Dov'è tuo fratello? Pagine di fraternità nel libro della Genesi 8839403841, 9788839403841


235 110 33MB

Italian Pages 400 Year 2000

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Dov'è tuo fratello? Pagine di fraternità nel libro della Genesi
 8839403841, 9788839403841

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Luis Alonso Schokel

DOV'È TUO FRATELLO? Pagine di fraternità nel libro della Genesi

Paideia Editrice

Titolo originale dell'opera: Luis Alonso Schokel i Donde esta tu herma;zo?

T extos de fraternidad en el libro del Génesis Institucion San Jer6nimo, Valencia 1985 Traduzione italiana di Angelo Ranon © Luis Alonso Schokel, Roma r985

©

Paideia Editrice, Brescia 1987

Biblioteca di cultura religiosa

50

Dello stesso autore nelle edizioni Paideia: Il dinamismo della tradizione La parola ispirata

Indice del volume

rr

2

5

27 57 69 76

86 90 107

l

r9

r2r 125 139 15I 175

178 186 197 204 209

228 237 252

Introduzione La parabola del fratello libro Parte prima Origini e ciclo di Abramo

Dov'è Abele, tuo fratello? (Gen. 4,1-16) I figli di Noè (Gen. 9,18-29) Le figlie di Lot (Gen. 19,30-38) Non litighian10, perché siamo fratelli (Gen. 13,1-18) Il riscatto di Lot (Gen. 14,1-24) Uccidere l'innocente con il colpevole, lungi da te! (Gen. 18,16-23) Giocando (Gen. 21,9-10) Parte seconda Ciclo di Giacobbe

Premessa I gemelli (Gen. 25,20-26) Abbiaino trovato acqua (Gen. 26,1-33) Hai una sola benedizione? (Gen. 27,1-45) Separazione (Gen. 28,r-9) Com'è terribile questo luogo! (Gen. 28,10-22) Per Rachele ti servirò sette anni (Gen. 29,1-30) Dammi figli, altrimenti rnuoio (Gen. 29 ,3 r-30,24) Fissami il tuo salario (Gen. 30,25-43) Fuga, lite e alleanza (Gen. 31,1-54) Come vedere il volto di Dio (Gen. 32,1-25) Hai lottato con dèi (Gen. 32,25-32) Riconciliazione (Gen. 33,1-17)

256 77 28 3 289

2

Dovevano trattare nostra sorella c01ne una prostituta? (Gen. 34,1-3 l) Ritorno a Betel (Gen. 3 5 ,r-29) Appendice al ciclo di Giacobbe Ella è innocente, non io (Gen. 38,1-30)

Parte terza 3 or

Ciclo di Giuseppe

303 308 32 3 326 338 346 353 365 367 370 377

Giuseppe e i suoi fratelli Vedremo dove andranno a finire i suoi sogni (Gen. 37,r-36) L'ascesa di Giuseppe Primo incontro (Gen. 41,56-42,38) Secondo incontro (Gen. 43,r-34) Be11ian1ino e Giuda (Gen. 44,r-34) Riconoscimento (Gen. 45,1-28) Giacobbe in Egitto (Gen. 46,1-7) Incontro di Giacobbe con Giuseppe (Gen. 46,28-30) Giacobbe e il Faraone (Gen. 47,7-10) Efrahn e Manasse (Gen. 48,1-20) Congedo (Gen. 50,15-21)

38 r

Conclusione

38 5

Indice degli autori

362

Introduzione

La parabola del fratello libro

La parabola è la storia di quell'uomo che si sentiva tremendamente solo. Un giorno in mezzo alla sua solitudine incontrò un libro. Lo lesse, lo rilesse, incominciò a rivolgergli domande e a ricevere risposte. E il libro gli dava risposte e gli poneva domande. Venne così a crearsi tra i due un legame spirituale, come di fratelli. Non racconto la parabola con tutti i suoi particolari, perché il n1io interesse va direttainente al libro della Genesi. Si può incontrare in un libro una voce fraterna; si dovrebbe fraternizzare con la Bibbia e con il primo dei suoi libri: bere' stt == in principio == genesi. Partendo dalla mia esperienza, vorrei introdurre altri nel recinto spirituale creato da questo libro. È un testo che ci può aiutare a fraternizzare con altri.

Enneneutica Si potrebbe applicare il 1nodello della fraternità alla nuova errneneutica: a) La differenza di ori.zzonti. La fraternità è origine di diffetenziazione culturale: pastore e operaio, fabbro e musicista, cacciatore o pastore. Differenza che porta con sé interessi, problen1i, preoccupazioni diverse. In breve, orizzonti diversi che significano ricchezza e possono essere benedizione. Non bisogna negare la differenza né tentare di eliminarla; basta riconoscerla, accettarla e 1nettersi in cam111ino l'uno verso l'altro. b) E questo è la fusione di orizzonti, l'accordo raggiunto attraverso n1utue concessioni e reciproci adattainenti, e il relativo spostamento, dal momento che il nostro orizzonte si muove quando noi ci n1uovian10. Allora si condivide un sapere e una ricchezza che non si divide, ma piuttosto si rnoltiplica, co1ne una eredità che proprio nell'esser ripartita aumenta, con1e un pane che meravigliosamente si moltiplica II

mentre viene distribuito. Non dobbiamo temere che moltiplicandosi i lettori, si 111oltiplichino anche gli orizzonti, se non in riferimento ad ogni individuo, per lo meno secondo gruppi omogenei. Perché il testo può portare a una convergenza. e) E la struttura dialogica, cioè la trasformazione del testo in interlocutore; capace di contestare la mia domanda e di proporrni la sua, di n1ettere in dubbio le n1ie convinzioni o sn1ascherare i miei pregiudizi o denunciare la mia ignoranza. Il dialogo autentico è una forn1a di fraternità che cresce con l'esercizio. Non bisogna eliminare il testo perché non piace, co1ne Caino Abele; non bisogna separarsene per evitare discussioni, come Abraino da Lot; non si deve negargli il saluto, come i fratelli a Giuseppe; n1eno ancora si deve soppiantarlo traendone un travestin1ento esterno senza ca1nbiare interiormente, co1ne fece Giacobbe con Esaù. Chi desidera familiarizzarsi con la Genesi, cioè entrare nella sua fa1niglia, deve intavolare col testo un dialogo u1nile e aperto. d) Infine, il gioco. La co1nprensione di un testo, speciahnente se letterario, ha qualcosa del gioco, e ciò non contrasta affatto con lo spirito e il metodo scientifico. Prospettare e con1battere ipotesi, inventare e applicare modelli, sono attività che hanno qualche cosa del gioco. Come è vero pure per il cercare, il confrontare, lo scandagliare. Buona parte della ricerca filologica e storica potrebbe essere paragonata alla caccia, che è sport, gioco. Di uno studioso diciamo che ha fiuto ed (eventualmente) buona mira. Interprete e lettore devono entrare in gioco col testo. E occorre accettare le regole del gioco, n1ettendo da parte intenzioni utilitaristiche o di lucro. Le regole vengono date prima, 1na non lo sviluppo e il risultato. Perché lo sviluppo nasce ad ogni istante in telazione alle scelte dei partecipanti tra le varie possibilità aperte dall'ultima n1ossa del compagno. Ogni movimento condiziona i successivi, formando una rete complessa che sfida ogni combinazione. Si entra nel gioco disponibili, ottimisti, sapendo che il con1pagno testo vince quando è vinto. Se sono importanti nel gioco la precisione e il dominio dello strumento, non contano meno la fantasia e l'intuizione della rnossa. Noi giochiamo col testo ed esso gioca con noi: non come il bambino con la palla o come il gatto con il topo, ma con1e con1pagni di gioco in uguaglianza fra!2

terna. Come il bimbo Is1naele con il fratellino Isacco (cap. 2 r ), nonostante che qualcuno si arrabbi, come Sara. Questi quattro principi della nuova ermeneutica ci orientano nel nostro progetto e co1npito: che la Genesi giunga ad essere per noi il fratello libro. Assicurata questa finalità, n1i resta uno spazio nel quale, con pretese molto più 1nodeste, anche il mio libro desidera offrirsi fraternan1ente. A chi?

Conznientatori Questo libro è stato studiato con i dotti e gli specialisti, ed è stato scritto per i profani ed anche per gli specialisti. Profano non vuol dire incolto o ignorante, ma semplicemente non iniziato al1'esegesi specializzata. Un uon10 di grande cultura o 1nolto dotto in una disciplina può essere profano nella scienza biblica e può sentir curiosità o desiderio di conoscere bene o 1neglio l'~Antico Testa1nento. Per questi profani di una certa cultura ho scritto questo libro, senza perdere di vista i miei colleghi specialisti. Studiare un libro dell'Antico Testamento con i dotti vuol dire rifarsi al testo originale, usando gli strun1enti accreditati dalla nostra disciplina, tenendo presente l'inforn1azione, i risultati, i suggerimenti di tanti che mi hanno preceduto. ,.,... · comn1entan· corn1)~et1 1 • ~L11... a G · ne l10 sceIt1. a Icuni.. i ta 1 · ..::renes1, Prin1a di tutti il Gunkel, che pur dopo rno1ti decenni (la prilna edizione è del 1903), si può ancora leggere con interesse e profitto, quantunque non sia raggiunto l'equilibrio tra critica delle fonti e studio letterario. Più rece11te è il comrnento monumentale del Westennann (conclu° ): 1nrorn1at1sstmo, · ' · · n11nuz1oso; · · ·e so ne1 r902 suo punto f orte e' Ia eIass1ncazio11e dei generi letterari e 1' analisi cmnplen1entare di tradizione e ~

~

redazione, con tutto ciò che auesto imolica di iootesi provvisorie. Tra i due si possono collocare qu;llo dello~ Skinner_._ del rsno (rist. 1980); quello dello Speiser, breve, indipendente, attento al contesto culturale dell'Oriente antico; quello di Rad, che con la traduzione in varie lingue ha ottenuto diffusione e accoglienza; e quello del Vmvter, lucido espositore di p:toblen1i e soluzioni attuali, pur non rinunciando a propo-

von

, si fanno con ciò responsabili di una catena di delitti che passa attraverso l'assassinio di profeti e di n1aestri e risale fino a Caino. I1nplica una corrispondenza di Gesù con Abele e suggerisce che ogni fratricida si fa solidale con Caino, il prototipo di tutti: «Perciò, ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi: alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguirete di città in città; perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue di Abele, il giusto, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l'altare». I-Io già citato Io. 8,44 e pure I Io. 3,12. Iudae rr parla degli en1pi pericolosi che «si sono incamminati per la via di Caino», con1e a dire, che hanno seguito i passi del fratricida. La lettera agli Ebrei cita due volte questo passo. La prima, nella serie sulla fede, r r ,4: «Per la fede Abele offrì a Dio un sacrificio superiore a quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni: per la fede, benché morto, parla ancora». La prima parte segue la tradizione interpretativa che si basa sullo schema della retribuzione. La seconda si riferisce al sangue che «grida al cielo» chiedendo giustizia. A questo si rifà pure 12,24: >, perché sono eziologia di un tabù alin1entare (in te1npi 1nolto posteriori si cercava di agganciare un tabù ad un racconto antico, anche patriarcale), né vi appartengono 28-29, can1bio del nome a Giacobbe, perché coincidono con 35,10 che è chiaramente di n1entalità Sacerdotale e contraddice l' «impatto» dei contendenti nel racconto originale. Nemmeno vi appartiene 3 rb, spiegazione del toponimo Penuel, perché il racconto non parla di Dio. 2 3-24 è un pezzo precedentemente autonomo, un >, benché non vivo, perché Giuseppe «gli chiuderà gli occhi». La pro1nessa di crescere fino a diventare un popolo numeroso, si compirà in Egitto. b) Giacobbe e Israele. In questi versetti si condensa il passaggio alterno, a pri1n.a vista incoerente, da un nome all'altro del patriarca: I Israele; 2 Israele, Giacobbe; 5 Giacobbe, i figli di Israele, suo padre Giacobbe; 6 Giacobbe. Se retrocediaino un po', troviamo: 45,21 i figli di Israele; 25 suo padre Giacobbe; 27 suo padre Giacobbe; 28 Israele. Lo si chiama pure Israele in 43,6.8.r r (senza alternanza). Più sopra 42,r Giacobbe; 4 Giacobbe; 5 i figli di Israele; 29 suo padre Giacobbe; 36 suo padre Giacobbe. Ci sono due costanti: «i figli di Israele» e «suo padre Giacobbe» e due variabili «:Giacobbe/Israele». È l'alternanza repentina, vicina che sorprende. Ricorrere a due fonti non spiega il testo. Credo che il narratore voglia stabilire l'identità della persona e la duplicità della sua funzione: è lo stesso personaggio, Giacobbe e Israele, che ha ricevuto un nome nuovo senza perdere l'antico. Cor.ne padre di famiglia continua ad essere chiainato Giacobbe, però i suoi figli e successori sono già i «figli di Israele», gli Israeliti. Egli è il cambio di versante dalla linea patriarcale al popolo delle dodici tribù. L'urto e la fusione sono estremizzati al v. 2: «Dio disse a Israele: Giacobbe, Giacobbe!». e) La ge:zealogia dei vv. 8-2 7 sviluppa quanto precede, scenden-

do fino alla terza generazione e nel caso di Giuda fino alla quarta. Anche il numero degli emigranti interessa all'autore di questi versetti (probabilmente il narratore Sacerdotale): 46 ,26 «Tutte le persone che furono con Giacobbe in Egitto, nati da lui, senza contare le nuore, erano in tutto sessantasei. 2 7 Aggiungendo i due figli nati da Giuseppe in Egitto, la famiglia di Giacobbe che entrò in Egitto fu, in totale, di settanta persone». B.A. McKenzie, ]acob)s Blessing on Pharaoh. An Interpretation of Gn. 46)31-47)26: WestmThJ 45 (1983) 386-399, segnala la funzione di questa sezione nella storia: a) è la transizione da Canaan in Egitto; b) mantiene e manifesta la separazione di Israeliti ed Egiziani; e) si compie la promessa: «chi ti benedice sarà benedetto»; il Faraone è benedetto per la sua generosità con gli Israeliti; d) e così le riforme di Giuseppe a favore dell'Egitto appaiono come effetto della benedizione di Giacobbe.

Incontro di Giacobbe con Giuseppe

Testo 46)28 Mandò avanti Giuda perché andasse da Giuseppe e preparasse la strada di Gosen. Quando erano ormai verso Gosen, 2 9 Giuseppe con1andò di attaccare il suo cocchio e salì a Gosen per ricevere suo padre Israele. Giunto davanti a lui, gli si gettò al collo, e pianse abbracciato a lui. 30 Israele disse a Giuseppe: -Ora posso morire, dopo averti visto in persona e vivo.

Co111mento L'incontro di padre e figlio, dopo tutto ciò che precede, è per il narratore una scena difficile da descrivere. Si trova, senza rimedio, sul lato in on1bra del racconto. La soluzione che adotta è l'econon1ia: un movin1ento, un gesto, una frase. Un movimento: Giuseppe esce incontro al padre, cortesen1ente, :filialmente; il cocchio gli serve per guadagnare ten1po e per mostrare la sua categoria politica. Il gesto è un abbraccio con lacrime: come nella riconciliazione di Giacobbe con Esaù, come nella scena di Giuseppe con i suoi fratelli. Questo abbraccio sostituisce ed annulla un particolare dei sogni: il padre non si prostra davanti a lui né lo chiama signore. La frase sostituisce il dialogo, perché parla solo il padre, riprendendo ed estremizzando quanto è stato detto in 4 5 ,2 8. a) La frase può essere tradotta alla lettera: «Morirò ora dopo aver visto il tuo volto, perché tu sei ancora vivo». O con qualche libertà: «Ora posso morire, perché ti ho visto in persona, e anche vivo». Agli estremi della frase, i due antonimi: morirò/vivo. Non è più, però, questione di vita o di morte, 1na di cambio di genera365

zioni. La morte del padre dà via libera al protagonismo pieno del figlio, la vita del figlio dà serenità al ritiro del padre: «una generazione se ne va, una generazione viene, e la terra ri1nane uguale» (E ccl. r ,4). Giacobbe esprime l'emozione del mo1nento, non morirà subito, perché gli ri111ane il compito di benedire. E non come un padre qualsiasi, ma come il terzo patriarca. b) La frase esalta l'imoortanza di «vedere il volto»: esoerienza spirituale, interpersonale, reaìizzata nella visione fisica. Il volto identifica la persona, è la manifestazione corporea dello spirito personale; il vedere instaura la certezza. I tuoi fratelli n1i hanno parìato di te (si veda 45,13), ora ti hanno visto i miei occhi. Giacobbe vide il volto di Dio, vide il volto benevolo di s1...10 ftatdlo) vede il volto di suo figlio vivo. e) Il vedere conferma e corregge l'im1nagine della fantasia. Nell'i1111naginazione del padre è persistita la figura di un Giuseppe adolescente che non ha potuto trasfor1narsi e crescere in anni e rnaturità. Il vedere obbliga a confrontare l'i1nmagine conservata con la presenza attuale; il risultato è che la figura reale eli1nina quella fantastica. Ed è questa nuova in1magine di un Giuseppe adulto, nobile, signore di un regno e figlio affettuoso, che il padre desidera conservare. J..

J..

Giacobbe e il Faraone

Testo 47)7 Giuseppe fece venire suo padre Giacobbe e lo presentò al Faraone. Giacobbe benedisse il Faraone. 8 Il Faraone chiese a Giacobbe: - Quanti anni hai? 9 Rispose Giacobbe al Faraone: -Centotrenta sono stati gli anni delle n1ie peregrinazioni; pochi e cattivi sono stati gli anni della mia vita, e non arrivano agli anni dei n1iei padri, al ten1po delle loro peregrinazioni. I o Giacobbe benedisse il Faraone e uscì dalla sua presenza.

Commento La presentazione ufficiale dei fratelli al re (47 ,r-6) non ci interessa. Al contrario, non possiamo tralasciare la visita di G-iacobbe al Faraone. 7. Immaginia1no e valutiamo l'apparato della visita, che l'autore ci risparmia. Il Faraone è, in quel momento, uno dei grandi sovrani del mondo; il suo paese sta svolgendo il compito di alimentare ogni genere di popolazione affamata. L'Egitto è potenza benefica, garanzia di sopravvivenza. Il Faraone concede udienza ad uno sceicco straniero, perché è il padre del suo ministro favorito. Nello splendore complicato della corte, riceve il beduino e1nigrante. La scena ha qualcosa di irreale, anche se non è del tutto invero-

simile. Giacobbe si prostra, rendendo omaggio, suo figlio lo «colloca in piedi» davan ti al Fara one (che naturalmente sta seduto). Giacobbe non sollecita benefici dal monarca, lo benedice.

È fuori discussione che è il maggiore a benedire il minore

(Hebr. 7,7). Giacobbe, che ha ricevuto la benedizione paterna e patriarcale da Isacco, è ora portatore di benedizione. Il sovrano di un mondo ha qualcosa da ricevere da questo sceicco straniero: una benedizione. I figli portavano doni del padre al visir per ingraziarselo; Giacobbe non offre doni, perché il suo dono è la sua benedizione. «Il generoso sarà benedetto» (Prov. 12,9). «Da', e non di mala voglia, perché per questa azione il Signore ti benedirà» (Deut. r 5, ro). La benedizione di Dio scorre per il canale patriarcale. Però, ricotdiamo che eta Melchisedek a benedire il patriarca Abramo. 8-9. Il breve dialogo che segue non credo sia di circostanza: di qualcosa bisogna pur parlare. Penso piuttosto che esprima lo stupore del n1onarca. Gli altri visitatori non trattano così il Faraone. Sarà motivo dell'età? Un anziano è autorizzato a benedire un sovrano? Gli chiede l'età. Traduco alla lettera le parole ebraiche e le dispongo in uno schema: Quanti sono i giorni degli anni della tua vita? i giorni degli anni delle mie peregrinazioni sono r 3 o pochi e cattivi sono stati i giorni degli anni della mia vita non arrivano agli anni della vita dei miei padri 1 giorni delle loro peregrinazioni

Parole cortesi con un tocco di humour. È un orgoglio che siano stati cento e trenta, ma non è cortese gloriarsi di fronte ad un sovrano più giovane. Dire che sono stati cattivi, a giudicare da quello che sappiamo della vita di Giacobbe, è un giudizio parziale; ma nen1n1eno conviene gloriarsi di felicità e fortune davanti ad un re che non conosciamo. Dire che sono pochi in confronto con quelli del padre e del nonno, è un compromesso di vanità e di modestia: «ti sen1brano 1nolti? Ma se avessi conosciuto mio nonno ... ». Finalmente il dato più obiettivo: la sua vita, e quella dei suoi avi, è consistita in un andare errante e pellegrino, transumando, come residenti provvisori in una terra non posseduta. La sua vita è stata «migrazioni»: giungerà il momento di fermarsi prima di morire?

Il narratore non descrive la reazione del Faraone. Un an~ ziano, come quello che gli sta davanti, può ispirare venerazione. La longevità è dono degli dei: quest'uomo è favorito dal cielo e vale la pena ricevere una benedizione. La sorpresa e il rispetto gli chiudono le labbra. L'udienza è terminata. Rimangono sospese altre benedizioni. IO.

Ef raim e Manasse

In questo capitolo ritorna il ten1a della fraternità e per questo ci soffern1iamo. Fino al v. 20, il testo si fa leggere con1e una unità, con alcune difficoltà. Incomincio esponendo i fattori di unità. Tema unitario sono i due figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, ossia Oblio e Aumento (40,50 s.). Il nonno Giacobbe, prima di 1norire, li fa oggetto di una adozione legale con1e figli e li benedice dando la preferenza al minore. Le due azioni sono verbalmente legate dalla parola birkajnz = ginocchia e barek = benedire. Vi si aggiungono altre allitterazioni: bekor == priinogenito e 1napreka == ti farò crescere. Sono 1notivi che conosciamo già da altri racconti. Le difficoltà del brano provengono soprattutto dalla sovrapposizione alle figure dei due fratelli, delle caratteristiche delle due tribù, Anche questo lo abbiamo già trovato.

Testo 48)I Dopo questi fatti, avvisarono Giuseppe che suo padre era grave. Egli prese con sé i suoi due figli, Manasse ed Efraim.

Comunicarono a Giacobbe che stava arrivando suo figlio Giuseppe. Israele facendo uno sforzo, si mise a sedere sul letto. 3 Giacobbe disse a Giuseppe: - Dio Onnipotente mi apparve in Mandorleto di Canaan e mi benedisse, 4 dicendomi: «Ti farò crescere e ti moltiplicherò fino a diventare un gruppo di tribù; ai tuoi discendenti darò questa terra come possesso perenne». 5 Ora, i due figli che ti nacquero in Egitto prima che io venissi a vivere con te, saranno 1niei come Ruben e Simeone. 6 Invece quelli che ti nasceranno dopo, saranno tuoi e riceveranno l'eredità in nome 2

370

dei loro fratelli. 7 Quando ritornai da Paddan, n1i n1orì Rachele, in Canaan, durante il viaggio, un bel po' prima di arrivare a Efrata, e sulla strada di Efrata (oggi Betlemme) la seppellii. 8 Vedendo Israele i figli di Giuseppe, chiese: -Chi sono? 9 Rispose Giuseppe a suo padre: - Sono i figli che Dio mi ha dato qui. Gli disse: -Avvicinameli, perché li benedica. I o Israele aveva perso la vista con la vecchiaia e quasi non ci vedeva. Quando gli si avvicinarono, li baciò e li abbracciò. I I Israele disse a Giuseppe: -Non pensavo più di vederti; ora invece, Dio 1ni ha concesso di vedere te e i tuoi discendenti. I 2 Giuseppe li ritirò dalle sue ginocchia e si prostrò con la faccia a terra. I 3 Poi Giuseppe prese i due: Efrain1 con la destra, lo pose alla sinistra di Israele, e Manasse con la sinistra, lo pose alla destra di Israele, e li avvicinò. I 4 Israele stese la destra e la collocò sopra la testa di Efraim, il 1ninore, e la sinistra sopra la testa di Manasse, incrociando le braccia, perché era Manasse il primogenito. I 5 E li benedisse: -Il Dio, davanti al quale camminarono i n1iei padri, Abramo e Isacco, Il Dio che è stato il 1nio pastore dall'antichità fino ad oggi, I6 L'Angelo che mi riscatta da ogni male, benedica questi ragazzi. Che essi portino il mio nome e quello dei 1niei padri, Abramo e Isacco, e che si moltiplichino in mezzo alla terra. IJ Giuseppe, vedendo che suo padre aveva collocato la de-

stra sul capo di Efraim, rimase male; afferrò la mano di suo padre e la spostò dalla testa di Efraim a quella di Manasse, dicendo a suo padre:

I

8

37 1

-Non così, padre mio, questi è il primogenito, poni la mano sulla sua testa. I 9 II padre rifiutò dicendo: - Lo so, figlio mio, lo so. Giungerà anche lui ad essere una tribù e crescerà. Ma il fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza sarà un'intera nazione. 20 Allora li benedisse: -Con il vostro nome si benedirà Israele, dicendo: - Dio faccia a voi come ad Efrain1 e Manasse! Così collocò Efrain1 prima di Manasse. Co111mento I-7. Il capitolo inco111incia con una introduzione narrativa e

un'altra teologica. a) La prima è l'infermità del padre e la visita del figlio con i due nipoti. Ricordiamo che al cap. 27 Isacco, benché non con una 1nalattia 111ortale, aveva davanti a sé l'eventualità di una morte prossima; nel cap. 35 troviamo Giacobbe ed Esaù vicino al padre moribondo. È logico che durante l'infermità di Giacobbe, i dodici figli siano venuti a fargli visita, cosa lasciata per il cap. 49. La visita a parte di Giuseppe lo colloca in una posizione vantaggiosa (come se lui fosse l'erede). b) Giacobbe pronuncia un'introduzione teologica con la quale giustifica le posizioni prese e gli atti che si dispone a realizzare. Egli ha ricevuto da El Saddaj la benedizione, la promessa della terra e del possesso per i suoi discendenti: possiede un capitale da trasmettere: benedizione di fecondità nella terra posseduta. È notevole che non si rifaccia alla benedizione ricevuta da Isacco, ma a quella ricevuta direttamente da Dio in Betel. Il ricordo della benedizione di Isacco si affaccerà per il procedimento narrativo dell'analogia. A partire di qui, i due riti si sovrappongono l'uno all'altro: quello della benedizione e quello dell'adozione. Questo, essendo semplice esecuzione di ciò che è stato annunciato e spiegato, non 372

riceve che un'allusione in riferimento alle «ginocchia» paterne. Per chiarezza, distinguo i due riti. 8-r 2. Adozione. I due figli di Giuseppe sono nati da una moglie egiziana. Adottandoli come figli, Giacobbe li incorpora pienamente alla famiglia patriarcale. In secondo luogo, privilegia Giuseppe riservandogli due parti di eredità. Poi, innalza i nipoti al rango della generazione precedente. Inoltre, co1npensa la disgrazia di Rachele che gli aveva dato solo due figli, 1nentre Lia gliene aveva dato sei e le due schiave due per ciascuna. Ora i figli della preferita saranno quattro: Giuseppe e Beniamino, Efrain1 e Manasse. L'ultin10 motivo è insinuato dall'evocazione della morte di Rachele vicino ad Efrata (nome significativamente assonante con Efraim). Questa adozione in una scena a parte significa che Giuseppe è considerato con1e erede nella catena patriarcale? Ci sono indizi che lo suggeriscono in tutta la storia (li ho già indicati) e non mancano in questo capitolo. Come se la terna patriarcale AbramoIsacco-Giacobbe diventasse una quaterna. Altri dati del libro e tutta la tradizione (con l'eccezione discussa di r Chron. 5) rifiutano questa pretesa. Nella scena familiare di un nonno con il figlio e i nipoti, irrompe bruscamente la considerazione delle tribù di Israele. Nella dozzina di tribù, sono soliti figurare non1inalmente Efraim e ìv1anasse che occupano una grande estensione territoriale all'interno della Palestina: il fatto è proiettato in questo racconto dell'epoca patriarcale. Il resto dei figli che nasceranno a Giuseppe, saranno incorporati alle due entità precedenti, senza formare un gruppo autonomo nel sistema politico delle tribù. Questo dato sarà portato alle sue conseguenze nella storia patriarcale: Efraim e Manasse saranno chiamati bené ja'aqi5b, gli altri bené josép. Nel testo biblico possiamo leggere l'espressione bét josép == Casa di Giuseppe (Jos. 18,5; Iud. l,22) e bené j6sep (Ios. 17,14.17). Rito di adozione era porre un bambino «sopra le ginocchia» o «sul grembo» della persona che adotta. Si veda 30,3 (Bila dà alla luce per Rachele); 50,23; Is. 66,12? lob 3,12; Ruth 4,16. Si veda 373

anche I-I.F. Richter, Auf den J(nien eines anderen gebaren ( Zur Deutung van Gen. 30)3): ZA\Y/ 9r (1979) 436-437. 8. Benedizione. Il rito della benedizione presenta una serie di elen1enti chiari, che devono essere visti uniti, prima di sottolineare le incoerenze. La benedizione porta, in 1nodo inevitabile, il ricordo del cap. 27: benedizione prima di morire, due fratelli, un padre cieco, una preferenza, tentativo di correggerla, il minore anteposto al maggiore, due benedizioni. Due differenze importanti: la conclusione pacifica qui e lo stile artificioso di questo capitolo, a confronto con la dra111maticità dell'altro. Riconosciuta l'analogia, possia1110 identificare alcuni n1on1enti del rito (seguendo in parte il'\){! estern1ann): presentazione o com_parizione, identificazione, il gesto, la formula. La presentazione avviene nei vv. r .8. 9; la do111anda del v. 8 serve per l 'iden tificazione (27,18.24). Il bacio è gesto che appartiene al rito (27,26 s.). Ciò che non si giustifica è che Giacobbe veda i nipoti, se è cieco (27,r). Una soluzione è pensare che i dati appartengano a scene differenti, gettando così la colpa di questo sproposito a colui che lavorò per ultimo. Altra soluzione è prendere la frase in senso ampio, «non poteva distinguere»; vede i corpi, le figure senza sufficiente precisione. In cambio, la frase del v. rr può riferirsi ad una tappa anteriore, quando Giacobbe venne in Egitto e visse là. Al contrario del cap. 2 7, qui la benedizione è unica e simultanea. Solo un gesto del rito indicherà la pre1ninenza di uno sull'altro. Si suppone privilegiato colui che è collocato alla sinistra, perché sulla sua testa si poserà la destra del vecchio. Giuseppe vuole garantire l'ordine della nascita, assegnando la bekord o pri1nogenitura al bek6r o primogenito (27,36.38). Giacobbe incrocia le braccia (o distingueva qualcosa o indovinò l'intenzione di Giuseppe). In questo gesto esprime la sua autorità e autonomia e ripete sui suoi nipoti la sua esperienza personale. Anche lui si è portato via il prin10 posto. La coincidenza non è perfetta, poiché non si esclude nessuno. Giuseppe vorrebbe correggere quel cambio, ma lo fa troppo tardi, quando il padre ha già pronunciato la formula. Doveva farlo

374

prin1a, come dicono vari commentatori? Poteva interrompere il padre quando aveva iniziato a invocare il no111e di Dio? Anche nella preferenza di Efraim si proietta la situazione delle tribù centrali. Efraim giunse ad essere tanto i1nportante che per alcuni autori biblici poté designare tutto il Regno del Nord e cioè Israele in quanto opposto a Giuda: per es. Os. 9,rr.16; ro,6.rr; rr,8 s.; 12,1 s.15; r3,1; Ier. 31,18. Per di più, nel suo territorio ci sono città tanto irnportanti, come Silo e Sichem. Si veda pure il Ps. 78,60.67 s. IJ-I6.20. Formule di benedizione. Ci resta il testo delle benedizioni ed è la cosa più in1portante. Qui ci imbattian10 in una anomalia duplice. Nel v. I 5 si legge «benedisse Giuseppe», però nel testo che segue ci si riferisce ai bambini al plurale. Nel v. 20 si dice «li benedisse», n1entre nel testo seguente si ha «in te» al singolare. Le versioni antiche hanno tentato di correggere (o hanno seguito un altro testo ebraico), ponendo e la lotta tra male e bene, il bene seppur faticosan1ente inco1nincia a trionfare. Le divisioni per interessi dei fratelli, Abramo e Lot, si compongono pacifìcan1ente, la rottura di Giacobbe e di Esaù viene risanata. Nel finale della storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, anche il 1nale si pone al servizio del bene, per l'azione di Dio.

«E Dio vide che tutto era buono» .A.bbiamo visto che la fraternità è fonte di differenziazione, la quale articola l'unità e l'identità radicale dell'essere umano, rompe in sfaccetta ture rivelatrici la ricchezza potenziale dell'uomo, moltiplica persone e personalità in cerca di una unità familiare e sociale. La differenziazione produce pure problemi che toccano la dimensione etica dell'uomo. Le tensioni possono essere fonti di energia, se si riesce a risolverle, in caso contrario saranno fatali. Tutto ciò si rivela sul piano familiare e su quello sociale, come se ciascuno di essi fosse la proiezione, su scala diversa, dell'altro.

La risoluzione delle tensioni è conseguita qualche volta cedendo (cap. I 3: Abramo e Lot), altre volte mediante il perdono e la riconciliazione (33: Esaù e Giacobbe; 45: Giuseppe e i suoi fratelli). La fraternità suscita ed esige la solidarietà dei n1embri (4244: fratelli di Giuseppe), che non è complicità nella colpa (9: figli di Noè; r 9: figlie di Lot; .3 7: fratelli di Giuseppe). La solidarietà esige che ci si interessi attivamente del fratello in difficoltà (r4: fibran10 per Lot), anche con strumenti legali (38: legge del levirato) e non n1eno con l'intercessione ( r 8: Abramo); esclude però la violenza (34: Dina e i suoi fratelli). La fraternità ha un riferimento verticale che la fonda, garantisce, consolida: il riferimento al padre comune (9; 35,28 s.: n1orte di Isacco; 42·"4 7) e un riferimento al 1nedesimo Dio ( specialmente 2 8 : \:Ì si on e di Be tel; 3 2 : lotta notturna di Giacobbe; 5 o: progetto di Dio) . Nel Nuovo Testamento possiaino attingere al messaggio pasquale: «Va' e di' ai m_iei fratelli: 'Salgo al Padre n1io, che è vostro Padre, al mio Dio che è vostro Dio'» (Io. 20,17). Una fraternità fondata dall'alto, nel Padre con1une che è il Dio di tutti. In questa n1aniera si fondono i due elen1enti che Iv1alachia teneva ancora separati: «Non abbiaino un unico padre? Non ci ha creati un unico Dio?» (Mal. 2,ro). La fraternità è poi contenuto fondamentale del 1nessaggio pasquale e alla sua luce possiamo comprendere meglio che non dobbiaino chian1arci padre gli uni gli altri: «\Toi . I ' , pereh,. non v1. 1ascerete ch.iamare ' signore. e 1·1 vostro maestro e' uno solo e voi tutti siete fratelli. E non vi chiamerete 'padre' gli uni gli altri, sulla terra, perché il vostro padre è uno solo, quello del cielo». (Mt. 2 3 ,8-9). Cristo instaura una nuova paternità e conseguentemente una nuova fraternità: la più profonda e la più radicale, dalla quale prende consistenza e deve ricevere esempio l'altra paternità e fraternità della terra. Co1ne a dire che non è del tutto esatto presentare la fraternità cristiana come iinitazione della vita di famiglia: è il contrario! La fraternità stabilita da Cristo, con la sua forza, esigenza ed estensione, è più profonda, più alta, più solida della fraternità semplicemente umana. Lo è quando è vissuta veran1ente, lo dovrebbe essere. 382

Gesù Cristo è l'autore della nuova fraternità, avendo infuso nei suoi il suo Spirito, Spirito di figli adottivi di Dio. Avviene una relazione n1utua: Cristo si fa nostro fratello per fare di noi fratelli suoi. E come fratelli, senza abolire la varietà delle differenze, egli vuole realizzare una mutua somiglianza, che è l'immagine di Dio. Egli vuole essere simile a noi: «Il consacrante e il consacrato sono della stessa natura. Per questa ragione non teme di chiamarci fratelli ... Per questo doveva farsi simile in tutto ai suoi fratelli» (Hebr. 2,11.17). Corrispondentemente, noi dobbiamo diventar sirnili a lui: «Perché Dio li ha eletti per pri1no, destinandoli a riprodurre i tratti del suo Figlio, in 1nodo che questi sia il 1naggiore (prototokon) di una n1oltitudine di fratelli» (Ronz. 8 ,2 9). Egli che era Unigenito, si fa Primogenito. Quando so1nigliamo al fratello maggiore, al primogenito, che è «imn1agine del Dio invisibile» (Col. r ,r 5) noi somigliamo al Padre. Viene restaurata l'imn1agine pri111ordiale di Dio (Gen. r,26 s.). In questo 1nodo, fattosi solidale con gli uomini, Cristo istituisce una nuova fraternità e una nuova fa1niglia: «Chi è n1ia n1adre e chi sono i miei fratelli? Questi sono mia madre e i miei fratelli, perché chi compie la volontà del Padre 1nio che è in cielo, questi è mio fratello e sorella e n1adre» (Nft. 12,48-50). Il risultato è che «fratello» è titolo o appellativo frequente tra i pri1ni cristiani, come attestano abbondantemente gli Atti degli Apostoli e le Lettere. l\fon solo titolo. La fraternità è ilnpulso ed esigenza. Anche dalla nuova fraternità scaturisce la differenza. Proprio lo Spirito che ci rende fratelli, in quanto figli dello stesso Padre, è fonte di varietà per l'unità: «l doni sono diversi, ma lo Spirito è lo stesso; le funzioni sono diverse, ma il Signore è lo stesso; le attività sono diverse, ma il medesi1no Dio opera tutto in tutti. La manifestazione particolare dello Spirito è data a ciascuno per il bene comune» (I Cor. 12,4-7). La fraternità cristiana deve essere fonte di solidarietà. Come Abramo con Lot, bisogna saper rinunciare a propri diritti, come insegna Paolo in I Cor. 8-9: «Per questo, se un alimento scandalizza un mio fratello, non mangerò n1ai più carne, per non scandalizzare mio fratello» {8)13); «Se altri condividono i beni di cui di-

sponete, noi ancor più. Però non abbiamo fatto uso di questo diritto» (9,II s.). :Non basta prendere il titolo umile e cortese di

«servitore, servo», come faceva Giacobbe quando andava incontro al suo fratello Esaù; occorre porsi realmente al servizio dei fratelli: «Sono libero, certo, non ho padroni; però mi sono posto al servizio di tutti» (I Cor. 9,r9). Davanti all'ira e al rancore, si esige il perdono del cuore: «chi tratta con ira il fratello, sarà condannato in tribunale» (Mt. 5 ,22); «Per cui, quando presenti la tua offerta all'altare, se ti ricordi lì che un tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta e va' prima a riconciliarti con tuo fratello, poi torna e presenta la tua offerta» (Mt. 5 ,2 3 ss.). Co1ne Giacobbe, che doveva passare attraverso la riconciliazione con Esaù, prima di accedere all'appuntamento con Dio a Betel.

Giovanni riassun1e le esigenze della fraternità nell'amore vicendevole, un amore che giunge a «dar la vita per il fratello»: I

Io. 2,9 ss. 3,ro

Chi dice di essere nella luce, mentre odia suo fratello, non è uscito dalle tenebre. Chi ama suo fratello è nella luce, e in sé non trova inciampo. Chi non pratica la giustizia, cioè chi non ama suo fratello, non è da Dio ...

14 ss. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita per-

r6

ché amiamo i fratelli. Non amare è rimanere nella morte, odiare il proprio fratello è essere un assassino. Abbia1no capito che cosa è l'amore, perché egli ha dato la vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli.

Indice degli autori

Abramowitz Ch., 29 Agostino, sant', r4, 32, 8r, r62, r90 s. .Agustin .ìvI., 144 Ab.atoni R., 122 Alcuino, r4 Allen C.G., r53, r59 Alonso Schokel L., r 5, 137, 283,376 Alt A., r9 Alvarez L., 15 Ambrogio, sant', 14, 46, 48,8r,r82,r96,237 Anastasio Sin., r4 Andreasen N.E.A., 88 Angelomus,r4 Ararat N., 123, 160 Arfert P., 195 Asensio F., r5, r53 Bachelard G., 68 Barreto J., 248 Barth C., 179 Barthes R., 242 Bartlett J.R., r34 Basset F.W., 63 Beda,14 Ben-Reuben S., 203 Bernardo, san, 164 Bjorndalen, 15 Blenkinsopp J., 106 von Bohlen, r 5 Bonora A., 307 Bovati P., 221 Brenner A., 204 von Brentano D., r5 Brin C., 289 Brodie L.T., 237 Brueggemann W., 15

Bruno di Asti, 14 Budde K., 67 Burrows :NI., 216 Buss 11.J., 123, 153 Calmet A., r5 Calvino, 14 Can tera, l II Cassuto U., 37 Cerbelaud D., 237 Cervantes, 305 Chaine J., 15 Cicerone, 64, 8r Cirillo Al., 14 Clamer A., r5 Clemente Al., 149 Clericus, l 5 Coats G.\Y/., 15, 53, 58, 75, III, 123, 152, 164, 306 Cohen H., 68, 74 Colunga, r5 Couffignal R., l 8 l Cordero M., 15 Crenshaw J.L., ro6 Crisostomo, 14, 49 Cruells A., 237, 240 Daniélou J., r44, r49 Daube D., 82, ro6 Davies E.W., 293 Delitzsch Fr., ro2, r62, 249 s., 332 Deurloo K.A., 53 Diamond J.A., r53 Dietrich W., 5 3 Dillmann A., l 5 Diodoro di Tarso, r4 Dionisio Cartusiano, r4

Driver S.R., 15 Dubarle A.M., 275 Dyson N., 148 Efrem S., r4 Eissfeldt O., r23 Emerton J.A., 292 Eslinger L., 237, 246 Eucherio di Lione, r4 Eusebio di Emesa, 14 Ewald H.G.A., 208 Farmer K.A., 122, 160 Fernandez B., 14 Filone, 102, n8 Fishbane M., 122 Floss J.P., 237 Franxmann T.W., 36 F okkelmann J.P., l 5, l 2 2 de Fraine J., 15 Friis H., 20 Gaetano, 14 Galli, 15 Gammie J.G., 123 Garda de Londofio, l 5 Gaster T.H., 68 Gerhard, 15 Gerolamo, san, 14, 32 Gibson J.C.L., l 5 Gilead H., 29 Ginsberg I., 68 Girard R., 55 Giuseppe, Flavio, 36, 39 Goldstein M., r44 Gonzales-Faus J.I., 56 Gonzalo Maeso, 14 Good E.M., 163 Gooden G.M., r92

Goodenough E.R., 68 Graves R., 55, 64, 68

Greenberg M., 220 Gregorio, san, IOO, I82 Gruber M.I., 3I Guiberto, I4 Gunkel H., 13, 15, 55, III, I23, 240, 306 S., 322 Hamerus, 14 Hauge h1.R., 122 Hauser A.]., 44 de la Haye, l 5 Heinisch P., I5 H~lyer L.R., 83 Hentschel G., 240 Hermisson H.J., 240 Herrmann S., 18 ss., I86, 227 Hof tijzer J., 65 Hollenberger W.J., 28 Holzinger H., I5 Houtman C., 183, 233 Hudson, I48 von Hurnmelauer F., 15 Huth W!., 55 Iglesias, Il 1 Illies J., 55 Ippolito, 14 Irvin D., 28, 123 Isodac!, 14 Jacob B., 14, 215, 224, 248,298,331 Jaubert A., 190 Johansson N., 106 Joyce J., 305 Juana Inés de la Cruz, 303 Keel O., 134 Keil F., 15 Keukens K.H., 153, 160 Kevers P., 262, 266, 268, 271 Kikawada I .M., 3 l

Klernm P., 32, 35, 55 Klengel E., 263 lUine M.G., 53 Knobel A.\YJ., I5 Kodell ]., 2I5, 237, 255 Konig F., 15 Kuntzmann R., 137 a Lapide, C., I5, rr8, 160 Leach, 293 Lehming S., 201 Levin S., 37 Lévi-Strauss C., 72 Lippomanus, 14 Liptzin S., I64 Lods A., 74 s. Lohfink N., 56 Luke K., 132, 153 Lutero, 14 Lyra N., 14, 30, lOO, 237 1'v1abee Ch., 209 lv1auschberger, l 5 j\kGuire E.M., 307 McKane W., 76 !v1cKenzie B.A., 364 McKenzie S., 237 Mafico T.J., 106 Magonet J., 90 l\!Ialvenda, 14 s. Martin del Rio, 14 Martinengus, 14 Mateos J., 248 Matthia Thoringus, 14 Melchin K.R., 307 Mendelsohn I., 153 l\1ersennus, 15 Mesori-Caspi M., 258 1\1illard A.R., 76, 148 Minochi S., r5 Miscall P.D., 307 Morrison M.A., I89 ìv1urillo, IJ Musculus W., 14 Nacar, rrr Nelson C., 148 Nicol G., 282

Niditch S., 293 North R., 56 Noth M., 21, r23 O'Callaghan M., 293 Oleaster, 14 Oliva M., 179, 185 Onians R.B., 68 Origene, 14, 73, 136, IJO Ortega J., 46 Ovidio, 72, 74, lOO Petrus Burgensis, 14 Pascual Recuero, 14 Pagnini S., 14 Patai R., 55, 64, 68 Patrick, 15 Perera, 14, 39, I04 Pérez M., 35 Platone, 62 Porter J.R., 75 Preuss H.D., 220 Procksch O., 15, 73, 83, 184,255

Procopio, 51, 276 Propp, 242 Proulx P., 250 Proust M., 305 Pummer R., 275 de Pury A., 179, 237, 242 Rabano Mauro, 14 von Rad G., 13, 74 Rashi, 14, 132, 192 Rasmussen T., 237 Remigio di Auxerre, 14 Richter H.F., 203, 374 Ricoeur P., 123 Rieman P., 48 Robinson T., 283, 296 Rosenmiiller, r 5 Roth, W.H.W., 123, 237 Ruperto, 14, 40, 8r, 136, 150, 177,215,249,279 Salzmann P.C., 148 Savage M., 307 Scharbert J., l 06

Schaub M.M., 78 Scherman N., I4 Schwager R., 56 Selman M.J ., I48 Seneca, 81 van Seters, 20 Sharp D.B., I53 Sicre J .L., 98 Skinner ]., 13, 306, 331 Soggin J.A., 20 s. Speiser J.A., 13, 67 Stanford J.A._, 2 3 7 Strabone, 14, 9I Strus A., I09, III, 200 Szondi L., 56 Talmon S., 92 Teodoro di Mopsuestia, I4,275 Terser, I5 Testa G., I5

Tirinus, r5 Thompson St., 34, I95, 305 Thompson T.L., 20, I22, I58 Toker N., 307 Tolstoj L., 305 Tosato A., 168, I93.• I97 Tostado, I4, 352 Trible Ph., 269 Ubach B., 15 Ugo di san Caro, I4 Ugo di san Vittore, I4

Weimar P., I22 Weippert M., 134 Wellhausen J., 67, 261 Wernst U., 106 West S.A., 258 Westermann C., I3, 15, 27, 37, 44, 53, 64, 78, 97 s., 102, 123, I4.5, 237, 240, 242, 26I, 273, 374 Weyl, 15 \'Y!illiams J.G., 122 \V'iseman D.}., 76, I48 Ystella, r4

Vaccari A., III Vatablus, I4 de Vaux R., I7 s., 20, 28, 186, I5'6, 2I6 Vawter, 13, 67, I44 Vogels \YJ., 83

Zeron A., 88 Zimmerli W., 15 Zlotowitz M., 14

La Genesi è il libro narrativo biblico più ricco e suggestivo per quanto attiene a vicende d1 fratelli. Fino a oggi se ne è studiata molto la prima sezione, quella delle origini (creazione, paradiso, genealogie, diluvio, torre di Babele) , e sufficientemente il tema della promessa divina e della successione patriarcale. Mai, tuttavia, se ne è affrontato un motivo centrale, uno dei maggiori: quello della fraternità. La Genesi non offre né una teoria né uno studio della fraternità , bensì narrazioni in cui fratelli e sorelle sono protagonisti di vicende molteplici : di fratricidio, complicità, generosità, separazione, intercessione, frode, tradimento, riconciliazione, ecc. Luis Alonso Schokel legge fra le righe dei numerosi e vivaci racconti della Genesi su fratelli e sorelle, attento alle più tenui allusioni e sensibile al contrappunto di voci simultanee, esponendo con chiarezza anche le questioni tecniche. Il suo commentario si leggerà così sia con interesse sia con piacere e, ritornando al testo biblico, lo si troverà nuovo, profondo e attuale. Un libro non solo di studio, ma anche di meditazione.

00000000141 7898 DOY't TUOFRATELLO?

ISBN 88 .394.0384.1

9

788839 403841