Pagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia [3]


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Pagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia [3]

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© Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscate I Ii". Vietata la riproduzione anche parziale.

CESARE BERMANI

Pagine di guerriglia L'esperienza dei garibaldini della Valsesia volume ID

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli"

In copertina: Grignasco, marzo 1945. Da sinistra: Eraldo Gastone "Ciro", don Sisto Bighiani e Mario Venanzi "Michele"

Tra l'uscita de] secondo e quella del terzo volume di quest'opera l'Istituto ha modificato la propria denominazione e di conseguenza la sigla: per motivi di praticità e di unifonrutà anche in questo volume è stata usata la sigla Isrvc.

L UI MI TO E R ESIS TENZA IN VALS ESIA: LA "MACC HINA ROSSA"

Scrive Marc Bloch nelle sue "Ré fle xions d'un historien sur les fausses nouvelles de la guerre" l : «L' errore non è per lo storico soltanto il corpo estraneo che egli si sforza di eli­ minare grazie alla precisione dei suoi strumenti ma è da lui anche considerato come un og­ getto di studio cui rivolge la propria attenzione quando cerca di capire i nessi tra le azioni umane. Racconti falsi hanno sollevato le folle. Notizie false, nella molteplicità delle loro forme (semplici pettegolezzi, menzogne, leggende), hanno costellato la vita dell' umanità. Come nascono? Da cosa traggono il loro contenuto? Come si diffondono, ingigantendosi nel passare da bocca a bocca o da scritto a scritto? [ . . . ] Le notizie false della storia nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imprecise, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in se stesso non spiega nulla. L 'errore si propaga, si amplifica e vive solo a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di coltura favorevole. In quell' errore, gli uomini esprimono inconsciamente i propri pregiudizi, odi e timori, cioè tutte le loro forti emozioni. [ . . . ] Soltanto dei grandi stati d 'animo collettivi hanno poi la capacità di trasformare una cattiva percezione in leggenda. [ . . . ] Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive preesistenti� non è for­ tuita che in apparenza, o, più precisamente, quanto vi è di fortuito è l 'incidente iniziale che può essere di qualunque genere e che dà il via al lavoro delle immaginazioni»2. Per Marc Bloch, quindi, «è soprattutto la psicologia collettiva a raccogliere la falsa no­ tizia»3, per cui tra i compiti specifici dello storico sarà proprio quello di comprendere come essa si propaga, o come si forma e vive una leggenda. In quest 'ottica, pertanto, egli invitava a guardare alla prima guerra mondiale come a «un'immensa esperienza di psicologia so­ ciale, d'una ricchezza inaudita»4, ricordando come «per più di quattro anni, dappertutto, in tutti i paesi, al fronte come nelle retrovie, si è visto nascere e pullulare delle notizie false; turbavano gli animi, sia esaltandoli sia abbat tendoli: la loro varietà e bizz arria e forza forse stupiscono ancora chi unque sappia ricordarsi e ricordi di avere loro creduto» 5 . Ho un preciso ricordo delle fabulazioni sui partigiani che giravano tra noi ragazzi a Novara nel 1 944-45 e quindi ritengo di poter affermare che è una buona sintesi di esse quanto si racconta in un articolo dell 'ottobre 1 944, poi solo parzialmente pubblicato ne "La Stella Alpina", organo del Comando di raggruppamento divisioni d'assalto "Garibaldi" del Sesia, Cusio, assola e Verbano: «Moscatelli ha accettato un invito: a tavola c ' è il dottore, c 'è il parroco e i padroni di casa contenti, che fanno gli onori . "Mi tolga una curiosità - dice

l Il saggio, scritto nel 1 92 1 per la "Revue de synthèse historique", diretta da Henry Berr, è stato

ripubblicato in Mélanges Historiques, a cura di Ch. E. Perrin, Paris, 1 963 , pp. 40-57 . Si può leggere ora anche in "Mantova contemporanea", bollettino dell'Istituto provinciale per la storia del movi­ mento di liberazione nel Mantovano, in collaborazione con la Biblioteca-Archivi o provinciale, Man­ tova, n. 2, novembre 1 987, pp. 2 1 -28 . Per delle traduzioni italiane si veda: Metodo storico e scienze sociali: La Revue de synthèse historique, a cura di B. Arcangeli e M. Platania, Roma, Bulzoni, 1 98 1 , pp. 243-263 ; e MARC BLOCH, La guerra e le false notizie, Roma, Donzelli, 1 994, pp. 79- 1 08. 27 . 2 Traduco da "Mantova contemporanea", cit. , pp. 2 1 -22, 3 Ivi, p. 22.

4 Ivi. 5 Ivi, p. 23.

il reverendo - l' altro giorno ho parlato con un milite. Al suo posto di blocco è passata una macchina, con a bordo un prete. Tutto in ordine, il milite ha avuto in regalo una sigaretta e poi, poi . . . dopo cinque minuti è arrivata una telefonata: il prete era Moscatelli" . Moscatelli sorride e l' aggiunge alla collezione, ma assicura che da prete non si è vestito mai. Se ne raccontano tante, e anche la padrona ha la sua. "È vero che ha girato tutte le fabbriche del Biellese vestito da ufficiale tedesco, ha comprato la stoffa e poi da ultimo ha lasciato il suo biglietto da visita?". Anche questa è bella, peccato soltanto che Moscatelli di biglietti da visita non ne abbia avuti mai. No, Moscatelli non è un mago, né un lupo mannaro, non ha nemmeno i piedi cosÌ grossi come risulta da un' infonnazione confidenziale fatta alla questura di Novara. [ . . . ] Non è invisibile come si dice in giro, non è nascosto nella caverna come dicono i fascisti (che fra l' altro un giorno hanno vuotato un cinematografo di Novara con la speranza di trovarcelo !)>> 6 . Travestirsi da nemico o da religioso si ricollega a una tradizione popolare plurisecolare ancora ben viva negli anni quaranta. Quante volte nei canti popolari o nei racconti gli amorosi si sono recati in questi travestimenti a trovare o rapire le loro belle e - se gelosi a confessarle per avere la certezza della loro fedeltà? ? Se l' abito da religioso era servito tante volte ad aggirare lo scoglio di genitori apprensivi e attenti alla sorte della propria figliola, perché non avrebbe potuto servire a Moscatelli per passare un po' dovunque i posti di blocco fascisti e tedeschi? È questa una fabulazione che si innesta su una realtà ben nota: che di solito il religioso non desta soverchi sospetti. Tanto che addirittura un proverbio amn10nisce che «l' abito non fa il monaco». Il travestin1ento da religioso o da nemico è del resto un noto ingrediente dei romanzi di cappa e spada e di tanta altra letteratura consumata a livello popolare. A proposito di questa letteratura Marc Bloch ha notato ancora che «nel cervello si fissa pennanentemente a livello di ricordi inconsci una folla di vecchi motivi letterari - tutti quei te mi che l'immaginazione umana, in fondo molto povera, rielabora incessantemente dall' inizio dei tempi: storie di tradimenti, di avvelenamenti, di mutilazioni, di donne che cavano gli occhi a soldati feriti, che vennero già cantate da aedi e trovieri e che rendono oggi po­ polare il feuilleton e il cinema. Sono queste le predisposizioni emotive e le rappresentazioni intellettuali che preparano la fonnazione delle leggende. Questa è la materia tradizionale che fornirà alla leggenda i suoi elen1enti. Perché la leggenda nasca è onnai sufficiente soltanto un avvenimento casuale: una percezione sbagliata o meglio una percezione erro­ neamente interpretata» 8 •

6 Leggende su Moscatelli, in "La Stella Alpina", [Valduggia] , a. I, n. 4, 30 novembre 1 944, che riprende il brano dal giornale "Il Combattente". Cito dall' originale dattiloscritto conservato in foto­ copia nell' Istituto storico della Resistenza in provincia di Novara. Trattasi di testo più ampio di quel­ lo pubblicato in "La Stella Alpina". Le omissioni non riguardano comunque la parte qui citata. Per un riscontro con i miei ricordi infantili, si veda AB, Testimonianza orale di Vanni Oliva (nato a Milano nel 1 932, ma di famiglia originaria di Ornavasso, residente a Suna, insegnante di lettere), Orta, 6 gennaio 1 996, nastro 840: «Certo io ricordo che anche allora, da ragazzi, Moscatelli era già diventato una leggenda. Si raccontavano di quelle cose su di lui, anche vere magari . . . Ricordo che dicevano che compariva travestito da prete, che si trovava di qui, che si trovava di là, che era impren­ dibile, che era abilissimo. Era un mito già subito». 7 Ricordo per tutti questi canti i diffusissimi La finta monacella e L 'amante confessore. Se ne vedano alcune lezioni in COSTANTINO NI GRA , Canti popolari del Piemonte, Torino, Einaudi, 1 957, p. 477 (n. 72) e p. 534 (n. 97). Il M. BLOCH, R�flexions d 'un historien sur les fausses nouvelles de la guerre, cit., p. 25. Per un' analisi del l 'immaginario partigiano, che si riflette nei nomi di battaglia da essi adottati e che dimostra quanto allora fosse ancora viva questa "letteratura" citata da Bloch, si vedano i l avOli di FRANCO CASTELLI, Miti e simboli dell 'immaginario partigiano: i nomi di battaglia, in Contadini e partigiani. Atti del convegno storico (Asti, Nizza Monferrato 14- 16 dicembre 1 984), a cura dell' Istituto per la 2

La leggenda di Moscatelli vestito da prete o da u tTiciale tedesco prende t uttavia spunto da fornle usuali di travestimento partigiano. Si ha infatti notizia di collabo rato ri del mo­ vinlento di liberazione travestiti da relig iosi per passare più faci hnente i po sti di blocco o sfuggire a rastrellamenti, anche se si tratta di fatti tutt ' altro che consueti, e di nu mero se azio­ ni fatte in pian ura da partigiani travestiti da militari tedesc hi . Tuttavia è probabile che lo stesso Cino Moscatelli si lasci prendere l a mano dal mito quando scrive che i garibaldini che scendono all' autostrada Milano -Torino a compiere azioni con squadre volanti sono a volte «travestiti in fogge diverse, anche da donna o da frati, più spesso in divisa da militari nazisti»9. Mentre l' utilizzazione del travestimento da militare nazista o da fascista è comprovata in queste azioni condotte all' autostrada, è probabilmente solo leggenda quell a di partigiani travestiti da donne o da frati per cond urre azioni militari. Sembra infatti che di episodi consimili non sia mai stata in Valsesia e nel Novarese raccolta alcuna documentazione né scritta né orale l0. I nazifascisti cercheranno infatti di t utelarsi da questi attacchi non solo demolendo tutti i parapetti dei ponti e facendo abbattere per ampio raggio la vegetazione ai due lati dell' autostrada Il, ma anche, non casualmente, emanando circolari che prevedono forme di controllo pure su tutti coloro che indossano vestiti militari. «Le circolari nazifasciste prevedono norme di sicurezza reciproca: i soldati in trasfe­ rimento devono avere un permesso firmato sia dai tedeschi sia dai fascisti; con un segno di autenticità che muta di giorno in giorno con una parola d' ordine. In pratica la cautela funziona a senso unico: se i tedeschi possono permettersi di fermare un soldato fascista, è molto raro che accada l' inverso» 1 2. Questo è il motivo per cui i partigiani preferiscono - quando sia loro possibile - travestirsi da nazisti piuttosto che da fascisti. Non risulta invece siano state prese disposizioni parti­ colari nei confronti dei religiosi. È quindi del tutto comprensibile, dato che è questa la forma più usuale di travestimento partigiano, che abbia potuto svilupparsi la leggenda di Mosca­ telli che si aggira vestito da ufficiale nazista. Ma, dato che in qualche caso .collaboratori del movimento di liberazione si sono travestiti da religiosi per poter circolare indisturbati, non nleraviglia molto che sia girata la voce che egli girava anche vestito da prete. Del resto il confine tra mito e realtà è meno netto di quanto a volte si creda e spesso il mito rafforza la realtà, che a sua volta rinverdisce e vivifica il mito: da un certo momento in poi i fascisti - condizionati essi stessi dalla leggenda di Moscatelli vestito da prete cominceranno a fermare sistematicamente i religiosi, sospettandoli di essere partigiani travestiti. Sicché di lì a poco tra i partigiani della brigata "OselIa" si racconterà come fatto real­ mente accaduto - ma se è accaduto ha certo assunto peculiari coloriture passando di bocca in bocca sino a diventare una vera e propria barzelletta - che il tenente Pisoni della Guardia

storia della Resistenza in provincia di Alessandria e dell' Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Asti, Alessandria, Edizioni dell' Orso, 1 986, pp. 285-309; e Antropologia linguistica della Resistenza: i nomi di battaglia partigiani, in "Rivista italiana di dialettologia", Bologna, 1 986, a. X, numero unico, pp. 1 6 1 -2 1 8 . E per il Novarese e la Valsesia si veda CESARE BERMANI, Pagine di guerriglia. L 'esperienza dei garibaldini della Valsesia, voI. II, Borgosesia, Isr V c, 1 995, cap. LI!. 9 PIETRO SECCHIA - CINO MOSCATELLI, Il Monte Rosa è sceso a Milano. La Resistenza nel Biellese nella Valsesia e nella Valdossola, Torino, Einaudi, 1 958, p. 335. lO Tale è il parere di numerosi studiosi e di partigiani, da me appositamente interpellati, che presero parte ad alcune di quelle azioni. Il Si veda P. SECCHIA - C. MOSCATELLI, op. cit. , p. 335. 1 2 GIORGIO BOCCA, Storia dell 'Italia partigiana. Settembre 1943-maggio 1945, Roma-Bari, Laterza, 1 966, p. 425. 3

nazionale repubblicana ferma un prete a Borgosesia e inizia un' accurata perquisizione; nella valigia gli trova un papiro arabo, perché il sacerdote per sua disgrazia è uno studioso. Che non sia un cifrario? Pisoni prosegue a rovistare con minuziosità: medicinali . . . i sospetti aumentano; a un tratto si sofferma su dei tubetti appuntiti, li rivolta nelle mani, alza gli occhi verso il prete: «Queste sono munizioni ». «No, sono supposte per le emorroidi». Ma in casi come questi non si ride, anzi. Pisoni soppesa. Sì, può essere . . . ne assaggia una, con grande imbarazzo del sacerdote: «Scusi tenente, ma guardi che non è da quella parte . . . vi siete sbagliato . . . ». E quello, sputando con disgusto : «No ! Non mi sono sbagliato»I3. I fascisti del 63° battaglione della " Tagliamento" che partono da Varallo per i rastrel­ lamenti del marzo-aprile 1 944 cantano, non casualmente sull' aria di "Padre For mica"l4, proprio quello che caccia «una povera vecchierella» e confessa invece «una giovane ver­ ginella », queste strofette: Moscatelli Moscatelli capo banda dei ribelli ciumba barabaciumba babarababaciumba barababà è scappato su in montagna il figliolo di una cagna ciumba barabaciumba babarababaciumba barababà vieni giù dal tuo convento ti faremo un monumento ciumba barabaciumba babarababaciumba barababàl 5 • Del resto Moscatelli non si limita soltanto a stare con il frate confessore in un convento, sta anche come abbiamo visto - in una "caverna" 1 6, proprio come Alì Babà e i suoi quaranta ladroni e chissà quanti altri briganti. Ed ecco invece il caso di una percezione erroneamente interpretata che ridona attualità e "verità" ad una leggenda tradizionale. La sede del Comando della I divisione "Garibaldi" si trovava in un casotto di vigna del castello di Monta lbano di Boca . Alcuni stretti collaboratori dei partigiani, che abitano nei dintorni e che sanno l' ubicazione del Comando in quel periodo, si chiedono continuamente: «Ma Michele si eclissa ! Come fa? Mai che lo si veda per la strada, mai !». E poi... come facevano gli addetti al Comando a starsene lì così tranquilli? Va bene che avrebbero visto i fascisti nel caso fossero venuti su. Ma dove si sarebbero cacciati in quel caso? Dovevano certo avere un posto in cui potessero nascondersi con la sicurezza di non essere presi ! 13 AB, da una serie di annotazioni a matita scritte nel 1 945 da Francesco Sacchi, già commissario politico dell'82a brigata "Osella" (morto a Novara nel 1 986), su due fogli intitolati Pisoni e le

supposte (Autentica). 14 Per questo canto, entrato anche a fare parte del repertOlio goliardico, si vedano le versioni pubblicate in I canti goliardici, a cura di Alfredo Castelli, Milano, Edizioni Intereuropa, sd [ 1 970 circa] , p. 87 (La confessione); L 'ammazzapreti. Canti satirici anticlericali, a cura di Leonardo Setti­ mel1i e Laura Falavolti, Roma, Savelli, 1 973, p. 39 (La confessione; nel Lp allegato al volume è riportata un' altra variante intitolata Frate Formicola); Canti popolari italiani, a cura di Giuseppe Vettori, Roma, Newton Compton, 1 974, p. 26 1 e ss (Co ' 'sta pioggia e co ' 'sto vento). 15 Testimonianza orale di Piera Lago Rastelli, Prato Sesia, 25 apIile 1 985, nastro n. 5 8/b, con­ servato nel l ' archivio di Filippo Colombara e Gisa Magenes. Ringrazio Filippo Colombara per la se­ gnalazione di questo canto, da lui registrato per primo. 16 Si veda ISRNo, Lef!,gende su Moscatelli, cit.

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�>34. Si avvertono perciò 12. I tedeschi andavano e passavano, correvano e «verso le ore 4 del giorno 24 aprile u. sco la colonna nemica veniva attaccata nei pressi di Grignasco dove lasciava 1 8 morti, 22 feriti e 1 7 prigionieri; la colonna riusciva però a raggiungere Romagnano. N,ella Valsesia veni­ vano costituiti presidi con il B tg. della Brg. "Nello" già di stanza a Boleto. Il Comando di zona si spostava da Valduggia a Cavaglio d' Agogna. Nella stessa giornata la Brg. "Serva­ dei" si portava su Arona per fronteggiare la minaccia di una colonna nazifascista costituita da gran parte delle forze nemiche già di presidio nell ' Ossola e sul Verbano forte di oltre 800 uomini. Nel tardo pomeriggio la Brg. "Volante Loss" attaccava tra Romagnano e Ghemme e tra Ghemme e Sizzano la colonna nemica che si dirigeva da Romagnano a Novara. L' at­ tacco portava alla distruzione di un carro armato, di un' autoblinda e di due camion. Il nemico ebbe 1 5 morti e 27 feriti mentre da parte nostra si lamentavano 5 feriti non gravi. Avuta notizia che la colonna suddetta aveva forzato sia pure con gravi perdite il blocco della brigata "Volante Loss", venne deciso di impiegare le forze disponibili per attaccare il forte presidio di Borgomanero. Accerchiata la città con reparti della Brg. "P. Greta", "Curiel" e "Osella", veniva inti­ mata la resa per le ore 24. Il nemico accettava di trattare e finnava la resa incondizionata alle ore 5 del giorno 25 aprile u. sco Prigionieri tedeschi 2 1 , paracadutisti della "Folgore" 287. Notevole il bottino di armi leggere e pesanti abbondantemente munizionate. Durante le trattative per la resa del presidio di BorgomanerQ vennero fatti anche i preliIl

ISRvc, Zona militare Valsesia, Al Comando generale del Corpo volontari della libertà, og­ getto: Relazione, firmata il commissario di guerra Moscatelli, il comandante militare Ciro, 4 maggio 1 945 . 12 Si veda AB, Testimonianza orale di Umberto Sassi, maggio 1 965, nastro 7 1 , dt. Trad.: «Mascalzoni ! Sono arrivati persino lì»

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minari per la resa di quelli di Oleggio e Cressa. Queste località erano state nella notte circondate e bloccate da reparti delle "Pizio Gre­ ta" e "Curiel" tempestivamente spostate da Borgomanero» 13 Sin dalla sera precedente la Valsesia era praticamente libera e gli antifascisti comincia­ vano a prendere in mano scopertamente l' amministrazione dello Stato, mentre era entrata in azione la polizia dei Gap 14. Moscatelli mandava a Secchia un marconigramma che espri­ meva tutta la gioia e la commozione di quel giorno: «Caro Pietro, tutta la Valsesia è libera e pazza di gioia. Noi attacchiamo ora Borgomanero e punteren10 su Novara. Pietro, mi vie­ ne da piangere dalla gioia. Qui piangono tutti. Arrivederci a Milano. Cino» 1 5. «Alle ore 7 si arrendeva il presidio di Cressa. 27 militi della Gnr prigionieri. Notevole bottino di armi automatiche. Alle ore lO si arrendeva il presidio di Oleggio. 68 nuliti della Gnr prigionieri; ingente bottino di armi leggere e pesanti. Nel pomeriggio dello stesso gior­ no un Btg. della Brg. "Curiel" effettuava una puntata oltre Ticino in direzione di Lonate Pozzolo incontrando forze tedesche preponderanti contro le quali iniziarono combattimen­ to a distanza ravvicinata. La forte pressione avversaria costrinse il Btg. a ripiegare sulla riva destra del Ticino attuando il difficile sganciamento con la perdita di un solo uomo. Le perdite inflitte al nemico furono di sette morti e dieci feriti. Un plotone della Brg. "Nello" dislocato nei pressi di Cameri con funzioni esplorative otteneva nello stesso giorno la resa del presidio aeronautico tedesco e repubblicano dell' aeroporto di Cameri. 1 12 prigionieri tra tedeschi e fascisti. Buon bottino di armi individuali. 26 aprile 1 945 . Dopo i successi dei giorni precedenti veniva deciso l'investimento della Città di Novara. Nella notte vengono disposte le forze di tutte le Brigate per bloccare, all' altezza dei sobborghi cittadini, il capoluogo. Nella stessa notte, prima che le ns. forze blocchino la Città, alcuni reparti repubblicani e fascisti abbandonano le caserme dirigendosi verso la Lombardia. Alle ore 8 (otto), dopo aver attuato il previsto schieramento, venivano iniziate le trattative di resa con il Comando Tedesco di Novar'a . Allo scopo di maggiormente premere sul capoluogo, la brigata "Serva­ dei" era stata sottratta all'urto della colonna nazifascista e portata nei pressi di Oleggio per essere impiegata con1e unità di manovra. Tutte le altre Brigate partecipavano al blocco di Novara. Le trattative di resa si conclusero nel pomeriggio del giorno 26 aprile u. sc. ; i tedeschi' si dichiaravano ns. prigionieri impegnandosi a restare consegnati in caserma salvo a conse­ gnare le armi agli Alleati non appena questi fossero giunti in Città. Alle ore 1 8 i Patrioti entravano in Città e prima di ciò i principali servizi pubblici erano già nelle mani del Comando Piazza. Con le forze fasciste veniva trattata una resa a parte che veniva accettata senza dilazioni. Deponevano le arnù e passavano nostri prigionieri circa 1 .000 fra appartenenti alle Brigate Nere, "Muti", Squadraccia ecc. ecc. Ingente il bottino di armi e munizioni. Le trattative di resa riguardavano anche la forte colonna nazifascista proveniente dal Verbano e che raggruppava gran parte delle forze nemiche provenienti dai presidi dell' as­ sola e raggruppavano circa 800 uomini notevolmente armati. Degno di rilievo il fatto che le forze tedesche neutralizzate in Novara comprendevano 1 .500 uomini di varie specialità della Wehrmacht e l'intero 1 5° Reggimento Ss Polizei forte di oltre 1 .000 uomini, di 1 4 carri armati pesanti e 20 autoblinde. 27 aprile. Nella giornata del 27 le brigate vennero dislocate a protezione della città pm1i•

13 getto: ] 945, 14 15 302

ISRvc, Zona militare Valsesia, Al Comando generale del Corpo volontari della libertà, og­ Relazione, firmata il commissario di guerra Moscatelli, il comandante militare Ciro, 4 maggio cit. Si veda AB, Testimonianza orale di Umberto Sassi, maggio 1 965, nastro 7 1 , dt. ISRvc, lettera di Cino a Pietro [Secchia] , Borgosesia, 24 aprile 1 945, ore 1 2.

colannente lungo le direttrici Biandrate-Novara, Fara-Novara, Oleggio-Novara e Mortara­ Novara. Sulle prime due diretttici infatti si profilava la minaccia d' una forte colonna fascista cOlnposta di circa 1 .800 uomini provenienti da Vercelli ; sulla seconda direttrice era oppor­ tuno invece premunirsi contro una eventuale mancata accettazione delle clausole di resa da patle della colonna nazifascista proveniente dal Verbano. Da Mortru'a la minaccia era rappresentata da vati forti reparti fascisti e tedeschi che si aggiravano nella zona. Altro sbarramento venne effettuato all' altezza del ponte ferroviatio e stradale del Tici­ no fra Trecate e Magenta; nei pressi di Magenta stazionava infatti una colonna tedesca la quale fece ben presto conoscere di non avere delle velleità offensive e di essere a contatto con il proprio Comando che già trattava la resa con il Corpo Volontatio della Libertà. Nella notte tra il 27 e il 28 la Btigata "Servadei" [, la Brigata "Nello"] e la "Cutiel" oltrepassarono il fiume Ticino provenienti da Oleggio e dirette a Busto Arsizio. Tedeschi della Luftwaffe opposero resistenza nei pressi di Turbigo dove vennero re­ spinti con perdite. Le nostre Brigate ripresero contatto con il nemico fra Turbigo e Lonate Pozzolo dove imposero la resa al locale Presidio aeronautico tedesco. 200 prigionieri ed ingente bottino di armi . Tra Lonate e Busto la stessa colonna trattò la resa con 400 tedeschi incaticando le fonnazioni locali delle operazioni di disanno. Verso le ore 1 7 le 2 Btigate, rafforzate da un B attaglione della "Volante Loss", entra­ rono in Milano accolte con entusiasmo della popolazione. Nella stessa notte la Brigata "Osella" dislocata nei pressi di Cesto, veniva in contatto in vicinanza di Castellazzo con la già menzionata colonna fascista proveniente da Vercelli, decisa ad aptirsi un varco con le armi per raggiungere Como. Malgrado la notevole sproporzione di forze e di annamento la colonna venne bloccata dal deciso attacco dei Volontati della Brigata "O sella" che costrinsero l' avversario ad arroccarsi all' abitato di Castellazzo» 1 6 . Questa CololUla - che aveva con sé il prefetto di Vercelli Morsero - si era scontrata a Biandrate con un plotone della "Pizio Greta" e aveva deviato verso Castellazzo 17. La colonna era stata appoggiata da un treno blindato, di cui si ricorda bene Teck: «Al 25 eravamo a Nibbia, perché a Novara siamo entrati al 26. Alla mattina alle 7 eravamo al passaggio a livello di Novara. Non dentro a Novara, eh. Lì c ' era il treno blindato e allora abbiamo cominciato ad attaccarlo. Ma chi passava? Il treno è indietreggiato, ha lasciato libero il passo, ma chi entrava? E il Pesgu ha detto: "Arrendetevi o vi brucio". Il suo metodo era terribile, non perdonava: l ' alta tensione sui binati. Dall' altra parte i guastatori avevano già minato il ponte. E di qua lui ci dava la corrente. Allora se la sono data con il treno verso Vercelli»18. E vicino a Borgo Vercelli incontrano altti guastatori al comando del capitano Bruno, che bloccano il treno e li catturano 19. «E lì - continua a raccontare il Teck siamo entrati la sera a Novara. Poi noi suma 'gnì a Mum, siamo rientrati a Momo a dormire. E arriv a l' ordine: "Ci sono i fascisti a Castel­ lazzo". Allora salta sul primo canùon, bandiera alla mano e via. Pioveva. Siamo arrivati lì, alla cascina Raffaella di Castellazzo, e suma stai lì. Gli diciamo: "Sono tanti i fascisti 16

I SRvc , Zona militare Valsesia, Al Comando generale del Corpo volontari della libertà, og­ getto: Relazione, [mnata il commissario di guerra Moscatelli, il comandante militare Ciro, 4 maggio 1 945, cit. Abbiamo posto tra parentesi quadra "la brigata 'Nello' " perché nel documento risulta cancellata. 17 Si veda ISRVC, Ingegner Alessandro Boca "Andrei ", cit. 1 8 AB, Testimonianza orale di Giacomo Foglia "Teck ", Barengo, 2 giugno 1 970, nastro 249. 19 Si veda P. SECCHIA - C. MOSCATELLI, op. cit. , p. 642. 303

che ci son lì?". "Ce ne sono otto lì in una cascina". Allora siamo entrati lì e i uma cumincià a dègh il passman. E lì abbiamo cominciato a tirare le prime legnate. E abbiamo circondato a sinistra di Castellazzo, verso la latteria. Siamo arrivati sotto Castellazzo, hanno comin­ ciato a menare loro. Non si alzava più la testa eh. Tagliavano l' erba. Non si alzava proprio più la testa, dio cane ! Era un fuoco continuato. E lì oplà e basta. Siamo rimasti lì fin quando non si sono arresi. Perché noi c' avevamo un' autoblinda, la Carla. Veniva sotto con la mitra­ gliatrice trainata, continuava avanti e indietro. E ha cominciato a sparare quella. Poi c' erano su due o tre apparecchi inglesi, per caso. Allora loro si sono intinloriti e si sono arresi. Esce un comandante e fa: "I miei ottocento uomini si arrendono, ma gli altri milleduecento no" "Ch . . ch . . . quanti chi sì?". "Ci sarà un duemila uomini" E lui fa: "E io ce ne ho quattromila che vi circondano. Se non vi muovete, vi facciamo fuori tutti adesso". Invece eravamo tre camion, fai conto tu quanto potevamo essere su. Dopo sono arrivati altri rinforzi, ma oramai la sparatoria era finita. Poi c'era l' altra colonna che veniva su dall' autostrada, ma quelli lì si sono arresi man mano che venivano»20 . Ricorda a proposito di Castellazzo anche il Ciucch: «A Castellazzo ci hanno segnalato che c' erano pochissimi uomini della brigata nera. E uno dei primi sono andato giù io. Era­ vamo un venti-trenta, perché dicevano che erano in pochi. Poi hanno segnalato che erano più di mille. Allora abbiamo chiesto rinforzo ed è venuta giù tutta l ' ''Osella'' e poi altre bri­ gate. Noi eravamo verso lo stradone. Abbiamo circondato il paese. E poi sono venuti fuori due o tre con la bandiera bianca per chiedere la resa. Hanno sparato pochissimi colpi. Per­ ché loro sparavano da un cascinale e poi si sono arresi. Ma erano pochissimi. Sono venuti fuori per trattare e io ho detto: "Adesso andate giù al Comando". E hanno trattato la resa con Andrei, poi con Ciro e altri. Erano circa mille»21 . «28 aprile. Nella notte tra il 27 e il 28, approfittando del fatto che la colonna proveniente dal Verbano aveva accettato le condizioni di resa già finnate dal Comando tedesco di No­ vara ed aveva raggiunto senza incidenti la città consegnandosi in Casenna e che ogni mi­ naccia da parte di forze nemiche provenienti dalla provincia di Pavia aveva perso con­ sistenza, si provvide a spostare i reparti della Brigata "Pizio Greta", "Musati", "Osella" intorno all' abitato di Castellazzo bloccandolo. Durante la giornata vennero iniziate da parte dei Comandanti delle Brigate assedianti trattative di resa che non approdarono ad alcuna conclusione. Nella stessa gionlata forze tedesche della Ss Polizei, venendo meno alle clausole con­ tenute nel trattato di resa, tentarono di forzare il blocco della città tenuto dalla Brigata "V olante Loss". Il nemico impiegò a tale scopo 2 carri armati pesanti, 2 autoblinde ed alcune autocarrette blindate cercando con tali forze di stabilire un saldo controllo della rotabile Novara-Veveri e dell' irrlbocco dell' autostrada Torino-Milano. Il tentativo venne sanguinosamente respinto ed i tedeschi lasciarono nelle mani della Brigata "Volante Loss" 2 carri armati pesanti ed 1 autoblinda leggera; 1 autoblinda pesante venne distrutta. Il nemico ebbe 8 morti contro 1 da parte nostra» 22. La preoccupazione fu comunque molta tra il 27 e il 28, ben esemplificata anche da que­ sto racconto di Carlo Riboldazzi: «Notte in bianco fra continui allarmi ed al mattino del gior20

AB, Testimonianza orale di Giacomo Foglia "Teck ", cit. Trad. : «siamo venuti a Momo»; «siamo stati lÌ»; «abbiamo cominciato a picchiarli»; «Che . . . ch . . . quanti siete?». 21 AB, Testimonianza orale di Giuseppe Pollastro "Ciucch ", Novara, ottobre 1 967, nastro 1 75 . 22 ISRvc, Zona mi1itare Valsesia, Al Comando generale del Corpo volontari della libertà, ogget­ to: Relazione, firmata il commissario di guerra Moscatelli, il comandante militare Ciro, 4 maggio 1 945, cit. 304

no 28 la confenna: i tedeschi sono entrati in autostrada e muovono verso Milano. Ancora una volta i guastatori si mettono in marcia; ponte sul torrente Marchiazza. Torniamo in­ dietro di inesi, siamo a poca distanza dal Vallon · Grande. Una bomba di cinquanta chili, l' ultima da Gattinara. Facciamo le cose per benino, detonatori normali, miccia a lenta, in­ tasamento, controlli. Accendo la miccia, arriva di corsa un "partigiano del 28 aprile", "ordine superiore, sospendere l' operazione". Gli risponde il boato della bOlnba che esplode; parte una trave portante ed il ponte si mette per traverso. Vado a Castellazzo a riferire ai "superiori comandi". Convinto che il presidio si sia già arreso entro nel castello. Sguardi stupiti, non molto benevoli. In un cortiletto un gruppo di ufficiali, fra loro qualcuno mi indica Morsero, il prefetto di Vercelli. Altrove reparti ancora perfettamente inquadrati, uno addirittura mi presenta le armi Una bella ragazza mi chiede di aiutarla a mettere in salvo il padre, un . . . giovanottone avvolto in una coperta militare. E tante tante armi di ogni tipo, munizioni. Avrebbero potuto farci fuori tutti. Trovo finalmente Ciro, è seccato con me, quello non è il mio posto, rientrare subito a Carpignano»23. «Il Battaglione Guastatori della I Divisione dislocato nei pressi del fiume Sesia sull' autostrada catturava senza combattere 1 50 prigionieri tedeschi autocarrati. 29 aprile. Alle ore 7 del mattino veniva imposta la resa alle forze fasciste arroccate in Castellazzo. Il nemico veniva immediatamente disarmato ed avviato in campi di concentramento a Novara. La forza della colonna ammontava a oltre 1 .700 uomini della Muti, Brigata Nera, Granatieri della Guardia, Divisioni d' ltalia,- Monte Rosa, oltre a civili repubblicani. L' armamento automatico leggero e pesante, considerevole. Notevole il numero degli autonlezzi, per la maggior parte in efficienza. 30 aprile. Giunge in città una rappresentanza del Comando alleato che prende contatto con il Comando tedesco. Nelle giornate successive le Brigate vennero schierate lungo il Sesja a Romagnano, Carpignano e Biandrate col compito di evitare eventuali sorprese da parte di forze tedesche provenienti da Occidente e concentrate a Nord-Ovest di Salussola. Le forze suddette si arresero successivamente alle forze americane nel frattempo sopravvenute. Attualmente [4 maggio] non si registra nella zona da noi controllata alcuna resistenza. Proseguono le operazioni di rastrellamento di elementi fascisti e sbandati. Conclusione Riassumendo, i risultati ottenuti nel breve ciclo di operazioni furono i seguenti: Neutralizzazione e cattura di tutte le forze nazifasciste dislocate in Val Sesia e nella parte della provincia di Novara sottoposta al nostro controllo; neutralizzazione e cattura dei reparti nazifascisti provenienti dai presidi de Il ' assola, Cusio e Verbano e sfuggiti al controllo delle formazioni di Volontari dipendenti dal Comando Zona assola; neutraliz­ zazione e cattura delle forze fasciste sfuggite da Vercelli al controllo delle formazioni lo­ cali e Biellesi; Liberazione delle località comprese tra il Ponte del Ticino e Busto Arsizio e cattura delle forze tedesche ivi dislocate. In totale: Tedeschi - prigionieri 3.779, morti 48, feriti 32. Fascisti - prigionieri 3.664, morti 25, feriti 3 1 »24. .

23 C. RIBOLDAZZI, art. cit. , p. 384. 24 ISRVC, Zona militare Valsesia, Al Comando generale del Corpo volontari della libertà, ogget­ to: Relazione, firmata il commissario di guerra Moscatelli, il comandante militare Ciro, 4 maggio 1 945, cit. 305

Anche a Grignasco il 25 aprile «l ' éva un tripudio, l ' éva una immensa festa, l ' éva una cosa incredibile l' entusiasmo» 2s. Guasta e un altro ufficiale volevano andare subito in mu­ nicipio e installare il Comitato di liberazione nazionale, ma Zanolini aveva osservato: «E­ gregi signori, qui ci sono ancora i fascisti ! Aspettiamo un giorno o due, che ci sono ancora i tedeschi a Romagnano Sesia e potrebbero ancora fare una puntata». E solo il 27, quando si era stati certi che i tedeschi se n' erano andati e non sarebbero tornati, Zanolini e Rama­ ciotti avevano accompagnato Aurelio Vinzio in municipio. Lì si era detto al commissario prefettizio - che era il segretalio comunale di Prato Sesia - di fare le consegne al nuovo sin­ daco nominato dal Cln e si erano firmati i documenti di prammatica. Il sindaco doveva occu­ parsi dell' amministrazione, il Cln di quelle mansioni di coordinamento che aveva già nel periodo precedente la Liberazione26 . Il Primo maggio tanta gente così non si era mai vista a Grignasco. C'era stata la sfilata dell" 'Osella"27 , quella dove il Virgilio Zanolini s'era trovato al fianco Carlo Gallarotti28. Nella piazzetta dove una volta c' era la casa del Pesgu il geometra Negretti «l 'èfai un méss discors». Anche lui ormai si era «rimodernato »29. Dal distributore di benzina su fino a quella piazzetta, tutta Grignasco era fuori. Mai tallti grignaschesi si erano trovati in piazza tutti in una volta30 . C'erano anche i feriti sulle automobili, il Sacchi con il suo piede in aria31 . C'era molta gioia in quei giorni, anche se ormai da un po' di tempo c'erano in giro «trop­ pi partigiani, troppe facce nuove, troppe divise nuove. Troppa gente che vuole rifarsi una verginità a spese di altri» 32. Ben presto però i partigiani sarebbero stati smobilitati e - ricorda ancora con rabbia Car­ lo Riboldazzi - «ci manderanno a casa, il più in fretta possibile, mille lire, un diploma, un taglio d' abito, non sempre un biglietto ferroviario»33. I Cln avrebbero invece continuato ancora sino alle elezioni amministrative del 1 946. Quello di Grignasco era rappresentato dai tre partiti politici organizzati (Partito socia­ lista di unità proletaria, Partito comunista italiano, Democrazia cristiana) e da altri organi­ smi di massa come l'Unione donne italiane, il Fronte della gioventù, l'Associazione nazio­ nale partigiani d' Italia; inoltre da rappresentanze di operai e contadini. I membri vennero eletti mediante votazione34. Fu un organismo vivo che lanciò la campagna di solidarietà nazionale con dei fondi raccolti soprattutto fra gli abbientPS, diede una sistemazione alle salme e un piccolo inden­ nizzo - qUalltO fu possibile - alle famiglie dei caduti e a quelle sinistrate36 . E fu in particolare consistente l'indennizzo per la ricostruzione di una casa bruciata dai nazifascistP7. Con­ dusse pure una spicciola azione assistenziale verso alcune famiglie bisognose, gli amnlalati indigenti (rimborso delle spese per l' acquisto dei medicinali?8, gli invalidi (in attesa di una 25 AB, Testimonianza orale di Virgilio Zanolini, cit., maggio 1 965, nastro 69. Trad. : «era . . . era . . . era . . . » . Si veda ibidem. AB, Testimonianza orale di Agostino Barbaglia, aprile 1 965, nastro 69, cit. Si veda C. BERMANI, Pagine di guerriglia, cap. LIX, p. 1 35 . AB, Testimonianza orale di Agostino Barbaglia, aprile 1 965, nastro 69, cit. Trad. : «ha fatto un mezzo discorso». 30 Ibidem; e AB, Testimonianza orale di Ginevra Vinzio, cit., agosto 1 965 , nastro 7 1 . 3 1 AB, Testimonianza orale di Francesco Sacchi, settembre 1 965, nastro 73, cit. 32 C. RIBOLDAZZI, art. cit. , p. 373 . 3 3 Ivi, p. 384. 34 Si veda AB, appunti di Francesco Sacchi per un intervento sull' azione del Cln. 35 Ibidem. 36 Si veda AB, Testimonianza orale di Virgilio Zanolini, maggio 1 965 , nastro 7 1 , cit. 37 Si veda AB, appunto di Francesco Sacchi senza indicazioni 3 8 Si veda AB, appunti di Francesco Sacchi per un intervento sull' azione del Cln, cit.

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loro definitiva sistemazione furono aiutati nei limiti del possibile con denaro, generi ali­ Inentmi, vestiario yw e nel dicembre ' 45 donò sei letti, tre tavoli e dodici sedie all' Ente comu­ naIe di assistenza perché li distribuisse a sinistrati e bisognosi40 . Per i sinist:rati aveva anche fatto pressioni sul prefetto per la nomina di un commissario agli alloggi e si era adoperato per fare osservare ai proprietari di stabili l ' obbligo di denuncia dei locali disponibili, «rendendo noto anche l ' ammontare della pigione percepita dal pre­ cedente locatario»41. Inoltre il Cacciami, che lavorava all' annona, era riuscito a fare avere ingenti assegna­ zioni ai partigiani. E un po' lui, un po' i lanci alleati, le eccedenze dal fabbisogno partigiano erano state ammassate nelle scuole: biscotti wafer (ce n'era un'intera sala), frumento, for­ maggio, burro, capi di vestiario, ecc. L'opinione del Cln era che si dovesse dividerle tra le famiglie tenendo conto del numero di persone che le componevano. Invece il Pesgu ha fatto la divisione secondo la sua volontà. Comunque si è distribuito molto grano e granoturco, fino a coprire il fabbisogno della popolazione per il mese di marzo. In tutta quest' opera non mancarono gli scontri con il Pesgu, dovuti al suo modo di giu­ dicare le persone con un metro di simpatia o antipatia personale. Erano attriti già palesatisi durante la guerra di liberazione, perché quando Pesgu non vedeva di buon occhio qualcuno era capace di dirgli: «Devi portare ventimila lire al Comitato di liberazione nazionale»; e in qualche caso furono anche trenta o quarantamila lire. Naturalmente chi subiva questo invito, spesso pagava per paura, anche se la tariffa era ingiusta. Ma questo n1odo di fare, ai "vecchi" del Cln non piaceva. Ora il Cln riusciva di più a imporsi, come nel caso della Salero, alla quale i fascisti ave­ vano distrutto tutto perché in casa sua facevano il pane per i partigiani su incarico del Cln e che Mario non voleva che fosse indennizzata. Invece il Cln procedette egualmente all' indennizzo. E nel complesso tutti quelli cui era stato prelevato qualcosa in periodo parti­ giano dal Cln di Grignasco si erano visti sempre dare una ricevuta e vennero rimborsati a guerra finita. Ciò invece non fu sempre possibile fare ai partigiani. E anche la brigata "0sella" non fu in grado di fare fronte a tutte le ricevute per prelievi di capi di bestiame che aveva rilasciato durante la guerra di liberazione. Pure a Grignasco, come del resto un po' in tutta Italia, l 'epurazione si arenò pressoché subito. Alcuni fascistoni erano già stati giustiziati durante le lotta di liberazione e i soprav­ vissuti erano perlopiù fomiti di lettere di protezione dei più svariati comandanti partigiani. Siccome avevano fatto il triplo gioco, il Cln ha finito per trovarsi di fronte a un muro. CosÌ il fascista più colpito a Grignasco è stato quello che aveva fatto da palo durante l' aggressione a Castaldi (un vecchio socialista che faceva l ' esattore e che era stato picchiato a morte nel periodo dello squadrismo): ha pagato 20.000 lire. Ma gli altri fascisti hanno pagato tutti o 1 .000 o 500 lire. A Grignasco l 'epurazione si è ridotta a questo. Quanto alla ex brigata "Osella", offrì settantadue pacchi di vestiario per i sinistrati e gli ex internati. Ma il Pesgu volle fare qualcosa di più tangibile per Grignasco: la casa-ricovero per i vecchi e la strada dei partigiani per accedervi. Anche a questo proposito non mancarono scontri tra lui e il Cln sui criteri da seguire. Secondo il Cln si sarebbero dovuti radunare tutti i proprietari invitandoli a donare il terreno per la costruzione della strada. Invece il Pesgu preferì pagarli e diede di propria iniziativa, sempre a suo insindacabile giudizio, da mezzo quintale di frumento a venti chili. Quanto 39 Ibidem. 40 Si veda AB, appunto di Francesco Sacchi, datato «Grignasco, 1 6 dicembre 1 945».

4 1 Si veda F. S [ACCHI], Commissario per gli alloggi, in "La Squilla Alpina", Milano, a. I, n. 7, 28 ottobre 1 945. Trattasi di edizione locale diversa da quella riportata nel reprint. 307

al locale che avrebbe dovuto ospitare la casa di riposo, cioè alla Società operaia, i proprietari erano due, uno che era appartenuto alle brigate nere e l' altro no. Si decise perciò di confi­ scare il terreno e lo stabile per una metà e di indennizzare il proprietario dell' altra metà. Pesgu lo fece dandogli dei camion che erano stati requisiti a tedeschi e fascisti. Però poi risultò che quei camion erano già stati sottratti a dei legittimi proprietari, che ne chiesero e ottennero la restituzione. Sicché l' indennizzo a quel proprietario venne a mancare e natu­ ralmente venne nuovamente da lui preteso, con tutti i pasticci del cas042• Ma erano i tempi a essere difficili e pasticciati. E questo non sminuisce affatto il valore dell'iniziativa assunta dal Pesgu.

42 Per tutte le informazioni riportate in questa parte finale del capitolo si rimanda a AB, Testimo­ nianza orale di Virgilio Zanolini, maggio 1 965 , nastro 7 1 , cit. 308

LXXIII IL

DOPOGUERRA E LE ARMI

Con l' approssimarsi della liberazione gli Alleati erano seriamente preoccupati della forza acquisita dalle formazioni garibaldine di Moscatelli, da loro considerate come un potenziale nemico. L' atteggiamento dei dirigenti del Soe nei confronti di queste formazioni è descritto in una lettera del dottor Antonio Costanzo, fatta pervenire da Roma in data 29 marzo 1 945 a Mario Lanza, fiancheggiatore delle formazioni di Moscatelli: «Caro Mario, [ . . . ] se voi siete in funzione siate benedetti nei vostri sogni. lo sono virtualmente prigioniero degli amici di Rossi [10hn Mac Caffery] i quali mi hanno dichiarato che sono bloccato qui e che non ritornerò più né al Nord, né in Svizzera. [ . . . ] lo sono venuto qui con piena lealtà e mi hanno fregato perché pensano che io sia uno degli esponenti del partito di Cino. La colpa che mi fanno è di essere troppo amico dei Garibaldini e di essemlÌ troppo occupato di loro. [ . . . ] A Cino devi dire che io non sono stato interrogato sul loro contributo, sulle loro neces­ sità, sulla loro realtà, ma soltanto sui loro connotati, dati somatici, nomi e cognomi quasi che i capi garibaldini debbano essere arrestati appena questi vengono al Nord. A Cino e a Ciro raccomanda di considerarli solo e sempre dei nemici che vogliono disgregare e annul­ lare e non riconoscere il contributo dato dalla Resistenza italiana. [ . . . ] Naturalmente di Franck non so niente, lo utilizzeranno in valle per scovare i comunisti di Cino» l . Prima di rendere le armi si doveva tenere conto anche di queste possibili intenzioni de­ gli inglesi, o meglio degli Alleati. Gli americani avevano infatti una grande considerazione di Moscatelli e lo testimonia anche Elio Soliani, che fu nel dopoguerra in Questura a Novara: «lo notai, quando ci si sedeva attorno a un tavolo, il prestigio che godeva Moscatelli presso gli americani. Mosca­ telli per loro era proprio il condottiero militare che aveva, nella sua zona, ed anche fuori della sua zona, creato il mito di Moscatelli. Ed era molto ascoltato»2. Tuttavia questo aveva fatto sì che gli americani fossero stati più che espliciti proprio con lui sul fatto del disarmo e lo ha ricordato lo stesso Moscatelli in un suo intervento teso a mettere in luce come durante la Resistenza l'unità vera tra le varie formazioni partigiane fosse stata «l'unità nella lotta; e [ . . . ] era sempre un'unità cOlnbattuta. C'erano cioè quelle forze che stavano davanti, che tiravano, c'erano quelle che stavano in mezzo, inerti, a farsi trascinare e poi c'erano quelle che stavano di dietro, ma tiravano dalla parte opposta. Era un'unità fatta così. Chl aveva più forza riusciva a trascinare anche gli altri. Non appena sono arrivate le forze Alleate in Italia e hanno rotto quel rapporto di forze che era esistito fino al 25 aprile, di lì è nata poi tutta l' operazione rottura dell'unità delle forze della Resistenza, come del resto tutta l' operazione rottura della unità delle forze politiche [ . . . ] , hanno imposto a Parri di andarsene, così come è stata portata la rottura in tutte le istanze organizzative della nostra società italiana, dall' Anpi ai partiti politici raggruppati allora nel Cln, alle organiz­ zazioni sindacali e così via. [ . . . ] Quando il generale Mark Clark è arrivato a Milano [ . . . ] m'ha mandato a chiamare [ . . . ] ; c ' era Longo, c' era Marazza, c ' era Brusasca, c'erano tutti i diri­ genti del Cln Alta Italia. Ha detto: "Moscatelli a casa, disarma tutti i tuoi. Bada io sono qui I Si vedano ampi stralei di questa lettera riportati in P. SECCfllA C. MOSCA1ELU, op. cit., p. 364 e ss. 2 AB, Testimonianza orale di Elio Soliani, Novara, 1 2 gennaio 1 97 1 , nastro 275 . -

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con cinquecentomila uomini, autoblinde, carri armati, aerei da bombardamento. Scegli". Cosa dovevamo fare? lo ho detto che quegli ordini lì non li ricevevo da lui ma li ricevevo soltanto dal mio comandante, in quel momento era Longo. Ma [ . . . ] ovviamente bisognava tenere conto... o affrontare, appena finita la guerra contro i tedeschi e i fascisti, un' altra guerra partigiana contro gli an1ericani, per finire magari come è finito Markos in Grecia, oppure cercare di riorganizzarci in un altro modo per condurre avanti la nostra battaglia di allora>:). Quando gli Alleati ordinarono alle forze partigiane di smobilitare e riconsegnare le ar­ mi, queste discussero se farlo o no, e furono ben pochi quelli che pensarono che bisognas­ se rifiutare l' ordine e opporsi agli Alleati. Se opposizioni ci furono, vennero perlopiù da partigiani non comunisti e furono di tipo emotivo e comunque non trovarono eco alla direzione del Pci. Il Pci, valutato che i rapporti di forza non permettevano di opporsi agli Alleati, poteva solo decidere se consegnare tutte le armi oppure nasconderle in parte. Se vi furono dissensi nel gruppo dirigente del Pci, essi riguardarono questo solo punto, vedendo schierato da un lato Palrniro Togliatti e dall' altro Pietro Secchia e Luigi Longo, che pensavano fosse meglio nascondere una parte di quelle armi per ogni evenienza. Ma la direttiva della consegna delle armi si scontrò però con una diffusa tendenza tra i partigiani a non farlo, per cui le disposizioni per la riconsegna impartite anche dal Pci e dagli altri partiti si trovarono disattese e prevalse un ben diverso comportamento di massa, non solo spontaneo laddove prevalevano comandanti garibaldini particolarmente legati a Luigi Longo e Pietro Secchia, come per esempio proprio nel Novarese, dove l' occultamen­ to delle armi fu tutt' altro che scoraggiato da Cino e Ciro. Così ricorda ancora Soliani : «Intanto nella Questura di Novara era uscita l' ordinanza, voluta dal Governo militare alleato, per la consegna delle armi. Credo che l' avvocato Re­ petto ci mise quindici giorni a fare quell' ordinanza, perché doveva essere un' opera d' arte e richiedeva del tempo. Conclusione: quando fu emessa l' ordinanza, Angin aveva già prov­ veduto a fare scomparire tutte le armi »4. E, a proposito di quell' ordinanza, Arrigo Gruppi "Moro", comandante dell' S Ia brigata Garibaldi "Volante Loss", mi ha riferito: «Verso la metà di settembre è uscito un manifesto firmato da Moscatelli, Gastone e Tia Grassi [comandante della Piazza di Novara] che dice­ va di consegnare le armi su richiesta degli Alleati. Chiedo a Moscatelli cosa devo fare e mi risponde : "Ma no, son cose formali ! Non devi mica badare !". "Senti, per favore, ho un camion di roba. Vedi di liberarmi. Perché mi pare che ormai lo sanno tutti in giro". D ' ac­ cordo con il Pesgu, ha mandato su un camion rimorchio, ho consegnato le armi e sono anda­ te verso la Valsesia. Credo fosse la fine del '46»5. La posizione di Cino e Ciro era comunque resa possibile dalla macroscopica tendenza spontanea a non riconsegnare le armi e con essa in piena consonanza. Racconta Alessandro Maiocchi "Massiccio II'', a proposito di quello che avvenne alla Cacciana, dove questa tendenza spontanea fu assolutamente in consonanza con gli ordini ricevuti: «Le armi sono state consegnate tante, però siccome i nostri padri sono stati casti­ gati nel ' 22, noi abbiamo detto: "Teniamo una garanzia. Non si sa mai. Per mal che vada, ci difendiamo. Prima di andare in montagna. . . ". C ' era il pericolo della monarchia che la­ sciasse ancora crescere una dittatura; c'eran tanti che avevan quell' ideale lì: per fare una rivoluzione; però c ' era anche gente che ragionava, che non era facile fare una rivoluzione. [ . . . ] Autoblinde, ce n ' era in giro anche alla Cacciana. E gh 'n 'éva butà in gir, anche di carri 3 AB, Testimonianza orale di Vincenzo Moscatelli, in Commemorazione nel Venticinquesimo della battaglia di Romagnano Sesia, cit. 4 AB, Testimonianza orale di Elio Soliani, dt. 5 AB, Testimonianza orale di Arrigo Gruppi "Moro ", Novara, 7 aprile 1 993, nastro 796. 3 10

m:tnati. Ma un carro armato, se non lo tieni in funzione, dopo tre mesi deperisce per via dei congegni. Quindi era tenere uno spauracchio. Ma a una rivoluzione interessano poco i carri annati. Se tu fai una rivoluzione è la massa della società che si deve muovere»6. Questa tendenza a tenere le armi fu comunque in certo modo favorita anche dai co­ Inandi ameIicani, come racconta Luciano Brigliano, dattilografo del Comando di raggrup­ pamento: «Siccome il Comando si è stabilito a Novara, io ho dovuto stare a Novara parecchi mesi. E sono tra l' altro stato presentato al comandante americano a Novara che era il gene­ rale Lee, italiano di origine, perché per il disarmo - siccome sapevo l' ubicazione delle for­ mazioni e conoscevo i comandanti - hanno mandato me al Comando americano a Novara. Il generale Lee mi ha rifilato a un colonnello scozzese col gonnellino; perché io sapevo l'u­ bicazione e conoscevo i comandanti. Quindi, per esempio, un mattino è arrivato un sergente americano con un gippone con rimorchio, un altro gippone e alé, siamo andati dal Pesgu. Il Pesgu ha consegnato quello che ha consegnato, questi hanno caricato ' sti vecchi mo­ schetti, rottami, hanno fatto il verbale, che una volta che lo avevi firmato quello che c'era c'era. Sono stati consegnati due o tre bazooka con neanche le munizioni e gli americani hanno detto: "Dove sono le granate?". "Le abbiamo sparate". Comunque gli americani, con il gippone e le armi tornavano poi a Novara ubriachi fradici, perché a mezzogiorno ave­ vano fatto lauti banchetti: dal Pesgu c'era ogni ben di dio. E vino. Insomma so che nel periodo che io sono stato a Novara gli americani hanno cambiato sei o sette sottufficiali, sono finiti tutti in prigione. Meno l' ultimo, che era di ferro, perché aveva visto l'esperienza degli altri. Quello era incorruttibile. Anche a Suno - dove c ' era Andrei mi pare - avevano ' ste armi e dicono: "C' abbiamo un po' di esplosivo". Era plastico. Sì, però era bagnato e quando è bagnato il plastico esplode facilnlente. E gli amelicani quando hanno visto il sacco bagnato sono scappati e hanno detto: "Buttatelo voi". Sicché le brigate hanno fatto quello che volevano e hanno consegnato quello che gli andava. L'unico fregato sono stato io, per­ ché quando alla fine mi sono presentato a Novara e ho detto: "Abbiamo finito", lo scozzese col gonnellino m'ha risposto: "No, c'è ancora la sua pistola". E m'ha fregato la pistola. Ma i partigiani le armi se le sono tenute il più possibile. lo ho un amico di Quarona che è uno che della politica se ne frega ma è stato messo in galera perché l'hanno trovato con due o tre Sten. Anche lui voleva conservare il suo mitra»7. In questa tendenza dei pat.tigiani a restare in armi non vi erano quindi solo ragioni politiche generali, ma anche un complesso di forti ragioni psicologiche e già abbiamo par­ lato dell' attaccamento alla propria arma, dovuta al fatto che - come ricorda anche Arrigo Gruppi - «il mitra era un po' un freddo fratello della lotta di liberazione: dormiva al nostro fianco, questo mitra, questa pistola, questa bomba a mano. Le armi e una coperta sono state il fardello da portare in giro. Si è cominciato a cambiare i "9 1 " con i mitra, poi i mitra a canna lunga con quelli a canna corta, mitra Beretta, parabello, maschinen pistole . . »8. ,, Osserva Giancarlo Zuccotti "Full 9, che fece il periodo terminale della guerra di libera,

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6 AB , Testimonianza orale di Alessandro Maiocchi, cit., Orta Novarese, 1 5 aprile 1 993, nastro 796. Trad. : «ce n'erano buttati in giro». 7 AB, Testimonianza orale di Luciano Brigliano, Borgosesia, 1 5 aprile 1 995, nastro 824. 8 AB, Testimonianza orale di Arrigo Gruppi, cit. 9 Giancarlo Zuccotti, nato a Ferrera Erbognone (Pv), il 24 aprile 1 925, in una famiglia antifa­ scista, entra in una cellula del Pci dopo il 25 luglio 1 943 tramite il sindacalista Carlo Lombardi, ap­ pena tornato dal confino. Dopo 1 ' 8 setterrlbre svolge attività di propaganda antifascista diffondendo il nlateriale avuto tramite Arturo Capettini, che aveva un negozio da ciclista in via Monte S anto a Mi­ lano, poi fucilato nel dicembre del '43 al poligono di tiro di piazzale Accursio. Richiamato nel novembre del ' 43, inizialmente non si presenta ma poi, per evitare l' arresto del padre, lo fa e viene inviato a Piacenza. Nel febbraio del '44 però fugge e torna a Mortara. Viene cat­ turato e imprigionato come disertore, finendo alla caserma di Sacile con altri duemila, praticamente 311

zione con l' "Osella" nella squadra di Lupo: «Siccome io avevo una mira buona, non avevo il mitra per il combattimento ravvicinato ma il fucile di precisione per sparare a distanza. lo penso che il mio fucile sia stato consegnato quattro o cinque volte. lo l'ho consegnato, ma poi a Grignasco questo faceva dei giri. E io ho tenuto la Beretta, la calibro 9. Era un atteg­ giamento diffusissimo tenere l' arma, tollerato dai comandi, anche se mai esplicitamente incoraggiato, perché eravamo tutti convinti fino a pochi giorni prima della smobilitazione di essere deputati a fomlare i prinù reparti dell' esercito del popolo. Quella era la convin­ zione. Poi ci han dato 7 .000 lire e un sacco di riso e ci hanno mandato a casa. Cosa ho pensato allora? Beh, prima di tutto, ti devo confessare: "Tomo a casa". Arrivato a casa ancora in divisa e con la mia pistola, ho trovato Carlo Lombardi e gli altri compagni di Mortara, i fermenti politici di allora e ho iniziato la mia militanza politica nel Partito comunista. In quegli anni sono stato segretario di sezione e consigliere comunale. E sono rimasto nel Pci sino al ' 56. Comunque la mia generazione è passata da una delusione all' altra. Nasco con il fez in testa, il verbo era quello, non si conosceva altro e ci credevi, perché ti avevano con­ dizionato al punto da crederci. Maturi e capisci che è una stortura, che è una dittatura e passi dall' altra parte. Fai la Resistenza, speri che quella sia la rivoluzione che cambi tutto e ti dan­ no 7.000 lire, un sacco di riso e ti mandano a casa. E incominciano subito a demolirti la tua storia e a demolirti psicologicanlente. Arriv a la contestazione del ' 68, pensi: "Vuoi vedere che riprende?". Ed è un' altra delusione. E ciononostante sei qui che aspetti ancora . . . » l O . Per alcuni partigiani di estrazione borghese giocavano anche considerazioni legate alla prigioniero dei tedeschi. Consigliato dai propri ufficiali di aderire a un periodo di addestramento, chiede di essere mandato a fare segnalazione contraerea. Dopo due mesi di addestramento durissimo viene mandato ad Asti, poi a Pino Torinese, infine a Piossasco. Nell' estate ' 44 riesce a contattare i partigiani e a consegnare loro telefoni, binocoli e batterie del suo posto di avvistamento, ma non viene accettato nelle loro formazioni in quanto aderente alla re­ pubblica di Salò. Torna allora a nascondersi a Sant' Albino di Mortara, nel cascinale di uno zio poi per un mese nella casa di un altro zio, fratello di suo padre, infine nel rione S ant' Andrea a Novara da un cugino ferroviere di sua madre. Con una falsa tessera della Todt lavora a strade in terra battuta in prossimità dei ponti per il guado del fosso in caso di crolli, opere che però esegue con trabocchetto, coprendo di terra dei rami sistemati sui buchi fatti per sabotaggio. Nel febbraio ' 45 raggiunge Grignasco e viene condotto da una staffetta al campo del Pesgu. «Ho pensato: "Finalmente ci sono anch' io, ho un' arma anch' io in mano e potrò fare qualcosa. Finalmente mi sento realizzato". Ma dell' arrivo al campo del Pesgu mi è rimasto soprattutto impresso che mio cugino e gli amici mi avevano dato prima di venire via qualcosa da mangiare. Due uova sode, un salamino della tessere con quel pane nero della tessera. E io arrivo su a Isella e nel bosco avevano appena macellato una bestia. C ' era dei pezzi di bestia cotta, un pane di burro, un coltellaccio infilato dentro, un tagliere di polenta fredda ormai. La prima cosa che ho fatto: ho preso quel salamino e quel panino della tessera e li ho buttati giù a valle. Perché ho trovato ogni ben di Dio. Si mangiava bene con il Pesgu, anche se c 'erano momenti che non c 'era più carne perché non potevi neanche esagerare a portare via bestie ai contadini, poveracci anche loro. Allora è poi capitato, per esempio, che attaccando una colonna fascista abbiamo trovato un camion pieno di gorgonzola, e suma andài avanti na sman-a a mangià strachìn [trad. : siamo andati avanti una settimana a man­ giare gorgonzola] . Un'altra volta si sparge la voce che ci sono dei movimenti per un rastrellamento. Allora facciamo bollire tutte le uova e le mettiamo nel tascapane assieme alle bombe a mano, alle mu­ nizioni e ai calzini sporchi. E due giorni dopo eravamo tutti gialli, come se avessimo avuto l 'itterizia. Altre volte si mangiavano castagne o pannocchie di granturco abbrustolite. Ma c 'erano momenti in cui si mangiava proprio bene. Un mio lontano cugino, il Francesco, faceva da furiere. Ti chiedeva come ti chiamavi, da dove venivi e che nome di battaglia prendevi. E mi sono chiamato Full perché ero un giocatore di poker e intendevo dire che avevo fatto il pieno. Avevo pensato anche a Starnazza, da Pippo Stamazza, che faceva musica jazzistica. E il jazz non si poteva praticare perché era americano. Ma ho pensato che Ful l fosse più sbrigativo. E sono andato con la squadra di Lupo». IO AB, Testimonianza orale di Giancarlo Zuccotti "Full ", Milano, 7 maggio 1 996, nastro 849. 3]2

dignità militare: «Chi ha riconsegnato le armi? - mi dice per esempio Carlo Riboldazzi, che pure non era cotTIunista, ma garibaldino di origine cattolica, nel quale la rivendicazione della non riconsegna dell' arma si lega anche a umiliazioni posteriori a quei primi giorni dopo la Liberazione - I fessi. lo, il mio mitra non l ' ho conquistato, però la maschinen pistole sì. D' accordo eravamo quasi alla fine, ma quella era la mia amla. Ho preferito romperla che consegnarla. Un Rastelli, che le armi se le è conquistate, perché doveva consegnarle? Agli ufficiali non hanno mica tolto la sciabola dopo la guerra ! A noi hanno tolto persino la divisa ! Nelle sfilate ci sono tutti ma non una divisa partigiana. Quel poveraccio del Mar­ codini, quando è venuta la sfilata del ventennale della Resistenza, era in divisa partigiana e ha avuto delle grane. Moscatelli, che era in divisa partigiana, l ' hanno accettato perché era Moscatelli, ma non erano mica entusiasti, eh. [ . ] lo, come ufficiale, posso mettere la mia divisa con tanto di sciarpa azzurra e non posso mettere la divisa partigiana? Poi il fatto dei gradi partigiani: ci hanno preso in giro ! lo ero sottotenente di complemento e allora mi hanno declassato a maresciallo» I l . Tenere l'arma era del resto i n certi strati della popolazione quasi una necessità, qualora si volesse godere di un pieno consenso sociale e ha scritto efficacemente Gino Vermicelli commissario politico della l oa brigata garibaldina "Rocco" operante nell' Ossola - che «nessuno tornò dalle montagne senza un' arma, un partigiano che fosse tornato a casa di­ sarmato sarebbe stato lasciato dalla morosa» 1 2 . Quindi gli stessi che avevano detto di sì alla riconsegna delle armi tuttavia un' arma la tennero, e tanto più se se l ' erano conquistata in combattimento, anche perché una parte di loro era convinta che la lotta non fosse finita, che dopo la liberazione nazionale restasse da realizzare la liberazione sociale dai residui del fascismo e dalla divisione in classi. Ma soprattutto c'era tra la gran massa dei partigiani la convinzione che si era soprav­ vissuti e si era battuto un nemico potente perché si era stati armati e che quindi conveniva restarlo. E credo che questo lo abbiano pensato e fatto non solo i partigiani ,e i civili italiani ma quelli di qualunque paese abbia fatto la Resistenza. Inoltre nel clima t'"urbolento del dopoguerra tutti quanti i partiti mantennero a lungo for­ me più o meno robuste di organizzazione armata. E così fecero anche i garibaldini di Mo­ scatelli: «Loro - racconta ancora Arrigo Gruppi - avevano l' idea di raccogliere il maggior numero di armi possibili perché speravano di fare domani una rivoluzione per instaurare un regime di tipo comunista. E quindi c 'erano quantità notevoli di armi messe in sepolcri di vari cimiteri, tipo Vaprio d'Agogna. Comunque ognuno dei reparti partigiani che ave­ va un orientamento politico in senso rivoluzionario ha eseguito le disposizioni di occultare le armi , tant' è che ce ne sono in giro ancora adesso. Le ragioni: non ci si fidava di queste forze che subentravano dopo vent' anni di fascismo ed erano ancora fasciste. Quindi c' era anzitUtto da salvaguardare i nostri ideali antifascisti. Poi speravano di fare domani una rivo­ luzione per instaurare un regime di tipo comunista. E quindi c'è stata appunto questa di­ sposizione di occultamento delle armi , in cui anch' io ho avuto una parte e ho pagato anche di mia tasca» 1 3 . Era una decisione tutta partigiana, quella di Cino e Ciro, non del Pci, o quantomeno non di tutto il Pci. Giorgio Amendola del resto ha ricordato che negli anni successivi alla Liberazione il Pci era «una forza ribollente e non politicamente disciplinata, anche attratta dal miraggio della rivoluzione armata, fiduciosa nell' aiuto sovietico ("Ha da venì Baffone !") [ . . ] . La linea del centro del partito veniva accettata, ma con grandi riserve, con quella "doppiezza" . .

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AB, Testimonianza orale di Carlo Riboldazzi, cit., Orta Novarese, 1 3 marzo 1 993, nastro 795 . S i veda LORIS CAMPETTI, «Non scherzate con la storia . » , i n "il manifesto", 7 settembre 1 990. 13 AB, Testimonianza orale di A rrigo Gruppi, cit.

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di cui tanto si è parlato, che non era atteggiamento di Togliatti o di pochi dirigenti, ma posi­ zione largamente diffusa nella base e nei quadri del partito. Sì, bisognava utilizzare le pos­ sibilità legali, conquistare comuni e seggi in parlamento, ma per occupare posizioni che sa­ rebbero servite quando l' ora X sarebbe finalmente scoccata. [ . . . ] La conservazione di de­ positi d' armi, gli atti di violenza effettuati come strascichi della guerra partigiana, i diffusi atteggiamenti di intimidazione ("Verrà il momento !". "Vi faremo pagare") non furono tutte invenzioni - della propaganda democristiana» 14. Questo nascondere le armi era d' altronde anche la conseguenza del fatto che le stesse forze della Resistenza non erano tra loro omogenee nelle finalità che perseguivano e - chiu­ sasi la fase della lotta armata al fascismo - diffidavano per il futuro le une delle altre; tra l' altro, e non casualmente, i partigiani si sarebbero divisi ben presto in più associazione ri­ vali, l'Anpi (Associazione nazionale partigiani d'Italia) a egemonia social-comunista, la Fiap (Federazione italiana associazioni partigiane) a egemonia azionista-socialdemocra­ tica, la Fvl (Federazione volontari della libertà) a egemonia democristiana. Racconta per esempio la socialista Flavia Tosi - ufficiale di collegamento del Comando generale CvI e del Clnai - e la sua testimonianza vale mille altre: «Sinistra o destra, tutti hanno nascosto delle armi, perché non si sapeva se la cosa era finita o bisognava ribellarsi a qualcun altro o a qualcos' altro. Praticamente eravamo t-utti sul chi va là, tutti, perché va beh, era finita, però c'erano qui gli inglesi, gli americani. "Stiamo a vedere cosa succede. Nascondiamo". Tutti l' abbiamo fatto. C'erano anche autoblinde in qualche cascina, sotto il fieno. Mio fratello Erasmo aveva preso dei carri armati ai tedeschi in Brianza e da qualche parte sono stati nascosti. Non tutti, perché era una colonna, però qualcuno l' avranno tenuto nascosto. Le armi personali pressoché tutte. Abbiamo consegnato quelle tre armi che c'era­ no rimaste, ma le altre erano tutte nascoste. Vedi bene che ogni tanto scavano e le trovano ancora adesso» ] 5. Non che i pat1igiani alla Liberazione abbiano consegnato le armi solo pro-forma, per­ ché nella sola Lombardia vennero consegnate tra maggio e giugno 1 02.652 fucili e mo­ schetti, 1 .847 fucili automatici, 2.3 1 0 mitragli atori , 1 .388 mitragliatrici, 1 84 mitragliere, 1 .635 pistole, 354 cannoni e mortai, 3 1 .26 1 bombe a man016. Inoltre gli Alleati si premura­ rono poi di verificare se la consegna delle armi fosse stata effettiva. Ma i partigiani poterono perlopiù dimostrare con ricevute che le armi le avevano con­ segnate. La brigata di Gino Vermicelli dimostrò per esempio di avere consegnato trecento armi in più di quelle in dotazione e si impegnò ad andare a recuperare gli esplosivi che aveva abbandonato in una grotta in montagna. Poi non l'ha fatto, perché nessuno è ton1ato sull' argomento, ma anche se l' avesse fatto il quadro non sarebbe cambiato perché soprattutto in Lombardia e Piemonte - dove cioè avvenne la resa - le armi abbandonate dai tedeschi e dai fascisti erano state così tante, che la consegna da parte dei partigiani delle proprie armi individuali finiva per essere un granello di sabbia17. 14 GIORGIO AMENDOLA, De Gasperi e la lotta politica nel trentennio repubblicano, in "Rinascita", 2 settembre 1 977. Secondo un riepilogo del Ministero dell' Interno, dall' 1 gennaio 1 946 al 3 1 gen­ naio 1 95 1 vennero rinvenuti: 89 cannoni, 489 mortai e lanciafi amme , 2. 1 1 3 mitragliatrici, 3 .232 fu­ cili mitragliatori, 9.560 mitra, 59.36 1 fucili e moschetti, 23 .678 pistole, 1 4 1 . 1 80 bombe a mano, 3 . 178 quintali di esplosivo (GIORGIO GALLI, Storia del Partito comunista italiano, Milano, Schwarz, 1 958, p. 295 e ss). Ma, come è noto, rinvenimenti di anni occultate dopo la Liberazione sono con­ tinuati sino ad oggi. Tra i grossi depositi ritrovati dopo il gennaio ' 5 1 ricordo quelli dell' Ansaldo di Genova (60 quintali di armi murate dietro a una parete) e della Om di Milano (9 mitragliere con­ traeree, un mortaio da 45 mm, 6 mitragliatrici, 16 fucili mitragliatori, 3 mitra, 1 24 fucili e moschetti e un grande quantitativo di munizioni). 1 5 AB, Testimonianza orale di Flavia Tosi, Orta Novarese, 23 giugno 1 99 1 , nastro 783. 16 Si veda L. VALIANI, op. cit. , p. 353. 1 7 AB , Testimonianza orale di Gino Vermicelli "Edoardo ", Orta Novarese, 8 luglio 1 99 1 , nastro 783. 3]4

In quei giOlni, andando verso Milano, si vedevano in molti paesi tonnellate d' armi. In­ tere caserme si arrendevano e non erano necessariamente i partigiani a raccogliere le ar­ lui abbandonate. Fu spesso la popolazione civile ad impossessarsene. E in seguito la gente consegnò quelle armi oppure no, a seconda di come preferisse fare. Per cui moltissimi civili raccoglievano armi e ogni partigiano andava a casa con l' arma migliore e possibilmente più esotica che potesse trovare. Tra un "9 1 " e un Mauser sceglieva quest' ultimo non solo e non tanto perché fosse un arma migliore ma perché era un' arma tedesca. Tra una pistola cromata di nero oppure di bianco, sceglieva quest' ultima perché era più inconsueta. Più l' arma era strana e più era ricercata in quei giorni i 8 . lo allora ero un ragazzo ma a Novara ricordo di avere visto barattare con frenesia pre­ ziosissime scatolette di carne o altri oggetti di preda bellica, trovati a casa di qualche fasci­ sta, per potere avere un' arma inconsueta. E noi ragazzi ci comportavamo come gli adulti. Il mio amico Enrico Arrigoni, che aveva tredici mUlÌ, fregò una livoltella a un nero ameri­ cano cui aveva presentato delle ragazze del rione di San Martino a Novara e io stesso - che avevo solo otto anni - mi trovai a possedere alcune bombe a mano tipo Balilla, trovate ca­ sualmente assieme a una maschera antigas dentro al suo contenitore. Assieme al mio cu­ ginetto di sei anni le andai a tirare trionfante ai pesci del Ticino. Sì, armi ce n'erano dappertutto in Piemonte e in Lombardia 1 9. E naturalmente anche in altre regioni del Centro-Nord; anche in Emilia i tedeschi e i fascisti in fuga avevano abbandonato magazzini di armi e qualche carro armat020. E quindi questa corsa a procurarsi e a occultare armi avvellÌva larganlente al di fuori delle indicazioni dei partiti. Del resto anche molti partigiani consegnavano agli Alleati dei ferrivecchi, i fuciloni modello "9 1", mentre mitra e Panzerfaust finivano ben oliati in depositi clandestini. Si è trattato di un' operazione caotica, largamente spontanea, che ha coinvolto migliaia e migliaia di compagni e non conlpagllÌ, che divengono poi di fatto i gestoli di queste armi Ricordo il caso di Maria Pastore, morta alla Baraggia di Boca all' inizio degli anni set­ tanta. Gli eredi trovarono nel solaio della casa dove abitava l ' armamento di un' intera bri­ gata. E ricordo quello di Fernanda Segù che, vendendo la proprio villa di Olengo al Comu­ ne, riconsegnò all' inizio degli anni ottanta alla Questura di Novara un ingente quantitativo di armi La gente quindi nasconde delle armi che spesso si è procurata proprio nei giorni della Liberazione. E tra i partigiani c'è chi torna a casa e comincia a pensare di trovarsi un lavoro, sposarsi, fare le cose che si fanno nei periodi normali della vita, mantenendosi un' arma nascosta in solaio o nella baita. Altri - una nutrita minoranza - pensano che la guerra non sia finita. Di solito non sono i più politicizzati ma sono piuttosto le "pellacce", ossia della gente di fegato che ha acquisito un prestigio facendo la guerra e a questo prestigio non ha voglia di rinunciare e lo vuole fare fruttare. Altri non riescono a reinserirsi nella vita quoti­ diana. Racconta Carlo Riboldazzi: «Questi seimila partigiani della Valsesia si sono trovati dalla mattina alla sera a far che cosa? Qualcuno è tornato a casa propria, ma certa gente a casa propria non aveva da mangiare. Non aveva neanche un mestiere. Gente che quando era cominciata la lotta di liberazione aveva sedici anni, io ne avevo diciotto-diciannove, che mestiere poteva avere imparato? Le fabbriche erano chiuse. Senza lavoro, con neces­ sità di sopravvivere e per di più abituati a una certa mentalità. Il partigiano a mangiare non .

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1 8 Ibidem. 1 9 Da miei ricordi personali e da AB, Testimonianza orale di Enrico Arrigoni, Orta Novarese, 3

agosto 1 99 1 , nastro 783. 20 Si veda GIANNETIO MAGNANINI, Dopo la Liberazione. Reggio Emilia aprile 1 945-settembre 1946, Bologna, Edizioni Analisi, 1 992, p. 1 5.

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pensava, perché c'erano altri che pensavano a fargli avere il cibo, ed era abituato ad avere le anni : io ho il mitra e quindi comando. Si era creata una certa mentalità, per cui anche adattarsi alla vita civile, anche per me che venivo da una formazione di tipo cattolico e da una famiglia borghese, è stato difficile. Qualcuno ha preso la strada giusta, qualcuno è rimasto lì, qualcuno ha preso la strada sbagliata. Ma la colpa non è loro»21 . Tra l' altro v a anche considerato che già dopo l'estate 1 945 l a discriminazione sui posti di lavoro contro i partigiani fu fortissima22. Quindi a volte quelle armi servirono anche per fare delle rapine. Sono inconfondibilmente di stile partigiano alcune rapine effettuate con blocchi vo­ lanti sull' autostrada Torino-Milano all' altezza di Galliate, con successivo dileguarsi in bi­ cicletta per vie campestri, che si verificano ancora nel giugno 1 94623. Del resto Massiccio II ricorda che questo non è che uno dei casi verificatisi: «Di Fon­ taneto c'erano tre che sono andati in galera. Questi ragazzi qui nel dopoguerra erano per le cascine, si sono fatti prendere un po' dall'ingenuità e dall' arroganza. Erano fieri, spa­ valdi, sai, avevano fatto delle azioni. Fioramonti "Talini" - grande partigiano, ha fatto delle lotte della madonna, i migliori, eh - Preti Luigi "Stimn", Felicini Angelo "Pan e vin", Tenlffi Mario. Poi l'Erbetta "Lanzinaccio", il Secondo di Momo "Ridolini". Finita la guerra, di lavoro non ce n'era e abituati, sai, come faceva il partigiano, un pezzo di pane, loro bat­ tevano tanto la pianura e il vino non gli mancava mai, perché facevano le colline di Fara, Briona e dormivano sempre con le scodelle del riso . . . Loro erano stati sempre in giro a far guerriglia eh. E han preso quindici-diciotto anni, e mi pare che ne hanno fatti dodici»24. Sono fenonlelli che le guerre pOliano sempre con sé, anche se qui si caricano di un carat­ tere eversivo che si manterrà a lungo - si pensi per esempio a Pietro Cavallero e a Sante No­ tanlicola25 - e che non mancherà di influenzare persino certi conlpoliamenti riemersi negli anni settanta. In Italia la Resistenza ha avuto anche dei connotati rivoluzionari, perché è stata guerra contro il potere costituito a Salò e non solo contro un nemico esterno, cioè guerra contro il neofascista alleato al tedesco. Non poteva quindi poi mancare chi pensasse a come conti­ nuare la sua guerra, scambiandola magari per la guerra di tutti. Qualcuno lo fa diventando bandito, qualcuno diventando vendicatore dei propri torti, qualcuno facendo il giustizie­ re26, qualcuno per finanziare imprese politiche27, altri limitandosi ad aspettare "l' ora X". "Quand asrà oura asrò prount" è un espressione che in Emilia circolò per anni28 e che ben interpreta uno stato d' animo che Giorgio Amendola ricordava come diffusissimo anche in Toscana29 e che fu comunque presente in maggiore o minor misura dovunque ci fosse stata lotta partigiana, quindi anche nel Novarese. 21

AB, Testimonianza orale di Carlo Riboldazzi, Orta Novarese, 1 3 marzo 1 993, nastro 795 , cit. Il partigiano Vittorio Galeone "Ivo", comandante dell' I l a brigata "Matteotti" operante in Brianza, si fece volontariamente sorprendere a rubare una bicicletta per essere arrestato e non pesare più sulla madre che faceva la cameriera e gli portava a casa gli avanzi di cibo da un ristorante (da un ricordo di Flavia Tosi, Novara, 14 aprile 1 993). 2 3 Si veda ADOLFO MIGNEMI, Aprile i 945-agosto i 948. Piccole e grandi cronache, in "Provincia 80", Novara, a. V, dicembre 1 988, n. 3, p. 50. 24 AB, Testimonianza orale di Alessandro Maiocchi, Orta Novarese, 1 5 aprile 1 993, nastro 796, cit. 2 5 Si legga SANTE NOTARNICOLA, L 'evasione impossibile, Milano, Feltrinelli, 1 972. 26 Si veda il racconto di Otello Sarzi Madidini alle pp. 332-334. 27 Si veda, a p. 3 1 8, l' episodio riguardante Erasmo Tosi e altri partigiani delle "Matteotti" legati a Corrado Bonfantini. 2 8 G. AMENDOLA, il rinnovamento del Pei. intervista di Renato Nicolai, Roma, Editori Riuniti, 1 978, p. 22. L' espressione è ricordata da Renato Nicolai. Trad.: «Quando sarà ora sarò pronto». 22

29

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ibidem.

Conlunque i partigiani si sono tenuti le anni dappertutto, in Ital ia corne in Francia come in Unione Sovietica COlne qualunque paese abbia conosciuto una resistenza armata. E questo c ' è da scommetterci - si sarebbe verificato con qualunque governo. Non prevedere quindi che la Resistenza - che fu anche una guerra civile avrebbe ine­ vitabilmente avuto una coda fu errore marchiano degli Alleati, se errore fu. L'odio contro l' agl'mio che ha cacciato la tua famiglia dalla terra, contro il fascista vicino di casa che andava a infastidire tua moglie, in qualche caso - soprattutto in Emilia - contro il prete consi­ derato da sempre servo degli agrari e che si sospetta abbia fatto il delatore, non potevano che esplodere. Ma gli Alleati preferirono smobilitare l' esercito partigiano per considerazioni di schietta natura politica e questa smobilitazione tolse ai partigiani qualunque possibilità di controllo sui comportamenti della gente. Fu una decisione che venne pagata salata. Conle si colloca il Pci - almeno nel suo complesso - rispetto ai processi spontanei che si verificano? Va anzitutto tenuto conto che la Resistenza fu un grande movimento di massa non organizzato o voluto e tanto meno controllato dal Pci o da qualsiasi altro partito. Il Pci si limitò ad essere - e non fu poco - il partito che si pose alla testa di un complesso movimento "spontaneo", cioè di qualcosa che non aveva organizzato lui e che non era neppure orga­ nizzabile - se non entro certi limiti - e si poteva solo guidare. Ma i margini della spontaneità furono amplissimi e non solo durante la Resistenza ma anche nel dopoguerra. E questa spontaneità si espresse in parte nello stesso partito. Stupido negare che l'effervescenza spontanea di quel periodo portò alcuni partigiani a organizzarsi in bande irregolari, a compiere vendette politiche, atti di giustizia sommaria e anche azioni di delinquenza comune. Ma anche stupido dimenticare che Togliatti già al II Consiglio nazionale del Pci del 7 aprile 1 945 aveva insistito su come premunirsi perché questi nuclei insoddisfatti di parti­ giani, di fronte alla ripresa del potere padronale dentro e fuori le fabbriche, non divenissero «una specie di banditi in licenza i quali compiano atti di violenza per conto proprio». Va del resto ricordato quale fu l' atteggiamento del Pci in quegli anni del dopoguerra. C'era allora nell' aria il pericolo di un colpo di stato monarchico, operavano squadre armate fasciste e qualunquiste, la stessa Dc aveva delle organizzazioni militari sparpagliate in varie regioni. Nulla garantiva che l 'incertezza della situazione potesse determinare nuo­ vi scontri ann ati. L'allora socialista Gianni Alasia ha ricordato che « almeno sino alle elezioni del 2 giu­ gno 1 946, essendo aperto il problema monarchia-repubblica, pieno di incognite lo sboc­ co istituzionale e presenti rischi di marca neofascista anche sotto altre forme, col ripristino di una burocrazia e alti apparati dello Stato di formazione fascista, esisteva nel Psi una or­ ganizzazione militare. C ' era l'ufficio "D", che stava per "difesa". So per diretta esperien­ za che di armi ne passarono fra quella sede e le sezioni ed organizzazioni del Psi. [ . . . ] Più d' uno dei dirigenti torinesi che coordinavano l' ufficio "D" e lo smistamento di armi di lì a pochi mesi sarebbero confluiti nel Partito socialdemocratico. [ . . ] Debbo dire [ . ] che nes­ sun comportamento non degno ebbe luogo entro quei rapporti, e nen1ll1eno furono com­ piuti atti [ . .]. Ma sta di fatto che quei rapporti "comprendevano", per così dire, elementi di doppiezza. Ma doppiezza (o possibile duplicità di sbocchi) c'era anche nella situazione, aperta a sviluppi democratici ma anche a ritorni reazionari. C 'era chi pensava a fronteggia­ re un eventuale colpo di Stato monarchico. E c'era anche chi pensava alla "rivoluzione per­ manente" e addirithlra accusava il Pci di essere rinunciatario, come notoriamente sosteneva almeno una delle correnti ufficiali del Psi che poi sarebbe confluita con Saragat, "Iniziativa socialista", appunto, che farneticava non si sa bene di quale seconda tappa. . » 3 0 . .

..

.

.

30 GIANNI ALASIA, Gli sbocchi erano incerti e anche nel Psi esisteva un 'organizzazione militare, in "l'Unità", 4 settembre 1 990.

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Una seconda tappa che per uomini come Corrado Bonfantini non era del resto altro che l' orizzonte di una rivoluzione sociale incompiuta. Ma sull' armamento dell' organizzazione "D" del Psi up GiaIUU Alasia ha precisato che non alludeva a "qualche souvenir in casa"3 1 , che tutti in quel momento avevano, ma a «un' organizzazione, degli UOmilU, dei ruolini; a Torino [c' era] una villa dove si poteva addi­ rittura allestire un museo . . . »32; e ha parlato di «armi smistate il 30-3 1 maggio- l giugno 1 946 nelle sezioni, nelle organizzazioni, ecc.»33, evidentemente in previsione di un possibile ten­ tativo di colpo di stato monarchico. Responsabile dell' Ufficio "D" fu dapprima Corrado Bonfantini34 e poi Rodolfo Mo­ randi. Ma nel gennaio 1 946 le «forze parallele» - come le chiama Morandi in una lettera a Bonfantini35 - erano rappresentate anche dalle brigate "Matteotti", riorganizzate da Bon­ fantini dopo la sua estromissione dall'Ufficio Difesa come forza "fiancheggiatrice" del Psiup. Questa forza - a detta di Bonfantilu - poteva contare su «circa 30.000 uomini armati nell' Italia centro-settentrionale, e tutto questo nonostante le difficoltà frappostemi da ele­ menti dirigenti del Partito e la campagna di calunnie fatta contro di me»36. L' organizzazio­ ne delle "Matteotti", che aveva come propaggine anche cooperative e società sportive, era quindi in quel momento largamente autonoma dall'Ufficio Difesa - organizzato in più uffici regionali - e dallo Psiup. Già allora tuttavia la segreteria nazionale del Psiup aveva deciso lo scioglimento degli Uffici "D" e Bonfantini proponeva di «creare al loro posto degli Uffici Assistenza ai Partigiani e ai Reduci e degli Uffici Sportivi»37. Ma ovviamente - secondo BonfaIltini - non si tratta ancora di smantellare l' organizzazione armata perché «il responsabile della sezione sportiva dell'Ufficio assistenza e sport dovrebbe avere alle sue dirette dipendenze le attuali forze nlatteottine, in modo segreto e con precauziolu tali da non coinvolgere assolutamente la responsabilità del partito»38. Ricordo per inciso, a dimostrazione del permanere di una mentalità da periodo illegale in strati di partigiani matteottini, che ancora nel giugno 1 947 un vero eroe della guerra di liberazione quale" fu Erasmo Tosi - uomo di fiducia di Corrado Bonfantini - si appropria a Novara, assieme a una decina di altri partigiani matteottini appartenenti alla Cooperativa "Mario Campagnoli", di circa cinquemila carte annonarie sottratte a un magazzino del Comune, facendone poi commercio in tutto il Novarese e Vercellese. Lo scopo è il finan­ zianlento del gionlale "Mondo Nuovo", che è allora diretto da Corrado Bonfantini e in cattive acque, per il quale viene anche rapinato un camion di stoffe del trasportatore Avan­ dero. Tra giugno e luglio vengono arrestate una ventina di persone e la cooperativa, sorta il 1 5 maggio 1 945 , viene sciolta a seguito di quei fatti il 1 7 novembre 1 94739. Nel Torinese, dichiara il partigiano cattolico Silvio Geuna, «io e altri partigiani delle formazioni autonome eravamo rimasti in collegamento anche dopo il 25 aprile perché sape31 32

Alasia replica, in "La Stampa", 6 settembre 1 990. Ivi. 33 Ivi. 34 Su di lui si veda C. BERMANI, Il «rosso libero». Corrado Bonfantini organizzatore delle brigate "Matteotti ", Milano, Fondazione "Anna Kuliscioff', 1 995 . 35 FONDAZIONE "ANNA KULISCIOFF", Milano, lettera firmata Rodolfo Morandi indirizzata «Al compagno Corrado Bonfantini, via Filippo Corridoni, 1 1 , Milano», sd [fine dicembre 1 945] . Questa lettera e la successiva sono ora riportate in C. BERMANI, L ' Ufficio difesa del Psiup e la riorganizzazio­ ne delle brigate "Matteotti ", in "l'impegno", a. XVI, n. 2, agosto 1 996, pp. 8- 1 5. 36 FONDAZIONE "ANNA KULISCIOFF", Milano, copia di lettera di Corrado Bonfantini «Per Rodolfo Morandi, segretario del Partito socialista italiano di unità proletaria, Roma, 28 gennaio 1 946».

37 Ivi. 38 Ivi. 39 Da AB, Testimonianza orale di Flavia Tosi, cit., Novara, 1 0 ottobre 1 993, appunti ; e si veda

anche A. MIGNEMI, art. cit. , pp. 1 3, 70, 7 1 . 318

vaIno che i partigiani cOlnunisti erano armati. C' erano ancora le anni deJ la Resistenza. lo avevo il lnio mitra. In caso di necessità ci saremmo appoggiati a loro [ai carabinieri] per avere un sistema logistico e non andare in ordine sparso»40. A lui fa eco Ennio Pistoi, allora segretmio della Dc torinese: «C' erano giovani ex partigiani cattolici pronti a difendersi in caso di colpo di stato mettendosi a disposizione delle autorità costituite; loro ci avrebbero dato le armi se necessalÌo. Noi avevamo in piedi una rete infonnativa sui movimenti degli altri e mantenevamo dei contatti con generali dell' esercito di sicuro passato partigiano»4 1 . Del resto anche i rapporti di polizia del 1946 relativi alla val d' Ossola parlano di de­ positi d' anni in mano a gruppi democristiani42. In Friuli, a proposito dell"'Osoppo", don Aldo Moretti, che fu uno dei dirigenti della fonnazione, ha detto: «È vero, quando la guerra finÌ e arrivò la disposizione di consegnare le armi ci guardammo bene dal farlo fino in fondo. Non io, naturalmente, perché di armi non ne avevo mai avute, parlo di quelli della "Osoppo". Eravamo sicuri che le brigate "Ga­ ribaldi" non si erano sciolte. Certo, erano tornati a casa quelli che non erano comunisti, ma quelli più accesi avevano messo da parte i mitra e le pistole per tirarle fuori al momento giusto»43. Ma in quella zona la situazione rimaneva estremamente tesa e gli atti della Com­ missione Gualtieri rivelano un particolare che va ben oltre a una nlera contrapposizione tra partigiani comunisti e partigiani democristiani: «Nel gennaio 1 946, perdurando violenze e minacce jugoslave, i capi dell"'Osoppo" (tenente colonnello Luigi Olivieri, Prospero Del Din e Antonio Specogna) chiesero di liannare i reparti in difesa della popolazione. Nell' aprile 1 946 il generale Raffaele Cadorna autorizzò la costituzione della fonnazione e, nel settembre 1 947, con il trattato di pace, la autorizzò ad assumere la denominazione di 3° Corpo Volontari della Libertà, con un organico di 4.484 uomini. Tra il 1 6 aprile e il 2 maggio 1 948, in occasione delle elezioni, la fonnazione fu schierata segretamente sul confine orientale. Il 6 aprile 1 950 la fonnazione venne trasfonnata in una organizzazione militare segreta, denominata "O". Essa ebbe in carico materiale di armamento per attivare 1 5 bat­ taglioni. 11 4 ottobre 1956, avendo l' esercito raggiunto sufficiente efficienza operativa, l' or­ ganizzazione "O" fu sciolta e il materiale [ . . . ] raggruppato in casenne dell'esercito. [ . . . ] Quando nel 1 956 il Sifar cominciò a pensare agli arruolamenti della rete clandestina Gladio, l' "incorporazione" di elementi dell' "Osoppo" nella rete "ufficiale" fu vista come uno dei modi per attingere gli elementi di cui aveva bisogno»44. Come Raffaele Cadorna potesse autorizzare una simile organizzazione militare - da considerarsi di fatto priva di valore legale esattamente come qualunque altra organizzazione amlata di partito - è un mistero, uno dei tanti di cui l' Italia è irta. Ma, credo, spiegarlo si­ gnifica fare la storia dei rapporti tra vari gruppi partigiani anticomunisti e programmi co­ me "Stay Behind" ( 1 950), piani come il "Demagnetize" ( 1 952) e organizzazioni come "Gladio" ( 1 956), atto costitutivo - siglato dall' ex resistente, allora capo del Sifar, generale Giovanni De Lorenzo - a cui si giunse dopo trattative segrete condotte da parte italiana dall' ex partigiano democristiano Paolo Emilio Taviani, allora ministro della Difesa45. ,

40 41

MARINA CASSI, I mitra dei partigiani Dc, in "La Stampa", 1 4 gennaio 1 992.

Ivi.

42 Da una dichiarazione dello storico Pietro Di Loreto, in ANDREA DI ROBILANT, I partigiani bianchi erano pronti, ivi, 1 3 gennaio 1 992. 43 GIAN ANTONIO STELLA, "Don " Gladio ? Mai visto, in "Camere della sera", 2 novembre 1 99 1 . 44 Operazione Gladio. I segreti del Sid parallelo. Il testo integrale della relazione Gualtieri alla Commissione stragi, supplemento di "Avvenimenti", n. 20, 22 maggio 1 99 1 , pp. 1 6- 1 7. 45 Come è ormai noto, per non rischiare di essere colto impreparato di fronte a un paventato ten­ tativo di espansionismo sovietico in Italia, l ' ex comandante supremo alleato Eisenhower chiese al Governo italiano un accordo bilaterale che garantisse la presenza di basi militari e di truppe americane sul territorio italiano come «quid pro quo per tutti gli aiuti e l ' assistenza fornita. Dal punto di vista

3 19

La posizione che assunse subito il Pci riguardo alle anni fu nel complesso assai diversa da quella degli altri partiti che si diedero tutti un più o meno vigoroso braccio armato. Il Pci - scartata l'ipotesi di "fare come in Grecia" e bisognoso più degli altri di farsi ac­ cettare all' interno dello Stato liberaI-democratico - si mosse subito deciso a non farsi com­ promettere in storie d' anni (anche se, come vedremo, non proprio tutti i suoi quadri inter­ medi ne furono capaci e se certo ci furono anche comandanti partigiani comunisti che favo­ rirono e incoraggiarono la tendenza a non consegnare le anni ), ma lo fece cercando di capire le ragioni di quello spontaneo lifiuto di disarmarsi dei partigiani. Di quel fenomeno di massa il partito prese atto, senza drammi né cacce all' armato, che spesso era tra l' altro un militante o un simpatizzante comunista. Tenne però in piedi un apparato organizzativo, affidato a Pietro Secchia46, con aspetti di clandestinità e dotato di larga autonomia dalla stessa segreteria. Esso, per quanto ho potuto appurare da protagonisti di allora, fu strutturato in due direzioni. Da un lato l' apprestamento di un servizio di difesa personale per i dirigenti del partito, compresi documenti falsi e tutto ciò che poteva servire in caso di necessità per rientrare nella clandestinità. Dall' altro, dopo la svolta del '47, con l' appaiamento di forme di lotta legali e illegali, vennero rafforzate le cellule di fabbrica, creati "gruppi di dieci", guidati da un collettore con funzioni amministrative e politiche, e gruppi di reparto, formati pratico l ' Italia non è nelle condizioni di sopravvivere senza la cooperazione dell' Occidente» (da un memorandum americano del 22 settembre 1 954). La trattativa segreta velme condotta da parte italiana dal ministro della Difesa Paolo Emilio Ta­ viani, che ne tenne all' oscuro il Parlamento. Racconta il funzionario dell ' Ambasciata Usa Elblidge Durbrow, riepilogando il contenuto di una conversazione del 27 febbraio 1 954: «Quando ho posto la questione dell ' accordo sullo stato delle forze, il ministro Taviani si è dimostrato sorpreso e ha ri­ sposto che l ' Italia ha già finnato quell' accordo. Gli ho allora fatto notare che nonostante sia stato fir­ mato l ' accordo non .è stato ancora ratificato dal parlamento. Il ministro ha sostenuto che a suo parere ' non è essenziale che lo sia. Ha fatto notare che abbiamo già un numero considerevole di truppe ame­ ricane stazionate in Italia e che la mancata ratifica non ha creato alcune difficoltà di sorta. Ha poi ag­ giunto che, visto l' attuale schieramento politico in parlamento, adesso la ratifica sarebbe a suo parere difficile da ottenere». Dopo la sconfitta della cosiddetta "legge truffa", che prevedeva un premio di maggioranza al partito che avesse ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni politiche del 1 953, Taviani temeva il Pci e favorì quindi gli sforzi extragovernativi di Edgardo Sogno. Dal resoconto di un incontro del 30 luglio tra il deputato democristiano Nicolò Bernardo e il funzionario americano Well Stabler ri­ sultano tra l' altro le accese discussioni interne al gruppo parlamentare democristiano sull' opportuni­ tà di mettere fuori legge il Pci. All ' insegna del "pericolo comunista" venne poi «regolarizzata» (è questo il tennine usato da Taviani) la struttura segreta Stay Behind (Dietro le linee) e si scelse il nome di Gladio. L' accordo, ufficialmente reso operativo il 28 novembre 1 956 da un' intesa fonnalizzata tra un rappresentante della Cia e il generale Giovanni De Lorenzo, capo del Sifar, prevedeva la gestio­ ne comune di una struttura clandestina pronta a svolgere un ruolo di raccolta infonnazioni e sabo­ taggio in caso di invasione sovietica e di «sovvertimenti interni» (si veda uno scritto su carta intestata dello Stato maggiore della Difesa, Ufficio R, sezione Sad, dal l O giugno 1 959, citato dal settimanale "Panorama", Milano, 2 dicembre 1 990). Traggo tutte queste notizie da CLAUDIO GATTI, Rimanga tra noi. L 'America, l 'Italia, la "que­ stione comunista ": i segreti di 50 anni di storia, Milano, Leonardo, 1 99 1 (si veda in particolare alle pp. 28-49, il capitolo significativamente intitolato In attesa della guerra civile). Il Gatti ha lavorato prevalentemente su documenti del Dipartimento di stato americano e della Cia, grazie alla legge che negli Stati Uniti dà accesso ai documenti governativi, cioè il Freedom Information Act, ma ha sotto­ lineato come anche nel suo lavoro la testimonianza orale (di agenti della Ci a, ex diplomatici ame­ ricani in Italia, ex funzionari del Pentagono, funzionari del Dipartimento di stato, ministri, deputati e senatori italiani, ecc.) sia stata detenninante alla ricostruzione di questa storia d'Italia svoltasi dietro l e quinte. 46 Si veda, per esempio, la testimonianza di GUIDO FANTI, in L 'ora X non arrivò ma il Pci doveva essere pronto, in "Corriere dell a sera", 1 3 settembre 1 990. 320

da tre cOlnpagni, una sorta di partito nel pm1ito, pronti a l11uoversi e attrezzati per ogni eve­ nienza,n, sottoponendo le case del popolo e le sedi di partito a una più intensa vigil anza. Il Pci era stato estTomesso dal governo e il clima sembrava evolvere sempre pi ù verso uno spostamento a destra della vita del Paese. Ma esso poteva contare in caso di necessità anche sulla mobilitazione dei partigiani, e non solo di quelli garibaldini. E quando nell ' autunno del 1947, poco dopo il forzato passaggio del Pci all ' opposizione, il Cominform richiede ai comunisti italiani una svolta a sinistra, il Pci è in grado di rac­ cogliere l'effervescenza che restava viva nella base pat1igiana e che aveva già dato luo­ go a numerosi episodi di ribellismo spontaneo, ricostituendo, per esempio, le brigate gari­ baldine, pronte per ogni evenienza, anche per la riconversione del movimento alla clan­ destinità. Tutto ciò avviene però al di fuori di una vera struttura militare - che non credo sia mai esistita se non sulla carta o nelle elucubrazioni dei servizi segreti americani - ma con larghissinri margini lasciati alla spontaneità, conle se anzitutto si cercasse di impedire la diaspora della base partigiana che ha occultato le armi e di darle un minimo di disciplina. Il clima ribellistico e spontaneistico dura a lungo - anche rinfocolato dalla sterzata a sinistra che il Pci si dà dopo la riunione del Cominfonn del 22-27 settembre 194748 - e, per esempio, ancora al I Congresso della Resistenza di Roma del 6 dicembre 1 947 giungono da tutta Italia partigiani annati e in divisa49, quelle brigate garibaldine cui si è accennato. Il carattere largamente spontaneo di questo movimento sarà la principale ragione della grande reazione popolare seguita all' attentato a Togliatti del 14 luglio 1 948, ampiamente sviluppatasi al di fuori delle direttive del partito e che non nlancò di preoccupare l' apparato del Pci, che riuscì a stento a controllarla e a farla rientrare. Il Pci finisce quindi per essere nel dopoguerra un grande partito di massa che adopera metodi di lotta compatibili con le nonne fonnali di una democrazia liberale, ma non scarta la possibilità di una rottura rivoluzionaria se mai se ne vengano a creare le condizioni. E questa "doppiezza" non fu solo cultura politica diffusa ma venne in quegli anni utilizzata in qualche misura pure dal suo segretario, anche se con intendimenti prevalentemente di­ fensivi e di pressione sul governo. Poiché ben presto si era profilato il deterioramento della situazione internazionale e il partito era stato cacciato dal governo, lo stesso Togliatti non sottovaluta il peso politico dell' esercito comunista diffuso. E di un esercito di trentamila comunisti armati egli parla addirittura pubblicamente in un comizio a Panna il 7 aprile 1 947, minacciando di utilizzarlo contro il govern050. Togliatti - almeno a detta di Moscatelli, che me l'ha raccontato nel 1 97 1 - non era nel 1 947-48 contrario al fatto che si tenessero oliate le armi , tutt' altro. Avrebbe potuto essere altrimenti, data la situazione internazionale di quegli anni? Ma questo atteggiamento va t-uttavia capito bene per non dare adito a equivoci ed è da questo punto di vista assai significativo un episodio verificatosi in Sicilia nel 1 947. Racconta Gino Vennicelli che «quando organizzammo le "Avanguardie garibaldine" ci fu una manifestazione a Palenno intitolata "Faremo il '48". Ci furono due manifestazio­ ni, una di contadini per la terra e l' altra di queste "Avanguardie garibaldine". Questi figli di braccianti, i figli di mezzadri erano pochi, e questi studenti siciliani vennero a Palermo con dei camion pieni di armi . La cosa venne raccontata e riraccontata e qualche giorno dopo - a Palenno si usava ritrovarsi alla sera in una piazza centrale - apparvero dei tizi che si professavano nostri amici e che erano della polizia e dei servizi segreti, che insistevano su 47

AB, Testimonianza orale di Giulio Seniga, Milano, sede dell ' Udai, 8 giugno 1 976, appunti. Per le critiche fatte in quella sede al Pci si veda EUGENIO REALE, Nascita del Cominform, Milano, Mondadori, 1 958. 4 9 Si veda al proposito DANILO MONTALDI, Saggio sulla politica comunista, in "Italia (19191 970) ", Piacenza, Edizioni "Quaderni piacentini", 1 976, p. 290. 50 Si veda C. GATII, op. cit. , p. 25 . 48

un' unica cosa: "Queste anni bisogna raggrupparle in un unico posto, perché poi ci potranno servire". E questo era esattamente l ' opposto di quello che si poteva e si voleva fare»5 1 . La posizione del Pci può essere infatti così sintetizzata: se la gente per conto proprio e spontaneamente vuole accantonare le anni sono faccende sue, inclusi i rischi che corre e non sono problemi di nessuna organizzazione di massa. E i depositi di armi, che gruppi di partigiani non solo comunisti avevano costituito, non debbono avere niente a che vedere direttamente con l' azione politica e il comportamento politico ufficiale né del Partito co­ munista né delle varie organizzazioni di massa sorte attorno a lui. E addirittura la mappa di dove fossero le armi nessuno voleva averla nel Pci, perché non c ' era bisogno di averla, dal momento che, secondo la concezione della lotta di popolo, è il popolo che deve avere le armi e quando serviranno salteranno fuori5 2 . Quanto a Togliatti, si è sempre comportato come uno che non aveva nessuna voglia di sbagliare una rivoluzione e di scavarsi la propria fossa, cioè sapeva che le rivoluzioni si fanno quando si danno condizioni storiche particolari e ci sono rapporti di forza che fanno pensare a una vittoria. Poi può anche avere pensato nel ' 47 che era bene che esistessero quei depositi d' armi, perché poteva anche diventare necessario riprendere le anni, ma non certo per fare una rivoluzione a breve tennine, che gli sembrava ed era impossibile, ma semmai perché si poteva anche prevedere il peggio. E se poi c' era una parte del popolo comunista e socialista che sognava la rivoluzione, questi sogni finivano forzatamente per confluire dentro a una prospettiva politica che era di altro genere, perché non c ' era spazio che per­ mettesse alla corrente di andare in altra direzione. Non era, sia ben chiaro, una rinuncia alla possibilità di una rivoluzione. Ma Togliatti usciva allora da un' esperienza che qualcosa gli aveva insegnato: il fascismo era stato in piedi vent' anni e non c' era stato niente che l ' avesse scosso, fin quando non aveva perso la guerra. Poi c' èra stata la Resistenza proprio perché il fascismo aveva perso la guerra, ciò che aveva creato condizioni ottimali: gli Alleati con te e sono i più forti, i fascisti odiati da larghi strati della popolazione perché hanno trascinato l 'Italia in una guerra disastrosa, l' esercito che si era sfasciato. . . Condizioni che permettevano di organizzare l' azione armata di un "esercito di popolo". E i democristiani? Questo «spettro che si aggirava per l ' Italia», intendo i depositi d' armi, diveniva l' alibi con cui gli americani mettevano a punto una loro «Operazione X», che prevedeva di «mettere soldi nelle mani degli anticomunisti senza dover passare per i soliti metodi di rendiconto al governo»53 e soprattutto la fornitura di ingenti quantitativi di armi alla Democrazia cristiana. Una prima partita, «senza costo al governo italiano», è fornita alla fine di marzo 1 948 ed è comprensiva di: 50.000 proiettili Us cal. 30 M 1 903 ; 5 .000 pistole auto cal. 45 M 1 9 1 1 ; 20.000 fucili, mitragliatrici, cal. 45 Thompson; 30 milioni di cartucce BalI cal. 30; 20 milioni e 1 75 .000 cartucce B alI cal. 4554. Con «un accordo informale, poiché gli italiani non desiderano mettere niente per i scritto » 55 , il comandante della Difesa generale Claudio Trezzani si impegna a pagare 1 0 milioni di dollari, con riserva di eventuali aumenti, prima del luglio 1 948, per le ulteriori spedizioni 56. Questi rifornimenti entrano in Italia, via Brennero, su mezzi di trasporto blindati, nella 51 AB, Testimonianza orale di Gino Vermicelli, cit. 52 Ibidem. 53 Si vedano: Undercover Tactics for Cold War, in "Us News and World Report", Washington, D.C., 9 aprile 1 948, p. 26; R. FAENZA M. FINI, op. cit. , p. 255 . 54 S i veda Us Foreign Relations, Washington, 1 948, vo1. III, p . 750.

55 Si veda il documento dell' Archivio di Stato di Washington 8 1 1 .2365/1 2-947, citato in R.

FAENZA - M . FINI, op. cit. , p. 258. 56 Si veda Us Foreign Relations, cit., p. 789. 322

più assoluta segretezza a pal1ire dal 3 aprile, mentre le ultime armi arrivano a Pozzuoli il 17 aprile57. A Milano, in vista delle elezioni del 1 8 aprile 1 948, giovani cattolici che si preparavano a fronteggiare l'eventuale colpo di stato comunista avevano concentrato in ciascuno di sei punti strategici della città un centinaio di bombe a mano, cinque o sei rivoltelle, tre o quattro anni automatiche. Si trattava forse di armi appartenute alle formazioni partigiane bianche della Valsassina58. Nel Modenese, ancora nel 1948-49 - come ha dichiarato a più riprese il conlandante partigiano cattolico e poi ministro democristiano Ermanno Gorreri - esisteva una struttura armata formata da un migliaio di persone: «Avevamo fatto i partigiani e le armi che abbia­ mo conservato erano quelle della guerra di liberazione. [ . . . ] Qui a Modena nei primi mesi del '47 vennero uccisi sei preti e un segretario di sezione della Dc, a Medolla. Insomma le intimidazioni erano forti, per questo noi partigiani denl0cristiani continuavamo a conser­ vare le anni e mantenevamo in vita una rete di collegamento finalizzata ad un ritorno alla clandestinità sulle nostre montagne se da parte dei comunisti si fosse scelta la via dell' insur­ rezione»59. Del resto lo stesso Francesco Cossiga, già presidente della Repubblica, ha ricordato che a Cagliari, prima delle elezioni politiche dal 1 8 aprile 1 948, «io stesso ricevetti i fondi del partito per acquistare anni sul libero mercato. Confermo che fummo riforniti dai carabinieri di bombe a mano perché se, perse le elezioni, il Partito comunista avesse tentato il colpo di stato, carabinieri e polizia dovevano difendere gli obiettivi strategici, e noi le sedi dei par­ titi e gli uomini politici»6o. Assai interessante - soprattutto da un punto di vista della psicologia che dominava i qua­ dri del Pci in quel periodo è un diario del comandante partigiano e dirigente comunista della Federazione di Reggio Emilia, Didimo Ferrari "Eros", del quale riporto pochi pas­ saggi significativi: «9.4.48 Reggio E. [ . . . ] I fascisti si riorganizzano e tutto lascia prevedere che non si vuole arrivare alle elezioni pacificamente. Anche i Dc formano delle squadre di ex fascisti e con i loro iscritti con lo scopo di creare delle forze di ausiljo per un eventuale colpo di stato. Proprio perché esiste questo pericolo in questi ultimi giorni è stato costituito un com. politico-militare che ha il compito di prevenire la reazione degli avversari e dirigere una eventuale azione insurrezionale [ . . . ] D. [omenica] 1 1 .4.48 Reggio E. [ . . . ] Questa sera ho dormito fuori, come è stato stabilito dal P. , per prevenire qualche sorpresa della polizia. Si pensa sempre che i Dc facciano qualche sorpresa, dato che organizzano ed arnlano persino i fascisti. Intanto noi facciamo ogni possibile per non essere impreparati se eventualmente attaccassero. [ . . . ] 1 2.4.48 Reggio E. [ . . . ] Miro è passato di qui, diretto a Bologna per trattare con Cucchi e Nerozzi sul come preparare le prime difese in Emilia se dovesse scoppiare una guerra. L'ho avvertito che a Vetto vi è Pasq., il quale sa già che potrebbe prendere contatto con lui per coordinare la prinla azione difensiva sulla cresta reggiana e parnlense. Anche a Est della 63 vi è un altro compagno, nella zona di Villam. [inozzo] , per collegarsi con i modenesi se vi fosse bisogno. [ . . . ] 1 9 .4.48 Reggio E. [ . . . ] Verso le dieci sono partito per Toano allo scopo di vedere sul -

57 Ibidem, pp. 790-79 1 . 5 8 S i veda DEMETRIO DE STEFANO, Sui tetti di Milano aspettando i rossi, in "Corriere della sera", 17 gennaio 1 992. Trattasi di dichiarazioni di Renato Patetta, abitante a Milano, che fu tra i fondatori dell' Ugi (Unione goliardica italiana), ma nel ' 48 era vicino ai democristiani. 59 Dichiarazione citata in DARIO GUIDI, In Emilia sì, ma in Sardegna mi sorprende, in "l ' Unità", 1 2 gennaio 1 992; ma si veda anche in RAFFAELLA PEZZI, Ma i socialisti negarono (finanziamenti. . , ivi, 4 settembre 1 990. 60 Si veda FRANCESCO SANTINI, Cossiga: io restituii le anni, il Pci no, in "La Stampa", 14 gennaio 1 992. .

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posto cosa intendono fare i Dc, dato che da varie infonnazioni sembrano che vogliano fare qualche provocazione. Ho poi visitato anche Villaminozzo, Castel[novo] Monti, Felina, Casina, ecc. ed ho potuto constatare che a Veggi hanno una radio custodita da [ . . . ] come pure a Vogno, a Villa ed in altre località accompagnate con armi . A Quara vi è anche un ufficiale aplericano che "osserva". Comunque si aspetta sempre che aspettino l' esito delle elezioni. E naturale che se dovessero avere la maggioranza, difficilmente adopereranno mezzi forti per colpirci»61 . I conlunisti paiono dunque prinla del 1 8 aprile avere ragionato cosÌ: poiché il mondo è diviso in sfere d'influenza, se vincono i democristiani difficilmente tenteranno un colpo di stato, ma se vince il Fronte non gli pennetteranno di governare e tenteranno l' insurrezio­ ne. Ma in tal caso - avendo con noi la maggioranza del Paese - glielo impediremo. Insomma il clima è quello dei reciproci sospetti e da parte del Pci vi è l' assoluta convin­ zione che in caso di vittoria elettorale del Fronte democratico popolare la Dc tenterà con ogni mezzo di impedire la fonnazione di un governo di sinistra. Si pensi che lo stesso Togliatti - come ha raccontato una volta Vittorio Foa - disse in quel periodo a De Gasperi: «Se noi vincessimo le elezioni, ci prendereste al governo?»62. La frase è tutt' altro che paradossale se si pensa che George Kennan, consigliere del se­ gretario di stato americano, il 1 5 marzo si chiedeva se non fosse «preferibile per il governo italiano metter fuori legge il Partito comunista e adottare severe misure prima delle elezioni. I comunisti reagirebbero con ogni probabilità con la guerra civile, cosa che autorizzerebbe a rioccupare Foggia e tutte le altre basi che ci interessano. Tutto ciò, lo ammetto, condur­ rebbe alla violenza e probabilmente alla divisione militare dell' Italia; ma ci stiamo avvici­ nando alla meta e io penso che ciò è preferibile a una vittoria elettorale senza sangue, che darebbe ai comunisti l'intero paese in un sol colpo e propagherebbe ondate di panico a tutti i paesi vicini»63. Del resto sin dall' 8 marzo il National Security Council riteneva una «priorità imme­ diata [ . . . ] impedire ai comunisti la partecipazione al governo come risultato di una vittoria elettorale» 64. Il 22 marzo 1 948 al Dipartinlento di stato si riuniscono i responsabili della direzione Affari europei che - pur non prevedendo la schiacciante vittoria della Democrazia cristiana nelle elezioni del 1 8 aprile (il 48,5 per cento dei voti e il 53, 1 per cento dei seggi contro il 3 1 per cento dei voti e il 3 1 ,9 per cento dei seggi andati al Fronte democratico popolare) - tuttavia ritengono «che De Gasperi riuscirà a fare il nuovo governo e i comunisti ne saran­ no di nuovo esclusi»65 ma concludono: «È a questo punto che i comunisti e i loro alleati so­ cialisti di sinistra potranno imboccare la strada della violenza» 66. Americani e democristiani - decisi comunque a impedire in qualsiasi modo una parteci­ pazione del Pci al governo - temevano quindi un' insurrezione proprio qualora i comunisti non avessero vinto le elezioni. La grande reazione popolare seguita all' attentato a Togliatti del 14 luglio 1 948, che si innescò spontaneamente e non mancò di preoccupare l' apparato del Pci che riuscì a stento a controllarla e a farla rientrare, fu l' ultima grande agitazione di massa armata anche se l' 61 ANTONIO ZAMBONELLI, Il dopoguerra reggiano nelle "carte segrete " di "Eros ", in "Ricerche storiche", Reggio Emilia, a. XXIV, n. 64-66, dicembre 1 990, p. 27-28. 62 Da una testimonianza orale di Vittorio Foa, in "Ripercorriamo la storia", serata organizzata al Circolo De Angeli, Torino, 2 maggio 1 988. 1 6 Us Foreign Relations, cit., p. 849, citato in R. FAENZA - M. FINI, op. cit., p. 246 M Us Foreign Relations, ci t. , p. 777, citato in ibidem, p. 249. 65 Da una velina dell ' incontro preparata da W. B. Sale in data 22 marzo 1 948, conservata nelI ' Archi vio di Stato di Washington, citata in ibidem, p. 246. .

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Ibidem.

estrOlllissione dal governo dei comunisti, le persecuzioni delle forze de Il ' ordine e della ma­ gistratura ai partigiani iniziate sin dalla fine del '45 (accentuatesi dopo la vittoria demo­ cristiana del 1 8 aplile e l' attentato a Togliatti del 1 4 luglio 1 948), poi la "legge-truffa" nel 1 953, furono tutte cose poco favorevoli a debellare la "doppiezza" diffusa in quegli anni, che continuò a sussistere massicciamente sino ad almeno il XX Congresso del Pcus e l' VIII del Pei, cioè sino al 1956. Ricordo tra l' altro che il primo provvedimento di Scelba dopo la vittoria del 1 8 aprile fu quello di impedire di festeggiare il 25 aprile. Per ricordarci dello stato d' animo della maggioranza dei militanti del Pci in quegli anni credo sia utile lasciare la parola a Guido Fanti: «Il punto di partenza è la discussione che si apri prima della Liberazione nelle file del movimento partigiano e in particolare nelle file delle brigate comuniste e socialiste sulla direttiva che Togliatti inviò da Salerno nel febbraio del ' 45 [ . . ] . Direttiva precisa che imponeva la consegna delle armi e spiegava la necessità di avviare tutto il movimento partigiano sul terreno della lotta per la ricostruzione del Paese. C' era un punto fermo: distinguere la Resistenza, lotta di liberazione nazionale che si era ormai conclusa, dalla lotta di classe che doveva continuare fino alla trasformazione del sistema politico e sociale. Persisteva cioè l'elemento della prospettiva socialista come mo­ mento insurrezionale che sarebbe avvenuto in un secondo momento. [ . . . ] Questo atteggia­ mento è rimasto nella storia del Partito comunista per lunghi anni ed è stato scardinato in Emilia con il processo di rinnovamento del ' 56 avviato dopo i fatti di Ungheria e l 'ottavo congresso del Pci. [ . . . ] In un orizzonte internazionale coperto di nuvole di guerra Est-Ovest si prefigurava un attacco delle forze reazionarie per affossare la Costituzione e la den10crazia. A quel punto si sarebbe risposto con tutti i mezzi facendo affidamento anche sull' esercito di popolo. Era una cosa di cui si discuteva apertamente»67. Cioè - chiarisce Giorgio Amendola - «bisognava difendere le libertà, conquistare i comuni, aumentare il numero dei deputati, ma per conquistare posizioni utili per il "mo­ mento buono". Quando sarebbe venuto questo momento risolutivo nessuno poteva dirlo, ma certo non esisteva molta fiducia che si potesse arrivare al socialismo attraverso una tra­ sformazione democratica del Paese. Perciò i compagni che davano più affidamento nel sen­ so di non sbandare erano i vecchi quadri provati in tante battaglie. È in questo orientamento di base, più che in un disegno strategico concepito dall' alto, che consisteva la famosa "dop­ piezza" denunciata da Togliatti. Questo orientamento generale, la sfiducia ad avanzare per una via democratica al socialismo, era stato rafforzato dalle esperienze vissute»68. Ecco, ma dentro a questa prolungata attesa dell' ora X le armi dei garibaldini valsesiani che fine fecero? La maggioranza finì arrugginita e venne piano piano trovata qua e là in occasione di sterri o lavori edilizi. Racconta però Elio Soliani: «Le ricomprammo in parte noi, a suon di centinaia di mi­ gliaia di lire, e di milioni, per ritirarle dalla circolazione. Sì, le comprammo noi, un gruppo di Novara, siccome eravamo preoccupati di questi depositi e siccome ogni tanto mettevano in vendita una partita d' armi, furono ricomprate in parte, perché ne avevano nascoste mol­ te»69. E dice Carlo Riboldazzi: «Quelle amu, almeno in parte, sono finite a Israele»70. Lo conferma anche Arrigo Gruppi: «C' erano indubbiamente in giro degli agenti di I­ sraele che cercavano armi per la lotta contro gli arabi. Tutto era in funzione del commercio. Gli stessi che poi m'hanno mandato in galera, che mi hanno fatto fare nove mesi, era gente che aveva preso le armi e che aveva trovato il sistema di commerciarle e di farsi incastrare .

67 Si veda G. FANTI, art. cito 68 G. AMENDOLA, Il rinnovamento del Pci, cit , p. 22. 69 AB, Testimonianza orale di Elio Soliani, cit. 70 AB, Testimonianza orale di Carlo Riboldazzi, Orta Novarese, 1 3 marzo 1 993, nastro 795 , cit. .

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per prendere i soldi. Erano alcuni partigiani del Pesgu, finiti in galera per quel commercio e che avevano dichiarato che quelle arO'ri le avevano ritirate a casa nna» 7 1 . È questa una vicenda resa possibile anche dal frantumarsi delle forze partigiane in gruppi rivali e che merita di essere raccontata. Già si è detto della consegna delle arnri da parte di Moro ad alcuni pal1igiani del Pesgu. Questa consegna avveniva dopo che Moro era uscito dall' Anpi, in seguito a un contra­ sto sorto a proposito della trasfonnazione della Unione cooperative Garibaldi nell' aprile 1 946. Infatti inizialmente erano soci di essa tutti i partigiani combattenti valsesiani, mentre nell' aprile 1 946 vennero considerati soci solo coloro che già operavano nell' ambito di essa, ossia i funzionari già scelti in precedenza di fatto in base alla loro appartenenza di partito. Moro, che si era trovato estromesso, aveva violentemente protestato in sede di Anpi per il mutamento delle finalità originarie della cooperativa e aveva rotto con l' associazione par­ tigiana aderendo poi nella primavera del ' 47 al Movimento di resistenza partigiana72. ' Moro consegnò le arnri a un gruppo di partigiani che, comandato da Franco Marcodini, era composto da Mario Fornara, Pier Augusto Gattone, Alfredo Gioria, Silvio Rinolfi, Ma­ rio Sesone, i quali - grazie a un cannon della Cooperativa autotrasporti Grignasco, guidato da Ottavio Miglietti "Singer" - provvidero a occultarle in un casotto dell' Amministrazione della roggia Mora nei pressi di Prato Sesia. Poi, trannte un carretto a nlano, le trasportarono a casa di Marcodini, che le nascose in luogo agli altri sconosciuto. Però in precedenza Gioria, Gattoni e Fornara avevano asportato dal mucchio delle arnri una piccola parte di esse, trattenendole per sé. Di questo prelevanlento d' arnri - a lungo sol­ lecitato non solo a Cino e Ciro, ma anche all' allora questore di Novara Angin - Gruppi aveva però parlato non solo al comandante dei carabinieri Tomnlaso Cilavegna e al brigadiere Antonio Tarditi, ma anche al comandante partigiano democristiano Edoardo Somaglino73, sicché nel 1 949 ' venne architettata una provocazione. Per essa la Questura di Novara si servÌ di un altro partigiano, il garibaldino Bartolomeo Chiodo (già capo di stato maggiore del Comando zona Ossola), che si prestò a fare da tra­ nnte tra un presunto israeliano sbarcato clandestinamente a Genova per incettare arnri da guerra - in realtà il COmnllssario di Pubblica sicurezza Biagio Savarino - e Mario Fornara, cui già in precedenza Bartolomeo Chiodo aveva ripetutamente chiesto se sapesse indicargli dove potere acquistare delle arnri. Poiché Pier Augusto Gattoni ed Alfredo Gioria si trovavano in difficoltà econonnche e si dicevano disposti a vendere le arnri e le munizioni trattenute dal carico fatto a casa di Gruppi, Fornara accondiscese però a fissare un appuntamento per il 6 febbraio tra i due, il Chiodo e il presunto israeliano, all' albergo Moderno di Varallo. La notte seguente venne calicato un furgoncino del presunto israeliano fuori di Prato vecchio e Gioria e Gattoni riscossero 300.000 lire in cambio di un fucile nntragliatore Bren, 2 nntra Beretta, 2 pistole nntragliatrici, 3 nntra Sten, 3.09 1 pallottole, 60 caricatori, 8 bombe a mano, 1 5 canne di 71

AB, Testimonianza orale di Arrigo Gruppi, cit. Da ISRNo, appunti biografici dattiloscritti di Arrigo Gruppi "Moro", con allegati articoli e do­ cumenti processuali inerenti gli arresti del febbraio 1 949. 73 La cosa non deve stupire perché la provocazione anticomunista prese già in quegli anni toni accesi da parte di numerosi partigiani non comunisti. Si vedano, per esempio, le corrispondenze di Ete Stucchi per "la Siringa". Lo stesso Edoardo Somaglino "ltalo" e Luigi Grassi "Tia", assieme a un terzo partigiano, fecero esplodere il 1 9 marzo 1 946 una bomba carta all' ingresso del Vescovado di Novara per buttare discredito sul Pci e rafforzare la Dc. Infatti lo scoppio si limitò a danneggiare due scal ini, ma permise a "L' Azione" di parlare, il 22 marzo, di «esecrando attentato contro mons. Vescovo». Ricordo di averlo sentito dire una sera della fine degli anni sessanta dallo stesso Luigi Grassi a Eraldo Gastone. Del resto Ermanno Lazzarino mi ha raccontato che nel Pei si seppe subito che l ' autore del finto attentato era stato Edoardo Somaglino (AB, Testimonianza orale di Ermanno Lazzarino, Novara, 1 4 ottobre 1 973, nastro 363). 72

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ricmnbio per tnitragliatore, calcioli, fondelli, esplosivi e piastrine. Nella notte poi i tre partigiani vennero atTestati e trasferiti nelle carceri di Novara e le loro confessioni finiscono per coinvolgere anche gli altri, e tutti restm-ono nove mesi in pri­ gione in attesa di processo. La Questura puntava in realtà al grosso deposito occultato da Mm-codini, ma questi taceva. Al processo Gioria e Gattoni verranno condannati a otto mesi e 30.000 lire di multa, Fornara a cinque mesi, tutti gli altri saranno assoltF4. Comunque le Mmi dei partigiani furono veramente utilizzate nel tempo nei modi più imprevedibili. A metà degli anni ottanta alcuni ragazzetti di Verbania si recm-ono in bici­ cletta a fm-e una gita in val Strona. Trovm-ono una grotta piena di fucili perfettamente oliati, se ne impossessm-ono e con questo loro trofeo scesero in bicicletta, notati con curiosità e apprensione da tutti. Naturalnlente di lì a poco dei poliziotti si recarono a casa loro a requi­ s ire le MffiÌ e a chiedere lumi. L'inchiesta mise in luce che si trattava di armi partigiane, ma ormai tenute in quella grotta da un gruppo di bracconieri75. In conclusione: si è pm-lato molto in questi anni delle violenze post-resistenziali, cer­ cando di accreditm-e un' immagine dei partigiani - soprattutto se garibaldini - in chiave de­ linquenziale. Nel Novm-ese e Vercellese la violenza insurrezionale e post-liberazione sembra essere stata non trascurabile ed essersi prolungata soprattutto sino alla fine di maggio . Secondo un "Appunto" del Ministero dell' Interno del 4 novembre 1 94676 in provincia di Novm-a a quella data risultavano 1 53 persone giustiziate e 7 sconlparse, in quella di Vercelli 1 35 e 1 10. Tra le province italiane quella di Vercelli e di Novara risultano rispettivamente al quat­ tordicesimo e ventunesimo posto per numero di giustiziati, ampiamente sopravvanzate in Piemonte da quelle di Torino, dove i giustiziati sono 1 . 1 38 e da quella di Cuneo, dove i giu­ stiziati sono 426, un numero comunque ancora superiore a quello di Novm-a e Vercelli messe assieme. Su livelli analoghi si piazzano invece le province di Asti ( 1 96 giustiziati e 20 scompm-si) e di Alessandria ( 1 68 giustiziati e l O scomparsi) . Va però detto che per le province di Vercelli e Novara forse si tratta di cifre un poco inferiori alla realtà, tenuto conto che: furono circa quattrocento i cadaveri (di cui circa settanta nel solo canale Cavour) get­ tati nei canali, nei fiumi e nei laghi del Novm-ese e ripescati entro il 25 luglio 1 94577, cifra però comprensiva di alcuni uccisi per mano di fascisti o tedeschi. Una lettera del Comando generale dell' Mma dei cm-abinieri di Vercelli del 1 2 gennaio 1 949 considera che tra il 26 aprile e il 1 5 maggio 1 945 siano state eliminate nella sola provincia di Vercelli, in parti­ colare nelle città di Vercelli e in Biella, circa trecento persone78. Il clima insurrezionale, in una città come Novm-a, ha portato anche a qualche caso di giustizia sommaria nei confronti di criminali fascisti. «Prima che arrivassero gli americani - ricorda Teresa Grossi, abitante nel rione di Porta Mortara - la gente s ' era scatenata e se trovava un fascista per strada lo picchiava»79. 74 Si veda Le condanne a Novara al processo delle armi nascoste, in "Gazzetta del popolo", 1 2 novembre 1 949. 75 L' episodio mi è stata raccontato da Gino Vermicelli il 1 9 maggio 1 993. 7 6 S i veda Archivio centrale dello Stato (d'ora in poi Acs), Ministero degli Interni, Gabinetto, 1 950-52, busta 33, fascicolo 1 1 .430/ 1 6. Ringrazio Nazario Sauro Onofri per avermi inviato foto­ copia di questo documento. 77 Si veda l' articolo Uccisi e scomparsi, in "Il Corriere di Novara", 25 luglio 1 945. Ritengo gon­ fiate di molto le cifre di 850 fascisti uccisi per la provincia di Novara e di 1 .000 per quella di Ver­ celli (ivi incluso il Biellese) nel periodo insurrezionale e post-liberazione date in GIORGIO PISANÒ, Storia della guerra civile in Italia (1943- 1945), Milano, Fpe, voI . III, 1 972, p. 1 .633 . 78 Acs, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1 950-52, b. 33, fasc. 1 1 .430/5 . Ringrazio Guido Crainz per avermi fornito gli appunti di una sua ricerca su questo fascicolo. 79 AB, Testimonianza orale di Teresa Grossi, Novara, 9 gennaio 1 97 1 , nastro 270. 3 27

Un tentativo di linciaggio si verifica, per esempio, il 26 aprile ad opera di cittadini che avevano riconosciuto e circondato Gaudenzio Colombara, un ex daziere che aveva parte­ cipato a rastrellamenti e ucciso partigiani. Malconcio viene salvato - è il caso di dirlo - da alcuni partigiani e poi portato in prigione8o. Comunque gli uccisi con giustizia sommaria tra i fascisti furono - come racconta Elio Soliani «tre in tutto. Uno, il cosiddetto "boia", venne fucilato in seguito a una specie di processo sommario. Uno venne riconosciuto e calpestato dalla folla inferocita in piazza Vittorio En1anuele II (ora piazza dei Ma11iri). Uno venne ucciso in via XXIII marzo perché aveva cercato di scappare e si prese un cOlpO» 8 1 . M a ecco la testimonianza del partigiano Full sul linciaggio i n piazza Vittorio Emanuele II: «Erano giorni di particolare fermento, di particolare eccitazione. Tutti i festeggiamenti del post-liberazione, il vagabondare per la città alla ricerca di chi aveva fatto la spia, chi aveva fatto una soffiata, la ricerca di amici che avevi lasciato mesi prima, per vedere se li ritrovavi, in che condizioni, il tutto inframmezzato da vari riunioni e comizi. I comizi face­ vano parte proprio della vita di quei giorni, perché avevi voglia di parlare, avevi voglia di sentire, avevi voglia di partecipare, avevi voglia di esternare quello che provavi dentro. Uno di questi, penso che sia stato verso i primi giorni di maggio, avveniva nella solita piazza davanti al castello visconteo adibito a prigione, completamente piena di partigiani e di po­ polo, intasata perché c' era un comizio di Cino, di Ciro e di tutti i comandanti partigiani. Im­ provvisamente è circolata la voce che stavano portando in prigione il Conturbia, uno dei più feroci torturatori della "Squadraccia", che si era distinto in particolare nella vicenda di Castelletto Ticino, lì si parlava di episodi di particolare ferocia: aveva infierito sui partigiani già morti con il pugnale, aprendo il petto, estraendo il cuore. L' eccitazione di quei giorni, lo spirito di rivalsa, la rabbia che esplodeva era tale, per cui, quando è circolata la voce che stavano portando in prigione il Conturbia, è stato un coro spontaneo, immediato: "No, il Conturbia in prigione non ci arriva, deve scontare prima. Siamo qui, e la sua ferocia merita una giustizia sommaria". Questo era il concetto. Ricordare ora con quel metro di misura mi fa anche inorridire, perché io sono uno di quelli che dopo la Liberazione, avendo visto cos' è la bruttura di una guerra civile, mi ero ispirato al concetto "mai più con il fucile": perché ho visto amici cadere, ho avuto il timore di trovarmi davanti amici che militavano dall' altra parte e di non sapere cosa fare nel caso in cui fosse avvenuto un incontro diretto. L' ultimo presidio fascista a cedere prima della liberazione di Novara è stato il distac­ camento dei paracadutisti della "Folgore" di Borgosesia e per quell' azione io non mi sono proposto volontario perché sapevo che tra loro c' era un mio amico di Mortara. E trovan­ domi di fronte a un amico d'infanzia, un amico di giochi, un amico di scuola, mi ero posto il problema: "Se me lo trovo di fronte che cosa faccio? Sarò capace di sparare? Ma se lui sarà capace di farlo oppure non mi riconosce e mi spara?". Però sono stato scelto lo stesso e ho pensato per tutto il tragitto a questo e in che condizioni mi sarei trovato. Ma la questione si è risolta per il meglio, perché il presidio non ha resistito più di tanto, si sono arresi, caricati su un camion, portati alle porte di Novara e lasciati liberi di andare a casa con qualche pedata nel sedere. E da loro avevo saputo che questo mio amico era fuggito qualche giorno prima, aveva lasciato la postazione, secondo loro era un traditore che aveva disertato. Ma tornando al fatto del Conturbia, adesso come adesso non riuscirei a ragionare in quei 80 Il processo Colombara si è concluso con la condanna a trent 'anni di reclusione, in "Il Corriere

di Novara", 26 dicembre 1 945. Riconosciuto colpevole di avere partecipato a rastrellamenti condotti a Gozzano, a Domodossola, ad Asti, nel Biellese e a Casaleggio, Gaudenzio Colombara, conesponsa­ bile dell' uccisione di due partigiani a Badia di Bellinzago, venne condannato a trent' anni di prigione e al l a confisca dei beni. 8 1 AB, Testimonianza orale di Elio Soliani, Novara, 1 2 gennaio 1 97 1 , nastro 275. 328

tennini . Però in quel lnomento, in quel mOlnento storico, era spontaneo, era naturale che così fosse. E il fennento era tale, l' attesa era tale, per cui non seguivi neanche più il comizio. Non so se gli oratori se ne sono accorti, certo era che c' era un fennento strano. A un certo punto si sente il rumore di una macchina, spunta da dietro al Coccia questa macchina che punta verso l' ingresso delle pligioni, verso l' ingresso del castello. Come si usava allora, sul parafango, sul parabrezza e sul predellino della macchina c' erano i vari partigiani con il mitra imbracciato, perché non ci pareva vero di viaggiare su una macchina. Lì poi c' erano i pat1igiani cosiddetti allora, in senso spregiativo, "di città", quelli che erano tutti azzimati e agghindati, come vestiti della festa, che si opponevano alla furia di noi che eravamo lì in piazza e che volevamo giustiziare il Conturbia. Sono stati un po' malmenati, un po' mal­ trattati anche loro, strappati dal predellino, strappati dalle portiere, aperte violentemente le portiere della macchina, forse anche scardinate, per arrivare a raggiungere questo essere spregevole, questa persona se così si poteva ancora c1lÌan1are, perché di umano aveva ben poco. Estratto dalla macchina a viva forza, tutti hanno cominciato a infierire su di lui e la cosa è andata avanti... adesso sembra che sia andata avanti un' eternità, forse per linciare una persona non ci vuole tanto, soprattutto se una moltitudine di persone infierisce in questo modo. Sta di fatto che, nell 'eccitazione generale, alla fine è rimasto per terra questo essere distnltto, disfatto anche proprio fisicamente, una poltiglia. Solo che il ricordo che ho io è tale per cui io in quel momento ho pianto per non essere riuscito ad arrivare anch' io a contribuire a giustiziare questo essere. È una cosa che oggi mi fa rabbrividire, però allora mi serrlbrava così spontaneo e naturale che senza pensarci, inconsciamente, mi sono trovato a piangere di rabbia: "lo non sono riuscito ad arrivarci". Questo è l' episodio come n1e lo ricordo, non so se ingigantito dall' eccitazione della me­ moria di quei tempi, perché l 'eccitazione montava giorno per giorno. Si è sfogata sul Con­ turbia perché era l' unico che eravamo riusciti a individuare. Forse se ne avessimo trovati altri . . . perché eravamo andati in giro per Novara cercando anche qualcun altro, per esempio quello che si diceva avesse fatto una soffiata per l ' episodio delle fornaci di Cavaglietto. Era passato di lì un tizio con una bicicletta e aveva chiesto se qualcuno dei partigiani lì a Cava­ glietto aveva una pompa per gonfiare le gomme, che erano sgonfie. Era lui, non era lui? Sta di fatto che nella notte i nostri sono stati circondati, ma quello non l ' avevamo trovato»8 2 . Tra i "fattacci" del periodo successivo all' insurrezione si deve ricordare che il 3 n1aggio 1 945 vennero prelevati da partigiani dodici fascisti dallo stadio di Novara, adibito a campo di concentramento, con un ordine falsificato del Comando di raggruppamento, poi uccisi e gettati nel canale Cavour83. Infatti in quel periodo i prigionieri vennero concentrati non solo alla casenna Tamburini ma anche allo stadio, adibito a campo di concentramento per circa millecinquecento-milleottocento prigiollÌeri, che vivevano sotto tende improvvisate, osservati dal mercato coperto, divenuto una sorta di loggione per i cittadini, che vi si reca­ vano a fare commenti ostili. Dapprima vennero sorvegliati dai partigiani, sostituiti poi dagli americani che presidiavano lo stadio: avevano turato le finestrelle che davat10 sull' esterno, piazzato mitragliatrici sulle gradinate davanti alla tribuna e sistemato di fronte all ' entrata un carro armato con un cannone. Poi tra il 1 6 e il 1 8 maggio, su quattordici camion (nove dei quali partiti dallo stadio), i prigionieri uomini vennero trasportati prevalentemente a Bologna e le donne (caricate su due dei camion) a Milano, tutti a disposizione della V Annata per essere avviati a sgombero di macerie e altri lavori . A Porta Milano alcuni di loro sputarono in direzione della po­ polazione accorsa a vedere la partenza e uno di loro gridò: "Viva il duce !"84. .

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AB, Testimonianza orale di Giancarlo Zuccotti, eit. Si veda in Acs, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1 950-52, b. 3 3 , fase. 1 1 .430/5, la lettera del­ la Questura di Vercelli, 29 gennaio 1 949. 84 Si veda Il campo di concentramento dei fascisti e soprattutto I 14 camions liberati, in "Il Cor83

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A Vercelli inoltre il 1 2 vennero prelevati al campo di concentramento di Novara da par­ tigiani della 1 82a brigata Garibaldi "Pietro Camana" operante nel Biellese sessantadue ap­ partenenti al Pnf, all'Upi, alla brigata nera e alla Gnr, che perlopiù avevano fatto parte della colonna Morsero, e giustiziati durante la notte. Undici di loro vennero fucilati e somma­ riamente seppelliti a Larizzate; una decina e più sarebbero stati legati con del filo di ferro, stesi a terra e schiacciati sotto le ruote di due autocarri che si muovevano nel piazzale dell' ospedale psichiatrico di Vercelli «a guisa di due rulli compressori»85; altri sarebbero stati defenestrati o uccisi alla spicciolata sempre nei locali dell' ospedale psichiatrico, mentre il gruppo più consistente dei prigionieri venne portato «al ponte di Greggio, mitragliato e gettato nelle acque del canale Cavour»86. Quando nel 1 949 iniziò un procedimento giu­ diziario contro numerosi partigiani considerati responsabili di quell' eccidio, Luigi Longo avrebbe ricordato che i giustiziati erano «rastrellatori, seviziatori e banditi fascisti»87 e che quindi quelle esecuzioni erano state compiute - sia pur tardivamente, cioè oltre il 2 maggio - «conformemente alle direttive insurrezionali [ . . ] del CvI. Si trattava [ . . ] di fascisti che - come dice il proclama [noto come "Arrendersi o perire", nda] - o erano stati colti con le armi in pugno, o si erano macchiati di gravi delitti contro il movinlento di liberazione nazio­ nale e per i quali non era stata promessa la vita salva. Questi fascisti giustiziati avevano com­ piuto stragi e distruzioni di cascine e monumenti. Due avevano trucidato tre persone, com­ prese una vecchietta a Occhieppo. Questi criminali schiacciavano le loro vittime contro il muro con il paraurti dell' automobile. Altri avevano fucilato, al completo, il comando della 76a brigata "Gatibaldi"; altri avevano pugnalato alla schiena il sacerdote di Torrazzo; altri ucciso il sacerdote di Sala Biellese; altri avevano partecipato al massacro di decine di inno­ centi a Santhià; altri all' eccidio di 2 1 giovani a Salussola; altri alla fucilazione di 12 patrioti a Buronzo, di 2 1 a Biella; altri al massacro di 4 partigiani sull' autostrada Milano-Torino. La fucilazione di tutti costoro è stata conforme alle direttive del Comando generale emanate nel proclama [ . . . ] , che [ . . . ] intimava di fucilare tutti quanti erano colti con le armi in mano e che non promettèva la vita salva a chi, pur arrendendosi, si fosse macchiato personalmente di gravi delitti contro il movimento di liberazione nazionale»88. La vicenda di Vercelli se effettivamente svoltasi con le modalità indicate dai documenti di polizia, sembrerebbe confermare, sin nelle forme della ritorsione, la logica dell' ''occhio per occhio", con introiezione talvolta di comportamenti già assunti dal nemico, che è pre­ sente in ogni guerra civile. Secondo carte di polizia in tutta Italia si raggiunge una cifra di 8 . 1 79 persone soppresse e di 1 . 1 80 persone prelevate e presumibilmente soppresse, cioè di complessive 9.359, di cui 2.363 (25,2 per cento del totale) in Piemonte89. Questa cifra - sebbene da un lato sia com­ prensiva di tutte le persone uccise nel dopoguerra per motivi politici (quindi anche di alcune decine che fascisti n011 erano) e sebbene dall' altro sembri per qualche provincia un po' in.

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riere di Novara", 23 maggio 1 945 . 85 Si veda "Il Tempo", 22 novembre 1 949. 86 Ivi; e si veda anche, tra i materiali raccolti da Guido Crainz contenuti in Acs, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1 950-52, b. 33, fasc. 1 1 .430/5, la lettera del Comando dell' Arma dei carabinieli, 1 2 gennaio 1 949. Su questa vicenda sono purtroppo a disposizione soltanto fonti di polizia o giorna­ listiche, per di più di un periodo in cui era dispiegata la persecuzione antipartigiana da parte del gover­ no democristiano. 87 LUIGI LONGO, Si libera Borghese, si incarcerano i partigiani, si tradisce la Resistenza (Di­

scorso pronunciato alla Camera dei deputati il 25 febbraio 1 949), in lo, Chi ha tradito la Resistenza ,

Roma, Editori Riuniti, ] 975, p. 1 8 1 . 88 Ibidem, pp. 1 8 1 - 1 82. 89 Si vedano le mie elaborazioni sul citato "Appunto" del Ministero dell 'Interno in data 4 novembre ] 946 e sul rapporto in data 4 luglio 1 948 del prefetto di Bologna Giovanni D' Antoni al Ministero de] ] ' Interno in Acs, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1 950-52, b. 33, fasc. 1 1 .430/ 1 6. 3 30

feriore alla realtà, per eselnpio per quel che riguarda quella di Reggio Emilia9() - non fa che confennare l' inchiesta condotta da Pani alcuni mesi dopo la Liberazione tramite i prefetti, che lo aveva portato a valutare i caduti fascisti, compresi però quel li morti in cornbatti lnen­ to nei giorni della Liberazione, a non più di diecimila-quindicimila9 1 • Numero quindi assai contenuto, se paragonato ai circa ventimila collaborazionisti veri o presunti uccisi nel solo peIiodo post-liberazione in Francia, dove avvennero anche 79 1 Esse sono contenute in C. BERMANI, Dopo la guerra di liberazione (appunti per una storia ancora non scritta), in AA. Vv., Conoscere la Resistenza, a cura del LaboratOlio di ricerca storica "L' Ec­ cezione e la regola", Milano, Edizioni Unicopli, 1 994, pp. 1 02- 103. Questo "Appunto" riporta i dati comunicati dalle varie questure italiane all ' allora capo del governo Alcide De Gasperi che aveva al proposito ordinato un' inchiesta ufficiale. 90 Il documento - per la cui analisi dettagliata provincia per provincia si rimanda a C. BERMANI, Dopo la guerra di liberazione, cit., pp. 1 0 1 - 1 07 - parla di 50 giustiziati e di 70 scomparsi, quindi 1 20 persone. Sono le uniche cifre tonde del documento e questo già desta qualche sospetto sulla loro ve­ ridicità. Secondo Guerrino Franzini le uccisioni con movente politico avvenute in provincia di Reg­ gio Emilia dal 23 aprile 1 945 alla fine dell' anno sarebbero state 442, di cui 172 entro il 30 aprile, 1 07 in maggio, una nel mese di giugno e 6 da luglio a dicembre. Di altre 1 57 non si conosce la data esatta (GUERRINO FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, Anpi, 1 982, 3a ed. riveduta e ampliata, pp. 78 1 -782. La 1 a ed. uscì nel 1 966). Franzini, che ha utilizzato e vagliato elen­ chi di parte neofascista ed elenchi ufficiali, infonna che il numero dei morti potrebbe variare di dieci o venti In più o in meno, essendo conteggiate in questo suo elenco forse anche alcune persone morte prima del 25 aprile e potendo invece essere sfuggiti dei nominativi. Giannetto Magnanini stima inve­ ce che le uccisioni con movente politico siano state 433 , così suddivise: 1 42 tra il 23 e il 25 aprile, 1 20 tra il 26 e il 30 aprile, 1 4 1 in maggio, 1 8 in giugno (compresi 6 condannati a morte dal Tribunale dopo un regolare processo), lO nel 1 946, 2 nel 1 947, cui deve aggiungersi uno scomparso, proba­ bilmente morto. Ben 403 sono i morti entro maggio 1 945, quindi anche da collegarsi in parte ai com­ battimenti ancora in atto e in parte alla mancanza di una Corte d' assise straordinaria, istituita solo il 6 giugno 1 945 (G. MAGNANINI, op. cit. , pp. 64-7 1 ). Anche a considerare che Magnanini non ha conteggiato 44 nominativi rilevati da fonti incerte e che non hanno riscontri in altre fonti e 17 no­ minativi presenti nello schedario di Guerrino Franzini, pure senza riscontri in altre fonti, il quadro che ne deriva è pur sempre contenuto e non tale da modificare sostanzialmente il quadro generale. 9 1 Si veda Atti parlamentari. Resoconto delle discussioni. Anno 1 948, Roma, Senato della Re­ pubblica, 1 949, p. 563 . Di questa inchiesta, per ora, non s ' è trovata traccia negli archivi. Si conosce quindi solo il numero approssimativo complessivo degli uccisi fascisti, citato da Ferruccio Parri in Senato. Uno studio fatto nel 1 952 dall' Istituto centrale di statistica sugli omicidi di ogni tipo in Italia (fa­ scisti giustiziati e delitti politici, omicidi a scopo di rapina, omicidi passionali e infanticidi, ecc.) dà i seguenti dati generali: 1 943, 1 .658 omicidi; 1 944, 1 1 .009; 1 945, 1 0.833 ; 1 946, 2.334; 1 947, 1 .376 (Istituto centrale di statistica, Cause di morte negli anni 1 943-1948, Roma, 1 95 2, serie III, voI. I, p. 18 e ss). Anche questi dati fanno pensare alla complessiva attendibilità dell' ''Appunto'' citato (in­ chiesta Alcide De Gasperi) e dei dati riferiti in precedenza da Ferruccio Parri. Che Alcide De Gasperi, capo del governo dal dicembre 1 945 al giugno 1 953, non avesse pubblicato le cifre dell' inchiesta da lui stesso ordinata, fu una conseguenza della sua volontà di collocarsi politicamente in una po­ sizione intennedia tra antifascismo e fascismo. Questa omissione permise ai neofascisti di continuare a parlare a lungo di trecentomila fascisti uccisi alla Liberazione nel Nord d' Italia, attestandosi poi sui quarantaseimila di Giorgio Pisanò del 1 965-66 (numero che include però circa dodicimila italiani trucidati dai "titini" in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia a partire dalla fine d' aprile; e di pennettere la diffusione di una mitologia sull'Emilia-Romagna di cui furono vittime anche degli antifascisti, per esempio Carlo Silvestri, che nel 1 948 parlò di duecentomila collaborazionisti giustiziati, e Carlo Si­ miani, che nel 1 949 li valutò in quarantamila, di cui un quarto in Emilia-Romagna, quadruplicando la cifra italiana accertata dall' inchiesta voluta da Alcide De Gasperi su scala nazionale e quintuplican­ do addirittura quella accertata per l 'Emilia-Romagna ( 1 .958 persone, che salgono a 2.043 se si ag­ giungono 1 35 ulteriori persone uccise a Bologna nel corso del 1 946, segnalate da un ulteriore rap­ porto del prefetto di Bologna Giovanni D ' Antoni al Ministero dell' Interno del 4 luglio 1 948). Per queste e altre erronee valutazioni, oltre a fonti fasciste dell' immediato dopoguerra, si vedano: CARLO SILVESTRI, Contro la vendetta, Milano, Longanesi, 1 948, pp. 64 e 1 42; CARLO S lMIANI, I "giu33 1

esecuzioni capitali legittime92, mentre in Italia esse furono poche decine93, sebbene le corti marziali avessero condannato a morte circa duemila fascisti. Ha scritto giustamente Carlo Dionisotti, rivendicando il carattere di guerra civile alla lotta di liberazione nazionale, che «dal Trecento in poi, nella lingua e la letteratura, l' Italia petrarchesca è prevalsa su quella di Dante. Di qui la nostra riluttanza a chiamare le cose col loro nome, ad assumere le responsabilità nostre e costringere gli altri ad assumere le proprie»94. Solo chi ha assunto questo atteggiamento può sorprendersi che il clima della Resistenza si sia prolungato così a lungo in culture politiche, mitologie, aspettative diffuse e rancori. Cosa che ci ha ricordato clamorosamente anche Giuseppe Bonfatti, partigiano di Via­ dana, in provincia di Mantova, nato nel 1 924 ed emigrato in Brasile subito dopo la Libe­ razione, che il 6 novembre del 1 990 è tornato al suo paese per uccidere con un piccone Giu­ seppe Oppici, detto Barbisìn, fascista incallito, che nel novembre del 1 945, durante una rap­ presaglia, aveva partecipato alla distruzione della cascina e di tutte le altre proprietà del­ la famiglia di Bonfatti95. Racconta del resto Richard Cobb del prolungarsi delle vendette e delle uccisioni a Lio­ ne, città antigiacobina, durate dalla caduta di Robespierre ad almeno il 1 803, quindi per un decennio, tanto che «non si sa bene quante persone siano state gettate nel Rodano o nella Sa6ne tra la fine del 1 794 e gli inizi dell' Impero (spesso i loro corpi riaffioravano persino a V alence) ma senza dubbio si tratterebbe di un numero a quattro cifre. È quasi certo, co­ munque, che tra le vittime ben pochi erano i sostenitori del binomio "Cristo e re" e che i più avevano avuto a che fare in un modo o nell' altro con la burocrazia repressiva dell' anno II o erano sospettati, a torto, di averne fatto parte» 96. Anche in Italia non poteva che esserci una reazione alle efferatezze e ai massacri com­ piuti da tedeschi e fascisti, tanto più in assenza di un' epurazione degna del nome. Lo storico non . deve quindi mai dimenticare che gli strascichi che le guerre civili la­ sciano sono così lunghi che è ben difficile decidere una volta per tutte quando esse siano veranlente finite. Altrimenti si condannerà a non capire non solo peliodi complessi come quello della guerra di liberazione ma anche idee ed eventi di epoche posteriori. Tanto un medico in più un medico in meno, è lo stesso

Testinwnianza orale di Otello Sarzi Madidini, commissario politico del 30 battaglione della 6a brigata "Nello " Sul finire del maggio 1 945 i partigiani di un battaglione della 6a brigata "Nello", Franco Cassani "Franz" , comandante, Otello Sarzi, commissario, Mario Moscatelli, Alfredo Soncini "Mantova", Perotti e Mario Migliavacca sparano a Oleggio su un gruppo di fascisti armati, uccidendoli, e giustiziano il dottor Bonini. Verranno processati nel 1 952, condannati e liberati, rientrando il loro caso nell' anmistia Togliatti. Ma ecco in proposito la testimonianza di Otello Sarzi97•

stiziati fascisti " dell 'aprile 1 945, Milano, Omnia, 1 949, pp. 1 60, 1 76, 1 84; A. SCARPELLINI, La Rsi nelle lettere dei suoi caduti, Roma, 1 963, che parla di centomila collaborazionisti uccisi; G. PISANÒ, op. cit. , pp. 1 .801 e 1 .70 1 . 92 Per questi dati riguardanti la Francia si veda PHILIPPE BOURDEL, L ' épuration sauvage 1 9441 945, 2 vo]l., Paris, Perrin, 1 990- 1 99 1 .

9 3 A Novara, come è noto, ne furono eseguite sei . Si veda il racconto di Giuseppe Pomella alle pp. 335-336. 9 4 CARLO DIONISOTTI, Per un taccuino di Pavese, in "Belfagor", Firenze, fasc. I, 31 gennaio 1 99 1 , pp. 3-4. 9 5 Si veda LlDrA CAMPAGNANO, Quarant'anni dopo, la vendetta, in "il manifesto", lO novembre 1 990. 96 RICHARD COBB, Reazioni alla Rivoluzione francese, Milano, Adelphi, 1 990, pp. 77-78. 9 7 OtelIo Sarzi (nato a Vigasio, Verona, nel 1 922 ma da famiglia mantovana) è oggi uno dei più 332

«lo ho preso ventiquattro anni di galera e me ne hanno dati sedici in Cassazione. E ce li ho sul certificato penale per i fatti di Oleggio, per il dottor Bonini, il capoguardia e alcuni altri di Oleggio morti nel primo mese dopo la Liberazione. Che tutto pllma c'erano testimonianze del pmToco, della madre superiora, degli altri medici: la carognata di lascim'e morire il pmtigiano Creola dissanguato nel cortile della caserma. E poi, dopo che non l' hanno curato: "Tanto un cane più un cane meno è lo stesso". Allora c'erano cinque medici in Oleggio: "Tanto un medico in più un medico in meno è lo stesso", Oleggio non rimaneva senza medici. lo ho detto quello che aveva detto lui prima, lasciando morire un ragazzo di diciannove anni, che gli ha sparato il "Bisuns". Cioè io non ce l'ho contro il Bisuns che l'avevano fatto prigioniero. Troppo giovani, ragazzi inesperti, non l'hanno perquisito bene e lui era annato e gli ha sparato. Il fascista s'è difeso, ma il medico è un altra cosa! Era del mio battaglione il Creola. Assieme a lui c'era Soncini "Mantova". E avevano arrestato il Bisuns, se lo stavano portando via. Come t'ho detto, l' han prima perquisito, perquisito male, aveva la pistola. Lo chiamavano Bisuns, cioè straunto, sporco, ed era un fascista di Oleggio. E ha sparato al Creola, che poi gli han fatto il funerale a Mezzomerico. E dall'ospedale di Oleggio a Mezzomerico siamo andati noi a prenderlo. C'erano schierati due o tre battaglioni di partigiani, perché avevamo chiesto aiuto anche alla "Servadei". Ed è stato lì che io ho minacciato i medici, no. Uno l' abbiamo arrestato, era il veterinario, l' abbiamo lasciato andare. AltI; sono venuti su a scusarsi. Questo invece, che aveva sposato un'inglese, mandava un mucchio di gente in Germania. Allora prima c'erano tutte quelle testimonianze, al processo invece marcia indietro di tanti e tanti. E io così ci ho sedici anni sul celtificato. Beh, non ho fatto nemmeno un giorno perché c'era il magnmlimo Ercole Ercoli - Palmiro Togliatti - che è venuto a salvare anche un po' i fascisti come guardiasigilli ed io, per fatti partigiani, ho usufruito dell' amnistia per i fascisti. Roba da matti ! Lì a Oleggio però ne avevamo fatti fuori altri cinque, ma in un momento che loro stavano con le bombe in mano. Che ballavano al teatro, e noi ci avevano spostato, perché prima avevamo il Comando in quel teatro, poi ci hanno messi nella pesa pubblica. Ed è arrivata ' sta macchina e s'è messa lì tra il teatro e la pesa pubblica, ma dato che avevamo appena cambiato sede, non sapevo. . . C'è stato uno, ci ha chiamati: "Guardate, guardate ... ". Era un gruppo di fascisti che s'era messo in macchina e stavano svitando le bombe a mano tedesche e dentro c'era un ballo. E ce n'erano anche in divisa tra di loro. Siamo usciti, quattro sventagliate ... Volevano fare un attentato al teatro. E tra di loro c'era anche il Bisuns. Allora, dato che quella era azione di guerra, perché quelli li cercavano in montagna i carabinieri, chissà perché al processo non ne volevano sapere che se ne parlasse. Poi - qualche tempo dopo quei fatti - c'è stato

famosi burattinai italiani. Famosi come burattinai erano già suo nonno Antonio (San Giorgio, Man­ tova, 1 863- 1 948) e suo padre Francesco ( 1 893- 1 984), vecchio comunista che concepiva il teatro co­ me strumento politico; come spesso del resto farà Otello stesso, che attualmente risiede a Reggio Emi­ lia, dove ha trasformato una casa colonica in laboratorio per la costruzione di burattini e pupazzi e teatrino per le prove (per la sua attività si veda, per esempio, ALESSANDRO BRISSONI, Burattini e ma­ rionette di Otello Sarzi Madidini, in "Il Cantastorie", Reggio Emilia, n. 24, novembre 1 977, pp. 2627). Comunista sin da giovanissimo, viene condannato nel 1 938 con la sorella Lucia a due anni di sorveglianza per avere ciclostilato e distribuito volantini antifascisti e nel 1 940, perché denunciato a Parma per distribuzione di "stampa sovversiva", a tre anni di confino di cui diciassette mesi fatti a Sant' Agata Di Esaro (Cosenza), gli altri alla colonia agricola Marconia (Matera). Amico di famiglia dei Cervi, già prima del 25 luglio 1 943 agisce assieme a loro per procurarsi armi: disarmano il po­ ligono di tiro di Guastalla ( 1 8 moschetti), entrano nella casa del fascio di Fabbrico, ecc. E dopo 1 ' 8 settembre inizia subito assieme a loro l a lotta armata. Quando i sette fratelli Cervi vengono catturati e il 28 dicembre 1 943 fucilati a Parma, viene ricercato e si trasferisce a Novara, dove riesce a infiltrarsi con falsi documenti nel Comando dell' esercito repubblicano per fornire informazioni al Cln di No­ vara. Nel marzo ' 44 è però scoperto e va in Valsesia coi partigiani di Moscatelli, dove diventerà com­ missario politico del 3° battaglione della 6a brigata "Nello". Catturato dai fascisti il 3 1 marzo 1 945, poi consegnato ai tedeschi, uscirà dal carcere di Pallanza alla Liberazione. Sarà dal 1 949 al 1 95 1 prima di darsi integralmente all' attività di burattinaio - segretario della sezione di Novara dell' As­ sociazione pionieri italiani. 333

un incontro, l'hanno combinato i nostri avvocati difensOli, Pasquali98 e Bern1ani99, per parlare con il mare­ sciallo dei carabinieri, coordinare e chiarire un po' le cose, in maniera che non andassero alla ricerca di cretinate, perché per esempio i politici hanno subito coinvolto il Mario Moscatelli, no, il fratello di Cino, e poi il pubblico ministero era Casalegno, che era meglio che scrivesse spettacoli gialli. Cioè, dalla realtà a quello che stavano imbastendo loro c'era di mezzo il mare! lo ero in provincia di Mantova; sono venuto a Novara, ho messo dei partigiani attorno alla casa per agevolare la fuga in caso che facessero scherzi. Loro si sono assicurati che fossi tutto solo. Il maresciallo aveva dato una certa garanzia di agire onestamente. lo, volente o nolente, sono stato utile alla verità, non è che ... io sono d'accordo: "Chi sa parli" - come ha detto adesso Montanari lOO - ma non parlare solo di quando l'hanno ammazzato, bisogna anche parlare di prima e del perché poi l'hanno ammazzato. In quei giorni lì sono poi finito a nascondeffiÙ in casa dell'Ugo Ramazzotti lO l , che già mi conosceva e ha detto: "lo sono solo, ti ospito io". E cosÌ sono finito là. Anche per non dare sospetti, lui per abitudine andava via, è andato a sciare. E io mi sono trovato dentro un dramma di movimento in questa casa, perché i cassetti non potevo tirarli, le finestre non potevo aprirle, attento a non aprire la luce che non ti si vedesse a volte da fuori, no, perché volente o nolente sapevo anche come comportamù. Evitavo di fare tutte queste cose. Sono stato lì due giorni e dopo sono ripartito per la provincia di Mantova. Si stava poi attenti se dovevo andare anch' io in Cecoslovacchia, scappare. Poi m'hanno detto che non c'era più pericolo di arresto. Invece dopo parecchi giorni m'hanno arrestato all' albergo Cupola di Novara. Sono andato a letto lì con mio padre. Quando è stato verso l'una, ho sentito bussare e allora ho chiesto: "Chi è?". E loro m'hanno detto: "La polizia". Dico: "La Questura? Entrate, è aperta la porta". Allora è entrato il padrone e m'ha detto: "Signor Sarzi, c'è la Questura che le vuole parlare". Dicono: "È pregato di seguirci e venire con noi in Questura". E io ho detto: "lo vengo se avete il mandato di cattura". Dice: "Eccolo qua". E allora ho detto: "M'hanno fregato ! Ma come? M'hanno detto che ero libero, che non avevo più pendenze ... Come mai?". "Beh, adesso venga con noi. Si allacci, si allacci ... ", io avevo un paio di scarponi da montagna. "No, perché li devo allacciare che poi li devo slacciare per consegnarle le stringhe?". Allora, una parola tira l' altra, stavo per andar via e ho detto: «Papà! Papà!", dornuva nell' altro lettino. "Cusa ghè?". "Ghè la Questura". "Ah sÌ?". "/m portan via". "Ah va beh, ciao". I questurini ci guardavano esterrefatti. E sono stato arrestato per questioni burocratiche: non avevano ricevuto che avevano tolto il mandato di cattura. "Ciao papà. 'Seulta, va da Eraldo 102 e disagh eh 'i m 'àn purtà déntar". E sono stato dentro qualche ora. M' hanno portato p11ma alla Questura, poi invece m'hanno portato in Castello. E però non ho fatto neanche a tempo a stare un' ora in Castello che sono venuti e m'hanno riportato fuori» 103 .

9 8 Camillo Pasquali (Novara, 1 909 Novara, 1 956). Iscrittosi al Partito socialista unitario nel 1 925, attivo poi in Giustizia e libertà sino all' arresto del marzo 1 934, prese poi parte alla lotta di libe­ razione. Tra i fondatori del Mup (Movimento di unità proletaria), poi militante del Psiup (poi Psi), fu sindaco di Novara e senatore. Sia lui che Alessandro Bermani esplicarono in quegli anni una note­ vole attività legale in difesa di lavoratori e partigiani. 99 Alessandro Bermani (Novara, 1 906 - Novara, 1 979). Già antifascista, poi militante del Psiup (poi Psi) già durante la lotta di liberazione, amico inseparabile di Camillo Pasquali, diventerà poi sin­ daco di Novara, senatore e parlamentare europeo. 100 Otello Montanari, partigiano reggiano, presidente dell' Istituto "Alcide Cervi", sollevò nel 1 990 il problema di alcuni delitti politici avvenuti nel Reggiano negli anni del dopoguerra, invitando i protagonisti ancora viventi a fare luce su quegli episodi. 1 01 Ugo Ramazzotti (Roma, 1 900 - San Remo, 1 970), figlio di un garibaldino volontario divenuto poi proprietario teniero a Sozzago (No), era direttore della Filiale di Novara dell'Istituto federale del credito agrario. Volontario nella prima guerra mondiale, pmtecipò a un ammutinamento sulla "Dante Alighieri" nel 1 9 17 . Divenuto comunista, venne espulso nel 1 924 dalla Federazione di Novara per le sue tendenze bordighiane e - benché antifascista - venne riammesso nel Pci solo alcuni mesi dopo la Liberazione. 1 02 Trattasi di Eraldo Gastone. 1 03 AB, Testimonianza orale di Otello Sarzi Madidini, Reggio Emilia, 14 maggio 1 992, nastro 789. La testimonianza è stata fortemente manipolata per potere essere resa fruibile. In pruticolare non -

334

Era

un UOlll0

di fegato

Testimonianz.a orale di Giuseppe Pomella A Novara la mattina del 23 settembre 1 945 vennero fucilati, dopo condanna a morte della Corte straor­ dinaria delle Assisi di Novara del 14 giugno 1 945 , il prefetto Enrico Vezzalini e cinque componenti del la squadraccia (AltUro Missiato, Domenico Ricci, Raffaele Infante, Giovanni Zeno e Salvatore Santoro). Già ne ho par'lato nel capitolo XXX del primo volume. L' avvenimento eccezionale, sebbene si fosse voluto tenere segreto, trapelò egualmente e nella notte molti si recarono al poligono di tiro per assistere a quella fucilazione. Tra di essi vi era anche il fabbro aggiustatore Giuseppe Pomella, che a distanza di più di venticinque anni lÌcordava così quel fatto: «Mì im piasèva andà a végh ehì, al tiro a segno ehì. Ho visto fucilare Vezzalini. Era un uomo ... era il vero fascista quel lì. Quei lì son uomini, a parte ' desso che sia stato un fascista, ma un uomo che è mOlto con la sua fede. L'è mia stài, sa, uno di quei ... Erano là cinque della Squadraccia e lui sei. Li han messi proprio al primo... lì c'è il cimitero, adesso han fatto la casa mortuaria lì, nuova. E poi c'è subito il primo divisorio del tiro a segno. Proprio lì li han fucilati. Allora era una mattina che, sa, un po' di pioggia, così, allora mio cugino mi dice: "Lo sai che domani c'è la fucilazione dalle 5 e mezza in avanti?". lo allora alle 5 prendo su qui dalla strada ferrata ed eravamo là in cinque o sei, già a aspettare, diversa gente lì della Bicocca. E allora non c'era niente ancora. Dopo, verso le 6, anzi un quarto d'ora plima delle 6, si vede arrivare il camion con su quei sei. Eravamo là in dieci o dodici al massimo. Non lo sapevano eh. lo l'ho saputo per mezzo di mio cugino, che era al corrente. Ad ogni modo viene giù quel camion e primo scende Vezzalini con su un completo tutto quadrettato, un paio di scarpe gialle, con una cravatta rossa, una ... oh la Madonna! Al Biehìn al dis: "Dio ad 'na Madona, ma mì s 'a fissa mia parehè... la disvìstissi e mì a mèti sa mì cui pagn!". E allora Vezzalini è andato lì, li han messi lì, vicino con la testa del muro, e noi, c'era già giù un mattone lì, ma non si poteva vedere e allora con un sasso, uno di quei ambulanti che c'era, taeh taeh, ha potuto fare una bella breccia, sa, che potevano guardare cinque o sei. E lì si vedeva, alla distanza come di qua a quel caminetto lì, di quel coso lì della stufa [la testimonianza viene rilasciata nel salone del Circolo operaio di Sant' Agabio] . E lì Vezzalini lo mettono in posa e gli altri... lui era il più energico, gli altri erano già ... bisognava tenerli su insomma. Li han messi là tutti e Vezzalini dice: "Su ! Bisogna avere coraggio ! Si muore. Noi moriamo ma ci ritroveremo in cielo ! Bisogna gridare insomma, tenere alto il morale !". Era l'unico che moriva con lo spirito... gli altri invece ... vale a dire che lì, l'ultima parola che dice: "Evviva il Duce !", brrrrram !, tutti 'su lui ci hanno sparato ! Gli altri son caduti, ma non erano feriti. Loro han concentrato i cinque moschetti del plotone su Vezzalini. L'han tranciato proplio ! L'han tranciato ! E gli altIi son caduti dallo spavento, dalla paura. Non erano morti ! Li han messi in piedi. C'era Infante, c'era Missiato. Erano in cinque. E sei con Vezzalini. Tutti giovani di vent'anni, eh. E allora li han messi là contro ancora e allora pam pam pam, con la rivoltella. Ma lui è caduto proprio ... da eroe, ecco, possiamo dire. Si diceva: "Questo è un uomo da ammirare !". A patte ... ma il Vezzalini è stato ucciso col mitra. Gli altri invece no. Col colpo di rivoltella. Perché son caduti dalla paura, povra gént. Sa, eula gént che ... ma non avevano .. Pa quand ìn lì davanti a la mort... Però Vezzalini io l'ho visto già prima difendersi lì al Tribunale. E si difendeva da solo, eh. Lui era avvocato, mica è stupido, eh. E là nella gabbia, là, si difendeva da solo e tutto, non aveva bisogno di avvocati. E teneva anche per i suoi compagni. Ma lui sempre la sua parola: "Alto il morale ! Si muore, ma ci vedremo in cielo ! Viva ... ". Porco cane! Era un uomo così, eh. Un uomo da ammirare. A parte adesso che sia stato fascista, ma anche gli avversari lo dicono: era un uomo di fegato. Poi quella mattina là, mi ricordo sempre, poi li han caricati, sa, c'erano già le casse bianche, quatr ass inciudà così, taeh taeh taeh, e i àn purtà là. Vezzalini ha fumato l'ultima sigaretta, gli altri no. I altar i fomavan mia. Cui là i eran già morto Ma la, cui là, m 'i gh 'l'ò sempre in vista, eh. E non mi dimentico neanche la faccia. Un bell'uomo, piccolino, un bell'uomo. E allora eula matina là uma gna via e pa mì ò 'ndai a védai a sepelì. Alura ghéra Vezzalini eh� pa agh n éra van da part, pa tutta la coda in fondo. Appena dentro al cimitero, al cimitero vecchio, insomma .

I

solo sono stati uniti più blocchi di conversazione disseminati sul nastro ma anche sono state spostate intere frasi prima o dopo. Trad.: «"Cosa c'è?". "C'è la Questura"» ; «"Mi portano via"» ; «ascolta» ; «digli che mi han por­ tato dentro» . 335

non quei due a parte, 'ndua che ghè 'dèss al Martìn, al Vignàn, al Riccardo, inta cui quàdar IL al Bertuna, e 'ndua ch 'al ghè Bai, tCtti lì, tCtti 'nta cui quàdar lì i éran. E ICt 'l Vezzalini, lui l'han messo proprio davanti. Poi ci han fatto una bella lapide nera, con su: "Qui riposa Vezzalini". E dopo mi pare un anno o un anno e mezzo, la famiglia l'ha fatto esumare e l'han portato al suo paese» 104.

104 AB, Testimonianza orale di Giuseppe Pomella (nato a Novara nel 1 896, già fabbro aggiusta­ tore) , Novara, Circolo operaio di Sant' Agabio, 2 gennaio 1 972, nastro 307. Trad. : «Mi piaceva andare a vedere qui , al tiro a segno qui»; «qui»; «non è stato»; «Il Bichino dice: "Dio di una Madonna, ma io se non fosse perché . . . lo svesto e mi metto su io quei vestiti !»; «povera gente. Sa quella gente che . . . ma non avevano . . . poi quando sono lì davanti alla morte . . . » ; «quattro assi inchiodate cosÌ, tach, tach, tach, e l i hanno portati là»; «Gli altri non fumavano. Quei là eran già morti. Ma lui, quello là, io ce l ' ho sempre davanti» ; «quella mattina là siamo venuti via e poi io sono andato a vederli seppellire. Allora c ' era Vezzalini qui, poi ce n' era uno da parte, poi»; «dove c'è adesso il Martino, i l Vignano, il Riccardo, in quel pezzo di campo n . . . il Bertona, e dove c'è il Bai, tutti lì, tutti in quel pezzo di campo n erano. E lui i1». 3 36

LXXIV IL MITRA NEL CAMION

A Grignasco riprendevano a poco a poco le vecchie tradizioni d' epoca prefascista. Anzitutto rinasceva la "Banda operaia", sviluppatasi all'inizio del secolo dalla "fanfa­ ra" sorta nel 1 880 per iniziativa del più vecchio socialista grignaschese, il dottor Giovanni Francioni. Lo notava con gioia "La Squilla Alpina": «Sta risorgendo la nostra vecchia musica, ricca di un passato di trionfi musicali e che ha senlpre goduto della simpatia della popolazione. [ . . . ] Anche qui la civiltà fascista ha lasciato le sue tracce: strumenti asportati o fracassati per diletto dai baldi mutini dell' ex presidio repubblichino, ed i locali usati come un immondezzaio. La scuola degli allievi, che era stata sciolta durante la guerra, sta rina­ scendo» l . «A cura della locale Sezione del Pci si è svolta un' applauditissima rappresentazione tea­ trale con "Un cUlioso incidente". Hanno intercalato la bella commedia goldoniana pezzi musicali eseguiti dalla nascente orchestra della Filodrammatica, ed il finale è stato ral­ legrato da comiche macchiette. [ . . . ] Gli artisti, t-utti dilettanti, possono essere soddisfatti del successo ottenuto. Il numerosissimo pubblico ha tributato calorosi applausi. In modo par­ ticolare si è distinto nella parte del vecchio padre, Gori Mario [ . . . ] . Al compagno Geddo, segretado della Sezione, pronlotore ed organizzatore della nuova e promettente Filodram­ matica, che pur tra una bicicletta e l' altra da riparare trova il tempo di dedicarsi alla rinascita delle belle tradizioni del popolo, un ringraziamento particolare»2. Anche qui si rinverdiva la tradizione di teatro sociale che il maestro Eugenio Riba e altri socialisti avevano iniziato con la creazione di una compagnia di dilettanti, che il Primo maggio 1 903 aveva esordito nel teatro della Società operaia e che sarebbe durata sino all' avvento del fascism03• «A Grignasco una volta esisteva un monumento commemorativo dei Caduti della guer­ ra 1 9 1 5 - 1 8 , SOltO per iniziativa del popolo. Poi venne il fascismo che, rappresentato anche qui dai suoi zelanti segugi, distrusse l' opera creata dalla riconoscenza popolare. Sono pas­ sati 19 anni [ . . . ] ma l'asportazione del monumento non è stata digerita dai grignaschesi che, ad ogni costo, vogliono che ritorni» 4• Sembrava che tutto potesse ricominciare come prima, ma era un illusione, perché già da subito il vecchio tornava a installarsi tra le pieghe della vita quotidiana: «È stato accertato che lo squadri sta Francioni Pierino, colpevole di numerosi reati commessi con le squadre d' azione fasciste durante l' avvento del fascismo, di aver partecipato all' assalto della Coo­ perativa di Soriso, durante il quale assalto venne ucciso il presidente, di aver organizzato l' aggressione Castaldi [ . . . ] è stato rilasciato dal carcere. Invece il delatore Fantini Vito pure di Grignasco [ . . . ] è ancora dentro. Si dice che non lo lasciano uscire perché, a differenza del Francioni, non ha molti quibus»5. I [F. SACCHI] , Musica, in "La Squilla Alpina", Milano, a. I, n. 7, 28 ottobre 1 945 . 2 [ID] , A teatro, ivi. 3 Su quest' attività si vedano, per esempio, le cronache da Grignasco de "Il lavoratore", Novara,

l maggio 1 903 ; 4 luglio 1 903 ; 1 2 dicembre 1 903 ; 17 luglio 1 920. 4 [F. SACCHI] , Pronti di mano e lenti di comprendonio, in "La Squilla Alpina", Milano, a. I, n. 7, 28 ottobre 1 945. 5 [ID] , Criminali a passeggio, ivi, n. 5, 14 ottobre 1 945 . «Quibus» sta per «quattrini» . 337

Viene invitato a insegnare in paese «il maestro Rolando Giuseppe, appartenente al liqui­ dato esercito repubblicano (puach). Malgrado la protesta del Cln il provveditore agli Studi non si è ancora deciso di toglierci dai piedi il suddetto individuo . . . » 6 , cui si fa presente che i ragazzini di Grignasco «hanno anch' essi vissuto la guerra partigiana ed al fez preferiscono il fazzoletto rosso e il mitra di legno, per i loro giochi» 7 • Mentre l'epurazione si svuotava di contenuti, si doveva fare i conti anche con la disoc­ cupazione e moltissimi ragazzi dell"'Osella" ne erano colpiti. Il fenomeno era generale e i partigiani tentarono di ovvianle in parte il peso creando proprie cooperative, che però rappresentarono più una rottura che una continuazione con l'esperienza organizzativa che il movimento partigiano aveva accumulato durante la lotta di liberazione: «I nostri coman­ danti - nota acutamente Carlo Riboldazzi - non hanno saputo trasferire la pelfetta organiz­ zazione partigiana nell' organizzazione civile. Le formazioni della Valsesia erano diven­ tate un vero e proplio esercito. Finita la guerra, prendi l' organizzazione così com' è e tra­ sferiscila nel vivere civile ! Quelle erano le cooperative possibili. Un servizio di collega­ menti validissimo, la struttura sanitaria che può curare, la sussistenza che sa come rifornire. Metti assieme ' sta gente e i partigiani e fai delle cooperative funzionanti ! »8. Le cooperative partigiane che si fecero allora furono soprattutto di trasporto, con impie­ go degli automezzi di preda bellica. Alla fine del settembre 1 945 ce n'erano in Italia duecen­ todieci con seicento camion circa in grado di funzionare, seimila partigiani impiegati e trentamila soci, organizzate in un Consorzio regionale lombardo, con sede a Milano, ema­ nazione dell' Anpi9. Di cooperative di partigiani nel Novarese se ne costituirono varie, e non solo di auto­ trasporti. Tra le prime, già in maggio, la Cooperativa autotrasporti dei partigiani della divi­ sione "Mario Flaim" a Intra, una cooperativa per l'estrazione dell' oro dalle sabbie del Ti­ cino a Pombia, la cooperativa socialista "Mario Campagnoli" a NovaralO, Poi, senlpre a Novara, il 1 giugno si costituì la grossa Unione cooperative "GaIibaldi", che si occupava inizialmente di tre attività: costruzioni, trasporti, arti grafiche; alle quali si aggiunse poi quella agraria. Sorgeva con l'intento di dare un lavoro ai partigiani e ai reduci disoccupati, di devolvere gli utili alle famiglie dei partigiani caduti, ai partigiani rimasti invalidi e alla ricostruzione di baite e casolari bruciati da tedeschi e fascisti I l . L'Unione cooperativa poteva usufruire di macchinari e struthlre prese al nemico. La cooperativa edilizia aveva preso tutti i materiali dei cantieri Todt, quella di autotrasporti aveva portato da Milano più di cento automezzi tra cui più di trenta autobotti piene di quell' infanle carburante che dicevano essere benzina e che si vendeva a borsa nera, la Coope­ rativa tipografica "La Stella Alpina" poteva basarsi sulle macchine e su un intero treno di carta presi al "Popolo d'ltalia"12. Eppure l'esperienza di questa conle delle altre cooperative partigiane, a differenza di tante altre cooperative sorte in quegli anni , fu un disastro. Racconta Alessandro Maiocchi "Massiccio II'', prima giovanissima staffetta e poi partecipe di una di queste esperienze cooperativistiche: «In agosto c'era in giro i camion della "Pizio Greta" e abbiamo fatto come una Cooperativa Garibaldi al foro Boario di Borgomanero. Noi della "Pizio Greta" avevamo due motocarri Guzzi, una moto Mas, un Lancia tre Ro, un Fiat 26, un Fiat 66 e un rimorchio. Poi si sono aggregati alla cooperativa due di Santa Cristina che sono venuti 6 [ID] , Indesiderabili, i vi, n. 9, I l novembre 1 945 . 7 /vi. 8 AB, Testimonianza orale di Carlo Riboldazzi, Orta Novarese, 1 3 marzo 1 993 , nastro 795, cit. 9 Le cooperative trasporti, in "La Squilla Alpina", Milano, a. I, n. 30, 30 settembre 1 945. IO S i veda A . MIGNEMI, art. cit. , p . 1 3 . I l ISRNo, appunti biografici datti loscritti di Arrigo Gruppi "Moro", cit. 12 Si veda AB, Testimonianza orale di Arrigo Gruppi, Novara, 7 aprile 1 993, nastro 796, cit. 338

a casa da un campo di concentramento in Gennania. Avevano lavorato un po' per gli ame­ ricani e quelli gli avevano dato un camion svizzero grosso, un Saur. Poi è venuto anche i I Bufalo e il cognato del Mora. Loro avevano un Fiat 34 col rin10rchio, che era stato della "Loss". Dopo, verso l' inverno arriva l' ordine da Novara di unirsi tutti a Oleggio Grande, al deposito della Cansa, dove facevano i motori degli apparecchi, per lavorare assieme a quelli e abbattere i costi. Allora la nafta costava l' ira di dio. Andavi a Bari e già allora, andata e 11torno, ci voleva moltissimo. Perché la nafta la trovavi al mercato nero e dovevi com­ perarla lì perché l' assegnazione era quella che era. E lì a Oleggio Grande avevamo i ca­ pannoni della Cansa, mentre a Borgomanero si è lasciato soltanto uno che cercava il lavoro e che faceva i contratti. Allora i due di Santa Cristina, il cognato del Mora e il Bufalo sono venuti via perché han detto: "Il camion è nostro. Noi stiamo qui in zona". Cosa potevi dire? E sono andati a casa col Saur e con il Fiat 34. E noi siamo andati a Oleggio. A Oleggio, che amministrava, c'era un Chirinotti di Fontaneto d' Agogna che faceva il carrozziere e ci metteva a posto un po' le casse dei camion. E lì avevamo diversi camion e diverso materiale. Va che abbiamo fatto tutto l'inverno lì. Poi, nel '46, abbiamo dovuto andare via da Oleggio e siamo andati anche noi a Novara, nei capannoni del V magazzino aeronautica. La sede centrale era al palazzo Faraggiana, dove prima c'era il Comando tedesco, vicino alla chiesa di San Gaudenzio. lo dormivo lì e lì c'era l' Anpi, la presidenza di tutte le cooperative e una mensa della cooperativa. Alla cooperativa edilizia lavorava anche il Briga, che era uno dei capi e che aveva molti muratori di Briga. Funzionava, il lavoro cresceva, lavoravano in pieno. Poi nell' agosto del '46 si sono messi a fare anche una cooperativa agricola. E la vanno a fare dove adesso c'è l' aeroporto della Malpensa. Era un campo d' aviazione della guerra, del fascio e dei tedeschi, però proprio in disarmo, quattro casermette ed era tutta una ster­ paglia. Per fare un' azienda agricola nel Novarese si doveva prendere una risaia, dove c' hai acqua e c'hai tutto. Ma vai all ' aeroporto della Malpensa perché è dello Stato e non si paga­ vano le tasse? Vanno lì, fanno lo statuto, spendono dei capitali della madonna, comperano delle mucche olandesi, qualche trattore, qualche camion, e come amministratore dell' a­ zienda è andato giù il Frisé, Colombo Gaetano, e inoltre il Quire della Cacciana, Bertona Giuseppe, il mio fratello Maiocchi Pietro, il Coletti Luigi di Cascine di Goi e altri. E lì, quando sono andati giù, hanno caricato diversa roba della Cacciana, le botti del vino per vettovagliamento per ridurre anche le spese. Pensa te cosa hanno fatto ! Hanno speso diversi milioni, e allora i milioni erano milioni, per andare in una brughiera ! E lì si sono messi a lavorare il frun1ento, che quel campo d' aviazione era pieno di gramigna, su quel terreno duro, poi ghiaia . . . figurati ! Come prateria era tutto sterpassa, tagliavano il fieno quella pri­ mavera per le mucche. Era un deperimento continuo. La gente, alla fine del mese c'era uno stipendio da pagarci, fino a quando sono venuti stufi e si andava via. Poi un malcostume. Non si poteva prendere dalla Cooperativa autotrasporti o dalla "Stella Alpina" o dalla Cooperativa edi­ lizia per dare soldi al Partito comunista! Tutte le volte che il partito aveva bisogno di soldi glieli davano. Inoltre gente che non produceva, gente che non capiva un cazzo. Chi dirigeva lì alla Malpensa era il Galli (Di Lella), un capitano d' aviazione, e non era all' altezza. Nella Cooperativa autotrasporti c'era direttore Cafiero Bianchi, incompetente anche lui, sebbene fosse un ragazzo attento. Però bisogna vedere come li facevano ' sti contratti lì in sede, per­ ché lavorare si lavorava, i camion erano tanti e non costavano niente. Poi il problema delle gomme. C'era gente che andava a comperare gomme, materiale per trasporti. lo dicevo: cui lì i trùfan, cui lì. Non può costare quella cosa lì. Biglietti fasulli. lo ero giovane, ag­ giustavo le gomme, aiutavo i meccanici, andavo a comperare con il motocarro e discutevo dei prezzi. lo ero cresciuto con dei nonni che sapevo cosa voleva dire guadagnare un pezzo di pane. Invece lì c'era un malcostume di incapacità, incompetenza. Andavano là a comandare perché loro erano capi, comandanti. Ai competenti non gli 339

davano strada. Ecco il malcostume che ha rovinato la cultura di quella povera gente. E così è andata a rotoli la Cooperativa "Garibaldi" d' autotrasporti. Quella edile è andata avanti ancora un po' e quella tipografica di più. Ma qui, subito dopo la guerra, si doveva tagliare le mani. Incapacità, cattiva amministrazione e soldi al partito sono le cause di quel disastro. Il Pesgu, lui però non era venuto a Oleggio Grande, ha fatto per suo conto a Grignasco. Per­ ché lui dice: "Che . mi, dò da lavorare ai miei di Grignasco". Ma il Mario Pesgu anche lui non era all' altezza»13. «Sì - conferma Ginevra Vinzio - nel luglio '45 venne fondata la Società anonima coo­ perativa autotrasporti Grignasco ma non erano ancora i tempi giusti per potere lavorare con tutti quei camion, richiedeva un' amministrazione diversa. Tra quei ragazzi, gente che aves­ se una cultura particolare non è che ci fosse. Tu devi pensare che quando è scoppiata la guerra molti di loro avevano quindici anni, quando è finita alcuni ne avevano diciotto. Cosa ne sapevano di come si amministrava? Il Pesgu era un uomo molto buono, molto bravo. Ed erano buoni e bravi anche i ragazzi, perché avevano imparato a sparare e a fare il partigiano. Ma non erano preparati per altre cose e tuttavia avevano bisogno di lavorare. Per loro era un bisogno lavorare, nla non avevano la base per an1ministrare una cooperativa. Non erano come i furbi che si erano preparati. Per esempio, nel '40 in filatura quando lavoravano per i tedeschi accantonavano la roba bella e la nascondevano, perché dicevano: "Quando fini­ sce la guerra noi lavoreremo per la gente che ne avrà bisogno. Quindi la roba che ci danno questi la mettiamo via". Il primo gennaio del ' 45 Silvio Bozzalla, soprannominato "il Kaiser", che allora era il padrone delle diverse filature, come amministratore delegato ha messo da parte gli Osella, che fino allora erano stati gli amministratori della filatura, e ha messo dentro Renato LOInbardi, che allora era un impiegato della Edison, marito di una ni­ pote sfollato a Crevacuore. Sapeva che era una persona valida, l'ha messo a capo. E quando è finita la guerra loro erano pronti con dei cervelli. E nel '46 cominciavano già a inserire in filatura i reduci, i partigiani che volevano entrare. E han cominciato anche a dilatare la filatura che è andata avanti fino al '48 a costruire. Ma c'erano altre teste. Ma con la coo­ perativa, eusti matài, que vurévi eh 'i fassu? Non potevano avere una capacità di condurre una cooperativa. La cooperativa era dei soci e loro avevano bisogno di vivere. Invece in quel periodo lì una cooperativa doveva lasciare tutto per tirarsi su. Invece il paese allora era impegnato nel vivere, nel rifarsi, c' erano tutti i bisogni» 1 4. Ma per i partigiani non era stato facile anche l' ingresso in filatura. E ne sapeva qualcosa l' Agostino Barbaglia: «È stato triste il dopoguerra perché eravamo sì da una parte dei vinci­ tori, però non ci potevano vedere perché già il 25 aprile i preti dal pulpito hanno detto del male. Poi subito c'è stata una propaganda. . . I partigiani gli davano fastidio e noi abbiamo fatto la fine che hanno fatto i garibaldini dopo la spedizione dei Mille. E i partigiani che ave­ vano portato il fazzoletto rosso . . . hanno tentato di metterci anche in galera, abbiamo trovato difficoltà di trovarci un posto di lavoro. Era nata una legge che ogni azienda era obbligata su cento operai a prendere dei reduci e dei partigiani. E allora, sai, non tanto per il padrone, ma c'era sempre quello che batava al bastòn ant i rovi. A noi è successo a Grignasco che a un certo momento abbiamo mandato una lettera al sindaco, al maresciallo, alla Prefettura, all' Ispettorato del lavoro e personalmente all' ingegner Lombardi: "Fate qualcosa, altri­ menti noi non rispondiamo più di quello che potrebbe succedere". Infatti c'è stata una famo­ sa riunione in municipio, che il rappresentante dei partigiani ha detto questo: "Se prendete questi cinque o sei, io ho finito il mio lavoro". E l' ingegner Lombardi, il vecchio, li ha presi . .

1 3 AB, Testimonianza orale di Alessandro Maiocchi, Orta Novarese, 1 5 aprile 1 993, nas1J-o 796, cit. Trad.: «sterpaglia», «quei lì truffano, quelli» ; «io». 1 4 AB, Testimonianza orale di Ginevra Vinzio, cit. , Cascinone di Borgosesia, 12 aprile 1 993, na­ stro 796. Trad . : «Questi ragazzi, cosa volevi che facessero?». 340

tutti e il giOll10 dopo sono andati a lavorare, mentre fin in que] momento lì per noi non c' era posto. lo ero in lista, per nove volte m' han scancellato dalla lista. Perché dicevano che avevo le mucche. Ma erano di nuo padre e io, già sposato, facevo una fan1iglia a parte ! Poi sono anche stato chiamato in Pretura a Borgomanero e lì m' hanno fatto tante domande: "Scusate, volete sapere da me chi ha fatto questo e quest' altro. Ma perché non andate a cercare chi ha ucciso nuo fratello?". L' hanno piantata lì, ho firn1ato il verbale e da allora mai più nes-suno ha detto niente. Ma volevano colpire qualche mio comandante» 1 5 . Il ricordo delle pesanti discriminazioni negli anni del dopoguerra torna spesso nei racconti dei partigiani e, per esempio, Carlo Riboldazzi racconta: «I giornali dei mesi estivi del ' 45 : di colpo i partigiani diventano ladri, assassini, delinquenti; tutto quello che capitava di male era fatto dai partigiani. Arrivo a Torino, vado al Politecnico, alla porta ci sono l'ex segretario del Guf [Gioventù universitaria fascista] , un suo tirapiedi e due dei più sfegatati fascisti. "Alt, dove vai?". "Vado al Politecnico". "Documenti". "Che documenti vuoi !". "Sai, dobbiamo verificare se tu sei ... ". "A te non dico niente del tutto". Con me c'era un certo Ferro che era più deciso di me e dice: "O andate fuori o vi spacco i denti". Erano lì che facevano quel tipo di controllo. Lo stesso professore universitario che nel 1 942 mi man­ dava via dall' esame perché non avevo la camicia nera, nel ' 45 mi diceva: "Ma scusi, che cosa ha fatto lei in questi diciotto mesi? Dov' era lei? Perché non era qui a fare il labora­ torio?". Mi chiedeva quello e mi bocciava. Oppure quando andavi al Politecnico a presen­ tare la domanda per riprendere, io ho fatto quattro volte la fila perché non c'era mai il tirnbro giusto: "Ma c'è il timbro di Moscatelli !". "Chi è questo Moscatelli? Deve andare a un Co­ mando militare". Al Comando militare dicevano: "Scusi, lei chi è?". "Ma io sono un partigiano di Moscatelli". "E chi vi conosce?". Per fortuna io ho trovato un alleato che m'ha detto: "Guardi, qui c'è un timbro. Non so cosa valga ma tenga questo timbro qui". A quel punto, la quarta volta che facevo la fila, mi hanno detto: "Perché porta questi documenti? A lei non servono perché non ha dato esami in questo periodo". E ho dato i sette esami che mi mancavano tra il maggio e il dicembre del ' 45 . lo volevo chiudere perché i miei non ave­ vano più mezzi. Ma all'Università ho trovato delle difficoltà enormi e poca comprensione. C'era gente che pretendeva che tu rivedessi degli studi fatti cinque anni prima, ma poi finalmente sono arrivato alla laurea in ingegneria mineraria. Vado a cercare lavoro e faccio la domanda per il primo lavoro alla Cogne. Faccio la domanda, la signorina mi dice: "Non dica che è stato partigiano. Se lo dice il nostro capo le straccia la domanda". "No, lo metto". E quello m'ha stracciato la domanda in faccia. Alla Fiat più o meno lo stesso. Poi trovo finalmente una brava persona che mi trova un posto al Comune di Milano e mi dice: "So che non sei comunista. Ma dì quantomeno che sei di sinistra!". Perché altrimenti lì era difficile essere assunto. Così sono arrivato al Comune di Milano il 28 ottobre del 1 946 e m'hanno detto: "Se vuoi avere qualcosa, chiedi un piccolo omaggio. È normale da noi". Insomma, al Comune di Milano se volevi fare passare una pratica, dovevi pagare. Mi ricordo un povero disgraziato che aveva una casetta in via Co­ mune antico, era sinistrato e noi riparavamo le case. ' Sto poveretto è venuto con 1 .000 lire. "No, scusi, non le voglio". "Ma mi han detto che bisogna pagare . . . ". "No, stia tranquillo". Sono stato lì in Comune un certo tempo, poi ho trovato la capacità di andare fuori e vado in una ditta italoamericana. Sono entrato come ingegnerucolo e sono diventato nel giro di due anni e mezzo direttore commerciale destinato a funzioni di livello europeo. Combinato, fatto, mi sposo, è stabilito che devo andare a Parigi. Mi chiama un giorno il signor ammini­ stratore delegato e mi dice: "Caro ingegnere, purtroppo abbian10 saputo che è stato parti­ giano comunista. E noi non possiamo dare un incarico di fiducia a un partigiano comunista". 15 AB, Testimonianza orale di Agostino Barbaglia, l O ottobre 1 988, nastro 725 , cit.

Trad. : «metteva il bastone tra le ruote».

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CosÌ ho preso la mia roba, l'ho messa assieme e me ne sono andato. Pensa che ancora adesso c'è gente di Carpignano che mi dice: "Eri un bravo ragazzo, ma hai fatto il partigiano". E nota che io ero un partigiano garibaldino nla democlistiano. Però i cattolici hanno rifiutato i partigiani. lo comunque per il lavoro mi sono arrangiato, ma quanti si sono arrangiati?» 16 . E Arrigo Gruppi: «Se uno aveva fatto il partigiano era da scartare. lo dopo la Libera­ zione ho fatto domanda per un ente romano di immobiliari. Cercavano un architetto. Ho fatto la domanda con la presentazione dei documenti. Hanno detto: "Sa, lei è un ragazzo che mi piace, sarebbe proprio il tipo adatto. Però ha il difetto che ha fatto il partigiano". Avere fatto il partigiano era una remora» 1 7. C' era però anche chi, come Alessandro Boca, si buttava nello studio, usufruendo di quella straordinaria creazione partigiana che fu il Convitto-scuola Rinascital8: «Finita la lotta partigiana ho pensato: "Adesso andiamo al potere". Poi la prima delusione sono state le elezioni del ' 46, quelle amministrative. E poi un mio desiderio di fare quello che non ave­ vo fatto prima, cioè studiare. Mi sono messo a studiare, dentro a pesce, con l' entusiasmo che avevo conservato dalla guerra di liberazione» 19. Grazie al Convitto-scuola Rinascita per ex partigiani Andrei prendeva la maturità clas­ sica, si iscriveva al Politecnico e nel maggio del 1 953 si laureava ingegnere. Tuttavia anche a lui si sarebbe continuato a non perdonare di essere stato partigiano e sarebbe stato arrestato per vicende partigiane - l' eliminazione di quattro "partigiani in proprio" deliberata dal Co­ mando di raggluppamento - alla vigilia di Natale del 1 955. Trattenuto nelle carceri di No­ vara assieme ad Attilio Strigini "Briga", Giovanni Valsesia, Amelio Rinolfi, per una decina di giorni, in seguito era stato assolto perché il fatto non costituiva reat020 . Quanto al Pesgu, sin da quando era in montagna diceva: «Che . . . qui che facciamo la mia villa; che . . . là facciamo la villa del Francesco». E il Francesco gli diceva: «Mario, quando andiamo a casa,' andiamo a lavorare senza tante storie, sta tranquillo»2 1 . Era proprio stato cosÌ. Mario era presidente della Società anonima cooperativa autotrasporti di Grignasco, ed era coadiuvato dal vicepresidente Verginio Cacciami e dai consiglieri Francesco Sacchi, Dino Borelli, Giuseppe Donetti e Bruno Milanoli22. Una delle prime deliberazioni era stata che ogni anno una parte degli utili fosse devoluta pro "Caduti Partigiani"23. Questa cooperativa aveva dato inizialmente lavoro a una ventina di partigiani disoccu­ pati, ridottisi però già alla fine del '47 a sei. L' aumentare della concorrenza delle imprese autotrasportatrici private, spesso in grado di offrire il servizio a prezzi inferiori, portò ine­ vitabilmente al contrarsi del numero dei dipendenti che, man mano che trovavano altri la­ vori, se ne andavano. Siccome poi il patrimonio della società era costituito dagli automezzi catturati al nemico durante la guerra di liberazione, che però appartenevano allo Stato in quanto "residuati bel­ lici", quando si trattò o di riscattarli o di renderli, la Cooperativa non fu in grado di optare per la prima soluzione e si sciolse24. Comunque nella storia di quella cooperativa il Pesgu si era mostrato tutt' altro che all' altezza della situazione, anche perché debolezza politica 16

AB, Testimonianza orale di Carlo Riboldazzi, Orta Novarese, 1 3 marzo 1 993, nastro 795, cit. 17 AB, Testimonianza orale di Arrigo Gruppi, cit. 18 Si veda in proposito A scuola come in fabbrica, Milano, Vangeli sta, 1 978. 1 9 AB, Testimonianza orale di Alessandro Boca, settembre 1 965, nastro 74, cit. 20 Si veda al proposito ALESSANDRO MONFRINI, "Andrei ", San Pietro Mosezzo, Tipolitografia "Grafica Novarese", 1 993, pp. 77, 79, 87, 88, 95 . 2 1 S i veda AB, Testimonianza orale di Francesco Sacchi, settembre 1 965, nastro 7 3 , cit. 22 Si veda AB, appunto di Francesco Sacchi dal titolo Anpi, scritto nel novembre 1 945 per l'even­ tuale pubbl icazione in "La Squil1 a Alpina". 2 l Ibidem. 24 Da una testimonianza orale di Dino Borelli, Grignasco, 24 settembre 1 993. 342

e scarsa istruzione avevano fatto sÌ che fosse c ircuito da alcuni notabili di Grignasco, che in tal modo riuscirono ad appropriarsi di beni che nei giorni della liberazione erano finiti in possesso dei partigiani. Ricorda Fanny Carniello: «Quando siamo venuti giù, questi quattro signoroni che c' era in giro erano tutti appiccicati ai comandanti partigiani. E ci davano da intendere quello e ci davano da intendere questo, e lui era sempre insieme ai signoroni. Non lo mollavano mai, eh. Non lo mollavan mai ! Loro ci andavano dietro, ci andavano vicino»25. Questi notabili del paese, dice ancor più esplicitamente Agostino Barbaglia, «siccome il Pesgu non è una persona istruita, l 'è 'n gnurànt 'mè 'n sapòn, i àn manipulalu 'mè eh 'ìn vursa e poi l' hanno portato a fare delle azioni disoneste, digoma pura. Quant lu ghévu ant i man lu giugavu 'mè eh 'i vulevu. Però dopo, a un certo punto, eus qui gh 'ante ressa va pia e i àn smerdalu 'n pablieh»26. Di contro, puntualizza il Berto Sassi, «quando si è scesi, tutti questi partigiani erano piuttosto abbandonati. E lui non è che li seguiva come li ha seguiti nella guerra. Tanto vale che avevano fonnato una cooperativa di autotrasporti e sul subito realmente era messa be­ ne, anche perché c'erano tutti questi partigiani, vari ragazzi che sapevano fare. Perché il Novemio è uno dei migliori meccanici, proprio, e anche il Donetti era meccanico»27. Però poi dalla cooperativa Pesgu noleggiava spesso qualche camion a titolo personale per andare a portare al Sud del riso e fare carichi di quei materiali (olio, corde, ecc.) che gli Alleati lasciavano lì e mettevano all' asta. E su quella attività aveva un po' abbandonato i suoi ragazzi e la cooperativa, s'era insomma messo a fare il commerciante per sé, indi­ vidualmente. E quando poi hanno cominciato a sparlare dei partigiani, c'era in paese chi malignava: «Lui sÌ che fa i soldi, mentre voialtri fate la nnseria»28. Ma questi discussi comportamenti di Pesgu coesistevano poi in lui con altri di tutt' altro genere. Già si è detto della fondazione della Casa di riposo per anziani29 e di come il Pesgu fosse stato di quelli che avevano collaborato a nascondere le armi30 • Insomma continuava anche a sentirsi e a comportarsi da partigiano. Anzi, lo faceva fin troppo, tanto da mettersi nel gUaI. L' I l novembre 1 945 era uscito il primo numero de "La SiIinga", settimanale qualun­ qui sta, che sparava a zero sui partigiani. A un anno dall'insurrezione, date le continue pun­ zecchiature antipartigiane del giornale, la notte del 24 aprile 1 946 un gruppo di ex parti­ giani, tra cui alcuni del Battaglione ausiliari di pubblica sicurezza, ne distruggevano la sede novarese, costringendola ad interrompere le pubblicazioni sino al 1 6 giugn03 1 • Ora, uno dei bersagli preferiti de "La Siringa" era proprio il Pesgu. Quando il giornale qualunquista pubblica una vignetta con la Traversagna cosparsa di croci di uccisi, il Pesgu ne sequestra il direttore, Emilio Ubezio, che avrà poi buon gioco a raccontare e pubblicare la vicenda a tinte fosche con il titolo "Tentativo ' squadrista' di soffocare la libertà di stampa. Ubezio aggredito da quattro partigiani sul treno Varallo-Novara": «Sono salito in treno alla stazione di Borgosesia il mattino del 2 novembre. [ . . . ] .Tutto si svolse nonnalmente fino alla stazione di Grignasco, e fu appunto qui che uno degli stessi aggressori entrò nello scom25 AB, Testimonianza orale di Fanny Camiello, Grignasco, aprile 1 965, nastro 69. 26 AB, Testimonianza orale di Agostino Barbaglia, aprile 1 965, nastro 69, cit. Trad.: «è ignorante come una zappa, l' hanno manipolato come hanno voluto»; «diciamo pure. Quando l' avevano nelle mani lo giocavano come volevano»; «questo qui non gli interessava più e l'hanno smerdato in pubblico». 27 Si veda AB, Testimonianza orale di Umberto Sassi, cit., aprile 1 965, nastro 70. 28 Ibidem. 29 Si veda C. BERMANI, Pagine di guerriglia, cap. LXXII, pp. 307-308. 30 Ibidem, cap. LXXIII, p. 3 1 0. 3 1 Si veda A. MIGNEMI, art. cit. , pp. 45-46. 343

partimento [ . . . ] e, dopo essersi assicurato della mia presenza in treno, uscì per tornare qual­ che istante dopo, accompagnato dai suoi tre amici e cioè Mario Pesgu di Grignasco, e co­ mandante della brigata paI1igiana "Osella", Gino Costa, Bordiga e Piero Cocco. [ . . ] Im­ mediatamente il Bordiga mi colpì con violentissimi pugni al viso e [ .. ] gli altri gli prestarono subito man forte. lo [ . . . ] tentai invano di tirare il segnale d' allarme, mentre la gragnuola di colpi sul viso e sulla nuca mi intontiva sempre più al punto che giacqui sul sedile, piegato in avanti, per lasciare il sangue fluire dalle ferite. Da questa posizione pensò il Bordiga a togliermi, sferrandomi potenti calci sulla faccia. Giunto il treno a Prato Sesia, il Pesgu, che pareva capitanare la banda, decise improvvisamente di interrompere il viaggio, e aperto lo sportello dalla parte contraria alla stazione, afferratomi per il soprabito, mi scaraventò fuori e in un attimo gli altri mi seguirono, mentre i due viaggiatori che erano nello scom­ partimento rimanevano impassibili [ . . . ] . Si pensò subito da parte del Pesgu di buttarmi oltre la staccionata di cemento, ma i miei richiami di aiuto persuasero forse gli aggressori a se­ guire altra via. Un viaggiatore si sporse dal finestrino, ma il Bordiga gli impose di ritirarsi, pena la vita. Il treno si mosse e io, afferrato da Bordiga stesso e da Cocco, preceduto da Pesgu e dall' altro compare, fui portato fuori dalla stazioncina, ove, sul piazzaletto, ricevetti un' ennesima scarica di pugni, questa volta da Pesgu stesso. Ricordo di aver gridato i nomi dei miei ag­ gressori, allo scopo di farli intendere al personale della stazione, il quale si era ritirato in tutta premura nella stazione stessa. Sempre tenuto per le braccia dal Bordiga e da Cocco e preceduto dagli altri due, percorsi il vialetto che porta sulla provinciale Varallo-Novara. Cammin ammo tutti insieme alcun poco sulla provinciale, e poi voltammo a destra. Traversammo prati, ci inoltrammo in sen­ tieri sperduti, salimnlo piccoli dislivelli, scendemmo in vallette ancora buie. I miei "cu­ stodi" evitavano con una speciale cura di passare accanto ad abitati, e allo spuntar del sole raggiungemmo la località che i quattro avevano precedentemente stabilita. La marcia durò in tutto circa due ore, e durante il percorso, il Bordiga nu fece intendere che sarei rimasto loro prigioniero finché non fosse venuta una decisione da parte dei "superiori". [ . . . ] La lo­ calità scelta per il mio soggiorno era uno di quei casotti che servono ai contadini per riporre i loro arnesi di lavoro, posto nel mezzo di un vigneto, al culmine della strada cosidetta "Tra­ versagna" che unisce Grignasco a Boca. Qui fui sommariamente perquisito, mi furono tro­ vate in tasca alcune lettere ed annotazioni, che nu furono però restituite, dopo la lett1.1ra. Lasciati di guardia gli altri due, il Bordiga e il Pesgu si allontanarono dicendo di avviarsi a Grignasco. Poiché ero infreddolito, chiesi di uscire al sole, e i due guardiani uscirono con me. Alcuni contadini laVOraVaIl0 a un centinaio di metri da dove io mi trovavo, e per quanto i due angeli custodi si fossero sdraiati a dormire, non mi fu possibile chiedere aiuto ad alcuno. [ . . . ] Svegliatisi, i guardiani mi pregarono di non riferire del loro sonno al Pesgu, il che mi lasciò intendere che vigeva e vige tuttora tra di loro una specie di disciplina militare. L' attesa durò fino a mezzogiorno e a tale ora, riapparve in motocicletta il Bordiga, il quale mi porse dell' acqua ossigenata e del cotone onde potessi medicare sOn1ffiarianlente le ferite che avevo sul volto, e che ancora non avevano cessato di sanguinare. Partimmo poi tutti e quattro e raggiungemmo il santuario di Boca, ove fu ordinato un pranzo alla trattoria della Villa, posta sul piazzale aIltistante la chiesa. I miei tre sequestratori, man­ giarono di ottimo appetito, ed io, seduto allo stesso tavolo, sorbii un cucchiaio di minestra. [ . . ] Fui interrogato sulla tiratura del mio giornale, sui corrispondenti, sulle vere intenzioni del fronte dell'Uomo Qualunque, sui suoi appartenenti e su un'infinità di altre cose. [ . . . ] Verso le quattro, mentre Bordiga con un compagno si era recato a cercare le sigarette, giunse una macchina Artena, pilotata da Carlo Cocco di Borgosesia, nella quale erano il Pesgu e Mario Moscatelli, fratello del deputato. L' atmosfera cambiò immediatamente e, seduti allo stesso tavolo ove era stato consumato il pasto, si iniziò una conversazione la cui forma apparentemente tranquilla mi stupì. Furono discussi alcuni articoli da me scritti sulla .

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"SiIinga", e tuttavia in nlodo sommario, tanto che ebbi l' impressione che una certa fretta fosse nei tre di liberarsi al più presto della mia presenza. Salimmo poco dopo sulla stessa macchina io, Pesgu, Mario Moscatelli e i due fratelli Cocco e ci dirigemmo verso Prato Sesia, ove avrei dovuto prendere il treno per Novara, alle 1 7.30 circa. Giunti a Prato Sesia fui io stesso a pregarli di portarmi fino a Romagnano, la cui stazione dispone di un bar munito di telefono. Qui sceso, telefonai a Borgosesia per rassicurare la mia famiglia [ . . . ] il Pesgu, qualche ora prima nella trattoria della Villa al san­ tuario di Boca mi aveva "invitato" a scrivere che io ero sceso volontariamente dal treno a Prato Sesia»32. Insomma, sequestrato lTbezio, Pesgu doveva essersi preso una bella tirata d' orecchi da Cino e da altri. Di qui il maldestro invito di Pesgu a scrivere quel biglietto - quasi un' anlmis­ sione di colpa più che una prova a discarico - e la fretta di rilasciare Ubezio da parte di Carlo Cocco e Mario Moscatelli. Comunque Ubezio - come si vede anche da questo articolo - non si sarebbe ovvianlente lasciato scappare l' occasione di dare ampia pubblicità al fatto e di utilizzarlo in tutte le salse per fini di speculazione politica antipartigiana. Anche in conseguenza di ciò, il 25 novembre 1 946, verso le 1 6.30 arrivano a Novara da Verbania circa duecento partigiani armati, decisi a strappare al prefetto non solo un serio impegno sulla questione d l riconoscimento dei gradi partigiani agli effetti amministrativi e militari, ma anche a liquIdare "La Siringa", di cui il prefetto sospende temporaneamen­ te le pubblicazioni. Tuttavia la massa dei partigiani si dirige su casa Pramaggiore, sede del giornale, sfonda il cordone armato di polizia che è schierato a protezione della sede, la de­ vasta e la incendia. Vengono picchiati un impiegato e due ragazze trovate nella sede e dan­ neggiato un alloggio adiacente preso per sede dell'Uomo Qualunque e per la redazione de "La Siringa". Nella notte duecento agenti del Battaglione mobile di Torino e del reparto Celere di Milano circondano Verbania e iniziano un rastrellamento, arrestando undici par­ tigiani di quelli recati si a Novara. La grande mobilitazione in provincia fa sÌ che poi essi siano via via rilasciati. Processati il 6 dicerrlbre, otto vengono assolti e tre condannati, ma con i benefici di legge33. Tuttavia la canea antipartigiana stava crescendo, tanto che Moscatelli, già il 16 febbraio 1 947, denunciava la carcerazione di circa tremila partigiani34 in Italia. Pesgu era ornlai an­ che lui nel mirino della magistratura - su di lui pesava tra l' altro l' accusa di "sequestro di persona" per la vicenda con Emilio Ubezio - e lo sapeva. Inoltre la cooperativa aveva ormai chiuso. CosÌ ha deciso di andarsene dall' Italia. Nel 1 948 ha risposto a un bando che chiedeva camioIùsti per la Bolivia, si è accordato con il Consolato boliviano di Genova ed è partito assieme ad una ventina di partigiani divenuti camionisti - di Prato Sesia, di Borgosesia e della Romagna - e con in certo numero di camion. Ma sbarcato a Lima, in Pero, si è accorto di essere stato truffato con i suoi compagni. Velmero infatti a sapere che la compagnia petrolifera per la quale avrebbero dovuto lavorare non esisteva35 . Si racconta che nel sottofondo del suo camion Pesgu avesse nascosto il suo mitra, per tenerselo vicino, perché gli era molto affezionato ed era il simbolo dell' epoca della sua vita



32 EMILIO UBEZIO, Tentativo "squadrista " di soffocare la libertà di stampa. Ubezio aggredito da quattro ex partigiani sul treno Varallo-Novara, in "La Siringa", Novara, a. II, n. 35, l O novembre 1 946. 33 Si veda A. MIGNEMI, art. cit. , pp. 25-26. 34 [vi, p. 63 . 35 Si veda PIERO BARBÉ, Torna dopo 25 anni a Grignasco il comandante partigiano Pesgu, in "La Stampa", 2 settembre 1 97 1 ; e AB, Testimonianza orale di Giuseppina Vinzio Galloppini, Gri­ gnasco, 24 settembre 1 993, appunti. Giuseppina Vinzio, sorella di Mario Pesgu, mi ha dato tutte le infonnazioni richieste, di cui ho tenuto ampiamente conto, sulle vicende sudamericane del fratello.

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in cui si era sentito importante e lo era effettivamente stato. Ma gliel' avrebbero trovato e requisit036 • Però non si limitarono purtroppo a questo, perché bloccarono tutti i camion e proposero a lui e agli altri di andare a impiantare una segheria in Amazzonia. E lì, questi partigiani­ camionisti, fecero due anni di vita da cani per poi accorgersi che non c'erano strade per fare arrivare ai centri abitati le enormi cataste di legname che avevano abbattuto e preparat037• Intanto era stato raggiunto da Annalisa, che aveva sposato poco prima di partire, una donna che gli piaceva non solo perché era bella ma anche perché era una maestra che parlava bene ed era istruita38; ed era stato raggiunto dalla piccola Marinella di un anno, cui si sarebbe presto aggiunto Massimo. Dopo avere perso quei due anni nella foresta, Pesgu si trasferì in Argentina e fece per dodici anni il camionista, duemilaquattrocento chilometri alla settimana avanti e indietro da Buenos Aires a Mendoza. Poi si comprò una piccola fattoria e si mise a fare il contadino. Coltivava frutta e ortaggi e li portava al mercato. Nel ' 68 mise in piedi un laboratorio familiare per rifornire di salsa le numerose pizzerie di B uenos Aires. Comprava pomodori e assieme a Massimo e a un altro lavorante preparava e inscatolava la salsa. Intanto era diventato nonn039• In compenso tra Grignasco e Prato Se­ sia era rimasto un personaggio miti co, sicché, ancora negli anni attorno al ' 68 si fabulava che fosse stato sulla Sierra con Ernesto "Che" Guevara e lo avesse poi seguito in Bolivia. L' unica volta che dal 1 948 è venuto in Italia è stato alla fine d' agosto 1 97 1 , per quaranta giorni40• E a Grignasco gli hanno fatto grande festa. Se n' era andato in epoca di "caccia al partigiano" e questa non prevista accoglienza lo aveva reso visibilmente contento. Oggi è in pensione, ha passato gli ottant' anni e ha cinque nipotini41 • Credo possa ricordare con orgoglio la sua vita avventurosa.

3 6 In AB, Testimonianza orale di Aldo Vinzio, cit., aprile 1 965, nastro 69, si affenna la realtà della cosa. Tuttavia essa è stata smentita da Nando, un partigiano novarese che fu direttamente partecipe della vicenda: Pesgu avrebbe posto nei camion numerosi fucili da caccia e non armi da guerra, la cui vendita aiutò non poco nei primi tempi di pennanenza in Pero il gruppo di camionisti. Si veda in proposito AB, Testimonianza orale di Agostino Barbaglia, aprile 1 965, nastro 69, cit. In questo caso è assai difficile decidere se credere alla prima versione del cugino di Pesgu o ritenere che si tratti di una leggenda partigiana. 37 Si veda P. BARBÉ, art. cito 3 8 AB, Testimonianza orale di Ginevra Vinzio, Cascinone di Valduggia, 1 2 aprile 1 993, nastro 796, cit. 39 Si veda P. BARBÉ, art. cit. ; e AB, Testimonianza orale di Giuseppina Vinzio Galloppini, cit. 40 Si veda la conversazione che ebbi con Pesgu il 3 ottobre 1 97 1 , riportata in C. BERMANI, Pagine di guerriglia, voI . I, cit., Appendice II, pp. 940-944; nella riedizione, in cap. XXVIII. 4 1 AB, Testimonianza orale di Giuseppina Vinzio Galloppini, cit. 346

APPENDICE

TRASCRIZIONI MUSICALI DI ALCUNE CANZONI CITATE ' NEL CAP. LIV a cura di Enrico Strobino

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u- na

r I

l'as

r

F l'op-

pres-

r sal-

Fr

,

Il

Là su in Baranca

su in



Ba-

l'è

a

ri-

l'è

l'al-

le-

l'è

l'al-

le-

ste-

se

san

miei

co-

lo-

0-

non

pal- li- da

glia dal- to-

ri

vo-



su in

ri-

a

par-

li.,.

pal-

non

Ba-

ti-

da

J

J

J

vo-

glio

dot-

E Il EJJr il .r=o li

E

c:::! I F

ri

ri

ste-

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dei

a

gri-

o-

gri-

J J I J�

nei

to-

o-

E

I�P)?J r

le-

a.

c'è un

gian.

IfP

l'al-

gri-

ca

ran-

c'è un'

ca

ran-

dot-

glio

nei

miei

co-

lo-

o-

ma

fia-

schi

de

cui

to-

ri

0-

ri

e

non

se

san

vo-

bun.

355

E alla sera verso il tramontare

14 1 t·

}J E

lì-

con-

ten-

10-

la

14

356

ro

ci

tor-

ti

ra

ver-

na-

no

la

pa-

se-

che al-

bel-

la

gia-

so il

tria

ven-

da

Ma-

sca-

tel-

son

gia-

va-

ni e

son

bel-

la

re

lor

tria

pa-

la

J. O ve-

cuo-

nel

glion

mon-

rv

ta-

re



san-

no

da-

ne-

mi-

re

tù .

gui-

no

tra-

las-

Li

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la

al-

fe-

han-

PJ

I J J J J I �

re

li

li

dal

J

J

J

Ii-

be-

raro

ca

tra-

di-

:11

Anche il fascista quel criminale

An-

1* t·

che il

y

og-

quest'

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I .J

J �

J

J

co-

me le

mo-

sche

} ei

par-

....

JJ I

gia-

ti-

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J J ni

cri-

ta

gli è an- da-



J

quel

sta

pe-

e

1*

scj-

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I

....

J

stan-

J

J

J.

lor

do-

vran



:J I



no a

di-

p

mi-

na-

le

ma-

1 I mo-

le

J

J

ri-

re

I Qj

ver-

ti-

:11

ir.

Torna chi torna, resta chi resta

Tor- na chi tor-

14

J

J J

J

sem-pre u- na fe-

14

J c'è

na

re-

sta

chi

)IJ J sta

e

se

J qual-

J. l J J J per

gli

al-

tri

del

re-

sta

per noi com- bat- te- re è

J J JI J J J cu-

no

ri-

ma-

IJ 3 � vi-

no

in

ne

J.

lag-

J. giù

Il

più .

357

E a colpi disperati

Ift a

J

J J J

Ea

Ifl 14�1

col-

di-

pi

JO

ti

dal-

le

I

J ì

1.,1

bel-

Ifl If

} J.

sci-

ci-

fu-

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le in

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) ). li

mas-

sa-

sci-

)

ri-

bel-

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ca-

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li

ri-

li.

spal-

pa-

bel-

fa-

J J J j J

J

scap-

te i

do

zo ai

J

J

bel-

J I J J

1 1 J

dan-

358

sti

}

ri-

li

col

dan-

J

J

J I J } J

J I -1 1 J

)

J J J J E

net-

io-

,

:.

mez-

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gri-

) .n

J

ti in

ra-

J

ba-

de- va- no

1m

spe-

J J J j J

cra-

J J

J

la

ca-

ri-

ca-

J to a

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J

J.

la i

f

J fa-

J

I

gri-

no

)

)

ab-

bia-

t..

J' te

J� I J. pie-

tà.

Il

Duecento di Rimella

I� I , .

l

cen-

Due-

I�

J J J J I cen-

14'1

Ifn

.r-J J

J

gia-

ni

sem-

pre in-

tiagia-

mo te

la con-

i7 --===1 t=J cusot-

Iqn

ri to

cantro i

J



J

ra-

le

gaz-

J77j .r=] cin-

zomu-

bia- mo van- no a

te

lor

vi-

ste sa

patut-

J.

j

J

J

J

giacu-

te lo

contut-

tro i to

murot-

ze

dei

"-""

ran-

canpian

reete

mo e

si

chie le

I

par-

tro-

ti-

1

J �

Noi

tia-

�----J--ri. to.

no

pian

J J J J J ca-

quat-

s: 1 J

sa-

noi e

ne ri

la e

Q I J J J J J

J7 J

lo

mel-

Ri-



J J �I

le ab-

di-

to

ral-

Va-

di

to

§J.......J � J

J J J

J

siam fan-

can-

sino

;El .r-J sese-

J

re re

2. Ap-

apcon



I

pogil

:11

pog-

359

o partigiano d 'Italia, in alto i cuori

] J I J

1

J

p ar-

ti

gia-

an

d'l-

ta-

a-

lia

mon-

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d el -

la

Val-

se-

e-

sia

I

r

r

I

IJ

)



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P

in

al-

to i

cuo-

o-

ri

s ui

ban-

die-

ra

ne-

e-

ra

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J

mon­

ti

l ut-

to

14" �

I r 1

E2J I V al - '

del-

la

dei

p ar-

I J

F

0-

re.

er-

ra.

J J. . i 1 A

da-

360

J-

o

10-

Ir

J.

S ui

g ue -

Ir

J J

J.

ti -

sia

c 'è il

tri­

co-

gia-

ni

che

fan

la

:11 ;1

1

J

mo- o n - ti

più

al -

J J.

)

I i1 J .

)

I r

sci-

c a - ro- no

Giu-

sep-

r J.

gia-

12.

J. tà.

ni

W 1 F

ab-

bia-

e

te-

pe e

Ma-

sti

b

te

mo an-

tJ ,.

r

de-

s c hi

ri-

a

1J

che

in-

o

p ar-

"

vo -

ti -

=) J. j I

c h e i n - vo-

tà.

IJ

J. j 1

ab- biam incon -

) 1 l pie-

-J

ti

11.



J Il

J.



Sia-

sui

fa-

W

se-

ti

tra - to

w-g I J

r

il

,

) O

J.

quan-

J ti

:11

A morte la casa Savoia

L-- 3 --' A

a

It l: I�

'!!!

J

fa-

noi

J scio

vo-

ca-

mor-

te

la

ca-

scio

y

L-- 3 -----.J

te

glia-

Quel-

la

stir-

la

]

J

re-

pub-

bli-

can

pub-

bli-

chin

re-

]

J

sa

Sa-

vo-

o-

del

bo-

o-

ia

ia

r

L--- 3 ----..J

mo

a-

sa

J J J 3 J I w.--o

3

- J J J

fa-

la

mor-

a

e

te

j J

)

I� ì-

mor-

i.

pe as-

li-

ber-

ce

siam

par-

ti-

gian.

tler

vi-

va

Sta-

lin.

a

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J

a

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te il

ab-

bas-

so

"9

Hi-



na

i-

J

:a

�-

Du-

si-

sas-

2. A

J

J

mor-

te il

te il

:11

36 1

Cime nevose

14 �

le

sul-



ci-

dJ

I

ì

u-

r=

I

ì

na

vi

non

I J. ri



ro-

tom-

14

r

r par-

14 14

sno-

- -

-

362

- - -

le al-

do al-

-==----

-

l'è

te

J I fio-

, I J

r la

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r L'è un

nel

mi-

fuo-

co

co uc-

j-

cj-

r I

r se

l'è un

1 F' rì

mo-



F

fra i

dol-

Y

J r

1

0: 0

te

vet-

pian-

san

che il ne-

EIF

E

F

r

cl J

O O

j r

pen-

U

r ci e a-

cu-

ti

J

J

fra i

ti

I



gian

che

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da-

ce

va-

lì è

j

ti-

an

E2i1t

F

par-

D J

r can-

14

gia-

( J san-

B1

r �t 1 �

ti

cro-

I)

501-

di un

gian l'è un

r

r

F

F I r·

r

G

ti

par-

14

ba

r

J.

se

I

F

ne-

r I J.

r



J I

me

r I

J

se

14

J I UJ

IJ

r r 1 J,

ri-

F

F

I r·

ver-

so il

pian .

vo-

li

fru-

scian-

ti

Il --

- ----- - - -------------------

Alla mattina si apre un cancello

la

AI-

mal-

tj-

ed

lo

cel-

j-

a-

si

na

io

tra-

J

J.

}

J

J.

)

ma-

dre

che

gri-

da

ven-

I�'d

y

} JZ) ha per-

so il

can-

pre

la

c'è u-

en-

IfB

un

re

ma ad

pri-

sem-

son

pre

I J

J.

}

fi-

glio

nel

J det-

I

na

-I

;g ta

J

J.

fior

dell'

J� e-

tè.

363

Gravellona, Gravellona

O I r·

�. Gra-

It

J.

r.

;'

Ia-

vel-

na

tra-

di-

tri-

ce

i-

io ho

a

la-

It

a-

e

gni

J

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sul

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i

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tÙ.

bel

i

j

la

la

tria

pa-

r:



ti

com-

�:

i

gio-

ven-

mol-

del-

12.

J

la-

del-

D

fior

:11

J

to

scia-

1 1.

pa-

Gra-

-: i

r

Il: mi-

na

P i O

J

------

lo-

)

Il



Moscatelli non voglio il cambio

It l

J J

Mo-

It It

Il:

tel-

sca-

J J5J j f

p iat-

f

tut-

to di

pa-

sta-

f r r

ta

se

j Q j

l 'è

li

j sciut-

r fred-

non

vo-

J

j

j

j

j

glio il

cam-

bio

dam-

mi un

J J J I f.

ta

l'è

se

r I j

r r r da

la

cal-

scal-



dar .

t1 f

da

la

man-

J J

f

gio

:11

-----------�

. ---- _. __._- .-- ------------

364

Noi siam la canaglia pezzente

Noi

siam

la

ca-

na-

glia

su-

da e

te

noi

si a-

ma

chi

ra

sor-

gia-

ma

che

J E22J :, 1 r

lt

ra

It l:

in-

'"

sor-

gia-



r

r

Ev-

vi-

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tU

ma

giun-

ta è

giun-

r 1 F ì So-

ta

vo-

è

l'a-

la

7· �

r

r

ev-

vi-

va

viet

zen-

la-

EJ Ù

I

che

pez-

I J fin.

F 1 r ì Sta-

:11

lin.

Mussolini si credeva il novello Napoleone

... 4�

-

...

J.

14

J

J

fo-

ne



li-

J. O vel

j

Na-

J

-=------

ni

de-

ere-

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va

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le-

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o-

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ne

I r·

in-

p in-

ed

ve-

l ce e-

J. J ve-

ce e-

J. j ra un

J. ra un

buf-

J I buf-

-

Il

4�

J no-

il

-

so-

Mus-

14

I

-.

fon

-

e-

ra un

buf-

I

fon.

365

Marciam, marciam

sot- to il so- le ar- den- te

E

let

mi-

let It

O Od

u na il

par-

ti-

no

gia-

mi-

na il

j

r

par-

na al-

ciam.

let

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tar-

noat-

zai-

che

mar-

stan-

E2J7(jf I r

j r le-

no

gia-

gra-

men-

ciam

con

te

mar-

t;

del-

co

mai

r

si

G I to

con

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sen-

nB j

ar-

cam-

I

r

rr te

cam-

(jJ j

r

gio-

a-

Ia-

cam-

J

dar.

Mar-

I uJJ R n l

J ti

ciam ci bat- te il cuo- re s'ae-

cen- de

la tiam- ma

la

J J JJ J rI J J tiam- ma dell' a- mo- o-

r U [J

re

ta-

no né co- lon-

nel-

s'ae-

01

mor quan- do ve- do un par- ti-

cen-

lo né ge-

la

D fffr t

r gian

de

pas-

ne-

de- al

un

par- ti-

gia-

no

fiam- ma

) J] I non c'è te-

sar

ra- le que- sta è la

J:J J r E2f I r 8 r J I

j-

366

i r r r r

col

� I

I�

pas- so ae- ce- le- ra- to

(jJ [JJ � I .r-J ES

mi-

let

con

vor- rei

spo-

J. sar.

mar cia

la fiam- ma dell' a-

J n

JJI

nen- te néca- pi-

dell' j- de- al dell'

I

Il

Coraggio o partigiano

l'U

l' .r=J

y.

Ifl J Ifl If' lifD lifD I�

lifD lifD 14'

rag-

Co-

gio





I





tan

spi-

so-

J.

il

ver-

so il

J mo

I



ma per

dor-

mi-

re un pò

di

J. 3 J. 3 J. 3 J. � I

spes-

so non ab- bia- ma da

man-

J . � J. � O il 1

no-

stra ca-

ra a-

mi-

ca è la

mi-

J. 3 J. J J. � J. �

nel-

le

E:1 por-

ta

not-

ti a

val-

le

sa

can-

[] O U

se

ci

chia-

ma- no

ban-

J. 3 J. 9 } J }

re-

mo

sem-

pre

u- ni-

ti

è

non

J

J

ra-

ta

lon-

e

1

J

tan

nell'

)

de-

scen-

ì·

J

}

f

Ab-

j

J.

J J

pa-

glia

e

ì·

J

J giar

la

J

J

tra-

} I

y.

glia

che

J tar.

Che im-

1)

J

J.

di-

I

il

J



pian.

O .r=J O ft I bia-

J. ]

che

lon-

non

re-

par-

J

no

gia-

ti-

è



W

;J

I J§] fa

J

ra

J



r

J

0-

J.

sa-

ti

J. � J. O W

pron-

ti a

guer-

reg-

Il

giare

367

Il venticinque luglio

Il

ven-

ti-

cin-

vor

14"

ed

..c-]

a la-

va il

di-

ni

è

to-

no i

bat-

tà.

Iq t-

tri-

fii

spu-

an-

la

che

Ri-

a

al-

pa-

ri

Mus-

to

dei

pro-

mo-

fii

-I

tan-

do in

so-

to-

fac-

cia

dei

ge-

It

368

rsci-

--

-I

sta

sen-

pir

G22J che

s'in-

za

con-

tra

sul

mel-

la

sven-

la-

to-

J.�

J.

o

le-

gri

cit-

ta-

Ii-

i-

ni

del-

la

cit-

ber-

Ii-



J rar-

pie-

E2JI ;§j

del

ri

chi e ----

col-

ta

la

per

GJr EJf I

na-

I

}

y'

dar



gior-

lor

ere-

cuo-

glio

IJ

co-

An-

-I

Iu-

que

csm-

dei

----

0-



J mi-

sti

sci-

fa-

J222f J no.

fa-

gni

ì

:11

Parola d 'ordine ardimento

let l

J J. j Pa-

It

J

fi-

cio

co-

ra com-

J

i

,

gar.

It

fi-

ni-

J

gni del

no de-

ter si

do-

la

li-

ber-

ca-



a-

gli i-

J

a Pa- tria

io

t'ho

ser-

vi-

ta

ve-

glia

las-



sui

mon-

ti

aEJJ

,

ter- ra

e se il ne-

ne vuoi la

ti

gri- do lo stra- nier soe- com- be-

pro- va

'

J

las-



sui

più

bei

} J J I J l ,ca i5J I

stra

J Jy

JI

1 1.

gli del- la no-

mi- co

la do- vran- no an- cor pa-

la

e che

J j fil

ni

li a-

bel-

j I

noi com- bat-

'"""="

ter- ra

al no- stra

se un gior- no an-

.r-o I J :r J J J

stra

to

ta-

ce

ni

J J J Il: J J J �

de-

l. l l

y J� J 3 I

to

men-

ci-

del- la no-

ti

J

Per un sol i- de- al

vrà.

JJ

con- tro- pa- ro- la sa- cri-

to

men-

fan-

fa- sci- sti que- sti

n fJ r mon-

l''

bat-

J J. j

J . j J. j S. 3 1 J

J ci

ma

tia-

It

I

3

J. j I J

ro- la d'or- di- ne ar- di-

J

ed

J. O

JI

siam pronti a

chie-

rà.

do

all' in-

fi-

2. Lo sai chi

J J ti :J J n I J -:1 l dar- la co- me e quan- do e- gli vorrà. 369

INDICE

LIII - Mito e Resistenza in Valsesia: la "macchina rossa" LIV - Le canzoni del Raggruppamento divisioni d ' assalto "Garibaldi"

17

LV - Scompare un maggiore americano

43

LVI - "Mangosteen/Chrysler" e "Pineapple"

73

LVII - Il Pesgu nella tomba e il S acchi dietro l' altare

1 09

LVIII - La morte di Mora e Gibin

1 23

LIX - Una staffetta che non piace a tutti

1 33

LX - Studenti, militari e "signori" dell" 'Osella"

1 37

LXI - Barba, sudore, zaino e divisa

1 47

LXII - Le armi

1 57

LXIII - "Il delinquente pentito"

1 67

LXIV - Il disastro di Vintebbio e le disavventure di Bob

1 77

LXV - Marietta vola in braccio al Pesgu

1 89

LXVI - La battaglia di Romagnano-Fara-Borgosesia

1 99

LXVII - Dall' irrlboscata all ' annientamento dei presidi

227

LXVIII - La battaglia del cimitero

235

LXIX - L' attività dei comitati di liberazione nazionale

247

LXX - La Stella Alpina

263

LXXI - La battaglia di Arona

275

LXXII -

È

finita

299

LXXIII - Il dopoguerra e le armi

3 09

LXXIV - Il mitra nel camion

337

Appendice

347

Finito di stampare nel mese di dicembre 1 996

GALLO

ARTI GRAFICHE V E R C E L L I