Poeti in Agone: Competizioni poetiche e musicali nella Grecia antica [1° ed.] 9782503576183, 2503576184


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Poeti in Agone: Competizioni poetiche e musicali nella Grecia antica [1° ed.]
 9782503576183, 2503576184

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GIORNALE ITALIANODI FILOLOGIA

BIBLIOTHECA 18

EDITOR IN CHIEF Carlo Santini (Perugia) EDITORIAL BOARD Giorgio Bonamente (Perugia) Paolo Fedeli (Bari) Giovanni Polara (Napoli) Aldo Setaioli (Perugia) INTERNATIONAL SCIENTIFIC COMMITTEE Maria Grazia Bonanno (Roma) Carmen Codoñer (Salamanca) Roberto Cristofoli (Perugia) Emanuele Dettori (Roma) Hans-Christian Günther (Freiburg i.B.) David Konstan (New York) Julián Méndez Dosuna (Salamanca) Aires Nascimento (Lisboa) Heinz-Günter Nesselrath (Heidelberg) François Paschoud (Genève) Carlo Pulsoni (Perugia) Johann Ramminger (München) Fabio Stok (Roma) SUBMISSIONS SHOULD BE SENT TO Carlo Santini [email protected] Dipartimento di Lettere Università degli Studi di Perugia Piazza Morlacchi, 11 I-06123 Perugia, Italy

Poeti in Agone Competizioni poe­tiche e musicali nella Grecia antica

a cura di Antonietta Gostoli con la collaborazione di Adelaide Fongoni e Francesca Biondi

F

© 2017, Brepols Publishers n. v., Turnhout, Belgium.

All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise without the prior permission of the publisher.

Volume pubblicato con i fondi di ricerca di base 2014, 2015, 2017, con i fondi PRIN 2010/2011 Agoni poetico-musicali nella Grecia antica, Dipartimento di Lettere – Lingue, Letterature e Civiltà antiche e moderne, Università di Perugia e con un contributo del Dipartimento di Studi Umanistici, Università della Calabria.

D/2017/0095/200 ISBN 978-2-503-57618-3 e-ISBN 978-2-503-57630-5 DOI 10.1484/J.GIFBIB-EB.5.113990 Printed on acid-free paper.

SOMMARIO

Antonietta Gostoli Prefazione

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GENERI POETICI E RAPPRESENTAZIONI DRAMMATICHE IN ATENE

Claude Calame Les concours musicaux des Grandes Dionysies à Athènes : la tragédie attiq ue entre poésie chorale, performance rituelle et acte politiq  ue

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Bernhard Zimmermann Griechische Chöre zwischen Religion, Politik und Kultur

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Liana Lomiento Ditirambo e tragedia sofoclea

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Maria Grazia Fileni Il prosodio tra cerimonie religiose, agoni musicali e rappresentazioni teatrali

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Giampaolo Galvani Presenza di generi lirico-corali nella tragedia greca: l’imeneo 103 Marco Ercoles ‘Nuova Musica’ e agoni poetici. Il dibattito sulla musica nell’Atene classica 131 John C. Franklin ‘Skatabasis’. The Rise and Fall of  Kinesias 163 5

SOMMARIO

AGONISTICA LIRICA E RAPSODICA

Luca Bettarini Testimonianze di auletica in Ipponatte 225 Marialuigia Di Marzio Il canto delle sirene nel carme dafneforico di Pind. fr. 94b Maehler 237 Donato Loscalzo Picchiare il poeta in agoni giambici 261 Adelaide Fongoni «Marinai del simposio e  rematori di coppe» (Dionys. Chalc. fr. 5, 2 Gent.-Pr.). L’elegia simposiale nel­l’Atene di V-IV secolo a.C. 279 FONDARE UN AGONE MUSICALE

Alessandra Amatori Terpandro e Arione alle Carnee. I Karneonikai di Ellanico di Lesbo 301 Paola Angeli Bernardini Commemorare e celebrare un evento bellico con l’istituzione di agoni sportivi e musicali 315 UNO SGUARDO SU DELFI

Maria Elena Della Bona Pythionikai a Delfi: virtù e onori 331 Alessandra Manieri Gare corali ai Soteria di Delfi 357 Angela Cinalli Storie di ‘poeti vaganti’ a Delfi: q uando il viaggio nasconde un imprevisto 385 RIFLESSIONE TEORICA SULLE PERFORMANCES DALL’ETÀ CLASSICA ALL’ETÀ ROMANA

Massimo Raffa Perché mi piace ciò che mi piace? La formazione del giudizio sulla performance musicale nella sezione 19 dei Problemi pseudoaristotelici 413 6

SOMMARIO

Francesco Prontera Riflessioni tardo-ellenistiche sulla musica, la poesia e le origini della storiografia (Str. 1, 2, 3-8) 427 Francesca Biondi Varianti epiche di tradizione orale ed esegesi antica dei poemi omerici 435 José Antonio Fernández Delgado Francisca Pordomingo La actividad poético-musical de época helenística en las Vitae de Plutarco 451 ICONOGRAFIA MUSICALE E RIPRESA DELL’ANTICO

Eleonora Cavallini La musica degli dèi: figure mitiche di eccellenza musicale nella pittura di Arnold Böcklin 477 Biancamaria Brumana La tenzone dei cantori nel Tannhäuser di Wagner: schizzi inediti dei costumi per l’allestimento parigino del 1895 505 Elena Liverani Medea, un canto nei secoli 527 UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI

Flavio Massaro Terpander: per un database degli agoni musicali greci 545 CONCLUSIONI

Carmine Catenacci Poeti in agone. Alcune considerazioni d’insieme 559 INDICI

Indice dei passi citati 573 Indice dei nomi 603 Elenco delle illustrazioni 633 7

PREFAZIONE

Il fenomeno del­l’agonistica poe­tica e musicale nella Grecia antica fu caratterizzato da una capillare diffusione geografica che va dalla Grecia continentale al­l’Asia Minore, dalle isole del­l’Egeo alle colonie della Sicilia e  della Magna Grecia, e  anche da una ininterrotta persistenza temporale che affonda le radici nei racconti mitici del­l’età eroica e  si estende fino al­l’età romana. Come la più nota agonistica sportiva, essa nasce dal­l’ideologia competitiva che da sempre caratterizzò la civiltà greca. La prima attestazione la troviamo già nel­l’Odissea di Omero (8, 250-265, in particolare 258-260; inoltre 8,  370-380), dove è  rappresentato un citarodo che canta gesta divine, accompagnato dalla danza mimica di coreuti in competizione di bravura fra loro, alla presenza di giudici di gara ufficiali. Di fatto gli agoni furono lo sfondo della produzione letteraria, dei suoi progressi, del suo radicamento nella storia panellenica o in quella di singole realtà locali. Basterà pensare alle gare di Delfi in onore di Apollo, che nel­l’agone auletico perpetuavano il mito di fondazione del santuario stesso; al­l’agone citarodico istituito da Terpandro in onore di Apollo Carneo, che segna la nascita della prima scuola musicale del continente greco nella città di Sparta; agli agoni drammatici della città di Atene, inseriti in una dimensione rituale, costitutiva degli agoni stessi, a loro volta connotati anche come atto politico, secondo quanto recita l’intervento di Claude Calame, che apre la serie dei saggi pubblicati in questo volume. Agoni che tra la seconda metà del  V e  la prima metà del IV secolo a.C. divennero il momento primario di sperimentazione e di diffusione del nuovo modo di comporre poesia lirica promosso dalla corrente artistica che va sotto il nome di ‘Nuova musica’; 10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115157

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forme nuove di spettacolo che Aristosseno (ap. Ps. Plut. De musica) definisce popolari e volte esclusivamente a ottenere premi e a divertire il pubblico dei teatri, dando origine a ciò che Platone, in un famoso passo delle Leggi, bolla come «perversa teatrocrazia». I saggi pubblicati in questo volume sono il risultato delle ricerche di un gruppo di colleghi e amici da molti anni accomunati dagli stessi interessi di studio e dal medesimo metodo di indagine scientifica. Molti di noi sono allievi di Bruno Gentili, che dedicò i suoi studi e il suo insegnamento ad individuare il rapporto tra l’opera letteraria e le sue occasioni performative, la committenza e il pubblico. Alla memoria di lui, che tanto ci ha insegnato, dedichiamo questo volume. Il punto di partenza di questo lavoro è  stato il progetto di ricerca ‘Gli agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica’ (PRIN 2010-2011) cui hanno partecipato l’Università della Calabria, di Chieti-Pescara «G.  d’Annunzio», di Perugia, del Salento e  di Urbino «Carlo  Bo». Durante i  tre anni di collaborazione, numerosi sono stati gli incontri di studio sul­l’argomento, che hanno anche dato origine a importanti pubblicazioni scientifiche. In  questa sede basterà ricordare «Tra Lyra e  Aulos». VII Convegno Internazionale di MOISA – International Society for the Study of   Greek and Roman Music and its Cultural Heritage (Urbino 5-6  Settembre 2014); il Seminario internazionale di studio «Poesia e  musica nella Grecia antica tra V e  IV secolo a.C.» (Perugia, 19 Marzo 2015); il Convegno internazionale «Gli agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica: Storia, religione, letteratura» (Perugia, 27-29  Ottobre 2015). La maggior parte dei saggi qui pubblicati costituisce la versione rivista, approfondita e talora molto ampliata degli interventi presentati appunto in quest’ultimo Convegno. Ringrazio tutti i Colleghi che hanno partecipato al progetto, che ha visto anche tanti altri momenti di amichevole e fecondo confronto scientifico; ringrazio Adelaide Fongoni e  Francesca Biondi per avermi molto aiutata nel lavoro preparatorio del volume e nella revisione delle bozze di stampa, nonché nella compilazione degli indici. Infine esprimo la mia viva gratitudine a Carlo Santini per aver acconsentito a  inserire questa raccolta di studi nella Bibliotheca del Giornale Italiano di Filologia da lui diretta. A. G. 10

GENERI POETICI E RAPPRESENTAZIONI DRAMMATICHE IN ATENE

CLAUDE CALAME Directeur d’études, École des Hautes Études en Sciences Sociales, Paris

LES CONCOURS MUSICAUX DES GRANDES DIONYSIES À ATHÈNES LA TRAGÉDIE ATTIQ UE ENTRE POÉSIE CHORALE, PERFORMANCE RITUELLE ET ACTE POLITIQ  UE

En guise de prélude consultons le texte de la célèbre chronique inscrite sur ce qui est devenu le Marmor Parium. Ce ‘Marbre de Paros’ correspond à la liste chronologique des événements qui ont marqué l’histoire d’Athènes de ses origines jusqu’en 264 avant l’ère chrétienne. C’est la date de la consécration de la stèle de marbre à Paros, à l’époque des Lagides 1.

1. Le Marmor Parium et les poètes tragiques La chronique commence bien évidemment avec le règne du roi primordial Cécrops qui a donné son nom à la région : la Cécropia, avant qu’elle ne devienne l’Attique. La nature mi-animale de ce premier roi d’Athènes n’est naturellement pas mentionnée. Son règne a débuté 1358 ans avant l’année de la consécration de la stèle (en 264/2 avant la date conventionnellement attribuée à  la naissance de Jésus-Christ), c’est-à-dire en 1581/0 de notre étrange chronologie à  double orientation christianocentrée. Or il s’avère que les événement qui ponctuent cette histoire chronographique d’Athènes correspondent non seulement à des actes politico-militaires, mais aussi à des faits d’ordre poétique, relevant des arts des Muses. Ainsi sous le règne d’Érechthée, après l’intervention de Déméter à  Éleusis, l’institution des Mystères est attachée à la reprise de poèmes de Musée (en 1397/6). Plus tard   Marmor Parium, FGrHist 239 A Jacoby avec comm. Les réflexions présentées ici sont désormais développées du point de vue des dimensions chorales de la tragédie attique dans Calame 2017. 1

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sont intégrées les dates de naissance d’Hésiode et d’Homère respectivement. Au milieu du VIe siècle, la mention de la tyrannie de Pisistrate est associée non seulement à la théorie envoyée à Delphes par Crésus ou à la prise de Sardes par le Perse Cyrus, mais aussi à l’intervention du poète Thespis. Fragmentaire, le texte de la rubrique pour l’année 536/5 (ou 532/1) indique : « Le premier Thespis le poète a donné la réponse (à un chœur : hypekrina]to), lui qui a mis en scène (edidaxe) un drame dans la ville, et [comme prix] a été institué un bélier ». Ainsi est en somme signé l’acte de fondation de la tragédie. Indépendamment de l’interprétation étymologique du terme tragōdia comme ‘chant du bouc’, indépendamment des spéculations sur l’origine sacrifielle de la tragédie attique, sont à relever d’emblée d’une part l’intervention du poète (tragique) à la fois comme acteur et comme metteur en scène (‘instructeur’) de son drama, d’autre part la probable institution d’un prix qui présupose par définition un concours 2 ! Plus avant dans la chronique de Paros, les poètes ont une place de choix. Ainsi en va-t-il par exemple de Simonide dont la ‘victoire’ présuppose elle aussi un concours musical ; située en 489/9, date de la mort de Darius et de l’accesion au trône de Xerxès elle suit immédiatement la bataille de Marathon. Avant cette bataille c’est un certain Mélanippidès dont la victoire est aussi mentionnée. Et pour 490/89 c’est le poète Eschyle qui fait l’objet d’une mention en raison de sa participation (synegonisato) à la bataille elle-même. De plus dès 510/09, sous l’archontat de Lysagoras, le Marbre de Paros mentionne des chœurs d’hommes adultes qui ont participé à un concours (egonisanto) ; à ce propos elle cite une victoire d’Hypodicos de Chalcis à l’issue d’un ‘enseignement’ (didaxas). Un poète, des groupes choraux, un ‘enseignement’, une pratique agonale, ce sont les traits qui caractèrisent, de manière indigène, la performance athénienne des tragédies. C’est en somme celle que transpose Aristophane dans les Grenouilles quand il affronte, en un concours arbitré par Dionysos lui-même, Eschyle et Euripide ; les deux poètes sont explicitement désignés dans leur ‘fonction-auteur’ comme didaskaloi. De fait, mêlant actes politico-militaires et événements poétiques, la   FGrHist 239 A 43 ; pour le commentaire sur cette rubrique, voir infra n. 8.

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chronique de Paros est ponctuée pour tout le Ve siècle de moments marquants en tragédies. Sur le même pied que la bataille des Thermopyles ou que celle de Salamine elle inscrit dans le marbre la première victoire d’Eschyle pour la tragédie, la naissance d’Euripide et l’arrivée de Stésichore en Grèce continentale (485/4) ! Y figurent ensuite la première victoire de Sophocle pour la tragédie, celle d’Euripide, puis les dates respectives de la mort des trois grands poètes tragiques.

2. La tragédie en performance cultuelle : temps et espace Or si la tragédie attique du Ve siècle ne saurait remonter à un premier sacrifice du bouc, si elle ne saurait être considérée comme l’expression de la « crise sacrificielle » chère à  René Girard, il n’en reste pas moins que, en tant que performance de poésie mélique, la tragédie classique est traversée par une dimension rituelle qui lui est constitutive. Cette dimension rituelle du drame attique est non seulement inscrite surtout dans les chants du chœur qui reprennent en particulier les formes de l’hymne, du péan, de l’hyménée, du thrène ; mais elle porte la performance musicale de la tragédie, qui le mousikos agon lui-même insère dans une longue séquence cultuelle. Q u’en est-il donc de la tragédie en tant que rituel ? Rappelons d’abord brièvement que la performance musicale s’insère dans une tétralogie : trois tragédies dramatisant souvent en séquence une même intrigue héroïque, telle l’Orestie d’Eschyle, et assorties d’un drame satyrique parfois en relation thématique avec l’archaion dramatisé dans la suite tragique 3. La mise en scène chantée de la tétralogie est elle-même en concurrence, à l’occasion du concours musical consacré à Dionysos, avec la performance de deux autres tétralogies. Le concours était placé sous le contrôle de l’archonte éponyme dont la fonction dit le caractère politique de la représentation des tragédies 4. L’archonte ‘accorde’ à trois parmi les poètes candidats le chœur demandé et il sollicite par trois fois

3  Sur la place du drame satyrique dans la tétralogie, voir Voelke 2001, 18-20 et 389-403. 4  Cfr. Pickard-Cambridge 1968, 79-87.

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un ‘chorège’ disposé à  le financer. Or le mousikos agon tragique correspond à un temps et à un espace spécifiques. Du point de vue de sa temporalité, le concours des trois tétralogies tragiques s’insérait à  Athènes dans la longue célébration musicale des Grandes Dionysies. Le festival s’étendait sur neuf  jours, du 8 ou 9 au 16 Élaphébolion, en une période coïncidant avec la fin du mois de mars du calendrier Julien. De fait, selon le témoignage du contemporain Thucydide, la célébration de ces Dionysia ta astika avait lieu à la fin de l’hiver, marquant le début du printemps. Ouverts par un pré-concours à l’occasion duquel poètes et acteurs étaient présentés au public et le programme des compétitions musicales annoncé, les mousikoi agones à  proprement parler débutaient avec le concours des dithyrambes : dix groupes choraux de cinquante chanteurs adultes, choreutes représentant chacune des dix tribus de l’Attique démocratique ; puis dix chœurs de cinquante jeunes adolescents, chacun d’eux financé comme les chœurs d’adultes par un chorège singulier. Suivait la compétition des cinq comédies, soutenues chacune par un groupe choral de vingt-quatre chanteurs, pour déboucher sur les trois journées consacrées aux trois tétralogies tragiques avec un groupe choral de douze, puis de quinze chanteurs pour chacune d’elles. Pas besoin d’être un grand mathématicien pour parvenir aux chiffres de 500 paîdes et de 665 chanteurs adultes pour une compétition musicale s’adressant à  un corps de citoyens estimé à 40000 à l’époque classique, avec environ 6000 Athéniens participant à  l’ecclésia. C’est dire que, parmi les citoyens et leurs fils, une partie importante de ce corps social prenait une part musicale active dans la célébration des Grandes Dionysies, sous formes de concours ritualisés. Dans le calendrier cultuel athénien, les ‘Dionysies dans la ville (en astei)’ représentent la célébration la plus importante avec le festival civique et religieux des Panathénées au cœur de l’été, pour l’inauguration politico-religieuse de l’année nouvelle. Si celles-ci étaient marquées du point de vue musical par un concours de rhapsodes mentionné plusieurs fois par Platon, la célébration de celles-là est de conception fondamentalement chorale. Aux concours musicaux des Grandes Dionysies assistaient non seulement les citoyens, mais aussi des étrangers, parmi lesquels des ambassadeurs et proxènes des cités 16

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voisines ou sujettes, des métèques, et probablement des esclaves. Q uant aux femmes leur présence fait l’objet d’une question aujourd’hui encore controversée, en raison de l’insuffisance de notre documentation 5. Spatialement, le théâtre adossé à l’Acropole dont nous visitons les restes aujourd’hui date principalement de la deuxième moitié du IVe siècle. Le théâtre classique quant à lui date sans doute du début du Ve siècle : gradins aménagés sur la pente de l’Acropole et probablement prolongés par des bancs de bois, orchestra de terre de forme arrondie, et une ‘scène’ en bois, sans doute située au même niveau que l’aire chorale. À l’origine une simple tente, cette skene est habillée en un édifice où se déroule la partie de l’action tragique qui ne peut être montrée ; c’est devant elle que les acteurs évoluent et déclament, en dialogue avec le groupe choral, au même niveau que lui 6. Au tournant du siècle donc, à l’issue des réformes de Clisthène, les performances musicales de dithyrambes et de tragédies furent déplacées de l’aire chorale dénommée orchestra, située au nord-ouest de l’agora, vers le sud de l’Acropole : les estrades de bois qui entouraient l’orchestra se seraient effondrées, raconte l’anecdote 7. L’insertion des chœurs tragiques dans le sanctuaire de Dionysos pourrait donc bien être secondaire. Dans la rubrique du Marbre de Paros évoquée en introduction, Thespis est présenté comme le poète qui le premier a (probablement : le texte est ici la5   Thuc. 5, 20, 1 ; Demosth. 21 (Mid.), 10 (citant la loi d’Euégoros qui pourrait remonter au Ve siècle ; cfr. infra n. 16), etc. Pour la composition du public des Grandes Dionysies, voir le réexamen de la documentation proposée par Spineto 2005, 277-292 ; pour les femmes, 292-304, ainsi que la prudente synthèse offerte Goldhill 1997, 57-66 ; voir aussi Loscalzo 2008, 69-100. Sur les compétitions de dithyrambes à Athènes, on peut se référer maintenant à la bonne mise au point offerte par Kowalzig – Wilson 2013, 13-18. 6  En partie conjecturales, les premières étapes de l’histoire archéologique du théâtre de Dionysos au flanc de l’Acropole sont retracées par Wiles 1997, 41-62 ; voir le résumé donné par Rabinowitz 2008, 39-47 ; pour l’organisation de l’espace scénique, voir Padel 1990, 341-354. Selon Sourvinou-Inwood 2003, 160-161, la tente-scène aurait été reprise au rituel du xenismos de Dionysos sur l’Agora. 7 Cfr. Phot. s.v. ‘orchestra’ (O 544 Theodoridis) : orchestra sur l’agora avant d’être située dans l’hémicycle du théâtre pour les chants et les danses des chœurs ; et s.v.  ‘ikria’  (I 95 Theodoridis) : estrades sur l’agora pour les concours dionysiaques avant leur installation dans le théâtre de Dionysos ; sur ce transfert, voir Kolb 1979, 507-515 ; sur la forme de l’orchestra, cfr. Ley 2007, X-XV.

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cunaire) donné la réponse (au chœur) et qui a ‘enseigné’ un drame ; drama en astei, selon la désignation des Dionysies chez Thucydide, mais sans mention explicite du dieu lui-même ! Attachée à  un concours dont le prix était le bouc déjà mentionné, l’intervention de Thespis se situe à une date que le contexte de l’inscription chronographique situe sous la tyrannie de Pisistrate ; ce moment est confirmé par une didascalie qui qualifie Thespis (probablement) en tant que tragōdopoios, c’est-à-dire poète de tragédies 8. De plus, de Platon à la rubrique byzantine de la Souda en passant par Plutarque et Diogène Laërce, aucun des témoignages qui font de Thespis l’inventeur légendaire de la tragédie n’attache explicitement à Dionysos et à son culte le spectacle partagé entre le poète et le groupe choral. Q uant à elle, la notice biographique de la Souda qui indique que le premier Thespis récita la tragédie en s’enduisant le visage de céruse ne mentionne en rien le ‘dieumasque’ que serait Dionysos 9. En revanche, la référence est régulière, dans tous ces témoignages de biographie légendaire, aux chants et aux danses du groupe choral. Et dans cette tradition biographisante, on citait un vers qu’Aristophane aurait placé dans la bouche d’Eschyle ; le poète tragique s’y vanterait d’avoir créé les figures de danse pour ses chœurs dont il assumait lui-même la chorégraphie. La même tradition réfère à la voix du poète et chanteur tragique Phrynichos un vers choral faisant allusion à la production de figures de danse (schemata, orchesis) rythmées comme les vagues déchaînées par une tempête nocturne 10.

8   Marmor Parium FGrHist. 239 A 43 = Thespis test. 2 Snell ; DID D 3 = Thespis test. 3 Snell (cfr.  supra chap. I, n.  32). De préférence à  Thespis, figure de légende s’il en est, Sourvinou-Inwood 2003, 168-170, attribuerait un rôle majeur dans la création de la tragédie au poète Lasos d’Hermioné (voir les références qu’elle donne à n. 117). Pour les premiers poètes tragiques en général voir Aristot. Rhet. 3, 1403b 21-24. 9  Suda s.v. ‘Thespis’ (Th 282 Adler) = Thespis test. 1 Snell ; Plut. Sol. 29, 6 = Thespis test. 17 Snell ; Diog. Laert. 3, 56 = Thespis test. 7 Snell ; pour la danse, voir encore Athen. 1, 22a = Thespis test. 11 Snell ; cfr. Pickard-Cambridge 1968, 130-132 et 250-251. Selon Plat. Min. 321a = Thespis test. 13 Snell, la tragédie ne serait pas l’invention d’un poète, mais celle de ‘cette cité-ci’, c’est-à-dire Athènes. 10  Athen.1,  21d-f  = Chamael. fr.  41 Wehrli  = Aristoph. fr.  696,  1 KasselAustin = Aesch. fr. 103d Radt ; Plut. Q uaest. conv. 732f = Phryn. 3 test. 13 Snell. Autres témoignages allant dans le même sens chez Pickard-Cambridge 1968, 9091, 291 et 303-304.

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3. L’insertion rituelle des mousikoi agones aux Grandes Dionysies Tout cela n’enlève donc rien au caractère rituel, sinon cultuel des performances de tragédies. En effet le mousikos agon des dithyrambes, des tragédies et des comédies était introduit par une grande procession, répondant au déroulement de la pompe la plus cultuelle qui soit. Une reconstruction récente, à partir d’une information aussi hétérogène que partielle, permet de s’imaginer pour le Ve siècle le scenario suivant, en trois temps principaux. Le jour précédent le premier concours musical, la statue du dieu était retirée du sanctuaire de Dionysos Éleuthéreus au pied de l’Acropole. Pausanias précise à  ce propos que l’enceinte de ce sanctuaire auprès du théâtre comportait deux petits temples : l’un dataint de l’époque archaïque était consacré à  l’ancienne statue de Dionysos Éleuthéreus proprement dit ; l’autre abritait la statue recouverte d’ivoire et d’or qu’avait sculptée Alcaménès, à la fois l’élève et le rival de Phidias. Ce temple de l’époque classique était orné de tableaux dépeignant différents épisodes de la biographie divine de Dionysos parmi lesquels l’épisode fameux du rapt d’Ariane endormie alors que Thésée quitte l’île de Naxos 11. Cet ensemble de récits illustrant aussi bien certains des mythes fondateurs du culte rendu à  Dionysos que la relation du dieu avec Athènes par le biais du héros fondateur de la cité démocratique qu’est Thésée tend donc à  insérer Dionysos, sur le mode iconographique, au centre de la cité. Sa biographie divine vit désormais auprès de l’Acropole, dans le voisinage des sanctuaires consacrés aux deux dieux tutélaires de la cité, Athéna et Poséidon. L’ancienne statue du dieu était alors transportée dans son petit temple auprès de l’Académie, près du dème de Colone, probablement sur la route conduisant par Éleuthères vers la Béotie. Pausanias, encore lui, mentionne ce sanctuaire en précisant que la statue de Dionysos Éleuthéreus y était conduite   Paus. 1, 20, 3 ; voir la reconstruction assez complexe de l’itinéraire de la procession proposée par Sourvinou-Inwood 2003,  67-99, avec les remarques prudentes formulées par Spineto 2005, 217-222, et les doutes exprimés par le volontiers sceptique Parker 2005, 317-319 ; la documentation a été soigneusement réunie et analysée par Pickard-Cambridge 1968, 59-64. 11

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chaque année à une date fixe, probablement au soir du 8 ou du 9 Élaphébolion 12. Suite à  ce premier déplacement et à  un sacrifice, des inscriptions tardives, datant du IIe siècle avant l’ère chrétienne, indiquent que Dionysos était reconduit ‘depuis un autel bas’ (eisegagon apo tes escharas) dans le théâtre à la lumière des torches ; elles ajoutent qu’un taureau lui était sacrifié. Est-ce à dire que l’autel bas mentionné dans les inscriptions se trouvait devant le temple de Dionysos à l’Académie ? Il pourrait se révéler préférable d’identifier cet autel bas avec celui qui se trouvait au nord-ouest de l’agora, auprès de l’Autel des douze dieux. C’est là qu’auraient eu lieu non seulement le sacrifice du bouc, mais surtout le xenismos, c’est-à-dire l’accueil rituel de Dionysos, de retour dans l’enceinte de la cité 13. Puis la pompe évoquée par la loi d’Euégoros (citée par Démosthène) et par tant de documents épigraphiques aurait reconduit la statue de Dionysos dans son sanctuaire de théâtre pour que le dieu puisse assister aux performances musicales qui allaient lui être offertes. À la procession participaient des métèques portant des vases pour le vin, des citoyens chargés d’outres alors que les femmes des métèques portaient des hydries – soit les ustensiles nécessaires pour le juste mélange du vin ; suivaient en tout cas les chorèges et des canéphores. Seconde en importance après celle des Panathénées, la grande procession débouchait, dans le sanctuaire de Dionysos, sur un sacrifice qui, à  une certaine époque, devait être accompli par les éphèbes. En ce qui concerne sa forme, cette pompe adoptait peut-être la tournure de la phallophorie qui introduisait les Dionysies ‘dans les champs’ et que chante Dicéopolis dans les Acharniens d’Aristophane 14. Q uant au sacrifice, il avait lieu dans le sanctuaire – précise une inscription qui ajoute que la victime était un taureau ‘digne du dieu’ ; l’expression évoque le   Paus. 1, 19, 3.   C’est là l’hypothèse échafaudée par Sourvinou-Inwood 2003, 91-98, qui estime que le dithyrambe de Pindare (fr. 75 Snell-Maehler) évoquant les douze dieux d’Athènes était destiné à cette occasion rituelle. 14 Aristoph. Ach. 247-279  ; Demosth. 21 (Mid.), 9-10 ; cfr.  Sud. s.v. ‘askophorein’ (A 2023 Adler). Le rôle symbolique de la phallophorie est envisagé à nouveaux frais par Parker 2005, 317-323 ; voir aussi Spineto 2005, 228-230. Sur les premières phases de développement des Grandes Dionysies, notamment sous Pisistrate et ses fils, nous sommes très mal renseignés : cfr. Spineto 2005, 209-217. 12 13

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petit poème cultuel anonyme qui invoque Dionysos en tant que axie taure, ‘digne taureau’ 15.

4. Concours musicaux et culte à la divinité Ainsi donc, autant du point de vue de l’insertion rituelle, dans l’espace et dans le temps, que dans les récits qui rendent compte sur le mode étiologique de la célébration des Grandes Dionysies, les concours musicaux formant l’essentiel du grand festival dédié à  Dionysos Éleuthéreus relèvent de la pratique religieuse, en l’occurrence, d’une pratique cultuelle attachée à la performance chorale. Rappelons encore que le dernier acte des Grandes Dionysies consistait en une assemblée qui, exceptionnellement, était organisée dans le théâtre de Dionysos. Le lendemain des Pandia, soit le 17 ou le 21 Élaphébolion suivant la date attribuée à  cette célébration de Zeus, on y examinait d’une part le déroulement de la fête sous la responsabilité de l’archonte en chef  (dit plus tard éponyme), d’autre part les plaintes de ceux qui avaient été les victimes d’une transgression des règles présidant au bon déroulement de la célébration festive (heorte). Tel Démosthène dans le fameuse plaidoirie dirigée contre Méidias qu’on a déjà citée : l’orateur dénonce les violences dont il a été la victime de la part de ce citoyen à l’occasion de sa chorégie, puis durant la fête elle-même ; et d’alléguer la loi, datant probablement de la fin du Ve siècle, qui prescrit la tenue de cette ecclésia en Dionysou, c’est-à-dire dans la ‘maison’ de Dionysos 16. L’ordre du jour de cette assemblée extraordinaire dit doublement le caractère religieux des Grandes Dionysies et de son mousikos agon : l’examen public sera en effet d’abord celui des hiera, c’est-à-dire les pratiques rituelles, puis celui des plaintes au sujet des irrégularités constatées durant les concours des Dionysies. La célébration cultuelle est désignée non seulement comme un ensemble de concours musicaux, mais aussi comme une procession 17. 15  IG II2,  1006, 12 ; cfr. aussi 1008, 14 et 1011, 11 ; carm. pop. fr. 871 Page (cfr. Detienne 1986, 85-87). 16  Demosth. 21 (Mid.), 8-9 ; voir le commentaire de Pickard-Cambridge 1968, 66 et 68-70. 17   Le début du festival dramatique était marqué, probablement le 8 Élaphébolion, par un ‘pré-concours’, cérémonie de présentation des poètes, des acteurs

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Par ailleurs, le caractère politique de la célébration cultuelle est dit par quatre pratiques fort bien mises en valeur dans une étude désormais devenue classique – soit un jury formé depuis 468 par les dix stratèges qui étaient chargés par ailleurs des libations aux dieux avant les concours musicaux ; la présentation officielle du tribut payé par les cités tombées sous le contrôle d’Athènes ; la lecture publique des noms de tous les hommes qui avaient mérité de la patrie pendant l’année écoulée avec la liste des honneurs dont ils avaient fait l’objet ; enfin la présentation des enfants des citoyens et soldats morts sur le champ de bataille dans la défense des intérêts d’Athènes 18. Comme d’habitude en Grèce ancienne, l’acte religieux est aussi un acte politique. Donc pas d’essence dionysiaque de la tragédie attique 19. Laissons une controverse dans laquelle on a trop souvent superposé trois problèmes distincts : la question des relations des tragédies connues avec la figure de Dionysos et les cultes qui lui sont rendus ; le problème des aspects rituels d’une tragédie dont la performance se situe dans un sanctuaire-théâtre consacré à Dionysos ; et la question complexe des affinités entre les représentations tragiques et des institutions politiques particulières, soit celles de la démocratie athénienne classique avec son idéologie. Autant du point de vue de son contenu que du point de vue de ses modes rituels de performance, la tragédie attique classique n’a que des relations occasionnelles avec le monde dionysiaque. Aussi bien le rituel dans la tragédie que la tragédie comme rituel présentent une autonomie certaine vis-vis du culte dans lequel la performance tragique est insérée. Il n’en reste pas moins que cette performance poétique et musicale organisée en concours présente un fort caractère rituel et religieux ; c’est en particulier dans cette mesure qu’elle relève d’une approche anthropologique et ethnopoétique. Ainsi la tragédie attique se trouve-t-elle insérée dans un scenario rituel qui est celui de toute célébration cultuelle dans les cités grecques en général : procession ponctuée de chants avec et des choreutes ; dès sa construction par Périclès vers 444, ce proagon avait lieu dans l’Odéon jouxtant le théâtre : cfr. Pickard-Cambridge 1968, 67-68. 18  Documents (à commencer par Aristoph. Ach. 641-651 !) et commentaire pertinent chez Goldhill 1990, 100-106. 19  C’est là la conclusion de l’étude hypercritique de Scullion 2002, 125.

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la participation en apparat rituel de plusieurs corps constitués de la communauté ; sacrifice développé suivi d’un repas rituel auquel assistent des représentants et représentantes de ces différents groupes ; concours athlétiques réalisant les qualités physiques et morales du citoyen aristocrate ; confrontations musicales avec des manifestations chantées et dansées qui sont adressées en offrandes musicales à la divinité célébrée 20. Dans les Grandes Dionysies, la fonction musicale propre à toute célébration cultuelle importante semble être réalisée dans un développement hyperbolique non seulement des concours de tragédies, mais aussi des concours de dithyrambes d’une part, des concours de comédies de l’autre : le concours des dithyrambes avec son organisation selon les dix tribus clisthéniennes certainement en relation avec le développement des structures démocratiques et l’accroissement correspondant du corps des citoyens et de leurs fils ; le concours des comédies en rapport probable avec le culte rendu à Dionysos et le débat critique induit par le partage du pouvoir politique et le débat démocratique. Sans doute la dérision ironique de Dionysos lui-même dans une comédie comme les Grenouilles d’Aristophane n’est-elle possible que dans la mesure où elle est ritualisée et portée par les formes de la poésie du reproche et du blâme (en  contraste avec la tragédie qui se situe plutôt du côté de la poésie héroïque d’éloge). Ainsi le spectacle agonal tragique dans l’Athènes du Ve siècle est à considérer sinon comme un acte de culte, du moins comme une pratique religieuse fortement ritualisée. Tout en étant particulièrement développés et ayant contribué à la création de formes poétiques spécifiques, les mousikoi agones constitutifs de la célébration rituelle des Grandes Dionysies ne sont que le correspondant des compétitions musicales et/ou athlétiques qui marquent bon nombre de grandes célébrations cultuelles athéniennes ; telles les grandes Panathénées en l’honneur d’Athéna Polias (concours de rhapsodies homériques), mais également les Thargélies (avec un concours de dithyrambes) pour Apollon, les Anthesthéries pour le Dionysos du vin, les Éleusinia pour Déméter, les Théséia pour le héros fondateur de la cité, etc. – des festivals 20  Dans l’étude de 1992, j’ai tenté de présenter une morphologie de la célébration cultuelle en Grèce (avec bibliographie).

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qui nous apparaissent tous comme éminemment religieux et politiques 21 ! En guise de conclusion provisoire, on pourra se référer aux vers composés par Alcman et chantés par un chœur de jeunes filles dans la Sparte de la fin du VIIe siècle : (Le melos) écartera des paupières le doux sommeil, (…) il m’invite à participer à la rencontre (ped’agona) ; (là) je secouerai avec force ma chevelure aux reflets dorés 22.

Tout se passe comme si, par ce début de parthénée, l’agon musical était d’emblée inscrit dans la performance de la poésie mélique. On rappelera qu’il en va de même pour les différentes formes de la poésie épique. Non seulement le chant des amours d’Arès et d’Aphrodite par l’aède Démodocos mis en scène dans l’Odyssée est présenté comme une performance musicale sur une aire chorale qui reçoit un agon ; mais les différentes exécutions chantées accueillies dans le festival des Délia tel qu’il est décrit dans l’Hymne homérique à  Apollon, puis repris par Thucydide, sont conçues comme un agon 23.

Bibliographie Bierl 2012 = A. Bierl, Demodokos’ Song of   Ares and Aphrodite in Homer’ Odyssey (8.266-366) : an Epyllion ? – Agonistic Performativity and Cultural Metapoe­tics, in M. Baumbach –  S. Bär (eds), Bril­l’s Companion to Greek and Latin Epyllion and Its Reception, Leiden – Boston 2012, 111-134. Calame 1977  = C.  Calame, Les chœurs de jeunes filles en Grèce archaïque II. Alcman, Roma 1977. Calame 1992 = C. Calame, La festa, in M. Vegetti (a cura di), Introdu­ zione alle culture antiche III, Torino 1992, 29-54. Calame 2017 = C. Calame, La tragédie chorale. Poésie grecque et rituel musical, Paris 2017. Detienne 1986 = M. Detienne, Dionysos à ciel ouvert, Paris 1986.   Voir l’étude d’Osborne 2003, qui donne la liste des festivals concernés.   Alcm. fr. 3, 7-9 Page/Davies = 26, 7-9 Calame ; cfr. Calame 1977, 109-113. 23 Hom. Od. 8, 254-267 ; HAp. 146-150 et Thuc. 3, 104 ; cfr. Nagy 2010 : 11-16 et Bierl 2012 : 121-125, respectivement. 21 22

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Goldhill 1990  = S.  Goldhill, The Great Dionysia and Civic Ideology, in J. J. Winkler – F. I. Zeitlin (ed.), Nothing to Do with Dionysos ? Athenian Drama in Its Social Context, Princeton 1990, 97-129. Goldhill 1997 = S. Goldhill, The Audience of  Athenian Tragedy, in P. E. Easterling (ed.), A Cambridge Companion to Greek Tragedy, Cambridge 1997, 54-68. Kolb 1979 = F. Kolb, Polis und Theater, in G. A. Seeck (hrsg.), Das griechische Drama, Darmstadt 1979, 505-543. Kowalzig – Wilson 2013 = B. Kowalzig – P. Wilson, Introduction. The World of  Dithyramb, in B. Kowalzig – P. Wilson (eds), Dithyramb in Context, Oxford 2013, 1-27. Ley 2007 = G. Ley, The Theatricality of   Greek Tragedy. Playing Space and the Chorus, Chicago – London 2007. Loscalzo 2008 = D. Loscalzo, Il pubblico a teatro nella Grecia antica, Roma 2008. Nagy 2010 = G. Nagy, Homer the Preclassic, Berkeley – London – Los Angeles 2010. Osborne 1993  = R.  Osborne, Competitive Festivals and the Polis : a Context for Dramatic Festivals at Athens, in A. H. Sommerstein – S.  Halliwell – J.  Henderson – B.  Zimmermann (eds), Tragedy, Comedy and the Polis, Bari 1993, 21-38. Padel 1990  = R.  Padel, Making Space Speak, in J.  J. Winkler  – F.  I. Zeitlin (eds), Nothing to Do with Dionysos  ? Athenian Drama in Its Social Context, Princeton 1990, 336-365. Parker 2005 = R. Parker, Polytheism and Society at Athens, Oxford 2005. Pickard-Cambridge 19682  (1988)  = A.  W. Pickard-Cambridge, The Dramatic Festivals of   Athens. Rev. by J.  Gould – D.  M. Lewis with a New Supplement, Oxford 1988 (19682 [1953]). Rabinowitz 2008 = N. S. Rabinowitz, Greek Tragedy, Oxford 2008. Scullion 2002 = S. Scullion, ‘Nothing to Do with Dionysus’ : Tragedy Misconceived as Ritual, CQ  52, 2002, 102-137. Sourvinou-Inwood 2003  = Chr.  Sourvinou-Inwood, Tragedy and Athenian Religion, Lanham – Boulder – New York – Oxford 2003. Spineto 2005  = N.  Spineto, Dionysos a  teatro. Il  contesto festivo del dramma greco, Roma 2005. Voelke 2001  = P.  Voelke, Un théâtre de la marge. Aspects figuratifs et configurationnels du drame satyrique dans l’Athènes classique, Bari 2001. Wiles 1997  = D.  Wiles, Tragedy in Athens. Performance Space and Theatrical Meaning, Cambridge 1997. 25

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Abstracts La tragédie attique du Ve siècle ne saurait remonter à un premier sacrifice du bouc. Il n’en reste pas moins que, en tant que performance de poésie mélique, la tragédie grecque est traversée par une dimension rituelle qui lui est constitutive.  Cette dimension rituelle du drame attique est non seulement inscrite en particulier dans les chants du chœur qui reprennent différentes formes du melos (péan, hymnénée, hymne, thrène) ; mais elle porte la performance musicale de la tragédie que le mousikos agon lui-même insère dans une longue séquence cultuelle. Q u’en est-il donc des concours musicaux insérés dans la célébration cultuelle des Grandes Dionysies ? Attic tragedy of  the fifth century bc, does not have  its origin in a first sacrifice of   the ram. Nevertheless, as performance of   melic poetry, Greek tragedy relies on a important ritual dimension. This ritual dimension of  Attic drama is to be found particularly in the songs of  the chorus which take on various forms of   melos (paian, hymenaion, hymn, threnos). It is also expressed in tragedy as musical performance in the context of  the mousikos agon inserted in a long cultic sequence. What about the musical contests which are the most important part of  the cultic celebration of  the Great Dionysia?

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I. Chorlyrische Chöre Und wir haben uns in der Tat eine äußerst große Zahl von geistigen Erholungsmöglichkeiten von den Strapazen des Alltags geschaffen, einerseits durch das ganze Jahr hindurch stattfindende Wettkämpfe und Opfer (ἀγῶνες καὶ θυσίαι), die wir gesetzlich verankerten, andrerseits durch prächtige Einrichtungen aus privater Hand, um uns daran tagaus, tagein zu erfreuen – dies vertreibt die Tristesse und die Widerwärtigkeiten des Alltags 1.

Die Worte, die der Historiker Thukydides (2,  38,  1) in seinem Geschichtswerk über den Peloponnesischen Krieg (431404 v. Chr.) dem Politiker Perikles in den Mund legt, zeigen in aller Deutlichkeit die Bedeutung, die Choraufführungen in der attischen Demokratie des 5. Jahrhunderts v.  Chr. beigemessen wurden. Darbietungen von Chören unterschiedlicher Größe 2 und Zusammensetzung – von Männern und Frauen, Mädchen oder Jungen (Epheben) – waren als multimediales Ereignis –

1  Übersetzungen aus dem Griechischen in diesem Beitrag stammen vom Verfasser. Der griechische Text von Thukydides nach: Jones – Powell 1900. 2  Die Größe der Chöre hängt vom jeweiligen Fest und der Organisationsform ab und kann von Stadt zu Stadt differieren. Gut sind wir über die athenischen mit Dramen ausgestatteten Fest informiert. Dithyrambenchöre hatten 50 Sänger, in der Komödie umfasste der Chor 24, in der Tragödie zunächst 12, dann 15 Sänger. Vgl. Pickard-Cambridge 19682 (1988).

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Tanz, Gesang und Musik 3 bildeten bis in die Mitte des 5. Jahrhunderts eine untrennbare Einheit 4 – in Verbindung mit Opfern (χοροὶ καὶ θυσίαι) 5 und häufig in der Form des Wettstreits (Agon) wesentlicher Bestandteil der zahlreichen Götterfeste, die – den heutigen Sonn- und Feiertagen vergleichbar – den attischen Kalender untergliederten. Sie boten der Bevölkerung Entspannungsmöglichkeiten von den Unbilden und Widerwärtigkeiten des Alltags, die in Zeiten des Krieges, in denen Thukydides seine Rede auf  die Gefallenen des ersten Kriegsjahres halten lässt, die Athener mit besonderer Härte trafen 6. Die wenigen Zeilen des Thukydides enthalten eine implizite Bestimmung der verschiedenen Funktionen, die Götterfesten und den sie auszeichnenden Choraufführungen zukamen. Sie sind politische Ereignisse, die die Polis insgesamt oder einzelne Gruppierungen der Stadt betreffen und die von der Polis, vertreten durch ihre Beamten, ausgerichtet werden 7. Sie sind religiöse Ereignisse, da sie ihren Sitz im Leben in den zahlreichen Götterfesten der Stadt haben 8. Sie haben eine sozial integrative Funktion, 3  Die musikalische Begleitung war jeweils von dem Gott abhängig, dem zu Ehren ein Lied dargeboten wurde: Für Apollon erklang die Kithara, deren Klang eine beruhigende Wirkung zugeschrieben wurde, für Dionysos dagegen der Aulos, ein oboenähnliches Blasinstrument, das die Emotionen anstachelte. Die unterschiedlichen Wirkungen werden von Pindar zu Beginn der 1. Pythie (beruhigende Wirkung der apollonischen Kithara) und im für Theben verfassten Dithyrambos (Fr. 70b [Maehler 1989]) beschrieben (aufpeitschende Wirkung des dionysischen Aulos). Vgl. Zimmermann 2009 a, 189-199. 4  Diese traditionelle Verbindung der einzelnen Elemente einer Choraufführung kommt deutlich in Pindars zweiten für Athen geschriebenen Dithyrambos zum Ausdruck (Fr. 75,  18  f. Maehler): «Es ertönen stimmgewaltig die Lieder zusammen mit Flötenspiel, / es nahen sich die Chöre Semele mit dem gebogenen Stirnreif». Vgl. Zimmermann 20082, 53-55. 5 Zur Verbindung von Chorgesang und -tanz mit Opfern vgl. Kowalzig 2004, 49. 6  Thukydides stellt vor die Rede des Perikles eine Schilderung, in welch erbärmlichem Zustand die Landbevölkerung lebte, die, von ihren Höfen vertrieben, in der Stadt zusammengepfercht war (2, 16 f.). Unmittelbar nach der Totenrede beschreibt er (2, 47-54), wie die Pest, die in Athen kurz nach Kriegsausbruch wütete, dazu führte, dass plötzlich all die Regeln menschlichen Zusammenlebens missachtet wurden, deren Lobpreis Perikles in der Rede angestimmt hatte. 7  Zur Organisation der Feste vgl. Pickard-Cambridge 19682 (1988); Csapo – Slater 1994. 8   Dieser kultisch-religiöse Sitz im Leben bestimmt auch den Inhalt, die musikalische und choreographische Gestaltung und letztlich auch die Bezeichnung

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da an diesen Festen die Bürger als Organisatoren, als Geldgeber, als Singende und Tanzende und als Festgemeinde teilnehmen. Sie haben eine individualpsychologische Funktion, da sie den einzelnen Bürgern Phasen der Ruhe und Entspannung ermöglichen, sie haben eine kulturelle Funktion, da sie ästhetischen Genuss (τέρψις) gewähren 9, und eine außenpolitische Dimension, da sie durch den Glanz, der von ihnen ausstrahlt, den anwesenden Verbündeten und Fremden Athens Größe, Macht und Reichtum vor Augen führen 10. Für all diese Feste wurde eine enorme Zahl von Bürgern als Choreuten benötigt. Allein an den großen Dionysien, dem wichtigsten Fest des demokratischen Athen, an dem 20 Dithyramben, Hymnen zu Ehren des Gottes Dionysos, dem das Fest geweiht war, drei tragische Tetralogien und fünf  Komödien zur Aufführung kamen, wurden mehr als 1100 Sänger eingesetzt. Das Volk (δῆμος) nahm dadurch für sich einen wesentlichen Bestandteil aristokratischer Erziehung (παιδεία) in Anspruch – die Ausbildung in der Musenkunst (μουσικὴ τέχνη), in Tanz und Gesang –, so dass man, ohne zu übertreiben, von einer Aristokratisierung des Demos sprechen kann 11. Ein anonymer Autor, der in derselben Zeit, als Thukydides sein Geschichtswerk schrieb und ein Pamphlet gegen die athenische Demokratie verfasste, bringt diese Usurpation aristodes Liedes. Gesänge, die zu Ehren des Gottes Dionysos aufgeführt wurden, sind per definitionem Dithyramben, solche für Apollon Päane, Lieder von Mädchenchören Partheneia usw.; vgl. die kurze Geschichte der griechischen Lyrik bei Pl.  Lg. 3,  700a-701b (griechischer Text nach: Burnet 1907). Ursprünglich gehorchen all die (chor-)lyrischen Hymnen denselben inhaltlichen und formalen Kriterien: auf  die Anrufung des Gottes folgt – häufig mit narrativen Einlagen – eine Beschreibung seiner Macht und Wirkungsbereiche, bevor eine Bitte das Lied beschließen kann. 9  Zu τέρψις (ästhetischer Genuss) vgl. Zimmermann 2015, 47-57. 10 Thukydides lässt Perikles Athen als «Griechenlands Bildungsstätte» (τῆς Ἑλλάδος παίδευσις) bezeichnen (2, 41, 1). Die Wirkung der Feste und Reden auf Fremde wird mit ironischem Unterton zu Beginn des platonischen Menexenos beschrieben. 11   Es ist bezeichnend, dass bei diesen demokratischen Choraufführungen die musikalische Begleitung von professionellen Musikern übernommen wurde. Die Ausbildung in einem Instrument wie der Kithara war aufwendig und teuer. Zur aristokratischen Erziehung dagegen gehörte die Beherrschung vor allem der Kithara; vgl. Hom. Il. 9, 185-189: Achill singt für sich allein eine Partie aus einem Epos (κλέα ἀνδρῶν), begleitet sich dazu auf  der Kithara und zieht daraus ästhetisches Vergnügen (V. 189 τέρψις).

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kratischen Lebensstils und Selbstverständnisses zynisch auf  den Nenner (Ps. Xenoph. Ath. Pol. 1, 12) 12: Denjenigen, die sich dort (scil. in Athen) sportlich oder musisch betätigen, hat der Demos Einhalt geboten  […] da er erkannt, dass er nicht in der Lage ist, dies zu betreiben. […] Die Reichen zahlen […] und der Demos singt und läuft und tanzt und fährt zu Schiff  zur See – und dies nur zu dem Zweck, all die Privilegien selbst zu haben und die Reichen in den Ruin zu treiben.

Dieser Demokratisierung aristokratischer Bildungsideale war durch die Tyrannen seit dem 6. Jahrhundert der Weg geebnet worden 13. Um ihre aristokratischen Konkurrenten im Kampf  um die Alleinherrschaft auszuschalten, stützten sich die Tyrannen auf  das Volk, das sie unter anderem dadurch aufwerteten, dass sie neue Formen von Chordarbietungen wie Dithyramben stärkten 14. Den Chören fällt in diesen aristokratischen und demokratischen Choraufführungen eine janusköpfige Rolle zu: Sie agieren gleichzeitig als auserwählte Vertreter der politischen oder kultischen Gruppierung, der sie angehören und aus der sie jedoch durch den feierlichen performativen Rahmen für die Zeit der Aufführung herausgehoben sind, und als Sprachrohr des Dichters. Dies lässt sich besonders deutlich am Beispiel des dionysischen Kultlieds, des Dithyrambos, verdeutlichen. In Athen traten bei dem Frühjahresfest der Großen Dionysien die zehn Phylen, die Verwaltungseinheiten des demokratischen Athen, mit je zwei Chören, einem Chor junger (Epheben) und einem Chor erwachsener Männer, in einem Wettkampf  (Agon) gegeneinander an 15. Die politische Bedeutung des Identität stiftenden

12   Griechischer Text nach: Kalinka 1914. Zur Forschung vgl. zusammenfassend Scardino 2011, 417-423. 13  Man vgl. im Geschichtswerk des Herodot 1, 23 (zur Einführung des Dithyrambos durch den Tyrannen Periandros und den Dichter Arion in Korinth) und 5, 67 (zur Kulturpolitik des Tyrannen Kleisthenes von Sikyon und zu den ‘tragischen Chören’, die er Dionysos widmete). 14  Vgl. dazu Zimmermann 20082, 26-35. 15   Vgl. Zimmermann 20082, 36-41.

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Wettstreits 16 wird dadurch unterstrichen, dass in den offiziellen Inschriften nur die siegreiche Phyle und der die Aufführung bezahlende Bürger, der sog. Chorege 17, nicht aber der Dichter, selbst wenn es ein berühmter Mann wie Pindar war, genannt wird. Die Identität der Chöre ist nicht fest. Bisweilen scheint der Chor in der ersten Person Singular über sich selbst zu singen, es könnte jedoch auch die persona des Dichters sein, die durch den Chor spricht (z.B.  Pindar, Fr. 70b, V. 23-25; Fr.  75, V. 13 Maehler) 18, bisweilen jedoch singt er eindeutig im Namen des Dichters (Fr. 83 Maehler) 19. Aus der Konkurrenzsituation, die der Agon mit sich brachte, ist es leicht zu erklären, dass sich immer wieder metapoe­tische Äußerungen in den Liedern finden. Die Dichter versuchten in einem agonalen Dialog, wie wir ihn aus dem Drama kennen, die Vorzüge ihrer Kompositionen herauszustreichen und sie von den Werken ihrer Rivalen abzusetzen 20. Ebenso schillernd wie seine Identität ist die Haltung, die ein Chor zu seinem Stoff  einnimmt. Auf  den ersten Blick scheint er in der Rolle eines gleichsam epischen, alles überblickenden Sängers zu singen, andrerseits gibt er jedoch einen subjektiv geprägten Bericht, singt er doch über seine Gemeinde und Ereignisse, die ihn selbst betreffen, und verwendet dazu emotional gefärbte Adjektive 21. 16 Identitätsstiftung war nötig geworden, nachdem Kleisthenes, der Begründer der Demokratie in Athen, die alten vier Verwaltungseinheiten des aristokratischen und tyrannischen Athen zerschlagen und durch zehn neue, gleichsam am Reißbrett entworfene Phylen ersetzte – mit dem Ziel, die traditionellen Einflusssphären der Aristokraten, insbesondere der Peisistratiden, zu zerstören. 17  Zu diesem System der indirekten Besteuerung von Wohlhabenden vgl. Wilson 2000. 18   In beiden Passagen rühmt sich der Chor oder Dichter seiner Auserwähltheit: die Musen hätten ihm den Zugang zur Memoria gewährt und ihn zu einem «Seher» (μάντις) oder «Ηerold weiser Worte» (κᾶρυξ σοφῶν ἐπέων) gemacht. 19  «Es gab eine Zeit, da nannte man das böotische Volk Schweine» kann sich nur auf  Pindar, der aus dem böotischen Theben stammt, beziehen. 20  Man darf  nicht vergessen, dass die chorlyrischen Dichter des ausgehenden 6. und beginnenden 5. Jahrhunderts (Simonides, Pindar, Bakchylides) hochbezahlte, internationale Stars waren, die ihre Werke in der ganzen griechischsprachigen Welt verkauften und teilweise auch vor Ort waren, um mit den Chören die Lieder einzustudieren. 21   Man vgl. die Adjektive, mit denen der Chor in Fr. 76 Maehler seine Heimatstadt Athen versieht: «Glänzendes und veilchenbekränztes und besungenes,

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In der Konstellation Chorführer – Chor, die für Chöre der archaischen Zeit charakteristisch ist, ist ein dramatischer Nucleus enthalten. Der Chorführer tritt aus dem Kollektiv des Chores heraus, führt den Chor an den Ort der Aufführung und stimmt den Gesang an. Häufig waren offensichtlich Chorführer und Dichter identisch. Archilochos von Paros, ein Dichter aus der 2. Hälfte 6. Jahrhunderts v. Chr., betont voller Stolz, dass er in der Lage sei, den Dithyrambos zu Ehren des Dionysos und den Päan für Apollon «anzustimmen» (ἐξάρχειν), also mit einem Chor aufzuführen (Fr.  120 und 121 West) 22. Ein besonderer Fall gleichsam dramatischer Chorlyrik sind Alkmans Partheneia (7. Jahrhundert v. Chr.), in dem die Sängerinnen sich namentlich anreden und eine Art Dialog zustande kommt 23. Ein richtiger Dialog zwischen dem Chorführer und dem Chor oder zwischen zwei Halbchören liegt in Bakchylides’ Theseus-Dithyrambos (Bakchylides 18) vor. Allerdings können wir in diesem Fall kaum von einer archaischen Form sprechen; vielmehr steht die dialogische Gestalt unter dem Einfluss der zeitgenössischen Tragödie 24. Die Einbettung in einen kultischen Rahmen, ohne die Chorlyrik nicht möglich ist, schafft eine Spannung zwischen dem Verharrungsvermögen, das Riten unweigerlich aufweisen – die versammelt Gemeinde erwartet alljährlich denselben Ablauf  des heiligen Geschehens –, und dem Bestreben derjenigen, die die Feste ausrichten, Glanz auf  sich und die Gemeinde durch prächtige Aufführungen fallen zu lassen, was nicht durch die Wiederholung des ewig Gleichen, sondern nur durch Neues geschehen kann, vor allem wenn der performative Rahmen die Form des Agons war, und schließlich dem Drang der Dichter, die traditionellen Formen zu sprengen und «Neues zu sagen» (καινὰ  λέγειν) 25. Diese Überlegungen erhalten eine interessante berühmtes Athen, Bollwerk Griechenlands, göttliche Festung»; und in Fr.  77 Maehler heißt über die Schlacht beim Kap Artemision, einem Ereignis der Perserkriege: «Wo die Söhne der Athener das glänzende Fundament der Freiheit legten». 22   West 19892; vgl. Zimmermann 20082, 21-25. 23  Vgl. Bagordo 2011, 183 f. 24  Vgl. Zimmermann 20082, 94-99. 25   Platon (Lg. 3,  700a-701b) unterscheidet zwei Phasen der chorlyrischen Dichtung. In  der ersten hatten die chorlyrischen Formen einen festen Sitz im Leben, in den Kulten der einzelnen Gottheiten, in einer zweiten Phase, wohl

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Bestätigung und Ergänzung, wenn man die 1954/5 publizierte, auf  der Insel Paros im Archilocheion, in einem für den Dichter Archilochos errichteten Heroenheiligtum, gefundene Inschrift des Mnesiepes in die Betrachtung einbezieht 26. In  der dritten Episode der Erzählung (col. III, 16-57) berichtet Mnesiepes, dass Archilochos bei einem Fest ein Lied zu Ehren des Dionysos zunächst improvisiert, dann mit einigen Mitbürgern einstudiert und schließlich mit einem Chor vorgetragen habe. Die Bürger von Paros hätten darauf, erzürnt über den Inhalt des Liedes, Archilochos verurteilt, da sie meinten, der Dichter sei zu weit gegangen und habe Unziemliches vorgetragen. Als  Strafe seien sie von dem Gott mit Impotenz geschlagen worden, bis sie auf  Rat des delphischen Orakels Archilochos rehabilitiert und fortan Dionysos verehrt hätten. Es scheint – dies legt dieses Testimonium nahe – in dieser frühen Entwicklungsphase von Chorlyrik einen Konflikt zwischen traditioneller religiöser Lyrik und freier dichterischer Tätigkeit, die in der Inschrift als «Improvisation» (αὐτοσχεδιασμός) 27 bezeichnet wird, bestanden zu haben. Das Neue, das die Gemeinde schockierte, lag in dem produktiven Eingriff  eines Individuums, eines Dichters, in die Konvention, in den traditionellen, Jahr für Jahr wiederholten Gesang zu Ehren des Dionysos, den Archilochos durch Eigenes erweitert zu haben scheint. Wir haben also – dies legen sowohl die Mnesiepes-Inschrift als auch die platonischen Gesetze (3,  700a-701b) nahe  – etwas im kultischen Rahmen Vorgegebenes, das durch Improvisation aufgebrochen, in Frage gestellt und damit von einer kultischen zur ästhetischen Form wird.

seit dem Ende des 5. Jahrhunderts, habe sich diese enge Bindung der Chorlyrik an die Kulte gelockert, und die Dichter hätten, in dichterischem Überschwang, begonnen, die traditionellen Formen unter ästhetischen Gesichtspunkten zu vermischen. Die Zuhörer schließlich seien aus einer andächtig schweigenden Gemeinde zum Publikum geworden, so dass am Ende der Geschmack des Publikums die chorlyrische Produktion bestimmt habe. 26  Die Inschrift stammt aus dem 3. Jahrhundert v. Chr., ihr Inhalt geht entweder auf  eine frühere schriftliche Ausarbeitung der Archilochos-Legende oder auf  mündliche Tradition auf  der Insel Paros zurück; vgl. Schorn 2014, 712-715. 27 Nach Aristoteles (Po. 4,  1448b 21-24) hatte die Dichtkunst ihren Ursprung in Improvisationen. Griechischer Text nach: Kassel 1965. Vgl. Zimmermann 2009 b, 696-708.

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II. Dramatische Chöre Eine Sonderform chorlyrischer Dichtung ist das attische Drama – Tragödie, Komödie und Satyrspiel –, das sich gegen das Ende des 6. Jahrhunderts aus dionysischen chorlyrischen Formen ausbildete, die Tragödie aus dem Dithyrambos und die Komödie aus Phallos-Liedern (Aristot. Po. 4, 1449a 9-13). Aristoteles erkennt genau den dramatischen Nucleus, der den chorlyrischen Formen innewohnt, da er den Ursprung der dramatischen Gattungen nicht einfach in den beiden dionysischen Formen, sondern bei den jeweiligen Chorführern sucht, die den Gesang «anstimmen» (ἐξάρχειν). Die Bezeichnung für Schauspieler, ὑποκριτής, «Antworter», verweist auf  diese rudimentäre dramatische Form, auf  das Frage-Antwort-Spiel zwischen Chorführer und Chor, das im 18. Gedicht des Bakchylides vorliegt. Dass die dramatischen Gattungen als chorlyrische Sonderformen angesehen wurden, wird allein in der offizielle Verwaltungsterminologie deutlich: Dichter, die sich alljährlich um das Aufführungsrecht an den beiden Dionysosfesten, die mit dramatischen Wettkämpfen ausgestattet waren, bewarben, «verlangten einen Chor für sich» (χορὸν αἰτεῖσθαι), der Beamte gab ihnen einen Chor und damit das Aufführungsrecht (χορὸν διδόναι), der Dichter wurde «Chorlehrer» (χοροδιδάσκαλος) und der Bürger, der die Aufführung bezahlte, «Chorführer» (χορηγός) genannt. Die rituellen Wurzeln dramatischer Chöre sind in vielen Details der erhaltenen Stücke sichtbar. Komödien und Tragödien des 5. Jahrhunderts v.  Chr. sind voller ritueller Handlungen. Opfer, Prozessionen, Hikesie- und Bestattungsrituale, Totenbeschwörungen, Verwünschungen und Segnungen, Kultlieder wie Päane, Dithyramben, Threnoi oder Hochzeitslieder sind wesentliche Bestandteile der Stücke. Eine Gemeinsamkeit zwischen Riten und Drama sind ihr mimetisch-performativer Charakter, ihre Symbolhaltigkeit, das Rollenspiel und die Riten wie Dramen eigentümlichen Ersatzhandlungen, das ‘als ob’, das Ritus und Drama in ihrer Performativität verbindet. Es handelt sich bei den im Drama gespielten Riten jedoch keinesfalls um getreue Abbilder der realen Riten, sondern um in die dramatische Handlung eingefügte, diese in ihrem Ablauf  oft bestimmende Verfremdungen realer ritueller Handlungen. Auf  diese An34

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dersartigkeit wird in den Texten häufig explizit hingewiesen 28. Als rituelle Elemente, kultischer Rede entstammend, kann auch die in chorischen Äußerungen häufig anzutreffende Selbstreferentialität angesehen werden 29. Der ‘rituelle Kern’ bleibt jedoch in diesen verfremdeten Dramatisierungen von Ritualen erhalten, ja, er muss erhalten bleiben, damit der Bezugspunkt im realen, religiösen Leben der Polis ersichtlich ist. Die rituellen Elemente in Dramen des 5. Jahrhunderts sollten gleichsam als szenische Metaphern verstanden werden, die auf  mehreren Ebenen wirksam sind: in der Sprache, in der Musik und im Tanz und natürlich in der Inszenierung. Man könnte also nicht ohne Grund von einer synästhetischen Dimension des Ritus im Drama sprechen. Aus kultischen Kontexten stammende Signalwörter und rhythmisch-musikalische sowie choreographische Anklänge fungieren als Brücken zwischen der dramatischen und der realen Welt. Das Geschehen, das in der Tragödie in einer mythischen, von der Erfahrung des Zuschauers weit entfernten, unbestimmten vergangenen Zeit und in der Komödie in einer phantastischen Welt spielt, wird durch diese Brücken für einen Moment in die Gegenwart hineingeholt, um dann wieder in der Vergangenheit oder der Welt der Phantasie zu versinken 30. Dieses Wechselspiel zwischen Distanz und Nähe hat zur Folge, dass das Bühnengeschehen stets als aktuell, als das Leben und die Erfahrung jedes einzelnen Zuschauers angehend betrachtet werden kann, was wiederum nicht unerheblich für die Bewertung der politischen Funktion der Tragödie und Komödie ist. Besonders deutlich lässt sich dieses Zusammenspiel der verschiedenen Elemente und ihre evozierende Kraft im Schlussteil der Eumeniden des Aischylos nachvollziehen (V. 881  ff.). Sowohl auf  sprachlicher Ebene als auch durch den Fackelzug und das Opfer wird die Prozession der Panathenäen, des großen Fes28  Vgl. Aesch. Ag. 150 (Opferterminologie); Eur. Tro. 343-352 (Hochzeitsritual); Eur. El. 625-627 (Aigisths Tod ist in ein Opferritual integriert). Vgl. Foley 1985, 62-64. 29 Vgl. dazu Bierl 2001,  37-64 (mit Forschungsüberblick), besonders 42: «Mythos und Ritual gehen […] eine enge Verschränkung ein. Das Ritual rahmt den Mythos in der Performance». 30 Christiane Sourvinou-Inwood (1989,  134-148) spricht mit einem der Fotografie oder dem Film entlehnten Bild vom ‘zooming effect’ und ‘distancing effect’.

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tes der Stadt Athen für die Stadtgöttin Pallas Athena, evoziert. Allerdings sind die Panathenäen am Schluss der aischyleischen Tragödie von den realen Panathenäen verschieden, wie Patricia Easterling herausstellt 31: the time is the remote past, the place an imaginary Athens, a ‘region of   the mind’, Athena herself  is represented as taking part in the procession, the Furies take place of  human metics, and there are divergences from customary procedure in the ceremony itself.

Die rituellen Wurzeln dramatischer Chöre, durch die sie, in der chorlyrischen Tradition über dem aktuellen Anlass stehend, Zugang zum Bereich der Erinnerung haben, und ihre Rolle als eine dramatis persona in der Handlung des Stücks führen unvermeidbar zu einem janusköpfigen Wesen vor allem tragischer Chöre 32. Der Chor agiert als dramatis persona in einer bestimmten Rolle, gleichzeitig ist er ein in einer kultischen Tradition stehender ‘chorlyrischer Chor’, der sich traditioneller Redeweisen und traditioneller kultischer lyrischer Formen bedient, die wiederum in die Handlung des Stücks eingebaut sind und aus der Handlungsentwicklung eine – bei Sophokles oft ironische 33 – Deutung erhalten. Wie häufig in der Tragödieninterpretation wird der Zugang zur Deutung der Chorrolle durch eine kurze Passage der aristotelischen Poetik verstellt. Aristoteles lobt (18,  1456a 25-27) die Weise, wie Sophokles den Chor in die Handlung eingebunden habe. Man müsse den Chor als einen der Schauspieler auffassen; er müsse Teil des Ganzen sein und an dem Geschehen aktiven Anteil haben – nicht wie bei Euripides, sondern wie bei Sophokles. Aristoteles grenzt offensichtlich den sophokleischen und euripideischen Choreinsatz von der Praxis vieler anderer Dichter ab, die, seitdem Agathon damit begann, ihre Chöre Lieder singen lassen, die nichts mehr mit der Handlung des Stücks zu tun haben (sog. Embolima; Aristot. Po. 18,  1456a 30). Bei der   Vgl. Easterling 1988, 87-109, Zitat 100.   Zu den Komödienchören vgl. Zimmermann 1999, 49-59. 33 Auffallend sind z.B.  die Freudenlieder kurz vor der Katastrophe in Aj. 693-718, Ant. 1115-1154, OT 1086-1109, Tr. 633-662. 31 32

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Priorität, die Aristoteles der Handlung (μῦθος) zuweist, kann die Aussage nur bedeuten, dass die Chorlieder nach den Kriterien der Wahrscheinlichkeit und Logik bei Sophokles eine höhere Integration in die Handlungsentwicklung aufweisen, als dies bei Euripides der Fall ist. Unter dem Aspekt der Handlungsbeteiligung des Chores kann zwischen einer handlungstragenden Rolle des Chores, die in den aischyleischen Tragödien (mit Ausnahme der Perser) vorliegt, sowie einer handlungsbegleitenden 34 und handlungsdeutenden Funktion unterscheiden, wie sie für die sophokleischen und euripideischen Tragödien typisch ist. Exemplarisch soll die janusköpfige Rolle des tragischen Chores, sein Changieren zwischen Mitspieler und ‘kultureller Autorität’, am Beispiel der Sieben gegen Theben des Aischylos und der Antigone des Sophokles aufgezeigt werden 35. Wie im Agamemnon erscheint der Chor in den Sieben nach einem kurzen, exponierenden Prolog bei scaena vacua in der Orchestra und charakterisiert sich selbst kurz nach seinem Auftritt als Gruppe junger, verängstigter Mädchen, die die Götter um Rettung angesichts der Kriegsgefahr anflehen wollen (V. 110, 171, 454, 792). Der Chor der Sieben agiert in zweifacher Weise als Antagonist des Oidipus-Sohnes Eteokles, der seine Heimatstadt gegen seinen Bruder Polyneikes verteidigt. Er vertritt eine Eteokles völlig entgegengesetzte Welt, die Welt der Frauen, die auf  Kriegsgefahr anders als Männer reagieren. Der Gegensatz zwischen der Welt der Männer, die draußen wirken (V. 201), und der der Frauen, die auf  das Haus beschränkt leben (V. 201) 36, wird von Eteokles in einer Schimpftirade breit ausgeführt (V. 181 ff.). Die Charakterisierung des Chors als einer Gruppe junger Mädchen gerät in ein seltsames Zwielicht in den Versen 686 ff. Plötzlich und unerwartet wird der Chor zum bedächtigen Warner und versucht, 34   Unter ‘handlungsbegleitend’ wird eine Funktion verstanden, in der der Chor Anteil am Geschehen nimmt, es mit Interesse und häufig mit Emotionen verfolgt und deutet, ohne dass die Handlung durch ihn Anstöße erhielte, während in handlungstragender Rolle der Chor als Protagonist (Aesch. Eu., Suppl.) oder Antagonist (Aesch. Th., Ag.; Soph. OC) agiert. 35 Der griechische Text nach: Page 1972; Kommentar zu der Tragödie: Hutchinson 1985. 36 Den unvereinbaren Gegensatz von männlicher und weiblicher Welt wird vor allem in der euripideischen Medea (230-251) von der Protagonistin ausgeführt.

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Eteokles von seinem verhängnisvollen Entschluß abzubringen. Die Mädchen legen also in überraschender Weise die Eigenschaft der Vernunft (σωφροσύνη) an den Tag, die Eteokles nur den Männern zusprechen wollte (V. 186). Zu dem veränderten Wesen des Chores passt es, dass die Mädchen, die kurz zuvor Eteokles noch barsch angefahren hatte, nun geradezu überlegen den Herrscher von seinem Weg ins Unglück abhalten wollen und ihn mit «Kind» (V. 686 τέκνον) anreden. Im Rahmen der dramatischen Handlung signalisiert diese Anrede den Rollentausch zwischen Eteokles und den Frauen. In Wirklichkeit sind die jungen Frauen die Einsichtigen, die Eteokles vom Brudermord zurückhalten wollen, indem sie Kernsätze der aischyleischen Theologie in ihrer Argumentation verwenden 37. Doch wie lässt es sich erklären, dass die Mädchen die theologische Deutung des Schicksals des Labdakidenhauses geben können? Diese gnomisch-theologische Dimension des Chores hängt mit seinem chorlyrisch-kultischen, undramatischen Charakter zusammen. Das Einzugslied des Chores (Parodos, V.  70-181) und das 1. Stasimon (V. 287-368) variieren traditionelle hymnische Formen (vor allem V. 265-270). Doch der Chor ist aufgrund der Panik, die ihn befallen hat, nicht in der Lage, so zu singen, wie «es sich geziemt» (V.  287), also einen regelrechten Hymnos anzustimmen. Das Motiv der Angst und Panik schwappt aus dem Einzugslied in das 1. Stasimon hinüber 38. Aischylos dramatisiert die traditionellen rituellen Formen und lässt gleichzeitig sowohl sprachlich als auch rhythmisch den kultischen Charakter des Chores durchscheinen. So  öffnet sich im 1. Stasimon hinter der aktuellen, innerdramatischen Vision

37  Vgl.  V. 692 («Mit wildem Biss treibt dich allzu sehr das Verlangen an, einen bittere Frucht tragenden Mord zu begehen und Blut zu vergießen, das nicht vergossen werden darf.») und V. 698 («Stachle dich nicht selbst an!») mit den Worten des Dareios in den Persern (V. 742): «Aber immer wenn einer selbst zu eifrig ist, dann packt auch die Gottheit noch mit an (und stößt ihn ins Unglück)». 38  Dies lässt sich auch in der metrischen Form des 1. Stasimons nachweisen: die für Hymnen typische choriambisch-äolische Form des 1. Stasimons verweist auf  den Hymnos, den der Chor singen sollte und nicht singen kann, bis dann im 3. Strophenpaar (345  ff.) wieder die Dochmien der Parodos, das tragische Metrum par excellence, als rhythmisches Signal der Panik wiederkehren und die Vision des Chores von der Einnahme der Stadt und dem Leiden der Bevölkerung untermalen.

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der befürchteten Einnahme der Stadt Theben in chorlyrischer Manier eine über das Drama hinausweisende Dimension, die das Schicksal Thebens zum Modell für Krieg, Leid, Verwüstung und Versklavung der Bevölkerung macht. Dieser über den speziellen Fall hinausgehende Sinn des 1. Stasimons wird durch zahlreiche Homer-Allusionen 39 unterstützt. In  diesem Spiel mit den chorlyrischen Formen, die den Chor unmerklich zu einer mit Autorität ausgestatteten Person werden lässt, die Zugang zu der Tradition, zur Memoria, besitzt, bereitet Aischylos den Rollentausch zwischen Chor und Eteokles vor. Der zwischen dramatis persona und kultischem Chor oszillierende Charakter des Chors der Sieben wird im 2. Stasimon (V. 720-791) noch deutlicher. Der Schauder vor dem befürchteten Brudermord (V. 720) geht über zum Rückblick auf  das Schicksal der Labdakiden (V. 742 f.) und zu einer gnomisch-theologischen Deutung dieses Schicksals in chorlyrischer Manier (V. 758 ff.). Der chorlyrische Charakter wird dadurch unterstrichen, dass der spezielle Fall, das Schicksal des Oidipus und seiner Söhne, den Anlass zu allgemeinen Reflexionen gibt, und dann der Chor von diesen Reflexionen zum speziellen Fall zurückkehrt (V. 772 ff.). Die kultische und dramatische Funktion des Chores läuft schließlich in der Schlussszene, in dem großen, an das kurze 3. Stasimon anschließenden Klagegesang für die beiden Oidipus-Söhne zusammen. Ein viel diskutiertes Beispiel des oszillierenden Wesens tragischer Chöre findet sich in der sophokleischen Antigone 40. Der Chor reagiert mit dem 4. Stasimon (V. 944-987) in typisch chorlyrischer Manier auf  Antigones Gang in den Tod, indem er zu dem aktuellen Geschehen Parallelen aus dem Mythos anführt und es in Mythen widerspiegelt und deutet, in dem Schicksal von Danae, Lykurgos und Kleopatra, drei Personen hoher Herkunft, die grausam bestraft wurden. Auf  das vergleichbare Schicksal von Antigone und Danae, die Einmauerung, wird durch zweifaches «auch» (καί, V. 944,  948) hingewiesen. Indem Antigone mit Danae gleichgesetzt wird – mit dem Unterschied, dass Danae von Zeus schwanger war –, wird Kreon in Relation zu Akrisios ge  Vgl. Ieranò 2002, 73-92.   Griechischer Text nach: Lloyd-Jones – Wilson 1990; Kommentar zu der Tragödie: Griffith 1999. 39 40

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setzt. Das heißt: Kreon wird wie Akrisios seinem Schicksal nicht entgehen. Auch im Falle des Lykurgos, der als «Gottesfeind» (θεομάχος) wie Pentheus in den euripideischen Bakchen dem Dionysos entgegentrat, wird der Bezug zu Antigone durch den Verweis auf  die Einkerkerung deutlich hergestellt (V. 958, vgl. V. 774). Doch der weitere Bezugspunkt ist, wie die anschließende Teiresias-Szene zeigen wird, wieder Kreon. Lykurg und Kreon sind Widersacher der Götter, die in ihrer Verblendung, aus der sie zu spät erwachen, gegen die Götter ankämpfen und als Strafe ihre eigenen Kinder umbringen oder in den Tod treiben. Durch ihre Lästerungen der Götter (V. 956,  961, vgl. 1064) zerstören sie das soziale und religiöse Leben der Stadt, der Fest- und Opferbetrieb kommt zum Erliegen (vgl. V. 965 mit V. 1006  ff.). Dem Sakrileg des Lykurg, sein Einschreiten gegen die «Gotterfülltheit» (ἐνθουσιασμός) der Bakchantinnen, entspricht Kreons Verurteilung von Antigone selbstbestimmten Handeln, mit dem sie sich wie eine Mänade aus dem von Kreon vertretenen System hinausstellt. Das 2. Strophenpaar ist nur einer einzigen Person gewidmet, Kleopatra, der Gattin des Phineus und Tochter des Windgottes Boreas und der Athenerin Oreithyia. In  dem kryptischen, nur mit Anspielungen arbeitenden Strophenpaar wird in den letzten beiden Versen durch «Kind» (παῖς) – gemeint ist die BoreasTochter – und dem Vokativ «mein Kind» (ὦ παῖ), mit dem der Chor Antigone anspricht, der Bezug zwischen den beiden Frauen und ihrem Schicksal hergestellt, der durch das Stichwort «Höhle» (V. 983 ἐν ἄντροις) und vor allem durch das Adjektiv «unverheiratet» (V. 980 ἀνύμφευτος) schon vorbereitet worden war (vgl. V. 816). Entscheidend ist die Gegenstrophe. Die «wilde Gattin» (V. 973 ἀγρία δάμαρ) Kleopatra blendete, um ihren Mann wegen seiner Treulosigkeit zu strafen, mit eigener Hand ihre Kinder. Das bedeutet: Antigone wird zu einer Frau in Beziehung gesetzt, die aus Zorn und aus gekränktem Selbstgefühl wie Medea in der euripideischen Tragödie unmenschlich wird. Und nicht ohne Grund steht diese mythologisch Anspielung kurz nach dem berühmten und umstrittenen ‘rationalen Kalkül’ (V. 891  ff.), in dem Antigone die geringere Bedeutung von Kindern einem Bruder gegenüber betont. So wie Kleopatra durch ihre Bluttat die Familie vernichtet, zerstört Antigone diese 40

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Ordnung, bevor es überhaupt zur Bildung einer Familie durch die Heirat mit Haimon, Kreons Sohn, kommen kann. Sie zerstört also – und das ist ihre Tragik – gerade den Bereich, für den einzutreten sie vorgibt. So ist denn das letzte Chorlied der Tragödie (V. 11151154) passenderweise ein Hymnos auf  Dionysos, passenderweise in dreierlei Hinsicht. Werkimmanent wird der Bogen zurück zu dem einleitenden Freudenlied des Choreinzugs geschlagen, mit dem die alten Männer der Erleichterung Ausdruck verleihen, dass der Bruderkrieg endlich ein Ende gefunden hat. Dionysos, der thebanische Stadtgott, soll es sein, unter dessen Herrschaft nach Ende des Krieges die Stadt stehen wird (V. 152-154). Zweitens wird durch diese dionysische Rahmung die Tragödie im Festkontext, dem Dionysosfest, verankert. Und drittens wird auf  der inhaltlichen Ebene das Bild der gottbegeisterten, alle Grenzen und Regeln durchbrechenden Antigone noch einmal ins Gedächtnis gerufen. Auch der Chor der sophokleischen Antigone reagiert also in einer der Technik der Chorlyriker entsprechenden Weise auf  das Geschehen. So wie Simonides, Pindar oder Bakchylides von einem aktuellen Anlass, dem Sieg eines Adligen oder einem Götterfest, ausgehen und diesen Anlass auf  einer höheren Ebene, in Gnomen oder Mythen widerspiegeln, erhöhen und deuten, reagiert auch der sophokleische Chor auf  etwas Aktuelles, auf  das, was sich gerade auf  der Bühne ereignet, deutet es in seinen Liedern und entwirft anhand des Bühnengeschehens Zugänge zum Verständnis der Tragödie. In den vorangehenden Überlegungen wurde versucht, die in der modernen Forschung seit August Wilhelm Schlegel (1808) 41 immer wieder betonten ‘Inkongruenzen’ in der Behandlung des Chors 42, das Oszillieren zwischen dramatis persona und chorlyrischem Ich, aus dem ständigen Zusammenspiel von zwei Kommunikationssystemen zu erklären 43. Auf  der einen Seite steht das werkimmanente System, das jeweilige Drama,   Vorlesungen über dramatische Kunst und Literatur, 5. Vorlesung.   Vgl. Zimmermann 2000, 144-160. 43  Der Gedanke ist angelegt in Friedrich Nietzsches Vortrag, Das griechische Musikdrama (in Landfester 1994, 33-49): «Obschon eine Mehrheit von Personen, stellt er doch musikalisch keine Masse vor, sondern nur ein ungeheures, mit übernatürlicher Lunge begabtes Einzelwesen». 41 42

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in dem dem Chor eine ganz bestimmte Charakterisierung zuteil wird, als Mädchen, als Gruppe alter Männer, als Mägde, Kriegsgefangene usw., auf  der anderen das außerliterarische Kommunikationssystem des Festes mit den verschiedenen Arten von Chordarbietungen und die Lebenserfahrung der Zuschauer, die durch ihre passive und aktive Beteiligung an zahlreichen Choraufführungen im Jahreskreislauf  bestimmt ist. Indem die Dichter in ihre Dramen die traditionellen chorlyrischen Formen einbetten und sie dramatisieren, gliedern sie sie in das erste System ein, in das Handlungsgefüge der jeweiligen Tragödie. Durch ständige Anklänge formaler, inhaltlicher und musikalischer Art ist jedoch ständig das zweite System, der Festkontext, präsent. Interpreten, die sich eine Tragödie in der Lektüre aneignen – und diese Art der Aneignung setzt bereits mit Aristoteles ein, der in der Poetik (6,  1450b 15-20) der Aufführung (ὄψις) und Vertonung (μελοποιία) der Tragödie keinen eigenen künstlerischen Wert beimisst und betont, dass sich die Q ualität und Wirkung einer Tragödie gerade in der Lektüre, ohne Schauspieler und Aufführung, entfalten müsse –, trennen die zwei Systeme und lassen den Festkontext außer Acht und stoßen damit auf  diese Inkongruenzen. Für einen Zuschauer in der ersten Hälfte des 5. Jahrhunderts v. Chr. stellte sich dieses Problem nicht. Problematisch wird die Funktion der Chöre erst dann, wenn man über sie zu reflektieren beginnt, erst zu dem Zeitpunkt, zu dem der kultische Charakter der chorlyrischen Aufführungen hinter dem ästhetischen immer mehr verschwindet, wie es sich ab dem letzten Viertel des 5. Jahrhunderts beobachten lässt 44. Die Phönizierinnen des Euripides, die die Sieben gegen Theben des Aischylos und die Antigone des Sophokles aufnehmen, zeigen diesen Wandel ganz deutlich. Die beiden Systeme sind nicht mehr verzahnt, die Handlung läuft auf  der Bühne ab und ist den Schauspielern vorbehalten, der Chor steht gleichsam außerhalb der Handlungskonzeption. Dies   Der Endpunkt dieser Entwicklung ist 386 v. Chr. erreicht. In diesem Jahr beschloss das Volk von Athen, dass künftig auch alte ‘Tragödien’, also Stücke, die schon einmal bei einem Dionysosfest in Athen aufgeführt worden waren, wieder aufführen zu lassen. Indem die bis dahin übliche Einmaligkeit der Aufführungen beseitigt wird, werden die Dramen von geistigen Opfergaben der Stadt für den Gott, die als Opfergaben nur einmal dargebracht werden durften, zur Literatur im modernen Sinne. 44

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wird in den Phönizierinnen dadurch deutlich, dass der Chor von außen kommt, sich auf  der Durchreise befindet und wie ein Zuschauer die Ereignisse in Theben erlebt 45. Die Folge dieser Krise des Chores ist seine schwindende Bedeutung in der dramatischen Handlung, die dazu führt, dass Agathon, ein Zeitgenosse des Euripides und Sophokles, die Chöre seiner Tragödien ganz aus der Handlungskonzeption herausgenommen zu haben scheint und sie nur noch Intermezzi zur Gliederung des Stückes singen ließ. In der nachklassischen Tragödie des 4. und 3. Jahrhunderts lässt sich diese Entwicklung aufgrund des fragmentarischen Erhaltungszustandes nicht verfolgen, wohl aber in der Komödie. In  den Komödien Menanders (342/1-293/90 v.  Chr.) hat der Chor immer, soweit wir dies sehen können, denselben stereotypen Charakter: er ist eine Gruppe bezechter Männer, die bei ihrem ersten Auftritt angekündigt werden, und dann das Stück in fünf  Akte untergliedernde Intermezzi singen, die nicht überliefert sind, also vermutlich nicht vom Dichter selbst stammen. Die Dramen werden so vom multimedialen Ereignis in einem rituellen Kontext zum Sprechtheater.

Literaturverzeichnis Bagordo 2011  = A.  Bagordo, Alkman, in Handbuch der griechischen Literatur. Erster Band: Die Literatur der archaischen und klassischen Zeit, hg. von B. Zimmermann, München 2011, 180-188. Bierl 2001  = A.  Bierl, Der Chor in der Alten Komödie. Ritual und Performativität, München – Leipzig 2001. Burnet 1907  = Platonis opera. Tomus  V, hg.  von I.  Burnet, Oxford 1907. Csapo – Slater 1994 = E. Csapo – W. J. Slater, The Context of  Ancient Drama, Ann Arbor 1994. Easterling 1988  = P.  Easterling, Tragedy and Ritual, Metis 3,  1988, 87-109. Foley 1985 = H. P. Foley, Ritual Irony. Poetry and Sacrifice in Euripides, Ithaka – London 1985. 45  Dasselbe trifft auf  die postum aufgeführte euripideische Iphigenie in Aulis zu: der Chor, Frauen aus Aulis, kommen in das griechische Heerlager, um die großen, nach Troja fahrenden Helden zu sehen, und erleben dann das tragische Geschehen vom Tod der Agamemnon-Tochter Iphigenie.

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GRIECHISCHE CHÖRE ZWISCHEN RELIGION, POLITIK UND KULTUR

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Abstracts In dem Beitrag wird die vielfältige Funktion von Choraufführungen untersucht. Als besondere Form chorischer Aufführung werden Tragödie (und Komödie) verstanden. Der häufig schwer greifbare Charakter dramatischer Chöre wird aus der Genese der dramatischen aus chorlyrischen Formen erklärt. Abschließend werden die erzielten Ergebnisse durch eine Interpretation der Rolle des Chores in der Antigone des Sophokles und den Sieben gegen Theben des Aischylos auf  die Probe gestellt. This paper inquires into the various functions of  choral performance. I  argue that tragedy (and comedy) should be understood as a  par45

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ticular form of   choral performance, and that the often problematic character of   dramatic choruses is a consequence of   the origin of   dramatic forms in choral lyric. I close by testing these conclusions against a consideration of   the role of   the chorus in Sophocles’ Antigone and Aeschylus’ Seven against Thebes.

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LIANA LOMIENTO Università di Urbino «Carlo Bo»

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Sofocle meritò dai contemporanei il soprannome di ‘Ape’. L’antica biografia del poe­ta ne offre una spiegazione illuminante che, come è stato notato 1, coglie assai bene l’eclettismo del suo processo compositivo. Nella porzione conclusiva del bios si dice: «Anche parecchi altri hanno imitato un predecessore o un contemporaneo, ma solo Sofocle come fior da fiore coglie ciò in cui ciascuno è brillante: per questa ragione era detto l’Ape. E introduceva, mescolandoli, un buon tempismo (εὐκαιρίαν), dolcezza (γλυκύτητα), audacia (τόλμαν), varietà (ποικιλίαν)» 2. L’anonimo biografo si diffonde quindi in considerazioni sullo stile poe­tico. «Sofocle – afferma – sapeva calibrare senso del­l’opportuno (καιρός) e azioni, sicché da un breve emistichio o da una singola parola (λέξις) riusciva a tratteggiare un intero carattere, e questo è massimamente grande nella composizione poe­tica: rendere chiaro un carattere o una passione». E aggiunge una notizia attinta al­l’autorità di Aristosseno, secondo la quale Sofocle, «per primo tra i poe­ti di Atene, introdusse nei suoi canti la melodia frigia e la combinò con lo ‘stile ditirambico’ (διθυραμβικοῦ τρόπου)» 3. Power 2012, 286.   Vita Sophoclis 20. La dolcezza di Sofocle è sottolineata dalle fonti comiche, cfr.  Aristoph. fr.  581 K.-A., Schol. Aristoph. Vesp. 462; cfr.  anche Schol. Soph. OC 17. 3   Probabilmente in un’opera περὶ μουσικῆς, fr.  79 Wehrli  = Vita Sophoclis 20-21: φησὶ δὲ Ἀριστόξενος ὡς πρῶτος τῶν Ἀθήνηθεν τὴν φρυγίαν μελοποιίαν εἰς τὰ ἴδια ἄσματα παρέλαβε καὶ τοῦ διθυραμβικοῦ τρόπου κατέμιξεν. La medesima notizia è riportata in una forma assai simile anche da Psell. Peri tragōidias 44 s. Perusino (= test. 79b Ieranò) e commento alle ll. 62-64. Subito dopo avere menzionato l’innovazione di Sofocle, Psello ricorda Agatone, che a sua volta avrebbe 1  2

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L’informazione non è stata solitamente approfondita negli studi su Sofocle 4, ma merita qualche indagine supplementare perché, attingendo al­l’autorevole fonte aristossenica, documenta un’im­ portante innovazione, tra le altre numerose introdotte da Sofocle nel teatro ateniese di V sec. a.C. Πολλὰ ἐκαινούργησε, informa ancora la Vita  (4), e  se anche non tutte le invenzioni risalivano effettivamente a lui, è evidente come il compositore fosse percepito aperto alle novità, sia nella drammaturgia che nella musica 5. L’armonia frigia andava ad affiancarsi, in virtù di tale innovazione sofoclea, alle armonie dorica e mixolidia, tradizionalmente adottate nella tragedia classica: la prima, associata di solito alla cetra, solenne e composta, adatta a infondere nel­l’animo fermezza e moderazione e prediletta dalla élite aristocratica; 6 suscitatrice di forti emozioni, anche luttuose, la seconda 7. L’armonia frigia era ritenuta dagli antichi tipicamente ditirambica 8. Di solito eseguita con l’aulos 9, si prestava a esprimere un’ampia gamma di stati d’animo, dalla gioia misurata alla pietà, alla selvaggia esaltazione, allo stato di frenesia mistica. Era dunque mimetica e versatile 10. Appariva così connaturata al ditirambo che, si narrava, quando, nel­l’ultimo quarto del V secolo a.C., Filosseno tentò di comporre i Misii sulla innovato le forme del teatro attico introducendo le armonie ipofrigia e ipolidia, a loro volta più confacenti al ditirambo e utilizzate, come sappiamo dallo PseudoAristotele, Probl. 19,  30,  48, non nei corali strofici ma solo nei canti solistici ἀπολελυμένα. 4  Con la sola eccezione di Power 2012, che si sofferma, comunque, sugli aspetti strettamente musicali del­l’opera sofoclea. 5  Power 2012,  287; sulle innovazioni introdotte da Sofocle, cfr.  Vita 4-6 e  Aristot. Poet. 4,  1449a 18; da ultimo vd.  Davidson 2012 a, 38-52 e  2012 b, 185-250. 6 Plat. Lach. 188d. Nella Repubblica Platone conserva l’armonia frigia, ma da eseguire alla lyra, non sul­l’aulos, e dunque ‘resa più sicura’, cfr. Power 2007 (Ion of  Chios), 187 n. 29, e ora Lynch 2016, 267-284. 7  Ps. Plut. Mus. 16, 1136d; Aristox. fr. 82 Wehrli; Psell. Peri tragōidias 5, 39 Perusino. Cfr. West 1992, 352. 8 Aristot. Pol. 8,  1342b 1-12; Procl. ap. Phot. Bibl. 5,  320a-b, 160,  25-33 Henry = test. 1 Ieranò. 9  Ma non esclusivamente: Stesicoro nel­ l’Orestea (fr.  212 Page/Davies) parla di un canto frigio, e  l’opinione condivisa è  che – trattandosi di Stesicoro  – esso fosse eseguito con l’accompagnamento dello strumento a  corda: cfr.  West 1992, 180, n. 70. 10 Aristot. Pol. 8, 1342a 32-b 12; cfr. 8, 1340b 4; Procl. ap. Phot. Bibl. 320b. Cfr. West 1992, 180.

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harmonia dorica, non riuscì a  completarlo; la natura del genere l’indusse a tornare al­l’harmonia frigia, che era la più appropriata a quel tipo poe­tico 11. Non stupisce, quindi, che Sofocle, introducendola nei propri canti, la combinasse con lo ‘stile ditirambico’ 12. Q uanto al­l’espressione διθυραμβικὸς τρόπος, possiamo ragionevolmente assumere che debba riferirsi, oltre alle specificità melodiche e tonali, in generale a tutti gli aspetti formali che contraddistinguono il ditirambo: la dizione (lexis), la capacità mimetica di rappresentare caratteri attraverso il racconto, un uso più libero, e tuttavia specifico, dei metri-ritmi e, nella temperie innovativa, di cui Sofocle fu diretto testimone, che investì il ditirambo dalla metà del V secolo a.C., la possibilità della modulazione armonica e del passaggio dal­l’uno al­l’altro dei generi diatonico, enarmonico e cromatico 13. Ciò che sorprende è l’idea che proprio Sofocle, che dai contemporanei e dai posteri fu giudicato il più virtuoso e moderato dei tragediografi, introducesse nel suo teatro canti nello stile che dagli stessi antichi era posto agli antipodi della sophrosyne e della 11 Aristot. Pol. 8, 1342b 3 ss. = Philox. fr. 15 Fongoni. Sulle possibili implicazioni di questa notizia cfr. West 1992, 181 e 364 s. e, sugli aspetti ideologicopolitici latenti, Csapo 2004, 232-235. 12  L’espressione διθυραμβικὸς τρόπος è intesa in questo modo anche da West 1992, 181. L’uso di καταμείγνυμι lascia cogliere la concretezza del processo compositivo: Sofocle adatta la scala musicale frigia ai suoi canti combinandola, naturalmente e  conseguentemente, con lo stile ditirambico. L’espressione non può invece intendersi nel senso che «l’estensione delle note della harmonia frigia si colloca nel­l’ambito tonale del τρόπος ditirambico» (Comotti 1989,  47), che presuppone un’interpretazione assai tecnica della notizia (ultima di una serie di riflessioni, al  contrario, molto generali sullo stile di Sofocle), e  un uso di tropos documentato non prima di Aristide Q uintiliano. Per altro, non cambie­ rebbe la sostanza del­l’informazione: se Sofocle usò l’intonazione ditirambica e la scala frigia, lo fece evidentemente nel­l’ambito di canti composti in quello stile poe­tico. 13   Sul­l’espressione διθυραμβικὸς τρόπος con lo stesso valore di ‘stile’, ‘maniera’, cfr. anche Philodem. de mus. 4, col. 31, 6 Delattre = Philox. T36 Fongoni, e Fongoni 2014, 28 s.: «il termine τρόπος … alla l. 1 … indica lo ‘stile personale’, costituito da tutti quegli elementi di tipo lessicale, contenutistico, formale e musicale utilizzati da ciascun autore nella realizzazione e  nel­l’esecuzione delle proprie composizioni poe­tiche in generale e  ditirambiche nel caso specifico». In Dion. Hal. Comp. 19 = Philox. T37 Fongoni τρόπος è usato come sinonimo di harmonia. Sulla complessa varietà dei tratti formali distintivi dello ‘stile ditirambico’ cfr.  Ieranò 1997,  87-106; 289-303; Hordern 2002,  17-25; 33-43; Csapo 2004, 207-229.

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eukosmia 14. La sensibilità musicale di Sofocle è, d’altra parte, ben sottolineata nelle fonti. È l’unico, dei tre maggiori drammaturghi ateniesi, di cui si documentino esplicitamente le tappe della formazione musicale e la partecipazione attiva, in gioventù, ad agoni musicali 15. Secondo la testimonianza di Psello 16, Sofocle avrebbe introdotto nel teatro classico oltre al­l’armonia frigia anche l’armonia lidia, che gli antichi sentivano appropriata alla citarodia 17. Tale notizia sta forse in relazione con il fatto, innovativo a sua volta, che Sofocle nelle sue tragedie dette spazio alla kithara: fu celebre nel­l’antichità, e persino dipinto nella Stoa Poikile, l’episodio del Thamyras, che aveva protagonista il mitico citarodo, nel quale Sofocle, con un colpo di scena certo impressionante nel teatro di Dioniso e del­l’aulos, si sarebbe esibito con la kithara – forse nei panni stessi di Thamyras – in un a solo 18. Proprio come già Pindaro e come poi Timoteo, anche Sofocle sapeva comporre musica per aulos e per strumento a corda 19. Tornando alla notizia, documentata dalla Vita, da cui si era partiti, essa desta, tuttavia, stupore perché non tanto Sofocle, quanto piuttosto Euripide era associato, nel giudizio degli antichi e ancora nella rappresentazione dei moderni, alle innovazioni musicali e  alla forma ditirambica del canto 20. Il  ruolo apparentemente minore di Sofocle nelle Rane rinforza l’impressione che il poe­ta, escluso dalla comica catabasi perché troppo pacifico (εὔκολος) per evadere dal­l’Ade (v. 82), occupasse nella communis opinio una posizione d’equilibrio tra l’arcaica solennità di Eschilo e lo spe­ri­menta­lismo modernista di Euripide 21. La responsa  Cfr. per es. Levett 2004, 29.   Vita Sophoclis 3. Sugli agoni musicali ad Atene cfr.  Hordern 2002,  22; in particolare sugli agoni ditirambici, Wilson – Csapo 2009, 292. 16  Psell. Peri tragōidias 44 s. Perusino (= test. 79b Ieranò), cit. 17   Paus. 9,  5, 7; Ps.  Plut. Mus. 15,  1136c; Procl. ap. Phot. Bibl. 5,  320b. Cfr. West 1992, 181. 18  Vita Sophoclis 5; Athen. 1, 20e-f; Eust. ad Il. 3, 54, p. 381, 8; cfr. Power 2012, 298; Power 2013, 239. 19  Su Pindaro innovatore nei ditirambi cfr. Hor. Carm. 4, 2, 10-12. Su Timo­ teo vd. Hordern 2002, 24. 20  Le fonti parlano di collaborazione attiva tra Euripide e Timoteo, e la critica evidenzia le loro relazioni reciproche: cfr.  P.Oxy. 1176,  24 e  Plut. An seni res publica gerenda sit 795d; cfr.  Kovacs 1994,  26,  59; Porter 1994; Csapo – Wilson 2009, 278. 21   Power 2012,  286. Il  poe­ta comico, tuttavia, non può essere considerato 14 15

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bilità del­l’ado­zione a  teatro della ‘Nuova Musica’ era assegnata a  Euripide e ad Agatone: in particolare, del­l’adozione dei suoi tratti formali classificati come ‘decadenti e  corrotti’, condivisi da ditirambografi come Melanippide, Cinesia e, poi, Timoteo 22. Nel teatro euripideo conservato, specie nelle tragedie successive agli anni ’20 del V sec. a.C. 23, numerosi sono parsi i brani lirici che esibiscono i caratteri tipici del ‘Nuovo Ditirambo’ e, più in generale, della cosiddetta ‘Nuova Musica’, che divenne popolare ad Atene in virtù della crescente spettacolarizzazione, in occasione di importanti competizioni, di generi lirici come il nomos e il ditirambo, opera, spesso, dei mede­simi poe­ti 24. Tra i  tratti distintivi del nuovo stile è  il progressivo superamento della composizione antistrofica, tradizionalmente associata al  coro ditirambico 25. Per influenza del ‘Nuovo Nomos’, con cui sempre più si confonde nei tratti formali, sono introdotte anche nel ditirambo lunghe sezioni sciolte da responsione strofica, più adatte, in linea di principio, a virtuose esecuzioni solistiche 26. troppo significativo in tal senso: lo scoliaste alla Pace 531c2 sostiene esplicitamente che Aristofane nobilitasse Sofocle non tanto per amore verso Sofocle stesso, quanto piuttosto per l’odio verso Euripide. 22  Basti pensare alle parodie euripidee in Aristoph. Ra. 830-1413; sulla musica resa malconcia dai musici del ‘Nuovo Ditirambo’ il documento più eloquente è  Pherecr. F 155 K.-A.; cfr.  anche Schol. Aristoph. Nub. 971a-b. Cfr.  Power 2012, 292; Power 2013, 239; Csapo 1999-2000, 405 ss.; Battezzato 2005, 163 ss.; LeVen 2014, specialmente 74-75. Su Cinesia in particolare vd.  Ieranò 2013 e, in questo stesso volume, il contributo di J. Franklin. 23   Vd. su questo le osservazioni di LeVen 2014, 73-112. Per i canti euripidei interessati vd. infra. 24 Sul concetto, introdotto dai moderni, di ‘Nuova Musica’ cfr.  Csapo 2004, 207: «The practitioners of   the new style describe their songs as ‘novel’, or ‘modern’ as opposed to ‘ancient’, ‘old-fashioned’, or ‘traditional’». Cfr. anche ibid. 208. 25  E forse anche al nomos delle origini, che sarebbe stato a sua volta eseguito da cori, e non solistico, come nella forma evoluta di V secolo. Sulla complessa e tuttora aperta questione cfr. Gostoli 1990, XXVI-XXVIII. 26  Ps.  Aristot. Probl. 918b  = T 76 Ieranò. Cfr.  Pickard-Cambridge 1962, 40-41; Gostoli 1990,  103: «La ricerca di una maggiore libertà espressiva da parte dei nuovi musici aveva avuto come effetto la valorizzazione del canto a solo nei versi liberi a  scapito di quello strofico, che permetteva un grado minore di espressività mimetica, al  punto che anche nel ditirambo furono introdotti preludi lirici astrofici (ἀναβολαί). Di conseguenza, il proemio era diventato da quel periodo il prototipo della musica astrofica e  virtuosistica»; Ieranò 1997,  295296. Sul­l’influsso esercitato sul ditirambo dalle libere forme astrofiche del nomos cfr. Csapo 2004, 213.

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Ciò non significa che il ditirambo divenisse solistico: come studi recenti ribadiscono, c’era, di fatto, un’immensa varietà performativa, e questo genere poe­tico poteva essere eseguito stroficamente e  astro­fi­ca­mente, con l’aulos o  con la kithara 27, o  entrambi, come spettacolo a  teatro o  come processione, come canto corale o  anche come canto a  solo 28. In  tanta fluidità di forme, il tratto che accomuna e definisce i  canti in ‘stile ditirambico’ resta – come è stato osservato – la cornice rituale e dionisiaca 29. Un secondo aspetto che le fonti antiche evidenziano è dato dalla complessità armonica (ποικιλία) e  melodica (πολυχορδία) 30. Il ditirambo fu il luogo pri­vile­giato della sperimentazione musicale: basti pensare ai suoi espo­nenti di maggiore spicco, da Laso di Ermione, a Pindaro, che vanta l’originalità del nuovo stile nel­ l’incipit del ditirambo  II, per i  Tebani 31, a  Melanippide, le cui invenzioni valsero a  incrementare il virtuo­sismo del­l’auleta 32, e  ancora a  Frinide, a  Filosseno, allo stesso Timoteo 33. Un  ulteriore aspetto evidenziato dalla critica antica e moderna, è la lexis. L’audacia e la musicalità del linguaggio, fortemente immaginifico e ricco di metafore, di perifrasi, di enigmi, di epiteti composti, e che armonizza, a  un tempo, lessico tradizionale e  temerari neo­ logismi 34; il carattere emozionale, vivido e teatrale della narrazione, che cerca l’icasticità visiva, sono tutti aspetti distintivi della dizione ditirambica e, soprattutto, neo-ditirambica e del ‘Nuovo Nomos’. Tutti contribuirono ad affinarne, nel tempo, le potenzia  Cfr. Power 2013.   Cfr. D’Angour 2011, 195 s., e da ultimo Ford 2013, 313. 29   Ieranò 2013, 368-386. 30  Ps. Plut. Mus. 29, 1141c-d; Psell. Peri tragōidias 50 Perusino; cfr. LeVen 2014,  81-83. Sugli aspetti di complessità della ‘Nuova Musica’, la polychordia, la polymetria, la polytretia, la polyharmonia, la polychromia, la polykampteia, la polyeideia, la polyphonia, la generale poikilia, cfr. Csapo 2004, 229 e n. 98. 31  Sulle particolari implicazioni di questo incipit rinvio alle considerazioni di D’Angour 2011, 195-198; Power 2013, 240 e n. 13. 32  Barker 1984, 93 lo data al 480-430 a.C.; West 1992, 357, al 440-415 a.C. Cfr. Aristot. Rhet. 3,1409b; Ps. Plut. Mus. 30, 1141d; Power 2012, 292-293. 33  Ps. Plut. Mus. 30, 1141d riporta il resoconto – interessante perché coevo – del comico Ferecrate sugli esiti delle novità introdotte dai ditirambografi del tempo; sulla storia e  l’evoluzione del ditirambo cfr., in generale, Pickard-Cambridge 1962, 1-59. 34  Un carattere questo che sembra, in effetti, già proprio del ditirambo pindarico, cfr. Lavecchia 2000, 14-15 e n. 18; 16-18. 27 28

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lità drammatiche rispetto allo stile eminentemente narrativo delle origini 35. In virtù di tali caratteristiche, il linguaggio ditirambico plasma icasticamente i  caratteri di volta in volta rappresentati: le parole vi sono scelte per le loro qualità musicali e mimetiche, e  la sintassi è  mobile, al  pari del metro e  della musica 36. Sebbene dei ditirambi della seconda metà del V secolo sopravviva pochissimo, informazioni importanti provengono, come detto, dai canti euripidei, dalle coeve parodie comiche e dagli oltre 200 versi conservati dai Persae di Timoteo, in senso stretto un nomos, che tuttavia si può per molti aspetti considerare rappresentativo dello ‘stile ditirambico’ 37. Q uanto al­l’aspetto metrico, di là da generiche notazioni, negli studi moderni, relative alla polimetria del ‘Nuovo Ditirambo’, esso resta, tra tutti, l’aspetto meno indagato. Chi ripercorra l’esile corpus dei canti ditirambici a  partire dal­l’età arcaica particolar­ men­ te sotto il profilo della forma metrica, potrà osservare come, accanto a  composizioni in kat’enoplion-epitriti, le misure tradizionali del­l’epica citarodica, del tutto adeguate – a  ben rifletterci  – ai  contenuti narrativi del ditirambo arcaico 38, sia documentata una seconda tipologia, polimetra, di specifica composizione giambo-trocaica, dove sono ammessi come forme va35  Plat. Resp. 3,  394c; l’espressività del ditirambo (‘Nuovo’) è  chiara da Aristot. Poet. 1, 1447b 24-27; 15, 1454a 30-31, dove il filosofo non esita a classificarlo tra le arti mimetiche insieme alla tragedia e  alla commedia; cfr.  Csapo 2004,  216; Hordern 2002,  17-21; e  per il nomos ibid., 29-30; Wilson  – Csapo 2009,  287 s.; Ford 2013,  315 e  n.  7. Cfr.  ancora, ma in termini assai critici, Plat. Crat. 409c; Aristot. Rhet. 3, 1406b 2, dove il ditirambo è condannato come ‘rumoroso’ (fatto, cioè, di paroloni tutto suono). 36 Ps. Aristot. Probl. 918b (= T 76 Ieranò); Wilson – Csapo 2009, 289. 37  Cfr. Ford 2013, 316, dove i Persiani sono definiti tout court un «dithyrambic nome», e 317 ss. Sui caratteri ibridi del nomos di Timoteo, che per in­fluen­za della ‘Nuova Musica’ esibisce caratteristiche comuni al ditirambo coevo, cfr. West 1992, 363; Hordern 2002, 29 s. 38  Lamprocle, PMG 736 (ma è incerto se si tratti effettivamente di un ditirambo); Ione di Chio, PMG 745 = (dith. 83 Leurini); Melanippide, PMG 757 (Danaidi); 758 (Marsia); 759 (Persefone), dove è  notevole la tematica eroica e mitica; vd.  inoltre PMG 760 e  763, di luogo incerto; Licimnio, PMG 769 e 771 (di luogo incerto); Simon. PMG 947 (= F 254 Poltera); Bacchilide, dith. 15 e 19; Pindaro, frr. 70B (Hercules o Cerberus); 72 e 74 (Per i Tebani); 76 e 77 (Per  gli Ateniesi); 78 Maehl.; ancora Timoteo, PMG 780 (Ciclope) e  781. Ps.  Plut.  Mus. 4,  1132d-e nota significativamente come al  principio Timoteo adottasse la lexis ditirambica e  i metri del­l’epos citarodico per non distaccarsi troppo dalla tradizione musicale più antica.

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rianti cretici e docmi, e dove le serie giambo-trocaiche sono talvolta interrotte da misure eoliche, o da misure in ritmo dattilico (anapesti, dattili, ionici) 39. Tale tipica polimetria, con un dosaggio di volta in volta diverso degli ingredienti costitutivi, si riscontra – se non già in Laso, di cui le fonti dicono che «adeguando i ritmi al­l’andamento del ditirambo e imitando la polifonia degli auli  … provocò un sostanziale mutamento nel sistema musicale preesistente» 40 – certamente in Pindaro 41. Essa sembra divenire, tra le due, col tempo quella preminente, per quel poco che si può osservare, nella produzione di Teleste e di Filosseno 42, ma è ben visibile nel tardo inno a Poseidone che celebra l’arrivo, al Tenaro, del­l’inventore del ditirambo, Arione 43. A questa stessa specie di polimetria attinge anche Timoteo, nei Persiani, l’opera che, come dicevamo, allo stato attuale della nostra documentazione, 39  Vale la pena di notare che già le fonti antiche identificano la tessitura metrica tipica del ditirambo nella mescolanza di misure giambiche e  anapestiche; cfr. T 190-193c Ieranò. 40 Ps.  Plut. Mus. 29,  1141c  = T 15 Brussich; su Laso PMG 702, per cui è incerta l’interpretazione metrica, vd. Prauscello 2013, 80-88. 41   Frr. 70a; 70c; 70d; 75 Maehl.; una composizione metrica molto simile è documentata, in Pindaro, anche nel paean I = fr. 52a Maehl., che Rutherford 2001,  451 definisce «the most cretic-looking fragment of   Pindar’s Paianes». Cfr. ancora Ione di Chio, PMG 744 (= 86 Leurini), di cui non è chiaro, tuttavia, se si tratti di ditirambo. La medesima composizione metrica in Pratina, PMG 708 dove, di nuovo, non è  chiaro se si tratti di ditirambo (Csapo 19992000,  417 e  n.  32) o  di dramma satiresco (sulla possibile vicinanza dei due generi compositivi, cfr. ora LeVen 2014, 222-223; 231-232). Di Simonide, che fu l’autore arcaico forse più prolifico nella composizione di ditirambi (cfr.  Anth. Pal. 6,  213), quasi nulla è  conservato; il PMG 947 (= 254 Poltera) è  in kat’enoplion-epitriti; del PMG 541, che pure presenta una polimetria assai prossima a quella che diviene preminente nel ‘Nuovo Nomos’ e nel ‘Nuovo Ditirambo’, è  incerto il genere compositivo (la metrica farebbe propendere per il ditirambo) e persino l’autore. Cfr. Lomiento 2014, 436, n. 106. Q uanto a Bacchilide, il dith. 16 è certamente improntato a una certa polimetria, sebbene non quella tipica del ‘Nuovo Ditirambo’; il dith. XVII è in metra ex iambis orta, in particolare cretici, bacchei e giambi, dunque una forma metrica omogenea, diversa dalla polimetria che caratterizza il ‘Nuovo Ditirambo’; il dith. XVIII è in metri eolici, con occasionali ionici e giambi, esibisce dunque una polimetria non tipica. I dith. XV, XIX, XX, XXIV, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX sono in kat’enoplionepitriti; il restante è scarsamente analizzabile. 42 Telest. PMG 805, Argo, di argomento eroico; 808 (Imeneo); l’altra opera, Asclepio, PMG 806 conserva una brevissima porzione di dattili, testimone troppo esile per poterne trarre conclusioni attendibili. Philox. PMG 819-821 e  824  = 7-9 e 12 Fongoni (Ciclope), di argomento mitico. Cfr. Fongoni 2014, 25. 43  PMG 939, cfr. Csapo 1999-2000, 417; Csapo 2004, 214 s.

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rappresenta al  meglio il tipico prodotto poe­tico della ‘Nuova Musica’ 44. Coerenti con questo significativo testimone, si allineano i documenti del teatro euri­pideo e, non meno rilevanti, le parodie di Aristo­fane, dove la presenza del nuovo stile musicale si manifesta puntualmente anche sotto il profilo della polimetria, con l’esibizione di quel­l’identica tessitura metrica 45. Per quanto riguarda Euripide, la lista è abbondante e include, in primo luogo, assolo e  duetti (si  pensi alla monodia del Frigio nel­l’Oreste, vv. 1369-1502 o al lungo duetto lirico tra Edipo e Antigone nel­ l’exodos delle Fenicie, vv. 1710-1758) 46 che, coerentemente con la recente tendenza musicale, abbandonano la tradizionale struttura κατὰ  σχέσιν e  presentano la specifica polimetria esemplarmente documentata nei Persae. In  questo  novero sono da comprendere, a mio avviso, anche alcuni canti amebei tra scena e orchestra, anch’essi di norma sciolti da responsione strofica, che corrispondono in pieno alle caratteristiche sopra ricordate e, in particolare, alla specifica struttura polimetra di cui s’è detto. Essi sono il kommos tra Dioniso e  il Coro nelle Baccanti, vv.  576-604; la grandiosa exodos nella Ifigenia in Aulide, che ha forma di amebeo tra Ifigenia e  il Coro delle donne di Calcide (vv.  14751531); infine le Fenicie, vv.  301-354, con l’amebeo tra il Coro e  Giocasta 47. A questi va aggiunto l’epodo della mae­stosa paro Ps. Plut. Mus. 4, 1132e; Procl. ap. Phot. Bibl. 320a; Dion. Hal. Comp. 131; cfr. Wilson – Csapo 2009, 284 e 289 s. Sulla sovrapponibilità di nomoi e ditiram­ bi nel­l’opera di Timoteo, cfr. anche D’Alessio 2013, 117, e già Csapo 2004, 215. Sui metri dei Persae cfr. Hordern 2002, 55; uno studio analitico sulla dizione e la teatralità dei Persae ora in LeVen 2014, 193-218. 45  Eschilo resta escluso: la sua metrica, per quanto può osservarsi (cfr. Fleming 2007), non esibisce la polimetria tipicamente ditirambica che qui interessa: e ciò è, in certa misura, prevedibile in considerazione del fattore cronologico e culturale; una tipologia somigliante alla polimetria ditirambica, ma non perfettamente coincidente con essa, si può osservare – a tratti – nella tarda Orestea, Ag. 975-987 = 988-1000 (III stasimo). 46   Ricordati da Hordern 2002,  56  ss. Cfr.  ancora Andr. vv.  825-865 (amebeo Ermione-Nutrice, apolelymenon); Hel. 330-385 (kommos Elena-Corifeo, apolelymenon); Hypsipyl. fr.  64, vv.  70-111 Bond (amebeo Ipsipile/Euneo, apolelymenon); Ion vv. 1439-1509 (apolelymenon); IT vv. 827-899 (amebeo Ifigenia/ Oreste, apolelymenon); IA vv.  1283-1335 (monodia di Ifigenia, apolelymenon); Or. vv. 982-1012 (monodia di Elettra; epodo del threnos, dunque apolelymenon), su cui cfr. Hordern 2002, 56 ss.; Phoin. 1485-1581 (apolelymenon). 47  In  Hel. 229-252 (monodia di Elena) e  Phoen. 1019-1042  = 1043-1066 (stasimo), l’aspetto metrico, di metra ex iambis orta, evoca suggestivamente il ditirambo 17 di Bacchilide. 44

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do nelle Baccanti, vv.  135-169, un corale che, di fatto, si finge amebeo 48. Ma il principale bersaglio polemico delle parodie di Aristofane nelle quali si osserva la stessa polimetria di giambi, trochei e docmi cui s’intercalano misure di ritmo dattilico (anapesti, dattili, ionici), sembrano primariamente essere i  canti solistici: così nelle Nuvole (vv. 1154-1170) dove Strepsiade esegue un canto breve e  concitato 49; negli Uccelli (vv.  229-259) 50, con l’a  solo di notevole varietà metrico-ritmica intonato da TereoUpupa; nelle Tesmoforia­zuse (vv.  1015-1055) dove, introdotto significativamente da Euripide, il Parente nei panni di Andromeda si cimenta con un canto assai complesso 51; infine nelle Rane (vv. 1343-1363), dove Eschilo fa il verso a Euripide, modulando una tipica monodia 52. C’è ora da chiedersi come, in tale scenario, debba essere collocata la notizia nella Vita Sophoclis, da cui s’era partiti. Converrà fare subito qualche valutazione di tipo cronologico, per inqua­drare l’attendibilità storica di tale informazione. Alcuni tra i maggiori autori di ditirambi, e innovatori essi stessi, tra i quali Melanippide (475-415  a.C.), Frinide (460-400  a.C.), Cinesia (450-390  a.C.), Teleste (450-390  a.C.) furono contemporanei di Sofocle, il cui debutto alle Grandi Dionisie è ipoteticamente collocato al 468 a.C., quando il poe­ta uscì vincitore dal confronto con Eschilo 53. In una simile temperie musicale e in un così appassionante clima intellettuale in atto nella sua città, plausibilmente Sofocle, compositore preparato e sensibile qual era, difficilmente restò del tutto immune dai mutamenti in atto, ed è  anzi verisimile che egli li adottasse nei suoi cori drammatici. Non mancano, peraltro, casi speculari di ditirambografi che attinsero ai modi musicali propri del teatro tragico; è  noto l’esempio del­l’auleta Pitoclide, maestro di Pericle, che sembra riadattasse nei propri 48  Sulla struttura ‘amebea’ del­l’epodo, dove il dialogo è, effettivamente, tutto interno al  canto, cfr.  Cerri 2009; vd.  anche Csapo 1999-2000,  408, n.  22 con ulteriori riferimenti bibliografici. 49  Schol. Aristoph. Nub. 1154b. Il  riferimento a  Euripide non è  unanimemente condiviso, ma probabile: cfr. Parker 1997, 204-206. 50  Sulla monodia del­l’Upupa come parodia della ‘Nuova Musica’ cfr.  di recente Barker 2004. 51  Cfr. Parker 1997, 442 s. 52  Cfr. Parker 1997, 514 s. 53   Cfr. Raaflaub 2012, 471; TrGF IV (Radt), T 32-41.

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ditirambi l’harmonia mixolidia 54. Le  sette tragedie di Sofocle interamente conservate sono di datazione incerta, ma tutte collocabili nel periodo che va dal 449 a.C. al 401 a.C. (la data della rappresentazione postuma del­l’Edipo a  Colono): dunque risalgono alla fase matura della carriera del poe­ta, attivo già da una ventina d’anni. Stabilito ora che si tratta di una notizia affidabile dal punto di vista storico, e che nel contesto agonale e dionisiaco che ospita le performances drammatiche, la presenza del­l’armonia frigia, combinata con i  tratti formali sopra ricordati, poteva essere un elemento attivo anche nel dramma sofocleo, non si tratta, ovviamente, di rintracciare veri e  propri ditirambi intercalati nelle porzioni liriche, ma di canti tragici che ne evocano lo stile. La presenza di questo stile è apprezzabile per noi non più sotto il profilo armonico, ma per lo meno al livello della costruzione strofica, del­l’espressività mimetica (lessicale e retorica) e della forma metrica. Proprio sul­l’aspetto metrico dello ‘stile ditirambico’ che a  quel­l’armonia si sarebbe combinato, vorrei ora concentrarmi e, in particolare, sulla specifica polimetria che, come detto, nella seconda metà del V  secolo  a.C. sembra divenire caratteristica sotto l’influsso della ‘Nuova Musica’. Se  passiamo in rassegna i  canti di Sofocle sulle tracce della polimetria tipicamente ‘ditirambica’ di giambi e trochei con variazioni di cretici e docmi, e l’inserzione di porzioni dattiliche e anapestiche, o  di misure eoliche o  ioniche, troviamo che esse sono ravvisabili sin dalle tragedie più antiche, datate tra il 449 e il 425 a.C. La polimetria di ‘stile ditirambico’ compare in canti corali oppure, in misura crescente, in dialoghi lirici tra l’orchestra e  la scena, quelli stessi osservati in Euripide. Diversamente da Euripide, mancano gli assolo e, di norma, i duetti, e la struttura poematica è, con pochissime eccezioni, antistrofica, ma le strofi assumono un’esten­sione via via crescente. La forma metrica libera e l’estensione del canto superiore al­l’ordinario, consentono al  poe­ta caratterizzazioni espressive e tematiche assai diverse: il dolore contenuto di Tecmes Ps.  Plut. Mus. 16,  1136d sostiene che Pitoclide fosse l’inventore della harmonia mixolidia, inventata da Saffo secondo Aristosseno (fr.  81 Wehrli). Come che sia, una plausibile implicazione di questa notizia è che Pitoclide manipolasse sperimentalmente una delle harmoniai musicali tradizionalmente associate alla tragedia, cfr. West 1992, 182 e n. 89; Power 2012, 293. 54

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sa per la perdita dello sposo nel­l’Aiace, nel­l’amebeo con il Coro dei Marinai (γενναία δύη, v. 938; vv. 879-914 = 925-960), o quello straziante di Antigone che, dialogando con i Vecchi di Tebe, va a morte (Ant. 830-856 = 858-875; 876-882); il turbamento delle Donne di Trachis in un canto amebeo sciolto da responsione nelle Trachinie (vv.  863-899) 55, e quello dei Vecchi Tebani, nel IV  stasimo del­l’Edipo  Re, dopo la fatale scoperta del vero sul figlio di Laio (vv. 1204-1212 = 1213-1221/2), la tensione emotiva di Edipo al termine dello scontro con Creon­te, ancora nel­ l’Edipo Re, nel dialogo lirico tra Edipo e il Coro (vv. 649-668 = 678-697). L’identica polimetria esprime in Trachinie vv.  205224, unico canto corale concepito come apolelymenon nel corpus sofocleo che resta, la gioia per il ritorno di Eracle. Si tratta di un canto fortemente ibrido, che si apre come un peana e si conchiude come un ditirambo, del quale reca, peraltro, la tipica veste metrico-ritmica 56. Q uando Platone, nelle Leggi, stigmatizzava i  poe­ti del tempo, che mescolavano insieme threnoi, inni, peani e ditirambi, egli pensava forse non tanto, in generale, ai prodotti della ‘Nuova Musica’, quanto piuttosto alle odi corali della tragedia, e a canti come questo 57. La medesima polimetria si presta a sostenere, nel secondo stasimo del­l’Antigone (vv. 583-593 = 594-603) il racconto dei mali che si abbatterono sulla stirpe di Labdaco e, nel IV  stasimo, la rievocazione del tremendo destino di Cleo­ patra, sposa di Fineo (vv. 968-978 = 979-987). Il gioioso racconto sulle possibili origini di Edipo che il Coro dei Vecchi intona nel III  stasimo del­l’Edipo Re (vv.  1086-1097  = 1098-1109), introducendo una fiabesca sospensione nel processo della scoperta, di nuovo esibisce questa medesima tessitura polimetra. La quale si presta anche, nelle tragedie di Sofocle, a  dar struttura a  canti   Cfr. ancora Soph. Eurypyl. fr. 210 Radt; Csapo 2004, 216.   Per approfondimenti vd. recentemente Power 2012, 293-296, con ulteriori riferimenti bibliografici. 57  Power 2012,  293 considera questo un chiaro esempio della ‘Nuova Musica’ per la libertà ritmica, l’ibridazione dei generi corali, e l’efficacia mimetica. Ved. Rutherford 1995, 120; cfr. anche Csapo 2004, 207: «when ancient critics spoke collectively of  works in the style of  (what we call) New Music, they tended to speak of   ‘theatre music’, or otherwise explicitly connect it with the theatre», con la precisazione che ‘teatro’ è qui da intendere in senso esteso, con riferimento non solo ai veri e propri canti drammatici, ma anche, in generale, alla lirica ditirambica e nomica, che aveva assunto nel tempo dimensione spettacolare e teatrale. 55 56

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corali configurati come veri e  propri inni agli dèi: nel V, e  ultimo, stasimo del­l’Antigone (vv.  1115-1125  = 1126-1136; 11371145  = 1146-1154), il coro intona un inno a  Iacco dispensatore, al  quale è  richiesto di mostrarsi e guidare la danza 58; nella parodo del­l’Edipo  Re (vv.  190-202  = 203-215), dove il canto si chiude con l’invocazione a «Bacco, colore del vino» 59, e – nella stessa tragedia – nel II stasimo (vv. 863-872 = 873-882 e 883895 = 896-909/910), che è un’invocazione agli dèi del­l’Olimpo ché preservino la Giustizia tra gli uomini 60. Un’estensione del canto eccezionale si combina con la polimetria di ‘stile ditirambico’ nelle tragedie più tarde, collocabili tra il 411 e  il 401  a.C. Particolarmente significativo il duetto tra Oreste ed Elettra, nel­ l’Elettra, ai  vv.  1232-1252  = 1253-1272 (con strofe di 21  cola) e  l’epodo, ai  vv.  1273-1287, di 16 cola, dove è  notevole la situazione, nuova per Sofocle ma consueta in Euripide, del dialogo lirico che si svolge sulla scena escludendo l’orchestra 61. 58  La disamina dei canti del­l’Antigone sotto il profilo della forma metrica lascia con l’impressione che Sofocle abbia intensificato la presenza dello stile ditirambico nella seconda parte del dramma, quella in cui si consuma la tragedia di Creonte, e che tale crescendo culmini nel­l’inno a Iacco, nel­l’ultimo canto corale. Sul significato politico di questa scelta musicale nella tragedia che valse a Sofocle la carica di generale durante la rivolta samia (Vita 1 e 9) vd. infra. 59 Al termine della precedente coppia strofica, la cui struttura giambicodattilica è modulante tra la prima coppia, interamente dattilica, e la terza, è suggestiva l’espressione «Peani si accendono, confusi a  flebili voci. Un radioso soccorso tu manda a  noi, aurea figlia di Zeus» (trad. it. di F.  Ferrari). Q ui, come nel citato canto delle Trachinie (v. 211), il peana si mescola al ditirambo al quale, di nuovo, la forma metrica rinvia. Sulla facies metrica del peana arcaico e classico cfr. Rutherford 2001, 76-79. Il peana resta, in ogni caso, tra tutti i generi il più complesso da individuare; su questo rinvio alle equilibrate riflessioni di Ford 2006. 60  È il corale nel quale il Coro dei Vecchi di Tebe si chiede perché danzare ancora se il culto degli dèi e della giustizia sono destinati a sparire; è indicativo il riferimento alla danza in un canto improntato allo stile per eccellenza orchestico. Cfr. Peponi 2013, 361; 365 e n. 44; D’Angour 2013. 61 La gioia di Elettra per aver ritrovato il fratello e  il desiderio di esprimersi finalmente con «libera bocca» (v.  1256) sono sostenuti sul piano del­ l’esecuzione musicale dal tipico ritmo libero di stile ditirambico, che risulta qui particolarmente efficace nella caratterizzazione etica dei due fratelli: cfr. Finglass 2007, 471. Q uesto medesimo stile, sul piano della metrica, è a mio parere ravvisabile ancora nella grandiosa parodo, ai vv. 121-136 = 137-152; 153-172 = 173192; 192-212 = 213-232; 233-250, dov’è considerevole anche la lunghezza delle singole strofe e  del­l’epodo, e  grande la polimetria; vi è  raccontata la mesta storia della reclusione di Elettra. Ancora, ai vv. 1082-1089 = 1090-1097 (II coppia

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La  presenza della polimetria ditirambica caratterizza anche il canto nella sezione epodica del­l’amebeo tra Filottete e  il Coro nel Filottete (vv.  1169-1217): l’influsso della ‘Nuova Musica’ in questi versi era in effetti già stato intuito dalla critica, non in particolare per l’aspetto metrico, ma per l’estensione del­l’epodo, che conta ben 48 cola 62. Il  canto del coro s’alterna qui al  canto solistico di Filottete, che esprime un desiderio di morte 63. Le tracce metriche del medesimo stile sono riconoscibili anche nella parodo del­l’Edipo a  Colono (vv.  207/8-253), dove l’ampio epodo (46 cola) assume le sembianze di un canto autonomo di forma dialogica 64. Q ui Edipo, in una scena di grande intensità, rivela ai Coloniati il segreto della propria origine. Una polimetria della stessa specie si osserva nella medesima tragedia nel­l’imponente exodos costituita da due coppie antistrofiche (vv.  1670-1696  = 1697-1723; 1724-1736  = 1737-1750), dove al  commiato luttuoso di Antigone e  Ismene verso lo sventurato padre risponde il coro, che esprime gioia per la fine beata del­l’eroe 65. È di fatto un compianto: θρῆνος lo chiama Teseo 66, ma l’aspetto metricoritmico è quello tipico del ‘Nuovo Ditirambo’ 67. L’uso del pathos trenetico non è, tuttavia, estraneo al  genere, sebbene la critica antica lo giudicasse inappropriato. Sembra documentarlo un antico commento conservato su papiro, dove la discussione verte su un ditirambo di argomento luttuoso, in cui erano adottate le due armonie frigia e dorica 68. Se, dunque, ammettiamo che la veste strofica del II stasimo) e l’exodos, vv. 1408-1441, dei quali non è certo se siano κατὰ σχέσιν oppure sciolti da responsione strofica. 62  Schroeder 1923, 61; Hordern 2002, 57. 63   Anche la I  coppia strofica del primo stasimo presenta forse, sul piano dei metri, i  segni metrici di questo stile: vv.  676-690  = 691-706 (I coppia del I stasimo). 64   Caratterizzato da una marcata polimetria, con abbondanza di forme ana­ pestiche, dattiliche e ioniche; cfr. Hordern 2002, 57. 65  Ancora, lo stesso stile metrico ai vv. 1074-1084 = 1085-1095; 1447-1456 = 1462-1471 e 1477-1485 = 1491-1499 (amebeo Coro, Edipo, Antigone). 66  E per tale ragione Swift 2010, 404 lo classifica decisamente come threnos. 67   Peraltro, il metro tipico del threnos lirico tradizionale è dato dai kat’enoplion-epitriti, con l’unica apparente eccezione di Pind. fr. 64 Cannatà, che forse non è, però, un threnos; cfr. Cannatà Fera 1990, commento ad loc. 68  PWien 19996 A f. a  I, coll. 1-6; per l’armonia frigia cfr.  supra. Per il PWien 19996 A f. a  I, coll. 1-6 cfr.  Fongoni 2006; Battezzato 2013,  100102. Cfr.  anche Timoth. PMG 793-794, il ditirambo Scylla, che includeva un threnos intonato da Odisseo (Aristot. Poet. 15, 1454a 30). La medesima con-

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metrica, nella forma specifica della polimetria di giambi e trochei con variazioni in cretici, bacchei, docmi e coriambi, e inserzioni di metri di ritmo dattilico (dattili, anapesti, ionici) sia un sintomo dello ‘stile ditirambico’, possiamo assumere che al­l’interno della tragedia di Sofocle l’armonia frigia, che vi si accompagnava, s’adattasse – com’è conforme al suo carattere duttile – di volta in volta a canti fortemente patetici, o a canti nei quali il motivo dominante era la narrazione mitica, o infine a veri e propri inni agli dèi 69. Al termine di questo percorso che ha preso le mosse dalla lettura della Vita Sophoclis 23, resta da interrogarsi sulle ragioni alla base della scelta innovativa operata da Sofocle. Potremmo ipotizzare che una prima ragione fosse di ordine estetico, e che attenesse alla ricerca di una mimesis più efficace nella rappresentazione dei caratteri e del plot. L’ipotesi è coerente con la testimonianza, un unicum nel suo genere, che ricorda quanto Sofocle stesso avrebbe affermato riguardo alle tre fasi della propria evoluzione artistica: dopo aver praticato il turgore di Eschilo e l’acerbo artificio della sua propria arte, mise mano, infine, a cambiare la forma della lexis, che è la cosa migliore e più adatta a esprimere i caratteri 70. La lexis – dicevamo – è uno dei tratti sensibili dello ‘stile ditirambico’ ed è, evidentemente, in un rapporto di stretta correlazione con le forme metriche 71. Di fatto, la specifica polimetria che caratterizza in misura crescente la poesia ditirambica (e nomica), divenendo dominante nella seconda metà del V secolo a.C., in parallelo con le esigenze di poikilia e  polychordia proprie della ‘Nuova Musica’, non poté che agevolare l’efficacia espressiva del notazione trenetica hanno del resto anche alcuni canti euripidei evidentemente ispirati alla ‘Nuova Musica’: cfr. in particolare Or. 982-1012; 1369-1502, dove è presente la stessa polimetria metrica a base giambico-trocaica con inserzione di docmi, dattili e anapesti. 69  Si risponde, con ciò, alla questione sollevata in Comotti 1989, 46: «non sappiamo quale dei due tipi di frigio [scil. quello sereno e  pacifico cui sembra alludere Platone, e  quello orgiastico e  patetico indicato da Aristotele] sia stato presente nelle melodie di Sofocle». Entrambi, a quanto pare. 70 Plut. Q uomodo quis suos in virtute sentiat profectus 79b = Soph. TrGF 100 Radt. Su questo passo vedi da ultimo la disamina, condotta con grande acribia, da Pelling 2007. Sulla complessità del linguaggio di Sofocle vd. da ultimo Battez­ zato 2012. 71   Sul reciproco adattamento di dizione, metro e musica nella ‘Nuova Musica’, cfr. Csapo 2004, 225-229.

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canto e  una caratterizzazione più icastica dei personaggi e  del racconto. Ma è verisimile che una seconda ragione alla base della scelta di Sofocle fosse di ordine politico. La ‘Nuova Musica’ aveva di fatto – come ora si riconosce – una marcata connotazione democratica e  popolare, in quanto spettacolo fruibile da tutti negli agoni 72. Non è  difficile assumere che l’opportunità politica avesse indotto Sofocle, attivamente militante nella vita democratica della propria città e  consapevole delle sue dinamiche, ad adottare, tra gli innumerevoli strumenti espressivi a  sua disposizione e con la moderazione che gli era consueta, una tipologia musicale gradita al  pubblico 73. La sua fulgida carriera artistica dimostra quanto a  lungo egli fosse prediletto dal demos, con un numero davvero elevato di vittorie: ne ottenne 18 alle Dionisie Cittadine e, se si contano anche i successi alle Lenee, in tutto 24. Non arrivò mai ultimo, precisano i biografi 74. Sofocle fu dioni­ siaco: come protagonista indiscusso agli agoni drammatici ad Atene  e, possiamo a  questo punto aggiungere, per lo ‘stile diti­ rambico’ di alcuni suoi canti lirici. Sembra farvi allusione anche Aristofane, quando nella Pace (v.  531) ricorda, in un unico insieme, la dolcezza dei suoi canti, il suono del­l’aulos, gli spettacoli tragici, il dio del vino e le canzonette di Euripide. Se, come osserva Aristotele nella Metafisica (2, 993b 15), «senza Frinide non avrebbe potuto esserci Timoteo», senza Sofocle, con la sua innovativa creatività pur nel rispetto della disciplina formale che i contemporanei gli riconobbero 75, non si sarebbe prodotto forse il più avanzato sperimentalismo euripideo e  neanche, potremmo addirittura supporre, la spiccata teatralità del ‘Nuovo Diti­ rambo’. 76 72  E per questa ragione fu in generale percepita con ostilità dalle consorterie aristocratiche. Cfr.  Aristot. Pol. 8,  1341b 7-18; Ps.  Plut. Mus. 12,  1135c; sulla rappresentazione politico-ideologica della ‘Nuova Musica’ cfr.  Csapo 2004 e ancora Power 2012, 296. 73   Vd. da ultimo Ferrario 2012. 74  Vita Sophoclis 8  = Caryst. FHG IV,  359. L’epitaffio citato da Athen. 13, 603-604 recava iscritto: «Q ui giace Sofocle, che vinse il primo premio nel­ l’arte tragica». Cfr. Wright 2012, 583 s. 75 Aristoph. Ra. 787 ss., e soprattutto il celebre giudizio formulato da Aristotele nella Poetica. 76  Sul­l’influsso esercitato dal teatro sulle forme del ditirambo coevo cfr. Csapo 2004, 213.

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Abstracts Il saggio si propone di commentare la notizia, documentata nella Vita Sophoclis 23, secondo la quale Sofocle introdusse nei suoi canti la melodia frigia e la mescolò allo ‘stile ditirambico’. L’analisi è condotta sullo sfondo del clima intellettuale che caratterizzò il secolo di Sofocle, e delle recenti tendenze musicali. I suoi canti drammatici sembrano configurarsi come un antecedente importante del marcato sperimentalismo euripideo, e  del carattere manifestamente tea­trale della nuova poesia ditirambica. 66

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The essay aims to comment the text of   the Vita Sophoclis 23, where it is reported that Sophocles introduced the Phrygian melody in his songs mixing it with the dithyrambic style. The analysis is conducted on the background of   the intellectual climate that characterized Sophocles’ century, and of  the recent musical trends. It is argued there that Sophocles was not immune from the so called ‘New Music’. His dramatic songs seem to configure as an important precursor of  the euripidean powerful experimentalism and of   the striking theatrical character of  the ‘New-Dithyrambic’ poetry.

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MARIA GRAZIA FILENI Università di Urbino «Carlo Bo»

IL PROSODIO TRA CERIMONIE RELIGIOSE, AGONI MUSICALI E RAPPRESENTAZIONI TEATRALI

Di norma si intende come προσόδιον il canto processionale per eccellenza, la cui specifica funzione era quella di accompagnare con la musica e la danza le solenni processioni religiose 1 lungo il percorso che conduceva i partecipanti e le vittime sacrificali ai luoghi di culto, templi o altari, dove si compivano le cerimonie sacre, i rituali e i sacrifici legati alle divinità celebrate 2: la preghiera, espressa 1  Il termine ‘prosodio’ non è usato nel­l’antichità per indicare in modo indiscriminato ogni canto processionale: era errata, secondo Proclo, l’applicazione di questa definizione al peana (Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a, V, 160, 24-25 Henry: καταχρηστικῶς δὲ καὶ τὰ προσόδιά τινεϛ παιᾶναϛ λέγουσιν), che pure nella sua forma originaria era definito come un canto processionale eseguito dai Cretesi i  quali, guidati da Apollo, marciavano verso il santuario apollineo di Pito (h.  Ap.  516-519). Proclo distingue inoltre il prosodio, eseguito per celebrare gli dèi, da altri canti processionali come il dafneforico, il tripodeforico, l’oscoforico che, appartenendo al genere misto, erano dedicati a dèi e uomini (vd. Grandolini 1991, 132-139). Erano canti processionali anche alcuni peani prosodiaci di Pindaro (cfr. pp. 76 s., 80, schol. ad Paean. 6, 124 in P. Oxy. 841 e schol. ad Isthm. 1, Inscr. b, 197, 1 Drachm.; vd. D’Alessio 1997, 27, 30-31) e alcuni ditirambi, come quello eseguito dalle donne che accompagnavano la vittima sacrificale durante le feste Tie (Carm. pop. fr. 871 P.; cfr. p. 80 e Plut. Mul. virt. 251e; Q uaest. gr. 299a-b; Paus. 6, 26, 1; vd. Privitera 1972 a, 56 s. = 1977, 28) o il ditirambo di Pindaro per gli Ateniesi (fr. 75 Maehl.; cfr. Privitera 1972 c, 137-140). Sulla performance processionale come parte del­l’esperienza rituale nella cultura greca e nel rapporto interattivo con gli obiettivi della democrazia ateniese, cfr. Kavoulaki 1999. 2  Democare di Atene (FGrHist 75 F 2 = Ath. 6, 62, 253bd) riferisce l’uni­co caso in cui un prosodio sarebbe stato composto per un uomo, Demetrio Po­ lior­cete, che di ritorno da Leucade e  Corcira nel 292-290 a.C., fu celebrato ad Atene: τί οὖν παράδοξον οἱ ̓Αθηναῖοι ‹οἱ› τῶν κολάκων κόλακες ἐποίησαν [οἱ] εἰς αὐτὸν τὸν Δημήτριον παιᾶνας καὶ προσόδια ᾄδοντες; φησὶ γοῦν ὁ Δημοχάρηϛ… γράφων· ἐπανελθόντα δὲ τὸν Δημήτριον ἀπὸ τῆϛ Λευκάδοϛ καὶ Κερκύραϛ εἰϛ τὰϛ Α ̓ θήνας οἱ Α ̓ θηναῖοι ἐδέχοντο οὐ μόνον θυμιῶντες καὶ στεφανοῦντες καὶ οἰνοχοοῦντες, ἀλλὰ καὶ προσοδιακοὶ χοροὶ (προσόδια καὶ AC, corr. Bernhardy) καὶ ἰθύφαλλοι μετ ̓ ὀρχήσεως καὶ ᾠδῆς ἀπήντων αὐτῷ… Per il valore del­l’espressione προσοδιακοὶ χοροὶ καὶ ἰθύφαλλοι, indicante due diversi momenti della performance, ossia il

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nella forma innica, era finalizzata al­l’invocazione e poteva avere scopo propiziatorio 3. È quanto si apprende da una serie di testimonianze grammaticali, scoliografiche, lessicografiche. Fra di esse, un passo di Didimo (fr. 4, 390 Schmidt) confluito nel­l’Etymologicum Magnum (690, 33-36 Gaisf.) offre un’esegesi incentrata sul valore etimologico del termine, da cui si desumono alcune peculiarità del genere lirico: sulla base dei diversi valori di πρός, esso viene connesso sia al movimento processionale verso templi e altari sia al­l’accompagnamento strumentale del­l’aulo 4. L’Etymologicum canto processionale e il canto da fermo, vd. Palumbo Stracca 2000. Trattandosi di un sovrano a  cui erano riservati onori divini, si è  pensato ad un processo di laicizzazione del prosodio (cfr. Smyth 1900, XXXV = 1977, 13): più probabile sembra invece che il tipo di canto fosse scelto proprio in relazione alla divinizzazione del generale vittorioso (cfr. Färber 1936, I, 31; Muth 1957, col. 862; Grandolini 1987-1988, 37 e 1991, 129; Pinervi 2010-2011, 418). Il prosodio conservò la sua natura di canto processionale, oltre che in epoca bizantina (cfr.  Nicet. Chon. Orat. 14, 130, 6 Van Dieten) e molto probabilmente nel mondo romano, nel quale è attestata la sua esecuzione (vd. ad es. Plut. Aem. 33, 1, 2; Porphyr. in Hor.  Epist. 2,  1, 134,  535 Hauthal), anche in ambiente giudeo-ellenistico: una testimonianza di Filone alessandrino (De vit. contempl. 80) ci informa riguardo al­ l’esecuzione di un inno in apertura dei banchetti dei Terapeuti che avevano luogo nel mondo ebraico. Il canto era composto per l’occasione o attinto al repertorio della poesia giudaica che si ricollegava alla tradizione greca nel­l’utilizzo di metri, canti e generi, fra i quali «inni prosodiaci» e inni specifici, eseguiti durante le libagioni, o presso l’altare, o da fermi, scanditi in strofe varie: μέτρα…καὶ μέλη…πολλὰ ἐπῶν, τριμέτρων, προσοδίων ὕμνων, παρασπονδείων, παραβωμίων, στασίμων χορικῶν στροφαῖϛ πολυστρόφοιϛ εὖ διαμεμετρημένων); per l’interpretazione del passo si rinvia a Grandolini 1987-1988, 43-45. 3 Cfr. Ar. Av. 854 s.; EM 690, 41 Gaisf., s.v. προσῴδιον· λιτανεία μετὰ ὕμνων· παρὰ τὸ προσίεναι μετὰ τούτου τοῖϛ θεοῖϛ; Ps.  Zonar. s.v.  προσῴδιον, col.  1583 Tittmann. 4  EM s.v.  Προσῳδίαι (MS: προσῴδια Gaisf. adn., προσόδια Färber 1936, II, 30)· παρὰ τὸ προσιόντας ναοῖς ἢ βωμοῖς πρὸς αὐλὸν ᾄδειν· διὰ (ἀντιδιαστέλλεται Schmidt, ἰδίᾳ Kaibel 1898,  35, n. 1) δὲ τῶν ὕμνων, ὅτι τοὺς ὕμνους πρὸς κιθάραν ἑστῶτες ᾄδουσιν. οὕτω Δίδυμος ἐν τῷ Περὶ λυρικῶν ποιητῶν: il grammatico definiva dunque il prosodio anche in contrapposizione al­l’inno, eseguito da fermi con accompagnamento della cetra. Il passo trova riscontro in Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a (V,  159-160,  18-20 Henry: ἐλέγετο δὲ τὸ προσόδιον ἐπειδὰν προσίωσι τοῖϛ βωμοῖϛ ἢ ναοῖϛ, καὶ ἐν τῷ προσιέναι ᾔδετο πρὸϛ αὐλόν· ὁ δὲ κυρίωϛ ὕμνοϛ πρὸϛ κιθάραν ᾔδετο ἑστώτων). In altre fonti si fa alternativamente riferimento al prosodio come canto processionale (EM s.v. προσῴδιον, 690, 41 Gaisf.; vd. n. 3; Ps. Zonar. s.v. προσῴδιον, col. 1583 Tittmann; Schol. Lond. (AE) ad D. T. Art. gramm. 451, 17 Hilg.: προσόδιόν ἐστι ποίημα ἀρρένων ἢ παρθένων χοροῦ ἐν τῇ προσόδῳ τῇ πρὸς τὸν θεὸν ᾀδόμενον) o  come canto accompagnato da uno strumento (Hsch. s.v.  προσῳδία, π 3946 Hansen: μετ ̓ ὀργάνου ᾠδή; EM s.v.  προσῳδίαι 690, 36-40 Gaisf.: …ἢ παρὰ τὸ πρὸς αὐτὰς ᾄδειν ἡμᾶς ταῖς φωναῖς· ἢ παρὰ τὸ πρὸς αὐτὰς ᾄδεσθαι τὰ ποιήματα· ᾠδὰς γὰρ οἱ παλαιοὶ τὰ ποιήματα ἐκάλουν· … ἢ παρὰ τὸ προσᾴδειν καὶ

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fornisce anche informazioni sulle modalità di articolazione della cerimonia religiosa di cui il prosodio costituiva il canto iniziale che accompagnava il trasferimento delle vittime sacrificali verso l’altare; esso era a sua volta seguito dal­l’iporchema, danzato correndo in cerchio intorno al­l’altare mentre le vittime bruciavano, e infine dallo stasimo, eseguito da fermi, una volta cessate la danza e la corsa intorno al­l’altare 5: le diverse fasi del cerimoniale appaiono qui caratterizzate dal movimento specifico dei performers. Alla conoscenza attuale del prosodio concorrono anche altre tipologie di fonti, epigrafiche e letterarie 6. Pur non numerose, esse consentono di ricostruire nelle linee essenziali contesti, forme, contenuti, evoluzione di un genere lirico che continuò ad essere praticato dal­l’VIII sec. a.C. al II d.C.: una produzione poe­tica particolarmente intensa dovuta ovviamente alla fortissima incidenza della prassi cultuale alla quale il canto era connesso. Sedici iscrizioni di diversa provenienza, ma in maggioranza di area beotica 7, ἁρμόζειν τῇ ὑποκειμένῃ λέξει. …ἐκ τῆς πρὸς προθέσεως καὶ τοῦ ᾠδή). Sul­l’alternanza dei termini προσῴδιον, προσόδιον, προσῳδία nella tradizione antica si rinvia a Rutherford 2000. 5  EM s.v.  προσῴδιον, 690,  43-51 Gaisf.: ἰστέον ὅτι τῶν μελῶν καὶ τῶν ὕμνων τὰ μὲν καλεῖται προσῴδια· τὰ δέ, ὑπορχήματα· τὰ δέ, στάσιμα. καὶ προσῴδια μέν, τὰ λεγόμενα ᾄσματα εἰσφερομένων εἰϛ τὸν βωμὸν τῶν ἱερείων· παρὰ τὸ προσιόντων εἰϛ τὸν βωμὸν τῶν θυμάτων ταῦτα λέγειν. ὑπορχήματα δέ, ἅτινα πάλιν ἔλεγον ὀρχούμενοι καὶ τρέχοντεϛ κύκλῳ τοῦ βωμοῦ, καιομένων τῶν ἱερείων. στάσιμα δέ, ἃ ἑστῶτεϛ ὕστερον ἔλεγον, ἀναπαυόμενοι μετὰ τὸ κύκλῳ δραμεῖν τοῦ βωμοῦ. Q uesto tipo di cerimoniale, nella sua forma completa, non poteva essere ovviamente eseguito durante l’esecuzione del prosodio nel contesto degli agoni musicali. Nel passo del­l’Etymologicum Rutherford 2003,  718-720 individua una funzione del prosodio definita ‘vicariously processional’, intendendo che non necessariamente i performers avanzassero durante l’esecuzione del canto: il fatto che il procedere del coro non sarebbe stato sempre un elemento discriminante, spiegherebbe la mancanza di riferimenti ad esso nei carmi pindarici classificati come prosodi nelle edizioni ellenistiche e permetterebbe di formulare una teoria del prosodio anche come combinazione di πρὸς e ᾠδή senza una necessaria connessione con il movimento processionale. Per questa via lo studioso giunge a formulare l’ipotesi che qualche altro criterio che non fosse la performance processionale fosse operante nella classificazione dei prosodi oppure che a  quella categoria fossero assegnati carmi non coerenti con altri generi (Rutherford 2003, 716; 720-721). 6 Su di esse e  su quelle grammaticali sono basati gli studi moderni sul­ l’argomento, fra i  quali Smyth 1900, XXXIII-XXXVI  = 1977,  11-13; Färber 1936, I, 30 s., 48 s.; II, 29 s.; Muth 1957; Grandolini 1987-1988; Pinervi 20102011. 7  9 di queste iscrizioni sono state rinvenute in Beozia, 4 a Delfi, 2 a Delo, 1 ad Eretria. Per la relativa documentazione si rinvia a Manieri 2009.

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riguardano autori e modalità performative nel­l’ambito specifico delle gare musicali organizzate in occasione di feste religiose. Delle 9 epigrafi appartenenti al­l’area beotica, 8, databili tra il 146-195 a.C. e il 161-169 o il 176-180 d.C., si riferiscono agli agoni musicali che si tenevano in occasione delle solenni feste Musee celebrate a Tespie e testimoniano i nomi dei vincitori nella gara di prosodi 8. Nel santuario situato nel bosco sacro del­l’Elicona, fin dal­l’epoca antica, come risulta dalle testimonianze archeologiche, si praticava il culto delle Muse e si organizzavano feste in loro onore 9; ogni anno, probabilmente nello spazio davanti al­l’altare, si svolgevano gare musicali e  drammatiche, documentate dal IV sec. a.C.  La manifestazione agonistica, riorganizzata a  partire dal 230 a.C. e  sottoposta fino al III sec. d.C. a continue modifiche inerenti la tipologia delle gare, il loro ordine, l’assetto, i premi assegnati, contribuì verosimilmente a potenziare il culto delle Muse e ad assicurare un posto di assoluto rilievo al santuario, dove confluivano in abbondanza offerte e donazioni 10. Alla ristrutturazione dei giochi fu probabilmente finalizzato anche il nuovo assetto architettonico del luogo: in assenza del tempio, un altare di consistenti dimensioni costituiva il fulcro cultuale, dove aveva termine la processione, culminante con l’arrivo del fuoco sacro sul­l’altare e  seguita dal sacrificio dei buoi e dallo svolgimento degli agoni; ai riti sacri che precedevano la fase agonistica partecipavano i sacerdoti e i portatori di fuoco in rappresentanza del santuario delle Muse e della compagnia dei technitai 11. Alla solennità che sembra contraddistinguere questo momento processionale doveva contribuire, per lo  Dameo macedone di Tessalonica e  Eudemo di Tespie (Thes. 27,  7-8 e 29, 9-10 Manieri), Demetrio di Tanagra (Thes. 30, 14-15 Manieri), Atenione di Tespie (Thes. 31, 13-14 Manieri), Bacchio ateniese (Thes. 33, 9-10 Manieri), Antifonte ateniese ed Eumarone di Tespie (Thes. 42,  6-8 Manieri), Eumarone di Tespie (Thes. 43 Manieri), Vipsanio Filosseno di Tespie e  Callitichide tebano (Thes. 44,  4-6 Manieri). La menzione della vittoria di un poe­ta di prosodi in un’iscri­zione di Lebadea (Leb. 9, 7-8 Manieri), forse riferibile ai Basileia e contenente il catalogo dei vincitori di un agone musicale in una cerimonia tenutasi fra il III e il II sec. a.C., è messa in dubbio da Manieri (2009, 153-154), che propone una lettura diversa alle ll. 7-12. L’inclusione di una gara di prosodi nel­l’agone musicale in contesto beotico è documentata solo per i Mouseia di Tespie. 9  Cfr. Leb. 13 = Thes. 6 Manieri. 10  Sui particolari delle varie fasi della riorganizzazione del­l’agone cfr. Manieri 2009, 313 ss. 11 Cfr. Thes. 22, 30 e 31 Manieri. 8

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meno nella fase più antica, proprio la gara di poe­ti di prosodi, ai quali spettava il compito di inaugurare i giochi: una prassi eccezionale rispetto a  quanto accadeva nel­l’ambito di tutti gli altri agoni beotici, sia ginnici sia musicali, che si aprivano invece con le competizioni di araldi e  trombettieri, ossia di quei pubblici ufficiali che svolgevano un ruolo di primo piano al momento di annunciare, introdurre e concludere le manifestazioni agonistiche 12. La gara di prosodi, coincidendo con il momento del sacrificio alle divinità e precedendo tutte le altre competizioni, assumeva una posizione di rilievo nel­l’agone. L’esibizione di tali canti in connessione con un momento rilevante del rito doveva caratterizzare anche la celebrazione delle Artemisie di Eretria, in Eubea, come si evince dalla più antica delle epigrafi che tramandano notizie e nomi di alcuni poe­ti di prosodi. Il  documento restituisce un decreto della città posteriore al 340 a.C., con il quale si istituiva, precisandone le modalità, un agone musicale da tenersi nel­l’ambito delle solenni feste in onore della dea Artemide; l’evento agonistico prevedeva la partecipazione di rapsodi, aulodi, citaristi, citarodi, poe­ti di parodie omeriche e inoltre l’esecuzione, ad opera di ogni partecipante, di un prosodio da eseguire durante il rito sacrificale compiuto nel vestibolo del tempio 13. Delle 4 epigrafi provenienti da Delfi due si riferiscono ad agoni musicali connessi con la celebrazione delle feste Soterie celebrate nella prima metà del III secolo 14: entrambe contengono il catalogo dei nomi dei partecipanti al­l’agone musicale, comprendente esibizioni di rapsodi, citaristi, citarodi, auleti, tra­ goˉidoi, e documentano la presenza, in questi contesti, di poe­ti

12   Cfr. Manieri 2009, 52, che pone in rilievo il carattere particolare di queste esibizioni, incentrate sulla dimostrazione della potenza del fiato e  della voce di araldi e trombettieri. Sulla maggiore probabilità che le gare, istituite per la prima volta ad Olimpia nel 396 a.C. (Eus. Chron. I, 204 s. Schöne), si adattassero alle competizioni ginniche piuttosto che a quelle musicali, si espresse Reisch 1885, 62, n. 2. 13  IG XII, 9, 189, ll. 4; 10-14. L’espressione ἀγωνίζεσθαι προσόδιον (l. 13) fa pensare ad una vera e  propria gara di prosodi, in cui ogni partecipante dovesse eseguire un canto (cfr., in tal senso, Pinervi 2010-2011,  420) piuttosto che al­ l’esecuzione di uno stesso prosodio da parte di tutti i concorrenti (vd. Rutherford 2003, 714). 14  Riguardo alla prima (CID IV, 53) si pensa al periodo compreso tra il 275 e il 255 (Smyth 1900, XXXV = 1977, 13) oppure al 254-253 o al 250-249 (Pinervi 2010-2011, 421); la seconda (FD III, 4, 356, 23) consiste in un decreto del­ l’Anfizionia promulgato fra il 275 e il 250 a.C.

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di prosodi 15. Da Delfi proviene anche un decreto del 227 a.C. con il quale si riconoscevano onori pubblici (elogio, incoronazione, prossenia, privilegi vari) al  poe­ta lirico Cleocare di Atene, che si era reso benemerito nei confronti della comunità delfica per il fatto di avere composto un prosodio, un peana e  un inno commissionatigli dalla sua tribù di appartenenza, che dovevano accompagnare la theoria ateniese a Delfi, e che sarebbero stati eseguiti durante la festa delle Teo­ssenie da un coro di fanciulli istruiti da un chorodidaskalos 16. Al contesto delfico rinvia anche l’intestazione del secondo inno delfico ad Apollo composto da Limenio, intitolato παιὰν καὶ προσόδιον ed eseguito alle Teossenie nel 128-127 a.C. 17. Delle due iscrizioni provenienti da Delo, una documenta la partecipazione di due citaristi, Demetrio e Cleostrato, al­ l’agone musicale programmato in occasione delle feste Apollonia nel 236 a.C., dove ciascuno eseguì un prosodio 18, l’altra,   CID IV, 53, ll. 13-16: ποιηταὶ προσοδίων· ̓Αλεξίων ̓Αλε[....]ου Σικυώνιοϛ, – Ξένων Κορ[ίν]θιοϛ. Δεξίνικοϛ Παντοίου Σικυώνιοϛ. αὐληταί· Δείνων Δείνωνος Χαλκιδεύς. Secondo Collitz-Bechtel 2565 (= Wescher-Foucart 5), 747-748, dei tre personaggi menzionati come poe­ti di prosodi (Alessione di Sicione, Xenone di Corinto, Dessinico di Sicione), il terzo sarebbe invece da annoverare fra gli αὐληταί citati alla linea successiva. In questo modo si giustificherebbe il plurale, seguito, nel­l’epigrafe, dal nome di un solo auleta, ma vd.  Frei 1900,  60, Smyth 1900, XXXV = 1977, 13, Pinervi 2010-2011, 421-422, che intendono invece il termine αὐληταί come l’indicazione della categoria musicale alla quale appartengono gli artisti citati, indipendentemente dal numero delle unità coinvolte. FD III, 4, 356, 23, ll. 16-17: [ποιη]ταὶ προσοδίων· Φίλων Φανίου [ ̓Αρκάς], [Πυ]θόνικοϛ Νίκιοϛ ̔ Ερμι[ονεύϛ]. 16   FD III, 2, 78 (= Syll.3 450), ll. 1-11. Per l’ipotesi che i carmi possano essere identificati con i due inni delfici composti da Ateneo e Limenio cfr. Couve 1894, 72, ma vd. contra Weil 1894. 17  FD III, 2,  138 (= CID III, 2). L’intestazione è  così ricostruita da Colin 1913, 531: [πα]ιὰν δὲ καὶ π[ροσό]διον εἰϛ τ[ὸν θεὸν ὃ ἐπό]ησε[ν καὶ προσεκιθάρι|σε]ν Λιμήνι[οϛ Θ]οίνο[υ Α ̓ θηναῖος.]. Per una diversa collocazione cronologica del­l’inno al 106-105 a.C. cfr. Schröder 1999, 65-75. Secondo Bélis 1988, 216-217 il prosodio sarebbe stato eseguito da un gruppo vocale e strumentale di 89 unità. 18  IG XI, 2, 120, l. 49. ψάλται· Δεμήτριοϛ μετὰ προσωιδίου, Κλεόστρατοϛ μετὰ προσω[ιδίου]. Per ammissione del­l’editore Dürrbach, tuttavia, la ricostruzione del testo potrebbe non essere corretta nella parte riguardante Demetrio; cfr.  Rutherford 2000, 147. 15

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databile al 165-164 a.C., appare rilevante per alcuni particolari inerenti al contenuto del canto. L’iscrizione contiene un probouleuma con il quale cleruchi ateniesi residenti nel­l’isola proponevano di onorare con pubblici riconoscimenti (una corona d’alloro, un dono ospitale) il poe­ta e musico Anficle di Renea non solo per le sue molteplici esibizioni, ma anche per avere composto un prosodio e istruito un coro di giovani ateniesi ad eseguire il canto che celebrava la città, gli dèi del­ l’isola (Latona, Apollo, Artemide) e, inoltre, gli Ateniesi lì residenti 19. Si discute, da parte degli studiosi moderni, se la celebrazione dei cittadini contenuta nel prosodio debba essere intesa come un motivo occasionale determinato dal­l’esigenza del poe­ta di ringraziare la cittadinanza locale per avergli affidato la committenza del canto 20, oppure se possa essere intesa propriamente come la lode dei committenti, cioè come uno di quegli elementi tematici che i prosodi potevano condividere sia con il genere innico inteso come poesia di lode agli dèi, al quale il prosodio stesso apparteneva secondo la tradizione testimoniata da Didimo, sia con specifici canti corali, quali il peana, il ditirambo e l’epinicio 21. 19  ID 1497, ll. 3-11 (cfr. Homolle 1886, 35-36, nr. 19, che ha pubblicato il testo fino alla l. 24; Fougères 1889, 224, nr. 12, fino alla l. 36): …ἐπειδὴ ̓Αμφικλῆς, μουσικὸς καὶ μελῶν ποητὴς ἀκροάσειϛ καὶ πλείουϛ ἐποήσατο καὶ προσόδιον γράψας ἐμμελὲϛ εἰϛ τὴν πόλιν τούϛ τε θεοὺϛ τοὺϛ τὴν νῆσον κατέχονταϛ καὶ 5 τὸν δῆμον τὸν ̓Αθηναίων ὕμνησεν, ἐδίδαξεν δὲ καὶ τοὺς τῶν πολιτῶν παῖδαϛ πρὸϛ λύραν τὸ μέλοϛ ἄιδειν, ἀξίωϛ τῆϛ τε τῶν θεῶν τιμῆϛ καὶ τοῦ ̓Αθηναίων δήμου, ἐπαγγέλλεται δὲ καὶ εἰς τὸ λοιπὸν εὔχρεστον ἑαυτὸν παρασκευάζ[ειν] καθότι ἂν ἦι δυνατόϛ· ὅπωϛ οὖν καὶ ἡ βουλὴ καὶ ὁ δῆμοϛ ὁ ̓Αθηναίων τῶν ἐν Δήλωι κατοικούντων φαίνων- 10 ται τιμῶντεϛ τοὺϛ ἀξίουϛ… 20  Pinervi 2010-2011, 425-426. 21  Grandolini 1987-1988,  38-40 (cfr.  31-32; 34; 1991,  130-133). La testimonianza di Didimo (fr.  3,  389 s. Schmidt), confluita nella Crestomazia di Proclo (ap. Phot. Bibl. 320a, V, 159, 14-17 Henry: τὸ προσόδιον καὶ τὰ ἄλλα τὰ προειρημένα φαίνονται ἀντιδιαστέλλοντεϛ τῷ ὕμνῳ ὡϛ εἴδη πρὸϛ γένοϛ· καὶ γὰρ ἔστιν αὐτῶν ἀκούειν γραφόντων ὕμνοϛ προσοδίου, ὕμνοϛ ἐγκωμίου, ὕμνοϛ παιᾶνοϛ καὶ τὰ ὅμοια) e tramandata in una versione più ampia da Orione e in forma più breve dal­l’Etymologicum Magnum, definisce l’appartenenza delle specie (εἴδη) degli encomi, dei prosodi e  dei peani al  genere (γένοϛ) del­l’inno (Orion s.v.  ὕμνος, 155, 23 ss. Sturz: κεχώρισται δὲ τῶν ἐγκωμίων καὶ τῶν προσῳδιῶν καὶ παιάνων, οὐχ ὡϛ κἀκείνων μὴ ὄντων ὕμνων, ἀλλ ̓ ὡς γένος ἀπὸ εἴδους…καὶ ἐπιλέγομεν τὸ εἶδος τῷ γένει, ὕμνος προσῳδιῶν, ὕμνος ἐγκωμίου, ὕμνος παιᾶνος; EM s.v.  ὕμνος, 777,  3-8 Gaisf.; cfr. Suid. s.v. προσόδια· ὕμνοι, IV, 229, 29 Adler): ciò che li accomuna è la funzione eulogistica, che è quella di perpetuare la memoria delle imprese e del valore dei laudandi (cfr. EM s.v. ὕμνος, 777, 1-3 Gaisf.: κατὰ συγκοπὴν ὑπόμονόϛ τιϛ ὤν, καθὸ

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Dalle fonti di carattere letterario, consistenti in una trentina di versi in totale, appartenenti a frammenti di prosodi composti dal­ l’VIII sec. a.C. al II d.C., si desumono i nomi dei più antichi compositori di questo genere di canti, rilevanti personalità del mondo poe­tico arcaico e tardo arcaico: Eumelo di Corinto, autore del più antico frammento di prosodio conosciuto, composto in occasione del­l’ambasceria dei Messeni ad Apollo delio 22, Clonas di Tegea, che secondo la tradizione avrebbe provveduto per primo a conferire una forma organizzata ai nomoi aulodici e ai prosodi, analogamente a quanto Terpandro aveva fatto con i nomoi citarodici 23, Pronomo di Tebe, famoso auleta tebano autore di un prosodio che doveva essere eseguito a Delo dai Calcidesi 24, Pindaro, i cui

εἰϛ ὑπομονὴν καὶ μνήμην ἄγει τὰϛ τῶν ἐπαινουμένων πράξειϛ καὶ ἀρετάϛ) e ciò che li caratterizza nella loro specificità è la σεμνότηϛ (Orion s.v. ὕμνος, 155, 33 – 156, 3 Sturz: ὅταν λέγομεν ἰδίωϛ, τὸν ὑπερέχοντα νοοῦμεν ἐκ τοῦ κοινοῦ, διὰ τὴν ὑπεροχήν· οὕτω καὶ ὕμνον ἰδίωϛ λέγομεν διὰ τὴν σεμνότητα, καὶ περὶ τῶν ἄλλων, ὕμνων ὄντων). In  queste stesse fonti si precisa inoltre che i  prosodi, nel cammino verso i  santuari o  gli altari, sono accompagnati dal­l’aulo, mentre gli inni dalla cetra (per Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a, V, 159,  18-20 Henry e  EM s.v.  προσῳδίαι, 690,  33-35 Gaisf. vd.  p. 70, n.  4; cfr.  EM s.v.  ὕμνος, 777,  8-9 Gaisf.; Orion s.v.  ὕμνος, 156,  3-7 Sturz). Nella formulazione di questo dato si è  riscontrato l’effetto di un gap tra la definizione di ‘inno’ come canto di lode, nella parte iniziale dei testi e, nel prosieguo, il senso più restrittivo di ‘inno’ come canto eseguito da fermi al  suono della cetra, in opposizione al  prosodio come canto processionale con accompagnamento del­ l’aulo: si sarebbe perduto, secondo Severyns 1938, 118 s., un necessario passaggio intermedio, consistente nel riferimento didimeo alla distinzione platonica fra gli inni, canti in onore degli dèi, e gli encomi, canti in onore degli uomini. 22   Fr. 696 Page; la fonte principale è Paus. 4, 4, 1; in 4, 33, 2 il Periegeta tramanda anche due versi del canto per testimoniare lo svolgimento di gare musicali durante le feste organizzate a Itome, in Beozia, in onore di Zeus (cfr. 5, 19, 10; sulla credibilità di queste notizie nutre qualche incertezza Aloni 1989, 43). In tali casi il prosodio sarà stato eseguito dal coro inviato da una città al santuario della divinità che si intendeva invocare. Per quanto riguarda la cronologia del carme, non facile da definire precisamente sulla base dei pochi riferimenti forniti dal testo di Pausania (cfr. 4, 4, 4), sembra che esso debba collocarsi nella generazione precedente alla prima guerra messenica, intorno alla metà del­l’VIII secolo. La questione cronologica è discussa da Grandolini 1987-1988, 29-33, alla quale si rinvia anche per le osservazioni metriche e linguistiche relative al frammento; cfr. Pavese 1972, 256 s., n. 86. 23   Test. 2 Gent.-Pr.; cfr.  Lasserre 1954,  154 s.; Grandolini 1987-1988,  33; Gostoli 1990, XXIX ss. 24  Fr. 767 Page. La tradizione (Paus. 9, 12, 5-6) lo ricorda come musico particolarmente abile, inventore di un aulo adatto alla realizzazione di ogni tipo di armonia, e capace di eseguire con lo stesso aulo armonie di generi diversi.

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prosodi l’editoria alessandrina aveva sistemato in due libri 25, Bacchilide, del cui libro che raccoglieva questo genere di canti restano 3 frammenti 26. Di recente, come è noto, si è ampliata la conoscenza dei prosodi pindarici, finora fondata sui frr.  89-94 Maehl., dopo la scoperta che il P. Oxy. 1792 conserva verisimilmente frammenti classificati come peani, che in origine facevano parte di uno o di entrambi i libri dei prosodi del poe­ta tebano raccolti nel­l’edizione ellenistica: i più corposi di essi coincidono con frammenti di carmi tramandati come Peani 12-15 e 20-21 27; ad essi si deve aggiungere il testo corrispondente alla terza triade del VI Peana pindarico 28.

25 Cfr. Pind. Vit. in P. Oxy. 2438, 36-37 Lobel (vd. Gallo 1968, 78); Pind. Vit. Ambr. 3, 7 Drachm. 26  Frr. 11 + 12; 13 Maehl. 27  Il Peana 12 = fr. 52m fu probabilmente eseguito dai Nassi a Delo e tratta della nascita di Apollo; il Peana 12a = fr. 52m (a) contiene la parola πρόσοδον; il Peana 13 = fr. 52n (a) conserva dati relativi a un eroe, a un altare, a Pallade Atena, a Dioniso e ad altri dèi, ad una statua femminile; il Peana 14 = fr. 52o allude a una teoria o a una festa forse programmate per un eroe; il Peana 15 = fr. 52p, che rievoca un episodio mitico con la presenza di Eaco, Posidone, Nereo, Zeus, fu composto per gli Egineti in onore di Eaco; il Peana 20 = fr. 52u, forse per Argivi o Tebani, riguarda la nascita di Eracle; il Peana 21 = fr. 52v è probabilmente dedicato a Era; la terza triade del VI Peana tratta del mito di Eaco e degli Eacidi. 28  Cfr.  Rutherford 1997; 2003,  715,  722-724 riguardo alle diverse modalità performative in cui poteva realizzarsi, in questo canto, la combinazione di peana (forse eseguito dai Delfi e  corrispondente, come sembra, alle prime due triadi) e  prosodio (forse eseguito dagli Egineti e  corrispondente alla terza tria­ de): è  possibile che le due sezioni, appartenenti a  due generi entrambi associati al momento sacrificale della cerimonia, fossero eseguite l’una, il prosodio, quando le vittime erano portate al  sacrificio, l’altra, il peana, immediatamente prima; oppure entrambi i  canti potevano essere eseguiti al­l’altare, con la funzione di accompagnamento della processione ma non di partecipazione ad essa. È a un analogo tipo di performance che potrebbe riferirsi l’espressione προσοδιακὸς παιάν in schol. ad Pind. Isthm. 1, Inscr. b (197, 1 Drachm.; cfr. pp. 69, n. 1, 80 e Rutherford 2001, 106). Sulla sistemazione di questi frammenti papiracei nel­ l’editoria alessandrina e, soprattutto per quanto riguarda il Peana 6, la loro trasmissione in epoca pre-alessandrina, si rinvia a D’Alessio 1997. La combina­zione di pea­ni e prosodi nei medesimi contesti apollinei e l’affinità dei due generi sono al­l’origine delle loro vicende editoriali, che si inquadrano nella complessa problematica della percezione dei generi e  della classificazione dei carmi arcaici in età ellenistica, quando la perdita dei dati extratestuali concernenti la prassi performativa e  l’occasione del canto rendeva difficoltosa la loro assegnazione ad uno specifico genere e la loro distribuzione al­l’interno di un’edizione; cfr. Harvey 1955, Fileni 1987,  22  ss.; più ottimista D’Alessio 1997,  30,  39,  58 riguardo alla possibilità, per i grammatici alessandrini, di essere a conoscenza dei dati

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Dal complesso di questa documentazione si desume che il prosodio poteva essere eseguito da un gruppo di ἄνδρεϛ 29, di ἄρρενεϛ o παρθένοι 30, o di παῖδεϛ, 31 ed essere istruito da un χοροδιδάσκαλοϛ che poteva o non poteva coincidere con l’autore del canto; 32 a differenza del­l’inno, che secondo la tradizione didimea era cantato da fermi al suono della cetra, il prosodio era accompagnato prevalentemente dal­l’aulo 33. È significativa la tradizionale attribuzione del­l’invenzione del prosodio al­l’auleta Clonas, il fondatore del­ l’aulodica, che avrebbe introdotto nelle processioni l’aulo al posto della lira per l’accompagnamento musicale dei brani lirici attinenti alla cerimonia in atto 34: non mancano tuttavia testimonianze del­l’uso della cetra e della lira 35. La tradizione ricorda inoltre il prosodio come uno dei generi lirici migliori quanto a stile poe­tico (βέλτιστοι … τῶν τρόπων) perché connessi con la danza: il ritmo impresso al canto segnava la cadenza del­l’andatura processionale 36. La tonalità musicale che caratterizzava il canto, improntata ad una misurata compostezza coerente con i  caratteri della divinità a cui esso era prevalentemente dedicato, cioè Apollo, 37 era quella dorica, percepita come μεγαλοπρεπέϛ, ἀξιωματικόν, σεμνόν, tradizionalmente giudicata confacente a personalità come quelle extratestuali caratterizzanti in particolare i prosodi, che continuarono ad essere composti ed eseguiti fino al­l’età imperiale. 29  Così era quello composto da Eumelo per i Messeni secondo Paus. 4, 4, 1 (cfr. p. 76). 30   Cfr. lo scolio di Eliodoro ad D. T. Art. Gramm. 451, 17 Hilgard. 31  Erano eseguiti da ragazzi i prosodi di Cleocare e Anficle (cfr. pp. 74, 75). 32  Cfr. rispettivamente i prosodi composti da Cleocare e Anficle (cfr. pp. 74, 75). 33  Cfr. n. 21; vd. Poll. 4, 82 (I, 225 Bethe) sugli auli ἐμβατήριοι che accompagnavano i prosodi. 34   Testt. 1; 2 Gent.-Pr. 35  È il caso dei prosodi composti da Limenio e da Anficle (cfr. pp. 74, 75); vd.  Poll. 4,  64 (I, 220,  11-13 Bethe), che attribuisce a  Crizia (88 B 57 D.-K.) l’uso più antico del termine ‘prosodio’ (nella forma προσῳδία). 36  Vd.  Ath. 14,  631cd, dove i  prosodi sono citati in tal senso insieme agli ἀποστολικοί (per i quali cfr. Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a, V, 159, 8 Henry; 322a, V, 166, 34-35 Henry), che Kaibel (ad Ath. loc. cit. adn.) propone di correggere in δαφνηφορικοί (ὠσχοφορικοί o un termine più generico per indicare carmi in -φορικόν propone invece Calame 1977, 164, n. 43). 37  Su questa tendenza generale di adeguamento del canto a  una divinità, cfr. Procl. Chrest. ap. Phot. 320a-320b (V, 159-161 Henry) e, riguardo alla sfera apollinea, Privitera 1972 b.

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di guerrieri e  saggi 38, e  contrapposta con forte antitesi al  suono prodotto da una tromba di guerra 39. Indicazioni molto generiche, ma non per questo meno significative, riguardano un presumibile alto livello di accuratezza formale e di varietà stilistica che risultava evidente nella composizione dei prosodi, così come in quella di inni e peani, citati anche altrove insieme a questi canti 40. Il prosodio, che nella sistematizzazione dei generi lirici quale appare teorizzata da Proclo era annoverato fra i canti in onore degli dèi, come l’inno, il peana, il ditirambo, il nomos, l’adonidion, lo iobacco, l’iporchema 41, risulta un carme corale prevalentemente apollineo e per questo connesso soprattutto al­l’ambito delfico e a quello delio, ma era impiegato anche nella celebrazione della madre del dio, Latona, e della sorella Artemide 42. Come documentano inoltre sia la composizione di un peana e di un prosodio da parte di Limenio (cfr. p. 74), che era uno dei technitai dionisiaci di Atene, sia la loro esecuzione da parte dei sacerdoti di Dioniso, anche questo dio poteva essere celebrato con inni processionali di specifica pertinenza apollinea: lo permetteva la complementarietà 38 Cfr. Ps. Plut. Mus. 16, 1136d; 17, 1136e-f  (= Aristox. fr. 82 Wehrli), dove si ricorda anche la preferenza di Platone per questa tonalità, che caratterizzava i parteni di Alcmane, Pindaro, Simonide, Bacchilide, i peani, le lamentazioni tragiche e alcuni carmi erotici, oltre ai prosodi. 39  Nella descrizione del trionfo in onore del generale vittorioso Lucio Emilio Paolo e della parata che caratterizzava il terzo giorno dei festeggiamenti, Plutarco (Aem. 33, 272f-273) rileva che l’accompagnamento musicale dei trombettieri, costituito da una marcia trionfale, era molto diverso da quello che comunemente era eseguito nelle processioni (μέλοϛ οὐ προσόδιον καὶ πομπικόν): era simile, piuttosto, a quello, pieno di furore, che in guerra guidava i soldati al­l’attacco contro il nemico. Canti propri dei trionfi, in cui tradizionalmente si mescolavano motivi di beffa (…ᾠδάϛ τιναϛ πατρίουϛ ἀναμεμιγμέναϛ γέλωτι), peani di vittoria e lodi per le imprese compiute (…παιᾶναϛ ἐπινικίουϛ καὶ τῶν διαπεπραγμένων ἐπαίνουϛ), erano eseguiti in chiusura di sfilata da tutto l’esercito (Plut. Aem. 34, 273e). 40  Schol. ad Ar. Av. 919: … ‘κατάτεχνα, ποικίλα’, οἷον ὕμνουϛ, παιᾶναϛ, προσόδια, καὶ τὰ λοιπὰ τούτοιϛ παραπλήσια. Cfr. Poll. 4, 53 (I, 216 Bethe); sui criteri di sistemazione dei vari generi lirici proposta da Polluce in questo passo si veda Färber 1936, I, 17 s. 41 Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 319b (V, 159, 35-37 Henry). 42  Vd. il prosodio di Anficle (cfr. p. 75) e Paus. 4, 4, 1. La sola Latona è invocata in un frammento pindarico appartenente a  un prosodio (89a Maehl.; cfr. il prosodio di Limenio, p. 74) e la sola Artemide in IG XII, 9, 189. Poll. 1, 38 (1, 11, 11 ss. Bethe) precisa che mentre i prosodi sono rivolti ad Artemide e ad Apollo, il peana è dedicato in particolare ad Apollo e l’upingo ad Artemide.

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dei due culti, comprovata dal fatto che, come è noto, i due dèi si spartivano la loro permanenza a Delfi, dove Dioniso dimorava durante i mesi invernali 43. Per la sua stessa natura, inoltre, il prosodio poteva coincidere con canti appartenenti propriamente ad altri generi che comportavano una dimensione processionale: tali risultano, ad esempio, i  peani prosodiaci di Pindaro (cfr.  pp. 69, n. 1, 76 s.), l’Olimpica 14, un breve epinicio sciolto da responsione strofica e privo della sezione mitica, in forma di inno processionale dedicato alle Cariti (vv. 16-17: (Aglaia) «guardando questo corteo avanzare…con passo leggero») 44 e i ditirambi processionali, come il canto popolare eseguito da 16 donne elee in onore di Dioniso mentre il toro veniva portato al sacrificio, durante la celebrazione delle feste Tie (Carm. pop. fr. 871 Page; cfr. p. 69, n. 1). L’intersecarsi del prosodio con altri generi spiega sia la varietà di realizzazione metrico-ritmica di questo canto 45 sia la presenza di nuclei tematici propri della lirica corale 46: alcuni di essi, come la lode degli dèi e dei committenti, la preghiera, la menzione della città del poe­ta e del luogo della cerimonia, la richiesta di protezione alla divinità sono rilevabili, ad esempio, nel prosodio di Eumelo e in quello di Limenio 47; il mo43 Cfr.  Plut. De E Delph. 9,  389c; vd.  Parke-Wormell 1956,  330  ss.; Fileni 1987, 24-26. 44  Cfr.  Lomiento 1998,  114 e  n.  28; 2010-2011,  294-295; Gentili et alii 2013, 337-338. 45   Bacchilide, fr. 11 + 12: 2 tr glyc /glyc cho / 2 glyc / 3 cr sp ?  / 2 glyc / 2 glyc; fr. 13: 2 epitria / hemf  epitrtr. Pindaro, con prevalenza di kat’enoplion-epitriti: fr. 89a: en hemf   / 2 epitrtr / epitrtr hemf; fr. 92: epitrtr pros (vel reiza hemm)/ epitrtr; fr. 93: epitrtr pros (vel reiza hemm )/ epitria pros (vel reiza hemm) epitria / penthemtr. L’Olimpica 14 è  formata da strutture miste antispasto-coriambiche e  ioniche; in dimetri, probabilmente polischematici, con efimnio a fine strofe, è il Peana 21 = fr.  52v, anch’esso un canto processionale con la struttura di un ἀπολελυμένον (cfr.  Gentili et alii 2013,  338). Il  prosodio composto da Limenio (cfr.  p. 74 e n.  17), presenta un’alternanza di dimetri liberi (polischematici) e  gliconei, con ferecrateo di clausola. 46  Si rinvia in particolare a Grandolini 1987-1988, 31 ss.; 1991, 130 ss., che individua, negli scarsi frammenti di prosodi, le tracce del sistema di temi e motivi e  le corrispondenti funzioni (soggettiva, oggettiva, assiomatica) codificati in modo sistematico da Pavese 1997,  92  ss. nel­l’ambito della produzione lirica corale. 47  Cfr.  pp. 74, 76. Relativamente al  prosodio di Eumelo, Pavese 1979, 263 rileva l’occorrenza del motivo che consiste nel desiderio di chi esegue il canto di piacere a un dio, in questo caso Apollo.

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tivo della quaestio rapsodica è  esplicitato nel­l’esordio del fr.  89a Maehl. di Pindaro, che accoglie l’interrogativo circa l’argomento migliore con cui dare inizio e terminare il canto 48; la celebrazione della poesia e il riferimento al coro che danza e canta trapelano dal prosodio di Eumelo, in cui la menzione della Musa gradita a Zeus del­l’Itome doveva di riflesso onorare anche la sensibilità dei Messeni verso la poesia, dimostrata con l’istituzione delle gare musicali alle feste Itomee; la gnome nei frr. 11 e 12 Maehl. di Bacchilide, appartenenti a un prosodio, invita ad evitare l’inutile fatica di affliggere l’animo pensando con preoccupazione al futuro 49, e nel fr. 13 ricorda il destino di sofferenza riservato dal daimon a tutti i  mortali. Nulla di certo si può invece desumere dai pochi versi superstiti appartenenti a prosodi riguardo alla presenza in essi del­ l’elemento mitico, e  della sua conseguente funzione paideutica, nonostante una testimonianza di Porfirio attesti una parte mitologica nei prosodi pindarici 50. D’altro canto, se è  vero che alla composizione di carmi lirici concorreva un patrimonio comune di strutture metrico-ritmiche e di temi codificati, è anche vero che in sede di classificazione e sistematizzazione dei carmi si tendeva, laddove era possibile, ad operare dei distinguo: nel caso del prosodio, se ne circoscrive il raggio d’azione contrapponendolo di volta in volta al­l’iporchema e allo stasimo (EM s.v.  προσῴδιον, 690,  42  ss. Gaisf.; cfr.  p.  71 e n.  5), all’inno (Orion s.v. ὕμνος, 155, 23 ss. Sturz; cfr. p. 75, n. 21; Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a, V, 159, 14-17 Henry; cfr. p. 75, n. 21) e al peana, secondo Proclo scorrettamente definito ‘prosodio’ (320a, V, 160,  24-25 Henry; cfr.  p.  69, n.  1); soprattutto, se ne individua la specificità nello stretto rapporto con il contesto processionale, con il cammino dei fedeli verso la loro meta, come si 48  L’incipit del prosodio è  restituito da Suid. s.v.  προσόδια (IV, 229,  29-30 Adler) e da schol. ad Ar. Eq. 1264b (258, 15-17 Koster). L’espressione ἀρχομένοισιν ἢ καταπαυομένοισιν potrebbe fare riferimento ad una ripresa della lode alla divinità alla fine del canto, secondo il modello della preghiera e quello della Ringkomposition, frequente nella poesia e nella prosa arcaica. 49  I  frammenti, verosimilmente appartenenti allo stesso carme, sviluppano il motivo, tipicamente delfico ed espresso soprattutto nei peani, di una pace che si può raggiungere solo attraverso un atteggiamento moderato: cfr.  Grandolini 1984-1985, 48. Per la gnome come tema dei prosodi, oltre che degli iporchemi, parteni, encomi, peani, vd. Pavese 1979, 221 s., 224 s. 50 Porph. De abstin. 3, 16 (205, 12 ss. Nauck).

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apprende dalla letteratura lessicografica e scoliografica che in varie occasioni sembra assumere questo carattere del canto come un criterio di classificazione: valgano per tutti la formulazione proposta da Didimo di Alessandria (fr. 3, 389-390 Schmidt = EM s.v. ὕμνος 777,  6 s. Gaisf.) προσῴδια γάρ, καθὰ κέκληται,  π ρ ο σ ι ό ν τ ε ς ναοῖς ἢ βωμοῖς πρὸς αὐλὸν ᾖδον e quella registrata dal­l’Etymologicum Magnum s.v. προσῴδιον, 690, 41 Gaisf.: λιτανεία μετὰ ὕμνων· παρὰ τὸ  π ρ ο σ ί ε ν α ι  μετὰ τούτου τοῖϛ θεοῖϛ 51. La definizione trova un puntuale riscontro nella più antica occorrenza poe­tica del termine, negli Aves di Aristofane (vv.  851-858), dove il coro dispone che canti grandiosi e solenni eseguiti al suono del­l’aulo accompagnino la processione che avanza verso gli dèi onorati nella nuova città degli Uccelli, appena fondata e  costruita fra le nuvole:  π ρ ο σ ό δ ι α  μεγάλα σεμνὰ  π ρ ο σ ι έ ν α ι  θεοῖσιν (v. 854). Il rituale, che ha come scopo di ottenere la charis divina a necessario supporto del­l’impresa che si va compiendo, prevede anche un sacrificio, effettuato dal sacerdote che, introdotto subito dopo sulla scena, dovrà guidare la processione (cfr. vv. 848849; 862) 52. Il valore, sufficientemente rilevabile nelle fonti, di ‘prosodio’ come canto che trova la sua specificità nella performance processionale, corrisponde esattamente, a livello di prassi poe­tica, al modo 51 Cfr.  Orion s.v.  ὕμνοϛ, 155,  22 Sturz κεχώρισται (scil. ὁ ὕμνος) δὲ τῶν προσῳδιῶν, καὶ κατὰ τοῦτο ἐστὶ τὰ μὲν προσῴδια, καθὰ καὶ κέκληται, προϊόντες ναοῖς ἢ βωμοῖς πρὸς αὐλὸν ᾖδον; Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a (V, 159, 18-160, 1 Henry) ἐλέγετο δὲ τὸ προσόδιον ἐπειδὰν προσίωσι τοῖς βωμοῖς ἢ ναοῖς, καὶ ἐν τῷ προσιέναι ᾔδετο πρὸς αὐλόν; Schol. vet. in Theoc. 61b, 54, 15-16 Wend.; Ps. Zonar. s.vv. προσῴδιον (col. 1583 Tittmann) e ὑμνητόν (col. 1767 Tittmann); Schol. ad Ar. Av. 853a. 52  Pisetero, che si incarica di andare a chiamare il sacerdote, ordina ad un servo di portare il canestro e l’acqua lustrale, necessari al compimento del sacrificio. L’effetto comico della scena scaturisce prima di tutto dal­l’intervento del­l’auleta Cheride (un tebano, menzionato dai poe­ti comici: cfr.  Mastromarco-Totaro 2006, 208, n. 186), apparso con la phorbeia e con un costume da corvo, che viene interrotto e  insultato da Pisetero ai  vv.  859-860 per la sua scadente performance; in secondo luogo dalla presenza, come vittima sacrificale, di un capro tutto pelle e ossa (cfr. vv. 901-902), e infine dalla dabbenaggine del sacerdote che sarà sosti­tuito dallo stesso Pisetero nella celebrazione del sacrificio (cfr. vv. 893-894). Il coro promette, a questo punto, che farà risuonare un secondo canto per l’abluzione e un altro per l’invocazione degli dèi (cfr. vv. 895-900). Sulla connessione della Πυθιὰϛ βοά (il grido che nella scena gli uccelli si esortano reciprocamente a levare, al v. 857) con il prosodio, cfr. Grandolini 1986.

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in cui Aristofane intende il genere, lo introduce sulla scena e lo rea­lizza sul piano drammaturgico, accogliendolo nella parodo delle Rane. L’inserzione, nella scena teatrale, di questa tipologia liricocorale si inquadra nella peculiare consuetudine del poe­ta comico di immettere, nel flusso del suo discorso, singole unità poe­tiche appartenenti ai generi più diversi, extra-teatrali, del­l’antica tradizione lirica (inni cultuali o  citarodici, iporchemi, parteni, epitalami, encomi) o a quelli della tradizione popolare (canti d’invettiva o di lavoro e serenate). Q ueste unità compositive, che insieme agli interventi dei singoli personaggi e dei gruppi corali inducono nel testo comico il carattere del plurilinguismo e il fenomeno della ‘pluridiscorsività’, risultano realizzate attraverso differenti modalità: si va dal trattamento come ‘genere intercalare’, che tende a conservare mimeticamente gli originali caratteri linguistici e stilistici di un canto, alla sua resa in senso parodico, consistente nella ripresa anti-mimetica, improntata a  toni satirici e  polemici, del modello di riferimento, passando attraverso intermedie forme ibride 53. Nella impostazione metodologica dello studio di questo significativo tratto stilistico del discorso comico seguo le indicazioni che emergono da un intervento di Liana Lomiento, Parodie e generi intercalari nei corali di Aristofane (2007), dal quale si deduce in primo luogo un assunto importante, che mi sento di condividere in pieno e  che ritengo necessario cercare di perseguire: esso riguarda l’opportunità, che si offre allo studioso della commedia antica, di considerare le diverse modalità di ripresa di unità extra-teatrali come una categoria ermeneutica che, se ben utilizzata, può rivelare aspetti poco esplorati sotto il profilo letterario, a loro volta indizi del­l’intento che il poe­ta si è prefissato e del progetto che ha attuato. In questa prospettiva sono campi da esplorare il rapporto di reciproca influenza che si determina tra il genere intercalato o parodiato e il contesto comico che lo ingloba e la mescolanza di linguaggi diversi che sia sul piano lessicale sia su quello metrico-ritmico determinano l’assetto del canto.

  Sul valore di parodia come ripresa anti-mimetica di un testo, che qui si privilegia, si rinvia a Genette 1997, 33, 84 e, in quanto applicato al teatro comico aristofaneo, a Lomiento 2007, 303 e n. 6, 304 e n. 10, 306, n. 17, 312. 53

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Prima di affrontare il testo della parodo secondo queste direttrici, s’impongono due osservazioni preliminari: la prima riguarda la necessità di considerare i prosodi unitamente alle altre contigue parti liriche che compongono una sezione il cui carattere peculiare consiste proprio nella stretta connessione di canti e danze eseguiti durante il rituale misterico. Essi segnano altrettante tappe di una processione la quale tende, come più volte ribadito nel corso delle odi (vv. 326, 372-374, 441/2, 448-449), verso un unico punto di convergenza, i prati fioriti dove si riuniscono i tiasi beati di uomini e di donne (cfr. vv. 155-157). La seconda osservazione concerne la rilevante presenza di un meccanismo consueto nel teatro comico attico, che si rivela particolarmente produttivo e  significativo nella prima parte di questa commedia: la surreale riduzione del­ l’aldilà non solo alla dimensione umana ma, in modo del tutto palese, alla realtà di Atene. Ne consegue una rappresentazione del­ l’Oltretomba che non conosce soluzione di continuità rispetto alla vita quotidiana della polis, come suggeriscono numerosi particolari, reperibili nel testo, che a vario titolo alludono, in modo più o  meno esplicito, a  consuetudini, atteggiamenti, modi del vivere civile che regolavano la vita cittadina 54: riferimenti precisi che dal punto di vista della resa comica garantivano ovviamente anche l’opportuna dose di battute giocate sul­l’attualità. Con questa costante tendenza ad una sovrapposizione del­l’Ade alla polis ateniese, va messa in relazione l’occorrenza, nel­l’ambito della parodo, nel giro di soli 143 versi, di ben tre prosodi: se ne può forse ricavare un’informazione concernente il ruolo del prosodio, pre  Ad esempio, la presenza di un luogo chiamato Ceramico, con una torre da cui guardare la partenza di una corsa con le fiaccole (vv. 129-133); l’attraversamento della palude sulla barca di Caronte, che rinvia alla situazione dei trasporti pubblici nella polis (v. 185 ss.); la tariffa, richiesta dal nocchiero, di due oboli (vv. 139-140; 270), pari alla paga giornaliera corrisposta dallo stato ateniese a soldati e marinai o al contributo per gli spettacoli teatrali. Avido e maleducato come la maggior parte degli Ateniesi appare il morto che Dioniso tenta di assoldare per il trasporto dei bagagli (vv.  170-178); volgari e  litigiose le due ostesse infuriate contro Eracle, che vantano come protettori Cleone ed Iperbolo (v. 549 ss.) e che vorrebbero gettare l’eroe nel «baratro», facilmente identificabile con il precipizio situato sulle pendici meridionali del­l’Acropoli, dal quale venivano buttati i malfattori (v. 574); è ancora ateniese la legge in virtù della quale Xantia, nelle vesti del padrone, può consegnare alla tortura Dioniso, al momento suo servo per effetto di uno scambio di ruoli, per verificare l’accusa di furto rivolta contro lui stesso (vv. 615-617; cfr. vv. 623-624). 54

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sumibilmente non di poco conto, nel panorama della tradizione cultuale di Atene in età classica. È verosimile, infatti, che il poe­ta, proponendolo in misura tutt’altro che irrilevante, lo ritenesse funzionale alla definizione di alcuni tratti specifici della città, alla configurazione di un’Atene ‘parallela’ nel­l’Ade, di cui fossero immediatamente percepibili al pubblico i modelli di riferimento. La forte suggestione della realtà ateniese costantemente sottesa a  questa rappresentazione scenica è  confermata anche dalle invocazioni, che innervano l’intera parodo, a  Core, Demetra e  Iacco, divinità associata a  Dioniso o, più probabilmente, Dioniso stesso (v. 327) 55, che suggeriscono un’implicita connotazione eleusina del coro e del suo canto, ossia una allusa identificazione del contesto iniziatico, in cui si svolge la parodo, con quello dei Misteri Eleusini 56. Essi prevedevano, fra l’altro, una processione che partendo dallo Iaccheion e  attraversando il centro di Atene riportava ad Eleusi gli oggetti sacri, fra cui l’immagine del dio, proprio a questa processione si alluderebbe al v. 320 (ᾄδουσι γοῦν τὸν Ἴακχον ὅνπερ Διαγόρας), se letto con la variante del codice Veneto, confortata da Apollodoro di Tarso, δι᾽̓ ἀγορᾶς 57: «cantano l’inno di Iacco, quello δι᾽ ἀγορᾶς», cioè quello eseguito attraversando la piazza, una variante foneticamente identica, e con ogni probabilità intenzionalmente polisemantica, rispetto al  nome proprio Διαγόραϛ tramandato da quasi tutti i codici e riferito, nel senso antifrastico veicolato dal­l’aprosdoketon, al­l’ateo Diagora 55   L’identificazione è plausibile sulla base del lessico e di alcuni particolari del rituale a cui si accenna nel testo: cfr. Del Corno 20005,  174. Riguardo alla vera natura di Iacco e al suo rapporto con Dioniso e con le dee eleusine, si contrappongono teorie diverse: quella sostenuta da Nilsson (1955, I, 664), che sulla base di Hdt. 8, 65 riteneva che dal grido ἰαχή, pronunciato durante le processioni da Atene ad Eleusi, avrebbe avuto origine il nome di quella divinità, più tardi identificata con Dioniso (cfr. Mylonas 1961, 238, 308); quella sostenuta da Segal (1961, 218219), secondo il quale Iacco sarebbe da identificare con una delle tante incarnazioni della natura dionisiaca, associata al culto di Demetra e Persefone, in una combinazione di pratiche cultuali e in una fusione di figure di culto che determinano una sorta di rigenerazione della comunità cittadina. 56  I  Grandi Misteri si celebravano nel mese di Boedromione (tra settembre e ottobre) e si distinguevano dai Piccoli Misteri, che avevano luogo ad Agra (o Agrai), presso l’Ilisso, in primavera: cfr. Guarducci 1982. Da evitare, ovviamente, l’ingenuità di intendere la parodo delle Rane come una fedele riproduzione del rituale processionale eleusino (cfr. Dover 1993 b, 182-184). 57  Ap. schol. ad  loc. e  ap. Hsch. s.v.  Διαγόρας, 430,  75 Latte (Διόδωρος in ̓Απολλόδωρος corr. Fritzsche).

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di Melo, che aveva fama di farsi beffe dei riti misterici e che era stato colpito da un’accusa di empietà 58. La processione e il canto che l’accompagna invadono le strade di Atene ma, corrispondentemente, anche i prati fioriti del­l’Ade: ad entrambi i luoghi è riferibile l’ἐνθάδε dei vv.  323/4, nel­l’invocazione a  Iacco-Dioniso al­l’inizio della coppia strofica a lui dedicata (vv. 323/324-336 = 340-352) con cui prende avvio la parodo, cantata dal coro degli iniziati che fanno il loro ingresso in scena preceduti da un’aura di flauti e da un effluvio di fiaccole 59: Ἴακχ ̓, ὦ πολυτίμοις ἐν ἕδραις ἐνθάδε ναίων, 323/4 Ἴακχ ̓ ὦ [Ιακχε, 325 ἐλθὲ τόνδ ̓ ἀνὰ λειμῶνα χορεύσων ὁσίους εἰς θιασώτας, πολύκαρπον μὲν τινάσσων περὶ κρατὶ σῷ βρύοντα στέφανον μύρτων, θρασεῖ δ ̓ ἐγκατακρούων 330/1 ποδὶ τὰν ἀκόλαστον φιλοπαίγμονα τιμήν, 333/4 Χαρίτων πλεῖστον ἔχουσαν μέρος, ἁγνήν, ἱερὰν 335 ὁσίοις μύσταις χορείαν. ἔγειρε φλογέας λαμπάδας ἐν χερσὶ τινάσσων 340 Ἴακχ ̓ ὦ [Ιακχε, νυκτέρου τελετῆς φωσφόρος ἀστήρ. φλογὶ φέγγεται δὲ λειμών· 343/4 γόνυ πάλλεται γερόντων· 345 ἀποσείονται δὲ λύπας χρονίους τ ̓ ἐτῶν παλαιῶν ἐνιαυτοὺς ἱερᾶς ὑπὸ τιμῆς. 348/9 σὺ δὲ λαμπάδι φέγγων 350 προβάδην ἔξαγ ̓ ἐπ ̓ ἀνθηρὸν ἕλειον δάπεδον χοροποιόν, μάκαρ, ἥβαν. 352

58 Cfr. schol. ad Ran. 320e; Av. 1073 e schol. ad loc.; vd. Dunbar 1995, 581583. Si suggerisce così un’assimilazione del canto eseguito da Diagora per Iacco alle blasfeme espressioni dei frequentatori della piazza (cfr.  Del Corno 20005, 174). 59  Q uesto scenario era già stato prospettato da Eracle a Dioniso ai vv. 154-163 e percepito da Dioniso e Xantia immediatamente prima della parodo (vv. 313315). Il testo della parodo qui presentato riproduce quello del­l’edizione Del Corno 20005, per la quale si rinvia a quanto detto alla ‘Nota al testo’, XLIII.

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L’inno è strutturato in ritmi gliconici e in ritmi ionici, secondo un’associazione ricorrente in Bacchilide e  nel teatro tragico 60. Il canto consiste in un’invocazione a Iacco, solitamente a lui rivolta durante la celebrazione dei Misteri Eleusini, un invito a  unirsi, «col ritmo ardito del piede», alla «pura danza sacra» che i suoi pii devoti stanno eseguendo sul prato (strofe), a ravvivare le fiaccole ardenti e a scuoterle, così che il prato risplenda di fiamme che portano luce al rito notturno; infine, a guidare con la fulgida fiaccola i giovani che danzano in coro sul­l’umido prato (antistrofe). L’invocazione rivolta al  dio nel­l’incipit del­l’inno comporta che non siano i fedeli a muoversi verso il dio, che pure detiene una sua dimora nelle sedi del­l’Ade (vv. 323/4), ma che egli stesso giunga presso i devoti e svolga un ruolo attivo nel­l’organizzazione della danza, imprimendo il giusto ritmo alla sfrenata festa sacra, amante della gioia (vv.  332-334), che scrolla via le pene del­l’età senile (vv. 345-348/349). Un movimento ancora diverso, centrifugo, è  quello imposto dal corifeo al­l’inizio e  alla fine della successiva sezione in tetrametri anapestici catalettici (vv. 354-371), dove in tono perentorio e solenne, coerentemente con l’inizio del rituale, viene ordinato a quanti fossero lì per partecipare al­l’occasione festiva, di sottrarsi fisicamente ai cori degli iniziati, oltre che di tacere (vv. 355, 369370). Ad essere colpiti sono ovviamente in primo luogo i non iniziati ai misteri, ma anche quanti si rendono colpevoli di biasimevoli comportamenti sia in campo letterario sia a livello etico-politico: su questi binari corre il riferimento polemico al­l’attualità, che rende il brano molto vicino ai toni e ai contenuti di una parabasi 61. Sollecitato a rinnovare il suo intervento (v. 370), il coro, nella successiva coppia antistrofica, rivolge immediatamente ad ognuno dei partecipanti l’invito, ripetuto di lì a poco, a procedere avanzando (χώρει, al­l’inizio della strofe, al quale corrisponde ἔμβα, al­ l’inizio del­l’antistrofe, v. 377): un invito che identifica il tipo di canto in esecuzione come un prosodio (vv. 372-376 = 377-382): 60  Cfr.  B. fr.  20A Maehl.; A.  Sept. 321  ss.  = 333  ss.; Ag. 739  ss.  = 750  ss.; E. Bacch. 105 ss. = 120 ss.; 135 ss.; 556 ss.; I. A. 164 ss. = 185 ss. Per gli ionici, caratteristici della parodo delle Baccanti, vd. Dodds 19602, 72-73. 61  La sezione parabatica che segue ai  vv.  674-737 risulta significativamente mancante degli anapesti, la cui funzione è almeno in parte svolta dalla parodo, che ne accoglie ampiamente i riferimenti al­l’attualità.

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χώρει νυν πᾶς ἀνδρείως εἰς τοὺς εὐανθεῖς κόλπους λειμώνων ἐγκρούων κἀπισκώπτων 374a καὶ παίζων καὶ χλευάζων· 375 ἠρίστηται δ ̓ ἐξαρκούντως. ἀλλ ̓ ἔμβα χὤπως ἀρεῖς τὴν Σώτειραν γενναίως τᾖ φωνῇ μολπάζων, ἣ τὴν χώραν σώσειν φήσ ̓ εἰς τὰς ὥρας, κἂν Θωρυκίων μὴ βούληται.

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L’ode è strutturata su ritmi anapestici lirici di realizzazione olospondaica che, in luogo dei ritmi dattilici più consoni al genere innodico, rivelano immediatamente, sul piano musicale, il tono parodico, confermato a livello di contenuti, ma solo in conclusione della coppia antistrofica, da un discreto riferimento polemico alla realtà attuale (v. 382) 62. Il coro sollecita se stesso ad accompagnare il canto con l’esecuzione di precisi atti di valore rituale: ciascuno deve avanzare «nel fiorito grembo dei prati» (v. 373) 63, nel luogo che costituisce il punto di arrivo del movimento processionale, là dove era stato già invitato Iacco-Dioniso (vv. 326, 350-352). Non manca il necessario, se pur breve riferimento alla danza (v. 374), che lascia più ampio spazio alla descrizione delle attività che il coro deve svolgere durante il suo cammino: ἐπισκώπτειν, παίζειν, χλευάζειν (vv. 374a-375; cfr. v. 392), termini chiaramente riferibili alla nota usanza del γεφυρισμόϛ, consistente in uno scambio di ingiurie e lazzi tra gli iniziati, giunti al ponte sul Cefiso durante la processione da Atene ad Eleusi, e gli astanti. Nel canto prosodiaco che descrive la festa nel­l’Ade si insedia dunque un elemento fortemente caratterizzante del rituale misterico attico, il quale al tempo stesso rievoca anche le origini rituali del teatro comico, che si ricollegavano alla pratica scoptica, in un intreccio, fecondo di esiti 62  Un’analoga realizzazione a livello metrico si riscontra nel­l’inno parodico in anapesti in Av. 1058 ss.: cfr. Lomiento 2007, 331. 63  Il termine χώρει (v. 372), così come χωρεῖτε al v. 440 e χωρῶμεν al v. 448, indicherebbero propriamente, secondo Del Corno 20005,  181, ‘solo movimenti, non più che simbolici, del coro’. Κόλπους è qui da intendere anche nel valore di «seno», «grembo femminile», in scherzosa rispondenza con ἀνδρείωϛ.

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inediti, tra azione drammatica e risvolti metateatrali. L’antistrofe è  invece tutta concentrata sia sulla divinità in onore della quale è intonato il canto processionale, cioè la Salvatrice (v. 378) 64, qui identificabile con Core, sia sul suo ruolo salvifico insito nella natura di dea eleusina, misterica, garante della salvezza eterna delle anime, qui esplicitamente sollecitata ad assicurare, nella stessa prospettiva eterna, la salvezza alla città di Atene (σώσειν, v. 381). La solennità del­l’invocazione è rotta, proprio nel­l’ultimo verso, da un brusco riferimento polemico, di valore antonomastico, verso quei cittadini disonesti, nella fattispecie il Toricione già menzionato nella sezione in tetrametri anapestici (vv. 363-364), che sul piano etico-politico minacciavano la sopravvivenza della polis. Nella terza coppia antistrofica (vv.  384a-388  = 389-393), il coro obbedisce al­l’esortazione del corifeo (vv. 383-384) di levare ‘nuova forma di inni’ a Demetra: Δήμητερ, ἁγνῶν ὀργίων   ἄνασσα, συμπαραστάτει,   καὶ σῷζε τὸν σαυτῆς χορόν· καί μ ̓ ἀσφαλῶς πανήμερον   παῖσαί τε καὶ χορεῦσαι. καὶ πολλὰ μὲν γέλοιά μ ̓ εἰ  πεῖν, πολλὰ δὲ σπουδαῖα, καὶ   τῆς σῆς ἑορτῆς ἀξίως παίσαντα καὶ σκώψαντα νι  κήσαντα ταινιοῦσθαι.

384a 385

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La dea è  salutata come «sovrana di sacri riti» (vv.  384a-385) e  invitata dal coro a  συμπαραστατεῖν, a  stare insieme a  lui, poiché esso le appartiene, e a proteggerlo (il verbo è di nuovo σῴζειν, v.  386), in modo da garantirgli παῖσαί τε καὶ χορεῦσαι (v.  388; cfr. vv. 375, 392) 65, attività che riguardano i due livelli di appartenenza del coro stesso alla finzione scenica e al rituale misterico, inscindibili sul piano della realizzazione drammaturgica. Di nuovo dunque, come era accaduto per Iacco-Dioniso, non sono i  co64  Sul­ l’attributo, in riferimento alle varie funzioni rituali del titolo divino, vd. Dover 1993 a, 244. 65  Per il valore del­l’avverbio ἀσφαλῶς (v. 387), che accompagna i due infiniti, cfr. Dover 1993a, 245: «without anything going wrong (e. g. in the performance)».

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reuti a  procedere verso la divinità, ma è  la dea stessa, la titolare del santuario di Eleusi e  della festa, ad essere chiamata, nel medesimo luogo sacro, a proteggere il suo coro e, in ultima analisi, a consentire al poe­ta di realizzare, nella sua opera, il giusto connubio di γέλοια e σπουδαῖα e di conseguire la vittoria nel­l’agone teatrale: è questo il contenuto del­l’antistrofe, che apporta elementi parodici nel­l’inno la cui facies ritmica, invece, appare consona ad un’ode per Demetra, consistendo di strutture in metro giambico, profondamente connesso, a livello mitico, alle note vicende personali della dea (cfr. v. 416 ss. e p. 92 s.). La successiva sezione presenta una variante strutturale rispetto alle tre coppie antistrofiche precedenti, trattandosi di una successione di tre strofe in giambi lirici (vv. 397-403 = 404408 = 409-413): Ἴακχε πολυτίμητε, μέλος ἑορτῆς ἣδιστον εὑρὼν, δεῦρο συνακολούθει πρὸς τὴν θεὸν καὶ δεῖξον ὡς ἄνευ πόνου πολλὴν ὁδὸν περαίνεις. Ἴακχε φιλοχορευτά, συμπρόπεμπέ με.

398/399 400

σὺ γὰρ κατεσχίσω μὲν ἐπὶ γέλωτι κἀπ ̓ εὐτελείᾳͅ τόδε τὸ σανδαλίσκον 405 καὶ τὸ ῥάκος, 405a κἀξηῦρες ὥστ ̓ ἀζημίους παίζειν τε καὶ χορεύειν. Ἴακχε φιλοχορευτά, συμπρόπεμπέ με. καὶ γὰρ παραβλέψας τι μειρακίσκης νῦν δὴ κατεῖδον καὶ μάλ ̓ εὐπροσώπου 410 συμπαιστρίας 410a χιτωνίου παραρραγέντος τιτθίον προκύψαν. Ἴακχε φιλοχορευτά, συμπρόπεμπέ με.

Radermacher ritiene che l’ode possa riprodurre la forma strofica del canto mistico, come indurrebbe a ritenere la presenza del ritornello 66. Il  canto è  da intendere come un altro prosodio, che 66  Radermacher 1954, 197; in Hdt. 8, 65 il grido che i fedeli levano in onore di Iacco (ἰακχάζουσι) è definito ὁ μυστικὸς ἴακχος.

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contiene ancora una preghiera a  Iacco-Dioniso. Il  corifeo invita i coreuti a invocare, con i loro canti, la presenza del dio che, già fortemente caratterizzato nella prima coppia antistrofica attraverso la sua connessione con la danza (cfr. p. 87), è anche ora esortato ad essere uno ξυνέμπορος τῆσδε τῆς χορείας (v.  396) 67, invocato come φιλοχορευτής nel refrain che conclude ognuna delle tre strofe (vv. 403, 408, 413); qui si ricorda, in aggiunta, anche il suo fondamentale ruolo di inventore del «canto dolcissimo della festa» (vv. 397-398/9) 68. Ma questo dio, che pure è invocato nel­l’incipit e  ricordato per il suo valore fondante rispetto agli elementi costitutivi della celebrazione festiva, non è il destinatario del canto processionale, ne è piuttosto l’accompagnatore (συμπρόπεμπέ με, vv. 403, 408, 413) 69. Il dio si unirà al coro, da lui invitato a fare questo (vv. 398/9-400: συνακολούθει / πρὸς τὴν θεόν), nel canto di cui egli stesso è l’inventore, e che ha come destinataria la divinità principale del contesto eleusino, cioè Demetra. Non con lei, però, di cui si tace nel resto del canto, ma di nuovo con Iacco-Dioniso i coreuti dialogano nella seconda strofe (vv. 404-408), riconoscendogli ancora dei meriti euristici, per aver inaugurato l’usanza di indossare abiti stracciati e  sandali vecchi nel mascheramento di valore rituale, del quale si colgono comicamente i  vantaggi economici e gli esiti giocosi 70. Una più decisa apertura verso toni buffoneschi, lontani dalla solennità iniziale del­l’ode, si avverte nella terza strofe (vv.  409-413), dove lo sguardo del poe­ta indulge su un particolare della scena collettiva, con la descrizione delle graziose forme di una danzatrice, che trapelano dalle vesti lacere. La  presenza di questi elementi nella seconda e  nella terza strofe non necessariamente è riferibile ad una elaborazione parodica: essi potevano caratterizzare anche il rituale dei misteri e quindi fare  Nella parola ξυνέμπορος può celarsi un’allusione di valore antifrastico al viaggio di Dioniso nel­l’Ade, irto di difficoltà (vd. Del Corno 20005, 179). 68  Come il termine διθύραμβος indicava sia Dioniso sia il canto a lui riferito, così ἴακχος designava non solo il dio, ma anche il canto iniziatico a lui dedicato (Hdt. 8, 65). 69  Scimmiottando le parole del coro in riferimento a Iacco-Dioniso (Ἴακχε φιλοχορευτά), Dioniso, che anche altrove, insieme a Xantia, interviene nella parodo (vv. 337-339; 431-439), si autodefinisce φιλακόλουθος, pronto a danzare con la giovane dalle forme provocanti che partecipa alle danze (vv. 413-415). 70   Il duplice riferimento al risparmio che ne deriva fa pensare ad un’allusione scherzosa al­l’avarizia del corego. 67

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parte integrante del canto inteso, in questo caso, come genere intercalare 71. Tale esso viene a delinearsi anche sul piano metricoritmico, se si tiene conto del­l’uso del giambo in un’ode in onore di Dioniso: come è noto, l’etimologia antica stabiliva un rapporto tra il nome del giambo e Θρίαμβος, uno degli epiteti del dio 72. Ancora in ritmi giambici è  costruita la successiva, lunga sezione, formata da otto strofette (vv. 416-439): ΧΟ. βούλεσθε δῆτα κοινῇ σκώψωμεν Α ̓ ρχέδημον, ὃς ἑπτέτης ὢν οὐκ ἔφυσε φράτερας; νυνὶ δὲ δημαγωγεῖ ἐν τοῖς ἄνω νεκροῖσι, κἄστιν τὰ πρῶτα τῆς ἐκεῖ μοχθηρίας.

420

τὸν Κλεισθένους δ ̓ ἀκούω ἐν ταῖς ταφαῖσι πρωκτὸν τίλλειν ἑαυτοῦ καὶ σπαράττειν τὰς γνάθους· κἀκόπτετ ̓ ἐγκεκυφώς, κἄκλαε κἀκεκράγει Σεβῖνον ὅστις ἐστὶν ̓Αναφλύστιος. καὶ Καλλίαν γέ φασι τοῦτον τὸν ̔Ιπποβίνου κύσθου λεοντῆν ναυμαχεῖν ἐνημμένον. ΔΙ. ἔχοιτ ̓ ἂν οὖν φράσαι νῷν Πλοῦτων ̓ ὅπου ̓ νθάδ ̓ οἰκεῖ; ξένω γάρ ἐσμεν ἀρτίως ἀφιγμένω. ΧΟ. μηδὲν μακρὰν ἀπέλθῃς, μηδ ̓ αὖθις ἐπανέρῃͅ με, ἀλλ ̓ ἴσθ ̓ ἐπ ̓ αὐτὴν τὴν θύραν ἀφιγμένος.

425

430

435

ΔΙ. αἴροι ̓ ἂν αὖθις, ὦ παῖ. ΞΑ. τουτὶ τί ἦν τὸ πρᾶγμα ἄλλ ̓ ἢ Διὸς Κόρινθος ἐν τοῖς στρώμασιν;

Il brano è incentrato, oltre che sulla richiesta di informazioni da parte di Dioniso per portare a termine il suo viaggio (vv. 432, 436:   Cfr. Lomiento 2007, 331.  Cfr. Diom. GL I, 477, 3 s. Keil; Suid. s.v. Θρίαμβος (II, 729, 9 ss. Adler).

71 72

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«…dov’è qui la casa di Plutone?…ecco, sei proprio davanti alla porta»), su motivi di polemica politica dal tono fortemente scoptico (vv.  416-430), che conferiscono ai  versi la configurazione di un canto di beffa, certamente non estraneo al  rituale compiuto dagli iniziati ai misteri. È riferibile sia alla tradizione della poe­sia dello psogos sia al­l’ambito delle feste dedicate a Dioniso e  a Demetra l’uso del giambo anche in queste strofette (cfr. v. 384 ss., p. 89 s.). Il coro si accomiata infine dal pubblico con un canto (vv. 448453  = 454-459) in giambi, dimetri ionici a  maiore catalettici, cosiddetti telesillei, e  un dimetro ionico a  minore doppiamente catalettico (reizc), introdotti da dimetri giambici e  itifallici (vv. 440-446/7) 73. I telesillei sono utilizzati, oltre che nella composizione di canti nuziali nella Pace e  negli Uccelli, anche in un inno processionale parodico eseguito dalle donne che, travestite da maschi, si recano al­l’assemblea nelle Ecclesiazuse (vv.  289299 = 300-310) 74. χωρεῖτε 440 νῦν ἱερὸν ἀνὰ κύκλον θεᾶς, ἀνθοφόρον ἀν ̓ ἄλσος 441/2 παίζοντες οἷς μετουσία θεοφιλοῦς ἑορτῆς. 443/4 ἐγὼ δὲ σὺν ταῖσιν κόραις εἶμι καὶ γυναιξίν, 445 οὗ παννυχίζουσιν θεᾷ, φέγγος ἱερὸν οἴσων. 446/7 χωρῶμεν εἰς πολυρρόδους λειμῶνας ἀνθεμώδεις, τὸν ἡμέτερον τρόπον,   τὸν καλλιχορώτατον, παίζοντες, ὃν ὄλβιαι Μοῖραι ξυνάγουσιν.

450

μόνοις γὰρ ἡμῖν ἥλιος καὶ φέγγος ἱερόν ἐστιν, ὅσοι μεμυήμεθ ̓ εὐ  σεβῆ τε διήγομεν τρόπον περὶ τοὺς ξένους καὶ τοὺς ἰδιώτας.

455

73  Anche il canto in giambi lirici che ha inizio al v. 397 è preceduto da due versi in giambi e itifallici. 74 Cfr. Pax 855 s. = 910 ss.; 1329 ss.; Av. 1729 ss.; in questo metro è composto anche l’inno a Demo in Eq. 1111 ss.

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Nei primi cinque versi (440-446/7) il corifeo invita i partecipanti alla festa a giocare nel bosco fiorito dopo essersi fatti avanti «nel sacro cerchio della dea», da identificare, di nuovo nella doppia accezione in cui si fondono l’azione rituale e quella scenica, sia con il recinto di forma circolare del santuario di Demetra ad Eleusi sia con l’orchestra dove si muove il coro. L’affermazione del corifeo (vv. 445-446/7) – propriamente un’indicazione di regia – «Io vado con le fanciulle e  con le donne  / dove c’è la veglia in onore della dea, a reggere la fiaccola sacra», appare coerente con una suddivisione del coro in due semicori, di uomini l’uno e di donne l’altro, come d’altra parte aveva anticipato Eracle a Dioniso (v. 157) 75. Q uesta indicazione non incide, in ogni caso, sul movimento seguente del coro, che al­l’esortazione del corifeo χωρεῖτε (v. 440) risponde χωρῶμεν (v. 448), dando avvio al terzo e ultimo prosodio (vv. 448-459). Nel­l’esortazione iniziale il canto stabilisce come mèta i  prati fioriti, ricollegandosi direttamente ai  vv.  441-444, che evocano il bosco in fiore come teatro della celebrazione del rituale. Il coro diventa ora fortemente autoreferenziale, non solo definendo, nella strofe, dal punto di vista del rituale, il proprio modo di fare festa, con danze bellissime guidate dalle Moire, divinità benigne per gli iniziati del­l’Ade, ma sottolineando, nel­l’antistrofe, la propria natura, che è  quella di adepti ai  misteri, vissuti «con pio rispetto» verso stranieri e  cittadini (vv.  456-459) 76. Solo per loro risplende nel­l’Oltretomba quello che invece è in genere considerato come il simbolo della vita terrena: la luce del sole (vv. 454-455) che qui, caricandosi di un forte senso simbolico e sacrale, rinvia al­l’idea di un genere più elevato di esistenza, fondamentale nella dottrina misterica. Nel momento

75  Cfr.  Sommerstein 1996,  184 e  Zimmermann 1984,  135-136, per il quale è possibile che alcune parti fossero eseguite alternativamente dai due semicori. Diversamente, si è ritenuto che il coro, in composizione soprannumeraria per la presenza di donne (forse delle comparse), in seguito alla loro uscita si sia poi ridotto a dimensioni normali: vd. Kassel 1994, 44; Newiger 1999, 205; per le varie interpretazioni del passo si rinvia a Dover 1993 a, 66-69. 76  È tale il senso di ἰδιώτης, che si definisce in contrapposizione a  πολίτης: cfr. Radermacher 1954, 208. Un valore diverso (‘cittadino non praticante la politica’) avrebbe la parola per Stanford 1963,  113, che vedrebbe così indicate le due categorie più deboli della polis, nei confronti delle quali gli iniziati avrebbero dimostrato la loro pietà.

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conclusivo della parodo, il coro intona dunque un canto di esclusivo valore rituale, secondo la modalità del genere intercalare. Riassumendo e concludendo: nella parodo si succedono a ritmo incalzante, inframezzati dalle battute salaci di Xantia e  Dioniso e  raccordati dagli interventi del corifeo, sei canti di culto che si possono definire complessivamente come processionali (di cui tre prosodi), caratterizzati, sia nella forma sia nel contenuto, da diversi gradi di purezza rispetto al modello connesso al rituale; il primo e l’ultimo di questi canti (l’inno in onore di Iacco-Dioniso, al­l’inizio della parodo, e il prosodio che la chiude) sono riprodotti come generi intercalari 77. I rimanenti quattro, invece, contengono tutti elementi di distorsione parodica, presenti in misura e peso diversi e in un diverso rapporto tra forma e contenuto: sono, in successione, un prosodio per Core con un tenore parodico espresso chiaramente sotto il profilo metrico e  piuttosto debolmente sul piano del contenuto; un inno a Demetra modulato su ritmi propri di questo genere poe­tico e con elementi parodici che strutturano l’intera antistrofe; un prosodio in onore di Iacco-Dioniso con schemi metrici coerenti con la tipologia del canto, ma con un consistente apporto di motivi che, potendosi riferire sia ad un trattamento parodico sia al rituale degli iniziati, si connotano per la loro ambiguità semantica; un canto di beffa non estraneo, quanto ai contenuti, alle consuetudini del rituale degli iniziati, e composto in giambi, cioè nel metro che ha attinenza sia con la poesia dello psogos sia con l’ambito festivo dionisiaco e demetriaco. Varietà di forme e  contenuti sapientemente modulati caratterizza nel­l’insieme una parodo ad elevato tenore mimetico e ad alta concentrazione di riferimenti ad una performance orchestica e  musicale convergente in un luogo sacro a  cui tendono i  beati, che diventa il punto focale della rappresentazione e la meta della processione che in modo dinamico si snoda nei boschi e nei prati   Diverse risultano le posizioni degli studiosi sul­l’interpretazione dei canti religiosi nella parodo delle Rane, soprattutto in relazione al loro possibile tenore parodico, riconosciuto ad esempio da Kleinknecht (1937, 26-27) e negato da Horn (1970, 121-136). Riguardo ad alcuni esempi di parodie in Aristofane, Pulleyn 1997, 32-33 propende a ritenere che le formule usate non siano puramente letterarie, ma riflettano pratiche religiose facilmente riconoscibili dal pubblico; in generale l’autore sostiene che le attestazioni delle preghiere in età arcaica e classica rinviino, più che ad una tradizione letteraria, alle reali consuetudini rituali e alla concreta relazione dei Greci con i loro dèi (pp. 37-38). 77

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e  che occupa tutto lo spazio e  il tempo della parodo. Possiamo dire, usando concetti e termini ai quali ci hanno abituato gli acuti interventi di Claude Calame sulle funzioni del coro tragico e comico 78, che risulta molto accentuata la dimensione performativa, enunciativa, cultuale di questa parodo: il coro, adottando musica e danza della poesia melica rituale e facendo coincidere azione rituale e azione drammatica, compie atti di culto accompagnandoli con gesti e parole autoreferenziali e indica lo scopo propiziatorio della preghiera in corso, con cui si chiede la beatitudine eterna degli iniziati, ma anche un’azione salvifica nei confronti della polis. Q uesta idea di salvezza, presente in particolare in coincidenza dei prosodi (vv. 378, 381; cfr. 386), si impone di nuovo nella parte finale della commedia, in connessione con la figura e il ruolo di Eschilo e  con il riconoscimento del­l’alto valore del­l’esperienza tea­trale (vv. 1419, 1448, 1450, 1501, 1517). Nella parodo, configurata come un lungo canto processionale variato al suo interno, risulta particolarmente funzionale la presenza dominante del prosodio, in una commedia che peraltro, se considerata nella sua interezza, esibisce un numero di canti corali maggiore rispetto a  quello delle altre commedie 79: un’incidenza che corrisponde ad un’intenzionalità espressiva del commediografo, il quale intende fornire, al  pubblico che ascolta le sue proposte, un saggio del mestiere di autore teatrale, un esempio di quella creatività artistica che nel suo progetto, alla cui realizzazione si perviene nella seconda metà della commedia, avrebbe dovuto salvare Atene dalla rovina. Di questo impegno poe­tico, che è anche etico-politico, sono altrettante prove efficaci il bellissimo canto delle rane, l’agone poe­tico tra Eschilo ed Euripide, una sperimentazione che apporta novità audaci alla struttura generale del­l’opera 80: tecnica compositiva e contenuti mirano ad eviden  Calame 1997; 1999; 2001; 2007.   Mi rifaccio ancora al lavoro di Lomiento, specialmente alla Tavola sinottica e al­l’Appendice che lo corredano: Lomiento 2007, 318-332; sono stati selezionati 54 dei 104 canti aristofanei, con l’esclusione di monodie e duetti (p. 306). 80  I tetrametri anapestici catalettici inseriti nella parodo (vv. 354-371) hanno un ruolo molto simile a quello di una parabasi (cfr. p. 87 e n. 61), la quale a sua volta in questa commedia è mancante delle prime 3 sezioni strofiche. La funzione del prologo, in genere presente nella parte iniziale, è assunta dalla scena fra Xantia e  il servo di Plutone (vv.  738-813), a  metà della commedia anziché nella parte iniziale, come di prassi; l’agone (v. 895 ss.) è nella seconda e non nella prima parte. 78 79

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ziare il fine della commedia, che è  quello di proporre una soluzione dei problemi di Atene facendo propria la tradizione poe­tica lirica e quella tragica, ricreate sulla scena comica, depositarie dei sani precetti del vivere civile.

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Abstracts Q uesto contributo è incentrato sul genere lirico del prosodio. Una serie di testimonianze grammaticali, scoliografiche, lessicografiche, epigrafiche, letterarie permette di desumere alcune peculiarità del canto riguardanti le forme e i contenuti, le modalità performative, gli autori e i diversi contesti: quello religioso, con i suoi aspetti cultuali e rituali, quello agonistico-musicale, nel­l’ambito del quale la gara di prosodi assumeva spesso una posizione di rilievo, quello letterario, in cui si rile101

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vano l’intersecarsi del prosodio con altri generi lirici e la condivisione di strutture metrico-ritmiche e  di temi codificati. È possibile individuare nel carattere processionale la specificità del prosodio, indicata sia da testimonianze grammaticali e lessicografiche sia, a livello di prassi, dalla trasposizione del canto sulla scena teatrale. A questo proposito si propone una rilettura della parodo delle Rane di Aristofane, con un interesse particolare al carattere mimetico o parodico delle parti prosodiche e al loro rapporto con il contesto, funzionale al progetto teatrale. This paper concerns the prosodion. Some grammatical, scholiographic, lexicographic, epigraphic, and literary evidence permits the gathering of  some characteristics regarding structures, subjects, performing manners and the different contexts: the religious one, where the prosodion competition was often outstanding, and the literary one, where the prosodion crosses with other lyric genres and shares metrical-rhythmic patterns and themes. It is possible to detect the processional feature of   the prosodion as its main specificity, as it is shown either by grammatical and lexicographic evidence as well as by the transposition of   the song on the theatrical stage. On this point, a rereading of   the parodos of   Aristophanes’ Frogs is proposed to emphasize mimetic or parodic features of  the prosodiac parts, their relation with the context and their dramaturgic function.

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GIAMPAOLO GALVANI Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo»

PRESENZA DI GENERI LIRICO-CORALI NELLA TRAGEDIA GRECA: L’IMENEO καὶ σὺ μέν, ὦ Ὑμέναιε, γάμων μολπαῖον ἀοιδάν ἐς θρήνων γοερὸν φθέγμα μεθαρμόσαο. Anth. Pal. VII, 712, 7-8

John Herington, nel­l’opera intitolata Poetry into Drama, definiva la tragedia come il «fiore ibrido e finale di una lunga tradizione poe­tica»: essa, secondo lo studioso, doveva essere intesa come una nuova forma d’arte, frutto della consapevole sintesi della maggior parte dei generi poe­tici tradizionali del­l’antica Grecia 1. È indubbio che il genere tragico, grazie al suo carattere fortemente mimetico, possa accogliere al suo interno generi poe­tici altri, quali l’inno, l’epinicio, il peana, il ditirambo, l’imeneo, il threnos, per citarne alcuni 2. Il coro della tragedia, infatti, può di volta in volta rappresentare sulla scena un gruppo di anziani che elevano una preghiera a Zeus, o un gruppo di fanciulle che intonano un canto nuziale per la sposa, o  ancora un gruppo di cittadini tebani che invocano Apollo mediante un peana 3. Tali canti, pur presentando «una riconoscibile coloritura di genere» 4, non possono essere   Cfr. Herington 1985, IX , 79 e 110.   In merito al concetto di ‘genere lirico’ particolarmente efficace pare la definizione di Hans Robert Jauss (citata in Ford 2006, 283): «genre is not a norm that precedes and determines the text (ante rem), nor even a retrospective synthesis useful in classifying texts (post rem); genre arises in the work (in re) as a dialect between its relation to tradition (as embodied in the participants’ Erwartungshorizont) and its function in context (Sitz im Leben)». Per l’ampia bibliografia in merito alla presenza di generi letterari nella cultura greca antica si veda l’utile sintesi contenuta in Rodighiero 2012, 8, n. 2. 3  Cfr. rispettivamente Aesch. Ag. 160 ss.; Eur. Phaeth. 227-244; Soph. O.T. 151-215. 4  Così Rodighiero 2012,  8-11, il quale, pur sostenendo la possibilità di individuare al­l’interno dei canti tragici alcuni tratti distintivi propri di generi poe­tici altri, mette giustamente in guardia dalla prassi di incasellare tali corali 1

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considerati esempi ‘puri’ di un determinato genere lirico-corale, ma di questi costituiscono, piuttosto, una sorta di ‘imitazione’, di cui i  poe­ti tragici si servono per esigenze prettamente drammaturgiche 5. In effetti, i tragediografi, se da un lato utilizzano una fitta trama di allusioni e riferimenti per richiamare alla mente del pubblico una determinata tipologia di canto, dal­l’altro modificano, distorcono e contaminano le convenzioni dei generi poe­tici per ottenere particolari effetti drammatici 6. In  tragedia, infatti, i generi lirici tradizionali sono riadattati al nuovo contesto che li accoglie, tanto sul piano della forma quanto su quello del contenuto. Nelle Coefore (vv. 152-163), ad esempio, Elettra istruisce il coro di schiave affinché esegua un peana funebre per il defunto Agamennone; nello Ione (vv.  112-143) l’esecuzione corale del peana è sostituita con una performance solistica del protagonista 7; nel primo stasimo delle Trachinie (vv.  205-224) ricorrono elementi tipici sia del peana (ἰὼ ἰὼ Παιάν di v. 221) sia del ditirambo (εὐοῖ di v. 219) 8. L’allusione ad un genere lirico altro al­l’interno della tragedia può assumere modi, forme e  gradazioni diverse. Rarissimo è  il riferimento a  un ipotesto specifico: l’uni­co caso attestato pare essere quello della parodo del­l’Antigone (vv.  100al­l’interno di un rigido sistema di classificazione. La capacità interpretativa degli studiosi moderni si scontra, infatti, con numerose difficoltà oggettive, quali la scarsità del materiale di confronto, la mutazione dei contenuti e delle forme dei diversi generi nel corso del tempo (a dispetto della fissità di ‘etichette’ quali inno, peana, ditirambo, etc.), la variazione dei modi della performance, certamente dipendente dalla tradizione poe­tica, ma anche dal contesto sociale, religioso e cultuale in cui tale performance aveva luogo. Nonostante tali difficoltà, prosegue lo studioso, è  comunque possibile rintracciare al­l’interno dei cantica tragici alcune caratteristiche che riconducono a generi extra-drammatici, purché si riconosca a  tali generi «un valore istituzionale in grado di orientare, in Grecia, le pratiche di composizione e  scrittura attraverso una serie di competenze e di regolarità formali riconosciute e condivise – da poe­ta e comunità – in maniera più o meno esplicita». Sui generi letterari nella Grecia antica e  sulla loro ripresa al­l’interno del teatro tragico si veda anche Calame 1974; 2007; 2013. 5  Cfr. Segal 1996, 20; Furley 1999-2000, 185; Furley-Bremer 2001, I, 275278; Swift 2010, 369; Rodighiero 2012, 11. 6  Cfr. Rutherford 1994-1995, 112: «more often than not, tragedy distorts and subverts the conventions of  choral lyric for literary effect». 7  Cfr. Pace 2009; De Poli 2012, 99-105. 8   Rutherford 1994-1995, 120 parla a questo proposito di «mixing of  genres».

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154), che richiama il Peana 9 di Pindaro 9. Più di frequente il genere lirico è evocato mediante la citazione del tipo di canto intonato e, in special modo per alcuni generi, mediante l’utilizzo di particolari ritornelli, quali ἰὴ Παιάν per il peana ο Ὑμήν per l’imeneo. A queste indicazioni spesso si accompagna la ripresa di topoi, di immagini e  di termini specifici propri dei differenti generi. Non mancano, infine, esempi di quella che Henrichs ha felicemente definito, ‘choral projection’ 10, mediante la quale il coro, descrivendo la performance di un altro coro, lontano nel tempo e nello spazio, fornisce una descrizione indiretta della propria performance sulla scena: è il caso, ad esempio, del terzo stasimo del­ l’Ifigenia in Aulide (vv. 1036-1097), in cui il coro rievoca l’imeneo eseguito dalle Nereidi e dai Centauri per il matrimonio di Peleo e Teti 11. Negli ultimi anni numerosi lavori sono stati dedicati alla presenza di generi lirico-corali al­l’interno del teatro tragico 12: sia sufficiente citare il lavoro di Laura Swift, The Hidden Chorus, nel quale la studiosa tenta di rintracciare non solo nelle parti liriche, ma anche in quelle dialogate, la presenza di elementi lessicali e di temi tipici dei differenti generi lirici. Colpisce nel volume la pressoché totale assenza di riferimenti relativi al­l’aspetto metricoritmico 13; secondo la Swift la correlazione tra l’allusione ad un particolare genere poe­tico e l’utilizzo di determinati metri-ritmi non sarebbe particolarmente significativa. La tragedia, prosegue la studiosa, quando allude ad uno specifico genere si servirebbe solo in maniera parziale delle sequenze metriche che caratterizzano tale genere, per evitare di scadere nella pura imitazione 14. Q uesti   Si veda, da ultimo, Rodighiero 2012, 108-121 con bibliografia.   Cfr. Henrichs 1994-1995; Rutherford 1994-1995, 120-121. 11  Vd. infra. 12 Cfr., ad esempio, Rutherford 1994-1995 (peana); Furley-Bremer 2001 (inno agli dei); Baltieri 2011 (imeneo in Euripide); Rodighiero 2012 (Sofocle); De Poli 2012 (monodie tragiche in Euripidie); Bagordo 2015. 13  La studiosa cita solamente alcuni ‘esempi occasionali’, in cui il poe­ta tragico si servirebbe del metro per rinforzare altri elementi che richiamano un determinato genere lirico: un caso tipico sarebbe costituito dal­l’uso dei dattilo-epitriti in associazione a motivi tipici del canto epinicio. Cfr. Swift 2010, 369. 14   Cfr. Swift 2010, 369: la studiosa conclude affermando che «The variety and complexity of  tragic metres is a particular feature of  the genre, and perhaps it was felt to be a facet of  tragedy’s identity worth preserving». 9

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assunti, che la Swift non si premura di argomentare in maniera esaustiva, paiono, tuttavia, difficilmente condivisibili. Pensiamo per un istante ad uno spettatore di V secolo che assisteva ad una rappresentazione tragica e  interroghiamoci su che cosa avesse la capacità di evocare in lui un genere poe­tico altro rispetto a quello tragico. Se, come è  stato opportunamente affermato, la cultura greca può essere considerata una «song culture» 15, pare lecito attendersi che fosse la componente ritmico-musicale ad essere particolarmente evocativa, al pari, e forse più, della componente strettamente verbale. Il fine di questo contributo è proprio quello di indagare se e in che modo la componente metrico-ritmica sia stata utilizzata dai poe­ti tragici per evocare un determinato genere lirico. L’indagine sarà focalizzata sulla presenza del genere imenaico al­l’interno della superstite produzione euripidea 16: in particolare, l’attenzione sarà concentrata sulla monodia di Cassandra nelle Troiane e sul problematico imeneo intonato nel Fetonte. Dapprima si tenterà di evidenziare al­l’interno dei canti la presenza di temi e motivi tipici del genere imenaico, quali, ad esempio, l’invocazione rituale, la presenza del makarismos, l’elogio degli sposi, il riferimento alle fiaccole rituali e  al letto nuziale, la descrizione della cerimonia, l’invocazione ad altre divinità 17. Di seguito, si cercherà di verificare se tali temi e  motivi propri del­l’imeneo siano sostenuti a livello formale con l’utilizzo di determinate tipologie metriche. Nel­l’appendice, infine, saranno presi in esame i corali del­l’Ifigenia in Aulide (vv. 1036-1097) e delle Supplici (vv. 990-1030), che, pur non potendo essere considerati dei veri e propri imenei, presen-

  Cfr. Herington 1985, 3.   In merito al rapporto tra imeneo ed epitalamio si rinvia a Muth 1977, 45-58, in particolare si vd.  p.  58: «Imeneo appare pertanto un concetto posto su un ordine di grandezza superiore e sta in rapporto a epitalamio come il genere logico alla specie». 17  Sui motivi ricorrenti nei canti nuziali cfr. Lyghounis 1991, 185-191 e Baltieri 2011. A causa del­l’esiguità delle testimonianze in nostro possesso sono stati esclusi dal­l’analisi i cosiddetti ‘canti del risveglio’, eseguiti la mattina successiva al  matrimonio. A tale tipologia di canto è  molto probabilmente riconducibile Aesch. fr. 43 Radt (su cui si veda Lambin 1986). Meno sicura, invece, l’appartenenza a tale categoria del fr. 30, vv. 6-9 di Saffo, su cui si veda, da ultimo, l’analisi di Ferrari 2007, 109-111. 15 16

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tano comunque molti elementi riconducibili alla tradizione dei canti nuziali. Prima di analizzare i  brani euripidei, è  necessario passare in rassegna i  pochi altri esempi di canti nuziali in metri lirici che la tradizione poe­tica ci ha tramandato, al fine di verificare quali sequenze metrico-ritmiche sono prevalentemente utilizzate 18. Poche informazioni possiamo ricavare dagli epitalami di Saffo: i brevi frammenti, che solo raramente superano la lunghezza di un verso, paiono infatti composti in metri vari 19. Maggiori indizi provengono, invece, dalle commedie di Aristofane: la Pace si chiude con il canto del corteo che festeggia le nozze del protagonista Trigeo e di Opora. Aristoph. Pax 1331-1339 20 {ΤΡ.} … Δεῦρ’, ὦ γύναι, εἰς ἀγρόν, χὤπως μετ’ ἐμοῦ καλὴ καλῶς κατακείσει. {ΧΟ.} Ὑμήν, Ὑμέναι’ ὦ. 1335 Ὑμήν, Ὑμέναι’ ὦ . Ὦ τρὶς μάκαρ, ὡς δικαί  ως τἀγαθὰ νῦν ἔχεις. Ὑμήν, Ὑμέναι’ ὦ. Ὑμήν, Ὑμέναι’, ὦ.   …

 ||H  ||H  ||H  

||H |||

tel tel reizc (2ionma∧∧) reizc (2ionma∧∧) reizc (2ionma∧∧) tel tel reizc (2ionma∧∧) reizc (2ionma∧∧)

18  Nulla è rimasto degli imenei che la tradizione attribuisce ad Omero, Esiodo, Alcmane, Teocrito, Agamestore ed Eratostene: cfr. Maas 1914. Di un imeneo di Filosseno di Citera si conservano solo poche parole (cfr.  Fongoni 2014, 86-87; 118-119); il canto per Peleo e  Teti, che Tzetzes attribuisce ad Esiodo (fr.  211 M.-W.), non è unanimemente considerato un epitalamio: cfr. Contiades-Tsitsoni 1990, 45. 19  Frr. 104a (esametro eolico; 2ia +2an ); 104b (bacchilideo); 105a-b, 106 ∧ ∧ (esametri eolici); 107,  108, (alcmanii); 110 (tetrametri eolici catalettici); 111 (strofetta costituita da un ferecrateo iniziale, seguito dal­l’alternarsi di ia ed ena); 112 (aristoph+aristoph); 113 (3ionmi); 114 (due versi costituiti da 4cho∧ e cho ia ionmi, ma quest’ultimo è  probabilmente corrotto); 115 (pentametri eolici catalettici); 116 (ithyph+aristoph); 117b (2da); 30 (strofe saffica); 141 (strofetta costituita da ∧pher; penthemia; penthemia+pher; ∧pher; penthemia; penthemia+ aristoph…); 44 (pentametri eolici catalettici, ma non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere tale canto un imeneo). 20   Si riproduce il testo di Olson 1998.

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I lazzi e  i doppi sensi osceni che i  due semicori rivolgono alla coppia di novelli sposi sono sempre chiusi dal­ l’invocazione Ὑμήν, Ὑμέναι’ ὦ 21. Tutto il canto è  caratterizzato dalla successione di reizc, ovvero dimetri ionici a  maiore brachicataletti 22, e  telesillei, metri passibili di una duplice interpretazione, ionica (dimetri ionici a  maiore brachicataletti) 23, o  gliconica (gliconei acefali) 24. Anche il finale degli Uccelli celebra un matrimonio, quello del protagonista con Basilea, ma il canto appare più raffinato dal punto di vista letterario e  maggiormente elaborato sul piano formale rispetto al­l’imeneo della Pace. Aristoph. Av. 1720-1765  25

1720 {ΧΟ.} Ἄναγε δίεχε πάραγε πάρεχε· περιπέτεσθε μάκαρα μάκαρι σὺν τύχᾳ. Ὦ φεῦ φεῦ τῆς ὥρας, τοῦ κάλλους.   1725 Ὦ μακαριστὸν σὺ γάμον τῇδε πόλει γήμας. Μεγάλαι μεγάλαι κατέχουσι τύχαι γένος ὀρνίθων anapesti διὰ τόνδε τὸν ἄνδρ’. Ἀλλ’ ὑμεναίοις καὶ νυμφιδίοισι δέχεσθ’ ᾠδαῖς 1730 αὐτὸν καὶ τὴν Βασίλειαν. Ἥρᾳ ποτ’ Ὀλυμπίᾳ τὸν ἠλιβάτων θρόνων ἄρχοντα θεοῖς μέγαν Μοῖραι συνεκοίμισαν 1735 ἐν τοιῷδ’ ὑμεναίῳ. Ὑμὴν ὦ, Ὑμέναι’ ὦ. Ὑμὴν ὦ, Ὑμέναι’ ὦ. Ὁ δ’ ἀμφιθαλὴς Ἔρως χρυσόπτερος ἡνίας ηὔθυνε παλιντόνους, 1740 Ζηνὸς πάροχος γάμων τῆς τ’ εὐδαίμονος Ἥρας. Ὑμὴν ὦ, Ὑμέναι’ ὦ. Ὑμὴν ὦ, Ὑμέναι’ ὦ.



2cho (vel 2tro)  ||H 3tro∧ 3mol  ||| 3cho sp

tel tel tel tel  ||H pher  ||H pher  ||| pher

21  Il  canto è  molto probabilmente segnato dalla presenza di alcune lacune, come si evince dagli scoli metrici al verso. Sul­l’argomento cfr. Olson 1998, 314 ss. 22  L’interpretazione ionica è  peraltro confermata anche dallo scolio antico al v. 1329. In merito alla sigla reizc, cfr. Gentili-Lomiento 2003, 199. 23   Così Hephaist. p. 35 Consbr. 24  Così la maggior parte delle interpretazioni moderne, che tendono ad escludere la presenza in epoca pre-alessandrina degli ionici a maiore. 25  Riproduco il testo di Dunbar 1995.

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{ΠΙ.} Ἐχάρην ὕμνοις, ἐχάρην ᾠδαῖς· ἄγαμαι δὲ λόγων. {ΧΟ.} Ἄγε νυν αὐτοῦ anapesti 1745 καὶ τὰς χθονίας κλῄσατε βροντὰς τάς τε πυρώδεις Διὸς ἀστεροπὰς δεινόν τ’ ἀργῆτα κεραυνόν. 4da Ὦ μέγα χρύσεον ἀστεροπῆς φάος, 3da∧ ὦ Διὸς ἄμβροτον ἔγχος 1750 πυρφόρον, ὦ χθόνιαι βαρυαχέες 4da  ||H 3da∧ ὀμβροφόροι θ’ ἅμα βρονταί, αἷς ὅδε νῦν χθόνα σείει, 3da∧ διὰ σὲ τὰ πάντα κρατήσας 3da∧ καὶ πάρεδρον Βασίλειαν ἔχει Διός. 4da  ||| pher Ὑμὴν ὦ, Ὑμέναι’ ὦ. 2ia 1755 {ΠΙ.} Ἕπεσθέ νυν γάμοισιν, ὦ lecyth   φῦλα πάντα συννόμων    2ia πτεροφόρ’, ἐπὶ δάπεδον Διὸς || lecyth   καὶ λέχος γαμήλιον.    2ia 1760 Ὄρεξον, ὦ μάκαιρα, σὴν lecyth    χεῖρα καὶ πτερῶν ἐμῶν    2ia λαβοῦσα συγχόρευσον· αἴ-  ||H lecyth    ρων δὲ κουφιῶ σ’ ἐγώ.    H lecyth {ΧΟ.} Ἀλαλαλαί, ἰὴ παιών· 2ia τήνελλα καλλίνικος, ὦ  ||| lecyth   δαιμόνων ὑπέρτατε.   

La prima parte del canto, quella più propriamente imenaica, si articola in tre parti: il makarismos degli sposi (vv. 1720-1725 metri trocaici e coriambici); l’acclamazione di Pisetero come benefattore della loro razza (vv.  1726-1730 sistema anapestico); una coppia strofica, che contiene l’invocazione ad Imeneo, composta, ancora una volta da telesillei chiusi da tre ferecratei (1731-1743) 26. Il canto prosegue con un sistema anapestico e un apolelymenon in dattili nei quali l’attenzione è  concentrata sul fulmine di Zeus ora in possesso di Pisetero (vv. 1744-1754). Nel finale Pisetero, in asinarteti euripidei (2ia+lecyth), invita gli uccelli a  unirsi al  corteo e  a godere dei festeggiamenti (vv.  1755-1763). Altri esempi significativi di canti nuziali in metri lirici provengono dalla poesia latina: il carme 61 di Catullo, un epitalamio composto per celebrare le nozze di Manlio e  Vinia Aurunculeia, si   Sulla struttura metrica del canto si vd. Parker 1997, 350-357.

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articola in strofette pentastiche di quattro gliconei chiusi da un ferecrateo 27. La presenza di sequenze ioniche e gliconiche, sebbene in contesti caratterizzati da una maggior varietà metrica, è inoltre attestata in due cantica euripidei (I.A. 1036 ss. e Suppl. 990-1030) nei quali sono rievocati gli imenei eseguiti rispettivamente per il matrimonio di Peleo e Teti e per le nozze di Evadne e Capaneo (vd. Appendice) 28. Da questo rapido excursus sembrerebbe emergere una significativa, anche se non esclusiva, preferenza per sequenze di tipo ionico ed eolico nella composizione dei canti nuziali 29. Il primo testo euripideo preso in esame è la monodia di Cassandra contenuta ai vv. 308-341 delle Troiane. str. ἄνεχε, πάρεχε, φῶς φέρε· σέβω, φλέγω ἰδοὺ, ἰδοὺ λαμπάσι τόδ’ ἱερόν. ὦ Ὑμέναι’ ἄναξ· 310 μακάριος ὁ γαμέτας, μακαρία δ’ ἐγὼ βασιλικοῖς λέκτροις κατ’ Ἄργος ἁ γαμουμένα. Ὑμὴν ὦ Ὑμέναι’ ἄναξ. 315 ἐπεὶ σύ, μᾶτερ, ἐπὶ δάκρυσι καὶ γόοισι τὸν θανόντα πατέρα πατρίδα τε φίλαν καταστένουσ’ ἔχεις, ἐγὼ δ’ ἐπὶ γάμοις ἐμοῖς ἀναφλέγω πυρὸς φῶς 320 ἐς αὐγάν, ἐς αἴγλαν, διδοῦσ’, ὦ Ὑμέναιε, σοί, διδοῦσ’, ὦ Ἑκάτα, φάος παρθένων ἐπὶ λέκτροις ἇι νόμος ἔχει.

ant. πάλλε πόδ’ αἰθέριον, ‹ἄναγ’› ἄναγε χορόν εὐὰν εὐοῖ ὡς ἐπὶ πατρὸς ἐμοῦ μακαριωτάταις τύχαις. ὁ χορὸς ὅσιος.  ἄγε σὺ Φοῖβέ νιν· κατὰ σὸν ἐν δάφναις 330 ἀνάκτορον θυηπολῶ. Ὑμὴν ὦ Ὑμέναι’ Ὑμήν. χόρευε, μᾶτερ, †ἄναγελασον† ἕλισσε τᾶιδ’ ἐκεῖσε μετ’ ἐμέθεν ποδῶν φέρουσα φιλτάταν βάσιν, 335 βοάσαθ’ ὑμέναιον ὢ μακαρίαις ἀοιδαῖς ἰαχαῖς τε νύμφαν. ἴτ’, ὦ καλλίπεπλοι Φρυγῶν κόραι, μέλπετ’ ἐμῶν γάμων 340 τὸν πεπρωμένον εὐνᾶι πόσιν ἐμέθεν.

27   Sul carme di Catullo cfr. Fedeli 1972; sempre di natura imenaica, ma composto in esametri, è invece il carme 62 di Catullo. Anche il neoterico Ticida compose un epitalamio in gliconei (cfr. fr. 1 Morel). 28  In metri ionici (anacreontei) è composto anche l’imeneo parodico eseguito dai Satiri per celebrare Polifemo nel Ciclope euripideo (vv. 511-518): cfr. Seaford 1984, 201-203; Napolitano 2003, 137; Baltieri 2011, 212. 29  Poco significativo, ai  fini del­ l’indagine sulla composizione metrica degli imenei, risulta il carme 18 di Teocrito, in esametri, intitolato Epitalamio di Elena. Con la sola eccezione degli idilli 28, 29 e 30, infatti, tutti gli idilli teocritei, a fronte di una notevole varietà sul piano del contenuto e della coloritura dialettale, sono composti in esametri dattilici. In epoca più tarda epitalami sono attestati nel Simposio di Luciano (si tratta di una parodia di alcune caratteristiche proprie dei canti nuziali composta in distici elegiaci) e nel dialogo di Imerio Ἐπιθαλάμιος εἰς Σεβῆρον

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[codd. V(aticanus 909), P(alatinus 287), Q  (Harleianus 5743)] 30  308a φέρε Σ Aristoph. Av. 1720 : φέρω VPQ  : φερ’ὤ Murray   308b ἰδοὺ ἰδοὺ ante μακάριος (v. 310) habent codd. : trai. Hermann   309 ὦ ὑμὴν Ὑμέναι’ V   312 βασιλικοῖς λέκτροις om. PQ    313 ἁ γαμουμένα Ppc : ἀγα**μένα Pac : ἀγουμένα Vpc (ἀ***μένα Vac) : ἁ γαμημένα Q    314  ὑμῖν Ὑμέναι’ ἄναξ PQ    316 γόοισι τε Q    317  φιλίαν Q    318  ἐγὼ τόδ’ V   320  εἰς αὐ- PQ    321 διδοῦσ’ om. PQ   συ V  post σοι habent παρθένων ἐπὶ λέκτροις (iteratum ex v.  323) PVQ    323  om. V   325  πάλαι P  ‹ἄναγ’› Hermann  328  σοι V   331 sic Seidler : ὦ Ὑμὴν ὦ Ὑμήν (Ὑμέναι’ Pac ut vid.) Ὑμήν P : Ὑμὴν ὦ Ὑμήν Ὑμήν VQ    332 χόρευε, μᾶτερ, ἀναγέλασον V, χόρευε, μᾶτερ, χόρευ’ (-ευε Q ) ἄναγε πόδα σὸν PQ    333 τάδ’VP  335 βοάσαθ’ Burges : βοάσατε τὸν V : βοάσατ’ (βάσατ’P ) εὖ τὸν PQ    338 ὦ PQ : ἔξω V app. colometrico [codd. VP]  308 φῶς  |  … φλέγω  | P   310 ἰδοὺ, ἰδοὺ μακάριος ὁ γαμέτας VP   325a/ 325b con. PV   326/327 ὡς … τύχαις. | ὁ χορὸς … νιν· | PV

analisi metrica 308a = 325a 308b = 325b 309 = 326 310 = 327 311 = 328 312 = 329 313 = 330 314 = 331 315 = 332 316 = 333 317 = 334 318 = 335 319 = 336 320 = 337 321 = 338 322 = 339 323 = 340 324 = 341

   || do do  ||H ia  || do do 31 dokaibel do do  ||H 2ia glyc   ia do (ant. corr.) 3ia 2ia ia cr cr ba   2ba glyc glyc pher  ||| ia

Concluso il prologo, nel quale Poseidone e Atena hanno palesato la propria volontà di rendere amaro il ritorno in patria dei Greci (vv. 1-97), prende la parola Ecuba: in una lunga monodia prevalentemente anapestica ella lamenta le tristi sorti che l’hanno pri(incerta la struttura metrica, poiché il testo è trasmesso privo di colometria; alcuni studiosi hanno tentato di ricostruire una strofe saffica, ma il testo dovrebbe essere corretto in più punti). Di datazione incerta, infine, i sei esametri contenuti nel­ l’anonimo P. Ryl. 17 (= Pack 1456; cfr. Page 1962, 560-561; Heitsch 1963, I, 85) probabilmente di natura imenaica. 30  In questo, e nei successivi apparati critici, sono riportate esclusivamente le lezioni che hanno un ricaduta sul­l’analisi metrica. 31  Sulla presenza di iato e brevis in longo al­l’interno di sequenze docmiache cfr. Medda 2000; Gentili-Lomiento 2003, 240.

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vata della città, dello sposo e dei figli. Elena, «infamia per la sua terra natale», è la responsabile di tali disgrazie (vv. 98-152). Segue la parodo commatica nella quale Ecuba e  le giovani prigioniere troiane esprimono la propria preoccupazione per la sorte che le attende come schiave in terra straniera (vv. 153-234). I dubbi delle donne sono risolti dal­l’arrivo di Taltibio, il quale annuncia che mediante sorteggio è  stato decretato il destino delle prigioniere. L’araldo esce di scena dopo aver notato dentro le tende troiane un bagliore di torce; egli teme che le prigioniere vogliano darsi la morte col fuoco, ma Ecuba lo rassicura, dicendo: «niente incendi: è lei, la figlia mia delirante, è Cassandra che viene qui di corsa» (vv. 235-307) 32. La profetessa di Apollo entra in scena intonando un canto che presenta numerosi elementi tipici del­l’imeneo 33, quali: il ritornello contenente l’invocazione alla divinità tutelare delle nozze (vv.  309; 314; 321; 331); la presenza del makarismos (vv. 310-313 «Felice sposo ! e io pure felice, che andrò nel talamo d’un re, che ad Argo sposerò»); la presenza delle fiaccole (vv.  308-309 «onoro il tempio con le mie fiaccole»; vv.  319320 «brucio un fuoco, e  dia bagliore, splendore»); riferimenti alla danza e al canto (v. 325 «Il piede per aria getto, su: la danza attacco»; vv. 332-334 «Tu, madre, … volgi il piede, e con i piedi miei accorda il caro incedere»); l’invocazione ad altre divinità (qui in particolare Ecate e Apollo, invitato a svolgere il ruolo del padre nel guidare le danze, vv. 322; 328) 34. Se, da un lato, il canto intonato da Cassandra sembra presentare temi e motivi propri dei canti nuziali, dal­l’altro mostra caratteristiche che lo rendono un imeneo sui generis. Esso è stato giustamente definito, una «parodia consapevole di imeneo» 35, al­l’interno del quale alcuni aspetti del rito paiono completamente distorti. Il  compito di portare le fiaccole era di norma attribuito alla madre della sposa, così come   Trad. di F. M. Pontani.   Tali elementi sono stati ben illustrati da Mazzoldi 2001, 220-222; Baltieri 2011, 217-224; De Poli 2012, 118. 34  Al genere imenaico, inoltre, sembrerebbe ricondurre anche l’uso di alcune figure della ripetizione, quali l’anafora, la geminatio, l’allitterazione e l’omoteleuto; cfr. De Poli 2012, 118. 35  Cfr. Baltieri 2011, 211. Webster 1967, 178 parla di «travestity of  wedding song», Foley 1985, 85 e 88 di «mock epithalamium», Papadopoulou 2000, 520 di «ironic parody». 32 33

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il makarismos era normalmente intonato da parenti e  amici. Entrambe queste azioni, invece, vengono svolte da Cassandra a sottolineare il suo isolamento dalla realtà che la circonda. L’iro­ nia tragica permea tutto il canto: non solo per la sacerdotessa di Apollo non erano previste nozze, ma l’unione che essa celebra con il suo canto non è quella tra moglie e marito, ma tra padrone e concubina. Il rito che dovrebbe preludere al­l’entrata della sposa nella casa dello sposo e alla generazione di una discendenza legittima, prepara, al­l’opposto, la morte di entrambi gli sposi e  la distruzione stessa del­l’οἶκος 36. L’entusiasmo bacchico 37 manifestato da Cassandra non è il frutto del suo delirio, ma è motivato dalla consapevolezza che, mediante tale unione, essa potrà portare morte e distruzione tra i Greci, vendicando i Troiani uccisi durante la guerra 38. Sul piano formale il carattere ambiguo del­ l’imeneo è  sottolineato, oltre che dalla scelta di un’esecuzione solistica 39, a  fronte della tradizionale performance corale, anche dal sapiente uso dei metri 40. Il  canto è  composto da sequenze   Cfr. Mazzoldi 2001, 222.   Si considerino, ad esempio, il grido εὐὰν εὐοῖ di v.  325b o  le parole del corifeo al  v.  342 βασίλεια, βακχεύουσαν οὐ λήψηι κόρην. Più volte Ecuba fa riferimento a Cassandra con termini attinti alla sfera semantica del culto di Dioniso: cfr.  v.  169 ἐκβακχεύουσαν Κασάνδραν; 173 μαινάδ’; 307  μαινὰς θοάζει δεῦρο Κασάνδρα δρόμωι: cfr. Cerbo 2009, 86 e n. 1. 38   Non condivisibile l’ipotesi di Barlow 1986, 173 secondo la quale la follia di Cassandra avrebbe la funzione di proteggerla dalla realtà. A favore di una Cassandra lucida e  pienamente consapevole si schierano Seaford 1987,  128; Rehm 1994, 129-130; Mazzoldi 2001, 222 e n. 385. 39  Suter 2003, 9, afferma giustamente che questa esecuzione solistica evidenzia lo stato di alienazione di Cassandra. Cerbo 2009, 95 osserva come l’esecuzione di una monodia strofica da parte di Cassandra si contrapponga alla monodia astrofica in anapesti di Ecuba, sottolineando il complesso rapporto tra madre e figlia. 40 Una dettagliata analisi del rapporto tra struttura metrica e  contenuto è proposta da Cerbo 2009: la studiosa individua quattro nuclei tematici, ciascuno dei quali sarebbe sostenuto da particolari sequenze metrico-ritmiche. I vv. 308313= 325-330, in cui Cassandra si pone come exarchon di un rito stravolto, sarebbero sostenuti dai docmi «che con i loro schemi liberamente realizzati, ben si adattano, in questa prima pericope, ad interpretare il delirio della fanciulla …»; i  vv.  315-317 = 332-334 contengono l’allocuzione alla madre e  sono costituiti principalmente da giambi; i vv. 318-321 = 335-337, incentrati sul­l’esultanza di Cassandra per il matrimonio, sono costituiti da cretici e bacchei, che andrebbero intesi come veri cretici e bacchei (ovvero misure di cinque tempi), cellule metriche «non omogenee fra di loro»; i  vv.  322-324 = 338-340, contenenti un’invoca36 37

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giambiche e docmiache, metri che paiono particolarmente adatti a sottolineare il carattere concitato e patetico di questo ‘imeneo funebre’. Al tempo stesso il richiamo alla tradizione imenaica pare essere marcato dalla presenza di alcune sequenze gliconiche: si considerino i vv. 314 = 331 contenenti l’invocazione a Ὑμὴν, e  i vv.  321-323  = 338-340, nei quali Cassandra invoca nuovamente Imeneo (strofe) ed esorta le donne troiane a  cantare per le sue nozze (antistrofe). Tali sequenze, proprio perché spiccano al­ l’interno della tessitura prevalentemente giambo-docmiaca, risultano essere particolarmente allusive 41. Altrettanto interessante si dimostra l’imeneo contenuto ai vv. 227-244 del Fetonte. str. Ὑμὴν Ὑμήν. τὰν Διὸς οὐρανίαν ἀείδομεν, τὰν ἐρώτων πότνιαν, τὰν παρθένοις 230 γαμήλιον Ἀφροδίταν. πότνια, σοὶ τάδ’ ἐγὼ νυμφεῖ’ ἀείδω, Κύπρι θεῶν καλλίστα, τῶι τε νεόζυγι σῶι πώλωι τὸν ἐν αἰθέρι κρύπτεις, 235 σῶν γάμων γενεάν·

ant. ἃ τὸν μέγαν τᾶσδε πόλεως βασιλῆ νυμφεύεαι ἀστερωποῖσιν δόμοισι χρυσέοις ἀρχὸν φίλον Ἀφροδίτα·   240 ὦ μάκαρ, ὦ βασιλεύς μείζων ἔτ’ ὄλβον, ὃς θεᾷ κηδεύσεις καὶ μόνος ἀθανάτων γαμβρὸς δι’ ἀπείρονα γαῖαν θνατὸς ὑμνήσηι.

[cod. P(arisinus Gr. 107B sive Claromontanus]  228 ειδομεν P : corr. Dobree  231 νυμφεῖ’ ἀείδω Wilamowitz : νυμφαειδω P (sic legit Diggle)   232 Κύπρις P   233  νεοζυγιστω vel νεοζυγισιω P : corr. Hermann   235  γένναν Hermann   238  ἀστερωτοισι P : corr. Hermann   239 ἀρχεον P : corr. Hermann   244 ὑμνήσῃ Hermann : ὑμνήσεται P

analisi metrica 227 = 236 228 = 237 229 = 238



 ||H

ia hemm ia 3eptitrtr∧

zione a Imeneo e ad Ecate nella strofe e un’esortazione a gioire per il matrimonio rivolto alle donne troiane nel­l’antistrofe, sarebbero caratterizzati dalla presenza di sequenze eoliche, tipiche dei canti nuziali. Si noti, tuttavia, che pare difficile individuare una distinzione significativa tra i  giambi di vv.  315-317 = 332-334 (seconda sezione) e le sequenze ia cr, cr ba, ba ba dei vv. 318-320 = 335-337 (terza sezione). Soprattutto al­l’interno di contesti giambici, infatti, tali sequenze difficilmente erano realizzate come cretici e bacchei ‘autentici’, ovvero misure appartenenti al genere ritmico emiolio, con rapporto di 2:3 o 3:2 tra battere e levare. Più probabilmente, invece, esse erano realizzate nella concreta performance come veri e  propri giambi esasemi, come sembrano testimoniare alcune responsioni del tipo ia~cr; ia~ba. 41  Si veda a questo proposito Parker 1997, 292 e, più di recente, Cerbo 2009, 92-93.

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230 = 239 231 = 240 232 = 241 233 = 242 234 = 243 235 = 244

 ||H

ena1 encomiol ithyph hemm ena  ||| hemiascl

Il mito del giovane figlio del Sole, che impadronitosi del carro del padre aveva messo a  repentaglio la terra e  le stelle, e  per questo era stato fulminato da Zeus, era già stato affrontato nelle Eliadi di Eschilo 42. Dato il carattere fortemente frammentario di entrambe le tragedie pare arduo comprendere quali differenze intercorressero tra le due versioni: gli studiosi, tuttavia, sono piuttosto concordi nel ritenere che il tema del matrimonio di Fetonte con una   Come suggerisce il titolo della tragedia, nella versione eschilea (Aesch. TGrF 68-73) un ruolo centrale era molto probabilmente rivestito dalle sorelle di Fetonte che, giunte presso le rive del fiume Eridano, dove il fratello era precipitato, iniziarono a piangere amare lacrime senza darsi tregua né di giorno né di notte. Zeus le avrebbe trasformate in pioppi, alberi che ‘piangono’ ambra dalla loro corteccia. Plinio N.H. 37, 2, 31 avverte che Eschilo fu il primo autore a parlare di tale trasformazione. Sul mito di Fetonte e sulla sua fortuna cfr. Diggle 1970, 3-32; Aélion 1983, I, 303-311; Van Looy 2002, 225-233. La versione euripidea del mito è contenuta nelle sue linee generali anche nella favola 154 di Igino, intitolata Phaethon Hesiodi. Basandosi principalmente su tale titolo (e su poche altre testimonianze raccolte nel testo critico e nel­l’apparato di Hes. fr. 311 M.-W.), alcuni studiosi hanno ipotizzato che il mito di Fetonte, discendente del Sole, fosse contenuto in un’opera di Esiodo oggi perduta (contrario a questa ipotesi Diggle 1970, 10-27). L’unico Fetonte di cui ci parla Esiodo (Th. 986-991), infatti, è  descritto come figlio di Eos e  Cefalo; il giovane, amato da Afrodite, sarebbe stato trasformato in un guardiano divino dei templi della dea. È opinione condivisa dai più che il Fetonte figlio di Eos e Cefalo (Teogonia) e il Fetonte figlio di Merope e Climene (Euripide) debbano essere considerati come due personaggi distinti (cfr. in particolare Diggle 1970, 15, Van Looy 2002, 225-226; LIMC 7, 1994, s.v. ‘Phaethon’ I; ‘Phaethon’ II). Di recente Debiasi 2001, 288-304 è tornato a ipotizzare che il mito di Fetonte, figlio di Climene e Merope, potesse essere contenuto in un’opera perduta di Esiodo, in particolare nel Catalogo delle donne. Lo studioso, inoltre, riprende l’ipotesi di Wilamowitz che identifica Fetonte con Espero / Fosforo, la stella della sera e del mattino: nella versione esiodea Fetonte sarebbe trasformato in Espero, la stella della sera, mentre in quella euripidea Afrodite avrebbe trasformato il giovane in Fosforo, la stella del mattino, che precede il carro del sole. Partendo da questi argomenti, Debiasi sostiene che i  due Fetonti costituiscono, in realtà, figure speculari, diverse e uguali allo stesso tempo, essendo caratterizzati da significativi parallelismi, quali, ad esempio, il rapporto privilegiato con Afrodite o la divinizzazione, che nel caso del Fetonte esiodeo avviene ad opera della dea stessa, nel caso del Fetonte euripideo mediante il matrimonio con una divinità (Ib. 316-319). 42

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non meglio precisata divinità 43 possa essere considerata una innovazione euripidea 44. Dai pochi versi conservati del prologo, forse recitato da Climene, madre di Fetonte, sappiamo che la scena si svolge in Etiopia, nel regno di Merope. Il  frammento successivo riporta un breve dialogo tra Fetonte e la madre, nel quale essa rivela al figlio la sua discendenza divina. Fetonte non si fida pienamente delle parole di Climene e dichiara la sua intenzione di recarsi presso il palazzo del Sole per accertare la verità. Nella parodo le vecchie serve che compongono il coro intonano un canto con il quale esprimono la propria gioia per l’imminente matrimonio di Fetonte. Piuttosto difficile ricostruire con precisione quanto avviene dopo la parodo. Elementi certi paiono l’annuncio solenne delle nozze ad opera di un araldo e il diverbio tra padre e figlio: Merope incalza Fetonte affinché si sposi, mentre quest’ultimo sembra restio a  diventare «schiavo di una donna». Buona parte di quel che avviene dopo la lite è andato perduto: nel frammento successivo, infatti, la tragedia si è ormai consumata. Climene, straziata dal dolore, descrive il cadavere ancora fumante del figlio colpito dal fulmine di Zeus. 43  Tra i numerosi tentativi di identificare la futura sposa di Fetonte è possibile ricordare: una Oceanina, Eos, Selene, Armonia. L’ipotesi di Wilamowitz, che ha proposto di riconoscere dietro la sposa e il suo puledro appena aggiogato rispettivamente Afrodite e Fetonte, ha riscosso notevole successo tra gli studiosi. Essa è stata accolta e approfondita da Lesky 1932, Webster 1967 (in particolare p. 230) e, più di recente, Reckford 1972, con argomentazioni non sempre convincenti: cfr. Van Looy 2002, 236-238. Diggle 1970, 155-160 mette in luce, attraverso una serrata critica, le difficoltà interpretative legate alla ricostruzione di Wilamowitz e sottolinea come un matrimonio tra un eroe tragico e una divinità olimpica sia poco credibile. Lo studioso, riprendendo un’ipotesi di Weil, sostiene che dietro la futura sposa di Fetonte si celi, in realtà, una delle Eliadi. Tale soluzione, secondo lo studioso, presenterebbe anche un indubbio vantaggio drammaturgico: Merope, infatti, vedendo Fetonte dirigersi verso il palazzo del Sole, penserebbe che il figlio si stia in realtà recando a  far visita alla futura sposa. Sebbene tale ricostruzione presenti indubbi vantaggi, anche in termini di economia drammaturgica, essa non trova nessun fondamento nel testo. Va inoltre osservato, con Lloyd-Jones 1971, 343, che il testo conservato da Diggle al v. 241 θεάν κηδεύσεις, pare difficilmente difendibile: non sono attestati, infatti, altri casi del verbo κηδεύω costruito con l’accusativo, nel significato di ‘sposare qualcuno’. Pare opportuna, dunque, la correzione palmare θεᾷ κηδεύσεις, che ripristina la più comune costruzione con il dativo, da intendersi come ‘tu che ti allei tramite matrimonio a una dea’. La dea, secondo tale ricostruzione, non può che essere Afrodite e la sposa una parente/ figlia della dea, la cui identità, come afferma Lloyd-Jones, è destinata a rimanere celata. 44  Cfr. Van Looy 2002, 236.

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L’arrivo di Merope a capo di un coro di giovani fanciulle spinge la regina ad occultare il cadavere al­l’interno del palazzo. Nel breve canto, intonato probabilmente dal coro secondario di vergini guidate da Merope, si distinguono chiaramente alcuni elementi tipici del­l’imeneo: l’invocazione iniziale ad Imeneo (v. 227); il riferimento autoreferenziale alla performance (v. 228 «cantiamo»; v.  231 «canto canti nuziali» 45); l’invocazione ad Afrodite «signora degli amori, che presiede al  matrimonio delle vergini» (vv. 228-230); il motivo del makarismos (v.  240 «O  beato, o  sovrano assai felice») 46; l’elogio dello sposo (242244 «solo tra i mortali parente di immortali per la terra sconfinata sarai celebrato»). Come la monodia di Cassandra anche l’imeneo del Fetonte genera una forte ironia tragica: dopo la morte del protagonista e le tristi parole di Climene ci si attenderebbe di udire un threnos per il defunto 47, ma sulla scena fa il suo ingresso un coro di fanciulle che, ignare del­l’accaduto, intonano un imeneo. Lo scarto tra l’inconsapevole espressione di gioia e la triste realtà appare molto marcato. Colpisce sotto il profilo formale la composizione metrica del canto, costituita interamente da kat’enoplion-epitriti. Si tratta di un unicum, perché non sono attestati esempi di poesia nuziale composta da tali sequenze. Esse, sebbene utilizzate in vari generi lirici, ricorrono con grande frequenza nella poesia aulica e solenne del­l’epos citarodico (si pensi alla Tebaide di Stesicoro), e, soprattutto, nella poesia di carattere encomiastico. Al­l’interno di tale categoria, è opportuno osservare, rientrano non solo gli epinici, composti per i vincitori negli agoni sportivi e  musicali, ma anche i  threnoi, componimenti funebri, 45   Ἀείδω è una congettura di Wilamowitz; in questo punto del testo, infatti, il senso necessita di un verbo che indichi l’azione del ‘cantare’ o del ‘celebrare’. 46  Accolgo a testo la correzione di Hermann contro la lezione di P ὦ μακάρων: come osserva giustamente Diggle 1970,  154-155, conservando il testo tradito si avrebbe un’espressione alquanto improbabile: «o sovrano più felice dei beati». Non pare necessario, invece, il genitivo βασίλεως, proposto sempre da Hermann. Alcuni editori vedono dietro la figura del re (menzionato ai vv. 237 e 240), Merope, ma due argomenti sembrano deporre contro tale identificazione: in primo luogo Climene ha detto che Merope guida il coro, danzando e  cantando; pare dunque difficile pensare che esso rivolga tale benedizione a se stesso. A ciò si aggiunga che al­l’interno di un canto nuziale ci si attende di trovare il makarismos dello sposo, ovvero di Fetonte. Sulle diverse ipotesi circa l’identità del βασιλεύς cfr. Collard-Cropp 2008, 355 n. 6. 47  Cfr. Contiades-Tsitsoni 1994, 54; Baltieri 2011, 211.

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che secondo le testimonianze dei grammatici antichi si componevano di due parti fondamentali: lamento (ὀδυρμόν) ed elogio (ἐγκώμιον) del morto 48. In  kat’enoplion-epitriti, in particolare, sono composti ventiquattro epinici pindarici, su un totale di quarantacinque, e tutti i frammenti dei threnoi del poe­ta tebano, che costituiscono certamente un corpus frammentario e  molto più limitato. I  poe­ti tragici, al  contrario, ricorrono raramente a  tali sequenze: nella restante produzione tragica di Eschilo e  Sofocle esse ricorrono solamente in due corali del Prometeo e nelle parodoi del­l’Aia­ce e delle Trachinie. Anche Euripide, che se ne serve con maggior frequenza rispetto ai suoi predecessori, ne fa un uso limitato: se escludiamo la Me­dea, essi ricorrono, perlopiù in strofe isolate, nel­l’Alce­sti (vv.  588-596 = 597-605), nel­l’Andromaca (vv. 766-776 = 777-789), nelle Troiane (vv. 799-808 = 809-819; 820-839  = 840-859), nel­l’Ele­na (vv.  1137-1150 = 1151-1164), nel­l’Elettra (vv. 859-865 = 873-879) e nel Reso (vv. 224-232 = 233-241). Come spiegare, dunque, tale scelta metrica non consueta per l’ime­neo intonato dalle vergini nel Fetonte? Due le possibili risposte. La prima consiste nel­l’ammettere che, almeno limitatamente a questo caso, non è possibile rintracciare un rapporto significativo tra il piano dei metri-ritmi e  quello dei contenuti. Euripide, in particolare, avrebbe composto un imeneo senza tenere conto di quella che sembra essere una tradizione metrico-ritmica (quella in gliconei e metri ionici) ben attestata. Una seconda via utilmente percorribile è quella di ipotizzare che in questo canto il tragediografo abbia abilmente giocato con la tradizione metricoritmica, servendosi volontariamente di sequenze ‘fuori tema’, non ‘adatte’ a richiamare alla mente degli spettatori il genere imenaico. La  scelta dei kat’enoplion-epitriti in questo contesto potrebbe essere forse evocativa di un’atmosfera trenetica, che allude in maniera velata alla triste sorte di Fetonte 49. Si verrebbe così a creare un contrasto, efficace dal punto di vista drammaturgico, tra   Sul­l’argomento cfr. Cannatà Fera 1990, in particolare p. 28 ss.   Dal fr. 128c Sn.-Maeh. (= 56 Cannatà) di Pindaro, dove l’imeneo è citato accanto al Linos e allo Ialemos, è forse possibile dedurre che anche il canto in onore di Imene potesse assumere connotazioni trenetiche. Si vedano, a questo proposito, le considerazione di Cannatà Fera 1990, 140-142, che in merito ai vv. 227-244 del Fetonte afferma: «L’imeneo, cantato per le nozze del mitico neozyx omonimo, doveva avere destinazione funebre / nuziale; il canto sul morto Imeneo è caratterizzato infatti con l’espressione ἐσχάτοις ὕμνοις». 48 49

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il ritmo dei kat’enoplion-epitriti, evocativo del threnos, e  il contenuto gioioso, almeno a  prima vista, del canto nuziale. Se prestiamo attenzione alle parole intonate dal coro, infatti, è  forse possibile scorgere anche in esse un velato riferimento alla morte. Ai  vv.  233-234 molte discussioni ha suscitato l’identità del νεόζυγι σῶι πώλωι: l’interpretazione accolta oggi dalla maggior parte degli studiosi è che dietro il «puledro fresco di nozze» si celi Imeneo, il figlio di Afrodite, che secondo il mito sarebbe morto il giorno del matrimonio e che la dea avrebbe portato con sé in cielo 50. Se tale interpretazione fosse corretta il parallelo con le sorti di Fetonte risulterebbe palese: l’allusione al threnos sarebbe sostenuta non solo dal­l’uso dei kat’enoplion-epitriti, ma anche dalla enigmatica allusione a Imeneo, il giovane che proprio il giorno del suo matrimonio aveva visto mutare il proprio canto nuziale in un canto funebre. 51

Appendice La rievocazione di due imenei: la monodia di Evadne (Eur. Suppl. 9901008 = 1012-1030) e il terzo stasimo del­l’Ifigenia in Aulide (Eur. IA 1036-1057 = 1058-1079; 1080-1097). Eur. Suppl. 990-1008 = 1012-1030 Grazie al­l’intervento di Teseo i  corpi degli eroi argivi, caduti presso le mura di Tebe, troveranno finalmente sepoltura. Dalla cerimonia sono escluse le madri dei defunti, che morirebbero di dolore nel vedere i corpi dei figli sfigurati dalle ferite: esse possono solo eseguire un compianto lontano dalle salme (vv. 955-979). Il lamento funebre si è  appena concluso quando il corifeo annuncia l’ingresso in scena di Evadne. La sposa di Capaneo compare sulla cima di una rupe, che 50  Meno plausibili paiono altre interpretazioni. Se con il termine ‘puledro’ si alludesse a  Fetonte, come è  stato suggerito, l’espressione σῶν γάμων γενεάν non sarebbe perspicua (di qui la proposta di Wilamowitz di correggere il testo con τιμάν): il protagonista della tragedia, infatti, non può essere definito ‘progenie delle tue (scil. Afrodite) nozze’. Assai improbabile anche l’identificazione del puledro con la sposa: se, infatti, l’uso del­l’articolo (τῷ) e del pronome possessivo (σῷ) di genere maschile in luogo del femminile è talvolta attestato, qui renderebbe eccessivamente ostico individuare il referente concreto della metafora. 51  Particolarmente ambiguo doveva suonare allora il termine μάκαρ, con il quale veniva celebrato non solo lo sposo il giorno del matrimonio, ma anche il defunto, per esaltarne le virtù: cfr. Baltieri 2011, 219.

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svetta più alta del tempio di Demetra 52, e intona un canto in cui il felice ricordo della cerimonia nuziale, ormai lontana nel tempo, si mescola con il desiderio di gettarsi tra le fiamme della pira, per riunirsi a Capaneo in una sorta di nuovo matrimonio 53. Str. τί φέγγος, τίν’ αἴγλαν ἐδίφρευε τόθ’ ἅλιος σελάνα τε κατ’ αἰθέρα †λαμπάδ’ ἵν’ ὠκυθόαι νύμφαι †   ἱππεύουσι δι’ ὄρφνας,   995 ἁνίκα ‹ › γάμων τῶν ἐμῶν πόλις Ἄργους ἀοιδαῖς εὐδαιμονίας ἐπύργωσε καὶ γαμέτα χαλκεοτευχέος [τε] Καπανέως; 1000 πρὸς ‹δ’› ἔβαν δρομὰς ἐξ ἐμῶν οἴκων ἐκβακχευσαμένα πυρὸς φῶς [καθέξουσα] τάφον τε ματεύσουσα τὸν αὐτόν ἐς Ἅιδαν καταλύσουσ’ ἔμμοχθον 1005 βίοτον αἰῶνός τε πόνους· ἥδιστος γάρ τοι θάνατος συνθνήισκειν θνήισκουσι φίλοις, εἰ δαίμων τάδε κραίνοι.

Ant. ὁρῶ δὴ τελευτὰν ἵν’ ἕστακα· τύχα δέ μοι ξυνάπτει ποδὸς, ἀλλὰ τᾶς   1015 εὐκλείας χάριν ἔνθεν ὁρ  μάσω τᾶσδ’ ἀπὸ πέτρας πηδήσασα πυρᾶς ἔσω σῶμά τ’ αἴθοπι φλογμῶι πόσει συμμείξασα φίλωι, 1020 χρῶτα χρῶτι πέλας θεμένα, Φερσεφόνας ἥξω θαλάμους, σὲ τὸν θανόντ’ οὔποτ’ ἐμᾶι προδοῦσα ψυχᾶι κατὰ γᾶς. ἴτω φῶς γάμοι τε· 1025 †εἴθε τινὲς εὐναὶ δικαίων ὑμεναίων ἐν Ἄργει φανῶσι τέκνοισιν ὁ σὸς δ’† εὐναῖος γαμέτας συντηχθεὶς αὔραις ἀδόλοις 1030 γενναίας [ψυχᾶς] ἀλόχοιο.

Apparato critico [Codd. L(aurentianus 32.2); P(alatinus 287 et Laurentianus 172)]  991 ἐδιφρεύετο τάλας LP : corr. Matthiae   993 locus desperatus, λαμπάδες ἵν’ὠκυθόαι νιν ἀμφιππεύουσι Hermann et Wilamowitz : alii alia tentaverunt   994 δι’ὀρφναίας LP : corr. Hermann 995 ‹αἰνογάμων› Haupt ex. gr.   999 χαλκεοτευχοῦς LP : post Hermann corr. Page τε del. Hermann   1000 δ’ suppl. Hartung   1002 καθέξουσα del. Hermann 1004  ἀίδαν LP: corr. Hermann   1013  ἵν’ Reiske : ἣν LP   1017  πυρὸς LP  : corr. Bothe  1021 Φερσεφονείας LP : corr. Elmsley   1024-1025 τ’ εἴθε LPpc  1025 ss. locus desperatus   1030 ψυχὰς ἀλόχῳ LP: del. et emend. Wilamowitz Apparato colometrico 1001-1002 con . L  : dist. Tr1.  1003-1004 ματεύcουσα  … ἐς Ἅιδαν  | LP   10041005 καταλύσουσ’ … βίοτον | LP   1016 -μάσω | Ppc  1024-1025 con. LP   10271028 con. P : dist. Ppc   ὁ σὸς | Tr1

analisi metrica 990 = 1012 991 = 1013 992 = 1014



2ba glyc  || glyc 54

  Cfr. Di Benedetto-Medda 1997, 130-132.   Si tratta di un ‘matrimonio con la morte’; cfr. Rehm 1994 (in particolare per la monodia di Evadne, pp. 110-121). 54  Preferisco conservare il testo del­ l’antistrofe, ammettendo fine di verso dopo prepositiva, fenomeno raro, ma presente sia nella lirica arcaica sia nella lirica 52 53

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993 = 1015 994 = 1016 995 = 1017 996 = 1018 997 = 1019 998 = 1020 999 = 1021 1000~1022 1001 = 1023 1002 = 1024   1003 = 1025 1004 = 1026 1005 = 1027 1006 = 1028 1007 = 1029 1008 = 1030

glyc (stroph. corr.) 55 pher glyc pher dimp dimp dimp 56     glyc ~ dimp 57 dimp  || 2ba  || pher (ant. corr.)   pher mol (ant. corr.) dimp (ant. corr.) dimp dimp  ||| pher

La monodia rievoca l’atmosfera gioiosa delle nozze di Evadne e Capaneo 58: significativi, a tal proposito, i vv. 996-1001, in cui Evadne, oltre a ricordare come la città di Argo avesse celebrato con canti la felicità delle nozze, esalta anche Capaneo, l’eroe «cinto di bronzo», in una sorta di breve μακαρισμός; o il v. 1024 ἴτω φῶς γάμοι τε, che costituisce una invocazione tipica dei canti nuziali 59; i vv. 1026-1028, dove, pur al­l’interno di un passo corrotto, ricorre il nesso δικαίων ὑμεναίων. Il gioioso ricordo delle nozze lascia gradatamente il posto alla volontà di Evadne di togliersi la vita: il suicidio è descritto con termini che alludono al­l’unione carnale con il marito, come testimoniano i vv. 10191020 πόσει συμμείξασα φίλωι; χρῶτα χρῶτι πέλας θεμένα, o  il verso 1021, dove il proposito di togliersi la vita è esternato con l’espressione Φερσεφόνας ἥξω θαλάμους 60. In merito al piano formale è stato giustadrammatica: cfr.  West 1982,  26. Gli editori moderni preferiscono evitare tale fenomeno accogliendo a testo la congettura ἀλλαγάς di Stinton. 55   Il testo della strofe è con buona probabilità corrotto: oltre ai problemi relativi al­l’interpretazione del testo, infatti, la presenza di iato nella strofe e sinafia verbale nel­l’antistrofe pare difficilmente ammissibile. Cfr. Collard 1975, II, 363-364. 56  Per questa forma di dimetro polischematico con soluzione del secondo elemento cfr. Eur. Or. 840 s.; Ba. 410 = 425. 57  La responsione tra gliconei e  dimetri polischematici è  un fenomeno che vanta svariate occorrenze: esso ricorre in Saffo, Anacreonte, Corinna, Pindaro, in tragedia (Sofocle ed Euripide) e  in commedia; in generale, sul­l’argomento cfr. Gentili-Lomiento 2003, 188; sui polischematici in Euripide cfr. Itsumi 1982. 58  Secondo Collard 1975, II, 364 la presenza del termine λαμπάδα al­l’interno del corrotto v. 993 (vd. supra n. 55) potrebbe costituire un riferimento alle fiaccole utilizzate dal corteo nuziale che accompagnava la sposa nella sua nuova casa. 59  Cfr. Eur. Phaeth. 101; Collard 1975, II, 372. 60  Per il significato del­l’espressione cfr. Collard 1975, II, 371. Seaford 1987, 121 nota come ai  vv.  980-981 καὶ μὴν θαλάμας τάσδ’ ἐσορῶ δὴ /  Καπανέως ἤδη

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mente osservato come la scelta della forma antistrofica, in luogo di un apolelymenon, serva a creare un contrasto tra la rigida struttura metrica e  i sentimenti impetuosi di Evadne. La responsione strofica, inoltre, consente di mettere ulteriormente in risalto il legame tra matrimonio e morte: così ad esempio alla menzione del fuoco della pira e della tomba nella strofe (v.  1002 πυρὸς φῶς τάφον τε) corrisponde nel­ l’antistrofe il riferimento alle luce delle fiaccole e alle nozze (v. 1024 ἴτω φῶς γάμοι τε) 61. Sotto il profilo metrico, se si escludono i vv. 990 = 1012 e 1002 = 1024, costituiti da due bacchei 62, il canto è composto interamente da sequenze gliconiche e da dimetri polischematici, metri, questi ultimi, che possono essere considerati affini ai  gliconei, come testimonia la responsione dei vv.  1000~1022 63. Anche la monodia di Evadne, dunque, pare confermare la tendenza euripidea a  servirsi di sequenze gliconiche al­l’interno di sezioni liriche contenenti riferimenti alle cerimonie e ai canti nuziali. Eur. IA 1036-1057 = 1058-1079; 1080-1097 Nel­l’Ifigenia in Aulide il tema del matrimonio occupa una posizione di primo piano: per poter adempiere alla profezia di Calcante, che impone il sacrificio di Ifigenia, Agamennone ha convocato la figlia presso il campo acheo con la promessa di darla in sposa ad Achille. L’arrivo della giovane in Aulide a bordo di un carro è descritto in termini che richiamano il corteo nuziale che accompagnava la sposa il giorno del matrimonio: si considerino, ad esempio, la menzione del makarismos, intonato dal coro di uomini argivi ai vv. 590-597, e la presenza della madre in qualità di νυμφαγωγός (v.  610) 64. Ancor più significativo il terzo stasimo: dopo il colloquio tra Achille, il Vecchio e Clitemestra, mediante il quale la regina viene a conoscenza delle reali intenzioni del marito, il coro intona un canto che rievoca l’imeneo eseguito dalle Pieridi e dai Centauri per celebrare le nozze di Peleo e Teti 65. τύμβον θ’ ἱερὸν il coro si serva della parola θαλάμη per indicare la tomba di Capaneo, un termine che richiama molto da vicino il termine θάλαμος. Per Evadne, dunque, la tomba del marito rappresenterebbe un nuovo talamo nuziale. 61   Per queste osservazioni sul­l’uso della forma antistrofica cfr. Collard 1975, II, 357-358; De Poli 2012, 124. 62  La stessa sequenza ricorre anche in Eur.  Tro. 320 = 337. Per le analogie metriche e strutturali tra le due monodie cfr. Cerbo 2009, 93-94. 63  Affinità confermata anche dal manuale di Efestione (pp. 56-57 Consbr.) che definisce come gliconei polischematici alcuni dimetri della poe­tessa Corinna. 64   Cfr. Foley 1985, 70-71; Seaford 1987, 108-109. 65   Il  canto prevederebbe, dunque, una sorta di esecuzione amebaica, in cui al canto delle Pieridi risponderebbe quello dei Centauri: tale modalità esecutiva si riscontra, ad esempio, anche in Sapph. fr. 30 V. e Catull. 62. Sui cori misti che eseguivano canti nuziali cfr. Swift 2010, 256-262.

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str. τίς ἄρ’ Ὑμέναιος διὰ λωτοῦ Λίβυος μετά τε φιλοχόρου κιθάρας συρίγγων θ’ ὑπὸ καλαμοεσσᾶν ἔστασεν ἰαχάν, 1040 ὅτ’ ἀνὰ Πήλιον αἱ καλλιπλόκαμοι Πιερίδες παρὰ δαιτὶ θεῶν χρυσεοσάνδαλον ἴχνος ἐν γᾶι κρούουσαι Πηλέως ἐς γάμον ἦλθον, 1045 μελωιδοῖς Θέτιν ἀχή  μασι τόν τ’ Αἰακίδαν, Κενταύρων ἐν ὄρεσι κλέουσαι Πηλιάδα καθ’ ὕλαν. ὁ δὲ Δαρδανίδας, Διὸς 1050 λέκτρων τρύφημα φίλον, χρυσέοισιν ἄφυσσε λοιβάν ἐν κρατήρων γυάλοις ὁ Φρύγιος Γανυμήδης. παρὰ δὲ λευκοφαῆ 1055   ψάμαθον εἱλισσόμεναι κύκλια  πεντήκοντα κόραι Νηρέως γάμους ἐχόρευσαν.

ant. ἀνὰ δ’ ἐλάταισι στεφανώδει τε χλόαι θίασος ἔμολεν ἱπποβάτας 1060 Κενταύρων ἐπὶ δαῖτα τὰν  θεῶν κρατῆρά τε Βάκχου. μέγα δ’ ἀνέκλαγον· Ὦ Νηρηῒ κόρα,   παῖδά σε Θεσσαλίαι μέγα φῶς μάντις ὁ φοιβάδα μοῦσαν 1065 εἰδὼς γεννάσειν Χείρων ἐξονόμαζεν, ὃς ἥξει χθόνα λογχή  ρεσι σὺν Μυρμιδόνων ἀσπισταῖς Πριάμοιο κλεινάν 1070 γαῖαν ἐκπυρώσων, περὶ σώματι χρυσέων ὅπλων Ἡφαιστοπόνων κεκορυθμένος ἐνδύτ’, ἐκ θεᾶς ματρὸς δωρήματ’ ἔχων 1075 Θέτιδος, ἅ νιν ἔτικτεν. μακάριον τότε δαί  μονες τᾶς εὐπάτριδος γάμον Νηρήιδων ἔθεσαν πρώτας Πηλέως θ’ ὑμεναίους.

ep. σὲ δ’ ἐπὶ κάραι στέψουσι καλλικόμαν πλόκαμον Ἀργεῖοι, βαλιάν ὥστε πετραίων ἀπ’ ἄντρων †ἐλθοῦσαν ὀρέων† μόσχον ἀκήρατον, βρότειον αἱμάσσοντες λαιμόν· 1085 οὐ σύριγγι τραφεῖσαν οὐδ’ ἐν ῥοιβδήσεσι βουκόλων, παρὰ δὲ ματέρι νυμφοκόμον Ἰναχίδαις γάμον. ποῦ τὸ τᾶς Αἰδοῦς 1090 ἢ τὸ τᾶς Ἀρετᾶς [δύνασιν ἔχει] σθένει τι πρόσωπον,  ὁπότε τὸ μὲν ἄσεπτον ἔχει δύνασιν, ἁ δ’ Ἀρετὰ κατόπισθεν θνατοῖς ἀμελεῖται, 1095 Ἀνομία δὲ νόμων κρατεῖ, καὶ ‹μὴ› κοινὸς ἀγὼν βροτοῖς μή τις θεῶν φθόνος ἔλθηι; Apparato critico [codd. L(aurentianus 32.2); P(alatinus 287 et Laurentianus 172)]   1040 ὅτ’ ἀνὰ Tr3  : ὅταν ἀνὰ L P  1041 ἐν δαίτι LP : corr. Kirchhoff   1044 Πηλέος L 1045 μελωδοὶ ... ἰαχήμασι LP : corr. Elmsley  1050 φίλιον LP : corr. Musurus 1057  νηρῆος Tr2  1062  νηρηὶ Tr3  : νηρηεῖ LP   1063 παῖδες αἱ θεσσαλαί LP : corr. Weil post Kirchhoff    1064 ὁ φοιβάδα μοῦσαν Hermann  : δ’ὁ φοῖβα μοῦσαν LP  : δ’ὁ φοῖβος ὁ μουσᾶν τ’ Tr2 Ppc  1066 ἐξωνόμασεν LP  : corr. Monk   1067 λογχήρεσι  : Tr2 λογχήρεσσι LP  1069  ἀσπισταῖσι Tr2  1075 ἔτικτεν Tr2  1078 Νηρῇδος LP, Νηρηίδος Tr3  : corr. Heat   1083  ἄντρων ἐλθοῦσαν del. Wil., ὀρέων del. Dindorf  1086 ῥοιβδήσει LP : corr. Dobree   1090-1091 δύνασιν ἔχει σθένειν LP : del. et corr. Hartung   1096 ‹μὴ› suppl. Hermann

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apparato colometrico 1042-1043 con. LP : dist. Tr3  1085 τραφεῖσαν | L

Analisi metrica str./ ant. 1036 = 1058 1037 = 1059 1038 = 1060 1039 = 1061 1040 = 1062 1041 = 1063 1042 = 1064 1043 = 1065 1044 = 1066 1045 = 1067 1046 = 1068 1047 = 1069 1048 = 1070 1049 = 1071 1050 = 1072 1051 = 1073 1052 = 1074 1053 = 1075 1054 = 1076 1055 = 1077 1056 = 1078 1057 = 1079 ep. 1080 1081 1082 1083 1084 1085 1086 1087 1088 1089

3cho dimp hipp 2ionma∧∧   pher cho alcm∧∧ 66 pher ? pher pher 2ionmi ∧ hipp ithyph glyc 67 dimp ionmi tro dimp pher hemiascl p ∧dim dimp  ||| cr (~ mol) 2ionma∧∧ 68  

ia dimp dimp † 2tro mol ? † glyc ?    || ia do glyc glyc glyc do hypodo

66   Diversamente, potrebbe essere inteso come gliconeo con base dattilica e chiusa anapestica: Dale descrive il verso come «irregular glyc». 67  Data la rarità della realizzazione pirrichia dei due primi elementi delle sequenze gliconiche, il verso potrebbe essere analizzato come gliconeo acefalo con soluzione del primo elemento. Sulle diverse possibilità di realizzazione dei gliconei cfr. Itsumi 1984; Gentili -Lomiento 2003, 154-166. 68  La maggioranza degli editori preferisce intervenire sul testo e sulla colometria dei vv. 1054-1057 = 1076-1079 al fine di ottenere una più omogenea successione di sequenze gliconiche (glyc, ∧glyc, glyc, reiz).

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1090 1091 1092 1093 1094 1095 1096 1097

hypodo  || do dimp hipp 69 H  || do glyc glyc  ||| pher

Nella strofe è  descritta la gioiosa cerimonia nuziale che si svolse sul monte Pelio, allietata dalla musica e dai doni degli dei: tra gli elementi che richiamano il genere imenaico è possibile ricordare il riferimento al canto eseguito dalle Pieridi (vv. 1036 ss. «Q uale imeneo … levò la sua voce»; v. 1045 «con suoni … melodiosi»), agli strumenti musicali utilizzati (vv. 1036-1038 dove sono menzionati in ordine l’aulo, le cetre e la zampogna), e alla danza eseguita (vv. 1042-1043 «battendo il calzare d’oro sulla terra»; vv. 1055-1057 «cinquanta fanciulle figlie di Nereo danzavano girando in cerchio»). Nel­l’antistrofe, invece, è narrato l’arrivo di un coro di Centauri, che «gridarono forte» 70 la profezia di Chirone sulla nascita di Achille e sulla partecipazione di questi alla guerra di Troia 71. Motivi imenaici possono essere considerati l’elo­ gio dello sposo, destinato a distruggere la terra di Priamo, e la pratica del makarismos, cui sembrerebbero alludere i versi finali del­l’antistrofe (vv. 1076-1079) 72. Con l’epodo, infine, il coro abbandona il passato mitico per tornare a  descrivere la misera situazione di Ifigenia: cresciuta dalla madre per diventare sposa ad Argo, essa non conoscerà alcun matrimonio, ma sarà ora sacrificata come una pura giovenca 73. Il canto è permeato da una forte ironia tragica: il ricordo delle felici nozze di Peleo e Teti è in netto contrasto con la situazione drammatica caratterizzata dalle misere sorti di Ifigenia, che non solo non potrà sposarsi, ma verrà addirittura immolata per il successo della spedizione. Anche la menzione del glorioso futuro di Achille a Troia, preconizzato da Chirone, produce una forte ironia tragica: la partecipazione del­ l’eroe al­l’impresa troiana presuppone, infatti, il sacrificio di Ifigenia, 69  La chiusa anapestica di sequenze gliconiche è  attestata, ad esempio, in Eur. El. 439; Ba. 112; 115; cfr. Gentili-Lomiento 2003, 157. 70  Come osserva Lyghounis 1991, 184 e n. 112 il verbo ἀνακλάζω è probabilmente utilizzato in questo contesto per designare il canto del coro. 71   Non è  da escludere che la profezia stessa potesse costituire un elemento ricorrente nei canti intonati per matrimoni mitici: cfr. Foley 1985, 82. 72  Cfr. Baltieri 2011, 218, n. 62; 220-221. 73  Foley 1985, 82-83, nota come anche nel­l’epodo ricorrano temi tipici del canto nuziale, quali il rapporto con la madre, la purezza della sposa, il paragone tra questa ed un oggetto naturale (in questo caso una giovenca).

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senza il quale la flotta non potrà salpare 74. Per quanto riguarda la tessitura metrico-ritmica del canto, si osservi che la strofe e l’antistrofe sono composte prevalentemente da sequenze gliconiche e, in misura minore, da dimetri polischematici, metri ionici e sequenze isolate, quali il trimetro coriambico, l’itifallico e  l’emiasclepiadeo. Per la rievocazione del­l’imeneo di Peleo e Teti, dunque, il coro si serve principalmente di quelle sequenze (gliconei, polischematici e ionici) che sembrano essere caratteristiche dei canti nuziali. L’epodo non comporta una variazione significativa nella composizione dei metri, eccezion fatta per la presenza di una serie di docmi. Il loro impiego potrebbe essere funzionale a rafforzare il passaggio dal­l’atmosfera gioiosa del matrimonio alle ben più tristi sorti di Ifigenia.

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PRESENZA DI GENERI LIRICO-CORALI NELLA TRAGEDIA GRECA: L’IMENEO

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Abstracts L’analisi delle sequenze metriche che compongono i  canti nuziali conservati dalla tradizione sembra mostrare una significativa, anche se non esclusiva, preferenza per sequenze di tipo ionico e  gliconico. Scopo del­l’articolo è quello di indagare se e in che modo Euripide si sia servito della componente metrico-ritmica per evocare il genere imenaico al­l’interno dei cantica delle proprie tragedie. Particolare attenzione è  prestata al­l’analisi della monodia di Cassandra nelle Troiane (vv.  308-341), che si configura come un imeneo sui generis (la  profetessa, infatti, non contrarrà un regolare matrimonio, ma diverrà concubina di Agamennone) ed è  caratterizzato dalla commistione di sequenze eoliche e docmiache, e al­l’imeneo intonato nel Fetonte (vv.  227-244), in cui l’uso dei kat’enoplion-epitriti, in luogo delle più consuete sequenze ioniche e gliconiche, potrebbe essere evo129

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cativa di un’atmosfera trenetica, che allude in maniera velata alla triste sorte di Fetonte. Nel­l’Appendice, infine, sono analizzati la monodia di Evadne contenuta ai vv. 990-1030 delle Supplici, e il terzo stasimo del­ l’Ifigenia in Aulide (vv. 1036-1097): i due cantica contengono numerosi elementi che richiamano il genere imenaico ed entrambi sono composti prevalentemente da sequenze gliconiche e, in misura minore, da ionici e dimetri polischematici. The ancient nuptial songs, which were transmitted by tradition, seem to be mainly composed (though not exclusively) of  ionic and glyconic sequences. The aim of   this paper is to analyze how Euripides used metrical and rhythmical components to evoke the hymenaic genre. Particular attention is devoted to both Cassandra’s monody (Tro. 308341), a sui generis hymeneum (the prophetess will not marry, but she will become a  concubine of   Agamemnon), composed of   dochmiac and glyconic meters, and to the nuptial song of   Phaeton (227-244). In the latter, the presence of  kat’enoplion-epitrites, instead of  the more common ionic and glyconic sequences, could be interpreted as evocative of   a threnetic atmosphere, which alludes, in a veiled manner, to the tragic end of   Phaeton. Finally, Evadne’s monody (Suppl.  9901030) and the third stasimon of   Iphigenia in Aulis (1036-1097) are analysed in the appendix; the two cantica contain several elements reminiscent of   the hymenaic genre and both are mainly marked by the presence of   glyconic sequences and, to a  lesser extent, of   ionics and polyschematic dimeters.

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MARCO ERCOLES Università di Bologna

‘NUOVA MUSICA’ E AGONI POETICI. IL DIBATTITO SULLA MUSICA NELL’ATENE CLASSICA *

È ormai nota l’importanza che gli agoni rivestirono nel­l’antica Grecia come fattore di sviluppo e di raffinamento del­l’espressione musicale: il loro particolare statuto di momento annesso ad una celebrazione festiva, ma non strettamente vincolato al culto, rappresentò uno stimolo costante, per i  compositori come per gli esecutori, a  ricercare un linguaggio melodico sempre più complesso, vario ed efficace, capace di evocare o addirittura di imitare: un linguaggio sempre meno funzionale a celebrare, e sempre più a dilettare. Tra i vari tipi di performance furono le forme solistiche a conseguire le maggiori potenzialità espressive, soprattutto nel corso del VI sec. a.C., quando molti agoni musicali furono riorganizzati e ampliati. Un caso emblematico è quello delle feste pitiche, che furono riformate nel 582 a.C. con l’aggiunta di competizioni in diverse specialità musicali 1: la tradizionale gara citarodica, di antichissima origine (cfr. Strab. 10, 7, 4), fu affiancata allora da competizioni aulodiche – ben presto soppresse per il loro carattere trenodico – e auletiche (cfr. Strab. 9, 3, 10). Particolare successo ebbe il brano auletico presentato da Sacada di Argo, il nomos Pitico, piuttosto sofisticato dal punto di vista musicale: le cinque sezioni da cui era costituito evocavano, mediante differenti ritmi o melodie, le diverse fasi della lotta tra Apollo e il serpente Pitone * Mi sia consentito ringraziare per le proficue discussioni e i preziosi suggerimenti J. Franklin, A. Gostoli, L. Lomiento, A. Lorenzoni, C. Neri, R. Tosi. 1  Sulla data della riorganizzazione delle Pitiche si vedano Mosshammer 1982; Gentili 1995, XXV e n. 2; Finglass 2007, 19-27. 10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115163

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per il possesso di Delfi. Come ha osservato Barker, «una ‘musica a  programma’ di questo tipo, che crea cinque appassionanti e  distinti quadri sonori senza l’ausilio di un testo, richiede virtuosismi da parte del­l’esecutore e uno strumento assolutamente preciso e versatile» 2. Di qui si può dedurre il livello di perizia conseguito dagli auleti, in particolare da quelli di area argolica, nella prima metà del VI sec. a.C. (si è parlato, a tale proposito, di «aulos revolution») 3. Il pezzo strumentale introdotto da Sacada divenne in seguito tradizionale e, a  quanto pare, fu adottato anche dai citaristi nel loro repertorio, una volta che venne introdotta alle Pitiche la competizione per cetra solista – vale a  dire a  distanza di quasi trent’anni dal 582 a.C. 4 In  questo periodo, o  poco più tardi 5, sembra potersi collocare l’attività di alcuni musici attivi a Sicio­ne, Lisandro ed Epigono, ai quali si devono nuove soluzioni tecniche atte a riprodurre sulla cetra le possibilità sonore del­l’aulo. Tutto ciò indica che la raffinata arte degli auleti costituiva un modello e uno stimolo per i citaristi 6. Tale influenza non si limitò, tuttavia, al  campo della musica strumentale, ma si estese anche alla musica vocale 7, in particolare al ditirambo – forse già a partire da Laso di Ermione, attivo al tempo dei Pisistratidi 8 – e al nomos   Barker 2002, 42.   L’espressione è di Franklin 2013, 215. Su questa fase di sperimentalismo musicale si vedano West 1992,  338; Barker 2002,  41-59; De Simone 2011; Franklin 2013, 222-226. 4  Cfr.  Strab. 9,  3, 10 μετὰ δὲ τὸν Κρισαῖον πόλεμον οἱ Ἀμφικτύονες ἱππικὸν καὶ γυμνικὸν ἐπ’ Εὐρυλόχου διέταξαν στεφανίτην καὶ Πύθια ἐκάλεσαν. προσέθεσαν δὲ τοῖς κιθαρῳδοῖς αὐλητάς τε καὶ κιθαριστὰς χωρὶς ᾠδῆς, ἀποδώσοντάς τι μέλος ὃ καλεῖται νόμος Πυθικός. Pausania (10, 7, 7) attesta che l’introduzione del­l’agone citaristico avvenne in occasione del­l’ottava Pitiade (554 a.C.), quando vinse l’arcade Agelao di Tegea. 5  Erodoto (3, 131, 3) riferisce che al tempo di Policrate (ca. 537-522 a.C.) gli Argivi erano particolarmente rinomati tra i Greci per le loro abilità musicali. 6  Sul­l’auletica e sulla citaristica nel VI secolo cfr. Barker 2002, 41-59. 7  È quest’ultimo sviluppo, gravido di conseguenze, che incontrò la fiera op­posizione da parte dei più tradizionalisti. 8  La testimonianza cruciale sulle innovazioni musicali di Laso è  il problematico Ps. Plut. Mus. 29, 1141c: si accoglie qui l’interpretazione del passo data da West (1992,  343) e  Barker (2002,  55), secondo i  quali l’Ermioneo avrebbe introdotto i virtuosismi della musica auletica nel canto. Meno convincente appare l’interpretazione di Privitera (1965,  79s.), secondo cui Laso avrebbe trasferito le novità del­l’auletica nella citarodia. L’attività del musico è  legata soprattutto 2 3

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citarodico – a partire da Frinide di Mitilene, la cui attività è collocabile intorno alla metà del V sec. a.C. 9. Tra queste due forme musicali, fu il nomos, privo di responsione strofica e destinato ad essere eseguito da solisti di professione (ἀγωνισταί), a recepire più rapidamente il complesso linguaggio melodico introdotto dagli auleti del VI sec., mentre il ditirambo, caratterizzato da una struttura antistrofica e destinato ad essere eseguito da un coro di cittadini, accolse le innovazioni più gradatamente, diventando con il tempo anch’esso un canto a solo sciolto da responsione: un brano da ἀγωνισταί. Q uesto è  il quadro che si desume dai Problemi di scuola aristotelica (19, 918b 18-29): διὰ τί οἱ μὲν νόμοι οὐκ ἐν ἀντιστρόφοις ἐποιοῦντο, αἱ δὲ ἄλλαι ᾠδαὶ αἱ χορικαί; ἢ ὅ τ ι ο ἱ μ ὲ ν ν ό μ ο ι ἀ γ ω ν ι σ τ ῶ ν ἦ σ α ν , ὧν ἤδη μιμεῖσθαι δυναμένων καὶ διατείνεσθαι ἡ ᾠ δ ὴ ἐ γ ί ν ε τ ο μ α κ ρ ὰ κ α ὶ π ο λ υ ε ι δ ή ς ; καθάπερ οὖν καὶ τὰ ῥήματα, καὶ τὰ μέλη τῇ μιμήσει ἠκολούθει ἀεὶ ἕτερα γινόμενα. μᾶλλον γὰρ τῷ μέλει ἀνάγκη μιμεῖσθαι ἢ τοῖς ῥήμασιν. οἱ  διθύραμβοι, ἐπειδὴ μιμητικοὶ ἐγένοντο, οὐκέτι ἔχουσιν ἀντιστρόφους, πρότερον δὲ εἶχον. αἴτιον δὲ ὅτι τὸ παλαιὸν οἱ ἐλεύθεροι ἐχόρευον αὐτοί· πολλοὺς οὖν ἀγωνιστικῶς ᾄδειν χαλεπὸν ἦν, ὥστε ἐναρμόνια μέλη ἐνῇδον. μεταβάλλειν γὰρ πολλὰς μεταβολὰς τῷ ἑνὶ ῥᾷον ἢ τοῖς πολλοῖς, καὶ τῷ ἀγωνιστῇ ἢ τοῖς τὸ ἦθος (scil. τοῦ μέλους) φυλάττουσιν. διὸ ἁπλούστερα ἐποίουν αὐτοῖς τὰ μέλη. ἡ δὲ ἀντίστροφος ἁπλοῦν· ἀριθμὸς γάρ ἐστι καὶ ἑνὶ μετρεῖται. τὸ δ’ αὐτὸ αἴτιον καὶ διότι τὰ μὲν ἀπὸ τῆς σκηνῆς οὐκ ἀντίστροφα, τὰ δὲ τοῦ χοροῦ ἀντίστροφα· ὁ μὲν γὰρ ὑποκριτὴς ἀγωνιστὴς καὶ μιμητής, ὁ δὲ χορὸς ἧττον μιμεῖται. «Per quale motivo i  nomoi non erano in antistrofi, mentre lo erano i canti corali? Forse perché i nomoi erano propri dei professionisti e  perché, essendo costoro in grado di imitare al  ditirambo e, benché non si possa escludere che egli abbia praticato anche la citarodia, non vi è alcuna attestazione sicura al riguardo: la testimonianza della Vita Pindari redatta da Tommaso Magistro (I 4, 12-15 Dr. ἡ δὲ Μυρτὼ ἐγαμήθη Σκοπελίνῳ τῷ αὐλητῇ, ὃς τὴν αὐλητικὴν διδάσκων τὸν Πίνδαρον ἐπεὶ εἶδε μείζονος ἕξεως ὄντα, παρέδωκε Λάσῳ τῷ Ἑρμιονεῖ μελοποιῷ, παρ’ ᾧ τὴν λυρικὴν ἐπαιδεύθη) ne fa un compositore di poesia melica, non un citarodo (l’opposizione sottesa alla testimonianza è  quella tra musica strumentale, segnatamente auletica, e  musica per il canto, di maggiore pregio). Per un quadro delle diverse interpretazioni del passo pseudo-plutarcheo si veda Brussich 2000, 70s. 9  La prima data nota è  la sua vittoria nel­ l’agone citarodico alle Panatenee del 446 a.C.

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e  di sostenere una lunga esecuzione, il canto divenne lungo e  variato? Come le parole, anche le melodie seguivano la mimesi, divenendo sempre diverse. Si deve imitare, infatti, più con la melodia che con le parole. Perciò anche i ditirambi, dopo che sono divenuti mimetici, non hanno più antistrofi, mentre prima le avevano. Il  motivo è  che anticamente danzavano i cittadini stessi: era difficile che molti cantassero in maniera virtuosa, ragione per cui cantavano melodie in una sola harmonia 10. È, infatti, più facile per una sola persona che per molte eseguire molte modulazioni, e  per un professionista più che per persone che rispettano il carattere (di una melodia) 11. Perciò rendevano le melodie più semplici per loro. Il canto antistrofico è più semplice: in esso è presente un certo ritmo ed un sola unità di misura. Ed è  per lo stesso motivo che i  canti degli attori non erano antistrofici, mentre quelli del Coro erano antistrofici: l’attore è un professionista ed un imitatore, il Coro, invece, è meno capace di imitazione».

Alle trasformazioni delineate fino a  qui si accompagnò una feconda riflessione sulla μουσική, non solo in sede teorica (si pensi alle ricerche compiute da Laso, da Epigono, da Pitagora e dai Pitagorici, da Damone) 12, ma anche in sede agonale. Proprio su questo aspetto si intende qui concentrare l’attenzione, ovvero sugli agoni – in particolare su quelli citarodici – come momento di confronto tra i compositori-esecutori (i due ruoli spesso coincidevano nei citarodi) sul modo di fare musica. Dalle poche testimonianze a disposizione emerge un dibattito vivace, meglio ricostruibile per la fase della fioritura della cosiddetta Nuova Musica, tra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a.C. 10   Per questo valore del­l’aggettivo ἐναρμόνιος (qui in opposizione a ἐξαρμόνιος), cfr. Barker 1984, 193 n. 21. 11 Per ethos come ‘carattere’ di una particolare melodia, si vedano Ps. Aristot. Prob. 19, 27 919b 26-28 διὰ τί τὸ ἀκουστὸν μόνον ἦθος ἔχει τῶν αἰσθητῶν; καὶ γὰρ ἐὰν ᾖ ἄνευ λόγου μέλος, ὅμως ἔχει ἦθος· ἀλλ’ οὐ τὸ χρῶμα οὐδὲ ἡ ὀσμὴ οὐδὲ ὁ χυμὸς ἔχει; Ps. Plut. Mus. 33, 1143a τὸ γὰρ οἰκείως ἀεὶ λεγόμενον πρὸς ἦθός τι βλέποντες λέγομεν. τούτου δέ φαμεν αἰτίαν εἶναι σύνθεσίν τινα ἢ μῖξιν ἢ ἀμφότερα. οἷον Ὀλύμπῳ τὸ ἐναρμόνιον γένος ἐπὶ Φρυγίου τόνου τεθὲν παίωνι ἐπιβατῷ μιχθέν· τοῦτο γὰρ τῆς ἀρχῆς τὸ ἦθος ἐγέννησεν ἐπὶ τῷ τῆς Ἀθηνᾶς νόμῳ. 12  Si ricordi che a Laso è attribuito il primo trattato di argomento musicale: cfr. Mart. Cap. 9, 936 = test. 14 Brussich (su cui si vedano Privitera 1965, 38-46; Brussich 2000, 67-70; Lomiento 2004). Sulle prime indagini teoriche in àmbito musicale cfr.  Privitera 1965,  64-73; Comotti 1991,  29s.; West 1992,  225s., 233-235, 341s.

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1. Timoteo ‘comico’ e le modulazioni di Frinide Ad un contesto agonale rinvia in modo esplicito l’orgogliosa rivendicazione della propria perizia tecnico-musicale compiuta da Timoteo di Mileto in un frammento (802 Hordern) che proviene, con ogni probabilità, dalla sphragis di un nomos citarodico 13 – una sezione deputata alle dichiarazioni di poe­tica, ma anche al­l’autodifesa o alla promozione della propria musica, come mostra la sphragis dei Persiani del Milesio (su cui si veda infra). μακάριος ἦσθα, Τιμόθε’, ὅτε κῆρυξ εἶπε· νικᾷ Τιμόθεος Μιλήσιος τὸν Κάμωνος τὸν ἰωνοκάμπταν. Eri beato, Timoteo, quando l’araldo disse: «Vince Timoteo di Mileto contro il figlio di Camone, il modulatore di melodie ioniche».

Il Milesio rievoca la proclamazione della sua vittoria su Frinide di Mitilene, uno dei citarodi più in vista della generazione precedente, noto per la sua innovativa tecnica della modulazione armonica, per la quale è  bersagliato sia da Ferecrate, nel Chirone (fr.  155,  14-18 K.-A.), sia da Aristofane, nelle Nuvole (vv. 969-971) 14. In quale misura la formulazione del frammento rispecchi l’annuncio del­l’araldo non è possibile stabilire con certezza, dal momento che le testimonianze relative a tali annunci sono assai scarse 15. Si può osservare che in un nessun’altra è  menzionato lo sconfitto, ma non ne consegue necessariamente che in alcune competizioni questo non potesse avvenire. È  tuttavia improbabile che l’araldo usasse il composto ἰωνοκάμπτης per indicare Frinide, anziché ricorrere al­l’idionimo, eventualmente seguito dal patronimico. L’aggettivo può pertanto ritenersi, con una   Per l’ipotesi si vedano Wilamowitz 1903, 65; Hordern 2002, 258.   Fenia di Ereso (fr. 10 Wehrli) menziona Frinide accanto a Terpandro come un ‘classico’ già nel IV sec. a.C. (cfr. West 1992, 372 e n. 69). Per le modulazioni si veda anche Poll. 4, 66 καὶ Φρῦνιν δὲ τὸν Κάμωνος μέλεσι πολυκαμπέσι, τοῖς ὑπὸ τῶν κωμῳδῶν (Ar. Nu. 971) δυσκολοκάμπτοις κληθεῖσι, κεχρῆσθαι λέγουσιν. 15  Per le formulazioni dei proclami di vittoria agli agoni cfr. Kurke 1993, 142144; Bélis 1999, 141-144; Brown 2016. Solitamente, il complemento oggetto del verbo νικᾶν è l’agone (e.g. Paus. 6, 10, 6 νικήσας ἵπποις καλὸν ἀγῶνα Διός) oppure la categoria agonale (e.g. Diog. Laert. 6, 43 νικᾷ Διώξιππος ἄνδρας). 13 14

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certa sicurezza, un tassello inserito nel­l’annuncio da Timoteo, il quale sceglie di individuare il musico ‘rivale’ mediante il riferimento al  tratto più innovativo e  riconoscibile della sua attività artistica. Che poi al Milesio si debba anche l’invenzione del composto è  tutt’altro che scontato: esso poteva essere già diffuso al  suo tempo come un nomignolo per designare il Mitileneo, al  pari di Μύρμηξ per Filosseno di Citera (un soprannome dovuto al suo frequente ricorso a modulazioni e cromatismi, tale da produrre melodie simili a  tortuosi sentieri di formiche) 16 o di Ὑπερτονίδης per l’oscuro Filossenide di Sifno (un sobriquet registrato da Poll. 4, 66, evidentemente legato al­l’impiego di tonoi acuti, la cui denominazione iniziava con il prefisso ὑπερ-, come l’iper­mixolidio, l’iper­frigio, l’ipereolio, etc.) 17. Come Μύρμηξ, anche l’appellativo ἰωνοκάμπτης potrebbe essere derivato dalle critiche mosse dai comici alle innovazioni dei Nuovi Musici ed essere divenuto corrente nella seconda metà del V sec. a.C. 18 Non si può non rilevare la sua vicinanza con l’analogo composto ἀσματοκάμπται, impiegato da Aristofane (Nu. 333) per bersagliare i ditirambografi innovativi: entrambi gli epiteti alludono metaforicamente al­l’inserimento di rapide modulazioni armoniche nella melodia mediante l’immagine del ‘curvare’ 19, comune al gergo del­l’ippica (κάμπτειν = ‘girare/guidare intorno alla méta’ ad alta velocità) 20 e  a quello della fale16  Sul soprannome di Filosseno, attestato dalla Suda φ 393 A. (= test. 5 Fongoni), si veda Fongoni 2014,  24s., con bibliografia. Sulla metafora dei ‘sentieri di formica’, impiegata dai comici per irridere le composizioni dei Nuovi Musici (cfr. Ar. Th. 100 e Pherecr. fr. 155, 23 K.-A., con riferimento ad Agatone e  a Timoteo), si vedano almeno Conti Bizzarro 1999,  168; Prato 2001,  167s.; Austin – Olson 2004, 85s. 17  Sui tonoi cfr. Comotti 1991, 92-96; West 1992, 228-233 (in part. 231-233 per i tonoi più acuti e la relativa denominazione). 18   Cfr. Restani 1983, 159, la quale pensa ad un soprannome «coniato nel­ l’ambiente musicale […], creato sullo stampo di quelli del­l’antica commedia, con referente analogo, ma diversa caratura polemica: simile al Μύρμηξ di Filosseno e, forse, ai Λασίσματα ermionei». 19  Per le caratteristiche tecniche delle modulazioni introdotte da Frinide si vedano Hagel 2000,  85-87; Franklin 2002,  693-698 e  2013,  226-231: si tratta di rapidi passaggi da una harmonia al­l’altra al­l’interno delle strofi, ben differenti dalle più graduali (e meglio riconoscibili) metabolai interstrofiche praticate in precedenza già dagli auleti del VI sec. a.C. (si pensi al  sullodato Sacada di Argo). 20  Cfr. Pind. fr. 107a, 1-3 M. Πελασγὸν ἵππον ἢ κύνα / Ἀμυκλαίαν ἀγωνίῳ /

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gnameria (κάμπτειν  = ‘incurvare’ materiale ligneo) 21. Proprio questo secondo àmbito di riferimento appare implicato nei due epiteti, dove la prima parte del composto sembra indicare l’oggetto su cui si ripercuote l’azione di ‘(in)curvare’ 22: generici canti (ἄσματα), in un caso; più specifiche ‘melodie ioniche’ (Ἰώνια, scil. μέλη), nel­l’altro, con riferimento a brani dal carattere molle, raffinato, sensuale e verosimilmente composti in una delle harmoniai rilassate 23. Il Frinide ἰωνοκάμπτης di Timoteo non differisce, pertanto, da quello tratteggiato da Ferecrate e da Aristofane (ll.cc.): il ricorso a  frequenti, rapide modulazioni melodiche e  l’impiego di un linguaggio musicale raffinato e  ‘languido’ sono tratti comuni ad entrambi i  ritratti 24. Diverso è, evidentemente, l’intento che ἐλελιζόμενος ποδὶ μιμέο καμπύλον μέλος διώκων, con le osservazioni della Restani (1983, 158-161) e della Andrisano (1988-1989, 192-195). 21  Cfr.  Ar.  Th. 53 (Agatone) κάμπτει δὲ νέας ἁψῖδας ἐπῶν, con i  commenti ad l. di Prato (2001,  155s.) e  Austin – Olson (2004,  70s.). Come mi suggerisce C.  Neri, potrebbe esservi anche il ricordo del πιτυοκάμπτης Sinis, che uccideva coloro che passavano presso l’Istmo di Corinto legandoli alle cime di due pini piegati o, secondo un’altra versione mitica, imponendo loro di tenere nelle mani le cime di due pini piegati, subito dopo rilasciati dal brigante: in questo caso, i  due epiteti connoterebbero le modulazioni come una ‘tortura’ inflitta alla musica. 22  Come avviene negli analoghi composti πιτυοκάμπτης (cfr. e.g. Plut. Thes. 8, 3, Luc. VH 2, 23) e σαρκασμοπιτυοκάμπτης (cfr. Ar. Ra. 966). 23  Così intendono West (1992,  182,  361 n.  20) e  Hordern (2002,  259), ma il primo scorge nel composto un riferimento specifico alla harmonia ionica («Ionian-bender must refer to Phrynis’ use of   the Ionian mode»), mentre il secondo pensa ad un più generico riferimento a lascive melodie ioniche («Ionian melodies are indecent ones (Ar.  Thesm. 163, Eccl. 883; Hor.  Carm. 3,  6, 21); Phrynis is twisting and turning and bending over backwards in his music in an Ionian manner» – ai  passi citati si aggiunga Plat. Com. fr.  71,  12-14 K.-A.). Hordern ha ragione quando osserva che un richiamo esclusivo alla harmonia avrebbe comportato l’uso di ἰαστι‑ al  posto di ἰωνο‑; ciò, tuttavia, non esclude un richiamo anche alle harmoniai cosiddette rilassate (tra cui la ionica), che erano un tratto caratterizzante la ‘maniera ionica’ di fare musica (cfr.  Ar.  Th. 161-163 Ἴβυκος ἐκεῖνος κἀνακρέων ὁ Τήιος / κἀλκαῖος, οἵπερ ἁρμονίαν ἐχύμισαν, / ἐμιτροφόρουν τε κἀχλίδων Ἰωνικῶς, con Prato 2001, 189 e Austin – Olson 2004, 112 ad l.). Sulle harmoniai ‘rilassate’ (ἐπανειμέναι ο χαλαραί), particolari varianti delle scale ionica e lidia, si vedano Plat. Resp. 3, 398e e Heracl. Pont. fr. 163 Wehrli2, ove si cita Pratin. PMG 712a (cfr.  Barker 1984,  166s.; Comotti 1991,  27s.; West 1992, 179). 24   Viene in mente l’analogo ritratto di Agatone nelle Tesmoforiazuse, intento ad eseguire un molle e raffinato inno alle Due Dèe in ritmo ionico (ma probabilmente in harmonia frigia), caratterizzato da modulazioni melodiche e ritmiche

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si può riconoscere nei versi del Milesio: lungi dal bersagliare l’avversario per la sua musica, egli intenderà semmai autopromuoversi ponendo in risalto la vittoria conseguita sul citarodo più noto del suo tempo – tanto noto da potere essere indicato senza ricorso al nome proprio – e da lui preso a modello per il rinnovamento del linguaggio musicale, come si può desumere da un passo della Metafisica di Aristotele (2, 993b 15s. εἰ μὲν γὰρ Τιμόθεος μὴ ἐγένετο, πολλὴν ἂν μελοποιίαν οὐκ εἴχομεν· εἰ δὲ μὴ Φρῦνις, Τιμόθεος οὐκ ἂν ἐγένετο) 25. In  altri termini, l’avere battuto Frinide costi­ tuisce per Timoteo una sorta di consacrazione a rappresentante di spicco della nuova maniera musicale 26. A questa strategia di autopromozione, invero tradizionale 27, non è estranea una sfumatura ironica, quale si può cogliere nel­ l’appellativo sopra esaminato: in esso, più che un accento sprezzante (così Dover) 28, è ravvisabile il tono di un più bonario ‘sfottò’, che bene si inquadra in un contesto agonale. Emulazione e spirito di competizione appaiono, in questo contesto, due aspetti strettamente interrelati.

2. Democrito di Chio e Melanippide di Melo: la rivalità tra musici nel­l’aneddotica La pointe ironica ravvisabile nelle parole del Milesio risulta ancora più accentuata in un altro frammento che si inscrive nel quadro della competizione tra musici: si tratta della critica rivolta da Democrito di Chio alle lunghe anabolai di Melanip(cfr.  Prato 2001,  168-170,  174s., 346; Totaro 2006,  449s. n.  17, con ulteriore bibliografia). 25   L’affermazione aristotelica è tradizionalmente intesa nel senso che Frinide sarebbe stato il ‘maestro’ di Timoteo, ma, come ha osservato Barker (2014, 100), essa non implica necessariamente questo: «what it indicates is that Timotheus was familiar with the older composer’s work, and took it as a starting-point from which he could launch out in new directions». 26  Ad un’analoga valutazione del frammento perviene Brown (2016, 173-175). 27  Si pensi, ad esempio, a  Hes.  Op. 656-659 ἔνθα μέ φημι  / ὕμνῳ νικήσαντα φέρειν τρίποδ’ ὠτώεντα. / τὸν μὲν ἐγὼ Μούσῃσ’ Ἑλικωνιάδεσσ’ ἀνέθηκα / ἔνθα με τὸ πρῶτον λιγυρῆς ἐπέβησαν ἀοιδῆς. Su questo brano e su altre auto-affermazioni della persona del poe­ta con riferimento ad un contesto agonale si vedano Bakola 2010, 66-80 (66s. su Esiodo); Biles 2011, 12-55 (24s. su Esiodo). 28   Dover (1968,  145): «Timotheos (802) disparagingly refers to a  rival as τὸν Ἰωνοκάμπταν».

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pide di Melo, riportata da Aristotele nel terzo libro della Retorica (1409b 24-30) 29. Parodiando due versi esiodei di tenore gnomico (Op. 265 s. οἷ αὐτῷ κακὰ τεύχει ἀνὴρ ἄλλῳ κακὰ τεύχων, / ἡ δὲ κακὴ βουλὴ τῷ βουλεύσαντι κακίστη), Democrito compone i  seguenti versi: οἷ τ’ αὐτῷ κακὰ τεύχει ἀνὴρ ἄλλῳ κακὰ τεύχων, ἡ δὲ μακρὰ ἀναβολὴ τῷ ποιήσαντι κακίστη· A se stesso prepara mali l’uomo che mali per altri prepara, e una lunga anabole è il male peggiore per chi la compone.

Per valutare questo Witz occorre anzitutto considerare che De­mo­crito è un musico, con buona probabilità un citarodo, come riteneva già Wilamowitz (1903, 96 n. 3) 30. Lo studioso osservava: «Die Ionier pflegen kitharoden zu sein. Da er den Melanippides kritisiert, rückt man ihn möglichst hoch hinauf». Vi è però un indizio più forte a favore di un Democrito citarodo. Nel suo Onomasticon, Polluce (4,  65s.) menziona il musico subito dopo i nomoi citarodici di Terpandro e prima di Frinide, cioè nel campo semantico dei termini relativi alla citarodia, segno che a  questo àmbito era principalmente riconducibile la sua attività musicale 31. Di più, il lessicografo registra che le melodie democritee erano particolarmente elaborate (περίεργα μέλη) 32, ciò che trova conferma 29   ὁμοίως δὲ καὶ αἱ περίοδοι αἱ μακραὶ οὖσαι λόγος γίνεται καὶ ἀναβολῇ ὅμοιον, ὥστε γίνεται ὃ ἔσκωψε Δημόκριτος ὁ Χῖος εἰς Μελανιππίδην ποιήσαντα ἀντὶ τῶν ἀντιστρόφων ἀναβολάς (seguono i due versi citati infra). Le anabolai erano ampi brani in versi sciolti da responsione, che Melanippide sostituì alle tradizionali strutture strofiche del ditirambo; è  oggetto di discussione se tale sostituzione abbia riguardato solo la parte iniziale del ditirambo (Comotti 1989, 114; Ieranò 1997,  296s.) oppure l’intera composizione (West 1992,  205,  357s.; Barker 2014, 91). 30  Ad un «Kitharaspieler» pensa Aspiotes (2006,  121 nr. 529); di diverso avviso è Power (2013, 249 n. 54), che pensa piuttosto ad un ditirambografo. 31  Ciò non esclude, naturalmente, che egli praticasse anche altre forme poe­ tico-musicali, tra cui il ditirambo, come ha proposto Power (vd. supra n. 30); si pensi solo al caso di Timoteo, che compose sia nomoi che ditirambi. Ma la citarodia doveva essere la specialità musicale in cui Democrito era più rinomato, dal momento che Polluce lo associa a due noti citarodi come Terpandro e Frinide. Sulla struttura ‘orizzontale’ (i.e. per campi semantici) propria dei lessici onomastici, come quello di Polluce, si veda, da ultimo, Tosi 2015, 623-625. 32   τὸ μέντοι σιφνιάζειν καὶ χιάζειν, τὸ περιέργοις μέλεσι χρῆσθαι, ἀπὸ Δημοκρίτου τοῦ Χίου καὶ Φιλοξενίδου τοῦ Σιφνίου, ὃς καὶ Ὑπερτονίδης ἐκαλεῖτο. In  realtà, σιφνιάζειν e χιάζειν dovevano riferirsi non a singoli personaggi, ma alle «consue-

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in Ar. fr. 930 K.-A., dove sono presi di mira proprio i cromatismi del Chio 33. Si è dunque in presenza di un musico che prende parte a quel rinnovamento del linguaggio musicale che si verifica nella seconda metà del V sec. a.C., e che critica un altro sperimentatore – a quanto pare più estremo di lui – per una sua scelta artistica: l’abbandono (parziale o  totale: cfr.  infra n.  29) della struttura antistrofica del canto a favore di versi liberi da responsione, i quali permettevano una più libera espressività musicale. L’arguta pointe si inserisce nel novero delle mordaci battute con cui un musico bersaglia un proprio collega durante un agone. Tali battute concludono, in genere, brevi e sapidi aneddoti, per lo più noti da fonti di epoca ellenistica (si pensi anzitutto alle ludiche chreiai di Macone) ed imperiale (in primis Ateneo e Plutarco), ma che dovevano avere una certa diffusione già in età classica, se è vero che Eforo mostra di conoscere motti arguti (εὐτράπελοι λόγοι) di Simonide, Stratonico e Filosseno 34 e che Cameleonte riporta nel tudini dei Chii e dei Sifni (così come λεσβιάζω, αἰγυπτιάζω etc.)» (Degani 1962, 411 n.  1): per σιφνιάζειν (= ‘stimolare l’ano con le dita’) cfr.  Hesych. 783 H., St.  Byz. 573,  5 M. e  Suda σ 510 A., con Henderson 1991,  213 nr. 471; per χιάζειν (= ‘depilarsi’) cfr.  Hesych. χ 452 C., Eust. in Od. 3, 169, p. 1462,  34 (= Com. adesp. fr. *439 K.-A.), con Borthwick 1967, 148 n. 18. Il riferimento ai due musici potrebbe dipendere da un passo comico, nel quale i loro virtuo­sismi musicali erano dileggiati mediante un gioco semantico basato sul doppio valore − erotico e musicale − dei due verbi (per un simile double entendre non mancano paralleli, a  cominciare da Ar.  Ra. 1327 e  Pherecr. fr.  155 K.-A. [cfr.  Prau­scello 2004, in part. 336s., con ulteriore bibliografia], se non già da Sapph. fr. 99 L.-P. [cfr.  Neri 2013, 16-18]). Il  gioco comico non inficia, tuttavia, la notizia sul­ l’attività artistica di Democrito e Filossenide. 33 Sul problematico testo del frammento aristofaneo cfr.  Degani 1962, 410-415. Lo studioso così ricostruisce il principale testimone del frammento, Suda χ 296 A. (= Phot. z [ined.]): χιάζειν· Πραξιδάμας Δημόκριτον τὸν Χῖον καὶ Φιλοξενίδην τὸν Σίφνιον πρώτους ἐπὶ χρώματος τάξαι τὴν ἰδίαν ποίησιν. Σωκράτης ἐν τοῖς πρὸς Εἰδόθεον, ὡς παρὰ Ἀριστοφάνει κατατεταγμένου· ὑποτείνει δέ· ‹εἰ  δέ› τις αὐτῶν βωμολοχεῦσαιτ’ [Nu. 969], αὐτὸς ἐνδείξας ἐναρμονίως χιάζειν ἢ σιφνιάζειν, «chieggiare: Prassidamante dice che Democrito di Chio e Filossenide di Sifno per primi composero la propria poesia cromaticamente. Lo afferma, nel suo Ad Eidoteo, Socrate, secondo cui sarebbe attestato in Aristofane. Il quale però lo dice in forma non esplicita: ‘Se qualcuno di loro facesse il pagliaccio’, volendo egli alludere al  chieggiare ed al  sifnieggiare enarmonicamente» (415). Anche Eupoli sembra avere preso di mira Democrito (fr. 91 K.-A.), ribattezzandolo con il nomignolo Βαστᾶς: cfr.  Storey 2003,  106s. Su Democrito di Chio, cfr.  West 1992, 356 n. 2. 34 Ephor. FGrHist 70 F 2 ζηλωτὴς δὲ ‹διὰ› τῶν εὐτραπέλων λόγων τούτων ἐγένετο ὁ Στρατόνικος Σιμωνίδου τοῦ ποιητοῦ, ὥς φησιν Ἔφορος ἐν δευτέρῳ Περὶ Εὑρημάτων, φάσκων καὶ Φιλόξενον τὸν Κυθήριον περὶ τὰ ὅμοια ἐσπουδακέναι.

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Περὶ Λάσου (fr. 30 Wehrli = Giordano2) due aneddoti contenenti gustosi Witz, probabilmente tratti da una precedente raccolta di Λασίσματα 35. In ogni caso, è un dato ormai acquisito che Aristotele e la sua scuola dovettero avere un ruolo di primo piano in questo processo di raccolta, dato il valore riconosciuto in àmbito peripatetico agli aneddoti come strumenti capaci di rivelare l’ethos o il modo di pensare di un personaggio 36. Se si eccettuano Simonide e  Laso, i  musici coinvolti nei racconti aneddotici sono compositori ed esecutori virtuosi attivi tra la seconda metà del V sec. e  il IV sec. a.C.: si tratta, in particolare, dei ditirambografi Cinesia e Filosseno, due esponenti di spicco della Nuova Musica, del citarista Stratonico, particolarmente rinomato per i  suoi caustici giudizi, e  ancora del­l’auleta Dorione, celebre per il suo conservatorismo in materia musicale 37. Tra le storie che li vedono protagonisti, meritano di essere ricordate almeno due. La prima riguarda Stratonico (cfr. Ath. 8, 352a), il quale, ascoltando l’esecuzione delle Doglie di Semele di Timoteo (PMG 792), avrebbe esclamato: «Chissà quali grida avrebbe emesso, se avesse generato anziché un dio… un proprietario di officina!». L’altra concerne Dorione (cfr.  Hegesand. FHG IV 416 ap. Ath. 8,  338a): durante un’esecuzione del Nauplio di Timoteo, l’auleta avrebbe ridicolizzato la rappresentazione mimetica di una tempesta – probabilmente quella abbattutasi sulla flotta

Nel caso di Simonide, è possibile che esistesse una raccolta di arguzie tratta dagli Ἄτακτοι λόγοι, come ha ipotizzato Wilamowitz (1913, 149 n. 4), seguito da Page (PMG 653); più cauto è Poltera (2008, 78 n. 136), che non esclude una possibile confusione con Semonide. Per Stratonico, è nota l’esistenza di una raccolta intitolata Στρατονίκου ἀπομνημονεύματα, attribuita a Callistene di Olinto (FGrHist 124 F 5): cfr. Maas 1931, 327; Gow 1965, 80; Gilula 2000, 425. Per Filosseno, si veda Fongoni 2014, 19-21. 35  Cfr. Privitera 1965, 49s., 52-60; Brussich 2000, 58-60. 36  Cfr. Momigliano 1974, 75s.; Arrighetti 2003 e 2006, 278-285. 37   Su tali aneddoti, trasmessi in buona misura da Ateneo (8,  337b-352d), si vedano Bélis 1999,  95-97; Barker 2002,  112; Wilson 2004,  291s.; Power 2013,  248-250, che parla di «critical scenes» (sulla scorta di Ford 2002,  3); LeVen 2010-2011 e 2013. Sul­l’aneddotica relativa a Cinesia, si rinvia a Franklin, in questo volume (pp.  163-221). Per Filosseno, cfr.  Fongoni 2014,  19-21, con ulteriore bibliografia; sul fr. 9 Gow di Macone, che vede il ditirambografo come protagonista, cfr. in particolare, Tosi 2011,  96s. e  LeVen 2013. Per Stratonico, cfr. Stephanis 1988, 407; West 1992, 367s.; Gilula 2000; Barker 2002, 107-109. Per Dorione, cfr. Barker 2002, 75 e 112.

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greca di ritorno da Ilio presso il Cafereo 38 – dicendo di avere visto una tempesta più virulenta dentro una pentola in ebollizione. Si  tratta, in entrambi i  casi, di critiche estemporanee, ironiche e di taglio estetico, incentrate come sono sugli effetti del mimetismo poe­tico e musicale nelle composizioni di un illustre collega. A queste critiche si può accostare agevolmente il Witz di Democrito, che si appunta anch’esso sul­l’aspetto estetico, ed in particolare sulle lunghe anabolai di Melanippide (ἡ δὲ μακρὰ ἀναβολὴ τῷ ποιήσαντι κακίστη), con probabile allusione al  fatto che queste, composte per colpire il pubblico e per conseguire il successo agonale, non avevano avuto la fortuna sperata, almeno presso una parte degli ascoltatori, e si erano ritorte come un boomerang contro il loro compositore 39. Come nei due casi sopra illustrati, anche in quello del citarodo di Chio è verosimile che la critica arguta fosse incastonata al­l’interno di una breve cornice narrativa, omessa da Aristotele, in quanto inutile alla propria trattazione sui tipi di stile, ma nondimeno ricostruibile con poca difficoltà, dato il carattere stilizzato che contraddistingue i  vari racconti dello stesso genere 40: come Stratonico e  Dorione, anche Democrito avrà levato la propria voce dal­l’uditorio durante un’esecuzione agonale. La  sapiente rielaborazione parodica di Hes.  Op. 265s. ha un parallelo in una battuta sulla città di Asso attribuita a  Stratonico da Strabone (13,  1, 57): il citarista ha ironicamente piegato Il. 6,  143 (= 20, 429 ἆσσον ἴθ’ ὥς κεν θᾶσσον ὀλέθρου πείραθ’ ἵκηαι, «accostati pure, che più alla svelta tu tocchi il confine di morte», trad. G. Cerri) a sottolineare quanto fosse ripida e faticosa la salita dal porto alla cittadella: Ἄσσον ἴθ’ ὥς κεν θᾶσσον ὀλέθρου πείραθ’ ἵκηαι, «va’ ad Asso, che più alla svelta tu tocchi il confine di morte».

  Cfr. Hordern 2002, 116s.   Il rischio di insuccesso connesso con uno stile musicale innovativo è al centro di un aneddoto relativo a Timoteo, riportato da Satiro di Callatis (F 6 fr. 39 c. 22 Schorn) e da Plutarco (An seni 795d): di fronte ad un’accoglienza ostile alle proprie innovazioni musicali il giovane Milesio si sarebbe lasciato demoralizzare, ma sarebbe stato consolato dal più vecchio Euripide, consapevole della grandezza del collega (l’opposizione tra l’età giovane del­l’uno e  quella avanzata del­l’altro è tematizzata nel­l’operetta plutarchea). 40   Oltre ai  due sopra considerati si vedano gli altri tramandati da Ateneo (cfr. supra n. 37). 38 39

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In un altro caso, poi, l’arguzia attribuita a Stratonico consiste nel­ l’applicazione del celebre verso iliadico con la similitudine delle foglie (6, 146 οἵη περ φύλλων γενεὴ τοίη δὲ καὶ ἀνδρῶν) non più alla fugacità del­l’esistenza umana, ma al colorito pallido degli abitanti di Cauno, simile a quello delle foglie (cfr. Strab. 14, 2, 3). Il valore testimoniale degli aneddoti relativi alla competizione tra musici è, chiaramente, assai limitato: essi non possono essere considerati un documento storico, o, quantomeno, la loro effettiva storicità non è  verificabile. Nondimeno, tali racconti, così stilizzati, riflettono quella che può a  buon diritto ritenersi una percezione diffusa della scena musicale e dei suoi protagonisti nel­ l’Atene della Sofistica e della Nuova Musica, quando la μουσική diventa sempre più un mestiere per abili professionisti – un processo bene illustrato nel Problema di scuola aristotelica citato al­l’inizio. In  altri termini, in queste brevi storie «what matters more than historicity is […] their verisimilitude» 41. Un riscontro del carattere verosimile degli aneddoti sui musici è offerto almeno da un caso: la storia che vede contrapposti Timoteo e Poliido. Ateneo (8, 352b) riferisce del­ l’esultanza del secondo al­l’indomani della vittoria conseguita dal suo allievo Filota sul citarodo milesio ad un agone, ciò che ricorda da vicino le parole con cui Timoteo (PMG 802) commemora la propria esultanza per la vittoria su Frinide. Il racconto, però, rielabora ulteriormente il motivo e presenta un ulteriore ‘tassello’: la felicità di Poliido è presto smorzata da una fulminea battuta di Stratonico, il quale esclama: «mi meraviglio che tu non riconosca che Filota compone decreti (ψηφίσματα), mentre Timoteo compone leggi (νόμους)» –  dov’è da notare l’arguto gioco sui due valori di nomos, quello giuridico (‘norma’) e quello musicale (‘linea melodica dotata di alcune caratteristiche stabilite per consuetudine’, come ad esempio l’accordatura di riferimento).

Il musico si caratterizza ormai come un vero e proprio professionista (ἀγωνιστής), consapevole della propria arte, ma anche dotato di arguzia e  sagacia, con le quali bersaglia i  colleghi e  gli avversari agonali sia dal bema – la piattaforma rialzata su cui si esibi  LeVen 2010-2011, 683.

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vano i performers 42 – con i propri versi (si pensi alla sphragis del nomos citarodico), sia dal­l’uditorio, attraverso battute ironiche 43. Gli  aneddoti possono rappresentare un condensato dei temi e delle modalità di questo secondo aspetto della discussione, totalmente estemporaneo e, altrimenti, privo di attestazioni 44. Il Witz di Democrito restituisce un frammento di questa discussione, significativo non solo come testimonianza dello spirito di competitività professionale tra musici, ma anche come espressione di un atteggiamento più moderato in materia di sperimentalismo musicale. A fianco dei compositori più celebri – come Melanippide, Frinide, Cinesia, Timoteo e Filosseno  – è  verosimile che il nuovo modo di fare musica (καινὸς τρόπος τῆς μουσικῆς) affermatosi intorno alla metà del V sec. a.C. sia stato variamente declinato dai diversi compositori e  abbia conosciuto diverse forme di sperimentalismo, più e  meno marcate: un panorama frastagliato, ma unificato dal­l’esigenza di superare i  limiti imposti dallo stile compositivo tradizionale, sentito ormai come troppo vincolante, e  di conseguire nuovi effetti espressivi. In  questo senso, gli agoni musicali sembrano configurarsi come il luogo privilegiato del confronto tra i  vari modi di rinnovare il linguaggio musicale, tra i vari ‘stili’ o τρόποι dei novatori 45.

  Si vedano le frequenti rappresentazioni di musici in contesto agonale, in cui il bema è un elemento ricorrente, se non addirittura distintivo: cfr. e.g. Bundrick 2005, 160-174 e figg. 95-100; Power 2010, figg. 1, 6, 9s., 13. 43  Un altro contesto chiamato in causa dagli studiosi moderni per la critica di un musico nei confronti di un collega è il simposio: cfr. Wilson 2004, 291s. e  Power 2013,  247-250. Proprio nel simposio, «where ludic recomposition of  hexameters is otherwise attested», Power (2013, 249 n. 54) individua il contesto più probabile per il Witz di Democrito. L’ipotesi è plausibile, ma non vi sono – a quanto consta – attestazioni esplicite in questo senso. 44  Del medesimo avviso è Power (2013, 248), il quale, per altro, ravvisa negli aneddoti e nella loro circolazione «a real pursuit of  the politics of  show business by other, offstage means». 45   Sui vari τρόποι si vedano Pöhlmann 2011,  21; Barker 2014,  97 («if  we put all the evidence together, we can conclude that some writers identified three compositional styles running along side by side in this period, the ancient style, the style of  radical composers like Melanippides, Timotheus and Philoxenus, and the ‘patchwork’ style attributed to Polyeidus»). 42

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3. Timoteo e i citarodi ‘conservatori’: riletture della tradizione musicale Oltre al  confronto tra i  novatori, un altro dibattito ebbe luogo negli agoni, non meno vivace, ed anzi ancora più aspro: quello relativo al rapporto con la tradizione musicale e alla reale fedeltà ad essa. Ne dà una preziosa testimonianza la ben nota sphragis dei Persiani di Timoteo (PMG 791, 202-236), nella quale il Milesio si difende dagli attacchi del pubblico spartano alla sua opera, probabilmente in occasione di una sua performance alle Carnee, il cui rinomato agone citarodico era stato inaugurato da Terpandro nel VII secolo. La partecipazione di Timoteo al­l’agone carneo è attestata da Plutarco (Inst. Lac. 238c) 46, il quale racconta che gli efori ordinarono al musico di tagliare le corde eccedenti le sette tradizionali. La storia, riferita in alcune fonti a Frinide o addirittura allo stesso Terpandro, colpevoli di avere aggiunto – rispettivamente – due e  una corda al  proprio strumento 47, è  giustamente apparsa sospetta a  più di uno studioso: elemento centrale della vicenda non è il musico che subisce la censura, ma il fatto che questa sia inflitta dagli efori spartani e che Sparta rappresenti pertanto un baluardo a  difesa dello stile musicale antico e  del tradizionale sistema di valori a quello stile associato 48. Nel caso di Timoteo, lo spunto per la vicenda è stato fornito, con ogni probabilità, dal­l’esplicito riferimento del compositore al­l’ostilità degli Spartiati nei suoi confronti ai  vv.  206-212 dei Persiani (ὁ γάρ μ’ εὐγενέτας μακραί‑/ων Σπάρτας μέγας ἁγεμὼν / βρύων ἄνθεσιν ἥβας / δονεῖ λαὸς ἐπιφλέγων / ἐλᾷ τ’ αἴθοπι μώμῳ, / 46   Le altri fonti (per cui cfr.  Palumbo Stracca 1997,  112-114 e  Berlinzani 2008) non parlano espressamente delle Carnee. Solo il fittizio decreto spartano contro Timoteo trasmesso da Boezio (Inst. mus. 1, 1) e databile non prima del I/II  sec.  d.C. (cfr.  Palumbo Stracca 1997,  147) menziona una seconda esecuzione in occasione delle gare per Demetra Eleusina; su questo aspetto si veda, in particolare, Prauscello 2009,  179-188 (la studiosa individua nella menzione di questo secondo agone un indizio importante per comprendere la temperie culturale e  religiosa in cui è  stato prodotto il decreto: il revival del culto spartano di Demetra Eleusina nel II sec. d.C.). 47  Per Frinide, cfr. Plut. Ag. 10, 7, Apophth. Lac. 220c, Prof. virt. 84a; per Terpandro cfr. Plut. Inst. Lac. 238c (subito prima del­l’aneddoto relativo a Timoteo). 48  Sul­ l’impostazione ideologica del­l’aneddoto cfr.  Palumbo Stracca 1997, 112-116; Berlinzani 2008, 139; Prauscello 2009, 172s.

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ὅτι παλαιοτέραν νέοις / ὕμνοις μοῦσαν ἀτιμῶ – parole fedelmente riecheggiate nel fittizio decreto spartano contro Timoteo riportato da Boezio) 49. Ancora una volta, l’aneddotica sembra configurarsi come ‘cassa di risonanza’ di un dibattito – per così dire ‘a distanza’ – svoltosi in àmbito agonale, testimoniato dalla risposta del musico ad una critica subita nel corso di una precedente occasione. Naturalmente, si tratta di una ‘cassa di risonanza’ che rielabora e distorce la vicenda storica, per esempio aggiungendo la scena ‘teatrale’ del taglio delle corde, a cui Timoteo non fa invero alcun accenno 50. Ciò non significa, però, che l’intera vicenda della partecipazione del musico alle Carnee sia frutto di invenzione: alla luce della precedente discussione (§§  1s.), il contesto agonale appare la sede più naturale per la critica degli Spartiati. Del resto, il richiamo ad una precedente competizione non è nuovo in Timoteo, come si è avuto già modo di vedere a proposito di PMG 802 (vd. § 1). Che il pubblico delle Carnee, ed in particolare gli Spartiati, potesse prediligere uno stile musicale semplice e  tradizionale e trovare inaccettabile il τρόπος di Timoteo non stupisce: la competizione citarodica che si teneva in occasione di questa festività serbò a lungo il ricordo del proprio fondatore mediante il privilegio concesso ai citarodi lesbî, in particolare a quelli che si dicevano discendenti (ἀπόγονοι) di Terpandro, di esibirsi per primi, donde l’espressione proverbiale μετὰ Λέσβιον ᾠδόν, attestata almeno a  partire dal­l’età classica (cfr.  Cratin. fr.  263 K.-A.) 51.   Cfr. Janssen 1989, 151; Hordern 2002, 8.   Alla censura sembra riferibile la scena ritratta su un cratere di tipo fliacico del Pittore di Asteas, databile alla metà del IV sec. a.C. (Salerno, Museo Provinciale; cfr. Trendall – Webster 1971 e fig. IV. 31 e Di Giglio 2000, 163 e 175 fig. 1): un personaggio canuto di nome Pironide cerca di trascinare via Frinide, che regge con la mano sinistra una cetra e  con la destra un plettro. Trendall – Webster (1971, 12) ritengono «most probable» la derivazione della scena da una commedia attica di IV sec. a.C. 51  Su questa prassi agonale è  istruttiva la testimonianza della Costituzione di Sparta aristotelica (fr.  551 G.): Ἀριστοτέλης  … τὸ μετὰ Λέσβιον ᾠδὸν τὸν Τέρπανδρόν φησι δηλοῦν. ἐκαλοῦντο δέ, φησί, καὶ ὕστερον εἰς τὴν ἐκείνου τιμὴν πρῶτον μὲν ἀπόγονοι αὐτοῦ, εἶτα εἴ τις ἄλλος παρείη Λέσβιος, εἶθ’ οὕτως οἱ λοιποὶ μετὰ Λέσβιον ᾠδόν, τὸν ἁπλῶς δηλαδὴ Λέσβιον. Sulla corporazione di citarodi che si richiamava a Terpandro, della quale fecero parte Aristoclito (maestro del più noto Frinide), Evenetide e Periclito, si vedano, in particolare, Gostoli 1990, XLVIII-L e Power 2010, 331-336. Sul­l’espressione μετὰ Λέσβιον ᾠδόν e sullo slittamento semantico del­l’aggettivo Λέσβιος si veda Neri 2003, 195. 49 50

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Anche quando, intorno alla metà del VI sec. a.C., gli apogonoi di Terpandro non furono più i  vincitori indiscussi nel­l’agone, com’era avvenuto fino ad allora 52, nulla fa pensare che la suddetta prassi agonale sia venuta meno. Gli aneddoti riportati poco sopra indicano semmai che l’agone mantenne saldo il proprio legame con le origini, con uno stile musicale –  quello terpandreo  – ‘nomico’, caratterizzato cioè da precise regole d’intonazione (cfr. Ps. Plut. Mus. 6, 1133b-c) 53. Q uesto stile, a quanto consta, continuò ad essere praticato per tutta l’età classica, ancora fino ai tempi di Aristosseno 54, ed è un’ipotesi verosimile che i citarodi ‘arcaizzanti’ che lo coltivavano potessero trovare nella competizione delle Carnee la sede più adatta (e forse più favorevole) alle proprie composizioni 55. A proposito dei musici tradizionalisti d’età classica, la testimonianza più circostanziata è quella fornita dai capp. 20 e 21 del De musica pseudo-plutarcheo (1137e-1138a), di probabile ascendenza aristossenica 56. Ivi si menzionano gli oscuri Andrea di Corinto, Pancrate, Telefane di Megara, Tirteo di Mantinea, Trasillo di Fliunte, accomunati dal rifiuto del 52  Sul­l’interruzione della continua serie di vittorie dei citarodi ‘terpandrei’ al­l’agone carneo cfr. Ps. Plut. Mus. 6, 1133c-d (= Hipp. test. 4 Dg.2 = Terp. testt. 51a + 8 Gostoli), con le considerazioni della Gostoli (1990, 78 e 117), di Power (2010, 332-334) e di Barker (2014, 47s.); per la dipendenza del passo dai Vincitori delle Carnee di Ellanico di Lesbo cfr. West 1992, 330 n. 8; Franklin 20102011, 743s. La testimonianza è confortata dalla notizia della vittoria carnea del citarodo Essecestide (cfr. Polem. fr. 47 Preller ap. schol. vet. Ar. Av. 11 Holw.), non lesbio, ma di origine ateniese, o presunta tale (proprio sulla sua rivendicazione di origini ateniesi si appuntano gli sbeffeggi dei comici nei confronti di questo musico: cfr. Ar. Av. 11, 764, 1527, Phryn. fr. 21 K.-A.; cfr. inoltre Ar. fr. *692, Com. adesp. fr.  338 K.-A.). Su Essecestide cfr.  Stephanis 1988,  842; Totaro 2006, 112 n. 3; Power 2010, 486 n. 193; Stama 2014, 154. 53  Ciò non significa, naturalmente, che non dovettero essere per nulla ammesse innovazioni e variazioni, ma solo che non dovettero essere viste di buon grado quelle innovazioni che stravolgevano il τρόπος musicale di Terpandro, basato sui nomoi. Per la distinzione tra i due tipi di innovazioni si veda l’eloquente testimonianza dello Ps. Plut. Mus. 12, 1135c-d, di probabile matrice aristossenica (cfr. Privitera 1965, 80s.). 54  Per una conoscenza diretta delle composizioni di Terpandro ancora nel IV secolo si veda Ps. Plut. Mus. 18, 1137a-b, con Pöhlmann (2011, 21s.) e Barker (2014, 97). 55  Cfr. Power 2010, 500s., il quale mostra come anche alle Panatenee dovevano continuare ad essere eseguiti i nomoi di Terpandro. 56  Cfr. Barker 2012, 17s.

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genere cromatico, delle modulazioni armoniche e di altri analoghi virtuosismi, in aperta polemica con i coevi sviluppi musicali. Telefane rifiutò persino di concorrere al­l’agone auletico delle Pitiche per non dovere applicare al proprio strumento la syrinx, probabilmente un foro aggiuntivo al­l’estremità superiore delle canne, il quale veniva aperto e chiuso da un congegno e serviva a produrre, al­l’occorrenza, note sovracute (evidentemente allo scopo di riprodurre i sibili di Pitone morente nel celebre nomos Pitico). Ciò indica che un musico poteva scegliere le competizioni a cui presentarsi anche sulla base del proprio stile musicale 57. Per quel che attiene specificamente al  canto sulla cetra, lo Pseudo-Plutarco fa riferimento ad alcuni citarodi del IV secolo che disprezzavano lo stile di Timoteo e se ne discostarono «in favore dei ‘rattoppi’ (καττύματα) e dei componimenti di Poliido» (Mus. 21, 1138b) 58. Il termine καττύματα sembra indicare, con un’immagine tratta dal­l’arte della calzoleria 59, brani musicali forse intramezzati da sezioni di origine allotria (tratti da celebri composizioni del passato?), capaci di evocare l’immagine di ‘pezze’ o  ‘rattoppi’ applicati ad una calzatura: in altri termini, ‘pasticci’ musicali 60. In questo modo è descritta la musica di quei compositori che Antifane contrappone a Filosseno di Citera – altro esponente di spicco della Nuova Musica – nel fr.  207 K.-A. (test. 40 Fongoni): «i compositori di oggi realizzano, con misere parole, canti

  Cfr. Barker 2002, 68-70.   Poliido di Selimbria fu un contemporaneo di Timoteo (cfr. Diod. 14, 46, 6) e un suo rivale, come si comprende dal­l’aneddoto sopra ricordato. 59   Non mi pare del tutto condivisibile l’osservazione di Borthwick (1968, 61): «I know of   no other metaphor similar to that of   κάττυμα in passages relating to music». Se pure non vi sono altre immagini tratte dal lavoro del calzolaio, non mancano metafore tratte dal mondo del­l’artigianato, come quella della καμπή e del κάμπτειν, per cui si veda e.g. Ar. Th. 51-56, con la discussione precedente (l’obiettivo del poe­ta comico è quello di svilire la figura del compositore rappresentandolo come un comune artigiano, anziché come un artista ispirato). Allo stesso modo, κάττυμα potrebbe essere un termine applicato metaforicamente alle composizioni di alcuni musici da un poe­ta comico e diffusosi poi nel­l’uso corrente per indicare un certo stile musicale. 60  Weil e Reinach (1900, 85) rendono con «potspourris», Barker (1984, 227) con «patchwok pieces» e pensa a qualcosa di simile ad un medley (ibid. n. 139). Diversamente si comportano Lasserre (1954, 141) e Borthwick (1968, 61), i quali intervengono sul testo tràdito: il primo lo corregge in κατατύμματα, «la technique de percussion»; il secondo lo modifica in καταρτύματα, «confections» o, in alternativa, in καταχύ(σ)ματα, «sweetments» (con metafora culinaria). 57 58

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intrecciati d’edera, sorgivi, svolazzanti tra i  fiori ed intrecciano tra loro melodie altrui» 61.

Alla luce della contestazione subita da Timoteo alle Carnee risulta pienamente comprensibile la strategia retorica messa in atto dal citarodo nella sphragis dei Persiani, così distante dalla programmatica asserzione di discontinuità rispetto alla precedente tradizione musicale che si legge in PMG  796 (οὐκ ᾄδω τὰ παλαιά,  / καινὰ γὰρ ἀμὰ κρείσσω· / νέος ὁ Ζεὺς βασιλεύει, / τὸ πάλαι δ’ ἦν Κρόνος ἄρχων· / ἀπίτω Μοῦσα παλαιά) 62, dettata evidentemente da diverse esigenze. Nei Persiani preme al Milesio controargomentare a precise accuse, com’è chiaro sin dai primi versi (206-212): ὁ γάρ μ’ εὐγενέτας μακραί  ων Σπάρτας μέγας ἁγεμὼν   βρύων ἄνθεσιν ἥβας δονεῖ λαὸς ἐπιφλέγων  ἐλᾷ τ’ αἴθοπι μώμῳ, 210 ὅτι παλαιοτέραν νέοις   ὕμνοις μοῦσαν ἀτιμῶ· Il nobile, longevo popolo, potente sovrano di Sparta, traboccante del fiore di gioventù, soffia su di me venti di fuoco e  m’incalza con bruciante sdegno per il fatto che nei miei nuovi canti disonoro la Musa di un tempo.

In questa ampollosa descrizione degli Spartiati è  stato opportunamente riconosciuto un intento ironico e solo apparentemente celebrativo 63; si può inoltre notare che in questi versi è anticipato 61   Per il collegamento tra i καττύματα e questo frammento cfr. West 1992, 372; Fongoni 2014, 31 e n. 6. 62  I  versi provengono probabilmente dalla sphragis di un nomos citarodico: cfr. Hordern 2002, 252. 63  Cfr. Hordern 2002, 230, 235; Csapo – Wilson 2009, 286. Q uesti ultimi individuano il bersaglio del­l’ironia nelle parole di quei critici conservatori che, nel contestare le innovazioni musicali, si richiamavano a  Sparta come ad un baluardo simbolico della tradizione musicale («we would suggest, rather, that ‘Sparta’ in this passage refers less to a political and geographical entity than to an ideological construction by conservative critics. The language need refer to nothing more injurious than negative criticism from a source which is perhaps not Sparta itself, but one which invokes Sparta as a bastion of  traditional music (hence the probably ironic praise)»). Il fatto che Timoteo si rivolgesse agli oppositori del suo stile innovativo in Atene non esclude, tuttavia, il riferimento ad una concreta occasionale agonale, del resto ammessa dai due studiosi (2009, 285).

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il motivo conduttore della successiva argomentazione: la tradizione, che affonda le sue radici in un passato lontano, è come un organismo in evoluzione, che vive nel presente e si perpetua grazie ai suoi nuovi germogli. Così è rappresentato il popolo di Sparta, il quale affonda le sue radici lontano nel passato (μακραίων), ma è nel contempo rigoglioso di nuovi fiori (βρύων ἄνθεσιν ἥβας) 64. In termini analoghi è presentata, poco dopo (vv. 221-236), la tradizione musicale greca: πρῶτος ποικιλόμουσον Ὀρ  φεὺς ‹χέλ›υν ἐτέκνωσεν υἱὸς Καλλιόπα‹ς ∪—   —∪› Πιερίαθεν· Τέρπανδρος δ’ ἐπὶ τῷδε κατ- 225   ηῦξε μοῦσαν ἐν ᾠδαῖς· Λέσβος δ’ Αἰολία ν‹ιν› Ἀν  τίσσᾳ γείνατο κλεινόν· νῦν δὲ Τιμόθεος μέτροις   ῥυθμοῖς τ’ ἑνδεκακρουμάτοις 230   κίθαριν ἐξανατέλλει, θησαυρὸν πολύυμνον οἴ ξας Μουσᾶν θαλαμευτόν· Μίλητος δὲ πόλις νιν ἁ   θρέψασ’ ἁ δυωδεκατειχέος 235   λαοῦ πρωτέος ἐξ Ἀχαιῶν. Per primo variegata Orfeo generò la lira, il figlio di Calliope ‹e di Eagro(?)› 65, dalla Pieria. Terpandro, dopo costui, fece crescere 66 la Musa con i suoi canti. L’eolica Lesbo lo generò 64   Sul­l’espressione, tradizionale (cfr. e.g. Il. 13, 484, Hes. Th. 988, Theogn. 1007s., 1070), si vedano Janssen 1989, 131 e n. 23; Hordern 2002, 237. 65  Per l’integrazione ‹Οἰάγρου τε› rinvio a Ercoles 2010, 121s. 66  Accolgo la correzione κατηῦξε (Aron) del tràdito κατευξε (P. Berol. 9875), per cui ho proposto a  mia volta la correzione κα‹τέ›τευξε: cfr.  Ercoles 2010, 122-128. A questo contributo rinvio per gli argomenti, di ordine retorico-contenustico, a  favore di κατηῦξε. L’unica perplessità ivi espressa riguardo alla correzione di Aron riguardava la metrica: la terminazione del gliconeo (richiesto dalla studiata struttura simmetrica della sphragis: cfr.  Ercoles 2010,  118-120) con una sillaba breve. Un recente contributo di Tessier (2014) mostra tuttavia che nella melica d’età classica vi sono alcuni possibili casi analoghi, come qui in concomitanza con sinafia verbale tra cola (particolarmente interessanti sono i casi di Pind. I. 8, 24 e Soph. Ant. 117). Si veda inoltre Danesin 1998, 165-174, con una discussione di Eur. Ion 206 (dove, tuttavia, non può escludersi la possibilità che la terminazione ‘epica’ in ‑εσσι si sia corrotta in quella, più comune, in ‑εσι).

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come gloria per Antissa. Ora Timoteo con metri e con ritmi endecacordi fa rinascere la citara, dischiudendo il riposto tesoro delle Muse, ricco di canti. Mileto l’ha allevato, la città del popolo dalle dodici roccaforti, preminente tra gli Achei.

Si noti che ai  vv.  222,  225s. e  231 la metafora biotica è  applicata alla musica dello strumento a  corde, considerata come un organismo generato da Orfeo (v.  222), fatto crescere da Ter­ pan­dro (v. 225s.) e portato a nuova vita da Timoteo (v. 231) 67. La scelta del preziosο e arcaizzante κίθαρις (reso nella traduzione con ‘citara’) come oggetto del­l’azione di rinnovamento compiuta dal Milesio è assai significativa: il vocabolo bene si presta ad emblematizzare la tradizione poe­tico-musicale 68. I ‘metri e i ritmi endecacordi’ stanno a quest’ultima come i ‘fiori della gioventù’ del v.  208 stanno al­l’antico popolo di Sparta: entrambi sono il segno della vitalità di un essere vivente che esiste nella misura in cui cresce, muta e  si rinnova. L’apparente elogio degli Spartiati ha dunque una ben precisa funzione retorica nel­l’economia della sphragis: esso prepara il terreno per la successiva strategia argomentativa. Il messaggio che Timoteo intende veicolare può essere così sintetizzato: antico e  nuovo convivono nella storia del popolo di Sparta come nella tradizione musicale, e  l’uno senza l’altro Sulla resa musicale di tali gliconei – ovvero sulla possibilità di una normalizzazione a livello di perfomance o, al contrario, di una reale variazione ritmica – non è naturalmente possibile esprimersi. 67  Il verbo ἐξανατέλλω, variamente tradotto, indica l’azione di ‘fare crescere’ o  ‘fare spuntare’ (cfr.  e.g. Ap.  Rh. IV 1423s. καὶ δὴ χθονὸς ἐξανέτειλαν [scil. le Esperidi] / ποίην πάμπρωτον). Non si riscontra, in genere, un forte scarto semantico rispetto ad ἀνατέλλω (cfr. e.g. Il. 5, 777 τοῖσιν δ’ ἀμβροσίην Σιμόεις ἀνέτειλε νέμεσθαι, Aesch. fr. 300, 5-7 R. πᾶσα δ’ εὐθαλὴς / Αἴγυπτος … / φερέσβιον Δήμητρος ἀντέλλει στάχυν, Pind. I. 7, 5 ἄντειλας [scil. Tebe] Διόνυσον). 68  Il vocabolo compare anzitutto nei poemi omerici (Il. 3, 54; 13, 731; Od. 1, 153, 159; 8,  248), dove indica sia lo strumento a  corde sia l’arte di suonarlo, quindi ricorre poche altre volte nella successiva poesia: cfr. H. Hom. Ap. 131, 188, H.  Hom.  Merc. 499,  509,  515, Alcm. PMG 41, Pind. P. 5,  65, Eur. frr.  370,  8 e  752g, 10 K. (con riferimento alla cetra di Orfeo!), Ar.  Nu. 1357s., Th. 124 (in un inno che parodia lo stile di Agatone), Call. Hymn. 2 (Ap.), 19. Sul­l’utilizzo del vocabolo fatto da Timoteo si vedano Hordern 2002, 244 («the more archaic form of  the word [was] perhaps chosen here to emphasize Timotheus’ debt to the past») e LeVen 2011, 248 («the important point is that Timotheus’ image of  the awakening of  the kitharis relies on the poe­tic past of  this word and the heroic and Homeric authority associated with it»).

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non potrebbe sussistere; non ha pertanto senso operare distinzioni di valore su un piano meramente cronologico, perché l’uni­ca distinzione che conti, nella μουσική, è  quella tra composizioni artisticamente valide e altre che non lo sono. Q uesto è il senso dei vv.  213-215, dove il musico ironizza polemicamente sui termini del­l’accusa (vv.  211s. ὅτι παλαιοτέραν νέοις  / ὕμνοις μοῦσαν ἀτιμῶ): ἐγὼ δ’ οὔτε νέον τιν’ οὔ  τε γεραὸν οὔτ’ ἰσήβαν   εἴργω τῶνδ’ ἑκὰς ὕμνων· 215 τοὺς δὲ μουσοπαλαιολύ  μας, τούτους δ’ ἀπερύκω,   λωβητῆρας ἀοιδᾶν, κηρύκων λιγυμακροφώ  νων τείνοντας ἰυγάς. 220 Io né un giovane né un vecchio né un coetaneo tengo lontani da questi canti. I corruttori del­l’antica musica, questi io respingo, distruttori di canti, che lanciano urli da araldi fortestridenti.

Come ha ben visto Nieddu (1993,  524s.), l’affermazione deve intendersi in senso traslato: il Nostro intende dire che egli non esclude dai propri canti alcun modello, né uno ‘giovane’, cioè recente, né uno ‘vecchio’, ovvero antico, né – con «vivace quanto inattesa appendice polemica» 69 – uno a  lui ‘coetaneo’, cioè ‘di mezza età’. Al­l’opposizione cronologica antico/recente Timoteo contrappone la distinzione tra il proprio stile musicale, nutrito di modelli validi di varie epoche, e quello dei musici conservatori, stanchi prosecutori del­l’antico stile musicale incapaci di alcun apporto originale (vv. 216-220) – quegli artisti che potevano invece piacere alla platea delle Carnee spartane 70. Costoro, secondo il Milesio, sono i veri corruttori della tradizione musicale, perché ne tradiscono lo spirito: essa, infatti, è stata da sempre caratterizzata dalla varietà e dal­l’innovazione, a partire dal citarodo mitico Orfeo per arrivare fino a Terpandro, il grande sistematizzatore dei nomoi citarodici. La vera fedeltà a tale tradizione consiste, pertanto, nel­   Nieddu 1993, 525 n. 14.   Su costoro si veda supra la testimonianza dello Ps.  Plutarco (Mus. 20s., 1137e-1138a). 69 70

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l’innovazione e  nella sperimentazione al­l’insegna della ποικιλία (cfr. vv. 221s. ποικιλόμουσον … χέλυν). Con un completo ribaltamento dei termini del­l’accusa, il Milesio giunge così a rivendicare il ruolo di vero prosecutore del­l’ideale διαδοχή Orfeo-Terpandro a se stesso: egli, con le sue composizioni originali, è stato capace di dischiudere potenzialità ancora inespresse del linguaggio musicale (si veda l’immagine del ‘riposto tesoro delle Muse’ ai vv. 232s.), a  differenza dei citarodi rimasti legati ad una maniera di canto ormai antiquata, stentorea (cfr.  vv.  219s.) e  assai limitata nelle possibilità mimetiche 71. Nel quadro della polemica con le critiche ricevute dagli Spartiati in occasione del­l’agone carneo, il richiamo a Terpandro non poteva non assumere particolare rilievo. La breve storia della citarodia appare, in questo contesto, un espediente retorico assolutamente efficace per ribattere puntualmente a coloro che si professavano custodi della tradizione terpandrea: ad essi Timoteo rimprovera un’ ‘osservanza’ solo superficiale, incapace di cogliere lo spirito che ha animato l’attività musicale del Lesbio. I vari tasselli della sphragis si compongono così in un quadro argomentativo unitario, che procede dal­l’autodifesa al­l’attacco contro i  musici ‘tradizionalisti’, apprezzati dagli Spartiati, e  che ricorre ad un complesso armamentario retorico, di cui sono elementi essenziali l’ironia, il divertito gioco semantico sui termini del­l’accusa e la rilettura della storia della citarodia al­l’insegna della poikilia e della sperimentazione. Una volta di più, il contesto agonale sotteso alla polemica si dimostra un luogo di vivace dibattito sul modo (o sui modi) di fare musica.

  Per il cambiamento nello stile del canto al­l’insegna di un maggiore mimetismo si veda, in particolare, Ps. Aristot. Prob. 19, 918b 18-29 (riportato al­l’inizio del contributo). Un esempio di mimetismo vocale può forse considerarsi Ar. Th. 130-132, dove la mimesi dei modi femminili messa in atto dal­l’Agatone aristofaneo potrebbe includere anche l’intonazione della voce (cfr.  Vetta 1995,  75s.; Prato 2000,  177). Si pensi, in parallelo, al­l’evoluzione del modo di recitare in senso sempre più mimetico, fino agli eccessi di Callippide ricordati da Aristotele (Poe. 1461b 26-1462a 14): cfr. Vetta 1995 e Csapo 2002. Per una diversa inter­ pretazione dei vv. 219s. cfr. Tosi 2017, 14, che individua il referente della polemica di Timoteo in più radicali innovatori musicali, che «programmaticamente e senza nessun valido motivo proponeva[no] una musica sguaiata». 71

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4. Osservazioni finali Gli aneddoti sui musici d’età classica e i frammenti di Timoteo convergono nel fornire un quadro piuttosto animato della coeva discussione sulla μουσική che aveva luogo nel quadro degli agoni musicali, e  non solo di quelli comici, meglio documentati, ma anche di quelli citarodici e  ditirambici. Q uesti non furono solo una fucina di sperimentazioni, ma anche il luogo di un confronto serrato tra i  protagonisti della scena musicale, nel­l’àmbito del quale i  ‘novatori’ non si risparmiavano stoccate ironiche e  battute fulminee, da cui sembra potersi desumere che esistevano diverse idee sul modo di innovare (si pensi alla critica di Democrito di Chio a Melanippide). Diverse idee sicuramente esistevano riguardo alla fedeltà al­l’antica e prestigiosa tradizione citarodica, interpretata ora come rispetto delle ‘regole’ di composizione proprie dello stile terpandreo, ora, invece, come rispetto dello spirito innovativo caratteristico di tutta la storia della citarodia da Orfeo in poi. Le modalità di tale dibattito svariano, come si è  visto, dalla fulminea battuta arguta ad una più elaborata strategia argomentativa, qual è quella messa in atto da Timoteo nella sphragis dei Persiani, dove non è risparmiata alcuna arma retorica. In questo senso, l’agone tra i  musici non sembra essere stato limitato alle capacità tecniche dimostrate sul bema, ma pare avere incluso – nel­l’Atene della Sofistica – anche l’abilità verbale e  dialettica: un μουσικὸς ἀγών, dunque, non disgiunto da un ἀγὼν λόγων, che mirava ad orientare il giudizio ed i gusti del pubblico. Un pubblico non più silenzioso e passivo, ma rumoroso e, a detta di Platone (Leggi 3, 700b-701a), prepotente 72. οὐκ ἐξῆν (scil. τότε) ἄλλο εἰς ἄλλο καταχρῆσθαι μέλους εἶδος· τὸ δὲ κῦρος τούτων γνῶναί τε καὶ ἅμα γνόντα δικάσαι, ζημιοῦν τε αὖ τὸν μὴ πειθόμενον, οὐ σύριγξ ἦν οὐδέ τινες ἄμουσοι βοαὶ πλήθους, καθάπερ τὰ νῦν, οὐδ’ αὖ κρότοι ἐπαίνους ἀποδιδόντες, ἀλλὰ τοῖς μὲν γεγονόσι περὶ παίδευσιν δεδογμένον ἀκούειν ἦν αὐτοῖς μετὰ σιγῆς διὰ τέλους, παισὶ δὲ καὶ παιδαγωγοῖς καὶ τῷ πλείστῳ ὄχλῳ ῥάβδου κοσμούσης ἡ νουθέτησις ἐγίγνετο. ταῦτ’ οὖν οὕτω 72 Sul mutato atteggiamento del pubblico nel­ l’Atene classica si sofferma Wallace (1997).

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τεταγμένως ἤθελεν ἄρχεσθαι τῶν πολιτῶν τὸ πλῆθος, καὶ μὴ τολμᾶν κρίνειν διὰ θορύβου· μετὰ δὲ ταῦτα, προϊόντος τοῦ χρόνου, ἄρχοντες μὲν τῆς ἀμούσου παρανομίας ποιηταὶ ἐγίγνοντο φύσει μὲν ποιητικοί, ἀγνώμονες δὲ περὶ τὸ δίκαιον τῆς Μούσης καὶ τὸ νόμιμον, βακχεύοντες καὶ μᾶλλον τοῦ δέοντος κατεχόμενοι ὑφ’ ἡδονῆς, κεραννύντες δὲ θρήνους τε ὕμνοις καὶ παίωνας διθυράμβοις, καὶ αὐλῳδίας δὴ ταῖς κιθαρῳδίαις μιμούμενοι, καὶ πάντα εἰς πάντα συνάγοντες, μουσικῆς ἄκοντες ὑπ’ ἀνοίας καταψευδόμενοι ὡς ὀρθότητα μὲν οὐκ ἔχοι οὐδ’ ἡντινοῦν μουσική, ἡδονῇ δὲ τῇ τοῦ χαίροντος, εἴτε βελτίων εἴτε χείρων ἂν εἴη τις, κρίνοιτο ὀρθότατα. τοιαῦτα δὴ ποιοῦντες ποιήματα, λόγους τε ἐπιλέγοντες τοιούτους, τοῖς πολλοῖς ἐνέθεσαν παρανομίαν εἰς τὴν μουσικὴν καὶ τόλμαν ὡς ἱκανοῖς οὖσιν κρίνειν· ὅθεν δὴ τὰ θέατρα ἐξ ἀφώνων φωνήεντ’ ἐγένοντο, ὡς ἐπαΐοντα ἐν μούσαις τό τε καλὸν καὶ μή, καὶ ἀντὶ ἀριστοκρατίας ἐν αὐτῇ θεατροκρατία τις πονηρὰ γέγονεν. (A quel tempo) 73 non era lecito usare una certa forma di melodia in luogo di un’altra, e l’autorità di riconoscere queste cose e, una volta riconosciute, di giudicarle punendo il trasgressore non era, come adesso, dei fischi né degli strepiti incompetenti della folla né degli applausi che distribuiscono elogi, ma era stabilito che coloro che disponevano di adeguata competenza ascoltassero in silenzio fino al termine; invece, per i fanciulli, i pedagoghi e la gran folla c’era il monito di una verga deputata a far rispettare l’ordine. Così la massa dei cittadini era disposta a lasciarsi guidare con disciplina e non osava giudicare con gli strepiti; poi, però, col passare del tempo, i poe­ti finirono col diventare i promotori delle trasgressioni contro la musica: persone dotate di talento poe­tico naturale, ma ignare dei diritti e delle norme della Musa, pronte a baccheggiare e a lasciarsi possedere dal piacere più del dovuto e  a mescolare lamentazioni funebri con inni e peani con ditirambi, e ad imitare le aulodie con le citarodie e a confondere tutto con tutto, mentendo pur senza volerlo, per ignoranza, sulla musica col dire che essa non soggiace ad alcuna norma e che ognuno, competente o meno, è in grado di giudicarne il valore che ne ricava. Componendo simili brani e  facendo commenti di tal genere instillarono nei più l’arbitrio in campo musicale e l’audacia di emettere giudizi come se ne fossero al­l’altezza. Di conseguenza, le cavee dei teatri da silenziose che erano diven  Il periodo delle guerre persiane.

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tarono vocianti come se avessero l’orecchio per distinguere nelle arti ciò che è bello da ciò che non lo è, e a un’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia 74.

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  Trad. di F. Ferrari e S. Poli, con minimi aggiustamenti.

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‘NUOVA MUSICA’ E AGONI POETICI

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‘NUOVA MUSICA’ E AGONI POETICI

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Abstracts Gli aneddoti sui musici d’età classica (cfr. in part. Aristot. Rh. 3, 1409b 24-30, Ath. 8, 338a, 352a) e alcuni frammenti di Timoteo (791, 202236 e 802) convergono nel fornire un quadro piuttosto animato della coeva discussione sulla μουσική che aveva luogo nel contesto degli agoni citarodici e ditirambici. The anecdotes on composers and musicians of   the classical age (cfr. esp. Aristot. Rh. 3, 1409b 24-30, Ath. 8, 338a, 352a) and some Timotheus’ fragments (791,  202-236 and  802) are concordant in rendering a  vivid representation of   the coeval discussion on μουσική which took place on the occasion of   citharodic and dithyrambic contests.

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JOHN C. FRANKLIN The University of  Vermont

‘SKATABASIS’. THE RISE AND FALL OF  KINESIAS For Lawrence Bliquez who inducted me into the mysteries of  Aristophanes

Introduction * Kinesias was a poet of  the dithyramb, one of  the few native Athenians to achieve prominence in that genre and, more broadly, the movement known to modern scholars as the ‘New Music’, in the later fifth century bc 1. His work is entirely lost to us with the exception of   two epithets (PMG 775-776), and a report by Philodemos that he treated the myth of  Asklepios’ incineration by Zeus for having raised Hippolytos from the dead (at the request of  Artemis, PMG 774). The direct tradition for Kinesias is therefore more tenuous than for almost any other poet of  this period. Nevertheless, Kinesias remains a  rather prominent figure of  Greek literary history thanks to a rich collection of  anecdotal evi*  There is an Aristophanic precedent for my coinage in Zeus σκαταιβάτης (‘Shit-walker’, Pax 42, genitive), a comic deformation of  καταιβάτης, ‘He who descends (sc. in lightning)’; see Sommerstein ad loc. While the context is unrelated to Kinesias, note that the play elsewhere presents important material bearing on ‘sophistic dithyramb’ (see further below). I thank Philip Ambrose for noting this parallel. I am very grateful to Antonietta Gostoli for her invitation to participate in the conference Gli agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica, and for arranging a  memorable Visiting Professorship in Perugia (October 2015); to Liana Lomiento, Ettore Cingano, Marco Ercoles, Flavio Massaro, and Massimo Raffa for enjoyable discussions and helpful feedback; and to Irene Orsomarso for all her friendly assistance during my stay. All references to comic fragments are by the numeration of  Kassel-Austin. 1  For the ‘New Music’ generally, see inter al. Richter 1968; Wilson 1999; Csapo 1999-2000; Wilson 2003b; Csapo 2004; Part IV of  Power 2010; Franklin 2013; LeVen 2014. 10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115164

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J. C. FRANKLIN

dence. Of  several satirical critiques by contemporary comic poets, best known is Aristophanes’ fairly ample and lighthearted parody in the Birds (414 bc); three other mentions or allusions include two verses of  Frogs (405 bc) that are rather harsher – for reasons I shall explore here – as well as a fragment of   the lost Gerytades (fr. 156), a play that featured Kinesias prominently. We also have relevant fragments of   lost comedies by Pherekrates, Plato Comicus, and Strattis – the last of  whom devoted an entire play to lampooning the poet (frr.  14-22). The comic evidence is very rich, as we shall see; but naturally we must expect it to present a distorted picture. Fortunately Kinesias can be approached from several other directions. Two early-fourth-century inscriptions provide a  welcome real-world corrective – precious, non-prejudicial glimpses of   the poet’s genuine popularity and involvement in public life. Another vital source is a  fragmentary speech by Lysias, in which the orator defended a client against some charge for illegal activity (παρανομία) that was brought by Kinesias. While this speech is openly hostile, it provides several details, not otherwise attested, that make a  crucial contribution to our reconstruction. Plato’s brief  discussion in the Gorgias contains some predictable remarks on poets who pander to their audiences’ pleasure, and minor biographical detail. The Aristophanic scholia preserve many interesting notices; among the usual conjecture is an occasional gem. Finally, scattered details are to be found in later authors, with an extended discussion by Athenaios our richest single source (for his quotation of  lost works). From these sources we can assign Kinesias an approximate date range of   450-390, and draw a  number of   inferences about the qualities of   his work and its reception in contemporary Athens. Thanks to a flood of   recent scholarship on the dithyramb – culminating in the Oxford volume Dithyramb in Context  2 – we are finally in a position to transcend the uniformly negative picture presented by Aristophanes and his colleagues. The present paper is a kind of   progress report on research towards a volume dedicated to Kinesias that is to appear in the series Dithyrambographi Graeci (ed. A.  Gostoli). I  shall survey all major information   Kowalzig – Wilson 2013a.

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‘SKATABASIS’. THE RISE AND FALL OF   KINESIAS

we possess relating to Kinesias’ career in the musical contests of  Athens, paying special attention to the ‘sophistic’ qualities of  the ‘New Musical’ dithyramb, and what is surely the most startling of   all our notices: the allegation that Kinesias «shat upon the EKATAIA – the reference is not immediately clear – while singing in the circular choruses» (Aristoph. Ran. 366 and Σ).

Kinesias and the ‘New Music’ The famous parody in Aristophanes’ Birds brings together most of   the elements that recur in the biographical tradition. Kinesias is the second of  six obnoxious visitors hoping to profit from Peisetairos’ foundation of  Nephelokokkygia. This context is especially appropriate since the dithyramb had a long history of  use in civic rituals connected with the establishment, reconstitution, and renewal of   socio-political order, as has been well demonstrated, in connection with dithyrambic fragments of   Pindar relating to Thebes, Argos, and Corinth, in a  series of   studies by Salvatore Lavecchia, Peter Wilson, Barbara Kowalzig, and Lucia Prauscello 3. The scene is also interesting for putting Kinesias into the position of  seeking work in a foreign city, as he was otherwise conspicuous in Athens for working alongside a largely imported ‘workforce’ 4. Possibly this social reality explains allegations that Kinesias was a ξένος or a Theban – foreign birth being a common slur directed at Athenians, for various reasons, by the comic playwrights 5. Kinesias’ song has been well analyzed as to its metrical structure and its dithyrambic diction; it is a  quite accurate pastiche of  the ‘New Musical’ style, though Aristophanes has doubtless exaggerated for comic effect 6. The passage begins as follows (1372-1374):   Lavecchia 2000, 11-13 et passim, cfr. Wilson 2002; Wilson 2003a; Kowalzig 2007, 168-170, 385, et pass.; Introduction to, and papers by Lavecchia, Kowalzig, and Prauscello, in Kowalzig – Wilson 2013a. 4  For the dominance of    non-Athenian professional musicians in Athens, Wilson 1999; Wilson 2000, 66-67. 5 Σ Aristoph. Ran. 153; Sud. s.v.  Λεώκριτος, Πυρρίχη. But Θηβαῖος may well just be a corruption of  Ἀθηναῖος. 6   Zimmermann 1992, 118-121; Dunbar 1998, 660-673; Ford 2013, 318-320 et passim; LeVen 2014, 74, 153-155. 3

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Κι. Πε.

ἀναπέτομαι δὴ πρὸς Ὄλυμπον πτερύγεσσι κούφαις ( = Anac. 378 PMG)· πέτομαι δ’ ὁδὸν ἄλλοτ’ ἐπ’ ἄλλαν μελέων – τουτὶ τὸ πρᾶγμα φορτίου δεῖται πτερῶν.

Kinesias: «I fly indeed up towards Olympos on delicate wings», And I fly now on this, now on that melodic road – Peisetairos: This business needs a sack of  wings.

The opening line – a recontextualized quotation of   Anakreon – might seem to discourage us from expecting much authentic Kinesian flavor here. But even this can be understood in light of  the dithyramb’s propensity for reworking traditional materials, and it is not unlikely that Aristophanes’ other pseudo-Kinesian verses were meant to evoke that poet’s style 7. Kinesias’ next line is obviously connected with the ancient metaphor of   the ‘path of  song’. What has not been noticed, I believe, is how the distributive expression ὁδὸν ἄλλοτ’ ἐπ’ ἄλλαν makes this a professional declaration of  adherence to the modulatory style of  the ‘New Music’, which was accommodated at this time by introducing the supplementary idea of   road-junctures; this is shown, for example, by a well-known fragment of  Ion of  Chios; the term καμπή (‘bend’) that was much-used by and of  the ‘New Musicians’ 8; and the technical usage of   Aristoxenos 9. For Kinesias’ own practice we have the contemporary evidence of   Pherekrates – a well-worn passage in which a personified Mousike gives a precious history of   fifthcentury lyric while complaining of   the successive assaults on her chastity by the ‘New Musicians’ 10. So we may well imagine the 7   See the metrical analysis and interpretive suggestions of   Dunbar 1998, 661-664. 8  See with further references Restani 1983, 156-166; Franklin 2013, 226-231. 9  Ion of  Chios, fr. 32 West = 5 Gent.-Pr.: ἑνδεκάχορδε λύρα, δεκαβάμονα τάξιν ἔχουσα  / τὰς συμφωνούσας ἁρμονίας τριόδους·  / πρὶν μέν σ’ ἑπτάτονον ψάλλον διὰ τέσσαρα πάντες / Ἕλληνες, σπανίαν μοῦσαν ἀειράμενοι, «Eleven-stringed lyre with a ten-stepped arrangement – / The three-way, consonant crossroads of  harmonía. / Hitherto all the Greeks played you heptatonic – two tetrachords – / Summoning up a  sparse Muse». See further West 1992b, 25-26, adducing Aristoxenus on Eratocles (Harm. 5, cfr. 67); cfr. Franklin 2002, 687-688, 693-694, with Aristoph. Nub. 964-972. For the Ion fragment more generally, see now Power 2007. 10  Pherec. 155.8-13: Κινησίας δέ μ’ ὁ κατάρατος Ἀττικός, /ἐξαρμονίους καμπὰς ποιῶν ἐν ταῖς στροφαῖς,  / ἀπολώλεχ’ οὕτως, ὥστε τῆς ποιήσεως  / τῶν διθυράμβων, καθάπερ ἐν ταῖς ἀσπίσιν, /ἀριστέρ’ αὐτοῦ φαίνεται τὰ δεξιά, «Kinesias, that cursed

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Aristophanic Kinesias running up and down the stage, flapping his arms, with the aulos-player continually modulating as Kinesias sings «here a road, there a road, everywhere a road».

Kinesias’ Physique as a Reflection of  his Music The Aristophanic parody continues (1375-1377): Κι. Πε.

ἀφόβῳ φρενὶ σώματί τε νέαν ἐφέπων – ἀσπαζόμεσθα φιλύρινον Κινησίαν. τί δεῦρο πόδα σὺ κυλλὸν ἀνὰ κύκλον κυκλεῖς;

Kinesias: Following a new path with fearless mind and body – Peisetairos: We greet you, lime-wood Kinesias. Why do you come here circling your lame foot round the circle?

The language is complex. The primary reference of   τί δεῦρο πόδα σὺ κυλλὸν ἀνὰ κύκλον κυκλεῖς; – with the punning language of  κυλλόν (‘lame’) and κύκλον (‘circle’) – is probably the halting, modernist dance of   a  circular dithyrambic chorus 11. But the pleonastic ἀνὰ κύκλον κυκλεῖς equally combines with the earlier reference to multiple melodic paths (πέτομαι δ’ ὁδὸν ἄλλοτ’ ἐπ’ ἄλλαν μελέων) in a  technical allusion to some cyclical conception of   tonality and modulation 12. Kinesias’ next line, ἀφόβῳ φρενὶ σώματί τε νέαν ἐφέπων, «following a new path with fearless mind and body», and Peisetairos’ response, continue to fuse satire of   the poet’s physique with stylistic criticism. The curious epithet φιλύρινος, derived from φιλύρα – the silver lime tree (Tilia platyphyllos) – was already puzzling to ancient scholars, who variously connected it with limewood’s ‘pale yellow color’ (χλωρός, Kallistratos) or ‘soft light texture’ (κοῦφος, Euphronios, doubtAthenian,  / making exharmonic bends within his strophes,  / has so destroyed me that in the making / of   his dithyrambs – just as in shields/his shields – his rights appear to be his lefts». For detailed consideration of   the larger fragment, including the various musical terms and puns, see inter al. Düring 1945; Pianko 1963; Borthwick 1968b; Restani 1983; Barker 1984-1989, I, 93-97,  236-238; Zimmermann 1992, 122-123; Zimmermann 1993; Dobrov – Urios-Aparisi 1995. 11  Dunbar 1998, ad loc. 12  Franklin 2002, 696-697.

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less with reference to κούφαις in 1372 13). Modern scholars have followed suit, seeing «a reference to lime bass or bast, the thin fibrous inner bark used by the ancients for various purposes … and characterized by Pliny as tenuis» 14. But I believe that the correct explanation has been unwittingly preserved by Athenaios, according to whom Aristophanes and ‘others’ alleged that Kinesias wore a limewood board or plank to keep himself  from bending (ἵνα μὴ κάμπτηται) 15. Dunbar was prepared to take this assertion at face value («not in itself  impossible») 16. But to my mind the image has a  distinctly Aristophanic and comic flavor, given κάμπειν as a  contemporary professional term for modulation or ‘bending’ a melody 17, and Kinesias’ notorious excess in applying the technique (Pherekrates). The joke would be that Kinesias’ modulations were so habitual as to seem an involuntary reflex. This reading is perfectly compatible with these comic puns implying a lack of  moral ‘uprightness’ on the part of  the ‘New Musicians’ 18. Much the same joke, but interestingly inverted, appears in the Thesmophoriazusae when Agathon – regularly satirized as an effeminate weakling – is said to be incapable of   bending his strophes back around because of  the winter temperatures 19. It would follow that 13  Cfr. Plato’s description of   poets as ‘delicate, wingèd, holy things’ (κοῦφον χρῆμα ποιητής ἐστι καὶ πτηνὸν καὶ ἱερόν, Ion 534b). 14  Dunbar 1998, ad loc.; cfr. Lawler 1950, 80-82. 15  Ath. 12,  551a-552b ἦν δ’ ὄντως λεπτότατος καὶ μακρότατος ὁ Κινηεσίας, εἰς ὃν καὶ ὅλον δρᾶμα γέγραφεν Στράττις, Φθιώτην Ἀχιλλέα αὐτὸν καλῶν διὰ τὸ ἐν τῇ αὑτοῦ ποιήσει συνεχῶς τὸ Φθιῶτα λέγειν· παίζων οὖν εἰς τὴν ἰδέαν αὐτοῦ ἔφη ‘Φθιῶτ’ Ἀχιλλεῦ  …’ ἄλλοι δ’ αὐτόν, ὡς καὶ Ἀριστοφάνης (Av. 1377), πολλάκις εἰρήκασι φιλύρινον Κινησίαν διὰ τὸ φιλύρας [τοῦ ξύλου] λαμβάνοντα σανίδα συμπεριζώννυσθαι, ἵνα μὴ κάμπτηται διά τε τὸ μῆκος καὶ τὴν ἰσχνότητα, «Kinesias was actually very thin and tall – Kinesias against whom Strattis even composed a  whole comedy (frr.  14-22), calling him ‘Phthian Achilles’ (fr.  17, PMG  775) on account of   his continually saying ‘Phthian’ in his poetry; and so joking about his appearance (Strattis) said ‘Phthian Achilles’  … But others, including Aristophanes, often called him lime-wood Kinesias on account of   his taking a plank of   lime-wood and girdling himself  so that he not bend because of   his height and skinniness». 16  Dunbar 1998, ad loc. 17   See n. 8. 18  Worman 2014, 216; Worman 2015, 24 and n. 66, 129. 19 Aristoph. Thesm. 55-69. The image gets its point from the astrophic ἀναβολαί that were characteristic of  the ‘New Dithyramb’, since, as we are told by an Aristophanic scholion, καμπαί had a further technical application to strophes,

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φιλύρινον Κινησίαν is a compressed allusion to a more expansive comic scene before 414 bc (cfr. Athenaios’ reference to ‘others’). We need not doubt, of   course, that Kinesias was in fact tall and skinny, for the joke clearly hinges upon this. A decade later in Frogs Aristophanes presented the surreal image of   using Kinesias as a set of  wings to allow (a probably much heavier) Kleokritos to fly 20. We find further evidence for his physique in Plato Comicus, who mocked Kinesias’ skeletal figure (fr. 200); and it earned him a place in Aristophanes’ lost Gerytades (fr. 156) as one of   several corpse-like poets chosen for a mission to Hades. But these further jokes, we shall see, should be explained not solely through Kinesias’ physique, but equally his professional dithyrambic interest in celestial and subterrestrial matters.

Ascents and Descents in the Sophistic Dithyramb The parody in Birds continues with Kinesias explaining to Peisetairos that he has come to Nephelokokkygia to acquire a  set of  wings, and so fly to the Clouds and receive from them «brand new, air-whirled, snow-struck ἀναβολαί». His diction is appropriately florid (1378-1387) Κι. Πε. Κι. Πε. Κι.

ὄρνις γενέσθαι βούλομαι, λιγύφθογγος ἀηδών – παῦσαι μελῳδῶν, ἀλλ’ ὅ τι λέγεις εἰπέ μοι. ὑπὸ σοῦ πτερωθεὶς βούλομαι μετάρσιος ἀναπτόμενος ἐκ τῶν νεφελῶν καινὰς λαβεῖν ἀεροδονήτους καὶ νιφοβόλους ἀναβολάς. ἐκ τῶν νεφελῶν γὰρ ἄν τις ἀναβολὰς λάβοι; κρέμαται μὲν οὖν ἐντεῦθεν ἡμῶν ἡ τέχνη. τῶν διθυράμβων γὰρ τὰ λαμπρὰ γίγνεται ἀέρια καὶ σκότι’ ἄττα καὶ κυαναυγέα καὶ πτεροδόνητα· σὺ δὲ κλυὼν εἴσει τάχα.

Kinesias: I wish to become a bird, a clear-voiced swallow – Peisetairos: Stop singing, and tell me what you’re talking about.

antistrophes, and epodes (Σ Aristoph. Nub. 332). See further Franklin 2013, esp. 226-230. 20 Aristoph. Ran. 1437: εἴ τις πτερώσας Κλεόκριτον Κινησίᾳ with Σ ὡς λεπτὸς σφόδρα ὢν κωμῳδεῖται; Sud. s.v. Λεώκριτος.

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Kinesias: Peisetairos: Kinesias:

Winged by you I wish to fly up on high and take from the clouds brand new preludes, air-whirled and snow-struck; Someone could take preludes from the clouds? Yes, our art is rather hung up on them. For in dithyrambs the brilliant bits become things airy and shadowy and dark-rayed and wing-whirled; but soon you will know by hearing.

The idea that dithyrambic poets drew inspiration from the Clouds echoes a passage in the homonymous comedy, staged nine years earlier in 423 bc 21. Here Sokrates states that the Clouds nourish many kinds of   «sophists», among whom he includes the «song-benders of  circular choruses». A scholiast tells us that ᾀσματοκάμπτας refers to the likes of   Kinesias, Philoxenos, and Kleomenes – the contemporary dithyrambopoioi 22. Strepsiades goes on to parody a number of  dithyrambic expressions (note the Doric genitives) relating to meteorological phenomena, including one that is attributed by the scholiast to Philoxenos (PMG 830; Fongoni 26). This makes it possible that Strepsiades’ other musical phrases are not entirely parodic clichés but – as a scholiast asserts 23 – further quotations (comically altered?) so that some few words of  Kinesias may indeed be lurking here as unrecognized fragments. In  any case, these phrases show that ἄνδρας μετεωροφένακας, appearing immediately after «song-benders of    circular choruses», refers not to a separate group of   Cloud-inspired σοφισταί but is in apposition to ‘song-benders’ – thus «meteorological quacks» is an alternative description of   the ‘sophistic dithy-

21   If  the material goes back to the first version of   the play; if  it belongs to the revision, this will bring it down no farther than ca.  418 (for the chronology, Dover 1968, lxxx-xcviii). The passage is Aristoph. Nub. 331-338: (Σο.)  οὐ γὰρ μὰ Δί’ οἶσθ’ ὁτιὴ πλείστους αὗται βόσκουσι σοφιστάς,  / Θουριομάντεις, ἰατροτέχνας, σφραγιδονυχαργοκομήτας, / κυκλίων τε χορῶν ᾀσματοκάμπτας, ἄνδρας μετεωροφένακας, /οὐδὲν δρῶντας βόσκουσ’ ἀργούς, ὅτι ταύτας μουσοποιοῦσιν.  / (Στ.) ταῦτ’ ἄρ’ ἐποίουν «ὑγρᾶν Νεφελᾶν στρεπταίγλαν δάιον ὁρμάν», / «πλοκάμους θ’ ἑκατογκεφάλα Τυφῶ», «πρημαινούσας τε θυέλλας», / εἶτ’ «ἀερίας διερᾶς γαμψοὺς οἰωνοὺς ἀερονηχεῖς», / «ὄμβρους θ’ ὑδάτων δροσερᾶν νεφελᾶν». 22 Σ Aristoph. Nub. 333, κυκλίων τε χορῶν: εἰς τοὺς περὶ Κινησίαν καὶ Φιλόξενον καὶ Κλεομένην EM. καὶ τούτους εἶναι τῶν σοφιστῶν βούλεται VE. λέγει δὲ τοὺς διθυραμβοποιούς· τῶν γὰρ κυκλίων χορῶν ἦσαν οὗτοι διδάσκαλοι. 23  Σ 335: πάντα ταῦτα ἔκ τινων ποιητῶν εἰσιν κτλ.

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rambists’ themselves 24. It is no coincidence that the conception of   aerial, nebulous inspiration that Aristophanes imputes to the dithyrambopoioi is reminiscent of   contemporary pre-Socratic ideas on the nature of  cognition 25. One may also identify various sophistic, meteorological themes and «hyper-rational» language in the ‘New Dithyramb’ 26. As A. Ford concludes, «the composer of   dithyrambs came to exemplify a new and special kind of   poet, a joyous, visionary singer, unbound by convention and dwelling in lofty, untrammelled realms of  thought … conversant with natural philosophy and rhetoric; in their songs they blended the posture of  hierophant with that of  poe­ta doctus» 27. This interpretation of   ἄνδρας μετεωροφένακας is corroborated by a passage in the Peace, only two years later (421 bc), in which Trygaios describes his journey to the heavens, during which he encountered «the souls of   two or three dithyrambic poets» flitting about looking for ἀναβολαί in the Clouds (829-834): Οι. ἄλλον τιν’ εἶδες ἄνδρα κατὰ τὸν ἀέρα πλανώμενον πλὴν σαυτόν; Τρ. οὔκ, εἰ μή γέ που ψυχὰς δύ’ ἢ τρεῖς διθυραμβοδιδασκάλων. Οι. τί δ’ ἔδρων; Τρ. ξυνελέγοντ’ ἀναβολὰς ποτώμεναι τὰς εὐδιαεριαυρινηχέτους τινάς. Οι. οὐκ ἦν ἄρ’ οὐδ’ ἃ λέγουσι, κατὰ τὸν αἰθέρα ὡς ἀστέρες γιγνόμεθ’, ὅταν τις ἀποθάνῃ; Τρ. μάλιστα. Οι. καὶ τίς ἐστιν ἀστὴρ νῦν ἐκεῖ; 24   Cfr.  Dover 1968, ad  loc. The application of   μετεωροσοφισταί at 360 to Sokrates and Prodikos can be balanced by Sud. s.v.  Διθυραμβοδιδάσκαλοι· περὶ μετεώρων καὶ περὶ τῶν νεφελῶν λέγουσι πολλὰ καὶ συνθέτους δὲ λέξεις ἐποίουν καὶ ἔλεγον ἐνδιαεριαιερινηχέτους· οἷος ἦν Ἴων ὁ Χῖος, ὁ ποιητής. 25  See with references Dover 1968, noting especially Anaxagoras and Diogenes of   Apollonia; Ford 2013, 326, comparing the ‘meteoric’ cognitive theories of   the Aristophanic Kinesias (Av. 1387) and Sokrates (Nub. 225-230); cfr. Ford 2002, 162-165 for the contemporary ‘poe­tics of  air’. 26  See Ford 2013, 320, 326-327 («The song for the seasonal god had, as ever, to be created anew, and so it called on poets to exhibit their credentials as wise men  … new dithyrambic songs were presented not as ecstatic outbursts but as potent appeals to Dionysos that embodied deep understanding», 318; «hyperrational», 326), and below n. 105. 27   Ford 2013, 331.

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Τρ.

Ἴων ὁ Χῖος, ὅσπερ ἐποίησεν πάλαι ἐνθάδε τὸν Ἀοῖόν ποθ’· ὡς δ’ ἦλθ’, εὐθέως Ἀοῖον αὐτὸν πάντες ἐκάλουν ἀστέρα.

Slave: Did you see anyone else up in the sky wandering around besides yourself? Trygaios: No – except, I suppose, two or three souls of  dithyrambic poets. Slave: What were they doing? Trygaios: Flitting around collecting preludes – some of  those floating-in-the-midday-air 28 ones. Slave: So then wasn’t it true what they say, that when people die we become stars in the sky? Trygaios: Absolutely. Slave: And what star is up there now? Trygaios: Ion of  Chios, the very one who once upon a time composed his Morning Star here; and when he went, right away everyone was calling him the star Aoios.

Besides confirming our interpretation of   the «meteorological quacks» in Clouds, these lines of   Peace provide further important information on the quasi-sophistic and scientific interests of   the ‘New Dithyrambists’, who are credited here with theories about the fate of   the soul after death. This Aristophanes passage – an early witness to the idea that fortunate souls went to dwell on the moon or stars 29 – is vital evidence that the ‘New Dithyrambists’, while maintaining their traditional interest in eschatological speculation, were not intellectually static. Although ἃ λέγουσι (‘what they say’) in 833 is sometimes interpreted vaguely – that is, not referred directly back to the διθυραμβοδιδάσκαλοι of  831 – it is certain that the dithyrambic poets are still in question thanks to the mention of   Ion of   Chios (ca. 484-422), the one concrete example given of   a  soul become a  star 30. For the polymathic Ion was himself  active as a  dithyrambic poet 31, achieving fame   I borrow the translation of  this epithet from Ford 2013, 326.   Rohde 1907, 345, 359 nn. 75-76, 387, 410 n. 116, 516-517 n. 53. 30 The scholia (Σ Pac. 835-837a) and Suda (s.v. Διθυραμβοδιδάσκαλοι) rightly conclude from this allusion that Ion περιβόητος ἐγένετο. 31 Sallust. Argum. II in Soph. Antigon. (PMG 740); Σ Aristoph. Pac. 835837a (v. infra); Σ Ap. Rhod. 1, 1165 (PMG 741); Sud. s.v. Διθυραμβοδιδάσκαλοι (with information on his other literary activities) and Ἐνδιαεριανερινηχέτους. 28 29

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in Athens itself  (where he spent much of   his life, and died 32); a  scholiast goes on to quote the first verses of   the song alluded to by Aristophanes, presumably the victorious dithyramb itself  33. It is probably relevant that Aoios was an ancient name, connected with the dawn, that became attached to Adonis 34. Although Ion competed publically in Athens with his tragedies as early as the 82nd Olympiad (451-448, cfr. πάλαι in Pax 835) 35, Aristophanes’ grouping of  him with the ‘New Dithyrambists’ accords well with the important fragment, mentioned above, in which Ion celebrates his polychordal lyre and the same melodic road-junctures that were typical of   the ‘song-benders’ (Ion was still active at Athens in 428 36). And Ion’s own fragments give evidence of   his «pseudo-scientific interest in the night skies», including a description of   the mystic Mousaios as ‘moon-fallen’ or ‘moonbegotten’ – either way a rather dithyrambic compound 37 – and a conception of   the moon as «a translucent, glassy body in one way, but lacking light in another» 38.   See the survey of  West 1985.   Σ Aristoph. Pac. 835-837a (the verses are also in Sud. s.v. Διθυραμβοδιδάσκαλοι): Ἴων ὁ Χῖος· διθυράμβων ποιητὴς καὶ τραγῳδίας καὶ μελῶν. ἐποίησε δὲ ᾠδὴν ἧς ἡ ἀρχή «ἀοῖον ἀεροφοίταν / ἀστέρα μείναμεν, ἀελίου / λευκῇ πτέρυγι πρόδρομον (PMG 745)»  … φασὶ δὲ αὐτὸν ὁμοῦ διθύραμβον καὶ τραγῳδίαν ἀγωνισάμενον ἐν τῇ Ἀττικῇ νικῆσαι, καὶ εὐνοίας χάριν προῖκα χῖον οἶνον πέμψαι Ἀθηναίοις, «Ion of   Chios: a  poet of   dithyrambs and tragedy and melic poetry. And he composed a song whose beginning is «Aoios the air-roaming / star we awaited, the sun’s / forerunner with white wing» … And they say that he was victorious in Attica competing in the dithyramb and tragedy simultaneously, and for the sake of  this favorable recognition he sent Chian wine as a gift for the Athenians». West 1985 derives the anecdote about Chian wine (also in Sud. s.v. Ἴων  Χῖος) from a comic quip. 34  See with references Franklin 2015, 498-503. 35  Sud. s.v. Ἴων Χῖος; West 1985, 72. 36   FGrH 392 T 6; West 1985, 73. 37 Cfr. Sud. s.v. Ἴων Χῖος: συνθέτους λόγους; see further Baltussen 2007, 310 and n. 35. 38  Mousaios as ΣΕΛΗΝO[ΓΕΝ]H or ΣΕΛΗΝΟ[ΠΕΤ]Η: Henrichs 1975, 14; West 1983b; Henrichs 1985; cfr. Jennings 2007, 342 (quotation) and n. 53, who also notes Aët. Plac. 2, 25, 11 (= FGrH 392 F 26 = Leurini 2000 fr. 117: Περὶ σελήνης οὐσίας … Ἴων σῶμα τῇ μὲν ὑελοειδὲς διαυγές, τῇ δὲ ἀφεγγές; cfr. also Baltussen 2007, 308-310, pointing out that ὑελοειδές probably suggested to the ancients ‘shiny’ rather than ‘transparent’; and that διαυγές was used of  the sun by Philolaos [44 A 19 D-K]) and Plut. Q uaest. conv. 658c (= TrGF 19 F 57 = Leurini 2000 fr. 72) on the moon’s rays as not ripening grapes. Further evidence of   Ion’s cosmological (and numerological) interests and ‘sophistry’ comes from his Triagmos 32 33

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That dithyrambic poets should engage in speculative thinking about the nature of   the soul and its fate after death is not so surprising given the deep and persistent link between the Dionysian dithyramb and mystery cult. Recent scholarship has explored the genre’s early concern with ideas of   transformation, including the transcendence of   death through the ritual enactment of   catabatic myths 39. (The relatively early – probably late Archaic – citharodic interest in the katabasis of   Orpheus is presumably parallel 40.) I shall return to this point below. First I would emphasize that this range of   dithyrambic interests – that is, the meteorological/celestial and catabatic – accords well with Aristophanes’ description of  the research program of  the Phrontisterion, which includes investigation of  both τὰ ἀνώ and τὰ κατώ. The close alliance of  these two spheres is clearly illustrated by Strepsiades’ first encounter with the students, who «seek after subterrestrial matters» and «grope about in the Erebos-darkness beneath Tartaros», while simultaneously engaged in ‘posterior analytics’ of  the heavens 41. Given the identity of   the play’s chorus, Aristophanes naturally develops meteorological/celestial jokes more fully. But there is a vital reference to katabasis when Strepsiades compares entering the Phrontisterion with the fear one would feel «going down (καταβαίνων) into the cave of   Trophonios» 42. This allusion contributes to the Phrontisterion’s representation as a kind of   mystery cult, with induction now implicitly compared to a catabatic ordeal 43. The idea was well familiar to the Athenians from the Eleusinian mysteries. As to Trophonios, Pausanias tells us that the rituals preliminary to consulting the oracle included (36 B 1-4 D-K, perhaps a.k.a. Κοσμολογικός and Περὶ μετεώρων, cfr. A 2, 3), for which see recently Baltussen 2007 with earlier literature. 39  Lavecchia 2000, 190-197, 201-212 pass.; Wilson 2003a, 174-180; Lavecchia 2013. 40   Martin 2001 with Power 2010, 360-364, cfr. 298 n. 303, 304. 41 Aristoph. Nub. 187-194: (Στ.) ἀτὰρ τί ποτ’ εἰς τὴν γῆν βλέπουσιν οὑτοιί; / (Μα.) ζητοῦσιν οὗτοι τὰ κατὰ γῆς  /  … οὗτοι δ’ ἐρεβοδιφῶσιν ὑπὸ τὸν Τάρταρον  / (Στ.) τί δῆθ’ ὁ πρωκτὸς εἰς τὸν οὐρανὸν βλέπει; / (Μα.) αὐτὸς καθ’ αὑτὸν ἀστρονομεῖν διδάσκεται. Erebos is familiar from Homer et  al. as the realm of   the dead; its position here vis-à-vis Tartaros need not be pressed (see Dover ad loc.). 42 Aristoph. Nub. 508-509: ὡς δέδοικ᾽ ἐγὼ  / εἴσω καταβαίνων ὥσπερ ἐς Τροφωνίου. 43   Cfr.  Dover 1968, xli; Byl 1980; West 1983a, 174-175; Byl 1988; Bowie 1993, 117 and n. 62, 119; Lada-Richards 1999, 58, 70, 72, etc.

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drinking from wells of   Memory and Forgetfulness – key elements of   catabatic journeys in the ‘Orphic’ gold-leaf  tablets 44. The enquirer was then led into the cave by a priest to guide his underworld experience; the comparable role of   ‘necromancer’ or γόης that this implies for Sokrates can be paralleled by the underworld journeys and out-of-body soul-quests not only of  Orpheus but such historical yet semi-legendary wisemen as Epimenides of  Crete, Pythagoras, and even Empedokles in the fifth century 45. Just what a contemporary of  Aristophanes might have experienced when consulting Trophonios we cannot say, but basic analogues for what Pausanias tells us must have already been in place 46. An interesting array of   further possibilities is usefully suggested by Plutarch’s quasi-Platonic myth about Timarkhos –  a  young associate of   Sokrates – who lay in the cave for two days while his soul travelled about the upper heavens with its celestial rotations, examined the detailed geography of  the lower realms, and thereby learned about the nature of   the cosmos, human existence, and various fates of   the soul after death 47. Aristophanes reprised this idea of  Sokrates as a psychagogic underworld traveller in the Birds with a remarkable little song that alludes to Odysseus’ νέκυια 48. As Dover observed, «there is nothing in our evidence for the sophists to suggest that they used the language or procedures of   initiation» 49. I  propose therefore that Aristophanes, rather than simply «presenting a metaphor in concrete form» 50, has drawn the catabatic motifs with which he characterizes the Phrontisterion from those other protégés of   the Clouds –  the dithyrambopoioi, who had long been professionally interested   Paus. 9, 39, 8. Cfr. with further references Bernabé – Jiménez San Cristóbal 2008, 20, 56; Edmonds 2004, 106-107. 45  Rohde 1907, 378-384,  598-601,  etc.; Dieterich 1893, 129-136; Burkert 1972, 103 n. 32, 121-165, etc.; Bowie 1993, 119. 46  Burkert 1972, 154 and n. 189. 47  Plut. De genio Socratis 20-22. 48  Aristoph. Av. 1553-1564 with comments of    Dunbar 1998; cfr.  Dover 1968, xxxv. 49  Dover 1968, xli. 50   Dover 1968, xli, citing Pl. Euthyd. 277d and Symp. 209e; but in the Symposium, at least, Plato’s use of  the initiation ‘metaphor’ may be a somewhat more pregnant allusion to the cultural/intellectual interests of   Agathon et al. in 416: see further below. 44

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in mystery cult and underworld journeys. Yet we must not forget that Aristophanes himself  links his dithyrambic contemporaries –  the «song-benders of   circular choruses»  – to the sophists. Lavecchia, Wilson, and others have pointed out the New Musicians’ maintenance of   the traditional dithyrambic cultivation of   myths dealing with death followed by rebirth or return 51. Melanippides composed a  Persephone (PMG 759-766, containing a  dithyrambic etymology of   Akheron 52); Timotheos a  Birthpangs of   Semele (PMG  792), an Elpenor (PMG 779) 53 and a  Niobe (PMG 786-787, which featured Kharon) 54; and Telestes an Asklepios (PMG 806). The ‘Arion’ song PMG 939 is also relevant 55. So too the fourth-century southern Italian vases of   underworld scenes with Orpheus depicted as a  contemporary,  i.e. ‘New Musical’, citharode 56 – his instrument complete with the many strings (πολυχορδία) required by modern songbenders. As it happens, the one myth we know that Kinesias definitely treated – that of   Asklepios (PMG 774) – also conforms to this type. Asklepios shares with Semele and (sometimes) Herakles the distinction of   being killed by Zeus’ lightning bolt, with destruction followed by various forms of   resurrection, heroization or apotheosis. The motif  is also found in ‘Orphic’ gold tablets from Thurii, where it is related to the idea that initiates have paid for their earthly sins before entering realm of   the blessed 57. Now  Aristophanes’ allusion to Kinesias in Clouds (423/418) and his extended pastiche in Birds (414) are distinctly positive by contrast with the brief  and damning references we shall see below in Frogs (406) and Ecclesiazusae (391?); the earlier passages relate only to Kinesias’ poe­tic style, not to the impiety for which he was later infamous. From this it seems a fair deduction   Wilson 2003a, 170; Kowalzig – Wilson 2013b, 21.   See n. 105. 53  For Elpenor in an Orphic context, Bernabé – Jiménez San Cristóbal 2008, 30. 54   Cfr. Power 2013, 245, 250. 55  Analyzed by Ieranò 2013. 56  See with references Power 2010, 364. 57   A 1-3 Bern.-Jim., Timpone Piccolo: see discussion of   Edmonds 2004, 73-75. 51 52

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that between ca. 423-416 Kinesias was at the height of  his artistic popularity, and had as yet provoked mainly aesthetic controversy. It is therefore tempting to speculate that Kinesias’ Asklepios was stimulated by that god’s importation from Epidauros to Athens in 420 – perhaps even officially connected with it, given the dithyramb’s traditional use in facilitating innovations in cultic topography 58. The evidence discussed here for dithyramb’s traditional and ongoing interest in catabatic themes and mystery cult provides, I shall argue below, vital context for interpreting further activity of   Kinesias himself, along with what I  believe to be the most illuminating parallel – Diagoras of  Melos.

Kinesias’ Claim to Fame Returning to Birds, Aristophanes allows ‘Kinesias’ to develop a  number of   verses that are perhaps the closest thing we have to actual fragments (1392-1394,  1395b-1396,  1398-1401). Obviously we must allow for comic exaggeration. Still, from the earlier song of  the nightingale, and further lyric pastiches in other plays, Aristophanes clearly enjoyed trying his hand at different styles 59. In any case, after Peisetairos continues to abuse Kinesias, the poet exclaims, «this is how you treat me–the dithyrambist who am always fought over by the tribes?!» (ταυτὶ πεποίηκας 58  See above, n.  3. The influence of    Asklepios had probably grown during the Great Plague, the Peace of   Nikias (421) now allowing the relationship to be formalized (Dodds 1951, 193) – a gesture further motivated by Athenian strategic interests in the Peloponnese (Wickkiser 2008, 62-105, discounting the traditional involvement of   Sophokles, 66-67). Eleusinian cultic agents were closely involved, greeting the god at the Piraeus and escorting him to temporary quarters in the city Eleusinion during the Greater mysteries; he was later settled into place next to Dionysos Eleutheros on the south side of   the Acropolis (IG II2 4960/4961, SEG 25.226: Wickkiser 2008, 62-76). The god’s festivals at Athens were thereafter coordinated with the cults of   both Eleusinian Demeter and Dionysos Eleuthereus, including an Asklepieia on the first day of   the City Dionysia – with the dithyrambic contests on the following day (Wickkiser 2008, 77-89). Some connection between the healing god and ideas of   dramatic catharsis seems not unlikely (Wickkiser 2008, 82-84, cautious); note that a number of  theaters were later built in Asklepios-sanctuaries (Sear 2006, 45). Here the mimetic dithyramb might be as relevant as tragedy itself. 59  See generally Silk 1980.

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τὸν κυκλιοδιδάσκαλον, / ὃς ταῖσι φυλαῖς περιμάχητός εἰμ’ ἀεί; 14031404). At first glance, one might seek the humour in an empty boast, since the association of   poets and tribes was governed by a lottery system. But P. Wilson has attractively suggested, on the basis of   this line, that the lottery’s purpose was rather to establish the order in which χορηγοί would then choose from the list of   poets in the running that year; and so they might very well negotiate and haggle over who got whom 60. The joke would then be considerably amplified if  Kinesias had recently been everyone’s last choice. However, G. Ieranò has now made a compelling case for taking Kinesias’ words at face value 61. And after all, the victims of  comic literary criticism were not limited to those without talent, but included – indeed featured – those whose popularity and/or notoriety made them professional rivals in other genres 62. Agathon and especially Euripides are prominent examples in Aristophanes. Kinesias’ ongoing popularity, despite scandals to be discussed, is attested by a  choregic inscription from the early fourth-century – twenty years after Birds 63. A second inscription, dated by archon and prytany to early 393, is still more impressive 64. Here we learn that Kinesias proposed a  successful motion to pay some form of   official compliment to Dionysios  I, tyrant of   Syracuse. That this Kinesias is precisely the dithyrambic poet is a ready conclusion from the inscription’s location in the Temple of   Dionysos, and the Syracusan tyrant’s known patronage of   Philoxenos (and perhaps other ‘New Musicians’), along with his own poe­tic pretensions 65. Kinesias was thus moving in rather   Wilson 2000, 67-68.   Ieranò 2013. 62   Cfr.  Kowalzig – Wilson 2013b, 20 on comic venom having more to do with poe­tic rivalry than ‘musical ethics’. 63  IG II² 3028: — ατος Φαληρεὺς ἐχ[ορήγε — — —]|—]|— — Κινησίας ἐδίδ[ασκε]. 64  IG II² 18: ἐπ’ Εὐβολίδο ἄρχοντος ἐπὶ τῆς Π[ανδιο]-|νίδος ἕκτης πρυτανευόσης vacat |ἧι Πλάτων Νικοχάρος Φλυεὺ[ς ἐγρα]|μμάτευε.|ἔδοξεν τῆι βολῆι· Κινησίας εἶπε· π[ερὶ ὧν Ἀν]|δροσθένης λέγει ἐπαινέσαι Δι[ο]ν[ύσιον τὸ]|[ν Σικ]ελίας ἄρχ[ο]ντ[α] καὶ Λεπτίνην τὸ[ν ἀδελ]|[φὸ]ν τὸν Διον[υ]σ[ίο κα]ὶ Θεαρίδην τὸ[ν ἀδελφὸ]|[ν] τὸν Διονυσ[ίο καὶ Πολύ]ξενον τ[ὸν κηδεστὴ]|[ν τὸν Διονυσίο — — — — — — — — — — —]. 65   See Philoxenos PMG 816 = test. 30 + fr. 2 Fongoni; Diod. Sic. 15,  6; Ath. 1, 6e-f; Power 2013, 253; LeVen 2014, 16-18, 127-132, 144-148 et passim. 60 61

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exalted social circles, a  fact that suggests he was still prominent as an artist 66. Still we must not overlook the evidence of   Lysias, from one of   apparently two speeches that he delivered against Kinesias 67. Of  these, one is partially preserved by Athenaios in paraphrase and direct quotation. The orator was defending a  certain Phanias from a  charge of   παρανομία brought by Kinesias. To discredit his opponent, Lysias reminds the jury that Kinesias at some point abandoned his poe­tic art to become rich as a συκοφάντης 68. Of   course the orator may have distorted the picture for rhetorical effect; but even if  it is right that Kinesias left off  composing at some point, this would not prevent him from being active in cultural affairs, such as one reasonably infers from the inscription about Dionysios. Ieranò has plausibly connected Lysias’ attitude to Kinesias here with the orator’s hostility to Dionysios, against whom he delivered a powerful oration in the Olympiakos, delivered in 388 69. But the term συκοφάντης suggests some form of   obnoxious activity within Athens itself, whatever else may be implied. We shall return below to another important indication of  Kinesias’ involvement in political life.

Kinesias and Contemporary Kakodaimonism Athenaios goes on to give a  lengthy quotation from Lysias’ speech 70. The orator emphasizes how ironic it is that Kine  Cfr. Kowalzig – Wilson 2013b, 24 n. 94.   Cfr. Harp. Gramm. s.v. Κινησίας: Λυσίου βʹ λόγοι εἰσὶ πρὸς Κινησίαν κτλ. 68  Ath. 12, 551a-552b: ὅτι δὲ ἦν ὁ Κινησίας νοσώδης καὶ δεινὸς τἄλλα Λυσίας ὁ ῥήτωρ ἐν τῷ ὑπὲρ Φανίου παρανόμων ἐπιγραφομένῳ λόγῳ εἴρηκεν, φάσκων αὐτὸν ἀφέμενον τῆς τέχνης συκοφαντεῖν καὶ ἀπὸ τούτου πλουτεῖν, «Lysias the orator, in the speech entitled In Defense of  Phanias on a Charge of  Lawlessness, has said that Kinesias was sickly (unwholesome?) and strange in other respects, asserting that he (Kinesias), giving up his art, turned informer and thereby grew rich». 69  Ieranò 2013, 380. 70   Ath. 12,  551d  = Lys. fr.  53 Thalheim (p.  350,  22  ff.): Θαυμάζω δὲ εἰ μὴ βαρέως φέρετε ὅτι Κινησίας ἐστὶν ὁ τοῖς νόμοις βοηθός, ὃν ὑμεῖς πάντες ἐπίστασθε ἀσεβέστατον ἁπάντων καὶ παρανομώτατον ἀνθρώπων γεγονέναι. Οὐχ οὗτός ἐστιν ὁ τοιαῦτα περὶ θεοὺς ἐξαμαρτάνων, ἃ τοῖς μὲν ἄλλοις αἰσχρόν ἐστι καὶ λέγειν, τῶν κωμῳδοδιδασκάλων ‹δ’› ἀκούετε καθ’ ἕκαστον ἐνιαυτόν; οὐ μετὰ τούτου ποτὲ Ἀπολλοφάνης καὶ Μυσταλίδης καὶ Λυσίθεος συνειστιῶντο, μίαν ἡμέραν ταξάμενοι τῶν ἀποφράδων, ἀντὶ δὲ νουμηνιαστῶν κακοδαιμονιστὰς σφίσιν αὐτοῖς τοὔνομα θέμενοι, 66 67

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sias, of   all people, should pose as a defender of   the law – Kinesias «who you all know has been the most unholy and lawless of   all mankind. Was it not he who committed offenses against the gods – offenses of   the sort which, for other men, are a matter of   shame even to say (αἰσχρὸν καὶ λέγειν) – offenses that you hear about year after year from the comic poets?» That Lysias could appeal to the jurors in these terms shows that, while Kinesias may indeed have been successful and popular at some stages (n.b.) of   his career, the negative view implied by Aristophanes and his colleagues – especially in the later Aristophanic references (Frogs, Ecclesiazusae) – is not entirely comic fiction. Kinesias was genuinely controversial in some way. Lysias goes on to mention a  sort of   dinner club or sympotic ἑταιρεία founded by Kinesias and two like-minded characters, the purpose of   which, he claims, was «to mock our gods and laws». They called themselves, provocatively, the Κακοδαιμονισταί – roughly the ‘Cursed Wretches’ 71. Lysias pairs this name, by way of   contrast, with Nουμηνιασταί, a typical designation of   clubs who followed the custom of   meeting upon the New-Moon day 72; by contrast Kinesias’ group «dined together, choosing one of   the forbidden days» (συνειστιῶντο, μίαν ἡμέραν ταξάμενοι τῶν ἀποφράδων). But Κακοδαιμονισταί equally mirrors Ἀγαθοδαιμονισταί (‘Good Fortune Club’), a  respectable name used by clubs of   abstemious habits 73. No doubt Kinesias and his friends drank freely, «making a point of   dining on unlucky days» to «exhibit [their] scorn of    superstition by deliberπρέπον μὲν ταῖς αὑτῶν τύχαις, οὐ μὴν ὡς τοῦτο διαπραττόμενοι τὴν διάνοιαν ἔσχον, ἀλλ’ ὡς καταγελῶντες τῶν θεῶν καὶ τῶν νόμων τῶν ἡμετέρων κτλ. «But I am amazed if  you are not angered that Kinesias is the ‘defender of  the laws’, Kinesias who you all know has been the most irreligious and lawless of  all men. Is this not the man who has committed such sins against the gods as others would find shameful even to say, and which you hear about from the comic poets every year? Did not Apollophanes and Mystalides and Lysitheos used to dine with him, choosing one of  the forbidden days, and giving themselves the name of  the ‘Cursed Wretches’, rather than ‘New Mooners – this being appropriate to their fortunes – not indeed that they came up with the idea in order to bring this (scil. bad fortune) about, but to mock our gods and laws etc.». 71  Cfr. Pherec. 155, 8: Κινησίας ὁ κατάρατος. 72  For which, Poland 1909, 64. 73  Calhoun 1913, 32-33 (noting Hesych. s.v.  Ἀγαθοδαιμονισταί· οἱ ὀλιγοποτοῦντες); Dodds 1951, 188; Woodbury 1965, 210.

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ately tempting the god [and] doing as many unlucky things as possible» 74. To modern ears the Kakodaimonists may sound like a highspirited group of    young aristocratic intellectuals, and quite probably they saw themselves in just this light 75. Nor were they alone; from Demosthenes’ speech against Konon we learn of   other rowdy aristocratic clubs called Ithyphalloi and Autolekythoi that engaged in priapic sexual initiations and, like Kinesias, did things that were shameful for reasonable people even to mention 76. Konon himself  had belonged to a  group called the Triballoi (54.39) – self-styled barbarians who, among other stunts, used to steal and eat the so-called ‘dinners of   Hekate’ (Ἑκαταῖα). These were offerings to the goddess of   an apotropaic and cathartic nature, which the affluent would set out at shrines or statues of   Hekate (Ἑκάταια/Ἑκαταῖα 77) – commonly located at crossroads and/or before houses 78 – on the thirtieth of   the month 79. Since these ‘dinners’, predictably, were typically consumed by the destitute 80, the Triballoi’s ‘sacrilege’ consisted not only in undermining the apotropaic benefits of   the δεῖπνα, but equally in the refusal of  charity and noblesse oblige. Such groups’ «desire to live dangerously» and their «contempt for religious conventions … engendered by rationalism» 81 is the best context, I think, for an anecdote about Kinesias told   Dodds 1951, 188.   Murray 1990, 158-160. 76   Demosth. 54, 14, 16-17: οὗτοι γάρ εἰσιν οἱ τελοῦντες ἀλλήλους τῷ ἰθυφάλλῳ, καὶ τοιαῦτα ποιοῦντες ἃ πολλὴν αἰσχύνην ἔχει καὶ λέγειν, μή τί γε δὴ ποιεῖν ἀνθρώπους μετρίους. For this passage, see Borthwick 1993. 77   Both accentuations are found: see Dover 1993, ad 366; cfr.  LSJ s.v. Ἑκαταῖος. 78 Aristoph. Vesp. 804 (ὥσπερ Ἑκάταιον, πανταχοῦ πρὸ τῶν θυρῶν) guarantees regular placement before houses/doors/gates, whence Hekate’s epithet Προπυλαία, Hesych. s.v., cfr.  s.v.  ἑκάταια· τὰ πρὸ τῶν θυρῶν Ἑκάτης ἀγάλματα. τινὲς δὲ τὰ ἐν τριόδοις; Farnell 1896-1909, II, 509 and 601 §23b; Kraus 1960, 13, 39, 68, etc. (for archaeological remains, 97-128 with Taf. 3-24). 79  For the custom, see Meuli 1946, 200-201; Borthwick 1966, 333-336. 80  For the Hekate-dinners, see esp. Aristoph. Plut. 594-597 with scholia; Lucian Dial. Mort. 1; Farnell 1896-1909, II, 511 and 600 §13b; Kraus 1960, 91. For the sacral, apoptropaic character of   such offerings, implicit in their synchronization with the lunar cycle, cfr. Plut. Q uaest. rom. 280c, 290d. 81   Murray 1990, 159. 74 75

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twice by Plutarch – once, appropriately, in his essay on How young people should listen to poets. During a performance in Athens of  Timotheos’ Artemis, after the goddess was described as «mantic, frantic, Bacchic, fanatic» (θυιάδα φοιβάδα μαινάδα λυσσάδα) 82, Kinesias leapt up from the audience and shouted «May you have a daughter like that!» 83. This tale is one of  several that exemplify «New Music’s internecine criticism … performed paratextually, in the form of   epideictic quips delivered offstage»; while their historicity is often questioned, they are held at least to encapsulate aspects of   contemporary critical discourse and intergeneric professional rivalry. On this view, criticism of  kitharoidia is made the more effective by having Kinesias, of   all people, «vent his moral outrage; next to Timotheos» he is «a bulwark of   decency and ‘family values’» 84. (Other such scenes are discussed by M. Ercoles in this volume.) But the anecdote must be equally connected with three distinctive qualities that Kinesias no doubt possessed: an irrepressible wit, a sharp sense of   dramatic timing, and a taste for flirting with public outrage. I confess that I find the story perfectly believable, given Kinesias’ kakodaimonism. But not everyone would have been so easily amused: interrupting an essentially cultic event – a musical offering to the goddess – would have been seen by many as sacrilegious 85. By contrast such behavior would have been tolerated and indeed expected at a comic competition, with its rowdy public 86. Interestingly, of   the other three Kakodaimonists whom Lysias names, one – Apollophanes – was perhaps the comic poet of  this name 87. In any case Kinesias’ outburst   Trans. Campbell.  Plut. De superstit. 10 (170a-b): Τοῦ Τιμοθέου τὴν Ἄρτεμιν ᾄδοντος ἐν Ἀθήναις καὶ λέγοντος «θυιάδα φοιβάδα μαινάδα λυσσάδα» (PMG 778) Κινησίας ὁ μελοποιὸς ἐκ τῶν θεατῶν ἀναστάς, «τοιαύτη σοι,» εἶπε, «θυγάτηρ γένοιτο»; cfr. De aud. poet. 4. 84   Power 2010, 214,  508; Power 2013, 248-249 (quotation); cfr.  LeVen 2014, 191. 85  Kinesias’ ἀσέβεια is often emphasized: [Lys.] 6, 17 (In Andocidem); fr. 53 (= Ath. 12, 551d); Harp. Gramm. s.v. Κινησίας. 86  Cfr.  Aristophanes’ insults to audience members (Nub. 1100-1105, Ran. 276, etc.), and Sokrates’ standing up while Clouds was in progress so that foreigners might see who the play’s target was (Ael. VH 2.13). Such exchanges are given literary form by the intertextual dialogues between Aristophanes, Kratinos, and their contemporaries: see inter al. Hubbard 1991; Bakola 2010; Biles 2011. 87   Calhoun 1913, 32. 82 83

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may be connected with other evidence for the adoption of  comic modes by contemporary poets of   the dithyramb and citharodic nomos (see further below). Normally, no doubt, provocative club antics provoked only shaking heads and wagging fingers, to be brought up by a Lysias or Demosthenes if  circumstances went from bad to worse. But public tolerance had its limits, as shown by the famous events of   415 when at least five separate sympotic ἑταιρεῖαι were prosecuted for profaning the Eleusinian mysteries by performing them privately, without official cult personnel, and in the presence of   non-initiates 88. Whether or not these transgressions had some sinister political motivation, as was feared, remains unclear. Nor do all scholars agree that the private mysteries were parodic 89, though it is interesting to find as many as three comic poets among the accused 90. The scandal must be equally seen as a manifestation of  the contemporary sophistic environment and its intellectual emancipation from traditional religious authority. It is surely significant that Plato set his Symposium in 416 bc at the house of  Agathon, a  ‘New Musician’; that the dialogue’s philosophical centerpiece is presented as a kind of   initiatory myth 91; and that it closes with Sokrates convincing Agathon and Aristophanes that one and the same playwright could compose both tragedy and comedy (223c-d). The dialogue presents a discreet and highly stylized literary representation, molded to suit Plato’s own ends, of   the social-intellectual scene within which the scandal transpired; it is no coincidence that Alkibiades puts in an appearance – after the main event, and arriving from some more reckless symposium of  his own. I suggest that the contemporary dithyrambists to whom Aristophanes alludes in both Clouds and Peace were flirting with   For this and other impiety trials of   the period, see with earlier literature Rubel 2014 (2000); Murray 1990 for discussion of  the affair in terms of  sympotic clubs. 89  For the various motivations proposed, see Rubel 2014  (2000), 94-95; Murray 1990, 155, rejects the idea of  parody. 90  Arkhippos, Aristomenes, Kephisodoros: Andoc. De myst. 13, 15. Noted by MacDowell 1962, Appendix N; cfr. Woodbury 1965, 210 n. 91 («If  this is right, they belong to the circle of  impious poets, with Diagoras and Cinesias»). For the possible relevance of  Diagoras to such groups, cfr. also Wehrli 1961; Winiarczyk 1980, 75; Rubel 2014 (2000), 213 n. 43. 91  Pl. Symp. 209e 5-210a 4 with Dover’s comments. 88

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the same kind of   intellectual renovations. But since they operated in the public, cultic sphere, the potential for causing offense was correspondingly greater, notwithstanding that the dithyramb was itself  traditionally viewed as an appropriate medium for innovation 92. I  believe this situation best accounts for the famous ‘atheism’ of   Diagoras of   Melos, against whom Athens issued a ‘wanted, dead or alive’ decree ca. 417-415 «on account of   his impiety since he explained the mysteries to everyone, making them common knowledge and trivializing them, causing would-be initiates to turn away» (διὰ τὸ ἀσεβὲς αὐτοῦ, ἐπεὶ τὰ μυστήρια πᾶσι διηγεῖτο κοινοποιῶν αὐτὰ καὶ μικρὰ ποιῶν καὶ τοὺς βουλομένους μυεῖσθαι ἀποτρέπων) 93. This ‘diversion of   initiates’ from Eleusis is surely connected with the ‘private mysteries’ that were officially targeted in 415, even if  the precise relationship, and the timing of   the Diagoras decree, remain unclear. Key evidence here is the speech of   Ps.-Lysias (ca.  399) against Andokides, who had turned state’s witness in the affair. The orator, that his audience might best appreciate the degree of   the defendant’s impiety, compares him with none other than Diagoras; Andokides was more impious (ἀσεβέστερος) than Diagoras because the former commited in deed (ἔργῳ) what the latter had done only through words (λόγῳ) 94. Now two book-titles – the Apopyrgizontes Logoi and Phrygioi Logoi – are indeed attributed to Diagoras by later sources. But Woodbury and Winiarczyk have convincingly argued, on the basis of   the titles and the little that can be inferred of  their content, that these were fourthcentury or later forgeries calculated to fill a hole in public knowledge about this pioneer ‘atheist’ 95. If  no genuine prose treatise by Diagoras was available even in the fourth century, he must never   For the latter point, cfr. Kowalzig – Wilson 2013b, 3, 7-13.   Σ Aristoph. Av. 1073, drawing on good fourth/third century sources: Melanthios’ On the Mysteries (FGrH 326 F 3) and Krateros’ Collection of  Decrees (FGrH 342 F 16); cfr. Σ Nub. 829. For the affair of  Diagoras, see esp. Jacoby 1959; Woodbury 1965; Winiarczyk 1979; Winiarczyk 1980; Winiarczyk 1981; Rubel 2014 (2000), 68-70. 94 [Lys.] In  Andoc. 17: τοσοῦτο δ’ οὗτος Διαγόρου τοῦ Μηλίου ἀσεβέστερος γεγένηται· ἐκεῖνος μὲν γὰρ λόγῳ περὶ τὰ ἀλλότρια ἱερὰ καὶ ἑορτὰς ἠσέβει, οὗτος δὲ ἔργῳ περὶ τὰ ἐν τῇ αὑτοῦ πόλει. 95   Woodbury 1965, versus the bibliocentric arguments of   Jacoby 1959; Winiarczyk 1979; Winiarczyk 1980. Janko’s identification of   the Derveni Papy92 93

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have produced one. But what then can Ps.-Lysias mean by λόγος? Since our sources are generally agreed that Diagoras was a  lyric poet and specifically a  dithyrambopoios 96, and since Diagoras’ divulgence of  «other people’s holy rites and festivals» was clearly on a grand scale (τὰ μυστήρια πᾶσι διηγεῖτο seems to go well beyond the public impact one might expect for a book at this time), the obvious medium for Diagoras’ sacrilegious λόγος is a public performance – most probably the spectacular circular choruses of   the City Dionysia. Perhaps it was this very incident that gave rise to the expression ἐξορχεῖσθαι τὰ μυστήρια, to ‘dance out’, i.e. ‘divulge’, the mysteries. Although this usage is attested only in later sources, it obviously assumes an earlier history and is typically connected with Eleusinian/Orphic contexts – being used twice of   Diagoras himself  97. The dithyramb’s traditional interest in catabatic myths would also suit the scandal, since the Eleusinian mysteries enacted the abduction and return of   Persephone; and the statement of   Athenagoras, that Diagoras «displayed the Orphic λόγος in the open (εἰς μέσον)», fits both the Eleusinian context and the performance scenario proposed 98. Recalling that rus with Diagoras’ book (Janko 2001; Janko 2009) has not won general acceptance: see Betegh 2004, 373-380. 96  Diagoras is called a διθυραμβοποιός by Σ Aristoph. Nub. 830; Σ. Aristoph. Ran. 320; Sext. Emp. Adv. Math. 9, 402. Lyric poet more generally: Σ Aristoph. Ran. 320 μελῶν ποιητής; Aristox. fr. 45/1 ap. Philodem. De piet. 18, p. 85 Gomperz (the source of  Diagoras PMG 738a-b, also Sext. Emp. loc. cit.); Sud. s.v. Διαγόρας: φιλόσοφος καὶ ᾀσμάτων ποιητής … τῇ λυρικῇ ἐπέθετο, τοῖς χρόνοις ὢν μετὰ Πίνδαρον καὶ Βακχυλίδην, Μελαννιπίδης (Μελαννιπίδου?) δὲ πρεσβύτερος. Diagoras’ encomium for Mantineia is consistent with a  dithyrambic career, as is the report that Diagoras helped the Mantineian wrestler Nikodoros draft laws for his city: Philodem. De piet. 18, p. 85 Gomperz with Henrichs 1974 = Aristox. fr. 45/1 (Customs of   the Mantineians) = Diagoras of   Melos PMG 738; Ael. VH 2.23; for ‘polis-encomium’ and related political functions of  dithryamb, Wilson 2000, 6667; Wilson 2003a; Kowalzig – Wilson 2013b, 9-15; Fearn 2013, 135-139 et pass. 97   Note especially its conjunction with διθυραμβοποιός in Σ Aristoph. Nub. 830: Διαγόρας ἐγένετο Μήλιος διθυραμβοποιός, ὃς τὰ ἐν Ἐλευσῖνι μυστήρια ἐξορχησάμενος καὶ ἐξειπὼν ἀσεβέστατος ἐξεκρίθη; cfr. Tatian. Oratio ad Graecos 27: Διαγόρας … τοῦτον ἐξορχησάμενον τὰ παρ’ Ἀθηναίοις μυστήρια τετιμωρήκατε. Also Lucian De salt. 15 and Pisc. 33 (the latter with sensible comments on how inept dramatic enactments can lead to charges of   impiety); Alciphron 3, 36, 1; P. Oxy. 411, 25 (Alkibiades). 98  Athenag. Legatio sive Supplicatio pro Christianis 4, 1: μὴ μόνον τὸν Ὀρφικὸν εἰς μέσον κατατιθέντι λόγον ἀλλὰ καὶ τὰ ἐν Ἐλευσῖνι καὶ τὰ τῶν Καβίρων δημεύοντι μυστήρια κτλ.

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even Aiskhylos was once charged for revealing the mysteries on stage – the same is said of  Euripides – one may guess that Diagoras presented some sophistic interpretive allegory that was too heavyhanded 99. The Derveni Papyrus is at least an illuminating parallel 100. A vital indication comes from Epikouros’ testimony (relayed by Philodemos) that Diagoras, Prodikos and Kritias (whom he compared to Bacchants, an appropriate description for a  dithyrambopoios like Diagoras 101) «explained the names of   the gods by changing letters» 102. This means that when in Clouds Aristophanes calls Sokrates ‘the Melian’ 103 in connection with the idea that Zeus (genitive Διός) should be understood rather as a ‘Celestial Vortex’ (Δῖνος), we can be confident that the comedian does wish to evoke an idea purveyed by Diagoras himself. That there are several precedents for a cosmic ‘whirl’ in the pre-Socratic fragments does not undermine this suggestion; just the opposite 104. But here too we can link Diagoras to his poe­tic activity, since the same kind of   etymological manipulation is explicitly attested for the dithyramb by Plato, with Melanippides and Likymnios providing cases-in-point 105. Evidently «what connects neo-dithy99  Aeschylus: Heracl. Pont. fr.  170; Ael. VH 5.19; Euripides: Satyros, Vita Eur. 10. See further references in Brown 1991, 43 n. 9. Cfr. Clinton 1992, 90: «We do not know, in fact, how much of  the (scil. Eleusinian) myth could be safely revealed». 100  See n. 95 above. 101 Cfr. Pl. Ion 533d-534e; Leg. 3, 700d; Franklin 2013, 233. 102  Philodem. De piet. part I, col.  19, lines 518-541 (Obbink 1996): κα[ὶ γὰρ]|παραγραμ ̣μίζ[ουσι]|τὰ τ[ῶ]ν ̣ ̣ θεῶν [ὀνόμα-]|τα κτλ. (trans. Obbink – Janko). 103   The reference to Diagoras was readily recognized in antiquity, cfr. Σ 829: Ἀθηναῖον δὲ ὄντα Σωκράτη(ν) τοιῶσδε Μήλιον λέγει· ὡς ἄθεον ἀπὸ Διαγόρου τοῦ Μηλίου. Τhe story of   Diagoras’ crisis of   faith follows, then an account of   the decree: ηὐτέλιζε γὰρ καὶ τὰ τῆς Δήμητρος μυστήρια καὶ τούτων κατεγέλα πρὸς ἀμυήτους ἐκφέρων αὐτά. οὕτω Μήλιον νῦν τὸν Σωκράτην καλεῖ; cfr.  Σ 830a: Ἀρισταγόρας (corrupt) ὁ Μήλιος ἄθεος ἦν. ἀντὶ γοῦν τοῦ εἰπεῖν· ἄθεος, Μήλιος λέγει; 830b: Μήλιος· ἄθεος. 104 Aristoph. Nub. 380 (αἰθέριος Δῖνος), 829-830, 1471 with Janko 2001, 8 and n. 26-27, 13. Aristophanes quite probably earned laughs from this brainy material by having a terracotta pot, also δῖνος, in place of  a herm before the Phrontisterion: see Dover 1968, lxxvi and 265 ad 1473 with Σ ad loc. For the pre-Socratic parallels, Dover 1968, ad 380. 105 Pl.  Crat. 409c, where Sokrates’ parodic etymology of    Selene (< σελα­ ενονεοάεια < σέλας +  ἕνον +  νέον +  ἀεί) elicits from Hermogenes the reaction Διθυραμβῶδές γε τοῦτο τοὔνομα: cfr.  Ford 2013, 320 and 327 («we may infer that the dithyrambist aspired to the enlightened, cosmic knowledge of  a word-

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rambists and sophists is their apparent interest in finding truth in language» 106. This common impulse suggests a deeper ‘scientific’ connection between some cosmic Dinos and the Aristophanic Kinesias’ emphasis on -δόνητoς compounds among the ‘meteoric’ language he uses to describe his own cloud-inspired diction 107. Celestial rotation would also be an ideal subject for representation in a circular dance, recalling both the mimetic quality of  the dithyramb itself  108, and the abundant literary evidence for ‘star choruses’ deriving probably from choral traditions going back to the Archaic period 109. Note that δῖνος and its relations are used of  dance 110. In any case Aristophanes’ allusion to Zeus-Dinos clarifies that Diagoras’ ‘atheism’ was not a wholesale denial of  divine power (as was commonly alleged by later sources without access to the λόγος in question 111). Rather, Diagoras «introduced/proposed novel divinities» (the eventual charge against Sokrates himself 112) and re-interpreted existing theology – hence his treatment of  the Eleusinian mysteries, along with (allegedly) the Ὀρφικὸς λόγος and the Kabeiroi-cult of  Samothrace. Nor need we assume that a poet with such interests was incapable of   producing more traditional verses when the occasion required; the conventional material that maker»), with observations (328-329) on Likymnios of   Chios and his stylistic/ linguistic theories; note for instance Likymnios’ association of   ὕβρις and Κύπρις (Dion. Hal. Dem. 26) and especially the derivation of   Akheron < ἄχεα by both Likymnios (PMG 770a-b) and Melanippides (PMG 759); cfr.  LeVen 2014, 165-166. 106  LeVen 2014, 166; cfr.  187: «The novelty of   the language of   the New Musicians resides less in some linguistic tools characteristic of   elevated diction (compounds, strings of  adjectives, etc.) than in the way these features are used to explore the relationship between language and things». 107  Aristoph. Av. 1381 (ἀεροδονήτους), 1387 (πτεροδόνητα), 1402 (πτεροδό­ νητος, mocked by Peisetairos); passage given above. 108 Pl.  Resp. 3,  394b-c; Arist. Poet. 1,  1447a 13-16, b 24-28,  1461b 30-31; [Arist.] Prob. 19, 15; see further Lawler 1950, 83-84; Zimmermann 1992, 127128; Kugelmeier 1996, 225-226; Calame 2013, 341-352; Peponi 2013; LeVen 2014, Chapter 5; and below. 109  Cosmic dithyramb and star-choruses: Lawler 1960; Lawler 1964, 12-13. For Alkman fr. 1, see Ferrari 2008 (whose overall thesis I find persuasive). 110 LSJ s.v. δῖνος Ι.3, δινεύω/δινέω ΙΙ. 111  Woodbury 1965, 208-210 clarified the nature of   Diagoras’ ‘atheism’ against the semantic history of   the Gk. ἄθεος; this view is upheld by Winiarczyk 1979; Winiarczyk 1980; Winiarczyk 1981, XI-XIII. 112  Σ Aristoph. Ran. 320: Διαγόρας μελῶν ποιητὴς ἄθεος, ὃς καὶ καινὰ δαιμόνια εἰσηγεῖτο, ὥσπερ Σωκράτης; cfr. Σ Nub. 830: βλάσφημος εἰς τὸ θεῖον.

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Philodemos found quoted by Aristoxenos could have been composed at a different stage in Diagoras’ career, or for less culturally adventures venues than Athens (e.g. Argos and Mantineia, both attested for Diagoras 113).

The ‘Skatabasis’ of  Kinesias With this we may return to the ἀσέβεια of  Kinesias himself. Later centuries ranked Kinesias, like Diagoras, among the early ἄθεοι. But this time there is no question of   a book, only lyric poetry – most obviously the dithyramb. One incident in particular can be identified from two discontiguous verses of   Aristophanes’ Frogs; it is further illuminated by a combination of  scholia, several other Aristophanic passages and comic fragments, and what Lysias tells us about Kinesias. Most details must elude us. But perhaps the scandal can be better defined than it has been. The trail begins with the Frogs’ underworld chorus. These mystic initiates, modelled on the Eleusinian procession, enter singing a summoning song of   Iakkhos (an instantiation of   Dionysos) that may allude to one composed by none other than Diagoras of   Melos. Xanthias exclaims to Dionysos, ᾄδουσι  … τὸν Ἴακχον ὅνπερ ΔΙΑΓΟΡΑΣ (Ran. 320) – either «they are singing the very Iakkhos-song that Diagoras (scil. sang)», or «the very Iakkhos-song that (scil. they sing when marching) through the agora (δι’ ἀγορᾶς)». These two interpretations have been debated since antiquity. Aristarkhos believed that a  reference to Diagoras was intended; the alternative view, taken by Apollodoros of   Tarsus, is followed by most modern editors 114. (It may be of  course that Aristophanes wished ΔΙΑΓΟΡΑΣ to be ambivalent 115.) Ordinarily one would treat an obscure personal name as a more difficult reading, with ‘through the agora’ a kind of   banalization 116. That is offset in the present case by the plausibility of   the Eleusinian procession passing through the Agora   See n. 96.   Σ Aristoph. Ran. 320. Radermacher 1921, 181, held that Apollodoros’ reading requires too violent a brachylogy. 115  Cfr. Σ. Aristoph. Ran. 320: παρ’ ὑπόνοιαν δέ φησιν κτλ. 116  I thank Marco Ercoles for his helpful observations here. 113 114

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after leaving the Iakkheion 117. But this very point, one may counter, lends still further weight to Diagoras, whose notoriety was connected precisely with the Eleusianian mysteries. So ultimately the real challenge is to explain how the exiled ἄθεος could appear here in a basically positive context 118. To my mind, however, having the Frogs-chorus sing an Iakkhos-song reminiscent of   Diagoras seems entirely plausible considering that only two years earlier (407) Alkibiades himself  – the most prominent profaner of   the mysteries during the scandal – had pulled off  a stunning publicrelations coup when the Eleusinian priesthood not only revoked its curse against him, but appointed him mystagogue and leader of   the great procession that had been suspended since the Spartan occupation of  Decelea in 413 (on Alkibiades’ own advice!) 119. Inevitably this grand event will have jumped to the audience’s mind when they saw Aristophanes’ parading chorus, all the more so since the Eleusinian procession had now been once again suspended 120. Given the playwright’s plea for general public forgiveness and the recall of   exiles in the face of   the present crisis 121, an evocation of  Diagoras is perhaps not entirely inappropriate. This would be all the more permissable if  the Melian poet had recently died; compare Aristophanes’ now-respectful treatment of   Kratinos in the same scene 122. In any case, approaching the initiates through the eyes of  Dionysos himself  gives us a  remarkable ‘back-stage’ view of   divine epiphany through song. We arrive just in time to hear the call for εὐφημία and the exclusion of   the uninitiated. This proclamation is modelled on the πρόρρησις of   the Eleusinian mysteries, but is   Cfr. Graf  1974, 49 n. 42; Dover 1993, ad 320.   Hence Dover 1993, ad 320: «It seems a poor joke and theatrically pointless to say, just at the moment when we are expecting to see and hear the chorus of   initiates, that this chorus is singing the song which is or was sung by someone who rejected and ridiculed initiation». But if  one accepts the dithyrambic interpretation of  Diagoras’ λόγος proposed above, ‘rejection’ and ‘ridicule’ may not be an entirely fair description of   the poet’s original intent – even if  he was charged with precisely this in 415. 119   Xen. Hell. 1, 4, 20; Plut. Alcib. 34, 3-6; cfr. Segal 1961, 236-237 n. 44. 120  Edmonds 2004, 119, 147. 121  Aristoph. Ran. 686-704 with Dover 1993, 73-75. 122   The date of  Diagoras’ death is unknown, but will not have been far from 405: Winiarczyk 1979, 212-213; Winiarczyk 1981, VII. 117 118

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ingeniously modified – notably by reference to the «Bacchic-rites of  bull-eating Kratinos» – to present comedy as a special mysterycult of  its own 123. And with this we return unexpectedly to Kinesias, whom a  pointed allusion banishes from this happy troupe (354-366): Xo. εὐφημεῖν χρὴ κἀξίστασθαι τοῖς ἡμετέροισι χοροῖσιν, ὅστις ἄπειρος τοιῶνδε λόγων ἢ γνώμην μὴ καθαρεύει, ἢ γενναίων ὄργια Μουσῶν μήτ’ εἶδεν μήτ’ ἐχόρευσεν, μηδὲ Κρατίνου τοῦ ταυροφάγου γλώττης Βακχεῖ’ ἐτελέσθη, ἢ βωμολόχοις ἔπεσιν χαίρει μὴ ’ν καιρῷ τοῦτο ποιούντων, … ἢ κατατιλᾷ τῶν Ἑκαταίων κυκλίοισι χοροῖσιν ὑπᾴδων Chorus:

Let him keep a  reverent silence and stand clear of   our choruses – he who has not experienced these tales or is impure in judgment, and has neither seen nor danced the Muses’ noble rites, nor been inititated in the Bacchic-mysteries of   bull-eating Kratinos’ tongue, or enjoys buffoonish remarks when people are doing this out of  season … or who shits upon the EKATAIA while accompanying dithyrambic choruses 124 …

The startling last line here obviously refers to something very specific, and the scholia, along with several later lexicographers (commenting on κατατιλᾷ), are unanimous that it alludes to Kinesias. The scholia offer a range of  explanations that modern scholars have tended to ignore in favor of  their own hypotheses, with considerable variety thanks to several interlocking puzzles in Aristophanes’ diction. The crucial problem is how to understand ΕΚΑΤΑΙΑ. Modern analysis has been misled, I shall argue, by the word’s two most familiar meanings – the Hekate-dinners and Hekate-shrines, 123  For this passage, see recently Halliwell 2008, 211-214; Rosen 2015, 80-83. 124  There is some debate about how the degree of    terminological overlap between κύκλιοι χοροί and διθύραμβος (see esp. Ceccarelli 2013); but such doubts cannot apply to the present Athenian context and the involvement of  Kinesias.

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discussed above – though how either of   these could accord with a dithyrambic context is hardly obvious: it is hard to imagine several Hekate-shrines, much less Hekate-dinners, being brought into the performance space of   (probably) the City Dionysia 125. Critics are also divided as to whether κατατιλᾷ should be taken literally, or is merely a colorful expression for ‘insult’ 126. Ehrenberg, seeking further support for his proposition that «religion ha[d] lost a good deal of  its power, at least for many», boldly embraced the most literal reading: «the images of   Hekate could be soiled by men engaged in religious dancing» 127. But most scholars who are prepared to take κατατιλᾷ seriously nevertheless shy away from imagining that even Kinesias could intentionally defecate during an actual cult performance. This has led to the prevailing theory that the poet suffered an embarrassing attack of   incontinence during a  dithyrambic performance, connected somehow with the wasting disease known to Lysias and Plato Comicus 128. The fatal flaw of  this approach is Lysias’ clear statement that Kinesias was prepared to commit acts that would be shameful for others even to say; and that he was derided for this, year after year, by the comic poets 129. This leaves little doubt that Lysias had in mind the very episode to which Aristophanes alluded in Frogs, Gerytades (fr. 156), and a passage from Ecclesiazusae (391?) 130. We must therefore reject the theory of   Kinesias’ incontinence, in all its 125  The necessary choral context for which I shall argue will exclude the otherwise attractive suggestion by Kraus 1960, 91 n.  453, that the incident relates to Hekate-shrines as a receiving-place for refuse deriving from purification rites (with excrement explicitly mentioned in CIL III 1966); cfr.  Kugelmeier 1996, 241 and n. 419. 126  Cfr. Aristoph. fr. 157, 3 (noted by Sommerstein 1996 , 189). 127   Ehrenberg 1962, 267. 128 For Kinesias’ disease, see further below. Incontinence theory: Dover 1993, 241-242 ad 366; Dunbar 1998, 661; Lada-Richards 1999, 230 n.  36; Bliquez 2008, 323. Cfr.  Σ ad  loc.: ἢ κατατιλᾷ τῶν Ἑκαταίων, ἤτοι κατὰ τῶν ἀγαλμάτων τῆς Ἑκάτης κόπρον ἐκκρίνει διάρρυτον, τουτέστι ὑγρὰν, ὑπᾴδων τοῖς χοροῖς κυκλίοις ἤγουν λυρικοῖς ποιήμασιν. But this notice probably affirms nothing as τιλᾶν and τῖλος themselves already imply ‘thin stool’ (LSJ, s.vv.). If  κατατιλᾶν does indeed imply diarrhoea specifically, this can be explained, I  believe, by the joke’s repeated connection with saffron-colored garments, as only liquid excrement would approximate to the necessary ‘dye’ (see further below). 129  Fr. 53 Thalheim: τοιαῦτα περὶ θεοὺς ἐξαμαρτάνων, ἃ τοῖς μὲν ἄλλοις αἰσχρόν ἐστι καὶ λέγειν κτλ. 130   As concluded long ago by Maas 1922, 480 line 45-51.

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variations, as a scholarly factoid 131. The poet’s sacrilege was due to some intentional action. An alternative solution has been to unbolt the participial phrase κυκλίοισι χοροῖσιν ὑπᾴδων from κατατιλᾷ and construe it more closely with ὅστις (355), and thus understand the circumstances loosely; this way the defecation incident can take place independently of   a dithyramb, merely in a season when Kinesias was otherwise training a  chorus 132. Such a  view must be tacitly assumed by O. Murray, who, seeking a parallel with the Triballoiclub and their pilfering of   Hekate-dinners, suggested that Kinesias shat on Ἑκάτης δεῖπνα during a komos with his own ἑταιρεία 133. This proposal is initially quite attractive 134. But a further passage in Frogs compels us to reject any interpretation that does not directly link κατατιλᾷ τῶν Ἑκαταίων with the choral context of   κυκλίοισι χοροῖσιν ὑπᾴδων. Earlier in the play Herakles, the great Eleusinian initiate who first braved an underworld journey, explains to Dionysos what   An elaborate but valiant example is Sommerstein 1996, 170 and 189: «Presumably on some recent occasion a  collection of   such offerings [i.e. Hekataia] had been found fouled with excrement, and a joke went the rounds that Cinesias must have done it … his diarrhoea and his alleged impiety combining to make him the obvious suspect … Alternatively the passage may refer metaphorically to a poem by Cinesias which was considered disrespectful to Hecate or her worship, the metaphor being chosen with reference to Cinesias’ well-known affliction». 132  Kugelmeier 1996, 241-243; cfr.  Lawler 1964, 9-10 on the sacred status of  those preparing for such performances. 133   Murray 1990, 157, building on Calhoun 1913, 30-32, 36 (q.v. esp. for the Triballoi); cfr. Maas 1922, 480 line 45-51 «ein dem Hermokopidenskandal verwandter Frevel». 134  In  support of    Murray’s view one might add that such a  prank could be understood both in terms of   the Ἑκαταῖα-custom itself  (food spoiled by anti-food) and inter-club rivalry (one-upping a  known prank while presenting rival pranksters a  nasty surprise). One might even suggest some connection between the name Κακοδαιμονισταί and the act of   defecating (κακκᾶν) on something sacred. And while Kακοδαιμονισταί finds a more obvious lexical counterpart in Ἀγαθοδαιμονισταί, Lysias himself  pairs it rather with Nουμηνιασταί (see above). This in turn might evoke the Hekate-dinners, which were put out on the New-Moon day; although Kinesias’ club is said to have preferred other, inauspicious days for their meetings, this would not prevent pranks on other occasions (cfr.  Kugelmeier 1996, 242, thinking of   a  parodic occasional cult-song by Kinesias). Ultimately, however, I  believe that we must eschew any interpretive path not directly connected to dithyrambic performance: see further below. 131

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landmarks to look for en route – much as one might learn from an ‘Orphic’ gold-leaf  tablet, or from the ‘Sacred Drama’ of   the Eleusinian mysteries itself 135 – before reaching «a most beautiful light», the «breath of  pipe-music», and the chorus of  mystic initiates. After crossing the bottomless abyss in Kharon’s boat, and braving «countless snakes and most terrifying beasts» (ὄφεις καὶ θηρί’ ὄψει μυρία / δεινότατα, 143-144), Dionysos must first traverse a great stretch of  muck (βόρβορον πολύν, 145) in which are plunged many of  the same sinners treated as heroes by Adikos Logos in the Clouds. This much was current mystic theology: that the uninitiated cannot complete their post-mortem underworld journey, but must lie in mud akin to their unpurified and/or wicked state, is attributed by Plato to unnamed poets and mystic initiators (and is well paralleled in later sources) 136. Unique to Aristophanes, however, is the addition of   «ever-flowing excrement» (καὶ σκῶρ ἀείνων, 146). For Dover, the introduction of   σκῶρ was simply something that «comedy cannot resist» 137. Certainly the grandiose absurdity of  ἀείνων, which recalls the ever-flowing fountain of  some Orphic tablets, is classic Aristophanes. But there is more to it. Dionysos, when he hears about the sinners who are mired in the σκῶρ ἀείνων, adds a category of   his own – «whoever learned the πυρρίχη of   Kinesias». This apparent reference to a  shielddance has puzzled many scholars. Some have thought that Aristophanes used the term as a  way of   describing the hyperkinetic choreography of   Kinesian dance 138. Others seek a  more lit  For these well-known correspondences, see generally Segal 1961; Graf  1974, 40-50; Bowie 1993, Chapter 228-238; Lada-Richards 1999; Edmonds 2004. 136 Pl. Phaed. 69c (ὃς ἂν ἀμύητος καὶ ἀτέλεστος εἰς Ἅιδου ἀφίκηται ἐν βορβόρῳ κείσεται, cfr.  Olympiodoros ad  loc. παρῳδεῖ ἔπος Ὀρφικόν  = Kern fr.  235), 111d-e, 113a-b and Resp. 363d-e (τοὺς δὲ ἀνοσίους αὖ καὶ ἀδίκους εἰς πηλόν τινα κατορύττουσιν ἐν Ἅιδου), cfr. 533d; Plut. fr. 178 Sandbach; Ael. Arist. 22, 10; Plot. 1,  6, 6 (αἱ τελεταὶ ὀρθῶς αἰνίττονται τὸν μὴ κεκαθαρμένον καὶ εἰς Ἅιδου κείσεσθαι ἐν βορβόρῳ, ὅτι τὸ μὴ καθαρὸν βορβόρῳ διὰ κάκην φίλον); Diog. Laert. 6,  39. Cfr. Dieterich 1893, 73, 82-83; Rohde 1907, 240 and 248 n. 15; Graf  1974, 103107; Dover 1993, 209 ad 145; Edmonds 2004, 136 and n. 67; Bernabé – Jiménez San Cristóbal 2008, 20 n. 46 (with secondary literature, cfr. 56). 137  Dover 1993, 209 ad 145. 138  Lawler 1950, 85; Lawler 1964, 19-20; Dover 1993, 210 ad 152-153; Ieranò 1997, 310. 135

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eral connection and suggest that Kinesias composed an actual πυρρίχη 139. A corrupt and lacunose passage of   Diomedes the Grammarian may attest that the metrical foot called pyrrichius was sometimes known as ‘the Kinesias’; but as he cites the very verse with which we are concerned, this may be no more than – at best – a metricians’ usage derived from Aristophanes himself 140. (The same argument applies to cognate material in Σ Aristoph. Ran. 153 and Suda s.v. πυρρίχη.) There remains a  possible connection between Kinesias and shields in the Pherekrates fragment mentioned above 141. It is certainly conceivable, given the inclusive and experimental nature of the contemporary dithyramb, and its juxtaposition with πυρρίχη in some performance environments, that Kinesias may have incorporated pyrrhic elements into his choreography 142. Be this as it may, L. Bliquez has shown that Aristophanes had something more ‘fundamental’ in mind 143. For the comedian was fond of  using the cognate πυρρόν and its relations – connoting a  yellowish-reddish color – in excrement jokes, specifi139  Sommerstein 1996, 170, who would even date it to the Great Panathenaia of   406; but note that this would not accord with the usual dating to 408 or 407 of   Aristophanes’ Gerytades, since that play’s River of   Diarrhoea (fr.  156) must refer back to the same Kinesian ‘shittyramb’: see further below. 140 Diom. Gram. I,  475,  9-25 Keil, Gramm. Lat.  Because of   a  corrupt and lacunose text, it is not clear whether ipse in Sed ipse a  pedum mobilitate Cinesias cognominatus est refers to the pyrrchius foot (hence nicknamed ‘Kinesias’, so Borthwick 1968b, 65); or to Kinesias himself, in which case Diomedes may merely be alluding to an etymology of   Kinesias from κίνησις – known from the cognate material in Σ Aristoph. Ran. 153 (Κινησίας διθυραμβοποιός … ἐν τοῖς χοροῖς πολλῇ κινήσει ἐχρῆτο) and Sud. s.v.  πυρρίχη – to explain why Aristophanes connected Kinesias with the πυρρίχη in Frogs. See Ceccarelli 1995, 293-295; Ieranò 1997, 310; Ceccarelli 1998, 42-45; Bliquez 2008, 325. 141  For which see Zielinski 1885, 267 n. 2; Düring 1945, 185; Lawler 1950, 79; Borthwick 1968b, 63-66; Restani 1983, 150-151; Barker 1984-1989, I, 236237; Zimmermann 1993, 40; Dobrov – Urios-Aparisi 1995, 153; Franklin 2013, 229, 234 (for the possible relevance of  Aristoph. Nub. 987-989). 142 See with further references esp. Ceccarelli 1995, 293-296; cfr.  Ieranò 1997, 238 and n.  23,  310. But note that Ceccarelli no longer sees κυκλίων τᾶι πυρρίχαι in the third-century victor list from Kos (Segre 1993 ED 234, 10-11, 2223, 30) as evidence for a special ‘pyrrhic dithyramb’ (whence Wilson 2000, 290); that is, κυκλίων means not ‘dithyrambs’ here but simply ‘choruses’: see Ceccarelli 2013, 164, 170. 143  Bliquez 2008, building on the passing suggestion of    Henderson 1991, 189-190.

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cally to describe soiled clothing 144. The argument is clinched by Aristophanes’ deliberate reminiscence, more than a  dozen years later in the Ecclesiazusae, to the same Kinesian incident. Blepyros dashes out of   his house, wearing his absent wife’s little saffroncolored robe (κροκωτίδιον, 332), and urgently seeking to relieve himself, only to be spotted by his neighbor (321-332): Βλεπ. ἀλλ’ ἐν καθαρῷ ποῦ ποῦ τις ἂν χέσας τύχοι; ἦ πανταχοῦ τοι νυκτός ἐστιν ἐν καλῷ. οὐ γάρ με νῦν χέζοντά γ’ οὐδεὶς ὄψεται. οἴμοι κακοδαίμων … Ἀνήρ εἰπέ μοι, τί τοῦτό σοι τὸ πυρρόν ἐστιν; οὔτι που Κινησίας σου κατατετίληκέν; Βλέπ. ποθεν; οὔκ, ἀλλὰ τῆς γυναικὸς ἐξελήλυθα τὸ κροκωτίδιον ἀμπισχόμενος οὑνδύεται. Blepyros: But where oh where might a guy shit that’s free and clear? Surely at night everywhere is a good place. For nobody will see me now when I’m shitting. Oh wretched me (οἴμοι κακοδαίμων) … Neighbor: What is that yellow coloring (τὸ πυρρόν) on you? I don’t suppose Kinesias shat on you (κατατετίληκέν)? Blepyros: What the … ? No! I just came out putting on the saffron-colored robe my wife wears.

The constellation of   Kinesias, κατατετίληκεν, and τὸ πυρρόν corroborates the mutual coherence of   the two passages of   Frogs just considered. It also verifies the assertion of   Lysias that the Kinesian scandal provided perennial comic fodder – a situation that relieves us from supposing the audience capable of  detecting such precise, yet fleeting, verbal echoes between plays so many years apart. It  remains the case, however, that the verbal parallels are very exact. Perhaps Aristophanes himself  was merely drawing on a  popular saying – e.g. Κινησίας κατατιλᾷ/κατατετίληκε – that arose in connection with the original incident (or even reproduced an expression used by Kinesias himself  before the whole city: see

144  Besides Eccl. 328-329 and 1061-1062, note esp. Av. 1169 (πυρρίχην βλέπων); cfr. Eq. 900-901 and further below. See Henderson 1991, 189-190.

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further below) 145. Note too that, given the context, the otherwise ordinary οἴμοι κακοδαίμων surely alludes to the name of   Kinesias’ ἑταιρεία: the audience is primed to see Blepyros’ defecation as a Kinesian act, and any who miss the allusion are set straight by the neighbor’s explicit pronouncement. Finally it is possible that we are meant to think of   Blepyros as accidently relieving himself  on or before a Hekate-shrine, as these were often located outside of  houses; his self-encouragement to go anywhere, since it is night, could ‘prepare the ground’ for him to void himself  (unwittingly) in just the spot that should have been avoided. This would further motivate the neighbor’s laughing suggestion that Kinesias was himself  defecating there. But it must be emphasized that the joke’s most basic trigger is the color of   the garment that Blepyros is wearing – a point to which we shall return. Thus Ecclesiazusae guarantees that, whether or not Kinesias ever made real use of  pyrrhic dance, Aristophanes in Frogs wished above all to tax the poet with what Bliquez calls a «potty dance», but which might well be termed Kinesias’ ‘shittyramb’. For three jokes about the same poet, all involving excrement, must allude to one and the same reality. Note especially how the two Frogs passages complement each other, with one referring to Kinesias as «accompanying dithyrambic choruses», the other to those who «learned the πυρρίχη of   Kinesias». Chorus and chorus-trainer are thus reunited to share alike in the guilty performance 146. I conclude therefore that Aristophanes had in mind a specific dithyrambic performance that somehow brought together EKATAIA – the identity of   which remains to be determined – and some intentional ‘act’ of   defecation, even if  this was only a  dramatic representation of  some sort.   I thank Ettore Cingano for helpful discussion on this point.  We thus resolve the ambiguity of   κυκλίοισι χοροῖσιν ὑπᾴδων, which by itself  might refer not to an accompanying singer but rather to the dancers themselves (Radermacher 1921, 192). That Kinesias was himself  involved in the offending dithyramb was rightly maintained by Dover 1993, 242, on the strength of  Kinesias’ appearances in Birds and (by implication) Ecclesiazusae; similarly for Sommerstein 1996, 189, Frogs 366 «shows that dithyrambic poets still sometimes performed their own compositions, in particular no doubt  … elaborate non-strophic preludes». The self-performance of  dithyrambic anabolai is still considered a  normal arrangement by Pl.  Resp. 3,  394b-c; Arist. Rhet. 3, 1409b 21-28. 145 146

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Suddenly the Frogs scholia (and cognate material in the Suda s.v.  κατατιλᾷ) become rather more interesting. Naturally some autoschediasm must still be weeded out. One bland statement – «(Kinesias) shat upon Hekate while singing» (οὗτος γὰρ ᾄδων κατετίλησε τῆς Ἑκάτης) – is obviously derived from Aristophanes himself. Another thinks rather vaguely of   «an impious state of  mind vis-à-vis the statues (?) of   Hekate, when he attends the festival; Kinsesias has done this» (ἀσεβῶς διάκειται περὶ τὰ τῆς Ἑκάτης ἀγάλματα, ὅτε πανηγυρίζει. Κινησίας δὲ τοῦτο πεποίηκε). The seemingly concrete reference to ἀγάλματα here, I believe, is no more than a  guess from EKATAIA’s common reference to Hekate-shrines. More compelling therefore is the Jim-Morrison-like stunt proposed by another scholiast: «the dithyrambic poet  … introduced Hekate in a  drama and shat upon her» (εἰσήνεγκεν ἐν δράματι τὴν Ἑκάτην καὶ κατετίλησεν αὐτῆς). This explanation, by eschewing any obvious interpretation of  EKATAIA, is a  kind of   lectio difficilior. And since δράματι can readily cover a mimetic dithyramb 147, we are encouraged to contemplate some outrageous staging of   a myth relating to Hekate, without having to accept that Kinesias literally defecated upon some statue or shrine of   the goddess (or rather several, given Aristophanes’ plural!) 148. A further scholion points in the same direction. The transmitted text is problematic: Aristophanes mocked Kinesias «since he blushed after composing a  poem about Hekate» (ἐπειδὴ ἠρυθρίασε ποίημα γράψας εἰς Ἑκάτην). Ἠρυθρίασε has been rightly challenged, both because cognate material in the Suda shows corruption (with the unintelligible †ἠρυφίασε), and since nothing else in the biographical tradition indicates that Kinesias would ever feel remorse. Yet none of   the suggested emendations is very satisfactory. While Fritzsche’s ἐπανηγυρίαζε proceeds from the πανηγυρίζει of   the scholion cited above, it fails both for not providing a  damning detail to explain why Aristophanes targeted Kinesias, and because the proposed verb in ιάζειν is unparalleled (the normal form has ίζειν). The latter objection applies   Cfr. Ieranò 1997, 179-185, with further references; cfr. Lawler 1964, 6.   Cfr. Lada-Richards 1999, 230 n. 36 («The allegation may refer to a fictitious action staged in his dramas»). 147 148

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also to Hermann’s ἐγεφυρίαζε (‘abuse from the bridge’, normally γεφυρίζειν), which is besides hard to reconcile with choral performance at the City Dionysia or some other dithyrambic venue. Thus Kugelmeier, in his review of  the problem, fell back on Schuringa’s handy ‹οὐκ› ἠρυθρίασε 149. While this proposal restores Kinesias to a  comfortable state of   shamelessness, ultimately it too lacks conviction for not telling us what Kinesias did do that others might find blush-worthy. Therefore  I propose to read here ἐπυρρίασε, a  paleographically simple solution that perfectly satisfies the known context – Kinesias is mocked «since, after composing a poem about Hekate, he soiled himself». The resulting correspondence between the scholion’s two basic elements and those of   Aristophanes’ own text –  that is, defecation and poetry – assures us that this emendation is right 150. The scholion evidently derives from an ancient observation of  some substance, since it avoids parrotting the obvious κατατιλᾶν in favor of   the special scatological idiom πυρριᾶν – hardly an obvious synonym for the casual paraphraser, yet well supported by Aristophanic parallels. Indeed this very word, I  believe, leads us to the missing piece in the puzzle of   Kinesias’ ‘shittyramb’  – an otherwise well-known scene from Frogs itself. Dionysos and Xanthias are reunited after respectively crossing and running around Kharon’s lake (179-270). Xanthias has passed through an area of   «darkness and muck» (σκότος καὶ βόρβορος, 273) in which he saw the father-beaters, perjurers (274-275), and presumably other sinners enumerated by Herakles (145-151). The slave suggests that they advance quickly since they are now in the place of   the terrible beasts (οὗτος ὁ τόπος ἐστὶν οὗ τὰ θηρία / τὰ δείν ἔφασκ’ ἐκεῖνος, 277-278). We need not be troubled that this topographical sequence (muck > beasts) is the reverse of   what Herakles had foretold; by quickly disposing the muck-mired sinners – with a  passing joke at the audience’s expense (276) – Aristophanes was free to develop an extended routine on Dionysos’ cowardice (279-311). After the god blus  Kugelmeier 1996, 240 and n. 417.   The scholion’s ἠρυθρίασε would thus preserve both the overall length of   ἐπυρρίασε (vs. †ἠρυφίασε) and the word’s two rhos. Alternatively, ἠρυθρίασε may have been introduced as an unappreciative gloss of   ἐπυρρίασε (cfr.  LSJ s.v. πυρριάω), which it then displaced. 149 150

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ters that he would very much like to defeat a  monster to commemorate his journey (279-284), Xanthias reports a frightening sound and warns that a great shape-changing beast is approaching (θηρίον μέγα  … παντοδαπὸν γίγνεται, 288-289). Whether such a  creature was actually staged, or Xanthias is merely bating his master, is disputed 151. In any case Dionysos, when told that the beast has transformed itself  succesively into cow, mule, beautiful woman, and dog (289-292), concludes that he is facing Empousa and flies into a panic, wailing and flailing about the stage. The crisis once passed, the god exclaims (307-309): Δι. Ξα. Δι.

οἴμοι τάλας, ὡς ὠχρίασ’ αὐτὴν ἰδών. ὁδὶ δὲ δείσας ὑπερεπυρρίασέ σου. οἴμοι, πόθεν μοι τὰ κακὰ ταυτὶ προσέπεσεν;

Dionysos: Wretched me, how pale I went when I saw her! Xanthias: But this here (ὁδί) turned yellow-brown for you (ὑπερεπυρρίασε) in its fear! Dionysos: Alas, whence did these κακά befall me?!

Despite an interesting array of  alternative suggestions in the scholia, it is certain that the god has soiled himself  here (as he will again at 479) 152. The passage of   Ecclesiazusae discussed above clarifies that the present joke exploits the saffron-colored robe Dionysos has worn for his journey (κροκωτός, 46; cfr.  κροκωτίδιον, Eccl. 332) 153. The more urgent point just now, however, is the precise trigger of   Dionysos’ incontinence. C. G. Brown argued convincingly that the encounter with Empousa reflects a phase of   initiation into the Eleusinian mysteries, when initiands would stumble about in the darkness and confront various (staged) phantasms before reaching the blessed revelation that awaited them; this was a  kind of   mystic rehearsal for the ordeals of   an eventual underworld journey 154. Similarly, as Borthwick noted, Xanthias’   The latter view is favored by Lada-Richards 1999, 71 and n. 100.   Henderson 1991, 191 §402 (with further parallels for the stimulus of  fear in comedy); Dover 1993, 231; Sommerstein 1996, 200 ad 479; Bliquez 2008, 324. 153  Presumably this is what is meant by ὁδί in 308: Marzullo 1961, 390-391; Dover 1993, 231; Sommerstein 1996, 182 ad 308. 154   Brown 1991, building on Borthwick 1968a; cfr.  Clinton 1992, 84-86; Dover 1993, 208 ad 143; Sommerstein 180 ad 289-296; Lada-Richards 1999, 151 152

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exhortation to «Take heart», after the trial (302-305), is modelled on a  mystic formula 155. Dionysos’ defecation is a  natural enough extension of   the experience described by Plutarch as «terror, trembling, sweat, and fright» (φρίκη καὶ τρόμος καὶ ἱδρὼς καὶ θάμβος), with parallels elsewhere in comedy 156. The sources for underworld phantasms usually speak of   apparitions more generally; but these and Empousa alike lead quite directly to the province of   Hekate 157, and thus back to the mystery of   Kinesias. A scholiast here calls Empousa «a demonic apparation unleashed by Hekate» (φάντασμα δαιμονιῶδες ὑπὸ Ἑκάτης ἐπιπεμπόμενον, Σ Ran. 293), but notes that «others (scil. consider her) the same as Hekate» (ἔνιοι δὲ τὴν αὐτὴν τῇ Ἑκάτῃ), in support of  which he cites an exchange from Aristophanes’ Ταγηνισταί (The Broilers). In  this fragment one character invokes «Chthonian Hekate, wound about with coils of   snakes», to which another responds, «Why are you summoning Empousa?» 158. This mention of  snakes recalls Hekate’s association with that animal elsewhere, as well as the serpents that Herakles predicted Dionysos would

70-71, 90-94. Key ancient passages are Pl. Phaedr. 250b-c; Plut. fr. 178 Sandbach ap. Stobaeus 4, 52, 49 (πλάναι τὰ πρῶτα καὶ περιδρομαὶ κοπώδεις καὶ διὰ σκότους τινὲς ὕποπτοι πορεῖαι καὶ ἀτέλεστοι, εἶτα πρὸ τοῦ τέλους αὐτοῦ τὰ δεινὰ πάντα, φρίκη καὶ τρόμος καὶ ἱδρὼς καὶ θάμβος· ἐκ δὲ τούτου φῶς τι θαυμάσιον ἀπήντησεν καὶ τόποι καθαροὶ καὶ λειμῶνες ἐδέξαντο, φωνὰς καὶ χορείας καὶ σεμνότητας ἀκουσμάτων ἱερῶν καὶ φασμάτων ἁγίων ἔχοντες); Luc.  Catapl. 22: ΜΙΚΥΛΛΟΣ εἰπέ μοι, – ἐτελέσθης γάρ, ὦ Κυνίσκε, δῆλον ὅτι τὰ Ἐλευσίνια – οὐχ ὅμοια τοῖς ἐκεῖ τὰ ἐνθάδε σοι δοκεῖ; ΚΥΝΙΣΚΟΣ: Εὖ λέγεις· ἰδοὺ γοῦν προσέρχεται δᾳδουχοῦσά τις φοβερόν τι καὶ ἀπειλητικὸν προσβλέπουσα. ἦ ἄρα που Ἐρινύς ἐστιν (i.e. Teisiphone); Dio Chrys. 4, 90 (φάσματα πολλὰ καὶ ποικίλα); Aristid. Or. 22, 3 (Jebb 257, 3); Procl. Resp. 2, 185, 4 (Kroll); Origen Cels. 4, 10; Lactant. Div. inst. 23. Further ancient phantasms collected by Graf  1974, 134 n. 34. 155   Borthwick 1968a, 201-202. 156  See text in n.  154. For involuntary defecation as the ultimate comic outcome of  bodily urgency, cfr. Henderson 1991, 191 §400. 157  See with further references Rohde 1907, 590-595; Johnston 1990, 3435, 135-136. 158  Aristoph. fr.  515: (A.) χθονία θ’ Ἑκάτη  / σπείρας ὄφεων ἐλελιζομένη.  / (Β.) τί καλεῖς τὴν Ἔμπουσαν; Cfr.  the scholia recentiora Tzetzae to the same passage: τὴν Ἔμπουσαν οἱ μὲν αὐτὴν τὴν Ἑκάτην οἴονται εἶναι, οἱ δὲ φάντασμα δαιμονιῶδες ὑπὸ τῆς Ἑκάτης πεμπόμενον καὶ τὰς μορφὰς ἐναλλάττον κτλ. An abbreviated version appears in Hesych. s.v.  Ἔμπουσα· φάσμα δαιμονιῶδες ὑπὸ Ἑκάτης ἐπιπεμπόμενον καί, ὥς τινες, ἑνὶ ποδὶ χρώμενον. Ἀριστοφάνης δὲ τὴν Ἑκάτην ἔφη Ἔμπουσαν.

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meet during his underworld journey (143) 159. Hekate is further suggested in Frogs by Empousa’s assumption of   dog-shape – the very form that prompts Dionysos to identify the apparition 160. Empousa’s shape-shifting ability is further attested by Demosthenes, who tells us that Aiskhines’ mother was widely known as ‘Empousa’ for being prepared «to do or undergo everything» 161. The orator insinuates that she is a prostitute; but her own occupation as a  mystery-cult worker must be equally relevant 162. Idomeneus of  Lampsakos, commenting on this passage a few generations later, explained that Empousa «appeared from shadowy places to the initiates» 163. Euripides also knew Hekate as a dispatcher of  phantasms, and an unattributed tragic fragment refers to them as the «κῶμος of   chthonian Hekate» 164. That Empousa was one of   these apparitions is further attested by her definition as φάσμα Ἑκαταῖον in two ancient lexica 165. This usage naturally implies that collectively Hekate-phantasms could be termed φάσματα Ἑκαταῖα or simply τὰ Ἑκαταῖα. And by great good fortune, a stray scholion to Apollonios of  Rhodes, discussing Hekate as ‘Brimo’, refers to Hekate’s apparitions precisely as τὰ καλούμενα Ἑκαταῖα («the Hekataia, as they are known»); Hekate herself,

  The link of  Hekate and snakes noted by Brown 1991, 48; cfr. Kraus 1960, 87, 157. 160  See, with reference to this passage, Brown 1991, 47 n. 30; cfr. Kraus 1960, 25-26, 33, 60, 89; Sommerstein 1996, 180 ad 293; Johnston 1990, 134-142. 161  Dem. 18,  130: τὴν δὲ μητέρα  … ἣν Ἔμπουσαν ἅπαντες ἴσασι καλουμένην, ἐκ τοῦ πάντα ποιεῖν καὶ πάσχειν δηλονότι ταύτης τῆς ἐπωνυμίας τυχοῦσαν. 162   Brown 1991, 43-46. 163  Idomeneus of   Lampsakos, FGrH 338 F 2  = Bekker. Anecd.: Ἔμπουσα: Ἔμπουσα φάσμα ἐστὶ τῶν ὑπὸ τῆς Ἑκάτης πεμπομένων, εἰς πολλὰς ἀλλασσόμενον μορφάς  … Ἐκλήθη οὖν ἡ μήτηρ Αἰσχίνου Ἔμπουσα, ὡς μὲν λέγει Δημοσθένης, ἀπὸ τοῦ πάντα ποιεῖν καὶ πάσχειν (καὶ γὰρ τὸ φάσμα παντόμορφον)· ὡς δὲ Ἰδομενεύς φησι Περὶ δημαγωγῶν, ἐπεὶ ἀπὸ σκοτεινῶν τόπων ἀνεφαίνετο τοῖς μυουμένοις. Brown 1991, 43-46, argues against the usual view that Aiskhines’ mother was involved in Sabazius-cult; the reference to τοῖς μυουμένοις should of   itself  imply the Eleusinian mysteries (cfr. Graf  1974, 29 n. 36, 43). 164 Eur. Hel. 569-570: (Με.) ὦ φωσφόρ’ Ἑκάτη, πέμπε φάσματ’ εὐμενῆ. / (Ελ.) οὐ νυκτίφαντον πρόπολον Ἐνοδίας μ’ ὁρᾷς (the appeal for φάσματ’ εὐμενῆ assumes the existence of   sinister ones. See discussion of   Kannicht 1969, 2,  160-163); Trag. adesp. TrGF F 375: ἀλλ’ εἴ σ’ ἔνυπνον φάντασμα φοβεῖ / χθονίας θ’ Ἑκάτης κῶμον ἐδέξω. 165  Phot. and Lex. Seg. s.v. Ἔμπουσα. 159

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the notice continues, was also known as Empousa for her ability to change shape 166. Henceforth, I  submit, we must avoid any thought of   Hekate-shrines or dinners, and understand the Frogs’ κατατιλᾷ τῶν Ἑκαταίων to mean rather κατατιλᾷ τῶν φαντασμάτων τῶν ὑπὸ Ἑκάτης ἐπιπεμπομένων. This relieves us, first, of   the various staging difficulties posed by the usual hypotheses. Second, we can now account for a  final, cryptic scholion that glosses τῶν Ἑκαταίων as «the mysteries of    Hekate» (τῶν τῆς Ἑκάτης μυστηρίων, Σ  Ran.  366). This is surely a  vestige of   some more learned comment, being otherwise inexplicable from anything obvious in Aristophanes himself, yet perfectly appropriate to τὰ ἑκαταῖα as underworld phantasms encountered during the ordeal of   mystic initiation; or, by a natural extension, to such an ordeal itself. While Hekate’s official position in Eleusinian ritual is not otherwise well documented 167, the goddess does play an important role in the associated mythology, specifically in the search for and anodos of   Persephone 168. But we need not insist here on a  strict Eleusinian interpretation of   Frogs –  Athenian poets had to be careful where they trod 169 – and mysteries of  Hekate are in any case attested on nearby Aigina (said to have been founded by Orpheus), on Samothrace (amalgamated with the Kabeiroi), and at Lagina in Caria 170. I conclude, therefore, that Aristophanes has placed Kinesias in the underworld not simply because he deserves to be there, but because his crime was committed while in the underworld himself  – that is, through some dithyrambic treatment of  chthonian Hekate and her phantasms. That the genre itself  had been long been concerned with catabatic, mystic themes makes this 166  Σ Ap. Rhod. 3, 861, commenting on the poet’s use of   Brimo for Hekate: Βριμὼ δὲ αὐτὴν προσηγόρευσε διὰ τὸ φοβερὸν καὶ καταπληκτικὸν τῆς δαίμονος καὶ φάσματα ἐπιπέμπειν τὰ καλούμενα Ἑκαταῖα καὶ πολλάκις αὑτῆς μεταβάλλειν τὸ εἶδος, διὸ καὶ Ἔμπουσαν καλεῖσθαι. 167   Clinton 1992, 87 n. 130 and Appendix 5. 168  Richardson 1974, 84, 156, 295; Edwards 1986; Parker 1991, 15-16; Foley 1994, 61. 169  See n. 99. 170   For Aigina: Paus. 3, 20; further sources and discussion Farnell 1896-1909, II, 597 §7; Kern in RE 16  (1935), 1272; Laumonier 1958, 404-405 and n.  9; Kraus 1960, 49, 51, 66-69, 101, 111-112 with references.

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perfectly credible. Yet if  this interpretation is right, we are now confronted by a startling alignment of   what Kinesias is accused of   having done, and what Dionysos himself  actually does do in the Empousa scene. It would seem, therefore, that Aristophanes is re-staging – on his own terms of  course – the offending ‘scene’ from the ‘shittyramb’ of   Kinesias. This hypothesis lets us satisfy the required choral context, as established above, while still allowing Kinesias’ defecation to be enough of  an action – i.e. dramatic, mimetic – to cause offense in a cultic setting. Presumably Kinesias, unable to restrain his kakodaimonic urges, played the buffoon and acted out (and/or had his chorus act out) self-defecation during a frightening underworld encounter with τὰ ἑκαταῖα. Here we must bear in mind the strongly mimetic quality of   the ‘New Music’ dithyramb and citharodic nomos that, while arousing critical controversy, nevertheless had genuine popular appeal 171. Such ‘program-music’ (as it is usually termed) will have helped dithyrambic audiences achieve levels of   imaginative engagement to rival comedy and tragedy 172. Of  the various program-pieces we hear about, perhaps the best parallel for the rather graphic scenario I envision is the screaming, bestial pipemusic that Timotheos composed for the Birth-Pangs of   Semele (PMG  792), that great Dionysian subject. But as Kinesias was no doubt playing for laughs, we should assume that he was helping himself  to a standard comic scene. Consider, conversely, that comedy and tragedy were, from the mid-420s onwards, incorporating elements of  dithyramb and the nomos, as seen especially in the use of  monody 173. I would also guess that Kinesias’ stunt involved a saffron-dyed robe, since Aristophanes’ defecation jokes about both Dionysos and Blepyros rely upon connecting τὸ πυρρόν or (ὑπερ)πυρριᾶν with κροκωτός/κροκωτίδιον. As T. Power points out, these gender171   For the mimetic program music of   the ‘New Dithyramb’, Zimmermann 1992, 123-126; West 1992a, 362-365; Power 2010, 138-143 et passim; Power 2013, 245; LeVen 2014, 190. 172  See generally Chapter 5 of   LeVen 2014 (cfr.  192: «Musical and visual mimesis (that is, reproduction by musical and visual means of   aspects described by the narrative) complemented or enhanced the imaginary experience created by the text but ultimately depended on the narrative mimesis». 173  Csapo 1999-2000.

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bending outfits seem to have been purposefully adopted as a kind of   uniform by some ‘New Musicians’. The star-aulete Antigeneidas wore one when accompanying Philoxenos’ dithyramb The Komast, with the Suda suggesting that this was the start of  a trend; Agathon is so portrayed by Aristophanes in Thesmophoriazusae (411) 174. It is an equally appropriate garb for Dionysos, who at the outset of  Frogs is a Euripidean fanboy 175; and for Kinesias himself  in dithyrambic performance. Now, given that the ‘New Music’ is so regularly critiqued by comedy, one might reasonably assume that these flashy costumes would have been comic targets with or without Kinesias (hence Agathon in Thesmophoriazusae). It  is  tempting to speculate, therefore, that Kinesias’ defecation stunt was actually a  snarky dithyrambic response to a  current comedic joke that these outfits ‘looked like shit’. A  strong parallel for this kind of   intertextual engagement and intergeneric rivalry is Aristophanes’ parody (in  Wealth, ca.  388) of   Philoxenos’ Kyklops (PMG 815-824; Fongoni 1-14), a dithyramb that was itself  a sophisticated intertextual parody of  Timotheos’ quasicomedic citharodic nomos of  the same name 176. It is one of  several indications that some ‘New Musicians’ were integrating comedic or parodic elements into their multimodal compositions 177.

 Philoxenos: Sud. s.v.  Ἀντιγενίδης (PMG 825; Fongoni 27): οὗτος ὑποδήμασι Μιλησίοις πρῶτος ἐχρήσατο καὶ κροκωτὸν ἐν τῷ Κωμαστῇ περιεβάλλετο ἱμάτιον; Agathon: Aristoph. Thesm. 138. See further Power 2010, 510 and n. 269; Fongoni 2014, 127. For contemporary citharodic costuming, which intersects with that of  the dithyrambists, Ercoles 2014. 175  Dionysos wears one again in Aesch. TrGF 61; Cratin. fr. 40, 2 (the Dionysalexandros); cfr.  Poll. 4,  117 ὁ δὲ κροκωτὸς ἱμάτιον· Διόνυσος δὲ αὐτῷ ἐχρῆτο; cfr.  the actor in Herod. 8,  28, with the (vo)luminous note of   Headlam 1922, 384-385. For an interpretation of   the Frogs garment in terms of   initiatory ritesof-passage, Bowie 1993, 237-238, without excluding simultaneous implications about Dionysos’‘literary sensibilities’. 176   See esp. Power 2013; also Hordern 2002, 106-109; Fongoni 2014, 97-115. 177   For the involvement of   three comedians in the scandal of   the mysteries, and Kinesias’ associate Apollophanes, see above. For the quasi-comedic aspect of   both Timotheos’ and Philoxenos’ Kyklops poems, see Hordern 2002, 106109 (discussing Arist. Poet. 2, 1148a 11-18). Besides my proposal about Kinesias (see below), note that Timotheos also followed comic procedure in representing the barbarian speech of   the Celaenaean in the Persians: Hordern 2002, 204206; Power 2013, 245 n. 36. Perhaps Diagoras himself  was playing the buffoon: Σ Aristoph. Ran. 320: διθυραμβοποιὸς ὁ Διαγόρας ποιητὴς … ἢ κωμικὸς διθυραμβικὰ, τουτέστι Διονυσιακὰ δράματα ποιῶν; cfr. ἔπα[ι]ξεν in Philodem. De piet. 18 (p. 85 174

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Our proposed spoof  of   Kinesias gains strength from the coherent vision of   underworld topography and ‘comic theology’ that emerges from the Frogs’ two references to the poet and the Empousa scene itself. Dionysos would consign Kinesias’ ‘pyrrhic’ dancers to the field of  «much muck / and ever-flowing shit» that one must cross just before reaching the initiates. It  is precisely here that Dionysos fouls himself  before the φάσμα Ἑκαταῖον 178. And it is in the very next scene, when Dionysos at last reaches the initiates, that the enchanted comic circle issues its call for εὐφημία and banishes the Hekate-shitting Kinesias back into the βόρβορον πολὺν / καὶ σκῶρ ἀείνων from which the god has just come, and from where he and Xanthias were able to make out the «breath of   pipe-music» in the near distance 179. I would see this as a kind of  closing comment – a final judgment – on the foregoing parody. The underworld Kinesias is cast into a  Tantalos-like torment, able to hear the mystic comic music but not attain it himself. After all, Kinesias’ own scatological encounter with τὰ ἑκαταῖα would presuppose that he too – that is, his dithyrambic narrator – was ‘on’ a catabatic quest. By miring him ἐν βορβόρῳ, Aristophanes asserts that Kinesias is uninitiated in the mysteries, with σκῶρ ἀείνων added as a special punishment that Kinesias has brought upon himself. If  Kinesias did indeed perpetrate the mimetic performance I propose, no doubt he caused genuine public outrage for ‘shitting on’ a  basic premise of   mystic theology. But Aristophanes prefers to characterize the Kinesian sacrilege as a violation of   professional conduct. Whereas Dionysos fouling himself  is perfectly acceptable in comedy, dithyramb (Aristophanes proclaims) is no place for such buffoonery. Hence the mystic comic chorus has no space for those who «enjoy buffoonish remarks when people are doing this out of   season» (βωμολόχοις ἔπεσιν χαίρει μὴ ’ν καιρῷ τοῦτο ποιούντων, 358). Such types will be found wallowing with Kinesias. Gomperz with Henrichs 1974 = Aristox. fr. 45/1 Wehrli), though this concerns a probably forged work (see above). 178  Empousa herself, one should note, is subjected to an excremental rehabilitation with one leg made of   cow dung (βολίτινον, 295), and perhaps even her «face all ablaze with fire» (πυρὶ γοῦν λάμπεται  / ἅπαν τὸ πρόσωπον, 293-294), since πῦρ and πυρρός are cognate. 179  Note the consistency of  154 and 312-313.

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Can we reasonably expect Aristophanes’ audience to have pieced together such fleeting and diffuse references as I  have proposed? I  believe so. Aristophanes makes many such parodic remarks in passing, relying on the audience’s recollection of   notorious or otherwise prominent political and social events, including memorable performances in previous festivals. The little song in Birds mentioned above, where the vision of   Sokrates and Khairephon in the underworld hearkens back to these same characters in Clouds, is of   comparable scope and complexity to what I  suggest for Kinesias in Frogs. And it was perhaps only two or three years earlier that Aristophanes presented the Gerytades, which staged an underworld journey undertaken by Kinesias and two other contemporary poets, Sannyrion and Meletos 180. This  comedy was not unlike Frogs in that it too enacted an undergound descent as a  means of   exploring some contrast between poets living dead. Unfortunately the surviving fragments leave the plot largely opaque. The most extensive one, however (156 = Ath. 12, 551a-552b), informs us that the three ambassadors were chosen to represent dithyramb, tragedy, and comedy. It  is also vital for once again connecting Kinesias with an excremental vision of   underworld topography. The scene is the upperworld (ἐκεῖσε, 5), evidently after the embassy’s return 181: 180  The usual dating of    Gerytades (see opening remarks of   Kassel-Austin) is actually quite uncertain, resting mainly on the assumption that the ‘Agathonian’ pipe-music of   fr. 178 indicates that the poet had not yet departed for Macedon (Σ Ran. 85; Ael. VH 2, 21), whereas Frogs 83-85 assumes his absence (cfr. Sommerstein 1996, 163-164 ad 83). But the Frogs passage contains the surprising comic twist that Agathon has departed for «the feasts of   the blessed» (εἰς μακάρων εὐωχίαν, 85) – i.e. the court of   Arkhelaos was like heaven on earth. If  Aristophanes used the same joke in Gerytades, the Agathonian pipe-music could have been set in the underworld (cfr.  Σ ad  loc. ἤτοι τεθνηκὼς περὶ τὰς μακάρων ἐστὶ νήσους … ἢ ὅτι Ἀρχελάῳ τῷ βασιλεῖ Μακεδόνων κτλ), presumably at a banquet of   the blessed (cfr. Rohde 1907, 249 n. 18). Θρᾳκοφοῖται may be a reference to Alkibiades’ actions in 406 (see app. crit. of   Kassel-Austin). Whether Gerytades antedated Frogs or the reverse does not much affect my argument, though it seems rather more likely that the allusions to Kinesias in Frogs look back to the poet’s actual underworld journey in Gerytades than the reverse. But as both refer (I argue) to Kinesias’ own catabatic poetry, it may be that with Gerytades Aristophanes decided to develop more fully some of  his jokes from Frogs. 181  Thus ἔτλη (2) and ὠχεῖσθ’ (11); but cfr. οἰχήσεται (13).

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Α. καὶ τίς νεκρῶν κευθμῶνα καὶ σκότου πύλας ἔτλη κατελθεῖν; Β.      ἕν’ ἀφ’ ἑκάστης τῆς τέχνης εἱλόμεθα κοινῇ γενομένης ἐκκλησίας, οὓς ᾖσμεν ὄντας ᾁδοφοίτας καὶ θαμὰ ἐκεῖσε φιλοχωροῦντας. A.        εἰσὶ γάρ τινες ἄνδρες παρ’ ὑμῖν ᾁδοφοῖται; Β.           νὴ Δία μάλιστά γ’. Α.      ὥσπερ Θρᾳκοφοῖται; Β.             πάντ’ ἔχεις. Α. καὶ τίνες ἂν εἶεν; Β.         πρῶτα μὲν Σαννυρίων ἀπὸ τῶν τρυγῳδῶν, ἀπὸ δὲ τῶν τραγικῶν χορῶν Μέλητος, ἀπὸ δὲ τῶν κυκλίων Κινησίας. Α. ὡς σφόδρ’ ἐπὶ λεπτῶν ἐλπίδων ὠχεῖσθ’ ἄρα. τούτους γὰρ ἢν πολλῷ ξυνέλθῃ ξυλλαβὼν ὁ τῆς διαρροίας ποταμὸς οἰχήσεται. A. And who has dared descend to the pit of  the dead and the gates of  shadow? B.           One from each craft, we chose together meeting in assembly, men we knew were Hades-rangers, often fond of  going there. A.         You mean there are some men among you who are Hades-rangers? B.             Yes by Zeus, absolutely. A.      Like Thrace-rangers? B.              You’ve nailed it. A. And who would they be? B.           First Sannyrion from the comic poets, then from the tragic choruses Meletos, and from the dithyrambs Kinesias. A. Then how very slim the hopes you went upon. For these men, if  it comes in force, the Diarrhoea River will snatch and bear away.

According to Athenaios (551a-c and Epit.), Aristophanes was picking on Sannyrion, Meletos, and Kinesias for their slight, corpse-like physiques – hence the closing joke about ‘slim hopes’ (λεπτῶν ἐλπίδων). Kinesias, Athenaios maintains, had the addi207

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tional attraction of  being diseased (νοσώδης). To support this the deipnosophist quotes the Lysias speech discussed above: Kinesias’ affliction had him «dying on a daily basis» (καθ’ ἑκάστην ἡμέραν ἀποθνῄσκοντα), which the orator saw as divine punishment for the poet’s impiety. We also learn from Galen, who cites Plato Comicus, that Kinesias suffered from open sores that required regular cauterization (see below). These two qualities – emaciation and, for Kinesias, a wasting illness – must account, at least in part, for Aristophanes’ description of   the catabatic ambassadors as ‘Hades-rangers’ (4) 182. But ᾁδοφοίτας καὶ θαμὰ / ἐκεῖσε φιλοχωροῦντας would be an equally apt description for a poet who, as a  dithyrambist might, was fond (φιλο-) of   catabatic explorations in his own poetry (cfr.  ἀοῖον ἀεροφοίταν in the dithyramb of  Ion of  Chios discussed above, PMG 745) 183. If  this suggestion seems to privilege Kinesias over Sannyrion and Meletos, consider that Aristophanes himself  puts the dithyrambopoios front and center by having his name trigger the magnificently ridiculous Diarrhoea River and its projected flood (no doubt swelling in sympathy with Kinesias’ presence) 184. The connection here with σκῶρ ἀείνων in Frogs is obvious. We must not conclude, however, that this was «a traditional feature of   the underworld» 185. We have here rather yet another sample of  the comedians’ annual jokes about Kinesias’ ἀσέβεια. Unlike the Ecclesiazusae scene, however, the Gerytades fragment joins with Frogs to corroborate the relevance of  an underworld setting for Kinesias’ original defecation stunt 186. Since Gerytades presupposes Kinesias’ ‘shittyramb’, which in turn entailed (on my argument) the dithyrambic poet’s 182  Hence the deduction in Hesych. s.v.  ᾁδοφοῖται· οἱ λεπτοὶ καὶ ἰσχνοί καὶ ἐγγὺς θανάτου ὄντες. 183   See n. 33. 184  For all we know Sannyrion and Meletos had also offered catabatic plays. Other comedies on this theme, besides Frogs and Gerytades, are attested for Kratinos (Trophonios, frr. 233-245) and Pherekrates (Krapataloi, frr. 84-104, evidently anticipating Frogs in featuring the dead Aiskhylos [Lowe 2008, 30]; and Metalles, frr. 113-116). Cfr. Rohde 1907, 249 n. 17. 185  Sommerstein 1996, 159 ad 146; Henderson 2007, 187 n. 43 (quotation). 186  Another fragment of   the play (157) that is presumably relevant (so Bergk) refers to the indecorousness of  contemporary symposia, in which one gets splashed not by wine but by vomit; soon, the speaker supposes, one may expect to be shat upon.

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own descent to Hades, it may well be that in this comedy Aristophanes had Kinesias serve as a kind of   mystagogue for his two travelling companions. That the play, like Frogs, offered some comic exploration of   underworld topography is indicated by at least two further fragments. At  one point (fr.  169) the mission encounters the cosmic ‘pole’ (πόλος) at its subterranean end, which one character misunderstands as a  ὡρολόγιον (this elicits the Strepsiades-like response «so what time does it say»?). We  also know that Gerytades contained the same verse that in Frogs announces Dionysos’ arrival to the gates of  Hades (fr. 176 = Ran. 436 [with  Σ], ἀλλ’ ἴσθ’ ἐπ’ αὐτὴν τὴν θύραν ἀφιγμένος). Although critics have considered it possible that this verse in Gerytades referred to some dwelling in the land of   the living 187, it is surely no coincidence that the scene it introduces in Frogs contains a second self-defecation by Dionysos, this time terrified by the door-man (479). I  suggest that Kinesias likewise soiled himself  in the corresponding scene of  Gerytades. My proposal that ᾁδοφοίτας implies special catabatic interests finds further support in a fragment of  an unknown play by Plato Comicus 188. Once again Kinesias was satirized for his physical qualities, including his skeletal frame and stick-like limbs, as well as his running sores. But two further details are quite suggestive. Line  2 of   the transmitted text calls Kinesias the son of   Euagoras. But this reading is contradicted by the relatively reliable testimony of   Plato, who in the Gorgias informs us that Kinesias was the son rather of   the citharode Meles 189. The text should therefore be altered to yield some significant metaphorical patronymic 190. Kock’s proposal to read παῖς Οἰάγρου (followed by   See app. crit. in Kassel-Austin.  Pl.  Com. fr.  200 (from Galen, On the Aphorisms of   Hippocrates 18, 1, 149): μετὰ ταῦτα δὲ  / παῖς Οἰάγρου ’κ Πλευρίτιδος (Kock: Εὐαγόρου παῖς ἐκ Πλευρίτιδος codd.: ὁ Διαγόρου παῖς ἦλθεν οὑκ Πλευρίτιδος Kaibel) Κινησίας  / σκελετός, ἄπυγος, καλάμινα σκέλη φορῶν, / φθόης προφήτης, ἐσχάρας κεκαυμένος / πλείστας ὑπ’ Εὐρυφῶντος ἐν τῷ σώματι. 189 Pl. Gorg. 502a; the same Meles is called son of   Peisias and «worst of   all kitharodes» by Pherec. fr.  6: (A.) φέρ’ ἴδω, κιθαρῳδὸς τίς κάκιστος ἐγένετο;  / (B.) ὁ Πεισίου Μέλης; also Aristoph. Av. 766 and Σ; Aristid. 3, 231. Cfr. Stephanēs 1988 no. 1630; Power 2010, 106, 486 n. 193; LeVen 2014, 28 Tab. 1. 190   Such efforts will be justified even if  one accepts the suggestion of  Power 2013, 249, that the lineage Meles > Kinesias may be «a comic fiction – the world’s 187 188

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Kassel-Austin) would make Kinesias an Orpheus – or perhaps his sinister twin brother; this would make good sense if  Kinesias had once – or more than once – enacted an underworld adventure. Alternatively, Kaibel thought of  παῖς Διαγόρου and a reference to none other than Diagoras of   Melos 191. On this reading, Kinesias would become the notorious atheist’s spiritual heir through their shared ἀσέβεια and dithyrambic activity, each cheapening the mysteries in his own special way. Both readings would be compatible, in different ways, with the interpretation of   Kinesias  I have been developing. And in either case we have the wonderful description of   Kinesias as φθόης προφήτης, «prophet of   decay». Φθόη of   course suits the overall image of   the decrepit poet 192. But προφήτης must equally allude to the traditional status of   the wise-poet, and in particular leaders of   mystic initiations. The opposition of   mystic initiation to the underworld decay of   the unititiated is clearly drawn by the Hymn to Demeter: Blessed is he among earthly mortals who has seen these (scil. the mysteries); but he who is uninitiated in the holy rites, and who has no part therein, has never of  such things his share – decaying (φθίμενος) as he is beneath the mouldering gloom 193.

Φθόης προφήτης would thus invert the dithyrambic mission of   offering insight on how to transcend the terrors of   death. A «prophet of   decay» would be unable to lead his followers to the blessed realm of  Kore, and leave them wasting and wallowing en route – just the fate of  Kinesias in Frogs. worst kitharoide fathers the world’s most offensive dithyrambist – one perhaps reflective of  a perceived affiliation between the more extreme practitioners of  the two genres». 191  See n. 187. In this case Kinesias himself  would not have been named in the text, but have entered as a gloss; but the reference to him would be perfectly clear from the other descriptive words or larger context of   the play (Galen guarantees the fragment’s relevance to Kinesias). 192  Cfr. Strattis’ comic repurposing of   the epithet Φθιῶτα that Kinesias applied to Achilles: see n. 15 above. 193   Hymn. Hom.  Cer. 480-482: ὄλβιος ὃς τάδ’ (scil. τὰ σεμνά) ὄπωπεν ἐπιχθονίων ἀνθρώπων· / ὃς δ’ ἀτελὴς ἱερῶν, ὅς τ’ ἄμμορος, οὔ ποθ’ ὁμοίων / αἶσαν ἔχει φθίμενός περ ὑπὸ ζόφῳ εὐρώεντι.

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To conclude, it seems that Kinesias’ connection with the underworld was a recurrent motif  in comedy, and that this is to be explained not solely in terms of  his necrotic personal appearance, but also his professional poe­tic activity. He used the dithyramb, I  suggest, for one or more novel interpretations of   traditional myth-ritual narratives about death and revival. In doing so he was elaborating a trend begun by Diagoras of  Melos and Ion of  Chios. Such a background, I believe, must be the starting point for any assessment of  what aspects of  Hekate’s cult and myth stimulated Kinesias’ interest on the unforgettable occasion that he chose to play the buffoon. If  the interpretive scenario I have developed is not conclusive in all its particulars, I do hope to have set future investigations on more solid footing.

Kinesias versus the Khoregia; Kinesias in the Lysistrata I will close by mentioning two final areas of   interest in the biographical tradition. First is a  comedy by Strattis called Kinesias that obviously must have dealt with the title figure in considerable detail. According to our scanty notices, Kinesias’ ἀσέβεια and παρανομία were its main focus 194. Unfortunately we learn little about Kinesias himself  from the surviving fragments, though these have been examined by several commentators in detail 195. The one exception is a notice in the Aristophanic scholia to Frogs that Kinesias was described as χοροκτόνος, the ‘chorus-killer’. One might suppose this epithet due to the deadly quality of   his music or hyperkinetic dance; or even that he dragged his choruses through repeated underworld narratives. But a  scholiast claims that Kinesias earned the title after he «stripped away the χορηγία (scil. from the city) once and for all» (καθάπαξ περιεῖλε Κινησίας τὰς χορηγίας, Σ Ran. 404). This notice is puzzling, since we know that the χορηγία persisted down through the fourth century. Scholars have therefore sought some connection with a slightly earlier notice in the same scholion, which cites Aristo194  Harp. Gramm. s.v. Κινησίας … οὗ μέμνηνται πολλάκις οἱ κωμικοὶ καὶ Στράττις ὅλον δρᾶμα ποιήσας εἰς αὐτὸν, ὅπερ ἐπεγράφη Κινησίας, ἐν ᾧ καὶ τὴν ἀσέβειαν αὐτοῦ κωμῳδεῖ. 195  Meriani 1995; Orth 2009, 100-129; cfr. Fiorentini 2009.

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tle for the institution of  a συγχορηγία in the archonship of  Kallias – that is 406/405, when the final crisis of  the Peloponnesian War must have caused Athens to reconsider its liturgical priorities. Α. Meriani, for instance, proposed that what Kinesias did was to initiate a return to the traditional single-payer system; but that, given the dire straits in which Athens found itself  after 404, the χορηγία never returned to its former glory 196. In any event, if  there is anything real behind the scholiast’s report, it raises interesting questions about Kinesias’ stature in Athenian politics, and perhaps suggests that professional rivalries between dithyrambic and dramatic poets may sometimes have spilled out beyond metatextual sparring into the actual marketplace. Α final area of  considerable interest is the appearance of  Kinesias in the famous scene of   Lysistrata, where he is tormented by his wife Myrrhine. Already Maas insisted that the name was uncommon enough that Aristophanes’ audience must have identified this character with the dithyrambic poet 197. Since Myrrhine is often associated with the homonymous priestess of   Athena Nike, some have even supposed that the latter was married to the historical Kinesias 198. Beyond that, however, commentators have repeatedly denied any significant links, maintaining only that the name ‘Kinesias’ has been chosen simply for an appropriate etymology via κινεῖν, in its common sexual sense 199. Yet even this obvious point is probably more interesting than it may seem. For Kinesias himself  had very likely already exploited the semantic range of   his name, by connecting it with the vigorous and elaborate ‘movement’ of   his dithyrambic choreography. Several ancient sources, indeed, offer this as an explanation for his name 200. At  first glance this etymology may seem an anachro  Meriani 1995, 29-33.   Maas 1922. 198  MacDowell 1995, 243-244. Identification of    Myrrhine: Papadimitriou 1948-1949. 199  E.g. Henderson 1991, 8-9. 200   See n. 139. Κίνησις is commonly used in ancient discussions of  dance, and especially the dithyramb: see e.g. Σ Pl. Resp. 3, 394c (ὁ διθύραμβος … κεκινημένος); Arist. Pol. 8,  1342b (Bacchic/dithyrambic); Aristox. frr.  103,  108 (= Ath. 14, 630c, 631b); Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320b 12 (διθύραμβος κεκινημένος); Sud. s.v. πυρρίχη; etc. 196 197

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nism of   ancient scholarship. But consider that Kinesias’ own father was called by the musical name of   Meles (Plato), and was himself  a  professional musician – the worst of   all citharodes, according to Plato Comicus (fr.  6). It would not be surprising if  Meles gave his son a speaking-name in anticipation of   a musical career; there are many such examples of   Greek musicians. I  propose therefore that Aristophanes, by staging Kinesias as wanting to κινεῖν, has in fact given a  comic twist to a  professional etymology that Kinesias himself  had already promoted as a dithyrambic choreographer.

Conclusion In this paper I have surveyed the key themes in the material for Kinesias. I  have offered a  number of   new contextualizations in the attempt to consolidate and refine our understanding of   this elusive figure. Although considerable speculation is unavoidable under the circumstances, nevertheless I hope to have developed a more coherent and interesting image of   Kinesias than has been achieved previously.

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‘SKATABASIS’. THE RISE AND FALL OF   KINESIAS

Abstract This paper surveys all the evidence we possess relating to the life and career of   Kinesias, along with past scholarly commentary amplified by original observations and suggestions. I  pay special attention to the ‘sophistic’ qualities of   the ‘New Musical’ dithyramb, and what is surely the most startling of  all our notices – that Kinesias «shat upon the EKATAIA» while «singing in the circular choruses» (Aristoph. Ran. 366 and Σ). This allegation, I argue, relates not to some casual antic by the poet, as generally thought, but to a specific dithyrambic composition that dramatized a  descent to the underworld and an aspect of   mystic initiation. The paper should also be viewed as a kind of  progress report towards a volume dedicated to Kinesias in the series Dithyrambographi Graeci (ed. A. Gostoli).

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AGONISTICA LIRICA E RAPSODICA

LUCA BETTARINI Università di Roma «La Sapienza»

TESTIMONIANZE DI AULETICA IN IPPONATTE

1. Per un profilo di tre auleti ipponattei (Babi, Cicone e Codalo) In Ath. 14, 624b (= Hippon. fr. 153 Dg.) viene ricordato come pessimo auleta un non meglio noto Babi, talmente inabile da esserne divenuta proverbiale l’incapacità: κάκιον ἢ Βάβυς αὐλεῖ. Per questa sua caratteristica in effetti è menzionato non solo in Ateneo, ma in diverse raccolte paremiografiche, dove il proverbio ritorna nella fοrma κάκιον Βάβυς αὐλεῖ oppure τοῦ Βάβυος χεῖρον 1. Insieme a  Babi sono citati nei Deipnosofisti come auleti Cicone e  Codalo: tutti e  tre, informa Ateneo, sono presenti nei versi di Ipponatte, circostanza che è  effettivamente confermata da alcuni frammenti del­l’Efesino, almeno per Cicone e  Codalo. Q uesti ultimi peraltro, in un malridotto epodo di tradizione papiracea (fr. 129e Dg.), sono persino nominati insieme, poiché si dice espressamente che Cicone eseguirà con l’aulo la melodia di Codalo. Sempre secondo Ateneo, sono tutti e  tre nomi da schiavi 2, tipici degli auleti, che presso i Greci avevano nomi frigi 1   Per un elenco delle fonti paremiografiche rinvio al­l’apparato di Degani al  frammento ipponatteo, dove sono puntualmente citate. A parere di Schneidewin ad Zenob. 4, 81 (= CPG 1, 106, 16) κάκιον ἢ Βάβυς αὐλεῖ e κάκιον Βάβυς αὐλεῖ sono due forme realmente diverse del proverbio, mentre Masson 1949, 308 s. ritiene che la seconda sia una semplice corruzione della forma attestata in Ateneo e  che una vera variante del proverbio sia solo τοῦ Βάβυος χεῖρον, già discussa – prima di Masson – da Crusius 1895, 12. 2  Nomi asianici sembrano essere Codalo e Babi, trace invece è Cicone: a riguardo si veda Degani 2007, 159. Più propriamente Cicone è un etnico (i Ciconi erano stanziati sulla costa meridionale della Tracia), Codalo ha corrispondenze

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poiché i Frigi avevano inventato e per primi praticato una particolare ἁρμονία da eseguire con l’aulo ed utilizzata per curare i malati di sciatica, come assicura Teofrasto (fr.  87 Wimmer  = fr.  726b Fortenbaugh = Ath. 14, 624a). Su Babi non siamo in grado di dire gran che: le fonti paremio­ grafiche, in particolare Zenob. 4, 81 (= CPG 1, 106, 16 ss.), lo indicano nientemeno che come fratello di Marsia, il satiro scuoia­to da Apollo, specificando che il dio avrebbe lasciato andare Babi, nonostante volesse in un primo momento eliminare anche lui, su consiglio di Atena, data la sua imperizia nel­l’αὐλεῖν. In concreto è  impossibile precisare «se il Babi proverbiale, con le sue mitologiche appendici, sia una derivazione di quello ipponatteo o se, viceversa, il giambografo abbia semplicemente riflettuto elementi a lui precedenti», come giustamente nota Degani 3. Più informati siamo su Cicone: è  in realtà noto in Ipponatte soprattutto come un ridicolo e  scellerato profeta-stregone (fr. 3, 1 Dg.), che tuttavia nel fr. 129e si esibisce in un’esecuzione auletica, probabilmente solo in virtù della valenza terapeutica della musica. Infatti il destinatario di questa performance e protagonista – suo malgrado – del­l’epodo ipponatteo è lo sconosciuto Sanno, un mangione vittima di una colica (fr.  129a-d  Dg.), del quale ovviamente il poe­ta intende farsi beffe suggerendogli, per riprendersi, anzitutto di bere una pozione e poi di gesticolare in modo ritmato per favorirne l’assorbimento, mentre appunto Cicone eseguirà con l’aulo la melodia di Codalo. Si tratta di un contesto evidentemente derisorio, anche se Ateneo fa menzione di Cicone e Codalo subito dopo aver ricordato la pratica della musica a fini terapeutici 4: ma di certo non è  il recupero della salute da parte con nomi lici (Masson 1949, 307, n. 1) e Babi sembra essere uno dei numerosi antroponimi, documentati in diverse regioni del­l’Asia Minore, formati con una base βαβ- che ha dato origine a  Lallnamen, come argomentato da Robert 1963, 367-369 (vd. anche Chantraine 1999 s.v. βάβιον, Masson 1986, 29 e da ultimo Hawkins 2013, 134). 3  Degani 2007, 142. Crusius 1895, 12 rileva invece che essendo Cicone e Codalo, gli altri due auleti, certamente persone reali, l’ingresso di Babi nel mito (e nei proverbi) è verisimilmente successivo alla ‘consacrazione’ ricevuta da un auleta in carne e ossa da parte di Ipponatte: è un’ipotesi plausibile, ma non dimostrabile. 4  West 1974,  148 nota giustamente che il frammento di Ipponatte getta comunque luce sulle pratiche mediche del VI sec., che sembrano basarsi molto sul­l’esercizio fisico.

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di Sanno il vero interesse del giambografo, semmai il contrario. In  sostanza, il Cicone auleta-guaritore del fr.  129e sembra non essere altro che una ‘proiezione’ del Cicone indovino-stregone del fr. 3 perché in effetti, come afferma Degani 5, tali attività, nei tempi più antichi, potevano essere strettamente connesse. Stando così le cose, è lecito supporre che Cicone sia stato, se non un auleta professionista, quantomeno un auleta capace, date le sue necessità ‘professionali’: è  Ipponatte che ne avrà verisimilmente proposto un’immagine al negativo. È certo infatti che Cicone è figura derisa dal­l’Efesino, come rivela non solo il dettato del fr. 3 Dg. 6, ma anche una testimonianza di Esichio (κ 2669 L., s.v.  Κίκων), la quale ci informa che Cicone era figlio di Amitaone – nome di un certo peso per un profeta, essendo lo stesso del padre del famoso indovino Melampo (Hdt. 2,  49,  1)  – aggiungendo però οὐδὲν αἴσιον προθεσπίζων (fr.  188°  Dg.), parole che molti editori ipponattei hanno ragionevolmente ritenuto essere citazione dal giambografo 7. Pertanto, come Babi sembra rappresentare in Ipponatte la categoria dei musicisti incapaci, Cicone deve essere il rappresentante di un’altra categoria, quella degli indovini ciarlatani; a costoro vanno aggiunti Mimne (fr. 39 Dg.), il pittore incompetente, nonché Atenide e  Bupalo, gli scultori inetti, solo per citare alcune categorie professionali prese di mira dal­l’Efesino. Q uanto a Codalo, è figura nota come Babi dalle raccolte paremiografiche, ma non come auleta, bensì come ghiottone, poiché il proverbio che pare riguardarlo suona Κωδάλου χοῖνιξ, chiosato con ἐπὶ τῶν μεγάλοις μέτροις κεχρημένων 8. Una chenice dunque fuori misura, quella ricordata dal proverbio, donde la plausibile identificazione di Codalo come ghiottone. Che si tratti dello   Degani 2007, 135 s.   Il nome di Cicone compare anche nei frr. 78, 7 e 105, 17 Dg., ma in con­ testi troppo lacunosi per poterne dedurre alcunché. 7  Si tratta in effetti di una possibile clausola di coliambo. Per gli interventi editoriali ‘subiti’ dalla sequenza οὐδὲν αἴσιον προθεσπίζων al  fine di renderla un verso completo o di inserirla in altri frammenti ipponattei rinvio al­l’apparato di Degani (ad fr. °188), il quale invece inserisce prudentemente le parole di Esichio tra i fragmenta dubia. 8   Si tratta del fr. °198 Dg., non a caso inserito tra i dubia da Degani, al cui apparato rimando per l’elenco delle fonti paremiografiche e  lessicografiche che citano il proverbio. 5 6

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stesso personaggio ricordato da Ipponatte è una vecchia ipotesi di Crusius 9 successivamente confermata dal ritrovamento del papiro ossirinchita (P.Oxy 2176) che ha restituito il fr. 129 Dg., faticosamente ricavato da un commentario ipponatteo. È in questo frammento (129e Dg.) infatti che viene sottolineata la qualifica di Codalo come auleta, precedentemente nota dal solo Ateneo: ]αὐλήσει δέ σοι  / Κίκων τὸ Κωδάλου[ μέλος 10. Potrebbe trattarsi dunque di un auleta ghiottone, ma che Codalo fosse un auleta professionista è  messo in dubbio da Masson 11, che tuttavia, in riferimento a Κωδάλου μέλος, pensa che «il devait apparaître dans le poème comme capable de jouer de la flûte ou tout au moins d’avoir composé le μέλος dont il est question». I dubbi di Masson su Codalo come auleta professionista sembrano alimentarsi anche in virtù della sua ipotesi di considerare il μέλος di Codalo non una vera musica, ma una cacofonia 12, al cui suono è invitato a muoversi Sanno 13. Una via esegetica diversa è invece quella proposta da Pòrtulas 14, secondo cui l’intera scena si riferirebbe, con sarcasmo, alla mesta cerimonia del φαρμακός, cioè del capro espiatorio, ragion per cui il μέλος di Codalo alluderebbe al νόμος κραδίης (fr. 146 Dg.), cioè al­l’aria del fico 15, così denominata dalle foglie di fico con cui venivano fustigate le vittime durante il rito di espiazione: a Sanno verrebbe quindi minacciosamente prospettata una fine analoga, ma

  Vd. Crusius 1895, 12, n. 2, secondo cui la stessa sequenza Κωδάλου χοῖνιξ potrebbe essere la clausola di un verso del­l’Efesino «quo egestatem hominis descripsisse videtur poe­ ta». L’identificazione tra il Codalo del proverbio e quello ipponatteo era già stata in realtà adombrata da Schneidewin 1844, 107 e Bernhardy 1853, 311, come segnala in apparato Degani ad fr. °198. 10  L’integrazione μέλος (proposta da Latte 1948,  39) è  pressoché sicura e accolta da tutti gli editori perché nel papiro, sopra la sequenza τοκωδα[ , si legge soprascritto τὸν Κωδάλου ̣[ , completato da Latte con νόμον. 11  Vd. Masson 1949, 306 s. 12  Così pure Medeiros 1961, 172. 13   Anche Latte 1948, 42 pensa a una melodia non adatta al simposio e nutre dubbi sul ruolo di Codalo come auleta («Ut igitur tibicen fuerit Codalus, certe ‘Codali modi’ non convivio apti erant»). 14  Vd. Pòrtulas 1985 a, 27 s. (= Miralles – Pòrtulas 1988, 66 s.) e Pòrtulas 1985 b, 131-133 (= Miralles – Pòrtulas 1988, 85-87). 15  Sul­l’aria del fico e sul suo rapporto con la cerimonia del φαρμακός, frequentemente ricordata da Ipponatte, vd. infra. 9

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tale ricostruzione, in mancanza di elementi interni di supporto, appare piuttosto speculativa. In questo quadro assume una certa importanza un epigramma di Edilo (10 Gow-Page  = Ath. 4, 176c), un epitafio per l’aule­ta Teone di cui sono ricordate le performances: oltre alle melodie di Glauce, nota musicista del­l’età di Tolemeo Filadelfo menzionata anche da Teocrito (4, 31), e a quelle di Battalo, che Plutarco (Dem.  4) ricorda come auleta effeminato beffeggiato da Antifane 16 o forse come poe­ta di carmi licenziosi da eseguire tra i fumi del vino, Teone eseguì con l’aulo le melodie di Cotalo e di Pacalo 17. Q uest’ultimo è  personaggio ignoto e  forse dal nome corrotto (ametrico?), ma l’identificazione di Cotalo col Codalo ipponatteo è stata suggerita in passato da Bergk 18, che propose la correzione del nome Κώταλος in Κώδαλος, ovviamente sulla base del passo di Ateneo in cui è ricordato Codalo: quest’aria eseguita da Teone potrebbe essere dunque quella di Codalo, e in concreto l’ipotesi di Bergk sembra essere stata rafforzata dal successivo ritrovamento del papiro ipponatteo; anche Masson 19 la accredita, pensando che Edilo si sia ispirato a Ipponatte. In effetti, la possibilità che Codalo fosse un auleta ghiottone mi sembra suggerita dal contesto stesso del­l’epigramma : infatti, le melodie eseguite da Teone sono quelle scherzose e ‘piene di vino’ (v. 7 μεμεθυσμένα παίγνια) di Glauce e quella del forte bevitore di vino puro (v. 8 ἐν ἀκρήτοις … ἡδυπότην) Battalo; che a queste si uniscano quella di un ghiottone come Codalo non sembra ipotesi insensata, perché si determinerebbe una naturale congruenza 16   Di Antifane è in effetti nota una commedia intitolata Αὐλητής, di cui resta un frammento (49 K.-A.). 17  Q uesto è il testo del­l’epigramma, corrotto nei versi centrali (vv. 3-6) ma integro in quelli che ci interessano in questo contesto (vv. 7-9): ‹Τοῦτο› Θέων ὁ μόναυλος ὑπ᾿ ἠρίον ὁ γλυκὺς οἰκεῖ / αὐλητής, μίμων κἠν θυμέλῃσι χάρις. / ϯ τυφλὸς ὑπαὶ γήρως εἶχε καὶ Σκίρπαλον υἱόν  / νήπιον τ᾿ ἐκάλει Σκίρπαλος Εὐπαλάμου·  / ἀείδειν αὐτοῦ τὰ γενέθλια, τοῦτο γὰρ εἶχεν  / πανμαρπᾶν ηδυσμα σημανέων ϯ  / ηὔλει δὲ Γλαύκης μεμεθυσμένα παίγνια Μουσέων  / ἢ τὸν ἐν ἀκρήτοις Βάτταλον ἡδυπότην / ἢ καὶ Κώταλον ἢ καὶ Πάκαλον. ἀλλὰ Θέωνα / τὸν καλαμαυλήτην εἴπατε, ‘χαίρε Θέων’. 18  Bergk 1842, 359 s. 19  Masson 1949, 307. Più cauta la posizione di Degani che, nel­l’apparato al fr. °198, riporta la correzione proposta da Bergk al­l’epigramma di Edilo aggiungendo «ft. recte».

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tematica 20. Vale la pena ricordare che un citarista ghiottone è protagonista di un altro epigramma di Edilo (7 Gow-Page) e i mangioni in generale sono spesso al centro delle sue attenzioni (8 e 9 Gow-Page), mentre altre figure dedite al bere sfrenato sono ricordate in altri suoi epigrammi (3 e 6 Gow-Page: Callistio e Socle): tutto ciò in soli 12 epigrammi tramandati sotto il suo nome, il che implica un certo interesse per il tema del mangiare e del bere in abbondanza. In ogni caso, avvalorando l’identificazione tra Cotalo e Codalo proposta da Bergk, è  difficile credere che il μέλος di Codalo fosse una cacofonia come suggerito da Masson, dato che il contesto del­l’epigramma di Edilo non lascia supporre che l’aria di Codalo/Cotalo eseguita da Teone avesse questa caratteristica: il poe­ta alessandrino vuole forse suggerire che Teone prediligeva quelle melodie che più si addicevano alla sua indole, quelle legate evidentemente al bere e al mangiare in quantità in occasioni conviviali, senza alcuna connotazione negativa, e in tal senso va tenuta presente la valenza poetologica positiva del bere vino per Edilo, ben esplicitata nel­l’epigramma programmatico 5 Gow-Page. Ma tornando a Ipponatte, difficilmente può essere casuale che per il mangione Sanno venga eseguito il μέλος di un auleta ghiottone, per di più a scopi apparentemente terapeutici. Infatti, la beffa messa in atto dal­l’Efesino contro questo crapulone si concretizza non solo attraverso la pozione-intruglio da bere o  la gesticolazione certamente ridicola cui Sanno deve sottoporsi, ma anche attraverso la melodia –  verisimilmente ben nota – di un auleta ghiottone eseguita da un guaritore incapace quale Cicone: di conseguenza, se di cacofonia si deve parlare per la melodia di Codalo, è da credere che tale connotazione sia frutto della detorsio comica operata dal giambografo a  danno di uno dei suoi tanti ‘nemici’.

20  Tale congruenza sarebbe ancora più marcata se anche la melodia di Pacalo avesse a che fare con l’idea del mangiare smodato: a due arie legate al­l’eccesso nel bere (quelle di Glauce, Battalo) ne seguirebbero due connesse al­l’idea del mangiare in abbondanza.

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2. L’aria del fico Il capitolo ottavo del trattato pseudo-plutarcheo De musica (8, 1133f-1134a) si apre con la menzione di un antico νόμος denominato κραδίας, cioè ‘aria del fico’, che fu eseguita con l’aulo da Mimnermo, secondo quanto affermato da Ipponatte: καὶ ἄλλος δ᾿ ἐστὶν ἀρχαῖος νόμος καλούμενος κραδίας, ὅν φησιν Ἱππῶναξ Μίμνερμον αὐλῆσαι (Hipp. fr. 146 Dg. = Mimn. test. 5 Gent.-Pr.). Q uesta menzione di Mimnermo come auleta da parte di Ipponatte è interessante da diversi punti di vista. Anzitutto, sposta al­l’indietro di diversi secoli le notizie sul­ l’attività auletica di Mimnermo che troviamo testimoniata molto più tardi anche da Ermesianatte 21 e da Strabone 22: di questa attività si è in passato talora dubitato, quasi fosse un’invenzione della tradizione ellenistica, ma essa in realtà, ricοrdata già a data alta da Ipponatte, rappresenta il naturale completamento del­l’attività di poe­ta elegiaco di Mimnermo, perché certamente l’elegia fu anche cantata nei tempi più antichi 23 e secondo Cameleonte lo fu anche l’elegia di Mimnermo, al pari delle composizioni di Focilide, Archiloco, Omero ed Esiodo 24. Non va inoltre dimenticato che tra i  νόμοι ricordati dallo Pseudo-Plutarco (Mus. 4,  1132d) figura anche quello definito ἔλεγοι, elencato tra gli aulodici; questo νόμος quindi, pur a voler prescindere dalla eventuale connotazione luttuosa della sua occasione e quindi dalla vexata quaestio del­l’origine trenodica o meno del­l’elegia (su cui vd. infra), testimonia un evidente legame tra forma elegiaca e  canto accompagnato dal­l’aulo. Ulteriore indiretta conferma di questo rapporto tra elegia e  canto viene dalle notizie che l’autore del De  musica fornisce su Clona, tegeate o tebano, (Mus. 3, 1132c) e su Sacada di Argo (Mus. 8, 1134a-b): il primo, vissuto nella prima parte del VII secolo, fu autore di nomoi aulodici (αὐλῳδικοὶ νόμοι) e versi elegiaci (ἐλεγεῖα), il secondo, attivo nella prima metà del VI secolo, 21  Vd. fr.  7,  35  ss. Powell  = Mimn. test. 2 Gent.-Pr.: Μίμνερμος δέ, τὸν ἡδὺν ὃς εὕρετο πολλὸν ἀνατλὰς  / ἦχον καὶ μαλακοῦ πνεῦμ᾿ ἀπὸ πενταμέτρου,  / καίετο μὲν Ναννοῦς, πολιῷ ἐπὶ πολλάκι λωτῷ / κνημωθεὶς κώμους εἶχε σὺν Ἑξαμύῃ. 22  Strabo 14, 1, 28: Μίμνερμος, αὐλητὴς ἅμα καὶ ποιητὴς ἐλεγείας. 23  A riguardo vd. ad es. Gentili 2006, 62. 24   Chamael. fr.  28 Wehrli  = Ath. 14,  620c  = Mimn. test. 22 Gent.-Pr.: Χαμαιλέων δὲ ἐν τῷ περὶ Στησιχόρου καὶ μελῳδηθῆναί φησιν οὐ μόνον τὰ Ὁμήρου, ἀλλὰ καὶ τὰ Ἡσιόδου καὶ Ἀρχιλόχου, ἔτι δὲ Μιμνέρμου καὶ Φωκυλίδου.

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compose invece canti e versi elegiaci posti in musica (ποιητὴς μελῶν τε καὶ ἐλεγείων μεμελοποιημένων) 25. Q uanto al rapporto tra ‘aria del fico’ ed aulo, se ne ha conferma in Esichio, secondo cui il κραδίης νόμος era eseguito con l’aulo durante la cerimonia di espiazione dei φαρμακοί, che venivano battuti con rami e foglie di fico 26. Che si tratti di un νόμος ionico sembra suggerito proprio dalla forma ionica κραδίης riportata nel lemma, forma che forse a ragione Weil e Reinach misero a testo (p. 34) nella loro edizione del De Musica (1900) contro la vulgata κραδίας accolta da altri editori 27. In tal senso sembra fornire ulteriore indizio il lemma esichiano κραδίης τυρός, ‘formaggio di fico’, immediatamente seguente, che presenta lo stesso vocalismo ionico e si riferisce a un formaggio prodotto col caglio dei fichi 28: anche questo formaggio potrebbe essere connesso al rito dei φαρμακοί, dal momento che Ipponatte in un frammento (28 Dg.) afferma espressamente che queste vittime espiatorie venivano nutrite con fichi e  formaggio. Ciò  potrebbe configurare il termine κραδίης come un tecnicismo lessicale ionico in grado di designare diverse realtà di questa articolata cerimonia che aveva luogo durante le feste primaverili dette Targelie e  che contemplava l’uso di fichi a vario titolo 29. Il giudizio che Ipponatte doveva dare di questa specifica attività auletica di Mimnermo si è  ritenuto fosse piuttosto critico, data la verve pungente del­l’Efesino 30, ma in realtà non è possibile dire nulla di certo, e a giusta cautela è improntata la valutazione a riguardo di Lasserre e di Degani 31.

25  Sul­l’attività di Clona e Sacada, ma anche su quella del­l’arcade Echembroto (su  cui vd. infra) e  infine sulla figura di Polimnesto di Colofone, che fu attivo nel Peloponneso in tempi molto antichi (Mus. 3-5, 1132c-1133b; 8-10, 1134a-e; 12, 1135d), si veda ora l’ampia disamina di Nobili 2011, 30-37. 26  Hesych. κ 3918 L.: κραδίης νόμος· νόμον τινὰ ἐπαυλοῦσι τοῖς ἐκπεμπομένοις φαρμακοῖς, κράδαις καὶ θρίοις ἐπιραβδιζομένοις. 27  Nota giustamente Degani, nel­l’apparato del fr. 146 della sua edizione ipponattea, che «verba κραδίης νόμος poe­tae tribuenda videntur». 28   Hesych. κ 3919 L.: κραδίης τυρός· ὁ ὑπὸ τοῦ ὀποῦ τῆς κράδης πησσόμενος. Stessa informazione in Phot. κ 1045 Th. 29  L’interesse di Ipponatte per questo rito è confermato da riferimenti espliciti presenti nei frr. 6 e  26-30 Dg. 30  Così ad es. Brink 1851, 66, Sternbach 1886, 68 e Gentili 1967, 58 s. 31  Vd.  Lasserre 1954,  18 e  Degani nel­ l’apparato critico al  fr.  146. Resta in

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Circa il carattere di questo νόμος del fico, sembra ragionevole supporre che fosse trenodico, come argomentato da Gentili 32, poiché questo suggerisce il contesto di destinazione, e  potrebbe quindi trattarsi di un’elegia trenodica ionica 33 da porre accanto a  quella di ambito peloponnesiaco, pure trenodica, del­l’arcade Echembroto di cui Pausania (10, 7, 5) ricorda un epigramma dedicatorio in metri lirici contenente il termine ἔλεγος, dal­l’indubbio significato di ‘canto lamentoso’: l’occasione della dedica, nota Pausania, fu la vittoria di un tripode agli agoni aulodici a  Pito nel 586 a.C., agoni che, aggiunge il Periegeta, furono in seguito esclusi dalle gare perché consistenti in canti mestissimi (μέλη τὰ σκυθρωπότατα) e in ἐλεγεῖα – termine spiegato nei manoscritti con θρῆνοι – cantati con l’accompagnamento di auli 34. Ma nella tradizione del­l’elegia trenodica peloponnesiaca si iscrivono forse anche Clona e  Sacada, se anche i  carmi elegiaci di cui furono autori ebbero contenuto trenodico. Ma con questo si tocca il problema centrale concernente il κραδίης νόμος, cioè la sua natura di νόμος aulodico o auletico. Chi ovviamente lo considera un νόμος elegiaco non può che ritenerlo aulodico, ma non è mancato chi lo ha considerato auletico, svincolato quindi da ogni legame con l’elegia e il canto 35. Di recente ha tentato un’analisi contestuale del­l’ottavo capitolo del De Musica Andrew Barker 36, un’analisi tutt’altro che facile, per via della complessa e non sempre chiara trama compoogni caso plausibile l’ipotesi di una critica di Ipponatte a Mimnermo (vd. ancora Degani 2007, 140). 32  Vd. Gentili 2006, 60 e già Gentili 1967, 58 s.; sulla stessa linea in un breve cenno Degani 2007, 140, nel commento del fr. 146. 33  Così ancora Gentili, ibid., sulla base di Lasserre 1954, 23 e 158. 34  Analisi recenti di questo passo in Aloni – Iannucci 2007,  14 s. e  Nobili 2011, 35 s., con bibliografia precedente sul problema del carattere originariamente trenodico del­l’elegia. 35   Favorevoli al carattere aulodico del κραδίης νόμος sono Lasserre 1954, 158, Gentili 1967,  58 s. e  ancora Gentili 2006,  60 nonché Degani 2007,  140, mentre Weil – Reinach 1900, 34 lo inseriscono nella sezione (pp. 31-37) dei nomoi auletici operando tuttavia lo spostamento del resto del capitolo, che pare legato al­l’aulodia, alla sezione dedicata ai nomoi aulodici e citarodici (pp. 17-31). Anche Barker 1984, 213, n. 58 considera auletico e non aulodico il κραδίης νόμος, basandosi essenzialmente sul contesto del capitolo ottavo e sulla glossa di Esichio che lo ricorda. 36  Barker 2014, 36.

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sitiva del­l’opera. L’incipit del capitolo sembra infatti continuare la tematica di quello precedente, che è dedicato ai νόμοι auletici, ragion per cui sembrerebbe di poter classificare il κραδίης νόμος come nomos auletico eseguito da Mimnermo, ma subito dopo lo Pseudo-Plutarco aggiunge che anticamente gli aulodi cantavano canti elegiaci posti in musica (ἐν ἀρχῇ γὰρ ἐλεγεῖα μεμελοποιημένα οἱ αὐλῳδοὶ ᾖδον), affermazione che crea qualche problema con quel che precede, non tanto perché Mimnermo non possa essere stato sia auleta sia aulodo (in quest’ultimo caso certamente anche in qualità di esecutore delle proprie elegie), quanto perché questa attenzione su Mimnermo aulodo appare incongrua se davvero l’argomento affrontato fossero ancora i nomoi auletici, come nota giustamente Barker 37. Ma anche il resto del capitolo in realtà crea problemi: vi si cita Sacada di Argo, ma se ne ricorda in primis la composizione di canti e versi elegiaci posti in musica, e solo dopo la sua fama di valente auleta, legata alla composizione del τριμελὴς νόμος, che però non può essere auletico in quanto si dice che era cantato da un coro; infine, viene ricordata un’altra origine di questo stesso νόμος, quella documentata da un’iscrizione sicio­ nia secondo cui ne sarebbe stato inventore Clona, che però sappiamo dal capitolo terzo fu compositore di νόμοι aulodici, e poiché quest’ultima informazione deriva da Eraclide, del quale si dice pure – sempre nel terzo capitolo – che utilizzò l’iscrizione sicionia come fonte, sarebbe ovvio pensare che il τριμελὴς νόμος sia aulodico, non corale né tantomeno auletico. In sostanza non c’è nulla nel capitolo ottavo che faccia pensare a una trattazione di νόμοι auletici, ma ciononostante resta possibile che l’inizio del capitolo e quindi il riferimento al­l’aria del fico costituisca una continuazione con quanto esposto in quello precedente. Q uanto alla glossa di Esichio riguardante il κραδίης νόμος, mi sembra di poter dire che non se ne evidenzia un’indicazione chiara né in favore del carattere auletico né in favore del carattere aulodico , bensì solo un riferimento allo strumento (l’aulo) e al­l’occasione (la cerimonia dei φαρμακοί) in cui veniva eseguita. In conclusione quindi si può dire che lo Pseudo-Plutarco ed Esichio forniscono con certezza   Vd.  Barker 2014, ibid., che ritiene comunque il κραδίης νόμος un nomos auletico («Nothing more is said about the auletic Kradias nomos»): a riguardo vd. già n. 35. 37

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TESTIMONIANZE DI AULETICA IN IPPONATTE

una sola informazione, cioè che l’esecuzione di questo νόμος avveniva con l’aulo, ma non ci consentono di stabilire se si trattasse di un’esecuzione solo musicale o anche cantata: è dunque a mio avviso prudente sospendere il giudizio sulla natura auletica o aulo­ dica del­l’aria del fico.

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L. BETTARINI

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Abstracts Il presente studio tenta un inquadramento di tre diverse figure di auleti e di un nomos – eseguito con l’aulo da Mimnermo – che vengono citati nella produzione di Ipponatte. This study tries to draw a  picture of   three auletes and to examine a nomos – performed by Mimnermos on the aulos – that are mentioned by Hipponax.

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MARIALUIGIA DI MARZIO

Università «G. d’Annunzio» di Chieti – Pescara

IL CANTO DELLE SIRENE NEL CARME DAFNEFORICO DI PIND. FR. 94B MAEHLER

Al centro di questo contributo c’è la curiosa immagine presente ai vv. 11-20 del carme fr. 94b Maehler del­l’edizione teubneriana di Pindaro, conservato sul P. Oxy. 659 e pubblicato nel 1904 da Grenfell e  Hunt. Per quanto il papiro su cui l’ode è  conservata sia anonimo e  privo di coincidenze con testi noti, quasi unanimemente 1 fin dal­l’editio princeps è  stato attribuito a  Pindaro 2. Elementi stilistici e  linguistici, la destinazione tebana, l’attribuzione esclusiva a Pindaro di dafneforici 3 e il fatto che nelle fonti biografiche un tale Pagonda (menzionato al v. 10 del frammento) sia considerato autoschediasticamente padre di Pindaro sono gli elementi che suffragano in modo decisivo l’attribuzione 4. Q uesto partenio fu eseguito da un coro di ragazze nel contesto della processione dafneforica al santuario di Apollo Ismenio, una delle feste più solenni della città di Tebe 5. Proclo nella Biblio1  Ha preferito la paternità bacchilidea a  quella pindarica Weil (1904, 570571), per motivi stilistici e metrici nonché per l’assenza della dimensione eroica. Ha sostenuto che i  versi siano stilisticamente inadeguati a  Pindaro Fraccaroli (1905, 365); in proposito vd. anche Griffith 1966, 72. 2  Grenfell-Hunt 1904,  50-52. Nella stessa direzione subito dopo Blass 1906, 480-482. 3  Il solo a dubitare del­l’appartenenza del carme al genere dei parteni è stato Schachter (1981, 85). Vd. infra n. 13. 4  Per una riconsiderazione accurata degli elementi a sostegno della paternità pindarica vd. Lehnus 1984, 77 s. 5   È Proclo (Chrest. ap. Phot. Bibl. 321a, 34 Severyns) a parlare del dafneforico come di una sottocategoria al­l’interno del genere dei parteni: τὰ δὲ λεγόμενα παρθένια χοροῖς παρθένων ἐνεγράφετο· οἶς καὶ τὰ δαφνηφορικὰ ὡς εἰς γένος πίπτει· δάφνας γὰρ ἐν Βοιωτίᾳ διὰ ἐννεαετηρίδος εἰς τά τοῦ Ἀπόλλωνος κομίζοντες ἱερεῖς ἐξύμνουν αὐτὸν διὰ χοροῦ παρθένων. Per un esame dettagliato e  una revisione

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M. DI MARZIO

teca di Fozio, dopo una digressione sulle origini del rito 6, descrive dettagliatamente la processione nella quale un ramo di olivo riccamente adornato di alloro, di sfere, di bende e di fiori, la κωπώ (o κώπω) 7, veniva condotto al santuario di Apollo Ismenio 8; dal confronto del testo di Proclo con i  versi del carme dafneforico pindarico, nonché con l’altro importante testimone, Pausania 9, si ricostruisce che protagonisti della processione erano un παῖς

aggiornata delle problematiche relative alla classificazione del­l’opera di Pindaro vd. Negri 2004, 208-225. 6  Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 321b, 1-13 Severyns: Καὶ ἡ αἰτία· τῶν Αἰολέων ὅσοι κατῷκουν Ἄρνην καὶ τὰ ταύτῃ χωρία κατὰ χρησμὸν ἀναστάντες ἐκεῖθεν καὶ προκαθεζόμενοι Θήβας ἐπόρθουν προκατέχομενας ὑπὸ Πελασγῶν. Κοινῆς ἀμφοῖν ἑορτῆς Ἀπόλλωνος ἐνστάσης ἀνοχὰς ἔθεντο καὶ δάφνας τέμνοντες οἱ μὲν ἐξ Ἑλικῶνος, οἱ δὲ ἐγγὺς τοῦ Μέλανος ποταμοῦ ἐκόμιζον τῷ Ἀπόλλωνι. Πολεμάτας δέ, ὁ τῶν Βοιωτῶν ἀφηγούμενος, ἔδοξεν ὄναρ νεανίαν τινὰ πανοπλίαν αὐτῷ διδόναι καὶ εὐχὰς ποιεῖσθαι τῷ Ἀπόλλωνι δαφνηφοροῦντας διὰ ἐννεαετηρίδος προστάττειν. Μετὰ δὲ τρίτην ἡμέραν ἐπιθέμενος κρατεῖ τῶν πολεμίων καὶ αὐτός τε τὴν δαφνηφορίαν ἐτέλει· καὶ τὸ ἔθος ἐκεῖθεν διατηρεῖται. Proclo riferisce una tradizione che dovrebbe risalire a una fonte non anteriore al IV secolo a.C., dal momento che le ificratidi indossate dal dafneforo fanno la loro comparsa nella prima parte di quel secolo. È verisimile che tale fonte riflettesse la riorganizzazione del rito durante l’egemonia di Tebe nel IV sec. a.C. (vd. Wilamowitz 1899, 223 s.; Puech 1958-1961, IV, 169, n. 3; Schachter 1981, 84, n. 6; 2000, 108). 7  Non c’è accordo sul­l’accento di questo termine. A favore di κωπώ Schönberger 1942,  87-89. Sulle conseguenze di una scelta o  del­l’altra vd.  Schachter 2000, 110 e Kowalzig 2007, 378. 8 Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 321a, 13-32 Severyns: Ἡ δὲ δαφνηφορία· ξύλον ἐλαίας καταστέφουσι δάφναις καὶ ποικίλοις ἄνθεσι … Ἄρχει δὲ τῆς δαφνηφορίας παῖς ἀμφιθαλής, καὶ ὁ μάλιστα αὐτῷ οἰκεῖος βαστάζει τὸ κατεστεμμένον ξύλον ὃ κώπω καλοῦσιν. Αὐτὸς δὲ ὁ δαφνηφόρος ἑπόμενος τῆς δάφνης ἐφάπτεται, τὰς μὲν κόμας καθειμένος, χρυσοῦν δὲ στέφανον φέρων καὶ λαμπρὰν ἐσθῆτα ποδήρη ἐστολισμένος ἐπικρατίδας τὲ ὑποδεδεμένος. ᾧ χορὸς παρθένων ἐπακολουθεῖ προτείνων κλῶνας πρὸς ἱκετηρίαν ὑμνῶν. Παρέπεμπον δὲ τὴν δαφνηφορίαν εἰς Ἀπόλλωνος Ἰσμηνίου καὶ Χαλαζίου. 9   Paus. 9, 10, 4: τόδε γε καὶ ἐς ἐμὲ ἔτι γινόμενον οἶδα ἐν Θήβαις· τῷ Ἀπόλλωνι τῷ Ἰσμηνίῳ παῖδα οἴκου τε δοκίμου καὶ αὐτὸν εὖ δὲ ἔχοντα καὶ ῥώμης, ἱερέα ἐνιαύσιον ποιοῦσιν· ἐπίκλησις δέ ἐστίν οἱ δαφναφόρος, στεφάνους γὰρ φύλλων δάφνης φοροῦσιν οἱ παῖδες. Εἰ μὲν οὖν πᾶσιν ὁμοίως καθέστηκεν ἀναθεῖναι δαφνηφορήσαντας χαλκοῦν τῷ θεῷ τρίποδα, οὐχ ἔχω δηλῶσαι, δοκῶ δὲ οὐ πᾶσιν εἶναι νόμον· οὐ γὰρ δὴ πολλοὺς ἑώρων αὐτόθι ἀνακειμένους· οἱ δ᾽οὖν εὐδαιμονέστεροι τῶν παίδων ἀνατιθέασιν. ἐπιφανὴς δὲ μάλιστα ἐπί τε ἀρχαιότητι καὶ τοῦ ἀναθέντος τῇ δόξῃ τρίπους ἐστὶν Ἀμφιτρύωνος ἀνάθημα ἐπὶ Ἡρακλεῖ δαφνηφορήσαντι. Per quel che riguarda la cronologia, secondo Wilamowitz (1922,  436) la cerimonia descritta da Pausania corrisponderebbe a  una trasformazione profonda del culto in epoca ellenistica, mentre secondo Brelich (1969,  415  ss.) essa ha una sua coerenza interna e  può risalire al­l’epoca arcaica.

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ἀμφιθαλής 10, un ragazzo con genitori ambedue viventi, che avanzava toccando l’alloro; il suo parente più prossimo, che portava il tronco adorno chiamato κωπώ; un coro di vergini che procedeva cantando un inno 11. Il rituale dafneforico era senz’altro particolarmente vicino a  Pindaro, sia in quanto tebano, sia perché padre di un dafneforo, Daifànto, per cui compose il carme fr. 94c Maehler, sia perché, stando ai testimoni in nostro possesso, egli è il solo poe­ta ad aver composto carmi per questa precisa cornice rituale. La vicinanza di Pindaro a questo culto è testimoniata anche dai numerosi canti che il poe­ta ha composto per le celebrazioni di Apollo Ismenio 12. Il dafneforico, per sua intima natura, deve considerarsi di genere misto, per gli dei e  per gli uomini, per la celebrazione di Apollo nella processione dafneforica cittadina, ma anche per quella del giovane dafneforo e, pur nello stato frammentario nel 10  Come annota LSJ s.v.  dal valore primario di ἀμφιθαλής ‘dai genitori entrambi viventi’ avviene poi uno slittamento semantico al significato di ‘ricco’. Per un esaustivo riepilogo sul­l’importante ruolo svolto dai παῖδες ἀμφιθαλεῖς, ricchi del loro fortunato destino e intatti dal­l’impurità della morte, nelle cerimonie cultuali vd. Olivieri 2011, 174 n. 98. 11  Tale sommaria descrizione degli attori principali della processione dafneforica nasce dalla lettura integrata di Pindaro, Pausania e Proclo/Fozio. Essa non è  inconsapevole delle numerose differenze di dettaglio tra i  testimoni: Proclo parla diffusamente di una processione dafneforica che aveva luogo ogni otto anni, Pausania descrive un dafneforo che restava in carica per un anno e  poi, senza dare dettagli sulla processione, si sofferma sulla dedica dei tripodi da parte dei dafnefori; inconfutabili poi anche le differenze tra Pindaro e Proclo, che pure, rispetto a Pausania, sembra a lui più vicino. Dopo coloro che non drammatizzano le differenze tra i testimoni e ricostruiscono il rituale integrandoli (Wilamowitz 1922, 433-435; Sbordone 1940, 30 ss; Bernardini 1989; Calame 1997 a, 59-62; 103) e coloro che tendono a mettere in luce contraddizioni insanabili tra le due fonti principali sulla dafneforia (Severyns 1938,  225-228; Ferrari 1991,  396), una riconsiderazione che sposta il livello del­l’analisi dagli specifici dettagli alla struttura globale e una spiegazione convincente delle motivazioni degli elementi distintivi e apparentemente contraddittori, da legare alle finalità e agli interessi diversi di Pausania e di Proclo, in Kurke 2007, 71-76. Un esame attento dei testimoni e delle loro divergenze, reali o presunte, soprattutto nel­l’ottica di una valutazione della maggiore o minore vicinanza di Pindaro a Pausania o a Proclo in Olivieri 2011, 175 s. e 180. 12  Sicuramente i  Peani 1 e  9, l’epinicio per Trasideo vincitore a  Pito che, insieme al vincitore, sembra celebrare anche l’Ismenio (in proposito Bernardini 1989), i Parteni dafneforici 94b e c, il fr. 66 che è un tripodeforico per l’Ismenio. Accanto a questi canti certi, per numerosi altri carmi pindarici si ipotizza il legame con lo stesso contesto festivo. Vd. in proposito Olivieri 2011, 171.

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quale ci è conservato, il fr. 94b corrisponde perfettamente a questo carattere 13. La presenza del riferimento ad Apollo sembra accertata dal­ l’integrazione pressocchè sicura Λοξ]ίας al v. 3 e, secondo alcuni interpreti, il χρυσοπ[επλ del v. 1 potrebbe alludere a Melia, la ninfa tebana sposa di Apollo 14, con sede perenne presso il santuario Ismenio, sicuramente cantata in più carmi solo da Pindaro 15 prima del periodo ellenistico, quando compare nella poesia di Callimaco Hymn. Del. (4), 75-82 e nei racconti di Pausania (9, 10, 5-6). Il riferimento al­l’attualità si completa inoltre nella perfetta fusione di due elementi: da una parte i preparativi del coro di fanciulle e le indicazioni orchestiche che riguardano i vari partecipanti alla processione, dal­l’altro l’elogio delle virtù sportive della famiglia e del suo importante ruolo nella πόλις, mentre, stando a quel che è conservato, non sembra esserci una vera e  propria sezione mitica 16. I  versi iniziali rendono immediatamente chiaro che l’occasione della festa è legata al culto di Apollo a Tebe:   Del carattere misto di alcuni carmi, e tra essi del partenio dafneforico, che da una parte celebra la divinità per la quale si svolge il rito, dal­l’altra si volge a lodare gli uomini, scrive chiaramente Proclo (Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a, 3-6 Severyns): εἰς θεοὺς δὲ καὶ ἀνθρώπους παρθένια, δαφνηφορικά, τριποδηφορικά, ὠσχοφορικά, εὐκτικά ταῦτα γὰρ εἰς θεοὺς γραφόμενα καὶ ἀνθρώπων περιείληφεν ἐπαίνους. Che questo carme abbia in comune con l’epinicio e con l’encomio più di quanto ci si aspetti da un canto dafneforico per Apollo (al quale non ci sarebbe nel carme neanche un riferimento sicuro) ha sostenuto Schachter (1981, 85), arrivando a dubitare del­l’appartenenza del nostro carme al genere dei parteni dafneforici. Pur riconoscendo la forza del­l’elemento encomiastico nel carme, alle considerazioni di Schachter obietta in modo motivato e convincente Lehnus (1984, 80), sottoli­ neando in primis che il riferimento al Lossia al v. 3 ([Λοξ]ίας) è pressoché certo e  poi che «la dafneforia era la festa, oltrechè della città, di una famiglia, quella appunto del giovane dafneforo». 14   L’ipotesi di Schachter (2000, 100) è ripresa da Kurke 2007, 97 e da Olivieri 2011, 167. Di diversa opinione Schroeder 1930, 305, Sbordone 1940, 27, Puech 1958-1961, IV 174, Lehnus 1984, 78, che pensano piuttosto alla Musa. Così anche Maehler (1989, 92), che suggerisce in alternativa il riferimento a Tebe. 15  Pindaro la celebra in carmi tutti di committenza tebana: l’Inno primo, fr. 29, 1, i Peani 7 e 9 e la Pitica 11, verisimilmente eseguita nel contesto del santuario di Apollo Ismenio. 16  Va precisato che non è possibile escludere con certezza che il racconto mitico si trovasse nelle ampie lacune presenti dopo i  vv.  20,  49,  82, e, comunque, il mito relativo alle origini del rito dafneforico, noto attraverso Proclo/Fozio (vd. supra p. 238, nn. 6 e 8), sembra permeare il carme attraverso la configurazione stessa della processione e  del rito dafneforico,᾽ come ricostruisce Kurke 2007, 79-84. 13

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ἥκε]ι γὰρ ὁ [Λοξ]ίας  π]ρ[ό]ϕρω[ν] ̣ ἀθανάταν χάριν Θήβαις ἐπιμ‹ε›ίξων. Infatti è giunto il Lossia, benevolo, mescendo per i Tebani grazia immortale.

Il Lossia è giunto, è presente al­l’Ismenio. Dal momento che avverte la presenza del dio, la processione sembra dunque essere quasi giunta al tempio. Poi, già al v. 6, il coro si mette in primo piano descrivendo il suo abbigliamento e, al v. 13 s., dicendo di voler imitare il canto della Sirena: vv. 6-20 ἀλλὰ ζωσαμένα τε πέπλον ὠκέως   χερσίν τ᾽ ἐν μαλακαῖσιν ὅρπακ᾽ ἀγλ ̣αόν δάϕνας ὀχέοισα πάν δοξο ̣ν Αἰολάδα σταθμόν υἱοῦ τε Παγώνδα ὑμνήσω στεϕάνοισι θάλ  λοισα παρθένιον κάρα,  σειρῇ ̣να δὲ κόμπον αὐλίσκ ̣ων ὑπὸ λωτίνων  μιμήσομ ̣᾽ ἀοιδαῖς κεῖνον, ὃς Ζεϕύρου τε σιγάζει πνοὰς   αἰψηράς, ὁπόταν τε χειμῶνος σθένει ϕρίσσων Βορέας ἐπι σ ̣πέρχ̣ ̣ησ᾽ ὠκύαλον †τε πόντου† ῥ]ιπὰν ̣ ̣†ἐτάραξε καὶ †  Orsù, indossando rapidamente il peplo, e portando nelle tenere mani un ramoscello splendente d’alloro alla dimora famosissima di Eolàda e del figlio Pagonda leverò un inno, di corone fiorente sul capo virginale, (e) imiterò nei canti coi piccoli auli di loto la Sirena, quel vanto, che mette a tacere i soffi veloci di Zefiro, e quando con l’impeto della tempesta Borea fremendo inizi a infuriare † e del mare †  il violento urto † sconvolse e † 241

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La scena che si ricostruisce è quella di fanciulle con corone sulla testa che tengono tra le mani ramoscelli di alloro e avanzano processionalmente. È in questa prima parte del canto che ricorre l’immagine della Sirena. Al di là del problema annoso delle integrazioni al passo, estremamente corrotto, credo che la soluzione più corretta resti quella meno ricostruttiva, adottata nel­l’edizione teubneriana da Snell prima e da Maehler poi, che conserva le cruces ai vv. 19-20 17. L’immagine che è comunque sottesa a tutte le proposte di ricostruzione è quella della Sirena che mette a tacere i soffi dei venti. Si fa evidentemente riferimento a una prerogativa delle Sirene già attestata nel fr.  28 M.-W.  di Esiodo 18. Che nel passo pindarico la Sirena, secondo una capacità che le è propria, debba mitigare i venti impetuosi è indiscutibile, ma più interessante è il fatto che il coro dica di voler cantare imitando il canto della Sirena che placa i venti di tempesta, dal momento che le Sirene sono senz’altro canore per eccellenza, ma per eccellenza sono anche un paradigma di distruzione degli altri o di loro stesse 19. Vediamo dunque cosa si è scritto sulla Sirena di questo passo e come è stata interpretata la sua presenza. Wilamowitz, dopo aver   Maehler 2001, 92.   Hes. fr.  28 M.-W.: ἐντεῦθεν Ἡσίοδος καἰ τοὺς ἀνέμους θέλγειν αὐτὰς ἔφη. Possibile che alla stessa loro capacità di agitare, sovvertire e guidare le forze della natura si riferisca anche un passo mai preso in considerazione come possibile parallelo per i versi pindarici. Si tratta del fr. 21 K.-A. di Nicofonte, poe­ta del­ l’ἀρχαία, il cui titolo Sirene alludeva forse al coro. È lecita l’ipotesi che il poe­ta avesse parodiato l’episodio omerico delle Sirene (di quest’idea Schmidt 1888, 380 s.; Phillips 1959, 65 s.), come fa pensare anche la considerazione che tutti i titoli confermati della commedia di Nicofonte sembrano dimostrare un suo particolare interesse per la parodia mitologica (cfr. Pellegrino 2000, 127 n. 3). Malgrado le immagini che costituiscono i singoli elementi della sequenza, «Cada a fiocchi farina d’orzo, scendano a gocce pezzi di pane, piova purea» (la traduzione è di Pellegrino 2000, 127), abbiano paralleli, la sequenza delle immagini di eventi atmosferici che ‘trasportano’ cibi da paese della cuccagna è originale e potrebbe dare ulteriore peso al­l’idea che i versi siano stati pronunciati dalle Sirene piuttosto che da Odisseo (Hoffmann 1910, 23). 19  Per la distruzione dei naviganti cfr.  ad esempio Hom.  Od. 12,  39-54; Ap. Rh. Arg. 4, 900-902; del­l’uccisione dei Centauri scrivono invece Licofrone (Alex. 670; Schol. Lyc. Alex. 670) e Tolomeo Chenno (Storia inedita V, 150b, 2932), che, nella stessa opera (VII, 152b, 32-34), parla anche del­l’uccisione di Telemaco. Sulla profezia secondo la quale le Sirene sarebbero morte, se una nave fosse riuscita a superare indenne i loro scogli vd. Apollod. Ep. 7, 19; Hyg. Fab. 125, 13; 141, 2; Lyc. Alex. 712-716; Myth.Vat. 1, 183; 2, 123; sul suicidio delle Sirene in preda al­l’ira dopo i passaggi indenni di Odisseo e Orfeo, nonché dopo la sconfitta subita nella gara canora con le Muse vd. infra p. 249, n. 44 e p. 253, n. 45. 17 18

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segnalato che le Sirene mitigavano la furia dei venti già in Esiodo 20, osservava soltanto come la loro comparsa qui fosse sorprendente, essendo il mare estraneo alle fanciulle tebane. Secondo Calame 21, nel passo pindarico le Sirene rinvierebbero non solo alle qualità di armonia della voce femminile, ma anche alle caratteristiche adolescenziali delle coreute e per Grandolini, nella sua asserzione di imitare il canto delle Sirene, Pindaro alluderebbe «alla capacità, propria della poesia, di far tacere ogni contrasto e turbamento», inserendosi nella tradizione poe­tica precedente che attribuisce loro un canto particolarmente armonioso (Alcm. fr. 1, 96 Page = fr. 3 Calame), ammaliante (Hom. Od. 12, 39-54; 158-200), e la capacità di sedare i venti (Hes. fr. 28 M.-W.) 22. Per Lehnus 23, che ha operato una riconsiderazione paleografica ed esegetica del carme assai accurata, «nel­l’accostamento tra il canto delle fanciulle e quello delle Sirene, c’è l’evidente ripresa di un motivo da considerare apertamente e  direttamente alcmanico» 24. Tale idea viene ripresa da Stehle 25 e  finalizzata a  un’interpretazione del passo funzionale al­l’interesse più preciso della studiosa: il rapporto tra poesia, performance e gender 26. 20  Wilamowitz 1922,  435. Sulla linea interpretativa di Wilamowitz anche Mancini (2005, 30-31) secondo cui la particolare capacità di placare i venti che il coro vorrebbe imitare dalle Sirene converrebbe bene a  un canto destinato ad Apollo Ismenio, conosciuto anche come Chalazios, cioè «che preserva dalla grandine», epiteto attestato però nel solo cod. A di Fozio, Bibl. 321b, 31-32, di contro a  Galaxios, «colui che procura il latte», attestato nel cod. M.  In proposito vd. Schachter 1981, 48 e 83. 21  Calame 1977 a II, 81 e 1977 b, XXII. 22  Grandolini 1982-1983, 22 s. 23  Lehnus 1984, 80 s. 24   Lehnus 1984,  80: «Che in Alcmane la Sirena fosse un punto di riferimento fantastico per il canto femminile traspare già dal­l’isolato fr. 30 Page, dove il poe­ta addirittura la identifica con la Musa – che dia voce a lui e al suo coro: ἁ Μῶσα κέκλαγ᾽ ἁ λίγεα Σηρήν. Ιl vero precedente rispetto a Pindaro è costituito però dai vv. 96-98 del Partenio del Louvre, fr. 1, dove di Agesicora si dice: ἁ δὲ τᾶν Σηρην[ί]δων ἀοιδοτέρα μ[ὲν οὐχί, σιαὶ γάρ … . La corega è inferiore alle Sirene solo perché esse sono dee, nulla di meno». 25  Stehle 1977, 93. 26  L’analisi del nostro frammento è stata dunque inserita nel­l’ipotesi relativa ai due maggiori parteni di Alcmane che in essi «The chorus is staged in such a way that the chorus-members can fulfil their role of   offering reflection and model to the community while presenting themselves as proper parthenoi, that is, as lacking authority and subjectivity» (93). Tale contraddizione ricorrerebbe anche nel frammento pindarico, seppure in forme diverse, per il differente contesto rituale

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Il paragone delle esecutrici con le Sirene, richiamando Alcmane e  il genere partenio, servirebbe dunque a  marcare la differenza delle loro voci dalle voci degli uomini. D’altra parte, il confronto sotteso con le Sirene omeriche e quelle esiodee, al di là delle sue implicazioni positive, la capacità di celebrare e  il potere ammaliante, dice Stehle, richiama anche la pericolosità della lusinga che è nel passo omerico e quindi non garantisce l’affidabilità delle parole delle parthenoi. Dunque, solo dopo che esse avranno addomesticato il messaggio ‘ingannevole’ implicito nel confronto con le Sirene al v. 31 ss., limitandosi anche nei pensieri, ai vv. 38-39 potranno dire di essere fedeli testimoni per il dafneforo e la sua famiglia. Ancor più recentemente Power 27, occupandosi delle Κηληδόνες e confrontandole alle Sirene come possibili modelli pur eccessivi ai  quali un coro poteva aspirare, si è  occupato di questo passo. A suo giudizio i cori partenici di Alcmane nel fr. 1 Page, v. 96 s. e  di Pindaro in questo frammento «analogously flirt with the dark side, ‘good girls’ comparing themselves to, even mimetically re-enacting the irresistibly seductive ‘bad girls’ of  choral song, the Sirens, as a way of   insinuating the expansive allure of   their musical power. Such power is, however, exercised in a more modest, socially constructive fashion than the Sirens’ psychopathically antisocial hypereroticised singing». Power coglie dunque con chiarezza il potenziale inquietante e sovversivo del paragone col canto delle Sirene, ma pensa che il moderato coro tebano giocherà contro il modello, canalizzando il seducente e crudo potere delle Sirene e inquadrandolo in modo sicuro e produttivo al­l’interno di un formale canto corale. La riaffermazione delle moderate ambizioni del canto delle parthenoi sarebbe nella recusatio dei vv. 3135, dove «they are dramatically rejecting the sublime excesses characteristic of  the singing of  the Sirens» (100). Il confronto con la Sirena viene dunque inteso ora come esplicito richiamo ad Alcmane o addirittura come topos del genere, ora e la diversa funzione della performance che in esso si attua. Q ui la parte del rituale in cui le parthenoi si presentano in pubblico per mostrare di esser pronte alle nozze le obbligherebbe a mostrarsi come giovani donne prive di autorità (ἐπίμειξων del v. 5 alluderebbe alla loro fertilità), mentre la celebrazione di una famiglia importante richiede che esse abbiano autorità. 27  Power 2011, 98 ss.

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invece se ne coglie la suggestione inquietante, ma si cerca di ‘addomesticarla’, per dirla con Stehle o  di farla ‘recusare’ secondo Power. Stando a quel che abbiamo del testo e a meno di ipotizzare nei versi perduti dopo l’immagine della Sirena l’esplicita ragione di un tale comportamento del coro, che proponeva un termine di confronto per poi distaccarsene, credo che anche un pubblico preparato e civicamente e socialmente omogeneo al poe­ta avrebbe seguito con difficoltà un andamento così contraddittorio del pensiero. Una riconsiderazione del contenuto letterale dei versi e  un approfondimento sul­l’immaginario delle Sirene possono forse permetterci di leggere diversamente il testo. Il senso generale del confronto parthenoi/Sirene nel carme è stato, a mio avviso, inteso correttamente nel 1940 da Sbordone 28: «Come la Sirena placa i turbini e le procelle, così la preghiera delle vergini al Nume tebano porterà la pace e la calma nelle vicende, a quel che pare, fino a quel momento burrascose, della casa di Eolada e del suo figliolo. Il poe­ta si serve di questa immagine per venire a discorrere della tesi che più lo interessa: le attualità politiche sulla famiglia che ha promosso il rito». Sbordone spiega lucidamente Pindaro. Q uella è letteralmente la funzione fondamentale di questo confronto e a questa luce, io credo, si debba intendere appieno il valore del canto delle Sirene. Anche chi, come Kurke, ha approfondito in modo magistrale la connotazione e le implicazioni politiche di questo carme dafneforico, non ha approfondito in tal senso l’immagine 29. La studiosa, addentrandosi nella storia della Beozia e delle sue istituzioni politiche fondamentali (68  ss.), in particolare il koinon beotico, osserva che, stando agli ultimi studi sulla gestazione e nascita ufficiale del koinon 30, esse sarebbero da porre non già nel tardo VI secolo 31, bensì rispettivamente l’una nella prima metà del quinto,   Sbordone 1940, 29 s.   Kurke 2007, 87. 30  Mackil 2003. Perplessità sul­l’esistenza di un formale koinon già nel tardo VI secolo a.C. avevano espresso già Demand 1982, 17-20 e Hansen 1995, 30-32. Per altri importanti e recenti studi sulla formazione del koinon beotico vd. anche Corsten 1999, 27-60 e Mafodda 1999. 31   A questa data essa è tradizionalmente collocata da Larsen 1968, 29 s.; Buck 1972; 1979, 107-120; Ducat 1973. 28 29

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la seconda solo dopo la battaglia di Coronea nel 447 a.C., e dunque «Pindar’s several Theban poems fall right in the period of  the active efforts of  the Theban elite to constitute a broader Boiotian unity and identity under their own leadership» (2007, 70). L’esi­ genza storica modellerebbe dunque il rituale, e i carmi pindarici scritti per le occasioni tebane, ‘copioni’ della ritualizzazione in atto, conserverebbero traccia di questo processo 32. Q uesto discorso, se vale per tutti i  carmi tebani di Pindaro, a  maggior ragione vale per il fr. 94b, dal momento che esso, dice Kurke (70), potrebbe datarsi al momento della cristallizzazione del koinon, se si è nel giusto a identificare il Pagonda del carme con il comandante tebano al Delio nel 424 a.C. 33 L’interna contraddittorietà della descrizione della dafneforia tebana realizzata da Proclo, che sembra mettere insieme un rituale apollineo più prettamente tebano e legato al­l’Ismeno e uno forse matrimoniale diffuso al di fuori di Tebe, nel­l’area del Citerone e di Platea, comunque nel sud della Beozia, si spiegherebbe dunque come una creazione sincretistica non di Proclo, bensì del rituale stesso nella scelta programmatica di legare al suo interno insieme Tebe e il resto della Beozia. E a questo fine giocherebbe un ruolo perfetto, dice Kurke, anche l’aition della dafneforia riportato da Proclo 34, che esplicita come le diverse genti eoliche che assediavano Tebe allora abitata dai Pelasgi, durante una tregua per celebrare una festa comune di Apollo, tagliarono l’alloro rituale in aree diverse, alcuni nei pressi del­l’Elicona, vicino Tespie, altri nel­l’area del fiume Melas, vicino Orcomeno. Il sud e il nord della Beozia. La combinazione di elementi ibridi nel rito servirebbe dunque a molteplici livelli a costruire l’identità di una comunità in formazione in modo tale che la processione dafneforica rap32   Vd. Bernardini 1989, 40 sulla lirica pindarica in generale come fondamentale documento «per ricostruire determinati aspetti, sia di ordine storico e sociale che politico o economico, della Grecità a cavallo tra VI e V secolo». 33  Per l’identificazione del beotarca del Delio con il padre del dafneforo Agasicle vd.  Wilamowitz 1922,  436; in proposito anche Sbordone 1940,  32; Puech 1958-1961, II, 168; Lehnus 1984, 77 s.; Hornblower 2004, 159; Olivieri 2011, 182. 34 Kurke 2007,  79  ss. Kowalzig (2007,  381) parla della dafneforia come di «a  ritual of   the arriving Boiotoi, intimately connected with their conquest of  Boiotia, and marking the Boiotioi’ victory over the Pelasgians». Per il testo della testimonianza di Proclo vd. supra p. 238, nn. 6 e 8.

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presentasse simbolicamente tutti gli aspetti della popolazione: tebana, beotica, del sud e del nord, nella sua componente maschile e femminile. Anche l’elencazione paraepinicia delle vittorie della famiglia di Agàsicle (vv. 41-49: τίμαθεν γὰρ τὰ πάλαι τὰ νῦν τ’ ἀμϕικτιόνεσσιν ἵππων τ’ ὠκυπόδων πο ̣[λυγνώτοις ἐπὶ νίκαις, αἷς ἐν ἀϊόνεσσιν ’Ογχη[στοῦ κλυ]τ ̣ᾶς, ταῖς δὲ ναὸν ’Ιτωνίας α ̣[.......]α χαίταν στεϕάνοις ἐκόσμηθεν ἔν τε Πίσᾳ) andrebbe incontro alla centralità che la Beozia ha nel canto: l’elenco, come ben sottolinea Kurke, è anomalo in una prospettiva epinicia, ci sono le vittorie di Onchesto 35 e  quelle dei Pamboiotia di Atena Itonia 36 prima della vittoria olimpica. E Onchesto e il santuario di Atena Itonia, a Coronea, sono i due centri fondamentali del koinon beotico, l’uno sede del tribunale anfizionico dei Beoti, l’altro santuario federale e centro religioso del koinon. Nella lode della famiglia c’è ancora il tema della comunità beotica. L’interesse fondamentale di Pindaro in questo canto è senz’altro quello di occuparsi del­l’attualità politica della sua città, e l’immagine in cui si inseriscono le Sirene introduce chiaramente questo tema, ma resta da chiedersi perché mai, tra i mitici cantori capaci di affascinare col canto, Pindaro abbia scelto proprio le Sirene, che si portavano dietro un multiforme retaggio di immagini ed episodi che certo non faceva di loro tranquillizzanti artefici di canti. Partendo da questa incongruenza, ho cercato di riflettere su cosa venisse in mente a un greco quando sentiva parlare di Sirene, e più in particolare se ci fosse qualche elemento per comprendere che cosa rappresentasse la Sirena per Pindaro tebano e per i suoi conterranei che partecipavano alla processione dafneforica, piuttosto che spiegare la sua presenza nel nostro carme ricorrendo ad Alcmane.

35  Kurke 2007, 90; sugli agoni di Onchesto dedicati a Posidone vd. Schachter 1986, 207-221; Kowalzig 2007, 364 ss.; Teffeteller 2001, 159-166; Olivieri 2009. 36  Per il culto beotico di Atena a  Coronea e  per i  gli agoni dei Pamboiotia vd.  Schachter 1981,  117-133; Larson 2007,  133  ss.; più specificatamente sul­ l’iconografia Schachter 1978,  81-107; sul­l’importanza dei Pamboiotia per la formazione del­l’identità regionale beotica e  anche con particolare riferimento al koinon vd. Kowalzig 2007, 352-357, e Kurke 2007, 90 s. Sulla caratterizzazione militare del culto di Atena Itonia e degli agoni dei Pamboiotia in particolare Olivieri 2010.

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Innanzitutto, cosa si raccontava delle Sirene? E poi, di cosa erano paradigmi quando erano alluse? Sicuramente richiamavano il mondo delle acque, e ciò non stupisce viste le paternità rivali che le riguardano, quella attribuita al fiume Acheloo 37 e quella attribuita a Forco 38, figlio di Ponto e Gea. Il passo esiodeo sembra attestare una loro capacità, quella di placare i venti sul mare, proprio in riferimento a questo ambito acquatico 39. Loro ulteriore prerogativa è  poi quella di cantare splendidamente, tanto splendidamente da portare alla distruzione i mortali che le ascoltano, ammaliandoli a tal punto da non farli più allontanare e causandone così la morte per consunzione, come attesta ad esempio il passo odissiaco per bocca di Circe (12, 39-46), ma anche Apollonio Rodio nel IV libro delle Argonautiche (vv. 900902). Anche che cantino così bene non meraviglia, perché a loro è attribuita alternativamente come madre una Musa (Calliope 40 o Melpomene 41 o Tersicore 42). Ma le Sirene per parte di una delle loro supposte madri, questa volta Gea 43, hanno anche una caratterizzazione ctonia. Così nel­ l’Elena di Euripide ai vv. 167-169 e nel fr. 861 Radt di Sofocle, dove cantano le canzoni di Ade, nonché in un passo platonico sul quale mi soffermerò più avanti. Q uesta connessione col mondo ctonio è molto diffusa a partire dal tardo V secolo a.C., sostanzialmente coincidente col momento in cui esse appaiono sui monumenti sepolcrali attici. Una versione mitica collega ulteriormente l’elemento ctonio col fatto che le Sirene fossero giovani fanciulle, ancelle di Persefone (Ap. Rh. Arg. 4, 894-897; Claudian. De rapt. Pros. 3, 190), che cantavano e danzavano insieme a lei, prima che Persefone venisse rapita. Si sarebbero poi trasformate in esseri 37 Apollod. Bibl. 1, 3, 4 [18]; 1, 7, 10 [63]; Epit. 7, 18; Ap. Rh. Arg. 4, 895 s.; Myth. Vat. 1, 183; 2, 123; Tzetz. Chil. 1, 14, 338; 6, 75, 717; Hyg. Fab. 141 e 125, 13, etc. 38  Soph. fr. 861 Radt. 39  Hes. fr. 28 M.-W. 40  Serv. Comm. Georg. 1, 8; Myth. Vat. 1, 42; Myth. Vat. 3, 11, 9. 41 Apollod. Bibl. 1, 3, 4 [18]; Epit. 7, 18; Eust. Comm. ad Hom. Il. 10, 435 ss. (III, 107, 20-24 Van der Valk); Myth. Vat. 1, 183; 2, 123; Tzetz. Chil. 1, 14, 339; Hyg. Fab. 141 e 125, 13. 42 Ap. Rh. Arg. 4, 895 ss.; Schol. ad Hom. Od. 12, 39; Schol. Lyc. Alex. 712; Tzetz. Chil. 1, 14, 339; 6, 75, 717, etc. 43 Eur. Hel. 168; Lib. Progymn. 1, 1 e 3 Förster.

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mostruosi metà donna e metà uccello, secondo Ovidio volontariamente per volar via a cercare Persefone (Met. 5, 551-563), secondo Igino punite da Demetra per non aver saputo proteggere la figlia (Fab. 141), secondo uno scolio a Omero (Schol. Hom. Od. 12, 39) ed Eustazio (ad Hom.  Od. 12,  191-200, p.  5,  14-16 Stallbaum) punite da Afrodite per il loro desiderio di rimanere vergini, un atteggiamento irrispettoso nei confronti della dea del­l’amore. Notissimi poi gli episodi mitici relativi a  Odisseo e  a Orfeo, l’uno capace di ascoltare il loro canto senza farsene avvincere, avvinto com’era dalle funi (Hom. Od. 12, 39-54; 158-200), l’altro, al seguito degli Argonauti, capace di creare sulla sua cetra bistonia un’armonia tanto incalzante da non permettere ai marinai della nave Argo di ascoltare il canto delle Sirene (Ap. Rh. Arg. 4, 891919). A causa delle loro sconfitte, varie fonti sia letterarie sia iconografiche lo testimoniano, le Sirene si suicidarono 44. Ma, al di là degli episodi mitici che le riguardano, cosa ci dicono di loro i brevi accenni, i confronti, gli usi paradigmatici? Mi limiterò ad alcuni esempi. In Euripide Elena, nel­l’omonima tragedia del 412 a.C., chiama le Sirene vergini figlie della Terra e le invoca perchè partecipino al suo lamento luttuoso. Il riferimento è dunque ctonio e il tipo di canto a cui sono chiamate sembra legarle a un immaginario funerario. Nel­l’Andromaca del 423 a.C. (v. 936) invece sono ‘discorsi di Sirene’, cioè ingannevoli, i consigli ricevuti da Ermione, figlia di Menelao e sposa di Neottolemo. In Plutarco nella Vita di Marcello (17) le ricerche praticate dal famoso scienziato siracusano Archimede incantavano come una Sirena, tanto da far dimenticare persino di mangiare e di prendersi cura di sè. E in un dialogo dei Moralia (Q uaest. Conv. 745f) si discute della presenza nella Repubblica platonica delle Sirene, che col loro canto creavano l’armonia delle sfere celesti nella famosa 44  Per un esame dettagliato degli episodi di Orfeo e di Odisseo presso le Sirene vd. Bettini-Spina 2007, 65-84. Sul suicidio delle Sirene dopo il passaggio di Odisseo Schol. HQ T Hom. Od. 12, 39; Schol. Lyc. Alex. 712; Serv. Comm. Aen. 5, 864; Myth. Vat. 1, 42; 2, 123; 3, 11, 9. Sul­l’episodio in cui si gettarono in mare dopo che Orfeo riuscì a superarle indenne Orph. Arg. 1290; sul salto in mare dopo la sconfitta subita dalle Muse Herod. De Pros. Cath. in GG III/1, p. 386, 22-28 Lentz; St.  Byz. s.v.  Ἄπτηρα. Della profezia riguardante il triste fato che avrebbe atteso le Sirene una volta che una nave fosse riuscita a  superare indenne i  loro scogli: a proposito di Orfeo Orph. Arg. 1287 s.; a proposito di Odisseo Apollod. Ep. 7, 19; Hyg. Fab. 125, 13; 141, 12; Lyc. Alex. 712-716; Myth. Vat. 1, 183; 2, 123.

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visione del­l’aldilà di Er, morto e  poi tornato alla vita. Secondo il peripatetico Menefilo la loro presenza lì era fuori luogo, data la cattiva fama di cui godevano; secondo il platonico Ammonio, invece, Platone aveva usato impropriamente il nome ‘Sirene’ per ‘Muse’, perché di esse doveva trattarsi e  non delle Sirene come rappresentate da Omero. Le Sirene, comunque, erano fuori luogo dove si creava l’armonia delle sfere celesti. Incantatrici, pericolose e di pessima fama, queste Sirene plutarchee. E la Sirena compariva anche in un carme simonideo (fr. 607 Page = F 340 Poltera) e in un carme attribuito a Pindaro (fr. dubium 339 Maehler: νιν ‹ › κεῖνον [ ]πος ‹ › οὐδὲ / πελέκεις οὐδὲ Σειρήν). Ce ne informa lo scolio conservato su un Papiro Berlinese (P. Berol. 13875: ]πος· ἐξήρκει ἡ ἑτέρα ἀντωνυμία ἢ ἡ νιν ἢ ἡ ἐκεῖνον. Οὐδὲ πελέκεις οὐδὲ σηρήν· ταῦτα πρὸς Σιμωνίδην, ἐπεὶ ἐκεῖνος ἐν ἑνὶ [ἄ]ισματι ἐπόησεν σειρῆνα τὸν Πεισίστρατον.  …). Q uesto scolio è  tratto da un commentario di Didimo a  Pindaro 45. Q uest’ultimo, dice lo scolio, rifacendosi a Simonide che in un suo canto aveva chiamato Pisistrato ‘Sirena’, avrebbe detto «οὐδὲ πελέκεις, οὐδὲ σειρήν», «né scuri né Sirena», le une allusione al potere violento del tiranno, l’altra al potere fascinante della sua eloquenza. Avremmo un caso di metapoiesi con ampliamento del­l’enunciato: ‘Sirena’, capace di sedurre fatalmente, Simonide direbbe a  Pisistrato; a  quello stesso o  ad altri Pindaro direbbe «né scuri né Sirena», le une esplicitamente minacciose, l’altra, pur più ambiguamente, anch’essa fatalmente seducente. Sia che si interpreti con Molineux 46 l’espressione πρὸς Σιμωνίδην del Papiro Berlinese come ‘against, in reply to, Simonides’ e di conseguenza come lusinghiero il riferimento di Simonide a Pisistrato, sia che con Bowra si interpreti l’espressione come ‘referring to, echoing the words of   Simonides’ e quindi come ostile il riferimento simonideo al tiranno, è senz’altro valida la considerazione di Bowra che «The word ‘Siren’ is double-edged, connoting either pleasing charms or fatal enticement». Il percorso attraverso gli episodi di vita delle Sirene e le allusioni ad esse ci porta a vederle simbolo di parole affascinanti e seduttive, ma pericolose, oppure legate al mondo del­l’aldilà; un termine di   Zuntz 1935, 4.   Molineux 1992, 69-70.

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confronto scomodo quello che Pindaro avrebbe proposto per il suo coro cittadino. E allora è bene chiedersi che cos’altro in particolare ci dica Pindaro su questa Sirena che il coro intende imitare. Egli ci dice innanzitutto che va imitata nella sua capacità di placare i venti che provocano tempeste e il valore metaforico della tempesta nei lirici greci era abbastanza noto, perché il pubblico potesse colmare con l’immaginazione il termine alluso ma non presente, la città in balia dei venti 47. Il coro deve dunque placare i venti e le onde agitate che scuotono la città. Q uel che più gli sta a cuore è creare serenità; quella sembra essere la particolare capacità in cui il coro intende imitare la Sirena, e, aggiunge Pindaro, una particolare ‘σειρῆνα κόμπον’ (v. 13). Gli interpreti hanno palesato un certo disagio nel rendere il termine ricorrendo a  traduzioni poco letterali, oppure proponendo traduzioni letterali, ma non accompagnandole con una adeguata spiegazione: Sbordone parla di «voce altisonante della Sirena» 48. Secondo Lehnus «in Pindaro κόμπος (v. 13) equivale sempre al vanto elargito dal poe­ta»: la Sirena elargirebbe dunque un vanto 49. Ma il testo dice che ‘la Sirena è vanto’. Olivieri rende con «la voce delle Sirene» 50. Per Stehle il coro delle parthenoi imiterà le Sirene nel loro vanto 51. Più vicina al senso letterale del 47  Malgrado il pensiero corra inevitabilmente alla famosa allegoria alcaica della nave-città (fr. 305b V.; cfr. anche frr. 6; 73; 306i, col. II, V.) e a molte altre famose immagini di tempesta metaforica (per es. Theogn. 671-680), in modo ancor più suggestivo i versi del nostro Partenio sembrano richiamare i vv. 16-17b del­l’Istmica 4 dello stesso Pindaro, destinata a celebrare Melisso di Tebe della famiglia aristocratica dei Cleonimidi. Scrive Olivieri (2011, 185) che «La metafora della tempesta (χειμών in Parth. 2, 17; τραχεῖα νιφὰς πολέμοιο in Isthm. 4, 17) è impiegata in entrambi i  componimenti – meno esplicitamente nel Partenio – per indicare i  rovesci di fortuna occorsi alle due famiglie, politici per la famiglia di Agasicle, militari per i  Cleonimidi». Pur condividendo assolutamente le motivazioni alla base del­l’accostamento dei due passi (i medesimi argomenti sfruttati per l’elogio delle due famiglie e il ricorrere di immagini simili nei due carmi), mi sembra che nel caso del Partenio l’immagine della tempesta, non meno esplicitamente di quella del­l’Istmica 4, incomba non tanto e non solo sulla famiglia (di cui pure evidentemente i vv. 61-65 richiamano momenti nei quali è stata al centro di una stasis che ha saputo ricomporre con equilibrio, ‘amando le fidate vie della giustizia’), quanto su tutta la città. 48   Sbordone 1940, 29. 49  Lehnus 1984, 82. 50  Olivieri 2011, 178. 51  Stehle 1997, 95: «I will imitate the Siren in her vaunt with songs to lotus pipes, (the vaunt) that silences the sudden blasts of  the west wind».

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passo pindarico Grandolini 52, che traduce «sirenico vanto». Traducono il valore corretto di apposizione del termine Kurke e Power, la prima semplicemente con ‘vanto’ 53, Power con ‘rumoroso vanto’ 54, intendendo κόμπος, secondo il valore di κομπέω, come un suono destrutturato da cui le moderate parthenoi tebane devono prendere le distanze, promettendo di canalizzare il crudo potere del canto delle Sirene. Un indizio su come rendere quel ‘vanto’ potremmo forse trovarlo in un episodio che colloca le Sirene proprio nel mondo beotico che ci interessa, e precisamente a Coronea, una delle città fondamentali del koinon beotico, richiamata al  v.  47 del nostro frammento come luogo in cui la famiglia del dafneforo vinse negli Agoni dei Pamboiotia presso il tempio di Atena Itonia. Scrive Pausania (9, 34, 3) che Coronea offriva al ricordo di chi la visitasse un altare di Hermes Epimelio e uno dei Venti, posti nel­l’agorà, e poi poco più in basso un tempio di Hera e una statua antica che ritraeva la dea che teneva sulla mano delle Sirene. Aggiunge poi che, a quel che si diceva (φασὶν), le figlie di Acheloo, persuase da Hera, avessero gareggiato con le Muse, che, avendole sconfitte, strapparono loro le ali e se ne fecero corone 55. La statua, antica (ἄγαλμα ἀρχαῖον), dice Pausania, era opera del tebano Pitodoro, che Winckelmann 56 collocava al tempo di Solone, ma che più verisimilmente è stato datato da Lippold tra 550 e 480 57. Stando a Pausania, la statua di Pitodoro a Coronea sembrerebbe ispirata proprio al­l’episodio della ‘spavalda’ sfida delle Sirene alle Muse. Altri episodi mitici che leghino precisamente Hera alle Sirene non sono noti.   Grandolini 1982-1983, 19.   Kurke 2007, 86: «And I shall imitate with songs, to the accompaniment of  loitus pipes, that Siren boast which silences the swift blasts of  Zephyr…». 54   Power 2011, 99: «I will imitate with songs …that noisy vaunt of  the Sirens, which silences the sudden gusts of  the West Wind … ». 55  Paus. 9, 34, 3: Κορώνεια δὲ παρείχετο μὲν ἐς μνήμην ἐπὶ τῆς ἀγορᾶς Ἡρμοῦ βομὸν Ἐπιμηλίου, τὸν δὲ ἀνέμων. Κατωτέρω δὲ ὀλίγων Ἥρας ἐστὶν ἱερὸν καὶ ἄγαλμα ἀρχαῖον, Πυθοδώρου τέχνη Θηβαίου, φέρει δὲ ἐπὶ τῇ χειρὶ Σειρῆνας· τὰς γὰρ δὴ Ἀχελῴου θυγατέρας ἀναπεισθείσας φασὶν ὑπὸ Ἥρας καταστῆναι πρὸς τὰς Μούσας ἐς ᾠδῆς ἔργον· αἱ δὲ ὡς ἐνίκησαν, ἀποτίλασαι τῶν Σειρήνων τὰ πτερὰ ποιήσασθαι στεφάνους ἀπ ᾽αὐτῶν λέγονται. 56  Winckelmann 1779, 137. 57   Lippold 1950, 85. 52 53

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Di questo agone tra le Muse e le Sirene troviamo traccia anche in uno scolio a Licofrone 58, in Stefano di Bisanzio a spiegare il toponimo della città cretese Aptera 59, in Eustazio 60; a questa rassegna di testi sul ‘fatale’ agone tra le Muse e le Sirene sono stati recentemente aggiunti da Meliadò ancora due passi 61, quello del P. Ant. 1, 17 databile alla seconda metà del III secolo d.C. 62 e infine quello tratto dai vv.  20-23 del poemetto in esametri del Griphus ternarii numeri di Decimo Magno Ausonio dedicato a  Simmaco nel 368 d.C., nel quale si parla di tre Sirene costrette a gareggiare con nove Muse 63. Non condivido l’opinione che la storia del­l’agone tra Muse e Sirene sarebbe «une pure création intellectuele d’époque hellénistique» 64, e che si debba leggere nella frequente rappresentazione figurata delle Muse col capo piumato uno dei motivi che hanno portato alla nascita del mito del­l’agone 65. Condivido pienamente a tal proposito le parole di Cerri, secondo il quale: «Il rapporto cronologico e  genetico tra mitema ed elemento figurativo potrebbe essere tranquillamente capovolto e  non ha importanza decisiva il fatto che l’episodio narrativo sia oggi reperibile soltanto in testi risalenti al­l’erudizione alessandrina» 66. 58  Schol. Lyc.  Alex. 653: Λέγει δὲ περὶ τῶν Σειρήνων· πτερωταὶ γὰρ ἦσαν. Ἃς νικήσασαι αἱ Μοῦσαι τοῖς πτεροῖς αὐτῶν ἐστεφανώθησαν, ὅθεν καὶ ζωγραφοῦνται ἐν ταῖς κεφαλαῖς ἔχειν αἱ Μοῦσαι πτερά. Secondo lo scoliasta dunque le Muse erano abitualmente rappresentate con la testa alata in seguito alla loro vittoria sulle Sirene e al conseguente spennamento di queste ultime. 59  Steph. Byz. s.v. Ἄπτερα. 60   Secondo Eust. ad Hom. Il. 1, 201 le Muse avrebbero strappato le ali alle Sirene non solo per disonorarle, ma anche per poter chiamare alati, incoronandoli, i λόγοι con cui le avevano sconfitte. Cfr. anche Eust. ad Hom. Od. 12, 167. 61  Meliadò 2010, 399-404. 62  Il papiro fu pubblicato da Roberts 1950 ed è stato nuovamente edito da Meliadò 2006,  751-756. Si tratta di un frammento di un codice papiraceo che conserva resti di poemetti esametrici, e  che si occuperebbe di che cosa avrebbe detto la musa Tersicore o una delle Sirene in occasione del­l’agone che ci interessa; il testo sembrerebbe basarsi secondo Meliadò (2010, 400) «su una versione non dissimile da quella narrata da Stefano di Bisanzio, secondo cui le Sirene dopo la sconfitta si gettarono in mare». 63  Vv. 20-23: «Tris in Trinacria Sirenes, et omnia terna, / tris volucres, tris semideae, tris semipuellae, / ter tribus ad palmam iussae certare Camenis, / ore, manu, flatu: buxo, fide, voce canentes». 64   Capdeville 1995, 50. 65  Vd. Weicker 1909-1915, col. 16, 28-41. Su questa linea ultimamente anche Meliadò 2010, 398. 66  Cerri 1984-1985, 166.

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Peraltro, se, come io credo, Pindaro nel suo carme dafneforico, stesse richiamando al­l’immaginario del suo pubblico la statua di Hera e delle Sirene, di cui ci racconta Pausania, e avesse usato l’espressione κόμπον alludendo alla spavalderia con cui le Sirene affrontarono la gara con le Muse, l’ἄγαλμα ἀρχαῖον di cui riferisce Pausania e i versi del dafneforico sarebbero attestazioni assai antiche, l’una iconografica, l’altra letteraria, del­l’agone tra Muse e Sirene. Noto solo in proposito che il passo di Pausania, tra quelli che ci parlano di questo agone, è l’unico che faccia riferimento ad Hera come al­l’ispiratrice della sfida (ἀναπεισθείσας φασὶν ὑπὸ Ἥρας). È interessante, però, a  sostegno del­l’affidabilità del racconto di Pausania e del­l’episodio mitico che il Periegeta collega al­l’antica statua di Hera e delle Sirene, l’espressione ‘Sirenes … ad palmam iussae certare’ (vv. 20-22) del Griphus ternarii numeri di Decimo Magno Ausonio. Alle tre Sirene in Trinacria, secondo Ausonio, sarebbe stato ordinato di gareggiare con nove Muse per la palma. Ausonio non nomina Hera, ma i suoi versi sembrano conservare il ricordo di un ordine, di un’imposizione, di un’istigazione al­ l’agone, una traccia forse di una tradizione esplicitamente sopravvissuta solo in Pausania e, stando alle sue parole, attestata nella statua di Coronea. Q uale sarebbe dunque la funzione del coro nel paragonarsi alla σειρῆνα κόμπον che seda i venti di tempesta? Il coro, come la Sirena, vuole innanzitutto essere capace di pacificare, di portare concordia, ma vuole anche legare la sua azione rasserenante a quella svolta da una precisa Sirena in un luogo preciso in cui essa era ritratta sulla mano di Hera e nei pressi del­l’altare dei venti: tutto sembra rinviare a Coronea. Nessun luogo più di Coronea, del resto, era adatto a  compendiare i diversi livelli e interessi che si intersecano nel canto, religiosi e politici, dei Beoti e di Tebe guida del koinon. Nel riferimento a uno dei luoghi simbolo del­l’anfizionia in formazione o  forse appena formata 67, allora ancor più il carme si rivela un carme civico, ma allargato alla Beozia, come conferma il rituale di fondazione di cui riferisce Proclo 68. Il  contesto fisico di ese Vd. supra p. 245, n. 30.  Vd. supra p. 238, nn. 6 e 8.

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cuzione era dunque Tebe, dal centro della città fin fuori le mura fino al santuario del­l’Ismenio, ma i versi e le loro risonanze conducevano gli spettatori attraverso i  luoghi simbolo del koinon: Onchesto (v. 46) e soprattutto Coronea, al v. 47 nel riferimento ai giochi di Atena Itonia e, a mio parere, anche ai vv. 16-17 approfonditi in queste pagine. Sia che la Sirena di Coronea abbia sedato più generici venti di rivolta e στάσεις interne alle elites di potere nel corso di una importante πανήγυρις a noi non altrimenti nota, sia che il riferimento di Pindaro sia più precisamente alla vittoria tebana a  Coronea nel 447, che permise una ricomposizione delle στάσεις tra sostenitori del partito democratico e oligarchico e il conseguente ritorno del governo oligarchico tebano, è senz’altro a Coronea che il coro si ispira per creare un canto che contribuisca a sedare le ostilità e i malumori ai quali si fa allusione nei problematici versi successivi (vv. 61-65). Creare serenità, quella è  la particolare forza che il coro vuol trarre dalla Sirena κόμπον. Si tacerà, secondo una prassi compositiva familiare a Pindaro, sul finale della storia 69 e sul fatto che le Sirene dopo la gara con le Muse siano state spennate, ma qualsiasi paragone con le Sirene, se lo spingessimo ad estreme conseguenze, diverrebbe distruttivo. Le Sirene portano alla morte quando vincono le loro sfide, finiscono spennate (con le Muse) o suicide (con Odisseo e  con Orfeo) quando le perdono 70. In  buona sostanza, dicono Bettini e  Spina, il loro è  un mito fallimentare 71. Ma nei nostri versi Pindaro poteva superare la loro ambiguità pericolosa, perché nel­l’immaginario del pubblico tebano e beotico l’allusione alla Sirena richiamava un’immagine concreta, ancor più e prima di un simbolo mitico. L’immagine della vicina Coronea col tempio di Hera visitato da tanti dei partecipanti al rituale della dafneforia, con la curiosa statua della dea che teneva in mano le Sirene, e con l’altare dei venti che stava lì nei pressi. La Sirena di Coro69   La capacità di Pindaro di obliterare gli elementi negativi di un racconto mitico in modo funzionale al contesto di esecuzione è ben esemplificata dalla trattazione dei miti di Bellerofonte nel­l’Olimpica 13 (v. 91 ss.) per Senofonte corinzio (v. 91: διασωπάσομαί οἱ μόρον ἐγώ) e di Neottolemo nella Nemea 7 per Sogene di Egina (v. 34 ss.). In proposito vd. Gentili 1989, rispettivamente 178 s. e 185 ss. 70 Vd. supra p. 249, n. 44. 71  Bettini-Spina 2007, 84 ss.

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nea, quella che domava i venti che sollevavano il mare; Coronea, il luogo in cui positivamente avevano trovato una ricomposizione le στάσεις cittadine, attualizzava e  positivizzava il confronto del canto rituale del coro con le inquietanti Sirene. L’immagine concreta scavalcava il simbolo.

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Abstracts Il contributo si propone di indagare l’immagine del carme dafneforico di Pindaro (fr. 94b Maehl.), in cui il coro dice di voler cantare imitando la Sirena che mette a tacere l’impeto dei venti. Nella prima parte si riesaminano le numerose proposte di interpretazione del passo e si delinea per sommi tratti l’immaginario relativo alle Sirene nel mondo greco; poi si evidenzia che il fr. 94b Maehl., così come i resoconti di Pausania e Proclo sul rito della Dafneforia, rivela indizi dei diversi livelli di costruzione di una identità comunitaria attraverso una combinazione ibrida di elementi rituali, religiosi, politici e, soprattutto attraverso il confronto con un interessante passo di Pausania (9, 34, 3), si cerca di ricostruire la relazione tra l’immagine della Sirena e la trama «civile» del carme. This contribution aims at looking into the image of  a daphnephorikos poem by Pindar (fr. 94b,11-20 Maehl.), where chorus says it will imitate the Siren that silences the winds. Before interpreting the Siren’s pindaric image, this article also reconsiders the different interpretation attempts of  this passage, then the Greek imaginary concerning Sirens. It is then said that fr. 94b Maehl., as well as Pausania’s and Proclus’ accounts of   the Daphnephoria ritual, reveals signs of   the different levels of   community-building through a hybrid combination of   ritual, religious and political elements and, especially using an interesting passage of  Pausania (9, 34, 3), finally tries to understand the relationship between the Siren’s image and the civil plot of  the poem.

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DONATO LOSCALZO Università di Perugia

PICCHIARE IL POETA IN AGONI GIAMBICI

Gli agoni poe­tico-musicali, come le altre forme di gare, prevedevano un vincitore, che sarebbe stato premiato e  che avrebbe ricevuto vari onori. Secondo la testimonianza di Eraclito, invece, alcuni autori come Omero e  Archiloco avrebbero meritato di essere cacciati dagli agoni e bastonati (Heraclit. 22 B 42 D.-K.). Da occasione di lode e  di festa, l’agone eracliteo diventa invece occasione di esclusione e di biasimo. Un primo dato emerge dalla lettura di questo passo: Archiloco e Omero erano autori molto conosciuti e cantati negli agoni, fatto che li rendeva popolari, al punto che il filosofo ascrive a loro, con ogni verosimiglianza, una profonda incidenza sulla mentalità comune, proprio perché animavano i concorsi rapsodici che erano di grande affluenza di pubblico. Archiloco, al  pari di Omero, doveva essere ben conosciuto e celebrato dalle masse. I concorsi rapsodici dovevano assicurargli una certa notorietà 1. Sappiamo, per esempio, che fu bandito da Sparta perché aveva insegnato che sarebbe stato meglio abbandonare le armi piuttosto che morire in battaglia 2. Il passo di Eraclito, trascurato spesso dagli studiosi, pone importanti questioni: la poesia di Archiloco era solo destinata a  esecuzioni private, al  simposio in particolare, oppure poteva   Bossi 1990, 61.  Plut. Inst. Lac. 34, 239b (fr. 5 West): Ἀρχίλοχον τὸν ποιητὴν ἐν Λακεδαίμονι γενόμενον αὐτῆς ὥρας ἐδίωξαν, διότι ἐπέγνωσαν αὐτὸν πεποιηκότα ὡς κρεῖττόν ἐστιν ἀποβαλεῖν τὰ ὅπλα ἢ ἀποθανεῖν. Nel paragrafo precedente (33) Plutarco aveva ricordato come gli Spartani non assistevano mai a  commedie né a  tragedie, per non sentire cose contrarie alle leggi, né in forma seria né scherzosa. 1 2

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avere una sua degna collocazione anche in agoni musicali? In particolare i rapsodi potevano nel loro repertorio contemplare anche la poesia giambica di Archiloco o bisogna supporre che fossero da loro eseguiti solo i componimenti elegiaci? La testimonianza di Eraclito, lapidaria, cela significati più profondi, anche se al­l’apparenza si presenta come una boutade di quel filosofo che, non a caso, gli antichi definirono ‘oscuro’ 3. Che la poesia giambica avesse una destinazione e una sua presenza anche negli agoni musicali è attestato da Platone e Aristotele. Platone nelle Leggi testimonia che essa, al pari della commedia e della poesia lirica, aveva corso in manifestazioni pubbliche, nel passo in cui (11, 935e-936a) impone ai poe­ti di questi generi di non mettere in ridicolo nessuno dei cittadini, e prevede come pena che sia scacciato dal paese nel giorno stesso dagli athlothetai, oppure sia multato con tre mine sacre al dio a cui è dedicata la gara (ἀγών). Aristotele, inoltre, implica che ci fossero delle occasioni pubbliche per assistere a qualche performance giambica, quando (Pol. 7, 1336b 20-23) intende proibire ai giovani di parteciparvi fino a quando non abbiano raggiunto l’età che li abilita a prendere parte ai simposi: si deduce che ai suoi tempi dovevano esserci altre occasioni, oltre al simposio, alle quali assisteva un pubblico articolato anche per quanto riguardava l’età. La testimonianza di Eraclito è preziosa perché rivela che Archiloco era cantato negli agoni, e che fossero quindi i rapsodi a perpetuare il suo canto, al pari della poesia di Omero, ma il problema principale che pone è quello di capire quale parte del suo repertorio fosse eseguito 4. Platone ci assicura che ai  suoi tempi, quindi dopo Eraclito, Archiloco faceva parte del patrimonio di canto dei rapsodi 5.   αἰνικτής: Timone fr. 43 Di Marco = Suppl. Hellen. 817.   Nel­l’ultimo decennio si è posto il problema della re-performance della poesia di Archiloco: Kantzios 2005, 12-20, ha sintetizzato le posizioni degli studiosi in due modelli: il ‘sympotic model’, ben riconosciuto e attestato, secondo il quale il simposio offriva l’occasione più importante per l’esecuzione e il canto dei testi giambici, e il ‘ritual model’ connesso soprattutto con i culti di Demetra e Dioniso. Rotstein 2010,  256-278 aggiunge invece al  simposio e  alle feste religiose anche i mousikoi agones, e pensa in particolare che oltre alle elegie, quelle che trattavano storia locale e miti, potevano essere inclusi anche «military narratives in trochaic tetrameters» (p. 258). 5  Sulla presenza di qualche elegia guerresca di Archiloco in contesti pubblici, 3 4

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Nello Ione (531a), infatti, Socrate chiede al rapsodo Ione, reduce da una vittoria agli agoni da poco istituiti a Epidauro, se egli sia esperto solo di Omero o anche di Esiodo e di Archiloco: νῦν δέ μοι τοσόνδε ἀπόκριναι· πότερον περὶ Ὁμήρου μόνον δεινὸς εἶ ἢ καὶ περὶ Ἡσιόδου καὶ Άρχιλόχου. La stessa terna Omero – Esiodo  – Archiloco compare in 532a quasi a  ribadire che fossero materia di canto negli agoni rapsodici. Il nome del poe­ta giambico, evidentemente, evoca una produzione alquanto articolata, comprendente anche l’elegia e gli epodi, facile dominio dei rapsodi, eppure nel­l’antichità egli era considerato poe­ta giambico, con evidente riferimento ai contenuti della sua opera. Per poter capire che cosa Ione e gli altri rapsodi cantassero di Archiloco, ci soccorrono fonti piuttosto scarse e disparate, tarde spesso. Inoltre il giambo come genere letterario del­l’invettiva, l’attacco e l’oscenità, proprio per il suo stile basso e colloquiale, entrò in declino nel mondo antico 6, e questa può essere la ragione per cui la documentazione in nostro possesso è alquanto scarsa. Una testimonianza molto preziosa è  quella di Ateneo (14, 620b-c) secondo cui nel III sec. a.C. la poesia giambica veniva eseguita nei teatri 7. Egli riferisce in particolare che, secondo la testimonianza di Clearco, «Simonide di Zacinto seduto su una sedia nei teatri declamava le composizioni di Archiloco» (ἐν τοῖς θεάτροις ἐπὶ δίφρου καθήμενος) 8. Ciò non può voler dire che si trattasse solo di componimenti elegiaci: la posizione ‘da seduto’ sembra confermare che fossero canti in ritmo non necessariamente dattilico. Al riguardo è interessante l’osservazione di Pau­ sania (9, 30, 3), il quale trova inspiegabile l’immagine di Esiodo cfr. Bowie 1986, 15-16. Nel recente studio di Lavigne 2016, 74- 98, il motivo della presenza di Archiloco nei contesti rapsodici viene solo trattato dal punto di vista formale e non dei contenuti. 6  Agosti 2001, 221-227: ci fu una breve rinascita e riscoperta del giambo nel IV secolo, quando alcuni autori cristiani lo impiegarono come veicolo della dottrina morale. 7 Cfr.  Nagy 1996,  162-163, il quale sottolinea «the theatrical aspects of  performance». 8   Fr. 92 Wehrli. Bartol 1992, 67, fa notare che i teatri così come erano sotto gli occhi degli spettatori d’età classica ancora non esistevano e  quindi sarebbe improbabile che il rapsodo in questo caso potesse cantare davanti a un pubblico così vasto.

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‘seduto con la cetra sulle ginocchia’, immagine che riferisce di aver visto nel santuario delle Muse sul­l’Elicona: sarebbe uno strumento inadatto a lui che, invece, cantava «tenendo in mano un ramo di alloro» 9. Preziosa è  anche la testimonianza di Came­ leon­te 10, secondo cui furono messi in musica non solo i  poemi di Omero, ma anche quelli di Esiodo, Archiloco, e persino Mimnermo e Focilide. Ciò significa che, nel mondo dei rapsodi, la pratica di mettere in musica aveva contaminato anche l’epica, conferendole quel metodo di esecuzione che aveva invece interessato la lirica. Un’attività dinamica e creativa era quella dei rapsodi, con contaminazioni, revisioni, aperture e soprattutto con un repertorio piuttosto vasto. Secondo la testimonianza dello Ps. Plutarco (Mus. 28, 1141a), inoltre, sarebbe stato Archiloco a introdurre nel­l’uso la pratica di recitare alcuni componimenti giambici con l’accompagnamento strumentale (τὰ μὲν λέγεσθαι παρὰ τὴν κροῦσιν) e di cantarne altri, pratica che fu poi impiegata dai poe­ti tragici. Sorprendente è anche quanto riporta Ateneo su Lisania, che nel primo libro della sua opera Sui poe­ti giambici riferì che il rapsodo Mnasione recitava alcuni giambi di Semonide in pubbliche recitazioni (ἐν ταῖς δείξεσι) 11. Q ueste fonti documentano, quindi, che i  rapsodi in contesti pubblici, agonali e  teatrali, eseguivano anche la poesia giambica. Sul modo in cui si esibivano, solo ipotetica è la ricostruzione di West che vorrebbe la performance giambica simile a quella comica, con un attore recitante con un fallo artificiale 12. Egli immagina che la recitazione fosse drammatizzata, raccontasse cioè storie in forma dialogata per mezzo di più di un attore. Non solo i  rapsodi eseguivano giambi in contesti non simposiali, ma sappiamo che Archiloco stesso prese parte ad agoni

 Sulla performance della poesia esiodea, cfr. Pellizer 2005, 33-34.   Fr. 28 Wehrli: Χαιμαιλέων δὲ ἐν τῷ περὶ Στησιχόρου καὶ μελῳδηθῆναί φησι οὐ μόνον τὰ Ὁμήρου, ἀλλὰ καὶ τὰ Ἡσιόδου καὶ Ἀρχιλόχου, ἔτι δὲ Μιμνέρμου καὶ Φωκυλίδου. 11  Athen. 14, 620c = Test. 13 Pellizer – Tedeschi. 12   West 1974,  37, nella ricerca di analogie tra la performance giambica e  la commedia dei primordi, pensa che siano molte le analogie tra il giambo ionico e la commedia attica, innanzitutto il metro, i personaggi volgari o la presenza di attori con il fallo. 9

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musicali. Secondo uno scolio ad Aristofane 13, il refrain τήνελλα Archiloco lo riferì a se stesso dopo la vittoria a Paro con un inno a  Demetra, e  a conferma di questa tradizione c’è un passo di Pausania 14, secondo il quale la sua famiglia ebbe a Paro un ruolo importante nel culto di Demetra. Anche l’iscrizione di Mnesiepes documenta in maniera lacunosa la partecipazione di Archiloco ad agoni musicali 15, ma ovviamente tutte queste testimonianze hanno avuto poco credito presso gli studiosi che partono dal pregiudizio della non presenza della poesia giambica negli agoni. Per comprendere quindi quali fossero le riedizioni della poesia giambica presso i rapsodi bisogna disfarsi della rigida impostazione degli studi moderni che vuole attribuire ai rapsodi l’esclusivo patrimonio del ritmo dattilico. Come si è  visto, gli antichi documentano il caso di rapsodi che cantano poesia giambica da seduti. Si può concludere che nel­l’evolversi del­l’arte: 1. nel repertorio dei rapsodi ci fosse anche la poesia giambica; 2. che i rapsodi avessero contaminato la pratica del canto estendendola anche a ciò che era destinato alla recitazione, come la poesia di Omero; 3. che il repertorio rapsodico fosse quanto mai articolato e complesso. L’autorità di Archiloco nel­l’ambito della poesia giambica e la sua collocazione pari rispetto a Omero nel patrimonio culturale perpetrato dal canto dei rapsodi furono temi a  lungo sostenuti: un’antica testimonianza è in un papiro risalente alla prima metà del III  sec.  a.C. 16, che contiene in alternanza esametri omerici e trimetri archilochei. Si è discusso a lungo sulla funzione di questo testo: secondo Turner 17 si tratta di una sorta di excerpta del 13  Schol. Aristoph. Av. 1764, p.  241,  6-7 Holwerda  (Archil. fr.  324 West): δοκεῖ δὲ πρῶτος Ἀρχίλοχος ἐν Πάρῳ νικήσας ‹ᾄσας› τὸν Δήμητρος ὕμνον ἑαυτῷ τοῦτο ἐπιπεφωνηκέναι. Cfr.  Rotstein 2016,  103, che si mostra riluttante nel­ l’accogliere queste testimonianze. 14   Paus. 10, 28, 3 = test. 65 Gerber. 15  SEG 15,157  = test. 3, A (E ) col.  III Gerber: τεῖ δ᾽ἑορ[τεῖ  … Cfr.  Clay 1 2004, 104-110. 16  Slings 1989, 5-8, elenca tutte le interpretazioni che sono state date: un trattato delle influenze di Omero su Archiloco, oppure un trattato sul plagio (κλοπή), o  un caso di letteratura in parallelo (συνεμπτώσεις), un trattato sul­l’uso della μετάφρασις, fino al genere gnomologico; conclude che «our Anonymus compiled his parallels in order to show that Archilochus was guilty of  plagiarizing Homer». 17   Turner 1955, 8.

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trattato di Eraclide Pontico Περὶ Ἀρχιλόχου καὶ Ὁμήρου, mentre Pfeiffer pensa a  un’antologia utile alla formazione dei retori 18. Una simile sequenza alternata di versi di Omero e di Archiloco è nel sesto libro degli Stromata di Clemente Alessandrino 19, ma Lavigne 20 osserva che non si può parlare di gnomologicum, che in genere è  strutturato secondo un tema definito al­l’inizio, anche se poco credibile è  la sua conclusione che ci sia qui una gara tra Omero e Archiloco, sul modello del Certamen Homeri et Hesiodi, una Synkrisis di cui parlerebbe Eraclide Pontico (fr. 178 Wehrli). È possibile, invece, che la giustapposizione di versi archilochei (giambici) e  omerici (dattilici) fosse in qualche modo un derivato della pratica rapsodica di eseguire i canti dei due poe­ti. Rapsodi del III sec. a.C., ma forse già da prima, dovevano avere competenza nei due piani, non solo dei contenuti, ma anche dei metri. Ritornando alla testimonianza di Eraclito, il passo è  conservato nella biografia di Diogene Laerzio (9, 1), il quale attesta che Eraclito di Efeso, fiorito intorno alla 69a Olimpiade, sosteneva che la polymathie non insegna a  pensare, altrimenti lo avrebbe insegnato a  Esiodo, Pitagora, Senofane e  Ecateo 21. In  particolare soleva dire di Omero che avrebbe meritato di essere scacciato dagli agoni e  di essere bastonato e  ugualmente di Archiloco: τόν τε Ὅμηρον ἔφασκεν ἄξιον ἐκ τῶν ἀγώνων ἐκβάλλεσθαι καὶ ῥαπίζεσθαι καὶ Ἀρχίλοχον ὁμοίως. Non è  chiaro se ὁμοίως fosse un’aggiunta postuma o  di Diogene Laerzio, ma Marcovich crede che sia autentica e che si riferisca al fatto che Archiloco fu ritenuto nel­l’antichità un grande imitatore di Omero, mentre Rotstein pensa che sia solo una formula per indicare la gerarchia tra i  due poe­ti di due generi diversi 22. Le nuove scoperte papiracee, tuttavia, hanno dimostrato che esiste un rapporto di continuità tra Archiloco e l’epica, il modello 18  Pfeiffer 1973, 237-238, pensa a uno gnomologium «a fine educativo, non solo in senso morale, ma anche retorico, in quanto presenta esempi del­l’arte del μεταφράζειν». 19   Strom. 6, pp. 425, 11 – 426,6 Stählin. 20  Lavigne 2016, 93. 21  Sulla polemica con Omero e Archiloco come autori della saggezza tradizionale, cfr. Diano – Serra 1989, 173. 22  Marcovich 1967, 151 e Rotstein 2010, 258.

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omerico innanzitutto, che è molto complesso e non è riducibile a una semplice rapporto di eredità/innovazione 23. Una notazione merita la proposta di fustigare il poe­ta. Se legittima è l’idea di bandire dagli agoni i poe­ti, non è chiaro perché essi avrebbero dovuto essere picchiati e soprattutto che cosa intendesse il filosofo per bastonare dei poe­ti ormai defunti. La gara (ἀγών), anche musicale, prevedeva l’assegnazione di un premio e  quindi i  termini che usa sono proprio quelli dalla pratica agonale, che doveva essere in voga ai suoi tempi. In questo senso, ἄξιος non è semplicemente indice di una scelta del filosofo, ma sembra indicare un termine tecnico: il vincitore di una gara era ritenuto ‘degno’ da parte di una commissione di aggiudicarsi il primo premio, così nella medesima gara alcuni poe­ ti dovevano essere proclamati degni di espulsione. Per Pindaro (Isthm. 3, 3) chi vince una gara è degno di essere congiunto alle lodi dei cittadini, di avere cioè non solo un premio, ma anche un riconoscimento sociale. In genere, la cacciata era segno disprezzo per l’attore di una performance: Demostene (19,  337) usa ἐκβάλλω proprio come termine tecnico ‘cacciar fuori dalle scene’ e  in seguito fischiare: ἐξεβάλλετ᾽αὐτὸν καὶ ἐξεσυρίττετ᾽ἐκ τῶν θεάτρων. Degno di nota è  il picchiare (ῥαπίζεσθαι), cioè il colpire con la rhabdos lo strumento che, secondo Pindaro, dava la misura del ritmo dei versi omerici (Isthm. 4, 38) 24. Era lo strumento sul quale i rapsodi si appoggiavano e che, sembra, segnasse il ritmo: Callimaco 25 indica il bastone come strumento con il quale i poe­ ti intrecciavano i loro canti. Ma, come si è visto, il bastone idealmente rappresenta l’attività del rapsodo, che dopo secoli di innovazioni poteva cantare in vario modo. Si è visto che varie erano le modalità di esecuzione del canto da parte dei rapsodi: seduti, con accompagnamento di strumento musicale, con il bastone, proprio perché variegato fu il loro repertorio. Q uindi non neces23   Swift 2012, 140-142; in particolare riguardo al trattamento del mito di Telefo in questo frammento, Swift sostiene che Archiloco si rifaccia alla tradizione epica non per rivoltarla o  contestarla, ma al  contrario per trovare un sostegno auto­revole dal punto di vista culturale al racconto della fuga in battaglia (p. 150). 24  Privitera 1998, 180. 25  Fr. 26, 5 Pfeiffer: καὶ τὸν ἐπὶ ῥάβδῳ μῦθον ὑφαινόμενον.

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sariamente il bastone è  un segno di identificazione della performance. In un certo senso rappresenta lo scettro 26, simbolo di autorità, ma diviene in Eraclito strumento di violenza che si ritorce contro il poe­ta stesso. Se è legittimo scacciare dagli agoni questi poe­ti non è chiaro perché vadano picchiati, considerando anche il fatto che erano morti da tempo 27. Erodoto (8, 59) ricorda l’uso di bastonare negli agoni quanti partivano per avvantaggiarsi, prima del segnale. Gli agoni rappresentano per Eraclito la sopravvivenza e  la resistenza della poesia antica, e da questi agoni andavano cacciati i poe­ti della tradizione perché ritenuti colpevoli del ritardo culturale ed etico della città. Scacciare dagli agoni musicali sta a indicare che Eraclito non riteneva illegittime le gare, ma che per lui alcuni poe­ti non possedessero i  requisiti per accedervi, o  meglio una volta eseguiti durante le gare avrebbero dovuto avere come premio la cacciata e  le percosse, sarebbero stati bastonati. Si tratta dei poe­ti che avevano maggiore fortuna negli agoni: Omero e  Archiloco, in definitiva, rappresentavano la cultura e  le istituzioni contro le quali i  filosofi esercitavano la loro critica. Non si dimentichi che stavano fiorendo anche rapsodi che recitavano testi filosofici 28. Se il passo di Eraclito documenta la possibilità che un poe­ta giambico come Archiloco potesse essere cantato in contesti agonistici, Eraclito pensa a tutta la sua opera connotata di elementi giambici e non solamente ai componimenti a ritmo dattilico. Possiamo trovare un parallelo riguardo alla pratica di picchiare il poe­ta o di scacciarlo dalla città, in Ipponatte, poe­ta giambico, conterraneo di Eraclito, ma di qualche decennio più giovane. Nato a Efeso, visse in esilio a Clazomene (Suda ι 588 Adler) perché scacciato dai tiranni Atenagoras e Komas (ὑπὸ τῶν τυράννων Ἀθηναγόρα καὶ Κωμᾶ ἐξελαθείς).  In Hes. Th. 30, si parla di σκῆπτρον.   Diversa la posizione di Nagy 1990, 79, che crede che a essere condannati non sono Omero e Archiloco, ma i poe­ti che ai tempi di Eraclito recitavano le loro opere. 28  Athen. 14, 620d, ricorda che i Riti di purificazione di Empedocle furono declamati alle Olimpiadi dal rapsodo Cleomene, secondo la testimonianza di Dicearco (fr. 87 Wehrli). 26 27

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Una parte consistente della sua produzione superstite è incentrata intorno alla figura del rituale di espulsione del pharmakos dalla città. Descrive le varie fasi del rituale con attenzione ai dettagli, impiegandole anche come esempio della condizione degli esclusi e degli emarginati 29. Sul rituale del pharmakos, significativa è  la testimonianza di Tzetzes 30 il quale riferisce e  ricostruisce la varie fasi del rituale servendosi appunto di numerosi luoghi ipponattei. Innanzitutto Ipponatte attesta che si trattava di una pratica fatta per liberare dal male la città (fr.  5 West  = 26 Degani: πόλιν καθαίρειν καὶ κράδῃσιν βάλλεσθαι): quando per ira degli dei una sciagura la coglieva, si trattasse di carestia, pestilenza o  qualche altro flagello, conducevano al  sacrificio il più brutto fra tutti 31, come purificazione e  rimedio della città ammalata e  in particolare lo battevano con frasche di fico. Apprestato il sacrificio nel luogo adatto, gli davano in mano del cacio, una focaccia e fichi secchi (fr. 8 West = 28 Degani), gli imponevano il digiuno, lo flagellavano sette volte (fr.  10 West  = 30 Degani: λιμῷ γένηται ξηρός) con scille, frasche di fico selvatico e  altre piante selvatiche; alla fine lo bruciavano su un fuoco di legna selvatica e  ne disperdevano la cenere ai  venti, in mare, a  purificazione della città ammalata 32 (fr. 6 West = 6 Degani): βάλλοντες ἐν χειμῶνι καὶ ῥαπίζοντες κράδῃσι καὶ σκίλλῃσιν ὥσπερ φαρμακόν. Lo gettano al freddo e lo picchiano con frasche di fico e scille come un pharmakos.

  Sulla presenza del rituale del pharmakos nella letteratura arcaica e in Ipponatte, cfr. Miralles – Pòrtulas 1988, 132-136, in particolare 135: «Superficially, in Hipponax’s poetry we can find several pharmakoi, but, at more depth, his poetry seems to have been shaped by the dynamics of   the aggressor-victim in one piece». 30  Chil. 5, 728-763, pp. 196-197 Leone. 31  Sulle vittime ateniesi, che erano dei miserabili e  diseredati, cfr.  Schol. rec. Aristoph. Ran. 733a, p. 135, 6-8 Chantry, secondo il quale le vittime immolate si chiamavano καθάρματα. Hanno discusso del rituale e delle sue implicazioni nella tragedia Edipo Re, Vernant – Vidal-Naquet 1976, 105-112. 32   Sul valore simbolico di queste piante, cfr.  Bremmer 1983,  308-313, che crede che l’atto finale del rituale così descritto comprendente l’uccisione della vittima fosse un’invenzione di Tzetzes (317). 29

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Secondo Ps. Plutarco esisteva un nomos chiamato Kradies (κραδίης νόμος) che Ipponatte dice fosse stato suonato da Mimnermo con l’accompagnamento del­l’aulos, e  che secondo Esichio (κ  3918 Latte) era eseguito durante la cerimonia di cacciata dei pharmakoi, mentre venivano bastonati con rami di fico e  foglie di fico (νόμον τινὰ ἐπαυλοῦσι τοῖς ἐκπεμπομένοις φαρμακοῖς, κράδαις καὶ θρίοις ἐπιραβδιζομένοις). Sempre secondo Esichio (κ  3914 Latte) κραδησίτης era il nome del pharmakos in quanto veniva battuto con rami di fico. Anche nel fr.  128 West (= 126 Degani) ritorna il motivo del pharmakos. Q uesti pochi esametri superstiti sono intesi da Faraone 33 non come una parodia del genere epico, ma come un riflesso del genere di «expulsive hexametrical incantation», una poesia di genere non descrittivo, ma destinato alla performance della cacciata del male dalla comunità. Nella descrizione di questa sorta di rituale, Ipponatte si avvale di due termini già impiegati da Eraclito per indicare l’espulsione di Omero e  di Archiloco dagli agoni rapsodici: (ἐκ)βάλλεσθαι e  soprattutto il verbo ῥαπίζεσθαι ci riporta al  bastone impiegato per la punizione del poe­ta ingiustamente accolto negli agoni. Sembra che Ipponatte non stia semplicemente ricostruendo o  descrivendo il rito, ma che stia parlando della condizione di qualcuno che viene trattato come se fosse un pharmakos: si tratta di scacciare e  di picchiare con bastoni di fico e  scilla qualcuno ὥσπερ φαρμακόν. La stessa idea di paragonare a un pharmakos il destino di un soggetto della sua poesia ritorna nel fr. 9 West (= 29 Degani): κράδας ἔχοντας, ὡς ἔχουσι φαρμακοῖς. È evidente che Ipponatte non sta semplicemente descrivendo il rituale, ma che si serve di esso per paragonare e per raccontare un’esperienza che ha visto anche lui, almeno in un caso, come protagonista (fr. 37 West = 46 Degani): ἐκέλευε βάλλειν καὶ λεύειν Ἱππώνακτα 34. Non è qui indicato chi abbia dato l’ordine di scacciare e lapidare Ipponatte, ma certo è che il poe­ta si dichiara vittima di una decisione che ricorda per certi versi il rito dei pharmakoi 35, sembra fare riferimento a una situazione che   Faraone 2004, 214-224.   Un riferimento al  rituale del pharmakos è  stato riscontrato anche nel fr. 118 E West = 130 Degani; cfr. Masson 1949, 314-315 e Gerber 1999, 449. 35  È l’ipotesi di Masson 1949,  317, sostenuta anche da Degani 2007,  104; Wiechers 1961, 34 connette i verbi βάλλειν e λεύειν al rito dei pharmakoi. 33 34

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egli stesso ha vissuto e nello stesso tempo descrive il destino delle vittime dei suoi attacchi poe­tici come se fossero dei pharmakoi 36. Sappiamo che il pharmakos veniva picchiato sette volte: λιμῷ γένηται ξηρός, ἐν δὲ τῷ θυμῷ [ὀ] φαρμακὸς ἀχθεὶς ἑπτάκις ῥαπισθείη. (Hippon. fr. 10 West = 30 Degani)

e questo numero è  ricorrente nel rituale, dal momento che il giorno sette del mese di Targelione erano celebrati i  Thargelia, giorno, tra l’altro, che la tradizione voleva fosse quello della nascita di Apollo, mentre Artemide sarebbe nata il giorno prima 37, la festa durante la quale nella Ionia aveva luogo questo culto 38: ὁ δ᾽ἐξολισθὼν ἱκέτευε τὴν κράμβην τὴν ἑπτάφυλλον, ἣν θύεσκε Πανδώρῃ Ταργηλίοισιν ἔγχυτον πρὸ φαρμακοῦ. E quello scivolando via imprecò il cavolo a sette foglie, che sacrificò a Pandora ai Thargelia come piatto prima che al pharmakοs.

In genere, si è ritenuto che fosse Bupalo a chiedere la lapidazione del poe­ta 39, ma è possibile invece che sia stato il giudice di gara nel rituale dei Thargelia. Ci si è interrogati su quello che dice Tzetzes secondo il quale le vittime venivano lapidate e in seguito il cadavere bruciato. Si è dedotto che la vittima veniva lapidata 40, ma la 36  Anche nel fr. 41 West = 50 Degani (καὶ νῦν ἀρειᾷ σύκινόν με ποιῆσαι), come ha evidenziato Vox 1977, 87-89, c’è una probabile autoidentificazione con la sorte del pharmakos; cfr. Hawkins 2005, 155-156. Sul processo di autoidentificazione del poe­ta giambico col pharmakos e  contemporaneamente sul­l’identificazione dei personaggi della sua poesia come pharmakoi, cfr. Compton 2006, 53 ss. 37   Per i  Delii, Apollo sarebbe nato il 7 del mese: Diog. Laert. 3,  2. Il  problema è  che questa festa aveva luogo al­l’inizio del­l’estate come festa dei primi frutti del raccolto (Hesych. θ 103 Latte), mentre in questo caso si parla di inverno: vd. Bremmer 1983, 301. Il giorno dei Thargelia era quello in cui i Greci celebravano anche la caduta di Troia (Damastes, FGrHist 5 F 7 = Plut. Camill. 19). Anche Archiloco, fr. 255 West, invita a celebrare questo rito: †ὡς φαίε νῦν ἄγει τὰ θαργήλια†; per la festa cfr. Nilsson 1906, 105-115. 38  Athen. 9, 370a, Hippon. fr. 107, 47-49 Degani. 39  Sulle incerte ricostruzioni della vicenda tra Bupalo e Ipponatte, cfr. Kivilo 2010, 127-128. 40  Il rito della lapidazione doveva consistere nello scacciare la vittima dalla città tirandogli pietre, non quindi attraverso l’uccisione, cfr.  Burkert 2003, 190-193.

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lapidazione, l’incinerazione e la dispersione delle ceneri nel mare doveva essere un rituale simbolico, non reale. Probabile che il mito del sacrificio umano fosse un’interpretazione letterale dei dati, originatasi in epoca bizantina 41. Ipponatte centra su questo tema molta sua poesia, facendone in un certo senso l’immagine della condizione maledetta di lui e di quanti ruotavano nel suo ambiente. È un motivo basilare in quel che resta della poesia di Ipponatte, che troverà grande fortuna nella commedia proprio perché questo rituale ben si conciliava con l’attesa soteriologica del genere, in particolar modo per la sua capacità di registrare i bisogni della città sempre in crisi dal punto di vista politico ed economico 42. Certamente doveva suscitare effetti comici l’atto delle percosse, espediente ben impiegato dai comici 43: negli Uccelli di Aristofane sono molti i  frequentatori e  postulanti che nella nuova città vengono espulsi e  picchiati. Il  poe­ta Cinesia, per esempio, viene deriso e cacciato, frustato con ali fittizie (vv. 1398-1409). Il rituale così approfonditamente descritto e  testimoniato in quasi tutta l’opera ipponattea non poteva essere solo materia di racconto per le bevute condivise tra amici. Il riferimento al capro espiatorio, piuttosto, fa pensare a una certa frequentazione della festa che prevedeva questo rituale da parte di Ipponatte, il quale proprio durante queste occasioni avrà avuto modo di eseguire questi canti. I Thargelia, infatti, comprendevano anche cori e agoni, come documentano Aristotele e  Fozio 44: e  proprio in questo scenario di festa comprendente sezioni agonali, egli avrà trovato modo di esibirsi, partecipando anche come concorrente. Erano feste di rin41   Hughes 1991,  12, sostiene che i  pharmakoi non fossero uccisi e  che si trattasse di sacrifici incruenti. 42  Per il motivo del pharmakos nella commedia, cfr. Rosenbloom 2002, 329337. Ha osservato Carey 2003,  218-219, che con Ipponatte la poesia giambica perde ogni interesse verso la vita politica per dedicarsi a temi umili, poco dignitosi, con il prevalere del­l’invettiva. 43  Cfr. Kaimio 1990, 53 ss., che elenca tutte le scene di percosse e battiture in Aristofane, spiegandole come obbedienza al genere. 44  Aristotele testimonia per Atene (Athen. Resp. 56,  5) la presenza di agoni durante i Thargelia, Fozio (θ 22 Theodoridis) parla invece di una gara e di cori: Θαργήλια· (…) ἵσταντο δὲ ἐν αὐτῇ καὶ χοροὶ καὶ ἀγὼν Θαργήλια; cfr. Hesych. θ 103 Latte: Ἀπόλλωνος ἐορτή.

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graziamento dei raccolti, e per questo ben si prestavano ad accogliere la poesia giambica. Q uesti canti dovevano avere un vincitore e uno sconfitto. Il perdente racconta di essere oggetto di scherno, di essere ‘lapidato’, proprio come simbolicamente avveniva per i  pharmakoi. Inoltre, in una società aperta sempre alla competizioni, è inimmaginabile che la poesia giambica fosse esclusa dagli agoni. Al riguardo, interessante è un verso, pur nella frammentarietà che lo rende oscuro, in cui due personaggi si scambiano maledizioni: uno si augura che Artemide lo distrugga, l’altro che reciprocamente sia Apollo (fr. 25 West = 35 Degani): (A) ἀπό σ᾽ ὀλέσειεν Ἄρτεμις. (B) σὲ δὲ κὠπόλλων. I due contendenti si sfidano proprio evocando le divinità cui erano dedicati i Thargelia 45. È possibile che nella festa in onore delle due divinità ci fossero anche gare di insulto reciproco, dato il carattere apotropaico e di purificazione. In definitiva, poco senso avrebbe relegare la poesia giambica ai  soli circuiti privati dei simposi aristocratici. In  essa assurge a ruolo centrale la vita di ogni giorno, che pulsa di vita, di storie, di rapporti umani. Le occasioni pubbliche possono giustificare la violenza verbale, l’aggressione, ma anche l’interesse verso la miseria destinale di alcuni protagonisti. Uscendo dal­l’ambito privato, il poe­ta giambico si fa portavoce del malessere sociale e della polis. Anche in contesti festivi gli si offriva l’occasione di far parlare gli emarginati e i deboli. Il poe­ta nel mondo arcaico era responsabile, con la sua parola, del­l’indirizzo che avrebbe preso la vita associata e  Ipponatte si sente legato al destino della polis denunciando miserie, violenze, delusioni. Proprio per la funzione centrale del poe­ta nella vita sociale, egli doveva creare una sorta di minaccia per le strutture politiche e  per questo molti di loro, compreso Ipponatte, non furono amati dal potere politico che spesso li mandò in esilio. La cacciata del poe­ta, assimilabile al­l’espulsione del pharmakos, ci riporta a una condizione agonale nella quale il poe­ta diceva la sua, proprio per la centralità della sua azione, sfidando sempre il suo pubblico, il potere costituito e i benpensanti. Q uesto messaggio   Phot. θ 22 Theodoridis: ἑορτὴ Ἀρτέμιδος καὶ Ἀπόλλωνος. Cfr. Degani 1991, ad fr.  35, 48: «Artemis et Apollo, quorum in honorem Thargelia celebrantur, etiam in Ephesiis et Clazomeniis nummis consociati reperiuntur». 45

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passa anche nella commedia attica, erede della poesia giambica 46 e destinata a contesti agonali dionisiaci: Aristofane nelle Rane rappresenta il dio Dioniso in cerca di un poe­ta che potesse salvare la polis (vv. 58-106). Se egli è in grado di salvarla, può viceversa anche mandarla in rovina quando non si rivela un bravo poe­ta. E allora, diremmo con Eraclito, merita di essere cacciato e fustigato.

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  Rosen 1988.

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Abstracts Eraclito afferma che Omero e Archiloco sarebbero stati degni di essere scacciati dagli agoni e bastonati: ciò implica una dimensione agonale in cui la poesia di Archiloco era seguita e conferma che anche questo poe­ta giambico doveva far parte del repertorio dei rapsodi. Altro poe­ta giambico che dichiara di essere stato picchiato e  scacciato dalla città è Ipponatte che descrive se stesso come vittima sacrificale in occasione delle feste dei Thargelia. La poesia giambica, quindi, non fu solo destinata a invettive personali e a occasioni simposiali private, ma fu anche attiva in contesti agonali per diventare poi (in particolar modo quella di Archiloco) patrimonio dei rapsodi. 276

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Heraclitus claimed that poets such as Homer and Archilochus should be driven from musical competitions and beaten: this means that the poetry of   the iambic poet Archilochus had its followers and that it was part of   the rapsōidoi’s repertoire. Another iambic poet who claimed to have been beaten and driven away from the polis is Hipponax, who described himself  as a  sacrificial victim during the celebration of   Thargelia. Iambic poetry, therefore, was not only intended for invective and private occasions, but was also to be heard at festivals and competitions, and would later became the heritage of  the rapsōidoi (Archilochus’ poetry in particular).

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«MARINAI DEL SIMPOSIO E REMATORI DI COPPE» (DIONYS. CHALC. FR. 5, 2 GENT.-PR.) * L’ELEGIA SIMPOSIALE NEL­L’ATENE DI V-IV SECOLO A.C.

L’elegia, ovvero la poesia in distico elegiaco, è  una delle forme tradizionali della letteratura greca che nel corso della sua storia acquisì aspetti e caratteri alquanto diversi 1. Caratterizzata da un forte impatto pragmatico, svolse varie funzioni, da quella trenodica, alla propaganda politica, alla parenesi guerriera, alla narrazione storica, al­l’intrattenimento conviviale 2. In  un celebre saggio del 1986, Bowie individua come unico spazio riservato alla performance elegiaca il simposio, con la sola eccezione delle elegie narrative destinate ad un ambito pubblico 3. Tra la fine del V e  gli inizi del IV secolo  a.C., però, il simposio passò in secondo piano come luogo di composizione e di comunicazione della poesia rispetto ai  raduni panellenici e  alle rappresentazioni teatrali *  Il presente contributo costituisce una ripresa e uno sviluppo dello studio condotto sulla figura e  sulla poe­tica di Dionisio Calco pubblicato sulla rivista Aion (filol.) 38, 2016. Ci si propone di approfondire lo studio dei frammenti più significativi del poe­ta in rapporto al registro performativo del­l’elegia simposiale di età classica e di evidenziarne modalità e tecniche esecutive. 1   Gentili 1984 (20064), capp. 1; 3. 2  Sulla storia del genere elegiaco vd., tra gli altri, gli studi di Gentili 1969; Pfohl 1972; West 1974; Degani 1977; Bartol 1993; Bowie 1986; Gerber 1997; Miralles 1971; 1993; Aloni-Iannucci 2007. 3  Cfr. Bowie 1986, 34. Lo studioso giudica eccessive e non sufficientemente documentate le otto occasioni per la performance elegiaca individuate da West 1974,  10-13. Sul simposio come ambiente di esecuzione del­l’elegia vd.  anche Vetta 1983; Bowie 1986; Murray 1990; Vetta 1992. Sulla performance pubblica di poemi elegiaci di grande ampiezza che tramandavano la memoria storica di un popolo, di una battaglia, di una conquista, vd. il volume di Lulli 2011 con bibliografia. Non è da escludere comunque il riuso in ambito simposiale anche di testi destinati al­l’occasione di pubbliche feste. Cfr. Vetta 1983; 1992. 10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115168

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e i pochi frammenti elegiaci conservati costituiscono la prova di una forte cesura rispetto ai temi e alle forme della produzione di età arcaica. Secondo un’interpretazione diffusa tra gli studiosi, il genere elegiaco attraversò una fase di ‘decadenza’, caratterizzata dalla convenzionalità dei temi, in particolar modo di quello conviviale, e dalla ricerca di uno stile nuovo e artificioso rispetto alla vitalità del­l’elegia arcaica, con risultati «piuttosto effimeri e  di modesto rilievo» 4. È evidente tuttavia che questa lettura è  stata condizionata dalla modalità di selezione dei frammenti, per lo più trasmessi da Ateneo e finalizzati a costituire un’antologia ragionata delle convenzioni e delle istituzioni simposiali greche e della precettistica conviviale. L’elegia attica del V secolo è invece testimonianza del­ l’evoluzione dei mezzi espressivi nel­l’ambito di quel genere letterario, della confluenza in esso di motivi letterari e culturali nuovi, del passaggio dal­l’età arcaica alle forme tipiche del­l’età ellenistica. Ed è proprio nella novità della forma espressiva, a mio giudizio, che si ravvisa l’originalità e l’importanza del ‘nuovo’ genere poe­ tico, nel quale è evidente il rapporto con le altre forme poe­ticomusicali ad esso contemporanee, che esercitarono una profonda e sostanziale influenza sulla sua struttura, sullo stile e sul lessico. In  questo periodo la poesia melica subisce un’evoluzione profonda per l’avvento della corrente poe­tico-musicale che va sotto il nome di ‘Nuovo Ditirambo’ e  l’elegia risente notevolmente delle nuove tendenze soprattutto nel­l’espressione che diventa oscura, involuta e contorta. La dizione, che si discosta da quella epica, ancora alla base del­l’elegia arcaica 5, si ritroverà in molta parte della poesia alessandrina, in particolare nel­l’elegia e  nel­ l’epigramma del IV e del III secolo, in cui il linguaggio diventerà sempre più curato e  levigato, come si converrà a  una civiltà letteraria molto raffinata 6. In  un panorama così mutato rispetto a  quello del­l’elegia arcaica, complesso si rivela anche il discorso 4   Prato1988, in partic. 650. Del­l’elegia attica del V secolo a.C. si è occupato anche Garzya 1963, 72-114. 5  Cfr. Aloni-Iannucci 2007, 22-24. 6  Notevole influsso fu esercitato anche dalla sofistica, evidente nelle metafore, nelle espressioni ridondanti, nei giochi sinonimici, rintracciabili soprattutto nella poe­tica di Eveno di Paro. Su Eveno vd., tra gli altri, il contributo di Miralles 1984.

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relativo alla performance elegiaca di V-IV secolo. Sulle modalità e le tecniche esecutive del genere elegiaco le opinioni degli studiosi non sono concordi: partendo da alcune testimonianze antiche 7, una parte della critica sostiene che, limitatamente al­l’età arcaica, i  componimenti elegiaci sarebbero stati cantati con l’accompagnamento del­l’aulos 8; un’altra parte che l’elegia fosse destinata alla recitazione o  al  recitativo e  solo in determinate occasioni al canto 9. Di recente è stata avanzata anche l’ipotesi che in origine l’elegia fosse cantata e che in seguito la componente musicale fosse venuta meno, lasciando il posto alla recitazione 10. Se è certo che nel periodo successivo al V secolo la prassi performativa muta, limitandosi alla sola recitazione o  addirittura alla lettura 11, non abbiamo invece testimonianze, a  parte i  frammenti degli stessi autori, che evidenzino tecniche e prassi esecutive del­l’elegia di età classica. Uno spunto di riflessione è  dato però dal­l’iconografia: un’immagine pittorica che decora il tondo di una kylix attica a  figure rosse, proveniente da Vulci e  conservata a  Monaco, riproduce una scena simposiale in cui un auleta suona gli auloi accanto ad un simposiasta, rappresentato nella tipica posizione di colui che canta, con il braccio piegato verso la testa e la mano che tocca il capo reclinato al­l’indietro 12. La raffigurazione, attribuita a Douris e datata al 480-470 a.C., fa pensare ad una connessione tra elegia simposiale, canto e  aulos anche per la produzione elegiaca di V secolo.

7 Theogn. 241-243; 532s.; 761; 825; 939-944; 1055s., ecc.; Hermesian. fr. 7, 37 ss. Powell = Mimn. test. 2 Gent.-Pr.; Ps. Plut. De mus. 8, 1133f-1134a = Mimn. test. 5 Gent.-Pr.; Paus. 10, 7, 5-6. 8  Dibattuta è anche la questione relativa allo strumento che accompagnava l’esecuzione: alcuni studiosi sostengono una base musicale eseguita con l’aulos, che richiedeva quindi la presenza del cantore e del­l’auleta. Vd. tra gli altri Gentili 1984, 46 s. (20064, 62 s.); Bowie 1986, 14; Bartol 1993, 46-51; Aloni 1998, 195; Aloni 2009,  170; Gullo 2014. Più cauto West 1974,  12-14, che non esclude, in alcuni casi, l’accompagnamento con uno strumento a  corde. Vd. anche Gerber 1997, 96-98; Aloni-Iannucci 2007, 101-107; Iannucci 2011, in particolare 79-83. 9  Campbell 1964, in partic. 63; 68; Rosenmeyer 1968, 229; Nagy 1990, 19 s. 10  Nagy 1990, 25 e n. 36; Faraone 2008, 8. 11 Aristot. Poet. 1, 1447a 28-1447b 16; Dion. Trax GG I/1, p. 6; Diog. Laert. 1, 46 = Sol. test. 250 Martina = 47 Gent.-Pr.; Schol. in Aeschin. 1, 25. 12   Vd. West 1992, 210-211, plate 6.

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Tra gli esponenti della ‘nuova’ elegia simposiale fiorita ad Atene tra il V e il IV secolo a.C. 13, Ione di Chio, Crizia, Eveno di Paro e Dionisio Calco 14, quest’ultimo è forse la figura più singolare. La sua poesia, infatti, considerata da molti studiosi come puro e freddo artificio retorico, si rivela testimonianza autentica di una tipica stagione letteraria caratterizzata da ricercatezze linguistiche e  stilistiche che rappresentano i  prodromi di quel rinnovamento espressivo destinato a svilupparsi più manifestamente nei secoli successivi. Di questo poe­ta possediamo poche informazioni biografiche ed esigui frammenti 15. Due notizie sulla biografia, fondamentali per ricostruire i  dati cronologici del poe­ta, sono riportate da un passo della Vita di Nicia di Plutarco (5,  2-3  = testim. 3 Gent.-Pr.) e da un lemma del Lessico di Fozio (II 203 Theodoridis s.v. Θουριομάντεις = testim. 4 Gent.-Pr.): 1) secondo Plutarco, Dionisio Calco guidò la spedizione dei Greci che fondarono la colonia di Turi 16, mentre Fozio lo nomina come uno dei partecipanti alla fondazione della città, attribuendo il ruolo di ecista a Lampone, amico di Pericle 17. 13  Sul­l’evoluzione del genere poe­tico elegiaco vd., tra gli altri, Garzya 1963, 72-114; Miralles 1971; Prato 1988, 649-669; Fongoni 2015. 14  Escludo dalle mie riflessioni la Lide di Antimaco di Colofone che si inserisce nel solco della tradizione elegiaca di carattere amoroso e ha il suo precedente più noto nella Nannò di Mimnermo. Vd. Del Corno 1962; Serrao 1979 a; Serrao 1979 b. 15   Osann 1835; Bach 1837,  12-13; Welcker 1845 (= «RhM» 4,  1836); Crusius 1903; Garzya 1963, 91-102; Prato 1988, 661-662; Miralles 1993; AloniIannucci 2007, 148-149. 16 Colonia panellenica dedotta per volere di Pericle sul luogo del­ l’antica Sibari, la cui fondazione è  correttamente datata al  444/443 a.C.  dallo Ps.  Plutarco (Vit.  dec. orat. 835d), mentre è  erroneamente inclusa da Diodoro Siculo (12,  10) sotto lo stesso anno della ‘terza’ Sibari, cioè il 446/5 a.C. Vd.  Smart 1972,  138, n.  70. Il  dato ha verisimilmente un fondamento storico, anche se alcuni studiosi come Garzya e  Miralles hanno intravisto nella notizia un elemento biografico convenzionale che legava tradizionalmente il poe­ta elegiaco alla colonizzazione e  ai temi della colonizzazione a  partire da Archiloco (Colonizzazione di Taso, fr. 17 Tard. = 21 West; fr. 18 Tard. = 22 West; fr. 88 Tard. = 102 West) e Mimnermo (Colonizzazione di Colofone, fr. 3 Gent.-Pr. = 9 West; Colonizzazione di Smirne, fr.  22 Gent.-Pr.  = 13 West). Cfr.  Gentili 1984,  4447 (20064,  60-63); Miralles 1993  = Novelli-Citti 2004,  47; Gentili-Catenacci 20073, 81-83. Talvolta alla fondazione di una colonia è legata l’akme di un per­ sonaggio: è il caso, ad esempio, di Erodoto. Cfr. Asheri 1988, XIII s. 17  Cfr.  Diod. Sic. 12,  10,  3-4; Plut. Per. 6,  2-3; Praec. Pol. 15,  812d; schol.

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2) leggiamo inoltre, sempre in Plutarco, che un tale Ierone, educato alle lettere e alla musica nella casa del­l’aristocratico ateniese Nicia (470-413 a.C.), si vantava (προσποιούμενος) di essere figlio di Dionisio. Considerati questi due elementi biografici, si può ipotizzare che Dionisio Calco fosse nato ad Atene 18 nei primi decenni del V secolo, tra il 490 e il 480 a.C., ed ebbe poi verisimilmente anche la cittadinanza turina. Non abbiamo altre notizie sulla sua vita, ma dalle fonti si deduce che svolse la sua attività prevalentemente in Atene e, dal contenuto quasi esclusivamente simposiale dei suoi frammenti, che furono i  simposi ateniesi l’ambito performativo privilegiato delle sue elegie. La testimonianza di Plutarco sottolinea inoltre l’attività oratoria di Dionisio che certamente dovette rivestire un ruolo politico di rilievo nella società ateniese del tempo se è vera la notizia che, grazie ad un suo discorso, gli Ateniesi accettarono di ‘svalutare’ la loro moneta. È  questa una delle spiegazioni date al  soprannome Χαλκοῦς ‘di  rame’ (o  ‘di bronzo’). Due testimonianze, una contenuta nella Ῥητορικῶν Ἀναγραφή di Callimaco trasmessa nel libro XV dei Deipnosofisti di Ateneo (fr. 430 Pfeiffer = testim. 1; fr. 1 adn. Gent.-Pr.) e  l’altra di Eustazio (in  Il. 21, 393, p. 1243, 16  ss.  = testim. 5 Gent.-Pr.), fanno risalire infatti l’origine del soprannome ‘Calco’ ad un discorso in cui Dionisio avrebbe esortato gli Ateniesi a utilizzare monete di rame (o di bronzo) piuttosto che d’argento 19. In  effetti, verso la fine del V  secolo, fu coniata ad Atene una moneta equivalente a  un ottavo di obolo e  ad un quarantottesimo di dracma, il χαλκός 20. Aristoph. Av. 521b; schol. Aristoph. Nub. 332a. Gli storiografi menzionano tra i partecipanti alla fondazione di questa colonia vari intellettuali ateniesi di prestigio, come Protagora e  Ippodamo. La presenza di molti partecipanti può essere attribuita al fatto che tra il 446 e il 443 vi furono due spedizioni a Turi, una ateniese e una panellenica, forse di due indirizzi politici diversi. Cfr. Will 1972, 276 ss. 18  Originario di Atene lo definisce Eraclide Pontico (fr. 65 Wehrli = testim. 2 Gent.-Pr.). 19  Dionisio è soprannominato ‘Calco’ anche da Plutarco (Nic. 5, 2-3 = testim. 3 Gent.-Pr.). 20   Sulla monetazione in rame vd. Kubitschek 1899; Robinson 1960; Garzya 1963, 92; Kraay 1976, 69; Del Corno 1985, 199-200; van Alfen 2012, 94-95.

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Una seconda spiegazione del­l’appellativo è offerta da due commentari, uno anonimo (in Aristot. Rhet. 3, 1405a 32 = testim. 6 Gent.-Pr.), l’altro dello Stefano (in Aristot. Rhet. 3, 1405a 31 = testim. 7 Gent.-Pr.), ad un passo della Retorica di Aristotele. Pur presentando alcune divergenze, rintracciano sostanzialmente l’origine del­l’appellativo ‘Calco’ in una stele di bronzo sulla quale Dionisio avrebbe fatto incidere alcuni versi delle sue elegie 21. La spiegazione del­l’appellativo data da Callimaco ed Eustazio sembra la più plausibile: potrebbe alludere al  rimedio suggerito da Dionisio agli Ateniesi per far fronte al­l’estrema miseria che fece seguito alla guerra del Peloponneso, una soluzione tuttavia aspramente criticata perché la nuova moneta ricordava quotidianamente ai cittadini di Atene la disastrosa situazione economica in cui la città versava 22. Della sua poesia ci restano 7 frammenti, 6 trasmessi da Ateneo nei Deipnosofisti e uno conservato da Aristotele nella Retorica. Sono stati definiti dagli studiosi ‘enigmatici’ 23, a  giusta ragione, sia perché provengono da poesie d’occasione che richiederebbero, per essere comprese pienamente, la conoscenza del­l’intera circostanza conviviale, sia perché il poe­ta utilizza per lo più un linguaggio oscuro, fortemente allusivo e metaforico, a volte ellittico, intellegibile nel­l’hic et nunc della performance soltanto ad una ristretta cerchia di simposiasti. La poesia elegiaca presenta spesso temi metasimposiali, evoca e riproduce scene che si svolgevano nel convito stesso: i frammenti di Dionisio Calco di seguito analizzati costituiscono un particolare esempio di poesia metasimposiale e in essi sono ravvisabili anche alcuni accenni alle tecniche esecutive del­l’elegia di età classica che si rivelano sostanzialmente analoghe a quelle di età arcaica.

21   Cfr. Miralles 1993 (= Novelli-Citti 2004, 49). Vd. anche Fongoni 2016, 32-33. 22  Una testimonianza di rilevante interesse sul­l’utilizzo della moneta di rame è  rappresentata da un passo delle Rane (vv.  718-737) di Aristofane, commedia del 405 a.C., l’anno della sconfitta decisiva degli Ateniesi ad Egospotami. Per una interpretazione dei versi vd. Fongoni 2016, 33-34. 23  Garzya 1963, 93 (‘Rätselhaft’).

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Fr. 1 Gent.-Pr. 24 Ὦ Θεόδωρε, δέχου τήνδε προπινομένην τὴν ἀπ’ ἐμοῦ ποίησιν. ἐγὼ δ’ ἐπιδέξια πέμπω σοὶ πρώτῳ Χαρίτων ἐγκεράσας χάριτας. καὶ σὺ λαβὼν τόδε δῶρον ἀοιδὰς ἀντιπρόπιθι, συμπόσιον κοσμῶν καὶ τὸ σὸν εὖ θέμενος. O Teodoro, accetta questa mia poesia offerta come brindisi in tuo onore. Verso destra a  te per primo la invio, mescendo le grazie delle Cariti. E tu, avendo preso questo dono, offri in cambio canti, rendendo bello il simposio e facendo bene la tua parte.

Durante lo svolgimento di un simposio, reale o fittizio 25, il poe­ta indirizza un canto (v.  4) a  Teodoro, uno dei convitati, esortandolo ad accettarlo. Come si conveniva, colui che accettava si impegnava in un altro canto. Difficile stabilire l’identità del destinatario sul cui nome tra l’altro il poe­ta gioca a v. 4 (τόδε δῶρον), ma potrebbe essere il compagno di Alcibiade che secondo Plutarco (Alc. 19,  1-2) avrebbe fatto da araldo (ἔλεγον δὲ Θεόδωρον μέν τινα δρᾶν τὰ τοῦ κήρυκος) nella cerimonia sacrilega in cui i membri del­l’eteria di Alcibiade avevano parodiato i misteri di Eleusi. Dello stesso Teodoro, si ricorda anche Andocide nel discorso Sui misteri (35) 26. Tale identificazione potrebbe essere avvalorata dal fatto che nel fr.  3 Dionisio cita Feace, un altro personaggio che probabilmente orbitava nella cerchia di Alcibiade 27. La particolarità del frammento risiede sia nel­l’esordio con il pentametro per meglio mettere in evidenza il nome del destinatario 28, sia nel­l’uso polivalente di alcuni termini tecnici propri 24  A seguito della congettura di Osann 1835, accettata da Bach 1837,  13, il frammento è  stato posto dagli editori al­l’inizio della raccolta (Gentili-Prato, West), anche se Ateneo (15,  669e) nel citarlo usa un’espressione di carattere generico ἐκ τῶν ἐλεγείων, né vi è alcun elemento interno che faccia pensare al suo carattere di introduzione. Vd. Welcker 1845, 221; Garzya 1963, 94. 25   Cfr. Reitzenstein 1893, 31-32; 51. 26  Cfr. MacDowell 1962, 86; Pecorella Longo 1971, 42, n. 1. 27 Vd. infra, commento al fr. 3. 28   L’elegia di V-IV secolo dimostra che i poe­ti non usarono sempre lo stesso schema, anzi la successione esametro-pentametro fu invertita o perfino alterata. I  frammenti 1 e  4 Gent.-Pr.  di Dionisio Calco si aprono con un pentametro: il  verso, in apertura e  chiusura dei componimenti, conferisce ai  brani l’effetto di una struttura ad anello. Nel fr. 1, 1 la forte pausa tra i due cola del­l’elegiaco (verso asinarteto) dava forza al vocativo ‘Teodoro’; nel fr. 4, 1 al­l’annuncio della

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del linguaggio simposiale, sia nella singolare formula con cui il poe­ta invita l’amico a  comporre poesia. Com’è noto, nei simposi si passava ad un convitato, facendo il giro verso destra, un rametto di mirto o  d’alloro che determinava l’alternanza del turno di canto; contemporaneamente si dedicavano brindisi passandosi la coppa 29. Nel frammento di Dionisio tale consuetudine appare sintetizzata nelle espressioni δέχου τήνδε προπινομένην τὴν ἀπ’ ἐμοῦ ποίησιν («accetta questa mia poesia offerta come brindisi in tuo onore») e καὶ σὺ λαβὼν τόδε δῶρον ἀοιδὰς ἀντιπρόπιθι («e tu, avendo preso questo dono, offri in cambio canti») 30, che semplificano la descrizione delle varie operazioni da compiere per una corretta esecuzione poe­tica. Osserviamo anzitutto ai vv. 1 e 4 il verbo προπίνειν, ‘bere alla salute di’, ‘brindare a qualcuno’ e  ‘offrire la tazza alla persona alla quale si brinda’, come testimoniato anche da Crizia (fr.  4,  7 Gent.-Pr.) e  da Plutarco (Alex.  39,  2). Q uesto verbo ha sempre come oggetto, esplicito o meno, ciò che si beve, ovvero, in ambito simposiale, il vino, ma nella prassi il simposiarca, che nel frammento è  il poe­ta stesso, beveva per primo e  poi faceva girare la coppa verso destra 31: oggetto del verbo è perciò anche la coppa. L’aspetto del tutto singolare è che in questo brano non compaiono né il vino né la coppa: oggetto esplicito del verbo è al v. 2 la poesia (ποίησιν) e al v. 4 il canto (ἀοιδάς), mentre il vino e  la coppa sono oggetti impliciti, sottesi al  canto stesso 32. Si sviluppano dunque due piani paralleli: uno esplicito, rappresentato dalla poesia e  dal canto, l’altro implicito costituito dalla coppa e  dal vino. Il  poe­ta indirizza la sua poesia verso destra, consegnando al convitato, nel gesto tipico del simposio, il dono, cioè il suo componimento, e, allo stesso

‘bella  notizia’, che coincide con il primo hemiepes. Per una disamina accurata delle particolarità metriche nella poesia di Dionisio Calco vd.  Fongoni 2016, in partic. 42-45. 29   Q uesta pratica vale per i  componimenti accompagnati da aulos non per quelli cantati con l’accompagnamento della cetra dai commensali più esperti per i quali non si seguiva un andamento prestabilito (Dicaear. fr. 88 Wehrli). 30  Sul concetto di ‘catena simposiale’ vd. Vetta 1983, XI-LX. 31  Ἐπιδέξια (v.  2) è  altro termine tecnico. Vd. infra fr.  3,  1; Crit. fr.  4,  6 Gent.-Pr.; Anaxandr. fr. 1 K.-A. 32  In Carm. Conv. 917b, 1 Page suo oggetto è il λόγον, che dimostra l’insistenza su una terminologia comune a tutta la poesia conviviale.

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tempo, il vino, contenuto nella coppa 33. Il simposiasta che accetta il dono è  invitato a  ricambiare con le stesse modalità, ovvero brindando e  componendo un altro brano poe­tico (v.  4), adornando il simposio stesso e facendo bene la sua parte, cioè partecipandovi nella misura adeguata, secondo le buone norme che ne regolano lo svolgimento (v. 5) 34. La poesia e la coppa si possono ricevere (v. 1 δέχου) e prendere (v. 4 λαβών); le grazie delle Cariti, cioè la poesia e  il vino, si possono mescolare (v.  3 ἐγκεράσας). «La poesia assimila così tanto la materialità della coppa, quanto quella del vino, diverse fra di loro, ed è la seconda che permette di mescolare, come si fa col vino, le grazie poe­tiche» 35. Ancora una volta un’espressione metaforica: come i  Greci durante il simposio mescolavano il vino con l’acqua, così mescevano le grazie delle Cariti, cioè le varie componenti della poesia 36. Con grande raffinatezza quindi e  attraverso un abile gioco metaforico il poe­ta riprende il concetto tradizionale risalente ad Archiloco (fr. 117 Tard. = 120 West) del vino come mezzo d’ispi­razione poe­tica e della poe­sia come momento centrale nello svolgimento di un simposio, ma lo fa in uno stile del tutto nuovo, mostrando una notevole affinità tematica e stilistica con la poe­ tica di Ione di Chio e dei rappresentanti del ‘Nuovo Ditirambo’. Nel fr. 1 Gent.-Pr. (= 89 Leurini) di Ione di Chio infatti e in un frammento di Filosseno di Citera (831 Page = 21 Fongoni) è evidente il forte nesso tra il vino ingerito e il canto che si sprigiona nel simposio. Nel primo i  παῖδες φωνήεντες (v.  7), i  «rampolli chiacchierini», possono essere identificati con le parole del componimento; nel secondo, εὐρείτας οἶνος πάμφωνος, «vino sonoro 33  Miralles (1993 = Novelli-Citti 2004, 51) ha individuato in questi versi due figure retoriche: il vino, oggetto implicito del verbo, comporta una metonimia cioè la coppa, il contenente per il contenuto; e poiché era consuetudine indirizzare il brindisi e la coppa al suo destinatario con parole in versi, ad un secondo livello siamo di fronte ad una sineddoche, cioè la poesia e il canto, oggetti espliciti che implicano come oggetti impliciti la coppa e il vino. 34  I traduttori di Ateneo interpretano in modo diverso l’espressione καὶ τὸ σὸν εὖ θέμενος: «e facendo a te buoni auguri» (A. Rimedio in Canfora); «ordering well thine own prosperity» (Gulick). 35 Così Miralles 1993  = Novelli-Citti 2004,  51. Un’espressione simile a quella di Dionisio Calco, τὰς Χάριτας χάρισιν, ricorre in un epigramma di Melea­ gro (Anth. Pal. 5, 148). 36 Cfr. Schol. Pind. O. 7, 5a προπίνων· προπίνειν ἐστὶ κυρίως τὸ ἅμα τῷ κράματι τὸ ἀγγεῖον χαρίζεσθαι.

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che piacevolmente scorre», è  chiaramente allusivo alla sfera del canto 37. Dionisio Calco rivela quindi grande abilità nel­l’uso della polisemia semantica, delle espressioni metaforiche che si susseguono, nella musicalità dei versi come accade ad esempio a  v.  3 in cui le gutturali alternate alla liquida ρ danno vita ad una efficace onomatopea 38. Si può inoltre osservare che la prassi esecutiva adottata dal poe­ta rientra perfettamente nei canoni del genere arcaico. Mutano però lo stile, il lessico, l’espressione, elementi che appaiono del tutto originali rispetto al passato e richiedono, per essere compresi appieno, una lettura che tenga conto di diversi piani interpretativi. Fr. 3 Gent.-Pr. ὕμνους οἰνοχοεῖν ἐπιδέξια σοί τε καὶ ἡμῖν. τὸν τε σὸν ἀρχαῖον τηλεδαπόν τε φίλον εἰρεσία γλώσσης ἀποπέμψομεν ἐς μέγαν αἶνον τουδ’ἐπὶ συμποσίου· δεξιότης τε λόγου Φαίακος Μουσῶν ἐρέτας ἐπὶ σέλματα πέμπει. Come vino, versa inni a destra per te e per noi. Il tuo vecchio amico lontano col remeggio della lingua faremo venire per un alto elogio a questo simposio. La destrezza nel parlare di Feace invia ai banchi i rematori delle Muse. Fr. 5 Gent.-Pr. καί τινες οἶνον ἄγοντες ἐν εἰρεσία Διονύσου συμποσίου ναῦται καὶ κυλίκων ἐρέται, ‹μάρνανται› περὶ τοῦδε· τὸ γὰρ φίλον οὐκ ἀπόλωλεν. E alcuni portando vino nel remeggio di Dioniso, marinai del simposio e  rematori di coppe, gareggiano su questo: la cosa amata infatti non perisce.

Nei frr. 3 e 5 Gent.-Pr. trasmessi da Ateneo rispettivamente nei libri XV (669a) e X (443d) dei Deipnosofisti 39 abbiamo un altro esempio di poesia metasimposiale. Nel fr. 3 il poe­ta invita un sim  Vd. Fongoni 2015, 128-129.   Cfr. Garzya 1963, 95, n. 18. 39  I due frammenti sono accomunati da analogie tematiche e terminologiche e per questo motivo vengono analizzati congiuntamente. 37 38

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posiasta seduto alla sua destra a comporre poesie in onore di un amico lontano, probabilmente un compagno di eteria. Compare ancora una volta il rapporto tra il vino e l’ispirazione poe­tica reso più efficace dal­l’uso di un’originale immagine metaforica: simposio-nave. Come accade nel fr.  1 con il verbo προπίνειν, anche nel fr. 3, 1 si assiste al­l’estensione di senso di οἰνοχοεῖν: attraverso l’oggetto espresso ὕμνους, il verbo assume oltre al  significato di ‘versare vino’ quello di ‘versare canti di lode’, sempre verso destra secondo la consuetudine simposiale 40. È dunque un invito a bere e a cantare rivolto ad un partecipante al simposio (v. 2 σόν), ma poi esteso a tutti i simposiasti (v. 3 ἀποπέμψομεν). La cornice questa volta è  il simposio immaginato come una nave, in cui i rematori sono i convitati, i remi la lingua, i protettori le Muse e Dioniso. Il simposio chiuso e ristretto è identificato con la nave 41 e le attività svolte dai simposiasti, sia quando parlano (fr. 3), sia quando bevono (fr. 5) 42, a quelle dei marinai nella funzione di rematori. Come esplicitato infatti dal pentametro del fr. 5, i convitati sono marinai del simposio (che è quindi la nave) e rematori delle coppe (che sono i remi) 43. Poiché Dioniso è la divinità del simposio che invita a bere e a comporre poesie,‘remare’ in ambito simposiale significa ‘brindare’ e ‘dedicare poesie ai compagni’. Il  remeggio della lingua (fr.  3,  3) diventa il remeggio di Dioniso (fr. 5, 1), ovvero il simposio. Si ripropone quindi ancora una volta la stretta connessione tra vino e ispirazione poe­tica celebrata nel fr. 1 e nella poesia simposiale e ditirambica del V secolo: i commensali, ‘marinai del banchetto’, usano ‘i remi delle Muse’, le composizioni poe­tiche; la loro azione è favorita da Dioniso, dio del vino, identificabile con il vino stesso. Nella letteratura e nel­ l’iconografia greca le analogie e  i paralleli tra il vino, il mare, la navigazione e  il simposio ricorrono spesso. Il  legame tra il mare

40   Il  verbo è  usato con valore metaforico anche in Plut. Per. 7,  8 (ἄκρατον ἐλευθερίαν οἰνοχοῶν). 41  Cfr. Slater 1976; Bowie 1986, 17-18. 42  Per il testo del fr. 5 vd. infra. 43   Secondo Ateneo (10, 443d), Dionisio definisce «rematori di coppe» «coloro che nutrono una passione eccessiva per il vino». La metafora fu probabilmente ripresa da Apollonio Rodio (Arg. 2, 467). In merito vd. Giangrande 1977, in particolare 100-101.

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e  il vino da Omero passa ad Archiloco, a  Pindaro, a  Cherilo 44. Molti vasi hanno la forma di una nave oppure raffigurano imbarcazioni decorate con tralci di vite e grappoli, delfini e altri soggetti analoghi 45. Tuttavia l’immagine che offre Dionisio Calco è assolutamente unica perché è la prima volta che si assiste ad una metafora simposio-nave così diretta ed esplicita 46. Molto si è  dibattuto sul­l’identità di Feace, destinatario del­ l’elegia (fr. 3), definito a v. 2 un ‘vecchio amico lontano’. Probabilmente fu un compagno di eteria di Dionisio 47, appartenente ad una ricca famiglia ateniese, dotato di ottime capacità retoriche e di spiccata attitudine politica 48. Nel 422 fu inviato come ambasciatore in Sicilia per persuadere gli alleati di Atene ad intraprendere una spedizione contro Siracusa, potenza in espansione 49. Inizialmente avversario di Alcibiade 50, in seguito, secondo quanto narrato da Plutarco, lo avrebbe appoggiato nel­l’ostracismo di Iperbolo, probabilmente nel 418-417 a.C. 51. Se realmente il per44 Hom. Od. 5,  133; 221; 7,  250, ecc. (mare color del vino); Archil. fr.  2 Tard.  = 2 West; Pind. fr.  124 a, b, c Maehler (bere vino-nuotare verso un’ingannevole sponda); Choer. fr.  9 Bernabé (coppa spezzata-recente naufragio dei convitati). Un’analisi di alcuni dei passi citati in  Slater 1976. Per l’interpretazione di ἐν  δορί nel senso di ‘sul legno’ ovvero ‘sulla nave’ nel frammento di Archiloco, vd. Gentili 1965 e Tarditi ad loc. 45  Un’ampia rassegna in Lissarague 1989, 129-146. 46  In precedenza il paragone più noto è quello tra la città in pericolo e la nave in tempesta. Vd. Gentili 1984, 257-283 (Gentili 20064, 292-316). 47  Phaeax aequalis Dionysii fuisse videtur: così Gentili e  Prato che condividono quanto già sostenuto da Osann 1835 e Smart 1972, 142, n. 107. Cfr. anche Lenschau 1938. Non è quindi necessaria la correzione di Φαίακος in Φαίακας preferita da altri studiosi. Vd. Gentili-Prato ad fr. 3. 48  Plut. Alc. 13; Aristoph. Equ. 1375-1380; Eup. fr. 2; *116 K.-A. Cfr. Mastromarco-Totaro 1983,  318, n.  244. Sulla famiglia cui Feace apparteneva vd. Davies 1971, 521 ss. 49  Thuc. 5, 4-5. Vd. Ferrari-Daverio Rocchi 1985, II, 983, n. 6. 50  A Feace è attribuito da Plutarco (Alc. 13, 3) un discorso Contro Alcibiade, da identificare con l’omonima orazione attribuita ad Andocide. Sul problema del­l’attribuzione vd. Dalmeyda 19663, 103-110. 51   In Plutarco (Alc. 13, 7-8) si legge che, quando fu chiaro che l’ostracismo avrebbe colpito uno dei tre oratori, Alcibiade d’accordo con Nicia, fece rivolgere l’ostracismo contro Iperbolo. Secondo altri però non si accordò con Nicia, ma con Feace, guadagnandosi i suoi sostenitori. Lo stesso Plutarco alla fine del capitolo 13 rimanda ad un altro libro per una trattazione più ampia del­l’argomento. Si tratta della Vita di Nicia 11, 3-10. Feace, quindi, sembra essere stato il capo di un gruppo oligarchico che appoggiò il gruppo dei moderati intervenendo a fianco

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sonaggio citato coincide con il personaggio storico, è possibile che Dionisio celebri nel­l’elegia l’abilità oratoria del­l’amico durante un banchetto e  che il medesimo si sia svolto in Atene mentre Feace era assente, forse proprio in occasione del­l’ambasceria in Sicilia. Si spiegherebbe così l’elogio di un ‘vecchio amico’, in quel momento ‘lontano’ 52. Il nome Φαίαξ che significava anche ‘Feace’ nel senso di appartenenza al popolo dei Feaci, consentiva al poe­ta di dare vita allo stesso tempo ad una anfibologia 53. L’espressione conclusiva del frammento, «la destrezza nel parlare di Feace invia ai banchi i rematori delle Muse», chiama in causa e connette tra loro in un gioco polisemico due abilità: quella oratoria, propria di Feace, e quella nautica, propria del popolo dei Feaci. Nel fr. 5, 3 μάρνανται è integrazione di Hermann 54, accolta da Gentili e Prato e dalla maggior parte degli editori. Il verbo, insieme a περὶ τοῦδε, può essere interpretato in un duplice modo: 1) i convitati ‘gareggiano per questo’, ovvero ‘per il vino’ 55; 2) i convitati ‘gareggiano su questo’ 56. La massima che segue, «la cosa amata non perisce», trova un parallelo nel fr. 6 Gent.-Pr.: τί κάλλιον ἀρχομένοισιν / ἢ καταπαυο­ μένοις ἢ τὸ ποθεινότατον; («Che cosa c’è di più bello per chi inizia o per chi termina di ciò che è più d’ogni cosa desiderabile?») 57. Riferita forse al vino, può aver costituito l’argomento della competizione poe­tica tenutasi durante il simposio. Q uesti versi sono quindi testimonianza della consueta modalità esecutiva del­l’elegia, ovvero quella di passare la parola poe­tica al convitato seduto alla di Alcibiade per conto di Nicia. Q uesto confermerebbe l’amicizia tra Feace e Dionisio Calco proprio per il comune legame con Nicia. Vd. Calhoun 1964, 137 s.; Magnino 1992,  382-385. Sul­l’ostracismo di Iperbolo cfr.  anche Thuc. 8,  73,  3 e Ferrari-Daverio Rocchi 1985, III, 1477, n. 49. 52  Poco attendibili appaiono le congetture di Schweighäuser 1805, 41, per il quale si tratterebbe del vino invecchiato, e  di Wilamowitz-Moellendorff  1924, 150, n. 2, che lo identifica con un ospite straniero. 53  Tale tecnica era comune ai ditirambografi: Lasus T1; 8 Brussich; Philox. testim. 7a Fongoni. Vd. Brussich 2000, 53; 59; Fongoni 2014, 15-18. 54   Εἴρονται è proposta di Hartung, σπεύδουσιν di Ebert. 55  Vd. Gulick; R. Cherubina in Canfora. 56 Cfr. Olson. 57  Garzya (1963, 101) ipotizza che i due frammenti (5 e 6 Gent.-Pr.) facciano parte della stessa elegia.

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A. FONGONI

propria destra, il quale si impegnava a rispondere in versi riprendendo la tematica fissata dal poe­ta-simposiarca nel momento iniziale del convito 58.

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  Ad altra occasione rinvio la trattazione della valenza politica del­l’elegia del V secolo. Già Müller 18824, 24 aveva messo in evidenza questo aspetto. Alla luce di studi più recenti questa ipotesi può essere rilanciata per istituire un collegamento con la tradizione civile e politica ateniese, da Solone a Crizia. Per una definizione del ruolo di Crizia e di Dionisio Calco, attraverso la lettura dei frammenti, soprattutto di quelli simposiali, vd. Battegazzore 1962, 249; Borthwick 1964; Miralles 1993; Lapini 1995; Bultrighini 1999; Iannucci 2002; Rufilanchas 2003. 58

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«MARINAI DEL SIMPOSIO E REMATORI DI COPPE» (DIONYS. CHALC. FR. 5, 2 GENT.-PR.)

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«MARINAI DEL SIMPOSIO E REMATORI DI COPPE» (DIONYS. CHALC. FR. 5, 2 GENT.-PR.)

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A. FONGONI

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Abstracts La poesia di Dionisio Calco, uno degli esponenti più rappresentativi del­l’elegia simposiale di età classica, è testimonianza autentica di una stagione letteraria caratterizzata da ricercatezze stilistiche e toni enfatici, anticipatrice di quel rinnovamento espressivo destinato a fiorire nei secoli successivi. L’uso di un lessico fortemente allusivo e metaforico e la particolare attenzione ai fenomeni fonetici e prosodici insieme alla infrazione della struttura metrica lasciano ipotizzare che la poe­tica 296

«MARINAI DEL SIMPOSIO E REMATORI DI COPPE» (DIONYS. CHALC. FR. 5, 2 GENT.-PR.)

di Dionisio sia stata influenzata dalla ‘Nuova Musica’. Nei frammenti della sua poesia si evidenzia inoltre la modalità esecutiva della performance elegiaca di età classica nel contesto simposiale. Dionysius Chalcus’s poetry, one of  the most important representatives of  the sympotic elegy in the classic age, truly witnesses a literary season characterized by stylistic search and magniloquent tones, anticipating that expressive renewal destined to blossom in the following centuries. The use of   a  strongly allusive and metaphoric lexis and the particular attention to phonetic and prosodic phenomena together with the infraction of  metric structure lead us assuming that Dionysius’s poetry has been influenced by the ‘New Music’. In the fragments of  his poetry it is evident the technique of  execution during the elegiac performance of  Classical age in the sympotic context too.

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FONDARE UN AGONE MUSICALE

ALESSANDRA AMATORI Università di Urbino «Carlo Bo»

TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

Nel panorama degli agoni poe­tico-musicali di età arcaica un ruolo non secondario era certamente svolto dalle feste Carnee, celebrate nel Peloponneso 1 in onore di Apollo. Della loro importanza a Sparta è testimone Erodoto, che racconta come, proprio a motivo della celebrazione delle Carnee, gli Spartani non presero parte alla battaglia di Maratona 2 e inviarono alle Termopili al comando di Leonida solo un contingente estremamente ridotto 3. Oltre alla sospensione delle attività belliche, la festa, della durata di nove giorni, prevedeva un banchetto, tenuto al­l’interno di una tenda di tipo militare, e una corsa di giovani, impegnati nel­l’inseguimento di un uomo avvolto in bende di lana 4. Altro elemento rilevante era costituito dagli agoni musicali, che a partire dal VII sec. a.C. acquistarono un’importanza panellenica, parallela al crescere del­ l’egemonia di Sparta nel Peloponneso.   Le Carnee erano celebrate anche a  Cirene, come attesta Callim. Hymn. 2, 71-87. Pindaro racconta che furono gli Egeidi, fratria di origine tebana, a portare il culto di Apollo Carneo da Sparta a Tera e da qui a Cirene (Pyth. 5, 74-81). 2  Hdt. 6, 106 e 120. 3  Hdt. 7, 206. Cfr. anche Thuc. 5, 75. 4   Vd. tra gli altri Brelich 1981, 148 e 179; Pettersson 1992, 57 ss.; Burkert 20032,  433  ss. Strettamente associate alla vita militare, riprodotta nel contesto della festa, le Carnee sembrano avere l’obiettivo di integrare i nuovi guerrieri nella comunità e assicurare il successo della città nelle campagne di guerra (cfr. Athen. 4, 141e-f). Connesso con la spedizione e la guerra è anche l’epiteto apollineo di Carneo, che una tradizione fa derivare dal­l’indovino Carneo, ucciso per errore dagli Eraclidi al  loro arrivo nel Peloponneso (Paus. 3,  13,  4); secondo una variante l’epiteto venne invece attribuito ad Apollo per placarlo in seguito al taglio di alcuni cornioli (κράνειαι) sacri al  dio per la costruzione del cavallo di Troia (Paus. 3, 13, 5). 1

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A. AMATORI

Agli agoni connessi con le feste Carnee è dedicata un’opera di Ellanico di Lesbo tramandata con il titolo di Karneonikai, Vincitori alle Carnee, della quale si conservano unicamente tre frammenti riguardanti i  citarodi Terpandro e  Arione. Dopo una breve premessa dedicata agli scritti del Lesbio, cercheremo ora, a  partire da questi scarni frammenti, di delineare le caratteristiche del­l’opera e di collocarla al­l’interno della produzione di Ellanico, anche prendendo in esame alcune ipotesi di parziale ricostruzione. Ellanico, nativo del­l’isola di Lesbo e pressoché contemporaneo di Erodoto 5, è autore di numerose opere in prosa di contenuto mitografico ed etnografico, per lo più organizzate in forma di monografie dedicate a un ciclo mitico o a una regione del mondo greco o barbaro: in ciò che resta della sua consistente produzione è possibile individuare una progressione da un primitivo sistema di calcolo del tempo mediante la genealogia e i conseguenti sincronismi tra le figure appartenenti alla stessa generazione, ad una più matura cronologia assoluta. Se al  primo gruppo si possono ascrivere le opere di tema mitico, quali l’Atlantide e la Foronide, e gli scritti di taglio etnografico (Aiolika, Aigyptika, Troika), tra le opere che potremmo definire ‘cronografiche’ vengono generalmente considerate le Sacerdotesse di Era ad Argo, l’Atthis e i Vincitori alle Carnee 6. Nelle Sacerdotesse di Era Ellanico abbandona la prospettiva locale per trattare di eventi riguardanti l’intero mondo greco e utilizza la successione delle sacerdotesse argive per fornire una datazione di fatti e personaggi: nel fr. 79b il periodo di sacerdozio di Alcione serve come riferimento per datare un avvenimento che nulla ha a che fare con la città di Argo, ovvero la partenza dei Siculi dal­l’Italia 7. Hellan. FGrHist 4 F 79b (Dion. Hal. Ant. Rom. 1, 22, 3): … τὸ μὲν δὴ Σικελικὸν γένος οὕτως ἐξέλιπεν Ἰταλίαν, ὡς μὲν Ἑλλάνικος ὁ Λέσβιός ϕησι, τρίτῃ γενεᾷ πρότερον τῶν Τρωικῶν Ἀλκυόνης ἱερωμένης ἐν ῎Αργει κατὰ τὸ ἕκτον καὶ εἰκοστὸν ἔτος.

5  Un frammento attesta che Ellanico raccontava gli eventi della guerra del Peloponneso fino al 407/6 a.C. (FGrHist 323a F 25). 6  Cfr. Ambaglio 1980, 38 ss. 7   Per un approfondimento del­l’opera e degli aspetti relativi alla cronologia vd. Möller 2001.

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TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

La stirpe dei Siculi abbandonò in questo modo l’Italia, come racconta Ellanico di Lesbo, tre generazioni prima della guerra di Troia, nel ventiseiesimo anno del sacerdozio di Alcione ad Argo.

Con l’Atthis l’autore torna a muoversi su scala regionale, concentrandosi sul mito e la storia recente del­l’Attica fino alla battaglia delle Arginuse: come riferimento cronologico viene qui adottata la lista degli arconti ateniesi, scelta poi condivisa e divenuta canonica per gli scrittori di attidografia 8. Hellan. FGrHist 323a F 25 (Schol. RV Aristoph. Ran. 694): καὶ Πλαταιᾶς εὐθὺς εἶναι κἀντὶ δούλων δεσπότας] τοὺς συνναυμαχήσαντας δούλους Ἑλλάνικός φησιν ἐλευθερωθῆναι καὶ ἐγγραφέντας ὡς Πλαταιεῖς˙ συμπολιτεύσασθαι αὐτοῖς, διεξιὼν τὰ ἐπὶ Ἀντιγένους τοῦ ‹πρὸ› Κάλλιου. E subito diventano Plateesi e padroni invece che schiavi] Ellanico afferma che gli schiavi che combatterono nella battaglia navale (delle Arginuse) vennero liberati e  considerati come Plateesi: dice che ebbero la cittadinanza in questo modo, raccontando del periodo in cui era arconte Antigene, ‹prima› di Callia.

Le soluzioni adottate nei Karneonikai costituiscono una novità nel panorama della logografia e denotano la volontà di superare la datazione relativa per genealogie, prevalente negli altri mitografi come Acusilao di Argo o Ferecide di Atene, in favore di un sistema di cronologia assoluta. Le due modalità di datazione secondo le sacerdotesse di Era e secondo gli arconti arrivano fino a  Tucidide, che le utilizza entrambe per precisare l’inizio della guerra del Peloponneso, aggiungendo una terza indicazione temporale basata sugli efori spartani 9. Pur adottando poi nel corso del­l’esposizione un sistema cronologico differente (quello relativo agli anni di guerra, suddivisi in estati e  inverni), lo storico dichiara il suo debito nei confronti di Ellanico, un punto di riferimento importante nel passaggio dalla prima logografia alla storiografia propriamente detta. 8  Sul­l’Atthis vd. Jacoby 1949 e i più recenti Joyce 1999; Harding 2007; Ottone 2010. 9  Thuc. 2, 2, 1.

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A. AMATORI

In tale quadro di sviluppo della produzione del Lesbio, un problema non ancora completamente chiarito è  rappresentato dalla posizione dei Karneonikai: il titolo tràdito ha fatto spesso supporre che la lista dei vincitori del­l’agone spartano costituisse l’ossatura cronologica del­l’opera, che poteva quindi spaziare tra eventi e  personaggi indipendenti dalle feste Carnee e  dalla città di Sparta, e  fornirne la datazione utilizzando la successione dei poe­ti. È questa la posizione di F. Jacoby 10, che considera i Karneonikai una storia della poesia e della musica, e di D. Ambaglio 11, che ipotizza una trattazione della storia greca del tutto svincolata dal tema degli agoni musicali. Secondo queste ricostruzioni, dal momento che ricorrono al­l’elenco dei vincitori alle Carnee come riferimento temporale, i Karneonikai, analogamente alle Sacerdotesse e al­l’Atthis, sarebbero da ascrivere ad una fase matura della produzione di Ellanico, contraddistinta da un uso più evoluto della cronologia 12. I frammenti del­l’opera, sebbene alquanto ridotti nel numero e nel­l’estensione, sembrano tuttavia suggerire un’interpretazione parzialmente diversa, che va piuttosto nella direzione di un sistema di cronologia relativa e  di un interesse prevalente verso i poe­ti di Lesbo. I primi due frammenti, frr. 85a e 85b nel­l’edizione di Jacoby, sono dedicati a Terpandro: a tramandare il primo è Ateneo, in un brano dedicato al­l’origine e alle caratteristiche di alcuni strumenti a corde quali la magadis, la pektis e la barbitos. Sulla scorta di Menecmo di Sicione 13 Ateneo attribuisce l’introduzione della pektis (spesso identificata dagli antichi con la magadis) a Saffo, mentre considera la barbitos un’invenzione di Terpandro, basandosi su Pind. fr. 125 Maehl. La citazione pindarica, in contrasto con una parte della tradizione che attribuisce l’inven-

 Così FGrHist IIIb Suppl., Komm., 1-2.   Vd. Ambaglio 1980, 22-23. 12 L’Atthis è  considerata l’ultima opera composta da Ellanico, dato che il fr. 25 dimostra che arrivava fino al 407/6 a.C. Per quanto riguarda le Sacerdotesse di Era, la cronologia si può ricavare per via indiretta da Tucidide: lo storico ricorda infatti l’incendio del tempio argivo di Era del 423 a.C. e la fuga della sacerdotessa a Fliunte (Thuc. 4, 133), notizia che ha buone probabilità di risalire a Ellanico e che fa pensare che la cronaca del Lesbio arrivasse almeno fino a quel­l’anno. 13  Menaechm. FGrHist 131 F 4. 10 11

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TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

zione della barbitos ad Anacreonte 14, indica secondo Ateneo che tale strumento è in realtà precedente, data la maggiore antichità di Terpandro rispetto ad Anacreonte. A dimostrazione di questo assunto, Ateneo fornisce una serie di notizie riguardanti la cronologia di Terpandro: come prima fonte cita Ellanico, affermando che il logografo, sia nel­l’edizione in versi sia nella versione in prosa dei Karneonikai, considerava Terpandro il primo vincitore del­l’agone carneo. Hellan. FGrHist 4 F 85a (Athen. 14, 635e): ὅτι δὲ καὶ Τέρπανδρος ἀρχαιότερος Ἀνακρέοντος δῆλον ἐκ τοῦτων· τὰ Κάρνεια πρῶτος πάντων Τέρπανδρος νικᾷ, ὡς Ἑλλάνικος ἱστορεῖ ἔν τε τοῖς ἐμμέτροις Καρνεονίκαις κἀν τοῖς καταλογάδην. Ἐγένετο δὲ ἡ θέσις τῶν Καρνειῶν κατὰ τὴν ἕκτην καὶ εἰκοστὴν ὀλυμπιάδα, ὡς Σωσίβιός φησιν ἐν τῷ Περὶ Χρόνων. Che anche Terpandro sia più antico di Anacreonte risulta chiaro da ciò: fu il primo a vincere le Carnee, come racconta Ellanico sia nella versione poe­tica dei Vincitori alle Carnee sia nella versione in prosa. L’istituzione delle Carnee risale alla ventiseiesima Olimpiade, come afferma Sosibio nel­l’opera Sulla cronologia (FGrHist 595 F 3).

Per meglio precisare la cronologia del primo agone carneo Ateneo ricorre a Sosibio, che collocava l’istituzione della gara nella ventiseiesima Olimpiade, cioè tra il 676 e il 672 a.C. 15, e prosegue con la testimonianza parzialmente discordante di Ieronimo di Rodi, che considerava Terpandro contemporaneo del legislatore Licurgo 16 facendolo risalire al­l’epoca della prima Olimpiade (776 a.C.). Della versione poe­tica dei Karneonikai citata da Ateneo non abbiamo altre testimonianze: è probabile che si tratti di un rifacimento più tardo, anche se non si può completamente escludere una produzione poe­tica dello stesso Ellanico, come risulta da una notizia riportata dalla Suda 17, oltre che da un accenno di Tzetze ad un componimento in versi del Lesbio dedicato alla presa di

  Athen. 4, 175d-e = Neanth. Cyz. FGrHist 84 F 5. Anacreonte stesso cita la barbitos nel fr. 472 Page. 15 Sosib. FGrHist 595 F 3. 16  Hieron. fr. 33 Wehrli. 17 Hellan. FGrHist 4 T 1: […] συνεγράψατο δὲ πλεῖστα πεζῶς τε καὶ ποιητικῶς. 14

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Troia 18. Nel­l’opera, ad ogni modo, Terpandro apriva la lista dei vincitori alle Carnee: la presenza del poe­ta fra i  partecipanti al­ l’agone non desta stupore, se si considerano le numerose testimonianze che associano il poe­ta a Sparta, dove, secondo la tradizione, venne chiamato dietro suggerimento del­l’oracolo per restituire la concordia alla città con i suoi canti 19. Ma in che contesto veniva introdotto Terpandro e utilizzando quale cronologia? Un’indicazione importante in questo senso proviene dal fr. 85b, tramandato da Clemente Alessandrino: Hellan. FGrHist 4 F 85b (Clem. Alex. Strom. 1, 21, 131, 6): ναὶ μὴν καὶ Τέρπανδρον ἀρχαΐζουσί τινες· Ἑλλάνικος γοῦν τοῦτον ἱστορεῖ κατὰ Μίδαν γεγονέναι. Certo alcuni considerano Terpandro molto antico: Ellanico racconta infatti che visse al tempo di Mida.

Clemente, interessato anch’egli alla cronologia di Terpandro, cita due versioni fra loro discordanti: la prima, presentata sotto l’autorità di Ellanico, sancisce la contemporaneità di Terpandro e  Mida, la seconda, attribuita a  Fenia di Ereso 20, abbassa decisamente la cronologia del poe­ta considerandolo più giovane di Archiloco 21. Una datazione, quella di Fenia, destinata ad essere meno fortunata della versione di Ellanico, che trova conferma in altre fonti antiche come Glauco di Reggio ed Eraclide Pontico 22, e che ben si accorda con la vittoria di Terpandro alle prime Carnee del 676  a.C.  ca. Al di là delle specifiche questioni di cronologia terpandrea 23, ciò che interessa in questa sede è il fatto che Ellanico 18 Hellan. FGrHist 4 F 152b. Vd. Ambaglio 1980, 38, nn. 137-138; Möller 2001, 245, n. 22; Franklin 2010-2011, 733. Sul­l’esistenza di opere in versi cfr. 88 A 22 D.-K., testimonianza secondo la quale Crizia avrebbe composto delle Costituzioni in versi (ἔμμετροι πολιτεῖαι): a questo testo viene ricondotto il fr. 88 B 6 D.-K., in distici elegiaci, dedicato alla costituzione degli Spartani. Una versione poe­tica dei Karneonikai sembrerebbe implicare la possibilità di performances pubbliche, analoghe alle pubbliche letture attestate per Erodoto e Ippia. 19  Terp. testt. 12-15 Gostoli. 20   Phaen. fr. 33 Wehrli = Terp. test. 4 Gostoli. 21  Nella tradizione Archiloco è  contemporaneo di Gige (cfr. Hdt. 1, 12-14), il quale è  successivo a  Mida nella lista dei re lidi: considerando Terpandro più giovane di Archiloco, Fenia lo colloca quindi ben dopo Mida, diversamente da Ellanico. 22  Vd. Terp. testt. 3 e 7 Gostoli. 23   Per le quali rinvio a Gostoli 1990, IX-XI; Power 2010, 318 ss.

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TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

fornisca la datazione del poe­ta mediante il sincronismo con Mida: il frammento esclude la presenza di una cronologia assoluta e lascia individuare nei Karneonikai un sistema di indicazione temporale basato sulla genealogia. Lo stesso Ateneo, che cita Ellanico proprio per un interesse di tipo cronologico (dimostrare l’anteriorità di Terpandro rispetto ad Anacreonte e quindi l’antichità della barbitos), sembra non trovare nei Karneonikai un’indicazione di cronologia assoluta, tanto che, per fornire una datazione effettiva del poe­ta, è costretto a ricorrere a Sosibio. Pur con le cautele dovute al­l’esiguità dei frammenti, dai frr. 85a e 85b sembra potersi evincere che Ellanico seguiva in quest’opera non una cronologia assoluta bensì una cronologia relativa per genealogie, analoga a quella delle opere mitografiche. Nel fr.  86 troviamo un altro importante citarodo: Arione. A citare i Karneonikai è in questo caso uno scolio agli Uccelli di Aristofane 24 che mette a confronto due tradizioni a proposito del­ l’introduzione del coro ciclico, attribuita da Ellanico ad Arione, da altre fonti a Laso di Ermione. Hellan. FGrHist 4 F 86 (Schol. V Aristoph. Av. 1403): Ἀντίπατρος δὲ καὶ Εὐφρόνιος ἐν τοῖς ὑπομνήμασί φασι τοὺς κυκλίους χοροὺς στῆσαι πρῶτον Λᾶσον τὸν Ἑρμιονέα· οἱ δὲ ἀρχαιότεροι Ἑλλάνικος καὶ Δικαίαρχος Ἀρίονα τὸν Μηθυμναῖον, Δικαίαρχος μὲν ἐν τῷ Περὶ Διονυσιακῶν Ἀγώνων, Ἑλλάνικος δὲ ἐν τοῖς Καρνεονίκαις. Antipatro ed Eufronio nei loro commentari affermano che Laso di Ermione istituì per primo i cori ciclici; i più antichi Ellanico e Dicearco dicono invece che li istituì Arione di Metimna: Dicearco nel­l’opera Sugli agoni dionisiaci, Ellanico nei Vincitori alle Carnee 25.

La presenza di Arione nei Karneonikai può a prima vista apparire anomala, dato il legame del poe­ta con la città di Corinto e la corte di Periandro e l’assenza di tradizioni biografiche che lo mettano in rapporto con Sparta. Se da un lato Jacoby ne deduceva che l’opera di Ellanico doveva costituire una sorta di storia della poesia e della   Schol. Aristoph. Av. 1403.   Antipatro ed Eufronio sembrano confondere l’introduzione degli agoni ditirambici in Atene da parte di Laso con l’invenzione del ditirambo corale: vd. Pickard-Cambridge 1997, 23. 24 25

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musica in Grecia 26, Ambaglio pensava ad una trattazione su scala universale di eventi della storia dei greci e dei barbari, basandosi anche sul riferimento al re lidio Mida 27: secondo entrambi gli studiosi il fr. 86 confermava l’ipotesi di un’opera slegata dalla città di Sparta, dove i  vincitori alle Carnee costituivano unicamente il riferimento cronologico. Se però ci atteniamo alla lettura del frammento, come già osservato da J.  Franklin 28, la spiegazione più semplice della presenza di Arione nel­l’opera è che fosse egli stesso uno dei vincitori del­l’agone: nonostante il legame del poe­ta con la città di Corinto, non è improbabile che una figura tanto conosciuta e influente nella storia della poesia trovasse posto nella lista dei karneonikai accanto al­l’altrettanto noto Terpandro. I tre frammenti tràditi non sono quindi sufficienti a farci escludere che il testo di Ellanico trattasse effettivamente delle Carnee e dei suoi partecipanti: al contrario, le figure di Terpandro e di Arione, se quest’ultimo era davvero un karneonikes, lasciano piuttosto ipotizzare un’opera incentrata sui poe­ti vincitori del­l’agone. Ellanico inoltre non si limitava a nominare Arione ma forniva notizie relative alla sua attività poe­tica, ricordando l’introduzione del coro ditirambico: un episodio che la tradizione in modo concorde colloca a Corinto 29, dunque estraneo alla gara delle Carnee e  che in questo contesto era probabilmente funzionale ad arricchire la citazione del poe­ta. Particolarmente rilevante è il fatto che ad Arione sia attribuito il ruolo di inventore di una nuova forma poe­tica, di πρῶτος εὑρετής del coro ciclico: Ellanico infatti in tutta la sua produzione, e soprattutto in quella mitografica, si dimostra interessato alle figure di πρῶτοι εὑρεταί 30, che rappresentano anzi il mezzo privilegiato attraverso cui il Lesbio spiega l’introduzione di scoperte e innovazioni nei più diversi ambiti. Non stupisce quindi che anche nei Karneonikai egli abbia caratterizzato i poe­ti vincitori in tal senso, coerentemente con gli scritti mitografici e storici. Lo stesso Terpandro, del resto, è considerato un πρῶτος εὑρετής in   Jacoby 1913, 143, FGrHist IIIb Suppl., Komm., 1-2.   Ambaglio 1980, 38. 28  Vd. Franklin 2010-2011, 738. Già in parte Ambaglio 1980, 146. 29  Cfr. Hdt. 1, 23. 30  Vd. ad es. FGrHist 4 F 89, dove si parla dei Dattili Idei, i primi a lavorare il ferro, il fr. 39, in cui viene ricordato Erittonio come fondatore delle Panatenee, e i frr. 6, 71, 178, 189; cfr. Ambaglio 1980, 33. 26 27

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TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

quanto fondò la prima katastasis musicale a Sparta e istituì l’agone citarodico di cui fu il primo vincitore 31. Nel caso di Arione, Ellanico ricorre alla più importante innovazione attribuita al poe­ta: una notizia che ritroviamo in Erodoto, attento anch’egli a sottolineare che Arione fu il primo (πρῶτον ἀνθρώπων) a istituire il coro ditirambico. Ellanico dunque, più che utilizzare i vincitori come riferimento temporale, sembra concentrarsi su di essi e approfondirne la biografia (nel fr.  85b fornisce la cronologia di Terpandro rispetto a  Mida) e  l’attività letteraria (come mostra il collegamento fra Arione e l’origine del coro ciclico nel fr. 86). La caratterizzazione dei karneonikai appare orientata a presentarli come figure cardine nello sviluppo della poesia e della musica, responsabili di influenti εὑρήματα e accomunati dalla vittoria al più importante agone musicale della loro epoca. Un ultimo aspetto da considerare è che entrambi i poe­ti citati nei frammenti sono originari del­l’isola di Lesbo: un elemento che in passato è stato interpretato come effetto del Lokalpatriotismus di Ellanico 32 e che oggi fa piuttosto pensare a un taglio locale del­ l’opera, centrata sulla celebrazione dei poe­ti lesbi, la cui supremazia in età arcaica era tanto nota da divenire proverbiale 33 e che trovava attestazione nelle ripetute vittorie alle prestigiose Carnee spartane 34. Se leggiamo in quest’ottica ciò che resta dei Karneonikai, appaiono di particolare interesse alcune tradizioni presenti nel più tardo De musica attribuito a Plutarco: è già stato osservato che il 31  Cfr. Ps. Plut. Mus. 9, 1134b-c = Terp. test. 18 Gostoli; Gostoli 1990, 8486; Franklin 2010-2011, 739. 32  FGrHist IIIb Suppl., Komm., 1-2. 33   Secondo Cratino (fr. 263 K.-A.) a coloro che ottenevano il secondo posto in un agone era riferita l’espressione proverbiale Μετὰ Λέσβιον ᾠδόν, cioè «dopo il cantore di Lesbo». Il proverbio è ricordato da numerose fonti, tra cui Aristot. fr. 545 Rose; cfr. Terp. test. 60a-i Gostoli. 34  Franklin 2010-2011, 754. Il particolare taglio locale che sembra emergere dai frammenti appare del resto coerente con la caratterizzazione degli antichi logografi fornita da Dionigi di Alicarnasso, che li descrive come compilatori di storie basate sulle memorie delle città e dei gene (Dion. Hal. De Thuc. 5). Su questa base, Franklin avanza l’ipotesi che i Karneonikai fossero non un’opera autonoma bensì una sezione dei Lesbiaka di Ellanico, testo dedicato alla mitistoria lesbia che avrebbe potuto includere un excursus sui più famosi poe­ti locali: un’ipotesi senza dubbio interessante, data anche la fluidità dei titoli delle opere antiche, ma da considerare con cautela a causa della mancanza di testimonianze a riguardo.

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trattato serba memoria di un altro poe­ta lesbio vincitore alle Carnee, Periclito, nonché di un allievo di Terpandro, Cepione, responsabile di aver dato alla kithara la sua forma definitiva 35. Due tradizioni che hanno buona probabilità di risalire proprio a Ellanico, in quanto Periclito continuerebbe la lista dei karneonikai provenienti da Lesbo, mentre Cepione rappresenterebbe un’altra figura di πρῶτος εὑρετής, allievo del karneonikes Terpandro e forse vincitore egli stesso. Nel De musica, inoltre, la sezione dedicata agli antichi auleti e citarodi che include Terpandro e i suoi allievi e che l’autore del trattato riconduce esplicitamente al­l’autorità di Glauco di Reggio, si apre con la figura di Orfeo 36: il legame tra il musico tracio e i poe­ti di Lesbo doveva appartenere alla tradizione locale ed è confermato da numerose leggende, che sottolineavano il prestigio e l’antichità della scuola poe­tica lesbia collocando ad Antissa il ritrovamento della testa di Orfeo, smembrato dalle Baccanti, e della sua cetra, raccolta proprio da Terpandro. Sappiamo d’altra parte che di Orfeo si occupò anche Ellanico, riconducendo a lui la genealogia di Omero e di Esiodo 37. Non è improbabile quindi, anche se si tratta unicamente di un’ipotesi, che la linea di sviluppo del nomos citarodico da Orfeo a Terpandro, di origine lesbia e attestata da Glauco di Reggio e dallo Pseudo-Plutarco, faccia capo proprio a Ellanico, interessato a riscoprire la tradizione locale in una fase storica, quella del V secolo, in cui il dibattito sulla musica e sulle sue origini doveva essere quanto mai vivo 38. La stessa linea di evoluzione Orfeo – Terpandro trova del resto conferma nei Persiani di Timoteo, dove il poe­ta traccia una sorta di storia della citarodia indicandone l’origine, costituita da Orfeo, la fase antica di cui è espressione Terpandro, e infine inserendo se stesso come rappresentante della ‘Nuova Musica’ 39. 35 Ps.  Plut. Mus. 1133b-d. Cfr.  West 1992,  330, n.  8; Franklin 20102011, 743-748; Power 2010, 296. 36  Ps. Plut. Mus. 1132e-f. 37 Vd. Hellan. FGrHist 4 F 12, generalmente attribuito al­l’Atlantide anche se manca l’indicazione del­l’opera di appartenenza. 38  Cfr.  Franklin 2010-2011,  747-748; per un approfondimento vd.  anche Barker 2014, 43 ss. 39  Tim. fr. 791, 221-236 Page: su questo passo vd. l’articolo di M. Ercoles nel presente volume.

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Concludendo, alla luce di una rilettura dei frammenti, i Karneonikai di Ellanico non sembrano ricorrere ai vincitori delle Carnee come riferimento cronologico, bensì mostrano un interesse specifico verso i citarodi più antichi. Q ueste figure di poe­ti, inquadrate a livello cronologico ricorrendo a sincronismi, erano approfondite dal punto di vista biografico ed erano presentate come εὑρεταί in campo metrico e musicale. La datazione relativa per generazioni e  l’interesse eurematico che sembrano emergere dai frammenti trovano delle puntuali corrispondenze in altri scritti di Ellanico e avvicinano i Karneonikai alla prima produzione del Lesbio più che alle sue opere mature come le Sacerdotesse di Era e l’Atthis, dove si evidenzia un diverso uso della cronologia. Al­l’interno del testo, inoltre, era probabilmente presente un nucleo di tradizioni lesbie relative ai primi vincitori alle Carnee: tradizioni che dovevano insistere sul primato dei citarodi di Lesbo in età arcaica e che potrebbero essere confluite, variamente filtrate, nel ben più tardo De Musica 40.

Bibliografia Ambaglio 1980  = D.  Ambaglio, L’opera storiografica di Ellanico di Lesbo, Pisa 1980. Barker 2014 = A. Barker, Ancient Greek Writers on their Musical Past, Pisa – Roma 2014. Brelich 1981 = A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma 1981. Burkert 20032 = W. Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica, Milano 20032. FGrHist = Die Fragmente der griechischen Historiker, hrsg. F. Jacoby, Leiden 1954-69. Fowler 1996  = R.  L. Fowler, Herodotus and his Contemporaries, JHS 116, 1996, 62-87.

  Un’eco delle medesime tradizioni di origine lesbia sembra ritrovarsi, in un periodo cronologicamente vicino a Ellanico, nella poesia pindarica: Pindaro, infatti, riconduce a  Terpandro l’invenzione della barbitos, come si è  visto nel frammento tramandato da Ateneo, e anche il genere dello σκόλιον, attribuendo al citarodo quei caratteri di πρῶτος εὑρετής che dovevano appartenere alla tradizione locale (Athen. 14, 635e = Pind. fr. 125 Maehl.; Ps. Plut. Mus. 28, 1140f = Pind. fr. 125 Maehl. adn.). 40

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Fowler 2000  = R. L. Fowler, Early Greek Mythography  I. Text and Introduction, Oxford 2000. Fowler 2013 = R. L. Fowler, Early Greek Mythography II. Commentary, Oxford 2013. Franklin 2010-2011  = J.  C. Franklin, The Lesbian Singers: towards a  Reconstruction of   Hellanicus’ Karneian Victors, Rudiae 22-23, 2010-2011, 721-763. Gostoli 1988 = A. Gostoli, Terpandro e la funzione etico-politica della musica, in B.  Gentili – R. Pretagostini (a cura di), La musica in Grecia, Roma 1988, 232-237. Gostoli 1990 = A. Gostoli, Terpander, Roma 1990. Harding 2007 = P. Harding, Local History and Attidography, in J. Marincola (ed.), A Companion to Greek and Roman Historiography  I, Malden (Mass.) – Oxford – Carlton (Victoria) 2007, 180-188. Jacoby 1909  = F.  Jacoby, Über die Entwicklung der griechischen Historiographie und den Plan einer neuen Sammlung der griechischen Historikerfragmente, Klio 9,  1909,  80-123  = Abhandlungen zur griechischen Geschichtschreibung, Leiden 1956, 16-64. Jacoby 1912 = F. Jacoby, s.v. ‘Hellanikos’ n. 7, RE VIII (1), 1912, 104153. Jacoby 1949  = F.  Jacoby, Atthis, The Local Chronicles of   Ancient Athens, Oxford 1949. Joyce 1999 = C. Joyce, Was Hellanikos the First Chronicler of  Athens?, Histos 3, 1999, 1-17. Kleingünther 1933 = A. Kleingünther, Πρῶτος εὑρητής. Untersuchungen zur Geschichte einer Fragestellung, Leipzig 1933. Livrea 1993 = E. Livrea, Terpandrea, Maia 45 (1), 1993, 3-6. Möller 2001 = A. Möller, The Beginning of  Chronography: Hellanicus’ Hiereiai, in N.  Luraghi (ed.), The Historian Craft in the Age of  Herodotus, Oxford 2001. Ottone 2010 = G. Ottone, L’ Ἀττικὴ συγγραφή di Ellanico di Lesbo. Una Lokalgeschichte in prospettiva eccentrica, in C. Bearzot – F. Landucci (a cura di), Storie di Atene, Storia dei Greci. Studi e ricerche di attidografia, Milano 2010, 53-111. Pearson 1939 = L. Pearson, Early Ionian Historians, Oxford 1939. Pettersson 1992 = M. Pettersson, Cults of   Apollo at Sparta. The Hyakinthiai, the Gymnopaidiai and the Karneia, Stockholm 1992. Pickard-Cambridge 1997  = A.  W. Pickard-Cambridge, Dithyramb, Tragedy and Comedy, Oxford 1997. 312

TERPANDRO E ARIONE ALLE CARNEE. I KARNEONIKAI DI ELLANICO DI LESBO

Power 2010  = T.  Power, The Culture of   Kitharôidia, Cambridge (Mass.) – London 2010. Toye 1995 = D. L. Toye, Dionysius of  Halicarnassus on the First Greek Historians, AJPh 116, 1995, 279-302. Vetter 1934 = W. Vetter, s.v. ‘Terpandros’, RE V A (1), 1934, 785786. West 1992 = M. L. West, Ancient Greek Music, Oxford 1992.

Abstracts L’articolo prende in esame i  frammenti dei Vincitori alle Carnee di Ellanico di Lesbo, opera del V sec. a.C. dedicata ai poe­ti vincitori del­ l’agone spartano. Il testo, a lungo considerato un’opera di tipo cronografico in cui l’elenco dei karneonikai serviva unicamente come riferimento cronologico per datare eventi indipendenti dalle feste Carnee e dalla città di Sparta, sembra invece concentrarsi sulle figure dei poe­ti vincitori e in particolare su alcuni citarodi lesbi: Terpandro (FGrHist 4 F 85) ed Arione (FGrHist 4 F 86), fornendone una cronologia relativa mediante la genealogia e aggiungendo notizie sulla vita e l’attività poe­ tica. Vengono infine avanzate alcune proposte di parziale ricostruzione del­l’opera, basate su fonti più tarde quali il De musica dello PseudoPlutarco. The present paper explores the fragments of  Karneian Victors  by Hellanicus of   Lesbus. The work, dating back to the V century, is devoted to a Spartan musical contest and its winners. For a long time, the text has been considered an annalistic work similar to the Argive Priestresses and the Attike Syngraphe: there, the Karneian winners’ list was only a chronological reference used to date events which were unrelated to the Karneian contest and the city of   Sparta. On the contrary, Hellanicus seems to focus on winning poets, especially two Lesbian musicians Terpander (FGrHist 4 F 85) and Arion (FGrHist 4 F 86): the author presents their chronology through genealogy and provides information about their life and poe­tical work. The paper finally suggests a  possible partial reconstruction based on later sources like Ps. Plutarch De Musica. 

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PAOLA ANGELI BERNARDINI

Università di Urbino «Carlo Bo»

COMMEMORARE E CELEBRARE UN EVENTO BELLICO CON L’ISTITUZIONE DI AGONI SPORTIVI E MUSICALI

L’epoca che va dal VII al  V sec. a.C. è  quella in cui accanto ai quattro principali agoni panellenici – Olimpici, Pitici, Istmici, Nemei  – e  alle Panatenee, il grande festival di Atene, cominciano a  spuntare e  a svilupparsi in varie parti del mondo greco altri agoni periferici, modellati in genere su quelli più importanti della periodos, ma al tempo stesso autonomi e indipendenti nelle loro norme statutarie. La periodicità, i tipi di gara previsti nel programma, le categorie d’età dei concorrenti, i  premi rappresentavano le varianti in un sistema generalizzato e pressoché omologo. I numerosi agoni minori che facevano parte del­l’intero tessuto festivo erano tra loro indipendenti, in quanto non prevedevano gare di selezione in funzione degli agoni maggiori, ma al tempo stesso erano collegati tra loro da regole sportive valide quasi ovunque e da programmi simili 1. Medesime erano le norme che disciplinavano lo svolgimento delle prove, pur con qualche variante, come la lunghezza dello stadio, il punteggio nelle cinque gare nel penta­thlon, il genere di armi in corse armate speciali, la fattura della torcia portata in mano dal corridore durante percorsi particolari, la tipologia delle gare equestri, ecc. 2. Un’altra discordanza era rappresentata dalla presenza o meno di concorsi musicali, rapsodici e anche drammatici. La differenza più sostanziale consisteva, comunque, nella diversità dei premi che venivano assegnati al  vincitore e  che potevano variare da luogo a  luogo. 1  Per un quadro generale del­ l’attività agonistica nelle città greche si rinvia a Pleket 1996, 516-524. 2  Vd. da ultimo, Valavanis 2004, 392 ss.

10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115170

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P. ANGELI BERNARDINI

Mentre gli agoni στεφανίται prevedevano come premio solo una corona, negli agoni χρηματίται accanto alle ghirlande onorifiche di foglie di diverse piante figuravano anche premi tangibili, più o meno preziosi 3. Un atleta di nazionalità ellenica poteva vincere in patria e  poi partecipare a  tutti gli agoni sparsi per la Grecia, alla condizione che fossero panellenici. Tra i diversi agoni si stabiliva così un collegamento significativo sul piano delle strutture e del­l’organizzazione sportiva. Ma era un nesso che poteva caricarsi anche di risvolti politici perché stabiliva alleanze, rinforzava quelle già esistenti, creava rapporti privilegiati tra le famiglie potenti e tra le classi sacerdotali dei vari santuari. Nel caso delle colonie il fatto che si mantenessero forti legami tra la metropolis e l’apoikia anche sotto il profilo delle istituzioni sportive (ad esempio le Eree di Egina modellate forse su quelle di Argo, città da cui provenirono i coloni che fondarono Egina, oppure le Dioscuree di Sparta e le Dioscuree di Cirene istituite da Batto, le Gimnopedie di Tera modellate su quelle di Sparta) o, ancora, che si favorissero nei centri più lontani e periferici strette somiglianze e affinità con i giochi Olimpici per l’impronta prevalentemente atletica, o  con i  giochi Pitici per quella musicale, dimostra che la nuova colonia cercava di restare – anche sul piano religioso e istituzionale – nella sfera di influenza della madrepatria ellenica. La  nuova apoikia, a  sua volta, poteva intervenire e avere voce in capitolo nella gestione dei centri panellenici come Olimpia e  Delfi. Si pensi, ad esempio, al­l’inserimento nel programma olimpico di specialità tipicamente siciliane, come la corsa con i muli 4, poi liquidata con la fine del potere dei signori della Sicilia. Poteva anche accadere che una prova straordinaria, come quella che aveva fruttato la vittoria al­l’auleta Mida di Agrigento nei giochi Pitici del 490 e del 486 a.C., richiamasse l’attenzione di un pubblico in genere più attratto dalle gare atletiche e equestri. Il legame con Olimpia e Delfi restava sempre molto forte e prevalente. L’atleta o il rapsodo o il musico (come Mida) che dalla periferia, fosse essa ad Occidente o ad Oriente della Grecia, andava verso Olimpia o Delfi rafforzava il rapporto tra la sua regione e il 3  Nel mito, secondo Simonide fr.  547 Page, a  Lemno furono gli Argonauti a istituire un agone in cui il premio era una veste (Schol. Pind. P. 4, 451, II,160 Dr.). 4   Cfr. per es. il fr. 515 Page di Simonide e le Olimpiche 5 e 6 di Pindaro.

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territorio ellenico, tra la colonia e la terra d’origine, tra i santuari della sua città e quelli dei grandi centri panellenici. Il passato mitistorico in comune, gli usi e i costumi o, in alcuni casi, i legami genealogico/familiari agivano da collante. Il momento della massima estensione di questa istituzione tipicamente greca si ebbe quando, con Alessandro Magno, la consuetudine di abbinare concorsi sportivi e musicali a festeggiamenti religiosi, militari e  politici, fu introdotto in nuove città, alcune delle quali appena fondate. Imponente fu l’incremento di nuove feste agonistiche, tanto da poterne contare, verso la fine del periodo ellenistico-romano, circa trecento 5. L’indagine sulle cause che portarono al loro sorgere e moltiplicarsi va di pari passo con l’indagine relativa ad altre iniziative pubbliche che caratterizzarono l’evoluzione della società greca urbana a partire dal periodo classico, come la predisposizione assembleare, le pratiche rituali collettive, la celebrazione pubblica di vittorie militari, l’affermarsi delle feste teatrali con gli agoni drammatici, le esibizioni dei poe­ti o dei grandi oratori nelle piazze, i grandi processi, le imponenti cerimonie funebri. Tutte manifestazioni della prevalente tendenza associativa cui obbediva l’esistenza del polites e che erano alla base del demosion, la vita consociata. A questo punto è opportuno interrogarsi sui meccanismi che portavano una polis a istituire ex novo una festa in onore di un dio o di un eroe oppure di un grande stratego e benemerito della patria e a corredarla di giochi pubblici – dotandosi delle necessarie, se pur elementari, attrezzature sportive – e di concorsi musicali. Si  poteva anche aggiungere una sezione sportiva (ippica e  ginnica), oppure musicale, ad una festa religiosa preesistente. Nel caso di feste agonistiche per eroi legati alla città o per grandi strateghi o per eventi bellici le celebrazioni assolvevano anche il compito importante e  necessario di non far sparire la memoria del passato, ma di conservarne il ricordo 6. La memoria dei comportamenti valorosi, sia in occasione di un grave conflitto armato che in occasione di episodi di lotta civile, era un patrimonio comune

5  Secondo Pleket 2000, 642-644 nessuno ha calcolato il numero esatto degli agoni che figuravano nel calendario delle competizioni durante i primi secoli del­ l’impero romano. 6  Su questo punto si rinvia a Franchi – Proietti 2015, 77-78.

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della città che, mediante la celebrazione della festa, rinnovava il ricordo collettivo e ribadiva l’esemplarità delle azioni compiute nelle diverse circostanze dai suoi soldati e dai suoi cittadini più in vista. Altre domande sorgono, concernenti il genere di rapporto che si veniva a  stabilire tra queste feste e  quelle più celebri e  prestigiose, già richiamo per tutti i Greci, come i giochi Olimpici, Pitici, Nemei, Istmici o le Panatenee, modello carismatico e insostituibile per l’istituzione di altri giochi. Il peso del rapporto tra colonia e madrepatria sulle iniziative prese in questa direzione dalle varie città greche o ellenizzate, sparse nel bacino del Mediterraneo, incideva senza dubbio nella configurazione delle feste che man mano venivano istituite. Il  ruolo della memoria è, infatti, un ruolo di spinta e porta ad una forma di costruttiva mimesi 7. Si vogliono, ipso facto, riprodurre nel nuovo territorio le strutture civiche abbandonate e rimpiante. Tra gli eventi che dettero il via e il nome a una festa commemorativa, un ruolo di spicco ebbero quelli bellici. Si pensi ad esempio alla battaglia vinta dagli Spartani contro gli Argivi a Parparos, nella regione di Tirea intorno al 550 a.C., per commemorare la quale furono istituite le Parparonie 8. Il festival comprendeva anche canti corali e danze. La battaglia di Platea, che segnò la libertà per la Grecia dal­l’incubo del­l’invasione persiana, veniva ricordata nelle Eleuterie, festa panellenica fondata al­l’epoca di Alessandro e della lega di Corinto, che comprendeva prove atletiche e ippiche e che veniva celebrata a Platea ogni quattro anni 9. La gara di maggior rilievo nelle Eleuterie era la corsa lunga armata (ἐνόπλιος δρόμος ἀπὸ τοῦ τροπαίου) 10, che prendeva le mosse dal luogo ove era stato eretto il trofeo della battaglia per arrivare fino al­l’altare di Zeus Eleutherios a Platea, vale a dire una distanza di quindici stadi. Il vincitore riceveva il titolo di ἄριστος Ἑλλήνων. Nelle Eleuterie di Larissa era rievocata la liberazione della Tessaglia dal dominio dei Macedoni (196 a.C.). Assai più tardi, nelle

  Cfr. Giangiulio 2010.   Cfr. Moretti 1953, 64-65, nr. 16. Nel­l’iscrizione per Damonon accanto alle Parparonie vengono menzionati altri agoni della Laconia. 9  Paus. 9, 2, 6. 10 Philostr. De gymn. 8. 7 8

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Azie, che si svolgevano in varie città (Nicopoli, Alessandria), veniva commemorata la battaglia di Azio. Nelle Nikeforie di Pergamo veniva celebrata la grande vittoria di Attalo I, re di Pergamo, sui Galati nel 235 a.C. La festa agonistica fu rinnovata nel 182 a.C. dal figlio Eumene II, celebrata in onore di Atena Nikephoros (‘portatrice di vittoria’) e riconosciuta come ἀγὼν στεφανίτης. Poiché Eumene riorganizzò le Nikeforie come agoni isopitici (simili ai pitici) e isolimpici (simili agli olimpici), vi ebbero spazio sia gli agoni musicali, sia gli agoni ginnici. Ma procediamo con ordine su questo punto che per la nostra ricerca è rilevante e centrale. Domenico Musti negli ultimi anni della sua vita si è soffermato in vari articoli, poi ripubblicati nel volume Nike. Ideologia, iconografia e feste della vittoria in età antica, Roma 2005, sul valore da dare ai due attributi ‘isopitico’ e ‘isolimpico’, riferiti dalle fonti alle Nikeforie di Pergamo. Egli ritiene che si trattasse di due agoni, ognuno con serialità penteterica, cioè quadriennale, che si intrecciavano determinando di fatto un ritmo biennale 11. Non entro nel merito di questa ricostruzione cronologica che, peraltro, ha sollevato non poche critiche. Vorrei invece insistere sul carattere musicale delle Nikeforie che si univa (o si alternava?) a quello atletico. Il decreto anfizionico di accettazione delle feste (SIG 630,  12 s.) parla chiaro: τοὺς ἀγῶνας οὓς διέγνω συντελεῖν στεφανίτας τὸν τε μουσικὸν ἰσοπύθιον καὶ τὸν γυμνικὸν καὶ ἱππικὸν ἰσολύμπιον. Vi era una parte musicale e una parte atletica ed equestre. Allo stesso modo il decreto di accettazione degli Etoli (SIG 629, 8 s.) dice di accettare gli agoni stefaniti delle Nikeforie, quello musicale isopitico, quello atletico ed ippico isolimpico. L’agone più antico risalente a  questa tipologia di cerimonia commemorativa di un episodio militare fu istituito in Grecia nel VI sec. a.C. in onore del generale ateniese Milziade I della famiglia dei Filaidi, che aveva stabilito una colonia nel Chersoneso portando guerra agli abitanti di Lampsaco. Secondo Erodoto (6, 38), dopo la sua morte, gli abitanti del Chersoneso offrivano sacrifici a Milziade e celebravano in suo onore giochi equestri e atletici dai quali erano esclusi, però, gli abitanti di Lampsaco. In Tucidide (5, 11) leggiamo che i cittadini di Anfipoli, alleati degli Spartani, organizzarono giochi annuali e sacrifici in onore di   Musti 2005, 64.

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Brasida, il generale di Sparta che nel 424/423 a.C. li aveva portati alla vittoria contro gli Ateniesi. Il rapporto di Anfipoli con Brasida fu eccellente e alla sua morte, avvenuta in combattimento, gli furono tributati onori eroici. Egli fu il solo, tra tutti gli strateghi della guerra del Peloponneso ad essere eroizzato dopo la morte 12. Il cenotafio del grande generale spartano si trovava a Sparta a ovest del­l’agorà, mentre la sua tomba era ad Anfipoli ‘al­l’entrata del­ l’agorà attuale’ come precisa Tucidide. Fu riconosciuto come ecista da Anfipoli e per questo gli furono accordate pratiche cultuali. Pausania, da parte sua, attesta che agoni annuali si svolgevano a Sparta in onore di Leonida, l’eroe delle Termopili, presso il Leo­ nidaion e che a questi potevano partecipare soltanto gli Spartiati 13. Il nome della festa agonistica era probabilmente Leonidee. Negli ultimi agoni ricordati non si fa parola di gare musicali. In effetti la loro presenza sembra essere secondaria rispetto a quelle atletiche, soprattutto nel periodo arcaico e classico, almeno a stare alle fonti storiografiche. Sbagliamo a ritenere che avessero più peso e più popolarità le competizioni sportive? Di fatto queste richiamavano un pubblico più folto e suscitavano maggior entusiasmo. Vorrei ricordare, al  proposito, un’arguta osservazione di H.  W. Pleket, uno dei più quotati studiosi dello sport antico, che evidenzia il fatto che gli sforzi dei membri del­l’élite cittadina di promuovere agoni musicali apparentemente non erano sempre coronati da successo. Egli aggiunge che «erano invariabilmente statue onorarie di atleti vittoriosi, e non di artisti, ad essere erette e di conseguenza ad essere scoperte dagli scavatori e dagli archeologi» 14. Plutarco nella Vita di Lisandro (18, 6-8) racconta che gli abitanti di Samo, dopo essersi arresi al  generale spartano Lisandro nel 404 a.C., denominarono Lisandrie le feste che fino ad allora si celebravano in onore di Era (chiamate Eree) e che, accanto a gare atletiche, comprendevano gare di citarodia. Secondo lo storico samio Duride, citato da Plutarco nel paragrafo precedente (FGrHist 76 F 71), Lisandro fu il primo generale vivente al quale le città greche dedicarono βωμούς, θυσίας e παιᾶνες. La presenza di Lisandrie   Sul­l’héroïsation dello stratega utile la puntualizzazione di Hoffmann 2000.   Paus. 3, 14, 1. Degli agoni vi sono testimonianze epigrafiche di età romana (IG V 1, 18, 19,192, 559, 658, 660; cfr. RE XII 2, 1925, col. 2015). 14  Cfr. Pleket 2000, 636. 12 13

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a Samo è ribadita da altre fonti (tarde e avare di dettagli: Hsch. s.v.; Phot. s.v.) e secondo Manuela Mari è confermata da una decisiva prova epigrafica, un’iscrizione su base di statua (IG XII, 6, 1, 334) 15. Plutarco aggiunge, a  proposito dei rapporti di Lisandro con il poe­ta epico Cherilo di Samo e con il poe­ta Antiloco, che nelle Lisandrie si disputavano anche agoni poe­tici come quello tra i poe­ti Antimaco di Colofone e Nicerato di Eraclea nel quale vinse quest’ultimo. Antimaco per lo sdegno distrusse il suo poema. Non stupisce che in onore di questi personaggi di assoluto rilievo nel­l’ambito militare, che per le loro azioni e per le loro doti venivano considerati benefattori civici, la città organizzasse cerimonie complesse che prevedevano non solo competizioni fisiche, ma anche concorsi intellettuali, in una cornice rituale, con altari, sacrifici, canti corali. L. E. Roller nel suo pregevole contributo sui giochi funebri per personaggi storici ricorda che anche Platone nelle Leggi (12, 947e) propone di onorare la memoria di coloro che hanno servito lo stato celebrando ogni anno un agone musicale, un concorso atletico e uno ippico 16. Possiamo ancora aggiungere il caso di Timoteo, tiranno di Eraclea Pontica, colonia megarese situata sulla costa del Ponto Eusino, che in occasione del funerale fu onorato dal fratello Dionisio (337 a.C.) con gare equestri e in un secondo momento con competizioni equestri, atletiche e  drammatiche 17. Leggiamo in proposito la dettagliata testimonianza dello storico Memnone: «Suo fratello Dionisio brucia il corpo sontuosamente, fa libagioni per lui e  versa lacrime dagli occhi e lamenti dal petto, e organizza agoni ippici e non solo ippici, ma scenici e timelici e ginnici; quelli ippici nel­l’immediatezza, quelli più splendidi anche dopo». La categoria degli ἀγῶνες μουσικοί in effetti si sdoppia nei due sottogeneri di ἀγῶνες θυμελικοί e ἀγῶνες σκηνικοί. Le due diverse denominazioni, secondo la credibile ricostruzione di A. Manieri 18, sembrerebbero derivare dai luoghi del teatro dove si svolgevano le rispettive esibizioni: la θυμέλη, quella parte del­l’edificio teatrale che coincideva con l’altare di Dioniso, e la σκηνή, la zona nella quale si esibivano gli attori tragici, comici   Per tutta la questione si rinvia a Mari 2004, 178-179 e in part. n. 6.   Roller 1981, 8. 17 Memnon, FGrHist 434, F1, 3. 18  Manieri 2009, 25-29. 15 16

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e, probabilmente, anche gli oratori. ‘Agoni scenici e timelici’ indica, dunque, con espressione totalizzante, le varie competizioni artistiche e musicali che si svolgevano nel teatro. Anche Timoleone di Corinto, stratego per otto anni, dopo la morte nel 334 a.C. circa, fu sepolto a spese pubbliche dalla città di Siracusa che, come dice Plutarco, lo considerava il suo salvatore «per aver egli abbattuto tiranni, debellato i  barbari, ripopolate le città che erano state devastate». In suo onore furono istituiti, con decreto pubblico, agoni musicali, equestri e atletici. Fu anche eretto un monumento e fu edificata una palestra 19. Le Soterie di Delfi in onore di Zeus Soter, che comprendevano agoni ginnici e musicali, vennero istituite dopo la vittoria etoloellenica del 279/278 sui Galli invasori. Nel II sec. a.C. Filopemene di Messenia fu sepolto a spese pubbliche, dopo un funerale che assomigliava a un vero e proprio corteo trionfale, e furono istituite per lui gare atletiche ed equestri 20. A questo punto va precisato che, come abbiamo visto, rientravano di fatto negli agoni musicali, che affiancavano gli agoni atletici, le gare di poesia citarodica, i concorsi rapsodici, drammatici, persino oratorii che si accompagnavano alle esibizioni di soli strumenti, come l’aulo o la cetra. In tutti questi casi sembra confermato il legame, operante a livello ideologico, tra guerra e sport, ma anche tra guerra, sport e necessità di trasmettere, mediante la parola e la musica, questi valori alla memoria della comunità negli anni a venire. Nella resa degli onori la città equiparava i protagonisti eccellenti nel­l’esercizio militare – strateghi, condottieri, ammiragli – ai campioni nello sport, ma riconosceva che gli uni e gli altri avevano bisogno di chi, come il poe­ta o lo scultore o il compositore di epigrafi, fosse in grado di procurare celebrità alle loro imprese. Il legame tra guerra, sport e memoria era fondamentale soprattutto nel periodo arcaico della città greca. Al pari di ogni congregazione, la formazione urbana aveva bisogno di una mitologia locale relativa a dei, eroi, importanti personaggi politici (fondatori, legislatori, tiranni). Ma aveva bisogno anche di una mitologia relativa ai condottieri e ai soldati valorosi che, imbracciando le armi, avevano salvato la patria dal pericolo   Diod. Sic.16, 90, 1; Plut. Timol. 39, 3.   SIG 624; Plut. Philop. 11, 1.

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o avevano aperto la strada a nuove conquiste. Lo stratego poteva essere glorificato con una statua di bronzo, con la concessione a lui e ai suoi figli della proedria, il diritto di stare in prima fila; del­l’ateleia, l’esenzione da imposte; del­l’asylia, il diritto di immunità. Ne è un esempio, tra gli altri, l’ateniese Atenodoro (occasionalmente chiamato ‘di Imbro’), grande generale mercenario del IV sec. a.C. al quale furono tributati tutti questi onori dalla città di Cio, nella Propontide, che lo riconobbe come εὐεργέτης 21. Uno stratego, soprattutto se comandante mercenario, poteva fondare anche una nuova città. Egli si prefiggeva così di raggiungere due obiettivi: dare una sistemazione solida e stabile ai propri soldati e costituirsi un dominio personale non molto diverso da un potere tirannico. Il capo mercenario doveva naturalmente reperire le forme di mantenimento per le proprie truppe (paga, donativi, compensi correlati ai meriti) e trovare i mezzi per costituire la nuova polis, ma la ricchezza che gli derivava dal suo mestiere, tra saccheggi, bottini e compensi non era poca. Il bottino di guerra (τὰ λάφυρα) poteva essere estremamente ingente, soprattutto nel periodo ellenistico. Tra gli impegni più gravosi che spettavano al  nuovo fondatore vi era quello di fornire la città di santuari e monumenti per le pratiche religiose, ma anche di teatri, palestre, ginnasi e stadi per le pratiche militari e sportive. Non era esclusa, dunque, anche la possibilità di fondare feste agonistiche in loco, comprendenti le varie prove atletiche e ippiche e anche gare musicali. Sempre per far riferimento ad Atenodoro, egli agì in maniera analoga a Ificrate, condottiero ateniese, il quale, pochi anni prima, aveva fondato la città di Drys sulla costa tracia 22, verisimilmente insediandovi le proprie truppe e fornendola di luoghi per il loro addestramento 23. Q uesta, che chiamerei ‘mitologia militare’, nasce in Grecia in epoca arcaica e  classica, ma si sviluppa e  fiorisce soprattutto nel periodo preellenistico ed ellenistico. Come ogni mitologia essa si compone di racconti che riguardano imprese valorose, atti di eroi  Cfr. Tod 1948, 149.  Harp. s.v. Δρῦς, 82 Keaney. 23  Per una esaustiva presentazione del personaggio si rinvia a Bettalli 2013, 91-93. 21 22

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smo, sacrifici, avventure degne di ricordo che non di rado sconfinano nel fantastico. In essa si concentravano le istanze di un patriottismo civico spontaneo, alla portata di tutti gli abitanti della polis, sia essa di vecchia data o di più recente fondazione. Il senso di appartenenza a una comunità faceva il resto. Il demos si identificava con il concittadino valoroso nel­l’uso delle armi e famoso per le sue imprese belliche e partecipava alla sua celebrazione. Non è fuori luogo osservare che l’atleta stesso, grazie alla sua straordinaria forza fisica e alle sue glorie sportive, poteva diventare a sua volta un personaggio militare di spicco (αἴτιον δὲ γενόμενον τῆς νίκης) come indica il caso di Milone di Crotone 24. La prospettiva, che era alla base di queste iniziative celebrative di natura sociocomunitaria, era fondamentalmente quella di lasciare un ricordo – anche concretamente visibile – delle prove di andreia compiute da un cittadino eccellente nel nome stesso della polis. Il fatto che gli agoni atletici, ippici e musicali fossero periodici e si ripetessero nel tempo contribuiva a rinnovare la memoria e a stimolare la forza del­l’emulazione. Un’usanza – quella di rendere onore a un concittadino – che ancora oggi rimane viva, nel­ l’esteriorità del rito funebre, in alcuni paesi del­l’ex Magna Graecia (e non solo) a  ostentare un legame, forte e  vincolante (che può anche essere extra legem), con i cittadini e a testimoniare un potere acquisito e dimostrabile. Il potere di chi si distingue deve lasciare segni tangibili. La periodicità del­l’agone (annuale, triennale, ecc.) garantiva ipso facto il rinnovamento del ricordo anche dopo la morte, ma anche la gratitudine della città che non veniva meno. Se la polis era parte attiva nel­l’organizzazione e  nel sostentamento economico di queste cerimonie, altri agoni potevano sporadicamente essere istituiti in onore di un defunto in vista che, per testamento, destinava una somma alla propria commemorazione attraverso giochi funebri (themis). È naturale che nel­l’inserimento di prove sportive e  di competizioni musicali nel­l’ambito di feste cittadine, quando il capo militare o il leader politico era ancora in vita, contasse molto l’ambizione politica di chi aveva conquistato il potere. C.  Catenacci nel delineare 24  Cfr. Diod. Sic. 12, 9, 5-6 e Giangiulio 1989, 70. Sui rapporti tra Crotone e Olimpia cfr. Mann 2001, 167-169.

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la figura del tiranno nella Grecia antica ha dedicato alcune pagine al suo rapporto con l’ago­nistica, sintetizzando l’argomento con poche parole: «I tiranni fondano agoni, partecipano a gare e vincono» 25. A Samo nel 522 a.C. Policrate istituì, ad esempio, le grandi feste Delie ad imitazione dei giochi Pitici. Il tiranno di Samo, che intendeva fondare degli agoni a Delo e non sapeva se chiamarli pitici o delii, si rivolse al­l’oracolo di Delfi. Q uest’ultimo rispose che per Policrate essi sarebbero stati sia delii che pitici, intendendo che sarebbe morto poco dopo 26. Il  modello pitico fa supporre che fosse prevista nelle Delie fin dal­l’inizio, anche la presenza di agoni musicali, che tanto rilievo avevano in quelli pitici. Divennero più tardi festività penteteriche con agoni ginnici e musicali ben attestati nelle iscrizioni 27. A tutte queste feste locali partecipavano gli atleti della città organizzatrice e in qualche caso anche quelli di città limitrofe o di città più lontane 28. Ma partecipavano anche musici, rapsodi, poe­ti corali, attori drammatici e comici. Il carattere internazionale della manifestazione dipendeva per lo più dal modello al quale ci si ispirava, che era rappresentato generalmente dagli agoni del ‘circuito’. Era una occasione di aggregazione urbana nella quale spirito religioso, impulso agonale, memoria, propaganda e spettacolo trovavano un’efficace politische Bühne, una ‘tribuna politica’ in grado di favorire gli interessi di fazioni, di potenti famiglie, di ricchi e ardimentosi parvenus.

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Catenacci 2012, 187. Sud. s.v. Πύθια καὶ Δήλια. Cfr. Moretti 1953, 137. Per una visione d’insieme si rinvia a Bernardini 2005.

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COMMEMORARE E CELEBRARE UN EVENTO BELLICO

Abstracts Nel saggio viene analizzata la presenza sul territorio greco di feste agonistiche – comprendenti anche gare musicali – istituite in onore di protagonisti di grandi eventi bellici. Viene evidenziato il legame tra guerra, sport e memoria nel­l’ambito della polis, che considerava gli strateghi vincitori come benefattori civici. La presenza di agoni musicali, poe­tici, drammatici nel­l’ambito di manifestazioni sportive periodiche rinnovava il ricordo collettivo e riaffermava l’esemplarità della prova militare. This paper examines the presence of   athletic contests (who include music competitions too) in the cities of   the Greek world. These festivals have been instituted in honor of   protagonists of   big war events. It is pointed out a  connection between war, sport and memory in the polis. Funeral games with special choral songs and dances and with athletic and equestrian contests renewed the everybody’s memory and continued afterwards on a regular basis.

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UNO SGUARDO SU DELFI

MARIA ELENA DELLA BONA Università del Salento

PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

I Pythia sono l’agone al  quale va riconosciuta nel panorama musicale del mondo antico la posizione più prestigiosa e  rappresentano per la musica ciò che gli Olympia sono nel­l’ambito del­l’agonistica sportiva. Essi costituiscono il modello per antonomasia per l’istituzione e l’organizzazione di tutte le competizioni poe­tico-musicali della Grecia classica e  più tardi delle regioni ellenizzate. Tuttavia, malgrado l’abbondanza dei contributi moderni, sui Pythia non esiste ad oggi uno studio che delinei in maniera dettagliata i  contorni del­l’agone musicale sulla base di tutte le testimonianze antiche. Sono particolarmente numerosi gli studi sulle singole fonti epigrafiche riguardanti l’agone, ma si tratta per buona parte di articoli; di recente pubblicazione è  l’interessante volume di R.  Weir (Roman Delphi and its Pythian Games, Oxford 2004) che riguarda, però, principalmente Delfi e  i Pythia in epoca romana. Tentare di tracciare il profilo dei Pythia equivale in sostanza a ricostruire una parte consistente della storia di Delfi, dal­l’VIII sec. a.C. al III d.C., e non già perché semplicemente le tradizioni incidono sullo spazio che le ospita, lasciando delle tracce di cui resta memoria, ma in quanto sin dalla sua origine lo sviluppo del­l’agone di Delfi si fonde con eventi storici (e con tutto ciò che da essi discende), primo fra tutti la prima guerra sacra, tra le cui controverse tappe si innesta l’ufficiale fondazione storica del­l’agone. Né si può credere che l’indagine sui Pythia di Delfi si chiuda entro i confini della Focide o della Grecia tutta; l’irra10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115171

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M. E. DELLA BONA

diazione del­l’agonistica greca nel mondo ellenizzato costringe ad ampliare le frontiere geografiche della ricerca verso Occidente, in Europa, e ad est, in molte regioni ellenizzate del­l’Asia, un mondo su cui generalmente le nostre conoscenze sono un po’ meno solide 1. Le fonti riguardanti l’agone delfico, che ho raccolto e  commentato nel mio lavoro di tesi di dottorato, sono numerose; se ne contano, infatti, 136, di cui 70 letterarie, 63 epigrafiche e  3 papiracee che consentono un’indagine su diversi punti: la tradizionale origine mitica della gara, la sua progressiva evoluzione storica e il suo funzionamento. Tanti gli interrogativi verso cui la lettura delle testimonianze conduce in ciascuna di queste direzioni, ma tante anche le informazioni recuperate, principalmente mediante quelle fonti che, rievocando episodi degni di nota o  fornendo anche solo spogli elenchi di vittorie, ci fanno entrare nel vivo della gara, a contatto con i protagonisti delle competizioni. Nella tabella 1 è  riportato l’elenco dei pythionikai di cui resta traccia, ordinati alfabeticamente, con l’indicazione cronologica e  quella della fonte antica.

1   Gli agoni oltrepassarono i  confini del territorio ellenico soprattutto grazie al­l’intervento di Alessandro il Macedone, cui le fonti (Arriano, Diodoro, Plutarco, Ateneo ed Eliano) attribuiscono l’istituzione di nove agoni poe­ticomusicali, ad Ege e  Dion (in Macedonia, nel 335 a.C., prima della partenza per l’Asia), a Soli (nel 333), a Menfi (nel 332), a Tiro (nel 331) e sul fiume Idaspe (nel 326) nel viaggio d’andata; in Carmania (325), in Persia, a Susa e ad Ecbatana (nel 324) lungo l’itinerario del ritorno (per una rassegna su gare di vario genere fatte celebrare da Alessandro, vd.  Oliva 1993,  93-94 e  Mari 2002,  236, n. 1). Si tratta di gare musicali di durata indefinita, fatta eccezione per gli agoni macedoni che Diodoro ci dice si protrassero per nove giorni (ciascuno dei quali dedicato a  una Musa: cfr.  Diod. Sic. 17,  16: τοῖς θεοῖς συνετέλεσεν ἐν Δίῳ τῆς Μακεδονίας καὶ σκηνικοὺς ἀγῶνας Διὶ καὶ Μούσαις) e  delle esibizioni offerte in occasione delle nozze a Susa, suddivise in cinque giornate (cfr. Aelian. Var. Hist. 8,  7: πέντε δὲ ἡμέρας  καθεξῆς τοὺς γάμους ἔθυεν. ἀφίκοντο δὲ καὶ μουσουργοὶ καὶ ὑποκριταί, οἳ μὲν κωμῳδίας οἳ δὲ τραγῳδίας, πάμπολλοι). Le gare musicali di Alessandro sono spesso abbinate a  gare ginnico-equestri (cfr., ad es., Arr.  Anab. 2,  5, 8 [a Soli]; Arr.  Anab. 3,  1, 1 [a Menfi]; Arr.  Hist. Ind. 18,  12,  1 [sul­ l’Idaspe]) e  associate a  simposi, celebrazioni sacrificali (sullo svolgimento del­ l’offerta sacrificale, vd. Vernant 2003, 31 ss.) o processioni del­l’esercito in armi (cfr. Arr. Anab. 3, 5, 2).

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PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

Tabella 1 ARTISTA

CRONOLOGIA

SPECIALITÀ

FONTE

Agathokles (anche detto Asterios) di Alessandria…

III d.C.

Citarodo

P. Oxy. 2476

Agelaos di Tegea

VI a.C.

Citarista

Paus. 10, 7, 7

anonimo dalla Beozia

III a.C.

Citarodo

McCabe, Magnesia 6

anonimo

I d.C.

Citarodo PERIODONIKES

EV 222

anonimo

II d.C.

Pantomimo

McCabe, Magnesia 278

anonimo di Damasco…

?

Encomiografo

Robert 1938, 17-18

anonimo

II/III d.C.

Araldo

FD III 4, 477

anonimo

III d.C.

Araldo o trombettiere?

IG VII 49

anonimo

III d.C.

Auleta (pythaules)

Moretti 1953, 237, n° 81

anonimo

?

Komōidos/citarodo

Moretti 1968, 237, n° 263 (IGUR I, 263)

anonimo tedoforo

II d.C.

Attore pitico

FD III 4, 86

Antigenidas di Laodicea

II d.C.

Auleta (choraules)

FD III 4, 478

Apion

I d.C.

Poeta DUE VOLTE PERIODONIKES

P. Oxy. 5202

Apollonios

?

Chorokitharistes PERIODONIKES

IG XIV 611

Archias d’Ibla

IV a.C.

Araldo

Poll. 4, 91-92

Ariston di Cos

I a.C.

Auleta

EV 234

Aristonous

IV a.C.

Citarodo

Plut. Lys. 18, 5

Aur. Ancharenos Phaidros di Efeso

II/III d.C.

Komōidos PERIODONIKES

CIG 6829

Aurelio di Atene

III d.C.

Retore PERIODONIKES

McCabe, Ephesos 1129

Aurelio Kasyllas di Panopoli…

III d.C.

Trombettiere

P. Oxy. 2476

Bentidios Sota

II/III d.C.

Auleta (pythaules) PERIODONIKES

CIG 6829

C. Q uirino Avidienos di Nicopoli…

I/II d.C.

Poeta

FD III 1, 542

Chrysogonos di Atene

V a.C.

Auleta

Duris FGrHist 76 F 70 ap. Plut. Alcib. 32, 2

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M. E. DELLA BONA

ARTISTA

CRONOLOGIA

SPECIALITÀ

FONTE

Chrysothemis di Creta

Fase mitica

Citarodo

Paus. 10, 7, 2

Demodokos di Sparta

?

Citarodo

Demetr. Phaler. fr.191 Wehrli = fr. 144 FortenbaughSchütrumpf ap. Schol. in Hom. Od. 3, 267e Pontani

Dexitheos

?

Citarodo

Schol. in Aristoph. Ach. 13a Wi.

Diogenes di Efeso

II d.C.

Trombettiere

IOlympia 232

Echembrotos d’Arcadia

VI a.C.

Aulodo

Paus. 10, 7, 4

Eumelos di Elea

?

Citarodo

Luc. Adv. Indoct. 8-10

Eumolpos di Atene o Eleusi

?

Citarodo

Sud. ε 3585

Eunomos di Locri

V a.C.

Citarodo

Tim. FGrHist 566 F 43b ap. Strab. 6, 1, 9

Exekestides di Caria

?

Citarodo

Polemon FHG III 47 ap. Schol. in Aristoph. Av. 11 Wi.

Gaio Antonino Settimio Publio di Pergamo…

II d.C.

Citarodo

McCabe, Smyrna 145

G. Giulio Aurelio Protogenes di Anemurio

III d.C.

? CINQ UE VOLTE PERIODONIKES

Russell 1973, 322

G. Giulio Bassos di Mileto

II d.C.

Araldo/komōidos// tragōidos CINQ UE VOLTE PERIODONIKES

Moretti 1953, 215216, n° 74 McCabe, Didyma 256

G. Giulio Eudimon di Tarso e Atene

II d.C.

Auleta (choraules)

FD III 2, 250

Gaio Giulio Giuliano di Smirne

?

Tragōidos

IG V 1, 662

Giuliano di Smirne

I d.C.

Encomiografo

Robert 1938, 26

Herodoros di Megara

IV a.C.

Trombettiere DIECI VOLTE PERIODONIKES

Poll. 4, 89 Athen. 10, 414f-415a

Kallimorphos

I/II d.C.

Auleta (choraules) PERIODONIKES

Strasser 2002, 132

Klemes di Bisanzio

II d.C.

Attore tragico

Philostr. Vit. Sophist. 2, 27, 616

334

PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

ARTISTA

CRONOLOGIA

SPECIALITÀ

FONTE

L. Kornelios Korinthos

II/III d.C.

Auleta (pythaules) PERIODONIKES

Clement 1974, 37

L. Settimio Aurelianos di Nicomedia…

III d.C.

Araldo o trombettiere

Robert 1970, 18, n. II

Lucio Sertorios Daldianos

III d.C.

Innografo? PERIODONIKES

McCabe, Ephesos 529

M. Aurelio di Ancira…

II/III d.C.

Auleta (pythaules/ choraules)

FD III 4, 476

Marco Aurelio di Cos

III d.C.

Araldo PERIODONIKES

EV 53

Marco Aurelio Agrikolaos di Panopoli

III d.C.

Trombettiere

P. Oxy. 2476

Marco Aurelio Alessandro

III d.C.

Tragōidos PERIODONIKES

ICos 129

Marco Aurelio Charmos di Filadelfia…

III d.C.

Tragōidos PERIODONIKES

Ritti, IMaff. 14

M. Aur. Glykonianos di Efeso

II d.C.

Auleta (choraules)

IGR III 231

Marco Aurelio Herakleios di Antinopoli…

III d.C.

Komōidos

P. Oxy. 2476

Marco Aurelio Horion di Ermopoli

III d.C.

Trombettiere

P. Oxy. 2476

M. Aurelio Ptolemaios di Argo…

II d.C.

Poeta TRE VOLTE PERIODONIKES

FD III 1, 89

M. Aurelio Silbanos di Ermopoli…

III d.C.

Trombettiere

Vandoni 1964, 94, n° 96

M. Aurelio Thelymitres

?

? PERIODONIKES

McCabe, Didyma 486

M. Aurelio Thelymitres (padre)

?

?

McCabe, Didyma 486

M. Flavio Antonino

?

Araldo DUE VOLTE PERIODONIKES

AAT 101, 308, 27

Marco Oulpios Heliodoros di Tessalonica

?

Citarodo

Vollgraff  19191920, 260 (ll. 1-4)

M. Tourranios Hermonikos di Pozzuoli

I d.C.

Citarodo

Guarducci 1987, 127-128, n° 4

335

M. E. DELLA BONA

ARTISTA

CRONOLOGIA

SPECIALITÀ

FONTE

Melampos di Cefallenia

VI a.C.

Citarodo

Paus. 10, 7, 4

Menekrates Silleus dal­ l’Assiria

II/III d.C.

Komōidos PERIODONIKES

CIG 6829

Midas di Agrigento

V a.C.

Auleta

Pind. Pyth. 12

Nerone di Roma

I d.C.

Araldo/citarodo/ tragōidos/ PERIODONIKES

Philostr. Vit. Apoll. 4, 24

Nikokles di Taranto (?)

III a.C.

Citarodo

IG II2 3779

Onetor

I d.C.

Araldo e retore

IG II2 3158 (A, fr. A-B)

P. Elio Ailianos

II d.C.

Auleta (pythaules) PERIODONIKES

FD III 1, 547

P. Elio Aurelio Serapion di Efeso

III d.C.

Trombettiere

FD III 1, 554

Papinio, Padre di Stazio, di Elea o Napoli

I a.C.

Poeta

Stat. Silv. 5, 3, 141-145

Philammon

Fase mitica

Citarodo

Paus. 10, 7, 2

Pilades di Megalopoli

III a.C.

Citarodo

Paus. 8, 50, 3

Publio Elio Artemas di Laodicea

II d.C.

Araldo

IOlympia 237

Pythokritos di Sicione

VI a. C

Auleta

Paus. 6, 14, 9-10

Q uinto Markios Straton del demo attico di Collide

I d.C.

komōidos

IG II2 12644

Q uinto Markios Titianos del demo attico di Collide

I d.C.

komōidos

IG II2 12644

Q uinto Samiarios

?

Encomiografo

McCabe, Iasos 247

Sakadas di Argo

VI a.C.

Auleta

Paus. 2, 22, 8-9

Satyros di Samo

II a.C.

Auleta

FD III 3, 128

Serapodoron

III d.C.

Poeta PERIODONIKES

IG XII 3, 1117

Sosiklees di Coronea

II d.C.

Poeta

Plut. Q uaest. conv. 638b-c

Tamiri

Fase mitica

Citarodo

Paus. 10, 7, 2

Terpandro di Antissa

VIII-VII a.C.

Citarodo

Ps. Plut. Mus. 4, 1132e

T. Antonio Eutychianos

II d.C.

Citarodo PERIODONIKES

IGR III 231

336

PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

ARTISTA

CRONOLOGIA

SPECIALITÀ

FONTE

T. Claudio Epigonos ? di Afrodisia…

II d.C.

Citarodo

McCabe, Ephesos 1283

T. Elio Aurel. Apollonios di Tarso…

II d.C.

Komōidos/araldo PERIODONIKES

IG II2 3161

T. Elio Aurelianos Theodotos di Nicomedia

II d.C.

Auleta (pythaules/ choraules)

FD III 6, 143

Tib. Giulio Apolaustos

II d.C.

Pantomimo

Slater 1996, 264-265

Tib. Skandilianos Zosimos di Gortina

I/II d.C.

Auleta (pythaules/ choraules)

Strasser 2002, 99

Tito Aurelio Beryllos Aizaneites di Efeso

III d.C.

Auleta (pythaules) PERIODONIKES

McCabe, Ephesos 529

Valerio Eklektos di Sinope

III d.C.

Araldo TRE VOLTE PERIODONIKES

IG II2 3169-3170 IOlympia 243

Zenobios

I a.C.

Araldo

SEG IX 532 ( = Peek, Zeitschr. Halle-Wittenberg 9, 1960, 199-201)

I vincitori ai  Pythia di cui ad oggi abbiamo notizia sono 90 2 (26 dei quali anche periodonikai) dei complessivi 105 concorrenti ricordati da fonti letterarie, epigrafiche e papiracee 3; un numero esiguo rispetto a  quello dei vincitori in agoni altrettanto illustri come, ad esempio, gli Olympia 4. Tra i pythionikai mitici ricordiamo, ad esempio, Chrysothemis e Tamiri 5; tra le figure storiche di maggior rilievo si segnalano invece Terpandro, vincitore di quattro edizioni pitiche 6, Midas di Agrigento, ricordato da Pindaro per l’incidente occorsogli

2   Non si è ritenuto opportuno inserire in questo gruppo l’auleta Aur. Agrippas di Cesarea, contemplato da Weir (2004, 126) tra i pythionikai. Il nome del pythaules è attestato, infatti, solo in un catalogo agonistico degli Ptoia di Acrefia (vd. Acr. 25 in Manieri 2009), dove non è fatto alcun cenno alla sua carriera, né specificamente ad una sua partecipazione ai Pythia di Delfi. 3   L’intera raccolta è contenuta in Della Bona 2017. 4  Vd. l’elenco degli oltre mille Olympionikai stilato da Moretti 1957. 5  Tamiri è  presentato come figlio di Museo nel lessico Suda, ma Teocrito (cfr.  Theocr. 24,  109-110) lo dice figlio di Philammon, riconducendolo al­ l’ambiente delfico. Sui primi vincitori pitici, vd. Paus. 10, 7, 2-3. 6  Terpandro riportò la vittoria a  Delfi in quattro edizioni consecutive: vd. Ps. Plut. Mus. 4, 1132e.

337

M. E. DELLA BONA

durante l’edizione del 490 a.C. 7, Papinio, padre del poe­ta latino Stazio, vincitore nella categoria dei poe­ti 8; in età imperiale Nerone, periodonikes che partecipò a  gare tra araldi, citarodi e tragōidoi 9. La distinzione tra le testimonianze in ordine al  periodo di competenza è netta: le fonti letterarie coprono, infatti, il periodo che va dal­l’VIII al II sec. a.C., mentre le altre due (che della fase più antica conservano solo la memoria di Satyros di Samo 10, attivo nel II sec. a.C.), ci informano sul­l’identità di alcuni vincitori vissuti tra il I e il III sec. d.C. È, inoltre, evidente che il numero dei vincitori di cui resta traccia tra l’VIII e il II sec. a.C. 11 risulta notevolmente ridotto rispetto a quello del più breve periodo che va dal I al III sec. d.C., per il quale le epigrafi sono particolarmente numerose soprattutto tra il II e il III secolo (tabella 2). Come si vede nella tabella 3, le specialità di cui restano le tracce più cospicue sono quelle dei citarodi e degli auleti, le più 7  Gli scolii (cfr. Schol. in Pind. Pyth. 12, Inscr. Dr.) parlano di tre vittorie ottenute dal­l’artista nei concorsi musicali panellenici, di cui una alle Panatenee in data imprecisata e due a Delfi, nella 24esima e nella 25esima edizione, cioè nel 490 e nel 486 a.C.; l’assenza nella Pitica 12 di un riferimento ad una vittoria precedente a quella celebrata, farebbe supporre che l’epinicio in questione sia stato composto in occasione del primo trionfo pitico. 8 Cfr. Stat. Silv. 5, 3, 141-145: «Che se poi si obiettasse la facilità della vittoria in casa propria, che dire dei meritati premi achei con le tempie adorne dei rami di Febo, ora delle erbe di Lerna, ora del pino del figlio di Atamante, quando la Vittoria, sebbene tante volte da te stancata, tuttavia in nessun caso mai si allontanò per sottrarti le sue fronde o si posò su altre chiome?» (trad. di A. Traglia – G. Aricò). 9 Cfr. Philostr. Vit. Apoll. 4, 24: «Venne in Grecia per presentarsi ai giochi Olimpici e Pitici, e ottenne la vittoria in quelli Istmici: vinse nelle gare di citarodi e  araldi e  vinse anche nel concorso dei tragōidoi a  Olimpia» ed Euseb. Chron. II, 156. Q uella del 67 d.C. fu l’unica edizione musicale mai celebrata a Olimpia, sede esclusiva del­l’agone ginnico. Il  titolo di cui però Nerone andò particolarmente fiero fu quello di pythionikes; l’imperatore sentiva i giochi pitici più suoi che di Apollo e diceva che neanche il dio in persona avrebbe osato sfidarlo nella cetra e nel canto (cfr. Philostr. Vit. Apoll. 5, 8-9). 10 Cfr. FD III 3, 128. 11  Sono esclusi dalla tabella i vincitori in un periodo non individuabile, come ad es. Eumelos di Elea (cfr. Luc. Adv. indoct. 8-10), il Dexitheos di cui si parla in Schol. in Aristoph. Ach. 13a Wi., il citarodo Exekestides di Polemon FHG III 47, Marco Oulpios Heliodoros (cfr. IG IV 591), l’anonimo komōidos e citarodo di IG XIV 1114, l’encomiografo Q uinto Samiarios di McCabe, Iasos 247, il tragōidos Gaio Giulio Giuliano di IG V 1, 662 e il pythionikes M. Aurelio Thelymitres di McCabe, Didyma 486.

338

PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

Tabella 2

Tabella 3

antiche nella storia del­l’agone 12, seguite dalle molteplici tipologie artistiche aggiunte probabilmente in seguito al controllo imposto dai Macedoni su Delfi 13. Il  primo riferimento al­l’introduzione 12  L’agone fu istituito dal­ l’Anfizionia delfica a  conclusione della guerra contro i Crisei nel 591/90 a.C., come specificato da tutte le fonti (Marm. Par. FGrHist 239 A 37f-38a; Schol. in Pind. Pyth. Hypoth. b [p. 3, 8 ss. Dr.]; Schol. in Pind. Pyth. Hypoth. d [p. 4, 19 ss. Dr.]; Schol. in Pind. Pyth. Hypoth. a [p. 2, 22 Dr.]) e comprendeva nella sua parte musicale l’antica gara tra citarodi, alla quale furono aggiunte quelle per auleti e aulodi. 13  Le mire di Filippo sulla città sono chiaramente testimoniate dalle fon­ti. Scrive Demostene (5, 22) che a  spingere Filippo in Grecia non furono solo i progetti sul passo delle Termopili e  il raggiungimento della gloria derivatagli dal­l’essere stato il solo arbitro della decennale guerra sacra, ma anche

339

M. E. DELLA BONA

a Delfi di nuovi agoni rispetto alle competizioni della tradizione si può individuare nel peana di Filodamo di Scarfea 14 dove, dietro il dio Apollo che ingiunge agli Anfizioni di inserire nel programma agonistico la gara tra cori ciclici, si può forse intravedere la figura del monarca macedone, il quale inaugura in questo modo il suo personale rinnovamento del­l’agone. Ad un momento cruciale nella storia della gara fa riferimento Plutarco 15 affermando che, da quando a Delfi fu ammesso il tragōidos, ‘come aperta una porta’ si accolse nel­l’agone ogni tipo di competizione; in effetti, le informazioni rese dalle nostre fonti portano in questa direzione: è a partire dal IV sec. a.C. che resta traccia, oltre che delle classiche specialità, anche di quelle di nuovo inserimento, come le categorie di araldi e trombettieri dal IV sec. a.C., poe­ti, encomiografi, retori, pantomimi, komōidoi e tragōidoi nei secoli successivi. Si può ancora fare un’ulteriore osservazione a proposito della provenienza dei vincitori che, in base alla città o alla regione d’origine, possono essere distinti in tre gruppi: quelli provenienti dalla Grecia, dal­l’Asia Minore e dalla penisola italica. I dati sono sintetizzati nella tabella 4: Tabella 4 secolo

GRECIA

VIII a.C.

Chio

VIII/VII

Ascra

ASIA MINORE

PENISOLA ITALICA

l’ambizione alla presidenza dei Pythia (con tutto il lustro che la partecipazione al­l’organo anfizionico in uno dei ruoli più rinomati comportava). I  primi rapporti con Delfi, però, risalgono addirittura ai primi anni del suo regno quando, sebbene ancora nessuna necessità politica conducesse il monarca verso Delfi, il suo acume gli aveva già svelato le potenzialità di un centro tanto prestigioso da più punti di vista. Tralasciando l’aspetto puramente storico-politico e i suoi risvolti che non ci competono e per i quali si rimanda alla scrupolosa indagine di M. Mari (2002, 75 ss.), è sufficiente ricordare che un’epigrafe scoperta ad Olinto e  pubblicata nella prima metà del secolo scorso, attesta la consultazione ufficiale del­l’oracolo delfico da parte dei Macedoni in merito al­l’accordo stipulato con la lega calcidica nel 357/56 a.C. (per la bibliografia si rimanda a Mari 2002, 75 n. 1). 14  Cfr. Furley – Bremer 2001, II 53-57. 15 Cfr. Plut. Q uaest. conv. 674d.

340

PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

secolo

GRECIA

ASIA MINORE

VII VI

PENISOLA ITALICA

Reggio Antissa Arcadia Argo Cefallenia Sicione Tegea Salamina o Samo

V

Agrigento Locri

IV

Megara Tebe

Ibla

III

Megalopoli

II

Salamina o Samo Tebe

Cuma Taranto

I

Cos

Elea o Napoli

I d.C.

Collide

Damasco

I/II

Gortina

Nicopoli

II

Argo Coronea

Afrodisia Bisanzio Laodicea Nicomedia Tarso

II/III

Corinto

Ancira Assiria Efeso

III

Atene o Eleusi Cos

Alessandria Anemurio Antinopoli Efeso Ermopoli Filadelfia Nicomedia Panopoli Sinope

?

Atene Caria Elea Sparta Tessalonica

Damasco Smirne

341

Roma Pozzuoli

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Risultano subito chiari almeno due punti: il primo riguarda il numero dei concorrenti provenienti da ciascuna area geografica; la maggior parte di loro proviene da città (o regioni, laddove i singoli centri non siano indicati) della Grecia, anche insulare 16. Al­l’agone panellenico di Delfi parteciparono, fin dai tempi più antichi, artisti provenienti dal­l’Arcadia, come Echembrotos e  Pilades di Megalopoli 17; dal resto del Peloponneso, come Pythokritos di Sicione, Sakadas di Argo e Agelaos di Tegea; dalla Beozia, come Antigenidas di Tebe, Sosiklees di Coronea e Thespis di Tebe 18, ma anche dal­l’Attica 19 e dalle isole 20. Gli stranieri che parteciparono ai Pythia sino ad età ellenistica (fatta eccezione per l’attore tragico Klemes, originario di Bisanzio) sono tutti di origine italica: Midas di Agrigento, Eunomos di Locri, Ariston di Reggio, Eumelos di Elea, il padre di Stazio originario di Napoli (o Elea) ed Euangelos di Taranto. Tale panellenismo si ampliò ancor più nei secoli successivi quando, accanto ai concorrenti provenienti dalle città della Magna Grecia 21, giunsero a Delfi anche artisti dalle regioni del­l’Asia Minore, come ad esempio T. Elio Aurelianos Theodotos di Nicomedia 22, P. Elio Artemas di Laodicea 23, G. Giulio Bassos di Mileto 24 e G. Giulio Giuliano di Smirne 25. A questi si aggiungono altri artisti, tutti esibitisi tra il I e il III sec. d.C. e assai attivi in Asia Minore, di cui le iscrizioni restituiscono l’elenco dei centri nei quali ciascuno ricevette la cittadinanza; con molta probabilità la prima città in elenco è la città d’origine.   Vd. Weir 2004, 18 che mostra come nel VI sec. a.C. quasi il 90% dei complessivi vincitori ai Pythia (atleti inclusi) provenisse dalla Grecia. 17   Per i tre artisti cfr. Paus. 10, 7, 1-7, 3; Paus. 6, 14, 9-10; Paus. 8, 50, 3. 18  Per Antigenidas di Tebe cfr. Himer. Or. 74, 1-3, per Sosiklees di Coronea Plut. Q uaest. conv. 638b-c, per Thespis di Tebe Luc. Adv. indoct. 8-10. 19  Cfr. Chrysogonos di Atene in Duris FGrHist 76 F 70 ap. Plut. Alcib. 32, 2. 20  Come Stesandros di Salamina in Timom. FGrHist 754 F 1 ap. Athen. 14, 638a-b e Melampos di Cefallenia in Paus. 10, 7, 5. 21   Cfr.  ad es. M.  Tourranios Hermonikos originario di Pozzuoli in FD III 4, 34 e l’anonima arpista di Cuma in Ferrandini Troisi 2000, 34. 22 Cfr. FD III 6, 143. 23  Cfr. IOlympia 237. 24   Cfr. Moretti 1953, n° 74. 25 Cfr. IG V 1, 662. Alcuni artisti godevano della cittadinanza in diverse città; la cittadinanza onoraria era uno dei tanti privilegi concessi in segno di stima per onorare l’artista. Per un altro caso di assegnazione della cittadinanza onorifica, vd. Le Guen 2007, 254-255. 16

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Il secondo dettaglio da notare nella lettura del grafico attiene alla successione cronologica degli artisti in questione. Esiste, infatti, una disparità tra i concorrenti di origine greca e quelli provenienti dal­l’Asia Minore e dalla penisola italica. Mentre ci restano tracce abbastanza omogenee di artisti originari della Grecia sia nel­ l’epoca avanti che dopo Cristo, le fonti ci restituiscono notizia di concorrenti di origine asiatica esibitisi ai Pythia solo a partire dal I sec. d.C. Una tendenza opposta si può invece rilevare a proposito degli artisti di origine italica: i loro nomi coprono solo il periodo che va dal VII al I sec. a.C., con le uniche eccezioni del­l’imperatore Nerone, vissuto nel I sec. d.C., e del citarodo M. Tourranios Hermonikos, suo contemporaneo e originario di Pozzuoli. La mole di testimonianze giunte fino a noi e le notizie che da esse si possono ottenere sono il risultato di una serie di circostanze che hanno fatto sì che esse non andassero perdute come è successo in molti altri casi; non si può, pertanto, trarre alcuna conclusione definitiva dalla lettura dei dati da esse ricavati. È possibile che l’ingresso di artisti di origine asiatica negli agoni greci fosse in buona parte favorito dalla costituzione delle compagnie di technitai 26 che, a partire dal­l’epoca alessandrina, si diffusero a  macchia d’olio, ottenendo anche incarichi di un certo rilievo 27, e che l’istituzione di numerosi agoni isopitici 28 nelle regioni asiatiche favorisse l’intensificarsi della partecipazione di artisti della zona alla vita agonistica greca. La documentazione relativa al  periodo più tardo è  fornita principalmente da iscrizioni onorifiche contenenti l’elenco delle vittorie conseguite dal­l’artista celebratovi, in assenza di cataloghi agonistici che sono invece molto numerosi tra le fonti relative al­l’agonistica di altre zone, come quella d’ambiente beotico 29.

26   Le compagnie reclutavano artisti di qualunque provenienza. In Grecia, quella del­l’Istmo e di Nemea, ad esempio, era composta non solo da artisti originari del Peloponneso, ma anche della Focide, della Beozia, della Macedonia, di Atene e della Sicilia. Vd. Le Guen 2001, 38. 27  Gli Anfizioni affidarono l’organizzazione dei Soteria anfizionici alla compagnia del­l’Istmo e di Nemea. 28  Agoni isopitici sorsero nella Grecia continentale e in tutto il territorio ellenizzato dal III sec. a.C.; essi si uniformavano al modello non solo nella tipologia di gara (atletica o musicale), ma anche nelle categorie d’età stabilite per i concorsi panellenici, nei premi, negli onori tributati ai vincitori. Sulla natura delle gare isopitiche, vd. Robert 1982, 270-271. 29   Per la raccolta di tutte le testimonianze, vd. Manieri 2009.

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A  questa assenza non sopperisce la letteratura, che trascura la musica rispetto al­l’atletica, come dimostra il caso di Pausania 30, il quale sorvola sulla presentazione delle statue di cantanti e musici per soffermarsi su quelle degli atleti vincitori nel­l’illustre sede di Olimpia. Rilevante per tale naufragio è  stata la perdita del­ l’anagraphe stilata da Aristotele e  dal nipote Callistene, contenente la storia del­l’agone delfico e l’elenco di tutti i vincitori 31, tanto delle competizioni musicali, quanto di quelle atletiche e ippiche 32. Del documento non restano tracce, ma le fonti ne danno esplicita testimonianza e  alcuni elementi fanno supporre che il catalogo di Aristotele e Callistene sia stato la fonte degli scolî alle Pitiche e di Pausania 33. Non si può escludere, dunque, che il materiale contenuto nel­l’opera dei due storici rendesse superfluo qualsiasi altro tipo di parziale registro che si potesse stilare entro il limite temporale da loro indagato; sul­l’assenza di cataloghi nel periodo successivo, invece, la loro opera non può avere alcun effetto. La lettura e  il confronto tra le iscrizioni onorifiche mette in luce alcuni elementi caratteristici del­l’epigrafia agonistica d’età imperiale. Se per il periodo più antico costituiva un vanto aver riportato tre 34, quattro 35 o sei 36 vittorie ai Pythia, in età imperiale   Cfr.  Paus. 10,  9, 2 e  vd.  sopra. Sulla classica contrapposizione tra l’agonistica musicale e  sportiva, «sorelle nel­l’educazione» (cfr.  Plat. Resp. 3,  404b), vd. Manieri 2009, 17-18. 31  L’iscrizione, com’è noto, presenta un’ampia lacuna nel punto in cui era indicata la data d’inizio del catalogo. Tra le altre proposte, l’integrazione ἀπ̕ [αἰῶνος sembra la più convincente (vd. Bousquet 1984, 374-380). 32  L’elenco delle opere di Aristotele stilato da Diogene Laerzio (5, 26) comprende tre titoli oggi comunemente ritenuti tre libri di un’unica opera, quella appunto che l’epigrafe CID II 97 ss. e Plutarco (Sol. 11, 1) sintetizzano con il nome di ἀναγραφή. I tre libri risultavano così suddivisi: Πυθιονῖκαι μουσικῆς α´, che doveva contenere un resoconto delle gare musicali, vincitori compresi; Πυθικός α´, riservato alle informazioni storiche relative al­l’agone e Πυθιονικῶν ἔλεγχοι α´, il catalogo dei vincitori nelle gare ippiche e  ginniche. L’analisi capillare della testimonianza di Diogene Laerzio è stata condotta da Christesen 2007, 199-201, al quale si rimanda. 33  Pausania avrebbe letto i nomi dei vincitori poi riportati in 10, 7, 1-7 proprio nel­l’Anagraphe: vd. Miller 1978, 139-144; 148-150. 34  Sakadas di Argo, come ricorda lo Pseudo-Plutarco in Mus. 8,  1134a (= Delph. 24; vd. anche Delph. 29 e 30 = Paus. 2, 22, 8-9 e Paus. 6, 14, 9-10). 35  È ancora dal De musica che ricaviamo la notizia; cfr. Ps. Plut. Mus. 4, 1132e (= Delph. 23). 36  L’illustre citarodo Aristonous, che scelse come suo protettore lo spartano Lisandro: cfr. Plut. Lys. 18, 5. 30

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i numeri sui medaglieri dei vincitori crescono in maniera impressionante; ci si imbatte, infatti, in artisti come l’auleta Tib. Skandilianos Zosimos 37, che riportò quarantasei vittorie al koinon di Creta e duecentottantasette in altri agoni il cui nome è caduto in lacuna, o come Diogenes di Efeso che vinse ottanta volte 38 in agoni sacri e stephanitai non menzionati singolarmente nel­l’epigrafe per brevità o forse perché marginali rispetto agli agoni panellenici cui si vuole dare maggior risalto. Si legge, ancora, degli onori tributati a Publio Elio Artemas 39, araldo con duecentocinquanta vittorie in agoni thematikoi, al­l’auleta P. Elio Ailianos 40 che ottenne centosessantasei vittorie in agoni con premi in denaro, a G. Giulio Bassos 41 che ne conseguì duecentosessanta in agoni penteterici, e  a G. Giulio Giuliano 42 con le sue trecentoquaranta vittorie in agoni penteterici e trieterici. Si tratta in molti casi di agoni talantiaioi o thematikoi, vale a dire di gare che prevedevano premi in denaro per i vincitori e che erano meno prestigiose (ma più vantaggiose) di quelle stephanitai panelleniche. Gli agoni di nuova istituzione, spesso periferici, negli elenchi delle vittorie vengono dopo la menzione degli agoni della periodos; tra questi ultimi, in ordine di rilevanza i Pythia seguono gli Olympia ma precedono Isthmia e  Nemeia. In  molti casi i  nomi dei concorsi minori non sono indicati e le vittorie in essi riportate confluiscono tutte in espressioni brachilogiche e  onnicomprensive che ritroviamo spesso nelle iscrizioni onorifiche, come καὶ ἄλ(λ)ους θεματικοὺς [ἀγῶ]νας 43, καὶ ἄλλους ἀγῶνας ταλαντιαίους 44, καὶ ἑτέρους ἀγῶνας πεν|[τετηρι]κοὺς 45. L’alta frequenza di vittorie derivava dal­l’abbondante proliferazione degli agoni, spesso appunto a  ritmo annuale, che di conseguenza consentivano agli artisti più brillanti e talentuosi di riportare più di una vittoria nel corso dello stesso anno. Alla fioritura di così tanti concorsi musi  Cfr. Strasser 2002, 99.   Il trombettiere fu autore di una dedica a Zeus Olimpio: cfr. IOlympia 232. 39 Cfr. IOlympia 237. 40 Cfr. FD III 1, 547. 41  Cfr. Moretti 1953, n° 74. 42  Cfr. IG V 1, 662. 43 Cfr. IOlympia 237. 44 Cfr. FD III 1, 547. 45  Cfr. Moretti 1953, n° 74. 37 38

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cali può ricondursi forse anche l’uso frequente di alcune espressioni che riscontriamo solo in epigrafi di età imperiale, prima tra tutte la più ricorrente 46 πρῶτος καὶ μόνος τῶν ἀπ’ αἰῶνος, riferita –  sempre in nominativo o  accusativo  – al  vincitore celebrato: è evidente che in un contesto agonistico tanto vario era difficile che due o  più concorrenti potessero riportare lo stesso numero di vittorie, soprattutto negli stessi centri agonistici e  per giunta anche nello stesso ordine; ogni medagliere poteva a  suo modo essere considerato unico da chi se ne fregiasse. Dal tono altrettanto encomiastico suona anche l’espressione στεφανωθέντα ἱεροὺς ἀγῶνας τοὺς ἀπὸ τῆς οἰκουμένης πάντας riservata a celebrare il tragōidos M. Aur. Charmos, vissuto nel III sec. a.C., così come l’uso del­l’avverbio ἐνδόξως e del­l’aggettivo ἀδιαψήφητος, anch’essi finalizzati ad amplificare nel tempo il ricordo del valore e  del­ l’eccezionalità del talento artistico del vincitore celebrato 47. Tra le espressioni del formulario agonistico di età imperiale non va dimenticata, infine, la frase τἆλλα τείμια ὅσα τοῖς καλοῖς κἀγαθοῖς ἀνδράσιν δίδοται, con cui si riassumono tutti i privilegi sociali 48 che derivano al vincitore dalla sua fama, oltre ai principali, che sono la promanteia, la prossenia, il diritto di essere giudicati prima, l’inviolabilità, la proedria, l’esenzione dalle tasse, il possesso di una terra e di una casa. Se alcune epigrafi onorifiche destano, come si è visto, interesse da un punto di vista formale, altre offrono lo spunto per alcune riflessioni sul più concreto piano organizzativo del­l’agone. Iniziamo dal­l’iscrizione (FD III 3, 128) che ha come protagonista l’auleta Satyros di Samo. L’epigrafe conserva il ricordo di un episodio singolare nella carriera del­l’auleta, che è l’unico artista di cui rimanga traccia ad aver partecipato da solo al­l’agone, senza avversari (‘a costui per primo accadde di suonare l’aulos nel­l’agone da solo senza rivali’). Casi, seppur rari, di vittorie ἀκονιτί in gare atletiche di vario genere sono documentati fin dal­l’epoca mitico-storica nei poemi

46   L’espressione ritorna, infatti, in Delph. 87 (= Strasser 2002,  132), 90 (= Strasser 2002, 99), 97 (= FD III 1, 547), 103 (= McCabe, Smyrna 145), 104 (= FD III 4, 478), 125 (= IG V 1, 662) e 132 (= Slater 1996, 264-265). 47  Cfr. Guarducci 1987, 127-128 n° 4 e Moretti 1953, 237 n° 81. 48 Cfr. FD III 2, 250 e Guarducci 1987, 127-128 n° 4.

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omerici 49 e la prima testimonianza delfica, relativa al pancraziaste Dorieus di Rodi, risale al V sec. a.C. 50. I motivi per i quali Satyros 51 si trovò a sostenere l’agone da solo potrebbero essere diversi: l’assenza di altri artisti iscritti alla gara; il ritardo di altri concorrenti nella registrazione, fatto che costituiva motivo d’esclusione 52; la scelta degli altri auleti iscritti di rinunciare alla gara per non entrare in competizione con un rivale al quale, com’è probabile, si riconosceva un insuperabile talento 53. Non si può, tuttavia, ricavare dal testo a quale di queste circostanze imputare l’accaduto, né risulta che l’auleta, sicuramente stimato dai presenti (l.  4 ἀξιωθέντα), avesse ottenuto la corona. Il contenuto del­l’epigrafe potrebbe, pertanto, far ipotizzare che il divieto di consegnare il premio ai vincitori di gare senza competizione, attestato da Massimo di Tiro (34, 8c) nel II sec. d.C., avesse dei precedenti molto più antichi. Un altro testo tardo che vale la pena ricordare, è l’iscrizione onorifica 54 per il pythaules L. Kornelios Korinthos realizzata dai suoi due figli, L. Kornelios Sabeinos e L. Kornelios Korinthos, entrambi auleti come il padre 55. 49  Per una disamina delle vittorie senza competizione nelle gare atletiche, vd.  Crowther 2001,  29-44. Nel­l’ambito del­l’agonistica musicale abbiamo notizia di ἀγῶνες ἱεροί, ossia di gare non aggiudicate a nessun vincitore, il cui premio veniva probabilmente consacrato alla divinità celebrata. A questo proposito ved. Acr. 27 e Oro. 15 in Manieri 2009. 50  Crowther 2001, 33. Se per un atleta era motivo di lode che gli avversari rinunciassero a scontrarsi nel secondo tiro a sorte, lo era ancora di più se la rinuncia avveniva già al primo tiro a sorte, cioè prima ancora di cominciare a combattere (ἐξ ἀρχῆς στήσας τοὺς ἀνταγωνιστάς, IGUR I, 240); vd. Robert 1949 a, 110. 51   Sul canto eseguito da Satyros fuori gara, durante il sacrificio nello stadio pitico, vd. Cinalli (questo volume). 52  Vd. Delph. 19 (=Plut. Q uaest. conv. 704c). 53  Così Jacquemin – Mulliez – Rougemont 2012, 338. Si ricordi, ad es., il caso del pancraziaste Serapion d’Alessandria (cfr. Paus. 5, 21, 18), che lasciò Olimpia a pochi giorni dalla gara per paura dei suoi avversari. 54  Cfr. Clement 1974, 37. 55   Sul­l’architrave: Λ. Κορνήλιος Κόρινθος Κορίνθιος (hedera) πυθαύλης, περιοδονείκης, νεικήσας τὴν πε ̣ρ ̣ίοδον νεικήσας δὲ τὴν ἐξ Ἄργους Ἀσπίδα ἑνὶ νόμῳ, τῶν ἀνταγωνιστῶν δυσὶ νόμοις εὐληκότων (hedera) ἀνέθηκαν δύο υἱοὶ ∙Λ ∙ Λ ∙ Κορνήλιοι Σαβεῖνος πυθαύλης καὶ Κόρινθος χοραύλης. A sinistra del timpano: Ἴσθμι|α a destra del timpano: Νέ|μεια nel timpano, al centro: Πύ|θια nel timpano, a sinistra: τὴν| ἐξ Ἄργου Ἀσπίδα

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L’iscrizione è interessante per due motivi; il primo riguarda il programma musicale previsto nella gara. Com’è noto, una delle fonti letterarie relative ai Pythia, la Pitica 12 di Pindaro, è stata in tempi recenti assunta da Pöhlmann 56 come indizio di una possibile innovazione del programma pitico, che già nel V sec. a.C., ai tempi del­l’ivi celebrato auleta Midas di Agrigento, avrebbe previsto l’ese­cuzione di un secondo pezzo, il nomos policefalo cui si fa riferimento nel­l’epinicio, opzionale, accanto al­l’obbligatorio nomos pitico di mitica memoria. Un brevissimo passaggio del­ l’iscrizione per L. Kornelios Korinthos sembra offrire una conferma a  questa ipotesi; sulla stele, dove vengono menzionati i trionfi del­l’auleta, si ricorda che egli vinse τὴν περ̣ ̣ίοδον…δὲ τὴν ἐξ Ἄργους Ἀσπίδα ἑνὶ νόμῳ, τῶν ἀνταγωνιστῶν δυσὶ νόμοις εὐληκότων (‘la periodos… e lo Scudo di Argo con un solo nomos, mentre gli avversari si esibirono con l’aulos in due nomoi’). Come si diceva, dunque, i due nomoi che gli avversari del vincitore si riservano di suonare potrebbero proprio essere l’obbligatorio e l’opzionale di cui parla Pöhlmann, e la vittoria di Kornelios Korinthos con un solo nomos contro i due degli avversari non farebbe che renderla ancora più degna di lode. Del resto, l’idea di ‘due nomoi’ sembra già suggerita da un’altra fonte letteraria relativa alla stessa gara, un passo di Imerio 57, che racconta un episodio accaduto al­l’auleta Antigenidas vissuto tra il V e il IV sec. a.C. Egli, poco prima del­ l’inizio della gara, ‘allontanatosi un po’ dalla folla, si esercitava davanti ai  soli amici, ora provando la melodia su un solo aulos, ora, con fiato più vigoroso, su entrambi gli strumenti’ 58. Provava sia la melodia fino al preludio, che – scrive Imerio – αὐτὸν ἄγων τὸν τῆς ἀγωνίας Ἀθηνᾶς ἐπικαλούμενον νόμον, cioè ‘proprio il nonel timpano, a destra: τὴν| ἐξ Ἄργου Ἀσπίδα sotto l’immagine di Korinthos, i nomi di undici agoni scritti in altrettante corone: Ἄκτια| Δ, Νέαν| Πόλιν| Β, Καισάρει|α ἐν Κο|ρίνθῳ| Η,|| ἐν Πά|τραις| Β, ἐν Λα|κεδαί|μονι| Β, ἐν Χαλ|κίδι| Β,|| τὴν ἐξ| Ἄργους| Ἀσπίδα| Β, Πανα|θήναια, ἐν Δημη|τριάδι| Α,|| ἐν Λαρείσῃ|Β, ἐν Ἀσίᾳ| Δ. 56   Vd. Pöhlmann 2010-2011, 281-282. 57 Cfr. Himer. Or. 74, 1-3. 58 …ἠρέμα ὑπαναχωρῶν τοῦ ὁμίλου ἐπὶ μόνων ἤσκει τῶν γνωρίμων τὴν ἄσκησιν, νῦν μὲν ἐφ’ ἑνὸς αὐλοῦ γυμνάζων τὸ μέλος, νῦν δὲ σφοδροτέρῳ τῷ πνεύματι κατ’ ἀμφοτέρων τῶν ὀργάνων χρώμενος.

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mos detto della contesa di Atena’. Nulla toglie che questo nomos possa essere stato eseguito in preparazione alla gara solo a mo’ di esercitazione, ma sarebbe altrettanto plausibile pensare che l’artista cercasse di concentrarsi ripetendo per intero (o solo in parte) il pezzo con cui si sarebbe esibito in gara; il nomos della contesa di Atena potrebbe, dunque, essere quel pezzo opzionale (come poteva esserlo nel caso di Midas il nomos policefalo) affiancato, da una certa data in poi, al nomos pitico, se non addirittura sostituito ad esso. Un altro aspetto interessante del­l’epigrafe riguarda il sintagma περιοδονείκης, νεικήσας τὴν περ̣ ̣ίοδον νεικήσας δὲ τὴν ἐξ Ἄργους Ἀσπίδα ἑνὶ νόμῳ. Proprio queste linee avevano destato perplessità nei Robert 59, che consideravano un inutile pleonasmo il sintagma περιοδονείκης, νεικήσας τὴν περ̣ ίοδον. ̣ Va detto, ad onor del vero, che la presenza del termine περιοδονίκης rende superflua l’aggiunta del sintagma esplicativo νεικήσας τὴν περίοδον, ma la cura della forma e  dello stile non sembra preoccupare molto gli scriventi, che più avanti fanno incidere un εὐληκότων da prendere necessariamente per il corretto ηὐληκότων (da αὐλέω) 60, e che costruiscono il verbo con il dativo δυσὶ νόμοις in luogo del corretto ed attestato accusativo. Stephanes 61 e  poi Bélis 62 giustificano la ridondanza attribuendole lo stesso significato del­l’espressione περίοδος ἐν τῇ περιόδῳ 63 usata in altre epigrafi e da loro intesa nel  Vd. Bull. Épigr. 1971, n° 308.   Vd. Michaud 1970, 949. 61  Vd. Stephanes 1981, 397-402. 62  Vd. Bélis 1999, 151. 63   Per Bélis (1999,  151) vincere la ‘periodos nella periodos’ significherebbe riportare la vittoria in tutte le gare del circuito classico «pendant la période et non au cours de plusieurs périodes», in un tempo minimo, cioè, di quattro anni. Vd. anche Robert 1960,  455-456. Secondo la nostra interpretazione, proposta in un contributo del 2012, la periodos nella periodos sarebbe invece un circuito separato da quello classico e costituito da Aspis di Argo, Capitolia, Eusebeia, Sebasta ed Actia. Esso sarebbe svolto nel secondo anno del quadriennio olimpico e  si troverebbe indicato nelle fonti anche con l’espressione ‘restante periodos’ (cfr. IOlympia 230, dove un corridore dichiarava di aver vinto Ὀλύ ̣μπ ̣ια ̣ [omissis] τρὶς κατὰ τὸ ἑξῆς καὶ τὴν λοιπὴν περίοδον σὺν Ἀκτίοισι, «gli Olympia… tre volte di seguito e  la restante periodos con gli Actia», e  IOlympia 231 in cui un pancraziaste sosteneva di aver vinto Ὀλύμπια δὶς καὶ τὴν λοιπὴν περίοδον ἐν τῇ περιόδῳ σὺν δὶς Νεμείοις [καὶ] Ἀκτίοις καὶ Ἡραίοις, ‘gli Olympia due volte e  la restante periodos nella periodos con due [vittorie] ai  Nemeia, agli Actia e  agli 59 60

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senso che il periodonikes avrebbe vinto la periodos nel­l’arco del quadriennio olimpico. A noi sembra piuttosto che l’epigrafe in questione contenga una conferma del fatto che in età imperiale coesistessero due periodoi: quella antica, costituita dalle tre tappe classiche (Pythia, Isthmia e Nemeia), e quella nuova indicata nelle fonti mediante l’espressione ‘restante periodos’ e  ‘periodos nella periodos’, formata da Aspis di Argo, Capitolia, Eusebeia, Sebasta ed Actia, agoni di nuova istituzione 64 che si svolgevano nel secondo anno del quadriennio. Il  periodonikes L.  Kornelios Korinthos può vantare due grandi meriti: l’aver riportato la periodos classica e (δὲ) l’aver vinto il primo premio di Argo esibendosi con un solo nomos contro avversari che, invece, si erano avvalsi della facoltà di eseguirne due. Vediamo brevemente, in ultima analisi, come l’epigrafe possa dare utili informazioni anche in merito al­l’aspetto della premiazione. La produzione monetaria del­l’epoca dei Severi dimostra il legame di un frutto, le mele, con i Pythia 65. Esse compaiono sempre assieme a corone, sacchetti di monete e palme, sopra o sotto il tavolo dei premi 66. Da qui si è perciò diffusa la comune convinzione che a partire dal­l’età imperiale le mele avessero potuto sostituire le corone o che esse stesse fossero state utilizzate per realizzarle, come proponeva Saglio 67. Q uest’ipotesi sarebbe confermata da

Heraia’). A questa espressione si aggiunge il concetto moderno di ‘nuova periodos’ (vd. Caldelli 1993, 89 n. 184: «La definizione nea periodos è, in realtà, un’invenzione dei moderni: le fonti antiche parlano soltanto di archaia periodos in riferimento a Olympia, Pythia, Isthmia, Nemea…». A menzionare l’ ‘antica periodos’ sarebbe ad esempio IGLSyr 4, 1265, che alle ll. 16-17 recita così: τῆς ἀρ/ χαίας περιόδου Σεβάσμια Νέμια). 64   Del­l’agone di Argo è nuova solo la denominazione: esso, infatti, esisteva già da tempo con l’antico nome di Heraia; sulla storia degli Heraia, vd. Angeli Bernardini 1976, 213-217; Amandry 1980, 211-253; Amandry 1983, 627-634; Moretti 1991, 179-189. 65   Vd. Robert 1949 b, 93-104. 66  L’uso si confermerebbe esclusivo del­l’agone pitico e di tutti quelli isopitici (a Perinto, Ancira, Tralles e Filippopoli) che a esso si conformarono, in quanto le mele sono sempre rappresentate su monete con l’iscrizione ΠΥΘΙΑ o, comunque, mai su monete connesse ad altre manifestazioni agonistiche. Sulla natura delle gare isopitiche, vd. Robert 1982, 270-271. 67  Vd. Saglio 1969, 1529 s.v. ‘corona’.

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Libanio 68: scrivendo ‘la palma infatti è la corona di ogni agone e il suo ramoscello costituisce un ricordo della vittoria, mentre le mele coronano l’agone pitico’, prospetterebbe forse una soluzione del genere, anche se ci sembra possibile che l’autore abbia utilizzato il verbo στεφανόω in senso traslato. Ora, L.  Kornelios Korinthos tiene nella mano sinistra un doppio aulos e in quella destra quattro sfere; esse potrebbero essere proprio le piccole mele date in premio ai vincitori delfici, di cui si ha testimonianza in età imperiale 69. Così, l’epigrafe del­ l’auleta L. Kornelios Korinthos, insieme alle monete del­l’età dei Severi, sarebbe prova del fatto che probabilmente le mele non erano utilizzate per fare delle corone; le corone continuavano ancora a  essere intrecciate di alloro e  a essere distribuite ai  vincitori, come dimostra la presenza della corona pitica tra le altre incise sulla stele, malgrado quella del­l’ulteriore premio, le mele appunto: mele e  corone, almeno in età imperiale, coesistevano; è  insomma come dire che l’agone pitico era stephanites e  chrematites insieme, se consideriamo che probabilmente quelli che in origine erano stati premi simbolici 70 si convertirono in premi di valore. Le stesse corone 71 in epoca tarda sono realizzate in metallo prezioso. L’esempio del­l’epigrafe menzionata conferma al tempo stesso due realtà innegabili: che non sempre si trovano nelle fonti risposte certe e chiare ai nostri interrogativi sul passato e che non sono solo le canoniche testimonianze storiche a fornire i dati più significativi; anche, o forse soprattutto, dallo studio dei singoli personaggi che hanno fatto la storia del­l’agone si possono ricavare le informazioni più interessanti.

 Cfr. Progymn. 9, 8.   Anche Clement (1974,  36) aveva supposto che si trattasse di premi, ma «prizes at the four festivals featured on the stele». Sul­l’uso delle mele come premio nelle competizioni atletiche, cfr. Luc. Anach. 9. 70  Sul­l’uso a Roma di dare in premio negli spettacoli teatrali frutti della terra (bietole, vino, fichi, legna…), cfr. Plut. Cato min. 46. 71   Così alle Panatenee: vd. IG II2 2311 (VI sec.) in Manieri 2012, 288; ai Sarapieia di Tanagra (vd. Tan. 1 in Manieri 2009a). Del resto, come sostiene Slater (2007, 39) sulla scia di Pleket, in epoca imperiale il concetto di agone stephanites puro è molto fragile e «an atlete or performer is not going to visit games where he is going to get no financial reward». 68

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M. E. DELLA BONA

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PYTHIONIKAI A DELFI: VIRTÙ E ONORI

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Abstracts Il contributo si propone di esporre alcuni dati ricavati dal­l’analisi delle 136 fonti letterarie, epigrafiche e papiracee che riguardano i Pythia musicali di Delfi. In primo luogo si fornisce una prosopografia dei pythionikai, cui si associa una lettura delle informazioni relative principalmente alla provenienza dei vincitori e alla loro successione cronologica. Tra le fonti si prendono in esame soprattutto quelle epigrafiche, al fine di evidenziarne l’interesse tanto sul piano formale, quanto sul più concreto piano organizzativo. Si presenta, pertanto, il formulario agoni355

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stico desunto dalle iscrizioni onorifiche (specialmente di età imperiale) e si analizzano, come esemplificazione, due epigrafi che offrono interessanti spunti di riflessione circa lo sviluppo del programma musicale, le modalità di premiazione dei concorrenti e la distinzione dei circuiti agonistici in età imperiale. This article aims at introducing a number of  data acquired through the analysis of  the 136 literary, epigraphic and papyraceous sources regarding the musical Pythia of  Delfi. First of  all, the article will provide a prosopography of  the pythionikai, along with an interpretation of   the information which mainly concern the winners’ origins and their chronological sequence. Epigraphic sources will be taken into account above all the others, in order to highlight them both from a formal and practical point of  view. Therefore, the article will analyse the agonistic formulary obtained from the honorific inscriptions (especially from Imperial Age) and, as an example, two epigraphs, which offer very interesting ways of  reflecting on the development of  the musical program, the procedure of  the award ceremony and the different agonistic circuits in the Imperial Age.

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ALESSANDRA MANIERI Università del Salento

GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

Le iscrizioni riguardanti gli agoni musicali dei Soteria, celebrati a  Delfi per commemorare la disfatta dei Galati e  la liberazione del santuario di Apollo, costituiscono un punto di riferimento imprescindibile per indagare le caratteristiche e  le modalità di esibizione di un coro nei concorsi di età ellenistica. Le fonti antiche consentono di distinguere due manifestazioni differenti dei Soteria, successive nel tempo: i Soteria anfizionici, a cadenza annuale o  biennale 1, celebrati per la prima volta immediatamente dopo la cacciata dei Galati (279-278), e i Soteria etolici, a  cadenza quadriennale, riorganizzati dagli Etoli dopo il 250 a.C. 2 Un documento isolato, risalente al  II sec. a.C., dà inoltre testimonianza dei cosiddetti Soteria invernali, una festa forse celebrata annualmente ‘in kleinerem Stile’, accanto alla più grande solennità della manifestazione penteterica del concorso panellenico 3.

1 Per la periodicità annuale propendono, tra gli altri, Roussel 1923,  3133; Robert 1930; Flacelière 1937,  147-148; Sifakis 1967,  64; Nachtergael 1977, 270; per la cadenza biennale vd. da ultimi Knoepfler 1995; Lefèvre 1995, 162 ss. 2  La distinzione tra le due manifestazioni fu per la prima volta intuita da Roussel (1924, 105-106: «en l’année de Polyeuktos, les Sôtéria, accaparées et complètement transformées par les Aitoliens, sont devenues une fête pentétérique. Les catalogues où figurent l’agonothète aitolien sont postérieurs à cette transformation; tous les autres sont des témoins de l’ancienne fête amphictyonique, apparemment annuelle») e accolta dagli studiosi successivi. Ma vd. ancora Kolbe 1933. 3   Per le diverse ipotesi sulle caratteristiche dei Soteria invernali vd. Nachtergael 1977, 373-376, con riferimenti a bibliografia precedente.

10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115172

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A. MANIERI

Come si può arguire dal­l’esemplificazione riportata nella tabella 1, in cui per esigenza di chiarezza sono stati evidenziati i termini chiave, le fonti epigrafiche relative alle distinte manifestazioni differiscono nella tipologia 4: le liste dei Soteria anfizionici (un esempio nella colonna sinistra) contengono l’elenco di tutti gli artisti che hanno preso parte alle manifestazioni, senza l’indicazione di eventuali vincitori, introdotto da una formula poco variata: ἠγωνίσαντο δὲ οἵδε, nei cataloghi più antichi, οἵδε ἠγωνίσαντο τὸν ἀγῶνα τῶν Σωτηρίων, nei cataloghi più recenti. L’unica iscrizione attestante i  Soteria invernali (in basso nella colonna destra) conserva l’elenco degli artisti inviati dalla compagnia del­ l’Istmo e  di Nemea per partecipare gratuitamente al­l’agone in onore del dio 5. Le iscrizioni relative ai Soteria etolici (un esempio in alto nella colonna destra) sono invece cataloghi agonistici che registrano solo i  vincitori del concorso, introdotti dalla formula οἵδε ἐνίκων τὰ Σωτήρια. La struttura di tutte le epigrafi, con gli artisti elencati in successione e raggruppati per categorie, rispetta l’ordine tipico delle manifestazioni agonistiche e  attesta un’identica successione di esibizioni artistiche (prove solistiche, esibizioni corali, rappresentazioni drammatiche) 6. Ciò induce a pensare che non vi sia soluzione di continuità nella formula agonistica delle diverse fasi dei Soteria: come si è cercato di dimostrare in un recente contributo 7, non è difatti possibile escludere lo svolgersi di vere e proprie competizioni anche durante i  Soteria anfizionici (da taluni ritenuti degli spettacoli più che dei concorsi veri e propri), cui dovevano partecipare sia gli artisti solisti sia le diverse compagnie di attori tragici e comici.

Cfr. da ultimo Manieri 2013.   Cfr. 80, 4 Nacht. τοὺς ἀγωνιξομέ[νους τῶι θε]ῶι δωρεὰν τού[σδε]. Per l’offerta ‘gratuita’ del­l’agone da parte degli artisti anche nella prima fase del concorso anfizionico cfr. Manieri 2013, 140 ss. 6  Le prove solistiche comprendono, in entrambe le fasi, esibizioni di rapsodi, citaristi e  citarodi. Solo in due manifestazioni dei Soteria anfizionici sono registrate esibizioni di prosodi: cfr. nn. 4 e 9 Nacht. 7   Per la discussione sulla particolare natura dei Soteria anfizionici, consistenti in uno spettacolo offerto dai technitai oppure in una vera e propria manifestazione agonistica cfr. Manieri 2013, in particolare 143 ss. 4  5

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

Tab. 1 – Liste dei Soteria a confronto Soteria anfizionici 7 Nacht. – 260/59 o 256/5? ἐπὶ Ἀρισταγόρα ἄρχοντος, ἱερέως δὲ Φιλωνίδου τοῦ Ἀριστομάχου Ζακυν θίου, – ἱερομνημονούντων Αἰτωλῶν Πολύφρονος, Τελέστα, Ἀλεξάνδρου,   5 Εὐκταίου, Μιμνέα, Εὐνίκου, Λύκου, Πολεμάρχου, Πολεμαίου, – Δελφῶν Ἀρχιάδα, Μαντία, – Ἱστιαιέων Φύτωνος – οἵδε ἠγωνίσαντο τὸν ἀγῶνα τῶν Σωτηρίων· 10 ῥαψωιδοί· Πολύμνηστος Ἀλεξάνδρου Ἀρκάς, Κλειτόριος Ἀριστείδου Ἀρκάς. κιθαρισταί· Ἐπικράτης Μαιανδρίου Μυρι ναῖος, – Καλλίας Πολυξένου Πελληνεύς. κιθαρωιδοί· Ἀνδροκλῆς Φωκίωνος Ἀθηναῖος, 15 Νίκων vac. Θρονιεύς. παῖδες χορευταί· Ἡρακλειόδωρος Διογείτονος Βοιώτιος, Νίκων Θεομένου Ἀθηναῖος, Ἰσμηνόδωρος Μικίωνος Βοιώτιος, 20 Ἀντιγένης Βουλευτοῦ Χαλκιδεύς, Χάρης Χαιρίωνος Βοιώτιος. vacant 7 versus ἄνδρες χορευταί· Ἀπολλόδωρος Θήρωνος Βοι[ώ]τιος, Λύκος Διονυσίου Ἀθηναῖος, 25 Μένων Ἀθηνίππου [Ἀθη]ναῖος, Φειδακίδας Φειδᾶ [Κεῖος], [Α]ἰνησίδ[ημος Ἀρίστων]ος Βυζάντ[ιος]. vacant 6 versus αὐληταί· Δείνων Ἡρακλε[ί]δου Αἰγινήτης, Νικόπολις Θεογείτονος Βοιώτιος. 30 δι[δ]άσκ[αλ]οι· Ἡράκλειτος Θάλλου Χαλκι δεύς, [- Μν]ήσιππος [Δ]ίωνος Βοιώτιος. [τρ]αγωιδοί· – Ο[ἰ]κιάδ[η]ς Νικάνδρου Κασσαν δ[ρε]ύς, – Εὐχ[α]ρίδης Ἐπιχάρου Ὀπούντιος, Δάμων Ε[ὐ]δήμου Μεγαρε[ύ]ς. αὐλ[η]τής· Διόφ[αν]το[ς] vac. Χῖος. διδάσκαλος· Σάτ[υ]ρος Σιμάκου Ἀργεῖο[ς]. omissis κωμωιδοί· omissis

Soteria etolici 65 Nacht. – 217/6? ἀγωνοθετοῦντος Ξεννία τοῦ Ἑλλανίκου Αἰτωλοῦ ἐκ ̣ Τρ[ι][χο]νείου, ἱερομνημονούντων Αἰτωλῶν Κρατίδα, Τηλ ̣έα̣ ̣, [Π]α ̣ιπάλου, Πυρραίθου, Ἀριστομάχου, Τιμοθέου, Φιλλ[έα?], [Αἰ]τωλίωνος, Ἀλεξάνδρου, Πυρρίνου, Σωτίωνος, [Ἀ̣θ ̣[α] 5 ν ̣ίωνος, Λυσίμβου, Ὑβρίστα, [․․]ο ̣κλέος· Χίων Νικ ̣[․․․․․]· Δελφῶν Μνάσωνος, Βαβύλου. οἵδε ἐν[ίκω]ν τὰ Σωτήρια· ῥαψωιδὸς Νικίας vac. κιθαρισ[τὰ]ς Φιλόξενος Ξεννιάδα Κορίνθιος· κιθαρωιδὸς Θεύφραστος Εὐάρχου Αἰτωλός· αὐλητὰς παῖδας 10 Ἑρμαιώνδας Νικίου Βοιώτιος· ἡγεμὼν παῖδας Ἕρ[μιπ?]π ̣ο ̣ς vac. αὐλητὰς ἄνδρας Νικ[οκλῆς(?)] Τιμοδήμου Σικυώνιος· ἡγεμὼν ἄνδρας Δημη[․․․․] Ἀγαθοφάνου Βοιώτιος· τραγωιδὸς Διονύσιος Διοφ[․․․․] Ῥόδιος· κωμωιδὸς Ἀμύκλας Εὐφραίου Ἱστιαιεύ[ς].

Soteria d’inverno 80 Nacht. – 145-125 a.C. [θεός. τύχαι ἀγαθᾶι· πρε]σ ̣βευτᾶν ἐξαποσταλέντω[ν ὐ]πὸ τᾶς πόλιος τᾶς Δελφῶν ποτὶ τὸ κ]οιν ̣[ὸν τῶν τεχνιτᾶν] [τῶν ἐξ Ἰσθμοῦ καὶ Ν]εμέας Πολίτα τοῦ Ἀσάνδρου, Νικαρέτου τοῦ Ἀν[τιχάρεος, Πολέμων]ος τοῦ Πολεμά[ρχου περὶ] [τοῦ ἀγῶνος τῶν χ]ειμερινῶν Σωτηρίων, ὥστε καταγωνίξασθαι τῶι θε[ῶι τὸν ἀγῶνα ἐ]πιετῆ· συν[ακολούθησαν οἰ] [τεχνῖται τοῖς π]αρακαλειμένοις καὶ ἐξαπέστειλαν τοὺς ἀγωνιξομέ[νους τῶι θε]ῶι δωρεὰν τού[σδε]· [κιθαριστ]ά[ς]· Διονύσιος Θεοδότου Θηβαῖος. κιθαρωιδός· Τυραννίας Αὐτομήδους Θηβαῖος. χορευταί· Ξένων Δώρου Θηβαῖος, Θεογείτων Κλειμήδου Θηβαῖος. 10 ἡγεμὼν παῖς· Ἀρίστων Στράτωνος. ἡγεμὼν ἀνδρῶν· Τυραννίας. χορευταί· [Ἀ]θηνοκλῆς Ξενοκλέους Θηβαῖος, [Ἰ]σμήνων Τιμοκλέους Θηβαῖος. κωμωιδός· Ἀπολλᾶς Φενεάτης. omissis

 5

Più complessa è  la questione relativa alla presenza, nella fase anfizionica, di un’eventuale gara anche tra i  cori di ἄνδρες e παῖδες 8, registrati nelle iscrizioni dopo i  solisti e  prima degli ar8  Se ad ogni manifestazione prendevano parte solo due cori di dieci/quindici membri ciascuno, uno di ἄνδρες e  uno di παῖδες, allora essi potrebbero aver offerto semplicemente i loro canti in onore di Apollo; si può presupporre invece una competizione se si ipotizza la presenza di più cori per categoria, o se si ritiene che

359

A. MANIERI

tisti scenici (gara chiaramente attestata dai cataloghi agonistici per i Soteria etolici che ne menzionano i vincitori) giacché i documenti relativi risultano di non agevole interpretazione non solo a causa del loro stato frammentario, ma soprattutto a causa della loro essenzialità, tipica della documentazione epigrafica. L’even­ tuale agonalità dei cori che si esibivano ai Soteria anfizionici sarà pertanto oggetto del­l’indagine che si intende sviluppare nel presente studio. Sulla base delle fonti relative ai  concorsi musicali dei Soteria e delle osservazioni presenti negli studi moderni 9, proponiamo di seguito le nostre tabelle riassuntive che possano costituire il punto di partenza per le osservazioni successive, volte a  ripercorrere e discutere le differenti opinioni sinora proposte sulla questione. Nelle tabelle sono raccolte le informazioni relative alle esibizioni corali ricavabili dalle epigrafi, di cui riproducono la terminologia. Nella tabella 2, relativa ai Soteria anfizionici, è indicato nelle diverse colonne il numero dei protagonisti del concorso corale menzionati nelle iscrizioni, catalogati in base alle loro funzioni (auleti, maestri di coro e  coreuti) 10; nella tabella  3, che si riferisce ai  Soteria etolici, l’indicazione della funzione è  seguita dal nome del­l’unico vincitore registrato nelle epigrafi relative (sono premiati maestri e  auleti, non sono menzionati i  coreuti); la tabella  4, che riguarda l’unica edizione attestata dei Soteria d’inverno, registra nomi e  specialità degli artisti impegnati nei cori. Si riporta, di seguito alle tabelle (suppl. 5), come esemplificazione, un ampio stralcio di una delle iscrizioni più integre contenente l’elenco degli artisti partecipanti ad una delle edizioni dei Soteria anfizionici. Per rendere più agevole la lettura sono stati evidenziati i nomi che connotano le funzioni degli artisti.

ciascun coreuta menzionato potesse essere di fatto un capo-coro. Per l’analisi di queste tre ipotesi vd. trattazione seguente. 9  Vd. in particolare la tabella in Sifakis 1967,  73; la tabella in Nachtergael 1977, 307; le osservazioni di Slater 1997, 101-102. 10  Le iscrizioni non sempre registrano i protagonisti del­l’agone corale nello stesso ordine di successione: i nomi dei coreuti, per esempio, talvolta precedono, talaltra seguono quelli dei didaskaloi e degli auleti.

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

Tab. 2 – Membri dei cori ai Soteria anfizionici  11  12  13

Edizione

Auleti

Maestri

Cori

2 Nacht.

[αὐ]ληταί: 2 nomi? (Σωκράτ[ης?] — — ․․․․․δας Θεαρχ— —)

[δι]δάσκαλος: 2 nomi? ( Ἄνδρω[ν?] — — ․ΛΛΕΙΔΗΣ Φ․Η․ΙΡΑΣΙΛ)

cori di fanciulli: ?

cori di adulti: ?

3 Nacht.

auleti?

παίδω]ν ἡγεμών: 1 nome? (Πολέας Ἀρεσκώνδου Βοιώτιος) o 2 nomi?

cori di fanciulli: da 10 a 15 nomi?

cori di adulti: da 10 a 15 nomi?

cori di fanciulli: ?

cori di adulti: ?

ἄ]νδρας ἡγεμών: 1 nome? (Πυθοκλῆς [Ἀριστάρχου Ἑρμιονεύς) o 2 nomi? [διδά]σ̣[καλος: 1 nome? (Ἀλέξανδρος Διο[— — — —]) o 2 nomi?

4 Nacht.

[αὐ]ληταί: 1 nome (Χαρικλῆς Χαιρίωνος [Βοιώτιος]

5 Nacht.

Lista frammentaria, soprattutto sul lato destro; mancano denominazioni di specialità artistiche; integrati 25 nomi: 14 παῖδες e  11 ἄνδρες? (Nacht.). Tra i  nomi devono trovare posto didaskaloi e auleti.

7 Nacht.

αὐληταί: 2 nomi (Δείνων Ἡρακλε[ί]δου Αἰγινήτης, Νικόπολις Θεογείτονος Βοιώτιος).

δι[δ]άσκ[αλοι]: 2 nomi (Ἡράκλειτος Θάλλου Χαλκιδεύς, [- Μν]ήσιππος [Δ]ίωνος Βοιώτιος).

παῖδες χορευταί: 5 nomi + 7 linee bian­che, previste per un’ag­giun­ta di nomi11

ἄνδρες χορευταί: 5 nomi + 6 linee bian­che previste per un’ag­giun­ta di nomi12

8 Nacht.

αὐλη[ταί: 3 nomi (Σ]ωκράτης Σωχάριδος Ῥόδιος, Νικαίας Νικάδα Ἀρκάς, Ἄνδ[ρ]ων Πολυξένου Πελληνεύς)13

Διδάσκαλος: 1 nome alla l. 83? (Πρόνομος Διογείτων Βοιώτιος)

[χο]ρ[ο]ὶ παίδ[ω]ν: 13 nomi; i primi due nomi sembrano in evidenza perché separati da un trattino (Ἡρακλειόδωρος Δίωνος [Βοιώ]τιος, – Πολυκλῆς Ἐροτίωνος Βοιώ[τιο]ς, – )

χοροὶ ἀνδρῶν: 15 nomi; i primi due nomi sembrano in evi­denza perché se­pa­rati da un trattino (Πυθοκλῆς Ἀριστάρχου Ἑρμιονεύς, – Παντακλῆς Ἀριστάρχου Ἑρμιονεύς-)

11  Lo spazio bianco tra le ll. 21-22 è di 7 linee per Nachtergael (ad loc.), di 6  linee per Wescher-Foucart (1863, n. 3), di 10 linee secondo Baunack (ad SGDI 2563), di 5 linee secondo Pomtow (ad Syll.3 424). Ved. Nachtergael 1977, 414. 12   Lo spazio bianco tra le ll. 27-28 è di 7 linee per Nachtergael (ad loc.), di 6  linee per Wescher-Foucart (1863, n. 3), di 10 linee secondo Baunack (ad SGDI 2563), di 5 linee secondo Pomtow (ad Syll.3 424). Ved. Nachtergael 1977, 414. 13  Baunack (ad SGDI 2564), ritenendo che anche il coro di fanciulli, che include nell’epigrafe 13 nomi, debba contemplare lo stesso numero di coreuti

361

A. MANIERI

Edizione

Auleti

Maestri

Cori

9 Nacht.

αὐληταί: 1 nome (Δείνων Δείνωνος)14

διδάσκαλος: 1 nome (Εὔδοξος Ἐπηράτου Σικυώνιος)

παῖδες χορευταί: 15 nomi

[ἄ]ν[δρ]ες χορευταί: 15 nomi; il primo no­me separato dagli al­tri con trattino (Καλλίβιος Βίωνος Σικυώνιος, -)

10 Nacht.

αὐληταί: 2 nomi (Ἄνδρων Πολυξένου Πελληνεύς, Ἱπποκλῆς Σμίκρωνος Βοιώτιος)

διδάσκαλοι αὐλητῶν15: 2 nomi (- Λύσιππος Ξενοτίμου Ἀρκάς, – Νικόδρομος vac.)

παῖδες χορευταί: 15 nomi

χοροὶ ἀνδρῶν: 15 nomi

  14  15

Tab. 3 – Vincitori di gare corali ai Soteria etolici Edizioni

auleti vincitori

maestri vincitori

60 Nacht.

αὐλητὴς τοὺς π[αῖδας·

αὐλητὴς] τοὺς ἄνδρας· Σωσιφ[

ἡγεμὼν τοὺς παῖδας] Καλλίας Καφισοδώρο[υ Βοιώτιος

62 Nacht.

αὐλητὰς τ[οὺς] [παῖδας — — — Ἀ]ργεῖος·

αὐλητ[ὰς τοὺς ἄνδρας]

χορευτὴς [τοὺς] [παῖδας — — —]ς·

63 Nacht.

[— — — αὐλητὰς τοὺ]ς παῖδας· Πηλεὺς Ἀντιπά[τρου]

[…αὐλητὰς τοὺς ἄνδρας․․․․․․․․․․․]ιος Βοιώτιος.

64 Nacht.

αὐλητὰς παῖδας Ἀριστόλοχος Ἀριστογείτονος Βοιώτιος

αὐλητὰς ἄνδρας Ἀριστόλοχος Ἀριστογείτονος Βοιώτιος

χορευτὰς παῖδας Ἀριστέας Ἀριστίου Σικυώνιος

[…ἡγεμὼν τοὺς ἄνδρας Ἀρίστιππος?] Κάλλωνος Αἰτωλός

χορευτὴς τοὺς ἄνδρας Κράτων Ἀνθέμωνος Βοιώτιος

adulti, che nell’epigrafe sono 15, ipotizza che Ἄνδ[ρ]ων Πολυξένου Πελληνεύς possa essere stato erroneamente registrato tra gli auleti ma debba essere di fatto un membro del coro dei fanciulli e in aggiunta suppone che un altro nome sia stato omesso dal lapicida. Contra ved. Capps 1900, 128 sgg. Per le variazioni nei numeri dei coreuti dovute ad un errore del lapicida ved. anche Ringwood 1927, 30, nota  313. Niente tuttavia impone di ritenere che i cori abbiano in ogni manifestazione lo stesso numero di coreuti. Nachtergael pensa che Ἄνδ[ρ]ων, invece che terzo auleta, possa essere il secondo didaskalos: il primo sarebbe stato menzionato solo alla l. 83, dopo tutti gli altri concorrenti. Ved. Nachtergael 1977, 417, nota 16. Ἄνδ[ρ]ων è didaskalos in 2 Nacht. mentre auleta in 10 Nacht. 14  A conclusione della lista, dopo la menzione di tutti gli altri artisti (l. 82) è registrato un altro αὐλητής: Ἐπικράτης Ἀσώπωνος Βοιώτιος. Nachtergael (1977, 421) ritiene che sia l’auleta omesso dopo il διδάσκαλος Εὔδοξος menzionato alla l. 47. 15  Per l’espressione ved. Slater 1997, 101, citato oltre alla nota 22.

362

GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

Edizioni

auleti vincitori

maestri vincitori

65 Nacht.

αὐλητὰς παῖδας· Ἑρμαιώνδας Νικίου Βοιώτιος

αὐλητὰς ἄνδρας Νικ[οκλῆς?] Τιμοδήμου Σικυώνιος

ἡγεμὼν παῖδας· Ἕρ[μιπ?]π ̣ος̣ vac.

ἡγεμὼν ἄνδρας Δημη[․․․․] Ἀγαθοφάνου Βοιώτιος

66 Nacht.

αὐλητὰς τοὺς παῖδας Σώπολις Ν̣[ουμηνίου Συρακόσιος]

αὐλητὰς τοὺς ἄνδρας Σώπολις Νουμηνίου Σ[υρακόσιος

ἡγεμὼν τοὺς παῖδας Ἀγαθοκλῆς Προξένου Ὀρχ̣ [ομένιος?] ̣

ἡγεμὼν τοὺς] ἄνδρας Χάρινος Μενάλκεος Βοιώτιος

67 Nacht.

αὐλητ[ὰς ̣ τοὺς ἄνδρας]

[ἡγεμὼν τοὺς ἄνδ]ρας

Tab. 4 – Membri dei cori ai Soteria invernali Edizione 80 Nacht.

Maestri ἡγεμὼν παῖς· Ἀρίστων Στράτωνος.

Cori

ἡγεμὼν ἀνδρῶν· Τυραννίας.

χορευταί· Ξένων Δώρου Θηβαῖος, Θεογείτων Κλειμήδου Θηβαῖος

χορευταί· [Ἀ]θηνοκλῆς Ξενοκλέους Θηβαῖος, [Ἰ]σμήνων Τιμοκλέους Θηβαῖος.

Suppl. 5 – Artisti ai Soteria anfizionici (10 Nacht., ll. 8 ss.) ῥαψωιδοί· Κλειτόριος Ἀρι   στείδου Ἀρκ[άς, Εὐθ]ύδημος 10   Χάρητος Ἀθηναῖος· κιθαρισταί· Καλλίας Πολυξένου Πελληνεύς· κιθαρωιδοί· Ὄροικ ̣ος Φιλίσκου Μεσσήνιος,  Χαρῖνος Γέροντος Βυζάντιος,   Διονυσόδωρος Πάρμιδος Ἀβδηρίτης· 15 αὐληταί· Ἄνδρων Πολυξένου Πελληνεύς,   Ἱπποκλῆς Σμίκρωνος Βοιώτιος· διδάσκαλοι αὐλητῶν· – Λύσιππος Ξενοτί   μου Ἀρκάς, – Νικόδρομος vac. παῖδες χορευταί· 20   Στάτων Στράτωνος Βοιώτιος,   Φιλόμηλος Δαίτωνος Βοιώτιος,   Ἐπικράτης Νικόμηδου Ἀργεῖος,  Ἀντιγένης Βουλεύτου Χαλκιδεύς,   Ἀρίστων Εὐθυμίχου Βοιώτιος, 25 Ἀριστογένης Εὐφράνορος Σικυώνιος, Ξεννίας Ἀρχετίμου Ἀρκάς,   Ξένων Σατύρου Ἀρκάς,  Φιλινίων Γόργου Ἀρκάς,   Γνωτέας Γλαύκου Κνίδιος, 363

A. MANIERI

30 Κλειτίας Καλλίου Κλειτόριος,   Μικύλος Ἱππάκου Κυναιθεύς,   Ἀλκίας Δαιφάντου Κλειτόριος,   Τίμαρχος Ἀνδροίτα Κλειτόριος,   Ἀλεξίππος Δεινομένου Κυναιθεύς· 35 χοροὶ ἀνδρῶν· Πανκλῆς Κορυμβίου Αἰτωλός,   Ἀμφαρείδας Δεινία Κλειτόριος,   Γνωτέας Γλαύκου Κνίδιος,   Ἵππων Ἀριστοκράτους Σικυώνιος,   Ὀνατίδας Χαριδήμου Σικυώνιος, 40 Ἀπολλόδωρος Θήρωνος Βοιώτιος,   Φειδακίδας Φειδᾶ Κεῖος,   Ἀριστόθεος Θεοθιμίδου Βοιώτιος,   Ἵππων Ὀνασίμου Βοιώτιος,  Δάμαρχος Τέλωνος Βοιώτιος, 45 Πραξίων Πραξαγόρου Σικυώνιος,   Ἡράκλειτος Νικοδήμου Ταραντῖνος,   Θέστων Δαμοφάντου Ἀργεῖος,   Ἀλκισθένης Ἀριστογένου Σικυώνιος,   Κάλλιππος Διονυσίου Σάμιος· 50 τραγωιδοί· Ἀλέξανδρος Δημητρίου Ἀθηναῖος,   Ἡράκλειτος Δίωνος Ἀθηναῖος,  Φρασ[ί]λαος Τεισικράτους Ἀθηναῖος· αὐλητής· Ὀρσίλαος Ἑρμαίωνος Βοιώτιος· διδάσκαλος· Πειθίας Ἐξαινέτου Ἀρκάς· omissis 60 κωμωιδοί· Ἱερότιμος Ἱεροκλέους Τεγεάτης,   Νουμήνιος Ἑρμώνακτος Ἀργεῖος,  Δαμότιμος Τίμωνος Ἀμβρακιώτης· αὐλητής· Φιλόξενος Ἕλλανος Τεγεάτης· διδάσκαλος· Θύρσος Κρίτωνος Ἐφέσιος· omissis χορευταὶ κωμικοί· Ἀρχεδάμας Ἀριστοκρίτου  Σικυώνιος, – Στράτιος Κόμωνος Ἀργεῖος,   Χαίριχος Ἀρχελόχου Βοιώτιος,   Θερσίνους Νικωνίδου Σικυώνιος, 75   Ἡρακλείδης Λύκου Ἀμβρακιώτης,   Κηφισόδωρος Καλλίου Βοιώτιος,   Διονυσόδωρος Παμφίλου Μεγαρεύς· ἱματιομίσθαι· Στρατοκλῆς Ἀπολλωδόρου  Σαλαμίνιος.

364

GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

Dal­l’analisi e  dal confronto dei dati sopra riportati emerge con chiarezza che, in tutte le fasi del concorso, le esibizioni corali erano distinte per fasce d’età (παῖδες e ἄνδρες) e che i membri del coro erano supportati dalle due figure del didaskalos e del­l’auleta ai quali, perlomeno nei Soteria etolici, era assegnato il premio del­ l’eventuale vittoria 16. In  queste liste più tarde la categoria degli auleti è  meglio determinata con l’aggiunta della specificazione τοὺς παῖδας e  τοὺς ἄνδρας: ciò consente di ipotizzare che, anche nella prima fase dei Soteria, gli auleti non si esibissero come solisti, alla stregua dei rapsodi, dei citaristi e dei citarodi registrati subito prima, ma prendessero parte al­ l’esibizione dei cori 17, di cui, già a  partire dal IV secolo, erano divenuti gli elementi portanti 18. Accanto al­l’auleta è riportato nelle epigrafi il nome del responsabile del coro: appare difatti evidente che debbano essere riferite alla stessa funzione le diverse espressioni contenute nelle iscrizioni delfiche al  singolare o  al  plurale (διδάσκαλος, ἡγεμών, διδάσκαλοι αὐλητῶν; ma vedi anche χορευτὴς τοὺς ἄνδρας, χορευτὰς παῖδας in 62 e 64 Nacht.), con le specificazioni, leggermente variate, relative alle categorie di età 19. Tale funzione, modificatasi rispetto a quella del maestro-poe­ta del V secolo 20, doveva consistere nel­l’istruire il coro (questo il senso di διδάσκαλος) 21 e  nel dirigerlo durante l’esecuzione mentre l’auleta suonava (tale il senso di ἡγεμών). Al tempo stesso il διδάσκαλος doveva svolgere anche il ruolo di membro effettivo del coro e  di primo cantore 22. Sembra difatti 16  Sulla terminologia relativa alle gare corali, con riferimento anche a  testi di natura epigrafica, cfr. Robert 1938, 31-35; Slater 1997; Fearn 2007, 163-181; 205-212; D’Alessio 2013; Ceccarelli 2013. 17  Cfr. Slater 1997, 105. 18  Vd. oltre. 19   Reisch 1885, 110; Slater 1997. Vd. anche Manieri 2009, 181-182. 20  Cfr. Slater 1997, 104: «L’aulètès fournissait la musique, le rythme et parfois, peut être, les paroles, alors que l’hègemôn était en charge de la diction et de l’harmonie, et dirigeait le choeur pendant que l’aulètès jouait. Dans un choeur régulier, toutefois, il chantait lui-même». Vd. anche Manieri 2009, 179, n. 5. 21  Vd. la ricorrenza del verbo ἐδίδασκε nelle iscrizioni coregiche: cfr., p. es., le iscrizioni coregiche ateniesi raccolte in Ieranò 1997, 331 ss. (Appendice prima). 22  Cfr. Slater 1997, 105: «comme le chant devenait dans le choeur de plus en plus important et se professionalisait, l’hègemôn en vint à assumer à la fois les fonctions de chef  de choeur et de premier chanteur. On peut donc le considérer comme un didaskalos, mais… il chante aussi en tant que membre du choeur».

365

A. MANIERI

indubbio che il termine χορευτής utilizzato nelle liste etoliche 23 designasse il primo cantore e responsabile del coro, che era colui che riceveva l’eventuale premio della vittoria; non si può essere certi, invece, che il termine χορευτής possedesse lo stesso significato nelle espressioni παῖδες χορευταί e ἄνδρες χορευταί ricorrenti al plurale nelle liste anfizioniche (tab. 2), menzionate accanto agli auleti e  ai didaskaloi (7,  9 e  10 Nacht.), e  corrispondenti, nelle altre epigrafi relative ai  Soteria anfizionici, alle espressioni χοροὶ παίδων e χοροὶ ἀνδρῶν (8 e 10 Nacht.). Il problema nasce dal fatto che, nelle iscrizioni anfizioniche, queste espressioni sono seguite da un minimo di dieci ad un massimo di quindici nomi (vedi la lista riprodotta al suppl. 5; si leggono solo cinque nomi di παῖδες e cinque di ἄνδρες nel­l’epigrafe 7 Nacht. riportata nella tabella 1, in cui però la presenza di alcune linee bianche 24 fa intendere che era prevista l’aggiunta di altri nomi in entrambe le categorie). A proposito dunque del ruolo dei personaggi registrati in questi elenchi sono state prospettate dagli studiosi tre differenti interpretazioni che di seguito analizziamo e  discutiamo: 1) tali nomi identificherebbero i maestri di differenti cori; 2) oppure potrebbero riferirsi ai cantori di due soli cori distinti, uno di adulti, l’altro di fanciulli (se così fosse lo svolgimento di una competizione corale sarebbe da escludere) 25; 3) potrebbero infine essere i  nomi dei cantori dei diversi cori che presero parte al­l’agone, costi­tuiti ciascuno da un esiguo numero di elementi. 1.  La prima interpretazione fu proposta da Ulrich Kahrstedt 26, il quale sostenne che i nomi elencati nelle epigrafi dopo le espresIn tal senso l’espressione διδάσκαλοι αὐλητῶν che ricorre nella testimonianza n. 10 Nacht. (vd. tab. 2), è interpretata da Slater (1997, 101) non nel senso specifico di ‘maestri degli auleti’ ma piuttosto come «didaskaloi des choeurs accompagnés par les joueurs de flûte» o, potremmo meglio specificare, didaskaloi degli auleti che si esibiscono con l’accompagnamento del coro. Per il chorodidaskalos con funzioni di corifeo-direttore già in età precedente cfr. Pind. Ol. 6, 87 ss. e vd. Vigneri 2000; Giannini 2013, 468. Vd. ancora la ricorrenza del verbo ἄδοντος per indicare il chorodidaskalos, accanto alla menzione del­l’auleta, nelle iscrizioni coregiche di Orcomeno del III-II sec. a.C.: Amandry-Spyropoulos 1974, nn. 5-20 = Orc. 7-22 in Manieri 2009, 190 ss.; vd. Manieri 2009, 178-179. 23   χορευτὴς τοὺς ἄνδρας, χορευτὰς παῖδας in 62 e 64 Nacht. 24  Vd. sopra, nn. 11 e 12. 25  Cfr. Manieri 2013, 144, n. 62. 26 1937, 375-376.

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

sioni παῖδες χορευταί e  ἄνδρες χορευταί ovvero χοροὶ παίδων e  χοροὶ ἀνδρῶν non identificassero i  membri dei cori che si esibirono alle feste ma che ciascuno di essi si riferisse ad un capocoro 27. Andrebbe a  favore di questa ipotesi il fatto che, come evidenziato sopra, in due delle liste etoliche (62 e 64 Nacht.) le espressioni χορευτὴς τοὺς ἄνδρας e  χορευτὰς παῖδας, seguite dai nomi dei vincitori, sono di fatto usate come sinonimi di ἡγεμόνες e διδάσκαλοι. Q uesta interpretazione consentirebbe inoltre di risolvere il problema che nasce dal fatto che alcuni personaggi si trovano ad essere contemporaneamente menzionati tra i  παῖδες χορευταί e gli ἄνδρες χορευταί: se si trattasse di capi-coro e non di singoli cantori, non stupirebbe la presenza di adulti tra i maestri dei cori dei παῖδες. Con questa ipotesi sembra concordare Pickard-Cambridge 28 quando scrive: «In un anno tipico (SGDI 2563 = SIG3 424) 29 fra i  membri in competizione v’erano due rapsodi, due κιθαρισταί, due κιθαρωιδοί, cinque παῖδες χορευταί e  cinque ἄνδρες χορευταί (questi dieci erano probabilmente solo i  capi di altrettanti cori ditirambici 30), due αὐληταί con un διδάσκαλος a  testa, tre compagnie tragiche  … quattro compagnie comiche». L’esempio citato da Pickard-Cambridge fa però riferimento al­l’unica epigrafe in cui sono elencati solo cinque membri del coro di adulti e cinque del coro di ragazzi, accanto ai quali, come si è detto, negli spazi rimasti bianchi, era probabilmente prevista l’aggiunta di ulteriori nomi 31. Di fatto, dunque, ogni categoria di χορευταί doveva comprendere almeno da dieci a  quindici nomi. Ciò implicherebbe, se l’ipotesi di Kahrstedt fosse corretta, la presenza, per alcune manifestazioni, di trenta cori in totale, un numero assai elevato anche a confronto con i più importanti concorsi corali greci, come le Dionisie ateniesi, dove si esibivano in tutto venti cori, dieci di adulti e dieci di ragazzi, reclutati tra i cittadini e non costituiti dai membri delle corporazioni di artisti itineranti 32.   Kahrstedt 1937, 375: «alle genannten wären Chorführen».   Pickard-Cambridge 1996, 389. 29   Si tratta del­l’epigrafe riportata nella tab. 1 (7 Nacht.). 30  Corsivo mio. 31  Vd. sopra, nn. 11 e 12. 32  Cfr.  Nachtergael 1977,  259: «Cette interprétation est invraisemblable tant au point de vue de l’organisation des jeux que sur le plan de l’intérêt – pour 27 28

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A. MANIERI

Sarebbe inoltre difficile porre in relazione le funzioni dei numerosi capi-coro con quelle dei didaskaloi o degli hegemones menzionati nelle epigrafi in numero da uno a tre, che Pickard-Cambridge collega alle prestazioni degli auleti, forse per risolvere tale incongruenza 33. Occorre ribadire che la peculiarità delle liste anfizioniche è proprio quella di riportare i nomi di tutti coloro che con­tri­bui­ rono alla realizzazione delle manifestazioni e non solo di coloro che riportarono il premio. Pertanto non stupisce che queste liste conservino anche i nomi di tutti membri dei cori, alla stregua degli altri artisti o di altri personaggi coinvolti nel­l’organizzazione delle feste, tra cui, p. es., persino i costumieri 34, registrati alla fine delle iscrizioni. La presenza contemporanea degli stessi nomi di artisti in categorie corali diverse per fascia di età deve trovare altre spiegazioni. Nella quasi totalità dei casi si tratta di nomi integrati, per i quali le identificazioni sono solo ipotetiche 35. Di certa lettura è tuttavia almeno il nome di Γνωτέας Γλαύκου Κνίδιος che, nello stesso agone (10,  29 e  10,  37 Nacht.), è  menzionato sia tra i  membri dei cori di adulti che tra quelli dei cori di fanciulli. Nachtergael rileva, tuttavia, che le distinzioni per classi d’età non dovevano essere rigorosamente definite e che poteva accadere che, in particolari circostanze, un fanciullo gareggiasse tra i seniores, o che gli adulti intervenissero a dare sostegno ad un coro di fanciulli. Si  aggiunga che non necessariamente gli stessi nomi in un’epigrafe indicano gli stessi personaggi. Non sono rari i casi di omonimie che si riscontrano soprattutto tra membri di una stessa famiglia: un esempio tra gli altri in un concorso dei Mouseia di Tespie, in cui il nome Kleainetos di Dasyos, che ricorre due volte nella stessa epigrafe, a  designare sia l’agonoteta sia il portatore ne pas dire de la résistance des spectateurs». Per la presenza, nei cori delfici, non di artisti locali ma di coreuti professionisti cfr. Slater 2010, 252, n. 13. 33  Ma cfr. Slater 1997, 101 (vd. sopra, n. 22). 34  Cfr. 7, 75; 8, 79; 9, 80; 10, 78 Nacht. ἱματιομίσθαι. 35   Vd. p. es. la presenza di [Αἰνησίδημος] Ἀρίστωνος Βυ[ζάντιος] tra i παῖδες χορευταί in 5,  27 Nacht., mentre in 7,  27 [Α]ἰνησίδ[ημος Ἀρίστων]ος Βυζάντ[ιος] è tra gli ἄνδρες χορευταί; così in 5, 34 Nacht. [Ἀντιγένη(?)]ς Κριτολά ̣ου Βοιώ[τιος] è  tra gli χοροὶ ἀνδρῶν mentre in 9,  23 Ἀντιγένης Κριτολάου Βοιώτιος è  tra παῖδες χορευταί. Negli esempi riportati i  nomi propri sono integrati sulla base del passo parallelo.

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

del fuoco, deve ovviamente riferirsi a due personaggi differenti, che possono essere ritenuti nonno e  nipote 36. Il  discorso diventa più semplice quando l’identità dei nomi riguarda gli auleti che accompagnano cori di ἄνδρες e  di παῖδες. Ciò, p. es., si riscontra, come fa notare lo stesso Kahrstedt 37, anche in due cataloghi agonistici dei Soteria etolici (rispettivamente nn. 64 e 66 Nacht.), in cui gli stessi personaggi, Ἀριστόλοχος e Σώπολις, sono menzionati come vincitori sia tra gli αὐλητὰς παῖδας che tra gli αὐλητὰς ἄνδρας nella stessa edizione del concorso. Sembra evidente tuttavia che, negli antichi concorsi, la distinzione per fasce d’età riguardasse solo i  membri dei cori e  non già gli istruttori o gli auleti accompagnatori  38: ciò significa che un αὐλητὴς o un ἡγεμὼν τοὺς παῖδας non doveva essere egli stesso necessariamente un fanciullo. Così, per esempio, anche agli Homoloia di Orcomeno l’auleta Ergeas riportò il premio sia come αὐλητὰς παῖδας che come αὐλητὰς ἄνδρας e  il citarodo Kallon potè vincere, nella stessa manifestazione, sia come ἡγεμὼν παῖδας che come ἡγεμὼν ἄνδρας 39. Se si ammette dunque che i  χορευταί delle liste anfizioniche non siano da ritenere capi-coro (come quelli menzionati nelle liste etoliche) bensì, in modo più plausibile, membri stessi del coro, è possibile leggere i dati offerti dalle iscrizioni secondo le due altre interpretazioni che di seguito prendiamo in esame 40. 2.  Una lettura dei dati epigrafici, largamente condivisa 41, scorge nelle iscrizioni relative alla fase anfizionica del concorso l’atte36  IThes172 = Thes. 33 in Manieri 2009. Per la presenza di fratelli nei concorsi greci vd. Tav. V in Manieri 2009, 49. 37  Kahrstedt 1937, 375. 38   Cfr. Robert 1938, 34: «les aulètes ne sont point divisés en ἄνδρες et παῖδες, ils sont accompagnés par un choeur d’ ἄνδρες ou de παῖδες». 39  IG VII, 3196 = Orc. 24 in Manieri 2009. Vd. anche Manieri 2009, 182. 40  Si tratta delle interpretazioni 2) e 3) sopra illustrate sinteticamente. 41   Haussolier 1881, 310-311; Sifakis 1967, 72: «Two choruses, one of  boys and one of  men, each usually consisting of  fifteen members, sang the dithyrambs. Each chorus was accompanied by a  flute-player and had its own instructor». Castets-Pottier 1969, 1691: «à Delphes, aux fétes des Σωτήρια, il y eut des choeurs d’hommes et d’enfants qui ne comptaient que quinze, douze ou même cinq membres». Ieranò 1997, 284: «vi partecipavano cori di uomini e ragazzi composti da dieci-quindici membri (nelle iscrizioni il numero è oscillante)». Gentili 2006, 43: «per la esecuzione ditirambica, un coro di ragazzi ed un coro di uo-

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stazione della presenza, ad ogni manifestazione, di due soli cori, uno di ἄνδρες e uno di παῖδες, di dieci/quindici membri ciascuno: gli ἄνδρες e  i παῖδες menzionati sarebbero dunque membri del­ l’unico coro della propria categoria. Se così fosse, dovremmo ammettere che, a differenza di quanto accadeva nella fase etolica dei Soteria, le manifestazioni più antiche non prevedessero un confronto agonale, ma soltanto l’esibizione di due cori di diversa fascia d’età. Come è  noto, l’esecuzione di canti corali, primo fra tutti il peana in onore di Apollo, fu, a partire dai tempi più antichi sino al­l’età più recente, parte integrante e  spesso momento inaugurale delle celebrazioni panelleniche e  delle missioni sacre presso il santuario delfico 42. Ancora nel III-II secolo a.C., durante le solenni manifestazioni delle Pitaidi ateniesi a Delfi, gli artisti della corporazione di Atene, prima delle singole esibizioni, destinate a dare lustro alla celebrazione del dio, ora in forma di spettacolo, ora di competizione agonale 43, erano chiamati a rendere omaggio ad Apollo mediante l’esecuzione di un canto corale collettivo: i trentanove coreuti giunti da Atene in occasione della II Pitaide del 128 a.C. e gli oltre quaranta, elencati nel decreto delfico relativo alla IV Pitaide del 98 a.C., dovettero difatti intonare il peana tradizionale tutti insieme 44, probabilmente dopo la processione e  le offerte sacrificali 45, se è  vero che il maestro che li dirigeva, è definito in entrambi i casi διδάσκαλος τοῦ μεγάλου χοροῦ 46; ma, come le fonti epigrafiche lasciano intendere, essi offrirono probabilmente al  dio anche altri canti corali al­l’interno della festa (cfr. per esempio il secondo decreto alla l. 21 τοὺς ᾀσομένου[ς] τούς mini, entrambi composti di un numero di coreuti che poteva oscillare dai dieci ai quindici». 42  Cfr. Manieri 2015. 43   Cfr. FD III, 2, 47, 20 ἐξαπέστειλαν δὲ καὶ ἀκροάματα τὰ συναυξήσοντα τὰς τοῦ θεοῦ ἁμέρας; FD III, 2, 48, 29-30 ἐξαπέστειλαν δὲ καὶ τοὺς συναγωνιξαμένους τὸν θυμελικὸν ἀγῶνα καὶ τὸν σκανικὸν ἐν ταῖς τοῦ θεοῦ [ἁμ]έραις. 44  Cfr.  FD III, 2,  47,  9 τοὺς ἀισομένους τὸν παιᾶνα εἰς τὸν θεὸ[ν]; FD III, 2, 48, 12 τὸν μὲν πάτριον παιᾶνα μεγαλοπρεπῶς ὑμνήσαντες. 45  Cfr.  ll.  9-12 τάς τε πατρίους θυσίας ἐπέ[θυ]σαν μεγαλομερῶς τῶι θεῶι, καὶ τὰν πομπὰν ἐπεκόσμησαν καλῶς καὶ ἀξίω[ς τ]οῦ θεοῦ καὶ τᾶς πατρίδος τᾶς ἰδίας καὶ τᾶς συνόδου καὶ τᾶς αὐτοσαυτῶν ἐμ πάντοις εὐφαμίας καὶ ἀρετᾶς, πολυπλασίονας [θυσί]ας καὶ ἀπαρχὰς καὶ ἐπιμελείας τᾶν πρότερον ποιησάμενοι. 46   Si tratta, nella II Pitaide, di Nikokrates figlio di Apollodoros (FD III, 2, 47, 8-9); nella IV Pitaide, di Diokles, figlio di Aischinos (FD III, 2, 48, 18).

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τε παιᾶνας καὶ τὸν χορὸν) 47. Analogamente, a proposito delle manifestazioni dei Soteria anfizionici, nulla impedisce di credere che i coreuti registrati nelle epigrafi abbiano cantato tutti insieme il sacro peana al­l’inizio della manifestazione, ma che poi si siano confrontati nel­l’agone corale, divisi per categorie e distinti in gruppi più ristretti di cantori. Giacché, come si è detto, le gare fra cori risultano incluse nel programma dei Soteria etolici, non v’è ragione di credere che esse siano state inserite nel­l’agone solo dopo il rinnovamento etolico e  non fossero già previste nella prima fase della festa, per la quale risulta peraltro ben documentata la presenza dei cori. 3.  Q ueste riflessioni ci inducono a  considerare con attenzione la terza ipotesi di interpretazione dei dati delle epigrafi anfizioniche, proposta per la prima volta dal Mommsen 48, secondo cui i  coreuti, elencati tutti insieme sotto le categorie di ἄνδρες e  di παῖδες, sarebbero i membri non di due cori soltanto ma di diversi gruppi corali, di pochi membri ciascuno, tra cui si sarebbe svolto un confronto agonale. La presenza di più cori potrebbe anche essere suggerita dal fatto che, in alcuni casi, i gruppi di coreuti sono designati con le espressioni al plurale χοροὶ παίδων e χοροὶ ἀνδρῶν. È evidente che le denominazioni che introducono le differenti categorie di artisti sono formule generiche cui può corrispondere la menzione di uno solo o di più nomi. Così, p. es., nel­l’iscrizione 9 Nacht. le categorie dei κιθαρισταί e degli αὐληταί, pur al plurale, sono seguite da un solo nome per ognuna. Tuttavia l’indicazione delle categorie mediante un termine espresso al  plurale sembra implicitamente suggerire che ciascuna di esse potrebbe comunque 47  In tal senso, come Bélis (1988 a, in particolare 216; vd. anche Bélis 1992) ha ipotizzato con riferimento ai due inni delfici con notazione musicale attribuiti ad Ateneo (FD III, 2, 137) e Limenio (FD III, 2, 138), probabilmente eseguiti nel corso della stessa Pitaide del 128, è possibile che il peana di Ateneo, con notazione vocale, fosse stato eseguito dal μέγας χορός, nel corso delle celebrazioni ufficiali della missione sacra a Delfi, forse a cappella e senza accompagnamento strumentale (cfr. FD III, 2, 137, 16-17 ὁ δὲ [τεχνιτ]ωῶν πρόπας ἐσμός, ‘lo sciame tutto intero dei technitai’), mentre il secondo, quello di Limenio, fosse stato cantato con accompagnamento musicale durante le audizioni offerte dai technitai nel corso della festa. 48 Mommsen 1878,  217-219; l’ipotesi è  accolta da Pomtow 1921,  192; Nachtergael 1977, 308-309; Slater 1997, 105.

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prevedere la presenza di più elementi, dunque, nei casi specifici, di più citaristi, più auleti, più cori. Ciò è  confermato dal fatto che, in maniera differente, quando nelle epigrafi si fa menzione dei membri delle compagnie drammatiche, i  termini αὐλητής e διδάσκαλος sono utilizzati al singolare, giacché ogni compagnia tragica e comica richiedeva la presenza di un solo maestro e di un solo auleta. Si rilevi, inoltre, che la presenza di più cori per ogni manifestazione offrirebbe adeguata giustificazione alla lacuna presente al­l’interno del­l’epigrafe 7 Nacht.: è  possibile che nel­ l’iscrizione in questione siano stati registrati solo i nomi dei coreuti vincitori di entrambe le categorie, mentre gli spazi poi rimasti bianchi avrebbero dovuto accogliere i nomi dei membri degli altri cori, che avevano preso parte alla competizione ma che non avevano riportato la vittoria. Ogni coro doveva dunque essere costituito da un esiguo numero di cantori: per i concorsi attestati dalle iscrizioni più integre (nn. 9 e 10 Nacht.), che menzionano quindici ἄνδρες e quindici παῖδες, si potrebbe, p. es., ipotizzare che ogni categoria prevedesse la presenza di tre cori di cinque membri ciascuno. Nelle iscrizioni del muro poligonale 49 l’identificazione dei diversi raggruppamenti di musici sembra suggerita dal­l’ἔκθεσις 50 di alcuni termini specifici. Si trovano difatti in ἔκθεσις tutti i vocaboli che individuano le differenti categorie artistiche 51: ῥαψωιδοί, κιθαρισταί, κιθαρωιδοί, che individuano gli artisti solisti, παῖδες χορευταί, ἄνδρες χορευταί, αὐληταί, διδάσκαλοι, che si riferiscono ai gruppi corali, τραγωιδοί, αὐλητής, διδάσκαλος, e  κωμωιδοί, αὐλητής, διδάσκαλος, più volte ripetuti, cui seguono i  χορευταὶ κωμικοί, che identificano gli artisti che si esibiscono negli agoni scenici, e, per concludere, gli ἱματιομίσθαι. In alcune di queste iscrizioni 52 si trovano in ἔκθεσις anche singoli nomi al­l’interno degli elenchi dei παῖδες e  degli ἄνδρες χορευταί, che potrebbero dunque consentire di identificare dei sotto-gruppi nella categoria unitaria, corrispondenti a  due o tre piccoli cori.

    51  52  e 309. 49 50

7-10 Nacht. Nachtergael 1977, 309. Vd. gli esempi riportati sopra (p. 359, tab. 1 e pp. 363-364, suppl. 5). Cfr. iscrizioni 8 e 10 Nacht. Vd. Pomtow 1921, 192; Nachtergael 1977, 260

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Non sembra costituire una difficoltà il fatto che, in un concorso di età ellenistica 53, a fronte della eventuale presenza di 4/6 cori in totale, risultano registrati i nomi di uno, massimo due didaskaloi e di uno, massimo tre auleti 54. Nei cataloghi agonistici dei Soteria etolici, come si è visto 55, lo stesso auleta risulta vincitore sia per la categoria di παῖδες sia per quella di ἄνδρες in una stessa edizione del concorso. Analogamente accade, ad esempio, presso le gare corali degli Homoloia di Orcomeno, in cui gli stessi auleti e gli stessi didaskaloi sono premiati per entrambe le categorie 56. Ancora per gli agoni corali che si svolgono nel III secolo presso quattro città del­ l’Eubea, risultano ingaggiati solo tre auleti, a fronte di tre cori di παῖδες e tre di ἄνδρες 57. Lo stesso maestro e lo stesso auleta potevano dunque, nel­l’ambito dello stesso concorso, istruire e  accompagnare cori differenti, riportando anche diversi premi 58. Q uesto è  chiaramente attestato in riferimento a categorie diverse, ma non si può escludere che potesse accadere anche per cori che gareggiavano al­l’interno di una stessa categoria. Un’altra spiegazione potrebbe essere la seguente: gli istruttori dei piccoli cori potrebbero essere essi stessi inclusi nel­l’elenco dei coreuti, in quanto cantori essi stessi, identificabili con i nomi scritti in ἔκθεσις, o con i nomi che, in alcuni di questi elenchi, sono separati dagli altri per mezzo di un segno grafico 59. Uno di questi nomi che si legge nelle epigrafi è, p. es. 60, Pythokles di Hermiones il quale, tra i  membri dei χοροὶ ἀνδρῶν registrati nel­l’iscrizione 8 Nachtergael, è menzionato come primo della lista, seguito dal nome del fratello Pantakles, e separato dagli altri nomi tramite un 53   Diversa l’organizzazione negli agoni ditirambici ateniesi di età classica, in cui le tribù selezionavano i coreghi, i quali poi tiravano a sorte per stabilire l’ordine nella scelta di poe­ti ed auleti e successivamente sceglievano i coreuti tra i membri delle stesse tribù: vd. Pickard-Cambridge 1996, 104 ss. 54  Un’analoga questione è discussa da Slater (2010, 252-253) in riferimento ai Dionysia di Calcide. 55  Cfr. iscrizioni 64 e 66 Nacht. e vd. sopra, pp. 362-363, tab. 3 e p. 369. 56  Vd. sopra, p. 369, n. 39. 57   IG XII, 9, 207, ll. 14-15. Sui cori nel decreto del­l’Eubea cfr. da ultimo Manieri 2016 con riferimento a bibliografia precedente. 58  Ciò non stupisce se si tiene conto che anche nei moderni concorsi di musica gareggiano sia solisti che gruppi preparati dagli stessi maestri e che, in alcuni casi, gli stessi artisti possono competere in formazioni diverse. 59  Cfr. iscrizioni 8 e 9 Nacht. e vd. sopra, tab. 1 e suppl. 5. 60  Vd. 8, 30 Nacht.

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trattino. Il personaggio in questione avrebbe ben potuto rivestire la funzione di istruttore di coro: oltre a svolgere il ruolo di sacerdote dei technitai nelle prime edizioni del concorso 61, è difatti anche ricordato come ἄνδρας ἡγεμών in 3 Nacht. e ampiamente celebrato nel suo epigramma funerario come vincitore di cori ciclici 62. Se dunque i nomi degli istruttori dei cori sono inclusi negli elenchi dei coreuti, in questo caso il singolo o i due didaskaloi menzionati a  parte potrebbero essere gli istruttori dei cori collettivi (come i  διδάσκαλοι τοῦ μεγάλου χοροῦ delle Pitaidi delfiche) che intonano i peani per il dio al­l’inizio della manifestazione e al di fuori della gara. La riduzione sostanziale del numero di coreuti che si esibivano nei concorsi insieme al­l’auleta, a partire dal­l’età ellenistica è  confermata dal­l’unica epigrafe relativa alla manifestazione dei Soteria invernali 63, in cui, accanto al­l’ἡγεμὼν παῖς e  al­l’ἡγεμὼν ἀνδρῶν, sono menzionati solo due cantori per ogni categoria, e se ne trova spesso attestazione nelle fonti iconografiche. I dati deducibili a tal proposito da queste fonti sono sempre da valutare con molta cautela, sia perché è possibile che le rappresentazioni iconografiche risultino condizionate dallo spazio ristretto del materiale utilizzato 64, sia perché le performances corali rappresentate si riferiscono a contesti diversi, di epoche differenti, non sempre identificabili in modo certo 65. Fra tutte sembrano particolarmente 61  Cfr. nn. 3, 4, 5 Nacht. e vd. Pickard-Cambridge 1996, 390; Le Guen 2001, II, 19; Aneziri 2003, 276-277. 62   Cfr. nn. 3, 4, 5 Nacht. (IG IV, 682 = Thes. 7 in Manieri 2009, 354-355). 63  80 Nacht., cfr. sopra tabb. 1 e 4 e vd. Nachtergael 1977, 373-376. 64  Si potrebbe dire, come scrive Calame (2001, 21) a proposito del numero dei membri dei cori femminili che si può ricavare dalle fonti iconografiche, che «the lowest numbers are often the result of   having to squeeze the chorus into a relatively small place». 65   Vd. tra le altre la kylix attica a figure rosse, attribuita a Briseis (475 a.C. ca.), conservata al Metropolitan Museum di New York (n. 27.74; Beazley 1963 (ARV2), 407,  18; Bieber 1961, figg. 60-61, A, I), che rappresenta otto giovani cantori, divisi in due gruppi da quattro, al  centro di ciascuno dei quali è  un suonatore di aulos: sul­l’interpretazione della rappresentazione come ‘a scene of  choral training’ vd. Wilson 2000, 73-74; il cratere a campana a figure rosse, attribuito a Kleophon (430-420), conservato al National Museum di Copenhagen (nr. 13817; Beazley 1963 (ARV2), 1145,  35; Corpus Vasorum Antiquorum 8, pl. 347-349; Pickard-Cambridge 1927, Lists of   Monuments, n. 4; Csapo-Slater 1995, Pl. 1B), che rappresenta, su uno dei lati, un auleta e quattro coreuti che intonano un coro ditirambico, secondo alcuni eseguito alle Antesterie (Friis Jo-

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significative le pitture della ‘Tomba dei Ludi’ nella necropoli di Cirene, risalenti al II secolo d.C., in particolare quella che rappresenta l’esibizione di un choraules, attorniato dai sette membri di un coro, in un contesto chiaramente agonistico, come dimostra la rappresentazione della trapeza, su cui sono appoggiati i premi per i  vincitori delle gare, tre corone e  due palme 66. È indubbio, in ogni caso, che non solo il numero dei membri di un coro 67 ma anche il numero stesso dei cori 68 che si confrontavano nelle competizioni agonali ebbe a ridursi progressivamente, attraverso l’età ellenistica sino al­l’età romana, già nella stessa Atene, che era stata teatro delle fastose e costosissime competizioni corali delle Grandi Dionisie 69. Come scrive Slater 70, «à la période hellénistique, on hansen 1959; Webster in Pickard-Cambridge 1927,  37-38), secondo altri alle Dionisie (Simon 1983,  98-99): entrambi i  vasi sono menzionati da Nachtergael (1977,  308 e  n.  51) come supporto iconografico al­l’ipotesi della presenza ai Soteria di piccoli cori; un rilievo su una base marmorea (detta di ‘Atarbos’) proveniente dal­l’acropoli di Atene (Acropolis Museum 1338; cfr.  Kosmopoulou 1998 e vd. Webster 1970, 32; 93-94; Ieranò 1997, 56, n. 97 e 259; Wilson 2000, 39-40; Shear 2003), risalente alla fine del IV secolo (323 a.C. ca.), che rappresenta da un lato una vittoria di danzatori di pirrica, dal­l’altro sette coreuti, avvolti nei loro mantelli e guidati da un didaskalos che, come chiaramente si evince dal­l’iscrizione sovrastante (IG II2, 3025 νική[σας κυκλίῳ χο]ρῶι), hanno riportato una vittoria con un coro di uomini probabilmente alle Panatenee (ma vd. Shear 2003). Cfr. ulteriori riferimenti a fonti iconografiche relative a concorsi poe­tici e musicali in Bacchielli 2002, 300, nn. 46 e 47. 66  Vd. fig. 1423 in Castets 1969, 1123; figg. 14c e 25 in Bacchielli 2002: le pitture, un tempo note sulla base delle descrizioni generiche di viaggiatori del­ l’Ottocento (cfr.  Pacho 1827), sono state recentemente studiate e  riprodotte da Bacchielli 1993 (in particolare 86-95 e  figg. 11-17) e  2002 (in particolare 291-307). Tali rappresentazioni pittoriche attestano, secondo Castets-Pottier (1969,  1693) la diminuzione del numero dei coreuti «jusqu’à tomber au nombre de sept». Vd., a  proposito delle pitture di Cirene, anche Strasser 2002, 98, n. 9; per i cori drammatici e ditirambici a Cirene, Ceccarelli-Milanezi 2007. 67  Per la riduzione del numero dei coreuti anche nelle competizioni di Atene cfr. da ultimo Shear 2013, 393-395. 68  Rispetto ai venti cori in gara alle Dionisie e ai dieci delle Targelie, alla fine del IV secolo presso gli agoni istituiti da Licurgo al  Pireo gareggiavano solo tre cori: cfr. Plut. Decem orat. 842a e vd. Pickard-Cambridge 1927, 57; Csapo-Slater 1995,  125; Ieranò 1997,  273-274; Wilson 2000,  267. Così un decreto euboico (IG XII, 9, 207, III sec. a.C., vd. sopra, p. 373, n. 57) attesta la presenza di tre cori di adulti e tre di ragazzi nei concorsi che avevano luogo in quattro città del­l’Eubea: Vd.  Csapo-Slater 1995,  196-200; Le Guen 2001, I, 41  ss.; Slater 2010,  252; Manieri 2016. 69  Per il costo delle manifestazioni corali delle Dionisie, vd. Wilson 2008. 70   Slater 1997, 105.

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ne peut comparer le petit choeur de chant de sept, cinq ou même de trois chanteurs avec les énormes et coûteux politikoi choroi des Dionysia, qui comptaient eux cinquante chanteurs et danseurs» 71. La graduale trasformazione si verificò sia per ragioni di tipo politico ed economico, che determinarono progressive modifiche nella pratica della coregia 72, sia per ragioni organizzative, connesse al reclutamento dei coreuti 73, sia per ragioni legate al­l’evoluzione stessa dei generi musicali: l’auleta, grazie al suo prestigio sempre crescente, non svolgeva più, come si è  detto, il ruolo di accompagnatore del coro 74, ma finì per eclissare la funzione stessa del gruppo corale: furono i cantori ad offrire sostegno al­l’esibizione del­l’aulo, e il loro numero divenne sempre più ridotto, anche perché essi non dovevano, con la loro voce, sovrastare il suono dello strumento musicale 75. Come sottolineò già Robert, nel­l’ensemble costituito dal coro e dal­l’auleta è quest’ultimo che diviene l’elemento principale: non è l’auleta che accompagna il coro ma il coro che accompagna l’auleta, il quale diviene di fatto un αὐλητὴς μετὰ χοροῦ, un χοραύλης 76. Deve essere probabilmente interpretata in questo senso la testimonianza di Hyg. Fab. 273: «pythaules [qui Pythia cantauerunt] septem habuit palliatos qui uoce cantauerunt, unde postea appellatus est choraules», l’auleta, accompagnato da 71 Cfr.  già Frei 1900,  68: «Choreutarum numerus aetate hellenistica aliquanto minutus est». 72  Per la graduale trasformazione delle manifestazioni corali, strettamente connessa con ragioni politiche ed economiche, che ebbe a  verificarsi già in ambito ateniese, cfr. Wilson 2000, 268 ss.; Latini 2003; Summa 2003; Shear 2013, 390 ss. 73   Per la presenza nei cori dei Soteria delfici di artisti professionisti cfr. Slater 2010, 252, n. 13, cit. alla n. 32. Sulla possibile combinazione, al­l’interno dei cori di età ellenistica, di coreuti professionisti con coreuti locali, cfr. tra gli altri Wilson 200, 308-309. 74  Vd. sopra; cfr. anche Scheithauer 1997, 107-108; Strasser 2002, 98. 75  Cfr. Athen. 14, 617c e vd. Bélis 1988 b, 232: «son principal souci est … de contribuer à  une musique d’ensemble  … dans laquelle l’aulos ne couvre pas les voix»; Castets-Pottier 1969, 1693: «à une certaine époque les chanteurs ont l’air d’accompagner les musiciens, plutôt que d’étre soutenus par eux, et c’est peut-étre pour cette raison que leur nombre diminue jusqu’à tomber au nombre de sept». 76   Robert 1938,  34: «puis les qualités du virtuose prenant plus d’importance, dans cet ensemble que forment le choeur et l’aulète, c’est l’aulète qui devient l’élément principal; il n’est plus considéré comme accompagnant le choeur, c’est le choeur désormais qui l’accompagne, il est un αὐλητὴς μετὰ χοροῦ, un χοραύλης».

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un piccolo coro costituito da sette elementi 77, in un primo tempo non distinto nella denominazione dal­l’auleta solista (pythaules), fu successivamente denominato choraules. Ciò dimostra che se la distinzione, da un punto di vista linguistico, tra pythaulai, gli auleti solisti specializzati nel­l’esecuzione del nomo pitico, e choraulai, ovvero gli auleti che suonano accompagnati da un coro, è attestata a partire dal­l’età imperiale, la specialità musicale praticata da un auleta che si esibisce μετὰ χοροῦ doveva essere più antica del termine che la designa 78. L’indagine di Strasser 79, tuttavia, sostiene che questa disciplina non trovò la sua collocazione nei concorsi sacri stephanitai di età ellenistica, in quanto sarebbe stata attestata per la prima volta, come prova di concorso, nel regolamento dei Sebasta di Napoli 80, e con più certezza documentata solo nei primi secoli del­l’impero: la presenza dei choraulai alle gare di Delfi risalirebbe dunque solo alla fine del I secolo o al­l’inizio del successivo, quando essi sarebbero stati ammessi a partecipare al concorso dei Pythia 81. Se la lettura sopra proposta è corretta, si può dire invece che già nella prima fase del concorso dei Soteria 82 aveva luogo una competizione agonale in cui gli auleti non si esibivano da solisti ma erano accompagnati da piccoli cori, e  che una simile prassi dovette naturalmente continuare anche nel­l’ambito del­l’agone sacro panellenico dei Soteria etolici, in cui la competizione tra i  gruppi corali è  chiaramente attestata dai cataloghi agonistici. Se pure dunque in questi cataloghi l’auleta non è specificatamente denominato χοραύλης (come invece avverrà nelle fonti di età im77  Vd. la rappresentazione del choraules nelle pitture di Cirene (sopra, p. 375, n. 66). Come dimostrerebbero le iscrizioni delfiche, sette potrebbe rappresentare il numero massimo. 78  Cfr. von Jan 1899, col. 2408; Frei 1900, 67-69; Bélis 1988 b, 231; Strasser 2002, 130. 79   Strasser 2002, 130-134. 80  IvO 56, l. 55. 81  Cfr. Strasser 2002, 134, che collega l’introduzione di nuove prove ai Pythia di Delfi con la testimonianza di Plutarco in Q uaest. conv. 674d. 82   La presenza di competizioni corali analoghe a quelle delfiche è ipotizzabile anche per le feste di Delo, i cui cataloghi presentano molte affinità con le liste dei Soteria anfizionici, giacché anche in essi sono elencati i  nomi di tutti i  partecipanti introdotti, a partire dal 236 a.C., dal­l’espressione οἵδε ἠγωνίσαντο τῶι θεῶι. Vd. Manieri 2013, 142-143 e, sulle feste di Delo in generale, Bruneau 1970, in particolare 74-75.

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periale), ma è  indicato in modo conforme alla consueta terminologia tecnica che caratterizza i concorsi corali di età ellenistica (αὐλητὰς τοὺς παῖδας, αὐλητὰς τοὺς ἄνδρας) 83, sembra evidente che un auleta accompagnato da un esiguo numero di coreuti svolga a tutti gli effetti la funzione che, secondo la già citata definizione di Robert 84, fu propria di un αὐλητὴς μετὰ χοροῦ, cioè appunto di un χοραύλης 85. È in ogni caso ammissibile che l’accesa rivalità agonistica che aveva contrapposto le tribù cittadine ai  tempi dei concorsi ateniesi del­l’età classica risultasse attenuata in un agone, come quello dei Soteria anfizionici, in cui l’intera gestione del concorso era affidata alla stessa compagnia di artisti che si affrontavano nelle prove e poteva persino accadere che si sfidassero in gara due cori coordinati dallo stesso maestro o  dallo stesso auleta: in tal caso l’esigenza del­l’esibizione artistica diveniva prevalente sullo spirito competitivo e sulla contrapposizione agonale. D’altronde, come ben chiarisce un’iscrizione relativa agli Apollonia di Delo 86, per un auleta che prendeva parte ai concorsi di età ellenistica con il suo coro, il premio per l’eventuale vittoria risultava minimo se comparato con il salario a lui spettante per la sola partecipazione al concorso 87. L’esigua somma destinata a coprire le spese del coro può confermare inoltre l’ipotesi del ridotto numero di coreuti che affiancavano l’esibizione del­l’auleta.   Vd. sopra e cfr. Slater 1997.   Vd. sopra p. 376, n. 76. 85  Cfr.  Slater 2010,  253, che definisce choraulai gli auleti responsabili dei gruppi corali che si esibiscono agli agoni di Calcide («three auletai, whom I shall call choraulai from this point onwards, since they are kykloi auletai»). 86  IDelos 399A, 56–57: l’auleta Telemachos, per la sua partecipazione alla festa del 196 a.C., riceve 1790 dracme che comprendono un salario (μισθόν) di 1500 dracme, 130 dracme per la fornitura dei viveri (σιτηρέσιον), un premio (νικητήριον) di 60 dracme, 50 dracme per le spese del coro (χορηγήματα), 50 dracme per le spese di accoglienza (ξένιον). Cfr. Bruneau 1970, 73; Slater 2010, 262; Manieri 2013, 142. 87   Come è attestato da alcuni documenti epigrafici, la partecipazione degli artisti agli agoni era generalmente regolamentata da appositi contratti di ingaggio: cfr., p. es., la legge euboica sul reclutamento dei τεχνῖται (IG XII, 9, 207); il decreto dei τεχνῖται della Ionia e  del­l’Ellesponto che regolamenta l’invio di artisti alle Dionisie di Iaso (IK Iasos 152); i contratti di prestazione d’opera da parte di musici in Egitto (Tedeschi 2002, 150-170). Nelle prime edizioni dei Soteria anfizionici gli artisti prestarono la loro opera gratuitamente: cfr. Manieri 2013, 139. 83 84

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I Soteria di Delfi furono dunque probabilmente, sin nella loro fase anfizionica, una manifestazione agonale distinta in tre momenti: concorso musicale solistico, concorso corale, concorso drammatico; quando l’agone, dopo la riorganizzazione voluta dagli Etoli, fu elevato al rango di concorso panellenico e stephanites, il rinnovamento non dovette riguardare la parte musicale, che conservò la stessa struttura tripartita, bensì consisté nel­l’ampliamento del programma agonistico, con l’aggiunta, al  concorso musicale ‘isopitico’, anche di un concorso ginnico e di un concorso ippico, a carattere ‘isonemeo’ 88.

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88  Cfr.  Nachtergael 1977,  356  ss. e  vd.  21,  17-19; 22,  9-10; 15-16; 24-25; 25, 9-10; 14-15 Nacht.

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

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GARE CORALI AI SOTERIA DI DELFI

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Abstracts L’articolo discute le diverse opinioni relative alle caratteristiche e alle modalità di esibizione dei cori nei Soteria anfizionici a Delfi, sulla base delle testimonianze epigrafiche e mediante il confronto con i dati riguardanti le manifestazioni più tarde dei Soteria etolici e  invernali. In conclusione l’indagine dà sostegno al­l’ipotesi secondo cui, già nella fase più antica dei Soteria, avesse luogo un confronto agonale tra piccoli cori e che una simile prassi dovette naturalmente continuare anche nel­l’ambito dei Soteria etolici, in cui la competizione tra i gruppi corali è chiaramente attestata dai cataloghi agonistici. The article discusses the different opinions regarding characteristics and performance of  the choirs in the Amphiktionic Soteria at Delphi, on the basis of  epigraphic evidence and by comparison with data from the later festivals held in the Aetolian and Winter Soteria. In  conclusion, the research supports to the hypothesis that a  competition between small choirs had already taken place in the earliest phase of  the Soteria and that this practice naturally continued in the event of  Aetolian Soteria, where a competition among choral groups is clearly attested by the agonistic lists.

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ANGELA CINALLI Center for Hellenic Studies, Harvard University

STORIE DI ‘POETI VAGANTI’ A DELFI: Q UANDO IL VIAGGIO NASCONDE UN IMPREVISTO * E ora, che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l’ho studiato senza saperne nulla. Un imprevisto è la sola speranza. E. Montale - Prima del viaggio -

I viaggi e  le esibizioni degli intellettuali e  degli artisti itineranti di età ellenistica ci sono noti principalmente attraverso le fonti epigrafiche 1. Una pletora di iscrizioni dai principali centri culturali del­l’Ellenismo documenta la parata di uomini della scena pubblica, di professionisti acclamati e  giovani talenti, specialisti della tradizione e del­l’avanguardia, di insegnanti, enfants prodiges e  donne. Q uesti professionisti ‘dai piedi alati’ (πτανοῖς ποσίν 2), mossi dalle aspettative di gloria, onori e  guadagni, hanno inciso profondamente sul panorama culturale del periodo ellenistico, contribuendo alla diffusione di mode, tradizioni e  competenze artistiche. Un movimento, quello dei cosiddetti ‘poe­ti vaganti’ 3, *  Desidero esprimere la mia gratitudine al Professor Carmine Catenacci per avermi coinvolta in questo progetto e saggiamente consigliata. Q uesto contributo ha beneficiato dei preziosi suggerimenti delle Professoresse Antonietta Gostoli e Alessandra Manieri e degli utili commenti degli studiosi intervenuti al convegno perugino. 1  Con differenze rispetto alle aree di provenienza delle iscrizioni, si tratta di decreti onorari, epigrammi celebrativi e funerari, dediche e basi statuarie. 2   L’espressione è tratta da un epigramma celebrativo da Tanagra (IG VII 530), per il pluricoronato araldo Phorystas. 3  Un’analisi preliminare di questo ‘movimento’ di età ellenistica è  apparsa nelle Memorie della Reale Accademia dei Lincei, Classe di Scienze Morali (19271929) a firma di M. Guarducci, che per prima ha adottato la definizione ‘poe­ti vaganti’, qui ripresa per continuità ed efficacia espressiva nonostante non appaia più del tutto calzante, in quanto i viaggi di questi professionisti non risultano come peregrinazioni ma tappe artistiche ben studiate e pianificate. 10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115173

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per certi versi popolare 4, che ha agito parallelamente alla letteratura di corte. Sebbene i  prodotti artistici, per lo più destinati alla fruizione orale, siano pervenuti sporadicamente, le iscrizioni ci consentono di apprendere valide informazioni che ruotano attorno alle tematiche del ‘viaggio’, dei ‘viaggiatori’ e delle loro performances. Seguendo queste chiavi di lettura, è  possibile mettere a  fuoco i  contorni del diffuso fenomeno letterario e  di costume dei ‘poe­ti vaganti’, in modo da individuarne caratteristiche e dinamiche, di definirne la diffusione e valutarne le implicazioni storiche e culturali. Le indagini finora condotte 5 hanno evidenziato che i professionisti itineranti percorrevano un ramificato circuito artistico e che, a seconda delle proprie specialità, del proprio profilo e status, sceglievano di frequentarne uno o più segmenti. Le fonti evidenziano che un percorso favorito dagli artisti si articolava tra Delfi e Delo 6 e comprendeva talvolta anche Atene. I loci Apollinei condividono diversi punti di contatto, a cominciare dal richiamo alla tradizione e dal carattere sacro, Leitmotive che emergono costantemente nelle attività dei poe­ti vaganti presenti presso entrambi i  territori 7. Delfi, in particolare, assume una posizione di grande rilievo al­l’interno di questo itinerario delle arti poe­tiche e  musicali. Le fonti epigrafiche, cospicue per tutto il periodo ellenistico, attestano un’ampia frequentazione di artisti che giungevano appo-

  Fantuzzi 1988, XXXV-XLII; Gentili 19892, 228.   Studi disparati su particolari categorie artistiche e tipologie esecutive sono comparsi dopo l’articolo di Guarducci, tuttavia ancora manca un’analisi sistematica, organizzata per categorie tematiche e geografiche, del fenomeno di età ellenistica (gli sviluppi di età imperiale sono invece stati ampiamente scandagliati). Una ricerca con tale finalità è  stata intrapresa da chi scrive durante il percorso dottorale (al­l’Università «La Sapienza» di Roma, sotto la guida dei professori R. Nicolai e M. L. Lazzarini) e post-dottorale (presso il Center for Palaeographical and Epigraphical Studies, The Ohio State University e  il Center for Hellenic Studies, Harvard University). Alcuni risultati sulle aree e i temi finora indagati sono stati recentemente pubblicati o sono in attesa di imminente pubblicazione (si veda la Bibliografia). Il primo volume di studi sulle aree per le quali la ricerca è stata portata a termine è in preparazione e un prodotto digitale, con mappa dinamica e  database delle iscrizioni studiate, è  attualmente in allestimento sotto il patrocinio del Center for Hellenic Studies. 6  Vd. Cinalli 2018 in corso di stampa, per l’analisi della vita culturale di Delfi e Delo ellenistiche attraverso le testimonianze epigrafiche. 7   FD III 4 361; FD III 3: 115, 128, 217; SEG 9 532. 4 5

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sitamente per mettersi alla prova agli agoni pitici e  soterici e/o per esibirsi in vari contesti performativi (audizioni ed esecuzioni di varia tipologia, rassegne a carattere sia dimostrativo che competitivo 8). A differenza dei Soteria, che acquistarono rilevanza soprattutto dopo la riforma etolica (post 250 a.C.), i  Pythia nel corso dei secoli furono sempre una vetrina di prima scelta per gli artisti. Com’è noto, la documentazione di età ellenistica relativa al­l’agone pitico non è ricca 9 ma ci restituisce, attraverso i vincitori e i frequentatori del concorso, la misura del prestigio e del­ l’eccellenza dei professionisti che avevano l’ardire di avvicinarvisi. Come ogni manifestazione di lungo corso tuttavia, non tutti i cicli del­l’agone pitico furono fortunati e l’epigrafia, straordinariamente, ci restituisce l’esempio di due candidati che si imbatterono in ‘edizioni flop’ del concorso. La tappa più ambita per la carriera artistica di ogni professionista, programmata e preparata lungamente, sfumava così, a causa di un imprevisto. Nonostante le circostanze inaspettate, entrambi gli artisti che prendiamo in esame poterono volgere al meglio la situazione grazie al patrocinio della città di Delfi e  alla propria intraprendenza. Essi evitarono perciò di rendere vano il viaggio, reimpiegando le proprie competenze artistiche in occasioni alternative.

Nessuno con cui competere FD III 3 128

200-175 a.C.

Σάτυρος Εὐμένου Σάμιος·| τούτωι πρώτωι συμβέβηκεν μόνωι| ἄνευ ἀνταγωνιστῶν αὐλῆσαι| τὸν ἀγῶνα καὶ ἀξιωθέντα ἐπιδοῦ|5ναι τῶι θεῶι καὶ τοῖς 8  Di seguito, le varie tipologie di esibizione rintracciate a  Delfi (lasciando fuori le testimonianze che attestano solamente la fase compositiva ma non performativa): ἀκροάσεις e letture pubbliche (FD III 3 124) nel ginnasio (FD III 1 273; Daux 1939, 168-169); ἐπιδείξεις (FD III 1 49, 223; Syll3 703); σχολαί (FD III 3 338; Syll3 771: ἐπιδείξεις σχολᾶς); esibizioni in cerimonie sacre e  pubbliche (FD  III: 2 78,  3 128: vd.  infra; 3 224); partecipazione agli agoni e  a rassegne dimostrative con spirito di competizione (vd.  infra); offerte artistiche al  dio (FD III 3 128; Daux 1949, 276-277 n. 27; FD III: 1 48, 3 125-126 e 249, 4 361: vd. infra; Syll3 689 + Robert 1938 a, 38). 9  Si tratta, in mancanza delle liste di vincitori e/o partecipanti, di testimonianze indirette (decreti ed epigrammi celebrativi, fonti letterarie): FD III 4 202; Syll3 689 +  Robert 1938 a, 38; Syll3 532; IG II2 3779; Iscr. Cos EV 234; Paus. 8, 50, 3; Him. 74, 6. Cfr. Stefanis 1988, n. 196, 1839; Manieri 2015, 40.

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Ἕλλησι μετὰ| τὸν γυμνικὸν τῆι θυσίαι ἐν τῶι στα|δίωι τῶι Πυθικῶι ἆισμα μετὰ χοροῦ| Διόνυσον καὶ κιθάρισμα ἐκ Βακχῶν| Εὐριπίδου. Satyros di Samo, figlio di Eumenes. A costui accadde per primo di suonare l’aulos in agone da solo senza antagonisti, ed essendone considerato degno, di offrire al dio e ai Greci, dopo l’agone sportivo al momento del sacrificio nello stadio pitico, il ‘Dio­niso’, canto con il coro, e un canto sulla cetra dalle Baccanti di Euripide.

Nel primo quarto del secondo secolo a.C., il viaggio a  Delfi riservò una sorpresa a Satyros di Samo: egli si trovò a competere senza antagonisti al­l’agone auletico. L’iscrizione su base statuaria non specifica il motivo del­l’assenza di concorrenti al­l’edizione in questione del festival, eppure puntualizza che si tratta di una circostanza senza precedenti. Come in un gioco dei contrari, l’osta­ colo venne trasformato da Delfi in un caso straordinario, in modo che Satyros detenesse in città il primato 10 di aver gareggiato da solo. Avendo dimostrato di esserne degno, gli fu concessa la possibilità di fare offerta della sua arte in un’occasione di estrema visibilità. Al momento del sacrificio nello stadio pitico, dopo il concorso sportivo, egli offrì al dio e ai Greci presenti le primizie della sua arte. Molte informazioni e spunti di riflessione per poche righe di iscrizione. Seguendo le tre chiavi di lettura evidenziate poc’anzi (viaggio-viaggiatori-performances), è  necessario anzitutto soffermarsi sul motivo del viaggio di Satyros. Le ll. 2-4 del­l’iscrizione documentano che la tappa presso Delfi è stata ispirata da un agone non meglio specificato. Le linee successive ci forniscono gli indizi necessari a ricostruire il contesto agonale scelto da questo professionista, che di primo acchito si addice sia ai Pythia che ai Soteria (dopo la riforma etolica), per il carattere panellenico e per la presenza del­l’agone sportivo 11. Gli elementi successivi che aggiungiamo alla ricostruzione del­l’attività di questo artista a Delfi però sembrano indirizzarci verso i Pythia: egli offrì due esibizioni al momento del sacrificio, dedicate a Dioniso. 10  L’uso di πρῶτος per indicare un primato al­ l’interno di un gruppo (e.g. πρῶτος Τρώων, Ἰώνων, πρῶτος ἐταίρων [scil. di Alessandro, a cogliere una duplice vittoria sportiva]) si diffuse, a  partire dal IV sec. a.C., in iscrizioni in versi e  in prosa riferite ad atleti: IAG 45; ISE II 113. 11  Nachtergael 1977, 328-372.

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Nelle testimonianze epigrafiche relative ai Soteria, la divinità che, oltre ad Apollo, compare nei cataloghi è Zeus Soter 12. La crescente presenza di Dioniso a  Delfi e  agli agoni pitici è  invece testimoniata da un peana inciso su pietra e  attribuito a (o  commissionato da 13) Philodamos di Scarfea, databile al 340/339 a.C. Com’è noto, questo componimento, ampiamente discusso dagli studiosi negli ultimi anni e interpretato nel­l’ottica della propaganda macedone oppure del­l’influenza ateniese o anfizionica 14, testimonia il rafforzamento del culto di Dioniso a Delfi che, celebrato in termini apollinei e invocato come Paian e Soter (al quinto e undicesimo verso di ogni strofe), si assimila ad Apollo ed estende la propria presenza in città non più solo nei mesi invernali quando il fratello si reca dagli Iperborei 15 ma a  tutto l’anno delfico. Nel peana è  proprio Apollo a  comandare agli Anfizioni questa riforma cultuale, che interessa anche il concorso pitico panellenico. Alle linee 131-134 – le più interessanti per il nostro caso – si precisa che gli Anfizioni, tra le mansioni da svolgere per evitare l’ira del dio, dovranno integrare il programma dei Pythia in modo che comprenda un sacrificio per Dioniso e  una competizione di cori ciclici (Πυθιάσιν δὲ πενθετή/ροις [π]ροπό ̣[λοις] ἔταξε Βάκ/χου θυσίαν χορῶν τε πο ̣[λ/λῶν] κυκλίαν ἅμιλλαν·). Se  consideriamo che Satyros, al  momento del sacrificio dopo l’agone sportivo, tenne delle esibizioni in onore di Dioniso, sembra che ci sia una connessione con le disposizioni del peana circa il sacrificio a Dioniso da celebrare ai Pythia. In virtù di ciò, l’iscri­zione di Satyros potrebbe testimoniare la persistenza della prassi del sacrificio dionisiaco al festival pitico, come previsto dal peana, e  nel contempo dimostrare la partecipazione del­l’artista al­l’agone musicale dei Pythia. È plausibile che i  vincitori del­ l’agone musicale fossero generalmente incaricati di accompagnare

  Nachtergael 1977, 332; Actes 21-25, 434-444.   Weil 1895, 400-411. È d’uopo precisare che, se per convenzione la composizione è attribuita a Philodamos, il decreto iscritto in calce alla pietra, di seguito al peana (Syll 3 270), consente di affermare soltanto il legame di Philodamos e dei suoi fratelli con il componimento e con Dioniso, ma non di precisarne la natura, a causa della lacuna della l. 7. 14  Per l’analisi della questione, si veda Manieri 2015 (in particolare p. 29 ss.), dove è indicata tutta la bibliografia anteriore di riferimento. 15  Plut. De E Delph. 9, 389 c. 12 13

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la cerimonia, ma il caso di Satyros è  straordinario e  inopinato. L’unicità della situazione di esibirsi da solo nella sezione auletica del­l’agone musicale si convertì in una prova di adeguatezza delle sue capacità in previsione di un ingaggio più importante: la performance di bravura in uno dei momenti di maggiore rilevanza e visibilità del festival panellenico. Tale passaggio preliminare di verifica che il candidato sia ἄξιος consente di accostare Satyros al τραγῳδός Nikon di Megalopoli, presente a Delfi qualche decennio prima (165  a.C.) 16. Q uest’ultimo, essendone degno, offrì al  dio una giornata di esibizione e  la partecipazione a  delle ‘rassegne dimostrativo-competitive’ (vd. infra) in cui riscosse grande approvazione di pubblico. La situazione di un altro artista ancora può essere portata a  confronto per comprendere meglio quella di Satyros: si tratta del caso del κιθαρῳδός Athanadas di Reggio (150/149  a.C.) che gareggiò ai  Soteria senza ottenere premio alcuno, ma a gran richiesta dei Delfi offrì anche lui una giornata di esibizioni 17. L’ago­ne si configura in questo caso come un trampolino, uno strumento preliminare per segnalarsi al  pubblico, così come successe a Satyros che, pur nella situazione peculiare di unico concorrente, riuscì a  mettersi in luce e  a trarre vantaggio dal­l’imprevisto guadagnandosi la vetrina panellenica dello stadio. Il prestigio del­l’agone pitico, in cui soltanto le eccellenze del campo poe­tico-musicale potevano affrontarsi 18, giustificherebbe non solo l’accertamento dei prerequisiti (si potrebbe trattare di una prassi comune agli artisti che la città non conosceva) ma probabilmente anche la carenza di candidati a quel­l’edizione che, scoraggiati dalle esigue possibilità di ottenere un titolo, preferivano non rischiare di compromettere la propria carriera. Implicitamente inoltre, si può ricavare un’altra informazione: Satyros è trattato alla stregua di un vincitore che dimostra, attraverso la sua performance straordinaria, di essere degno di esibirsi al  momento del sacrificio 19 e anche di aver diritto alla statua.   FD III 1, 48, ll. 3-5: vd. infra T.b.   Daux 1949, 276-277 n. 27, ll. 3-8. Vd. Cinalli 2014 b. 18  Bélis 1995, 1052. 19   A quanto pare, non risulta una novità il fatto di impiegare le competenze dei vincitori dei Pythia in altre occasioni: diverse fonti documentano infatti che le gare di salto in lungo del festival olimpico erano accompagnate dagli artisti che avevano riportato la vittoria pitica al­l’agone auletico due anni prima: Paus. 5, 7, 16 17

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Dal­l’occasione delle performances si prende ora in considerazione l’attività agonale ed extra-agonale di questo professionista samio, per la ricostruzione della quale il testo epigrafico fornisce indizi utili (anche se non decisivi). Ammettendo dunque i Pythia come contesto della prima esibizione registrata dal­l’iscrizione, si possono contemplare due possibilità: o che Satyros abbia suonato l’aulos alle gare ditirambiche – eventualmente mantenute dopo l’epoca del peana di Philodamos – oppure che egli abbia fatto sfoggio di competenza nel­l’uso dello strumento al pythikos nomos 20 che, dal tempo delle vittorie del­l’argivo Sakadas 21, era sezione caratterizzante e distintiva del­ l’agone pitico 22. È da notare come la prova venga indicata semplicemente con il verbo aulein 23 che può implicitamente riferirsi a  Satyros o come pythaules oppure come choraules senza necessità di pre10; 5,  17,  10; 6, 14,  10; cfr.  Diog. Seleuc. SVF III, 225,  31; Ps.  Plut. Mus. 26, 1140 d; Philostr. De gymn. 55. 20  Com’è noto, le liste dei vincitori dei Pythia non ci sono pervenute, pertanto le fonti letterarie, insieme alle iscrizioni dei pythionikai, sono gli unici documenti che ci consentono di ricostruire, anche se parzialmente, la storia e il programma agonale: Paus. 10, 7, 1-7; Str. 9, 3, 10; Poll. 4, 83-84; Pi. P. hypoth. a, b. Vd.  Amandry 1990; Manieri 2009,  21-22; Della Bona in questo volume. Per quanto riguarda le competizioni sul­l’aulos (fatta eccezione per il polykephalos nomos, probabilmente eseguito fuori agone, in fase preliminare: Pi. P. 12, 24; vd.  Wilamowitz 1922,  144; Burton 1962,  30; Pöhlmann 2012,  278-282), dopo la soppressione già dalla seconda Pitiade della gara di aulodia considerata nefasta per il tono lamentevole e tetro del canto e del suono (Paus. 10, 7, 5), la prova di aule­tica – molto caratterizzata e  richiedente un particolare expertise (Poll. 4, 83-84) – sembra l’unica a sopravvivere con certezza, fino a età imperiale quando furono inserite nel programma anche le gare ditirambiche: Pöhlmann 2012, 275-278; Barker 1984, 51-53 (gara di auletica); Strasser 2002 (gare di cori ciclici). Il peana di Philodamos testimonia l’istituzione di gare di cori ciclici che, a causa della frammentarietà delle fonti, non possiamo affermare se continuarono nel tempo: Manieri 2015. 21  Paus. 10, 7, 4. 22  Q uesto nomos era evitato dagli artisti non solo per l’eccessiva difficoltà ma anche per scelta musicale. Difatti, il famoso auleta megarese Telephanes scelse di tenersi alla larga dai Pythia per la sua avversione verso l’espediente della syrinx: Ps. Plut. Mus. 21, 1138 a. 23  Non sembrano esserci ulteriori attestazioni epigrafiche del verbo aulein a Delfi. È da notare come le fonti letterarie operino distinzioni tra gli approcci esecutivi: nel trattato aristossenico, il verbo aulein è  usato in contrapposizione a  syrittein, che invece indica l’impiego del syrigmos: e.g. West 1992,  102. Non sembrano esservi confronti epigrafici di syrittein.

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cisa­zioni 24. Perché? È possibile che in quella fase la prova agonale sul­l’aulos fosse tornata una e unica (cioè il pythikos nomos) e che quindi non fosse necessario operare distinzioni? Inoltre, seppure si alludesse alla performance ditirambica, sembrerebbe ragionevole pensare di trovare menzione anche breve del coro 25. Pur senza poterlo indicare con certezza, le ll. 3-4 sembrano dunque intendere che Satyros si sia ritrovato senza avversari in una gara solistica e non in una prova d’insieme i cui elementi non com­paio­no. Se dunque Satyros si esibì nel pythikos nomos, era un virtuoso in grado di gestire magistralmente lo strumento (nella tipologia del pythikos o  teleios aulos, munito di syrigmos 26) e  le variazioni ritmiche, timbriche e modali di un brano di bravura. Bisogna inoltre considerare che le ll.  2-4: τούτωι πρώτωι συμβέβηκεν μόνωι| ἄνευ ἀνταγωνιστῶν αὐλῆσαι| τὸν ἀγῶνα, sono state interpretate come una vittoria senza competizione al­l’agone, intendendo quindi aulein come ‘vincere la gara auletica’ 27, di cui però non abbiamo raffronti né letterari né epigrafici 28. Tuttavia questa non sarebbe affatto una prima volta, se davvero si trattasse di una vittoria senza competizione, come dimostrano i  famosi raffronti di vittoria ἀκονιτί al­l’agone pitico 29. L’espressione ἄνευ ἀνταγωνιστῶν (l. 3) indicherebbe quindi l’assenza di concorrenti piuttosto che la vittoria ‘a tavolino’. Ad ogni modo, sul fatto che

24  Nelle iscrizioni di età imperiale, quando entrambe le prove rientrarono con certezza nel­l’agenda delle competizioni poe­tico-musicali dei Pythia, si trova invece una netta distinzione tra le due specialità: cfr.  le iscrizioni discusse in Strasser 2002. 25  In modo magari simile al peana di Philodamos, ll. 133-134: vd. supra. 26   Per questo elemento aggiuntivo, adibito alla riproduzione onomatopeica del sibilo del serpente ucciso da Apollo: X. Smp. 6, 5; Str. 9, 3, 10. Vd. Howard 1893, 30-35; West 1992, 102, 212-213; Hagel 2010-2011. 27  Q  uesta l’interpretazione di Prauscello 2006,  105 che traduce le ll.  2-4: «He had good fortune to be the first and only performer to win the pipe-players contest without competition …». 28  Piuttosto, nel caso si indicasse una vittoria, sarebbe più ragionevole aspettarsi ad esempio ἐνίκα Πύθια, al modo della dedica in esametri per un vincitore al concorso di pugilato (FD III 4 202). 29  Ai Pythia, Teogene di Taso ne ottiene tre nel pugilato (ca. 370-365 a.C., IAG 21) e  Dorieus figlio di Diagora ne ottiene una (Paus. 6,  7, 4  = IAG 23). Cfr.  Akmantidas di Sparta (ca.  500 a.C., IAG 8) e  Dromeus di Mantinea (480 a.C., Paus. 6, 6, 5; 11, 4 = IAG 202), con vittorie ἀκονιτί rispettivamente nel pentatlo e nel pancrazio a Olimpia. Cfr. anche IAG 76 e 79.

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l’agone si sia svolto non sembra esservi dubbio (come conferma la terminologia epigrafica ἀνταγωνιστής – ἀγών), ma non è possibile determinare se a Satyros sia stata assegnata una vittoria implicita, avendo gareggiato da solo, oppure se – pur non essendogli riconosciuta la vittoria, di cui d’altra parte ha dimostrato di essere degno (l.  4: ἀξιωθέντα) – egli sia stato trattato comunque come vincitore, ottenendo la statua e la vetrina panellenica. Le esibizioni successive al­l’agone sono indicate come offerte (ll.  4-5: ἐπιδοῦναι τῶι θεῶι καὶ τοῖς Ἕλλησι) 30 e  accompagnano il sacrificio: una, come d’uso nelle occasioni sacre della città, è una performance corale 31, mentre l’altra è solistica 32. Sul­l’ἆισμα μετὰ χοροῦ intitolato ‘Dioniso’, si può pensare a un inno (accompagnato da strumenti, di cui nel testo epigrafico si indicherebbe per sineddoche solo la parte vocale). Non sembra del tutto inverosimile tuttavia identificare con ἆισμα anche un canto a cappella 33 con il coro 34, sul modello del­l’inno 30  Pomtow in Syll3 690, n.  5: ἐπέδωκαν scil. δωρεάν. A proposito del verbo ἐπιδίδωμι, Pouilloux 1976, 25 (ad FD III 4 356): «offrir gratuitement et volontairement». Per le ἐπιδόσεις, vd. Migeotte 1992, 5 e passim. 31 Cfr.  le composizioni di Kleochares ateniese (prosodio, inno e  peana) eseguite alle Teossenie del 225-220 a.C.: FD III 2 78. Cfr. anche FD III 2 137138, 191 e, ovviamente, anche il peana di Philodamos (vd. supra). 32   È necessario far presente che, secondo un’altra linea interpretativa (Eitrem et alii 1955,  27; Gentili 1977,  17-19; Dihle 1981,  31; Xanthakis-Karamanos 1993,  125-126; Tedeschi 2003,  111-112; Prauscello 2006), l’ἆισμα μετὰ χοροῦ e  il κιθάρισμα corrisponderebbero a  due sezioni della stessa reperformance dalle Baccanti. In  particolare, Gentili 1977,  17 interpreta le ll.  7-9 come «uno spettacolo consistente nel canto delle parti di Dioniso nelle Baccanti di Euripide, con l’accompagnamento della cetra e  con l’intervento del coro». Pur non potendo dare una risposta definitiva alla questione, in questa sede si sceglie di seguire la lettura di Nachtergael 1977, 327, poi ripresa da Csapo – Slater 1994, 45; Perrin 1997, 213 n. 64; Chandezon 1998, 50-53, Wilson 2002, 63; Hall 2002, 13; Chaniotis 2009,  84, ritenendo l’interpretazione di due pièces separate più coerente e  rispettosa della struttura della frase. Si ritiene infatti meno tortuosa la spiegazione della parte appositiva Διόνυσον (l.  8) come titolo del­l’ἆισμα piuttosto che come riferimento alla parte di Dioniso nella tragedia. Inoltre, seguendo la lettura di un’unica reperformance, come dovremmo interpretare l’ἆισμα μετὰ χοροῦ di Xenotimos beotico (FD III 3 86, vd. supra), dove non sono precisate né le parti del personaggio né il dramma? 33  Oltre ai molti riscontri che, com’è noto, attestano canti con accompagnamento strumentale (e.g. Luc. Salt. 10-11, Paus. 8, 50, 3; 9, 29, 7), le fonti sembrano testimoniare anche il canto a cappella: Paus. 4, 16, 6. 34  Un’interpretazione alternativa potrebbe essere anche ‘canto con la danza’, scegliendo di porre l’accento sulla parte vocale e del movimento.

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del technites Athenaios(?) inciso sul Thesauros degli Ateniesi 35. Ammettendo comunque un accompagnamento, è  necessario tener presente che il testo epigrafico opera una distinzione terminologica con il κιθάρισμα della l. 8. Tale differenziazione ἆισμα/ κιθάρισμα mette ancor più in rilievo la parte cantata della composizione, in modo da relegare a un piano marginale l’eventuale parte strumentale 36 e indicare che il solista si dedicava unicamente al canto e non anche alla performance sullo strumento. È chiaro dunque come la parte dominante di questa composizione sia da considerarsi quella vocale 37 – la performance solistica sopra quella corale 38 ­che plausibilmente cantava su un registro più acuto e si comportava da Konzertmeister 39. Più sfocato è  il ruolo di Satyros nella performance del ‘Dioniso’, per il quale diverse ipotesi possono essere contemplate. Se l’ἆισμα prevedesse una parte strumentale, si potrebbe pensare che – in linea con la performance agonale – questo professionista abbia dominato la scena con l’aulos, magari del tipo χορικός adibito alle esibizioni con il coro 40. In tal modo, tuttavia, creerebbe perplessità il fatto che Satyros abbia svolto una parte di supporto alla linea melodica principale e  che questo non sia specificato nel testo epigrafico. Ammettere invece che si sia esibito da protagonista nella parte vocale, confermerebbe i talenti molteplici 41   CID III 1. Bélis 1988 b; Ead. 1992; Furley – Bremer 2001 I, 129-138.   Q uesto caso sembra trovare dei punti di contatto con il ruolo marginale del­l’accompagnamento strumentale del­l’ἆισμα, attestato dalla maggioranza delle testimonianze letterarie, e  con la formazione ditirambica dove la partecipazione del citarista è  comprovata dalle fonti papiracee: P.  Mich. inv. 4682 (vd. Pearl 1978). 37  Cfr.  Xenotimos beotico, già παῖς χορευτής nella gara ditirambica ai  Soteria (Nachtergael 1977,  420 9, l.  27), ricevette la prossenia nel III sec. a.C. per aver fatto offerta al dio di un [ἆισμα] μετὰ χοροῦ: FD III 3 86. Vd. Cinalli 2018, in corso di stampa. 38  Q ui il coro accompagna il solista: cfr. il χοραύλης che suona al registro acuto e nel tempo diviene protagonista della performance ditirambica, eclissando il coro: IG XI 2 133, ll. 71-72. Vd. Reinach in DS V, 324, s.v. ‘Tibia’. 39   Cfr. il χοραύλης, che diventa nel tempo anche direttore del­l’ensemble: Strasser 2002, 98. Guarducci 1927-1929, 644, commentando l’[ἆισμα] μετὰ χοροῦ di Xenotimos beotico (FD III 3 86), lo indica infatti come «direttore di coro». 40  Webster 1963,  540 contempla questa possibilità, che Satyros abbia accompagnato con il flauto la parte corale. 41  Conosciamo numerosi esempi di professionisti competenti in arti diverse: e.g., fra tutti, ID 1497 (vd. Cinalli 2014 a). 35

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di questo artista che, da quanto si vedrà nel­l’esibizione finale, si configura come un esperto degli strumenti a fiato e a corde e del­ l’arte vocale. Il fatto poi che nel­l’iscrizione si senta l’esigenza di identificare il brano con il suo titolo potrebbe lasciar intendere che si tratti di un pezzo della tradizione a cui le orecchie del pubblico di Delfi erano avvezze 42. Essendo di poco successivo al­l’agone, è ragionevole pensare che il ‘Dioniso’ – similmente alla pièce euri­ pidea (di  cui si parla di seguito) – non necessitasse di un lungo tempo di preparazione e  coordinamento, in qualità di brano imprescindibile di repertorio sul quale artista e  coro erano già preparati. Mettendo a  frutto la competenza vocale e  quella sulla cetra, Satyros vestì i  panni del τραγῳδός 43 e  propose al  pubblico un estratto dalle Baccanti di Euripide, a  chiusura della parabola di celebrazione dionisiaca 44. In  un ricercato gioco d’alternanza, se l’ἆισμα era stato un estratto di repertorio con la partecipazione del coro, la reperformance euripidea era invece un’esecuzione solistica. Entrambe le scelte musicali si ponevano a simbolo della tradizione e a rappresentazione poe­tica della pacifica convivenza tra Apollo e Dioniso a Delfi. Il canto sulla cetra di Satyros ci conduce a riflettere su alcune questioni sostanziali: 1/ esso conferma ulteriormente la predilezione del pubblico ellenistico per Euripide 45 e  la fortuna di cui godettero le Baccanti 46; 2/ documenta il gradimento per i revivals drammatici a Delfi, anche fuori dai concorsi 47; 3/ confermando le fonti letterarie e  papiracee, testimonia che i  testi drammatici erano oramai trattati ‘in modo antologico’ dagli   Chandezon 1988, 51 contempla entrambe le possibilità.   Per dirla con Nervegna 2007: «τραγῳδός qua singer» e  non «τραγῳδός qua actor». 44   Per il progetto di penetrazione macedone in Grecia sotto l’egida dionisiaca, fin dai tempi di Archelao: Manieri 2015, 37-38. 45  E.g. Ath. 12, 537d-e. Vd. Nachtergael 1977, 483-484, n. 69; Pickard-Cambridge 1968, 286-287; Nervegna 2013, 18-20, 85-87, 11-113 e passim (dove, nella disamina sulla fortuna di Euripide, si prende in considerazione un raggio cronologico più ampio). 46 Cfr. Plut. Crass. 33, 2-7. 47   Troviamo τραγῳδοί e κωμῳδοί nei cataloghi dei Soteria Anfizionici: Nachtergael 1977, 299-328; Actes 2, 3, 5, 7-9-10, 404-424. 42 43

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interpreti e dalle compagnie teatrali che sceglievano, rimodulandole, le parti o la combinazione di sezioni che più si addicevano al­l’occasione della performance 48. È necessario infine soffermarsi sul viaggio artistico di Satyros. Possiamo seguire le sue tracce anche a Delo, dove tuttavia la base statuaria a lui dedicata non offre notizia alcuna delle sue attività sul­l’isola 49, che tuttavia dovettero essere rimarchevoli per valergli un onore – anche qui come a Delfi – tanto inconsueto 50. Q uesto elemento ci dice molto sul calibro artistico, sullo status di questo professionista, e sulla considerazione in cui era tenuto in entrambe le città apollinee. Non è possibile affermare se il viaggio di Satyros sia approdato prima a Delo oppure a Delfi e come si sia evoluto il suo profilo artistico. Vero è che l’iscrizione di Delfi fornisce implicitamente un altro elemento di riflessione, in quanto racconta la storia di un artista non ancora tanto famoso da poter saltare la prova di competenza, che riesce a  guadagnarsi il sommo onore attraverso varie dimostrazioni del suo talento multiforme. 48  Gentili 1977, 8-23, Nervegna 2007, 18-21, 25-31 (dove si muovono critiche a Gentili e si considera la presente iscrizione, p. 31). A ragione, Nervegna puntualizza che il processo di frammentizzazione e antologizzazione delle opere teatrali si può affermare con certezza per occasioni musicali ed educative, con meno disinvoltura invece per le vere e proprie reperformances teatrali. 49  IG XI 1079: fine III-init. II sec. a.C. (in corona laurea) ὁ δῆμος| ὁ Δη ̣λ ̣ίω̣ ̣[ν]| Σάτυρον| Εὐμένου| Σάμιον. Vi sono inoltre diverse possibilità di identificare Satyros anche altrove, senza certezza tuttavia. 1/ L’attestazione più plausibile è quella del­l’auleta Satyros, vincitore nel coro di fanciulli agli agoni dionisiaci di Samo. In questo caso, la formula onomastica priva del­l’etnico potrebbe far intendere che l’artista sia autoctono ma la datazione, 246-243 a.C., sembra troppo antecedente rispetto ai documenti di Delo e Delfi: CIG 3091. 2/ Un altro omonimo, seguace del filosofo Ariston, risulta attivo sempre alla metà del III sec. a.C.: Ael. V.H. 3, 33. 3/ Il nome di un Satyros, privo però di altri elementi distintivi, sacerdote del koinon dei technitai del­l’Ellesponto, figura nel decreto onorario di Teo per il famoso auleta ciclico Kraton figlio di Zotichos (metà II sec. a.C.): CIG 3068 + p. 1125 A. 1. 4/ Per il tentativo di rintracciare questo artista ancora a Delo, vd. Stefanis 1988 n. 2240 (3) = ID 465 f, l. 12. 50   Tra gli artisti e  gli intellettuali documentati sul­l’isola sacra in età ellenistica, questo è  l’unico a  essere onorato con una statua. Anche a  Delfi l’elargizione della statua è  un’onoreficenza estremamente rara, accordata nei decreti soprattutto tra il 106 e  il 90 a.C.: Habicht 2002. Dei sei casi noti, la ricevono altri due artisti: l’ὕδραυλος cretese Antipatros e  plausibilmente la χοροψάλτρια da Kyme: vd.  infra, T.d, e. Pertanto, quello di Satyros è  un esempio ancor più singolare, in quanto figura come il risultato di un provvedimento del­l’inizio del II sec. a.C.

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Il concorso mancato L’86 a.C. fu un anno turbolento. La ‘partita a scacchi’ tra i Romani e  Mitridate prese una piega decisiva con l’arrivo in Grecia del­l’esercito di Silla e la distruzione di Atene. Le circostanze precarie e  i molti pericoli che ne avrebbero compromesso il buon esito e l’affluenza, spinsero i  Delfi ad annullare il festival pitico 51. Ma – o le notizie viaggiavano più lente degli artisti o si trattò di una disposizione presa con poco anticipo – i  piani della χοροψάλτρια 52 Polygnota di Tebe, giunta a Delfi col parente Lykinos 53 come chaperon per gareggiare 54 ai  Pythia 55, furono scom­binati dal­l’imprevisto. FD III 3 249 86 a.C. [θε]ός· τ ̣ύ ̣χαν [ἀ]γαθ[ά]ν ̣ [ἄρχοντος Ἁβρ]ομάχου, μηνὸς Βουκατίου, βουλευόντων τὰν π ̣[ρ]ώταν [ἑξά|μηνον Στρατ]άγου, Κλέωνος, Ἀντιφίλου, Δάμωνος· ἔδοξε τᾶι πόλει τῶν|[Δελφῶν· ἐπει]δὴ Πολυγνώτα Σακράτους (sic) Θηβαία χοροψάλτρια ἐνδαμήσασα ἐν Δελ|5[φοὺς ἐν ὧι και]ρῶι ἔδει συντελεῖσθαι τὸν ἀγῶνα τῶν|ΙΕΙ Πυθίων, διὰ δὲ τὸν ἐνεστακότα| [πόλεμον οὐ συ]ν ̣τελειμένου τοῦ ἀγῶνος 56 αὐθαμέ(ραν) ἀπάρξατο καὶ ἐπέδωκε ἁμέραν, παρα|[κληθε]ῖσ̣α ̣ 51  Per la cancellazione o  l’interruzione dei festival a  causa della guerra, vd. Habicht 2006. 52  Psaltria (suonatrice di strumento a corde, della famiglia delle arpe) accompagnata da un coro. Robert 1938 a, 36-38; Bélis 1988 a, 244-246. Bélis 1999, 259 nota 57, precisa che non necessariamente si tratta di un’arpa (come in Ferrandini Troisi 2000, 34-36), ma di uno strumento a corde – arpa o cetra a cassa arrotondata – suonato senza il plettro. 53   FD III 3 250: anche a  Lykinos, come a  Polygnota, sono offerti onori e privilegi. Cfr.  la poe­tessa Aristodama di Smirne accompagnata da suo fratello: FD III 145; Syll3 532. 54  L’iscrizione di Polygnota di Tebe non lascia dubbi sulla – benché limitata – partecipazione delle donne agli agoni. Sul­l’argomento, gli studiosi si sono divisi: vd.  Lee 1988,  109-110; Angeli Bernardini 1995,  188-189; Bélis 1999,  52-57; Dillon 2000; Aneziri 2003,  221-223; Loman 2004,  64-66; Ferrandini Troisi 2006; Slater 2007, 46, n. 162. Per altre testimonianze della presenza femminile nei concorsi: e.g. Daux 1949, 276-277, n. 27; Syll3 802; Plut. Q uaest. conv. 675 b. 55  Non è  possibile affermare con certezza se la presenza delle χοροψάλτριαι (oltre a Polygnota, l’altra da Kyme) sia indice di una gara apposita oppure se la loro specialità fosse compresa nel­l’ambito del­l’agone citarodico. Come ci conferma Plutarco, il concorso pitico subì un graduale snaturamento rispetto alla struttura originaria, accogliendo le più svariate specialità: Plut. Q uaest. conv. 674d-e. 56   Si considerino, per le ll. 4-6 (le più rilevanti ai  fini di questo appro­fon­ dimento), le letture precedenti a  quella restituita da Robert (BCH 53 (1929),

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δὲ ὑπό τε τῶν ἀρχόντων καὶ τῶν πολιτᾶν, ἀγωνίξατο ἐ|[πὶ ἁ]μ ̣έρας τρεῖς καὶ εὐδοκίμησε μεγαλομερῶς ἀξίως τοῦ τε θεοῦ| [καὶ] τοῦ δάμου τοῦ Θηβαίων καὶ τᾶς ἁμετέρας πόλιος καὶ ἐστεφανώσ[α]|10μεν αὐτὰν καὶ δραχ[μ]αῖς πεντακοσίαις· τ ̣ύ ̣χ[αι ἀ]γ[αθ]ᾶι· ἐπαιν|έσαι Πολυγνώταν Σωκράτους Θηβαίαν ἐπί τε τᾶι ποτὶ τὸν θεὸν εὐσεβείᾳ κ[αὶ]| ὁσιότατι καὶ τᾷ περὶ τὸ ἐπιτάδευμα καὶ τὰν τέχναν προαιρέ(σε)ι· δεδόσ[θαι]| δὲ αὐτᾷ καὶ ἐγγόνοις παρὰ τᾶς πόλιος ἁμῶν προξενίαν, προμαντείαν, προ[δι]|κίαν, ἀσυλίαν, ἀτέλειαν, προεδρίαν ἐν τοῖς ἀγώνοις [ο]ἷς ἁ πόλις τίθητι‹θ[ητι]›|15 καὶ γᾶς καὶ οἰκίας ἔνκτησιν καὶ τἄλλα τίμια πάντα ὅσα καὶ τοῖ(ς) ἄλλοις π[ρο]|ξένοις καὶ εὐεργέταις τᾶ‹ι›ς πόλιος ὑπάρχει· καλέσαι δὲ αὐτὰν καὶ ἐν τὸ π[ρυτα]|ν ̣εῖον ἐπὶ τὰν κοινὰν ἑστίαν· παραστᾶσαι δὲ αὐτᾶι καὶ ἱερεῖον θῦσαι τῶ[ι Ἀπόλ]|λ ̣ωνι. Dio. Alla buona fortuna. Sotto l’arcontato di Abromachos, nel mese di Boukatios, essendo buleuti del primo semestre Stratagos, Kleon, Antiphilos, Damon. Sembrò bene alla città di Delfi: poiché Polygnota di Tebe figlia di Sakrates, χοροψάλτρια, avendo soggiornato a  Delfi nella circostanza in cui si mancò di celebrare l’agone dei Pythia poiché la gara non ebbe luogo a  causa della guerra in corso, non celebrandosi l’agone, offrì lo stesso giorno di esibizione e  concesse anche un altro giorno; e, dietro richiesta degli arconti e dei cittadini, diede prova di sé per tre giorni e ottenne buon successo splendidamente e in modo degno del dio, del popolo dei Tebani e della nostra città e noi le offrimmo una corona del valore di cinquecento dracme: alla buona fortuna; si lodi Polygnota di Tebe figlia di Sokrates per la devozione e la pietas verso il dio e per la costanza nella condotta di vita e nel­l’arte. Si concedano a lei e ai suoi discendenti, da parte della nostra città, la prossenia, il diritto di precedenza nella consultazione del­l’oracolo e in giudizio, l’immunità per i propri beni, l’esenzione dal pagamento delle tasse, la proedria negli agoni che la città bandisce, il diritto di possesso di terra e  casa e tutti gli altri onori, quanti ne appartengono anche agli altri prosseni ed evergeti della città. La si inviti al Pritaneo presso il focolare comune, le si offra anche una vittima da sacrificare ad Apollo.

Grazie alla sua intraprendenza, l’artista di Tebe riuscì tuttavia a non rendere vano il viaggio e  si trattenne in città per offrire 34-39), accolta poi in FD: ἐν Δελ[φοὺς ἀγωνίξατο ὃ]ν ἔδει συντελεῖσ̣ ̣θαι τὸν ἀγῶν ̣α τῶν Ε ̣Ι ̣ Π̣υθ ̣ίων, διὰ δὲ τὸν ἐνεστακότ[α καιρὸν οὐ τ]ετελειμένου τοῦ ἀγῶνος αὐθαμέραν ̣ ἄρξατο Pomtow (Syll3); ἐν Δελ[φοὺς καθ’ ὃν καιρὸ]ν ἔδει συντελεῖσθαι τὸν ἀγῶνα τῶν Πυθίων, διὰ δὲ τὸν ἐνεστακότ[α πόλεμον οὐ ‹τ]ε› τελειμένου τοῦ ἀγῶνος αὐθαμέραν (ἀπ)άρξατο Wilhlem.

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qualche pillola d’arte. Il dono del­l’esibizione, nello stesso giorno in cui avrebbe dovuto gareggiare (αὐθαμέ(ραν) ἀπάρξατο 57), fu un’ini­ziativa spontanea 58. Non possiamo affermare con sicurezza se anche l’offerta di un altro giorno di performance (ἐπέδωκε ἁμέραν) sia stata volontaria oppure determinata da una sorta di prassi cittadina che – come si è visto per Satyros – ammetteva gli artisti di chiara fama e quelli giudicati competenti a esibirsi pubblicamente 59. A  questi due giorni di performance volontaria, ne seguirono altri tre su richiesta della città in cui Polygnota ottenne notevole successo (ll. 7-9). Già l’attenzione degli studiosi si è catalizzata sul verbo ἀγωνίζομαι usato qui in modo generico (l.  7), che chiaramente non può essere riferito al­l’agone pitico, il cui annullamento è esplicitato alle ll. 4-6. Se si trattasse di una semplice audizione 60 protrattasi lungo l’arco di tre giornate, perché non usare la terminologia epigrafica che Delfi solitamente adotta, e.g.  ἀκροάσεις  / ἐπιδείξεις ποιεῖσθαι 61? In  uno studio di recente pubblicazione (Cinalli 2014 b), prendendo spunto dalla testimonianza di Polygnota, è  stato messo insieme e  preso in esame un gruppo di decreti da Delfi – riportati di seguito – in cui il verbo ἀγωνίζομαι non sembra indicare agoni veri e propri. T.a:  Decreto onorario per il κιθαρῳδός Menalkes ateniese, figlio di Speuson (259/258 o 255/254 a.C.?) FD III 4 361, ll.  5-9:  ἐπειδὴ Μενάλκης ὁ κιθαρωιδὸς| παραγενόμενος εἰς Δελφοὺς εἰς τὰ Σωτήρια| τόν τε ἄλλον ἀγῶνα καλῶς καὶ φιλοτίμως ἠγωνί|σατο καὶ προσεπέδωκε τῶι θεῶι καὶ τοῖς Ἀμφικ[τύ]|οσι τὸν ἀγῶνα ⟦— —0.09m— —⟧ 62 57  Robert 1938 b spiega come il verbo subisca una secolarizzazione e debba essere inteso nel senso di «offrir prémices de l’art». Cfr. anche: FD III 3 129, 338 (ἀπαρχὴν ποιεῖσθαι); SEG II 184 (Tanagra). 58  Il valore di αὐθαμέραν è spiegato da Chaniotis 2009, 89-90. 59   È chiaro che anche in questo caso si tratta di un’offerta gratuita e volontaria, come quella espressa dal verbo ἀπάρχεσθαι, ma, come si evince dal confronto con i casi delfici analoghi (vd. T.a-d), la possibilità di fare l’offerta è determinata dalla città che si è previamente sincerata o è già consapevole del valore artistico del professionista. Cfr. anche n. 30. 60  Robert 1929, 38-39. 61 Cfr. n. 8. 62   Grazie a una fortunata coincidenza, la presenza di Menalkes ai Soteria è registrata nei cataloghi dei partecipanti: Nachtergael 1977,  416-419, n.  8. L. 35: gareggia nel coro degli uomini; la l.  82 registra una performance ‘fuori agone’

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T.b: Decreto onorario per il τραγῳδός Nikon di Megalopoli, figlio di Nikias (165 a.C.) FD III 1 48, ll. 3-5: ἐπειδὴ Νίκων Νικία Μεγαλοπολίτας τραγωιδὸς καὶ πρότερον μὲν| εὔνους ὢν διετέλει τᾶι πόλει καὶ ἐνδαμήσας δὲ ἀξιωθεὶς ἐπέδωκε τῶι θε|ῶι ἁμέραν καὶ ἀγωνίξατο καὶ εὐδοκίμησε T.c: Decreto onorario per i  συναγωνισταί di Aigion: Aristys figlio di Aristomenes e Damokles figlio di Timokrates (157 a.C.) FD III 3 125, ll. 3-5: ἐπειδὴ Ἄριστυς Ἀριστομένεος Αἰγιεὺς ἐπέ|δωκε τῶι θεῶι ἁμέραν κ[α]ὶ ἀγωνίξατο καὶ εὐδοκίμησε FD III 3 126, ll. 3-5: ἐπειδὴ [Δ]αμοκλῆς Τιμοκράτεος Αἰγιεὺς ἐνδαμήσας συναγωνίξατο [μ]ετὰ Ἀρίστιος T.d: Decreto onorario per la χοροψάλτρια di Kyme (134 a.C.) Syll3 689 +  Robert 1938 b: 38, ll.  2-6: ἐ[πειδὴ| ․․․8․․․․ Ἀριστο] κράτεος Κυμαία, χοροψάλτρια, παραγενηθεῖσα ἐν Δε[λφούς| καὶ παρακληθεῖ]σα ὑπό τε τῶν ἀρχόντων καὶ τᾶς πόλιος ἐπέδωκε [τῶι  63 θεῶι| ― καὶ ἀ]γωνίξατο ἁμέρα[ς δύο ?] καὶ εὐδοκίμησε ἐν τῷ ἀγῶνι ̣  64 [―|― ἀξίως τ]οῦ τε θεοῦ καὶ τᾶς πόλιος ἁμῶν T.e: Decreto onorario per l’ ὕδραυλος Antipatros di Eleutherna, figlio di Breukos (86 a.C.) ̣ ὕδραυλος, Syll3 737, ll.  3-7: ἐπεὶ Ἀντίπατρος Βρεύκου| [Ἐλευθερν]α ̣ῖος, ἀποστειλάσας ποτ’ αὐτὸν τᾶς πόλιος πρεσβεί|[αν παραγ]ενηθεὶς ἐν Δελφοὺς καὶ παρακληθεὶς ὑπὸ τῶν ἀρχόντων καὶ τᾶς| [πόλιος] ἀγωνίξατο ἁμέρας δύο καὶ εὐδοκίμησε μεγαλομερῶς καὶ ἀξίως|̣ [τ]οῦ τε θεοῦ καὶ τᾶς πόλιος τῶν Ἐλευθερναίων καὶ τᾶς ἁμετέρας πόλιος ̣

È utile mettere in rilievo alcuni punti salienti che accomunano le testimonianze testé riportate 65: insieme al­l’auleta Boiskos che corrisponderebbe al­l’ἄλλος ἀγών. Q uesta sarebbe la prima attestazione delle rassegne di tipo dimostrativo-competitivo. L. 9: le ragioni del martelage non sono chiare. Pomtow (ad Syll3 431, 674, n. 5) propone l’integrazione ⟦τόν Σωτηρίωι⟧. Cfr. i decreti di Polygnota di Tebe e Antipatros da Eleutherna (T.e), dove il valore della corona è  stato eraso in virtù di una legge retrospettiva sulle elargizioni agli stranieri presenti in città: vd. Habicht 2002, 24; Cinalli 2014 b. 63  ll. 4-5: [τῶι θεῶι| αὐθαμέραν καὶ ἀ]γωνίξατο Pomtow ad Syll3 689. ̣ 64  ll. 5-6: τ[ῶν ̣ Πυθίων| ἀξίως] Couve in ed. pr. BCH 18 (1894), 82-84 n. 6; τ ̣[ῶν Πυθί|ων καταξίως τ]οῦ τε θεοῦ καὶ τᾶς πόλιος ἁμῶν Pomtow ad Syll3 689. 65   Si sceglie di non includere, nel gruppo dei documenti, il decreto in onore del κιθαρῳδός Athanadas di Reggio in cui si propone di riconoscere la partecipazione ai  Soteria (in diverse fasi della competizione) e  un’offerta gratuita. Vd. Cinalli 2014 b.

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– Come si può notare, oltre alla tebana Polygnota, Menalkes (T.a) e  forse anche l’altra χοροψάλτρια da Kyme (T.d) giungono a  Delfi per gareggiare ed estendono il loro ‘soggiorno performativo’. – A questi ‘agoni anonimi’, i professionisti sono convocati per merito o per prestigio: il τραγῳδός Nikon (T.b) dimostra previamente il proprio valore 66; la presenza di Polygnota è richiesta dalla città 67 (dopo la prima offerta artistica); l’ὕδραυλος Antipatros (T.e) viene appositamente mandato a  chiamare. Si tratta dunque di performers di alta levatura per fama o per valore artistico. Q uesto è  dimostrato anche dal calibro degli onori e privilegi elargiti ai professionisti come indennizzo per i  loro sforzi artistici. Antipatros e  la χοροψάλτρια da Kyme ricevono il raro onore della statua 68 (alla maniera di Satyros, che è  trattato come un effettivo vincitore agonale); l’invio dei doni e  l’ospitalità al  Pritaneo, anch’essi concessi sporadicamente, sono riconosciuti a  ogni professionista eccetto il κιθαρῳδός Menalkes 69; la corona spetta a  tutti tranne che al  τραγῳδός Nikon. Ancor più inusuale è  l’offerta della vittima del sacrificio ad Apollo, assegnata, tra gli artisti del gruppo, soltanto a Polygnota 70. La città rende grazie a questi virtuosi con ricompense più o meno sostanziali (ad esempio, a Nikon, che passa attraverso la fase preliminare, toccano dei riconoscimenti per lo più formali), probabilmente operando distinzioni in relazione allo status degli artisti oltre che alla situazione finanziaria della città 71.

 Cfr. supra, n. 16.   Anche per il κιθαρῳδός Athanadas la richiesta avviene da parte della città: Daux 1949, 276-277, n. 27. 68 Cfr. n. 50. 69  Uno studio che ricostruisce la prassi del­l’ospitalità cittadina attraverso una raccolta di fonti epigrafiche e  letterarie è  stato recentemente pubblicato da chi scrive: Cinalli 2015. 70   Cfr. la poe­tessa Aristodama di Smirne (Rutherford 2009) che da Chaleion presso Delfi riceve, come [γέρ]ας πα[ρ]ὰ τοῦ Ἀπόλλων[ο]ς, un pezzo della vittima sacrificale per la κοινὴ ἑστία di Smirne. Cfr. anche Pouilloux 1971, 168-170, n. 33; vd. Robert 1960, 126-131. 71  Vd. Perrot 2010, 287-288. 66 67

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– Si può riconoscere un legame tra questi ‘agoni anonimi’ e  la ἐπίδοσις τῶι θεῶι 72. Q uest’ultima solitamente figura come un passaggio precedente (decreto per Polygnota, T.b-d). Alla luce di tali considerazioni, sembra che nel vocabolario delle iscrizioni delfiche – dove il linguaggio della performance risulta mirato e  puntale nel differenziare le occasioni – questi ‘agoni anonimi’ indichino delle istituzioni specifiche in cui le idee della rivalità e  della dimostrazione del talento emergono insieme. Si propone pertanto di riconoscervi delle occasioni performative comprese tra esibizioni e competizioni. Esse appaiono come rassegne di specialisti della musica e della poesia che, nel­l’arco di uno o più giorni, si alternavano sul podio esibendosi con ‘spirito’ di competizione. La conferma o  l’attestazione del profilo artistico davanti al pubblico (εὐδοκιμέω), attraverso il confronto con altri specialisti, era il premio di gloria che gli artisti ricevevano, insieme agli onori e  ai privilegi elargiti dalla città che andavano a  comporre il loro cachet. Q ueste conventions per artisti di alto profilo sembrano fare la prima apparizione nel III sec. a.C. e conoscono l’affermazione tra la metà del II e i primi decenni del I sec. a.C. Non  è  possibile affermare se tali occasioni fossero previste con regolarità dalla città o  se si trattasse di istituzioni estemporanee organizzate nei momenti in cui Delfi ospitava diversi professionisti di grido 73. L’indeterminatezza nella terminologia sembrerebbe suggerire quest’ultima possibilità.

Considerazioni conclusive I documenti discussi non soltanto ci consentono di mettere a fuoco uno spaccato di vita artistica degli artisti itineranti, ma forniscono anche svariati spunti di discussione e approfondimento sul­l’agenda culturale della città di Delfi in diversi momenti storici (rispettivamente, inizi del II e  I sec. a.C.). In  entrambi i  casi di Satyros e Polygnota, l’imprevisto origina occasioni performative inaspettate da cui traggono beneficio gli artisti e  la città ospite.  Cfr. nn. 30, 59.   Q uesto tipo di occasioni è stato riconosciuto anche fuori da Delfi, in particolare nel­l’area cicladica: Cinalli 2014 b, 2018 in corso di stampa. 72 73

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Nel caso di Satyros, la città di Delfi si assicura la parte musicale che accompagna il sacrificio; Polygnota invece allieta il pubblico cittadino, privato delle festività pitiche, con più di un intrattenimento artistico. Delfi ha tutto l’interesse a trattenere in città questi artisti venuti da lontano per beneficiare di qualche pillola d’arte in più e, riproponendo una prassi usuale, li impiega nelle celebrazioni della vita sacra o in occasioni predisposte ad hoc. Entrambi gli artisti ottengono un tornaconto conveniente, che ripara l’imprevisto e ricompensa lo sforzo artistico suppletivo. Anzi, la circostanza straordinaria che vede protagonista Satyros genera un episodio tanto unico e  rimarchevole da meritare l’incisione su pietra. Attraverso l’iscrizione del­l’artista di Samo, si può comprendere che vincitori e concorrenti che si segnalavano positivamente nei concorsi potevano essere richiesti come guest artists nelle cerimonie e nelle kermesses cittadine 74. È plausibile che Satyros, essendo l’unico concorrente e passando attraverso un accertamento preliminare dei prerequisiti, venga considerato alla stregua dei vincitori del­l’agone auletico e gli venga dunque affidata un’esi­bizione davanti al­l’audience panellenica in grado di procuragli la fama e il consolidamento della propria carriera. Mentre l’edizione dei Pythia a  cui Satyros partecipa sembra solo sguarnita nella sezione auletica – in quanto l’iscrizione conferma la piena effettività del­l’agone e delle cerimonie collaterali con partecipazione di pubblico panellenico – non permangono dubbi sulle cause contingenti che determinano l’annullamento del concorso a cui Polygnota avrebbe voluto partecipare. Se per Satyros sono le circostanze e la prassi delfica in materia di performances a coordinare le attività artistiche in città, nel decreto di Polygnota si scorge l’iniziativa personale di consacrare al  dio un giorno di esibizione e  di offrirne spontaneamente un altro. Entrambi gli artisti si districano bene nelle circostanze impreviste che si trovano a fronteggiare, ma l’uno è favorito dalle scelte della città, l’altra da resilienza e lungimiranza. Gloria, onori e guadagni seguono al superamento del­l’impasse e al­l’inclinazione verso sfide inattese, a conferma che «l’imprevisto è la sola speranza».

  Cfr. Athanadas di Reggio: nn. 65, 67.

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Abstracts La documentazione relativa ai  viaggi e  alle performances dei professionisti itineranti di vari talenti, che in età ellenistica percorrevano l’Ella­de in cerca di gloria, onori e  guadagni, deriva quasi esclusivamente dalle fonti epigrafiche. Esse ci permettono di ricostruire i circuiti artistici che i ‘poe­ti vaganti’ frequentavano a seconda delle proprie specialità, del proprio profilo artistico e status sociale, e indicano Delfi come una delle tappe principali nel percorso delle arti. La ricca documentazione attesta, per tutto il periodo ellenistico, un’ampia frequentazione di artisti che giungevano appositamente per esibirsi o competere nei vari contesti performativi. In questo viavai delle arti, due iscrizioni in particolare richiamano l’attenzione sulle circostanze impreviste che due ‘poe­ti vaganti’ – Satyros di Samo, esperto strumentista e  del­l’arte vocale, e  la χοροψάλτρια Polygnota di Tebe  – si trovarono ad affrontare una volta giunti a  Delfi per partecipare agli agoni. Attraverso questi documenti, aggiungiamo qualche elemento significativo alla conoscenza della vita culturale e  performativa della Delfi ellenistica.  Epigraphy attests to the movements and performances of   the itinerant professionals of   the arts who, throughout the Hellenistic period, travelled all over the Greece searching for glory, honours, and rewards. 408

STORIE DI ‘POETI VAGANTI’ A DELFI

The epigraphic testimonies allow us to trace the artistic routes that the travelling artists (the so-called poe­ti vaganti) attended, depending on their specialties, professionalism, and social status, and testify to Delphi as one of   the most vital centres of   the Hellenistic itinerary of  the arts. The abundance of   documents spans throughout the Hellenistic period, when several professionals travelled to Delphi to show off  in various competitive and demonstrative occasions. In this panorama, two particular inscriptions capture our attention on the unexpected situations that two poe­ti vaganti – Satyros from Samos, a virtuoso on instruments and voice, and the χοροψάλτρια Polygnota from Thebes – had to tackle once arrived to Delphi to participate to the ἀγῶνες. These documents allow us to add some significant element to our knowledge of  the cultural and performative life of  the Hellenistic Delphi.

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RIFLESSIONE TEORICA SULLE PERFORMANCES DALL’ETÀ CLASSICA ALL’ETÀ ROMANA

MASSIMO RAFFA Università di Perugia – Liceo Classico «Lucio Piccolo» di Capo d’Orlando

PERCHÉ MI PIACE CIÒ CHE MI PIACE? LA FORMAZIONE DEL GIUDIZIO SULLA PERFORMANCE MUSICALE NELLA SEZIONE 19 DEI PROBLEMI PSEUDO-ARISTOTELICI

Com’è noto, i Problemi pervenuti nel corpus aristotelico sono divisi in trentotto sezioni che comprendono un numero variabile di brevi domande e  risposte su svariati argomenti (il sudore, le focacce, i  venti, la fatica, ecc.). L’opera è  certamente spuria, ma con ogni probabilità è frutto del­l’aggregazione di materiali e appunti provenienti direttamente dal­l’attività interna al  Peripato e in qualche caso, forse, da lezioni tenute dallo stesso Aristotele 1. La sezione 19, che nella tradizione manoscritta reca il titolo Ὅσα περὶ ἁρμονίαν, Q uestioni riguardanti l’armonia, si compone di 50 problemi di teoria musicale elementare, ma anche di estetica e di performance 2. Q uesti ultimi, in particolare, aiutano a comprendere in dettaglio, cioè al di là delle generiche lodi della ‘bellezza’ o della ‘dolcezza’ del canto, quali caratteristiche delle esecuzioni musicali venissero maggiormente apprezzate dal pubblico del­l’età di Aristotele o degli anni immediatamente successivi alla sua morte. Per ragioni di spazio mi limiterò a un solo aspetto della questione, ossia il rapporto tra voci e strumenti. Eviterò di parlare di ‘accompagnamento’, poiché questo termine rimanda al linguaggio musicale moderno e perciò può generare fraintendimenti; preferirò piuttosto la nozione di ‘incontro’ o ‘rapporto’ tra la linea melodica eseguita da uno o più cantori – quella che nella percezione del­l’ascoltatore 1  Vd. Louis 1991, I, xxiii-xxxv; Marenghi 1957a, 13-19; Barker 1989, 85 s.; Ferrini 2002, xiv s. 2   Vd. Bojesen 1836, 39-113; Ruelle 1891, 233-267; von Jan 1895, 77-111; Gevaert – Vollgraff  1903; Flashar 1962, 595-626; Barnes 1984, 141-153; Louis 1991, II, 93-116; Ferrini 2002, 274-297. I problemi ai quali farò riferimento sono riportati nel­l’Appendice a fine testo.

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era portatrice del μέλος – e la linea eseguita da uno o più strumenti, fossero essi cordofoni, come la cetra, o aerofoni come l’aulos. Da numerose testimonianze sappiamo che queste due linee erano molto simili, ma non identiche: una delle due poteva eseguire una fioritura laddove l’altra aveva una nota tenuta, oppure poteva abbandonare momentaneamente il consueto moto parallelo rispetto al­l’altra, ad esempio muovendosi per moto contrario oppure spostando il moto parallelo su un intervallo diverso da quello abituale. Se per esempio, com’è il caso della musica descritta nei Problemi, le due linee erano per lo più al­l’ottava, l’esecuzione di un frammento melodico alla quinta o alla quarta costituiva un elemento di discontinuità importante dal punto di vista percettivo. Tale procedimento è descritto chiaramente nel probl. 39, ove si afferma che gli auleti «quando … non seguono il canto, se alla fine (della frase) si riuniscono a quello, provocano un effetto più piacevole di quanto non abbiano creato tensione nelle parti che precedono la chiusa, per il fatto che il ricongiungimento arriva dopo la differenza». Il passo apre uno spiraglio assai interessante sulla pratica esecutiva antica, in quanto mostra che la riflessione dei Greci sulla musica aveva teorizzato già in età classica il principio estetico e  psicologico del­l’alternanza di tensione e  rilassamento. Q uesta testimonianza presuppone infatti che il ritorno alla relazione d’ottava fosse percepito dal­l’ascoltatore come piacevole e cadesse in corrispondenza del τέλος, nozione che non interpreterei necessariamente come ‘fine’ del brano ma, in senso più ampio, come qualsiasi snodo anche intermedio della melodia e del testo, ad esempio una fine di frase, di strofe, di sezione (in termini più moderni, come una cadenza). Si trattava insomma di quel tipo di relazione tra melodie che i musicologi definiscono ‘eterofonia’. Gli elementi riguardanti tale relazione si presentano in maniera disordinata nel­l’assetto testuale in cui sono pervenuti i problemi di questa sezione; per questo ho cercato di organizzare la mia esposizione intorno ai parametri fondamentali del suono: intensità, altezza, timbro.

Intensità È trattata in termini non assoluti ma relativi, cioè con riferimento a quale equilibrio dovesse esservi tra il peso della voce e quello della melodia strumentale. In  generale, la percettibilità del canto era 414

PERCHÉ MI PIACE CIÒ CHE MI PIACE?

essenziale per la valutazione positiva di un’esecuzione; e ciò non soltanto per il motivo, ovvio, che il canto veicolava il λόγος, ma anche perché l’ascolto del canto permetteva di comprendere se l’esecutore avesse reso la melodia in modo convincente. Il modo in cui questo criterio viene espresso nei Problemi è assai significativo: si parla della capacità del cantore di centrare lo σκοπός, lo ‘scopo’ o, se si vuole, il ‘bersaglio’ (probl. 5; 9; 40). Q ui il termine σκοπός va inteso, a  mio avviso, non tanto nel senso filosofico del ‘fine’ del canto stesso, ossia quello di provocare nel­l’ascoltatore un certo effetto 3, quanto piuttosto in un’accezione più musicale, quasi che fosse la ‘destinazione’ della melodia stessa o il ‘traguardo’, per così dire, del suo movimento diastematico. Ecco perché l’esecuzione con un solo aulos o una cetra era preferita a quella con più strumenti: una preponderanza del suono strumentale avrebbe reso il canto meno chiaro (τὸ δὲ πρὸς πολλοὺς αὐλητὰς ἢ λύρας πολλὰς οὐχ ἥδιον, ὅτι ἀφανίζει τὴν ᾠδήν, probl. 9).

Altezza Molto più interessanti sono le questioni inerenti al­l’altezza, ossia al  modo in cui le due linee si collocavano reciprocamente nello spazio diastematico. La relazione preferita sembra essere quella di ottava, giudicata persino migliore del­l’unisono. Il  probl.  39 spiega la ragione di tale preferenza: l’ottava è la mescolanza di due note tra loro antitetiche (tanto che è  spesso indicata con il termine ἀντιφωνία) 4, mentre l’unisono è  l’identità tra due note; e, in generale, «ciò che è mescolato è più piacevole di ciò che non lo è». È evidente, credo, che le eventuali discrepanze di intonazione tra voce o  voci e  strumenti fossero più tollerabili se attutite dalla distanza d’ottava invece che sottolineate dalla crudezza del­l’unisono. Inoltre, nella polarità tra acuto e grave che si veniva a creare, la melodia cantata (μέλος) tendeva a collocarsi al grave. Tanto forte era questa convenzione percettiva che, a quanto sembra di capire dal probl. 12, anche nelle esecuzioni soltanto strumentali in cui erano presenti due linee melodiche prodotte dal medesimo strumento – cosa possibile tanto sulla cetra quanto   Così Marenghi 1957b, 200.   Vd. p. es. Porph. in Ptol. Harm. I, 6, p. 104, 5-13 Düring = pp. 130.25 – 131.6 Raffa. 3 4

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sull’aulos – l’ascoltatore attribuiva automaticamente il μέλος alla parte più grave 5. A maggior ragione, quindi, la gerarchia tra campi di altezze si dava nel­l’unione di canto e suono strumentale. A questa complementarità tra linea vocale e linea strumentale, dettata da fattori fisici, se ne aggiungeva poi un’altra di natura psicoacustica, poiché la diversa altezza produceva, al­l’ascolto, analoga diversità di carattere. Nel probl. 49 si spiega che la melodia ha la sua sede naturale nel grave perché esso è per natura ‘dolce e  tranquillo’ (μαλακόν  … καὶ ἠρεμαῖον), mentre l’acuto è  ‘aspro e movimentato’ (τραχὺ καὶ κινητικόν). L’argomentazione è ellittica e non è facile comprenderne i dettagli; tuttavia mi sembra evidente che, poiché si parla di una melodia eseguita parallelamente da due voci in rapporto di consonanza, e poiché l’unico intervallo nel quale era possibile realizzare ciò era l’ottava 6, il compilatore stia parlando appunto del­l’intervallo di ottava e non di altri. In secondo luogo, è degno di nota che la linea più acuta sia messa in relazione con il ritmo. Ciò non può significare che la linea inferiore da sola non abbia ritmo: non può esistere, infatti, una melodia senza ritmo. Più probabilmente, il senso è che l’aggiunta della linea al­ l’ottava superiore conferisce alla melodia una incisività ritmica che diversamente non avrebbe. Se è così, bisogna necessariamente concludere che questa linea melodica aggiunta non è vocale, come avverrebbe se il canto di un coro maschile fosse raddoppiato da un coro di donne o di voci bianche, bensì strumentale. Ciò trova conferma da una parte nel­l’affermazione che, date due linee melodiche, quella che riceve il canto è la più grave 7 e, dal­l’altra parte, nel­l’idea che gli strumenti abbiano rispetto alla voce una maggiore capacità ritmica 8. La linea melodica acuta, quella strumentale, sarebbe quindi complementare a quella grave, in quanto fornirebbe a quest’ultima l’incisività ritmica che le manca. Nel probl. 10, in particolare, si spiega che l’abitudine di coloro che, mentre ascoltano un’esecuzione, canticchiano le melodie senza parole – il ver­bo usato è  τερετίζειν, che indica anche il verso delle cicale 9  – è  ri­   Si vedano a tal proposito le mie osservazioni in Raffa 2017, 18-20.   Come nel procedimento detto magadis: vd., nella stessa sezione, i probl. 18; 35a; 39. 7  Vd. probl. 12. 8  Vd. probl. 10. 9  Su quest’uso del verbo vd. Rocconi 2003, 87. 5 6

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provevole perché se alla voce si toglie il λόγος, essa perde il suo ἔργον specifico e deve competere con il suono strumentale su un terreno, quello della melodia ἄλογος, in cui gli strumenti hanno maggiore efficacia (κρουστικὰ δὲ μᾶλλον τὰ ὄργανα τοῦ στόματος). Nel probl.  49, coerentemente con questa idea, l’unione della melodia cantata al grave con la melodia strumentale al­l’acuto è definita come ‘mescolanza’ (μῖξις) del­l’elemento dolce con l’elemento ritmico.

Timbro Veniamo infine alle questioni concernenti la relazione tra il timbro vocale e i timbri strumentali. La cetra e l’aulos sono intesi già dal­ l’epoca classica, notoriamente, come rappresentativi di due civiltà musicali antitetiche 10. Anche se le semplificazioni e gli schematismi in tal senso vanno trattati con cautela, è però innegabile che i  due strumenti possiedano caratteristiche organologiche e  timbriche del tutto differenti. Il probl. 43 spiega perché una melodia cantata è più gradevole se associata al suono del­l’aulos piuttosto che a  quello della cetra. Il  compilatore fornisce due spiegazioni, una che potremmo definire ‘ontologica’, l’altra più pratica e prosaica. La prima è che la voce e l’aulos hanno un’origine comune nel respiro (πνεύματι … ἄμφω γίνεται), quindi è naturale che la loro mescolanza sia piacevole; mentre nel caso della lira, la percezione della differenza nella modalità di produzione del suono provoca un effetto meno gradevole (ποιῶν δὲ διαφορὰν τῇ αἰσθήσει ἧττον ἡδύνει) 11. La seconda spiegazione, assai più interessante, esplicita le conseguenze pratiche di questo principio. Dal­l’omologia tra la voce e il suono auletico discende che entrambi possono essere tenuti, cioè prolungati nel tempo, e l’intonazione e l’intensità di una nota già emessa possono essere ulteriormente modificate sia per ragioni stilistiche ed espressive, sia per correggere una imperfezione di cui il cantante o lo strumentista si renda conto in itinere. Di conseguenza, l’unione di voce e aulos è percepita come più gradevole dal pubblico e  forse anche considerata più sicura   Vd. p. es. Csapo 2004, 216-221.   Su altri aspetti delle analogie funzionali tra fonazione e  produzione del suono auletico mi sia consentito il rimando a Raffa 2008. 10 11

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dagli esecutori. Nel caso della cetra, invece, la nota emessa da una corda non è più modificabile quanto al­l’altezza e, quanto al volume, esso decresce rapidamente fino ad estinguersi in un tempo molto breve, senza che l’esecutore possa in alcun modo prolungarlo o  sostenerlo se non ‘ribattendo’ la nota, ossia suonandola nuovamente. Come scrive l’estensore del problema, «le note della lira, essendo più spoglie e meno ben mescolate con la voce, ed essendo percepite come a  sé stanti e  rimanendo isolate, rendono evidenti i difetti del canto, come se ne fossero metri di riferimento». Q uindi, se due note vengono attaccate simultaneamente dalla voce e dalla cetra, siano esse al­l’unisono o in ottava, esse sono dapprima percepite insieme, ma dopo pochi secondi il suono del cordofono svanisce e la voce rimane, per dir così, nuda ed esposta, di modo che un’even­tuale sfasatura di intonazione rispetto allo strumento verrà avvertita assai facilmente da ascoltatori dotati di un mimino di competenza musicale.

Conclusioni A questo punto sarà apparso chiaro, spero, che ho scelto di occuparmi dei Problemi in un volume dedicato agli agoni poe­ticomusicali perché alcuni di essi riguardano la formazione del giudizio sul­l’esecuzione. Cercare di comprendere perché un certo modo di suonare o cantare fosse più piacevole (ἥδιον) di un altro poteva equivalere, in certi contesti, a porre problemi filosofici, estetici ed acustici (si pensi complessivamente alla riflessione sul piacere musicale nel dibattito filosofico dal V secolo a.C. in poi); tuttavia, i Problemi della sezione 19 toccano solo di rado quel­l’approccio, collocandosi invece su un terreno più prosaico e quotidiano. Essi potrebbero essere nati proprio dal­l’osservazione delle reazioni dei giudici e  del pubblico ai diversi tipi di performances e dal desiderio di ricondurre quei comportamenti a norme generali radicate nei fondamenti fisici del suono e nelle nozioni di scienza armonica allora diffuse: un’operazione in cui, com’è evidente, le domande ‘cosa mi piace?’ e ‘perché mi piace?’ assumevano un’importanza fondamentale. Come ha notato Alessandra Manieri 12, i  κριταί degli agoni poe­tico-musicali avevano un compito più complesso dei loro   Manieri 2004-2005, 355-357.

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PERCHÉ MI PIACE CIÒ CHE MI PIACE?

omologhi negli agoni sportivi: mentre non era particolarmente difficile stabilire chi avesse vinto una gara di corsa o di lotta, la valutazione di una performance musicale era legata a fattori soggettivi, come i gusti individuali, e contingenti, come le mode dei diversi momenti storici. A ciò si aggiunga che al­l’epoca in cui verosimilmente furono redatti i Problemi, cioè non molto dopo la morte di Aristotele – quindi tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. – si era già affermato lo stile che si suole etichettare come ‘Nuova Musica’, caratterizzato da un trattamento più libero delle melodie rispetto alla prosodia del testo e in generale da un più ampio ricorso a modulazioni (μεταβολαί), sia nella struttura scalare sia nel ritmo, anche nel corso del medesimo brano. Oggi si tende a ridimensionare l’effettiva portata socio-culturale di queste innovazioni, che da alcuni conservatori – basti ricordare Aristofane e  Platone, ma anche quelle parti del pensiero aristossenico che ci sono note attraverso il De musica attribuito a  Plutarco – vengono descritte come moralmente riprovevoli e persino pericolose per l’integrità morale della polis; né vi è qui lo spazio per approfondire la questione 13. È  però innegabile, d’altra parte, che un certo cambiamento nel gusto e  nel ruolo sociale della musica vi era stato e doveva riflettersi nelle performances presentate agli agoni. In questo contributo ho suggerito che la materia di questi Problemi potrebbe aver tratto origine, inter alia, anche dal­l’osservazione dei gusti dei giudici e  degli spettatori; ma mi piace pensare, anche se per il momento non saprei dimostrarlo, che essi abbiano fornito a  loro volta più di uno spunto ai giudici stessi per argomentare le loro valutazioni e non smarrirsi in un panorama musicale che in poco tempo si era fatto assai più variegato e  potenzialmente disorientante di quello del­l’epoca di Pindaro ed Eschilo.

13  Sulla ‘Nuova Musica’ vd. almeno i contributi ormai classici di D. Musti e  G.  Mosconi in Cassio et alii 2000; Csapo 2004. Negli ultimi tempi si tende a ridimensionare gli elementi di discontinuità tra ‘vecchia’ e ‘nuova’ musica in favore di una visione più equilibrata e meno dipendente dal conservatorismo delle fonti, che tenga conto della natura sostanzialmente tradizionale e  ‘artigianale’ del sapere musicale ellenico e della sua trasmissione da una generazione di poe­ ti-musicisti alla successiva: vd. D’Angour 2011, 184-224; Barker 2014, 89-102; LeVen 2014.

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Appendice Problemi della sezione 19 discussi nel testo Probl. 5 Διὰ τί ἥδιον ἀκούουσιν ᾀδόντων ὅσα ἂν προεπιστάμενοι τυγχάνωσι τῶν μελῶν, ἢ ὧν μὴ ἐπίστανται; πότερον ὅτι μᾶλλον δῆλος ὁ τυγχάνων ὥσπερ σκοποῦ, ὅταν γνωρίζωσι τὸ ᾀδόμενον, τοῦτο δὲ ἡδὺ θεωρεῖν; ἢ ὅτι ‹ἧττον› ἡδὺ τὸ μανθάνειν; τούτου δὲ αἴτιον ὅτι τὸ μὲν λαμβάνειν τὴν ἐπιστήμην, τὸ δὲ χρῆσθαι καὶ ἀναγνωρίζειν ἐστίν. ἔτι καὶ τὸ σύνηθες ἡδὺ μᾶλλον τοῦ ἀσυνήθους. Perché si ascoltano più piacevolmente quelle melodie che si conoscono già piuttosto che quelle che non si conoscono? Forse perché, quando si ha familiarità con ciò che viene cantato, è più chiaro che (il cantore) raggiunge, per così dire, uno scopo, e ciò è piacevole da contemplare? Oppure perché apprendere è meno piacevole (che contemplare)? Il motivo di ciò è il fatto che apprendere è acquisire la scienza, contemplare è utilizzarla e riconoscerne l’oggetto. In più, ciò che è abituale è più piacevole di ciò che non lo è. Probl. 9 Διὰ τί ἥδιον τῆς μονῳδίας ἀκούομεν, ἐάν τις πρὸς αὐλὸν ἢ λύραν ᾄδῃ; καίτοι πρόσχορδα καὶ τὸ αὐτὸ μέρος ᾄδουσιν ἀμφοτέρως· εἰ γὰρ ἔτι μᾶλλον τὸ αὐτό, πλέον ἔδει πρὸς πολλοὺς αὐλητάς, καὶ ἔτι ἥδιον εἶναι. ἢ ὅτι τυγχάνων δῆλος τοῦ σκοποῦ μᾶλλον, ὅταν πρὸς αὐλὸν ἢ λύραν; τὸ δὲ πρὸς πολλοὺς αὐλητὰς ἢ λύρας πολλὰς οὐχ ἥδιον, ὅτι ἀφανίζει τὴν ᾠδήν. Perché è  più piacevole l’ascolto delle monodie accompagnate da un solo aulos o da una sola lira? Eppure in entrambi i casi si canta con l’accompagnamento che segue la melodia e si esegue la stessa parte. Infatti, se la stessa parte fosse rinforzata ancor di più, si dovrebbe rinforzarla con l’accompagnamento di molti auleti, e dovrebbe essere ancor più piacevole (ma così non è). Non sarà che quando uno canta con l’accompagnamento di un solo aulos o una sola lira è più evidente il fatto che abbia raggiunto lo scopo? Mentre d’altra parte cantare con molti auleti o molte lire non è piacevole perché copre il canto. Probl. 12 Διὰ τί τῶν χορδῶν ἡ βαρυτέρα ἀεὶ τὸ μέλος λαμβάνει; ἂν γὰρ δέηται ᾆσαι τὴν παραμέσην σὺν ψιλῇ τῇ μέσῃ, γίνεται τὸ μέσον οὐθὲν ἧττον· ἐὰν δὲ τὴν μέσην δέον ἄμφω, ψιλὰ οὐ γίνεται. ἢ ὅτι τὸ βαρὺ μέγα ἐστίν, ὥστε κρατερόν; καὶ ἔνεστιν ἐν τῷ μεγάλῳ τὸ μικρόν· καὶ τῇ διαλήψει δύο νῆται ἐν τῇ ὑπάτῃ γίνονται. 420

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Perché, tra le corde, è  sempre la più grave quella che riceve la melodia? Infatti se il canto deve trovarsi nella paramese simultaneamente alla mese del­l’accompagnamento, ne nasce egualmente (una melodia) nella posizione centrale; se invece sia il canto sia l’accompagnamento devono eseguire la mese, non ne nascono melodie strumentali. Non è perché il grave è grande, e quindi è anche prevalente? Inoltre il piccolo è compreso nel grande; e con la divisione (della corda), nella hypate si generano due netai. Probl. 39 14 Διὰ τί ἥδιόν ἐστι τὸ ἀντίφωνον τοῦ ὁμοφώνου; ἢ ‹ὅτι› καὶ τὸ μὲν ἀντίφωνον σύμφωνόν ἐστι διὰ πασῶν; ἐκ παίδων γὰρ νέων καὶ ἀνδρῶν γίνεται τὸ ἀντίφωνον, οἳ διεστᾶσι τοῖς τόνοις ὡς νήτη πρὸς ὑπάτην. συμφωνία δὲ πᾶσα ἡδίων ἁπλοῦ φθόγγου (δι’ ἃ δέ, εἴρηται), καὶ τούτων ἡ διὰ πασῶν ἡδίστη· τὸ ὁμόφωνον δὲ ἁπλοῦν ἔχει φθόγγον. μαγαδίζουσι δὲ ἐν τῇ διὰ πασῶν συμφωνίᾳ, ὅτι καθάπερ ἐν τοῖς μέτροις οἱ πόδες ἔχουσι πρὸς αὑτοὺς λόγον ἴσον πρὸς ἴσον ἢ δύο πρὸς ἓν ἢ καί τινα ἄλλον, οὕτω καὶ οἱ ἐν τῇ συμφωνίᾳ φθόγγοι λόγον ἔχουσι κινήσεως πρὸς αὑτούς. τῶν μὲν οὖν ἄλλων συμφωνιῶν ἀτελεῖς αἱ θατέρου καταστροφαί εἰσιν, εἰς ἥμισυ τελευτῶσαι· διὸ τῇ δυνάμει οὐκ ἴσαι εἰσίν. οὖσαι δὲ ἄνισοι, διαφορὰ τῇ αἰσθήσει, καθάπερ ἐν τοῖς χοροῖς, ἐν τῷ καταλύειν μεῖζον ἄλλων φθεγγομένοις ἐστίν. ἔτι δὲ ὑπάτῃ συμβαίνει τὴν αὐτὴν τελευτὴν ‹τῇ νήτῃ› τῶν ἐν τοῖς φθόγγοις περιόδων ἔχειν. ἡ γὰρ δευτέρα τῆς νεάτης πληγὴ τοῦ ἀέρος ὑπάτη ἐστίν. τελευτώσαις δ’ εἰς ταὐτόν, οὐ ταὐτὸν ποιούσαις, ἓν καὶ [τὸ] κοινὸν τὸ ἔργον συμβαίνει γίνεσθαι, καθάπερ τοῖς ὑπὸ τὴν ᾠδὴν κρούουσιν· καὶ γὰρ οὗτοι τὰ ἄλλα οὐ προσαυλοῦντες, ἐὰν εἰς ταὐτὸν καταστρέφωσιν, εὐφραίνουσι μᾶλλον τῷ τέλει ἢ λυποῦσι ταῖς πρὸ τοῦ τέλους διαφοραῖς, τῷ τὸ ἐκ διαφόρων τὸ κοινόν, ἥδιστον ἐκ τοῦ διὰ πασῶν γίνεσθαι. τὸ δὲ μαγαδίζειν ἐξ ἐναντίων φωνῶν. διὰ ταῦτα ἐν τῇ διὰ πασῶν μαγαδίζουσιν. Perché ciò che è in antifona è più piacevole di ciò che è al­l’unisono? Forse perché anche ciò che è  in antifona è  consonante, (e precisamente) in ottava? La relazione di antifona è  infatti quella che nasce 14  Seguo Louis nel considerare questo come un problema unico, per due ragioni: a) nella tradizione manoscritta non v’è nulla che autorizzi a pensare a un infortunio testuale. Non vi sono lacune in corrispondenza del supposto inizio del nuovo problema, né anomalie nella mise en page dei mss. fondamentali. Al contrario, per far iniziare l’ipotetico probl. 39b nel punto voluto dal Gaza è necessario intervenire pesantemente sul testo tràdito se si vuole avere la nuova quaestio, come fanno Vollgraff  e Reinach (vd. app. crit.); oppure considerare il nuovo problema mutilo proprio della quaestio, come fa Marenghi 1957a, 65; b) lo sviluppo argomentativo di tutto il problema è coerente e non c’è bisogno di postulare una frattura. Infatti la discussione sulla magadis, che consiste nel raddoppiare una melodia al­l’ottava, è del tutto pertinente alla domanda iniziale sulle ragioni del­l’eccellenza del­l’ottava rispetto al­l’unisono.

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dalle voci dei ragazzi giovani e degli uomini adulti, i quali distano tra loro nelle altezze come la nete rispetto alla hypate. D’altronde tutte le consonanze sono più piacevoli di una nota semplice – la ragione è già stata esposta – e l’ottava è la più piacevole tra le consonanze; mentre l’unisono produce una nota semplice. D’altra parte l’ottava è l’intervallo in cui si esegue la magadis, poiché come nei metri i piedi hanno tra loro un rapporto di uguale a uguale, o di due a uno, o qualche altro rapporto, così anche le note di una consonanza hanno tra loro un rapporto di movimento. Ora, nelle altre consonanze i termini di una delle due note non sono completi, ma finiscono a metà; perciò non sono uguali per potenza. Essendo disuguali, vi è differenza nella percezione, come quando nei cori (alcuni) cantano più forte di altri alla fine (delle frasi). Ma nel caso della hypate accade che essa abbia lo stesso termine della nete nei movimenti periodici delle note. Infatti il secondo impatto della nete nel­l’aria è  la hypate. Poiché terminano nello stesso punto, anche se non compiono lo stesso movimento, accade che l’effetto sia unico e comune a entrambe, come capita a coloro che accompagnano il canto. E infatti costoro, quando nel loro accompagnamento con l’aulos non seguono il canto, se alla fine (della frase) si riuniscono a  quello, provocano un effetto più piacevole di quanto non abbiano creato tensione nelle parti che precedono la chiusa, per il fatto che il ricongiungimento arriva dopo la differenza, ed è  il più piacevole perché nasce dal­l’ottava. D’altra parte, l’esecuzione della magadis è  fatta di suoni tra loro opposti. Ecco le ragioni per cui la magadis si esegue in ottava. Probl. 40 Διὰ τί ἥδιον ἀκούουσιν ᾀδόντων ὅσα ἂν προεπιστάμενοι τύχωσι τῶν μελῶν, ἢ ἐὰν μὴ ἐπιστῶνται; πότερον ὅτι μᾶλλον δῆλός ἐστιν ὁ τυγχάνων ὥσπερ σκοποῦ, ὅταν γνωρίζωσι τὸ ᾀδόμενον, γνωριζόντων δὲ ἡδὺ θεωρεῖν; ἢ ὅτι συμπαθής ἐστιν ὁ ἀκροατὴς τῷ τὸ γνώριμον ᾄδοντι; συνᾴδει γὰρ αὐτῷ. ᾄδει δὲ πᾶς γεγηθὼς ὁ μὴ διά τινα ἀνάγκην ποιῶν τοῦτο. Perché si ascoltano più piacevolmente quelle melodie che si conoscono già piuttosto che quelle che non si conoscono? Forse perché, quando si ha familiarità con ciò che viene cantato, è più chiaro che (il cantore) raggiunge, per così dire, uno scopo, e  questa consapevolezza è  piacevole? Oppure perché l’ascoltatore prova le medesime passioni del cantore che esegue una melodia conosciuta? Infatti canta insieme a lui; ed è ben lieto di cantare chiunque non debba farlo per qualche necessità. Probl. 43 Διὰ τί ἥδιον τῆς μονῳδίας ἀκούομεν ἐστὶν ἐάν ‹τις› πρὸς αὐλὸν ἢ λύραν ᾄδη; ἢ ὅτι πᾶν τὸ ἥδιον μιχθὲν ἡδίονι ἕν ἐστιν; ὁ δὲ αὐλὸς ἡδίων τῆς λύρας, 422

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ὥστε καὶ ἡ ᾠδὴ τούτῳ μιχθεῖσα ‹ἢ› λύρα ἡδίων ἂν εἴη, ἐπεὶ τὸ μεμιγμένον τοῦ ἀμίκτου ἥδιόν ἐστιν, ἐὰν ἀμφοῖν ἅμα τὴν αἴσθησίν τις λαμβάνῃ. οἶνος γὰρ ἡδίων τοῦ ὀξυμέλιτος διὰ τὸ μεμῖχθαι μᾶλλον αὑτοῖς τὰ ὑπὸ τῆς φύσεως μιχθέντα ἢ ὑφ’ ἡμῶν. ἔστι γὰρ καὶ ὁ οἶνος μικτὸς ἐξ ὀξέος καὶ γλυκέος χυμοῦ. δηλοῦσι δὲ καὶ αἱ οἰνώδεις ῥοαὶ καλούμεναι. ἡ μὲν οὖν ᾠδὴ καὶ ὁ αὐλὸς μίγνυνται αὑτοῖς δι’ ὁμοιότητα (πνεύματι γὰρ ἄμφω γίνεται)· ὁ δὲ τῆς λύρας φθόγγος, ἐπειδὴ οὐ πνεύματι γίνεται ἢ ἧττον αἰσθητὸν ἢ ὁ τῶν αὐλῶν, ἀμικτότερός ἐστι τῇ φωνῇ· ποιῶν δὲ διαφορὰν τῇ αἰσθήσει ἧττον ἡδύνει, καθάπερ ἐπὶ τῶν χυμῶν εἴρηται. ἔτι ὁ μὲν αὐλὸς πολλὰ τῷ αὑτοῦ ἤχῳ καὶ τῇ ὁμοιότητι συγκρύπτει τῶν τοῦ ᾠδοῦ ἁμαρτημάτων, οἱ δὲ τῆς λύρας φθόγγοι ὄντες ψιλοὶ καὶ ἀμικτότεροι τῇ φωνῇ, καθ’ ἑαυτοὺς θεωρούμενοι καὶ ὄντες αὐτοῖς συμφανῆ ποιοῦσι τὴν τῆς ᾠδῆς ἁμαρτίαν, καθάπερ κανόνες ὄντες αὐτῶν. πολλῶν δὲ ἐν τῇ ᾠδῇ ἁμαρτανομένων, τὸ κοινὸν ἐξ ἀμφοῖν ἀναγκαῖον χεῖρον γίνεσθαι. Perché ascoltiamo con più piacere la melodia se viene accompagnata dal suono del­l’aulos piuttosto che della lira? Forse perché ogni cosa che venga mescolata a qualcosa di più piacevole costituisce un unico insieme ancora più piacevole? L’aulos è più piacevole della lira, quindi anche il canto mescolato ad esso dovrebbe essere più piacevole di (quello mescolato alla) lira, poiché ciò che è mescolato è più piacevole di ciò che non lo è, se si percepiscono entrambi contemporaneamente. Infatti il vino è più piacevole del­l’ossimele, per il fatto che gli elementi si mescolano meglio tra loro rispetto a quelli mescolati da noi. Il vino è infatti misto di sapore aspro e dolce: lo dimostrano anche le cosiddette melagrane vinose. Il canto e (il suono del)l’aulos si mescolano l’uno al­l’altro grazie alla loro affinità (infatti entrambi nascono dal soffio), mentre il suono della lira, poiché non è prodotto dal soffio, oppure perché è meno percepibile di quello degli auloi, si mescola meno bene alla voce. In quanto produce una differenza, esso è meno gradito alla percezione, come appunto si è detto anche per i sapori. Inoltre l’aulos, grazie alla somiglianza del suo suono (con la voce), maschera molti degli errori del cantante, mentre le note della lira, essendo più spoglie e meno ben mescolate con la voce, ed essendo percepite come a sé stanti e rimanendo isolate, rendono evidenti i difetti del canto, come se ne fossero metri di riferimento. Se nel canto si verificano parecchi errori, il risultato complessivo dei due elementi (scil. canto e suono strumentale) è per forza peggiore. Probl. 49 Διὰ τί τῶν τὴν συμφωνίαν ποιούντων φθόγγων ἐν τῷ βαρυτέρῳ τὸ μαλακώτερον; ἢ ὅτι τὸ μέλος τῇ μὲν αὑτοῦ φύσει μαλακόν ἐστι καὶ ἠρεμαῖον, τῇ δὲ τοῦ ῥυθμοῦ μίξει τραχὺ καὶ κινητικόν; ἐπεὶ δὲ ὁ μὲν βαρὺς φθόγγος μαλακὸς καὶ ἠρεμαῖός ἐστιν, ὁ δὲ ὀξὺς κινητικός, καὶ τῶν ταὐτὸ μέλος ἐχόντων εἴη ἂν μαλακώτερος ὁ βαρύτερος ἐν ταὐτῷ μέλει μᾶλλον· ἦν γὰρ τὸ μέλος αὐτῷ μαλακόν. 423

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Perché, delle note che formano la consonanza, la maggior dolcezza si trova in quella più grave? Forse perché la melodia è per sua natura dolce e tranquilla, mentre (diventa) aspra e movimentata per via della mescolanza con il ritmo? D’altra parte, poiché la nota grave è  dolce e tranquilla, mentre quella acuta è movimentata, anche tra due note che hanno la stessa melodia la più grave è più dolce (pur) nella stessa melodia: infatti la sua melodia sarebbe più dolce.

Bibliografia Barker 1984 = A. Barker, Greek Musical Writings, I: The Musician and his Art, Cambridge 1984. Barker 1989 = A. Barker, Greek Musical Writings, II: Harmonic and Acoustic Theory, Cambridge 1989. Barker 2014 = A. Barker, Ancient Greek Writers on their Musical Past. Studies in Greek Musical Historiography, Syncrisis 1, Pisa – Roma 2014. Barnes 1984 = J. Barnes, The Complete Works of  Aristotle, II, Princeton 1984. Bojesen 1836  = E.  F. Bojesen, De problematis Aristotelis dissertatio, Hafniae 1836. Cassio et alii 2000 = A. C. Cassio – D. Musti – L. E. Rossi (a cura di), Synaulía. Cultura musicale in Grecia e contatti mediterranei, Napoli 2000. Csapo 2004 = E. Csapo, The Politics of  the New Music, in P. Murray – P. Wilson (eds.), Music and the Muses. The Culture of   Mousike in the Classical Athenian City, Oxford 2004, 207-248. D’Angour 2011 = A. D’Angour, The Greeks and the New. Novelty in Ancient Greek Imagination and Experience, Cambridge 2011. Ferrini 2002 = M. F. Ferrini, Aristotele, Problemi. Introduzione, traduzione, note e apparati, Milano 2002. Flashar 1962 = H. Flashar, Aristoteles, Problemata physica, Darmstadt 1962. Gevaert – Vollgraff  1903 = F. A. Gevaert – J. C. Vollgraff, Les problèmes musicaux d’Aristote, Gand 1903 (rist. Osnabrück 1988). von Jan 1895  = C.  von Jan, Musici scriptores Graeci, I, Lipsiae 1895 (rist. Hildesheim 1962). LeVen 2014 = P. LeVen, The Many-Headed Muse: Tradition and Innovation in Late Classical Greek Lyric Poetry, Cambridge 2014. Louis 1991 = P. Louis (éd.), Aristote, Problèmes, Paris 1991. 424

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Manieri 2004-2005 = A. Manieri, Giudici corrotti negli antichi agoni, Rudiae 16-17, 2004-2005, 355-367. Marenghi 1957a = G. Marenghi, Aristotele, Problemi musicali, Firenze 1957. Marenghi 1957b = G. Marenghi, Su alcuni luoghi dei Problemi musicali aristotelici, GIF 10, 1957, 198-210. Raffa 2008  = M.  Raffa, Suonare la parola, pronunciare la melodia. L’aulos come ‘doppio’ strumentale della voce nel mondo grecoromano, Il Saggiatore Musicale 2008 (2), 175-197. Raffa 2017 = M. Raffa, Voce e strumenti in alcune Q uestioni di armonia del corpus aristotelico, Il Saggiatore Musicale 2017 (1), 7-22. Rocconi 2003 = E. Rocconi, Le parole delle Muse. La formazione del lessico tecnico musicale nella Grecia antica, Roma 2003. Ruelle 1891 = Ch.-É. Ruelle, Problèmes musicaux d’Aristote, Revue des Études Grecques 6, 1891, 233-267.

Abstracts Alcuni Problemi della sezione 19 della raccolta pseudoaristotelica (Ὅσα περὶ ἁρμονίαν) spiegano cosa sia piacevole o spiacevole al­l’ascolto della musica, in particolare delle performances vocali. Il presente contributo esamina gli aspetti del­l’esecuzione presi in considerazione dal compilatore, secondo i parametri del­l’intensità, del­l’altezza e del timbro; quindi suggerisce che parte del materiale confluito in questa sezione possa essere nato dal­l’osservazione del comportamento e dei gusti dei giudici e del pubblico degli agoni poe­tico-musicali. Some pseudo-Aristotelian Problems from Section 19 (Ὅσα περὶ ἁρμονίαν) deal with what listeners did or did not like in musical performances, especially accompanied singing. This paper examines the different aspects of  the performance taken into account by the anonymous compiler and organises them by the parameters of  volume, pitch, and timbre. It also suggests that part of  the material in this section may have originated from the observation of  the behaviour and tastes of  the judges and the audience at poe­tical and musical contests.

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FRANCESCO PRONTERA Università di Perugia

RIFLESSIONI TARDO-ELLENISTICHE SULLA MUSICA, LA POESIA E LE ORIGINI DELLA STORIOGRAFIA (STR. 1, 2, 3-8)

Vorrei soffermarmi brevemente su una sezione del lungo proemio, con cui si apre l’opera geografica di Strabone. Riprendendo anche nel lessico idee e  formulazioni tradizionali, Strabone sviluppa alcune osservazioni sul valore della poesia e della musica, considerate sia nella genesi storica sia per la funzione pedagogica e civile. Dirò subito che queste pagine, del resto ben note, rivestono un certo interesse per il loro carattere generale, vale a dire proprio perché esprimono concezioni evidentemente condivise in un’ampia cerchia di letterati; siamo ben lontani dalla trattazione tecnico-specialistica di una storia della musica e della poesia, quale conosciamo da altri autori o contesti 1. Al contrario qui l’obiettivo si allarga fino a toccare anche la nascita della storiografia e della prosa in una visione globale, che mostra l’impronta della filosofia stoica. Punto di partenza è la critica al­l’affermazione radicale di Eratostene, secondo la quale «tutti i poe­ti mirano a creare emozioni non a istruire» (Str. 1, 2, 3: ποιητὴν γὰρ ἔφη πάντα στοχάζεσθαι ψυχαγωγίας, οὐ διδασχαλίας); Eratostene prende di mira quegli esegeti, stoici soprattutto, pronti a venerare in Omero il maestro di saggezza e di ogni sapere, inclusa la geografia. Da qui la difesa straboniana della poesia, come portatrice di contenuti etici e quindi anche pedagogici 2. La catena delle argomentazioni non è sempre 1  Barker 2014. Nella seconda metà del V sec. a.C. Glauco di Reggio scrisse ‘sui poe­ti e sui musici antichi’: Gostoli 2015, 44-53. 2  Aujac 1966,  33-36 e  61-64 ; vedi l’apparato dei loci similes in Sbordone 1963, 28-37 nonché il comm. ad loc. di Aujac 1969 e di Radt 2006; cfr. inoltre Prontera 2011, 6-9 e Roller 2010, 112 ss. Sulla professione di philologos da parte di Eratostene vedi Dihle 1998.

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conseguente, perché Strabone procede piuttosto per associazioni di idee, come vedremo subito. Secondo gli antichi (palaioi) la poesia è una sorta di prima filosofia, che ci introduce alla vita fin dalla gioventù, forma piacevolmente il carattere e  i sentimenti, guidando così le nostre azioni. I nostri (stoici) dicevano che solo il sapiente è poe­ta. Perciò le città dei Greci educano i ragazzi soprattutto mediante la poesia, non per suscitare in loro semplicemente delle emozioni, ma per portarli alla saggezza (οὐ ψυχαγωγίας χάριν δήπουθεν ψιλῆς, ἀλλὰ σωφρονισμοῦ). Condividono questa virtù anche i musici, che insegnano a ψάλλειν καὶ λυρίζειν καὶ αὐλεῖν. I musici infatti amano presentarsi come educatori e affermano di correggere il carattere degli allievi. Il successivo richiamo ai Pitagorici e ad Aristosseno, cui probabilmente risale l’autorappresentazione etico-pedagogica dei musici, serve come passaggio alla considerazione che gli aedi nel­l’epos svolgono appunto la funzione di σωφρονισταί 3. Dalla dimensione etica della poesia e della musica si passa quindi al­l’epos omerico. Al­l’inizio del suo trattato geografico Eratostene affermava che tutti i poe­ti fanno a gara nel mostrarsi informati in materia e così aveva fatto anche Omero. Mentre alcuni critici consideravano la poesia omerica come il deposito di una vasta esperienza (conoscenza di molti luoghi, strategia, agricoltura, retorica), Eratostene si chiedeva in che cosa questa vasta esperienza potesse poi contribuire alla ‘qualità del poe­ta’ (τί συμβάλλεται πρὸς ἀρετὴν ποιητοῦ). Agli occhi di Strabone Eratostene ha in parte ragione nel rifiutare interpretazioni del genere, ma è  nel torto quando nega a Omero la molteplicità di conoscenze, arrivando a considerare la sua poesia alla stregua di favole buone per vecchiette (τὴν  ποιητικὴν γραώδη μυθολογίαν ἀποφαίνων) dove è  ammessa qualsiasi finzione che serva a  sollecitare l’emotività del pubblico. In realtà Omero attribuisce allo stesso Odisseo una vasta esperienza di genti e  di paesi, ma anche conoscenze pratiche, come nel campo del­l’agricoltura. Perciò tutte le persone colte si servono del­l’esempio di Omero per mostrare la sua grande espe  Aujac 1969,  89, n.  1: se l’ufficio dei dieci σωφρονισταί, che vigilano sulla ‘buona condotta’, è peculiare del­l’efebia attica nel IV sec. a.C. (Aristot. Ath. Pol. 42, 2; Marrou 19662, 156), il paragone ‘attualizzante’ per la funzione pedagogica del­l’aedo omerico si accorda bene con la prospettiva di un Aristosseno; cfr. Lomiento 2011, 139-141. 3

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rienza, che induce alla assennatezza di giudizi e  comportamenti (φρόνησις: 1, 2, 4). La stessa arte retorica consiste nel­l’uso appropriato del discorso (φρόνησις περὶ λόγους), di cui Odisseo dà prova ripetutamente. E sta in questo la qualità della poesia omerica, che rappresenta la vita mediante l’eloquio. Non si tratta però di un’arte paragonabile a quella del carpentiere o del fabbro, perché le qualità del poe­ta sono tutt’uno con le qualità morali del­l’uomo (1, 2, 5) 4. Del resto se la retorica è l’arte della parola e se la poesia non è  da meno in questo, chi meglio di Omero si distingue nel­l’arte del dire 5? Certamente la poesia è un’espressione ben diversa del­l’arte della parola (ἑτέρα φράσις) 6; si tratta però di una specie (εἴδος) del medesimo genere: tragedia e  commedia appartengono alla poesia, come la storia e l’oratoria appartengono alla prosa. Tutte queste forme espressive rientrano nel genere comune rappresentato dal linguaggio (ὁ λόγος γενικός), di cui il verso (ἔμμετρος λόγος) e la prosa (πεζὸς λόγος) sono appunto due specie. Segue la tesi secondo cui la prosa, almeno quella elaborata, deriva dalla poesia, che resta la prima forma di espressione del linguaggio. Così i  primi prosatori Cadmo, Ferecide ed Ecateo conservarono tutte le caratteristiche della poesia, liberandola soltanto dal metro. Anche i loro successori, togliendole sempre qualcosa delle sue peculiarità, l’hanno portata da un’ altezza sublime allo stato attuale. Lo stesso processo ha conosciuto la commedia, che deriva evidentemente dalla tragedia e che è scesa dalla sua altezza espressiva a quello che oggi si chiama «linguaggio parlato» (G.  Aujac). Il  fatto stesso che gli antichi usassero ἀείδειν per φράζειν dimostra che la prosa ornata e la retorica hanno origine dalla poesia. La poesia si servì della musica nelle sue esibizioni (κατὰ τὰς ἐπιδείξεις) 7. Nel­l’ode il linguaggio diventa canto e  si spiegano così i  termini di rapsōidia, tragōidia, komōidia. 4   Come si sa, queste sul­l’ἀγαθὸς ποιητής che è anche ἀγαθὸς ἀνήρ, sono idee in voga nella Roma tardo-repubblicana (Filodemo e Cicerone). 5  Sul confronto fa poesia e prosa in Isocrate cfr. Nicolai 2004, 88-90. Su Str. 1, 2, 6 e la ‘prosa poe­tica’ dei Greci cfr. Norden 19153, 30-41 (spec. 32 s.). 6 Aristot. Rhet. 3, 1, 1404a 24; Posid. fr. 44 E.-K. 7   Sul genere epidittico e la storiografia vedi Nicolai 1992, 101-108. Strabone applica alla recitazione poe­tica il lessico del­l’attività oratoria, perché è quest’ultima a  orientare le funzioni della prima; in questo senso vedi le riflessioni pertinenti sviluppate da Lomiento 2011, spec. 146-150, su Ps. Plut. Mus. 32-36. Importanti anche le considerazioni di Aujac 1986, 18-22, sul­l’asianesimo nella musica.

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Al­l’inizio infatti prendere la parola (φράζειν) significava esprimersi in versi, e  poiché alla poesia si accompagnava la musica, ‘cantare’ era come ‘parlare con arte’ (1, 2, 6). L’ultimo punto di questa sezione (1, 2, 7-8) introduce la trattazione omerica dei miti e – ancora una volta – è una replica a Eratostene, il quale senza mezze misure trattava da ciarlatani (φλύαροι) quei commentatori ostinati nel voler dare un preciso contesto topografico o geografico a tutte le peripezie di Odisseo. Per Strabone nei miti omerici si può e si deve distinguere il plasma dal­l’historia. Indipendentemente da questa distinzione il mito stesso, osserva Strabone, ha una sua funzione sociale e al tempo stesso educativa. Emerge anche qui la prospettiva filosofica e  stoica con le generalizzazioni suggerite dai tempi lunghi della storia del­l’umanità. L’uomo è  curioso di sapere e  al­l’inizio esprime questa curiosità nel­l’amore per i miti (τὸ φιλόμυθον); per questo i fanciulli fin dal­ l’inizio ascoltano con partecipazione i racconti. Il mito li porta in un mondo diverso, perché non parla della realtà ma di qualcos’altro e la novità suscita il piacere di conoscere ciò che prima si ignorava. Nasce appunto da qui l’amore del sapere. Con l’avanzare del­ l’età, quando si rafforza la riflessione, si passa poi alla conoscenza della realtà (ἐπὶ τὴν τῶν ὄντων μάθησιν). Il mito però esercita il suo fascino anche sulle persone di nessuna o di mediocre istruzione, la cui mente conserva le abitudini infantili. D’altra parte il prodigioso non suscita solo piacere ma anche paura, e  sotto questo aspetto serve sia al­l’età infantile sia al­l’età adulta. Su questa linea seguono alcuni esempi a illustrare la funzione etico-sociale del mito, che può distogliere dal male o  spingere al bene. Una folla composta da donne e da ogni sorta di individui rozzi non può essere indirizzata a sani comportamenti da discorsi filosofici, ma solo dalla paura di potenze sovrannaturali. Perciò anche i fondatori degli stati adottarono l’armamentario dei miti come spauracchio per gli sciocchi. Poiché la creazione dei miti indirizza dunque le forme della vita sociale e politica e la stessa conoscenza della realtà, si capisce che gli antichi se ne servissero per educare i fanciulli fino al­l’età matura; gli antichi erano convinti che la poesia potesse dare la sophrosyne ad ogni età del­l’uomo. La scrittura della storia arrivò più tardi e così pure quella che oggi si chiama filosofia. Q uesta però è  per pochi, mentre la poesia corrisponde agli interessi del grande pubblico e riempie i teatri, soprattutto la poesia di Omero. Del resto i  primi storici e  i primi 430

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fisici erano mitografi. L’accento è posto ancora una volta sulla sophrosyne della poesia e dei poe­ti come argomento cardine portato contro le posizioni di Eratostene. In un’opera composita come la Geografia di Strabone i riferimenti a poesia e musica non possono sorprendere, perché anche l’attività di poe­ti e musici rientra nella caratterizzazione dei luoghi descritti 8. La stessa formazione intellettuale di Strabone avrà mosso il suo interesse in questa direzione e certamente lo stoicismo gli ha fornito il quadro generale in cui la musica e la poesia trovavano posto come aspetti fondamentali della civiltà greca nel suo sviluppo a partire da Omero. Al di là di certi motivi tradizionali, che risalgono alle riflessioni svolte in ambito peripatetico, tre punti vanno sottolineati per concludere. L’alta considerazione della polimatia omerica presuppone la specializzazione del sapere in fase avanzata; è alla luce di questo processo, iniziato in età tardo-arcaica e poi pienamente sviluppato in età classica, che si può scoprire nelle condizioni storicoculturali del­l’ellenismo la superiore globalità della sapienza omerica. In secondo luogo, la prospettiva stoica, di una sostanziale continuità nella storia della civiltà letteraria dei Greci, cancella le svolte e le rotture percepite invece dalla cultura tardo-arcaica e classica. Ecateo (fr. 1 J.) non avrebbe certo accettato il giudizio secondo cui solo l’uso della prosa distinguerebbe la sua opera da quella dei poe­ti più antichi. Nella seconda metà del V sec. a.C. Glauco di Reggio e Ippocrate mostrano la medesima consapevolezza della distanza che separa entrambi dai tempi ‘antichi’, si tratti di poesia e musica o di medicina. Nessuno ha espresso meglio di Tucidide il senso di questa consapevole distanza fra la civiltà greca contemporanea e quella dei tempi passati. Infine, nella prospettiva di una continuità fra passato e presente, emerge con forza l’arte retorica come dimensione universale del genere umano, utile a intendere anche genesi e sviluppi della poesia con la musica. L’attualizzazione del­l’antico, sottesa a  questa prospettiva, costituisce il quadro ideale per l’affermazione del classicismo 9, con il suo culto delle forme espressive elevate al rango esemplare di valori etico-politici.   Aujac 1986. Per una comprensione storico-culturale del fenomeno rimando alle pagine dense e penetranti di Dihle 2011. 8

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Come specchio del­l’infanzia culturale dei Greci, Omero offriva il terreno migliore in cui scoprire il legame organico musicapoesia nella figura archetipica del­l’aedo; e parimenti nelle istituzioni, su cui si fondavano le più antiche comunità politiche dei Greci, si potevano trovare i primi esempi della funzione civile del canto e della musica. Vi è però nelle fonti di Strabone una certa difficoltà a rappresentarsi nei suoi sviluppi il nesso musica-poesia. Q uesto è assunto come dato originario, ma si capisce che il legame si è ormai spezzato. La rivendicazione da parte dei ‘musici’ di assolvere lo stesso ruolo pedagogico e  civile dei poe­ti – rivendicazione che risale con ogni probabilità ad Aristosseno – presuppone che il processo di separazione fosse allora (IV sec. a.C.) già in atto. Comunque in Strabone e nelle sue fonti predomina ormai la prospettiva letteraria, al punto che è l’arte oratoria a fornire il quadro di riferimento storico-culturale cui commisurare l’arte poe­tica. In sostanza abbiamo in queste pagine straboniane una delle tante testimonianze del­l’incessante riflessione dei Greci sulla propria storia culturale. Il nostro rapporto con l’antico è certamente orientato dal grado di consapevolezza con cui viviamo nella dimensione dei nostri tempi, ma anche dalla stessa riflessività degli antichi sul loro passato e sul loro presente. Le due prospettive sono parte costitutiva degli studi classici e toccano in varia misura anche i temi di questo convegno.

Bibliografia Aujac 1966 = G. Aujac, Strabon et la science de son temps, Paris 1966. Aujac 1969 = G. Aujac, Strabon, Géographie, livres I-II, Paris 1969. Aujac 1986 = G. Aujac, Strabon et la musique, in G. Maddoli (a cura di), Strabone. Contributi allo studio della personalità e  del­l’opera, II, Perugia 1986, 9-25. Barker 2014 = A. Barker, Ancient Greek Writers on their Musical Past. Studies in Greek Musical Historiography, Syncrisis 1, Pisa – Roma 2014. Dihle 1988  = A.  Dihle, Eratosthenes und anderen Philologen, in M.  Baumbach – H.  Köhler – A.  M. Ritter (Hrsg.), Mousopoulos Stephanos, Festschrift für Herwig Görgemanns, Heidelberg 1998, 86-93. Dihle 2011 = A. Dihle, Greek Classicism, in T. A. Schmitz – N. Wiater 432

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(Eds.), The Struggle for Identity. Greeks and their Past in the First Century bce, Stuttgart 2011, 47-60. Gostoli 2015 = A. Gostoli, Un’antica fonte magno-greca nel  De musica attribuito a Plutarco, Ploutarchos n.s. 12, 2015, 41-54. Lomiento 2011  = L.  Lomiento, Riflessioni critiche sul concetto di ‘appropriatezza’ nel De musica dello Ps.  Plutarco (De mus. 32-36), Q UCC n.s. 99, 3, 2011, 135-152. Marrou 19662  = H.  I. Marrou, Storia del­l’educazione nel­l’antichità, tr. it. Roma 19662. Nicolai 1992 = R. Nicolai, La storiografia nel­l’educazione antica, Pisa 1992. Nicolai 2004 = R. Nicolai, Studi su Isocrate. La comunicazione letteraria nel IV sec. a.C. e i nuovi generi della prosa, Roma 2004. Norden 19153 = E. Norden, Die Antike Kunstprosa, Stuttgart 19153. Prontera 2011  = F.  Prontera, Geografia e  storia nella Grecia antica, Biblioteca di Geographia Antiqua 5, Firenze 2011. Radt 2006 = S. Radt, Strabons Geographika, Band 5, Buch I-IV: Kommentar, Göttingen 2006. Roller 2010 = D. W. Roller, Eratosthenes’ Geography. Fragments Collected and Translated, with Commentary and Additional Material, Princeton – Oxford 2010. Sbordone 1963 = F. Sbordone, Strabonis Geographica, Libri I-II, Romae 1963.

Abstracts Come viene presentato in Strabone (1, 2, 3-8), lo sviluppo della civiltà e della letteratura greca è caratterizzato da una sostanziale continuità. In  questa prospettiva, l’arte della retorica diventa l’espressione universale della creatività umana e serve quindi a spiegare anche le origini della poesia. As presented in Strabo (1,  2, 3-8), the development of   the Greek literacy and civilization is characterized by substantial continuity. In this perspective, the art of   rhetoric becomes the universal expression of  human creativity and it is therefore useful to explain the origins of  poetry.

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FRANCESCA BIONDI Università della Calabria

VARIANTI EPICHE DI TRADIZIONE ORALE ED ESEGESI ANTICA DEI POEMI OMERICI

La tradizione scoliastica a  Omero non sembra mostrare particolare interesse verso i  contesti agonali nei quali, durante la sua lunga storia, la poesia epica è vissuta e si è tramandata. È necessario dunque scendere più in profondità per enucleare informazioni su questo particolare ambito, cercando le tracce nascoste di quella oralità performativa che non viene trattata né menzionata apertamente. Il rapporto primario che un testo scritto, oggetto della critica filologica degli studiosi di Alessandria, aveva con l’oralità era la sua lettura ad alta voce. Secondo il primo capitolo della Τέχνη di Dionisio Trace, la ἀνάγνωσις ἐντριβὴς κατὰ προσῳδίαν costituiva il momento iniziale dello studio di un’opera letteraria 1. Q uando un sistema completo ed efficace di segni prosodici e di interpunzione non era stato ancora perfezionato, anche solo la lettura di un testo poteva infatti porre seri problemi interpretativi. Un caso famoso di errata divisione di parole e  accentazione rivela che la problematicità del rapporto tra il testo scritto e la sua espressione orale era già ben presente nel­l’autocoscienza dei poe­ti di epoca classica. Gli scolî al­l’Oreste di Euripide testimoniano che l’attore Egeloco, durante la rappresentazione, pronunciò il verso 279: ἐκ κυμάτων γὰρ αὖθις αὖ γαλήν’ ὁρῶ, senza comprendere l’elisione e producendo l’accentazione γαλῆν. In tal modo trasformò la bonaccia, cui si riferiva il verso, in una donnola. L’episodio fu 1  Dionys. Thrax, p. 5 s. Uhlig. Sulla Τέχνη attribuita a Dionisio Trace si vedano Law – Sluiter 1995; Robins 1996; Lallot 1998; Swiggers – Wouters 1998; Pagani 2010 e 2011, 30-36; Callipo 2011; Montanari – Matthaios – Rengakos 2015, passim.

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ovviamente parodiato da Aristofane nelle Rane e da altri comici 2. Q uali danni potesse produrre nella tradizione l’errata interpretazione delle strutture sintattiche in testi privi di interpunzione è invece testimoniato dagli scolî alla Medea di Euripide. Stando a Schol. Eur. Med. 85 gli attori non capivano l’interrogativa: τίς δ’ οὐχὶ θνητῶν; ἄρτι γιγνώσκεις τόδε, «chi non lo è tra gli uomini (scil. v. 84: colpevole nei confronti della sua famiglia)? Ora sai questo (scil. v. 86: che ciascuno ama più se stesso del prossimo)». Per questa ragione cambiavano il verso in τίς δ’ οὐχὶ θνητῶν τοῦτο γινώσκει σαφῶς; «chi tra gli uomini non sa bene questo?», testo che si trova in buona parte della tradizione. Un problema analogo si verifica al v. 228: ἐν ᾧ γὰρ ἦν μοι πάντα, γιγνώσκει (Page) καλῶς, «infatti lui che era per me tutto, e lo sa bene (v. 229: si è dimostrato il peggiore tra gli uomini, il mio sposo)». Secondo Schol. Eur. Med. 228 gli attori, non avendo dimestichezza con lo stile del poe­ta, omettevano la pausa dopo πάντα e dicevano γι(γ)νώσκειν, lezione riportata da tutti i codici. Dagli ultimi due esempi si vede come questo tipo di fraintendimenti, legati al­l’interpretazione orale di un testo, potessero creare varianti particolarmente invasive al­l’interno della tradizione manoscritta. Aristotele 3 adopera l’esempio di ὄρος ‘monte’ e ὅρος ‘confine’ (ma anche ‘definizione’) per dimostrare che le ambiguità relative al­l’accentazione, come quelle relative alla divisione di parole, sussistevano nella scrittura a meno che non venissero usati dei segni lezionali, mentre nella pronuncia ogni termine rivelava la propria singolarità. Il passo testimonia che ai tempi del filosofo potevano essere utilizzati παράσημα per disambiguare grafie dubbie, ma questi non costituivano ancora un sistema organico: proprio l’esistenza di segni speciali per i casi di ambiguità prova che i testi normalmente non erano provvisti di indicazioni di lettura. Come si è visto, neanche quelli destinati agli attori. Anche la fonte che attribuisce la creazione del sistema degli accenti ad Aristofane di Bisanzio dice espressamente 4: οἱ χρόνοι 2  Si vedano anche gli Scholia ad Aristoph. Ra. 303. Per un caso di ambiguità, intenzionalmente giocata su una diversa divisione di parole e  relativa differente accentazione, si vedano in questo volume M. G. Fileni, 85 s. e J. C. Franklin, 188 s. 3 Aristot. Soph. el. 20, 177b 1-7. 4  Ps. Arcad. De accent. 211, 8-12 Schmidt (vd. Par. gr. 2603 e Par. gr. 2102). Sulla testimonianza dei papiri si vedano Lameere 1960, 89-92; Mazzucchi 1979; Probert 2006, 45-47; Callipo 2011, 103-114.

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VARIANTI EPICHE DI TRADIZIONE ORALE ED ESEGESI ANTICA DEI POEMI OMERICI

καὶ οἱ τόνοι καὶ τὰ πνεύματα Ἀριστοφάνους ἐκτυπώσαντος γέγονε πρός τε διάκρισιν τῆς ἀμφιβόλου λέξεως καὶ πρὸς τὸ μέλος τῆς φωνῆς συμπάσης καὶ τὴν ἁρμονίαν, ὡς ἐὰν ἐπᾴδοιμεν φθεγγόμενοι. Per i critici di Alessandria che lavoravano su Omero la prima azione da compiere era dunque quella di decifrare le sequenze di scrittura delle singole redazioni dei poemi che avevano di fronte, manifestazione di una società in cui il testo scritto presupponeva ancora un profondo, sostanziale, rapporto con l’espressione orale. Un aspetto che emerge chiaramente dalla tradizione scoliastica. La maggior parte delle occorrenze del termine ἀνάγνωσις negli scolî a  Omero riguarda l’accentazione di singoli termini 5. Talvolta però un problema di prosodia prevede anche una diversa divisione di parole 6, mentre in alcuni casi la critica antica si pone il problema della quantità delle vocali 7 e del­l’aspirazione 8. La fonte principale per questo particolare campo del­l’esegesi è  Elio Erodiano, attivo a Roma sotto Marco Aurelio. Specialista della pronuncia 9, fu interessato alle interpretazioni prosodiche di Aristarco 5  Accentazione: Scholia ad Hom. Il.1, 175d (Hrd.); 1, 277b (Hrd.); 1, 294a1 (Hrd.); 1,  302a1 (Hrd.); 1,  396b1-b2 (Hrd.); 1,  465b1 (Hrd.); 2,  175b (Hrd.); 2,  262b (Hrd.); 2,  269a1 (Hrd.); 2,  292b1 (Hrd.); 2,  311 (Ep.  Hom.); 2,  339b (Hrd.); 2,  496b (Hrd.); 2,  532b1-b2 (Hrd.?); 2,  592b (Hrd.); 2,  599b (Hrd.); 3,  122a (Hrd.); 3,  198a (Hrd.); 3,  280a (Hrd.); 4,  2c (Hrd.); 4,  539a (Hrd.); 5, 299b (Hrd.); 5, 677-8a1 (Hrd.); 5, 798 (Hrd. | ex.?); 5, 887a1 (Hrd.); 6, 355a1 (Hrd.); 6,  367b (Hrd. | Ap.  H.?); 6,  422a1 (Hrd.); 8,  233a (Ariston.); 9,  614a1 (Hrd.); 10, 25b (Hrd.); 10, 134b (Hrd.); 11, 217a (Ariston.); 11, 409c1 (Hrd.); 11, 652a (Hrd.); 12, 20b (Hrd.); 13, 191c (Hrd.); 13, 371a (Hrd. vel Did. + Hrd.); 14,  463b (Hrd.); 15,  226 Nicole, 15,  226b1 (Hrd.); 15,  725a (Hrd.); 16,  57c (Hrd.); 16, 90a1 (Hrd.); 17, 201c (Hrd. παθ.); 20, 53b1 (Hrd.); 20, 105a1 (Hrd.); 20, 311a1 (Ariston.); 20, 357a1 (Hrd.); 21, 110a (Hrd.); 23, 387b1 (Hrd.); 24, 213a (Hrd.); 24, 316a1 (Hrd.); 24, 318b (Hrd.); Scholia ad Hom. Od. 8, 119; 11, 134. La denominazione, la numerazione, il testo degli scolî e le sigle dei codici che li riportano (ove non diversamente segnalato) sono di Erbse per l’Iliade, di Pontani per i libri 1-6 del­l’Odissea e di Dindorf  per i successivi. 6   Distinctio: Scholia ad Hom.  Il. 1,  168b (Did.); 1,  277b (Hrd.); 1,  465b1 (Hrd.); 2,  557a1 (Hrd.); 2,  585 (Hrd. καθ.); 4,  539a (Hrd.); 9,  614a1 (Hrd.); 10, 25b (Hrd.); 11, 217a (Ariston.); 11, 409c1 (Hrd.); 11, 652a (Hrd.); 16, 90a1 (Hrd.); 20, 311a1 (Ariston.); 20, 357a1 (Hrd.); 23, 387b1 (Hrd.); 24, 213a (Hrd.); 24, 247b (Hrd.); 24, 318b (Hrd.); Schol. Hom. Od. 11, 134. 7  Q uantità delle vocali: Scholia ad Hom. Il. 2, 662a1 (Hrd.), per il quale si veda infra; 11, 385e1 (Hrd.), riportato di seguito nel testo; 16, 41b1 (Hrd.). 8 Aspirazione: Scholia ad Hom.  Il. 12,  193a (Hrd.); 14,  340c1 (Hrd.) e 24, 247b (Hrd.), relativi a due casi di interaspirazione; 12, 55-56 (Hrd.). 9  Scrisse la Καθολικὴ προσῳδία e due opere di commento ai poemi: Περὶ τῆς Ἰλιακῆς προσῳδίας e Περὶ τῆς Ὀδυσσειακῆς προσῳδίας. Per il testo delle opere di

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che riporta e  discute confrontandole con quelle dei grammatici successivi. L’argomento di una serie di scolî nei quali compare il termine ἀνάγνωσις è  poi l’interpretazione della sintassi: l’individuazione delle pause e  la definizione della loro durata in relazione al  significato del testo 10. Q uesti derivano da Nicanore, lo studioso alessandrino del tempo di Adriano, il cui campo d’interesse precipuo fu l’interpunzione 11, lo studio della punteggiatura come strumento esegetico per una più profonda comprensione del dettato poe­tico. Da segnalare inoltre due scolî esegetici nei quali il termine ἀνάγνωσις è usato sostanzialmente come sinonimo di ὑπόκρισις, conservando un rapporto diretto con gli aspetti propriamente performativi del testo omerico, legati al­l’arte attoriale dei rapsodi. Si  tratta di Schol. Hom. Il. 2, 243-4a (ex.), in cui si fa riferimento al­l’espressività del testo: una scelta stilistica di Ome­ro rende il dettato poe­tico particolarmente efficace nella recitazione 12; e  di Schol. Hom. Il.  10,  424c (ex.) che contiene l’indicazione a  proferire in maniera interrogativa una parte di testo. Q ui l’attenzione è posta sull’intenzione nella lettura piuttosto che sulla scansione delle pause sintattiche. È più difficile invece attri­bui­re un significato specifico alla parola in Schol. Hom. Il.  22,  122b (ex.?) a  causa della brevità. Non è  possibile quindi confermare con certezza che ci sia il riferimento a  una lettura, come nella maggioranza dei casi, oppure che il termine si debba interpretare piuttosto come ‘variante’ 13. Infine, gli Scholia tramandati per il verso 31 Erodiano si veda Lentz 1867-1870. Si vedano anche Dyck 1993; Dickey 2007, 7577; Montanari – Matthaios – Rengakos 2015, passim. 10  Interpunzione: Scholia ad Hom. Il. 1, 88-89 (Nic.); 3, 242b1 (Nic.); 4, 351353 (Nic.); 9, 46-7a1 (Nic.); 9, 688a (Nic.); 14, 1a (Nic.); 14, 330-335 (Nic.); Schol. Hom. Od. 1, 72 f1 (Nic.). 11   Per il testo dei frammenti di Nicanore si vedano Friedländer 18572 e Carnuth 1875. Si vedano anche Blank 1983 e Montanari – Matthaios – Rengakos 2015, passim. 12  Schol. Hom.  Il. 2,  243-4a (ex.) ὣς φάτο νεικείων Ἀγαμέμνονα‹—› Θερσίτης: μεθ’ ὑποκρίσεως ἀντιπαρέθηκε πρὸς ἀγανάκτησιν τὰ ὀνόματα, ἐμφαίνων ὅτι τὸν ἄριστον ὁ αἴσχιστος ὠνείδιζεν. ἠθικὴ οὖν ἔσται ἡ ἀνάγνωσις. Ab(BCE3E4)T ὣς φάτο νεικείων Ἀγαμέμνονα‹—›Θερσίτης: con arte attoriale ha contrapposto per sdegno i nomi, mostrando che il peggiore ingiuriava il migliore. La lettura sarà dunque espressiva. 13  Schol. Hom. Il. 22, 122b (ex.?) ἀλλὰ τίη μοι ταῦτα: ἀρίστη ἀνάγνωσις ἥδε. T ἀλλὰ τίη μοι ταῦτα: è migliore questa lettura.

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della sedicesima rapsodia del­l’Iliade 14 consentono di osservare proprio il meccanismo attraverso il quale la parola ἀνάγνωσις, il cui significato principale, etimologico, è quello di lettura, il riconoscimento di una sequenza di lettere 15, sia stata utilizzata altrove anche per indicare varianti testuali non di sola interpretazione orale 16. La  rassegna delle occorrenze, qui brevemente riassunta, dimostra che nella quasi totalità degli scolî a  Omero, la parola ἀνάγνωσις non ha il significato generico di ‘variante’. Mai in quelli derivati da Erodiano e Nicanore. Negli scolî derivati da Nicanore è una pratica esegetica che ha il fine di individuare i possibili significati del testo interpretandone le strutture sintattiche. Negli scolî derivati da Erodiano introduce e segnala le possibili ‘varianti orali’ di una sequenza di caratteri tramandata attraverso la scrittura. Si tratta di una serie di occorrenze in cui sulla base di un testo ambiguo, e perciò polivalente, vengono proposte dalla critica 14  Il. 16, 30-32: «Che mai mi prenda simile ira (χόλος), quale tu nutri, (30) / αἰναρέτη· τί σευ ἄλλος ὀνήσεται, sia pure tra i  posteri (31),  / se dagli Achei non stornerai la strage tremenda? (32)». Per la resa in italiano dei versi del­l’Iliade, mi sono avvalsa della traduzione di G. Cerri, in Cerri – Gostoli 1996, basata sul testo di Monro – Allen. Schol. Hom.  Il. 16,  31a (Ariston.) αἰναρέτη· τί{ς} σευ ἄλλος ‹ὀνήσεται›: ὅτι ‹τινὲς› γράφουσιν «αἴν’ (A, edd.: αἶν’ Erbse) ἀρετῆς», καὶ ἐκφέρουσι κατὰ τὸ περισπώμενον, ἵν’ ᾖ πρότερον ‘αἰνέ’, εἶτα πρὸς τὰ κάτω ‹τὸ ἀρετῆς›· ‘ἀρετῆς τί σευ (A, Dindorf: σοι Erbse) ἄλλος ὀνήσεται;’ πιθανώτερον δὲ συνθέτως «αἰναρέτη», ‘ἐπὶ κακῷ τὴν ἀρετὴν ἔχων’. A αἰναρέτη· τί{ς} σευ ἄλλος ‹ὀνήσεται›: (il segno) perché alcuni scrivono ἄιν’, ἀρετῆς, e pronunciano in modo perispomeno, affinché prima sia ‘αἰνέ’, e poi di seguito ἀρετῆς: ‘in che cosa un altro si gioverà del tuo valore?’ Però è più plausibile come composto αἰναρέτη (voc.), ‘tu che hai valore per il male’. Schol. Hom.  Il. 16,  31c (ex.) αἰναρέτη: σύνθετόν ἐστι παρὰ θηλυκόν, ὡς «ὑψαγόρη» (β 85 al.), μισογύνη· ὃ ἀγνοοῦντες γράφουσιν «αἰναρέτης», ἵν’ ᾖ ‘ὁ χόλος πολέμιος ταῖς ἀρεταῖς καὶ ἐχθρός’· b(BCE3E4)T «μὴ ἐμὲ γοῦν οὗτός γε λάβοι χόλος (Π 30) / αἰναρέτης». T ἐπεκράτησε δὲ ἡ δίχα τοῦ ‘ς’ ἀνάγνωσις Ἀριστάρχειος οὖσα, καὶ ἔστιν ‘εἰς αἰνὸν χρώμενε τῇ ἀρετῇ’, εἰς ὄλεθρον, οὐκ εἰς σωτηρίαν. δι’ ἑνὸς δὲ ὀνόματος ἔπαινον ἔμιξε καὶ ψόγον· ὅτι μὲν γὰρ ἔχει ἀρετήν, φησίν, ὅτι δὲ οὐκ ἐπ’ ἀγαθῷ τῶν φίλων, διαβάλλει. b(BCE3E4)T αἰναρέτη: è composto dal femminile, come ὑψαγόρη (β 85 al.) (voc.), ‘μισογύνη’ (voc.); la qual cosa non avendo capito, scrivono αἰναρέτης (nom.), affinché sia ‘l’ira avversaria e nemica delle virtù’; «μὴ ἐμὲ γοῦν οὗτός γε λάβοι χόλος (Π 30) / αἰναρέτης». È prevalsa però la lezione senza ‘ς’ che è di Aristarco, e vale ‘tu che per violenza usi il valore’, per distruzione, non per salvezza. In una sola parola ha combinato lode e biasimo: da una parte infatti ha valore, dice, dal­l’altra invece non per il bene degli amici, accusa. 15  Si vedano ad esempio Pl. Euthyd. 279e; Leg. 810e. 16  Si veda Athen. 189b.

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antica due o più interpretazioni orali, letture che si configurano come vere e proprie lezioni alternative. La rilevanza di questa particolare prospettiva esegetica fu più volte messa in luce da Aristotele 17. Come si è visto in precedenza, nelle Confutazioni sofistiche pose l’attenzione sul problema delle grafie ambigue 18. Nella Retorica, dopo avere elencato e descritto le cinque condizioni che determinano l’ἑλληνίζειν 19, osserva che quanto si scrive (τὸ γεγραμμένον) deve essere εὐανάγνωστον ed εὔφραστον. Non hanno questa caratteristica le frasi difficili da interpungere (διαστίξαι), come il fr. 1 di Eraclito 20: τοῦ λόγου τοῦδ’ ἐόντος ἀεὶ ἀξύνετοι ἄνθρωποι γίγνονται. Aristotele rileva infatti il dubbio sul­l’attribuzione di ἀεί, se cioè debba riferirsi a quanto precede o a quanto segue, dalla qual cosa deriva buona parte del­ l’interpretazione del­l’inizio del­l’opera di Eraclito 21. Il problema della corretta διαίρεσις, ‘separazione’ o distinzione delle parole in una frase secondo la logica del significato, è trattato da Aristotele anche nella Poetica 22, attraverso l’esempio della complessa esegesi di un frammento di Empedocle 23, e  nelle Confutazioni sofistiche 24. Q ueste ultime due opere, le Confutazioni sofistiche e la Poetica, sono fondamentali per comprendere come la meccanica del­l’interpretazione di interpunzione e prosodia venisse sistematizzata da Aristotele al­l’interno del quadro generale della 17   Nagy 1996, 121-132, 149 s., 176 s., 200 s., ha dimostrato che l’attenzione posta sulla lettura come pratica interpretativa era una prerogativa specifica di Aristotele, soprannominato ἀναγνώστης da Platone, secondo quanto riportato nella Vita Marciana (pp. 428, 1-5; 438, 14-15; cfr. p. 443, 12-17 Rose). Le informazioni relative agli aspetti performativi di Omero raccolte al­l’interno del Peripato sarebbero poi confluite nel materiale esegetico a disposizione degli Alessandrini, e di Aristarco in particolare, per il tramite di Demetrio Falereo. In generale sulle relazioni concrete e profonde tra i filoni di ricerca cui Aristotele diede impulso, poi approfonditi dai discepoli del Peripato, e il lavoro degli eruditi di età ellenistica, con particolare riferimento alla filologia alessandrina, si vedano Gallavotti 1969; Richardson 1994; Schironi 2009; Montanari 2001; 2008; 2012; 2014. 18  Si veda supra, nel testo e n. 3. 19 Aristot. Rhet. Γ 1407a 19-b 1. 20  Heraclit. 22 B 1 DK. Il frammento 1 di Eraclito è riportato secondo il testo della Poetica di Aristotele nel­l’edizione di Gallavotti 1974. 21  Aristot. Rhet. Γ 1407b 11-18. 22  Aristot. Poet. 25, 1461a 23-25. 23  Emp. 31 B 35, 14-15 DK. 24 Aristot. Soph. el. 4, 166a 33-38.

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disamina delle argomentazioni logiche e nel­l’ambito particolare dei diversi metodi esegetici dei testi poe­tici 25. Inoltre, da queste è possibile trarre indirettamente delle indicazioni sullo sviluppo storico della lettura come pratica interpretativa di livello avanzato e  propriamente filologica. Il  filosofo, infatti, per chiarire meglio le sue argomentazioni relative alla προσῳδία, riporta in entrambe le opere gli stessi esempi noti di esegesi omerica a lui precedenti che testimoniano l’antichità del manifestarsi di tale prospettiva critica. Le Confutazioni sofistiche e  la sezione della Poetica che riguarda i  criteri esegetici – il capitolo 25 è  interamente dedicato a  questo tema 26 – contengono un piccolo nucleo argomentativo ugualmente strutturato in cui compaiono le due categorie interpretative che si sono riscontrate negli scolî a Omero: l’interpunzione e la prosodia. Nelle Confutazioni sofistiche la trattazione è più ampia e generica, comprendendo per la maggior parte exempla ficta, e riguarda le confutazioni apparenti, cioè i paralogismi, e le corrispettive soluzioni che possono essere applicate per demolirle. Le confutazioni possono essere παρὰ τὴν λέξιν ed ἔξω τῆς λέξεως 27. Fanno parte della prima categoria anche i paralogismi basati su σύνθεσις 28, διαίρεσις 29 e προσῳδία 30. Alla descrizione di questi tipi di confutazione corrisponde specularmente quella delle relative soluzioni individuate da Aristotele: σύνθεσις e  διαίρεσις 31; προσῳδία 32. Nella Poetica invece il discorso verte proprio sui προβλήματα e  le corrispettive possibili λύσεις nel­l’esegesi dei testi poe­tici. La trattazione è quindi specificamente dedicata alla critica letteraria e la maggior parte degli esempi menzionati è tratta dai poemi omerici. Le critiche, ἐπιτιμήματα, possono essere πρὸς αὐτὴν τὴν τέχνην 33 e  πρὸς τὴν 25  Nella conclusione del cap. 25 della Poetica, quello dedicato ai  criteri per l’esegesi dei testi poe­tici, Aristotele osserva (25, 1461b 15-18): τὰ δ’ ὑπεναντίως εἰρημένα οὕτω σκοπεῖν, ὥσπερ οἱ ἐν τοῖς λόγοις ἔλεγχοι εἰ τὸ αὐτὸ καὶ πρὸς τὸ αὐτὸ καὶ ὡσαύτως· ὥστε καὶ αὐτῶν, ἢ πρὸς ἃ αὐτὸς λέγει ἢ ὃ ἂν φρόνιμος ὑποθῆται. 26  Aristot. Poet. 1460b 6-1461b 25. 27 Aristot. Soph. el. 4, 165b 23-24. 28 Aristot. Soph. el. 4, 166a 23-32. 29 Aristot. Soph. el. 4, 166a 33-38. 30  Aristot. Soph. el. 4, 166b 1-9. 31 Aristot. Soph. el. 20, 177a 33-b 34. 32 Aristot. Soph. el. 21, 177b 35-178a 3. 33 Aristot. Poet. 25, 1460b 22-1461a 9.

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λέξιν 34. Tra le soluzioni individuate per questa seconda categoria compaiono anche προσῳδία 35 e  διαίρεσις 36. Si è  già detto in precedenza a proposito della distinctio; conviene quindi a questo punto analizzare, nel dettaglio, come viene trattata la questione del­l’accentazione. Come si diceva, è  notevole che nelle Confutazioni sofistiche e nella Poetica si abbiano gli stessi esempi relativi alla προσῳδία, esempi di esegesi pre-aristotelica. Si è scelto di utilizzare il testo della Poetica come guida per l’analisi di questo aspetto perché più appropriato alla presente trattazione. Tra i  dodici tipi di soluzioni esegetiche contro le critiche che possono essere rivolte a  un testo poe­tico, elencati nel capitolo 25 della Poetica di Aristotele 37, compare dunque anche la λύσις κατὰ προσῳδίαν 38: κατὰ δὲ προσῳδίαν, ὥσπερ Ἱππίας ἔλυεν ὁ Θάσιος τὸ «διδόμεν δέ οἱ εὖχος ἀρέσθαι» καὶ «τὸ μὲν οὗ καταπύθεται ὄμβρῳ». (Poi si risolve una critica) in base alla prosodia, come appunto faceva Ippia di Taso in quel verso di Omero: «e concedigli che colga la gloria» (dice Zeus al Sogno, e non ‘gli concedo’); oppure, a proposito di un albero secco: «ne marcisce il tronco per la pioggia» (invece di ‘né marcisce’). 39

Un breve prospetto può aiutare a comprendere meglio i dati forniti dalla testimonianza.

 Aristot. Poet. 25, 1461a 9-34.  Aristot. Poet. 25, 1461a 21-23. 36  Aristot. Poet. 25, 1461a 23-25. Come si vede, nelle Confutazioni sofistiche σύνθεσις e  διαίρεσις sono trattate separatamente mentre nella Poetica, più brevemente, in un’unica sezione nella quale viene esemplificata solo la διαίρεσις. Sul­l’applicazione delle differenti forme di λύσις ἐκ τῆς λέξεως negli scolî omerici si veda Combellack 1987, il quale tuttavia non individua alcun rapporto specifico tra tali testimonianze e questo passo della Poetica di Aristotele (25, 1461a 9-34) che ne costituisce, invece, l’imprescindibile antecedente ermeneutico. Trovano infatti puntuale riscontro negli scolî i diversi tipi di λύσις ἐκ τῆς λέξεως indicati nella Poetica, anche se Aristotele non utilizza espressamente questa dicitura. 37  Aristot. Poet. 1460b 6-1461b 25. 38 Aristot. Poet. 25, 1461a 21-23. 39 Il  testo e  la traduzione sono di Gallavotti 1974,  104-107. Sul­ l’inter­ pretazione di questa testimonianza relativa a Ippia di Taso si veda Brancacci 2009. 34 35

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Ippia di Taso ad Il. 2, 15 (Aristot. Poet. 25,  1461a 2223; Soph. el. 4, 166b 6-8)

Secondo la variante riportata da Aristotele, in questo verso Zeus dice al Sogno ingannatore: «e  concedigli (ad Agamennone) che colga la gloria», piuttosto che ‘gli concedo’. La diversa accentazione trasforma l’indicativo presente δίδομεν (presupposto nel testo) in un infinito omerico con valore di imperativo διδόμεν, facendo slittare la responsabilità del­l’inganno da Zeus al Sogno 40.

Ippia di Taso ad Il. 23, 328 (Aristot. Poet. 25,  1461a 23; Soph. el. 4, 166b 3-6, cfr. Soph. el. 21, 177b 35-178a 3)

Il. 23, 327-328: «C’è un tronco secco, alto due braccia da terra, / di quercia o di pino: non si marcisce al­l’acqua piovana». La lezione presupposta è τὸ μὲν οὐ καταπύθεται. La critica antica si basava sul fatto che invece il legno normalmente imputridisce a  causa della pioggia. Il  problema viene risolto con una diversa accentazione, leggendo cioè la negazione οὐ come pronome relativo οὗ.

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Oltre ai  due esempi di Ippia di Taso citati da Aristotele, Albio Cesare Cassio 41 ha analizzato altre due testimonianze di esegesi omerica pre-alessandrina che, come si può vedere dal breve prospetto che segue, mostrano di avere la stessa fisionomia. Stesimbroto di Taso ad Il. 15, 189 e 193 (Schol. Hom. Il. 15, 189a1 ex.?)

Il. 15,  189: «Tutto in tre parti è  stato diviso». La lezione presupposta è  πάντα δέδασται. Il. 15, 193: «Sono rimasti a tutti in comune la terra e l’altissimo Olimpo». La critica antica rilevava una contraddizione tra i due versi: mentre nel primo si dice che tutto è stato diviso fra i tre fratelli Zeus, Posidone e  Ade, nel secondo si dice invece che la terra e  l’Olimpo sono rimasti in comune. La diversa divisione di parole con conseguente diversa accentazione riportata per Stesimbroto, πάντ’ ἂ, con psilosi, cambia il significato del verso risolvendo l’aporia: «tre sono le cose che sono state divise».

40 Nei papiri e  nella Vulgata medievale si trova invece Τρώεσσι δὲ κήδε’ ἐφῆπται (= Il. 2, 32; 69). Un testo che risolve più drasticamente e invasivamente il problema della responsabilità del­l’inganno. 41  Cassio 2002, 124-132.

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Aristotele ad Il. 21, 252 (Schol. Hom.  Il. 21,  252d1-d3 ex. Cfr. Porph. ad Il. 24, 315316)42

Il. 21,  251-252: «Il Pelide s’allontanò, quant’è lungo il tiro d’un’asta,  / con lo slancio del­ l’aquila nera, la predatrice». La lezione presupposta nel verso è αἰετοῦ … μέλανος, τοῦ θηρητῆρος. Q uesto verso suscitava perplessità a causa del­l’articolo τοῦ, che i  grammatici antichi tendevano a  rifiutare in Omero. Secondo gli scolî, Aristotele proponeva una diversa divisione di parole: μελανόστου, anche se la paternità di questa lezione è omessa da Porfirio il quale attribuisce a  Democrito l’idea che le aquile abbiano le ossa nere. Gli scolî riportano notizia anche della diversa accentazione di Aristarco: μέλανός του, (indefinito = τινός), concludendo però che è  meglio accettare la forma presupposta τοῦ (articolo). In Omero infatti per il genitivo del pronome indefinito si trova τεο oppure τευ. Il  verbo usato, in varie forme, è sempre δέχομαι.

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È fondamentale sottolineare che le proposte esegetiche contenute negli esempi pre-alessandrini appena analizzati rientrano tutte nel campo della pronuncia, ἀνάγνωσις, trattandosi esclusivamente di diversa accentazione 43 e diversa divisione di parole 44 rispetto al­ l’interpretazione tradizionale. Nei casi citati entrano in gioco tre elementi fondamentali: 1) Un testo fisso. Gli esegeti antichi non prendono in considerazione l’idea di cambiare il testo in riferimento a  una critica, ma presuppongono una sequenza standard di lettere, che ha tutte le caratteristiche e i limiti della scrittura 45.   Per un commento più dettagliato delle tante testimonianze coinvolte si veda Schironi 2004, 417-425. 43  Merita di essere sottolineato il caso di Stesimbroto di Taso che presuppone l’abitudine a recitazioni psilotiche di Omero (questa di Cassio 2002, 125-127, è la più adeguata interpretazione dei dati forniti dallo scolio, cfr. Buffière 1956, 118 e n. 78). Il problema del­l’aspirazione, la cui resa grafica ha una storia travagliata e complessa, viene affrontato più volte negli scolî. 44  L’esempio di Ellanico conduce Montanari 1988, 52 a circoscrivere uno degli ambiti esegetici specifici di ἀνάγνωσις, la prosodia. Si vedano anche i commenti ai frr. 1, 3, 4 e 5. Sui trattati grammaticali antichi in questo campo si veda Montanari – Matthaios – Rengakos 2015, passim. 45  Q uesto punto è messo a fuoco da Aristotele, Soph. el. 4, 166b 1-4, al momento di introdurre i casi citati supra di esegesi omerica relativa al­l’accentazione: 42

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2) Un modo ‘comune’ di recitare quella sequenza standard di lettere, una interpretazione orale usuale che è  oggetto della critica. 3) Un modo ‘migliore’ di recitare quella sequenza standard elaborato da uno specialista di Omero per risolverne le criticità. Q uest’ultima particolare opposizione indica l’esistenza di due filoni diversi nella tradizione omerica: uno derivato dalle recitazioni rapsodiche continue dei poemi e  uno derivato dalle analisi specifiche di rapsodi e sofisti su singoli punti 46. Gli scolî testimoniano il perdurare di questa bipartizione nella successiva tradizione. Essa si trova, ormai focalizzata sulla scrittura, nella citazione di copie κοιναί e  recensioni χαριέστεραι utilizzate per la verifica del testo omerico 47. La  stessa suddivisione è  inoltre implicita nei riferimenti tràditi che fungono da termine di paragone per le interpretazioni orali dei critici di Alessandria e  si rivela compiutamente in un particolare gruppo di scolî, in cui il termine ἀνάγνωσις viene specificato dal­l’aggettivo κοινή o dal suo sinonimo συνήθης 48. È interessante osservare la struttura di queste testimonianze. Nei due scolî derivati da Nicanore, l’organizzazione logica e  sintattica tradizionale dei versi coinvolti (ἡ  συνήθης ἀνάγνωσις) viene confrontata con la proposta esegetica di alcuni (τινές), che rimangono anonimi. È rilevante che Nicanore preferisca in entrambi i  casi la lettura comune. Bisogna sottolineare che il tipo di interpretazione usato da Nicanore, per stabilire la corretta espressione delle pause nel discorso, rientra pienamente nel­l’ambito della spiegazione della διάνοια, del παρὰ δὲ τὴν προσῳδίαν ἐν μὲν τοῖς ἄνευ γραφῆς διαλεκτικοῖς οὐ ῥᾴδιον ποιῆσαι λόγον, ἐν δὲ τοῖς γεγραμμένοις καὶ ποιήμασι μᾶλλον, οἷον καὶ τὸν Ὅμηρον ἔνιοι διορθοῦνται πρὸς τοὺς ἐλέγχοντας… κτλ. Riguardo al caso di Stesimbroto, West 2001, 25, n. 70, osserva: «It is a point of   great interest and significance that this approach takes the written tradition, not the oral, to be primary». 46  Si veda Nagy 2009, Prolegomena e cap. 3. 47 Negli scolî le copie κοιναί vengono denominate anche αἱ δημώδεις, αἱ εἰκαιότεραι, αἱ φαυλότεραι (ἐκδόσεις), ma vi si fa riferimento anche con il termine ἀντίγραφα. Su questi testi dei poemi omerici e sulle recensioni χαριέστεραι, consultabili ad Alessandria, si vedano Allen 1924,  271-282; Nagy 1996,  114-125, capp. 6-7; 1997, 118-121; 2009, Prolegomena; Haslam 1997, 71; West 2001, 5052; Pagani – Perrone 2012, 97 s., 103 s., 113-118; Montanari – Matthaios – Rengakos 2015, passim. 48   Ἡ κοινὴ ἀνάγνωσις: Scholia ad Hom. Il. 1, 465b1 (Hrd.); 2, 662a1 (Hrd.); 6, 355a1 (Hrd.). Ἡ συνήθης ἀνάγνωσις: Scholia ad Hom. Il. 1, 88-89 (Nic.); 1, 168b (Did.); 1, 277b (Hrd.); 14, 1a (Nic.); 14, 340c1 (Hrd.); Schol. Hom. Od. 8, 119.

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significato letterale del testo omerico, una pratica esegetica antica cui abitualmente si dedicavano rapsodi e  specialisti di Omero 49. Erodiano cita la lettura comune parallelamente al parere scientifico dei suoi colleghi specialisti della pronuncia, Tolomeo l’Asca­ lonite e  Tirannione, valutandone le proposte e  confrontando le possibili interpretazioni. Anche Erodiano preferisce in tutti i casi la lettura comune e Aristarco, quando viene citato, con essa concorda 50. È quindi evidente che Nicanore ed Erodiano attribui­ vano un peso notevole alla pronuncia omerica orale tradizionale. Gregory Nagy 51 ha dimostrato che la consuetudine cui fa riferimento la dicitura ἡ κοινὴ ἀνάγνωσις non proviene dal tempo di Erodiano, ma deriva da un’epoca più antica. Infatti nel citarla, Erodiano la contrappone al­l’uso a  lui contemporaneo 52 oppure la ‘accetta’ (ἀποδέχεται) in quanto tradizionale 53. Q uesto verbo tecnico si trova anche in uno scolio 54 dove si dice che Aristarco stesso ‘accettava’ (ἀποδέχεσθαι) la lettura prodotta per lui da Posidonio, definito ὁ Ἀριστάρχου ἀναγνώστης. Q uesta denominazione ricorre anche altrove 55 ed è testimoniata da Eustazio 56. Da ciò si può dedurre che fosse un uso condiviso anche da Aristarco quello di integrare la conoscenza del testo omerico attraverso la prassi di una ἀνάγνωσις. Tale lettura, utile a decriptare le stringhe di scrittura e a individuare la pronuncia tradizionale delle singole parole al­l’interno del dettato recitativo, non poteva che essere quella comune al tempo di Aristarco, ‘vulgata’ appunto, con la conseguente coesistenza di tratti relativamente innovativi e marcati arcaismi. Esisteva dunque un modo comune di recitare il testo dei poemi e  quindi di intenderne il significato cui, in casi particolarmente complessi, potevano affiancarsi differenti interpretazioni proposte da singoli studiosi ed esegeti di Omero: analisi specialistiche   Gli scolî stessi riportano talvolta interpretazioni di esegeti pre-alessandrini in questo campo e  così fanno i  papiri con commentari omerici. Sulla testimo­ nianza dei dialoghi platonici si vedano Velardi 1989, cap. 1 e Nagy 2009, cap. 3. 50   Il dubbio rimane solo per Schol. Hom. Il. 2, 662a1 (Hrd.). Cfr. Schol. Hom. Il. 2, 662a2 (Hrd.?). 51  Nagy 2009, Prolegomena. 52   Schol. Hom. Il. 6, 355a1, cfr. Schol. Hom. Il. 6, 355a2. 53  Scholia Hom. Il. 1, 465b1-b2. Cfr. Nagy 1990, 217 s. e 220. 54  Schol. Hom. Il. 17, 75a (Nic.). 55  Schol. Hom. Il. 6, 511a (Ariston.). 56  Eust. ad Il. 6, 510-511 (II, p.  377, 24-26 van der Valk); 17, 75-76 (IV, pp. 17, 25-18, 1). 49

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alternative alla prassi usuale delle recitazioni. Ogni copia scritta di Iliade e Odissea non era completa senza l’integrazione della performance, per cui il testo omerico, anche quello che aveva di fronte Aristarco, veniva interpretato in base a una vulgata frutto di competenze orali derivate dalla tradizione. Q uesta interpretazione orale comune costituiva il sostrato ermeneutico per le successive analisi critiche e filologiche del testo omerico, che su di essa si innestavano ma che potevano superarla, risolvendone le eventuali criticità. Naturalmente le varianti ‘da lettura’ hanno delle caratteristiche specifiche, prodotte dalle ambiguità proprie di questo particolare ambito: problemi di accentazione, aspirazione, resa di vocali, divisione di parole, interpretazione delle strutture sintattiche. Tuttavia, si trova in esse la preziosa testimonianza di un tipo di testualità, quella performativa, che fu la linfa vitale del­l’epica omerica. Esse contribuiscono a restituire, almeno in parte, la specificità della percezione antica del concetto di testo, il testo di Iliade e Odissea.

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Abstracts Il saggio si propone di indagare l’influsso della tradizione performativa sul testo di Iliade e Odissea per come si manifesta nella pratica della lettura ad alta voce, un’attività propriamente esegetica fin dalla più antica critica omerica. Derivata dalla consuetudine alle performances orali, questa prassi fu portatrice di varianti testuali dalla fisionomia specifica, come emerge dalla testimonianza di Aristotele e della tradizione scoliastica a Omero. The essay aims at searching the influence of   the oral traditional performances on the text of  Iliad and Odyssey as it emerges from the habit of   reading out loud the Homeric poetry, an exegetical activity from the earliest Homeric criticism. Derived from the consuetude of   performances, this practice preserved a set of  variant readings with specific traits, as demonstrated by Aristotle and by the tradition of   Homeric scholia.

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JOSÉ ANTONIO FERNÁNDEZ DELGADO FRANCISCA PORDOMINGO Universidad de Salamanca

LA ACTIVIDAD POÉTICO-MUSICAL DE ÉPOCA HELENÍSTICA EN LAS VITAE DE PLUTARCO

1.  La actividad poético-musical de época helenística, conformada como por las partes o teselas de un mosaico rico y variado, ha venido siendo estudiada, de modo especialmente intenso en los últimos años, a partir de los testimonios epigráficos y papiráceos, y en menor medida de los literarios. Las diversas manifestaciones de esa actividad se refieren a sus contextos (festivo, teatral, simposíaco); a la performance (espectáculos, ejecutantes y público, instrumentos musicales, estatuto de los artistas); a los poe­tas; a las composiciones literarias destinadas a la performance y a los géneros en los que podrían ser encuadradas; a las teorías poético-musicales de fuentes helenísticas y a otras noticias aportadas también por estas. Para su estudio se ha partido de un presupuesto bien conocido, que Gentili de forma pionera y también otros estudiosos han formulado 1: el término μουσική ‘arte de las Musas’ no tenía en Grecia antigua la sola acepción de ‘arte de los sonidos’, en el sentido moderno de la palabra, sino que significaba el connubio entre poesía, música y danza. Así quedará también reflejado en el presente trabajo. El alcance de los resultados de la investigación de esas facetas ha sido grande, pues, además de su valor intrínseco para un conocimiento ajustado y más profundo de la cultura de época helenística en una faceta muy importante, y de la recepción de los textos arcaicos y clásicos a lo largo de ella, para la literatura de época helenística supone constatar la existencia de ‘otra poesía’, además de la ‘alejandrina’, destinada a la performance en distintos contextos festivos; y  para la en sus justos términos llamada ‘poesía alejan  Cfr. Gentili-Pretagostini 1998, Introduzione, V-XI.

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drina’ puede contribuir a  una reconsideración ya iniciada, en el sentido de que determinadas manifestaciones, como algunos de los Himnos de Calímaco (los miméticos, II, V, VI) o los Encomios de Teócrito, no sólo contienen mímesis del rito o la celebración festiva, sino que pudieron estar destinadas a ser ejecutadas en ocasiones festivas, siguiendo la línea de trabajos como los de Hardie y Cameron, o ya del propio Fraser 2. Hardie señalaba 3 que se ha prestado poca atención a la evidencia literaria sobre poe­tas profesionales e itinerantes en el mundo griego, opinión que treinta años después debe ser en gran parte corregida, aunque es cierto, como también él señala, que la evidencia literaria, y especialmente la de los poe­tas helenísticos, presenta especiales problemas de interpretación y  evaluación; pero está claro que los poe­tas helenísticos, cuyos horizontes se habían extendido inconmesurablemente por la creación de nuevos centros de aprendizaje, nuevos festivales y por una mayor demanda de la poesía encomiástica, ahondaron en las relaciones entre ellos mismos y las personas e instituciones que ejercían un mecenazgo. Por otra parte, los trabajos basados en testimonios epigráficos, a los que hay que añadir para Egipto los papiráceos, desde aquellos pioneros de Grassi y  Guarducci a  los recientes de Terzidou y  Manieri 4, han sido más numerosos que los basados en los textos literarios. Mas los resultados de unos y otros se complementan, contribuyendo a esa deseada visión de conjunto, y los trabajos de carácter prosopográfico, particularmente el muy abarcativo de Stephanis 5, son de gran ayuda para conseguirla. Así, como una contribución a esa investigación sobre el tema que pretende ser comprehensiva y  sistemática, hemos realizado una lectura de las Vitae de Plutarco, en las que su autor, aun no pretendiendo hacer historia sino biografía, se apoyó en fuentes historiográficas para los datos aportados sobre otros aspectos y también sobre el que hoy nos ocupa. Ya en un trabajo anterior 6 mostramos que en Moralia Plutarco manifiesta un gran interés   Hardie 1983, 85 ss.; Cameron 1995, 58 ss.; Fraser 1972, I, 650 ss.   Hardie 1983, 28. 4  Grassi 1920; Guarducci 1929 (para el período 250-100 a.C.); Manieri 2009 (cfr. Fernández Delgado 2010); Terzidou 2013. 5   Stephanis 1988. 6  Pordomingo 2013. 2 3

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por los distintos aspectos, arriba señalados, de la actividad poético-musical en el mundo helenístico, en ocasiones como objetivo central de determinados pasajes de sus obras, como en algunas de las Q uaestiones convivales, en otras introduciendo las referencias de una manera que podríamos calificar de ‘sesgada’, en cuanto que tienen un valor metafórico, es decir esclarecen una aserción o una argumentación, un pequeño discurso, una narración, una ekphrasis. Lo mismo ocurre en Vitae, en las que a veces aquellas incluso se insertan en las anécdotas, tan frecuentes y con tan importante función en la caracterización de los personajes biografiados, de modo que su testimonio ha de ser filtrado y evaluado. Como metodología en ambos casos se ha recurrido a  confirmar por otras vías, otras fuentes literarias o fuentes documentales (inscripciones y papiros), la información aportada por Plutarco, que, junto con Ateneo en particular, es lector atento de las fuentes helenísticas cuando presenta una información sobre el tema o transmite una determinada composición poética. Un buen número de los personajes biografiados por Plutarco son helenísticos, griegos y romanos, y es a esas Vitae a las que hemos limitado esta investigación; en el caso de las Vitae de personajes romanos, es sólo lo relativo al contexto griego, correspondiente a la zona oriental de expansión del poder romano en la que desarrollaron su actividad (o una parte de ella), el que es considerado, pues presuponemos que aquellas actividades en las que se vieron implicados en relación con el tema que nos ocupa son de cuño griego. Interesante es también la información que aporta Plutarco en las Vitae para testimoniar que la cultura musical era un elemento importante del mantenimiento de la identidad griega y al mismo tiempo de la helenización en zonas más alejadas de Oriente, como en Partia, sobre la cual es un testimonio precioso, por ejemplo, el prestado por la Vida de Craso (33, 1-7). Alguno de los testimonios aportados por las Vitae se refiere a fiestas religiosas tradicionales, que se celebraban periódicamente, pero sobre todo son evocadas fiestas organizadas en honor de personajes influyentes, celebración a veces de carácter puntual, otras perdurando asombrosamente a lo largo del tiempo; las performances en esas fiestas, thymelicas y  escénicas, fueron realizadas unas en el marco de un agón, otras son performances extraagonísticas. También hemos hallado testimonios de otro espacio festivo, el del 453

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banquete. La siguiente presentación, en cada uno de los correspondientes apartados, se ajustará al orden cronológico del tiempo vital de los personajes biografiados y se harán inevitables las referencias cruzadas. 1.1.  Los contenidos y  el carácter del género de las Vitae condiciona sin duda el tipo de fiestas y agones mencionados en ellas por Plutarco, así como los textos poéticos mencionados o transmitidos y el género al que pertenecen, por lo que la información debe ser valorada desde esta óptica. Varias son las fiestas instituidas en honor de personajes célebres, algunas de las cuales se superponen, sustituyéndolas, a fiestas tradicionales: en la Vida de Lisandro (18, 5) se señala que Lisandro (el general espartano vencedor de los atenienses en Egospótamos) fue el primer griego al que las ciudades erigieron altares como a  un dios, ofrecieron sacrificios y cantaron peanes (el comienzo de uno de los cuales [Pai. 35 Käp­ pel e  infra] es transmitido) y  que los samios decretaron que las fiestas en honor de Hera (Heraia) fueran nombradas Lysandreia 7; el nombre de las Dionisias fue cambiado en Demetria, señala Plutarco en Vida de Demetrio (12, 2); las Demetria se celebraron en Atenas a partir del 294 por algún tiempo, sin embargo parece que las Dionisias nunca perdieron su nombre 8. Sorprendente, en contra de lo que haría suponer su intrínseco carácter puntual, es que algunas fiestas siguieran celebrándose durante largo tiempo, hasta la época de Plutarco, como las Arateia (Arat. 53, 2-8) o las Titeia, instituidas en honor de Tito Flaminino y en las que anualmente se elige un sacerdote a mano alzada (Flam. 16, 5-7). Son mencionadas además las fiestas en honor de Antígono (Cleom. 16,  7), organizadas por el propio Arato. Los contextos permiten inferir claramente que fueron instituidas para celebrar un triunfo militar o en acción de gracias por haber salvado la ciudad, y permiten constatar así su carácter salvífico, explícitamente señalado a propósito de las Arateia con un cierto sincretismo entre el personaje 7  La fuente de Plutarco es Duris de Samos, según el testimonio de Athen. 15, 696e (FGrHist 76, F 26, 71). Duris vivió un siglo después que Lisandro; algunos autores han negado valor a este testimonio de Duris, pero Nilsson señala que, si bien Lisandro no fue divinizado, recibió honores como un dios y en este pasaje han de ser vistos precedentes del culto del rey: Nilsson 1950, 132. 8  Segre 1932, 1-6.

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celebrado y Zeus Soter, pero también visible en aquellas en honor de Lisandro y de Tito Flaminino.   1.2.  La mención de agones poético-musicales en el marco de estas fiestas es frecuente en las Vitae y su celebración posiblemente seguiría, en menor escala, el modelo de los agones de las grandes fiestas, a alguno de los cuales también hace referencia Plutarco: en la Vida de Filopemen (11, 1) se señala que Filopemen, con ocasión de las Nemeas, fue elegido por segunda vez estratego poco después de la batalla de Mantinea y que cuando entró en el teatro, con gran despliegue de sus cuadros militares, se celebraba el agón de los citarodos (κιθαρῳδῶν ἀγωνιζομένων) en el que el citarodo Pílades ejecutaba el nomo de los Persas de Timoteo, del que cita un verso (PMG 788), posiblemente del comienzo de la composición, en ella referido a Temístocles pero por su sentido encomiástico muy oportunamente referido ahora a  Filopemen: Κλεινὸν ἐλευθερίας τεύχων μέγαν Ἑλλάδι κόσμον ‘Hacedor del glorioso gran ornato de la libertad para la Hélade’. Varias son las noticias interesantes que se dan en este pasaje: el concurso de citarodos formando parte del ‘programa’ poético-musical de uno de los cuatro grandes Juegos, los Nemeos; su celebración en el teatro y la ejecución por un célebre citarodo de un célebre nomo, el compuesto por Timoteo. Plutarco parece estar familiarizado con esta composición, de la que el famoso P.  Berol. 9865, del s. IV a.C., nos ha conservado 240 versos que incluyen su final, pues el Q ueronense cita otros versos, los únicos conservados por la tradición indirecta (De aud. poet. 11; Ages. 14) y se atreve a calificar su estilo de pomposo (con ὄγκος ‘hinchazón’); testimonia así que este nomo seguía siendo ejecutado más de 200 años después de su composición. Pausanias cuenta casi en los mismos términos esta aparición de Filopemen en el teatro, en las Nemeas del 206 a.C. 9. Un ἀγὼν ποιητῶν formó parte de las Lysandreia (Lys. 18,  8) y  en él participaron Antímaco de Colofón y  Nicérato de Hera9  Paus. 8, 50, 3 (II, 378 Sp.): «No mucho tiempo después sorprendió a los argivos celebrando las Nemeas y Filopemen se presentó en el agón de los citarodos. Y cuando el citarodo Pílades, megalopolitano, el más afamado de los citarodos de su tiempo, que había vencido en las Pítica, cantaba el nomo del milesio Timoteo, comenzando el canto con (PMG 788, 1), los espectadores miraron a Filopemen el griego y se mostraron favorables al canto con el aplauso».

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clea con poemas encomiásticos en honor de Lisandro, llevándose el premio el segundo, un oscuro poe­ta, y no el importante poe­ta Antímaco, quien por despecho destruyó su poema. En el pasaje sigue la anécdota de que Platón, que era joven entonces y admiraba el talento poético de Antímaco, viéndolo afligido por su derrota elevó su moral y lo consoló diciendo: «la ignorancia es para los ignorantes un mal comparable a la ceguera para los ciegos» 10. Matthews reflexiona sobre el contexto histórico para constatar la plausibilidad de la noticia: Samos había permanecido leal a Atenas hasta el final de la guerra del Peloponeso y lo que aquí se cuenta respecto a  la reconversión de las Heraia en Lysandreia sería un modo de atraerse al  vencedor 11. Q ue fuera un agón épico no es posible afirmarlo, como tampoco atribuir a Antímaco un poema épico-histórico Lysandreia y otros similares a Q uérilo de Samos 12 y Nicérato nombrados en este mismo pasaje, como hizo Ziegler 13; parece tratarse, más bien, de un agón de encomios. Alejandro Etolio, en Las Musas (p. 124 Powell), narraba competiciones entre los poe­tas más famosos instituidas por los efesios en honor de Ártemis, posiblemente en el célebre Artemision, cuyos contenidos desconocemos, y Estratónice, la esposa de Seleuco, organizó un concurso poético sobre el tema de su cabello, con un talento como premio, según Luciano, De imag. 5 14. La anécdota de este mismo pasaje (Lys. 18, 10), relativa al citarodo Aristónoo, habla indirectamente del ἀγὼν κιθαρῳδῶν de los Juegos Píticos y parece implicar uno en las Lysandreia. Se ha querido identificar a este Aristónoo con el poe­ta Aristónoo de Corinto, autor de un Peán 10  Proclo (in Tim. 1, 21c; T 4, XI Matthews 1996) señala que Platón prefería a Antímaco antes que a Q uérilo de Samos, que era bien conocido en su tiempo y del que en este mismo pasaje de Plutarco se señala que Lisandro lo retuvo junto a sí para cantar sus hazañas; Proclo da también la noticia de que Heráclides Póntico, discípulo de Platón, fue persuadido por éste a ir a Colofón y reunir las obras de aquel. 11   Matthews 1979, 43-45: Antímaco era más joven que Nicérato y que Q uérilo y no se habría hecho todavía un nombre. Plutarco no apreciaba a Antímaco: cfr. Tim. 36, 3 (en contraste con Homero, se señala aquí, su poesía es fruto del esfuerzo, pero carece de vigor y de gracia, no es dúctil); De garrul. 513A (Plutarco lo caracteriza como un poe­ta charlatán y difuso). 12  Vd. Huxley 1969, 13. 13  Ziegler 1966, 25. 14  ¿De qué certámenes trataba Calímaco en su obra Sobre los certámenes? ¿Eran certámenes poéticos, o deportivos?

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a Apolo (Pai. 42 Käppel) y de un Himno a Hestia (p. 164 Powell) conservados en sendas inscripciones délficas, pero hay dificultades con la cronología: el decreto de Delfos en honor del poe­ta de Corinto (FD III 2, 190) data de la segunda mitad del s. IV a.C. 15. En la instauración del culto de Tito Flaminino y de los honores que los calcidios le tributaron (Flam. 16, 5-7) Plutarco no se refiere a la existencia de un agón, pero en un decreto honorífico de Argos para Αὖγις Ἀριστομήδεος Ἀργεῖος por sus contribuciones a la financiación de la fiesta, en la l. 14 se menciona el ἀγὼν τῶν Τιτείων ‘el agón de las Titeia’, celebrado en esta ciudad 16: en los Juegos Nemeos del 195 a.C., Tito Q uinto Flaminino, que presidía, había hecho anunciar por un heraldo que la libertad era concedida a los argivos, escapando así al yugo de Esparta; ese agón ha debido de ser creado después del 195, en el 194 quizá, en señal de gratitud. Tito recibió honores, además de en Calcis y  Argos, en varias ciudades griegas: Gitio, Cos, Delfos 17. Se ha encontrado la base de una estatua de Tito en Corinto y un retrato en mármol en Delfos. Tito fue el primer romano que fue honrado con un concurso llevando su nombre. Para otros agones no se nombra una fiesta específica, pero están bien atestiguados: al volver Alejandro de Egipto a Fenicia «ofreció sacrificios e  hizo organizar procesiones en honor de los dioses y organizó agones de coros ditirámbicos y de tragedias (χορῶν ἐγκυκλίων καὶ τραγικῶν ἀγῶνας)» (Alex. 29,  1) 18, celebración quizá de acción de gracias después de su incursión en Egipto, para la cual se había desviado de su ruta principal 19. Otros datos de la Vita y del De Alexandri magni fortuna aut virtute, sobre los que volveremos, confirman el amor por la cultura de Alejandro y hablan de una helenización de los nuevos territorios griegos a  través de la cultura musical y dramática; a ellos pueden ser añadidos otros testimonios literarios: Arriano (3, 5, 2) señala que Alejan  Daux 1943, 14, C 20; 1945, 7: aquí se fecha entre el 337/6 y 334/3 a.C.   Cfr. Daux 1964, 569-576; sobre este texto cfr. también J. et L. Robert, REG 79, 1966, 371-372. 17  Para la lista de estos honores vd.  Nilsson 1950,  168 s.; H.  Gundel, RE XXIV, 1963, Q uinctius nº 45 (coll. 1075-1076). 18  En 331 a.C. Cfr. Arr. An. 3, 6, 1: «En Tiro, al punto sacrifica a Heracles y organiza un agón gímnico y musical». 19  Vd. itinerario en Pernot 2013, XXII-XXIII. 15 16

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dro, después de consultar el Oráculo en Siwa, se dirigió a Memphis, donde recibió a embajadores de distintos lugares de Grecia, hizo sacrificios a Zeus el Rey, celebró un desfile militar y agones atléticos y musicales 20. En Ecbatana participaba en representaciones teatrales y en fiestas, pues se había traído de Grecia tres mil artistas (Alex. 72, 1) 21. En la Vida de Pompeyo (42,  7) refiere Plutarco que, cuando Pompeyo llegó a la ciudad de Mitilene de vuelta de su campaña de Asia y tras dejar arreglados los asuntos de allí, concedió la libertad a la ciudad por consideración a Teófanes, consejero político e  historiógrafo de Pompeyo, y  asistió al  ‘agón tradicional de los poe­tas’ (τὸν ἀγῶνα τὸν πάτριον ἐθεάσατο τῶν ποιητῶν), el cual tuvo como único tema las hazañas de aquel, es decir un agón de encomios. Se dice de Agesilao (Ages. 21, 7) que dio brillo a los coros y a los agones de Esparta. Es decir, todavía en su tiempo (era rey en el 401 a.C.) se mantenía importante una tradición secular de Esparta 22. Aunque Sila es un personaje romano, organizaba agones y fiestas (Sull. 2, 3-4) con sus espectáculos al modo griego; un agón de ‘epinicios’ (τὰ ἐπινίκια) 23 fue celebrado en Tebas por la victoria obtenida sobre Mitrídates, para el que expresamente hizo construir una thymele, cerca de la ‘fuente de Edipo’, mencionada también por Pausanias 24, e  hizo venir a  jueces griegos de otras ciudades, pues albergaba un odio implacable contra los tebanos (Sull. 19, 11-12) 25.  20 Según el testimonio de Cares de Mitilene, FGrHist 125 F 4 (ap. Athen. 12, 538b-539a), en la fiesta de boda de Alejandro en Susa, que duró cinco días, los artistas que participaron fueron un rapsodo, tres psilocitaristas, dos citarodos, dos aulodos, cinco auletai (que interpretaron el nomo pítico y después acompañaron a los coros), tres actores trágicos y tres cómicos, y un harpista: ¡una auténtica troupe que parece corresponder a la de uno de los colegios de los technitai dionisíacos! 21  Alejandro llegó a Ecbatana, capital de la Media, a finales del verano del 324, y, según el testimonio de Arriano (7, 14, 1), organizó un agón gímnico y musical. 22   Sobre la cultura musical en Esparta, cfr., entre otros, Brelich 1969; Calame 1977; Gostoli 1988; Massaro 2010-2011. 23  Cfr. Manieri 2006. 24  Sobre la fuente de Edipo, cfr. Paus. 9, 18, 5-6. La thymele a la que se hace mención sería una suerte de palco para audiciones musicales; cfr. Manieri 2009, 27 y n. 8, en la que citando este pasaje señala que en Plutarco thymele tiene el sentido de ‘palcoscenico’ (escenario) sobre el que se desarrollaban agones musicales fuera del contexto teatral. 25   Los tebanos habían tomado partido por Mitrídates.

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1.3.  Otros muchos son los tipos de performance extraagonística, a los que nos referiremos al hablar de los textos poéticos ejecutados y de los géneros mencionados en las Vitae (vd. infra) 26. Citemos, por lo excepcional, un pasaje de la Vida de Antonio (24, 1-4) en el que son rememorados los ‘excesos’ de Antonio tras su llegada a Asia, excesos por otra parte habituales en él, según ya ha señalado Plutarco en cap. 9, 6-8. Tras la presentación de las personas que formaban parte de su séquito y de su corte (citarodos, flautistas, danzantes, una troupe de artistas), Plutarco concluye, a modo de climax, comparando a Asia con la ciudad evocada por Sófocles en el Edipo Rey, vv. 4-5, adaptando parte del v. 4 y citando textualmente el 5 27. La entrada de Antonio en Éfeso es marcadamente ‘dionisíaca’ y, como tal, presentada y caracterizada con lujo de detalles: «Antonio entró en Éfeso precedido de mujeres vestidas de Bacantes, hombres y muchachos disfrazados de Sátiros y de Panes. La ciudad estaba llena de yedra, de tirsos, de psalterios, de siringas y de flautas». Recuerda el recibimiento que Atenas tributó a  Demetrio Poliorcetes (Demetr. 12, 1-2), también él asimilado a Dioniso y haciéndose acompañar de un coro de itífalos que entonaban un himno itifálico en su honor, transmitido por Ateneo (6, 253a-f); entonces, por el restablecimiento de la libertad y la constitución tradicional en Atenas en el 307 por parte de Demetrio Poliorcetes, hubo un agón de peanes cantados en su honor 28 y se entonaron cantos de recibimiento. La escena evocada en la Vida de Antonio 26   De una manera laxa se alude al canto de peanes en honor de Lisandro, el comienzo de uno de los cuales conserva Plutarco (Lys. 18, 5; infra), y en la Vida de Cleomenes (16, 7) éste critica que Arato cantara peanes en las fiestas organizadas por él en honor de Antígono; en la Vida de Arato (53, 2-8), éste, tras la respuesta de un oráculo, fue enterrado al son de peanes, canto no propio de duelo sino de victoria, y en las fiestas instituidas en su honor los artistas dionisíacos cantaban melodías acompañándose de la cítara en un cortejo en el que participaban también el gimnasiarca y los efebos, los miembros del Consejo y aquellos del pueblo que lo querían. En la fiesta en honor de Tito Flaminino, en la que todavía en tiempo de Plutarco se elige un sacerdote a mano alzada (Flam. 16, 7), se cantaba un peán cuyo final conserva Plutarco (infra). 27 S. OT, 4-5: πόλις δ’ ὁμοῦ μὲν θυμιαμάτων γέμει, ὁμοῦ δὲ παιάνων τε καὶ στεναγμάτων· Cameron 1995, 294, señala que es tentador sospechar que Plutarco fue impulsado a incorporar la cita del verso 5 no sólo por tratarse de un verso famoso, sino por la mención de peanes reales en la fuente que utilizó para la Vita. 28 Filócoro, FGrHist 328 F 165.

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(24, 1-4), posiblemente real, implicaría una asimilación a Dioniso y una escenificación de los misterios 29, y es utilizada por Plutarco como metáfora de su mal comportamiento; Antonio fue aclamado como Dioniso Χαριδότης ‘dador de alegría’, Μειλίχιος ‘dulce como la miel’, pero añade que para la mayoría era Ὠμηστής ‘comedor de carne cruda’ y Ἀγριώνιος ‘salvaje’; son epítetos que denotan facetas de la personalidad del dios de larga tradición en el culto, como los textos literarios permiten constatar 30. Los dos últimos, señala Plutarco, le cuadran bien a  Antonio porque «despojaba de sus bienes a hombres de noble familia, gratificando a bribones y aduladores, que le pedían la fortuna de numerosas personas vivas, pretendiendo que estaban muertas, y la obtenían». 1.4.  Lo anteriormente señalado se refiere a la práctica poético-musical y a los agones thymelikoi, celebrados en el teatro o fuera de él, en un palcoscenico construido para la ocasión, como señala la Vida de Sila (19, 11-12), pero Plutarco da también testimonio de la práctica teatral y de ‘agones escénicos’: en la Vida de Alejandro (29), además de la información, ya señalada, relativa a la instauración de fiestas y procesiones en Fenicia al volver aquel de Egipto, se detiene en lo referente a la organización de concursos ditirámbicos y de tragedias, señalando que los coregos fueron los reyes de Chipre, que competían por el premio; añade, además, una información prosopográfica, que la lucha fue particularmente dura entre Nicocreonte de Salamina y  Pasícrates de Solos 31, coregos de los actores más afamados, Pasícrates de Atenodoro y Nicocreonte de Tésalo. Tésalo gozaba de gran favor ante Alejandro; sin embargo, éste no manifestó su preferencia antes de que Atenodoro 29   Nilsson 1950, 176, parece evocarla como una manifestación de los misterios dionisíacos, que, extraordinariamente difundidos en Asia Menor, tenían mucho de espectáculo a cargo de asociaciones de artistas. En época romana estos misterios, señala Festuguière 1951, 476, parecen haber consistido en representaciones de danzas o pantomimas, que, aunque fuesen ejecutadas en público y provocasen el entusiasmo popular, tomaban el nombre de misterios porque eran representados dioses y los personajes del cortejo de Baco: Sátiros, Panes, Silenos, Titanes, Coribantes, Ménades o Basárides, Boukoloi, etc. 30 Cfr.  E. Ba. 136,  278  ss.; para Ὠμηστής cfr.  Alc. 129,  9 V.; AP 9,  524; Ὠμάδιος (H.Orph. 29,  5); se le inmolaban víctimas humanas en Q uíos y  en Ténedos. 31  Sobre estos dos personajes cfr. Berve 1926, II, nos 568 y 610.

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fuera proclamado vencedor por los votos. Entonces, abandonando el teatro, dijo que aprobaba a los jueces, pero que con gusto hubiera dado una parte de su imperio por no ver a Tésalo vencido 32. Al final del pasaje introduce una anécdota relativa al cómico Licón de Escarfia, el cual cuando triunfaba en el teatro deslizó en la comedia un verso en el que le pedía diez talentos, a lo que Alejandro accedió. Varias son las referencias a los technitai dionisíacos (οἱ περὶ τὸν Διόνυσον τεχνῖται), corporaciones de artistas cuya formación, desarrollo, organización interna y actividades diversas nos son muy bien conocidas desde el comienzo del s. III a.C. para diversas partes del mundo griego: Peloponeso, Grecia Central, Asia Menor, Magna Grecia, Chipre y Egipto (Alejandría, Ptolemaide) 33; papiros de época romana atestiguan su pervivencia duradera aquí 34. En la Vida de Cleomenes (12, 3) Plutarco refiere el encuentro fortuito de Cleomenes con una troupe ambulante de los οἱ περὶ τὸν Διόνυσον τεχνῖται ‘los technitai dionisíacos’, para los que hizo construir un teatro en territorio enemigo, estableció un concurso que dotó con un premio de 40 minas y permaneció una jornada com32   Sobre la categoría y los triunfos de estos dos actores dan cuenta las fuentes epigráficas y literarias reunidas por Stephanis 1988, nos 75 (Atenodoro) y 1200 (Tésalo). Tésalo, actor y  jefe de troupe teatral, vencedor en las Dionisias en el 347 y 340 y por segunda vez en las Leneas en 347. Atenodoro fue vencedor en las Dionisias, y quizá en las Leneas en 342; será de nuevo vencedor en las Dionisias del 329. Tésalo es también mencionado en Alex. 2-4, participando, en nombre de Alejandro, en una negociación política con el sátrapa de Caria Pixodaro; sobre el papel jugado entonces por los actores en las negociaciones políticas, ver PickardCambridge 19682, 286 ss. 33 Cuatro organizaciones principales eran responsables de la actividad dramática y musical en el mundo griego y helenizado: la asociación de los technitai atenienses controlaba Grecia central; la del Istmo y  Nemea, el Peloponeso; la asociación de Jonia y el Helesponto, Asia Menor y las islas; la de Chipre y Egipto atendía al  Egipto helenizado: Guarducci 1929,  629-665 (passim); Sifakis 1967, Appendix  II: ‘Organization of   Festivals and the Dionysiac Guilds’ (136-171); Pickard-Cambridge 19682, ch. VII ‘The Artists of  Dionysus’ (279-321, incluyendo Appendix de inscripciones); West 1992, 374-375; Le Guen 2001; Aneziri 2003; 2009. 34   P.  Oxy. 171 (en II, 208), s. I; P.  Oxy. 908, s. II, ll.  8-9?: τῶν ἀπὸ τοῦ Διονυσείου καὶ τῆς ἱερᾶς συνόδου ἱερονεικῶν ἀτελῶν; BGU 1074, s. III: ἡ ἱερὰ μουσικὴ περιπολιστικὴ …σύνοδος τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶν; P. Oxy. 2476 (a. D. 289): exención de tasas e  impuestos para Aurelius Hatres, miembro de una μουσικὴ οἰκουμενικὴ περιπολιστικὴ σύνοδος τῶν περὶ τὸν Διόνυσον τεχνιτῶν; P.  Oxy. 1691 (a. D. 291): ἱερὰ σύνοδος.

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pleta viendo la representación teatral. Sila reunía todos los días a los más destacados hombres de teatro y de la escena (Sull. 2, 3-4) y durante su estancia en Aedepsos (al norte de Eubea), a donde había acudido para tomar las aguas termales para curar la gota, pasaba toda la jornada con los ‘artistas de Dioniso’ (Sull. 26, 4-5). En la Vida de Bruto (21, 4) la expresión οἱ περὶ τὸν Διόνυσον τεχνῖται es utilizada como sinónima de ‘actores de teatro’. 2.  A rememorar la práctica social del banquete, todavía vigorosa en su tiempo, Plutarco dedica una de sus obras más importantes dentro de Moralia, las Q uaestiones convivales, obra con la que se inserta en la tradición de este género en prosa cuya primera manifestación importante es el Banquete de Platón y en la que muchas son las referencias al espectáculo simposíaco. Hemos hallado algunas en las Vitae 35, muy interesantes en cuanto que confirman la ejecución de poesía en el banquete postclásico, y de selecciones del drama, lo cual avala el posible destino también simposíaco, y no sólo teatral, de selecciones o antologías que los papiros nos han devuelto 36. La Vida de Lisandro (15, 4) contiene una referencia a este tipo de performance: Después hubo enseguida una reunión de jefes y  mientras bebían un focidio se puso a cantar la párodo de la Electra de Eurípides, que comienza así: 35  Vienen a añadirse a alguna otra referencia: Diodoro de Sicilia (16, 92) refiere que el actor Neoptólemo fue invitado por Filipo de Macedonia a una fiesta en la corte real para ofrecer piezas de éxito, especialmente las que se referían a la campaña contra los persas. 36  Cfr. Pordomingo 2013, 51 ss.; 155 ss.; antologías teatrales significativas son BKT V 2, 79-84 (con la parodos de Faetonte); P. Leid. 510 (con pasajes líricos de Ifigenia en Áulide); P. Stras. WG 304-307 (con pasajes líricos de Fenicias, Medea, Melanipe encadenada), entre otras. En una inscripción de Delfos, FD III 3 128, se lee que Sátiro de Samos, auletés, había hecho oír en el estadio pítico y fuera de concurso un ᾆσμα μετὰ χοροῦ Διόνυσον καὶ κιθάρισμα ἐκ Βακχῶν Εὐριπίδου, pasaje sujeto a debate en su interpretación: ‘un canto con coro, el Dioniso, y un kitharisma de las Bacantes de Eurípides’? (vd. en este libro la contribución de A. Cinalli, Storie di ’poe­ti vaganti’ a Delfi: quando il viaggio nasconde un imprevisto); para Gentili 1977, 17 y n. 39, Sátiro ofreció un espectáculo consistente en el canto de las partes de Dioniso en las Bacantes de Eurípides con el acompañamiento de la cítara y la intervención del coro. Plut. Amat. 757A, se refiere al fragmento TrGF 5.1, 322, de la Dánae de Eurípides, como recitado ἀπὸ μιᾶς σκηνῆς junto a un fragmento incertum de Sófocles (TrGF 4,  941). Se ha interpretado que podría tratarse de una performance de pasajes seleccionados acerca de Eros: cfr. Karamanou 2006, 82.

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Hija de Agamenón, Electra, vine a tu casa campestre. Todos los convidados se conmovieron y se dieron cuenta de que sería una acción cruel destruir y  hacer desaparecer una ciudad tan gloriosa y que había criado tan grandes hombres.

Según dicho testimonio, la ejecución de la parodos de la Electra, de la que sólo el comienzo se cita, perteneciente al género ático por excelencia, la tragedia, bastó para evitar la destrucción de Atenas. En Vida de Alejandro (50, 8), con ocasión de un simposio que siguió al sacrificio que Alejandro realizó en honor de los Dióscuros, fueron cantados los poemas de Pránico o, como algunos dicen, de Pierión, en los que se escarnecía y ridiculizaba a algunos de los generales de Alejandro por su cobardía ante los bárbaros: en el 329 (un año antes del simposio de referencia) había enviado tropas mandadas por Andrómaco, Menedemo y Carano contra Espitamenes, que asediaba Maracanda (Samarcanda), y esta expedición había sido un fracaso 37; el ψόγος no agradó a todos los convidados, aunque sí a Alejandro. Pránico y Pierión 38, desconocidos por otras vías, formaban parte de los poe­tas que habían acompañado a Alejandro a Asia. Las noticias que da Plutarco en la Vida de Craso (33, 1-7), en un pasaje de gran pathos, testimonian en primer lugar la helenización de la zona oriental del imperio de Alejandro a través de una fuerte penetración de la cultura griega: dos reyes ‘bárbaros’ no sólo importan espectáculos llevados de Grecia y celebran el banquete al modo griego, con espectáculo de sobremesa (el actor Jasón, protagonista en este espectáculo, era de Tralles, ciudad cercana a  Mileto en el valle del río Gran Meandro), sino que de Orodes, rey de los partos, dice que conocía la lengua y las letras helénicas; del otro rey, Artavasdes, armenio, que componía él mismo ‘tragedias, logoi e historias’. En ese momento Orodes se había reconciliado ya con el rey de Armenia Artavasdes y habían convenido casar a la hermana de Artavasdes con el hijo de Orodes, Pacoro; los dos reyes se ofrecían el uno al otro fiestas y banquetes en los que se presentaban frecuentemente espectáculos (ἀκουσμάτων) venidos de Grecia. Pues Orodes no ignoraba ni la lengua ni las letras 37 Cfr. Arr. Anab. 4, 3, 7; 5, 2-6, 1. Ha habido mucho debate sobre la identificación de la derrota y de los generales: Cameron 1995, 279, con n. 96, donde señala la bibliografía pertinente. 38  Berve 1926, II, nos 657 y 639; Stephanis 1988, nos 2134 y 2061.

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helénicas. En cuanto a  Artavasdes, componía tragedias, lógoi e historias, de los que algunos se han conservado. Cuando se llevó la cabeza de Craso a la entrada del palacio las mesas terminaban de ser levantadas. Un actor trágico llamado Jasón, de Tralles, cantaba el papel de Ágave en las Bacantes de Eurípides. Estaba teniendo un gran éxito cuando Sílaces entró en la sala, se prosternó y arrojó en medio de los convidados la cabeza de Craso. Los partos aplaudieron con gritos de alegría. Por orden del rey, los servidores ofrecieron un lugar a Sílaces. Entonces Jasón entregó la máscara de Penteo a uno de los coreutas, cogió en sus manos la cabeza de Craso y representando de nuevo el delirio dionisíaco, ejecutaba este canto inspirado y a viva voz: φέρομεν ἐξ ὀρέων ἕλικα νεότομον ἐπὶ μέλαθρα, μακαρίαν θήραν. (vv. 1169-1171) Traemos de la montaña al palacio yedra recién cortada, bienaventurada caza. Estos versos deleitaron a todos; y, al intercambiar después con el coro τίς ἐφόνευσεν; Ἐμὸν τὸ γέρας· (v. 1179) ¿Q uién lo mató? Mío es el honor, Exatres dio un salto (pues se encontraba entre los convidados) y cogió la cabeza, porque le correspondía a él más que a aquel decir esto; el rey, encantado, lo recompensó según la costumbre del país y  le dio a  Jasón un talento. A tal final abocó la expedición de Craso, como si se tratara de una tragedia.

Además, el pasaje atestigua la ya aludida existencia de selecciones teatrales en época helenística destinadas al  espectáculo simposíaco. No se trata aquí de una representación integral de la tragedia, sino de una audición del diálogo lírico entre Ágave y el coro, vv. 1167-1199, de Bacantes 39, del que se dan dos citas textuales; la segunda (τίς ἐφόνευσεν; Ἐμὸν τὸ γέρας·) está adaptada por Plutarco al contexto de la Vida de Craso a partir del v. 1179 de Bacantes: {Χο.} τίς ἁ βαλοῦσα; {Αγ.} πρῶτον ἐμὸν τὸ γέρας· 40. 39  Los versos 1169-1191 del diálogo lírico entre Ágave y el coro son citados también por Plutarco en An. corp. affect. 501C. 40  El éxito de Eurípides en Partia, lejos de Atenas, tiene un paralelo en Plutarco (Nic. 29, 2-5), cuando tras la derrota de Nicias en Sicilia se señala que en la situación de esclavitud a la que fueron sometidos los atenienses algunos de ellos debieron su salvación a Eurípides: los que pudieron regresar relataron al poe­ta que los que habían sido cogidos obtuvieron la libertad enseñando a sus dueños lo que habían aprendido de sus poemas; otros, errantes después de la batalla, pudieron comer y be-

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El actor Jasón de Tralles es desconocido por otra vía 41. Esta escena, como la de la muerte de Craso, es resumida por Polieno (7, 41), visiblemente a partir de la Vida de Craso de Plutarco, bajo el título Surena. Es interesante conocer también la alta suma (un talento) que se le asignó por su actuación 42. 3.  A partir de lo señalado en los parágrafos anteriores parece evidente que, si por las Vitae son constatados contextos y performance de poesía, tuvo que existir esa poesía y poe­tas que la compusieran. Se nos dan nombres de poe­tas (Q uérilo, Antíloco, Antímaco de Colofón, Nicérato de Heraclea, Pránico y Pierión) y de algunos se nos dice explícitamente que ellos mismos fueron los ejecutantes de sus composiciones en los agones mencionados (Antímaco y Nicérato, quizá Aristónoo de Corinto, si este nombre de citarodo se refiere también al poe­ta); también podemos, aunque con un cierto margen de inseguridad, conocer los géneros a los que las composiciones podrían ser adscritas, es decir aquellos géneros, ya mencionados, especialmente vinculados a la performance, pero desdichadamente las composiciones son transmitidas sólo en un pequeño número. 3.1. Señalaba Hardie 43 que la función encomiástica de la poesía, esto es, el elogio de ciudades, dioses y hombres, adquiere importancia creciente desde el s. IV a.C., tanto en festivales con agones como en la actividad poética individual. Respecto a su constatación en las fuentes llega incluso a afirmar que el término ποιητής o ἐπῶν ποιητής era aplicado a cualquier poe­ta que compusiera en hexámetros épicos, no necesariamente al autor de poesía épica en sentido propio, pues en las época helenística e  imperial el ἐπῶν ποιητής podría escribir épica encomiástica sobre un rey o un geneber cantando sus melodías; de todos los griegos que habitaban fuera de Grecia eran los siracusanos los que más gustaban de su poesía. Y todavía añade la anécdota de que a un barco de caunios sólo se le permitió atracar en el puerto de Siracusa cuando tras haber sido preguntados se supo que conocían los cantos de Eurípides. 41  RE, Suppl. B. 10, col. 328 812b. 42  Este es uno de los pocos datos que se dan en las obras de Plutarco sobre las retribuciones de los artistas; otro está en Alex. 29, dentro de la anécdota en la que el actor cómico Licón le pidió a Alejandro 10 talentos y se los dio; el premio del concurso para el teatro en Cleom. 12, 3 fue de 40 minas. Sobre los premios y las retribuciones de los artistas, cfr. Manieri 2010-2011. 43   Hardie 1983,  17; sus ideas son compartidas por Cameron 1995,  47  ss.; 268 ss.

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ral, un poema sobre una ciudad y su prehistoria, un himno a un dios o un encomio de una persona viva en hexámetros 44. Pero en las inscripciones de Beocia por ejemplo, como Manieri ha hecho notar, se individualiza el ἐγκώμιον ἐπικόν, si bien es verdad que entró en los programas de los concursos beocios sólo a partir del s. I a.C., y las frecuentes referencias bajo ἐπῶν ποιητής son identificadas por la estudiosa con compositores de épica nueva, compuesta para la ocasión; los ejecutantes de la épica tradicional serían entonces los ῥαψῳδοί, también frecuentemente mencionados 45. La idiosincrasia del género de las Vitae, la biografía, favorece las referencias a  este género de poesía: compusieron encomia en honor de Lisandro dos poe­tas que él mantenía a su lado, Q uérilo y Antíloco, y en las Lysandreia tuvo lugar un agón de encomios en su honor en el que participaron Antímaco y Nicérato (Lys. 18, 5). El ἀγὼν ποιητῶν tradicional de Mitilene, al llegar allí Pompeyo, se convirtió en un agón de encomios en su honor (Pomp. 42, 7). Cameron se refiere al agón de encomia organizado por Alejandro en el funeral del filósofo indio Calano y, citando a Diodoro (29, 18), señala que en el aniversario de la muerte de Filopemen, en el 182, fueron celebrados sacrificios anuales en Megalópolis y ‘los jóvenes cantaron encomia e himnos sobre su virtud’ 46. ¿Fueron estos encomios en ‘verso épico’ herederos de los antiguos himnos en honor de los dioses o de los héroes y modelados sobre el encomio en hexámetros compuesto por Teócrito (Id. 17) en honor de Ptolomeo Filadelfo, como señala Manieri? 47 O más bien ¿son manifestaciones de una misma tendencia, llegándose incluso a postular para los poemas encomiásticos de Teócrito (Id. 16, 17, 24) el que fueran ejecutados, como quieren Hardie y Cameron? 48. Q ue son manifestaciones paralelas del género del encomio, unas destinadas a la performance y otras no, es defendido por Bing en aras de una postura conciliadora  49. 44  Recientemente ha sido publicado el Encomio de Halicarnaso: Isager – Pedersen 2004 (ed. princeps), en dísticos elegíacos; en este metro lo están también las elegías histórico-encomiásticas SH 958 y 969: Barbantani 2001. 45  Manieri 2009, 50 ss. 46   Cameron 1995, 48 y 294 respectivamente. 47  Manieri 2009, 52. 48  Hardie 1983, 85; Cameron 1995, 53 s. 49  Bing 2000.

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La cara antitética del encomio, el psogos, fue practicado en el canto de poemas de Pránico o, como algunos dicen, de Pierión, en los que estos poe­tas escarnecían y ridiculizaban a algunos de los generales de Alejandro por su cobardía ante los bárbaros, como se señala en Alex. 50, 8. 3.2.  Himnos a los dioses compuestos y ejecutados en festivales de época helenística, así como decretos honoríficos y otros tipos de registros sobre sus autores y ejecutantes, están bien atestiguados en las inscripciones de los santuarios donde tenían lugar las performances. Guarducci, en su trabajo, que fue pionero, reunió la documentación epigráfica 50, y los textos poéticos, tras la editio princeps, han sido reeditados y estudiados de forma colectiva o individual en diversas publicaciones. Las fuentes literarias y los papiros añaden otros testimonios 51. Delfos aporta el mayor número de textos y consecuencia de ello es quizá que sea el peán el género hímnico mejor representado, pero no sólo han sido hallados himnos grabados en este santuario, sino también en otros 52. En las Vitae de Plutarco tenemos un buen número de noticias sobre el canto de peanes y son transmitidos algunos textos, no peanes a  los dioses sino a  hombres ilustres. En la Vida de Lisandro (18, 5) se señala: «Lisandro fue el primero de los griegos en honor del cual se cantaron peanes, el comienzo de uno de los cuales es»: Τὸν Ἑλλάδος ἀγαθέας στραταγὸν ἀπ’ εὐρυχόρου Σπάρτας ὑμνήσομεν, ὦ ἰὴ Παιάν.             (Pai. 35 Käppel) Al general de la Hélade divina originario de la anchurosa Esparta celebraremos, ¡Oh ie Peán!   Guarducci 1929.   Cfr. Pordomingo 1984 a. 52  Peanes procedentes del santuario de Delfos son: Peán anónimo, con notación musical; Peán de Limenio, con notación musical; Peán de Aristónoo, autor también de un himno a Hestia; Peán de Filodamo de Escarfia: reeditados en Powell 1925, 141 ss. y Käppel 1992, nos 45, 46, 42, 39. De otros lugares: peanes de Eritras (Powell 1925, 136, 137, 140; Käppel 1992, nos 36 a, 36b, 37) y el Peán de Macedónico a Apolo y a Asclepio de Atenas (Powell 1925, 138 y Käppel 1992, nos  41), hace algunos años reeditado y  estudiado por Pordomingo (1984 b). Un corpus variado es el aportado por Epidauro: cfr. Maas 1933. 50 51

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En la Vida de Cleomenes (16, 7) se dice que Cleomenes entonaba peanes en honor de Antígono; al son de peanes, por prescripción de un oráculo, fue enterrado Arato en Sición (Arat. 53, 2-8). Un peán fue cantado en honor de Tito Flaminino, del que Plutarco, por su extensión, transmite sólo el final (Flam. 16, 5-7): Πίστιν δὲ Ῥωμαίων σέβομεν τὰν μεγαλευκτοτάταν ὅρκοις φυλάσσειν· μέλπετε κοῦραι Ζῆνα μέγαν Ῥώμαν τε Τίτον θ’ ἅμα Ῥωμαίων τε Πίστιν· ἰήϊε Παιάν, ὦ Τίτε σῶτερ.             (Pai. 43 Käppel) Veneramos la fidelidad de los romanos la más deseable de guardar con juramentos. Celebrad, muchachas, al gran Zeus, a Roma, a Tito y a la fidelidad de los romanos; ieie Peán, ¡Oh Tito, salvador!

Cantos ‘compuestos para la circunstancia’ y  peanes de victoria fueron entonados por el ejército en honor del dios y de Marcelo en su entrada en Roma con un fastuoso desfile militar (Marc. 8, 1-5) y  toda Asia estaba invadida de peanes en honor de Antonio (Ant. 24, 4). Estos textos y estas noticias se añaden a los peanes en honor de los dioses que, como terminamos de señalar, en buen número han sido transmitidos en inscripciones, y también a otras noticias, o incluso a algunos textos, aportados por otras fuentes literarias, demostrando la vitalidad del género en época helenística 53. Todos están en diversos metros líricos o semilíricos, que apuntan a que fueron cantados, confirmando así los datos de las fuentes y  añadiéndose a  indicadores tan claros para algunos de ellos como es la presencia de notas musicales en los dos peanes délficos.   Cfr. Pordomingo 1984 a; Käppel 1992, 295 ss.; Cameron 1995, 292-294, donde aparece una lista muy completa tanto de himnos a los dioses como de aquellos dedicados a mortales. La restauración de la libertad y la constitución tradicional en Atenas en el 307 fue la ocasión para una competición de peanes cantados en honor de Demetrio Poliorcetes según Filócoro, FGrHist 328 F 165 (ap. Athen. 6, 253d-f), y conservamos en una inscripción un par de versos de un Peán a Seleuco (no 38 Käppel). 53

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En aquellos que transmite Plutarco, el Peán a Lisandro (Lys. 18, 5) presenta ritmo eolio y el Peán a Tito Flaminino (Flam. 16, 5-7) ritmo dáctilo-epítrito y dactílico. Podemos especular sobre si eran cantos monódicos o corales, pero ahí está la noticia sobre Cleócares de Atenas, ποιητὴς μελῶν que en Delfos, en el 230 a.C., recibió diversos honores por un prosodion, un peán y un himno a Apolo, compuestos para ser ejecutados por un coro de jóvenes en la fiesta de las Theoxenia (Syll.3 450; Guarducci, nº 7). 3.3.  Las menciones en las Vitae de dos géneros, el nomo y el ditirambo, que parecen mantener su vigor en época helenística, se limitan a  las actuaciones de los citarodos o  de coros ditirámbicos, al no haberse conservado textos de nuevas composiciones. La mención de citarodos (Aristónoo, Pílades, Anaxenor) implica performances de este género, si bien la referencia concreta a  los contenidos de las actuaciones se reduce a la ejecución del nomo citaródico de los Persas de Timoteo (Phil. 11,1): Pílades cantó en el teatro los Persas en los Juegos Nemeos del 205 a.C. Al menos en el temprano s. III a.C., performances de nomoi citaródicos fueron añadidas a los Juegos Píticos e Ístmicos, mencionados éstos al hilo de las victorias obtenidas por el célebre citarodo Nicocles de Taras en IG II2 3779, que venció también en festivales reales de Macedonia y Alejandría. Plutarco, en Moralia, hace referencia a otros citarodos 54. Las performances de citarodia continuarán hasta el s. III de nuestra era. La poesía ditirámbica parece haber gozado de cierta popularidad en el período helenístico y tanto en festivales áticos como fuera de Atenas (Delfos y Delos) son atestiguadas performances de ditirambos, quizá de viejos ditirambos, pero es posible que fueran compuestas nuevas piezas. La ya citada inscripción IG II2 3779, que detalla las victorias del citarodo Nicocles en varios festivales, se refiere a su triunfo en las Leneas con un ditirambo. Dos inscrip Dos citarodos (Aristonico y  Antigénidas) formaban parte del séquito de Alejandro (De Alex. fort. aut virt. 333C-335F) y  actuaron para sus bodas en Susa (Cares, FGrHist 125 F 4 A). Al citarodo Amebeo se refiere en De virt. mor. 443A y en Q uaest. conv. 710 D-E; era un famoso citarodo del s. III a.C. del que, según Athen. 14, 623d, Aristeas en su libro Sobre los citarodos dice que vivía en Atenas cerca del teatro y  cuando cantaba ¡recibía un talento ático por día! Clearco de Solos (s. IV a.C.) compuso El Citarodo (ap. Athen. 14, 623c). 54

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ciones (SEG IX 13 y XLVIII 2052) implican performance de ditirambos y tragedia en Cirene en el siglo III a.C. 55. Competiciones de tipo ditirámbico son atestiguadas hasta el s. II en Orcómeno y  Oropo, en agones de carácter local, que consistían exclusivamente en agones corales, no incluidos en programas más amplios. Las Vitae, dentro de la obra plutarquea, son quizá menos ricas en información sobre la actividad poético musical de época helenística que Moralia. Creemos, sin embargo, que los testimonios aportados sobre fiestas y agones, thymelikoi y escénicos, y sus ejecutantes, sobre el espectáculo simposíaco, sobre poe­tas en los márgenes del canon alejandrino, y las composiciones transmitidas adscribibles a géneros que parece siguen siendo vigorosos, como el hímnico, o la riqueza de testimonios sobre este y la poesía encomiástica, que casi inaugura el amplio desarrollo que va a adquirir en época postclásica, son un valioso complemento a lo aportado por inscripciones y papiros, para esa deseable visión de conjunto sobre esta importantísima faceta de la cultura griega. Por otra parte, no tener en cuenta esas manifestaciones sería desfigurar el verdadero panorama literario de la época helenística. Proseguir la investigación en otras fuentes literarias de época helenística o temprana época romana sería deseable 56.

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  Ceccarelli – Milanezi 2007.   Este trabajo se ha realizado también en el marco de los Proyectos de Investigación FFI2013-47005-P y SA18U4, financiados por el MINECO y la JCyL. 55 56

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LA ACTIVIDAD POÉTICO-MUSICAL DE ÉPOCA HELENÍSTICA

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LA ACTIVIDAD POÉTICO-MUSICAL DE ÉPOCA HELENÍSTICA

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J. A. FERNÁNDEZ DELGADO – F. PORDOMINGO

Abstracts La investigación de las diversas manifestaciones de la actividad poético-musical en época helenística, muy viva e  incluso incrementada respecto a etapas anteriores, se ha realizado sobre todo en fuentes epigráficas y papiráceas, pero las fuentes literarias contribuyen a delinear y completar el cuadro. Plutarco en las Vitae, basándose en fuentes probablemente helenísticas, aporta una valiosa información sobre fiestas y agones, sobre poe­tas y ejecutantes, sobre los textos poéticos destinados a la performance y sobre los géneros a los que podrían ser adscritos, transmitiendo también algunos de esos textos. Most research into the diverse manifestations of  poe­tic-musical activity in the Hellenistic Age, which was very much alive and even more abundant than in earlier times, has been carried out using epigraphic and papyrus sources. However, literary sources contribute to delineating and completing the picture we have. In the Vitae, Plutarch, probably using Hellenistic sources as a basis, contributes valuable information on the feasts and agones, poets and performers, poe­tic texts made for performance and the genres to which they could be ascribed, as well as transmitting some of  these texts.

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ICONOGRAFIA MUSICALE E RIPRESA DELL’ANTICO

ELEONORA CAVALLINI Università di Bologna – Sede di Ravenna

LA MUSICA DEGLI DÈI: FIGURE MITICHE DI ECCELLENZA MUSICALE NELLA PITTURA DI ARNOLD BÖCKLIN

Che il pittore simbolista elvetico Arnold Böcklin (1827-1901), autore della celeberrima Isola dei morti (5 versioni, 1880-1886), fosse anche appassionato cultore di musica e musicista dilettante, è  quanto emerge dai diari del suo allievo Otto Lasius (Arnold Böcklin: Aus Den Tagebüchern 1884-1889) 1, grazie al  quale veniamo a  conoscenza di alcuni aneddoti che sono fonte preziosa per scoprire e  comprendere questo aspetto molto importante della vita del­l’artista. Amante di Pergolesi, Gluck, Mozart e ammiratore del pathos intenso di Beethoven, Böcklin ascoltava le opere di questi musicisti non solo per piacere personale, ma anche per interesse nei confronti delle loro tecniche compositive. Era in grado di suonare flauto traverso e armonium e, a quanto pare, compose anche alcuni brevi brani, oggi perduti. In età matura, si accostò alle opere di R. Wagner, senza tuttavia apprezzarle completamente in quanto tali da suscitare in lui emozioni così forti da riuscire perfino insopportabili 2. 1  Pubblicati da Maria Lina Lasius, Berlin 1903. Sul­l’importanza della musica nella vita di Böcklin e sul­l’influsso che questa inclinazione risulta avere esercitato sulla sua opera pittorica, cfr. Schneider 1943. 2  Sul difficile rapporto tra Böcklin e Wagner si sofferma Savinio 1942, 29ss. Savinio, fra l’altro, riporta un aneddoto di dubbia attendibilità ma comunque significativo: invitato da Wagner al­l’ascolto di una versione per pianoforte de Il  crepuscolo degli dèi, Böcklin avrebbe mostrato segni di insofferenza, tanto da indurre Wagner allo stizzito commento: «Vedo che non vi intendete per nulla di musica!». Böcklin avrebbe risposto: «Più di quanto voi vi intendete di pittura». Un sistematico raffronto fra il musicista e  il pittore, sulla base del­l’antinomia apollineo/dionisiaco di Nietzsche, era stato precedentemente proposto da Niemann 1904. Che Böcklin avesse letto Il  matriarcato del suo concittadino basi-

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E. CAVALLINI

La sensibilità acustica di Böcklin si sarebbe manifestata anche nella sua particolare attenzione per le sonorità della natura, come lo scroscio di un temporale, il sibilo del vento o lo sciabordio delle onde del mare. Sempre stando alla testimonianza di Lasius, il pittore si sarebbe sforzato di tradurre in immagini le proprie emozioni acustiche: questo aiuterebbe a  spiegare la sua predilezione per scenari paesaggistici che evocano suggestioni uditive, come mare, cascate, canneti. Al­l’interno di questi spazi, il più possibile realistici e nondimeno intrisi di mistero, l’artista cala i suoi personaggi, che in gran parte dei casi sono divinità della Grecia antica (ma c’è anche la ‘decima Musa’ Saffo, rappresentata, come vedremo, in due modalità diverse e contrastanti) 3. Q uesti mitici dèi vengono spogliati di quel­l’aria solenne e  un po’ sussiegosa di cui li avevano ammantati il classicismo rinascimentale e, ancor più, il neoclassicismo winckelmanniano, divenendo simboli del­l’aspirazione del­l’uomo a una perfetta fusione con la natura. Non a caso, Böcklin predilige divinità minori, estranee al­l’eccelso Olimpo: Pan, le ninfe dei boschi e delle fonti, Centauri, Tritoni e Nereidi, Sirene. Le stesse Muse non costituiscono più il seguito di Apollo, ma divengono figure solitarie, riflessive, anch’esse immerse in una natura primitiva e rigogliosa. Ad eccezione dei Centauri 4, comunque, tutte le divinità greche di Böcklin cantano o suonano strumenti musicali. leese Bachofen e  La nascita della tragedia di Nietzsche, è  stato ipotizzato da Linnebach 1991, 21-35 e 68-72, ma si tratta di tesi indimostrabili. Più probabile è che il pittore conoscesse il pensiero e l’opera di un altro illustre concittadino, J. Burckhardt, di cui era amico fin dalla giovinezza (cfr. Volpi 2001, 7s.). Infine, è certo che Nietzsche conosceva e apprezzava le opere di Böcklin, al punto di affermare polemicamente, nel 1881, che nella Germania del tempo non vi era nessun artista originale e innovativo come il pittore svizzero (Idilli di Messina, La gaia scienza e frammenti postumi [(1881-1882] trad. it., vol. V, tomo II, Milano 1965). 3  È stato calcolato che circa metà del­l’opera di Böcklin sia ispirata a motivi tratti dal­l’antichità classica, e  che trentadue dipinti abbiano per soggetto Pan, fauni e ninfe (cfr. Vierneisel 1997, 88). 4  Nei dipinti di Böcklin i Centauri sono rappresentati come primordiali forze della natura, dunque non sufficientemente civilizzati per dedicarsi alla musica. L’artista non prende in considerazione il tradizionale ruolo di Chirone come educatore di Giasone e soprattutto di Achille, al quale il Centauro insegna anche il canto e l’uso della cetra: ma è possibile che questa omissione non sia casuale, essendo Chirone pedagogo di eroi di stirpe regale, in contrasto con l’orientamento democratico della moderna pedagogia, che nel­l’Ottocento andava sviluppandosi proprio in Svizzera (cfr. infra).

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LA MUSICA DEGLI DÈI: FIGURE MITICHE DI ECCELLENZA MUSICALE

A questo punto, vale la pena di sottolineare che quasi tutti i personaggi mitici presenti nel­l’opera di Böcklin sono, nella tradizione antica (e anche nella rilettura rinascimentale di questa), protagonisti di agoni musicali, sia come vincenti, sia, più spesso, come sconfitti. Q uesto dato tradizionale viene sostanzialmente ignorato da Böcklin, che pure doveva esserne a conoscenza se non altro attraverso la visione di opere moderne raffiguranti l’orrendo scorticamento di Marsia 5. Tuttavia il pittore, che pure più di una volta tratta allegoricamente il tema della morte (come nel celebre Autoritratto del 1872, in cui uno scheletro suona il violino alle spalle del­l’artista) 6 rifugge da soggetti cruenti 7 e non tratta quei miti in cui gli dèi si mostrano particolarmente crudeli. Non dipinge Dioniso né i sanguinari sparagmoi delle Baccanti, ma si sofferma con insistenza su una divinità che viene generalmente associata alla sfera dionisiaca: il pacifico e ilare Pan, di cui peraltro non rappresenta l’agone musicale con Apollo, sebbene il giudizio di Mida sia un soggetto frequente nel­l’arte rinascimentale 8. A maggior ragione, mancano agoni meno famosi come quello fra le Muse e le Sirene, ovvero quello fra Tritone e il trombettiere di Enea Miseno, che non solo sono ricordati da poche fonti letterarie, ma non godono nemmeno di una consolidata tradizione iconografica 9.

5  Appena necessario sottolineare che il capolavoro di Tiziano (1570-1576) ispirato a questa efferata vicenda implica una palpabile critica nei confronti del mito, in cui il dio del­l’armonia si rende artefice di una raccapricciante vendetta. Il quadro di Tiziano, che attualmente si trova nel museo di Kroměříž, nella Repubblica Ceca, certamente non fu mai visto da Böcklin, ma altre versioni più tarde del soggetto erano visibili a Firenze e a Roma. 6   Olio su tela, 75 × 61 cm. Berlin, Nationalgalerie. Böcklin ritornerà su temi apocalittici in alcuni dei suoi ultimi dipinti, due versioni de La guerra (1896 e  1897) e  La peste (1898). Appena necessario osservare che scheletri danzanti o intenti a suonare strumenti musicali sono presenze frequenti nella tradizione medioevale e rinascimentale, soprattutto nordica. 7  L’avversione di Böcklin per la violenza è  confermata dalla sua riluttanza a tornare a Parigi, dopo avervi soggiornato durante la rivoluzione del 1848 soffocata nel sangue (cfr. Volpi 2001, 7). 8 Lo stesso Apollo è rappresentato da Böcklin in un affresco al­ l’Augu­ stinergasse di Basilea (1869-1870), ma non in veste di Musagete, bensì di divinità solare alla guida della sua quadriga. 9  La più importante rappresentazione figurativa del­l’agone fra le Muse e le Sirene è un bassorilievo su sarcofago romano (da Roma, Villa di Nerone): New York, The Metropolitan Museum of  Art. Il tema interesserà il pittore accademico francese A. Lalyre (1850-1935), notevolmente più giovane di Böcklin.

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Poiché, nel corso della sua attività, Böcklin ritornò più volte sugli stessi temi di derivazione classica, alternandoli e riprendendoli in momenti diversi, credo che una trattazione basata su un ordine rigorosamente cronologico rischi di risultare dispersiva. Opterei pertanto per una suddivisione della materia basata sulle singole figure mitologiche che furono al  centro del­l’opera del pittore lungo l’intero arco della sua vita. Inizierò da Pan, il dio silvestre di cui, stando al  noto racconto di Plutarco (De defectu oracolorum 419b-d), al tempo di Tiberio era stata annunciata la morte (come ricorda Nietzsche ne La Nascita della tragedia) 10, ma che nel mondo moderno risorse non solo grazie a Böcklin, ma anche a filologi come W. H. Roscher 11 e poe­ti come D’Annunzio 12 e Carducci 13, fino a diventare, nella seconda metà del Novecento, figura centrale nelle celebri ‘letture’ di W. S. Burroughs 14, nonché nelle riflessioni di J. Hillman 15.

Pan e le ninfe Nato in Arcadia da Hermes e  dalla ninfa Driope, abbandonato dalla madre a  causa del suo aspetto semiferino e  mostruoso, Pan riesce però gradito agli dei del­l’Olimpo per il suo carattere   Cfr. Nietzsche 1977, 75.   Numerosi e importanti i saggi di Roscher su Pan: oltre a quelli citati di seguito, rinvio ai lavori menzionati da Cassola 1975, 365. Vale la pena ricordare che Roscher fu compagno di studi e amico di F. Nietzsche ed E. Rohde al­l’Università di Lipsia. 12   L’esaltazione panica della natura è, fra l’altro, il tema di Maia (Laus Vitae), opera composta e pubblicata nel 1903 (ma iniziata nel 1896), in cui la lirica L’Annunzio si incentra sul­l’enigma plutarcheo della morte di Pan, e si conclude con la gioiosa negazione dello stesso. 13  Cfr. la sezione IV, v. 14, di Nicola Pisano, in Rime e ritmi, Bologna 1899: -o terra, o ciel, o mar, Pan è risorto-. Mentre è da credere che Carducci conoscesse il passo di Plutarco per conto proprio, appare invece probabile che D’Annunzio sia arrivato ad esso tramite la ricordata citazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia. 14  Su Burroughs e i «flauti di Pan» (espressione con cui egli amava designare un gruppo di musicisti marocchini, scoperti dal suo amico Brion Gysin nel 1964), cfr.  http://www.mythimedia.org/pipes_of_pan_of_joujouka%20.html. 15   Pan and the Nightmare, Thompson Conn.1972, in cui lo psicanalista e saggista statunitense premette alla traduzione inglese del saggio Ephialtes: Eine pathologisch-mythologische Abhandlung über die Alptraume und Alpdämonen des klassischen Altertums di W.  H. Roscher (1900), un proprio studio su impulsi, istinti e paure inconsce riconducibili alla sfera di Pan e del ‘terrore panico’. 10

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giocondo e la sua capacità di rallegrarli 16. Nella sua prorompente sensualità, corteggia e insegue le Ninfe, fra le quali tuttavia Siringa lo evita e riesce a sfuggirgli solo trasformandosi in canna palustre: ma il dio, incantato dal dolce suono delle canne mosse dal vento, costruisce uno strumento musicale con pezzetti di canna di misura diversa e lo denomina Siringa 17. Sebbene nel mondo antico Pan sia generalmente descritto come un dio benefico ed alieno da contese che non siano amichevoli (come quella con Apollo) 18, egli viene duramente penalizzato dalla patristica antica proprio a causa del­l’‘enigma di Plutarco’. Nel citato passo del De defectu oraculorum, lo scrittore narra un episodio che si sarebbe svolto ai tempi del­l’impero di Tiberio. Mentre una nave, diretta verso l’Italia, costeggiava l’isola di Paxos, una misteriosa voce oracolare avrebbe annunciato al pilota egizio della nave, di nome Thamous, il seguente messaggio: Ὁπόταν γένῃ κατὰ τὸ Παλῶδες, ἀπάγγειλον ὅτι Πὰν ὁ μέγας τέθνηκε. L’esegesi cristiana dei primi secoli, basandosi sulla paretimologia che collega il nome di Pan al­l’aggettivo πᾶς πᾶσα πᾶν (‘tutto’), collega la presunta morte di Pan con la cacciata di «tutta la genia dei demoni» (πᾶν γένος δαιμόνων) ad opera di Cristo, crocifisso e risorto appunto durante il regno di Tiberio 19. Di conseguenza, nel Medioevo il Demonio tende ad assumere caratteri iconografici simili a quelli del vecchio dio Pan, come corna e piedi caprini, e l’antico, inoffensivo dio delle selve si trasforma in simbolo del Maligno. Nel­l’arte rinascimentale, più attenta alle fonti classiche, Pan riprende il suo carattere originario, ma sempre nel ruolo di concorrente sconfitto nel­l’agone   Sul mito di Pan, sulla genealogia del dio e sulla storia del suo culto, si vedano l’Inno Omerico 19 (a Pan) e le relative osservazioni di Cassola 1975, 361-365. 17  Sul mito di Siringa, trasformata nello strumento musicale detto anche ‘flauto di Pan’, cfr. Ps. Theocr. Carmina Figurata (= Anth. Pal. 15, 21); Virg. Ecl. 2, 31-38: Ovid. Met. 1, 689-712: Hyg. 274; Long. Daphn. 2, 34; Ach.Tat. 8, 6; Nonn. Dion. 16, 332-335; 42, 383-386. 18  L’agone musicale fra Apollo e  Pan non comporta alcuna punizione per il perdente, in quanto la gara non riguarda l’eccellenza dei singoli contendenti, bensì la modalità di esecuzione musicale. Il mito decreta la superiorità della cetra sul flauto, ma non penalizza il sostenitore dello strumento meno ‘blasonato’: ad esser punito, se mai, è il giudice di gara, il re Mida costretto a portare vergognose orecchie di asino. La vicenda è narrata da Ovidio (Met. 11, 158-184), ma riflette evidentemente un’antica diatriba sul rapporto fra le varie tipologie di strumenti musicali nella vita quotidiana dei Greci. 19  Cfr. Eus. Praep. Evang. 18, 13. 16

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musicale con il vittorioso Apollo. Si tratta, quindi, sempre di storie esemplari ed edificanti, che, pur senza riservare al dio supplizi raccapriccianti, tuttavia ribadiscono la superiorità di Apollo, considerato dio della razionalità e del­l’armonia, sulle forze irrazionali rappresentate da Pan. La cultura tedesca della seconda metà del­l’Ottocento, filologicamente scrupolosa e  filosoficamente innovativa, rende giustizia a Pan. Fra gli studiosi di quel periodo, soprattutto W. H. Roscher 20 rileva che l’espressione Πὰν ὁ μέγας non può riferirsi a un dio greco, bensì piuttosto a una divinità di origine orientale, o comunque oggetto di culti misterici. Sulla scia di Roscher, S.  Reinach 21 plausibilmente sostiene che il racconto riportato da Plutarco fosse stato interpretato in modo erroneo fin dalle origini: Thamous non sarebbe dunque il pilota della nave, bensì il dio babilonese Tammuz, paredros della dea Ishtar, equivalente di Afrodite, e anche la menzione del nome di Pan in realtà sarebbe dovuta a fraintendimento del­l’epiteto di Tammuz πάνμεγας, ‘grandissimo’ 22. Risulta molto difficile stabilire se Arnold Böcklin, solo parzialmente in contatto con le stimolanti discussioni che coinvolgevano gli intellettuali tedeschi della seconda metà del­l’ ’800, fosse pienamente consapevole della temperie culturale in cui la sua opera pittorica andava sviluppandosi 23. Comunque sia, la Sehnsucht germanica del tempo gli era totalmente consentanea, come dimostrano alcuni, emblematici dipinti. La patetica vicenda di Pan che costruisce e  suona il proprio flauto in ricordo del­l’amata Siringa è  il tema di due quadri, il primo del 1856-1857 (Pan nel canneto, olio su tela, Winterthur, Oskar Reinhart Foundation), il secondo del 1859 (Pan nel canneto, olio su tela, 200 × 253 cm., München, Neue Pinakothek) 24. 20  Roscher (1892, 465-477) ritiene che il passo faccia riferimento a un rituale egiziano, eseguito dal pilota Thamous. 21   Reinach 1907, 5-19. 22  L’epiteto si presta a  definire divinità di origine orientale, siano esse vere o fittizie (si pensi a Ermete Trismegisto). Un’accurata sintesi delle varie tesi sul­ l’argomento è proposta da Borgeaud 1983, 3-39. 23  Tra l’altro, negli anni 1862-1866, il pittore ruppe anche l’amicizia con Burckhardt (cfr. Runkel 1910, specialmente 127s.). 24  Grazie ai  buoni uffici del conte Schack, il quadro fu acquistato dal re Ludwig I di Baviera. Q uesto permise di risollevare momentaneamente le condizioni economiche del pittore e della sua famiglia.

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In entrambi, l’immagine del dio, che la tradizione voleva orrendo, si ingentilisce, grazie sia alla compostezza del­l’atteggiamento, sia al­l’uso sapiente del colore, che fonde in un tutto unico la figura pensosa di Pan e  la natura che lo avvolge, proteggendolo dalla vampa del sole, e al tempo stesso lo richiama a sé. Fra quelle canne, in quel paesaggio palustre, c’è ancora lo spirito della ninfa Siringa: un significativo passo avanti rispetto al dipinto del 1854, Pan insegue Siringa 25, in cui il dio, secondo la tradizione, obbediva soltanto al­l’impulso ferino 26. Più tardi, dopo l’enigmatico, forse ironico Spavento panico del 1860 27, ritorna il dio musicista di Pan che fischia a un merlo (1863) 28. Q uesta volta, Pan è disteso sul­l’erba e fischia verso un merlo che si è posato su un ramoscello sopra la sua testa. Potrebbe trattarsi di una semplice variazione sul tema del selvaggio/primitivo, se non fosse che accanto a Pan sdraiato vi sono un flauto e alcuni fogli, presumibilmente spartiti musicali. L’idea, tutt’altro che convenzionale, che Pan sia non solo abile suonatore di siringa, ma anche, potenzialmente, maestro di musica nonché depositario di un’arte destinata a durare nel tempo, verrà ulteriormente precisata negli anni successivi. Un tentativo di rappresentare il magistero di Pan attraverso la rappresentazione di un suo allievo è dato dal quadro del 1866 Il  lamento del pastore 29, in cui il giovane Dafni, che aveva appreso dal dio l’uso della siringa 30, canta la propria insanabile pena d’amo­re destinata a  concludersi con la morte 31. L’esperimento,   Olio su tela, 107 × 67cm., Dresda, Gemäldegalerie Neue Meister.   Sarebbe il caso di notare che nel mito classico lo stupro nei confronti di ninfe e donne mortali non è esclusiva di divinità semiferine come Pan, o di figure ‘tiranniche’ come Minosse nei confronti di Britomarti, ma è ampiamente praticato anche dagli dèi maggiori, in particolare da Apollo con Dafne. 27  Olio su tela, 78 × 64 cm., München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen. 28  Tela, 46.4 × 35,6cm. München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen. 29   München, Neue Pinakothek. 30  Il tema di Pan che insegna a Dafni a suonare la siringa è molto frequente nel­l’arte ellenistico-romana: si vedano ad esempio il gruppo marmoreo proveniente dalla collezione Boncompagni-Ludovisi e  ora conservato al  Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, nonché quello proveniente dalla collezione Farnese e ora al Museo Archeologico di Napoli. 31  Q uesta è la versione del mito accolta negli Idilli di Teocrito (1, 7 e 8). In origine, Dafni era probabilmente una divinità della vegetazione, destinata a morire e rinascere ritualmente nel­l’avvicendarsi delle stagioni (cfr. Stoll 1886, 955–960). 25 26

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tuttavia, non sembra molto convincente (e infatti rimane privo di seguito): per quanto bello e giovane, il malinconico e, soprattutto, un po’ troppo ‘accademico’ Dafni è lungi dal rappresentare quel dinamico, dirompente vitalismo che è invece caratteristico della sfera di Pan. Risultati più convincenti si hanno alcuni anni più tardi, quando Böcklin decide di fare del ‘selvaggio’ dio Pan la figura centrale della propria mitico/simbolica Weltanschauung, valorizzandone, fra l’altro, le qualità di eccellente musicista che già l’antichità gli riconosceva, facendone il maestro di Dafni. Pan non è più solamente istintivo seduttore di ninfe, ma sa intrattenerle e perfino istruirle. Un momento ‘cruciale’ di questo percorso è costituto dal dipinto Idillio. Pan fra le colonne (1875) 32. Q uesta volta, l’incanto della vegetazione si intreccia con le vestigia di una civiltà millenaria, rappresentata dal sacello diroccato le cui colonne richiamano la pittura pompeiana 33. Ferma restando l’intrinseca difficoltà di decifrare un’opera simbolista, non escluderei la possibilità che Böcklin abbia inteso suggerire l’idea di un dio Pan ormai vecchio (come provano barba, capelli e peli delle zampe caprine bianchi), e tuttavia sopravvissuto al suo stesso mondo. Significativi anche i dipinti Sera di primavera (1879) 34, in cui due ninfe, nascoste dietro gli alberi, ascoltano in silenzio un assorto Pan intento a suonare la siringa, nonché Ninfa con il flauto (1881) 35, in cui la figura femminile, non più giovane, ha uno sguardo malinconico non molto diverso da quello che il pittore aveva attribuito a Euterpe negli anni 1872-1873 (cfr. infra); ma se già la Musa era concepita come una figura solitaria, affrancata dal­l’influenza di Apollo, questa volta l’emblematico flauto è nelle mani di una creatura silvestre, appartenente alla sfera di Pan e presumibilmente ammaestrata da quest’ultimo 36. Ma ancora più importante, fra le opere di argomento mitologico di questo pe-

  Olio su tela, 62.7 × 50.2 cm. München, Staatsgemäldesammlungen.   Di cui, come è noto, Böcklin era grande ammiratore, fino dalle sue visite a Napoli e Pompei del 1863 (cfr. Volpi 2001, 22). 34  Olio su tavola, 67.4 × 129 cm. Budapest, Szépmuvészeti Múzeum. 35  Darmstadt, Hessisches Landesmuseum. 36  Si tratta, a quanto mi risulta, di un’iconografia ignota al­l’arte antica, in cui solo la Musa Euterpe è rappresentata nel­l’atto di suonare il flauto. 32 33

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riodo, è  forse Il  risveglio della primavera (1880) 37, in cui alcuni hanno riconosciuto una ‘rilettura’ della Primavera di Botticelli (1478 ca.) 38. La figura centrale, che prende il posto della pensierosa Venere botticelliana, ma, a differenza di quest’ultima, indossa solo un sottile manto rosso (simile a quello su cui siederà Calipso: cfr. infra), ha anch’essa un atteggiamento serio e un’espressione enigmatica, al  pari delle altre due figure femminili presenti nel quadro. Se si accetta l’ipotesi che l’artista avesse nella memoria Botticelli, la sostituzione del bellissimo Mercurio con il semiferino Pan, accompagnato dal­l’immancabile siringa, appare provocatoria, addirittura dissacrante nei confronti del capolavoro rinascimentale. Ancora una volta, gli dei olimpici cedono il passo alle divinità ‘minori’, che vivono sulla terra e sono pertanto le sole in grado di realizzare la difficile fusione tra divino, umano e natura. Il ‘panismo’ (in senso precocemente dannunziano) di Böcklin trova il suo culmine in un dipinto generalmente datato 1884, ma forse anche più tardo, in cui tuttavia la tradizione classica cede il passo a  un’allegoria piuttosto artificiosa, che si presta a  qualche riflessione. Si tratta di Pan in una danza con i  fanciulli (18841885) 39, in cui il dio, seduto su un masso al centro, suona un flauto traverso, mentre attorno a  lui sette fanciulli dal­l’aspetto marcatamente nordico danzano tenendosi per mano. Q uesta volta, il pittore sembra essersi spinto troppo oltre, e  se l’idea di Pan intrattenitore di attente ed estasiate ninfe ha un fascino immediatamente percepibile, quella di Pan maestro di scuola costituisce una forzatura al  limite del­l’arbitrio, che può tuttavia essere spiegata ipotizzando che il pittore abbia inteso assumere il mitico dio Pan in funzione di simbolo della moderna pedagogia elvetica, democratica e anticlassista 40. Nei suoi ultimi anni di vita, Böcklin ritornerà, con Pan che suona lo zufolo (1897) 41, al­l’originaria immagine del dio solitario e assorto nei propri pensieri. 37  Olio su tela, 66  ×  129  cm. Zürich, Kunsthaus. Non si dimentichi che il 1880 è l’anno in cui l’artista realizza la prima versione de L’isola dei morti. 38   Tempera su tavola, 203 × 314 cm. Firenze, Uffizi. 39  Olio su tavola, 79.4 × 100.8 cm. Essen, Folkwang Museum. 40  Sul­l’ideale educativo dei pedagogisti elvetici di XIX secolo, e in particolare di J.  H. Pestalozzi, cfr.  http://www.treccani.it/enciclopedia/johann-heinrichpestalozzi/. 41  Olio su tela, 60 × 50 cm. Svizzera, collezione privata.

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Muse e Saffo La solennità neoclassica di A. R. Mengs (Il Parnaso, 1761) 42, o di A.  Appiani (Parnaso, 1811) 43, appare molto lontana dalla sensibilità di Böcklin. Per il pittore di Basilea, la Musa non è parte del corteggio di un dio maggiore, ma è piuttosto l’ispiratrice del­ l’artista stesso, di cui rispecchia il carattere pensoso e  malinconico. Già nel 1863, dieci anni dopo il matrimonio con la giovane romana Angela Pascucci, egli aveva dipinto il simbolico Ritratto di Angela Böcklin come Musa 44. Modella dei due quadri successivi, Euterpe con una cerva (1872) 45 e La Musa di Anacreonte (1873) 46, sarà invece la figlia Clara, a  riprova del­l’esigenza, fortemente sentita da Böcklin, di percepire la propria Musa come una presenza vicina non solo intellettualmente ma anche affettivamente. La prima figura reca il nome classico di Euterpe, Musa della lirica monodica e del­l’auletica 47, spesso rappresentata, già nel­l’arte antica, con un doppio flauto 48. In  quest’opera, la Musa è  sola, assorta nei suoi pensieri, con lo strumento musicale posato al suo fianco. L’abito bianco è castigato, come si addice a una Musa, ma la spalla sinistra è coperta da un drappo di colore rosso acceso con ricami, che scende fino ai piedi avvolgendo tutta la figura. Intorno a lei vi sono solo alberi, stagliati contro un cielo di un azzurro intenso, e una cerva che china la testa verso i piedi della dea, come se quest’ultima fosse una ‘signora delle fiere’ 49. Se il semiferino Pan 42   Affresco. Roma, Villa Albani. In una dipendenza della Villa i coniugi Böcklin trascorsero i primi tempi del loro matrimonio: cfr. Runkel 1910, 42. 43  Affresco. Milano, Galleria d’arte moderna. 44   Basel, Kunstmuseum. 45   Tela, 78 × 58,5 cm. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum. 46  Olio su tela, 70 × 60 cm. Aarau, Aargauer Kunsthaus. 47  Il numero delle Muse e la funzione di ciascuna di esse, variabili in età arcaica e  classica, divengono stabili con l’età alessandrina, in cui ogni Musa ha il suo ruolo preciso e anche la sua specificità iconografica (cfr. Diod. Sic. Bibl. 4, 7). In età umanistica, il numero e le attribuzioni delle Muse sono confermati da Guarino Veronese in una lettera a Leonello d’Este del 5 novembre 1447, in cui l’erudito definisce Euterpe «inventrice dei flauti». 48  Q uesta iconografia di Euterpe è presente, fra l’altro, nelle decorazioni di numerosi sarcofagi e in mosaici parietali romani, e, più tardi, in gruppi statuari barocchi destinati a ornare ville e giardini. Nel Parnaso di Raffaello (1510-1511, Musei Vaticani), la Musa tiene fra le mani un flauto semplice. 49   Il ruolo di πότνια θηρῶν, che accomuna varie dee greche, in primis Artemide

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impersona la sintesi fra il divino, l’umano e il bestiale, la graziosa e  gentile Clara/Euterpe sembra rappresentare allegoricamente l’esperienza di fusione del­l’anima con la natura, esperienza di cui la musica è tramite irrinunciabile. Nel secondo dipinto, che ritrae nuovamente Clara, non solo viene ribadita l’autonomia della Musa nei confronti di Apollo e delle sue stesse sorelle, ma addirittura la dea non viene più identificata per mezzo del suo appellativo tradizionale, bensì grazie a una perifrasi che evidenzia il nome di uno fra i suoi più illustri protégés, il poe­ta lirico monodico Anacreonte. L’abbigliamento molto simile, con il sontuoso drappo rosso ricamato, conferma che questo quadro non è che una nuova versione del precedente, e che la Musa è sempre la stessa. Q uesta volta, però, Euterpe è attiva, sguardo attento e doppio flauto fra le mani: è infatti giunto il tempo di ispirare e  assistere l’artista. La compenetrazione tra la sfera del divino e quella del­l’umano sembra raggiungere qui il suo culmine: se l’uomo non può operare senza l’aiuto della Musa, a sua volta la Musa non ha motivo di attivarsi senza il talento ispirato del­l’artista 50. Nello stesso periodo (1862), Böcklin si interessa anche a una figura storica, ma in qualche modo ‘mitizzata’ da una lunga tradizione biografica che va ben oltre i contenuti delle sue opere poe­ tiche 51. Si tratta di Saffo, ‘decima Musa’ 52, di cui l’artista propone, nello stesso anno, due rappresentazioni radicalmente divergenti. (ma anche Circe e, nel quinto Inno Omerico, Afrodite), appare piuttosto insolito per una Musa. 50  Non sarà inopportuno sottolineare che Böcklin, in quanto pittore, non poteva porsi direttamente sotto la protezione di una Musa del­l’antica Grecia, dato che nel mondo ellenico gli artisti figurativi non furono mai reputati veri intellettuali: anzi, non senza disprezzo, furono generalmente considerati alla stregua di banausoi, semplici tecnici, spesso di condizione servile (cfr. Aristot. Pol. 3, 3, 2). Q uesto almeno fino al­l’età ellenistica, in cui gli artisti, divenuti figure di spicco nella celebrazione della potenza del sovrano, risultano talora partecipi di cariche cittadine religiose e, probabilmente, anche civili: sul­l’argomento, vd. S. Ferri – R.  Bianchi Bandinelli, s.v.  ‘Artista’, http://www.treccani.it/enciclopedia/ critica-dell-arte-nell-antichita-classica_(Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica)/. Q uesti con­cetti erano probabilmente noti a Böcklin attraverso Burckhardt, che fra l’altro, nelle sue opere, sottolinea il fatto che i pittori godevano comunque maggiore stima rispetto agli scultori, probabilmente per il grado molto inferiore di sforzo fisico che il loro lavoro richiedeva (cfr. Burckhardt 1955, 343-349). 51  Sul­l’argomento, cfr. Favaro – Puggioni 2015. 52  Plat. Epigr. 16.

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Uno dei due dipinti (conservato al Kunstmuseum di Basilea) presenta Saffo come la descrive la tradizione antica 53: tutt’altro che bella, con capelli neri e pelle scura. La poe­tessa è ritratta a mezzo busto, con un rotolo di papiro nella mano grassoccia, e un cielo più grigio che azzurro alle spalle. L’altra versione, dello stesso anno 54, è radicalmente diversa: nel dipinto predomina la folta vegetazione, che ne occupa quasi tutto lo spazio, lasciando tuttavia intravedere fra i rami degli alberi un cielo di un azzurro intenso, e un piccolo scorcio di mare in lontananza. In questo scenario dai toni cromatici complessivamente scuri, spicca la minuta ed esile figura della poe­tessa, ritratta di spalle, con la pelle candida generosamente esibita, i graziosi piedini maliziosamente nudi e la chioma bionda che fa pendant con il colore dorato della sua arpa. Appena il caso di sottolineare che l’arpa è uno strumento piuttosto raro in Grecia, e che nella tradizione antica Saffo è rappresentata mentre tiene fra le mani un barbitos (si veda, in particolare, il celebre kalathos del V secolo in cui Saffo e Alceo si fronteggiano con uguali strumenti musicali) 55. Del resto, il confronto con altre rappresentazioni ottocentesche della poe­tessa, ad esempio Saffo di James Pradier (in cui la poe­tessa ha al suo fianco una fedele riproduzione di un antico barbitos) 56, dà un’idea di quanto radicata fosse in Böcklin l’esi­genza di prendere le distanze dalla tradizione neoclassica.

Calipso Dopo l’Isola dei morti, Ulisse e Calipso (1882) 57 è probabilmente l’opera böckliniana che maggiormente ha impressionato il pubblico e, soprattutto, influenzato altri artisti, in particolare Gior-

53  A proposito di Saffo «bruttissima, piccola e scura», cfr. Max. Tyr. 18, 7, p.  227 Hob., nonché schol. Luc.  Imag. 18, p.  186 Rabe. Naturalmente Böcklin non attingeva direttamente a queste fonti, ma a qualcuno dei numerosissimi intermediari. 54   Olio su tela, 95 × 74 cm. John G. Johnson Collection, Philadelphia Museum of  Art. 55  München, Staatliche Antikensammlungen. Il  pittore antico rappresenta Alceo mentre suona e canta, e Saffo mentre probabilmente attende il suo turno in una sorta di simbolica ‘catena simposiale’. 56  Statua in marmo, 117 × 70 × 120 cm. Paris, Musée d’Orsay. 57   Olio su tavola, 103.5 × 149.8 cm. Basilea, Kunstmuseum.

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gio De Chirico, il cui dipinto L’enigma del­l’oracolo (1910) 58 riprende intenzionalmente l’opera del pittore di Basilea 59. Sebbene esistano rappresentazioni del soggetto sia nel­l’antichità che in età moderna (ad esempio A Fantastic Cave with Odysseus and Calypso di J.  Brueghel il Vecchio, 1616) 60, il quadro di Böcklin evita accuratamente di rappresentare il mito in chiave edonistica, sottolineando piuttosto il senso di separazione ed estraneità fra i  due personaggi, quale si evince da una lettura diretta del testo omerico. In Odissea 5, 57-62, Hermes, inviato da Zeus da Calipso per ordinarle di lasciar partire Odisseo, giunge nel­l’isola di Ogigia e trova Calipso nella sua spelonca circondata da lussureggiante vegetazione: μέγα σπέος ἵκετο, τῷ ἔνι νύμφη ναῖεν ἐυπλόκαμος· τὴν δ’ ἔνδοθι τέτμεν ἐοῦσαν. πῦρ μὲν ἐπ’ ἐσχαρόφιν μέγα καίετο, τηλόσε δ’ ὀδμὴ κέδρου τ’ εὐκεάτοιο θύου τ’ ἀνὰ νῆσον ὀδώδει δαιομένων· ἡ δ’ ἔνδον ἀοιδιάουσ’ ὀπὶ καλῇ ἱστὸν ἐποιχομένη χρυσείῃ κερκίδ’ ὕφαινεν.

Hermes e Calipso si riconoscono subito, ma prima ancora che la dea chieda al messaggero di Zeus il motivo della sua visita, il poe­ta ci informa che Odisseo non è presente (vv. 81-84): οὐδ’ ἄρ’ Ὀδυσσῆα μεγαλήτορα ἔνδον ἔτετμεν, ἀλλ’ ὅ γ’ ἐπ’ ἀκτῆς κλαῖε καθήμενος, ἔνθα πάρος περ, δάκρυσι καὶ στοναχῇσι καὶ ἄλγεσι θυμὸν ἐρέχθων. πόντον ἐπ’ ἀτρύγετον δερκέσκετο δάκρυα λείβων.

A differenza di altri artisti precedenti e successivi 61, Böcklin non si sofferma sui risvolti sensuali del rapporto fra Odisseo e Calipso ma, al contrario, sottolinea la reciproca assenza di comunicazione e relazione fra i due personaggi, operando una sintesi fra i due momenti del racconto omerico: Odisseo, sebbene appartato e chiuso in se stesso, è  tuttavia alla portata degli occhi della dea, che lo   Olio su tela. Berlino, collezione privata.   Sul­l’influsso esercitato da Böcklin e Klinger su De Chirico, cfr. Altamira 2006, 35-50. 60  Olio su tela. London, Johnny van Haeften Gallery. 61   Un’interpretazione idillica e dannunzianamente ‘panica’ del rapporto fra Odisseo e Calipso è, ad esempio, nel film Nostos. Il ritorno, di F. Piavoli (1990). 58

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guarda contrariata, tenendo fra le mani uno strumento musicale che, ancora una volta, assomiglia ben poco a una lira o a una cetra della tradizione classica, ma sembra piuttosto simile a un’arpa. D’altra parte, in Omero il canto di Calipso è contestuale al­l’atto di tessere, il che esclude che la dea possa accompagnarsi con uno strumento. A quanto pare, l’artista sembra voler evidenziare le qualità di Calipso come musicista, inserendo nella composizione un oggetto simbolico (e, soprattutto, ben visibile) come l’arpa, che tuttavia ella non sta usando in quanto la sua attenzione è totalmente concentrata su Odisseo. Relativamente fedele al racconto omerico ma, al tempo stesso, fortemente innovativo, il dipinto appare destinato a  esercitare un’influenza decisiva non solo su De Chirico (come già accennato), ma anche sullo scrittore tedesco Alfred Döblin, noto soprattutto per Berlin Alexanderplatz (1929), ma già autore, nel 1910, dei Gespräche mit Kalypso. Über der Musik, che quasi certamente presuppongono la visita, nel 1906, al Kunstmuseum di Basilea e al quadro di Böcklin 62.

Sirene Fin dal­l’epica omerica (Od. 12,  39-46,  181-194), le Sirene, così come le Muse, sono indissolubilmente legate alla sfera del canto, ma la loro funzione non è ispirare i poe­ti, bensì ammaliare i naviganti e condurli alla rovina 63. Come è noto, Odisseo salva se stesso e i suoi turando le orecchie di questi ultimi con la cera e facendosi saldamente legare al­l’albero della nave. Diversamente, gli Argonauti erano sfuggiti al­l’insidia grazie a Orfeo, che con il suono della sua cetra era riuscito a coprire il canto delle Sirene, rendendolo inascoltabile. Cfr. Apoll. Rh. Arg. 4, 891-919, in particolare 903-911: οἱ δ’ ἀπὸ νηὸς ἤδη πείσματ’ ἔμελλον ἐπ’ ἠιόνεσσι βαλέσθαι, εἰ μὴ ἄρ’ Οἰάγροιο πάις Θρηίκιος Ὀρφεὺς Βιστονίην ἐνὶ χερσὶν ἑαῖς φόρμιγγα τανύσσας κραιπνὸν ἐυτροχάλοιο μέλος κανάχησεν ἀοιδῆς, ὄφρ’ ἄμυδις κλονέοντος ἐπιβρομέωνται ἀκουαὶ   Sul­l’argomento, cfr. Migley 2009, 7-27.   Sulle Sirene, e sulla complessa, spesso contraddittoria tradizione che le concerne, cfr. l’esaustiva trattazione di Bettini-Spina 2007. 62 63

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κρεγμῷ, παρθενικὴν δ’ ἐνοπὴν ἐβιήσατο φόρμιγξ. νῆα δ’ ὁμοῦ ζέφυρός τε καὶ ἠχῆεν φέρε κῦμα πρυμνόθεν ὀρνύμενον, ταὶ δ’ ἄκριτον ἵεσαν αὐδήν.

Si tratta di un agone musicale estemporaneo, in cui Orfeo, almeno nella versione di Apollonio, vince non tanto per il valore quanto per la potenza della sua musica; nelle Argonautiche Orfiche, tuttavia, sono le Sirene stesse a riconoscere la propria inferiorità e quindi ad abbandonare flauto e lira, per poi suicidarsi, gettandosi in mare 64. La  tarda antichità, tuttavia, ci ha tramandato notizie di un altro, ‘formalizzato’ agone canoro tra le Muse e le Sirene, destinato a concludersi con la sconfitta e forse con la morte di queste ultime. Stando a Pausania (9, 34, 3) le Sirene, persuase da Era, avrebbero gareggiato con le Muse, le quali, vinta la competizione, avrebbero strappato loro le ali per farsene delle corone 65. Analogamente, lo scolio a Licofrone 653 afferma che le Muse vengono rappresentate con la testa alata in seguito alla vittoria sulle Sirene, e che solo Tersicore non porta corona in quanto madre delle sconfitte 66. Il racconto sembra comunque avere carattere eziologico, e derivare dalla convergenza di spunti iconografici e toponomastici: cfr. Stefano di Bisanzio 67, che, a  proposito della città cretese di Aptera, spiega l’origine del nome con la disfatta delle Sirene che, per la vergogna di essere state battute dalle Muse, avrebbero gettato via le proprie ali e si sarebbero suicidate lanciandosi in mare 68. 64 Cfr. Arg. Orph. 1270-1290. L’episodio della contrapposizione tra Orfeo e le Sirene è riferito anche da Ps. Apollod. 1, 9, 25, nonché Hyg. 14, 27. Si noti che la versione delle Argonautiche Orfiche, secondo cui le Sirene sarebbero morte dopo il passaggio della nave Argo, esclude la possibilità che esse, in un momento successivo, costituiscano un’insidia per la nave di Odisseo. Si ha l’impressione che nelle Argonautiche Orfiche (sulla cui cronologia seriore cfr.  già Hermann 1805,  673826), vi sia una sorta di associazione/confusione con l’altro mito, quello del­ l’agone delle Sirene con le Muse (cfr. infra). 65   La vicenda è  rappresentata su un sarcofago romano del­l’età dei Severi (New York, Metropolitan Museum of  Art). 66   Sul­l’incerta genealogia delle Sirene, che secondo alcune fonti sarebbero figlie del fiume Acheloo e della Musa Tersicore, secondo altre della Musa Melpomene, e sulla contesa con le Muse, si vedano il citato lavoro di Bettini- Spina 2007 e, più recentemente, Meliadò 2010, 301-312. 67  Steph. Byz. s.v. ‘Aptera’. 68 Cfr. inoltre Etym. Magn. s.v. πτερόεντα, secondo cui il mito del­l’agone spiegherebbe la nota espressione formulare omerica ἔπεα πτερόεντα (ἐπειδὴ νικήσασαι αἱ Μοῦσαι τὰς Σειρῆνας τοῖς πτεροῖς αὐτῶν ἐστέφθησαν).

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Come è  noto, Omero non rappresenta l’aspetto delle Sirene e neppure associa il loro canto al­l’uso di strumenti musicali. Fonti letterarie più tarde, fra cui il già citato Apollonio Rodio (4, 898s.), le descrivono come esseri ibridi, simili in parte a  fanciulle e  in parte a  uccelli, mentre nelle Argonautiche Orfiche, come già accennato, si narra che esse abbandonarono il flauto e la lira. Nel­ l’arte figurativa, tuttavia, l’aspetto delle Sirene è rappresentato già in epoca molto antica: in un vaso a figure nere (VI secolo a.C.), una sirena dalle zampe di uccello tenta di ammaliare Odisseo suonando un doppio flauto, mentre nel cratere di Paestum del Museo di Berlino (330 a.C. ca.), due sirene con zampe e coda di uccello, ma con busto e viso di seducenti cortigiane, blandiscono Odisseo al suono di un barbitos, di un cembalo e di crotali. Cetra e doppio flauto sono invece gli strumenti con cui tre sirene dai piedi di uccello cercano di sedurre Odisseo e compagni in un mosaico del III secolo d.C. proveniente da Dourra (Tunisi, Museo del Bardo). Nel­l’iconografia moderna, come è noto, le zampe di uccello sono sostituite da una coda di pesce 69, ma l’idea di seduttività e maliosa fascinazione sussiste, per culminare nella rappresentazione delle sirene come aggressivi sex-symbols in Ulysses and the Sirens del pittore vittoriano H. J. Draper (1909) 70. Le Sirene di Böcklin (1875) è  un piccolo dipinto a  tempera su tela 71, che si attiene molto genericamente alla tradizione mitologica antica, rappresentando le due insidiose creature mentre si accingono ad attirare l’attenzione di una nave ancora distante. Senonché, la plurisecolare tradizione, largamente condivisa dal­ l’immaginario ottocentesco 72, che identifica nella figura della sirena un emblema di fascino e seduzione, viene da Böcklin sottoposta a irridente, dissacratorio détournement: una delle due sirene, 69   La concezione della sirena come ibrido dotato di coda ittioforme sembra essere attestata per la prima volta in un bestiario del VII secolo d.C., in cui peraltro la figura mitica viene assunta a simbolo di tentazione distruttiva e quindi diabolica: sirenae sunt marinae puellae quae navigantes pulcherrima forma et canto mulcendo decipiunt et capite usque ad umbilicum sunt corpore virginali et humano generi simillimae; squamosas tamen piscium caudas habent, quibus semper in gurgite latent (Liber monstrorum I 6). 70  Olio su tela, 213 × 177 cm. Kingston-Upon-Hull, Ferens Art Gallery. 71  Berlin, Alte Nationalgalerie (acquistata nel 1992 dalla collezione Conrad Fiedler). 72   Vd. in proposito l’appendice iconografica del citato libro di Bettini-Spina 2007.

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decisamente non più giovane, con i capelli bianchi e il corpo sformato, suona seminascosta il flauto, mentre la compagna, più giovane ma magra e sgraziata, assume nello slancio canoro una posa scomposta, con le zampe al­l’aria e le braccia spalancate. Ma l’intento ironico del­l’artista risulta ancora più evidente se si considera che l’incanto delle due sirene è frutto di un’astuta mistificazione: se si considera infatti il punto di vista dei marinai a bordo della nave, si comprende come ad essi le mostruose zampe delle due crea­ture risultino nascoste dalla roccia, come pure il viso e il corpo della sirena più anziana, mentre visibile resta soltanto la lunga e rigogliosa chioma della più giovane. Anche i teschi e le ossa sono ben celati dietro il masso, rendendo così completo l’inganno per l’imbarcazione che malauguratamente si sta avvicinando. Cresciuto in un severo ambiente luterano, per il quale lo stesso ricorso alla mitologia classica come oggetto di interesse artistico rischiava di apparire peccaminoso, Böcklin ‘neutralizza’ le figure più insidiose e (da un punto di vista cristiano) demoniache del mito semplicemente ridicolizzandole. Pur così esorcizzata, tuttavia, la fascinazione oscura della sirena non scompare dalla fantasia del­ l’artista, che più tardi – accanto a Nereidi sensuali ma monogame e  perfino madri di famiglia 73 – dipingerà una figura femminile marina, marcatamente sireniforme, dai lunghi capelli di un rosso acceso e dagli occhi verdi bistrati, raffigurata mentre respinge con un gesto della mano un tritone ormai semisommerso dal­l’acqua e probabilmente ucciso dallo sguardo torvo di lei. Il dipinto si intitola Meeresstille (1887) 74 e contrasta in modo inquietante con una serie di altre opere che rappresentano coppie di creature marine felici e sorridenti.

Tritone e Nereidi Nella mitologia classica, Tritone è  una creatura marina ibrida, come le Sirene, ma, a differenza di queste ultime, è in parte umano, 73 Vd. Idylle marine (1887), dove Tritone e Nereide giocano con i due figlio­ letti. Nonostante la vibrante sensualità di alcune sue figure femminili, Böcklin non si spinge fino al­l’esplicito erotismo del suo più giovane amico Max Klinger, il cui dipinto Die Sirene del 1895 (Firenze, Villa Romana) raffigura una coppia di amanti strettamente avvinti in un abbraccio appassionato fra le onde del mare. 74  Tempera su tavola, 150 × 103. Berna, Kunstmuseum.

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in parte ittioforme già nel­l’iconografia antica 75. Virgilio attribui­ sce la morte di Miseno, trombettiere di Enea, al­l’esito infausto di un agone musicale con Tritone, disputato però non con vere trombe bensì con conchiglie usate a  guisa di buccine. Cfr.  Aen. 6, 168-174: Postquam illum (scil. Hectora) vita victor spoliavit Achilles, Dardanio Aeneae sese fortissimus heros addiderat socium, non inferiora secutus. Sed tum, forte cava dum personat aequora concha, demens, et cantu vocat in certamina divos, aemulus exceptum Triton, si credere dignum est, inter saxa virum spumosa immerserat unda.

Sul­l’abilità di Tritone nello scatenare ovvero calmare le distese marine grazie al suono della sua conchiglia/buccina, si veda inoltre Ovid. Met. 1, 330-342: Nec maris ira manet, positoque tricuspide telo mulcet aquas rector pelagi supraque profundum exstantem atque umeros innato murice tectum caeruleum Tritona vocat conchaeque sonanti inspirare iubet fluctusque et flumina signo iam revocare dato. Cava bucina sumitur illi, tortilis, in latum quae turbine crescit ab imo, bucina, quae medio concepit ubi aera ponto, litora voce replet sub utroque iacentia Phoebo. Tunc quoque, ut ora dei madida rorantia barba contigit et cecinit iussos inflata receptus, omnibus audita est telluris et aequoris undis, et quibus est undis audita, coercuit omnes 76.

Appare plausibile che il passo di Ovidio sia stato fonte di ispirazione per gli artisti, soprattutto scultori, che a  partire dal­l’età barocca ornarono con figure di tritoni fontane monumentali: 75  Vd., ad esempio, il Tritone del Museo Archeologico di Istanbul, proveniente da Afrodisia e facente parte di un bassorilievo con scene di Gigantomachia (II secolo d.C.). 76  Su Tritone suonatore di conchiglia/buccina, vd. anche Plin. NH 9, 9: Tiberio principi nuntiavit Olisiponensium legatio ob id missa, visum auditumque in quodam specu concha canentem Tritonem qua noscitur forma. Et Nereidum falsa non est, squamis modo hispido corpore etiam qua humanam effigiem habet.

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si  pensi, in particolare, alla fontana del Tritone (1624-1643) di Gian Lorenzo Bernini, a quella del Moro di Piazza Navona (realizzata nel 1575 da Giacomo della Porta ma ultimata nel 1651 dal Bernini e dal suo allievo Antono Mari), ovvero alla settecentesca Fontana di Trevi. Nel caso di Böcklin, tuttavia, un riferimento diretto alle fonti letterarie è da ritenersi quanto meno improbabile. Il  pittore elvetico si sarà piuttosto ispirato proprio alle fontane di Roma, in particolare a quella berniniana del Tritone, di cui il dipinto Triton, auf  einer Muschel blasend (1879) 77 sembra essere una specifica rivisitazione in chiave pittorica. Il Tritone è solo, appoggiato a uno sperone di roccia su cui precipita vorticosamente l’acqua di quella che sembra essere una cascata. A causa della precaria posizione, il Tritone di Böcklin deve appoggiarsi con una mano alla roccia (a differenza del Tritone di Bernini, comodamente assiso su un’enorme conchiglia). Con la mano destra, comunque, il Tritone böckliniano regge saldamente la buccina mentre vi soffia dentro con la testa rivolta verso l’alto e l’ampio torace gonfio. Rispetto al­l’assenza di realismo della scultura di Bernini, la cui apparente stabilità si basa sulla presenza di elementi puramente fantastici (la conchiglia, i  delfini rampanti), il dipinto di Böcklin lascia trasparire l’intento di ‘umanizzare’ la figura mitologica, affrancandola dalla pura funzione decorativa del modello. L’inclinazione realistica del pittore emerge anche dal vivace cromatismo, dai bagliori chiari che cospargono la pelle bronzea del personaggio, sottolineandone l’anatomia e rendendo visivamente l’umidità del suo corpo di creatura marina. Da notare, ancora, l’insolito aspetto delle estremità inferiori, non ittioformi ma piuttosto simili a zampe di uccelli palmipedi. Un Tritone suonatore di buccina era già presente in altre due opere di Böcklin, l’affresco raffigurante la Magna Mater nel Museo di Storia Naturale di Basilea (1868) 78 e il dipinto a olio Tritone e  Nereide (1873-1874) 79: ove tuttavia la figura femminile, sensuale e  seducente, ma anche rassicurante in quello che sembra essere uno stato di appagamento e  abbandono, controbilancia l’atteggiamento del compagno, totalmente concentrato   Olio su tavola, 100 × 50 cm. Hannover, Landesmuseum.   Basel, Augustinergasse. 79  Olio su tavola, 86 × 157cm. München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen.

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sulla sua conchiglia/buccina. Interamente antropomorfa, la bella creatura marina non ha nulla a che fare con le ibride quanto sgraziate Sirene; mollemente distesa sulla roccia, non è però del tutto inattiva, anzi si diverte ad afferrare per la gola un grosso serpente acquatico. Il gesto potrebbe avere una valenza simbolica, essendo il serpente tradizionale nemico della donna nella cultura ebraicocristiana. Dal punto di vista iconografico, il tema della coppia formata da un Tritone che suona la buccina e da una Nereide ha una storia lunga e consolidata: già presente nel­l’arte ellenistico-romana (si veda ad esempio il mosaico del Museo di Sabratha in Libia, ma il motivo è frequente soprattutto nei sarcofagi di età imperiale), esso viene spesso ripreso nel­l’arte moderna (interessante uno schizzo di P. Paul Rubens) 80. Identificare i modelli di Böcklin non è facile, ma si può ragionevolmente supporre che egli abbia tratto ispirazione soprattutto da opere viste a Roma o a Pompei 81. Un altro tema trattato più volte da Böcklin è la rappresentazione di Nereidi (talvolta denominate, approssimativamente, anche Naiadi) 82, Tritoni adulti e anche putti tritoniformi mentre scherzano e giocano fra le onde, sotto un cielo plumbeo e in acque tutt’altro che tranquille, che però le creature marine affrontano con assoluta disinvoltura. A parte i colori del cielo e del mare, che non evocano certo scenari mediterranei, interessante è l’aspetto, decisamente nordico, dei personaggi. Le figure femminili, in particolare, hanno pelle chiarissima e corpi molto in carne, come le donne di Rubens, uno degli antichi maestri ammirati e copiati da Böcklin fin dalla prima giovinezza 83. E come le dee pagane di Rubens erano umanamente impudiche e divinamente gioconde, così anche le Nereidi/Naiadi di Böcklin si prestano alla schermaglia galante, ma senza malizia. In  relazione al­l’interesse del­l’artista per la musica, l’opera più interessante di questo gruppo è  Nel 80   Olio su tavola, 14.5 × 14 cm. Rotterdam, Museo Boymans van Beuningen. Ulteriore documentazione in Moormann – Uitterhoeve 2004, 512. 81  Da Pompei proviene, ad esempio, un cantharos d’argento con Tritone e due Nereidi (ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli). 82  Come è noto, le Naiadi sono piuttosto ninfe dei fiumi: da questo punto di vista, filologicamente più corretto è il dipinto di J. W. Waterhouse The Naiad (1893). 83   Sui viaggi giovanili del pittore ad Anversa e a Bruxelles, cfr. Volpi 2001, 6.

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mare (o Concerto marino), del 1883 84. Al centro del­l’attenzione è  un insolito strumento musicale, identificabile con un’arpa, che il corpulento Tritone suona, inducendo le bionde e piacenti Nereidi a cantare al­l’unisono. Seduzione e malia cedono il passo a scherzo e divertimento. Ma la presenza del­l’arpa in mano a un Tritone non è  il solo elemento innovativo e  provocatorio del­ l’opera: il cielo giallognolo, tendente al rosato, che si rispecchia nelle acque ferme, è  l’ennesima negazione del classicismo rinascimentale e  poi winckelmanniano, con i  suoi Parnasi stagliati contro un cielo perennemente azzurro. Gli dèi del­l’Olimpo sono stati esiliati: ma il grande dio Pan, e gli altri personaggi che nella tradizione classica popolano e  animano la natura, sono ancora vivi e vitali.

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Abstracts Come è  noto, il pittore simbolista elvetico Arnold Böcklin (18271901), era fortemente interessato a temi derivanti dalla mitologia greca classica. Il classicismo di Böcklin risulta tuttavia atipico, perfino irriverente: il pittore infatti privilegia Pan, dio delle selve e del flauto, rispetto ad Apollo, dio citaredo e Musagete. Non è da escludere che l’interpretazione böckliniana del­l’agone Apollo /Pan risenta del­l’orientamento pedagogico predominante in Svizzera ai tempi del pittore, e fondato su una concezione ‘democratica’ del­l’istruzione. 498

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As it is well known, Swiss symbolist painter Arnold Böcklin (18271901) was deeply interested in themes deriving from ancient Greek mythology. Anyway, the so-called ‘classicism’ of   Böcklin is something really original and even irriverent. The painter gives a far more important role to Pan, the god of  woods and flute, in comparison with Apollon, the god of   kythara and leader of   the Muses. We can assume that Böcklin’s interpretation was inspired by the paedagogical trend that was prevailing in Switzerland at that time, and was based on a ‘democratic’ idea of  education.

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Figura 1 Arnold Böcklin, Pan nel canneto, olio su tela, 200×253 cm. München, Neue Pinakothek

Figura 2 Arnold Böcklin, Idillio (Pan fra le colonne), 1875. Olio su tela, 62,7×50,2 cm. München, Bayerische Staatsgemaeldesammlungen. Copyright: bpk / Bayerische Staatsgemäldesammlungen

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Figura 3 Arnold Böcklin, Ninfa con il flauto (Flötende Nymphe), 1881. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum. Fotografia: Wolfgang Fuhrmannek, Hessisches Landesmuseum Darmstadt

Figura 4 Arnold Böcklin, Pan in una danza con i fanciulli, 1884. Essen, Wolkfang Museum. Copyright: Peter Horree / Alamy Stock Photo

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Figura 5 Arnold Böcklin, Euterpe, 1872. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum. Copyright: bpk / Hermann Buresch

Figura 6 Arnold Böcklin, Saffo, 1862, Philadelphia, Philadelphia Museum of  Art, John G. Johnson Collection, Cat. 898. Copyright: bpk / Philadelphia Museum of Art / Art Resource, NY

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Figura 7 Arnold Böcklin: Ulisse e Calipso, 1882. Basel, Kunstmuseum ‹http://sammlungonline.kunstmuseumbasel.ch/eMuseumPlus?id=691›, ultimo accesso 12/3/2018

Figura 8 Arnold Böcklin, Sirene, 1875. Tempera su tela, 49×31 cm. Berlin, Alte Nationalgalerie. Copyright: bpk / Nationalgalerie, SMB / Andres Kilger

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Figura 9 Arnold Böcklin, Concerto marino (1883). Tavola, 86,5×115 cm. Joseph Winterbotham Collection, 1990.443. Chicago (IL), Art Institute of Chicago. © 2018. The Art Institute of Chicago / Art Resource, NY/ Scala, Florence

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BIANCAMARIA BRUMANA Università di Perugia

LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER: SCHIZZI INEDITI DEI COSTUMI PER L’ALLESTIMENTO PARIGINO DEL 1895

L’ideale classico degli agoni poe­tico-musicali disputati nella Grecia antica ha attraversato la cultura occidentale dal Medioevo al  pieno Ottocento e  oltre, rappresentando un modello insosti­ tuibile nel­l’esercizio delle arti. Il periodo più appropriato per una rinnovata frequentazione del mondo classico è, indubbiamente, il Rinascimento – basti ricordare la tavoletta del Perugino commissionata al­l’artista da Lorenzo Il  Magnifico che rappresenta la mitica contesa tra Apollo e Marsia 1. Ma già nei primi secoli del secondo millennio la consuetudine delle tenzoni poe­tico-musicali si diffuse parallelamente alla lirica cortese dei trovatori, espressione di un modo di vivere raffinato ed esclusivo. Nella seconda metà del Duecento i trovieri delle ricche zone del­l’Artois e della Piccardia erano soliti indire ogni anno gare poe­tico-musicali che si svolgevano nei puys, una specie di accademie ante litteram. La forma più diffusa era il jeu-parti, nel quale i  due concorrenti dovevano cimentarsi a sviluppare ognuno la casistica di un argomento proposto, dando prova della loro capacità di improvvisazione poe­tica e musicale ma anche della loro perizia dialettica. Nella prima strofa veniva posto un dilemma – di solito una questione d’amore come, ad esempio, se è meglio corteggiare una donna con belle parole o con ricchi doni – e, mentre nelle strofe pari uno dei partenaires   Il dipinto del Perugino, conservato al Louvre e noto con il titolo di Contesa tra Apollo e  Marsia, potrebbe anche rappresentare Apollo e  Dafni, il giovane pastore morto d’amore per il dio. Il personaggio che suona il flauto, infatti, non ha l’aspet­to di un satiro e la scena è pervasa da uno spirito bucolico. Si veda in proposito la scheda del museo. 1

10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115179

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sosteneva una tesi, nelle strofe dispari l’altro interlocutore doveva difendere la tesi opposta. Alla fine uno o più giudici esprimevano la loro valutazione e il vincitore veniva incoronato 2. La miniatura del jeu-parti Adan s’il estoit ensi (RS 1026) presente nel manoscritto Fond Français 25566 della Bibliothèque Nationale de France mostra i due protagonisti, Jean Bretel e Adam de la Halle, nei quali la vivacità della discussione è resa dalle grandi mani in movimento che contrastano con la compostezza delle tuniche simili a colonne slanciate 3. 1.  Alle tenzoni del Medioevo – ed in particolare alla tradizione alto tedesca dei Minnesänger, i trovatori del­l’area germanica – si ispira la celebre scena della contesa dei cantori del Tannhäuser di Wagner, che tornò sul tema della gara canora anche più tardi con Die Meistersinger von Nürnberg, creando una immagine quanto mai movimentata della Norimberga rinascimentale e  delle sue corporazioni di maestri cantori ossessionati dal­l’osservanza delle regole. Nel Tannhäuser la tenzone nella sala del castello della Wartburg si trova al centro del­l’opera (nella quarta scena del II atto) come ideale punto di snodo tra il mondo di Venere del I atto e il ritorno dal pellegrinaggio del III atto. Essa compare nel titolo completo del­l’opera – Tannhäuser und der Sängerkrieg auf Wartburg – a testimonianza delle due leggende principali alle quali il musicista attinse 4. Tannhäuser è  un personaggio realmente vissuto nel XIII secolo. Era un cavaliere che partecipò alla seconda crociata (12281229) ma anche uno degli ultimi Minnesänger del quale ci sono pervenute alcune composizioni poe­tiche che narrano di avventure e di imprese amorose in maniera brillante e disinvolta. Secondo la leggenda, durante i suoi viaggi in oriente avrebbe scoperto il Venusberg, il mondo sotterraneo di Venere, dove si trattenne per un anno, ma poi, sazio di voluttà, si pentì e si recò in pellegrinaggio a Roma per chiedere perdono al Papa. Costui gli oppose un rifiuto dicendo che sarebbe stato più facile veder fiorire il suo pastorale piuttosto che ottenere l’assoluzione da peccati così gravi. Dopo alcuni giorni il bastone fiorì miracolosamente e  il papa mandò   Brumana 1975-1976, 509-572.   Paris, Bibliothèque Nationale de France, MS F. Fr. 25566 (MS W), c. 23v, consultabile su Gallica. 4  Cfr. Ferlan 1984; Pucher 1984. 2 3

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a cercare Tannhäuser che però, deluso, era tornato tra le braccia di Venere morendo dannato. Q uesto mito, particolarmente diffuso nei paesi di lingua tedesca, recepisce elementi della tradizione classica attribuendo a  Venere caratteristiche della ninfa Calipso e della maga Circe e al tempo stesso rappresenta una critica alla chiesa romana e alla sua mancanza di misericordia. L’altra fonte letteraria è costituita dalla narrazione di un torneo poe­tico che si svolse alla corte del langravio di Turingia intorno al 1205. Ad esso parteciparono un gruppo di Minnesänger, Walther von der Vogelweide, Biterolf, Heinrich Schreiber, Reinmar von Zweter e Wolfram von Eschenbach che risultò il vincitore ottenendo in sposa la nipote del signore. Una terza vicenda confluita nel­l’opera è quella di S. Elisabetta d’Ungheria che rinunciò alla sua esistenza per condividere la sorte dello sposo morto in viaggio per la Terrasanta. L’unione di queste leggende è una creazione di Wagner al fine di introdurre nel­l’opera l’elemento drammatico di un amore impossibile e  contrastato. Tannhäuser è  posto al  centro di un triangolo affettivo tra Venere ed Elisabetta, tra l’amore profano e sensuale della divinità pagana e l’amore sacro e spirituale della castellana di Turingia. Dalla mescolanza di storia e fantasia deriva un soggetto simbolico, in cui il dissidio tra anima e  corpo si risolve con la redenzione grazie al sacrificio di Elisabetta che incarna l’idea­le romantico di amore e morte. L’azione è pressocché inesistente e il dramma procede lentamente. Wagner tornò ripetutamente sulla partitura del Tannhäuser apportando ogni volta modifiche di maggiore o  minore entità senza tuttavia giungere ad una stesura definitiva e per lui soddisfacente di questa sua opera giovanile particolarmente amata. Il 23 gennaio 1883, ventisei giorni prima della morte, confessava a Cosima di essere rimasto debitore al mondo del Tannhäuser 5. Semplificando e un po’ impropriamente, si parla di due versioni del­l’opera, la versione di Dresda e quella di Parigi, ma il processo compositivo fu molto più complesso e  riconducibile a  quattro fasi 6. La prima comprende il lavoro fino alla prima rappresenta  Wagner 1979, 490: «Il dit qu’il doit encore au monde Tannhäuser».  Deathridge et alii 1986, 257. La complessità delle redazioni del Tannhäuser emerge anche da un semplice dato numerico. Nel citato catalogo delle opere 5 6

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zione di Dresda del 19 ottobre 1845, preceduta da una edizione della partitura di C.  F. Meser in una quantità limitata di esemplari. La seconda include le modifiche introdotte in occasione di varie riprese del­l’opera documentate nel­l’edizione del 1860 che va sotto il nome di ‘Versione di Dresda’ e curata sempre da C. F. Meser. La terza fase riguarda la preparazione del­l’allestimento in lingua francese per l’Opéra di Parigi, della prima del 13 marzo 1861 e delle due repliche del 18 e del 24 marzo. La quarta fase si riferisce alle revisioni per le rappresentazioni di Monaco del 1867 e di Vienna del 1875 che, unitamente alle varianti parigine, trovano spazio nel­l’edizione berlinese di Fürstner degli anni ’80 che va sotto il nome di ‘Versione di Parigi’ per la quale non fu approntata alcuna edizione a stampa. Le differenze tra la versione di Dresda e quella di Parigi nella tenzone dei cantori della quarta scena del II atto riguardano la successione e il numero degli interventi dei cavalieri. L’ordine delle esibizioni di Dresda era: Wolfram – Tannhäuser Walther – Tannhäuser Biterolf  – Tannhäuser Wolfram – Tannhäuser.

Nella versione di Parigi è  soppresso il primo intervento di Tannhäuser e  quello di Walther. Di conseguenza lo schema diventa il seguente con il nuovo primo Lied di Tannhäuser che fonde elementi musicali delle repliche a  Wolfram e  a Walther della stesura di Dresda: Wolfram – Tannhäuser Biterolf  – Tannhäuser Wolfram – Tannhäuser.

La struttura di Parigi è più sintetica e sembra più vicina a quella dei jeux-partis medievali che prevedevano botta e risposta tra due soli partenaires. La supremazia del protagonista che a  Dresda si opponeva a tre rivali (Biterolf  ne biasima l’arroganza da tutti condi Wagner, a  questa opera, rimasta nel giudizio del­l’autore incompiuta, sono dedicate quaranta pagine, mentre l’intera tetralogia non ne occupa più di sessanta. Si veda anche Hopkinson 1973.

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tro uno, «Heraus zum Kampfe mit uns allen») è qui ridimensionata con Tannhäuser che contrasta Wolfram e Biterolf. La gara canora è preceduta da una marcia dei cavalieri e degli altri invitati che invadono progressivamente la scena con un incedere nobile e  grandioso. Nella sua Comunicazione ai  direttori e agli interpreti del­l’opera Wagner precisa che l’ingresso nella sala del castello non deve essere realizzato con il coro e i figuranti che sfilano a coppie militarmente ordinate. Se si sceglie una soluzione scenica di questo tipo – prosegue Wagner – si faccia suonare al­ l’orchestra qualche marcia da Norma o  da Belisario, ma non la sua musica. Se invece si desidera mantenere ciò che lui ha scritto, l’entrata degli ospiti imiti nel suo disordine la vita reale. Q uanto più i gruppi di persone che entrano saranno sparpagliati, tanto più affascinante sarà l’effetto 7. Il coro che rende omaggio al  nobile consesso e  al langravio è costruito su tre temi musicali. Il primo anticipa la solennità del­ l’ouverture dei Meistersinger von Nürnberg. Il secondo con il suo disegno ritmico in croma puntata-semicroma evoca l’elemento cavalleresco, scandendo la marcia in modo inappuntabile. Il terzo, più perentorio e con gli accenti sulle singole note, si presta bene ad essere ripreso dalla sola sezione maschile del coro.

7  Lo scritto, del 1852, è edito in Wagner 1907, 123-159. Per la traduzione italiana cfr. Wagner 2011, 80-90.

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Dopo l’annuncio del langravio ha inizio la gara. Il primo cantore sorteggiato per l’esibizione è  Wolfram von Eschenbach, colui che la storia ci dice aver soggiornato più volte alla Wartburg e del quale ci è pervenuto il romanzo di Parsifal. Il suo intervento ha le caratteristiche del­l’improvvisazione. Gli arpeggi dello strumento con il quale si accompagna (l’arpa appunto) si alternano alla voce che esordisce in stile recitativo; l’orchestra è ridotta al­l’essenziale con lunghi accordi di sapore palestriniano; il ritmo è lento e tutto contribuisce a creare un clima mistico e contemplativo dalla tinta uniforme. Wolfram celebra un amore puro e  devoto, nel quale l’omag­gio alla donna amata si identifica quasi con l’adorazione della Vergine. Verso di lei il cavaliere osa appena alzare lo sguardo e per lei darebbe in sacrificio fino al­l’ultima goccia del suo sangue. Nella sua replica Tannhäuser accusa Wolfram di freddezza ed esalta per contrasto un amore ardente che coinvolge l’essere nella sua interezza e che non potrebbe esistere senza la gioia dei sensi. Il canto di Tannhäuser è tumultuoso e sgorga ‘tutto di un fiato’ unitamente a  qualche reminiscenza del motivo del Venusberg. L’uditorio che aveva espresso la sua approvazione per il Lied di Wolfram è ora in agitazione, e dà l’avvio ad una sezione caratterizzata da un ampio crescendo drammatico e musicale che culminerà nella dichiarazione profanatoria e scandalosa di Tannhäuser. I sentimenti degli astanti sono recepiti nel breve e rude intervento di Biterolf  dal carattere militaresco. Egli disprezza l’orgoglio di Tannhäuser che ha osato infrangere le leggi della cavalleria e  lo sfida a  duello. Costui risponde alla provocazione e  con impeto crescente accetta di battersi, ma il langravio impone la pace. Wolfram innalza la sua preghiera al cielo affinché l’amore peccaminoso sia bandito da quella adunanza di persone nobili e pure. Tannhäuser allora esplode in un inno a Venere ed esorta gli altri cavalieri a recarsi alla montagna della dea dove lui ha potuto conoscere il vero amore. A questa dichiarazione si scatena un tumulto generale e Tannhäuser sta per essere ucciso. Elisabetta intercede per lui in nome della misericordia divina e sarà lei a sacrificarsi per la redenzione del peccatore. La gara dei cantori evocata nel Tannhäuser trae dunque le sue origini dai jeux-partis del XIII secolo. Il  dilemma tra un amore spirituale ed uno carnale poteva ben rientrare nella casistica delle corti d’amore del Medioevo e  le tesi opposte si prestavano ad 510

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essere sostenute dai due interlocutori, come di fatto sono Wolfram e Tannhäuser dal momento che Biterolf  riveste il ruolo di giudice anticipando nel suo intervento la sentenza finale. Rispetto a queste fonti remote, però, nel­l’opera di Wagner non si riscontra il gusto per la discussione sofistica, il piacere per il dibattito acceso che nondimeno si esaurisce nel gioco letterario e musicale. Dalla finzione si è passati ad un dramma romantico dalle tinte forti e a conclusione della gara non c’è la corona per il vincitore e l’umiliazione per colui che ha perso. Costui si ribella al giudizio e fa sentire forte la sua voce fino ad infrangere le regole del gioco stesso e per questo deve essere eliminato. A nulla sono valse le minacce di Biterolf  e l’invito al ravvedimento di Wolfram, e Tannhäuser diventa l’eroe romantico la cui diversità (o difformità morale) sarà espiata con il sacrificio di Elisabetta. 2.  Nella concezione wagneriana del­l’opera d’arte totale, la Gesamtkunstwerk, ogni elemento della rappresentazione è  fondamentale. Il testo, la musica, la danza, la recitazione e tutto ciò che attiene alla messinscena deve concorrere a creare la magia archetipica e catartica del­l’opera. Per questo Wagner desiderava seguire personalmente tutti gli aspetti del­l’allestimento delle sue opere e nella Comunicazione ai direttori e agli interpreti del Tannhäuser dice di essersi risolto a  scrivere queste raccomandazioni per ovviare almeno in parte al­l’impossibilità da parte sua di partecipare alle riprese del­l’opera che vari teatri avevano intenzione di mettere in scena 8. I costumi hanno un impatto minore sullo spettatore rispetto alle scene, ma contribuiscono nondimeno a definire i personaggi, la loro importanza nella vicenda e il loro carattere anche attraverso una simbologia che, pur ispirandosi alla realtà degli abiti di un’epoca, ne costituisce una rilettura d’arte 9. Da quando, agli inizi del­l’Ottocento, si cominciò a diffondere il gusto del recupero storico-filologico dei costumi e, parallelamente, si perse la consuetudine di lasciare ai singoli cantanti la scelta del proprio guardaroba (circostanza questa che poteva produrre incongruenze assurde paragonabili a quelle linguistiche del­l’opera-Babele), il ruolo del­   Wagner 2011, 80-81.   Per approfondimenti su vari aspetti del costume teatrale cfr. De Lucca 2014.

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l’ideatore dei costumi creati appositamente per uno spettacolo è diventato fondamentale nel mondo del­l’opera. Abilissimi disegnatori redigevano per i più importanti teatri, ed in particolare per l’Opéra di Parigi, centinaia di figurini anche per una sola rappresentazione, incrementando un patrimonio che nel tempo è divenuto imponente e prezioso 10. L’edizione parigina del Tannhäuser fu messa in scena per ordine del­l’imperatore Napoleone III su consiglio della principessa Pauline de Metternich moglie del­l’ambasciatore d’Austria a Parigi e così Wagner poté disporre di tutti i mezzi per realizzare uno spettacolo di qualità eccelsa nel prestigioso teatro francese. Subito, però, iniziarono le ostilità degli oppositori del regime imperiale che trovavano inaccettabile la rappresentazione del­l’opera di un compositore tedesco per volere del sovrano. Ma anche i sostenitori del­l’impero guardavano con sospetto i trascorsi rivoluzionari di Wagner. La critica musicale parigina, inoltre, si era da tempo mostrata impietosa nei riguardi della sua musica con scritti di Fétis prima e  di Berlioz poi. I  problemi aumentarono notevolmente durante le ben 164 prove. Le difficoltà della traduzione del libretto, la necessità di adeguarsi alle consuetudini teatrali francesi che richiedevano la presenza di un balletto nel II atto (Wagner invece inserì il baccanale nel I  atto), le continue rielaborazioni, i dissapori con il direttore d’orchestra e con i  musicisti, l’atteggiamento del compositore giudicato troppo orgoglioso crearono un clima particolarmente teso. Alla prima rappresentazione del 13 marzo 1861 l’accoglienza fu tiepida e, nonostante alcuni aggiustamenti introdotti per le repliche del 18 e del 24 marzo, l’opera cadde miseramente e non fu più data sulle scene del­l’Opéra fino al 1895 11. In effetti, al di là delle vicende del Tannhäuser, la for10  Bignami 2012, ed in particolare il capitolo dedicato a L’Ottocento neoclassico e romantico, 141-167. 11  La terza ed ultima rappresentazione fu interrotta dal rumore dei fischietti degli spettatori dissidenti (cfr. Jost 1984). Su questa prima edizione parigina del­ l’opera esiste una bibliografia amplissima, a  partire dagli scritti dei contemporanei. Ricordiamo Baudelaire 1976, Servières 1895; Abbate 1983, Fauser 2009, Rubercy 2012 nel quale è ripubblicata anche la lettera di Wagner sul­l’esito della rappresentazione. In occasione della ripresa del 1895 si segnala l’ampia recensione di Pougin 1895 e  una dettagliata analisi del­l’opera di Ernst – Poirée 1895. Di notevole interesse anche le pagine di Liszt che aveva diretto l’opera a Weimar nel 1849: Liszt 1989, 2013.

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tuna di Wagner in Francia fu piuttosto modesta nel­l’Ottocento e dopo l’esito della guerra franco-prussiano del 1870 la maggior parte dei francesi vedeva in lui il rappresentante di una nazione nemica e il musicista in grado di corrompere gli ascoltatori con le sue sonorità malsane. A Wagner si preferiva Verdi. La wagnerofobia toccò il fondo negli anni ’80 per regredire progressivamente e cedere il posto a quella che nel Novecento divenne, passando agli estremi opposti, una vera wagneromania 12. Dopo l’esito positivo riportato dal Lohengrin nel 1891, l’allora direttore del­l’Opéra Pedro Gailhard decise di far entrare nel repertorio del teatro anche Die Walküre e Die Meistersinger von Nürnberg. Sottopose il progetto a Cosima Liszt che lo accettò ed ottenne al tempo stesso la ripresa del Tannhäuser. Q uesta rappresentazione postuma del­l’opera, rea­lizzata sotto la supervisione di Cosima che rimase a lungo l’uni­ca depositaria delle volontà del marito, fu un grande successo, tanto vero che le scene e i costumi del­l’edizione del 1895 furono utilizzati per 339 riprese fino al 1959, divenendo l’immagine tipo del­l’opera 13. Le scene di Amable, Jambon e Carpezat del 1895 non si discostano nella sostanza da quelle realizzate nel 1861 da vari artisti tra i quali Despléchin che aveva già collaborato alla prima di Dresda del 1845 (si veda come esempio la scena del castello, Figg. 1-2) 14; mentre i costumi creati da Charles Bianchini per la ripresa al Palais Garnier sono molto diversi da quelli di Alfred Albert per l’Opéra di rue Le Peletier (si veda come esempio il costume di Tannhäuser, Figg. 3, 5) 15. Di particolare interesse risulta pertanto il ritrovamento di una serie di schizzi di Bianchini che messi a confronto con le maquettes conservate alla Bibliothèque Musée de l’Opéra e  con alcune foto d’epoca permettono di seguire il processo di   Kahane – Wild 1983, 47-48, Kahane 1992.   Auclair 2013. 14 Per le caratteristiche e  i meccanismi della scenografia teatrale del­ l’Ot­ tocento e del­l’Opéra di Parigi in particolare cfr. Bablet 1965, Join-Diéterle 1988, Join-Diéterle et alii 2012. 15   I costumi disegnati da Albert erano costati più di 50.000 franchi. Per questo, dopo le tre rappresentazioni del Tannhäuser, la direzione del teatro, per utilizzarli, commissionò a Mélesville e Alary la composizione, rispettivamente, di testo e musica di un’opera che si svolgeva nella Germania del Medioevo e nella quale il personaggio principale era un langravio di Turingia. Con il titolo di La voix humaine, l’opera andò in scena il 30 dicembre 1861 (Wild 1987). 12 13

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produzione dei costumi dal­l’idea iniziale alla realizzazione sulla scena. Charles Bianchini, nato a Lione verso il 1860, si trasferì a Parigi dove divenne uno dei più famosi costumisti di teatro e dove morì il 3 marzo 1905 16. Dal 1883 fu disegnatore al­l’Opéra, ma lavorò anche per l’Opéra-comique, per la Comédie française e per altri teatri. Alla fine del 1896 assunse la direzione artistica del­ l’Eldorado inaugurato nel febbraio dello stesso anno e chiuso poco dopo nel maggio del 1897 17. Gli studi di Nicole Wild unitamente alle tante immagini ora reperibili su Gallica ci danno un’idea della grande quantità di figurini prodotti da Bianchini. Ci sono, in primo luogo, opere di autori francesi: Berlioz, Thomas, Gounod, Bizet, Saint-Saëns, Massenet con le prime di Esclarmonde (1889), Thaïs (1894) e  Cendrillon (1899), Charpentier con la Louise (1900) e  Debussy con il Pelléas et Mélisande (1902). Ma anche Meyerbeer, il compositore tedesco attivo soprattutto in Francia; gli italiani Donizetti, Verdi, Puccini, Leoncavallo; e  storiche riprese di Mozart e di Gluck, il grande riformatore del­l’opera del Settecento del quale mise in scena tra il 1900 e il 1905 Ifigénie en Tauride, Alceste, Armide, Orphée et Euridice. Per quanto riguar­da Wagner, Bianchini disegnò i  costumi di Lohengrin (1887 18 e 1891), La Walkyrie (1893), Tannhäuser (1895), Les  maîtres chanteurs (1897), Siegfried (1901/2), Tristan et Isolde (1904), Le vaisseau fantôme (1904), tutte prime parigine ad eccezione del Tannhäuser e  del Vaisseau fantôme. I  soggetti delle opere da lui illustrate sono i più vari: da quelli esotici e fantastici a quelli collocati nel mondo classico e barbarico, da quelli ambientati nella storia lontana del Medioevo e  del Rinascimento a  quelli che si riferiscono alle vicende del Sette e Ottocento 19. Le maquettes dei costumi del Tannhäuser del 1895 si trovano alla Bibliothèque Musée del­l’Opéra. Sono novantacinque fogli di 22,5/33 cm. di altezza per 9,5/25 cm. di larghezza che conten-

  Wild 1993, 284; La revue universelle, Paris 1905, 218.   Wild 2012, 128. 18  Alcuni costumi di questa edizione del Lohengrin andata in scena al­l’Éden – Théâtre il 3 maggio 1887 furono pubblicati nella rivista Le costume au théâtre et à la ville, n. 7 del 15 maggio 1887 e n. 8 del 22 maggio 1887. Cfr. Simon 2015. 19   Wild 1987, 1993, Wild – Charlton 2005, Wolff  1962. 16 17

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gono cento disegni a penna e acquarello 20. Ad essi si aggiungono ora quaranta schizzi a penna e acquarello inseriti in una tavola di cartone che ne racchiude complessivamente ottantadue. 21 Sulla tavola che misura 60 cm. di altezza per 40 cm. di larghezza sono state incollate undici strisce di carta di 6,5/10 cm. di altezza per 19,5/29,5 cm. di larghezza, disposte in sette file sovrapposte. Ogni striscia contiene da sei a undici piccoli disegni redatti con la precisione della miniatura e  la vivacità del movimento. I  quaranta figurini del Tannhäuser occupano cinque strisce (dalla 2 alla 7) che recano in alto a sinistra il titolo del­l’opera. Una striscia della tavola è andata perduta (è rimasto uno spazio vuoto tra le bande 5 e 6) e di conseguenza i disegni per il Tannhäuser dovevano essere quarantasei o quarantasette. Riportiamo di seguito la corrispondenza degli schizzi con i numeri dei disegni alla Bibliothèque Musée del­l’Opéra: Striscia 2: n. 44, 51, 52, 53, 54, 59 Striscia 3: n. 89, 90, 91, 68, 57, 94 (con due costumi) Striscia 4: n. 2, 10, 23, 21, 24, 25, 26 Striscia 5: n. 49, 64, 65, 45, 46, 48, 34 Striscia 6: n. 5, 6, 7, 12, 13, 17 (Figg. 7, 11, 17, 21, 4) Striscia 7: n. 27, 29, 30, 31, 32, 33, 39.

La striscia 8 reca il titolo del­l’opera Richard en Palestine di Adolphe Adam e contiene la copia di sei costumi approntati da Paul Lormier per la prima andata in scena nella sala di rue Le Peletier il 7 ottobre 1844 22. Le strisce 9-11, senza titolo, recano gli abbozzi di ventinove costumi che dai nomi dei personaggi risultano essere relativi al  dramma storico di Victor Hugo Les burgraves rappresentato per la prima volta alla Comédie française il 7 marzo 1843. L’indicazione ‘Dessiné en 1878 ou 79’ aggiunta a matita in calce alla striscia 9 fa pensare che si tratti di un’opera giovanile di Bianchini, anteriore al­l’inizio della sua collabora20   La collocazione dei disegni del Tannhäuser del 1895 alla Bibliothèque Musée del­l’Opéra di Parigi è D216-50 (B, 1-95). Tutte le immagini sono reperibili su Gallica. Il disegno n. 94 presenta due personaggi; i disegni n. 98 e 99 tre. 21  La suddetta tavola, acquistata sul mercato antiquario, si trova ora a Perugia nella Collezione privata di Biancamaria Brumana. 22 Le maquettes dei sei costumi sono tuttora conservate alla Bibliothèque Musée del­l’Opéra con la collocazione D216-15 (43-48) e consultabili su Gallica.

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zione con l’Opéra, come sembrano confermare le caratteristiche dei disegni dal tratto molto più minuto e controllato rispetto alla scioltezza delle produzioni successive. La striscia 1, analogamente senza titolo, presenta sette costumi per un’opera non identificata di soggetto medievale in cui compaiono i nomi dei personaggi Garin e Thebaut. Q uesta tavola autografa di Bianchini, dunque, raccoglie tutte opere ambientate nel Medioevo e  sembra essere un importante strumento di lavoro nel quale l’artista poteva avere una visione d’insieme dei costumi di un’opera e disporre al tempo stesso di opportuni esempi ai quali attingere, propri e altrui. Un’altra striscia con sette schizzi sempre di Bianchini è relativa alla prima del­ l’opera Ascanio di Camille Saint-Saëns data al­l’Opéra il 21 marzo 1890 e probabilmente faceva parte di un’altra tavola di lavoro con costumi rinascimentali 23. Lo studio degli abbozzi relativi al Tannhäuser messi a confronto con le maquettes della Bibliothèque Musée del­l’Opéra e con alcune foto d’epoca 24 ha reso possibile verificare che la maquette n. 37 non appartiene al  Tannhäuser, ma rappresenta il personaggio Lendric interpretato da M.  Ballard nel­l’opera Frédégonde di Saint-Saëns creata al­l’Opéra il 18 febbraio 1895 sempre con costumi di Bianchini. Inoltre, sono stati individuati i nomi di gran parte dei personaggi e, grazie a delle frecce presenti negli schizzi, i cantori sono stati collegati con il proprio paggio che indossava un costume affine. In questa sede ci soffermeremo sui costumi dei sei cantori (i cui schizzi sono tutti raffigurati nella striscia 6) e dei loro paggi, presentando in successione, in alcuni casi a titolo di esempio, abbozzo, maquette e foto (Figg. 4-22). Rispetto alle maquettes di dimensioni più grandi e di conseguenza più ricche di dettagli non si nota nessuna differenza sostanziale, neanche nel modo in cui i personaggi sono atteggiati, a  testimonianza di un modo di lavorare privo di 23  Anche la striscia con i figurini del­l’opera di Saint-Saëns si trova a Perugia nella Collezione privata di Biancamaria Brumana. Le maquettes dei sette costumi sono conservate alla Bibliothèque Musée del­l’Opéra con la collocazione D216-45 (2-68) e consultabili su Gallica. Cinque tavole con costumi del­l’Ascanio furono pubblicate nel numero monografico dedicato a  quest’opera della rivista Le costume au théâtre, anno 4, 1890, n. 10, livraison 43. 24  Una serie di diciotto foto realizzate nel 1895 dallo studio Benque di Parigi in 33 rue Boissy sono in vendita presso l’antiquario Tamino Autographs di New York. Altre sono reperibili su Gallica.

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LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER

ripensamenti e chiaro fin dalla sua ideazione. C’è solo una variante nel colore degli abiti di alcuni cantori. Nelle maquettes (che verisimilmente rispecchiano le scelte più vicine alla realizzazione dello spettacolo) i tre cantori coinvolti nella contesa (Tannhäuser, Wolfram e  Biterolf) indossano rispettivamente un costume bianco, uno rosso e uno verde. Certo, il bianco di Tannhäuser fa pensare ad un eroe dai sentimenti puri ed assoluti, quale il protagonista non è affatto al momento della gara, ma forse, oltre a far risaltare la sua figura sulla scena, ne anticipava la redenzione. Il rosso di Wolfram evoca sentimenti accesi che non caratterizzano il cavaliere accusato da Tannhäuser di freddezza. Mentre il duro Biterolf ha un costume verde. Negli schizzi, invece, il nome di Wolfram (l’unico ad essere annotato) è posto sotto il costume verde, colore più adatto del rosso a  rendere le capacità di autocontrollo del personaggio; e  il rosso passa di conseguenza a Biterolf che ha la funzione di un censore autorevole. In sostanza il cromatismo iniziale si adatta meglio al carattere dei personaggi rispetto alle scelte successive suggerite probabilmente da esigenze di visibilità scenica. E tale interpretazione sembra confermata da altri dettagli. Negli schizzi i tratti del volto non sono delinea­ti, ma tutti i cantori sono imberbi ad eccezione di Biterolf con il costume rosso che risulta dunque più attempato ed autorevole degli altri. Nelle maquettes i  cavalieri sono uniformemente dotati di lunghe capigliature, di barbe e di baffi che annullano qualsiasi individuazione del personaggio, rendendo meno significativa la scelta dei colori del loro abito. Solo in Tannhäuser si coglie l’afflato del­l’ispirazione poe­tica nella tensione verso l’alto del volto, dello sguardo e del braccio destro che aziona le corde del­ l’arpa. Tannhäuser è anche l’unico cavaliere la cui nobiltà si evince dallo stemma con una triplice mezzaluna calante su fondo rosso (Fig. 5) che compare anche sulla borchia del mantello del suo paggio (Fig. 10). I colori degli altri costumi (celeste per Reinmar, viola per Walther, bianco e  giallo per Heinrich) completano la variopinta scena del castello medievale. Le foto, quantunque preziose anche per l’identificazione dei personaggi, mostrano in linea di massima lo scarto tra la visione ideale del costume e la sua realizzazione pratica con la necessità di adattarsi al fisico dei singoli cantanti e con il rischio, talvolta, di banalizzare o addirittura ridicolizzare scelte importanti, come spesso ebbe a lamentare lo stesso Wagner. 517

B. BRUMANA

Bibliografia Abbate 1983  = C.  Abbate,  The Parisian Venus and the Paris «Tannhäuser»,  Journal of   the American Musicological Society 36, 1983, 73-123. Auclair 2013 = M. Auclair, «Tannhäuser» 1861, in Verdi, Wagner et l’Opéra de Paris, Paris 2013, 103-109. Bablet 1965  = D.  Bablet, Esthétique générale du décor du théâtre de 1870 à 1914, Paris 1965. Baudelaire 1976 = Ch. Baudelaire, Richard Wagner et «Tannhäuser» à Paris, in Œuvres complètes, II, Paris 1976, 779-815. Bignami 2012 = P. Bignami, Storia del costume teatrale, Roma 2012. Brumana 1975-1976  = B.  Brumana, Le musiche nei «jeux-partis» francesi, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia del­l’Università degli Studi di Perugia 13, 1975-1976, 509-572. Deathridge et alii 1986 = J. Deathridge – M. Geck – E. Voss, Wagner Werk-Verzeichnis (WWV). Verzeichnis der musikalischen Werke und ihrer Q uellen, Mayence 1986. De Lucca 2014 = V. De Lucca (a cura di), Fashioning Opera and Musical Theatre: Stage Costumes from the Late Renaissance to 1900, Atti online del Convegno internazionale di studi 29 marzo-1 aprile 2012, Isola di S. Giorgio Maggiore-Venezia, Venezia 2014. Ernst – Poirée 1895 = A. Ernst – É. Poirée, Étude sur «Tannhäuser» de Richard Wagner: analyse et guide thématique, Paris 1895. Fauser 2009  = A.  Fauser, Cette musique sans tradition: Wagner’s «Tannhäuser» and its French Critics, in Music, Theater, and Cultural Transfer: Paris 1830-1914, a cura di A. Fauser e M. Everist, Chicago 2009, 228-255. Ferlan 1984 = F. Ferlan, Les sources littéraires, in Wagner: «Tannhäuser», L’avant-scène opéra 63-64, 1984, 92-99. Hopkinson 1973 = C. Hopkinson, «Tannhäuser»: an Examination of  36 Editions, Tutzing 1973. Join-Diéterle 1988 = C. Join-Diéterle, Les décors de scène de l’Opéra de Paris à l’époque romantique, Paris 1988. Join-Diéterle et alii 2012  = C.  Join-Diéterle – C.  Coutin – M.  Auclair et alii (a cura di), L’envers du décor à la Comédie-Française et à l’Opéra de Paris au XIXe siècle, catalogo della mostra, Moulins, Centre National du costume de scène et de la scénographie, Moulins – Montreuil 2012. Jost 1984  = P.  Jost, L’histoire des représentations de «Tannhäuser» à Paris en 1861, in Wagner: «Tannhäuser», L’avant-scène opéra 63-64, 1984, 104-111. 518

LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER

Kahane 1992  = M.  Kahane, Les avatars wagnériens de la revanche (1887-1891), in Wagner: «Lohengrin», L’avant-scène opéra 143144, 1992, 169-172. Kahane – Wild 1983 = M. Kahane – N. Wild, Wagner et la France, Paris 1983. Liszt 1989  = F.  Liszt, Lohengrin et Tannhäuser de Richard Wagner, in Sämtliche Schriften, IV, a cura di R. Kleinertz, Wiesbaden 1989. Liszt 2013  = F.  Liszt, Trois opéras de Richard Wagner considerées de leur point de vue musical et poétique: «Tannhäuser», «Lohengrin», «Le vaisseau fantôme», a cura di N. Dufetel, Arles 2013. Pougin 1895 = A. Pougin, Tannhäuser, Le Menestrel, anno 61, n. 20 del 19 maggio 1895, 153-156. Pucher 1984 = G. Pucher, La réalité historique et littéraire des person­ nages, in Wagner: «Tannhäuser», L’avant-scène opéra 63-64, 1984, 84-91. Rubercy 2012  = E.  de Rubercy (a cura di), La controverse Wagner: «Tannhaüser» à Paris en 1861, Paris 2012. Servières 1895 = G. Servières, «Tannhäuser» à l’Opéra en 1861, Paris 1895. Simon 2015 = Y. Simon, «Lohengrin»: un tour de France, 1887-1891, Rennes 2015. Wagner 1979 = C. Wagner, Journal, texte établi, préfacé et commenté par M.  Gregor-Dellin et D.  Mack, traduit de l’allemand par M.-F. Demet, 4, Paris 1979. Wagner 1907 = R. Wagner, Gesammelte Schriften und Dichtungen 5, Leipzig 1907. Wagner 2011  = R.  Wagner, Sulla rappresentazione del «Tannhäuser». Una comunicazione ai direttori e agli interpreti del­l’opera (traduzione di G. Mazzolani), in R. Wagner: «Tannhäuser», Bologna 2011, 80-90. Wild 1987 = N. Wild, Décors et costumes du XIXe siècle. Tome I, Opéra de Paris, Paris 1987. Wild 1993  = N.  Wild, Décors et costumes du XIXe siècle. Tome  II, Théâtres et décorateurs, Paris 1993. Wild 2012 = N. Wild, Dictionnaire des théâtres parisiens 1807-1914, Lyon – Venezia 2012. Wild – Charlton 2005 = N. Wild – D. Charlton, Théâtre de l’Opéra comique. Paris. Répertoire 1762-1972, Liège 2005. Wolff  1962 = S. Wolff, L’opéra au Palais Garnier 1875-1962, Paris 1962. 519

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Abstracts Gli agoni poe­ tico-musicali disputati nella antica Grecia hanno costitui­to un modello nella tradizione artistica del­l’Occidente dal Medioevo al­l’Ottocento e oltre. È analizzata la scena della tenzone dei cantori nel castello della Wartburg del II atto del Tannhäuser di Wagner e messa a confronto con i jeux-partis francesi del XIII secolo. Vengono, poi, presi in considerazione i costumi creati da Charles Bianchini per l’edizione parigina del 1895 (ed in particolare 40 schizzi inediti) che divennero l’immagine-tipo del­l’opera e furono utilizzati per centinaia di allestimenti fino al 1959. I costumi dei cantori e dei loro paggi paragonati con le maquettes conservate alla Bibliothèque-musée de l’Opéra di Parigi mostrano il passaggio dal­l’idea iniziale alla realizzazione sulla scena in rapporto allo svolgimento della tenzone. The poe­tic and musical competitions played in ancient Greece provided a model in Western artistic tradition from the Middle Ages to the nineteenth century and beyond. The scene of  the singing competition in the Wartburg castle of   Wagner’s Tannhäuser (Act II) is analyzed and compared with the French jeux-partis of  the thirteenth century. The costumes created by Charles Bianchini for the Paris edition of  1895 are then taken into account (40 unpublished sketches in particular) which became the type-image of   the work and were used for hundreds of  productions until 1959. The costumes of  the singers and their pages compared with maquettes kept at the Bibliothèque-musée de l’Opera in Paris show the passage from the starting idea to the final staging related to the combat’s development.

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LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER

Figura 1 Ph. Chaperon – E. Despléchin, Tannhäuser, Sala del Castello, 1861, schizzo della scena (BnF, Gallica)

Figura 2 E. Carpezat, Tannhäuser, Sala del Castello, 1895, maquette costruita della scena (BnF, Gallica)

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B. BRUMANA

Figura 3 A. Albert, Costume di Tannhäuser, 1861, maquette (BnF, Gallica)

Figura 4 Ch. Bianchini, Costume di Tannhäuser, 1895, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 5 Ch. Bianchini, Costume di Tannhäuser, 1895, maquette (BnF, Gallica)

Figura 6 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Tannhäuser, 1895, maquette (BnF, Gallica)

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LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER

Figura 7 Ch. Bianchini, Costume di Wolfram, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 8 Ch. Bianchini, Costume di Wolfram, maquette (BnF, Gallica)

Figura 9 Wolfram, Maurice Renaud, 1895, foto (BnF, Gallica)

Figura 10 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Wolfram, maquette (BnF, Gallica)

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B. BRUMANA

Figura 11 Ch. Bianchini, Costume di Biterolf, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 12 Ch. Bianchini, Costume di Biterolf, maquette (BnF, Gallica)

Figura 13 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Biterolf, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 14 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Biterolf, maquette (BnF, Gallica)

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LA TENZONE DEI CANTORI NEL TANNHÄUSER DI WAGNER

Figura 15 Ch. Bianchini, Costume di Reinmar, maquette (BnF, Gallica)

Figura 16 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Reinmar, maquette (BnF, Gallica)

Figura 17 Ch. Bianchini, Costume di Walther, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 18 Ch. Bianchini, Costume di Walther, maquette (BnF, Gallica)

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B. BRUMANA

Figura 19 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Walther, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 20 Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Walther, maquette (BnF, Gallica)

Figura 21 Ch. Bianchini, Costume di Heinrich, schizzo (Collezione Brumana)

Figura 22 Ch. Bianchini, Costume di Heinrich, maquette (BnF, Gallica)

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ELENA LIVERANI Università di Bologna – Sede di Ravenna

MEDEA, UN CANTO NEI SECOLI

L’utilizzo della voce era molto importante anche nel teatro gre­co e, seppur aiutata sia dal­l’amplificazione derivata dalla maschera che dal­l’architettura dei teatri, necessitava di una specifica e accurata tecnica fonatoria non dissimile da quella moderna 1. Delle fonti che sono arrivate sino a noi, quelle che definiscono un bel canto utilizzano una terminologia che ci fornisce molti indizi su come dovesse essere una bella voce, definendola ligeia o  ligyra, ossia chiara e  pura nel suono, libera da asprezze e  incertezze nell’emis­sione 2. Eschilo immaginò Ifigenia cantare il peana per gli ospiti del padre con «virginale, pura voce» 3. Martin L. West fa notare come anche la preparazione al canto non fosse dissimile da quella moderna: Singers practised before breakfast, we are told, because the voice is impaired by food; the windpipe is roughned by it, as after a fever. Intoxication is also said to lead to failure of   the voice (cfr. Pseudo-Aristotle Pr. 11, 22; 11, 46). Plato refers to choirs dieting and fasting when in training for competitions (Leg. 665e) 4.   West 1992, 40-48.   West 1992, 42. Precisamente: «The commendatory adjective most regularly applied to the singing voice in Greek is Ligys … This word is … also applied to the lyre, the bird-calls, a smooth-tongued orator … A scientific writer (PseudoAristotle, Aud. 804a 21) defines the ligyra voice as one of  that is ‘refined and concentrated, like those of   cicadas, grasshoppers, and nightingales, and in general all those voices that are refined and have no alien noise accompanying them: it is not a matter of  volume, or of  low, relaxed tone, or of  contact between sound, but rather of  high tone, refinement and precision». 3  Aesch. Ag. 245. 4  West 1992, 43. 1 2

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West ricorda come Aristosseno scrisse che ciò che differenziava il canto dal parlato era da ricercarsi nel­l’attacco pulito dei suoni, senza incertezze nel tono né stonature tra una nota e l’altra: In conversation we avoid bringing the voice to a standstill at a particular pitch, unless we are forced to it by emotion, but in singing, on the contrary, we avoid continuous sliding up and down, and pursue stationary pitch as far as possible. The more we make each note single, static, and unchanging, the more correct the melody is perceived as being  … The voice has to pass imperceptibly across the interval as it ascends or descends, and render the notes bounding the interval so that they are distinct and stationary 5.

Sappiamo che nel mondo classico usavano anche ‘artifizi’ e pozioni 6 per rendere la voce limpida e brillante come accade anche oggi, ma purtroppo non è rimasta nessuna testimonianza sugli insegnamenti della tecnica vocale che dovevano acquisire. Però sappiamo che il ritmo del testo greco e  così la sua intrinseca musicalità riflettono in modo formalizzato il ritmo naturale delle parole, così com’erano create con la naturale opposizione al  loro interno di durate più lunghe e più brevi 7. Secondo West la melodia musicale d’accompagnamento aveva base intrinseca nella linea ritmata del linguaggio a causa del­l’accento tonale greco. In ogni parola (ad eccezione di alcune particelle come congiunzioni e preposizioni) non si dava risalto ad una sillaba piuttosto che ad un’altra, come può capitare invece negli odierni linguaggi a  causa del­l’accentazione. Da qui la prosodia greca. Ma quando un linguaggio regolato secondo queste norme tonali viene messo in musica e cantato ci si potrebbe aspettare che l’accento, come elemento essenziale e irrinunciabile di una parola, che serve peraltro a distinguere, in alcuni 5   West 1992, 43-44, e anche Aristox. Harm. 1, 9-10; cfr. Thphr. fr. 89, 13 (Barker GMW II 117), Nicom. Ench. 2, p. 238, 16 ss. 6   West 1992, 43: «One of   Antiphon’s speeches was written for a man who found himself  accused of   murder because a  boy who was being trained at his house to sing in a chorus had died after drinking a potion to improve his voice». Ma non tutti quelli che si appoggiavano a pozioni per accrescere le proprie doti vocali erano destinati ad una tale fine, si ricordi infatti che lo stesso Nerone ne faceva uso prima dei suoi spettacoli, tra l’altro inserendo le ‘pozioni’ al­l’interno di una serie di precetti volti a migliorare le sue prestazioni d’artista che davano l’idea di essere quasi ritualizzati per l’imperatore. Vd. Suet. Ner. 20. 7  West 1992, 198-199; West 1982, 127 e anche Allen 1987, 116.

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MEDEA, UN CANTO NEI SECOLI

casi, un significato o  una forma grammaticale discriminandone un’altra, debba essere rispettato al­l’interno del metro della canzone. Ed è effettivamente quello che accade. Ancora oggi, in Cina, dove si utilizza una lingua tonale come era la lingua greca, la melodia della maggioranza delle canzoni non è altro che un’enfatizzazione dello stesso accento tonale. Nei documenti musicali giunti sino a noi l’accento tonale è stato effettivamente rispettato in larga misura nelle composizioni, e  la melodia è  stata composta attraverso gli accenti tonali, e quindi progettata per un unico testo 8. Diversamente, nel­l’opera lirica la divisione in sillabe non è più così importante e  anzi capita spesso che, attraverso l’utilizzo del legato, intere parole, se non frasi, vengano fuse assieme, ma non così gli accenti che le compongono. L’accentazione delle parole in se stesse rimane disgiunta. Attraverso le varie tecniche di utilizzo e  modulazione della voce la cantante può colorire i suoni in modo da suggerire una sensazione, in chi l’ascolta, piuttosto che un’altra. Solo per ‘attac­care’ il suono oggi vengono categorizzati e  insegnati tre diversi metodi 9, ognuno dei quali ha come obiettivo la trasmissione di una sensazione differente. L’approccio che utilizzarono e le tecniche vocali che usarono Maria Callas e Leyla Gencer furono diversissimi. Q uesto produsse due esecuzioni della Medea uguali nei contenuti ma opposte nella sostanza e nelle intenzioni. Vediamo brevemente come entrambe   West 1992, 199-200; West 1982, 134 e anche Allen 1987, 116-117.   Esistono tre modi per ‘attaccare’ il suono nel canto: l’attacco morbido; l’attacco soffiato e infine il colpo di glottide. Garcìa nel suo Trattato completo del­l’arte del canto (1842, I 43) descriveva il colpo di glottide nel­l’ambito degli accorgimenti didattici orientati verso un tentativo di controllo diretto delle corde vocali. Garcìa voleva indicare un attacco in cui si realizzasse una perfetta sincronizzazione tra la chiusura della glottide e la fuoriuscita del fiato, mentre la laringe rimane libera da qualsiasi tensione. Se si realizzavano tutte queste condizioni, secondo Garcia si otteneva un attacco del suono particolarmente nitido ma dolce, adatto soprattutto per le zone acute. Iuvarra 1987, 16 (un centinaio di anni dopo) fa notare quanto sia difficile realizzare il colpo di glottide descritto da Garcia, e che anzi sia più dannoso che altro: «Tuttavia, se la concentrazione è rivolta ad azionare direttamente i muscoli adduttori delle corde vocali, è assai probabile che il risultato sarà quello che si definisce un attacco duro, come un colpo di tosse leggero, in cui l’azione di chiusura della glottide è troppo violenta e precede, seppur di poco, la fuoriuscita del fiato». Nel canto il colpo di glottide è utilizzato soprattutto per dare incisività drammatica agli attacchi delle arie, o ad alcune frasi al­l’interno di una stessa aria; l’attacco morbido invece risulta dolce al­l’orecchio e  spesso trasmette nostalgia, come nel famosissimo attacco della Madame Butterfly, o in Al mio Babbino caro. Diversamente l’attacco soffiato esprime ironia o irrisione come ad esempio nel­ l’aria Batti batti o bel Masetto del Don Giovanni. 8 9

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si approcciarono allo studio della parte. Meneghini scrive nel suo libro sulla moglie come lei non studiasse se non la musica, come leggesse gli spartiti e cercasse di penetrare il personaggio attraverso un’ottica intimista, senza leggere o  studiare cosa ne fosse stato scritto prima. Leyla invece non amava molto Medea, ma in compenso amava studiare. Non l’amava non per il ruolo, non per le azioni cruente commesse dal personaggio, ma proprio perché studiando lo spartito, si rese conto che era inadatta per la sua voce. Scrisse a Gavazzeni mentre stava impostando questo ruolo, e  il modo in cui lui rispose non lascia dubbi: «Circa Medea, quando oramai una cosa è  accettata, meglio convincersi che è opera fra le preferite» 10. Le consigliò poi molte letture, Seneca, Euri­pide, Alvaro, invitandola ad immedesimarsi nella figlia di Eeta, e a cercare di trovare dentro se stessa la propria Medea. L’ope­ra si compone di tre atti, con sei arie in totale, delle quali tre sono cantate da Medea. La terza delle tre, inoltre, è anche l’incipit del finale. Per capire come la principessa turca e la tigre di Verona hanno affrontato la Medea, ho preso in esame tutte le arie, ma qui parlerò diffusamente solo del­l’aria finale, Dei tuoi figli la madre! Q uesta è  la prima aria cantata interamente solo da Medea al­ l’interno del­l’opera. Abbastanza breve, dura poco meno di cinque minuti. Molto lieve, la voce dovrebbe stendersi sopra le note come un velluto. Medea qui implora Giasone di ritornare da lei e mostra la sua disperazione. È disperata, lacerata dalla mancanza del­ l’amato, ma si capisce chiaramente dal testo e  dalle note che si sente tutt’altro che perduta senza di lui. Lo implora di tornare, ma si intuisce che sa perfettamente come fare fronte al proprio dolore. Sente la mancanza della felicità e della serenità che le derivavano

Figura 1 10  Lettera privata da Gianandrea Gavazzeni a Leyla Gencer, Fondo privato di Franca Cella.

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MEDEA, UN CANTO NEI SECOLI

dal rapporto e sta chiedendo di poterle riassaporare. Per riviverle sarebbe disposta a perdonarlo ma, e si intuisce con chiarezza dalle invettive «crudel», senza perdere la propria dignità. Q uesto è quanto si evince leggendo l’aria dal libretto. Le due interpreti delineano qui due Medee diverse l’una dal­l’altra, quasi opposte. Si tratta di un Larghetto, in cui Leyla Gencer parte benissimo, con un LA filato molto evocativo. Utilizza fin da subito il colpo di glottide e  nella discesa dal DO al  LA si sente chiaramente. Nel fraseggio non si notano particolari variazioni. Se si segue passo dopo passo lo spartito si può notare come Leyla interpreti fedelmente quanto scritto dal­l’autore. La variazione sul «da te proscritta» le riesce felice, ma mai quanto il FA trattenuto del «tu lo sai» che è seguito da un RE mantenuto assolutamente perfetto, di una leggerezza ineguagliabile. Il  modo lieve in cui lo emette dà la cifra del sentimento interno della sua Medea. A mio parere ci troviamo di fronte ad un personaggio lievemente diverso dalle regine che era solita interpretare. Trasmette una nostalgia tinta di impotenza. Nelle note seguenti troviamo la prima variazione rilevante: innanzitutto elimina dal fraseggio «un giorno» modulando il passaggio sulla parola «quanto»; poi spezza e distorce il suono sul «crudel». La ‘r’ in «crudel» viene arrotata in modo innaturale, spezzando completamente la linearità della frase musicale. Il gusto Beethoveniano dei brani sinfonici e di alcune parti del­ l’accompagnamento fa intuire che probabilmente Cheru­ bini sarebbe inorridito davanti ad un’edulcorazione così forte. Inoltre ripete l’intero segmento, aggiungendo così di fatto altri due «crudel» inframezzati da un flautato e sussurrato «a te fui cara un dì» che poi conclude il passaggio. Nel terzo ed ultimo «crudel» tocca il FA sovracuto non nel­l’attacco della ‘c’ come indicato da Cherubini ma nel­l’intermezzo tra la ‘r’ e la ‘u’ arrotando il suono fino a farlo diventare un ringhio, femminile ma scomposto. La ‘u’ per raggiungere il suono voluto viene ibridata con una ‘i’, per permetterle di guidare il suono nel palato molle. Il suono, una volta alloggiato nel palato molle, acquista una rilucenza aspra che in questo caso oserei dire quasi isterica. Segue poi una sezione in cui Medea si pone come vittima inerme, scacciata, costretta ad essere crudele «se mai mi fossi apparso, sarei buona ancora». Il brano inizia con un’alternanza tra «scacciata» e «dolorosa» particolarmente aspri, in cui Leyla cambia e stravolge gli accenti. 531

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Figura 2

Il  primo «scacciata» viene pronunciato enfatizzando la velare. La parola seguente invece viene storpiata tanto da renderla incomprensibile senza il testo sotto mano. La partitura esige il mantenimento sulla prima ‘o’ e un modulato nel legato dalla seconda al­ l’ultima, ma Leyla gioca sul fiato in modo inaspettato, dando una filatura lieve a queste note che, se unite alla pronuncia precedente di «scacciata» (dove con la voce fa ‘cioccare’ le ‘c’ intermedie in tutta la loro sonorità da affricate postalveolari sorde), danno sinceramente l’idea di una frase abbozzata nel mezzo di un pianto. La sequenza di «scacciata e dolorosa» si sussegue per due volte, per poi arrivare alla frase «se mai mi fossi apparso, sarei buona ancora, sarei pietosa». Q ui la cantante turca è favorita dal­l’altezza delle note su cui viene modulato il testo. La voce è perfettamente immascherata, tanto da apparire in questa tessitura molto più naturale che in tutto il resto del­l’aria. Senza il benché minimo sforzo passa da una nota al­l’altra come una libellula vola a pelo d’acqua. Il suono è fluido e finalmente omogeneo. In questo fraseggio, perfettamente emesso, e scandito in modo spontaneo, si può intrave-

Figura 3

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dere una donna che è travolta dalla sofferenza, sembra prigioniera di quello che le sta accadendo. Sembra di leggere fra le righe che non vorrebbe essere spinta a tanto, ma che la situazione, e la mancanza di un qualsiasi tipo di ritorno da parte di Giasone, l’abbiano costretta a presentarsi alla reggia guastando i preparativi del matrimonio di Glauce. Pare quasi che se ne dispiaccia, che si discosti dalla sua azione, come a dire ‘mi hanno costretta, non potevo fare altrimenti’. Non c’è la benché minima venatura del doppiogiochismo tipico di Medea. Q uesta seconda parte, innalza il tono delle note, e prepara nella sequenza successiva, l’acuto dove Leyla raggiunge un SI con corona di mantenimento per ben due battute. Q uesta nota le esce di una morbidezza angelica, per esplodere un attimo prima della discesa al FA sul­l’ultima sillaba di «passioni». Q uesta nota introduce la seconda parte del­l’aria, in cui Medea rimpiange il nido che abbandonò, rimpiange le notti in cui dormiva serena grazie alla fiducia che l’amore di Giasone le dava. Leyla gioca tutto nella dicotomia lancinante tra i suoi filati pianissimo, anche in note di media altezza (e infatti non pienamente centrate), e l’arrotamento gracchiante di altri «crudel» che vengono ripresi nuovamente. Leyla si affida ciecamente al testo scritto e alla partitura: non toglie frasi, non aggiunge abbellimenti. Da qui sino alla fine della registrazione del­l’aria si attiene fedelmente a quanto è stato scritto. Verso la fine del brano vengono a mancare i  suoni gutturali su cui Leyla giocava per dare l’idea del pianto, e quindi decide di spezzare il suono nei «Pietà» che si susseguiranno. Il  primo è  immascherato bene, fluido e  scivola via come fosse una goccia di rugiada. Poi, nei seguenti, ecco apparire dei suoni oggettivamente brutti. Per la sua tecnica, e soprattutto dopo aver cantato «per tanto amor che volli a te» con un filato magistralmente sostenuto, è  impossibile che sia da imputarsi ad una mancanza vocale. Nel ponte scritto per il «per tanto amore che volli a  te» Leyla raggiunge il SOL. Q uindi perché mai le si dovrebbe strappare la nota successiva, più bassa? Raggiungerebbe tranquillamente il FA, ma strappa il suono emettendo un grido quasi strozzato, come se l’avesse emesso a fatica. La ‘p’ scoppietta tra le labbra e la ‘i’ è malcelatamente controllata, emessa con isterismo, per poi trovare un’ombra d’assesto sulla ‘e’, che però è pronunciata assurdamente aperta. Medea qui è preda del suo vittimismo femminile, è  quasi un personaggio uterino. L’ultimo grido 533

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emesso, di nuovo un FA, cesellato sempre in un «Pietà» è l’esasperazione di quanto ha messo in atto finora. Il brano si risolve sulla tonica, per dare il compimento al­l’aria nel modo più conservatore e Beethoveniano possibile. Nella voce di Leyla s’intravede quella che fu Medea giovinetta, spaventata, barbara e lontana da casa, che piange la sua condizione e si sente costretta a far determinate scelte. Il fraseggio di Maria Callas è innovativo. Infatti fa penetrare al­l’interno del­l’opera un dolore scatenato e incontenibile, sicuramente lontano dal gusto cherubiniano. Al Maggio Fiorentino la diresse Gui, con il quale la cantante non andava d’accordo, mentre nelle esibizioni scaligere del 1953-1954 fu lei stessa a suggerire Leonard Bernstein come direttore d’orchestra. Se Maria Callas imparò Medea in otto giorni prima del Maggio Fiorentino, Leonard non fu da meno, studiando l’opera in soli cinque giorni prima del debutto alla Scala. Il giovane direttore americano lasciò a Maria Callas completa libertà: nel fraseggio, nelle movenze, nel­ l’interpretazione. La Medea che nasce da questa libertà è feroce, scattante, infuriata. Con un direttore d’orchestra di stampo più tradizionalista Maria avrebbe dovuto recitare in modo più composto, mentre qui era libera di dare vita al  personaggio muovendosi liberamente sul palco. Incisi nella registrazione echeggiano passi pensati, passi di corsa, addirittura un tonfo. Rumori ambientali che mancano totalmente nella registrazione di Leyla Gencer. Q ui analizzerò la versione del 1953, che vede sul palco, oltre a Maria Callas, Gino Penno (Giasone), Fedora Barbieri (Neris), Maria Luisa Nache (Glauce) e Giuseppe Modesti nella parte di Creonte. Il  fraseggio, dicevamo, è particolare. La Callas non si limita a leggere e interpretare lo spartito dando colore come da tradizione, ma decide di giocare con la potenza del suono e gli accenti. Crea così un gioco di chiaroscuri sulle parole pronunziate da Medea che lasciano intravedere fin dalla prima aria la sua natura ferina. Q uest’aria, dicevamo, pur avendo una tessitura molto alta, sembra concepita per un mezzosoprano, dato che la maggior parte del cantato è proprio sulle note di passaggio di questo registro. Uno dei punti di forza di Maria Callas è l’omogeneità che ha ottenuto negli anni nei registri di passaggio. Infatti, nonostante la posizione particolare della linea del cantato, non è a  disagio nel­l’emissione e riesce a  cantare tutta 534

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l’aria sul fiato. Esegue l’intera aria con impostazione belcantistica, puntando più sul controllo del­l’esecuzione che sul­l’inter­ pretazione. Q ui ci sono poche variazioni nel fraseggio e pochi effetti vocali rispetto al­l’esecuzione di Leyla Gencer. In quest’aria si nota come sia maestra nel legare i suoni. Riesce a far galleggiare la voce sui suoni come l’acqua sul letto del fiume, senza la minima increspatura, tanto che il LA di «quanto un giorno t’amò» passa inosservato, e la prima impennata del suono si ha sul MI di «crudel». L’immascheramento dei suoni è perfetto e il legato è tanto magistrale che il successivo «a te fui cara un dì», con buona pace della riforma gluckiana, è quasi incomprensibile se non si segue il libretto. L’aria Dei tuoi figli la madre!, per come è scritta, è forgiata completamente su un tipo di canto belcantistico. L’influenza del barocco è ancora presente seppur affievolita e appena ravvisabile. La spia del barocchismo è proprio nel modo in cui la Callas canta il legato «a te fui cara un dì». Nel passaggio successivo, la Medea della Callas lascia intravedere il suo risentimento per esser stata lasciata. L’artifizio stilistico non è  solo nel­l’articolazione enfatizzata del «scacciata» ma soprattutto nel­l’aspirazione del­l’aria. Nella registrazione si sentono chiaramente le inspirazioni fra un fraseggio e l’altro, nel luogo dove nello spartito ci sono le pause. Maria Callas era perfettamente in grado di inspirare senza renderlo tangibile, così come viene insegnato nel belcanto. L’inspirazione, così come Garcia ha scritto, deve avvenire «in modo impercettibile, ma deve riuscire a incamerare la giusta quantità d’aria, come quando si annusa una rosa e si vuole trattenere quanto più possibile di quel­l’odore sublime» 11. Q uindi, un’inspirazione così sonora, come se la protagonista fosse affannata, nel­l’inizio di un’aria non è, secondo il mio parere, casuale 12. Anzi, se si presta bene attenzione, pare di sentire tutta la rabbia di Medea ribollire dietro a quei sospiri che esplodono nel­l’accusa diretta a Giasone che l’ha «scacciata». Certo, è un dato di fatto che Medea sia stata «scacciata» e sia «dolorosa», ma quel­l’inspirazione esasperata come se   Garcia 1842, I 17.   La tecnica perfetta della Callas proprio nella gestione del fiato rende inverosimile che fosse a corto d’aria per pronunciare una sola parola. Riesce a cantare i virtuosismi successivi «se mai mi fossi apparso, sarei buona ancora» con una sola inspirazione, mentre per ogni «scacciata» e «dolorosa» enfatizza l’inspirazione. 11 12

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Figura 4

fosse affamata d’aria e il modo in cui pronuncia «scacciata» chiudendo il suono e  arretrandolo nella gola pur mantenendolo in maschera, dà l’idea di un’accusa verso Giasone pur al­l’interno di una supplica. La pronunzia di «scacciata» è enfatizzata ma non esasperata. La ‘c’ scoppietta, ma è il lampo di un secondo. Q uello che stupisce in questa pronuncia è il colore della ‘a’ interna, tanto chiusa da sembrare una ‘o’. Q uesto avviene a causa dell’arretramento del suono nella gola e  della chiusura dello stesso, tanto da diventare una ‘o’ aperta. I  virtuosismi delle note successive sono un perfetto esempio di padronanza del­l’emissione sul fiato e del legato. Segue pedissequamente lo spartito e non ci sono effetti coloristici evidenti. La voce risulta quasi vellutata sul finale del secondo «pietosa». Il rigo seguente comprende il momento di maggiore pathos del­l’aria, con l’acuto in SI bemolle tenuto. In questa registrazione il legato della frase con cui arriva al­l’acuto è di stampo prettamente belcantista, e le parole si distinguono appena. In questo passaggio ha preferito curare la bellezza del suono piuttosto che la comprensibilità del testo. «Le orrende passioni» viene pronunciato come un’unica unità di suono e la sillabazione grammaticale viene sacrificata in favore di quella musicale. «Orrende passioni» viene pronunciato «orren-depas-si-o-ni» esattamente come scritto dal­l’autore. I legati che sono presenti in queste parole, così come la corona di mantenimento e modulazione del SI, hanno la precedenza sul significato. Il  suono è  netto, pulito, senza sbavature. Non ha dato nessun timbro particolare al suono, che risulta quasi etereo. Nella frase successiva però, in cui Medea ricorda il passato nella casa paterna, ormai perduto per sempre, la voce di Maria Callas si vela, come se una nebbia l’avvolgesse. Nella prima frase, come precedentemente, le parole sono quasi indistinguibili, in favore della modulazione del suono. L’effetto che dà alla voce questo senso di rimpianto, questa patina che la avvolge, è ottenuto diminuendo il volume e assumendo una determinata 536

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Figura 5

posizione delle labbra durante l’emissione. L’impostazione delle labbra è  importantissima per il colore del­l’emissione. La Callas utilizza diversi effetti di questo genere: in questo passo, assumendo una posizione ‘a sorriso’ leggermente tirato, dà l’effetto di rimpianto, velando le sonorità delle vocali e smorzando il suono, addolcendolo. Rispetto alla versione cantata da Leyla Gencer, la Callas cambia il testo in questo passo. Canta «a me splendea il dì» al posto di quanto riportato dallo spartito, e creando delle legature non presenti in origine. Il  passaggio successivo ha una struttura musicale molto diversa da quella seguita finora. Infatti tende verso un canto di stile declamato, tendenza che sicuramente influenzò Lachner ma che culminò con le opere di Wagner. La differenza è evidente anche ad una prima occhiata: se prima nello spartito erano presenti corone mantenute e  legature musicali, adesso le note si fanno più rarefatte, al  massimo subiscono le variazioni delle semicrome. Il canto è molto più netto e la Callas, essendo una belcantista, è costretta a scandire le parole e le sillabe in modo

Figura 6

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schematico, cosa che la porta ad enfatizzare leggermente la cadenza. La linea del fiato, che di solito viene messa a dura prova da questo tipo di canto declamato, pur spezzandosi per permettere la scansione sillabica, non le fa mai mancare l’appoggio, tant’è che sulla scaletta discendente del «ho dato tutto a te» il suono esce fluido e squillante. Maria Callas ha deciso di non arrotare minimamente la ‘r’ interna dei successivi «crudel» quanto di porre l’accento sulla ‘u’. Q uesta decisione le permette di gestire più morbidamente l’acuto rispetto alla Gencer 13, e  di filare addirittura la ‘e’ finale del secondo «crudel». La Medea della Callas, da qui sino alla fine, avrà un tono di voce quasi lineare, sempre giocato sulla scala cromatica dolce e dalle risonanze melliflue. Gli unici picchi, che danno nuovamente quella sensazione di perturbante, di indefinito, si hanno sui «Medea». Q uando pronuncia il suo nome in terza persona è come se per un attimo si riaccendesse in lei la fiamma della consapevolezza della sua personalità. Si intravede in quel lampo di presa di coscienza la pericolosità della furia della donna ferita. Q uesta sensazione indefinita e ambivalente tra la supplica e l’ultimatum minaccioso è data dal modo di centrare il suono. Esattamente localizzato nei risuonatori frontali della maschera, il suono si apre e, grazie al­l’articolazione della pronuncia marcata sul­l’ultima ‘e’ del nome, il suono esplode aprendo la ‘a’ quasi completamente. È l’unico momento in tutta l’aria in cui pronuncia una ‘a’ così pura, dato che per mantenere la posizione muscolare necessaria per cantare questo brano di tessitura alta, ma sempre in registro di passaggio, ha chiuso tutte le ‘a’ fin quasi a  dare l’idea di pronunciare delle ‘o’. Medea torna subito dopo a blandire Giasone con la sua supplica. La voce torna lieve e l’interpretazione non passa più dal­l’articolazione, né dalla pronuncia delle vocali, bensì dal­l’uso del piano o del pianissimo o del filato nel finale. Un’altra variazione importante al testo musicale è nel finale in cui viene tagliato l’ultimo «Pietà». Q uesto impedisce che l’aria si risolva sulla tonica com’era convenzione nel­l’epoca in cui Cherubini scrisse.

  Forse Leyla aveva accusato la difficoltà della frase musicale precedente e il cambiamento della proiezione in maschera del suono che comporta il canto declamato l’ha quasi costretta ad arrotare le ‘r’ per dare sfumature alla voce. 13

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Anche solo attraverso questo ascolto è possibile accorgersi di come Maria Callas abbia dato vita alla Medea divina ed eroica, padrona del logos, mentre Leyla Gencer sia riuscita a impersonare sul medesimo spartito la Medea madre e donna ripudiata, femminile e uterina.

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E. LIVERANI

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Abstracts Maria Callas e Leyla Gencer a confronto su Medea. Attraverso l’ana­ lisi puntuale dello spartito e  delle tecniche utilizzate dalle due dive si cerca di mettere in luce come grazie alla modulazione vocale si riescano ad interpretare diverse sfaccettature di uno stesso personaggio. Medea diventa quindi il terreno sul quale le due cantanti si misurano sul­l’interpretazione. Leyla studiò anche i testi antichi, Maria invece si lasciò guidare più dal­l’istinto che da altro. Il testo Cherubiniano si presta bene alle loro variazioni, non essendo basato su una lingua tonale, ma accentuativa. In this article Maria Callas and Leyla Gencer interpretation of  Medea are compared. Through the detailed analysis of   the score and techniques used by the two divas we try to highlight how – through voice modulation – they are able to interpret different aspects of   the same character. Medea becomes the field in which the two singers compete on the interpretation. Leyla also studied the ancient texts, while Maria let herself  be guided more by instinct than by other things. The Cherubinian score is suitable to their variations, since it is not based on a tonal language, but on an accentual one.

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UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI

FLAVIO MASSARO Università del Salento

TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

Un’indagine su ambienti, modi e contesti in cui si svilupparono nel­l’antica Grecia poesia e  musica, inestricabilmente intrecciate tra loro, almeno fino al­l’età ellenistica, in un sistema di comunicazione esclusivamente o prevalentemente orale, non può prescindere da una conoscenza approfondita delle numerose feste che si celebravano nelle diverse realtà locali e regionali e, insieme, degli agoni che spesso vi si accompagnavano e ne costituivano l’evento più spettacolare. Tale realtà, se da una parte esprime emblematicamente il variegato panorama culturale ellenico, dal­l’altra pone non poche difficoltà agli studiosi che tentino una classificazione dei diversi tipi di festival e di concorsi 1. Nelle pagine iniziali del suo Poetry into drama, John Herington, introducendo l’esposizione delle caratteristiche della lirica greca arcaica e classica, intesa come performing art, esprimeva le seguenti considerazioni: «An up-to-date and comprehensive study of  the Greek divine festivals that included poe­tic events – agones mousikoi, to use the ancient term – seems to be lacking. It would be an attractive project in itself, and its results would certainly illuminate the political, as well as the artistic, history of   archaic and classical Greece. It would also, however, be a vast project, far beyond the scope of   the pre  Per la definizione di agones mousikoi, espressione connessa al termine mousike inteso nel senso ampio di ‘arte delle Muse’, riferita anche a manifestazioni artistiche non strettamente musicali, come la poesia recitata e il teatro, vd. Kotsidou 1991, 7-14; Manieri 2009, 25-32. Per un inquadramento generale del­l’agonistica musicale, vd. Kotsidou 1991, 1-34; Manieri 2009, 17-58; Chaniotis 2011. Sulle difficoltà di una classificazione degli agoni, organizzati in modi assai vari nelle diverse aree della Grecia e soggetti a modifiche nel corso del tempo, vd. Slater 2007. 1

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sent book, for it would have to take into account not merely the long-known literary sources, but also the archaeological evidence, notably in the form of  inscriptions, that has accumulated over the last fifty years or more» 2. Come osservava lo studioso, le prospettive di una raccolta e di uno studio sistematico delle fonti sui concorsi musicali greci sono affascinanti, ma al tempo stesso si tratta di un lavoro lungo e complesso: per individuare, organizzare, tradurre, analizzare e commentare le testimonianze sulle singole regioni della Grecia antica bisogna fare i conti con realtà territoriali di volta in volta diverse per storia e cultura e con una mole imponente di fonti di diversa tipologia. In particolare, allo studioso della storia letteraria greca si richiede di affiancare al­l’analisi dei testi letterari quella dei documenti epigrafici, in genere meno familiari 3. Nel suo discorso inaugurale al convegno svoltosi a Lecce nel­l’autunno del 2010 su Poesia, musica e agoni nella Grecia antica, P. Giannini ha messo in rilievo le prospettive aperte da nuovi e approfonditi studi sugli agoni musicali nelle singole regioni, in grado di consentire una migliore conoscenza dei diversi contesti di vari fenomeni letterari (si pensi, per esempio, alle informazioni offerte dai cataloghi agonistici sulla persistenza e sulla diffusione di generi antichi ancora in epoca ellenistica e romana) e di offrire un panorama culturale molto più articolato, nelle diverse fasi della storia culturale ellenica, rispetto al  quadro ‘atenocentrico’ (o comunque riferito a un numero ridotto di centri culturali) che spesso si è  abituati a  considerare 4. Dapprima sotto l’impulso di P. Giannini e poi con il coordinamento di A. Manieri, l’unità di ricerca del­l’Università del Salento, nel­l’ambito del PRIN 2010  Vd. Herington 1985, 7-9.   Per una rassegna delle ‘componenti agonistiche’ nelle principali feste della Grecia continentale, basata essenzialmente sulla documentazione epigrafica, vd. Ringwood 1927. 4   Vd. Giannini 2012, 13: in particolare, la recente raccolta delle fonti sui concorsi musicali beotici curata da Manieri 2009 «ci testimonia per la Beozia un fervore di attività veramente sorprendente. E ciò è notevole perché dalla manualistica corrente si ha l’impressione che l’attività letteraria nel­l’età ellenistica riguardasse soltanto i grandi centri come Atene, Alessandria, Pella, Pergamo, Antiochia e che il resto del mondo greco fosse del tutto assente. Gli agoni dimostrano il contrario e ci inducono a formarci un’immagine diversa del mondo greco». Si segnala anche, al riguardo, la prospettiva non ‘atenocentrica’ degli studi sul teatro e sui festival, raccolti in Wilson 2007, in cui assai significativo è il focus sulla documentazione epigrafica. 2 3

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TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

2011, è  stata impegnata nella raccolta e  nel­l’analisi di una ricca documentazione per la realizzazione di un corpus dei Certamina Musica Graeca. Nel­l’ambito del dottorato di ricerca in «Filologia ed Ermeneutica del Testo» sono state realizzate due tesi, rispettivamente sugli agoni musicali a Sparta (a cura di F. Massaro) e sugli agoni musicali a Delfi (a cura di M. E. Della Bona). Il lavoro per un significativo incremento del corpus è  già stato avviato dal­l’unità di ricerca, anche con l’assegnazione di tesi di laurea dedicate alla raccolta e allo studio delle fonti riguardanti altre località e regioni, i cui titoli riportiamo di seguito: • I Thargelia di Atene, a cura di R. Calabrese; • Agoni poe­tico-musicali in Macedonia e  Tessaglia, a  cura di L. Calsolaro; • Agoni poe­tico-musicali a Corinto, a cura di I. Labbate; • Agoni poe­tico-musicali a Epidauro, a cura di M. Montefrancesco; • Agoni poe­tico-musicali ad Argo, a cura di R. Callegari; • Agoni poe­tico-musicali nel Peloponneso, a cura di S. Cannoletta; • Agoni poe­tico-musicali in Magna Grecia e  Sicilia, a  cura di S. Colazzo; • Gli Actia di Nicopoli, a cura di F. Notarnicola; • Agoni poe­tico-musicali a Roma, a cura di A. Marrocco; • I Sebasta di Napoli, a cura di M. G. Montefrancesco. Al centro delle indagini è la raccolta delle fonti, opportunamente tradotte e  commentate per consentire anche ai  non specialisti l’accesso al­l’enorme patrimonio letterario e soprattutto, come s’è detto, epigrafico su cui si basa la nostra conoscenza degli agoni. Alcune raccolte sono in fase di elaborazione per la pubblicazione nel tradizionale formato cartaceo: si tratta, in particolare, dei due volumi dedicati a  Delfi e  a Sparta, che seguono il modello della raccolta delle fonti documentarie e letterarie sugli agoni musicali della Beozia, pubblicata a cura di A. Manieri 5. Partendo da questi lavori, si è proceduto al­l’elaborazione di una banca dati fruibile on line, denominata Terpander. Agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica. Con questa s’intende offrire una catalogazione e la possibilità di consultazione delle testimonianze distinte per regione e,   Vd. Manieri 2009.

5

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F. MASSARO

al­l’interno di ogni area geografica, per singole città e per tipologia di agoni. Il nome del sito richiama opportunamente il musico Terpandro di Antissa, vissuto nel VII sec. a.C.: egli, come osserva A. Gostoli, è «concordemente presentato dalla tradizione antica come il primo grande esponente ed archegeta della citarodia in epoca storica, cioè post-eroica» ed è  un degno rappresentante dei vincitori nei vari agoni musicali, avendo vinto, secondo la tradizione, negli antichi e prestigiosi agoni di Sparta (in particolare nelle Carnee, alla cui fondazione sembra abbia in qualche modo contribuito) e di Delfi 6. Al centro della home page, un banner in cui si alternano alcune immagini riferibili a  situazioni agonistiche suggerisce la varietà delle fonti utilizzabili, non solo scritte ma anche iconografiche. Per la navigazione al­l’interno del sito (browsing) si parte da un menu, collocato nella parte superiore della pagina, immediatamente sotto il titolo; esso è così configurato: Home Fonti Iconografia Soggetti Bibliografia Mappa Notizie Contatti

Area riservata

Il primo link che si incontra, dopo la home page, riguarda le ‘Fonti’. Esse sono ordinate per aree geografiche, al­l’interno delle quali sono elencate le singole regioni. Nel­l’organizzazione delle aree e nella loro denominazione ci si rifà al database delle Searchable Greek Inscriptions del Packhard Humanities Institute, già familiare agli studiosi e organizzato secondo un criterio che richiama da vicino quello seguito per le Inscriptiones Graecae 7. Ogni area contiene delle sottocartelle, gerarchicamente disposte in modo tale da poter visualizzare le fonti per area, regione, città o agone, tramite un ‘menu a discesa’ (le fonti sono distinte in epigrafiche e  letterarie, ma in alcuni casi sono state prese in considerazione anche fonti papiracee e fonti latine, letterarie ed epigrafiche). Per esempio, per visualizzare il corpus dei testimonia di un agone beotico, i Mouseia di Tespie, è possibile accedere dalla sezione ‘Fonti’ e aprire (cliccando in corrispondenza del segno +) le diverse sottocartelle, ottenendo questa schermata: 6   Vd. Gostoli 1990, XVI. Cfr. Terp. test. 1 Gostoli (Hellan. FGrHist 4 F 85a) e test. 32 Gostoli (Ps. Plut. Mus. 4, 1132d-e). 7   Vd. http://epigraphy.packhum.org.

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TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

Per accedere al corpus delle iscrizioni dei Mouseia si seguirà, dunque, il percorso area > regione > città > agone > testimonianze epigrafiche  / letterarie. Ognuna delle cartelle, comunque, potrà essere esplorata cliccando in corrispondenza della ‘parola calda’. Di volta in volta, sarà possibile visualizzare immediatamente il numero delle fonti complessive presenti nella cartella (per es. riguardanti la singola regione o la singola città) e l’elenco dei titoli delle fonti, per selezionare un documento che s’intende visualizzare in modo completo. Ogni singola fonte letteraria è introdotta dalle indicazioni utili per il recupero del brano; nel caso delle iscrizioni, il titolo fornisce alcune indicazioni sulla tipologia di fonte (per es. catalogo agonistico, dedica, iscrizione onoraria, etc.) ed è seguito dal riferimento alle edizioni e agli studi utilizzati per il commento (presente solo nelle raccolte in formato cartaceo, i cui contenuti integreranno quanto reso disponibile in rete) 8; il testo greco 8 Per le fonti letterarie le edizioni di riferimento, se non saranno esplicitamente indicate, sono quelle del database del Thesaurus Linguae Graecae, recuperabili tramite Berkowitz – Squitier 1990 (disponibile anche la versione online: stephanus.tlg.uci.edu/index.php).

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F. MASSARO

è  accompagnato dalla traduzione in italiano, che agevola l’approccio ai testi (per molte iscrizioni, si tratta delle uniche traduzioni disponibili). Proponiamo di seguito una tabella sintetica delle fonti inserite, suddivise secondo l’ordine gerarchico sopra esposto: Regione

Attica

Città

Atene

Agone

Thargelia

12

33

45

12

33

45

Ptoia

25

25

Soteria

3

3

tot. fonti regione Beozia

Acrefia

Fonti Fonti Fonti Fonti Fonti tot. lett. epigr. pap. latine latine (lett.) (epigr.)

Basileia

3

9

12

Trophoneia

2

4

6

Agrionia

1

21

22

5

5

19

21

Agone per Halia

9

9

Tanagra

Sarapieia

4

4

Tebe

Agrionia-RomaiaDionysia Herakleia

3

14

Tespie

Mouseia

4

40

44

Erotideia

4

11

15

19

164

1

184

70

63

3

136

70

63

3

136

2

19

21

18

18

Lebadea

Orcomeno

Charitesia e  Homoloia Oropo

Amphiaraia

2

tot. fonti regione Focide

Delfi

Pythia

tot. fonti regione Argolide

Argo

Varie

Epidauro

Varie

550

1

18

TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

Regione

Città

Agone

tot. fonti regione Laconia

Sparta

2

37

39

Karneia

9

2

11

Gymnopaidiai

23

Paidikoi agones

1

61

62

33

63

96

Capitolia

20

18

38

Neronia

7

1

8

Agon Minervae

1

3

4

Agon Solis

1

Antonineia Pythia

3

Agon Herculeus

1

tot. fonti regione Italia

Roma

Fonti Fonti Fonti Fonti Fonti tot. lett. epigr. pap. latine latine (lett.) (epigr.)

23

1 1

4 1

Napoli

0 Sebasta

6

22

7

3

38

tot. fonti area

39

45

7

3

94

tutte le regioni

175

405

7

3

594

4

I primi inserimenti effettuati riguardano i dati relativi agli agoni della Beozia, di Delfi e di Sparta; si sono aggiunte in un secondo momento le fonti su altre aree, come l’Attica (i Thargelia ateniesi), il Peloponneso (Epidauro e, almeno in parte, Argo) 9, l’Italia (Roma e Napoli). Sono previsti altri inserimenti, ma anche aggiornamenti e rimodulazioni dei dati già inseriti. Uno dei vantaggi del browsing al­l’interno delle varie aree consiste nella possibilità di ottenere in modo immediato delle indicazioni di tipo   Anche per Sparta il corpus non è completo; esso deve essere integrato con le fonti sugli agoni di età romana, recentemente raccolte, tradotte e studiate. Si tratta di dodici iscrizioni, delle quali solo alcune menzionano esplicitamente agoni istituiti in età imperiale (gli Ourania e  i Kommodeia), mentre in altri casi si fa riferimento ad agoni musicali spartani non specificati, o ancora a onori ricevuti a Sparta da artisti la cui partecipazione ai concorsi musicali può essere solo considerata probabile. 9

551

F. MASSARO

quantitativo, dalle quali possono ricavarsi considerazioni sulle caratteristiche della documentazione disponibile per ogni singolo agone. Si consideri, per esempio, per la Beozia, l’alto numero complessivo di testimonia disponibili (184), con una netta prevalenza delle fonti epigrafiche (164) e, tra i  singoli agoni, le numerose attestazioni riguardanti i Mouseia di Tespie, considerati uno dei concorsi musicali greci più celebri (44) 10; o ancora, per i Karneia di Sparta, il cui floruit si colloca in epoca arcaica (si pensi alla prestigiosa scuola citarodica che si faceva risalire a Terpandro)  11, la netta prevalenza di testimonianze letterarie (9) rispetto alle iscrizioni (2), delle quali solo una attesta la sopravvivenza del­l’agone in età romana; notevoli, ancora, i dati numerici riguardanti Delfi: i Pythia rappresentarono a lungo l’agone musicale per eccellenza, come testimoniano le numerose fonti sia letterarie che epigrafiche che vi fanno riferimento (con leggera prevalenza delle prime, rispettivamente 70 e 63), documentandone insieme la celebrità e la longevità. Dopo le fonti scritte, è previsto uno spazio per l’iconografia 12. Per ora, sono state inserite alcune immagini a scopo esemplificativo, che fanno riferimento a diversi tipi di performance agonistica (per es. l’esibizione di un citarodo davanti a un personaggio con un bastone probabile giudice della gara, l’episodio mitico del­l’agone di Marsia e Apollo, etc.). Si prevede di accompagnare ogni immagine con una sintetica descrizione che, oltre ad agevolare la comprensione dei contenuti della stessa, aiuti a recuperare la scheda attraverso la ricerca per parole chiave. Un ulteriore sussidio, per il corpus iconografico come per le fonti scritte, è costituito da una bibliografia essenziale, integrata con il rinvio, tramite il numero identificativo del­l’immagine, al  Beazley archive per indicazioni più dettagliate 13. Nel caso della raccolta iconografica, la sua organizzazione potrebbe differenziarsi da quella delle fonti scritte, con

  L’alto numero di testimonia corrisponde al­l’importanza di questo agone, come osserva Manieri 2008,  315: «I Mouseia celebrati a  Tespie in onore delle Muse furono probabilmente l’agone musicale più importante in Grecia dopo le gare di Delfi, come dimostra l’abbondante e continua documentazione, soprattutto epigrafica, che copre un arco di tempo dal IV sec. a.C. al II sec. d.C.». 11  Cfr. Terp. testt. 60a-i Gostoli. 12  Q uesta sezione sarà probabilmente affidata a D. Castaldo, sulla cui consulenza si è potuto contare già nella fase iniziale del progetto. 13   http://www.beazley.ox.ac.uk/index.htm. 10

552

TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

un’articolazione in aree tematiche (per es. organizzate in base alle diverse specialità agonistiche, o ancora con un settore dedicato alla rappresentazione di agoni e agonisti nel mito). Segue, nel menu, un riferimento al­l’area ‘Soggetti’, per il quale saranno individuati dei temi particolarmente significativi, collegati alle fonti con l’aggiunta di tags (‘etichette’). Una prima catalogazione focalizza l’attenzione sulle specialità agonistiche (kitharōidia, kitharisis, aulōidia, rhapsōidia, etc.) e sugli artisti che vi si dedicarono. Tale spazio si presenta come un repertorio prosopografico dei vincitori degli agoni musicali, uno strumento che potrebbe affiancare nelle ricerche le preziose raccolte di Stephanis e Aspiotes 14. Per la ricerca delle fonti primarie, però, oltre al browsing è prevista la tradizionale modalità del searching, con l’inserimento in un apposito spazio presente nel­l’angolo superiore destro della pagina di una stringa di caratteri corrispondente a una parola chiave o a una porzione di testo, che può essere in caratteri greci (unicode) o in caratteri latini, a seconda che si faccia riferimento al­l’originale o alla traduzione sistematicamente proposta. Nella schermata dei risultati, è  possibile visualizzare in anteprima, insieme ai  titoli delle singole fonti, una piccola parte del testo, fondamentale strumento di orientamento, prezioso soprattutto nei casi in cui i risultati della ricerca siano particolarmente numerosi. Per il reperimento delle fonti secondarie, la barra del menu presenta la voce ‘Bibliografia’, utile strumento cui rinviano le citazioni di edizioni e studi che, in forma abbreviata (autore-anno), accompagnano il testo delle singole fonti. Un ulteriore strumento di navigazione al­l’interno del sito è  offerto dalla ‘Mappa’, che consente di visualizzare in maniera immediata l’organizzazione dei contenuti del database. Al­l’interazione tra i curatori del sito e gli utenti sono dedicate due voci: quella relativa alle ‘Notizie’, che apre uno spazio per la comunicazione di aggiunte o modifiche al database, ma anche di convegni o  nuove pubblicazioni inerenti agli agoni musicali; e quella dedicata ai ‘Contatti’, con gli indirizzi di posta elettronica   Vd. Stephanis 1988 e Aspiotes 2006. Rispetto a questi volumi, il database non offre un quadro completo delle testimonianze sul­l’artista, ma seleziona le fonti ‘agonistiche’, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra l’artista e determinate feste e agoni (in più, non ci si limita a citare il passo, ma si offre un approccio diretto al testo originale, corredato dalla traduzione). 14

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F. MASSARO

dei curatori, cui ci si può rivolgere, per esempio, per la segnalazione di eventi o pubblicazioni inseribili tra le ‘Notizie’, o ancora di problemi nella consultazione del database o di errori presenti nelle schede delle fonti ed eventualmente suggerire miglioramenti anche nel­l’impostazione generale del sito. L’organizzazione del database degli agoni musicali greci pone al  gruppo dei curatori diversi problemi, ma rappresenta anche un’opportunità di riflessione comune su diverse questioni. Per esempio, s’impone la definizione del campo d’indagine, che ci si propone di rendere chiaro inserendo nel sito un testo esplicativo che costituisca un vademecum per l’utente. Chiarire che cosa si intenda per agoni musicali (considerati, come si è  accennato sopra, nel­l’accezione ampia di concorsi tra intellettuali e artisti, non solo tra musicisti) o stabilire quando un testo o un’immagine costituisca una fonte utile al­l’indagine rappresentano di per sé argomenti di discussione al­l’interno del­l’unità di ricerca, ma al tempo stesso rimangono questioni aperte, su cui ci si può confrontare con gli studenti e gli studiosi che useranno il database. Inoltre, la ricerca di una terminologia precisa e uniforme, che agevoli l’orientamento degli utenti nelle ricerche al­l’interno della banca dati, costituisce un’opportunità di riflessione sul­l’efficacia e sulla correttezza del linguaggio specifico e sulle scelte da adottare nelle traduzioni dei testi. Come si è detto, la realizzazione del database è un progetto solo avviato e il suo completamento richiede ancora molti sforzi, ma i testimonia già inseriti (complessivamente, quasi 600 documenti) costituiscono un corpus già di per sé utile sia per il reperimento e l’uso dei testi sugli agoni musicali nelle regioni e nelle località studiate, sia per la valutazione di fenomeni di carattere generale (per esempio, i premi negli agoni musicali, il rapporto gerarchico tra i vari tipi di concorsi, la diffusione geografica o la persistenza nel tempo di alcune specialità agonistiche, etc.). La condivisione di questi lavori in rete rende le raccolte delle fonti delle opere ‘aperte’: da una parte, se ne consente l’ampia diffusione tra gli studiosi e, attraverso diverse strategie di consultazione del database, si favorisce un’efficace fruizione dei prodotti della ricerca; dal­l’altra, questi non si considerano mai definitivamente ‘chiusi’ e completati, ma sono sottoposti a osservazioni e discussioni tra i curatori e gli utenti, in un confronto anche interdisciplinare, reso necessario dalle diverse tipologie delle fonti trattate. 554

TERPANDER: PER UN DATABASE DEGLI AGONI MUSICALI GRECI

Bibliografia Aspiotes 2006  = N.  Aspiotes, Prosopographia musica Graeca, Berlin 2006. Berkowitz – Squitier 1990 = L. Berkowitz – K. A. Squitier, Thesaurus Linguae Graecae Canon of  Greek Authors and Works, Oxford 19903. Chaniotis 2011 = A. Chaniotis, Greek Festivals and Contests: Definition and General Characteristics, in Thesaurus cultus et rituum antiquorum, VII, 2011, 4-43. Giannini 2012 = P. Giannini, Introduzione ai lavori, in D. Castaldo – F.  G. Giannachi – A.  Manieri (a cura di), Poesia, musica e  agoni nella Grecia antica. Atti del IV convegno internazionale di Moisa, I-II, Galatina 2012, I, 7-14. Gostoli 1990  = A.  Gostoli, Terpander. Veterum testimonia collegit, fragmenta edidit, Romae 1990. Herington 1985 = J. Herington, Poetry into Drama. Early Tragedy and the Greek Poetic Tradition, Berkeley – Los Angeles – London 1985. Kotsidu 1991  = H.  Kotsidu, Die musischen Agone der Panathenäen in archaischer und klassischer Zeit: eine historisch-archäologische Untersuchung, München 1991. Manieri 2009 = A. Manieri, Agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica. La Beozia, Pisa – Roma 2009. Ringwood 1927 = I. C. Ringwood, Agonistic Features of   Local Greek Festivas Chiefly from Inscriptional Evidence, New York 1927. Slater 2007  = W.  Slater, Deconstructing Festivals, in Wilson 2007, 21-47. Stephanis 1988 = I.  E. Stephanis, Διονυσιακοὶ τεχνῖται. Συμβολὲϛ στὴν προσωπογραφία τοῦ θεάτρου καὶ τῆϛ μουσικῆϛ τῶν ἀρχαίων Ἑλλήνων, Heraklion 1988. Wilson 2007  = P.  Wilson  (ed.), The Greek  Theatre  and  Festivals, Oxford 2007.

Abstracts Si discute sulle questioni da affrontare, ma anche sulle opportunità offerte dalla creazione di una banca dati online sugli agoni musicali nella Grecia antica, da affiancare allo studio sistematico delle fonti per ogni regione. Il progetto costituisce un’occasione preziosa per promuovere una logica ‘di rete’ e un approccio interdisciplinare. Inoltre, le risorse messe a  disposizione, reperibili attraverso diverse strategie di ricerca, possono agevolare la diffusione, anche tra i non specialisti, della conoscenza di un’ampia documentazione spesso soprattutto epigrafica. 555

F. MASSARO

The discussion concerns the issues to be tackled, but also the opportunities offered, by the creation of   an online database on the musical contests in ancient Greece, along with a systematic study of  the sources for each region. The project is a  valuable opportunity to promote a network mindset and an interdisciplinary approach. Moreover, the sources, made available via various search strategies, can facilitate the spread, even among non-specialists, of   the knowledge of   an extensive documentation often mainly epigraphic.

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CONCLUSIONI

CARMINE CATENACCI Università «G. d’Annunzio» di Chieti – Pescara

POETI IN AGONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI D’INSIEME

L’agonismo fu una componente intrinseca, pervasiva e  connotante del­l’attività poe­tica e  musicale nella Grecia antica. Il  fenomeno si colloca nella più ampia e  nota dimensione agonale 1. A  questa erano improntate l’atletica ovviamente, ma anche la condotta militare e la vita politica, le categorie etiche e sociali, il sistema educativo, l’attività giudiziaria, le espressioni del pensiero, della comunicazione e del­l’arte. La tensione a competere fu un valore di base e un atteggiamento identitario della società greca, un ‘istinto culturale’ non dissimile, per azzardare un anacronismo, da ciò che può essere la compassione per i cristiani o altri moventi morali primari in altri sistemi culturali. Lo spirito agonale si lega, almeno nelle sue istanze originarie, alla cosiddetta civiltà della vergogna, la quale fonda la misurazione del valore sociale di ciascuna persona sul giudizio pubblico che gli altri membri della comunità hanno di quella persona 2. In relazione alla poesia, l’attitudine a contendere trova la più vistosa forma contestuale, esterna, negli agoni poe­tici istituzionalizzati, regolari o occasionali, di cui la Grecia antica era disseminata e  pullulava. Poeti epici, citarodi, musici, cantori, autori d’encomi, cori, chorodidaskaloi, drammaturghi (e coreghi), attori e interpreti vari pongono la loro opera, confrontandola con quella 1  Celebri e  fondanti le pagine di Burckhardt 1955. A ribadire l’organicità delle manifestazioni culturali menzionate concorre un’elementare osservazione lessicale: le tre parole dominanti il volume («Agoni poe­tico-musicali») sono tutte e tre di origine greca antica. 2  La nozione di civiltà della vergogna è entrata prepotentemente negli studi classici con Dodds 1959, p. 33 ss.

10.1484/M.GIFBIB-EB.5.115192

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C. CATENACCI

di altri, nel mezzo di uno spazio comune e la sottopongono a un giudizio di merito. Un processo che culmina per il vincitore nel conseguimento di un premio simbolico o di valore, la cui natura e varietà storico-geografica meriterebbero, credo, nuovi approfondimenti di studio. Ma molteplici sono anche le forme interne al­l’esecuzione poe­ tica, attraverso le quali il principio agonale prende corpo nella poesia e dà vita ad essa. Menziono alcune di esse senza pretesa di completezza. Cori e  semicori si affrontano danzando e  cantando nel perimetro simbolico di performances rituali. Senza strutture di confronto e di contrasto (dal­l’agone comico al canto amebeo alla contrapposizione di differenti punti di vista nella tragedia) non sarebbero immaginabili opere ad alta formalizzazione quali i drammi teatrali; come un duello canoro si configura finanche la contesa amorosa tra l’orripilante vecchia e la fiorente giovane nel finale delle Ecclesiazuse (890 ss.) di Aristofane. Varie e diffuse sono le tipologie di ‘poesia contro poesia’ anche nel simposio, come per esempio le cosiddette ‘coppie agonali’ e persino gli indovinelli. E i canti ‘a botta e risposta’, per fare solo un ultimo esempio tra i molti possibili, costituiscono un elemento portante della poesia bucolica. Un altro versante suggestivo è  quello degli agoni di danza. La tipologia forse più peculiare e nota dal­l’Atene classica è la pirrica 3. Una testimonianza di agone coreutico, tuttavia, è  già nel­ l’ottavo canto (v. 250 ss.) del­l’Odissea, come osserva Antonietta Gostoli nella Premessa (p.  9). Fin dalla prima età arcaica, inoltre, il fenomeno è  attestato in iscrizioni tanto preziose quanto in parte ancora enigmatiche. Tra di esse si segnalano l’oinochoe del Dipylon offerta come premio al  miglior danzatore (n.  432 Hansen) 4, l’ary­ballos corinzio che premia Pirria dipinto sul vaso mentre danza alla testa del coro (n. 452 (ii) Hansen) 5 e i graffiti sulle rocce presso il ginnasio di Tera con acclamazioni erotiche, orchestiche e agonistiche di giovani danzatori 6. Si tratta di iscrizioni metriche.

  Ceccarelli 1998, p. 32. Più in generale sulla danza vd. ora Gianvittorio 2017.   hὸς νῦν ὀρχεστὸν πάντων ἀταλότατα παίζει, / το῀ τόδε κλ|μιν (sic). 5  ΠυρϜίας προχορευόμενος· αὐτο῀ δέ Ϝοι ὄλπα. 6   P. es. Βάρβακς ὀρχεῖταί τ{ε} ἀγαθὸ[ς] ἐδίδο [τε] ποτανὲ. Per un’introduzione e una prima discussione vd. Powell 1991, p. 171 ss. 3 4

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POETI IN AGONE. ALCUNE CONSIDERAZIONI D’INSIEME

Naturalmente, considerata la valenza portante del­l’ideologia e  della prassi agonistica, competizioni poe­tiche e  musicali non mancano nel paradigma del mito, declinato nei diversi generi letterari (dalla lirica al  teatro alla storiografia e  alla mitografia) e artistici. Dei, creature straordinarie, eroi e figure archetipiche di musici e poe­ti ne sono coinvolti. Q uesti episodi raccontano della punizione per chi perde piuttosto che del premio per chi vince, e l’oggetto in palio diventa la vita stessa di uno dei contendenti; o, se si vuole vedere la storia da un altro punto di vista, il compenso per le divinità che vincono è  la morte (rovinosa) degli uomini o di chi divinità non è. Con Apollo, il dio patrono del­l’arte poe­ tico-musicale, entrano in competizione Marsia, Pan e Lino. Con le Muse gareggiano Tamiri, le Sirene e le figlie di Piero. Persino Citerone ed Elicone, monti della Beozia, sono contrapposti in una disfida poe­tica in un carme di Corinna (fr.  654(a), col.  i Page). Neppure ad Orfeo è estranea la dimensione agonistica, né vanno taciute le raffigurazioni ceramiche di Eracle nelle vesti di citarodo agonista o, per giungere alla terra di confine tra mito e letteratura, il Certame tra Omero ed Esiodo. È chiaro che la componente agonale in quanto elemento costituivo della creazione poe­tica si intreccia, in forme variabili al  variare dei tempi, con un aspetto concreto della vita sociale e  artistica: il professionismo. La vittoria significa l’acquisizione di beni materiali e di prestigio, che accresce il proprio status professionale e richiama le committenze. Lo spirito competitivo vive e prospera anche fuori dalle gare vere e proprie. Si configura una rivalità, per così dire, d’autore nel flusso portante della tradizione. Una propensione che agisce dentro e fuori la dimensione materiale del certame. I poe­ti greci erano spesso e un po’ ovunque in gara. «Il  cantore rivaleggia col cantore» 7 non solo nello spazio circoscritto del­l’agone, ma anche in quello aperto del giudizio pubblico, della fama di autorevolezza e veridicità che egli rivendica per il suo canto in contrasto con quello di altri poe­ti del suo tempo o del passato. «La dichiarazione della propria eccellenza da parte del poe­ta è  una strategia dello spirito agonale» 8. Si pensi, solo per citare  Hes. Op. 25 s.   Vetta 2006, p. 63.

7 8

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alcuni nomi e  generi differenti, a  Senofane e  ai rapsodi, che al­ l’esecuzione di brani omerici fanno seguire le proprie interpretazioni e critiche 9, o a Simonide, che ama muovere da un enunciato autorevole per confutarlo 10, o  a  Pindaro, alla distanza che egli prende dalla versione tradizionale del mito di Pelope nel­l’Olimpica 1 o alle sue fiere puntate contro altri poe­ti, tra i quali verisimilmente Simonide e  Bacchilide che gli contendono il favore delle stesse corti committenti 11. L’agone tra Eschilo ed Euripide nelle Rane di Aristofane dimostra in maniera esemplare come il confronto nei festival drammatici tra poe­ti tragici fosse un confronto di valori, di visioni del mondo, di personalità e di ispirazione, né c’è bisogno di insistere sulle polemiche tra i commediografi. In età ellenistica, poi, la competizione ideale che i poe­ti alessandrini ingaggiano con i grandi autori del passato si va intrecciando con la rivalità tutt’altro che ideale tra i tanti uccelli delle Muse che, per riprendere un’immagine di Timone di Fliunte (fr. 12 Di Marco = Suppl. Hell. 786), pasturano nella gabbia della Biblioteca di Alessandria. Infine non va dimenticata, per tornare alle gare vere e proprie, la fitta trama di agoni legati alle più diverse manifestazioni pubbliche nelle più diverse località del mondo greco e grecizzato, che, sovrapponendosi alle tradizionali occasioni religiose, trova nuove fiorenti opportunità nel taglio personalistico che la politica sempre più va assumendo a  partire dalla tarda età classica. Basterà l’esempio di Antimaco di Colofone sconfitto da un altrimenti ignoto Nicerato di Eraclea in un concorso poe­tico di celebrazione delle imprese del navarca spartano Lisandro (Plut. Lys. 18, 7 s.) o si pensi agli spazi ampi (teatri, santuari, agorà) nei quali la comunità si riunisce in occasione delle grandi feste comunitarie e  dei certami poe­tici promossi dai dinasti, autorità e  notabili di età ellenistica e romana. Una poesia che, come testimoniano i cospicui premi e  onori tributati ai  suoi rappresentanti, godette di vasta popolarità e contribuì in maniera notevole alla formazione del­l’opinione pubblica e  alla conoscenza del grande patrimonio   Gentili 20064, p. 239 ss.   Vd. Simon. frr. 542, 4; 579; 581 Page; 7 Gentili-Prato (= 19-20 West). 11  Catenacci 2013, pp.  15  ss. e  367 s. (Olimpica 1); pp.  50  ss. e  410  ss. (polemica con Simonide e Bacchilide). 9

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culturale del passato da parte di larghe fasce della popolazione 12. Non è quindi improprio affermare che gli agoni poe­tici e musicali, così seguiti dal pubblico e così capillarmente diffusi sul territorio, furono per i Greci antichi uno dei più importanti veicoli di identità, condivisione comunitaria e acculturazione interna. Numerosi aspetti di questa complessa e  ampia materia sono affrontati in Poeti in agone. Nella breve sintesi che segue procederemo attraverso alcune linee comuni ai diversi interventi. Ci muoveremo innanzitutto attraverso alcuni luoghi della Grecia, a  cominciare da Atene. Il saggio di apertura di Claude Calame getta nuova luce sulla compenetrazione tra la tragedia attica (e le altre manifestazioni poe­tico-musicali ad Atene), l’occasione agonale e la natura civico-cultuale delle feste religiose in cui il teatro prende vita e forme concrete, anche nel segno dei rapporti congeniti con la poesia melica. Ancora il teatro e, in particolare, le multiformi relazioni genetiche, strutturali e funzionali tra le esecuzioni corali drammatiche e i generi della lirica corale sono oggetto dello studio di Bernhard Zimmermann: l’origine comune contribuisce a chiarire lo statuto bifronte del coro tragico che partecipa al­l’azione e, al tempo stesso, svolge un ruolo esterno di ‘autorità cultuale’. Una doppia funzione che è  illustrata attraverso gli esempi offerti dai Sette contro Tebe di Eschilo, dal­l’Antigone di Sofocle e, in senso ormai negativo, dalle Fenicie di Euripide. I rapporti osmotici tra poesia lirica e poesia drammatica, caratterizzati anche in relazione allo specifico tema delle componenti metrico-ritmiche, restano al centro dei successivi contributi. Dopo aver inquadrato il genere del prosodio attraverso le fonti antiche, Maria Grazia Fileni analizza la parodo delle Rane di Aristofane, che si sviluppa come un lungo canto processionale, al cui interno si distinguono tre prosodi: di questi si evidenziano non solo l’aderenza ai moduli tipici del genere lirico e le eventuali deformazioni a fini parodici, ma anche la funzionalità al messaggio complessivo di salvezza che la commedia si propone di veicolare. Giampaolo Galvani concentra l’attenzione sul canto nuziale, le sue strutture metrico-ritmiche e  l’opera di Euripide, giungendo a  mostrare   Sul­l’argomento resta importante Ziegler 1988; vd.  ora anche Cameron 1995, 263 ss. che rivede, anche in senso critico, alcune posizioni di Ziegler, e, per altre indicazioni, Catenacci 2011, p. 62 ss. 12

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come la ripresa, ma anche la variazione e la sostituzione delle sequenze di tipo ionico e  gliconico che sono tipiche sebbene non esclusive del genere imenaico, siano significativamente impiegate dal tragediografo in ragione del rapporto dialettico e programmaticamente innovativo che egli instaura con la tradizione. Liana Lomiento valorizza una testimonianza della Vita Sophoclis finora sostanzialmente trascurata, secondo la quale Sofocle introdusse la melodia frigia nei suoi canti e la combinò con lo stile ditirambico. La notizia, messa in relazione con il tessuto storico-culturale del­ l’Atene di V sec. a.C., lascia emergere tratti originali e ‘creativi’ del­l’opera di Sofocle che preludono e forse aprono la strada allo sperimentalismo euripideo ed anche al ‘Nuovo Ditirambo’ con la sua spiccata tendenza alla teatralità. Il ‘Nuovo Ditirambo’, spiega Marco Ercoles, presuppose e animò un acceso dibattito critico sulla mousikè, al quale parteciparono in prima persona i ‘neo-ditirambografi’, anche in vivace polemica tra loro: lo spazio concreto in cui tali contrasti trovavano ambientazione era spesso proprio quello degli agoni citarodici e  ditirambici, come mostrano i  versi di Timoteo (contro Frinide e  contro i  conservatori d’ambiente spartano) e  alcune storie tradizionali sui musici del­l’epoca (Stratonico e  Dorione contro Timoteo, Democrito di Chio contro Melanippide). E ad uno dei ‘neo-ditirambografi’ più discussi e derisi nella commedia attica, Cinesia, è dedicato il lavoro di John C. Franklin che, oltre a costituire un’esaustiva e ragionata rassegna dei documenti sulla vita e sul­l’opera di questo poe­ta, propone una nuova interpretazione di una famigerata testimonianza (Aristofane, Rane 366 con lo scolio al passo). Alle tendenze della ‘Nuova Musica’ e al clima di rinnovamento culturale proprio del­l’Atene di V sec. a.C., ancora, Adelaide Fongoni riconnette le elegie di Dionisio Calco: una produzione dal marcato ed esibito gusto per le espressioni dense e inusitate, che va ricondotta al contesto simposiale e alle manifestazioni di agonalità poe­tica in quel­l’ambito. Uscendo da Atene e aprendo la discussione ad altri generi poe­ tici, Donato Loscalzo raccoglie e  discute le testimonianze sulla presenza della poesia giambica in contesti agonali (specialmente rapsodici), pubblici e teatrali, e in questo quadro inserisce i frammenti nei quali Ipponatte fa riferimento al rituale del pharmakòs, anch’esso riconducibile a situazioni comunitarie ed extra-simpo564

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siali. Di nuovo la poesia di Ipponatte, nel singolare ruolo di testimone ‘storico-letterario’ sul­l’auletica, è il terreno di studio del contributo di Luca Bettarini, che, oltre a riprendere in considerazione la celebre «aria del fico» attribuita da Ipponatte a Mimnermo, s’impegna a  delineare il profilo di tre tanto intriganti quanto sfuggenti figure di auleti (Babi, Cicone e Codalo o Cotalo, secondo l’identificazione proposta da Bergk, che Bettarini è propenso ad accogliere), menzionati nei versi del poe­ta di Efeso. Alessandra Amatori ci introduce a Sparta e alle feste Carnee, ma anche a Lesbo, attraverso il riesame dei Vincitori alle Carnee di Ellanico: un’opera il cui valore, diversamente dal­l’opinione comune, andava oltre la definizione di termini cronologici di riferimento, mostrando specifici interessi eurematologici per i primi citarodi vincitori, anche in ragione della comune origine lesbia sia di questi sia di Ellanico. Paola Bernardini allarga ulteriormente lo spettro geografico, storico e ideologico del fenomeno agonistico mediante una ricognizione delle gare istituite in varie parti del mondo greco per celebrare le vittorie militari di personalità illustri, con particolare attenzione alle competizioni poe­tiche e musicali. Va da sé che uno spazio speciale non poteva non essere riservato a Pito, sede dei certami musicali più importanti, modello per gli altri agoni e luogo sacro d’attrazione per musici e poe­ti, cultori delle arti d’Apollo, di tutta la grecità. La documentazione che Delfi ci offre è  fuori del comune: fonti letterarie, archeologiche e, soprattutto, epigrafiche. Dal­l’analisi completa delle testimonianze a disposizione Maria Elena Della Bona elabora il catalogo dei Pythionikai musicali (con relative riflessioni sulla cronologia e sulla provenienza geografica dei vincitori nonché sulle specialità in cui si è ottenuta la vittoria), per soffermarsi poi su aspetti sia formali sia contenutistici delle iscrizioni onorifiche di età imperiale. In continuità con l’auspicio, con cui si conclude l’articolo di Della Bona, si pone il successivo intervento di Angela Cinalli, che, anche attraverso la messa a  fuoco delle singolari vicissitudini di due artisti itineranti (Satiro di Samo e Polignota di Tebe), apre un vivido scorcio sul fenomeno dei poe­ti e musici vaganti (‘dai piedi alati’) e sulla realtà storico-culturale del santuario pitico in epoca ellenistica. Su un altro fenomeno rilevante nella società greca, ma oggi sommerso nella documentazione e  anche negli studi, apre 565

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uno spiraglio prezioso Alessandra Manieri: gli agoni corali. Ricostruendo la storia dei Soteria delfici, le modalità e l’articolazione delle gare al  loro interno, il suo saggio punta l’attenzione sulle competizioni tra cori, un genere agonistico che, anche fuori da Delfi, ebbe diffuso radicamento e svolse notevoli funzioni formative, religiose e civiche. Con la scelta del vincitore gli agoni poe­tico-musicali non si limitano a riflettere il gusto del momento. Essi influiscono anche in senso diacronico nel­l’elaborazione dei criteri estetici e possono persino intervenire nelle dinamiche della tradizione dei testi. Massimo Raffa rilegge la sezione 19 (Q uestioni riguardanti l’armonia) dei Problemi attribuiti ad Aristotele da una particolare angolazione: al tempo di Aristotele o negli anni di poco successivi, quali caratteristiche delle esecuzioni musicali paiono risultare particolarmente gradite al pubblico, specialmente a proposito del rapporto tra voce e strumenti? I materiali contenuti nei Problemi, suggerisce Raffa, possono derivare, tra le altre cose, dalla viva osservazione delle reazioni e dei gusti dei giudici negli agoni. Dalle performances dei rapsodi negli agoni alla lettura ad alta voce degli studiosi antichi la resa fonica, osserva Francesca Biondi, è un elemento costituivo delle recitazioni epiche, ma anche degli studi omerici: su queste basi critiche, l’articolo lavora attorno a interessanti categorie esegetiche quali «interpretazione orale» e  «variante da lettura». In diverse forme l’agonistica poe­tica e  musicale entra come argomento di interesse, narrazione e  riflessione nel­l’opera di scrittori tra l’epoca ellenistica e  quella imperiale. José Antonio Fernández Delgado e Francisca Pordomingo passano al vaglio le informazioni sugli agoni di età ellenistica che Plutarco, attingendo probabilmente a fonti ellenistiche, riporta nelle Vite parallele: un repertorio tutt’altro che trascurabile per numero e  importanza delle notizie su feste, competizioni, generi poe­tici in trasformazione e forme varie di spettacolo, tra le quali spiccano quelle simposiali. «Il grado di riflessività», che autori del periodo ellenistico e  imperiale come Plutarco maturano nei confronti del proprio passato storico-culturale, costituisce un decisivo fattore di condizionamento anche nella nostra conoscenza e rappresentazione della grecità. Da questi presupposti muove Francesco Prontera per riesaminare una densa sezione del proemio della Geografia di 566

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Strabone, nella quale Strabone, in polemica con Eratostene e in linea con gli influssi peripatetici e stoici della propria formazione, riflette sul valore etico, civile e pedagogico della poesia, della musica e del mito nella civiltà greca, anche se ormai a prevalere nel panorama culturale del­l’epoca sono la prospettiva letteraria e l’arte oratoria. Storie di agoni e  figure di agonisti partecipano alla costruzione del patrimonio narrativo e del sistema simbolico. Un illuminante esempio è  rappresentato dalle Sirene e  dalla loro presenza nel carme dafneforico di Pindaro (fr. 94, 13 ss. Maehler): dopo aver delineato l’ambiguo profilo (essenzialmente contrappositivo e ‘agonistico’) delle Sirene nel­l’immaginario greco, Marialuigia Di Marzio propone una nuova interpretazione del difficile passo pindarico ancorando l’enunciato sulle Sirene e l’intera ode a un concreto contesto geografico (la Beozia, Tebe e Coronea) e  storico (la ricomposizione di una στάσις). Ma l’immaginario delle Sirene, com’è noto, vive una storia di lunga durata, che va ben oltre il mondo classico e conduce fino alla modernità (penso, tra l’altro, alla fortuna nelle attuali produzioni fantasy o alle splendide Sirene malinconiche in Odyssey di Bob Wilson) e agli ultimi saggi del volume. Le Sirene sono tra i soggetti mitologici dipinti da Arnold Böcklin, che amò ispirarsi a motivi e temi del­l’antichità classica: Eleonora Cavallini esplora il background culturale, lo spirito e i risultati di questa originale e «persino irriverente» rivisitazione del mito classico (Pan e le Ninfe su tutti, ma anche le Muse e Saffo, Calipso, Tritone e le Nereidi, oltre alle Sirene). Una rivisitazione iconografica e narrativa che, pur portando sulla tela personaggi celebri per aver partecipato ad agoni poe­tico-musicali, tende a ignorare tali agoni. Eroine moderne del canto possono ‘competere’, poi, nel­l’interpretazione e nella rappresentazione di un’eroina antica: il contributo di Elena Liverani documenta e discute le contrastanti tecniche e rese vocali, nonché il differente approccio, con cui Leyla Gencer e Maria Callas fecero artisticamente propria la Medea di Cherubini, la prima in forme più classiche e rispettose del gusto del­l’originale, la seconda con modalità più innovative e spirito ‘romantico’. Q uindi, del modello storico-culturale, che gli agoni poe­tico-musicali del­ l’antichità rappresentano nella tradizione artistica occidentale fino a  tutto il tempo moderno, Biancamaria Brumana coglie 567

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un puntuale passaggio: il suo intervento analizza la scena della tenzone dei cantori nel castello della Wartburg nel Tannhäuser (o, secondo il significativo titolo completo Tannhäuser und der Sängerkrieg auf  Wartburg) di Richard Wagner, che trova il proprio motivo d’ispirazione nelle tenzoni medievali. Da segnalare lo studio e la pubblicazione di una serie di schizzi inediti dei costumi creati da Charles Bianchini per la rappresentazione parigina del Tannhäuser del 1895. Infine, a chiudere il libro nel segno della progettualità, il contributo di Flavio Massaro illustra i  risultati raggiunti e  le nuove prospettive del data-base Terpander, che si propone di mettere in comune on-line tutti i materiali (letterari, epigrafici, archeologici, iconografici, bibliografici e informativi) sugli agoni poe­ticomusicali nella Grecia antica. Uno strumento di grande utilità, com’è evidente, non solo per il reperimento e la consultazione dei documenti, ma anche per la loro messa in sistema e per l’avanzamento degli studi grazie alle notevoli possibilità offerte da tecniche sempre più articolate di interazione. Da questa rassegna, pur cursoria, emergono l’ampiezza dei contenuti e la pluralità delle prospettive critiche di Poeti in agone. Abbiamo attraversato numerose località della Grecia ed epoche differenti, siamo stati introdotti in diverse occasioni (dalle spianate dei raduni panellenici agli spazi cittadini e a quelli ‘privati’, dai santuari ai teatri, ai simposi fino alle corti e alle biblioteche). La discussione ha interessato più generi poe­tici e musicali: l’epica esametrica, la citaristica e la citarodia, il giambo e l’elegia, l’auletica e  l’aulodia, la melica (in particolare ditirambo, prosodio e imeneo) e il teatro, la ‘Nuova Musica’ del V-IV secolo a.C. e le novità di età ellenistica, poesia ‘per pochi’ e poesia ‘per molti’. Abbiamo incrociato diverse personalità, alcune celebri, altre meno note, altre del tutto assenti dai repertori della letteratura greca. Un’assenza che andrebbe colmata, nel senso che le storie letterarie dovrebbero tenere presenti, se non proprio queste figure dagli immateriali contorni personali, quanto meno gli importanti fenomeni culturali che essi incarnano. Abbiamo visto, inoltre, come gli agoni poe­tico-musicali, con la loro prassi, le loro storie e  i loro personaggi esemplari, siano parte del paradigma culturale della tradizione, sempre uguale e sempre mutevole, in un fondamentale rapporto di condizionamento reciproco con la 568

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realtà religiosa, politica e sociale del tempo antico, ma anche in un vitale gioco di riflessione, di riprese e mutazioni con le culture dei secoli a seguire, sino ai giorni nostri. Un tratto caratterizzante del volume è la polifonia degli interventi. Diversi livelli d’analisi e diversi approcci disciplinari si intersecano e interagiscono: gli studi filologici e letterari, la metrica, l’epigrafia e l’archeologia, l’indagine storico-religiosa, la musicologia e l’iconografia, con incursioni anche fuori dal mondo antico. Al­l’ampiezza degli orizzonti si accompagna una complessiva omogeneità degli interessi, dei metodi e dei risultati. Un’omogeneità nella quale non è difficile sentire, per molti degli autori di Poeti in agone, l’influenza del magistero diretto o indiretto di Bruno Gentili. Due tra i  suoi tanti insegnamenti sono alla base delle ricerche di questo volume. Il primo concerne la necessità – senza mai smarrire o  annacquare la specificità e  il rigore delle competenze tecniche di ciascuna disciplina – di guardare con curiosità e attenzione ai dati provenienti da altri ambiti della ricerca tentando di metterli in dialogo. Il secondo, complementare al primo, è che il fenomeno poe­tico e letterario non si esauriva, e non si esaurisce, sulla pagina scritta. Il tema degli agoni poe­tico-musicali è assai vasto e frastagliato. Certamente la trattazione non poteva essere esaustiva né si proponeva di esserlo. Tuttavia, si può senz’altro affermare che Poeti in agone traccia significative linee di studio per una storia e una geografia, ma anche per una pragmatica e  un immaginario del­ l’agonistica poe­tica e musicale nella Grecia antica. Il volume, in estrema sintesi, riprende e riapre questioni note mettendo a volte in discussione posizioni consolidate, presenta nuove acquisizioni, addita sviluppi della ricerca sul­l’argomento. Non resta, a  questo punto, che ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo libro, alla cui base vi è il progetto di ricerca «Gli agoni poe­tico-musicali nella Grecia antica» (PRIN 2010-2011). Un progetto che presto ha saputo attrarre nella discussione scientifica, come il volume mostra, studiosi italiani e stranieri di varia provenienza. Uno speciale e vivissimo ringraziamento va ad Antonietta Gostoli, che ha coordinato con impegno, efficienza e generosità sia le unità di ricerca del PRIN sia tutte le attività che hanno portato alla pubblicazione di Poeti in agone. 569

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Bibliografia Burckhardt 1955 = J. Burckhardt, Storia della civiltà greca, I-II, trad. it. Firenze 1955 (Berlin – Stuttgart 1898-1902). Cameron 1995 = A. Cameron, Callimachus and His Critics, Princeton 1995. Catenacci 2011 = C. Catenacci, Epica ed eulogia. Dai modelli mitici di età arcaica al­l’epos storico ellenistico, in G. Urso (a cura di), Dicere laudes. Elogio, comunicazione e creazione del consenso (Fondazione Canussio – XII convegno internazionale, Cividale del Friuli 23-25 settembre 2010), Pisa 2011, pp. 49-68. Catenacci 2013 = C. Catenacci, Introduzione e commento alle Olimpiche 1, 2, 3 e 12, in B. Gentili – C. Catenacci – L. Lomiento – P. Giannini (a cura di), Pindaro. Le Olimpiche, Milano 2013. Ceccarelli 1998 = P. Ceccarelli, La pirrica nel­l’antichità greco romana. Studi sulla danza armata, Pisa – Roma 1998. Dodds 1959  = E.  R. Dodds, I  Greci e  l’irrazionale, trad. it. Firenze 1959 (Berkeley – Los Angeles 1951). Gentili 20064  = B.  Gentili, Poesia e  pubblico nella Grecia antica, Milano 20064 (Roma – Bari 1984). Gianvittorio 2017 = L. Gianvittorio (ed.), Choreutika. Performing and Theorising Dance in Ancient Greece, Pisa – Roma 2017. Powell 1991 = B. B. Powell, Homer and the Origin of  the Greek Alphabet, Cambridge1991. Vetta 2006 = M. Vetta, Esiodo e i due santuari del­l’Elicona, in M. VettaC. Catenacci (a cura di), I luoghi e la poesia nella Grecia antica (Atti del Convegno. Università G. d’Annunzio Chieti – Pescara 20-22 aprile 2004), con la collaborazione di M. Di Marzio, L. Q uattrocelli, S. Santoro) Alessandria 2006, pp. 53-72. Ziegler 1988  = K.  Ziegler, L’epos ellenistico. Un capitolo dimenticato della poesia greca, trad. it. Bari 1988, a cura di F. De Martino, con premesse di Marco Fantuzzi (Leipzig 19662; 19341).

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INDICI Indice dei passi citati Indice dei nomi Elenco delle illustrazioni

INDICE DEI PASSI CITATI

INDICE DEI PASSI CITATI a cura di Adelaide Fongoni

Achilles Tatius 8, 6: 481 n. 17 Adespota comica fr.  338 Kassel-Austin: 147 n. 52 *439: 139 n. 32 elegiaca SH 958: 466 n. 44 969: 466 n. 44 tragica TrGF F 375 Snell-Kannicht: 201 n. 164 Aelianus Var. Hist. 2, 13: 182 n. 86 2, 21: 206 n. 180 2, 23: 185 n. 96 3, 33: 396 n. 49 5, 19: 186 n. 99 8, 7: 332 n. 1 Aeschylus Ag. 150: 35 n. 28 160 ss.: 103 n. 3 245: 527 n. 3 739 ss. = 750 ss.: 87 n. 60 975-987 = 988-1000: 55 n. 45 Choeph. 152-163: 104 Eum. 881 ss.: 35 Pers. 742: 38 n. 37 Sept. 70-181: 38 110: 37 171: 37 181 ss.: 37

186: 38 201: 37 265-270: 38 287: 38 287-368: 38 321 ss. = 333 ss.: 87 n. 60 345 ss.: 38 n. 38 454: 37 686: 38 686 ss.: 37 692: 38 n. 37 698: 38 n. 37 720: 39 720-791: 39 742 s.: 39 758 ss.: 39 772 ss.: 39 792: 37 TrGF F 43 Radt: 106 n. 17 61: 204 n. 175 68-73: 115 n. 42 103d: 18 n. 10 300, 5-7: 151 n. 67 Aëtius Plac. 2, 25, 11: 173 n. 38 Alcaeus fr. 6 Voigt: 251 n. 47 73: 251 n. 47 129, 9: 460 n. 30 305b: 251 n. 47 306i, col. II: 251 n. 47

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INDICE DEI PASSI CITATI

Alciphro 3, 36, 1: 185 n. 97

Pseudo-Apollodorus 1, 9, 25: 491 n. 64

Alcman fr. 1 Page/Davies: 187 n. 109 1, 96: 243 1, 96 s.: 244 1, 96-98: 243 n. 24 3, 7-9: 24 n. 22 30: 243 n. 24 41: 151 n. 68

Apollonius Rhodius Argon. 2, 467: 289 n. 43 4, 891-919: 249; 490 4, 894-897: 248 4, 895 s.: 248 nn. 37, 42 4, 898 s.: 492 4, 900-902: 242 n. 19; 248 4, 903-911: 490 4, 1423 s.: 151 n. 67 Schol. 1, 1165: 172 n. 31 3, 861: 202 n. 166

Alexander Aetolus Musae p. 124 Powell: 456 Anacreon PMG 378 Page: 166 472: 305 n. 14 Anaxandrides fr. 1 Kassel-Austin: 286 n. 31 Andocides De myst. 13, 15: 183 n. 90 13, 35: 285 Anonymus Comm. in Aristot. Rhet. 3, 1405a 32: 284 Liber monstr. I 6: 492 n. 69 Anthologia Palatina 5, 148: 287 n. 35 6, 213: 54 n. 41 7, 712, 7-8: 103 9, 524: 460 n. 30 15, 21: 481 n. 17

Archilochus test. 65 Gerber: 265 n. 14 fr. 2 West: 290 n. 44 5: 261 n. 2 21: 282 n. 16 22: 282 n. 16 102: 282 n. 16 120: 32; 287 121: 32 255: 271 n. 37 324: 265 n. 13 Mnes. Inscr. col. III: 265 n. 15 col. III 16-57: 33 ‘Arion’ PMG adesp. 939 Page: 54 n. 43; 176 Aristides Or. 3, 231: 209 n. 189 22, 3: 199 n. 154 22, 10: 193 n. 136

Antiphanes fr. 49 Kassel-Austin: 229 n. 16 207: 148

Aristonous Hymn. Vest. p. 164 Powell: 457 Pae.  Ap.  42 Käppel: 456-457; 467 n. 52

Apollodorus Bibl. 1, 3, 4 [18]: 248 nn. 37, 41 1, 7, 10 [63]: 248 n. 37 Epit. 7, 18: 248 nn. 37, 41 7, 19: 242 n. 19; 249 n. 44

Aristophanes Ach. 247-279: 20 n. 14 641-651: 22 n. 18 Av. 11: 147 n. 52 229-259: 56

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INDICE DEI PASSI CITATI

764: 147 n. 52 766: 209 n. 189 848-849: 82 851-858: 82 854: 82 854 s.: 70 n. 3 857: 82 n. 52 859-860: 82 n. 52 862: 82 893-894: 82 n. 52 895-900: 82 n. 52 901-902: 82 n. 52 1058 ss.: 88 n. 62 1073: 86 n. 58 1169: 195 n. 144 1372: 168 1372-1374: 165 1375-1377: 167 1377: 168 n. 15 1378-1387: 169 1381: 187 n. 107 1387: 171 n. 25; 187 n. 107 1392-1394: 177 1395b-1396: 177 1398-1401: 177 1398-1409: 272 1402: 187 n. 107 1403-1404: 178 1527: 147 n. 52 1553-1564: 175 n. 48 1720-1725: 109 1720-1765: 108-109 1726-1730: 109 1729 ss.: 93 n. 74 1731-1743: 109 1744-1754: 109 1755-1763: 109 Eccl. 289-299 = 300-310: 93 321-332: 195 328-329: 195 n. 144 332: 195; 199 391: 191 883: 137 n. 23 890 ss.: 560 1061-1062: 195 n. 144 Equ. 900-901: 195 n. 144 1111 ss.: 93 n. 74 1375-1380: 290 n. 48

Nub. 187-194: 174 n. 41 225-230: 171 n. 25 331-338: 170 n. 21 333: 136 360: 171 n. 24 380: 186 n. 104 508-509: 174 n. 42 829-830: 186 n. 104 964-972: 166 n. 9 969: 140 n. 33 969-971: 135 971: 135 n. 14 987-989: 194 n. 141 1100-1105: 182 n. 86 1154-1170: 56 1357 s.: 151 n. 68 1471: 186 n. 104 1473: 186 n. 104 Pax 42: 163 n.* 531: 62 829-834: 171 831: 172 833: 172 835: 173 855 s. = 910 s.: 93 n. 74 1329 ss.: 93 n. 74 1331-1339: 107 Plut. 594-597: 181 n. 80 Ran. 46: 199 58-106: 274 82: 50 83-85: 206 n. 180 129-133: 84 n. 54 139-140: 84 n. 54 143: 199 n. 154; 201 143-144: 193 145: 193 e n. 136 145-151: 198 146: 193; 208 n. 185 152-153: 193 n. 138 154: 205 n. 179 154-163: 86 n. 59 155-157: 84 157: 94 170-178: 84 n. 54 179-270: 198 185 ss.: 84 n. 54 270: 84 n. 54

575

INDICE DEI PASSI CITATI



273: 198 274-275: 198 276: 182 n. 86; 198 277-278: 198 279-284: 199 279-311: 198 288-289: 199 289-292: 199 289-296: 199 n. 154 289-299 = 300-310: 93 293: 201 n. 160 293-294: 205 n. 178 295: 205 n. 178 302-305: 200 307-309: 199 308: 199 n. 153 312-313: 205 n. 179 313-315: 86 n. 59 320: 85; 188; 189 n. 118 323/4: 86; 87 323/4-336 = 340-352: 86 326: 84; 88 327: 85 332-334: 87 337-339: 91 n. 69 345-348/349: 87 350-352: 88 354-366: 190 354-371: 87; 96 n. 80 355: 87; 192 358: 205 363-364: 89 366: 196 n. 146; 165; 221; 564 369-370: 87 370: 87 372: 88 n. 63 372-374: 84 372-376 = 377-382: 87-88 373: 88 374: 88 374a-375: 88 375: 89 377: 87 378: 89; 96 381: 89; 96 382: 88 383-384: 89 384 ss.: 93



576

384a-385: 89 384a-388 = 389-393: 89 386: 89; 96 387: 89 n. 65 388: 89 392: 88; 89 396: 91 397: 93 n. 73 397-398/9: 91 397-403 = 404-408 = 409-413: 90 398/9-400: 91 403: 91 404-408: 91 408: 91 409-413: 91 413: 91 413-415: 91 n. 69 416 ss.: 90 416-430: 93 416-439: 92 431-439: 91 n. 69 432: 92 436: 92; 209 440: 88 n. 63; 94 440-446/7: 93; 94 441/2: 84 441-444: 94 445-446/7: 94 448: 88 n. 63; 94 448-449: 84 448-453 = 454-459: 93 448-459: 94 454-455: 94 456-459: 94 479: 199 e n. 152; 209 549 ss.: 84 n. 54 574: 84 n. 54 615-617: 84 n. 54 623-624: 84 n. 54 674-737: 87 n. 61 686-704: 189 n. 121 718-737: 284 n. 22 738-813: 96 n. 80 787 ss.: 62 n. 75 830-1413: 51 n. 22 895 ss.: 96 n. 80 966: 137 n. 22

INDICE DEI PASSI CITATI

1327: 139 n. 32 1343-1363: 56 1419: 96 1437: 169 n. 20 1448: 96 1450: 96 1501: 96 1517: 96 Thesm. 51-56: 148 n. 59 53: 137 n. 21 55-69: 168 n. 19 100: 136 n. 16 124: 151 n. 68 130-132: 153 n. 71 138: 204 n. 174 161-163: 137 n. 23 163: 137 n. 23 411: 204 1015-1055: 56 Vesp. 804: 181 n. 78 fr. 156 Kassel-Austin: 164; 169; 191; 194 n. 139; 206 156, 2: 206 n. 181 156, 5: 206 156, 11: 206 n. 181 156, 13: 206 n. 181 157: 208 n. 186 157, 3: 191 n. 126 169: 209 176: 209 178: 206 n. 180 515: 200 n. 158 581: 47 n. 2 *692: 147 n. 52 696, 1: 18 n. 10 930: 140 Schol. Ach. 13a: 334; 338 n. 11 Av. 11 (vet.): 147 n. 52; 334 521b: 282 n. 17 766: 209 n. 189 853a: 82 n. 51 919: 79 n. 40 1073: 86 n. 58; 184 n. 93 1403: 307 e n. 24 1764: 265 n. 13 Equ. 1264b: 81 n. 48 Nub. 332: 168 n. 19 332a: 282 n. 17



333: 170 n. 22 335: 170 n. 23 829: 184 n. 93; 186 n. 103 830: 185 nn. 96-97; 187 n. 112 830a: 186 n. 103 830b: 186 n. 103 971a-b: 51 n. 22 1154b: 56 n. 49 1473: 186 n. 104 Pac. 531c2: 50 n. 21 835-837a: 172 nn.  30-31; 173 n. 33 1329: 108 n. 22 Plut. 594-597: 181 n. 80 Ran. 85: 206 n. 180 153: 165 n. 5; 194 e n. 140 293: 200 303: 436 n. 2 320: 85 n.  57; 185 n.  96; 187 n. 112; 188 nn. 114-115; 204 n. 177; 436 320e: 86 n. 58 366: 165; 191 n. 128; 202; 221; 564 404: 211 694: 303 733a (rec.): 269 n. 3 Vesp. 293 (rec.): 200 n. 158 462: 47 n. 2

Aristoteles Ath. Pol. 42, 2: 428 n. 3 56, 5: 272 n. 44 Metaph. 2, 933b 15: 62 2, 993b 15 s.: 138 Poet. 1, 1447a 13-16: 187 n. 108 1, 1447a 28-1447b 16: 281 n. 11 1, 1447b 24-27: 53 n. 35 1, 1447b 24-28: 187 n. 108 2, 1148a 11-18: 204 n. 177 4, 1448b 21-24: 33 n. 27 4, 1449a 9-13: 34 4, 1449a 18: 48 n. 5 6, 1450b 15-20: 42 15, 1454a 30: 60 n. 68 15, 1454a 30-31: 53 n. 35 18, 1456a 25-27: 36 18, 1456a 30: 36

577

INDICE DEI PASSI CITATI

25: 441 e n. 25; 442 25, 1460b 6-1461b 25: 441 n. 26; 442 n. 37 25, 1460b 22-1461a 9: 441 n. 33 25, 1461a 9-34: 442 nn. 34, 36 25, 1461a 21-23: 442 nn. 35, 38 25, 1461a 22-23: 443 25, 1461a 23: 443 25, 1461a 23-25: 440 n. 22; 442 n. 36 25, 1461b 15-18: 441 n. 25 26, 1461b 26-1462a 14: 153 n. 71 26, 1461b 30-31: 187 n. 108 Pol. 3, 3, 2: 487 n. 50 7, 1336b 20-23: 262 8, 1340b 4: 48 n. 10 8, 1341b 7-18: 62 n. 72 8, 1342a 32-b 12: 48 n. 10 8, 1342b: 212 n. 200 8, 1342b 1-12: 48 n. 8 8, 1342b 3 ss.: 49 n. 11 Rhet. 3, 1403b 21-24: 18 n. 8 3, 1404a 24: 429 n. 6 3, 1406b 2: 53 n. 35 3, 1407a 19-b 1: 440 n. 19 3, 1407b 11-18: 440 n. 21 3, 1409b: 52 n. 32 3, 1409b 21-28: 196 n. 146 3, 1409b 24-30: 139; 161 Soph. el. 4, 165b 23-24: 441 n. 27 4, 166a 23-32: 441 n. 28 4, 166a 33-38: 440 n.  24; 441 n. 29 4, 166b 1-4: 444 n. 45 4, 166b 1-9: 441 n. 30 4, 166b 3-6: 443 4, 166b 6-8: 443 20, 177a 33-b 34: 441 n. 31 20, 177b 1-7: 436 n. 3 21, 177b 35-178a 3: 441 n.  32; 443 fr. 551 Gigon: 146 n. 51 545 Rose: 309 n. 33 Vit.  Marc.  p.  428, 1-5 Rose: 440 n. 17 p. 438, 14-15: 440 n. 17 p. 443, 12-17: 440 n. 17

Pseudo-Aristoteles Aud. 804a 21: 527 n. 2 Probl. 11, 22: 527 11, 46: 527 19: 413; 418; 420; 425; 566 19, 5: 415; 420 19, 9: 415; 420 19, 10: 416 e n. 8 19, 12: 415; 416 n. 7; 420 19, 15: 187 n. 108 19, 15, 918b: 51 n. 26; 53 n. 36 19, 15, 918b 18-29: 133; 153 n. 71 19, 18: 416 n. 6 19, 27, 919b 26-28: 134 n. 11 19, 30: 47 n. 3 19, 35a: 416 n. 6 19, 39: 414; 415; 416 n. 6; 421 19, 40: 415; 422 19, 43: 417; 422 19, 48: 47 n. 3 19, 49: 416; 417; 423 Aristoxenus Harm. 1, 9-10: 528 n. 5 5: 166 n. 9 fr.  45/1Wehrli: 185 n.  96; 204 n. 177 79: 47 n. 3 81: 57 n. 54 82: 48 n. 7; 79 n. 38 103: 212 n. 200 108: 212 n. 200 Arrianus Anab. 2, 5, 8: 332 n. 1 3, 1, 1: 332 n. 1 3, 5, 2: 332 n. 1; 457 3, 6, 1: 457 n. 18 4, 3, 7: 463 n. 37 5, 2-6, 1: 463 n. 37 7, 14, 1: 458 n. 21 Hist. Ind. 18, 12, 1: 332 n. 1 Athenaeus 1, 6e-f: 178 n. 65 1, 20e-f: 50 n. 18 1, 21d-f: 18 n. 10

578

INDICE DEI PASSI CITATI

1, 22a: 18 n. 9 4, 141e-f: 301 n. 4 4, 175d-e: 305 n. 14 4, 176c: 229 5, 189b: 439 n. 16 6, 253a-f: 459 6, 253b-d: 69 n. 2 6, 253d-f: 468 n. 53 8, 337b-352d: 141 n. 37 8, 338a: 141; 161 8, 352a: 141; 161 8, 352b: 143 9, 370a: 271 n. 38 10, 414f-415a: 334 10, 443d: 288; 289 n. 43 12, 537d-e: 395 n. 45 12, 538b-539a: 458 n. 20 12, 551a-c: 207 12, 551a-552b: 168 n. 15; 179 n. 68; 206 12, 551d: 179 n. 70; 182 n. 85 13, 603-604: 62 n. 74 14, 617c: 375 n. 70 14, 620b-c: 263 14, 620c: 231 n. 24; 264 n. 11 14, 620d: 268 n. 28 14, 623c: 469 n. 54 14, 623d: 469 n. 54 14, 624a: 226 14, 624b: 225 14, 630c: 212 n. 200 14, 631b: 212 n. 200 14, 631c-d: 78 n. 36 14, 635e: 305; 311 n. 40 14, 638a-b: 342 n. 20 15, 669a: 288 15, 669e: 285 n. 24 15, 696e: 454 n. 7 Athenagoras Leg. 4, 1: 185 n. 98 Ausonius Griph. 20-22: 254 20-23: 253 e n. 63 Bacchylides Dith. 15 Maehler: 53 n. 38; 54 n. 41

16: 54 n. 41 17: 54 n. 41; 55 n. 47 18: 32; 34; 54 n. 41 19: 53 n. 38; 54 n. 41 20: 54 n. 41 24: 54 n. 41 25: 54 n. 41 27: 54 n. 41 28: 54 n. 41 29: 54 n. 41 frr. 11+12: 77 n. 26; 80 n. 45; 81 13: 77 n. 26; 80 n. 45; 81 20 A: 87 n. 60 Boethius Inst. Mus. 1, 1: 145 n. 46 Callimachus Hymn. 2: 452 2, 19: 151 n. 68 2, 71-87: 301 n. 1 4, 75-82: 240 5: 452 6: 452 fr. 26, 5 Pfeiffer: 267 n. 25 430: 283 Callisthenes FGrHist 124 F 5: 141 n. 34 Carmina Convivalia PMG 917b, 1 Page: 286 n. 32 Carmina Popularia PMG 871 Page: 21 n.  15; 69 n.  1; 80 Carystius FHG IV 359: 62 n. 74 Catullus Carm. 61: 109 62: 110 n. 27; 122 n. 65 Chamaeleon fr. 28 Wehrli: 231 n. 24; 264 n. 10 30: 141 41: 18 n. 10

579

INDICE DEI PASSI CITATI

Chares FGrHist 125 F 4: 458 n. 20 F 4 A: 469 n. 54 Choerilus fr. 9 Bernabé: 290 n. 44 Cinesias PMG 774 Page: 163; 176 775: 168 n. 15 775-776: 163 Claudianus De rapt. Pros. 3, 190: 248

Demetrius Phalereus fr. 191 Wehrli: 334 Demochares FGrHist 75 F 2: 69 n. 2 Demosthenes Or. 5, 22: 339 n. 13 18, 130: 201 n. 161 19, 337: 267 21, 8-9: 21 n. 16 21, 9-10: 20 n. 14 21, 10: 17 n. 5 54, 14, 16-17: 181 n. 76 54, 39: 181

Clearchus fr. 92 Wehrli: 263 n. 8

Diagoras PMG 738 Page: 185 n. 96

Clemens Alexandrinus Strom. 1, 21, p. 131, 6 Stählin: 306 6, pp. 425, 11-426, 6: 266 n. 19

Dicaearchus fr. 87 Wehrli: 268 n. 28 88: 286 n. 29

Clonas test. 1 Gentili-Prato: 78 n. 34 2: 76 n. 23; 78 n. 34

Didymus fr. 3, 389-390 Schmidt: 75 n. 21; 82 4, 390: 70

Corinna PMG 654 (a), col. i Page: 561

Dio Chrysostomus 4, 90: 199 n. 154

Craterus FGrHist 342 F 16: 184 n. 93

Diodorus Siculus 4, 7: 486 n. 47 12, 9, 5-6: 324 n. 24 12, 10: 282 n. 16 12, 10, 3-4: 282 n. 17 14, 46, 6: 148 n. 58 15, 6: 178 n. 65 16, 90, 1: 322 n. 19 16, 92: 462 n. 35 17, 16: 332 n. 1 29, 18: 466

Cratinus fr. 40, 2 Kassel-Austin: 204 n. 175 233-245: 208 n. 184 263: 146; 309 n. 33 Critias fr. 4, 6 Gentili-Prato: 286 n. 31 4, 7: 286 88 A 22 Diels-Kranz: 306 n. 18 B 6: 306 n. 18 B 57: 78 n. 35 Damastes FGrHist 5 F 7: 271 n. 37

Diogenes Babylonius SVF III 225, 31: 390 n. 19 Diogenes Laertius 1, 46: 281 n. 11 3, 2: 271 n. 37

580

INDICE DEI PASSI CITATI

Schol. Lond. (AE) p. 451, 17 Hilgard (Heliod.): 70 n. 4; 78 n. 30

3, 56: 18 n. 9 5, 26: 344 n. 32 6, 39: 193 n. 136 6, 43: 135 n. 15 9, 1: 266

Duris FGrHist 76 F 26: 454 n. 7 F 70: 333; 342 n. 19 F 71: 320; 454 n. 7

Diomedes Grammaticus GL I p. 475, 9-25 Keil: 194 n. 140 477, 3 s.: 92 n. 72 Dionysius Chalcus test. 1 Gentili-Prato: 283 2: 283 n. 18 3: 282; 283 n. 19 4: 282 5: 283 6: 284 7: 284 fr. 1 Gentili-Prato: 285 e n. 28; 289 1, 1: 285 n. 28; 286; 287 1, 2: 286 1, 3: 287; 288 1, 4: 285; 286; 287 1, 5: 287 3: 285 e n.  27; 288; 289; 290; 290 n. 47 3, 1: 286 n. 31; 289 3, 2: 289; 290 3, 3: 289 4: 285 n. 28 4, 1: 285 n. 28 5: 288; 289 e n. 42; 291 n. 57 5, 1: 289 5, 2: 279 5, 3: 291 6: 291 e n. 57 Dionysius Halicarnassensis Ant. Rom. 1, 22, 3: 302 Comp. 19: 49 n. 13 131: 55 n. 44 Dem. 26: 186 n. 105 Thuc. 5: 309 n. 34 Dionysius Thrax GG I/1, p. 5 s. Uhlig: 435 n. 1 p. 6: 281 n. 11

Empedocles 31 B 35, 14-15 Diels-Kranz: 440 n. 23 Ephorus FGrHist 70 F 2: 140 n. 34 Etymologicum Magnum s.v.  προσῳδίαι, 690, 33-35 Gaisford: 75 n. 21 690, 33-36: 70 e n. 4 690, 36-40: 70 n. 4 s.v.  προσῴδιον, 690, 41: 70 nn.  3-4; 82 690, 42 ss.: 81 690, 43-51: 71 n. 5 s.v. πτερόεντα, 694, 15 ss.: 491 n. 68 s.v. ὕμνος, 777, 1-3: 75 n. 21 777, 3-8: 75 n. 21 777, 6 s.: 82 777, 8-9: 75 n. 21 Eumelus PMG 696 Page: 76 n. 22 Eupolis fr. 2 Kassel-Austin: 290 n. 48 91: 140 n. 33 *116: 290 n. 48 Euripides Alc. 588-596 = 597-605: 118 Andr. 766-776 = 777-789: 118 825-865: 55 n. 46 936: 249 Bacch. 105 ss. = 120 ss.: 87 n. 60 112: 125 n. 69 115: 125 n. 69 135 ss.: 87 n. 60 135-169: 56

581

INDICE DEI PASSI CITATI

136: 460 n. 30 278 ss.: 460 n. 30 410 = 425: 121 n. 56 556 ss.: 87 n. 60 576-604: 55 1167-1199: 464 1169-1171: 464 1169-1191: 464 n. 39 1179: 464 Cycl. 511-518: 110 n. 28 El. 439: 125 n. 69 625-627: 35 n. 28 859-865 = 873-879: 118 Hel. 167-169: 248 168: 248 n. 43 229-252: 55 n. 47 330-385: 55 n. 46 569-570: 201 n. 164 1137-1150 = 1151-1164: 118 Hyps. fr. 64, 70-111 Bond: 55 n. 46 Ion 112-143: 104 206: 150 n. 66 1439-1509: 55 n. 46 Iph. Aul. 164 ss. = 185 ss.: 87 n. 60 590-597: 122 610: 122 1036 ss.: 110; 125 1036-1038: 125 1036-1057 = 1058-1079: 119; 122; 123; 124 1036-1097: 105; 106; 130 1042-1043: 125 1045: 125 1054-1057 = 1076-1079: 124 n. 68 1055-1057: 125 1076-1079: 125 1080-1097: 119; 122; 124-125 1283-1335: 55 n. 46 1475-1531: 55 Iph. Taur. 827-899: 55 n. 46 Med. 84-86: 436 228-229: 436 230-251: 37 n. 36 Or. 279: 435 840 s.: 121 n. 56 982-1012: 55 n. 46; 60 n. 68

1369-1502: 55; 61 n. 68 Phaeth. 101: 121 n. 59 227: 117 227-244: 103 n.  3; 114; 118 n. 49; 129; 130 228: 117 228-230: 117 231: 117 233-234: 119 237: 117 n. 46 240: 117 e n. 46 241: 116 n. 43 242-244: 117 316-319: 115 n. 42 Phoen. 301-354: 55 1019-1042 = 1043-1066: 55 n. 47 1485-1581: 55 n. 46 1710-1758: 55 Rhes. 224-232 = 233-241: 118 Suppl. 955-979: 119 980-981: 121 n. 60 990 = 1012: 122 990-1008 = 1012-1030: 119 990-1030: 106; 110; 120; 120121; 130 993: 121 n. 58 996-1001: 121 1000 ~ 1022: 121; 122 1002: 122 1002 = 1024: 122 1019-1020: 121 1021: 121 1024: 121; 122 1026-1028: 121 Troad. 1-97: 111 98-152: 112 153-234: 112 169: 113 n. 37 173: 113 n. 37 235-307: 112 307: 113 n. 37 308-309: 112 308-313 = 325-330: 113 n. 40 308-341: 110; 129; 130 308a-341: 111 309: 112 310-313: 112

582

INDICE DEI PASSI CITATI

s.v.  Κινησίας: 179 n.  67; 182 n.  85; 211 n. 194

314: 112 314 = 331: 114 315-317 = 332-334: 113 n. 40 318-321 = 335-337: 113 n. 40 319-320: 112 320 = 337: 122 n. 62 321: 112 321-323 = 338-340: 114 322: 112 322-324 = 338-340: 113 n. 40 325: 112 325b: 113 n. 37 328: 112 331: 112 332-334: 112 342: 113 n. 37 343-352: 35 n. 28 799-808 = 809-819: 118 820-839 = 840-859: 118 TrGF F 322 Kannicht: 462 n. 36 370, 8: 151 n. 68 752g, 10: 151 n. 68 Schol. Med. 85: 436 228: 436

Hecataeus FGrHist 1 F 1: 431 Hedylus Epigr. 3 Gow-Page: 230 5: 230 6: 230 7: 230 8: 230 9: 230 10: 229 10, 3-6: 229 n. 17 10, 7: 229 10, 7-9: 229 n. 17 10, 8: 229 Hegesander FHG IV 416: 141 Hellanicus FGrHist 4 T 1: 305 n. 17 F 6: 308 n. 30 F 12: 310 n. 37 F 39: 308 n. 30 F 71: 308 n. 30 F 79b: 302 F 85: 313 F 85a: 304; 305; 307; 548 n. 6 F 85b: 304; 306; 307; 309 F 86: 307; 308; 309; 313 F 89: 308 n. 30 F 152b: 306 n. 18 F 178: 308 n. 30 F 189: 308 n. 30 323a F 25: 302 n.  5; 303; 304 n. 12

Eusebius Chron. I 204 s. Schöne: 73 n. 12 II 156: 338 n. 9 Praep. Evang. 18, 13: 481 n. 19 Eustathius Comm. in Il. 1, 201: 253 n. 60 3, 54: 50 n. 18 6, 510-511: 446 n. 56 10, 435 ss.: 248 n. 41 17, 75-76: 446 n. 56 21, 393: 283 Comm. in Od. 3, 169: 139 n. 32 12, 167: 253 n. 60 12, 191-200: 249 Galenus Comm.  in Hippocr.  aphor.  18, 1, 149: 209 n. 188 Harpocratio s.v. Δρῦς: 323 n. 22

Hephaestio Ench. p. 35 Consbruch: 108 n. 23 pp. 56-57: 122 n. 63 Heraclides Ponticus fr. 65 Wehrli: 283 n. 18 163: 137 n. 23 170: 186 n. 99 178: 266

583

INDICE DEI PASSI CITATI

Heraclitus 22 B 1 Diels-Kranz: 440 e n. 20 B 42: 261 Hermesianax fr. 7, 35 ss. Powell: 231 n. 21 7, 37 ss.: 281 n. 7 Herodas 8, 28: 204 n. 175 Herodianus De Pros. Cath. GG III/1, p. 386, 2228 Lentz: 249 n. 44

s.v. κραδησίτης (κ 3914): 270 s.v.  κραδίης νόμος (κ 3918): 232 n. 26; 270 s.v. κραδίης τυρός (κ 3919): 232 n. 28 s.v. Λυσάνδρεια (λ 1438): 321 s.v. Θαργήλια (θ 103): 271 n. 37; 272 n. 44 s.v.  Προπυλαία (π 3644 Hansen): 181 n. 78 s.v. προσῳδία (π 3946): 70 n. 4 s.v. σιφνιάζειν (σ 783): 139 n. 32 s.v.  χιάζειν (χ 452 Cunningham): 139 n. 32 Hieronymus fr. 33 Wehrli: 305 n. 16

Herodotus 1, 12-14: 306 n. 21 1, 23: 30 n. 13; 308 n. 29 2, 49, 1: 227 3, 131, 3: 132 n. 5 5, 67: 30 n. 13 6, 38: 319 6, 106: 301 n. 2 6, 120: 301 n. 2 7, 206: 301 n. 3 8, 59: 268 8, 65: 85 n. 55; 90 n. 66; 91 n. 68

Himerius Or. 74, 1-3: 342 n. 18; 348 n. 57 74, 6: 387 n. 9

Hesiodus Theog. 30: 268 n. 26 986-991: 115 n. 42 988: 150 n. 64 Op. 25 s.: 561 n. 7 265 s.: 139; 142 656-659: 138 n. 27 fr. 28 Merkelbach-West: 242 e n. 18; 243; 248 n. 39 211: 107 n. 18 311: 115 n. 42 Hesychius s.v. Ἀγαθοδαιμονισταί (α 250 Latte): 180 n. 73 s.v. ᾁδοφοῖται (α 1793): 208 n. 182 s.v. Διαγόρας (δ 975): 85 n. 57 s.v. ἑκάταια (ε 1258): 181 n. 78 s.v. Ἔμπουσα (ε 2507): 200 n. 158 s.v. Κίκων (κ 2669): 227

Hipponax test. 4 Degani: 147 n. 52 fr. 3 Degani: 227 3, 1: 226 6: 232 n. 29; 269 26: 269 26-30: 232 n. 29 28: 232; 269 29: 270 30: 269; 271 35: 273 e n. 45 39: 227 46: 270 50: 271 n. 36 78, 7: 227 n. 6 105, 17: 227 n. 6 107, 47-49: 271 n. 38 126: 270 129: 228 129a-d: 226 129e: 225; 226; 227; 228 130: 270 n. 34 146: 228; 231; 232 nn.  27, 31; 233 n. 32 153: 225 °188: 227 e n. 7

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INDICE DEI PASSI CITATI



°198: 227 n.  8; 228 n.  9; 229 n. 19

Homerus Il. 2, 15: 443 2, 32: 443 n. 40 2, 69: 443 n. 40 3, 54: 151 n. 68 5, 777: 151 n. 67 6, 143 = 20, 429: 142 6, 146: 143 9, 185-189: 29 n. 11 9, 189: 29 n. 11 13, 484: 150 n. 64 13, 731: 151 n. 68 15, 189: 443 15, 193: 443 16, 30-32: 439 n. 14 21, 251-252: 444 23, 327-328: 443 Od. 1, 153: 151 n. 68 1, 159: 151 n. 68 5, 57-62: 489 5, 81-84: 489 5, 133: 290 n. 44 5, 221: 290 n. 44 7, 250: 290 n. 44 8, 248: 151 n. 68 8, 250 ss.: 560 8, 250-265: 9 8, 254-267: 24 n. 23 8, 258-260: 9 8, 370-380: 9 12, 39-46: 248; 490 12, 39-54: 242 n. 19; 243; 249 12, 158-200: 243; 249 12, 181-194: 490 HAp. 131: 151 n. 68 146-150: 24 n. 23 188: 151 n. 68 516-519: 69 n. 1 HCer. 480-482: 210 n. 193 HMerc. 499: 151 n. 68 509: 151 n. 68 515: 151 n. 68 HPan.: 481 n. 16 Schol. Il. 1, 88-89 (Nic.): 438 n. 10; 445 n. 48

1, 168b (Did.): 437 n.  6; 445 n. 48 1, 175d (Hrd.): 437 n. 5 1, 277b (Hrd.): 437 nn. 5-6; 445 n. 48 1, 294a1 (Hrd.): 437 n. 5 1, 302 a1 (Hrd.): 437 n. 5 1, 396b1-b2 (Hrd.): 437 n. 5 1, 465b1 (Hrd.): 437 nn.  5-6; 445 n. 48; 446 n. 53 1, 465b2 (Hrd.): 446 n. 53 2, 175b (Hrd.): 437 n. 5 2, 243-4a (ex.): 438 e n. 12 2, 262b (Hrd.): 437 n. 5 2, 269a1 (Hrd.): 437 n. 5 2, 292b1 (Hrd.): 437 n. 5 2, 311 (Ep. Hom.): 437 n. 5 2, 339b (Hrd.): 437 n. 5 2, 496b (Hrd.): 437 n. 5 2, 532b1-b2 (Hrd.?): 437 n. 5 2, 557a1 (Hrd.): 437 n. 6 2, 585 (Hrd. καθ.): 437 n. 6 2, 592b (Hrd.): 437 n. 5 2, 599b (Hrd.): 437 n. 5 2, 662a1 (Hrd.): 437 n.  7; 445 n. 48; 446 n. 50 2, 662a2 (Hrd.?): 446 n. 50 3, 122a (Hrd.): 437 n. 5 3, 198a (Hrd.): 437 n. 5 3, 242b1 (Nic.): 438 n. 10 3, 280a (Hrd.): 437 n. 5 4, 2c (Hrd.): 437 n. 5 4, 351-353 (Nic.): 438 n. 10 4, 539a (Hrd.): 437 nn. 5-6 5, 299b (Hrd.): 437 n. 5 5, 677-8a1 (Hrd.): 437 n. 5 5, 798 (Hrd. | ex.?): 437 n. 5 5, 887a1 (Hrd.): 437 n. 5 6, 355a1 (Hrd.): 437 n.  5; 445 n. 48; 446 n. 52 6, 355a2 (Hrd.): 446 n. 52 6, 367b (Hrd. | Ap. H.?): 437 n. 5 6, 422a1 (Hrd.): 437 n. 5 6, 511a (Ariston.): 446 n. 55 8, 233a (Ariston.): 437 n. 5 9, 46-7a1 (Nic.): 438 n. 10 9, 614a1 (Hrd.): 437 nn. 5-6 9, 688a (Nic.): 438 n. 10

585

INDICE DEI PASSI CITATI



10, 25b (Hrd.): 437 nn. 5-6 10, 134b (Hrd.): 437 n. 5 10, 424c (ex.): 438 11, 217a (Ariston.): 437 nn. 5-6 11, 385e1 (Hrd.): 437 n. 7 11, 409c1 (Hrd.): 437 nn. 5-6 11, 652a (Hrd.): 437 nn. 5-6 12, 20b (Hrd.): 437 n. 5 12, 55-56 (Hrd.): 437 n. 8 12, 193a (Hrd.): 437 n. 8 13, 191c (Hrd.): 437 n. 5 13, 371a (Hrd.vel Did. + Hrd.): 437 n. 5 14, 1a (Nic.): 438 n.  10; 445 n. 48 14, 330-335 (Nic.): 438 n. 10 14, 340c1 (Hrd.): 437 n.  8; 445 n. 48 14, 463b (Hrd.): 437 n. 5 15, 57c (Hrd.): 437 n. 5 15, 189a1 (ex.?): 443 15, 226 Nicole: 437 n. 5 15, 226b1 (Hrd.): 437 n. 5 15, 725a (Hrd.): 437 n. 5 16, 31a (Ariston.): 439 n. 14 16, 31c (ex.): 439 n. 14 16, 41b1 (ex.): 437 n. 7 16, 57c (Hrd.): 437 n. 5 16, 90a1 (Hrd.): 437 nn. 5-6 17, 75a (Nic.): 446 n. 54 17, 201c (Hrd. παθ.): 437 n. 5 20, 53b1 (Hrd.): 437 n. 5 20, 105a1 (Hrd.): 437 n. 5 20, 311a1 (Ariston.): 437 nn. 5-6 20, 357a1 (Hrd.): 437 nn. 5-6 21, 110a (Hrd.): 437 n. 5 21, 252d1-d3 (ex.): 444 22, 122b (ex.?): 438 e n. 13 23, 387b1 (Hrd.): 437 nn. 5-6 24, 213a (Hrd.): 437 nn. 5-6 24, 247b (Hrd.): 437 nn. 6, 8 24, 316a1 (Hrd.): 437 n. 5 24, 318b (Hrd.): 437 nn. 5-6 Schol. Od. 1, 72f1 (Nic.): 438 n. 10 3, 267e: 334 8, 119: 437 n. 5; 445 n. 48 11, 134: 437 nn. 5-6 12, 39: 248 n. 42; 249 e n. 44



16, 31c (ex.): 439 n. 14

Horatius Carm. 3, 6, 21: 137 n. 23 4, 2, 10-12: 50 n. 19 Hyginus Fab. 14, 27: 491 n. 64 125, 13: 242 n.  19; 248 nn.  37, 41; 249 n. 44 141: 248 nn. 37, 41; 249 141, 2: 242 n. 19 141, 12: 249 n. 44 154: 115 n. 42 273: 376 274: 481 n. 17 Idomeneus FGrHist 338 F 2: 201 n. 163 Inscriptiones AAT 101, 308, 27: 335 Amandry-Spyropoulos 1974, nn.  5-­ 20: 365 n. 22 CEG 432 Hansen: 560 452 (ii): 560 CID II 97 ss.: 344 n. 32 III 1: 394 n. 35 III 2: 74 n. 17 IV 53: 73 n. 14 IV 53, 13-16: 74 n. 15 CIG 3068 + p. 1125 A. l: 396 n. 49 3091: 396 n. 49 6829: 333; 336 CIL III 1966: 191 n. 125 Clement 1974, 37: 335; 347 n. 54 Daux 1939, 168-169: 387 n. 8 Daux 1949, 276-277, n. 27: 387 n. 8 276-277, n. 27, 3-8: 390 n. 17 Della Bona 2017 Delph.  19: 347 n. 52 23: 344 n. 35 24: 344 n. 34 29: 344 n. 34 30: 344 n. 34 87: 346 n. 46 90: 346 n. 46 97: 346 n. 46

586

INDICE DEI PASSI CITATI

103: 346 n. 46 104: 346 n. 46 125: 346 n. 46 132: 346 n. 46 ED 234, 10-11: 194 n. 142 234, 22-23: 194 n. 142 234, 30: 194 n. 142 EV 53: 335 222: 333 234: 333; 387 n. 9 FD III 1, 48: 387 n. 8 III 1, 48, 3-5: 390 n. 16; 400 III 1, 49: 387 n. 8 III 1, 89: 335 III 1, 145: 397 n. 53 III 1, 223: 387 n. 8 III 1, 273: 387 n. 8 III 1, 542: 333 III 1, 547: 336; 345 nn.  40, 44; 346 n. 46 III 1, 554: 336 III 2, 47, 8-9: 370 n. 46 III 2, 47, 9: 370 n. 44 III 2, 47, 20: 370 n. 43 III 2, 48, 9-12: 370 n. 45 III 2, 48, 12: 370 n. 44 III 2, 48, 18: 370 n. 46 III 2, 48, 29-30: 370 n. 43 III 2, 78: 74 n. 16; 387 n. 8; 393 n. 31 III 2, 137: 371 n. 47 III 2, 137, 16-17: 371 n. 47 III 2, 137-138: 393 n. 31 III 2, 138: 74 n. 17; 371 n. 47 III 2, 190: 457 III 2, 191: 393 n. 31 III 2, 250: 334; 346 n. 48 III 3, 86: 393 n. 32; 394 nn. 37, 39 III 3, 115: 386 n. 7 III 3, 124: 387 n. 8 III 3, 125, 3-5: 400 III 3, 125-126: 387 n. 8 III 3, 126, 3-5: 400 III 3, 128: 336; 338 n.  10; 346; 386 n. 7; 387 e n. 8; 462 n. 36 III 3, 128, 2-4: 388; 392 e n. 27 III 3, 128, 3: 392

III 3, 128, 3-4: 392 III 3, 128, 4: 393 III 3, 128, 4-5: 393 III 3, 128, 7-9: 393 n. 32 III 3, 128, 8: 393 n. 32; 394 III 3, 129: 399 n. 57 III 3, 145: 397 n. 53 III 3, 217: 386 n. 7 III 3, 224: 387 n. 8 III 3, 249: 387 n. 8; 397 III 3, 249, 4-6: 397 n. 56; 399 III 3, 249, 7: 399 III 3, 249, 7-9: 399 III 3, 250: 397 n. 53 III 3, 338: 387 n. 8; 399 n. 57 III 4, 34: 342 n. 21 III 4, 86: 333 III 4, 202: 387 n. 9; 392 n. 28 III 4, 356: 393 n. 30 III 4, 356, 23: 73 n. 14 III 4, 356, 23, 16-17: 74 n. 15 III 4, 361: 386 n. 7; 387 n. 8 III 4, 361, 5-9: 399 III 4, 476: 335 III 4, 477: 333 III 4, 478: 333; 346 n. 46 III 6, 143: 337; 342 n. 22 Guarducci 1927-1929, 644: 394 n. 39 Guarducci 1929, n. 7: 469 Guarducci 1987, 127-128, n. 4: 335; 346 nn. 47-48 IAG 8: 392 n. 29 21: 392 n. 29 23: 392 n. 29 45: 388 n. 10 76: 392 n. 29 79: 392 n. 29 202: 392 n. 29 ICos 129: 335 IDelos 399 A, 56-57: 378 n. 86 465 f, 12: 396 n. 49 1497: 394 n. 41 1497, 3-11: 75 n. 19 IG II2, 18: 178 n. 64 1006, 12: 21 n. 15 1008, 14: 21 n. 15 1011, 11: 21 n. 15

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INDICE DEI PASSI CITATI

2311: 351 n. 71 3025: 374 n. 65 3028: 178 n. 63 3158 (A, fr. A-B): 336 3161: 337 3169-3170: 337 3779: 336; 387 n. 9; 469 4960-4961: 177 n. 58 12644: 336 IG IV 591: 338 n. 11 682: 374 n. 62 V 1, 18: 320 n. 13 19: 320 n. 13 192: 320 n. 13 559: 320 n. 13 658: 320 n. 13 660: 320 n. 13 662: 334; 338 n.  11; 342 n.  25; 345 n. 42; 346 n. 46 VII 49: 333 530: 385 3196: 369 n. 39 XI 2, 120, 49: 74 n. 18 133, 71-72: 394 n. 38 1079: 396 n. 49 XII 3, 1117: 336 6, 1, 334: 321 9, 189: 79 n. 42 9, 189, 4: 73 n. 13 9, 189, 10-14: 73 n. 13 9, 189, 13: 73 n. 13 9, 207: 375 n. 68; 378 n. 87 9, 207, 14-15: 373 n. 57 XIV 611: 333 1114: 338 n. 11 IGLSyr 4, 1265, 16-17: 349 n. 63 IGR III 231: 335; 336 IGUR I 240: 347 n. 50 263: 333 IK Iasos 152: 378 n. 87 IOlympia 56, 55: 377 n. 80 230: 349 n. 63 231: 349 n. 63 232: 334; 345 n. 38 237: 336; 342 n. 23; 345 nn. 39, 43 243: 337 ISE II 113: 388 n. 10

IThes 172: 369 n. 36 Manieri 2009 Acr. 25: 337 n. 2 Acr. 27: 347 n. 49 Leb. 9, 7-8: 72 n. 8 Leb. 13: 72 n. 9 Orc. 7-22: 365 n. 22 Orc. 24: 369 n. 39 Oro. 15: 347 n. 49 Tan. 1: 351 n. 71 Thes. 6: 72 n. 9 Thes. 7: 374 n. 62 Thes. 22: 72 n. 11 Thes. 27, 7-8: 72 n. 8 Thes. 29, 9-10: 72 n. 8 Thes. 30: 72 n. 11 Thes. 30, 14-15: 72 n. 8 Thes. 31: 72 n. 11 Thes. 31, 13-14: 72 n. 8 Thes. 33: 369 n. 36 Thes. 33, 9-10: 72 n. 8 Thes. 42, 6-8: 72 n. 8 Thes. 43: 72 n. 8 Thes. 44, 4-6: 72 n. 8 McCabe, Didyma 256: 334 Didyma 486: 335; 338 n. 11 Ephesos 529: 335; 337 Ephesos 1129: 333 Ephesos 1283: 337 Iasos 247: 336; 338 n. 11 Magnesia 6: 333 Magnesia 278: 333 Smyrna 145: 334; 346 n. 46 Michaud 1970, 949: 349 n. 60 Moretti 1953, 64-65, n. 16: 318 n. 8 215-216, n.  74: 333; 334; 342 n. 24; 345 nn. 41, 45 237, n. 81: 333; 346 n. 47 Moretti 1968, 237, n. 263: 333 Nachtergael 1977, 2: 361; 395 n. 47 3: 361; 374 e nn.  61-62; 395 n. 47 4: 358 n. 6; 361; 374 nn. 61-62 5: 361; 374 nn. 61-62; 395 n. 47 5, 27: 368 n. 35 5, 34: 368 n. 35 7: 359; 361; 366; 367 n. 29; 372; 395 n. 47 7, 27: 368 n. 35

588

INDICE DEI PASSI CITATI



7, 75: 368 n. 34 7-10: 372 n. 49 8: 361; 366; 372 n.  52; 373 e n. 59 8, 9: 399 n. 63 8, 30: 373 n. 60 8, 35: 399 n. 62 8, 79: 368 n. 34 8, 82: 399 n. 62 9: 358 n.  6; 362; 366; 371; 372 n. 52; 373 n. 59; 395 n. 47 9, 23: 368 n. 35 9, 27: 394 n. 37 9, 78: 368 n. 34 9, 80: 368 n. 34 10: 362; 363-364; 366; 372 e n. 52; 395 n. 47 10, 8 ss.: 363 10, 29: 368 10, 37: 368 10, 78: 368 n. 34 21, 17-19: 379 n. 88 21-25: 389 n. 12 22, 9-10: 379 n. 88 22, 15-16: 379 n. 88 22, 24-25: 379 n. 88 25, 9-10: 379 n. 88 25, 14-15: 379 n. 88 60: 362 62: 362; 365; 366 n. 23; 367 63: 362 64: 362; 365; 366 n. 23; 369; 373 n. 55 65: 359; 362 66: 362; 369; 372 n. 55 67: 362 80: 359; 362; 374 n. 63 80, 4: 358 n. 5 Ritti, IMaff. 14: 335 Robert 1929, 4-6: 397 n. 56 Robert 1938, 17-18: 333 26: 334 38: 387 nn. 8-9 38, 2-6: 400 38, 4-5: 400 n. 63 38, 5-6: 400 n. 63 Robert 1970, 18, n. II: 335

Russell 1973, 322: 334 SEG 2, 184: 399 n. 57 9, 13: 470 9, 532: 337; 386 n. 7 15, 157: 265 n. 15 25, 226: 177 n. 58 48, 2052: 470 SGDI 2563: 361 n. 11; 367 2564: 361 n. 12 Slater 1996, 264-265: 337; 346 n. 46 Strasser 2002, 99: 337; 345 n.  37; 346 n. 46 132: 334; 346 n. 46 Syll 3 (= SIG) 270: 389 n. 13 424: 367 431: 399 n. 62 450: 74 n. 16; 469 532: 387 n. 9; 397 n. 53 624: 322 n. 20 629, 8: 319 630, 12 s.: 319 689: 387 nn. 8-9; 400 e nn. 6364 690: 393 n. 30 703: 387 n. 8 737, 3-7: 400 771: 387 n. 8 802: 397 n. 54 Vandoni 1964, 94, n. 96: 335 Vollgraff 1919-1920, 260, 1-4: 335 Ion Chius PMG 740 Page: 172 n. 31 741: 172 n. 31 744: 54 n. 41 745: 53 n. 38; 173 n. 33; 208 fr. 1 Gentili-Prato: 287 1, 7: 287 5: 166 n. 9 36 A 2, 3 Diels-Kranz: 173 n. 38 B 1-4: 173 n. 38 FGrHist 392 T 6: 173 n. 36 F 26: 173 n. 38 TrGF 19 F 57 Snell: 173 n. 38 Lactantius Div. Inst. 23: 199 n. 154

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INDICE DEI PASSI CITATI

Lamprocles PMG 736 Page: 53 n. 38



Lasus test. 1 Brussich: 291 n. 53 8: 291 n. 53 14: 134 n. 12 15: 54 n. 40 PMG 702 Page: 54 n. 40

Lysias fr.  53 Thalheim: 179 n.  70; 182 n. 85; 191 n. 129 Pseudo-Lysias In Andoc. 17: 182 n. 85; 184 n. 94

Lexicon Seguerianum s.v. Ἔμπουσα: 201 n. 165

Macedonius Pae.  Ap.  et Aescul.  41 Käppel: 467 n. 42

Libanius Progymn. 1, 1 Förster: 248 n. 43 1, 3: 248 n. 43 9, 8: 351 n. 68

Macho fr. 9 Gow: 141 n. 37

Licymnius PMG 769 Page: 53 n. 38 770a-b: 186 n. 105 771: 53 n. 38

Marmor Parium FGrHist 239 A 37f-38a: 339 n. 12 A 43: 14 n. 2; 18 n. 8 Martianus Capella 9, 936: 134 n. 12

Limenius Pae. 46 Käppel: 467 n. 52

Maximus Tyrius 18, 7: 488 n. 53 34, 8c: 347

Longus Daphn. 2, 34: 481 n. 17 Lucianus Adv.  indoct.  8-10: 334; 338 n.  11; 342 n. 18 Anach. 9: 351 n. 69 Catapl. 22: 200 n. 154 De imag. 5: 456 Dial. Mort. 1: 181 n. 80 Pisc. 33: 185 n. 97 Salt. 10-11: 393 n. 33 15: 185 n. 97 Ver. Hist. 2, 23: 137 n. 22 Schol.  Imag.  18, p.  186 Rabe: 488 n. 53 Lycophron Alex. 670: 242 n. 19 712-716: 242 n. 19; 249 n. 44 Schol. 653: 253 n. 58; 491

670: 242 n. 19 712: 248 n. 42; 249 n. 44

Melanippides PMG 757 Page: 53 n. 38 758: 53 n. 38 759: 53 n. 38; 186 n. 105 759-766: 176 760: 53 n. 38 763: 53 n. 38 Melanthius FGrHist 326 F 3: 184 n. 93 Memnon FGrHist 434 F 1, 3: 321 n. 17 Menaechmus FGrHist 131 F 4: 304 n. 13

590

INDICE DEI PASSI CITATI

Mimnermus test. 2 Gentili-Prato: 231 n. 21; 281 n. 7 5: 231; 281 n. 7 22: 231 n. 24 fr. 3 Gentili-Prato: 282 n. 16 22: 282 n. 16 Mythographi Vaticani 1, 42: 248 n. 40; 249 n. 44 1, 183: 242 n.  19; 248 nn.  37, 41; 249 n. 44 2, 123: 242 n.  19; 248 nn.  37, 41; 249 n. 44 3, 11, 9: 248 n. 40; 249 n. 44 Neanthes FGrHist 84 F 5: 305 n. 14 Nicetas Choniates Or.  14, p. 130, 6 Van Dieten: 69 n. 2 Nicomachus Gerasenus Ench. 2, p. 238, 16 ss.: 528 n. 5 Nicopho fr. 21 Kassel-Austin: 242 n. 18 Nonnus Dion. 16, 332-335: 481 n. 17 42, 383-386: 481 n. 17 Olympiodorus Comm.  in Plat.  Phaed.  69c: 193 n. 136 Origenes Cels. 4, 10: 199 n. 154 Orion s.v. ὕμνος, 155, 22 Sturz: 82 n. 51 155, 23 ss.: 75 n. 21; 81 155, 33-156, 3: 75 n. 21 156, 3-7: 75 n. 21

Orphica Argon. 1270-1290: 491 n. 64 1287 s.: 249 n. 44 1290: 249 n. 44 Hymn. 29, 5: 460 n. 30 Lam.  aur.  A 1-3 Bernabé-Jiménez San Cristóbal: 176 n. 57 fr. 235 Kern: 193 n. 136 Ovidius Met. 1, 330-342: 494 1, 689-712: 481 n. 17 5, 551-563: 249 11, 158-184: 481 n. 18 Paeanes Anonymi Pae. Ap. 36a Käppel: 467 n. 52 36b: 467 n. 52 Pae. Delph. 45: 467 n. 52 Pae. Erythr. 37: 467 n. 52 Pae. Seleuc. 38: 468 n. 53 Fragmenta adespota Pae. Flam. 43 Käppel: 468 Pae. Lys. 35: 454; 467 Papyri BGU 1074, s. III: 461 n. 34 BKT V 2, 79-84: 462 n. 36 P. Ant. 1, 17: 253 P. Berol. 9865: 455 9875: 150 n. 66 13875: 250 P. Leid. 510: 462 n. 36 P. Mich. inv. 4682: 394 n. 36 P. Oxy. 171: 461 n. 34 411, 25: 185 n. 97 659: 237 841: 69 n. 1 908, 8-9: 461 n. 34 1176, 24: 50 n. 20 1691: 461 n. 34 1792: 77 2176: 228 2476: 333; 335; 461 n. 34 5202: 333

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INDICE DEI PASSI CITATI

P. Ryl. 17: 110 n. 29 P. Stras. WG 304-307: 462 n. 36 P.Wien 19996 A f.  a I coll.  1-6: 60 n. 68

10, 7, 5-6: 281 n. 7 10, 7, 7: 132 n. 4; 333 10, 9, 2: 344 n. 30 10, 28, 3: 265 n. 14

Pausanias 1, 19, 3: 20 n. 12 1, 20, 3: 19 n. 11 2, 22, 8-9: 336; 344 n. 34 3, 13, 4: 301 n. 4 3, 13, 5: 301 n. 4 3, 14, 1: 320 n. 13 3, 20: 202 n. 170 4, 4, 1: 76 n. 22; 78 n. 29; 79 n. 42 4, 4, 4: 76 n. 22 4, 16, 6: 393 n. 33 4, 33, 2: 76 n. 22 5, 7, 10: 390 n. 19 5, 17, 10: 390 n. 19 5, 19, 10: 76 n. 22 5, 21, 18: 347 n. 53 6, 6, 5: 392 n. 29 6, 7, 4: 392 n. 29 6, 10, 6: 135 n. 15 6, 11, 4: 392 n. 29 6, 14, 9-10: 336; 342 n.  17; 344 n. 34 6, 14, 10: 390 n. 19 6, 26, 1: 69 n. 1 8, 50, 3: 336; 342 n. 17; 387 n. 9; 393 n. 33; 455 n. 9 9, 2, 6: 318 n. 9 9, 5, 7: 50 n. 17 9, 10, 4: 238 n. 9 9, 10, 5-6: 240 9, 12, 5-6: 76 n. 24 9, 18, 5-6: 458 n. 24 9, 29, 7: 393 n. 33 9, 30, 3: 263 9, 34, 3: 252 e n. 55; 260; 491 9, 39, 8: 175 n. 44 10, 7, 1-7: 342 n. 17; 344 n. 33; 391 n. 20 10, 7, 2: 334; 336 10, 7, 2-3: 337 n. 5 10, 7, 3: 342 n. 17 10, 7, 4: 334; 336; 391 n. 21 10, 7, 5: 233; 342 n. 20; 391 n. 20

Phaenias fr. 10 Wehrli: 135 n. 14 33: 306 n. 20 Pherecrates fr. 6 Kassel-Austin: 209 n. 189 84-104: 208 n. 184 113-116: 208 n. 184 155: 51 n. 22; 139 n. 32 155, 8: 180 n. 71 155, 8-13: 166 n. 10 155, 14-18: 135 155, 23: 136 n. 16 Philo Alexandrinus De vit. contempl. 80: 69 n. 2 Philochorus FGrHist 328 F 165: 459 n. 28; 468 n. 53 Philodamus Scarpheus Pae. Dion. 39 Käppel: 467 n. 52 39, 7: 389 n. 13 39, 131-134: 389 39, 133-134: 392 n. 25 Philodemus De mus.  4, col.  31, 6 Delattre: 49 n. 13 De piet.  pars I col.  19, 518-541 Obbink: 186 n. 102 18, p.  85 Gomperz: 185 n.  96; 204 n. 177 Philolaus 44 A 19 Diels-Kranz: 173 n. 38 Philostratus De gymn. 8: 318 n. 10 55: 390 n. 19

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INDICE DEI PASSI CITATI

Vit. Apoll. 4, 24: 336; 338 n. 9 5, 8-9: 338 n. 9 Vit. Sophist. 2, 27, 616: 334 Philoxenus Cytherius test. 5 Fongoni: 136 n. 16 7a: 291 n. 53 30: 178 n. 65 36: 49 n. 13 37: 49 n. 13 40: 148 frr. 1-14 Fongoni: 204 2: 178 n. 65 7-9: 54 n. 42 12: 54 n. 42 15: 49 n. 11 21: 287 26: 170 27: 204 n. 174 Photius s.v.  Ἔμπουσα (ε 768 Theodoridis): 201 n. 165 s.v. Θαργήλια (θ 22): 272 n. 44; 273 n. 45 s.v. Θουριομάντεις (θ 203): 282 s.v. ἴκρια (ι 95): 17 n. 7 s.v.  κραδίνης νόμος (κ 1045): 232 n. 28 s.v. Λυσάνδρεια (λ 472): 321 s.v. ὀρχήστρα (ο 544): 17 n. 7 Phrynichus Comicus fr. 21 Kassel-Austin: 147 n. 52 Phrynichus Tragicus TrGF 3 T 13 Snell: 18 n. 10 Pindarus Dith. 1 = fr. 70a Maehler: 54 n. 41 2 = fr. 70b: 28 n. 3; 53 n. 38 2 = fr. 70b, 23-25: 31 3 = 70c: 54 n. 41 4 = 70d: 54 n. 41 72: 53 n. 38 74: 53 n. 38

75: 20 n. 13; 54 n. 41; 69 n. 1 75, 13: 31 75, 18 s.: 28 n. 4 76: 31 n. 21; 53 n. 38 77: 31 n. 21; 53 n. 38 78: 53 n. 38 83: 31 Enc. 124 a, b, c: 290 n. 44 125: 304; 311 n. 40 125 adn.: 311 n. 40 Hymn. 1 = fr. 29, 1: 240 n. 15 Hyporch. 107a, 1-3: 136 n. 20 Isthm. 3, 3: 267 4, 16-17b: 251 n. 47 4, 17: 251 n. 47 4, 38: 267 4, 61-65: 251 n. 47 7, 5: 151 n. 67 8, 24: 150 n. 66 Nem. 7, 34 ss.: 255 n. 69 Ol. 1: 562 e n. 11 5: 316 n. 4 6: 316 n. 4 6, 87 ss.: 365 n. 22 13, 91: 255 n. 69 13, 91 ss.: 255 n. 69 14, 16-17: 80 Pae.  1 = fr.  52a Maehler: 54 n.  41; 239 n. 12 6 = 52f: 77 e nn. 27-28 7 = fr. 52g: 240 n. 15 9 = fr. 52k: 105; 239 n. 12; 240 n. 15 12 = fr. 52m: 77 n. 27 12a = fr. 52m (a): 77 n. 27 12-15 = fr. 52m-52p: 77 13 = fr. 52n (a): 77 n. 27 14 = fr. 52o: 77 n. 27 15 = fr. 52p: 77 n. 27 20 = fr. 52u: 77 n. 27 21 = fr. 52v: 77 n. 27; 80 n. 45 20-21 = fr. 52u-52v: 77 66: 239 n. 12 Parth. 2 = fr. 94b Maehler: 237; 239 n. 12; 240; 246; 260 94b, 1: 240 94b, 1-3: 241

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INDICE DEI PASSI CITATI

94b, 3: 240 e n. 13 94b, 5: 243 n. 26 94b, 6: 241 94b, 6-20: 241 94b, 10: 237 94b, 11-20: 237; 260 94b, 13: 251 94b, 13 ss.: 241; 567 94b, 16-17: 255 94b, 17: 251 n. 47 94b, 19-20: 242 94b, 20: 240 n. 16 94b, 31 ss.: 244 94b, 31-35: 244 94b, 38-39: 244 94b, 41-49: 247 94b, 46: 255 94b, 47: 252; 255 94b, 49: 240 n. 16 94b, 61-65: 255 94b, 82: 240 n. 16 94c: 239 e n. 12 Pros. 89-94: 77 89a: 79 n. 42; 80 n. 45; 81 92: 80 n. 45 93: 80 n. 45 Pyth. 1: 28 n. 3 5, 65: 151 n. 68 5, 74-81: 301 n. 1 11: 240 n. 15 12: 336; 338 n. 7; 348 12, 24: 391 n. 20 Thren. 56 Cannatà Fera: 118 n. 49 64: 60 n. 67 fr. dub. 339 Maehler: 250 Pyth. Hypoth. a (p. 1, 1 ss. Drachmann): 391 n. 20 a (p. 2, 22): 339 n. 12 b (p. 3, 5 ss.): 391 n. 20 b (p. 3, 8 ss.): 339 n. 12 d (p. 4, 19 ss.): 339 n. 12 Schol. Isthm. 1, Inscr. b (p. 197, 1): 69 n. 1; 77 n. 28 Ol. 7, 5a: 287 n. 36 Pae. 6, 124: 69 n. 1 Pyth. 4, 451: 316 n. 3

12, Inscr.  (p.  263, 23-25): 338 n. 7 Vit. in P. Oxy. 2438, 36-37 Lobel: 77 n. 25 Ambros.  p. 3, 7 Drachmann: 77 n. 25 Thom. p. 4, 12-15: 132 n. 8



Plato Crat. 409c: 53 n. 35; 186 n. 105 Epigr. 16: 487 n. 52 Euthyd. 277d: 175 n. 50 279e: 439 n. 15 Gorg. 502a: 209 n. 189 Ion 531a: 263 532a: 263 533d-534e: 186 n. 101 534b: 168 n. 13 Lach. 188d: 48 n. 6 Leg. 2, 665e: 527 3, 700a-701b: 28 n. 8; 32 n. 25; 33 3, 700b-701a: 154 3, 700d: 186 n. 101 7, 810e: 439 n. 15 11, 935e-936a: 262 12, 947e: 321 Min. 321a: 18 n. 9 Phaed. 69c: 193 n. 136 111d-e: 193 n. 136 113a-b: 193 n. 136 250b-c: 199 n. 154 Resp. 2, 363d-e: 193 n. 136 3, 394b-c: 187 n. 108; 196 n. 146 3, 394c: 53 n. 35 3, 398e: 137 n. 23 3, 404b: 344 n. 30 7, 533d: 193 n. 136 Symp. 209e: 175 n. 50 209e 5-210a 4: 183 n. 91 223c-d: 183 Schol. Remp. 3, 394c: 212 n. 200 Plato Comicus fr. 6 Kassel-Austin: 213

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INDICE DEI PASSI CITATI



71, 12-14: 137 n. 23 200: 169; 209 n. 188

Plinius Nat. Hist. 9, 9: 494 n. 76 37, 2, 31: 115 n. 42 Plotinus 1, 6, 6: 193 n. 136 Plutarchus Aem. 33, 1, 2: 69 n. 2 33, 272f-273: 79 n. 39 34, 273e: 79 n. 39 Ages. 10, 7: 145 n. 47 14: 455 21, 7: 458 Alcib. 13: 290 nn. 48, 51 13, 3: 290 n. 50 13, 7-8: 290 n. 51 19, 1-2: 285 32, 2: 333; 342 n. 19 34, 3-6: 189 n. 119 Alex. 2-4: 461 n. 32 29: 460; 465 n. 42 29, 1: 457 39, 2: 286 72, 1: 458 50, 8: 463; 467 Ant. 9, 6-8: 459 24, 1-4: 459; 459-460 24, 4: 468 Arat. 53, 2-8: 454; 459 n. 26; 468 Brut. 21, 4: 462 Cam. 19: 271 n. 37 Cato min. 46: 351 n. 70 Cleom. 12, 3: 461; 465 n. 42 16, 7: 454; 459 n. 26; 468 Crass. 33, 1-7: 453; 463 33, 2-7: 395 n. 46 Dem. 4: 229 Demetr. 12, 1-2: 459 12, 2: 454 Flam. 16, 5-7: 454; 457; 468; 469 16, 7: 459 n. 26 Lys. 15, 4: 462



18, 5: 333; 344 n.  36; 454; 459 n. 26; 466; 467; 469 18, 6-8: 320 18, 7 s.: 562 18, 8: 455 18, 10: 456 Marc. 8, 1-5: 468 17: 249 Nic. 5, 2-3: 282; 283 n. 19 11, 3-10: 290 n. 51 29, 2-5: 464 n. 40 Per. 6, 2-3: 282 n. 17 7, 8: 289 n. 40 Philop. 11, 1: 322 n. 20; 455; 469 Pomp. 42, 7: 458; 466 Sol. 11, 1: 344 n. 32 29, 6: 18 n. 9 Sull. 2, 3-4: 458; 462 19, 11-12: 458; 460 26, 4-5: 462 Thes. 8, 3: 137 n. 22 Tim. 36, 3: 456 n. 11 39, 3: 322 n. 19 Amat. 757a: 462 n. 36 An. corp. affect. 501c: 464 n. 39 An seni res publ. ger. 795d: 50 n. 20; 142 n. 39 795d: 142 n. 39 Apophth. Lac. 220c: 145 n. 47 De Alex.  fort.  aut.  virt.  333c-335f: 469 n. 54 De aud. poet. 4: 182 n. 83 11: 455 De defect. oracul. 419b-d: 480; 481 De E Delph.  9, 389c: 80 n.  43; 389 n. 15 De garrul. 513a: 456 n. 11 De genio Socratis 20-22: 175 n. 47 De superstit. 10, 170a-b: 182 n. 83 De virt. mor. 443a: 469 n. 54 Inst. Lac. 33: 261 n. 2 34, 238c: 145 e n. 47 34, 239b: 261 n. 2 Mul. Virt. 251e: 69 n. 1 Praec. Pol. 15, 812d: 282 n. 17 Prof. virt. 84a: 145 n. 47

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INDICE DEI PASSI CITATI

Q uaest. conv. 638b-c: 336; 342 n. 18 658c: 173 n. 38 674d: 340 n. 15; 377 n. 81 674d-e: 397 n. 55 675b: 397 n. 54 704c: 347 n. 52 710d-e: 469 n. 54 732f: 18 n. 10 745f: 249 Q uaest. gr. 299a-b: 69 n. 1 Q uaest. rom. 280c: 181 n. 80 290d: 181 n. 80 Q uom. quis suos in virt. sent. prof. 79b: 61 n. 70 fr.  178 Sandbach: 193 n.  136; 199 n. 154 Pseudo-Plutarchus Mus. 3, 1132c: 231 3-5, 1132c-1133b: 232 n. 25 4, 1132d: 231 4, 1132d-e: 53 n. 38; 548 n. 6 4, 1132e: 55 n. 44; 336; 337 n. 6; 344 n. 35 4, 1132e-f: 310 n. 36 6, 1133b-c: 147 6, 1133b-d: 310 n. 35 6, 1133c-d: 147 n. 52 8, 1133f-1134a: 231; 281 n. 7 8, 1134a: 344 n. 34 8, 1134a-b: 231 8-10, 1134a-e: 232 n. 25 9, 1134b-c: 309 n. 31 12, 1135c: 62 n. 72 12, 1135c-d: 147 n. 53 12, 1135d: 232 n. 25 15, 1136c: 50 n. 17 16, 1136d: 48 n. 7; 57 n. 54; 79 n. 38 17, 1136e-f: 79 n. 38 18, 1137a-b: 147 n. 54 20, 1137e-21, 1138a: 147; 152 n. 70 21, 1138a: 391 n. 22 21, 1138b: 148 26, 1140d: 390 n. 19 28, 1140f: 311 n. 40 28, 1141a: 264

29, 1141c: 54 n. 40; 132 n. 8 29, 1141c-d: 52 n. 30 30, 1141d: 52 n. 33 32-36: 429 n. 7 33, 1143a: 134 n. 11 Vit. dec. orat. 835d: 282 n. 16 842a: 375 n. 68 Polemo FHG III 47: 334; 338 n. 11 fr. 47 Preller: 147 n. 52 Pollux Onom. 1, 38: 79 n. 42 4, 53: 79 n. 40 4, 64: 78 n. 35 4, 65 s.: 139 4, 66: 135 n. 14; 136 4, 82: 78 n. 33 4, 83-84: 391 n. 20 4, 89: 334 4, 91-92: 333 4, 117: 204 n. 175 Polyaenus 7, 41: 465 Porphyrio Comm. in Hor. Epist. 2, 1, 134, 535 Hauthal: 69 n. 2 Porphyrius Tyrius De abstin. 3, 16, p. 205, 12 ss. Nauck: 81 n. 50 Comm. in Ptol. Harm. I 6, pp. 130, 25-131, 6 Raffa: 415 n. 4 in Hom. Il. 24, 315-316: 444 Posidonius fr. 44 Edelstein-Kidd: 429 n. 6 Pratinas PMG 708 Page: 54 n. 41 712a: 137 n. 23 Proclus Chrest. ap. Phot. Bibl. 319b, V 159, 35-37 Henry: 79 n. 41

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INDICE DEI PASSI CITATI



320a, V 159 Henry: 55 n. 44 320a, 3-6 Severyns: 240 n. 13 320a, V 159, 8 Henry: 78 n. 36 320a, V 159, 14-17 Henry: 75 n. 21; 81 320a,V 159, 18-160, 1 Henry: 82 320a, V 159-160, 18-20 Henry: 70 n. 4; 75 n. 21 320a, V 160, 24-25 Henry: 69 n. 1; 81 320a, V 160, 25-33 Henry: 48 n. 8 320a-b, V 159-161 Henry: 78 n. 37 320b, V 160 Henry: 48 n. 10; 50 n. 17 320b, V 160, 12 Henry: 212 n. 200 321a, 13-32 Severyns: 238 n. 8 321a, 34 Severyns: 237 n. 5 321b, 1-13 Severyns: 238 n. 6 321b, 31-32 Severyns: 243 n. 20 322a, V 166, 34-35 Henry: 78 n. 36 Comm. in Plat. Remp. 2, 185, 4: 199 n. 154 in Plat. Tim. 1, 21c: 456 n. 10 Pronomus PMG 767 Page: 76 n. 24

Sappho fr. 30 Voigt: 107 n. 19; 122 n. 65 30, 6-9: 106 n. 17 44: 107 n. 19 104a: 107 n. 19 104b: 107 n. 19 105a-b: 107 n. 19 106: 107 n. 19 107: 107 n. 19 108: 107 n. 19 110: 107 n. 19 111: 107 n. 19 112: 107 n. 19 113: 107 n. 19 114: 107 n. 19 115: 107 n. 19 116: 107 n. 19 117b: 107 n. 19 141: 107 n. 19 99 Lobel-Page: 139 n. 32 Satyrus F 6 fr. 39 c. 22 Schorn: 142 n. 39 Vit. Eur. 10: 186 n. 99 Scholia Aeschin. 1, 25: 281 n. 11 Semonides test. 13 Pellizer-Tedeschi: 264 n. 11

Psellus Trag. 5, 39 Perusino: 48 n. 7 44 s.: 47 n. 3; 50 n. 16 50: 52 n. 30 Pseudo-Arcadius De accent.  211, 8-12 Schmidt: 436 n. 4 Pseudo-Zonaras s.v.  προσῴδιον, col.  1583 Tittmann: 70 nn. 3-4; 82 n. 51 s.v. ὑμνητόν col. 1767: 82 n. 51 Ptolemaeus Chennos V 150b, 29-32: 242 n. 19

VII 152b, 32-34: 242 n. 19

Servius Comm.  in Verg.  Aen.  5, 864: 249 n. 44 in Verg. Georg. 1, 8: 248 n. 40 Sextus Empiricus Adv. Math. 9, 402: 185 n. 96 Simonides PMG 515 Page: 316 n. 4 541: 54 n. 41 542, 4: 562 n. 10 547: 316 n. 3 579: 562 n. 10

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INDICE DEI PASSI CITATI

581: 562 n. 10 607: 250 653: 141 n. 34 947: 53 n. 38; 54 n. 41 fr. 7 Gentili-Prato: 562 n. 10 Solon test. 47 Gentili-Prato: 281 n. 11 Sophocles Aj. 693-718: 36 n. 33 938: 58 879-914 = 925-960: 58 Ant. 100-154: 104-105 117: 150 n. 66 152-154: 41 583-593 = 594-603: 58 774: 40 816: 40 830-856 = 858-875: 58 876-882: 58 891 ss.: 40 944: 39 944-987: 39 948: 39 956: 40 958: 40 961: 40 965: 40 968-978 = 979-987: 58 973: 40 980: 40 983: 40 1006 ss.: 40 1064: 40 1115-1125 =1126-1136: 59 1115-1154: 36 n. 33; 41 1137-1145 = 1146-1154: 59 Hypoth. II (Sallust.): 172 n. 31 El. 121-136 = 137-152: 59 n. 61 153-172 = 173-192: 59 n. 61 192-212 = 213-232: 59 n. 61 233-250: 59 n. 61 1082-1089 = 1090-1097: 59 n. 61 1232-1252 = 1253-1272: 59 1256: 59 n. 61

1273-1287: 59 1408-1441: 59 n. 61 Oed. Col. 207/8-253: 60 1074-1084 = 1085-1095: 60 n. 65 1447-1456 = 1462-1471: 60 n. 65 1477-1485 = 1491-1499: 60 n. 65 1670-1696 = 1697-1723: 60 1724-1736 = 1737-1750: 60 Oed. Tyr. 4: 459 4-5: 459 e n. 27 5: 459 e n. 27 151-215: 103 n. 3 190-202 = 203-215: 59 649-668 = 678-697: 58 863-872 = 873-882: 59 883-895 = 896-909/910: 59 1086-1097 = 1098-1109: 58 1086-1109: 36 n. 33 1204-1212 = 1213-1221/2: 58 Philoct.  676-690 = 691-706: 60 n. 63 1169-1217: 60 Trach. 205-224: 58; 104 211: 59 n. 59 219: 104 221: 104 633-662: 36 n. 33 863-899: 58 TrGF T 32-41 Radt: 56 n. 53 F 100: 61 n. 70 F 210: 58 n. 55 F 861: 248 e n. 38 F 941: 462 n. 36 Schol. Oed. Col. 17: 47 n. 2 Vit. Sophocl. 1: 59 n. 58 3: 50 n. 15 4: 48 4-6: 48 n. 5 5: 50 n. 18 8: 62 n. 74 9: 59 n. 58 20: 47 n. 2 20-21: 47 n. 3 23: 61; 66; 67

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INDICE DEI PASSI CITATI

Sosibius FGrHist 595 F 3: 305 e n. 15 Statius Silv. 5, 3, 141-145: 336; 338 n. 8 Stephanus Byzantius s.v.  ῎Απτηρα: 249 n.  44; 253 n.  59; 491 n. 67 s.v. σιφνιάζειν: 139 n. 32 Stephanus Philosophus Comm. in Aristot. Rhet. 3, 1405a 31: 284 Stesichorus fr. 212 Page/Davies: 48 n. 9 Stobaeus 4, 52, 49: 199 n. 154 Strabo 1, 2, 3: 427 1, 2, 3-8: 427; 433 1, 2, 4: 429 1, 2, 5: 429 1, 2, 6: 429 n. 5; 430 1, 2, 7-8: 430 6, 1, 9: 334 9, 3, 10: 131; 132 n. 4; 391 n. 20; 392 n. 26 10, 7, 4: 131 13, 1, 57: 142 14, 1, 28: 231 n. 22 14, 2, 3: 143 Strattis frr.  14-22 Kassel-Austin: 164; 168 n. 15 17: 168 n. 15 Suda s.v. Ἀντιγενίδης (α 2657): 204 n. 174 s.v. ἀσκοφορεῖν (α 2023): 20 n. 14 s.v. Διαγόρας (δ 523): 185 n. 96 s.v.  διθυραμβοδιδάσκαλοι (δ 1029): 171 n.  24; 172 nn.  30-31; 173 n. 33

s.v.  ἐνδιαεριανερινηχέτους (ε 1174): 172 n. 31 s.v. Εὔμολπος (ε 3585): 334 s.v. Θέσπις (θ 282): 18 n. 9 s.v. Θρίαμβος (θ 494): 92 n. 72 s.v. Ἱππώναξ (ι 588): 268 s.v. Ἴων (ι 487): 173 nn. 33, 35, 37 s.v. κατατιλᾷ (δ 822): 197 s.v. Λεώκριτος (λ 264): 165 n. 5; 169 n. 20 s.v. προσόδια (π 2757): 75 n. 21; 81 n. 48 s.v.  Πύθια καὶ Δήλια (π 3128): 325 n. 26 s.v. πυρρίχη (π 3225): 165 n. 5; 194 e n. 140; 212 n. 200 s.v.  σιφνιάζειν (σ 510 Adler): 139 n. 32 s.v.  Φιλόξενος (φ 393 Adler): 136 n. 16 s.v. χιάζειν (χ 296 Adler): 140 n. 33 Suetonius Ner. 20: 528 n. 6 Tatianus Or. ad Graec. 27: 185 n. 97 Telestes PMG 805 Page: 54 n. 42 806: 54 n. 42; 176 808: 54 n. 42 Terpander test. 1 Gostoli: 548 n. 6 3: 306 n. 22 4: 306 n. 20 7: 306 n. 22 8: 147 n. 52 12-15: 306 n. 19 18: 309 n. 31 32: 548 n. 6 51a: 147 n. 52 60a-i: 309 n. 33; 552 n. 11 Theocritus Id. 1: 483 n. 31 4, 31: 229

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INDICE DEI PASSI CITATI

7: 483 n. 31 8: 483 n. 31 16: 466 17: 466 18: 110 n. 29 24: 466 24, 109-110: 337 n. 5 28: 110 n. 29 29: 110 n. 29 30: 110 n. 29 Schol. 61b, p. 54, 15-16 Wendel: 82 n. 51 Theognis 241-243: 281 n. 7 532 s.: 281 n. 7 671-680: 251 n. 47 761: 281 n. 7 825: 281 n. 7 939-944: 281 n. 7 1007 s.: 150 n. 64 1055 s.: 281 n. 7 1070: 150 n. 64 Theophrastus fr. 87 Wimmer: 226 89, 13: 528 n. 5 Thespis TrGF 1 T 1 Snell: 18 n. 9 T 2: 18 n. 8 T 3: 18 n. 8 T 7: 18 n. 9 T 11: 18 n. 9 T 13: 18 n. 9 T 17: 18 n. 9 Thucydides 2, 2, 1: 303 n. 9 2, 16 s.: 28 n. 6 2, 38, 1: 27 2, 41, 1: 29 n. 10 2, 47-54: 28 n. 6 3, 104: 24 n. 23 4, 133: 304 n. 12

5, 4-5: 290 n. 49 5, 11: 319 5, 20, 1: 17 n. 5 5, 75: 301 n. 3 8, 73, 3: 290 n. 51 Ticida fr. 1 Morel: 110 n. 27 Timaeus FGrHist 566 F 43b: 334 Timomachus FGrHist 754 F 1: 342 n. 20 Timo Phliasius fr. 12 Di Marco: 562 43: 262 n. 3 Timotheus fr. 778 Page/Hordern: 182 n. 83 779: 176 780: 53 n. 38 781: 53 n. 38 786-787: 176 788: 455 788, 1: 455 n. 9 791, 202-236: 145; 161 791, 206-212: 145; 149 791, 208: 151 791, 211s.: 152 791, 213-215: 152 791, 216-220: 152 791, 219 s.: 153 e n. 71 791, 221 s.: 153 791, 221-236: 150; 310 n. 39 791, 222: 151 791, 225 s.: 151 791, 231: 151 791, 232 s.: 153 792: 141; 176; 203 793-794: 60 n. 68 796: 149 802: 135; 138 n.  28; 143; 146; 161

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INDICE DEI PASSI CITATI

Tzetzes Chil. 1, 14, 338: 248 n. 37 1, 14, 339: 248 nn. 41-42 5, 728-763: 269 n. 30 6, 75, 717: 248 nn. 37, 42 Vergilius Aen. 6, 168-174: 494 Ecl. 2, 31-38: 481 n. 17

Xenophon Hell. 1, 4, 20: 189 n. 119 Symp. 6, 5: 392 n. 26 Pseudo-Xenophon Ath. Pol. 1, 12: 30 Zenobius 4, 81 (CPG 1, 106, 16): 225 n. 1; 226

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INDICE DEI NOMI

INDICE DEI NOMI * a cura di Francesca Biondi

Abbate, C. 512 n. 11 Abromachos 398 Accademia 19-20 Achei 151; 439 n. 14 Acheloo 248; 252; 491 n. 66 Acheronte 176; 186 n. 105 Achille 29 n. 11; 122; 125; 168 n. 15; 210 n. 192; 444; 478 n. 4; 494 Acrefia 337 n. 2; 550 Acrisio 39-40 Acropoli 17; 19; 84 n. 54; 177 n. 58 Actia 349 n. 63; 350 Acusilao di Argo 303 Adam, A. 515 Ade (dio) 443 Ade (luogo) 50; 84-88; 91 n. 67; 94; 169; 209; 248 Adone 173 Adriano (imperatore) 438 Aedepsos 462 Aélion, R. 115 n. 42 Afrodisia 341; 494 n. 75 Afrodite 24; 115 n.  42; 116 n.  43; 117; 119; 249; 482; 486 n. 49 Agamennone 37; 43 n. 45; 104; 122; 129-130; 443; 463 Agamestore 107 n. 18 Agasicle 246 n. 33; 247; 251 n. 47

Agathokles (Asterios) di Alessandria (vincitore in agone) 333 Agatone 36; 43; 47 n.  3; 51; 136 n. 16; 137 nn. 21, 23; 151 n. 68; 153 n.  71; 168; 175 n.  50; 178; 183; 204; 206 n. 180 Agave 464 Agelaos di Tegea (vincitore in agone) 132 n. 4; 333; 342 Agesicora 243 n. 24 Agesilao II (re di Sparta) 458 Aglaia 80 Agon Herculeus 551 Agon Minervae 551 Agon Solis 551 Agone per Halia 550 Agoni Istmici 315; 318; 338 n.  9; 469; vd. anche Isthmia Agoni Nemei 315; 318; 455; 457; 469; vd. anche Nemeia Agoni Olimpici 268 n. 28; 315-316; 318; 338 n. 9 Agoni Pitici 315-316; 318; 325; 338 n. 9; 456; 469; vd. anche Pythia Agorà 17 n. 6; 188 Agosti, G. 263 n. 6 Agra (Agrai) 85 n. 56 Agrigento 341

*  La trascrizione dei nomi greci e latini è stata generalmente unificata secondo la forma italiana.  Le eccezioni sono dovute all’uso più frequente della forma traslitterata.

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INDICE DEI NOMI

Agrikolaos di Panopoli, M.  Aurelio (vincitore in agone) 335 Agrionia 550 Agrippas di Cesarea, Aurelio 337 n. 2 Aigion 400 Ailianos, P. Elio (vincitore in agone) 336; 345 Ainesidemos di Ariston 368 n. 35 Akmantidas di Sparta 392 n. 29 Alary, G. 513 n. 15 Albert, A. 513; 522 Alcamene 19 Alceo 488 Alcibiade 183; 185 n.  97; 189; 206 n. 180; 285; 290 Alcione 302-303 Alcmane 24; 32; 79 n. 38; 107 n. 18; 243 nn. 24, 26; 244; 247 Alessandria 319; 341; 435; 437; 445; 461; 469; 546 n. 4 Alessandrini 440 n. 17 Alessandro Etolo 456 Alessandro Magno 317-318; 332 n. 1; 388 n. 10; 457; 458 nn. 2021; 460-461; 463; 465 n.  42; 466-467; 469 n. 54 Alessandro, M. Aurelio (vincitore in agone) 335 Alessione di Sicione 74 n. 15 Allen, Th. W. 439 n. 14; 445 n. 47 Allen, W. S. 528 n. 7; 529 n. 8 Aloni, A.  76 n.  22; 233 n.  34; 279 n. 2; 280 n. 5; 281 n. 8; 282 n. 15 Altamira, A. 489 n. 59 Alvaro, C. 530 Amable (Petit D.-A.) 513 Amandry, P.  350 n.  64; 365 n.  22; 391 n. 20 Amatori, A. 565 Ambaglio, D.  302 n.  6; 304; 306 n. 18; 308 Ambrose, Ph. 163 n. * Amebeo (citarodo) 469 n. 54 Amitaone 227 Ammonio 250 Amphiaraia 550 Anacreonte 121 n.  57; 166; 305; 307; 487

Anassagora 171 n. 25 Anassenore 469 Ancira 341; 350 n. 66 Andocide 184; 285; 290 n. 50 Andrea di Corinto 147 Andrisano, A. M. 136 n. 20 Andromaco 463 Andromeda 56 Andron di Polyxenos 361 n. 13 Anemurio 341 Aneziri, S. 374 n. 61; 397 n. 54; 461 n. 33 Anficle di Renea 75; 78 nn.  31-32, 35; 79 n. 42 Anfipoli 319-320 Anfizioni 340; 343 n. 27; 389 Anfizionia delfica 73 n.  14; 339 n. 12 Anthesteria 23; 374 n. 65 Antifane 148; 229 Antifonte (poeta di prosodi) 72 n. 8 Antifonte (retore) 528 n. 6 Antigene 303 Antigenes di Kritolaos 368 n. 35 Antigenidas (citarodo) 469 n. 54 Antigenidas di Laodicea (vincitore in agone) 333 Antigenidas di Tebe (auleta) 204; 342; 348 Antigone 39-41; 55; 58; 60 Antigono III Dosone (re di Macedonia) 454; 459 n. 26; 468 Antiloco 321; 465-466 Antimaco di Colofone 282 n.  14; 321; 455-456; 465-466; 562 Antinopoli 341 Antiochia 546 n. 4 Antipatro (grammatico) 307 Antipatros di Eleutherna, figlio di Breukos 396 n. 50; 400-401 Antiphilos 398 Antissa 151; 310; 341 Antonineia Pythia 551 Antonio, M. 459-460; 468 Anversa 496 n. 83 Ape (soprannome di Sofocle) 47 Apion (vincitore in agone) 333 Apione ed Erodoro 437 n. 5

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INDICE DEI NOMI

Apolaustos, Tib. Giulio (vincitore in agone) 337 Apollo 9; 23; 28 nn. 3, 8; 32; 69 n. 1; 74-75; 77 n. 27; 78; 79 n. 42; 80 n.  47; 103; 112-113; 131; 226; 239-240; 246; 271; 273; 301; 338 n. 9; 340; 357; 359 n. 8; 370; 389; 392 n.  26; 395; 398; 401; 469; 478-479; 481-482; 483 n.  26; 484; 487; 498-499; 505; 552; 561; 565; A. Carneo 9; 301 nn. 1, 4; A. Delio 76; A. Ismenio 237-238; 239 n.  12; 240 n.  15; 243 n.  20; A.  I.  Chalazios 243 n.  20; A.  I.  Galaxios 243 n.  20; A.  Musagete 479 n.  8; Febo 338 n. 8; 494; Lossia 240 n. 13; 241 Apollodoro di Tarso 85; 188 Apollonia 74; 378 Apollonio Rodio 201; 248; 289 n. 43; 491-492 Apollonios (vincitore in agone) 333 Apollophanes 179 n. 70; 182 Appiani, A. 486 Aptera 253; 491 Arateia 454 Arato di Sicione 454; 459 n. 26; 468 Arcadia 341-342; 480 Archelao 206 n. 180; 395 n. 44 Archias di Ibla (vincitore in agone) 333 Archilocheion 33 Archiloco 32-33; 231; 261-266; 267 n. 23; 268; 270; 271 n. 37; 276277; 282 n.  16; 287; 289-290; 306 Archimede 249 Archippo 183 n. 90 Ares 24 Argivi 77 n. 27; 132 n. 5; 318 Argo (città) 112; 121; 125; 165; 188; 302; 316; 341; 347 n.  55; 350; 457; 550-551 Argo (nave) 249; 303; 491 n. 64 Argolide 550 Argonauti 249; 316 n. 3; 490 Arianna 19

Aricò, G. 338 n. 8 Arione di Metimna 30 n.  13; 54; 301-302; 307-309; 313 Aristarco 188; 437; 439 n.  14; 440 n. 17; 444; 446-447 Aristea (grammatico?) 469 n. 54 Aristide Q uintiliano 49 n. 12 Aristoclito 146 n. 51 Aristodama di Smirne 397 n.  53; 401 n. 70 Aristofane 14; 18; 20; 23; 50 n. 21; 55-56; 62; 82-83; 95 n. 77; 102; 107; 135-137; 140 n.  33; 164166; 168-169; 171-177; 182183; 187-191; 193-198; 200; 202-208; 213; 265; 272; 274; 284 n.  22; 307; 419; 436; 560561; 563 Aristofane di Bisanzio 436 Aristolochos di Aristogeiton 369 Aristomene (poeta comico) 183 n. 90 Ariston (filosofo) 396 n. 49 Ariston di Cos (vincitore in agone) 333 Ariston di Reggio 342 Aristonico (citarodo) 469 n. 54 Aristonico (commentatore) 437 nn. 5-6; 439 n. 14; 446 n. 55 Aristonous (vincitore in agone) 333; 344 n. 36; 456; 469 Aristonous di Corinto 456-457; 465; 467 n. 52 Aristosseno 9; 47; 57 n. 54; 147; 166 n. 9; 428; 432; 528 Aristotele 33 n. 27; 34; 36-37; 42; 61 n. 69; 62; 138-139; 141-142; 153 n.  71; 211-212; 262; 272; 284; 344; 413; 419; 436; 440-444; 450; 566 Aristys, figlio di Aristomenes 400 Armenia 463 Armonia 116 n. 43 Arriano 332 n. 1; 457; 458 n. 21 Arrighetti, G. 141 n. 36 Artabaze 463-464 Artemas di Laodicea, P. Elio (vincitore in agone) 336; 342; 345

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INDICE DEI NOMI

Artemide 73; 75; 79; 163; 182; 271; 273; 456; 486 n. 49 Artemisia di Eretria 73 Artemision (capo) 31 n. 21; (santuario) 456 Artois 505 Asclepio 163; 176-177 Ascra 340 Asheri, D. 282 n. 16 Asia 332; 458-459; 463; 468 Asia Minore 9; 225 n.  2; 340-343; 460 n. 29; 461 Asklepieia 177 n. 58 Aspiotes, N. 139 n. 30; 553 Aspis di Argo 348-350 Assiria 341 Asso 142 Atamante 338 n. 8 Atena 19; 111; 226; 247 n.  36; A. Itonia 247; 252; 255; A. Nike 212; A.  Nikephoros 319; A.  Polias 23; Pallade A. 36; 77 n. 27 Atene 9; 13; 16; 17 n. 5; 18 n. 9; 19; 20 n. 13; 22-23; 28 nn. 4, 6; 2930; 31 nn. 16, 21; 36; 42 n. 44; 47; 50 n. 15; 51; 62; 69 n. 2; 74; 79; 84-86; 88-89; 96-97; 131; 143; 149 n.  63; 154; 165; 173; 177; 179; 182; 184; 188; 212; 272 n.  44; 279; 282-284; 290291; 307 n.  25; 315; 341; 343 n.  26; 370; 374 n.  65; 375; 376 n.  72; 386; 397; 454; 456; 459; 463; 464 n.  40; 467 n.  52; 468 n.  53; 469; 546 n.  4; 550; 560; 563-564 Ateneo (innografo) 74 n.  16; 371 n. 47; 394 Ateneo 140; 141 n.  37; 142 n.  40; 143; 164; 168-169; 179; 207; 225-226; 228-229; 263-264; 280; 283-284; 285 n.  24; 287 n.  34; 288; 289 n.  43; 304-305; 307; 311 n. 40; 332 n. 1; 453; 459 Atenide 227 Ateniesi 16; 28; 31 n. 21; 69 n. 1; 75; 84 n. 54; 163; 174; 283-284; 320 Atenione di Tespie 72 n. 8

Atenodoro (attore) 460; 461 n. 32 Atenodoro di Imbro 323 Athanadas di Reggio 390; 400 n. 65; 401 n. 67; 403 n. 74 Athenagoras 185; 268 Attalo I 319 Attica 13; 16; 303; 342; 551 Auclair, M. 513 n. 13 Aujac, G.  427 n.  2; 428 n.  3; 429; 431 n. 8 Aulide 43 n. 45; 122 Aurelianos Apollonios di Tarso, T. E­lio (vincitore in agone) 337 Aurelianos di Nicomedia, L.  Settimio (vincitore in agone) 335 Aurelianos Theodotos di Nicomedia, T.  Elio (vincitore in agone) 337; 342 Aurelio di Ancira, M.  (vincitore in agone) 335 Aurelio di Atene (vincitore in agone) 333 Aurelio di Cos, M. (vincitore in agone) 335 Aurelio Protogenes di Anemurio, C.  Giulio (vincitore in agone) 334 Aurelio Serapion di Efeso, P.  Elio (vincitore in agone) 336 Aurelio, M. vd. Marco Aurelio Aurelius Hatres 461 n. 34 Ausonio 253-254 Austin, C. 136 n. 16; 137 nn. 21, 23 Austria 512 Avidienos di Nicopoli, Q uirino C. (vincitore in agone) 333 Babi 225-227; 565 Bablet, D. 513 n. 14 Baccanti 186; 310; 459; 479 Bacchielli, L. 375 nn. 65-66 Bacchilide 31 n.  20; 32; 34; 41; 54 n. 41; 55 n. 47; 77; 79 n. 38; 81; 87; 562 Bacchio di Atene 72 n. 8 Bacco 59; 460 Bach, N. 282 n. 15; 285 n. 24 Bachofen, J. J. 477 n. 2

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INDICE DEI NOMI

Bagordo, A. 32 n. 23; 105 n. 12 Bakola, E. 138 n. 27; 182 n. 86 Ballard, M. 516 Baltieri, N. 105 n. 12; 106 n. 17; 110 n. 28; 112 nn. 33, 35; 117 n. 47; 119 n. 51; 125 n. 72 Baltussen, H. 173 nn. 37-38 Barbantani, S. 466 n. 44 Barbieri, F. 534 Barker, A.  52 n.  32; 56 n.  50; 132; 134 n. 10; 137 n. 23; 138 n. 25; 139 n. 29; 141 n. 37; 144 n. 45; 147 nn.  52, 54, 56; 148 nn.  57, 60; 166 n. 10; 194 n. 141; 233234; 310 n.  38; 391 n.  20; 413 n. 1; 419 n. 13; 427 n. 1 Barlow, S. A. 113 n. 38 Barnes, J. 413 n. 2 Bartol, K. 263 n. 8; 279 n. 2; 281 n. 8 Basilea (personaggio) 108 Basileia 72 n. 8; 550 Bassaridi 460 n. 29 Bassos di Mileto, C. Giulio (vincitore in agone) 334; 342; 345 Battaglia del Delio 246 Battaglia delle Arginuse 303 Battaglia delle Termopili 15; 301; 320 Battaglia di Azio 319 Battaglia di Coronea 246; 255 Battaglia di Egospotami 284 n.  22; 454 Battaglia di Mantinea 455 Battaglia di Maratona 14; 301 Battaglia di Parparos 318 Battaglia di Platea 318 Battaglia di Salamina 15 Battalo 229; 230 n. 20 Battegazzore, A. 292 n. 58 Battezzato, L. 51 n. 22; 60 n. 68; 61 n. 70 Batto 316 Baudelaire, Ch. 512 n. 11 Baunack, J. 361 nn. 11-13 Beazley, J. D. 374 n. 65 Bechtel, F. 74 n. 15 Beethoven, L. van 477 Bélis, A.  74 n.  17; 135 n.  15; 141

n. 37; 349; 371 n. 47; 376 n. 75; 377 n. 78; 390 n. 18; 394 n. 35; 397 nn. 52, 54 Bellerofonte 255 n. 69 Bentidios Sota (vincitore in agone) 333 Beoti 246 n. 34; 247; 254 Beozia 19; 71 n.  7; 76 n.  22; 245247; 254; 342; 343 n.  26; 466; 546 n.  4; 547; 550-552; 561; 567 Bergk, Th. 229-230 Berkowitz, L. 549 n. 8 Berlinzani, F. 145 nn. 46, 48 Berlioz, H. L. 512; 514 Bernabé, A. 175 n. 44; 176 n. 53; 193 n. 136 Bernardini, P. Angeli 239 nn. 11-12; 325 n. 28; 350 n. 64; 397 n. 54; 565 Bernhardy, G. 228 n. 9 Bernini, G. L. 495 Bernstein, L. 534 Berve, H. 460 n. 31; 463 n. 38 Beryllos Aizaneites di Efeso, T. Aure­ lio (vincitore in agone) 337 Betegh, G. 184 n. 95 Bettalli, M. 323 n. 23 Bettarini, L. 565 Bettini, M. 249 n. 44; 255; 490 n. 63; 491 n. 66; 492 n. 72 Bianchi Bandinelli, R. 487 n. 50 Bianchini, Ch.  513-516; 520; 522526; 568 Biblioteca di Alessandria 562 Bieber, M. 374 n. 65 Bierl, A. 24 n. 23; 35 n. 29 Bignami, P. 512 n. 10 Biles, Z. P. 138 n. 27; 182 n. 86 Bing, P. 466 Biondi, F. 10; 566 Bisanzio 341 Biterolf (personaggio del Tannhäuser) 507-511; 517; 524 Bizet, G. 514 Blank, D. L. 438 n. 11 Blass, F. 237 n. 2 Blepyros 195-196; 203

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INDICE DEI NOMI

Bliquez, L.  163; 191 n.  128; 194; 196; 199 n. 152 Böcklin, A. 477-480; 482; 484-490; 492-493; 495-496; 498-504; 567 Böcklin, C. 486-487 Boedromione 85 n. 56 Boezio 145 n. 46; 146 Boiskos (auleta) 399 n. 62 Bojesen, E. F. 413 n. 2 Borea 40; 241 Borgeaud, P. 482 n. 22 Borthwick, E.  K.  139 n.  32; 148 nn. 59-60; 166 n. 10; 181 nn. 76, 79; 194 nn.  140-141; 199; 200 n. 155; 292 n. 58 Bossi, F. 261 n. 1 Botticelli, S. 485 Boukatios 397-398 Boukoloi 460 n. 29 Bousquet, J. 344 n. 31 Bowie, A. M. 174 n. 43; 193 n. 135; 204 n. 175 Bowie, E. L. 262 n. 5; 279; 281 n. 8; 289 n. 41 Bowra, C. M. 250 Brancacci, A. 442 n. 39 Brasida 320 Brelich, A.  238 n.  9; 301 n.  4; 458 n. 22 Bremer, J.  M.  104 n.  5; 105 n.  12; 340 n. 14; 394 n. 35 Bremmer, J. 269 n. 32; 271 n. 37 Bretel, J. 506 Brimò 201; 202 n. 166; Brink, B. ten 232 n. 30 Briseis 374 n. 65 Britomarti 483 n. 26 Brown, C. G. 135 n. 15; 138 n. 26; 186 n. 99; 199; 201 nn. 159-160, 162-163 Brueghel, J. (il Vecchio) 489 Brumana, B. 506 n. 2; 515 n. 21; 516 n. 23; 567 Bruneau, P. 377 n. 82; 378 n. 86 Brussich, G. F. 132 n. 8; 134 n. 12; 141 n. 35; 291 n. 53 Bruxelles 496 n. 83 Buck, R. J. 245 n. 31

Buffière, F. 444 n. 43 Bultrighini, U. 292 n. 58 Bundrick, S. 144 n. 42 Bupalo 227; 271 Burckhardt, J.  477 n.  2; 482 n.  23; 487 n. 50; 559 n. 1 Burkert, W.  175 n.  46; 271 n.  40; 301 n. 4 Burnet, I. 28 n. 8 Burroughs, W. S. 480 Burton, R. W. B. 391 n. 20 Byl, S. 174 n. 43 Cadmo (logografo) 429 Cafereo 142 Calame, C. 9; 13 n. 1; 23 n. 20; 24 n. 22; 78 n. 36; 96; 103 n. 4; 187 n. 108; 239 n. 11; 243; 374 n. 64; 458 n. 22; 563 Calano 466 Calcante 122 Calcide 373 n. 54; 378 n. 85; 457 Calcidesi 76 Caldelli, M. L. 349 n. 63 Calhoun, G. M. 180 n. 73; 182 n. 87; 192 n. 133; 290 n. 51 Calipso 485; 488-490; 507; 567 Callas, M. 529; 534-539; 542; 567 Callia 212; 303 Callimaco 240; 267; 283-284; 452; 456 n. 14 Calliope 150; 248 Callipo, M. 435 n. 1; 436 n. 4 Callippide 153 n. 71 Callistene di Olinto 140 n. 34; 344 Callistio 230 Callitichide di Tebe 72 n. 8 Cameleonte 140; 231; 264 Camene 253 n. 63 Cameron, A.  452; 459 n.  27; 463 n. 37; 465 n. 43; 466; 468 n. 53; 563 n. 12 Camone 135 Campbell, D. A. 281 n. 9 Canfora, L. 287 n. 34; 291 n. 55 Cannatà Fera, M.  60 n.  67; 118 nn. 48-49 Capaneo 110; 119-121; 121 n. 60

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Capdeville, G. 253 n. 64 Capitolia 349 n. 63; 350; 551 Capps, E. 361 n. 13 Carano 463 Carducci, G. 480 Cares di Mitilene 458 n. 20 Carey, C. 272 n. 42 Caria 341 Cariti 80; 285; 287 Carmania 332 n. 1 Carneo (indovino) 301 n. 4 Carnuth, O. 438 n. 11 Caronte 84 n. 54; 176; 193 Carpezat, E. 513; 521 Cassandra 106; 110; 112-114; 117; 129-130 Cassio, A.  C.  419 n.  13; 443; 444 n. 43 Cassola, F. 480 n. 11; 481 n. 16 Castaldo, D. 552 n. 12 Castets, F. 369 n. 41; 375 n. 66; 376 n. 75 Catenacci, C.  282 n.  16; 324; 325 n.  25; 385 n.  *; 562 n.  11; 563 n. 12 Catullo 109; 110 n. 27 Cauno 143 Cavallini, E. 567 Ceccarelli, P.  190 n.  124; 194 nn.  140, 142; 365 n.  16; 375 n. 66; 470 n. 55; 560 n. 3 Cecrope 13 Cecropia 13 Cefallenia 341 Cefalo 115 n. 42 Cefiso 88 Cefisodoro 183 n. 90 Centauri 105; 122; 125; 242 n. 19; 478 Cepione 310 Ceramico 84 n. 54 Cerbo, E.  113 nn.  37, 39-40; 114 n. 41; 122 n. 62 Cerri, G.  56 n.  48; 142; 253; 439 n. 14 Chaleion 401 n. 70 Chandezon, Ch.  393 n.  32; 395 n. 42

Chaniotis, A. 393 n. 32; 399 n. 58; 545 n. 1 Chantraine, P. 225 n. 2 Chaperon, Ph. 521 Charitesia 550 Charlton, D. 514 n. 19 Charmos di Filadelfia, M.  Aurelio (vincitore in agone) 335; 346 Charpentier, G. 514 Cherefonte 206 Cheride 82 n. 52 Cherilo di Samo 290; 321; 456; 465466 Chersoneso 319 Cherubina, R. 291 n. 55 Cherubini, L. 531; 538; 567 Chii 139 n. 32 Chio 340; 460 n. 30 Chirone 125; 478 n. 4 Christesen, P. 344 n. 32 Chrysogonos di Atene (vincitore in agone) 333; 342 n. 19 Chrysothemis di Creta (vincitore in agone) 334 Cicerone 429 n. 4 Cicone 225-227; 230; 565 Ciconi 225 n. 2 Cina 529 Cinalli, A. 347 n. 51; 386 n. 6; 390 n.  17; 394 nn.  37, 41; 399; 400 n. 65; 401 n. 69; 402 n. 73; 565 Cinesia 51; 56; 141; 144; 163-213; 221; 272; 564 Cingano, E. 163 n. *; 196 n. 145 Cio 323 Cipro 460-461 Circe 248; 486 n. 49; 507 Cirene 301 n. 1; 316; 375; 377 n. 77; 470 Ciro II (gran re di Persia) 14 Citerone 246; 561 Citti, V.  282 n.  16; 284 n.  21; 287 nn. 33, 35 Clay, D. 265 n. 15 Clazomene 268 Clearco di Soli 263; 469 n. 54 Clement, P. A. 335; 347 n. 54; 351 n. 69

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Clemente Alessandrino 266; 306 Cleocare di Atene 74; 78 nn. 31-32; 469 Cleocrito 169 Cleomene (ditirambografo) 170 Cleomene (rapsodo) 268 n. 28 Cleomene III (re di Sparta) 461; 468 Cleone 84 n. 54 Cleonimidi 251 n. 47 Cleopatra (sposa di Fineo) 39-40; 58 Cleostrato 74 Climene 115 n. 42; 116-117 Clinton, K.  186 n.  99; 199 n.  154; 202 n. 167 Clistene 17; 31 n. 16 Clistene di Sicione 30 n. 13 Clitemestra 122 Codalo 225-230; 565 Colin, G. 74 n. 17 Collard, C.  117 n.  46; 121 nn.  55, 58-60; 122 n. 61 Collide 341 Collitz, H. 74 n. 15 Colofone 456 n. 10 Coloniati 60 Colono 19 Combellack, F. M. 442 n. 36 Comédie française 514-515 Comotti, G. 49 n. 12; 61 n. 69; 134 n. 12; 136 n. 17; 137 n. 23; 139 n. 29 Compagnia dell’Istmo e di Nemea 343 nn. 26-27; 461 n. 33 Compagnia della Ionia e dell’Ellesponto 461 n. 33 Compagnia di Atene 461 n. 33 Compagnia di Cipro e dell’Egitto 461 n. 33 Compton, T. 271 n. 36 Conone 181 Conti Bizzarro, F. 136 n. 16 Contiades-Tsitsoni, E.  107 n.  18; 117 n. 47 Corcira 69 n. 2 Core vd. Persefone Coribanti 460 n. 29 Corinna 121 n. 57; 122 n. 63; 561

Corinto 30 n.  13; 165; 307-308; 318; 341; 457 Coronea 247; 252; 254-255; 341; 567 Corsten, T. 245 n. 30 Cos 341; 457 Cotalo 229-230; 565 Couve, L. 74 n. 16 Crasso, M. Licinio 464-465 Cratino 182 n.  86; 189-190; 208 n. 184; 309 n. 33 Creonte 39-40; 58; 59 n. 58; 534 Creso 14 Creta 345 Cretesi 69 n. 1 Crisei 339 n. 12 Crizia 78 n. 35; 186; 282; 286; 292 n. 58; 306 n. 18 Cropp, M. 117 n. 46 Crotone 324 n. 24 Crowther, N. B. 347 nn. 49-50 Crusius, O. 225 n. 1; 226 n. 3; 228; 282 n. 15 Csapo, E. 28 n. 7; 49 nn. 11, 13; 50 nn. 15, 20; 51 nn. 22, 24, 26; 52 n.  30; 53 nn.  35-36; 54 nn.  41, 43; 55 n. 44; 56 n. 48; 58 nn. 55, 57; 61 n. 71; 62 nn. 72, 76; 149 n.  63; 153 n.  71; 163 n.  1; 203 n. 173; 374 n. 65; 375 n. 68; 393 n. 32; 417 n. 10; 419 n. 13 Cuma 341 Dafne 483 n. 26 Dafneforia 239 n. 11; 240 n. 13; 246; 255; 260 Dafni 483-484; 505 Daifànto 239 Daldianos, L. Sertorios (vincitore in agone) 335 Dale, A. M. 124 n. 66 D’Alessio, G.  55 n.  44; 69 n.  1; 77 n. 28; 365 n. 16 Dalmeyda, G. 290 n. 50 Damasco 341 Dameo di Tessalonica 72 n. 8 Damokles, figlio di Timokrates 400 Damon (buleuta) 398

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Damone 134 Damonon 318 n. 8 Danae 39 Danesin, C. 150 n. 66 D’Angour, A.  52 nn.  28, 31; 59 n. 60; 419 n. 13 D’Annunzio, G. 480 Dario I (gran re di Persia) 14; 38 n. 37 Dattili Idei 308 n. 30 Daux, G.  387 n.  8; 390 n.  17; 397 n. 54; 401 n. 67; 457 nn. 15-16 Daverio Rocchi, G. 290 nn. 49, 51 Davidson, J. 48 n. 5 Davies, J. K. 290 n. 48 Deathridge, J. 507 n. 6 Debiasi, A. 115 n. 42 Debussy, C. 514 Decelea 189 de Chirico, G. 489-490 Degani, E.  140 nn.  32-33; 225 nn. 1-2; 226-227; 228 n. 9; 229 n.  19; 232; 233 n.  32, 35; 270 n. 35; 279 n. 2 Degani, H. 273 n. 45 de la Halle, A. 506 Del Corno, D. 85 n. 55; 86 n. 59; 88 n.  63; 91 n.  67; 282 n.  14; 283 n. 20 Delfi 9; 14; 71 n. 7; 73-74; 80; 132; 316; 322; 325; 331; 337 nn. 2, 6; 338 n. 7; 339-340; 342; 355-383; 385-390; 391 n.  23; 395-399; 401-403; 408-409; 457; 462 n.  36; 467; 469; 547-548; 550552; 565-566 Delfi (abitanti) 77 n. 28; 390 Delia 24; 325 Delii 271 n. 37 Della Bona, M.  E.  337 n.  3; 391 n. 20; 547; 565 della Porta, G. 495 Delo 71 n. 7; 74; 76; 77 n. 27; 325; 377 n. 82; 386; 396; 469 De Lucca, V. 511 n. 9 Demand, N. H. 245 n. 30 Demetra 13; 23; 85; 89-91; 93-95; 120; 249; 262 n. 4; 263; D. Eleusina 145 n. 46; 177 n. 58

Demetria 454 Demetrio di Tanagra 72 n. 8; 74 Demetrio Falereo 440 n. 17 Demetrio Poliorcete 69 n.  2; 459; 468 n. 53 de Metternich, P. 512 Democare di Atene 69 n. 2 Democrito 444 Democrito di Chio 138-140; 142; 144; 154; 564 Demodoco (aedo omerico) 24 Demodoco di Sparta (vincitore in agone) 334 Demonio 481 Demostene 20-21; 181; 183; 201; 267; 339 n. 13 De Poli, M. 104 n. 7; 105 n. 12; 112 nn. 33-34; 122 n. 61 de Rubercy, E. 512 n. 11 De Simone, M. 132 n. 3 Despléchin, É. 513; 521 Dessinico di Sicione 74 n. 15 D’Este, L. 486 n. 47 Detienne, M. 21 n. 15 Dexitheos (vincitore in agone) 334; 338 n. 11 Diagora di Melo 85-86; 177; 183189; 204; 210-211 Diano, C. 266 n. 21 Di Benedetto, V. 120 n. 52 Dicearco 268 n. 28; 307 Diceopoli 20 Dickey, E. 437 n. 9 Didimo 70; 75; 82; 250; 437 nn. 5-6; 445 n. 48 Dieterich, A. 175 n. 45; 193 n. 136 Diggle, J. 115 n. 42; 116 n. 43; 117 n. 46 Di Giglio, A. 146 n. 50 Dihle, A.  393 n.  32; 427 n.  2; 431 n. 9 Dillon, M. 397 n. 54 Di Marzio, M. 567 Dindorf, G. 437 n. 5; 439 n. 14 Diodoro Siculo 282 n. 16; 332 n. 1; 462 n. 35; 466 Diogene Laerzio 18; 266; 344 n. 32 Diogenes di Apollonia 171 n. 25

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Diogenes di Efeso (vincitore in agone) 334; 345 Diokles di Aischinos 370 n. 46 Diomede (grammatico) 194 Dion 332 n. 1 Dionigi di Alicarnasso 309 n. 34 Dionisie Cittadine vd.  Dionysia di Atene Dionisie Rurali 20 Dionisio (fratello di Timoteo tiranno di Eraclea Pontica) 321 Dionisio Calco 279 n.  *; 282-286; 287 n. 35; 288; 289 n. 43; 290292; 296-297; 564 Dionisio I (tiranno di Siracusa) 178179 Dionisio Trace 435 Dioniso (canto) 388; 393-395 Dioniso (dio) 14-15; 17-23; 28 nn. 3, 8; 29; 30 n. 13; 32-34; 40-41; 42 n. 44; 50; 55; 77 n. 27; 79-80; 84 n. 54; 85-86; 88-89; 91-95; 113 n. 37; 171 n. 26; 178; 188; 192193; 198-201; 203-205; 209; 262 n.  4; 274; 288-289; 321; 388-389; 395; 459-460; 462; 479; D.  Eleutherios 19; 21; 177 n. 58; D. Paian 389; D. Soter 389 Dionysia di Atene 13; 16; 17 n.  5; 18-19; 20 n. 14; 21; 23; 26; 2930; 56; 62; 177 n. 58; 185; 191; 198; 367; 374 n. 65; 375 nn. 6869; 376; 454; 461 n. 32 Dionysia di Calcide 373 n.  54; 378 n. 85 Dionysia di Iaso 378 n. 87 Dionysia Herakleia 550 Dioscoreia 316 Dioscuri 463 Döblin, A. 490 Dobrov, G. 166 n. 10; 194 n. 141 Dodds, E. R. 87 n. 60; 177 n. 58; 180 n. 73; 181 n. 74; 559 n. 2 Donizetti, G. 514 Dorieus di Rodi, figlio di Diagora 347; 392 n. 29 Dorione 141-142; 564 Douris 281

Dover, K.  J.  85 n.  56; 89 nn. 6465; 94 n.  75; 138; 170 n.  21; 171 nn.  24-25; 174 nn.  41, 43; 175; 181 n.  77; 183 n.  91; 186 n.  104; 189 nn.  117-118, 121; 191 n. 128; 193; 196 n. 146; 199 nn. 152-153 Draper, H. J. 492 Dresda 507-508; 513 Driope 480 Dromeus di Mantinea 392 n. 29 Drys 323 Ducat, J. 245 n. 31 Due Dèe 137 n. 24 Dunbar, N. 86 n. 58; 108 n. 25; 165 n.  6; 166 n.  7; 167 n.  11; 168; 175 n. 48; 191 n. 128 Duride di Samo 320; 454 n. 7 Düring, I. 194 n. 141 Dürrbach, F. 74 n. 18 Dyck, A. R. 437 n. 9 Eacidi 77 n. 27 Eaco 77 n. 27 Eagro 150; 209 Easterling, P. 36 Ecate 112; 113 n. 40; 181; 190-192; 196-198; 200-202; 205; 211 Ecateo 266; 429; 431 Ecbatana 332 n. 1; 458 Echembrotos d’Arcadia (vincitore in agone) 232 n. 25; 233; 334; 342 Ecuba 111-112; 113 nn. 37, 39 Éden-Théâtre 514 n. 18 Edilo 229-230 Edipo 37; 39; 55; 58; 60 Edmonds, R. G. 175 n. 44; 176 n. 57; 189 n. 120; 193 nn. 135-136 Edwards, C. M. 202 n. 168 Efeso 268; 341; 459 Efestione 122 n. 63 Eforo 140 Ege 332 n. 1 Egeidi 301 n. 1 Egeloco (attore) 435 Egeo (mare) 9 Egina 202; 316 Egineti 77 nn. 27-28

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INDICE DEI NOMI

Egisto 35 n. 28 Egitto 452; 457; 460-461 Ehrenberg, V. 191 Eitrem, S. 393 n. 32 Eklektos di Sinope, V.  (vincitore in agone) 337 Elafebolione 16; 20-21 Eldorado (teatro) 514 Elea 341 Elena 55 nn. 46-47; 112; 249 Elettra 55 n. 46; 59; 104 Eleusi 13; 85; 88; 90; 94; 184; 285; 341 Eleusinia 23 Eleusinion 177 n. 58 Eleutere 19 Eleutheria 318 Eliadi 116 n. 43 Eliano 332 n. 1 Elicona 72; 246; 264; 561 Elio Erodiano 437-439; 445 n.  48; 446 Eliodoro 78 n. 30 Elisabetta d’Ungheria 507; 510-511 Ellade vd. Grecia Ellanico (grammatico) 444 n. 44 Ellanico di Lesbo 147 n.  52; 301311; 313; 565 Ellenismo 385 Ellesponto 396 n. 49 Elliot Sorum, C. 126 n. 74 Elpenore 176 n. 53 Emone 41 Empedocle 175; 268 n. 28; 440 Empousa 199-203; 205 Enea 479; 494 Eolàda 241; 245 Eos 115 n. 42; 116 n. 43 Epicuro 186 Epidauro 263; 467 n. 52; 550-551 Epigono 132; 134 Epigonos ? di Afrodisia, T. Claudio (vincitore in agone) 337 Epikrates di Asopon 362 n. 14 Epimenide 175 Er 250 Era 77 n.  27; 252; 254; 303; 304 n. 12; 320; 491

Eracle 58; 77 n.  27; 84 n.  54; 86 n.  59; 94; 176; 192; 198; 200; 457 n. 18; 561 Eraclea Pontica 321 Eraclide Pontico 234; 266; 283 n. 18; 306; 456 n. 10 Eraclidi 301 n. 4 Eraclito di Efeso 261-262; 266-268; 270; 274; 276-277; 440 Eratocle 166 n. 9 Eratostene 107 n. 18; 427-428; 430431; 567 Erbse, H. 437 n. 5; 439 n. 14 Ercoles, M. 150 nn. 65-66; 163 n. *; 182; 188 n. 116; 204 n. 174; 310 n. 39; 564 Erebo 174 Eretria 71 n. 7 Eretteo 13 Ergeas di Ergeas (auleta) 369 Eridano 115 n. 42 Erittonio 308 n. 30 Ermes 480; 489; E. Epimelio 252 Ermesianatte 231 Ermete Trismegisto 482 n. 22 Ermione 55 n. 46; 249 Ermogene 186 n. 105 Ermopoli 341 Ernst, A. 512 n. 11 Erodoto 30 n. 13; 132 n. 5; 268; 282 n.  16; 301-302; 306 n.  18; 309; 319 Eros 462 n. 36 Erotideia 550 Eschilo 14-15; 18; 35; 38-39; 42; 4546; 50; 55 n. 45; 56; 61; 96; 115; 118; 186; 419; 527; 562-563 Eschine 201 Esichio 227; 232; 233 n.  35; 234; 270 Esiodo 14; 107 n. 18; 115 n. 42; 138 n.  27; 231; 242-243; 263-264; 266; 310 Esperidi 151 n. 67 Espero 115 n. 42 Essecestide 147 n. 52 Eteocle 37-39 Etiopia 116

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INDICE DEI NOMI

Etoli 319; 357; 379 Ettore 494 Euangelos di Taranto 342 Eubea 73; 373 n. 57; 462 Eudemo di Tespie 72 n. 8 Eudimon di Tarso e Atene, C. Giulio (vincitore in agone) 334 Eufronio (grammatico) 307 Eumarone di Tespie 72 n. 8 Eumelo di Corinto 76; 78 n. 29; 8081 Eumelos di Elea (vincitore in agone) 334; 338 n. 11; 342 Eumene II 319 Eumolpos di Atene o Eleusi (vincitore in agone) 334 Euneo 55 n. 46 Eunomos di Locri (vincitore in agone) 334; 342 Eupoli 140 n. 33 Euripide 14-15; 36-37; 42-43; 5051; 55-57; 59; 62; 96; 105 n. 12; 115 n. 42; 118; 121 n. 57; 129130; 142 n.  39; 178; 186; 201; 248-249; 388; 393 n.  32; 395; 435-436; 462; 464; 530; 562563 Europa 332 Eusebeia 349 n. 63; 350 Eustazio 249; 253; 283-284; 446 Euterpe 484; 486-487 Eutychianos, T.  Antonio (vincitore in agone) 336 Evadne 110; 119; 120 n.  53; 121122; 130 Evagora 209 Evegoro 17 n. 5; 20 Evenetide 146 n. 51 Eveno di Paro 280 n. 6; 282 Exekestides di Caria (vincitore in agone) 334; 338 n. 11 Fantuzzi, M. 386 n. 4 Faraone, C. A. 270; 281 n. 10 Färber, H.  70 nn.  2, 4; 71 n.  6; 79 n. 40 Farnell, L.  R.  181 nn.  78, 80; 202 n. 170

Fauser, A. 512 n. 11 Favaro, F. 487 n. 51 Feace 285; 288; 290-291 Feaci 291 Fearn, D. W. 185 n. 96; 365 n. 16 Febo vd. Apollo Fedeli, P. 110 n. 27 Fenia di Ereso 135 n. 14; 306 Fenicia 457; 460 Ferecide di Atene 303; 429 Ferecrate 52 n.  33; 135; 137; 164; 166; 168; 194 Ferlan, F. 506 n. 4 Fernández Delgado, J.  A.  452 n.  4; 566 Ferrandini Troisi, F. 342 n. 21; 397 nn. 52, 54 Ferrari, F.  59 n.  59; 106 n.  17; 156 n. 74; 239 n. 11; 290 nn. 49, 51 Ferrari, G. 187 n. 109 Ferrario, S. 62 n. 73 Ferri, S. 487 n. 50 Ferrini, M. F. 413 nn. 1-2 Festuguière, A. J. 460 n. 29 Fétis, F.-J. 512 Fetonte 115-116; 117 n.  46; 118119; 130 Fidia 19 Filadelfia 341 Filaidi 319 Fileni, M. G. 77 n. 28; 80 n. 43; 436 n. 2; 563 Filippo II di Macedonia 339 n.  13; 462 n. 35 Filippopoli 350 n. 66 Filocoro 468 n. 53 Filodamo di Scarfea 340 Filodemo 163; 186; 429 n. 4 Filone alessandrino 69 n. 2 Filopemene di Messenia 322; 455; 466 Filossenide di Sifno 136; 140 nn. 3233 Filosseno di Citera 48; 52; 54; 107 n.  18; 136; 140-141; 144; 148; 170; 178; 204; 287 Filota 143 Filottete 60

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INDICE DEI NOMI

Fineo 40; 58 Finglass, P. J. 59 n. 61; 131 n. 1 Fiorentini, L. 211 n. 195 Firenze 479 n. 5 Flacelière, R. 357 n. 1 Flashar, H. 413 n. 2 Flavio Antonino, M.  (vincitore in agone) 335 Fleming, Th. 55 n. 45 Fliunte 304 n. 12 Focide 331; 343 n. 26; 550 Focilide 231; 264 Foley, H. P. 35 n. 28; 112 n. 35; 122 n. 64; 125 nn. 71, 73; 202 n. 168 Fongoni, A.  10; 49 n.  13; 54 n.  42; 60 n.  68; 107 n.  18; 136 n.  16; 141 nn.  34, 37; 149 n.  61; 204 nn.  174, 176; 282 n.  13; 284 nn. 21-22; 285 n. 28; 288 n. 37; 291 n. 53; 564 Fonte di Edipo 458 Forco 248 Ford, A. 52 n. 28; 53 nn. 35, 37; 59 n.  59; 103 n.  2; 141 n.  37; 165 n. 6; 171; 172 n. 28; 186 n. 105 Fosforo vd. Espero Foucart, P. 361 nn. 11-12 Fougères, G. 75 n. 19 Fozio 238; 239 n. 11; 240 n. 16; 243 n. 20; 272; 282 Fraccaroli, G. 237 n. 1 Franchi, E. 317 n. 6 Francia 513-514 Franklin, J.  C.  51 n.  22; 131 n.  *; 132 n.  3; 136 n.  19; 141 n.  37; 436 n. 2; 147 n. 52; 163 n. 1; 166 nn. 8-9; 167 n. 11; 168 n. 19; 173 n.  34; 186 n.  101; 194 n.  141; 306 n.  18; 308; 309 nn.  31, 34; 310 nn. 35, 38; 564 Fraser, P. M. 452 Frei, I. 74 n. 15; 376 n. 71; 377 n. 78 Friedländer, 438 n. 11 Frigi 226 Frigio (personaggio) 55 Friis Johansen, K. 374 n. 65 Frinico 18 Frinide di Mitilene 52; 56; 62; 133;

135-139; 143-145; 146 nn.  5051; 564 Furie 36 Furley, W.  D.  104 n.  5; 105 n.  12; 340 n. 14; 394 n. 35 Fürstner, A. 508 Gailhard, P. 513 Galati 319; 357 Galeno 208; 210 n. 191 Gallavotti, C.  440 nn.  17, 20; 442 n. 39 Galli 322 Gallo, I. 77 n. 25 Galvani, G. 563 Garcìa, M. P. R. 529 n. 9; 535 Garin 516 Garzya, A. 280 n. 4; 282 nn. 13, 1516; 283 n.  20; 284 n.  23; 285 n. 24; 288 n. 38; 291 n. 57 Gavazzeni, G. 530 Gea 248 Gencer, L. 529-535; 537; 538 n. 13; 539; 542; 567 Genette, G. 83 n. 53 Gentili, B.  10; 80 nn.  44-45; 108 n. 22; 111 n. 31; 121 n. 57; 124 n.  67; 125 n.  69; 131 n.  1; 231 n. 23; 232 n. 30; 233; 255 n. 69; 279 nn. 1-2; 281 n. 8; 282 n. 16; 285 n.  24; 290 nn.  44, 46-47; 291; 369 n.  41; 386 n.  4; 393 n. 32; 396 n. 48; 451; 462 n. 36; 562 n. 9; 569 Gerber, D.  E.  270 n.  34; 279 n.  2; 281 n. 8 Germania 477 n. 2; 513 n. 15 Gesù Cristo 481 Gevaert, F. A. 413 n. 2 Giangiulio, M. 318 n. 7; 324 n. 24 Giangrande, G. 289 n. 43 Giannini, P. 366 n. 22; 546 Gianvittorio, L. 560 n. 3 Giasone 478 n. 4; 530; 533-536; 538 Giasone di Tralles 463-465 Gigantomachia 494 n. 75 Gige 306 n. 21 Gilula, D. 141 nn. 34, 37

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Giocasta 55 Girard, R. 15 Giuliano di Smirne (vincitore in agone) 334 Giuliano di Smirne, C. Giulio (vincitore in agone) 334; 338 n. 11; 342; 345 Glauce (musicista) 229; 230 n. 20 Glauce (sposa di Giasone) 533-534 Glauco di Reggio 306; 310; 427 n. 1; 431 Gluck, Chr. W. 477; 514 Glykonianos di Efeso, M.  Aurelio (vincitore in agone) 335 Gnoteas di Glaukos 368 Goldhill, S. 17 n. 5; 22 n. 18 Gortina 341 Gostoli, A.  51 nn.  25-26; 76 n.  23; 131 n.  *; 146 n.  51; 147 n.  52; 163 n.  *; 164; 221; 306 n.  23; 309 n. 31; 385 n. *; 427 n. 1; 439 n. 14; 458 n. 22; 548; 560; 569 Gounod, Ch. 514 Gow, A. S. F. 140 n. 34 Graf, F.  189 n.  117; 193 nn.  135136; 199 n. 154; 201 n. 163 Grande Meandro 463 Grandi Dionisie vd. Dionysia di Atene Grandi Misteri 85 n. 56; 177 n. 58 Grandolini, S. 69 nn. 1-2; 71 n. 6; 75 n. 21; 76 nn. 22-23; 80 n. 46; 81 n. 49; 82 n. 52; 243; 252 Grassi, T. 452 Greci 95 n.  77; 111; 113; 132 n.  5; 166 n.  9; 225; 271 n.  37; 282; 287; 318; 388; 414; 428; 429 n. 5; 431-432; 481 n. 18; 563 Grecia 9-10; 15; 22; 23 n. 20; 103; 131; 308; 316; 318-319; 323; 325; 331; 338 n.  9; 339 n.  13; 340-343; 395 n.  44; 397; 408; 451; 455; 458; 461; 463; 464 n. 40; 467; 478; 487 n. 50; 488; 505; 520; 545-546; 552 n.  10; 555-556; 559; 563; 568-569 Grenfell, B. P. 237 Griffith, J. G. 237 n. 1

Griffith, M. 39 n. 40 Guarducci, M.  85 n.  56; 335; 346 nn. 47-48; 385 n. 3; 386 n. 5; 394 n. 39; 452; 461 n. 33; 467 Guarino Veronese 486 n. 47 Guerra del Peloponneso 27; 212; 284; 302 n. 5; 303; 320; 456 Guerra di Troia 113; 125; 303 Guerre Messeniche 76 n. 22 Guerre Persiane 31 n. 21; 155 n. 73 Guerre Sacre 331; 339 n. 13 Gui, V. 534 Gulick, C. B. 287 n. 34; 291 n. 55 Gullo, A. 281 n. 8 Gundel, H. 457 n. 17 Gymnopaidiai 316; 551 Gysin, B. 480 n. 14 Habicht, Ch.  396 n.  50; 397 n.  51; 399 n. 62 Hagel, S. 136 n. 19; 392 n. 26 Hall, E. 393 n. 32 Halliwell, S. 190 n. 123 Hansen, M. H. 245 n. 30 Hardie, A. 452; 465-466 Harding, P. 303 n. 8 Harvey, A. E. 77 n. 28 Haslam, M. 445 n. 47 Haussoulier, B. 369 n. 41 Hawkins, S. 225 n. 2; 271 n. 36 Headlam, W. 204 n. 175 Heinrich (Schreiber, personaggio del Tannhäuser) 507; 517; 526 Heitsch, E. 110 n. 29 Heliodoros di Tessalonica, M. Oulpios (vincitore in agone) 335; 338 n. 11 Henderson, J. 139 n. 32; 194 n. 143; 195 n.  144; 199 n.  152; 200 n. 156; 208 n. 185; 212 n. 199 Henrichs, A.  105; 173 n.  38; 185 n. 96; 204 n. 177 Heraia 316; 320; 349 n.  63; 350 n. 64; 454; 456 Herakleios di Antinopoli, M. Aurelio (vincitore in agone) 335 Herington, J.  103; 106 n.  15; 545; 546 n. 2

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Hermann, G.  117 n.  46; 291; 491 n. 64 Hermonikos di Pozzuoli, M.  Tour­ ranios (vincitore in agone) 335; 342 n. 21; 343 Herodoros di Megara (vincitore in agone) 334 Hillman, J. 480 Hoffmann, G. 320 n. 12 Hoffmann, V. F. 242 n. 18 Homolle, Th. 75 n. 19 Homoloia 369; 550 Hopkinson, C. 507 n. 6 Hordern, J. H. 49 n. 13; 50 nn. 15, 19; 53 nn. 35, 37; 55 nn. 44, 46; 60 nn.  62, 64; 135 n.  13; 137 n. 23; 142 n. 38; 146 n. 49; 149 nn. 62-63; 150 n. 64; 151 n. 68; 204 nn. 176-177 Horion di Ermopoli, M.  Aurelio (vincitore in agone) 335 Horn, W. 95 n. 77 Hornblower, S. 246 n. 33 Howard, A. A. 392 n. 26 Hubbard, T. K. 182 n. 86 Hughes, D. 272 n. 41 Hugo, V. 515 Hunt, A. S. 237 Hutchinson, G. O. 37 n. 35 Huxley, G. 456 n. 12 Hypodicos di Calcide 14 Iaccheion 189 Iacco 59; 85-89; 90 n.  66; 91; 95; 188-189 Ialemos (canto) 118 n. 49 Iannucci, A. 233 n. 34; 279 n. 2; 280 n.  5; 281 n.  8; 282 n.  15; 292 n. 58 Ibla 341 Idaspe 332 n. 1 Idomeneo di Lampsaco 201 Ieranò, G.  39 n.  39; 49 n.  13; 51 nn. 22, 26; 52 n. 29; 139 n. 29; 176 n. 55; 178-179; 193 n. 138; 194 nn.  140, 142; 197 n.  147; 365 n. 21; 369 n. 41; 375 nn. 65, 68

Ierone 283 Ieronimo di Rodi 305 Ificrate 323 Ifigenia 43 n. 45; 55; 122; 125-126; 527 Igino 115 n. 42; 249 Ilio vd. Troia Ilisso 85 n. 56 Imene 118 n. 49 Imeneo 109; 114; 117; 118 n.  49; 119 Imerio 110 n. 29; 348 Ione (rapsodo) 263 Ione di Chio 166; 171 n.  24; 172173; 208; 211; 282; 287 Ionia 271 Iperbolo 84 n. 54; 290 Iperborei 389 Ippia di Elide 306 n. 18 Ippia di Taso 442-443 Ippocrate 431 Ippodamo 282 n. 17 Ippolito 163 Ipponatte 225-232; 236; 268-270; 271 n. 39; 272-273; 276-277 Ipsipile 55 n. 46 Isager, S. 466 n. 44 Ishtar 482 Ismene 60 Ismeno 246 Isocrate 429 n. 5 Isthmia 347 n.  55; 349 n.  63; 350; 354 Istmo di Corinto 137 n. 21 Italia 302-303; 340-341; 343; 481; 551 Ithomaia 81 Itome 76 n. 22; 81 Itsumi, K. 121 n. 57; 124 n. 67 Iuvarra, A. 529 n. 9 Jacoby, F. 184 nn. 93, 95; 303 n. 8; 304; 307; 308 n. 26 Jacquemin, A. 347 n. 53 Jambon, M. 513 Jan, K. von 377 n. 78; 413 n. 2 Janko, R. 184 n. 95; 186 n. 104 Janssen, T. H. 146 n. 49; 150 n. 64

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INDICE DEI NOMI

Jauss, H. R. 103 n. 2 Jennings, V. 173 n. 38 Jiménez San Cristóbal, A.  I.  175 n. 44; 176 n. 53; 193 n. 136 Johnston, S. I. 200 n. 157; 201 n. 160 Join-Diéterle, C. 513 n. 14 Jones, H. S. 27 n. 1 Jost, P. 512 n. 11 Joyce, C. 303 n. 8 Kahane, M. 513 n. 12 Kahrstedt, U. 366 n. 26; 367 n. 27; 369 n. 37 Kaibel, G. 70 n. 4 Kaimio, M. 272 n. 43 Kalinka, E. 30 n. 12 Kallimorphos (vincitore in agone) 334 Kallon di Python (citarodo) 369 Kannicht, R. 201 n. 164 Kantzios, I. 262 n. 4 Käppel, L. 467 n. 52; 468 n. 53 Karamanou, I. 462 n. 36 Karneia 145-147; 149; 152; 301-302; 304-306; 308-311; 313; 548; 551-552; 565 Kassel, R. 33 n. 27; 94 n. 75 Kasyllas di Panopoli, Aurelio (vincitore in agone) 333 Kavoulaki, A. 69 n. 1 Keaney, J. J. 323 n. 22 Kivilo, M. 271 n. 39 Kleainetos di Dasyos 368 Kleinknecht, H. 95 n. 77 Klemes di Bisanzio (vincitore in agone) 334; 342 Kleochares di Atene 393 n. 31 Kleon 398 Kleophon 374 n. 65 Klinger, M. 489 n. 59; 493 n. 73 Klonas di Tegea 76; 78; 231; 232 n. 25; 233-234 Knoepfler, D. 357 n. 1 Kolb, F. 17 n. 7 Kolbe, W. 357 n. 2 Komas 268 Kommodeia 551 n. 9 Korinthos, L. Kornelios (padre, vin-

citore in agone) 335; 347-348; 350-351 Korinthos, L. Kornelios (figlio) 347 Kosmopoulou, A. 375 n. 65 Kotsidu, H. 545 n. 1 Kovacs, D. 50 n. 20 Kowalzig, B.  17 n.  5; 28 n.  5; 164 n. 2; 165; 176 n. 51; 178 n. 62; 179 n. 66; 184 n. 92; 185 n. 96; 238 n. 7; 246 n. 34; 247 nn. 3536 Kraay, C. M. 283 n. 20 Kraton, figlio di Zotichos 396 n. 49 Kraus, T. 181 nn. 78, 80; 191 n. 125; 201 nn. 159-160; 202 n. 170 Kubitschek, W. 283 n. 20 Kugelmeier, C.  187 n.  108; 191 n. 125; 192 nn. 132, 134; 198 Kurke, L. 135 n. 15; 239 n. 11; 240 nn. 14, 16; 245-247; 252 Labdacidi 38-39 Labdaco 58 Lachner, F. 537 Laconia 318 n. 8; 551 Lada-Richards, I.  174 n.  43; 191 n.  128; 193 n.  135; 197 n.  148; 199 nn. 151, 154 Lagidi 13 Lagina in Caria 202 Laio 58 Lallot, J. 435 n. 1 Lalyre, A. 479 n. 9 Lambin, G. 106 n. 17 Lameere, W. 436 n. 4 Lampone 282 Lampsaco 319 Laodicea 341 Lapini, W. 292 n. 58 Larissa 318 Larsen, J. A. O. 245 n. 31 Larson, S. L. 247 n. 36 Lasius, M. L. 477 n. 1 Lasius, O. 477-478 Laso di Erminone 18 n.  8; 52; 54; 132; 134; 141; 307 Lasserre, F. 76 n. 23; 148 n. 60; 232; 233 nn. 33, 35

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INDICE DEI NOMI

Latini, A. 376 n. 72 Latona 75; 79 Latte, K. 228 nn. 10, 13 Laumonier, A. 202 n. 170 Lavecchia, S. 52 n. 34; 165 n. 3; 174 n. 39 Lavigne, D. 262 n. 5; 266 Law, V. 435 n. 1 Lawler, L. B. 168 n. 14; 187 nn. 108109; 192 n. 132; 193 n. 138; 194 n. 141; 197 n. 147 Lazzarini, M. L. 386 n. 5 Le Guen, B.  342 n.  25; 343 n.  26; 374 n. 61; 375 n. 68; 461 n. 33 Lebadea 72 n. 8; 550 Lecce 546 Lee, H. M. 397 n. 54 Lefèvre, F. 357 n. 1 Lehnus, L. 237 n. 4; 240 nn. 13-14; 243; 246 n. 33; 251 Lemno 316 Lenaia 62; 461 n. 32; 469 Lendric 516 Lenschau, Th. 290 n. 47 Lentz, A. 437 n. 9 Leoncavallo R., 514 Leonida 301; 320 Leonidaia 320 Leonidaion 320 Lerna 338 n. 8 Lesbo 150; 302; 304; 309-311; 565 Lesky, A. 116 n. 43 Leucade 69 n. 2 LeVen, P. 51 nn. 22-23; 52 n. 30; 54 n.  41; 55 n.  44; 141 n.  37; 143 n.  41; 151 n.  68; 163 n.  1; 165 n.  6; 178 n.  65; 182 n.  84; 186 n.  105; 187 nn.  106, 108; 203 nn.  171-172; 209 n.  189; 419 n. 13 Levett, B. 50 n. 14 Ley, G. 17 n. 7 Libanio 351 Licimnio di Chio 186 Licofrone 242 n. 19; 253; 491 Licone di Scarfea 461; 465 n. 42 Licurgo (legislatore di Sparta) 305

Licurgo (oratore e uomo politico ateniese) 375 n. 68 Licurgo (personaggio) 39-40 Limenio 74; 78 n.  35; 79-80; 371 n. 47 Linnebach, A. 477 n. 2 Lino 561 Linos (canto) 118 n. 49 Lione 514 Lippold, G. 252 Lipsia 480 n. 11 Lisagora 14 Lisandro 132; 320-321; 344 n.  36; 454-456; 459 n.  26; 466-467; 562 Lisania 264 Lisia 164; 179-180; 182-183; 188; 191; 192 n. 134; 195; 208 Lissarague, Th. 290 n. 45 Liszt, C. vd. Wagner, C. Liszt, F. 512 n. 11 Liverani, E. 567 Lloyd-Jones, H. 39 n. 40; 116 n. 43 Locri 341 Loman, P. 397 n. 54 Lomiento, L. 54 n. 41; 80 n. 44; 83; 88 n. 62; 92 n. 71; 96 n. 79; 108 n. 22; 111 n. 31; 121 n. 57; 124 n.  67; 125 n.  69; 131 n.  *; 134 n.  12; 163 n.  *; 428 n.  3; 429 n. 7; 564 Lorenzo il Magnifico 505 Lorenzoni, A. 131 n. * Lorimer, P. 515 Loscalzo, D. 17 n. 5; 564 Lossia vd. Apollo Louis, P. 413 nn. 1-2 Lowe, N. J. 208 n. 184 Luciano 110 n. 29; 456 Ludwig I di Baviera 482 n. 24 Lulli, L. 279 n. 3 Lyghounis, M.  G.  106 n.  17; 125 n. 70 Lykinos 397 Lynch, T. 48 n. 6 Lysandreia 320-321; 454-456; 466 Lysitheos 179 n. 70

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Maas, P.  107 n.  18; 140 n.  34; 191 n.  130; 192 n.  133; 212; 467 n. 52 MacDowell, D. 183 n. 90; 212 n. 198; 285 n. 26 Macedoni 318; 339 Macedonia 206 n. 180; 332 n. 1; 343 n. 26; 469 Mackil, E. 245 n. 30 Macone 140; 141 n. 37 Maehler, H. 240 n. 14; 242 Mafodda, G. 245 n. 30 Maggio Fiorentino 534 Magna Grecia 9; 324; 342; 461 Magnino, D. 290 n. 51 Maligno vd. Demonio Mancini, L. 243 n. 20 Manieri, A. 71 n. 7; 72 nn. 8, 10; 73 n. 12; 321; 343 n. 29; 344 n. 30; 347 n. 49; 351 n. 71; 358 nn. 4-5, 7; 365 nn. 19-20; 366 nn. 22, 25; 369 nn.  36, 39; 370 n.  42; 373 n. 57; 375 n. 68; 377 n. 82; 378 nn.  86-87; 385 n.  *; 387 n.  9; 389 n. 14; 391 n. 20; 395 n. 44; 418; 452; 458 nn.  23-24; 465 n.  42; 466; 545 n.  1; 546-547; 552 n. 10; 566 Manlio 109 Mann, C. 324 n. 24 Mantinea 185 n. 96; 188 Marcello, M. Claudio 468 Marco Aurelio (imperatore) 437 Marcovich, M. 266 Marenghi, G. p. 413 n. 1; 415 n. 3; 421 n. 14 Mari, A. 495 Mari, M. 321; 332 n. 1; 339 n. 13 Marrou, H. I. 428 n. 3 Marsia 226; 479; 505; 552; 561 Martin, R. 174 n. 40 Marzullo, B. 199 n. 153 Massaro, F. 163 n. *; 458 n. 22; 547; 568 Massenet, J. 514 Massimo di Tiro 347 Masson, O.  225 nn.  1-2; 228-230; 270 nn. 34-35

Mastromarco, G. 82 n. 52; 290 n. 48 Matthaios, S. 435 n. 1; 437 n. 9; 438 n. 11; 444 n. 44; 445 n. 47 Matthews, V. J. 456 Mazzoldi, S. 112 n. 33; 113 nn. 36, 38 Mazzucchi, C. M. 436 n. 4 McCabe, D. 333-337; 346 n. 46 Medda, E. 111 n. 31; 120 n. 52 Medea 40; 527; 530-531; 533-536; 538-539; 542 Medeiros, W. de Sousa 228 n. 12 Media 458 n. 21 Medioevo 481; 505-506; 510; 513 n. 15; 514; 516; 520 Mediterraneo 318 Megalopoli 341; 466 Megara 341 Melampo (indovino) 227 Melampos di Cefallenia (vincitore in agone) 336; 342 n. 20 Melanippide 14 Melanippide di Melo 51-52; 56; 138-139; 142; 144; 154; 186; 564 Melas 246 Meleagro 287 n. 35 Mélesville (Duveyrier, A.-H.-J.) 513 n. 15 Melete 209; 213 Meleto 206-208 Melia 240 Meliadò, C. 253; 491 n. 66 Melisso di Tebe 251 n. 47 Melpomene 248 Memnone 321 Menadi 460 n. 29 Menalkes di Atene, figlio di Speuson 399; 401 Menandro 43 Menecmo di Sicione 304 Menedemo 463 Menefilo 250 Meneghini, G. B. 530 Menekrates Silleus di Assiria (vincitore in agone) 336 Menelao 249 Menfi 332 n. 1; 458

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Mengs, A. R. 486 Mercurio 485 Meriani, A. 211 n. 195; 212 Merope 115 n. 42; 116-117 Meser, C. F. 508 Messeni 76; 78 n. 29; 81 Meuli, K. 181 n. 79 Meyerbeer, G. 514 Michaud, J. P. 349 n. 60 Mida (re di Lidia) 306-309; 479; 481 n. 18 Midas di Agrigento (vincitore in agone) 316; 336-337; 342; 348349 Midia 21 Migeotte, L. 393 n. 30 Migley, D. 490 n. 62 Milanezi, S. 375 n. 66; 470 n. 55 Mileto 151; 463 Miller, S. G. 344 n. 33 Milone di Crotone 324 Milziade I 319 Mimne 227 Mimnermo 231-232; 234; 236; 264; 270; 282 nn. 14, 16; 565 Minosse 483 n. 26 Miralles, C. 228 n. 14; 269 n. 29; 279 n. 2; 280 n. 6; 282 nn. 13, 15-16; 284 n.  21; 287 nn.  33, 35; 292 n. 58 Mirrina 212 Miseno 479; 494 Misteri Eleusini 13; 85; 87; 174; 183; 185; 187-189; 193; 199; 201 n. 163; 202 Mitilene 458; 466 Mitridate 397; 458 Mnasione 264 Mnesiepes 33; 265 Modesti, G. 534 Moire 94 Molineux, J. H. 250 Möller, A. 302 n. 7; 306 n. 18 Momigliano, A. 141 n. 36 Mommsen, A. 371 n. 48 Monaco 508 Monro, D. B. 439 n. 14 Montale, E. 385

Montanari, F. 435 n. 1; 437 n. 9; 438 n. 11; 440 n. 17; 444 n. 44; 445 n. 47 Moormann, E. M. 496 n. 80 Moretti, L. 318 n. 8; 325 n. 27; 333; 337 n. 4; 342 n. 24; 345 nn. 41, 45; 346 n. 47; 350 n. 64 Mosconi, G. 419 n. 13 Mosshammer, A. A. 131 n. 1 Mouseia 72; 368; 548-550; 552 Mozart, W. A. 477; 514 Müller, K. O. 292 n. 58 Mulliez, D. 347 n. 53 Murray, O.  181 nn.  75, 81; 183 nn. 88-89; 192; 279 n. 3 Muse 13; 31 n. 18; 72; 81; 149-151; 153; 155; 240 n.  14; 242 n.  19; 243 n.  24; 248; 249 n.  44; 250; 252-255; 264; 288-289; 291; 332 n.  1; 451; 478-479; 484; 486-487; 490-491; 545 n. 1; 552 n. 10; 561-562; 567 Museo (poeta) 13; 173; 337 n. 5 Musti, D. 319; 419 n. 13 Muth, R, 69 n. 2; 71 n. 6; 106 n. 16 Mylonas, G. E. 85 n. 55 Mystalides 179 n. 70 Nache, M. L. 534 Nachtergael, G.  357 nn.  1, 3; 360 n. 9; 361 nn. 11-12; 362 nn. 1314; 367 n.  32; 371 n.  48; 372 nn. 50, 52; 374 n. 63; 375 n. 65; 379 n. 88; 388 n. 11; 389 n. 12; 393 n. 32; 394 n. 37; 395 n. 45; 399 n. 62 Nagy, G.  24 n.  23; 263 n.  7; 268 n.  27; 281 nn.  9-10; 440 n.  17; 445 nn. 46-47; 446 Naiadi 496 Napoleone III 512 Napoli 341; 377; 484 n. 33; 551 Napolitano, M. 110 n. 28 Nassi 77 n. 27 Nasso 19 Negri, M. 237 n. 5 Nemeia 345; 347 n.  55; 349 n.  63; 350; 455

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Neottolemo 249; 255 n. 69 Neottolemo (attore) 462 n. 35 Nereidi 105; 478; 493; 494 n.  76; 496-497; 567 Nereo 77 n. 27; 125 Neri, C.  131 n.  *; 137 n.  21; 139 n. 32; 146 n. 51 Neris 534 Nerone (imperatore, vincitore in agone) 336; 338; 343; 528 n. 6 Neronia 551 Nervegna, S. 395 nn. 43, 45, 47; 396 n. 48 Newiger, H. J. 94 Nicanore 438-439; 445-446 Nicerato di Eraclea 321; 455-456; 465-466; 562 Nicia 283; 290 n. 51; 464 n. 40 Nicocreonte di Salamina 460 Nicofonte 242 n. 18 Nicolai, R. 386 n. 5; 429 nn. 5, 7 Nicole, J. 437 n. 5 Nicomedia 341 Nicopoli 319; 341 Nieddu, G. F. 152 Niemann, G. 477 n. 2 Nietzsche, F. 41 n. 43; 477 n. 2; 480 Nikephoria 319 Nikodoros 185 n. 96 Nikokles di Taranto (vincitore in agone) 336; 469 Nikokrates di Apollodoros 370 n. 46 Nikon di Megalopoli, figlio di Nikias 390; 400-401 Nilsson, M.  P.  85 n.  55; 271 n.  37; 454 n. 7; 457 n. 17; 460 n. 29 Ninfe 481; 567 Nobili, C. 232 n. 25; 233 n. 34 Nomos della contesa di Atena 348349 Nomos kradias 234 n. 37; 270 Nomos pitico 148; 348-349; 391-392 Nomos policefalo 348-349; 391 n. 20 Norden, E. 429 n. 5 Norimberga 506 Novecento 513 Novelli, S. 282 n. 16; 284 n. 21; 287 nn. 33, 35

Nubicuculia 165; 169 Nuova Musica 51; 52 n. 30; 53 n. 37; 55; 56 n. 50; 57-58; 60-62; 131; 134; 141; 143; 148; 163; 165166; 182; 203-204; 296-297; 310; 419; 564; 568 Nuovi Musici 136; 166; 168; 172173; 176; 178; 183; 187 n. 106; 204 Nuovo Ditirambo 51; 53; 54 n. 41; 60; 62; 165; 171; 203 n.  171; 221; 280; 287; 564 Nuovo Nomos 51-52; 54 n. 41 Nutrice (personaggio) 55 n. 46 Obbink, D. 186 n. 102 Occidente 332 Oceanina 116 n. 43 Odeon 21 n. 17 Odisseo 60 n.  68; 175; 242 nn.  1819; 249; 255; 428-430; 489-490; 491 n. 64; 492 Ogigia 489 Olimpia 73 n.  12; 316; 324 n.  24; 338 n.  9; 344; 347 n.  53; 392 n. 29 Olimpiadi (computo cronologico) 173; 266; 305 Olimpo 59; 443; 478; 480; 497 Olinto 339 n. 13 Oliva, A. 332 n. 1 Olivieri, O.  239 nn.  10-12; 240 n. 14; 246 n. 33; 247 nn. 35-36; 251 Olson, S.  D.  107 n.  20; 108 n.  21; 136 n.  16; 137 nn.  21, 23; 291 n. 56 Oltretomba 84; 94 Olympia 331; 337; 345; 349 n. 63 Omero 9; 14; 39; 107 n.  18; 174 n.  41; 231; 249-250; 261-266; 268; 270; 276-277; 290; 310; 427-432; 435; 437-439; 440 n.  17; 441-442; 444-446; 450; 456 n. 11; 490; 492 Onchesto 247; 255 Onetor (vincitore in agone) 336 Opéra di Parigi 508; 512-514; 516

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INDICE DEI NOMI

Opéra di rue Le Peletier (Parigi) 513; 515 Opéra-comique 514 Opora 107 Oracolo di Siwa 458 Orcomeno 246; 369; 470; 550 Oreste 55 n. 46; 59 Orfeo 150-154; 174-176; 202; 210; 242 n.  19; 249; 255; 310; 490491; 561 Oriente 453 Orione 75 n. 21 Orizia 40 Orode II (re dei Parti) 463 Oropo 470; 550 Orth, C. 211 n. 195 Osann, F. 282 n. 15; 285 n. 24; 290 n. 47 Osborne, R. 24 n. 23 Ottocento 505; 514; 520 Ottone, G. 303 n. 8 Ourania 551 n. 9 Ovidio 249; 481 n. 18; 494 Pacalo 229; 230 n. 20 Pace di Nicia 177 n. 58 Pace, G. 104 n. 7 Pacho, J. R. 375 n. 66 Pacoro (principe dei Parti) 463 Padel, R. 17 n. 6 Pagani, L. 435 n. 1; 445 n. 47 Page, D. L. 37 n. 35; 110 n. 29; 140 n. 34; 436 Pagonda 237; 241; 246 Paidikoi agones 551 Palais Garnier 513 Pallade vd. Atena Palumbo Stracca, B. M. 69 n. 2; 145 nn. 46, 48 Pamboiotia 247; 252 Pan 478-486; 497-499; 561; 567 Panathenaia 16; 20; 23; 35-36; 133 n. 9; 147 n. 55; 194 n. 139; 308 n.  30; 315; 318; 338 n.  7; 351 n. 71; 375 n. 65 Pancrate 147 Pandia 21 Pandora 271

Panopoli 341 Pantakles di Hermiones 373 Paolo, L. Emilio 79 n. 39 Papa 506 Papadimitriou, I. 212 n. 198 Papadopoulou, T. 112 n. 35 Papinio di Elea o di Napoli (padre di Stazio, vincitore in agone) 336; 338; 342 Parente (personaggio) 56 Parigi 479 n. 7; 507-508; 512; 514 Parke, H. W. 80 n. 43 Parker, L.  P.  E.  56 nn.  49-52; 109 n. 26; 114 n. 41 Parker, R.  19 n.  11; 20 n.  14; 202 n. 168 Parnaso 497 Paro 13-15; 32-33; 265 Parparonia 318 Parsifal 510 Partheneia 28 n. 8; 32 Partia 453; 464 n. 40 Pascucci, A. 486 Pasicrate di Soli 460 Pausania (Periegeta) 19; 76 n.  22; 132 n. 4; 174-175; 233; 238; 239 n.  11; 240; 252; 254; 260; 263; 265; 320; 344; 455; 458; 491 Pavese, C. O. 76 n. 22; 80 nn. 46-47; 81 n. 49 Paxos 481 Pearl, O. 394 n. 36 Pecorella Longo, C. 285 n. 26 Pedersen, P. 466 n. 44 Pelasgi 246 Peleo 105; 107 n. 18; 110; 122; 125126 Pelide vd. Achille Pelio 125 Pella 546 n. 4 Pellegrino, M. 242 n. 18 Pelling, Chr. 61 n. 70 Pellizer, E. 264 n. 9 Pelope 562 Peloponneso 177 n.  58; 232 n.  25; 301; 342; 343 n. 26; 461; 551 Penno, G. 534 Penteo 40; 464

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INDICE DEI NOMI

Peponi, A.-E. 59 n. 60; 187 n. 108 Pergamo 319; 546 n. 4 Pergolesi, G. B. 477 Periandro 30 n. 13; 307 Pericle 21 n. 17; 27; 28 n. 6; 29 n. 10; 56; 282 Periclito 146 n. 51; 310 Perinto 350 n. 66 Peripato 413; 440 n. 17 Pernot, L. 457 n. 19 Perrin, E. 393 n. 32 Perrone, S. 445 n. 47 Perrot, S. 401 n. 71 Persefone 85 n.  55; 176; 185; 202; 248-249; Core 85; 89; 95; Salvatrice 89 Persia 332 n. 1 Perugino, P. 505 Pestalozzi, J. H. 485 n. 40 Pettersson, M. 301 n. 4 Pfeiffer, R. 266 Pfohl, G. 279 n. 2 Phaidros di Efeso, Aur. Ancharenos (vincitore in agone) 333 Philammon (vincitore in agone) 336; 337 n. 5 Phillips, E. D. 242 n. 18 Philodamos di Scarfea 389; 391; 392 n. 25; 393 n. 31 Phorystas (vincitore in agone) 385 n. 2 Pianko, G. 166 n. 10 Piavoli, F. 489 n. 61 Piccardia 505 Piccoli Misteri 85 n. 56 Pickard-Cambridge, A.  W.  15 n.  4; 18 nn. 9-10; 19 n. 11; 21 nn. 1617; 27 n. 2; 28 n. 7; 51 n. 26; 52 n. 33; 307 n. 25; 367 n. 28; 373 n. 53; 374 nn. 61, 65; 375 n. 68; 395 n. 45; 461 nn. 32-33 Pieria 150 Pieridi 122; 125; 561 Pierion 463; 465; 467 Pilades di Megalopoli (vincitore in agone) 336; 342; 455; 469 Pindaro 20 n. 13; 28 nn. 3-4; 31; 41; 50; 52; 54; 69 n. 1; 76; 79 n. 38;

80-81; 105; 121 n. 57; 165; 237; 239-240; 243-247; 250-251; 254-255; 260; 267; 290; 301 n.  1; 311 n.  40; 337; 348; 419; 562; 567 Pinervi, A. 69 n. 2; 71 n. 6; 73 nn. 1314; 74 n. 15; 75 n. 20 Pireo 177 n. 58; 375 n. 68 Pironide 146 n. 50 Pirria 560 Pisetero 82 n.  52; 109; 165-167; 169-170; 177 Pisistratidi 31 n. 16; 132; 20 n. 14 Pisistrato 14; 18; 20 n. 14; 250 Pitagora 134; 175; 266 Pitagorici 134; 428 Pitaidi 370 n. 46; 371 n. 47; 374 Pitiadi 132 n. 4; 391 n. 20; vd. anche Pythia Pito (santuario) 69 n.  1; 233; 239 n. 12; 565 Pitoclide 56; 57 n. 54 Pitodoro 252 Pitone 131; 148 Pittore di Asteas 146 n. 50 Platea 246 Plateesi 303 Platone (comico) 164; 169; 191; 208-209; 213 Platone 10; 16; 18; 32 n. 25; 48 n. 6; 58; 61 n. 69; 79 n. 38; 154; 164; 168; 175 n.  50; 183; 186; 193; 213; 250; 262; 321; 419; 440 n. 17; 456; 462; 527 Pleket, H. W. 315 n. 1; 317 n. 5; 320 Plutarco 18; 79 n.  39; 140; 142 n.  39; 145; 175; 200; 229; 249; 261 n. 2; 282-283; 285-286; 290; 309; 320-322; 332 n. 1; 340; 397 n. 55; 419; 451-455; 456 nn. 1011; 457-465; 467-469; 474; 480482; 566 Plutone 93; 96 n. 80 Pöhlmann, E. 144 n. 45; 147 n. 54; 348; 391 n. 20 Poirée, É. 512 n. 11 Poland, F. J. 180 n. 72 Poli, S. 156 n. 74

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INDICE DEI NOMI

Policrate 132 n. 5; 325 Polieno 465 Polifemo 110 n. 28 Poliido di Selimbria 143; 144 n. 45; 148 Polimnesto di Colofone 232 n. 25 Polinice 37 Polluce 79 n. 40; 139 Poltera, O. 140 n. 34 Polygnota di Tebe, figlia di Sakrates / Sokrates 397-399; 401-403; 408-409; 565 Pompei 484 n. 33; 496 Pompeo Magno, Cn. 458; 466 Pomtow, H.  361 nn.  11-12; 371 n. 48; 372 n. 52 Pontani, F. 112 n. 32; 437 n. 5 Ponto 248 Ponto Eusino 321 Pordomingo, F. 452 n. 6; 462 n. 36; 467 nn. 51-52; 468 n. 53; 566 Porfirio 81 Porter, J. 50 n. 20 Pòrtulas, J. 228; 269 n. 29 Posidone 19; 54; 77 n. 27; 111; 247 n. 35; 443 Posidonio 446 Pottier, E. 369 n. 41; 375 n. 66; 376 n. 75 Pougin, A. 512 n. 11 Pouilloux, J. 393 n. 30; 401 n. 70 Powell, B. B. 560 n. 6 Powell, J. E. 27 n. 1 Powell, J. U. 467 n. 52 Power, T.  47 n.  1; 48 nn.  4-6; 50 nn. 18, 21; 51 n. 22; 52 nn. 27, 32; 57 n.  54; 58 nn.  56-57; 62 n. 72; 139 nn 30-31; 141 n. 37; 144 nn.  42-44; 146 n.  51; 147 nn.  52, 55; 163 n.  1; 166 n.  9; 174 n.  40; 176 nn.  54, 56; 178 n.  65; 182 n.  84; 203-204; 209 nn. 189-190; 244-245; 252; 306 n. 23; 310 n. 35 Pozzuoli 341 Pradier, J. 488 Pranichos 463; 465; 467 Prassidamante 140 n. 33

Prato, C. 136 n. 16; 137 nn. 21, 23; 138 n.  24; 153 n.  71; 280 n.  4; 282 nn.  13, 15; 285 n.  24; 290 n. 47; 291 Prauscello, L.  54 n.  40; 139 n.  32; 145 nn.  46, 48; 165; 392 n.  27; 393 n. 32 Pretagostini, R. 451 n. 1 Priamo 125 Pritaneo 398; 401 Privitera, G. A. 69 n. 1; 78 n. 37; 132 n.  8; 134 n.  12; 141 n.  35; 147 n. 53; 267 n. 24 Probert, Ph. 436 n. 4 Proclo 69 n. 1; 75 n. 21; 79; 81; 237238; 239 n.  11; 240 nn.  13, 16; 246; 254; 260; 456 n. 10 Prodico 171 n. 24; 186 Proietti, G. 317 n. 6 Pronomo di Tebe 76 Prontera, F. 427 n. 2; 566 Propontide 323 Protagora 282 n. 17 Psello 47 n. 3; 50 Pseudo-Aristotele 566 Pseudo-Lisia 184-185 Pseudo-Plutarco 148; 152 n.  70; 231; 234; 264; 270; 282 n.  16; 309-310; 313; 344 n. 34; 419 Ptoia 337 n. 2; 550 Ptolemaios di Argo, M. Aurelio (vincitore in agone) 335 Puccini, G. 514 Pucher, G. 506 n. 4 Puech, A.  238 n.  6; 240 n.  14; 246 n. 33 Puggioni, S. 487 n. 51 Pulleyn, S. 95 n. 77 Pythia 131 n. 1; 132; 148; 331; 337; 339 n.  13; 342-345; 347 n.  55; 348; 349 n.  63; 350; 355-356; 376 n.  81; 377; 387-389; 390 n.  19; 391; 392 nn.  24, 28-29; 397-398; 403; 455 n.  9; 550; 552 Pythokles di Hermiones 373 Pythokritos di Sicione (vincitore in agone) 336; 342

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INDICE DEI NOMI

Raaflaub, K. A. 56 n. 53 Rabinowitz, N. S. 17 n. 6 Radermacher, L.  90; 94 n.  76; 196 n. 146 Radt, S. 427 n. 2 Raffa, M.  163 n.  *; 416 n.  5; 417 n. 11; 566 Raffaello Sanzio 486 n. 48 Reckford, K. J. 116 n. 43 Reggio Calabria 341 Rehm, R. 113 n. 38; 120 n. 53 Reinach, S. 482 Reinach, T. 148 n. 60; 232; 233 n. 35 Reinmar (von Zweter, personaggio del Tannhäuser) 507; 517; 525 Reisch, E. 73 n. 12; 365 n. 19 Reitzenstein, R. 285 n. 25 Renaud, M. 523 Rengakos, A. 435 n. 1; 437 n. 9; 438 n. 11; 444 n. 44; 445 n. 47 Restani, D. 136 nn. 18-20; 166 nn. 8, 10; 194 n. 141 Richardson, N.  J.  202 n.  168; 440 n. 17 Richter, L. 163 n. 1 Rimedio, A. 287 n. 34 Rinascimento 505; 514 Ringwood, I. C. 362 n. 13; 546 n. 3 Ritti, T. 335 Robert, J. 457 n. 16 Robert, L.  225 n.  2; 333-335; 343 n.  28; 347 n.  50; 349; 350 nn.  65-66; 357 n.  1; 365 n.  16; 369 n. 38; 376; 378; 387 nn. 8-9; 397 nn.  52, 56; 399 nn.  57, 60; 400; 401 n. 70; 457 n. 16 Roberts, C. H. 253 n. 62 Robins, R. H. 435 n. 1 Robinson, E. S. G. 283 n. 20 Rocconi, E. 416 n. 9 Rodighiero, A. 103 nn. 2, 4; 104 n. 5; 105 nn. 9, 12 Rohde, E. 172 n. 29; 175 n. 45; 193 n.  136; 200 n.  157; 205 n.  180; 208 n. 184; 480 n. 11 Roller, D. W. 427 n. 2 Roller, L. E. 321 Roma 341; 351 n. 70; 429 n. 4; 437;

468; 479 n.  5; 495-496; 506; 551 Romaia 550 Romani 397 Roscher, W. H. 480; 482 Rosen, R. M. 190 n. 123; 274 n. 46 Rosenbloom, D. 272 n. 42 Rosenmeyer, T. G. 281 n. 9 Rotstein, A. 262 n. 4; 265 n. 13; 266 Rougemont, G. 347 n. 53 Roussel, P. 357 nn. 1-2 Rubel, A. 183 nn. 88-90; 184 n. 93 Rubens, P. P. 496 Ruelle, Ch.-É. 413 n. 2 Rufilanchas, D. R. 292 n. 58 Runkel, F. 482 n. 23; 486 n. 42 Russel, J. 334 Rutherford, I. 54 n. 41; 58 n. 57; 59 n. 59; 70 n. 4; 71 n. 5; 73 n. 13; 74 n. 18; 77 n. 28; 104 nn. 6, 8; 105 nn. 10, 12; 401 n. 70 Sabeinos, L. Kornelios 347 Saffo 57 n. 54; 107; 121 n. 57; 304; 478; 486-488; 567 Saglio, E. 350 Saint-Saëns, C. 514; 516 Sakadas di Argo (vincitore in agone) 131-132; 136; 231; 232 n.  25; 233-234; 336; 342; 344 n.  34; 391 Salamina 341 Samarcanda 463 Samiarios, Q .  (vincitore in agone) 336; 338 n. 11 Samo 320-321; 325; 341; 396 n. 49; 456 Samotracia 187; 202 Sannirione 206-208 Sanno 226-228; 230 Santini, C. 10 Santuario Ismenio 240-241; 255 Sarapieia di Tanagra 351 n. 71; 550 Sardi 14 Satiri 110 n. 28; 459; 460 n. 29 Satiro di Callatis 142 n. 39 Satyros di Samo, figlio di Eumenes (vincitore in agone) 336; 338;

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INDICE DEI NOMI

346-347; 388-396; 399; 401403; 408-409; 462 n. 36; 565 Savinio, A. 477 n. 2 Sbordone, F.  239 n.  11; 240 n.  14; 245; 246 n. 33; 251; 427 n. 2 Scardino, C. 30 n. 12 Schachter, A. 237 n. 3; 238 nn. 6-7; 240 nn.  13-14; 243 n.  20; 247 nn. 35-36 Schack, A. F. von 482 n. 24 Scheithauer, A. 376 n. 74 Schironi, F. 440 n. 17; 444 n. 42 Schlegel, A. W. 41 Schmidt, J. O. 242 n. 18 Schneider, M. F. 477 n. 1 Schneidewin, F.  W.  225 n.  1; 228 n. 9 Schönberger, J. K. 238 n. 7 Schorn, 33 n. 26 Schröder, O. 60 n. 62; 240 n. 14 Schröder, S. 74 n. 17 Schweighäuser, J. 291 n. 52 Scullion, S. 22 n. 19 Seaford, R. 110 n. 28; 113 n. 38; 121 n. 60; 122 n. 64 Sear, F. 177 n. 58 Sebasta 349 n. 63; 350; 377; 551 Segal, C. P. 85 n. 55; 104 n. 5; 189 n. 119; 193 n. 135 Segre, M. 454 n. 8 Selene 116 n. 43; 186 n. 105 Seleuco I Nicatore 456 Semele 28 n. 4; 176; 203 Semonide 140 n. 34; 264 Seneca 530 Senofane 266; 562 Senofonte corinzio 255 n. 69 Serapion di Alessandria 347 n. 53 Serapodoron (vincitore in agone) 336 Serra, G. 266 n. 21 Serrao, G. 282 n. 14 Serse 14 Servières, G. 512 n. 11 Settecento 514 Settimio Publio di Pergamo, C. Antonino (vincitore in agone) 334 Severi (imperatori) 350-351

Severyns, A. 75 n. 21; 239 n. 11 Shear, J. L. 375 nn. 65, 67; 376 n. 72 Sibari 282 n. 16 Sicilia 290-291; 316; 343 n. 26; 464 n. 40 Sicione 132; 341; 468 Siculi 302-303 Sifakis, G. M. 357 n. 1; 360 n. 9; 369 n. 41; 461 n. 33 Sifni 139 n. 32 Silbanos di Ermopoli, M.  Aurelio (vincitore in agone) 335 Sileni 460 n. 29 Silk, M. S. 177 n. 59 Silla 397; 458; 462 Sillace 464 Simmaco 253 Simon, E. 375 n. 65 Simon, Y. 514 n. 18 Simonide di Ceo 14; 31 n.  20; 41; 54; 79 n. 38; 140-141; 250; 316 n. 3; 562 Simonide di Zacinto 263 Sinis 137 n. 21 Sinope 341 Siracusa 290; 322; 464 n. 40 Sirene 237; 241-245; 247-256; 260; 478-479; 490-493; 496; 561; 567 Siringa 481-483 Slater, W. J. 28 n. 7; 289 n. 41; 290 n. 44; 337; 346 n. 46; 351 n. 71; 360 n. 9; 362 n. 15; 365 nn. 1617, 19-20; 366 n. 22; 368 nn. 3233; 371 n.  48; 373 n.  54; 374 n. 65; 375 nn. 68, 70; 376 n. 73; 378 nn.  83, 85, 86; 393 n.  32; 397 n. 54; 545 n. 1 Slings, S. R. 265 n. 16 Sluiter, I. 435 n. 1 Smart, J. D. 282 n. 16; 290 n. 47 Smirne 341; 401 n. 70 Smyth, H.  W.  69 n.  2; 71 n.  6; 73 n. 14; 74 n. 15 Socle 230 Socrate 140 n. 33; 170; 171 nn. 2425; 175; 182 n.  86; 183; 186187; 206; 263

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INDICE DEI NOMI

Sofistica 143; 154 Sofocle 15; 36-37; 42-43; 45-50; 5659; 61-62; 66-67; 105 n. 12; 118; 121 n.  57; 177 n.  58; 248; 459; 462 n. 36; 563-564 Sogene di Egina 255 n. 69 Sogno ingannatore (personaggio) 442-443 Sole 115-116 Soli 332 n. 1 Solone 252; 292 n. 58 Sommerstein, A.  H.  94 n.  75; 163 n. *; 191 n. 126; 192 n. 131; 194 n.  139; 199 nn.  152-154; 201 n. 160; 205 n. 180; 208 n. 185 Sopolis di Noumenios 369 Sosibio 305; 307 Sosiklees di Coronea (vincitore in agone) 336; 342 Soteria 73; 322; 343 n. 27; 357-383; 387-390; 394 n.  37; 395 n.  47; 399 n. 62; 400 n. 65; 550; 566 Sourvinou-Inwood, Chr. 17 n. 6; 18 n. 8; 19 n. 11; 20 n. 13; 35 n. 30 Sparta 9; 24; 145; 149-151; 261; 301; 304; 306-309; 313; 316; 320; 341; 457-458; 467; 547548; 551-552; 565 Spartani 261; 301; 306 n.  18; 318319 Spartiati 145-146; 149; 153; 320 Spina, L. 249 n. 44; 255; 490 n. 63; 491 n. 66; 492 n. 72 Spineto, N. 17 n. 5; 19 n. 11; 20 n. 14 Spitamene 463 Spyropoulos, T. 366 n. 22 Squitier, K. A. 549 n. 8 Stama, F. 147 n. 52 Stanford, W. B. 94 n. 76 Stefano (filosofo) 284 Stefano di Bisanzio 253; 491 Stehle, E. 243-245; 251 Stephanis, I. E. 141 n. 37; 147 n. 52; 209 n.  189; 349; 387 n.  9; 396 n. 49; 452; 461 n. 32; 463 n. 38; 553 Sternbach, S. L. 232 n. 30 Stesandros di Salamina 342 n. 20

Stesicoro 15; 48 n. 9; 117 Stesimbroto di Taso 443; 444 nn. 43, 45 Stinton, Th. Ch. W. 120 n. 54 Stoll, H. W. 483 n. 31 Storey, I. C. 140 n. 33 Strabone 142; 231; 427-428; 429 n. 7; 430-433; 567 Strasser, J.-Y.  334; 337; 345 n.  37; 346 n. 46; 375 n. 66; 376 n. 74; 377; 391 n.  20; 392 n.  24; 394 n. 39 Stratagos 398 Straton, Q .  Markios (vincitore in agone) 336 Stratonice 456 Stratonico 140-143; 564 Stratti 164; 168 n.  15; 210 n.  192; 211 Strepsiade 56; 170; 174; 209 Summa, D. 376 n. 72 Susa 332 n. 1; 458 n. 20; 469 n. 54 Suter, A. 113 n. 39 Svizzera 478 n. 4; 498-499 Swift, L. A. 60 n. 66; 104 n. 5; 105106; 122 n. 65; 267 n. 23 Swiggers, P. 435 n. 1 Taltibio 112 Tamiri (vincitore in agone) 50; 336337; 561 Tammuz 482 Tanagra 385 n. 2; 399 n. 57; 550 Tannhäuser (personaggio) 506-511; 513; 517; 522 Tantalo 205 Taranto 341 Targelione 271 Tarso 341 Tartaro 174 Teatro alla Scala 534 Tebani 52; 77 n. 27; 241; 398; 458 Tebe 28 n. 3; 31 n. 19; 39; 43; 119; 151; 165; 237; 238 n.  6; 240; 246; 254-255; 341; 458; 550; 567 Tecmessa 57-58 Tedeschi, G. 378 n. 87; 393 n. 32

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INDICE DEI NOMI

Teffeteller, A. 247 n. 35 Tegea 341 Telefo 267 n. 23 Telemaco 242 n. 19 Telephanes di Megara 147-148; 391 n. 22 Teleste 54; 56; 176 Temistocle 455 Tenaro 54 Tenedo 460 n. 30 Teo 396 n. 49 Teocrito 107 n. 18; 110 n. 29; 229; 337 n. 5; 452; 466; 483 n. 31 Teodoro 285 Teofrasto 226 Teogene di Taso 392 n. 29 Teone 229-230 Tera 301 n. 1; 316; 560 Terapeuti 69 n. 2 Tereo 56 Termopili 339 n. 13 Terpandro di Antissa (vincitore in agone) 9; 76; 135 n.  14; 139 n.  31; 145-147; 150-153; 301302; 304-310; 311 n.  40; 313; 336-337; 548; 552 Terrasanta 507 Tersicore 248; 253 n. 62; 491 Terzidou, M. 452 Teseo 19; 60; 119 Tespi 14; 17-18 Tespie 72; 246; 368; 548; 550; 552 Tessaglia 318 Tessalo (attore) 460-461 Tessalonica 341 Tessier, A. 150 n. 66 Teti 105; 107 n. 18; 110; 122; 125126 Thamous 481-482 Thargelia 23; 232; 271-273; 276277; 375 n. 68; 550-551 Thebaut 516 Thelymitres, M. Aurelio (padre, vincitore in agone) 335 Thelymitres, M. Aurelio (figlio, vincitore in agone) 335; 338 n. 11 Theophanes di Mitilene 458 Theoxenia 74; 393 n. 31; 469

Thesauros degli Ateniesi a Delfi 394 Theseia 23 Thespis di Tebe 342 Thomas, A. 514 Thuia 69 n. 1; 80 Tiberio (imperatore) 480-481; 494 n. 76 Ticida 110 n. 27 Timarco 175 Timoleone di Corinto 322 Timone di Fliunte 562 Timoteo (tiranno di Eraclea Pontica) 321 Timoteo di Mileto 50-54; 55 n. 44; 62; 135-138; 139 n. 31; 141; 142 n.  39; 143-146; 148-149; 151154; 161; 176; 182; 203-204; 455; 469; 564 Tirannione 446 Tirea 318 Tiresia 40 Tiro 332 n. 1; 457 n. 18 Tirteo di Mantinea 147 Titani 460 n. 29 Titeia 454; 457 Titianos, Q .  Markios (vincitore in agone) 336 Tito Flaminino 454-455; 457; 459 n. 26; 468 Tiziano Vecellio 479 n. 5 Tod, M. N. 323 n. 21 Tolemaide 461 Tolomeo Chenno 242 n. 19 Tolomeo Filadelfo 229; 466 Tolomeo l’Ascalonite 446 Tommaso Magistro 132 n. 8 Toricione 89 Tosi, R.  131 n.  *; 139 n.  31; 141 n. 37; 153 n. 71 Totaro, P. 82 n. 52; 138 n. 24; 147 n. 52; 290 n. 48 Tracia 225 n. 2 Traglia, A. 338 n. 8 Tralles 350 n. 66; 463 Trasideo 239 n. 12 Trasillo di Fliunte 147 Trendall, A. D. 146 n. 50 Triballi 181; 192

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INDICE DEI NOMI

Trigeo 107; 171-172 Trinacria 253 n. 63; 254 Tritone 479; 493-497; 567 Tritoni 478; 496 Trofonio 174-175 Troia 43 n. 45; 142; 271 n. 37; 301 n. 4; 306 Troiani 113 Trophoneia 550 Tucidide 16; 18; 24; 27-29; 303; 304 n. 12; 319-320; 431 Turi 282 Turinga 507; 513 n. 15 Turner, E. G. 265 Tzetzes 107 n. 18; 269; 271; 305 Upupa (personaggio) 56 Urios-Aparisi, E.  166 n.  10; 194 n. 141 Valavanis, P. 315 n. 2 Van Looy, H. 115 n. 42; 116 nn. 4344 Vandoni, M. 335 Vecchio (personaggio) 122 Velardi, R. 446 n. 49 Venere 485; 506-507; 510 Venti 252 Verdi, G. 513-514 Vergine 510 Vernant, J. P. 269 n. 31; 332 n. 1 Vetta, M.  153 n.  71; 279 n.  3; 286 n. 30; 561 n. 8 Vidal-Naquet, P. 269 n. 31 Vienna 508 Vierneisel, K. 478 n. 3 Vigneri, V. 366 n. 22 Vinia Aurunculeia 109 Vipsanio Filosseno di Tespie 72 n. 8 Virgilio 494 Vittoria (personificazione) 338 n. 8 Voelke, P. 15 n. 3 Vollgraff, J. C. 413 n. 2 Vollgraff, W. 335 Volpi, M.  477 n.  2; 479 n.  7; 484 n. 33; 496 n. 83 Vox, O. 271 n. 36 Vulci 281

Wagner, C. 507; 513 Wagner, R. 477; 505-507; 509; 511514; 517; 520; 537; 568 Wallace, R. W. 154 n. 72 Walsh, G. B. 126 n. 74 Walther (von der Vogelweide, personaggio del Tannhäuser) 507508; 517; 525-526 Wartburg 506; 510; 520-521; 568 Webster, T. B. L. 112 n. 35; 116 n. 43; 146 n. 50; 375 n. 65; 394 n. 40 Wehrli, F. 183 n. 90 Weicker, G. 253 n. 65 Weil, H.  74 n.  16; 116 n.  43; 148 n. 60; 232; 233 n. 35; 237 n. 1 Weimar 512 n. 11 Weir, R.  G.  A.  331; 337 n.  2; 342 n. 16 Welcker, F. G. 282 n. 15; 285 n. 24 Wescher, C. 361 nn. 11-12 West, M. L. 32 n. 22; 48 nn. 7, 9-10; 49 nn. 11-12; 50 n. 17; 52 n. 32; 53 n. 37; 57 n. 54; 120 n. 54; 132 nn. 3, 8; 134 n. 12; 135 n. 14; 136 n. 17; 137 n. 23; 139 n. 29; 140 n. 33; 141 n. 37; 147 n. 52; 149 n.  61; 166 n.  9; 173 nn.  32-33, 35-36, 38; 174 n. 43; 203 n. 171; 226 n. 4; 264; 279 nn. 2-3; 281 nn. 8, 12; 285 n. 24; 310 n. 35; 391 n. 23; 392 n. 26; 444 n. 45; 445 n.  47; 461 n.  33; 527-528; 529 n. 8 Wickkiser, B. L. 177 n. 58 Wiechers, A. 270 n. 35 Wilamowitz-Moellendorff, U.  von 115 n. 42; 116 n. 43; 117 n. 45; 119 n.  50; 135 n.  13; 139; 140 n.  34; 238 nn.  6, 9; 239 n.  11; 242; 243 n.  20; 246 n.  33; 291 n. 52; 391 n. 20 Wild, N. 513 nn. 12, 15; 514 Wiles, D. 17 n. 6 Will, E. 282 n. 17 Wilson, B. 567 Wilson, N. 39 n. 40 Wilson, P.  17 n.  5; 31 n.  17; 50 nn.  15, 20; 53 nn.  35-36; 55

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INDICE DEI NOMI

n. 44; 141 n. 37; 144 n. 43; 149 n.  63; 163 n.  1; 164 n.  2; 165; 174 n.  39; 176; 178; 179 n.  66; 184 n. 92; 185 n. 96; 374 n. 65; 375 nn.  68-69; 376 nn.  72-73; 393 n. 32; 546 n. 4 Winckelmann, G. 252 Winiarczyk, M. 183 n. 90; 184; 187 n. 111; 189 n. 122 Wolff, S. 514 n. 19 Wolfram (von Eschenbach, personaggio del Tannhäuser) 507511; 517; 523 Woodbury, L. 180 n. 73; 183 n. 90; 184; 187 n. 111 Worman, N. 168 n. 18 Wormell, D. E. W. 80 n. 43 Wright, M. 62 n. 74 Xanthakis-Karamanos, G. 393 n. 32 Xantia 84 n. 54; 86 n. 59; 91 n. 69; 95; 96 n. 80; 199; 205

Xenone di Corinto 74 n. 15 Xenotimos di Beozia 393 n. 32; 394 nn. 37, 39 Zefiro 241; 252 n. 53 Zenobios (vincitore in agone) 337 Zeus 21; 39; 59 n. 59; 76 n. 22; 77 n.  27; 81; 103; 109; 115-116; 163; 176; 186-187; 345 n.  38; 442-443; 458; 468; 488-489; Z. Eleutherios 318; Z. Soter 322; 389; 455 Ziegler, K. 456; 563 n. 12 Zielinski, T. 194 n. 141 Zimmermann, B. 28 nn. 3-4; 29 n. 9; 30 nn. 14-15; 32 nn. 22, 24; 33 n. 27; 36 n. 32; 41 n. 42; 94 n. 75; 165 n. 6; 166 n. 10; 187 n. 108; 194 n. 141; 203 n. 171; 563 Zosimos di Gortina, Tib. Skandilianos (vincitore in agone) 337; 345 Zuntz, G. 250 n. 45

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ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI

ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI a cura di Adelaide Fongoni

Allegate al saggio di Eleonora Cavallini Fig.  1 - A.  Böcklin, Pan nel canneto (1859.  Olio su tela.  München, Neue Pinakothek): 500 Fig. 2 - A. Böcklin, Idillio. Pan fra le colonne (1875. Olio su tela. München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen): 500 Fig. 3 - A. Böcklin, Ninfa con il flauto (1881. Dipinto. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum): 501 Fig.  4 - A.  Böcklin, Pan in una danza con i fanciulli (1884.  Olio su tavola. Essen, Wolkfang Museum): 501 Fig. 5 - A. Böcklin, Euterpe (1872. Tela. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum): 502 Fig. 6 - A. Böcklin, Saffo (1862. Olio su tela. Philadelphia, Philadelphia Museum of  Art, John G. Johnson Collection, Cat. 898): 502 Fig. 7 - A. Böcklin, Ulisse e Calipso (1882. Olio su tavola. Basel, Kunstmuseum): 503 Fig. 8 - A. Böcklin, Sirene (1875. Tempera su tela. Berlin, Alte Nationalgalerie): 503 Fig.  9 - A.  Böcklin, Concerto marino (1883.  Tavola. Chicago, Art Institute of Chicago): 504

Allegate al saggio di Biancamaria Brumana Fig. 1 - Ph. Chaperon – E. Despléchin, Tannhäuser (1861. Sala del Castello, schizzo della scena. BnF, Gallica): 521 Fig. 2 - E. Carpezat, Tannhäuser (1895. Sala del Castello, maquette costruita della scena, BnF, Gallica): 521

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ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI

Fig. 3 - A. Albert, Costume di Tannhäuser (1861. Maquette. BnF, Gallica): 522 Fig. 4 - Ch. Bianchini, Costume di Tannhäuser (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 522 Fig.  5 - Ch.  Bianchini, Costume di Tannhäuser (1895.  Maquette.  BnF, Gallica): 522 Fig. 6 - Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Tannhäuser (1895. Maquette. BnF, Gallica): 522 Fig. 7 - Ch. Bianchini, Costume di Wolfram (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 523 Fig. 8 - Ch. Bianchini, Costume di Wolfram (1895. Maquette. BnF, Gallica): 523 Fig. 9 - Wolfram, M. Renaud (1895. Foto. BnF, Gallica): 523 Fig.  10 - Ch.  Bianchini, Costume del paggio di Wolfram (1895. Maquette. BnF, Gallica): 523 Fig. 11 - Ch. Bianchini, Costume di Biterolf (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 524 Fig. 12 - Ch. Bianchini, Costumi di Biterolf (1895. Maquette. BnF, Gallica): 524 Fig. 13 - Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Biterolf (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 524 Fig. 14 - Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Biterolf (1895. Maquette. BnF, Gallica): 524 Fig. 15 - Ch. Bianchini, Costume di Reinmar (1895. Maquette. BnF, Gallica): 525 Fig.  16 - Ch.  Bianchini, Costume del Paggio di Reinmar (1895. Maquette. BnF, Gallica): 525 Fig. 17 - Ch. Bianchini, Costume di Walther (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 525 Fig. 18 - Ch. Bianchini, Costume di Walther (1895. Maquette. BnF, Gallica): 525 Fig. 19 - Ch. Bianchini, Costume del Paggio di Walther (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 526 Fig. 20 - Ch. Bianchini, Costume del Paggio di di Walther (1895. Maquette. BnF, Gallica): 526 Fig. 21 - Ch. Bianchini, Costume di Heinrich (1895. Schizzo. Collezione Brumana): 526 Fig. 22 - Costume di Heinrich (1895. Maquette. BnF, Gallica): 526

Allegate al saggio di Elena Liverani Figg. 1-6 - Spartiti musicali: 530-537

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Opere non riprodotte discusse nel testo A. Appiani, Parnaso (1811. Affresco. Milano, Galleria d’arte moderna): 486 A. Böcklin, Pan insegue siringa (1854. Olio su tela. Dresda, Gemäldegalerie Neue Meister): 483 A.  Böcklin, Pan nel canneto (1856-1857.  Olio su tela.  Winterthur, Oskar Reinhart Foundation): 482 A.  Böcklin, Spavento panico (1860.  Olio su tela.  München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen): 483 A. Böcklin, Saffo (1862. Dipinto. Basilea, Kunstmuseum): 488 A.  Böcklin, Pan che fischia a un merlo (1863.  Tela.  München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen): 483 A.  Böcklin, Ritratto di Angela Böcklin come Musa (1863.  Basel, Kunstmuseum): 486 A. Böcklin, Il lamento del pastore (1866. München, Neue Pinakothek): 483 A. Böcklin, Magna Mater (1868. Affresco. Basel, Augustinergasse): 495 A. Böcklin, Apollo (1869-1870. Affresco. Basel, Augustinergasse): 479 n. 8 A. Böcklin, Autoritratto (1872. Olio su tela. Berlin, Nationalgalerie): 479 A.  Böcklin, La Musa di Anacreonte (1873.  Olio su tela.  Aarau, Aargauer Kunsthaus): 486 A. Böcklin, Tritone e Nereide (1873-1874. Olio su tavola. München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen): 495 A. Böcklin, Sera di primavera (1879. Olio su tavola. Budapest, Szépmuvészeti Múzeum): 484 A. Böcklin, Triton, auf einer Muschel blasend (1879. Olio su tavola. Hannover, Landesmuseum): 495 A.  Böcklin, Il risveglio della primavera (1880.  Olio su tela.  Zürich, Kunsthaus): 485 A. Böcklin, L’isola dei morti (1880-1886): 477; 485 n. 37; 488 A.  Böcklin, Meeresstille (1887.  Tempera su tavola.  Berna, Kunstmuseum): 493 A. Böcklin, Idylle marine (1887): 493 n. 73 A. Böcklin, La guerra (1896; 1897): 479 n. 6 A. Böcklin, Pan che suona lo zufolo (1897. Olio su tela. Svizzera, collezione privata): 485 A. Böcklin, La peste (1898): 479 n. 6 Botticelli, Primavera (1478 ca. Tempera su tavola. Firenze, Uffizi): 485 J.  Brueghel il Vecchio, A Fantastic Cave with Odysseus and Calypso (1616. Olio su tela. London, Johnny van Haeften Gallery): 489 G. De Chirico, L’enigma dell’oracolo (1910. Olio su tela. Berlino, collezione privata): 489

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H. J. Draper, Ulysses and the Sirens (1909. Olio su tela. Kingston-Upon-Hull, Ferens Art Gallery): 492 M. Klinger, Die Sirene (1895. Dipinto. Firenze, Villa Romana): 493 n. 73 A. R. Mengs, Il Parnaso (1761. Affresco. Roma, Villa Albani): 486 Perugino, Contesa tra Apollo e Marsia (Musée du Louvre): 505 Raffaello, Parnaso (1510-1511. Affresco. Roma, Musei Vaticani): 486 n. 48 P. Paul Rubens, Tritone e Nereide (Olio su tavola. Rotterdam, Museo Boymans van Beuningen): 496 e n. 80 Tiziano, Marsia (Repubblica Ceca, Museo di Kroměříž): 479 n. 5 J. W. Waterhouse, The Naiad (1893. Dipinto): 496 n. 82

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