136 66
Italian Pages 184 Year 2012
Edward W.B. Du Bois
NEGRI PER SEMPRE L’identità Nera tra costruzione della sociologia e “linea del colore”
a cura di
Raffaele Rauty presentazione di
David Levering Lewis
ARMANDO EDITORE
Du Bois, Edward W.B. Negri per sempre. L’identità Nera tra costruzione della sociologia e “linea del colore” ; Roma : Armando, © 2008 224 p. ; 22 cm. (Modernità e società) ISBN: 978-88-6081-281-0 1. L’identità nera 2. Du Bois e la cultura afro-americana 3. La Conferenza di Atlanta e il Niagara Movement CDD 301
I brani presenti nel volume sono tratti da: The Philadelphia Negro Originally published in 1899 by the University of Pennsylvania Press. Reprint edition copyright © 1996 by the University of Pennsylvania Press. All rights reserved © 2008 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-06-019 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected] Per i casi in cui non è stato possibile ottenere il permesso di riproduzione, a causa della difficoltà di rintracciare chi potesse darlo, l’editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali non volute omissioni o errori di attribuzione.
Sommario
Presentazione: W.E.B. Du Bois e la revisione del discorso americano DAVID LEVERING LEWIS Prefazione RAFFAELE RAUTY
9
17
Introduzione: W.E.B. Du Bois, teorico sociale e dirigente politico nero 19 RAFFAELE RAUTY
TESTI
67
La linea del colore
69
La conservazione delle razze
70
I Negri di Philadelphia
80
I Negri a Philadelphia, 1820-1896
87
Una considerazione finale
105
Rapporto particolare sul lavoro domestico dei Negri nel 7º distretto - Ideali di miglioramento di Isabel Eaton
115
Su Mr. Booker T. Washington e altri
124
Gli uomini di talento
136
Il laboratorio di sociologia dell’Università di Atlanta
154
Le conferenze di Atlanta
158
La sociologia esitante
165
La dichiarazione di principi del Niagara Movement
173
Indirizzo alla Nazione
177
Un’idea
180
NAACP
181
La madre negra
182
Il voto delle donne
184
La direzione di «The Crisis»
186
Booker T. Washington - Il compromesso di Atlanta
192
Biografia di W.E.B. Du Bois
197
Bibliografia delle opere
205
Indice dei nomi
218
Presentazione
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W.E.B. Du Bois e la revisione del discorso americano
L’aforisma di Foucault secondo il quale “se si controlla la memoria delle persone si controlla anche la loro azione” potrebbe essere assunto come motivo principale della vita e del pensiero di William Edward Burghardt Du Bois, il grande intellettuale afroamericano sostenitore dei diritti umani. Il 25 giugno del 1890, un mese prima della data di scopertura del monumento di Robert E. Lee nella Monumentum Avenue di Richmond, e sei mesi dopo che Jefferson Davis era morto a New Orleans, una piccola realtà di Harvard, che ricevette la magna cum laude come titolo, parlò dal palco principale del teatro Sanders. Egli fu uno dei sei studenti oratori. Il ventiduenne William Edward Burghardt Du Bois, nella sua cerimonia di laurea tentò di offrire nel saggio Jefferson Davis, esponente della civilizzazione una valutazione su un confederato proponendo una interpretazione radicalmente opposta alla posizione ortodossa consolidata. La vita di Davis aveva rappresentato “l’individualismo accoppiato al ruolo della forza” osservò Du Bois. «Questo rese Jefferson Davis uomo coraggioso e generoso per natura, – egli fece progredire la civiltà attraverso lo sterminio degli Indiani, fu eroe di una vergogna nazionale gentilmente definita la Guerra messicana, e infine, come colmo dell’assurdo, fu campione particolare di un popolo che combatteva per essere libero affinché un altro popolo non lo fosse». «The Nation» osservò che il discorso era certo insolito. La pubblicazione popolare «Kate Field’s Washington» fu dell’opinione che «nessuna storia della Guerra Civile sarà degna di essere letta, tranne che come romanzo, finché lo spirito di Du Bois ispirerà i suoi scrittori». Poi il turbinio dell’attenzione rivolta alla temerarietà intellettuale di un giovane nero precoce passò velocemente e fu dimenticata. Un secolo dopo l’acuta osservazione sulla razza in America fatta da Tocqueville, era ancora il caso, come più volte evidenziato in quei bei vecchi racconti nazionali che andavano da quelli di Ellis Oberholtzer a quel9
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li di Samuel Elliott Morrison o a quelli di Henry Steele Commager e Dumas Malone, che essere Americano corrispondeva ad essere parte della grande classe media bianca e libero da tutte le ideologie, tranne quella dell’eccezionalismo americano. Si ricordi, se se ne ha voglia, quanto era contenuto nella narrazione nazionale dei Beards, Mary and Charles, nella cui trattazione generale Rise of American Civilization, si può trovare a stento un indice di citazioni riferito alla gente di colore. Beard e i progressisti eliminarono del tutto i neri da una mappa nella quale presero in considerazione i concorrenti regionali ed economici. La squallida verità relativa ai documenti scritti nella prima metà del ventesimo secolo è quella della marginalizzazione della gente di colore fino alla loro invisibilità. La letteratura, il dramma, e il nuovo strumento comunicativo dei film ammettevano gli afroamericani solo se ricoprivano ruoli macchiettistici. Rispetto a queste realtà di mutismo e invisibilità forzati, una esile minoranza di neri, come si usava dire allora, si stava dando da fare per trovare modi efficaci per registrare sgomento, oltraggio, e punizione. La fiducia afroamericana nei confronti di una avanguardia intellettuale può essere fatta risalire proprio alla pubblicazione, nel 1903, del testo di Du Bois The Souls of Black Folk contenente l’indicazione, ora familiare, che il problema del ventesimo secolo sarebbe stato la linea del colore, o, come avrebbe precisato circa un anno dopo, in un discorso tenuto a Des Moines, nello Iowa, quella linea del colore rappresentava proprio il segno dei crescenti privilegi di classe e di distinzione di casta nella società americana e non, come sostenuto da qualche posizione ingenua, la causa di questo (cit. da Lewis, 313). Fino all’apparizione di quel libro, l’unica voce nera autorevole tanto da essere ascoltata era stata quella del ventriloquo Booker Washington, una voce che spiegava e giustificava la supremazia bianca fondata sulla repressione come un male che poteva essere oggetto di trattativa. In contrasto radicale Du Bois sottolineava, con una eloquenza ed efficacia morale impareggiabili, che la cittadinanza non era negoziabile ma rappresentava invece un diritto garantito dalla Costituzione. Dal momento che il fondamento dell’accusa rivolta dalla supremazia bianca era che i negri, durante la Ricostruzione, avevano fallito deplorevolmente la prova di una cittadinanza fondata sulla responsabilità, Du Bois invocava i documenti storici, ora dimenticati, relativi all’acquisizione negra della libertà in contrasto alla diffusa presunzione di venalità, incompetenza, e regressione civile nera. In altre parole The Souls of Black Folk contrastava una della narrazioni principali del processo “profetico” che fissava il passato americano nel consolidamento assoluto della fobia dei neri. Du Bois visse abbastanza da essere consapevole che la sua reinterpretazione della Ricostruzione voleva rappresentare uno dei paradigmi dura10
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turi della storiografia degli Stati Uniti. Ma nel 1909, quando fu invitato dalla American Historical Association a pronunciare un discorso, l’orrore ancora vivo del periodo della Ricostruzione rappresentava l’ortodossia. Con l’impudenza che gli era propria lesse un saggio intitolato La ricostruzione e i suoi benefici, mentre William Archibald Dunning, maestro riconosciuto della storiografia della Ricostruzione, sedeva tra il pubblico ad ascoltare. Tra gli altri passaggi il giovane professore della Università di Atlanta affermò che la liberazione degli schiavi rappresentava un vantaggio per la democrazia e che le costituzioni statali formulate dai liberti erano modelli di progresso. Quella di Du Bois sarebbe stata, fino al 1940, la prima e l’ultima apparizione di un afroamericano nel programma dell’Associazione, e nonostante il suo saggio venisse poi pubblicato sull’«American Historical Review», rispetto all’impatto sulla corrente principale della cultura, fu come se non l’avesse mai scritto. Quelli che fecero funzionare l’Accademia e diressero le fondazioni e le associazioni culturali nell’America dominata dai bianchi poterono restare tanto inflessibili, oscurantisti, o in ansia come i sacerdoti e gli uomini politici bianchi del Sud quando i loro scontati fondamenti razzisti furono sfidati. In verità le sfide rivolte all’ortodossia razziale sarebbero rimaste a lungo rare quanto i neri registrati per il voto nel profondo Sud. Cioè quello che fu notevole all’inizio della terza parte del ventesimo secolo non fu la mancanza di monografie di docenti scritte da afroamericani perché qualcuna c’era. La Short History of the American Negro del professore di letteratura Benjamin Brawley nel 1913, e quella, del 1922, di Carter Woodson, formatosi ad Harvard, The Negro in Our History costituirono concrete ricerche alternative alle principali correnti narrative esistenti. La pubblicazione nel 1915 del volume The Negro di Du Bois da parte di un editore di primo piano rappresentò una sintesi d’avanguardia della cultura moderna che spaziava dagli albori della civiltà fino agli inizi del ventesimo secolo. Inoltre, nonostante diverse recensioni beffardamente elogiative, la proposta di Du Bois era troppo revisionista per avere una eco significativa al di là della cerchia limitata del pubblico letterato afroamericano. L’azione che si dispiegò e che culminò negli anni Venti fu estremamente ostile nei confronti delle persone di colore educate, indipendentemente dai luoghi dove avveniva. Durante la tristemente famosa “estate rossa” del 1919, nelle città del Nord e del Sud scoppiarono rivolte razziali. Il Sud riprese la consuetudine dei linciaggi e ricostituì il Ku Klux Klan. Il Nord mantenne le sue organizzazioni sindacali bianche e segregò i nuovi arrivati neri. Fu in questa realtà di persistente razzismo che Du Bois e un piccolo gruppo di uomini e donne neri, riuniti nell’iniziativa da più di un decennio nella NAACP e nella National Urban League, ebbero 11
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l’idea acuta che, sebbene fossero negati alla maggior parte dei neri l’accesso al voto, l’adesione ai sindacati, l’insediamento nei migliori quartieri e l’accesso agli impieghi pubblici era ancora disponibile una strategia sino ad allora inedita per l’avanzamento del gruppo, soprattutto perché appariva improbabile (e anche di scarso rilievo) alla maggioranza americana, e cioè l’adesione alla repubblica delle arti e delle lettere. James Weldon Johnson, nella prefazione della sua antologia del 1922, The Book of American Negro Poetry, dichiarava, “La dimensione finale della grandezza di tutti i popoli corrisponde alla quantità e alla qualità dell’arte e della letteratura prodotte”. Scrivendo nel 1924 The Gift of Black Folk, Du Bois notava che il fondamento estetico dell’America derivava dalla sua gente di colore e Locke, nel The New Negro, il manifesto della cosiddetta Harlem Renaissance, sosteneva che il miglioramento dei rapporti razziali dipendeva dalla «rivalutazione fatta, tanto dai bianchi che dai negri, del negro rispetto ai suoi talenti artistici e ai suoi contributi culturali, passati e presenti». Peraltro anche nel momento della composizione di The Gift of Black Folk, Du Bois sapeva già che la battaglia per una America multiculturale, orientata positivamente dal punto di vista razziale era persa per un periodo indefinito e che il primo quarto del secolo apparteneva a Wall Street e a Bourbon South più che alla penetrazione delle scienze sociali e al rafforzamento democratico. Dal momento che era chiaro a Du Bois che la proprietà della conoscenza costituiva un monopolio razziale, egli abbandonò rapidamente le strategie che univano arti e diritti civili nel cosiddetto Rinascimento (nero). L’avanzamento razziale attraverso la produzione di poesia e romanzi, decise, era e sarebbe rimasto in gran parte immaginario finché non si fossero in qualche modo conseguiti avanzamenti decisivi nelle scienze sociali. Se si mette in relazione il presente con quel processo di sviluppo di Du Bois, vanno ricordati alcuni elementi attuali. Con la Russia devastata oggi da una fase di capitalismo velenoso che vorrebbe respingere i magnati industriali americani ladri e con il comunismo che sembra diretto a far parte del negozio delle curiosità della storia delle religioni fallite, alcune delle affermazioni di Du Bois possono suonare in modo così strano da sollevare dubbi sulla statura di uno degli intellettuali di maggior peso del XXI secolo. Pochi loderebbero il suo essere schierato a fianco dell’Unione Sovietica o l’esilio africano dell’ultima parte della sua vita. Ciò che è successo al suo amato continente dell’Africa sgomenterebbe Du Bois, sebbene, probabilmente, non lo disilluderebbe. Dovrebbe essere ormai chiaro che è molto lontano il senso della protesta di Du Bois contro le ingiustizie razziali ed economiche e la sua graduale alienazione dal 12
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processo del credo eccezionalista americano più delle soluzioni da lui proposte, il che è istruttivo. Perché egli fu un intellettuale nel senso più puro del termine, – un pensatore obbligato ad essere continuamente insoddisfatto dei propri pensieri e di quelli degli altri. Senza dubbio fu precipitoso nel cancellare completamente l’economia di mercato. Comunque va sottolineato che Du Bois aveva ragione ad insistere che lasciare la soluzione dei problemi sociali solo al mercato corrisponde a un ordine delle cose che garantisce una oscena disuguaglianza economica nel breve periodo e una calamità politica certa nel lungo. In uno dei suoi saggi più preveggenti Negroes and the Crisis of Capitalism in the United States, scritto dieci anni prima della sua morte, Du Bois ha lasciato una diagnosi dell’onnivoro turbo-capitalismo contemporaneo, che ora assale il pianeta, ammonendo che lo sforzo organizzato dell’industria americana di usurpare il governo sorpassa ogni altra cosa nella storia moderna. Dall’uso della psicologia per trasmettere la verità è derivato quello di mettere insieme notizie per guidare l’opinione pubblica e poi ingannarla deliberatamente tramite la pubblicità scientifica e la propaganda. Il controllo capitalistico di massa dei periodici, del raccogliere notizie, e la loro distribuzione, la radio, il cinema, e la televisione hanno reso possibile il soffocamento della democrazia, la distorsione dell’educazione e il fallimento di una giustizia diffusa.
Nel corso della sua lunga e turbolenta carriera, dunque, W.E.B. Du Bois tentò praticamente ogni possibile soluzione per il problema del razzismo del ventesimo secolo – l’apprendimento scolastico, la propaganda, l’integrazione, il separatismo culturale ed economico, le politiche, il comunismo internazionale, l’espatrio, la solidarietà del Terzo Mondo. Prima doveva venire la cultura e l’educazione delle élite; poi il voto per le masse; poi la democrazia economica; e, alla fine tutte queste soluzioni sarebbero state al servizio della parità razziale globale e della giustizia economica. Egli rappresentò un uomo di colore con una mente straordinaria in un secolo segnato da un atteggiamento razzista, così come lo guidò anche l’impazienza fatta regola per cui vide lo straordinario fallimento della democrazia americana, decennio dopo decennio, fino al paradosso di difendere il totalitarismo al servizio di un’idea globale di giustizia economica e sociale. La sua duratura tempra calvinista non fu mai così aperta come quando, nella sua prima opera The Suppression of the African Slave Trade, scrisse:
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Un senso comune consistente nel fronteggiare il fenomeno complicato della vita politica ce lo si deve aspettare per ogni popolo progressista. Sembra quasi che come nazione ci manchi questo; noi pensiamo, in modo quasi appena abbozzato, di non essere destinati ad essere tormentati da grandi questioni sociali, e che se capita questo, e non riusciamo a rispondere al problema. L’errore è nel problema e non in noi. Così spesso ci congratuliamo con noi più perché riusciamo a liberarci di un problema che perché siamo in grado di risolverlo. Tale atteggiamento è pericoloso; perché noi abbiamo, e avremo, come già altri popoli, momenti critici e questioni pressanti cui dare risposta. L’enigma della sfinge può essere rinviato, gli si può rispondere evasivamente; ma qualche volta gli si deve dare una risposta completa (The Suppression of the African Slave Trade to the United States of America, 1638-1870, Millwood, NY: Kraus-Thomson Ltd., 1973 – ed. or. 1896, 199).
Il filosofo prammatista americano William James, osservò, in The Principles of Psychology, che «genio indica poco più che la facoltà di percepire in modo non consueto». Difficilmente si potrebbe trovare una definizione più adeguata del modo di pensare di Du Bois. In questa eccellente selezione di una parte degli scritti di uno dei più famosi intellettuali americani, messa a punto dal professor Rauty, il lettore italiano incontrerà un uomo di colore la cui integrità come docente, giornalista e politico lo pone giustamente ai primi posti degli immortali dell’ultimo secolo. La serie dei suoi risultati in sociologia, storia, belle lettere, giornalismo investigativo, guida organizzativa (come cofondatore della National Association for the Advancement of Colored People) è senza pari. Il suo The Philadelphia Negro è ora apprezzato nel suo Paese come una monografia fondante la sociologia empirica. The Souls of Black Folk, scritto poco più di un secolo fa, resta il testo originale dell’identità nera americana. I suoi scritti sul periodo della Grande Guerra e sulla fase immediatamente successiva hanno ispirato e formato il potente ideale pan-africano che ha lentamente alimentato la resistenza africana alla dominazione coloniale europea. Se il grande sogno di Du Bois di pubblicare una enciclopedia in più volumi sui Negri si fosse realizzato, il risultato avrebbe accelerato a dismisura la conoscenza della razza nelle scienze sociali. In una delle sue predizioni più citate (più volte presente nel testo che segue) Du Bois scrisse che il problema del ventesimo secolo sarebbe stato la linea del colore. Questo problema, nelle sue varie manifestazioni, resta interno a questo secolo per l’ottima ragione che, come in seguito avrebbe notato Du Bois, il problema della razza è essenzialmente, e in modo duraturo, quello della ingiustizia economica. 14
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Rispetto a questi elementi voglio sottolineare con una valutazione altamente positiva la continuità e la molteplicità, nel tempo, degli studi su W.E.B. Du Bois e, in questo caso, il lavoro meritorio svolto dal professor Raffaele Rauty con la predisposizione del presente volume per la comunità scientifica e sociale italiana, tenendo presente che ogni antologia si scontra, nella sua predisposizione, con il corpus estremamente consistente ed eterogeneo delle opere prodotte da William Edward Burghardt Du Bois nel corso della sua lunga, prestigiosa e drammatica esistenza. New York University, ottobre 2006
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David Levering Lewis
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Prefazione
Ho incontrato per la prima volta il lavoro di W.E.B. Du Bois più di dieci anni fa, nell’ambito di una indagine sullo sviluppo della sociologia statunitense nella seconda metà del XIX secolo e ho verificato, in quell’occasione, il ruolo centrale che The Philadelphia Negro e, più in generale, gli orientamenti sociologici del suo autore hanno avuto in tale vicenda. Rispetto a quel testo, essenziale nella fondazione della sociologia urbana ma parziale nel complesso dell’opera di Du Bois, il volume qui presentato ne prende in considerazione una realtà più ampia e articolata, caratterizzata dal ruolo sostanziale da lui svolto nella organizzazione della cultura nera e nella lotta per la democrazia e l’affermazione dei diritti del popolo nero. I testi che seguono, simbolicamente legati alla enunciazione di Du Bois relativa alla drammatica e costante attualità della “linea del colore”, ricomprendono infatti un periodo compiuto del lungo percorso della sua vita e della sua iniziativa politica, sociale, culturale. Quel periodo, che inizia con la riflessione di fine XIX secolo relativa al ruolo autonomo che la razza nera dovrà assumere e con la ricerca svolta a Philadelphia, prosegue con lo sviluppo degli studi sociologici realizzati nell’Università di Atlanta, e ha una fase conclusiva nel dibattito, aspro e articolato, con Booker Washington, nella costituzione del Niagara Movement e della National Association for the Advancement of Coloured People e nella fondazione della rivista «The Crisis». La selezione dei testi mostra così l’eterogeneità e la ricchezza della sua riflessione e produzione scientifica di quegli anni, caratterizzati da una molteplicità di suggestioni, riferimenti, interessi e iniziative in un periodo di importanza sostanziale nella formazione e nella vita di Du Bois, arrestandosi alle soglie della fase nella quale egli sviluppa poi i suoi rapporti internazionali e consolida il suo legame con la politica. La centralità della figura di Du Bois nella cultura afroamericana, come anche nella realtà politica e scientifica internazionale, spinge dunque a una riattualizzazione del suo pensiero e a una ricollocazione del Phila17
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delphia Negro e degli interventi sociologici realizzati soprattutto ad Atlanta, testi che una tradizione disciplinare fatta da realtà accademiche spesso autoreferenziali, ha evitato a lungo anche di prendere in considerazione. Peraltro, una operazione conoscitiva come quella progettata con il presente volume rispetto alla figura e all’opera di Du Bois, tende a colmare uno degli incredibili vuoti (ai quali fa eccezione la competenza di pochi addetti ai lavori) che sottraggono alla conoscenza collettiva quanto meno veri e propri classici del pensiero internazionale. Come in ogni lavoro, anche nel presente vi sono alcune persone da ringraziare: David Levering Lewis, anzitutto, della New York University, per il suo sostegno all’ipotesi del volume e per il suo testo, inatteso, di presentazione, e, insieme a lui, Troy Duster, antico amico di Berkeley, espressione di una apparentemente calma eppure indomita radicalità nera, ricca di suggestioni e approfondimenti scientifici, anche nei confronti del mio lavoro. Poi devo ringraziare Laura Forgione, ricercatrice dell’Università di Torino, per l’aiuto rispetto alla verifica della disponibilità dei testi, Laura Genco e Gabriella Petruzziello per la collaborazione. Un grazie particolare a Giusy Cersosimo, all’aiuto che mi ha dato, alla fiducia e all’affetto con i quali ha accompagnato la preparazione di questo testo. Infine questo lavoro è dedicato alla memoria di Antonio (Totò) Ameduri, insegnante di scuola superiore che ha passato, con dignità e discrezione non comuni, gran parte della sua esistenza in una provincia meridionale, insieme ai suoi studenti, facendo dell’insegnamento il senso di una vita. Questo sembra molto distante, geograficamente e culturalmente, da W.E.B. Du Bois, eppure pochi come Antonio Ameduri hanno oggettivamente impersonato e fatto vivere, giorno per giorno, l’indicazione di Du Bois che l’insegnamento non consiste solo di una serie di nozioni, legate a una o un’altra disciplina, peraltro trasmesse con qualità altissima, ma si articola, anche e soprattutto, in un riconoscimento degli interlocutori del docente e nella formazione dei giovani, di generazione in generazione, modo di vivere e interpretare la cultura e la vita quotidiana, in una connessione inscindibile tra essere, dovere essere e sapere essere, e, ovviamente, tra passato, presente, futuro.
Fisciano, giugno 2007
Raffaele Rauty
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Introduzione
W.E.B. Du Bois, teorico sociale e dirigente politico nero
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RAFFAELE RAUTY
Senza lotta non vi sarà progresso, è stato così in passato, sarà così anche in futuro. (F. Douglass, 1882) Dichiariamo il nostro diritto a vivere su questa terra come esseri umani, a essere rispettati, ad avere, in coerenza, diritti in questa società, fattori tutti che vogliamo realizzare con ogni mezzo necessario. (Malcom X, 1964)
Uno “sbiadirsi” della “linea del colore”? Per più generazioni, nel mondo occidentale contemporaneo, la libertà dei neri, negli Stati Uniti come negli altri paesi nei quali sono presenti, è stata ritenuta obiettivo fondamentale delle democrazie. Si è pensato che tale libertà sarebbe stata conseguita attraverso un conflitto in grado di modificare l’ordine mondiale, in un processo di liberazione degli individui fondato sul venire meno delle disuguaglianze in Occidente e su una rottura dei rapporti di dipendenza del Sud del mondo. Anche a questa speranza e a questo obiettivo generazioni di uomini, di donne, di giovani hanno legato, per molti anni, la propria azione e la propria iniziativa, politica e sociale, perseguendo una messa in discussione dei compromessi nazionali determinati dai rispettivi assetti capitalistici. In rapporto alla realtà degli afro-americani, i nomi che hanno fatto pensare all’affermarsi di soggettività alternative sono stati, tra gli altri, in fasi storiche e politiche particolari, con ruoli diversi e tra loro a volte anche inconciliabili, Frederick Douglass (1818-1895), Frantz Fanon (1925-1961), 19
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Malcom X (1925-1965), Martin Luther King (1929-1968), insieme alle Pantere nere e all’organizzazione per il Potere Nero1, tutti, tranne ovviamente Douglass, comunque influenzati dal pensiero di W.E.B. Du Bois (1868-1963) (Marable, 1986, xv). In realtà di pari passo con i processi di globalizzazione, che ridefiniscono generi e generazioni, moltiplicano luoghi e forme dei conflitti, riarticolano transizioni e trasformazioni, in un clima politico che spesso non pone più, anche per mancanza di memoria, la liberazione dei neri come elemento prioritario nel possibile modificarsi dei rapporti internazionali, quell’antica linea del colore teorizzata da Du Bois, espressione esplicita di universi di senso, mantiene oggi un suo significato sostanziale e drammatico per il popolo nero e per coloro che guardano agli assetti del mondo con il pessimismo della ragione. Peraltro la figura di Du Bois è stata oggetto negli Stati Uniti di attenzione e ricezione discontinua, soprattutto tra i sociologi bianchi (McKee, 1993), a volte riconosciuta più per la necessità di dover mostrarne la conoscenza che per effettiva consapevolezza del suo ruolo nella storia del pensiero nero e della sua funzione nella elaborazione di una teoria per l’emancipazione della razza nera (Dennis, 1996). Il suo ruolo di sociologo, di dirigente sociale, culturale, politico, il suo metodo analitico, la sua elaborazione teorica sono stati nel complesso a lungo ignorati, sottovalutati, fraintesi, subordinati, travisati, censurati, tanto dal mondo accademico quanto da molte organizzazioni sociali e politiche, che pure si sono richiamate all’idea della liberazione dei neri2. Egli vedeva i risultati delle sue ricerche come base sostanziale di conoscenza, 1 Per l’opera di Frederick Douglass, cfr Douglass, 2001 (1882, ed. orig.); per la critica della sua opera, cfr. Washington, 1906; Foner, 1950; Voss, 1995; Meltzer, 1995; Foner, 2003. Per le opere di Frantz Fanon, cfr. Fanon, 1952, 1961 e 1967; per la critica del suo pensiero cfr. Caute, 1970; Geismar, 1971; Said, 1993; Gordon et al., 1996, Pirelli, Aruffo, 1994; Zahar Siebert, 1970. Per le opere di Malcom X, cfr. tra gli altri Breitman, 1965; 1967 e, insieme a Woodward, 1967; Kly, 1986; Marable, 1992 e i testi curati da Giammanco (1967; 1994) e Gambino (1993 e 1995). Per le opere di Martin Luther King jr. cfr. Martin Luther King, 1958, 1959; 1963, 1968, e tra la critica, Reddick, 1959. Per la storia delle Pantere nere e del Black Power, cfr. Seale, 1970; Davis, 1974; Hilliard, 2001; Mumia 2004; Newton et al., 2002; Martinelli, Cavalli, 1974; Bertella Farnetti, 1995. 2 In questo senso va evidenziato l’approccio innovativo presente non solo nelle ricostruzioni di Richard Levering Lewis, ma anche nelle interpretazioni che del pensiero di Du Bois hanno offerto da ultimo Cornell West e Manning Marable. Inoltre il volume recente sulla storia della sociologia negli Stati Uniti curato da Craig Calhoun (2007) tende a colmare una incredibile lacuna inserendo il lavoro di W.E.B. Du Bois non solo all’interno dello sviluppo di un’analisi della razza negli Stati Uniti ma anche in quello della affermazione e istituzionalizzazione della sociologia.
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instaurava un rapporto particolare con il passato della razza nera, ponendosi anche in controtendenza con il senso comune relativo al futuro “integrato” dei negri nella società statunitense, e con una visione “conciliata” o “giustificazionista” della loro realtà presente: «Non nasconderemo mai consapevolmente una verità spiacevole che si opponga alle nostre ipotesi, né permetteremo che il disprezzo prevalente nei confronti della razza ci spinga a conclusioni non sostenute dai fatti o travalicanti l’evidenza. Cerchiamo la verità, anche al di là delle insistenze degli amici e delle richieste dei nemici; e nel farlo chiediamo, e pensiamo di meritare, la simpatia e l’aiuto degli uomini di scienza» (Du Bois, 1904, 88)3. Del resto il ruolo del popolo nero, come il carattere ambivalente e contraddittorio della sua presenza in America hanno accompagnato la riflessione, il lavoro, la ricerca, le prese di posizione di Du Bois per tutta la sua lunga vita. Se la sua scelta politica è divenuta nel tempo sempre più esplicita, guidata da uno “spirito di scissione” che ha preso il sopravvento complessivo sul suo ruolo iniziale di ricercatore sociale e sulla sua ipotesi di mediazione politica, l’autonomia implicita in questo percorso è comunque evidente fin dai suoi primi scritti. Ora il contributo principale di Du Bois resta anzitutto nei suoi scritti: 21 libri pubblicati, 15 curati, più di cento saggi e articoli, frutto di un’attività ininterrotta. Egli unisce nel suo lavoro psicologia, filosofia, economia, storia, sociologia. Le sue trattazioni vanno di pari passo con una serie di testi come romanzi o poemi, tutti conservati e classificati presso lo Schomburg Center for the Study of Black Culture in New York City alcuni inediti4. Il suo percorso tiene insieme insegnamento e ricerca, giornali3 Anche nel nostro paese è sostanzialmente mancata, tranne poche eccezioni, una conoscenza della figura di W.E.B. Du Bois. Oltre agli studi relativi alla ricerca di Philadephia (Rauty, 1997a), e all’attenzione riservata al tema dagli americanisti “storici”, tra cui Cartosio e Portelli, cfr. Mezzadra, 2004 e 2006. Insomma anche allo svilupparsi di studi sulla realtà nera, non ha corrisposto un approfondimento particolare in questa direzione. Da ultimo, in una prospettiva soprattutto storico-letteraria, cfr. la traduzione di The Soul of Black Folks curata da P. Boi (2007). 4 Questi testi sono tutti presenti dal 1973 alla University of Massachusetts-Amherst, disponibili dal 1979 per l’uso degli studiosi (Partington, 1963, 110). Vi è una parte di scritti creativi presenti nelle riviste pubblicate da Du Bois, la maggioranza di questi è presente in «The Horizon», «una rivista letteraria, organo del Niagara Movement e pubblicazione politica; l’altra pubblicazione da lui edita, «The Crisis», fu di più una rivista letteraria, contenente il lavoro di altri neri» (Partington, op. cit.). Inoltre una serie di materiali apparvero su «The Moon Weekly», ma la rivista è andata in gran parte perduta e quindi non si sa effettivamente nulla, mentre lo stesso Du Bois ha reso noto nella sua Autobiografia di avere pubblicato su «The Courant» molti dei temi giornalieri di Harvard. Ma anche in questo caso si è in presenza di materiali decisamente rari (Partington, op. cit.).
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smo, difesa dei diritti dei neri, sviluppo dei rapporti internazionali e dell’impegno per la pace. In particolare la prima fase di sviluppo della disciplina sociologica negli Stati Uniti, della quale è protagonista, è caratterizzata da uno studio nel quale analisi e ricerca sulla condizione dei neri si uniscono a una verifica progressiva dello stato dei loro diritti. Du Bois era convinto che la ricerca rappresentasse comunque il primo passo verso la riforma sociale, e che facesse parte, insieme all’educazione e alla formazione, dei fattori essenziali per il miglioramento e la trasformazione della condizione dei neri, in sé e nel loro rapporto con i bianchi. Pur nel modificarsi dei suoi orientamenti, pressoché inevitabile in una vita così lunga e ricca di esperienze e relazioni, resta però costante in lui la riflessione sul tema e sul ruolo della razza5, rispetto al quale, rivendicando in modo costante l’identità storica del popolo nero, la coglie come presente in tutti i rapporti sociali, che ne sono condizionati e caratterizzati, critica ogni ipotesi integrazionista a livello subalterno come anche ogni differenza tra le condizioni di vita, guadagno e abitazione dei neri del nord e del sud (Du Bois, 1901a, 43). L’appartenere alla razza nera non è fattore indipendente, ma collegato alle condizioni di classe dei soggetti e alla loro storia (Du Bois, 1913; 1935) e ne influenza in modo profondo, continuo, irreversibile l’esperienza quotidiana. Si tratta di «una vasta famiglia di esseri umani, di sangue e linguaggio comune, sempre con storia, tradizioni, e stimoli condivisi, impegnati, volontariamente e involontariamente, per il conseguimento di una serie di ideali di vita concepiti più o meno vividamente» (Du Bois, 1897a, 7). Egli, che percepisce l’uso fatto della razza come costruzione sociale, anticipa l’elaborazione di Montagu (1942) e di Omi e Winant (1994) e contrasta ogni riduzione biologista o qualunque destorificazione della medesima (Du Bois, 1915, 13; 1920, 98; Winant, 2000, 181; Monteiro, 2004).
Un nero al lavoro per l’identità nera William Edward Burghardt (W.E.B.) Du Bois era nato a Great Barrington (nel Massachusetts) nel 1868, tre anni dopo la fine della Guerra Civile, l’anno in cui l’approvazione del quattordicesimo emendamento diede la cittadinanza a coloro che erano stati schiavi e due anni prima che il quindicesimo emendamento garantisse ai neri il diritto di voto. Quella di Great Barrington era una comunità di circa 5 mila abitanti, con non più 5 Il tema della razza è di elaborazione continua in Du Bois; presente anche in molti testi nei quali è difficile fare divisioni tematiche; cfr. in particolare 1903b; 1940, 97-133.
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di 40 o 50 neri. Come per tanti altri giovani di colore la sua educazione è indirizzata dalla figura materna; consegue risultati positivi nella formazione scolastica e proprio a scuola inizia una prima attività di giornalista pubblicando (un solo numero) dell’“High School Howler”, illustrato da Art Benham. Frequenta a Nashville l’Università di Fisk, principale struttura universitaria nera; passa due estati a insegnare nella parte rurale e più indigente del Tennessee, per conoscere meglio il Sud e la sua gente, e vedere direttamente la povertà, l’ignoranza e il pregiudizio ma anche la volontà del suo proletariato nero e afro-americano. Si laurea nel 1888, e l’anno successivo approfondisce la conoscenza dei problemi della razza «vidi la discriminazione in dimensioni mai immaginate» (Du Bois, 1899c; Du Bois, 1940, 30), e la complessità delle contraddizioni che velano la realtà: «Non si trattava solo di persone qualificate e molto esperte, ma di uomini e donne di carattere, devoti in modo quasi fanatico. Ascoltarli ed esserne influenzato fu per me una grande esperienza. Da quell’incontro compresi facilmente che nella maggior parte dei casi le persone con una formazione travalicano i propri limiti per cercare di migliorare il mondo» (Du Bois, 1948, 348). Poi tra il 1892 ed il 1894 prosegue gli studi in Europa, a Berlino, con un finanziamento dello Slater Fund for the Education of Negroes. Qui non riesce ad ottenere il Ph.D. perché la somma messagli a disposizione è insufficiente a consentirgli un altro anno di studio: in realtà i dirigenti dello Slater Fund, guidati dall’ex presidente degli Stati Uniti Rutheford B. Hayes, frenano la sua attività considerandolo un nero pericoloso per l’esempio che le sue qualità e il suo percorso di vita possono offrire alla sua razza (Crouch, Playthell, 2002, 11-2). Sul piano formativo è influenzato dagli studi svolti e dai maestri incontrati in Germania, da Gustav Schmoller e dal suo metodo induttivo ed empirico, fautori di una scienza sociale capace di intervenire sugli assetti pubblici6, da Max Weber, con cui ha un rapporto teorico positivo7, dalla teoria sociale di Marx, come anche dall’esperienza rappresentata in sé dal viaggio8: «Mi sottrassi agli estremismi 6 Sul pensiero di Schmoller cfr. Bock, Homann, Schiera, 1989; Hauk, Koslowski, 1997; per l’influenza su Du Bois, cfr. Broderick, 1958, 16. 7 Weber incontra Du Bois durante la sua visita negli Stati Uniti nel 1904; nel 1905 in una lettera elogia The Souls of Black Folks, a suo parere da tradurre in tedesco (Weber a Du Bois, 30.3.1905, in Correspondence, 1, 106-7) e gli chiede un testo per la sua rivista «Archiv fur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik». Il saggio di Du Bois The Negro Question in the United States vi sarà pubblicato nel 1906. 8 Per l’esperienza di giovani sociologi che si recano in Europa per arricchire i propri studi, specie in storia e filosofia, cfr. tra gli altri Park, 1950 e Thomas, 1973.
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del mio provincialismo razziale. Divenni più umano; imparai il posto di “vino, donne e canzoni” nella vita; smisi di odiare o sospettare della gente solo perché apparteneva a una razza o a un colore; e, sopratutto, iniziai a comprendere il senso reale della ricerca scientifica e il modo flessibile di impiegare le tecniche e i risultati nelle nuove scienze sociali per la soluzione dei problemi dei Negri in America» (Du Bois, 1968, 160). L’influenza di Hart e Schmoller ne sviluppa le doti di “metodologo”, sempre più orientato verso la sociologia e consapevole del ruolo dell’esperienza e di come questa potesse e dovesse essere misurata (Jefferson, 1996, 134). Dedica attenzione critica alla tradizione sociologica ed ai suoi principali orientamenti; privilegia l’interpretazione sociale fondata sulla spiegazione dei fatti che compongono la realtà. Accentua inoltre la distinzione tra fatto e valore, e sottolinea come, tramite la ricerca, si possa arrivare ai caratteri sostanziali della realtà. È tra i primi a rompere con l’impostazione sociologica di Spencer, perché ricorda che: «Nel regno dei fenomeni sociali la legge della sopravvivenza è notevolmente modificata dalla scelta umana, dai desideri, dalle fantasie e dal pregiudizo», premessa per vincere le “esitazioni” dei sociologi a sostituire fenomenologie astratte con l’analisi del carattere della vita quotidiana (Du Bois, 2000)9. La “sprovincializzazione” di Du Bois prosegue ad Harvard, dove incontra “successo ed estraneità”. Lì vi consegue nel 1895 un dottorato, il primo da parte di un nero in quella Università10, è uno dei sei oratori che tengono l’orazione finale, si specializza in Scienze sociali e Filosofia: gli sono maestri William James in Psicologia, George Santayana e Josiah Royce in Filosofia, Albert Bushnell Hart in Storia, Edward Cummings in Sociologia11: «William James mi trascinò dalla sterilità della filosofia 9 In una lettera del 1904 Du Bois nota che per studiare i problemi sociali non si può restare chiusi in un ufficio, ma bisogna vivere tra le persone oggetto di indagine, studiandole in modo diretto (Aptheker, 1973, 75), consapevoli che non basta essere nato in un gruppo sociale per averne conoscenza completa (Du Bois, 1968, 198). 10 Per una consapevolezza dei tempi, va aggiunto che nel 1906 James Robert Lincoln Diggs sarà il primo nero a ricevere un Ph.D. in sociologia, dalla Illinois Wesleyan University, e che nel 1912, George Edmund Haynes (che insegnerà alla Fisk University) conseguì la laurea in sociologia dalla Columbia University con una tesi dal titolo The Negro at Work in New York City (Himes Jr., 1949). Nello stesso anno inizia la pubblicazione del Negro Yearbook, tra i maggiori contributi di documentazione sulla condizione dei neri e sui rapporti razziali negli Stati Uniti. 11 Ha contatti con William James, che dal 1890 gli suggerisce una serie di letture “formative”, come i saggi di Peirce (Peirce, 1877, 1878); per lui prepara The Reinassance of Ethics: A Critical Comparison of Scholastic and Modern Ethics, critica del pragmatismo (Lewis, 1993, 91). Ha rapporti anche con Edward Cummings, esperto di Sociologia urbana, analista del laboratorio sociale costituito dagli slum e dai luoghi di vita degli immigrati dove inviava i suoi allievi (Church, 1965).
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scolastica al realismo pragmatista, Albert Bushnel Hart dalla riforma sociale a sfondo religioso, di Peabody, allo studio della storia e alla ricerca documentaria, e dall’economia inglese di Ricardo, insegnata da Taussig, approdai a quella che in seguito sarebbe divenuta la sociologia» (Du Bois, 1968, 133). Consegue il Ph.D. nel Dipartimento di Storia e di Studi Governativi; il suo lavoro conclusivo, The Suppression of the African Slave Trade to the United States of America, 1683-1870, di profondo rigore metodologico, e utilizzato ancora oggi come libro di testo, fu pubblicato come primo numero delle Harvard Historical Series: «Fu ad Harvard che la mia formazione, spostandosi dalla filosofia si centrò sulla storia e poi, gradualmente, sull’economia e sui problemi sociali. Oggi certo i miei studi si chiamerebbero di sociologia; ma Harvard non riconosceva allora quella scienza» (Du Bois, 1940, 39). Qui Du Bois ha un rapporto positivo con i docenti, ma, a differenza di quanto accaduto nell’Università di Fisk, trova una opposizione razziale tra gli studenti bianchi, che ne accentuano l’estraneità rispetto al contesto: “fui ad Harvard ma non le appartenni” (Ibidem, 35). Poi insegna a Wilbeforce, piccola università nera dello Ohio, per 800 dollari l’anno, ma ci va solo (!) perché il telegramma di Washington che lo chiama a Tuskgee non gli arriva in tempo (Ibidem, 55): dà lezioni di latino, greco, tedesco, inglese, vi continua la sua interpretazione della tradizione nera, e vi inizia il suo percorso di dirigente politico12. A Wilbeforce propone anche di svolgere un corso di Sociologia, che sarebbe stato uno dei primi di questo tipo negli Stati Uniti: ma riceve un rifiuto e abbandona l’idea.
La formazione La questione della formazione, il suo ruolo rispetto a ciò che i neri sono, saranno e potranno essere è essenziale nella riflessione di Du Bois e nel modo con il quale pensa al futuro del popolo nero e alla sua trasformazione, anzitutto nel superamento di quei livelli di criminalità e auto12 A
soli 27 anni viene chiesto a Du Bois di prendere la parola, al servizio funebre organizzato dall’Università il 9 marzo 1895 per la morte di Frederick Douglass, avvenuta a Washington il 20 febbraio dello stesso anno (Aptheker, 1951, 753 sgg.). Di quel discorso, pronunciato nello stesso anno nel quale Booker Washington enuncia il “compromesso di Atlanta”, rimane il testo, scritto a matita: Du Bois vi esprime la necessità di “raccogliere la torcia della militanza e della lotta”, tenuta per mezzo secolo da Douglass, lavorando come lui “a orientare l’opinione pubblica” su temi fondamentali come l’abolizionismo, la militanza nera nell’esercito, la questione della cittadinanza, la consapevolezza che «se agli individui [negri] è concessa una opportunità, possono elevarsi ai livelli più alti» (Aptheker, op. cit.).
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commiserazione che ne frenano, in molti casi, ogni riconoscimento sociale adeguato. In contrapposizione a Booker Washington, Du Bois riteneva che una trasformazione e un cambiamento delle condizioni dei neri americani si sarebbero realizzate attraverso la direzione e la guida dei loro uomini migliori in uno sforzo particolare, da realizzare tramite il processo formativo, così da contribuire a determinare mobilità, individuali e collettive. Questa ipotesi, contenuta già nel saggio The Conservation of Races, del 1897 (riportato nel testo), e ripresa più volte in seguito, presuppone, per la sua realizzazione, la necessità di un’azione collettiva consapevole. In particolare poi in The Soul of the Black Folks Du Bois descrive come i neri abbiano vissuto e vivano una doppia coscienza, in un dualismo costante, presenti negli Stati Uniti ma nello stesso tempo separati ed esclusi da gran parte delle attività sociali e politiche, invisibili sia nel lavoro in agricoltura che in quello in fabbrica, crisi destinata a poter essere superata solo attraverso una specifica costruzione dell’identità. La modifica di quella condizione imponeva di fondarsi sulla coscienza di sé, in un’azione egemonica senza precedenti: i neri educati nei college per neri, i “Talented tenth”, decima parte fornita di professionalità, educazione, successo, componente migliore sul piano etico come su quello strumentale, avrebbero dovuto utilizzare le proprie qualità nelle strutture pubbliche per sviluppare la civiltà del popolo nero, ed evitare una frattura tra i suoi strati inferiori e una classe media, intellettuale e imprenditoriale, in via di sviluppo. Du Bois vedeva discendere questo obiettivo dalla storia del popolo nero, destino che non ammetteva dilazioni, scorciatoie, o di essere tradito da compromessi tesi a “rimandare” i diritti dei negri in cambio di un riconoscimento del loro lavoro. La sua esperienza personale sarà emblematica rispetto a questa ipotesi «Ho insegnato dall’autunno del 1894 alla primavera del 1910, per sedici anni … In questi anni ho cercato di insegnare ai giovani il significato e il carattere del mondo» (Du Bois, 1940, 50); e di seguito: «L’università non ha solo la funzione di insegnare, fornire insegnanti per la scuola pubblica, o essere un centro della buona società; ha soprattutto quella di essere un organo di quel meraviglioso rapporto tra vita reale e sua conoscenza crescente, che costituisce il segreto della civiltà. Di tale istituzione il sud attuale ha assoluto bisogno» (Ibidem, 52-3). Questo concetto, formulato dal 1891, tornerà più volte perché il processo formativo, esercitato da insegnanti preparati, si deve contrapporre alla cultura industrialista, proposta ai neri tanto da Booker Washington quanto da Andrew Carnegie. L’insegnamento deve essere svolto dai College per neri, che «devono mantenere lo standard dell’educazione popola26
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re, cercare la rigenerazione sociale dei negri e aiutare la soluzione dei problemi del contatto e della cooperazione tra le razze. E infine, oltre a questo, devono sviluppare gli uomini» (Du Bois, 1903a [1994], 66). La scuola dunque, in ogni ordine e grado, non deve solo offrire un insegnamento, ma anche riempirlo di valori con contenuti morali che diano più della semplice formazione per il lavoro e contribuiscano a scardinare la segregazione sociale dei neri: «L’educazione non deve insegnare solo il lavoro, ma sopratutto a vivere» (Du Bois, 1903). Il primo lavoro di Du Bois sul tema fu, nel 1897, A Program of Social Reform seguito quasi subito da The Study of the Negro Problems (Du Bois, 1897b; Du Bois, 1898a), e poi da un ulteriore approfondimento in The Philadelphia Negro, dedicato in parte anche all’analisi della popolazione criminale di Philadelphia e agli effetti dei suoi comportamenti (Du Bois, 1899a)13. Sono questa consapevolezza e la sensazione di strategie diverse che si possono porre di fronte ai singoli individui neri che fanno maturare in Du Bois la visione di una realtà avvolta e nascosta da un velo, che si può mostrare nei suoi caratteri effettivi solo una volta che questo è sollevato (o meglio che si è riusciti a sollevarlo) rivelando la sostanza concreta delle cose. In quel mondo, nel suo riconoscimento e nel processo di rimozione di quel velo ha uno spazio indiscutibile il ruolo svolto, e quello che possono svolgere, le istituzioni dei neri. Lo studio svolto su Farmville (1898b) è emblematico di questa problematica e in esso emerge il ruolo svolto dalla Chiesa nera, la cui funzione travalica quella meramente religiosa, assumendo un compito di sostegno individuale e familiare, economico, politico, educativo, spirituale, culturale: «L’espressione più profondamente sviluppata e caratteristica della vita di gruppo dei neri nella loro città, in tutti i luoghi dell’Unione, è la Chiesa nera… Nella situazione attuale la Chiesa nera non può essere solo un’agenzia spirituale, ma deve essere nello stesso tempo un centro sociale, intellettuale ed economico, a fianco del permanere di una centralità spirituale» (Ibidem, 34). E il sacerdote, presente in questa istituzione, svolge un ruolo che va nettamente al di là di quello di pastore impegnato solo nella tutela delle anime: al contrario di quanto pensato dai bianchi, egli è attivo nella vita e nella riforma sociale, influente sul gruppo come anche sulla società della quale è parte, dotato 13 Come evidenzierà anche in seguito, nel suo studio sulla criminalità in Georgia (1904b), Du Bois sottolinea il legame tra crimine e status sociale, collegato tra gli afroamericani a una disuguagliaza di stato eredità della schiavitù e dello status marginale conseguente alla loro emancipazione, e che richiedeva un lavoro da svolgere in carcere, la costituzione di centri di formazione per giovani in difficoltà, la frantumazione del rapporto tra analfabetismo e criminalità.
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di un potere senza precedenti (Du Bois, 1900, 617). In questa posizione la Chiesa nera proietta e riproduce l’idea di un mondo diverso, complesso, eterogeneo, anche contraddittorio, che non può e non deve confondersi con quello dei bianchi, rispetto al quale, anzi, vanno perseguite le persone che inseguono gli assetti economici, morali e di successo di un universo (“padronale”, bianco, a lungo fondato sullo schiavismo e sul mantenimento subalterno di gran parte del popolo) che ha poco da dividere con il mondo dei neri.
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La polemica con Booker Washington «Il problema del XX secolo è la linea del colore»: così Du Bois apriva e chiudeva un suo articolo (Du Bois, 1901a), valutazione critica, di breve e lungo periodo, che sarebbe tornata molte volte nella sua riflessione, al centro anche del suo testo più celebre, The Souls of Black Folks (1903c). «La storia dei negri americani è la storia di questo conflitto – un desiderio di conseguire un’umanità cosciente di sé, di amalgamare il proprio doppio sé in uno migliore e più vero. In questa emersione non ha nessun desiderio di quelli lasciati. Non desidera africanizzare l’America, perché l’America ha troppo da insegnare al mondo e all’Africa; non vuole scolorire la sua anima negra in un flusso di americanismo bianco, perché sa che il sangue negro contiene un messaggio per il mondo. Vuole solo rendere possibile ad un uomo di essere negro e americano, senza essere maledetto e oggetto di sputi dai suoi colleghi, senza avere sbattute in faccia le porte delle opportunità» (Ibidem, 2-3). Questo volume avrebbe provocato una accelerazione, non programmata, della critica ai rapporti interni al popolo nero, alle idee e alle prospettive della sua emancipazione. Nel 1902 l’editore A. C. Mc Clurg, di Chicago, chiede, durante la sua permanenza ad Atlanta, un volume a Du Bois, suggerendo un testo con saggi già pubblicati. Du Bois, che aveva pensato a un bilancio dell’esperienza di Atlanta (Du Bois, 1940, 80), mette insieme invece quattordici pezzi “legati a momenti specifici” tutti già pubblicati tra il 1897 e il 1903, e dei quali era evidente la moderazione (Marable, 2006, 19). A questi aggiunse On Mr. Booker T. Washington and Others, “valutazione franca” dell’uomo di Tuskgee, come dirigente nero: «Concentrai la mia riflessione e la mia argomentazione sul pensiero generale di Mr. Washington. Ripensandoci, ne sono soddisfatto. E non cambierei una parola» (Ibidem, 80). E il 18 aprile 1903 viene pubblicato il volume che rimane essenziale «non solo per comprendere la storia della razza e della democrazia in America, ma anche come ottimo strumento per la 28
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riflessione sulle prospettive globali di rispetto razziale, religioso, e culturale in questo nuovo secolo» (Lewis, 2003). Probabilmente il suo effetto superò la stessa volontà dell’autore (Marable, op. cit.), così The Souls of Black Folks «segnò l’inizio reale della sua carriera impareggiabile come studioso-attivista, carriera che si concluse sulle coste dell’Africa Occidentale» (Marable, cit., 26). La politica si mostrava sempre più a Du Bois come l’unico strumento in grado di contrastare l’oppressione e la segregazione del popolo nero. Quel testo avrebbe evidenziato il dissenso di Du Bois verso l’altro grande leader negro dell’epoca, Booker T. Washington14, e la sua “macchina” organizzativa di Tuskgee: «Ci furono molti sforzi per strutturare l’influenza di Tuskgee. Di lì a poco nessuna istituzione negra poteva raccogliere fondi senza la raccomandazione o il consenso di Mr. Washington e negli Stati Uniti senza quel consenso si potevano svolgere davvero pochi incontri politici. Perfino le carriere dei giovani uomini di colore in cerca di affermazione erano spesso determinate dal suo consenso, e in ogni caso la sua opposizione era fatale. […] questa macchina era molto incoraggiata e riceveva aiuto finanziario da una serie di gruppi e individui bianchi del nord, con l’obiettivo di sottrarre il problema negro a una mera questione filantropica, ritraducendolo in una economica. Questi negri non dovevano essere incoraggiati, tramite il voto, a diventare protagonisti di una nuova democrazia, e non dovevano essere lasciati in balia del Sud reazionario. Erano buoni lavoratori e potevano anche accrescere la loro professionalità, diventando una forza lavoro consistente» (Du Bois, 1940, 73). Quel dissenso tra Du Bois e Washington era fondato su ipotesi di emancipazione diverse, tali da separare sostanzialmente e in modo continuo i due grandi dirigenti neri15. Dalla enunciazione di queste posizioni in avan14 Schiavo dalle origini, privo del padre, si recò in West Virginia, con la madre, dopo la liberazione. A 9 anni iniziò a lavorare in una fornace di sale e poi in una miniera di carbone. Studiò e si laureò nell’Hampton Normal and Agricultural Institute, nel 1875 e vi ritornò a insegnare nel 1909. Tuskgee Normal and Industrial Institute fu fondata nel 1881 come scuola di formazione per neri, Washington fu scelto come suo direttore e la struttura si sviluppò fino ad assumere il nome di Tuskegee University. Tra i molti volumi di Washington si vedano l’autobiografia Up From Slavery (1901), Tuskegee and Its People (1905), The Life of Frederick Douglass (1907), e My Larger Education (1911). 15 Du Bois ribadirà la differenziazione da Washington fin nel 1915, in occasione della morte dell’uomo di Tuskgee, quando ne sottolineerà ancora una volta la grandezza, il ruolo storico, il contributo alla emancipazione del popolo nero, ribadendo però in modo netto «gli errori e i limiti di Mr. Washington: egli non ha mai compreso a pieno il legame crescente tra politica e industria [….] dobbiamo attribuirgli la piena responsabilità del venire meno dei diritti civili, del declino dei college per neri e della scuola pubblica, e dell’insediamento più forte, tra noi, di caste legate al colore» (Foner, 2002, 34).
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ti si accentua una progressiva divisione tra i due, in quanto Du Bois crede, come già indicato, in uno sviluppo del popolo nero guidato dal sostegno formativo della sua parte di maggior talento, e sostanziato dall’acquisizione, da parte dei neri, di una serie di diritti sociali e politici irrinunciabili, da quello di voto a quello all’eguaglianza sociale, premessa per la realizzazione delle loro più alte possibilità all’interno di uno sviluppo dell’autonomia nera. Per lui evidenziare la linea del colore aveva l’obiettivo di rimettere i neri al centro della storia (Portelli, 1977), riproponendo le mille discriminazioni, visibili e invisibili, delle quali erano oggetto, facendo parlare, a masse considerate sino ad allora subalterne, un nuovo linguaggio, legato alla coscienza del proprio ruolo in un conflitto che era strumento per perseguire la democrazia e una prospettiva sociale autonoma. Booker Washington a partire dal 1881 ha costruito la sua scuola a Tuskgee, in Alabama e alla fine del secolo (anche grazie al contributo finanziario di Andrew Carnegie) la ha resa il più grande istituto di formazione professionale per neri16. Egli pensa invece a un processo di formazione per il lavoro, convinto che i neri debbano mostrarsi essenziali alle attività economiche, e che questo porterà loro il riconoscimento di un ruolo sociale specifico. Il programma di Tuskgee legava infatti la “redenzione” nera alle attività economiche quotidiane, con la prospettiva, prima o poi, dell’obiettivo di diritti politici eguali per tutti (Vidich e Lyman, 1985, 204-5). In realtà Du Bois evidenziò che la borghesia del nord pensava con la complicità di Washington, a un controllo rigoroso: «Il controllo doveva essere drastico. L’intellettualità negra doveva essere soppressa e ricondotta al conformismo. Il processo implicava crudeltà e distacco, ma era inevitabile. Questa era la forza reale della macchina di Tuskgee. Aveva denaro e opportunità e aveva trovato in Tuskgee le direttrici del suo svolgimento» (Du Bois, op. cit., 74). Herman e Julia Schwendinger, nella loro opera sulle origini della sociologia statunitense (Schwendinger H. e Schwendinger J., 1974, 506) citano Ofari a testimone delle posizioni di Andrew Carnegie verso Tuskgee: «L’influenza di Booker T. Washington è esercitata in modo straordinario per tenere lontani i neri dal mettersi in testa il diritto di voto. Egli evidenzia che un buon carattere e l’efficienza industriale, con l’obiettivo del possesso della proprietà, sono i bisogni necessari e la strada sicura e veloce per il riconoscimento e l’emancipazione. Pochi negri capaci sono disposti a fare pressione per un diritto di voto libero e privo di restrizioni imme16 Robert Park, ospite e docente a Tuskgee, verrà influenzato nel primo decennio del secolo da quell’esperienza nei suoi orientamenti sulla cultura nera e sul pregiudizio razziale.
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diate» (Ofari, 1970, 35)17. Dunque Washington sosteneva direttamente l’idea Duty withouth wrights (Harlan, 1983; Moore, 2003), con grande consenso da parte dei proprietari bianchi del sud: quei neri, disposti solo a lavorare, si ponevano come forza lavoro acquisibile a minor costo di quella bianca, premessa per una accentuazione del conflitto e della contrapposizione non solo tra bianchi e neri ma anche tra i lavoratori in genere, in relazione alla presenza di un esercito industriale di riserva. Washington trascura peraltro il valore del voto, come degli altri diritti all’eguaglianza, sminuisce la funzione positiva della diffusione dei college neri, e accentua la tendenza a ritenere i neri responsabili più dei bianchi del basso livello medio del proprio status, politica che svalorizza l’iniziativa nera per la propria identità. Emblematico di questa posizione sarà il suo intervento, passato alla storia come il “Compromesso di Atlanta” (contenuto nel testo), che enuncerà in modo esplicito, ma anche contraddittorio, la sua teoria di collocazione subordinata dei diritti e dell’eguaglianza neri. In quell’occasione Du Bois inviò in un primo momento a Washington i suoi complimenti per il discorso «che avrebbe potuto essere di base per un reale accordo tra i bianchi ed i negri nel sud se questo avesse aperto ai negri le porte delle opportunità economiche e i Negri avessero cooperato con il sud con un proprio orientamento politico positivo» (Du Bois, 1940, 55). La contesa tra Washington e Du Bois si esplicita, assume un carattere riconosciuto a livello nazionale, cosicché, di fatto, ogni nero partecipe alla vita attiva avrebbe dovuto, da allora in avanti, prendere posizione per l’uno o l’altro (Baker, 1908, 219). Certo negli Stati Uniti il periodo a cavallo della fine del secolo, durante il quale Du Bois matura molte esperienze e scelte determinanti, è ricco di avvenimenti drammatici, strettamente legati alla vita quotidiana dei negri e del movimento operaio18 che portano a maturazione una serie di fattori emersi negli ultimi decenni. In questo periodo aumentano i linciaggi19: nel 17 L’azione di Booker Washington fu sostenuta economicamente anche da Robert C. Ogden, direttore dei magazzini Vanamaker di New York, George Foster Peabody, di Wall Street, William H. Baldwin, proprietario di linee ferroviarie, e John D. Rockefeller. 18 Tra questi la repressione di Haymarket e il licenziamento degli operai delle ferrovie in sciopero nel 1886, la strage degli operai dell’acciaio in sciopero ad Homestead, compiuta dagli uomini di Pinkerton (Byington, 1910), il massacro dei minatori di rame a Coeur d’Alene, nel Colorado, nel 1892, e quello avvenuto nelle ferrovie contro la Pullman Company. Per questi avvenimenti, cfr. Zinn, 2001; Cartosio, 1989 e 1992; sulle vicende Pullmann, Almont, 1994; Schneirov et al., 1999; Laughlin, 2006. 19 Tra il 1882 e il 1944 vi furono circa 3.500 linciaggi di afroamericani negli Stati Uniti, e così fino al 1952 ignorando la legislazione nazionale che li proibiva, dal Civil Rights Act (1875) in avanti. Tra i vari studi, anche fotografici, cfr. Wells-Barnett, 1982; NCAAP, 1919; Zangrando, 1980; Allen, 2000; Waldrep, 2006.
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1866, il Ku Klux Klan si era diffuso in tutto il Sud, passando da azioni intimidatorie all’aperta violenza nei confronti dei neri divenuti liberi. Il Congresso reagì emanando un primo Force Act nel 1871 e un secondo, ancor più severo, nel 1872, per consentire ai cittadini il libero esercizio dei loro diritti. Ma il fervore con cui i nordisti si erano battuti per i diritti dei neri si stava irrimediabilmente affievolendo e il compromesso del 1877 segnò la fine della Ricostruzione e la riconciliazione tra Nord e Sud, mentre nel 1896, la sentenza Plessy vs Ferguson, e quella Cumming vs Board of Education (1898), della Corte Suprema, ribadiscono la “separazione degli uguali”, costituendo la premessa di un inasprimento della segregazione20. Quindi nell’ultimo decennio del XIX secolo si intensifica la tendenza a una riduzione dei diritti già acquisiti dei neri: ha inizio nel Mississippi e si diffonde rapidamente negli stati del Sud, nei quali “con l’assenso degli stati del Nord, si perpetrò il totale annullamento del XIV e XV emendamento”, negando una cittadinanza indifferente al colore e una libertà riconosciuta come diritto universale, indipendentemente dalla collocazione dei singoli (Foner, 1998, 182). Si prevedeva l’introduzione di un’imposta elettorale, un esame scritto di cultura generale e la prova di residenza, mezzi che si rivelarono molto efficaci nel ridurre il numero degli elettori di colore. Anche per questo viene costituita nel marzo 1897, a Washington, su impulso del reverendo settantottenne Alexander Crummell, la American Negro Academy, che resterà attiva fino al 193021 (Blaxton, 1997). Quell’Accademia fu la prima ed unica organizzazione americana a contenere artisti, docenti e ricercatori neri di tutto il mondo (Moss, 1981). La sua costituzione aveva come obiettivi la difesa dei negri dalle aggressioni, la pubblicazione dei lavori dei docenti di colore, la promozione dell’educazione superiore, affinché, pur nei limiti dei fondi a disposizione, si aiutassero i giovani neri di valore a conseguire livelli culturali più elevati, 20 Homer A. Plessy entrò in una carrozza ferroviaria, riservata ai bianchi, rifiutandosi di restare in una per i neri. Secondo le leggi della Louisiana del 1890, la Corte dichiarò le sistemazioni di questo tipo, da separati ma uguali, coerenti con il XIV emendamento (Hofstadter R. e Hofstadter B., 1982, 55-7). La Corte Suprema degli Stati Uniti rafforzò le discriminazioni con alcune sentenze di quegli anni. La più importante fu quella che, nel 1883, in occasione dei Civil Rights Cases, dichiarò incostituzionale il Civil Rights Act del 1875, consentendo così l’introduzione della segregazione razziale nei locali pubblici. Dal 1887, i singoli Stati iniziarono ad adottare leggi stabilenti una rigida separazione tra le due razze nei servizi e nei locali pubblici. 21 Alexander Crummel era sacerdote nero ed educatore. Gli altri membri erano sacerdoti, medici o avvocati, membri delle comunità: W.E.B. Du Bois, B. Washington, P. L. Dunbar, J.W. Johnson, C.G. Woodson, A. Locke, F. Grimke. Crummell ne fu il primo presidente, seguito da W.E.B. Du Bois, A. Grimke, J.W. Cromwell, e infine da A.A. Schomburg. Sull’opera di Crummel, cfr. Rigsby, 1987; Moses, 1992; Oldfield, 1995.
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determinando, attraverso la letteratura, le scienze e le arti, lo sviluppo di un gusto intellettuale.
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La costruzione della sociologia Rispetto a questa parte della sua esistenza, che ha già segnato in modo estremamente chiaro la vita di Du Bois, il valore della ricerca svolta a Philadelphia è sancito dal carattere estremamente nuovo dell’indagine sociologica urbana e dal metodo di studiare la condizione nera in modo non isolato dal resto della società. Il successo di Du Bois, primo grande ricercatore sociale nero, è espresso dal ruolo centrale che svolge nella costruzione della sociologia in America, precedendo la sua fase di istituzionalizzazione integralmente accademica: «È evidente che la sociologia fu accettata anzitutto dalle istituzioni più piccole del sud e dai college negri. La ragione di questo interesse credo dipendesse dal fatto che un gruppo di minoranza stava cercando di comprendere in modo onesto la situazione sociale in cui si trovava» (Bernard, 1948, 14, e Bernard, 1917-18). La ricerca svolta a Philadelphia (1890) si collega inoltre, oggettivamente, alle indagini fotografiche svolte da Jacob Riis (1890), alla ricerca realizzata a Chicago dai Residents della Hull House (1895), guidati da Jane Addams e da Agnes Holbrook (autrice delle indimenticabili mappe di quella ricerca), al lavoro di Charlotte Perkins Gillman (1898), alle inchieste realizzate dai vari settlements come anche alle visite e all’attività di “assistenza” promossa e svolta dal Charity Organization Society (Waugh, 1988)22. Dunque Du Bois contribuisce a uno sviluppo dell’indagine sociologica, a un perfezionamento dei suoi metodi, a una sua trasformazione in scienza sociale critica, in grado di analizzare quella specifica realtà fatta di crescita e marginalità, emancipazione e dominio, speranza e dolorosa consapevolezza. Quando la sociologia, negli anni ’20, conseguirà la sua istituzionalizzazione nell’Università di Chicago, quei metodi conoscitivi, soprattutto ma non solo qualitativi, saranno stati già sperimentati in molte ricerche, la tradizione sociologica li troverà pronti ad essere utilizzati e riadattati, ma esiterà ed eviterà in molti casi con cura di menzionarne origini e autori. 22 Questo quadro sarà completato, tra la fine del secolo e l’inizio del nuovo, dai primi interventi dei muckrakers (Woods, 1898; Steffens, 1904) e, nel complesso, da tutta la letteratura di denuncia, riferita in particolare alle drammatiche condizioni urbane, e poi dalla grande ricerca su Pittsburgh del 1907 (Kellogg, 1914), oltre che, nello spirito, da quelle sul lavoro dei minori e degli adulti che svolgerà Lewis Hine (1909a e 1909b).
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Du Bois, come evidenzia anche nella ricostruzione delle conferenze di Atlanta, individua la ricerca sociale come strumento conoscitivo privilegiato ed è consapevole del carattere “radicale” che possono assumere lo studio delle contraddizioni sociali, la conoscenza conseguente, fondata su una raccolta di dati e misurazioni empiriche (Du Bois, 1898a), l’osservazione della vita quotidiana, premessa di ogni processo di generalizzazione (Du Bois, 1904a). Ho ricordato altrove (Rauty, op. cit.) come la costruzione della sociologia negli Stati Uniti sia avvenuta nel corso dell’ultima fase del XIX secolo, in modo separato e sostanzialmente contrapposto allo sviluppo delle teorie di Ward, Sumner, e altri. A quella costruzione parteciparono soggetti, realtà, approcci diversi, contribuendo tutti a uno sviluppo dei metodi di ricerca e a una diffusione della conoscenza attraverso l’analisi sociale. A questo percorso, in qualche modo parallelo e marginale rispetto a quello “ufficiale” universitario, ha corrisposto la sostanziale espunzione dalla “tradizione sociologica” del lavoro svolto da una serie di sociologi, scienziati sociali o assistenti sociali, esterni all’Accademia, ma che lavorarono per lo sviluppo della sociologia negli Stati Uniti d’America. Green e Driver scrivono che «l’esclusione di Du Bois dalle cronache della storia della sociologia fu, in parte, il risultato della sua struttura istituzionale prima della I guerra mondiale, di carattere locale e frammentato, slegata peraltro da norme o pratiche orientate a fini intellettuali universalistici» (Green, Driver, 1978, 48). L’affermazione è vera, ma nello stesso tempo parziale; e in qualche modo assolutoria per quanto la sociologia ha fatto (e non ha riconosciuto) durante la sua istituzionalizzazione. Parziale perché non tiene conto di quanto quell’esclusione, quel mancato riconoscimento, sarebbero durati nel tempo, al di là della I guerra mondiale, provocando lacune e carenze nella disciplina, e assolutoria perché incapace di cogliere i limiti di una comunità universitaria spesso solo apparentemente unitaria e imparziale e la reticenza con la quale i sociologi hanno guardato alle ricerche di Du Bois e di altri autori, oscillando tra ignoranza, incomprensione e sottovalutazione23. 23
Mary Jo Deegan ricorda la discriminazione riservata a Du Bois, escluso dalla prospettiva accademica ma alla cui ricerca non si poteva fare a meno di garantire diffusione, anche se non gradita alla comunità universitaria. Tra i fattori di maggiore contrasto c’era la repulsione per le idee di Du Bois; per la sua visione di un orientamento professionale legato alla comunità e a una trasformazione della realtà; per il suo legame appassionato con l’eliminazione dell’ingiustizia sociale, e per il suo rafforzamento di una struttura di sociologhe donne, bianche, legate alla sociologia applicata. Du Bois critica l’assetto accademico della sociologia, e il ruolo che svolgono in essa i sociologi bianchi, ma il suo lavoro con Isabel Eaton testimonia un rapporto positivo con le donne bianche (Deegan, 1988, 302).
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L’attività di Du Bois, relativa a questa fase, è stata oggetto di interpretazioni tese a marginalizzare il suo lavoro, incapaci di comprenderne il senso. Nella sua analisi dello sviluppo della sociologia negli Stati Uniti, Albion Small omette ogni riferimento a lui e alle ricerche svolte nella seconda metà del XIX secolo e si concentra sul ruolo del Dipartimento di Sociologia di Chicago (Small, 1916), mentre Howard Becker ed Harry E. Barnes citano, nei loro volumi, Du Bois tra gli studiosi delle minoranze (Becker e Barnes, 1938, 994), e Park e Burgess, nella loro Introduction to the Science of Sociology, lo includono solo in quattro voci bibliografiche (Park, Burgess, 1921). Inoltre nella prima storia del pensiero sociologico statunitense dell’epoca Howard Odum (1951) ricorda il lavoro di Du Bois e la sua sociologia “pratica”, individuandone il contributo allo sviluppo della ricerca, il suo insediare ad Atlanta la sociologia, non come “Scuola” ma come “istituzione dell’apprendimento” che avrà seguaci nella sociologia (Ira Reid, Mozel Hill e la scuola di social work diretta da Forrester Washington), e il sostegno alla diffusione della letteratura sociologica (Odum, op. cit., 379). Invece, nel capitolo su “Sociologia della razza e gruppi etnici”, tra i volumi dei sociologi americani sul tema, ne elenca sedici di Du Bois (Ibidem, 339-43)24. In una fase di sviluppo delle scienze sociali e della sociologia, nella quale nelle università del nord domina il pensiero di Franklin Giddins, Edward A. Ross, Lester F. Ward, William G. Sumner ed Albion W. Small, espressione di specifici interessi sociali, una figura come quella di Du Bois è vista come sostanzialmente estranea (Zuckerman, op. cit., 3), o comunque non coerente con gli altri sociologi25. In effetti Du Bois fu innovatore tanto nell’approccio sociologico gene24 Nella sua introduzione a una antologia dei testi di Du Bois Zuckerman (Zuckerman, 2004) mostra che gli studiosi neri hanno da tempo riconosciuto l’importanza del contributo di Du Bois alla sociologia (Rudwick, 1969; Bracey, Meier e Rudwick, 1971; Jones, 1976), mentre tra i sociologi bianchi tale riconoscimento c’è stato solo più di recente (Brint e LaValle, 2000; Lemert, 1993; Ritzer, 2000; Farganis, 2000; Kivisto, 2000; Adams e Sydie, 2002; Berger, 2003), come testimoniano anche diversi manuali introduttivi alla disciplina (Stark, 1995, ma anche Ferrante, 2000; Giddens e Duneier, 2000; Henslin, 2001) Un atteggiamento di totale indifferenza nei confronti del lavoro di Du Bois è anche in Lundberg, Bain, Anderson, 1929; Baher and O’Brien, 1994; Ritzer, 1994; Hinkle, 1980 e 1994; e nell’opera classica di Curti (Curti, 1964). 25 Di recente (nel 2003, ad Atlanta) importanti organizzazioni sociologiche statunitensi hanno riconosciuto il lavoro di Du Bois. L’American Sociological Association nel suo meeting annuale ha sponsorizzato una celebrazione del centenario della pubblicazione di The Souls of Black Folk, mentre l’Association for the Sociology of Religion, ha celebrato ad Atlanta il centenario della pubblicazione di The Negro Church, lavoro tra i meno noti di Du Bois.
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rale quanto in alcuni ambiti disciplinari nei quali svolse ricerche. Fu così per la sociologia rurale, nella quale analizza alcune piccole città del sud, con particolare attenzione ai rapporti tra le razze, alle loro condizioni di classe, ai livelli di scolarizzazione e mortalità, alla qualità delle strutture familiari, ai sessi, e agli effetti dell’industrializzazione sui rapporti agricoli e sulla tradizione (Du Bois 1898b; 1899b; 1901c; e 1904b e cfr.Lewis, 1993, 354). Fu così per la criminologia e i comportamenti definiti criminali, ai quali fu tra i primi a dedicare attenzione (Gabbidon, 1999; Gabbidon, 2001; Gabbidon, Greene, and Young, 2002) non solo in The Philadelphia Negro ma anche in seguito26. Si trattò di studi svolti tramite molti contatti e interviste in Alabama e in Virginia per conto del Department of Labor, che però non solo non furono utilizzati per migliorare le condizioni dei mezzadri neri, ma in molti casi addirittura distrutti perché “troppo critici dettagliati, reali e contenenti una condanna generale delle condizioni di vita del sud” (Bowser, Whittle, 1996). Egli fu inoltre un innovatore anche nel campo della sociologia della religione, come testimonia il suo The Negro Church (1903a), ottavo volume degli studi dell’università di Atlanta, prima ricerca sociologica su un’organizzazione religiosa (Zuckerman, Barnes and Cady, 2003), cui si affiancano molti altri lavori (Du Bois 1897a, 1903b, 1907a, e 1931).
La ricerca a Philadelphia «Dunque lo studio della realtà dei neri è centrale. In un discorso pronunciato nel 1897 dinanzi all’American Academy of Political and Social Science, Du Bois aveva mostrato il legame tra riflessione sociologica e problemi sociali, critica ai detentori del potere e testimonianza della incapacità di adottare politiche atte a governare correttamente quotidianità e sviluppo» (Lester, 1971, 230). Quel testo conteneva una riattualizzazione dei social problems, considerati nella loro radice strutturale, esterna a ogni ottica riduttiva e in qualche modo distaccata della riforma sociale, ma anche la critica a ogni concezione della sociologia come mera generalizzazione teorica o semplice aggregazione di fatti. Proprio per questi elementi la sociologia, rifiutando le grandi teorizzazioni, che sostituiscono figure metafisiche all’osservazione reale della vita umana (Du Bois, 1903c, 107; McDaniel, 1998, 155), doveva essere in grado di collegare le due di26
Du Bois, 1904b e 1915; questi interventi sono raccolti nella bibliografia su Du
Bois.
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mensioni, fatti concreti e generalizzazioni, verificando se tra i desideri degli uomini sono presenti un ritmo e una legge, e, in questo caso, come conoscerli: «Dovevo studiare la vita dei negri americani e la loro condizione, attraverso la misurazione, la comparazione e la ricerca, sviluppando ogni generalizzazione efficace possibile. Ponevo questo anzitutto nell’obiettivo utilitario della riforma e dello sviluppo, ma rispetto a un lavoro fondato sull’accuratezza scientifica. Così, nella mia sociologia, per la fiducia assoluta nella modificabilità di un gruppo sociale, interiorizzai l’idea di una società in cambiamento e sviluppo più che di una struttura sociale fissa» (Du Bois, 1968, 206). La sua attività incorpora quello spirito riformatore rifiutato più volte in modo molto drastico dall’accademia, ma non lo pone tra gli obiettivi della ricerca: «Non posi nessuna enfasi su uno sforzo particolare di riforma, ma una sempre crescente sulla raccolta di un insieme di materiali relativi alla condizione sociale dei negri americani, cercando di misurarla in modo esatto ogni volta che l’occasione lo permetteva» (Ibidem, 214). L’impegno del sociologo non corrisponde solo a una sua scelta, ma è parte oggettiva del suo ruolo. Questa anticipazione nella pratica della ricerca sociologica negli Stati Uniti consente a Du Bois di acquisire una conoscenza drammatica delle cose «divenendo consapevole delle reali condizioni della gente e della terribile disuguaglianza nella quale viveva» (Ibidem, 213). L’indagine a Philadelphia, “un duro lavoro”, irrompe nella prospettiva di Du Bois, accelerando il suo processo conoscitivo della realtà nera e la sperimentazione dei metodi di indagine sociologica. Susan P. Wharton, di ricca famiglia quacquera e leader del College settlement dell’Università della Pennsylvania, ha per prima l’idea dello studio e chiede aiuto a Charles Harrison, rettore dell’università «per un progetto teso a una migliore comprensione della gente di colore, in particolare in rapporto alla sua posizione nella città… un gruppo di informazioni attendibili sugli ostacoli che la gente di colore può incontrare nel suo sforzo di farcela» (Wharton, in Rudwick, 1960, 30). E il Philadelphia Negro (1899a) è frutto anche di un’idea di riforma sociale, di “conoscere per far conoscere” una realtà. Nel 1895 il progetto si concretizza, la Wharton chiede a Jane Addams chi possa essere in grado di svolgere quello studio, e le viene indicato Du Bois (e con lui, Isabel Eaton, per l’indagine relativa alla presenza nera nei servizi domestici). Du Bois si stabilisce a Philadelphia nell’agosto 1896, consapevole della condizione della città: «Philadelphia, allora ed ancora oggi una delle città peggio governate tra quelle male governate negli Stati Uniti, viveva uno dei suoi periodici sussulti riformatori. Si ritenne opportuno uno studio approfondito delle cause, anche se quella principale 37
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era evidente alla maggior parte dei bianchi della città: il voto corrotto, quasi criminale, del settimo distretto nero. Tutti concordavano che il cancro stava lì; ma non sarebbe stato meglio dare un imprimatur scientifico alle cause attraverso una ricerca? Così pensava Samuel McCune Lindsay, del Dipartimento di Sociologia: e indicò me per il compito» (Du Bois, 1968, 194). In effetti l’amministrazione urbana collegava la crisi della città alla criminalità e alla venalità dei suoi abitanti neri, cosa che la ricerca doveva descrivere evitando pregiudizi consolidati (Du Bois, 1940, 58-59). Lì 45 mila persone non riescono ad integrarsi: «pregiudizio e apparente disinteresse si intrecciano con disprezzo e profonda simpatia... Lo stesso abitante di Philadelphia, che non lascerebbe lavorare un negro nel suo negozio o nella sua fabbrica, contribuirà in modo generoso al sollievo della povertà e del disagio dei negri» (Du Bois, 1899a, 355). Questa segregazione non investe solo la realtà dei neri, ma anche quella di altri gruppi sociali, ebrei, italiani e, in parte, americani, tutti ostacolati nell’integrazione, «ma nel caso dei Negri… è più consistente, più evidente, con problemi sociali specifici di povertà, ignoranza, crimine e lavoro tali che il problema negro sopravanza, per interesse scientifico e gravità sociale, la maggior parte delle altre questioni di razza o classe» (Ibidem, 5). Du Bois collabora con l’Università della Pennsylvania: essa gli offre un posto da assistente e uno stipendio molto basso, non lo menziona nel suo annuario e lo esclude dalle strutture segregate del campus come anche dall’insegnamento, però gli consente un lavoro di ricerca senza precedenti (Du Bois, 1968, 58-59): «L’occasione offertami dall’Università della Pennsylvania era quanto cercavo […]. Il mondo pensava la razza in modo sbagliato perché non la conosceva. Il male più profondo era la stupidità; la sua cura la conoscenza basata sulla ricerca scientifica» (Du Bois, 1940, 58). Abita per i diciassette mesi della ricerca, fino al gennaio 1898, con la moglie nel settimo distretto, all’angolo tra la settima strada e la Lombard, in un monolocale sopra una caffetteria: «Mi sistemai in una stanza, nella parte peggiore del settimo distretto, vivemmo lì un anno, in un’atmosfera sporca di ubriachezza, povertà e criminalità. Il delitto era di casa nella nostra strada, la polizia il nostro governo, mentre l’iniziativa filantropica si mostrava solo periodicamente» (Du Bois, 1968, 195). Questo gli permette di svolgere la ricerca in quel territorio nel quale i neri erano arrivati, tra il XVI ed il XVII secolo, in condizioni di schiavitù, ma anche di lavorare per modificare il pregiudizio che, a Philadelphia, non aveva solo un effetto di segregazione rispetto alla società ma che consolidava in una razza la bassa considerazione di sé e della propria identità (Du 38
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Bois, 1899a, 351). Partecipa alle riunioni religiose e agli incontri pubblici, svolge un’osservazione sistematica, compie indagini nelle biblioteche, prepara conti, mappe, e integra le informazioni con notizie ricavate da registri storici, statistiche demografiche e dati del Censimento. La ricerca iniziò il primo agosto 1896 e, tranne due mesi, durante i quali l’autore si reca in Virginia per raccogliere materiale per una indagine a questa collegata (Du Bois, 1898b), continuò fino al 31 dicembre 1897. Il lavoro muove da una serie di consapevolezze/domande relative a quella realtà: «qual è la reale condizione di questi esseri umani? Da chi è composta, quali sottogruppi e classi esistono, quali tipi di individui vi sono compresi? […] Obiettivo finale della ricerca è di mettere a disposizione del pubblico una tale quantità di informazioni da farne una guida sicura per gli sforzi tesi a risolvere i molti problemi negri di una grande città americana» (Du Bois, 1899a, 1). L’indagine iniziò casa per casa nel settimo distretto, centro storico dell’aggregazione e dell’insediamento nero, in uno studio i cui risultati avrebbero permesso una comparazione più efficace con il resto della città: «Lo studio è diviso in quattro parti: la storia dei negri nella città di Philadelphia, le loro condizioni attuali considerandoli come individui, le stesse, considerandoli però come gruppo sociale, e il loro ambiente fisico e sociale» (Ibidem, 8-9). Due capitoli sono dedicati alla storia dei neri, sei alle loro condizioni generali, tre alla loro vita di gruppo (famiglia, proprietà, le varie forme di organizzazione, il crimine, la povertà e l’alcolismo), uno alle questioni dell’ambiente, fisico e sociale, uno al rapporto tra bianchi e neri, uno al voto dei Negri, e alla riforma sociale. Le interviste, della durata di quindici-venticinque minuti, furono realizzate casa per casa, parlando con il capofamiglia o con altri membri della stessa. In questo modo il ricercatore entrò in contatto con circa cinquemila abitanti del distretto (Ibidem, vii). Du Bois usò sei tipi di questionari per il processo conoscitivo della situazione della famiglia” (Ibidem, 2, cfr. p. nel testo). Contemporaneamente svolse una ricerca negli altri distretti (su organizzazioni, proprietà, crimine e povertà) per compararla con l’indagine casa per casa; i dati furono ordinati in tavole e mappe esplicative, colorate, come fatto da Charles Booth. Du Bois ricorda il “suo” metodo: «Iniziai senza “metodi di ricerca”, dando poca importanza alle procedure. Avevo di fronte il problema, dovevo studiarlo. Lo feci personalmente e non per procura, né tramite agenti. Ho visitato e parlato di persona con circa 5 mila persone. Ho raccolto tutto questo lavoro in apposite schede, che ho dato all’università perché fossero discusse. [...] Girai per le biblioteche di Philadelphia in cerca di dati, visitandone molte private, di uomini di colore, e ottenendo infor39
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mazioni personali. Costruii una mappa del distretto, classificandolo» (Ibidem, 198). Quel “metodo di ricerca”, solo apparentemente privo di programmazione, non mostra una visione ristretta dei metodi di ricerca, quanto, al contrario, la costruzione e l’uso degli stessi in rapporto alle condizioni della realtà, lezione che la sociologia accademica avrebbe trovato poi già sperimentata. La ricerca su Philadelphia mostrerà nel tempo la sua efficacia: «... uno studio dei negri a Philadelphia così completo che ha resistito alla critica di quaranta anni; uno studio esauriente e una risposta per come si poteva dare allora, con a disposizione pochi fatti e statistiche, un solo ricercatore e poco denaro. Individuava il gruppo negro come sintomo, non come causa; un gruppo dinamico, palpitante, non inerte, corpo malato di crimine, con un lungo sviluppo storico e non manifestazione transeunte» (Ibidem). Il lavoro di Du Bois, uno dei primi approcci sociologici urbani, da parte di un autore nero in circa duecento anni di discriminazione razziale, critica gli interventi precedenti del servizio sociale e di agenzie legate a un sistema razziale di disuguaglianza. Lo studio evidenzia che il ghetto nero è frutto di povertà e razzismo, e non di inferiorità o di tendenze criminali degli afroamericani, testimonia il carattere sociale ed economico all’origine della condizione dei neri, rifiuta le spiegazioni di tipo biologico, legate a presunte inferiorità razziali, focalizza il carattere storico (storicamente modificantesi) dei gruppi degli individui, della loro cultura, del loro contesto. L’attenzione alla storia dei neri, in sé e nella città di Philadelphia, è centrale: «Si tratta dunque di studiare il passato, se si vuole comprendere il presente, leggere la storia, sapere come votare in modo intelligente, capire il significato del denaro, comprendere il problema negro» (Du Bois, 1905, 104). La sociologia privilegia la realtà contemporanea, e lo studio delle sue condizioni sociali, ma ha comunque bisogno di una base storica accurata; nel citato studio sui neri, presentato all’American Academy of Political and Social Science aveva aggiunto «[…] le conclusioni relative al soggetto devono fondarsi su uno studio complessivo e non si può studiare il negro in libertà e trarre conclusioni generali sui suoi destini senza conoscere la storia della sua schiavitù» (Ibidem, 1898a, 22). Peraltro c’è la possibilità di una trasformazione della collocazione dei neri tramite alcune attività nelle quali sono in grado di divenire centrali all’interno dello sviluppo della comunità, contrastando, con il loro lavoro e successo, la tradizionale supremazia bianca in ogni settore. Così le pagine del testo dedicate all’emergere di una borghesia nera fondata sul commercio (o sulla ristorazione) sono anzitutto testimonianza, come molti altri 40
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passi, di uno stile di scrittura disteso e avvincente, non semplice e nello stesso tempo accattivante, testimoninanza di un uso del linguaggio che voleva far vedere le capacità anche letterarie di un negro. Sono peraltro anche emblematiche, sul piano della specifica analisi sociale, di un processo di arricchimento interno alla comunità nera, che costituisce una sfida alla aggregazione dei bianchi e all’idea che loro siano gli unici capaci di determinare lo sviluppo sociale ed economico di una serie di attività e dunque di un contesto urbano. Questa trasformazione, indubbiamente emblematica e positiva, sarà comunque in sé contraddittoria perché, in mancanza di una mobilità di massa e di una dinamica collettiva nella comunità nera, aprirà in molti casi la strada a processi di inclusione articolata nella comunità bianca, e a contrapposizioni tra aree eterogenee della realtà nera, finendo non solo per mostrare una capacità di affermazione ma anche per rafforzare, sul piano simbolico, i processi di segregazione. Isabel Eaton27, autrice nel Philadelphia Negro dello Special Report on Negro Domestic Service in the Seventh Ward – Philadelphia, esprime «un tentativo di fornire il maggior numero di informazioni possibile sul problema della servitù domestica nera a Philadelphia», mostrandone la presenza nella vita quotidiana delle famiglie e il ruolo storico svolto nella tradizione culturale negra (Du Bois, 1899a, 427). Non era la prima volta che veniva svolta un’analisi della principale occupazione dei neri nel XIX secolo: un lavoro analogo era stato realizzato, utilizzando una consistente base statistica, non solo in un altro contesto da Charles Booth, ma anche dalla maestra della Eaton (Salmon, 1897). Vi veniva ricordato tra l’altro che il predominio del lavoro domestico nero esiste in trentadue dei quarantotto stati americani, tranne che in quelli del Sud, dove è al secondo posto, preceduto da quello nell’agricoltura, mentre nella Pennsylvania circa il 60% dei lavoratori è impegnato nel lavoro domestico. I dati furono conservati presso il Philadelphia College Settlement. Fu predisposta una scheda di rilevazione, poi distribuita nel settimo distretto, dove ne furono raccolte 2289, delle quali 677 di uomini e 1612 di donne (Hunter, 1899). Veniva ricordato inoltre come quell’attività poteva rappresentare un fattore di modernità e avanzamento rispetto agli assetti del lavoro e della autonomia dei soggetti. Con giudizi tutti positivi Elijah Anderson, nell’introduzione dell’ultima edizione del volume, mostra che quella ricerca costituisce un punto di riferimento, anteriore alla Scuola di Chicago (Anderson, 1996, xviii e 27
Come altre donne dell’epoca, la Eaton è influenzata profondamente dalla figura paterna (dai sentimenti di giustizia del generale John Eaton). Nelle autobiografie di Du Bois non c’è comunque riferimento al rapporto di lavoro tra i due.
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XXIV), altri la evidenzia come una fase di sviluppo degli studi sulla razza (Pettigrew, 1980), che ritornerà in molte analisi del problema dei neri (Frazier, 1939 e 1957; Drake and Cayton, 1962; Wilson, 1980). Si tratta di uno studio “prodigioso” per ispirazione, metodo di coinvolgimento, partecipazione diretta, contatto senza precedenti con la popolazione (Converse, 1987, 23): il “primo studio americano di comunità urbana” anche se privo del respiro delle ricerche di Booth o Rowntree (Vidich e Lyman, op. cit., 127; Bulmer, 1991, 181), un lavoro particolarmente efficace (Myrdal, 1944, 1132). Tutto questo non fu sufficiente a determinare l’ammissione di Du Bois nella comunità accademica o un riconoscimento del suo lavoro28, ma riuscì comunque a favorire la sua successiva chiamata all’Università di Atlanta.
Il periodo ad Atlanta e la costruzione della sociologia Il Presidente Bumstead e il Direttore dei trustees universitari George G. Bradford avevano chiesto, a fronte dell’insediamento nero lì presente, di sviluppare ad Atlanta la ricerca sulla condizione economica, sociale e fisica dei neri americani. La direzione dell’università approvò la proposta e programmò due conferenze sull’argomento, una durante l’esposizione di Atlanta ed una per l’anno successivo (1895-6). Bradford29 le diresse entrambe, proponendo di studiare la realtà collettiva della vita dei neri nel suo contesto sociale, economico e fisico. Per realizzare lo studio, raggiungere l’obiettivo e predisporre i risultati chiese aiuto nel 1897 al Dipartimento del Lavoro dell’Università (Grossman, op. cit.). Du Bois prende le distanze da quelle iniziative, utili per diffondere informazioni e sensibilità sul tema ma troppo legate alla riforma sociale (Du Bois, 1968, 214). Accettò l’invito, rivoltogli dallo Starr Center, collegato al College Settlement, e dall’Università di Philadelphia, sottolineando che la sua ricerca non avrebbe mirato a far emergere proposte di rifor28
Questo è testimoniato anche da una “disattenzione” verso il lavoro di Du Bois da parte dell’«American Journal of Sociology», che non menzionò il Philadelphia Negro e recensì solo due dei sedici volumi dell’Università di Atlanta. 29 G. Bradford era un giovane bostoniano, esperto d’affari, laureatosi ad Harvard in economia finanziaria, autore, nel tempo libero, di studi sulla vita dei neri (Grossman, 1974, 18). Bumstead avrebbe espresso un giudizio positivo sull’attività di Du Bois, tanto come ricercatore, quanto come docente: «Chiedeva ai suoi studenti non solo nello studio, ma anche nella condotta il meglio di loro. Insegnò loro la nobiltà e la dimensione sacra dell’essere uomini – dotati, come erano, di tutti i diritti e le possibilità implicite di sviluppo. … L’ispirazione della sua personalità stimolante ha percorso tutto il Sud e sarà percepita dalle generazioni a venire» (Du Bois, 1968, 211).
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ma quanto a documentare la realtà drammatica esistente. Inizia così un’esperienza che lo avrebbe segnato come individuo e come sociologo, premessa del suo successo come ricercatore (e organizzatore di attività scientifica) ma anche del suo futuro abbandono dell’università e dell’impegno accademico: «La mia vita lavorativa reale iniziò ad Atlanta per tredici anni tra i miei 29 ed i 42. Furono anni di grande elevazione spirituale, del farsi e disfarsi di ideali, di duro lavoro. Qui trovai me stesso, persi la maggior parte dei miei vezzi, crebbi più in generale sul piano umano. Strinsi le mie più forti e sacre amicizie, e studiai gli individui. Divenni pienamente consapevole delle condizioni del mio popolo. Compresi i livelli terribili di disuguaglianza che aveva di fronte. Assistetti alla rivolta di Atlanta» (Du Bois, 1968, 213). Nel 1897 diventa professore di Economia e Storia, Direttore del laboratorio sociologico e delle Conferenze dell’Università di Atlanta, responsabile unico della ricerca, con un riconoscimento superiore rispetto a quello ricevuto a Philadelphia; egli progetta «di scegliere, tra i vari e complessi problemi derivanti dalla presenza dei Negri nel sud, alcune direttrici di ricerca abbastanza semplici da essere perseguite con sforzi volontari e abbastanza significative da aggiungere elementi alla nostra conoscenza scientifica» (Du Bois, 1899c, 4). Tende ad immergersi nella ricerca, anche se nella primavera del 1899 la sua vita è profondamente turbata: il figlio di due anni muore di difterite; e i Du Bois resteranno convinti che se gli fossero state riservate le cure non disponibili per i negri il bambino sarebbe vissuto. Durante la ricerca, ma si può dire anche in seguito, fino al termine della sua vita, Du Bois fu convinto che analisi e misurazione della realtà dovessero svilupparsi e perfezionarsi: «[…], oggi aumenta la misurazione dei fenomeni sociali; anche se gli scienziati non hanno ancora elaborato abbastanza per una misurazione delle condizioni degli uomini. Si tratta di una procedura difficile, che esige metodi più accurati di quelli usati in genere, ma si stanno creando le condizioni per misurare l’azione umana nelle sue connessioni con il nostro benessere» (Du Bois, 1948, 234). Fin dal suo primo discorso al Sociological Club della città, Du Bois critica la ricerca precedente, svolta dall’Università di Atlanta, ricorda gli effetti delle condizioni di quel territorio sui suoi abitanti (in particolare i ghetti), conferma che gli studi urbani già compiuti (specie quelli di Booth e della Hull House) avrebbero costituito un punto di riferimento (Du Bois, 1897c). È infastidito dal confronto con il modello di Tuskgee, e ritiene necessario sostituirlo con un programma scientifico autonomo (Du Bois, 1940, 63; Yancy 1978). 43
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Le ricerche divennero negli anni la serie The Atlanta University Publications30, composta da 18 volumi monografici pubblicati annualmente tra il 1896 ed il 1914. Essa costituì il primo tentativo al mondo di studio scientifico del problema dei neri americani. Fu anche il primo riconoscimento che la ricerca sociale sulla condizione nera poteva fornire risposte ai problemi della razza, più di ogni sterile speculazione filosofica (Du Bois, 1968, 148)31: «i pensatori sociali erano impegnati in varie discussioni e cercavano il metodo che, in un futuro non lontano, avrebbe fatto scoprire leggi simili a quelle della fisica. Herbert Spencer completò i suoi dieci volumi di filosofia sintetica nel 1896. L’analogia biologica, la generalizzazione diffusa erano forti, ma mancavano risultati scientifici reali. […] ponendomi di fronte alla realtà della mia concezione del mondo rispetto alle razze, decisi di trasporre la scienza nella sociologia studiando le condizioni e i problemi del mio gruppo» (Du Bois, 1940, 51). Le pubblicazioni, annuali, dal 1896 al 1905, investirono l’universo della realtà negra, dalla moralità alle condizioni sociali nelle città, dal lavoro di miglioramento allo sviluppo formativo, economico, scolastico e nell’artigianato, come anche al crimine e alle condizioni di salute. È emblematico che Du Bois, come in seguito Robert Park per Chicago, evidenziasse che lo studio di Atlanta avrebbe potuto costituire un “laboratorio” per la sociologia, con la visione di un ruolo inedito della città per la ricerca e di una scienza sociale legata a un rapporto conoscitivo con la vita quotidiana urbana di un territorio32. Peraltro se Robert Park aveva teorizzato una necessità di distacco sostanziale da parte del sociologo nei confronti dei problemi sociali, distacco che poteva essere premessa e garanzia della scientificità, ed alla cui validità aveva “sacrificato” la presenza accademica dei “social reformers” e di Jane Addams prima di tutti, la posizione di Edgard Du Bois è invece (e sarà sempre più) sostanzialmente opposta, immersa in modo irreversibile nei problemi sociali e nelle contraddizioni del popolo nero, ma senza farne la prospettiva del proprio lavoro, impegnato in un’analisi la cui qualità doveva determinare il senso e la sostanza del sociologo. Quello studio dei neri, svolto in presenza di un raz30 Nel 1907 William James scrisse a Du Bois: «Ho considerato gli ultimi sviluppi dei tuoi studi sui neri di Atlanta. Avrei gradito una loro edizione migliore. Ma è uno splendido lavoro scientifico» (Du Bois, 1968, 218). 31 Du Bois ricorderà che il suo rapporto con la filosofia, quando c’è stato, si è legato alla vita effettiva e al “pragmatismo realista” (Du Bois, 1940, 37-9; 1973, 204). 32 Prima di Du Bois e di Park sarebbe stato Albion Small a sottolineare il ruolo potenziale che un territorio (nel caso specifico quello di Chicago) può avere per l’analisi sociologica, parlando di “città come laboratorio sociale” (Small, 1893-4).
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zismo dilagante e di situazioni di tensione, trasformò ancora il suo autore: «A Wilbeforce ero stato il loro critico capzioso. A Philadelphia fui il loro investigatore freddo e scientifico, munito di microscopio e di sonda. Ad Atlanta ci vollero pochi anni per portarmi ad una difesa accesa e sdegnata. Vidi l’odio razziale dei bianchi come non l’avevo mai immaginato prima, manifesto e svergognato. Trattenevo ogni giorno con maggiore difficoltà la mia indignazione crescente contro l’ingiustizia e il travisamento dei fatti» (Du Bois, 1920, 11-2). Nel 1906 Du Bois tenta di migliorare la ricerca, ma ne percepisce l’impossibilità per problemi di costi e disponibilità di dati (Green e Driver, op. cit., 13). Nel corso del lavoro Du Bois indica gli obiettivi che si è dato: «È stato scelto un soggetto: è in ogni caso un ambito definito, limitato, che investe una parte dell’intero problema negro, le schede, preparate per questo, sono inviate, insieme ad una lettera, ai corrispondenti volontari, per lo più studenti di questa e di altre istituzioni formative superiori per negri. Essi, tramite ricerche locali, le compilano e le restituiscono; inoltre, vengono cercate altre fonti di informazione, connesse ai temi in discussione, finché dopo sei-otto mesi di lavoro si mette insieme un materiale organico. A quel punto si tiene una riunione locale nella quale parlano oratori particolarmente legati al tema in questione. Infine, a circa un anno dall’inizio dello studio, viene preparato un rapporto scritto, con i risultati dello stesso, ordinati, tabulati e ampliati dall’aggiunta di materiali storici e di altro tipo» (Du Bois, 1903a, 46). Il tutto era svolto attraverso un metodo interdisciplinare, che univa approccio statistico, ricerca storica, analisi antropologica e sociologica (Lange, 1983, 143), e la cui novità era ancora più consistente se rapportata a una fase nella quale ciascuna disciplina cercava di consolidarsi prendendo la distanza dalle altre. L’attività era complessa, travalicava la mera ricerca, e investiva anche la didattica. Così Du Bois fornì uno schema del programma per studenti e laureati di sociologia all’Università di Atlanta e una descrizione del ciclo di ricerca “Conference”, in un saggio dell’inizio del 1903 (1995, [1903b]). Il programma per gli studenti prevedeva lo studio per un anno di economia durante la fase da junior e per uno di sociologia durante la fase da senior. Invece di utilizzare libri di testo, Du Bois preparò un programma che implicava ricerche specifiche in biblioteca e la lettura di fonti originali. L’indagine sul campo vi era incorporata come apprendimento attivo e gli studenti venivano formati alla ricerca, qualitativa e quantitativa, in particolare in etnografia, analisi ecologica e statistica. I dati su problemi sociali particolari, raccolti dalle classi di junior e senior, erano spesso riportati nella pubblicazione annuale delle conferenze di studio sui “problemi dei 45
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negri”33. Lo studio della religione (Du Bois, 1903a) ne è caso esemplare: The Negro Church mostra l’uso di una interdisciplinarietà metodologica e del coinvolgimento degli studenti nella ricerca, utilizzando insieme dati del censimento e della ricerca, fonti degli studenti e descrizione etnografica. La serie di studi continua: 1906, Salute e condizione fisica dei negri americani; 1907, Cooperazione economica tra i negri americani; 1908, La famiglia negra americana; 1909, Sforzi per il miglioramento delle condizioni sociali dei negri americani; 1910, Il negro allevato in collegio; 1911, La scuola comune ed il negro americano; 1912, L’artigianato dei negri; 1914, Comportamenti e morale tra i negri americani (alcune ricerche, ritenute importanti, vengono ripetute a dieci anni di distanza dalla prima realizzazione). Queste pubblicazioni, di grande capacità introspettiva (Brewer, 1968, 347), furono il primo studio scientifico delle condizioni e dei rapporti di un gruppo razziale negli Stati Uniti: «Quando si dice che nell’Università di Atlanta siamo l’unica istituzione a svolgere, negli Stati Uniti, uno studio serio sui problemi razziali, non è una bugia; non facciamo tanto, ma il resto della nazione niente e questo ci dà poco incoraggiamento, cooperazione e aiuto per il nostro lavoro» (Du Bois, 1907b, 105)34. Ad Atlanta Du Bois lascia una valutazione positiva delle sue qualità di ricerca tramite le iniziative per le quali l’università aveva ospitato sociologi e ricercatori: «ci siamo dati da fare per portare ogni anno ad Atlanta colleghi legati al problema del sud, tra cui Charles W. Elliott, Booker Washington, Frank Sanborn, Franz Boas, Walter Willcox, Max Weber, Jane Addams, molti scienziati sociali negri del sud» (Du Bois, 1968, 219). Della crisi che spingerà Du Bois a lasciare il lavoro accademico non fanno parte solo i limiti percepiti nella condizione della sociologia nell’università, ma anche gli effetti della rivolta di Atlanta (il 22 settembre 2006), che accelera le sue valutazioni critiche sulla situazione. Quella rivolta ebbe come retroterra una segregazione diffusa, una serie di dichiarazioni pubbliche, lodanti, tra il 1905 e 1906, l’attività del Ku Klux Klan, con la stampa, che raccontava di uomini neri che avevano infastidito e minacciato di violenza sessuale delle donne bianche, fattori per cui i bianchi, più di diecimila, attaccarono gli afroamericani della città. Alla radice c’e33 Anche nella prima fase di vita del Dipartimento di Chicago gli studenti contribuirono alla ricerca tramite la realizzazione di mappe (Burgess, Bogue, 1964). 34 Du Bois indicherà i suoi successori in questo studio in F. Frazier (1939), C. Johnson (1936), C. Bond Day (1932) e A. Harris (1936).
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ra anche uno scontro di classe legato all’idea che i lavoratori neri, meno pagati degli altri immigrati, costituissero una concorrenza invincibile sul piano dell’occupazione. Ufficialmente nella rivolta morirono 25 neri e un bianco, in realtà i neri uccisi furono più di cento; in risposta Du Bois pubblicò la Litany of Atlanta (11 ottobre 2006)35. La sociologia ad Atlanta è stata valutata come il primo insediamento direttamente legato alla ricerca sociale negli Stati Uniti ed al suo sviluppo a livello nazionale. Il Dipartimento di Chicago all’epoca era già stato fondato (1892), ma una attività sistematica di indagine sul territorio iniziò solo negli anni Venti, con la ricerca di Nels Anderson (1923). E se l’aggregazione dei sociologi di Chicago è stata definita una “Scuola”36, probabilmente le vicende realizzatesi ad Atlanta, nonostante quanto si cerchi di sostenere (Wright II, 2005), non consentono l’adozione di quella definizione. perché Du Bois condusse il lavoro di fatto da solo (al di fuori di ogni dimensione collettiva), perché mancava ogni anno il sostegno economico per la realizzazione della ricerca e perché non c’è traccia di allievi formati in questo percorso: «Ero meravigliato e profondamente infastidito nel comprendere progressivamente che il nostro lavoro nelle conferenze di Atlanta non trovava sostegno; che invece di riuscire a determinare entrate maggiori per realizzare metodi migliori di ricerca, allargandola sempre più, a stento il presidente […] riusciva a raccogliere abbastanza da mantenere almeno le nostre attività» (Du Bois, 1968, 228). Questo contrastava con l’idea di un consenso sostanziale a quell’iniziativa sociologica, la cui valutazione pure (nel 1909) era indubbiamente positiva: «Il costo totale dei tredici volumi (sinora pubblicati) è stato di circa 14 mila dollari, poco più di mille dollari all’anno. Le crescenti domande di lavoro, il vasto campo da coprire e la delicatezza e l’equipaggiamento di cui c’è bisogno in quel lavoro rendono necessaria una quantità superiore di risorse. Se questo lavoro vuole mantenere le sue promesse, abbiamo bisogno per i 35 Sul tema cfr. Bauerlein, 2002; Godshalk, 2005; Mixon, 2005, Brophy, 2006; Burns, 2006. Il clima della città, progressivamente pericoloso per i neri, condizionò la vita della famiglia Du Bois, che aveva in casa un posto nel quale la figlia Yolanda, se necessario, poteva nascondersi. La ragazza dovette usarlo durante la rivolta, quando Du Bois, che stava svolgendo per il Governo la ricerca in Alabama, tornò precipitosamente in città, dove, armato, sorvegliò per ore la situazione. Poi trasferì la famiglia a Baltimora, tenendo per anni due residenze (Bowser, Whittle, op. cit., 36). 36 Martin Bulmer, studioso della Scuola di Chicago (Bulmer, 1984 e 1985), ha tracciato, come anche Edward Tyriakian (1986) e Norbert Wiley (1985), i caratteri propri di una “scuola”: una figura centrale intorno alla quale viene organizzato il dipartimento universitario con studenti, in un rapporto tra università e società esterna, rispetto alla quale il leader deve riscuotere consenso e conoscenza, travalicando, sul piano culturale, i confini, a volte angusti, di una disciplina (Bulmer, 1991).
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lavoratori, il laboratorio e le pubblicazioni di un fondo di 6 mila dollari l’anno. L’anno scorso ci ha molto aiutato un piccolo fondo, durato poco, della Carnegie Institution di Washington e quest’anno siamo riusciti a non interrompere il lavoro grazie a un contributo dello John Slater Fund» (Du Bois, 1909, 5). Verso la conclusione dell’esperienza di Atlanta, nel giro di pochi anni, Du Bois perderà rapidamente la convinzione della utilità della ricerca ai fini della conoscenza e della trasformazione sociale e convoglierà in una direzione eminentemente politica il proprio impegno.
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Una soluzione politica Nel 1905, durante l’insegnamento ad Atlanta, Du Bois invia una lettera ai leader nazionali neri convocandoli ad una Conferenza organizzata in una sede ai confini con il Canada, a Buffalo, vicino a Niagara Falls. La convocazione aveva da un lato lo scopo di aggregare e riorganizzare i partecipanti verso l’obiettivo della libertà e del miglioramento della condizione dei Negri e, dall’altro, di costruire una opposizione ai metodi dominanti di soffocamento di ogni critica. Poiché ai partecipanti alla riunione fu rifiutata una sistemazione a Buffalo, che pure vantava una tradizione di iniziative antischiaviste, si spostarono all’Erie Beach Hotel, nell’Ontario. L’iniziativa segnò la fondazione del Niagara Movement, movimento di protesta che, integralmente impegnato nella difesa dei neri, si occupò soprattutto dell’azione legale e dell’educazione, legato, nello spirito di Du Bois, all’idea secondo cui: «L’agitazione coraggiosa e duratura è la strada per la libertà». Il movimento, molto efficace nelle sue iniziative, non superò comunque mai l’adesione di 200 membri37. In quella occasione viene scritto, ad opera di Du Bois, l’Indirizzo alla nazione (presente nel testo). Tredici mesi dopo, dal 15 al 19 agosto del 1906, l’associazione terrà la sua prima riunione pubblica, nel campus dello Storer College, ad Harper’s Ferry, in West Virginia, college storico per il suo rapporto con John Brown (era lì che nel 1859 John Brown, simbolo della lotta antischiavista, aveva tenuto la sua prima manifestazione). Per sottolineare gli obiettivi del Niagara Movement, Du Bois fonda una rivista mensile, «The Moon», stampata a Memphis, Tennessee, pubblicata solo tra il dicembre 1905 e il luglio 1906, una rivista tesa a presentare «al mondo una nuova coscienza di classe e [a rivelare] il significato profondo del mondo moderno alle razze che si fondavano» (Du Bois, 1906, citato in 37
Per una discussione sul Niagara Movement, cfr. Capeci, 1999; McGerr, 2003.
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Partington, 1963). Quell’iniziativa evidenzia anche, in modo ancora più esplicito che in precedenza, la presenza delle donne nell’iniziativa politica38. L’anno seguente diviene editore, insieme a due collaboratori, Freeman H. M. Murray and L.N. Hershaw, di una nuova rivista «The Horizon. A Journal of the Color Line», anche questa importante in una fase di riflessione nella quale si chiarisce progressivamente il legame di Du Bois con il socialismo, anzi, meglio, con alcuni elementi del marxismo, ma di breve durata (come vita della rivista) rispetto al percorso teorico di Du Bois e al suo sviluppo dell’idea della linea del colore (Ashton, 2001). L’orizzonte come titolo della rivista perché, come la linea del colore di cui Du Bois aveva già parlato, anche l’orizzonte rappresenta una linea, che non può confluire né nell’ottimismo di un’alba né nella dimensione rassegnata e conclusa di un tramonto39, una linea ambigua in relazione a come viene guardata o presa in considerazione. Peraltro la rivista aveva anche i compiti di essere portavoce del nascente movimento del Niagara, di dare risposta, sia pure ancora parziale, al predominio che Booker Washington e i suoi strumenti esercitavano all’interno della stampa nera. Il Niagara Movement proseguì la sua attività fino al 1911, segno di una organizzzazione che evidenziava il proprio carattere di aggregazione della comunità nera (di fatto in contrapposizione esplicita alle idee e alle organizzazioni di Booker Washington). In quella realtà, nell’inasprirsi delle condizioni generali in seguito ad una rivolta razziale scoppiata a Springfield, nell’Illinois, percepì la necessità di una accelerazione dell’iniziativa e quasi tutti i suoi membri divennero il nucleo centrale della National Association for the Advancement of Colored People40. Così dei radicals che avevano partecipato al Niagara Movement come Monroe Trotter e Ida Wells Barnett, e socialisti più o meno recenti come Du Bois e Mary Whi38 Du Bois fu il primo nero di sesso maschile, leader del movimento dei diritti civili, a riconoscere il problema della discriminazione nei confronti delle donne, anche se la sua analisi non coglie in modo complessivo tutte le contraddizioni della questione di genere (Gilkes, 1996). Certo egli avvertì la subordinazione della condizione delle donne nere e fu tra i primi a spingere per l’unità del movimento per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Sostenne e incoraggiò molte scrittrici, artiste, poetesse e romanziere nere che pubblicarono i propri lavori su «The Crisis», fornendo loro in alcuni casi anche un sostegno finanziario diretto. 39 La rivista fu di circa 25 pagine durante i suoi primi anni, per poi ridursi a circa 12 con il diminuire della disponibilità economica. Durante il 1907 fu pubblicata a Washington, nel 1908 ad Alessandria e dal 1909 alla sua fine, nel 1910, di nuovo a Washington. 40 Per l’attività del NAACP cfr. Hughes, 1962; Kellogg, 1997; Cheatam, 2002; Jonas, Bond, 2004.
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te Ovington si unirono a elementi più di ispirazione liberale e antirazzista come Joel A. Spingarn e Oswald Villard per dare vita a una nuova organizzazione, di dimensioni superiori. L’organizzazione fu molto attiva nella tutela dei diritti dei neri, in particolare contro i linciaggi, documentando una realtà i cui dati spesso mancavano o erano fatti mancare: tra il 1910 e il 1914 i linciaggi furono 326, circa cento nel 1915 (Du Bois, 1940, 223). A partire dal 1910 Du Bois diviene direttore della ricerca e del settore pubblico del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People)41, e della sua rivista mensile «The Crisis. A Record of the Darker Races» (definita da tutti «The Crisis», quasi dimenticando l’importanza di quel riferimento alle razze più scure), spostando sulla protesta sociale contro l’ingiustizia razziale e politica di avanzamento e trasformazione della propria condizione da parte degli afro americani gli interessi in passato legati alla ricerca. Era l’ennesima iniziativa di Du Bois sul piano giornalistico42: il lavoro di giornalista (di grande tradizione nelle scienze sociali, prima inglesi poi statunitensi, da Mayhew a Park) è stato presente in modo continuo nell’esistenza di Du Bois accompagnando, in modo più o meno centrale, il resto della sua attività. Nel 1882 è già corrispondente de “The Globe”. Dopo Harvard, nel 1906, a Memphis, pubblica (per un anno) “The Moon”. Dal 1907 al 1910 pubblica «The Horizon», mensile, organo del Niagara Movement, poi sostituito da «The Crisis», nel 1910 (di cui sarà editore dal 1910 al 1934). Finita l’attività di editore Du Bois collabora poi settimanalmente al “Courier “(dal febbraio 1936 al gennaio 1938); dal 1939 al 1944 al “The Amsterdam News”, dal gennaio 1945 al “Chicago Defender” e dal marzo 1947 al “The People Voice”, dal 1950 al 1954 al “National Guardian” (Franklin, 1987) I testi di (quasi) tutti i suoi interventi giornalistici sono disponibili grazie al lavoro di Herbert Aptheker che, in base a un accordo tra la vedova di Du Bois, Shirley Graham Du Bois e l’editore Kraus-Thompson, ha curato in tre volumi il lavoro complessivo di Du Bois in questo settore (cfr. Aptheker, 1986). L’attività riscosse un grande successo, molto probabilmente, non solo per la propria linea politica, ma anche per la modernità con la quale, pur foglio di minoranza, si presentò sul nuovo mercato della comunicazioone di massa unendo nella propria composizione stampa e rappresentazione fotografica, come anche disegni, mappe, grafici, e poi, in particolare nel 41 Dal 1914 Oswald Villard si dimise per forti contrasti con Du Bois sulla conduzione della rivista e ne divenne presidente Joel Spingarn (docente emerito dell’università di Columbia). 42 In questa fase Du Bois collabora regolarmente al “Chicago Defender”, al “Pittsburgh Courier” e al “New York Amsterdam News”, tre giornali afroamericani, oltre che al “San Francisco Chronicle”.
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primo decennio, esprimendo critiche al razzismo contemporaneo e proposte relative alla presenza sociale dei neri (Carroll, 2004). Inizialmente la struttura organizzativa registrò un predominio numerico di ebrei bianchi (che ne furono anche i principali finanziatori), con un solo nero, Du Bois, e fino al 1975 non vi fu un presidente di colore. Questa presenza dominante bianca provocò la non partecipazione di uno dei maggiori esponenti neri, Monroe Trotter, e di Ida Wells Barnett, entrambi critici verso Du Bois, ritenuto in molti casi troppo moderato (Marable, 1986, 46, ma anche Philpott, 1991). In effetti questo dato della birazzialità dell’organizzazione, con scarsa presenza di neri, giustificò le critiche alla sua reale capacità rappresentativa, mostrando anche come a volte le decisioni di Du Bois non trovassero un profondo consenso da parte dei neri. «The Crisis», frutto anche del lungo rapporto di Du Bois con le riviste e l’attività editoriale, rappresentò una esperienza di giornalismo militante, espressione della “costruzione” della notizia propria del processo comunicativo. Il primo meeting della rivista si svolse il 12 febbraio 190943, centesimo anniversario della nascita di Abramo Lincoln; all’iniziativa parteciparono scienziati, filantropi, assistenti sociali e neri (pochi però i seguaci di Booker Washington), presenza tipica dell’associazione negli anni successivi. La conferenza organizzativa si svolse il 30 maggio 1909 alla Henry Street Settlement House di New York: da essa scaturì un Comitato Organizzatore di circa quaranta persone nel quale il ruolo di coordinatrice fu assunto da Ida B. Wells Barnett. Il nome dell’organizzazione (National Association for the Advancement of Colored People) fu scelto durante la seconda conferenza44, il 30 maggio 1910, mentre la rivista dell’associazione, «The Crisis», iniziò le pubblicazioni nel novembre 1910. La sua tradizione si legava a riviste di iniziativa politica la cui tradizione risaliva al “Freedom’s Journal”, di Samuel Eli Cornish e John Russwurm il primo giornale pubblicato dagli americani nel Nord America, al “Libe43 Costituivano il gruppo fondatore Josephine Ruffin, Mary Talbert, Mary Church Terrell, Inez Milholland, Jane Addams, Florence Kelley, Sophonisba Breckinridge, Joahn Haynes Holmes, Mary McLeod Bethune, George Henry White, William Du Bois, C. Edward Russell, J. Dewey, William Dean Howells, Lillian Wald, Charles Darrow, Lincoln Steffens, Ray Stannard Baker, Fanny Garrison Villard, Oswald Garrison Villard e Ida Wells-Barnett: la presenza di esponenti dei settlements testimoniava l’impegno verso gli immigrati come verso i neri, per una eguaglianza tra i popoli (Davis, 1967, 102). 44 Furono segretari del NAACP F. Blascoe (1910-1); M. W. Ovington (1911-2); M. Childs Nerney (1912-6); M. W. Ovington (gennaio e febbraio 1916), R. Freeman Nash (1916-7), J. W. Johnson (dal 1917 al gennaio 1918), J. R. Shillady (1918-20), J. W. Johnson (1920-gennaio 1931).
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rator”, di William Lloyd Garrison e al “North Star” di Frederick Douglass, fino al “New York Globe”, di Thomas T. Fortune (Lewis, 1993). Suo obiettivo era promuovere l’eguaglianza dei diritti e sradicare i pregiudizi di casta o di razza presenti tra i cittadini degli Stati Uniti per far avanzare gli interessi degli individui di colore (tra i quali non c’erano solo i neri, ma anche i nativi americani e i portoricani); assicurare loro il diritto al voto; e aumentare le opportunità per garantire la giustizia nei tribunali, l’educazione per i bambini, l’occupazione secondo le loro abilità e una completa eguaglianza di fronte alla legge45. I componenti del gruppo fondatore, in gran parte esponenti di molteplici discipline scientifiche, come anche di diversi orientamenti politici (da Dewey a Addams, a Kelley e Breckrinridge, ai Muckrakers Steffens e Baker), mostrano in questa diversità la sensibilità ai problemi posti dal NACCP. Du Bois vuole proseguire il suo lavoro anche se in discontinuità con quanto già realizzato, e intraprende una attività che lo assorbirà dal 1910 al 1934: «Questo nuovo ambito di impegno rappresentava una evidente rottura rispetto al mio programma precedente, puramente scientifico. Mentre la “ricerca” era ancora tra i miei compiti non c’erano in effetti fondi per svolgerla. I miei sforzi principali si volsero a curare l’edizione e la pubblicazione di «The Crisis», che fondai su mia responsabilità personale e tra le proteste di molti miei colleghi. Con essa tentai un nuovo ruolo nell’interpretare il mondo degli ostacoli e delle aspirazioni dei negri americani. I miei testi erano rafforzati dalla lettura e la mia conoscenza cresceva grazie ai viaggi; il mio pensiero si allargava studiando il socialismo» (Du Bois, 1968, 256). Di fatto l’intervento operato da «The Crisis» avveniva in una situazione nella quale la stampa nera autonoma aveva un carattere marginale perché la principale rivista per neri, «The New York Age», apparteneva ad amici di Booker Washington, e l’organizzazione di Tuskgee controllava la quasi totalità delle pubblicazioni di colore. La rivista rappresentò uno strumento di confronto per l’identità nera; e svolse anche un ruolo letterario ed intellettuale utile a frantumare gli stereotipi deformanti l’immagine degli afro-americani. In breve tra neri e bianchi simpatizzanti, le vendite raggiunsero, nel 1919, le 100 mila copie al mese, con un aumento non solo di copie e di aree investite dalla diffusione, ma anche di proventi (Du Bois, 1999). In ogni numero (mensile) la rivista, di sedici pagine, pubblicava più 45 Primo presidente fu il radical bianco Noorfield Storey, anche primo presidente della Anti-Imperialist League degli Stati Uniti, impegnato per la liberazione dei Filippini e contro il genocidio dei nativi.
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notizie sui neri e sulla loro vita di quanto facessero i giornali di colore in un anno, con un successo senza precedenti per gli effetti di riconoscimento che questo aveva tra la gente di colore ” (Du Bois, cit., xxix). Du Bois era convinto che il progresso nero dipendesse da una maturazione culturale interna alla razza nera; questa avrebbe dovuto far propria una visione del mondo autonoma, testimonianza della specificità del suo ruolo nazionale. In questa battaglia dei neri per la conquista della propria identità la rivista non ebbe solo un compito politico: pubblicò anche interventi, poemi, poesie, contribuendo “a frantumare, a livello nazionale e internazionale, lo stereotipo che aveva deformato la visione degli afroamericani”. Nel decennio 1910-1920, durissimo per le condizioni di vita dei neri (il numero dei linciaggi fu in questa fase di circa 800), Du Bois ha ormai teorizzato ulteriormente la necessità di autonomia della cultura nera, nel rifiuto di ogni processo integrazionista, teso a riprodurre, in forme subordinate, la cultura dei bianchi. Questa, come detto in precedenza, è una riflessione centrale in tutta l’esistenza di Du Bois: «Si avverte sempre questo dualismo – Americano, Negro; due anime, due pensieri, due ansie inconciliate; due ideali in guerra tra loro in un unico corpo scuro, che solo per la sua forza ostinata non ne viene lacerato e fatto a pezzi» (Du Bois, 1903a). I neri erano presenti negli Stati Uniti ma contemporaneamente separati dalla loro struttura sociale e politica, con conseguenze anche sulla percezione di sé. Il futuro non poteva non tenerne conto. Così su questa direttrice si svolse negli anni il lavoro della rivista. Essa, collegata tanto a lungo con l’attività quotidiana di Du Bois, nel momento della sua crisi apre una discontinuità insanabile (Rudwick, 1958a e 1958b). «Il percorso della mia vita tra il 1910 e il 1934 è soprattutto la storia di «The Crisis», che dirigevo anche se avevo una incredibile varietà di interessi e attività sussidiarie» (Du Bois, 1947, 262; Lewis, 2000, 2). Nel 1919 al Congresso Pan-Africano a Parigi Du Bois vuole percepire come vengono valutate a livello mondiale le condizioni e lo status dei neri. Poi avverte il sorgere e l’ampliarsi di un consistente dissenso, in particolare dal 1930 in avanti, con la gestione e la posizione della rivista, divenuta forse troppo “istituzionale”, certo distante dal suo crescente radicalismo, spesso in disaccordo con i leaders Walter White e Roy Wilkins. Tanto all’interno del Niagara Movement quanto nel NAACP Du Bois agì con una strategia consapevole dell’eterogeneità sociale, anche se sostentata della accentuazione autonoma che aveva dato alla teoria dei “talented tenth”. Così nel 1934, dopo aver scritto due saggi relativi al ruolo strategico che il separatismo nero può svolgere come vera e propria strategia economica, lascia la rivista per tornare ad Atlanta, a insegnare. Vede nella 53
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conclusione di quel legame l’esaurirsi di una parte e di una fase sostanziale del suo lavoro, anche se non può immaginare che il suo impegno e la sua attività sarebbero durati ancora a lungo, segnati sempre dallo spirito presente anche nel suo ultimo intervento: «Ho amato il mio lavoro, la gente e la mia attività, ma sono stato sempre spinto dall’idea che ciò che ho fatto bene vivrà a lungo e giustificherà la mia vita; e che ciò che ho fatto male o che non ho completato può ora essere fatto proprio da altri, senza scadenze, ed essere completato forse meglio di come avrei potuto fare. La pace sarà il mio applauso» (Du Bois, 2002, 355). Di questi elementi di crisi vi è traccia evidente in Dusk of Dawn: in alcune pagine del volume critica in modo assoluto la cultura europea e la sua volontà di non accettare a tutti gli effetti gli afroamericani e la gente di colore (in una fase accentuata, alla fine degli anni 40, dalla corsa verso la guerra e dalla ridefinizione di tutti i rapporti tra i popoli). In conseguenza di questa situazione quello che già in passato era stato un impegno internazionale da parte di Du Bois si fa sempre più Panafricanesimo, convinzione che tutti i popoli di discendenza africana hanno interessi comuni e devono cooperare nella lotta per la propria libertà. Du Bois fu leader anche in questo: presente nella prima Conferenza Panafricana a Londra nel 1900 e poi artefice primo dei quattro congressi panafricani tenutisi tra il 1919 e il 1927. A questo lavorò anche come direttore di «The Crisis», favorendo lo sviluppo di una letteratura nera, nella sua convinzione (accresciutasi durante la crisi degli anni ’30 e motivo di scontro all’interno del NACCP) che i neri avrebbero dovuto sviluppare una economia separata di cooperative di produttori e consumatori con un proprio peso specifico nella lotta contro la discriminazione economica e la povertà nera. Poi Du Bois apre una nuova pagina della sua carriera ricca di iniziative. Dopo le dimissioni dal NAACP (nel quale sarà ancora presente dal 1944 al 1948 come Director of Special Research, senza però avere più la centralità degli anni precedenti), su invito del Presidente John Hope fa ritorno all’università di Atlanta dove insegna sociologia per un altro lungo periodo (1934-44), fase nella quale diviene l’editore della Encyclopedia of the Negro. In questo periodo, in coerenza anche con l’arricchirsi ulteriore della sua analisi, sfida la storiografia dominante all’epoca e pubblica Black Reconstruction (1935), saggio di profonda novità metodologica (Winant, 2000a) nel quale sostiene che la Ricostruzione non era stato un fallimento e che i negri avevano svolto un ruolo fondamentale nel processo di democratizzazione degli Stati Uniti. È una interpretazione marxista della fase successiva alla Guerra civile quando scrive anche una autobiografia, accompagnata, a pochi anni di distanza, da Dusk of Dawn (1940), 54
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analisi della sua carriera vista attraverso il rapporto tra bianchi e neri. Nello stesso 1940 fonda «Phylon. Review of Race and Culture», futuro centro qualificato di studi sulla cultura nera e sulla razza. Il Du Bois sociologo ha concluso da tempo la propria attività specifica a favore di una serie di interessi e impegni che sviluppano le premesse di rapporti internazionali e che ora assumono centralità nell’esistenza del “vecchio” Du Bois: «…da ragazzo, a sedici anni, volevo provare che, malgrado l’insegnamento dei libri di testo e l’ambiente intorno a me, i negri erano un popolo come altri. Poi da giovane, tra i 17 ed i 25 anni, mi impegnai per dare un’opportunità al popolo negro, malgrado il suo colore e la sua povertà. In età matura, tra i 25 ed i 45, combattei la discriminazione razziale sul lavoro, rispetto al guadagno e al tempo libero, cercando un risarcimento legale e morale. Solo dopo la rivoluzione russa il mio interesse principale si legò al mutamento economico, fondamentale per l’elevazione dei negri americani» (Du Bois, 1985). Nel 1951, in un clima ormai segnato dalla guerra fredda tra i due grandi blocchi, Du Bois (e altri quattro colleghi) furono incriminati per violazione del Foreign Agents Registration Act, per non essersi registrati come agenti di un governo straniero. Furono assolti ma il governo e gli altri docenti lo isolarono per le sue tendenze socialiste separandolo dal movimento per i diritti civili. Nel 1961 Du Bois emigrò in Africa, divenendo editore capo della Encyclopedia Africana, impresa progettata da Kwame Nkrumah, presidente deposto del Ghana. In Ghana, il consolato americano, in base al McCarran Act gli rifiutò il rinnovo del passaporto (un comunista non poteva avere passaporto statunitense); così Du Bois, e sua moglie, Shirley Graham, lasciarono la cittadinanza americana divenendo cittadini del Ghana. Du Bois morì nell’agosto del 1963 all’alba del giorno nel quale Martin Luther King, guidando la marcia dei neri su Washington, ricordò, nero tra neri, di “avere un sogno”, uno di quelli senza i quali la vita non avrebbe senso e futuro. Il presidente Nkrumah dispose un funerale di stato per quell’uomo che tanto aveva fatto per la liberazione del popolo nero: vi parteciparono rappresentanti di tutte le ambasciate e consolati, tranne che degli Stati Uniti. Nel centesimo anniversario della nascita di Du Bois, nell’indimenticabile 1968, Martin Luther King ebbe a dichiarare: «Non possiamo riferirci al dottor Du Bois senza riconoscere che fu per tutta la vita un radicale. Qualcuno preferirebbe ignorare che negli ultimi anni della sua vita diventò comunista. Va ricordato che Abraham Lincoln approvò il sostegno di Karl Marx durante la guerra civile ed ebbe con lui un franco scambio epistolare. Nella letteratura contemporanea il mondo anglosassone non ha difficoltà per il fatto che Sean O’Casey fu un gigante della letteratura del ven55
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tesimo secolo, ma anche un comunista, e che Pablo Neruda è considerato da tutti il più grande poeta vivente anche se ha seduto come comunista nel senato cileno. Smettiamola di nascondere che il dottor Du Bois era un genio e scelse di essere comunista. Il nostro anticomunismo ossessivo ci ha fatto trovare troppo spesso in situazioni difficili» (King, 1968). La pace della morte faceva riconoscere il senso della vita.
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La linea del colore1
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Il pensiero di tre secoli ha determinato un processo di elevazione e la scoperta del velo dell’anima umana sottomessa; ora abbiamo di fronte un secolo nuovo, per il dovere e l’azione! Il problema del Ventesimo Secolo è quello della linea del colore.
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The Souls of Black Folk, Dover, New York, 1903, 40.
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La conservazione delle razze1 I Negri americani hanno nutrito costantemente un profondo interesse immediato per le discussioni sulle origini e i destini delle razze: anzitutto perché intorno alla maggior parte di quelle da loro conosciute, si è consolidata una serie di ipotesi relative alle loro capacità naturali, politiche, intellettuali e al loro status morale, percepite come sbagliate. Di conseguenza sono stati spinti a disprezzare e minimizzare le specificità della razza, a credere in modo assoluto che Dio abbia creato tutte le nazioni all’interno di un’unica linea di sangue, e a parlare di fratellanza umana come di un potenziale futuro già iniziato. In realtà, nei momenti di calma, dobbiamo riconoscere che gli esseri umani sono divisi in razze; che in questo paese se ne sono incontrati i due tipi più estremi esistenti al mondo, e che il problema che ne deriva, relativo ai loro rapporti futuri, non solo ci interessa in modo consistente e sul piano esistenziale, ma segna un’epoca nella storia del genere umano. Inoltre nel programmare i nostri movimenti e nell’indirizzare il nostro sviluppo futuro, si deve anche dare risposta a problemi pressanti ma più circoscritti, relativi alle discriminazioni in atto nelle scuole, sui tram, nelle retribuzioni e nella legge sui linciaggi. Si deve fare attenzione al problema generale della razza nella filosofia umana, e strutturare, sulla base di una conoscenza profonda e di una valutazione attenta, le grandi direttrici della politica e quegli ideali superiori in grado di formare le nostre linee guida e i nostri confini nelle difficoltà quotidiane concrete. Perché certo ogni sforzo umano deve riconoscere i limiti rigorosi della legge naturale, come anche il fatto che, per quanto intenso e costoso, esso è vano se realizzato contro lo spirito del mondo. Si tratta allora di valutare seriamente quale sia il significato reale della razza; quale sia stata, in passato, la legge del suo sviluppo, e quali lezioni la storia anteriore di quello sviluppo possa insegnare al popolo2 negro nel suo avanzamento. 1 The Conservation of Races, The Academy, Washington, D.C., 1897, 15 (ora in Occasional Papers of the American Negro Academy, Arno Press, New York, 1970). 2 [L’uso che Du Bois fa di popolo, nazione, sangue, razza pone a volte problemi di traduzione perché rischia di non far comprendere, se non si segue il senso specifico assunto da ogni frase, che, in relazione al contesto ed all’epoca, Du Bois fa prevalere ora il carattere unitario del termine, per esempio in rapporto ai diritti, o il carattere animato da spirito di scissione, per esempio in riferimento all’autonomia e alla prospettiva oggettivamente e soggettivamente separata della realtà dei neri. Utilizzando dunque un rigido metro comparativo il lettore potrebbe trovarsi in difficoltà, per cui è più utile seguire il senso che Du Bois attribuisce ai termini di brano in brano N.d.T.].
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Se ci interroghiamo sulle differenze fondamentali delle razze è difficile arrivare rapidamente ad una conclusione unitaria. In passato sono stati proposti molti criteri sulla differenza di razza: il colore, i capelli, la dimensione del cranio, il linguaggio. E certo gli esseri umani differiscono molto rispetto a ciascuno di questi. Differiscono, nel colore, per esempio, dal pallore marmoreo degli scandinavi al marrone scuro intenso degli zulù, o a quello simile alla crema degli slavi, al giallo dei cinesi, al marrone chiaro dei siciliani e a quello intenso degli egizi. Gli uomini variano anche per la consistenza dei capelli, da quelli ostinatamente dritti dei cinesi a quelli altrettanto ostinatamente a ciuffi e ricci dei Bushman; differiscono, inoltre, nella dimensione delle teste, da quelle molto grandi dei tartari a quelle medie degli europei a quelle piccole degli ottentotti; o ancora nel modo di parlare, da quello ricco di inflessioni dei romani a quello a monosillabi dei cinesi. Tutti questi tratti fisici sono molto evidenti e se per caso fossero tra loro corrispondenti sarebbe estremamente facile classificare il genere umano. Invece, sfortunatamente per gli scienziati, questi tratti delle singole razze sono mischiati in modo molto consistente. Il colore non corrisponde al tipo di capelli perché molti di razza scura hanno capelli dritti, né alla dimensione della testa perché i tartari, gialli, la hanno più grande di quella dei tedeschi, né le scienze linguistiche sono state ancora in grado di chiarire il principio connesso a questi criteri, vari e contraddittori. Ad oggi la posizione più recente della scienza è che ci sono almeno due, forse tre grandi famiglie di esseri umani, i bianchi e i neri, forse i gialli: e che le altre razze sono sorte dalla fusione del loro sangue. Questa grande divisione delle razze del mondo, che uomini come Huxley e Raetzel hanno ritenuto più veritiera del vecchio schema delle cinque razze di Blumenbach, si limita a riconoscere che, in base alle sole caratteristiche fisiche, le differenze tra gli uomini non riescono a spiegare tutte quelle manifestatesi nella loro storia. Il che indica, come sostenuto anche da Darwin, che per quanto grande possa essere la differenza fisica tra le varie razze, le loro somiglianze sono comunque superiori, elemento su cui si fonda l’intera teoria scientifica della Fraternità Umana. Sebbene gli incredibili sviluppi della storia umana insegnino che le differenze fisiche più consistenti, relative a colore, capelli e ossa, contribuiscano poco a spiegare i vari ruoli svolti dai gruppi degli uomini nel Progresso Umano, pure vi sono differenze, per quanto sottili, raffinate e sfuggenti, che hanno diviso in modo tacito ma deciso gli uomini in gruppi. Mentre in genere queste forze sottili hanno seguito i legami naturali di sangue comune, di specificità della discendenza e di tratti fisici, in altri casi sono state spazzate via e ignorate. Comunque, hanno sempre diviso gli esseri umani in razze, in un modo che, pur trascendendo la definizio71
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ne scientifica, comunque le caratterizza chiaramente all’occhio dello storico e del sociologo. Se questo è vero, allora la storia del mondo è la storia non di individui ma di gruppi, non di nazioni ma di razze, e chi nella storia umana ignora o cerca di trascurare l’idea di razza, ignora o cerca di trascurare anche tutto il suo pensiero centrale. Allora, cos’è una razza? È una grande famiglia di esseri umani, in genere di lingua e sangue comuni, con un retroterra costante di storia, tradizioni e emozioni condivise, impegnata in uno sforzo comune, volontario e involontario, teso a conseguire alcuni ideali di vita sentiti in modo più o meno intenso. Guardando la storia reale, non c’è dubbio, anzitutto, del prevalere diffuso, o meglio universale, dell’idea, dello spirito, dell’ideale di razza, e anche della sua efficacia come l’invenzione di maggior respiro ed ingegno per il progresso umano. Noi, allevati e formati alla filosofia individualista della dichiarazione dell’indipendenza e a quella del laissez-faire di Adam Smith, siamo inclini a percepire questo fatto evidente della storia umana. Vediamo “i Faraoni, i Cesari, i Toussaints, i Napoleoni”, della storia e dimentichiamo le grandi razze delle quali erano mera espressione. Nella nostra impazienza americana, siamo portati a pensare che se in passato può essere stato vero che i gruppi razziali tra loro più a contatto abbiano fatto la storia, e qui nell’America corporata abbiamo cambiato tutto quanto c’era – noi, che abbiamo cambiato tutto, non abbiamo più bisogno di questo antico strumento di progresso. Una valutazione attenta della storia non è in grado di confermare questa ipotesi, cui i negri sono molto affezionati. Oggi vediamo sul palcoscenico della storia otto razze differenti, nel senso che la storia assegna all’uso del termine. Sono gli slavi dell’est Europa, i teutoni del centro Europa, gli inglesi della Gran Bretagna e dell’America, le nazioni romanze del sud e dell’occidente europeo, i popoli neri dell’Africa e dell’America, quelli semiti dell’Asia occidentale e del nord Africa, gli indù dell’Asia centrale e i mongoli dell’Asia dell’Est. Ci sono, naturalmente, altri gruppi razziali minori, come gli indiani d’America, gli eschimesi, e gli abitanti delle isole del Sud. Peraltro queste altre razze sono tutt’altro che omogenee, gli Slavi comprendono i cechi, i magiari, i polacchi e i russi; i teutoni ricomprendono i germani, gli scandinavi, e i tedeschi; gli inglesi a loro volta gli scozzesi, gli irlandesi, e la parte controllata dell’America. Nelle nazioni romanze vanno considerati francesi, italiani, siciliani, spagnoli profondamente differenti tra loro. Il termine Negro è forse il più indefinito di tutti, dal momento che mette insieme mulatti e zamboes dell’America e dell’Egitto, bantu e bushman dell’Africa. Tra gli indù vi sono tracce di nazioni profondamente differenti, 72
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mentre i grandi cinesi, i tartari, i coreani e i giapponesi ricadono tutti sotto un’unica rappresentazione, i Mongoli. Ora il problema è quale sia la differenza reale tra queste nazioni; si tratta di differenze fisiche di sangue, di colore e di dimensioni del cranio? Certo sappiamo bene che le differenze fisiche svolgono un ruolo notevole, e, con alcune notevoli eccezioni e riserve, queste attuali otto grandi razze corrispondono ai caratteri delle loro differenze fisiche. Gli inglesi e i teutoni rappresentano la varietà bianca del genere umano; i mongoli quella gialla; i Negri quella nera. Tra queste vi sono molti incroci e commistioni perché i mongoli e i teutoni si sono mischiati con gli slavi, e altre commistioni sono state prodotte dalle nazioni romanze e semite. Ma mentre le differenze di razza hanno seguito principalmente le specificità fisiche, in realtà nessuna distinzione fisica riuscirebbe a definire o spiegare del tutto le differenze più profonde – cioè la coesione e le continuità di questi gruppi. Le differenze più profonde sono spirituali, psichiche – fondate, senza dubbio, sulla distinzione fisica, trascendendola però in modo sostanziale. Le forze che tengono insieme le nazioni teutoni sono perciò anzitutto l’identità di razza e la comunanza di sangue; poi, e più importante, una storia, leggi e religione comuni, consuetudini comuni di pensiero, e un impegno consapevole a mantenere una serie di ideali di vita condivisi. L’intero processo che ha portato a queste differenziazioni di razza ha costituito uno sviluppo, la cui grande caratteristica è stata la differenziazione delle eterogeneità spirituali e mentali, e l’integrazione di quelle fisiche tra le grandi razze del genere umano. L’epoca delle tribù nomadi, composte da individui legati in modo stretto, ha espresso il massimo della differenza fisica. Si trattava in pratica di grandi famiglie e c’era un numero di gruppi loro pari. Con il riunificarsi delle famiglie per formare le città, le differenze fisiche diminuirono, la purezza del sangue fu sostituita dalla richiesta di residenza, e tutti quelli che abitavano all’interno dei confini urbani iniziarono ad essere progressivamente considerati sempre più membri del gruppo; si verificò, così, una leggera e lenta rottura delle barriere fisiche. Questo fu, comunque, accompagnato da un aumento delle differenze, spirituali e sociali, tra le città. Una città risultò composta da uomini sposati, una da mercanti, un’altra da guerrieri e così via. E differivano tra loro anche gli ideali esistenziali per cui le differenti città erano in lotta. Quando, infine, le città cominciarono a unirsi in nazioni vi fu un’altra rottura delle barriere che separavano i gruppi degli individui. Le differenze più ampie e significative, di colore, capelli e proporzioni fisiche, non furono ignorate completamente, ma scomparve una miriade di differenziazioni minori, e le razze sociologiche e storiche degli uomini iniziarono ad avvicinarsi all’attuale divisione, pro73
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prio come indicato dalle ricerche sulla struttura dei corpi. Nello stesso tempo le differenze spirituali e fisiche dei gruppi delle razze, che costituivano le nazioni, divennero profonde e discriminanti. La nazione inglese ha favorito la libertà costituzionale e l’autonomia commerciale; quella tedesca la scienza e la filosofia; quella romanza la letteratura e le arti, e gli altri gruppi razziali si stanno sforzando, a livello individuale, di sviluppare per la civiltà ognuno un proprio particolare messaggio e ideale, i quali aiuteranno a guidare il mondo in un modo sempre più vicino a quella perfezione della vita umana che tutti noi desideriamo, che è “Un lontano evento Divino”. Questa è stata sino ad oggi la funzione delle differenze tra le razze. Quale sarà nel futuro? È chiaro che alcune grandi razze attuali – in particolare quella Negra – non hanno ancora dato al mondo l’intero e completo messaggio spirituale che sono in grado di esprimere. Non diremo che la razza negra non ha ancora consegnato nessun messaggio al mondo, perché ancora oggi si discute tra gli scienziati quanto la civiltà negra fosse unita, nelle sue origini, a quella egizia; perché se non era del tutto negra certo era composta da un’alleanza molto stretta. Comunque, nonostante tutto, resta il fatto che il messaggio complessivo e integrale dell’intera razza negra non è stato ancora dato al mondo, che i messaggi e gli ideali della razza gialla non sono stati ancora completati, e gli sforzi degli slavi in questa direzione sono appena iniziati. Il problema è allora: come sarà trasmesso questo messaggio, come saranno realizzati questi ideali? La risposta è chiara: attraverso lo sviluppo di questi gruppi come razze e non come individui. […]. Non possiamo cambiare la storia; siamo soggetti alle stesse leggi naturali delle altre razze, e se quella negra sarà mai in grado di rappresentare un fattore della storia del mondo, se tra le bandiere a colori vivaci che coprono gli ampi bastioni della civiltà ne deve essere attaccata una nera, priva di compromessi, certo deve essere alzata da mani negre, modellata da teste negre e santificata dal lavoro di duecento milioni di cuori negri impegnati a intonare la canzone felice di una grande festa. Per questo l’avanguardia del popolo negro – gli otto milioni di sangue nero presenti negli Stati Uniti d’America – deve comprendere rapidamente che se vuole occupare il posto che le spetta nell’aggregazione mondiale dei negri, il suo destino non è nell’integrazione tra gli americani bianchi. Se in America deve essere provato per la prima volta nel mondo moderno che i Negri non solo sono capaci di fare evolvere individui come Toussaint il Salvatore, ma sono anche una nazione che ha accumulato meravigliose potenzialità culturali, il loro destino allora non è quello di una imitazione servile della cultura anglo-sassone, ma di una spiccata originalità, fedele agli ideali Negri. 74
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Si potrebbe però obiettare che la situazione della nostra razza in America rende questo atteggiamento impossibile; che la nostra sola speranza di salvezza sta nelle nostre capacità di disperdere la nostra identità razziale nel sangue misto della nazione; e che ogni altra iniziativa finirebbe solo per accentuare quel contrasto tra le razze che chiamiamo pregiudizio razziale, contro cui abbiamo combattuto tanto a lungo e ardentemente. Bisogna dunque ammettere che si è di fronte a un dilemma, anche molto intricato. Nessun negro che abbia proposto una riflessione sulla situazione della sua gente in America non si è trovato, almeno una volta nella vita, di fronte ad un dilemma; e non ha mancato di chiedersi: ma io, in fondo, cosa sono, un americano o un negro? Posso essere entrambi? O è mio dovere smettere prima possibile di essere negro e diventare americano? Se mi batto come negro non perpetuo la grande scissione che minaccia e separa negri e bianchi in America? La mia unica reale possibilità non è di subordinare alla realtà americana tutto quello che c’è di negro in me? Il mio sangue negro non mi impone di rivendicare la mia nazionalità come e più che se fosse tedesca, irlandese o italiana? Quella riflessione personale costante, e l’esitazione che ne deriva, rendono la fase attuale incerta e contraddittoria per i negri d’America; l’azione complessiva della razza è soffocata, la sua responsabilità repressa, le sue iniziative languono, e il sangue migliore, il migliore talento, la migliore energia della gente negra non possono essere costretti ad esercitare una opzione tra le razze. Si finirebbe per fare un passo indietro cedendo il passo a ogni furfante e demagogo che scegliesse di nascondere la propria malvagità egoista sotto il velo dell’orgoglio di razza. È giusto? È razionale? Si tratta di una buona politica? In America abbiamo una missione specifica come razza, una sfera particolare d’azione e un’opportunità per il suo sviluppo, o il fine più alto cui il sangue negro può aspirare è quello di un autoriconoscimento? Valutando attentamente la realtà del pregiudizio razziale troviamo che sul piano storico si tratta solo di un contrasto tra differenti gruppi di persone, della differenza di obiettivi, sentimenti, ideali di due differenti razze; ora, se questa differenza esiste rispetto a territori, leggi, linguaggio, e perfino a religione, è chiaro che questa gente non può vivere nello stesso territorio senza sviluppare conflitti significativi; ma se, invece, c’è un accordo sostanziale sulle leggi, sul linguaggio e sulla religione, se c’è un adattamento soddisfacente rispetto alla vita economica, allora non c’è ragione per cui due o tre grandi ideali nazionali non possano convivere e svilupparsi nello stesso paese o nella stessa strada, uomini di differenti razze non possano lottare insieme per gli ideali della loro razza come, e forse anche più, che da soli. In questo, mi pare, stia il senso del problema che ci 75
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preoccupa tanto. Siamo americani, non solo per nascita e per cittadinanza, ma per ideali politici, linguaggio, religione. Il nostro essere americani si ferma qui; da quel punto in avanti siamo negri, membri di una grande razza storica che, dal momento della sua creazione, ha dormito, ma si è parzialmente svegliata nella foresta buia della sua terra paterna africana. Siamo i primi frutti di questa nuova nazione, messaggeri di quel domani negro destinato ad attenuare la brillantezza dell’oggi teutonico. Siamo quella gente il cui senso particolare del ritmo ha dato all’America la sua unica musica americana, i suoi soli racconti americani, i suoi unici momenti di pathos e humor all’interno della sua plutocrazia folle per la conquista del denaro. Per questo dobbiamo conservare le nostre forze fisiche, i nostri impegni intellettuali, i nostri ideali spirituali; come razza, dobbiamo combattere, attraverso l’organizzazione, la solidarietà, l’unità razziale per realizzare quell’umanità diffusa che riconosce esplicitamente le differenze tra gli individui, ma critica inesorabilmente la disuguaglianza delle loro opportunità di sviluppo. Per conseguire questi fini sono necessarie strutture organizzate della razza: college Negri, giornali Negri, organizzazioni Negre per gli affari, scuole Negre di letteratura e arte, e una sede di aggregazione per gli intellettuali, e per tutti questi prodotti della riflessione Negra, che potremmo chiamare Accademia Negra. Tutto questo non è solo necessario per un progressivo miglioramento, ma è proprio obbligatorio per difenderci da elementi negativi. Non fateci arretrare rispetto alla nostra condizione in questo paese. Gravati da un’eredità di ingiustizie morali derivanti dalla nostra storia passata, incalzati, dal punto di vista economico, dagli immigranti stranieri e dal pregiudizio locale, qui odiati, là disprezzati, dappertutto compatiti, rappresentiamo il nostro rifugio, ma anche la nostra risorsa di sviluppo, la nostra fede nel nostro grande destino, la nostra fiducia oggettiva nella nostra abilità e capacità. Non c’è forza sotto il grande cielo divino in grado di fermare l’avanzata di otto milioni di persone oneste, forti, ispirate e unite. Ma – e qui sta la difficoltà – devono essere oneste, in grado di criticare fermamente i propri errori, di correggersi tempestivamente, di essere scrupolose. Non gente che rida di sé, che non si prenda sul serio. Gente che deve essere ispirata dalla fede sacra delle nostre madri negre, così che, senza il sangue e la polvere della battaglia, marcerà, testimone della vittoria, nazione potente, popolo particolare per dire alle nazioni della terra una verità sacra che la renderà libera. Quel popolo deve essere unito, non solo contro il furto organizzato degli incarichi politici; né solo contro chi mette in crisi la religione con puttanieri e portaborse; unito non solo per protestare e approvare risoluzioni, ma per fermare le devastazioni operate dal consumo tra la gente negra, per tenere lontani 76
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i ragazzi negri dall’ozio, dagli intrallazzi, dal crimine; per proteggere la purezza delle donne negre e ridurre la vasta schiera delle prostitute negre in marcia verso l’inferno; unito in organizzazioni impegnate a scegliere, attraverso un dibattito attento e uno scambio meditato di opinioni, le direttrici generali della politica e dell’azione dei Negri americani. Questa è la ragione dell’esistenza dell’Accademia Americana Negra. Essa punta a esprimere da subito la personificazione e l’estrinsecazione dell’intelligenza della gente di sangue negro d’America, esponente degli ideali di una delle più grandi razze del mondo. Come tale, per avere successo l’Accademia deve essere a. rappresentativa nella composizione; b. imparziale nella gestione; c. risoluta nella direzione. Dev’essere rappresentativa nella composizione, non perché cercherà di dar voce a tutte le fazioni, ma invece perché tenterà di contenere la parte migliore del pensiero, l’altruismo più impegnato, gli ideali più alti. Ci sono, in angoli e luoghi dimenticati della terra, negri qualificati da una formazione notevole, un pensiero elevato, motivazioni significative, sconosciuti ai loro compagni, che esercitano un’influenza troppo scarsa. L’Accademia Negra dovrebbe riuscire a metterli in rapporto reciproco, dando loro una voce comune. L’Accademia dovrebbe essere gestita in modo imparziale, cercando di entusiasmare la gente attraverso la verità e non le bugie, l’onestà e non le lusinghe. Dovrebbe ricordare continuamente alla gente negra che non si deve aspettare che vengano fatte delle cose per lei ma che è lei a dover fare per sé; che ha nelle proprie mani un grande lavoro di autoriforma, che un pò di compianto e commiserazione in meno e un pò di lavoro ostinato in più, legato soprattutto a uno sforzo, potrebbero determinare un numero di crediti ed effetti positivi superiore a quanto realizzato tramite migliaia di manifesti delle Forze Armate o dei diritti civili. Infine l’Accademia Negra Americana deve indicare una strada concreta per l’avanzamento del popolo negro; ogni negro è di fronte a decisioni relative a centinaia di questioni di politica e di diritto, risolte di volta in volta da ognuno, non in base a una regola, ma per impulso o scelta individuale; per esempio: quale dovrebbe essere l’atteggiamento dei negri verso la formazione degli elettori? Quale quello verso la segregazione scolastica? Come dovrebbe essere trattata la discriminazione sui treni e negli alberghi? Questi problemi non chiedono risposte settoriali: ciascuno deriva da una espressione politica generale, e per avanzarli nessuno potrebbe essere attrezzato meglio di una onesta Accademia Negra rappresentativa. 77
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Tutto questo deve essere realizzato comunque dopo un’attenta organizzazione e un lungo dibattito. Il lavoro immediato che abbiamo di fronte deve essere pratico e con effetto istantaneo sulla situazione dei negri. Il lavoro storico di mettere insieme le varie leggi degli Stati Uniti e dei vari stati dell’Unione relative ai negri è di tale vastità e importanza che nessuno, tranne un’organizzazione di questo tipo, potrebbe pensare di intraprenderlo. Se riuscissimo a portarlo a termine giustificheremmo la nostra esistenza. Nell’ambito della Sociologia siamo di fronte a un lavoro affascinante. Dobbiamo anzitutto guardare la verità in modo rigoroso e coraggioso, non con scuse, ma con un impegno solenne. L’Accademia Negra dovrebbe esprimere una nota di entusiasmo in grado, a sua volta, di riecheggiare in ogni abitazione negra sulla terra: se non dominiamo i nostri attuali vizi, loro domineranno noi; siamo in condizioni disagiate, stiamo sviluppando tendenze criminali, e una percentuale allarmante dei nostri uomini e donne è completamente priva di pudore sul piano sessuale. L’Accademia negra dovrebbe stagliarsi e gridare ai quattro venti, unendosi al proclama di Garrison: non sbaglierò, non arretrerò di un solo passo, e sarò ascoltato. L’Accademia dovrebbe cercare di mettere insieme gli uomini di talento, altruisti, le donne caste e di mente nobile, per combattere un’armata di diavoli che sta rovinando la nostra moralità e femminilità. Sulla terra di Dio non c’è oggi razza più capace, per muscoli, intelletto, morale, di quella negra americana, se indirizzerà le sue energie nella giusta direzione; se vorrà: Superare l’ostacolo ingiusto della sua nascita / e cogliere al volo un’occasione felice, /Affrontare i venti della situazione, / e lottare contro la stella del male. Ho indicato due settori di lavoro per l’Accademia, la scienza e la morale. Infine, rispetto alla politica pratica, voglio suggerire la seguente Dottrina dell’Accademia: 1) riteniamo che la gente della razza negra debba offrire alla civiltà e all’umanità un contributo che non può essere espletato da nessun altro; 2) riteniamo dovere dei Negri americani riuscire a mantenere, in modo unitario, la propria identità di razza finché questa missione della gente negra sia compiuta e l’ideale della fratellanza umana divenga possibilità concreta; 3) riteniamo, a meno che la civiltà moderna non rappresenti un fallimento, davvero possibile e praticabile per due razze, all’interno di una sintonia politica, economica e religiosa essenziale, come quella della gente americana, bianca e di colore, sviluppare fianco a 78
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fianco, in pace e con soddisfazione reciproca, il contributo specifico che ciascuna può offrire alla cultura del proprio paese; come mezzo per questo scopo non invochiamo quell’eguaglianza sociale tra le razze che trascurerebbe, di fatto, desideri e resistenze, ma quell’equilibrio sociale che, in base a tutti i rapporti complicati della vita, darebbe un riconoscimento dovuto e adeguato a cultura, abilità e morale, sia negli individui bianchi che negri; riteniamo che il primo e principale passo verso la composizione di quell’attuale conflitto tra le razze, chiamato in genere il problema negro, stia nella modifica, tra gli stessi negri, dell’immoralità, del crimine e dell’indolenza, retaggio della schiavitù. Crediamo che solo sforzi costanti e prolungati da parte nostra riusciranno a curare questi mali sociali; riteniamo che l’altro grande passo per migliorare il rapporto tra le razze dovrebbe derivare da una selezione imparziale delle opportunità economiche ed intellettuali, da un rispetto maggiore della libertà personale e della dignità, indipendentemente dalla razza, perché solo sforzi convinti da parte dei bianchi di questo paese determineranno gran parte della riforma di cui c’è bisogno in questi settori; sulla base di quanto già detto, e credendo fermamente nel nostro alto destino, noi, negri americani, siamo decisi a lottare lealmente per la realizzazione degli obiettivi migliori e più elevati, lo sviluppo di una umanità vigorosa e di una realtà femminile casta, per il conseguimento degli ideali della razza, in America e in Africa, per la gloria di Dio e l’elevazione della gente negra.
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I Negri di Philadelphia1
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Capitolo 1 – La prospettiva dello studio2 1. Piano generale. – Questo studio presenta i risultati di una ricerca promossa dall’Università della Pennsylvania sulla condizione di 40.000 o più persone di sangue negro oggi presenti a Philadelphia. La ricerca è durata 15 mesi e ha cercato di raccogliere i dati sulla distribuzione geografica di questa razza, le sue occupazioni e la sua vita quotidiana, le sue abitazioni, le sue organizzazioni e, soprattutto, il suo rapporto con i milioni di bianchi che vivono nella stessa città. Suo obiettivo finale è di presentare al pubblico una massa di informazioni che costituisca una guida sicura per gli sforzi tesi alla soluzione di molti problemi dei Negri in una grande città americana. 2. I metodi della ricerca. – L’indagine, iniziata il primo agosto 1896, è continuata, tranne che per due mesi, fino al 31 dicembre 1897. Il lavoro è cominciato con una indagine condotta casa per casa nel Settimo Distretto. Questo territorio, lungo e stretto, che si estende dalla parte inferiore della Settima strada fino al fiume Schuylkill e dalla strada Spruce alla South, rappresenta il centro storico della popolazione negra, e contiene oggi un quinto di tutti i Negri presenti in città3. Si è pensato, dunque, che sarebbe stato meglio svolgere uno studio approfondito delle condizioni di vita in questo distretto, integrando e correggendo poi queste informazioni con osservazioni generali e studi svolti in altre parti della città. Sono stati distribuiti sei questionari tra i novemila Negri di questo di1 The Scope of this Study, 1-4, in The Philadelphia Negro. A Social Study, University of Pennsylvania, Philadelphia, 1899 (ora Schocken Books, New York, 1967). 2 [Nella traduzione si ritiene opportuno non solo mantenere analogo al testo originale il numero dei paragrafi che vengono tradotti, per far vedere la parzialità e discontinuità del testo scelto, ma si ritiene analogamente opportuno mantenere anche la forma originaria del corredo di note, che magari non può essere ritrovata nel testo tradotto, perché riferita ad altro luogo ma che testimonia la forma metodologicamente ricca del sostegno documentario utilizzato da Du Bois nel suo lavoro]. 3 In questo studio userò il termine “Negro”, per designare tutte le persone di discendenza Negra, nonostante l’appellativo sia per certi versi illogico. Scriverò inoltre la parola con l’iniziale maiuscola, perché una massa di otto milioni di Americani vi ha diritto. [Il testo tradotto seguirà quindi, solo per quanto si riferisce a The Philadelphia Negro, l’indicazione evidenziata da Du Bois. Negli altri saggi verrà usato lo stesso il termine negro, senza però ricorrere all’iniziale maiuscola].
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Frontespizio dell’edizione originale de The Philadelphia Negro 81
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stretto; uno per le famiglie, con le solite domande relative al numero dei componenti, età e sesso, la condizione coniugale e il luogo di nascita, la capacità di leggere e scrivere, l’occupazione e i guadagni, ecc.; uno personale, con domande analoghe; uno sulla casa, con domande relative al numero di stanze, fitto, inquilini, servizi, ecc.; uno sulla strada, per raccogliere i dati delle varie straduzze e vicoli, ed uno sulle organizzazioni e istituzioni; infine è stato usato un questionario per gli individui, modificato per le donne di servizio che vivono nei luoghi del loro lavoro4. Questo studio dell’area centrale di vita dei Negri fornisce una chiave di lettura della situazione nella città; invece negli altri distretti è stata svolta una ricerca generale per registrare le impressionanti differenze di condizioni, accertare la distribuzione complessiva di queste persone, e raccogliere informazioni e dati statistici su organizzazioni, proprietà, crimine e povertà, attività politica e così via. Questa ricerca generale, priva, nella maggior parte dei casi, di metodi precisi di misurazione, è comunque servita a correggere gli errori e ad illustrare il significato del materiale statistico raccolto tramite l’analisi casa per casa. In questo studio sono stati usati dati ufficiali, statistici e storici, ritenuti attendibili, e sono stati liberamente consultati esperti, bianchi come anche di colore. 3. L’attendibilità dei risultati. – Attualmente i metodi più validi di ricerca sociologica sono così soggetti a errori che lo studioso attento è restio a divulgare i risultati della ricerca individuale; sa che sono soggetti agli errori derivanti dai difetti, apparentemente ineliminabili, del metodo statistico, come anche a quelli, persino superiori, derivanti dai metodi di osservazione generale, e, soprattutto, dal timore costante che qualche pregiudizio personale, convinzione morale o direttrice inconscia di pensiero, dovuti al retroterra formativo precedente, abbiano potuto in qualche modo distorcere il quadro nella sua prospettiva generale. Ognuno ha, in misura maggiore o minore, convinzioni sui grandi temi di interesse umano, i quali entreranno a far parte, in qualche modo, come variabile instabile, anche della ricerca scientifica più distaccata. Peraltro restano problemi sociali che richiedono uno studio attento e domande che attendono risposte soddisfacenti. Dobbiamo studiare, analizzare, cercare di trovare soluzioni; e il massimo che il mondo può chiedere non è tanto l’assenza di interesse umano e di convinzioni morali, ma piuttosto, anche se può risultare sgradevole, una accorata imparzialità e un ardente desiderio di verità. 4
Per la forma del questionario usato, vedi Appendice A [non presente nel testo].
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In una ricerca casa per casa vi sono, al di là degli atteggiamenti del ricercatore, molte fonti di errore: fraintendimenti, vaghezza, smemoratezza e dimenticanza, come anche la falsificazione consapevole da parte degli intervistati, che possono viziare notevolmente il valore delle risposte; d’altro canto le conclusioni tratte dagli studiosi meglio formati e dai ricercatori più coscienziosi, sulla base dell’osservazione generale e della ricerca, derivano in realtà da pochi dei molteplici fatti della vita sociale, i quali possono facilmente non riuscire ad essere fondamentali o rappresentativi. L’uso di entrambi questi metodi, provato in questo studio, potrebbe forse essere riuscito, in un certo senso, a correggere i rispettivi errori. Inoltre, qualunque variabile personale si voglia considerare nell’ambito dell’intero studio, essa avrà un carattere costante poiché il lavoro è stato svolto da un solo ricercatore, evitando così l’eterogeneità dei giudizi determinata dalla presenza di molteplici raccoglitori di dati5. Comunque, malgrado tutti gli ostacoli e le difficoltà, i principali risultati di questa ricerca sembrano attendibili. Essi concordano, in gran parte, con l’opinione pubblica generale, e non sembrano peraltro solo spiegabili sul piano logico ma anche concordi con le circostanze storiche precedenti. Inoltre vengono presentati al pubblico non tanto come completi ed esenti da errori, quanto come un materiale, abbastanza generale, in grado di fornire la base scientifica per uno studio ulteriore e una riforma concreta.
Capitolo 2 – Il problema6 1. I problemi dei Negri di Philadelphia. – A Philadelphia, come altrove negli Stati Uniti, è molto evidente la presenza di una serie di problemi sociali specifici relativi ai Negri. Qui c’è un gruppo consistente di persone – forse 45.000, una città nella città – non integrate nella realtà sociale più ampia. Anche questo non è insolito in sé; vi sono altri gruppi non assimilati: Ebrei, Italiani, persino Americani; eppure nel caso dei Negri la segregazione è più consistente, palese, e si presenta intrecciata ad una lunga evoluzione storica, con problemi sociali particolarmente pressanti di povertà, ignoranza, crimine e lavoro, tanto che la questione negra ha so5 Lo studio aggiunto sul lavoro domestico è stato svolto da Miss Isabel Eaton, Fellow della College Settlements Association. Al di là di questo, il lavoro è stato realizzato da un solo ricercatore. 6 The Negro Problems of Philadelphia, 5-9, in The Philadelphia Negro. A Social Study, University of Pennsylvania, Philadelphia, 1899 (ora New York, Schocken Books, 1967).
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pravanzato di gran lunga, per interesse scientifico e rilevanza sociale, la maggior parte degli altri problemi di razza o di classe. Chi li studia deve chiedersi anzitutto quale sia la condizione reale di questo gruppo di essere umani. Chi lo compone, quali sotto-gruppi e classi ne fanno parte, quale specie di individui è stata presa in considerazione? Inoltre lo studioso deve saper riconoscere chiaramente che una indagine esauriente non deve limitarsi al gruppo, ma deve prendere in considerazione in particolare l’ambiente, quello fisico della città, i quartieri e le case, e quello assai più significativo, sociale – il mondo circostante di costumi, desideri, fantasie, e dell’orientamento che pervade questo gruppo e ne influenza in modo notevole lo sviluppo sociale. E il lavoro non è semplificato ma anzi complicato da una delineazione chiara del campo di ricerca, perché fa emergere direttrici di indagine legate a prospettive molto più ampie di quelle suggerite dalle prime riflessioni. Per l’abitante medio di Philadelphia l’intero problema negro si riduce allo studio di certi slum. La sua riflessione rimanda alla Settima e alla Lombard e alle attuali strade Dodicesima e Kater, o alla St. Mary del passato. L’intervento caritatevole, continuo e ben conosciuto in questi quartieri, rende familiare il problema della povertà; crimini violenti e audaci, troppo spesso imputati a queste aree, hanno richiamato l’attenzione dei cittadini sui problemi della criminalità, mentre il gran numero di fannulloni, perdigiorno e prostitute, che affollano continuamente i marciapiedi, ricorda loro il problema del lavoro. Tutto questo è vero – tutti questi problemi, minacciosamente complessi, ci sono; ma, sfortunatamente, l’interesse dell’uomo comune d’affari tende a fermarsi su quel dato. Il crimine, la povertà e l’ozio colpiscono spesso negativamente i suoi interessi e gli piacerebbe vederli venire meno; considera questi slum e la loro realtà, come pieni di fattori spiacevoli che dovrebbero, in qualche modo, essere rimossi nell’interesse di tutti. Fin qui lo studioso sociale concorda con lui, ma sottolinea che la rimozione di caratteri sgradevoli alla nostra complicata vita moderna è operazione delicata, che richiede conoscenza e capacità; che uno slum non è un fatto semplice, ma un sintomo, e che conoscere le cause in grado di rimuovere gli slum Negri di Philadelphia richiede uno studio che travalica nettamente quei distretti, perché pochi abitanti di Philadelphia sono davvero consapevoli di come la popolazione Negra è cresciuta e si è estesa. Ci fu un tempo, nella memoria degli uomini, in cui un piccolo distretto, vicino alla Sesta e alla Lombard, conteneva la maggior parte della popolazione Negra della città. Non è più così. La sua mobilità si è indirizzata rapidamente verso nord, ma è stata costretta a tornare sui suoi passi per l’aumento dell’immigrazione straniera, nel 1830 e in seguito. Si è diretta anche verso 84
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sud, ma è stata ostacolata dalle case povere e da una dura resistenza della polizia. Infine quella mobilità, riacquistando dinamica, si è diretta dagli slum verso ovest, procedendo lentamente e con sicurezza, utilizzando la Lombard come percorso principale, guadagnando rapidamente terreno verso la parte occidentale di Philadelphia, e dirigendosi verso le aree più nuove della città, a nord e sud del fiume Schuylkill. Così oggi i Negri sono diffusi in ogni distretto della città, mentre gran parte di loro vive lontano dall’antico centro d’insediamento delle persone di colore. Qual è, dunque, il destino di questa grande aggregazione di popolazione? Essa forma evidentemente una classe con propri problemi sociali – quelli del Trentesimo Distretto differiscono da quelli del Quinto, come anche i rispettivi abitanti Negri. Nel distretto precedente è presumibile la varia composizione della classe Negra lavoratrice; braccianti e servitori, facchini e camerieri. Questa è oggi la grande classe media di Negri che alimenta gli slum, da un lato, e la classe superiore, dall’altro. Qui ci sono problemi sociali e condizioni che richiedono l’attenzione più accurata e una paziente interpretazione. Il ricercatore sociale non può comunque fermarsi neanche qui. Sa che ogni gruppo ha una sua classe superiore, magari numericamente ristretta e socialmente di poco peso, e tuttavia studiarla è essenziale per la comprensione complessiva – essa costituisce l’ideale realizzato del gruppo, e, se è vero che una nazione deve, in certo senso, essere valutata in base ai suoi slum, è anche vero che alla fine può essere compresa e giudicata in base alla sua classe superiore. La classe migliore dei Negri di Philadelphia, anche se a volte dimenticata o ignorata nella discussione dei suoi problemi, è conosciuta da molti abitanti di questa città. Sparsa da un capo all’altro delle parti più qualificate del Settimo distretto, e sulla Dodicesima, sulle parti inferiori della Diciassettesima e della Diciannovesima strada, e in varie zone residenziali delle aree nord, sud e ovest della città, c’è una classe di ristoratori, impiegati, insegnanti, professionisti, piccoli commercianti, ecc., che costituisce l’aristocrazia negra. Molti sono agiati, alcuni ricchi, tutti ben educati, una parte istruita in modo liberale. Anche in questo caso ci sono problemi sociali – differenti da quelli delle altre classi, come pure da quelli dei bianchi di grado corrispondente, a causa dell’ambiente sociale particolare in cui l’intera razza si trova, che percepisce, ma che colpisce a più livelli questa classe superiore, e ne parla in modo molto chiaro. In una grande città del nord i fraintendimenti e le false dichiarazioni legati all’ambiente sociale dei Negri sono molti. A volte si è detto che qui i negri sono liberi, con le stesse possibilità di Irlandesi, Italiani o Svedesi; altre volte che in realtà l’ambiente è più oppressivo di quello delle città del 85
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sud. Lo studioso deve ignorare entrambe queste affermazioni estreme, e cercare di estrarre da una massa complicata di fatti l’evidenza concreta dell’atmosfera sociale che attornia i Negri, differente da quella che circonda la maggior parte dei bianchi, come anche il particolare atteggiamento mentale, lo standard morale e il giudizio economico mostrati verso i Negri e non verso la gran parte del resto della popolazione. Pochi negano l’esistenza di una differenza come anche il fatto che tale atmosfera possa, ora come allora, essere percepita facilmente; ma per quanto il problema dei Negri possa essere considerato esteso e ampio, niente può evidenziarlo meglio di uno studio e una misurazione accurati. E sono proprio queste manifestazioni della condizione sociale e dell’ambiente che il nostro studio si propone di descrivere, analizzare, e, per quanto possibile, interpretare. 2. Sommario del lavoro. – Lo studio qui presentato si divide, grosso modo, in quattro parti: la storia del popolo negro nella città, la sua condizione attuale considerata individualmente, quella che lo vede come gruppo sociale organizzato e il suo ambiente fisico e sociale. Alla storia dei Negri, tuttavia, sono dedicati solo due capitoli – un breve schizzo – sebbene il soggetto meriti uno studio più esteso di quanto consentito da questo saggio. Sei capitoli trattano la condizione generale dei Negri: quantità, età e sesso, stato civile e luogo di nascita; titolo di studio conseguito e tipo di lavoro svolto. In genere sono tutti trattati in modo molto dettagliato in riferimento al Settimo distretto e sul piano più generale per la città, e a questo si aggiunge poi il materiale storico utile per una comparazione. Tre capitoli sono dedicati alla vita di gruppo dei Negri, e cioè uno studio della famiglia, uno della proprietà e uno delle varie organizzazioni. Si prendono in considerazione anche i fenomeni di disadattamento sociale e depravazione individuale come il crimine, la povertà e l’alcolismo. Un capitolo è dedicato al problema, difficile tanto dal punto di vista fisico che da quello sociale, dell’ambiente, uno ad una serie di risultati del contatto tra la razza bianca e quella negra, uno al voto dei Negri, ed al tutto è aggiunta una valutazione generale sul carattere della riforma sociale.
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I Negri a Philadelphia, 1820-18961
10. Fuggitivi e stranieri, 1820-1840. – I decenni dal 1820 al 1840 hanno assunto un carattere critico per la nazione e per i Negri di Philadelphia per effetto di cinque fattori dello sviluppo sociale: primo, l’impulso della rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo; secondo, la reazione e la ripresa successive alla Guerra del 1812; terzo, il rapido aumento dell’immigrazione straniera; quarto, l’incremento, specie a Philadelphia, di Negri liberi e di schiavi fuggitivi; quinto, la nascita dell’Abolizionismo e la controversia sulla schiavitù. Philadelphia rappresentava la porta naturale tra nord e sud, e per un lungo tempo fu luogo di transito di una corrente di Negri liberi e di schiavi fuggitivi diretti a nord, come anche di Negri ricatturati e persone di colore rapite diretti a sud. A partire dal 1820 il flusso verso nord aumentò, provocando un risentimento da parte del sud, e determinando il Fugitive Slave Act del 1820 e le legislazioni contrapposte della Pennsylvania nel 1826 e nel 18272. Durante questo periodo la città si inizia a riempire di nuovi insediamenti di liberti della Pennsylvania, e in particolare dei loro figli. Nello stesso tempo il flusso di immigrazione straniera in arrivo cominciò ad aumentare, e dal 1830 raggiunse mezzo milione di persone all’anno. L’effetto di questi movimenti risultò disastroso per i Negri di Philadelphia; le loro classi superiori – i Joneses, gli Allens e i Fortens – non potevano rifugiarsi nella massa di popolazione bianca e lasciare i nuovi Negri a combattere le loro battaglie contro gli stranieri. Non fu tracciata alcuna distinzione tra i Negri, tanto meno dalle nuove famiglie del sud che ora avevano individuato Philadelphia come loro casa e non erano spinte artificiosamente ad irragionevoli pregiudizi dalle agitazioni degli schiavi. A questo si deve aggiungere un conflitto economico intenso, una ripresa di quello del diciottesimo secolo contro i lavoratori Negri. Le nuove industrie attraevano Irlandesi, Tedeschi e altri immigrati; anche gli Americani stavano affollando la città, e presto alle tradizionali antipatie razziali si aggiunse lo sforzo teso a sostituire il lavoro negro – sforzo segnato dal 1 The Negro in Phladelphia, 1820-1896, 25-45, in The Philadelphia Negro. A Social Study, University of Pennsylvania, Philadelphia, 1899 (ora New York, Schocken Books, 1967). 2 Queste leggi erano dirette in special modo contro i rapimenti ed erano studiate per proteggere i Negri liberi: cfr. Appendice B. La legge del 1826 fu dichiarata incostituzionale nel 1842 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti: cfr. 16 Peters, 500 ff.
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pregiudizio rinnovato di molti delle classi superiori, e dalle qualità ridotte dei nuovi abitanti Negri nel dare sostegno e conforto. A tutto questo si aggiunse rapidamente un problema di crimine e povertà. Numerose denunce di piccoli furti, di violazioni delle case e di assalti a cittadini pacifici furono attribuite ad alcuni settori di Negri. Invano la classe superiore, guidata da uomini come Forten, aveva espresso in incontri pubblici la sua condanna3; la massa si era scagliata con forza contro i Negri, e l’intero periodo tra il 1820 e il 1840 divenne un’epoca di regressione delle masse negre, di disapprovazione e repressione gestite dai bianchi. Dal 1830 la popolazione nera della città e dei distretti era aumentata fino a 15.624, aumento del 27 per cento nel decennio tra il 1820 e il 1830, e del 48 per cento rispetto al 1810. Eppure, la crescita complessiva della città aveva superato di gran lunga questo aumento; dal 1830 la contea aveva quasi 175.000 bianchi, tra i quali vi fu un rapido incremento di 5.000 stranieri. L’antipatia nei confronti delle classi inferiori era così intensa e ebbe un sostegno così forte da parte della classe media e superiore bianca, che nel 1829 iniziò una serie di rivolte, prolungatesi fino al 1840 circa, dirette principalmente contro i Negri, che non cessarono del tutto fino al dopoguerra. Furono determinate da vari incidenti, ma alla loro base c’era sempre la stessa causa: l’influsso contemporaneo di liberti, fuggitivi e stranieri in una grande città, e i pregiudizi, le illegalità, i crimini e la povertà, che ne derivavano. L’agitazione degli Abolizionisti fu il fiammifero che incendiò questo combustibile. Nel giugno e luglio 1829, Mrs. Fanny Wright Darusmont, una donna Scozzese, pronunciò a Philadelphia una serie di discorsi, nei quali invocava coraggiosamente l’emancipazione dei Negri e qualcosa di molto simile all’eguaglianza sociale delle razze. Questo creò grande tensione in città, e nel tardo autunno, sotto la spinta di alcuni scontri personali4, esplose la prima rivolta contro i Negri. L’assemblea legislativa aveva proposto di frenare ogni ulteriore afflusso di Negri del sud assegnando delle tessere a quelli liberi ed escludendo tutti gli altri; l’arrivo di quelli sfuggiti al massacro di Southampton fu l’occasione di questo tentativo di blocco, e i simpatizzanti dei Negri riuscirono a stento a non farlo approvare5. I Quaccheri si affrettarono a sconsigliare la consegna dei fuggitivi allo Stato “perché gli effetti di tale misura sarebbero stati probabilmente disastrosi per la pace e la tranquillità del3 Un incontro di Negri, tenuto nel 1822 nella chiesa A. M. E., denunciò i crimini e i criminali Negri. 4 History of Philadelphia di Scharf-Westcott, I, 824. In questo periodo c’era in città molta illegalità del tutto scollegata dalla presenza dei Negri, e che in generale portava a rivolte e disordini. Cfr. History of Consolidation di Price. 5 Southampton fu la scena della famosa insurrezione dei Negri di Nat Turner.
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l’intera popolazione di colore della Pennsylvania”. Edward Bettle, temendo che le leggi del 1826 e 1827 sarebbero state abolite, “lasciando così ai rapitori mano libera per le loro azioni tremende” dichiarò nel 1832: “Qui l’opinione pubblica è più sveglia, almeno tra le persone rispettabili, di quanto sia stato per molti anni”6. Nel 1833 si tenne una manifestazione contro gli Abolizionisti, e nel 1834 si verificarono gravi rivolte. Una notte d’agosto una folla di diverse centinaia di giovani e uomini, armati di bastoni, marciò lungo la Settima strada fino all’Ospedale della Pennsylvania. Altri si unirono loro e procedettero tutti lungo la South, vicino all’Ottava, dove c’erano locali di divertimento nei quali si erano riuniti molti Negri. Qui iniziò la rivolta, e quattro, cinquecento persone si scontrarono in un combattimento di strada privo di regole. Furono distrutti edifici e aggrediti gli abitanti sulle strade Bedford e St. Mary e nei vicoli vicini, fin quando poliziotti e agenti riuscirono a sedare il tumulto. La tregua fu comunque solo temporanea, perché la notte successiva la folla si radunò di nuovo nella Settima e a Bainbridge: prima distrusse una chiesa dei Negri ed una casa vicina, poi ne attaccò circa venti abitazioni; “sono testimoniati grandi eccessi commessi dalla folla, e si dice ci siano stati uno o più episodi molto ripugnanti”. Che le rivolte scaturissero da piani prestabiliti era mostrato dai segnali – luci alle finestre – tramite i quali erano individuabili le case dei bianchi, mentre quelle dei Negri venivano attaccate e i loro abitanti aggrediti e malmenati. Durante questa iniziativa notturna, prima che il sindaco e le autorità disperdessero i rivoltosi, un negro fu ucciso e parecchie persone ferite gravemente. La notte successiva la folla si radunò di nuovo in un’altra parte della città e distrusse un’altra chiesa dei Negri. Da allora questi iniziarono a radunarsi per autodifesa, e un centinaio di loro si barricò in un edificio sulla Settima strada, sotto la Lombard, dove si raccolse rapidamente una folla urlante di bianchi. Il sindaco convinse i Negri a ritirarsi, e la rivolta terminò. Nei tre giorni di rivolta furono distrutte trentuno case e due chiese e fu ucciso Stephen James “un negro laborioso e onesto”7. L’assemblea cittadina del 15 settembre condannò le rivolte e deliberò il rimborso a favore di coloro che erano stati danneggiati, ma colse anche l’occasione per condannare l’intralcio alla giustizia svolto dai Negri quando era stato arrestato qualcuno di loro, come anche il clamore sollevato all’interno delle chiese Negre. I focolai di tensione, soffocati per circa un anno, si riaccesero quando Juan, uno schiavo cubano, uccise il suo padrone. Le classi inferiori si ridestarono e in breve una folla si riunì agli ango6 7
Lettera a Nathan Mendelhall, della Carolina del Nord. Register di Hazard, XIV, 126-28, 200-203.
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li delle strade Sesta e Settima e Lombard, iniziando la distruzione e le violenze, culminate nell’incendio di una fila di case sull’Ottava strada, e nell’allontanamento dei vigili del fuoco. La notte seguente la folla si radunò di nuovo e attaccò una casa in St. Mary street, dove si era barricato un gruppo armato di Negri. Alla fine arrivarono il sindaco e il cancelliere e, dopo aver ammonito severamente i Negri (!), li convinsero ad allontanarsi. Per l’intero pomeriggio bambini e donne di colore fuggirono dalla città8. Ad oggi sono passati tre anni senza il manifestarsi di seri disordini, sebbene i fuorilegge, che si erano conquistati quel punto di appoggio, diano ancora fastidio. Nel 1838 furono commessi dai Negri due omicidi – uno dei cui autori fu riconosciuto come un forsennato. Ai funerali di una di queste vittime, la rivolta iniziò di nuovo, la folla si radunò sulla Passyunk e sulla Quinta strada, lungo la quale marciò. Si ripeterono le stesse scene ma alla fine la folla fu dispersa9. In seguito nello stesso anno, in occasione della inaugurazione della Pennsylvania Hall, riconosciuta centro dell’agitazione anti-schiavista, la folla, incoraggiata dal rifiuto del sindaco di fornire una protezione adeguata di polizia, bruciò completamente la sala, e la notte successiva l’Albergo per Orfani di colore sulla Tredicesima e Callowhill street, danneggiando la Bethel Church, sulla Sesta strada10. L’ultima di queste rivolte ebbe luogo nel 1842 quando una folla devastò il distretto tra la Quinta e l’Ottava strada, vicino alla Lombard, assalì e picchiò i Negri e saccheggiò le loro case, diede alle fiamme una sala dei Negri e una chiesa; il giorno dopo la rivolta si estese all’area tra la South e Fitzwater e alla fine fu repressa dall’intervento della milizia e dell’artiglieria11. Durante queste rivolte ebbe successo l’iniziativa tesa a privare i Negri liberi di quel diritto al voto di cui avevano goduto per quasi cinquanta anni. Nel 1836 fu discusso in tribunale il caso di un negro cui era stato negato il diritto di voto. La corte stabilì, con una decisione singolare, che i Negri liberi non erano “uomini liberi”, nella stessa accezione del testo costituzionale e, inoltre, che non potevano votare12. La riforma della convenzione risolse il problema inserendo nella Costituzione del 1837 la parola “bianco” tra i requisiti per l’elezione13. I Negri protestarono conti8
Ibid., XVI, 35-38. Philadelphia, di Scharf-Westcott, I, 654-5. 10 Price, History of Consolidation, ecc., Cap. VII. La contea pagò infine 22.658.27 dollari, con interessi e costi, per la distruzione della sala. 11 Scharf-Westcott, I, 660-1. 12 Caso di Fogg vs. Hobbs, 6 Watts, 553-60. Vedi Capitolo XII. 13 Vedi Capitolo XII e Appendice B. 9
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nuamente con incontri e appelli. «Ci appelliamo a voi», dicevano, «in merito alla decisione della “Riforma della Convenzione”, che ci ha privato di un diritto goduto tranquillamente per quarantasette anni sotto la giurisdizione di questa nazione. Amiamo troppo la Pennsylvania e le sue nobili istituzioni, come suoi liberi cittadini per rinunciare senza lottare, a un nostro diritto di nascita. Per tutti i suoi cittadini il valore del diritto al voto è legato alla sua libertà; ma certo nessuno di noi può accettare di farne a meno». Pure quel diritto fu perso, perché l’appello rimase inascoltato14. Questo modificarsi dell’opinione pubblica a Philadelphia tra il 1790 e il 1837 consente una osservazione particolare della natura umana, ma proprio non la spiega, poiché nasce da una combinazione di circostanze. Se, come nel 1790, ai nuovi liberti fossero stati offerti pace, tranquillità e lavoro abbondante per sviluppare leader sensibili e ambiziosi, l’esito sarebbe stato differente; ma una massa di individui molto poveri, fuggitivi ignoranti e liberti maleducati si era precipitata in città, si affollò negli slum nauseabondi prodotti dal suo rapido sviluppo, e nella competizione economica e sociale, incontrò stranieri altrettanto ignoranti ma più forti. Questi offrivano più di loro sul lavoro, li picchiavano per le strade, e potevano comportarsi così grazie al pregiudizio sorto in città per la criminalità Negra e per i sentimenti antischiavista. Nonostante questo la classe migliore dei Negri non si arrese mai. Crebbe il numero di coloro che frequentavano le scuole; aumentarono le loro chiese e le società umanitarie; e si svolsero incontri pubblici di protesta e solidarietà. E due volte, nel 1831 e nel 1833, in città, si tenne, una Convenzione generale nazionale dei Negri liberi, in rappresentanza dai cinque agli otto Stati. Essa tentò, tra le altre cose, di attirare l’attenzione dei filantropi della città per la fondazione di una scuola industriale Negra15. Quando nel 1832 l’Assemblea Legislativa si mostrò disponibile a limitare le libertà dei Negri, questi tennero un raduno di massa, commemorarono il complesso delle leggi, e si sforzarono di mostrare che non tutti i Negri erano criminali e poveri. Dichiararono che mentre i Negri costituivano l’otto per cento della popolazione pure fornivano solo il quattro per cento dei poveri, e dalle ricevute fiscali correttamente prodotte si poteva dedurre che detenevano in città almeno 350.000 dollari di proprietà tassabile. Inoltre dissero: «Nonostante la difficoltà, dovuta al pregiudizio, contro cui dobbiamo lottare per ottenere posti nei quali i nostri 14
Appello di 40.000 cittadini, ecc., Philadelphia, 1838. Scritto soprattutto dal defunto Robert Purvis, genero di James Forten. 15 Si vedano le bozze della Convenzione; la scuola doveva essere situata a New Haven, ma le autorità, in una serie di incontri urbani, protestarono tanto vigorosamente che il progetto dovette essere abbandonato. Cf. anche Hazard, V, 143.
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figli imparino mestieri operai, vi sono tra le quattro e cinquecento persone di colore che svolgono occupazioni operaie»16. Il censimento della Abolition Society affermò che nel 1837 c’erano 1724 bambini Negri a scuola, 309.626 dollari di proprietà sgombre, 16 chiese e 100 società di beneficenza. 11. La società degli approvvigionatori. 1840-187017. – Intorno al 1840 la prospettiva per i Negri non era incoraggiante. È stata citata l’ultima della prima serie di rivolte verificatasi nel 1842 a Philadelphia. Le autorità furono richiamate al loro dovere da quest’ultima esplosione di barbarie, e per diversi anni si riuscì a controllare lo spirito di illegalità, che ora travalicava la questione razziale minacciando seriamente il buon nome della città. Comunque, nel 1849, all’angolo della Sesta e di St. Mary una folla aggredì un mulatto sposato con una donna bianca, e lì divampò, per una notte e un giorno, uno scontro violento; vigili del fuoco combatterono con vigili del fuoco; i Negri, spinti dalla disperazione, si batterono furiosamente; furono bruciate case e vennero usate armi da fuoco, con il risultato che furono uccisi tre uomini bianchi e uno negro e furono portati all’ospedale 25 feriti. Prima che la rivolta si sedasse fu chiamata due volte la milizia. Queste rivolte, e l’ondata di pregiudizio e di proibizione economica, spinsero molti Negri ad andare via dalla città, tanto che nel decennio 1840-50 la popolazione negra subì un concreto decremento. A peggiorare le cose, nella città il buon nome dei Negri era entrato in crisi per l’incremento del crimine e per l’innegabile condizione spaventosa degli slum Negri. Gli stranieri ottennero tutti i nuovi posti di lavoro aperti dallo sviluppo delle industrie statali, e fecero a gara per i commerci e gli impieghi comuni. La prospettiva era davvero buia. Fu allora che una società commerciale conquistò rilievo e potere senza precedenti in una città di tipo medievale. Essa assunse la leadership complessiva del gruppo disorientato di Negri, portandoli lentamente ad un grado di benessere, cultura e rispetto probabilmente senza precedenti nella storia dei Negri d’America. Questa fu la società degli approvvigionatori (caterers), e tra i suoi capi vi erano nomi che per cinquant’anni 16
Register di Hazard, IX, 361-2. [Il termine “approvvigionatore” risulta probabilmente fastidioso, o apparentemente improprio, ma nel testo originale Du Bois usa già all’epoca i termini “caterer” e “catering” entrati, il secondo in particolare, solo da pochi anni, in forma non tradotta “catering”, autore o autrice del “catering”, nel nostro linguaggio. Si preferisce perciò utlizzare nel testo il termine di approvvigionatori che mostra la forma di un’attività in sviluppo, e che è in via di assunzione delle “qualità” che mostrerà e le saranno attribuite nel giro di pochi anni N.d.C.]. 17
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avevano corrisposto a termini comuni nella città: Bogle, Augustin, Prosser, Dorsey, Jones e Minton. Per comprendere il carattere di questa nuova area dello sviluppo economico non bisogna dimenticare la storia economica degli schiavi. All’inizio erano solo servi di casa o braccia nei campi. Quando nella colonia la vita urbana divenne più importante, alcuni di loro impararono dei mestieri, e così sorse una classe di artigiani Negri. Fin quando gli interessi economici della classe che possedeva gli schiavi restarono separati da questi artigiani, la protesta degli operai bianchi ebbe poco effetto; ma è probabile che tra il 1790 e il 1820 una porzione molto ampia, forse la maggior parte, degli artigiani di Philadelphia fosse Negra. Inoltre, comunque, la notevole competizione degli stranieri e la domanda di nuovi tipi di manodopera qualificata, sconosciuta ai Negri, che non potevano impararla, misero sempre più con le spalle al muro gli artigiani Negri. Nel 1837, su una popolazione di 10.500 abitanti, solo circa 350 Negri esercitavano un mestiere, uno ogni venti adulti. Dunque, il problema di arrivare a un livello di vita decente fu pressante per la parte più attiva di Negri. Un gran numero di loro continuava a dipendere dal lavoro domestico, nel quale mantenevano ancora un reale monopolio, e da quello comune, nel quale erano in competizione con gli Irlandesi. Per i Negri più grintosi ed energici c’erano solo due strade: entrare in modo dimesso nella vita commerciale, o sviluppare alcune specificità del servizio domestico attraverso un lavoro più indipendente e lucrativo. Rispetto a quest’ultimo punto si registrarono i progressi più sorprendenti; l’intera impresa della ristorazione, derivante da un’evoluzione guidata in modo astuto, continuo e raffinato, trasformò cuochi e camerieri Negri in ristoratori e approvvigionatori pubblici, e portò una classe di servi sottopagati a costituire un gruppo rinnovato di uomini d’affari, auto-organizzati, che accumulavano fortune conquistando nello stesso tempo un rispetto generale per la propria gente. Il primo importante ristoratore negro fu Robert Bogle, il quale, all’inizio del secolo, dirigeva uno stabilimento sull’Ottava strada, vicino Sansom. A quel tempo era una delle personalità più conosciute di Philadelphia, e in pratica creò il business del catering in città18. Come il maggiordomo o il cameriere di una famiglia privata organizzavano i pasti e la assistevano nelle occasioni quotidiane, allo stesso modo il cameriere pubblico si trovò a servire differenti famiglie, con lo stesso ruolo ma con fun18 Ode to Bogle di Biddle, è una satira molto nota; allo stesso Bogle è attribuita notevole astuzia. «Tu sei tra le persone che camminano nel buio», gli disse una volta un eminente ecclesiastico in una sala poco illuminata. “Ma”, replicò Bogle, chinandosi davanti al distinto gentiluomo, «Io ho visto una grande luce».
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zioni più ampie ed elaborate; egli rappresentava il maggiordomo del bel mondo, e il suo gusto, quanto a tatto, occhio e palato, segnava la moda del giorno. Questo funzionario ricopriva un posto particolare in una fase nella quale la cerchia sociale era molto esclusiva, ed il cuoco milionario e francese non era ancora arrivato. Il posto di Bogle fu poi preso da Peter Augustin, immigrato dalle Indie orientali, che nel 1818 avviò un’attività tuttora fiorente. Fu lo stabilimento Augustin a rendere il catering di Philadelphia famoso in tutto il paese. Le migliori famiglie della città e i più illustri ospiti stranieri erano serviti da questo approvvigionatore. Presto altri Negri iniziarono ad impegnarsi in questa attività nuova. Tra loro furono importanti i Prossers, padre e figlio, che migliorarono il catering da ristorante e furono inventori di molti piatti famosi. Infine subentrò il triumvirato Jones, Dorsey e Minton, che guidò il mondo alla moda nel periodo tra il 1845 e il 1875. Tra questi Dorsey aveva un carattere particolare; dotato di scarsa educazione ma di grande raffinatezza di modi, acquisì un peso reale nella comunità legandosi a molti uomini eminenti. «Aveva l’influenza di un dittatore. Quando un Democratico richiedeva il suo umile servizio rifiutava, perché “non poteva servire alla tavola di un partito di persone sleali verso il governo, e Lincoln” – diceva, indicando il quadro nella sua sala d’aspetto – “era il governo”»19. Nativo della Virginia, uomo di grande diligenza e lealtà, Jones ristorò le famiglie di Philadelphia, New 19 Si veda sul “Times” di Philadelphia, il 17 Ottobre 1896, la seguente nota di “Megargee”: Dorsey faceva parte del triumvirato degli approvvigionatori di colore – gli altri due erano Henry Jones e Henry Minton, definito, alcuni anni fa, in grado di governare il mondo sociale di Philadelphia attraverso il suo stomaco. Era il tempo in cui l’insalata di gamberi, le crocchette di pollo, i granchi alla graticola e le tartarughe costituivano la sostanza del mangiare ad ogni grande riunione di Philadelphia, e nessuno di questi piatti era ritenuto preparato in modo adeguato a meno che non provenisse dalle mani di uno degli uomini sopranominati. Senza fare nessun fastidioso paragone tra quei maestri dell’arte gastronomica, si può dire imparzialmente che, al di là della sua cucina, Thomas J. Dorsey superava gli altri per rango. Sebbene privo di istruzione, possedeva un istinto naturalmente raffinato che lo portava a circondarsi di uomini e cose di livello elevato. Il suo vanto più diffuso fu che alla sua tavola, nella sua residenza di Locus street, si erano seduti Charles Sumner, William Lloyd Garrison, John W. Forney, William D. Kelley e Fred Douglass. Egli, inoltre, era stato tenuto in schiavitù da un piantatore del Maryland. E non era fuggito dalle sue catene fin quando non aveva acquisito una condizione di uomo. Fuggì in questa città, ma fu ripreso e restituito al suo padrone. Durante la sua breve permanenza a Philadelphia, comunque, si fece degli amici, i quali raccolsero una somma sufficiente per comprare la sua libertà. Come approvvigionatore conquistò rapidamente fama e fortuna. La sua esperienza degli orrori della schiavitù gli aveva istillato un’eterna riverenza per i difensori della sua razza calpestata, gli Abolizionisti vecchio-stampo. Acquisì un ruolo prominente in tutti gli sforzi per elevare la propria gente, e in questo modo stabilì contatti stretti con Sumner, Garrison, Forney e altri.
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Jersey e New York20. Minton, il più giovane dei tre, gestì a lungo un ristorante tra la Quarta e Chestnut, e divenne, come gli altri, moderatamente ricco21. Quegli uomini esercitarono grande influenza personale, sostennero notevolmente la causa Abolizionista, e resero Philadelphia famosa per i suoi cittadini Negri, colti e agiati. Il loro successo evidente dischiuse opportunità ai Negri in altri settori. Fu in questo periodo che Stephen Smith, commerciante di legname, accumulò una fortuna molto consistente, con cui in seguito sovvenzionò in modo cospicuo una casa per Negri anziani e ammalati. Whipper, Vidal e Purnell furono associati a Smith in momenti diversi. Still e Bowser erano mercanti di carbone e Adger di mobili. Ci furono anche alcuni artisti di qualità: Bowser, che dipinse un ritratto di Lincoln, e Douglass e Burr; Johnson, compositore e leader di una famosa band di colore22. Durante questo periodo di impegno, miglioramento e assimilazione la popolazione Negra aumentò lentamente, perché il conflitto economico era troppo forte per permettere matrimoni giovani e non selezionati, e gli immigrati erano stati spaventati dalle rivolte. Nel 1840 c’erano 19.833 Negri nella contea, mentre dieci anni dopo solo 19.761. Nel decennio successivo vi fu un moderato incremento, fino a 22.185, quando poi la guerra determinò un lieve decremento, lasciando la popolazione Negra a 22.147 nel 1870. Intanto la popolazione bianca era aumentata ad intervalli:
Popolazione della contea di Philadelphia, 1840-1870 Anno 1840 1850 1860 1870
Bianchi 238.204 389.001 543.344 651.854
Negri 19.833 19.761 22.185 22.147
20 Henry Jones fu presente nell’attività del catering per trent’anni, e morì il 24 settembre 1875, lasciando un considerevole patrimonio. 21 Henry Minton venne via da Nansemond County, Virginia, a diciannove anni, ed arrivò a Philadelphia nel 1830. Fece prima pratica presso un calzolaio, poi come cameriere in un albergo, poi aprì una serie di sale da pranzo tra la Quarta e Chestnut. Morì il 20 marzo 1883. 22 Questa band fu molto richiesta per le manifestazioni pubbliche, e il suo leader ricevette una tromba direttamente dalla Regina Vittoria.
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Nel 1810 i Negri costituivano circa un decimo della popolazione totale della città, ma nel 1870 ne rappresentavano poco più che un trentatreesimo, la proporzione più bassa mai espressa nella storia di Philadelphia. Dal 1840 in poi la condizione sociale generale mostrò segni di miglioramento. Nel 1847 1940 bambini negri frequentavano la scuola; i Negri possedevano, si è detto, circa 400.000 dollari in beni immobili ed avevano 19 chiese e 106 società di beneficenza. La gran parte della razza era ancora composta da inservienti domestici – circa 4.000 degli 11.000 Negri in città avevano questo impiego, cifra che rappresentava probabilmente la netta maggioranza degli adulti. I restanti occupati erano soprattutto manovali, artigiani, cocchieri, postini e barbieri. In questo periodo l’habitat della popolazione Negra si modificò parzialmente. Nel 1790 circa un quarto dei Negri viveva a la Vine e Market e ad est della Nona strada, metà tra Market e South, soprattutto nei vicoli confinanti con la Lombard, la Quinta, l’Ottava e la zona sud; un ottavo di loro stava al di sotto di questa, e un ottavo nel Northern Liberties. Tra l’altro molti di loro vivevano presso famiglie bianche. Nel 1837 un quarto dei Negri stava presso famiglie bianche, poco meno della metà ai margini della città, raccolto tra la Sesta e la Lombard o nei dintorni; un decimo viveva a Moyamensing, un ventesimo nel Northern Liberties, e la parte restante nei distretti di Kensington e Spring Garden. Le rivolte contribuirono molto a concentrare questa popolazione, e nel 1847, dei 20.000 Negri presenti nella contea, solo 1.300 vivevano a nord della Vine e ad est della Sesta. I restanti risiedevano in città, a Moyamensing e a Southwark. Il primo era il peggiore distretto degli slum: tra South e Fitzwater e la Quinta e l’Ottava si affollavano 302 famiglie in vicoli stretti e sporchi. Qui si concentrava la peggiore specie di depravazione, povertà, crimine e malattia. Gli slum attuali, tra la Settima e la Lombard, sono brutti e pericolosi, ma decenti se paragonati a quelli di mezzo secolo fa. I Negri rappresentavano un terzo degli autori dei crimini nel 1837, metà nel 1847. A partire dal 1850 il loro miglioramento fu più rapido. Si stimò che tra il 1847 e il 1856 il valore dei beni immobili posseduti fosse raddoppiato. La quantità di persone impegnate nel commercio restava stazionaria; la scuola era frequentata da 2.321 bambini. Poco prima dell’esplosione della guerra il risentimento verso i Negri si attenuò un pò in certe classi, e ai loro amici più fedeli fu concesso di aprire molte istituzioni di beneficenza. Si manifestò così in vari modi una tendenza ad aiutarli, i giornali li trattarono con più rispetto, e furono molto meno che in passato oggetto di insulti personali per strada. I Negri, nonostante la loro protesta energica, erano ancora tenuti lontano dai tram, e fu così fino al 1867, anno d’approvazione di una legge 96
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che annullava tale discriminazione. Le sentenze giudiziarie incoraggiarono a lungo le compagnie ferroviarie, e i giornali e l’opinione pubblica le sostennero. Quando, per decisione del Giudice Allison, l’atteggiamento dei tribunali si modificò, ed il rimborso dei danni garantì i Negri che erano stati allontanati, le vetture ferroviarie spesso si fermavano su un binario morto lasciando lì i carri con persone di colore. Per queste su alcune linee funzionavano vetture separate. Nel 1865, si svolse un pubblico ballottaggio per decidere l’ammissione dei Negri nelle vetture; i capitreno testimoniarono ovviamente l’esistenza di una grande maggioranza contraria ad ogni cambiamento, così, dopo incontri pubblici, stampa di pamphlet e una serie di agitazioni, la prospettiva di liberalizzare la presenza nelle vetture ottenne quanto opportunità e senso comune avevano a lungo rifiutato23. Nel 1863, essendo stata dimostrata l’efficienza dei soldati Negri, si organizzò un raduno di truppe Negre in città. Parecchie centinaia di cittadini distinti presentarono una petizione alla Segreteria di Guerra e fu accordato loro il permesso di reclutare reggimenti Negri. Le truppe non dovevano ricevere premi di arruolamento, ma 10 dollari al mese e razioni alimentari. Furono radunate in massa a Camp William Penn, a Chelten Hills, dove ci furono i principali approvvigionatori, insegnanti e mercanti, insieme a cittadini bianchi; lì parlarono Frederick Douglass, W. D. Kelley e Anna Dickinson. In città una sottoscrizione raccolse in poco tempo oltre 30.000 dollari, e la prima squadra di soldati si presentò al campo il 26 giugno 1863. Entro dicembre furono completati tre reggimenti, e nel febbraio successivo cinque. I primi tre, noti come il Terzo, il Sesto e l’Ottavo reggimento di Truppe di Colore degli Stati Uniti, mossero subito verso il fronte, ed il Terzo stava attaccando Fort Wagner quando questi cadde. I restanti si mossero appena chiamati, mentre altri Negri erano ancora ansiosi di arruolarsi24. Dopo la guerra e l’emancipazione i Negri nutrirono grandi speranze di rapido avanzamento, speranze che in nessun altro luogo sembravano più fondate che a Philadelphia. La generazione allora nel suo splendore aveva fatto dimenticare uno scontro razziale molto intenso ed aspro ed aveva conquistato il rispetto della migliore classe dei bianchi. Con zelo rinnovato iniziò, per questo, ad accelerare il proprio sviluppo sociale.
23 Si veda Spiers Street Railway System of Philadelphia, 23-27; anche il manoscritto non pubblicato di Mr. Bernheimer, nella raccolta delle tesi più vecchie della Wharton School of Finance and Economy, della Università della Pennsylvania. 24 Pamphlet su Enlistment of Negro Troops, Philadelphia Library.
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12. L’influsso dei liberti, 1870-1896. Il periodo si aprì burrascosamente rispetto ai diritti politici conferiti da poco ai Negri con il diritto di voto. Le politiche urbane di Philadelphia avevano sempre avuto componenti equivoche e quando fu chiaro che un partito politico, con l’aiuto dei voti dei Negri, stava per espellere quei venerabili individui in carica, tutti i fuorilegge che il mal governo della città aveva nutrito per mezzo secolo si schierarono naturalmente per il vecchio regime. Questo fu molto facile perché i malviventi della città erano in gran parte Irlandesi, nemici storici dei Negri. Nelle elezioni della primavera del 1871 ci fu tanto disordine e così scarsa protezione della polizia, che furono chiamati a mantenere l’ordine i marines degli Stati Uniti25. Nelle elezioni d’autunno i disordini culminarono nell’assassinio a sangue freddo di parecchi Negri, tra cui un giovane insegnante degno di stima, Octavius V. Catto. L’assassinio di Catto si registrò in un momento critico; ai Negri sembrò un revival delle rivolte del vecchio periodo di schiavitù, quando stavano per la prima volta assaporando la libertà; alla classe migliore di Philadelphia rivelò l’esistenza di un serio stato di barbarie ed illegalità nella seconda città del paese; ai politici fornì un argomento e un esempio straordinari e molto efficaci, che non esitarono ad utilizzare. Ne derivò un’esplosione di indignazione e scontento notevoli, indicatori di un orientamento specifico a favore della legge e dell’ordine. Di questo fu espressione pubblica un grande raduno di massa, cui parteciparono alcuni dei migliori cittadini, e il funerale per Catto, forse il più imponente mai svoltosi per un negro americano26. 25
Cfr. Scharf-Westcott, 1, 837. Il contributo seguente di un testimone, Mr. W. C. Bolivar, è ricavato dal Tribune di Philadelphia, un giornale Negro: «Nelle elezioni di primavera che precedettero il delitto di Octavius V. Catto, si verificarono molte rivolte. Fu durante queste che i marines degli Stati Uniti furono chiamati in azione sotto il comando del Colonnello James Forney. La loro sola presenza ebbe l’effetto positivo di mantenere l’ordine. L’impronta del disastro politico del partito Democratico fu chiaramente evidente. Questo irritò “chi non era spaventato”, e la gran parte del rancore derivava dal fatto che il voto Negro avrebbe senza dubbio garantito la supremazia Repubblicana. Anche in quel caso Catto scampò per un pelo a un colpo di pistola di Michael Maher, ardente Repubblicano, la cui sede d’affari era tra l’Ottava e la Lombard. Questa aggressione fu istigata dal Dr. Gilbert, i cui mercenari, pagati o costretti, eseguirono i suoi ordini. Il Sindaco, D.M. Fox, era un Democratico mite ed accomodante, che sembrava un burattino nelle mani di uomini astuti e privi di coscienza. La notte precedente il giorno in questione, il 10 Ottobre 1871, un uomo di colore, chiamato Gordon, fu oggetto di spari a sangue freddo sull’Ottava strada. Nell’aria si consolidò la consapevolezza del dominio della piazza, e gli uomini di colore sembravano essere l’oggetto di quel malumore. Un negozio di tabacchi, gestito da Morris Brown jr., costituì la residenza dei membri Pythian e Banneker, e qui, la notte prima dell’assassinio, fu visto Catto per 26
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Questo incidente, e l’orientamento generale successivo alla guerra, mostrarono una crescente disposizione liberale verso i Negri a Philadelphia. Si era disposti a concedere loro, entro certi limiti, una opportunità perché seguissero la propria strada nel mondo; avevano rivendicato chiaramente il loro diritto a questo durante la guerra, e la loro abilità per questo in periodo di pace. Lentamente, ma in modo sicuro, la comunità puntò a liberarsi dagli impacci, mise da parte i piccoli ostacoli e attenuò l’insensibilità dei pregiudizi razziali, almeno in modo da fornire ai nuovi cittadini la tutela giuridica di sé e dei loro privilegi personali di uomimi. Furono l’ultima volta, tra i suoi vecchi amici. Quando arrivò l’ora di andare a casa, percorse la 814 South street, strada pericolosa e vicina alla sua residenza, e nell’andarsene disse, “Non intendo mettere in ridicolo la mia virilità andando a casa per una strada secondaria”. Quando giunse alla sua abitazione trovò uno dei suoi abitanti che indossava il suo cappello, toltogli in un punto dietro l’angolo. Egli uscì, si addentrò in uno dei posti peggiori del Quarto Distretto e se lo riprese». «L’intimidazione e l’assalto iniziarono con l’apertura delle urne. La prima vittima fu Levi Bolden, compagno di giochi, da ragazzo, del cronista di queste note. Ovunque si potesse catturare comodamente un uomo di colore quello veniva immediatamente assalito. In seguito, in quello stesso giorno, una folla si spinse lungo la strada Emeline e fece saltare le cervella di Isaac Chase, che stava andando a casa, sfogando il proprio rancore su quest’uomo indifeso, alla presenza della sua famiglia. La forza di polizia era Democratica, e non solo stette in disparte senza far niente, ma contribuì con il proprio comportamento a quanto stava avvenendo. Essi si diedero da fare per tenere quella parte della città fuori dalla sfera di azione dei rivoltosi, dei quali conoscevano tutti i movimenti. Catto votò e andò a scuola, ma la lasciò dopo aver compreso il pericolo di tenerla aperta durante il solito orario. Verso le tre si avvicinò alla sua abitazione, furono visti due o tre uomini aggredirlo alle spalle, ed uno di loro, si suppone Frank Kelly o Reddy Dever, estrasse una pistola e la puntò su Catto. L’obiettivo dell’uomo era sicuro, e Catto riuscì a stento a superare la macchina prima di cadere, cosa che avvenne proprio di fronte a una stazione di polizia, nella quale fu portato. La notizia si diffuse in ogni direzione. Prevalse l’eccitazione più selvaggia, e non solo uomini di colore, ma anche individui di spirito calmo, compresero la gravità della situazione, con un sentimento diviso tra assalire il Quarto Distretto o darsi da fare per mantenere la pace. Il primo ebbe la meglio, insieme alle scene di carneficina, ma, a differenza di poche ore prima, quando la turbolenza aveva raggiunto il massimo, la situazione si stabilizzò su uno stato opposto, di calma quasi dolorosa. La rivolta durante quel giorno si manifestò in varie parti del Quinto, Settimo e Quarto distretto, le cui linee di confine si incontrano. Non si deve pensare che le persone di colore restassero passive se attaccate, perché le testimonianze confermano la presenza costante, in ogni circostanza, di un sentimento del tipo “occhio per occhio, dente per dente”. Nessuna ricostruzione riesce a fornire in dettaglio gli orrori di quel giorno. Il cordoglio pervase ciascuna casa, e gli uomini forti piansero come bambini, quando compresero quanto si era perso con la morte prematura di un uomo di talento come Catto». «Gli uomini, che erano stati tranquillamente seduti, incuranti delle cose che non li riguardavano direttamente, furono trascinati dalla gravità della situazione, catturati dallo spirito della folla, si tirarono fuori dal loro isolamento e si schierarono a favore della legge e dell’ordine. Fu un giusto sentimento pubblico di giustizia che spinse la
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allentate progressivamente le restrizioni alla libertà personale; i tram, che per tanti anni avevano provato, con ogni tipo di proibizione, a sbarazzarsi dei passeggeri di colore o a farli scendere sui marciapiedi, furono infine obbligati dalla legge a cancellare quelle regole; furono seguiti, anche se in modo riluttante, dalle ferrovie e dai teatri, e alla fine persino le scuole si forza bruta a sedarsi. I giornali non solo qui, ma in tutto il paese, condannarono unanimemente i comportamenti illegali del 10 ottobre 1871. In molte città si tennero incontri pubblici di solidarietà, con unico dato reale di base il tratto fondamentale della condanna. Qui a Philadelphia si tenne un incontro di cittadini, dal quale ne derivò un altro più numeroso, tenuto nella National Hall, a Market Street, al di sotto della Tredicesima. L’importanza di questa riunione è mostrata da una lista dei suoi promotori. Samuel Perkins la moderava, e l’eminente On. Henry C. Carey la presiedeva. Nella lista dei vice-presidenti vi erano l’On. William M. Meredith, Gustavus S. Benson, Alex Biddle, Joseph Harrison, George H. Stuart, J. Effingham Fell, George H. Boker, Morton McMichael, James L. Claghorn, F. C. e Benjamin H. Brewster, Thomas H. Powers, Hamilton Disston, William B. Mann, John W. Forney, John Price Wetherill, R.L. Ashhurst, William H. Kemble, William S. Stokley, il Giudice Mitchell, I Generali Collins e Sickel, i membri del Congresso Kelley, Harmer, Myers, Creely, O’ Neill, Samuel H. Bell ed altre centinaia di persone. Questi nomi rappresentavano la ricchezza, l’intellettualità e l’eccellenza morale della comunità. John Goforth, l’eminente avvocato, lesse le risoluzioni confermate dai discorsi dell’On. William B. Mann, Robert Purvis, Isaiah C. Weirs, il Rev. J. Walker Jackson, il Gen. C. H. T. Collins e l’On. Alex K. McClure. Tutti esprimevano lo stesso orientamento, la condanna della legge imposta a furor di popolo e la domanda di giustizia uguale ed esatta per tutti. Il discorso del Colonello McClure si poneva, coraggiosamente, tra i più grandi sforzi forensi mai svoltisi nella nostra città. Suo tema centrale era “la legge non scritta”, che fece un’impressione straripante. Intanto, in tutte le parti della città si tennero incontri più ristretti che registrarono una protesta pressante contro la forza bruta utilizzata il giorno precedente. Così ebbe termine il disordine diffuso. Il 16 ottobre si svolse il funerale. Il corpo giaceva solennemente all’araldica del Primo Reggimento, tra le strade Broad e Race, e fu sorvegliato dai militari. Era dal tempo del corteo funebre del Presidente Lincoln che non ve ne era stato a Philadelphia uno altrettanto grande o maestoso. All’esterno della Terza Brigata, N. G. P., il comando distaccato della Prima Divisione, e i militari dal New Jersey, vi erano organizzazioni civiche composte da centinaia di persone di Philadelphia, per non parlare delle varie associazioni provenienti da Washington, Baltimora, Wilmington, New York e sedi adiacenti. Tutti gli uffici della città vennero chiusi, oltre a molte scuole. Il Consiglio della Città partecipò in massa, la Legislatura di Stato era presente, tutti gli impiegati della città marciavano in fila, e amici personali vennero da vicino e lontano per testimoniare la loro solidarietà concreta. I militari erano sotto il comando del Generale Louis Wagner, e i corpi civici erano guidati da Robert M. Adger. I portatori della bara erano il Tenente Colonnello Ira D. Cliff, il Maggiore John W. Simpson e James H. Grocker, i capitani J. F. Needham e R. J. Burr, i tenenti J. W. Diton, W. W. Morris e il Dr. E. C. Howard, maggiore e sergente del Dodicesimo Reggimento. Questo è un semplice sguardo retrospettivo ai tre giorni dell’ottobre 1871, scritto per rinnovare la memoria che gli uomini e le donne avevano di quel giorno, così come anche per raccontare un pò la triste storia di cui questa generazione dovrebbe essere informata. E così si concluse la carriera di un uomo di splendide ri-
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aprirono a tutti27. Restava ancora un pregiudizio radicato e palese, ma mostrava tracce di flessibilità. È innegabile che dalla guerra in avanti i risultati principali dello sviluppo dei Negri di Philadelphia erano stati complessivamente deludenti per i loro sostenitori. Questi non riconoscevano ai Negri grandi progressi in alcuni settori, o l’essere in generale più ricchi che in passato. Ammettevano di non conoscere nemmeno le loro condizioni attuali, c’era appena un sentimento diffuso per cui ci si sarebbe ragionevolmente aspettato, nell’ambito dello sviluppo sociale e morale, molto di più di quanto in realtà fosse stato acquisito. E non solo viene percepita la mancanza di risultati positivi, ma anche che il progresso connesso, se rapportato al periodo anteriore alla guerra, è lento, quando non rappresenta addirittura una vera e propria retrocessione; ai Negri si può addebitare, correttamente, un anormale e crescente tasso di crimine e povertà. Essi non sono grandi contribuenti, non posseggono posti significativi nel mondo degli affari o in quello della letteratura, e sembrano perdere terreno persino come lavoratori. Per queste ragioni quelli che, per un motivo o per l’altro, stanno osservando con ansia lo sviluppo dei Negri Americani, vogliono sapere anzitutto quanto queste impressioni generali siano vere, quale sia la reale condizione dei Negri e quali iniziative sarebbe meglio assumere per migliorarne la situazione attuale. E questo problema locale è, dopotutto, solo un esempio circoscritto di quelli, più significativi e analoghi, che i Negri incontrano per tutto il territorio. Con questi obiettivi fu intrapresa la ricerca, della quale vengono qui presentati i risultati. Non è la prima volta che si è tentato un simile studio. Nel 1837, 1847 e 1856 furono fatti studi dalla Abolition Society e dai Friends e furono raccolti dati molto preziosi28. Anche i censimenti degli sorse, rara forza di carattere, la cui vita fu molto intrecciata con tutto ciò che c’era di buono intorno a noi, così da proporsi come modello per coloro che sarebbero venuti dopo di lui». 27 Cfr. Appendice B. 28 Si veda Appendice C. La ricerca del 1838 fu svolta dalla Philadelphia Society for Promoting the Abolition of Slavery, e la relazione si divideva in due parti, una composta da un registro di mestieri e una da un rapporto generale di quaranta pagine. La Society of Friends, o la Abolition Society, intrapresero la ricerca del 1849, e pubblicarono un pamphlet di quarantaquattro pagine. Lo stesso anno ci fu anche una relazione sulla salute dei condannati di colore. Nel 1849 fu pubblicato anche un pamphlet di Edward Needles, che comparava la situazione dei Negri tra il 1837 e il 1848. Benjamin C. Bacon, su richiesta della Abolition Society, svolse nel 1856 la ricerca, pubblicata in quell’anno. Nel 1859, ne fu pubblicata una seconda edizione contenente le statistiche criminali. Tutti questi pamphlet possono essere consultati presso la Library Company of Philadelphia, o la succursale di Ridgway.
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Mappa di alcune strade di Philadelphia e dei loro abitanti (Fonte: The Philadelphia Negro)
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Popolazione nera nei distretti di Philadelphia (Fonte: The Philadelphia Negro)
Stati Uniti hanno aumentato la nostra conoscenza complessiva, e i giornali si sono spesso interessati al problema. Sfortunatamente, però, le ricerche svolte dai Friends sono sospettate di parzialità in favore dei Negri, i rapporti del censimento sono generici e gli articoli dei giornali necessariamente sbrigativi e imprecisi. Questo studio cerca di citare in modo imparziale tutte queste fonti e anche altre, e, soprattutto, di aggiungervi i dati raccolti relativamente agli anni 1896 e 1897. Comunque, prima di entrare nel merito delle riflessioni sul tema, si devono ricordare quattro caratteri del periodo considerato: (1) La crescita di Philadelphia; (2) l’aumento della popolazione straniera nella città; (3) lo sviluppo della grande industria e il crescere del benessere, e (4) l’arrivo di figli e figlie di liberti provenienti dal sud. Persino gli abitanti di Philadelphia stentano a comprendere che la popolazione della loro antica e calma città è quasi raddoppiata dalla guerra ad oggi, e che, di conseguenza, la città non è più la stessa, non ha lo stesso spirito del passato; uomini, 103
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idee, nuovi modi di pensare e agire hanno ricevuto un certo riconoscimento, la vita è più partecipata, la competizione più forte, e le condizioni della sopravvivenza economica e sociale più dure del passato. Inoltre, mentre nel 1860 vi erano in città forse 125.000 persone di nascita straniera, ora ve ne sono 260.000, senza tener conto dei figli dei primi che sono poi nati qui. Questi stranieri sono arrivati per condividere con i nativi Americani le opportunità industriali della città, intensificando in questo modo la competizione. In terzo luogo, attualmente predominano nuovi metodi di gestione degli affari e dell’industria: il negozietto, il piccolo commercio, l’industria a conduzione familiare hanno ceduto il passo al grande magazzino, alla compagnia organizzata e alla fabbrica. Manifatture di tutti i tipi hanno fatto passi da gigante in città, ed oggi impiegano una forza lavoro tre volte superiore rispetto al 1860, pagando annualmente trecento milioni in salari; le carrozze a cavalli e i corrieri si sono trasformati in un vasto affare interurbano: i ristoranti sono diventati splendidi hotel – e l’assetto complessivo degli affari si è gradualmente modificato. Infine, negli ultimi venti anni sono entrati a far parte di questo rapido sviluppo quindicimila immigrati, la maggior parte proveniente dal Maryland, dalla Virginia e dalla Carolina, contadini non istruiti e poco educati, arrivati improvvisamente dai loro tuguri di campagna o dalle loro casette di piccola città, nella nuova, strana vita di una grande città, unendosi ai 25.000 della loro razza già lì. Qual è stato il risultato? [Da notare. Nel 1843, mentre era Sindaco Swift, ci fu una piccola rivolta. Nel 1832 avevano iniziato le loro attività una serie di società letterarie, la Library Company, la Banneker Society, etc.- che avevano lavorato molto bene per tanti anni. Il primo giornale negro della città, il “Demosthenian Shield”, comparve nel 1840. Tra gli uomini ancora non citati di questo periodo si dovrebbero ricordare il Rev. C. W. Gardner, il Dr. J. Bias, il dentista James McCrummell, e Sarah M. Douglass. All’epoca erano tutti Negri importanti, con molta influenza. L’artista, Robert Douglass, è l’autore del ritratto di Fannie Kemble che l’attuale proprietario di Philadelphia preferisce attribuire a Thomas Dudley].
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Una considerazione finale1
56. Il significato di tutto questo? – In genere all’Americano incerto che chiede serio: Qual è il problema Negro? sono dati due tipi di risposte. La prima è diretta e chiara: si tratta semplicemente di questo o quel problema tanto che un semplice rimedio, applicato abbastanza a lungo, ne determinerà col tempo la scomparsa. L’altra risposta tende ad essere inevitabilmente complicata e complessa – indicando l’impossibilità di qualunque semplice toccasana, concludendo in qualche modo senza speranza – Ed è: cosa si può fare? Entrambe dicono qualcosa di vero: il problema Negro, considerato sotto un certo aspetto, consiste solo di un mondo antico di ignoranza, povertà, crimine e disprezzo dello straniero. D’altro canto è sbagliato pensare che interessandosi a fondo a ciascuno di questi problemi, in modo separato dagli altri, la situazione potrebbe risolversi: una combinazione di problemi sociali è molto più che una mera somma, è proprio quella combinazione in sé a costituire un problema. Peraltro i problemi dei Negri non hanno un carattere irrimediabilmente complesso più che in altre situazioni. I loro fattori, malgrado la loro sconcertante complessità, possono essere guardati con chiarezza: rappresentano dopo tutto le stesse difficoltà che hanno accompagnato il mondo lungo il suo sviluppo, il problema del fino a che punto l’intelligenza umana possa essere oggetto di fiducia e formazione; se la povertà debba accompagnarci per sempre; se è possibile che le masse degli uomini riescano ad ottenere giustizia sulla terra; e a questo si è aggiunto il problema dei problemi: dopo tutto, chi sono gli Uomini? Ogni bipede privo di piume deve essere considerato un uomo e un fratello? Tutte le razze e i tipi di individui devono essere considerati eredi di quella nuova terra per il cui miglioramento gli uomini hanno lottato trenta secoli e più? Non finiremo per affogare la civiltà nella barbarie ed il genio nella debolezza cercando un’umanità mitica in grado di stare dietro a tutti gli uomini? La risposta dei primi secoli a questo puzzle fu chiara: quelli di ogni nazione in grado di essere chiamati Uomini, cui riconoscere i diritti, sono pochi, sono le classi privilegiate – quelli di buona famiglia, e quelli di basso livello sociale indicati dal Re. Quello che resta, la massa della nazione, la pöbel, la folla, devono adattarsi a seguire, obbedire, scavare e vangare, ma non a pensare o governare o a com1 A Final Word, 385-397; in The Philadelphia Negro. A Social Study, University of Pennsylvania, Philadelphia, 1899 (ora Schocken Books, New York, 1967).
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portarsi da gentiluomini. Noi, nati sotto un’altra filosofia, stentiamo a comprendere quanto una volta fosse radicata e scontata tale visione delle capacità e dei poteri dell’uomo; quanto questa repubblica sarebbe stata del tutto incomprensibile per Carlo Magno o Carlo V o Carlo I. In effetti dimentichiamo rapidamente che un tempo gli uomini di corte dei re inglesi consideravano gli antenati della maggior parte degli Americani con un disprezzo molto superiore a quello con il quale gli Americani considerano i Negri – e può anche essere che ce ne fosse un motivo più consistente. Dimentichiamo che una volta i contadini Francesi erano i “Negri” della Francia, e che i principotti Tedeschi dubitavano dell’intelligenza e dell’umanità del bauer. Tutta questa realtà – o almeno una sua parte – è stata superata e il mondo è arrivato, attraverso il sangue e il ferro, ad un’umanità più ampia, a un rispetto superiore per il semplice coraggio, non nobilitato da antenati o dal privilegio. Non che si sia scoperto, come qualcuno sperava e qualcun altro temeva, che tutti gli uomini sono stati creati liberi e uguali, ma piuttosto che le differenze tra gli uomini non sono così grandi come si era pensato. Eppure si continua ancora ad attribuire a quelli di buona famiglia vantaggi di nascita, si constata ancora che ciascuna nazione ha una propria massa pericolosa di stolti e furfanti; e si scopre anche che la maggior parte degli uomini ha cervelli da coltivare e anime da salvare. Eppure questo diffondersi dell’idea di una Umanità comune registra uno sviluppo lento, realizzatosi ancora oggi solo parzialmente. Noi garantiamo piena cittadinanza nella confederazione mondiale agli “Anglo-Sassoni” (qualunque cosa possa significare), ai Teutoni e ai Latini; poi, con appena un’ombra di riluttanza, estendiamo la garanzia ai Celti e agli Slavi. La neghiamo parzialmente alle razze gialle dell’Asia, ammettiamo nell’anticamera gli Indiani scuri, solo in base al loro innegabile passato; ma con i Negri dell’Africa ci fermiamo, e il mondo civilizzato nega con tutto il cuore, all’unanimità, che essi possano entrare nei confini dell’Umanità del diciannovesimo secolo. Questo sentimento, diffuso e radicato, è, in America, il maggiore problema per i Negri; c’è di sicuro un problema spaventoso di ignoranza, ma gli antenati della maggior parte degli Americani erano molto più ignoranti dei figli dei liberti; questi ex-schiavi sono poveri ma non quanto lo erano i contadini Irlandesi; il crimine è tra loro crescente, ma, anche se consistente, non lo è tanto come in Italia; la differenza è in effetti che gli antenati degli Inglesi, degli Irlandesi e degli Italiani erano ritenuti degni di essere educati, aiutati e guidati in quanto uomini e fratelli, mentre in America un censimento che si limitasse ad evidenziare la totale scomparsa dalla terra dei Negri Americani, sarebbe visto con malcelato piacere. 106
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Altri secoli avrebbero probabilmente diritto, guardando ai tempi passati, alla cultura del diciannovesimo, di pensare che se, in un paese di uomini liberi, otto milioni di esseri umani fossero trovati sul punto di morire di malattia, la nazione griderebbe in coro, “Curateli!”; se stessero brancolando nell’ignoranza, griderebbe, “Istruiteli!” e se stessero danneggiando sé stessi e altri indugiando nel crimine, griderebbe “Guidateli!”. E tali grida vengono ascoltate e lo sono state su tutto il territorio; ma non era una voce unitaria, ed il suo volume è stato sempre interrotto da grida contrarie e dai loro echi “Lasciateli morire!”, “Addestrateli come schiavi!”, “Fateli affondare!”. Questo è lo spirito che penetra dentro e complica tutti i problemi sociali dei Negri, un fatto che può essere risolto positivamente solo dalla civiltà e dalla umanità. Nel frattempo abbiamo davanti a noi altri problemi, derivati dall’unificazione di tante questioni sociali in una sola, centrale, e in questa situazione si tratta solo di evitare sia di sottostimare che di sovrastimare le difficoltà. I problemi sono difficili, estremamente difficili, ma di un tipo che il mondo ha già risolto in passato e può risolvere di nuovo. Inoltre la battaglia non coinvolge solo un interesse altruistico in un popolo straniero. È una battaglia per l’umanità e per la cultura umana. Se nella fase di grande successo di una delle maggiori civiltà del mondo è possibile, a persone senza regole, rubare ad altre, trascinarle indifese attraverso l’acqua, renderle schiave, corromperle, e poi farle morire lentamente, tramite l’esclusione economica e sociale, fino a farle scomparire dalla faccia della terra – se è possibile nel ventesimo secolo perpetrare tale crimine, allora la nostra civiltà è inutile e la repubblica una beffa ed una farsa. Ma non sarà così; primo, perché persino nelle circostanze terribilmente avverse nelle quali vivono i Negri, non c’è nessuna probabilità di una loro estinzione; un popolo che ha sopportato la tratta degli schiavi, la schiavitù, la ricostruzione e il pregiudizio contemporaneo, cresciuto in questo contesto per trecento anni, e durante il quale è aumentato di numero e capacità, non corre alcun pericolo immediato di estinzione. E poi il pensiero di un’emigrazione, volontaria o involontaria, è poco più di un sogno per uomini dimentichi che negli Stati Uniti vi è la metà di Negri rispetto agli Spagnoli in Spagna. Se è così poche proposizioni chiare possono essere delineate come indiscutibili: 1. I Negri sono qui per restarci. 2. È interesse di tutti, bianchi e Negri, che ogni Negro dia il meglio di sé. 3. È compito del Negro, sollevarsi con ogni sforzo, fino ai livelli della civiltà moderna e non abbassarli in nessun modo. 107
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4. È compito dei bianchi difendere la propria civiltà dalla corruzione provocata da sé o da altri; ma per questo è necessario non intralciare e ritardare gli sforzi di miglioramento delle persone oneste, solo perché non si ha fiducia nella loro capacità. 5. Con questi doveri nella mente e con uno spirito di autosostegno, mutua assistenza e cooperazione, le due razze dovrebbero lottare, fianco a fianco, per realizzare gli ideali della repubblica e rendere questa una terra con opportunità uguali per tutti gli uomini. 57. I doveri dei Negri. – Va ribadito che la razza Negra ha davanti a sé uno spaventoso lavoro di riforma sociale. Il solo fatto che gli antenati degli attuali abitanti bianchi dell’America abbandonarono barbaramente le proprie tradizioni per maltrattare e rendere schiavi gli antenati degli attuali abitanti Negri non dà a questi stessi Negri nessun diritto di chiedere che la civiltà e la moralità del paese siano seriamente minacciate a loro vantaggio. Gli uomini hanno diritto di esigere che i membri di una comunità civilizzata siano civilizzati; che la trama della cultura umana, così laboriosamente tessuta, non sia distrutta in modo arbitrario o per ignoranza. Di conseguenza una nazione potrebbe giustamente esigere, persino da un popolo che in passato ha sbagliato coscienziosamente e intenzionalmente, magari non proprio un processo di civilizzazione integrale in trenta o cento anni, ma almeno ogni sforzo e sacrificio possibile, perché esso divenga, in un tempo ragionevole, membro della comunità; così da diventare in breve fonte di forza e aiuto invece che onere per il paese. La società moderna ha troppi problemi al suo interno, troppa ansia rispetto alla propria capacità di sopravvivere alla sua attuale organizzazione, per riuscire a sopportare facilmente il peso complessivo di un popolo meno avanzato, e perciò può chiedere giustamente che il Negro, nel modo più adeguato e rapido possibile, unisca le proprie energie alla soluzione dei suoi problemi sociali – dando contributi ai suoi poveri, pagando la sua parte di tasse e sostenendo le scuole e la pubblica amministrazione. Per realizzare questo il Negro ha diritto di chiedere libertà di auto-sviluppo, e non più un aiuto che non sia realmente essenziale al suo ulteriore miglioramento. Tale aiuto deve per forza essere notevole: deve fornire scuole e riformatori, e agenzie di soccorso e di prevenzione; ma la maggior parte del lavoro per migliorare la condizione dei Negri, deve essere fatta da loro stessi, tenendo presente che il più grande aiuto che si può dare sarà di non ostacolare, limitare e scoraggiare i loro sforzi. I Negri dovrebbero protestare energicamente e continuamente contro i pregiudizi, l’ingiustizia e l’errore senza dimenticare mai che protestano perché quegli elementi ostacolano i loro sforzi, quegli sforzi sono la chiave del loro futuro. 108
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Pertanto questi sforzi devono essere temperati e complessivi, durevoli, ben indirizzati e instancabili; insoddisfatti dai vari successi parziali, inquieti per le vittorie incolori; e, soprattutto, non animati da bassi ideali egoistici; e nello stesso tempo devono essere moderati dal senso comune e da aspettative razionali. A Philadelphia questi sforzi dovrebbero essere tesi a una riduzione del crimine Negro; non c’è dubbio che la quantità dei crimini imputati alla razza è esagerata, che le dimensioni dell’ambiente Negro che sfuggono al controllo giustificano gran parte di quanto viene commesso; ma, al di là di questo, la percentuale di crimine correttamente attribuibile ai Negri di Philadelphia è consistente e rappresenta una minaccia per le persone civili. Gli sforzi per frenare questi crimini devono iniziare nelle case dei Negri, le quali dovranno cessare di essere, come spesso sono, sorgenti di ozio, sperpero e lamentele. Il lavoro, duraturo e intenso, anche se umile e poco pagato, anche se accompagnato dall’angoscia dell’anima e dal sudore della fronte, deve essere impresso nei bambini Negri come strada di salvezza, al punto che un ragazzo dovrebbe sentire l’essere ozioso come una disgrazia molto grande, nettamente superiore al lavoro più modesto. Le virtù presenti nelle famiglie oneste, verità e castità devono essere istillate fin dalla culla, e anche se è difficile insegnare il rispetto di sé a un popolo di milioni di individui che in parte si disprezza, questa deve comunque essere vista come la strada più sicura per conquistare il rispetto degli altri. È giusto e opportuno che ragazzi e ragazze Negri desiderino, nei limiti delle abilità e del loro merito, di migliorarsi nel mondo. Dovrebbero essere incoraggiati e spinti a fare in questo modo, e dovrebbe essere insegnato loro che la pigrizia e il crimine si collocano al di sotto e non al di sopra del lavoro più umile. Dovrebbe essere obiettivo incessante dei Negri creare migliori opportunità di lavoro per i loro figli e figlie. Il loro successo deve dipendere in questo caso, ma non solo, dai bianchi. La giusta cooperazione tra quaranta o cinquanta mila persone di colore dovrebbe aprire molte possibilità di impiego per i loro figli e figlie nel commercio, nei magazzini e nei negozi, nelle associazioni e nelle imprese industriali. Inoltre, dovrebbero essere forniti ai giovani del popolo alcuni mezzi razionali di divertimento. Gli incontri di preghiera e le aggregazioni ecclesiali hanno un loro ruolo, ma non riescono a competere in attrazione con le piste da ballo e le bische clandestine delle città. C’è una domanda legittima di divertimento da parte dei giovani che potrebbe essere resa strumento di educazione, miglioramento e ricreazione. Un innocuo ed eccellente divertimento come il ballo potrebbe, grazie a qualche sforzo adeguato, essere sottratto alle sue implicazioni negative e pericolose e reso strumento di salute e ricreazione. Il fatto che il tavolo da biliardo sia più 109
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collegato al saloon che alla chiesa dipende da dove viene utilizzato. Se le case dei Negri e le chiese non riescono a divertire i giovani, e se non vengono fatti altri sforzi per soddisfare questo loro desiderio, non ci si può poi lamentare se saloon, club e bordelli spingono questi ragazzi verso il crimine, la malattia e la morte. C’è molto lavoro preventivo e di aiuto che dovrebbe essere svolto proprio dai Negri: tenere le ragazzine lontano dalla strada di sera, fermare quelli che accompagnano le giovani donne che vanno in chiesa ed altrove da sole, mostrare i pericoli del sistema delle camere d’affitto, spingere all’acquisto di case e ad allontanarsi dai vicinati affollati e corrotti, organizzare conferenze e distribuire opuscoli sulla salute e sulle abitudini, esporre i pericoli del gioco d’azzardo e di quello politico, ed inculcare il rispetto per le donne. Asili nido diurni e scuole di cucito, incontri tra madri, parchi e luoghi all’area aperta, tutti questi elementi sono poco conosciuti e apprezzati tra le masse di Negri, e a questi dovrebbe essere diretta la loro attenzione. Il modo di spendere il denaro è un tema cui i Negri devono prestare particolare attenzione. Oggi il denaro è sperperato in abiti, mobili, divertimenti complicati, edifici ecclesiali costosi, e schemi “assicurativi”, mentre il suo uso dovrebbe essere orientato all’acquisto di case, all’educazione dei bambini, a creare semplici, salutari divertimenti per i giovani e a mettere qualcosa da parte per i “giorni di tempo cattivo”. Una crociata a favore delle casse di risparmio e contro le società di “assicurazioni” avrebbe dovuto essere iniziata senza indugi nel Settimo Distretto. Anche se subito dopo la guerra c’è stato un grande e straordinario entusiasmo per l’educazione, non c’è dubbio che poi è diminuito, e oggi c’è tra i Negri molta trascuratezza verso i bambini, come anche una scarsa costanza nel mandarli a scuola regolarmente. Questo dovrebbe essere considerato fino in fondo dagli stessi Negri, mettendo in atto tutti gli sforzi utili a provocare una frequenza scolastica costante. Le classi migliori dei Negri dovrebbero riconoscere anzitutto i loro doveri verso le masse. Non dovrebbero dimenticare che lo spirito del ventesimo secolo è di indirizzare ciò che è in alto verso il basso; di tenere avvinta l’Umanità con tutto quanto è umano; la consapevolezza che negli slum della società moderna sta la risposta alla maggior parte dei nostri imbarazzanti problemi di organizzazione e di vita, e che la nostra cultura è assicurata e il nostro progresso certo solo se vi sarà soluzione per loro. I Negri non riescono a riconoscere il valore che questo ha per loro; la loro evoluzione sociale nelle città come Philadelphia si sta avvicinando ad una realtà di tipo medioevale, quando le forze di repulsione tra le classi sociali diventavano più forti di quelle di attrazione. L’ascesa della classe supe110
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riore dei Negri è stata tanto difficile che ora hanno paura di precipitare se si chinano a tendere una mano ai loro compagni. Questo sentimento è accentuato dalla cecità di quegli outsider che continuano a confondere il buono con il cattivo, l’ascesa con il declino di una massa. Non di meno i Negri devono apprendere la lezione che altre nazioni hanno imparato in modo tanto faticoso e incompleto, e cioè che le loro classi migliori hanno la loro principale ragione di esistere nel ruolo che possono svolgere per migliorare il popolo. Questo è particolarmente vero in una città come Philadelphia, che ha un’aristocrazia Negra così particolare e degna di lode; in realtà essa si è già impegnata nella lotta per risolvere i problemi sociali della propria razza, ma non ancora quanto dovrebbe, né in misura adeguata a un riconoscimento palese delle loro responsabilità. Infine, i Negri devono coltivare un atteggiamento di calma e paziente perseveranza più che di lamento rumoroso e smodato verso i loro concittadini. Un uomo potrebbe sbagliare, e sapere che sta sbagliando, ma comunque bisogna dirglielo con delicatezza. La gente bianca di Philadelphia è pienamente consapevole che i suoi concittadini Negri non sono trattati onestamente in tutti i settori, ma insultare o generalizzare accuse indegne non provate non migliorerà la situazione. Le riforme sociali progrediscono lentamente, ma quando il Diritto è rafforzato da un Progresso, sereno ma continuo, tutti sentiamo allora che, in qualche modo, alla fine dovrà trionfare. 58. Il dovere dei bianchi. – Da parte di molte persone bianche c’è la tendenza ad accostarsi al problema Negro dal lato che oggi riveste minore importanza, cioè quello del mescolarsi delle razze. L’antico problema: “vorresti che tua sorella sposasse un Negro?” è ancora valido, sentinella decisa, posta a freno di una discussione più razionale. Eppure poche donne bianche hanno sofferto per i modi dei pretendenti Negri, e quelle che lo hanno fatto se ne sono sbarazzate facilmente. L’intera discussione è poco meno che sciocca; forse tra un secolo potremo trovarci a discutere seriamente questioni di politica sociale di questo tipo, ma certo, fin quando un gruppo considera una seria mésalliance sposarsi con un altro, ci saranno pochi matrimoni, e non saranno necessarie né leggi né discussioni per guidare le scelte umane in materia. Di sicuro la popolazione bianca non ammetterebbe facilmente che fu necessaria una attiva propaganda di repressione per scongiurare i matrimoni interrazziali. L’orgoglio naturale della razza, forte da un lato e in sviluppo dall’altro, può garantire la repulsione di tale commistione, potenzialmente deleteria, per entrambe le razze, in questa fase dello sviluppo. Dunque l’intero problema è relativo a un futuro lontano. 111
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Oggi comunque, si deve fronteggiare il fatto che una naturale ripugnanza a stringere unioni con ex-schiavi sfortunati ha determinato una discriminazione che impedisce loro in modo molto consistente processi di miglioramento. È giusto e adeguato contrastare l’ignoranza e di conseguenza gli uomini che ne sono pervasi; ma se con le nostre azioni siamo stati responsabili della loro ignoranza, e siamo ancora attivamente impegnati a mantenerli tali, la discussione perde la sua forza morale. Così è con i Negri: gli uomini hanno diritto ad opporsi ad una razza tanto povera, ignorante ed incapace come la massa dei Negri; ma la loro politica passata ha prodotto tanta di questa condizione, e se oggi il tener lontani le ragazze e i ragazzi Negri dalla maggior parte delle strade dove ci sono lavori decenti fa aumentare pauperismo e depravazione, allora gli autori devono sentirsi notevolmente responsabili di questi risultati deplorevoli. Non c’è dubbio che a Philadelphia il centro e il nocciolo del problema Negro, rispetto alla gente bianca, è legato alle opportunità limitate offerte ai Negri per guadagnarsi un’esistenza decente. Tale discriminazione è moralmente sbagliata, politicamente pericolosa, industrialmente costosa, e socialmente sciocca. È dovere dei bianchi frenarla, soprattutto nel loro interesse. La libera iniziativa industriale si è mostrata in generale, e all’interno di una lunga esperienza, più conveniente per tutti. Inoltre il costo del crimine e del pauperismo, la crescita degli slum, e le influenze pericolose dell’ozio e della disgregazione costano al pubblico molto di più dell’offesa morale a un carpentiere che lavora a fianco di un uomo Negro, o di una commessa che è a fianco di una assistente di carnagione scura. Esso non prevede una sostituzione totale dei lavoratori bianchi con altri Negri in virtù della simpatia o della filantropia; indica che il talento dovrebbe essere premiato, come anche l’abilità espressa nel commercio e nell’industria, sia con padroni bianchi che Negri; che deve essere offerto lo stesso incentivo per un lavoro buono, onesto ed efficace ad un fattorino Negro come ad uno bianco – ad un facchino Negro come ad uno bianco; e che se non viene fatto questo la città non ha diritto di lamentarsi per il fatto che i ragazzi Negri perdono interesse per il lavoro e scivolano nel crimine e nell’ozio. Probabilmente una modifica dell’opinione pubblica rispetto a questo punto non provocherebbe subito grandi trasformazioni nei livelli di occupazione dei Negri in città: pochi sarebbero promossi, alcuni otterrebbero nuovi posti, la massa resterebbe nella posizione che occupa ora; ma ci sarebbe una grande differenza: i giovani troverebbero ispirazione per mettercela tutta, stimolando il pigro e lo scoraggiato ed allontanando da questa razza la scusa, sempre presente, per il suo fallimento: il pregiudizio. Un simile mutamento morale determinerebbe nei prossimi dieci anni uno sconvolgimento nei tassi di criminalità. Persino un lustrascarpe Negro 112
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potrebbe lustrare le scarpe meglio sapendo di essere un servo non perché Negro ma perché più adatto a quel lavoro. Perciò su questo è necessario un cambiamento radicale dell’opinione pubblica; esso non si determinerà all’improvviso, e non potrebbe essere così, ma i leader dell’industria e dell’opinione invece di un assenso sconsiderato all’esclusione, continua e profondamente ingiusta, dei Negri dal lavoro in città, dovrebbero cercare di determinare, qua e là, nuove occasioni e offrire nuove opportunità ai ragazzi di colore. Oggi la politica urbana si limita semplicemente a mandare via la classe migliore di giovani, che le sue scuole hanno educato e le opportunità sociali formato, ed occupa i loro posti con immigrati pigri e viziosi. È un paradosso dei tempi che uomini e donne giovani, di alcune delle migliori famiglie Negre della città, famiglie nate ed educate qui, secondo le migliori tradizioni di questa comunità, debbano, se desiderano diventare qualcosa di più che un cameriere d’albergo o un lustrascarpe, andare al sud per trovare lavoro. Non che tale lavoro non potrebbe essere onorevole e utile, ma è sbagliato rendere sguatteri degli ingegneri come lo è il contrario. Una situazione di questo tipo è una disgrazia per la città – per la sua Cristianità, per il suo spirito di giustizia, per il suo senso comune; quale fine può avere tale politica se non l’incremento del crimine e delle sue giustificazioni? L’incremento della povertà e di ulteriori motivi per essere poveri? L’incremento della schiavitù politica della massa di votanti Negri verso i boss e i farabutti che si dividono i profitti? Qui sta certo il primo dovere di una città portatrice di civiltà. In secondo luogo, nei suoi sforzi per il miglioramento dei Negri la gente di Philadelphia deve riconoscere l’esistenza della classe migliore di Negri, conquistando attraverso un comportamento generoso e civile il suo aiuto attivo e la sua cooperazione. La solidarietà sociale deve esistere tra quanto c’è di meglio in entrambe le razze e non può essere costituita dalle sensazione che il Negro che dà il meglio di sé rappresenti un vantaggio minimo per la città di Philadelphia, mentre il vagabondo è da aiutare e compatire. Questa classe più elevata di Negri non vuole aiuto o compassione, ma un riconoscimento generoso delle proprie difficoltà, e una solidarietà diffusa nei confronti dei problemi esistenziali che ha di fronte. È composta da uomini e donne educati e in molti casi colti; con una cooperazione adeguata potrebbero costituire un potere diffuso nella città, il solo in grado di lottare con successo contro molti aspetti dei problemi dei Negri. Ma la loro attività di aiuto non può essere ottenuta tramite motivazioni puramente egoistiche, o mantenuta tramite modi rozzi e maleducati; e, soprattutto, nel rifiuto di essere protetti. Inoltre, le persone bianche della città devono ricordare che gran parte del dolore e dell’amarezza che circondano la vita dei Negri americani pro113
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viene dal pregiudizio inconscio e dalle azioni solo parzialmente consapevoli di uomini e donne che non intendono ferire o importunare. Non si è obbligati a discutere il problema Negro con ogni Negro che si incontra, a parlargli di un padre che era dipendente della Underground Railroad; non si è obbligati a fissare il viso dell’individuo nero, mentre si parla, come se non fosse umano; non è necessario sogghignare, o essere scortese o zotico, se i Negri, nella stanza o per strada, non sono proprio quelli che si comportano meglio o non hanno i modi più eleganti; ed non è neanche necessario depennare dalle liste delle conoscenze della fanciullezza o degli amici dei giorni di scuola tutti coloro che hanno sangue Negro, solo perché oggi non si ha il coraggio di salutarli per strada. Le piccole norme del vivere civile nei rapporti quotidiani possono continuare, le cortesie della vita possono essere scambiate, persino lungo la linea del colore, senza nessun pericolo per la supremazia degli Anglo-Sassoni o per l’ambizione sociale del Negro. Senza dubbio le differenze sociali sono fatti, non fantasie, e non possono essere rimosse facilmente; ma non devono essere considerate scuse per vere e proprie meschinità e inciviltà. Un atteggiamento educato e solidale verso queste migliaia di individui in lotta; un modo fine di rifuggire ciò che li ferisce e li amareggia; il garantire, generosamente, alcune opportunità nei loro confronti; l’incoraggiare i loro sforzi, e la volontà di ricompensare i successi onesti – tutto questo, aggiunto a un loro impegno adeguato, porterà lontano anche in questa fase, fino a far comprendere a tutti gli uomini, bianchi e Negri, quello che intendeva il grande fondatore di questa città quando la soprannominò la “Città dell’Amore Fraterno”.
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Rapporto particolare sul lavoro domestico dei Negri nel 7º distretto – Ideali di miglioramento1
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di ISABEL EATON
Rispetto allo scopo complessivo di questa ricerca, è giusto discutere in conclusione il problema del miglioramento del lavoro domestico dei Negri di Philadelphia. Anzitutto quali rimedi o miglioramenti sono già stati tentati, con esito positivo, nel lavoro domestico? La risposta a questo dovrebbe indicare direttrici dalle quali attendersi ulteriori progressi. Ad oggi i due soli studi scientifici sull’argomento sono quello di Mr. Charles Booth e quello di Miss Salmon, che nel 1897 ha pubblicato il suo libro, di 300 pagine, Domestic Service. Il trattamento rivolto da Booth al problema è stato meramente statistico; egli si è limitato a verificare e aggregare i fatti, e non ha formulato nessuna ipotesi teorica per il suo miglioramento. Invece Miss Salmon, oltre a fornire statistiche sul lavoro domestico americano, tratta anche il problema nei suoi aspetti storici e lo prende in considerazione dal punto di vista filosofico e pratico, con riferimenti a un probabile sviluppo futuro e a possibili rimedi rispetto alle difficoltà attuali. In questo caso la risposta migliore, forse l’unica, alla questione già posta, reperibile nei testi già pubblicati, è quella data da Miss Salmon nei capitoli di chiusura del suo libro, del quale riportiamo, con il suo permesso, un breve estratto. Prima di suggerire un qualunque progetto di miglioramento, Miss Salmon elenca, e mette da parte, vari “rimedi incerti”, come la rimozione di tutte le difficoltà tramite l’applicazione della regola aurea, l’impiego del sistema dei libri di scienza in voga in Germania, l’introduzione della formazione domestica nelle scuole pubbliche, e altri metodi. Tutti questi progetti falliscono, dice l’autrice, perché presuppongono l’adattamento da compiere come un fatto meramente individuale, mentre il problema comprende in realtà rapporti più ampi, politici, economici, industriali e sociali. Lei ritiene perciò che la riforma dei servizi domestici, se deve avvenire, “deve essere realizzata lungo le stesse direttrici economiche generali delle riforme di altri grandi settori del lavoro”. Mostra che il servizio domestico, sebbene apparentemente isolato dagli altri settori del mondo del 1 Ideals of Betterment, 500-9, in The Philadelphia Negro. A Social Study, University of Pennsylvania, Philadelphia, 1899 (ora New York, Schocken Books, 1967).
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lavoro, è stato potentemente condizionato dalle invenzioni, dalle rivoluzioni politiche e dai cambiamenti sociali, dallo sviluppo commerciale del paese e dall’introduzione del sistema di fabbrica, che avevano fatto dimenticare alla famiglia, una volta per tutte, come si facevano gli abiti degli uomini, molti tipi di vestiti di lana, stivali e scarpe, cappelli, guanti etc., insieme alla preparazione di molti tipi di cibo, ora realizzata sopratutto nelle fabbriche – formaggio, vegetali in scatola, gelati, etc. Avendo mostrato che il lavoro domestico non è isolato ma è invece parte integrale e strettamente interconnessa della fabbrica sociale, l’autrice prende in considerazione i rimedi possibili, che possono avere successo solo se coerenti con le inarrestabili tendenze economiche contemporanee, estremamente pervasive. Miss Salmon anzitutto le enumera, indicandole come: 1. la tendenza alla concentrazione del capitale e del lavoro nell’industria mostrata dai consorzi, dalle fondazioni e dai grandi magazzini; 2. la tendenza alla specializzazione di ogni settore del lavoro; 3. la tendenza a un’azione collettiva che segna il percorso in atto da (1) a (2); 4. la tendenza crescente alla partecipazione agli utili e metodi simili, sempre più diffusi; 5. la tendenza verso una maggiore indipendenza industriale delle donne. Il primo rimedio suggerito da Miss Salmon, in sintonia con queste tendenze, è la specializzazione delle mansioni casalinghe. Questo è un punto importante, che richiede una riflessione molto attenta. È vero che tutti i progressi fatti nei lavori casalinghi hanno coinvolto una divisione del lavoro e una cooperazione inconsapevole, come quando, ad esempio, la filatura e la tessitura, una volta fatte in casa dalle donne, furono spostate nelle fabbriche; o come quando poi la macchina da cucire iniziò a realizzare, interamente fuori casa, le sottovesti, rendendole parte dell’industria delle “merci bianche”. Il formaggio, fatto in casa fino al 1860, è ora prodotto interamente in fabbrica. È importante notare che tutti questi articoli, tanto alimentari quanto tessili, una volta più costosi se fatti in fabbrica, ora sono migliori e più economici se prodotti all’esterno della casa. L’ipotesi è che altri articoli, ora in fase di mutamento (come i frutti conservati sotto vetro e le conserve, le marmellate, i sottaceti, il pane, i biscotti, la pasta, le carni pressate, il latte condensato, il burro, etc.), appena la loro domanda sarà divenuta sufficiente, faranno presto parte non solo delle cose fatte meglio, ma anche più economicamente, fuori casa. Questi elementi, se acquisiti tramite scambi tra donne, diventano più costosi anche solo per il fatto che «la lo116
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ro domanda è così molto limitata». L’autrice ritiene che un prezzo inferiore ne provocherebbe una richiesta nettamente superiore, anche con un miglioramento della qualità, come già nel caso dei vestiti e così via. Salmon mostra inoltre che la consegna di quasi tutti i cibi predisposti per un’applicazione finale di calore è possibile attraverso un’iniziativa economica e un esperimento scientifico, e ritiene tale percorso efficace per la soluzione del “problema del servizio”, in grado di spostare la maggior parte delle lavoratrici domestiche fuori da casa, diminuendo così le tensioni dei rapporti personali tra datori di lavoro e impiegati, i quali accoglierebbero positivamente tale cambiamento. La situazione migliorerebbe anche per loro, perché molte donne potrebbero preservare la propria vita casalinga e nello stesso tempo conservare un guadagno economico per aiutare le proprie famiglie2. Questo cambiamento, viene precisato, «è coerente con le tendenze alla specializzazione presenti ovunque, perché spinge ciascuno a fare individualmente le cose che fa meglio delle altre; permette la concentrazione di lavoro e capitale, risparmiando e garantendo così risultati migliori; preserva la vita familiare delle donne senza sacrificare le loro opportunità di contribuire al bilancio familiare; migliora la qualità dei prodotti, preparati così in condizioni più favorevoli; porta il lavoro di ogni cuoco in competizione con quello di tutti gli altri, stimolandone il miglioramento; applica il principio della cooperazione inconsapevole, armonizzandosi così con le altre iniziative». Del resto è indiscutibile che in questo modo anche il settore della lavanderia potrebbe essere spostato all’esterno delle case, e già ora le lavanderie Troy lavano molti articoli meglio, e a prezzo migliore, di quanto fatto in casa. I prezzi di Troy diminuirebbero con il crescere della domanda e della concorrenza tra le lavanderie. Anche la cura dei prati, dei giardini e delle orchidee in estate, e quella delle caldaie in inverno, tende a divenire un affare; e si sono registrati molti casi di uomini che sorvegliano otto o dieci differenti caldaie o hanno l’incarico di curare da 10 a 15 prati o giardini, e di donne che una volta alla settimana lavano le finestre per un gran numero di famiglie. Vi sono molti motivi per cui questa tendenza dovrebbe svilupparsi. Essa ha molti elementi che giocano a proprio favore, mentre la sola obiezione – che il costo della vita aumenterebbe – non è valida, dal momento che 2 È fornita una lunga lista di impieghi presenti tra le donne (Domestic Service, pp. 219 sgg.), a mostrare come le medesime sostengano, del tutto o parzialmente, le rispettive famiglie, preparando in casa cibi da vendere nelle grandi città vicine, e in genere predisponendo ciascuna grandi quantità di uno o due articoli, per esempio, le patate Saratoga, vendute in notevole quantità alle drogherie, marmellate e sottaceti, insalata di pollo, torte e così via.
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la spesa aggiuntiva sarebbe comunque solo temporanea, come nel caso degli indumenti fatti in fabbrica, con l’indubbio risultato finale di un abbassamento dei costi. Un secondo rimedio possibile suggerito è la divisione del profitto, e la sua applicazione al lavoro domestico è interessante. «È possibile”, dice Miss Salmon, “fissare una somma, come 50 o 100 dollari per le spese mensili, comprendente cibo, benzina, luce, un contributo per gli ospiti, etc.. Se per la custodia nell’uso dei materiali le spese ammontano ad una cifra tra 45 o 90 dollari mensili, i 5 o 10 dollari risparmiati possono essere divisi secondo una proporzione, concordata precedentemente, tra il dipendente e il datore di lavoro; il cuoco, che può risparmiare di più, può ricevere la maggior parte del bonus». I domestici divengono così soci interessati all’economia, con risultati ancora più soddisfacenti. Miss Salmon sostiene che non si tratta di una teoria priva di verifica ma anzi praticata con successo, e che in realtà dispone la famiglia sul terreno degli affari. Un terzo rimedio possibile proposto prevede di formare le famiglie alla organizzazione scientifica. Si è affermato che l’organizzazione di una grande scuola professionale, equipaggiata di tutto punto per lo studio della scienza domestica, e aperta solo ai diplomati e laureati dei migliori colleges e università, indirizzerebbe positivamente le scienze domestiche – come avvenuto nel miglioramento di tutte le altre sezioni – rendendo così possibile un progresso reale ed un ulteriore sviluppo armonioso di questa “industria dell’ultima ora”3. Miss Salmon ritiene che il risultato, in base al quale questi rimedi dovrebbero essere applicati su larga scala, sarebbe arricchente e di valore inestimabile. Afferma: «Questa ristrutturazione del lavoro e la volontà di così tante donne di lavorare per un salario determinerebbero molti miglioramenti in tutti i settori casalinghi, come avvenuto con la divisione del lavoro realizzata in altri luoghi. Un beneficio di vasta portata è suggerito da Maria Mitchell quando sostiene: —“la sarta non dovrebbe avere un compito più generale di quello del carpentiere. Supponiamo che ogni uomo senta come proprio dovere quello di fare il suo lavoro meccanico di ogni tipo — la società ne trarrebbe beneficio? — il lavoro sarebbe fatto bene? Eppure ci si aspetta che una donna sappia fare tutti i tipi di cucito, di cucina, di qualunque ‘lavoro da donna’, con una vita passata solo ad apprendere queste cose, mentre, al di là di questo, l’universo della verità resta inesplorato”. In conclusione si deve dire – continua l’autrice – che però ben poco 3
Così definita da Miss Addams in un discorso recente.
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può essere realizzato nella riforma domestica se non attraverso mezzi già esistenti, sviluppandoli lungo direttrici analoghe a quelle tracciate dal progresso industriale in altri campi». Questa breve citazione ci fornisce il compendio delle principali riflessioni utili ad analizzare a fondo il problema. Dobbiamo chiederci, come si può applicare tutto questo al servizio domestico Negro a Philadelphia? Quali fattori, già presenti nel servizio, possono essere ritenuti vantaggiosi e sviluppati attraverso le direttrici di progresso osservate in altri campi dell’industria? La maggior parte dei compiti del servizio domestico Negro utilizzabile per tale adattamento e sviluppo deve essere individuata nel settore della specializzazione dei lavori. Una parte consistente del servizio esterno è già in fase di realizzazione a Philadelphia da parte di gente di colore. La quantità delle lavanderie portate fuori dalle case può essere testimoniata dalla presenza di circa 31 lavanderie private nel distretto, dove 1.097 donne di colore mantengono le proprie famiglie, accettando di lavare o “facendo il lavoro” come chiamano il lavare quotidianamente nella casa dove prestano servizio. È del resto evidente che far lavare all’esterno il bucato, invece di mantenere la lavandaia come una domestica regolare, è più soddisfacente sia per il dipendente che per il datore di lavoro; perché la lavandaia farà comunque il lavoro a casa, e spesso, se vi sono bambini piccoli nella sua famiglia, lo deve fare lì senza possibilità di alternative, mentre il dipendente, tramite il lavoro fatto all’esterno, ha un giorno libero, un tranquillo lunedì o martedì, risparmiando inoltre l’insignificante ma costante spesa del sapone e degli altri strumenti per lavare. Oltre a queste 1.097 donne, che lavano nel distretto, ci sono anche due lavanderie qualificate, dirette da famiglie Negre, nelle quali tutti i familiari che vi lavorano sono impegnati attivamente, sei giorni alla settimana, con il lavoro di un gran numero di famiglie. Persone di colore come quelle sono giustamente gelose del lavoro dato ai Cinesi, mentre molti Negri nativi non riescono a trovarne. Non c’è dubbio che sotto la gestione degli uomini e delle donne di colore di Philadelphia si svilupperebbero lavanderie di successo ed eccellenti se i dipendenti fossero soddisfatti di “stendere il bucato” e se si accettasse di avere i vestiti lavati in qualche altro giorno della settimana, rispetto a quanto si usava nella colonia di Plymouth. L’economia domestica dell’America è oggi più complessa di quella della colonia di Plymouth, e si può fare molto facilmente una concessione dovuta al problema consentendo che le nostre lavanderie scelgano il loro “Lunedì”. Un altro settore del lavoro domestico che mostra tendenze alla specializzazione è quello noto come “lavoro generale”, indicato in genere dai domestici come cura delle caldaie, pulizia delle facciate anteriori delle ca119
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se e così via. Quasi tutti questi uomini lo svolgono per un numero notevole di famiglie e vi dedicano tutto il loro tempo. Infatti abbiamo incontrato un uomo impegnato nelle caldaie e nel “lavoro esterno” in non meno di otto differenti edifici. In questo senso gli impiegati potrebbero facilmente cooperare alla determinazione di un’ulteriore specializzazione, tenendo presente che oggi solo poco più del 2 per cento dei Negri che guadagna un salario è composto da “lavoratori generali”. È stato osservato che quegli uomini si trovavano quasi esclusivamente nei quartieri più ricchi e alla moda, mentre altrove il cameriere acquisiva il lavoro esterno come parte delle sue mansioni. La tendenza alla specializzazione in questo settore del servizio Negro è molto meno marcata che in quello della lavanderia, ma un progresso nella giusta direzione è ancora possibile dal momento che la tendenza, anche se non molto sviluppata, è già presente. Un elemento molto più significativo nel settore della specializzazione del lavoro è costituita dalla presenza, nel solo Settimo Distretto, di 83 approvvigionatori, maschi e femmine di colore, il cui impegno nelle famiglie, che li utilizzano in più modi, fa certo diminuire nelle medesime il bisogno di assumere un numero molto alto di domestici. L’uso di quell’aiuto professionale esterno rappresenta chiaramente uno sviluppo nella giusta direzione e il servizio che ci si assicura così è evidentemente migliore, perché professionale. Nello stesso tempo è evidente che è più economico impiegare periodicamente un approvvigionatore che tenere in casa, in permanenza, un numero ulteriore di domestici addestrati, impiegati a tale scopo. Ancora una volta, dunque, la specializzazione si rivela davvero presente tra la gente di colore di Philadelphia. Va citato un quarto esempio di quanto si è trovato in città. Si tratta dello “Scambio realizzato da donne”. La preparazione di cibi come la frutta sottovetro, le conserve, le marmellate, i sottaceti, etc., il cucire semplici indumenti, sottoabiti, grembiuli, bluse, cuffiette da bambini, etc., sono i tipi di lavoro specializzato rintracciabili nel negozio “Allo Scambio di Lavoro Femminile”, collocato al 756 della zona Sud della 12ª strada e collegato con la chiesa parrocchiale di Bethel Church. Questo “Scambio” è esterno al Settimo Distretto, ma è un caso molto evidente di quanto sopra discusso, tanto da rendere opportuno citarlo. Gli articoli messi in vendita sono di qualità eccellente e prezzi contenuti. Il ricercatore ha notato, in un negozio di alta qualità di provviste sulla Chestnut, non lontano da Rittenhouse Square, che le gelatine, le marmellate e i frutti sono messi in vendita con biglietti visibili recanti il nome di “Miss ———’s Pickled Peaches”, “Miss ————’s Currant Jelly” (“Pesche in salamoia di Miss —”, “Confetture di ribes di Miss —”), etc. Questo suggerisce che in quei negozi di provviste e drogherie di alto livello potrebbe realizzarsi quello 120
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scambio relativo al lavoro delle donne di colore se si riuscisse a indurre i proprietari a cooperare, come molti di loro potrebbero certo fare, tramite suggerimenti giudiziosi e sistematici da parte dei loro principali clienti o di qualche organizzazione femminile, influente e ben conosciuta. Le donne di colore, che hanno capacità eccezionali nella preparazione di ogni tipo di cibo, potrebbero così essere in grado di venderlo in modo conveniente, con grande beneficio loro e della comunità di cui sono spesso componente disoccupata. Ricapitolando: le attività del servizio domestico di colore da cui si può trarre vantaggio e da sviluppare lungo la specializzazione del lavoro casalingo sono dunque quelle connesse con un “Servizio Extra”: (1) Il lavoro di lavanderia può essere fatto in modo più conveniente o più a buon mercato all’esterno della casa e molte lavandaie eccellenti, tra le donne di colore sposate, sono ansiose di ottenerlo. (2) Allo stesso modo il “lavoro esterno”, il lavoro delle caldaie, etc., può essere fatto da uomini che vi si impegnino e un domestico può così essere lasciato libero per altre mansioni o dispensato del tutto. (3) Il favorire gli approvvigionatori piuttosto che impiegare domestici soprannumerari è un passo tendente a semplificare il lavoro casalingo orientandolo verso grandi stabilimenti; l’impiego di approvvigionatori competenti di colore costituisce un altro passo che tende a semplificare il problema degli uomini di colore disoccupati a Philadelphia. (4) Ogni cosa che punti ad estendere gli scambi di prodotti del lavoro femminile e, tramite la competizione al suo interno, a rendere più economici gli articoli così messi in vendita, rappresenta un passo verso la preparazione del cibo all’esterno della casa, e ogni cosa che tende ad assicurare un accordo costante per il lavoro di cuochi di colore professionali in tali scambi si muove verso la risoluzione del problema della “disoccupazione di colore” a Philadelphia, e della degradazione e sofferenza implicite in quel problema. Rispetto al secondo rimedio possibile proposto da Miss Salmon, si può solo dire che il metodo di condivisione del profitto è praticabile con gli impiegati di colore come con i bianchi o con gli stranieri, forse di più con alcuni che con altri perché i domestici di colore sono notoriamente “ansiosi di risultare graditi”. Il terzo rimedio possibile suggerito – l’educazione completa nelle faccende casalinghe – punta a rimuovere l’insofferenza ora legata al servizio domestico e ad attrarre gente competente a quell’impegno, sollevandolo al livello di una professione. La gente di colore di Philadelphia ci ha già pensato da sé. Una donna medico, molto nota a Philadelphia, una delle donne più intelligenti e interessanti di entrambe le razze, ha dichiarato a chi scrive: «Se il servizio domestico fosse più stimato, più tollerabile, più 121
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umano non sarebbe così impopolare. Se avessimo buone scuole di formazione per il servizio domestico esso diventerebbe un settore dignitoso degli affari. Mr. Booker Washington crede nell’“inserire cervelli nel lavoro comune”, e questo è proprio quanto sostengo rispetto al lavoro domestico. Se ad una ragazza si insegna a cucinare professionalmente e comprare in modo conveniente, ella diverrà una lavoratrice stimata. Un lavoratore con una propria professionalità è sempre onorevole e stimato. Ho detto spesso che ci dovrebbe essere una scuola per formare i domestici. Molte ragazze vorrebbero lavorare e non ne hanno l’opportunità. Se chiedi loro “Che sai fare? – Che qualità esprimi?” rispondono “non so fare niente bene”, una risposta molto mediocre ma anche la più comune. Ma vogliono imparare; se si chiede “Andresti a lavorare per 50 centesimi alla settimana e farti una formazione?” risponderanno: “sì, volentieri”». Credo che «dovremmo avere una scuola di istruzione con un corso regolare, nel quale i diplomati, che arrivino a un certo livello di eccellenza, ottengano un attestato di qualità. Si tratta di fare in modo che tale scuola rappresenti anche una realtà sulla quale costruire l’impiego. Una simile struttura dovrebbe rappresentare un aiuto in entrambe le direzioni, per gli impiegati e per quelli tra loro particolarmente competenti». Se studiamo la situazione mostrata da Mr. Booth a Londra sembra indiscutibile che l’idea del Dr. —— potrebbe essere resa operativa. Lì ragazze delle scuole domestiche, dotate solo dei più semplici rudimenti di formazione nell’economica domestica, sono comunque oggetto di un numero così alto di richieste nel servizio di Londra che, come dice Mr. Booth4: «Non è difficile trovare posti per le ragazze che provengono dalla scuole di economica domestica, perché la domanda supera l’offerta». La MABYS (Metropolitan Association for Befriending Young Servants) ha organizzato un dipartimento per l’impiego di queste giovani domestiche, e in esso la protezione delle ragazze è garantita dall’obbligo per la padrona di firmare un modulo attestante il numero delle persone presenti nella sua famiglia, il lavoro richiesto, i salari pagati, i privilegi garantiti, etc. Nel libro di Mr. Booth sono dettagliati gli impieghi presenti in questo dipartimento e i rapporti amichevoli con le ragazze dopo che si sono assicurati i posti di lavoro. La cosa principale da notare, in questo caso, è la consistente domanda reale di ragazze con una certa formazione, il che lascia poco dubbio sul fatto che la formazione si aggiunga in modo evidente al valore della domestica. Una scuola di formazione per l’educazione domestica potrebbe essere strutturata facilmente a Philadelphia, in rapporto con le istituzioni già esistenti. L’istituto di colore più conosciuto di 4
C. Booth, Life and Labour of the People, 8, 215 e ss.
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Philadelphia sta già svolgendo un’attività efficace nella formazione manuale e nell’insegnamento di mestieri, dall’edilizia alle modista, alla sartoria. Davvero non sarebbe possibile aggiungere corsi di scienza domestica, di economia, chimica ed igiene, etc., ai quali dovrebbero essere ammessi solo i diplomati dell’istituto e nei quali dovrebbero essere garantiti attestati solo per coloro che hanno conseguito un certo livello nel loro lavoro, teorico e pratico? Collegato a tale scuola di formazione dovrebbe essere costituito, da parte di alcune associazioni filantropiche o civiche, un dipartimento per l’impiego, con finalità occupazionali, in modo da garantire un giusto trattamento, come fatto da MABYS a Londra. Questo progetto potrebbe essere senza dubbio facilitato dal fatto che a capo di questa istituzione particolare c’è oggi una delle donne più dotate e progressiste di Philadelphia, le cui opinioni sul servizio domestico guidano la riforma familiare moderna. Nel concludere questo saggio è giusto sottolineare che questi suggerimenti, tutti coerenti con le opinioni dei migliori pensatori rispetto alla riforma dell’amministrazione delle questioni familiari, risolverebbero in gran parte le maggiori difficoltà oggi presenti nel servizio domestico. Quali sono queste difficoltà? In Inghilterra le due più grandi, secondo Mr. Booth, sono la monotonia della vita del servizio domestico e la difficoltà di rapporti personali tra dipendenti e datori di lavoro. Questo è vero anche per il servizio domestico americano, con l’ulteriore svantaggio della perdita di riconoscimento sociale, che in questo paese è l’ostacolo maggiormente presente, mentre in Inghilterra se ne ha a stento percezione. Quando il domestico diverrà un “lavoratore formato, onorevole e dignitoso”, questo grande ostacolo sarà rimosso, ed è chiaro che riducendo al minimo il numero degli impiegati presenti nella famiglia, si potrebbe eliminare, in gran parte, la difficoltà delle relazioni personali tra padrona e cameriera, mentre le domestiche, libere così di svolgere il proprio lavoro secondo propri metodi, nelle proprie case, non avrebbero più motivo di lamentarsi della monotonia di quella vita rispetto all’attività di sarta o di commerciante. Con la rimozione di questi ostacoli, entrerebbe nel servizio domestico una abilità superiore, e il lavoro diverrebbe più rispettabile ma anche più sopportabile e attraente per le domestiche, che, a volte lo dimentichiamo, sono anche essere umani, e, naturalmente, desiderano vivere da esseri umani.
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Su Mr. Booker T. Washington e altri1
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Dalla nascita alla morte fatto schiavo; in una parola, in verità, abbattuti! Schiavi ereditari! Voi non sapete Quelli che si rendono liberi devono andare contro? BYRON
Senza dubbio la cosa più sorprendente nella storia dei Negri americani dal 1876 ad oggi è il predominio di Mr. Booker T. Washington. Esso ebbe inizio quando stavano venendo meno rapidamente le memorie e gli ideali della guerra, si stava avviando una fase di incredibile sviluppo commerciale e un sentimento di dubbio e indecisione coglieva i figli dei liberti; fu allora che ebbe avvio la sua preminenza. Mr. Washington arrivò, con un programma semplice e definito, in una fase psicologica in cui la nazione si vergognava un pò di aver dedicato tante attenzioni ai Negri, e stava iniziando a concentrare le proprie energie sui dollari. Il suo programma di educazione industriale, di conciliazione del sud, e di subordinazione e silenzio nei confronti dei diritti civili e politici non era del tutto originale. I Free Negroes avevano lottato dal 1830 fino al tempo di guerra per costruire scuole industriali, e fin dalle sue origini l’American Missionary Association aveva insegnato vari mestieri; e Price e altri avevano cercato di stringere una alleanza onesta con la parte migliore dei sudisti. Ma Mr. Washington fu il primo ad unire in modo inscindibile questi tratti, infuse entusiasmo, energia senza fine, e fede sincera in questo programma, e lo trasformò da percorso secondario in autentico sistema di vita. La narrazione del metodo seguito per realizzarlo rappresenta uno studio avvincente della vita umana. Dopo molti decenni di aspra protesta, ascoltare un Negro che sosteneva quel programma fece trasalire la nazione; la fece trasalire e conquistò il plauso del sud, interessò e si guadagnò l’ammirazione del nord; e dopo un mormorio confuso di protesta, azzittì, se addirittura non riuscì a convertire, persino i Negri. 1 On Mr. Booker T. Washington and Others, in The Souls of Black Folks, Chicago, A.C. McClurg and Co., 1903 (ora Dover Publications, 1994).
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Il primo compito di Mr. Washington fu di assicurarsi la solidarietà e la cooperazione dei vari elementi che facevano parte del sud bianco; e questo, al tempo in cui fu fondata Tuskegee, sembrava davvero impossibile per un negro, eppure dieci anni dopo, nel discorso tenuto ad Atlanta, l’operazione appariva portata a termine: «In tutte le situazioni meramente sociali possiamo essere separati come le cinque dita della mano, e tuttavia possiamo lo stesso essere uniti come la mano in quelle essenziali per il progresso reciproco». Questo “Compromesso di Atlanta” [riportato in Appendice] è la cosa di gran lunga più importante della carriera di Mr. Washington. Il sud lo interpretò in modi differenti: i radicali lo accolsero come una resa completa alla domanda di eguaglianza politica e civile; i conservatori, come una base di lavoro concepita generosamente con l’obiettivo di comprensione reciproca. Così entrambi lo accettarono, e oggi il suo autore è certo il sudista più famoso dai tempi di Jefferson Davis, e anche quello con il più ampio seguito personale. A questa conquista ha fatto seguito l’impegno di Mr. Washington per acquisire spazio e considerazione nel nord. Altri, meno acuti e accorti, hanno provato prima di lui a sedersi su questi due ceppi e sono caduti tra loro; ma poiché Mr. Washington conosceva il cuore del sud dalla nascita e dal periodo della formazione, analogamente, tramite una singolare percezione, intuì lo spirito del tempo che stava dominando il nord. E imparò tanto bene il linguaggio e il pensiero dell’affarismo trionfante, e gli ideali della prosperità materiale, che la rappresentazione di un ragazzo negro solitario, che studiava una grammatica francese tra le erbacce e la sporcizia di una casa trascurata, in breve gli sembrò il culmine delle assurdità. C’è da chiedersi cosa avrebbero detto nel merito Socrate e San Francesco d’Assisi. Eppure questa assoluta unicità di visione e di totale accordo con la sua epoca è il segno dell’uomo di successo. È come se la natura avesse bisogno di creare uomini deboli per poi dare loro forza. Così il culto di Mr. Washington ha fatto proseliti privi di dubbi, il suo lavoro ha avuto un successo sorprendente, i suoi amici sono ormai schiere, i suoi nemici sconcertati. Oggi egli spicca come l’unico oratore riconosciuto dai suoi dieci milioni di seguaci e come una delle figure di maggior rilievo in una nazione di settanta milioni di persone. Inoltre, ciascuno esita a criticare una vita che, partendo da così poco, ha fatto tanto. Finalmente però è venuto il tempo in cui si può parlare in tutta sincerità e con assoluta tranquillità degli errori e dei difetti della carriera di Mr. Washington, così come dei suoi trionfi, senza essere ritenuti capziosi o invidiosi, e senza dimenticare che nel mondo è più facile fare male che bene. La critica sinora riservata a Mr. Washington non ha avuto sempre questo carattere di ampio respiro. In particolare nel sud ha dovuto destreg125
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giarsi in vari modi per sfuggire ai giudizi più duri – e questo è naturale, dal momento che si sta trattando con il soggetto più sensibile di quella realtà. In due occasioni – una quando alla celebrazione di Chicago della guerra Ispano-Americana alluse al pregiudizio del colore che «sta erodendo gli elementi vitali del sud», e un’altra quando pranzò con il Presidente Roosevelt – la critica sudista successiva è stata così violenta da minacciare la sua popolarità. Nel nord il sentimento aveva forzato più volte il senso delle parole, perché alcuni dei consigli di sottomissione dati da Mr. Washington avevano trascurato una serie di fattori di reale coraggio, e il suo programma educativo era inutilmente circoscritto. In genere, comunque, quella critica non ha trovato espressione esplicita, anche se i figli spirituali degli Abolizionisti non erano stati preparati a riconoscere che le scuole fondate prima di Tuskegee, da uomini di grandi ideali e spirito di autosacrificio, rappresentavano un fallimento completo o fossero degne di ridicolo. Mentre, dunque, la critica non ha mancato di esprimersi nei confronti di Mr. Washington, l’opinione pubblica prevalente è stata fin troppo disponibile a mettere nelle sue mani la soluzione di un problema di lungo periodo, dicendo «Se questo è quanto tu e la tua razza chiedete, prendetelo». Mr. Washington ha incontrato comunque tra la sua gente l’opposizione più forte e duratura, che arrivava a volte a una vera e propria asprezza, una opposizione che continua anche oggi, forte e ostinata, anche se in gran parte taciuta dall’opinione pubblica nazionale nelle sue manifestazioni esterne. Una parte di questa opposizione è certo frutto di mera invidia, della delusione dei demagoghi messi da parte e del rancore di menti ristrette. Ma oltre a questo, in tutte le parti del paese, tra gli uomini di colore educati e seri, si riproduce un sentimento di profondo rammarico, dispiacere, e preoccupazione rispetto alla grande diffusione e influenza raggiunta da alcune teorie di Mr. Washington. Questi stessi uomini ammirano la sincerità dei suoi propositi, e sono disposti a perdonare molto per lo sforzo onesto, teso a fare qualcosa degna di essere realizzata. Cooperano con Mr. Washington fin dove la loro coscienza glielo permette; e, in verità, non si tratta di un omaggio scontato all’accortezza e al potere di quest’uomo che, governando da par suo, tra tanti differenti interessi e opinioni, continua a ricevere da tutti un notevole rispetto. Ma la critica silenziosa degli oppositori onesti è pericolosa. Essa spinge alcuni dei migliori critici a un silenzio fuori luogo e a una paralisi degli sforzi, e gli altri a irrompere nelle discussioni con così tanta passione e intemperanza da perdere ascoltatori. La critica onesta e seria da parte di quelli i cui interessi sono maggiormente messi in discussione – quella degli scrittori da parte dei lettori, dei governi da parte dei governati, dei lea126
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der da parte di quelli guidati – è l’anima della democrazia e la difesa della società moderna. Se, per una pressione esterna, la parte migliore dei negri americani riceve un leader prima sconosciuto, quel fatto costituisce un guadagno evidente, ma anche una perdita irreparabile, una perdita di quella formazione particolarmente preziosa che un gruppo interiorizza se trova e nomina i propri leader attraverso la ricerca e la critica. Il modo in cui questo avviene è nello stesso tempo il problema più elementare e difficile dello sviluppo sociale. La storia è anche la memoria di tale leadership di gruppo; eppure, quanto infinitamente mutevoli sono il suo tipo e il suo carattere! E tra tutti i tipi e generi, cosa può essere più istruttivo della leadership di un gruppo all’interno di un gruppo? – Quello strano doppio movimento per il quale il progresso effettivo potrebbe essere negativo e l’avanzamento reale una parziale retrocessione. Tutto questo costituisce nello stesso tempo ispirazione e disperazione per lo studioso sociale. In passato i Negri americani hanno compiuto un’esperienza formativa istruttiva nello scegliere i leader di gruppo, avviando così una dinastia particolare che, alla luce delle attuali condizioni, è degna di essere studiata. Quando bastoni e pietre e bestie formano il solo ambiente di un popolo, il suo atteggiamento è fatto soprattutto di opposizione decisa e di conquista delle forze naturali. Ma quando alla terra e alla brutalità si aggiunge un contenuto di uomini e idee, allora l’atteggiamento del gruppo emarginato può assumere tre caratteri principali: un sentimento di rivolta e di rivincita; un tentativo di adattare tutto il pensiero e l’azione alla volontà del gruppo più grande; o, infine, uno sforzo orientato all’autorealizzazione e all’autosviluppo, nonostante l’opinione che lo circonda. L’influenza di questi vari atteggiamenti nella storia dei Negri americani può essere verificata in vari momenti, e nell’evoluzione dei loro successivi leader. Prima del 1750, mentre il fuoco della libertà africana ancora bruciava nelle vene degli schiavi, nell’intera leadership e in quella che si stava costruendo era presente l’unico movente della rivolta e della rivincita – espresso in modo tipico dai terribili Maroons, dai Black Danish, e da Cato di Stono, che diffondeva una paura di insurrezione in tutte le Americhe. Le tendenze liberalizzanti della seconda metà del diciottesimo secolo portarono, insieme ad un rapporto più cordiale tra negri e bianchi, idee fondamentali di assimilazione e adattamento. Tale aspirazione fu espressa in particolare nelle canzoni più ardenti di Phyllis, nel martirio di Attucks, nei combattimenti di Salem e Poor, nella doti intellettuali di Banneker e Derham, e nelle domande politiche dei Cuffes. Le ristrettezze finanziarie e la tensione sociale seguite alla guerra raffreddarono molto lo spirito umanitario precedente. La delusione e l’impazienza dei Negri di fronte al persistere della schiavitù e della servitù si 127
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espressero in due movimenti. Gli schiavi nel sud, indubbiamente stimolati dalle notizie incerte sulla rivolta di Haiti, compirono tre feroci tentativi di insurrezione, nel 1800 sotto Gabriel in Virginia, nel 1822 sotto Vesey in Carolina, e nel 1831 di nuovo in Virginia sotto il terribile Nat Turner. Nei Free States, d’altro canto, fu compiuto un nuovo e singolare tentativo di auto-sviluppo. A Philadelphia e New York le segregazioni di colore portarono ad un ritiro dei Negri praticanti dalle chiese bianche e alla formazione, tra i Negri, di una istituzione socio-religiosa particolare, conosciuta come la Chiesa Africana – organizzazione tuttora esistente e che, nelle sue varie articolazioni, controlla più di un milione di uomini. L’appello iniziale di Walker contro la tendenza dei tempi mostrava come il mondo stesse cambiando dopo l’arrivo delle macchine sgranatrici di cotone. Dal 1830 la schiavitù sembrava irrimediabilmente legata al sud, e gli schiavi completamente intimoriti e sottomessi. I Negri liberi del nord, ispirati dai mulatti immigrati dalle Indie del West, iniziarono a modificare il carattere delle loro richieste; presero atto della schiavitù degli schiavi, ma insistevano di essere uomini liberi, e cercarono l’assimilazione e l’amalgama a livello nazionale come gli altri uomini. Così, Forten e Purvis di Philadelphia, Shad di Wilmington, Du Bois di New Haven, Barbadoes di Boston e altri si batterono, da soli e insieme, specificando, come uomini non come schiavi; come “persone di colore”, non come “Negri”. L’orientamento dell’epoca rifiutava il loro riconoscimento salvo che in casi individuali ed eccezionali, li considerava tutt’uno con i negri disprezzati, e presto si trovarono a dover lottare persino per mantenere e preservare i diritti di voto e lavoro e mobilità, già posseduti come uomini liberi. Tra loro emersero progetti di emigrazione e colonizzazione, ma si rifiutarono di prenderli in considerazione, e si rivolsero al movimento abolizionista come rifugio finale. Poi, sotto la guida di Remond, Nell, Wells-Brown, e Douglass, iniziò un nuovo periodo di autoaffermazione ed autosviluppo. Certo la libertà e l’assimilazione definitivi rappresentavano l’ideale per quei leader, ma l’affermazione dei diritti umani dei Negri rappresentava di per sé la risorsa principale, e la marcia di John Brown costituì la dimensione estrema di quel ragionamento. Dopo la guerra e l’emancipazione il grande modello di Frederick Douglass, il maggiore leader dei negri americani, rappresentava ancora la guida delle masse. L’autoaffermazione, specie nelle sue direttrici politiche, costituiva la parte del principale programma, e dopo Douglass vennero Elliot, Bruce, e Langston, e i politici della Ricostruzione, meno appariscenti, ma di significato sociale più profondo, Alexander Crummell e il Vescovo Daniel Payne. Poi ci fu la Rivoluzione del 1876, la soppressione del voto ai Negri, il 128
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modificarsi e lo spostarsi degli ideali, e la ricerca di nuove luci nella grande notte. Douglass, ormai vecchio, si batteva ancora coraggiosamente per gli ideali della sua idea originaria di umanità, – l’assimilazione definitiva attraverso l’autoaffermazione, e non su altre basi. Per un periodo Price emerse come nuovo leader, destinato, sembrava, a non cedere, anzi a riaffermare i vecchi ideali in una forma meno inconciliabile per i bianchi del sud. Ma morì nel fiore degli anni. Poi venne il nuovo leader. Quasi tutti i predecessori erano diventati leader attraverso il suffragio silenzioso dei loro seguaci, avevano cercato di guidare la propria gente da soli, ed erano in genere, eccetto Douglass, poco conosciuti al di fuori dalla loro razza. Invece Booker T. Washington sorse in fondo come il leader non di una razza ma di due, compromesso tra il sud, il nord e i Negri. Naturalmente i Negri furono immediatamente colpiti amaramente dai segni di compromesso che prorogavano a tempo indeterminato i loro diritti civili e politici, anche se lo scambio avveniva in ragione di possibilità consistenti di sviluppo economico. Il nord, ricco e predominante, comunque, non solo era stanco del problema razziale, ma stava investendo notevolmente nelle imprese del sud, e salutava favorevolmente ogni forma di cooperazione pacifica. Così, su spinta nazionale, i Negri iniziarono a riconoscere la leadership di Mr. Washington, e la voce della critica fu fatta tacere. Mr. Washington rappresenta, all’interno del pensiero Negro, l’antico atteggiamento di adattamento e sottomissione; ma comunque un adattamento così particolare da rendere unico il suo programma. Questa è un’epoca di sviluppo economico non comune, e il programma di Mr. Washington assume naturalmente un carattere economico, diventando una dottrina del Lavoro e del Denaro al punto da mettere, in modo evidente, quasi completamente in ombra gli obiettivi superiori della vita. Inoltre, questa è un’epoca in cui le razze più avanzate stanno entrando in stretto contatto con quelle meno sviluppate, mentre il sentimento della razza si è sviluppato; e il programma di Mr. Washington accetta in pratica la presunta inferiorità della razza Negra. Inoltre, nella nostra terra, le reazioni radicate nei sentimenti del tempo di guerra hanno determinato lo svilupparsi del pregiudizio razziale contro i Negri, eppure Mr. Washington ritira molte delle richieste di ampio respiro avanzate dai Negri come uomini e cittadini americani. In altri periodi dell’intensificarsi del pregiudizio è emersa la tendenza dei negri all’autoaffermazione; in questa fase viene sostenuta una politica di sottomissione. Nella storia di quasi tutte le razze e le genti la dottrina predicata rispetto a quelle crisi è stata che soprattutto un forte rispetto di sé è più importante delle terre e delle case, e che un popolo che vi rinuncia volontariamente, o che cessa di battersi per esso, non è degno di un processo di civilizzazione. 129
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In risposta a questo si è sostenuto che il Negro può sopravvivere solo in stato di sottomissione. Mr. Washington chiede, in modo chiaro, che i Negri rinuncino, almeno per il presente, a tre cose: primo, il potere politico; secondo, la richiesta insistente di diritti civili; terzo, l’educazione superiore per i giovani negri; e concentrino tutte le loro energie sulla formazione industriale, l’accumulazione di ricchezza, e la conciliazione del sud. Questa politica è stata sostenuta, coraggiosamente ed insistentemente, per più di quindici anni, ed ha trionfato per forse dieci. Qual è stato l’effetto di ritorno, risultato di questa offerta di ramoscello di palma? In questi anni si sono determinati: 1. Il venire meno dei diritti civili dei Negri. 2. Il consolidarsi legale di uno status specifico di inferiorità civile per il Negro. 3. Il ritiro continuo delle sovvenzioni agli istituti per la formazione superiore dei Negri. Quei cambiamenti non sono, in realtà, risultati diretti degli insegnamenti di Mr. Washington; ma la sua propaganda ha, senza dubbio, reso più veloce la loro realizzazione. Il problema diviene allora: è possibile e accettabile che nove milioni di uomini possano progredire positivamente nei settori economici mentre sono privati dei diritti politici, resi casta di servi, in possesso solo della più bassa potenzialità per sviluppare i loro uomini straordinari? La risposta chiara che storia e ragione sono in grado di dare a questi problemi è un evidente No. E Mr. Washington si trova così di fronte al triplo paradosso della sua carriera: 1. Sta lottando in modo nobile per rendere gli artigiani Negri uomini d’affari e proprietari; ma per i lavoratori e i proprietari è assolutamente impossibile, nel quadro dei metodi moderni di competizione, difendere e tutelare i propri diritti e esistere senza il diritto al voto. 2. Insiste su risparmio ed autoconsiderazione di sé, ma consiglia allo stesso tempo un tacito assenso all’inferiorità civile, in modo da legarla, nel lungo periodo, al logoramento della virilità di una razza. 3. Sostiene la scuola popolare e la formazione industriale, e svaluta le istituzioni di formazione superiore; ma né le scuole popolari Negre, né lo stesso Tuskegee, potrebbero restare aperte anche un solo giorno se non fosse per gli insegnanti formati nei college per Negri, o per i loro laureati. Questo triplo paradosso, presente nella posizione di Mr. Washington, è oggetto di critica da parte di due classi di americani di colore. Una è di130
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scendente spirituale da Toussaint, il Salvatore, attraverso Gabriel, Vesey, e Turner, e rappresenta l’atteggiamento di rivolta e rivincita; essa odia ciecamente il sud bianco e diffida della razza bianca in generale, e, d’accordo su un’azione precisa, crede che la sola speranza dei Negri sia nell’emigrazione oltre i confini degli Stati Uniti. Eppure, per ironia del destino, niente ha fatto sembrare questo programma maggiormente privo di speranza della recente linea di condotta degli Stati Uniti verso le persone più deboli e scure nelle Indie del West, nelle Hawaii, e nelle Filippine – per cui è possibile andare nel mondo ed essere al sicuro dal linciaggio e dalla forza bruta? L’altra classe dei Negri che non può essere d’accordo con Mr. Washington ha detto proprio poco ad alta voce. Essa critica la realtà dei propositi sparsi, e il disaccordo interno; e in particolare non ama l’ipotesi di trasformare la sua critica giusta nei confronti di un uomo capace e convinto in un pretesto per una scarica complessiva di veleno da parte di oppositori dalla mentalità ristretta. Non di meno, le questioni connesse sono così fondamentali e serie che è difficile pensare in che modo uomini come i Grimkes, Kelly Miller, J. W. E. Bowen, e altri rappresentanti di questo gruppo, possano restare molto più a lungo in silenzio. In verità si sentono tenuti a chiedere tre cose a questa nazione: 1. Il diritto al voto. 2. L’eguaglianza nei diritti civili. 3. L’educazione dei giovani secondo la loro abilità. Essi riconoscono il servizio inestimabile svolto da Mr. Washington nel consigliare pazienza e cortesia rispetto a quelle domande; non chiedono che gli uomini neri ignoranti possano votare se quelli bianchi ignoranti sono esclusi dal voto, o che all’interno del suffragio non siano applicate ragionevoli restrizioni nel diritto di voto; sanno che il livello sociale basso, di parte consistente della razza, è responsabile di gran parte della discriminazione nei suoi confronti, ma sanno anche, e lo sa la nazione, che il pregiudizio inesorabile verso il colore è molto spesso più una causa che un risultato dell’umiliazione dei negri; cercano l’abolizione di questo retaggio barbarico, e non il suo sistematico incoraggiamento e la condiscendenza nei suoi confronti da parte di tutte le agenzie di potere sociale, dall’Associated Press fino alla Chiesa di Cristo. Sostengono, d’accordo con Mr. Washington, la costituzione di un ampio sistema di scuole popolari Negre, integrato da un’approfondita formazione industriale; ma sono sorpresi che un uomo dell’acume di Mr. Washington non riesca a comprendere che nessun sistema educativo di tale tipo ha poggiato mai, o può poggiare, su una base diversa da quella di un college e di un’università ben attrezzati, e ribadiscono che c’è nel sud richiesta di poche istituzioni di 131
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questo tipo per formare come insegnanti, professionisti e leader la parte migliore dei giovani Negri. Questo gruppo di uomini rende onore a Mr. Washington per il suo atteggiamento conciliante nei confronti del sud bianco; accetta il “Compromesso di Atlanta” nella sua accezione più ampia; riconosce in questo ambito molti segni della promessa, molti uomini di obiettivi elevati e di giudizi onesti; sa che nessun compito facile è stato affidato a una struttura già vacillante sotto un peso consistente. Ma, nondimeno, insiste che la strada verso la verità e la giustizia è fatta da una onestà netta, non dalla lusinga priva di discernimento; dall’elogiare quelli del sud che operano positivamente e dal criticare senza compromessi quelli che lavorano male; dal trarre vantaggio dalle opportunità a portata di mano e dallo spingere i compagni a fare lo stesso, ma allo stesso tempo dal ricordare che solo una adesione risoluta ai loro ideali e alle aspirazioni più alte li manterrà possibili. Non si aspetta che il libero diritto di voto, l’acquisizione dei diritti civili e dell’educazione possano essere conquistati in modo fulmineo; non si aspetta di vedere scomparire al suono di una tromba gli errori e i pregiudizi di anni; ma è assolutamente certo che per un popolo la strada per ottenere i suoi giusti diritti non si percorre rinunciandovi volontariamente o insistendo sul fatto che non sono oggetto di desiderio; che il modo per la gente di ottenere rispetto non è di sminuirsi continuamente e mettersi in ridicolo; che, al contrario, i Negri devono insistere continuamente, in ogni momento, sostenendo che per gli uomini moderni il voto è necessario, la discriminazione di colore è una barbarie, e che il ragazzo negro ha bisogno di educazione come quello bianco. Se non riusciranno ad affermare in modo chiaro ed esplicito le domande legittime della propria gente, anche a costo di dover contrastare un leader onorato, le classi intellettuali dei Negri americani si sottrarranno a una responsabilità molto consistente – una responsabilità verso se stessi, verso le masse in lotta, verso le razze più scure di uomini il cui futuro dipende tanto da questo esperimento Americano, ma una responsabilità soprattutto per questa nazione, questa comune Madrepatria. È sbagliato incoraggiare un uomo o un popolo a compiere delle malvagità; è sbagliato aiutare e appoggiare un crimine nazionale solo perché è impopolare non criticarlo. Lo spirito crescente di cordialità e riconciliazione tra il nord e il sud, dopo gli spaventosi contrasti della scorsa generazione, dovrebbe far sorgere una profonda gratitudine verso tutti, in particolar modo verso quelli il cui maltrattamento ha causato la guerra. Ma se quella riconciliazione deve essere segnata dalla schiavitù industriale e dalla morte civile di quegli stessi negri, con una legislazione che li pone in una posizione di permanente inferiorità, allora quegli uomini Negri, se sono veri uomini, 132
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sono chiamati da una ragione di patriottismo e lealtà ad opporsi con tutti i metodi civili a tale orientamento, anche se tale opposizione comprende il disaccordo con Mr. Booker T. Washington. Non abbiamo diritto di starcene zitti mentre vengono sparsi i semi che daranno inevitabilmente frutti disastrosi per i nostri bambini, neri e bianchi. È dovere anzitutto dei Negri di giudicare il sud senza pregiudizi. La generazione attuale di uomini del sud non è responsabile del passato, e non dovrebbe né essere odiata ciecamente né esserne incolpata. Inoltre per nessuna classe l’approvazione indiscriminata dei recenti orientamenti del sud verso i Negri è più nauseante di quanto lo sia per il pensiero più avanzato del sud. Il sud non è “compatto”; è una terra attraversata dai fermenti del cambiamento sociale, nella quale forze di tutti i tipi stanno combattendo per la supremazia; e sperare che il male del sud si stia oggi perpetuando corrisponde a riprodurre un errore simile a condannare il bene. Ciò di cui il sud ha bisogno è una critica intelligente e di ampie vedute, – ne ha bisogno per la salvezza dei suoi figli e figlie bianchi, e per la certezza di uno sviluppo vigoroso, sul piano della salute mentale e morale. Oggi persino l’atteggiamento dei bianchi del sud verso i Negri non è, come molti sostengono, omogeneo; l’uomo del sud ignorante odia il Negro, il lavoratore teme la sua competizione, chi è bravo a far soldi desidera averlo come manovale, alcuni degli individui educati vedono una minaccia nel suo sviluppo teso al proprio miglioramento, mentre altri – in genere i figli degli insegnanti – vogliono aiutarlo a sollevarsi. L’opinione nazionale ha spinto quest’ultima classe a mantenere le scuole popolari Negre, e a proteggere i Negri, almeno parzialmente, rispetto alla proprietà, alla vita e all’incolumità fisica. Il Negro rischia di essere ridotto, dalla pressione delle persone brave a far soldi, in una condizione di semischiavitù, soprattutto nei distretti di campagna; i lavoratori, e quelli tra le persone educate che temono il Negro, si sono uniti per privarlo dei diritti civili, e alcuni hanno raccomandato la sua deportazione; mentre i fondamentalismi spingono facilmente verso il linciaggio e la violenza nei loro confronti. Lodare questo intreccio di pensiero e pregiudizio non ha senso; inveire indiscriminatamente contro “il sud” è ingiusto; ma usare lo stesso sospetto nell’elogiare il Governatore Aycock, nel presentare il Senatore Morgan, nel discutere con Mr. Thomas Nelson Page, e nel denunciare il Senatore Ben Tillman non solo è saggio, ma è un dovere tassativo dei Negri che pensano. Sarebbe poco leale verso Mr. Washington negare che in diverse occasioni si è opposto ai movimenti ingiusti del sud verso i negri; ha mandato memoriali alle convenzioni costituzionali della Louisiana e dell’Alabama, ha parlato contro il linciaggio, e, in altre forme, ha usato la sua influenza, 133
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apertamente o silenziosamente, contro disegni minacciosi e avvenimenti sfortunati. Nonostante questo, è altrettanto giusto affermare che nel complesso l’impressione lasciata in modo palese dalla propaganda di Mr. Washington è, anzitutto, che il sud è giustificato nel suo atteggiamento attuale verso i Negri a causa del loro degrado; in secondo luogo, che il motivo principale dell’incapacità dei Negri di elevare rapidamente la propria condizione sta nella loro educazione precedente, sbagliata; e, terzo, che il loro miglioramento futuro dipende principalmente dai loro sforzi. Ognuna di queste proposizioni costituisce una pericolosa mezza-verità. Le verità supplementari non devono mai essere perse di vista: primo, schiavitù e pregiudizio razziale sono cause potenti, anche se in sé insufficienti, della posizione del Negro; secondo, la formazione industriale e della scuola popolare erano state necessariamente lente nel loro radicarsi perché dovevano attendere insegnanti negri formati da istituzioni superiori – essendo del tutto incerta la possibilità di uno sviluppo sostanzialmente differente, e certo Tuskegee era impensabile prima del 1880; e, terzo, mentre è del tutto corretto dire che il Negro deve lottare, e con forza, per aiutarsi, è altrettanto vero che questa lotta, se non sarà non solo assecondata, ma anche sostenuta e incoraggiata dall’iniziativa del gruppo più ricco e più presente, non può sperare in un grande successo. Mr. Washington è particolarmente criticato per la sua incapacità di comprendere e applicare quest’ultimo punto. La sua dottrina ha teso a far sì che i bianchi, del nord e del sud, trasferiscano il peso del problema negro sulle spalle di questi ultimi tenendosi in disparte, come spettatori critici e piuttosto pessimisti; mentre in realtà quel peso appartiene alla nazione, e le mani di nessuno di noi sono pulite se non indirizziamo le nostre energie a correggere questi grandi errori. Il sud dovrebbe essere portato, da una critica esplicita e onesta, ad affermare la parte migliore di sé e a compiere tutto il proprio dovere verso la razza che ha duramente maltrattato e sta ancora maltrattando. Il nord – responsabile come lei – non può salvarsi la coscienza ricoprendola di oro. Non possiamo risolvere questo problema tramite la diplomazia e la cortesia, tramite la sola “politica”. Se il peggio provoca un peggioramento, può la fibra morale di questo paese sopravvivere al lento soffocamento e alla soppressione di nove milioni di uomini? I Negri d’America hanno un dovere da compiere, duro e nello stesso tempo acuto, – un movimento che si opporrà a una parte dell’iniziativa dei loro maggiori leader. Finché Mr. Washington predicherà parsimonia, pazienza e formazione industriale per le masse, dobbiamo sostenere le sue mani e combattere con lui, gioendo dei suoi onori e glorificando la forza di questo Giuseppe chiamato da Dio, uomo che guida un mucchio privo di 134
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testa. Ma se Mr. Washington si scusa per l’ingiustizia, del nord o del sud, non valuta correttamente il privilegio e il dovere di votare, banalizza gli effetti indebolenti determinati dalle distinzioni di casta, e si oppone alla formazione superiore all’ambizione delle nostre menti più illustri – se egli, il sud, o la nazione, fanno questo – dobbiamo opporci in modo incessante e risoluto. Dobbiamo combattere con ogni mezzo, civile e pacifico, per i diritti che il mondo accorda agli uomini, saldamente legati alle grandi parole che i figli dei Padri vorrebbero volentieri dimenticare: «Riteniamo che le verità che seguono sono evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono dotati dal loro Creatore di una serie di diritti inalienabili; che tra questi vi sono la vita, la libertà, e l’obiettivo della felicità».
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Gli uomini di talento1
La razza negra, come tutte le razze, sta per essere salvata dai suoi uomini eccezionali. Il problema dell’educazione dei Negri deve fare i conti anzitutto con la loro decima parte di talento2 ed è il problema, di questa e delle altre razze, di sviluppare la parte migliore di sé in modo che essa possa guidare, la Massa lontano dalla corruzione e dal peggior tipo di morte, per la propria e le altre razze. Certo la formazione degli uomini è compito difficile e complicato: la sua tecnica spetta a chi si occupa di formazione ma il suo contenuto è proprio dell’intuito di chi riesce a vedere lontano. Se il denaro diviene centro della formazione dell’uomo che educhiamo, avremo individui bravi a far soldi ma non necessariamente uomini; se lodiamo l’abilità tecnica, avremo artigiani ma non, in realtà, uomini. Otterremo uomini solo se metteremo il coraggio al centro del lavoro delle scuole – intelligenza, simpatia diffusa, conoscenza del mondo, come era e come è, e rapporti degli uomini nei suoi confronti – questo è il curricolo dell’educazione superiore che deve essere a fondamento della vita reale. Su queste basi si può costruire come guadagnare il pane, abilità di mani e destrezza del cervello, senza dover avere mai timore che il ragazzo e l’uomo scambino i mezzi per vivere con l’oggetto della vita. «Se questo è vero – e non c’è chi lo possa negare – ho di fronte tre compiti; primo, mostrare che fin dal passato quella decima parte, per come è cresciuta tra i negri Americani, è stata degna della leadership; secondo indicare come questi uomini possano essere educati e valorizzati; e terzo evidenziare il loro rapporto con il problema negro». Ti fai un’idea sbagliata di noi perché non ci conosci. Fin dalle origini sono stati gli individui educati e intelligenti della gente negra a guidare ed elevare le masse, ed i soli ostacoli che hanno annullato e ritardato i loro sforzi sono stati la schiavitù e il pregiudizio razziale; perché cosa è la 1 The Talented Tenth, in The Negro Problem. A Series of Articles by Representatives American Negroes of Today, James Pott & C. New York, Basic Books Inc. Publishers,, 1903, 33-75 (ora in Negro Social and Political Thought. 1850-1920, Basic Books, 1966, 518-33). 2 [La traduzione letterale “decima parte di talento” non esplicita fino in fondo l’uso fattone dall’autore il quale, al di là della percentuale, indica comunque una parte non solo qualitativamente ma anche eticamente migliore della popolazione nera in grado di operare, a livello simbolico e concreto, per la trasformazione della parte restante (da qui in poi la decima parte) N.d.C.].
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schiavitù se non la sopravvivenza, fatta legge, di qualcosa di indegno e la vanificazione del lavoro della leadership naturale di quel popolo? La leadership negra ha cercato inoltre fin dall’inizio di liberare la razza da questo tremendo incubo secondo il quale la strada era quella della selezione naturale e della sopravvivenza dei più forti. Nel periodo coloniale Phillis Wheatley e Paul Cuffe lottarono contro le barriere del pregiudizio; e Benjamin Banneker, l’autore degli almanacchi, diede voce ai loro desideri dicendo a Thomas Jefferson, «Riconosco in libertà e con gioia di far parte della razza Africana e del colore che le è naturale, il più scuro; ed è con profondissima gratitudine verso il Regolatore Supremo dell’Universo, che ti confesso di non essere in quello stato di soggezione tirannica e schiavitù disumana cui sono condannati troppi miei fratelli, ma di aver avvertito più volte le benedizioni che derivano dalla libertà autonoma e unica che ti favorisce, e che spero ammetterai di aver ricevuto con grande misericordia dalla mano di quell’Essere da cui deriva ogni bene e perfezione. Mi dispiace ricordarti quando le armate della Corona inglese compirono ogni sforzo possibile per ridurti in schiavitù; rammenta, ti prego, la varietà dei pericoli ai quali fosti esposto; rifletti su quel periodo nel quale ogni soccorso umano sembrava inutile, quando anche la speranza e la fermezza avevano l’aspetto dell’incapacità rispetto al conflitto, e potevi solo essere spinto a un sentimento e grato per la tua salvezza miracolosa e fortunata, legata all’azione della provvidenza, come devi anche riconoscere che la libertà e la tranquillità attuali, di cui godi, le hai ricevute molto pietosamente e come particolare benedizione del cielo. Era così, signore, nel tempo in cui percepivi chiaramente l’ingiustizia dello stato di schiavitù, e temevi a ragione gli orrori della sua condizione. Fu allora che la tua avversione al problema fu sollecitata tanto da enunciare pubblicamente questa posizione, vera e inestimabile, degna di essere registrata e ricordata negli anni a venire: “Riteniamo queste verità evidenti in sé, e cioè che tutti gli uomini sono creati uguali, dotati di una serie di diritti inalienabili, tra cui la vita, la libertà, e l’obiettivo della felicità”». Poi fu la volta del Dr. James Derham, in grado di dire qualcosa nel settore della medicina anche all’istruito Dr. Rush, e di Lemuel Haynes, cui il Middlebury College conferì nel 1804 un A.M. onorario. Questi ed altri, che possiamo definire il gruppo rivoluzionario dei negri insigni – furono persone di capacità spiccata, leader di quella decima parte, che si collocava proprio tra i migliori del suo tempo. Lottarono con la parola e l’azione per evitare che la linea del colore divenisse il confine tra quanto era prigioniero e quanto era libero, ma tutto quello che riuscirono a fare fu vani137
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ficato da Eli Whitney3 e dalla Maledizione dell’Oro. Così passarono nel dimenticatoio. Ma il loro spirito non venne meno completamente; qui e là, nella prima parte del secolo, sono emersi altri uomini eccezionali. Alcuni erano figli naturali di padri non naturali e spesso fu offerta loro una formazione liberale e così una razza di mulatti istruiti sorse all’improvviso per difendere i diritti dei negri. Vi fu Ira Aldridge, amata, ieri come oggi, dall’intera Europa, e poi la voce riformatrice inascoltata di David Walker, che diceva: «Mi sembra che alcune nazioni credano che Dio stia dormendo, o che abbia creato gli Africani solo per far scavare loro miniere e lavorare fattorie, o che non possano avere fede nella storia, sacra o profana. Chiedo ad ogni uomo che ha cuore, ed è benedetto dal privilegio di avere fede – Dio non è un Dio di giustizia per tutte le sue creature? Dici di sì? Allora se dà pace e tranquillità ai tiranni e consente loro di mantenere i nostri padri, le nostre madri, noi stessi e i nostri figli in stato di eterna ignoranza e miseria per sostenere loro e le loro famiglie, può essere per noi un Dio di Giustizia? Chiedo, o Cristiani, chi mantiene noi e i nostri figli nella ignoranza e in una condizione di degradazione più abbietta che abbiano mai afflitto un popolo dall’inizio del mondo – Se Dio ti dà pace e tranquillità, e ti permette di affliggere così noi, e i nostri figli, che non ti abbiamo mai proprio provocato – può essere per noi un Dio di Giustizia? Ammetterai che siamo uomini, che nutriamo sentimenti reciproci, non invochiamo ad alta voce il sangue dei nostri padri e nostro (loro figli), verso le schiere Celesti contro di te per le crudeltà e i delitti con cui ci hai afflitto, ieri come oggi». Questa fu l’affermazione, all’inizio selvaggia che per prima provocò l’attenzione immediata dei legislatori del sud nel 1829 rispetto al terrore dell’abolizionismo. Nel 1831 si svolse a Philadelphia la prima convenzione Negra, cui il mondo guardò con stupore e curiosità, essa attaccò coraggiosamente il problema della razza e della schiavitù protestando contro la persecuzione e dichiarando che: «in molti posti sono state approvate leggi, in sé crudeli ma anche incostituzionali ed ingiuste, contro i nostri poveri fratelli, privi di amici e incapaci di fare del male (senza che vi sia stata ombra di provocazione da parte loro) e la loro semplice narrazione fa esitare anche chi è molto selvaggio per paura di esserne contagiato – egli si sente nobile e si inorgoglisce per non essere Cristiano». 3
[Inventore, nel 1793, della sgranatrice di cotone N.d.C.].
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Questo movimento negro libero e quello per l’abolizione combatterono fianco a fianco fino a confluire in un’unica corrente consistente. Ci si è occupati troppo poco del lavoro che la decima parte ha svolto tra i negri nella grande crociata abolizionista. Dal giorno che un uomo di colore di Philadelphia divenne il primo sottoscrittore del “Liberator” di Garrison, dal giorno in cui i soldati negri resero possibile la proclamazione dell’emancipazione, i leader negri hanno lavorato fianco a fianco con quelli bianchi in un movimento il cui successo sarebbe stato impossibile senza loro. Vi furono Purvis e Remond, Pennington e Highland Garnett, Sojourner Truth e Alexander Crummel, e inoltre, Frederick Douglass – cosa sarebbe stato senza loro il movimento abolizionista? Essi spiccano, esempi viventi delle possibilità della razza Negra: le loro difficili esperienze e la cultura ripetutamente messa alla prova esprimevano in silenzio, soprattutto quanto detto dagli oratori – furono gli uomini che resero impossibile la schiavitù americana. Come disse Maria Weston Chapman, dalla Scuola di iniziativa anti-schiavista, «una molteplicità di autori, editori, avvocati, oratori e gentiluomini di colore esperti ha conseguito le proprie lauree! Essa ha suscitato in modo uniforme nei cuori di entrambe le razze speranze e aspirazioni, pensieri nobili e propositi sublimi. Ha preparato l’uomo bianco alla libertà di quello negro, e ha fatto disprezzare all’uomo negro il pensiero della schiavitù, come ad uno bianco. Rafforziamo quella nobile influenza! Prima della sua formazione, il paese vedeva solo qui e lì, nella schiavitù, qualche fedele Cudjoe e Dinah, le cui nature forti si erano affermate anche in condizione di schiavitù, come una pianta delicata sotto una pietra pesante. Ora, sotto l’influenza della American Antislavery Society, in grado di elevare e curare la razza di colore, come quella bianca, forniscono capitelli Corinzi per i più nobili templi». Dove si formarono questi negri abolizionisti? Qualcuno, come Frederick Douglass, fu autodidatta, e pure si formò in modo liberale; altri, come Alexander Crummell e McCune Smith, si sono laureati in famose università straniere. La maggior parte di loro proviene dalle scuole di colore di New York, Philadelphia e Boston, formati da docenti dei college come Russworm, di Dartmouth, e dei college per bianchi come Neau e Benezet. Dopo l’emancipazione fu la volta di un nuovo gruppo di leader, educati e dotati: Langston, Bruce e Elliot, Greener, Williams e Payne. Questi uomini lottarono per elevare la propria gente tramite l’organizzazione politica, gli scritti storici e polemici e la rinascita spirituale. Oggi è di moda deriderli e dire che con la libertà negra la leadership dovrebbe iniziare dall’aratro e non dal Senato – una menzogna ridicola e meschina; lo schiavo negro ha lavorato duramente all’aratro duecentocinquanta anni eppure quel duro lavoro è stato inutile finché il Senato non approvò gli emenda139
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menti di guerra; e lo schiavo semi-libero di oggi potrebbe lavorare duramente al suo aratro per altri duecentocinquanta anni, ma, a meno che non abbia diritti politici e uno status civile adeguatamente riconosciuto, rimarrà come ora, molto povero, burattino ignorante nelle mani di canaglie. Questo è noto a tutti gli uomini ragionevoli anche se non osano dirlo. Così veniamo al giorno d’oggi – un periodo di codardia ed esitazione, di errore espresso a voce alta, stridula, e di confuso compromesso, di voltagabbana che si fanno beffe del Vero e del Giusto. Chi guida oggi il lavoro del popolo negro? Certo delle “eccezioni”. Eppure è proprio vero che questa decima parte diventa oggetto di attenzione, mentre i veneratori ciechi della Percentuale gridano allarmati: “Si tratta di eccezioni, guardate qui invece, morte, malattia e crimine – queste sono la regola felice”. Certo sono la regola, perché una nazione stupida le ha rese tali: perché per tre lunghi secoli questa gente ha linciato i negri che osavano essere coraggiosi, ha violentato le donne negre che osavano essere virtuose, ha schiacciato i giovani di colore scuro che osavano essere ambiziosi, e ha incoraggiato e fatto fiorire il servilismo, la dissoluzione e l’apatia. Ma neanche questo è riuscito a schiacciare completamente l’umanità, la castità e l’aspirazione del popolo negro. Una traccia di salvezza sopravvive e continua a essere presente, a volerci essere e a manifestarsi attraverso il risparmio, le capacità e il carattere. Certo è eccezionale, ma in questo è il suo impegno più importante, nel suo mostrare la capacità del sangue negro, la speranza degli uomini negri. Si fermeranno mai gli Americani a riflettere che vi sono in questo paese milioni di uomini di sangue negro, bene educati, proprietari di case, contro l’onore delle cui donne non fu mai espressa critica, uomini che occupano posizioni di fiducia e di importanza, e che hanno raggiunto, da tutti i punti di vista, il livello più elevato del migliore tipo di cultura moderna Europea? È giusto, decente, da Cristiani, ignorare questi caratteri del problema negro, ridurre quelle aspirazioni, vanificare quelle leadership e cercare di schiacciare queste persone Negre nella massa al di sopra della quale si sono sollevati, loro e i loro padri, grazie agli sforzi e al duro lavoro? Può la massa del popolo negro essere sollevata in qualche modo più veloce che tramite lo sforzo e l’esempio di questa aristocrazia di talento e carattere? Sulla giusta terra di Dio si è mai registrata la presenza di una nazione civilizzata dal fondo verso l’alto? Mai; è così, non si è mai verificato, e mai sarà così per la cultura. La decima parte solleva e spinge in alto, su un terreno loro favorevole, tutte le cose meritevoli di essere preservate. Questa è la storia del progresso umano e i due errori storici che lo hanno intralciato furono: 1) l’idea che niente più si sarebbe mai potuto sollevare eccetto quelli che si erano già sollevati e, 2) che sarebbe sta140
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to preferibile che chi si era già sollevato spingesse giù chi si stava sollevando. Allora come saranno formati i leader di un popolo in lotta e rafforzate le mani dei pochi che si sono sollevati? Ci può essere una sola risposta. I loro giovani migliori e più bravi devono essere formati nei college e nelle università del paese. Non chiederemo cosa dovrebbero insegnare le università dei negri o come dovrebbero farlo. Ammetto volentieri che ciascun individuo e ciascuna anima hanno bisogno del proprio particolare curricolo. Ma è proprio così: una università è un’invenzione umana per la trasmissione della conoscenza e della cultura da una generazione a un’altra, attraverso la formazione di menti sveglie e cuori puri, e a questo non sarà adatta nessuna altra invenzione umana, neanche le scuole industriali e commerciali. Non tutti gli uomini possono andare al college ma alcuni devono farlo; ogni gruppo isolato (o nazione) deve avere i propri fermenti, deve avere pochi centri di formazione per le persone di talento nei quali gli uomini non siano solo disorientati e messi in difficoltà dalla fatica dura e necessaria per guadagnarsi da vivere, tanto da non avere obiettivi più elevati del proprio stomaco, e nessun Dio superiore all’Oro. Questa è la vera formazione, e in questa condizione si trovarono alle origini i figli privilegiati dei liberti che avevano studiato. Provenivano dai college del nord, Ware, Cravath, Chase, Andrews, Bumstead e Spence, per costruire le fondamenta della conoscenza e della civiltà nel sud negro. Da dove avrebbero dovuto iniziare a costruire? Dal fondo, certo, sogghignava la talpa con i suoi occhi immersi nella terra. Sì! Veramente dal fondo, nella dimensione più profonda; al fondo della conoscenza, giù nelle sue reali profondità, dove le radici della giustizia affondano nel terreno più profondo della verità. Ed essi iniziarono così; fondarono college, e dai college derivarono scuole popolari, e tramite quelle agli insegnanti normali se ne unirono altri, per insegnare nelle scuole pubbliche; i college formarono 2.000 uomini in Greco e Latino e matematica; e questi ne formarono altri 50.000, nella morale e nei costumi, e questi a loro volta insegnarono il risparmio e l’alfabeto a nove milioni di uomini, che oggi posseggono 300.000.000 di dollari di proprietà. Fu un miracolo – la battaglia pacifista più affascinante del XIX secolo, eppure oggi gli uomini sorridono al suo ricordo, e ci dicono, con raffinata superiorità, che si trattò di un errore incalcolabile; che un modo adeguato di strutturare un sistema educativo è anzitutto quello di riunire i bambini e comprare loro abbecedari e zappe; dopo di che si potrebbero cercare degli insegnanti, ammesso che si riesca a trovarli; o di nuovo insegnerebbero agli uomini il lavoro, rispetto alla vita – perché, chiedevano distrattamente, cosa avesse a che fare il lavoro con la vita. 141
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Il lavoro di questi fondatori dei college ha riscosso pieno successo? Ha superato la prova del tempo? I laureati del college, con tutte le loro raffinate teorie esistenziali, sono riusciti a vivere davvero? Si tratta di uomini in grado di aiutare il processo di civilizzazione e di elevazione dei loro compagni meno fortunati? Vediamo. Trascurando tutte le istituzioni che non hanno realmente laureato studenti tramite corsi di college, vi sono oggi negli Stati Uniti 34 istituzioni strutturate in modo particolare per i negri, che offrono loro qualcosa di più della formazione superiore. Tre di queste furono costituite negli stati di confine prima della guerra; tredici furono fondate dal Freedmen’s Bureau4 negli anni 1864-1869; nove furono create tra il 1870 e il 1880 da varie associazioni religiose; cinque dopo il 1881 da chiese negre, e quattro sono istituzioni statali, supportate dai fondi statunitensi per l’agricoltura. Nella maggior parte dei casi i dipartimenti del college sono piccole appendici del lavoro di scuole superiori e comuni. Di fatto sei istituzioni – Atlanta, Fisk, Howard, Shaw, Wilberforce e Leland, – sono college negri importanti per il lavoro reale svolto e per il numero di studenti coinvolti. In tutte queste istituzioni sono impegnati settecentocinquanta studenti negri. Rispetto alla qualità i migliori di questi college sono di circa un anno indietro ai college più piccoli del New England e un loro curriculo tipico è quello dell’Università di Atlanta. Qui gli studenti delle discipline umanistiche, dopo un corso di scuola superiore di tre anni, frequentano un college per 136 settimane. Un quarto di questo periodo è dedicato al Latino e Greco; un quinto all’Inglese e alle lingue moderne; un sesto alla storia e alle scienze sociali; un settimo alla scienza naturale; un ottavo alle matematiche, ed un altro ottavo alla filosofia e pedagogia. Oltre a questi studenti presenti nel sud, i negri hanno seguito per molti anni i college del nord. Fin dal 1826 uno si laureò nel Bowdoin College, e da allora ad oggi, quasi ogni anno, ci sono stati, da qualche altra parte, laureati di quel tipo. Certo hanno incontrato un pregiudizio continuo rispetto al colore. Comunque cinquanta anni fa li avrebbero ammessi davvero pochi college. E anche oggi nessun negro è ancora mai stato ammesso a Princeton o in qualcuna delle altre istituzioni principali, rispetto alle quali sono più ostacolati che incoraggiati. L’ateneo di Oberlin rappresentò il grande pioniere nella cancellazione della linea del colore nei college ed 4 [1865 – Il Freedmen’s Bureau fu costituito all’interno del Dipartimento di Guerra. Il Bureau supervisiona tutte le attività di assistenza ed educative relative ai rifugiati e ai liberti, compresi i problemi del razionamento, dei vestiti e delle medicine. Il Bureau si prende anche cura delle terre confiscate, o di proprietà degli stati precedentemente confederati, di confine, del Distretto di Colombia o dei territori indiani. N.d.C.].
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ha un numero di laureati di gran lunga superiore a quello di ogni altro college del nord. Il numero totale di negri laureati nei college fino al 1899 (molti laureati di quell’anno non sono registrati) è il seguente:
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Negri laureatisi nei College5
Prima del ’75 ’75-80 ’80-85 ’85-90 ’90-95 ’95-99 Classe Sconosciuta Totale
College per Negri 137 143 250 413 465 475 57 1940
College per Bianchi 75 22 31 43 66 88 68 393
Di questi laureati 1.079 erano uomini e 252 donne; il 50% degli uomini, proveniva dai college del nord, ed era venuto al sud per lavorare tra la massa della gente negra, sacrificio che pochi riescono a comprendere; quasi il 90% dei laureati nati al sud, invece di cercare quella libertà personale e l’atmosfera intellettuale più generale che la loro formazione avrebbe in un certo modo permesso loro di prefigurare, si sono fermati e lavorano a contatto dei loro vicini e parenti negri. Il problema più interessante, e per molti aspetti sostanziale, rispetto ai negri educati nei college, è: riescono a guadagnarsi da vivere? È stato suggerito più volte che la formazione superiore dei negri si è risolta nel mandarli a lavorare, in una situazione nella quale potrebbero non trovare niente da fare di adatto alle loro capacità. Ora e allora si ripropone l’ipotesi di un laureato da un college di colore che lavora a un’attività servile, etc. Fortunatamente, i formati nei college per negri che vi ritornano a lavorare, sono, come testimoniato dalla conferenza di Atlanta, abbastanza numerosi – quasi il 60% del totale dei laureati. Questo permette alcune conclusioni sull’occupazione di tutti i negri educati nei college. Le 1.312 persone prese in considerazione erano:
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[La tabella è stata costruita dal curatore per facilitare la lettura dei dati].
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Professione di coloro che si sono diplomati nei college6
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Professione Insegnanti Ecclesiastici Medici, etc. Studenti Avvocati Servizi Governativi Affari Fattori e Artigiani Editori, Segretari e Impiegati Misti
% 53.4 16.8 6.3 5.6 4.7 4.0 3.6 2.7 2.4 0.5
Più di metà sono insegnanti, un sesto sacerdoti, un altro sesto studenti e professionisti; più del 6 per cento allevatori, artigiani e mercanti, e un 4 per cento impegnati nei servizi governativi. In dettaglio le occupazioni sono le seguenti: Occupazioni degli uomini laureatisi nei college INSEGNANTI Presidi e Direttori Insegnanti di Musica Professori, Principali e Insegnanti Totale
19 7 675 701
ECCLESIASTICI Vescovi Cappellani dell’Esercito Missionari Presidenti, Pastori Predicatori Totale
1 2 9 12 197 221
MEDICI Dottori in Medicina Farmacisti Dentisti Totale 6
76 4 3 83
(segue)
[La tabella è stata costruita dal curatore per facilitare la lettura dei dati].
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STUDENTI Totale
74 74
Avvocati Totale
62 62
SERVIZIO CIVILE U. S. Ministro Plenipotenziario U. S. Console U. S. Deputato Controllore U. S. Funzionario dell’Ufficio Imposte Dirette U. S. Direttore d’Ufficio Postale U. S. Impiegati Servizi Civili di Stato Servizi Civili Cittadini Totale
1 1 1 1 2 44 2 1 53
UOMINI D’AFFARI Mercanti, etc. Manager Venditori di Beni Immobili Totale
30 13 4 47
ALLEVATORI Totale
26 26
IMPIEGATI E SEGRETARI Segretario delle Società Nazionali Impiegati Totale
7 15 22
ARTIGIANI Totale
9 9
EDITORI Totale
9 9
MISTI Totale
5 5
Queste figure professionali illustrano chiaramente la funzione del negro formato nei college. Egli è, come nei suoi compiti, il leader del gruppo, il rappresentante degli ideali della comunità in cui vive, dirige i suoi pensieri 145
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e ne comanda i movimenti sociali. E non si deve neanche sottolineare che la gente negra ha bisogno di una leadership sociale più della maggior parte degli altri gruppi; che non ha tradizioni cui fare riferimento, costumi strutturati da molto tempo, legami forti di famiglia, classi sociali ben definite. Tutte queste cose si devono evolvere lentamente e dolorosamente. Il predicatore era, anche prima della guerra, il leader di gruppo dei negri, e la chiesa la loro più grande istituzione sociale. Naturalmente egli era ignorante e spesso immorale, e il problema della sua sostituzione con uomini più educati è stato difficile. Sia attraverso il lavoro che attraverso l’influenza diretta sugli altri predicatori e sulle congregazioni, il predicatore formatosi nel college, che forma i negri, ha un’opportunità per il lavoro di riforma e per l’orientamento morale, il cui valore non può essere sopravvalutato. Comunque è stato nella produzione di insegnanti che il college negro ha trovato la propria funzione peculiare. Poche persone comprendono che enorme lavoro, che possente rivoluzione siano stati realizzati in questo modo. Fornire in una sola generazione insegnanti della loro stessa razza e del loro stesso sangue a cinque milioni e più di persone ignoranti, non è stato solo impresa molto difficile, ma anche molto importante, perché ha messo a portata di quasi ogni bambino negro un ideale da poter conseguire. Ha portato masse di negri a contatto con la civiltà moderna, ha reso i negri leader delle loro comunità e istruttori delle nuove generazioni. In questo lavoro i negri educati nei college sono stati anzitutto insegnanti, e poi insegnanti di insegnanti. E in questo ha assunto particolare valore l’ampia cultura del lavoro del college. La conoscenza della vita e del suo significato generale ha costituito il punto di maggiore ignoranza dei negri come anche l’oggetto della produzione di insegnanti, la cui formazione non ha avuto come unico obiettivo quello di garantirsi la sopravvivenza, ma anche quello di trasmettere la cultura degli uomini, con un valore inestimabile nella loro formazione. Nei primi anni le due occupazioni, di predicatore e insegnante, erano praticamente le sole aperte ai negri diplomatisi nei college. In quelli successivi una realtà molto più ampia e diversa, presente nella vita di questa gente, ha aperto nuove strade di impiego. E questi uomini di college non sono stati poveri o scialacquatori; 557 negri educati nei college possedevano nel 1899, 1.342.862.50 dollari di beni immobili (valore stimato), o 2.411 dollari per famiglia. Il valore reale delle accumulazioni dell’intero gruppo è forse di circa 10.000.000 di dollari o di 5.000 dollari a testa. Certo tutto questo è poca cosa a fronte delle fortune dei re del petrolio e dei magnati dell’acciaio, ma, alla fine, la fortuna del milionario è forse l’unico modo di vivere vero e di successo? Ahimè! Lo è per molti e questo rappresenta la difficoltà. 146
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Il problema della formazione dei negri è oggi immensamente complicato dal fatto che anche se l’intero problema dell’efficienza e dell’appropriatezza dei nostri attuali sistemi di educazione per ogni tipo di bambino è molto dibattuto, sembra ancora lontana una sua soluzione definitiva. Capita spesso perciò che persone che discutono pro o contro certi sistemi di educazione per i Negri pensino a queste discussioni e dimentichino il carattere reale del problema dei Negri del sud, che è: cosa deve fare, nella situazione attuale, un sistema di educazione per sollevare, quanto più rapidamente possibile, il Negro nella scala della civiltà? La risposta al problema mi sembra chiara: deve rafforzarne il carattere, incrementarne la conoscenza ed insegnar loro a guadagnarsi da vivere. Ora certo è difficile fare contemporaneamente o improvvisamente, tutte queste cose e, allo stesso tempo, è impossibile dedicare tutta l’attenzione ad uno e trascurare gli altri. Noi riusciremo a insegnare dei mestieri ai ragazzi negri, ma questo non ce la farà, da solo, a civilizzare una razza di ex-schiavi; riusciremo magari ad aumentare semplicemente la loro conoscenza del mondo, ma questo non li renderà per forza desiderosi di usare in modo onesto questa conoscenza; cercheremo di rafforzarne carattere e obiettivi, ma a che scopo se non hanno niente da mangiare o da mettersi addosso? Un sistema educativo non è costituito da un elemento unico, non ha un solo obiettivo definito, non si riduce a un problema scolastico. L’educazione è quel sistema complesso di formazione, interno e esterno alle mura scolastiche, che modella e sviluppa gli uomini. Se abbiamo iniziato a formare un popolo ignorante e inesperto, con un’eredità di cattive abitudini, il nostro sistema di formazione deve porsi due grandi obiettivi – uno teso alla conoscenza e al carattere, l’altro impegnato nel tentativo di dare ai ragazzi le nozioni tecniche necessarie per guadagnarsi da vivere nella situazione attuale. Questi obiettivi sono parzialmente realizzati dall’apertura delle scuole popolari da un lato, e da quella delle scuole industriali dall’altro. Ma solo in parte, perché devono essere formati anche quelli che insegneranno in queste scuole – uomini e donne di sapere, cultura e abilità tecnica in grado di comprendere la civiltà moderna, con strumenti e capacità adeguate a insegnarle ai loro alunni. Ci vogliono insegnanti, e insegnanti di insegnanti, perché tentare un qualunque sistema di formazione scolastica popolare e industriale, senza prima (e dico prima consapevolmente) provvedere alla formazione superiore dei migliori insegnanti, corrisponde solo a gettare i soldi dalla finestra. Le scuole non insegnano da sole – pile di mattoni e calce e attrezzature non fabbricano uomini. È l’anima umana, istruita, palpitante, raffinata e rafforzata da lunghi studi e riflessioni, che infonde il reale soffio di vita nei ragazzi e nelle ragazze, e li rende, negri o bianchi, greci, russi o americani, umani. Niente, in questi ultimi 147
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giorni, ha scoraggiato tanto la fiducia degli intellettuali negri nei recenti movimenti educativi, quanto il fatto che sono stati accompagnati dal ridicolo, dalla messa sotto accusa e dalla denigrazione attuate nei confronti di quelle reali istituzioni di formazione superiore che hanno reso possibile la scuola pubblica Negra, e immaginabili le scuole negre industriali. Furono Fisk, Atlanta, Howard e Straight, college nati dalla fede e dal sacrificio degli abolizionisti, che collocarono nelle scuole negre del sud i 30.000 e più insegnanti, e che alcuni denigratori del lavoro di queste scuole superiori stanno usando per cercare di insegnare i loro nuovi esperimenti. Se Hampton, Tuskegee e le altre cento scuole industriali dimostreranno in futuro di riscuotere il successo che meritano, allora quel successo nella formazione degli artigiani negri per il sud sarà dovuto principalmente ai college bianchi del nord e a quelli negri del sud, che formarono gli insegnanti oggi alla guida di queste istituzioni. Ci fu un tempo in cui il popolo americano aveva molta fede nel fatto che un tronco di legno con un ragazzo da un lato e Mark Hopkins dall’altro rappresentassero l’ideale più alto della formazione umana. Ma è come se in questi giorni di tensione si sia modificato tutto, e si ritenga necessario aggiungervi due seghe e un martello e, in caso di necessità, distribuirli con l’aiuto di Mark Hopkins. Non voglio negare, anche se per un momento sembrerà così, la necessità prioritaria di insegnare ai Negri a lavorare, e a farlo con assiduità e abilità; e anche se sembro disprezzare in modo consistente il ruolo essenziale che le scuole industriali devono svolgere nella realizzazione di questi obiettivi, comunque, sostengo e confermo che è proprio di un industrialismo ubriaco, e delle sue visioni di successo, immaginare di poter realizzare il proprio compito senza pensare alla formazione di uomini e donne tanto acculturati da insegnare ai propri insegnanti, e a quelli delle scuole pubbliche. Ma ho già detto che l’educazione umana non è solo un problema delle scuole; è molto più un problema della famiglia e della vita di gruppo – la formazione alla realtà della casa, delle compagnie quotidiane, della classe sociale di ognuno. Ora il ragazzo negro del sud vive in un mondo negro – un mondo con i suoi leader, i suoi pensieri, i suoi ideali. In questo mondo riceve la parte di gran lunga più consistente della sua formazione di vita, e attraverso gli occhi di questo mondo scuro penetra in quello velato che sta oltre. Chi guida e determina l’educazione che riceve nel suo mondo? Qui i suoi insegnanti sono i leader dei gruppi di gente Negra – medici e ecclesiastici, i padri e le madri con una educazione, uomini di tutti i tipi, influenti e efficaci nei suoi confronti; il fatto è, dopo tutto, che la cultura del mondo circostante scorre lentamente in loro ed è trasmessa dai diplomati delle scuole superiori. Potrebbe essere trascurata la cultura che 148
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forma i leader dei gruppi? Potremmo permetterci di ignorarla? Credete che se i leader di pensiero tra i negri non saranno pensatori formati ed educati essi non avranno leader? Al contrario, un centinaio di demagoghi, solo in parte formati, manterrà ancora i posti che in gran parte occupa già ora, e centinaia di faccendieri vociferanti si moltiplicheranno. Non avete scelta; o aiutate a fornire questa razza dal suo interno di pensatori, che hanno conseguito la propria leadership, o dovrete sopportare le conseguenze negative di una marmaglia mal guidata. Sono un onesto difensore della formazione manuale e dell’insegnamento del mestiere ai ragazzi negri, come anche a quelli bianchi. Credo che insieme alla fondazione dei college negri, l’acquisizione più significativa per l’educazione Negra sia stata, fin dalla Guerra, la formazione industriale. Nonostante questo insisto che obiettivo reale dell’educazione non è trasformare una serie di uomini in carpentieri, ma di fare di una serie di carpentieri degli uomini; vi sono due mezzi per fare di un uomo un carpentiere, ciascuno ugualmente importante: il primo è di dare al gruppo e alla comunità nella quale lavora, insegnanti e leader formati liberalmente per insegnare, a lui e alla sua famiglia, il senso della vita; il secondo è di dargli una abilità tecnica in grado di renderlo un lavoratore efficiente. Il primo obiettivo richiede il college negro e uomini negri educati nei college – non molti di quei college, ma pochi di alta qualità; non troppi uomini educati nei college, ma a sufficienza da staccarsi dalla massa informe, ispirare le masse, sollevare la decima parte alla leadership; il secondo obiettivo richiede un buon sistema di scuole popolari, ben pensate, collocate ed equipaggiate. La Sesta Conferenza di Atlanta ebbe a dichiarare nel 1901: «Richiamiamo l’attenzione della nazione sul fatto che in questo momento dei tre milioni di bambini negri di età scolastica meno di un milione frequenta regolarmente la scuola, e inoltre segue sessioni che durano solo pochi mesi. Oggi alleviamo coscientemente milioni di nostri cittadini nell’ignoranza e allo stesso tempo ne limitiamo i diritti di cittadinanza rispetto alla qualificazione formativa. Questo è ingiusto. Metà dei giovani negri del paese non ha l’opportunità di imparare a leggere, scrivere e fare calcoli. Nella discussione sulla formazione adeguata per i bambini negri, dopo che hanno lasciato le scuole pubbliche, abbiamo dimenticato che non c’è ancora un numero sufficiente di queste a disposizione. Nel sud cominciano ad essere fatte proposte per ridurre le già scarse strutture scolastiche dei Negri. Ci congratuliamo con il sud per la resistenza a questa pressione, per come la sta conducendo, e per i tanti milioni spesi per l’educazione Negra. Ma è anche giusto precisare che le tas149
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se dei negri e la parte di guadagno derivante da tasse, indirette e dirette, e dalle sovvenzioni dei Negri hanno ripagato interamente questa spesa, così che il sistema delle scuole pubbliche Negre probabilmente non è costato, sin dai tempi della guerra, un singolo centesimo ai contribuenti bianchi. Questo non è giusto. Le scuole Negre dovrebbero essere finanziate pubblicamente, dal momento che costituiscono un beneficio pubblico. I Negri hanno diritto di esigere una buona formazione scolastica dagli Stati e dalla Nazione se per colpa loro non è in condizione di pagarsela da sé». Cos’è soprattutto necessario per costruire le scuole pubbliche Negre nel sud? La razza Negra oggi ha bisogno nel sud soprattutto di insegnanti, come attualmente testimoniato da tutti quelli che conoscono la situazione. Per rispondere a questa grande domanda sono necessarie due cose – istituzioni di educazione superiore e denaro per le strutture scolastiche e per gli stipendi. In genere si pensa che un centinaio o più istituzioni per la formazione dei negri oggi stanno diplomando tanti insegnanti e uomini formati nei college che la razza è minacciata da un sovrannumero di diplomati. Questo è un vero e proprio non senso. Oggi ci sono meno di 3.000 laureati nei college negri negli Stati Uniti, e meno di 1.000 Negri nei college. Inoltre, il 95 per cento degli studenti delle 164 scuole per Negri svolge una formazione secondaria e elementare, che dovrebbe essere realizzata nelle scuole pubbliche. Più di metà dei rimanenti 2.157 frequenta le scuole superiori. La massa delle cosiddette scuole “comuni” (popolari) per i Negri sta facendo solo il lavoro della scuola popolare elementare, o, al massimo, quello della superiore, con scarsa formazione nei metodi. I college negri e i corsi post-lauream di altre istituzioni sono le sole agenzie per una formazione superiore e più accurata degli insegnanti, ma il loro lavoro è ostacolato dalla mancanza di fondi. Diventa sempre più difficile ottenere fondi per formare insegnanti secondo i migliori metodi moderni, eppure in tutto il sud, da Sovrintendenti di Stato, ufficiali di contea, comitati urbani e scuole principali viene la lamentela “abbiamo bisogno di insegnanti!” e certo vanno formati. Atticus G. Haygood, la mente più giusta di tutti i sudisti bianchi, disse una volta: «I limiti degli insegnanti di colore sono così consistenti da provocare una necessità urgente di formarne di migliori. Le loro qualità e i loro successi bastano a giustificare le migliori speranze di successo nello sforzo, e a dare ragione a chi investe molti soldi e servizi per dare agli studenti di colore l’opportunità di prepararsi bene per insegnare ai bambini della loro gente». La verità di questo è stata mostrata in modo sorprendente dal notevole miglioramento degli insegnanti bianchi del sud. Venti anni fa la gran par150
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te degli insegnanti bianchi della scuola pubblica non era così brava come i Negri. Ma attraverso borse di studio e buoni salari, sono stati incoraggiati ad una preparazione normale e completa, mentre gli insegnanti negri sono stati scoraggiati da salari da fame e dall’idea che per loro qualunque formazione dovesse andare bene. Se sono necessari carpentieri è giusto formare carpentieri. Ma formare uomini come carpentieri, e poi portarli ad insegnare è rovinoso e criminale; e formare uomini come insegnanti e poi rifiutare loro stipendi per vivere, a meno che non diventino carpentieri, costituisce un errore grossolano. Il Commissario per l’Educazione degli Stati Uniti dice nel suo rapporto del ’900: «Per comparare il coinvolgimento dei bianchi e degli uomini di colore nell’educazione secondaria e superiore, ho messo insieme l’iscrizione alle scuole superiori e secondarie, con la frequenza ai college e alle università, mentre manca un dato certo relativo al lavoro svolto al loro interno. Il lavoro svolto nelle scuole secondarie è riportato qui così in dettaglio, che non può esserci dubbio sulla sua qualità». Poi traccia la seguente comparazione (in milioni) relativa alle persone impegnate nella formazione secondaria e superiore: Anni 1880 1900
A livello di tutto il Paese 4.362 10.743
Negri 1.289 2.061
E conclude: «Mentre il numero nelle scuole superiori e nei college di colore è aumentato quasi più rapidamente della popolazione, non ha tenuto testa alla media dell’intero paese, perché è sceso dal trenta al ventiquattro per cento della media complessiva. Di tutti gli allievi di colore l’uno per cento è stato impegnato nelle scuole secondarie e in quelle superiori, media sostanzialmente riprodottasi negli ultimi venti anni. Se la popolazione impegnata nella formazione secondaria e superiore deve corrispondere alla media dell’intero paese, essa deve aumentare di cinque volte rispetto alla percentuale attuale». E se questo è vero per l’educazione secondaria e superiore, si può dire che neanche un decimo dei Negri è impegnato a studiare nei college. Inoltre l’idea di una formazione eccessiva è proprio infondata! Abbiamo bisogno di docenti negri per le scuole popolari Negre e abbiamo anche bisogno di scuole normali di prima classe e di college per formarli. Questo è il compito da realizzare per la formazione superiore dei negri. Inoltre il carpentiere, dopo aver avuto a disposizione leader di gruppo all’altezza della civiltà, e aver strutturato la propria intelligenza nelle scuole pubbliche, ha bisogno, per essere un uomo, di abilità tecniche. Que151
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sto rimanda alle scuole commerciali, le quali non sono per niente semplici come la gente potrebbe aver pensato. L’idea originale era che la scuola “Industriale” dovesse fornire educazione, praticamente in modo gratuito, a quelli che volevano lavorare al suo interno; si trattava di “fare” cose – come divenire un centro dell’industria produttiva, essere parzialmente, se non interamente, autonoma, ed insegnare mestieri. Ma anche se erano ammirabili alcune delle idee interne a questo schema, l’intero progetto non avrebbe proprio funzionato concretamente; si verificò che se si dovevano usare tempo e materiali per insegnare in modo esauriente dei mestieri, non si poteva nello stesso tempo gestire industrie su base commerciale e neanche remunerativa. Molte scuole cominciarono a comportarsi così e finirono con una vera e propria bancarotta. Inoltre, si trovò anche che si poteva insegnare ad un ragazzo un mestiere in modo meccanico, senza dargli l’intero beneficio formativo del processo e, viceversa, che vi era un valore educativo specifico nell’insegnare a un ragazzo ad usare le sue mani e i suoi occhi per realizzare certi processi fisici, anche se in realtà così non imparava un mestiere. Nello scorso decennio è accaduto, inoltre, che nelle scuole industriali c’è stato un forte cambiamento. In primo luogo è stata messa rapidamente da parte l’idea dell’industria commercialmente remunerativa in una scuola. Vi sono ancora scuole con negozi e fattorie che forniscono un guadagno, e scuole che usano, almeno in parte, il lavoro degli studenti per costruire i loro edifici e rifornire le attrezzature. Comunque, si comincia a vedere, nell’educazione dei Negri, in modo chiaro, come è avvenuto in quella dei giovani di tutto il mondo, che è il ragazzo e non il materiale prodotto, l’oggetto reale dell’educazione. Perciò oggetto della scuola industriale è la formazione complessiva dei ragazzi, sino al suo completamento, senza badare al suo costo. Anche a questo punto, comunque, le difficoltà non sono state superate. In primo luogo l’industria moderna ha fatto notevoli progressi sin dalla guerra, e l’insegnamento dei mestieri non è più semplice come una volta. Macchinari e lunghi processi tecnici hanno cambiato profondamente il lavoro del carpentiere, del fabbro e del calzolaio. Oggi un lavoratore veramente efficiente deve essere un uomo intelligente, che ha avuto una buona formazione tecnica in aggiunta a quella complessiva della scuola popolare, e forse persino una formazione superiore. Per far fronte a questa situazione le scuole industriali hanno iniziato un ulteriore sviluppo; hanno strutturato specifiche Scuole Commerciali per la formazione generale di classi artigiane migliori, e hanno contemporaneamente cercato di salvaguardare gli obiettivi di educazione di base, come in alcuni dei processi più semplici di apprendimento della formazione commerciale elementare ritenuti i più adatti. In questa differenziazione tra le Scuole Commer152
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ciali e quelle della formazione manuale, le migliori scuole industriali hanno seguito semplicemente il progetto tipico della attuale fase educativa. Un importante educatore ci dice che, in Svezia, «all’inizio la concezione economica fu adottata in modo diffuso, e dovunque la formazione manuale fu considerata un mezzo per preparare i bambini del popolo a guadagnarsi da vivere. Ma a poco a poco si riconobbe che la formazione manuale ha uno scopo più elevato, e uno, addirittura, più utile nel senso più profondo del termine. Così fu considerata come un processo educativo per lo sviluppo morale, fisico e intellettuale completo del bambino». E oggi, ancora, nella dotazione di personale delle scuole commerciali e di quelle di formazione manuale ci siamo rifatti alla formazione superiore come sua fonte e principale supporto. Vi fu un tempo in cui ogni anziano ed esausto carpentiere poteva insegnare in una scuola commerciale: oggi non è così. In realtà la domanda di uomini formati nei college avanzate da una scuola come Tuskegee, dovrebbe rendere Mr. Booker T. Washington il sostenitore più convinto di quella formazione superiore. Qui egli ha come aiutanti il figlio di un senatore negro, formato in Greco e nelle materie umanistiche, e laureato ad Harvard; il figlio di un uomo del congresso, negro e avvocato, formato in Latino e matematica, e laureato a Oberlin; ha per moglie, una donna della mia stessa classe, che legge Virgilio e Omero; ha come cappellano di istituto, un laureato in Lettere alla Università di Atlanta; come insegnante di scienze, un laureato a Fisk; come insegnante di storia, un laureato a Smith. In realtà circa trenta dei suoi principali insegnanti sono laureati nei college, e invece di studiare la grammatica francese in mezzo alle erbacce, o comprare pianoforti per case fatiscenti, stanno alla destra di Mr. Washington, aiutandolo in un nobile lavoro. Eppure uno degli effetti della propaganda di Mr. Washington è stato di sollevare dubbi sull’utilità di tale formazione per i negri, analoga a quella avuta da quelle persone. Uomini d’America, il problema che avete di fronte è chiaro. C’è una razza qui trapiantata per la follia criminale dei vostri padri. Che vi piaccia o no ci sono milioni di uomini, che rimarranno qui. Se non li aiutate a sollevarsi, vi spingeranno giù. L’educazione e il lavoro sono le leve per sollevare un popolo. Il lavoro da solo non ce la farà, a meno che non sia ispirato da ideali giusti e guidato dall’intelligenza. L’educazione non deve solo insegnare il lavoro – ma anche la vita. La decima parte della razza negra deve diventare la leadership del pensiero e dei missionari della cultura nel suo popolo. Nessun altro può fare questo lavoro e i college negri devono formare gli uomini per questo. La razza Negra, come tutte le altre, sta per essere salvata dai suoi uomini eccezionali.
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Il laboratorio di sociologia dell’Università di Atlanta1
Il fatto che una piccola istituzione formativa offra corsi in sociologia fa sorgere qualche fondato sospetto. Spesso un’attività di questo tipo comporta solo lunghe discussioni sulla società e sugli individui, dibattiti che degenerano in cattiva metafisica e falsa psicologia, o che possono assumere un indirizzo statistico per lo studente, che finisce così per essere immerso solo in formule che gli faranno dimenticare, o lo faranno restare del tutto ignaro, dei fatti concreti che sono dietro i calcoli. D’altro canto ognuno sente quanto sia necessario studiare la società – quanto sia oggi ampia la nostra ignoranza dei fatti e dei processi sociali. In questi settori ci attardiamo ancora in un Medio Evo di credulità e superstizione. Stampiamo nei capitoli iniziali delle storie dei nostri bambini teorie sull’origine e sul destino delle razze che dovrebbero far sorridere i più seri di noi; sosteniamo, per esempio, elaborate teorie di un tipo di istituzione politica “ariana”, e poi scopriamo nel pitso dei Basutos sudafricani un’agora o un tungemot così perfetti come non sono mai esistiti tra i Greci o i Germani. Contemporaneamente sentiamo tutti il ritmo presente nell’azione umana; siamo anche certi che le opportunità non siano generalizzate, e che nessuna generazione si è dedicata allo studio dei fenomeni sociali con energia superiore e successo maggiore della nostra. Comunque, abbiamo fatto abbastanza o strutturato in modo adeguato l’obiettivo e il metodo in modo da introdurre con successo i contenuti della sociologia nei piccoli college o nelle scuole superiori? Non sono sicuro che la nostra esperienza all’Università di Atlanta contribuisca molto alla risposta a questo problema, perché la nostra posizione è in un certo senso particolare, credo però che possa aiutare a chiarire la situazione. L’università di Atlanta è situata poche miglia all’interno del centro geografico sede di raccolta della popolazione negra della nazione, ed è dunque vicina al centro di quella congerie di problemi umani che si struttura intorno ai negri Americani. Questa istituzione, che costituisce in sé un “problema negro”, e che prepara studenti le cui vite dovranno necessariamente divenire a loro volta parte di questo stesso problema, non può sfuggire, sul piano logico, allo studio e all’insegnamento di alcuni elementi connessi a quella massa di problemi sociali. E queste cose non pos1 The Laboratory in Sociology at Atlanta University, in «Annals of the American Academy of Political and Social Science», 21, May, 1903, 160-3.
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sono essere ridotte alla storia e all’etica – perché la gran parte di loro, a rigor di logica, ricade nell’ambito della sociologia. Inoltre abbiamo messo insieme il prodotto di due anni di lavoro sociologico svolto per gli studenti dei college, junior e senior, e convogliamo nelle nostre conferenze il lavoro di specializzazione successivo alla laurea, facendone una ricerca originale. I corsi in sociologia per studenti universitari sono solo un tentativo di studiare sistematicamente la condizione di vita presente intorno all’università, comparandola con quella di altri luoghi sui quali abbiamo raccolto notizie. Per questo uno dei due anni ha privilegiato, fin dall’inizio, un corso in economia. Qui i metodi di studio sono ampiamente induttivi, dal lavoro sul campo e dalla conoscenza personale alla strutturazione dei principi essenziali. Non ci sono libri di testo, ma una biblioteca di riferimento con una serie di testi riservati per la classe, contenente dalle cinque alle dieci copie duplicate di lavori molto noti. Nel secondo anno lo studio è legato molto di più a quanto si ritiene sociologia. In questo caso, dopo molte sperimentazioni, abbiamo scartato i libri di testo, non perché i libri di un certo tipo non sarebbero preziosi nelle mani degli studenti, ma piuttosto perché quelli disponibili sono chiaramente ed evidentemente inadatti. Il testo cui ci si riferisce più di frequente è quello di Mayo-Smith, Statistics and Sociology2, e, dopo quello, i censimenti degli Stati Uniti. In questo anno di lavoro nostro obiettivo principale è di scoprire quali caratteristiche della vita umana possano essere conosciute, classificate e comparate. Ci si aspetta che gli studenti apprendano qual è il tasso di morte medio dei negri Americani, come si modifica, e cosa significhi se comparato con quello di altri popoli o classi sociali. Quando apprendono, attraverso le loro ricerche sui censimenti e sui loro specifici calcoli matematici, che il 30 per cento dei Negri di New York ha tra i venti e i trenta anni, cominciano subito a lavorare per spiegare questa anomalia, e così via. Gran parte del loro lavoro è composto da rapporti speciali, nei quali i risultati dello studio di prima mano di un certo luogo o una serie di caratteristiche della vita negra sono paragonati alle condizioni generali esistenti negli Stati Uniti e in Europa. Così valutiamo in un certo senso il problema negro. A volte questi studi hanno un reale valore scientifico: la classe del ’99 preparò studi sulla realtà locale, che, dopo le necessarie revisioni, furono 2 [New York, 1896. Mayo-Smith, Richmond, 1854-1901, statistico americano. Dal 1877 al 1901 insegnò a Columbia con un ruolo di precursore nell’insegnamento di statistica e nell’applicazione della statistica alle scienze sociali. Dopo il 1886 fu editore di «Political Science Quarterly», e tra i fondatori (1885) dell’American Economic Association. Altro suo volume famoso Emigration and Immigration (1890) N.d.C.].
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pubblicati nel Bollettino n. 22 del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti; la ricerca di un’altra classe fu usata in una serie di articoli sulle abitazioni dei Negri nel Southern Workman, gran parte del lavoro di altre classi è stato usato nei rapporti delle Conferenze di Atlanta. Comunque oggetto principale della nostra attività universitaria è la formazione umana e non la raccolta di materiale, e in questo abbiamo raggiunto un vero successo. Le classi sono entusiaste e di intelligenza media, e tra questi studenti la conoscenza della vita e del suo significato nel mondo moderno è senza dubbio superiore a quanto lo sarebbe senza tale corso di studio. Il nostro lavoro successivo alla laurea in sociologia fu inaugurato nella consapevolezza che un’università è soprattutto un luogo di apprendimento, e che l’Università di Atlanta, posta al centro dei problemi negri, avrebbe dovuto divenirne una sede di studio sistematico e approfondito, il che avrebbe progressivamente spostato molti temi dal regno dell’opinione e della supposizione, a quello della conoscenza scientifica. È inutile sottolineare che, rispetto a questo, le nostre idee sono ancora lontane dall’essere realizzate. Sebbene le nostre ricerche siano costate meno di 500 dollari l’anno, riusciamo con difficoltà, e a volte ci è impossibile, raccogliere quella piccola somma. Manchiamo di individui che si applichino in modo specifico al lavoro statistico e siamo anche carenti di un sostegno adeguato di personale impiegatizio. Nonostante questo, alcune cose sono state fatte. Il progetto del lavoro è il seguente: viene scelto un soggetto, sempre definito e limitato, che rappresenta alcuni aspetti del problema negro più generale; poi vengono preparati i questionari, e inviati, con le lettere, ai corrispondenti volontari, soprattutto laureati, di questa e di altre istituzioni negre di educazione superiore. Quei corrispondenti, attraverso la ricerca locale, compilano e restituiscono i questionari; poi sono cercate altre fonti di informazione, legate al problema trattato, fin quando, dopo sei o otto mesi di lavoro, si finisce per aver raccolto una certa quantità di materiale. A questo punto si tiene un incontro locale, nel quale gli oratori particolarmente legati al soggetto studiato, lo discutono. Infine, a circa un anno dall’inizio dello studio, viene pubblicato un rapporto stampato, con tutti i risultati del medesimo, riassunti e catalogati, ed ampliati dall’aggiunta di documentazione storica e di altro materiale. In questo modo sono stati pubblicati i seguenti rapporti: N. 1 La mortalità tra i Negri nelle città, 1896, 51; N. 2 Condizioni sociali e fisiche dei Negri nelle città, 1897, 86; N. 3 Alcuni sforzi dei Negri per il miglioramento sociale, 1898, 66; N. 4 Il Negro negli affari, 1899, 78; N. 5 I Negri educati in un college, 1900, 11 (2ª ed. abrid. 32); N. 6 Le scuole popolari Negre, 1901, 118; 156
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N. 7 L’artigiano Negro, 1902, 200; N. 8 La chiesa Negra, 1903. Per noi, che ne siamo in gran parte responsabili, è difficile giudicare i risultati di questo lavoro sociologico. Certo esiste una spinta allo studio scientifico dei Negri americani, ed è anche chiaro che nessuna agenzia sta lavorando su questo tema come l’Università di Atlanta, l’United States Census Bureau e l’United States Department of Labor. In genere i nostri rapporti sono stati ben accolti, sia qui che in Inghilterra, e il loro materiale è stato molto usato. Per questo forse non hanno ricevuto tutta la critica che meritavano, il che forse non è incoraggiante. L’enfasi posta su questo tipo di studio ha indubbiamente esercitato un’influenza positiva sulla scuola, sulla comunità e sulla razza Negra. Ha indirizzato le riflessioni e la discussione verso temi specifici, prima spesso neanche presi in considerazione, ha portato a molti sforzi per il miglioramento sociale, come la formazione della National Negro Business League, ed ha stimolato una salutare autocritica basata su una conoscenza accurata.
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Le conferenze di Atlanta1
Gli studi di sociologia vivono oggi una condizione particolare e per molti aspetti critica. Brancoliamo tra una moltitudine di fatti e situazioni interessanti insegnando una scienza – in base a metodi attendibili di osservazione e misurazione, e a qualche metodo illuminante per sistemare e riordinare la massa di materiale acquisito. Inoltre proprio la dimensione enorme del compito ci rende esitanti. In fondo cos’altro stiamo cercando di fare se non di creare una scienza del comportamento umano? Eppure quel compito sembra così contrario al buon senso che forse nessun sociologo al mondo lo riconoscerebbe come progetto. Peraltro i sociologi, prendendo le distanze da un compito così preoccupante, hanno assicurato il mondo che il loro compito è di studiare una entità metafisica chiamata società – e quando gli è stato chiesto, in modo serio e con una certa insistenza, cosa fosse con precisione la società, hanno risposto con un linguaggio nello stesso tempo curioso, oscuro e talvolta contraddittorio. Ma allora forse è venuto il momento di affrontare il problema. In realtà cerchiamo di conoscere e misurare quanta legge naturale sia presente nella condotta umana. La sociologia è la scienza che cerca di misurare i limiti del caso nell’azione umana, o, se si accetta il paradosso, è la scienza della libera scelta. Poi, lasciando la definizione di scienza in questa forma piuttosto non tradizionale, ci dobbiamo riferire al fatto che in realtà si è cercato di costruire su un piano la cui ampiezza non è limitata neanche dai confini del mondo; e si è assunta come nostra area di intervento tutta l’azione umana, e abbiamo fatto lo sforzo di mettere insieme e sistematizzare gli avvenimenti del progresso e dell’organizzazione umana. Il risultato è costituito da due tipi di materiale sociologico – un certo numero di libroni, pieni di generalizzazioni più o meno vere e sistematiche, ma tutte esposte alla stessa critica, cioè che mentre hanno trattato positivamente molte cose, non hanno sviluppato in modo costante la dimensione della nostra conoscenza e non hanno introdotto nell’incertezza degli avvenimenti nessun sistema illuminante o nessuna interpretazione soddisfacente. D’altro canto abbiamo una crescente massa intricata di fatti, prodotto delle ricerche sociali, tutti di livelli diversi di valore e attendibilità, sbalorditivi nella loro quantità e sconcertanti per il loro significato nascosto. 1
The Atlanta Conferences, in «Voice of the Negro», 1, March 1904, 85-9.
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Ora il lavoro dei prossimi cinquanta anni sarà di tenere più vicine, nella sociologia, teoria e pratica, per collegare in modo più logico affermazioni e dimostrazioni, rendendo la scienza dell’azione umana una formulazione vera e sistematica di fatti verificabili in quanto accertati da processi di osservazione e misurazione. Per raggiungere questo risultato certo non possiamo comprendere subito tutta l’azione umana nel tempo e nell’eternità – il campo è troppo vasto e molto tempo prezioso è stato già sprecato cercando di fare l’impossibile sotto la brillante ma discutibile leadership di Herbert Spencer. Dobbiamo esercitarci sempre più nello studio minuzioso degli ambiti circoscritti dell’azione umana, dove sono possibili l’osservazione e la misurazione accurata e dei quali si può avere una conoscenza davvero illuminante. Così l’ideale del sociologo del XX secolo è lo studio attento ed esauriente del gruppo isolato – da cui può derivare una conoscenza reale del manifestarsi, a livello locale, di una legge naturale, con una visione e percezione del ritmo presente in questo piccolo centro e, alla fine, con una attenta, cauta generalizzazione e formulazione. Tale lavoro offre al sociologo statunitense una opportunità peculiare. Davanti ai nostri occhi si sta svolgendo l’evoluzione di un gruppo consistente di uomini dalle condizioni primitive, più semplici, a una civiltà superiore più complessa. Credo si possa tranquillamente sottolineare che nella storia del mondo moderno non si è mai presentata agli uomini di una grande nazione una opportunità così rara di osservare, misurare e studiare l’evoluzione di una grande porzione della razza umana come quella, offerta agli americani, di poter studiare i Negri americani. Si tratta di una prova decisiva, in una dimensione sorprendente e in circostanze particolarmente favorevoli. Per il suo colore e per il pregiudizio verso il colore il gruppo è isolato – per la spinta al cambiamento, esso si realizza in modo rapido e multiforme; per l’ambiente particolare, l’azione e la reazione delle forze sociali sono viste, e possono essere misurate, con una facilità superiore al consueto. Cos’è il progresso umano e come si può evidenziare? Come sorgono e tramontano le nazioni? Qual è il significato e il valore di una serie di azioni umane? Nella massa delle azioni degli uomini ci sono un ritmo e una legge – e se è così come li si può misurare e rappresentare alla meglio. Tutti questi problemi possono essere studiati e trovare risposta nel caso del negro americano, se sarà studiato tanto da vicino da accendere la scienza e ispirare la filantropia. Invece di applicarsi inutilmente all’intera razza a livello mondiale – invece di fare riferimento senza motivo ai problemi dei rapporti sociali tra tutti gli uomini e i popoli in tutti i tempi, perché, in nome del senso comune, i sociologi americani non si rendono conto che il loro tempo e lavoro sarebbero nettamente più efficaci 159
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per un reale avanzamento scientifico se applicati allo studio dell’unico gruppo di gente in rapido sviluppo? Se non si farà questo, niente riuscirà a dare risposta alla nostra notevole e riprovevole ignoranza sul popolo negro. Essa è sorprendente persino in rapporto alla filantropia concreta, al sostegno delle teorie educative, alla conoscenza di caratteristiche rare. Se i Negri fossero ancora persi nelle foreste dell’Africa centrale potremmo formare una commissione governativa per andare a misurare le loro teste, ma proprio perché 10 milioni di loro sono qui, di fronte ai vostri nasi, in passato ho sollecitato invano le università a spendere anche un solo centesimo in uno studio razionale delle loro caratteristiche e condizioni. Siamo capaci di recarci, con una spesa di centinaia di milioni, nelle Isole del Pacifico, girando il mondo, e lì percuotere e sconfiggere un popolo debole, desideroso di libertà rispetto alla schiavitù del pregiudizio americano verso il colore, mentre all’università di Atlanta elemosiniamo annualmente e inutilmente la somma irrisoria di 500 dollari, utili solo ad aiutarci a rimpiazzare l’ignoranza rozza e vendicativa nei confronti delle condizioni della razza con la conoscenza, presupposto di verità, e l’osservazione sistematica. Di fronte al mondo scientifico non c’è dubbio su quale sia la principale ipotesi di lavoro e la teorizzazione migliore relativa alle cause e alle caratteristiche delle diverse specie umane. Eppure qui in America non solo abbiamo l’opportunità di osservare e misurare quasi tutte le grandi razze del mondo, l’una a fianco dell’altra, ma, se possibile, anche qualcosa di più, possiamo anche osservare un lungo e complesso processo di amalgama, svoltosi per centinaia di anni, e risultante in milioni di uomini di sangue misto. Eppure poiché il tema dell’amalgama con le razze negre è per noi un punto dolente, sinora abbiamo trascurato e rinunziato fino in fondo a ogni opportunità di studiare e conoscere questa vasta popolazione mulatta, e abbiamo, deliberatamente e ostinatamente, fondato le nostre affermazioni e conclusioni a essa relative su pure finzioni o su semplici bugie. Non sappiamo nemmeno quale sia la dimensione di quelle commistioni, il numero delle persone di sangue misto, le caratteristiche, la statura, o le qualità di tale condizione; eppure non c’è nessuno, uomo o donna, non in grado o non desideroso di esprimere subito, qui come altrove, oggi e per l’eternità, una opinione completa e esatta sui Mulatti americani. Tale atteggiamento è ammissibile per l’ignorante – ce lo si può aspettare dai cavalli e dalle masse incolte degli uomini, ma non dai maggiori esponenti scientifici di una grande nazione. Al contrario, è giusto chiedere loro anzitutto di affrontare il problema dello studio scientifico di una grande razza con larghezza di vedute e semplice desiderio di verità, e poi di non lasciarsi sfuggire una simile opportunità di allargare i confini ristretti della verità scientifica. 160
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Certo è del tutto chiaro il motivo per cui gli uomini di scienza hanno evitato a lungo questo settore. In America la presenza dei negri è stata oggetto per molto tempo di una controversia amara e ricorrente – di guerra e odio, di conflitto e contraddizione. Si è detto che un terreno così pericoloso, nel quale i sentimenti erano radicati e tumultuosi, non fosse la sede adatta alla calma scientifica di una ricerca svolta con mente lucida. La nazione comprenderà – credo stia già iniziando a farlo – che si tratta di un errore; che nessun soggetto è tanto complesso e pericoloso, da non essere accessibile alla luce chiara della conoscenza più che all’ombra del pregiudizio e dell’amarezza, e che compito principale di una nazione, turbata da un grande problema sociale, è quello di studiarlo e capirlo in modo approfondito. Lo studio degli uomini è, comunque, caratterizzato dall’essere particolarmente sensibile alle influenze del pregiudizio che regola l’ipotesi scientifica scontata con la quale tutti i ricercatori devono fare i conti sin dall’inizio. Per esempio, se i Negri non sono esseri umani comuni, se il loro sviluppo rappresenta solo la regressione di un popolo inferiore, e il loro futuro possibile è solo di inferiorità, declino e morte, allora è chiaro che uno studio di quel gruppo, mentre ha un suo interesse e valore scientifico, è meno pressante e immediatamente necessario di quello di un altro gruppo, riconosciuto come parte certa della grande famiglia umana, il cui progresso è possibile, e il cui futuro dipende dai suoi sforzi e dall’educazione e dalla ragionevolezza del gruppo dominante e circostante. Ora sono necessarie alcune ipotesi di questo tipo. Esse devono essere ritenute, per il loro livello sperimentale, sempre soggette al cambiamento e alla revisione; e pure la ricerca scientifica deve iniziare da loro. Nell’Università di Atlanta, nello strutturare la parte iniziale dello studio scientifico dei Negri americani, abbiamo formulato una serie di ipotesi sperimentali. Abbiamo ipotizzato che i Negri siano parte costituente della grande famiglia umana, capaci di progresso e sviluppo, che i Mulatti non rappresentino necessariamente delle degenerazioni e che per il popolo negro sia possibile divenire fino in fondo grande e civilizzato. Formulando queste ipotesi abbiamo tenuto presenti i fatti noti ad ogni studioso, cioè: che non c’è prova storica adeguata che faccia definire la razza Negra inferiore alle altre e dunque legata a un destino immodificabile. Per chiarezza noi non indichiamo con precisione quale posto il Negro occupi realmente nella scala umana. Ci limitiamo solo a ipotizzare che, mancando una evidenza palese del contrario, è giusto ritenere che una grande razza di uomini, per secoli a contatto con le più grandi civiltà del mondo, ne sia comunque parte integrante. Sosteniamo inoltre la capacità di progresso dei Negri, non tanto per quanto hanno già compiuto, ma per i ripetuti falli161
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menti delle teorie che hanno posto limiti e confini al loro sviluppo. In particolare sosteniamo il coraggio e le potenzialità fondamentali dei Mulatti, perché nella storia della razza non sono state segnate differenze nette tra i Negri e i mezzosangue che giustifichino posizioni diverse. E soprattutto sosteniamo che, in base allo sforzo di cui sono capaci i negri, e alle risposte possibili dell’ambiente, il popolo negro arriverà alla stessa civiltà dei suoi compagni. Lo sosteniamo perché tutti i fattori evidenti disponibili indicano questa strada e d’altro canto essa rappresenta più un desiderio e un pregiudizio che un fatto e un’osservazione. Ora, come ho già detto, noi non facciamo nostra, in modo dogmatico, nessuna di queste posizioni. Non nasconderemo mai consapevolmente una verità spiacevole che si opponga alle nostre ipotesi, né permetteremo che il disprezzo prevalente nei confronti della razza ci spinga a conclusioni non sostenute dai fatti o travalicanti l’evidenza. Cerchiamo la verità, anche al di là delle insistenze degli amici e delle richieste dei nemici; e nel farlo chiediamo, e pensiamo di meritare, la simpatia e l’aiuto degli uomini di scienza. Oggetto delle Conferenze di Atlanta è lo studio del Negro americano. Il metodo utilizzato è quello di separare i vari aspetti della sua condizione sociale in dieci grandi temi, trattandone uno all’anno, in modo accurato ed esauriente, utilizzando i mezzi a disposizione fino al completamento del ciclo. Per poi iniziarlo di nuovo per altri dieci anni. Così nel corso di un secolo, se il lavoro è fatto bene, avremo un rapporto continuato sulla condizione e lo sviluppo di un gruppo composto da 10 a 20 milioni di uomini – una quantità consistente di materiale sociologico senza precedenti negli annali umani. Certo un simile programma ambizioso non è facile da realizzare. Però abbiamo già raggiunto gli otto anni del primo ciclo e pubblicato sette rapporti, con l’ottavo in preparazione; la sequenza dei temi studiati non è del tutto logica ma alla fine sarà esauriente. Nel 1896 abbiamo studiato la salute tra i Negri; nel 1897 le abitazioni, nel 1898 il problema dell’organizzazione; nel 1899 lo sviluppo economico nell’ambito degli affari; nel 1900 l’educazione superiore dei Negri; nel 1901 le scuole popolari e nel 1902 un’altra fase dello sviluppo economico – gli artigiani negri. Nel 1903 abbiamo analizzato la chiesa Negra, mentre dobbiamo ancora studiare le questioni del crimine e del voto. Come già sottolineato, siamo stati notevolmente ostacolati in questo lavoro. Intanto finora siamo stati incapaci di convincere una parte notevole del popolo americano della bruciante necessità di un lavoro di questo tipo e del suo profondo significato scientifico. Non pretendiamo che l’Università di Atlanta sia il solo centro di questo studio o che noi lo stiamo fa162
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cendo nel modo migliore. Riteniamo però che il lavoro debba essere svolto e che lo stiamo facendo meglio di chiunque altro lo stia tentando. E riceviamo molti incoraggiamenti: le biblioteche acquistano i nostri rapporti; i giornali e i periodici talvolta vogliono essere parte della diffusione dei nostri risultati e i ricercatori scientifici ci offrono aiuto e comprensione. Gran parte delle persone ragionevoli, non riesce, però, a comprendere il significato reale di uno sforzo teso a studiare sistematicamente il più profondo problema sociale che una grande nazione moderna si sia trovata di fronte. Per sostenere il lavoro riusciamo a raccogliere annualmente a stento dai 250 ai 350 dollari e non sappiamo fin quando potrà essere disponibile persino quella magra somma. Nonostante questo, attraverso la cooperazione volontaria dei Negri diplomati nei college in ogni parte del paese, e la bontà di altre persone, negre e bianche, siamo riusciti a compiere un lavoro degno di fiducia. La ricerca sui tassi di mortalità ha rappresentato il nostro primo sforzo, necessariamente limitato. Lo studio delle case e delle condizioni sociali, comunque, fu svolto meglio e i suoi risultati, oltre ai saggi del nostro rapporto, furono pubblicati dall’United States Bureau of Labor. Lo studio degli sforzi per l’organizzazione ed il miglioramento sociale ha occupato un settore unico e ha mostrato, con dettagli interessanti, lo sviluppo della civiltà di un gruppo di uomini in rapporto ai percorsi della vita quotidiana. Nel campo economico abbiamo cercato di studiare gli sforzi attraverso i quali lo schiavo sottoposto al comando, una volta emancipato, è divenuto a sua volta gestore di uomini nel mondo economico moderno. Si tratta di una storia di lotta, fallimento e successo che ha gettato in generale molta luce sullo sviluppo economico. Poi c’è stato uno studio sull’educazione; teso a rilevare fino a che punto la formazione superiore dei Negri rendesse o meno gli uomini adatti al lavoro concreto – se ci fosse un numero eccessivo che studiava Latino e Greco e un numero esorbitante di college che aprivano le loro porte ai Negri. Il risultato di questo rapporto corresse molti malintesi. Mostrò che c’erano solo 2.500 laureati al college su nove milioni di persone, dato che non sembra particolarmente preoccupante. Mostrò che almeno il 90 per cento di loro erano impiegati in occupazioni regolari e utili, ed erano proprietari e rispettati cittadini. Mostrò che vi erano troppi college negri di livello basso e troppo pochi di livello alto e con attrezzature adeguate. Fu analizzata la storia della scuola pubblica, nei distretti rurali del sud (per entrambe le razze), e fu sostenuta con fermezza l’ipotesi, insolita ma esplicita, che sin dalla guerra le tasse, dirette e indirette dei negri, avevano pagato completamente le scuole Negre così da non renderle un peso di alcun tipo per i contribuenti bianchi. Nel 1902 furono studiati gli artigiani negri. Fu analizzato il lavoro delle scuo163
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le industriali, corredato da notizie provenienti da tutte le “National Trades Union” d’America e da tre quarti dei Consigli centrali del lavoro della città. Insieme al “Chattanooga Tradesman”, il più grande giornale del “Southern Industrial”, fu svolta una ricerca tra i lavoratori negri professionalizzati dipendenti, e poi si entrò in corrispondenza con migliaia di artigiani negri. Il rapporto sulla chiesa negra è in stampa.
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La sociologia esitante1
Il Congresso delle Arti e delle Scienze svoltosi l’estate scorsa a St. Louis ha evidenziato amaramente la situazione attuale della sociologia; infatti i seguaci della disciplina hanno fatto la strana scoperta che seguire ulteriormente la propria inclinazione minacciava di provocare una violenta scissione personale. I temi cui erano interessati risultavano distribuiti, in modo abbastanza imparziale, in sei delle sette grandi divisioni delle scienze: economia, qui; etnologia, lì; una cosa chiamata “sociologia”, nascosta sotto le scienze mentali, e gli elementi specificamente sociologici disposti in modo confuso e definiti “regolazione sociale”. E così via. Se questa ambiguità di campo era in parte inevitabile per chiunque tentasse una classificazione della conoscenza, essa evidenziava però, in modo consistente, una reale confusione mentale rispetto al settore e al metodo della disciplina. Per più di quarant’anni si è vagato nel territorio incolto della sociologia, balbettando un gergo particolare, diffondendo libri voluminosi senza però essere mai consapevoli della sostanziale confusione di pensiero presente proprio alla base della nostra scienza – qualcosa di così sbagliato che mentre uno si vanta di essere astronomo, e un altro si riconosce biologo, si appartiene invece alla sociologia solo per una forte costrizione e per sforzi affannosi. Eppure al nascere della Nuova Era tre cose testimoniano esplicitamente un interesse accentuato e crescente verso le azioni umane: il romanzo, i consorzi monopolistici e l’espansione dell’Europa; e cioè lo studio della vita individuale e i suoi moventi, l’organizzazione meccanica dello sforzo 1 «Boundary 2. An International Journal of literature and culture» Sociology Hesitant: Thinking with W.E.B. Du Bois, a special number edited by Ronald A.T. Judy, 27, 3, Fall 2000, 37-44. Questo documento è basato su un testo scritto a macchina, a firma autografa contenuto nei W.E.B. Du Bois Papers, sezione «Special Collections and Archives della W.E.B. Du Bois Library» alla University of Massachusetts, Amherst. Il manoscritto coincide nello stile con le usanze prevalenti nell’epoca in cui Du Bois lo compose. In particolare usa le lettere maiuscole per i termini chiave, così come indicato dalle antiche regole della punteggiatura. Eccetto in questi pochi casi, nei quali è possibile fare confusione di significato, ho deciso di mantenere il tono del manoscritto rispettando il suo stile originale e mi sono astenuto dall’aggiornarlo. Sono grato a David Graham Du Bois e alla W. E. B. Du Bois Foundation per aver fornito il permesso di pubblicare Sociology Hesitant. Ringrazio anche W. E. B. Du Bois Papers, «Special Collections and Archives» della W. E. B. Du Bois Library, University of Massachusetts, Amherst. Ed. [È il curatore dell’edizione originale del testo che sta ringraziando].
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economico umano, e l’estensione di tutta l’organizzazione fino ai confini della terra. C’è terreno più favorevole di questo per lo scienziato? Non ha fatto bene il maestro Comte a far coincidere il suo schema conoscitivo con la conoscenza degli uomini?2. Eppure non fece proprio questo: questo era piuttosto quello che voleva fare, e che lui e noi abbiamo a lungo ipotizzato avesse fatto. Perché, muovendo con curiosità dalle azioni degli uomini come oggetto di analisi scientifica e di un processo induttivo suggerì uno studio della società. Quale società? Egli, con il suo carattere profetico, intravedeva due cose, le attività numerose e eterogenee degli uomini e i tratti del ritmo che coordinano alcune loro azioni. Così affermò: «Ora nelle scienze inorganiche, le parti individuali ci sono molto più note dell’intera aggregazione nel suo complesso; in questa situazione, dobbiamo procedere dal semplice al composito. Ma nello studio dell’uomo e della società è necessario seguire il metodo opposto, poiché entrambi ci sono più noti come un tutto, soggetti di studio più accessibili delle parti che li costituiscono». Su questa affermazione è stata costruita non una scienza dell’agire umano ma della “società”, una sociologia. Comte voleva forse legare in questo modo il pensiero scientifico allo studio di un’astrazione? Probabilmente no – piuttosto intendeva richiamare l’attenzione sul fatto che tra le complessità crescenti della vita umana ci sono ampi settori dei pensieri e dell’azione degli individui che sono tra loro simili e corrispondenti, che l’osservazione complessiva ha già notato e fatto oggetto di attenzione. Da qui deve partire la nuova scienza, disse il pioniere, questo è l’inizio. Avendo precisato questo punto, comunque, anche Comte era stranamente esitante rispetto agli elementi reali della società che doveva, prima o poi, essere studiata, uomini o cellule o atomi o qualcosa di più indefinibile di ognuno di questi. Evidentemente non rispose in modo chiaro, ma si orientò rapidamente verso lo studio della “società”. Eppure la “società” costituiva solo un’astrazione. Era come se Newton, notando il processo del precipitare come caratteristica della materia, e spiegando quel fenomeno come gravità, avesse cercato di studiare direttamente alcune strane entità conosciute come “cadenti”, invece di analizzare in modo equilibrato le “cose che cadono”. Allo stesso modo Comte e i suoi seguaci notarono l’aggregarsi degli uomini, i cambiamenti di governo, gli accordi del pensiero, e così, invece di uno studio accurato dell’aggregarsi, del modificarsi e del pensare degli 2 Il riferimento è al filosofo francese Isidore-Auguste-Marie-François-Xavier Comte – Auguste Comte – (1798-1857), accreditato di aver fondato il positivismo e di aver dato alla scienza della sociologia il suo nome, strutturandone la metodologia sistematica.
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uomini, proposero di studiare il gruppo, il cambiamento, e il pensiero chiamando questa nuova creazione società. Quelli che erano parzialmente dubbiosi rispetto a questo metodo furono messi a tacere in modo arrogante dai raggiri verbali di Spencer3: «Consideriamo in modo coerente una società come un’entità, perché sebbene formata da unità separate, una certa consistenza della loro aggregazione è implicita per la presenza complessiva di adattamenti reciproci nell’area occupata». Così ci eravamo proprio indirizzati verso vagabondaggi metafisici – studiando non le cose in sé ma il complesso mistico che, si poteva dedurre coraggiosamente, formavano in base alla loro necessità logica. A provare questo imperativo fu iniziato quel trattato voluminoso di sociologia descrittiva che da allora è parte essenziale dei manuali formali di questa scienza. E cos’è la sociologia descrittiva? È una descrizione di quei pensieri, e dei pensieri delle cose, e delle cose che tendono a rappresentare la vita umana, uno sforzo di osservare i comportamenti e le azioni di tanti uomini, sottolineando con forza i principi che evidenziano l’armonia e lo sviluppo – una filosofia della storia con fini semplici e terreni, piuttosto che con scopi eterni e teleologici. In questa direzione Spencer e i suoi imitatori hanno fatto un buon lavoro, ispirato, ma circoscritto. Limitato, perché i loro dati erano incompleti – deplorevolmente incompleti, dipendendo dai fatti evidenti, dalle chiacchiere e dalla tradizione, da ipotesi incerte, dai racconti dei viaggiatori, da leggende e da documenti parziali, dalla memoria delle memorie e da un errore storico. La nostra conoscenza complessiva del passato è certo loro anteriore. Ma qual è la nostra conoscenza del passato in grado di diventare base di induzione scientifica? I sociologi spenceriani furono allora solo in grado di descrivere un profilo indistinto del senso e del ritmo dell’azione umana, profilo che avrebbe potuto essere completato solo con l’aiuto della misurazione scientifica e di uno studio più approfondito. Eppure qui esitarono in modo quasi tenero, lavorando su cambiamenti e adattamenti, esprimendo vecchi pensieri come nuovi, inventando termini sconosciuti; aggiungendo anche però contemporaneamente davvero poco alla nostra conoscenza precedente. Questi sociologi non erano lenti nella loro percezione, e cercavano i mezzi per sfuggire al loro circolo logico vizioso, ma guardavano solo nella direzione in 3 [Il riferimento è al sociologo e filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903), uno dei primi difensori delle teorie di Darwin, che spinse per la fondazione del Darwinismo Sociale. Sebbene Du Bois critichi Spencer per uno psicologismo metafisico, questi è visto in genere come difensore della preminenza dell’individuo sulla società e della scienza sulla religione N.d.C.].
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cui si stavano muovendo, e non all’indietro, agli errori iniziali. Così finirono per convincersi di due necessità: cercare il sostegno dell’analogia biologica come aiuto teorico dei loro studi successivi e utilizzare una nuova analisi per individuare la componente sociologica. Il tentativo, complicato, di comparare l’organismo animale e quello sociale fallì perché l’analogia implica la conoscenza ma non la sostituisce – suggerisce ma non fornisce direttrici di ricerca. E chi era capace di analizzare la “società”? Né ebbe maggiore successo la ricerca di un elemento sociologico fondamentale. Invece di cercare gli uomini come unità naturali dell’associazione umana, si vagabondò lungo percorsi metafisici, confondendo le Cose con le loro rappresentazioni, e non si cercò il fondamento reale della società, ma la genesi delle nostre idee sociali. La società divenne per loro una forma dell’azione mentale, e, nella loro ingenuità, le sue radici erano la “coscienza del genere”, l’“imitazione”, l’“imperativo sociale”, e così via. Tutto questo vagabondaggio nel campo della psicologia avrebbe potuto essere visto positivamente cinquant’anni fa. Ma oggi la psicologia ha tralasciato le scissioni infeconde della coscienza e ha avviato nuove analisi e nuove procedure di misurazione. Questa nuova psicologia ha dato il benvenuto alle novità sociologiche. Dal punto di vista storico potrebbe essere interessante sapere se la nostra riflessione sociale è iniziata con questa o quella idea, o è proceduta attraverso quella o questa combinazione di pensieri – ma come potremo mai saperlo? E pur sapendolo, a cosa ci servirebbe? Ma di questo abbiamo parlato abbastanza. Se torniamo un po’ indietro e proviamo a chiederci esplicitamente: perché Comte ha esitato in modo tanto evidente nell’indicare le “parti che costituiscono” la società, e perché gli uomini hanno seguito così singolarmente le sue indicazioni? Non è del tutto chiaro che oggetto della sociologia è lo studio delle azioni degli uomini? Si, è chiaro – chiaro a noi, ai nostri predecessori, eppure il solo esprimere quel tentativo di ridurre l’azione umana a legge, regola, ritmo mostra l’audacia di quel progetto e perché gli scienziati abbiano persino arretrato di fronte ad esso e, nascondendo il senso delle loro parole, quasi dimezzato lo scopo della loro scienza. Perché la Grande Ipotesi rispetto alla vita reale è che nelle azioni degli uomini ci sia, insieme alla regola e al ritmo, insieme alla legge fisica e alla consuetudine biologica, qualcosa di indefinibile. Questa ipotesi ci accompagna sempre; è diffusa in tutti i nostri pensieri, in tutta la nostra scienza, in tutta la nostra letteratura; è alla base della nostra concezione delle procedure legali, della filantropia, del crimine, dell’educazione, e dell’etica; e il linguaggio ha cristallizzato il pensiero e la convinzione in 168
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dovere, potere e possibilità di scelta. Ora, a fronte di questo, proporre freddamente il lancio di una scienza che dovrebbe scoprire e formulare le leggi esatte dell’azione umana e mettere in rapporto “Il calore come forma dell’emozione” con una formula matematica quale “Shakespeare in quanto pura Energia”, o “Edison in quanto forza elettrica” – solo formulare una simile ipotesi sembrava essere, ed era, assurdo. Anche così la formulazione di tale scienza sembrava impensabile, proprio mentre si intensificava la domanda di conoscenza scientifica degli uomini. Il nuovo umanesimo del XIX secolo stava accendendo nuovi interessi per le azioni umane: Legge, Religione, Educazione – tutte spingevano gli uomini allo studio di quella unità specifica del più alto interesse umano, l’uomo individuale. Un imperativo categorico spingeva tutto il pensiero verso il paradosso: 1 il ritmo evidente dell’azione umana; 2 l’evidente imprevedibilità dell’azione umana. Cosa è, allora, la sociologia? Semplicemente un tentativo di scoprire le leggi sottostanti alla condotta degli uomini. Perché, allora, viene chiamata sociologia? Non dovrebbe essere così ma lo è e “che cosa c’è in un nome”? Perché i sociologi non esplicitano il loro oggetto in modo semplice e chiaro? Per paura della critica. La critica di chi? Da un lato degli scienziati fisici, che affermano che le leggi delle azioni degli uomini sono leggi fisiche, studiate dai fisici; e dall’altro della massa degli uomini, che afferma che l’uomo non è fatto solo da leggi immodificabili, egli è, in un certo senso, un uomo libero nelle sue azioni e, di conseguenza, estraneo ai processi delle leggi scientifiche. Ora, al di là dei capricci e delle predilezioni individuali, nessuno può ignorare completamente ognuna di queste critiche: se questo è un mondo di leggi fisiche, assolutamente immodificabili, allora le leggi della fisica e della chimica sono quelle di tutte le azioni, delle pietre e delle stelle, dei Newton e dei Norton. D’altro canto, per migliaia e migliaia di anni, e oggi in modo altrettanto consistente, e forse anche più di prima, gli uomini, dopo aver sperimentato i fatti della vita, hanno quasi universalmente riconosciuto che tra le forze fisiche si muovono volontà autoreferenziali, che modificano, frenano, e reindirizzano le leggi comuni della natura. Questa affermazione è tremenda nel suo significato. Dal punto di vista della scienza, significa che questo è un mondo della possibilità come anche della Legge; che la conservazione dell’energia e la correlazione delle forze non sono universalmente scontate, ma che in qualche luogo sconosciuto, esplodono miracolosamente di quando in quando, controllando la regolazione 169
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dell’energia. I fatti di cui si ha notizia sono così profondamente inspiegabili che raramente sono esplicitati in modo chiaro e diretto. I protagonisti della “libera” volontà sono visti come critici disgustati dell’“opportunità”. E difensori strenui della scienza ortodossa sono trovati a parlare come se i destini di questo universo fossero in gran parte riposti nell’azione umana indeterminata – in verità, non sono riusciti a sfuggire a tale discorso e a continuare a parlare. Perché allora il paradosso non è affrontato in modo diretto? [Perché non] affermare francamente l’ipotesi dell’esistenza di una legge e contemporaneamente anche del caso, cercando di determinare, attraverso lo studio e la misurazione, i limiti di ciascuno di questi elementi? Questo è quanto i veri studiosi di sociologia stanno facendo e hanno fatto da più di mezzo secolo. Hanno adottato il discorso e l’ipotesi dell’umanità rispetto all’azione umana e nello stesso tempo hanno studiato quelle azioni con tutta l’accuratezza scientifica possibile. Hanno rifiutato di inquinare la loro ragione con entità metafisiche sconosciute e inconoscibili, come anche di trascurare l’ambiente più ampio possibile, della ricerca scientifica, perché incapaci di trovare leggi simili a quella della gravità. Hanno accettato un mondo regolato dalla legge fisica, popolato da esseri in grado, in un certo senso, di azioni inspiegabili e incalcolabili secondo quella legge. E il loro obiettivo è stato quello di determinare, per quanto possibile, i limiti dell’incalcolabile – di misurare, se si vuole, l’assoluto e l’io indeterminato kantiano. Così la nostra conoscenza della vita umana è stata notevolmente sviluppata da statistici, etnologi, scienziati politici, economisti, studiosi di finanza e filantropia, criminologi, educatori, filosofi morali, e critici di arte e di letteratura. Tutti questi hanno applicato la misurazione statistica e la ricerca storica allo studio degli uomini concreti e alla distribuzione della popolazione secondo residenza, età e sesso; hanno comparato e seguito la tendenza dei sistemi di governo e delle organizzazioni politiche; hanno dedicato uno studio ampio e attento alle tante manifestazioni di produzione e distribuzione della ricchezza e del lavoro; hanno cercato di ridurre la filantropia a metodo attraverso uno studio di soggetti dipendenti e delinquenti e soprattutto di quell’emarginato sociale chiamato criminale. Una ricerca sistematica è stata condotta persino in contesti profondi e difficili come quelli del gusto e della formazione umana. In tutto questo lavoro, l’individuo è divenuto realmente l’unità della ricerca. Vi sono stati tentativi di sostituire questo essere problematico con qualcosa di più facilmente gestibile, come l’“uomo economico”, duttile e rispettoso della legge, individuo certo agente in base ad un unico motivo e privo di imprevedibili pulsioni secondarie. Ma è prevalso il senso co170
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mune, e sono stati studiati gli uomini reali – non figure metafisiche incomprensibili. Inoltre, questi studiosi della natura umana si sono rifiutati più volte di essere sprofondati in una confusione ulteriore da domande quali: Questa è una scienza? Quali ne sono le leggi naturali? Che scienza è una scienza senza leggi? Senza rispondere a queste domande fastidiose o falsificare i fatti per amore di una risposta disinvolta, questi studiosi si sono accontentati di precisare fatti semplici, regole e principi generali, e consigli morali; non hanno accettato la vita umana come caotica e non hanno fatto proprie le leggi la cui esistenza non erano in grado di provare. Hanno insistito che si devono studiare gli uomini perché sono gli elementi principali del mondo conosciuto, ed hanno anche accettato coraggiosamente il fatto che il “dovere” è l’elemento principale della vita umana. Non che il loro lavoro sia stato perfetto. Esso ha dato luogo di fatto a due grandi critiche: la mancanza di riconoscimento adeguato dell’unitarietà essenziale dei vari studi dell’agire umano, e dello sforzo di scoprirla ed esprimerla; e un’esitazione nell’affrontare il grande problema centrale nella ricerca scientifica odierna – il rapporto tra scienza dell’uomo e scienze fisiche. Qual è allora il futuro che la sociologia ha di fronte? Si deve cercare un’ipotesi di lavoro che includa sociologia e fisica, pensando provvisoriamente che questo è un mondo legato alle legge ed al caso. Che lungo il tempo e lo spazio, la legge copre la maggior parte dell’universo, ma che, per il rilievo che ha, l’area lasciata al caso in quel mondo è di straordinaria importanza. In ultima analisi, il caso è spiegabile come legge: proprio come la voce di Dio potrebbe risuonare dietro la legge fisica, così dietro le realtà casuali poniamo le libere volontà umane, capaci di scelte imprevedibili, accettando di riconoscere che in entrambi questi casi siamo di fronte all’umanamente inspiegabile. Questa ipotesi non ostacola affatto la ricerca di una legge naturale, sospende solo, come non provate ed improbabili, le sue ipotesi più avventate; o meglio, nel considerare alcuni fenomeni come quelli radioattivi, dell’energia elettrica, e dello sviluppo biologico, forse l’incubo di una ipotetica conservazione di tutta l’energia si sposterebbe al grande confronto con la fisica futura. Dal lato della sociologia, questa proposta dissiperebbe per sempre i legami metafisici che ci avvincono e aprirebbe la strada ad una nuova concezione unitaria delle azioni umane. Non avremmo più due regni separati di conoscenza, che parlano linguaggi reciprocamente incomprensibili, ma uno solo, e in esso la fisica studierebbe le manifestazioni della forza e della legge naturale, e la sociologia acquisirebbe i dati dei fisici e analizzerebbe, al loro interno, quel regno nel quale una forza specifica è mossa dalla volontà umana, cioè da una forza imprecisata. 171
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Una riconciliazione di questo tipo delle due grandi ali della scienza deve essere realizzata. È inconcepibile un prolungamento dell’attuale dualismo presente nella classificazione della conoscenza: la comprensione reciproca deve derivare da un’ipotesi di lavoro significativa per gli storici come per i biologi. Resta, infine, da precisare che tale riaffermazione delle ipotesi ne coinvolge un’altra relativa alle basi della sociologia. Supponiamo di ipotizzare esplicitamente un regno del Caso. Qual è, allora, il programma della scienza? Guardando il mondo, vediamo l’evidenza del regno della Legge; e comunque, man mano che si passa dalla dimensione fisica a quella umana, emergono non solo una complicazione e una interazione delle forze, ma tracce di una forza indeterminata, fin quando, nell’ambito dell’azione umana superiore, non troviamo il Caso – cioè azioni indeterminate e indipendenti da quelle determinatesi in precedenza. Il dovere della scienza è dunque di misurare attentamente i limiti di questo caso all’interno della condotta umana. L’esistenza di questi limiti è mostrata dai ritmi della nascita e della morte e dalla distribuzione del sesso; è presente inoltre nei costumi e nelle leggi umane, nelle forme di governo, nelle leggi del commercio, e persino nella carità e nell’etica. Comunque, lungo il nostro entrare nel regno del comportamento, possiamo notare un ritmo primario e uno secondario, uno primario, dipendente, come indicato, dalle forze e dalle leggi fisiche; ma al cui interno ne appare ininterrottamente un altro che, mentre presenta quasi la stessa uniformità del primo, ne differisce, per il suo più o meno improvviso sollevarsi ad un determinato tono, in connessione con un progetto e una predizione prestabiliti, e con l’impegno a fermarsi e realizzare modifiche coerenti con quel tipo di progetto. Un esempio di uniformità primaria è il tasso di morte; di uniformità secondaria, il funzionamento di un club femminile; confondere questi due tipi di uniformità umana è fatale alla chiarezza del pensiero; per spiegarli dobbiamo ammettere che la legge e il Caso operano in simbiosi – essendo il caso il lato scientifico della volontà inspiegabile. La sociologia, dunque, è la scienza che cerca i limiti del caso nella condotta umana.
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La dichiarazione di principi del Niagara Movement1
Progresso. I membri della Conferenza, nota come Niagara Movement, riuniti nella Assemblea annuale a Buffalo, l’11 luglio 1905, si congratulano con i negri Americani per una serie di evidenti indubbi progressi compiuti negli ultimi dieci anni, in particolare per l’aumento dell’intelligenza, l’acquisto di proprietà, il controllo del crimine, il miglioramento della vita domestica, il progresso nella letteratura e nell’arte, e la dimostrazione di una abilità concreta e capace di governare grandi istituzioni religiose, economiche, educative. Voto. Nello stesso tempo crediamo che questa classe di cittadini americani dovrebbe protestare in modo consistente e continuato contro la limitazione dei propri diritti politici. Crediamo nel suffragio universale e non riteniamo nessuno tanto buono, intelligente, o ricco da poter essere affidato del tutto al benessere del suo prossimo. Libertà civili. Crediamo anche nella necessità di protestare contro la limitazione dei nostri diritti civili. Tutti i cittadini americani hanno diritto allo stesso trattamento nei luoghi di intrattenimento pubblico in conformità al loro comportamento e ai loro meriti. Opportunità economiche. Protestiamo in modo particolare perché ci vengono negate pari opportunità rispetto alla vita economica; nei distretti rurali del sud questo corrisponde alla povertà e a una vera e propria schiavitù, tutto il sud tende ad annientare il lavoro e le piccole imprese economiche; e dovunque il pregiudizio americano, aiutato spesso da leggi ingiuste, rende più difficile ai negri americani assicurarsi una vita decente. Educazione. L’educazione nelle scuole popolari dovrebbe essere libera e obbligatoria per tutti i bambini americani. La formazione superiore dovrebbe essere aperta a tutti, e quella nei college non dovrebbe essere, in ogni zona del paese, monopolio di una classe o di una razza. Crediamo che per difendere le nostre istituzioni, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare l’educazione nelle scuole popolari, in particolare nel sud, e per il conseguimento di questo obiettivo raccomandiamo in particolare iniziative coordinate di protesta. Chiediamo con urgenza per le scuole pubbliche del sud, un aumento delle attrezzature, delle quali i negri americani sono quasi 1 The Niagara Movement’s – Declaration of Principles, 1905, in Lewis D.L. (a cura di), W.E.B. Du Bois, A Reader, New York, Henry Holt and Company, 1995, 367-369. (1905).
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completamente privi. Siamo favorevoli a scuole commerciali e tecniche ben attrezzate per la formazione di artigiani, così come deve essere chiara, ai sostenitori sinceri della razza, la necessità di donazioni adeguate e generose alle poche istituzioni di formazione superiore. Tribunali. Chiediamo giudici retti nei tribunali, giurie scelte al di fuori delle discriminazioni legate al colore, sanzioni e sforzi di riforma analoghi nei confronti dei violatori della legge, sia bianchi che negri. Abbiamo bisogno di orfanotrofi e nidi scolastici per ragazzi privi di sostegno, di riformatori giovanili per i delinquenti, e dell’abolizione del sistema inumano dei contratti carcerari2. Opinione pubblica. Segnaliamo allarmati l’evidente diffuso arretramento dell’opinione pubblica sul tema dei diritti, del governo repubblicano e della fratellanza umana, e preghiamo Dio che questa nazione non degeneri in una folla di presuntuosi e tiranni, ma torni piuttosto alla fede dei padri, secondo la quale tutti gli uomini furono creati uguali e liberi, dotati di una serie di diritti inalienabili. Salute. In relazione alla salute, chiediamo di vivere in case e luoghi decenti, di allevare i nostri figli in ambienti puliti dal punto di vista fisico e morale. Datori di lavoro e Organizzazioni sindacali. Indichiamo al pubblico biasimo il comportamento di due diverse classi di uomini: la consuetudine dei datori di lavoro di importare, in condizioni di emergenza, lavoratori negro-americani ignoranti, senza poi offrire loro né protezione né occupazione stabile, e quella delle organizzazioni sindacali di proscrivere, boicottare ed opprimere migliaia di loro dipendenti, solo perché negri. Questi metodi hanno accentuato, e accentueranno ulteriormente, il conflitto tra capitale e lavoro, e sono vergognosi in entrambi i casi. Protesta. Ci rifiutiamo di accettare l’idea che il negro americano sia consenziente all’inferiorità, sottomesso all’oppressione e contrito di fronte alle offese. In una situazione di mancanza di aiuto possiamo sottometterci, ma finché l’America sarà ingiusta la voce della protesta di dieci milioni di americani non deve mai cessare di investire le orecchie dei suoi seguaci. 2 [Il sistema delle carceri a contratto, nelle quali i detenuti lavoravano in particolare la campagna o sulle ferrovie, cominciò nell’Alabama il 1846 e finì il primo luglio 1928, quando Herbert Hoover era in corsa per la Casa Bianca. Nel 1883 il 10 per cento dell’introito totale dell’Alabama derivava dai proventi di quel sistema, mentre nel 1898 il 73 per cento dell’entrata complessiva proveniva dalla stessa fonte. I tassi di morte tra i detenuti di queste strutture erano tendenzialmente dieci volte superiori a quelli dei detenuti presenti negli altri tipi di carcere. Per esempio nel 1873 vi morì il 25 per cento di tutti i neri imprigionati N.d.C.].
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La linea del colore. Una discriminazione basata solo sulla razza o sul colore è crudele, indipendentemente dalla sua giustificazione, legata alla consuetudine o al pregiudizio. Le differenze fondate su ignoranza, immoralità, o malattia rappresentano metodi legittimi di contrastare il male, e non protestiamo contro di esse, ma le discriminazioni basate solo e soltanto sulle particolarità fisiche, sui luoghi di nascita, sul colore della pelle, sono retaggi di una condizione umana selvaggia e irrazionale, e di esse il mondo dovrebbe completamente vergognarsi. Le autovetture “Jim Crow”3. Protestiamo contro le vetture “Jim Crow” dal momento che il loro principio è, e vuole essere, di farci pagare biglietti di prima classe per sistemazioni di terza, di offrirci agli insulti e ai disagi, e di tormentare deliberatamente le nostre donne e il rispetto che hanno di sé. Soldati. Ci rammarichiamo che l’America non abbia valutato seriamente l’ipotesi di ricompensare i soldati negri che nelle sue cinque guerre hanno difeso il paese con il proprio sangue, e cui sono state negate, in modo sistematico, le promozioni meritate dalle loro capacità. Riteniamo inoltre ingiusta l’esclusione dei giovani negri dalle scuole militari e navali. Emendamenti di guerra. Raccomandiamo con urgenza al Congresso l’approvazione di una legge che assicuri una giusta applicazione degli articoli della Costituzione degli Stati Uniti, relativi alla libertà, il tredicesimo, il quattordicesimo e il quindicesimo. Oppressione. Ripudiamo la dottrina assurda secondo la quale l’oppressore dovrebbe rappresentare l’unica autorità rispetto ai diritti degli oppressi. La razza negra in America, rapinata, violentata e degradata, che procede a fatica attraverso le difficoltà e l’oppressione, ha bisogno di simpatia e riceve critiche; ha bisogno di aiuto e le sono messi di fronte ostacoli, ha bisogno di protezione ed è esposta alla violenza della folla; ha bisogno di giustizia e le è data carità, ha bisogno di una direzione e le è data codardia e giustificazione, ha bisogno di pane e le sono date pietre. Finché queste cose non cambieranno questa nazione non sarà mai assolta davanti a Dio. La Chiesa. Siamo particolarmente sorpresi e meravigliati dei recenti atteggiamenti della Chiesa di Cristo – della sua accresciuta disponibilità a piegarsi al pregiudizio razziale, a ridurre i legami di fraternità umana, e a segregare gli uomini negri in qualche rifugio esterno. È sbagliato, non è cristiano ed è vergognoso per la civiltà del XX secolo. 3
[Le auto “Jim-crow” corrispondono a mezzi pubblici nei quali venivano trasportati in modo segregato i negri. Nel 1890, la Louisiana approvò una legge secondo la quale i negri dovevano essere trasportati in strutture separate N.d.C.].
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Agitazione. Non esitiamo a rammaricarci dei danni compiuti in passato, e a farlo anche a voce alta e con insistenza. Ignorare, trascurare o invece chiedere scusa per questi errori ci mostra di non essere degni della libertà. La principale protesta duratura è la principale strada verso la libertà e in direzione di questo obiettivo si è avviato il Niagara Movement, chiedendo la cooperazione di tutti gli uomini di tutte le razze. Aiuto. Nello stesso tempo vogliamo riconoscere con profonda gratitudine l’aiuto dei nostri compagni, dagli Abolizionisti a quelli ancora oggi favorevoli al principio di uguali opportunità, e a coloro che hanno contribuito, e ancora contribuiscono, con parte della loro ricchezza e della loro povertà, al nostro progresso. Doveri. E mentre chiediamo e dobbiamo chiedere e continueremo a chiedere i diritti sopra elencati, Dio ci proibisce di dimenticarci in qualunque momento, che sulla nostra gente incombono doveri corrispondenti: 1) Il dovere di votare. 2) Il dovere di rispettare i diritti degli altri. 3) Il dovere di lavorare. 4) Il dovere di obbedire alle leggi. 5) Il dovere di essere puliti e ordinati. 6) Il dovere di mandare i nostri figli a scuola. 7) Il dovere di rispettarci come rispettiamo gli altri. Questa dichiarazione, denuncia e preghiera sottoponiamo al popolo americano e al Dio Onnipotente.
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Indirizzo alla Nazione1
Gli uomini del Niagara Movement, con alle spalle la fatica di un anno di duro lavoro, in una pausa delle loro attività quotidiane, si rivolgono alla nazione e in nome di dieci milioni di uomini chiedono ancora una volta il privilegio di essere ascoltati. Negli anni scorsi il lavoro dei detrattori dei negri è prosperato sulla terra. Passo dopo passo i difensori dei diritti dei cittadini americani hanno fatto marcia indietro. È proseguito il furto dei voti degli uomini negri e cinquanta e più rappresentanti di voti “rubati” siedono oggi nella capitale della nazione. La discriminazione nei confronti di chi viaggia e di chi si ferma negli alberghi pubblici si è diffusa tanto che alcuni dei nostri fratelli più deboli si vergognano addirittura di protestare contro la discriminazione del colore in quanto tale e si limitano solo a chiedere a voce bassa regole comuni per il vivere civile. Contro questo protesta in modo continuo il Niagara Movement. Non ci accontenteremo di prendere anche una piccola parte o una briciola in meno di quanto dovuto ai nostri diritti integrali di uomini. Rivendichiamo per tutti noi i diritti individuali politici, civili e sociali propri di un americano nato libero; e finché non li otterremo non la smetteremo di protestare e di farci sentire dalle orecchie degli americani. La battaglia che combattiamo non è solo per noi ma per tutti i veri americani. È una battaglia per gli ideali, a meno che la nostra comune terra paterna, tradendo chi l’ha fondata, non sia proprio diventata la terra dei ladri e la casa degli schiavi – simbolo e richiamo tra le nazioni per le sue pretese roboanti e i suoi risultati miserabili. Mai prima di oggi, nell’età moderna, un paese grande e civile ha minacciato di adottare una dottrina tanto vile per trattare cittadini nati e cresciuti sul suo suolo. Se si eliminano le parole e i sotterfugi la nuova dottrina americana nella sua nuda oscenità sostiene: «Non permettete che gli uomini negri cerchino di sollevarsi in modo da diventare uguali ai bianchi». Questa è la terra che dice di seguire Gesù Cristo. La blasfemia di tale posizione è sfidata solo dalla sua vigliaccheria. Le nostre domande sono chiare ed esplicite fin nei loro particolari. Primo, vogliamo votare; al diritto al voto è collegato tutto il resto: libertà, umanità, l’onore delle mogli, la castità delle figlie, il diritto al lavoro e di non consentire a nessun uomo di dar retta a chi nega queste cose. 1
The Niagara Movement’s – Address to the Country, volantino di due pagine,
1906.
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Vogliamo un diritto di voto integrale, e lo vogliamo oggi, domani e per sempre. Secondo. Vogliamo che cessino le discriminazioni nelle strutture pubbliche. La separazione sui vagoni ferroviari e su quelli tranviari, fondata solo sulla razza e il colore, oltre che sciocca non è né americana, né democratica. Protestiamo contro tutte quelle discriminazioni. Terzo. Affermiamo il diritto di uomini liberi a camminare, parlare, e stare con tutti quelli che vogliono stare con noi. Nessun uomo ha il diritto di scegliere gli amici di un altro, e tentarlo corrisponde a interferire in uno dei diritti umani fondamentali. Quarto. Vogliamo che la legge funzioni verso i ricchi come verso i poveri, verso i capitalisti come verso i lavoratori, verso i bianchi come verso i negri. Non evadiamo la legge più della razza bianca; eppure siamo arrestati, segregati, oggetto di mobbing con maggiore frequenza. Vogliamo giustizia anche per i criminali e i fuorilegge. Vogliamo che sia realizzata la Costituzione del paese, che il Congresso si faccia carico delle elezioni dei suoi membri, che il Quattordicesimo Emendamento sia applicato alla lettera e che ogni stato, che tenta di privare del diritto al voto chi è in regola, subisca un trattamento analogo nel Congresso. L’insuccesso del Congresso del Partito Repubblicano, nella sessione appena conclusasi, di riscattare il suo voto del 1904 rispetto alle condizioni del suffragio nel sud sembra una violazione chiara, deliberata e premeditata di una promessa, e macchia il partito della responsabilità di ottenere voti con false promesse. Quinto. Vogliamo che i nostri figli siano educati. Il sistema scolastico nei distretti del sud rappresenta una vergogna, le scuole Negre sono come dovrebbero essere solo in poche cittadine e città. Vogliamo che il governo nazionale intervenga e debelli l’analfabetismo del sud. O gli Stati Uniti distruggeranno l’ignoranza o l’ignoranza distruggerà gli Stati Uniti. E quando parliamo di educazione vogliamo che sia davvero tale. Crediamo nel lavoro, siamo noi stessi lavoratori, ma il lavoro non corrisponde necessariamente all’educazione. Questa corrisponde allo sviluppo del potere e degli ideali. Vogliamo che i nostri figli ricevano una formazione come dovrebbe essere fatto per esseri umani intelligenti, e combatteremo sempre ogni proposta di educare i ragazzi e le ragazze negri solo come servi e subalterni, o solo in rapporto alle necessità degli altri. Hanno diritto a conoscere, sperare, desiderare. Queste sono alcune delle cose principali che vogliamo. Come le otterremo? Con il voto dove possiamo votare, con una agitazione continua, incessante, evidenziando con forza la verità, tramite il sacrifico e il lavoro. 178
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Noi non crediamo nella violenza, né in quella disprezzata delle spedizioni né in quella lodata dei soldati, né in quella barbara della folla, ma crediamo in John Brown, nel suo spirito di giustizia interiore, nel suo odio per le bugie, in quella volontà di sacrificare il denaro, la reputazione e la vita stessa sull’altare del diritto. E qui, sulla scena del martirio di John Brown, riconsacriamo noi stessi, il nostro onore, il nostro orientamento per l’emancipazione finale della razza, per la cui libertà egli morì. I nostri nemici, attualmente trionfanti, combattono le stelle nel loro corso. La giustizia e l’umanità devono prevalere. Viviamo per dire ai nostri fratelli scuri – divisi dai consigli, titubanti e deboli – che nessuna concessione di denaro o notorietà, nessuna promessa di ricchezza o di fama, è tanto importante da poter far venire meno l’umanità di un popolo o determinare la perdita del rispetto di sé. Ci rifiutiamo di cedere la leadership di questa razza ai codardi e ai banditi. Siamo uomini e vogliamo essere trattati come tali. Su questa roccia abbiamo piantato le nostre bandiere. Non ci arrenderemo mai, e la tromba del giudizio universale ci troverà ancora a combattere. E vinceremo. Il passato lo ha promesso, il presente lo predice. Grazie, Dio, per John Brown. Grazie, Dio, per Garrison e Douglass, Sumner e Philips, Nat Turner e Robert Gould Shaw, e tutti i beati morti per la libertà. Grazie Dio, per tutti questi che oggi, anche se le loro voci sono poche, non hanno dimenticato la fratellanza divina di tutti gli uomini, bianchi e negri, ricchi e poveri, fortunati e sfortunati. Ci appelliamo ai giovani e alle giovani di questa nazione, i cui sensi non sono ancora distorti dalla cupidigia, dal disprezzo per gli umili, dalla meschinità razziale; rivendicate i diritti, mostratevi degni della vostra eredità e, tanto che siate nati al nord quanto al sud, abbiate il coraggio di trattare gli uomini da uomini. Come può la nazione che ha assorbito dieci milioni di stranieri nella sua vita politica, non assorbire nella stessa dieci milioni di afroamericani a un costo inferiore rispetto a quello di una loro esclusione ingiusta ed illegale? Coraggio, fratelli! La battaglia per l’umanità non è perduta e non si sta perdendo. In tutti i cieli vi sono segni di promessa. Gli slavi si stanno sollevando secondo le loro possibilità, milioni di gialli stanno provando la libertà, i negri africani si stanno divincolando verso la luce, e in ogni luogo i lavoratori, con il voto a loro disposizione, stanno votando per aprire le gabbie dell’opportunità e della pace. Il mattino si squarcia sulle colline macchiate di sangue. Non dobbiamo esitare, non possiamo indietreggiare. Al di sopra vi sono le stelle eterne.
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Un’idea1
Obiettivo di questa pubblicazione è l’esposizione di fatti e temi che mostrano il pericolo del pregiudizio razziale, in particolare per come si manifesta oggi nei confronti degli uomini di colore. Essa prende nome dal fatto che gli editori ritengono questo un tempo di crisi nella storia del progresso umano. Il cattolicesimo e la tolleranza, la ragione e la pazienza possono oggi rendere più vicina la realizzazione del sogno di fratellanza umana del vecchio mondo: mentre la bigotteria e il pregiudizio, la coscienza tracotante della razza e la forza possono solo ripetere la storia tremenda del passato legata al contatto tra le nazioni e i gruppi. Noi lottiamo per questa visione superiore e più ampia di Pace e Benessere. La politica di «The Crisis» sarà semplice e chiara. Sarà anzitutto e soprattutto una rivista; registrerà gli avvenimenti importanti e i movimenti mondiali che promuovono il grande problema dei rapporti tra le razze, in particolare quelli relativi ai negri americani. Secondo, sarà una rassegna di opinioni e letteratura, con brevi recensioni di libri, articoli, ed espressioni importanti di opinioni, relative al problema della razza, presenti sulla stampa bianca e di colore. Terzo, pubblicherà pochi articoli brevi. Infine la sua pagina editoriale difenderà i diritti degli uomini, indipendentemente dal loro colore o razza, in favore degli ideali più elevati della democrazia americana, nel tentativo, ragionevole ma convinto e duraturo, di conquistare questi diritti e realizzare questi ideali. La rivista non sarà organo di nessuna cricca o partito e sfuggirà a ogni tipo di rancore personale. Fino a una prova contraria si schiererà nella onestà dei propri obiettivi dalla parte di tutti gli uomini, del nord e del sud, bianchi e negri.
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The Opinion, in «The Crisis», 1, 1, November, 1910.
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NAACP1
Cos’è la National Association for the Advancement of Colored People? Costituisce l’aggregazione di quanti credono che una opposizione seria e attiva sia l’unico modo efficace di contrastare le forze del male. Si ritiene infatti che negli Stati Uniti lo sviluppo del pregiudizio razziale rappresenti il male, anche se non sempre in modo consapevole. Esso nasce in gran parte dall’ignoranza, dall’equivoco, da un errore onesto e da uno zelo maldestro. Ma, quale ne sia la causa, non c’è male, errore, pericolo, sorgente di offesa peggiore. Per questa ragione deve essere combattuto. Non è né sicuro né assennato restare seduti in silenzio di fronte a quell’errore umano o cercare di combatterlo con i sorrisi e con sussurri soffocati: va combattuto in tutti i modi civili e con ogni arma umana. La National Association for the Advancement of Colored People è organizzata per combattere l’ingiustizia del pregiudizio razziale: a) Abbattendo le scuse legate al pregiudizio; b) Mostrandone l’irrazionalità; c) Esponendone i tratti negativi. Si tratta di un grande programma di riforme? Sì, perché il male è grande. Nelle vicende umane non c’è oggi nemico più astuto e terribile del progresso umano, della pace e della comunanza di idee della guerra di reazione e dell’odio nascosti in quella cosa imprecisata che definiamo pregiudizio razziale. Questo non invita forse a un’opposizione determinata e duratura? Sono giustificati gli individui che restano seduti, in un silenzio volontario, senza parole e ciechi rispetto alla crescita di questo crimine? Crediamo di no. Perciò siamo organizzati per dire al mondo e al nostro paese: I Negri sono uomini con difetti e virtù come tutti gli altri uomini. Trattare il male come se fosse bene e il bene come fosse male non è solo sbagliato ma anche pericoloso perché alla fine incoraggia il male e scoraggia il bene. Trattare tutti i Negri allo stesso modo è come trattare il male come bene e il bene come male. Tracciare una grossolana e rigorosa linea del colore, priva di deviazioni, negli affari umani è pericoloso per quelli che la tracciano come per quelli contro cui è tracciata.
1
NAACP, in «The Crisis», 1, 12, November, 1910.
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La madre negra1
Il popolo americano, e in particolare quello degli Stati del Sud, hanno apprezzato tanto, e in modo tanto appassionato, le qualità della maternità tra i negri da proporre di erigere una statua nella capitale del paese alla mamma negra. Quella che era la nutrice negra nel periodo delle schiavitù può ricevere così dalla classe che comanda il tributo di una statua di bronzo duraturo. Ma questo apprezzamento della mamma negra è rivolto sempre alle mamme adottive, non alle madri che stanno a casa loro, a curare i loro bimbi. Perché quando la madre di colore si è ritirata a casa sua la classe al comando le ha inveito contro: “È spendacciona e stupida” ha detto la madre bianca «se si rifiuta di accudire i miei figli e sta con i suoi. Spinge sua figlia oltre i propri limiti se la educa a diventare una insegnante invece di mandarla a casa mia a fare la bambinaia ai miei piccoli, femmine e maschi. Non percorrerò mai la sua strada, Dio lo proibisce! Una strada dove c’è gente di colore è un tabù, e lei non è degna più a lungo della mia approvazione se si rifiuta di lasciare casa sua ed entrare nella mia». Noi speriamo che la mamma negra, per la quale sono state spese tante lacrime d’affetto, sia scomparsa dalla vita americana. In realtà esisteva un sistema sociale falso che la privava del marito e dei figli. Thomas Nelson Page2 dopo aver raccontato – con gli occhi bagnati – le virtù di sua madre, dichiarò con rabbia che non si curava dei suoi figli. Il che era senza dubbio vero. Come avrebbe potuto fare diversamente? Ma questa situazione rappresentava, nella sua esistenza, una contraddizione della maternità. Lasciate che le mamme attuali allattino i loro figli. Lasciate che camminino al sole con i loro figli e figlie trotterellanti e poi li mettano a letto assonnati. E quando le ragazze cresceranno e diventeranno donne mature, fate vedere loro, se possibile, che non devono andare a servizio in quelle case dove non sono tutelate e dove la loro femminilità non è rispettata. Tra tan1
The Black Mother, in «The Crisis», 2, December, 1912. [Thomas Nelson Page (1853-1922), scrittore, autore di storie brevi, romanzi, saggi e poesie, è più noto per il suo ruolo di celebratore letterario delle glorie del vecchio Sud. Nato nel 1853, di soli 11 anni nel momento della conclusione della Guerra, Page fece del Sud, nella fase anteriore alla guerra, una terra mitica, di donne e uomini nobili, di schiavi soddisfatti, una società ordinata e guidata dalle leggi della cavalleria. N.d.C.]. 2
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tissime difficoltà, racchiuse dalla casta, e determinate dalle ristrettezze economiche, lasciate alle attuali madri di colore il compito di essere loro a costruire la propria statua, rappresentata dalle quattro mura della loro casa, priva di qualunque macchia.
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Il voto delle donne1
Questo mese 200.000 elettori negri saranno chiamati a votare rispondendo alla domanda se dare il diritto di voto alle donne. «The Crisis» spera sinceramente che ognuno di loro voterà sì, ma la rivista non vorrebbe che quel voto fosse espresso senza aver considerato tutti gli aspetti del problema. Un voto ragionato è il solo sostegno concreto alla democrazia. Per questa ragione pubblichiamo con piacere l’articolo di Dean Kelly Miller contro il voto alle donne. Noi crediamo che i nostri lettori gli presteranno massima attenzione e lo paragoneranno a quello splendido dibattito che abbiamo avuto il piacere di pubblicare nel nostro numero di agosto. Nel frattempo, Dean Miller ci scuserà se spendiamo una parola in risposta alle sue ragioni. In breve, Mr. Miller crede che sostenere ed educare i giovani costituisca un impegno tale da rendere alle donne praticamente impossibile la partecipazione, in modo significativo, agli affari generali, industriali e pubblici. Egli ritiene le donne più deboli degli uomini, tutelate in modo adeguato dal loro voto, e pensa che dalla concessione del voto alle donne non possa derivare nessun risultato significativo; e che l’assolvimento di quell’impegno da parte loro costituisca un “rischio”. Tutti questi temi risuonano oggi come antichi. Se ci rivolgessimo a delle statistiche, facilmente disponibili, troveremmo che le donne di questa terra o di un’altra, invece di essere soprattutto confinate a curare i bambini, sono impegnate, nei fatti, e con successo, negli stessi obiettivi degli uomini. Il lavoro reale dipende oggi, a livello mondiale, più dalle donne che dagli uomini. Di conseguenza questo mondo, regolato dagli uomini, si trova di fronte a uno stupefacente dilemma: se la donna che lavora stia svolgendo quel lavoro a livello mondiale con successo oppure no. Se ella non lo sta facendo bene, perché non dovremmo sollevarla dalla necessità di lavorare? Se lo sta facendo bene, perché non trattarla come un lavoratore con voce in capitolo nella direzione del lavoro? L’affermazione che la donna è più debole dell’uomo è una pura e semplice sciocchezza. È lo stesso tipo di cose che si sentono anche sulle “razze scure” o sulle “classi inferiori”. La differenza, fisica o spirituale, non ha come conseguenza la debolezza o l’inferiorità. Che la donna media sia spiritualmente differente dell’uomo medio è proprio vero, come il fatto che i bianchi differiscono, in media, dai negri; ma questo non è un moti1
Women Suffrage, in «The Crisis», 1, november, 1915, 29-30.
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vo sufficiente per privare dei diritti civili i Negri o linciarli. Oggi è inconcepibile che si guardi ai comportamenti femminili in ogni settore dell’impegno, consapevoli del loro handicap umiliante e degli incredibili pregiudizi che incontrano, e pure verificando che, malgrado questo, nel governo, nelle professioni, nelle scienze, nell’arte e nella letteratura e nell’industria rappresentano forze eminenti e dominanti, il cui potere cresce di pari passo alla loro emancipazione – è inconcepibile che una persona di buona fede possa, anche per un solo momento, parlare di un sesso più “debole”. Il sesso di Judith, Candace, Queen Elizabeth, Sojouner Trutn e Jane Addams era il più puro incidente nella funzione umana e non un segno di debolezza e di inferiorità. Dire che gli uomini proteggono le donne con i loro voti vuol dire trascurare la realtà dei fatti. In primo luogo vi sono milioni di donne che non hanno protettori naturali maschi: le donne nubili, le vedove, quelle abbandonate e quelle il cui matrimonio è fallito. Estrarre all’improvviso dal contesto questa intera armata e lasciarla priva di protezione e di voce nella vita politica è più che ingiusto, è un crimine. Ci fu un tempo nel mondo, in cui si pensò che attraverso il matrimonio la donna perdesse tutte le proprie individualità come anima umana, diventando solo una macchina per produrre figli. Abbiamo superato quell’idea. Una donna è in gran parte proprio un soggetto che pensa, che sente, una persona che, dopo il matrimonio, agisce come prima. Ha opinioni e il diritto di averle ed esprimerle. Certo è inconcepibile che un paese decida che la sua unità di rappresentazione dovrebbe essere la famiglia e che una persona di quella famiglia dovrebbe esprimerne la volontà. Ma attraverso quale possibile processo di pensiero razionale si potrebbe decidere che la persona, per esprimere la sua volontà, dovrà essere sempre maschio, genio o ubriacone, imbecille o manager di industria? Il senso del ventesimo secolo è la libertà di ogni anima; l’anima che ha vissuto la più lunga schiavitù, e che è ancora nella schiavitù più disgustosa e insostenibile, è quella femminile. Dio le conceda questo novembre un aumento della sua libertà!
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La direzione di «The Crisis»1
Dal giorno della mia iscrizione alla scuola superiore di Great Barrington, Massachusetts, nel 1800, ho avuto il pallino di pubblicare articoli. Primo risultato di questo fu un giornale scolastico, un manoscritto, l’“High School Howler”, edito da me e illustrato da Art Benham, il quale vi disegnava le caricature. Per quanto ricordo ne pubblicammo un solo numero. Feci il passo successivo da studente, all’università di Fisk, tra il 1887 e il 1888, mentre ero Junior e Senior, divenendo prima pubblicista e poi redattore del “Fisk Herald”. L’avventura seguente fu costituita dal mensile «The Moon», pubblicato da Harry Pace e Edward Simon a Memphis, che curai nel 1906 nella sua edizione di Atlanta. Dal 1907 al 1910 diressi una piccola rivista mensile, pubblicata a Washington: miei collaboratori erano H. M. Hershaw e F. M. Murray. Nel 1910 venni a New York come Direttore delle Pubblicazioni e Ricerche del NAACP. Avrei dovuto proseguire il tipo di ricerca sul problema dei negri già iniziato ad Atlanta e divenire anche segretario del NAACP. Ma non avevo intenzione di raccogliere denaro, e non c’erano fondi per la ricerca, così feci subito pressione per riuscire ad avere un organo mensile. Lo ritenevo necessario perché all’epoca il principale settimanale negro, «The New York Age», era di proprietà degli amici di Mr. Washington, e l’organizzazione di Tuskegee deteneva di fatto il controllo della maggior parte della stampa negra. Per questo la NAACP era trattata in modo molto ingiusto dalla stampa di colore e neanche presa in considerazione da quella bianca. Inoltre all’epoca la stampa Negra era composta soprattutto da organi di opinione e non da strumenti che raccoglievano notizie. Perciò pensavo che una piccola pubblicazione sarebbe stata letta purché lavorasse in modo chiaro ed efficace, evidenziando i fatti e riducendo al minimo le opinioni, pubblicando comunque anche quelle degli altri. Molti del comitato direttivo non erano d’accordo con me. Ricordo che Albert Pillsbury, già Procuratore Generale del Massachusetts, mi scrisse: «Se non sei già convinto di pubblicare una rivista, per amor di Dio desisti, metti da parte questa 1 Editing The Crisis, in «The Crisis», March, 1951 ora in Wilson S.K. (a cura di), The Crisis Reader. Story, Poetry and Essays from the NAACP’s Crisis Magazine, The Modern Library, New York, 1999, XXVI-XXXII.
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idea. Il numero esistente di pubblicazioni è già numeroso quanto le “piaghe d’Egitto!» Ma ero convinto, e come me William English Walling, Paul Kennedy, Charles Edward Russel e John E. Milholland, e altri membri del comitato. Ma ancora una volta il problema dei fondi costituiva una difficoltà. Era già difficile raccogliere il denaro per lo stipendio dei nostri due dirigenti, e certo non avevamo la somma da investire in un periodico. Ero ostinato ed aiutato da due persone: Mary Maclean, una inglese, amica leale ed efficiente, che scriveva sul “New York Times”; e Robert N. Wood, uno stampatore allora a capo del “Negro Tammany”. Wood, a differenza di me, sapeva stampare. Mi dava consigli, mi aiutava a programmare la rivista, e si assumeva la responsabilità di procurarmi il credito per la carta e la stampa. Il Comitato fu d’accordo a dichiararsi responsabile dei debiti, ma per una cifra non superiore ai cinquanta dollari al mese. Sono sempre stato molto orgoglioso di non aver mai dovuto chiedere quei soldi. Infine, dopo quelli che mi sembravano ritardi interminabili dovuti a vari motivi, il primo numero di «The Crisis» fu pubblicato nel novembre del 1910. Aveva sedici pagine formato 5 x 8, con una copertina che mostrava un bambino negro inciso sul legno; come disse sarcasticamente uno dei miei critici: «c’è da vergognarsi per i dieci cents che costa questo numero». «The Crisis» ebbe successo anzitutto per le notizie contenute nelle quattro pagine de “Lungo la Linea del Colore”; poi per una serie di accesi editoriali, che ci misero spesso in difficoltà con amici e nemici; e infine per le rappresentazioni dei Negri, proposte in numero crescente, spesso a colori. In un mese raccogliemmo notizie sui problemi dei negri in quantità superiore a quanto fatto in un anno dai giornali di colore. All’epoca avevamo quattro pagine di editoriale, che parlavano in modo esplicito. All’inizio gli articoli erano brevi e trascurabili, ma aumentarono gradualmente di numero, lunghezza e importanza: nonostante questo non eravamo in grado di pagare i nostri collaboratori. Le rappresentazioni della gente di colore erano un’innovazione; anche perché all’epoca i giornali bianchi, di solito, non pubblicavano fotografie dei Negri, a meno che non si trattasse di criminali, oppure i giornali di colore pubblicavano qualche fotografia di celebrità le quali a volte pagavano questa “considerazione”. In genere era come se la razza Negra si vergognasse di vedersi rappresentata in modo semplice. La diffusione di «The Crisis» fu un fatto straordinario, anche per noi che ci credevamo. Da una distribuzione di 9.000 copie nel 1911, balzò a 75.000 copie nel 1918, e da un incasso di 6.500 dollari ad uno di 57.000. Nel gennaio del 1916, «The Crisis» divenne del tutto autosufficiente, pa187
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gando tutti i suoi costi: pubblicità, luce, riscaldamento, affitto e gli stipendi di un redattore, di un manager e di nove impiegati. «The Crisis» circolava in nove stati dell’Unione, in tutti i possedimenti delle isole, e nella maggior parte dei paesi stranieri, compresa l’Africa. Raddoppiammo la dimensione di quell’esile primo numero del dicembre 1910. Aumentammo il numero delle pagine, cercando di mettere in copertina, a partire dal 1911, fotografie a due colori, e nel 1912, e 19171918 a tre colori. I nostri numeri speciali, dedicati alla formazione e ai ragazzi, iniziarono nel 1914. Pubblicammo di volta in volta numeri speciali su località come Chicago e New Orleans; sul “Voto alle donne” e sullo “Stato di Etiopia”. Durante questo periodo due persone furono indispensabili alla gestione di «The Crisis»: Mary Maclean, assistente editoriale, che morì sulla breccia e senza alcuna paga; e Augustus Dill, manager, che organizzò un ufficio moderno. Nel novembre del 1919 Jessie Fauste divenne redattrice letteraria e per sette anni ci diede un contributo inestimabile. Mattie Allison and Lotte Jarvis come segretarie, e Hazel Branch come capo dello staff degli impiegati, ci aiutarono molto nella famiglia ideale che rappresentavamo. Frank Turner fu il nostro contabile, dal 1910 fin quando la NAACP lo assunse nel 1922. Raggiungemmo la distribuzione di 100.000 copie nel 1919, per una mia indagine sugli atteggiamenti verso i negri dell’esercito americano in Francia. Non dimenticherò mai le circostanze di quello scoop; nella primavera del 1919 ero nell’ufficio di Blaise Diagne. Diagne era un senegalese, alto, magro e nero, Sottosegretario di Stato di Colonia Francese, e durante la guerra, Commissario francese in Africa Occidentale, esterno ai ranghi governativi. Diagne salvò la Francia, per lo scossone alla situazione dato dalle truppe Negre, portate dall’Africa, e opposte all’artiglieria tedesca; esse fronteggiarono i tedeschi finché gli alleati furono pronti ad affrontarli. Diagne fu un grande uomo e fu la sua parola a indurre il Primo Ministro Clemenceau a realizzare, contro il parere degli americani, il primo Congresso Afro-Americano a Parigi. Diagne non andava molto d’accordo con gli americani bianchi. “Hai visto”, disse infuriandosi, «cosa ha detto ai francesi la missione americana su come dovrebbero essere trattati i negri?». E mi mostrò il documento ufficiale. Lo lessi, restando molto calmo. Poi dissi, nel modo più naturale possibile: «Ne potrei avere una copia?». “Prendila”, disse Diagne. Il problema era cosa fare di quel documento prezioso: non volevo portarlo con me né affidarlo alla posta. Un amico bianco, che stava tornando a casa, si offrì di prenderlo. Glielo diedi, senza dirgli che costituiva del materiale “esplosivo”. L’ufficio di «The Crisis» e i dirigenti del NAACP lo lessero e lo custodirono fino al mio ri188
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torno. Lo pubblicai nel maggio del 1919. Vendemmo 100.000 copie di quel numero! Nel 1920 incassammo 77.000 dollari, la nostra cifra più alta. Poi cominciò una diminuzione che portò nel 1924 a 35.000 copie e a un incasso di 46.000 dollari. Le cause di questo erano evidenti, presenti in ogni moderno periodico: il pubblico dei lettori non ha la funzione di ripagare il costo dei periodici che legge; spesso non paga neanche il costo della carta usata in quel numero specifico. Chi inserisce la pubblicità paga la maggior parte dei costi e compra spazi all’interno dei periodici che circolano molto tra le persone abbienti, in grado di comprare le cose pubblicizzate. Era evidente che «The Crisis» circolava tra i lavoratori negri con basso salario. Inoltre si poneva in modo conflittuale verso molti interessi bianchi potenti; era stata censurata dal Congresso e molti negri rispettabili si vergognavano di farsi vedere intenti a leggerla. Lo stato del Mississipi approvò delle leggi contro «The Crisis», e alcuni nostri agenti furono rimandati a casa. Ricevemmo qualche offerta di pubblicità, specie da uomini negri d’affari; ne rifiutammo alcune perché non ci piaceva quello che offrivano o sospettavamo qualche imbroglio. I “grandi” inserzionisti si tennero lontani; qualcuno guardava oltre noi, quasi tutti seguivano la regola di non sponsorizzare i periodici di “propaganda”. E poi non ritenevano che il mercato negro meritasse un loro impegno. La nostra unica risorsa era l’aumento del prezzo dei nostri abbonamenti. Nel dicembre del 1919 lo portammo ad un dollaro e mezzo all’anno e a quindici centesimi la copia; inoltre aumentammo la dimensione della rivista a 64 pagine, compresa la copertina. Questo avrebbe potuto aiutarci se tutti i prezzi non fossero saliti di pari passo alla discesa dei salari. La depressione, che investì la nazione nel 1929, era iniziata tra i lavoratori negri fin dal 1926, insomma molto tempo prima di quanto il paese avesse immaginato. Ricordo di aver posto il problema al Presidente del comitato dei redattori, che però mi rispose «il paese gode di prosperità in dimensioni senza precedenti!». Sì, obiettai, ma il lavoratore negro sta perdendo le sue vecchie mansioni senza acquisirne di nuove. Alla radice c’era un problema più ampio: in che misura «The Crisis» fosse organo di opinione e propaganda; e poi di quale opinione e di che tipo di propaganda? O, quanto era organo di un’associazione rivolta ai suoi progetti e bisogni immediati? Nella fase iniziale obiettivi e metodi non furono reciprocamente incompatibili. In realtà dal 1910 al 1925 «The Crisis» fu il partner predominante, con incasso e diffusione superiori a quelli del NAACP. Proprio per questo lo NAACP fu conosciuto al di là delle sue adesioni, e con il lavoro energico di Shillady, Johnson e White, il nu189
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mero degli adepti e gli incassi crebbero e si dovette porre, in prospettiva, il problema del rapporto tra «The Crisis» e NAACP. Si propose la loro completa separazione; o, se l’incasso di «The Crisis» fosse diminuito ulteriormente, vi sarebbe stato un suo sostegno da parte del NAACP o un altro tentativo di allungare l’attuale rapporto aumentando incasso e diffusione di «The Crisis». Dal 1925 al 1934, si cercò di seguire quest’ultimo metodo. Furono fatti vari sforzi per aumentare la circolazione di «The Crisis», modificandone forma e contenuto. Si conseguì un notevole successo, ma la depressione, che ora colpiva duramente la nazione, mi convinse che «The Crisis» non poteva essere fatta pagare ancora a lungo e che nel frattempo il solo modo per mantenerla in vita era di sostenerla attraverso la NAACP. Per questo nel 1934, rinunziai al mio ruolo di redattore e editore di «The Crisis» e tornai ad insegnare e scrivere all’Università di Atlanta. In sostanza, c’è una netta distinzione tra l’organo di un’organizzazione e una rivista letteraria, hanno obiettivi e funzioni differenti. Il primo è costituito soprattutto da una serie di rapporti e resoconti di tecniche organizzative e note continue su metodi e procedure di vita quotidiana. Tutte le grandi organizzazioni hanno bisogno di pubblicazioni di questo tipo, anche se non riescono ad autofinanziarsi né sono molto lette. Se invece quell’organo cerca di avere caratteri letterari o artistici perde la sua funzione principale ed è troppo accurato per acquisirne altre. D’altro canto, una rivista letteraria e di informazione deve essere libera e priva di controlli; non c’è altro modo per essere efficaci, creativi e particolari. Mentre deve seguire un ideale, approvato da una o più organizzazioni, deve anche avere garantito il diritto di deviare nei particolari, magari a costo di perdere la sua funzione di provocare la riflessione, stimolare la discussione e attrarre i lettori. Per molti anni la NAACP mi ha dato tale libertà e il pubblico ci ha ripagato con un sostegno molto forte. Ma quando il supporto del pubblico è venuto meno, e la NAACP ha dovuto fornire parte consistente del supporto economico, questo avrebbe richiesto una fiducia superiore a quella che un’organizzazione può avere in un uomo e lasciarmi ancora privo di controllo. Ed io non ero interessato a lavorare in un organo convenzionale; dovevo essere un free lance o niente. Dunque, malgrado il sostegno consistente di amici intimi come Joel Spingarn, e il desiderio espresso esplicitamente dall’intero comitato, che non era affatto d’accordo con me, e voleva trattenermi, mi dimisi definitivamente. Mi dimisi da ogni carica e non solo in modo parziale. Non ero solo il redattore e il capo del dipartimento, distinto dal ruolo di segretario esecutivo, con un mio ufficio, staff e con un conto in banca autonomi; ero anche uno dei fondatori del NCAAP, membro del Comitato Direttivo sin 190
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dal suo inizio. I suoi componenti erano stati scelti ed eletti su mia indicazione. Ero un membro dello Spingarn Medal Committee, oratore capo a ogni conferenza annuale. Questo per dire che la politica del NAACP dal 1919 al 1934 era stata in gran parte opera mia. Inoltre non sarei stato onesto con i miei successori se non mi fossi dimesso da ogni incarico, restando legato a qualche mio potere precedente. Me ne andai del tutto. Penso che qualcuno abbia tirato un sospiro di sollievo. Ma molti furono sinceramente dispiaciuti. Tra questi, anch’io. Stavo abbandonando il mio sogno e la mia idea; il mio giardino dove era fiorita la speranza e la strada dove avevo percorso l’alta impresa. Ma avevo 65 anni; la mia vita lavorativa era davvero finita. Vedevo di fronte a me pochi anni conclusivi di pensiero, di ricordi e iniziative, al di là degli alberi, sulle colline, prima della fine, con gli amici, dove il lavoro di tutta la mia vita era iniziato nel 1897.
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