservazione.
Il sago cresce bene nelle zone paludose, mentre nelle zone più elevate, quindi più asciutte e più fresche, vengono coltivati di preferenza igname e taro. Questi due tuberi sono molto importanti per l’alimentazione ed al momento del raccolto vengono effettuati grandi festeggiamenti. L'introduzione della patata dolce ha praticamente sostituito la coltura del taro nelle zone più elevate, poiché cresce più facilmente, è meno
sensibile al freddo e permette uno sfruttamen-
to più prolungato dello stesso campo. I campi di patate dolci devono essere recintati per difendere il tubero dai maiali che vengono allevati in gran numero da queste popolazioni e sono più un simbolo di ricchezza e prestigio, che un componente della dieta. In alcuni casi ai maiali vengono strappati i canini superiori, così che quelli inferiori possono crescere a dismisura, formando
dei cerchi
o delle spirali; questi maiali
che i canini si rompano.
vengono
particolarmente
I denti, ricurvi o spiralati vengono
ornamenti. | Oltre al maiale, le popolazioni alla loro dieta è fornito soprattutto
curati, per evitare
utilizzati poi per creare
degli
melanesiane allevano cani e polli, ma l'apporto proteico da animali cacciati come piccoli canguri, ratti, maiale
selvatico. La caccia, praticata per lo più con archi, frecce, giavellotti, fionde, non costituisce un'attività economica importante, per questa gente. Nelle zone costiere e lungo i fiumi viene praticata la pesca, con reti, trappole, lance ed ami. Oltre alla pesca del pesce a scopi alimentari, si pratica quella delle tartarughe e di molte varietà di molluschi, le cui conchiglie sono largamente usate nella ornamentazione personale. Le conchiglie sono utilizzate anche come monete e commercializzate tra le popolazioni costiere e quelle interne. Per la pesca vengono utilizzate imbarcazioni moxile con uno o due bilanceri, e negli arcipelaghi melanesiani sono talvolta corredate di vele fatte con stuoie leggere. Oltre alle conchiglie, possono
essere oggetto di'scambicominercialiailtisaleMitcontenitori
in ceramica, che solo alcune popolazioni sanno realizzare, le asce litiche. 19)
MATERIALI
E TECNICHE
Il massimo livello tecnologico raggiunto dai popoli melanesiani è quello della pietra levigata che, nella forma dell’ascia quadrangolare, fu probabilmente introdotta in Melanesia circa 3000 anni fa. Più tardi vi fu introdotta la tecnica della ceramica, e solo col colonialismo furono introdotti oggetti in metallo; le popolazioni indigene impararono ad utilizzare strumenti
metallici, ma non appresero la siderurgia. La tipologia di oggetti realizzata da questi popoli comprende: armi da offesa e da difesa, usate per la guerra o per la caccia (clave, lance, archi e frecce, scudi); oggetti da cucina (vassol, recipienti,
cucchiai,
spatole);
indumenti
(gonnellini,
copripudende,
astucci
penici, le tapa);
ornamenti di ogni tipo e per ogni occasione (diademi, fasce frontali, foranaso, orecchini, collane, pettorali); strumenti per la coltivazione (asce, zappe, bastoni da scavo); strumenti per la pesca (reti, lance, trappole, ami, galleggianti per le reti); imbarcazioni
(canoe monoxile
con 0
senza bilanceri); suppellettili domestiche (poggiatesta, ornamentazioni di abitazioni); oggetti rituali (raffigurazioni di antenati, ganci per la sospensione di crani di nemici uccisi, maschere, pagaie da danza); strumenti musicali (tamburo, flauto); generi voluttuari (pipe, astucci, mortai,
spatole per il betel). Tutti gli oggetti, pur nella essenzialità destinati,
sono
sempre
decorati
della forma
e presentano
ognuno
finalizzata alla funzione
una
propria
originalità,
cui sono
anche
nella
ripetitività degli elementi che caratterizzano un certo stile. Il legno è di gran lunga il materiale più usato; gli oggetti in legno sono quasi sempre monoxili; la scelta dell’essenza legnosa, più o meno dura e pesante, dipende dalla funzione cui l'oggetto è destinato. Armi come clave, lance, sono fatte in legno duro, ma anche oggetti come le spatole ed i mortai per il betel o i poggiatesta sono realizzati in legno duro, più difficile da lavorare, ma nel quale la qualità della decorazione risulta migliore. Il legno è sempre scolpito, lavorato ad incisione o ad intaglio, con parti dipinte. Se si esclude la parte occidentale della Nuova Guinea, dove la decorazione pittorica è quasi assente, in buona parte della Melanesia si usa dipingere gli oggetti scolpiti nei colori nero, bianco ed ocra, ottenuti rispettivamente da polvere di carbone, calce, e polvere di ocra. Impastati con una sostanza grassa, che fa da legante, vengono spalmati sull'oggetto da decorare. Come
elementi
decorativi
usati, si hanno
raffigurazioni
antropomorfe,
zoomorfe,
più 0
meno stilizzate, decorazioni geometriche, motivi a spirale. Sono pochissimi gli oggetti nei quali non entri come componente il legno. Oltre a quelli gia menzionati,
sono
realizzati
in legno:
statuette
antropomorfe
e zoomorfe,
decorazioni
di
imbarcazioni e le imbarcazioni stesse, strumenti per la pesca, pagaie per la danza e la struttura portante delle abitazioni. Altri materiali vegetali, come
noci di cocco, zucche, bambù, sono utilizzati per fabbricare
piccoli recipienti, soprattutto usati per la calce del betel, cucchiai; il bambù è usato anche per pipe ed aste di lance o frecce. Mentre il cocco è generalmente decorato con motivi incisi riempiti con
calce, le zucche ed il bambù vengono decorati con motivi pirografati. Fibre vegetali intrecciate sono utilizzate per produrre indumenti, reti da pesca, sporte per
il trasporto di oggetti, contenitori.
Particolarmente
usate sono
la fibra di cocco
e quella di
pandano, che entrano a far parte anche di ornamenti, sia nella realizzazione di fasce, cinture, braccialetti, fatti con fibre intrecciate di diverso colore, sia come materiale di unione di elementi ornamentali diversi quali conchiglie, semi, denti di maiale, ossa, conterie, penne.
Gli ornamenti rivestono un ruolo molto importante per queste popolazioni che vivono praticamente nude, e sono forse i tipi di oggetti nei quali la fantasia e l'abilità tecnica di assemblare materiali diversi si sbizzarrisce di più. Nella realizzazione di ornamenti hanno un ruolo molto importante le conchiglie; usate intere, se di piccola dimensione,
o sezionate
in vario modo,
si ritrovano
in quasi tutti i tipi di
ornamenti. Tra le varietà più usate abbiamo la Tridacna Gigas, dal cui guscio si ricavano vari elementi, discoidali, cilindrici, spiralati per realizzare ornamenti
frontali, pettorali, foranaso; da
sezioni diverse di Conus e di Trocus, si ottengono bracciali, orecchini; con Cipree di grossa taglia si formano collane e pettorali; mentre conchiglie piccole come Ciprea moneta, Cassidula Oliva, legate tra di loro o ad altro materiale, si ritrovano in pettorali e fasce frontali. Molto usati negli ornamenti sono anche dei semi come quelli di Coix o quelli rossi sferoidali di Abrus, che vengono utilizzati soprattutto per realizzare decorazioni d’onore, nelle quali vengono incollati su un supporto resinoso, spesso in associazione con i denti di maiale. 20)
bl
a
li a) i
Le fasi iniziali della battitura della Tapa. Le strisce di scorza appoggiate su un tronco vengono battute con appositi mazzuoli (da W. St6hr, 1972)
Uomo Papua riccamente ornamentato. Si notano: il diadema di penne, la fascia frontale, foranaso, collana, pettorali e bracciali (da V.L. Grottanelli, 1965)
Anche il materiale plumario è molto usato nella realizzazione di ornamenti; le più usate sono le penne dei pappagalli per le loro varietà cromatiche, o anche quelle nere e ispide dei casuari, che vivono nei dintorni dei villaggi in condizioni di semidomesticità. A differenza della Nuova Guinea, negli arcipelaghi melanesiani gli ornamenti sono più semplici, realizzati in conchiglia e tartaruga lavorata in un sottilissimo traforo, “Kap-Kap” delle Isole Salomone
0, come
nelle
Figi dove
sono
molto
usati i denti
di cetaceo,
particolarmente
quelli del Phiseter. i Le conchiglie non sono usate solo come ornamento, ma anche per produrre delle asce per i lavori più delicati e per intagliare il legno, in sostituzione di schegge litiche. Il materiale litico è usato essenzialmente per la fabbricazione di asce da lavoro, con uso diverso a seconda della forma, della dimensione, del tipo di immanicatura. La forma dell’ascia litica è per lo più trapezoidale, con spessori variabili. Sia in Nuova Guinea che in alcune isole degli arcipelaghi vengono usate mazze da combattimento con testa di pietra; detta pietra forata e
levigata, è inserita su un bastone di legno e fissata con resina o creta. Le pietre più usate sono di natura vulcanica, basalto o porfido, materiale facilmente reperibile in tutto il terrtorio melanesiano e che presenta requisiti tecnici ottimali. L'oggetto di pietra viene modellato prima per
mezzo
della
scheggiatura
per
portarlo
alle
dimensioni
desiderate,
poi
viene
levigato
strofinandolo sopra una pietra poggiata sul terreno. Per quanto riguarda l’utilizzazione della pietra sono da ricordare le “asce ostensorio” a lama discoidale della Nuova Caledonia e le lance con punta in ossidiana delle Isole dell’Ammiragliato. Nelle altre parti della Melanesia le punte delie lance o sono tutte di legno come l’asta, al più scolpite a formare punte e spine, oppure ne è aumentata l’efficacia con l'inserzione di spine ossee, di puntali in osso di casuario 0 di bambù.
Per la realizzazione di contenitori per acqua o cibi, oltre al legno e alle fibre vegetali, è usata anche la ceramica. Benché introdotta in Melanesia in epoca abbastanza antica, la tecnica della ceramica non si è diffusa uniformemente la si ritrova solo in alcune parti della Nuova Guinea, nelle Nuove Ebridi e nelle Isole Figi, dove ha raggiunto dei livelli qualitativi molto alti. ‘ Particolare di questa zona è la spalmatura a caldo del prodotto fittile, con particolari resine vegetali, estratte dal Pino Kauri, che conferiscono al vaso lucentezza ed una colorazione che va 2
dal verdastro al rosso. La tecnica di modellazione è quella del “colombino” o addirittura della palla di creta sagomata. Non si conosce assolutamente l’uso del tornio. Un discorso particolare, per quanto riguarda le tecniche, va rivolto alla “tapa” o stoffa di
scorza, la cui pratica si è ormai perduta. Benché conosciuta su tutta l’area melanesiana, la tapa ha raggiunto il massimo livello nelle Isole Figi. Il suo uso è stato indotto dalla carenza di fibre adatte alla tessitura
(la tessitura
non
viene
praticata
in nessuna
parte della Melanesia,
al massimo
vengono realizzate delle stuoie ad intreccio molto fine) e dalla scarsità di selvaggina di grossa taglia di cui poter usare le pelli. La preparazione della tapa prevede il taglio della corteccia dell’albero, appartenente in generale alla famiglia dei gelsi o dei Ficus, la raschiatura della superficie rugosa esterna, e la battitura con martello o mazzuolo. La scorza, liberata dai residui fibrosi e dalle sbavature
resinose, veniva messa a macerare
in un bagno di acqua fredda e poi fatta asciugare al sole.
Ancora un poco umida, veniva distesa su di una tavola ed iniziava la battitura con un mazzuolo
pesante e scanalato; la battitura ripetuta più volte permetteva di ottenere delle stoffe sottilissime e, per mezzo della giunzione incrociata di più scorze, anche di grandi dimensioni. Finita la battitura, la tapa veniva dipinta a motivi per lo più geometrici.
La tapa era usata per l'abbigliamento dei capi, dato che la sua preparazione era lunga e difficoltosa, o per realizzare dei divisori decorati nelle capanne. Diffusa anche in tutta la Polinesia, la realizzazione della
tapa
è andata
scomparendo, sostituita dai pratici tessuti di cotone introdotti col colonialismo.
rapidamente
Culture e stili tribali nelle collezioni del Museo Sara Ciruzzi
La Nuova
Guinea
con
le isole che le fanno
corona
e gli arcipelaghi
melanesiani
di
Bismarck, l’arcipelago delle Salomone con le isole di Santa Cruz, le Nuove Ebridi (ora Vanuatu)
con il gruppo di Banks, la Nuova Caledonia con le isole della Lealtà e, più lontano, le isole Figi estrema punta della Melanesia protesa nell’area polinesiana, sono il percorso di questa esposizione sull’Oceania Nera in cui vengono presentate le collezioni etnografiche del Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia, Sezione del Museo di Storia Naturale dell’Università di
Firenze. Sono pervenute al Museo fra il 1875 e il 1905, un periodo estremamente fecondo per l'antica istituzione fiorentina che, fondata da Paolo Mantegazza nel 1869, si arricchisce in questi trent'anni
di
vita,
delle
sue
collezioni
scientifiche
più
valide
provenienti
dall’Indonesia,
dall'America, dall’Oceania. Il panorama culturale melanesiano che caratterizza il percorso della mostra non è né completo né omogeneo. Della Nuova Guinea sono ben documentate la costa nord-occidentale e la costa settentrionale con le collezioni raccolte fra il 1871 e il 1876 da un Grande della scienza: il fiorentino Odoardo
Beccari
(16 novembre
1843-25
ottobre
1920),
botanico
e naturalista,
al quale
si
accompagnò nei primi anni della spedizione Luigi Maria D'Albertis, signore ligure appassionato di viaggi e della storia naturale, noto soprattutto per le successive e ardite esplorazioni del Fly River del 1876 e del 1877. Di quest’ultimo possiamo leggere in appendice alcuni brani tratti dal diario dei suoi viaggi avventurosi nella Nuova Guinea. Beccari e D'Albertis: due valentissimi naturalisti, indagatori acuti e coscienziosi dei grandi fenomeni della natura, scienziati sapienti quanto uomini coraggiosi, indomiti, spericolati. Dopo una lunga e accurata preparazione, affrontano viaggi in terre lontane per esplorare paesi sconosciuti, raccogliendo collezioni di oggetti naturali per la classificazione della flora e della fauna locali di cui scoprono moltissime specie nuove, oggetti etnografici per lo studio della cultura delle popolazioni indigene ancora inesplorate, eseguendo fotografie e osservazioni antropologiche, raccogliendo reperti osteologici e misure antropometriche per documentarne la morfologia somatica. E così vengono alla luce per la prima volta nel mondo gli usi, i costumi, le caratteristiche fisiche degli Onin, degli Arfak, degli Alfuros, dei Mafur... resi noti dalle raccolte imponenti di questi due
scienziati,
dai loro studi, dalla elaborazione
dei dati riuniti
nel corso
di lunghe
e
meticolose ricerche sul campo. Continuando l’itinerario espositivo si lasciano queste due regioni costiere in cui dominano la baia di Geelvink e la baia di Humboldt, per scendere nell’estrema punta sud-orientale neoguineana e al golfo di Papua con le belle raccolte donate nel 1899 e nel 1901 da Arthur
Scheidel, ingegnere a Sidney in Australia. Si percorrono quindi gli arcipelaghi melanesiani dove prevalgono i nuclei dell'arcipelago Bismarck, delle Salomone e delle Figi, con le raccolte dello Scheidel, del diplomatico fiorentino Giovanni Branchi, dell’artista fiorentino Ugo Biondi, di Luigi Podenzana direttore del Museo Civico di La Spezia. Risultato, queste, non tanto di missioni
scientifiche finalizzate quanto dovute piuttosto alla passione, all'intelligenza, allo spirito intuitivo individuale e personale di raccogliere documenti inediti di culture esotiche che entro breve tempo sarebbero scomparse inesorabilmente. oggetti
Malgrado le carenze e il carattere frammentario delle collezioni nel museo fiorentino, gli esposti: sculture, oggetti rituali, armi, utensili, ornamenti... documentano nel loro 23
in maniera
insieme
la complessa
esauriente
di essa siano stati
sebbene
tipologia melanesiana,
scelti solo gli esemplari più significativi e quelli che per la loro valenza formale possono meglio esprimere la ricchezza e la varietà degli “stili tribali”. Intendendo per “stile tribale” gli elementi essenziali che danno a ogni gruppo insulare una propria inconfondibile personalità pur nella omogeneità dei temi della cultura originaria. Cultura alla quale è necessario accennare per comprendere il significato dell’esposizione, più fedelmente rappresentata nelle bibliografie antiche, qui privilegiate. con
In accordo
toe. ‘dal punto di vista
etnica descritta da E. Pardini, anche
la composizione
culturale la Melanesia è un complesso mosaico di culture dovuto alla molteplicità dei gruppi insulari, alla divisione in tanti e differenti nuclei tribali, alla diversità di numerosi dialetti. Sono
800 le lingue della Melanesia distinte in due grandi famiglie linguistiche: la papua, diffusa nella maggior parte della Nuova Guinea e in alcune zone della Nuova Irlanda, della Nuova Britannia e delle Salomone
e la melanesiana, diffusa invece nella Nuova Guinea orientale e nel resto della
Melanesia. Malgrado questa multiforme comuni:
diversificazione,
i tratti fondamentali
della cultura
sono
la tecnologia, l'economia e quindi le forme di produzione, la struttura socio-politica, le credenze
spirituali. La tecnologia utilizza strumenti di pietra o di conchiglia nella lavorazione dei materiali più vari atti a soddisfare perfettamente tutte le esigenze materiali della vita quotidiana. Progredite le tecniche della coltivazione
con drenaggio dei terreni paludosi, campi terrazzati e
irrigui, in contrasto con la povertà degli strumenti, come ha riferito M. Fabiano. Il pandano, la palma
da sago,
la palma
da cocco,
l’igname,
il taro,
la patata dolce
(e per uso
voluttuario
il
tabacco giunto dall’Indonesia, e il detel) sono le principali forme di sussistenza assicurata da feste religiose e propiziatorie che favoriscono e conservano la fertilità dei campi. L’allevamento
dei
maiali
non
è legato
tanto
all’alimentazione
quotidiana
quanto
al
prestigio e alle esigenze della vita sociale e spirituale. Proprietà esclusiva dei maschi adulti, sono base dei contratti
matrimoniali,
pagano
un debito, riparano
un torto, vengono
immolati
nelle
feste rituali, arricchiscono di forza soprannaturale coloro che li possiedono. Possedere un gran numero di maiali come i frutti della coltivazione di cui disporre durante le feste comunitarie in onore degli antenati, conferisce non solo prestigio, ma è segno anche della benevolenza degli antenati, è il mezzo e il modo per conquistarsi il ruolo di capo. La
caccia
non
ha
grande
importanza
nell'economia
melanesiana,
diversamente
dalla
pesca essenziale invece per le tribù costiere e per quelle che vivono lungo i fiumi. Si impiegano con grande maestria piroghe monoxile
(ricavate da un unico tronco d’albero) per la pesca sui
fiumi
sul mare
e quelle a uno
o due
bilancieri
aperto:
le stesse
usate
per
il commercio,
il
trasporto, la navigazione.
Intensi gli scambi intertribali basati sul baratto di prodotti indispensabili per l’alimentazione e per la vita (sale, pani di sago, vasi di terracotta, asce litiche), sull'uso di monete-conchiglie spesso riunite in lunghe collane, di penne-monete come le penne rosse ascellari di un piccolo
pappagallo (Tr:choglossus Massena, Bp.) disposte su lunghi rotoli intrecciati, moneta cerimoniale (tavau) dell’isola di Santa Cruz (Giglioli, 1905). Centro della vita economica e sociale è il villaggio. Autosufficiente sul piano economico e indipendente sul piano politico grazie a un complesso autonomo di istituzioni che regolano
l'ordine sociale interno e i rapporti con l’esterno, possiede un suo territorio dove ogni famiglia ha la proprietà del terreno che coltiva. Alcune costruzioni si distinguono fra tutte le altre per la loro funzione sociale: le case degli uomini riservate alle riunioni politiche e religiose, le capanne dove si ritirano le donne durante la mestruazione perché impure oppure durante il parto, quelle infine per conservare i prodotti della coltivazione: di particolare rilievo quelle per conservare il taro nelle isole Trobriand o gli ignami nella Nuova Caledonia. La casa degli uomini talvolta è distinta dalla casa dove si celebrano i riti, detta anche casa
degli spiriti o casa del culto. Intorno alla casa degli uomini è lo spazio sacro. Ove c’è distinzione fra casa degli uomini e casa del culto, lo spazio sacro in cui si svolgono le danze rituali circonda quest’ultima. Tutte insieme sono
il punto nodale del villaggio, il luogo stabilito dalla tradizione dove i
maschi iniziati si incontrano con gli spiriti degli antenati durante le cerimonie sacre che garantiscono la prosperità e il benessere della comunità. Il matrimonio è un’ istituzione fondamentale nella società melanesiana. Con il matrimo-
nio si hanno i figli, si raggiunge la pienezza della condizione sociale, si instaurano alleanze fra
gruppi sociali diversi. 24
tili tribali della Nuova Guinea rappresentati nella mostra
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Nella struttura socio-politica l'elemento basilare dell’organizzazione è il clan, unità sociale
che riunisce tutti i discendenti da uno stesso antenato mitico. L'appartenenza al clan sancisce il diritto al territorio, la discendenza patrilineare o matrilineare e quindi le norme relative alla successione e all'eredità, regola la scelta matrimoniale, è l'elemento di coesione fra tutti 1 membri, definisce la collaborazione in campo economico ela rigida partecipazione ai riti. l gli però sono sessi i fra l’antagonismo e separazione la (1979), Come riferisce Maconi elementi salienti della società melanesiana. Le donne sono escluse dalla vita politica e da quella rituale. I maschi si attribuiscono la capacità di ricreare il mondo e di conservare l’ordine della società, soltanto la donna però è ritenuta portatrice della vita. Le donne assicurano la continuità degli individui, potere a sua volta controbilanciato dai maschi con l’appropriazione dei culti, preclusi alle donne, che consentono la continuazione della società e del mondo. La separazione fra i sessi si esprime anche nell’articolazione stessa del villaggio: i maschi dopo la pubertà vivono insieme nella casa degli uomini, le ragazze dopo il matrimonio abitano
ognuna in una propria capanna; nel villaggio si distingue per la bellezza dell’architettura, la presenza di sculture e pitture simboliche, l'ampiezza e la solidità, la casa degli uomini preclusa,
anche questa, alle donne. Qui vivono i maschi iniziati, qui si trattano le questioni più importanti del villaggio, si conservano
gli oggetti sacri e i crani degli antenati, qui si celebrano
i rituali.
I riti di iniziazione giovanile attraverso i quali il gruppo acquisisce un nuovo membro valido per il matrimonio e per le varie funzioni sociali e cultuali, sanciscono l’inizio di questa separazione. I riti femminili — in cui le giovani subiscono la deflorazione rituale segno di purificazione e la perforazione del setto nasale, ricevono dalle donne anziane l’istruzione sui diritti e sui doveri del matrimonio e dello status sociale ad esse attribuito nel contesto del gruppo e della cultura cui appartengono — sono individuali e non interrompono il ciclo normale
della vita tribale. I riti maschili, invece, sono sempre collettivi. Accompagnati
dal suono
degli strumenti
sacri, comportano
anch’essi
prove
cruente
e dolorose
sempre
come
la
circoncisione, la scarificazione in diverse parti del corpo, la perforazione del setto nasale.
Nella casa degli uomini i giovani vengono iniziati dagli anziani alle responsabilità della vita comunitaria, vengono
loro rivelate le tecniche magiche mediante
le quali entrano
in azione
le forze positive da cui dipende la sopravvivenza dell’intera comunità, vengono loro svelati i segreti dei rituali, il patrimonio mitico della tribù. Attraverso una speciale iniziazione, infine, i giovani possono entrare in quelle associazio-
ni note nella letteratura etnologica con il nome di società segrete: associazioni a carattere superclanico e supertribale, escluse totalmente alle donne, diffuse soprattutto nella Nuova Britannia, nelle Nuove Ebridi e nelle Banks. Nate originariamente per mantenere l’ordinamento tradizionale e punire i trasgressori, le società segrete operavano con l’aiuto di maschere e l'esposizione di iconografie che incarnavano le potenze divine e quindi l'ordine da esse stabilito. In seguito con il degenerare di queste idee si trasformarono in organizzazioni terroristiche che sfruttavano la popolazione con soprusi e vendette soprattutto a carico delle donne. Ulteriore e significativa testimonianza della separazione fra i sessi. Nelle credenze spirituali dei Melanesiani si distinguono tre categorie di esseri soprannaturali: i grandi spiriti demiurghi, gli spiriti della natura, gli spiriti degli antenati. Gli spiriti demiurghi e creatori sono al centro di una ricca mitologia e del culto solenne e collettivo del gruppo. Essi non sono l’origine del cosmo quanto dell’ordine attuale del mondo, del territorio tribale, dell’uomo, delle sue istituzioni create nel tempo. Attraverso i rituali, punto centrale dell’attività economico-sociale dei Melanesiani, gli uomini partecipano alla conservazio-
ne del mondo e delle istituzioni sociali. Con la loro celebrazione “il tempo ecologico viene saldato con quello cosmico per superare le tendenze degenerative della natura e quelle disgregatrici della società e realizzare l’equilibrio dell’una e dell’altra facendo rivivere ciclicamente le condizioni sante delle origini” (Maconi, 1979, 96).
Ai rituali delle origini si collegano e ne fanno parte integrante, la festa degli ignami e la festa dei maiali. La festa degli ignami, diffusa ovunque,
si celebra ogni anno
in coincidenza del
raccolto: si chiamano a far parte dei rituali gli antenati, i veri padroni del territorio e dei suoi frutti.
“Essi
sono
associati,
riferisce
ancora
Maconi,
all'evento
della
ciclica
palingenesi
della
natura e della società di cui i grandi spiriti sono gli ordinatori e fondatori”. La presenza degli antenati conferma e consacra la circolarità dei rapporti fra i viventi e gli antenati. La festa dei maiali, punto nodale dell’attività economica e religiosa delle tribù degli altopiani neoguineani, si celebra, a differenza della prima, a intervalli irregolari in rapporto alla disponibilità di animali che vengono uccisi in gran numero: insieme ai riti delle origini, si 26
Odoardo
Beccari
Luigi Maria D'Albertis
esaltano la fecondità dei maiali e la fertilità dei campi con danze e canti accompagnati dal suono dei flauti e dei rombi sacri, dono degli eroi culturali. Vi prendono parte sculture sacre e maschere che vengono poi riposte nella casa degli uomini. Gli spiriti della natura sono concepiti in genere come spiriti malevoli e perciò pericolosi: sono la causa delle tempeste, degli uragani fuori stagione, delle malattie. Ogni clan crede in una varietà grandissima di spiriti. Ogni famiglia rivolge loro invocazioni e scongiuri, offre sacrifici secondo le proprie necessità del momento. Il loro culto non ha pertanto carattere sociale. Il culto degli antenati domina però la vita religiosa dei Melanesiani. “L'uomo possiede un’anima-ombra considerata come consapevolezza, memoria, intelletto, e un’anima-spirito. La prima sopravvive fino a quando non sono terminate tutte le cerimonie
funebri e il lutto. L’anima-spirito sopravvive a lungo soggiornando dapprima nei luoghi dove il defunto ha vissuto e ha realizzato la pienezza dei rapporti sociali, per poi raggiungere il regno dei morti dove si unisce alla schiera degli antenati che l'hanno preceduto” (Maconi, 1979, 98). Si venerano gli antenati morti di recente, sono: oggetto di invocazioni e di sacrifici individuali presieduti da ogni maschio adulto. Gli antenati di cui non si ha più un ricordo personale formano una comunità di spiriti venerati come gruppo e potenti protettori dell’unità sociale. Espressione di questo culto che caratterizza i popoli melanesiani è la conservazione del cranio dei defunti che hanno avuto un ruolo di prestigio nella vita sociale del gruppo. I crani sono modellati con cera e creta in modo
da riprodurre le fattezze del defunto, spesso colorati e
conservati nella casa degli uomini per legare alla comunità la forza creatrice in essi contenuta. La letteratura orale comprende favole, racconti e narrazioni leggendarie. Tramanda le formule magiche, gli incanti amorosi e le delusioni d'amore, i canti funebri, i discorsi cerimoniali. Canta la guerra, i miti della creazione, i fasti degli antenati, ie gesta degli esseri mitologici.
Registrati dagli studiosi prima che ne venisse cancellata la memoria, sono la testimonianza preziosa e non riproducibile di un mondo magico, epico, religioso, che diversamente sarebbe andato perduto per sempre. Ancora al mondo magico rituale e sociale è collegata la feconda e straordinaria produzione artistica melanesiana che nei tempi passati ha arricchito collezioni private, gallerie
25)
antiquarie, musei d’arte primitiva, musei scientifici. Essa non entra nel tema essenziale della
mostra avendo, questa, prèminente carattere etnografico-scientifico. Produzione artistica che comunque preferiamo considerare nella sua funzione etica primigenia di tramandare i valori culturali,
mitologici,
religiosi
della
tradizione.
Intesa
come
libero
atto
di creazione
non
è
contemplata nella cultura originaria che è accettata nel suò complesso come un dato di fatto preciso e immutabile, dono degli eroi culturali portatori dei beni comuni. Alla cultura originaria si conforma tutta l’attività artistica. Il prestigio stesso di cui gode l’artista proviene non tanto dalle sue particolari attitudini ma piuttosto dalla sua conoscenza di forze e di pratiche magico-religiose il cui impiego, insieme al talento artistico, è ritenuto presupposto indispensabile della corretta fattura (aderente cioè allo spirito della tradizione), della qualità ed efficacia delle sue opere, siano esse sculture che incarnano gli esseri mitologici oppure gli antenati, siano esse attrezzi o suppellettili. Così tutti gli oggetti di uso quotidiano come utensili, armi, imbarcazioni, sono arricchiti e abbelliti con motivi rituali e decorativi che, accrescendone la carica vitale e la potenza magica,
ne garantiscono l’efficacia funzionale. Nello stesso tempo sono autentiche opere d’arte che nella suggestione
dell’antica
cultura
tribale
oggi scomparsa
o in corso
di profonde
modificazioni,
suscitano in chi le guarda un’intensa e profonda emozione.
LA NUOVA
GUINEA
In questa grande isola scoperta nel 1526 da J. de Menezes, in parte ancora inesplorata, gli studi di Gerbrands, Linton e Kooijman hanno distinto nove grandi aree stilistiche chiaramente differenziate fra loro, sebbene con reciproche influenze: ia zona costiera nord-occidentale, la fascia costiera settentrionale della baia di Humboldt, i bacini fluviali del Sepik e del Ramu, il
golfo di Huon con l’isola di Tami, il distretto di Massim con gli arcipelaghi adiacenti, il territorio del golfo di Papua, l’area abitata dai Marind-anim, l’area di Mimika e Asmat che prende il nome dalle due popolazioni più importanti di ceppo papua, le isole dello stretto di Torres (Tischner,
1963, 56). Di queste nove province sono ben rappresentate nelle collezioni fiorentine esposte: la zona costiera nord-occidentale, la fascia costiera settentrionale della baia di Humboldt, il distretto di Massim,
e, infine, :/ golfo di Papua con pochi ma significativi esemplari. La zona costiera nord occidentale In quest'area che comprende la baia di Geelvink e le sue isole, la penisola occidentale detta “Testa d’uccello” con le isolette vicine, nell’Irian o Nuova Guinea indonesiana (politica-
mente annessa all’Indonesia), domina lo stile della baia di Geelvink, detto anche stile korwar per
la presenza costante di sculture antropomorfe
in legno, in piedi o in posizione accovacciata,
talune con braccia articolate e accentuato fallismo, propiziatorio questo di virilità e fecondità. Hanno lineamenti angolosi, mento prognato, naso “ad ancora”, occhi affossati sotto la linea delle sopracciglia, testa quasi cubica. Destinate al culto degli antenati (originariamente potevano accogliere nella testa appena
accennata o svuotata il cranio del defunto) erano eseguite quando il personaggio era ancora in vita per accogliere alla sua morte l’anima-spirito che sarebbe rimasta a lungo fra i viventi. Alcune sostengono sul davanti uno scudo traforato ad arabeschi (d’ispirazione indonesiana) dove è inserita, talvolta, una piccola figura umana che conferma la funzione protettiva e la carica sacrale dell’antenato. Secondo il Beccari che ha raccolto tutti questi materiali, il nome karwar (korwar) sarebbe di origine sanscrita (indoeuropea): “Kava, egli dice, è parola kavi (antica lingua di Giava) e deriva dal sanscrito kara (costruttore, creatore, colui che è potente e tenuto in considerazione fra tutti). Karwar sarebbe dunque il grande orzginatore, il costruttore, il creatore per eccellenza” (Mantegaz-
zà, 1877, 322).
Il Rorwar è presente in tutti gli oggetti d’uso. E il sostegno dei poggiatesta dove si appoggia la nuca per non scomporre
l’elaborata
acconciatura dei capelli, unito qui e quasi confuso a motivi curvilinei di grande effetto decorativo. Orna le armi caricandole di forza magica da esercitare contro il nemico. Accompa-
gna le asce da lavoro; è scolpito nei galleggianti delle reti per la pesca delle tartarughe
a
garantirne la perfetta funzionalità, unito in questi a figure zoomorfe, coccodrillo, uccello, pesce:
E presente nei manici delle spatole e dei cucchiai lignei necessari 28
a manipolare i cibi vegetali
pù
A
Papua Arfak di Hatam
(dai disegni di O. Beccari)
Papua Onin di Kapaor (dai disegni di O. Beccari)
cotti a lungo oppure schiacciati. Scolpito nell’avorio diviene il manico stesso dei coltelli in cui la piccola figura arcuata porta un elegante e complicato copricapo d'ispirazione indonesiana. Lo si può ravvisare nella maschera virile raccolta ad Ansus, come annota sul retro di essa il
Beccari. Di tipologia inusitata nella produzione della baia di Geelvink e meritevole di una ulteriore e più approfondita verifica, il suo impressionante schematismo formale è quasi accentuato dalla vivace colorazione bianca, rossa e nera che rende i tratti del volto netti e precisi,
mentre le penne di casuario ne marcano 1 baffi e i capelli. Il korwar
costituisce,
infine,
l'elemento
essenziale
e magico
del
pezzo
prodiero
delle
imbarcazioni. Lo possiamo riconoscere in tre differenti raffigurazioni del museo fiorentino. Issato sulla prua, i lineamenti
rigidi e duri, la lunga e scomposta capigliatura di fibre di Arenga saccharifera
che accresce l’aspetto minaccioso della figura, sembra sfidare i venti e gli spiriti del mare (come gli si attaglia il significato di creatore potente attribuitogli dal Beccari!). Di dimensioni molto più piccole e in una
tipologia tutt’affatto diversa, con
testa rotonda
a casco, naso
lungo e ritorto a
guisa di proboscide, è al centro di un leggero arabesco ligneo ornamento di prua in cui motivi a volute si succedono in continua sequenza; ed infine al centro di una composizione analoga ma dipinta completamente di nero, con la testa incappucciata da una foltissima chioma nera di penne di casuario, prende posto sulla prua delle piroghe con cui “arditi navigatori tenuti da un lato a pagare
un
tributo
di donne
e di uccelli
del
paradiso
al Sultano
di Tidore,
dall’altro
razziavano la costa indonesiana delle Molucche in spedizioni di pirateria organizzata” (Guiart, 1963, 307). Piccole e tipiche sculture avimorfe in legno tenero fissate sulla prua delle imbarcazioni dell’isola di Merat, a nord-est della baia di Geelvink, hanno aspetto tutto diverso. Sostenute da una sorta di gruccia terminante in volti umani con la lingua fuori in atteggiamento di smorfia, rappresentano gli spiriti del mare. Motivi di viticci pirografati e anneriti con la fuliggine prevalgono invece sui recipienti di legno o di zucca della baia di Geelvink. La stessa fine decorazione orna gli astucci di bambù
che
contengono la calce per preparare il detel, droga a carattere sociale e rituale largamente diffusa nella Melanesia.
29
Casa degli uomini, Nuova Guinea occidentale (da Meyer e Parkinson, 1894)
La fascia costiera settentrionale della baia di Humboldt
In contrasto netto con lo stile severo e generalmente monocromo della baia di Geelvink, è la vivace policromia della baia di Humboldt alla cui area appartiene anche la regione del lago Sentani. Le figure umane sono rotonde e piene e si associano in composizioni piene di slancio inestricabilmente congiunte con rappresentazioni serpente, forse di significato totemico.
di animali,
pesce,
coccodrillo,
lucertola,
Il totemismo è la credenza in particolari rapporti degli uomini con determinati animali, piante, oggetti inanimati di origine naturale o artificiale, o con fenomeni naturali. Quando singoli individui
o appartenenti
all’uno o all’altro sesso, o interi villaggi,
o una
tribù intera o
parte di una tribù si considerano in rapporto mistico con il loro totem, questo allora viene concepito come il capostipite, il fondatore, il consigliere del gruppo, della stirpe, della tribù, del villaggio... Per questo molte opere melanesiane che raffigurano animali hanno significato totemico. Tali figure zoomorfe prevalgono nella produzione della baia di Humboldt su quelle antropomorfe
sia negli elementi decorativi di abitazione, sia nei sinuosi e svelti pezzi prodieri
delle imbarcazioni caratteristici di questa regione settentrionale della Nuova Guinea. Lo “stile curvilineo” domina e trionfa nella decorazione di tutti gli oggetti d’uso: i tamburi portatili a forma di clessidra, le pagaie, le spatole in osso di casuario, i recipienti di cocco pirografati per preparare il bdetel, iganci di sospensione. Questi ultimi, insieme ai poggiatesta, fanno parte della
suppellettile
domestica
molto
povera della capanna melanesiana. Ai ganci lignei di sospensione, ornati in questa regione di
motivi curvilinei policromi e di piccole teste umane a forma di casco con naso a becco, si appendono oggetti d’uso come cesti per il cibo, cibarie, dischi piatti e levigati di conchiglia per 30
Uomini
mascherati
della società segreta Dukduk,
Nuova
Britannia (arcipelago di Bismarck) (da Meyer e Parkinson, 1894)
impedire e ostacolare la salita dei topi, ed infine si appendono i crani-trofeo o le teste dei nemici uccisi che accrescono la forza e il potere magico (mana) di chi li possiede. I recipienti per il betel di noce di cocco dove le fini incisioni curvilinee sono riempite di calce per evidenziarne il disegno, ci ricordano la loro specifica funzione sociale. Il betel, droga di origine sud-asiatica, è passato dall’India e dall’Indocina alle isole indonesiane e a gran parte della Melanesia. Tre ingredienti entrano nella sua preparazione: un frammento del gheriglio della noce dell’Areca catechu e un pizzico di calce ottenuta dalla macinazione di conchiglie, avvolti insieme nella foglia del Piper betle a formare un bolo. Masticato, produce un’abbondante
salivazione, tumefazione delle labbra e un senso di ebbrezza
euforica. Ha funzioni cerimoniali e rituali sancite da tradizioni molto antiche: è pegno di amicizia, omaggio presentato agli ospiti, offerta alle divinità, dono simbolico scambiato fra i fidanzati e fra gli sposi. Il carattere sociale e rituale del detel è messo in evidenza dalla decorazione accurata di tutti gli oggetti che lo riguardano: zucche a borraccia e piriformi, astucci di legno o di cocco in cui spiccano i delicati motivi ornamentali riempiti di bianco o di bambù tagliato fra gli internodi per contenere la calce; pestelli e piccoli graziosi mortai. Il distretto di Massim Nell’estremità orientale della Nuova Guinea si estende la provincia di Massim che comprende la punta orientale dell’isola e gli arcipelaghi che la circondano: Trobriand, Woodlark, d’Entrecasteaux, Luisiade.
Alla punta orientale dell’isola sono da attribuire alcune sculture lignee delle raccolte fiorentine interpretabili come immagini di antenati: particolarmente significative perché poco Si
rappresentate nella produzione di Massim che privilegia raffigurazioni di animali. Sono figure umane maschili e femminili in piedi scolpite a tutto tondo, oppure sedute o in posizione accovacciata, le braccia congiunte sotto il mento: elementi forse di abitazione o di imbarcazione. Hanno testa rotonda simile a un casco, volto e busto ornati da motivi curvilinei o dentellati rossi
e neri che ricordano i tatuaggi e la pittura corporale. Dagli arcipelaghi proviene un nucleo complesso e molto eterogeneo di oggetti d'uso e di oggetti cerimoniali o da parata: mortai, spatole, utensili per la pesca, bacchette da danza, recipienti di zucca, clave e scudi da guerra; ornamenti di piroghe e scudi da danza. La figura umana nella caratteristica posizione ginocchio-gomito-mento associata ad animali e figure zoomorfe stilizzate, soprattutto uccelli e rettili, è scolpita nel manico delle bacchette da danza, nella puleggia per reti, nelle spatole lignee e nei piccoli mortai per preparare il detel, dove incisioni curvilinee riempite di calce contrastano sul fondo nero del legno. | Spirali, stilizzazioni di motivi umani e di animali resi in maniera fantastica e asimmetrica ricoprono intieramente la superficie delle zucche contenenti anni fa, è servita alla preparazione rituale del betel.
ancora
la calce che, più di cento
Motivi curvilinei simmetrici riempiti di bianco decorano le pesanti spade-mazze spatoliformi diffuse in questa regione sud-orientale, mentre il tipico scudo ligneo presenta disegni avimorfi e del serpente che si avvolgono e si intersecano spiccando neri sul fondo bianco trattato a calce. Anche nei pezzi prodieri delle piroghe da parata e negli scudi da danza detti kaydiba tipici, questi,
delle
Trobriand,
dalla
decorazione
soprattutto uccelli, resi in forma elaborate e policrome.
totalmente
così
straordinaria,
prevalgono
astratta che si intrecciano
figure
di animali,
unitamente
a spirali
Motivi tutti che, confondendosi in una fantastica stilizzazione, delineano agli estremi del corto manico degli inconfondibili kaydiba, il profilo di un volto umano animalesco.
Essi accompagnano le danze nelle cerimonie propiziatorie in cui si depongono nelle apposite costruzioni i preziosi tuberi del taro. Hanno quindi un preciso e profondo significato e una funzione rituale e sociale nella cultura originaria di questo arcipelago neoguineano.
Il territorio del golfo di Papua Vi appartengono la fascia costiera del golfo omonimo dove sfociano il Purari e il Fly, e la zona interna dove scorre il Wahgi. La figura umana domina in questa regione meridionale della Nuova Guinea. I colori preferiti sono il bianco, il rosso, il nero; la decorazione
è caratterizzata dal motivo “a dente di
sega”, cerchi, spirali e serpentine dal segno molto marcato. Gli esemplari esposti hanno particolare funzione rituale.
Connesse
al culto degli antenati sono
la grande maschera
in tapa (stoffa di corteccia)
ornata di lunghe fibre vegetali, e le due “tavolette di antenato”. Nella prima i tratti del volto (bocca, naso, occhi) sono sottolineati dalla sovrapposizione e cucitura di frammenti di steli che delimitano zone nette dipinte in nero e rosso in contrasto col fondo bianco della tapa trattata a calce. Gli occhi rotondi e contornati sono al centro di uno spazio nero che, per la sua forma, sembra ricordare un uccello stilizzato dal lungo becco. Due
figurine di animali,
evidenziate
sempre
dal colore, spiccano anche
maschera così singolare dal profondo significato magico. La maschera nel mondo melanesiano è la presenza
sul copricapo
di questa
viva degli esseri soprannaturali
nel
gruppo tribale; l’azione drammatica stessa è vicenda mitica, le maschere sono esseri mitologici, il mondo divino e il mondo profano non sono distinti. Gli stessi spettatori non vivono nel mondo ordinario, ma in un mondo divino e la maschera è conferma e materializzazione del mondo divino.
Sulle “tavolette di antenato”
dove riposa lo spirito dell’antenato, sono incisi un volto
umano e una figura umana dal sesso chiaramente indicato. Il forte cromatismo, la presenza di una sorta di acconciatura nera che sovrasta e incornicia il volto in cui risalta la bocca aperta e dentata, e la tipica ornamentazione danno il sigillo a queste opere del golfo di Papua.
Maschera e “tavolette” sono custodite sempre nelle dubu daima, le case degli uomini (che nel Purari raggiungono i 25 metri di altezza e misurano anche 160 metri di lunghezza) insieme alle sculture
rituali,
ai crani
rimodellati
degli antenati,
mitico, sacrale, sociale e rituale del villaggio.
ai flauti, ai rombi
sacri:
patrimonio
Capanna-magazzino
delle isole Trobriand,
Melanesia.
La figura umana domina anche nel grande scudo ligneo parzialmente coperto di fibre. A differenza dello scudo piuttosto piccolo delle Salomone (la Nuova Giunea e l’arcipelago delle Salomone sono le uniche zone della Melanesia dove quest'arma da difesa è conosciuta) quello neoguineano è grande e copre quasi tutta la persona del guerriero che non combatte in
posizione fiorentino,
eretta, non
ma
leggermente
ha impugnatura
contratta.
ed è tenuto
Detto
anche
appeso
“scudo
a spalla”, tale l’esemplare
al collo o alla spalla in modo
da lasciare
libere le braccia del guerriero. Il volto umano stilizzato dagli enormi occhi spalancati è presente anche nei manici dei cucchiai di noce di cocco. Disposto in sequenza asimmetrica e arricchito da una vivace policromia,
è ancora
il motivo
dominante
delle
cinture
di scorza
d’albero
che
gli uomini
avvolgono in più giri intorno ai fianchi. Sono indossate da coloro che hanno superato tutti gli stadi della iniziazione
e possono
quindi partecipare a tutte le danze rituali (Bodrogi,
1962, 19).
Insieme alle grandi pipe da tabacco di bambù decorate con disegni a spirale e concentrici pirografati, le cinture di scorza sono tipiche di questa zona abitata da popolazioni di ceppo papua. AI delta del Fly sono da attribuire i due splendidi tamburi portatili a una sola membrana in pelle di varano nella comune forma a clessidra in cui la parte inferiore si apre nelle fauci spalancate del coccodrillo. Il tamburo è lo strumento musicale più diffuso nell’area melanesiana. Collegato a una infinità di riti e di cerimonie rappresenta l’autorità, la forza creatrice, porta beneficio e potenza
a chi lo suona. Altri strumenti sono i flauti, le buccine, i già nominati rombi sacri: specie di tavolette lanceolate che, sospese a una cordicella e fatte roteare nell’aria, ne provocano la vibrazione.
Accompagnano
le danze, i riti di iniziazione; sono
custoditi gelosamente
nelle case
degli uomini come dono degli eroi culturali. Nuove
Eccezionalmente alti (anche diversi metri) sono i tamburi “a fessura” di Ambrym nelle Ebridi, monumentali nella loro staticità. Un rito molto elaborato accompagna sempre
l'inaugurazione
di un
nuovo
strumento.
Fissata
la sua voce
con
un
rito magico,
suonato ininterrottamente per ore e ore; dopo prende posto nella trasmettere messaggi, per ritmare danze e canti delle cerimonie sacre.
il tamburo
vita quotidiana
è
per
Korwar con cranio di antenato (da Van Baaren, 1968)
Cranio di antenato rimodellato con argilla e creta, Medio Sepik (Nuova Guinea). Cat. n. 6382, Museo Nazionale di Antropologia
e Etnologia di Firenze.
GLI
ARCIPELAGHI
Anche
MELANESIANI
per le isole
melanesiane
le caratteristiche
fondamentali
della
loro
cultura
non
escludono la presenza di elementi culturali e stilistici differenti nei singoli arcipelaghi che li distinguono gli uni dagli altri.
L’arcipelago di Bismarck Situato a nord est della Nuova Guinea, l’arcipelago di Bismarck comprende, a nord, l’isola
di Saint Matthias e ha, quali isole principali, il gruppo dell’Ammiragliato, l'isola di Lavongai (già Nuova Hannover), Mecklenburg).
la Nuova
Britannia
(già Nuova
Pomerania)
e la Nuova
Irlanda (già Nuova
Questo notevole e differenziato arcipelago è ben rappresentato nel Museo fiorentino. La cultura indigena tradizionale ha prodotto armi molto eterogenee, esteticamente belle, altamente funzionali. Come nella Nuova Guinea, la molteplicità delle armi da offesa mette in luce
la natura
bellicosa
delle
popolazioni,
mentre
la straordinaria
decorazione
ne
esalta
l’inesauribile fantasia e ingegnosità. Le armi di questo arcipelago, però, si distinguono per la ricerca dell'effetto cromatico. Le lance hanno
puntali arricchiti da aculei insidiosi; le clave pesanti sono ben equilibrate
con testa dalle forme più varie; le frecce sottili di canna decorata da motivi geometrici hanno punta arrotondata, a foglia, fornita di alette e spine, oppure poliedrica, seghettata, dentellata. Nella serie di lance e clave esposte, si possono notare le caratteristiche proprie di ogni gruppo insulare dell’arcipelago Bismarck. Delle isole Ammiragliato sono tipici i giavellotti nei quali la punta di ossidiana è saldata a una sottile asta di bambù mediante un involucro di foglie e fibre rivestite di mastice sagomato e decorato con pitture policrome a carattere geometrico o raffiguranti un volto umano molto stilizzato, probabilmente immagine dell’antenato. Le lance di Saint Matthias sono coperte quasi intieramente da incisioni policrome; quelle di Lavongai nelle loro forme slanciate hanno eleganti disegni rossi e neri nell’asta tutta di canna. 34
Le lance della Nuova Britannia si distinguono, invece, per aver infisso alla base il femore o l’omero del nemico ucciso che trasmette, come vuole il cannibalismo rituale, la forza e il valore
del morto. L'arma principale di quest'isola è però la clava di legno con testa spatoliforme, globulare, conica, oppure con l'impugnatura
piatta a forma di volto umano
dipinto con vari colori.
Un largo collare di fibre fittamente intrecciate sul quale sono annodate bianche e azzurre (elemento acculturato) è ornamento
Nella
penisola
delle
Gazzella
posta
nella
perle di vetro
e insieme moneta di scambio.
zona
settentrionale
sempre
Britannia, si costruiscono, in ricordo degli antenati, tipiche maschere-cranio
della
Nuova
di grande espressi-
vità. Sono formate dall’osso frontale del defunto al quale si applica un impasto di argilla e resina vegetale ricavata dal frutto del Parinarium laurinum, ornato di capelli posticci che ne riproduce i tratti del volto. In esse abita lo spirito del morto e nelle feste commemorative dei defunti si stringono fra i denti mediante l’assicella di legno fermata sul retro. Connesse sempre al culto degli antenati sono le maschere tatanua e le maschere malanggan delle regioni settentrionali della Nuova Irlanda. Modellate a traforo in legno e nei materiali più vari, un’abilità tecnica di altissimo livello
dà origine a uno stile fantasioso in cui i motivi antropomorfi si combinano con quelli zoomorfi e decorativi confondendosi nella complessità della decorazione e della policromia. Le maschere tatanua sono indossate talvolta in rappresentazioni comiche, sebbene incarnino i defunti (Bùlher, 1961, 150). Ii volto prognato in legno policromo porta superiormente una cuffia in cui le tempie sono
composte
da una stoffa di corteccia
(tapa) oppure
da un
rivestimento a volute, compatto e spesso tutto di calce. Nel mezzo sovrasta una cresta di rafia marrone a forma di cimiero che accompagna l’acconciatura tradizionale dei maschi che si radono i capelli sui temporali lasciando crescere soltanto un ciuffo compatto al centro della testa. Le maschere malanggan, insieme alle analoghe sculture, sono l’elemento centrale delle cerimonie omonime commemorative dei defunti dette malanggan bessa, collegate con l’iniziazio-
ne dei giovani. I preparativi occupano diversi anni e le feste si prolungano per mesi. Maschere e do
sculture sono custodite in capanne particolari precluse alle donne, protette da alte palizzate di bambù e graticci, ove solo i maschi iniziati offrono sacrifici secondo gli antichi riti tradizionali. Rappresentano un mondo di personaggi e di avvenimenti, di incarnazione dei defunti, di antenati totemici. Sono infine la rievocazione plastica di vicende storiche e mitologiche. L’arcipelago delle Salomone e le isole di Santa Cruz Visitato per la prima volta dal navigatore spagnolo Alvar de Mendana de Neira nel 1567 e
riscoperto solo duecento anni dopo, l’arcipelago delle Salomone è uno dei più importanti della Melanesia.
Le sue isole appaiono quasi abbinate in direzione nord-ovest, sud-est. La distribuzione in due gruppi: nord-occidentali (da Nissan fino a Bougainville ) e meridionali (dalla Nuova Georgia fino a San Cristobal), non è solo geografica, ma anche culturale e stilistica (Tischner, 1963). Le
isole di Santa
Cruz
a oriente
delle Salomone
meridionali,
sono
simili a queste
sul piano
culturale.
Gli isolani delle Salomone sono noti per l’antropofagia e la caccia alle teste. La caccia alle teste, ovvero la cattura intenzionale di nemici, avversari, o anche appartenenti allo stesso gruppo tribale del cacciatore, ha il fine principale di staccarne la testa, trattarla opportunamente per conservarla in speciali luoghi sacri e comunitari. La testa del nemico ucciso prova non solo l'esito vittorioso dell'impresa, ma dà soprattutto il possesso di una parte di lui che è il centro vitale, l'abitacolo, il deposito della forza e dell'anima. Il desiderio di procurarsi le teste dei nemici era anticamente la causa principale delle guerre intertribali. Come nella Nuova Guinea, anche nelle Salomone la caccia alle teste derivava dal disprezzo del nemico e dal motivo magico di arricchire la potenza del proprio gruppo con la forza dei nemici uccisi. Assumeva, per questo motivo carattere rituale particolare in alcuni momenti della vita collettiva per cui si organizzavano vere e proprie spedizioni: la morte di un capo, il varo delle grandi piroghe da guerra, costruzione delle capanne speciali dette tambù, adibite alla conservazione dei crani.
la
Le piroghe da guerra e per la caccia alle teste delle Salomone meridionali sono fatte di tavole di legno dipinto di nero, legate insieme con liane e abbellite con finissimi intarsi di madreperla della conchiglia Nautilus, costituiscono un unicum nella cultura e nella produzione artistica melanesiana. Sulla prua hanno
una testina di donna dal volto prognato, le orecchie deformate dai grossi pendagli, le braccia congiunte sul davanti. Figura-amuleto che protegge l'imbarcazione e il
suo equipaggio dalle cattive influenze degli spiriti delle acque. Il carattere bellicoso dei guerrieri delle Salomone si manifesta anche nelle armi. Nelle isole settentrionali domina l’arco piatto (a sezione ellittica) e le frecce; nelle isole meridionali prevalgono le clave, grandi, spatoliformi in legno di palma, oppure con testa falciforme ampia e piatta, l’impugnatura scolpita a figurine zoomorfe, e le lance. Lunghe fino a quattro metri, ricoperte totalmente, alcune, da un rivestimento sottile di fibre di rotang gialle, rosse e nere, disposte a formare motivi geometrici, hanno la punta arricchita da aculei ossei che
rendono la ferita molto dolorosa. Elemento culturale tipico delle Salomone nord-occidentali sono le pagaie lignee da danza
decorate con figure umane incise, policrome, in piedi o accovacciate. Hanno grandi occhi rotondi, lobi auricolari deformati, allungati, che sporgono obliquamente dalla testa, e portano un alto copricapo sferico. Questo richiama, secondo Tischner, un momento particolare delle feste di iniziazione dei giovani connesse con il rito di togliere l’up?: grande e singolare copricapo sferico di foglie di pandano che i giovani portano per anni fino al momento in cui i capelli sono cresciuti al punto di riempirlo completamente: all’atto della iniziazione l’upi è tagliato via insieme ai capelli. Come
comune pettini,
nella
Nuova
Guinea,
numerosissimi
sono
gli ornamenti,
caratteristica
del
resto
a tutte le popolazioni melanesiane.
Ai bracciali, polsini, fasce e bende frontali di conchiglie, diademi di penne di casuario, spilloni per i capelli lunghi e a spirale spesso infoltiti da posticci, penne e foglie
multicolori, pettorali di dente di cinghiale e semi rossi di Abrus precatorius dei Neoguineani, si contrappone Salomone.
una
maggiore
ricercatezza
formale
insieme
al più fine effetto cromatico
delle
Il gusto raffinato di questo arcipelago si rivela anche nell’intaglio degli astucci di bambù
per il tabacco
e per la calce
ornati
da incisioni
in forma
di uccelli
stilizzati, la fregata
in
particolare, e da motivi geometrici pirografati. I pettini dai denti sottili adorni di treccioline in fibre multicolori, intarsi di madreperla e 36
Gruppo
di grandi tamburi
a fessura, Nuove
Ebridi
(da Grottanelli,
1965)
segmenti di conchiglia, si accompagnano qui agli alti bracciali intrecciati e coperti di conterie colorate (elemento acculturato ) tipici di questo gruppo insulare. Fra tutti gli ornamenti emerge però il kapkap, disco pettorale o da portare sulla fronte, lavorato a traforo nelle valva iridescente
della Meleagrina margaritifera oppure nella conchiglia levigata della Tridacna gigas sulla quale è applicata una sottile scaglia di tartaruga simile a un rosone. Conosciuto anche nella Nuova Guinea e in altre regioni della Melanesia, quello delle Salomone si distingue per finezza, eleganza e maestria nella lavorazione. Ricavato dalla conchiglia della 7ridacna gigas lo si trova anche in Santa Cruz. Di questo arcipelago sono peculiari le mazze da ballo di legno pesante dipinto con calce sul quale spiccano disegni sottili rossi e neri: rappresentazioni stilizzate di uccelli e pesci. Anche i ciuffi di fibre e i crepitacoli di gusci di noci (assenti questi ultimi negli esemplari fiorentini) rappresentano, secondo
Speiser,
penne o ali di uccello,
simbolo
dell’anima-uccello
dei morti,
elemento
che
domina il pensiero religioso indigeno. L’arcipelago delle Nuove Ebridi e le isole Banks La Nuova Caledonia e le isole della Lealtà Sebbene il quadro della Nuova Caledonia (alla cui area appartengono anche le isole della Lealtà) presenti una inconfondibile autonomia e segni di grande antichità, i due complessi insulari delle Nuove Ebridi (ora Vanuatu) e della Nuova Caledonia sono riuniti per l’esiguo numero degli esemplari esposti, anche se di notevole interesse. La cultura originaria di ognuno, oggi quasi completamente perduta, offre elementi di particolare rilievo ia hei occorre ricordare mancando il sostegno delle collezioni. Le Nuove Ebridi si sviluppano a nord-est della Nuova Caledonia. Le isole principali sono
o
Piroga per la caccia alle teste e capanna per custodirla, Rubiana (arcipelago delle Salomone) (da Woodford, 1890)
Torres ed Espiritu Santo nel gruppo settentrionale, Malekula, Pentecoste, Ambrym centrale, Erromanga e Tanna in quello meridionale.
nel gruppo
La caratteristica di maggior rilievo nella sfera sociale della cultura originaria (affine a quella delle Banks) è la presenza della società maschile Suque, anticamente una società segreta. Società supertribale riservata agli uomini, organizzata e suddivisa in gradi, da quattro a dodici, a seconda delle isole. Il passaggio nei vari gradi dipendeva dalla disponibilità di ricchezze, e ogni giovane era tenuto a produrre le cosiddette “statue di rango” per accedere alle diverse posizioni gerarchiche. Chi non apparteneva al Suque era escluso dalla vita sociale e religiosa. Si presenta quindi nelle Nuove Ebridi una struttura suddivisa in caste e classi secondo una potenza censuaria che fa predominare alcuni elementi sul gruppo,con tendenza alla plutocrazia d'influenza polinesiana. Diffuso il cannibalismo
rituale e l’uso, nelle isole settentrionali e centrali, di togliere ai
verri i canini superiori: in tal modo quelli inferiori si allungavano sino a formare anelli a spirale.
Nutriti con cura premurosa dalle donne, costituivano la ricchezza e il prestigio sociale della popolazione indigena. Nell’isola di Malekula si praticava la deformazione del cranio ottenuta (come nella Nuova Britannia) con la fasciatura circolare della testa del bambino. Nella sfera materiale, infine, sono da ricordare le lunghe lance armate di ossa umane,
la
fionda con proiettili di pietra levigata e il bastone da getto. Molte le clave lignee: di queste si possono ammirare, nelle raccolte fiorentine, alcuni tipici esemplari in legno a patina lucida con testa variamente sagomata. Sono da attribuire a questo arcipelago, sebbene il raccoglitore A. Scheidel le segnali come provenienti dalla Nuova Caledonia, anche le due lunghe aste cerimoniali di bambù dove è applicata una piccola scultura in legno, bifronte, raffigurante un volto umano dai tratti angolosi e schematici che ricorda l’antenato. 38
Giovani con l’upiî, Bougainville (arcipelago delle Salomone) (da Meyer e Parkinson, 1894)
39
Neocaledone nell’atto di scagliare un giavellotto con il propulsore flessibile di fibre vegetali (da Labillardière, 1800)
Capanna
circolare, Nuova
Caledonia.
Da notare le due tavole
scolpite, yovo, ai lati della porta e la scultura sul culmine del tetto (da Sarasin, 1929)
La Nuova Caledonia chiude, con il gruppo delle isole della Lealtà e l'isola dei Pini, il grande arco degli arcipelaghi melanesiani. La cultura canaca, come la chiamarono i primi colonizzatori, è un’area etnologicamente rilevante perché mostra segni di grande antichità come la capanna circolare, diversa da tutta l’Oceania dove è diffusa la capanna quadrangolare. Ai lati dell'ingresso erano collocate due tavole di legno scolpito, jov0, sormontate da un volto umano, simbolo dell’antenato totemico, con naso a becco d’uccello, tagliente e aguzzo, bocca stretta dalla quale pende spesso la lingua. Il palo scolpito che si alzava sopra il culmine del tetto stava a significare gli antenati totemici che vegliavano sui viventi. Abili coltivatori dell’igname e del taro su campi terrazzati e irrigui, non conoscevano né il cane, né il maiale che aveva tanta importanza economica e sociale nella Nuova Guinea e nelle Nuove Ebridi non lontane. I villaggi erano retti da capi con potere sacro (prossimo per alcuni tratti
al potere
dei
capi polinesiani)
temperato
dall’intervento
di un
consiglio
di anziani.
Caratteristici della cultura canaca erano i pilu-pilu, cerimonie propiziatorie celebrate al termine del raccolto degli ignami (mese di marzo) intorno ai quali gravitava tutta la vita indigena: nascite, iniziazioni,
cerimonie
funebri
(Leenhardt,
1930). Essi richiedevano
dai tre ai quattro
anni
di
lavoro durante i quali tutta la comunità era impegnata per la preparazione delle cibarie, la messa in serbo degli ignami, l’affumicazione dei pesci da consumare nel corso delle cerimonie, la costruzione delle grandi capanne e dei viali per le danze. Il ciao
aveva nella cultura originaria della “Grande Terra”, oggi completamente
perduta, un significato rituale di grande rilievo connesso alla provocazione della fertilità agricola. Per quanto riguarda la cultura materiale è da ricordare la mancanza delle armi difensive, non conoscendo i Neocaledoni né scudo né corazze. Armi da offesa erano la lancia, i giavellotti da scagliare con un propulsore flessibile di fibre vegetali per imprimere maggior forza di propulsione, la clava, e infine la fionda con proiettili di pietra come nelle Nuove Ebridi. La tecnica della levigazione della pietra aveva raggiunto un altissimo livello come lo dimostrano le grandi teste di accetta magistralmente lavorate con utensili molto rudimentali. 40
Si conforma allo stile di quest'isola scoperta da Cook nel 1774 e che non ha avuto quasi alcun contatto con le altre culture della Melanesia, la clava lignea detta “a testa di uccello” che sembra derivare da una mazza già raffigurata nei petroglifi rupestri. Occupa infine un posto a sé la grande “ascia ostensorio” dalla pesante lama discoidale di pietra che, in alcuni esemplari, poteva raggiungere anche i 30-40 centimetri di diametro, perfettamente levigata con attacco diretto al manico ricoperto di cotonate (elemento importato) e di cordicelle. E una clava
cerimoniale adoperata dai provocatori della pioggia nei riti per la crescita degli ignami, oppure un'insegna di comando portata dai capi quale emblema del loro rango. Essa si identifica con la nbuet descritta da Labillardière, con la quale si squartavano i nemici uccisi prima del banchetto cannibalesco connesso ancora con la fertilità dei campi della “Grande Terra”.
L'arcipelago delle Figi L’arcipelago delle Figi segna il passaggio dal mondo melanesiano a quello polinesiano. Abitato da genti melanesiane anticipa, nella cultura, i costumi e i temi della Polinesia. L’organizzazione sociale e politica dei Figiani è tipicamente polinesiana, essendo la popolazione divisa in classi e i territori delle isole governati da capi ereditari. I villaggi erano agitati da guerre continue che si concludevano con banchetti cannibaleschi. Il fiorentino Giovanni Branchi racconta del suo viaggio nella piccola isola di Wakaya trovata deserta nel 1874, ma un tempo composta da nove villaggi: “A poco a poco l’un villaggio divorò letteralmente quello che gli stava vicino, fino a tanto che il più forte di tutti, quello appunto in cui eravamo
arrivati, non ebbe vinto gli altri” (Branchi, 1878, 142).
Nella sfera cultuale delle Figi mancano le figure antropomorfe e zoomorfe (rappresentate quest’ultime in prevalenza nel vasellame quotidiano), le sculture a tutto tondo ornamento delle abitazioni e delle imbarcazioni tanto diffuse invece nel resto della Melanesia, e le maschere.
Contrasta ancora con le abitudini melanesiane la rinuncia ai colori luminosi nei manufatti dove prevale uno stile sobrio e severo, quasi monocromo o con l’impiego di colori Li
Singadrondo, capo di Nasaudoko (isole Figi). Indossa una veste di tapa dal lungo strascico e impugna una clava a testa “di radice” (da un disegno dei Th. Keinschmidt del 1877, in Tischner, 1958)
molto scuri, nero brillante, rosso, marrone,
soprattutto nelle stoffe di corteccia.
La plastica lignea ha prodotto opere di altissimo livello estetico nei poggiatesta per la purezza delle forme, nelle pesanti clave dalla testa “a calcio di fucile”, “a radice”, “ad ananas”, “a
pagaia”, che sono fra gli esemplari più belli di questo tipo di arma tanto diffusa in tutta l’Oceania. Le clave “a testa di ananas” in particolare avevano funzione rituale: con queste si decapitavano
i nemici
uccisi destinati al festino cannibalesco,
dove la carne umana
era toccata
solo con grandi forchette di legno. Carattere rituale hanno anche i grandi bacili di legno per la preparazione della kava, bevanda inebriante ottenuta dalla masticazione e fermentazione delle radici di Piper methysticum che, negli arcipelaghi melanesiani meridionali, ha la stessa funzione del detel diffuso invece negli
arcipelaghi settentrionali. La kava delle Figi o yagona era preparata soltanto dagli uomini secondo un rito che ha conservato in parte fino ai nostri giorni la sua antica solennità cerimoniale. Il carattere solenne di questo rito si sposa all’austera plasticità del grande vaso ligneo fiorentino raffigurante una tartaruga, scolpito in un unico pezzo di legno. Fra gli ornamenti si distinguono le collane di denti di cetaceo o di grossi grani scolpiti nel dente di PAyseter e quello, inconfondibile, dei capi, diva, formato dalla valva di Meleagrina margaritifera e da segmenti di dente di Physeter. I recipienti di argilla si diversificano da tutti gli altri prodotti vascolari della Melanesia per l'originalità delle forme (a tartaruga, globulari, oppure di piccoli frutti uniti da manici fittili...) e la brillante lucentezza ottenuta spalmando vernici resinose sulla superficie ancora calda del vaso. Essi costituiscono l’estrema punta orientale della diffusione della ceramica in Oceania e anche l’unica attività indigena che non ha alcun rapporto con la Polinesia dove la ceramica è del tutto assente.
La loro fabbricazione,
l’ornamentazione
geometrica
impressa con
l'unghia o con
una bacchetta, e infine la loro cottura erano prerogativa delle donne. Opera delle donne era anche la fabbricazione della tapa decorata con motivi geometrici e policromi. Dal termine polinesiano che indica la stoffa ottenuta battendo e pressando il libro della corteccia della Broussonetia papyrifera, la tapa aveva molteplici usi: si confezionavano vestiti, copricapi, indumenti cerimoniali, ornamenti architettonici, tappeti.... Nota anche nella Nuova 42
Guinea, la tapa delle Figi ha un carattere nettamente polinesiano per la perfezione artigianale e per la tecnica decorativa che si avvale di stampi e di matrici. Secondo l’uso polinesiano le stoffe riservate ai personaggi di alto rango potevano misurare nelle Figi fino a cento metri di lunghezza come lo dimostrano le antiche documentazioni. Possedere una grande quantità di tapa era simbolo di ricchezza e di prestigio. Usata negli scambi commerciali consolidava le unioni matrimoniali e i rapporti sociali. Ogni fase della sua fabbricazione era segnata dalla protezione di una specifica divinità tutelare, fatto che conferma il carattere rituale di questa stoffa, così come la presentazione cerimoniale degli amplissimi teli spiegati da numerose persone nelle riunioni pubbliche più importanti, ne sanciscé la funzione sociale tramandata dalla tradizione antica. Si conclude con le isole Figi il percorso di questa esposizione sull’Oceania Nera nelle collezioni fiorentine. Molte
sono
ancora
le opere
da scoprire
sparse
nei
musei,
nelle
gallerie
d’arte,
nelle
raccolte private disseminate ovunque. Gli inventari dei materiali non sono terminati e la documentazione fotografica per molte regioni non esiste ancora. La ricerca nelle fonti dell’antica tradizione orale e negli archivi inediti potrà completare le informazioni necessarie a illuminare i molti punti rimasti ancora oscuri nel complesso, fantasioso e tanto eterogeneo mondo melanesiano.
43
L'arte dell’Occidente
e l’Oceania nera
Anna Imponente
#
Il debito contratto dall’arte occidentale del nostro secolo nei confronti delle cosiddette culture primitive è enorme, anche se non sempre riconosciuto e valutato nella giusta evidenza ed in tutta la sua ampiezza. Uno dei principali pregiudizi è quello di considerare i manufatti provenienti da queste civiltà come prodotti “altri”, di esclusivo interesse etnografico e interagenti con la nostra cultura, più a livello di curiosità antropologica che di riflessione artistica. Merito della grande mostra “Primitivism” in 20th Century Art-Affinity of the Tribal and the Modern, tenutasi otto anni fa al Museum of Modern Art di New York è stato proprio quello di compiere una ricognizione allargata sulla produzione dei pionieri dell’arte del nostro secolo, dimostrando, con esempi serrati e stringenti, come tutti i principali movimenti, dal Cubismo all’Espressionismo, all’arte Fauve, al Surrealismo, fino a quella contemporanea, trovino differenti ascendenze e relazioni in fonti africane, dell'Oceania e del Nord America. Le precise rispondenze esistenti non fanno che avvalorare l’importanza delle prime presenze di arte tribale pervenute in Occidente e la forza vivificante trasmessa dai nuovi innesti culturali. Il precursore di questa nuova inversione di tendenza è da identificarsi in Paul Gauguin, che di reperti maori fu appassionato collezionista. E parte del racconto della sua vita, intinta di leggenda,
il fatto che
nel
1893
portasse
in Francia
da Tahiti,
una
serie di armi
ed utensili,
travestendo il suo studio di Parigi in dimora “oceanica”. Questi non rappresentavano, come per 1 missionari, i trofei degli idoli finalmente infranti, ma proprio in un momento
in cui la società
borghese era intenta a magnificare le conquiste della civiltà e ad esercitare pienamente la sua politica coloniale, le tracce di quell’“incontaminato” mondo polinesiano in cui desiderava di nuovo tornare ad immergersi. Anche nelle sue opere di scultura, bassorilievi appiattiti e statuette facenti parte dell’ultima produzione, le silhouettes delle figure e le varie forme sono intagliate con motivi arcaicizzanti e decorativi, tutti tenuti in superficie come pitture, come negli esempi ricavati dall'esperienza visiva compiuta nelle isole Marchesi. A partire dai primi anni del secolo, preponderante e rivoluzionario sarebbe stato per i Cubisti, i Fauves e gli Espressionisti tedeschi l'impatto con la scultura africana e con gli oggetti dell'Oceania,
affluiti nei musei
etnografici
europei:
nel caso di E. Nolde,
la sua fu invece,
nel
1913, un’esperienza diretta nel territorio Sepik in Nuova Guinea, come membro della spedizione del Governo tedesco. La conoscenza di forme arcaiche di differenti culture, in prevalenza antropomorfe e antropocentriche, rappresentava uno dei possibili aspetti del cosiddetto *primitivismo”. Nel.
l'ambito chiarezza.
artistico italiano con ma
questa definizione
in una diversa accezione:
si alluderà
al richiamo
il ritorno a tradizioni autoctone,
alla semplicità
a Giotto e Masaccio,
e i
cosiddetti “primitivi” della storia dell’arte occidentale. Anche se proprio lo stesso Carrà che nel 1921, sulle pagine di “Valori Plastici” biasimava come “grande errore” la negrofilia di Derain, in certe deformazioni dei volti, in modo altrettanto diretto che Modigliani, aveva fatto riferimento a maschere africane. L'interesse specifico per l’arte dell'Oceania, e melanesiana in particolare, fa più propriamente parte di una seconda ondata propagatasi in Francia negli anni Venti e sostenuta, a livello teorico, dai “Cahiers d’Art” di C. Zervos. Ci furono alcune esposizioni in gallerie private e nacque un collezionismo che attirò tra i primi, i poeti e gli artisti legati al Surrealismo. do)
Mirko, La palma, 1954
L’Oceania,
secondo
Mirko, La dea della Fertilità, 1961
la localizzazione
proposta
da P. Eluard,
divenne
il centro
di una
ideale
mappa geografica dove, per affinità elettive, si ritrovavano gli elementi della propria complessa immaginazione visionaria. Le sculture del continente africano, nella loro pesante astrazione, sviluppavano una solida
volumetria tridimensionale fatta di superfici uniformi monocrome tellurici drammaticamente
e rappresentavano
mostri
impastati in una condizione esistenziale senza riscatto, sensibilmente
più vicini quindi, alle deformazioni cubiste della realtà. Le forme degli oggetti melanesiani, ad esempio le maschere cerimoniali o a figura intera malanggan delle Nuova Irlanda, mostrano invece, in paragone, spiccate qualità cromatiche, una sensibilità e leggerezza tutte pittoriche nella resa delle parti plastiche e una visione privilegiata frontale o di scorcio. Le ricerche strutturali di Mirko Basaldella, della fine degli anni Cinquanta, i suoi legni totemici, propongono soluzioni simili: lo spazio virtuale costituito dai vuoti, dialoga con
nella
le forme
piene
Nuova
Guinea
partecipando
a ricomporne
settentrionale.
le sagome,
come
Altri reperti raggiungono 46
in certe
statuette
sorprendenti
del Sepik,
effetti visionari,
o: RENE, Le SRODAITA SD POTIRESLA Li
JP. Nile , Gioco am
2C. hevole,
1, dle, G hateau et soleis
,
108 3 19) D 8
» ] Raccolta
b9
la calce per
pirografati.
ue 2 27,5 x Z
di] L.M.
Contenitore
Ramoi,
3,8; cm
D'Albertis
per la calce
il betel, in bambù
Particolari
decora-
Contenitore
Baia di Geelvink.
05° DEI
1871-72,
> (A)
3A
cat. 645,
em 637,
Zucca,
Sch
di Massim
fibre
dt li
VELI
1898,
tali,
cat.
cm
AZ 17,4; cm 7387
16 x
di
di contenitori
zucca
(N. 69).
pirografata
a
motivi
642.
Zucca, legno, cm 23 x D 5,4. Dono O. Finsch 1885, cat. 5512.
D) 14,5.
Raccolta
Port Moresby, Golfo di Papua (secondo da sinistra).
Contenitore per la calce, in zucca pirografata con motivi avimorfi e curvilinei. Baia di Humboldt (terzo da sinistra).
del betel, di zucca sferoidale decora-
21
decorativo
la calce,
geometrici.
Zucca, legno, cem 16 x Z) 6,8. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1433.
(primo da sinistra e ultimo a destra).
7388;
per
263X
ta con motivi pirografati. Il tappo è formato di fibre di pandano serrate a spirale e legate con motivo ad intreccio. Distretto
di motivo
A.
102
yi 19 LX] us94d di
Mi piva gsnaia dl
Pettine ornamentale, decorato con fibre vegetali intrecciate. Orangerie Bay, Distretto di Massim. Bambù, fibre vegetali, cm 51. Raccolta L.M. D'Albertis 1876-77, cat. 615/2.
72. Fascia frontale ornamentale
degli Arfak, in stoffa di cortec-
cia e conchiglie di Cassidula, sezionate e fissate con fibre vegetali. Baia di Geelvink. Stoffa di corteccia, conchiglie, cm 26 x 8 (parte decorata). Raccolta O.
Beccari 1871-76, cat. 931. »
Pettine ornamentale dei Kapaor, con intarsi di madreperla. Baia di Geelvink. Legno, madreperla, cm 37. Raccolta L.M. D'Albertis 1871-72, cat.
Fascia frontale ornamentale, conchiglie
679/A.
di Cassidula,
decorata con semi di Abrus e
fissati
per mezzo
di resina
ad un
supporto di fibre intrecciate. Baia di Humboldt. Fibre vegetali, semi, conchiglie, em 28 x 4,2 (parte decorata). Raccolta O. Beccari 1871-75, cat. 1556.
Pettine ornamentale di strisce di legno legate con intreccio. Baia di Humboldt. Legno, cm 31,5. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1437.
Fascia frontale ornamentale
formata da semi di Coix fissati
con fibre vegetali intrecciate. Baia di Humboldt. Semi, fibre vegetali,cm 39 x 8 (parte decorata). Raccolta O. Beccari
Pettine ornamentale dei Kapaor, in bambù con motivi incisi. baia di Geelvink. Bambù, fibre vegetali, cm 25,8. Raccolta L.M. D'Albertis 1871-75, cat. 679/1.
1871-76, cat. 1559.
104
Foranaso di denti di cinghiale, uniti con fibre vegetali. Baia
conchiglie di Ovulum, infilate con treccia di fibre vegetali, forse una collana dei Mafor. Baia di Geelvink. Conchiglie, fibre vegetali, cm 40) circa. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 997.
755 Otto
di Humboldt (al centro). Denti di cinghiale, fibre vegetali, cm 12 x 9,8. Raccolta O. Beccari
1871-76, cat. 1570/1. Foranaso a sbarretta cilindrica di conchiglia di Tridacna con motivi incisi. Baia di Geelvink (al centro, în basso). Conchiglia, cm 13,9x 0,7, cm 12,3 x 0,7. Raccolta O. Beccari 1871-
74. Coppia di orecchini di vetro, dei Mafor. Baia di Geelvink (a destra e a sinistra, in alto). Vetro, cm 6X 5,1, cm 6,5 X 6,2. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 52 /2MD512/9)
76, L.M. D'Albertis 1871-72, cat. 730/1; 965 c.
Coppia di orecchini degli Arfak, in conchiglia di Conus. Baia di Geelvink (a destra e a sinistra, în basso). Conchiglia, cm © 5, cm 5,1X4,7. Raccolta O. Beccari, 1871-76,
Ornamento per la lotta fatto con denti di cinghiale uniti con fibre vegetali intrecciate. Motu Motu, Golfo di Papua. Denti, fibre vegetali, cm 18 x 15. Raccolta L. Podenzana 1893, cat. 6644.
Foranaso di riccioli di conchiglia di Conus, uniti con resina. : Baia di Humboldt (al centro, în alto). Conchiglia, cm 4,2 X 7,5. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1602.
Ornamento per il volto, usato nei combattimenti, fatto di denti di cinghiale, Conus, decorati con conterie e Cassidula. Baia di Humboldt.
L.M. D'Albertis 1871-72, cat. 729/3, 9680.
Denti di cinghiale, conchiglia, conteria, fibre vegetali, cm 14 x 11,5. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1610.
105
3 RATA %
LCI)R
76.
Pettorale ornamentale, da battaglia, formato di denti di cinghiale, semi di Abrus, incollati con resina su tavoletta di legno. La frangia è di semi di Coix e penne. Orangerie Bay, Distretto di Massim. Legno, denti, semi, resina, penne, conchiglia, cm 27x14 (frangia esclusa). Raccolta L.M. D'Albertis 1871-72, cat. 691.
106
77. Pettorale d’onore scutiforme con frangia, formato da denti di cinghiale di lunghezza degradante, fissati su base intrec-
ciata sulla quale sono incollati con resina semi di Abrus, e contornata da file di Cassidule. Baia di Humboldt. Conchiglie, semi, denti di cinghiale, fibre vegetali, cem 30x31 frangia). Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1469.
(senza
78. Accetta da lavoro con manico di legno e lama di conchiglia di Tridacna, legata con fibre di rotang. Baia di Humboldt. Legno, conchiglia, fibre vegetali, cem 61x29x Webster, cat. 7028.
80. Tagliente di accetta.
Baia di Humboldt. Basalto, cem 20,5 x 6 x 4. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1660.
7,5. Acquisizione da
Tagliente d’ascia. Distretto di Massim. Basalto, cm 24,5 x 11 x 2. Raccolta ignota, senza numero.
9) Piccola accetta con manico scolpito con figura di “korwar” e
NI
Grande tagliente d’ascia, forse cerimoniale. Fly River, Golfo di Papua. Porfido, cm 40 x 13,5 x 5,5. Acquisizione da Webster, cat. 7027.
di coccodrillo. La lama è di basalto (legatura ricostruita su modello originale). Isola di Mansinam, Baia di Geelvink. Legno, basalto, fibre vegetali, cm D'Albertis 1871-72, cat. 646.
32x11,5x4,5.
Raccolta
L.M.
108
81. Ascia
con
grande
immanicatura
di
legno,
lama
sottile
di
basalto fissata con fibre di rotang. Può avere anche funzione cerimoniale. Legno,
basalto,
Distretto di Massim. fibre di
rotang,
cm
77,5 Xx48x15.
Raccolta
A.
Scheidel 1898, cat. 7323.
109
82. Cucchiaio di legno con “korwar”, degli Hatam. Baia Geelvink. Legno, cm 33. Raccolta L.M. D'Albertis 1871-72, cat. 634.
di
84. Ciotola in noce di cocco a patina lucida, con motivo inciso riempito di calce. Golfo di Papua.
Noce di cocco, calce, cm 8,8 x Z 10. Raccolta Branchi fine 1874, cat.
18589.
Spatola per polenta di sago, decorata con “korwar”. Ansus, baia di Geelvink. Legno, cm 51. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1007. Spatola per polenta di sago, con “korwar”. Ansus, baia di Geelvink.
manico
o
catena,
Piccolo contenitore in noce di cocco, decorato con incisioni dipinte con calce. Distretto di Massim.
Noce di cocco, calce, cm 10,6 x Z 7,6. Raccolta L. Podenzana 1893, cat. 6594.
con
Legno, cm 79. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1006. Spatola per polenta ornata di “korwar”. Baia di Geelvink.
85. Cucchiaio di noce di cocco, con volto stilizzato nel manico. Motu Motu, Golfo di Papua. Noce di cocco, calce, cm 14 x 8. Raccolta L. Podenzana 6592.
Isola di Mansinam,
Legno, cm 54. Raccolta L.M. D'Albertis 1871-72, cat. 612 c. 83. Spatole
in osso, probabilmente curvilinei. Baia di Humboldt.
di casuario,
1893, cat.
Cucchiaio di noce di cocco, con volto stilizzato nel manico. Golfo di Papua. Noce di cocco, calce, cm 13 x 8. Raccolta L. Loria 1891-97, cat. 15078.
incise a motivi
Osso di casuario, cm 17, cm 20,4. Raccolta O. Beccari 1871-76, cat. 1501, 1494.
Cucchiaio in noce di cocco, con volto stilizzato nel manico. Golfo di Papua. Noce di cocco, calce, cm 11,6 x 7. Raccolta A. Scheidel 1901, cat. 8521.
110
Lt
86. Vassoio in legno, con Distretto di Massim. Legno,
bordo
intagliato con
motivo zig-zag.
cm 53 x 22 x 6,5. Raccolta A. Scheidel 1898, cat. 1248 (2)
112
Arcimelanesiani
in scorza battuta, 87. Maschera da lutto, usata nei riti funebri, Particolari del fibre vegetali e dipinta in calce, ocra e nero. . Golfo di volto sono sottolineati da motivi zoomorfi stilizzati
Papua.
31 Scorza d’albero, fibre vegetali, pittura, cm 56x36x 9099. frangia). Raccolta U. Biondi 1898-1901, cat.
(senza
88.
“Tatanua” - Maschera cimiero, indossata nei riti funebri, collegata ai riti di iniziazione maschile. Nuova Irlanda, Arcipelago Bismarck. Legno dipinto, fibre di cocco, calce, opercoli di gasteropodi, cm 40x 20x38. Raccolta E.H. Giglioli fine 1800, cat. 5916.
89, 90.
“Tatanua”
funebri, Irlanda,
- Maschera
cimiero,
collegata ai riti di Arcipelago Bismarck.
indossata
iniziazione
durante
maschili.
i riti
Nuova
Legno dipinto, fibre vegetali e di cocco, calce, opercoli di gasteropodi, cm
43 x
32 x 19. Raccolta
A. Scheidel
1898, cat.
7505.
116
9], 92.
Maschera
“malanggan”, 88
malanggan bessa. Nuova Legno 43x40
dipinto, x 22.
fibre vegetali, Raccolta
indossata
nei
riti funebri
detti
Irlanda, Arcipelago Bismarck. cotonata,
A. Scheidel
opercoli
1898, cat.
di gasteropodi,
7401.
cm
SII CERTI SPACE LIT
IRINA I SIZE
119
93.
Particolare della prua del canotto da guerra (N. 94).
94.
Canotto da guerra, con polena, veniva usato per la caccia alle teste dei nemici, da usare come trofeo; riccamente intarsiato
di madreperla, e con le parti prodiere ornate di conchiglie e fibre vegetali. Rubiana, Isole Salomone. Legno, madreperla, conchiglie, fibre vegetali, cm Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 11851.
460 Xx 150x40.
121
ca
ENEA
«oi S
AA44YEU
953 lance da guerra in legno intagliato e dipinto con motivi geometrici. Base in bambù legata con fibre vegetali. Isola S. Matthias, Arcipelago Bismarck. Legno, bambù, fibre vegetali, pittura, cm 230, cm 244, cm Raccolta E.H. Giglioli fine 1800, cat. 7901, 7899, 7900.
96. Particolare
di lancia da guerra,
in legno con
241.
spine ossee
nella punta e parzialmente rivestita con intreccio di fibre vegetali. Isole Salomone. Legno, osso, fibre vegetali, cm 347. Raccolta U. Biondi 1899, cat.
9025. Lancia da guerra, in legno, con figura accovacciata intagliata nella parte apicale (particolare). Isole Salomone. Legno, calce, cm 294. Raccolta G. Branchi 1874, cat. 18606.
Lancia da guerra dei capi, in legno, interamente rivestita di
fibre
vegetali
intrecciate
e con
spine
ossee
nella
punta
(particolare). Isole Salomone. Legno, fibre vegetali, osso, cm 348. Raccolta A. Scheidel 1904, cat.
11845.
97. Giavellotto con asta in bambù, e punta in lama di ossidiana, fissata con creta dipinta (particolare). Isole Ammiragliato, Arcipelago Bismarck. Bambù, ossidiana, creta, pittura, cm 178, cm 192. Raccolta A.
Scheidel 1904, cat. 11876, 11877.
98. Lancia da guerra, in legno e bambù, con motivi pirografati (particolare
della
base). Nuova
Hannover,
Arcipelago
Bi.
smarck. Legno, bambù, cm 233. Raccolta A. Scheidel 1901, cai 8698.
Lancia da guerra, con asta di legno appuntita, inserita in un omero
umano;
decorata
con
conterie
(particolare
basale).
Penisola della Gazzella, Nuova Britannia. Legno, ossa umane, conterie, cm 197. Acquisizione da Frank, cat.
6958. e). Particolare di punta di lancia (N. 96, al centro).
1/25
100.
3ritannia. Ossa umane, Scheidel
101.
“Palao” - Clava da guerra con testa di pietra. Nuova Britannia, Arcipelago Bismarck (ultima da sinistra). Legno, pietra vulcanica, cm 115. Raccolta E.H. Giglioli fine 1800, Cato.9Jb:
Maschera-cranio, usata nei riti dei defunti. Il volto è modellato in creta, attaccato ad un osso frontale umano, su cui sono incollati dei capelli. Penisola della Gazzella, Nuova
creta, capelli, fibre vegetali, cm 27 x 14. Raccolta A. 102.
1901, cat 7406.
Clave da guerra, in legno pesante, decorate con fibre e conchiglie. Nuova Britannia, Arcipelago Bismarck (prima e seconda
da sinistra).
Legno,
fibre vegetali,
Podenzana
conchiglie,
cm
1904, cat. 12001, 12000.
130, cm
133.
Raccolta
L.
Manico di ascia, con la parte terminale allargata, su cui è dipinto un volto stilizzato (manca il tagliente che dovrebbe
essere di ferro). Nuova Britannia, Arcipelago Bismarck. Legno dipinto, em 113 x 14,5. Dono O. Finsch fine 1800, cat. 5496.
129
10:
2 )
Clava da guerra, falciforme, in legno scuro a patina lucida. Isole Salomone. Legno pesante, cm 156 x 46. Raccolta G. Branchi 1874, cat. 18440.
104.
Clava da guerra falciforme, con scultura zoomorfa sul manico. Isole Salomone. Legno pesante a patina lucida, fibre vegetali, cm 126 x 40. Raccolta G. Branchi 1874, cat. 18439. Scultura di scimmietta,
particolare del manico
(N. 104).
127
106. Clava da ballo in legno pesante dipinto. Isola di S. Cruz.
108. Clava da ballo in legno pesante dipinto, ornato di ciuffi di
Legno pesante, pittura, semi di Coix, cm 94. Raccolta A. Scheidel 1898, cat. 7184.
rafia. Isole di S. Cruz. Legno pesante, pittura, rafia, cm 91. Raccolta ignota.
107. Clava da ballo in legno dipinto, ornata di ciuffi di rafia.
109. Particolare di clava da ballo (N. 108).
Isole di S. Cruz. Legno pesante, pittura, rafia, cm 81. Raccolta A. Scheidel 1898, cat.
7183.
128
129
130
110. Pagaia da danza, con figura antropomorfa e disegni geometrici dipinti in nero e ocra, sulla pala. Isole Salomone. Legno, pittura, cm 153 x 18. Raccolta Biagi 1880, cat 1360. Pagaia da danza, con figure accovacciate, dipinte in nero e ocra, su entrambi i lati della pala. Bouka, Isole Salomone. Legno, pittura, cm 169 x 17. Raccolta U. Biondi 1899, cat. 9027.
Pagaia da danza, con disegni stilizzati dipinti in ocra e nero (figura antropomorfa accovacciata sulla faccia nascosta). Isole Salomone.
x15,3. Raccolta Legno, pittura, cm 167 5850.
Gaiglioli fine 1800, cat.
TRItk, Particolare di figura accovacciata di pagaia da danza (N. 110, retro della pagaia al centro). IZ
Particolare di pagaia da danza (N. 110, prima da destra).
192
(A pr
113. Remo da danza, con disegni di uccelli fregata. Rubiana, Isole Salomone. Legno, pittura, cm 145 x 14. Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 11842. Pagaia da danza in legno intagliato e dipinto con calce, che sottolinea la figura accovacciata. Bouka, Isole Salomone.
Legno, calce. Raccolta A. Scheidel 1901, cat. 8416.
Pagaia da danza a sezione romboidale,
in legno intagliato;
nel decoro figura accovacciata. Isole Salomone. Legno intagliato, cm 152,5x16Xx7. Acquisizione da Frank, 6250.
cat.
114. Particolare della pala con sinistra). 115.
Particolare con
uccello fregata (N. 113, primo da
figura accovacciata
(N. 113, al centro).
S(N:
154
116. Pagaia da danza, con pala di forma romboidale, dipinto. L’impugnatura è formata da testa umana dipinta. Isole Salomone.
in legno scolpita e
Legno dipinto, cm 164 x 20 x 8,7. Raccolta Gaggino, fine 1800, cat. 3356.
Pagaia da danza con figura accovacciata dipinta in nero e ocra. Bouka, Isole Salomone. Legno, pittura, cm 171x18. Raccolta
U. Biondi 1899, cat. 9026.
Pagaia da danza con pala di forma romboidale, con impugnatura scolpita a forma di testa umana e dipinta. Isole Salomone. Legno, pittura, cm 145 x 24,8x cat. 18452.
10,5. Raccolta
G. Branchi
1874,
117, 118. Particolari del retro e dell’impugnatura della pala (N. 116, prima da sinistra).
119.
Particolare smistra).
dell’impugnatura
della
pala
(N.
116, ultima
da
120.
Particolare
del retro della pala (N. 116, al centro).
121. Pettine
ornamentale decorato con fibre intrecciate. Isole Salomone. Legno, fibre vegetali, cm 18,5. Raccolta U. Biondi 1899, cat. 9017. Pettine ornamentale con intarsi di madreperla. Isole Salomone. Legno, madreperla, cm 24,5. Raccolta L. Podenzana 1904, cat. 11968.
Pettine ornamentale decorato con intrecci di fibre policrome. Isole Solomone. Legno, fibre vegetali, cm 21. Raccolta U. Biondi 1899, cat. 9018. Pettine ornamentale in legno inciso e dipinto. Isole Salomone. Legno, pittura, cm 23,2. Raccolta G. Branchi 1874, cat. 18638.
122, Bracciale di conterie su fibre vegetali intrecciate, portato dai capi. Isole Salomone. Conterie, fibre vegetali, cm 15 x 4) 10. Raccolta cat. 9024.
U. Biondi 1899,
. Collare di conterie inserite su intreccio di fibre vegetali; viene usato anche come moneta. Nuova Britannia, Arcipelago Bismarck. Conterre, fibre vegetali, cm D) esterno 33 x 9 (larghezza del collare). Dono O. Finsch 1885, cat. 5495.
124. “Kapkap”, ornamento per il capo in conchiglia di Tridacna con rosone di tartaruga. Isole Salomone. Conciglia, 11864.
tartaruga,
cm
“Kapkap”, ornamento
4) 8. Raccolta
A. Scheidel
1904,
cat
in conchiglia con motivo decorativo
a forma di uccello fregata stilizzato, in tartaruga. Isole di S. Cruz. Conchiglia,
tartaruga, cm
Z) 10. Raccolta A. Scheidel 1904, cat.
11776. Pettorale in madreperla di Meleagrina margaritifera, lavorato a traforo. Rubiana, Isole Salomone. Madreperla, cem Z 9,2. Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 11793. 2
139
GS M LASA CMML
125.
Astuccio in bambù, per tabacco 0 calce, con motivi geometrici incisi e dipinti. Rubiana, Isole Salomone. Bambù, legno, pittura, cm 20x © 5. Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 11819.
Astuccio per calce 0 tabacco, in bambù con motivi pirografati raffiguranti l’uccello fregata. Isole Salomone. Bambù, legno, cm 20,2 x DZ 5,5. Raccolta ignota, senza numero.
“Ribbe” - Astuccio per pipa in bambù con motivi pirografati raffiguranti l’uccello fregata. Rubiana, Isole Salomone. Bambù, cm 23,7 x © 5,2. Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 11815.
Ise
126.
Particolare di astuccio con uccello fregata (N. 125, al centro).
127.
Particolare di “ribbe” con fregata con pesce in bocca (N. 125, ultimo da sinistra).
142
1283. Clava da guerra
in legno pesante a patina lucida. Nuove
Ebridi. Legno pesante, cm 108. Raccolta Biagi 1880, cat. 1345.
Clava da guerra in legno pesante, con testa stellata. Nuove Ebridi. Legno pesante, cm 113. Raccolta U. Biondi 1899, cat 9014. Clava “a chiodo”, in legno pesante a patina lucida. Nuove Ebridi. Legno pesante, cm 103. Raccolta Biagi 1880, cat. 1347.
Clava a punta, in legno pesante, l’impugnatura è rivestita con fibre di cocco. Nuove Ebridi. Legno pesante, fibre vegetali, cm 1Î4. Raccolta A. Scheidel 1904, cat. 8409. . Asta di comando,
di cocco
in bambù,
e portante,
nella
parzialmente rivestita di fibre
parte
alta, una
doppia
testa
stilizzata, in legno. Nuove Ebridi. Legno, bambù, fibre di cocco, cm 270, cm 271. Raccolta A. Scheidel
1904, cat. 11625, 11626. 130. Clava con testa a “becco d’uccello”. Nuova Caledonia.
Legno pesante, cm 77x 27,5. Raccolta A. Scheidel 1901, cat. 8431.
131. Testa d’accetta di pietra levigata. Nuova Caledonia. Basalto, cm 25 x 11. Raccolta Glaumont, cat. 6509.
Piccola testa di accetta in pietra levigata. Nuova Caledonia. Giadeite, cm 10,8 x 6,2. Da Museo di Geologia, cat. 4362.
32
“N’-bouet”, ascia cerimoniale con
lama discoidale in basal-
to. La lama è forata e legata al manico di legno, rivestito di
stoffa di cotone fissata con cordoncini di fibre di cocco e di lana di pelo di pipistrello. La base del manico poggia su mezza noce di cocco, anche questa rivestita. Nuova Caledonia. Basalto, legno, noce di cocco, cotonata, fibre vegetali e animali, cm 65, cm © 25 (della lama). Raccolta Glaumont, cat. 6508.
143
Collana di 26 denti di cetaceo, infilati su cordicella di fibre
136. Vaso a forma
vegetali.
resina di Pino Cauri. Viti Levu, Isole Figi (di fronte e dall'alto).
Denti
Isole Figi.
di cetaceo,
Raccolta “Diva”
fibre vegetali,
cm
U. Biondi
1899, cat. 9024.
- Pettorale
ornamentale,
11,5x22
(senza
la corda).
Terracotta,
di madreperla
(Melagrina
margaritifera) e avorio di denti di Phiseter, portato dai capi figiani. Isole Figi. Madreperla, avorio, Webster,
cat.
Collana
di otto
fibre
vegetali,
cm
©) 18. Acquisizione
da
7100.
perle di avorio
cm
1800, cat. 7501.
di denti
di cetaceo,
infilate
su cordicella di fibre vegetali. Isole Figi. Avorio, fibre vegetali, cm 37,5. Collezioni antiche del Museo, cat. 45
144
di tartaruga,
27,8 x 23,5 x19,5.
in ceramica Raccolta
Padre
smaltata Williams
con fine
N
Poggiatesta
in legno scuro
pesante
a patina lucida. Isole
gi. Figi Legno pesante,
9063.
cm
32x23 x 13. Raccolta
U. Biondi
1899,
cat.
138. Vaso di forma globulare, con scanalature concentriche, in ceramica smaltata con resina di Pino Cauri. Viti Levu, Isole Figi. Terracotta, cm 28 x X) 29. Raccolta Padre Williams fine 1800.
SFATARE
146
142.
IDE) Clava da guerra con testa “a radice”. Isole Figi.
Legno pesante, fibre di cocco, cm 84 x 13 x 11. Raccolta Biagi 1880, cat. 1346.
Clava da guerra di forma cilindrica, con intaglio decorativo
143. Grande bacile monoxilo per la fermentazione del Kawa, la
all’impugnatura. Isole Figi. Legno pesante, cm 117x
Clava da guerra con testa ad “ananas”, in legno pesante, l’asta è rivestita di fibre di cocco. Isole Figi.
Legno pesante, cm 109x D 12 (della testa). Raccolta Biagi 1800, cat. 1342.
Y 5. Raccolta L.M. D'Albertis 1871-72,
forma rammenta una tartaruga. Isole Figi. Legno pesante, cm 24,5 x ) 67. Raccolta A. Scheidel A2D2.0!
cat. 617.
140. Clava spatoliforme in legno pesante. Isole Figi.
x 27,5. Raccolta G. Branchi 1874, Legno scuro e pesante, cm 110 cat. 18449.
IZAL Clava da guerra “a calcio di fucile”, in legno pesante con
l’asta rivestita di fibre di cocco. Isole Figi.
Legno pesante, fibre di cocco, cm 93x25 x 6. Raccolta A. Scheidel 1898, cat. 7310.
147
1898, cat.
Ka T
)rt2%. 5A lei ii
144.
Stoffa
di scorza
d’albero
battuta,
“
“tapa”, dipinta
in toni
bruni a disegni geometrici. Isole Figi. Stoffa di scorza, pittura, cm Casella 1930, cat. 22633 b.
200x147.
Raccolta
Giglioli, dono
148
3
145. Stoffa di scorza battuta, dipinta a motivi geometrici, con toni bruni. Isole Figi. Stoffa di scorza, pittura, cm 212 x 222. Raccolta L. Podenzana
1904, cat. 11996.
149
‘ATAVAS
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111,5) POIONIRO]
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