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Italian Pages 316 Year 2001
GIANLUIGI SEGALERBA
Note su Ousia
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VOLUME PRIMO
EDIZIONI ETS
COLLANA. Filosofia Nuova SERIE
[26]
GIANLUIGI SEGALERBA [Genova 1967], è dottore di ricerca in Filosofia.
IN COPERTINA
Cesare Ripa, Ragione, 1618.
n
Filosofia nuova serie
26
GIANLUIGI SEGALERBA
Note su Ousta VOLUME PRIMO
EDIZIONI ETS
UN LIBRO È UN LIBRO
C'è una legge dello Stato che punisce coloro che fotocopiano o microfilmano i libri senza autorizzazione. Una legge che non è solo italiana. Una legge di cui già molti editori si sono serviti per difendere i propri diritti. Ma al di là di questa legge, anzi al di là di tutte le leggi del diritto, c’è la legge dell’etica. E l’etica comanda di riconoscere che il libro, in quanto frutto di un lavoro comune tra l’autore e l'editore, in quanto patrimonio di una memoria storica e di una cultura sempre viva, non può
e non deve morire. Coloro che fotocopiano un libro, ne vogliono la fine. E forse non lo sanno, 0 fingono di non saperlo. Colpevoli, comunque. Colpevoli dinanzi a quel tribunale del mondo che mai ergendosi a giustiziere, e mai utilizzando il diritto come strumento di rivalsa o di rancore, presuppone l’onestà nei costumi e la dignità di ogni lavoratore. Il resto, ancora una volta, è silenzio.
© Copyright 2001 EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
e-mail [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 88-467-0373-1
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Questi studi sono dedicati a mia madre, a mio fratello ed alla memoria di mio padre
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RINGRAZIAMENTI
Il presente lavoro deriva dalla revisione della mia tesi di dottorato composta presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa durante gli anni accademici che vanno dal 19931994 al 1996-1997. La revisione della tesi di dottorato è stata effettuata presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Berna nel semestre invernale 1999-2000 e nel semestre estivo 2000.
Desidero ringraziare, per i consigli che mi sono stati dati in occasione della composizione di questi studi, ed in occasione della revisione dei medesimi, il professor Walter Leszl del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze, il professor Gianfranco Fioravanti del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa, il signor Domenico Adriani dell’ufficio di Biblioteconomia del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa, il professor Andreas Graeser dell'Istituto di Filosofia dell’Università di Berna, il professor Wilhelm Schwabe dell'Istituto di Filosofia dell’Università di Vienna, ed il Professor Eckhard Kess-
ler dell’Istituto per gli Studi di Filosofia del Rinascimento dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco. Desidero poi ringraziare l’Istituto di Filosofia dell’Università di Berna e l’Istituto di Filologia Classica dell’Università di Berna, la Stadt- und Universitaàtsbibliothek di Berna e l’Offentliche Bibliothek dell’Università di Basilea, nonché il Cantone di
Berna per il sostegno economico offertomi negli anni 1999-2000. Desidero ringraziare, infine, di vero cuore la dottoressa Giovanna Varani che sempre mi ha incoraggiato e sostenuto du-
rante la stesura di questo lavoro.
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PREFAZIONE
Lo studio che presento concerne varî aspetti della teoria aristotelica della sostanza, per come essa viene elaborata da parte di Aristotele soprattutto nelle Categorie, da una parte, ed in Metafisica Zeta, Eta e Theta, dall’altra; verranno prese in esame, in particolare, le seguenti linee interpretative: — la distinzione aristotelica tra ente individuale sostanziale ed ente universale; — L'identità tra la sostanza di ciascun ente e la sua essenza;
— la critica operata da Aristotele nei confronti del sistema di predicazione, e di interpretazione, degli enti proprio della tradizione platonica). Un argomento di interesse parzialmente slegato rispetto a questi primi temi citati, ma non privo, tuttavia, di connessioni
per quanto concerne il problema di ousia, ossia, della sostanza, consisterà nell’analisi attinente alla struttura del composto. 1 Va detto che, per quanto attiene alle critiche che Aristotele muove a Platone, non è necessariamente detto che queste critiche siano fondate; parimenti, non è detto che ciò che Aristotele fa sostenenere a Platone, o alla tradizione platonica, corrisponda effettivamente a ciò che Platone sostiene nei dialoghi. Sull'argomento si deve procedere con grande circospezione, dal momento che non è semplice stabilire se le critiche di Aristotele siano effettivamente fondate. Tratterò questo argomento nel corso dell’esposizione. Tuttavia, onde fornire le informazioni necessarie su questo argomento fin da questo punto della mia ricerca, esprimerò alcune considerazioni provvisorie:
—
per parte mia, ritengo che Aristotele, soprattutto, metta in evidenza i vuoti Jasciati da Platone all’interno dei dialoghi, per quanto attiene allo statuto ontologico ed al modo di esistenza delle idee, facendo vedere come la posizione delle idee non sia sufficientemente chiarita,
e come essa dia, anzi, adito ad un maggiore numero di
problemi di quanti la stessa introduzione delle idee vorrebbe risolvere (o vorrebbe fare credere di avere risolto). Su questi punti, in primo luogo, si concentrano le critiche aristoteliche.
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Note su Ousta
Per chiarire immediatamente l’ambito dei testi aristotelici cui voglio fare riferimento, se, come detto, i punti centrali della speculazione aristotelica saranno costituiti, per la mia ricerca,
dalle Categorie e dai libri Zeta, Eta e Theta della Metafisica, rimarrà, per converso, parzialmente in ombra il libro Lambda della Metafisica, dal momento che i miei interessi vertono, più
che sul problema della sostanza sovrasensibile, sulla linea di demarcazione posta tra le sostanze prime e le sostanze seconde, — per adoperare il linguaggio delle Categorie? —, o, altrimenti detto, sulla distinzione rigida posta da Aristotele tra le sostanze e gli universali, — per utilizzare il linguaggio di Metafisica Zeta? —; la prevalenza, nella mia ricerca, di questi interessi non esclude, tuttavia, l'esame di alcuni passi di Metafisica Lambda, come si
potrà vedere nel corso dell’esposizione. Per porre in evidenza quali siano le mie posizioni circa la teoria aristotelica della sostanza, delineerò brevemente, nelle linee seguenti, i punti prin-
cipali che ho posto in luce nel corso delle parti in cui il lavoro è organizzato, senza seguire necessariamente, almeno per ora,
l'ordine in cui il lavoro medesimo è stato suddiviso, ma soffer-
mandomi invece, principalmente, sui concetti fondamentali che il lavoro stesso intende presentare. La mia interpretazione di ousia non vuole costituire una risposta definitiva ai numerosi problemi che attengono alla teoria aristotelica della sostanza: il titolo stesso scelto, «Note su ou-
sia», testimonia la mia intenzione di non dare un quadro definitivo della teoria della sostanza4. Dico questo non tanto per una 2 Si veda, a questo proposito, Categorie 5, 3b10-21. 3 Si veda, a questo proposito, Metafisica Z 13, 1038b8-16 e 1038b30-1039a7, o Metafisica Z 16, 1040b21-27 e 1041a3-5.
4 La mia posizione è stata almeno parzialmente ispirata dalle «Notes on Book Z of Aristotle's Metaphysics»; detto testo, sorto dalla collaborazione di varî autori, non presenta un’interpretazione unitaria del libro Zeta. Le Notes sorsero come registrazione
delle sedute di indagine, — tenutesi a scadenza più, o meno, mensile, tra il mese di Febbraio del 1975 ed il mese di Marzo del 1979, a Londra —, sedute concernenti, appunto, il
libro Zeta della Metafisica (riunioni dello stesso tipo vennero tenute, in un periodo successivo, sui libri Eta e Theta della Metafisica; da queste riunioni furono poi tratte le
«Notes on Books Eta and Theta of Aristotle’s Metaphysics»). Normalmente si attribui-
Prefazione
5 ]
volontà di difesa anticipata, — anche se questo motivo non è del tutto assente dalle mie dichiarazioni, date le difficoltà che il problema della sostanza presenta —, quanto, piuttosto, per rendere
l’idea dello svolgimento della mia ricerca, ricerca che vede un Aristotele, almeno in certe parti, oscillante sul problema del_, concetto stesso di sostanza. Ritengo, infatti, che non esista una soluzione definitiva al problema della sostanza; non esiste, in altre parole, un testo, per dir così, «finale», da cui possano essere
estratte le tesi conclusive concernenti il problema della sostanza; si può, al massimo, parlare di un’evoluzione che parte dalle posizioni contenute nelle Categorie, per arrivare alle posizioni contenute nella Metafisica, ove, tuttavia, si tenga presente che i risultati raggiunti all’interno delle Categorie, circa il problema della sostanza, vengono mantenuti nel libro Zeta della Metafisica, e non vengono già, in qualche modo, soppressi od abbandonati all’interno dello stesso libro Zeta. Per sintetizzare con una sola frase quanto vengo dicendo, ogni testo concernente il problema della sostanza fa, a mio giudizio, storia a sé. La linea interpretativa della mia ricerca, in altri termini, considera come assente una parola finale, in Aristotele, circa il problema della
sostanza; parimenti, la mia ricerca interpreta la struttura di libri della Metafisica, — come, ad esempio, il libro Zeta —, come una
struttura non continua, e non univoca stazione int
tativa che è stata
ifferenza dell’impotata da numerosi
inter-
pretr”. Mi sembra, infatti, che nell’analisi compiuta da Aristotele
erita
scono le «Notes» a Myles Burnyeat — per questo si veda anche la bibliografia -in quanto Burnyeat redasse personalmente circa la metà dei verbali delle riunioni. I varî autori che, in diversa misura, contribuirono alla stesura delle «Notes» sono, secondo come è ri-
portato nell’introduzione alle «Notes» medesime, Myles Burnyeat, Julia Annas, Lesley Brown, Christopher Kirwan, Alan Lacey, Gwilym Owen, Malcolm Schofield, Bob Shar-
ples, Michael Woods; i partecipanti alle riunioni, con frequenza peraltro diversa, furono Elizabeth Anscombe, Jonathan Barnes, David Charles, James Dybikowski, Theodor Ebert, Gail Fine, Peter Geach, Gerald Hughes, Edward Hussey, Terence Irwin, Barrington Jones, Anthony Kenny, Geoffrey Lloyd, Anthony Long, Brian McGuinness, Richard
McKirahan, Gareth Matthews, Richard Sorabji, Christopher Taylor, David Wiggins e Kathleen Wilkes. 3 Si veda, per tutti, il commentario di PATZIG-FREDE, «Aristoteles «Metaphysik Z». Text, ÙUbersetzung und Kommentar, Muenchen 1988». Non vi è bisogno di dire che, anche se non condivido l’interpretazione data da Patzig-Frede a proposito della mono-
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Note su Ousia
nel corso del libro Zeta della Metafisica, sia presente un’ambivalenza di fondo nell’analisi di ousia,
— intesa, ora, come sostanza individuale, —
intesa, invece, ora come forza, come essenza, o come «sostan-
za» di questa medesima sostanza individuale®. Pertanto,
— a capitoli di Metafisica Zeta nel corso dei quali, ad esempio, il tema centrale consiste nell’operazione di differenziazione: i) degli enti, come la sostanza, autonomamente esistenti, e ca-
paci di esistenza separata, ii) rispetto agli enti che non sono capaci di esistenza separata, e che, come tali, dipendono dalla loro inerenza in una sostan-
za o, altrimenti detto, dalla loro appartenenza ad una sostanza per esistere, oppure, a capitoli nel corso dei quali il tema è costituito dalla opposizione e dalla distinzione tra la sostanza e l’universale (questi capitoli sono complessivamente rappresentati, soprattutto, dai capitoli Z 1, Z 13, Z 16), — si accostano poi capitoli, sempre contenuti in Metafisica Zeta,
nel corso dei quali il tema centrale è costituito dall’analisi dei fattori che fanno di una sostanza quello che essa stessa è (come i capitoli Z 7, Z 8,
Z9, Z 17, tanto per fare alcuni esempi),
vale a dire, in altri termini, si accostano capitoli composti dalvalenza di ousia all’interno del libro Zeta, ed anche se non condivido, parimenti, l’impo-
stazione relativa al problema delle forme particolari, e relativa altresì all’interpretazione delle forme come forme particolari, ciononostante il commentario costituisce uno strumento di riflessione indispensabile, che mi ha fornito numerosi suggerimenti nel corso del mio lavoro. La dichiarazione in base alla quale affermo di non essere d’accordo con la tesi del libro non equivale, quindi, ad una dichiarazione attestante l’inutilità del libro stesso; anzi, al contrario, il commentario di Patzig-Frede costituisce uno strumento indispensabile nell’analisi del libro Zeta. © Per il doppio valore di ousia mi sono rifatto principalmente, per quanto attieNi ne alla bibliografia, alle «Notes on Book Z of Aristotle’s Metaphysics» (si veda pag. 1). | Per quanto concerne la differenziazione tra «sostanza» e «sostanza della sostanza», si vei da MORRISON, «Three Criteria of Substance in Aristotle's Metaphysics: Unity, Definabicori lity, Separation, in «Oxford Studies in Ancient Philosophy», vol. 3, edited by JULIA AN-
||
NAS, Oxford 1985».
Prefazione
19)} xra
l’analisi dei fattori che costituiscono l'essenza di una sostanza,
- di contro ai fattori che rappresentano esclusivamente parti accidentali, o parti materiali della sostanza medesima, magari indispensabili all'esistenza della sostanza stessa (come è il caso delle parti materiali nel caso della sostanza sensibile), ma non rientranti nella definizione di una sostanza, in quanto non costituenti parte della sostanza medesima —. Mi sembra, pertanto, che, in corrispondenza dei diversi usi di ousia, ora intesa, come si è detto, come ente individuale sostanziale, ora intesa come sostanza dell’ente individuale sostan-
ziale’, ed in corrispondenza dell’analisi e delle caratteristiche spettanti ai diversi usi di ousia, vi siano differenti temi nel corso del libro Zeta, sintetizzabili, rispettivamente,
a) nell’opposiziohe tra ciò che può esistere in maniera indipendente, e ciò che non può ésistere n maniera indipendente?, e, . b) nella distinzione tra ciò che fa parte dell’essenza, e della definizione della sostanza individuale, e ciò che, invece, non ne
fa parte, con il conseguente collocamento di ogni componente al posto ad essa spettante. Questa interpretazione della speculazione aristotelica sulla sostanza apre la strada ad un discorso di continuità tra la posizione delle Categorie e la posizione di Metafisica Zeta, o, — per meglio esprimere quale sia la mia posizione sull’argomento concernente la relazione tra l’interpretazione aristotelica della sostanza nelle Categorie, e l’interpretazione aristotelica in Metafisica Zeta —, di: diversità nella continuità
tra le posizioni espresse sulla sostanza nelle Categorie e le posizioni espresse sulla sostanza in Metafisica Zeta. Se, in altri ter6 ?
O, altrimenti detto, intesa ora come sostanza, ora come sostanza della sostanza.
8. Opposizione nella quale sono comprese: i) tanto la differenziazione tra sostanza ed universali,
ii) quanto la differenziazione tra sostanza ed enti appartenenti a categorie differenti da quella di sostanza.
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Note su Ousia
mini, la posizione che Aristotele sviluppa nelle Categorie, per quanto riguarda la sostanza, è quella consistente: nella interpretazione della sostanza come ente individuale capace di esistere autonomamente, — e, dagli esempi che Aristotele
adduce, sembra di potere dire che la sostanza sia l’ente individuale appartenente all’universo biologico, vale a dire, che sostanze siano, ad esempio, i particolari animali”, come i particola-
ri uomini, od i particolari cavalli —, la posizione che Aristotele sviluppa in Metafisica Zeta è: a) da un lato, quella della sostanza come ente individuale sostanziale appartenente all’universo biologico, e, b) dall’altro lato, quella della sostanza come forma, o come essenza, o come natura, di questo stesso ente individuale sostanziale!0 Si vede come, di conseguenza, la posizione del libro Zeta
mantenga, nelle proprie posizioni fondamentali, le posizioni delle Categorie, dal momento che la posizione delle Categorie, attestante la valutazione della sostanza come ente individuale capace di esistenza indipendente, costituisce una delle posizioni | contenute nel libro Zeta. Non penso, pertanto, che si debba un_ca tale, o di una = damentale le Categorie e Metafisica Zeta, e ritengo, al conrar e all’interno di Metafisica Zeta, pur nella maggiore complessità!! dei problemi che Aristotele è chiamato a risolvere nell’ambito di Metafisi?. Rimane fermo, d’altra parte, che è difficile stabilire quali enti rientrino nella sostanza e quali enti non vi rientrino. 10 Per la verità, da alcuni tratti del libro Zeta, come, per fare un esempio, il capitolo Z 10, passim, il capitolo Z 17, e da alcuni tratti del libro Eta, come, ad esempio, il capitolo H 3, 1043a29-36, sembra di potere dire che, nell’ambito delle sostanze individuali, rientrino anche alcuni tipi di artefatti, come statue, o case. 1! «Complessità», come termine attribuito a Metafisica Zeta, non significa che,
per contrasto, le Categorie costituiscano un trattato facile, o addirittura semplice. L'uso di termini come «complesso» non deve far pensare che vi siano parti della speculazione aristotelica semplici, o immuni da problemi. Non è questa la mia intenzione, allorché at-
tribuisco una maggiore complessità al libro Zeta rispetto alle Categorie.
Prefazione
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ca Zeta, quali, ad esempio, il problema dell’unità del composto, od il problema della collocazione della materia. Tirando le somme da queste prime considerazioni, sostanza, allora, come si è accennato, assume nella mia interpretazione:
1) il senso di ente individuale capace di esistere indipendentemente, da una parte, e, ii) il senso di essenza, o di forma, di questo stesso ente in-
dividuale, dall’altra!?,
Bisogna, a questo punto, fare alcune considerazioni su questi due sensi fondamentali. In primo luogo, la sostanza nel senso di ente individuale viene da me interpretata, in modo principale, come l’ente complesso appartenente all’universo biologico: in questo senso, per fare un esempio, sostanze sono gli animali particolari. La sostanza, in quanto essa venga intesa nel senso di ente individuale capace di esistere indipendentemente, ha come caratteristiche, come proprietà fondamentali che spettano alla sostanza in quanto tale!?, re
na
— quella di essere un ente individuale!4, quella di essere, cioè, 12 La differenza di posizione tra le Categorie ed il libro Zeta della Metafisica consiste, a mio giudizio, nel fatto che nelle Categorie è presente soltanto la prima delle due posizioni (ove non si voglia vedere la trattazione delle «sostanze seconde» presente nelle Categorie come un’anticipazione del concetto di «forma»), mentre, nel libro Zeta, sono presenti entrambe le posizioni, il che produce le tensioni, riscontrabili nel libro Zeta stesso, tra la sostanza intesa come ente individuale, in alcuni capitoli, e la sostanza in-
tesa come forma dell’ente individuale, in altri capitoli. A 13 Si potrebbe dire, a questo proposito, che, per qualunque cosa sia sostanza, se essa è sostanza, allora deve avere queste proprietà; tale è il senso in cui queste proprietà
sono proprietà fondamentali. 14 Un modo in cui è espressa questa individualità è, tra gli altri, quello dell’attribuzione dell’essere tode ti all’essere sostanza; tode ti — traducibile come «questo qualcosa» o come «un questo» —, è espressione di difficile interpretazione, dal momento che è suscettibile di varie applicazioni. In alcuni passi mi sembra che tode ti sia applicato alla sostanza, al fine di eyidenziare l'opposizione tra la sostanza come ente individuale, e l’universale, o la sostanza seconda, come ente che non costituisce un ente individuale, oppure, anche, al fine di evi-
denziare l’opposizione tra la sostanza come ente individuale indipendentemente esistente, — che, pertanto, può a tutti gli effetti essere considerato un questo ed un qualcosa di
determinato, di configurato, di delimitato rispetto agli altri enti —, di contro agli enti appartenenti alle altre categorie, enti che non costituiscono qualcosa di determinato, di de-
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Note su Ousta
un ente che è uno di numero,
- quella di essere qualcosa che non viene predicato di niente, e di cui tutti i restanti enti vengono predicati, vale a dire, quella di costituire l’ultimo! soggetto di predicazione, e, — quella di essere un ente separato, distinto dagli altri enti, ed in grado di esistere autonomamente rispetto agli altri enti!°. limitato rispetto agli altri enti, se non in virtù della sostanza che costituisce la loro base esistenziale. D'altra parte, tode ti viene applicato alla sostanza anche quando essa sia presa nel senso di forma, vale a dire, tode ti, in questo caso, indica la compattezza, l’unitarietà,
e l'omogeneità delle componenti di una forma, di contro ai composti rappresentati dall’unione di una sostanza con un accidente. Ritengo, ad esempio, che in Categorie 5, 3b10-21, tode ti sia adoperato per indicare la differenza tra sostanza prima come ente individuale, e sostanza seconda come determinazione del modo di essere dell’ente individuale, ritengo altresì che, in Metafisica
Z 1, 1028a10-12, il senso di tode ti consista nell’evidenziazione dell’opposizione tra sostanza individuale ed universale, o tra sostanza individuale ed enti non appartenenti alla categoria di sostanza, mentre ritengo che, in Metafisica Z 4, 1030a3-11, tode ti venga
adoperato per indicare la differenza tra gli enti composti, risultanti dall’unione di categorie differenti (sostanza+accidente, ad esempio), e gli enti omogenei in quanto aventi come proprî elementi parti della medesima categoria; tode ti si oppone, in questo caso, agli enti aventi la struttura del qualcosa detto di qualcosa d’altro (allo kat allou). In Metafisica © 7, 1049a27-1049b3, poi, tode ti differenzia la forma, in quanto
ente dotato di una propria conformazione e di una propria delimitatezza, rispetto all’indefinitezza delle formazioni attributive e delle formazioni materiali, interpretate nella stessa maniera come enti indefiniti.
D'altra parte, non va dimenticato che, in alcune parti, come, ad esempio, in Metafisica Z 13, 1038b34-1039a3, la considerazione di ciò che viene predicato e di ciò che è universale, come se esso costituisse un tode ti, viene valutata come la causa del regres-
so del terzo uomo. La questione di tode ti è, come si può vedere già da queste linee introduttive, estremamente complessa, ed occuperà, pertanto, molta parte della presente discussione. Si potrebbe dire, anche, soggetto primo di predicazione; la sostanza si intende, infatti, come soggetto ultimo, allorché si parta dagli enti non sostanziali per risalire alla sostanza, che rappresenta il soggetto oltre al quale non si può risalire; la sostanza si intende, d’altra parte, come soggetto primo, in quanto la sostanza è il soggetto primo per tutti gli altri enti, in quanto, cioè, si parta dalla sostanza per discendere a tutti gli altri enti. 16
Alla considerazione di choristén, di separato, alla valutazione di ciò che può
essere considerato separato, sono collegate numerose questioni. Mi limito a dire che Aristotele, di contro alla separazione degli universali, da lui imputata alla tradizione platonica in Metafisica M 4, 1078b17-1079a4, ed in Metafisica M 9, 1086a32-1086b13, e di
contro alla separazione degli enti predicati, da lui attribuita alla tradizione platonica nell’argomento dell’uno oltre i molti, o nell'argomento del terzo uomo (per quanto attiene
Prefazione
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La sostanza, in questo senso, costituisce la base esistenziale
di tutti gli enti non appartenenti alla categoria di sostanza, dal momento che forma ciò in cui essi si manifestano. L’indipendenza esistenziale della sostanza è tradotta, a livello logico-predicativo, nel suo non essere predicata d’altro. La valutazione della sostanza come di un ente individuale, da una parte, e la li-
nea di demarcazione netta che Aristotele pone tra ente individuale ed universale, tra ciò che è soggetto e ciò che viene predicato, tra ciò che è denominabile come un tode ti, o come un tode toionde, da una parte, e ciò che è denominabile, semplice-
mente, come toionde, o come poién, dall’altra!”, pongono una distinzione netta tra campi della realtà, e vietano, altresì, la valu-
tazione dell’ente che viene predicato, come di un ente dotato di esistenza autonoma, e come di un ente che sia in possesso delle stesse proprietà che esso serve ad attribuire agli enti di cui viene alla ricostruzione dell'argomento attribuita da Alessandro di Afrodisia ad Aristotele), propone un proprio sistema degli enti separati; ben venga la separatezza, sembra dire Aristotele, solo, non venga essa attribuita ad enti che, in quanto non possono esistere autonomamente, ed in quanto non sono individuali, non possono essere considerati separati, in senso assoluto, per nessun motivo (diverso è il caso in cui detti enti vengono detti separati per astrazione, o nel ragionamento, o nel discorso, secondo come si voglia intendere il passo contenuto in Metafisica H 1, 1042429). La separatezza implica l’individualità. 17
La distinzione tra ente individuale ed universale, espressa, di volta in volta,
con l’accompagnamento di elementi ulteriori (quali l'opposizione tra ciò che è soggetto e ciò che è predicato, tra ciò che è tode ti e ciò che è poiòn, tra ciò che è tode toionde e ciò che è toionde), è presente in varî passi della speculazione aristotelica: si vedano, ad esempio, Pa = = = — =
= =
È
Categorie 5, 3b10-21, De Interpretatione 7, 16a38-17b1, Confutazioni Sofistiche 22, 178b36-179a10, Metafisica Beta 6, 1003a5-b17 (aporia 12, secondo la numerazione di Ross, che sarà quella da me adottata), Metafisica Z 8, 1033b19-1034a8, Metafisica Z 13, 1038b34-1039a3, Metafisica Z 16, 1041a3-5, Metafisica I 2, 1053b16-21.
In generale, mi sembra che molte delle affermazioni aristoteliche riguardanti gli universali siano formulate con l'esplicita intenzione di evitare un’entificazione degli universali medesimi. Si vedano, a questo proposito, i passi contenuti in Analitici Secondi I, 11, 77a5-8, I, 22, 83a24-35, I, 24, 85b15-22.
22
Note su Ousta
predicato. In altri termini, l’universale non è un ente esso stesso caratterizzato dalle proprietà degli enti individuali!8, non è un ente individuale, uno di numero, e non è un ente separato (l’u-
niversale «uomo» non è un uomo), di modo che viene sbarrata x
la strada al regresso del terzo uomo!?. È proprio in virtù della ——_
n
n
18. La diversa interpretazione che Aristotele vuole evidenziare circa la posizione ontologica dell’ente che viene predicato costituisce, a mio giudizio, la principale linea di demarcazione rispetto alle posizioni platoniche, almeno per come Aristotele interpreta le posizioni platoniche stesse. 19 Circa la confusione tra ente individuale ed universale come causa del terzo uomo, si vedano, ad esempio, queste battute, tratte dal capitolo Metafisica Z 13, 1038b34-1039a3:
«A coloro che riflettono a partire da questi elementi, risulta evidente che nessuno degli enti che vengono predicati universalmente, è sostanza, e che nessuno degli enti che vengono predicati in comune significa un questo (oppure: un questo qualcosa, o un
dato esistenziale: anche queste traduzioni mi sembrano plausibili), ma significa un tale. Altrimenti, si presentano sia molte altre difficoltà, sia il terzo uomo (ék Te Sì ToiTwv Bewpodor pavepòv STI oÙsév TOV KaBdXou UmapyxévTwv ovota éoTi, kai dt oùbèv onpatver TOÒV Kowf KaTtnyopoupévmv T6é8E TL, dXlà Todvee. ci SÈ un; dNda TE moXXd
cvppatver
kai 6 TpiTos
dvapwros)».
Il regresso del terzo uomo mi sembra ricostruibile adoperando le seguenti pre-
messe: =
Uno oltre i molti: data una pluralità con un carattere comune, vi è un ente, f, che viene predicato di queste cose.
-
Separazione generale: tutto ciò che è predicato di una pluralità di cose, è separato dalle cose di cui è predicato, vale a dire, esiste indipendentemente dalle cose di cui viene predicato. Non-identità: tutto ciò che è predicato di una pluralità di enti, è qualcosa oltre gli enti di cui viene predicato (altrimenti detto: nessun ente ha una proprietà in
=
virtù di sé stesso, ossia, nella fattispecie, è f, in virtù di sé stesso). L’ente che viene
.
predicato non è identico a nessuno degli enti che sono fatti oggetto di predicazione.
—
Auto-predicazione: ogni ente f, che viene predicato di una pluralità di cose, è esso stesso £. Da queste premesse segue che, se il primo ente predicato è, esso stesso, un ente con la proprietà f, allora si deve postulare l’esistenza di un altro ente, in virtù del quale l'insieme costituito dalla pluralità prima e dal primo ente predicato abbiano la proprietà f; se poi si riapplica la premessa di auto-predicazione all’ente così ottenuto, si deve po-
stulare ancora un altro ente, e si va, di conseguenza, all’infinito, per cui, se una cosa ha
una proprietà in virtù di un ente, essa ha questa proprietà in virtù di un'infinità di enti; siccome, d’altra parte, le idee venivano introdotte‘al fine di arrivare ad una spiegazione unitaria ed univoca del problema rappresentato dalla comunanza, da parte di una pluralità, di una stessa proprietà, si vede bene come le idee complichino la questione; dall’introduzione di un’idea, infatti, segue l’introduzione di infinite idee. Con ciò si viene me-
Prefazione
volontà rma di non cadere nel regresso del terzo uom i istotele ra, a mio giudizio, il proprio sistema degli enti e la propria interpretazione degli universali. Ces
Ii
ni un ente indivi-
duale, uno di numero, autonomamente esistente, porta con sé la costruzione di un sistema della realtà in cui, ad esistere in ma-
niera indipendente, vengono posti determinati enti; tutti gli altri enti esistono in maniera dipendente, — anche se detta dipenden-
za va intesa in maniera, di volta in volta, differente —, rispetto a
questi enti primi?°. D'altro canto, la distinzione tra ente individuale ed universale, insegna a considerare, nei giusti livelli di realtà, l’ente individuale e l’universale, ed insegna, altresì, a non
entificare gli universali, o, anche, insegna a considerare gli enti che vengono predicati come enti dalle caratteristiche, e dalle proprietà, diverse rispetto agli enti di cui vengono predicati; in altre parole, la distinzione tra enti individuali ed universali apre la strada alla corretta interpretazione degli enti predicati come universali. Un punto da sottolineare, per quanto concerne la sostanza individuale, è che la sostanza individuale non è un ente vuoto, non è, in altri termini, un ente indifferente rispetto a tutte le
proprietà; una sostanza individuale è un ente che è indifferente, per così dire, rispetto ad un determinato tipo di proprietà, le proprietà accidentali, senza essere altrettanto indifferente rispetno, da un punto di vista epistemologico, all’esigenza di semplicità nella spiegazione, mentre, dal punto di vista ontologico, si viene meno all’unicità nella causa per la quale una pluralità ha una medesima proprietà: se, infatti, una pluralità ha una pfoprietà in virtù di un solo ente, allora ha questa stessa proprietà in virtù di infiniti enti, il che risulta chiaramente incoerente.
La distinzione tra ente individuale ed universale elimina la possibilità dell’autopredicazione — come si può vedere in Z 13 —, mentre la posizione degli enti come enti che sono ciò che sono in virtù di sé stessi — come si può vedere in Z 6 —, elimina la necessità di ricercare un ente oltre i molti, in virtà del quale gli enti di una pluralità abbiano una proprietà. 20. Dico «in maniera differente», dal momento che la dipendenza di uîf universale nei confronti di una sostanza non è lo stesso tipo di dipendenza, rispetto alla sostan-
za, di un ente appartenente alle categorie differenti. Un universale è concretizzato, «istanziato», in una sostanza, mentre un ente appartenente alle altre categorie inerisce in una sostanza.
24
Note su Ousta
to alle proprie proprietà essenziali. — Una sostanza individuale è imzzediatamente qualcosa, è qualcosa di per sé stessa senza che vi sia bisogno di ricorrere a qualcos'altro al fine di trovare i motivi in base ai quali una sostanza individuale sia qualcosa;
— per una particolare sostanza come l’uomo individuale, esistere è essere un uomo, è essere le proprietà che costituiscono l’essere dell’uomo; — una sostanza individuale è la concretizzazione di una determinata serie di proprietà, e non può essere considerata senza queste proprietà. Questi sono punti molto importanti nella valutazione della sostanza individuale. Chiarito il primo senso di sostanza, si tratta di esaminare il secondo senso della sostanza stessa, quello sintetizzato nell’essere, da parte della sostanza, la forma, o l’essenza, di un determi-
nato tipo di enti. Come si è detto, la sostanza è la forma, l’essenza, o, in altri termini, l'atto di determinati enti; anche questo siSiificato della sostanza necessita di spiegazioni adeguate e di precisazioni appropriate. ©1 averi sua La sostanza è essenza nel senso che è ciò che un ente è di per sé stesso, vale a dire, è il complesso di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza dell’ente; senza queste proprietà, l’ente non potrebbe esistere, e la perdita di queste proprietà significherebbe, e di fatto significa, per l’ente stesso, usci-
re dal dominio dell’esistente. Per quanto riguarda, poi, la sostanza come forma del composto sensibile, la forma costituisce l’atto delle componenti materiali, costituisce, in altri termini, il
principio che organizza, attualizza, e mette in opera, le parti ma-
teriali?!. Questo punto FIETERDA Fri padirimere la AN
chi
2! Ogni parte, in quanto tale, ha senso solo se è collocata in un tutto; altrimenti, si potrebbe dire, di fatto non esiste. Si veda, a proposito dell’esistenza del tutto, di contro all’esistenza esclusivamente potenziale delle parti, quanto viene espresso all’inizio di Metafisica Z 16 (si tratta delle linee 1040b5-16): «È manifesto che, delle cose che sembrano sostanze, la maggior parte sono solo potenzialità, e tali sono le parti degli animali (nessuna di queste è, infatti, una realtà se-
| |ti |
Prefazione
25
questione concernente le componenti che entrano nella definizione dell’ente composto: se, infatti, è la forma a costituire il
principio di organizzazione, nonché a costituire la struttura dell’ente individuale, allora è la forma, allora sono le parti formali,
a costituire «il ciò che mini, le parti formali a posto, laddove le parti pluralità del medesimo
è» dell’ente composto, sono, in altri tercostituire l’identificazione dell’ente commateriali costituiscono il principio della ente composto??.
D'altro canto, si deve notare che Aristotele rifiuta tutti i tentativi di riduzione, o di riconduzione, della sostanza, agli enti
geometrici, ad uno o ad essere, o alle parti materiali; il principio degli enti non consiste nei fattori che le interpretazioni della tradizione filosofica precedente hanno visto come principî della realtà. Al contrario, per prendere in considerazione gli enti geometrici, detti enti geometrici esistono esclusivamente in quanto esiste una sostanza dalla quale essi vengono derivati per via di astrazione: pretendere, allora, di considerare gli enti geometrici come principio degli enti individuali, e pretendere di ricondurre, e di ridurre, l'essenza degli enti individuali, agli enti geome-
trici, equivarrebbe a considerare, come principio degli enti individuali, ciò che è esso stesso dipendente dagli enti individuali. In altri termini, un tale tipo di ragionamento produrrebbe una considerazione del tutto errata circa ciò che può fungere da ente indipendente e circa ciò che costituisce un ente dipendente, parata: qualora venga separata, tutte queste parti esisteranno soltanto come materia (oùBèv yàp kexwpopévov aùTtOv éoTiv: 6Tav Sè yxwpo@f, kai T6TE 6vTa__Ws Un mdvta)), e la terra, ed il fuoco, e l’aria; nessuna di queste cose, infatti, è un’unità, ma es-
se sono come un mucchio, prima che vengano informate, e si generi da loro qualcosa di uno (oùstv
ydp aùt@bv
év éorw,
di
otov cwpòs,
mpiv fi medof
kai yévntai
n
ee aùrov é€v). In particolare, si potrebbe assumere che le parti degli esseri animati e le parti dell'anima sussistano in ambedue i modi, in atto ed in potenza, per il fatto che esse posseggono il principio di movimento nelle articolazioni; perciò alcuni animali continuano a vivere anche quando vengano tagliati. Tuttavia, tutte queste parti esisteranno soltanto in potenza, allorché esse siano un’unità e siano continue, e non allorché esse costituiscano un’unità ottenuta per forza, o per congiunzione: una tale cosa, infatti, è una
anormalità». Il punto verrà più diffusamente commentato a tempo debito. 22 La questione concernente le parti che entrano nella definizione è, in ogni caso, assai complessa. Rimando alla trattazione che è stata dedicata ad essa nella Parte Quarta.
26
Note su Ousia
e, parimenti, circa ciò che costituisce l’elemento fondamentale
di un ente e circa ciò che, per converso, ne costituisce soltanto un elemento derivato??. Il discorso attinente alla ben precisa intenzione aristotelica di non ridurre la sostanza di un ente a qualcosa di inappropriato, ci introduce ad un altro discorso, vale a dire, ci introduce alla volontà aristotelica di non considerare ciascuna cosa come, in
qualche modo, differente dalla propria essenza. Aristotele non vuole separare l'ente dall’essenza, o la sostanza individuale dall'essenza, nel senso che, per una particolare sostanza come uomo, un uomo non è qualcosa di differente rispetto alla propria essenza, non è qualcosa che debba la propria configurazione alla partecipazione ad altro da sé: un ente è immediatamente qualcosa e, nei limiti delle proprie proprietà costitutive, è identico alla propria essenza”4. L'intenzione aristotelica di tenere insieme ente e sostanza,
o sostanza ed essenza, costituisce un’argomentazione molto im-
portante??, dal momento che testimonia della precisa volontà aristotelica di non ricorrere ad enti esistenti oltre ed al di là dell’ente preso in considerazione per spiegare i motivi in base ai 23. 24 giudizio, appunto,
Si vedano i libri M ed N della Metafisica, passim. Se si tiene presente la nota in cui ho esposto le premesse necessarie, a mio a provocare il regresso del terzo uomo, si vede come una delle premesse sia, la premessa di non-identità, premessa in base alla quale nessun ente ha una
proprietà in virtù di sé stesso, o, altrimenti detto, in base alla quale l’ente predicato è
sempre qualcosa di diverso, qualcosa di autonomo, e di esistente in maniera separata, ed indipendente, rispetto a ciò di cui venga predicato. L'identità tra ente ed essenza, tema che occupa il capitolo Metafisica Z 6, serve appunto, a mio parere, ad eliminare questa premessa, nonché ad eliminare l’interpretazione degli enti che tale premessa riassume.
2
Va detto che la questione concernente l'ambito degli enti identici alla propria
essenza è una discussione molto accesa; vi sono, ad esempio, coloro che vogliono limitare detta identità soltanto alle forme, dal momento che ogni ente individuale presenta
aspetti accidentali. Per parte mia, ritengo che un ente individuale possa essere considerato nelle sole proprietà essenziali, e che, in tale senso, esso sia identico alla propria essenza; un ente individuale è, di per sé stesso, identico alla propria essenza: per fare un esempio, un particolare uomo può essere considerato nelle proprie proprietà essenziali ed è, in questo senso, identico alla propria essenza. Rimando, in ogni caso, alla trattazio-
ne di Metafisica Z 6 per ulteriori delucidazioni sull'argomento.
Prefazione
27
quali un ente ha, o meglio è, una determinata natura. In conclu-
sione di questa presentazione della teoria della sostanza, si dovrebbe parlare, allora, a mio parere, di due sensi di sostanza: a) uno di sostanza come, semplicemente, sostanza, come
ente individuale capace di esistenza indipendente, b) l’altro di sostanza come di sostanza della sostanza.
AI fine di presentare elementi a conferma della linea interpretativa testé esposta, riporterò, ora, alcuni passi che possono,
appunto, costituire una riprova di quanto è stato detto; pren-
derò le mosse da una citazione contenuta all’interno delle Categorie, dal momento che i contenuti espressi in detta citazione da Aristotele mi sembrano molto significativi: il passo è contenuto in Categorie 5, 2a34-2b6: «Tutti gli altri enti.si dicono o delle sostanze prime come soggetti, o sono in loro come soggetti.
Ciò è manifesto dalle cose che sono state proposte individualmente: come, per esempio, l’animale si dice dell’uomo, dunque si dice anche di un uomo particolare, — se, infatti, non si dicesse di nessun ùomo particolare, non si direbbe, generalmente, di nessun uomo —; ancora, il colore è in un corpo, perciò si trova anche in un corpo particolare; se, infatti, non
fosse in un corpo individuale, non sarebbe in un corpo assolutamente: sicché tutti gli altri enti o si dicono di questi come soggetti, o sono in loro come soggetti; sicché, se non ci fossero le sostanze prime, sarebbe impossibile che vi fosse qualcuno degli altri enti?6.»
Il passo mi sembra essere rivelatore per quanto concerne l'equivalenza tra sostanza, e soggetto principale di predicazione, come rivelatore mi sembra essere, parimenti, per quanto cencer-
ne la posizione della sostanza come base esistenziale degli enti. Senza la sostanza non può esistere alcun ente, per cui le costruzioni filosofiche che pongono, come principî, enti che non siano in grado di esistere autonomamente, non presentano una corretta
interpretazione della dipendenza e dell’indipendenza degli enti?”. 6 26. Cfr. Categorie 5, 2b6-7: ndvra TOUTWWY
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mn eivar.
27. La posizione secondo la quale, al ruolo di principî, non possano assurgere fat-
28
Note su Ousta
Bisogna partire, in altri termini, dall’ente individuale capace di esistenza indipendente, per vedere che cosa possa essere considerato ente di base e che cosa, al contrario, possa, e debba, essere
considerato ente dipendente; si potrebbe anche dire, modificando il modo di vedere la questione, che Aristotele considera sostanze, ossia enti di base, enti che, in speculazioni metafisiche precedenti sono considerati, invece, enti derivati e viceversa considera come enti derivati enti che, in differenti considerazioni
metafisiche, costituiscono l'elemento di base, potremmo dire l’elemento sostanziale, del mondo.
La funzione della sostanza come soggetto è espressa compiutamente dalla seguente citazione, contenuta in Categorie 5, 2al1-19: «Sostanza, quella che viene detta sostanza in modo dominante, ed in modo primario, ed in modo assoluto, è quella che non viene predicata
di un soggetto, né è in un soggetto, come un uomo particolare, od un cavallo particolare. Sostanze seconde si dicono le specie, nelle quali gli enti, che vengono detti sostanze prime, sono contenuti: sia queste?8, sia i generi di queste
specie: come, per fare un esempio, l’uomo particolare appartiene alla specie uomo, mentre il genere della specie è animale; perciò, queste si dicono sostanze seconde, come l’uomo e l’animale??.»
A riprova della dipendenza esistenziale degli enti appartenenti alle altre categorie rispetto alla categoria di sostanza, — nonché a riprova della continuità tra alcuni elementi presenti nelle Categorie ed alcuni elementi presenti in Metafisica Zeta —, detta dipendenza mi sembra bene espressa in questo passo, tratto da Metafisica Z 1, 1028a20-25: tori che dipendono esistenzialmente dalla sostanza, viene descritta dettagliatamente in Metafisica Ni, o nel primo libro della Fisica, o, anche, naturalmente, in Metafisica Zeta.
28. Vale a dire, le specie. 29 7) prime Tis
Oùota SÉ éoTw f KupwsTatd ka0° Umokerpévov mwvòs Aéyerar
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Prefazione
29
«Ci si potrebbe perciò chiedere se il camminare, e l’essere sani, e l'essere seduti, ciascuno, siano, o non siano, essere, e ci si potrebbe porre
un quesito simile nel caso di qualunque ente di questo genere: infatti, nessuno di questi enti è di per sé stesso (xa@’ avtd), né è possibile che venga separato dalla sostanza (xwpiCeoBar
Suvatòv
fs
odotas), ma, piutto-
sto, si deve dire, semmai, che a ciò che cammina, ed a ciò che è seduto, ed a ciò che è sano, spetta la determinazione di ente0.»
Il passo pone in luce come vi sia, anche all’interno di Metafisica Zeta, almeno un’applicazione di ousia alla sostanza individuale, di contro a quanti vorrebbero ricondurre l’uso di ousia alla sola forma all’interno, appunto, del libro Zeta. Se, in altri termini, è vero che, nell’ambito del libro Zeta, è prevalente l’uso
di ousia come forma, o come essenza degli enti, ciononostante l’uso di ousia, in quanto applicato alla sostanza individuale, non può essere escluso. D’altra parte, nel passo è presente anche una linea di continuità tra l’interpretazione della sostanza delle Categorie, e l’interpretazione della sostanza in Metafisica Zeta. In entrambi i casi, infatti, sostanza è la base esistenziale degli enti
appartenenti alle altre categorie, è, in altri termini, l'ente a cui tutti gli enti vengono riferiti, è l’ente di cui tutti gli enti vengono predicati, senza essere, a sua volta, predicato di nessun ente?!. Particolare importanza riveste, poi, la proprietà, posseduta dalla sola sostanza, di essere separabile — o separata, a seconda delle interpretazioni —, dagli altri enti; mentre gli enti appartenenti alle categorie differenti da quella di sostanza non possono venire separati, le sostanze possono essere separate dalle proprietà accidentali; intendo questa proprietà dell’essere separato dagli altri enti, come la capacità di esistere indipendentemente dagli al30 kai
Tò
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S1ò kaù dmoprpoerev Tis moTEpov TÒ Basile kai tò Uyratvewv Kkagfiodar ékaotov aùrOv èv 7 pù 0v, opotws SÈ Kkal ém. TGV dXNWwWw
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31
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Si potrebbe obiettare, a questo proposito, che il capitolo Z 1 costituisfe un
momento introduttivo nel contesto del libro Zeta. Mi sembra tuttavia di potere dire che
il capitolo primo serva a ribadire alcune caratteristiche definite ed acclarate come proprie della sostanza, per cui il discorso del carattere tendenzialmente introduttivo di Zeta 1 non vale.
30
Note su Ousta
tri enti, nel senso che, mentre la sostanza può esistere indipendentemente dagli altri enti, gli altri enti non possono esistere senza una sostanza che li possieda’. Posta la distinzione tra sostanza ed enti appartenenti alle categorie differenti da quella di sostanza, si deve menzionare il passo nel quale è chiaramente affermata un’altra distinzione, — a mio giudizio molto importante —, evidenziata da Aristotele, vale a dire, la distinzione tra sostanza prima, in quanto significante un questo?3, e sostanza seconda, in quanto significante un quale;
il passo è contenuto in Categorie 5, 3b10-23: «Ogni sostanza sembra significare un questo?4. Per quanto riguarda,
allora, le sostanze prime, è incontrovertibile, ed è vero che la sostanza prima significa un questo; infatti ciò che viene manifestato è individuale, ed è uno di numero”. Per quanto riguarda le sostanze seconde, d’altra parte, sembra che, allo stesso modo, a giudicare dalla forma del nome, esse significhino un questo, qualora uno dica uomo, o animale; ciò, d’altra parte, non è vero,
ma la sostanza seconda significa, piuttosto, un quale, — infatti, il soggetto non è uno, come la sostanza prima?6, ma l’uomo e l’animale si dicono di molte cose; la sostanza seconda, in ogni caso, non significa semplicemente
una certa qualificazione, come il bianco: infatti il bianco non significa null’altro che una qualità, mentre la specie ed il genere delimitano la qualità con riferimento ad una sostanza, — essi, infatti, significano una sostanza di
una certa qualità. — Si pone una delimitazione più estesa con il genere, che con la specie: infatti, colui che dice animale racchiude più cose di colui che parla di uomo?”.» 32. Varie sono le possibili interpretazioni della separabilità, o separatezza, e varî sono i problemi connessi alla separabilità, o separatezza, medesima, come si vedrà all’atto della trattazione di Metafisica Z 1.
3 Od un «questo qualcosa». 34 Od un «questo qualcosa». 3 Si noti come la causa dell’essere da parte della sostanza un questo risieda nel suo essere individuale e nel suo essere uno di numero. 36 Come si vedrà, vi è una distinzione netta tra la sostanza prima, come ente che è uno di numero, e la sostanza seconda, come ente che non è uno di numero.
37.
Cfr. Cat. 5,3b10-23: «ITaoa
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mr onpatvew.
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oÙv TOV mpPSTWWY olordv dvapgdiopiTitov Kai dindés torw émr Té8e mi onpot ver dTopov yàp kai év apep@ Tò Sn\ovpevdv éomw. ém sì TOV Seurépuv où oòv paiverar pèv 6poiws TÒ oXxnpari Ts mpoonyopias T6éSe n onpatverw, STav cimn dvapwmov i @ov: où uv dinoés ye, dilà parXov mordv Tr onpat Ver, OÙ yàp év toTi TÒ Umokeipevov diomep 1 mpuTn ovota, dXlà Kkatà ToXXGv
Prefazione
31
Il passo è interessante per quanto riguarda la distinzione tra sostanza prima e sostanza seconda, dove detta distinzione è articolata sulla base della differenza tra ente che non viene mai predicato d’altro, come una sostanza individuale, ed ente che viene predicato d’altro, come una sostanza seconda, e sulla differenza tra ente che è individuale ed uno di numero, come, appunto, la sostanza prima, ed ente che non è uno di numero, come la sostanza seconda. Mi sembra notevole il fatto che Aristo-
tele metta in evidenza il non essere uno di numero da parte della sostanza seconda; in generale, ciò che viene predicato non è
uno di numero, segno, questo, del fatto che ciò che viene predicato non costituisce un ente a sé stante, né costituisce un ente
esistente in maniera indipendente. Per l’ente che viene predicato, non vale e, d’altra parte, non si pone neppure, un problema di unità?3. Parimenti, il passo è interessante per quanto attiene alla particolare posizione che viene assegnata alla struttura della sostanza individuale in quanto tode ti, vale a dire, — ogni sostanza individuale è, appunto, un ente individuale concretizzante un’essenza ben determinata; ogni sostanza è
un tode ti, un questo che è qualcosa; — non si dà un ente che sia un sostrato vuoto, ogni sostanza è
immediatamente qualcosa, è immediatamente la concretizzazione di una struttura essenziale, che costituisce la sua condizione di esistenza??. 6e dvBpwros \éyetar kai Tò CQov:7 olx dmids Sè mordv m onpatve, domep Tò Neuk6y: oùsév yàp dMo onpatver rò Aeuxòv GANN 7 mordv, tò Sè eisos kai Tò yévos mepi olotav Tò mordv dpopiler, — moràv ydp mva ovotav onpatver — érì melov Sì TO yéver 7) TO Ba TÒv dpopropòv moreîtar: © yàp COov eimòv mì mieîov mepiiappdver 7) ò TÒV dvepwrov».
38. Naturalmente, almeno nell’ambito delle Categorie, bisogna prestare la dovuta attenzione agli enti che non sono detti d’altro ma che sono in altro, i quali costituisco-
no gli enti individuali non sostanziali. Vale fin d’ora l’avvertenza in base alla quale, quando parlerò di enti individuali, intenderò riferirmi, nella quasi totalità dei casi, agli enti individuali sostanziali, vale a dire, alle sostanze individuali, appunto. Il problema at-
tinente agli enti individuali non sostanziali sarà lasciato in sospeso, in quanto gli enti individuali non sostanziali, se pure uni di numero, non sono tuttavia capaci di esistenza in-
dipendente. 39. Questa interpretazione degli enti, già presente in Categorie, e sviluppata nel
32
Note su Ousta
Per esprimere lo stato della questione in una formula, esistere è, per una sostanza, essere qualcosa, essere una ben determinata essenza, o, altrimenti detto, esistere è essere la concretizzazione di una determinata essenza. Questi punti devono essere
tenuti presenti: una sostanza è qualcosa di per sé stessa, vale a dire, è qualcosa in virtù di sé stessa, e non già, ad esempio, in virtù della propria partecipazione ad altro: la radice dell’essere qualcosa, da parte della sostanza, risiede nella sostanza stessa.
La sistemazione degli enti in categorie, la chiarificazione dei rapporti di dipendenza tra i varî enti, la distinzione tra sostanza ed universale, e l’interpretazione dell’ente predicato come di un universale, e non già come di un ente che esista accanto agli enti individuali, ed oltre essi, viene ribadita in un passo contenuto in Analitici Secondi I, 22, 83a 20-21; in questo passo
risultano evidenti sia l’organizzazione degli enti, sia l’attacco nei confronti delle idee: «Da qui, quando una cosa è predicata di un’altra, o è predicata nell'essenza, o dice che ha una qualità, o una quantità, o una relazione, o che
sta facendo qualcosa, o che sta subendo qualcosa, o che è in un qualche luogo, 0 tempo‘”0. Ancora, le cose che significano una sostanza, significano, di ciò di cui sono predicate, ciò che quella cosa è, o ciò che è un particolare tipo di questa cosa; ma le cose che non significano una sostanza, ma sono dette libro Zeta, costituisce anche una delle motivazioni del rifiuto dei risultati di Metafisica Z
3. L’equiparazione immediata della sostanza a soggetto, senza un debito accompagnamento delle limitazioni da porre all’interpretazione dell’essere soggetto, condurrebbe, ‘ infatti, a considerare la sostanza come qualcosa che, di per sé stesso, è estraneo a tutte le proprie proprietà categoriali. Siccome ogni sostanza è un ente separato ed è un ente che
è qualcosa di per sé stesso, allora, nell’equiparazione della sostanza a soggetto, devono essere aggiunti alcuni elementi supplementari. Tale è, a mio giudizio, l’interpretazione di Metafisica Z 3, come si vedrà nella mia esposizione. Va detto che, onde non essere accusato di costruire un’interpretazione asettica, ho assunto, per quanto concerne Z 3, un’in-
terpretazione piuttosto netta; va però anche aggiunto che il capitolo è, in tutto o in par-
te, oscuro, prova ne sia il fatto che le interpretazioni cui il capitolo ha dato adito sono molto differenti. 40 Cfr. Analitici Secondi, I, 22, 83a21-23: dote i év TO Ti conv i én moròv 7) mooòv 7) mpés EVÒS KaTtnyopnaf.
4!
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Cfr. Analitici Secondi, I, 22, 83a24-25}'Emn
Smep ékeîvo
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Prefazione
35
di un altro soggetto che non è né quello che quella cosa è, né quello che è un particolare tipo di quella cosa, sono accidentali, come, per esempio, bianco predicato dell’uomo*. Infatti, l’uomo non è né proprio ciò che è bianco, né ciò che è un certo bianco — ma, presumibilmente, animale; in-
fatti, un uomo è proprio ciò che è un animale. Ma le cose che non significano una sostanza, devono essere predicate di un qualche soggetto, e non ci deve essere nulla di bianco che sia bianco, senza essere qualcosa d’altro4?. Infatti possiamo dire addio alle idee: esse, infatti, sono parole vuote, e se esistono, non servono assolutamente al ragionamento#4; le dimostrazioni, infatti, concernono cose di questo tipo.»
Come si vede, gli enti che esistono in maniera indipendente sono gli enti appartenenti alla categoria di sostanza; d’altra parte, chiarita la posizione degli universali, chiarito il rapporto di predicazione tra universali ed enti individuali, risulta inutile la posizione delle idee; la struttura della predicazione è, infatti, adeguatamente spiegata dalla distinzione tra enti individuali ed universali, per cui non vi è alcuna necessità di ricorrere ad enti esistenti oltre la pluralità. Importante è, d’altra parte, anche il fatto che un ente individuale sostanziale non si identifichi con nessuna delle proprietà accidentali. Si noti, peraltro, la correlazione posta tra l'affermazione stando alla quale non ci deve essere nulla che sia bianco senza essere qualcosa d’altro e l’affermazione stando alla quale le idee sono inutili; si può notare, in primo luogo, come Aristotele rinunci di proposito all’esistenza di un ente che sia tale e niente altro per spiegare la predicazione di una qualità ed in secondo luogo, come Aristotele sottolinei la dipendenza esistenziale di una qualità (in questo caso di un colore, il bianco), rispetto alla sostanza che la possiede. In terzo luogo, si può forse estrarre da questo passo l’interpretazione 4 kat'di\ov
Cfr. Analitici Secondi, I, 22, 83a26-28: Soa Umokerpévou
Xlyerar
$ pù
don
prime
Sè $mep
pù odotav ékeîvo
onpatve,
pie
mu, cvpfpeRnkéTa, clov Kkatà Toi dvApumov TÒ Aeukdv. 4. Cfr. Analitici Secondi, I, 22, 83a30-32: Soa Sè uù ovotav ùtokepévov katnyopetodar, kai pù eivai m Acukòv kard mos TL Òv \eukdv éoTW.
44
Cfr. Analitici Secondi, I, 22, 83a32-34: tà yàp el6n xapétw:
Te ydp tom,
Kai ei éomw,
oùsév
mpòs \dyov
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Omep
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Tepertopatd
34
Note su Ousia
che Aristotele dà delle idee platoniche: esse sono infatti concepite da lui come enti indipendenti, e che siano concepite come enti indipendenti lo si può estrarre proprio dal fatto che Aristotele sottolinei il carattere dipendente delle qualità allorché asserisce che le cose che non significano una sostanza devono essere predicate di un qualche soggetto. Non avrebbe senso, infatti, sottolineare la dipendenza predicazionale degli enti che non sono sostanza e sottolineare l’impossibilità dell’esistenza di qualcosa che sia bianco e niente altro che bianco, se dette sottolinea-
ture non costituissero un esplicito allontanamento nei confronti di chi ha invece ammesso l’esistenza di qualcosa che sia bianco e niente altro che bianco. Nell’ottica di una eliminazione delle idee si situa anche, a
mio giudizio, l’affermazione dell’identità tra sostanza ed essenza; detta affermazione viene espressa in Metafisica Z 6: «ciascun ente, infatti, non sembra essere altro rispetto alla propria sostanza, e l’essenza si dice essere la sostanza di ciascuna cosa (cfr. 1031a1718: ékaotdv
TE
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Xéyerar civar i Ekdotov
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Sokei
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Ts
EauvTod
obotas,
kai
Tò
ovota).»
In effetti, l’identità tra un ente e la sua essenza — ribadisco
che, nell’ambito degli enti identici alla propria essenza, faccio rientrare anche gli enti individuali sostanziali, vale a dire, non limito l’identità tra sostanza ed essenza esclusivamente alle forme, ma estendo detta identità anche agli enti particolari, come, ad
esempio, i particolari animali —, comporta il mutamento nella spiegazione dei motivi in virtù dei quali un ente abbia una de.terminata struttura. Non si deve fare ricorso ad un ente che sia oltre alla molteplicità, al fine di spiegare i motivi per i quali determinati enti abbiano una determinata struttura; gli enti sono immediatamente qualcosa di per sé stessi, per cui non vige alcuna non-identità tra un ente e ciò in virtù di cui un ente è quello che è. D'altra parte, gli enti che vengono predicati non costituiscono qualcosa che sia autonomamente esistente, non sono essi stessi sostanza; la posizione degli universali è definita chiaramente in Metafisica Z 13, ed è altrettanto chiaramente riassunta
nel corso del capitolo Z 16.
Prefazione
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Nel primo testo troviamo l’affermazione in base alla quale una scorretta interpretazione degli universali conduce direttamente al regresso del terzo uomo; qui di seguito presento il contenuto del primo testo, contenuto in Metafisica Z 13, 1038b341039a3: «A coloro che riflettono a partire da questi elementi, risulta evidente che nessuno degli enti che vengono predicati universalmente è sostanza, e che nessuno degli enti che vengono predicati in comune significa un questo (oppure: un questo qualcosa, od un dato esistenziale: anche queste traduzioni mi sembrano plausibili), ma significa un tale. Altrimenti, si presentano sia molte altre difficoltà, sia il terzo uomo (€ Te i tostwv Bewpodor davepòv STI oÙSsév TAV Ka@éiou Umapyévtwv obota éoti, kai Tr oùsév onpaiver TOV Kowî Kkatnyopovpéevwv Té8e TL, dla Torovse. ei Sè pun; GXXda TE mod ovpufatver kai 6 Tpitos dvopwTos).»
Risulta evidente l'intenzione aristotelica di porre una barriera tra sostanze ed universali. Nel secondo testo, contenuto in
Metafisica Z 16, 1040b16-1041a5, troviamo quella che si potrebbe definire come una ricostruzione «diagnostica» del ragionamento in base al quale alcuni sono stati portati ad entificare ciò che in alcun modo andava entificato: «Dal momento che l’unità è predicata nello stesso modo dell’essere, e la sostanza di una unità è uno, e le cose, la cui sostanza è numericamente
una, sono, esse stesse, numericamente une (O0v pia dapdu@ év dap0pò), è chiaro che né l’unità, né l’essere, possono essere la sostanza delle cose (pavepòv $TL oùTe Tò Èv ore TÒò dv evSéyerar ovotav elvar TAV
mpayudtwv)t, per la stessa ragione per cui l’essenza di un elemento, e l’essenza di un principio, non possono esserlo; ma noi ricerchiamo che cosa sia il principio, così da ridurlo a qualcosa di maggiormente intelligibile. In effetti, essere ed unità hanno maggior ragione di essere sostanza, di quanto la abbiano principio, o elemento, o causa, e, tuttavia, neppure questi sono sostanze, se almeno null’altro che sia comune a molte cose è sostanza (eimep
uns dimo
kowòdv
pnsèv
ovota)!. Infatti, una sostanza #
45.
Se uno ed essere fossero la sostanza delle cose, tutto si ridurrebbe ad una sola
cosa. Si veda, a questo proposito, l’aporia undicesima del libro Beta della Metafisica. 46. Nulla che sia comune a molte cose è sostanza: si pone una chiara incompatibilità di fondo tra ciò che è comune e ciò che è individuale, laddove la sostanza rientra in ciò che è individuale.
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Note su Ousia
non appartiene a niente altro che a sé stessa, e a ciò che la ha, vale a dire, a ciò di cui è la sostanza (oùsevì yàp Undpyxa N ovota diri aùrf Te kaù Th Ééxovri aùuTmv, où éoTìv ovota).
Inoltre, un’unità non potrebbe essere in molti posti nello stesso tempo, sebbene ciò che è comune a molte cose sia presente in molti posti nello stesso tempo (én1 Tò év moMaxf
dua moMlaxf
oÙk dv ein dua, tò SÈ Kkowòv
Umdpyer), cosicché è chiaro che nessun universale esiste se-
paratamente rispetto ai particolari!” (sore Nou Umdpyer
mapà tà kad ékaota
S&fiiov Em obstv TOV Kkagd-
yxwpts)f8,
Coloro che credono nelle forme (o idee) hanno ragione nel farle separate, se davvero esse sono sostanze, ma hanno torto nel supporre che l’uno oltre i molti sia una forma (o idea)”. Essi commettono questo errore, dal momento che non sanno dire quali siano siffatte sostanze incorruttibili esistenti, al di là delle sostanze particolari e sensibili?°. Così essi ren47 Vale la pena di sottolineare l’importanza dell’affermazione riguardante l’inseparabilità tra universali e particolari, ove poi si tenga presente che tutto il sistema di predicazione aristotelico è volto ad illustrare i rischi che sorgono ove, appunto, si separi l’universale dai particolari, ed ove lo si consideri come qualcosa di esistente autonomamente ed indipendentemente. 48. Qui si assiste all’asserzione dell’incompatibilità tra ciò che è uno di numero e ciò che è universale; l’universale, in quanto presente in più luoghi nello stesso tempo, non può costituire un’unità numerica; ma, siccome la sostanza costituisce un’unità nu-
merica, allora l’universale non può essere sostanza. La questione può anche essere espressa con questa formula: universale=non unità numerica, sostanza=unità numerica,
quindi universale=non sostanza.
4. L'argomentazione aristotelica mi sembra ricostruibile nel seguente modo; in primo luogo, i) se le forme sono sostanze, allora le forme sono separate; ii) l’uno oltre i molti non è separato;
‘quindi,
iii) l’uno oltre i molti non è una forma (ammesso che la forma sia sostanza: implicitamente è ribadito che la sostanza in quanto tale è separata, per cui ciò che è sostanza deve presentare il carattere della separatezza). Detta argomentazione dipende, in un certo senso, dall’affermazione secondo la quale ogni sostanza è separata, affermazione che dà luogo alla seguente argomentazione:
i) se una qualunque cosa è ousia, essa è separata; ii) l’uno detto dei molti non è separato; quindi, iii) l’uno detto dei molti non è sostanza;
L’argomentazione aristotelica in queste linee è fortemente concisa e le due serie di proposizioni mi sembra possano aiutare a ricostruirla. 20. Si noti come l’errore consista nella scorretta valutazione di ciò che vale come sostanza incorruttibile.
Prefazione
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dono queste sostanze le stesse, specificamente, delle sostanze corruttibili
che noi conosciamo, semplicemente aggiungendo la parola ‘in sé alle sostanze sensibili, come in ‘uomo in sé’ ed in ‘cavallo in sé! (dX\° oi tà el6n AéyovTes Tf uèv òp90g Aéyovor xwpicovres aùrd, elmep ovotar elot, TA 8 oÙk òpeas, Sn Tò év ém momav eîsos Aéyovow. attiov 8 ST1 oÙk éxovow àamosodvar Tives ai TAaladTaA oUotar ati dpBapror mapà TàS Kad ékaota kai aloc@nTds: morodov ov TàSs abtàs TO elsa Toîs dBaproîs (taitas yàp Yopev), aUtodv@pwmov kai
aùrdimmovr,
mpooTwdévTES
TOÎS
aio@ntoès
TÒ pripa Tò ’aùTé’).
Tuttavia, anche se noi non avessimo visto mai le stelle, ci sarebbero state, cionondimeno, sostanze eterne oltre quelle che noi abbiamo conosciuto. E così, adesso, sebbene non possiamo sapere che cosa esse siano,
tuttavia è ugualmente necessario che ce ne siano alcune. È manifesto che nessuno degli enti predicati universalmente è sostan-
za, né alcuna sostanza è composta da sostanze’? (ote T@V Ka@6Xou
Xeyo
71 Mi sembra che si contrappongano, qui, due diverse maniere di interpretare quali siano gli enti corruttibili e quali siano, per contrasto, gli enti incorruttibili; nella costruzione criticata da Aristotele abbiamo: a) enti individuali come enti corruttibili; b) forme come enti incorruttibili;
in questa posizione gli enti incorruttibili sono gli stessi, per forma, degli enti corruttibili. Viceversa, nella posizione che Aristotele contrappone come quella corretta, abbiamo: a) enti di primo tipo: enti corruttibili, oppure enti incorruttibili, caratterizzati dal fatto di esistere separatamente, fatti oggetto di predicazione, ma non, a loro volta, predicati, enti che sono, a buon diritto, uni di numero; detti enti costituiscono gli oggetti, vale
a dire, costituiscono la sfera dell’esistente. Gli enti oggetto si differenziano dalle cause formali astrattamente prese; b) enti di secondo tipo: enti predicati degli enti di primo tipo, enti che esistono soltanto in quanto qualcosa li concretizzi, e per i quali non vale la denominazione di uno
di numero. Le due posizioni saranno commentate diffusamente all’atto dell’analisi del capitolo Z 16, analisi che avverrà nella quinta parte. 52 L'affermazione finale riassume il contenuto del capitolo Z 16 e, parimenti, riassume il contenuto dei capitoli precedenti, Z 13, Z 14, Z 15: nessun universale è sostanza, da una parte, — in quanto una sostanza è una di numero —, e nessuna sostanza è composta da sostanze, dall’altra, — in quanto una sostanza implica attualità, ed attualità
implica separatezza —; a proposito di quest’ultimo punto, si veda Z 13, 1039 a3-14; «E ciò è chiaro anche in questo modo. È impossibile, infatti, che la sostanza sia
composta da sostanze presenti in essa in atto: infatti, due enti che siano così in atto, non sono mai uno solo in atto, ma, qualora siano due enti in potenza, saranno un ente solo
(ASivatov 8Yo
olitws
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î éoTar
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Note su Ousia
uévmv oùstv
odota
ot’ éorìv odota oùsepta
«E olorov,
SfX0v).»
Queste citazioni mi sembra valgano a spiegare l’interpretazione della sostanza da me portata avanti nel corso dell’esposizione.
Procederò adesso ad un’analisi dettagliata della struttura del lavoro e dei contenuti di ogni singola parte che costituisce il lavoro medesimo. Il lavoro è organizzato in sei differenti parti; riporto qui la suddivisione contentente i punti più importanti. Naturalmente, nell’indice verranno inseriti anche i paragrafi di minore interesse. Le parti fondamentali del lavoro sono le seguenti: I)
PrimaParte.
i) Sostanza edorganizzazione della realtà; ii) Categorie; iii) De interpretatione, Analitici Secondi, Analitici Primi.
II)
Seconda Parte. i) Problemi di Zeta; ii) analisi del capitolo Z 1;
iii) appendice: sensi ed applicazione di ousia nei libri Zeta, Eta e Theta della Metafisica;
iv) analisi di Metafisica Z 2, dell’aporia quattordicesima del libro Beta, di Fisica I 3;
v) analisi della separatezza. DID) Terza Parte. i) Elementi di interpretazione dello statuto delle idee; €v) (come, per esempio, la retta doppia è costituita da due semirette in potenza: l’atto, infatti, separa (1 yàp éevteXéxera xwpicer)), di modo che se la sostanza è una, non sarà composta di sostanze presenti in essa, e presenti in questo modo (dot’ cì f odota é&v, oùk ÉoTar éÉ ovorov évumapyouodv kaì katà ToiTov TÒòv Tpémov), ciò che dice giustamente Democrito; dice, infatti, che è impossibile che da due cose se ne formi una,
o che da una cosa se ne formino due; egli pone, infatti, come sostanze, le grandezze indivisibili. È evidente, allora, che così dovrà essere anche per il numero, se il numero è una
composizione di unità, come viene detto da alcuni: infatti, o la diade non è un’unità, oppure l’unità non si trova in atto nella diade.».
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ii) presentazione delle idee in alcuni dialoghi platonici; ill) reperimento di strumenti nel De Ideis; iv) costruzione di un sistema di predicazione alternativo ai canoni platonici negli Analitici Secondi; v) sintesi dei problemi in ambito predicativo ed in ambito ontologico; IV)
Quarta Parte. i) Elementi comuniai capitoli Metafisica Z 3, Z 4, Z 6; ii) analisi di Metafisica Z 3; iii) relazione tra ente ed essenza; iv) analisi di Metafisica Z 6;
v) problemi sparsi relativi alla definizione, agli enti di cui si dà definizione in modo primario, ed alle parti che entrano nella definizione (Metafisica Z 4, Z 10, Z 11); V)
Quinta Parte. i) Sezione Metafisica Z 13 — Z 16; sezione Metafisica LD ZA44:
ii) introduzione ai problemi di Metafisica Z 13 — Z 16; iii) analisi di Metafisica Z 13; iv) analisi di Metafisica Z 16;
v) Metafisica Z 12- Z 14;
VI)
Sesta Parte. i) Introduzione ai problemi legati alla struttura del composto; ii) analisi di Metafisica Z 17; iii) analisi dei capitoli Metafisica
Z7—-Z8-Z9;
iv) essere, sostanza, attualità: la prospettiva di Metafisica Theta.
Venendo ad un’analisi più dettagliata delle parti in gui il lavoro è organizzato, inizierò dalla prima parte. La prima parte costituisce una sezione introduttiva, per
cui, chi fosse interessato più generalmente alle questioni presen-
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Note su Ousia
ti nella Metafisica, ed in Metafisica Zeta in particolare, potrebbe passare direttamente all’analisi della seconda parte; è opportuno ricordare, tuttavia, che, per quanto attiene alla mia interpretazione di ousia, io non vedo le basi di una cesura tra la trattazio-
ne aristotelica della sostanza, per come essa viene esposta nelle Categorie, e la trattazione della sostanza, per come essa viene sviluppata all’interno dei libri Zeta, Eta e Theta della Metafisica; parlo, piuttosto, di una diversità nella continuità tra la posizione che Aristotele presenta a proposito della sostanza nelle Categorie, e la posizione che Aristotele presenta nei libri Zeta, Eta e Theta. i In sintesi, all’interpretazione di ousia come di ente individuale — ente individuale appartenente all’universo biologico —, interpretazione che mi pare presente all’interno delle Categorie, segue l’interpretazione presente in Metafisica Zeta, Eta e Theta, interpretazione che, mi pare, ponga ousia come termine fondamentalmente ambivalente, ad indicare ora l’ente individuale, ora l'essenza, o, altrimenti detto, la sostanza, 0, ancora, la forma di questo stesso ente individuale. Quindi, alla relativa semplicità,
od alla relativa monovalenza di ousia nelle Categorie??, fa seguito una duplicità di significati di ousia all’interno del libro Zeta, ad indicare ora l’ente individuale, di contro a ciò che non può valere come ente individuale, ora la forma dell’ente individuale, di contro alle componenti accidentali dello stesso ente individuale. Importante è anche la distinzione, già matura nell’ambito delle Categorie, tra ciò che possiede i requisiti per valere come ùn questo?4, come un oggetto determinato, dotato, pertanto, di un'esistenza indipendente, da una parte, e ciò che vale esclusi-
vamente come un quale, come una qualificazione non dotata di esistenza indipendente, dall’altra. Nella prima parte concentrerò, allora, la mia attenzione su varî tratti delle Categorie, del De Interpretatione, degli Analitici 9 Va ricordato, tuttavia, che, anche nelle Categorie, ousia è termine che può indicare sia una sostanza prima, sia una sostanza seconda; l’uso di ousia non è, quindi, così innocente neppure nelle Categorie, a differenza di quanto potrebbe sembrare a prima vista. 24 od un «questo qualcosa».
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Primi e degli Analitici Secondi, al fine di determinare: — il sistema degli enti, il sistema di dipendenza degli enti, — l’interpretazione della sostanza come soggetto principale di predicazione, — l’interpretazione della sostanza prima come di un questo, o come di un questo qualcosa (tode ti), di contro alla posizione della sostanza seconda (poién), vale a dire, di contro alle specie ed ai generi in cui la sostanza prima ricade, specie e generi che possono assumere esclusivamente la posizione di qualificazioni delle sostanze prime,
— la funzionalità della distinzione in sostanze che possono valere come questi, e sostanze che equivalgono semplicemente a quali, ed infine, — la posizione essenzialista di Aristotele per quanto riguarda le sostanze; nel De Interpretatione, negli Analitici Secondi e negli Analitici Primi mi soffermerò soprattutto sulla differenza tra predicazione corretta e predicazione innaturale, sui requisiti che deve presen-
tare il soggetto di una predicazione corretta, nonché sulla differenza tra enti detti di per sé stessi, ed enti detti per accidente. Nella seconda parte della trattazione concentrerò la mia attenzione su diversi argomenti; sarà presente un’introduzione alle linee generali che vedo svilupparsi nel libro Zeta, per quanto attiene all’intenzione aristotelica di non «devitalizzare» l’oggetto, di non spostare i principî dell’oggetto al di fuori dell’oggetto stesso, spostamento che verrebbe effettuato riducendo, ad esempio, o riconducendo, i principî a numeri,
a componenti
geometriche, o ad uno e ad essere; intenzione aristotelica è quella di fare vedere come gli enti non appartenenti alla categoria di sostanza dipendano, dal punto di vista delle proprie condizioni di esistenza, dalla sostanza individuale, di modo che la sostanza individuale non è riconducibile, né risulta essa stessa riducibile,
a qualcosa che da essa medesima è dipendente. Parlo, a questo proposito, di dipendenza esistenziale degli enti appartenenti alla categoria di sostanza, e non già di dipen-
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Note su Ousia
denza totale dal punto di vista della definizione, o, altrimenti
detto, di riduzione degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza alla sostanza dal punto di vista della definizione. Ritengo, infatti, che si possa dare definizione per ogni ente appartenente a categorie diverse da quella di sostanza; non penso, in altri termini, che la definizione di un ente appartenente ad una categoria differente da quella di sostanza, vada ridotta alla semplice attribuzione di una proprietà ad una sostanza; in sintesi, adotto un’interpretazione omonimica del significato focale (dove, per significato focale, si intende la relazione in cui gli enti differenti dalla categoria di sostanza vengono detti in relazione
alla sostanza”), non essendo convinto dall’interpretazione sino2. Per un passo in cui bene viene espressa l’esistenza di una relazione di predicazione da parte degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza, nei confronti degli enti appartenenti alla categoria di sostanza, si veda, ad esempio, Metafisica Gamma 2, alle linee 1003a33-b10: «Ciò che è si dice senz’altro in molti modi, ma in relazione ad una, ed ad una determinata natura, e non in maniera omonimica (Tò Sè dv Xéyetar pèv moMMayxds, di Na mpòs év kai puiav mtivà diow kai ox époviiws); ma, proprio come ciò che è
salutare si dice in relazione alla salute, e, segnatamente, una cosa si dice salutare per il fatto di conservare la salute, un’altra per il fatto di produrre la salute, un’altra per il fatto di essere segno della salute, un’altra per il fatto di ricevere la salute, e ciò che è medico si dice in relazione alla medicina (infatti, una cosa si dice medica per il fatto di possedere la medicina, un’altra si dice medica per il fatto di essere ben disposta, per natura, in relazione alla medicina, un’altra per il fatto di essere opera della medicina, e potremmo prendere in considerazione anche altre cose che si dicono in relazione a queste), così anche ciò che è si dice in una pluralità di significati, ma, in ogni caso, in relazione ad un principio unico (oitw
SÈ kai
Tò dv Xfyerar
mo\XaxOs
pèv
di dirav
mpòs
piav
àpxriv): alcune cose, infatti, si dicono esseri, dal momento che sono sostanze, altre per-
ché sono affezioni della sostanza, altre perché costituiscono una via che conduce alla sostanza, altre perché sono corruzioni, o sono privazioni, o sono qualità, o sono cause pro-
duttrici, o sono cause generatrici della sostanza, o di ciò che viene detto in relazione alla sostanza, oppure sono negazioni di qualcuna di queste, o della sostanza medesima; perciò diciamo che anche ciò che non è, è non-essere».
Purtroppo, se è vero che risulta chiara la correlazione degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza nei confronti della categoria di sostanza, non altrettanto chiari sono i modi in cui si debba intendere detta correlazione; per parte mia, propendo verso una correlazione di tipo «esistenziale» degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza nei confronti degli enti appartenenti alla categoria di sostanza, per cui gli enti non appartenenti alla categoria di sostanza si dicono in relazione alla categoria di sostanza in quanto che, per esistere, devono sempre inerire in una sostanza, o appartenere ad una sostanza; non estendo questa correlazione ad una dipendenza nella definizione, o ad
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nimica del significato focale medesimo, 0, quantomeno, consi-
dero la relazione espressa dal «pros hen» come una relazione che non è né quella di sinonima, né quella risolventesi nell’omonimia pura, ossia, nell’omonimia casuale?®,
Nel corso della seconda parte, insisterò, tra le altre cose,
sull’ambivalenza di significato da attribuire ad ousia?; ousia va ora intesa come sostanza individuale (quindi, come oggetto, vale a dire, come il particolare uomo, o come il particolare animale), ora come essenza, o come forma, o, altrimenti detto, come sostanza della sostanza individuale. Mi sembra infatti che, anche
all’interno del libro Zeta, venga mantenuto il significato di ousia come ente individuale sostanziale, capace di esistere autonomamente rispetto agli enti non sostanziali; accanto a questo significato, si pone l’uso di cusia come forma, o come essenza, di un ente, vale a dire, si pone l’uso di ousia come fattore che fa del-
l'oggetto quello che l'oggetto stesso è, di contro alle proprietà accidentali, e di contro alle componenti materiali, che sembrano
costituire più una componente soggetta all’operazione della forma, che una parte della forma stessa?8. Si pone, pertanto, — un uso di ousia come ente di base, ente che fa da soggetto, e che fa da sostrato, all’esistenza ed alla manifestazione di tutti
gli altri enti, ed una riduzione della definizione degli enti appartenenti alle altre categorie, alla categoria di sostanza. 26. La mia posizione è senz’altro dipendente da quella di Leszl: detta omonimia è da interpretarsi in maniera non casuale, dal momento che essa risponde ad un’éffettiva ripartizione di ciò che è, ed altresì ad un effettivo stato di dipendenza di determinati enti nei confronti di altri enti. 5 Forse sarebbe più appropriato parlare di ambivalenza quasi come di un valore minimo, dal momento che, a seconda dei contesti ed a seconda delle sfere di interesse che Aristotele va coltivando nei diversi capitoli di Zeta, di Eta e di Theta, ousia può indicare ora l’ente individuale, ora la forma dell’ente individuale, ora la materia dell’ente individuale. Date le oscillazioni da parte di Aristotele, diffido, per parte mia, di interpretazioni univoche di ousia, e diffido altresì di interpretazioni troppo decise. Per quanto mi riguarda, pur cercando di dare un’interpretazione unitaria, mi atterrò comunque ad
una linea di prudenza nell’interpretazione stessa. 38. Su questo argomento sono presenti molte oscillazioni da parte di Aristotele stesso; rimando, per una trattazione più dettagliata, alla sezione dedicata ai capitoli Metafisica Z 10 Z 11, sezione contenuta nella parte quarta del presente studio.
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Note su Ousia
— un uso di ousia come forma, come sostanza di un ente individuale.
Per quanto riguarda la presenza di forme particolari in Metafisica Zeta, vale a dire, per quanto riguarda una mia presa di posizione attinente alla questione della particolarità, od universalità, delle forme, ritengo che la principale preoccupazione aristotelica nell’ambito di Zeta, — soprattutto nei capitoli Z 1, Z 6, Z 13, Z 14, Z 15, Z 16 —, consista nella separazione netta tra
ente individuale ed universale, nel senso che ciò che esiste è sem-
pre individuale, laddove l’universale esiste esclusivamente negli enti individuali che lo concretizzano. Quello che Aristotele vuo-
le assolutamente escludere, è la possibilità in virtà della quale l’universale sia sostanza, dal momento che questa ipotesi comporterebbe il fatto che l’universale sia uno di numero; Aristotele vuole distinguere, in altri termini, in maniera netta i due piani della realtà costituiti dall’universale e dall’ente individuale sostanziale. All’interno di questa distinzione netta tra livelli di realtà, — distinzione che costituisce un discorso più lato di quello concernente la distinzione tra forme universali e forme particolari —, può trovare posto una posizione attestante la presenza
di forme particolari, nel senso che gli enti, presi nel loro riferimento alle individualità effettivamente esistenti, sono sempre individuali, mentre, presi astrattamente, sono universali. Applicato al discorso relativo alle forme, questa linea di ragionamento sta a significare che le forme sono particolari, nel caso vengano prese con specifico riferimento agli enti individuali di cui, appunto, costituiscono la forma (la forma di Socrate è particolare,
in quanto è propria di Socrate ed in quanto è la forma di Socrate e non di Callia), mentre le stesse forme sono universali, nel caso vengano prese astrattamente, senza, cioè, il particolare rife-
rimento ad un ente (la forma di uomo è universale, in quanto è una forma astrattamente presa, priva di riferimento, cioè, ad un ente particolare). Il discorso generale, nonché l’intenzione fon-
damentale di Aristotele, consistono nella distinzione di piani tra ciò che è individuale, che costituisce un oggetto, e ciò che è un universale, che costituisce un predicato.
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La seconda parte è, pertanto, dedicata prevalentemente alla trattazione di Z 1; vi sarà, poi, tra le altre cose, una sezione
dedicata all’analisi della separatezza, ed all’analisi delle implicazioni della separatezza in quanto proprietà attribuita alla sostanza come tale. La terza parte della trattazione riguarderà alcuni temi, tratti dai dialoghi platonici, concernenti le motivazioni dell’introduzione delle idee, e lo statuto ontologico delle idee stesse, in primo luogo; in secondo luogo, la terza parte avrà a tema alcuni argomenti del De Ideis, come l’argomento delle scienze, l’argomento dell’uno oltre i molti, l'argomento dei relativi, e l’argomento del terzo uomo, al fine di mettere in evidenza sia la logica in base alla quale la tradizione platonica è portata ad introdurre l’esistenza di idee, sia lo statuto ontologico delle idee stesse, sia
le critiche che Aristotele muove alle idee ed alla logica che introduce idee, sia, infine, la differenza tra le posizioni ontologi-
che platoniche e le posizioni ontologiche aristoteliche. Lo scopo principale della sezione consiste nel mettere in luce la continuità tra le critiche poste nel De Ideis, — critiche quali la moltiplicazione indesiderata di enti, dovuta alla valutazione degli enti predicati come enti separati, esistenti autonoma-
mente rispetto agli enti di cui vengono predicati, e quali il regresso all’infinito degli enti stessi, ove la posizione degli enti predicati non venga correttamente specificata —, e le posizioni contenute negli Analitici Secondi, più precisamente, contenute nei capitoli 11, 22 e 24 dei medesimi Analitici Secondi. A mio giudizio, le affermazioni aristoteliche volte a considerare l’esistenza di un’identità tra un determinato tipo di enti e la loro essenza, affermazioni presenti in Metafisica Z 6, nonché le critiche
aristoteliche rivolte contro la considerazione di un ente preso astrattamente, o, più in particolare, di un universale, come di un
tode ti, vale a dire, come di un ente individuale posto accanto agli altri enti individuali effettivamente esistenti, sono affermazioni e critiche rivolte:
— da una parte, contro la considerazione dell’ente predicato,
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Note su Ousta
presente nelle posizioni criticate nel De Ideis, quale ente che è «uno oltre i molti», vale a dire, quale ente che è un uno esistente autonomamente rispetto ai molti, — e,
— dall’altra, a favore della corretta interpretazione dell’ente predicato in quanto «uno detto dei molti». Nel corso della terza parte mi occuperò anche della costruzione di un sistema di predicazione alternativo, per come esso viene sviluppandosi negli Analitici Secondi. La definizione che Aristotele dà degli universali nel corso degli Analitici Secondi, viene da me utilizzata ad ulteriore chiarificazione delle posizioni da Aristotele medesimo criticate nel De Ideis; alla valuta-
zione degli enti predicati come di enti che sono al di là dei molti, Aristotele contrappone una definizione operativa dell’universale, come di ciò che viene predicato degli enti individuali, senza costituire, esso stesso, un ente individuale, od un ente auto-
nomamente esistente. In questa prospettiva, naturalmente, assume un’importanza particolare l'affermazione secondo la quale le idee non servono, affermazione formulata da Aristotele nel corso di Analitici Secondi I, 22; alla posizione che introduce le idee
per garantire l’univocità e la sinonimia di predicazione, Aristotele contrappone il proprio sistema degli universali. La sinteticità della trattazione aristotelica non deve trarre in inganno; in effetti, nell’ambito degli Analitici Secondi si assiste sia ad una contrapposizione in ambito ontologico, sia ad una contrapposizione in ambito predicativo, come emergerà più diffusamente dalla lettura dell’analisi che ne compio in questa parte.
La quarta parte della trattazione consisterà nell’analisi dei capitoli Metafisica Z 3, Z 4, e Z 6, e nella determinazione degli
enti di cui si dà definizione in senso primario, da un lato, e dei fattori che entrano nella definizione, dall’altro (questa delimitazione degli enti, e delle parti di una definizione occuperà principalmente l’analisi dei capitoli Z4, Z 10eZ 11). La presa in esame dei capitoli Z 3, Z 4 e Z 6, come di un nesso comune, può, senza dubbio, suscitare perplessità, dal momento che si tratta di capitoli molto differenti; mi sembra, tutta-
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via, che una connessione tra i varî capitoli sia riscontrabile: — nel rifiuto dell’interpretazione della sostanza come di un sostrato, per così dire, indifferente rispetto alle proprie proprietà categoriali (Z 3), — nell’affermazione dell’esistenza di un’essenza dell’ente individuale, essenza che è il suo appartenere ad una specie determinata all’interno della categoria di sostanza (Z 4), e,
— nell’identità tra determinati enti e la propria essenza (Z 6). Tale è, allora, la connessione tra i capitoli; venendo più in particolare alle varie sezioni che compongono la parte quarta, come ho detto, in Z 3 mi concentro sullo svolgimento del capitolo, che costituisce, a mio giudizio, un rifiuto della teoria del
sostrato in quanto indifferente rispetto alle proprietà categoriali, ivi comprese anche quelle sostanziali; in questo senso bisogna parlare di riforma del criterio del soggetto. Mi soffermo, poi, sui presupposti, e sui possibili bersagli polemici che sono presenti nella trattazione di Metafisica Z 3. Per quanto concerne il capitolo Z 4, mi concentro prevalentemente sull’esistenza di un’essenza dell’ente individuale; passo poi al capitolo Z 6, nel corso del quale sostengo la presenza dell’ente individuale (Socrate, Callia, il particolare uomo, ad esempio), all’interno dell’ambito
degli enti che vengono considerati identici alla propria essenza, e sostengo che tale identità tra ente ed essenza è uno strumento costruito da Aristotele per evitare l'argomento del terzo uomo, e più specificamente, per evitare l'assunzione di non-identità tra un ente e ciò che fa dell’ente quello che esso è. L'identità fra ente ed essenza significa, tra le altre cose, una via di uscita alla
moltiplicazione indesiderata di enti. Nelle restanti sezioni della quarta parte mi occupo della definizione, ed in particolare, della determinazione degli enti di cui si dà definizione in modo primario, e delle componenti che entrano a fare parte della definizione. Per quanto riguarda Pambito degli enti di cui si dà definizione, adotto l’interpretazione in base alla quale definizione si dà di ciò che non abbia elementi eterogenei al proprio interno, quindi, in primo luogo, si dà definizione delle specie dei generi. La definizione viene, pertanto,
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Note su Ousta
limitata, almeno nel suo senso primario, alle specie appartenenti alla categoria di sostanza, che sole presentano la compattezza, o l’unità strutturale indispensabili per costituire un oggetto di definizione; tuttavia, rimane uno spazio aperto anche per la definizione degli enti appartenenti a categorie differenti da quella di sostanza, che non hanno definizione in senso primario, ma sol-
tanto in senso secondario. L'analisi delle questioni concernenti la presenza, o meno, delle parti materiali nella definizione chiude la parte. La quinta parte della trattazione è dedicata ai capitoli Metafisica Z 13 e Z 16, da una parte, e Metafisica Z 12 e Z 14, dall’altra. Dei capitoli che costituiscono l’interesse di questa parte, il capitolo Z 13 prende la maggior parte di spazio, dal momento che Z 13 costituisce il capitolo, con ogni probabilità, più complesso tra quelli che costituiscono la presente parte. Ritengo che l’intenzione fondamentale di Aristotele in questo capitolo sia costituita dalla posizione di una rigida linea di demarcazione tra sostanza ed universale; in altri termini, Aristotele vuole dire che: — tutto ciò che è sostanza non può essere universale, e tutto ciò
che è universale non può essere sostanza; questo è il nocciolo del capitolo. Aristotele intende porre una linea divisoria netta tra la sostanza e l’universale, linea divisoria che è traducibile, a livello,
per così dire, ontologico, nella distinzione tra ciò che è oggetto, che, in forza del suo essere oggetto, esiste in maniera autonoma,
e ciò che è universale, che, in forza del suo essere dipendente dalle proprie concretizzazioni, esiste nelle proprie concretizzazioni, ed esiste fintantoché esistono le proprie concretizzazioni. Altrimenti detto, tale differenza potrebbe essere espressa con la distinzione tra ciò che è individuale e ciò che è comune: la sostanza costituisce un ente spazio-temporalmente definito??, laddove l’universale, in quanto ente comune, è un ente che esprime 29 Naturalmente, nel caso della sostanza sovrasensibile, la questione della definitezza spazio-temporale non vale nello stesso modo in cui vale per la sostanza sensibile.
Prefazione
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semplicemente le proprietà di ciò cui esso venga attribuito. A livello logico-predicativo, d’altro canto, la differenza tra sostanza ed universale è la differenza tra soggetto e predicato, tra ciò che non viene mai predicato d’altro, e ciò che viene sempre predicato d’altro. In relazione al capitolo Z 13, è essenziale ricordare come,
nel corso del capitolo, venga ricordato che, qualora si commettano errori nella considerazione di ciò che è universale, qualora,
in altri termini, si valuti l’universale come qualcosa che significa un tode ti, e non si valuti, per converso, l’universale nella giusta
considerazione di toionde, allora viene prodotto il regresso del terzo uomo; una corretta interpretazione degli enti individuali e degli universali è indispensabile al fine di non creare situazioni irrimediabili sia sul piano ontologico, sia sul piano predicativo. La trattazione del capitolo Z 16 costituisce, per dir così, un'estensione dei risultati di Z 13; si vedranno, comunque, ele-
menti interessanti anche nel corso di Z 16, in particolare per quanto concerne una ricostruzione «diagnostica» delle posizioni proprie di coloro che hanno entificato l’uno oltre i molti. La sezione relativa ai capitoli Z 12 e Z 14 tratta delle conseguenze, non propriamente positive, che derivano dalla considerazione degli universali come di sostanze separate in relazione ai diversi livelli di generalità degli universali stessi. Se gli universali vengono trattati come enti individuali, allora l’unità di una definizione, che risulta composta di varî universali, è distrutta
irrimediabilmente, dal momento che questi universali costituiscono parti separate; inoltre, se ogni parte della definizione viene entificata, allora le parti della definizione più generali vengono a partecipare di proprietà incompatibili (ad esempio, «animale», come parte di definizione, se viene entificato, e se viene
considerato come presente in tutti i particolari casi di animale, viene a partecipare di proprietà incompatibili, come «bipede» o «quadrupede»; d’altra parte, in una definizione come quelta di uomo, le proprietà di animale, bipede, e razionale formerebbero enti reciprocamente indipendenti, per cui l’unità della definizione di uomo verrebbe irrimediabilmente perduta). L'unità della definizione, — dove, per unità, si intende l’unità intrinseca delle
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Note su Ousta
parti della definizione, e non già l’unità accidentale —, può essere mantenuta, e salvata attraverso una differente considerazione delle parti della definizione; in effetti, Aristotele esce dalle diffi-
coltà attraverso la considerazione delle parti di una definizione più larghe come materia delle parti più ristrette: gli universali più generali vengono ristretti dalla specie. Il nesso con cui Aristotele spiega questa posizione è, appunto, il nesso materia/forma, od il nesso potenza/atto; le parti più ristrette, specificando le parti più estese, operano come la forma nei confronti della materia, o come l’atto nei confronti della potenza. La considerazione dei diversi livelli di generalità tra le parti componenti di una definizione, l'eliminazione dell’entificazione degli universali, ed il nesso forma/materia o atto/potenza, aiutano Aristotele
ad uscire dalle difficoltà della tradizione platonica. La sesta parte è dedicata all’analisi della struttura del composto. Nel corso di questa parte mi occupo del principio di identificazione del composto; il principio di identificazione del composto non è riducibile, a mio parere, alle parti materiali, ma è da vedersi concretizzato in una forma che opera attraverso le parti materiali e nelle parti materiali, costituendo il loro principio di organizzazione e di attualizzazione. Il fattore formale non è, pertanto, da porsi sullo stesso piano delle componenti materiali, dal momento che è il fattore formale a costituire in unità
operativa il composto materiale. L'analisi dell'operazione del fattore formale nei confronti delle parti materiali è svolta attraverso due filoni, vale a dire,
— attraverso l’analisi della forma come principio di organizzazione dell'oggetto, ed — attraverso l’analisi della forma come principio verso il quale si orienta lo sviluppo dell’oggetto. Le motivazioni dell’unità del composto vengono ritrovate nella interpretazione della forma come atto e della materia come potenza.
Tale è allora la struttura dello presente studio. Per quanto
Prefazione
3
DI
concerne l’organizzazione della pubblicazione, le parti ideali nelle quali la ricerca è divisa corrisponderanno nel seguente modo ai volumi nei quali la pubblicazione verrà ripartita:
I II III IV. V. VI
volumevolumevolume volume volumevolume -
partel, parte II, parte III, parte IV, parte V, parte VI.
Per ragioni di comodità, verrà stampata una bibliografia alla fine di ciascun volume in cui la pubblicazione del presente studio verrà divisa.
3 LA
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Prima sezione A Ù Sommario si 1. Introduzione. — 2.Collocazione «continuista» dell’interpretazione | proposta.—3. Temiesezioni. | -”
È
1. Introduzione
Lo scopo di questa prima sezione risiede nel delineare elementi interpretativi, per così dire generalissimi, a costituire lo sfondo, la prospettiva da cui verranno interpretati i testi aristotelici. Non ci si deve pertanto stupire se concetti presenti in questa sezione verranno ripetuti, ripresi ed ampliati nelle due sezioni che seguono. Questa introduzione, dal canto suo, è dedicata ai seguenti
temi: a) ai problemi concernenti la struttura degli enti, b) ai rapporti tra enti appartenenti a diverse categorie, ed, infine, c) alla costituzione dell’autentico soggetto di predicazione.
Gli obiettivi di questa introduzione consistono nel reperire strumenti attraverso i quali fondare, da un lato, un’interpretazione della sostanza e, dall’altro lato, un’interpretazione dei rapporti presente tra i differenti enti che costituiscono il sistema categoriale. Il risultato dell’interpretazione consiste nei seguenti punti:
i) nell’evidenziazione del sistema predicativo da parte di Aristotele,
ii) nell’enunciazione del sistema degli enti, e della posizione di base esistenziale rappresentata dalla sostanza.
I risultati che verranno ricavati da questa introduzione, — quantunque essi si presentino, necessariamente, sotto una veste
di parzialità e di provvisorietà —, costituiranno una fonte di pri-
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Note su Ousta
ma illuminazione circa i seguenti temi: 1) la struttura della realtà;
2) gli enti nei quali la realtà è organizzata; 3) le relazioni tra enti differenti e,
4) l’organizzazione della dipendenza tra i diversi enti. In generale, si potrebbero presentare le seguenti valutazioni del sistema aristotelico: — la realtà è organizzata in dieci categorie: sostanza (ovota), quantità (moodv), qualità (morév), relazione (mpés n), luogo (mod), tempo (moté), essere in una situazione (xeîo0ar), avere (&xew), agire (moreîv), patire (mdoyew)};
— per sostanza vanno intesi gli enti superiori appartenenti all’universo biologico (uomini, cani, cavalli, e via dicendo; la teoria della sostanza è, in un certo senso, una teoria zoologica, dove
per teoria zoologica va intesa la teoria degli enti zoologici complessi, vale a dire, degli enti capaci di esistenza autonoma);
— la sostanza è l’unico ente in grado di esistere autonomamente, la sostanza stessa costituisce la base esistenziale di tutti gli altri enti?; 1 AI fine di vedere come la divisione categoriale esaurisca l'ambito degli enti possibilmente esistenti, si veda, ad esempio, Analitici Secondi I, 22.
2. Circa l’indipendenza esistenziale delle sostanze, e la dipendenza esistenziale di tutti gli altri enti, si veda, ad esempio, il passo contenuto in Categorie 5, 2a34-2b6:
«Tutti gli altri enti si dicono o delle sostanze prime come soggetti, o sono in loro come soggetti (mdvta
yàp
tà
dNia
ifror kad” Ùmokerpévov
ToiTW
\éyeta
i év
Umokerpévas abraîs tortv). Ciò è manifesto dalle cose che sono state proposte individualmente: come, per esempio, l’animale si dice dell’uomo, dunque, si dice anche di un uomo particolare, — se, infatti, non si dicesse di nessun uomo particolare, non si direbbe, generalmente, di nessun uomo -; ancora, il colore è in un corpo, perciò si trova
anche in un corpo particolare; se, infatti, esso non fosse in un corpo individuale, esso non sarebbe in un corpo assolutamente: sicché tutti gli altri enti, o si dicono di questi come soggetti, o sono in loro come soggetti; sicché, se non ci fossero le sostanze prime,
sarebbe impossibile che vi fosse qualcuno degli altri enti (mavta
yàp
ka bmokerpévov TovTWW Aéyerar i) év Umokerpévars aùbtaîs oov TÒOV mpuTwy ovorov asivatov TOV dAXwwr TI elvar)».
toriv:
tà
dAXXa
WoTe
ifrar uù où
Da questo passo mi sembra risultino adeguatamente fondati sia il senso della dipendenza esistenziale degli enti differenti dalla categoria di sostanza, sia la proprietà della sostanza come ente esistente autonomamente ed indipendentemente. Il passo verrà fatto oggetto in seguito di una trattazione più approfondita.
Prima sezione
MM
— la sostanza è l’ente che ottempera, in modo primario, contemporaneamente alle condizioni per essere, ed essere considerato, soggetto, dove, per essere soggetto, si deve intendere, nel medesimo tempo, i) l'essere, da parte della sostanza, il soggetto ontologico di tutti gli enti, vale a dire, l'essere, da parte della sostanza,
l’ente che accoglie tutti gli altri enti, l’ente che costituisce, in quanto appunto soggetto, la base esistenziale di tutti gli altri enti, senza la quale base gli altri enti non potrebbero, in alcun modo, aderire al dominio dell’esistente e dove,
sempre per essere soggetto, si deve altresì intendere, li) l'essere, da parte della sostanza, l’ente che fa da soggetto logico, l'ente che, in altri termini, possiede i requisiti maggiori per occupare ilposto del soggetto? all’interno della pro?. Per quanto concerne la differenza tra enti non attribuiti ad altro ed enti attribuiti ad altro, si veda il passo contenuto in Categorie 2, 1a20-1b9: «Degli enti (Tv 6évrwv), alcuni si dicono di un soggetto, ma, peraltro, non sono in nessun soggetto (tà pèv ka0° Umokerpévou Tiwòds Aéyerar, év Umokeuévo Sè où Bevi éomuw), come uomo viene detto di un soggetto, l’uomo particolare, ma non è in nessun soggetto; altri sono in un soggetto, ma non vengono detti di nessun soggetto (tà Sì
év
Umokerpévo
pév
ton,
ka’ imokerpévou
Sè
oùsevòs
Aéyerar), — dico essere
in un soggetto ciò che, essendo in un soggetto, non come parte di esso, è impossibile che sia separato da ciò in cui è —, come la particolare conoscenza grammaticale è in un sog-
getto, cioè è nell’anima, ma non viene detta di nessun soggetto, e il bianco particolare è in un soggetto, il corpo, — ogni colore, infatti,
è in un corpo —, ma non viene detto di
nessun soggetto; altri enti vengono detti di un soggetto e sono in un soggetto (rà Sè ka9' Umokerpévov Te \éyeTa kai év Umokerévo éoTitv), come la conoscenza è in un
soggetto, nell’anima, e viene detta di un soggetto, la grammatica; altri, invece, non sono in un soggetto, né sono detti di un soggetto (tà Sè oùte èv Umokeévo éorìv oùTe ka0° imokerpévou \éyerar), come l’uomo particolare ed il cavallo particolare, — nessuna, infatti, delle cose di questo genere è in un soggetto, né è detta di un soggetto —; generalmente, le cose individuali, e le cose che sono une di numero, non vengono dette di nessun soggetto, ma niente impedisce che alcune di esse siano in un soggetto: la cono-
scenza grammaticale particolare appartiene, infatti, alle cose che sono in un soggetto.». Si veda anche, per l'affermazione secondo la quale la sostanza adempie ai requisiti richiesti per essere soggetto, il passo contenuto in Categorie 5, 2a11-19:
«Sostanza, quella che viene detta sostanza in modo dominante, ed in modo “primario, ed in modo assoluto, è quella che non viene predicata di un soggetto, né è in un soggetto (Olota 8é èotw f KupuiTatd TE Kai mpuTws kai udNota \eyopévn, Ti uifte kad imokerpévou mwòds Aéyetar prte év bmokerpévo mwvi éoTw), come un
uomo particolare, o un cavallo particolare. Sostanze seconde si dicono le specie, nelle quali gli enti che vengono detti sostanze prime sono contenuti: sia queste, sia i generi di
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Note su Ousia
posizione, dove l’attitudine della sostanza ad essere soggetto logico deriva dal suo essere soggetto ontologico', 0, altrimenti detto, l’essere, da parte della sostanza, il soggetto logico, costituisce il rispecchiamento, all’interno della proposizione, dell’essere, la sostanza, soggetto ontologico;
— una netta linea di confine va posta tra: i) la sostanza prima, in quanto la sostanza prima è sempre un
oggetto concreto, e, ii) la sostanza seconda, in quanto la sostanza seconda è, sem-
plicemente, definizione dell’ente concreto, e non già 0ggetto essa stessa (l’intenzione aristotelica, a questo proposito, consiste nell’evitare un’entificazione ed una moltiplicazione indesiderata di enti); — detta linea di confine è necessaria: i) al fine di chiarire il dominio degli enti esistenti, queste specie: come, per fare un esempio, l’uomo particolare appartiene alla specie uomo, mentre il genere della specie è animale; perciò, queste si dicono sostanze seconde, come l’uomo e l’animale.». Il passo verrà analizzato successivamente. 4 La struttura dell’ontologia viene ad essere rispecchiata nella struttura della proposizione. ?. Sulla differenza tra sostanza prima e sostanza seconda, e, parimenti, sulla le-
gittimità della candidatura della sostanza prima all’essere un questo, un ente individuale, e sull’illegittimità della sostanza seconda ad essere un questo, si tenga presente il passo contenuto in Categorie 5, 3b10-23: «Ogni sostanza sembra significare un questo. Per quanto riguarda, allora, le sostanze prime, è incontrovertibile, ed è vero che la sostanza prima significa un questo; infatti, ciò che viene manifestato è individuale ed è uno di numero.
Per quanto riguarda le sostanze seconde, d’altra parte, sembra che allo stesso modo, a giudicare dalla forma del nome, esse significhino un questo, qualora uno dica uomo o animale; ciò, d’altra parte, non è vero, ma la sostanza seconda significa, piutto-
sto, un quale, — infatti il soggetto non è uno come la sostanza prima, ma l’uomo e l’animale si dicono di molte cose; la sostanza seconda, in ogni caso, non significa semplicemente una certa qualificazione, come il bianco: infatti il bianco non significa null’altro
che una qualità, mentre la specie ed il genere delimitano la qualità con riferimento ad una sostanza, — essi, infatti, significano una sostanza di una certa qualità -.
Si pone una delimitazione più estesa con il genere che con la specie: infatti colui che dice animale racchiude più cose di colui che parla di uomo.». Rimando alla trattazione successiva per ulteriori commenti sulla portata del passo.
Prima sezione
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ii) al fine di evitare regressi quali quello del terzo uomo$, ii) al fine di distinguere ciò che è ente autonomamente esistente da ciò che è semplice descrizione, — denotante peraltro una proprietà reale —, di un ente autonomamente esistente; — elementi importanti sono anche quelli costituiti dalla differenza tra predicazione essenziale, e predicazione accidentale,
come pure la presa di distanza dalla denotazione autonoma dei predicati rispetto ai soggetti; un predicato non denota, in altri termini, qualcosa che esista a prescindere, ed indipendentemente, rispetto all’esistenza di soggetti autentici di predicazione, che sono, sempre, le sostanze individuali, ove, na-
turalmente, si guardi a ciò che è effettivamente capace di esistere in maniera indipendente, e non ci si fermi, per conver-
so, ad un’apparenza di soggetto”. Per portare l’attenzione sui caratteri fondamentali della sostanza, i caratteri fondamentali della sostanza sono:
i) ii) ii)
ilnonessere detta d’altro; ilnonessereinaltro; l’essere individuale;
iv)
il non essere attribuita ad altro8;
6. Si vedranno in seguito le varie trattazioni aristoteliche dell'argomento del terzo uomo e, parimenti, i problemi connessi con il terzo uomo, sia dal punto di vista predicativo, sia dal punto di vista ontologico; un problema simile a quello rappresentato dal terzo uomo si pone, tuttavia, già in Platone, nell’ambito del Parmenide; adopero il ter-
mine «simile» per indicare l’ordine di problemi con il quale ci si deve confrontare, dal momento che l’argomento in Platone non concerne termini come «uomo», bensì termini come «grande», anche se nulla, con ogni probabilità, vieta di estendere la stessa struttura argomentativa a termini come «uomo» (siamo però sempre nell’ambito della probabilità e non della certezza, per cui è necessario mantenere una linea di prudenza). ? Rimando, a questo proposito, ad un momento successivo per quanto riguarda la trattazione della predicazione innaturale. Si vedano, in ogni caso, i capitoli 19° 22 degli Analitici Secondi. 8 Nel non venire attribuita ad altro, caratteristica che riassume la proprietà di non essere in altro e di non essere detta di altro, si nota l’indipendenza logica della so-
stanza, indipendenza che costituisce la trascrizione logica dell’indipendenza ontologica della sostanza medesima. Per converso, dal momento che la sostanza rappresenta l’unico
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Note su Ousta
v) l’essere un tode ti?; vi) l’essere immediatamente un’essenza!9;
vii) l’essere capace di assumere i contrarî!!; viii) il non ammettere un più od un meno!%; ix) il non essere un «tale», od un «quale»!; ente presente all’interno del sistema ontologico aristotelico a non essere attribuito ad altro, tutti gli altri enti, in quanto suscettibili di essere attribuiti ad altro o perché detti d’altro, o perché inerenti in altro, manifestano una posizione dipendente dal punto di vista logico, trascrizione della dipendenza ontologica di questi stessi enti, dipendenza esprimibile nel fatto che questi enti necessitano di una base esistenziale per esistere. In altri termini, senza sostanza non può esistere nessuno degli altri enti, mentre la sostanza è l’unico ente non vincolato ad un altro ente per esistere. ?. La sostanza è un ente individuale — intendo la sostanza prima -; di conseguenza, nessun ente universale può essere considerato, legittimamente, sostanza prima. Si deve prestare attenzione alla separazione netta tra ente individuale ed universale, dove soltanto le sostanze prime possono essere collocate nell’essere individuale. 10 Ogni sostanza è immediatamente qualcosa, non si dà un’interpretazione della sostanza come di qualcosa che sia indifferente rispetto a tutte le proprie proprietà; la sostanza ha una determinata essenza, che costituisce le sue condizioni di esistenza; esistere, per la sostanza, è essere queste proprietà, non esistere è non essere queste stesse pro-
prietà; venire all’essere è acquisire queste proprietà, scomparire dal dominio dell’esistente è perdere queste stesse proprietà. È importante il fatto che una sostanza sia immediatamente qualcosa, dal momento che, in questo caso, per spiegare le proprietà della sostanza, non è necessario ricorrere a qualcosa d’altro rispetto alla sostanza stessa. Il fatto che una sostanza sia qualcosa a livello, diciamo così, originario, mostra come non si
debba ricorrere ad altro per arrivare alla spiegazione dei caratteri della sostanza, e come siano vani i tentativi di spiegare le cause in virtù delle quali una sostanza abbia una determinata proprietà. L'essenza è un punto di partenza, e non già un punto di arrivo.
ll È importante che, tra i caratteri della sostanza, vi sia quello rappresentato dalla capacità di assumere i contrarî, dal momento che, se una sostanza è in grado di as-
sumere i contrarî, ciò significa che i contrarî sono, in un certo senso, dipendenti rispetto alla sostanza. Di conseguenza, i contrarî non potranno valere come principî rispetto alla
sostanza medesima. 12. Questa proprietà della sostanza è molto importante, in quanto attesta il rifiuto aristotelico di un’ontologia gradazionale. 13
La sostanza non è né un tale (ror$vse), né un quale (morév), ma è un questo
(od un questo qualcosa: tése m); Aristotele rifiuta l’idea secondo la quale si possa avere un ente che, nello stesso tempo, abbia una funzione descrittiva, e sia un ente individua-
le; vi è una stretta opposizione tra:
a) essere una sostanza prima, essere un questo, avere una denotazione autonoma, ed, b) essere un tale, essere una descrizione, e non avere una denotazione autonoma rispet-
to al soggetto che si descrive; per essere più chiari, un ente che sia un tale, non ha un riferimento primario in un ente
Prima sezione
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x) l’essere esistenzialmente indipendente!4; xi) il costituire la base esistenziale di tutti gli enti!; xii) l'essere sempre soggetto, e mai predicato!5,
Elemento importante all’interno di questa sezione è anche quello costituito dalla differenza tra predicazione essenziale, e predicazione accidentale; detta distinzione è fondamentale per comprendere la struttura dell’ente individuale sostanziale. Inoltre, la costruzione del mondo degli oggetti, e la valutazione dello statuto ontologico degli oggetti stessi, non prevedono l’esistenza di enti che siano «tali e niente altro», e che, in virtù di
questo essere tali e niente altro, costituiscano la garanzia di un’univocità di predicazione. L'univocità di predicazione verrà giustificata in modo diverso rispetto ad una tradizione che si potrebbe definire «platohica»: Aristotele sostituisce il proprio sistema degli universali alla teoria di enti che siano «tali e niente altro», a livello logico, mentre, a livello ontologico, respinge l’ipotesi di una denotazione autonoma dei predicati, ed oppone una teoria dell’ente individuale come base esistenziale di tutti gli enti, ad una distinzione tra enti intesi come somma di proesistente a parte rispetto agli enti da esso descritti; non esiste un terzo uomo oltre gli uo-
mini singoli. Nella predicazione per cui, ad esempio, «a, b, c sono uomini», o anche nella semplice predicazione «a è uomo», ciò che viene predicato non denota un ente autonomamente esistente rispetto alla pluralità. Altrimenti detto, gli enti a, b, c non sono posti, per esistere e per essere quello che sono, in relazione ad un ente che esista indipendentemente da tutti loro. 14 La sostanza esiste indipendentemente dalle proprie proprietà accidentali, non viene a sua volta attribuita a qualcosa d’altro che si ponga, di fronte ad essa,in una posizione di inglobamento. Il caso della sostanza in relazione alle qualità non si ripete per qualcosa d’altro in relazione alla sostanza. A livello delle Categorie non si fa ancora menzione della proprietà della separatezza come caratteristica di ogni sostanza in quanto tale; mi sembra, tuttavia, sufficientemente chiaro il fatto che tutti gli altri enti abbiano
bisogno della sostanza per esistere, e mi sembra, altresì, che detta dipendenza degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza risulti evidente già nelle Categorie. 15. Senza sostanza non può esistere nessuna delle altre categorie. 16
La sostanza non è mai predicato in quanto non viene mai attribuita a qualco-
sa d’altro. Si deve sempre prestare attenzione alla corrispondenza tra: —
—
essere dente, essere dente,
soggetto, non venire attribuito ad altro, ed essere esistenzialmente indipenda una parte, ed predicato, venire attribuito ad altro, e non essere esistenzialmente indipendall’altra.
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Note su Ousta
prietà, o come luoghi di proprietà (detti enti sono costituiti dalla pluralità sensibile) ed enti intesi come «tali e niente altro» (il piano di detti enti è costituito dalle idee)!”. 2. Collocazione «continuista» dell’interpretazione proposta
L’interpretazione della sostanza che proporrò nel corso del presente lavoro vuole essere, in un certo senso, un’interpretazione della sostanza avente carattere unitario, vuole, cioè, porre in
luce gli elementi di continuità presenti nelle varie trattazioni che Aristotele fornisce circa la sostanza, non dimenticando, natural-
mente, gli elementi di diversità presenti nelle diverse trattazioni. Il fatto che io proponga un’interpretazione relativamente «continuista», per quanto concerne le posizioni aristoteliche sulla sostanza, naturalmente, non sta a significare che Aristotele offra un’unica interpretazione della sostanza; esso sta a significare, in-
vece, che, pur nelle diverse oscillazioni, e pur nei parziali cambiamenti di interpretazione della sostanza stessa, alcune delle proprietà, e, parimenti, alcune delle caratteristiche, che Aristotele attribuisce alla sostanza, costituiscono un tratto comune ai
differenti scritti di Aristotele. Più semplicemente, la mia posizione intende mostrare come non si possa parlare di cesure presenti all’interno dell’opera aristotelica riguardo al problema della sostanza, e come si debba parlare, piuttosto, di una diversità di sfumature nella continuità rappresentata dall’interpretazione di base della sostanza; dovendo, in una formula, presentare la mia interpretazione, userei la seguente espressione!8:
«diversità nella continuità», così appunto sintetizzerei la mia posizione, posizione che va a
scontrarsi contro le interpretazioni degli interpreti, — per onestà intellettuale devo aggiungere, dei numerosi e degli autorevoli in!7 Il meccanismo di sostituzione verrà trattato più diffusamente in seguito. 18 Non si deve, naturalmente, porre un peso eccessivo sulla formula in sé e per sé presa; se ne potrebbero senz'altro trovare ed adoperare altre più efficaci.
Prima sezione
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terpreti —, che propongono la presenza di una cesura netta tra: a) la posizione aristotelica riguardante la sostanza, per come essa si presenta nelle Categorie, €,
b) l'esposizione aristotelica della sostanza, per come essa si viene sviluppando all’interno dei libri centrali della Metafisica, quali i libri Zeta, Eta e Theta della Metafisica. Per quanto mi concerne, ancorché io medesimo riconosca la presenza di elementi di diversità, l’interpretazione fondata sulla scissione tra Categorie e Metafisica non incontra un favore illimitato; ammetto, infatti, la presenza di posizioni più complesse all’interno della Metafisica rispetto alle posizioni contenute nelle Categorie, e, tuttavîa, non ritengo si possa tanto parlare di scissione, o di cesura, tra Categorie e Metafisica, quanto, piuttosto, ritengo si debba parlare di inglobamento delle posizioni delle Categorie nel quadro, senza dubbio più composito e più globale, della Metafisica. A questo proposito, concetti interpretativi come inglobamento, assimilazione, e mantenimento delle posizioni contenute nelle Categorie, nell’ambito della Metafisica, stanno a significare che non vi sono gli estremi, a mio giudizio, per parlare di una contrapposizione tra scritti aristotelici, ma che vi sono, al contrario, gli estremi per arrivare ad una conciliazione tra le diverse posizioni. Risponde, in effetti, a mia convinzione il fatto che esista, per esempio, un tratto comune alle Categorie ed a Metafisica Zeta, per quanto concerne la traftazione aristotelica della sostanza; benché vi siano, in altri termini, nell’ambito di Metafisica Zeta, diversi problemi che, nell’ambito
delle Categorie, non vengono affrontati, problemi accompagnati dalla presenza di nuovi apparati concettuali!?, mi sembra, tutta19 La posizione della Metafisica è, senza dubbio, più complessa di quella presente nelle Categorie; si veda, ad esempio, quanto sostiene ACKRILL nel commentario alle Categorie ed al De Interpretatione: «The discussion of substance in Metaphysics Z and H goes a good deal deeper
than does this chapter of the Categories. Aristotle there exploits the concepts of matter and form, potentiality and actuality and wrestles with a whole range of problems left
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Note su Ousia
via, che si possano individuare alcuni punti fermi, — punti fermi untouched in the Categorzes.». A proposito delle differenze presenti tra Categorie e Zeta, come si vede dall’introduzione di nuovi apparati concettuali nell’ambito di Metafisica Zeta, detti apparati concettuali nuovi, presenti in Metafisica Zeta rispetto alle Categorie sono, ad esempio, — gli elementi rappresentati dalla forma, dalla materia e dalla relazione tra forma e materia,
—
la funzione della forma nei confronti della materia,
-—
le diverse analisi che Aristotele compie circa forma e materia, la definizione, la struttura della definizione, ed il problema degli elementi della defi-
—
la proprietà della separatezza, o della separabilità, attribuita alla sostanza, e la determinazione del preciso significato della separatezza, o separabilità; come ultimo punto (anche se, data la maggiore complessità di Zeta rispetto alle Categorie, il discorso potrebbe procedere ulteriormente), vorrei citare la presenza di una certa ambivalenza nell’uso di ousia all’interno del libro Zeta, ambivalenza che si
nizione,
-—
esprime nell’essere ousia:
a/ ora qualcosa che corrisponde all’ente individuale auto-sussistente ed esistente in maniera indipendente (con questo si intende la sostanza prima delle Categorie, anche se, stando a quanto appare in testi presenti in Metafisica Eta, l’ambito della sostanza si estende anche ad alcuni artefatti — si vedano, per questa estensione, i capitoli Metafisica Z 17, Metafisica H 2, Metafisica H 3),
b/ ora nell’essere ousia qualcosa che corrisponde alla forma, all’essenza dei medesimi enti individuali, al ciò che fa sì che un oggetto sia quello che è. Naturalmente, in questo caso, tutto il problema della sostanza riceve un’estensione, dal momento che l’analisi della sostanza comprende, nello stesso tempo, sia lo statuto di che cosa sia sostanza, sia di che cosa faccia, di un oggetto, quello che esso è. Non va poi dimenticato che, in alcuni passi, la sostanza viene assegnata anche all’essenza di enti che non sono enti sostanziali, quali la salute (Metafisica Z 7, 1032b3-6, 1032b13-14), o la camusità (Metafisica Z 11, 1037a29-32), per cui il tono del discorso presente in Zeta è, senz’altro, maggiormente ramificato. Di questa maggiore ramificazio-
ne di Zeta parlerò anche in seguito; qui vorrei fosse chiaro il fatto che, di fronte alle distinzioni nette proposte nelle Categorie, il contenuto del libro Zeta si pone senz'altro come testo maggiormente ramificato e fondamentalmente, almeno a parer mio, plurivoco, se non altro in linea tendenziale, per quanto concerne la teoria della sostanza. L'ultimo punto della serie, l’ambivalenza presente nell’uso di ousia all’interno del libro Zeta, è un punto che tradisce la mia interpretazione di ousia, come termine bivalente, ed è un punto che ha originato una grande controversia. Si vedano, ad esempio, per posizioni molto differenti, le interpretazioni che vengono date: a/ nelle «Notes on Book Z of Aristotle’s Metaphysics», e,
b/ nel commentario di Patzig-Frede; mentre le Notes parlano di un doppio uso di ousia, Patzig-Frede rifiutano qualunque ambivalenza nel termine. Tanto per prendere posizione subito, come parzialmente, del resto, ho già fatto, ritengo che all’interno del libro Zeta siano presenti due diverse componenti, o, altrimenti detto, due diverse domande o, ancora, due diverse ricerche:
Prima sezione
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comuni a Categorie e al libro Zeta della Metafisica? —, nella speculazione aristotelica della sostanza, quali, per esempio: — l'essere, da parte della sostanza, il soggetto ultimo di predica-
zione?! (elemento comune a Categorie 5 e a Metafisica Z 1); — l'essere, da parte della sostanza un questo, od un questo qualcosa (=tode ti) (caratteristica comune a Categorie 5 e a Metafisica Z 1);
— l’essere, da parte della sostanza, il soggetto ontologico, la base esistenziale, della concretizzazione degli enti appartenenti alle altre categorie (elementi comuni all’esposizione della sostanza, per come essa è presentata, da una parte, nell’ambito
delle Categorie, in Categorie 5, e per come essa è presentata, d’altra parte, nella Metafisica, in Metafisica Z 1); — la dipendenza esistenziale degli enti appartenenti a categorie differenti da quella di sostanza, nei confronti della sostanza (detti contenuti sono visibili in Categorie 5 ed in Metafisica #65 dp — l'opposizione, o la distinzione, e la demarcazione tra sostanza i)
la domanda concernente il che cosa sia sostanza — vale a dire, quali enti possano essere ritenuti sostanza —, €,
ii) la domanda concernente il che cosa faccia di una sostanza quello che essa effettivamente è, — vale a dire, il che cosa consenta di chiamare sostanze alcuni enti piuttosto che altri (su questo argomento, si veda, ad esempio, Lacey, «Ousia and Form in Aristotle»).
Vi sono, pertanto, due diverse indagini, che propongono, da un lato, l’identificazione di un senso di sostanza con determinati enti, e, dall’altro, l’identificazione di un al-
tro senso di sostanza con l’essenza di determinati enti. L'impostazione generale che conferisco alla mia interpretazione del libro Zeta, pertanto, mi allontana dalla interpretazione di Patzig-Frede, i quali, da parte loro, criticano decisamente ogni interpretazione proponente una ambivalenza di ousia all’interno del libro Zeta, come successivamente avrò modo di illustrare. Pur nel rispetto delle valutazioni di Patzig-Frede, ritengo che vi siano, nell’ambito di Metafisica Zeta, oscillazioni, ripensamenti e usi doppi del termine ousia, tali da non permettere un’interpretazione troppo unitaria di ousia, non, almeno,
così unitaria come Patzig-Frede vorrebbero. Di questo tema, tuttavia, mi occuperò*più diffusamente all’atto della presa in esame del libro Zeta della Metafisica. 20. Si potrebbe tuttavia dire che vi sono punti fermi presenti tra le Categorie ed altri libri della Metafisica, come il libro Mi.
21 Il punto dovrà essere oggetto di discussione soprattutto in relazione al capitolo Metafisica Z 1 ed al capitolo Metafisica Z 3.
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Note su Ousta
prima e sostanza seconda (Categorie 5), o tra ente individuale ed universale (De Interpretatione 7), che si ripropone come distinzione tra sostanza ed universale nel libro Metafisica Zeta (capitoli Z 8, Z 13, Z 16); -— la considerazione della sostanza come di un tode ti, in con-
trapposizione alla sostanza seconda valutata come un semplice morév (Categorie 5), considerazione che si ripresenta nel libro Metafisica Zeta: a/ come differenza tra sostanza (che è tode ti, e che è, quindi,
qualcosa di determinato, di delimitato, di separato rispetto agli altri enti), ed universale (che è toionde, e che è, quin-
di, qualcosa che semplicemente indica un modo di essere degli enti individuali, senza costituire, ciò che è più importante, esso stesso un ente individuale??)?? — detta distinzio-
ne è presente in Metafisica Z 13 —,
o, b/ come differenza tra sostanza individuale (Socrate, Callia,
aventi una struttura che è descrivibile come un tode toionde) ed ente preso in senso generale (uomo o animale presi in senso generale, vale a dire, considerati in assenza di un riferimento determinato ad un ente individuale; questo ente preso in senso generale, in contrapposizione alla sostanza individuale, presenta la semplice struttura del toionde, dell’essere tale) — detta distinzione è presente in Metafisica Z 8); 22. La distinzione tra ente individuale ed universale, così come la necessità di sa-
° pere distinguere tra ente individuale ed universale, costituiscono distinzioni indispensabili onde non cadere nel regresso del terzo uomo. Vedremo più avanti la portata della distinzione tra ente individuale ed universale ed, insieme alla portata di questa distinzione, noteremo i pericoli che derivano dalla mancata considerazione di un’opportuna distinzione tra ente individuale ed universale, o dalla mancata considerazione di un’opportuna distinzione tra ciò che può essere soggetto e ciò che può essere, esclusivamente, predicato. 23 La distinzione tra tode ti e morév, o tra tode ti e toionde, 0, ancora, tra tode toionde e toionde, è una distinzione rilevante al fine di evitare una confusione tra ciò che vale come ente individuale e ciò che vale come ente comune; detta confusione, come
vedremo, conduce direttamente al regresso del terzo uomo. L'intenzione di non cadere in questo errore è più volte ribadita nell’opera aristotelica, come si può vedere nelle Ca-
tegorie, nell’aporia dodicesima del libro Beta della Metafisica, nel capitolo 22 delle Confutazioni Sofistiche, e nei capitoli Z 8 e Z 13 della Metafisica.
Prima sezione
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— l’essere, da parte di un ente appartenente alla categoria di sostanza, qualcosa immediatamente di per sé stesso, vale a dire,
il non essere, da parte di questo ente, un sostrato vuoto (questi contenuti si evincono da varie parti delle Categorie presenti nel capitolo 5, e da varî capitoli presenti in Metafisica
Zeta, come Z 1, Z 3, Z 4, Z 6, e via dicendo; la distinzione tra
essenza ed accidente, che in Aristotele è un punto fermo, — così almeno mi sembra —, indica il fatto che, a giudizio di Aristotele un ente è qualcosa di per sé stesso ed in virtù di sé stesso?4, ed indica, altresì, il fatto che il discorso delle essenze va ampliato, o, almeno, rivisto rispetto ad altre posizioni); — il costituire, da parte della sostanza, la base dei contrarî, vale a dire, il costituire, la sostanza, ciò che non può essere ridotto
ai contrarî; la sostanza è ciò cui i contrarî vanno ricondotti, in quanto la sostanza costituisce la base esistenziale dei contrarî stessi; la continuità di argomentazione è presente in Categorie 5 ed in Metafisica N1;
— la critica implicita nei confronti delle teorie che, al fine di spiegare la comunanza, da parte di una pluralità di enti, di una determinata proprietà, facciano riferimento ad un ente esistente in maniera indipendente rispetto agli enti per i quali 24. Si deve porre attenzione al fatto che, almeno nell’ambito della predicazione essenziale, vale a dire, nell’ambito della predicazione nella quale si predica di un ente quello che esso è, si predica, in altri termini, dell’ente, l’essenza dell’ente stesso (per fare un esempio, di Socrate si predica che è uomo), i) unenteè
quello che è di per sé stesso, o, altrimenti detto,
D7
ii) un ente è qualcosa di per sé stesso, o, anche, un ente è identico alla propria essenza,
— espressione che costituirà il cardine delle osservazioni aristoteliche contenute in Metafisica Z 6 —,
detta considerazione serve ad eliminare le interpretazioni della predicazione e le interpretazioni ontologiche a queste connesse, interpretazioni in base alle quali un ente, o
una pluralità di enti, sono quello che sono in virtù di qualcosa che esiste al di là di esso, ed indipendentemente da esso. L’identità tra ente ed essenza elimina, in altri termini, l’entificazione delle cause in base alle quali un ente ha una determinata essenza, dal momento che l’essenza di un ente viene, in un certo senso, riportata nell’ente stesso. Non vi
è bisogno di enti separati, (altrimenti detto, non vi è bisogno di idee), per spiegare l’uniformità di predicazione, per spiegare l’univocità di predicazione rispetto ad una pluralità presentante una proprietà comune, né vi è bisogno di enti separati per chiarire le motivazioni in base alle quali un ente abbia un'essenza.
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Note su Ousia
vale la medesima comunanza di proprietà; detta critica è presente in Categorie 1, ed, è in parte, ripresa nei capitoli Metafisica Z 13, Z 14, Z 16, capitoli nel corso dei quali viene effet-
tuata una critica serrata nei confronti di ogni e qualsiasi procedimento diretto all’entificazione delle intensioni, o degli universali;
il non esservi, per converso, bisogno di ricorrere ad un ente differente, da parte degli enti di una determinata pluralità ed esistente a parte rispetto a questi stessi enti, al fine di avere una spiegazione delle motivazioni in base alle quali un ente abbia una determinata proprietà. Il senso per il quale un ente è immediatamente una proprietà è quello per cui, da una parte, a/ un ente non è una somma di proprietà accidentali, né è un semplice sostrato vuoto, indifferente rispetto a tutte le proprietà, ma è, effettivamente, qualcosa di per sé stesso; d’altra parte, b/il fatto che un ente non abbia determinate proprietà in quanto, ad esempio, partecipante ad altro, bensì in ragione di sé stesso, o, per dir così, immediatamente, si riflette nel-
la diversa interpretazione ontologica, e nella diversa interpretazione logico-predicativa che Aristotele propone (detta differenza è comune a Categorie 5 ed a Metafisica Z 4); la delimitazione tra enti che avviene attraverso la separazione tra proprietà essenziali e proprietà accidentali; soltanto attraverso la distinzione tra proprietà essenziali e proprietà accidentali si può arrivare ad una distinzione tra enti (vi sono
punti in comune in Categorie, Metafisica Gamma e Metafisica Zeta).
Si intende che i punti segnati costituiscono, semplicemente, un piccolo acconto dei temi di raccordo; d’altra parte, questi mi sembrano costituire punti di contatto molti significativi tra le posizioni espresse nelle Categorie e le posizioni espresse nel libro Zeta.
Prima sezione
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3. Temi e sezioni.
Per non creare eccessive difficoltà a causa della diversità dei temi affrontati, ho deciso di dividere lo studio in due sezioni. Questa soluzione mi sembra necessaria data la molteplicità delle questioni. La prima sezione, riguardante Categorie e De Interpreta-
tione?, si concentra sui seguenti temi, vale a dire: i)
sul sistema categoriale, e,
ii) sulla suddivisione degli enti della realtà. La seconda sezione, dedicata al De Interpretatione, agli Analitici Primi, ed agli Analitici Secondi, fonda la propria sfera di interessi sui seguenti temi, vale a dire: i) sul rapporto tra nome e costituzione dell’ente?9, ii) sul sistema delle essenze come criterio per la suddivisione della realtà, e,
iii) sulla predicazione naturale ed innaturale in relazione ai soggetti autentici, ed ai soggetti non autentici; altrimenti detto, ciò che viene ricercato nell’ambito di questo tema è l’autentico soggetto di predicazione e, parimenti, la corretta relazione tra soggetto ontologico e soggetto logico. Vediamo, allora, più in dettaglio i contenuti, ed i presupposti, di entrambe le sezioni.
(a) Categorie. De Interpretatione.
L’analisi presente riguarda dunque, nella sua prima sezione, — occupata, quasi interamente, dalle Categorie —, alcuni elementi concernenti la posizione della sostanza, da una parte, e,
dall’altra, la relazione tra sostanza ed enti appartenenti alle altre categorie; detti elementi si trovano in maggior misura nelle Ca2 Nelle note che accompagnano il testo si fa, a volte, riferimento ad altre opere. Invito i lettori a non lasciarsi distrarre da questi riferimenti; la linea del discorso è costituita dal testo principale, ancorché le note abbiano la loro importanza. 26 Altrimenti detto, sul rapporto tra nome-essenza e costituzione dell’ente.
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Note su Ousia
tegorie?”; non sono, peraltro, esclusi riferimenti ad altre opere. Per questo motivo, il De Interpretatione costituirà, appunto,
una parte dell’analisi in corso. La finalità di questa sezione consiste nell’acquisizione di caratteristiche che chiarifichino la posizione della sostanza; la sezione è, pertanto, indirizzata a procurare strumenti di interpretazione di ousia che possano riuscire utili nel prosieguo della trattazione. La motivazione che mi spinge a partire dalle Categorie per l’analisi della sostanza è costituita, in parte, dalla considerazione che Aristotele ritiene acquisiti, anche nel corso di opere successive, alcuni risultati raggiunti nell’analisi della sostanza nelle Categorie, come, ad esempio, i)
il non venire predicato d’altro?8 della sostanza”, l'essere, la sostanza, il soggetto ultimo di predicazione, 0,
ii) il costituire, la sostanza, l'ente basilare per l’esistenza degli
enti appartenenti alle altre categorie (in altri termini, la so27. Per quanto riguarda osservazioni generali sulle Categorie, rimando al commento di: J. ACKRILL, «Aristotle’s Categories and De Interpretatione»; per altre osservazioni si possono vedere: BERTI, «Aristotele: dalla Dialettica alla Filosofia Prima»; FREDE,
«Categories in Aristotle»; per l’esistenza di due sistemi in Aristotele, uno caratterizzato dall’assenza della materia, l’altro caratterizzato dalla presenza della materia (le Categorie farebbero parte, in questa prospettiva, del primo sistema aristotelico), è utile: GRAHAM, «Aristotle’s Two Systems»; un’analisi piuttosto ampia delle Categorie, soprattutto per quanto riguarda i rapporti reciproci tra enti, si trova in: FURTH, «Substance, form and psyche: an aristotelian Metaphysics»; per quanto riguarda la presenza di una linea comune alle Categorie ed al libro Zeta della Metafisica, linea diretta contro l’entificazione dei predicati, e contro la confusione tra enti individuali ed universali, si può vedere: J. KUNG, «Aristotle on Thises, Suches and the Third Man Argument».
Quest'ultimo articolo è stato da me praticamente saccheggiato, data la ricchezza di elementi interpretativi che mi ha fornito. 28. Cfr. Categorie 5, 2a11-14: «Sostanza, quella che viene detta sostanza in modo dominante, ed in modo primario, ed in modo assoluto, è quella che non viene predicata di un soggetto, né è in un soggetto, come un uomo particolare, o un cavallo particolare (odota sé ètortw fi ku piuTatd TE Kai mpuTws kai pudiroTa Neyopévn, i pre ka” ùmokerpévov TIVÒS \éyetar pre év Umokepévo mvi torw, cîov è TiS dvapwros i) 6 Tis fntos).».
2°. Su questo punto, naturalmente, bisognerà discutere a lungo, specialmente per quanto concerne la formula «non essere detto d’altro»; mi sembra, infatti, che in Z 3 Aristotele voglia prendere posizione proprio contro questa interpretazione, o, quanto-
meno, che Aristotele voglia metterne in luce i punti deboli al fine di fondare meglio questa stessa caratteristica rappresentata dal non venire predicato d’altro.
Prima sezione
Val:
stanza è ciò senza cui niente altro potrebbe esistere), oppure, ancora, iii) l’essere la sostanza un tode ti, un questo, (o un questo qualcosa), di contro all’essere semplicemente un quale da parte della sostanza seconda.
Questi temi sono presenti in varie opere aristoteliche; siccome, da una parte, questi temi sono espressi in modo, a mio
giudizio?®, maggiormente ordinato, e maggiormente organico nelle Categorie, e siccome, d’altra parte, questi medesimi argomenti sono concentrati nella stessa opera, mi sembra opportuno, all’inizio dell’analisi, partire proprio dall’opera in cui detti temi sono raccolti. (B) De Interpretatione. Analitici Secondi. Analitici Primi.
Per quanto riguarda la seconda sezione, dedicata all’analisi di alcuni problemi presenti nel De Interpretatione, negli Analitici Secondi e negli Analitici Primi, i punti che mi interessano sono costituiti dai seguenti temi:
dal rapporto tra nome autentico e proprietà reale, di contro all'assenza di rapporto tra nome indefinito e proprietà reale — in altri termini, un nome corretto (a prescindere dai nomi proprî), individua una proprietà reale, e non individua una proprietà convenzionalmente accettata dai parlanti; si parte, cioè, dalla proprietà reale, per passare, attraverso il nome della proprietà, alla struttura del linguaggio comune: il linguaggio, per quanto attiene alle proprietà ed ai nomi-proprietà, è strutturato sulla base delle proprietà; altrimenti detto, a proprietà uguale corrisponde nome-proprietà uguale; — dalla corrispondenza tra unità dell’affermazione e della negazione, ed unità reale del soggetto: a soggetto reale, individuante una proprietà reale, corrisponde la possibilità di un’affermazione, o di una negazione, effettivamente singolari; per converso, a soggetto frutto di una composizione non cor30. Si intende, giudizio, sfortunatamente, mai insindacabile.
IZ
Note su Ousia
rispondente alla realtà, corrispondono un’affermazione, o una negazione, che non sono singolari, o che non sono ben strutturate (mi riferisco qui, per proprietà reali, a proprietà che sono concretizzate nella realtà, o che corrispondono ad unioni di proprietà reali, pur non essendo presenti nella realtà, — come è il caso dell’ircocervo che, pur non esistendo,
corrisponde ad una sintesi di proprietà reali —; per soggetti non — autentici mi riferisco a soggetti come: uomo + cavallo,
dove venga inventato un nome unico per i due termini, nome unico che dia l'apparenza dell’unità delle due nature; a nome unico non corrisponde una natura unica, viceversa, a natura
unica deve corrispondere, nel linguaggio corretto, un nome appropriato; il sistema degli enti decide circa la correttezza, o la scorrettezza dei nomi; il soggetto parlante, in altri termini, trova l’organizzazione della realtà, mentre, per converso, zor costituisce e non costruisce detta organizzazione);
dall’unità effettiva degli elementi di una definizione, di contro all’unità accidentale propria di una predicazione intercategoriale; ciò ha riflessi sul soggetto ontologico autentico, che deve essere, per così dire, liberato dalle componenti accidentali;
dalla differenza tra predicazione per sé e predicazione per accidente;
dalla corrispondenza tra enti detti per sé e predicazione per sé, da una parte, ed enti detti per accidente e predicazione per accidente, dall’altra;
dalla differenza tra predicazione corretta e predicazione scorretta, in relazione alla corretta o scorretta interpretazione degli enti ed in relazione alla corretta, o scorretta, interpretazione dei reciproci rapporti di dipendenza e di indipendenza degli enti medesimi; dalla ricerca del vero soggetto di predicazione, trascrizione dell’ente che esiste indipendentemente, e che costituisce la base per l’esistenza di tutti gli enti dipendenti; dal sistema categoriale come sistema nel quali gli enti si ma-
Prima sezione
73)
nifestano, come sistema che esaurisce le manifestazioni dell’ente.
In relazione a questi fattori di interesse, aggiungo che è importante vedere la diversità tra modi corretti di riferimento nei confronti di un ente, e modi scorretti di riferimento nei con-
fronti di un ente, quale sembra profilarsi in un passo degli Analitici Primi. Si vedrà, a questo proposito, come il modo corretto di riferirsi ad un ente si verifichi soltanto attraverso l’uso del nome-essenza. Solo il nome essenza assicura un riferimento costante, solo il nome-essenza assicura una distinzione di un ente rispetto agli altri enti, ed una separazione reciproca degli enti
stessi?!. La stessa giustificazione della pluralità è fondata sulle essenze e su un determinato tipo di essenze: soltanto allorché sia stata raggiunta una condizione di identificazione dell’essere di un ente, si può asserire con certezza la diversità numerica dagli altri enti e, di conseguenza, il suo essere separato, il suo essere delimitato rispetto agli altri enti. i Specificando il tema che voglio sviluppare in questa sezione, con le affermazioni precedenti intendo dire: i)
una cosa, un oggetto è, appunto, una determinata cosa, un
determinato oggetto, nel senso che ha un’essenza determinata, nel senso che è immediatamente, per quanto riguarda
le proprie condizioni di esistenza, un’essenza determinata; ii) un oggetto, una cosa, una sostanza è un’essenza opportuna in uno stato di concretizzazione; P
iii) l'essenza di un oggetto è la sua condizione di esistenza, è il suo modo di essere nella realtà;
iv) esistere è avere le proprietà presenti nell’essenza, venire ad essere è venire ad essere presente nella realtà con determi31
Questo tema interesserà diversi punti della trattazione; infatti, il riferirsi ad
un ente con il nome-essenza dell’ente stesso, oltre a rispondere al presupposto che un'essenza vi sia, vale a dire, che un ente abbia determinate proprietà in ragione di sé stesso, — vedremo l’importanza di questa posizione —, si oppone ad un riferimento nei confronti degli enti attraverso le proprietà accidentali degli enti medesimi, per un verso, e si contrappone, altresì, ad un riferimento agli enti attraverso proprietà materiali. Si vedranno, in seguito, quali e quanti problemi siano sollevati da questa argomentazione.
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Note su Ousia
nate proprietà, perdere queste proprietà significa scompari-
re dal dominio dell’esistente. Esistere è essere la concretizzazione di proprietà determinate. Una cosa è un’essenza determinata, a prescindere dal fatto che i parlanti riconoscano che cosa la cosa stessa sia; il corretto riferimento alla cosa,
ed insieme, la sua distinzione dalle altre cose, sono rappresentati dal nome che esprime l’essenza della cosa (uomo, ad esempio, è il nome-essenza esprimente l’essenza degli uomini); tale nome è da me chiamato nome-essenza. Vi sono, pertanto: a) la cosa, b) l’essenza della cosa, e, c) il nome della cosa e della sua essenza;
per essere corretto, il riferimento ad una cosa deve avvenire attraverso il nome-essenza. Un nome indefinito, ad esempio, non individua una cosa, e non individua un’essenza, e lo stesso vale
per un nome convenzionale. Questi punti verranno sviluppati nel corso della trattazione.
In sintesi, i problemi comuni ai passi delle Categorie, del De Interpretatione, degli Analitici Primi, e degli Analitici Secondi, concernono la struttura e l’organizzazione della realtà, la suddivisione degli enti, i reciproci rapporti di dipendenza e di indipendenza degli enti stessi, le condizioni di concretizzazione degli enti, ed il corretto modo di rapportarsi ad essi. Prenderò le mosse, allora, dall’elencazione dei temi pre-
senti nella sezione concernente le Categorie.
Seconda sezione Sommario
1. Categorie. — 2. Premessa introduttiva. Ousia nelle Categorie. Elementi di continuità. — 3. Differenza tra omonimia e sinonimia. Condizioni di sinonimia. — 4. Elementi platonici. — 5. La posizione contenuta nel capitolo 22 delle Gonfutazioni sofistiche. — 6. Contrapposizioni predicative. — 7. Distinzione tra enti indipendenti ed enti dipendenti. Categorie 2, 1a20-1b9. — 8. Sintesi. — 9. Struttura della realtà. — 10. Criterio del soggetto. — 11. Caratteri dell’ontologia. — 12. Statuto ontologico dell’ente individuale sostanziale. — 13. Teoria dell’ente come concretizzazione di un universale. Posizione essenzialista di Aristotele. — 14. Note sull’essenzialismo in Metafisica Gamma. — 15. Unità autocausata. Sistema del cambiamento. — 16. Sintesi dei risultati raggiunti. — 17. Categorie 5, 2a34-b7. Indipendenza e dipendenza esistenziale. — 18. Riflessioni. — 19. Tipi di predicazione. — 20. Predicazione per sé e predicazione per accidente. — 21. Relazione enti-predicazione. — 22. Considerazioni conclusive concernenti i tipi di predicazione. — 23. Rifiuto aristotelico dell’ontologia gradazionale. — 24. Distinzione tra sostanze prime e sostanze seconde. — 25. Equiparazione della sostanza prima ad un questo (tode ti), e della sostanza seconda ad un “quale (morév). — 26. Conferma della strategia delle Categorie: la posizione di De Interpretatione 7. — 27. Osservazioni su Metafisica M 10. — 28. Schema: enti, concretizzazioni, unità. — 29. Categorie 14a, 6-10. Con-
dizioni di esistenza delle proprietà. — 30. Categorie 3b24-4a22: sostanza come ente che non ha contrario, e come unico ente in grado di
assumere i contrarî. — 31. Ricapitolazione dei risultati raggiunti. Li
1. Categorie! Per manifestare, con la dovuta chiarezza, gli argomenti che costituiscono il fulcro di questa sezione, inizierò con l’elencazione dei temi che verranno trattati nella sezione stessa. L'indice ! Per quanto riguarda il problema dell’autenticità, nonché della datazione delle Categorie, adotterò la tesi interpretativa secondo la quale le Categorie costituiscono uno dei primi trattati di Aristotele, e secondo la quale, altresì, il nesso dei libri Zeta, Eta, e
Theta, della Metafisica, costituisce un complesso di opere riferibili ad un’epoca più tarda della produzione aristotelica rispetto all’epoca di composizione delle Categorie (cosicché, se non è necessariamente legittimo parlare di «evoluzione» dalle Categorie alla Metafisica, o di «superiorità» della Metafisica sulle Categorie, — dal momento che può sempre sussistere il dubbio che Aristotele fosse effettivamente più soddisfatto dei risultati raggiunti nelle Categorie rispetto ai risultati raggiunti in Metafisica Zeta, Eta e Theta —, è almeno lecito affrontare prima i contenuti presenti nelle Categorie rispetto ai contenuti presenti in Metafisica Zeta, Eta e Theta). A favore dell’autenticità delle Categorie si esprimono, fra gli altri, I Husik («The Authenticity of Aristotle’s Categories», citato in bibliografia), W. D. Ross («The Authenticity of Aristotle’s Categories», citato in bibliografia), C. M. Gillespie («The Aristotelian Categories», citato in bibliografia), L. M. DeRijk («The Authenticity ot Aristotle’s Categories», e «The Place of the Categories of Being in Aristotle’'s Philosophy», citati in bibliografia), L. Minio Paluello («Praefatio a Aristotelis Categoriae et Liber de Interpretatione», citato in bibliografia), L. Lugarini, («Il problema delle categorie in Aristotele», citato in bibliografia), J. L. Ackrill («Categories and De Interpretatione», citato in bibliografia). A favore di una datazione tarda per i libri Zeta, Eta e Theta della Metafisica, si esprime, tra gli altri, W. D. Ross (si veda, a questo proposito, il commentario alla Metafi-
sica di Ross, pp. xxv, Ixxxii e lxxxvili). Contro l’autenticità delle Categorie si pongono, invece, tra gli altri, W. Jaeger, («Aristotele», citato in bibliografia), S. Mansion, («La première doctrine de la substance: la substance selon Aristote», e «La doctrine aristotélicienne de la substanée et le traité des Catégories», citati in bibliografia), e A. M. De Vos, («La
d’après la Métaphysique d’Aristote», citato in bibliografia). Forse è sbrigativo mettere Jaeger tra i negatori dell’autenticità delle Categorie; in realtà, la posizione dello stesso Jaeger è molto articolata. Si veda, al proposito, quanto Jaeger sostiene nel suo «Aristotele» (pag. 59 dell’edizione italiana, nota 1):
78
Note su Ousta
dei temi che voglio prendere in considerazione è il seguente:
a) condizioni di sinonimia degli enti (Categorie 1, 1a1-12); nell’ambito della discussione di questo tema verranno presi in esame, oltre al passo delle Categorie, anche passi estratti dai Topici; inoltre, al fine di evidenziare l’obiettivo polemico dal quale Aristotele vuole prendere le distanze attraverso la propria interpretazione della sinonimia e della predicazione, verranno presi in esame alcuni punti dei dialoghi platonici; in sintesi, l’interpretazione prevede che, mentre in Platone le condizioni di uniformità di predicazione si diano quando due enti stiano in una determinata relazione di partecipazione nei confronti di un terzo ente che esiste in maniera indipendente «Le Categorie non possono essere uno scritto giovanile di Aristotele, dal momento che come esempio per la categoria del vi è nominato il Liceo, e cioè senza
dubbio la scuola aristotelica, dalla quale sono tratti volentieri anche in altri casi gli esempi per i concetti logici. Basta pensare a Corisco: il frequente uso che di tal nome viene fatto nelle esemplificazioni scolastiche acquista sapore solo quando si pensi alle lezioni di Asso a cui egli era presente. L’'inversione nominalistica della dottrina aristotelica della prima e della seconda odota quale appare nelle Categorie non ammette eliminazioni o interpretazioni conciliatorie: anche la sua forma non è aristotelica. Non bisogna negare la giusta importanza a questi spontanei e poco appariscenti indizi linguistici. Inoltre,
l’autore presuppone come già nota la dottrina delle Categorze e ne sceglie ed espone soltanto pochi problemi. Tutto ciò non impedisce di riconoscere che la maggior parte degli elementi singoli sono, nel loro contenuto, aristotelici.». La posizione di Jaeger è pertanto più articolata di quanto appaia a prima vista;
tuttavia, mi sembra che l’interpretazione dello stesso Jaeger sia in linea con la dipendenza metafisica da parte del primo Aristotele, nei confronti di Platone, dipendenza che porta Jaeger medesimo a dovere proporre comunque, a prescindere da chi sia l’autore delle Categorie, una data tarda per la composizione delle Categorie, che sono espressamente segnate da una forte matrice anti-platonica. Se, infatti, le Categorie fossero opera giovanile, allora la tesi di un Aristotele dipendente da Platone non avrebbe più ragione di essere. Per parte mia, ritengo che Aristotele, sin dal De Ideis, voglia contrapporsi sia sul piano logico, sia sul piano ontologico-metafisico, alle posizioni di Platone, e non sono pertanto convinto dalla tesi di Jaeger attestante un Aristotele indipendente, fin dalla composizione dell’Eudemo, da Platone sul piano logico, e dipendente, invece, da Platone sul piano metafisico, almeno per quanto attiene al periodo «giovanile» della produzione aristotelica stessa. Ricapitolando queste osservazioni, come ho detto, mi atterrò all’interpretazione
che vede nelle Categorie un’opera non solo composta da Aristotele, ma anche composta da Aristotele in una fase ancora relativamente «iniziale» della propria produzione filosofica; rimango, tuttavia, consapevole dei molti problemi relativi all’attribuzione, ed alla datazione delle Categorie.
Seconda sezione
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rispetto ai primi due enti, in Aristotele due enti sono sinonimi quando essi abbiano la medesima definizione, senza che siano poste, pertanto, né una relazione con un terzo ente né tanto-
meno l’esistenza di un terzo ente indipendente dai primi due. b) differenza presente tra gli enti appartenenti alla categoria di sostanza e gli enti appartenenti alle altre categorie (Categorie 2, 1a20-1b9);
c) considerazioni generali sul sistema di organizzazione degli enti, sul criterio del soggetto come criterio atto a chiarire, per un verso, la posizione degli enti capaci di esistere in maniera indipendente e, per l’altro verso, la posizione degli enti non capaci di esistere in maniera indipendente; d) dipendenza delle proprietà dalle loro concretizzazioni in sostanze prime; indispensabilità delle sostanze prime per l'esistenza di tutti gli enti (Categorie 5, 2a34-b7); e) differenza di ‘tipo’? tra sostanze prime, e sostanze seconde;
relazione tra dato esistenziale ed universale? (Categorie 5, 3b10-23; Categorie 5, 2a11-19; De Interpretatione 7, 17a3817b1); ? Effettivamente, parlare di differenza di tipo può sviare il discorso; quello che mi interessa mettere in luce, usando questo termine, è il fatto che, per Aristotele, si deve porre un’opportuna distinzione tra: i) ciò che può valere come ente individuale, e, ii) ciò che non può valere mai come ente individuale; si tratta, in altri termini, di fare vedere come vi siano alcuni enti che sono enti effettivamente dati nella realtà, e come vi siano enti, per converso, che non esistono allo stesso livello di questi enti primi.
Si è fatto cenno, nell’introduzione, al motivo per il quale ho deciso di prendere in esame le Categorie. Le Categorie mi permettono di fare vedere l’interpretazione della sostanza come base esistenziale degli enti: sostanza è l’ente individuale, come uomo singolo, o come, più genericamente, animale singolo; d’altra parte, solo la sostanza vale come ente individuale capace di esistenza autonoma; viene, altresì, posta nelle Categorie
una differenza tra l’ente individuale e l’universale, cioè, la sostanza seconda. Si deve parlare di una differenza di livello tra enti — soggetto ed enti — predicato, tra enti che sono particolari ed enti che sono comuni. Aristotele si esprime già piuttosto chiaramente circa la differenza tra l’individualità di un ente e l’essere comune degli universali. 3 Nella trattazione che segue tratterò sostanze seconde ed universali come espressioni e concetti equivalenti. Mi sembra che detta equiparazione sia legittima sulla base delle affermazioni aristoteliche contenute in Categorie 5, in Analitici Secondi I, 4
ed in De Interpretatione 7. Tuttavia è bene precisare che i termini aristotelici sono differenti.
80
Note su Ousita
f) non-esistenza di proprietà non concretizzate — nel senso che proprietà non concretizzate non esistono per nulla (Categorie
11, 14a6-10); g) sostanza come ente che non ha contrario, e come unico ente capace di assumere i contrarî (Categorie 5, 3b24-4a22)!. 2. Premessa introduttiva. Ousia nelle Categorie. Elementi di continuità Veniamo allora ad affrontare il tema di ousia all’interno delle Categorie. La posizione di ousia nelle Categorie è «più semplice?» della posizione presente in Zeta, dal momento che molti aspetti sono trascurati, o dal momento che detti aspetti proprio non vengono menzionati nell’ambito delle stesse Categorie: primo fra tutti, ron viene menzionato il problema della materia e della possibilità che sia la materia il vero soggetto di
predicazione®. Se la posizione delle Categorie è più semplice, ciò non significa, tuttavia, che la posizione presente nelle Categorie sia completamente differente da quella espressa nell’ambito del libro Zeta: alcuni elementi delle Categorie vengono, a mio giudizio, trasferiti all’interno del libro Zeta e, nell’ambito del libro Zeta, appunto, riconsiderati, ed altresì sottoposti ad una nuova
valutazione in base ai nuovi apparati concettuali ed ai nuovi problemi che Aristotele affronta. Gli elementi che sono comuni alle Categorie ed al libro Zeta, o, comunque, gli argomenti che mantengono una linea di continuità tra Categorie e Zeta sono, a mio giudizio, i seguenti: 4 La presa in esame di un numero cospicuo di testi potrebbe creare disagio; mi sembra, tuttavia, opportuno giustificare la mia interpretazione della sostanza attraverso le espressioni aristoteliche, onde la presa in esame di testi differenti.
? Il concetto espresso con «più semplice» andrebbe probabilmente espresso più veritieramente con «meno complessa». © Per questo problema, si veda l’analisi di Metafisica Z 3: Z 3 costituisce, pro-
babilmente, un raffinamento del criterio del soggetto, rispetto al suo uso ‘indiscriminato’ presente nelle Categorie. Si vedrà, all'atto dell’analisi di Z 3, che cosa io intenda sia per «uso indiscriminato del criterio del soggetto», sia per «riforma del criterio del soggetto».
n
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— la differenza tra enti esistenti in maniera indipendente ed enti esistenti in maniera dipendente; le sostanze esistono in maniera indipendente, laddove tutti gli altri enti, siano essi qualità, quantità, relazioni e via dicendo, esistono soltanto in virtù dell’esistenza delle sostanze; le sostanze formano, in questo senso, l’appoggio ontologico per gli enti appartenenti alle sostanze seconde (relazione tra Categorie 5 e Metafisica Z 1); — la molteplicità dei sensi di essere”, presente in Categorie ed in ?
Se, come mi sembra, si deve parlare di una molteplicità immediata di essere,
che è nello stesso tempo una molteplicità di enti, allora la molteplicità costituisce una presa di posizione anti-parmenidea, e, parimenti, una presa di posizione anti-platonica. La molteplicità immediata costituisce una presa di posizione anti-parmenidea, in quanto detta molteplicità immediata invita, da un lato, a non considerare ammissibile l’entifica-
zione di essere, quasiché si desse un essere unico, un unico ente corrispondente ad essere (è evidente che, se essere è, immediatamente, molte cose, tutte separate nella distin-
zione categoriale, allora non ha senso parlare di un unico ente), ed in quanto, detta molteplicità medesima, d’altra parte, esorta a non considerare accettabile l’attribuzione, ad essere, di un unico significato.
Si veda, a questo proposito, il testo contenuto in Fisica I, 3, 186a22-31: «Anche contro Parmenide si procede con gli stessi criterî, benché ve ne siano altri più appropriati. E la confutazione si fa sia perché egli erra nelle sue premesse, sia perché è incoerente nelle conclusioni: erra nelle premesse, perché stabilisce di parlare dell’uno in senso assoluto, mentre, poi, ne parla in molti sensi (Jevsù)s pèv f émos XayBdver Tò èv AéyeoBar, \eyopévou moX\ayx@s); è incoerente nelle conclusioni, per-
ché, se pur si prendessero in esame solo le cose bianche, pur significando ‘bianco’ un solo essere, non di meno le cose bianche sarebbero molte, e non una (ei uova Andeein,
onpatvovtos
év ToÒ
Aeukoî,
oùgèv
frTov
moXdà
TÀ Xeukà
tà Aeukà
kai oùyx év):
ché, né per continuità, né per definizione, il bianco sarà uno, perché diversa è l’essenza
del bianco, da quella dell'oggetto che l’accoglie (dX)0 yàp fora
Tò eivar XeUk@ kai
TO SeSeypévw), e non si potrà separare nulla, tranne il bianco. Non si potrà, invero, operare separazione, sebbene, in quanto all'essere, ci sia differenza tra il bianco, e l’oggetto cui esso inerisce (kaì oùk ora mapà tò Xeukòdy obdév xwpotdy: où yàp î xoproTòv dilà TG elvar Érepov Tò Aeukòv kai © Umdpyer).».
Il testo qui presente, e, più in generale, tutta la concezione legata alla molteplicità immediata di essere, rappresentano, d’altra parte, un’obiezione metodologica nei confronti del platonismo, dal momento che vengono a criticare la valutazione dell’esservi un’unica cosa, in corrispondenza della presenza di una proprietà in una moltéplicità di cose: non vi è un unico essere in base al quale una molteplicità è detta essere, per cui non si può ricercare un’unica causa per l’essere di una molteplicità; allo stesso modo, per prendere in esame un altro esempio, — non più, in questo caso, l’esempio rappresen-
tato da essere, ma l’esempio rappresentato da bene —, bene è, appunto, termine plurivoco, come si vede dall’Etica Eudemia, I, 8: «Il bene è assunto in molte accezioni, pur restando uguale nella sostanza. L'esse-
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Note su Ousia
Z. 1, sia pure con termini differenti (Categorie, 4, 1b, 25-27; Metafisica Z 1, 1028a10-13)8; re, infatti, come abbiamo distinto altrove, esprime la sostanza, la qualità, la quantità, il tempo, e, inoltre, si trova nell’essere mosso, e nel muovere. Così, il bene esiste in ciascu-
na di queste categorie: nella sostanza, il bene è l’intelletto e la divinità, nella qualità, è il giusto, nella quantità, è la misura, nel tempo, è l'opportunità, nel movimento, l’insegna-
mento che si dà e che si riceve. Come, dunque, l’essere non è uno nelle categorie suddette, così non lo è neppure il bene; e non vi è, quindi, una sola scienza, né dell’essere, né del bene.»;
e come si vede, d’altra parte, dall’Etica Nicomachea, I, 4, 1096a23-29:
;
«Inoltre, poiché il bene si predica nella stessa estensione di significato dell’essere (infatti si predica nella sostanza, come Dio o come intelletto; nella qualità, come virtù; nella quantità, come misura; nella relazione, come utilità; nel tempo, come occasione; nel luogo, come residenza; e così via), è evidente che non potrebbe essere un alcunché
di comune, universale ed uno: infatti non si predicherebbe in tutte le categorie, ma in una sola.».
Da queste argomentazioni si vede come, a bene, non corrisponda un unico ente: non è corretto cercare un unico ente in corrispondenza di un unico termine; il fatto che
vi sia, nel linguaggio, un unico termine, non significa che nella realtà corrisponda, ad esso, un solo ed un unico referente. In questo senso la corrispondenza tra unico termine linguistico ed unica idea come entità extra-linguistica viene destituito di significato. 8 Questo tema è importante in quanto, come dichiarazione di intenti, vale a togliere fin dall’inizio ogni e qualsiasi velleità volta a ricercare un termine di riferimento unico per «essere»; essere è immediatamente molteplice, quanto ai significati, e quanto
alle cose che sono; rimando, per questo tema, anche alle analisi aristoteliche presenti in Metafisica Z 1 e nel capitolo terzo del primo libro della Fisica. Qui voglio soltanto accennare alla struttura di ragionamento che viene, a mio giudizio, destituita di significato, struttura di giudizio in base alla quale viene sempre ricercato un ente unico in corrispondenza di un nome; detta struttura di ragionamento si può trovare, ad esempio, nel Menone, 71d4-72d3 (questo non è, tuttavia, l’unico passo dei dialoghi platonici in cui detta struttura di ragionamento è presente): «Socrate. Lasciamo, dunque, Gorgia, dal momento che è assente; ma di’ tu, in nome degli dei, Menone, che cosa sia virtù! Parla, non dirmi di no; sarò felice del mio
errore, se mi dimostri che voi, tu e Gorgia, sapete in che consiste la virtà, a me, che pur sostenevo di non avere mai incontrato persona che lo sapesse. Menone. Non vi vuol niente, Socrate! Innanzi tutto, se vuoi, la virtù dell’uomo, è
facile dire che questa è la virtù dell’uomo: essere capace di svolgere attività politica, e, svolgendola, fare il bene degli amici, danno ai nemici, stando attenti a non ricevere danno noi stessi. Se, invece, vuoi la virtù della donna, non è difficile dimostrare che il suo dovere consiste nell’amministrare bene la casa, conservandone i beni, e restando fedele al marito. E così, altra è la virtù del fanciullo, a seconda che sia femmina o maschio, altra quella di un vecchio, a seconda che sia libero o schiavo. Ed altre infinite virtù ci sono,
onde non vi è imbarazzo a dire in che cosa consista la virtù. Per ciascuna attività ed età e per ciascun atto vi è una propria virtù, sì come credo vi sia un vizio, Socrate. Socrate. Quale mai fortuna sembra mi sia toccata, Menone! Andavo cercan-
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- l’indispensabilità degli enti appartenenti alla categoria di sostanza, per l’esistenza di tutti gli enti (relazione tra Categorie 5 e Metafisica Z 1); — la differenza di tipo tra sostanze prime e sostanze seconde: la sostanza prima, l’uomo particolare, è un ente individuale, sostanziale laddove l’universale, vale a dire, la definizione, la
specie ed il genere delle Categorie, la forma della Metafisica, presa in senso generale?, presa senza riferimento ad un individuo determinato, è un universale (relazione tra Categorie 5 e Metafisica Beta Aporia 12, Metafisica Z 8, Metafisica Z 13);
— l'essere, da parte di ogni sostanza, qualcosa immediatamente. do una sola virtù, ed ecco che, grazie a te, già ne trovo uno sciame (IToX\fi ye tm eUTuXia Éorka kexpfoBar, d' Mévwv, ei puiav CnTOv dpetàv opfivés n avnipnea
aperov mapà oo. ketpevov). E, o Menone, se proprio prendendo questa immagine dello sciame, io ti domando: l’essenza, qual è (mepì ovotas 6n mot’ èottv)? mi rispon-
derai che di api ce ne sono molte e di molti tipi. Ma se ti domando ancora «E perché le api sono molte e di molti tipi e diverse tra loro? perché sono api? O differiscono tra di loro solo per bellezza, grandezza e così via?». Dimmi, come risponderesti a simile domanda? Menone. Che, in quanto api, non differiscono l’una dall’altra. Socrate. E se poi ti domando: «Dimmi, Menone, che cosa è ciò per cui le api non differiscono fra loro, onde sono tutte api? Che cosa è questo (ò olsèv Sapépovowv dr là TauTév
eiow
Gmaca,
Ti ToÙùTO
ds
civar)?» Sai rispondermi?
Menone. Sicuro!
Socrate. Lo stesso si ripeta per le virtù: anche se molte, e di molti tipi, in tutte ha da esservi una sola forma, per cui sono virtù, e su tale forma bisogna tenere gli occhi fissi, attentamente, perché la risposta alla domanda sia corretta e faccia esattamente comprendere in che consiste la virtù (OUTw S&î kai mepì TOv dperov: kav ei moxdai kai mavrosamai cio, év ye Tai, cis dè KkaXiòs mou éyer
èkeîvo SnXdoar,
è Tuyxdva
m eibos TaÙtòv dmacar éxouvoww dmopityavta TÒv àamokpwdpevov
&l° d eloìv dpe TÒ EpwTHoavti
oboa aperti). Capisci, no, quello che voglio dire?
Menone. Credo di capire; ma non afferro ancora, come vorrei, il senso della do-
manda.». Come si vede, Platone cerca un solo ente, vale a dire, una sola virtù, in cortrispondenza del nome virtù; il ragionamento che Aristotele compie nei passi poc'anzi citati, contenuti in Etica Eudemia ed in Etica Nicomachea, mi sembra vada proprio
contro
la struttura di ragionamento platonica. Per una critica esplicita al ragionamento in co, e per una rivalutazione del metodo di enumerazione delle virtù, si veda Politica, I, 13, 1260a25-35.
? Si noti che uso appositamente l’espressione ‘forma presa in senso generale’ per tenermi fuori, almeno per il momento, dalla questione relativa alla presenza, o assenza, in Aristotele, di forme particolari.
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Note su Ousia
La sostanza è immediatarhente qualcosa, è immediatamente la concretizzazione di una proprietà. Non esiste una sostanza che sia esistente, e basta; l’esistenza è tradotta nelle condizioni che la rendono possibile, e che la manifestano. Pertanto, vi
sono proprietà di fronte al cui possesso una sostanza è indifferente, e vi sono proprietà di fronte al cui possesso una sostanza non è indifferente (continuità di elementi tra Categorie e Metafisica Z 1); d’altra parte, una cosa è, per il fatto di
esistere, qualcosa; in altri termini, una cosa non è, e basta!°, in modo indifferente rispetto a tutte le proprie proprietà (ancora continuità di elementi tra Categorie e Metafisica Z 1).
Si intende che l’interpretazione che pone una linea di continuità tra le Categorie ed il libro Zeta è fortemente avversata da alcuni studiosi. 10
Sul fatto che la struttura di un ente non sia riducibile al suo mero «essere»,
mi sembra valente testimonianza il seguente passo dei Topici: «Se l’enunciato della definizione è troppo esteso, occorre anzitutto controllare se è stato impiegato un predicato universale: nel duplice senso, di un predicato appartenente a tutti gli enti in generale, o di un predicato appartenente a tutto ciò che rientra nel medesimo genere della cosa definita. In ogni caso, infatti, un tal predicato sarà necessariamente troppo esteso. In effetti, il genere deve separare una cosa da ciò che rientra negli altri generi, mentre la differenza deve separarla da ciò che rientra nello stesso genere. Ora, il predicato universale (té... maow èmapyov) non separa affatto la cosa da nulla, mentre il predicato appartenente a tutto ciò che rientra nel medesimo genere non la separa da ciò che cade entro quel genere. L'aggiunta di un tal predicato è, pertanto, inutile. (Top., Z, 3, 140a, 24-32).».
Anche, del resto, in Analitici Secondi, si fa presente come l’essere non costituisca
una definizione sufficiente: «Ma l’essere non è la sostanza di nessuna cosa: ciò che è, infatti, non è un genere (cfr. An. Sec. II, 7, 92b13-14: tò &'eîvar oùk ovota oùsevi: où yàp yévos Tò dv)». In Metafisica H 2, 1042b25-28, d’altra parte, l’essere è ritradotto, naturalmente
per gli enti che sono presi in considerazione nel particolare contesto di H 2, nelle condizioni di esistenza; non vi è un essere e basta, non si accetta la presenza di un essere senza
qualificazioni: «Da ciò consegue, evidentemente, che anche l’essere assume altrettanti significati: una data cosa, infatti, è una soglia, in quanto è situata in questo modo, l’essenza di so-
glia significa, precisamente, essere situato in questo modo, e l'essenza di ghiaccio significa essere condensato in questo dato modo (...) (Sote Sfiov Em kai tò ton TocavTaxOs NéyeTar: olsdg yàp éEomv $m1 oiTws Kkeîtat, oUTWs aùtò Kkelodar onpatver, kai TÒ KpuoTdX\w elvar
Kai tò elvar TÒò TÒ oUTW memukvoogdar)».
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A proposito della non esistenza di una linea di continuità tra le Categorie e Metafisica Zeta, la linea di demarcazione tra coloro che avversano la continuità tra Categorie e Metafisica Zeta, e coloro che si pongono per una continuità nella valutazione aristotelica di sostanza, è riassumibile in questi termini: i) chi pone una cesura tra Categorie e Zeta parla di uno spostamento di ousia, di sostanza,
(a) dall’ente individuale sostanziale nelle Categorie, (b) alla forma in Metafisica Zeta; questo, a prescindere dalla valutazione delle forme in universali, od in particolari, e con la conseguente posizione derivata, o secondaria, dell’ente individuale sostanziale nel libro Ze-
ta, per quanto riguarda la candidatura a sostanza, rispetto alla forma; in questa posizione, Aristotele passerebbe dalla considerazione della sostanza come ente individuale, posizione presente in Categorie, alla considerazione della sostanza come forma degli enti, posizione presente in Metafisica Z; l'ente individuale sarebbe, in questo senso, un ente che può presentare una candidatura a sostanza soltanto in maniera derivatal! rispetto alla sostanza intesa come forma; la posizione dell’ente individuale come sostanza subirebbe,
ii)
in questo caso, un contraccolpo notevole; chi, invece, pone una linea di continuità tra Categorie e Metafisica Zeta, parla di sviluppo dell’analisi di sostanza in un quadro più vasto, ma non parla di cesura tra la posizione presente nelle Categorie, e la posizione presente nel libro Zeta. Pur comprendendo le ragioni della posizione di frattura
tra Categorie e Metafisica Zeta, ritengo, tuttavia, che vi siano
elementi comuni alle Categorie e al libro Zeta!2, per cui mi -
-
nl
ll Il punto più forte per questa interpretazione è costituito, a mio avviso, dalle linee finali di Metafisica Z 11.
12 Si vedano, per una posizione di frattura e di cesura tra Categorie e Metafisica, ad esempio:
—
Frede, «Substance in Aristotle’s Metaphysics», Frede-Patzig nel commentario concernente Metafisica Zeta,
86
Note su Ousia
oriento verso una posizione sintetizzabile nella formula: «diversità nella continuità»,
«continuità» rappresentata dal fatto che alcuni elementi, nell’ambito della valutazione della sostanza, rimangono acquisiti,
dato che mi pare che il significato di ousia come sostanza individuale sia tenuto fermo in Metafisica Z 1 (1028a25-29), in Metafisica Z 3 (1029a30-31), in Metafisica Z 10 (1035a1-2), ed in
Metafisica H 1 (1042a29-31), tanto per citare alcuni esempi. D'altra parte, la «diversità» della Metafisica rispetto alle Categorie, è rappresentata dal fatto che altri elementi vengono aggiunti, quali, ad esempio, la considerazione della sostanza come forma di un oggetto, per cui viene dato luogo ad una ambivalenza nell’ambito di ousia, intesa ora:
— comeoggetto individuale; ed ora:
— come forma dell’oggetto individuale (senza contare che vi potrebbero essere ulteriori ambiguità dovute ad un uso non sempre molto rigido di ousia, come, per esempio, sembra il caso di Z 11, dove ousia sembra applicata, tra le altre cose, anche alla concavità!4, o come in Z 7, dove si parla della salu— —
Driscoll, «EIDH in Aristotle’s Earlier and Later Theories of Substance», Loux, «Primary Ousia. An essay on Aristotle’s Metaphysics Z and H»;
più possibilisti, circa una linea di continuità, mi sembrano: —
—
Bostock,
come pure gli autori delle «Notes on Book Z of Aristotle’s Metaphysics»;
d’altro canto,
-— —
Woods, «Substance and essence in Aristotle», e, Scaltsas, «Substances and Universals in Aristotle's Metaphysics», non mi sembrano
porre grandi diversità tra la valutazione di sostanza nelle Categorie e nel libro Zeta della Metafisica, fatta salva, naturalmente, la maggiore complessità di Zeta rispetto alle Categorie (ma Woods sembra pensare diversamente in «Problems in Metaphysics Z 13», articolo nel quale alla forma è assegnato il ruolo di sostanza). 13 Si vedrà in seguito, che questa non è una mera formula di comodo per mettere tutti d'accordo; in realtà, mi trovo in disaccordo su molte cose con coloro che sosten-
gono la presenza di una cesura tra le Categorie e la Metafisica. LE
GfrZI01037a29532:
«La sostanza, infatti, è la forma interna, dall’unione della quale, con la materia, si
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te come di una sostanza!)!6.
In tale senso ritengo si possa parlare di Metafisica Zeta come di un approfondimento delle Categorie: oltre alla questione della sostanza individuale, in Zeta viene dibattuto il tema con-
cernente il che cosa faccia, di una sostanza individuale, quello che essa è (con la distinzione, per esempio, tra il fattore formale e le componenti materiali). Tuttavia, ancorché vi sia una minore concentrazione dell’attenzione sull’ousia come sostanza individuale nell’ambito di Metafisica Zeta, detto significato dell’ousia come sostanza individuale rimane, a mio giudizio, inalterato. Nelle sezioni seguenti, pertanto, si vedrà emergere la posizione della sostanza come soggetto ultimo di predicazione, e come ente di base per l’esistenza di tutti gli altri enti; si vedrà come Aristotele non voglia confusioni tra enti che vengono predicati, ed enti che non vengono predicati, e come, per evitare que-
sta confusione, Aristotele ponga una netta distinzione tra enti che costituiscono un questo!”, — le sostanze prime —, ed enti che rappresentano, semplicemente, una qualificazione, sia pure sostanziale — le sostanze seconde —; verrà portata tutta la dovuta
attenzione all’interpretazione della sostanza individuale, in quanto ente che è qualcosa di per sé stesso, e che è immediatamente qualcosa, dove il questo «qualcosa» costituisce le condidice la sostanza composta, come, per esempio, la concavità (7 yàp elSos TÒò évév, cE où kai Tfis UANs
5 Cfr. Z.7,1032b3-6:
ovvoros
Xéyetar
olota,
olota
éorì
tò
octov fl koAérns).».
«Infatti, la sostanza della privazione è la sostanza opposta. La sostanza della malattia, ad esempio, è la salute {Ts
otov i vytaa
yàp
oTepéoews
ovota
i ovota
© dvrikerpévn,
véo0u}, dal momento che la malattia è dovuta all'assenza di salute; inve-
ce, la salute è la forma e la scienza presente nell’anima.». 16 Ritengo che ousia, in Aristotele, nel complesso delle opere aristoteliche, sia
un termine fondamentalmente plurivoco; nel suo complesso ousia indica: - ora l’ente individuale sostanziale capace di esistenza indipendente, sia esso sengibile, —
—
sia esso sovrasensibile, ora l’essenza dello stesso ente,
ora l’essenza di un ente in generale, in modo tale che detta essenza non è necessariamente l’essenza di un ente individuale sostanziale,
-
orala materia, o le componenti materiali, di un ente sensibile. 17 od un «questo qualcosa».
88
Note su Ousta
zioni di esistenza dello stesso ente. Nella mia analisi attuale prenderò le mosse dalla distinzione tra sinonimia ed omonimia, al fine di mostrare gli obiettivi polemici che Aristotele ha presenti, a mio giudizio, nella posizione di questa distinzione. 3. Differenza tra omonimia e sinonimia.
Condizioni di sinonimia!* Circa le Categorie, è significativo che si parli proprio all’inizio (Categorie 1) di sinonimia, e di omonimia, in quanto applicate a cose, non a termini: sono le cose ad essere sinonime, in
quanto la loro essenza si riferisce alla medesima, o a parte della medesima, entità extra-linguistica. A questo proposito, si prenda in considerazione quanto Ackrill scrive nel proprio commentario alle Categorie. Si vede, dalla citazione del testo di Ackrill,
come Ackrill stesso confermi che, ad essere dotate della proprietà di sinonimia, siano le cose, e non le parole; si confronti il
testo di Ackrill, pag. 71: «The terms ‘homonymous’ and ‘synonymous’, as defined by Aristotle in this chapter, apply not to words but to things. Roughly, two things are homonymous if the same name applies to both but not in the same sense, synonymous if the same name applies to both in the same sense. Thus two things may be both homonymous and synonymous — if there is one name that applies to both but not in the same sense and another name that applies to both in the same sense. From Aristotle’s distinction between ‘homonymous’ and ‘synony»mous’ one could evidently derive a distinction between equivocal and unequivocal names; but it is important to recognize from the start that the Categories is not primarily or explicitly about names, but about the things that names signify!?. (It will be necessary in the translation and notes to 18 Per sinonimia si intenderà, nel corso di questa sezione, la riassunzione di determinati enti sotto la medesima definizione, per condizioni di sinonimia si intenderà,
sempre nel corso di questa sezione, il complesso di condizioni che consente una uniformità di predicazione di una proprietà con riferimento ad una pluralità di enti. 19 Condivido l'opinione secondo la quale le Categorie costituiscono uno studio su cose, e non già su semplici nomi. Aristotele sta studiando le cose, sta studiando gli enti
e l’organizzazione della realtà. Per fare questo, Aristotele si basa sulle strutture linguistiche, dal momento che presuppone un'identità tra strutture linguistiche e strutture ontologiche; tuttavia, l’analisi aristotelica presente nelle Categorie è un’analisi ontologica.
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use the word ‘things’ as a blanket-term for items in any category. It often represents the neuter plural of a Greek article, pronoun, &c.) Aristotle relies greatly on linguistic facts and tests, but his aim is to discover truths about non-linguistic items. It is incumbent on the translator not to conceal this, and, in particular, not to give a misleadingly linguistic appearance to Aristotle’s statements by gratuitously supplying inverted commas in all the places where we might feel that it is linguistic expressions that are under discussion.».
Le osservazioni di Ackrill mi sembrano esatte; effettivamente Aristotele parla di cose, e vuole vedere quando, e sotto
quali condizioni, due cose possano essere dette omonime, e parimenti quando, e sotto quali condizioni, due cose possano essere dette sinonime. Cominciando allora l’analisi delle Categorie, si vede come, in Categorie 1, 1a1-12, Aristotele proceda ad una distinzione tra omonimi e sinonimi; ciò che mi interessa è che
Aristotele ponga come condizioni di sinonimia l’avere in comune nome e definizione. È soprattutto la comunanza di definizione ciò che mi sembra rilevante, e tra poco ne spiegherò i motivi; ecco, intanto, il testo aristotelico: «Omonime si dicono le cose di cui soltanto il nome è comune, mentre la definizione dell’essenza, che corrisponde al nome, è differente?9, come animale è sia un uomo, sia un dipinto; di questi, infatti, soltanto il nome è comune, mentre la definizione dell’essenza, che corrisponde al nome, è differente; qualora, infatti, si voglia indicare che cosa sia, per ciascuno di essi, essere animale, si indicherà la definizione propria di ciascuno dei due. Sinonime si dicono le cose di cui sia il nome è comune, sia la definizione dell’essenza, che corrisponde al nome, è la stessa?!, come animale sono sia l’uomo, sia il bue: ciascuno di questi viene, infatti, chiamato con il nome comune animale, e la definizione dell’essenza è la medesima; qualora, infatti, si indichi, quanto alla definizione di ciascuna cosa, che cosa sia, per ciascuno di loro, essere animale, si indicherà la stessa definizione.».
Ho voluto iniziare la sezione con questo passo, in quanto (i
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La condizione della dipendenza sortale dell'identità, insieme con gli sviluppi e le implicazioni conseguenti a questa tesi, comporta la costituzione di un’ontologia dei particolari separati: soltanto, infatti, allorché si sia raggiunta una condizione assoluta per l’identificazione di che cosa una cosa sia, si può asserire con certezza la sua diversità numerica dalle cose della stessa specie e, di conseguenza, la sua separatezza dagli oggetti circostanti.
26. Conferma della strategia delle Categorie: la posizione di De Interpretatione 7.
‘
A proposito della differenza tipologica tra ente individuale sostanziale ed universale, mi sembra che un’affermazione molto
interessante risieda nel capitolo 7 del De Interpretatione (17a38-17b1); l'affermazione riguarda le differenze di posizione esistenziale, e di funzione, all’interno della proposizionè, tra
universali ed enti individuali!°!. Aristotele dice: 161 Alcune osservazioni importanti su questo tratto del De Interpretatione sono
204
Note su Ousta
«Delle cose, alcune sono universali, altre particolari, — per universale, intendo ciò che per sua natura viene predicato di molti!®2, per particolare, ciò che non viene predicato di molti, come uomo, per esempio, è un universale, Callia un particolare (Emeì 8é ton tà pèv Kkag6Aiov TGV mpayudruv tà Sè kad’ Ékaotov, — XAfyw SÈ Kka@diov pèv è émì mesvor méduke katnyopetoda, kad” ékaotov Sè È pr, ciov mos pèv TOV KadéXou KaXMas Sè TOÒV Kkag” Ekaotov).».19
dvopw
contenute nell’articolo di G. Fine, «Separation». I passi interessanti di questo articolo ad opera di G. Fine verranno commentati in seguito, all'atto della presa in esame del problema della separatezza, un problema che riguarda soltanto marginalmente testi come le Categorie ed il De Interpretatione. Per un’analisi più approfondita di questi temi, si vedano la trattazione, e l’esposizione, del concetto di separatezza contenute in Metafisica Z 1, trattazione ed esposizione che costituiranno la seconda parte del presente studio. 162 Naturalmente si potrebbe prendere in considerazione il caso in cui un universale venisse predicato soltanto di un oggetto, ove succedesse che una classe venisse rappresentata soltanto da un oggetto. Aristotele, tuttavia, non sembra prendere in considerazione casi come questi. Non è tanto importante, nella definizione di un universale,
se l’universale sia, o non sia, effettivamente predicato di una pluralità, — Aristotele sembra dare per scontato che l’universale sia effettivamente predicato di una pluralità —, quanto, piuttosto, è rilevante che cosa l’universale non possa mai essere, vale a dire, un
universale non può mai essere un ente individuale; per sua natura un universale non si
riferisce mai ad un ente individuale, ma descrive in modo uguale, — senza gradazioni —, la natura degli enti individuali che ricadono sotto di esso. 163 Per l'opposizione netta tra ente individuale ed universale, si veda, ad esempio, Metafisica Z 16, 1040b25-27: «Inoltre, un’unità non potrebbe essere in molti posti nello stesso tempo, sebbene ciò che è comune a molte cose sia presente in molti posti nello stesso tempo, cosicché è chiaro che nessun universale esiste separatamente rispetto ai particolari (én1 tò èv mo Xaxf ok av ein dpa, Ttò Sè Kowòv dua moMlaxf Umapyer oUstv TOV KaBdiou Umdpxer mapà Tà Kad ékaota xwpis)»;
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si confronti anche Metafisica I 2, 1053b16-21: «Ora, se nessuno degli universali può essere sostanza — come si è detto nella trat-
tazione dedicata alla sostanza ed all’essere — e se l’essere stesso non può essere una sostanza nel senso di qualcosa di uno e determinato, esistente oltre la molteplicità delle cose, in quanto esso è a tutte comune, ma è solo un predicato: ebbene, allora è evidente che non può essere una sostanza neppure l’uno, appunto perché l’essere e l’uno sono i predicati più universali (ci Sù pnsèv r@v Kagériou Suvatdv olotav elvar, kaBdmep Èv Toîs mepì oUotas kai mepì Toù 6vros etpatar \6yois, 008’ aùTtò TOÙTO oUoiav Ws év tr mapà Tà moXdà Suvatòv elvar (kovòv ydp) dir i) karnyépnpa uovov, Sf)iov ws oùSÈé TÒ év: TÒ yàp òèv kai Tò év Ka@dXou KkaTmyopeitar pal OTA
MAVTWWL).».
Pur nella diversità dei termini adoperati, mi sembra che il tema sia identico: va posta una netta linea di demarcazione tra enti individuali ed universali.
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Si potrebbe soprannominare questo passo come il passo attestante: «la barriera tra enti individuali ed universali,
o tra soggetti e predicati». Mi sembra, infatti, che il passo sia importante, dal momen-
to che, in poche righe, viene posta una netta demarcazione tra ciò che è ente individuale, che, a livello logico, presenta la caratteristica di non essere mai predicato, e ciò che è universale, che,
trascritto a livello logico, è sempre qualcosa che viene predicato. La differenza ontologica tra ente individuale ed universale, — che consiste nell’essere: i) l’uno, un qualcosa che è uno di numero,
ii) l’altro, un qualcosa che è presente in più luoghi contemporaneamente, ed, altresì, un qualcosa che non costituisce un individuo, ma che, semplicemente, esprime un modo di essere
degli individui stessi, (sia pure, nel caso degli universali sostanziali, — quali sono quelli qui presenti, come, appunto, uomo —, un modo di essere che è la stessa condizione di essere
degli individui, nel senso che è ciò che ne costituisce le condizioni di esistenza) —, viene rispecchiata a livello della struttura della proposizione: soltanto gli enti individuali possono essere considerati soggetti ontologici, e soltanto gli enti individuali possono essere considerati come soggetti ultimi di predicazione, laddove gli enti, che, per la loro esistenza, dipendono da altre cose, sono enti che, a
livello proposizionale, vengono detti d’altro. La differenza che intercorre a livello ontologico è, per così dire, immediatamente trascritta a livello predicativo-proposizionale. Vale allora, mi pare, la seguente relazione: — per tutti gli enti, se un ente è individuale, allora esso non viene predicato di molti;
— per tutti gli enti, se un ente è universale, allora esso viene predicato di molti. Qui sembra di essere di fronte ad una dichiarazione, nel
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Note su Ousia
senso che, per universale, si intende qualcosa che esiste soltanto in quanto viene predicato di qualcosa che lo concretizzi; ciò che esiste è un ente individuale, non esiste in 4ff0 un universale.
D'altra parte, l’esistenza autonoma di un universale non avrebbe alcun senso. È difficile mettere in evidenza tutte le implicazioni delle affermazioni aristoteliche, dal momento che, nelle affermazioni aristoteliche medesime, sono sintetizzati differenti elementi, nel senso che vi è l’affermazione di una differenza ti-
pologica tra ente individuale ed universale, differenza che costituisce una ripresa delle affermazioni già contenute nelle Categorie; inoltre, si fa presente che gli universali sono su un piano diverso rispetto agli enti individuali, vale a dire, esistono in un altro senso rispetto agli enti individuali!*4. L’accento nel passo del De Interpretatione cade sulla differenza logica tra universali ed enti individuali: un universale rappresenta sempre un predicato, mentre un ente individuale rappresenta un soggetto; l’intenzione aristotelica è, in questo contesto, indirizzata a dare un segnale sui candidati al posto del predicato, e sui candidati al posto del soggetto. La dichiarazione suona anche come una presa di distanza rispetto a tutti coloro che non analizzano nella maniera adeguata gli enti linguistici: — vi sono enti che possono fungere da soggetto, ed, — enti che non possono fungere da soggetto; pretendere di trattare enti che dovrebbero svolgere soltanto una 164 Osservazioni simili a quelle che ho scritto a proposito del De Interpretatione, ‘sono state mosse su altri passi; si veda, ad esempio, quanto scrivono gli autori delle «Notes on Books Eta and Theta of Aristotle’s Metaphysics», a proposito del passo contenuto in H 3, 1043b14-23, (pag. 16): «The Aristotelian principle ‘A universal exists if something instantiates it’ should not be taken to assert a mysterious biconditional connection between two states of affairs, the existence of the universal and its instantiation. The existence of a universal just is its instantiation, it exists just insofar as it is instantiated somewhere. From this point of view its ceasing to be instantiated in a particular thing is its ceasing to exist there — though it may, of course, still exist as instantiated somewhere else.». Anche se le osservazioni contenute nelle «Notes on Books Eta and Theta of Aristotle's Metaphysics» riguardano un passo differente rispetto a quello che è attualmente oggetto di analisi, si vede come l’universale sia sempre interpretato in quanto costituente
qualcosa di dipendente rispetto agli enti individuali.
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funzione predicativa, come essi stessi passibili di compiere funzioni soggettive, significa non comprendere né la struttura della realtà, né la struttura linguistica. L'affermazione aristotelica,
pertanto, si rivela più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista. Riassumendo le osservazioni che sono state fatte, le cose
sono particolari, o sono universali; quelle particolari non vengono predicate di una pluralità, quelle universali vengono predicate di una pluralità. Non si danno altre possibilità, e quel che è più importante, sia nell’analisi della realtà, sia nell’analisi della predicazione, le cose non vanno confuse, ma vanno poste al posto giusto. 27. Osservazioni su Metafisica M 101%.
Circa il rapporto tra ente individuale ed universale, si potrebbe prendere in considerazione un altro passo contenuto, questa volta, in Metafisica M 10 (ritengo di potere fare queste osservazioni senza prendere, almeno per ora, posizione sulla datazione di M 10)!%; si intende che, data l'appartenenza del pas16 Come è stato già detto a proposito dell’excursus concernente Metafisica Gamma, ho cercato, nel corso del presente studio, di evitare quanto più possibile sconfinamenti all’interno della Metafisica. Il presente testo viene preso in considerazione in questo contesto in quanto mi sembra valga a chiarire in maniera soddisfacente l’opposizione tra sostanza ed universale, trattandosi tuttavia soltanto di un testo a conferma del-
le tesi precendenti, esso può naturalmente venire saltato dal lettore. 166 La mia interpretazione riguardo al passo di Metafisica M 10 si differenzia dall’interpretazione data, ad esempio, da Jaeger; ritengo, infatti, che già il contesto di M 10 sia testimonianza di un allontanamento, da parte di Aristotele, nei confronti delle po-
sizioni che producono una moltiplicazione indesiderata di enti, posizione che potremmo riassumere sotto il comune nome di posizioni platoniche; non penso, pertanto, che Me-
tafisica M 10 faccia parte di uno strato primo delle speculazioni metafisiche aristoteliche, strato nel quale Aristotele sia ancora soggetto ad influenze platoniche. La mia interpretazione è differente da quella di Jaeger anche per quanto concerne l’impostazione da conferire al libro Beta della Metafisica, nel quale, nonostante siano presenti influenze
platoniche, ritengo che il distacco da Platone sia già molto forte. Data la complessità dei problemi, tuttavia, non voglio che le mie affermazioni siano prese in modo reciso, intanto perché non escludo, in primo luogo, di cambiare idea su molte questioni, ed, inoltre,
perché la complessità degli argomenti, nonché la varietà delle interpretazioni, suggeriscono la necessità dell'adozione di una grande prudenza.
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Note su Ousia
so stesso alla Metafisica, l’esame di questo passo medesimo deve valere semplicemente come conferma delle opinioni espresse in precedenza: «Vogliamo ora trattare di una questione che presenta una certa difficoltà, sia per coloro che ammettono l’esistenza delle idee, sia per coloro che non la ammettono, e che abbiamo già sopra impostato nel libro delle aporie. Se non si ammette che esistano sostanze separate nel modo stesso in cui esiste ciascuna delle cose particolari, si elimina la sostanza {eì pèv ydp TIS PÒ Moe TÀS olotas elvar Kkexwpipévas, kai TÒòv TpÎTOV TOÙTOv Wds \fyetar Tà kad’ ékaota TOV SvTWwy, dvarproer TAV oÙoi
av}, proprio in quel senso in cui noi la intendiamo; d’altra parte, se $i am-
mettono le sostanze come separate, come si dovranno intendere gli elementi ed i principî di esse {àv 8é mis Qrfoer tà oToNela
Kai Tàs
dpyàs
8
TàS
odolas
xwpoTds,
mos
aùrav;}?
167 gli enti che ne deMa se questi sono particolari, e non universali!®”, rivano saranno tanti di numero quanti sono gli elementi {rooadT? gota tà Svta Soamep tà otorxeîa}, e gli elementi non saranno conoscibili. Poniamo, ad esempio, che le sillabe di una parola siano sostanze, e
che le lettere di queste sillabe siano elementi delle sostanze. Allora, dovrà necessariamente esserci un’unica sillaba BA, e ciascuna delle altre sillabe dovrà essere unica, dal momento che esse sono universali, ed identiche solo per specie, ma ciascuna di esse è una di numero, ed è una sostanza determinata, e non è una classe di cose designate con lo stesso nome {dvdyrkn Sì Tò BA év eîvar Hi Kagdiou kai TO else
kai ékdotnv TOV ocuMapav al aùta)ì daXlaà pia EkdoTn
pilav, eXmep TO apepò
kai T6Se mr ka pù épovupov}. (I Platonici pongono ciascuno degli enti che sono per sé come unico {én 8 aùtò 6 totw év ékaotov mséao1v}.)198
E se le sillabe sono uniche, uniche saranno altresì le lettere di cui so167 I principî qui sembrano avere la stessa natura degli enti di cui dovrebbero essere principî. Questa caratteristica è significativa, dal momento che per principio non stiamo intendendo un ente che abbia funzione di causa efficiente; stiamo, bensì, inten-
dendo un ente che abbia la funzione di causa formale. Aristotele sta dibattendo sullo statuto, e sulla posizione ontologica delle cause formali; non si sta occupando di principî nel senso di cause efficienti. 168 Interessante è qui la notazione secondo la quale, stando alle affermazioni di alcune posizioni filosofiche, viene considerata come attendibile l’esistenza di enti esi-
stenti di per sé stessi; oltre all’esistenza indipendente, o, per meglio dire, in conseguenza di questa esistenza indipendente, in conseguenza di questo essere per sé, detti enti sono considerati uni di numero.
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no costituite. Allora non ci sarà che un unico A, e così sarà anche per tutte le altre lettere, per la stessa ragione per cui neppure delle altre sillabe ce ne possono essere due identiche. Ora, se così è, oltre gli elementi non esi-
steranno altre cose, ma esisteranno soltanto gli elementi. Inoltre, gli elementi non saranno conoscibili: infatti, essi non sono universali, mentre la scienza è sempre scienza dell’universale. E questo risulta chiaramente dalle dimostrazioni, e dalle definizioni: infatti non si può dimostrare sillogisticamente che questo dato triangolo ha due retti, se non si dimostra in universale che ogni triangolo ha gli angoli uguali a due retti; e non si può dimostrare che questo dato uomo è un animale, se non
si dimostra in universale che ogni uomo è animale. D'altra parte, se i principî sono universali, o le sostanze che da essi derivano sono universali, oppure ciò che non è sostanza, risulterà essere anteriore alla sostanza: infatti l’universale non è sostanza, ma l’elemento
ed il principio sono stati posti come universali, e l'elemento e il principio sono anteriori a ciò di cui sono elemento e principio {àMà
pùv
kaB6)ov
éoTar
al
apyai,
7 kai
al
ék
TOoUTWv
olotar
ka@diou
oloia mpéTepov obotas: TÒò Npèv yàp Kka@diov oùk ovota, OTOLXELOV Kai TM dapxi Ka@dXou, mpéTepov SÈ TÒ oTorKelov: Apxî Gv àapyù kai otoryeîdv torw}!9,
etye pù
Tò Sè x c Kai
Queste conseguenze necessariamente derivano, dal momento che essi fanno derivare le idee da elementi, e dal momento che, oltre le sostan-
ze che hanno la medesima forma, essi ammettono l’esistenza di qualcosa di uno, e di separato {TadTd
Te
Si mavta
ovupatvea
Èk oTovgetwv Te mordor TàS iSéas kai mapà Tàs Tò Xovoas odotas év mn déldow eivar kexmpro pévov}!?9,
evidyws, aùTò
STav
elsos
è
162 Se il principio è universale, allora, dal momento che il principio è anteriore a ciò che è principio, e dal momento che l’universale non è sostanza, ciò che non è sostanza viene ad essere anteriore a ciò che è sostanza, il che costituisce un risultato senza dubbio
sgradito ad Aristotele; d’altro canto, da queste affermazioni si vede come la teoria della sostanza, e segnatamente l’analisi delle proprietà che spettano alla sostanza in quanto ta-
le, siano piuttosto chiare ad Aristotele: per un verso, infatti, Aristotele mette in evidenza che ciò che è universale non è mai sostanza, — e da questa affermazione si vede che Aristotele è consapevole della differenza tra universale e sostanza —; per l’altro verso, Aristotele intende dire, — facendo vedere che è assurdo ritenere che ciò che non è sostanza sia
anteriore alla sostanza —, che la sostanza costituisce la base esistenziale degli enti.
170 Le difficoltà nella determinazione dei principî derivano dal fatto che, nella posizione filosofica criticata da Aristotele, viene ammessa l’esistenza di qualcosa ghe È uno di numero, e che è separato, oltre all'esistenza delle sostanze concrete; si potrebbe
dire che vi è un ente che è oltre i molti, che è oltre la pluralità di sostanze. Se, però, l’u-
niversale è entificato e considerato in quanto esistente a parte, allora l’universale si pone come principio ed, in quanto principio, come ente anteriore rispetto alla molteplicità. Si vede infatti che, nel caso i principî siano universali, le possibili alternative sono:
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Note su Ousta
Ma se nulla vieta che, ad esempio, negli elementi della parola, molti siano gli A ed i B, e che, oltre ai molti A ed ai molti B, non ci sia un A in
sé ed un B in sé, proprio per questo infinite potranno essere le sillabe uguali {ei sè unoèv kwAiJer domep Emì TOV Ts durfis oTOVKetwv mo\là eîlvar tà dida kai tà RfiTa kai unoèv eivar mapà Tà TmoXXà autò dida kai aùrò Rita, éoovtar Evekd ye TolToU dmerpor ai Eporn cv\iafRat}!"!,
Che, poi, ogni scienza sia dell’universale, e che, di conseguenza, an-
che i principî degli esseri debbano essere universali, e non sostanze separate {dvaykaîov
elvar
kaù
TS
TOV
Svrwv
dpyxàs
kaBédou
elvar
Kai
ui ovotas kexwpropévas}, è problema che presenta difficoltà maggiori di tutti gli altri di cui si è trattato. Ma, in verità, quello che si è detto è vero, mentre, in un altro senso, non è vero. Infatti la scienza, così come il sapere, esiste in due modi: in potenza, ed in atto {tò pèv Suvdper Tò Sè évepyeta). Ora, la scienza in potenza è, come la materia, universale ed indeterminata, riguarda l’universale e l’indeterminato; invece la scienza in atto, —
o chele sostanze siano esse stesse universali (con il che, da un lato, le sostan-
ze verrebbero ad essere considerate esse stesse come alcunché che è composto materialmente dall’universale, ciò che spiegherebbe il loro essere universali, mentre, d’altra par-
te, viene implicitamente espressa l’incompatibilità tra sostanza ed universale, dal momento che l’ipotesi secondo la quale le sostanze diverrebbero universali non è considerata meritevole di discussione),
— oppure che un elemento universale esista precedentemente agli enti concreti. In tale senso, l’interpretazione degli universali, ed il rapporto con gli enti individuali va modificato, dal momento che, fino a questo punto, si è rimasti in una prospettiva nella quale l’universale o è negli oggetti come componenti materiali, o è al di fuori degli oggetti, come oggetto esso stesso. Manca una corretta interpretazione dell’universale come estrazione delle caratteristiche, e delle proprietà possedute da una pluralità. 171 Si noti come la soluzione alle difficoltà derivi dalla corretta valutazione dei principî e degli enti; fintantoché si considera l’esistenza di un ente in sé, fintantoché si valuta il principio, in quanto qualcosa di separato, come risultato dell’operazione attraverso la quale si entifica il principio stesso, non si può uscire dalle difficoltà. Bisogna che il principio non venga considerato un ente esistente di per sé stesso; altrimenti, non si
può più giustificare l’esistenza di una pluralità. Bisogna, pertanto, che il principio sia considerato nella sua qualità di causa formale, per la quale non si pone la questione dell'essere uno di numero, da un lato, e, dall’altro, bisogna che il principio non venga con-
siderato come qualcosa che costituisca una componente degli enti di cui è principio; in altri termini, —
vi sono sostanze individuali,
— i principî delle sostanze individuali non costituiscono enti a sé stanti e, pari-
menti, — i principî degli enti individuali non sono componenti presenti all’interno degli enti individuali.
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essendo definita, riguarda ciò che è definito, ed essendo alcunché di determinato, riguarda alcunché di determinato {i pèv oòv S&ivaus ds UAN TOÙ KaBdXou oloa kai adpiotos ToÒ Ka@6Xou kaì dopfotov è oTiv, n & évépyeaa dpiopévn kai propévou, TéSe mr odoa TOdEé TWOsÌ.
Ma la vista vede il colore in universale per accidente, ossia in quanto questo determinato colore che vede è, appunto, colore {karà cvpReBnkds n Sis
TÒ Kagéiou
xpOua
6pà Sr
TÉSE
TÒò xp@pa
è opa xp@pd
è
otw}; e così questa determinata A che il grammatico studia è, appunto, una A {Tése tò dida dida}! Poiché, se necessariamente i principî fossero universali, allora, necessariamente, dovrebbero essere universali an-
che le cose che da questi derivano, esattamente come avviene nelle dimostrazioni. Ma, se così fosse, nulla sarebbe separato, e nulla sarebbe sostanza {el Sè TOÙTO, oÙk tota xwprotòv oùev os’ ovota}!?3. Ma è evidente che la scienza, in un senso, è dell’universale, mentre, in un altro senso, non è dell’univérsale.».
A prescindere dalla datazione del passo, ed a prescindere dai problemi che vengono affrontanti in M 10, quello che mi iùteressa è il fatto che vi sia una compenetrazione, all’interno di un oggetto come ‘questo alfa’, di un elemento derttico, e di un elemento unzversale. Aristotele intende distinguere ciò che è universale da ciò che è individuale, ponendo come esistente soltanto l’ente individuale, ente individuale che, per parte sua, concretizza una natura comune. In una proposizione come:
«Questo alfa è alfa»,
l’individuale alfa viene classificato negli alfa, viene posto nella classe come alfa, viene considerato definibile come alfa. L’alfa 172 Dagli esempi presentati di colore, e della lettera alfa, si vede come Aristotele risolva il problema relativo al rapporto tra principî ed enti; ogni ente è la concretizzazione particolare di un principio universale. Il piano dei principî va tenuto distinto da quello degli enti, nel senso che i principî non formano enti a sé stanti; gli enti individuali presentano la struttura del «questo qualcosa», nel senso che ogni ente individuale è un ente individuale avente una ben determinata natura; la conoscenza degli universali av-
viene per estrazione della natura comune ad una molteplicità, senza che questa natura
comune denoti un oggetto esistente oltre la molteplicità stessa. 173 Naturalmente, si tenga presente che non esistono proprietà di per sé stesse, dette proprietà, siano esse sostanziali, siano esse non-sostanziali, esistono soltanto in quanto vengano concretizzate.
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Note su Ousia
che descrive il particolare alfa non è, esso stesso, un ente che esista a parte rispetto alle particolari concretizzazioni; è, invece,
semplicemente, una descrizione. Ogni ente rappresenta la concretizzazione di un universale; il che non significa che detto ente sia composto zatertalmente da questo universale medesimo. Aristotele vuole porre i principî non come esistenti autonomamente, come enti che siano, cioè, uni di numero, ma come enti
che esistono nelle proprie concretizzazioni; se i principî fossero uni di numero, allora i principî stessi impedirebbero l’esistenza della pluralità in quanto tale. Per salvare la possibilità della pluralità, allora, si deve porre nella giusta collovazione il principio, e non si deve considerarlo come una entità a sé stante. Ulteriore fattore di interesse è quello costituito dal rapporto tra conoscenza attuale, determinatezza, individualità, da una parte, e conoscenza potenziale, universale ed indeterminatezza,
dall’altra; ogni universale, che di per sé stesso è un potenziale, viene ad essere concretizzato in un ente individuale; ogni ente individuale è un ente individuale che concretizza una natura universale. I/ rapporto tra universale ed ente individuale è il rapporto tra indeterminato e determinato, tra ciò che dipende da altro per la propria esistenza, e ciò che esiste di per sé stesso. L’indeterminatezza dell’universale consiste nella sua dipendenza dalle particolari concretizzazioni, e nel suo non essere un ente indipendentemente esistente. 28. Schema: enti, concretizzazioni, unità.
Mi sembra opportuno, giunti a questo punto, procedere con uno schema atto a riassumere i risultati raggiunti. Raccoman-
do soltanto di non provare eccessivo stupore per il mio punto di partenza: al fine di suddividere gli enti, intendo infatti impostare il discorso a partire dalle proprietà, e dalle differenti concretizzazioni che le proprietà hanno!/4. Se allora si parte dalle proprietà, 174 Da notare qui è il fatto che l’universale escluda completamente la caratteristi ca di essere sostanza e di essere separato. L’universale, in quanto ente comune, non è un
ente indipendente, isolato, autonomo. Si deve prestare attenzione all’incompatibilità tra
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DI15
la suddivisione degli enti va descritta in questo modo:
— vi sono proprietà!” — dette proprietà si dividono in: a) proprietà che, all’atto della loro concretizzazione, danno origine ad enti indipendenti dal punto di vista esistenziale; dette proprietà sono proprietà sostanziali (= sostanze seconde);
b) proprietà che non danno origine ad enti indipendenti; dette proprietà sono proprietà non-sostanziali (= categorie al di fuori della categoria di sostanza)!?5; — le proprietà sono rigidamente delimitate, e rispecchiano la struttura della realtà, nonché le divisioni proprie della struttura della realtà; con le proprietà non si tratta, pertanto, di costruzioni del linguaggio; un nome che si riferisca ad una proprietà è corretto se individua, e se, con ciò stesso, delimita una
proprietà reale!’; il linguaggio non costruisce, bensì trova, essere separato, caratteristica diretta dell’essere sostanza, da una parte, ed essere universale, dall’altra.
175 Vale la raccomandazione di non considerare dette proprietà in quanto autonomamente esistenti; ogni proprietà esiste soltanto negli enti individuali. In questa sinte-
si delle condizioni di concretizzazione parto dalle proprietà esclusivamente per ragioni di comodità e di chiarezza, dal momento che il discorso sulle proprietà permette di coinvolgere il discorso relativo alla struttura del linguaggio. 176 La differenza tra proprietà che, ove concretizzate, danno origine ad enti esistenti in maniera indipendente, e proprietà che, una volta concretizzate, non danno ori-
gine ad enti indipendenti, potrebbe essere alla base delle affermazioni aristoteliche contenute in De Interpretatione 11, 2125-28: «Per esempio, Omero è qualcosa (goti
ni), come, per esempio, un poeta; ne se-
gue dunque che egli sia, oppure no (ap oùv kai éomw, i 06)? L'«è» viene predicato di Omero in maniera accidentale (xatà ovpheRnkòs yàùp Kkatnyopeîtar Tò éotw Toî ‘Ourpou), e non già di per sé stesso: infatti, l’«è» viene predicato di Omero in quanto Omero è poeta, non di per sé stesso (où ka@° aùtd).». Sembra che da termini come «poeta» non si possa inferire un essere assoluto; «poeta», in altri termini, conferisce semplicemente una determinazione accidentale, che non è sufficiente a determinare un'esistenza reale. Il passo è tuttavia molto criptico, per
cui è pericoloso dedurre da esso conclusioni troppo decisamente orientate in un senso, o nell’altro. 177 Un nome-proprietà è corretto, se si riferisce ad una proprietà reale; ad ogni proprietà deve corrispondere un nome; i nomi-proprietà sono corretti in quanto rispec-
chiano delimitazioni autentiche della realtà, ed in quanto corrispondono a proprietà effettivamente esistenti (non quindi, in quanto corrispondono a proprietà inventate).
214
Note su Ousia
le distinzioni!’8;
- il fatto che le proprietà siano rigidamente delimitate porta come conseguenza il fatto che non si possono creare unità, o entità, convenzionalmente costruite!”9;
- le proprietà sono categorialmente delimitate, nel senso che non si dà una proprietà intercategoriale; una proprietà è sempre irregimentata in una categoria!59; — le proprietà vanno tenute divise; una proprietà autentica non
implica una proposizione!8!, Questi punti saranno utili nelle successive analisi del De Interpretatione. Ivi amplierò alcune di queste considerazioni in relazione, tra le altre cose, all’affermazione, e negazione, di una cosa, con riferimento, in questo senso, ai soggetti-proprietà ed
ai predicati-proprietà, in primo luogo, e all’unità intrinseca, o estrinseca, di proprietà. Per concludere questi capi di ricapitolazione con esplicito 178 A proposito del rapporto tra nome e proprietà, e a proposito delle diverse concezioni degli universali, si veda, ad esempio, quanto è sostenuto da G. Fine in «On Ideas», capitolo 2, «Introduction», paragrafo 3, «Realist and semantic conception of universals», pp. 21-22; la Fine oppone una conceziore realista degli universali, ad una concezione semantica degli universali medesimi: «Two broad conceptions of universals are relevant for our purposes: a realist and a semantic conception. On the realist conception, universals are properties posited for various explanatory purposes. On this view, not every meaningful predicate denotes a universal, since not every meaningful predicate denotes an explanatory property. (‘Grue’, for example, does not do so.) On the semantic conception, by contrast, univer-
sals are meanings. On this view, universals are discovered, not by explanatory considerations, but by asking what general terms are meaningful. In contrast to the realist view, the semantic view takes every meaningful general term to denote a universal, which is indeed the meaning of that term».
17? Ad esempio, uomo bianco non è un’unità, se non per accidente; vi sono le proprietà uomo e bianco, che, unite, danno origine ad un’unità accidentale come uomo bianco; non si dà un uomo bianco come proprietà unica.
180 Ad esempio, uomo bianco, in quanto presuppone la predicazione di una proprietà, uomo, da parte di un’altra proprietà, bianco, e, quindi, presuppone una proposizione che ricade sotto lo schema del qualcosa detto di qualcosa d’altro, costituisce un complesso intercategoriale e, quindi, non è considerabile come un’unica proprietà. 181 Uomo, ad esempio, non implica una proposizione, od una predicazione; uomo bianco implica una proposizione, od una predicazione (come, ad esempio, un uomo
è bianco), quindi non è una proprietà unica, bensì un complesso di proprietà.
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riferimento alla sostanza, a proposito della sostanza si devono tenere presenti questi punti:
— una sostanza è la concretizzazione di una proprietà; — una sostanza è la concretizzazione di una proprietà opportunamente scelta!82.
— una sostanza è quella sostanza, quel particolare tipo di sostanza, in quanto è la concretizzazione di una proprietà;
— una sostanza è delimitata dalle altre sostanze in quanto la proprietà, che da essa è concretizzata, è delimitata rispetto alle altre proprietà!83; — a proprietà potenzialmente indipendente corrisponde la concretizzazione di una sostanza; a proprietà potenzialmente non indipendente corrisponde la concretizzazione di un ente che non è sostanza.
29. Categorie 14a, 6-10. Condizioni di esistenza delle proprietà. Vorrei ora soffermarmi su un passo, contenuto sempre nelle Categorie, nel quale Aristotele fa vedere come, nel caso che una qualità, — in questo caso nero o malato —, non sia concretiz-
zata, allora non si possa parlare di esistenza del nero o malato; vale a dire, una qualità non esiste a prescindere dall'esistenza delle particolari concretizzazioni. Il senso dell'esame del passo consiste, appunto, nel far vedere come una qualsiasi proprietà possa essere detta esistente soltanto nel caso di esistenza di una sua concretizzazione, o di una sua istanziazione.
Il testo aristotelico è contenuto nel capitolo 11 alle linee 14a, 6-10:
182 Sostanza non è la concretizzazione di bianco; possono essere proprietà op-
portune soltanto quelle proprietà che, ove concretizzate, diano origine ad enti capàci di esistere in maniera indipendente. Bianco non è una di queste proprietà, uomo, per fare un esempio, sì. 18 Per fare un esempio, esistono le sostanze uomini, non le sostanze uomini
bianchi. Le proprietà che attestano l’esistenza di un ente individuale sono intracategoriali.
216
Note su Ousta
«Con i contrarî, non è necessario che, se uno esiste, esista anche l’altro; qualora, infatti, tutti fossero sani, la salute esisterà, ma la malattia no; allo stesso modo, se tutte le cose fossero bianche, la bianchezza esisterà, ma il nero no (£rnn TOv èvavtiwv oùk dvaykaîov, tàv BdTepov Ti, kai Tò Xomòv elva: byiawéviwr yàp dnavruv Uyiera pèv ora, vo vos Sì où: bpotws Sè kai ora, peravia 8e oÙ).».
AeukOv
évTwv
dmdvrwv
NeukéTns
pèv
Qui si assiste ad un punto importante, nel senso che Ari-
stotele esclude la possibilità dell’esistenza di universali non concretizzati; in altri termini, l’universale esiste soltanto nella misu-
ra in cui esiste qualcosa che abbia quella determinata proprietà; se non esistesse alcuna cosa che avesse quella determinata proprietà, allora non potrebbe esistere neppure l’universale stesso!84. In altri termini, l’esistenza di qualunque proprietà è dipendente dalle sue concretizzazioni; già in questa prospettiva si vede come un discorso attestante l’esistenza di proprietà in sé è destinato ad uscire fortemente ridimensionato, dal momento che cose come la salute, o la malattia, o la bianchezza, o l’essere nero, si danno soltanto a condizione che si dia, almeno così
sembra, una concretizzazione delle stesse proprietà. Parlare, pertanto, di proprietà che esistano a prescindere dall’esistenza delle concretizzazioni, o al di là dell’esistenza delle medesime
concretizzazioni, non avrebbe senso!9., Aristotele, che peraltro non approfondisce il discorso, sembra ritenere che non si dia la possibilità di un universale esistente a livello puramente potenziale; un universale, qualunque 184 Per la dipendenza degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza, dall’esistenza di un ente appartenente alla categoria di sostanza, nonché per la dipendenza dell’esistenza di una qualità soltanto dall’effettiva concretizzazione della qualità stessa, si
veda il passo contenuto in Metafisica Lambda 3, 1070a21-24: «Le cause motrici esistono anteriormente all'oggetto; le cause formali esistono, invece, solo insieme con l’oggetto. Infatti, quando l’uomo è sano, allora esiste anche la salute, ed anche la figura sferica del bronzo esiste solo unitamente alla sfera di bronzo (tà uèv oùv kwoîvra attia ds mpoyeyevnuéva Svrta, tà TE yàùp Uyraiver © dvapwmos, TITE Kai N Uytera éorw, XaXkfis dua kai N xoXkff odaîpa).».
& ds 6 Adyos dua. kai TÒò oyxfina Ts
185 Sull'argomento della dipendenza di una proprietà dalle sue concretizzazioni, sono interessanti le osservazioni contenute in «On Ideas» di G. Fine, specialmente nel
capitolo 2, intitolato «Introduction».
Seconda sezione
217
cosa esso sia (qui si hanno presenti nero e malato, ma nulla, si
potrebbe dire, esclude che si possano comprendere, in un discorso di questo tipo, anche termini universali appartenenti alla categoria di sostanza, come uomo o, più genericamente, anima-
le), esiste soltanto fintantoché esistono enti individuali che lo concretizzino. Se non esistono enti individuali che non abbiano una determinata proprietà, allora non esistono neppure quelle determinate proprietà; il discorso è importante:
— sia dal punto di vista ontologico, dal momento che pone l’universale in una condizione di dipendenza esistenziale, — sia dal punto di vista logico, dal momento
che, se una pro-
prietà esiste soltanto nella misura in cui esistono enti individuali che la concretizzino, la logica e l’ontologia che presiedono all'argomento dei relativi, od all'argomento dell’uno oltre i molti, od all'argomento del terzo uomo, subiscono un
contraccolpo piuttosto pesante, nel senso, che, se una proprietà è sempre dipendente da ciò che la concretizza, allora un procedimento che porti alla conclusione in virtù della quale una proprietà esiste in maniera indipendente rispetto alle particolari concretizzazioni, o che parta dal presupposto per cui una proprietà esiste accanto ai molti che la concretizzano, è destinata ad essere ridimensionata. Di questo, tuttavia, mi occuperò più diffusamente all’atto dell’analisi del De
Ideis!89, 186 Per interessanti osservazioni circa la posizione reciproca di sostanza e con-
trarî, si veda il primo libro della Fisica. In particolare, è interessante notare come Aristotele insista sulla necessità della presenza di un sostrato per i contrarî; in altri termini, ritenere che i contrarî siano principî, è un’ipotesi che non può stare in piedi, dal momen-
to che i contrarî presuppongono, comunque, un sostrato, il quale sostrato, pertanto, si pone ontologicamente prima dei contrarî stessi. La questione è molto importante. In Fi-
sica I, 6, 189a11-34, Aristotele si esprime nel seguente modo: «Rimarrebbe ora da trattare se i principî siano due, o tre, o anche più {méTepov Sio i) tpeîs if metovs eiotv}. Non è possibile che essi siano uno solo, perché i gontrarî non sono mai uno solo, e neanche è possibile che essi siano infiniti, perché in tal ca-
so l’essere non è intellegibile, e perché una sola coppia di contrarî vi è in ogni singolo genere e la sostanza è un solo genere, e anche perché è possibile partire da principî finiti: ed è preferibile partire da principî finiti, come fa Empedocle, anziché da infiniti. Anche egli, infatti, crede di potere produrre tutti quanti quegli oggetti che Anassagora produce
218
Note su Ousia
30. Categorie 3b24-4a22: sostanza come ente che non ha contrario, e come unico ente in grado di assumere i contrarî.
Vorrei chiudere questa sezione mostrando due caratteristiche proprie della sostanza in quanto tale, vale a dire: da principî infiniti. Inoltre i contrarî, reciprocamente, sono gli uni prima degli altri, e derivano anche gli uni dagli altri, come il dolce e l’amaro, il bianco e il nero, mentre i principî devono permanere per sempre {tàs 62 dpyàs
de
se
pévew).
E da ciò, pertan-
to, risulta chiaro che i principî non devono essere né uno, né infiniti. Ma, poiché sono finiti, è anche logico ammettere che non siano solo due, dal momento che non si saprebbe spiegare, in tal caso, come mai, mediante un procedimento naturale, la densità possa
produrre la rarità come un qualcosa, o la rarità possa produrre la densità. Similmente avviene di qualsiasi coppia di contrarî, dato che non l’amore racchiude l’odio, o produce qualche determinazione di questo, né questo di quello, ma entrambi producono una terza e ben diversa cosa. Alcuni, invece, pongono anche più principî, e da questi fanno sca-
turire la natura degli enti. Ma anche questo si potrebbe mettere in dubbio, se non si pone al di sotto dei contrarî un’altra natura {el pù mis éTépav imogrfoea Toùs evavttas dyow}: infatti, noi vediamo che i contrarî non sono sostanza di nessuno degli enti e, d’al-
tra parte, non occorre che si predichi il principio di alcun sostrato {oùdevòs
yàp
pev
Xéyeodat
TOV
SvTwy
obotav
TAvavtia,
TiV 8 apyxv
cÙ Kkag' ùmokepévov
Sei
6p@
twos}: esso sarebbe, infatti, principio del principio, perché il sostrato è principio, ed è chiaro che è anteriore ad ogni predicato {&oTtar yàp apx Ts dpyîfis: Tò yàp è moketuevov dpxi, kai mpérepov Sokeì ToÙ KkaTnyopovpévou eîvar}. Inoltre, noi affermiamo che non vi è sostanza che sia contraria a sostanza {&r1 oùk eîvai dapev oùot av evavtiav ovota}. In che modo mai, allora, la sostanza potrebbe risultare da non sostanze {mds oùv ék più odorov odota dv e{n;}? Ovvero, in che modo mai una non so-
stanza potrebbe precedere la sostanza {f mos dv mpérepov pi ovota odotas ein;}?». Da notare, in primo luogo, è il fatto che Aristotele voglia contrapporre una propria dottrina dei principî alla dottrina dei principî a lui trasmessa dalla tradizione filosofica. Il passo è interessante dal momento che costituisce una critica contro coloro che pongono nei contrarî i principî della realtà; di contro a questa posizione, Aristotele fa vedere come la sostanza, essendo un presupposto dei contrarî, sia anche il loro principio, almeno a livello esistenziale. Un altro punto da notare è come il sostrato, in quanto principio, sia considerato anteriore ad ogni predicato. Il punto è che, per principî, qui si intendono principî eminentemente analogici, nel senso che detti principî non hanno un contenuto particolare, determinato una volta per tutte, in tutti i contesti (non vi è, di
conseguenza, l’ente che in tutti i contesti sia sostrato), bensì nei differenti contesti vi è
sempre qualcosa — la cui determinazione specifica può variare —, che fa da sostrato. Un principio quale quello del sostrato è principio nel senso che costituisce la struttura della realtà, nel senso, cioè, che costituisce il principio organizzativo della realtà stessa. Il sostrato, o sostanza, è ciò che fa da base alle diverse manifestazioni della realtà; la base esistenziale degli enti è necessaria, e la sostanza, o sostrato, è ciò che compie la funzione di
base esistenziale. Aristotele ricerca non tanto i principî in quanto contenuti particolari,
quanto i principî in quanto strutture nelle quali la realtà si articola, e si organizza.
Seconda sezione
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a) l'inesistenza di un ente che sia contrario alla sostanza (questa caratteristica differenzia la categoria di sostanza da alcune categorie, ma non da tutte le categorie, visto che anche la categoria di quantità non ha enti contrarî); b) la sostanza come unico ente in grado di assumere i contrarî (questa proprietà differenzia la sostanza rispetto a tutti gli enti appartenenti alle altre categorie).
Queste caratteristiche mi sembrano utili per ampliare gli elementi di differenza tra gli enti appartenenti alla categoria di sostanza, per un verso, e gli enti appartenenti alle altre catego-
rie, per l’altro verso. Nell'ambito dell’analisi di queste caratteristiche Aristotele inserisce alcune valutazioni sempre riguardanti la sostanza che vanno nella direzione del rifiuto di una ontologia gradazionale. A Il testo è contenuto alle linee 3b24-4a22: «Un'altra caratteristica delle sostanze è che non c’è nulla che sia ad esse contrario. Infatti, che cosa sarebbe contrario ad una sostanza prima? Per esempio, non c’è nulla di contrario ad un uomo individuale, né, tuttavia, c'è qualcosa che sia contrario ad uomo, o ad animale. Questa proprietà, tuttavia, non è peculiare alla sostanza, ma vale anche di molte altre
cose, per esempio, della quantità. Infatti, non c’è nulla che sia contrario a ‘lungo quattro piedi’ o ai ‘dieci’, o a qualcosa di questo tipo — a meno che non si dica che molti è contrario a pochi, o che largo è contrario a piccolo —; ma non C'è, tuttavia, nulla che sia contrario ad una quantità definita.
La sostanza, sembra, non ammette un più od un meno!#”, Intendo dire, con questo, non che una sostanza non sia più sostanza di un’altra
(abbiamo detto che lo è), ma che ogni sostanza data non è chiamata più, o meno, di ciò che è. Per esempio, se questa sostanza è un uomo, non sarà più, o meno, un uomo, 0 di se stessa, o di un altro uomo!85, Infatti, un uo-
mo non è più un uomo di un altro, come una cosa bianca è più bianca di un’altra, e una cosa bella è più bella di un’altra. Ancora, un oggetto può dirsi tale in misura maggiore, e minore, di se stesso; per esempio, il corpo che è bianco, è chiamato più bianco ora, che in precedenza, e quello che è chiamato caldo, è chiamato più, o meno, caldo. La sostanza, comunque, 187 Cfr. Cat. 3b33-34: Aokeî
Sì
odota
oùk
émséyeodar
Tò
uaXXov
kaì
Tò
TTOV.
188 Qui sembra di assistere ad un rifiuto della ontologia gradazionale almeno per quanto riguarda le sostanze.
220
Note su Ousta
non è definita in questo modo. Infatti, un uomo non si dice più uomo adesso che in precedenza, né ciò si verifica per alcuno degli altri oggetti, che sono sostanze. Così la sostanza non ammette un più o un meno!5?, Sembra la caratteristica più distinguente della sostanza che ciò che è lo stesso, ed è numericamente uno, sia capace di ricevere contrarî!, In nessun altro caso si potrebbe presentare qualcosa, uno di numero, che sia capace!?! di ricevere contrarî!?. Per esempio, un colore che sia numericamente uno, e lo stesso, non sarà nero e bianco, né la medesima azione, una di numero, sarà senza valore, ed eccellente; ed avviene ugualmente con tutto ciò che non è sostanza. Una sostanza, allora, numericamente una e la stessa, è capace di ricevere contrarî. Per esempio, un uomo individuale — uno e lo stesso — diventa bianco ad un tempo, e nero ad un altro, e caldo e
freddo, dappoco ed eccellente. Nulla di simile può essere visto in alcun altro caso.».
Come si vede dal testo, la sostanza ha riunite insieme le se-
guenti caratteristiche: — il non avere un contrario,
— il non essere più sostanza di una sostanza della stessa specie, — il potere assumere i contrarî. Il fatto di non avere un contrario è una caratteristica, tutto
sommato, prevedibile, dato che non si vede quale possa essere un ente che funga da contrario ad una sostanza; d’altra parte, questa caratteristica non è proprietà esclusiva della sostanza, visto che è propria anche delle quantità determinate, per cui, se si
può senz'altro dire che tale caratteristica pertiene alla sostanza in quanto tale, e, pertanto, fornisce un elemento molto importante nella determinazione del quadro della sostanza, si deve anche dire, tuttavia, che detta caratteristica non distingue la so189 Il punto è importante, in quanto pone un rifiuto dell’ontologia gradazionale, almeno per quanto riguarda le sostanze. 190 Cfr. Cat. 4a10-11: Md\vota Sè Y810v Ts kai év dapduo dv TOV évavtiwv eivar SekTikév.
olotas
Sokeì
eîvar
Tò TAUTÒv
191 La caratteristica della sostanza sembra consistere nel fatto che la sostanza, in quanto ente identico ed in quanto ente che è uno di numero, — cioè, proprio nel suo essere uno ed identico, senza che vengano prese in esame due sostanze differenti —, sia ca-
pace di assumere i contrarî. Mentre un contrario non può assumere l’altro contrario, la sostanza è l’unico ente a potere assumere in sé i contrarî, sia pure in tempi successivi. 192 Cfr. Cat. 4a13:3
&v dpi@ud
dv TOvV évavtiwv
Sekmukév
èotiw.
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ZA
stanza da tutti gli altri enti. Più interessante è il fatto che la sostanza non ammetta un più, od un meno: la sostanza rappresenta un ente «non relazionale!?», non ammette, pertanto, paragoni con enti della stessa specie in senso di maggiore, o minore, perfezione: non vi sono
gradazioni nella sostanza. Questa situazione peculiare della sostanza nei confronti delle altre categorie rappresenta, tra l’altro, la differenza che intercorre tra la sostanza e gli enti appartenenti alle altre categorie: mentre per la sostanza si può arrivare ad una definizione delimitata, evidentemente la stessa operazione non può essere condotta a termine per gli altri enti. D'altra parte, la visione della sostanza come ente compiuto, che non ammette più o meno, esclude qualunque gradazione relativa a maggiori, o minori, gradi di perfezione, almeno, appunto, per quanto riguarda le sostanze.» La caratteristica più significativa è con ogni probabilità l’ultima espressa, vale a dire, la capacità della sostanza di assumere contrarî. Mentre un ente uno di numero, un colore, per fa-
re un esempio, non può assumere un contrario, dal momento che, in questo modo, scomparirebbe, la sostanza può avere, naturalmente in tempi diversi, qualità contrarie. Questo pone una differenza netta tra la sostanza, che, in quanto tale, costituisce la base di esistenza dei contrarî, ed i contrarî stessi, che, in quanto
tali, presuppongono l’esistenza di una sostanza che li assuma. La proprietà della sostanza così descritta è una proprietà importante, in quanto allude, implicitamente, al fatto che è sempre una sostanza ad assumere i contrarî, ed allude altresì al fatto che i contrarî presuppongono sempre una sostanza per esistere. Vi
sono sostanze, e vi sono contrarî che vengono inglobati nelle so19 Un ente relazionale è un ente che presenta due caratteristiche fondamentali (si intende, almeno per come intendo il concetto di ente relazionale). «Relazionale» significa che un ente è una somma di proprietà compresenti, un plesso di proprietà 4, altrimenti detto, un luogo di predicazione di proprietà; in conseguenza di tali caratteristiche, un ente non è altro che un sostrato per le proprietà, senza costituire nulla di per sé stesso; in secondo luogo, essere un ente «relazionale» significa che un ente è conosciuto
soltanto in relazione ad enti indipendenti da esso, e significa, altresì, che un ente ha determinate proprietà soltanto in relazione ad altri enti indipendenti da esso.
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Note su Ousia
stanze; questo è lo schema corretto di esistenza, e non già quello che pone i contrarî come principî. La situazione che si viene a creare in questo modo è signi-
ficativa, dal momento che ogni teoria che ponga in primo piano elementi contrarî, non tiene conto della sostanza che ne costituisce l'indispensabile supporto. La sostanza mostra di essere ciò che fa da base ai contrarî; ogni riconduzione degli enti sostanziali a forze, od a proprietà contrarie, in questo caso, capovolgerebbe i rapporti di dipendenza e di indipendenza esistenziale, così come sposterebbe su elementi dipendenti, ciò che costituisce la base della realtà, ciò che costituisce il soggetto ontologico in cui tutte le proprietà si manifestano!”4. 194 Per contenuti simili a quelli espressi in questo punto, accompagnati, peraltro,
da una maggiore consapevolezza della necessità dell’esistenza di un sostrato per l’esistenza dei contrarî, si veda Metafisica N 1, 1087a29-b4:
«Intorno a questa sostanza, basti quanto si è detto. Tutti i filosofi, per le sostanze fisiche, come anche per le sostanze immobili, pongono i contrarî come principî {mavres Bè
moroîor
Tous.
TÀS
odotas
dpyàs
évTavtias,
Uomep
év TOÙS
duorkoîs,
kai
mepì
TàS
dk
6uotws}. Ma, se non è possibile che esista qualcosa che sia anteriore al
principio di tutte le cose, è altresì impossibile che il principio sia principio, se esso è una proprietà di qualcos’altro: sarebbe come se uno dicesse che il bianco è principio, non in quanto è proprietà di qualcosa d'altro, ma proprio in quanto bianco, e che, tuttavia, esi-
ste in un sostrato, e che esiste il bianco solo in quanto esiste questo qualcosa d’altro {eîvar
pévtar
KkaB' ùmoketpevov
dovrà essere anteriore {keîvo
kai
éTepév
yàp mpéTepov
mr
dv
XAeukòv
elvar): questo, infatti,
éorar}. In verità, tutte le cose si genera-
no da contrarî, in quanto esiste un sostrato di questi contrarî: dunque è assolutamente necessario che esista un sostrato dei contrarî {dXXà pùv yiyverta mavta èE évavtiwv ds Umokerpévou
Twds:
dvdykn
dpa
pudaroTa
Toès
evavtiors
TOÙ8’ Umdapyew)}. Per-
tanto, tutti i contrarî si predicano sempre di un soggetto, e nessuno di essi esiste separatamente dal soggetto {del dpa mdvra tà évaviia kad’ Umokerpévov kai oùgèv xuwr
prorév}. Per contro, alla sostanza nulla è contrario {où@èv ovota evavttov}: e questo è immediatamente evidente, e viene confermato anche dal ragionamento. Nessuno dei contrarî, allora, è, in senso assoluto, principio di tutte le cose, ma questo principio sarà altro da essi {où@èv dpa TGV tvavtiwv kuptws dpyù mavrwv daN éTÉpa}.». Nel passo sono evidenti, tra le altre cose, alcuni elementi molto importanti, come:
i) la non-esistenza indipendente di ciò che viene predicato di un soggetto, rispetto al soggetto stesso; ii) la precedenza esistenziale del soggetto rispetto agli enti che di esso vengono predicati; iii) la non-riducibilità del soggetto agli enti che di esso vengono predicati, dal momento che il soggetto è anteriore a questi enti, e dal momento che esso possiede una natura indipendente rispetto a questi enti.
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223
31. Ricapitolazione dei risultati raggiunti. Siamo arrivati, allora, ai seguenti risultati:
a) l’esistente è individuale! ciò che non è individuale esiste attraverso le proprie concretizzazioni individuali, non esiste, in altri termini, a prescindere da dette concretizzazioni, né esiste in maniera indipendente rispetto a queste stesse concretizzazioni; b) gli universali esistono solo se esistono gli enti individuali; non si dà il caso di universali esistenti in maniera indipendente rispetto agli enti individuali di cui si predicano; c) le sostanze prime non sono enti da intendere come sostrati vuoti!?; in altri termini, le sostanze prime delle Categorie, o
gli enti individuali del De Interpretatione, sono sempre enti individuali «quali», enti individuali che costituiscono la conÈ molto importante che vi sia, per così dire, un ribaltamento o, comunque, una
profonda modificazione nella considerazione dei principî; Aristotele sta contestando i principî stessi in quanto tali. È, d’altra parte, evidente, anche qui, la contestazione della posizione che vede nei contrarî i principî, ed è altresì manifesta l’affermazione della sostanza come principio effettivo degli enti. Il senso in cui sostanza è principio va inteso nel senso del costituire, la sostanza, la base esistenziale degli altri enti; non intendo dire
che la sostanza sia principio nel senso dell’essere ciò che costituisce la causa formale degli enti non appartenenti alla categoria di sostanza. Pongo una netta distinzione tra il senso in cui sostanza è principio degli enti come base esistenziale, e sostanza come causa
formale degli enti stessi. 195 Vale l'avvertenza secondo la quale si può parlare sia di ente individuale sostanziale sia di ente individuale non-sostanziale. 196 La correlazione tra continuità di un ente, e condizioni di esistenza di un ente,
è posta in luce anche da Wiggins; si veda, a questo proposito, quanto viene affermato da Wiggins, pag. 54-55: «In the case of continuants it is the special effectiveness of ‘the what is it’ question that it refers us to the ideas of the persistence and lifespan of an entity, and so makes manifest the connection, which it was always evident that there must be, between the identity over time of such an entity and its persistence, between its persistence and its existence, and between its existence and its being the kind of thing it is.». Una cosa persiste nel tempo perché è quel tipo di cosa, perché è identificata nel suo essere una certa struttura di proprietà. Il punto è, per converso, che, se non sapessi quali proprietà essenzialmente spettino ad una cosa, allora non potrei sapere neppure se la cosa in osservazione sia la stessa, o se sia una cosa diversa, non potrei essere certo di
parlare della stessa cosa. Classificazione, identificazione ed individuazione dipendono da un sortale opportuno. Identità nel tempo, persistenza, esistenza e tipo di cosa che la cosa è, sono nozioni strettamente collegate.
224
Note su Ousia
cretizzazione di universali; capovolgendo il discorso, le sostanze seconde esprimono le condizioni di esistenza, il che cosa è, per le sostanze prime, essere, vale a dire, le sostanze seconde manifestano quella serie di proprietà che un oggetto, un ente appartenente all'universo biologico, non può perdere, senza uscire, con ciò stesso, dal dominio delle cose esistenti;
d) la sostanza costituisce la base di esistenza degli enti appartenenti alle altre categorie; e) la sostanza seconda non indica un questo!”
197
non si riferisce
ad un dato esistenziale; la sostanza seconda esprime una mera qualificazione della sostanza prima, dove questo essere una mera qualificazione della sostanza prima, non si riduce ad una qualità; la sostanza seconda qualifica il tipo di sostanza sotto il quale la sostanza prima ricade. La distinzione di piani tra ciò che è individuale, e che, come tale, presenta un’indipendenza esistenziale, e ciò che è universale, che, come tale,
presenta una dipendenza esistenziale, è netta; f) i contrarî presuppongono la sostanza; qualunque teoria che voglia porre i contrarî come principî precedenti la sostanza, pone come ente indipendente qualcosa che, invece, è dipendente;
g) la sostanza prima è il soggetto autentico di predicazione; la distinzione tra enti che: i) sono detti di qualcosa e sono in qualcosa; ii) non sono detti di qualcosa e sono in qualcosa; iii) sono detti di qualcosa e non sono in qualcosa; iv) non sono detti di qualcosa e non sono in qualcosa; presuppone la speculazione ontologica, vale a dire, presuppone la distinzione tra enti che possono esistere indipendentemente, e che, quindi, a livello logico, non vengono attribuiti ad altro, — per cui occupano naturalmente il posto di soggetti -—, ed enti che non possono esistere indipendentemente, — per cui vengono attribuiti ad altro e, pertanto, non occupano il posto di soggetto ultimo di predicazione — (quantunque non 197 od un «questo qualcosa».
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225
sia escluso il loro ruolo come soggetti intermedi); h) non si pone una distinzione tra soggetti e predicati tale che soggetti e predicati denotino enti esistenti in maniera indipendente gli uni rispetto agli altri; la dipendenza ontologica degli universali trova il proprio corrispettivo logico-predicativo nell’assenza di una denotazione indipendente, o nell’assenza di una denotazione autonoma, da parte dei predicati. Per terminare la discussione relativa alla differenza tra sistemi di predicazione platonico ed aristotelico, si veda, ad esem-
pio, quanto viene affermato da Leszl in «Il De Ideis di Aristotele e la teoria platonica delle idee», pp. 145-146-147-148, passim: «La differenza fra la posizione platonica o accademica e quella aristotelica sta nel fatto che la prima postula una completa differenza fra il termine predicato e ciò di cui esso si predica, mentre l’altra non ammette tale differenza. Nel trattare infatti l’universale come immanente — e come essenza di ciò di cui si predica in modo non accidentale — Aristotele non può non trattare l’universale come in certo senso identico con gli individui. Indubbiamente esso non è identico con ciascuno di essi come individuo (su questo punto Aristotele è d’accordo con i platonici, per cui può ammettere che i loro argomenti provano che l’universale non è identico con ciò di cui si predica); ma lo è quando ciascuno di essi sia considerato in quanto membro della classe a cui appartiene, cioè in quanto uomo e non in quanto Socrate, quindi in effetti sub specie universalitatis. Da questo punto di vista esso è nient'altro che l’identica natura o forma o essenza che essi hanno in comune ed in virtù della quale sono identici. La posizione di Aristotele (che qui può essere solo accennata) risulta così essere differente da quella dei platonici, per il fatto che questi ultimi ritengono che la non-identità fra il termine predicato e gli individui di cui si predica sia senza residui, sia completa, mentre per Aristotele essa non è incompatibile con un certo tipo di identità. Per questo i primi fanno ricorso alla separazione del termine predicato dai particolari di cui si predica, dal momento che una differenza senza residui non è compatibile con nessuna forma di immanenza, mentre Aristotele la rigetta. Questa differenza fra le loro posizioni sembra dipendere da una differenza fra la loro concezione del termine che viene predicato, cioè dell’. L'esigenza di nònidentità per i platonici è soddisfatta solo dalla separazione proprio perché l’uno oltre i molti non è chiaramente concepito come universale, come — e quindi qualcosa che è diverso dagli individui in quanto tali proprio e solo in virtù della sua , cioè del suo
226
Note su Ousta
essere identico per tutti essi. Una volta invece che esso sia concepito a
questo modo non si presenta il pericolo di mettere l’uno sullo stesso piano dei molti, un pericolo che gli Accademici possono evitare solo postulandone la separazione ed autosufficienza ontologica. Con ogni probabilità il modo di concepire l’uno oltre i molti che hanno i platonici, il quale esclude che esso sia in funzione degli individui di cui si predica, è legato alla loro concezione di esso come qualcosa che è tale (quello che i particolari sono) in senso proprio o stretto (xuptws o ams). Sebbene infatti questa concezione dell’uno oltre i molti non sia introdotta esplicitamente nella presente formulazione dell’argomento, essa è introdotta in successive formulazioni di esso, quando viene trattato come l’oggetto della riduzione al . Ivi, come vedremo, ci si riferisce ugualmente alla predicazione — come nel nostro argomento — ed inoltre la non-identità è introdotta in una successiva formulazione come necessaria per la riduzione al , per cui essa è implicita anche in questa formulazione. Al tempo stesso però si dichiara esplicitamente che il termine predicato è tale in senso proprio (kuptws). Ora è in effetti soprattutto questa concezione, per cui esso è per esempio uomo e nient'altro, cioè uomo senza qualifiche (il che esclude evidentemente ogni coincidenza con gli uomini particolari), che rende inevitabile l’isolamento logico e insieme ontologico dell’uno oltre i molti, e cioè l’impossibilità di riferirlo ai molti. Come mai
si presuppone questa concezione nel presente contesto? Si è visto che nel contesto del terzo degli argomenti desunti dalle scienze essa viene introdotta come una concezione che viene incontro a certe esigenze episterzolo-
giche. Nel presente contesto tali esigenze non possono prevalere, dal momento che ciò che è in questione è la predicazione e le sue condizioni 0ggettive. Bisogna pensare allora che l'esigenza che prevale nel presente contesto sia di tipo logico-semantico. È convinzione degli Accademici che il termine (parola) che funge da predicato abbia come designazione diretta l’idea. (In effetti nell’argomento non si distingue fra piano logico semantico e piano ontologico, per cui il predicato coincide fin dall’inizio con un'entità oggettiva, la quale viene ad essere mostrata identica con l’idea, per cui quest’ultima deve costituire ciò che viene designato dalla parola che funge da predicato). Il motivo per questa convinzione deve essere che solo l’idea presenta una determinatezza sufficiente per prestarsi ad essere designata da una parola univoca e priva di indeterminatezza semantica. Questo per la ragione che solo l’idea è quello che è senza restrizioni o qualificazioni, cioè in modo immediato e semplice, incondizionatamente — mentre le cose empiriche non sono mai (p. es.) uomo semplicemente, ma
ciascuna di esse possiede le caratteristiche che fanno di un uomo un uomo insieme a molte altre caratteristiche accidentali ed anche fluttuanti. La presenza, a livello empirico, di una situazione complessa del genere è, per gli Accademici, fonte di indeterminatezza semantica, a cui si può ovviare
Seconda sezione
221
solo postulando un'entità che presenti, per così dire, sempre una faccia soltanto, cioè che sia sempre pienamente determinata in un certo modo,
senza ulteriori qualifiche e determinazioni. Aristotele, d’altra parte, non accetta una prospettiva del genere, come è mostrato sufficientemente dal suo argomento in Metapb. r 4, dove evidentemente egli ammette che già nel caso degli uomini empirici (come in quello di altre entità empiriche) è soddisfatta l’esigenza che un termine come abbia un significato unico — il quale indubbiamente è inteso come un significato ben determinato (da contrapporre al significato di una qualsiasi altra parola) —, quale può essere . È sua convinzione cioè che anche nel caso degli enti empirici sia possibile isolare un aspetto sufficientemente determinato, il quale sia condizione oggettiva sufficiente per la determinatezza semantica che è necessaria al linguaggio, affinché si possa per esempio applicarvi il principio di non contraddizione. Questo aspetto isolabile delle cose costituisce la loro essenza 0 Ti éor, il quale coincide (anche se non per ogni rispetto) con i soggetti particolari empirici, nel caso della predicazione essenziale nella categoria di sostanza, e Costituisce invece l’essenza della proprietà in quanto tale, quando questa non fa parte dell’essenza di una sostanza. Con l'aspetto essenziale delle sostanze (particolari) va messo a contrasto il loro aspetto non essenziale (accidentale), da cui il primo risulta isolato concettualmente. Si constata, in questo modo, che Aristotele elabora una teoria della sostanza, dell’accidente e dell’essenza (sostanziale e non sostanziale) ed in
genere delle categorie, che gli permetta di giustificare una prospettiva semantica per cui già la realtà empirica soddisfa alle condizioni oggettive necessarie per ottenere la determinatezza semantica. Questa teoria si presenta così come una risposta alla posizione platonico accademica per cui solo
entità che siano concepite come essenti tali e niente altro soddisfano pienamente alle esigenze oggettive della determinatezza semantica. Aristotele insomma cerca di elaborare degli strumenti concettuali — fra cui la teoria delle categorie è la più importante — che permettano di fare della realtà empirica l'oggetto immediato del discorso umano — e quindi anche della riflessione ontologica —, mentre la posizione platonica rimane carente in
quella sfera.».
Ascoltate queste considerazioni ed ottenuti questi risultati, voglio passare all’analisi dei temi riguardanti la terza sezione di questa prima parte.
pi dicopoi
Terza sezione Sommario
1. Introduzione. — 2. Programma dei testi. — 3. Obiettivi dell’analisi. — 4. Schema. — 5. Requisiti della descrizione dell’ente indipendentemente esistente. — 6. Contrasto tra predicazione naturale e predicazione innaturale. — 7. De Interpretatione 1. — 8. De Interpretatione 8. — 9. De Interpretatione 11. Argomento a conferma delle tesi precedenti. — 10. Costituzione di essere, e di non essere, all’interno del De Interpreta-
tione. — 11. Analisi Secondi I, 4. — 12. Punti dell’argomentazione. — 13. Analisi dell’argomentazione. — 14. Classifacazione. — 15.-Differenza tra enti esistenti di per sé stessi ed enti esistenti per accidente. — 16. Osservazioni sull'essere xa8’ aùt6. — 17. Sintesi dei risultati di Analitici Secondi I, 4. — 18. Analitici Secondi I, 19. — 19. Analitici Secondi I, 22. — 20. Analisi di Analitici Secondi I, 22. — 21. Conferma della ricerca di
un soggetto indipendente in Analitici Primi. Esposizione di Analitici Primi I, 27. — 22. Analisi di Analitici Secondi I, 27. — 23. Osservazioni conclusive.
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1. Introduzione.
Questa sezione, rispetto alla sezione precedente, è dedicata ad un tema molto specifico, vale a dire, è dedicata alla ricerca
del soggetto logico, ed ontologico, autentico; con questo si intende la ricerca di ciò che può effettivamente valere come soggetto, di ciò che, in una proposizione, può occupare, a buon diritto, il posto del soggetto, nel senso che esso, qualunque cosa sia, costituisce il soggetto ontologico autentico, o nel senso che vi è corrispondenza tra ciò che si è scelto come soggetto logico, e ciò che costituisce il soggetto ontologico. Per compendiare in una formula la relazione tra soggetto logico autentico e soggetto ontologico, ci si potrebbe esprimere nel modo seguente: Ciò che poniamo come soggetto logico della proposizione in una proposizione corretta è ciò che vale da soggetto ontologico autentico nella composizione della realtà.
Connesso a questo tema, si pone il problema della linea di demarcazione tra: — predicazione corretta, dove il soggetto si riferisce ad un ente capace di esistere indipendentemente, e,
— predicazione scorretta, nella quale, al posto del soggetto, viene posizionato un ente che, in realtà, non adempie ai requisiti necessarî per essere considerato soggetto ontologico!. ! Malgrado il tema sia importante, non ho, tuttavia, trovato un'estesa bibliografia sull’argomento, dato che l’argomento stesso, a quanto pare, viene dato per scontato (questo non esclude che vi siano numerosi cenni sulla questione nelle diverse pubblicazioni; si tratta, tuttavia, sempre di cenni non molto articolati). Si può naturalmente
trovare un’analisi completa della questione, — per quanto attiene al modo in cui la que-
D32
Note su Ousia
La tesi di fondo che verrà sostenuta nell’ambito di questa sezione è che /a struttura della proposizione deve rispecchiare la struttura della realtà: a soggetto della proposizione deve corrispondere un ente che sia indipendente, e che costituisca il presupposto dell’esistenza degli altri enti; una forma di proposizione che non rispettasse questo requisito, costituirebbe una posizione grammaticale sbagliata, frutto, d’altra parte, di posizioni
ontologiche errate?. 2. Programma dei testi Mi interessano, pertanto, i seguenti argomenti:
— la corrispondenza tra soggetto logico ed ente ontologicamente indipendente; — la costruzione della primarietà dell’essenza delle sostanze, di fronte alla dipendenza ontologica dei composti accidentali; — la tesi della posizione della sostanza come soggetto primo, indipendente, fondamentale rispetto agli enti appartenenti alle categorie diverse dalla categoria di sostanza, che costituiscono enti tutti, in un modo o nell’altro, dipendenti;
— la distinzione tra enti detti di per sé stessi ed enti detti per accidente;
— la ricerca del soggetto ontologico autentico; — la ricerca del vero soggetto di predicazione, che costituisce una trascrizione, a livello logico, della indipendenza esistenstione del soggetto ontologico autentico viene affrontata negli Analitici Secondi -, nel commentario di Barnes, citato in bibliografia; alcune osservazioni interessanti sono contenute in Hartman, «Substance, Body and Soul»; le osservazioni di Hartman mi sembra-
no rimarchevoli, in quanto tentano un apparentamento della questione presente negli Analitici Secondi, a proposito di ciò che può essere considerato un soggetto adeguato, con la posizione presente in Metafisica Z 3. Entrambi i passi aristotelici, pur partendo da punti di vista differenti, approderebbero alla necessità di sapere bene distinguere che cosa sia soggetto ontologico, e che cosa, invece, non lo sia, vale a dire, entrambi i passi arriverebbero, sia pure per vie diverse, a costituire un monito concernente la corretta
determinazione delle condizioni di identificazione, di permanenza e di reidentificazione di un ente. 2 Mi sembra che, in questo contesto, sia l’ontologia a dettare il programma alla logica. Si veda, a questo proposito, Hartman, «Substance, Body and Soul».
Terza sezione
233
ziale presente a livello ontologico3; — la corrispondenza tra soggetto ultimo di predicazione ed ente indipendentemente esistente; — la va tra predicazione naturale e predicazione inna-
turale.
in linea con questi interessi, ho pertanto deciso di limitare l’analisi in questa sezione ai seguenti passi presi dal De Interpretatio-
ne, dagli Analitici Secondi e dagli Analitici Primi: i) ii) iii) iv) v) vi) vii) viii)
De Interpretatione 1, 1643-18; De Interpretatione 8, 18a13-27; De Interpretatione, 11, 20b12-22; De Interpretatione 3, 16b21-25; Analitici Secondi I, 4, 73b3-10; Analitici Secondi I, 19, 81b23-29; Analitici Secondi I, 22, 83a1-14; Analitici Primi, I, 27, 43a25-36. 3. Obiettivi dell'analisi.
In queste righe introduttive vorrei svolgere alcune considerazioni di carattere generale. Dei testi citati, in questo presente momento della ricerca, mi interessano alcune parti che mostra-
no l’intenzione aristotelica di trovare: — l’autentico soggetto della predicazione, — il corrispondente ontologico del fondamento logico-predicativo del discorso. i
Ad esempio, si potrebbe porre una connessione tra i con3. Se l'indipendenza esistenziale, a livello ontologico, è espressa, negli Analitici Secondi, con il non venire predicato d’altro, nel libro Zeta, si potrebbe dire, l’indipendenza esistenziale è espressa dall’essere xwprotév proprio degli enti che appartengono alla categoria di sostanza, rispetto agli enti che appartengono alle altre categorie. Il tema del xwpuorév implica, tuttavia, tutta una serie di rapporti con altri passi della Metafisica, e comporta, secondo me, il tentativo di una sostituzione, e di ribaltamento, circa ciò che
può essere fatto valere come ywpiotév sul piano della Metafisica, rispetto agli enti cui viene attribuita la proprietà di essere xwprord nella speculazione platonica. Si veda l’analisi riportata in corrispondenza di Z 1 ed in corrispondenza del concetto di separatezza.
234
Note su Ousia
tenuti presenti negli Analitici Secondi, e le enunciazioni presenti nel libro Zeta. Detta connessione è, in questo caso, giustificata dal fatto che vi sono, all’interno degli Analitici Secondi, elementi in grado di chiarire la priorità di ousia: — comesoggetto ultimo di predicazione, — comesoggetto ontologico per le altre categorie, e, — come definizione di un ente individuale in quanto esprimente ciò che un ente individuale è di per se stesso. In questo senso, sostanza precede gli altri tipi di predicazione, nel senso, cioè, che la sostanza viene ad essere un presupposto sia logico, sia ontologico; senza una sostanza gli altri enti non possono esistere, e, d’altra parte, ogni predicazione di enti diversi dalla categoria di sostanza presuppone una sostanza cui detti enti vengano attribuiti4. L'orizzonte di ousia è l'orizzonte della predicazione essenziale dei dati esistenziali, e, appunto in quanto predicazione essenziale, ousia esprime una classificazione degli enti logicamente precedente all’attribuzione di qualsivoglia proprietà agli enti stessi: si deve classificare un ente per ciò che è, perché, appunto, si possa comprendere che cosa un ente sia; non avrebbe senso attribuire proprietà accidentali a qualcosa che non sapessimo che cosa è di per se stesso. Senza riferimento essenziale non può esservi neppure riferimento acci-
dentale. La ricerca del soggetto è, allora, la ricerca del portatore di proprietà; si ha, nella struttura della realtà, un soggetto ultimo di predicazione: questo soggetto è una determinata essenza di per se stesso, ed appartiene alla categoria di sostanza; esso è l’unico ente ad essere xa0° aùt6, ad essere definibile, ed ad esse4 E vero che senza la sostanza non esiste nessuno degli altri enti; tuttavia, se è vero che detti enti presuppongono una sostanza, è anche vero che non si deve ridurre la definizione di un ente diverso da una sostanza alla sostanza cui l’ente appartenga; detta riduzione è stata tentata, ad esempio, da Owen in «The Platonism of Aristotle»; contro
si veda Leszl, «Logic and Metaphysics in Aristotle». Una dipendenza esistenziale, che, come cerco di mostrare soprattutto nell’analisi del capitolo Z 1 della Metafisica, non è comunque immune da problemi — su questo tema si vedano le «Notes on Book Z of Aristotle’'s Metaphysics», nonché il commentario di Bostock —, non può essere considerata la premessa per una riduzione della definizione di un ente dipendente in modo esistenziale dalla sostanza, alla definizione di sostanza. Le due cose sono differenti.
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re esistente, senza riferimento a niente altro rispetto a se stesso. Dall’altra parte, si hanno gli enti appartenenti alle categorie differenti da quella di sostanza; detti enti non sono detti di per sé stessi, si riferiscono sempre ad altro da sé, e manifestano la propria dipendenza esistenziale nella loro incapacità di costituire autentici soggetti ontologici. Quanto alla struttura del soggetto ontologico di per sé presa, il punto da sottolineare, è che il soggetto z0r è un sostrato vuoto, non è un questo individuale che funzioni soltanto da ricettacolo di proprietà. Un soggetto è un qualcosa di determinato, è un ente in sé in contrapposizione agli accidenti che vengono ad esso attribuiti o negati. Senza essenza, senza natura non si ha soggetto,
l'esistente presupporie un’essenza, e senza essenza non si ha un soggetto”: un uomo individuale, questo uomo qui, è un ente individuale che appartiene immediatamente alla specie uomo, nel senso che le sue condizioni di esistenza sono quelle proprie della specie uomo; nello stesso tempo, la sua essenza è quella di essere uomo, di essere costituito dalla serie di proprietà che fanno parte dell’essere uomo£. Le proprietà essenziali, in altri termini, individuano l’uomo, lo separano dalle altre cose, pongono una distinzione tra un ente e gli altri enti. Un ente come. un uomo singolo è separato da altri enti, come tavoli, sedie, case, appunto dal suo avere una determinata essenza. Se tutte le proprietà fossero accidentali, allora la differenza tra enti consisterebbe, volta 2A
volte, per indicare come viene chiamato un ente individuale, adopero il
termine nome-essenza, come potrebbe essere il caso di uomo, ad esempio. In casi, appunto, come quello di uomo, ciò che viene designato con il termine uomo, è un ente in-
dividuale di cui viene espressa la natura con il nome-essenza uomo, che costituisce il principio di riconoscimento, di identificazione, di specificazione e, se si vuole, di pensabilità dell'ente medesimo. Importante è che il «questo individuale» è sempre qualcosa, e che posso arrivare al questo, vale a dire, all’individualità ed alla pensabilità dell’individualità, in quanto separata e distinta dalle altre individualità, soltanto allorché ia conosca il modo di essere delle cose; in caso contrario, senza un criterio di distinzione opportuno, non posso parlare di cose, di pluralità e di singolarità, e di pensabilità della pluralità e della singolarità.
6 Uomo, in questo senso, potrebbe essere interpretato come un’abbreviazione di tutte le proprietà e di tutte je capacità che sono, per così dire, iscritte in uomo.
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Note su Ousta
per volta, nell’avere differenti proprietà accidentali: in questo contesto la linea di demarcazione tra enti è data dalle corrispettive differenze. Si deve, quindi, prestare attenzione al fatto che sono le stesse essenze a determinare un mondo di oggetti separati, o, meglio detto, è un sistema di essenze differenti a produr-
re un mondo di oggetti differenti (resta intesa la necessità di specificare che le essenze devono essere differenti; se si ponesse, come unica essenza, l'essere, allora tutto ciò che non avesse det-
ta essenza sarebbe non essere, per cui la possibilità della presenza di una pluralità verrebbe compromessa). Quindi, la presenza di essenze differenti consente anche la presenza di oggetti differenti, ed in generale consente la presenza di una pluralità. La pluralità come sistema definito di enti reciprocamente separati dipende dall’esistenza di un sistema di essenze ben determinato. In altri termini, per quanto riguarda più specificamente il rapporto tra la definizione di un ente ed il suo nome-essenza, da una parte, e le proprietà accidentali che un ente può trovarsi, nel corso della sua esistenza, ad acquisire o a perdere, ha poco senso dire quali proprietà abbia Socrate, se non so che cosa Socrate, di per se stesso, sia, se non so come Socrate si attui nella
realtà, e posso sapere questo soltanto se Socrate è stato classificato sotto un ente appartenente alla categoria di sostanza. Riveste interesse il fatto che vi sia qualcosa che effettivamente connota in modo primario ed esauriente un ente, nel senso che un ente individuale, o basilare, — è quella determinata cosa, senza essere niente altro essenzialmente, — è l’ente che non viene predicato d’altro, — edè l’ente che non è qualcosa d’altro oltre quello che è.
Per fare un esempio, nel caso di un uomo singolo determinato, detto uomo è il soggetto ultimo di se stesso, non viene predicato di altro, non ha bisogno di sostegni o di puntelli ontologico-esistenziali per esistere, non costituisce una descrizione,
per dir così, accidentale dell’ente che è’. Al contrario, uomo co7? laddove bianco, ad esempio, costituisce una descrizione accidentale di quello
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stituisce la descrizione delle condizioni di esistenza dell’ente che è; uomo non è qualcosa d’altro oltre ad essere uomo, ed una domanda concernente che cosa sia un uomo essenzialmente, oltre uomo, non avrebbe alcun senso. Vi è, allora, ricapitolando, un
soggetto ultimo; esso è un’essenza, non è altro oltre quella essenza e, pertanto, non dipende da altro per la propria esistenza: mentre bianco dipende dall’ente in cui inerisce per la propria esistenza, uomo non dipende da altro per la propria esistenza, le condizioni di esistenza di uomo sono adeguatamente date dalla definizione e dall’essenza di uomo stesso. 4. Schema.
Voglio qui fare alcune considerazioni circa la differenza che intercorre tra un ente accidentale ed un ente sostanziale per quanto concerne la non attribuibilità ad altro e, per converso, l’attribuibilità ad altro. Prendendo in esame il caso di bianco,
l'essenza di bianco non contiene al proprio internole condizioni in cui inerisce, dal momento che, ciò in cui inerisce, non è, di per se stesso, bianco, non costituisce, con bianco, un’unità auto-causata: uomo e bianco, per fare un esempio, non
sono uniti, se non in maniera eterogenea, e per questo non costituiscono qualcosa di primo. Su questi temi si veda anche Metaph. Z 4, per quanto riguarda il non essere un tode
ti da parte di uomo bianco, e Metaph. Z 12, per quanto riguarda l’assenza di unità intrinseca tra uomo e bianco. Sullo sfondo, naturalmente, va tenuto presente che la condizione di esistenza di un ente che sia uomo è, appunto, il fatto di essere uomo, laddove bianco non entra nelle condizioni di esistenza di uomo. In conclusione, bianco è semplicemente una descrizione di un ente ottenuta attraverso l’attribuzione di una proprietà ad un ente che non esprime l’essere dell’ente, le condizioni di esistenza dell'ente stesso. Bianco presuppone una descrizione precedente a se stesso, uomo non presuppone alcuna descrizione precedente; quindi, uomo è l’ultima descrizione oltre la quale non si può andare, è la descrizione oltre la quale non si può risalire, mentre bianco presuppone altre descrizioni. Si potrebbe dire che il termine, che non presuppone altre descrizioni, —
èiltermine ultimo,
-—
èiltermine che esprime la descrizione dell'essenza,
-—
edèilnome delle condizioni di esistenza dell’ente,
laddove il termine che presuppone ulteriori elementi descrittivi non è mai il termine ultimo della descrizione. Si vede, allora, come la differenza tra predicazione essenziale, e
predicazione accidentale, nei casi nei quali il soggetto sia un soggetto ontologico autentico, sia fondamentale per quanto concerne la determinazione degli oggetti, e per quanto
concerne l'affermazione della pluralità.
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Note su Ousia
di esistenza di bianco stesso, ma inerisce a qualcosa d’altro, oltre al bianco, laddove, nel caso di uomo, l’essenza di uomo
esprime le condizioni di esistenza dell’ente che è uomo, non vi è, cioè, bisogno di risalire ad altro. Si potrebbe esprimere la situazione in questo modo, naturalmente sempre tenendo presente che si tratta di una formulazione provvisoria: a) per un ente primariamente esistente, x è identico ad ’essere DERE;
il senso della formulazione è comprensibile, ove si tenga presente che uomo concretizzato è identico ad un uomo esistente a livello puramente potenziale; non vi è differenza di soggetto tra la definizione presa senza riferimento, e la definizione effettivamente concretizzata in un ente; non vi è spostamento di sogget-
to ontologico; b) per un ente esistente in maniera dipendente, x non è identico ad ’essere per x”; bianco concretizzato non è identico alla propria definizione, in quanto bianco è, anzitutto, sempre un ente bianco, od è una su-
perficie bianca appartenente ad un ente; bianco è sempre qualcosa d’altro, oltre a bianco8: la concretizzazione di un colore non è identica alla definizione del colore stesso, è, anzi, sempre
qualcosa che, per la propria esistenza, dipende da qualcosa d’altro. Questo spostamento di soggetto è rispecchiato nell’ambivalenza di denotazione di tutti i termini accidentali?. 8. Qui si intende, naturalmente, l’oggetto che è bianco; mentre il colore bianco è bianco, e basta, l'oggetto che è bianco è sempre qualcosa d’altro, oltre all’essere bianco. Su questo argomento, si veda, tra gli altri, Scaltsas, «Substances and Universals in
Aristotle’s Metaphysics».
?. Circa l’ambivalenza di denotazione, si veda quanto viene detto da Aristotele in Metafisica Z 6, 1031b22-28: «Per quanto riguarda ciò che viene detto per accidente, come il musico od il bianco, a causa del fatto che termini come questo, hanno un duplice significato (&à rò &rTòv onpat vew), non è vero dire che esso sia la stessa cosa della sua essenza: ed, infatti, bianco è sia ciò a cui viene attribuito l’essere bianco, sia l’accidente (0 ovpfpépnee Acukdv kai Tò ov
BeRnk6s), di modo che, da una parte, esso è identico alla propria essenza, dall’altra, esso non è identico alla propria essenza: infatti, l’accidente non è identico all’uomo, ed all’uomo bianco,
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Il nodo della differenza tra un ente esistente indipendentemente, e un ente che esiste soltanto per il fatto di inerire a qualcosa che è qualcosa d’altro per le proprie condizioni di esistenza, è che l'ente dipendente viene, attraverso la propria concretizzazione, reidentificato, dal momento che non esiste il bianco di per se stesso, ma esistono enti bianchi, laddove l’ente indi-
pendente dal punto di vista esistenziale non subisce una reidentificazione: — uomo concretizzato è uomo, e non è qualcosa d’altro oltre essere uomo, — bianco concretizzato è bianco di un ente, o è un ente bianco, o
sostanza bianca!°. Quindi bianco implica un rimando ad altro da sé, laddove uomo non implica un rimando ad altro da sé.
mentre bianco è la stessa cosa dell’accidente.».
Come si vede, Aristotele distingue tra i termini aventi un unico riferimento, ed i termini aventi un doppio riferimento; nella prima serie potremmo fare rientrare i termini come «uomo», nella seconda i termini come «bianco»; per i primi vale: uomo — identico all’essenza;
per i secondi vale: bianco — doppio riferimento (bianco come colore, e bianco come ciò che possiede la qualità di essere bianco);
bianco — ambiguità nell’essenza (bianco come essenza di bianco in quanto colore, e non già essenza di bianco come ciò che costituisce il portatore della proprietà, o del complesso portatore+bianco). 10 Naturalmente, con questo non si vuole intendere che la definizione di una qualità, per fare un esempio, vada ridotta alla sostanza che la possiede. Una qualità si definisce per quello che è, indipendentemente dalla sostanza (al massimo, vi può essere nella definizione un richiamo all’essere, la qualità, dipendente dalla sostanza); i tentativi
di riduzione definitoria, quali quelli tentati da Owen, non mi convincono. Quello che qui si vuole dire è, allora, semplicemente, che una sostanza concretizzata non si trova in altro, mentre un ente appartenente ad una categoria differente si trova sempre in altro; non voglio, invece, assolutamente affermare che la definizione di un ente accidentale va-
da ridotta ad una proposizione concernente una sostanza, attraverso un procedimento di questo genere: «bianco è un colore», significa che, o è riducibile a: «una sostanza è bianca». Non mi sembra che le posizioni riduzioniste presentino una reale corrispondenza nelle tesi aristoteliche, tanto più che le stesse tesi aristoteliche sono molto“chiare circa l'immediatezza dell’organizzazione della realtà in una pluralità categoriale. Detta immediatezza consente senz'altro una divisione tra enti dipendenti ed enti indipendenti, ma non consente, almeno a mio giudizio, una riduzione degli enti dipendenti a quelli indipendenti.
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Note su Ousia
Da una qualità possiamo risalire oltre, nel processo di identificazione di un oggetto, dalla sostanza non possiamo procedere oltre, in vista di un’identificazione ulteriore.
5. Requisiti della descrizione dell’ente indipendentemente esistente. In questo senso si può già dire che, allorché si sia arrivati ad una descrizione di un ente, tale che detta descrizione:
a) descriva l’ente in maniera tale che detta descrizione non implichi che qualcosa venga detto di qualcosa d’altro (un nome composto come «uomo bianco» implica una predicazione intercategoriale tra uomo e bianco); e tale che:
b) l’ente stesso non sia qualcosa d’altro oltre al contenuto della descrizione (bianco, come descrizione, è qualcosa d’altro oltre essere bianco);
detta descrizione rappresenta la descrizione di un ente basilare, dell’unico ente che possa fare da soggetto logico ultimo!!. La distinzione tra soggetto ultimo di predicazione ed enti differenti o dipendenti, implica che vi siano enti individuali che fanno da soggetto ontologico degli enti, per dir così, dipendenti sul piano 1! Bianco è una descrizione insufficiente, dal momento che bianco è sempre predicato di qualcosa d’altro, e dal momento che ciò che è bianco, è sempre qualcosa * d’altro, oltre ad essere bianco; per converso, uomo non è mai predicato d’altro, e ciò che è uomo non è mai qualcosa d’altro oltre ad essere uomo: in questo senso, uomo è una
descrizione, od una connotazione efficace di un ente, bianco, no. D'altra parte, la descri-
zione autentica implica il fatto che non vi sia una predicazione nella quale qualcosa viene detto di qualcosa d’altro. Il soggetto ontologico autentico non è uomo bianco, dal momento che uomo bianco è un plesso di una sostanza + un accidente. Soggetto ontologico autentico è, esclusivamente, una sostanza presa nelle sue proprietà essenziali. In altre parole, è corretto distinguere tra descrizioni essenziali di un ente e descrizioni accidentali di uno stesso ente, come pure è corretto distinguere tra proprietà che, concretizzate, non si appoggiano ad altro, e proprietà che, concretizzate, si appoggiano ad altro;
bisogna, tuttavia, distinguere anche tra soggetto ontologico autentico, inteso per quello che esso è di per se stesso, e soggetto ontologico autentico, preso con le proprietà accidentali.
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esistenziale, ed implica, altresì, che detti enti costituiscano la ba-
se ferma del cambiamento. L'intenzione della manovra aristotelica negli Analitici Secondi consiste nell’analisi logico-predicativa dei rapporti tra i varî enti; l’interesse aristotelico in opere come la Fisica, tanto per fare un esempio è, invece, maggiormente rivolto al rapporto tra enti indipendenti ed enti dipendenti, con particolare riferimento a ciò che permane nel cambiamento rispetto alle proprietà che possono essere perse, od acquisite. Tuttavia, gli aspetti logico predicativi, e quelli ontologici, non possono essere mai completamente scissi e sono, in una certa misura, compresenti: ciò che è soggetto ontologico è anche soggetto logico autentico, e, vicever-
sa, ciò che è soggetto logico autentico è soggetto ontologico. 6. Contrasto tra predicazione naturale
e predicazione innaturale. Un tema che si profila, secondo me, con grande insistenza nell’ambito dei capitoli segnalati, è quello consistente nel contrasto tra una predicazione naturale ed una predicazione innatu12 rale!?; a) predicazione naturale è la predicazione che mette, al posto del soggetto, un soggetto ontologico realmente indipendente, b) predicazione innaturale è la predicazione che mette,al posto del soggetto logico, un soggetto che non corrisponde ad un ente esistente indipendentemente.
Come si vede da queste prime battute, i problemi da affrontare sono complessi; ritengo, tuttavia, che si possa indivi-
duare fin da adesso un filo conduttore: si tratta di chiarire quali siano le essenze che, concretizzate in un ente, siano essenze capaci di esistenza indipendente, ossia si tratta di reperire le essenze che costituiscano enti che non dipendono da altro per la è
12 Per un’analisi della differenza tra predicazione naturale, e predicazione innaturale, si veda, ad esempio, il commentario di Barnes, citato in bibliografia, specialmente alle pagine 115-118 dell’edizione citata in bibliografia.
242
Note su Ousia
propria esistenza. Trovare, in una gerarchia di dipendenza ontologico-esistenziale, che cosa esista di per se stesso, significa dire quale sia la gerarchia delle essenze, e quale sia il soggetto ultimo di inerenza che è anche soggetto ultimo di predicazione, vale a dire, il soggetto ultimo oltre il quale non si può risalire. In altre parole, ciò che esiste di per se stesso è l’ente di base, e ciò che
detto ente è di per se stesso è l’essenza di detto ente. Passerò adesso all’analisi dei testi. 7. De Interpretatione 1.
Alcuni contenuti interessanti riguardanti la relazione tra enti ed essenze, da una parte, e tra struttura della proposizione e concetti, dall’altra, sono ricavabili da alcuni passi del De Inter-
pretatione!?. Comincerò la mia analisi con i contenuti espressi nelle linee iniziali del De Interpretatione. Nelle linee iniziali del De Interpretatione, si pone una relazione, a mio giudizio, molto interessante tra i seguenti elementi: nome, cosa, ed affezione.
Gli oggetti della realtà sono identici per tutti, quindi, la struttura della realtà è identica per tutti; le affezioni che i parlanti hanno in relazione agli oggetti della realtà, sono identiche per tutti. Il termine corretto è un termine individuante una natura, la correttezza non deriva dal consenso dei parlanti, ma dal
riferimento ad una natura. Il rapporto tra: — —
ovufora, mna0rpara, e,
— mpaypata
è così posto in De Interpretatione 1, 1643-18: «Dunque, i suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell’anima {tà év tf dwrî
Tv
év Ti wuyxî
ma@nudrov
ovp
Bora}, e le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce. Nello stesso modo, poi, in cui le lettere non sono le medesime per 13 Alcune di queste osservazioni saranno utili all’atto della presa in esame della struttura della definizione e degli enti di cui si dà definizione in Metafisica Z 4.
Terza sezione
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tutti, così neppure i suoni sono i medesimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni {onueîa} delle affezioni dell'anima (ma@fuata Ts wuyfs), in primo luogo, che sono le medesime per tutti, e che costituiscono le immagini {6uorspara} di oggetti {mpaypara}!4, che sono, dal canto loro, identici per tutti. Orbene, di questi argomenti si è parlato nei libri che riguardano l’anima: essi appartengono, infatti, ad una disciplina differente. D'altro canto, come nell'anima, talvolta, sussiste una nozione, che prescinde dal vero o dal falso, e talvolta, invece, sussiste qualcosa, cui
spetta, necessariamente, o di essere vero, o di essere falso, così avviene pure per quanto si trova nel suono della voce. In effetti, il vero ed il falso consistono nella congiunzione e nella separazione (mepì yàp ovveeow kai
Suatpeoiv
tot
TÒ yedsic
Te
kai
Tò dinbés).
In sé, i nomi ed i verbi assomigliano, dunque, alle nozioni, quando
queste non siano congiunte a nulla, né siano separate da nulla; essi sono, ad esempio, i termini ’uomo’, o ’bianco’, quando manchi una qualche precisazione, poiché, in tal caso, non sussiste ancora né falsità, né verità.
Ciò è provato dal fatto, ad esempio, che il termine ’ircocervo’ significa bensì qualcosa, ma non indica, ancora, alcunché di vero o di falso, se
non è stato aggiunto l’essere, oppure il non essere, con una determinazione assoluta e temporale.».
Il punto importante di questa sezione è la derivazione della organizzazione del linguaggio dalla realtà. Non vi è, in altri termini, una posizione convenzionalista nei confronti del linguaggio. Il parlante non organizza il linguaggio secondo convenzioni. Vi sono, al contrario, oggetti, vi sono proprietà, che
determinano la struttura del linguaggio; il linguaggio e, conseguentemente, le divisioni linguistiche nelle quali il linguaggio è organizzato, sono organizzati sulla base delle divisioni, e delle distinzioni, reali. Si deve, allora, interpretare la connessione tra oggetti, affe-
zioni prodotte dagli oggetti, e termini, come una connessione consequenziale che parte dagli oggetti, passa per le affezioni, e si conclude con i termini linguistici; la situazione potrebbe essere schematizzata nel seguente modo: oggetti -> affezioni -> termini.
é
14 Va notato come gli oggetti abbiano una loro configurazione autonoma rispetto alle classificazioni dei parlanti. 15 Si noti la sequenza oggetti -> affezioni -> segni.
244
Note su Ousia
Il primo punto, in altri termini, è rappresentato dagli oggetti, che sono, di per sé stessi, determinate proprietà: uomo, 0
bianco, che vengono citati nel passo testé riportato, sono, in quanto proprietà, in quanto divisioni nelle quali la realtà è organizzata, enti comuni a tutti i parlanti. I nomi con cui i parlanti
chiamano, o denominano, queste proprietà, possono, naturalmente, variare da linguaggio a linguaggio, nel senso che i nomi, nel loro essere materiale, sono convenzionali; tuttavia, se la realtà si trova organizzata in strutture, ed in proprietà pre-esistenti rispetto alle classificazioni operate dai parlanti, da questo segue che le classificazioni, e le divisioni in proprietà presenti nel linguaggio, non dipendono da convenzionalismi, ma rispecchiano, invece, la struttura della realtà.
Per una conferma della interpretazione che sto proponendo, si veda, ad esempio, Leszl, «Logic and Metaphysics in Aristotle, Part I, Chapter I, 1-2 (pp. 29-30, passim)»: «The fact that words are conventional allows for differences in the sounds actually used, among different peoples, in correspondence to the affections or conceptions in the soul, hence, to the objects which they signify and to which the latter are alike. Yet, this fact is irrelevant to their semantic
aspect, for the affections are the same for everybody, and so are the things signified (1, 16ASff.): different peoples use different sounds that mean the same. It thus would seem that Aristotle maintains that the convention lies in the assignation of the meaning to one sound rather than to another; or,
more concretely, in using a certain sound, rather than another, to designate a certain thing. It therefore does not touch the nature of language in its semantic aspect, which is conditioned by the structure of reality. (...) Aristotle’s position reflects the thesis of an equivalence (and immediate correspondence) of a thing, concept and word, which is not influenced by the admission of the conventional character of words as sounds. (...) Aristotle’s position is admissible, I think, only on the assumption that words for him stand for essences or natures, i.e. for properties (or sets of properties) in the wide sense of the word, and not for individual entities. Of course, it is true to say that words may serve to pick up individual entities of this or that sort (or nature) treated as the things of the sort of which they are. But this does not mean that they stand for (designate) the individual entities which have the nature rather than for natures themselves; in-
stead, they should be said to apply to the individual entities. Otherwise Aristotle would have to assume the existence of the particular entities of a
Terza sezione
245
given class which a certain word could pick up, which assumption would cause him serious difficulties in the case of the word “goat-stag” .».
Le osservazioni di Leszl] mi sembrano cogliere il punto della questione: vi è corrispondenza tra cosa, concetto e parola, e detta corrispondenza non viene compromessa dalla convenzionalità dei termini nel loro senso materiale. È la struttura della realtà a determinare la struttura del linguaggio, sono le separazioni tra essenze a dettare il programma della separazione tra ‘ nomi nel linguaggio. 8. De Interpretatione 8.
Un altro passo interessante per la comprensione della relazione tra proprietà e termini del linguaggio, è quello contenuto in De Interpretatione 8, 18a13-27.
Il testo aristotelico è il seguente: «Una singola affermazione, o negazione, è quella che significa una cosa circa una cosa {p{a 8é ton
kaTtdpaois
kai amépaos
nm Ev kao”
Evòs onpatvovoa} (sia che essa riguardi un universale preso universalmente, sia che l’universale non sia preso in modo universale), per —% ’ogni uomo è bianco’, ‘non ogni uomo è bianco’, ’un uomo è bianco’, uomo non è bianco’, ‘nessun uomo è bianco’, IAS uomo è bianco"se il bianco significa una cosa.
Ma, se un nome unico è posto a due cose dalle quali non è costituita una cosa, l'affermazione non è una sola {eì Sè Sueîv te dv
pr tonw
év Svopa
keîta,
éy, où pia kardpaors}: come, per esempio, se si desse
il nome di mantello a cavallo, e ad uomo, e si dicesse ’un mantello è bian-
co’: questa non sarebbe una singola affermazione {airn où pia kartdpa IS }16
Infatti, dire questo non differisce in nulla dal dire: ’un uomo e un cavallo sono bianchi’, e questo, a sua volta, non differisce in nulla dal dire
’un cavallo è bianco ed un uomo è bianco”. Così, se queste significano molte cose, e costituiscono molte affermazioni, chiaramente la prima affermazione significa o molte cose, o pulla {e
oùv
î mposTn
aùta
ita
moXdà
modà
onpatvovar
i) odsèv
kai
eioì
moMdai,
SfiXov
GTI
Kai
onpatver) (dal momento che nessun ca-
16 Il linguaggio deve rispecchiare le differenze reali.
246
Note su Ousta
vallo è un uomo); — di modo che, neppure per quanto concerne queste affermazioni, è necessario che una parte della contraddizione sia vera, l’altra falsa.».!”
Come si vede, la presenza della singolarità dell’affermazione dipende dall’unità della natura designata dal soggetto e dal predicato. Un’affermazione non è singola, se essa è formulata in maniera corretta dal punto di vista grammaticale; un’affermazione è unica, è singolare, se si riferisce ad enti che siano effettivamente singolari. Il criterio della correttezza grammaticale non è grammaticale; l’ontologia detta il programma di correttezza alla grammatica. In altri termini, per giudicare della validità di un'affermazione, non ci si può basare sulla semplice grammatica. La regolarità delle espressioni linguistiche dipende dal cor17 Per quanto riguarda la dipendenza dell’organizzazione linguistica dalle proprietà reali, si veda quanto viene detto in Analitici Secondi II, 7, 92b26-32: «Se, allora, colui che definisce, prova o che cosa una cosa è, o che cosa significa il suo nome, allora, se una definizione non ha nessuna relazione con ciò che una cosa è {e pù éon unsauòs toò ti éorw}, la definizione sarà una nozione significante la stessa cosa di un nome [ein dv 6 épropòs \dyos ovéuarni tò aùrò onpatvwv). Ma questo è assurdo. Infatti,
in primo luogo, ci saranno definizioni anche di non sostanze, e di cose che non sono — infatti, si possono significare anche le cose che non sono {mp@rov kaì Tv
pù 6vrwv:
onpatvewv
yàp éonr
kaù tà
pèv yàp kai
pù ovoov
dv ein
pù svra}. Inoltre, ancora, tutte le nozio-
ni sarebbero definizioni: infatti si potrebbe porre un nome per qualsiasi nozione, cosicché noi esprimeremmo, tutti, definizioni, e anche l’Iliade sarebbe una definizione (én mavres oi X6yoar opropoi dv elev: ein yàp dv Svopa Béodar émowoîv X6yw, dare Epovs dv SraXeyotpeBa
mavtes
kai N’ IXàs
bpropòs
dv eln).».
Come si vede, il campo del linguaggio è determinato dalle proprietà reali. La definizione dipende dalla proprietà reale, è, in questo senso, definizione reale. In altri termini, non si dà definizione di qualunque cosa, ma soltanto di qualcosa che abbia un’effettiva corrispondenza nella realtà. D'altra parte, da un altro passo aristotelico sembra di ricavare una corrispondenza tra l’esistenza di una cosa, ed il potere dire quello che essa è; in altri termini, condi-
zione per potere dire che cosa una cosa sia, è che la cosa stessa esista; altrimenti, se la cosa non esiste, non si può dire quello che essa sia. Si veda, per questa osservazione,
Analitici Secondi II, 7, 92b4-8: «In effetti, chi sa che cosa è l’uomo, od un qualsiasi altro oggetto, deve necessariamen-
te sapere pure che l’uomo è (nessuno sa che cosa sia, invero, ciò che non è {rò yàp pù èv oùsels olsev $ m éottv); si potrà sapere, tutt'al più, che cosa significa il discorso che lo spiega, od il nome che lo indica, nel caso, ad esempio, in cui io pronunci il nome di ’ircocervo’: che cosa sia però l’ircocervo, è impossibile saperlo).».
Definizione, o essenza sono sempre articolate in base alle proprietà reali.
Terza sezione
247
retto riferimento alla natura della realtà; se è designata una, ed
una sola natura, allora si può parlare di un’affermazione singola. Altrimenti, la singolarità dell’affermazione non vale. La singolarità dell’affermazione è tale, se essa rispecchia la suddivisione della realtà, mentre non si dà alcuna singolarità in base alla convenzionalità delle parole. Quindi, la struttura del linguaggio rispecchia, e non costruisce, la realtà, e la correttezza del linguaggio è tale, vale a dire, è presente, se la divisione della realtà è ri-
specchiata nel linguaggio. L'esempio di un solo nome convenzionalmente assegnato a cavallo, e ad uomo presi insieme, — nome che, malgrado sia un solo nome, e malgrado il predicato, bianco, si riferisca ad una
sola proprietà, non dà origine ad un’unica affermazione -, è, al proposito, illuminante: la posizione di un nome solo a due enti diversi non dà luogo ad un’affermazione in quanto l’unicità dell'affermazione dipende dall’unità degli enti, ed uomo e cavallo, in questo caso, non costituiscono un ente solo. D'altra parte, la non liceità della composizione di soggetti, quali uomo e cavallo, è significativa in relazione all’operazione di distinzione tra soggetto autentico e soggetto non autentico, o, altrimenti detto, è significativa in relazione alla distinzione tra ciò che è una proprietà unica e ciò che non lo è. Il soggetto autentico è il soggetto espresso da un nome corrispondente ad una proprietà reale; la suddivisione del linguaggio in nomi, per essere corretta, deve rispecchiare la struttura della realtà. Ciò che si esclude, con questa mossa, è che il linguaggio possa costituire autonomamente lo strumento di organizzazione della realtà; il linguaggio trova le distinzioni, non inventa le distinzioni stesse. Se si vuole che la proposizione esprima qualcosa che sia unico, allora, tanto per cominciare, sia il soggetto, sia il predicato, devono esprimere
qualcosa di unico, qualcosa di unitario, qualcosa che sia una ed una sola natura. Sembra, a questo proposito, che, siccome ci si aspetta che la proposizione esprima qualcosa di reale, allora anche le componenti della proposizione debbano esprimere qualcosa di reale, e, quindi, sia il soggetto, sia il predicato debbano denotare una proprietà reale; altrimenti, la costruzione della proposizione va in frantumi.
248
Note su Ousia
Mi sembrano significative, a questo proposito, alcune osservazioni che Irwin esprime nell’articolo «Aristotle’s concept of signification», (pag. 244) a proposito del riferimento dei nomi comuni; Irwin sottolinea la presenza di una stretta corrispondenza tra soggetto e proprietà: «Aristotle thinks that negative names such as ’not-man’ and negative verbs such as ’not-walking’ are not really names or verbs at all, but just indefinite names’ and verbs (Int. 16a29-31, b11-15). An indefinite term does not signify one thing; ’it signifies something in a way one and indefinite’ (19b9). Why should a negative term mean something indefinite? The meaning of ’not-man’ seems no less definite than the meaning of ’man’. Aristotle requires a genuinely single assertion to say and signify one thing about one thing (17a15-17, 18a12-13), as Man is white’ does. But an assertion
containing a single univocal word as its grammatical subject and another as its predicate does not necessarily signify one thing about one thing. If we coin a term ’whitewalker' (meaning “white walking man’), it will not signify one thing, nor will an assertion with it as subject or predicate signify one thing about one thing (20b15-19). Aristotle’'s demands are more easily understood from his comments on two other invented terms, ’manorhorse’ (whatever is a man or a horse is a manorhorse) and ’manandhorse’ (whatever is both a man and a horse is a manandhorse). Aristotle believes that the assertion ’*Manorhorse is white? signifies two things and is really two assertions ('Man is white’ and ’Horse is white’), while ’Manandhorse is white” signifies nothing since no man is also a horse (18a19-26). Now if ’signify’ means ’mean’, Aristotle claims are evidently false. Both ’manorhorse’ and ’manandhorse’ have clear, definite single meanings, no less than ’man’ and ’horse’ have. ’Manorhorse’ is white does not signify two things because it has two meanings — since it has only one meaning; and ’Manandhorse is white” does not signify nothing because it is meaningless — since it evidently has a meaning. Aristotle says that *Manandhorse is white” signifies nothing because no man is also a horse; does he then assume that all non-referring terms are meaningless? If signifying one thing is not having one definite meaning, what is it? ’Not-man’ signifies something indefinite because ’it belongs alike to anything that is and that is not’ (16b15). Not-men include centaurs, fleas, numbers and mountains, an utterly heterogeneous class with no common features besides being not-men. ’Whitewalker?, ’manorhorse’ and ’manandhorse’ all in their different ways fail to signify a single thing because they do not signify a genuine single subject. Ammonius comments directly on ’not-man’: he does not add the «in a way» superfluously, but to show
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that it does not signify one nature as a definite name does (in Int. 156. 2123). If a word signifies one definite thing, what it signifies is a single nature, not a single meaning. Aristotle does not think a single nature corresponds to every term with a single meaning. Indeed, he criticises the Platonists because one of their arguments for Forms requires a Form for evey predicate, including ’not-man’; this is an absurd result, in Aristotle’s view, since ’°not-man’ corresponds to no genuine nature.».
Quantunque ad alcuni particolari contenuti del contributo di Irwin si possano muovere obiezioni (non mi sembra, ad esempio, che nella argomentazione aristotelica sia contemplato
qualcosa di corrispondente al termine «Manorhorse»), mi pare che Irwin ponga in luce alcuni aspetti essenziali dell'indagine aristotelica: il termine corretto è un termine individuante una natura; la correttezza non deriva dal consenso dei parlanti, ma dal riferimento ad una natura extra-linguistica, ossia ad una na-
tura che costituisca una delle strutture nelle quali la realtà è organizzata. Vi è nome corretto se vi è, in corrispondenza del nome, una natura effettivamente reale (e non già se vi è qualcosa di meramente convenzionale); altrimenti, il nome non è corret-
to. Quindi, per la determinazione della relazione tra proprietà e termini, vi sono,
— in primo luogo, le proprietà reali, — in secondo luogo, le affezioni che i parlanti hanno di queste medesime proprietà, - in terzo luogo, i termini linguistici strutturati sulla base delle stesse proprietà. 9. De Interpretatione 11.
Argomento a conferma delle tesi precedenti. Un altro passo importante ai fini dell’analisi presente è costituito da De Interpretatione 11, 20b12-22; in questo passo
vengono confermate alcune notazioni fatte in precedenza cipca la necessità di avere un soggetto, o, di avere, comunque, un ente, che sia veramente uno, unitario, onde avere affermazioni e
negazioni realmente une. D'altra parte, si nota anche un accenno alla distinzione tra l’unità intrinseca, rappresentata da pro-
250
Note su Ousia
prietà intra-categoriali, e l’unità estrinseca, rappresentata da elementi inter-categoriali: «Affermare, o negare, una cosa di molte, o molte di una, non è un'affermazione, o una negazione, a meno che ciò che viene formato dalle molte cose, non sia una cosa (tò &è év katà moXX@v 7 moXdà ka@° € vòs kataddvar 7) dmoddvar, tav ovyKelpevov, ok Éotr KkaTdpaors
pù év Tr f TÒ éKk TOV pia oùsé andpdaors).
moMGOV
Non chiamo la cosa, una cosa qualora sia posto un unico nome (Méyw
Sè èv ok
éàv
Svopa
&v f ketpevov),
a meno che non sia un
qualche cosa che viene composto da quelle, come, forse, l’uomo è animale, e bipede, e domestico, ma, d’altra parte, da questi elementi sorge, inoltre, una certa unità (otov 6 dvapwros
tows
éoTì
kai Cbov
kai Simouv
kai ifpepov, aMà ka év mr yiyverar ék Toétwv); d’altra parte, dal bianco, e dall’uomo, e dal camminare, non viene ad essere un’unità (ék Sè TOÒ Aeukoî kai Toî dvepumov kai Toò fasitew oùx év). Sicché, né qualora si affermi una sola cosa di queste, vi è un’affermazione singola, ma la parola espressa, da una parte, è una, mentre le affermazioni sono molte (WSote ot’ tav Év n katà TOlTW KaTtagnon TIS
pia Kkatddaos,
dilàa
dwvù
pèv
pia katapdoes
Sì moXdat); né
si ha un’unica affermazione, qualora queste cose siano affermate di una cosa sola, ma, allo stesso modo, le affermazioni sono molte.».
Anche questa citazione è significativa, in quanto mostra come, a nome unico, non corrisponda un’unica entità; se, infatti, si trovasse un nome unico per uomo, bianco e camminante, uomo, bianco e camminante non costituirebbero, tuttavia, un’u-
nica entità. Perché una cosa sia effettivamente ur4 cosa, bisogna che i componenti che la costituiscono formino un'unità intrinseca; altrimenti, la cosa è considerata una soltanto in via convenzionale: i) uomo, bianco, e camminante, non sono un’unità, dal momen-
to che appartengono a categorie differenti; ii) bipede, e domestico fanno tutt'uno con animale dal momento che specificano, e delimitano, l’essere di animale!8. In sintesi, i termini linguistici come uomo, o cavallo, sono 18 caH6.
Per questi temi, si vedano anche Metafisica Z 12, Metafisica Z 4, e Metafisi-
Terza sezione
250
corretti se individuano proprietà reali!, se i termini si riferiscono a proprietà reali, e se gli enti che rappresentano loro concretizzazioni sono enti autenticamente esistenti, dove «autentica-
mente esistenti» sta per «enti delimitati dagli altri enti, enti non costituenti unità, che siano, per così dire, convenzionali». A detti enti ci si deve riferire, secondo le loro effettive condizioni di esistenza, vale a dire, se uomo è concretizzazione di una pro-
prietà reale, e se il termine ‘uomo’ individua effettivamente una proprietà reale, allora: i) uomo è un ente che esiste indipendentemente, ed
ii) è un ente che è adeguatamente denominato da ’uomo’. A proprietà reale corrisponde una concretizzazione le cui condizioni di esistenza sono espresse dalla proprietà medesima, e termini linguistici corrispondono a proprietà reali, se sono effettivamente corretti. Da queste affermazioni si possono trarre le seguenti conclusioni: a) x+y+z, per essere un’unità, devono presentare un contatto intrinseco;
b) x+y+z, se appartengono a categorie differenti, non presentano unità;
Cc) x+y+z, se sono un’unità, implicano una sola ed unica proposizione;
d) x+y+z, se non sono un’unità, implicano differenti affermazioni.
unità te, la ralità zione
Mi sembra a questo proposito significativa la relazione tra intrinseca ed unità proposizionale, come pure, d’altra parrelazione tra pluralità, ed eterogeneità di proprietà, e pluproposizionale. Si tratta, tra le altre cose, di prestare attenalla struttura del soggetto. Se il nome indicante una proè
19 In questa prospettiva, si comprende anche perché il nome indefinito non sia un nome: esso non ha un riferimento ad una proprietà, ma è, semplicemente, la negazione della proprietà stessa (cfr. De Interpretatione 2, 16a29-32; De Interpretatione 3, 16b11-15; De Interpretatione 10, 19b5-10).
252
Note su Ousia
prietà si riferisce ad una sola proprietà, allora questo nome darà luogo ad un soggetto autentico. Viceversa, se un nome, apparentemente unico, indicherà una pluralità di proprietà, allora detto nome darà luogo ad una pluralità di affermazioni. 10. Costituzione di essere, e di non essere,
all’interno del De Interpretatione. Si noti, tra le altre cose, il passo in cui Aristotele afferma
come ‘essere’ non significhi nulla per proprio conto, non abbia, cioè, un riferimento autonomo, ma costituisca, invece, un sem-
plice segno di congiunzione; Aristotele in De Interpretatione 3, 16b21-25,
asserisce:
«(...) ma non significa mai se una non essere, non sono mai segno della che è semplicemente. Esso, infatti, non cemente, una congiunzione, che non è
cosa è, o non è: infatti, l'essere, o il cosa, neppure qualora tu dica ciò è nulla in sé, ma significa, semplipossibile pensare senza le cose che
vengono congiunte (QX) et éomtw T pn oUnw onpatver où yàp TÒ elvar 7 pù elvar onpeidv tom TOÒ mpdypatos, oùs’ éàv TÒ 6v cimmns yédv. auTò pev yàp oùSsév éomw, mpoconpatver BÈ oUvoeoiv TuWAa, Tv dvev TOV cvyKepévwv oÙk ÉoTi voffoar).».
Per converso, si vedano le seguenti citazioni dei frammenti parmenidei, dai quali sembra di potere ricavare come l’essere sia qualcosa di per se stesso, e come i termini «essere» e derivati denotino qualcosa di per sé stessi, nel senso che ad essere, al termine «essere», corrisponde un oggetto ben preciso, fissato, determinato, che solo costituisce il dominio della pensabilità, e
della conoscibilità, laddove al non essere, in quanto, appunto, non è, non può corrispondere alcun tipo di oggetto, non può corrispondere nulla assolutamente, per cui il non essere si pone al di fuori del dominio della conoscibilità e della pensabilità. Il ragionamento parmenideo sembra consistere in una struttura di questo tipo: il non essere è automaticamente un non essere assoluto, dal momento che il non essere, di per se stesso, non è nulla; dal momento che il non essere è assoluto, e dal momento che, quindi, il non essere non ha caratteri, per dir così,
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positivi, il non essere non è né pensabile, né esprimibile. Si pone, in altri termini, una dicotomia inconciliabile:
ed oggetto del pensiero non può che essere l'è, dal momento che il non essere è privo di qualunque connotazione positiva. «Orsù, io dirò — e tu porgi orecchio alle parole che odi — quali sono le vie di ricerca che, sole, sono da pensare: l’una è che è, e che non è possibile che non sia {n pèv 6mws tonv kai ds ok Zon pù «val, e
questa è la via della Persuasione (giacché segue la verità), l’altra che non è, e che è necessario che non sia { 8’ W©s oùk
éotw
TE
Kai ds yxpewv
è
OT pi) eivar}, e questo, ti dico, è un sentiero inaccessibile ad ogni ricerca. Infatti il non essere non puoi né conoscerlo (è infatti impossibile), né esprimerlo {oùte yàp dv yvoins T6 ye pù éòv (00 yàp davvotév) oUTte dpdoars}.» (frammento n. B 2 Diels-Kranz);
Come si vede, questa prima citazione pone la radicale opposizione tra essere e non essere; mentre è la via dell’essere a costituire la via della ricerca, la via del non essere costituisce l’im-
possibilità di qualunque ricerca. Sembra, a questo proposito, che si pongano in contrapposizione estrema un essere assoluto,
ed un non essere assoluto. È, appunto, questa assolutezza del non essere, a costituire la ragione della sua inaccessibilità nei confronti di qualunque tipo di indagine, dal momento che il non essere assoluto non ha, a rigore, elementi per essere descrit-
to e, quindi, per essere conosciuto. Dal frammento successivo si evince l’intima connessione esistente tra pensare ed essere: Pi
«La stessa cosa, infatti, è il pensare e l’essere {tò yàp tottv Te kai eivar} (frammento n. B 3 Diels-Kranz)»;
abrò
voeîv
Soltanto l’essere, avendo esso una costituzione positiva, può essere descritto, e, quindi, può essere pensato e conosciuto;
dalla citazione successiva si può derivare l’intima concatenazione dell’essere con se stesso: i «Ma guarda, tuttavia, come le cose tra loro distanti sono, invece, per
opera della mente saldamente unite: infatti non scinderai l’essere dalla sua connessione con l’essere {où yàp dmorurizer
Tò Èòv TOÎ
éE6vtos
éxe
254
Note su Ousia
09a.}, né disgregandolo completamente in ogni sua parte, seguendo un certo ordine, né concentrandolo in se stesso (frammento n. B 4 DielsKranz).»;
Il frammento che segue ripropone, poi, la connessione tra parola, pensiero ed essere: «Per la parola ed il pensiero bisogna che l’essere sia: solo esso, infatti, è possibile che sia, ed il nulla non è: {xp Tò Afyew Te voeîv 7° éòv Eupevar:
fon
yàùp eivar
unsèv
8 oùk éotw} su questo ti esorto a ri-
flettere. Poiché da questa prima via di ricerca ti tengo lontano, ma anche da quella su cui errano i mortali che niente sanno, uomini a due teste: poiché è l’incertezza che dirige nei loro petti l’oscillante mente. Ed essi vengono portati avanti, muti e ciechi ad un tempo, attoniti, gente indecisa,
per cui l’essere ed il non essere è lo stesso e non è lo stesso, e per cui di ogni cosa vi è una strada che può essere percorsa in due sensi (frammento n. B 6 Diels-Kranz).».
Di nuovo, alla base del ragionamento sta il fatto che si dà un essere assoluto o un non essere assoluto: l’oggetto del pensiero non può che risiedere nell’essere assoluto, dal momento che il non essere assoluto è privo, in quanto tale, di qualunque determinazione positiva, e, di conseguenza, è privo, per dir così, di qualunque segno di riconoscimento, per cui giace completamente al di fuori del dominio della pensabilità; il frammento successivo costituisce la più completa contrapposizione di essere e di non essere all’interno dei frammenti parmenidei: «Poiché non potrà mai avere forza di costrizione che sia ciò che non è (où yàp pifmote TOoÒTO Sapîù civar pù éévTa); ma tu allontana, invece, il pensiero da questa via di ricerca, e fa che l'abitudine nata dalle
molte esperienze degli uomini non ti costringa a dirigere su questa strada l’occhio che non vede, ed il rimbombante udito, e la lingua, ma col solo
pensiero esamina, e decidi la molto dibattuta questione che da me ti fu detta. E rimane, ormai, da parlare solo della via che dice che è (uévos 8 ET pudos 080ì0 Xe{merar ws Éotw). Su questa vi sono moltissimi segni: essendo ingenerato è anche imperituro, poiché è integro nelle sue membra, e saldo, e senza un termine a cui tenda. E non è mai stato e non sarà mai, perché è ora tutto insieme nella sua compiutezza, uno, continuo (oUsé mot’ fiv ovs’ gota, emei viv tonw époò mav, év, cvvexés). Ed, infatti, quale mai origine vorresti cercare per esso? Come sarebbe na-
Ve
Terza sezione
295
to, e di dove? Dal non essere non tipermetto di dirlo, né di pensarlo (0Ù8 ÈK
ud
E6VTOS
tdocw
dadodar
o oÙsè
voeìv). Poiché non vi è possibilità
di dire o pensare che non è (où yàp daròdv oùsè vontév tonw &mws oùk éoni). E qual necessità, poi, dovrebbe averlo spinto a nascere dopo o prima, se comincia dal nulla? Così è necessario che sia in assoluto, o che non sia affatto (ti 5° dv pw kaù xpéos dpoev tortepov © mpéodev, Toò
unsevòs
div; oltus
àapédpevov,
7 ndpmav
merévar
xpeuv
tomw
î) ouxt). E neppure dall’essere la forza della convinzione potrà mai ammettere che nasca qualcosa di diverso da esso. Per questo né il nascere, né il perire, gli concesse Dike allentando i legami, ma lo tiene ben fermo. Intorno a queste cose non vi è altra decisione possibile: è, o non è (éomw i ok
éow). E, come era necessario, il nostro giudizio fu, quindi, di ab-
bandonare una delle vie perché impensabile ed innominabile (e, infatti, non è la strada della verità), e che l’altra è, ed è vera. E come potrebbe
l'essere esistere in futuro? e come potrebbe essere stato in passato? Poiché se fu, non è, e così non è, se dovrà essere in futuro. Così si estingue la na-
scita e la morte scompare. Ed, inoltre, non è divisibile, perché è tutto
uguale: né c’è, in qualche parte, un di più d’essere che possa impedirgli la contiguità di sé con se stesso, né un punto in cui meno prevalga, ma è tut-
to pieno di essere. Per questo è tutto continuo: ché l’essere all'essere è accosto. Ma, immobile, costretto nei limiti di vincoli immensi, è l’essere sen-
za principio, né fine, poiché nascita e morte furono respinte lontano, e le allontanò la vera convinzione. Identico nell’identico luogo restando, giace in se stesso, e così vi rimane immobile, ché la forza imbattibile della neces-
sità lo costrinse nelle catene del limite che intorno lo avvolge, poiché l’essere non può non essere compiuto; infatti non manca di niente, perché, se
fosse di qualcosa manchevole, mancherebbe di tutto (for yàp oùk èmSevés: tòv 8’ dv mavròs èéSeîto). La stessa cosa è il pensare ed il pensiero che è (tautòv
8° goTì
voeîv
Te
kai
oivekev
on
vonpa).
Ché, senza l’essere in cui è espresso, non troverai il pensiero: niente altro, infatti, è, o sarà, al di fuori dell'essere, poiché di fatti la Moira lo vincolò ad essere un tutto ed immobile; perciò non sono che puri nomi quelli che i mortali hanno posto, convinti che fossero veri: divenire e perire, essere e non essere, e cambiare di luogo e mutare lo splendente colore (où yàp dvev
TOÒ
é6vTO0s,
év
di
medariopévov
éoTw,
EÙUproets
TÒ
voeîv:
oUstv yàp forw i fora dio mapet TOÙ È6vTOS, Emei TO ye Moîp’ émé&noev oùlov dakivntov T' Épevar: TO ndvr’ dvop(a) éotar, 800a Bporo. katédevto menatdtes eivar dinBf, yiyveodat te *kaù voga,
elvat
Te
Kai
oùxi,
kai
Témov
diidocew
Sud
Te
Xxpda
da
vòv dapetRewv). Ma, essendovi un limite estremo, esso è compiuto tutto intorno, simile alla massa di una rotonda sfera, che dal centro preme in ogni parte con ugual forza: giacché è necessario che non sia in questo, o quel punto, di un poco più grande, o più piccolo. Ed, infatti, non c'è un non
256
Note su Ousta
essere che gli vieti di giungere a ciò che è a lui uguale, né un essere che, dell’essere sia qui, in misura maggiore, là minore, poiché è tutto quanto inviolabile. Ed, infatti, da ogni parte identico a se stesso, urta in ugual maniera nei suoi confini. E qui termino il discorso della certezza ed il pensiero intorno alla verità; e da questo momento apprendi le opinioni dei mortali, ascoltando l’ordine ingannevole che nasce dalle mie parole. I mortali, infatti, nelle loro dottrine hanno dato nome a due forme delle quali neppure una si deve nominare — ed in questo è il loro errore —, ed opponendole ne distinsero la figura, e vi apposero segni assolutamente diversi l’uno dall’altro: qui la fiamma del fuoco etereo, dolce, e lieve al più alto grado, e dappertutto uguale a se stesso, ma non uguale all’altro; ed anche quello per sé, come suo contrario: la notte senza luce, massa densa e pesante. Questa disposizione del mondo, puramente apparente, ti espongo in ogni particolare, così che non potrà mai vincerti qualsiasi opinione dei mortali (frammento n. B 7 - B 8 Diels-Kranz).».
Come si vede, ciò che è, è trattato quasi come un oggetto esistente di per se stesso, e, nel momento in cui ciò che è viene
trattato come un oggetto, allora tutto ciò che si pone come differente da ciò che è, è non-essere? Si vede, quindi, come, da un’opposizione assoluta tra ciò che è, e ciò che non è, unita ad un’interpretazione univoca di ciò che è, — interpretazione in virtù della quale ciò che è, ha un solo significato -, venga annullata la possibilità dell’esistenza di alcunché al di fuori dell’essere. Attraverso una chiarificazione linguistica, Aristotele è in grado — così almeno mi sembra -, di mostrare i limiti inerenti ad
una costruzione ontologica. D'altro canto, a proposito della giustificazione della negazione, e della possibilità stessa della negazione, mi sembra che Platone stesso sia già giunto ad un’efficace maturazione del problema; si veda, ad esempio, il passo contenuto in Sofista, 257b1-c4: «Lo Straniero. Vediamo ancora questo. Teeteto. Che cosa? Lo Straniero. Quando noi parliamo di «ciò che non è», è evidente che noi non parliamo di un opposto di «ciò che è», ma solo di una cosa 20. Questa è soltanto una delle possibili interpretazioni dei frammenti parmenidei. Per un’analisi delle diverse interpretazioni, si veda il libro di Mourelatos citato in bibliografia.
Terza sezione diversa (‘Omérav
yopev
Tò pù èv Alyopev,
TOÙ SvTos dil'ÉTEpPov Teeteto. Come?
2597
ds Éorkev,
oùk èvavttov
TI Xf-
uévov).
Lo Straniero. Quando, per esempio, parliamo di qualche cosa che non è grande; ti pare che noi indichiamo allora, col nostro dire, il piccolo, piuttosto che l’uguale? Teeteto. E come? Lo Straniero. E dunque, quando si dirà che negazione significa opposizione, noi non concederemo questo, ma soltanto, invece, ammettere-
mo che qualche cosa di altro indicano le particelle negative, come ui e où, preposte ai nomi che le seguono, o, piuttosto, poste davanti alle cose alle quali sono applicati i nomi pronunciati dopo la negazione (Oùk dp’, évavtiov STav àanéidacrrs AéynTar onpatvewv, cvyXwpnodpeda, TOCodtov Sè povov, STI TOV diiwv Ti pavier TÒ più kai TÒ où mpongépeva TOÒV EmMovTtWv dvopator, pa\\wov Sè TOV mpayudtwv mepì dTT' dv KkénTtar Tà emooeyyopeva dSoTtepov Ts dnopdoews ovdpata). °
Teeteto. Assolutamente.».
Come si vede, già Platone vede bene la differenza tra
un'opposizione e una negazione; la negazione non può essere assolutamente equiparata ad un’opposizione, pena la ricaduta
nelle reti parmenidee attestanti l'impossibilità del non-essere. La negazione trova poi il proprio posto accanto alla affermazione in De Interpretatione 6, 17a25-37, dove non si fa più menzione delle difficoltà della negazione stessa: «L'affermazione è il giudizio che attribuisce qualcosa a qualcosa (xatdpaos
sé tonv
amépavors
Twòs
katà
uvés). La negazione è,
invece, il giudizio che separa qualcosa da qualcosa (anépaos sé £oTw anépdavas mwvòs and mwvés). D'altra parte, poiché si può dichiarare, sia che ciò che appartiene a qualcosa, non vi appartiene, sia che ciò che non appartiene a qualcosa, vi appartiene, sia che ciò che appartiene a qualcosa, vi appartiene, sia che ciò che non appartiene a qualcosa, non vi appartie-
ne, e poiché lo stesso si può dire rispetto ai tempi all'infuori del presente, risulterà così possibile sia negare tutto ciò che qualcuno ha affermato, sia affermare tutto ciò che qualcuno ha negato. È, dunque, evidente che ad ogni affermazione risulta contrapposta una negazione, e, ad ogni negàzione, un’affermazione.
E la contraddizione dovrà considerarsi appunto questo, ossia l’affermazione e la negazione contrapposte. Dico, d’altronde, che un giudizio si contrappone ad un altro, se afferma, o se nega, una medesima determina-
258
Note su Ousia
zione rispetto ad un medesimo oggetto, prescindendo dall’omonimia (Méym
8è
davrikeèoda
TÙiV
TOÎ
aÙUTod
KkaTà
TOÙ
aùroî, — pù
bpw
vipos sé); dovranno, poi, essere rispettate tutte le altre precisazioni, che aggiungiamo per prevenire le capziosità sofistiche.».
Trasferirò ora la mia analisi su alcuni tratti degli Analitici Secondi. 11. Analitici
Secondi I, 42).
Inizierò l’analisi dei passi contenuti negli Analitici Secondi con il capitolo I, 4. Nel capitolo I, 4, dopo avere distinto i sensi in cui una co-
sa può dirsi appartenere ad un’altra cosa di per sé stessa, casi che si verificano, rispettivamente, a) quando una cosa appartiene alla definizione di un’altra e, b) quando una cosa appartiene ad un’altra, e questa appartiene alla definizione della prima??, Aristotele introduce la nozione di accidentale, come ciò
che non viene predicato né nel primo, né nel secondo dei sensi dell’appartenere di per se stesso. Il testo che mi interessa occupa le linee 73b3-10: «E similmente, in tutti gli altri casi, dico che sono tali le cose che appartengono a qualcosa in sé stesse; tutte quelle che, invece, non appar‘tengono in nessuno dei due modi, le chiamo accidentali, come quando il musico ed il bianco si dicono appartenere all’animale. E ancora, ciò che non è detto di un altro soggetto, come ciò che cammina è qualcosa d’altro, mentre è camminante, e il bianco è qualcosa d’altro, mentre è bianco, vale a dire, è una sostanza (ovota), e tutte le cose che 21
Il capitolo è importante per più ragioni, dato che in esso si trova, fra le altre
cose, la trattazione dell’universale, trattazione che sarà utile in altra sede. Qui mi soffer-
mo esclusivamente sulla questione della distinzione tra enti che sono di per sé stessi ed enti che sono per accidente, tra descrizioni essenziali e descrizioni accidentali.
22 La definizione dell’appartenere A a B di per se stesso è svolta nello stesso capitolo 4. In sintesi, A appartiene a B di per se stesso se: i) A appartiene a B e A appartiene alla definizione di B. ii) A appartiene a B e B appartiene alla definizione di A.
Terza sezione
259
significano un questo??, sono ciò che sono, senza essere qualcosa d’altro?4. Perciò, le cose che non vengono dette di un soggetto le chiamo cose di per sé stesse, mentre quelle dette di un soggetto le dico cose accidentali20.».
12. Punti dell’argomentazione.
Presento, in primo luogo, una breve sintesi delle argomentazioni. L'argomentazione aristotelica mi sembra riassumibile nei seguenti punti:
1) ciò che non appartiene a qualcosa di per se stesso è accidentale; esempi:
a) musico appartiene all'animale non di per se stesso; b) bianco appartiene all’animale non di per se stesso; 2) ciò che non è detto di qualcos’altro è una sostanza; 3) tutto ciò che è un questo?”, è quello che è, senza essere qualcosa d’altro; non si risale oltre;
O
4) distinzione conclusiva: i) ciò che non viene detto di un altro soggetto, è ciò che è di per se stesso; ii) ciò che viene detto di un soggetto, è ciò che è per accidente.
13. Analisi dell’argomentazione. In questi punti risultano interessanti alcuni elementi: in primo luogo, — la corrispondenza tra il non essere detto d’altro, e la definizione di una cosa che significhi un questo?8 come ciò che 23 168€ n. Qui il questo mi sembra indicare una compattezza interna nella definizione, piuttosto che indicare una relazione nei confronti dell’individualità. 24
oux éTepév
mr évta
éotì.
25. Sul concetto di xa0” ava si riparlerà anche a proposito di Metafisica Z 1. 26
tà pèv Sì ka@ Umokerpévou
ocvupepnkoTa.
27. od un «questo qualcosa». 28. od un «questo qualcosa».
ka aùtà
\éyw, tà SÈ Kad" Umokerpévou
260
Note su Ousia
esprime qualcosa che non viene detto d’altro; — la correlazione tra l’essere detto d’altro, e l'essere esistenzial-
mente dipendente.
Aristotele istituisce una correlazione tra l'essere predicato accidentalmente e l’essere accidentale, così come tra l’essere predicato di per se stesso, e l’esistere di per se stesso”; in effetti, la correlazione è, probabilmente, dovuta al fatto che, nel caso di qualcosa che venga predicato d’altro (qualità, quantità), si è sempre in presenza di qualcosa che si riferisce ad altro, per cui il suo essere detto accidentalmente rappresenta il rispecchiamento della sua dipendenza esistenziale. In altri termini, il fatto che la descrizione, o la caratterizzazione di un ente come, ad esempio, bianco, non esaurisca l’essere dell’ente stesso, significa che detta
descrizione rappresenta un mero accidente dell’ente. Ciò che viene predicato per accidente, è un accidente. D'altra parte, la correlazione tra non essere detto d’altro,
ed essere di per se stesso, risulta dalla identità tra uomo come soggetto, e uomo come predicato, nel senso che uomo, allorché venga predicato, non viene predicato di qualcosa che sia qualcosa d’altro, oltre uomo; mentre, per bianco, si sa che, di qualunque cosa venga predicato, bianco non rappresenta l’essenza, e non rappresenta le condizioni di esistenza di ciò di cui viene predicato, per converso, uomo rappresenta sempre l'essere, l’essenza e le condizioni di esistenza di ciò di cui viene predicato con verità. In questo senso, la correlazione tra tipo di predica| zione e tipo di esistenza, si comprende, ove si consideri che vi è un tipo di predicazione che esprime ciò che un ente di per se stesso è, e, quindi, esprime ciò che costituisce la condizione di
esistenza dell’ente stesso, mentre vi è un tipo di predicazione che esprime un accidente del soggetto e che, quindi, non esprime le condizioni di esistenza del soggetto. Le predicazioni di ti29. Il tema della correlazione tra l’essere predicato di per se stesso e l’esistere di per se stesso è presente in certo modo anche in Metafisica Z 1 (dove vengono affrontati i temi dell’essere tode ti e dell’essere ka@” aùr6), in Metafisica Z 4 (dove viene affrontato
il tema dell’essere tode ti e dell’opposizione tra tode ti e dXX0 kat” &XX0u) ed in Metafisica Z 6 (dove viene affrontato il tema del non essere detto di per se stesso).
Terza sezione
261
po accidentale presuppongono altri tipi di predicazione; detti tipi di predicazione precedono cronologicamente, e logicamente, la predicazione accidentale, dal momento che, per dire: «un uomo è bianco»,
si attribuisce qualcosa che non fa parte dell’essenza di un ente, ad un ente che è stato previamente riconosciuto come uomo.
Mentre, dal punto di vista della dipendenza esistenziale, bianco dipende chiaramente da uomo, — nel senso che, se non esistesse
uomo, non esisterebbe neppure il bianco che ad uomo viene attribuito —, dal punto di vista della predicazione, abbiamo un legame, o una connessione, per dir così, tra due enti appartenenti
a categorie differenti come quelle della sostanza e della qualità. Ciò che più importa, al momento, è che una predicazione accidentale «presuppone» sempre una predicazione essenziale, nella quale il soggetto sia riconosciuto per quello che è di per se stesso, nella quale, cioè, il soggetto sia riconosciuto per quelle che sono le sue condizioni di esistenza. In tale senso si può parlare di una anteriorità di uomo, rispetto a uomo bianco, anteriorità riservata naturalmente all’ambito dell’identificazione di un ente, e di anteriorità di una proposizione come: «questo è un UOMO»,
rispetto ad una proposizione come: «un uomo è bianco». 14. Classificazione.
-
Sulla base di queste distinzioni, vorrei proporre una classificazione di questo tipo: i) enti appartenenti alla categoria di sostanza, che vengono predicati esprimendo il che cosa è di ciò di cui vengono predicati, e che, in questo senso, introducono una proposizione,di
identità?°; le proposizioni in cui di un ente individuale si dice 30. L'uso del termine «identità» si deve naturalmente intendere con tutte le cautele del caso, dal momento che si potrebbe pensare ad una proposizione intesa come rapporto tra enti dello stesso tipo; in realtà, identità è qui usata per intendere che l’ente
262
Note su Ousta
quello che è, non presuppongono alcuna altra proposizione, né, d’altra parte, l’ente individuale, che viene, in questo mo-
do, classificato, presuppone una classificazione anteriore; ii) enti appartenenti alle altre categorie, che sono sempre altri rispetto al soggetto, all’ente individuale; detti enti, che svolgono
una funzione esclusivamente caratterizzante nei confronti degli enti cui vengono attribuiti, presuppongono, sempre, una precedente classificazione dell’ente cui vengono attribuiti, nel senso che uomo singolo, cui venga attribuito l’essere bianco, è già stato autonomamente
classificato come, appunto, uomo,
in maniera indipendente rispetto all’essere bianco?!. 15. Differenza tra enti esistenti di per sé stessi ed enti esistenti per accidente. Un elemento interessante, nel discorso aristotelico, è il fatto che essere un questo? significa essere quello che si è, senza
essere qualcosa d’altro oltre quello che si è. Sembra che il senso di tode ti qui sia equivalente: — al non avere la struttura dell’essere qualcosa predicato di qualcosa d’altro, e, — all’essere inteso come un tutto compatto, come un insieme che non abbia elementi eterogenei. In altre parole, una sostanza è qualcosa che non è qualcosa individuale è, appunto, ciò che la sostanza esprime, nel caso di uomo, ciò che l’uomo è.
Si tratta, per coniare un termine, di un’«identità indeterminata», che ha soprattutto la funzione di rivolgersi contro le posizioni accademiche criticate nel De Ideis, per le quali la causa dell’avere un ente una determinata proprietà, va sempre cercata in un ente esterno allo stesso ente preso in considerazione. Per il concetto di identità indeterminata, si veda il saggio di Urbanas, citato in bibliografia. 31 Si potrebbe estendere la discussione, prendendo in esame enti come ’uomo bianco’, nel senso di porre la questione se detti enti siano enti detti di per sé stessi od enti detti per accidente. Aristotele affronterà la questione sia nel libro Delta della Metafisica, capitolo 7, dove li considererà unità accidentali, sia nei capitoli Z 4 e Z 6, dove dirà che, di essi, non si dà essenza o, se si dà, si dà soltanto in maniera secondaria. La
posizione aristotelica mi sembra, al riguardo, oscillante.
32 od un «questo qualcosa».
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d’altro, oltre quello che è, ed un termine che indica una sostanza, che si riferisce ad una sostanza, non indica, né si riferisce ad
una sostanza, esprimendo qualcosa di diverso da ciò che la so-
stanza sia??.
Termini come bianco, o come camminante, dal canto loro,
non indicano qualcosa che sia di per se stesso o qualcosa che sia un questo?4; essi indicano, invece, qualcosa che è qualcosa d’altro, oltre l’essere bianco, o oltre l'essere camminante, qualcosa le cui condizioni di esistenza sono differenti, sono comunque altro, rispetto all'essere bianco, o camminante?. Per quanto concerne l’identità e la differenza di predicazione, va precisato che Aristotele sta togliendo la presenza di uno spazio autonomo ai predicati essenziali, in quanto identifica un ente con l’essere dell’ente, mentre toglie la presenza di uno spazio autonomo ai predicati accidentali, in quanto considera, tali enti, come enti sempre dipendenti, dal punto di vista esistenziale, dagli enti sostanziali. Quindi, in entrambi i casi di predicazione, nonsi può, né si deve parlare di un’autonomia esistenziale dei predicati, dal momento che il predicato, che esprime l’essere di per se stesso di un ente, non esprime qualcosa di diverso e di indipendente, mentre il predicato che esprime una proprietà accidentale esprime sempre qualcosa di diverso dall’ente sostanziale. 33. Naturalmente queste osservazioni sono da collegare al contenuto espresso in Metaph. Z 1, dove risulta a chiare lettere la dipendenza esistenziale dei termini non appartenenti alla categoria di ousia, dai termini che alla categoria di ousia appartengono. Le ousiai sono sempre un presupposto di una predicazione.
o;
34 od un «questo qualcosa». 33 Mi chiedo, a questo proposito, se, oltre alla distinzione tra accidenti e sostanze, in quanto fondata sulla esistenza, o non esistenza, indipendente, non si debba parlare anche di una osservazione accidentale ed una osservazione reale, o essenziale, di un ente. Vedere, o chiamare un ente, bianco o camminante, non è, infatti, considerare l'oggetto
nelle sue proprietà essenziali-esistenziali, bensì è osservare l’oggetto nelle sue proprietà accidentali, nelle proprietà che può acquisire, o perdere, rimanendo, comunque, quello che è, vale a dire, è osservare l'oggetto nelle proprietà che non costituiscono le sue condizioni di esistenza; al contrario, chiamare un ente che sia uomo, appunto, uomo, è chia-
marlo secondo le sue condizioni di esistenza, vale a dire, secondo le proprietà che dettano la sua ragione d’essere. In questo senso, se da un lato si deve parlare di divisione tra enti accidentali ed enti sostanziali, penso non sia del tutto erroneo parlare di divisione tra considerazioni accidentali e considerazioni essenziali di un ente, tra modi di riferirsi ad un ente in maniera accidentale, e modi di riferirsi ad un ente in maniera essenziale.
264
Note su Ousta
16. Osservazioni sull'essere xa@? aùrò.
Vi sono alcune notazioni importanti da fare, circa l'essere predicato di per se stesso. In effetti, Aristotele ritiene che vi siano proprietà che vengono predicate di per sé stesse di ciò di cui vengono predicate, nel senso che l’ente individuale ha determinate proprietà di per se stesso, è deterzzinate proprietà di per se stesso. Per converso, un ente individuale, che non sia nulla di per se stesso, è, in primo luogo, semplicemente un portatore, un
ricettacolo di proprietà, un ente che non è altro, oltre alle sue proprietà accidentali, un ente che, per qualunque proprietà gli venga attribuita, non è quella proprietà, non è identificabile con quella proprietà. Si deve, a questo proposito, porre la giusta attenzione alla correlazione presente tra: i)
l’essere glienti detti in relazione ad altro;
ii) l’essere gli enti semplici portatori di proprietà; iii) il non esserci proprietà che gli enti individuali abbiano di per sé stessi;
iv) il non essere, dette proprietà, predicabili di per sé stesse degli enti di cui vengano predicati;
e, d’altra parte, i)
l'essere gli enti detti di per sé stessi;
ii) l’esserci proprietà che vengono dette di per sé stesse degli enti di cui vengono predicate; iii) il non essere, gli enti, semplici portatori di proprietà. In altri termini, vi sono profonde correlazioni tra l’essere detto di per se stesso, e l'apparato ontologico che viene costruito sulla base di ciò che si ammette possa essere soggetto di una tale proposizione, nel senso che, se si ammette che gli enti concreti concretizzino a sufficienza le proprietà che vengono loro attribuite, ciò starà a significare che gli enti primari sono gli enti individuali, mentre, se non si ammette questo, allora si tenderà a
porre qualche altro ente come ciò di cui le proprietà vengono predicate di per sé stesse. Aristotele, questo è il punto importante, ammette che gli enti individuali concreti possano essere fatti
Terza sezione
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oggetto di predicazione costituita dall’essere di per se stesso. In un certo senso, la diversa interpretazione circa ciò che può valere come detto di per se stesso, nonché la differente valutazione dei soggetti di cui determinate proprietà possono valere di per sé stesse, porta alla costruzione di apparati ontologici molto differenti. Questo discorso verrà sviluppato in altri passi?5. 17. Sintesi dei risultati di Analitici Secondi I, 4.
Ricapitolando, fondamentale è la differenza che intercorre tra enti che sono di per sé stessi, — che sono gli enti non detti di un altro soggetto, gli enti basilari —, e gli enti che, invece, vengono detti di un altro soggetto, che, in quanto, appunto, detti di qualcosa d’altro, non compaiono nella definizione, e nell’essenza, dell’oggetto stesso, ed in quanto tali, non sono essenziali, ma
sono puramente accidentali. Aristotele intende fondare la primarietà ontologica sul non essere predicato d’altro, il che è, naturalmente, simile alla posi-
zione delle Categorie, con l'aggiunta secondo la quale il significare un questo?” equivale ad essere un tutto compatto, un tutto unito, privo di elementi eterogenei al proprio interno: la strategia aristotelica sembra essere quella di levare, da un ente, le proprietà che sono accidentali, in quanto dette proprietà non esprimono le condizioni di esistenza dell'oggetto, e non costituiscono un modo appropriato per dire che cosa sia un ente, non formano, cioè, un modo appropriato per stabilire come chiamarlo, come definirlo. Vi sono, pertanto, enti predicati in modo secondario, ed enti predicati in modo primario, proposizioni secondarie, e proposizioni primarie. Ad enti considerati nelle loro condizioni esistenziali corrispondono proposizioni primarie, e predicazione ed identificazione primarie, mentre, ad enti considerati nelle loro proprietà accidentali corrispondono proposizioni secondarie, e predicazioni secondarie. é 36 Si veda, a questo proposito, l’analisi di passi estratti dai dialoghi platonici. In aggiunta si vedano le osservazioni contenute a proposito del De Ideis nel terzo volume del presente studio. 37 od un «questo qualcosa».
266
Note su Ousta
La presenza di queste correlazioni va sempre tenuta pre-
sente:
— un ente è inteso nelle sue condizioni di esistenza, per cui è interpretato secondo la sua essenza; inoltre esso implica una proposizione essenziale, primaria, identificativa; oppure, — un ente è inteso nelle sue proprietà accidentali, per cui implica una proposizione accidentale, secondaria rispetto alla proposizione eminentemente identificativa. 18. Analitici Secondi I, 19.
Il testo presente in Analitici Secondi I, 4 va posto in correlazione con un altro testo, presente in Analitici Secondi I, 19;
qui l’inserzione della corretta interpretazione del soggetto ontologico e, conseguentemente, della predicazione, si pone in questo senso: i) si cerca che cosa sia una predicazione che valga di una cosa, intendendo la cosa per quello che essa, di per sé stessa, è; ii) si dice che la predicazione di una cosa di per sé stessa, va distinta dalla predicazione accidentale. Nel contesto della proposizione accidentale, Aristotele fa presente che la proposizione accidentale è da intendere con soggetto, ed accidente, posti al posto giusto: non si deve confondere ciò che può effettivamente occupare il posto del soggetto logico-predicativo, che è correttamente inteso soltanto allorché ad ‘esso corrisponda un soggetto in grado di esistere autenticamente di per se stesso, con ciò che può grammaticalmente essere posto al posto del soggetto logico-predicativo, ma che, in realtà, non costituisce un soggetto autonomo. Questa parte potrebbe essere considerata come un’osservazione preparatoria in vista della più estesa trattazione contenuta in Analitici Secondi I 22; il testo che, al momento, ci ri-
guarda si trova alle linee 81b23-29: «La cosa sta così: dal momento che c’è ciò che in sé è predicato d’altro non accidentalmente, — chiamo ciò che viene detto accidentalmen-
Terza sezione
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te come, per esempio, quando diciamo che quel bianco?8 è uomo (Méyw SÈ TÒ Kkarà
cuupepnkds,
otov
TÒò \eukév
mor’
èkeîvé
dapev
eîvar
Gv@pwmov), mentre non parliamo nello stesso modo di quando diciamo
che l’uomo è bianco: infatti, non è il caso che, essendo qualcosa d’altro, sia bianco, mentre il bianco è un uomo, dal momento che all’essere uomo è attribuita accidentalmente la proprietà di essere bianco (oùx 6potws XÉ YOvTES Kai Tòv dvopwmov Aeukév: © pèv yàp oùx ‘Erepév n div \eukds tot, Tò Sè Aeukdv, ST cvupépnke TG dvepuimo eîvar \euk@) — perciò vi sono alcune cose tali che esse sono predicate di per sé stesse.».
I contenuti espressi in queste righe possono essere sintetiz-
zati in questo modo: 1) ci sono cose che sono predicate d’altro non accidentalmente;
2) mettere al posto delsoggetto, bianco, ed al posto del predicato, uomo, è predicare accidentalmente. Come si vede, il problema che si profila è se sia bianco attributo di uomo, o se, invece, uomo sia attributo di bianco: for-
mulando un’espressione come «bianco è uomo», sembrerebbe che, a bianco, venga attribuita la proprietà di essere uomo; in
realtà, la correttezza proposizionale va commisurata sulla base della considerazione di ciò che esiste indipendentemente, e di ciò che, al contrario, dipende da altro per la propria esistenza. In questo senso, bianco non può fungere da soggetto per uomo, in quanto è uomo che esiste indipendentemente, ed è bianco che ad esso viene attribuito; infatti, è uomo che costituisce la possibilità di esistenza per bianco, pur non costituendo, con bianco, un’unità auto-causata??, un’unità essenziale, compatta,
38. od, in alternativa, quella cosa bianca.
39. Per unità auto-causata intendo l’unità tra le parti della definizione: così, uomo ha unità tra le parti della propria definizione, in quanto tutti i predicati che pertengono alla definizione di uomo sono predicati interni all'essenza di uomo, laddove uomo bianco non è un’unità auto-causata, dal momento
che uomo non è, di per se stesso,
bianco, né bianco, d’altra parte, è, di per se stesso, appartenente ad uomo. Entrambi gli enti sono estranei l’uno all’altro, per cui non formano un’unità intrinseca, ma soltanto un’unità di parti eterogenee che, in quanto tali, non costituiscono
né qualcosa di definibile, né qualcosa di unitario, né qualcosa di primario: uomo bianco,
268
Note su Ousia
ma costituendo, al contrario, con bianco, un insieme di elementi
eterogenei formati dall’unione di un ente appartenente alla categoria di sostanza con un ente appartenente alla categoria di qualità. La fondatezza di una proposizione si basa sulla corrispondenza con l’ontologia, vale a dire, è il sistema categoriale, in
quanto espressione del rapporto di dipendenza di determinati enti, nei confronti degli enti primarî, a stabilire quale sia la corretta interpretazione della proposizione, e degli elementi della proposizione.
19. Analitici
Secondi I, 22.
Un testo che può fornire ulteriori informazioni circa la struttura della predicazione corretta e, parimenti, circa il soggetto ontologico fondamentale, è il testo contenuto in Analitici Secondi, capitolo 22, libro primo: qui il contrasto tra predicazione accidentale, e predicazione propria, è più forte. Il testo è contenuto alle linee 83a1-14: «Si può dire con verità, che il bianco cammina, e che quella cosa
grande è legno, ed ancora, che il legno è largo e che l’uomo cammina. Parlare nel primo senso, e parlare nel secondo senso, sono cose differenti. Allorché dico che il bianco è legno, dico che ciò che è accidental-
mente bianco, è legno, ma non che il bianco è il sostrato per il legno9: e, infatti, non è il caso che, essendo bianco, né essendo proprio una cosa
bianca, sia venuto ad essere legno, cosicché non sia legno, se non per via accidentale! 1 Ma, allorché dico che il legno è bianco, non dico che qualcosa d’altro è bianco, e che a quello è accidentale essere legno, come quando dico che il musico è bianco (allora, infatti, io dico che l’uomo, che accidental-
mente è musico, è bianco), ma il legno è il soggetto4, che anche venne ad infatti, non è un ente primariamente esistente; primariamente esistente è, semmai, uo-
mo, che, tra le proprie proprietà accidentali può avere, o non avere, quella rappresentata dall’essere bianco. 40 TéTe Xéyw Str d cvupepnee Umokelpevov TO EUiW TÒ Xeukév éoTi.
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ESNov, ot” oÙk
42 Il passo serve a chiarire varî punti, fra i quali l’impossibilità di risalire oltre
Terza sezione
269
essere , senza essere qualcosa d’altro oltre al legno, o ad un le-
gno particolare!.».
Il testo aristotelico, pur in poche righe, ci presenta molti aspetti interessanti:
1) esempi di predicazione innaturale: a) il bianco cammina;
b) quella cosa grande è legno; 2) senso della predicazione innaturale: ciò che accidentalmente è bianco, è identificabile come legno;
3) il bianco non è sostrato, o soggetto per il legno, in quanto è il legno ad essere soggetto ontologico; 4) legno costituisce l’ultimo soggetto di predicazione: non si tratta di qualcosa d’altro che sia anche bianco, e legno, oltre quello che è; 5) l'essenza dei soggetti ontologici determina ciò che è soggetto ultimo di predicazione: legno esprime l’essenza di un soggetto ontologico, quindi legno è il soggetto ultimo di predicazione. 20. Analisi di Analitici
Secondi I, 22.
I punti espressi in questo inizio di capitolo sono molto complessi, anche se costituiscono, almeno in parte, una ripresa un determinato tipo di attribuzioni, e l'impossibilità di mettere tutte le proprietà di un ente sullo stesso piano. Per quanto concerne il primo punto, mentre è possibile dire che qualcosa che è bianco sia, in virtù di se stesso, qualcosa che è altro oltre all’essere bianco, non si può, poi, andare oltre il suo stesso essere quello che viene ad esso attribuito
per essenza. In altri termini, arrivati a quello che l’ente è, non ha più senso alcuno domandare che cosa l’ente stesso sia, oltre a quello che è, quasi a volere porre in questione che vi sia qualcosa che l’ente stesso è precedentemente alla propria essenza. La posizione di essenze, in questo senso, serve a non procedere oltre nella strada dell’attribuzione di proprietà, ed a non porre tutte le proprietà sullo stesso piano. Se un ente, allora, è analizzabile per quanto concerne le proprietà accidentali, nel senso che è altro, di per se stesso, rispetto a queste stesse proprietà, nello stesso tempo l’ente medesimo non è altro rispetto alle proprietà essenziali. 4°
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270
Note su Ousia
di concetti già espressi: si tratta di determinare che cosa sia il vero soggetto, senza cadere nella trappola della confusione tra soggetti ontologici; la discussione in corso si potrebbe definire come la ricerca del vero soggetto, i cui risultati devono dettare le condizioni corrette di predicazione; detta discussione potrebbe essere, altresì, definita come la ricerca della vera connotazio-
ne di un soggetto, vale a dire, delle condizioni sotto le quali un ente è descritto in modo appropriato per quello che è, per quelle che sono le sue condizioni di esistenza, per quelle che sono le sue proprietà essenziali.
I due temi, quello della descrizione autentica del soggetto, e quello della predicazione autentica, mi sembrano strettamente intrecciati: individuare in quale modo il soggetto sia effettivamente descritto nel suo essere quello che è, significa anche indicare che cosa può fungere da soggetto ontologico autentico. Infatti, dire che bianco non è un soggetto ultimo, in quanto bianco si appoggia su qualcosa d’altro, significa dire che le descrizioni appropriate di ciò che è di per se stesso non devono esprimere la necessità di un ulteriore sostegno ontologico. Di conseguenza, se si vuole trovare il vero soggetto di predicazione, si deve cercare l'essenza autentica dei soggetti, quello che costituisce la causa formale degli enti stessi: ho enti soltanto se conosco l’essenza, ho un riferimento autentico, un modo autentico di chiamare un ente, soltanto se ho in mano l’essenza dell’ente, in
maniera tale che l’ente sia quella proprietà, o quella determinata serie di proprietà, e niente altro. Nel capitolo 22, allora, l'opposizione introdotta da Aristotele è sintetizzabile nei seguenti punti: a) tra il considerare come soggetto ontologico bianco, cui per accidente sia attribuito l'essere legno, e, b) il considerare come soggetto ontologico legno, e considerare come accidente bianco. Il punto è che soggetto può essere, a rigore, soltanto ciò che esiste indipendentemente: porre bianco come soggetto significherebbe porre una qualità come esistente indipendentemente, laddove le qualità sono sempre qualità di qualcosa, ine-
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renti a qualcosa, e non possono esistere, ove siano private della loro inerenza: questo è il senso della distinzione aristotelica per la quale non è il bianco che fa da soggetto, o che fa da sostrato, nei confronti del legno, quasiché il legno sia un elemento accidentale che si aggiunge al bianco, il quale, in questo caso, dal canto suo, costituirebbe un ente autonomo. Ad ente autonomo
deve corrispondere l’autentico soggetto; data la dipendenza di bianco, considerare bianco come soggetto, significherebbe invertire i termini della dipendenza e dell’indipendenza ontologica; ho enti indipendenti esistenzialmente, se questi enti non sono detti d’altro, se la loro connotazione, se la loro descrizione
non rimanda a qualcosa d’altro oltre quello che è; d’altra parte, come avviene nel caso di bianco, dato che bianco esprime qualcosa che dipende da qualcosa d’altro, allora bianco non esprime né un soggetto primario, né un’essenza di un soggetto primario.
Ricapitolando i risultati che sono stati raggiunti fin qui, si vede che Aristotele intende distinguere tra enti detti di per sé stessi, ed enti che sono detti accidentalmente, dove soltanto i
primi esprimono effettivamente che cosa un ente sia, e soltanto i primi esprimono altresì quali siano gli enti di esistenza primaria,
quali siano, cioè, gli enti capaci di esistenza indipendente. 21. Conferma della ricerca di un soggetto indipendente in Analitici Primi. Esposizione di Analitici Primi I, 27. Al passo contenuto in Analitici Secondi 22 se ne può avvicinare un altro, contenuto in Analitici Primi I, 27, che, per certi
versi, esprime contenuti simili a quelli espressi negli Analitici Secondi. Il testo è contenuto alle linee 43a25-36: «Tra tutti gli enti, alcuni sono tali da non venire predicati di nessun altro ente, con verità, in modo universale (come Cleone e Callia, l’individuale e il sensibile) ( ‘Amavtwv & TOv Svrwv tà pév éonr Toradta dinods ka@diou (oîov punsevòs dX\Xov KkaTnyopeioda dote Katà mentre vi soaioc@ntév), kai ékaotov ka” Tò kai Kiéww kai KaXM{as no enti che si predicano di questi (ed, infatti, ciascuno di questi è uomo, e
animale) (xatà
Sè TosTwv
dXa (kai yàp dvpwmos
kai dov
Ekate
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Note su Ousta Todtwv
éott)); altre cose, invece, si predicano, esse stesse, di altre
ancora, mentre altre non si predicano anteriormente di queste (tà 8’ aùtà Npèv Kat’ d\X}wwv KkaTnyopeîtar, kartà Sè TOUTWV d\}a mpoTepov où Katnyopettar); altre cose, invece, si predicano di altre, mentre altre si
predicano di queste prime, come uomo si predica di Callia, ed animale si predica di uomo (tà Sè kaì aùrtà dMMwv kai aùT@v EÉTepa, oiov dvapwmros KaXX{ov kai dvapumov Gov). È manifesto, dunque, che alcuni degli enti non sono atti per natura
ad essere detti di qualcosa: infatti, ciascuno degli enti sensibili è, per dir così, tale da non essere predicato di nulla, se non per accidente: diciamo, infatti, talvolta, che quel bianco è Socrate, e che ciò che si sta avvicinando è Callia (6t1 pèv oùv éna TGv Svrwv Kat” oùsevòs méduke XÉyeosar, 8fov: TOV yàp alo@nTOv oyxesòv ékaoTdv tori TOLOÙTOV hù Kat yopetodar kaTà pundevdés, mv ds kaTà ovufpeRnkés: dapèv yap mOTE TÒ Aeukòv ékeîvo ZwkpdTnv elvar kai Tò mpooròv KaXMayv).».
22. Analisi di Analitici Primi I, 27.
Si tratta a questo proposito di considerare nella debita dimensione quanto Aristotele sta sostenendo in questi punti; in
primo luogo, è interessante il modo in cui Aristotele considera le proposizioni come: — «quel bianco è Socrate», 0, — «ciò che si sta avvicinando è Callia»,
dal momento che fa vedere come proposizioni, che non considerino la priorità ontologica nei rapporti soggetto-predicato, sono proposizioni accidentali, proposizioni che non considerano, * nel modo dovuto, i rapporti di priorità e che, pertanto, risultano mal costruite. D'altra parte, queste proposizioni pretendono di descrivere un ente sulla base di considerazioni puramente accidentali, come quella dell’avvicinarsi, o quella dell’essere bianco,
e non sulla base di descrizioni che rispondano veramente a descrizioni essenziali, a descrizioni che esprimano, effettivamente, le condizioni di esistenza degli enti: il fatto è che un ente viene chiamato correttamente soltanto sulla base del nome che esprime l’essenza dell’ente stesso. Socrate non è quel bianco, nel senso che non è, di per se stesso, quel bianco, ma è, di per se stesso, un uomo. Considerare
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come ente autonomo, capace quindi di essere predicato, bianco, significa non avere un’idea corretta del mondo degli enti e delle essenze degli enti stessi. La cattiva grammatica è cattiva ontologia. Il testo è interessante, tra le altre cose, in quanto segna una precisa distinzione tra enti che non sono costitutivamente predicabili, ed enti che sono predicabili, dove gli enti non predicabili sono gli enti che costituiscono il fondamento ontologico degli altri enti; gli enti non predicabili sono gli enti individuali, i particolari: detti enti non sono predicabili, in quanto non sono comuni, non appartengono a più enti in comune: l’ente individuale costituisce un tutto unitario spazio-temporalmente delimitato, circoscritto, differente numericamente dagli altri enti; esso costituisce, in una formula, un tutto separato.
In definitiva, nella
speculazione aristotelica si danno, alla base della realtà, enti individuali, singoli, particolari, che, per il fatto di non essere comuni ad altro, non sono predicabili d’altro, mentre tutto viene
riferito, indirettamente o direttamente, a detti enti; in questi passi Aristotele pone una linea di sbarramento tra gli enti individuali, che non vengono predicati d’altro, e gli universali. Ricapitolando i risultati raggiunti nel corso dell’analisi dei diversi passi presi dagli Analitici Primi, e dagli Analitici Secondi riguardanti il soggetto, e la descrizione essenziale, ed accidentale del soggetto, Aristotele intende individuare i soggetti autentici, ontologicamente fondati, ed intende distinguerli dai soggetti intesi soltanto grammaticalmente, ai quali non corrisponde un soggetto ontologicamente indipendente. La struttura della proposizione deve adattarsi, o deve essere vagliata, sulla base della
struttura della esistenza indipendente, e della esistenza dipendente. In altri termini, si hanno descrizioni adeguate, e nomi di descrizioni adeguate, da una parte, e descrizioni inadeguate, e
nomi di descrizioni inadeguate dall’altra. 23. Osservazioni conclusive
La distinzione tra:
a) ciò che non viene detto di un soggetto, e, b) ciò che viene detto di un soggetto,
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Note su Ousia
intesa come distinzione tra i predicati che esprimono ciò che connota e descrive un ente in maniera, per dir così, ultima, deci-
siva, definitiva, e predicati rispetto ai quali una cosa è già comunque connotata e descritta come qualcosa d’altro, merita qualche attenzione supplementare:
— in primo luogo, presupposto implicito del ragionamento è che vi siano, effettivamente, predicati che esprimano l’essere di un ente in se stesso; altrimenti detto, l’ente è, in maniera
determinata, qualcosa, nel senso che l’ente non è sempre qualcosa d’altro rispetto alle proprietà che vengono ad esso attribuite, ma è talvolta altro rispetto a queste proprietà, talvolta no (uomo è altro rispetto a camminante, ma non è altro rispetto a uomo; uomo esprime il suo essere e le sue condizioni di esistenza);
— su questa base si fonda la distinzione tra sostanza ed accidente, vale a dire, vi sono proprietà che sono sostanziali, e vi so-
no proprietà che non sono sostanziali, nel senso che, nel caso delle prime, si tratta, appunto, di proprietà che un ente non può perdere, laddove nel caso delle seconde, esse possono essere acquisite, o perse, senza mutamenti nell’ente stesso; — l’essenza di un ente stabilisce, pertanto, le condizioni di esi-
stenza dell’ente stesso, la serie di proprietà che contraddistinguono un ente rispetto agli altri enti; d’altra parte, il fatto che un ente sia una determinata essenza, per quanto concerne le
proprie condizioni di esistenza, significa che esistere è essere questa, o quella determinata essenza, significa, altrimenti det-
to, che esistere non è un concetto vuoto, o che si limiti ad essere espresso, appunto, da esistere; in altri termini, nessun ente esiste e basta, ma, per ogni ente, esistere è concretizzare
una determinata serie di proprietà. Si potrebbe, allora, distinguere tra proprietà «decisive» per l’esistenza di un ente, e proprietà «non decisive» per l’esistenza di uno stesso ente; — è significativo anche che, nella determinazione dell’essenza di un ente, si risalga fino al punto, vale a dire, fino alla proprietà, che non è diversa dall’ente stesso; mentre, nel caso del camminare, o del camminante, si può naturalmente dire che
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ciò che cammina, è pur sempre qualcosa di diverso dal camminare, non si può dire che uomo sia qualcosa di diverso dall’uomo singolo, o che un uomo singolo sia qualcosa di diverso da uomo;
il senso dell’identità tra l’essere di per se stesso, in quanto appartenente ad un ente individuale nell’essenza dell’ente individuale, e l’essere di per se stesso, in quanto non si è predicati di altro, consiste nel fatto che ciò che appartiene di per se stesso, non esprime un qualcosa di diverso dall’ente di cui viene predicato. Uomo è nella definizione di uomo singolo, per cui, appartenendo all’essenza dell’uomo singolo, è di per se stesso ciò che l’uomo singolo è.
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INDICE
Ringraziamenti
Lil
Prefazione
13 Prima Sezione
1. 2. 3.
Introduzione Collocazione «continuista» dell’interpretazione proposta Temiesezioni
DI 62 69
Seconda Sezione 1. Categorie 2. Premessa introduttiva. Ousia nelle Categorie. Elementi di continuità 3. Differenza tra omonimia e sinonimia. Condizioni di sinonimia
4. Elementi platonici 5. La posizione contenuta nel capitolo 22 delle Confutazioni sofistiche 6. Contrapposizioni predicative 7. Distinzione tra enti indipendenti ed enti dipendenti. Categorie 2, 1a20-1b9 8. Sintesi 9. Struttura della realtà 10. Criterio del soggetto 11. Caratteri dell’ontologia 12. Statuto ontologico dell’ente individuale sostanziale 13. Teoria dell'ente come concretizzazione di un universale. Posizione essenzialista di Aristotele
1
80 88 95 - 106 108 115 BIS 122 122 PI26 128
25
306
Note su Ousia
14. 15. 16. 17.
Note sull’essenzialismo in Metafisica Gamma Unità auto-causata. Sistema del cambiamento Sintesi dei risultati raggiunti Categorie 5, 2a34-b7. Indipendenza e dipendenza esistenziale 18. Riflessioni 19. Tipi di predicazione 20. Predicazione per sé e predicazione per accidente
136 155 160 162 165 15 175
21. Relazione enti-predicazione
71
22. Considerazioni conclusive concernenti i tipi di predicazione 23. Rifiuto aristotelico dell’ontologia gradazionale
180 183
24. Distinzione tra sostanze prime e sostanze seconde
fai
25. Equiparazione della sostanza prima ad un questo (tode ti), e della sostanza seconda ad un quale (trorév)
26. Conferma della strategia delle Categorie: la posizione di De Interpretatione 7 27. Osservazioni su Metafisica M 10
192
203 207
28. Schema: enti, concretizzazioni, unità
212
29. Categorie 14a, 6-10. Condizioni di esistenza delle proprietà 30. Categorie 3b24-4a22: sostanza come ente che non ha
215
contrario, e come unico ente in grado di assumere i contrarî
218
31. Ricapitolazione dei risultati raggiunti
223
Terza Sezione
1. 2. 3. 4. 5.
Introduzione Programma dei testi Obiettivi dell’analisi Schema Requisiti della descrizione dell’ente indipendentemente
231 232 233 DI
esistente
240
6. Contrasto tra predicazione naturale e predicazione innaturale 7. De Interpretatione 1 8. De Interpretatione 8 9. De Interpretatione 11. Argomento a conferma delle
tesi precedenti 10. Costituzione di essere, e di non essere, all’interno del De Interpretatione
241 242 245
249 252
Indice BL; 12. 15: 14. ha:
Analitici Secondi I, 4 Punti dell’argomentazione
Analisi dell’argomentazione Classificazione Differenza tra enti esistenti di per sé stessi ed enti esistenti per accidente 16. Osservazioni sull’essere xa@° aùrd
L. 18. 19. 20. 21.
Sintesi dei risultati di Analitici Secondi I, 4 Analitici Secondi I, 19 Analitici Secondi I, 22 Analisi di Analitici Secondi I, 22
Conferma della ricerca di un soggetto indipendente in Analitici Primi. Esposizione di Analitici Primi I, 27
307 258 259 259 261
262 264 265 266 268 269
DIS Analisi di Analitici Secondi I, 27 23, Osservazioni conclusive
271 212 215
Bibliografia
271;
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Finito di stampare nel gennaio 2001 in Pisa dalle EDIZIONI ETS
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Aristotele, Categorie 5, 3b10-23: «Ogni sostanza sembra significare un questo. Per quanto riguarda, allora, le sostanze prime, è incontrovertibile, ed è vero che la sostanza prima significa un questo; infatti ciò che viene manifestato è individuale, ed è uno di numero. Per quanto riguarda le sostanze seconde, d’altra parte, sembra che, allo stesso modo, a giudicare dalla forma del nome, esse significhino un questo, qualora uno dica uomo, o animale; ciò, d’altra parte, non è vero, ma la sostanza seconda significa, piuttosto, un quale, — infatti, il soggetto non è uno, come la sostanza prima, ma l’uomo e l’animale si dicono di molte cose; la sostanza seconda, in ogni caso, non significa semplicemente una certa qualificazione, come il bianco: infatti il bianco non significa null’altro che una qualità, mentre la specie ed il genere delimitano la qualità con riferimento ad una sostanza, — essi, infatti, significano una sostanza di una certa qualità. - Si pone una delimitazione più estesa con il genere, che con la specie: infatti, colui che dice animale racchiude più cose di colui che parla di uomo.»
© PROGETTO GRAFICO Cor Co.
KE designer L'immagine di copertina
è stata scelta dall'editore
Il presente volume, che costituisce il primo di una serie di studi, è dedicato nella sua estensione maggiore alle Categorie; vi sono
poi sconfinamenti all’interno del De Interpretatione ed all’interno degli Analitici Secondi. In questo volume viene studiata la costruzione . del sistema degli enti | elaborata da Aristotele nell’ambito delle
Categorie, con particolare riferimento alla posizione centrale che in detto sistema | viene occupata dalla | categoria di sostanza e | dagli enti appartenenti
posizioni platoniche o, altrimenti detto,
Burgum ad astra
dalle posizioni che Aristotele stesso per parte sua attribuisce a Platone ed ai Platonici. Importante, in questo senso, è la descrizione
di ogni ente come un ente che ha le proprie proprietà di per sé stesso, senza il ricorso
ad un ente che sia altro da sé e che esista in maniera indipendente da esso. In questo contesto viene sottolineata la posizione essenzialista adottata da Aristotele. Si procede poi alla ricerca del | soggetto ontologico
alla medesima
categoria. Vengono poi ‘osservati i nessi di
dipendenza tra le categorie di sostanza e | le altre categorie, e tra la sostanza prima e la “sostanza seconda. - Le posizioni contenute | — nelle Categorie vengono interpretate
_comela manifestazione " dell’allontanamento . delle posizioni aristoteliche dalle
| sola costituisce l’ente
esistente in maniera rane.
ISBN :88-467-0373-1
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