Note agiografiche [Vol. 9]
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STUDI E TESTI 175

PIO FRANCHI DE’ CAVALIERI SCRITTORE EMERITO DELLA BIBLIOTECA VATICANA

NOTE AGIOGKAFIOHE

FASCICOLO



CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1953

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S T U D I E TESTI 51. Patzes, Μ. Μ. Κριτοΰ toO Παχζή Τιπούκειτος. Librorum L X Basilicorum summarium. Libros XIII-XVIII edidit Franciscus Doelger. 1929. pp. XVIII [2], 226. 52. Vattasso, Marco. Statuto di Rocca d e’ Baldi dell’anno m ccccxlviii pubblicato... con in­ dice e glossario di Pietro Sella. 1930. pp. 55. 53. Nor sa, Medea e Vitelli, Girolamo. Il papiro Vaticano greco 11. 1931. pp. χχιιι, 70. 15 tav. in parte pieg. (facs.). 43,5 x 32 cm. 54. Borne, Adolphe. Commentaires de Pappus et de Théon d’Alexandrie sur l’Almageste; texte établi et annoté... Tom e I. 1931. pp. LXX, 314. ill., dis. 55. Sussidi per la consultazione dell’ Archivio Vaticano. Volume II. Katterbach, Bruno. Referendarii utriusque Signaturae a Marti­ no V ad Clementem IX et praelati Signa­ turae supplicationum a Martino V ad Leo­ nem XIII. 1931. pp. X LV , 408. 56. Mercati, Giovanni. Notizie di Procoro e De­ metrio Cidone, Manuele Caleca e Teodoro Meliteniota ed altri appunti per la storia della teologia e della letteratura bizantina del secolo X IV . 1931. pp. x i i , 548, 12 tav. in parte pieg. (facs.). 57. Devreesse, Robert. Pelagli diaconi Eccle­ siae romanae In defensione Trium Capitu­ lorum. 1933. pp. l u i , 76. 58. Rationes decimarum Italiae. Tuscia : I. La de cima degli anni 1274-1280, a cura diP.Guidi. 1932. pp. Liv, 367. 1 c. geogr. (in busta). 59. Wilmart, André. Analecta Reginensia. 1933. pp. 377. 60. Rationes decimarum Italiae. Aemilia. Le de­ cime nei sec. XIII-XIV, a cura di A. Mer­ cati, Έ. Nasalli-Bocca, P. Sella. 1933. pp. vin , 514. 1 c. geogr. pieg. (in busta). 61. Savio, Pietro. Statuti comunali di Villanova d ’ Asti. 1934. pp. x ci, 446. 5 tav. (facs.). 62. Borghezio, Gino e Vattasso, Marco. Giovanni di M°. Pedrino depintore. Cronica del suo tempo. Vol. II (1437-1464) ed appendice (1347-1395). 1934. pp. 525. 2 tav. (facs.). 63. Graf, G. Catalogue de manuscrits arabes chré­ tiens conservés au Caire. 1934. pp. x [2], 319. 64. Kuttner, Stephan. Kanonistiche Schuldlehre von Gratian bis auf die Dekretalen Gre­ g o r s X L 1935. p p . X X II, 429. 65. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografi­ che. Fascicolo 8°. 1935. pp. [3] 409 [2]. 66. Cassuto, V . I manoscritti palatini ebraici della Biblioteca Apostolica Vaticana e la loro storia. 1935, pp. vili, 183. 2 tav. (facs.).

68. Mercati, G. Per la storia dei manoscritti gre­ ci di Genova, di varie badie basiliane d’Italia e di Patmo. 1935. pp. xn, 360. 5 tav. (facs.). 69. Rationes decimarum Italiae. Aprutium-Molisium. Le decime dei secoli XIII-XIV, a cu­ ra di P. Sella. 1936. pp. xii, 458. 1 c. geogr· 70. Mercati, A. La provenienza di alcuni oggetti delle collezioni vaticane. 1936. pp. 48. ili. 71. Kuttner, Stephan. Repertorium der Kanonistik (1140-1234). Prodromus Corporis glos­ sarum I. 1937. pp. X X , 536. 72. Borne, Adolphe. Commentaires de Pappus et de Théon d’ Alexandrie sur l’Almageste ; texte établi et annoté... Tome II. 1936. pp. [ l x x x iii ] evi [315J-805. ill., dis. 73. Fasoli, G. e Sella, P. Statuti di Bologna del­ l’anno 1288. T om o I. 1937. pp. xxxvi, 598. 74. Sella, Pietro. Glossario latino emiliano. 1937. p p . X X IV , 407. 75. Mercati, Giovanni. Codici latini Pico Grimani Pio e di altra biblioteca ignota del se­ colo X V I. 1938. pp. x [2], 326. 8 tav. (fase.). 76-79. Mercati, G. Opere minori. 1937. voi. 4. 8 0 . -------Vol. V. Indice dei nomi e delle cose notevoli. Indice dei manoscritti citati. Bi­ bliografia degli scritti. Notizie biografiche. 1941. pp. 220. 1 ritr. 81. Tedesco, V. Vaccari, A. Vattasso, M. Il Diatessaron in volgare italiano; testi inediti dei secoli XIII-XIV. 1938. pp. xii , 382. 82. Carusi, E. Lettere inedite di Gaetano Marini. IL Lettere a G. Fantuzzi. 1938. pp. [2], 392. 83. — — III. Appendici. Prefazione e indici. 1940. p p . X X X V III, 168. 84. Rationes Decimarum Italiae. Apulia. Le de­ cime nel secolo X IV , a cura di Domenico Ven­ dola. 1939. pp. 463. 3 grandi c. geogr. pieg. 85. Fasoli, Gina e Sella, Pietro. Statuti di Bo­ logna dell’anno 1288. T om o IL 1939. pp. 303. 86-88. Andrieu, Michel. Le Pontifical romain au moyen âge. 1940. 3 vol. 89. Friedlânder, Paul. Spâtantiker Gemàldezyklus in Gaza, des Procopios von Gaza Έκφρασις εΐκόνος, 1939. pp. V II. 122. 12 tav. 90-91. Mercati, Giovanni. Ultimi contributi alla storia degli umanisti. 1939. 2 voi. 92. Levi Della Vida, Giorgio. Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei mano­ scritti orientali della Biblioteca Vaticana. 1939. pp. vin, 528. 21 tav.

93. Devreesse, Robert. Commentaire de Théo­ 67. Levi della Vida, Giorgio. Elenco dei mano­ dore de Mopsueste sur les Psaumes (I-LXXX). scritti arabi islamici della Biblioteca Vati­ 1939. pp. X X X II, 572. cana. 1935. pp. X X IX , 347, 41*. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

S T U D I E TE STI 175

PIO FRANCHI DE’ CAVALIERI S C R IT T O R E

E M E R IT O

DELLA

B IB L IO T E C A

V A T IC A N A

NOTE AGIOGRAFIOHE

FASCICOLO



CITTÀ D EL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

1953

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Imprimatur: φ

fr. Petrus Canisius V a n Lierde

Episcopus Porphyriensis Vicarius generalis Civ. Vaticanae d ie 5 N o v . 1 9 5 3

Proprietà letteraria

Roma 1953. — Tipografia Pio X , Via degli Etruschi 7-9. Roma.

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M AEIAE

· H YACIN TH O

· LAVRENT

MEMOR · ET · G R A T Y S D.

D.

AVCTOR

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AVV ERTEN ZA

Degli Studi che pubblico in questo fascicolo, nono ed ultimo delle mie Note agiografiche, il primo e più recente risale al 1946-47, gli altri tre furono redatti fra il 1937 e il 1940. I

quattro manoscritti che i miei occhi semispenti non poterono emen­

dare nè rileggere, come sarebbe stato necessario dopo tanti anni, furono preparati per la stampa con scrupolosa diligenza dal Padre M .-H . Laurent che ha anche curato la correzione delle bozze e compilato la bibliografìa e gl'indici. Le bozze sono state rivedute altresì dal prof. G. Giannelli specialmente per i testi greci. A i due volonterosi colleghi, per Vancor gio­ vane età miei cari figlioli, per la loro dottrina maestri invidiati, esprimo qui la mia riconoscenza vivissima, profonda. Licenziando questi fogli, mi accomiato per sempre dagli studi che formarono l'occupazione principale della mia lunga vita. N ei pochi giorni che forse mi restano ancora quaggiù, exspectabo Dominum cum silentio. 5 maggio 1963

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INDICE

I.

GENERALE

« Della custodia Mamertini » e della « Passio ss. Pro­ cessi et Martiniani » .............................................

1-46

Passio ss. martyrum Processi et M artiniani . . . II.

S. Filippo, vescovo di Eraclea .....................................

47-52 53-136

Passio s. P hilippi, episcopi et m a rty ris.................137-165 III. Dei santi Gioventino e M a s s im in o .............................

167-200

IV.

201-225

S. Cirillo, vescovo di Gortina e m a r t i r e ................. Μαρτύριον του αγ. Κυρίλλου αρχιεπισκόπου Κρήτης

.

226-229

V.

Indice delle opere c it a t e ..................................................

231-243

VI.

Indice delle Passiones e delle V i t a e .........................

244-246

V II. Indice a l f a b e t i c o ..........................................

247-253

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I

DELLA

CUSTODIA MAMERTINI

E DELLA “ PASSIO SS. PROCESSI E T MARTINIANI”

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DELLA “ CUSTODIA M A M ERTIN I” E DELLA “ PASSIO SS. PROCESSI E T MARTINIANI ”

Per gli archeologi e gli agiografi è, a quanto io sappia, una verità indiscussa che career e custodia Mamertini designarono in Pom a, suc­ cessivamente, uno stesso edifìzio, cioè l’antica, famosa prigione di Stato l. In altri termini, quel tetro edifìzio che dalle radici del colle Capitolino si affacciava sul Comizio e sul F o ro 2 e che, fino a tutto il secolo V dopo Cristo, fu chiamato career 'publicus3, più di rado career 1 Nell’antichità, com e tutti sanno, Rom a ebbe questa sola prigione di Stato (Th . M ommsen, Bômisches Strafrecht, Leipzig 1899, p. 302). Naturalmente ciò non toglie che, in date circostanze, fossero precariamente adibiti a carceri anche altri edifizì, per es., nell’età repubblicana, Vaerarium e i navalia (Mommsen, op. cit., p. 303, nota 3). Senza dubbio anche sotto l ’im pero, nelle grandi persecu­ zioni dei cristiani, saranno stati convertiti in temporanee prigioni « sotterranei di t e m p li... cave a b b a n d o n a t e ...» (G. L ugli, Il career Mamertinus, Vantica prigione dì Borna, in Capitolium, 8, 1932, p. 233). Sappiamo che provvedim enti così fatti s’imposero allora in altre città dove erano m olto numerosi i persegui­ tati. A proposito della persecuzione di Decio nel P onto, s. Gregorio Nisseno riferisce: πολλά τών δημοσίων οικημάτων ταϊς τών καθειργνυμένων χρείαις άπετέτακτοού γάρ ικανά τά δεσμωτήρια χωρειν εν εαυτοΐς τών διά τήν πίστιν τιμωρούμενων τό πλήθος (Vita s. Greg. Thaumat. [PG, 46, 945 b]). Durante la stessa persecuzione di Decio in Cartagine il confessore Luciano a una lista di 14 martiri in carcerem fame necati aggiunge un Bassus m orto in pignerario (Epist. inter Cyprian., 22, 2, 2), onde sembra lecito arguire che la prigione dei debitori fosse divenuta una suc­ cursale del career proconsolare. Vittim a di una curiosa amnesia, L. Bayard, nella sua del resto eccellente versione dell’epistolario Ciprianiano, rende la voce pignerarium (gr. πρακτόρειον) « bureau des gages » e com m enta: « Il faut sans doute entendre par pignerarium un local où l’ on déposait des gages, pignera, pour em ­ prunter de l ’argent » (S. Cyprien [ed. L . Bayard], Correspondance, 1, Paris 1925, p. 60, nota 2). 2 L iv., 1, 33, 8 career inminens foro. 3 Calpurn . Placo., Deciam., 4; A pollinar. Sid ., Epist., 1, 7,11. Tutte le città avevano il carcer publicus, vedi H. D essau , Inscriptiones latinae selectae, Berlin 1892-1916, n. 3549 clavicularius carc(eris) p(ublici) Lug(dunensium), in gr. τήρησις δημοσία (Acta Apost., 4, 3; 5, 18), φυλακή δημοσία (J. Maspero, Pa­ pyrus grecs d'époque byzantine, 1, L e Caire 1911, n. 67020,1. 9. Tucidide [5, 18, 7] aveva detto τό δημόσιον). A l carcer publicus si oppone il carcer privatus, altra cosa dalla custodia privata, di cui in seguito.

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Tullianus 1, comunemente career senz’altro, nel secolo V I avrebbe co­ minciato a denominarsi (non si sa per quale motivo) custodia Mamer­ tini. Ora sta bensì di fatto che nelle leggende agiografìche composte in Eoma, per unanime consenso di critici, nel secolo V I ricorre spesso una custodia Mamertini, della quale non occorre mai il nome nelle Passiones sicuramente anteriori. Ma il dedurne che già nel V I secolo il career publicus era chiamato custodia Mamertini, come senza dubbio fu chiamato in seguito, non mi sembra giustificato. Del career restano oggi, cosa notissima, due sole cellae2, o con­ clavia3·, l’ima superiore, piuttosto alta e spaziosa, l’altra sotterranea, bassa, angusta, designata dai classici career inferior*, robur3, tullianum 6, βάραθρον 7. In questo sotterraneo, non carcere di custodia, ma 1 A mmian . Marc., 28, 1, 57; Passio ss. Chrysanthi et Dariae, 2, 22 (ed. B. Mombritius, Sanctuarium.. . , 1, Parisiis 1910, p. 277, 14). 2 L uciani Epist. inter Cyprian., 22, 2, 1 (ed. Bayard, p. 60) reclusi sumus in duobus cellis, ita ut non efficiebat fame et siti. Non so invero se lo scrivente accen­ ni a due stanze del career publicus o a qualche altro edilìzio adattato a carcere (v . p. 3, nota 1). Comunque è fuor di dubbio ebe le stanze delle carceri, relativa­ mente anguste e semioscure, fossero chiamate cellae (T ertull ., Adv. Marc., 3 ,2 0 ; ps.-Q uintil ., Declam., 9, 21; Cassiodor., Var., 11, 40, 4). 3 Cod. Theod., 9, 3, 3 unum carceris conclave permixtos secum criminosos includit. 4 L iv ., 34, 4 in inferiorem demissus carcerem est necatusque; Serv ., Ad Aen., 6, 573 in tullianum ad ultimum supplicium mittebantur. Quindi delegari in tullianum valeva « esser condannato a perdere la vita in quella segreta » (L iv ., 79, 22, 10). 5 V arro, De lingua lat., 5, 151; Fest ., De verbor. signif., 356. 3 F est ., De verbor. signif., 356; L iv ., 38, 59; T ac ., Ann., 4, 29. Calpubn . F lacc. (Declam., 4) pare abbia scritto robur tullianum. 7 P lut ., Mar., 12. P rudenzio (Peristeph., 5, 241 sgg.) chiama baratrum una segreta annessa al career interior di Cesaraugusta: Est intus imo ergastulo (cf. p. 7, nota 2) / locus tenebris nigrior, / quem saxa mersi fornicis / angusta clausum strangulant (a v. 316 lo dice conclave concavum).. . In hoc baratrum coniicit / truculentus hostis martyrem (PL, 60, 392 sg.). Con la stessa voce barathrum, s. Damaso sembra designare il Tullianum, dove riassume la Passio di Eutichio (Carm. 21, ed. Ferm a, p. 146). Dalla quaestio per tormenta egli passa nel career: carceris inluviem sequitur nova poena per artus, / testarum fragmenta parant ne somnus adiret, / bis seni transiere dies, alimenta negantur, / mittitur in barathrum, sanctus lavat omnia sanguis / vulnera quae intulerat mortis metuenda potestas. È una narrazione sommaria e in pari tem po particolareggiata che io spiego così: Nel sudicio squallore del carcere interiore (cf. p. 7, nota 2) Eutichio dura, insonne e digiuno, ben dodici giorni, nel tredicesimo, in inferiorem demissus carcerem (per usare un’espressione di Livio, v. sopra nota 4), viene ucciso (prob. oblisis faucibus, com e di solito, v. p . 5, nota 2).

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δ

luogo di supplizio, venivano discesi o precipitati1 — oltre i grandi ne­ mici di Rom a vinti e fatti prigioni — quei condannati a morte, che m otivi sopra tutto politici consigliavano di togliere di mezzo absque tumultu populi. Quando perciò gli storici narrano di personaggi car­ ceri adiudicati, per esservi, non strangolati o lasciati morire d ’inedia 2, L a chiusa sanctus lavat omnia sanguis, etc. significa, a mio avviso, soltanto questo: che E utichio, morendo martire, ha ricevuto il baptisma sanguinis (cf. per es. Ce l e r in i Epist. inter Cyprian., 21, 1, 3 [ed. Bayard, p . 56]: P eto .. . a Domino u t .. . cruori illo sancto laveris.. . pro d. n. Iesu Christo; Cy p r ia n ., Epist., 73, 21, 1; 22, 2 [ed. cit., p. 275 sg.]); battesimo che gli ha lavate, guarite tu tte le piaghe inflittegli dalla potestà della morte, cioè dal diavolo άνθρωποκτόνος απ’ αρχής (Ioh., 8, 44; Sap., 2, 24 φθόνωι δέ διαβόλου θάνατος είσήλθεν είς τον κόσμον). Come dunque e. g. il custode dei Quaranta martiri esposti nudi al gelo sul lago di Sebastia, Eutichio (o io sbaglio) ούκ εν ϋδατι εβαπτίσθη, άλλ’ εν τώι Ιδίωι αιματι (B a s il ., Rom. in X L Mart. [PGr, 31, 521 a ]). L e diverse interpreta­ zioni di questo epigramma damasiano proposte dagli studiosi in addietro sono raccolte da A . F er ru a (Epigrammata damasiana, Città del Vaticano 1942, p. 148). 1 F est ., De verbor. signif., 359: Robur... in carcere dicitur is locus quo prae­ cipitatur maleficorum genus. V a l e r . M a x ., 6, 3, 1 d: de robore praecipitati sunt. Il verbo praecipitari è spiegato dal fatto che per discendere dal career nel tullianum non c ’era scala, onde i rei v i venivano gettati dalla botola aperta in mezzo alla volta. L ’espressione pr. de robore, se genuina, non offre difficoltà, posto che il soffitto del tulliano sia stato originariamente di rovere, com e congettura, non senza ragione, il L ugli (Il career Mamertinus, p . 237 sgg.; v. anche Roma antica: il centro monumentale, Borna 1946, p. 110). Che p oi dal soffitto di rovere si usasse designare l ’ergastolo sottostante, quale meraviglia ? Ognuno v a col pensiero alle fam ose carceri di Venezia, dette « i piom bi » appunto dal metallo che copriva il tetto del Palazzo sotto cui stavano (P. M olmenti , La storia di Venezia nella vita privata, II P ., Bergam o 1911, p. 38). 2 Che nel TulUanum i rei venissero decollati con la scure (L ug li , Il career Mamertinus, p . 233) non è esatto. In verità P aolo Orosio , Adv. pag., 5, 1, 9 (ed. Zangemeister, p. 278) scrive: Omitto de regibus. . . captis.. . in carcere tru­ cidatis. Ma, non potendo mai il verbo trucidare assumere il significato gene­ rico di necare, bisogna qui riconoscere una svista dello storico: perchè dagli esempi stessi che egli riporta (op. cit., 5, 10, 5; 5, 15, 19) e da tu tti gli altri che ci sono pervenuti (E utrop ., 4, 27; A pp ian ., Bell, civ., 1, 26; Sallu st ., Oatil., 55, 3; F lo r ., 2, 12 [4, 13]; Cic., In Vatin., 11, 26; D io , 43, 19, 4; T ac ., Ann., 3, 50. 51; 5, 9; 6, 39.40; Su e t ., Tib., 54, 61.75; F l a v . I os ., De bello Iud., 7, 5, 6; Scriptores hist. Aug., 24, 22, 8 ; A po llin a r . Si d ., Epist., 1, 7, 13, etc.) appare manifesto che il supplizio inflitto nel career (inferior) era, di regola, lo strangolamento. Il M ommsen (Ròmisches Strafrecht, p . 930, nota 7) avverte che anche i governatori delle provincie ordinarono a volte lo strangolamento in carcere e cita in proposito P l in ., Epist., 2, 11, 8. Questa pena soffrirono altresì alcuni martiri: D oroteo e soci in M com edia allo scoppio della persecuzione di

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ma custoditi, anche a lungo J, sia fendente iudicio, sia nell’intervallo fra la sentenza e l’esecuzione2, non intendono alludere al career in­ ferior, bensì al conclave superiore, del quale dobbiamo una viva de­ scrizione al retore Calpurnio Placco. Video (così Calpurnio) carcerem 'publicum angustis foraminibus tenuem lucis umbram recipientem. In hunc rei abiecti robur tullianum prospiciunt et quotiens iacentes ferrati postis stridor excitat, exanimantur et alienum supplicium exspectando suum, discunt (Deciam., 4, ed. G. Lehnert, p. 4, 22 sgg.). Descrizione retorica e, per conseguenza, un p o’ vaga, ma che sorprende vedere fraintesa dall’ultimo diligentissimo illustratore del monumento 3. CalDiocleziano (E us., Hist, eccl., 8, 6, 5), Romano diacono di Cesarea nel carcere d ’Antiochia (E us., He mart. Pai., 2, 4; P ru d e n t ., Peristeph., 10, 451 sgg.), P aolo I patriarca di Costantinopoli sotto il regno di Costanzo II, nel carcere di Cucuso (P. F ranchi d e ’ Ca v a l ie r i , Una pagina di storia bizantina del sec. IV , in Analecta Bollandiana, 64, 1946, p. 142 sgg.). Ed è lecito congetturare che l ’uno o l ’ altro di quei martiri che gli storici dicono morti in carcere senza speci­ ficare il m odo (s. Babila vescovo di Antiochia, s. Alessandro vescovo di Geru­ salemme, s. Luciano prete antiocheno: Eus., Hist, eccl., 6, 39, 4; 6, 39, 3; R u fin ., Hist, eccl., 9, 6, 4 abripi iubetur in carcerem [Lucianus\ ibique quasi absque tu­ multu populi necari) si debbano intendere periti per fame o elisa fractaque gula. Qual m odo più facile e spiccio di liberarsi d ’uno o più reclusi ? (S ueton ., Tib., 75). 1 Career enim ad continendos homines, non ad puniendos haberi debet (U l P I A N . , In Dig., 48, 19, 8). Di fatto però le sofferenze dei reclusi erano dovunque inenarrabili (Passio s. Perpetuae, 3, 5-6; Passio ss. Ludi, Montani et soc., 4, 2-3). Quindi le m orti dei detenuti m olto più frequenti che altri non abbia im maginato, v. le mie Note agiografiche, V II, Città del Vaticano 1928, p. 170, nota 1. Con legge del 30 giugno 320 (Cod. Theod., 9, 3, 1), detta giustamente dal Tillem ont « très digne d ’un chrétien et d ’un prince plein de bonté » (His­ toire des Em pereurs..., 4, Venise 1732, p. 178), Costantino Magno temperò notabilmente i rigori del carcere. Ma non sappiamo se quella legge fu mai osser­ vata debitamente per tutto l ’im pero, certo cadde presto in dimenticanza. 2 L ’esecuzione capitale non doveva aver luogo se non 30 giorni dopo pronunziata la sentenza (Mommsen, Bòmisches Strafrecht, p. 911 sg.), giorni che, almeno nel V secolo, il reo trascorreva in una prigione dell’isola Tiberina (Apollinar . Sid ., Epist., 1, 7, 13. Su codesta prigione, v. M. B esnier , Vile Tiberine dans Vantiquité, Paris 1902, p. 67 sgg.). Iv i stesso egli era strangolato dal carnefice e il suo cadavere trascinato a perdersi nel fiume. È per ciò, se non erro, che alcuni leggendisti romani del secolo V -V I pretendono gettate nel T e ­ vere le spoglie di questo o quel martire ante insulam Lycaoniam (Passio s. Callisti, 6, in Acta SS. Holland., v i oct., 441) o abbandonate iuxta ins. Lycaon. (Passio ss. Marcelli, Eusebii et soc., 14; Passio ss. Marii et Marthae 1, 4, in Acta SS. Bolland., iv nov., 98; π ian., 216. Cf. Vita s. Eugeniae, 28 [PL, 21, 1121]). 3 L ugli , Il career Mamertinus, p. 234. In verità l ’autore ebbe davanti a sè un testo indicibilmente scorretto, cioè F. C a n c e l l i e r i , Notizie del carcere

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purnio ci mette davanti agli occhi i reclusi che dal carcere superiore, dove giacciono incatenati 1Ì guardano il robur tullianum, e quante volte li desta l’improvviso stridore della porta di ferro (segno che una sen­ tenza capitale va ad essere eseguita nel robur) si sentono venir meno dallo spavento, perchè, assistendo al supplizio altrui, imparano quello che sarà forse il loro. Come nelle altre prigioni dell’impero, delle quali abbiamo notizia, la cella soprastante al career inferior o tullianum, ossia il vero e proprio carcere di custodia, che Passiones non romane denominano career interior, εσώτερα φυλακή 2, era preceduta da una stanza in piena luce, Tulliano2, R om a 1855, p. 33 sg. Ma com e non sentì il bisogno di consultare l’edi­ zione critica di Calpurnio curata da G. Lehnert (Lipsia 1903) ? 1 È manifesto che Calpurnio non descrive l ’ergastolo sotterraneo riservato alle esecuzioni capitali, ma il conclave superiore, il carcere di custodia. Esso è infatti illuminato, benché assai scarsamente (angustis foraminibus tenuem lucis umbram recipientibus, v. p. 12, nota 2), non già « d ’ogni luce muto », com e il Tul­ lianum. I reclusi, lungi dall’ esser lasciati morire d ’inedia, sono tenuti in vita anche a loro dispetto (cibus recusantibus spurca manu carnificis ingeritur), ammanettati strettamente (marius catenae premunt; cf. God. Theod., 9, 3, 1), sempre esposti alle staffilate degli aguzzini. Dunque detenzione preventiva in attesa del p ro ­ cesso, o questo pendente. Ciò posto, Calpurnio Placco con la proposizione: in hunc (carcerem) abiecti rei robur tullianum prospiciunt non può voler dire s e . non che costoro dal career superior, nel quale giacciono, guardano il career in­ ferior incavernato ai loro piedi, col triste presentimento di esservi un giorno o l ’altro precipitati ed uccisi. 2 Vedi per es. Acta Apost., 16, 24; Martyrium s. Ignatii roman., 9, 7 (ed. D ie k am p , Patres apostolici, 2, p. 357). Si diceva anche ενδότερα φυλακή (per es. I oh . Ch r y so st ., In Act. Apost., hom. 35, 2 [PG, 60, 255,1. 37]). A ccanto a questi e si­ mili com parativi - quali τό εσώτερον οίκημα ο τό έσώτερον senz’altro ( Martyrium s. Pionii, 11, 4, ed. R . K nopf e G. K roger , Ausgewahlte Màrtyrerakten, T ü ­ bingen 1929, p. 51, 11) —troviam o il positivo τό εσω δωμάτιον (Passio ss. Martiani et Martyrii, 3, in F ranchi d e ’ Ca v a l ie r i , TJna pagina, p. 173,13), più spesso il superlativo ενδότατη φυλακή, che non deve però far pensare a una cella diversa e più rigorosa del career interior, della ενδότερα φυλακή, cioè a una riproduzione del Tullianum. Così in God. Theod., 9, 3, 1 l’espressione sedis intimae tenebrae non designa il career inferior, ma il career interior chiamato non di rado imum o ima carceris (per es. A u g u stin ., In Evang. s. Iohan., c. 1, tract. 49, 9 [PL, 35, 1751]; Passio s. Felicis, 5, 2 [ed. K n opf e Krüger, p. 91, 20]). In effetto il Mar­ tyrium s. Ignatii roman., 9, 7 chiama την έσωτέραν φυλακήν quello che l ’antico in ­ terprete latino rende per imum carceris (ed. D ie k a m p , Patres apostolici, 2, p. 378, 23) e viceversa, d ove l ’originale del Martyrium s. Tarachi et socior., 6, legge τής ενδότατης φυλακής έφρουροΰντο δεδεμένοι, la versione latina ha in inte­ riori custodia servabantur in vinculis (Τ η . R uin art , Acta martyrum?. . . , Ve­ ronae 1731, p. 383).

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detta career exterior, εξώτερα φυλακή l, dove i rei sostavano verisimilmente appena entrati, sia per dare i loro nomi e le altre notizie perso­ nali al commentariensis 2, sia in attesa di ulteriori disposizioni. Ivi potevano anche essere trasferiti di quando in quando gli ospiti del career interior per dar loro agio di rinfrancarsi alquanto all’aria libera, ricevere visite e v iv eri3. Questi brevi mitigamenti di pena, chiesti dai parenti o dagli amici dei reclusi in custodia preventiva furono ottenuti, pare, abbastanza facilmente, grazie alla proverbiale venalità dei car­ cerieri4, finché una costituzione di Costantino Magno del 30 giugno 320 Del resto, che nelle principali città dell’im pero al career pubi, fosse annessa di solito una riproduzione del TulUanum, cioè un sotterraneo, comunicante col conclave superiore per mezzo di una botola aperta nella volta e destinato alle esecuzioni capitali, non è nè dimostrato nè verosimile. In Apuleio (Metam.> 9, 10 vinctos in tullianum compingunt) tullianum significa semplicemente (per metonimia) career (interior) a un dipresso com e lautumiae significa a volte car­ cere meno dura, v. Mommsen, Bômisehes StrafrecM, p. 302, e le nostre note: p. 9, nota 2; p. 10, nota 1. 1 Vedi e. g. Martyrium s. Acacii, 15 (PGr, 115, 232) βληθέντος του άγ. μ. ’Ακα­ κίου εις την ένδοτέραν φυλακήν έν τώι ξύλωι καί σιδήροις, καί των άλλων δεσμωτών εις τήν έ ξ ω τ έ ρ α ν φυλακήν ; Acta s. Carterii Cappad. (ed. Ioh. Compernass, Bonn 1902, p. 15) τον ε ξ ώ τ ε ρ ο ν οίκον. Nel Martyrium s. Pionii ( 11, 5) il career exterior è indicato con l ’espressione generica τα έμπροσθεν (non τό έμπρ. com e in M o m m s e n , Bômisehes Strafrecht, p. 302, nota 3), nella Passio s. Perpetuae, 3, 7 (ed. C. Van Beek, Noviom agi 1936, p . 10.11) melior locus careeris, ήμερώτερος τόπος τής φυλακής. 2 Basti rimandare a E . L e B l a n t , Les Actes des martyrs.. . , Paris 1882, p . 11 sgg., 57 sg.; Id., Les Persécuteurs et les martyrs aux premiers siècles de notre ère, Paris 1893, p. 304. 3 L a Chiesa approfittava delle poche ore in cui era dato ai reclusi di re­ frigerare nel career exterior, alla libera luce del giorno, per amministrare ai con ­ fessori quello che s. Flaviano chiama l’alimentum indeficiens (Passio ss. Ludi, Montani et soc., 9, 2; cf. le mie Note agiografiche, I I I , Borna 1909, p. 25 sgg.), cioè la Eucaristia. D a una lettera di s. Cipriano (5, 2, ed. Bayard, p. 13) im pa­ riam o che durante la persecuzione di Decio i preti di Cartagine (uno solo alla volta, per disposizione del vescovo, e con un solo diacono) andavano a celebrare il divino sacrificio apud confessores: cosa che si comprende senza troppa diffi­ coltà nel career exterior, ma inimmaginabile nelle tenebre e nella calca promiscua della sedes intima. È certo nel melior locus careeris che Perpetua manu sua et suo sensu conscripsit ordinem totum martyrii sui (Passio, 2, 3; 3-11) e Saturo il racconto della sua visione (Passio s. Perpetuae, 11-13). Iv i stesso Flaviano avrà steso la lettera che costituisce i prim i undici capi della Passio ss. Ludi, Montani et soc. V edi le mie Note agiografiche, III, p. 19 sgg. 4 Sembra che con la proverbiale durezza dei carcerieri (Cic., Terr., 2, 5, 45; C a l p u r n . F l a c c ., Declam. 4; I o h . Ch r t s o s t ., In epist. ad Tit. c. 2 [PG·, 42, 687]; L i b a n ., Or. 33 contra Tisamen., 30; Or. 45 de vinctis, 10 [ed. Foerster, 3, p. 180,

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(God. Theod., 9, 3, 1) non ebbe disposto: da ora in poi l’imputato, pen­ dente il giudizio criminale, non dovrà sedis intimae tenebras pati (stare cioè nel career interior), ma usurpata luce vegetari (vale a dire essere custodito nel career exterior aperto alla luce del sole, al publicum lu­ men)·, al calare poi della notte, quando le guardie vengono raddoppiate, vestibulis carcerum et salubribus locis recip i1. Dal career inminens Foro, il career per antonomasia, vanno distinte le lautumiae (o career lautumiarum) adattate in antiche lapidicinae, i. e. cave di pietre, sulla pendice orientale del colle Capitolino. Erano prigioni più miti, come c ’insegnano la facezia di Asilio Sa­ bino, riferita da Seneca 2 ed il fatto che i reclusi vi erano custoditi abitualmente sine vin cu lis3. D i esse, probabilmente abbandonate 10 sgg.; 363, 20 sgg.]) andasse ordinariamente di pari passo la loro venalità. Quindi è probabile che con elargizioni di denaro o d ’altro (praemio, munere) la Chiesa riuscisse non di rado a procurare il su accennato mitigamento di pena. Per ricordare solo qualche esempio ineccepibile, v. Passio s. Perpetuae, 3, 7 ; Martyrium s. Pionii, 11, 3-4; Passio ss. Lucii, Montani et soc., 9, 2 (cf. le mie Mote agiografiche, III, p. 27) e la epistola di s. Cipriano (5,2), di cui nella nota precedente. 1 In L iv io , 6, 17, 4 (obversatam vestibulo earceris maestam turbam), vesti­ bulum è l ’area accessibile al pubblico, che si stendeva davanti all’edificio penale, com e davanti ai palazzi e ai tem pli, vedi p. es. J. M arqu ardt [trad. V. Henry], La vie privée des Romains, 1, Paris 1892, p . 263 sg. Ma in God. Theod. (9, 3,1) vestibula carcerum non eo sensu accipienda sunt, quo aUoquin vestibulum accipi solet, verum pro conclavibus ipsis et cellulis, ut vocantur l. 3 infr. Così J. Go defro t ad loc. (God. Theod., 3, Lipsiae 1738, p. 36). Forse il vocabolo deve prendersi qui com e sinonimo di atrium (M a r q u a r d t , op. cit., p. 268). In questo senso l ’ adopera e. g. Girolam o , In Hierem. proph., 6, 30, 3 (ed. Reiter, p. 414, 14) nequaquam eum [sc. Hieremiam] in carcere, sed in vestibulo recludi iusserit carceris, Ubera videlicet custodia. Per il santo D ottore sono infatti sinonimi (com e già talvolta per Tito L ivio, Tacito, Svetonio) vestibulum e atrium (op. cit., p . 417, 15, venit.. . ad vestibulum - sive atrium - earceris). I Settanta hanno εν αύλήι της φυλακής. 2 Seneca (Oontrov., 9, 4 [27], 21, ed. Müller, p. 412) racconta che Sabino introductus ex carcere in senatum, rogavit ut (in) lautumias transferretur, aggiun­ gendo: illa enim minime lauta res est. L e lautumiae (o career lautumiarum, L iv ., 32, 26, 17) erano prigioni alquanto più m iti del career per antonomasia, adattate in antiche lapidicinae sulla pendice orientale del colle Capitolino. Si crede che ivi il poeta Nevio abbia scritto due delle sue fabulae (G e l l ., 3, 3,15). Ma quei personaggi custodiae traditi, ai quali, per ordine di Tiberio, sarebbe stato non modo studendi solacium ademptum, sed etiam colloquii usus (S ueto n ., Tib., 61) si devono più verisimilmente ritenere sottoposti a custodia libera o militare (M ommsen , Ròmisches Strafrecht, p. 302, nota 3). 3 Dig., 4, 6, 9.

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assai per tempo sotto l’impero, le leggende agiografiche non fanno mai il nome \ Spesso invece vi ricorre il career κατ’ εξοχήν, cominciando dalla favolosa Passio ss. Chrysanthi et Dariae, che si ritiene composta nella seconda metà del secolo Y 2. Leggiamo ivi a c. 2, 22 (Acta SS. Bolland., XI oct., 482) : Erat igitur una custodia in carcere Tulliano, unde putor horribilis ascendebat.. . lutea et ita tenebrosa custodia, ut penitus luci­ fluus aer nec signum ibidem diei nec vestigium aliquid lucis ostenderet. In hanc ergo habitationem, ferro vinctus, Chrysanthus mittitur nudus 3. Descrizione non del tutto indegna di essere riportata dopo quella cele-

1 Come il passo delle Metamorfosi (9 ,1 0 ) di Apuleio, riportato a p. 7, nota 2, non autorizza ad ammettere resistenza in Tracia di una replica del Tul­ lianum di Rom a, così la lettera di Apollinare Sidonio (Epist., I, 7, ed L uetjohann, p. 10) dove, parlando di Arvando, prefetto del pretorio delle Gallie proces­ sato in Rom a, dice: quis. . . super statu eius nimis inflecteretur, quem videret. . . lautumiis aut ergastulo inferri ? non prova tuttora in uso le lautumiae nella se­ conda m età del secolo V. Sidonio sembra voler soltanto distinguere il carcere ordinario da quello rigoroso (cf. L iv ., 7, 4, 4 quod filium prope in carcerem at­ que ergastulum dederit). Ergastulum era propriamente il sotterraneo in cui si tenevano la notte gli schiavi operarii (C ol ., 1, 6, 3; M ar qu ardt , La vie privée, 1, p. 211), ma gli scrittori postclassici si servono di questa voce per designare anche il pubblico career interior (e. g. P r u d ., Peristeph., 5, 241). 2 Vedi A . D ufourcq , Étude sur les Gesta martyrum romains, I, Paris 1900, p. 226, nota 1; H. L eclercq , Chrysanthe et Baria, in DACL, 3, 1, col. 1560; P. L an zoni , Le diocesi d'Italia.. . , 1, Faenza 1927, p. 510; cf. p. 160. 3 II greco dice, più brevemente ed elegantemente, ma con minore esat­ tezza: καί ενέβαλα αυτόν έν τήι τοϋ Τουλιανοΰ φυλακή ι (il traduttore leggeva in carcere Tulliani), ήν δέ αΰτη βαθύτατη καί βορβορώδης καί πλήρης δυσωδίας . . . καί ζοφώδης δέ λίαν, ένθα ήν ό Χρύσανθος σιδηροδέσμιος γυμνός. A l Ρ. Benia­ mino Bossue (Acta SS. Bolland., x i oct., 442; Comm. praev., 1, 15) parve originale non il latino, sì bene il greco; a torto, secondo me. Naturalmente, io parlo del testo latino edito dal M om britius , Sanctuarium, 1, p. 271 sgg., non di quello che il P. Bossue leggeva nelle Vitae Sanctorum del Surius e che in v e ­ rità è la retroversione del greco eseguita da G. Sirleto per L . Lippom ano, il quale la pubblicò nelle Vitae sanctorum Patrum, 7, Romae 1558, ff. 25-29v. La Passio nota che Crisanto fu gettato n u d o nel Tullianum. E ffetti­ vamente i condannati a perdere la vita colà sembra che fossero prima denudati (cf. P lu t ., Mar., 12 ώσθείς δέ γυμνός εις τό βάραθρον κατεβλήθη), com e del resto tutti gli altri condannati a pene capitali, alla crocifissione, al rogo e alla decollazione con la scure (cioè fino ai primi tem pi dell’im pero). E nudi erano esposti i cadaveri sulle scalae gemoniae o gradus gemitorii. Vedi p. es. L iv . 38, 59 in carcere. . . includatur et in robore et in tenebris exspiret, deinde nudus ante carcerem proiciatur.

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berrima di Sallustio (Catilin., 55, 3 ) 1 e notevole anche perchè col suo silenzio dimostra tuttora sconosciuta in Roma la tradizione popolare della prigionia dell’apostolo Pietro nel Tullianum e della miracolosa fonte colà scaturita. Nella Passio ss. M arcellini et Petri (fine del Y secolo o principio del V I 1 2) l’esorcista Pietro ci è descritto in obscurissima habitatione carceris atque ibi in vinculis ferreis manens immobilis (par. 1: Acta SS. Bolland., i iun., 171). Senza dubbio la perifrasi carceris obscuris­ sima habitatio designa la cella, o una delle celle, soprastante al Tullia­ num (detta poco dopo ipsa ima et tenebrosa), non già il Tullianum stesso, poiché Pietro è detenuto in custodia prevèntiva, non ancora condannato. La Passio ss. Alexandri, JEventii et Theoduli (c. 1, 2: Acta SS. Bol­ land., π maii, 379) racconta che il comes utriusque militiae Aureliano Hermen praefectum urbis in vincula misit, Alexandrum papam carceri mancipavit. Egli infatti dispose che Ermete (vir illustris) haberetur in vinculis apud Quirinum tribunum (probabilmente tribuno della Guarida3), dunque sub militari custodia, custodia punto infamante e, a volte, così mite da differire appena dalla custodia libera4. Verso Alessandro, 1 Se della descrizione Sallustiana del carcer inferior il L ugli (Il career Mamertinus, p. 234) avesse riportato la versione di V. Alfieri (com e L . Cantarelli presso Ch r . H uelsen , Il foro Romano, R om a 1905, p . 105): « le pareti dintorno e la volta di quadrate squallide pietre », non avrebbe inavvértitam ente rimesso in circolazione l ’errore del N ib b y (Roma antica, 1, p. 531) che credette designata « la camera superiore » dove lo storico accenna invece alla volta del Tullia­ num; errore corretto già da H. J o rd an , Topographie der Stadt Rom in Alterthum, 1, 2, Berlin 1871, p, 323, nota 11. 2 D ueourcq , Étude, 1, p . 163 sg.; L anzoni , Le diocesi d'Italia, 1, p. 123 sg. 3 È un locus della agiografia leggendaria romana immaginare dato un martire in custodia a un tribunus (militum o praetoriae cohortis): immaginazione, del resto, non inverosimile. Tacito p. es. ricorda che la famosa venefica Locusta fu data in custodia Iulio Pollioni praetoriae cohortis tribuno (Ann., 13,15; cf. M ommsen , Rômisches Strafrecht, p. 317, nota 5). E dallo stesso Tacito (Ann., 1, 6) e da Svetonio (Tib., 22) sappiamo che un tribunus militum era stato custos adpositus a Postum o Agrippa. 4 Ood. Theod., 11, 7, 3 aperta et libera et in usus hominum constituta cu­ stodia militari. Interessantissimo, a proposito della custodia militaris, è il racconto che fa Giuseppe F lavio (Ant. Iud., 18, 6, 4-10) della drammatica d e­ tenzione di Agrippa I, fratello di Erodiade. Tiberio ordina un giorno a Macro, successo a Seiano nella ηγεμονία των στρατευμάτων, di incatenare Agrippa (τούτον μέν δή, φησί, Μακρών, δήσον). Ε Macro, incatenato il principe giudeo, senza sp o­ gliarlo della porpora, lo im branca fra i δεσμώται che passano il giorno davanti alla reggia (προ του βασιλείου) e duramente la notte nel quartiere della coorte

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al contrario, non appartenente alle alte classi sociali e quindi immeri­ tevole di riguardo 1, il magister m ilitiae procedette con tutto rigore, gettandolo in ima carceris (Passio, 1,3.4). Che con quest’ultima espres­ sione non si sia voluto indicare il robur, il tullianum, bensì la cella di sopra, potremmo anche dedurlo dalla evasione del detenuto attraverso la finestra (c. 2, 5). Una finestra era in verità inimmaginabile nelle pareti di quell’ergastolo incavernato nel suolo, mentre non offriva al­ cuna difficoltà nel conclave superiore. Anzi c ’era effettivamente in esso e c ’è tuttora, benché murata, una finestra lunga e stretta con soglia e stipiti di travertino 2. pretoria di guardia al palazzo. Ma Antonia, vedova di Druso, assai benvista a Tiberio, ottiene dal prefetto del pretorio che il nobilissimo prigioniero sia trat­ tato con riguardi speciali dai militi addetti alla sua custodia, che il loro com an­ dante - un centurione - lo conduca quotidianamente ai bagni, gli permette di ricevere i liberti e gli amici e che alcuni di questi gli portino da mangiare quel che più gli aggrada e panni per dormire com odam ente la notte. Appena morto Tiberio, Caligola, grande amico di Agrippa, ordina che egli sia trasferito εκ του στρατοπέδου, cioè dai castra praetoria, alla casa in cui dim orava prima della cat­ tura (είς τήν οικίαν έν ήι πρότερον ή δεθήναι δίαιταν εΐχεν). Notevolissimo mitiga­ mento di pena, ma sempre pena (φυλακή μέν γάρ ήν καί τήρησις, μετά μέντοι άνέσεως τής είς τήν δίαιταν). Pochi giorni dopo però Caligola proscioglie τον δεδεμένον (18, 6, 10) nel m odo più com pleto e solenne, donandogli perfino una catena d ’oro dello stesso peso di quella di ferro con cui era stato avvinto. Simile a quella di Agrippa, ma più m ite fin da principio la prima prigionia di s. Paolo. Il centurione Giulio, comandante la scorta militare che accom pagnò l ’apostolo nel lungo viaggio dalla Palestina a P om a, appena qui giunto consegna il prigione allo στρατοπέδαρχος. Così gli Actus Apost. (28, 16) designano il prae­ fectus praetorio (v. F. F oackes -J ackson e K irsopp L a k e , The Beginnings of Christianity. I. The Acts of the Apostles, 3, London 1926, p, 345, nota a c. 28, 16; 5, London 1933, p. 444. - Alle autorità ivi citate agg. H e r o d ia n ., 7, 6, 4 των κατά τήν'Ρώμην στρατοπέδων προεστώτά; 1 ,8 , 1 έπιστήσας τοϊς στρατοπέδοις Περέννιον; F l a v . J os ., Ant. Iud., 19, 1, 6 Κλήμης επί τών στρατοπέδων). Il quale praefectus praetorio (Burrus Afranius) anziché tener Paolo nello στρατόπεδον, i. e. nei castra praetoria (com e farà Macro con Agrippa I), gli permette di abitare da sè (μένειν καί)’ εαυτόν) in una casa presa in affitto a proprie spese (Acta Apost., 28, 29-30 εν Ιδίωι μίσθιό μάτι), guardato bensì a vista da un pretoriano (συν φυλάσσοντι αυτόν στρατιώτηι) ma libero di ricevere quanti vorrà e conversare con essi. 1 Vedi M ommsen , Bômisches Strafrecht, p. 305, 315, 317. 2 Che questa finestra fosse anche la porta d’ingresso al carcere superiore sembra una ipotesi ragionevole, ma che a torto il L ugli (Il career Mamertinus, p. 241 sg.) crede avvalorata dal passo citato (p. 6) della declamazione di Calpurnio Flacco. Perchè questi non dice: « si entra nel carcere attraverso aperture strette e oblunghe », bensì: video carcerem... angustis foraminibus tenuem lucis umbram recipientem. Egli paria cioè della luce, unicamente della luce. Così pure P r u -

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L ’autore della Passio ss. M aris et Marthae vissuto (al pari di quello della su citata Passio ss. Alexandri et soc.) fra il Y e il V I secolo 1, scrive che il prete Valentino, appena catturato, fu receptus in carcerem, compedibus et catenis ligatus (c. 2, 6: Acta 8 8 . Bolland., π ian., 217; DENZio (Contra Symm., 2, 831): solis radius cum luminat omnes diffuso splendore locos. . . intrat capitolia clara, sed intrat / carceris et rimas et tetra foramina clausi / carceris et spurcam redolenti in fornice cellam. Nelle carceri di custodia, tutte più o meno tenebrose, non soleva mancare una finestra (Passio ss. Ludi, Montani et soc., 8, 6-7; Martyrium ss. Guriae et Samonae, 31 [ed. O. VON Geb h ard t , Die AJcten der edessenischen Békenner Gurjas, Samonas und Abìbos, Leipzig 1911, p. 29-30]; P rocop ., Bell. Gotti., 3, 20, 4, etc.). Il career superior a Eom a, oltre la feritoia sopra descritta, offre in mezzo alla volta un foram e rettangolare simile a quello per cui si passa dal career superior al Tullianum. D i esso non tratta l ’ultimo illustratore del m onum ento. Il Can cel ­ l ie r i (Notizie, p. 3) ed altri (p. es. N ib b y , Borna antica, 1, p. 529) affermano che codesta botola costituiva Punico accesso al carcere, nel quale i rei sarebbero stati discesi « legati in cintola con una fune » (così il Cancellieri). Il J ordan (Topogra­ phie, I, 2, p. 325, nota 14) osservò che a questa ipotesi contraddice V alerio M assimo , 9, 12, 6 Verecundus Siculus cum in carcerem duceretur, in postem eius illiso capite, in ipso ignominiae aditu concidit, etc. (v. anche V e l l . P aterc ., Eist. Bom., 2, 7, 1 L. Fulv. Flaccus inliso capite in postem lapideum ianuae car­ ceris . . . exspiravit). In verità questi autori parlano della porta esterna dell’edifizio penale, per cui dalla pubblica via o dal vestibulum (L iv., 6, 17, 4) si entrava nel career exterior, non già dell’uscio che dal career exterior m etteva noti'interior. Di questo però fa indubbiamente menzione Calpurnio Flacco nel passo dianzi citato: quotiens iacentes (i detenuti del career superior) ferrati postis stri­ dor excitat, exanimantur. So che, a giudizio di alcuni archeologi (per es. N i b b y , Borna antica, 1, p . 529), il retore non alluderebbe qui alla porta d ’accesso al career superior, bensì alla « cateratta di ferro » che si suppone coprisse la botola aperta nel pavim ento del detto carcere. Ma gli ospiti di questo non potevano essere destati dall’im provviso stridere di una ribalta che veniva rimossa sotto i loro occhi dai carnefici già entrati nella cella col reo da calare nel Tullianum ad supplicium. Nè sarebbe corretto chiamare postis (i. e. stipite e, per sineddo­ che, porta, uscio) una ribalta, non ferrea, del resto, ma probabilm ente lignea ; vedi p. 5, nota 1. Il foram e nella volta della cella superiore, secondo ogni verisimiglianza, aveva lo stesso scopo della finestra nella parete orientale, lasciare cioè piovere in quella triste dimora un p o ’ d ’aria e di luce, nonché permettere ai custodi di sorvegliare i detenuti (Martyr, lai. s. Ignatii, l i , 7 custodite eum in imo carceris [il greco ε’ις τήν εσωτέραν φυλακήν] et nemo eum nec per foramen videat). 1 Vedi D ufourcq, Étude, 1, p. 231 sg., 311; 2, Paris 1907, p. 120; L a n zo n i , Le diocesi d’Italia, p. 511. Che l ’agiografo assegna Mario e Marta al regno di Claudio II è fuori di discussione. Essi dicono all’im peratore: Desiderio deside­ ravimus ad pedes Apostolorum ad orationem occurrere (M ombritius, Sanctuarium, 2, p. 243, 26; p. 241, 3 venit.. . ad orationem Apostolorum) alludendo alle tom be apostoliche, com e appare (p. 243, 31) anche dalla risposta di Claudio: Ft quare

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Mombritius, 2, p. 241, 49) ’ . Due giorni appresso Claudio il Gotico lo interroga nel suo palazzo e, rimasto quasi convinto della bontà della dottrina che esso predica, lo affida a Calpurnio praefectus urbi, perchè prosegua ad esaminarlo, e Calpurnio, a sua volta, lo rimette ad Asterio, princeps del suo officium (c. 2,8). Valentino dunque, in seguito all’udien­ za nel palazzo di Claudio iuxta amphitheatrum - vale a dire nel templum divi Claudii2 - sarebbe passato dalla rigorosa detenzione preventiva nel career publicus alla custodia libera, o delicata, in casa del princeps Asterio 3. Nel secolo V I I 4, quando con la giustizia criminale anche il career publicus era trasmigrato da una estremità all’altra del colle Capitolino, cioè dal Comizio al Forum H olitorium 5, chi compose la fantastica indicium parentum vestrorum non sequimini, u t . . . homines mortuos (così rettamente Bolland., hominem mortuum Mombritius) quaeratis ? - Per l ’espressione venire ad Apostolorum orationem, v. Liber pontificalis, X C . Constantinus 9 (ed. Mommsen, p. 225, 6). 1 Vuol dire nel career interior, perchè ivi soltanto i reclusi erano tenuti amm anettati e con i piedi nei ceppi. Vedi il passo del Martyrium s. Aeacii riferito a p. 8, nota 1, al quale potrei aggiungerne altri senza numero, com e Act. Apost., 16, 24; E useb ., Hist, eccl., 6, 39, 5; Passio ss. Marciani et Martyrii, 3 (ed. F ranchi d e ’ Cavalieri , Una pagina, p. 173); Martyr, s. Ignatii, 9, 7 (iu D iekamp , Patres apostolici, 2, p. 357); Martyr, s. Hadriani, 2, 12 (in Aeta SS. Bolland., n sept., 222); Martyr, ss. Guriae et Samonae, 7, 30 (in Gebhardt , Die Akten, p. 117), etc. 2 A . Co lini (Storia e topografia del Celio nell’antichità, in Memorie della P. Accademia romana di archeologia, s. I l i , 7, 1944, p. 138, nota 14) scrive con soverchia cautela: « Potrebbe anche sospettarsi un’allusione al tempio (di Claudio) piuttosto che al Palatino nel passo degli ‘ A cta ss. Marii, Marthae et soc. ’ : quem post biduum iussit (Claudius) sibi praesentari in palatio suo iuxta amphitheatrum». Infatti il possessivo suo e la precisazione topografica iuxta amphitheatrum provano indiscutibilmente che l ’agiografo accenna al templum divi Claudii chiam ato palatium Claudii anche nella Passio s. Stephani papae, 1, 6 (Acta SS. Bolland., i aug., 141). Non è così certo che si designi il Κλαυδίον nel Martirio dei ss. Cipriano e Giustina con l ’espressione Κλαυδίου φόρος, com e cercai di dimostrare m olti anni fa, vedi P. F ranchi d e ’ Ca v a l ie r i , Note agio­ grafiche, V i l i , Città del Vaticano 1935, p. 338. 3 Libera custodia era l ’espressione propria (M ommsen , Bômisches Strafrecht, p. 305); custodia delicata occorre soltanto, che io sappia, in Cypriani Vita, 15, 5 (ed. A. von H arnack , Das Leben Cyprians von Pontius, Leipzig 1913, p. 26). I greci dicevano φυλακή αδεσμος (v. M ommsen , 1. c.); di φ. ελεύθερα non so se ci sia pervenuto altro esempio che D io d . Sic ., 4, 46, 2. 4 Vedi D ufourcq , Étude, 1, p. 250, 371. 5 Vedi A . B arto li , I templi del foro Olitorio e la diaconia di S. Nicola « in carcere », in Pendiconti della P. Accademia romana di archeologia, 5, 1927, p. 221 sg.

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Passio s. Martinae, o applicò a questa martire la Passio s. Tatianae, ebbe forse davanti agli occhi o alla mente l’antica prigione, poiché nota così di passaggio: erat enim career habens habitacula m ulta12 . In ogni m odo con l’imperfetto erat egli lascia intendere che al suo tempo quel career, se esisteva ancora, aveva cessato però di essere il recepta­ culum poenale. Un altro agiografo del V II secolo narra come essendosi recato il sacerdote Protasio al career Capitolii per battezzare il recluso Geminiano, omnia fundamenta carceris commota sunt et fons aquae inundavit {Passio ss. Luciae et Geminiani 2: Mombritius, 2, p. 112, 30). Luogo considerevole, questo, perchè diversamente dalle altre leggende agio­ grafiche romane, il career Foro inminens vi è chiamato career Capitolii, secondo ogni verisimiglianza, per distinguerlo dal nuovo career publicus eretto ad Flefantum nel Foro olitorio: luogo considerevole altresì per­ chè suppone non ancora nata, o certo non diffusa, in Eoma la tradi­ zione popolare della prigionia di s. Pietro nel carcere Tulliano e del prodigio che egli vi avrebbe operato. Dai testi sopra riportati e discussi appare evidente che l’antica prigione di Eom a continuò ad essere chiamata career - per lo più senza alcun aggiunta - fino al secolo V II. Quindi la custodia M a­ m ertini {custodia, si badi, non mai career, come si cominciò a chia­ marla nel Einascimento e come la chiamano ancora oggi general­ mente archeologi e storici) fu senza dubbio un locale diverso dal career Tullianus, almeno in origine. La prima notizia, non del tutto fugace, della custodia Mamertini ci è data dalla Passio ss. Processi et M artiniani, che i critici ritengono composta verso il secolo Y I 3. Dopo la tragica fine di Simon mago (così narra questa Passio) Nerone consegnò i santi apostoli Pietro e Paolo al magister officiorum, il quale a sua volta, internatili nella cu­ stodia Mamertini, ne commise la guardia a un certo numero di magistriani comandati da due melloprincipes: Processo e Martiniano4. Ciò 1 Passio s. Martinae, 4. 26 (Acta SS. Bolland., I ian., 14). L ’agiografo im ­ magina imprigionata la martire nella terza habitatio. 2 Per l ’età di questa Passione, v. D ufourcq, Étude, 1, p. 370 sgg.; C a n ­ zoni, Le diocesi d’Italia, p. 321 sg.; 632 sgg. 3 Vedi D ufourcq, Étude, 1, p . 303 sgg. 4 I magistriani (o agentes in rebus) costituivano, com ’è noto, una schola dipendente dal magister officiorum, comandante di tutte le truppe palatine. Erano soldati di cavalleria interamente a disposizione del potere centrale, ese­ cutori degli ordini dell’im peratore (M ommsen , Bômisches Strafrecht, p. 319 sg.).

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significa, a mio avviso, che il tiranno, in attesa di trovare qualche motivo o pretesto per processare i due apostoli, dei quali non consta alcun defitto, vuole intanto assicurarsi delle loro persone. Per conse­ guenza, la custodia Mamertini non è il career publicus. Questa deduzione è avvalorata dal fatto che nella custodia Mamertini (di cui nè la Passio ss. Processi et M artiniani nè altre accennano mai l’angustia, l’oscurità, lo squallore, etc.) s. Pietro raccoglie e battezza una cinquantina di persone, per le quali celebra anche il divino sacrifizio. Colà sono inoltre ammessi liberamente quanti cristiani, infermi od ossessi, desiderano ricorrere all’intercessione dei due reclusi. Altro fatto degno di consi­ derazione: che la guardia è affidata ai magistriani (agenti segreti di polizia e corrieri imperiali, dipendenti dal magister officiorum, coman­ dante supremo delle truppe di palazzo), i quali non avevano nulla a vedere col personale addetto alla custodia del career publicus 1. Tutto dunque induce a credere che il compilatore della Passio ss. Processi et M artiniani non immagini i principi degli apostoli carichi di catene nella triste penombra del career, ma semplicemente detenuti militari custodia, a un dipresso come s. Paolo nella prima prigionia rom ana2. Così intese l’autore del Martyrium beati Petri apostoli a Lino epi­ scopo conscriptum, rimanipolazione latina - dettata sicuramente in Roma nel volgere del secolo V I 3 - del primitivo Μαρτΰριον του αγίου αποστόλου Πέτρου che, a giudizio dei più intendenti, fu composto circa l’anno 200, in A sia 4.

Come i frumentarii di trista memoria, loro predecessori (Lid ., Be mag., 2, 26 [ed. Bonn, p. 190, 3]: των πάλαι μέν φρουμβνταρίων, νΟν δέ μαγιστριανων), potevano essere incaricati della ricerca e della cattura di qualche reo insigne (Passio s. Basilisci, 1, 5 sgg., in Acta SS. Bolland., i mart., 238 sgg.), nonché della sua custodia (libera o militare). Ma i magistriani non fecero mai parte del personale addetto al career publicus. 1 Vedi sopra p. 15, nota 4. 2 Basti rimandare a G-. R iccio tti , Paolo Apostolo, Città del Vaticano 1946, p. 517 sgg., n. 603 sgg. - Che la seconda prigionia romana sia stata scontata da s. Paolo nel career publicus (R icciotti , op. cit., p. 563 sg,; cf. Be lettere di s. Paolo tradotte e commentate, R om a 1949, p. 445 sg., 489) può darsi, ma non mi pare dimostrato. 3 Sul luogo, nessun dubbio (L. V ouaux , Les Actes de Pierre.. . , Paris 1922, p. 137). Quanto all’età, il Vouaux non esita ad assegnare la rielaborazione dello Ps.-Lino « tou t à la fin du IV e siècle ou tout au comm encem ent du Ve » (op. cit., p. 136). A me questa data non pare accettabile per le ragioni che recherò più avanti. 4 Vedi V ouaux , Les Actes, p. 203 sgg. (date); 207 sgg. (lieu); C. Schmidt, Studien zu den Pseudo-Olementinen. . . , Leipzig 1929, p. 7,298.

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Ecco in breve quel che pretende insegnarci codesto Μαρτύρωνl: L ’apostolo Pietro, predicando in Eoma con libertà la legge di Cristo, insinua nelle quattro concubine di Agrippa -praefectus urbi il fermo pro­ posito di darsi a una vita interamente casta. Sicché costui, montato su tutte le furie, decide di sopprimere l’odiato predicatore. Venuti a cognizione di ciò i fedeli vanno in massa a gettarsi ai piedi dell’apo­ stolo, supplicandolo di volersi sottrarre con la fuga, per il bene comune, all’imminente pericolo. Egli cede, quantunque a malincuore, e la notte, tutto solo e travestito, si pone in cammino. Ma presso l a p o r t a della città gli si fa incontro il Signore e gli comanda di rientrare. Al mattino, mentre Pietro incoraggia i discepoli sorpresi e dolenti del suo ritorno, sopraggiungono le guardie mandate a catturarlo. Questa narrazione di per sé abbastanza semplice e naturale, perde ogni coerenza, ogni verisimiglianza nella rielaborazione dello Ps.-Lino, il quale si illude di poterla impunemente contaminare con la tradizione popolare romana del secolo V -V I da noi conosciuta mediante la Passio ss. Processi et M artiniani. Lo Ps.-Lino dice infatti che il principe degli Apostoli, quando venne pregato a mettersi in salvo fuori di Eoma, non stava più a piede libero (secondo che narra l’antico Μαρτύρων), ma compedibus vinctus in squalidissima custodia, dunque nel career publicus2. Ivi lo Ps.-Lino non ha difficoltà di supporre convenuti tutti i cristiani del­ l’Urbe per esortare Pietro alla fuga, in pieno accordo con i c u s t o d e s c a r c e r i s Processo e Martiniano, convertiti già e battezzati da lui. Postquam nos credentes, essi gli dicono, in h a c v i c i n a Mamertini custodia, fonte. . . de rupe producto. . . baptizasti, licentiose quo libuerat perrexisti et nemo tibi fuit molestus (c. 5, ed. Lipsius, p. 6, 27). E on so se altri abbia mai rilevato che lo Ps.-Lino accenna qui due detenzioni del principe degli Apostoli in Eoma: la prima in Mamertini custodia, dalla quale, in seguito al battesimo dei due custodi, egli potè uscire liberamente e recarsi dove più gli piaceva; la seconda, dopo la trista fine del mago samaritano, nel duro career. Da questa doppia prigionia, forse suggerita al rielaboratore del Μαρτύρων originale dalla tradizione popolare romana, risulta in ogni modo che nel secolo V I la sorgente prodigiosa e il battesimo di Processo e Martiniano non

1 Cap. 4 sgg., in V o uau x , Les Actes, p. 416 sgg. 2 Martyrium b. Petri a Lino epise. conscriptum, cap. 2, in R. A. L ipsius. Acta Apostolorum apocrypha. I., Lipsiae 1891, p. 2, 13-14.

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erano immaginati nel tetro career publicus1, sì bene nella custodia Mamertini. La custodia Mamertini è qualificata più chiaramente che altrove in una leggenda agiografìea romana, sulla cui storia forse non è stata detta ancora l’ultima parola. A cap. 12 della Passio ss. Polychronii, Parm enii et soc. (ultima definitiva redazione della Passio ss. Sixti, Lau­ renti et Y p oliti2) l’imperatore Decio, dopo un breve interrogatorio, or­ dina di tradurre il papa Sisto II al tempio di Marte, perchè vi sacrifichi al dio, aggiungendo: Quad si noluerit, recludite eum in custodia M a­ mertini. Sisto rifiuta energicamente di compiere l’atto sacrilego: q u i n ­ d i i milites, ossequenti all’ingiunzione ricevuta, ducunt eum in custo­ diam privatam 3. La prigione dunque di cui si tratta, plena locutione dovette essere chiamata custodia privata Mamertini, di solito però o Mamertini custodia, sottintendendo privata, o privata Mamertini, sot­ tintendendo custodia4. Ci fu dunque a Eom a - e non a Eom a soltanto, credo - oltre il career publicus, o custodia publica, una custodia privata, così detta in opposizione alla prima, perchè destinata ad ospitare, durante il pro1 Dal quale lo Ps.-Lino distingue la custodia Mamertini che evidente­ mente egli ritiene più mite. 2 L ’ultima redazione della Passio ss. Sixti, Laurenti et Ypoliti va, per m io avviso, assegnata piuttosto alla fine che al principio del secolo VI. 3 L a Passio s. Polychronii, cap. 12 (ed. H. D elehaye , Recherches sur le légendier Romain, in Analecta Bollandiana, t. 51, 1933, p. 81) narra che i militi contempto praecepto Pedi, duxerunt eum (X ystum ) in custodiam privatam. D onde a bella prim a parrebbe doversi raccogliere che la custodia privata nella quale costoro condussero il santo papa, contempto praecepto Pedi, fosse diversa dalla custodia Mamertini designata dall’imperatore. Ma in realtà l ’agiografo vuol dire che, essendo stato disprezzato (da s. Sisto) l ’ordine (di sacrificare a Marte), i soldati, ossequenti ai comandi dell’im peratore, rinchiusero il martire nella cu­ stodia privata Mamertini. La versione greca, trasmessaci dal cod. Vat. gr. 1989, ha καί πληρώσαντες οι στρατιώται τό προσταχϋέν αύτοϊς υπό του βασιλέως άπήγαγον αυτόν έν τηι φρουράι (f. 178ν, col. 2, 1. 13). Leggeva forse l ’interprete attento praecepto P edi ? 4 R icorda l ’espressione, parimente ellittica, privata Hadriani (Regiones Urbis, reg. X I I , ed. C. L. U rlichs, Codex urbis Romae topographicus, W irceburgi 1871, p . 17) nella quale si sottintende domus (Vita M . Aurelii, 5, 3 Ha­ driani privatam domum). Nella retroversione della Passio greca di s. Stefano papa, Gr. Sirleto voltò τά πριβάτα του Μαμερτίνου in domus privata Mamertini corr. poi Mamertini domus senz’altro (cod. Vat. L at., 6188, f. 488v), ignorando che nell’originale lat. privata Mamertini non designa una domus, ma una cu­ stodia privata in opposizione a custodia publica (p. es. Passio s. Polychronii, 7, ed. D elehaye , Recherches, p . 78: reclusit eos in custodia publica).

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cesso o nell’attesa di esso, quegli imputati, ai quali, per l’alto grado sociale o per altri gravi motivi, si voleva risparmiare l’ignominia del tenebroso career vindex nefariorum ac manifestorum scelerum, in cui i reclusi giacevano nella più repugnante promiscuità, caricM di ca­ tene ed esposti ai maltrattamenti degli aguzzini e dei carnefici l 2 . Nella custodia. privata invece si godeva libertà di movimenti, era consentito ricevere visite e il necessario alla vita, e la custodia soleva essere affidata a militi della guardia, o a poliziotti scelti, agli ordini del capo supremo delle milizie palatine. D ove fosse situato per l’appunto la custodia Mamertini non sap­ piamo. È vero che Processo e Martiniano, presso lo Ps.-Lino, par­ lando a s. Pietro nella squalidissima custodia (i. e. nel career, anzi nella cella interior, poiché l ’apostolo vi sta con i piedi serrati nelle compedes), gli ricordano il battesimo loro amministrato in hoc vicina Mamertini custodia. Ma questa locuzione non significa, per sé, necessariamente una vicinanza così immediata da vietarci di immaginare la custodia M a­ mertini presso la rupe Tarpea - cioè alla estremità del colle Capitolino opposta a quella ove sorge il career Tullianus2 - come sembrerebbe doversi raccogliere dalla Passio ss. Processi et M artiniani (1,10) facto signo crucis in monte T arpeio3, in custodia Mamertini. Passo importan1 Gl’im putati di elevata condizione sociale venivano custoditi libero con­ clavi nelle case dei magistrati (Sallust ., Catii., 47, 3; T ac ., Ann., 6, 3, 3) ο presso qualche personaggio insigne. Negli Acta ss. Pauli et Theclae, 27, γυνή τις πλούσια όνόματι Τρΰφαινα prende in sua casa la santa giovine εις τήρησιν nell’in ­ tervallo fra la condanna e l ’esecuzione. S. Filippo, vescovo di Eraclea, e il suo diacono Ermete, già decurione e magistrato municipale, sono ospitati precaria­ mente da un personaggio per nom e Pancrazio (Passio 7, 18, ed. R u m art , Acta, p. 368, col. 2: Pancrati... vicina domus complacuit, in qua sub custodia reciperentur hospitio). Tradotti in A drianopoli, vi attendono Vadventus del governatore in Symphori· cuiusdam suburbano (ih., 10, 6, ed. cit., p . 369). Questo permesso di alloggiare in una casa privata, in hospitio custodiri, com e dice la Passio s. Phil. Eeracl., costituiva l ’attenuazione massima della custodia militaris. 2 In Gregor. M agn ., Dial., 4, 31 (ed. M oricca, p. 275,5) un personaggio dim orante nell’isola di Lipari, accennando alla Fossa di Vulcano, dice appunto: in hac vicina Vulcani olla. - Io non so com e intendessero le parole sopra riferite dello Ps.-Lino quegli studiosi che ritenevano operato nel Tullianum il miracolo della fonte. Certo è che una persona reclusa nella cella soprastante al TulUanum non avrebbe mai designato quest’ultimo con le parole: « la vicina Mamertini custodia », poiché Mamertini custodia era la denominazione di tutto l ’edificio penale, non di ima sua parte, di una sola cella. 3 Mons Tarpeius per il nostro agiografo non è il colle Capitolino, ma, com e intese già lo Ps.-Lino (fonte de rupe producto) la rupe Tarpea, il fam oso saxum, donde si solettero precipitare i rei di certi delitti fino all’impero di Claudio.

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te ma non così chiaro, come si direbbe a bella prima, sul quale tornerò di proposito fra poco. Vediamo intanto che cosa c’insegnino intorno alla custodia M a­ mertini le altre leggende agiografiche romane del secolo VI. Esse men­ zionano di tanto in tanto quella custodia, ma come luogo di detenzione ben noto, quindi senza entrare mai in particolari. Con tutto ciò non posso dispensarmi dal prendere in rapido esame i singoli testi. La Passio s. Callisti (sec. V -V I )1 racconta come il console Palmazio resosi cristiano venne messo agli arresti da Torquato tribuno (della Guardia) in custodia Mamertini (Acta SS. Bolland., v i oct., 440, n. 4). È, parmi, manifesto che, così facendo, costui, pure assicurandosi della persona del reo, intende usargli il riguardo dovuto a un personaggio illustre che l’imperatore Alessandro Severo non ha ancora giudicato nè interrogato. In effetto, quando se lo fa presentare, ordina di scio­ glierlo - poiché era vinctus catenis come di regola - , lo ascolta bene­ volmente e da ultimo lo affida al senatore Simplicio, perchè s’ingegni a richiamarlo con le buone ad deorum culturam. Secondo la Passio s. Stephani papae, che offre una spiccatissima affinità con la Passio ss. Polychronii, Abdon et Sennen, X ysti et soc., onde ben diffìcilmente è anteriore al secolo V I volgente al V I I 2, il tribuno Nemesio sarebbe stato rinchiuso nella custodia privata (c. 1,1: Acta SS. Bolland., i aug., 140), εν τήι ιδιωτικήι φυλακήι (vers. gr. in cod. Vat. gr. 1671, f. 73), cioè nella custodia Mamertini, per ordine di Valeriano desideroso, come lo si suppone, di trattare ού ξύν ατιμίαι3 quell’ufficiale superiore (della sua guardia), nella speranza di trarlo all’apostasia. Che con l’espressione custodia privata il leggendista abbia voluto qui designare appunto la custodia Mamertini appare dal con­ fronto con la citata Passio ss. Polychronii et soc. e da quel che egli scrive poco dopo: Sapricius praefectus {urbi) tribunal sibi praeparari fecit in loco qui dicitur privata Mamertini (c. 2, 12, ed. cit., p. 143; la vers. gr. nel cod. Vat. 1671, f. 76v: εν τώι τόπωι καλουμένωι τά πριβά(τα) τοϋ Μαμερτίνου)4. Naturalmente l’agiografo non immagina alzato il 1 Vedi D ufourcq, Étude, 1, p. 311. 2 II D ufouroq (Étude, 1, p. 309) assegna invece la Passio s. Stephani alla prima metà del seo. V I. 3 Così Procopio (Bell. Gotti., 3, 32, 5) parlando di alti personaggi armeni, ai quali si volle risparmiare la detenzione έν χώι δημοσίωι οίκήματι. 4 Una custodia privata accanto alla custodia publica non offre difficoltà, specialmente dopo il IV secolo. Nella Passio, altamente leggendaria ma antica, dei ss. Giuliano, Basilissa e Celso, martiri di A ntinoopoli in E gitto, il preside

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tribunale entro la custodia, sì bene nella località che da essa prendeva il n om e1. Era in facoltà del prefetto, come dei governatori delle provin­ ole, tenere udienza dovunque loro talentasse, nei fori, nelle basiliche, nelle terme, nei teatri e via dicendo, sempre però in luoghi accessibili al pubblico 2. L ’anno 303, in Eraclea, vediamo il praeses Basso indica­ turus solito more residens davanti alla porta della chiesa dei cristiani perseguitati. L ’imperatore Massimiano nella Passio s. M arcelli papae (c. 1,4: A cta SS. Bolland., n i ian., 6) consegna il diacono Sisinnio a Laodicio praefectus urbi, il quale lo tiene agli arresti per diciassette giorni nella custodia M am ertini: nel pomeriggio del diciottesimo se lo fa presentare da Aproniano commentariense. Ma la mattina di quel giorno Sisinnio, dopo aver battezzato in piena regola Aproniano nella custodia, lo aveva condotto dal papa Marcello per il sacramento della confermazione. Donde pare lecito inferire che il leggendista riguarda la custodia M a­ mertini come un luogo di semplice reclusione, nel quale si sta alquanto alla larga: fuori di dubbio egli non ha il pensiero all’orrido career di cui perfino ignora il nome. Lo stesso deve dirsi, a mio avviso, dell’autore della Passio ss. Eusebii, M arcelli, H ippolyti et soc. (i martiri greci) ripubblicata con un eccellente commentario, dopo G. B. de Rossi, dal P. Delehaye negli Acta SS. Bolland. (iv nov., 93-99). D ’accordo con l’ultimo editore, non

com incia col far rinchiudere Giuliano e Celso nella custodia privata (custodia privata recludantur et quae necessariae sunt opes subministrentur eis, c. 8, 33. [Acta SS. Bolland., i ian., 582]. L ’originale greco in cod. V at. gr. 1667, f. 196, I. 18 sg. άποκλεισθήτωσαν έν Ιδιωτικήι φυλακήι κτλ.); p oi li fa trasferire nel career, anzi in carceris ima, εν τήι έσωτέραι φυλακήι (cod. cit. f. 206v, 1. 15). Così a c. I I , 47 (Acta SS., vol. cit., p. 595), concedendo a Marcionilla e a Celso una dilazione di tre giorni, ordina: Excludantur in custodia privata. E su quest’o r­ dine i due im putati recluduntur in civili custodia (Γoriginale greco è qui mutilo per lacerazione di un foglio, ma probabilm ente diceva εν πολιτική ι φυλακή l. com e Pap. Oxon., 259, 8), sub militari custodia, s’intende. Marcionilla infatti dice: Ecce nos claustra retinent et custodiae militum circumvallant. 1 Così, dove L ivio scrive: Cato atria duo Maenium et Titium in lautumiis... emit, basilicamque ibi fecit, quae Porcia appellata est (39, 44,7) accenna alla lo c a ­ lità d o v ’erano le prigioni dette lautumiae, non alle prigioni stesse; cf. J ordan , Topographie, 1, 2, p . 344. 2 Vedi L e B lant , Les Actes des martyrs, par. 11, 18; Les persécuteurs et les martyrs, p. 180; M ommsen, Bômisches Strafrecht, p. 359 sgg; cf. Esanchi d e ’ Cavalieri, Note agiografiche, V ÌI, p. 12.

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esito ad assegnare codesta Passio al secolo V I 1, ma forse non a torto il grande archeologo romano credeva cogliervi la mano di un rimaneg­ giatore più recente2. Checché ne sia, a me importa richiamare qui l’attenzione del lettore sul fatto che l’agiografo immagina reclusi i martiri in una prigione di cui non rileva nè le tenebre nè lo squallore nè i tormenti e che chiama custodia publica (nn. 10. 11, pp. 96 e , 97 b ), custodia Mamertini (n. 12, p. 97 e ) o custodia senz’altro. A l pari dunque del compilatore della Passio s. Marcelli papae, egli non intende ricor­ dare il career Tullianus, il career κατ’ εξοχήν dei classici (Sallustio, Livio, Tacito, Calpurnio Flacco, etc.) e degli agiografi, ma un altro luogo penale meno d u ro3. Unica eccezione - per quanto io sappia - la Passio ss. Abundii et Abundantii, misera compilazione del secolo V II4, se non più tarda ancora, dove si legge: Diocletianus iussit amoveri sanctos et in carcerem recipi in custodia Mamertini 5. Ma in custodia Mamertini ha troppo l’aria di una aggiunta - fatta, se non erro, dall’autore stesso alla espressione usitatissima in carcerem recipi·, aggiunta diretta a dar colore locale al racconto e suggerita con ogni probabilità dalla Passio ss. Polychronii, P armenii et soc., perchè di questa è largamente tribu­ taria la Passio ss. Abundii et Abundantii. Dai testi agiografici sopra esposti ecco quanto è lecito raccogliere, se l’amor proprio non m ’inganna, con relativa sicurezza: 1. - L ’antico career publicus o Tullianus, posto in comitio alle 1 D ueourcq, Étude, 1, p . 181 sg., 300 sg.; [H. D elehate ], L ’amphithéâ­ tre Flavien et ses environs dans les textes hagiographiques, in Analecta Bollandiana, 16, 1897, p. 239 sg.; Étude sur le légendier romain. Les saints de novembre et de décembre, Bruxelles 1936, p. 146. 2 Vedi de R ossi, Borna sotterranea, 3, 1877, p . 209. Anche il P . Delehaye dichiara di non escludere una recensione anteriore (Acta SS. Bolland., iv n ov., p. 91, Comm. praev., 8). 3 Anche per il tardo redattore della favolosa Passio ss. Caesidii et soc. che trasporta la custodia Mamertini in Amasea (forse per metonimia, com e A puleio , [Metam., 9, 10] il Tullianum nella Tracia ?) essa è la mite prigionia preventiva. Jussit autem proconsul mittere eos in privata Mamertini (la recensione ed. in Acta SS. Bolland., v i aug., 655, n. 5 in privata custodia). Cogitabat autem quibus blandimentis vel sermonibus posset eos revocare ad culturam deorum suorum (O c ­ tavius a S. F rancisco [O. Spader], Assisiensis ecclesiae prima quatuor lumina­ r i a ..., Fulginii 1715, p . 14). 4 Vedi D ufourcq, Étude, 1, p. 220, 230 sg.; L anzoni, Le diocesi d’Italia, p. 517. Ma nè l ’uno nè l’ altro studioso precisa l’età della Passio. 5 [F. Cardulus], S. martyrum Abundii presb... Passio... ex tribus vetus­ tissimis. . . codicibus deprompta, Romae 1584, p. 14,1.

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radici del Foro, continuò ad essere chiamato dai romani career (per lo più senza alcun aggiunto) fino al secolo V II, quando cessò di venire adibito a prigione di Stato. Career publicus cominciò allora a chiamarsi quello approntato ad Mefantum in uno dei templi del foro Olitorio 1. 2. - bielle Passiones romane del secolo V I compare una custodia Mamertini che il Martyrium b. Petri apost. a Lino ep. conscriptum dice vicina alla prigione squalidissima in cui l’apostolo avrebbe trascorso gli ultimi giorni vinctus compedibus, v i c i n a dunque al career pu­ blicus e perciò distinta da esso. 3. - La custodia Mamertini, di cui nessuna leggenda accenna comechessia i rigori, dove anzi vediamo il principe degli Apostoli ricevere liberamente i cristiani infermi, amministrare il battesimo a numerose persone raccolte insieme, celebrare il sacrifizio divino, è una prigione mite, tanto da essere qualificata talvolta custodia privata in evidente opposizione a custodia publica, a career. 4. - Trasmigrata la prigione di Stato, circa il secolo V II, dal Comizio al foro Olitorio e per conseguenza cominciatosi a chiamare career publicus quello ad Plefantum 2, non dovette tardare molto la fantasia del popolo a trasferire la detenzione di s. Pietro e il battesimo dei suoi custodi nell’antico career abbandonato, identificandolo con la custodia Mamertini. A tale identificazione - che faremmo risalire volentieri al secolo V i l i , quantunque documentata indiscutibilmente solo nel X I I - contribuì certo non poco l’orrido aspetto del Tullianum e la limpida sorgente che tutti sanno. 5. - Una volta applicata al career publicus sub Capitolio la deno­ minazione privata (custodia) M am ertini3, essa perdette, eom’è ovvio, 1 Vedi A. B artoli, I templi del foro Olitorio e la diaconia di S. Nicola « in Carcere », in Rendiconti della P . Accademia romana di archeologia, 5, 19261927, p. 218 sgg. 2 II career publicus ad Elephantum assai tardi com inciò a chiamarsi c. Tullianus, grazie alla falsa erudizione medioevale. Questa erronea denom ina­ zione occorre la prim a volta secondo L . A dami (Ricerche intorno al sito preciso del carcere Tulliano, R om a 1804, p. 95) in una bolla d ’Innocenzo II I d e lla . 1148. Già peraltro nella Vita Gelasti I I (a. 1118-1119) si ricorda un Grisogonus sancti Nicolai in carcere Tulliano (Liber pontificalis, ed. Duchesne, 2, p . 313,3). Sulla chiesa di San Nicola in carcere, v. Chr . H uelsen , Le chiese di Roma nel medioevo..., Firenze 1927, p. 392. 3 Si noti che a R om a nel sec. V -V I e per tutto il medioevo si disse costantemente custodia Mamertini·, privata Mamertini, mai career Mamertini (o Mamerti­ nus), contaminazione, questa, invalsa, per quanto ho potuto vedere, nel volgere del secolo X V I e tuttora usata dagli archeologi a preferenza di career Tullianus.

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il significato suo proprio, assumendo quello generico di career; tanto che, fattosi dell’aggettivo privata addirittura un sostantivo privata o privatum, nel secolo X TTT ci fu, a Borna, chi scrisse privata publica, privatum publicum \ 6. - Mamertinus, come si è congetturato da più di uno studioso, può essere il nome dell’antico proprietario dell’edifizio poi convertito in custodia, o il nome dell’autore di quest’ultim a1 2.

Passo ora ad occuparmi in particolare della Passio ss. Processi et M artiniani, la quale, benché giudicata rettamente dai critici una pura leggenda (salvo, ben inteso, la indiscussa storicità dei due martiri, il giorno del loro trionfo, il luogo della loro tomba) non migliore delle altre leggende romane del secolo VI, merita di essere analizzata con ogni cura, dando luogo ad osservazioni non disprezzabili. La Passio ss. Processi et M artiniani consta di due parti ben di­ stinte, cucite insieme molto alla buona. La prima, in sostanza, non è che un tratto della fine di una Passio s. P etri; l’altra, che narra diffu­ samente il processo dei due martiri eponimi, sembra, come vedremo, non avere a far nulla con la prima. Per valutare questa con approssimativa esattezza, gioverà de­ terminare se ciò che essa racconta degli ultimi giorni di Pietro e che naturalmente echeggia la tradizione popolare romana del secolo Y -Y I, concordi con la tradizione anteriore, a cominciare dal Μαρτύριον τοΰ

1 Mirabilia Romae, cl. II, s. χιιι, n. 8 (in U rlichs, Codex, p. 118) Tria sunt privata publica. Unum sub Capitolio. Alterum privata Mamertini. Tereium foris portam Appiam iuxta templum Martis. D ov e l ’A nonim o Magliabecchiano del see. X V ha privatum monumentum, che PUrlichs (op. cit., p. 166) m utò in privatam Mamertinam, preferirei privatum Mamertinum. 2 C’era anche a Eom a un balineum Mamertini (De regionibus, reg. I, in U rlichs, Codex, p. 3) m olto più antico però della privata custodia Mamertini, se eretta da Sestio Petronio Mamertino praefectus praetorio (a. 139-143) com e con ­ gettura S. B . Platner (A topographical Dictionary of ancient Rome [ed. Th. Ashby], Oxford 1929, s. v.). D i questo balineum si farebbe menzione negli A tti autentici di s. Giustino (f 165/167), ove cogliesse nel segno una timida correzione proposta da P. F ranchi de ’ Cavalieri , Osservazioni sopra alcuni atti di martiri da Settimo Severo a Massimino Daza, in Nuovo Ballettino di archeologia cri­ stiana, 10, 1904, p. 6, nota.

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DELLA

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αγίου αποστόλου Πέτρου composto, a giudizio dei più competenti, in Asia, verso la fine del II secolo l. L ’apostolo Pietro (così il Μαρτύριον), dopo la caduta di Simon mago e la sua morte in Terracina, ήν εν τήι 'Ρώμηι αγαλλιώμενος μετά των αδελφών εν τώι Κυρίωι καί ευχαριστών νυκτός καί ημέρας επί τώι δχλωι τώι καθημερινώι τώι προσαγομένωι τώι δνόματι τώι αγίωι τήι τοϋ Κυρίου χάριτι (c. 4, ed. Youaux, p. 416). Fra le donne d ’« alto bordo », che frequentano il santo sono le quattro concubine di Agrippa praefectus urbi, le quali άκούουσαι τον της αγνείας λόγον καί πάντα τα τοϋ Κυρίου λόγια, di comune accordo abbandonano l’uomo per darsi a vita perfettamente casta. Allora un gran personaggio, Albino, του καίσαρος φίλος, furioso per vedersi abbandonato dalla consorte San­ tippe, attratta ancor essa dalla predicazione di Pietro sulla castità, ricorre al prefetto di Pom a non meno furioso di lui per la perdita delle sue concubine, e i due concertano di uccidere l’odiato predicatore (c. 5, ed. cit., p. 422). Ma Santippe, avuto sentore di ciò, si affretta ad avvertire l’apostolo, όπως Ιξέλθηι από τής 'Ρώμης. Lo stesso consigliano καί οί λοιποί αδελφοί con Marcello senatore. Pietro si lascia persuadere e tutto solo, μόνος, μεταμφιάσας τό σχήμα, se ne parte (c. 6, ed. cit., p. 426). Mentre esce però dalla porta (ώς εξήιει την πύλην) vede en­ trarvi il Signore e gli dice: Κύριε, ποΰ ώδε. Il Signore risponde: Εισέρχομαι είς την 'Ρώμην σταυρωθήναι. E Pietro: Κύριε, πάλιν σταυροϋσαι; Ναί, Πέτρε, risponde, πάλιν σταυροϋμαι. Pietro allora ελθών εις εαυτόν καί θεασάμενος τον Κύριον εις ουρανόν άνελθόντα, ΰπέστρεψεν εις την 'Ρώμην αγαλλιώμενος καί δοξάζων τον Κύριον, δτι αυτός εΐπεν ■ Σταυροϋμαι. 8 εις τον Πέτρον ήμελλεν γίνεσθαι. Appena tornato in mezzo ai fedeli e narrata loro la visione, στρατιώται τέσσαρες 2 αυτόν

1 Uso l ’edizione del V ouaux , Le s Actes de Pierre, p. 398 sgg. 2 Questa è la lezione del Lipsius seguita dal Y ouaux (Les Actes, p. 430, 4). Ma l ’esame delle varianti raccolte da entrambi nell’apparato critico m ’induce a proporre una restituzione più particolareggiata e, se non sbaglio, più probabile. La lezione del cod. Patm iaco (ίεροπολΐται τεσσάρεις) collazionata con la ver­ sione dello Ps.-Lino (Eieros curri quatuor apparitoribus et aliis decem viris) con la versione copta e la etiopica (quattro militi della coorte cbe stava davanti al re) e con la siriaca (quattro soldati armati e un gruppo di servi) invita a ritenere la congettura del Lipsius “Ιερός καί στρατιώται τέσσαρες σύν δέκα ύπηρέταις assai vicina alla lezione originaria, bisognosa però di com plem ento. Infatti a "Ιερός (nome di colui che dirige l ’operazione) dovette seguire la qualifica (εκα­ τόνταρχος, κεντυρίων o simile) non essendosi fatta di lui menzione dianzi. Alla voce στρατιώται (trattandosi, giusta le versioni copta ed etiopica, di uomini della

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παραλαβόντες άπήγαγον τώι Άγρίππαι che, senza neppur curarsi d’inf ormarne l’imperatore, lo condanna alla crocifissione: επ’ alt ία ι άθεο τητος εκέλευσεν αυτόν σταυρωθήναι (c. 7, ed. cit., p. 430). L ’autore dunque del Μαρτΰριον primitivo immagina passato il prin­ cipe degli Apostoli dalla piena libertà direttamente al supplizio della croce, senza neppur attraversare il career publicus o la custodia privata. Lo segue fedelmente s. Ambrogio ( Contra Auxent. de basilicis tradendis, 13; PL, 16, 1053): Petrus, victo Simone, cum praecepta B ei populo se­ minaret . . . excitavit animos gentilium, quibus eum quaerentibus Chri­ stianae animae deprecatae sunt, ut paulisper cederet.. . Contemplatione populi precantis inflexus e s t.. . nocte muros egredi coepit, et videns sibi in porta Christum occurrere ait: Domine, quo vadis ? Respondit Christus: Venio iterum cru cifigi... Itaque sponte remeavit {Petrus), interroganti­ bus Christianis responsum reddidit, statimque correptus per crucem suam honorificavit dominum Iesum. Anche lo Ps.-Egesippo (B e excidio Hierosol. 3, 2; ed. ITssani, p. 186, 3 sgg.) si attiene in sostanza al Μαρτΰριον: Deceptum se Nero et destitutum dolens tanti casu amici (il mago samaritano).. . indignatus quaerere coepit causas, quibus Petrum occideret. Et iam tempus aderat, quo sancti vocarentur apostoli Petrus et Paulus. Denique dato ut conprehenderentur praecepto, rogabatur Petrus ut sese alio conferret. . . plebs la­ crimis quaerere ne se relinqueret.. . Victus fletibus Petrus cessit.. . P roxi­ ma nocte. . . proficisci solus coepit. Ubi ventum ad portaml, vidit sibi Chri-

Guardia, preferirei όπλΐται (voce che sembra nascondersi nello spropositato ΐεροπολΐται del cod. Patm .). Insomma io proporrei di modificare così la conget­ tura del Lipsius (soltanto, ben inteso, speciminis causa)·. "Ιερός (κεντυρίων και) όπλΐται τέσσαρες σύν ύπηρέταις δέκα. Alla cattura di s. Dionisio, vescovo di A les­ sandria, vediamo inviati appunto στρατιωται e ύπηρέται agli ordini di un centu­ rione (E u se b ., Hist, eccl., 7, 11, 22). 1 Le fonti asseriscono concordem ente che l ’apostolo vide il Signore mentre appunto varcava la porta della città: ubi ventum ad portam (Ps.-Egesippo), in porta (s. Am brogio), ώς εξήιει [ó Πέτρος] τήν πύλην (il Μαρτΰριον ut portam civitatis voluit egredi (lo Ps.-Lino), iuxta portam Appiam (la Passio ss. Processi et Martiniani). Per conseguenza la chiesina di S. Maria in Palmis (Domine quo vadis), « edificata poco meno di un chilometro dalla porta Appia, l ’attuale porta di s. Sebastiano, in tem po assai antico, a ricordo della celebre apparizione » (M. A rmellini [ed. C. Cecchelli], Le chiese di Poma3, t. 2, Rom a 1942, p. 1106), non sorge nel luogo additato dall’antica tradizione. La quale del resto in origine non collocava certo l’apparizione iuxta portam Appiam (come dice la Passio ss. Processi et Martiniani, gli altri testi non fanno il nome della porta) sì nella porta Capena nelle pendici del Celio, com e corregge tacitamente G. B. L ugari

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stum occurrere e t .. . dixit: Domine, quo venis ? D icit ei Christus: Iterum venio crucifigi. Intellexit Petrus de sua dictum 'passione, quod in eo Chri­ stus passurus videretur, qui patitur in sin gu lis.. . M conversus (Petrus) in urbem redit captusque a persecutoribus, cruci adiudicatus, etc. In un solo particolare degno di nota lo Ps.-Egesippo discorda dal Μαρτυριον primitivo e dal Contra Auxentium di s. Ambrogio, dove cioè imputa la condanna e la crocifissione di Pietro, anziché ai gentili della metropoli furenti per la dottrina da lui predicata, all’imperatore Ne­ rone bramoso di vendicare la morte di Simon mago. Più modificata appare la storia apocrifa di s. Pietro due secoli dopo, quando un agiografo latino, verisimilmente in Roma e sotto il mentito nome del successore del primo vicario di Cristo *, prese a tradurre il Μαρτυριον, ampliandolo però con quel di più e di diverso che gli dettava la tradizione popolare a noi trasmessa dalla Passio ss. P ro­ cessi et M artiniani. La prima parte di questa Passio racconta la cattura dei principi degli Apostoli ordinata dall’imperatore Nerone tempore quo Simon ma­ gus crepuit in tu s2, la loro detenzione nella custodia Mamertini, il miracoloso battesimo di Processo e Martiniano, la licenza data da co­ storo ai due reclusi, la partenza e l’immediato ritorno di Pietro dopo il suo incontro col Signore iuxta portam. Ora tale narrazione, toltone l’apostolo Paolo, fu ben nota allo Ps.-Lino che la inserì nella sua traduzione del Μαρτυριον, naturalmente con le modificazioni sembrategli necessarie. Egli infatti ci presenta s. Pietro non più docente in Roma a piede libero, ma vinctus compedibus (Il sacello « Domine quo vadis » sulla via Appia, in Nuovo Bullettino di archeolo­ gia cristiana, 7, 1901, p . 13); giacché, com e ognuno sa, la porta A ppia si apre nella cerchia inalzata al tem po dell’im peratore Aureliano (270-275). 1 Che lo Ps.-Lino abbia tradotto e ampliato il Μαρτυριον τοΰ άγ. άποστ. Πέτρου in Rom a è generalmente ammesso dai critici. Vedi R. A . L ipsius, Die Apokriphen Apostelgeschichten und Apostellegenden. . . , 2, Braunschweig 1887, p. 113; C. Schmidt, Die alien Petrus A k te n ..., Leipzig 1903, p. 144; V ouaux , Les Actes, p. 137. Vedi anche T h . Z ahn , Geschichte des neutestamentliche Kanons, 2, Erlangen e Leipzig 1892, p. 837, nota 2. 2 Così com incia la Passio ss. Processi et Martiniani. Tempore quo è uno degli inizi preferiti degli agiografi romani. Per es. Tempore quo Maximianus... coepit omnes milites expellere (Passio s. Marcelli, in Acta SS. Bolland., π ian., 5), Tempore quo Diocletianus perrexit Pannoniis ad metalla (Passio ss. Quattuor Coronatorum, in Acta SS. Bolland., m nov., 765), Tempore quo Constantinus Ro­ manorum tenebat imperium (Passio s. Pimenii, in D e l e h a y e , Étude sur le légendier, p. 259); cf. p. 45, nota 1.

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nel fondo di una custodia squalidissima, vale a dire nel career publicus. Cosicché l’apostolo giacente nella tenebrosa prigione di Stato avrebbe avuto facoltà d ’insegnare la nuova dottrina ai fedeli, tra cui molte matrone e finanche la amasie del praefectus urbi ! Lo Ps.-Lino non ignora la detenzione di Pietro nella custodia Mamertini, detenzione di cui non precisa il tempo nè indica il motivo, ma che, avendo preceduto l’internamento nel career, deve supporsi meno rigorosa. Se così è, lo Ps.-Lino non si allontana troppo dalla Passio ss. Processi et M artiniani, a tenore della quale gli Apostoli non vennero rimessi da Nerone al praefectus urbi, a Paolino vir clarissimus magisteriae potestatis 1 e da questo a un certo numero di magìstriani, suoi dipendenti diretti. Si tratta dunque della mite custodia m ilitaris2. Certo il Nerone della storia non avrebbe consegnato Pietro al magi­ ster officiorum - dignità istituita solo nel secolo IV , con ogni probabilità

1 C o n q u e s ta e s p re s s io n e si d e s ig n a v a t a n t o la c a r ic a d i magister mili­ tum, q u a n to (c o m e n e l ca s o n o s t r o ) q u e lla d i magister officiorum, d e t t a a ltre sì magisteria dignitas (p . es. Cassiod ., Variae, 1, 12, 3 [e d . M o m m s e n , p . 20 , 2 6 ]: magisteriae infulas dignitatis; 5, 5, 4 [e d . c it ., p . 147, 9 ]: officium magisteriae di­ gnitatis). AI magister officiorum s p e t t a v a il t i t o l o d i vir inlustris (Cod. Theod., 6, 27, 20 [a. 426] viro inl(ustri) magistro officiorum; 6, 2 7 , 23 [a. 430] Paulino m. o ff.. . inl(ustris) auctoritas tua; Cassiod ., Variae, 1, 12 [e d . M o m m s e n , p . 2 0 , 15]: V. i. magistro officiorum; D essau , Inscriptiones, n . 9 0 4 3 : ini. viri mag. officior.); v e d i t u t t a v ia Cod. Theod., 1, 9, 1 (a . 3 5 9 ) v(iro) c i l a r i s s i m o ) comite et magistro officiorum; D essau , Inscriptiones, n . 1 2 4 4 : FI. Eugenio v. c. magistro officiorum omnium. C o m e n o t ò g ià il B o lla n d is t a G . B . Sollier (Acta SS. Bolland., I iu l., 3 0 4, n o t a a) e a i g io r n i n o s tr i d im o s t r ò il D ueourcq (Étude, 1, p . 3 0 3 , n o t a 3 ), P a o lin o v a p r o p r ia m e n te q u a lific a to magister officiorum, n o n m. officii, c o m e h a n n o i c o d ic i d e lla Passio c o lla z io n a t i fin q u i. E p p u r e n o n s e m b r a i m p o s ­ s ib ile c h e il n o s t r o a g io g r a fo a b b ia s c r it t o a p p u n to officii e sen za c o m m e t t e r e e rro re . E ffe t t iv a m e n t e a n c h e n e g li A t t i d el c o n c ilio d i C o s ta n t in o p o li d e ll’ a n n o 5 5 3 (E . Schwartz, Acta conciliorum oecumenicorum, 4 , 2, A r g e n t o r . 19 14 , p . 169, 2 3 ), t r o v ia m o : praecipio gloriosissimo patricio Stratégie - ille enim eo tempore

tuebatur gloriosi magistri officii - ut vobiscum. una resideat. D ’ a ltra p a r t e io n o n s t u p ire i c h e n e lla n o s tr a Passio p e r officium si a v e s s e a in te n d e r e la schola agen­ tium in rebus o magistrianorum a lia q u a le e r a n o a s cr itti P r o c e s s o e M a r tin ia n o e fo r m a v a « a la rg e r o ffic iu m o f th e M a ster o f t h e O ffices » (A . E . R . B oar , The master of the offices in the later Roman and Byzantine empire, N e w Y o r k L ondon

1919, p . 73).

2 E si c a p is c e . N e r o n e a ffid a g li a p o s to li a l magister officiorum (c o m e il N e r o n e s t o r ic o li a v r e b b e a ffid a ti al praefectus praetorio) n o n p e r p u n irli, g i a c ­ c h é n o n sa b e n e a n c o r a d i q u a le d e lit t o p o t r à in c o lp a r li p e r d is fa rsen e c o n a l­ m e n o q u a lc h e p a r v e n z a d i g iu s tiz ia , m a p e r a ssicu ra rsi d e lle lo r o p e r s o n e fin o a l g io r n o d e ll’ u d ie n z a .

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da Diocleziano 1 - ma al praefectus praetorio e costui ai suoi soldati, perchè lo custodissero nei castra praetoria o lo lasciassero alloggiare a proprie spese in una casa privata qualsiasi, avendo però sempre un pretoriano a fianco, come gli Atti riferiscono di s. P a o lo 2. L ’anacro­ nismo commesso dal redattore della Passio ss. Processi et Martiniani è possibile che abbia dato in occhio allo Ps.-Lino il quale effettivamente tace la qualifica di Paolino e non chiama Processo e Martiniano magistriani sì bene, impropriamente, carceris custodes. Ma se davvero egli notò l’errore, non lo corresse che in parte, essendosi lasciato sfuggire l’inciso: Processus et M artinianus. . . cum reliquis magistrianis et ex officio iu n ctis3. Quanto alla licenza data arbitrariamente all’apostolo poche ore prima della sua condanna, bisogna riconoscere che nel Martyrium a Lino conscriptum essa colpisce per la sua inverisimiglianza molto più che nella Passio ss. Processi et M artiniani. L ’autore di questa infatti sup1 C o m p a r e la p r im a v o lt a in u n a le g g e d i C o s ta n t in o d e ll’ a n n o 3 2 0 (God. Theod., 16, 10, 1), in o g n i m o d o n o n s e m b r a a n te r io r e a ll’ im p e r o d i D io c le z ia n o (Mommsen, Bômisches Strafrecht, p . 3 1 9 s g .; B oak , The Master of Offices, p . 24 s g .). L ’ a n a c r o n is m o c o m m e s s o d a ll’ a u to r e d e lla Passio ss. Processi et Martiniani f a c a p o lin o in q u a lc h e a ltr o te s t o a g io g r a flc o . C o s ì la Passio s. Aureae c it a t a d a l D ufoubcq (Étude, 1, p . 3 0 3, n o t a 3) in t r o d u c e u n Censorinus praepositus magisteriae potestatis (Mombbitius, Sanctuarium, 1, p . 3 4 9 , 3 ; il g r e c o h a K.

π ροηγούμ ενος τη ς τού

μαγιστορίου

εξουσίας [PG-, 10, 5 5 3 ]) s o t t o il r e g n o d i

C la u d io il G o t ic o . N e lla Passio s. Clementis, 15 (e d . D iekamp , Patres apostolici, 2, p . 6 8 , 1) Publius Tarquitianus comes sacrorum n e lla v e r s io n e g r e c a è d e t t o κ όμης όφ φ ικ ίω ν (i c o d d . A m b r o s ia n o e P a r ig in o 1 6 1 4 κ. τ ω ν θ είω ν ό φ φ . le z io n e fo r s e p r e fe r ib ile , v . M aspebo, Papyrus grecs, 2, n . 6 7 1 2 6 , 58 μαγιστριανός τω ν θ είω ν ό φ φ .) s o t t o il r e g n o d i T r a ia n o . 2 A ct. A p ., 2 8 , 16 δτε δέ είσή λθομ εν εις 'Ρ ώ μ η ν , επετράπη τ ώ ι Π α υ λ ω ι μένειν κ α θ ’ εαυτόν σύν τ ώ ι φυλάσσοντι αυτόν στρατιώ τη ι. V e d i p . 9, n o t a 4. È c e r t o in u n a t t im o d i d is tr a z io n e c h e G . E i c c io t t i s i è fig u r a t o il p r e t o r ia n o φ υ λ ά σ σ ω ν το ν Π αύλον a b itu a lm e n te in p ie n o a s s e t to d i g u e r ra (Le lettere di s. Paolo, p . 4 2 4 , n o t a a E fesi 6, 13). S e n za d u b b io il s o ld a t o συνδεδεμένος a ll’ A p o ­ s t o lo v e s t iv a la b a s s a te n u t a g io rn a lie ra : tunica, sago, gladio (M . D u b e y , Les cohortes prétoriennes, P a r is 19 38 , p . 2 0 8 ), p iù o m e n o c io è c o m e e . g . le custodiae d e i captivi n e i p ie d is t a lli d e ll’ a r c o d i S e t tim io S e v e r o (E icciotti, Paolo apostolo, p . 4 7 8 , fig . 117). 3 L u o g o b is o g n o s o fo r s e d i c o r r e z io n e . I n f a t t i il Y o u a u x p r o p o s e d i sc r iv e r e

et ex officio functis·, l ’ U s e n e r et ex off. cunctis. Q u e s ta u ltim a c o n g e t t u r a si d i ­ r e b b e c o n v a lid a t a d a F lodoabdo , D e Christi triumphis ap. Ital., lib . 1, c . 3, 14 ( P L , 135, 6 0 3 ): custodes ig itu r .. . cunctique sodales f vitet suggestant funera Petro. N o n so se a ltr i a b b ia p e n s a to a eis ex officio iunctis. M e g lio è, in o g n i m o d o , la s c ia r e t u t t o c o m e sta .

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D E L L A « C U STO D IA M A M E R T IN I »

pone Pietro detenuto nella mite custodia Mamertini già da tempo e senza che il persecutore abbia mai dato segno di ricordarsi di Ini. Cosicché i custodi si avvisano di poterlo dimettere. Ecce enim novem menses su n tx, gli dicono, quod estis in custodia. Parole che forse allu­ dono a una disposizione di legge, in forza della quale un imputato, dopo nove mesi di carcere preventivo, poteva essere rimandato senz’al­ tro, se nel frattempo l’accusa non era stata tenuta viva in alcun m o d o 2. Comunque, è più inverosimile la narrazione dello Ps.-Lino, secondo la quale Pietro, allorché Processo e Martiniano, insieme con tutta la comunità cristiana, lo pregano con grande istanza ad allon­ tanarsi da Eoma, non sta alla larga nella custodia privata Mamertini, ma stretto in ceppi nello squallido career publicus, e i custodi, lungi dal crederlo obliato, sanno per certo che Agrippa praefectus urbi ne medita l’uccisione. l i è essi dovrebbero ignorare, come sembra pur­ troppo che ignorino, la pena comminata dalla legge ai custodi che favoriscano l’evasione dei reclusi loro affidati3. In verità Processo e 1 II B a r o n io a s se ris ce : « i n A c t i s ss. N e r e i e t A c h ille i s c r ip tu m h a b e r i n e c a d s e p te m m e n s e s A p o s t o lo r u m c a r c e r e m p e r d u r a s s e » (Annales, a d a n . 68, 2 3 ). M a t a n t o n e g li A t t i la tin i q u a n to n e lla tr a d u z io n e g r e c a n o n si p a r la m a i d i u n a p r ig io n ia d e g li a p o s t o li in R o m a d u ra ta s e tte m e s i, a n z i n o n si p a r la a ffa tto d i u n a lo r o p r ig io n ia . L ’u n ic o lu o g o c u i p o s s a rife rirs i il B a r o n io è c . 3, 14, d o v e il S ig n o re d ic e in u n a v is io n e a P ie t r o : Simon et N e r o ... adversus te cogitant; noli timere q u ia .. . dabo tibi servi mei Pauli apostoli solatium. . . cum quo post septem menses simul habebitis contra Simonem bellum et postquam. . . deposueri­ tis eum in infernum, simul ad me venietis ambo victores (Acta SS. Bolland., ii m a ii, 1 0 ; c f. H . A chelis , Acta ss. N erei et A c h ille i.. . , L e ip z ig 1893, p . 13, 2 3 ). C o m e o g n u n o v e d e , l ’ a g io g r a fo n o n d ic e n è la s c ia s u p p o r re c h e i ss. P ie t r o e P a o lo a b b ia n o p a s s a to in p r ig io n e i s e tte m e s i d i c o n v iv e n z a in R o m a , p r e c e d u t i a l lo r o c o m b a t t im e n t o c o l m a g o s a m a rita n o e a l lo r o m a rtir io . 2 N o n è im p o s s ib ile c h e l ’ a g io g r a fo , a p r o p o s it o o m e n o , a c c e n n i a d u n a d is p o s iz io n e d i le g g e in fo r z a d e lla q u a le i d e t e n u ti in s e m p lic e c u s t o d ia p r e v e n ­ t iv a , d o p o n o v e m es i d i a s s o lu to o b lio , v e n iv a n o a u t o m a t ic a m e n t e r im a n d a ti lib e ri. D e v o a lla co rte s ia d e l D o t t o r e V . C a p o c c i la n o t iz ia d i un e d it t o a t tr ib u it o d a a lc u n i a N e r o n e , d a a ltr i p iù p r o b a b ilm e n t e a u n im p e r a to r e d e l I I I s e c o lo , il q u a le p e r le ca u s e c r im in a li d is p o n e c h e g li a c c u s a t o r i e d i re i d e v o n o p r e s e n ­ ta rs i in R o m a d e n tr o a p p u n t o n o v e m e s i (se in I t a lia ), d e n tr o u n a n n o e sei m e s i (se o lt r e A lp i e o lt r e m a r e ); v e d i F oackes-J ackson e Kirsopp L ake , The Beginnings, 5, p. 333 s g ; v . a n c h e S . R iccobono, Fontes iuris Bornant anteiustiniani, I . , F lo r e n t ia e 19 41 , p . 2 5 2 , n . 91. 3 I c u s t o d i c h e la s cia s s e ro e v a d e r e i p r ig io n i m e t t e v a n o a r e p e n t a g lio la p r o p r ia v it a (Pau l ., Sent., 5, 31 si pecunia accepta miles custodiam dimiserit,

capite puniendus est-, B ig., 4 8 , 3 , 12 milites st amiserint custodias, ipsi in pericu­ lum deducuntur.. . Hadrianus Statilio Secundo legato rescrip sit.. . adficiendos

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D E L L A « C U S T O D IA M A M E R T IN I »

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Martimano si mostrano unicamente ansiosi di assicurare Pietro che, evadendo dal carcere, non ha nulla a temere. Perciò gli ricordano che quando essi stessi lo avevano fatto uscire dalla non lontana custodia M amertini, egli si era recato liberamente dove voleva. Eiporto qui per intero il passo già citato in parte: Postquam nos credentes in hac vicina M amertini custodia fonte 'precibus et ammirabili signo crucis de rupe producto in sanctae Trinitatis nomine baptizasti licentiose quo libuerat perrexisti et nemo tibi fuit molestus, nec modo esset, nisi incendium daemoniale, quod urbem stimulat, Agrippam pervasisset. Ognuno vede che questa è l’evasione descritta nella Passio ss. P ro­ cessi et M artiniani, ma non oserei affermare che ne deriva direttamente, perchè lo Ps.-Lino distingue la reclusione di Pietro nella custodia M a­ mertini dal suo internamento nel career1 e fra le due prigionie suppone

supplicio milites, quibus custodiae evaserint, si culpa eorum nimia deprehendatur). G li A t t i d e g li A p o s t o li (1 2 , 19) r ife r is c o n o c h e E r o d e , a p p re s a la s c o m p a r s a d i P ie t r o d a l c a r ce r e , τους φύλακας έκέλευσεν άπ αχθηναι, iussit eos duci, v a le a d ire li fe c e d e c o lla r e . C o sì in te s e ro , fr a g li a ltr i, s. G io v a n n i C r is o s to m o (In epist. ad

Ephes. c . 4 , hom. 8 [P G , 62, 63 ]) e s. A g o s t in o ( Sermo Frangip. 1, 15, De decem plagis, a p . G . M orin, Sancti Augustini sermones post Maurinos reperti, B o m a e 1 9 3 0 , p . 1 8 1 ). N è m i s e m b r a a b b a s ta n z a fo n d a t a l ’ip o t e s i e sp ressa d a a lc u n i e se g e ti, il v e r b o άπ α χβη ναι p o t e r q u i a v e r e il sen so d i ess ere im p r ig io n a t i (v . E . Jacquier ,

Les Actes des Apôtres, P a r is 19 26 , p . 3 7 0 , ad loc.; F oackes-Jackson e L ak e , The Beginnings, 4, p . 1 3 9 ). N e i lu o g h i d e l G e n e s i r e c a t i d a llo J a c q u ie r (o p . c it ., 39, 2 2 ; 4 0 , 3 ; 4 2 , 16 ) il s ig n ific a to d iv e r s o d e l v e r b o άπάγεσθ-αι è s p ie g a to c h ia r a ­ m e n te d a l c o n t e s t o . P e r sè la fo r m u la έκέλευσα τον δείνα άπ αχθήναι n o n s ig n i­ fic a a ltr o o h e « h o c o m a n d a t o d i m e n a re il t a le a s u b ire la p e n a d i m o r t e » , a d mor­

tem duci (p e r es. I ustin ., Apoi., 2, 2, 15 τού Ο ύρβίκου κελεύσαντος αυτόν άπαχΌήναι, ή αιτία ; Ih., 17 πάλιν καί αύτόν άπαχΰήναι έκέλευσεν. C f. Martyr., 5, 8 οί μή βουληΌέντες θΰσαι... μ αστιγω θέντες άπαχΟ ήτωσαν, κεφαλικήν άποτιννύντες δίκην) p r e c is a m e n te c o m e il la tin o duci iussi (Senec ., De ira, 1, 18, 3 -6 ; De tranq. an., 14, 4; Plin ., Epist., 96, 3 ; Passio ss. Scilitanor., 16 ; T e r tull ., Ad nation., 1 , 3, e t c . C f. M ommsen, Bômisches Strafrecht, p . 9 2 4 ). Λούκιός τις εφη · Χίς

1 L a d u p lic e p r ig io n ia d i s. P ie t r o a B o rn a p o t r e b b e essere s t a t a s u g g e r ita in q u a lc h e m o d o d a lle d u e p r ig io n ie r o m a n e d i s. P a o l o , la p r im a d e lle q u a li e b b e te r m in e c o n la lib e r a z io n e d e ll’im p u t a t o , la s e c o n d a c o l su o g lo r io s o m a r t i­ r io . Q u e s ta , c o m e o g n u n o sa , n o n è m e n o s t o r ic a d i q u e lla , m a c h e P a o lo l ’ a b b ia s o ffe r ta , a d iffe r e n z a d e lla p r im a , n e l r ig o r o s o career publicus n o n o serei d ire c h e p ie n a m e n t e (Paolo Apostolo, p . 5 6 3 ; Le lettere di s. Paolo, p . 4 4 5 ). È v e r o in fa t t i c h e P a o lo n e lla I I a T im o t e o si d ic h ia r a

il B i c c io t t i sia r iu s c ito a d im o s tr a r lo

δέσμ ιος p e r la s a n ta ca u s a d e l V a n g e lo (1 , 8 ) e p e r essa in

g r a v i tr a v a g li μέχρι

δ εσ μ ώ ν ώ ς κακούργος (2 , 9 ). M a c o n q u e s te e s p re s s io n i e g li n o n sig n ifica c h ia r a ­ m e n te d i esse re in te r n a to n e l career, n e lla φυλακή, m a s o lt a n t o in c a t e n a t o , δ εδε­ μένος (1 , 1 6 ). L e stesse e s p re s s io n i e g li u s a n e lle le t te r e d e t t a t e d u ra n te la p r im a

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D E L L A « C U S T O D IA M A M E R T IN I »

corso un certo tempo, durante il quale l’apostolo fu perfettamente li­ bero di sè. Il redattore della Passio invece, o brevitati studens, o per altro motivo, passa sotto silenzio l’internamento nel career, saltando dalla evasione di Pietro dalla custodia Mamertini alla fuga da Poma, all’incontro col Signore iuxta portam, all’ultima cattura. Ho detto che l’agiografo p a s s a s o t t o s i l e n z i o la detenzione nel career publicus, non che la i g n o r a , perchè in realtà egli mostra indiret­ tamente di averne avuta notizia, quando ricorda come all’apostolo, che si affrettava verso la porta Appia, cadde in terra il bendaggio della gamba demolita de compede ferri. Siccome infatti la blanda de­ tenzione in Mamertini custodia escludeva le compedes, è fuori di dubbio che la fonte del nostro agiografo descriveva anche la seconda prigionia del principe degli Apostoli, d ’accordo con lo Ps.-Lino, il quale ha cura p r ig io n ia (Ephes., 3, 1 ; 4 , 1 ; Philipp., 1, 7 ; Philem., 1, 9 .1 0 .1 3 ) q u a n d o a l lo g ­ g ia v a in u n a c a s a p r iv a t a , g u a r d a t o b e n s ì a v is t a d a u n o στρα τιώ τη ς συνδεδεμένος c o n lu i ( v . p . 11, n o t a 4 ; p . 2 9 , n o t a 2 ). D ’ a ltr a p a r t e n e lla I I a T im o t e o P a o l o la s c ia in te n d e r e c h e n o n g li è v ie t a t o d ’in tr a tte n e r s i c o n i s u o i d is c e p o li: in v i t a T im o t e o a v e n ir e a P o m a a l p iù p r e s t o (4 , 8 ), p r im a d e ll’in v e r n o (4 , 2 1 ); s c r iv e d ’ a v e r e c o n sè L u c a (Λ ουκάς έστιν μόνος μετ’ έμοΰ 4 ,1 1 ), c h ie d e c h e g li sia c o n d o t t o M a r c o , d i c u i p o t r à s e r v irs i u tilm e n t e (ib id .). C h i s c r iv e c o s ì m o s tr a g o d e r e u n a c e r t a lib e r t à d ’ a z io n e , in c o n c e p ib ile in u n r e c lu s o d e l career publicus. A n c h e il d e s id e ­ r io , c h e P a o lo m a n ife s ta , d i a v e r e la paenula r im a s ta in T r o a d e (4 , 13) n o n p a re c o n c ilia b ile c o n la s u p p o s ta d i lu i r e clu s io n e n e l career, m e n tr e è n a tu r a lis s im o se e g li s ’ im m a g in a in militari custodia constitutus. P e r c h è i s o t t o p o s t i a c u s to d ia m ilita r e e r a n o te n u t i d u r a n t e il g io r n o a ll’ a ria a p e r t a (F l . I os., Ani. Iud., 18, 6, 7 ) e p o t e v a n o p e r fin o t a lv o lt a a n d a re a i b a g n i o a fa r v is it e , b e n in te s o c o n il s o ld a t o συνδεδεμένος. Q u in d i l ’ o p p o r t u n it à d i u n a paenula, m a n t e llo g r e v e d i la n a o d i c u o io , vestimenti genus itinerarium aut pluviale ( v . Marquardt , La vie

privée, 2 , p . 2 0 5 s g .; GL W ilpert, Poma sotteranea. Le pitture 'delle catacombe romane, P o m a 1903, p . 73 s g g .). A n c o r a m e n o s p ie g a b ile s a r e b b e - o io m i s b a ­ g lio - la r ic h ie s ta d e i lib r i e d e lla p e r g a m e n a , s e il p r ig io n e g ia c e s s e n e lle te n e b r e d e l career, d o v e il le g g e r e e lo s c r iv e r e n o n e ra p o s s ib ile n è p e r m e s s o . Q u a n d o in fin e il P ic c i o t t i , c o m m e n t a n d o il

pa sso:

γενόμενος

(Ό ν η σ ίφ ο ρ ο ς)

εν Ρ ώ μ η ι

σπουδαίους έζήτη σέν με καί εΰρεν (II Tim., 1, 16 ), o s s e r v a : « C iò d im o s t r a c h e q u e s ta s e c o n d a p r ig io n ia d i P a o lo e ra r ig o r o s is s im a d a s c o n ta r s i n e l c a r c e r e c o m u n e d e ll’ U r b e in s ie m e c o n i m a lfa t t o r i v o lg a r i » ( Le lettere di s. Paolo, p . 4 8 9 : v e d i a n c h e Paolo apostolo, p a r a g r . 6 6 9 ), n o n m i p e r s u a d e d e l t u t t o . P a o lo a n z i c h e a d iffic o lt à d o v u t e s u p e ra re d a O n e s ifo r o p e r a v e r e il p e r m e s s o (c o n d e n a r o o a ltr i d o n a t iv i) d i p e n e tr a r e n e l c a r c e r e , s e m b r a a llu d e re a lla p r e m u r a c o n c u i e g li, a p p e n a g iu n t o a P o m a si m ise a lla r ic e r c a d e l lu o g o in c u i l ’ A p o s t o lo d i ­ m o r a v a sub custodia e c h e n o n t a r d ò a tr o v a r e . I n s o m m a la s e c o n d a a T im o t e o a m e f a l ’im p r e s s io n e d i essere s t a t a s c r itt a d a s. P a o lo n o n in t e r n a t o n e l career publicus, m a s o t t o p o s t o c o m e la p r im a v o lt a a c u s t o d ia m ilita re , p r o b a b ilm e n t e p iù r ig o r o s a .

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D E L L A « C U S T O D IA M A M E R T IN I »

di porre in rilievo le compedes sia nel riferire l’ordine dato da Nerone d ’internare Pietro nel career (artari eum et in squalidissima custodia compedibus vinciri iussit, c. 2), sia dove introduce i custodes carceris a incorare il recluso ad evadere (a carcerali et compedum nexibus, quarum nobis est commissa immanitas, nostra non tantum permissione quam deprecatione lib er... abscedas, c. 5). Che la caduta della fasciola, ragguaglio per se stesso del tutto in­ significante, venga riferito dall’agiografo come un particolare storico degno di memoria, si spiega: è un richiamo alla leggenda di fondazione dell’antichissimo titulus F asciolae1. Leggenda di cui mostra non aver avuto conoscenza lo Ps.-Lino, poiché alla voce fasciola, nome del ti­ tulus, sostituisce fasciamenta e· omette ogni altra indicazione topogra­ fica, a differenza del redattore della Passio ss. Processi et M artiniani che circoscrive il luogo accuratamente: cecidit ei fasciola ante Septemsonium in via nova. Fu osservato con ragione che il Settizonio di Setti­ mio Severo sorgeva appiedi dell’angolo meridionale del Palatino, quindi a notabile distanza dal titulus Fasciolae in via n ova2. E si potrebbe 1 V e d i D ueourcq, Étude, 1, p . 170 sg . - L ’ o r ig in e s t o r ic a d e l titulus Fa­ sciolae, c h e o c c o r r e g ià in u n a is c r iz io n e d e ll’ a n n o 377, è in c e r t a (J . P . K irsch, Die ròmiselien TitelJcirchen in Altertum, P a d e r b o r n 1918, p . 90 s g g . ; H. L eclercq, Fasciola, in D A C L , 5,1, c o l. 1128 s g g .; F . L anzoni, I titoli presbiterali di Borna antica.. . [E s tr . d i Bivista di archeologia cristiana, 2, 1925], p. 60 s g .). C o m ’ è n o ­ t o r io il titulus Fasciolae p r e s e p o i il n o m e , c h e c o n s e r v a t u t t o r a , 88 . Nerei et Achillei ( v . H uelsen , Le chiese di Borna, p . 388 s g .; A rmellini, Le chiese di Boma, p . 726; H. L eclercq, Nérée et Achillèe, in DACL, 12, 1, c o l. 1120 s g g .). 2 V e d i L . F erri in G. L ais , Memorie del titolo di Fasciola.. . , S o m a 18 80 , p . 152. E ffe t t iv a m e n t e n o n è a m m is s ib ile in u n le g g e n d is ta r o m a n o d e l V o V I s e c o lo l ’ e r ro r e d i p o r r e d a v a n t i a l S e t t iz o n io d i S e v e r o l a b a s ilic a d e i ss. N e r e o e d A c h ille o e r e tta n e lla v ia N o v a d i f r o n t e a lle t e r m e d i C a ra ca lla . U n e r r o r e d i t o p o g r a fia a p p a r e n t e m e n te c o s ì g r a v e p u ò d a r s i c h e a b b ia c o l ­ p it o u n a n t ic o le t t o r e d e lla Passio ss. Processi et Martiniani, g ia c c h é la v a r ia n te

ante sepem h a l ’ a ria d i u n e m e n d a m e n to in fe lic e d o v u t o a c h i t r o v a v a t r o p p o f u o r i d i p r o p o s it o la m e n z io n e d e l S e t tiz o n io .

P u ò

d a rs i

h o d e tto , p erch è

è a ltre sì p o s s ib ile , a n z i, a p a r e r m io , p iù p r o b a b ile c h e in ante sepem s ’ a b b ia a r ic o n o s c e r e u n a c o r r e z io n e d i septem c io è d e lla p r im a p a r t e d e l n o m e Septemso-

lium c h e in q u a lc h e c o d ic e era p r iv o d e lla s e c o n d a p a r t e (solium) o q u e s ta s e ­ p a r a ta e g u a s ta (c o m e n e l V a t . P a la t . 8 4 6 ante septem sonuit). I l n o m e Septizonium o Septizodium n e i t e s t i m e d ie v a li è scritto, v a r ia m e n t e (Septensolium, Sepiemsolia, Septemfolia, septisolium, Septasolia, e t c . ; v e d i P l a i ­ ner , A topographical Dictionary, p . 4 7 5 ). N e lla Passio ss. Processi et Martiniani c r e d o c h e in o r ig in e si le g g e s s e ante Septemzonium (c f. A mmian . M arcele., 15, 7, 3 Septemzodium)·, lo si p u ò a rg u ire d a l c o d . Basilica 8 . Petri A . 4 , f . 66, c o l. 2 Septemsonium. 3

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osservare altresì che l’agiografo, non rappresentandoci incamminato l’apostolo dalla via nova verso il Settizonio e il Palatino, ma viceversa dal Palatino e dal Settizonio verso la porta Appia, per la via nova, non avrebbe detto che egli perdè la fasciola d a v a n t i al Settizonio, bensì dopo aver oltrepassato il Settizonio e presa la via nova. Ma perchè la indicazione topografica non lasci nulla a desiderare, basta, credo io, supporre che per Septemsonium l’agiografo intenda un monumento diverso dal famoso Settizonio eretto alle radici del Palatino. Ora ci viene riferito che in A ppia via euntibus ad portam dextra si presentava il sepulcrum Severi specie Septizonii exstructum (Script. hist. Aug., 14; Vita Getae, 7,2), sepolcro situato, come tutto induce a credere, fra la porta Capena e l’A p p ia 1. hion sarà questo il monumento che il nostro leggendista chiama Septemsonium, distinguendolo dall’altro con l’ag­ giunto in via nova ? Egli direbbe insomma che Pietro perdette il ben­ daggio avanti al (sepolcro in forma di) Settizonio nella via nova2. Sopra tutto è degno di studio nella prima parte della Passio ss. Processi et M artiniani il battesimo dei due martiri. I quali, commossi alla vista delle continue prodigiose guarigioni operate da Dio per mezzo dei principi degli Apostoli, un bel giorno li invitano, di propria inizia­ tiva, ad evadere: B ogam us.. . vos ut ambuletis ubi volueritis et tantum in huius nomine, cuius vos cognoscimus facere virtutes has magnas, bapti­ zate nos. Pietro e Paolo rispondono: Vos credite ex omni corde et mente vestra in nomine Trinitatis et vos ipsi potestis facere quae nos facere cognovistis. Ciò udendo, non solo le guardie, ma quanti si trovano nella 1 V e d i H . J ordan e Ch r . H ülsen , Topographie der Stadi Bom, in Alterthum, 1, 3 , B e r lin 1907, p . 21 8 , n o t a 4 7 . H ü ls e n s c r iv e : « D a d ie s e N a c h r ic h t m it d e r s ich e rn T h a ts a c h e im W id e r s p r u c h s t e h t , d a ss S e v e ru s C a ra ca lla u n d G u ta im M a u s o le u m d es H a d ria n b e s t a t t e t s in d , w ir d m a n n ic h t g e n e ig t sein , ih r v ie l A u t o r it â t z u z u s c h r e ib e n . G a n z u n m o g lic h a b e r s c b e in t m ir d ie v o n

B eck er

( A n m . 1 4 3 0 ) g e a u s s e r te , v o n H ir s c h fe ld (B e r i. S itz .-B e r . 1 8 86 , 1 1 6 2 ) g e b illig te A n s ie h t, d a ss d a m it d a s p a la t in is c h e Septizonium g e m e in t sei. M e m a n d n e n n t d ie S tra ss e

vom

C o n s t a n tin s b o g e n

zu m

C ircu s

v ia

A p p ia ,

euntibus ad portam

k a n n n u r d ie S tre c k e z w is c h e n p . C a p e n a u n d p . A p p ia b e z e ic h n e n . b a lt lo s is t d ie Id e n t ific a t io n d es sep. Getae m it e in e r

je n s e its

G anz

d es A lm o

zu r

L in k e n d e r S tra sse g e le g e n e n G ra b r u in e (L abruzzi, Via Appia, T f . 1 4 ; Canina ,

Edifizì, I Y , T f . 2 7 0 , Via Appia, p . 6 4 ) ». 2 L ’in a t te s a c o n fe r m a c h e r ic e v e , se n o n m ’in g a n n o , d a lla Passio ss. Pro­ cessi et Martiniani la n o t iz ia r ig u a r d a n t e i l S e t tiz o n io (c io è il sepulcrum specie Septizodii exstructum) d e lla via Nova d o v r e b b e in v o g lia r e q u a lc h e g io v a n e a r c h e o lo g o a r a c c o g lie r e t u t t i i d a t i t o p o g r a fic i s p a rsi n e lle Passiones d e i m a rtir i r o m a n i la tin e e g r e c h e . C r e d o c h e la n o n b r e v e r ic e r c a s a r e b b e c o m p e n s a ta d a r is u lta n z e n o t a b ili.

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custodia, gridano a una voce: Donate nobis aquam, quia siti ‘p ericli­ tamur. B Pietro si accinge a battezzarli tutti senz’altro. L ’acqua è da lui provveduta con un miracolo, chè, facto signo crucis in monte Tarpeio, in custodia Mamertini, eadem hora emanaverunt aquae de monte. Fermiamoci qui per pochi istanti. L ’invito agli apostoli di lasciare la custodia Mamertini e recarsi dove loro più aggrada, palesa, come ci è occorso di accennare poco fa, la stupefacente ignoranza dello scrittore. Certo Pietro e Paolo s’intendono sottoposti alla custodia militaris, custodia aperta et libera. Ma ciò non basta a rendere verisimile il fatto di due agentes in rebus, i quali incaricati dal lóro comandante di tenere sub custodia, a disposizione dell’imperatore, due personaggi insigni, dopo un certo tempo li licenziano di proprio arbitrio, infrangendo la disciplina nel modo più sfacciato. Uè si arriva a comprendere come Pietro e Paolo osino acconsentire ad abbandonare la custodia, senza neppure riflettere che, così facendo, espongono i loro generosi liberatori a gravissime pene, forse all’estremo supplizio l. Queste inverisimiglianze può darsi che non siano sfuggite al leggendista, ma egli si illuse grandemente se credette eliminarle o attenuarle, dando a credere Uerone affatto dimentico degli apostoli2. Due altri particolari richiamano l’attenzione dello studioso nel breve racconto del battesimo amministrato da Pietro nella custodia M amertini, e cioè la supplica dei magistriani anelanti a ricevere il sacramento: Donate nobis aquam, quia siti periclitamur (linguaggio fi­ gurato, strano in una prosa umile, scarna, tutt’altro che retorica), e il fatto che nel centro di Roma, la città abbondante di acqua come pochissime o niuna, il principe degli Apostoli trova necessario procu­ rarsene con un prodigio 3. 1 N a tu r a lm e n te la custodia miMtaris p o t e v a essere a v o lt e c o s ì m it e d a d iffe r ir e a p p e n a d a lla c. libera, a v o lt e in v e c e c o s ì r ig o r o s a d a a p p ro s s im a r s i a lla d e t e n z io n e n e l career. C f. p . 30, n o t a 3 ; p . 3 1 , n o t a 1.

2 Oblitus Nero desperavit de vobis (n o n si c u r a p iù a ffa t t o d i v o i c h e h a d im e n t ic a t o ). C f. Passio s. Marcelli, c . 2 ,9 (Acta SS. Bolland., n ia n ., 7) respondit

Maurus: Adorent eos [d e o s ] qui desperaverunt de animabus suis (n o n si cu ra n o p iù d e lle lo r o a n im e ). Laodicius dixit: Modo vos desperatis de animabus vestris (o r a v o i n o n v i c u r a t e p u n t o d e lle v o s t r e v it e ) si non sacrificatis diis immorta­

libus. 3 V e r i fiu m i d ’ a c q u a e r a n o p o r t a t i a E o m a d a i d o d i c i fa m o s i a c q u e d o t t i, s u i q u a li v e d i p . es. E . L anciami, The ruins and excavations of ancient P o m e ..., B o s t o n -N e w Y o r k 1 8 97 , p . 4 7 -5 9 . « A t th e t im e o f C o n s ta n tin e th e r e w e re in E o m e 11 g r e a t th e r m a e , 9 2 6 p u b li c b a th s , 12 12 p u b lic fo u n t a in s ,

24 7 r e s e r ­

v o ir s , a stagnum Agrippae, w it h o u t s p e a k in g o f p r iv a t e h o u s e s , o f p u b lic a n d

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Notiamo di volo che non ha più. ragion d ’essere il dubbio elevato dal Lipsius sull’origine romana dell’episodio di cui ci stiamo occupan­ do l. Certo nessun leggendista romano o vivente in Rom a avrebbe potuto fingere adunate una cinquantina di persone e celebrato il di­ vino Sacrifizio in fondo al Tullianum, fetido ergastolo privo d ’aria e di luce, lungo sei metri scarsi, largo meno di tre. Ma, come ci sembra di aver dimostrato, per l’autore della Passio ss. Processi et Martinia/ni la custodia Mamertini non è il Tullianum, non è il career, bensì una prigione poco discosta di là, ma diversa. Di essa purtroppo non sap­ piamo quasi nulla, dobbiamo però supporre che i romani del secolo V I non avessero difficoltà di immaginarvi gb avvenimenti descritti dal nostro agiografo. Il quale tuttavia, parlando della custodia Mamertini, non pecca per soverchia perspicuità. Anzi si direbbe che egb accozza senz’altro due dati topografici inconciliabili: 1) che s. Pietro fece scaturire l’acqua dal monte Tarpeo (i. e. dalla rupe, dal saxum) onde i romani furono sobti precipitare i rei di certi defitti nell’età repubblicana e nei primi tempi dell’impero; 2) che quel miracolo ebbe luogo in custodia Mamer­ tini. Effettivamente l’agiografo scrive: P etru s.. . facto signo crucis i n monte Tarpeio, in cus todia Mamertini, eadem hora emanaverunt aquae de monte. Ora, a cominciare dal secolo V i l i , quando la denominazione cu­ stodia Mamertini fu trasferita al career Tullianus (secondo che ho qualche fiducia di avere dimostrato), la fonte miracolosa fu a sua volta identificata con la sorgiva tuttora visibile nel Tullianum. Ma è evidente che due secoli prima a nessuno sarebbe potuto venire in testa di chia­ mare monte Tarpeo il pavimento del career in Comitio. A nostro avviso, tanto la invocazione dei magistriani: Donate nobis aquam, quia siti periclitamur, quanto la proposizione: emanaverunt aquae de monte (Tarpeio) non si spiegano in modo ovvio e pienamente

p r iv a t e g a r d e n s , o f d o c k s a n d w a r e h o u s e s , e a c h w e ll p r o v id e d w ith w a te r ». C osì l ’ illu s tre t o p o g r a f o r o m a n o (o p . c it ., p . 5 7 ). L a n e ssu n a r a g io n e d i p r o c u r a r s i a c q u a c o n u n m ir a c o lo n e l c u o r e d i u n a c it t à c h e d i a c q u a a b b o n d a v a e s o p r a b b o n d a v a d o v e t t e d a re n e ll’ o c c h io a F lo doardo c h e , r ia s s u m e n d o in v e rs i la

Passio ss. Processi et Martiniani, s p ie g a il

g e s t o d i s. P ie t r o c o n u n im m a g in a r io d iv ie t o d e l c u s t o d e d ’ in tr o d u r r e a c q u a n e l c a r c e r e : mundandis latices saevo custode negantur (De Christi triumphis apud

Italiam, lib . 1, c . 1 [ P L , 135, 60 2 , v . 8]). 1 V e d i H . Grisar [tr . A . M e rc a ti], Poma alla fine del mondo antico, B o rn a 1 9 30 , p . 2 2 2 ; H . L eclercq, Mamertine (prison), i n : D A C L , 10, 1, c o i. 1369.

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soddisfacente, se non alla lnce di una scena delle più frequentemente riprodotte sugli antichi sarcofagi cristiani: l’apostolo Pietro, come già il grande legislatore d’Israele nel deserto di Sin (E x., 17, 6; Num., 20, 8-11), percuote con la verga taumaturga un’alta rupe, dalla quale scende serpeggiando una ricca vena d ’acqua; due militi - a volte uno solo, di rado tre - per lo più in ginocchio, bevono avidamente1. G. W ilp e r t2 definiva, con asseveranza, questa scultura una rappresentazione simbolica del battesimo di Cornelio, centurione della coorte Italica (Act. A post., 10, 47-48). P. Styger propendeva a riconoscervi invece un episodio della storia apocrifa dell’apostolo, perduta «ab antico » e perciò non spiegabile che per congettura: Pietro sorpreso in una campagna deserta da poliziotti inviati per catturarlo, li disseta con acqua fatta scaturire da lui miracolosamente3. Entrambe le spiegazioni urtano in gravi difficoltà, forse addirittura insolubili con i mezzi che sono finora a nostra disposizione. Ma qualunque sia il vero soggetto della scena, a m e pare ovvio che nella rupe percossa dal nuovo Mosè i romani del secolo V -Y I abbiano visto figurato il famoso saxum Tarpeium e nel­ l’avido accostarsi dei militi alla fonte prodigiosa il loro battesim o4. Che codesti milites siano apparitores, e cioè poliziotti, mandati ad arrestare l’apostolo, è incontestabile. Alla scena sopra descritta della fonte se ne accompagna infatti, di regola, un’altra rappresentante Pietro fra i due apparitores che lo menano prigione5. E a volte una terza scena ci pone davanti agli occhi Pietro che, seduto all’ombra 1 Q u e s ta s c e n a c o m p a r is c e la p r im a v o lt a n e lla d e c o r a z io n e d e l s a r c o fa g o L a t e r a n e n s e 119 a s s e g n a to d a Gr. W ilpert a lla fin e d e l s e c o lo I I ( I sarcofagi

cristiani antichi, 1, E o m a 1 9 29 , p . 109 [te s to ], t a v . 9, 3 ; c f. La fede della Chiesa nascente..., E o m a 1 9 38 , p . 7 1 ), d a G-. Stuhlfauth (Die Apokryphen Petrusgeschichten in der altchristlichen Zunst, B e r lin -L e ip z ig 1 9 25 , p . 5 9 , n o t a 3 ) a l s e c o lo I V .

2 I sarcofagi, 1, p . 1 0 8 ; La fede, p . 71 sg . L a s p ie g a z io n e e s p o s ta c o n g r a n d e a s s e v e ra n z a d a l W ilp e r t è o p p u g n a t a d a P . Styger (Die altchristUche Grabes­

k u n st..., M ü n ch e n 1 9 27 , p . 99) e d a Stuhlfauth (Die Apokryphen Petrusgeschichten, p . 62 ). 3 Styger , Die altchristliche Grabeskunst, p . 96. 4 D e l r e s to , c h e in q u e ll’ a v id o d is se ta rsi d e i m iliti a ll’ a c q u a f a t t a s c a tu r ir e d a P ie t r o sia in r e a lt à fig u r a t o s im b o lic a m e n t e il c o s t o r o b a t t e s im o v ie n e a m ­ m e s so d a llo Stuhlfauth , a g iu d iz io d e l q u a le n e lla t a n t o

d ib a t t u t a s c e n a :

« P e t r u s a n (z w e i) b e k e h r te n S o ld a t e n (sein en W à c h t e n ? ) ein e d u r c h d ie U m s t à n d e d e r W a s s e r b e s c h a ffu n g w u n d e r b a r e T a u fe v o l l z o g » (Die Apokryphen Petrusgeschichten, p . 62 s g .). 5 0 che al contrario lo eccitano a fuggire, come pensa lo Styger (Die alt­ christliche Grabeskunst, p. 99).

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di un albero e immerso nella lettura di un volume, non si accorge di essere spiato dalle solite guardie, pronte a mettergli le mani addosso 1. Ma cosa mai potè indurre a ravvisare nei due poliziotti anonimi i santi Processo e Martiniano ? Nulla vieta supporre che nel san­ tuario della via Aurelia i resti trionfali dei martiri eponimi abbiano riposato in un sarcofago adorno di una rappresentazione del presunto battesimo degli apparitores. È questa però una semplicissima ipotesi che solo fortunati scavi potrebbero un giorno convalidare2. È, per contro, un fatto difficilmente negabile che Processo e Martiniano fu­ rono attribuiti all’età apostolica e messi in relazione con s. Pietro re­ lativamente tardi. Invero quel prete tertullianista che, sotto l’efimero impero di Eugenio (392-394), s’impadronì del cimitero dei nostri due martiri, giustificava la sua usurpazione asserendo che essi erano stati frigi, cioè catafrigi, montanisti3. Alla fine dunque del secolo IV la tradizione non annoverava ancora Processo e Martiniano fra le vitti­ me della persecuzione Neroniana. Come ! avrebbero risposto trionfal­ mente i romani allo sfacciato mentitore: montanisti due martiri vissuti un secolo prima che questa eresia nascesse4 ! Che nella prima metà del secolo V I Processo e Martiniano non fossero ancora conosciuti in Pom a nè come carcerieri del principe degli Apostoli nè come magistriani o agentes in rebus sembra potersi racco­ gliere da un fatto che s. Gregorio Magno dice di aver appreso reli­ giosis quibusdam senioribus narrantibus, Gothorum tempore, così Gre­ gorio: una pia matrona romana solita visitare la tomba dei ss. Processo e Martiniano sulla via Aurelia, un giorno, uscendo di là, vide stantes duos sub peregrino habitu monachos, i quali così le parlarono: Tu nos modo visitas, nos te in die iudicii requiremus et, quidquid possumus, 1 W ilpert (I sarcojagi, 1, p. 185 sgg. [testo]) vede in questa scena, che intitola Oathedra Petri, « Pietro insegnante osteggiato da nemici ». Altri, dai quali è difficile dissentire, pensano invece a un apocrifo perduto (Styger , D ie altchristUche Grabeskunst, p. 50 sgg.). 2 T utto quello che oggi si sa del cim itero dei ss. Processo e Martiniano è diligentemente e criticamente esposto da A . S i l v a g n i , La topografia cimite­ riale della via A m elia ed una inedita epigrafe storica frammentaria del cimitero dei ss. Processo e Martiniano, in Bivista di archeologia cristiana, 9,1932, p. 103 sgg. Cf. J. P . K ir s c h , L e memorie dei martiri sulle vie A m elia e Cornelia, in Miscella­ nea F r. Ehrle, 2, Borna 1924, p. 71 sgg. 3 V edi Praedestinatus, parag. 86, in P . de L abriolle, Les sources de l'histoire du Montanisme, Fribourg 1913, n. 175; La crise Montaniste, Paris 1913, p. 476 sg. 4 V edi S. L e N ain de T illemont, Mémoires pour servir à l’histoire ecclé­ siastique. . . , 1, Venise 1732, p. 179.

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praestabimus tibi. D i qui è facile dedurre che durante la dominazione gotica i due martiri erano creduti di origine straniera: peregrini di professione monaci - anacronismo di cui offre un altro esempio, in Ippolito, la così detta Passio dei martiri g reci2 - coronati, secondo ogni verisimiglianza, in una delle ultime grandi persecuzioni. Nella seconda metà dello stesso secolo V I, la Passio dei nostri santi esisteva o per lo meno esisteva il racconto del battesimo loro amministrato da s. Pietro in custodia Mamertini, racconto che, come abbiamo veduto disopra, forma la prima parte della Passio e fu in­ serito dallo Ps.-Lino nella sua rielaborazione del primitivo Μαρτυριον τοϋ αγ. αποστ. Πέτρου. Se ciò non ostante il grande papa Gregorio (a. 590604) nella Som elia habita ad populum in basilica ss. Processi et Martiniani die natalis eorum 3 non fa il minimo accenno al tempo in cui questi sarebbero vissuti, alla relazione che avrebbero avuto con gli apostoli e a quant’altro pretende insegnarci la Passio, vuol dire che egli la ignorava, o la rigettava come assolutamente indegna di fede, preve1 P a r la n d o , m o lt i a n n i fa , d e l su c it a t o p a s s o d e l Praedestinatus o s s e rv a i c o m e il p r e t e m o n ta n is ta im p o s s e s s a to s i d e l c im it e r o duorum fratrum Processi

et Martiniani g iu s tific a v a la su a u s u rp a z io n e a ffe r m a n d o , q u e s ti m a rtir i essere s t a t i Phryges et ideo hanc legem tenuisse quam Tertullianus. A lla q u a le a ffe r m a ­ z io n e p u ò d a rs i, d ic e v o , a v e s s e d a t o a p p ig lio l ’ essere s t a t i, o s t a t i

r ite n u t i,

P r o c e s s o e M a r tin ia n o n o n r o m a n i, m a o r iu n d i d e lla F r ig ia . D if a t t i e ra n o s e ­ p o lt i s u lla v ia A u r e lia m o lt i G a la ti e F r ig i, tr a i q u a li il m a rtir e P a n c r a z io , s e c o n d o a lm e n o la su a le g g e n d a , v e d i P . F ranchi d e ’ Cavalieri, Hagiographica, R o m a 1908, p . 97 e l ’im p o r t a n t e a r t ic o lo d e l P a d r e A . F errua (Di una comunità montanista sull’Aurelia alla fine del I V see., in La Civiltà cattolica, t . 8 7 , 2, 1 9 36 , p . 2 1 6 s g g .) A p r o p o s it o d el l’insula Caminiana, d o v e la Passio c o llo c a la d im o r a d i P a n c r a z io e d e llo z io D io n is io , c r e d o c h e A . M . Colini, in u n a n u o v a e d iz io n e d e ll’ e g r e g io v o lu m e Storia e topografia del Celio nell'antichità (C ittà d e l V a t ic a n o 1 9 4 4 ), p o t r à c ita r e la v e r s io n e g r e c a , q u i p iù p a r t ic o la r e g g ia t a d e ll’ o r ig in a le : εν τήι επιλεγομένηι Κ αμινιανήι νή σ ω ι, τουτέστιν ένθ α π οτέ τώ ν σ τρ α τιω τώ ν τώ ν év τηι πόλει ευρισκομένων κ ατασκηνώ σεις έτυγχανον (ο. 2, in Hagiographica, p . 109, 19 s g g .). 2 L a Passio ss. Hippolyti, Eusebii et soc.

(Acta SS. Bolland., i v

n o v .,

p . 93 s g g .) e s is te v a n e l V I s e c o lo , c o m e d im o s t r a il d o p p io e p ig r a m m a m e t r ic o a p p o s t o a l s e p o lc r o d e i m a rtir i a p p u n t o in q u e l s e c o lo e c h e ria s s u m e la le g g e n d a c it a n d o la (Damasi epigrammata [e d . I h m , c . 7 7 , 10] quem passio lecta docebit), v e d i D elehaye , Étude sur le légendier, p . 146. È v e r o c h e la r e c e n s io n e g iu n ta a n o i in d u e s o li m ss. o ffr e in d iz i d i u n r im a n e g g ia m e n to p o s te r io r e , n o n c o s ì g r a v e p e r ò c o m e p a r v e a G . B. de R ossi (La Roma sotterranea cristiana, 3, R o m a 1877, p . 3 9 5 s g .).

3 X L Homil. in Evang., II, 3 2 , 7 (P L , 7 6 , 1 2 3 7 -1 2 3 8 ); cf. F ranchi d e ’ Cavalieri , Hagiographica, p . 97 sg.

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nendo il giudizio concorde degli agiografi dal secolo Χ Υ Π in poi. Dei quali agiografi per altro nessuno fin qui si diede la pena di studiare la curiosa narrazione a parte, studio forse superfluo, in ogni modo non privo d ’interesse. Come ho cercato di dimostrare pocanzi, il capo i della Passio ss. Processi et M artiniani è in sostanza un episodio della storia apocrifa di s. Pietro, modificato e accresciuto dal leggendista. Secondo la re­ censione che costui ebbe presumibilmente davanti a sè, l’apostolo Pietro, amministrato il battesimo a Processo e Martiniano, veniva dimesso liberamente dalla custodia M am ertini; qualche tempo dopo - forse in seguito alla morte di Simon mago - catturato di nuovo e internato nel career, di nuovo ne era fatto evadere, ma il Signore, occorsogli presso la porta Appia, gli ordinava di rientrare in città per ricevervi la glo­ riosa corona del martirio. Ma questa versione dovette sembrare man­ chevole al nostro agiografo; sta di fatto che egli diede a Pietro come concaptivo in Mamertini custodia l’apostolo Paolo (pura comparsa del resto, che evaso insieme con Pietro, scompare di punto in bianco nella via Appia senza lasciare alcuna traccia di s è x) e immaginò battezzati dopo Processo e Martiniano i 47 reclusi promiscui sexus et aetatis (luogo comune dell’agiografia rom ana1 2) e forse anche gli altri magistriani presenti nella custodia. Egli si permise inoltre, secondo 1 N o n so c o m e il V ouaux (Les Actes, p . 425) a b b ia p o t u t o asserire c h e g li A t t i d e i ss. P r o c e s s o e M a rtin ia n o m e t t o n o a m b e d u e g li a p o s t o li « en p r é s e n ce d u S a u v e u r ad 'portam Appiam ». S e c o n d o in fa t t i la Passio, g li a p o s t o li si d ir ig o n o b e n s ì v e r s o la p o r t a A p p ia (coeperunt pervenire usque ad portam Appiam), m a il s o lo P ie t r o veniens iuxta portam vidit dominum Jesum Christum, e d esso s o lo , d o p o il b r e v e c o llo q u io , Bomam rediit (1, 17.18). A n c h e n e lla Passio ss. Petri et Pauli latina (e d . L r p s iu s , A da, 1, p . 223 s g g .), - la q u a le p e r a ltr o ig n o r a la p r ig io n ia d e g li a p o s t o li in Mamertini custodia e i m a g is tr ia n i P r o c e s s o e M a r ti­ n ia n o - P ie t r o p a r t e d a P o m a , relicta omni plebe cum Paulo (p. 233); l ’in d o m a n i r it o r n a in loco quo fuerat e q u iv i è a r r e s ta to cum conservo suo Paulo (p . 234). V e r o è c h e s t a n d o a g li Acta Pauli il S ig n o re a v r e b b e d e t t o p u r e a ll’ A p o s t o lo d elle g e n t i in u n a a p p a r iz io n e : ά ν ω θ εν μέλλω σ τα υ ροΰ σθ α ι, p e r ò in t u t t ’ a ltr o t e m p o e lu o g o (v . C. Schmidt , Acta Pauli nach dem Papyrus der Hamburger Staats- und Universitàts- Bibliothek, G lü c k s t a d t -H a m b u r g 1936, p . 7, 39). D o n d e fo r s e d e r iv a , d ir e tt a m e n te o in d ir e tt a m e n te , il c u r io s o e rro re d i s. G re g o rio N is s e n o : δέχεται τον σταυρόν ό Π αύλος, το ξίφ ος Ι ά κ ω β ο ς ... τον επί κεφαλήν άνασκολο.τισμό,·

ό μ ακ άριος Π έτρος (De beatitud., 8 [P G , 44, 120 d ]). 2 L ’ a u to r e d e lla Passio a n o i p e r v e n u t a n o n d ic e c h e d o p o i melloprincipes P r o c e s s o e M a r tin ia n o r ic e v e t t e r o il b a t t e s im o g li a ltr i m iliti a d d e t t i a lla c u s t o ­ d ia d e g li a p o s to li, a n z i le p a r o le g e n e r ic h e d a lu i u s a te omnes (cuncti) qui in custodia erant (c f. Act. Apost., 16, 25 [o m n e s ] qui in custodia erant) c ’ in d u c o n o a

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DELLA

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ogni verisimiglianza, di accozzare due distinte prigionie romane di s. Pietro - Puna nella privata custodia Mamertini, l’altra nella squalidissima custodia publica1 - affermando che l ’apostolo passò direttamente dalla custodia Mamertini alla porta Appia presso la quale gli apparve il Signore. La prima parte della Passio, cioè tutto il capo i, il solo da me ana­ lizzato fin qui, fu redatto allo scopo d’inquadrare il martirio dei due magistriani meUoprincipes nella storia apocrifa di s. Pietro, inquadra­ tura richiesta dalla identificazione dei ss. Processo e Martiniano con i militi che si dissetano alla sorgente scaturita al tocco della verga del Mosè-Pietro. Dalla cattura dell’apostolo (cumque rediret mane ecce et milites tenuerunt eum) il leggendista passa senz’altro al processo dei due uffi­ ciali magistriani: Eodem quoque tempore nuntiatum est Paulino v. c. ma­ gistro officii eo quod Processus et Martinianus magistriani Christiani ef­ fecti fuissent. Tunc misit milites et tenuit eos et iussit in custodia retrudi (c. 2 ,1 ). Ora, che, dovendo esporre soltanto le gesta di Processo e Martiniano, l’agiografo non finisca di raccontare il martirio di Pietro, d ’al­ tronde notissimo, si spiega senza difficoltà. Ma che egli mostri di non vedere alcuna relazione fra la cattura degli apostoli e quella dei loro custodi sembra inesplicabile e più inesplicabile ancora che il magister officiorum, interrogando i meUoprincipes ai quali aveva rimessa la ge­ losa custodia di due imputati così insigni, non senta la necessità di prendere esatta notizia dei fatti svoltisi nella prigione e non foss’altro della scomparsa di Paolo. Paolino invero si astiene da qualsiasi accenno agli apostoli e tutte e due le volte che gl’imputati si professano servi di Gesù quem beatissimi apostoli eius Petrus cum Paulo praedicaverunt2, credere ch ’egli intenda parlare unicamente dei detenuti, 47 persone promiscui sexus et aetatis. Non è tuttavia una pura e semplice ipotesi che questo numeroso gruppo di battezzati (locus communis dell’agiografia romana) abbia sostituito, in un secondo tem po, le custodiae degli apostoli prigioni. Che in effetto nella prima stesura della Passio si dicessero battezzati con Processo e Martiniano i milites da essi dipendenti, si può arguire dal Martyrium s. Petri apost. a Lino conscriptum, dove ai meUoprincipes esortanti Pietro e Paolo ad evadere si asso­ ciano gli altri magistriani. E lasciamo le rappresentazioni del Mosè-Pietro con più di due soldati. 1 0 , meglio, in una cella squallidissima del career publicus, cioè nel career interior. 2 Così dice p. es. anche il martire Eleuterio assegnato dalla leggenda al tem po di Adriano: Viri romani, magnus est Deus Christianorum quem beatissimi Petrus et Paulus praedicaverunt (Mombritius, Sanctuarium, 1, p. 444, 46. La

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egli non ne fa alcun caso e continua a parlar d ’altro. È superfluo av­ vertire che con le parole or ora citate Processo e Martiniano non asse­ riscono di aver appresa la legge di Cristo dalle labbra stesse dei principi degli Apostoli, bensì che questi sono coloro per quos evangelium Christi Romae resplenduit1. Un altro particolare degno di osservazione nell’interrogatorio dei nostri martiri è che il giudice non fa mai il nome dell’imperatore Nerone, anzi ha l’aria di ritenere regnanti insieme più imperatori. Perchè egli rimprovera i magistriani dicendo: Sic stulti facti estis, ut deserentes deos et deas, quos invictissimi principes colunt2 . . . , sequentes vana in audacia vestra. E poco dopo ordina che, mentre i carnefici percuotono Processo e Martiniano con verghe aculeate, il praeco non cessi di gri­ dare: Praecepta principum contempnere n olite3. Merita considerazione anche l’intervento di Lucina femina nobi­ lissima, la quale durante l’udienza esorta impunemente i magistriani a resistere4, poi li assiste incessanter nella custodia Mamertini e finalversione greca in P . Franchi d e ’ Cavalieri, I martirii di s. Teodoto e di s. Ariad­ ne. . ., Roma 1901, p. 152, 12 ... δν έκήρυξε Πέτρος καί Παύλος ενθάδε). 1 S. L eo I Magnus, Sermo 82, 1 [In natali apost. Petri et Pauli, 1]: Isti enim sunt viri per quos tibi evangelium Christi, Borna, resplenduit; et quae eras magistra erroris, facta es discipula veritatis (PL, 54, 422 c). 2 Yedi p . es. Passio s. Marcelli, 2, 7 (Acta SS. Bolland., n ian., 6) deos quos imperatores (Diocleziano e Massimiano) adorant; 2, 9 (ibid., 7) deos quos principes adorant. 3 Nelle Passiones romane « praecepta principum nolite contemnere » è una delle admonitiones che spesso vengono gridate dal praeco durante l’interroga­ torio per tormenta. Vedi p. es. Passio ss. Maris, Marthae et soc., 4, 18 (Aetà SS. Bol­ land., n ian., 219; M ombritius, Sanctuarium, 2, p. 243, 50); Passio ss. quattuor Coronatorum, 20 (Acta SS. Bolland., in nov., 797). Cf. L e B lant , Les Actes des martyrs, par. 36.59, pp. 91 sgg.; 155 sg. 4 A questo intervento di Lucina nel processo dei due melloprincipes fa riscontro quel che narra la recensione greca inedita della Passio ss. Xysti, Lau­ rentii et Hippolyti *. Mentre il santo protodiacono veniva abbrustolito sulla * È la versione greca di un testo latino vicinissimo alla prim itiva Passio ss. Sixti, Laurenti et Ypoliti (che P . A . de L agarde [Hippolyti Romani quae feruntur omnia graece, Lipsiae 1858, p. x m sgg.] pubblicò sul cod . 11880 del Museo Britannico, e C. N arbet [Supplément aux Acta Sanctorum, 2, Paris 1903, p . 245 sgg.] sui cod . N ov. A cq. lat. 2180 della Nazionale di Parigi) arricchito però, fra l’altro, eli alcuni particolari topografici, che non ricom paiono negli ulte­ riori sviluppi della leggenda di s. Lorenzo. Io ho approntato l’ « editio princeps» di codesta Passio greca su quattro buoni cod ici del sec. X : il V at. greco 1671 e i Parigini gr. 548, 1470 e Suppl. 241 della Nazionale, per uno studio futuro di tutte le redazioni latine e greche della Passio ss. Xysti, Laurenti et Hippolyti.

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mente ne seppellisce le spoglie in praedio suo, in arenario, in via Aurélia. Non ricordo che altri abbia notato che chi introdusse questo personag­ gio nella leggenda di Processo e Martiniano, desumendolo forse dalla Passio- s. C ornelii1, non sembra averlo voluto assegnare all’età apostogratieola ή μήτηρ αύτοϋ μετά του αγίου ευαγγελίου (le parole μετά — ευαγγελίου mancano nel cod. Vat. gr. 1671) πλησίον εστώτα είς την δόξαν τής άποστολικής παλαίστρας προετρέπετο αυτόν (c. 6). L ’im provvisa comparsa di costei e le sue esortazioni al figliolo sono ancor più inverosimili della presenza di Lucina, gran dama romana, all’interrogatorio di Processo e Martiniano, ma spiegabili, se non erro, senza difficoltà. È notissima, perché riprodotta tante volte dopo la pubblicazione che ne fece per prim o G·. B. de R ossi (Le medaglie di devozione dei primi sei o sette secoli della Chiesa, in Ballettino di archeologia cristiana, 7, 1869, tavola annessa a p . 34, n. 8), quella medaglia plum bea del sec. V che in una delle due facce offriva una immagine schematica del sepolcro di s. Lorenzo, nell’altra il suo martirio a fu oco lento dinanzi all’im peratore. Ora se questo martirio è una copia della passio argentea che ornava i cancelli di quel glorioso sepolcro nella basilica tiburtina (Liber pontificalis, ed. M om ­ msen, p. 64, 7), com e riteneva il grande archeologo romano (art. cit., p . 51), non pare'soverchiamente ardito supporre che la fantasia dell’agiografo popolare, insieme al ricordo della madre dei sette fratelli m accabei (II Macc., 7, 4-5) abbia ravvisata la madre del giovane levita nella orante che ritta dietro la graticola simboleggia l ’anima pronta a spiegare il volo dall’orrido letto di morte alla gloria della vita celeste (de R ossi, loc. cit., p. 33). Che il nostro leggendista abbia veduto e male interpretato una figura della passio argentea apposta al sepolcro di s. Lorenzo, non può giudicarsi senz’altro una ipotesi priva di fondam ento. Tanto più che egli mostra di aver letto anche le iscrizioni che adornavano quel santuario. Dice infatti a c. 6 : κτισΟέντος δέ αότώι μαρτυρίου σεπτού αρχιερείς τώι θεώι άνακείμενοι τον άγιον Λαυρέντιον πτωχών καί «σθενών τροφέα ωνόμασαν (V at. gr., 1671, f. 128ν), i. e. pauperum et infirmorum altorem o nutricium. A ll’autore di questa singolare recensione della Passio s. Laurentii dobbiam o inoltre la notizia di un balineum situato είς τόπον τινά Βουρτίνα, οΰτω προσαγορευόμενον (dove Βουρτίνα è evidente corruzione di Τιβουρτίνα: l’originale latino diceva senza dubbio in Tiburtina, sottinteso, com e spesso, via. Il cod. Parigino 1470 ha invece είς τόπον 2ουβαράν οΰτω προσαγ., cioè είς τ. 2ουβοϋραν). In quel balineum l ’invitto protodiacono si sarebbe raccolto in preghiera prim a di costi­ tuirsi alla forza pubblica. Leggenda popolare, credo io, con la quale si vollero illustrare le origini di un oratorio adattato in un balineum fuori d ’uso. 1 O, per dir meglio, dall’arsenale dei loci communes dell’agiografia rom ana; perchè Lucina, nobile matrona, tutta dedita a soccorrere i cristiani perseguitati e in prim o luogo a ricercare le salme dei martiri per seppellirle degnamente nei suoi predi, ritorna nelle Passiones di s. Cornelio, di s. Sebastiano, di s. Antim o, di s. Simplicio, di s. Marcello (vedi H. L ietzmann , Petrus und Paulus in Bom . . . , Berlin-Leipzig 1927, p. 179 sgg.; T illemont, Mémoires, 4, p. 354). Lucina in ­ somma « non è altro che il sim bolo della pietà femminile », com e nota il Padre A . F err.ua (Iuxta coemeterium Callisti, in Bendiconti detta P . Accademia romana dì archeologia, III, 20, 1944, p. 110).

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fica, giacché in questo caso ben difficilmente avrebbe omesso di di­ chiararla discepola dei ss. Pietro e Paolo e appunto per ciò beatissima, sanctissim a1. A d una analoga considerazione dà luogo la fine della Passio, dove si narra che, morto improvvisamente Paolino magister officiorum, il costui figlio Pompinio corse a palazzo implorando la punizione dei due magistriani. Moderatores et gubernatores, reipublicae2 vestrae subvenite, ut extinguantur arte magica imbuti. Queste parole, come par dimostrare ciò che segue, sono rivolte direttamente al praefectus urbi Cesario. Ora il nome Caesarius, fra i grandi dignitari dell’impero, non comparisce se non dopo la metà del secolo IV e il primo praefectus urbi chiamato così (Clodius Hermogenianus Caesarius) è dell’a. 374 3. Ma quello che mi sembra qui particolarmente degno di nota non è l’anacronismo in sè (cosa più comune di tali anacronismi nelle leggende del secolo V-VP1?), bensì il dare come prefetto di Pom a al tempo del martirio dei principi degli Apostoli un ignoto Cesario, invece del famoso Agrippa, di cui parlano tutte le storie apocrife dei ss. Pietro e Paolo, il Μαρτυριον τοϋ αγίου αποστόλου Πέτρου, Ιο Ps.-Lino 4, etc. Stento a credere che chi ideò il prefetto di Pom a Cesario pensasse al regno di iTerone, agli ultimi giorni dei principi degli Apostoli narrati dagli apocrifi. Quanto precede m ’incoraggia a proporre, sulla composizione della

1 L a notizia presso A done (Martyrologium, s. d. II Kalend. lu i.: Natale beatissimae Lucinae discipulae Apostolorum [PL, 123, 296]; Libellus·. Lucinae. .. quae a beatis Apostolis baptizata et instructa est [PL, 123, 196-197]) è dedotta unicamente dal fatto che nella Passio quale ci è pervenuta i due magistriani melloprincipes sono assegnati all’età neroniana, v. H. Quentin , Les martyro­ loges historiques du moyen âge.. . , Paris 1908, p. 565. 2 Cf. Passio ss. Maris, Marthae et soc., 2,6 (Acta 8 8 . Bolland., n ian., 217) deos et gubernatores reipublicae; 3, 12 (ib., 218) iusserunt victores (an redores ?) reipublicae; 4, 17 (ib., 219) principes vestri et gubernatores reipublicae. 3 D essau , Inscriptiones, η. 4147. Il più antico degli esempi recati nel Thesaurus Unguae Latinae [Onomasticon, s. v.] è Caesarius comes rerum priva­ tarum a. 364 (Cod. Theod., 10, 1, 8). Non bisogna però dimenticare Cesario m ar­ tire di Terracina (H. D elehaye , Les origines du culte des martyrs'3·, Bruxelles 1933, p. 308, 409) certo non posteriore alla persecuzione di Diocleziano. 4 Soltanto nella Passio ss. apost. Petri et Pauli (versione latina del Μαρτύ­ ρων των αγίων αποστόλων Πέτρου καί Παύλου), il codice Monacense 4554 del sec. V I I I -I X legge al η. 58: Nero ad praefectum suum Clementem cognomento Agrippam (Άγρίππαν τον έπαρχον ) dixit (ed. L ipsius, Acta, 1, p. 69, 6 in app. cr.). Così pure la Passio apost. Petri et Pauli brevior c. 13 (ed. L ipsius, Acta, 1, p. 233, 13. 16. 19).

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Passio ss. Processi et M artiniani, una ipotesi a mio avviso non infon­ data ma che rimetto volentieri agli agiografi competenti. In origine la Passio ss. Processi et M artiniani sarebbe consistita unicamente nel cap. π , narrando come al tempo della persecuzione senza dubbio l ’ultima, la Dioclezianea1 - Paolino vir clarissimus magi­ ster officiorum2 venne informato che i suoi dipendenti diretti, due magis1 Se i ss. Processo e Martiniano furono assegnati all’età apostolica com e io congetturo, in un secondo tem po, è probabile che la Passio originale, cioè, in sostanza, il c. 2 della Passio attuale, non contenesse alcun dato preciso sulla persecuzione di cui furono vittim e i due magistriani. Cosa, del resto, non senza esempi tanto nell’agiografia romana (A tti di s. G-iustino, Passiones di s. Agnese e di s. Cecilia) quanto altrove (Passiones dei ss. Sereno, Genesio Arelat., Giulio vet., etc.). Negli scrittori del secolo IY -V , l ’espressione tempore persecutionis suole designare (com e tu tti sanno) Γultima grande persecuzione. A volte però ha un significato generico com e negli epigrammi damasiani la form ula: tempore quo gladius secuit pia viscera matris (ed. Perrua, cc. 17, 1; 31, 1; 35, 3; 43, 1; 46, 2). È vero che in un caso (c. 35) questo verso indica, se non erro, una persecuzione determinata, anzi il secondo atto di uno dei più sanguinosi drammi del I II se­ colo. Nel carme apposto alla tom ba di s. Ippolito, del quale abbassa il martirio dalla persecuzione di Massimino Trace (235) a quella di Valeriano (257-258), Dam aso, assai male inform ato dalla corrotta tradizione orale, dice così: Hippo­ lytus fertur premerent eum iussa tyranni / presbyter in scisma semper mansisse novati / tempore quo gladius secuit pia viscera matris / devotus christo peteret cum regna p iorum /... catholicam dixisse fidem sequerentur ut omnes (c. 35, 1-4, 6). Non direi, col grande G. B. de R ossi (Elogio damasiano del celebre Ippolito martire sepolto presso la via Tiburtina, in Bulletino di archeologia cristiana, III, 6, 1881, p . 47 sg.), che il poeta sacro alluda nel prim o verso alla persecuzione di Decio, nel terzo alla Valerianea, nè con l ’ultimo editore degli epigrammi d a­ masiani (P e r ru a , Epigrammata, p. 172), il verso 3 inepte repetere quae v. 1, extr. dicuntur. A me pare che, posto l ’accenno alla persecuzione di Valeriano il testo, malgrado l ’estrema concisione, non offre soverchia difficoltà. Ippolito perseverò nello scisma quando il tiranno (Valeriano) già opprim eva gravemente la Chiesa (con l ’editto del 257 che vietava le adunanze, sequestrava i cim iteri, mandavà i vescovi in esilio). Ma quando la spada cadde fulminea sulla com unità cristiana (editto del 258: ut episcopi et presbyteri et diacones in continenti animad­ vertantur) Ippolito, con dotto al supplizio, al pari di tanti altri, riconobbe il proprio errore ed esortò i suoi seguaci ad abbracciare tutti la fede cattolica. 2 Anche qualche altro agiografo romano cade nell’errore di credere isti­ tuita la magisterii potestas prima del secolo IV (v. p. 29, nota 1). Ma soltanto il nostro rivela una notevole conoscenza dei magisteriani. « A vant 500 » nota il D ufourcq (Étude, 1, p. 305, n. 1) « magisterianus ne se rencontre que chez Palla­ dius: Historia Lausiaca, 149 (PL, 73, 1213 [ = ed. Butler, p. 162, 6 ])». Le asser­ zioni di questo genere p oco giovano perchè spesso inesatte. Μαγισττριανός si trova già di fatto in F ilostokgio (Hist, eccl., 4, ed. Bidez, p. 58, 4), nella lettera di Nestorio all’im peratore (Gone. Ephes., ed. Schwartz, Acta conciliorum, I, 2,

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trioni m elloprincipes1, si erano resi cristiani. Egli li fa mettere imme­ diatamente agli arresti nella custodia Mamertini e il giorno dopo li interroga giudizialmente, cercando d’indurli a sacrificare agli dèi. Ma Processo e Martiniano, anche sottoposti a crudeli tormenti, resistono impavidi. Quando l’interrogatorio sta per volgere alla fine, Paolino, vittima, sembra, di un attacco apoplettico, perde l’occhio sinistro, onde, sospesa l’udienza, rinvia gl’imputati nella custodia Mamertini. Ma di lì a tre giorni, colto da un altro e più grave accidente, l’infelice magi­ ster soccombe. Il processo, su pressione di Pompinio, figlio del morto, è terminato allora da Cesario praefectus urbi, che condanna Processo e Martiniano alla decollazione. Questa viene eseguita il 2 luglio in via Aurelia iuxta formam aquaeductus. Le salme raccolte dalla matrona Lucina ricevono degna sepoltura in un predio di lei iuxta locum ubi decollati sunt. Poco dopo scritto, forse nei primi decenni del secolo V I, questo racconto non storico, ma semplice e non inverisimile (se riguardato come un episodio dell’ultima persecuzione) viene trapiantato nell’epoca neroniana. Strano trapiantamento, del quale però i bassorilievi dei sarcofagi sopra descritti, e, credo, soltanto essi, ci dànno una spiega­ zione soddisfacente. p. 14, 4), negli atti del concilio di Calcedonia d e lla . 450 (ed. Schwartz, op. cit., I, 2, p. [207], 11, par. 19, lin. 6), nell’epitaflo Ούαλεντίνωι μαγιστριανώι ΰπ(ατείαι) τοΰ δεσ(πότου) Όνωρίου (395-423) (ed. da G·. K aibel , Inscriptiones Graecae, Si­ ciliae et Ita lia e..., Berolini 1890, A dd., n. 949a) e dopo la pubblicazione del prim o volum e dell’opera su citata del D ufourcq, le iscrizioni e i papiri della voce μαγιστριανός anteriori al secolo V I. Eppure io credo che a ragione il dotto fran­ cese veda nella detta voce un m otivo per assegnare la Passio ss. Processi et Martiniani al secolo V I, anziché al V. Effettivamente in Occidente il termine magistrianus o magisterianus non sostituì, a quanto pare, nell’uso, agens in rebus, se non verso il sec. V I. Certo negli A tti del concilio di Calcedonia dell’a. 450, dove il greco originale ha μαγιστριανός, la versione latina legge agens in rebus, e i primi esempi di magistrianus in testi latini ci sono offerti da Gela­ sio I (a. 492-496) in Tractatus I , cap. 5 (ed. A. T hiel , Epistulae Romanorum pontificum, 1, Braunsberg 1868, p. 515, 12), e nella Suggestio ad Hormisdam, dove i legati usano la parola magistrianus (PL, 63, 475 a ), l ’im peratore greco invece agentes in rebus (PL, 63, 476 c). E si noti che nel Liber pontificalis, la vita di Ormisda (514-523) ricorda un Eliodoro magistrianus et praefectianus (ed. Mommsen, p. 127, 22), la Vita Liberti (a. 352-366), un Claudio agens in rebus (ed. cit., p. 77, 12). 1 L ’agens in rebus o magistrianus alla fine del suo lungo servizio riceveva il titolo onorifico di princeps (Cod. Theod., 6, 27, 6; 6, 27, 13; 6, 28,3).

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PASSIO SS. MARTYRUM PROCESSI E T MARTINIANI M E N S E IU L IO D IE S E C U N D O

CODICES A C P

= S. Petri in Yat. A 4 : saec. X I . Q = Casinensis 142 : saec. X I. B = Yat. Palat, lat. 846 : saec. X . S V = Yat. lat. 1191

= Paris. B . N. lat. 5299 : saec. I X . = Vat. Begin, lat. 523 : c. a. 1000. = Vat. Begin, lat. 539 : saec. X I I in. : saec. X I I ex.

I . Tem pore quo Sym on m agus crepuit in tu s et im piissim us N ero trad idit beatissim os apostolos Christi P etrum et P aulum P aulino Tiro clarissim o m agisteriae potestatis, eodem tem pore Paulinus m ancip avit beatissim os apostolos in custodia M am ertini.

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2 E t veniebant ad eos

m u lti Christiani infirm i et curabantur ab infirm itatibus suis atqu e alii a daem oniis obsessi liberabantur per orationes apostolorum .

3 E ran t

autem custodientes eosdem beatissim os apostolos m ilites m u lti, inter quos erant duo m agistriani m elloprincipes, Processus et M artinianus.

10

4H i cum viderent m irabilia quae faciebat per beatos apostolos suos dom inus Iesus Christus, m irari coeperunt dicentes: « V iri venerabiles, nostis quia hic im perator N ero iam in oblivione recessit a persona vestra, ecce enim novem m enses sunt quod in custodia estis. R ogam us 1 1 om. mart. A ; om. sanctor, mart. B 2 mense iul. d. secundo PQ; sub diae .V I. nonar. iuliar. B ; V I nonas iulii (nonus iul. A) A S 3 Symon sio eodd. \ intus: medius S; om. Mombr. | et del. A ; om. OV 5 clarissimo: benigno Mombr. | magisteriae potestatis: magistro p . A : magistro officii G \ eodem : eodem autem A O V ; om. eodem tempore Mombr. 6 in custodia: custodia S \Ma­ mertini (ex mamort. A al. m.); mamurtini (ex mamort. P ) PQS | E t veniebant: veniebantque Mombr. 7 a suis curab. inf. Mombr. 8 daemoniis : daem o­ nibus A Mombr. \ om. obsessi A 0 | orationes: orationem AO 9 milites multi: P B ; multi mil. reti. 10 om. erant Mombr. \ magistriani melloprincipes B ; magistri animelli (e ex a) principes S; m. animello principi P ; m. principes A Q V ; m. p. fuerunt Mombr.; om. melloprinc. 0 11 beatos: beatissimos Mombr. \ om. suos C 12 dominus noster B 13 hic CP, om. réll. | in oblivione P ; oblivioni A ; in oblivionem reti. | recessit (processit Mombr.) a persona vestra: trad idit personas vestras A 14 quod: ex quo G.

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48

D E LLA « CUSTODIA M AMERTINI ))

itaque vos u t am buletis u b i volueritis et tan tu m in huius nom ine, cuius vos cognovim us facere virtu tes has m agnas, bap tizate nos ». 5

T unc dixerunt eis beatissim i apostoli P etrus cum P a u lo : «V

credite ex om ni corde et m ente vestra in nom ine T rinitatis et vos ipsi 5 potestis facere quae nos facere cognovistis ».

8 H o c audientes om nes

qui in custodia erant clam averunt unianim iter dicentes: «D o n a te nobis aquam , quia siti periclitam ur ».

7 E adem autem hora beatissim us

P etrus apostolus, in ipsa custodia M am ertini dum esset,

d ixit

om nes:

dom inum

io Iesu m

« Credite in D eu m Christum filium

om nia m inistrabuntur se ab

om nes eis

eadem

patrem

om nipotentem

et in

ad

eius unigenitum et in Spiritum sanctum , et vobis ».

8 E adem

autem

hora

m iserunt

prostrati ad pedes apostolorum rogantes u t baptism um

perciperent. custodia:

9 At

cum que

vero beatissim i apostoli oraverunt in

orassent,

ilico

beatus P etrus apostolus

15 facto signo crucis in m onte T arpeio, in custodia M am ertini, eadem hora em anaverunt aquae de m on te.

10 T unc b a p tiza ti sunt beati

Processus et M artinianus m agistriani m elloprincipes a beato P etro apostolo.

11 H o c dum vidissent cuncti qui in custodia erant, pros­

traveru nt se ad pedes beati P etri apostoli et bap tizati sunt prom iscui 20 sexus et aetatis num ero quadraginta septem .

12 T un c obtu lit pro

eis sacrificium lau d is, et particip ati sunt om nes corpus et sanguinem dom ini nostri Iesu Christi.

13 T unc videntes b eati Processus et

M artinianus m agistriani dixerunt ad sanctos apostolos Christi P etrum

1 ubi CPV; quo rell. | iu huius nomine cuius (in cuius Mombr.): in h. nos nom . in cuius vos 0 ; in nomine eius in cuius vos A 2 cognovim us: agno­ vimus Ο I has A ; om. rell. \ baptizate nos PQ Mombr.; nos bapt. rell. 3 om. eis A I Petrus cum Paulo P ; P . et Paulus rell. 4 ex: et Mombr. | Trinitatis: sancte Tr. 8 \ et vos ipsi - cognovistis om. O 5 H oc: hos P 6 unianimiter P ; una voce 8 ; unanim. rell. | D onate: date 0 8 7 siti: a siti Q 8 Mamertini (A ex mam ort. al. m.) A O B V ; mamurtini PQ8 \ dum add. B in marg. 9 om. et Q | dominum nostrum 8 10 eius: dei V 11 autem : vero A 12 om. prostrati Mombr. 13 perciperent: reciperent A C ; percipiant V 14 ilico beatus Petrus apostolus facto signo crucis A P V Mombr.; ilico a beato petro apòstolo facto signo erucis G; illico (il. Q) et a b. p. ap. factum signum crucis QB8 15 Mamertini A O V ; mamurtini P ; mamertini (mamurt. Q8) fuisset QB8 16 beati: beatus A (ex beati) 8 17 magistriani melloprincipes B ; magistri animello principi P ; m. animelli principes 8 ; magistriani (magistri A ) principes (II II principes Q) AOQV Mombr. 18 vidissent: audissent A (ex audien) 0. 20 om. et ante aetatis Q | obtulit P 8 ; optulit rell. 21 corpore et sanguine | Mombr. 22 Tunc videntes: tunc hoc videntes V ; videntes autem Mombr. |beati: ex beatus A ; beatus V 23 magistriani: magistri Mombr.; om. AO.

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PASSIO SS. PROCESSI ET MAKTINIANI

49

et P a u lu m : « P ergite quo desideratis, quia oblitus H ero desperavit de vobis ».

14 E xeu n tes autem de custodia sancti apostoli P etrus et

P aulus venerunt per v ia m quae A p p ia nuncupatur et coeperunt per­ venire usque ad portam A p p ia m .

15 T un c beatissim us P etru s, dum

tib ia m dem olitam haberet de com pede ferri, cecidit ei fasciola ante Septem sonium in v ia n o v a .

5

16 E odem autem tem pore ven it iu xta

portam A p p iam et v id it dom inum Iesu m C hristum ; quem cognoscens, d ix it ei P etru s: «D o m in e , quo p erg is? » et dom inus: «E o m a m redeo iteru m crucifigi: tu autem redi E o m am ».

17 E t rediit P etrus E o ­

m am . Cum que rediret m ane, ecce et m ilites m agistriani tenuerunt eum .

io

Π . E od em quoque tem pore nu n tiatu m est Paulino viro clarissim o m agistro officii eo quod Processus et M artinianus m agistriani Christiani effecti fu issen t. T un c m isit m ilites et ten u it eos et iussit in custodia retru di.

2 A lia autem die praecepit sibi eos praesentari. Q ui cum

add ucti fuissent ante conspectum P aulini v iri clarissim i, d ix it eis P a u - 15 lin u s: « S ic stu lti fa c ti estis, u t deserentes deos et deas, quos in victis­ sim i principes colunt et antiquitas nostra adorat, sequentes van a in audacia vestra, u t sacram enta m ilitiae vestrae a m itta tis?».

3 E e s-

pon dit M artinianus clara voce et d ix it: « N os m odo coepim us habere sacram enta m ilitiae caelestis ».

4 P aulinus vir clarissim us m agister 20

officii d ix it: «D ep o n ite ia m am entiam cordis vestri et adorate deos in m ortales, quos a cunabulis vestris venerati estis et coluistis et nutriti estis ».

5 B ea ti m artyres Processus et M artinianus respondentes una

voce d ixeru n t: « H o s Christiani fa c ti sum us ».

6 D ix it autem ad eos

1 oblitus : exoblitus QB 2 E xeuntes: euntes B | autem : vero Mombr. 3 venerunt per viam quae A ppia nuncupatur et: ambulantes (et amb. A ) per V. q. a. nunc. AO 5 de com pede: de com pedibus (et de c. Q) QBS \ om. ei A 6 septemsonium A ; septem sonuit P ; septemsolium Mombr.; septisolium C; septa solis V ; sepem QBS | venit: veniens Mombr. 7 et om. Mombr. \ om. Christum Mombr. 8 dixit: dicit GQBS | et dominus: et d. dixit ei A C ; et d. inquit Mombr. 10 ecce et milites magistriani P ; ecce et mag. A Q V ; eece mag. CBS 11 quoque: vero Mombr. 12 eo del. A ; om. QBS I magistriani: A coeperat scribere magis, quae dei. 13 fuissent: fuerant Mombr. \ Tunc C; qui V ; om. rell. | in custodia: in custodiam AOS Mombr. 14 retrudi: trudi Q; recludi Mombr. | eos sibi A Mombr. 15 om. viri cl. A 17 sequentes: sequamini V ; sequi velitis Mombr. | vana in audacia vestra: vana mendatia S; v. et m endacia Mombr. 18 u t (et V ; del. A ) PQB |ut sacramenta militiae vestrae amittatis (adm itt. S) om. Mombr. | Respondit: respondens AO 19 om. clara voce BS \ et dixit: dixit AO 20 caelestis: christi A I om. vir cl. mag. off. A C Mombr. 22 et (ut V ) nutriti estis: per quos n. e . C; a quibus n. e . S; om. et coluistis et n. e. Mombr. 23 om. respondentes A 24 D ixit : dicit BS I ad eos iterum : it. ad eos ST7; om. iterum A Mombr.

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DELLA « CUSTODIA MAMERTINI »

50

iterum Pauünus vir clarissim us: «A u d ite m e, conm ilitones m ei, et facite quae dico et estote am ici m ei et fruim ini m ilitia vestra et estote praeclari principes. Sacrificate itaqu e diis om nipotentibus et v iv ite ». 7

R espondentes am bo sim ul tanquam ex uno ore dixerunt ei: «S u f-

5 ficiat nos declarare tib i quia Christiani veraces sum us et servi D ei et dom ini nostri Iesu Christi, quem beatissim i apostoli eius P etrus cum P aulo praedicaverunt ». officii d ix it: « Ia m

8 Paulinus igitu r v ir clarissim us m agister

dixi vobis et audistis et nunc iterum dico v o b is:

audite consilium m eum et v iv ite ». E li autem tacuerunt.

9 Iteru m

io autem atque iterum interrogavit eos Paulinus v ir clarissim us et tunc iussit u t cum lapide os eorum contunderetur.

10 Cum que diu caede­

rentur, clam abant am bo pariter dicentes: « G loria in excelsis D eo ». 11 Paulinus vir clarissim us m agister officii dixit m ilitibus suis: «P ro ­ ferte m odo tripodam u t turificent m aiestatibus ».

12 B ea ti igitur

15 m artyres Processus et M artinianus hoc audientes dixeru n t: «hTos nosm etipsos sem el obtulim us D eo om nipotenti ». d ixit eis: « F acite quae dico ».

13 E t adlata tripoda

14 E t detulerunt Io v em aureum . H o c

autem cum viderent, risum facientes expuerunt in Io v e m et in tripo­ dam coram Paulino m agistro officii.

15 Iteru m autem isdem P au li-

20 nus vir clarissim us praecepit eos in eculeo suspendi et adtrahi nervis

et caedi fu stib u s: illi autem v u ltu alacri gaudentes diceban t: « G ratias tib i agim us, dom ine Iesu Christe ».

18 Paulinus m agister officii n i­

m io furore accensus iussit u t flam m as ponerent circa latera eorum : illi

1 om. vir cl. A C \ om. me AG | conmilitones P ; com m . rell. 2 et fruimini: fruiminique Mombr. | militia vestra om. C; milicie palmam 8 3 prae­ clari principes: pr. principum A P V Mombr. | Sacrificate itaque B ; sacrificateque P ; et (om. AQ) sacrificate A Q V Mombr | omnipotentibus: im m ortali­ bus 0 4 simul (om. QB) tanquam : similiter quasi A | dixerunt: et dix. P 4-5 Sufficiat: sufficit Q Mombr. | nos: nobis AGQ | declarare: declarasse 8 \ om. veraces A 6-7 cum Paulo A (ad. tamen m. eorr. et Paulus) P Mombr.; et Paulus rell. | igitur: itaque B ; om. A \ om. vir cl. mag. off. AG Mombr. 10 om. vir cl. AO Mombr. \ om. tunc Mombr. 11 lapide: lapidibus A Y Mombr. | os eorum (eius P ; ex eius A al. m) contunderetur: ora eorum contun­ derentur Mombr. 12 D eo: deo et in terra pax hom . b. vol. Q Mombr. 13 P au­ linus vero Mombr. \ om. vir cl. mag. off. AG Mombr. 14 tripodam : tri­ poda Q Mombr. \ ut: et A Mombr. 15 hoc audientes: aud. hoc 8 ; om. Proc. et Mart. h. a. A | Nos nosm etipsos: Nos om. Mombr.; nos quidem nosmetip. A 16 obtulimus P S; opt. rell. | adlata P ; allata rell. 18 facientes: fecerunt A C 19 Iterum autem : tunc QB | isdem P (ex hisd.) V ; idem A ; om. rell. 20 om. V. cl. A C I eculeo: oeeuleo A B ; aculeo P ; equuleo Mombr. \ adtrahi P ; attr. rell. 21 vultu alacri: alacriter B 22-23 om. nimio P

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PASSIO SS. PROCESSI ET M ARTINIANI

51

autem vociferabant dicentes: «B en ed ictu m nom en dom ini nostri Iesu C hristi, quem beatissim i apostoli eius P etrus et Paulus praedicaverunt». 17

E ra t autem ib i quaedam m atrona, nobilissim a fem in a, nom ine

L u cin a, quae sta b a t ante eos, quae etiam con fortabat eos et dicebat eis: « M ilites C hristi, constantes estote et n olite m etuere poenas quae ad tem pu s sunt ».

5

18 Paulinus m agister officii d ixit ad eos: « Q uae est

ista am entia vestra ? ». U li autem corroborati deridebant torm enta. 19 T un c iussit m ilitibus scorpionibus eos adpensos in eculeo castigari sub voce praeconia dicentes: praecepta principim i contem pnere n olite. 20 E ad em autem hora Paulinus m agister officii am isit oculum sini­ 10 strum . T un c paenitentia ductus prae dolore coepit clam are et dicere: « O carm ina artis m agicae ! ». E t praecepit eos deponi de eculeo et diu m aceratos eos retrudi in custodia M am ertini.

21 M atrona quidem

venerabilis fem ina L ucina incessanter m inistrabat sanctis m artyribus in custodia.

22 P ost triduum autem subito Paulinus arreptus a 15

doem onio exp iravit. Tunc filius eius Pom pinius coepit vociferando cla­ m are ad palatiu m pergens: « M oderatores et gubernatores, reipublicae vestrae subvenite, u t extinguantur arte m agica im b u ti».

23 H o c au­

diens praefectus urbis Caesarius in tim avit N eroni A u gu sto rem gestam , i i ero autem im perator praecepit dicens: « N on tardentur, sed celerius 20 extinguantur ».

24 Pom pinius vero filius P aulin i m agistri officii coe­

p it fortiter urguere praefectum urbis Caesarium . T un c praefectus data

1 vociferabant: vociferabantur A (ex vociferabantur al. m.) O \ om. d i­ centes Mombr. 4-5 quae stabat - estote et: quae ante illos stabat et eos c o n ­ fortabat dicebatque eis: Milites Christi Mombr. 6 om. mag. off. A Mombr. 6-7 Quae est ista amentia vestra A Mombr.; quae ista (om. ista Q) amentia vestra in vobis est (om. est B) PQBSV \ deridebant: desiderabant A 8 militibus scorpionibus eos appensos (adpensis P ; appensis B ; appensi Q) in eculeo (oeeuleo QB; aculeo P ) castigari PQBS; militibus suis ut scorpionibus eos appensos in eculeo (equul. Mombr.) castigarent A O V Mombr. 9 dicentes: dicentibus QBS I praecepta: praeceptis V (ex - a) | contempnere: contemnere GQ Mombr.; contendere V 10 autem hora: h. aut. V \ om. mag. off. O 11 Tunc: ex quo Mombr. 12 eculeo: acui. P ; equul. Mombr. 12-13 et eos diu m. A | custo­ dia: custodiam G \ om. Mamertini (mamurtini P S ; mam ort. B) G | quidem (ex quidam P ) GPV; quaedam A B ; om. 8 14 Lucina ex lucarra P 16 P o m ­ pinius; Pampinius Mombr.; pom ponius A C | om. vociferando Mombr. 18 v e ­ strae: nostrae .4(7 I ut: et A | arte m agica: arte (e* artes) magicae P ; magicae artis Mombr. \ im buti: induti PQ B8 Mombr. 19 intim avit : indicavit V 20 praecepit: im peravit B 8 21 Pom ponius AG | om. filius - officii A 22 urguere A P V ; urgere rell. | T unc praef.: Quare ille Mombr. | data in eos (eis A ) sententia; lata sententia Mombr.; dedit in eos sententiam V

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52

DELLA « CUSTODIA MAMERTINI »

in eos sententia, iussu eius eiciuntur de custodia et ducti foras m uros urbis E om ae in v ia quae A u relia nuncupatur, ib i gladio capite sunt am pu tati.

25 B eatissim a autem L ucina cum hoc videret, sequebatur

eos cum fam ilia sua usque dum pervenirent iu x ta form am aquaeduc5 tu s, ubi etiam et decollati sunt et corpora eorum relicta sunt tru n cata, a canibus devoranda.

26 T un c sanctissim a fem ina L ucina collegit

corpora eorum e t con divit cum arom atibus pretiosis et sepelivit in praedio suo, in arenario, iu x ta locum u b i decollati su n t, sub die sexto nonas Iu lia s, v ia A u relia, ubi praestantur beneficia eorum usque in io hodiernum diem regnante dom ino D eo atqu e salvatore nostro Iesu C hristo, qu i v iv it et regnat cum P atre in un itate Spiritus sancti per om nia saecula saeculorum .

1 et (om. A B ) iussu eius eiciuntur ( - antur Q) de custodia et ducti (d. sunt 0 ); iussit eos (illos G) eiiei de custodia et duci G M om br. 2 om. urbis A O I in via : in viam M om br. | ibi gladio capite sunt am putati: ibidem {al. m . in ras.) gladio capita eorum sunt am putata A 5 truncata: trunca C V 6 T unc sanctissima: Sanctiss. vero M om br. 7 et sepelivit: sepelivitque M om br. 8 harenario M om br. | sexto: sexta Q 9 nonas Iulias: n. iulii S F ; nonarum iuliarum G 10 hodiernum d .: praesentem d. A C ; diem hunc M om br. | om. dom ino D eo atque A O P V ; om. D eo atque salvatore Q M om br. 11 regnat: r. Deus M om br.

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II

LA “ P A S S I O ” DI S. F I L I P P O VESCOVO DI ERACLEA

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LA

“ P A S S I O ” DI

S. F I L I P P O

VESCOVO DI ERACLEA

In una nuova raccolta di Acta martyrum storici, a m odo degli AusgewàTilte M artyrerakten di K n o p f e K riiger ', m i piacerebbe di v e ­ dere inclusa la Passio di s. F ilip po vescovo di E raclea, la quale, pure essendo un docum ento d ’indiscutibile valore storico ed archeologico, si presta p iù di parecchi altri a ll’indagine critica. I l testo latin o in fa tti, che noi abbiam o e che divulgò per prim o il M abillon , è la versione di un originale greco, anzi un rim aneggia­ m ento della versione prim itiva e qua e là , forse, un com pendio. L ’ originale greco non esiste p iù , esso è tu tta v ia presupposto dalla

Passio latin a o , per dir m eglio, da diversi luoghi di questa Passio a b ­ bastan za dim ostrativi, alm eno nel loro com plesso. F u ori d i ogni dubbio il santo vescovo di E ra c le a 2 colse la palm a 1 R. K nope e G. K rueger, Ausgewcihlte M.àrtyrerakten 3 [ = Sammlung ausgewahlter Kirchen- und Dogmengeschiehtlicher Quellenschrijten, N. F., 3 ], Tubingen 1929. 2 Oggi è quasi inconcepibile com e un uom o della dottrina di A . S. Maz ­ zocchi potesse inclinare decisamente ad ascrivere s. Filippo, vescovo di Eraclea, alla persecuzione di Decio (In vetus marmoreum s. Neapolitanae ecclesiae com­ mentarius, Neapoli 1744, p. 222 sgg., nota 83). Questa ipotesi era stata già p ro­ posta dal Tillemont (Mémoires, 5, p. 707), m a m olto timidamente. Più sor­ prendente ancora è com e H. Z irliacus (Bas lateinisehe Lehnwort in der griechischen Hagiographie, in Byzantimsehe Zeitschrift, 37, 1937, p. 309, nota 2) possa scrivere: « Das Martyrium des Pionios erfolgte wahrscheinlich in Smyrna etwa im Jabre 166 n. Chr. ». L a Passio s. Pionii (c. 23) è datata (ed. K n op f e Kriiger, p . 67, 8 segg.). È vero che alcuni d otti vedono nell’attuale Passio s. Pionii il rimaneggiamento di una supposta redazione prim itiva, la quale avrebbe as­ segnata la morte del santo più o m eno al tem po del martirio di s. Policarpo, sulla data del quale v . ora Η . I . M arrou , La date du martyre de s. Polycarpe, in Analecta Bollandiana, 71, 1963, p. δ sgg.. Non ci meraviglia, al contrario, che M olano e B aronio (N ote al Martyrologium Romanum e Annales, ad an. 362, n. 83), ignorando la Passio allora inedi­ ta, annoverassero il nostro santo, sull’autorità di un martirologio assegnato falsamente a Beda (v. T illemont, Mémoires, δ, p. 706), fra le vittim e della persecuzione di Giuliano l ’Apostata. Cf. Martyrologium Romanum, ed. H. D e lehate , Bruxellis 1940, s. d. X I kal. nov., p. 469, n. 2.

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56

LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

del m artirio nella grande persecuzione, al principio del secolo I V . L a

Passio non fa i nom i di D iocleziano e M assim iano, m a parla sem pre degl’im peratori, non dell’im peratore: Legem imperatorum audistis iubentium ( 4 ,4 ) ; obsequium imperatoribus exhibere (6 ,8 ); sacrifica dominis et imperatoribus nostris et dic: valete, principes magni (7 ,9 ) ; imperato­ ribus. . . parui (1 1 ,3 ). È vero che una v o lta (1 1 ,1 8 ) troviam o qualifi­ cata praeceptum Romani imperatoris quella che è chiam ata dianzi lex imperatorum. M a, secondo ogni verisim iglianza, qui si tratta di una svista d ell’interprete che, trovando nel greco il solito βασιλικόν πρόσταγ­ sostituire a ll’aggettivo imperatorium iussis imperatoriis·, 9 ,8 e 1 1 ,2 imperatoria mandata·, 1 1 ,1 8 imperialia mandata) il genitivo possessivo. D im enticò che quel praeceptum p ortava i nom i di D iocleziano e M assim iano, di G alerio. e Costanzo e che conseguentem ente conveniva scrivere praeceptum im ­ peratorum, non imperatoris. L o stesso errore com m ise per es. B u fin o, voltand o in edicta principis l ’espressione βασιλικά γράμματα, con cui μα, vo lle, per am ore di varietà,

o imperiale (9 ,4

E usebio 1 designa appunto l ’editto del 3 0 3 . M a se, com e io penso, la Passio s. Philippi giun ta fino a noi è un rim aneggiam ento della versione latin a, non la versione stessa, nulla ci vieta di ascrivere l’erroneo praeceptum Romani imperatoris al ri­ m aneggiatore anziché a ll’interprete. Certo è soltanto q u esto: che l ’er­ rore non risale a ll’originale greco, il cui autore sapeva troppo bene l ’ed itto di persecuzione essere stato pu bblicato a nom e degl’im pera­ to ri, e

quindi scrisse βασιλικόν πρόσταγμα. Così dobbiam o tenere per

certo che, a principio della Passio s. Dioscori, l ’originale greco p ortava βασιλικόν πρόσταγμα, onde nella redazione latina più antica imperiale

praeceptum, m entre l ’altra ha praecepta imperatoris, d ’accordo con la versione siriaca. A c. 2 , 3 , esortando i fedeli a non tem ere la persecuzione, il v e ­ scovo dice: epiphaniae dies sanctus incumbit. T u tti gli storici, di cui ho p otu to prendere cognizione, non esclusi i più recenti, sono unanim i nel credere che F ilip po con queste parole accenni alla prossim ità della festa dell’E pifan ia (6 gennaio). E ppure è di evidenza palm are, secondo m e, che qui l ’agiografo parla del secondo avven to di C risto, della παρου­ σία.

C om ’è n oto, i greci, su ll’esem pio d ell’apostolo P aolo 2, usarono

1 Hist, eeel., 8, 2, 4 (ed. Schwartz, p . 742, 12; 743, 8). - D ov e Eusebio (Hist, eeel., 6, 41, 1) chiama βασιλικόν δόγμα l’editto di D ecio, Bufino traduce praeceptum, imperatoris (ed. Mommsen, p. 601, 4), questa volta esattamente. 2 Tit., 2, 13; I Tim., 6, 14; I I Tim., 1, 10; cf. I I Thess., 2, 8.

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LA « P A S S I O » D I S. FILIPPO

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ta lv o lta la voce επιφάνεια com e sinonim o di παρουσία \ C h’essa vada presa in questo senso nel luogo in esam e, si raccoglie dalle parole di F ilip p o im m ediatam ente precedenti: Praedictum ia m .. .

tempus ad­ venit: nutantis saeculi extrema volvuntur, e t c .2, allusione indiscutibile

alla fine del m ondo, che sarà seguita dal ritorno di Cristo εν τήι δόξηι αυτού. Con ciò non si nega che il trad uttore la tin o , o il rielaboratore della versione, possa aver frainteso il senso del vocabolo επιφάνεια 3, cadendo n ell’errore stesso del T illem on t, del M azzocchi, del D uchesne, etc. A m e b a sta di aver m esso in sodo che l ’antico agiografo non pre­ tese scoppiata la persecuzione nella città di E raclea pochi giorni in ­ nanzi al 6 gennaio e di avere così elim inata la principale, anzi l ’unica difficoltà, cui parve prestare il fianco la cronologia della Passio s. P hi­

lippi, secondo che vedrem o fra poco. G ià il M azzocchi richiam ò l’attenzione degli studiosi su c. 5 , 5 , dove si riferisce com e, appiccato il fuoco alle divine Scritture am m on­ ticch iate in m ezzo al foro, tanta subito ad caelum flamma praecessit,

ut stantes singulos formido ab expectaculo . . . arceret. Praecessit, n ota il 1 Vedi 2 Clem ., 12, 1; 17, 4; Clem . A l e x ., Strom., 5, 37, 4; 6, 18, 167, 1; Exc. ex Theod., 45, 2 (ed. Stàhlin, 2, p. 351, 22; 517, 35; 3, p. 121, 10); H ippol., De antìchr., 5. 64 (ed. Achelis, p. 7, 19; 44, 19); D ionys . A l e x ., ap. E useb ., Hist, eccl., 7 ,2 4 ,5 . Recentemente la stessa spiegazione fu proposta da A . E hrilard (Die Kirehe der Martyrer.. . , München 1932, p. 333; Urkirche und Fruehlcatholizismus, Bonn 1935, p. 247). Notare che l ’Ehrhard ignorava quanto io avevo scritto in proposito in HagiograpMca, p . 128; cf. Note agiografiche, V , Rom a 1915, p. 97 sg. 2 Cf. per es. Cyprian ., De mort., 25 (ed. Hartel, p. 312, 24): quod cum semper faciendum fuerit Dei servis, nunc fieri multo magis debet corruente iam mundo. . . mundus ecce nutat et labitur, etc.; Ad Fortunatum, 1 (ed. cit., p. 317, 2): quoniam pressurarum et persecutionum pondus incumbit et in fine adque in consummatione mundi antichristi tempus infestum adpropinquare iam coepit, etc.; Epist., 58, 1,2 (ed. Bayard, p. 159): scire enim debetis.. . pressurae diem super caput esse coepisse et occasum saeculi. . . adpropinquasse. ' 3 Cosa facile, specialmente se ή επιφάνεια, ή ήμερα τής επιφάνειας era a d o­ perato senza raggiunto του κυρίου, ciò che invero occorre di rado (v. tuttavia Clem . A l e x ., Strom., 6, 18, 167, 1 οί κήρυκες τής επιφάνειας την δύναμιν μηνύουσιν), quando si tratta della seconda venuta di Cristo. L a festa dell’ Epifania, invece, è chiamata semplicemente, in genere, ή επιφάνεια (I oh. Chrysost ., De baptismo Ohristi, 2 [PG, 49, 365]: επιφάνεια ή παρούσα λέγεται εορτή, etc.) ο τά επιφάνια (I oh. Chrysost ., De s. Pentecoste, 1 [PG, 50, 454, 13]: παρ’ ήμιν ή εορτή πρώτη τά επιφάνια), ή των επιφανίων ήμερα (Greg . Ν αζ ., Or. 43 in Basil., 52 [PG, 36, 561 c 10]; I oh. Chrysost ., In epist. ad Ephes. cap. 1, hom . 3, 4 [PG, 62, 28, 30]). Si diceva anche τά θεοφάνια (Greg . N az ., Or. 38 είς τά θεοφάνια [PG, 36, 311; 313 C 4]; I oh . Chrysost ., De b. Philogonio, 4 [PG, 48, 752]).

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

dotto Capuano, sem bra versione inesatta del greco εφθασεν, aoristo di φθάνειν. che, pro qualitate locorum, ora significa precedere, prevenire, ora pervenire, g iu n g ere 1, com e nel caso presente. O sservazione giu sta, purché, s’intende, la lezione originaria sia appunto praecessit e non

processit, com e hanno quattro cod ici; Verupit del Bodecense è im a correzione arbitraria. A l T illem ont parve innegabile che a c. 5 , 6 quidam .. . circa beatum Philippum in foro sedebant. . . ad quos cum pervenisset hic nuntius (delle Scritture incendiate), praesentibus exponebat dicens, e tc ., le p a ­ role quidam circa Philippum siano l ’erronea versione di οΐ περί Φίλιπ­ πον =

Φίλιππος : m odo di dire classico, del quale il redattore della

Passio s. P hilippi trovò esem pi anche nella Passio s. P ionii da lui im ita ta , salva sem pre la verità dei f a t t i a. Borse il T illem ont sarebbe stato più esatto dicendo che ot περί Φίλιππον o vale soltanto Φίλιππος ο Φίλιππος καί οι συν α υ τω ιs, cioè F ilippo con i suoi. C’era in fatti con lui, se non altri, E rm ete. In ogni m odo ebbe torto A . S . M azzocchi di asserire che quidam circa Philippum nu lla ha a vedere col greco

6 περί Φ. e significa sem plicem ente « alcuni che sedevano intorno a F ilippo ». Perchè i praesentes, ai quali si rivolge il santo e che, a tenore delle sue prim e parole (viri qui Heracleam incolitis, Iudaei, pagani, etc. ), sono una m oltitu dine, vanno ben distinti dai pochi cristiani a cui fu p ortata la notizia d ell’incendio dei L ibri sacri, e che form avano un tu tto con F ilip po loro capo. Si avverta ancora che il più antico codice della Passio, invece di exponebat dicens, legge exponebant dicentes. O nde appare assai credibile che seguendo

il

greco

l ’interprete

οΐ περί Φ ίλιπ π ον...

abbia

scritto

απελογήσαντο

appunto così, είπόντες. A g - 1 3 2

1 E ciò tu tt’altro che di rado : v. per es. X enoph ., Cyrop., 5, 4, 9 φ&άσαντες εις πόλιν τινά τού Άσσυρίου ; Sept ., I I Paralip., 28, 9 εως των ουρανών εφΟακεν ; Ώαη., 4, 11. 20 τό ύψος αυτού εφθασεν εως τού ουρανού ; 6, 25 ούκ εφθασαν εις τό έδαφος τού λάκκου. Per il N uovo Testamento basti rimandare a Fu. Z orell, Lexikon graeeum Novi Testamenti, Parisiis 1931, s. v. φθάνω, 2. Nei papiri tro ­ viam o esempi dal II al V II secolo (v. Fr . Preisigke , Wòrterbuch der griechischen PapyrusurTcunden, 2, Berlin 1927, col. 690). Per un testo agiografico, v. Passio antiquior ss. Sergii et Bacchi, 29 (ed. Analecta Bollandiana, 14, 1895, p. 395, 5). 2 Vedi Pàssio s. Pionii, 11, 3 (ed. K n op f e Krüger, p. 51, 8 sg.); 16,2 (ed. cit., p . 54, 14 sg.). Nel secondo di questi luoghi (διά τί υμείς ού θύετε, Πιόνιε; οί περί Πιόνιον είπαν · δτι Χριστιανοί έσμεν) οί περί Πιόνιον vale forse ό Πιόνιος: nel primo comprende Pionio, Sabina e Asclepiade. 3 Cf. Passio s. Pionii, 3, 1 (ed. K nopf e Krüger, p. 46, 12 sg.): Πολέμων ó νεωκόρος καί οί συν αΰτώι τεταγμενοι άναζητειν... τούς Χριστιανούς ; 5, 1 (ed. cit., p. 48, 21): δ τε νεωκόρος καί οί σύν αΰτώι.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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giungerò che non stupirei se, tornando in luce l ’originale greco, ipotesi disgraziatam ente im probabilissim a, v i cogliessim o l ’espressione ot περί Φίλιππον anche là dove il testo latino ha Philippus et ceteri, Phil,

cum Severo et Herme et ceteris, Phil, cum ceteris, Philippum et ceteros (cc. 3 , 4 ; 4 ,1 . 2 .1 5 ) 1. E dico così, perchè alm eno nell’u ltim o dei luoghi qui c ita ti: Philippum et ceteros va lla tos... custodibus ad forum prae­

cepit adduci, non sem bra potersi parlare che di F ilippo ed E rm e te : il prete Severo è irreperibile e dei fedeli trov a ti d avan ti alla chiesa in ­ siem e col clero nessuno è stato arrestato; vedrem o poi il perchè. A c. 5 , 22 con le parole eum quem Ephesini deum habere se credunt si designa la celeberrim a D ian a E fesia. O ra, osservava il M azzocchi,

Graecis passim 2, Latinis perraro θεός communi genere pro θεά dea usurpatur. O sservazione giusta nè in validata pu nto dal fa tto che fra gli autori, i quali usarono qualche v o lta deus per dea, c ’è V irgilio 3, fam iliarissim o al traduttore, o p iu ttosto a l rielaboratore del M artirio latino di s. F ilip po. N ello stesso capo si sarebbe ten ta ti di scorgere un indizio di v er­ sione dal greco anche in quel passo: nihil illam ( Minervam) gorgoneum 1 2 3 1 Solo dove dice Philippus cum Severo et Herme et ceteris lo scrittore sem ­ bra accennare ad altre persone, oltre Severo ed Ermete. Ma a chi mai ? Non certo ad altri mem bri del clero, ai quali nessun luogo della Passio accenna. Che se l ’agiografo avesse voluto ricordare gli altri mem bri del clero d ’Eraclea m olto verosimilmente si sarebbe espresso con maggior precisione (v. per es. Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 19, 5 [ed. in Note agiografiche, V i l i , p . 65, 27; cf. p. 40]: episcopi, presbyteri, diaconi ceterique clericae dignitatis praepositi). Nè con ceteri si potè intendere la massa dei semplici fedeli, sempre accurata­ mente distinta dal clero, e alla quale non spettava cogitare intentius quid fieri necessitas mandaret. Forse Severo et Herme è un’aggiunta al testo che suonava in origine, com e per tu tto altrove, Phil, cum ceteris, i. e. οί περί Φίλιππον. 2 Gli A ttici m olto di rado usarono ή θεά: si può anzi affermare con A . N a varee (Ad Theophr. Char., 16, 11, 27) ch ’ essi dicevano sempre ή θεός, salvo il caso in cui volessero opporre l ’uno all’altro sesso, com e fa appunto Teofrasto nel luogo sopra citato: rivi θεώι η θεάι; S. L uca negli Atti degli Apostoli, dove dà il titolo esatto della dea di Efeso, scrive: τής μεγάλης θεάς Άρτέμιδος (19, 27; v. la nota di Jacquiee , Les Actes, ad loc. cit.; Jessen , Ephesia, in : P auly-W issowa, RE, 5, 2, col. 2754), m a al v. 37 την θεόν ημών. D ifatti troviam o scritto indifferentemente θεός (Timoth., Pers., 172 [ed. U. von W ilamowitz -M ollen dobff , Ber Timotheos-Papyrus, Leipzig 1903, p. 14] μέγας θεός; E. L . H icks , The Collection of ancient greek Inscriptions in the British Museum. III. Priene, Iasos, Ephesos, Oxford 1890, n. 481, 12 την μεγίστην θεόν ; Χ ενορπ . E phes., De Anthia et Abrocoma, 1, 11 τήν πάτριον ήμϊν θεόν, την μεγάλην Έφεσίων θεόν) e θεά (CIG, η. 2963 C μεγάλη θεά; H icks, op. cit., n. 481, 220. 278 τής μεγίστης θεάς). 3 Aen., 2, 632 ducente deo (se. Tenere) flammam inter et hostis | expedior.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

pectus nec defendit ille picturatus splendor armorum (5, 2 6 ). L ’epiteto gorgoneum effettivam en te conviene m eglio a ll’usbergo 1, da cui è di­ feso il p e tto , che non al p etto stesso, del quale, a sua v o lta , non si può dire che difende la persona. N on sem brerebbe perciò ingiustificato il sospetto che l ’interprete abbia preso il vocabolo θώραξ, a to rto , nel p iù raro dei suoi sig n ifica ti2. M a se il passo è, com e credo probabile, una interpolazione posteriore, è pure probabile che l’autore avesse nel­

(A en., 8 , 435 sgg.) aegidaque horriferam, turbatae Palladis arma, | certatim squamis serpentum auroque polibant (i Ciclop i) I conexosque anguis ipsamque in pectore divae | Gorgona desecto vertentem lumina collo. P iù significante l ’accenno alla fine tragica di E scu lap io: Aescolapium in monte Cynosuridos fulminatum (5 , 2 1 ). Cicerone, unico autore l ’orecchio V irgilio

latin o che ricordi la città in cui sarebbe stato sepolto E sculapio, la chiam a Cynosurae (De nat. deor., 3, 2 2 , 57 fulmine percussus, dicitur

humatus esse Cynosuris)·, Stazio m enziona un m onte Cynosura ( Theb., 4, 2 9 5 ); per Stefano B izantino Κυνόσουρα è una οίκρα ’ Αρκαδίας. Cle1 N ota caratteristica dell’armatura di Atena è la pelle della capra Amaltea con in mezzo il teschio della Gorgone. D i questa pelle, a m odo di mantellina (Macrob ., 1, 17, 67 quae ab umeris Gorgoneum redimitum anguinibus tegit sca­ pulis; 1, 17, 20 Gorgonea vestis), la dea si serviva di scudo (v. per es. Ch . V. D aremberg e E. Saglio , Dictionnaire des antiquités grecques et rom aines..., 1, Paris 1877, p. 94, figg. 142. 143) o di corazza (v. per es. Enciclopedia Italiana Treccani, 5, [Roma-M ilano] 1930, p. 168, col. 2; tavv. 31. 32. 34). A volte è un vero e proprio scudo con la testa della Gorgone nel mezzo (Eurip ., El., 1255 ε'ίρξει γάρ νιν [Atena Polias] έπτοημένας |δεινόις δράκουσιν ώστε μη ψαύειν σέθεν, | γοργωφ’ ύπερτείνουσά σου κάραι κύκλον), una vera e propria corazza ornata del Γοργόνειον (Martial ., 7, 1 accipe belligerae crudum thoraca Minervae \ipsa M e­ dusaeae quem timet ira comae). Aristofane chiama Atena γοργολόφα (Eq., 1181). Ma questo epiteto, dato da lui altresì a Lam aco (Acharn., 567), non va preso nel senso di c o l l ’ e l m o o r n a t o del Gorgone, bensì in quello più generico di d a l l o s p a v e n t o s o (γοργός) c i m i e r o (λόφος). Cf. E urip ., Andr., 458 γοργός οπλίτης; HOM., II., Z, 469 ταρβήσας χαλκόν τε ίδέ λόφον ίππιοχαίτην | δεινόν άπ’ ακροτάτης κόρυθος νεύοντα νοήσας. 2 Più raro per modo di dire, perchè, come si sa, anche nel senso di p e t t o (CGL, 4, 293, 23; 397, 8; 5, 486, 15 thoracem pectus·, ind. graecolat. θώραξ lorica, pectus, thorax·, θώραξ τό στήθος, pectus), ο, più precisamente, di busto, torso (come t o r a c e in italiano) la voce θώραξ è l’unica propria. A ristot., Hist, an., 1, 7 κεφαλή, αύχήν, θώραξ, βραχίονες δύο; 1, 12 θώρακος δέ μέρη ταμ έν πρόσ­ θια τά δ’ οπίσθια... έν τοΐς προσθίοις στήθος; HiPPOCR., De arte, 10 δ τε γάρ θώρηξ καλεόμενος, έν ώι τό ήπαρ στεγάζεται; E urip ., Here, fur., 1095 νεανίαν θώρακα καί βραχίονα; P lat ., Tim., p. 69 e έν δη τοΐς στήθεσι καί τώι καλούμενοι θώρακι τό τής ψυχής θνητόν γένος ένέδουν.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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m ente A lessandrino (Protrept., 2 , 3 0 ,1 -2 , ed. Stàhlin, p . 2 2 ,1 4 ), invece, e, dietro di lu i, G iovanni L ido {D e mens., 4 ,1 4 2 , ed. W u en sch , p . 1 6 4 ,9 ), sepolto E sculapio εν τοΐς Κυνοσουρίδος δρίοις, cioè in finibus Cynosuridos (che lo scoliaste di Clem ente spiega κώμη Λακεδαίμοvogliono

ν ο ς )1. D i qui risu lta che il nostro agiografo attin se la notizia rela­ tiv a ad E scu lapio, al pari di altre, delle quali toccherem o più avan ti, direttam en te o ind irettam en te, da Clem ente d ’A lessan dria. M a se così è, com e m ai il testo latin o ha in

monte

Cynosuridos ? Forse sbaglio,

m a io non riesco a liberarm i dal sospetto che l ’interprete del M artirio di s. F ilip po abbia trovato scritto nel suo codice εν ορείοις (in luogo di εν ορίοις) 0 un m utilo

εν ορει| ovvero εν ορι| Κυνοσουρίδος.

M erita pure attenzione il passo: Me {ignis) Romanae urbis et Ca­

pitolium incendit et templum (5 , 2 2 ). D a l quale si dovrebbe raccogliere non essere stato in R om a che u n solo tem p io, com e non c ’era che un C apitolio. M a tale assurdità v a m essa in conto al trad uttore o al riela­ boratore della versione la tin a : l ’autore del M artirio accennò - io non saprei dubitarne - al tèm pio della dea R om a nel F oro, tem pio denom i­ n ato Veneris et Romae o Romae et Veneris, poi templum urbis Romae o

templum TJrbis senz’altro. E sso effettivam en te arse sul principio del I Y secolo e fu restaurato da M assenzio 2. A m io avviso p ertan to, l ’origi-

1 Cicerone (De nat. deor., 3, 22, 57) scrive che Esculapio fulmine pereus­ sus, dicitur humatus esse Cynosuris e tu tti quelli che parlano del luogo com e di un monte o di un prom ontorio, lo chiamano Cynosura (Stat ., Theb., 4, 295 dives et Orchomenos pecorum et Cynosura ferarum·, Stephan . B y z ., Κυνόσουρα &κρα ’Αρκαδίας; ved i W . Η. R oscher, Ausführliches Lexikon der griechischen und rômisehen Mythologie, 1, Leipzig 1884, col. 616). Quanto al luogo della morte di Ercole, è certo che il nostro agiografo co l­ locandola in monte Hygiae, discorda dagli altri autori che la pongono sull’ Oeta. Io tuttavia non so indurmi a credere che si tratti di un errore di scrittura. In un’iscrizione appunto della Tracia leggiam o: εΐμί εξ Ύγίας (Inscriptiones graecae ad res Bomanas pertinentes, 1, Paris 1901, n. 774). 2 Chron. a. 354 (ed. T h . M ommsen, Chronica minora, saec. I V . . . VI I , 1, Berolini 1892, p. 146, 32): Maxentio imp. a. V I ( = 307 p. C.) hoc imp. templum Bomae arsit et fabricatum est (cf. A u r . V ict ., Caes., 40, 26 cuncta opera, quae magnifice construxerat \Maxentius}, urbis fanum atque basilicam Flavii meritis patres sacravere). Non vedo per quale m otivo G. L ugli (I monumenti antichi di Borna e suburbio, 1, R om a 1930, p. 178) congetturi andato a fu oco quel tem pio nell’incendio di Carino, contro la testimonianza esplicita del Cronico, avvalorata da Z osimo (2, 13, ed. Mendelssohn, p. 70, 18), dove narra il tum ulto sorto in Rom a al tem po di Massenzio, mentre si stava spengendo 6 ναός τής τύχης. Pare infatti che con queste parole lo storico designi il tem pio del genio di Borna

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LA (l PASSIO » D I S. FILIPPO

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naie greco sonò a un dipresso: καί τό Καπετώλιον καί τον ναόν τής πόλεως 'Ρώμης. B en è vero che s. F ilip po m artirizzato nel 303 non p otè fare m enzione di un incendio avven uto qualche anno dopo, forse nel 3 0 7 ; m a a questa difficoltà sarà risposto p iù avanti. Sem pre nel c. 5 , F ilip p o, dopo aver num erato gli dèi rim asti v it­ tim e del fu oco, dom anda: quis ab Ms speret auxilium, qui se nec possunt servare nec facere % E prosegue: fit ab illo a quo colitur, etc. (5, 2 3). Q uesto strano passaggio dal plurale al singolare si spiega, m i sem bra, nel m odo più naturale ed o v v io , supponendo che, nel testo originale, al latino ab Ms corrispondesse un παρά (είδώλων) τούτων μή δυναμένων εαυτά σώζειν, ο sim ile. G ià vedem m o com e il discorso im provvisato da F ilip p o, all’an­ nunzio della distruzione delle Scritture, viene così in tro d o tto : praesen­

tibus exponebat dicens. I l M azzocchi com m en tava: e x p o n e b a t pro d i s s e r e b a t graecismus est ex εξηγείτο, quod et exponere et dis­ serere significat. M a anche exponere ha ta lv o lta in latino il valore di disserere. Per essere esatti bisognava dunque notare che è grecism o usare il verbo exponere nel senso di disserere così assolutam ente, senza cioè l ’oggetto ( exponere aliquid, o de aliqua re ’ ). I greci invece dicevano correntem ente εξηγείτο

ειπών,

άπελογεΐτο

ειπών, ο άπελ.

senz’altro,

εξετίδετο λέγων 2. A c. 1 0 ,6 si narra com e F ilip po ed E rm ete, trad otti in A drianopoli, alloggiarono iv i in una casa p rivata usque ad praesentiam praesidis. Con ogni verisim iglianza un latin o, adoperando un vocabolo tan to ovvio quanto proprio, avrebbe scritto usque ad adventum praesidis. aeterna, cioè precisamente il templum Bomae. Non altrimenti lo chiama A teneo (8 [p. 361 f]: tfjt τής πόλεως τύχηι ναού καθιδρυμένου). Il templum urbis (sia notato a semplice titolo di curiosità) viene ricordato insieme col Capitolio (com e nella Passio s. Philippi) anche da P rudenzio (Con­ tra Symm., 1, 216 sgg.): Capitolia vidit \ laurigerosque deum templis adstare mini­ stros I ac sacram resonare viam mugitibus ante \ delubrum Bomae - colitur nam sanguine et ipsa \ more deae, etc. Cf. Ibid., 221 Urbis Venerisque pari se culmine tollunt I templa... 1 Per esempio Corn. N ep ., Pelop., 1, 1 cuius de virtutibus dubito quem ad modum exponam. 2 A mio avviso, l ’autore della nostra Passio usò il verbo ά π ο λ ο γ ε ΐ σ θ α , , com e l ’autore della Passio s. Pionii (4, 2 [ed. K nopf e Krüger, p. 46, 28-29]: έκτείνας οΰν τήν χειρα ό Πιόνιος... ά π ε λ ο γ ή σ α τ ο ειπών), che a sua volta segui Act. Apost., 19, 33 ό δέ ’Αλέξανδρος κατασείσας τήν χεϊρα ή ί)ελεν άπολογεΐσθαι ; 26, 1 τότε ό Παύλος... άπελογεΐτο. Cf. I I Macc., 13, 26 προσήλθεν έπ'ι τό βήμα Λυσίας, άπελογήσατο ενδεχομένως (Vulg. exposuit rationem); Act. Apost., 11, 4 Πέτρος έξετίθετο αΰτοΐς καθεξής λέγων (Vulg. Petrus exponebat illis ordinem dicens).

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L A « PASSIO » D I S. FILIPPO

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Praesentia in fa tti - anche questo rilievo si deve al M azzocchi - è il greco παρουσία che v a le, secondo i casi, praesentia, adventus, reditus. D i so­ lito perciò, dove a uno scrittore latin o sarebbe naturalm ente venuto fa tto di usare adventus, le versioni offrono invece praesentia, signifi­ cato fond am entale del vocabolo παρουσία. Così per esem pio in E usebio εως τής του ήγεμόνος παρουσίας, viene com e n ella Passio s. P hilippi -

reso

da

B u fin o 1 — appunto

usque ad praesidis praesentiam, e

nella seconda lettera di s. P ietro εγνωρίσαμεν ύμΐν την τοΰ κυρίου ημών Ίησοΰ Χριστού δΰναμιν καί παρουσίαν (1 ,1 6 ) la V u lg a ta trad u ce: notam

fecimus vobis d. n. lesu Christi virtutem et praesentiam 2. Errerebbe tu tta v ia chi asserisse non occorrere m ai in testi latin i originali la voce

praesentia dove si aspetterebbe piu ttosto adventus o reditus. L eg­ expectata praesentia no­ stra. . . exomologesin facere delieti sui possint·, quidam turbulenti q u i.. . in' nostram praesentiam differebantur, e in F ila strio 1:* expectabat... M agi ipsius Simonis praesentiam·, post d. n. lesu Christi de coelis praesentiam·, ad Christi d. iterum de caelo praesentiam. B e sta a ogni giam o, in fa tti, in s . C ip ria n o 3: u t . . . non

m odo incontrastabile che per designare l ’arrivo degl’im peratori in questo o quel luogo, l ’arrivo dei proconsoli e dei presidi nelle loro provinole, il vocabolo solenne presso g li scrittori latin i fu adventus e non praesentia 6. I luoghi della Passio fin qui esam inati b astan o, credo io, a indurre nello studioso la convinzione ch’essa deriva realm ente da u n testo greco. C onvinzione avvalorata d a ll’essere stato il santo vescovo di E raclea uno dei m artiri più illu stri e venerati d ’O riente, com e c ’in ­ segnano l ’antichissim o breviarium siriaco e il M artirio dei ss. G uria e

1 Hist, eccl., 5, 1, 8, ed. Mommsen, p. 405, 14 sg. 2 Notare ohe quante volte nella « Storia ecclesiastica » di Eusebio si tocca della παρουσία di Nostro Signore, vale a dire del suo ritorno èv τήι δόξηι αύτοϋ, Euflno traduce sempre adventus, non praesentia (ed. Mommsen, p. 51, 20; 233, 21; 265, 8; 367, 22; 403, 19; 473, 1; 483, 4; 491, 13), perché il vocabolo ad­ ventus era già allora solenne per designare le due venute di Cristo in terra ( The­ saurus linguae Latinae, s. v. adventus, col. 838, 4 0sgg.). 3 Epist., 18 ,1 , 2 (ed. Bayard, p. 51); Epist., 27, 3, 2 (ed. cit., p. 66); vedi anche Epist., 34, 2 (ed. cit., p. 88). 4 Liber de omnibus heresìbus, 29, 7 (ed. Marx, p. 15, 12,) ; 80, 1 (ed. cit., p. 42, 3); 106, 1 (ed. cit., p. 65, 7). s Onde Cipriano, che pure volentieri si serve della voce praesentia in cam ­ bio di adventus, usa quest’ultima quando parla della venuta del proconsole a Cartagine (Epist., 81, 1, 3 [ed. Bayard, p. 322]: expectamus. . . adventum pro­ consulis Oartaginem redeuntis).

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LA « PASSIO » DI S. FILIPPO

Sam ona \ È ovvio che la storia di un così gran santo sia stata redatta da prim a nella lingua del paese. L e considerazioni dalle quali il M azzocchi si sentiva p ortato a giudicare originale il testo latino della Passio s. Philippi non m i per­ suadono. Secondo il M azzocchi, l ’agiografo, se qualche cosa attinse da una fon te greca, ne attinse tu tt’al più la m ateria, la m ateria della sua narrazione, m a Graeci exemplaris vestigia minime pressit. Scriptum hoc, egli assevera, αυτοφυές esse habendum omnes statuent; tanta ibi pro­ fecto ubique orationis maiestas, Latinique sermonis, ut illa aetate, pro­ prietas et elegantia micat. D ’altra p arte, aggiunge il critico capuano, non conviene dare troppo peso ai grecism i, quia, siculi hodie apud Italos innumerabiles sunt locutiones ex linguae Gallicae aut Hispanicae in­ genio petitae, sic quarto et quinto saeculo plurima scriptores verbis qui­ dem Latinis, sed notione de Graeco petita eloquebantur12. Spero di aver dim ostrato che nella Passio s. Philippi non occor­ rono soltanto dei grecism i, m a anche delle espressioni greche trad otte in latino poco esattam en te. N è la presenza di alcuni cristiani Latini

oris, supposta non senza verisim iglianza dal M azzocchi nelle com unità di E raclea e di A drian opoli, basta a rendere probabile la congettura che proprio ad essi si sia dato l ’incarico di redigere la storia del glo ­ rioso vescovo e m artire, storia che in quelle città pochissim i avrebbero p otu to leggere e com prendere. N è c’è alcun luogo nella Passio, onde sem bri lecito dedurre che la lingua dell’agiografo era la latina e che di questa si serviva pure abitu alm ente, com e pretende il M azzocchi, s. E r­ m ete com m artire di F ilip p o. Se poi la Passio è redatta in così buona form a latin a da poter essere stim ata u n testo originale, ciò si spiega, a m io a v v iso , facilm en te e pienam ente, supponendo trattarsi non di una pura interpretatio de graeco, bensì di una discreta rielaborazione della interpretatio p r im itiv a 3. I l rielaboratore, benché vissuto forse tra

1 Brev. Syr., 22 oot. έν Άδρια(νου)πόλει τής Θράικης Φίλιππος δ επίσκοπος μάρτυς καί Έρμης τής αυτής πόλειος; 23 oct. Σεύηρος δ πρεσβύτερος καί Δωρόθεος; Passio ss. Guriae et Samonae, 5 (ed. Gebhakdt e D obschuetz, Die Ahten, p. 6 ,24): Φίλιππος êv Άδριανουπόλει. V edi anche Mart. Hieron. addì X I hai. Nov. in Adria­ nopoli Thraciae Philippi episcopi et Hermae discipuli eius, item Severi - dun­ que già allora la storia di Severo faceva parte della Passio s. Philippi X hai. Nov. in Adrianopoli Severi [et Dorothei]. Cf. D elehate , Les origines, p . 242 sg. 2 M azzocchi, Commentarius, p. 216, col. 1-2, nota 81. 3 O vvero di una versione libera; che, in fon do, torna lo stesso. La para­ frasi latina della Passio s. Ariadnes, vale a dire la Passio s. Mariae ancillae, ha, nella sua eleganza, un tal sapore di originalità, da lasciare appena subodo-

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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il V secolo e il V I 1 e quindi m olto tem po dopo l ’originale greco, com ­ posto nei prim i anni della pace, rispettò quasi sem pre i fa tti e, in so­ stan za, anche g l’interrogatorì dei m artiri, studiandosi tu tta v ia di dare alla narrazione uno schietto sapore latino e a v o lte com pendiando, a v o lte , m a p iù di rado, inserendo qualche particolare erudito. Ohe la Passio giu n ta a noi sia qua e là u n com pendio, ce lo attesta, anzi tu tto , la brevissim a introduzione che, quantunque om essa nella m aggior parte dei codici (pochi, del resto, e tu tt’altro che eccellenti) non ardirem m o appropriare a un a m ano diversa dal redattore. Chi in fatti volesse ascriverla ad u n interpolatore si troverebbe forse im ­ barazzato a dirci perchè m ai costui ritenne necessario qualificare una epitom e, un a narrazione succinta, quella che tra le P assioni storiche non è certo delle p iù som m arie. T ale dichiarazione appare invece na­ turale in chi presenti u n testo da lu i stesso accorciato 2. rare resistenza del testo greco, una notevole parte del quale fu scoperta alla fine del secolo scorso da Mons. Gl·. Mercati (ora Cardinale di Santa Chiesa) e pubblicata da m e (I martìri di s. Teodoto, p. 123-133; e in Note aqioqrafiche, R om a 1902, p. 10-21). Anche della Passio greca di s. Pionio abbiam o una im portante parafrasi latina (ed. R uinart , Asta, p. 118-128) non m olto dissimile dalla nostra Passio s. Philippi, ritenuta da noi una libera traduzione dal greco o una rielabora­ zione della versione prim itiva, se una tale versione esistette. L e citate Passiones latine di Ariadne e di Pionio ci dànno una idea suffi­ ciente del m odo tenuto da certi rielaboratori, o parafrasti, studiosi della bella form a letteraria, ma premurosi ad un tem po di non alterare gravemente la sostanza dei detti e dei fa tti: esse ci insegnano così a procedere col piè di piom bo nel giudicare dell’età e del valore della Passio s. Philippi, se non si voglia cor­ rere il rischio di ascrivere all’autore concetti e perfino particolari di fatto, im ­ putabili all’interprete o al rielaboratore vissuto qualche secolo più tardi. 1 Vedi J. F uehrer , Zur Geschichte des Elagahaliums und der Athena Par­ thenos des Pheidâas, in Bullettino delVIslituto archeologico Germanico. Sezione Pomona, 7, 1892, p. 163 sgg. 2 La prefazioncella è fors’ anche presupposta dal principio della narra­ zione: Beatus itaque Philippus (per quanto la congiunzione itaque si trov i ta l­ volta al principio del discorso; vedi Vita s. Insti ep. Lugdunen., 1 [Aetà 8 8 . Bol­ lando I sept., 373]: Iustus itaque Viennensis primum diaconus, etc.). Se a questa congiunzione abbia corrisposto un oùv nel greco, non possiam o dire in alcun m odo. Verosimilmente, se la prefazione, com e noi pensiamo, è opera del riela­ boratore latino, a lui si deve altresì quella particella. L a Passio latina d i s. Pionio edita dal Ruinart com incia ancor essa (dopo la succinta introduzione) con un itaque (Secundo itaque die sexti mensis) che non ha riscontro nell’originale (c. 2, 1 μηνός έκτου δευτέραι). Ho citato la Passio s. Pionii, perchè ha parecchi punti di contatto con la Passio s. Philippi, dei quali terremo con to di mano in mano che se ne presenterà l ’occasione. 5

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

In verità l ’epitom e si rivela alm eno sul principio del racconto, dove il curriculum vitae di F ilip p o è riassunto nella guisa p iù schem a­ tica , senza neppure nom inare la città , nella quale egli ebbe i n atali e di cui, dopo essere stato a lungo diacono e prete, fu eletto vescovo, essendo già m olto avan ti negli a n n i 1. H nom e di E raclea, taciu to fi­ nanche nel tito lo , com parisce soltan to, e quasi per incidens, a c. 4 ,1 , dopo riferito lo scoppio della persecuzione, il sequestro degli arredi sacri, la chiusura della basilica, là dove si tocca del concorso dei fedeli attorno al vescovo p ostato con grande coraggio d avan ti alla porta ehiusa del tem pio: postea cum fratres in Heraclea ad dominicum conve­ nissent. I l lettore sarebbe ten tato di credere (quantunque a torto) che si parli di una città e di una basilica diversa dalla città e dalla basilica, di cui l’agiografo ha parlato fin qui. È m ai credibile che un agiografo com e il n ostro, e cioè tu tt’altro che volgare, ricordando, sia pure per summa capita, le v irtù del suo eroe, trascurasse di nom inare fino ab initio la chiesa da lu i governata con ta n ta sapienza, prim a d ’illustrarla con un m artirio dei più gloriosi? O non è più naturale supporre caduto il nom e della città per inavverten­ za di chi cercò di riassum ere nel giro di pochi periodi la storia del santo, anteriore al m artirio ? R iduzione spiegabilissim a, m assim e in un ri­ m aneggiatore estraneo ad E raclea e che scrisse per u n pubblico non m eno estraneo. Q uanto alla proposizione cum fratres in Heraclea ad dominicum convenissent, avverti che in Heraclea non dipende da ad dominicum convenissent, m a v a unito sicuram ente a fratres e che fratres in Hera­ clea ( = fratres qui sunt in H . = i cristiani di E raclea) è il greco οί έν Ή ρακλείαι αδελφοί2. Percorrerem o ora la parte principale del testo (quella che narra partitâm en te il processo e la m orte di s. F ilip po con i com pagni) indi-

1 Se il titolo avesse sonato Passio s. Philippi ep. Heracleae, lo storico si sarebbe potuto astenere dal nominare questa città al principio della narrazione. Ma i codici o leggono soltanto Passio s. Philippi ep., o Passio s. Philippi ep. in Atranopoli (i. e. Adrianopoli) Thraciae, o del tutto erroneamente P . Ph. iherapolitani episcopi. Gli antichi Martirologi tacciono anch’essi la sede episcopale di s. Filippo. 2 Cf. Paul ., Gol., 4, 15; I Thess., 4, 10; Act. Apost., 15, 23; 16, 2; I ken . ap. E useb ., Hist, eccl., 5, 6, 3; D ionys . A l e x . ap. E useb ., Hist, eccl., 7, 11, 26, etc. Talvolta la parola αδελφοί è sottintesa al pari del verbo: p . es. Testamen­ tum X L Martyrum, 3, 2 (ed. K n opf e Krüger, p. 118, 15. 18. 23).

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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cando v ia v ia le rare aggiunte del rielaboratore e i tra tti che, a nostro m odo di vedere, tradiscono la riduzione di u n testo p iù diffuso. U n giorno si sparge in città la voce che una fiera persecuzione sta per essere dichiarata contro i cristiani: il vescovo, esortato da m olti ad allon tan arsi, decide invece di restare, im perterrito, al suo posto. R isu lta con certezza assoluta dal seguito che la persecuzione è quella di D ioclezian o e M assim iano; m a l’agiografo non fa il nom e dei perse­ cutori nè precisa il tem po in cui l ’editto venne pu bblicato nella città di cui era vescovo F ilip p o ; perchè il creduto accenno al giorno del­ l ’E p ifan ia si riferisce, com e dim ostram m o, alla seconda ven u ta di Cri­ sto in terra, alla παρουσία. F ilip po era tu tto

inten to

ad

incoraggiare i fedeli alla

lo tta ,

quand’ecco g li si presenta lo stationarius civitatis, v a le a dire il com an­ dan te del posto locale di p o liz ia 1, con l ’ordine del preside di chiudere ai cristiani la loro chiesa e apporvi i sigilli. L ’indom ani lo stesso co­ m andante ritorna sul posto e inventariati tu tti gli arredi della chiesa

(m inisteriis omnibus 2 ecclesiae inventis 3 atque signatis) si ritira, n atu 1 Su gli stationarii, v. M ommsen, Rômisches Strafrecht, p. 307, nota 2; 312, nota 1 ; 321, nota 1. Nella Passio ss. Mariani et Iacobi si dice che in Numidia, durante la persecuzione di Yaleriano, le operazioni per la ricerca e la cattura dei cristiani erano dirette da milites stationarii e, solo eccezionalmente, da cen­ turioni alla testa di forti distaccam enti di soldati (Passio, 4, 3, ed. K n op f e Rrüger, p. 68, 35). Nell’anno 304 i quarantanove martiri di A bitine sono sor­ presi in un conventiculum e tratti in arresto ab ipso stationario milite, natural­ mente coadiuvato dai suoi poliziotti (Passio, 2, 2, in Franchi d e ’ Cavalieri, Note agiografiche, V i l i , p. 51, 5; cf. p. 9). L o stesso anno 304 in Tessalonica le ss. Agape, Irene, Chione e loro soci com paiono davanti al preside Dulcizio a c­ com pagnati dalla notoria (o rapporto) di Cassandro βενεφιπιάριος e στατιωνάριος (Passio, 3, 1 [ed. K n opf e Krüger, p. 96, 13. 15]; cf. P . F ranchi d e ’ Cavalieri , Nuove Note agiografiche, R om a 1902, p. 12), ossia βενεφικιάριος στατιωνίζων (B. P . Grenfell θ A . S. H unt , The Amherst papyri, 1, London 1900, n. 80, 2) o, più grecamente, στατίζων (B. P . Grenfell e A . S. H unt , The Oxyrhynchus papyri, London 1898 sgg., n. 65, 1; 2130, 21; 2187, 8). Stationarius designava infatti più una funzione che un grado, cf. D urry , Les cohortes prétoriennes, p. 59, 98. 2 Per ministeria = vasa sacri ministerii, vasa caelestibus dicata mysteriis (Max im . T aur ., Horn. 75 [P L , 57, 4 1 1 c ]; Sermo 71 [Ibid., 679 a -b]), ornamenta ecclesiae ceteraque ad ministerium Dei devota, v. D ucange, s. v . ministerium, p. 399, coi. 2; cf. F ranchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche, V I, R om a 1920, p. 63. 3 A . J.' Mason (The persecution of Diocletian.. . , Cambridge 1876, p. 176, nota 1) scrive: « D u ca n g e .. . does not notice the sense o f invenire = inventariara but I think it is required here ». Così pare anche a me.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

Talmente non senza aver chiuse di nuovo le porte e app osti i sigilli. « Così », dice l’agiografo, « tu tti noi apprendem m o, pieni di tristezza, il lu tto e le angustie che stavano per colpire la nostra c ittà »: maerore

omnes fratres instantem luctum atque angustias civitatis agnovimus (3 , 3 ). Q uesto è l’unico luogo della Passio, in cui l’autore si dà per con tem po­ raneo e com patriota del m artire. P arm i non sia il caso di pensare a un arbitrio del rim aneggiatore latin o, estraneo ad E raclea e che non ci tiene affatto a lasciar credere il contrario: è perciò som m am ente p ro­ babile che la prim a persona plurale risalga a ll’originale e che l ’agio­ grafo parlasse in prim a persona anche qualche altra v o lta \ B enché costretto ad uscirne, F ilippo non si allon tan a dalla sede che gli è stata affidata, m a ritto davanti alla p orta, insiem e col prete Severo, col diacono E rm ete ed altri, v a divisando quel che gli convenga fare nel duro frangente. Π santo vescovo viene qui paragonato ai bravi chirurghi che recidono senza pietà le m em bra gangrenose, onde non infettino le p arti ancora sane, e m edicano quelle che, inferm e bensì m a suscettibili di guarigione, non hanno bisogno del ferro. Così, n ota lo scrittore, F ilip p o, sceverando gli ottim i dai c a ttiv i, questi costringeva con la sua autorità a divenir m igliori, quelli incuorava con dolce eloquenza a durare saldi. In tu tto ciò, se non m ’illu d o, v a rico­ nosciuta la m ano del rielaboratore latin o. T ra la chiusura della basilica 1

1 II redattore della Passio s. Pionii si dà anch’egli per contem poraneo e testimone oculare a c. 1, 2 (ed. K nopf e Krüger, p. 45, 30 sg.) άποστολικός άνήρ των καθ’ ήμάς γενόμενος e, specialmente, a c. 22, 2 (ed. cit., p. 56, 38; 57, 1) μετά γάρ τό κατασβεσδηναι τό πυρ... αυτόν εϊδομεν οί παραγενόμενοι. Nella libera versione (ο rielaborazione) latina mancano parole corrispondenti ad άποστολικός άνήρ, etc. e alla prima persona plurale εϊδομεν οί παραγενόμενοι si è sostituita la terza (illi quos illuc amt misericordia aut videndi cura conduxerat, tale corpus Pionii viderunt, ed. R u in a r t , A età, p . 128). A c. 10, 5 (ed. cit., p. 50, 32) ελεγε δέ τον σύν ήμΐν Άσκληπιάδην e a c. 18, 13 (ed. cit., p. 55, 14) ήξιώκει ó Εύκτήμων άναγκασ&ήναι ημάς la prima persona è dovuta al fatto, per me innegabile, che i cc. 2-18 sono un docum ento au tobio­ grafico di Pionio, inserito dal redattore nella Passio (v. H. D e l e h a y e , Les Pas­ sions des martyrs et les genres littéraires, Bruxelles 1921, p. 34). Nè è necessario credere che questo docum ento (τό σύγγραμμα τούτο, c. 1, 2) sia stato trasportato dalla prim a alla terza persona dall’agiografo. 0 perchè non l ’avrà scritto in terza persona. Pionio stesso ? Se cosi fecero Senofonte ne\YAnabasi, Giulio Cesare nei Commentarii, così potè fare anche il colto prete di Smirne. E qual m eravi­ glia che un paio di volte, parlando di sè e dei suoi compagni, si sia lasciato sfug­ gire εν ΰμΐν, ήμάς? Allo stesso Senofonte, che parla sempre di sè in terza per­ sona, capita qualche volta di dire: οΰς εΐρηκα, έγώ... οΰδένα κρίνω, έγραψα, ταΰτα οΰν... μοι δοκεΐ (Anal·., 1, 2, 5; 1, 9, 28; 2, 3, 1; 2, 6, 6).

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e le ulteriori m isure persecutrici, seguite a poche ore di distanza, il vescovo non avrà p otu to fa r altro che esortare in m assa i fedeli m eglio preparati ad attendere intrepidi l’attacco nem ico, gli altri a decli­ narlo con darsi alla fu ga. P a tto sta che lo stesso giorno della chiusura del dominicum, o tu tt’al p iù l ’indom ani, m entre i fedeli stanno raccolti attorno a F ilip ­ po e al suo clero ’ , giunge su l luogo il preside (della T racia) B asso, che circondato d all 'officium, alza tribun ale, ordinando di m enargli innanzi i cristiani, o m eglio, i loro dirigenti. A i quali dom and a: « Chi di v o i è il dottore della chiesa o il m aestro dei cristia n i?». «Sono io », risponde F ilip p o. E B a sso : « V o i conoscete l’editto im periale che v ieta ai cri-

1 Postea cum fratres in Heraclea ad dominicum convenissent. E bbi il so­ spetto ohe postea dovesse correggersi posterà ( = posterà die, com e si legge pocanzi 3, 2, cf. il greco trji δευτέραι [Passio antiq. ss. Sergii et Bacchi, 13, ed. [I. V an den Ghetn ], in Analecta Bollandiana, 14, 1895, p. 385, 10]). Ma se posterà dies occorre ripetutamente in Virgilio, il semplice posterà in luogo di postero (T ac ., Ann., 4, 45, 5; 15, 57) manca di esempi, per quanto almeno ho p otu to vedere. In ogni m odo è più probabile che il fatto narrato qui dall’agiografo si sia svolto il giorno stesso dell’occupazione della chiesa, dopoché i fedeli si furono raccolti intorno al vescovo ed al suo clero. Suppongo che cum fratres sia la lezione genuina e corrisponda all’origi­ nale greco perduto. Del resto la presenza di una parte della com unità cristiana, oltre il clero, sembra com provata dalla locuzione cum ad dominicum convenissent, equivalente a cum collegissent i. e. collectam fecissent (vedi per es. Passio ss. Sa­ turnini, Dativi et soc., 13, 6 [ed. F ranchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche,Nili, p. 60, 12]: ad Scripturas legendas in dominicum convenimus; cf. 15, 5 [ed. cit., p. 61, 22]: quaero an conveneris; Gesta apud Zenofilum, 2, 3 [ed. Gebhardt , Acta, p. 189]: domum in quam Christiani conveniebant). Con ciò non intendiamo di sostenere che i fedeli di Eraclea, ignari dell’accaduto, si fossero recati alla chiesa, quel giorno, per assistere alla liturgia. Dominicum non vale qui, certamente, Eucharistia, sacrificium com e per lo più (Cyprian ., De op. et el., 15; Epist., 63, 16 [ed. Hartel, p. 384, 20; 714, 13. 13; cf. E. W . W atson, The style and language of St. Cyprian, in: Studia bi­ blica et ecclesiastica, 4, Oxford 1896, p. 266]; Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 2, 2; 5, 1; 7, 3; 10, 3; 11, 4; 12, 1. 3; 13, 5; 14, 4. 9; 15, 2. 3; 17, 13; 19, 5), bensì « basilica », « chiesa » (Cyprian ., De op. et el., 15 [ed. Hartel, p. 384, 21]; ps . Cyprian ., De spect., 5 [ed. Hartel, 3, p. 8, 11]; Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 13, 6; altri testi in H. L eclercq, Dominicum in: D A C L, 4, 2, col. 1385 sg.). Anche i Greci chiamarono le chiese, i conventicula, κυριακά (vedi Orig ., In Ps. 36, 21 [PG, 17, 132 c]; E useb ., Hist, eccl., 9, 5, 2; 9, 10, 10 « editto di Massimino » [ed. Schwartz, p. 810, 19; 844, 12]; A than ., Apoi. ad Const., 15; Hist. Arian., 81 [ed. Opitz, p. 228, 31]; Vita s. Antonii, 70. 82 [PG, 25, 613 c, 792 d ; 26, 941 B, 957 b], Cone. Ancyr., can. 15; Cone. Neocaes., cann. 5.13 [ed. Hardouin, 1, 278.283. 286]).

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LA «P A S S IO » D I S. FILIPPO

stiani di tenere adunanze (colligere) in qualsiasi lu ogo, dovendo i se­ guaci di questa setta o sacrificare (agli dèi rom ani) o perire. D ate qua, dunque, tu tti i v o stri vasi preziosi d ’oro, d ’argento, di bronzo e di ogni altra m ateria, nonché i libri che leggete e con i quali insegnate » 1. E videntem ente è l’editto del 23 febbraio 3 03 quello che il preside della Tracia v a ad eseguire, secondo ogni probabilità nel m arzo di detto anno, attesa la vicinanza di M co m ed ia , dove quel praeceptum venne ideato e redatto. Si obietterà col M azzocchi (Commentarius, p . 2 23) che l ’editto del 303 non com m inava la pena capitale ai fedeli, m entre, al dire di B asso, chiunque rifiuti di sacrificare agli dèi di Borna deve perire. M a io penso che, alm eno nel testo originale, il preside non par­ lasse della pena di m orte da infliggersi senza distinzione a tu tti i cri­ stiani che negassero di sacrificare. D ice in fatti il preside: « ordine è dato ai cristiani di non tener p iù adunanze (liturgiche), cosicché (ut) i seguaci di questa setta o partecipino alle cerim onie rom ane o peri­ scano ». Pereant non ha qui il senso di « vengano uccisi », perchè con­ seguenza del non poter più adunarsi e com piere gli a tti del culto cri­ stiano è che essi o abbracceranno la religione rom ana o cesseranno di esistere (com e cristia n i)23 . Che del resto l ’ed itto citato da Basso non sia di persecuzione generale, si ricava da quel che a c. 6 , 4 grida la folla inferocita, servos D ei omnes ad sacrificium debere com pellii, nonché

1 Nei testi agiografici si parla generalmente delle sole divine Scritture, le quali del tesoro della chiesa costituivano la parte di gran lunga più. preziosa : m a è certo che, insieme con le Scritture, l ’editto imperiale esigeva la consegna della suppellettile sacra. L ’inventario ufficiale degli oggetti della chiesa di Cirta, confiscati nel 303, com prende calici d ’oro e d ’argento, una cucum a e lucerne d ’argento, candelabri di bronzo, etc. E quando Silvano suddiacono porta fuori un vaso e una lam pada d’ argento, ch ’erano sfuggiti alla ricerca, lo scrivano V ictor Auùdi gli dice: Mortuus fueras si non illas invenisses ! (Gesta apud Zenophilum, 2, 9 [ed. Gebhardt , Acta, p. 190]). È noto il can. 13 del sinodo Arelatense dell’anno 314: de eis qui scripturas sacras, vasa dominica vel nomina fra­ trum tradidisse dicuntur, etc. E usebio (Mart. Pal., 12) ricorda δσα τε των ιερών σκευών τών (τ’) εκκλησιαστικών ενεκα κειμηλίων οί αυτοί (οί προεστώτες τών εκκλησιών) προς τών κατά καιρούς βασιλικών επιτρόπων τε καί αρχόντων έν ϋβρεσι καί άτιμίαις καί βασάνοις άνατετλήκασι (ed. Schwartz, p. 946, 27 sgg.). 2 Quando Galerio pubblicò l ’editto di tolleranza, che perm ettava ai cri­ stiani di esistere (ut denuo sint Ohristiani), permise loro in pari tem po di adu­ narsi (conventicula sua componant), senza di che la prima permissione sarebbe rimasta ineffettuabile. 3 Verbo giuridico; vedi pere es. Acta purgationis Felicis ep. Autumnitani (1, 1 sg., ed. Gebhardt , Acta, p. 205): audi litteras domini mei Aeli Paulini viri

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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dal fa tto di venire arrestati e processati, in E raclea, soltanto il v e­ scovo, il prete e il diacono. A nessuno verrà in capo di osservare che la richiesta del preside, quanto alla consegna dei vasi, è superflua, essendo sta ti già inventariati

omnia ecclesiae ministeria dallo stationarius civitatis. Q uesto ufficiale non aveva fa tto altro che segnare quel che si trov a v a nel dominicum, allorché egli v i irruppe im provvisam ente per chiuderlo. A lla consegna, per parte del clero, dei L ibri sacri e del vasellam e prezioso, o nascosto o rip osto, il preside volle assistere di persona, senza dubbio anche per conoscere i sentim enti del clero e, in m odo particolare, del vescovo. I l qu ale, alla richiesta del giudice, accom pagnata dalla m inaccia dei torm en ti, risponde: « F à pure strazio del m io povero corpo, se così ti p iace; esso è in tu o potere: b asta che non ti arroghi potestà alcuna su ll’anim a m ia. Q uanto ai vasi, prendili tu tti senz’altro. V i cediam o facilm ente queste cose che v o i esigete con la forza {facile enim

nos, quia [o qui] a vobis compellimur, ista contemnimus). L e Scritture però nè a te conviene riceverle, nè a m e consegnartele » \ A v v e rti che la lezione da m e seguita, quia a vobis compellimur, occorre nel solo codice T revirense; gli altri fin ora conosciuti hanno

qui a vobis pellimur, che in verità non sem bra dare u n senso soddisfa­ cen te; onde il M abillon corresse quae a vobis petimur, che non bene il M azzocchi proponeva di m utare in qui a vobis petimur, prendendo pe­ timur n el senso di impetimur, « siam o assaliti, perseguitati ». Quae a vobis petimur vale invece « quelle cose di cui da v o i siam o richiesti », e la giudicherem m o una lezione plausibile, se non fosse soltanto una congettura ingegnosa, m a non proprio necessaria. A l diniego del vescovo, B asso fa avanzare M ucapor, di sicuro un fam igerato carnefice, forse il capo della turba carnificum deU'officium p resid ia le2, e in pari tem po ordina d ’introdurre il prete Severo, qui

spectabilis agentis vicariam praefecturam, quid inhere sit dignatus secundum epi­ stolam ad nos datam, quae declarare te e o n p e l l i t et scribam... et tabularium... praesens est curator, sub cuius praesentiam vos c o n p e l l i m u s . 1 Scripturas vero nec accipere tibi nec dare mihi convenit. Una simile ri­ sposta diede s. Am brogio all’imperatore Valentiniano che esigeva la consegna di una delle basilicbe di Milano agli Ariani: Nec mihi fas est tradere, nec tibi accipere, imperator, expedit (Epist., 20, 19; Oontra Auxent., 5 [PL, 16, 1041 C, 1051 B ] ) . 2 II giudice poteva alzare tribunale, interrogare, torturare in qualunque luogo. Am m iano Marcellino per es. narra com e Leonzio praefectus urbi, accorso

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LA « PASSIO » DI S. FILIPPO

cum investigari facile non posset, Philippum adfligi praecepit iniuriis. L u ogo, secondo m e, m ale com pendiato o addirittura interpolato. D i­ fa tti il lettore si dom anda perchè e com e Severo”, che tu tto ci faceva supporre a fianco del vescovo, insiem e col diacono E rm ete, sia di punto in bianco divenuto irrep erib ilex, e perchè, non trovandosi il prete, B asso torm enti il vescovo 2. Sperava forse d ’indurre così F ilip po a al Septemzodium, dove il popolo tumultuava, fece ivi arrestare Pietro Valvomeres, legargli le mani post terga, sospenderlo e ungularlo, tanquam in iudieiali secreto (15, 7, 3sgg.). 1 È possibile che il prete Severo rivestisse la carica di tesoriere della chiesa di Eraclea, com e per es. in Antiochia, al tem po di Giuliano l ’Apostata, 0 prete Teodorito (Sozom., Hist, eccl., 5, 8 [PG, 67, 1235]), e che, non volendo conse­ gnare i sacri vasi e le sacre Scritture ai persecutori, approfittasse della con fu ­ sione del momento per darsi alla fuga. 2 Peraltro bisogna confessare che non l ’ordine del giudice (Philippum adfligi praecepit iniuriis 4, 9), bensì il vedere Filippo effettivamente diutino poenae adjectum incommodo, sorprende non poco. Probabilm ente nel testo ori­ ginale della Passio l ’ordine di torturare il santo era im partito dal preside, ma non eseguito, causa Pimmediato intervento del diacono Ermete *. Anzi noi pen­ siamo che nell’originale neppure Ermete figurasse diu verberatus, com e pretende la metafrasi latina, sia perchè egli acconsenti, a malincuore ma subito, a co n ­ durre gli agenti dell’officium dove stavano riposte le Scritture e gli arredi sacri, sia perchè a lui, personaggio benviso perfino dai pagani, la tortura fu risparmiata anche in seguito, sia perchè il preside, se l ’avesse lasciato percuotere a lungo, non si sarebbe forse dato premura di farlo curare del ceffone infertogli pochi momenti dopo dall’assessore. Com’è noto, sotto la tempesta degli schiaffi il volto della vittim a restava tum efatto (a segno da impedirle la vista), sformato e piagato (v. A mbe ., De virgin., 3, 7, 38, Exhort, virg., 12, 82; E useb ., Mart. Pai., 4, 11; A than ., Apoi. de fuga sua, 6 [PG, 25, 651]; T heodoret., Hist, eccl., 3, 19, 5 [ed. Parmentier, p. 198, 9 sgg.]; Passio s. Theodorae, 2 [ed. R uinart , Acta, p. 353]; F ranchi d e ’ Cavalieri, Note agiografiche, V i l i , p. 243 sg.). A bbiam o preso, nel nostro testo, il verbo verberare nel senso di exalapare, perchè la alaparum inflixio era il meno grave dei torm enti e facilmente applicabile anche fuori del tribunale o del secretarium. Ma, com e termine legale, verberare (verbera) designava propriamente la castigatio, la correzione per mezzo dei fla­ gelli o delle verghe o del bastone (v. M ommsen, Bòmisches Strafrecht, p. 983), non già con la mano nuda. In questo caso occorreva dire manibus, pugnis ver­ berare, a meno che ciò non resultasse chiaramente dal contesto (per es. P laut ., Amph., 2, 1, 6 sum obtusus pugnis pessume. Am . Quis te verberavit ?). Se perciò il testo greco della Passio s. Philippi parlò di verberatio inflitta ad Ermete (cosa, * Come per es. nella Passio greca di s. Ariadne il giudice fa sospendere la martire al legno, ma non la tortura, grazie all’intervento del p op olo: nella metafrasi latina, per contro, la tortura ha luogo (v. Franchi de ’ Cavalieri, Note agiografiche, p. 20, 4 sgg., 21, 1 sgg.).

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LA « PASSIO » DI S. FILIPPO

rivelare il luogo in cui Severo era andato a nascondersi ? M a dal seguito ricaviam o che le b attitu re in flitte al vescovo avevano unicam ente lo scopo di costringerlo a consegnare le divine Scritture. È l’esecuzione della m inaccia fa tta p ocan zi: Scripturas. . . obtutibus nostrae potestatis

ingerite, ne haec eadem, si dubitandum putaveritis, p o s t t o r m e n t a j a c i a t i s . O dunque il passo del testo prim itivo, che narrava la scom parsa di Severo, è stato m utilato più che m ale riassunto, ovvero tu tto il passo mox Severum presbyterum —

cum investigari facile non

posset v a giudicato una interpolazione. Accennerem o più in là i m otivi che inviterebbero a preferire la seconda di queste ipotesi. A spalleggiare il suo venerando m aestro, tra tta to così indegna­ m en te, interviene E rm ete, il diacono, che persona insignis, osa a f­ frontare il preside senza essere interrogato, e gli dice: « Q uand’anche giungessi, rigido inquisitore, a im possessarti di tu tte le nostre S crit­ tu re, sì che nel m ondo intero non restasse vestigio di questa veridica tradizione, non otterresti nulla, perchè i nostri posteri, in m em oria dei padri e per il bene delle anim e proprie, detterebbero Scritture più v o ­ lum inose di quelle distru tte e con efficacia anche m aggiore insegnereb­ bero il culto ch’è dovuto al Cristo ». E ciò d etto, non senza aver prim a ricevu te di m olte percosse, entra, seguito dall’assessore del preside e da alcuni officiales, nel luogo, ubi vasa omnia et Scripturae latebant. Ferm iam oci un istan te a considerare il contegno dei due m artiri di E raclea, diverso da quello che tennero tu tti gli altri m artiri ai quali venne ordinato, nell’anno 303 e nei susseguenti, di consegnare i tesori della

Chiesa

e

segnatam ente le divine

Scritture.

Costoro

(Febee

vescovo di T hibiu ca, com e A m pebo ed E m erito lectores di A b itin a ; V incenzo diacono di Saragozza, com e D ioscoro curialis di A n acip ob ; E uplo di C atania, com e A g a p e, Irene 1 e Chione di Tessalonica) rifiuripetiamo, meno probabile), non disse eb’egli fu κοσσισθείς, ovvero -/ολαφισθείς ( = alapatus), bensì ραπιστείς. Invero ραπίζω vale per l’ appunto percuoto con verga o bastone, cioè verbero; ma nel N uovo Testamento e negli scrittori cristiani significa spesso « schiaffeggio », com e ράπισμα « schiaffo » (v. Matth ., 5, 39; 26, 67; Marc ., 14, 65 con la nota del Padre M.-J. L agrange ; I oh., 18, 22; Acta Thomae, 6. 8 [ed. Bonnet, p. 108, 7; 112, 1], etc.). L ’interprete della Passio s. Philippi l ’avrebbe inteso nel senso più. proprio, anziché in quello più giusto nel caso speciale. Se le percosse date a Filippo e ad Ermete fossero in realtà un’aggiunta dell’interprete latino o del rielaboratore, facile sarebbe indovinarne il m otivo: l ’accenniamo nel testo. 1 Giova ricordare la replica di Irene alla domanda del preside: « Chi ti co n ­ sigliò di tenere nascoste fino ad oggi queste pergamene e questi scritti ? ». La martire risponde: « Iddio onnipotente, che ci ordinò di amarlo fino alla morte.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

tan o in m odo assoluto, ne va d a la v ita . In A frica la traditio delle Scritture fu poco m eno che equiparata al peccato d ’idolatria, alla tu­ rificatio: il Concilio A relatense del 3 1 4 infligge la deposizione agli ec­ clesiastici qui scripturas sacras, vasa dominica vel nomina fratrum tra­ didisse dicuntur, naturalm ente qualora il fa tto ven ga p rovato. F ilip p o, per contro, non esita a consegnare la suppellettile della Chiesa, pur dichiarando di cedere alla forza, ed E rm ete consegna anche le S crit­ tu re, p revia, com e ved em m o, l ’avverten za che i persecutori si illudono forte se sperano di sopprim ere il cristianesim o m ediante la distruzione dei L ib ri sacri. P aolo A lla r d 1 (d ’accordo, del resto, con altri studiosi) scrive: « E ie n ne m ontre m ieu x que ce récit les différences des esprits et des races au sein de l ’un ité chrétienne. Tandis q u ’en A friq u e livrer les m anuscrits de l ’É critu re s a in te .. . était condam né presque à l ’égal d ’une apostasie, ailleurs une plu s large tolérance couvre ces actes con­ sidérés sinon com m e indifférents, du m oins com m e secondaires ». P u ò darsi che sia così; m a , se non erriam o, può darsi altresì che l ’atteggiam ento dei due m artiri d ’E raclea va d a attribu ito alle circo­ stanze in cui essi vennero a trovarsi im provvisam ente, anziché a im a linea d i con d otta stabilita in antecedenza. M i spiego. L ’ed itto del 23 febbraio 303 d ovette pervenire ad E raclea pochi giorni dop o, cioè nei prim i d i m arzo. Sorpresi dalla fulm inea occupazione del dominicum, forse ignorando ancora la disposizione d ell’ed itto riguardante la sup­ pellettile della chiesa e le sacre Scritture (m ai requisite nè confiscate nelle persecuzioni anteriori), F ilip p o e il suo clero non p otettero cercare di m etterle in salvo, affidandole per esem pio a persone p rivate, quanto sicure a ltrettan to in sosp ettabili, com e sappiam o essere avven uto a l­ trov e. Q uindi che fare ? E iflu tarsi non sarebbe valso a nu lla. Essendo l ’edifìzio, in cui stavano rip osti i v a si sacri e i L ib ri santi, già nelle m ani del nem ico, qu esto, in ogni m odo, li avrebbe trovati da sè, deciso d i dem olire d alle fond am enta il dominicum. N on restava, dunque, altro che protestare di cedere alla violen za. Con ciò i due m artiri erano lo n -

Perciò non osamm o consegnarli (i libri, le pergamene, etc.) ma preferimmo essere arse vive e soffrire qualunque supplizio » : ó Θεός ό παντοκράτωρ ό είπών εως θ α ­ νάτου άγαπήσαι αυτόν, τούτου ενεκεν ούκ ετολμήσαμεν προδοϋναι, αλλ’ ήιρετισάμεθα ήτοι ζώσαι καίεσθαι η δσα αν συμβηι ήμΐν πάσχειν, ή προδοϋναι άύτάς [sc. τάς γραφάς] ( Martyrium ss. Agapes et soc., c. 5, in P. F ranchi d e ’ Cavalieri , Nuove Note agiografiehe, p. 18). 1 P . A llard , La persécution de Dioclétien et le triomphe de l'Église3, 1, Paris 1908, p. 256; cf. Mason , The persecution of Diocletian, p. 183; F ranchi d e ’ Cavalieri, I martirii di s. Teodoto, p . 27.

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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tard dal com m ettere una v iltà , perchè non evitavan o la m orte, evi­ tavan o solo la m orte per rifiuto di consegnare allo S tato oggetti pre­ ziosi. F orse, giusta l ’osservazione del T ille m o n tl, F ilip po am ò m eglio fare questa specie d ’ingiuria alla Chiesa, che dar m otivo ai nem ici di sospettarlo interessato od avaro. S e ll’arrendevolezza dei due ecclesiastici l ’agiografo non scorge om ­ bra di colpa anzi non scorge nulla di m eno che lodevole. Se però l ’in ­ ciso diu antea verberatus dovesse ritenersi aggiunto p iù tard i dal trad u t­ tore o , m eglio, dal rim aneggiatore della versione, verrebbe fa tto di sospettare che quest’ultim o abbia giudicato conveniente attenuare quella arrendevolezza, prem ettendole una lu n ga, per quanto im pre­ cisata, verberatio. L a stanza nella quale E rm ete condusse l ’assessore P u b lio , n a tu ­ ralm ente accom pagnato da alcuni officiales, si apriva a pochi passi dal luogo in cui B asso exquirebat·, era, com e tu tto induce a credere, il

secretarium della basilica, destinato appunto alla custodia del tesoro: codici delle Scritture e vasi sacri. D i solito le basiliche cristiane ave­ van o due secretaria ai fianchi d ell’abside, l ’u n o, il diaconicum o repo­

sitorium vasorum sacrorum, l ’altro la bibliotheca. A v o lte però un unico secretarium serviva da diaconicum e da bibliotheca 2. M entre colà viene redatto l ’inventario 3, E rm ete si accorge che P u b lio cerca sottrarre dal novero alcuni vasi per appropriarseli inde­ b itam en te. Su bito eleva p rotesta ; m a l ’assessore colto in fallo g li ri­ sponde con una terribile ceffata. In tervien e il preside che, ud ito il fa tto e v ista la faccia sanguinante di E rm ete, m uove aspri rim proveri a l­ l ’assessore disonesto, ordinando, al tem po stesso, di prestare le cure del caso al fe r ito 4. 1 T illemont, Mémoires, 5, p. 35. 2 Vedi H. L eclercq, Diaconicum, in: D A C L, 4, 1, col. 733 sgg.; cf. E. C. Goldschmidt, Paulinus’ Churches at Nola, Am sterdam 1940, p. 109. 3 Questo è l ’inventario ufficiale di tutto il tesoro della chiesa, che lo sta­ tionarius non aveva veduto. Egli si era lim itato a inventariare e a porre sotto sigillo i ministeria che si trovavano in vista nel dominicum (candelabri, lucerne, etc.) e che potrem m o chiamare ministeria minora. Quelli che inventaria ora 1’officium del preside sono i ministeria excellentiora (v. Fulberti epist., in : L . d ’A chery , Spicilegium*. . . , 3, Parisiis 1723, p. 387), i vasi sacri, preziosi per la materia e per l ’arte (aurea vel argentea v e l.. . artis insignis), i quali stavano sotto sicura custodia (latebant). 4 La drammatica requisizione dei Libri santi e dei cimeli della chiesa di Eraclea può essere confrontata utilmente con la requisizione non meno dram m a­ tica, ma purtroppo m olto meno edificante, della requisizione delle divine Scrit-

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Q uesto episodio rivela la correttezza di B asso, alla quale l ’agiografo rende giustizia anclie più oltre, m a che s’intende, non im pedisce al preside rom ano di procedere contro i presunti nem ici dell’im pero,

ture © della suppellettile sacra della chiesa di Cirta. Si legge questa negli Acta Munati Felicis flaminis perpetui et curatoris coloniae Cirtensium *, inseriti nei Gestu apud Zenophilum c. 2 (ed. Gebhardt , Acta, p. 189 sgg.). Munazio, il 19 maggio 303, si presenta col suo personale (gli exceptores dell 'officium publicum e alcuni servi publici) nella casa in qua Christiani conveniebant (com e Basso con il suo officium, avanti al dominicum di Eraclea). Vi trova il vescovo Paolo assi­ stito da tre presbiteri, due diaconi, quattro suddiaconi e da un certo numero di fossori: clero più numeroso di quello che il preside della Tracia trova dinanzi alla porta della chiesa di Eraclea, ma purtroppo assai più scadente. Il curator reipublicae parla meno solenne del praeses e più breve, ma non diversamente, in sostanza: Proferte scripturas legis et si quid aliud hic habetis, ut praeceptum est, ut iussioni parere possitis. N ota peraltro che Munazio suppone già inform ato P aolo del contenuto dell’editto e dello scopo della sua venuta evidentemente non del tu tto inattesa; mentre Basso giunge im provviso. Paolo risponde: Scripturas lectores habent, sed nos quod hic habemus damus. Insomma capitola im m ediata­ mente quanto alla suppellettile; per le Scritture rimanda vilmente il magistrato ai lettori. Siamo dunque ben lontani dalla ferma risposta di Filippo che, a pochi passi dal tesoro già caduto nelle mani del nemico, dice: « I vasi, giacché mi c o ­ stringi a darteli, pigliali; ma le Scritture nè a me conviene consegnarle nè a te riceverle ». Si può esser certi che Filippo, se non gli fosse mancato tem po o m odo di sottrarre i libri santi, avrebbe risposto com e Felice vescovo di Thibiuea: Habeo, sed non do o, com e Emerito di Abitine: Habeo, sed in corde meo (Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 12, 8, ed. F ranchi d e ’ Cavalieri, Note agiografiche, V i l i , p. 59, 8; cf. Note agiografiche, V II, p. 15). Ma il debole Paolo, informando il curator reipublicae che i Libri si trovano presso i lettori, gli ha dato il modo d ’impossessarsene. È vero, invitato a declinare i nom i e l ’indirizzo dei lettori, Paolo si limita a rispondere: Novit eos (lectores) officium publicum, id est Edusius et Iunius exceptores. Ma cosa faranno i lettori quando il magistrato, giu n ­ gendo alle loro abitazioni, ordinerà: « Dateci i libri che il vescovo asserisce es­ sere custoditi da v oi ? ». L i consegneranno senz’altro. Intanto Munazio Felice * Nelle singole città la requisizione era eseguita dal curator (v. Chr . L ucas, Notes on the Curatores rei publicae of Roman Africa, in The Journal of Roman studies, 30, 1940, p. 67 sg.). Nel sinodo Cirtense del 5 marzo 305 per l ’ordinazione di Silvano, V ittore, vescovo di Russiccade, confessa: Valentinianus curator fuit; ipse me coegit ut mitterem illa (evangelio) in ignem. Purpurio, vescovo di Liniata, dice a Secondo, vescovo Tigisitano: tentus es a curatore et ordine, ut Scripturas dares (v. A ugust., Contra Crescon., 3, 27, 30, ed. Petschenig, p. 436, 17. 25). A Thibiuea è Magnilianus curator che fa venire a sè i seniores plebis, il prete Apro, e Cirulo e Vitale lettori, poi il vescovo Felice (per officialem, o per officium), onde chiedere loro i Libri santi (v. Passio s. Felicis ep., 1 ss., ed. H. D elehaye , La Passion de s. Félix de Thibiuea, in Analecta Bollandiana, 39, 1921, p. 247 sg.).

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LA « P A S S I O » D I S. FILIPPO

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con ogni rigore. A ffid ati in fatti all 'officium la sacra suppellettile e i L ib ri, in v ia ti i dne ecclesiastici, sotto buona scorta, al foro per darli in pascolo alla curiosità del popolo e atterrire quei cristiani che aves­ sero qualche velleità di disobbedire ai praecepta degli A u gu sti, se ne ritorna in fretta a palazzo 1, disposto a finirla con tu tti i seguaci della si fa portare innanzi quanto è nella domus ubi Christiani conveniunt. Paolo assiste, seduto sulla sua cattedra: i suddiaconi traggono fuori gli oggetti ('pro­ ferunt) che lo scriba Vittore, figlio di A ufidio, inventaria via via (contra scribente V. A . in brevi) *. In Eraclea la requisizione è sorvegliata dall’assessore del p re­ side, che cerca di non far mettere nell’inventario alcuni vasi per appropriarsene. Come osserva P . M onceaux (Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne. . . , 3, Paris 1906, p. 94), gli spogliatori della chiesa di Cirta percorrono successi­ vamente la sala del culto, i magazzini, la biblioteca, il triclinio, in presenza dei chierici che facilitano loro la ricerca. Una sola risposta sentiamo un p o ’ corag­ giosa da due di loro, i suddiaconi Catullino e M arcuclio: quando il curator reipublicae dom anda i nom i dei lettori. Nos non sumus proditores, dicono, iube nos occidi. Allorché il proconsole Paterno aveva detto a s. Cipriano: Volo scire ex te qui sint presbyteri qui in hac civitate consistunt, il martire aveva replicato: Legibus vestris bene atque utiliter censuistis delatores non esse, itaque detegi et deferri a me non possunt (Acta s. Cypriani, 1, 5 sg., ed. Gebhardt , Acta, p . 125). 1 Ad palatium magna festinatione tendebat. Palatium (se l ’originale greco aveva ancora esso παλάτιον) non è qui semplice sinonimo di praetorium, com e ritenni m olti anni addietro (Note agiografiche, IV , R om a 1912, p. 138), ma si­ gnifica « residenza imperiale, reggia » **. Eraclea ebbe infatti un bel palazzo imperiale, βασίλεια αξιοθέατα, che Giustiniano restaurò (Procop., De aed., 4 , -9, 16). Esso com pare altresì nella Passio X L mulierum Heracl., cc. 14. 16 (ed. H. D eleiiaye , Saints de Thrace et de Mésie, in Analecta Bollandiana, 31, 1912, p. 204, 11; 205, 15), la quale ne ricorda lo ήλιαστήριον. È ovvio che il preside della Tracia, rappresentante degl’imperatori, avesse iv i la sua dimora. Quanto agli altri due testi agiografici greci, in cui credemmo essere adope­ rata la voce παλάτιον invece di πραιτώριον, si avverta che nella Passio s. Try­ phonis, c. 8 (Acta SS. Bolland., iv nov., p . 333, 2, 37) la lezione giusta è forse quella del cod. Am br. 259: év τώι πραιτωρίωι, non έν τώι παλατίωι (ν. l’ apparato critico in F ranchi d e ’ Cavalieri , Hagiographica, p. 64), poiché per l ’autore * Naturalmente, se Paolo si fosse rifiutato di consegnare i Libri, il curator l ’ avrebbe inviato al preside, com e il curator di Thibiuca fece con il prete, i le t­ tori e col vescovo Felice rim ettendoli al proconsole Amellino (Passio s. Felicis ep., 8. 19, ed. D elehaye , La Passion de s. Félix, p. 248. 249), com e fece Dionecta, curator civitatis Cynopolitan., spedendo D ioscoro a Culciano, prefetto di Alessandria (Passio, ed. H. Quentin , Passio s. Dioscori, in Analecta Bollandiana, 24, 1905, p. 322). ** Cf. Optat., 1 , 17 (ed. Ziwsa, p. 19, 7): rescriptum venit, ut, si Mensurius Felicem diaconum non reddidisset, ad palatium dirigeretur; 1, 22 (p. 25, 15) quid episcopis cum palatio (i. e. cum imperatore ?).

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

religione condannata. Com incia pertanto con l ’ordinare che il domini­

cum di E raclea ven ga tosto privato del te tto e delle tegole in bronzo od in m arm o 1. E m entre nna squadra di operai, in citati dai sopra­ stan ti a colpi di staffile, si affanna a com piere quella rovina nel più b reve tem po possibile, i milites dell’ ofjicium, carichi delle sacre S crit­ tu re, si portano al foro 2, e qu ivi, presente una folla di cittadini e di forestieri, le gettano ad ardere in un gran rogo. ìle i 3 0 3 -3 0 4 tu tte più o m eno le città d ell’im pero videro divam pare nelle loro piazze ta li in ­ cendi, accom pagnati a v o lte da fenom eni, in cui i cristiani riconob­ bero un segno dell’ira celeste. Così per es. ad A b itin e nella provincia

τό παλάτιον è la reggia di Rom a, il Palatium {Passio, e. 1, ed. cit., p. 329, col. 2). Nella Passio ss. Agapes, Irenes et Chiones (5, 8 [ed. K nopf e Krüger, p. 99, 7 Sgg.]: σέ... διά τής έπείςεως των άγορανόμων... καί Ζωσίμου του δημοσίου είς πορνείον στήναι γυμνήν κελεύω, λαμβάνουσαν εκ του παλατιού ενα άρτον μόνον), εκ τοΰ παλατιού non sembra poter voler dire « dal palazzo del preside », bensì ex fisco, ex pecunia principis, έκ δεσποτικοΰ τίτλου, com e ha la Passio s. Ariadnes (v. Franchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche, p. 10, 11), reso in latino meno esat­ tam ente ex publico aerario (cf. le espressioni δεσποτική ovaia, δεσποτικαί πρό­ σοδοι, βασιλικαί πρόσοδοι). Irene fu dunque condannata ad essere internata in un πορνεΤον per opera degli edili (οί άγορανόμοι) e di Zosim o serous publicus (δημό­ σιος), ricevendo giornalmente un pane dal fisco imperiale. Στήναι εις πορνεΐον διά τής έπείξεως (così proporrei di correggere Γ έμπήξεως del codice) των άγορανόμων, equivale a έπείγεσ&αι στήναι είς π. ύπό των άγορανόμων. 1 Sono ricordate le tegole bronzee del Pantheon (Jordan , Topographie, 1, 3, p. 583, con la nota 67; Platner , A topographical Dictionary, p. 385) e del tem pio di Rom a (Liber pontificalis [ed. Mommsen, p . 171, 1; 187, 12], dove però si tratta invece probabilmente della basilica di Costantino, v. L . D uchesne, Notes sur la topographie de Pome au moyen âge, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, 6, 1886, p. 28; J ordan , Topographie, 1, 3, p. 13, nota 25, cf. p. 18; Platner , op. cit., p. 76). Tegulae aeneae auratae occorrono in una iscrizione del Museo di Vienna (CIL, 12, n. 1904; cf. T ac ., De or., 20 horum temporum templa.. . non rudi coemento et informibus tegulis extruuntur, sed marmore nitent et auro radiantur). Notissimo è il tetto di bronzo dorato dell’A postoleion di Costantinopoli (E useb ., Vita Constantini, 4, 58, ed. Heikel, p. 141, 13); cf. A . H eisenberg , Grabeskirche und Apostelkirche. Zwei Basiliken Konstantins. . . , Leipzig 1908, p. 98, 119). A Costantinopoli c ’erano tegole di bronzo anche nel foro di Teodosio (Chron. pasch., ed. Bonn, p. 570, 5). Tegole di marmo avevano il tem pio di Giunone Lacinia (L iv ., 42, 3; L act., Dio. Inst., 2, 7, 16, ed. Brandt, 1, p. 127, 6) e quello di Giove Olimpio (Paus ., 5, 10, 3; cf. D aremberg e Saglio , Dictionnaire, s. v. tegula, p. 65, nota 1), nonché il tabularium a Rom a (v. F r . E bert , Tegula, in: Pauly-W issowa, BE, col. 120 sgg.). 2 II lettore va col pensiero al noto pluteo del foro Rom ano, dove dei sol­ dati trasportano codici destinati alle fiamme, v. Note agiografiche, V II, p. 223.

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d’Africa, dove una repentina violentissima grandinata spense il fuoco e, imperversando nelle campagne circostanti, annientò il raccolto 1. In Eraclea le fiamme si levarono alte e minacciose a segno da incu­ tere spavento agli spettatori, molti dei quali si allontanarono. Giova qui richiamare l’attenzione degli studiosi sul testo della prima parte del c. 5 (par. 1-5), che noi abbiamo cercato d’interpre­ tare, ma che, slegato, disordinato, lacunoso, fa l’impressione di un infelice rabberciamento. Il capitolo principia col raccontare come, mentre i due martiri si avviavano al foro {Ms itaque ad jorum eunti­ bus), il preside fece addossare ai militi le Scritture confiscate {praeses scripturas omnes militibus inposuit), ma omette di dire per dove man­ darle; aggiunge invece: tune ad palatium . . . tendebat cupiens nudare ecclesias omnibus qui essent ubique cultoribus 2. E qui repentinamente cambia soggetto: ipsud etiam dominici tectum . . . tegularum fraudaba­ tur ornatu: M quoque qui haec agebant. . . cogebantur verbere. H filo dei discorso non si vede, bisogna indovinarlo: bramoso di privare le chiese (o la chiesa?) di quanti avevano fedeli, ne ordina la chiusura, anzi vuole che al dominicum di Eraclea sia anche {etiam) levato il tetto e subito. Ma a che cosa alluda il periodo susseguente, bellum itaque domesticum et seditio subita fuit ac privata confusio, non lo so io e non è riescito a saperlo finora nessuno: certo di quelli che narrano la storia di s. Filippo di Eraclea, seguendo passo passo il nostro Martirio, nes­ suno ha tentato di cavare un senso qualsiasi da questo luogo. F i­ nalmente il periodo che tien dietro all’inesplicabile accenno a una guerra domestica, igne subposito . . . scripturas omnes in medium misit incendium, manca dell’inizio in cui evidentemente si diceva come Basso avea fatte portare le Scritture al foro e alzare quivi una ca­ tasta di legna, alla quale igne subposito . . . scripturas in medium misit incendium. È vero che, in alcuni codici, alle parole igne subpo­ sito si premette: sed cum ad palatium praeses subito pervenisset, ovvero tunc praeses insanus iussit ut-, ma questi non sembrano che tentativi arbitrari di colmare la lacuna. Mentre i Libri santi ardono, qualcuno corre a ragguagliarne il ve­ scovo che siede, nella parte del foro destinata alla vendita delle vet­ tovaglie, in mezzo a un folto gruppo di pagani e di ebrei, attratti dalla

1 Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 3, 5 (ed. F ranchi db ’ Cavalieri, Note agiografiche, V i l i , p. 52, 2 sgg., of. p. 11, con nota 1). 2 Più che dei cultores parrebbe doversi trattare qui del culto, degli oggetti di culto, degli ornamenti (libri, vasi, etc.) non dei θεράποντες, ma della θεραπεία.

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curiosità di vedere dappresso il capo della perseguitata setta dei cri­ stiani e di sentirlo parlare. Nè restano ingannati chè Filippo, pren­ dendo motivo dall’incendio dei sacri Libri, rivolge ai circostanti un lungo discorso, opera, s’intende bene, dell’agiografo greco, ma ar­ ricchito dal rimaneggiatore latino. Secondo il testo che abbiamo, il martire si sarebbe espresso, in sostanza, così: Il mondo volge alla fine: tra poco l’ira di Dio si abbatterà sul­ l’empietà e l’ingiustizia umana, come già sugli abitanti di Sodoma, affinchè gli uomini, riconoscendo l’autore del castigo, a Lui si con­ vertano e, abbandonato il culto irragionevole delle pietre, giungano a salvamento. Come a Sodoma, così pure in Sicilia ministro della giustizia divina fu il fuoco che, distruggendo quanto trovò di mal­ vagio, risparmiò due giovinette ansiose di portare in salvo il loro padre decrepito \ Il fuoco uccise Ercole sul monte d’Igia, Esculapio in Cinisuri1 2, arse la dea d ’Efeso, il Capitolio e il tempio di Eoma, il tempio d ’Eliogabalo, la dimora di Serapis in Alessandria, quello di L i­ bero in Atene e la guerriera Minerva e il tempio di Apollo in D elfo; il fuoco, punitore degli empì, luce benefica ai pii. Nessuna difficoltà di attribuire questo discorso, nelle sue grandi linee, a un autore del primo quarto del IV secolo, autore che par­ rebbe essersi inspirato al Martirio di s. Pionio (c. 4, 2 sgg.), della se­ conda metà del secolo III come desunse, direttamente o indiretta­ mente, dal Protreptico di Clemente Alessandrino le notizie relative

1 Vedi l’ articolo di G. W issowa , Amphinomos, in: Pauly-W issowa, BE, 1, 2, col. 1943 sg. I due Siculi patres non sono sempre chiamati Anfinomo e Anapias (ο ’Άναπις, Anapius), ma talvolta Dam on e Phintias, tal’altra Philomonos e Calìias, ovvero Emathias e Criton (Solin ., Collect, rerum mem., 5, 18, ed. Mommsen2, p. 50 sg.), spesso sono anonimi (in L icurgo, Contra Leocr., 95 sg., la fonte più antica, l ’anonimo salvatore del padre ούχί δυνάμενον άποχωρεΐν è uno solo). Salvato, di solito, è il padre soltanto, ma qualche autore parla di ambedue i genitori (Solin ., loc. cit., p. 51, 4 duo sublatos parentes evexerunt inter flammas inlaesi ignibus). 2 Seguimmo la lezione del cod. Bruxell. 9289 hic Aesculapium, sembran­ doci la più probabile in un letterato com e il nostro, benché i due codici di Parigi abbiano et Scolapium. Questa form a sarebbe più a posto in un testo meno let­ terario, com e per es. la Passio ss. Quattuor Coronatorum, dove infatti troviam o Scolapium e Scolapii (cc. 14. 15, in Acta SS. Bolland., in nov., p. 773, 774). Non escluderemmo tuttavia che il nostro abbia potuto scrivere: Me Aescolapium (d’onde e{ t ) scolap.), usando la form a arcaica (v. Thesaurus linguae Latinae, s. v . Aesculapius, col. 1079, 48 sgg.).

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alle tragiche morti di Ercole ed Esculapio, agl’incendi che distrussero alcuni famosi idoli o i loro templi. Esaminato tuttavia a parte a parte, il discorso del santo vescovo tradisce, in alcuni pochi luoghi, una mano più tarda. A gl’inizì del IV secolo, si obietta, il mito dei due fratelli catanesi, che, durante una eruzione dell’Etna, avevano portato in salvo il loro padre decrepito, attraversando incolumi i campi invasi dalla lava infocata, la quale miracolosamente cedette loro Ubero il passo, era troppo noto per poter essere alterato come vediamo nel discorso di Filippo. Chi avrebbe osato allora mutare i due giovani pagani in due vergini cristiane ? Per conto mio, confesso di non trovare difficoltà ad ammettere che un agiografo della Tracia, sotto l’influsso della storia di Lot e delle sue figlie, abbia trasformato i due fratelli di Catania in sorelle, non dico in cristiane, perchè tali egli non le qualifica, almeno in termini espressi. Altro non c’è nel discorso di Filippo che ci autorizzi a sospettare inserito posteriormente il grazioso episodio delle pie giovinette sicule. Ì1 vero, nel codice 206 della Biblioteca Beale di Bruxelles l’episodio manca: questa mancanza non ci deve però indurre a credere, anzi neppure a sospettare che quel codice Bruxellense ci abbia conservata una redazione del Martirio non interpolata: il codice Bruxellense ci offre al contrario un testo mutilo, perchè l’episodio oggi mancante vi è preannunciato chiaramente, come in tutti gli altri manoscritti, dal periodo: oc ne in sólo Oriente fin s se ignis ostenderet1 (allusione al fatto di Lot dianzi ricordato), in Sicilia quoque atque in Italia visa est res digna miraculo. La res digna miraculo altro non è che il prodigioso ritirarsi della lava dinanzi alle giovinette cariche del vecchio geni­ tore. A on si spiega l ’aggiunto atque in Italia, riferendo l’autore una sola res digna miraculo e questa avvenuta in Sicilia, nè so comprendere come il Mazzocchi, senza ombra di esitazione, veda designato in quel-

1 Ac ne in solo Oriente pius se ignis ostenderet legge il solo cod. Bruxell. 206, tutti gli altri: ac ne in solo Or. prius se i. ost., meno bene, a nostro avviso. Perchè al fuoco punitore degli empì, com e ministro della divina Giustizia, inno­ cuo ai buoni, non disconviene l ’epiteto pius i. e. iustus, com ’è qualificato ap­ presso. Prius, invece, benché usato spesso dai p oeti nel senso di olim, antea, al pari di πρότερον in greco, sembra qui p oco a proposito. L o scambio fra pius e prius nei codici è tu tt’ altro che difficile. In Virgilio per es. Aeri., 4, 464 multaque praeterea vatum praedicta priorum, già Servio annotava: « priorum »: legitur et piorum (of. 6, 662 pii vates).

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l ’aggiunto il Vesuvio. Per me, o in Italia è una glossa marginale in­ serita nel testo, o l’agiografo intese di dire (ma effettivamente non disse) che un miracolo simile a quello per cui Lot e le sue figlie sfug­ girono al diluvio di fuoco piovuto sulla città di Sodoma, aveva destato l’ammirazione generale in Sicilia (che ne era stato il teatro) e in Italia (dove se ne sparse la fama). Se è difficile ritenere interpolato l’episodio delle due sorelle sici­ liane, tale invece può giudicarsi con grande probabilità il tratto quis, rogo, ab Ms speret auxilium, qui se nec possunt servare nec facere ? fit ab illo a quo colitur; et si incensus subito mcme fuerit, pervigili artificis cura node reparatur. Numquam Ms itaque nomen deesse poterit, si aut ligna facientibus suggerantur aut saxa (5, 23-25). H quale tratto s’in­ cunea nella serie dei templi e dei simulacri distrutti dal fuoco, ta­ gliandola in due. Col participio « interpolato » non voglio significare « estraneo alla Passio ». È difatti, se non erro, un brano del c. 6 ag­ giunto in margine e poi rientrato nel testo, ma in luogo non suo. E offrendo esso qualche indizio non disprezzabile d’essere tradotto dal greco, va ascritto verosimilmente alla Passio originale. Porse vanno messe in conto al rielaboratore latino le osservazioni che accompagnano la notizia dell’incendio sofferto dal simulacro di Minerva in Atene. Le osservazioni, dico, che accompagnano la no­ tizia, non certo la notizia stessa, malgrado il silenzio del Protreptico di Clemente Alessandrino, fonte precipua della Passio in questo luo­ go 1. La Passio originale alludeva, credo, allo ξόανον, al σεμνόν βρέτας di Atena πολκίς, custodito nell’Eretteo e andato distrutto, verosimil­ mente, nel 480 a. C., quando i Persiani diedero alle fiamme tutti gli

1 Clemente d ’Alessandria è altresì la fonte di A rn o b . (Adv. nat., 6, 23, ed. Keifferscheid, p. 234, 6 sgg.): cum Ca/pitolium totiens edax ignis absumeret.. . ubinam fulminator tenvpore illo fu it.. . ? ubi luno regina, cum inclitum eius fanum sacerdotemque Chrysidem eadem vis flammae Argiva in civitate deleret ? ubi Serapis Aegyptius, cum consimili casu iacuit solutus in cinerem.. . ? ubi Liber Eleutherius, cum Athenis ? ubi Diana, cum Ephesi ? . . . ubi denique Apollo divi­ nus, cum a piratis maritimisque praedonibus et spoliatus ita est et incensus, ut ex tot auri ponderibus. . . ne unum quidem haberet scripulum. . . ? Cf. Protrept., 4, 53, 2 (ed. Stâhlin, p. 41): τούτο τό πυρ καί τον êv "Αργεί νεών σύν καί τήι ίερείαι κατέφλεξεν Χρυσίδι, καί τον εν Έ φέσωι της Άρτέμιδος δεύτερον μετά ’Αμαζόνας καί τό εν 'Ρώμηι Καπιτώλιον επινενέμηται πολλάκις · ούκ άπεσχετο δέ ούδέ τοΰ εν ’Αλεξανδρέων πόλει Σαράπιδος Ιερού. Άθήνησι γάρ τοΰ Διονύσου τού Έλευθερέως κατήρειψε τόν νεών, καί τόν εν Δελφοΐς τοΰ ’Απόλλωνος πρότερον ήρπασεν ■θύελλα, έπειτα ήφάνισε πΰρ σωφρονοΰν.

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edilìzi sacri dell’acropoli \ Quell’anno, suppongo, arsit libenter in Athe­ nis Liberi patris habitaculum. A rsit - l’originale avrà avuto proba­ bilmente εφλεξεν - è detto benissimo di un vecchio simulacro di legno, quale appunto lo ξόανον di Atena πολιάς e quello di Dioniso ελευθήρ 2; non così di una statua aere solida, come l’Atena πρόμαχος eretta fra i Propilei e l’Eretteo, la quale, sotto l’azione del fuoco, si sarebbe fusa, ad aes informe liquefacta, non sarebbe mai an­ data in fiamme. In fiamme sarebbe potuto andare forse il colosso fidiaco del Partenone3, perchè le statue criselefantine di proporzioni colossali erano bensì composte di lastre d’oro e di pezzi d’avorio, ma avevano un fusto ligneo. Se non che la Parthenos, giunta incolume all’età bizantina, fu trasportata a Costantinopoli, dove andò distrutta non si sa come nè quando 4. Per contro, la Minerva, di cui parla s. Filippo nel suo discorso, arse in Atene, al pari àeWhabitaculum Liberi patris menzionato immediatamente prima. E si avverta che degl’incendì, di cui tocca il santo vescovo di Eraclea, nessuno discende oltre il secolo IV d. C., i più sono anteriori di molto 5. A qualche stu1 Si crede che lo ξόανον di Atena Polias rappresentasse la dea in atto di vibrare l ’asta e protendere lo scudo (v. O. Jahn , De antiquissimis Minervae si­ mulacris atticis..., Bonn 1866, p. lO sgg.; D ümmler, Athena, in: Pauly-W issowa, BE, 2, 2, col. 2009). L a Πρόμαχος di Fidia, al contrario, teneva lo scudo a fianco e l ’asta diritta, poggiata al suolo (non già εν προβολήι), com e si rac­ coglie da un luogo di P ausania (1, 28, 2) e si vede in alcune monete riprodotte da O. Jahn (Pausaniae descriptio arcis Athenarum [ed. A . Michaelis], Bonn 1883, p. 1; v. anche: De ant. Min. sim., p. 16 sg. e Ch . H adaczek , L ’ Athena Promachos, in Ptevue des Études grecques, 26, 1913, p. 20sgg.). Similmente la Parthenos di Fidia, secondo che c ’insegnano le tre riproduzioni antiche giunte sino a noi, e la descrizione di P ausania (1, 24, 7), la quale, lacunosa in due punti, restitui­ remmo a un dipresso così: τό δέ άγαλμα ορθόν έστιν έν χιτώνι ποδήρει καί οί κατά τό στέρνον ή κεφαλή Μεδούσης έλέφαντός έστιν έμπεποιημένη · καί νίκην όσον τεσσά­ ρων πηχών (εν τήι δεξιάι), εν δέ τήι (έτέραι) χειρί δόρυ έχει, καί οί προς τοΐς ποσίν άσπίς τε κεΐται καί πλησίον του δόρατος δράκων έστίν. 2 Cf. P âus ., 1, 30, 8. 3 Così J. F ührer , Zur Geschichte des Elagabaliums, p. 161, nota 2: « Der mâchtige Holzkern der ihr Inneres bildet, verbietet an dem Ausdrucke arsit irgend welchen Anstoss zu nehmen ? ». 4 Vedi F ührer , Zur Geschichte des Elagabaliums, p. 164 sg. 5 Gl’incendi di Diana Efesina, del Capitolio di Borna, del Serapeo di Alessandria, di Dioniso Eleuthereus, di A pollo Delfico sono anteriori a Clemente Alessandrino e di m olto: il tem pio di Delfo arse la prima volta nel 548-647 a. C., quello di Artemide Efesina al tem po di Clemente era stato distrutto dal fuoco già due volte, δεύτερον μετά ’Αμαζόνας, e il Capitolio πολλάκις. Sull’incendio del tem pio di Dioniso Eleuthereus non si hanno notizie. Pausania (1, 20, 3) c ’in ­ form a che του Διονύσου... προς τώι θεάτρωι τό άρχαιότατον ιερόν comprendeva

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dioso parve che nelle parole nihil illam Gorgoneum pectus, nec de­ fendit ille picturatus splendor armorum: melius, infelix si pensa traetasset, si accennasse chiaramente alla Parthenos dal petto ornato della testa di Medusa e dall’aureo scudo in cui figuravano la gigantomachia e la battaglia delle Amazoni K Se così fosse, converrebbe riconoscere nelle parole sopra riferite un’aggiunta del tardo rimaneg­ giatore latino, vissuto verso il secolo V I. Ma la testa di Medusa è l’ornamento più ordinario del petto di Minerva e picturatus splendor armorum può non esser altro che una versione del greco ποικίλα δπλα, tanto elegante quanto poco esatta2. biella chiusa melius, in ­ felix si pensa tractasset, sembra alludersi alle immagini di Atena εργάνη (protettrice delle opere femminili), che la rappresentavano con una conocchia in ciascuna m a n o3. Un incendio, intorno al quale non sapremmo avventurare alcuna ipotesi un p o’ fondata, è quello che nella enumerazione di Filippo si trova fra l’incendio del Capitolio di Rom a e l’incendio del Serapeo δύο ναοί καί Διόνυσοι, δ τε Έλευθερεΰς καί δν “Αλκαμένης έποίησεν ελέφαντος καί χρυσού. Il prim o, di co i Clemente ricorda l’incendio, era una statua di legno, uno ξόανον (P a u s ., 1, 30, 80). Come si è detto sopra (p. 61, nota 2), il tem pio urbis Romae andò a fu oco sul principio del secolo IV . L ’ Elagabalio (se la Passio a l­ lude all’ Elagabalio di Eom a e al tem po in cui esso custodì l ’idolo siriaco) d ovette andare in fiamme sotto il regno di Elagabalo o poco dopo. Pare che quell’im peratore avesse costruito due tem pli in onore dell’idolo orientale: l ’uno sul Palatino (Jokdan , Topographie, 1, 3, p. 105 sg.), l ’altro, μέγιστόν τε καί πολυτελέστατον, nel suburbio, εν τώι προαστείωι (H ekodian ., 5, 6, 6), nel quale egli trasportava solennemente il dio ogni anno in estate (Platnek , A topographical Dictionary, s. v. Elagabalus νεώς). 1 P l i n ., Hist, nat., 36, 18. - Qualcuno potrebbe osservare che l ’agiografo, o meglio il rielaboratore latino, non parla in particolare dello scudo, ma delle armi (difensive) in genere (armorum) e che picturatus splendor è forse versione di ή ποικιλία (ή ποικιλία των όπλων). Si potrebbe osservare ancora che la statua, cui si accenna, non è di un’Atena in atteggiamento pacifico, con le armi al piede e una Vittoria nella destra (Parthenos di Fidia), ma piuttosto di un’Atena in atto di difendersi con lo scudo proteso e di vibrare l ’asta contro il nemico. 2 Virgilio, della cui latinità è tributario il rielaboratore della Passio s. Philippi, usa picturatus nel senso appunto di « adorno di figure, istoriato », applica però questo epiteto alle vesti, non alle arm i; alle vesti ricamate (Aen., 3, 483 fert picturatas auri subtemine vestis). A ll’elm o della Parthenos, crestato d ’oro, accenna A bistofane (Lys., 344 ώ χρυσολόφα πολιούχε). 3 P a u s ., 7, 5, 9. Alcune immagini arcaiche di Atena stringevano una lancia nella destra, nell’altra una conocchia. Così, al dire di A pollodoko (3, 12, 3 [143]) il palladio della nuova Ilio (τηι μέν δεξιάι δόρυ διηιρμένον εχον, τήι δέ ετέραι ήλακάτην καί άτρακτον).

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di Alessandria: Me {ignis) Miogabalum fa r i cremavit incendio. L ’idolo siro chiamato Elagabalo consistette, com ’è volgarmente noto, in una pietra nera, onde non si vede come potesse restare incendiato. Sic­ come però due codici della Passio leggono Miogabalim invece di JEliogabalum, non è da escludersi che la lezione originaria fosse Eliogabalium = Miogabali templum (Ghron. a. 354, ed. Mommsen, p. 148: Eliogaballium). Comunque, non ci è pervenuto il più beve accenno a un incendio del santuario di Eliogabalo sul Palatino, santuario, del resto, che non sopravvisse lungamente ad Antonino Eliogabalo, dal quale era stato dedicato nel 221, poiché dopo la sua morte (a. 222) la pietra conica, simbolo del dio Siro, fu rimandata subito ad Emesa e tutte le statue e le cose sacre raccolte intorno ad essa tornarono alle antiche loro sedi 1 II tempio restò in piedi, sembra, ancora per un certo numero di anni; è presumibile che avesse già cessato di esi­ stere quando comparve la Notitia urbis regionum, entro cioè il IY secolo 2. Verosimilmente esso era ancora in piedi e guardava il cono di Emesa, allorché sofferse l’incendio accennato da F ilip p o3. Bum haec longo sermone meditantur4 (ripiglia lo storico dopo rife­ rito per summa capita il discorso di Filippo), viso Gatafronio sacer-1 2 3 4

1 V edi F r . Cumont, Elagabalus, in: Pauly-W yssow a, B E , 5, 2, col. 2222. 2 Nella Passio s. Sebastiani, ritenuta anteriore alla fine del Y secolo (v. F ranchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche, V , p . 24, nota 4; D elehaye , Étude sur le Légendier, p. 70), il martire, disceso dalla casa d’ Irene, che stava in scala excelsa ad Palatium (c. 23, 86), si ferm a super gradus Heliogabali (Ihid., 87, in S. A mbrosii Opera omnia, ed. Ballerini, 6, Mediolani 1883, p . 830). 3 Del quale incendio peraltro non si trova - che io sappia - alcun cenno, V. J ordan , Topographie, 1, 3, p. 106, nota 147. E nulla si sa di un incendio toccato al tem pio di Elagabalo in Emesa prim a o dopo che Aureliano l ’ebbe rifatto magnificamente nel 272 (v. Scriptores hist. Aug., 26, 25, 4-6; cf. A v ie n ., 3, 1088 sg.). 4 Nessun dubbio, per me, che meditantur è lezione genuina; esito però a riconoscervi un passivo, com e credette già colui il quale nel cod. Bruxellense 9289 aggiunse: a Philippo. Meditantur, a mio avviso, è medio qui com e a c. 3, 5, è il soggetto, sottinteso quidam circa beatum Philippum, i. e. oi περί Φίλιππον. Quel correttore che a c. 5 (dove s’introduce il discorso di F ilippo) m utò expone­ bant dicentes in exponebat dicens, perchè notò il discorso non poter essere stato fatto dai quidam circa b. Philippum, lasciò qui le cose com e stavano, prestandosi meditantur ad esser preso per un passivo retto da haec. Nella Passio s. Pionii, servita di modello al nostro agiografo, una volta si usa il passivo (c. 5, 1 [ed. K n op f e Krüger, p. 48, 20]: τούτων δέ καί άλλων πολλών λεχΟέντων), una volta Fattivo (c. 15, 1 [ed. cit., p. 53, 30]: ταΰτα δέ αύτοΰ λαλήσαντος).

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dote et ministris ceteris infelices epulas et profana sacra1 portantibus, sic ad circumstantes se Kermes edixit: ‘ Genam istam, quam cernitis, diabolica invocatione pollutam nobis constat allatam ’ 2. Attese le varie coincidenze della nostra Passio con quella di s. Pionio 3, si è tentati di ravvisare in Catafronio una copia del δημόσιος che avrebbe dovuto porgere Ι’ειδωλόθυτον a Pionio e ai suoi compa­ gni, se gli fosse stato consentito. Ma la scena è ben diversa. Pionio, Asclepiade, Sabina sono tratti dalle prigioni μΐΐ’άγορά, dove nel santuario delle Nemesi, a piè dell’al­ tare, i magistrati cercano d ’indurli a seguire l’esempio funesto del vescovo Euctemone che ha sacrificato agli dèi. Ma essi rifiutano con estrema energia, fino a discerpare e gettar lontano le corone po­ ste loro sul capo a viva forza. Sicché il δημόσιος, di cui si tace il nome, non osando neppure di avvicinarsi, divora in presenza di tutti l’idolotito preparato per Pionio. I martiri riguadagnano le prigioni fra i lazzi e le percosse del popolaccio: sull’ingresso un poliziotto appoggia a Pionio un ceffone, ώστε τραυματίσαι αυτόν (18,10). Il sacerdote Catafronio invece giunge nel foro di Eraclea accom­ pagnato dai suoi ministri, per attendervi il preside che, in udienza pubblica, intimerà ai due ecclesiastici di compiere le cerimonie pre­ scritte dal decreto imperiale. Ciò prevedendo, Ermete ne avverte il vescovo, che risponde tranquillamente: Fiat illud quod Domino placet. Ed ecco Basso, seguito da una folla grande di ogni età e di ogni sesso, parte simpatizzante con i perseguitati, parte (massime gli Ebrei) ad essi ostilissima, ut dicerent servos D ei omnes - non solo i due arrestati, non solo i membri del clero, come precisa l’editto, ma tutti i fedeli1 3 2 1 Più propriamente si sarebbe detto, in contrasto oratorio, sacra sacri­ lega (Cyprian ., De borio pat., 4 [ed. Hartel, p. 399, 5]; Optat., 3, 8 [ed. Ziwsa, p. 90, 19]; Commodian., A poi., 680, etc.). Tuttavia s. Cipriano dice talvolta profana tempia, dii profani e simili (De bono pat., loe. cit. e 19 [ed. Hartel, p. 399, 4; 411, 4]). Sacra ( = le cose necessarie al sacrifizio) portare, ferre, gerere è espres­ sione comune (v. per es. L iv ., 5, 46, 2 ad id [sc. sacrificium\ faciendum C. Fabius . . . sacra manibus g eren s.. . in Quirinalem collem pervenit; V erg ., A en., 3, 19 sacra Dionaeae matri divisque ferebam; 6, 808 quis procul ille. .. /sacra ferens1, etc.). 2 Notai m olti anni fa ebe la lezione: cenam is ta m .. . diabolica invocatione pollutam nobis constat allatam, parrebbe doversi combinare con l’altra: cenam ista m .. . diabolica est invocatio et ut polluat nos constat esse allatam, scrivendo cenam ista m .. . diabolica invocatione pollutam, ut et nos polluat nobis constat allatam (Franchi de ’ Cavalieri, Note agio grafiche, V, p. 101). Ma a torto: lu lezione da me adottata non lascia nulla a desiderare nella sua brevità. 3 Vedi F ranchi d e ’ Cavalieri, Hagiographica, p. 126, nota 1.

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- ad sacrificia debere conpelli. Senza badare a queste grida incomposte, il preside intima a Filippo: Immola victimas numini. Il tradut­ tore, o il rielaboratore latino ha sostituito qui, secondo l’uso dei pari suoi, una perifrasi all’originale επίθυσον ο θϋσον τοίς θεοις, commet­ tendo una inesattezza; poiché ciò che il preside esige dal vescovo non è di immolare vittime, ma di turificare (επιθτίειν, θ-υειν) 1 e gu­ stare insieme di quei cibi diabolica invocatione polluti, che Catafronio ha portato a bella posta. Tranne questa inesattezza, nella intimazione immola victimas nummi, non c ’è niente che stuoni sulle labbra di un magistrato pagano del secolo IY incipiente. Forse, in luogo di numini il lettore si aspetterebbe il plurale numinibus come ha il codice Bruxellense 9289 (cf. 7 ,1 : sacrificium solve numinibus·, 9, 8: effuge mala omnia sacrificando numinibus). Ma la genuinità della lezione numini è confermata dalla bontà della clausola, e d’altra parte il singolare numen ( = mente divina, potere divino) non s’incontra così di rado negli autori pagani2. Alla risposta di Filippo: ‘ Come posso adorare le pie­ tre io cristiano ? ’ Basso replica: Dominis nostris sacrificia rite sol­ venda sunt. Domini nostri sono detti gl’imperatori quasi di regola negli Atti dei martiri dell’ultima persecuzione 3, più di rado in quelli

1 Propriamente ture et vino supplicare (P l in ., Epist., 96 [97], 5 ad Traian.). 2 In ogni m odo ciò p oco im porta, perchè, secondo tutte le probabilità, nell’originale greco non c ’era una parola corrispondente appuntino a numini (tò θειον, ο ή θειότης), nè una parola corrispondente a victimas. D ove la Passio s. Mariae ancillae, rielaborazione della Passio s. Ariadnes, legge imperatori pariter devotus et numini, l ’originale ha εύγνώμονα προς τ ο ύ ς θ ε ο ύ ς καί τούς Σεβαστού;; vedi Note agiografiche, p. 1 4 ,9 ; 1 5 ,5 ). Quanto a, immola victimas, avverti che, se il latino si fosse contentato di scrivere immola senz’altro, avrebbe evitato almeno di cadere in errore: il verbo immolare infatti si trova usato talvolta, benché impropriamente, com e sinonimo di turificare (per es. Pas­ sio s. Grispinae 2, 1 [ed. K n op f e Krüger, p. 110, IO]: ut . . . diis Romanorum tura immoles). Si noti ancora che, se il preside si fosse in realtà espresso com e nel latino (immola victimas numini), la risposta di Filippo (quomodo lapides colere possum Christianusi) non calzerebbe perfettam ente. Filippo avrebbe dovuto dire e. g. non immolo, non enim talia sacrificia desiderat Deus. Che è la risposta di Filea alla ingiunzione di Culciano: Immola ergo Deo soli (Passio ss. Phileae et Philoromi, 1, 2, ed. K n op f e Krüger, p . 113, 10). 3 Infatti domini nostri (in greco οί δεσπόται, oi κύριοι ημών) si legge nelle Passiones di Massimiliano (2, 9), di Marcello cent. (2, 2), di Dasio (7, 1), di Agape (3, 4; 4, 3), di Euplo (1, 1; 2, 1), di Claudio, Asterio, etc. (1, 3.6), di Crispina (1, 1.7; 2, 4), di D ioscoro (v. Quentin , Passio s. Dioseori, p . 323, 5.15. 27). Solo nella Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., che pure è dello stesso tem po, il

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delle persecuzioni anteriori, mai per es. nel Martyrium s. P ion ii, dove i giudici dicono δ αυτοκράτωρ senz’altro (3, 2; 8, 4), negli Aeta proconsularia di s. Cipriano, nei quali troviamo sacratissimi imperatores o s. principes, nella Passio s. Fructuosi, in cui il preside dice sempli­ cemente imperatores (2, 2. 3). Peraltro Emiliano, prefetto di Egitto nel 259, interrogando s. Dionisio di Alessandria, chiama gl’impera­ tori οϊ κύριοι ημών e οΐ σεβαστοί ημών (ap. Euseb., Hist, eccl., 7, 11, 6.10), e il proconsole d ’Africa Saturnino nell’a. 180 designa Com­ m odo domnus noster imperator (Acta Mart. Scilitanor., 1 .3 .5 ) d’accordo con Perennis praefectus urbi (Martyrium Apollonii, 3 τοΰ κυρίου ημών Κομόδου τοΰ αΰτοκράτορος1). Viceversa Anullino, proconsole d ’Africa, proconsole dice semplicemente imperatores et caesares (c. 6, 7; 10, 3; 12, 7, ed. Franchi d e ’ Cavalieri, Note agiografiche, V i l i , p . 54, 17; 57, 1; 59, 4). i È n oto del resto che il titolo di dominus dato a Caligola, a Claudio, a Nerone, divenne ufficiale sotto il regno di Dom iziano (v. G. A. D eissmann , Licht vom Osten*. . . , Tubingen 1923, p. 300 sgg.; J acquier, Les Actes, p. 702, nota ad Act. Apost., 25, 26). Bisogna guardarsi dunque dall’assegnare un testo agiografico a questo ο a quel secolo sull’unico fondam ento di qualche espressione, com e fa K . H oll (Die Vorstellung vom Màrtyrer__ _ in Neue Jahrbiicher fiir das lclassische Altertum, 33, 1914, p. 629, nota). Egli rileva nella Passio s. Fructuosi « den dem Stil der nachdiocletianischen Akten entsprechenden A ufgang des Verhôrs (c. 2,1): ex officio dictum est: Adstat, etc. », onde nega che la detta Passio possa risalire alla seconda metà del I II secolo. Afferma che la Passio ss. Agapes, Irenes et Chiones risale tu tt’al più all’ultimo quarto del IV secolo, perchè il Cristo v ’è chiamato δεσπότης e le espressioni καταλείπουσι μέν τήν πατρίδα καί γένος κα'ι περιουσίαν, μέχρι θανάτου τον δεσπότην άγαπήσασαι hanno sapore monastico. L e espressioni ex officio dictum est, ex officio recitatum est, ad officium dixit occorrono già negli A tti, assolutamente autentici (J. de Matol de L upé , Les Actes des martyrs comme source de renseignements pour le langage et les usages des I I e et I I I e siècles, in Revue des Études latines, 17, 1939, p. 91 sgg.) di Massimiliano tiro, dell’a. 295, e in quelli di Marcello centurione, dell’anno 298 (ed. K n opf e Krüger, p. 86, 26; 88, 14.16; 89, 11.14). Sarà dunque più prudente dire che il prim o, o uno dei primi esempi di ex officio dictum est si legge nella Passio s. Fructuosi, testo, secondo ogni verisimiglianza, su per giù contemporaneo ai fatti che narra, in altri termini, della seconda m età del secolo III. Nella Passio ss. Agapes, Irenes et Chiones giudicata dallo H oll così recisa­ mente, in prim o luogo vanno distinti gl’interrogatori dall’introduzione e dalla fine; quelli, senza fallo, degl’inizi del IV secolo, queste di un redattore più tardo (v. F ranchi de ’ Cavalieri, Nuove Note agiografiche, p. 3 sgg.; D elehaye , Les Passions des martyrs, p. 141 sgg.). Le espressioni incriminate dal critico tedesco stanno tutte nell’introduzione (ed. K n opf e Krüger, p . 95, 5.16.25); quindi non è consentito valersene per abbassare l ’età dell’intera Passione. In ogni m odo esse non paiono tali da dover essere ascritte a una m ano non anteriore all’ultimo

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processando i martiri Abitinensi nel 304, dice imperatores et caesares, mai domini nostri (Passio ss. Saturnini, Dativi et soc., 6, 7; 10, 3; 12, 7, ed. Franchi, Note agiografiche, V i l i , p. 54,17; 57,1 ; 59, 4); nel­ l’interrogatorio però di Crispina di Thagura: domini nostri, dd. nn. principes, imperatores dd. nn., dd. nn. invictissimi caesares (Passio s. Crispinae, 1 ,1 . 3. 7; 2, 4). Alla nuova repulsa del martire, Basso non perde ancora la pa­ zienza nè la speranza di riescire con le buone a piegare quella volon­ tà di ferro. B invita Filippo, prima a sacrificare alla Fortuna della città, così bella, così festevole, così sensibile agli ossequi del popolo poi al simulacro d ’Èrcole, l’iddio sempre pronto a favorire i suoi cul­ tori nell’antica Perinto che, per devozione a lui, ha assunto da pochi lustri il nome di E raclea2. Il preside accenna, naturalmente, a due quarto del IY secolo. Allo Holl è sfuggito che N. S. Gesù Cristo è chiamato δεσπό­ της da E usebio nel discorso per i tricennali di Costantino, dell’a. 335 (της τοΰ δεσπότου προσηγορίας ήξίωται τα καθιερωμένα [17, 4, ed. Heikel, p. 255, 1]), e già da Obigene (per es. in Comm. Ioh., 32, 11, 12 [ed. Preuschen, p. 444, 33]: ώστε τόν δεσπότην ήκειν επί το νίπτειν τούς πόδας τοΰ πιστεύοντος δούλου; In Luc. horn. 6 [ed. Rauer, p. 41, 6]: δεσπότης καί δημιουργός καί κύριος τοΰ παντός), da Clemente d ’A lessandbia (Paedag., 2, 8, 61, 2 [ed. Stàhlin, p. 194, 5]: δπερ ηγείτο τό κάλλιστον, τό μύρον, τούτωι τετίμηκε τόν δεσπότην) e fin dall’apostolo S. Giuda (Epist., 4 τόν μόνον δεσπότην καί κύριον). Quanto p oi ai due luoghi - secondo K . Holl - di sapore monastico, essi, a nostro avviso, non ne hanno punto. È vero, allo scoppio della persecuzione le tre giovani, gettandosi alla montagna, καταλείπουσι μεν τήν πατρίδα καί γένος καί περιουσίαν καί κτήσιν. Ma s. Cipriano, al tem po della persecuzione di D ecio, non parla diversamente di quei cristiani qui et rebus suis et parentibus derelictis, individuis Christi nexibus adhaeserunt (De laps., 11). E così dove accenna al bonus miles (Christi), qui omnia sua dereliquit et contempta domo et parentibus amt liberis sequi Dominum suum maluit (Epist., 57, 4, 3, ed. Bayard, p. 157), e quando ricorda il dovere di lasciare ogni cosa per non cadere nell’idolatria: relinquenda.. . patria et patrimonii jacienda iactura (De laps., 10, ed. Hartel, p. 243, 20). Ancora meno caratteristica del linguaggio monastico mi pare l ’espressione μέχρι θανάτου τόν δεσπότην άγαπήσασαι (cf. Passio, 5, 3 [ed. K n op f e Krüger, p. 98, 18]: ό είπών εως θανάτου άγαπήσαι αυτόν), che allude chiaramente ad Apoc., 2, 10 γίνου πιστός άχρι θανάτου καί δώσω σοι τόν στέφανον της Ζωής (cf. I ac ., 1, 12 λήψεται τόν στέφανον της Ζωής, δν έπηγγείλατο ό κύριος τοίς άγαπώσιν αύτόν). 1 II pensiero corre alle tante statue della Fortuna, com e la nobile Τύχη di A ntiochia del Museo P io-d em en tin o (vedi S. Reinach , Répertoire de la sta­ tuaire grecque et romaine, Paris 1897-1910, 1, p. 221 sgg., 450; 2, p. 261-266,798; 3, p. 81; 4, p. 142-155). 2 Eraclea, chiamata prim a Perinto (com e ricordano A mm ., 27, 4, 13; S. Gikolamo, Epist., 119, 2, 2, ed. Hilherg, 2, p . 447; T eodobeto , Hist, eccl., 1, 28, 2, ed. Parmentier, p. 82, 16; Z osimo, 1, 62, 1, ed. Mendelssohn, p. 44;

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statue del foro in cui ha luogo l’interrogatorio, l’una insigne per la sua bellezza, l’altra imponente ancora per le dimensioni 1, yeneratissime entrambe. La risposta di Filippo - un’invettiva contro il culto degl’idoli convince il giudice della inanità dei suoi sforzi, onde, stizzito, passa ad interrogare Ermete. Ermete, decurione, cioè membro del senato locale, non si mostra meno inflessibile del suo maestro: nè agli dèi, nè agl’imperatori farà mai sacrifizio 2. Sicché Basso chiude l’udienza, ordinando di tradurre i due ribelli nelle pubbliche carceri. Quest’or­ dine è impartito con truce cipiglio e con tono orrendo di voce, se­ condo l’u s o 3; ma ciò non toglie che il preside provi in fondo al cuore T eofane , Chron., ad a. m. 5942, ed. de B oor, p. 103), ricevette la nuova deno­ minazione verso la fine del secolo III (la più antica testimonianza è Fr. Vat., §. 284: I I I id. Oct. Eeraclia Thracum, a. 286). Tale denominazione si deve forse a Diocleziano Iovius, il quale avrebbe inteso così di onorare - giusta la con get­ tura di Th. Mommsen - il suo nuovo collega Massimiano Eerculius (v. la nota del Mendelssohn al luogo sopra citato di Zosim o). A l tem po di L attanzio (De moti., 45, 6.7) pare che i nomi di Perinto e di Eraclea fossero usati prom iscua­ mente. Anche Ammiano Marcellino ora dice Heraclea (22, 8, 16), ora Perinthus (31, 16, 1), ora Heraclea Perinthus (22, 2, 3). Eraclea e Filippopoli erano le due principali città della Tracia; nella prima risiedeva il governatore della provincia, come si raccoglie altresì dalle iscrizioni che dimostrano essere stato ivi l’officium 'praesidiale (A . Stein , Bòmische Beichsheamte der Provinz Thracia, Serajevo 1920, p. 110, 112). 1 Praesentis Herculis tam pulchrum et tam inmane simulacrum. Praesentis, più che la presenza della statua là dove si svolge il processo, indica il pronto efficace favore del dio verso i cultori di quella sua statua (v. per es. Y eeg ., Ecl., I, 40 neque servitio me exire licebat / nec tam praesentis alibi cognoscere divos; P lin ., Epist., 8, 8, 5 praesens numen.. . indicant sortes, e tc.; cf. A rnob ., Adv. nat., 1, 39 [ed. Hartel, p. 26, 12]: s i . . . conspexeram lubricatum lapidem... tamquam inesset vis praesens, adulabar). Che nel caso nostro praesens possa, come opinava il M azzocchi (Commentarius, p. 218, col. 2) pro cognomento Herculis accipi, qui alibi Pollens, Potens, etc. in marmoribus cognominatur, non crediamo. 2 Nell’interrogatorio di Ermete è da notare la risposta ch ’egli dà alla minaccia del preside: « Se persisti, sarai bruciato vivo ». « Tu », dice Ermete, « m i com m ini un fuoco che prima ancora di divampare ecco è già spento, e ignori la veemenza di quell’incendio che senza alcuna intermissione consuma in eterno i servi del diavolo ». Questa replica concorda poco meno che ad verbum (lo rilevò già K . H oll, Die Vorstellung, p. 529 nota) con quella di s. P olicarpo: πΰρ απειλείς τό προς ώραν καιόμενον καί μετ’ ολίγον σβεννυμενον · αγνοείς γάρ το τής μελλούσης κρίσεως καί αιωνίου κολάσεως τοΐς άσεβέσι τηρούμενον πΰρ (Passio, II, 2, ed. K nopf e Krüger, p. 4, 22 sgg.). 3 C. 7, 13 truci vultu et oratione terribili (cf. L act., De mort, persec., 9, 8 truci vultu ac voce terribili). - La iudiciaria auctoritas richiedeva un aspetto se-

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un sentimento misto di pietà e di ammirazione (7, 1 Philippi constan­ tiam vehementer admirans) per l’intrepido vegliardo. Durante il tragitto dal foro alle carceri alcuni del popolo 1 si av­ ventano con i pugni a Filippo, gettandolo ripetutamente a terra 2; ma ogni volta egli si rialza senza dar segno nè di dolore nè di dispetto. Chi pensa ai maltrattamenti dei quali furono oggetto οι περί τον Πιόνιον nel tornare dal Νεμεσεΐον alla prigione, è naturalmente portato a so­ spettare di un imprestito da parte del redattore della Passio s. Philippi. Tutto ben considerato però, sembra più probabile trattarsi di una coincidenza fortuita e, per giunta, assai vaga. In realtà accadde non di rado e un pò da per tutto che i martiri fossero ingiuriati e percossi dalla bordaglia pagana mentre venivano condotti in carcere o al sup­ plizio. Poi, mentre il popolo schernisce e percuote tutto il gruppo di Pionio e compagni (ó δχλος ενέπαιζε καί ερράπιζεν αυτούς), coloro che incrudeliscono contro Filippo, lasciano in pace Ermete, come si può dedurre dal silenzio dello storico, e ne vedremo in seguito la ragione. È infine altra cosa il fatto del ceffone che Pionio riceve tacendo (ó δέ ήσΰχασεν 18,10) da un poliziotto (εις των διωγμιτών) in sul rimettere piede nel carcere, altra cosa la ferocia di alcuni mascalzoni che ripe­ tutamente si avventano contro Filippo lungo la via che conduce dal foro alla prigione. Di lì a pochi giorni divinae maiestatis auxilio Pancratii cuiusdam domus vicina complacuit, in qua sub custodia reciperentur hospitioi. Se vero e un tono di voce corrispondente. Vedi per es. Passio s. Cassiani Ting., 1 [ed. R uinart , Acta, p. 267]: (Aurelianus Auriculanus) multa et terribili eum (Cassianum) voce, quasi iudiciaria auctoritate. . . depravare tentabat, cf. F ranchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche, V i l i , p. 34, nota 2. 1 L o scrittore li chiama quidam ex adsistentibus viris (ιών παρόντων, των παρεστηκότων): non può dunque trattarsi dei milites dell’officium, ma di persone presenti a caso o per curiosità, di oziosi o vagabondi, di alcuni των αγοραίων, per dirla con la Passio s. Pionii, 5, 2 (ed. K nopf e Krüger, p. 48, 25). 2 Cf. Passio s. Pionii, 18, 6 (ed. K n opf e Krüger, p. 55, 1 sg.): άνέπεμψαν αητούς πάλιν εις τήν φυλακήν, καί ό όχλος ενέπαιζε καί ερράπιζεν αυτούς. Ricorda anche le ποικίλαι πληγαί sofferte da s. P otino in Lione per opera della feroce b o r­ daglia (Epist. eccl. Vienn. et Lugdun., ap. E useb ., Hist, eccl., 5, 1, 31), le v io ­ lenze del popolaccio di Alessandria contro la vergine Potam iena (E useb ., Risi. eccl., 6, 5, 3), etc. 4 Hospitio recipi, in hospitio custodiri si oppone a in carcerem recipi, in carcere teneri e simili, e significa esser posto agli arresti in una casa privata, ciò che si diceva custodia libera (φυλακή άδεσμος) o c. delicata. Vedi Acta proc. s. Cy­ priani, 26 (ed. R . Reitzenstein , Die Nachrichten über den Tod Cyprians. . . , Heidelberg 1913, p. 14, 13): tunc beatus Cyprianus ductus ad principem. . . officii

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non m ’illudo del tutto, queste poche parole ci permettono di ricostruire un episodio notabile del martirio di Filippo ed Ermete. Un personaggio, di cui l’agiografo ci dà appena il nome, ma probabilmente un amico o un conoscente pagano dei due martiri, o di uno di loro, si offre a cu­ stodirli nella propria casa fino al giorno che il preside stabilirà per il processo. Il preside, su raccomandazione (com’è lecito supporre) della consorte cristiana, acconsente, addita, però, militari custodia. Così il vescovo e il diacono sono fatti passare dal carcere e dai vincula 'publica, alla custodia libera presso Pancrazio, custodia e molto meno penosa e non giudicata disonorante. I detenuti in custodia libera, oltre che ordi­ nariamente non erano avvinti di catene (quindi la denominazione cu­ stodia libera, φυλακή όίδεσμος), potevano godere qualche comodità e perfino ricevere visite. Ma alla condiscendenza del governatore non corrispose, a quanto pare, la prudenza dei fedeli, i quali, concorrendo in folla nella casa di Pancrazio per udire la parola del loro vescovo, suscitarono l’ira dei pagani. E Basso che, non ostante la mitezza del suo carattere, non ostante il desiderio di contentare la moglie, era lontano dal voler ri­ schiare la sua posizione, ordinò che Filippo ed Ermete fossero senz’altro rimenati nel carcere. Anche nel carcere però si riesci a dar modo al santo vescovo d ’istrui­ re e consolare i fedeli. Erat vicinus theatro career - narra la Passio drculo camerae cohaerens et ad clausum undique theatrum ex carcere secretus ingressus. In ea spectaculi sede residentes (Philippus et Hermes) suscipiebant confluentem ad se turbam. Per noi, lontani di tempo e di luogo, questo passo non pecca in verità per eccessiva chiarezza. D i­ fatti chi è oggi in grado di dire cosa per l’appunto abbia voluto signi­ ficare l’agiografo con le parole career circulo camerae cohaerens: che il carcere toccara il teatro col giro della sua volta? o che toccava il corridoio a volta, da cui era circondato il teatro P . E perchè questo è Galeri Maximi proe. secessit in hospitium eius. . . et ita idem beatus Cyprianus. . . eius cum e o . . . mansit; cf. Vita, 15, 5 (ed. H arnack , Das Leben Cyprians, p. 26): receptum eum tamen et in domo principis constitutum una nocte continuit custodia delicata. 1 Forse l ’agiografo volle dire semplicemente che il carcere era addossato alla periferia, all’anello del teatro, a quello cioè che Cassio D ione (62, 29, 1; 63, 22, 4) chiama appunto κύκλος, opponendolo alla σκηνή rettilinea o alla ορχήστρα (cf. 63, 6, 1 ; 50, 8, 3). Se così fosse, camerae andrebbe ritenuta un’ag­ giunta dell’interprete o del rielaboratore latino, cui potè non sembrare abba­ stanza chiara la voce circulus, presa da lui nel senso di giro della volta (com e in

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detto undique clausum ? Lo si era forse chiuso perchè minacciante rov in a lS>. Comunque, i particolari, accennati così di volo dall’autore, provano ch’egli conosceva «de visu» il monumento del quale si tratta. D ’altra parte fra questo luogo della Passio e ciò che precede non saprei assolutamente scorgere quella contraddizione che pareva indi­ scutibile al Führer. 1STella domus Panarati i martiri, costituiti in libera custodia, avevano potuto intrattenersi apertamente con i fedeli, ben­ ché sotto la sorveglianza dei custodi. Eeclusi nel career, dove non era consentito ricevere visite, proseguirono a riceverne di soppiatto. L ’usci­ ta dei martiri dalla prigione e il loro intrattenersi con i fedeli, anche di notte, nell’attiguo teatro presuppongono evidentemente la connivenza dei carcerieri, la quale, del resto, non presenta nulla di poco credibile, posta la illimitata venalità di quella classe di servi pubblici e la stima goduta in Eraclea specialmente da Ermete. E d io penso che lo stesso governatore Basso, se informato del fatto, avrebbe facilmente chiuso un occhio, mite e tollerante com ’era, salvo, ben inteso, le apparenze. Ma presto la situazione mutò in peggio, essendo succeduto a Basso nel governo della provincia Iustinus quidam et nomine et mente perver­ sus 2, come leggono i codici, ad eccezione del Parigino 12612, dove il

H e r o d ., 1 1 3 1 ; in S e p t ., E st., 4 , 34 κύκλος τού ουρανοί ; c f. S o p h ., Philoet., 8 1 5 τί τόν άνω λεύσσεις κύκλον). N o n si o s e r e b b e a ffe r m a re r e c is a m e n t e c h e theatrum (n e ll’ o r ig in a le , sen za m e n o , θέατρον) d e s ig n a i l te a t r o v e r o e p r o p r io , p o ic h é g li s c r it t o r i g r e c i c o n q u e l v o c a b o lo d e s ig n a r o n o a n c h e l ’ a n fite a tr o (Ίμφι&έατρον, άμφιύεαμα) c h ia m a to d a lo r o a ltr e s ì κυνήγιον (C a s s . D io , 7 8 , 2 5 , 2 θέατρον κυνηγετικόν), στάδιον, άρήνα. C o n le d u e u lt im e v o c i d e s ig n a n o l ’ a n fit e a tr o d i E r a c le a la Passio s. Glyeeriae (1 3 ), la Passio s. Sehastianae (3 , 1 7 ; 4, 18) e la Passio X L Mulierum (1 5 . 16),

V. Acta SS. Bolland., i n m a ii, 1 5 ; π iu n ii, 67. 6 8 ; D e l e h a y e , Saints de Thrace, p . 2 0 5 , 15. 16. M a r a g io n i p o s it iv e

per

c re d e r e c h e n e lla Passio s. P hilippi

la v o c e theatrum s ig n ific h i l ’ a n fite a tr o p iu t t o s t o c h e il t e a t r o , n o n n e v e d ia m o , tr a n n e fo r s e 1’ e s is te n z a d e l s e g r e to p a s s a g g io d e l c a r ce r e , a tte s o c h e i c o n d a n n a t i ad bestias d o v e v a n o essere c o n d o t t i d i là a ll’ a n fite a tr o , n o n a l t e a t r o , s a lv i r a ­ r iss im i ca si. 1 P a r e c h e n e l s e c. I l i e g ià a l t e m p o d i A le s s a n d r o S e v e r o i t e a t r i d i R o m a fo s s e r o q u a s i a b b a n d o n a t i, s c e m a n d o s e m p r e p iù il g u s t o p e r le r a p p r e s e n ta z io n i s c e n ich e . L o s te s s o s a rà a v v e n u t o n e lle a ltr e c it t à d e ll’ im p e r o . Q u in d i è le c it o c o n g e tt u r a r e c h e il t e a t r o d i E r a c le a , o r m a i fu o r i d i u s o e fo r s e a n c h e p e r ic o la n te , fo s s e s t a t o undique clausum p e r im p e d ir e c h e il p o p o l o v i si a d u n a s se . 2 Basso praesidi annuus successor advenit Iustinus. I l L e B l a n t (Les actes des martyrs, p . 12) n o t a : « L e s f o n c t io n s d e s ju g e s , o n le s a it, ô ta ie n t, s a u f e x ­ c e p t io n , a n n u e lle s », c it a n d o a d o c u m e n t o la Passio s. P hilippi e r im a n d a n d o a W . H . W a d d in g t o n (Pastes des provinces asiatiques de l’Empire rom ain . . . ,

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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primo et verme eraso e il secondo corretto, da un’altra mano, in set (Buinart: sed). Così (i. e. lustinus quidam 1 nomine sed mente perversus) potè certo scrivere il rielaboratore latino, se non si tratta di una cor­ rezione posteriore ex ingenio, ipotesi sommamente probabile. Senza dubbio l’originale greco non contenne alcuna allusione al significato del nome latino lustinus, allusione che la grandissima maggioranza dei lettori greci non avrebbe com presa2. Le parole di spiegazione che lo scrittore soggiunge, qui nesciret Deum vel intellegere vel tim ere3, insi­ nuerebbero la correzione et animo et mente perversus 4. Perversus di

P a r is 1872, p . 6 -1 1 ). V e r a m e n t e la d u ra ta in c a r ic a d e i g o v e r n a t o r i d e lle p r o ­ v in o le e r a , d i r e g o la , a n n u a (S u e t o n ., A ug., 4 7 ; T a c ., 4 » » . , 3, 5 8 ; c f. C y p r i a n .,

Epist., 37, 2 , 1 [e d . B a y a r d , p . 9 3 ]: eant nunc magistratus et consules sive procon­ sules, annuae dignitatis insignibus. . . glorientur), b e n c h é s p e sso si p ro lu n g a s s e , d i f a t t o , o lt r e q u e s t o t e r m in e . M a i g o v e r n a t o r i d e lle p r o v in o le im p e r ia li r e s t a ­ v a n o q u a n t o v o le v a il P r in c ip e : v e d i L . C a n t a r e l l i , La serie dei prefetti di

Egitto. I . , R o m a 1906, p . 6 s g . ; P . R o m a n e l l i , Provincia, i n : Enciclopedia ita­ liana, 28, [R o m a ] 1935, p . 4 1 2 , c o l. 2. 1 II P . B o s s u e p r o p o s e d u b it o s a m e n te d i s c r iv e r e quidem. M a q u e sta c o n ­ g e ttu r a h a il t o r t o

d i s u p p o r r e p iù a u to r iz z a ta c h e n o n

è d i f a t t o la le z io n e

lustinus... nomine, sed mente perversus. 2 G iu s tin o n o n c i è n o t o c h e p e r la Passio s. P hilippi. D e i p r e s id i ch e g o ­ v e r n a r o n o la T r a c ia fr a il 303 e il 305 c o n o s c o s o lt a n t o Domitius Domninus ( I n ­

scriptiones graecae, 1, n n . 7 8 9 -7 9 2 ). 3 D a q u e s te p a r o le si è v o lu t o d e d u rr e c h e , s e c o n d o l ’ a g io g r a fo , B a s s o , a d iffe r e n z a d e l s u o s u c ce s s o r e , G iu s tin o , « c o n o s c e v a D io » (A l l a r d , La persé­

cution de Dioclétien, p . 1 7 6 ). D e d u z io n e in g iu s tific a ta . M a n c a p u r e d i s o lid o fo n d a m e n t o l ’ip o t e s i c h e B a s s o d is ce n d e s se d a q u e ll’ Ia lliu s B a ss u s ch e g o v e r n ò la M e sia I n f. n e l 161 e la c u i fig lio la e ra s e p o lt a n e l c im it e r o d i C a llisto (G . B . de R o s s i,

La Poma sotterranea, 1, p . 309 e t a v . 3 1 , 12 ). P o s s ia m o n o ta r e s o lt a n t o ,

c o n F r . C u m o n t ( Les Actes de s. Dasius, in Analecta Bollandiana, 16, 1897, p . 7, n o t a 2 ), c h e il c o g n o m e n B a s s o è fr e q u e n t is s im o s o t t o l ’ im p e r o : u n M . M a criu s B a ss u s è c o n s o le p e r la s e c o n d a v o lt a n e l 2 8 9 , u n S e p tim u s B a ss u s è praefectus urbi d a l 31 7 a l 3 1 9 , u n B a s s o è praefectus praetorio n e l 313, e t c . N e l 3 0 3, m e n tr e il n o s tr o B a ss u s tie n e il g o v e r n o d ella T r a c ia , g li A t t i d i D a s io d i D u r o s t o r o n o ­ m in a n o u n B a ss u s le g a t o d e lla M esia I n f.

4 Gli scrittori latini uniscono volentieri animus (o anima) e mens. Non solo i classici (come Caes ., D e bello Gall., 1 , 39 mentes animosque perturbai; D e bello civ., 1, 21 ut alius in aliam partem mente atque animo traheretur; V erg ., A en., I, 304 animum mentemque; 6, 11 mentem animumque, etc.); ma anche gli scrittori cristiani (Act. Apost., 4, 32 anima ac mente una agebant [ap. Cyprian ., Epist., I I , 3, 1, e d . B a y a r d , p . 2 9 ]; e t a lib i D a m a s ., Epigr., 59 [a lia s : 61] corpore mente animo; P a u l in ., Carm., 3 1 , 3 0 9 ). Mens è l ’ in te llig e n z a , anima la v o lo n t à , il c u o r e (o n d e n e l lu o g o s o p r a c it a t o d e g li Acta Apostolorum il g r e c o h a καρδία καί ψυχή μία).

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

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animo, nesciebat Deum Umere; perversus di mente, nesciebat Deum in­ tellegere. Giunto il nuovo governatore in Eraclea, non tardò a interessarsi dei detenuti cristiani, principiando dal vescovo. Infatti Zoilus magi­ stratus illius civitatis, con la solita scorta di soldati e gran codazzo di popolo \ cava Filippo dal carcere per presentarlo a Giustino. Dall’esser qualificato Zoilo magistratus illius civitatis si raccoglie che il redattore del testo a noi pervenuto non sta in Eraclea, perchè in questo caso avrebbe detto huius civitatis, non mai illius. Giustino domanda a Filippo se è vescovo dei cristiani, e sentito che sì, gli notifica il precetto degl’imperatori Christianos omnes ad sacrificium, si noluerint sponte, necessitate conpelli, negantes poena adfici. Così generale fu l’editto della primavera del 304; i tre del 303 ave­ vano riguardato soltanto il clero. Diremo dunque che Giustino inter­ rogò la prima volta i nostri martiri nel 304, secondo la comune sen­ tenza degli storici? ilo , a nostro avviso, quell’interrogatorio risale sicuramente al marzo del 303. Ma per omnes Christianos s’ha da in­ tendere tutti i cristiani rivestiti di dignità ecclesiastiche1 2, non tutti i fedeli, come possiamo arguire dalla domanda precedente del giudice: Tu es episcopus christianus (non dice senz’altro: Tu es christianus) ? e dal fatto ch’egli infierisce unicamente sui tre membri dirigenti la cristianità di Eraclea. Ï quali vengono trattati appunto secondo le disposizioni degli editti dell’anno 303. . È vero che quando, su nuove pressioni del preside perchè sacri­ fichi almeno agl’imperatori, Filippo replica: Quod dicis facere non pos­ sum: iussus es punire, non cogere, salta agli occhi di ognuno l ’incongruenza di quest’ultima proposizione in aperto contrasto con l’editto quale è stato riassunto da Giustino (Christianos ad sacrificia, si no1 C f. Passio s. P ionii, 15, 1 (e d . K n o p f e K r ü g e r , p . 53 , 31 s g .) : επέστησαν αύτοίς ό ν εω κ ό ρ ο ς Π ο λ έμ ω ν καί ό 'ίππαρχος Θ εόφ ιλος μετά διω γμ ιτώ ν καί όχλου πολλοΰ. 2 C iò c h e l ’ o r ig in a le g r e c o d ic e v a fo r s e e s p re s sa m e n te . N e l s e c o n d o e d it t o d el 30 3, c o m e n o t a E u s e b io (Hist, eccl., 8, 2, 5 ; c f. 1 e Mart. Pal., p r o e m .) , π ρ οσετά ττετο τούς τ ω ν εκκλησιών π ρ οέδρου ς πάντας... π ρ ώ τ α μεν δεσ μ οϊς π α ρα δίδοσ θ α ι, ε ίθ ’ ύ στερον πάσηι μηχανήν εξα να γκά ζεσθ α ι (c f. Hist, eccl., 8, 6, 8 ). Π άντας, n o n p iù s o lta n to q u e lli c h e s i s o n o r ifiu ta t i d i c o n s e g n a r e le S c r itt u r è e i te s o ri. P a r c h ia r o , d e l r e s to , c h e G iu s tin o a g is ca in c o n fo r m it à d i q u e s t o s e c o n d o e d it t o , p e r c h è , in t e r r o g a t o i l v e s c o v o e f a t t o lo tr a s cin a re p e r la c it t à , lo r im a n d a in c a r ce r e , la s c ia n d o v e lo m a rc ir e c o n i d u e s o c i p e r s e tte m e s i. A l v o lg e r e d el s e t tim o m e s e l i in t e r r o g a d i n u o v o , a n o r m a d e l t e r z o e d it t o , e l i c o n d a n n a a l r o g o (τούς κατακλείστους θύσαντας μέν εάν βαδίζειν επ’ ελευθερίας, ενισταμένους δέ

μυρίαις καταξαίνειν προστέτακτο βασάνοις [E u s e b ., Hist, eccl., 8, 6, 10]).

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LA « PASSIO » D I S. FILIPPO

luerint sponte, necessitate c o n p e l l i ’, cf. Euseb., Hist, eccl., 8, 2, δ προσετάττετο τούς των εκκλησιών προέδρους πάντας.... πάσηι μηχανή ι έ ξ α ν α γ κ ά ζ ε σ θ α ι ) . Ma tale proposizione, benché si trovi in tutti i codici fin qui conosciuti, compreso il Parigino 12612 (dove tuttavia venne cancellata), è, suppongo, una interpolazione del rielaboratore della versione latina, suggeritagli dalla Passio s. P ionii (16, 6 κολάζειν έκελεύσθητε, ού βιάζεσθαι). L ’interrogatorio termina con l’ordine inumano di trascinare il santo vecchio a capo all’ingiù per le vie di Eraclea, e, qualora sopravvi­ va, rinchiuderlo di nuovo nel carcere in attesa di ulteriori torm enti1. Filippo, sanguinante per numerose ferite in tutte le parti del corpo, ma vivo, è riportato pietosamente sulle braccia dei fedeli. Particolare degno di nota, anche perchè concorre a provare non ancora perseguitata la massa dei laici. Siamo al c. 9, che si inizia con un accenno alle operazioni in grande stile, con le quali la polizia sperava di arrivare finalmente a metter le mani sul prete Severo fuggito, l’agiografo non dice nè precisamente quando nè come nè dove. Ogni ricerca sarebbe però riescita vana, se d’improvviso il latitante, per impulso dello Spirito Santo non si fosse costituito al preside. Che, interrogatolo brevemente, lo caccia in pri­ gione con gli altri. Questo episodio, anche per il modo forzato con cui s’innesta nella narrazione fra l’interrogatorio, or ora riferito, di Filippo e quello di Ermete che riferiremo un p o’ più avanti, ha, se non sbaglio, tutta l’aria di una interpolazione dell’interprete o del rimaneggiatore della versione latina. Io almeno non vedo perchè Ermete, sempre unito al suo vescovo, sempre interrogato dopo di lui immediatamente, insieme con lui condannato e arso vivo con lui nel medesimo rogo, soltanto qui ceda il posto a Severo messo subito dopo da parte e da parte ucciso il giorno appresso al vescovo e al diacono. Ucciso, non si dice in osse­ quio a quale sentenza nè con quale supplizio e passando sotto silenzio la sorte toccata alle sue reliquie. Si risponderà che, comparso all’im­ provviso in tribunale durante l’interrogatorio di Filippo, Severo do­ vette essere interrogato dal preside là per là, rimandando per brevi istanti la chiamata di Ermete. Ma ciò non è detto nella Passio o, per lo meno, non è detto come certamente sarebbe stato detto, se narra­ tore dell’episodio fosse l’autore stesso della Passio. 1 S u ta li ba rb ari trascinam enti, v . F r a n c h i d e ’ C a v a l ie r i , Note agiogra-

fiche, V I I , p . 91.

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Si faccia bene attenzione all’inizio del capitolo: Sed pala post ad modum seragarentium contulerunt. Grandi praeterea inquisitione et magnis agebatur excubiis, wt Severus presbyter inveniretur, etc. La pro­ posizione Sed pala - contulerunt è insanabilmente guasta e mutila nel codice Parigino 5643, il più antico; tutti gli altri fin qui noti ci offrono vari tentativi di correzione, quanto manifesti, altrettanto arbitrari ed audaci. E devo confessare candidamente che l’emendazione da me proposta molti anni fa ( . . .ad modum sagenantium, grandi inquisi­ tione x. . . ) non mi sembra oggi meno audace e meno arbitraria delle altre. Ora, una così strana corruttela proprio là dove s’innesta il rac­ conto della comparizione di Severo, non sarà un indice di questo in­ nesto eseguito posteriormente ? Anche l’interrogatorio del santo prete si rivela, credo io, nella sua genericità, una invenzione posteriore. Giustino si limita ad esortarlo a obbedire ai lussa imperatoria e a non lasciarsi sedurre dal suo maestro. Severo risponde: M e necesse est tenere quod didici et in perpetuum ser­ vare quod colui. E poiché il preside insiste: « Se rifletti bene, compren­ derai che sacrificare ti è utile », egli si mostra inorridito al solo sentir parlare di sacrifizio. Sorprende come a un reo sottrattosi per parecchi giorni alle ricerche della polizia e quindi interrogato ora per la prima volta il giudice non chieda le generalità, nè dove sia stato, nè chi l’ab­ bia nascosto 1 2, nè lo minacci in alcun modo. H critico che trovasse insufficienti gl’indizì sopra rilevati e quelli che ci accadrà ancora di segnalare, e ritenesse perciò di dover asse­ gnare la scena della comparizione di Severo al primo redattore della Passio, si vedrebbe obbligato a riconoscere in questa scena il compen­ dio di una narrazione più estesa, a tenore della quale Giustino, mentre, dopo impartito l’ordine di trascinare per i piedi il santo vescovo F i­ lippo, si accingeva a far entrare Ermete, era avvertito dell’arrivo del 1 I n F r a n c h i d e ’ Ca v a l i e r i , Eagiographica, p . 125, n o t a 1. — Sagenan­ tium ( v e r b o c h e , p e r q u a n to s a p p ia m o , n o n o c c o r r e a lt r o v e ) s a re b b e la v e rs io n e d i σαγηνευόντων. S e c o n d o la c o n g e t t u r a d a n o i o g g i r ip r o v a t a , l ’ a g io g ra fo a v r e b ­ b e in te s o d i d ire c h e la p o liz ia p r o c e d e t t e a q u e lla o p e r a z io n e la q u a le c o n s i­ s t e v a n e ll’ irre tir e g li u o m in i (σαγηνεόειν άν& ρώ π ους) c o m e s ’ ir r e t is c o n o i p e s ci c o n la sagena. Q u e s ta o p e r a z io n e è d e s c r it t a d a E r o d o t o (6 , 3 1 ). 2 C o m e f a p e r es. il p r e s id e D u lc iz io c h e in te r r o g a n d o A g a p e e le su e c o m ­ p a g n e s fu g g it e p e r lu n g o t e m p o a lle r ic e r c h e d e lla p o liz ia , c h ie d e lo r o d o v e si e r a n o n a s c o s t e ( Passio , 5, 5 ποϋ ά π ε κ ρ ό φ ϋ η τ ε ;), p re s s o c h i (π α ρ ά rivi έγίνεσθε ;), d a c h i r ic e v e t t e r o i v iv e r i (5 , 6 τίνες ή σαν οί τον άρτον ύμΐν π αρέχοντες), a c h i d e i p a r e n t i o d e i v ic in i a v e v a n o c o m u n ic a t o il lo r o d is e g n o (5 , 6 συνέγνω ύμΐν δ π ατήρ ό ΰ μ έτερ ο ς; 5, 7 τίς τώ ν γειτόνων ύμίν συνή ιδει; e d . K n o p f e K r ü g e r , p . 98, 27 s g g .).

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la

«

pa ss io

»

di s.

Fil ip p o

prete Severo, da tanti giorni ricercato invano, e decideva d ’inter rogarlo immediatamente. Checché sia di ciò, nel testo attuale Ermete viene udito dopo l’invio di Severo in carcere: Tunc Serm e exhibito, Iustinus ait: Hos quos im­ peratoria constat neglexisse mandata, videbis cito quae poena conficiat. N e ergo cruciatibus eorum etiam ipse iungaris, memor salutis propriae memorque filiorum, effuge mala omnia sacrifica/ndo numinibus. Per me le parole Hos quos - quae poena conficiat, che ora alludono a Filippo e a Severo si riferivano in origine al solo Filippo (Hunc quem, etc.). L ’accenno ai figli (memor filiorum) non è un locus communis. Ermete aveva figli realmente, a uno dei quali manderà un’ambasciata pochi istanti prima di subire la pena del fuoco. Eispondendo al preside, come già rispondendo all’antecessore Basso, egli trova modo di manifestare il suo attaccamento a Filippo: lume mihi ab ipsis cunabulis veritatem sanctus magister inpressit. D ove si vede che Ermete non era un con­ vertito, ma cristiano dalla nascita, cosa che non gli aveva impedito, come del resto a molti altri cristiani della fine del II I secolo, di ac­ cettare in patria la carica di magistrato e la dignità di decurione. Alla minaccia dei tormenti egli replica: Quamvis graves, dolores a te inpositos per angelos suos nobis, pro quo patimur, Christus inminuet. Nelle quali parole K. Holl riconosceva un segno della età relativamente tarda della Passio: uno scrittore dell’inizio del sec. IV avrebbe detto dolores Christus inminuet, non Christus per angelos suos. Ma questa obiezione non vale che per la versione latina, assai libera, o, meglio forse, per la rielaborazione a noi pervenuta di tale versione, non per l’originale greco, perduto bensì, ma che numerosi e gravi indizi dimostrano sin­ crono ai fatti narrati. In secondo luogo non oseremmo negare se non con grande riserva, che un cristiano del secolo IV incipiente possa essersi espresso come Ermete nel passo in questione, forse ricordando i tre Fanciulli di Babilonia; non oseremmo negare che uno scrittore di quel tempo possa avere attribuito ad assistenza angelica l’insensi­ bilità di Filippo dopo la crudele fustigazione (c. 10, 18). Dal luogo dell’udienza, Filippo - previo il barbaro strascinìo per le vie della città - e Severo ed Ermete immediatamente, vengono re­ stituiti al career publicus. Ma, prosegue il narratore, duobus sane diebus iussit eos (praeses) in hospitio custodiri, paululum a sua severitate di­ scedens. Quem statim diabolus inflammat; iubet enim ut iterum mittantur in carcerem et septem continuos menses in illo custodiarum paedore con­ ficiant. Π quale passo ha tutta l’apparenza di un compendio, magro fino all’eccesso. Quand’è che i martiri per ordine di Giustino furono

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LA « PASSIO » D I S . FILIPPO

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trasferiti dal career aWhospitium ? Quale il motivo di questo atto di misericordia da parte di un giudice tutt’altro che m ite? B perchè troncato repentinamente dopo due soli giorni ? E perchè passare sotto silenzio - a differenza delle altre volte - il nome della persona cui toccò l’altissimo onore di ospitare i martiri in sua casa ? Stento a credere che nel testo originale domande così ovvie e legittime fossero lasciate senza risposta. Checché ne sia, il particolare della Ubera custodia concessa per due giorni a Filippo e ad Ermete è, a nostro giudizio, sicuramente storico. A quale scopo si sarebbe inventato codesto particolare che, mentre non serve affatto a dar risalto alle figure eroiche dei due martiri, ci rappresenta il preside meno duro e inumano di quel che ne pensava l’agiografo? Vero è che Giustino si piegò forse ad accordare quel temporaneo mitigamento di pena per il grave stato in cui versava il vescovo dopo lo spietato trascinamento e per condiscendere alla ri­ chiesta dei molti, anche pagani, che s’interessavano vivamente della persona di Ermete. Quale la causa del brusco di lui ritorno alla sua solita durezza ? La stessa, può darsi, per cui il mite antecessore aveva ritenuto necessario trasferire i nostri santi dalla casa di Pancrazio alle pubbliche carceri. Ma par difficile che i cristiani di Eraclea a tanta breve distanza di tempo commettessero la stessa imprudenza di recarsi a visitare i reclusi glomeratim e per multitudinem semel iunctam (come avrebbe detto s. Cipriano). Sette mesi dopo la nuova incarcerazione di Filippo e del suo dia­ cono (dunque, se il loro arresto ebbe luogo nel marzo del 303, siamo nell’ottobre di quello stesso armo), Giustino ne ordina la traduzione ad Adrianopoli 1, ove terminerà il processo. Colà essi attendono l’ar­ rivo del governatore, «tenuti alla larga » (έν αδέσμωι φυλακήi) nella villa suburbana di un certo Sinforo o Sinforio. Veramente le edizioni anteriori della Passio, invece di Symphori (o Symphorii) leggono Sem­ pori, forma certo non priva di analogie (per es. una iscrizione della

1 S u A d r ia n o p o li, c h ia m a ta g ià U s c u d a m a (A m m ia n ., 1 4 ,1 1 , 1 5 ; 2 7 , 4 , 1 2 ; E u t r o p ., 6, 8 ), in S te fa n o B iz a n t in o Γ ον είς (E u s t ., A d Hons., p . 2 9 1 ), a lt r o v e O re stia s ( Script. Mst. A ug., H e lio g a b ., 7, 8 ; Z o n a b ., 17, 2 3 ), v . Ob e k h u m m e k , Hadrianopolis, in : P a u ly -W is s o w a , B E , 7, 2 , c o l. 2 1 7 4 s g .; V . N . Z l a t a b s k i ,

Adrianopoli, in : Enciclopedia italiana, 1, R o m a 1 9 29 , p . 5 4 3. U n a m o n e t a c o n u n g r a n d e e d iflz io

« w a h rs ch e in lic h e in N y m p h a e u m » e r is c r iz io n e (ά δ ρ ια ν )Ο -

Π Ο Λ ΙΤ Ω Ν , p r e s s o J . S ie v e k in g , Boemisches Aushaengeschild mit Darstellung

eines Nymphaeums, in Bollettino delVIstituto archeologico germanico. Sezione romana, 2 1 , 1 9 06 , p . 93.

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LA « PASSIO )) D I S. FILIPPO

Baetica1 ha Semperusa per Sympherusa), ma difficilmente ammissi­ bile, se non sbaglio, in un letterato come il nostro23 . A ll’indomani del suo adventus in Adrianopoli Giustino rizza tri­ bunale nelle Terme, e fatto venire Filippo, gli dice: « Ebbene cosa hai deciso ? Chè questa dilazione ti fu concessa per darti agio a riflettere e a mutar consiglio ». Ma la lunga e dura prigionia era stata inflitta anche come castigo. Sicché abbastanza a proposito il santo: « Se noi », replica, «fossim o andati in quel carcere di spontanea volontà (cioè, se avessimo chiesto noi, o volentieri accettato, uno spatium ad delibe­ randum), avresti ragione di parlare come fai; ma poiché vi ci mandasti per forza, come puoi asserire di averci concesso per grazia uno spazio di tempo durante il quale ci punisti ? Del resto, te l’ho già dichiarato, io sono cristiano, e questo ripeterò quante volte m ’interrogherai ». Per tutta risposta il giudice ordina di spogliare il santo vecchio. E quando gli è stata tolta di dosso firn la camicia, Giustino ripiglia: « Fai quel che ti ho comandato o rifiuti ? ». « Ti ho detto che non sacrificherò mai » è la risposta. Si sa che la tunica linea o, più brevemente, la lin eas, era il vesti­ mento interiore, ο τελευταίος χιτών 4, quella che poi venne chiamata 1 CIL, 2, 1329. 2 C ’ è in Eraclea l’epitaflo di un Aurelius Eutyches Symphori f. ( Inscrip­ tiones graecae, 1, n. 807). Ma Σύμφορος Symphorus (scritto talvolta Symferus, Sinferus) era nome abbastanza comune anche in Roma (v. per es. A. Si l v a GNI, Inscriptiones Christianae urbis Romae, 1, Romae 1922, nn. 722. 2585 (Σύμφο­ ρος Σικελός Πανορμίτης); 2, Romae 1935, nn. 4440 (Συμφύρω), 4308 e 4457 (Aur. S .), 4685 (Symferus). Qualche esempio occorre pure in Egitto, v. F r . P r e is ig k e , Sammelbuch grieehischer Urhunden aus A e g y p te n . . . , Strassburg 1915, nn. 4020 [?], 6062, 1. - Anche in una iscrizione proveniente dal cimitero di Domitilla occorre forse una Semper(usa), v. E. D i e h l , Inscriptiones latinae Christianae veteres, Berlin 1924, n. 3534. 3 Per la linea, v. F r a n c h i d e ’ Ca v a l i e r i , Note agiografiche, VI, p. 152 nota 2; V II, p. 216. 4 Ο το λινοϋν εσθημα, come chiama la linea s. Dionisio di Alessandria presso E useb . (Hist, eccl., 6 , 40, 7). T eodoreto , Hist, eccl., 5, 39, 15 (ed. Parmentier, p. 345, 6) ha χιτωνίσκον εκ λίνου πεποιημένον, i papiri λινούς χιτών (Aegyptische Urhunden, 816, 19, sec. I l l ) e λινούδιον (G renfell e H unt , The Oxyrhynchus P apyri, 1066, 10, sec. I l l , e altrove: v. P reisigke , Wôrterbuch, s. v.). ”Εστη εν όθόνηι in L uciano (Peregrin., 36) non so se significhi « in una camicia di cotone » o piuttosto « con un περίζωμα di cotone », visto che i filosofi solevano fare a meno della tunica, sotto il τρίβων (che era un ίμάτιον φαΰλον, un mantello grossolano ; v. il mio articolo B ella « furca » e della sua sostituzione alla croce nel diritto penale Romano, in Nuovo Bullettino di archeologia cristiana, 13,1907, p. 102, nota 4; D aremberg e Saglio , Dictionnaire, s. v. tribôn, p. 416, col. 1), e andando,

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camisia (camisa) con voce propria del sermo castrensis. Ma perchè mai a una parola così comune il nostro autore aggiunse il genitivo corporis ? Se la Passio, come ho fiducia di aver provato, deriva da un testo grecò, non è disdetto pensare a una traduzione inesatta. Si può congetturare che l’originale sonasse per es. επειδή δέ οί ΰπηρέται καί την οθόνην τοΰ σώματος αυτοΰ απέσπασαν ο άφεϊλον, e che l’interprete abbia fatto dipendere τοΰ σώματος αυτοί da δθόνην anziché da άπέσπασαν ο άφεϊλον. Ma non escluderei che con linea corporis si sia voluto intendere la tunica che sta a contatto immediato del corpo, corpori adhaerescens, adstricta corpori. Più ci sorprende l’agiografo quando, dopo averci rappresentato il santo nudo del tutto, passa a descrivere la spietata fustigazione in­ flittagli. Perchè osserva: erat incredibile miraculum; nam pars lineae, quae honestum pectus velabat, inlaesa permansit, illa vero, quae dorsum tegebat, per partes rupta discesserat. Come credere autore di questo periodo colui che or ora affermava essere stata strappata a Filippo finanche la linea ? Quindi il Tillemont suppose che i carnefici, prima di mettere mano alle verghe, avessero vestito di nuovo la vittima della tunica interiore; altri giudicò il periodo: erat incredibile, etc. una inter­ polazione posteriore. La prima di queste congetture non è plausibile, costringendoci a ritenere il testo così male compendiato da lasciar da parte un particolare che assolutamente non poteva essere sottin­ teso, giacché di regola i flagellandi venivano denudati completamente. La seconda congettura offre minori difficoltà. Ma, se non erriamo, il campo resta aperto ancora ad una terza ipotesi: che l ’interprete non abbia colto il senso dell’originale, dove parlava dello spogliamento del martire. Forse, a tenore del testo greco perduto, Filippo veniva spo­ gliato fino alla camicia exclusive. Il greco, invece di leggere, come sopra abbiamo proposto speciminis causa, επειδή δέ οι ΰπηρέται καί τήν δθό­ νην τοΰ σώματος αυτοΰ άφεϊλον, potè sonare επειδή δέ οι ΰπηρέται άποδύσαντες αυτόν έστησαν άπδ τής οθόνης, ο επειδή δέ άποδυθείς έστη άπδ τής δθόνης. Sella bassa grecità άπό ha talvolta il valore di χωρίς, όίνευ, tal altra, al contrario, quello di μετά τοΰ 1. Sicché meriterebbe c o m e si d ic e v a , έν π ερ ιζώ μ α σ ι γυμνοί (P l u t ., Vita Bom., 2 1 ) ο εν π εριζώ μ α σιν s e n z ’ a ltr o . A r a g io n e p e r c iò s. C ip ria n o n o t a v a in c o s t o r o la inverecunda iactantìa

seminudi et exserti pectoris (D e bone pai., 2, e d . H a r t e l p . 3 9 8 , 1 6 ). P r iv i d i t u n ic a e c o l m a n t e llo in d o s s a t o έξω μ ίδ ο ς τρόπ ον (E u s e b ., Mart. P al., 19 ), ess i m o s t r a ­ v a n o n u d a la m e t à d e l p e t t o . 1 H a il p r im o s ig n ific a t o n o n s o lo in a u t o r i t a r d i, q u a li G . M a l a l a (e d . B o n n , p . 8 9 ,1 8 ) άπ ό δψ εω ς — ά φ α ν τ ο ς ; M o s c o , Prat., c e . 9 6 .1 6 9 (P G , 8 7 , 2 9 5 3 c ;

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LA « PASSIO » DI S. FILIPPO

qualche scusa chi per es., leggendo in Sesto Em piricox: ó μέν Διογένης από εξωμίδος περιήιει, traducesse «Diogene andava attorno senza esomide », anziché « andava attorno con la (sola) esomide2 ». E maggiore scusa avrebbe meritato il nostro interprete, sapendo che ai verberandi si strappava di dosso ogni abito. Con Ermete il governatore si comporta più umanamente, vuoi per le ragioni dianzi accennate, vuoi perchè nel tempo in cui aveva tenuto la magistratura egli si era cattivato, grazie alla sua integrità e alla dolcezza dei suoi modi, la benevolenza di molti, non solo fra i citta­ dini, ma perfino tra gli adparitores, i quali ora desideravano di m o­ strargli la loro gratitudine, salvandolo dalla m orte3. Siccome però nulla vale a smuoverlo dal suo proposito, Ermete è rimandato ancora una volta in prigione a far compagnia a Filippo, che non ostante la crudele fustigazione, nulla sentiebat incommoda, ope tectus angelica. Qui il lettore si domanda: perchè insieme col vescovo e col diacono non viene interrogato il prete Severo ? O non sarà da vedere in questa assenza un nuovo indizio a favore della ipotesi da noi avanzata, che la storia di Severo non appartenga alla redazione primitiva della Passio

3 0 3 6 B) από ό μ μ ά τω ν = α ό μ μ α τ ο ς; m a g ià in P a l l a d ., Laus., 4 , 1 (e d . B u tle r, p . 19, 1 9 ); C y r i l l . S c y t h o p ., Vita Sabae, 62 (e d . S c h w a rtz , p . 163, 17) e in p a p ir i d e i s e c o li I I I e I V (p . es. Aegyptische Urkunden, 5 1 9, 19 π α ρ α δ ώ σ ω σοι τάς ά ρ σΰρ ας άπ ό (i. e. χ ω ρ ίς) καλά μη ς ; E . K o r n e m a n n e Ρ . Μ . M e y e r ,” Oriechische

P apyri im Museum des Oberhessischen Geschichtsvereins zu Giessen, L e ip z ig B e r lin , 1 9 1 0 -1 9 1 2 , n . 96, 15 τ ό χ ε ιρ ό γ ρ α φ ο ν .. . ά π ό έπ ιγρα φή ς καί ά λ είφ α τος; B . Ρ .

G r e n f e l l , A . S. H u n t . . . e J . G . Sm y l y , The Tebtunis papyri, L o n d o n -N e w Y o r k 1 9 0 2 -1 9 3 8 , n . 4 2 0 , 4 (s e c . I l l ) άπ ό ζη μ ία ς είμί. 1

Hypot., 1, 153, e d . M u ts c h m a n n , 1, p . 39, 19.

2 L ’ e d it o r e in fa t t i p r o p o n e d i le g g e re άπ ο(δΰς τή ς) ε ξ ω μ ίδ ο ς; G . P a s q u a li άπ εξω μ ίδιος (ο άπλίμ έ ξω μ ίδ ι). E s e m p i d i ά π ό = μετά τοΰ , d a s c r it t o r i b iz a n tin i, se n e c it a n o in E . A . S o ph o cle s ( Greek Lexicon of the Roman and Byzantine P e r io d s .. . , N e w Y o r k 1 8 9 0 ); a n o i b a s t i u n t e s t o a g io g r a fic o : Passio s. Meletii ducis, 79 (Acta SS. Bolland., v m a ii, 4 6 6 ): άπ οδύσα ντες στή σατε αυτόν άπ ό β ρ α ­ κιού. Vedi, a n c h e Μ . G u i d i , Un Β ί ο ς di Costantino, R o m a 1908, p . 3 1 , 15 άπό ενός μόνου χιτώνος ώ ν έκράτησε τοΰ τιμίου σταυρού. 3 I p r e s id i, r e c a n d o s i n e lle p r o v in o le lo r o d e s tin a te , n o n p o r t a v a n o c o n s è Yofficium, lo t r o v a v a n o s u l p o s t o . M a i 1'officium la s c ia v a il lu o g o in c u i e s e r ­ c it a v a le p r o p r ie fu n z io n i. P a u l . (Sent., 2, 1, 5 ) praesidis provinciae officiales. .. perpetui sunt; Cod. Theod. (1 1 , 3 0 , 5 9 ) teneat adparitio veterem disciplinam, nec a suggestionibus necessariis metu eius, cui ad tempus paret, retrahatur (v . Ia n o t a d e i G o d e f r o y a q u e s t o lu o g o e L e B l a n t , Les Actes des martyrs, p . 12 4). Q u in d i si c o m p r e n d e c o m e 1’ officium d i G iu s tin o a v e ss e s p e r im e n t a t a la .b e n e v o le n z a d i E r m e t e a n n i p r im a c h e q u e g li e B a ss o fo s s e r o s t a t i p r e s id i d e lla p r o v in c ia .

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LA « PASSIO » D I S . FILIPPO

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s. Philippi, ma vi sia stata inserita più tardi dall’interprete latino o forse dal rielaboratore ? Tre giorni appresso Giustino solitum indicantibus tribunal ascendit (nella basilica al foro, o nel secretarium) e chiamato Filippo, « Perchè m ai», lo interroga, « t i lasci trasportare dalla temerità a tal segno da negare obbedienza ai decreti imperiali, anche a costo della vita? ». E il vescovo « E on temerità mi muove », risponde, « ma l’amore e il timore di D io onnipotente, del quale non oso trasgredire i comandamenti. Agl’imperatori, del resto, ho prestato sempre il debito onore, e quante volte imposero cose giuste mi affrettai ad obbedire, poiché la divina Scrittura ordina di dare a Dio ciò ch’è di Dio e a Cesare ciò ch’è di Cesare. Fin qui dunque ho vissuto incolpevolmente: ora non mi resta che preferire il cielo alla terra ». Giustino si rivolge ad Ermete: « Se a costui l ’estrema vecchiezza rende odiosa la luce, tu attienti al meglio e sacrifica». Il diacono dice.che risponderà in brevi e chiari termini. Ma la risposta che lo scrittore gli pone sulle labbra è in verità piuttosto lunga, alquanto retorica e, almeno oggi, alquanto slegata. Ermete comincia col paragonare i pagani a cavalli bizzarri, che, rubata la mano all’auriga, escono dal campo dove correvano sicuri1 e, ignari della morte che. fi attende, si slanciano verso il precipizio. Poi asso­ miglia Satana a un tizzone (nonne hic torris est ambustus, abstractus de fiam m a2) al quale, indurato dal fuoco e apportatore di m orte3, gli uomini insani si inchinano come a un dio. « Sia permesso a noi », pro­ segue, «traversare questo piccolo cerchio di luce manchevole e di­ giuna in guisa da poter raggiungere la luce sempiterna. Ma voi con le vesti sordide e i capelli sciolti mi sembrate piangere e non già onorare i vostri iddìi, ai templi, ai sepolcri, alle prigioni dei quali fate la guardia ».x x Relicto salubri campo. L e g g ia m o campo c o n i m ss. e n o n camo oh e il M a b illo n , s e g u ito a t o r t o d a l B u in a r t, s e m b r a a v e r r e s titu ito p e r c o n g e tt u r a d a lla le z io n e m u t ila cam d e l c o d ic e P a r is ., B . N . la t . 5 6 4 3 . D e l m o r s o (non obtem­

perantes lupatis) s i è g ià f a t t o c e n n o , n è i l c a v a llo p u ò la s c ia r e , a b b a n d o n a r e (relinquere) il m o r s o . P u ò ess o b e n s ì a b b a n d o n a r e i l c a m p o , u s c ire d a l c a m p o , n e l q u a le c o r r e v a s e n z a p e r ic o lo (salubri campo) e a n d a re a g e tta r s i c ie c a m e n te n e l p r e c ip iz io . 2 Torris ambustus, lignum obustum, espressioni virgiliane: A en., 12, 298 ambustum torrem Gorynaeus ab ara/corripit (cf. L act., Div. Inst., 4, 14, 14 extrac­ tum foco torrem semiustum); 7, 506 hic torre armatus obusto; 11, 894 stipitibus ferrum sudibusque imitantur obustis; cf. 7, 524 stipitibus duris agitur sudibusve praeustis; 11, 553 robore cocto. 3 C f. M intjc., Oct., 23, 11 deus enim ligneus, rogi fortasse vel infelicis sti­ pitis (i. e. patibuli) portio.

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Il testo dice: vos qui... tumulos et templa observatis et carceres x, videmini mihi deos vestros non colere sed lugere. Dove si allude senza dubbio a certi culti pagani, cbe effettivamente avevano le caratteristiche di veri e propri funeralia. Ma l’allusione è troppo sommaria per riescire chiara. Possono servire d ’illustrazione alcuni passi del D e erroribus pro­ fanarum religionum di Firmico, che non sarà inutile trascrivere: 2, 1-3 A egyptii. . . in sacris su is. . . addunt tragica f u n e r a . . . inventum Osyrim Isis tradidit s e p u l t u r a e . . . haec est Isiaci sacri summa: in adytis habent idolum Osyridis sepultum, hoc annuis lu e t ib u s p l a n ­ g u n t , radunt ca p ita .. . , tundunt pectus . . . ut annuis l u c t i b u s in animis eorum funestae. . . necis exitium renascatur. Ib. 6 quae vere sunt f u n e r a . . . quorum extant hodieque reliquiae - nam et s e p u l c h r u m Osyridis hodieque in Aegypto est, et cremati corporis reliquiae cernuntur.. . 3 ,1 . 4 P h ryges.. . m o r t u o adulescenti t e m p l a fe­ cerunt . . . sic annuis sacris . . . f u n e r i s p o m p a conponitur... confiteantur necesse est haec s a c r a . . . in honorem esse conposita m o r t i s a l i e n a e . 7, 5 Syracusani liberalitate mulieris (Gereris) provocati, raptum virginis (Proserpinae) consecrant et mitigantes dolorem matris p o m p a m miseri f u n e r i s e x c o l u n t honore t e m-1 2 1 « Carceres » (c o s ì il M a z z o c c h i , Commentarius., p . 2 2 0 , c o l. 2 ) nihil minus quam noxiorum custodiam designant, sed est άφητερία sive ianua aut linea, unde equi emittuntur ad cursum. Vide Servium ad A en. 1, 58 et 5 ,1 4 5 ( = I s id o r ., Orig. 5, 2 7 ,1 3 ) notantem, noxiorum locum dici num. sing. « carcerem)), at plurativum « carce­ res)) esse id, unde emittuntur quadrigae (c f. V e r g ., Georg., 1, 51 2 cum carceribus sese effudere quadrigae). M a n e l s ig n ific a t o d i linea unde emittuntur quadrigae o c c o r r e n o n c o s ì d i r a d o a n c h e a l s in g o la re career (v . Thesaurus linguae latinae, s. v . career, c o l. 4 3 4 , 37 s g g .) e v ic e v e r s a il p lu r a le carceres n e l s ig n ific a to d i locus in quo servantur noxii, q u a n te v o lt e n o n si t r a t t a d i u n a p r ig io n e , m a d i p iù p r i ­ g io n i. P e r es. T e r t u l l ., Scorp., 15 carceres illic et vincula·, D e anima, 33 ergastulo­ rum. . . ipsorumque carcerum recordantur·, A m m ia n ., 3 0 , 5 , 6 perpetui carcerum inquilini; S i d o n ., E pist., 2, 1, 3 implet 'carceres clericis. A lt r i e s e m p i d i L a t t a n ­ z io , s. I la rio , s. A g o s t in o , e t c . t r o v e r a i c it a t i n e l Thesaurus c it ., c o l. 4 3 7 , 2 4 sg g .

2 II p e n s ie r o d e ll’ a g io g r a fo s e m b r a q u e s t o : v o i o n o r a t e c o n a t t i d i c u lt o n o n s o lo i t e m p li, m a a n c h e le c a r c e r i e i s e p o lc r i d e i v o s t r i d è i; o v v e r o (m a s e m b r a m e n o p r o b a b ile ) : v o i fa t e la g u a rd ia a i t e m p li d e g li d è i, q u a s i fo s s e r o c a r c e r i o s e p o lc r i. E ffe t t iv a m e n t e , p e r t e m a c b e i la d r i r u b a s s e ro le s t a t u e d ’ o r o o d ’ a r g e n t o e i d o n i v o t i v i p r e z io s i, i te m p li e ra n o g u a r d a ti (il v e r b o observare t a n t o v a le « c u s t o d ir e », q u a n t o « o n o r a r e ») n o n s o lo d a g li aeditui e d a c a n i, m a p e r fin o d a d is ta c c a m e n t i m ilita ri, s p e c ie la n o t t e (v . F r a n c h i

de’

Ca v a l i e r i ,

Note agiografiche, V i l i , p . 3 7 9 ). C a n i e r a n o p o s t i a ltr e s ì a g u a r d ia d e i s e p o lc r i d e i r ic c h i ( I o h . Ch r y s o s t ., In Matth. hom. 20 [a l. 21 ], 3 [ P C , 5 7 , 2 9 0 , 19] ώ σ τε κΰονν τ ά φ ω ι δ εδεμ ένος).

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p l o r u m . 7, 6 a vanis Cretensibus adhuc mortui Iovis t u m u l u s adoratur. 7 , 9 o miseri mortales. . . quid D ei dispositionem crudelium mortium atrocitate polluitis ? . . .miscetis terrena caelestibus . . . d o l o ­ r e s ac l u c t u s hominum d i v i n i s h o n o r i b u s consecrantes. 8, 3 lugete Liberum, lugite Proserpinam, lugite Osyrin s e d ... nolo me per t u m u l o s eorum. . . ducatis. 8, 4 si dii sunt quos c o l i t i s , cur eos l u g i t i s i . . . aut nolite eos l u g e r e , si dii sunt, aut si luctu eos dignos putatis ac lacrimis, deos eos appellare nolite. Aggiungiamo Minue. Octav. 22, 1 Considera denique sacra ip s a .. . invenies exitus tristes, fata et funera et luctus atque planctus. . . Nonne ridiculum est vel l u g e r e q u o d c o l a s vel colere quod lugeas ? Haec tamen Aegyptia quondam, n u n c et s a c r a R o m a n a su n t1. D i qui si rende manifesto l’errore del Mazzocchi2 quando asserisce che per tumulos l’agiografo intese i colles in quibus dii colebantur e per carceres ia linea unde equi emittuntur ad cursum, soggiungendo: cir­ censes autem, ut et ceteri ludi, pars erant paganicae religionis, nec sine suis ritibus peragebantur. Ma l’errore d ’un uomo così dotto dimostra l’oscurità del testo interpolato o mal compendiato. A Giustino che, prendendo le parole di Ermete come un invito a convertirsi, esclama: Tu sic loqueris, quasi me possis facere Christianum ! Ermete risponde poco diversamente da s. Paolo 3 ad Agrippa in Cesa­ rea: N on te solum, sed circumstantes singulos opto fieri Christianos. Ma soggiunge: Ceterum me sacrificaturum ne credas. Il preside si decide allora di finirla. E, sentito il parere dei

1 Si faccia pure attenzione, nell’apologià di Ermete, al p asso. . . Israhel Dominum solus ignorat, iuxta quod lectum est: Israhel me non cognovit, etc. Come può dire Ermete, parlando al giudice pagano: iuxta quod lectum est % Diceva così in chiesa il vescovo, allorché, predicando al p op olo, richiamava un passo dei sacri Libri, del quale dianzi era stata data lettura (per es. A ugustin ., Sermo Denis 13, 6 [ap. Morin, p. 60, 15]: modo lectum est in evangelio: Quoties volui; Sermo Guelferb. 14, 2 [ap. Morin, p. 487, 17]: heri lectum est: Quid turbati estis, etc.) Ci attenderemmo piuttosto iuxta quod scriptum est (in gr. καθώς γέγραπται, I Cor. 2, 9; cf. per es. A ugustin ., Sermo Mai 128, 1 [ap. Morin, p. 370, 15]: quomodo scriptum est; Sermo Cosin. 1, 133, 12 [ap. Morin, p. 410, 2]: sicut enim scriptum est, etc.), ovvero dictum est (A ugustin ., Sermo Frangipane 6, 3 [ap. Morin, p. 222, 13], etc.). 2 Commentarius, p. 220, col 2. 3 Act. Apost., 26, 29. Cf. Passio s. Pionii, 7, 3 (ed. K n op f e Krüger, p. 49, 18 sgg.) Πολέμων εΐπεν · Πείσθητι ήμϊν, Πιόνιε. Πιόνιος εΐπεν · Είθε ήδυνάμτρ έγώ υμάς πεϊσαι Χριστιανούς γενέσθαι.

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consiglieri (participes) e dell’assessore 1, pronuncia la sentenza : « F i­ lippo ed Ermete che, disprezzando il precetto dell’imperatore romaI L ’assessore era uno solo, un giureconsulto di professione, detto perciò νομικός, νομικός συγκάΟεδρος. Quando dunque troviam o il plurale συνέδρους, o νομικούς (L. Mitteis e U. W ilcken , Grundziige und Ghrestomathie der Papyrushunde, II. 2 Ohrest., Leipzig-Berlin 1912, p. 421, n. 372, Col. I l i , 18), convien dire che chi scrive fa tutto un gruppo dell’assessore e dei consiliarii, o participes (Cod. Theod., 3, 6, 1), in gr. σύμβουλοι, ο φίλοι (Mitteis e W ilcken , op. cit., p . 90, n. 81, 6; p. 421, n. 372, Col. IV , 13). Vedi Note agiografiche, V II, p. 6, nota 1. Viste le parecchie coincidenze della Passio s. Philippi con la Passio s. Pionii, ci sentiremmo fortemente inclinati a supporre nella prima redazione della Passio s. Pionii (c. 20) un tratto corrispondente a quello che trascriviamo dalla libera versione edita dal Ruinart , ma che manca nel testo originale greco edito dal von Gehhardt e riprodotto da K nopf-K riiger : Post hanc beati martyris fixam firmamque sententiam, proconsul diu habitis cum consiliatore sermonibus, rursus ad Pionium verba convertit: Perstas in proposito et paenitentiam nec sero testaris ? Bespondit ille: Minime. Bursus proconsul: Habes liberam potestatem, quid te jacere expediat maiore consilio et longa deliberatione metire (Acta, p. 127, col. 1). II colloquio del giudice col suo Consiglio ritorna non solo nella Passio s. Philippi, ma anche in altri testi storici e agiografici di prim ’ordine, com e gli A tti degli Apostoli (25, 12 τότε ó Φήστος συλλαλήσας μετά του συμβουλίου άπεκρίθη) e gli A tti di s. Cipriano (ed. B eitzenstein , Die Nachrichten, p. 21, 1: Galerius Maximus proconsul clarissimus vir, collocutus cum consilio, sententiam. . . dixit). D ’altra parte la frase habitis cum consiliatore sermonibus pare versione dal greco συλλαλήσας μετά τού συμβούλου (errore per του συμβουλίου). Infatti, mentre l’as­ sessore, il συγκάθεδρος νομικός, com e sopra abbiam o rilevato, era uno solo, i σύμβουλοι, i consiliarii (tra i quali l ’assessore) erano parecchi. Eppure la deliberazione del proconsole col consiglio nella Passio s. Pionii è un p o ’ sospetta. Già, quantunque testi eccellenti menzionino quell’atto (che del resto ricorre pure in Passioni leggendarie, per es. in quella di s. Trifone c. 10 [v. i miei Hagiographica, p. 72, 1] e in quella di s. Barbaro c. 11 [Analecta Bollandiana, 29, 1910, p. 300, 3]), altri testi non meno im portanti lo passano sotto silenzio. P oi, com ’è noto, il giudice si ritirava per consultare, solo a interrogatorio ultimato, quando cioè non si trattava che di redigere la sentenza (v. Note agiografiche, V II, p. 43, nota 1). Così almeno vediam o in tutte le Passioni storiche e leggendarie, così nei processi che ci sono stati trasmessi dai papiri d ’ Egitto. Nella Passio s. Pionii, invece, il proconsole, dopo sentito il parere del consi­ liator, dopo aver discusso con lui a lungo, non pronunzia la sentenza, ma invita di nuovo il martire a sacrificare e, su l’energico di lui rifiuto, gli offre uno spatium ad deliberandum. Ben considerata pertanto ogni cosa, non ci sembra lecito asse­ rire che il testo greco si allontana qui dal testo originario più della versione latina presso Ruinart. Un altro luogo in cui il greco si ritenne più m alconcio del latino è c. 20, 1, dove, rileva il P. Delehaye, «n n voit tou t à coup Pionius à la torture que le juge n’a pas ordonnée ». Difatti così è nel greco, mentre nella parafrasi latina edita dal R uinart (loc. cit.) leggiamo: Cumque tacuisset (Pionius), proconsul eum iussit

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no 1 si resero indegni del nome stesso di romani, siano arsi vivi, per­ chè gli altri imparino quanto severamente venga punita la disobbe­ dienza ai precetti imperiali », Benché principale autore degli editti del 303 fosse ritenuto D io­ cleziano, il primo dei tetrarchi (ó πρεσβυτατος των άλλων, δ πρωτοστά­ της, δ πάντων άνωτάτω, δ μέν τιμήt τε καί χρόνωι των πρωτείων ήξιωμένος), non è credibile che il preside della Tracia nella sentenza attribuisse a lui solo un documento pubblicato a nome dei due Augusti e dei due Cesari. Si può quindi esser certi che la Passio originale portasse το των βασιλέων δόγμα ο τό βασιλικόν δόγμα. La mano del rielaboratore si tradisce pure, io penso, nell’epiteto romanus: parlando a sudditi dell’impero, i giudici non dicono mai, nei documenti agiografici storici, appendi, et quod verbis non poterat, voluit extorqueri tormentis. Postea ergo quam coeperat subiacere suppliciis, ait proconsul: Sacrifica, ete. Ma la mia impressione è che il latino offra qui una modificazione dell’originale greco e, per giunta, poco felice; giacché, a differenza del greco, non distingue la sospensione al lignum dalla susseguente tortura vera e propria, nè precisa in che questa co n ­ sistette. A differenza, dico, del greco; il quale, dando maggiore importanza al­ l ’interrogatorio, minore ai particolari della tortura - probabilm ente di breve durata e leggera - sottintende gli ordini del proconsole ai carnefici, tanto cioè quello di sospendere il martire allo ξύλον, quanto (si noti bene) l ’altro di exungulare; ma distingue chiaramente i due mom enti e precisa la tortura. A Pionio sospeso (κρεμασμένα ), ma non ancora colpito, si domanda: « Sacrifichi? ». A lui, per­ severante nel rifiuto, vengono solcati i fianchi con le unghie di ferro (βασα­ νισμένα δνυξιν) e si torna a domandare (πάλιν ελέχ-θη): « Perchè deliri ? ». Nessun m otivo dunque di ritenere lacunoso il testo greco, che, nella sua brevità, niente lascia a desiderare. 1 Per me, il passaggio dal plurale al singolare si deve a inavvertenza del­ l ’interprete o del rielaboratore, della quale non mancano altri esempi. Così nella Passio s. Orispinae, 4, 1 secundum Augusti legis mandata, i codici migliori hanno dimostrato doversi leggere Augustae legis (v. F ranchi d e ’ Cavalieri , Osserva­ zioni, p. 20, nota 1); così nella Passio ss. Nicandri et Marciani, 5 δόγμα τού βασιλεως va corretto, sulla versione latina edita dal Ruinart e sul c. 3 των βασιλέων; così nella Passio s. Dioscori (Quentin , Passio s. Dioscori, p . 323, 27-28. 34) la recensione migliore ha praecepta dd. nn. imperatorum·, l ’altra, praecepta im­ peratoris; così la Passio ss. Olaudii, Asterii et soc., 1, 3 va letto, con la recensione edita dal B aronio (Annales, ad an. 285, 4): quemadmodum iussere Augusti do­ mini nostri e non, con la recensione edita dal R uinart (Acta, p. 234; ed. K nopf e Krüger, p. 107, 3): secundum praeceptum domini nostri Augusti (cf. 1, 6 [loc. cit.]: domini nostri imperatoris iusserunt); così infine la Passio s. Mariae ancillae ha imperatori devotus, dove l ’originale greco εύγνώμονα προς τούς Σεβαστούς e la Passio ss. Carpi et Papyli latina (2, 9) secundum praeceptum imperatoris, dove, forse men bene, il greco τά προστάγματα τών Αύγούστων (ed. K n op f e Krüger, p. 8, 6; 11, 8).

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imperator romanus, imperatores romani, ma semplicemente imperator, imperatores, dd. nn. imperatores. Può darsi invece che risalga al testo primitivo il rimprovero di essersi resi indegni (i martiri) del nome stesso di romani: alienos se ab ipsa etiam Romani nominis compellatione fe­ cerunt. Non meritava di chiamarsi romano chi rifiutava di inchinarsi ai dii Romcmi 1, colere religionem Romanam 2, Romanas caeremonias re­ cognoscere 3, chi abbandonava il Romanorum m os45 . Per conto mio, 6 ritengo che nell’originale greco il testo della sentenza di Giustino fosse più breve, più scarno del latino, come vediamo essere accaduto in casi analoghi \ Lasciando Filippo ed Ermete sulla via che li condurrà direttamente dal tribunale al rogo, l’agiografo ci riporta per pochi istanti nel carcere, dov’è restato il prete Severo. Mentre infatti Filippo ed Ermete, dopo barrivo di Giustino in Adrianopoli, vennero interrogati due volte e la seconda condannati ad essere arsi vivi, Severo, di cui soltanto ora impariamo la traduzione ad Adrianopoli, fu del tutto di­ menticato. Nella penosa incertezza in cui versa, egli rivolge a Dio una lunga preghiera in forma litanica e, chiedendogli istantemente la grazia 1 A i quali appunto si doveva sacrificare. Vedi Passio s. Crispinae, 1, 4; 2, 1; cf. 4, 1 (ed. K n opf e Krfiger, p . 109, 28; 110, 10; 111, 4); vedi anche la sentenza pronunciata dal proc. Galerio Massimo contro s. Cipriano (Acta proc., 2, ed. Reitzenstein , Die Nachrichten, p. 16, 7; 21, 14; 36, 18). 2 Passio s. Crispinae, 2, 4 (ed. K n opf e Krfiger, p . 110, 20). 3 Così dice Paterno proconsole, comunicando a s. Cipriano il contenuto del prim o editto di Valeriano e Gallieno (a. 257). 4 Passio ss. Mart. Scilitanorum, 14 (ed. G eb h ard t , Acta, p. 25, 12). 5 L a sentenza che Giulio Proclo Quintiliano pronuncia contro Pionio Πιόνιον εαυτόν όμολογήσαντα είναι Χριστιανόν ζώντα καήναι προσετάξαμεν (Pas­ sio s.Pionii 20, 7, ed. K n op f e Krfiger, p. 56, 10 sg.) nella versione latina (ed. Ruinart , Acta, p. 127) suona: Pionium s a c r i l e g a e v i r u m m e n t i s , qui se christianum esse confessus est, u l t r i c i b u s f l a m m i s iubemus in­ cendi : u t e t h o m i n i b u s m e t u m f a c i a t , e t d i i s t r i b u a t u l t i o n e m . La sentenza assolutoria di Tertullo nella Passio s. Ariadnae ( = Maria ancella) secondo la versione siriaca (certamente più fedele al greco originale) termina: « (Tertullo) vada libero dal nostro giudizio finché gli im pera­ tori non siano inform ati (del fatto). La giovine ribelle p oi stia dinanzi al mio tribunale»; nella rielaborazione latina: Tertullus... liber abscedat, n u l l u m calumniatorem metuat, nullum iudicem pertimescat, dum haec omnia s a c r i s a u r i b u s intimentur. Scelestissimam vero hanc puellam offerri mihi iubeo, u t h a b e a t e t c u l p a s u p p l i c i u m e t p o p u l u s e x e m p l u m (F ranchi d e ’ Cavalieri, Note agiograffche, p. 15, 4 sgg.). 6 L ’osservazione è di F. Cabrol , Litanies, in: D A C L, 9, 2, col. 1543.

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di seguire il vescovo e il diacono: habeam cum M is requiem, cum quibus nomen tuum venerabile confessus, tormenta iudicis saeva non timui. Le quali parole sembrano contenere un’affermazione inesatta, poiché, a differenza di Filippo ed Ermete, Severo non fu tocco dai tormenti. A questo, è vero, si può rispondere ch’egli soffrì almeno i tormenta carceris \ o meglio, che non sembra disdetto prendere non timui nel senso di « affrontai i tormenti di cui il preside mi minacciava ». Quanto alla fine tragica del santo prete, l’agiografo se ne sbriga con un cenno il più rapido e vago: tantum fidelia verba potuerunt, ut postero die quod postulabat acciperet1 2. Il supplizio suppone un secondo interrogatorio (dopo quello così breve e scialbo di Eraclea) e la con­ danna pronunciata dal preside, interrogatorio e condanna che lo scrit­ tore passa sotto il silenzio più assoluto, come pure omette di accennare in qualsiasi modo alle vicende delle reliquie di Severo. È mai credibile che un agiografo, contemporaneo o quasi contem­ poraneo, il quale conobbe i fatti del vescovo Filippo e del suo diacono Ermete nei più minuti particolari, ignorasse ogni cosa del prete Severo, uno dei principali discepoli di Filippo, processato ed ucciso nello stesso tempo, negli stessi luoghi? Chi giudichi di dover rispondere negati­ vamente, può scegliere una di queste due ipotesi: 1. la storia di Severo fu inserita nella Passio s. Philippi, in un secondo tempo, dal traduttore latino o dal rimaneggiatore della traduzione; 2. il redattore della Passio, posteriore di qualche secolo ai fatti, scrisse la storia di Filippo e di Ermete su un documento contempora­ neo eccellente; di Severo, al contrario, non conobbe se non il giorno del martirio, che cadeva l’indomani del martirio dei primi due, e dovette perciò lavorare più o meno di fantasia. Dall’accenno alla morte prossima del santo prete lo scrittore ri­ torna al vescovo che ha lasciato pocanzi sul punto di avviarsi al luogo del sacrifizio: beatus vero Philippus manibus portabatur ad flammam; 1 Come li chiama la Passio ss. Ludi, Montani et soc. (c. 4, 3, ed. K n op f e Krüger, p. 75, 2). Ma sembra p oco credibile che lo scrittore per t u d i c i $ saeva tormenta abbia inteso i disagi del carcere. Meglio supporre che si tratti di un’aggiunta dell’interprete o del rielaboratore. 2 II giorno della m orte di Severo, successivo a quello di Filippo ed Ermete, è dato dal Martirologio siriaco (ott. 23): Σεΰηρος ó πρεσβΰτερος καί Δωρόθεος, e dal Geronimiano: x hai. nov. (i. e. 23 o tt.) in AdrianopoK Severi {et Dorothei). D i questo D oroteo, annunciato in Adrianopoli lo stesso giorno di Severo, non sappiamo nulla (v. D elehaye , Les origines, p. 242).

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dolor enim pedum aliter eum ire non passus est (13, 3). Qui, se non erro, è dato scorgere un indizio non trascurabile - da aggiungersi agli altri rilevati via via - che la Passio attuale è qua e là un compendio. Avver­ tendo pure et sim pliciter che Filippo non era in grado di camminare per il dolore dei piedi, l’agiografo sembra effettivamente supporre i lettori già informati sulla causa di quel dolore, il quale evidentemente non dipendeva dalla fustigazione subita dal santo tre giorni prima: le verghe non colpivano che la schiena e tutt’al più il petto, non mai le estremità inferiori b D ’altra parte Ermete, che non aveva sofferto 1 Inoltre lo scrittore afferma, com e abbiam o visto sopra, che Filippo, rientrato nel carcere dopo la fustigazione, nulla sentiebat incommoda ope tectus angelica. Le quali parole accennano un prodigio m a io straordinario di quelli che si leggono in testi gravissimi, contemporanei ai fatti di cui si occupano, per es. nella lettera del clero di Vienna e di Lione (ap. E useb ., Hist, eccl., 5, 1, 24), nella Hist. pere. afr. prov. di V ittore V itensa (1, 34; 3, 26-30, ed. Petschenig, p. 15. 84 sgg.) *. D i Filippo in vero lo storico non dice che restò guarito delle piaghe, dice soltanto che non ne sentiva il dolore. Il suo caso insomma è simile a quello del giovane Teodoro di Antiochia che, sottoposto per lunghe ore a spietata tortura, nei giorni di Giuliano l ’Apostata, confessò più tardi a Rufino di aver sentito così p oco dolore, ut tunc maestior factus sit, quando deponi de eculeo iussus est (Hist, eccl., 10, 37, ed. Mommsen, p. 997). Un caso non diverso (per citare un esempio m oderno) è quello del generale L . G. de Sonis il quale, ferito gravemente alla battaglia di L oigny il 2 die. 1870 e rimasto l’intera notte sul cam po, credette vedere dinanzi a sè la Vergine Im m acolata. « Mes souffran­ ces alors », scrive egli, « ont été si peu senties que je n ’en ai point conservé le souvenir » (L. B aunard , Le général de Sonis.. . , Paris 1919, p. 340). A differenza però del generale francese e del giovane antiocheno (assistito visibilmente da un personaggio misterioso), Filippo non ha alcuna visione. È pensiero dell’agiografo che l ’insensibilità del martire fosse opera angelica. Pensiero, a giudizio del H oll (Die Vorstellung, p. 529, nota), inammissibile in uno scrittore degl’inizì del secolo IV , com e inammissibile in Ermete la risposta: quamvis graves dolores a te impositos per angelos suos, pro quo patimur, Christus imminuet (c. 9, 11). Se così è, ne raccoglieremo che la menzione degli angeli si deve al rielaboratore latino. Sembra tuttavia un p o ’ audace negare senz’altro che un cristiano del secolo IV incipiente possa essersi espresso in quei termini. Già nel secolo III s. Dionisio di Alessandria, comm entando il v. 43 del c. 22 di s. Luca, ώφβη δέ * Lutgarda Ni, martire coreana (31 genn. 1802), scrive alla madre e alla sorella: « Le juge me fit donner la bastonnade sur les ja m b e s .. . et on me remit en prison. Mes chairs étaient tou t écorchées, le sang coulait; à peine le tem ps d ’un repas se fut-il écoulé que je ne souffrais plus; ce sont grâces sur grâces, toutes inespérées; quatre ou cinq jours après, tout était guéri: qui l ’eût pu pen­ ser ? » (H. L eclercq, Les martyrs. Recueil de pièces authentiques. . . , 13, Paris 1921, p. 340).

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nessuna tortura, almeno recentemente, teneva dietro a Filippo sim ili pedum dolore constrictus, dice il narratore. Ciò significa che i piedi do­ loravano ad ambedue i martiri per una causa comune. Probabilmente, nel giorno precedente all’ultima udienza, essi in nervo m anserantx, erano stati cioè coi piedi confitti nel lignum, nel ceppo, conforme si legge di m olti altri martiri. In ogni modo, la cagione di quel dolore che rese più aspro a Filippo ed Ermete l’ultimo viaggio, difficilmente si può pensare passata sotto silenzio dall’autore di una relazione così ricca di particolari coine la nostra. Ermete, mentre seguiva zoppicando il suo vescovo affranto e si­ lenzioso, portato a braccia, verosimilmente dai carnefici (perchè, se questo onore fosse stato concesso ai cristiani, l’agiografo, secondo ogni probabilità, ce ne avrebbe informati, come fa a c. 8), era pieno di buon umore, e diceva: « Orsù, maestro ottimo, affrettiamoci ad andare dal Signore, senza curarci dei nostri piedi, di cui fra poco non avremo più alcun bisogno ». E ai circostanti raccontava: « Ohe io avrei sofferto quel che oggi vado a soffrire me lo preannunciò il Signore con una vi­ sione manifestissima. Perchè una notte, mentre dormivo placidamente, ecco entrare nella stanza una colomba candidissima, che mi si posò sul capo, poi scese al petto e mi porse col becco un cibo di squisita dolcezza ». Il Mazzocchi pensò che questo meraviglioso cibo simboleggiasse la Eucaristia, solita amministrarsi ai martiri prima del combattimento

αύτώι (’Ιησού) άγγελος άπ’ ουρανού ενισχύων αυτόν, scriveva: καί τούτο τής περί ημάς ενεκεν οίκονομίας έπράττετο. των γάρ ύπέρ εύσεβείας αγώνων οί άθλεΐν μέλλον­ τες τούς ιερούς αθλους αγγέλους εξ ούρανοΰ επικουροΰντας αύτοϊς έχουσιν (ed. Ch . F eltoe, The letters cmd other remains of Dionysius of Alexandria, Cambridge 1904, p. 243). 1 È l’espressione di s. Perpetua (Passio, 8, 1 [ed. van Beek, p. 22, 10]: die quo in nervo mansimus). Pare che la pena del nervo, che consisteva nell’avere i piedi (più o m eno fortemente divaricati) nel ceppo, detto dai greci κολαστήριον ο βασανιστικόν ξΰλον ο ξύλον senz’ altro, non si protraesse, di solito, più di ventiquattr’ore (Ettseb., Mart. Pal., 1, 5; 4, 11). Coloro di cui ci si riferisce che durarono nel nervo m olto più a lungo, per es. quattordici giorni, com e Luciano (Passio, 12, in: P hilostorg., Hist, eccl., ed. Bidez, p. 194, 8), diciannove, com e Celerino (Cyprian ., Hpist., 39, 2, 2, ed. Bayard, p. 98), o non v i furono διατεταμένοι nè υπό πέντε nè υπό τέσσαρα κεντήματα (ν. Ρ . Franchi d e ’ Cavalieri , Πεντεσύριγγον ξύλον, in Studi italiani di filologia classica, 8, 1900, p. I l i sg.), o ebbero un corpo di tem pra eccezionale, adamantina, com e Origene (Euseb ., Hist, eccl., 6, 39, 5).

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supremo 1. Dello stesso avviso fu il Padre S. Minasi, aggiungendo che, ove la spiegazione del sogno da lui propugnata cogliesse nel vero, la Passio s. P hilippi ci offrirebbe la più antica testimonianza delle co­ lombe eucaristiche, cioè di quelle colombe di metallo prezioso, nelle quali si usò un tempo custodire le sacre S pecie2. Io dubito assai che il diacono di Eraclea abbia veduto nelle escae gratissimi cibi portegli dalla messaggera celeste un preannuncio dell’ultima comunione. Perchè, se è innegabile che alla vigilia del martirio i fedeli si nutrivano, potendo, del Pane dei forti, altrettanto è certo che delValimentum indeficiens essi procuravano cibarsi il più spesso possibile, specie in tempo di per­ secuzione e nei lunghi mesi di prigionia3. Secondo me, nel cibo recatogli dalla colom ba4 Ermete riconobbe piuttosto un simbolo della dulcedo felicitatis perpetuae5, alla quale sarebbe ammesso prossima-

1 Mazzocchi, Commentarius, p. 221, col. 1: columba, quae secundum quietem ‘ escas gratissimi cibi ’ Hermeti offert, Eucharistiam notasse martyri forsan videba­ tur (ac fuit tempus, quum in pendula argentea columba Eucharistia asservaretur), quod indicio propinquae passionis eidem fuit, quippe instante martyrio communio dabatur. 2 In La Civiltà cattolica, ser. X V , 11, 1894, p . 217 sg. 3 Alla fine del II secolo e nel III in molte chiese sia dell’oriente che del­ l ’occidente era già invalso l ’uso di comunicarsi ogni giorno, uso che si andò estendendo nel secolo IV dopo la pace Costantiniana (M. R ampolla, S. Melania giuniore, R om a 1905, p. 250 sgg.). Specie aU’appressarsi di una persecuzione, si raccom andava ai fedeli la comunione frequente; vedi Cyprian ., Epist., 57, 2, 2 (ed. Bayard, p. 155 sg.): at vero nunc n o n .. . morientibus sed viventibus communi­ catio a nobis danda est, ut quos excitamus et hortamur ad proelium. . . protectione sanguinis et corporis Christi muniamus, et cum ad hoc flat Eucharistia ut possit accipientibus esse tutela, quos tutos esse contra adversarium volumus, munimento dominicae saturitatis armemus. Nam quomodo docemus aut provocamus eos in confessione nominis sanguinem suum fundere, si eis militaturis Christi sanguinem denegamus ? Aut quomodo ad martyrii poculum idoneos facimus, si non eos prius ad bibendum in ecclesia poculum Domini iure communicationis admittimus f 4 Messaggero del Cristo, o una immagine del Cristo stesso (v. P . F ranchi d e ’ Cavalieri , Gli Atti dei ss. Montano, Lucio e compagni, R om a 1898, p. 42, nota 3, dove del sogno di Ermete si dà la stessa spiegazione qui sopra esposta). Per la colom ba, sim bolo talvolta del Cristo, v. F r . J. D oelger, Antike und Christentum, 2, Munster i. W . 1930, p. 46; F r . Jühling , Die Taube als religiòses Symbol im chrìstlichen Altertum, Freiburg i. Br. 1930, p. 63, nota 53; 81, nota 4. 6 Vedi F ranchi d e ’ Cavalieri, Gli Atti, p. 40 sgg. Comunemente gli an­ tichi cristiani rappresentavano la beata eternità sotto l ’immagine di un sollemne convivium laetitiae plenum (Passio ss. Mariani et Iacobi, 11, 4 [ed. K n op f e Krfiger, p. 72, 28]; vedi Note agiografiche, V I, p. 25, nota 2), al quale partecipano i martiri e i profeti (Passio s. Fructuosi, 3, 2, in Note agiografiche, V i l i , p . 188),

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mente. Così Perpetua aveva scorto un preannuncio del Paradiso nella buccella di latte rappreso, che il divino Pastore si era degnato porgerle nella visione del giardino celeste. In quanto alle colombe eucaristiche, è ora volgarmente noto (per merito sopra tutto delle esaurienti indagini del P. Giuseppe Braun r) che nelle provinole orientali non se ne trova indizio prima della leggen­ daria Vita di s. Basilio, scritta intorno al secolo V i l i 2, nella quale si parla di un caso particolare, non di un’usanza3. Anche in occidente mancano testimonianze sicure, anteriori al medioevo inoltrato; degli originali che ci sono pervenuti nessuno risale oltre il secolo X II. ile i luogo ubi poenae parabantur (vale a dire nel locus noxiorum poenis destinatus) i carnefici si affrettano ad applicare il santo vescovo al palo. Prima lo interrano fino alle ginocchia (pedes humo usque ad genua texerunt), poi gli legano le mani a tergo, assicurandole al palo con chiodi (religatas postergum manus in fuste configunti ). Come si il con vito di Àbram o, Isacco e Giacobbe (Cyprian ., De mòri., 17 [ed. Hartel, p. 308, 8 sg g .]: Abraham... Isa a c ... Iacob, ad quorum convivium congregatur quisque fidelis et iustus et laudabilis invenitur; cf. Epist., 2, 2, 2 [ed. Bayard, p. 5]). 1 ’ Dei testi greci e latini che venivano allegati (vedi [H. Grisar], Le colombe eucaristiche nell’antichità ecclesiastica, in La Civiltà cattolica, ser. X V I , 8, 1896, p. 466 sgg.) com e attestanti, direttamente o indirettamente, l ’nso delle colom be eucaristiche, il Padre J. B raun ha fatto giustizia nelle sue opere: Der christliche Altar in seiner geschichtUchen Entwicklung, 2, München 1924, p. 575 sgg., 579 sgg.; Das christliche Altargerat in seinem Sein und in seiner Entwicklung, München 1932, p. 319 sg.; cf. Fr . Sühling , Die Taube als religiòses Symbol im christ. Altertum, Freiburg i. Br. 1930, p. 85 sg. Sul testo di Tertulliano (Adv. Valent., 3) nel quale si era creduto di cogliere la più antica allusione alla colom ba eucari­ stica, vedi pure D oeloer, Antike und Christentum, 2, p. 43. 2 V edi 0 . B ardenhewer , Oeschichte der altkirchlichen Literatur, 3, Frei­ burg i. Br. 1912, p. 130, nota 1; 227. 3 V edi B raun , Der christliche Aitar, 2, p. 609. 4 In fuste. Con vocabolo più proprio si sarebbe detto in stipite, vedi Te r tull ., De pud., 24; Passio s. Fructuosi, 5, 1 (ed. F ranchi d e ’ Cavalieri , Note agiografiche, V i l i , p. 192, 2); Passio s. Afrae, 2 (ed. B. Krusch, in M GH., Script, rerum Merov., 3, p. 63, 4); Passio s. Pionii, 2 (ed. R uinart , Acta, p . 127, col. 2); L amprid ., Sev. Alex., 18, 36, 2. L ’originale greco dovette avere τώι ξύλωι, v o ­ cabolo comunemente usato a designare appunto il palo cui erano avvinti i condannati al fuoco o alle fiere (Epist. cl. Lugd. et Vienn., apud E useb ., Hist, eccl., 5, 1, 41. 42; Passio ss. Carpi etPapyli, 37. 44 [ed. K n opf e Krüger, p. 12, 35; p . 13, 17]; Passio s. Pionii, 21, 2. 5 [ed. K n op f e Krüger, p. 56, 17. 21], etc.) *, * Benché voce più propria è i-κηίον ( = ξΰλον ορθόν, σταυρός), vedi E useb ., Mart. Pal., 2 ,2 ; Theophan ., fr. 3, p. 13, 21.

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raccoglie dal seguito, il palo stava piantato sul margine d’una fossa, e ciò spiega l’interramento delle gambe. Perchè, disceso il condannato nella fossa e posto con le spalle contro il palo, quella veniva riempita di terra ed egli assicurato al legno. Le Passiones di Policarpo (13, 3), di Carpo e Papilo (37. 38), di Pionio (21, 2-3) c ’insegnano che le mani dei condannati al rogo sole­ vano essere confìtte al palo con chiodi. Questo però non fu un uso ge­ nerale. Fruttuoso vescovo di Tarragona e i suoi diaconi ebbero le mani legate semplicemente con fasciolae (Passio, 4, 4); Tertulliano ci mostra i condannati alle fiamme ad stipitem revinctos (A poi., 50); Eomano (presso Eusebio, Mart. Pai., 2, 2) τώι ίκρίωι προσδείται1. Allo stesso modo potrebbe essere stato trattato anche Filippo, giacché quella che s. Policarpo chiama τήν έκ των ήλων ασφάλειαν (Passio, 13,3) doveva apparire superflua quando la vittima, conficcata nel suolo fino alle ginocchia, si trovava nell’assoluta impossibilità di evadere dal cerchio di fuoco in cui veniva rinchiusa. Aggiungi che, passando lo storico poco appresso a parlare di Ermete, dice ligatur et ipse postergum. Si sarebbe egli limitato a ricordare la πρόσδεσις δπίσω, se Ermete avesse sofferto la crudele προσήλωσις delle mani ? Ancora una osservazione: alcuni codici, in luogo di clavis configunt, hanno clavulis c., lezione che non si oserebbe rigettare troppo leggermente. Si capisce infatti come l’espressione manus clavulis configere possa essere sembrata scorretta, atteso che per configgere le mani e i piedi al palo o alla croce non. si

ma che valeva altresì bastone, randello (Matth., 26, 47. 55; Marc ., 14, 43; L u e., 22,52; D ionys . A l e x ., ap. E useb ., Hist, eccl., 6 , 41, 3, etc.). Grazie a questo doppio significato g l’interpreti resero fustis talvolta là dove si sarebbe dovuto tradurre stipis, com e nel caso nostro, giacché stipes fustis terrae defixus (F est ., ed. Thewrewk de Ponor, p. 457). Quindi è che in Giosuè (10, 26 έκρέμασεν αυτούς επί πέντε ξύλων) l ’ Itala aveva suspendit eos super quinque fustes, la Volgata legge super quinque stipites. Particolarmente fustis è la mazza con cui si colpiscono i rei, la vitis dei centurioni (fustigano, fustibus caedere, supplicium fustuarium, ci. M ommsen, Bômisches Strafrecht, p. 983). 1 Cf. Passio s. Afrae, 2 (ed. Krusch, p. 63, 4); L amprid ., Sev. Alex., 18, 36, 2. - Peraltro nella bassa latinità ligare si trova usato qualche volta com e equivalente di adfigere, vedi Greg . M., Moral., lib. 18, c. 40, 64 (PL, 76, 74 b ): in cruce clavi manus eius (del buon ladro) pedesque ligaverunt. Così δεΐν in greco: N onn ., Paraphr. s. lofi, evang., c. 19, 94 sgg. έπισφίγξαντες... πεπταμένας... / χεΐρας, άμετρήτοισι πεπαρμένον αζυγι γόμφωι / διπλόον έλκος εχοντα, μιήι τετορημένον όρμήι / ποσσίν όμοπλεκέσσιν, άκαμπέα δεσμόν ολέθρου. / κέντροις δ’ άντιτύποισιν επί σταυροίο δεθέντας, etc.; Ibid., 173 επί σταυρώι δεύέντος/ άλλου νυκτιλόχου, etc.

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richiedevano dei chiodini, degli ήλίσκοι ο πασσάλια l, sì bene dei chiodi grossi, dei davi trabales2: non si capirebbe, al contrario, come, trovando davis configunt, potesse aver pensato per la καθήλωσις delle mani pre­ starsi meglio dei chiodi piccoli, dei clavuli o claviculi. Questi sarebbero stati però appropriatissimi se si fosse trattato di assicurare al palo non le mani, ma i vincoli di queste, le fasciolae. Tutto ben ponderato, inclinerei a supporre nell’originale greco una certa ambiguità, dalla quale l’interprete sarebbe stato tratto in errore. Potè il greco sonare, per es. così: αυτόν οπίσω τό χεϊρε δεθέντες προσεπασσάλευσαν τώι ξύλωι, intendendo che i carnefici legarono i polsi di Filippo con una fasciola o una funicella, e questa assicurarono con chiodi, inchiodarono alla colonna di legno 3. Così, quando E schilo4 fa dire da Efesto a Prometeo οίκοντά σ’ οίκων / προσπασσαλεύσω τώι δ° απάν­ θρωποι ι πάγοη, non intende « t ’inchioderò le mani e i piedi allo scoglio », ma « inchioderò allo scoglio i ψάλια, gli anelli, che ti stringono le mani e i p ied i56». Quindi, invece di προς σανίδα διαπασσαλεΰειν τινά (ο προσπασσαλεΰειν β), Aristofane dice δήσαι εν τήι σανίδι (ο προς τήι

1 Che è più probabile, se il dim inutivo ήλίσκος, di cui vedo citato soltanto un esempio di A ristofane (fr. 314 K ock, da P oll., 10, 61; cf. Phot., s. v .), è una peculiarità dei com ici (ήλους οί πολλοί καί ήλίσκους οί κωμωιδοί λέγουσιν, P oll., 10, 188). 2 Passio s. Pionii latina, c. 21 (ed. R uinart , Aeta, p. 127): ut clavis tra­ balibus figeretur, membra sua composuit; P aulin ., Oarm., 27, 435 corpora trans­ fixos (Vitale ed Agricola) trabalibus inclita clavis. 3 Non sarà inutile ricordare com e alcuni scrittori si valsero dei verbi προσηλοϋν e crucifigere anche trattando di condannati non affissi alla croce con chiodi, ma semplicemente legati con funi, com e fu costume in E gitto (X enoph ., Ephes., 4, 2 ,1 ; c f. F ranchi d e ’ Cavalieri , Della « furca» , p. 84; U. H olzmeister, Crux Domini atque crucifixio quomodo ex archaeologia romana illustrentur, Rom a 1934, p. 10). Vedi Passio s. Andreae apost., 10 (ed. L ipsius e B onnet, Acta, 2, p. 23): ó Αίγέας τώι σταυρώι αυτόν προσηλωΟηναι (al. προσπαγήναι) έκέλευσεν, ούτως δηλώσας τοΐς κεντιοναρίοις, ΐνα δεθήι τάς χεϊρας καί τους πόδας... όπως μή ήλοις εμπαρείς τάχιον έκλείπηι; Passio ss. Epimachi et Alexandri, 11 (ed. R uinart , Acta, p. 66): Alexander fixus cruci animam.. . effundat.. . Carnifices acceperunt beatum Alexandrum salutarique signo eum . . . nexuerunt; cfr. I oh. Chrysost ., De capto Eutropio et de divitiar. vanit., 4 (PG, 52, 395, coi. 2): χωρίς δεσμών τώι κίονι τούτωι προσηλωμένον. 4 P ro m e tti.,

19 sg.

6 Cosi dobbiam o pure im maginarci Androm eda επί τίνος πέτρας προσπεπατταλευμένην (Lucian ., Dial, mar., 14, 3). Vedi D arehberg e Saglio , Dic­ tionnaire, s. v. Perseus, p. 405, fig. 5585; s. v. Vinculum, p. 897, fig. 7499. 6 H er ., 7, 33; 9, 120.

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σανίδι1) e Plutarco σανίσι προσδήσαι 2, perchè le mani

e i piedi del reo non venivano inchiodati all’asse direttamente, ma indirettamente, infiggendosi nell’asse le σύριγγες in cui restavano assicurati i piedi, le mani e il c o llo 3. Peraltro a chi volesse ritenere il latino manus in fuste configunt esattamente corrispondente all’originale greco perduto, mi guarderei dall’oppormi μετά παρρησίας. Perchè, insomma, nulla vieta in modo assoluto di ammettere che le mani di Filippo venissero confitte al palo con chiodi (specialmente se con chiodi non lunghi) e a suo luogo recherò le ragioni che attenuano, se non eliminano del tutto, l’apparente inverisimiglianza di questa interpretazione. Quando è la volta di Ermete, gli si ordina di scendere nella fossa: ciò ch’egli eseguisce fuste sustinens trepida Jiinc inde vestigia. « En s’ap­ puyant sur un baston » traduce il Tillem ont4. E certo la voce fustis ha non di rado questo significato, già nei classici (per es. Plaut. [Asm ., 427]: si claudus sim cum fustis ambulandum) e poi negli autori cristiani (per es. Greg. Tur. [Gl. mart., 3]: Egressum fuste adminiculante perficie­ bat). Ma atteso che fustis è stato adoperato dal nostro agiografo im­ mediatamente prima nel senso di stipis, penso, d ’accordo con P. Al­ lard, che qui abbia lo stesso significato. Scendendo dunque Ermete nella fossa e non riuscendo a soste­ nersi sui poveri piedi dolenti, nonostante il palo al quale si appoggia, dà in una schietta risata, e Negue Me me, diabole, esclama, potes su­ stinere ! Parve al Mazzocchi che questa apostrofe dimostrasse, fin quasi alla evidenza, Inane Mstoriam non de Graeco transfusam, sed Latine 1 Thesmoph., 930 sg.; 940. Cf. Gratin ., fr. 311 K ock. 3 Perici., 28. 3 Sui particolari di questo supplizio dissipò ogni incertezza il travam ento, avvenuto anni fa in Atene, di diciassette corpi di giustiziati, tuttora προσπεπατταλευμένα ταϊς σανίσιν mediante cinque semicerchi metallici (onde πεντεσύ­ ριγγον ξύλον), le cui estremità erano state ribadite sulla faccia posteriore delle σανίδες; vedi A . D . K eramopulos, Ό άποτυμπανισμός, A tene 1923. Ha però ragione J. V ergote (Pes principaux modes de supplice chez les Anciens et dans les textes chrétiens, in Bulletin de l'Institut historique belge de Borne, 20, 1939, p. 143) di ritenere diverso il supplizio del πεντεσύριγγον ξύλον άΛίΓάποτυμπανισμός, d ’accordo con E. C. E. Ow en (’Αποτυμπανίζω... τύμπανον [τύπανον], in Journal of theological Studies, 30, 1929, p . 259 sgg.) e contro Keram opulos. Ma a torto Ow en (p. 259) identifica il πεντεσύριγγον ξύλον con la ποδοκάκη com e vuole lo scoliasta di Aristofane (ad Eq., 1049) e com e giudicai anch’io in un articolo (Πεντεσύριγγον ξύλον, p. 99 sgg.) rimasto sconosciuto all’ Owen e ad altri. 4 Mémoires, 5, p. 309.

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primitus scriptam fuisse. Quid risum martyris, prosegue il dotto Capua­ no, elicuit? aut quid in Ms verbis falsi est? Luditur omnino in verbi ‘ Sus­ tineo ’ ancipiti significatu. Nam in speciem videbatur sumi pro ‘Fulcio ’ . . . et revera martyr accepit pro ‘ Tolero ’ . Ma poiché nullum ... graecum est verbum, quod duplicem illam verbi ‘ Sustineo ’ significationem obtineat, ne segue, a senso del Mazzocchi, che la passio Latine primitus scripta fuit. Ma ciò che risum martyris elicuit non fu il verbo a doppio senso da lui adoperato, sì bene, come avverte il Mason, ‘ thè humour of the situation Ermete in quel suo traballìo vede una ridicola manovra del diavolo che, non essendo riuscito a farlo cadere nell’idolatria, vorrebbe almeno farlo stramazzare a terra nel momento del glorioso trionfo. Qual verbo abbia corrisposto nell’originale greco al sustinere della ver­ sione latina non sappiamo dire con certezza. Certo è che il Mazzocchi, distinto ellenista, fu servito male dalla memoria quando affermò non esistere verbo greco duplicem illam verbi ‘ Sustineo ’ significationem ob­ tinens; giacché φέρω al pari dei verbi latini sustineo e fero 3, tanto vale « porto, reggo », quanto « sopporto, tollero ». Già nella fossa, e interrato fino alle ginocchia, ante tamen quam subponeretur incendium, Ermete scorse tra i presenti un cristiano di sua conoscenza a nome Eulogio 3 e, datagli una voce, lo fece venire a sé. Le parole ante quam subponeretur incendium potrebbero indurre a credere che i lugubri preparativi fossero tutti compiuti e non restasse ormai altro che appiccare il fuoco, hion è così: perchè evidentemente i ministri non avevano ancora accatastate o finito di accatastare le legna attorno al martire che se ne stava con le mani sciolte: queste infatti non gli furono legate a tergo se non dopo il breve colloquio con Eulo­ gio (13, 12). A costui Ermete rivolge una viva preghiera, anzi lo scongiura1 3 2 1 Per φέρειν = «p o r ta r e »: A ristoph., Vesp., 1444 εΐσω φέρω σ’ εντεύθεν; A raros, fr. 17 K oek την νύμφην... μετέωρον... φέρων; DlOGENIAN., 5, 31 ίππος με φέρει; P lut ., De vit. aere aï., 6, δ, (ed. Bernardakis, p. 140, 14): ού δύναμαι την αίγα φέρειν, etc. Per φέρειν = «tollerare»: P hilem ., fr. 202 K ock νόσον πολύ κρεΐττόν εστιν η λύπην φέρειν; Grenfell e H unt , The Oxyrhynehus Papyri, 237. V II. 26 ενέγκαντος τού δείνα την ΰβριν (II sec.); Grenfell . . . e Smyly , The Tebtunis papyri, 314, 3 πιστεύω σε άγνοεΐν όσον κάματον ηνεγκα (IV sec.), etc. 2 Per fero = «tollero, sopp orto» basti citare Cyprian ., De bono pat., 19 (ed. Hartel, p. 410, 24): diabolus hominem ad imaginem Dei factum inpatienter tulit. Sono notissime le espressioni aegre fero, moleste /., iniquo animo f. e simili, vedi Thesaurus linguae latinae, s. v. fero. 3 Alcuni codici e le edizioni lo chiamano Velogium, altri Eulogium e così leggeva evidentemente Poriginale greco (Εύλόγιον).

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per il nome santo di Cristo di recare l’ultima sua volontà al figlio F i­ lippo: gli imponga, da parte del padre prossimo ad essere bruciato vivo, di rendere ai singoli quanto è loro dovuto l. « Perchè », dice Ermete, « tale è pure il precetto dell’imperatore di questo mondo, che ordina ad ognuno di restituire senza contesa ciò che da altri ha ricevuto in deposito. Restituisca dunque, Filippo, tutto quel che si deve a ciascuno se non mi vuole esser causa di preoccupazione e di dolore ». Egli in­ tendeva, spiega l’agiografo, delle somme che aveva ricevute in deposito (tute sibi eredita) per restituirle, naturalmente, ad ogni richiesta. È notevole, benché, per quanto mi consta, non abbia sin qui richiamata l’attenzione dei dotti, il passo: nam et mundi huius im peratoris23similia sunt praecepta; praecepit enim singulos suo fruì et si quid ab aliis su­ sceperint, sine contradictione redhibere. Qui infatti Ermete sembra al­ ludere a un rescritto imperiale (imperatoris praecepta) di data recente, col quale si ordina che i depositi vengano resi ai depositanti sine con­ tradictione, e cioè sine controversta. E realmente il codice Giustinianeo (4, 34, 10) ci conserva, fra altri, un rescritto per l’appunto di Diocle­ ziano, dell’a. 294, del quale devo la conoscenza alla gentilezza del collega prof. Valentino Capocci e che suona così: Im pp. Diocletianus et Maximiamus A A . et CO. Septimiae Quadratillae. Qui depositum non restituit suo nomine conventus et condemnatus ad eius restitutionem cum infamiae periculo urguetur. Subscripta pridie id. Decembres Nicomedia CC. consulibusa. ΪΓοη oserei affermare essere proprio questo il rescritto 1 Secondo P linio (Epist., 10, 96 ad Traian.) i cristiani di Bitinia e del P onto nelle loro adunanze domenicali (su cui vedi L. C. Mohlberg, Carmen Christo quasi Deo, in Rivista di archeologia cristiana, 14, 1937, p. 93 sgg.) sole­ vano s e .. . sacramento.. . obstringere, (fra le altre cose) ne depositum appellati abnegarent. 2 Non crediamo che imperator huius mundi sia versione di ό κοσμοκράτωρ (Paul ., Eph., 6 , 12) o di ό αρχών τού κόσμου τούτου (Ι οη., 12, 31; 14, 30; 16, 11), perchè queste espressioni non furono mai usate per designare l ’imperatore rom ano. L ’agiografo designò Diocleziano ό βασιλεύς τοΰ κόσμου τούτου (Passio s. Quirini, 1 [ed. R uinart , Acta, p. 437]: cum mundi istius principes ad cruciandas sanctorum animas diabolus conmovisset) in opposizione al βασιλεύς, il cui regno ούκ εστιν εκ τοΰ κόσμου τούτου (Ι οη., 18, 36), al βασιλεύς επουράνιος (1 Clem ., 61, 2). A ltrove l ’im peratore romano è detto imperator terrestris in opposizione al Rex caelestis, vedi per es. Passio ss. Epipodii et Alexandri, 1 (ed. R uinart , Acta, p. 63, col. 1). 3 Vedi ancora 10, 4, 1: iidem Augusti et Caesares FI. Aurelio Attenico A n ­ dronico. Eos penes quos vestem et argenti materiam deposuisse (te) proponis, apud rectorem provinciae convenit interrogari: qui eos sive teneant, sive dolo fecerint quominus possint restituere, secundum bonam fidem, tibi satisfacere compellet.

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a cui si riferisce il martire, ma fu certo un rescritto di simile tenore e di data non molto diversa. Che Ermete lo attribuisca, anziché agli im­ peratori, all’imperatore (ammesso che questo singolare, come pare probabile, risalga al testo originale della Passio) non deve sorprenderci troppo. L ’ex magistrato di Eraclea avrà ritenuto, e non a torto, che quel rescritto, pur recando i nomi dei due Augusti e dei due Cesari, fosse opera in realtà del primo di essi, che, fra l’altro, era il solo residente allora in Mcomedia, donde il rescritto è datato. Si badi: la breve commissione che Ermete dà ad Eulogio per il figlio Filippo e riportata dall’agiografo parte in forma indiretta (di­ ceret . . . ei ut redderet omnibus quod deberet), parte in forma diretta (cioè a principiare dalle parole: nam et mundi huius imperatoris) ter­ mina con un’ammonizione, come alcuni opinano, non a Filippo sì bene ad Eulogio, non al destinatario dell’imbasciata, ma al portatore di essa: addidit etiam hoc amore pietatis et ait: Iuvenis es,· debes victum cum labore tibi quaerere, ita ut patrem jecisse meministi, quem scis cum om­ nibus bene esse versatum. Ora non sarebbe per sé impossibile che il santo diacono avesse dato ad Eulogio l’ammonimento : Iuvenis es, etc., quasi per compensarlo, come nota P. A llardl, dell’incarico affidatogli. Io credo tuttavia doversi stare decisamente con la maggioranza degli studiosi, i quali ritengono dato a Filippo anche quel consiglio, che infatti si collega assai bene con l’ordine di restituire ad ognuno il suo. « Perchè », dice Ermete, « il necessario alla vita tu, giovane e valido, devi procurartelo col lavoro delle proprie mani, seguendo tuo padre che si comportò da onest’uomo con tutti ». ΪΓοη nego; il nostro scrittore si sarebbe espresso con maggior chia­ rezza qualora a Iuvenis es avesse premesso: dic Philippo meo nomine, ovvero: dic Philippo: haec quoque ad te mandat pater tuus, o anche solo: dic Philippo. Queste parole però si possono sottintendere senza dif­ ficoltà, non sono necessariea. Subscripta V I kal. Aprilis Sirmii, Caess. coss. (a. 294-302), et. R. T aubensch Das rómische Privatrecht zur Zeit Diokletians, in Bulletin international de VAcadémie Polonaise des sciences et des lettres de Cracovie, 1919-1920, p . 141 sgg. 1 V edi A llakd , La persécution de Dioclétien, 1, p. 329. 2 Cf. I oh ., 20, 17 λέγει αύτήι ò ’Ιησούς · Μή μου απτού... πορεύου δέ προς τούς αδελφούς μου καί είπε αΰτοϊς * άναβαίνω προς τον πατέρα μου καί πατέρα υμών κτε; P allad ., Laus., ο. 25 (ed. Butler, p. 79, 16): λαβών ούν Ούάλης τόν άπενεγκόντα (τό δώρον Μακαρίου) ύβρισε και ετύπτησε, καί λέγει αΰτώι · ’Άπελύε καί είπε Μακαρίωι · Ούκ είμί σου χείρων, ΐνα σύ έμοί ευλογίαν πέμψηις ; C. 35 (ed. cit., la g ,

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Le ultime raccomandazioni del diacono di Eraclea meritano la nostra attenzione anche perchè dipingono al vivo l’imperturbabile se­ renità di lui fin davanti al supplizio, per sè così orrendo, del vivicomburium e il suo trepido affetto paterno per il giovane Filippo, molto inferiore, sotto ogni riguardo, al padre. Quest’ultimo, se leggiamo bene tra le righe, nutriva qualche dubbio sulla delicatezza di coscienza del figliolo. Altrimenti, perchè pregare con tanta istanza Eulogio (quem magna adiuratione constrinxit) di voler rappresentare a Filippo l’ob­ bligo, che gli correva strettissimo, di rendere a ciascuno il suo denaro senza contestazione? Perchè citargli in proposito anche un rescritto dell’imperatore ? E perchè ricordargli il dovere di procacciarsi i mezzi di sussistenza unicamente col lavoro delle proprie mani ? Insomma, nel figlio di Ermete s’intravede un giovinotto poco incline a una vita di lavoro e di sacrifizio, un giovinotto che, all’occasione, non sarebbe forse incapace di approfittarsi in qualche modo del denaro lasciato in deposito da terze persone presso suo padre. Π non trovare mai F i­ lippo accanto al padre nei lunghi mesi di prigionia nè il giorno del glorioso martirio c ’indurrebbe a sospettare in lui qualche cosa di peggio: o una paura confinante con la viltà, o poca corrispondenza d ’affetti col padre eroico, o addirittura la professione di religione pagana. Ma su questi sospetti meglio è non insistere, perchè, argomentando dal silenzio, si rischia purtroppo di andare lungi dal vero. Π vivicomburium dei nostri due martiri è descritto con una so­ brietà di particolari e con una semplicità, di cui alcuni critici non hanno tenuto conto abbastanza, mentre si sono lasciati impressionare sfavorevolmente, a parer mio sine aequa causa, da certe concordanze col martirio di s. Pionio di Smirne e, sopra tutto, da un particolare di fatto diffìcile a mettersi d ’accordo con quanto si legge poco prima. Le concordanze di un testo agiografico con altro più antico possono non provare nulla contro la sua storicità, anche se numerose. Così per es. la Passio ss. L u d i et Montani quantunque offra parecchie concordanze, e non tutte di pura forma, con la Passio ss. Perpetuae et Felidtatis, viene noverata, da tutti i migliori critici fra le narrazioni agiografiche più degne di fede Bisogna dunque, caso per caso, prenp. 102, 18): προσκαλεσάμενος (’Ιωάννης ό έν Λυκώ τήι πόλει) τον έρμηνέα Θεόδωρον όνόματι, λέγει αύτώι · "ΆπελΟε, είπε τώι άδελφώι έκείνωι · Μή μικροψύχει ' δρτι απο­ λύω τον ήγεμόνα καί λαλώ σοι; C. 60 (ed. c it.,p . 154, 19): καί δοϋσα τήι μητρί τήι έαυτής σύγγραμμα Κλήμεντος... είπε- Δός αύτό τώι έπισκόπωι τώι έξωρισμένωι καί είπέ αύτώι · Εύξαι περί εμού · οδεύω γάρ, etc. 1 Vedi D e l e h a t e , Les Passions des martyrs, p. 72 sgg.

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dere in diligente esame le varie coincidenze e non dimenticare che, in realtà, come certe domande e certe risposte negl’interrogatori, così certe situazioni, certi particolari durante la tortura e sul luogo del supplizio dovevano necessariamente ripetersi spesso. E perciò riget­ tare una narrazione di spiccato carattere storico soltanto per qualche concordanza con testi anteriori1 non è permesso. Ciò posto, percorriamo la descrizione del vivicomburium di s. Pionio (c. 21) confrontandola col vivicomburium dei ss. Filippo ed Ermete di Eraclea. Pionio, appena giunto ad locum victimae, che è lo stadio, si spoglia prontamente da sè (έκών απεδύσατο) e da sè va a distendersi sul palo (ήπλωσεν εαυτόν επί τοϋ ξύλου), porgendo le mani al carnefice perchè gliele inchiodi (παρέδωκε τώι στρατιώττμ πείραι τούς ήλους). Alla costui promessa di schiodarlo (αρθήσονταί σου οι ήλοι), purché pronunci una parola di apostasia, si limita a rispondere: ήισθόμην ότι ενεισιν (ho ben sentito che [i chiodi] sono dentro), e poco dopo: «M i affretto (ad addormentarmi) per ridestarmi più presto » (διά τοΰτο σπεύδω, ΐνα θάττον εγερθώ). Lo rizzano allora, così inchiodato al palo (ανόρθωσαν ούν αυτόν επί τοϋ ξύλου)2, voltandolo ad oriente. E mentre gli accatastano attorno le legna e i sarmenti, Pionio chiude gli occhi, sì che, per un momento, è creduto morto. Invece pregava. Ma giunto alla fine della tacita preghiera, riapre gli occhi, fissa il cielo. Poi, al sorgere delle fiamme, con viso raggiante pronuncia l’ultimo αμήν, soggiungendo: ‘ Bicevi, o Signore, l’anima mia ’ . E dette queste pa­ role, spira tranquillamente e senza dolore, come eruttando (ως ερευγόμενος)3. Di tutti questi particolari, che conferiscono al quadro un meravi­ glioso colore di verità, rivelando in chi scrive un testimone oculare, quali e quanti trovano riscontro nella Passio s. Philippi ? Tutt’al più due: l’inchiodamento al palo e l’ultimo αμήν. Ma l’inchiodamento al palo era usitato in molti luoghi, e d ’altra parte, già lo vedemmo, non è certo che il testo originale della Passio 1 Come fa K . H oll , Pie Vorstellung, p. 529, nota. 2 Allo stesso m odo Papilo προσηλωθείς εϊς το ξύλον άνωρθώθη (Passio, 37 [ed. K n opf e Krüger, p. 12, 35]; of. 40 Κάρπος κρεμώμενος [ed. cit., p. 13, 3]) e A gatonice άποδυσαμένη τά ίμάτια αυτής, άγαλλιωμένη έφήπλωσεν εαυτήν επί τό ξύλον... άνορθωθεϊσα δέ καί του πυράς άψαμένη... εβόησεν κτλ. (Passio, 44. 46 [ed. cit., p. 13, 16 sgg.]). 3 La morte soleva avvenire non appena la vittim a aspirava la vampa (flammam ore rapere, ore flammas sorbere, bibere ore rogum). Vedi i testi raccolti ed illustrati dal D oelgek , Antike und Christentum, 1, p . 248 sgg.

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s. P hilippi parlasse d’incModamento delle mani. Ancor meno signifi. cante la coincidenza dell’amen, così terminandosi ogni orazione. E avverti che Pionio non pronuncia il suo amen appena terminata la silenziosa preghiera, ma dopo, al levarsi delle fiamme, e prima di dire i novissima verba: Κύριε, δέξαι μου την ψυχήν, laddove Filippo ed Ermete chiudono con l'amen la loro ultima orazione (certo un salmo), recitata tutta a voce alta. Del resto, dato anche che questo amen sia stato suggerito all’autore della Passio s. P hilippi, il quale conobbe e letterariamente imitò la Passio s. P ionii, appunto da questa, ciò non infirma la veridicità del suo racconto: come non è lecito negare la veridicità della Passio s. P ionii perchè quello che vi si dice della sua preghiera ultima, terminata con Vamen, ha riscontro nel Martyrium s. Polycarpi (15, 1: αναπέμψαντος αΰτοϋ tò αμήν καί πληρώσαντος τήν ευχήν, οϊ τοΰ πυράς άνθρωποι εξήψαν το πΰρ). Π quale Martyrium s. P o­ lycarpi senza dubbio fu presente al pensiero o agli occhi dell’autore della Passio s. Pionii. A ll’infuori delle due insignificanti coincidenze ora accennate, le esecuzioni di Pionio e di Filippo non hanno, si può dire, nulla di co­ mune. Pionio è prima inchiodato al palo, poi rizzato insieme con questo; Filippo, invece, semisepolto in una buca, poi avvinto al palo piantato sul luogo in precedenza Pionio parla più di una volta, Filippo recita solo l’ultima preghiera. Le raccomandazioni di Ermete ad Eulogio non trovano ombra di riscontro nella Passio s. P ionii, nè viceversa le ultime parole di Pionio trovano riscontro nella Passio s. Philippi. Coincidenze degne di esame ci offrono le due Passiones dove de­ scrivono le salme dei martiri, quali apparvero agli attoniti spettatori, dopo incenerito il rogo. La salma di Pionio esce intatta dall’incendio, con le orecchie rigide (ου μυλλά)a, tutti i capelli sul capo, florida la1 2 1 Questo m odo di allestire i condannati al rogo non si trova descritto, che io sappia, in altri autori antichi: errerebbe però chi lo credesse usato esclusiva mente nella Tracia. Infatti Catone narra dei Cartaginesi homines defoderunt in terram dimidiatos ignemque circumposuerunt, ita interfecerunt (Ca t o n ., Or., fr. 37, 3; cf. A . G e l l iu s , 3, 14, ed. Hosius, p. 166 sgg.). C. A s in io P o l l io n e (in C ic., Epist., 10, 32, 3) riferisce com e Balbo questore Fadium defodit in ludo et vivum combussit. Di qui è manifesto che in Se n e c a {De ira, 3, 3, 6) la lezione concorde dei codici circumdati defossis corporibus ignes non va mutata neces­ sariamente in c. defixis corporibus i., com e fecero alcuni editori, nè interpretata con A . B o u e g e k y (S é n è q u e , Dialogues, 1, Paris 1922, p . 68, nota 1) « autour des corps empalés ». 2 II codice legge μυλλά. La negativa ού è supplemento del von Gebhardt, accettato anche da K n opf e Krüger.

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barba, grazioso l’aspetto. Si sarebbe detto il corpo di un atleta nel fiore delle sue forze (σώμα ακμάζοντος αθλητοϋ κεκοσμημένου). Filippo è trovato con le mani stese (Philippi manus extensae velut in oratione fuerant), quasi ringiovanito (ex sene iuvenis reparatus) e in atto di pro­ vocare l’avversario. Ermete aveva l’aspetto vivace, un colorito mira­ bile (facie florens et colore pretiosus), le sole orecchie alquanto livid e1, come quelle di un atleta dopo la lotta (quasi ex certamine quodam). Poiché l’autore della Passio s. Philippi s’inspirò in più d ’un luogo alla Passio s. P ionii, appare sommamente probabile che qui abbia im itato'la descrizione della salma del santo prete di Smirne, uscita dalle fiamme pressoché illesa. Donde non segue però in nessuna ma­ niera ch’egli abbia falsata la verità. Si avverta anzi tutto che, non costumando i romani di collocare i condannati sopra la pira, bensì di circondarli delle legna e della stipa a distanza2, avveniva spesso che i corpi, lungi dal cadere in cenere o dal ridursi a carbone, restassero soltanto abbronzati o abbrustoliti3, come leggiamo anche di parecchi martiri arsi vivi in Giappone nel secolo Χ Υ Π 4. Sarebbe perciò tanto temerario negare fede a quel che la Passio narra del corpo di Pionio, solamente perchè qualche cosa di simile troviamo nella Passio di s. Policarpo ben nota al redattore della Passio s. P ionii, quanto rifiutare ciò che narra la Passio s. Philippi sullo stato delle salme del vescovo di Eraclea e del suo diacono, per l’unico fatto che lo s t e s s o ci viene raccontato di s. Pionio. Lo

1 Questo particolare (più forse! che Passio s. Pionii, 22, 3) suggerì al nostro agiografo di assomigliare il corpo di Ermete a un lottatore uscente dall’arena (M a z z o c c h i , Commentarius, p. 222, col. 1). Come ognuno sa, erano specialmente le orecchie che soffrivano nei pugilati, dirigendo gli atleti i loro colpi in particolar m odo contro le gote. E perciò essi, che nei pubblici certam i non pare usas­ sero munirsi delle άμφωτίδες (ο άντωτίδες ο έπωτίδες), si riconoscevano facil­ mente alle orecchie lacere e deformate (onde l ’epiteto άπο'θλαδίας, cioè τά ώτα κατεαγώς). 2 V edi S e n ., Pe ira, 3, 3, 6; T e r t u l l ., Apoi., 50; E h s e b ., Mart. Pal., 11, 19 (cf. 26); L a c t ., De mort, pers., 15, 3. Ricorda pure quel Turinus che Severo Ales­ sandro in foro Transitorio ad stipitem adligari praecepit et fumo adposito, quem ex stipulis atque umidis lignis fieri iusserat, necavit (Scriptores hist. Augustae, 18, 36, 2). Per una eccellente illustrazione di questi testi, v. D o e l g e r , Antike und Christentum, 1, p. 243 sgg. 3 A lcuni esempi in Note agiografiche, V i l i , p. 155, nota 2. 4 Casi analoghi avvenuti in Giappone, nel sec. X V II , registra D. B a r t o l i , Dell’istoria della Compagnia di Gesù. Il Giappone..., 3, Torino 1825, p. 365 sg.; 4, p. 74, 298, 365, 445.

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s t e s s o , ben inteso, in sostanza, poiché la descrizione dei cadaveri di Filippo e di Ermete, pnr richiamando quella del corpo di Pionio, ne diversifica decisamente nei particolari principali, che hanno tutta l’aria di essere storici. Filippo fu rinvenuto con le mani aperte e distese. Su questo dettaglio alcuni critici si sono gettati arditamente: K. Holl vi rico­ nobbe un plagio dalla Passio di s. Fruttuoso di Tarragona. Chi abbia a cuore soltanto d’indagare la verità deve procedere, a mio senso, con maggiore cautela. Intanto è estremamente improbabile che l’autore della Passione di s. Filippo di Eraclea nella Tracia abbia conosciuta la Passione del vescovo spagnolo 1, con la quale non offre punti di contatto tranne quello rilevato dal H oll e tutt’altro che indiscutibile. A tenore infatti della Passio, Fruttuoso, Ubero dafie fascie che lo legavano al palo, cade ginocchioni, e distendendo le braccia, orationis divinae et solitae consuetudinis memor, comincia a pregare. FiUppo, invece, è trovato così dopo morto, al cadere deUe fiamme sul rogo ormai con­ sunto. Se ne deduce che non egfi prese coscientemente quell’attitudine, sì bene il suo corpo sotto la violenta azione del fuoco, quando le mani si furono divelte dal palo. Velut in oratione fuerant non significa dun­ que che FiUppo conservava da morto l’attitudine presa neU’ultima sua preghiera tra le fiamme, ma che le braccia furono trovate in quel­ l’attitudine che FiUppo da vivo era stato soUto prendere, come tutti i cristiani, nel fare orazione. Circa la pretesa impossibiUtà di accordare il fatto delle mani di­ stese con l’affermazione deU’agiografo ch’esse erano state inchiodate 1 Com’è im probabile che l ’autore della Passio s. Fructuosi, dove riferisce aver rifiutato il santo vescovo di lasciare scalzare dal lector Augustale, abbia im itato la Passio s. Polyearpi. A tenore di questa (13, 2), Policarpo, spogliatosi di tutte le sue vesti, si accinge, non senza difficoltà, a slacciarsi i calzari (έπειράχο καί ύπολΰειν εαυτόν, μή πρότερον τοΰτο ποιων διά το άεί έκαστον των πιστών σπουδάζειν, δστις τάχιον τοΰ χρωτός αΰτοΰ αψηται). Egli insomma per n e c e s ­ s i t à com pie di propria mano un’operazione generalmente difficile ai vecchi, e alla quale non era abituato, laddove Fruttuoso declina per u m i l t à il servi­ gio che Augustale vorrebbe rendere al suo venerato capo e maestro. È ben noto com e in genere le persone agiate, e più ancora quelle costituite in dignità, solevano farsi scalzare (P l i n ., Epist., 3, 16, 8 ). P . Vitellio, narra S v e t o n io (Vitell., 2), miri in adulando ingenii, pro maximo munere a Messalina petit, ut sibi pedes praeberet excaleiandos. E lo stesso Svetonio nota com e una singola­ rità di Vespasiano il vestirsi e calzarsi che faceva da sè (Vespas., 21). L ’atto pertanto del lettore Augustale con ogni probabilità è preso dal vero, la coin ci­ denza con la Passio s. Polyearpi certamente fortuita.

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al palo, osserviamo, in primo luogo, essere a mala pena supponibile che uno scrittore come il nostro non si accorgesse di contraddire grossa­ mente a quanto aveva asserito poche linee innanzi. Se perciò tale con­ traddizione esistesse davvero, ragione vorrebbe se ne accagionasse l’im­ perizia o la trascuratezza dell’interprete latino, anziché l’autore greco, di cui nop siamo in grado di restituire il testo preciso di su la versione Ubera o rimanipolata. In secondo luogo, non pare il caso di parlare di una contraddizione, dato anche e non concesso che la versione renda l’originale a puntino. M ente invero ci vieta di pensare che le mani di Filippo fossero state male assicurate allo stipite con chiodi troppo piccoli (alcuni codici - avemmo già occasione di ricordarlo leggono clavulis, claviculis, in cambio di clavis), che il m oto convulso delle braccia nell’atroce agonia potè estrarre facilmente dal palo. È, starei per dire, ovvio che i carnefici inchiodassero le mani a Filippo poco meno che per formalità, trattandosi di un vegliardo estenuato dai patimenti di una lunga e durissima prigione, infìtto saldamente nel terreno fino alle ginocchia. A s. Policarpo, che pur non aveva le gambe interrate, era stata addirittura risparmiata la έκ τών ήλων ασφάλεια. Ermete è descritto facie florens, colore pretiosus. Cosa significano queste espressioni ? Senza dubbio, che il volto del santo diacono non appariva sfigurato nè annerito dal fuoco, ma (in grazia del colore leg­ germente bronzino, che non poteva non aver preso in quel grande incendio) quasi d’uomo vivo e florido 1. Tale si era mostrato agli atto­ niti cristiàni di Smirne il volto del martire Pionio, ma, se non erro, alquanto più integro. Perchè Pionio conservava tutti i capelli e la folta barba, ciò che dal silenzio dell’agiografo è lecito desumere non essersi verificato in Ermete. Tanto più che l’agiografo, seguendo il suo modello, accenna agli orecchi di Ermete, intatti, come quelli di Pionio, ma illividiti. L ’ultimo capo della Passio s. P hilippi narra in breve le vicende dei sacri corpi del vescovo di Eraclea e del suo diacono. Giustino ordina

1 II B a k t o l i ( . . . Il Giappone, 4, p. 317), descrivendo il martirio di 32 cristiani arsi v iv i in Cubota l ’anno 1623, nota: « L e legne eran disposte in giro tanto lungi da’ corpi, che ad alcuni non s’abbruciarono nè pure i capegli, tal che più tosto morirono soffocati dalla vam pa, che arsi dalla fiamma ». E a p. 197: « A l P . Chimura Sebastiano (10 sett. 1622) nè gli si abbruciò filo dell’abito nè il toccò mai scintilla, e m orì senza nè pure abbronzarglisi il v olto, nè cambiar colore, non che trasfigurarsi: disseccato dentro e soffogato dal bogliente vapor del fu oco ».

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che siano sommersi nei rapidi gorghi del fiume E b r o 1. Ciò risaputo, i cristiani di Adrianopoli si provvedono di reti adatte, saltano nelle barche, e giù per il fiume, supplicando il Signore perchè si degni loro concedere di ripescare quei tesori inestimabili. E infatti, mox inlaesae reliquiae2 involutae retibus extrahuntur. Tunc grata venatio. . . duode­ cimo db ea urbe lapide per tres dies celabatur in villa quae sermone pa­ trio « Getistyron », interpretatione vero Latinae linguae « Locus posses­ sorum » vocatur. Ea possessio et fontibus abundabat et nemore, ornata messibus et vineis (13, 3 sg.). Ci fa meraviglia come l’autore, mentre precisa e descrive con cura il luogo che celò i sacri corpi per tre soli giorni, non dica parola della sepoltura definitiva. Può darsi che l’interprete latino abbia frainteso l’originale, convertendo in un nascondimento delle reliquie d u r a t o tre giorni la sepoltura di esse eseguita nascostamente t r e g i o r n i d o p o il getto nel fium e3. Errore non difficile se, per esem­ pio, il greco avesse portato τριή μ ερον, το τριήμερον 4 nel senso di tertia 1 V e b g ., Aen., 1, 317 volucrem.. . Hebrum (così i codici M P B pro Eurum, ci. ed. H. Goelzer, Paris [1925], loc. cit.). 2 Per i greci λείψανον valeva σώμα, νεκρός, cadavere; per i latini (dai quali il singolare reliquia non era usato) la voce reliquiae (sottinteso corporis) indicava propriamente i resti della cremazione, le ossa e le ceneri. Quindi l ’espres­ sione inlaesae reliquiae, di cui si vale l ’autore della Passio s. Philippi latina, nel senso di inlaesa corpora, parrebbe a tutta prima tradire la versione dal greco λείψανα ολόκληρα, o simile. Se non che gli scrittori latini, anche quando l ’uso d ’incenerire i cadaveri era abolito da tem po, continuarono a chiamare reliquiae i cadaveri integri. Per es. s. A m b r o g io designa con la parola reliquiae le salme degli im peratori Graziano, Valentiniano, Teodosio e quella del fratello Satiro (Epist., 24, 9; 53, 5; De ob. Valent., 56; De ob. Theod., 54 [PL, 16, 1082. 1216. 1437. 1468]; De exc. fratr. sui Sat., 18 [ed. Schenkl, p. 19]). Con la stessa parola s. G ir o l a m o designa la salma di Lea (Epist., 23, 1, 2 [ed. Hilberg, 1, p. 212]), A m m ia n o quella di Costanzo II (21, 16, 21) e via dicendo (cf. M a z z o c c h i , Com­ mentarius, p . 241. 986). S. G ir o l a m o arriva a chiamare perfino favilla il cadavere, senza annettere più a questa parola il senso di resti del corpo arso sul rogo (Epist., 66, 5, 3 [ed. cit., 1, p. 653]: Pammachius noster sanctam favillam ossaque veneranda [Paulinae uxoris] elemosynae balsamis rigat). Viceversa, allorché dom inava l ’uso della cremazione, capita ai classici di servirsi del verbo humare nel senso di in ­ cenerire (N e p ., Eumon., 13, 4 militari.. . funere humaverunt ossaque eius in Cappadociam... deportanda curarunt); cf. E. H o h l , Die angebliche « Doppelbestattung » des Antoninus Pius, in Elio, 31, 1938, p. 172 sg., nota 4. 3 Questa ipotesi fu da noi proposta già in Hagiographica, p. 126 in nota, e nuovam ente in Note agiografìche, V , p. 98 sg. 4 Per es. Cyrill . H ieros., Cateches., 4, 12 (PG, 33, 469) ό ταφείς Τησοΰς πάλιν άνέστη το τριήμερον άληόώς; cf. H ippolyt., In Ps., fr. 18 Contra haeres.

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die, o meglio ancora διά τριών ήμερων = post tres dies 1. Se così fosse, ogni difacoltà sparirebbe. I cadaveri ripescati il terzo giorno dopo il glorioso martirio a notevole distanza da Adrianopoli, ricevono se­ poltura in una villa amenissima, ricca di fonti, di alberi, di vigne, di messi, luogo perciò quant’altro mai επιτήδειος προς υποδοχήν των αγίων λειψάνων, per dirla con l’autore della Passio s. Theodoti. Effet­ tivamente, terreni méssi a giardini, orti, pomari, vigneti erano volen­ tieri destinati da cristiani facoltosi ad accogliere i santuari dei martiri od anche i sepolcreti della propria famiglia e della com unità2. Le ren­ dite di tali fondi andavano parte a vantaggio dei custodi e dei curatori, parte nella manutenzione degli edifìzi, nelle feste anniversarie, fors’anche a sostentamento dei poveri. Se dunque il nostro autore insiste sulla bellezza e fertilità della villa in cui vennero occultamente deposte le reliquie di Filippo e di Ermete, lo fa, pensiamo noi, per dimostrare quanto essa fosse acconcia a circondare quello che presto divenne il santuario veneratissimo dei due martiri di Eraclea. Tale descrizione sarebbe fuori di proposito, qualora le preziose reliquie avessero sostato in quella villa tre giorni appena, per essere poi trasportate non si sa dove. L ’agiografo ha voluto pure tramandarci il nome del luogo: Getistyron. Questa è la lezione concorde dei codici che io ho potuto colla­ zionare; le stampe, seguendo l’edizione principe del Mabillon, hanno tutte Ogetistyron3. A mio avviso l’originale greco leggeva των κτιστήρων Noeti (ed. Bonwetseh e Aehelis, 1, 2, p. 146, 11): τριήμερος ύπό Πατρός άνίσταται; Adv. lud., 3 (PG, 10, 789 α ): τήν τριήμερον άνάστασιν. 1 Vedi M akc ., 14, 58 εγώ καταλύσω τον ναόν τούτον... καί διά τριών ήμερων άλλον... οικοδομήσω (Vulg. . . .et per triduum a liud... aedificabo); cf. 2, 1 καί είσελθών πάλιν εις Καφαρναούμ δι’ ήμερων (Vulg. . . .post dies); Gal., 2, 1 διά δε­ κατεσσάρων ετών πάλιν άνέβην ( . . . post annos quattuordecim). Nel prim o di questi luoghi il traduttore antico ha commesso lo stesso errore in cui sembra caduto l ’interprete della Passio s. Philippi. 2 Trimalchione in P e t k o n io (Sat., 71), parlando del suo monum ento, dice: ut sint in fronte pedes centum, in agrum pedes ducenti, omne genus enim poma volo sint circa cineres meos, et vinearum largiter; cf. G. B. d e B o s s i , Pei sepolcreti cristiani non sotterranei durante Vera delle persecuzioni, in Ballettino di archeolo­ gia cristiana, 2, 1864, p. 26; La Borna sotterranea, 3, p. 430. Che ai cristiani, anche in tem po di persecuzione, piacesse di deporre le spoglie dei martiri in luoghi ameni e fertili, benché, naturalmente, rem oti, si raccoglie altresì dal bellissimo episodio narrato nella leggenda di s. Teodoto d ’Ancira, c. 11 (ed. F k a n c h i d e ’ Ca v a l i e k i , I martirii di s. Teodoto, p. 67 sg.). 3 Ogetistyron sembra nato dalla repetizione dell’o finale dell’aggettivo patrio immediatamente precedente.

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che fu trascritto in lettere latine c t i s t y b o n . È vero, nè κ τ ι σ τ ή ρ nè ο ι κ ι σ τ ή ρ significa propriamente possessor, bensì fundator, conditor. Ma facilmente l’interprete potè confondere κ τ ι σ τ ή ρ ( κ τ ί σ τ η ς , κ τ ί σ τ ω ρ ) con κ τ ή τ ω ρ (pronunziato κ τ ί τ ω ρ ) ; i quali vocaboli, del resto, finirono, nell’età bizantina, per essere usati come sinonimix. Fra ο ι κ ισ τ ή ρ ω ν e κ τ ι σ τ ή ρ ω ν preferiamo il secondo, anche perchè si avvicina di più alla trascrizione latina Getistyron2: ragione questa che c ’induce a lasciare da parte κ τ η σ τ ό ρ ω ν proposto dal Cotelier ( τ ό π ο ς κ τ .) e dal Maz­ zocchi ( ό γ μ ο ς κ τ .) . Biteniamo poi che la Passio originale, invece di τ ό π ο ς o di ό γ μ ο ς , leggesse χ ώ ρ ο ς , ο χ ω ρ ί ο ν , trattandosi di una villa, di una possessio, come la chiama l’interprete: dunque εν χ ω ρ ί ω ι λ ε γ ο μ έ ν ω ι τ ω ν κ τ ι σ τ ή ρ ω ν (ovvero τ ω ν κ τ. χ ώ ρ ω ι ) . Notiamo di passata come nell’accenno alle messi, delle quali era ornata la villa, il M azzocchi3 trovò un argomento in favore della sua sentenza, aver Filippo colta la palma non ai 22 di ottobre, giusta il Martirologio Geronimiano (e il Breviario siriaco, allora ignoto), bensì ai 19 di aprile, secondo il calendario marmoreo di Napoli. Quid (scrive il Mazzocchi) quod in A ctis. . . reliquiae martyrum. . . celatae primo narramtur in quadam possessione ornata et messibus et vineis ? A t ubinam gentium extremo mense Octobri messes reperias %Domanda fuori di luogo, poiché l’agiografo volle dire semplicemente che il fondo era messo a grano e non già che le messi vi biondeggiavano nel momento in cui accolse le pie spoglie di Filippo e di Ermete. D ’altra parte i critici sono ben lontani ora dall’ammettere che la notizia del calendario napoletano riguardi s. Filippo di Eraclea. H. Achelis propende a identificare il Filippo del 19 aprile col nostro,1 3 2 ο τ ω ν ο ικ ισ τή ρ ω ν ,

1 Vedi K . K rumbacher , Κτήτωρ, ein lexikograpfiischer Versuch, Strassburg 1909; cf. W . M. K am say , The Cities and bishoprics of P h rygia ..., 2, Oxford 1897, p. 552, n. 418. 2 II passaggio da Ctistyron (trascrizione del greco Κτιστήρων) a Getistyron non offre grande difficoltà, cf. Note agiografiche, V, p. 99. CM dettava a uno o più amanuensi la parola Ctistiron avrà avvertito: attenti a scriver bene non Tistyron, ma C(e)tistyron. Donde Cetistyron e Getistyron. Non sarebbe m olto più difficile spiegare il passaggio da Oecistyron (trascrizione latina di Οικιστήρων) a Cetistyron. Basterebbe supporre incom pleto l ’o iniziale e scambiata la c con una t. Ma, com e osserviamo nel testo, Οικιστήρων sembra meno probabile di Κτιστήρων. - Sia ricordata a titolo di curiosità la notizia di Posidonio presso Stra ­ bone (7, 296, 3): είναι... τινας των Θραικών, οΐ χωρίς γυναικός ζώσιν, οΰς κ τ ί σ τ α ς καλεΐσΟαι. 3 Mazzocchi, Commentarius, p. 215, col. 1, n. 80.

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però non senza riserve; A. Ehrhard crede trattarsi piuttosto dell’omonimo vescovo di G ortinax; il P. Delehaye pensa all’apostolo Filippo annunciato dal Geronimiano 1 2 il 22 aprile. Quando fu composta la Passio, i corpi dei ss. Filippo ed Ermete riposavano nella villa cliiamata τ ώ ν κ τ ισ τ ή ρ ω ν , se il testo originale li diceva sepolti colà tre giorni dopo il martirio, come noi abbiamo con­ getturato. Ma se il testo originale li diceva invece ivi nascosti per tre giorni, d ’accordo con la versione latina? In questo caso converrebbe supporre, se non prendiamo un grosso abbaglio, cbe alla fine della Passio sia andato perduto un tratto narrante le ulteriori vicende di quei sacri corpi, i quali o furono ritrovati e distrutti dai persecutori - cosa non rara nell’ultima grande persecuzione, massime in Oriente o ebbero definitivamente sepoltura in Adrianopoli. Senza dubbio le comunità cristiane nei secoli delle persecuzioni e, molto più, dopo la pace furono ansiose di ricuperare le salme dei loro vescovi morti per la fede lungi dalle loro sedi. Basti ricordare le traslazioni di s. Ignazio da Borna ad Antiochia in età incerta; di s. Ponziano e di s. Cornelio a Borna, nel secolo III, rispettivamente dalla Sardegna e da Centum cellae·, di Paolo I a Costantinopoli da Cucuso, nel 381; di Dionisio a Milano dalla Cappadocia, nel 374; di Paolino a Treviri dalla Frigia, nel 395, e t c 3. Ma una traslazione delle spoglie di s. Filippo da Adria­ nopoli ad Eraclea non sembra probabile, poiché il Martirologio siriaco, il Geronimiano, la Passio ss. Guriae et Samonae annunciano la festa di lui in Adrianopoli, mentre fra i martiri di Eraclea, che ricorrono abbastanza spesso nel Martirologio orientale, il vescovo Filippo non ricorre mai. Fatto strano, questo, perchè i vescovi morti e restati sepolti altrove solevano aver culto anche nelle loro sedi. Così il papa Clemente era commemorato a Borna, benché non vi avesse il sepolcro; Eustazio era celebrato in Antiochia, quando le sue ossa riposavano ancora nella Tracia; il prete Luciano, benché martirizzato a M eomedia e sepolto in Elenopoli, aveva pure culto in Antiochia sua patria.

1 A . E h kh ard , Ber Marmorkalendar in Neapel, in Rivista di archeologia cristiana, 11, 1934, p. 133. S. Filippo di G-ortina è com m em orato agli 11 aprile nei martirologi latini, vedi Qu e n tin , Les martyrologes historiques, p . 424, 442, 462, 463, 608, 623. 2 In Frigia civitate Hierapoli Philippi apostoli (ed. Quentin e D eleh aye in : Acta SS. Bolland., n . 2 novem br., p. 202); vedi H. D e l e h a y e , Hagiographie napolitaine, in Analecta Bollandiana, 57, 1939, p. 20. 3 V edi F ran ch i d e ’ Ca v a l ie r i , Note agiograflche, V I, p. 199 sgg. 9

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Baccogliendo ora le fila di questa nostra lunga indagine, ecco i punti che ci vorremmo lusingare di avere più o meno assodati: 1. La Passio s. Philippi è una narrazione storica dell’età Dioclezianea, sostanzialmente degna di fede, anzi preziosa12 3 *. 2. Il testo latino che ci è pervenuto deriva da un originale greco, ma non ne è una versione pura e semplice, bensì 3. o una versione abbastanza Ubera, o una rielaborazione e, qua e là, forse un compendio, non posteriore al secolo Y o VI. 4. Per altro l’interprete, o il rimanipolatore, si è guardato dall’alterare i fatti, quantunque abbia tenuto presente e imitato la Pas­ sio s. P ionii. 5. La storia del prete Severo è forse estranea aUa redazione pri­ mitiva della Passio, benché senza dubbio Severo sia anch’esso un martire storico di Eraclea.

Bimane a dire qualche parola suda ristampa deUa Passio s. P hi­ lippi, con cui si è creduto utile accompagnare questo studio, onde offrire al lettore desideroso di controffare le nostre osservazioni un testo facilmente leggibile. Non dico un testo mighore, perchè nuovi codici più corretti non mi è riuscito trovarne: dico solo un testo di facile lettura, accompagnato da ima annotazione critica megho dis­ posta di queUa del P. Bossue negli Acta Sandorum, che è la più ricca. La Passio s. Philippi fu edita la prima volta dal Mabillon nei Vetera A n aled a 2 su un codice qui olim fuit ecclesiae Laudunensis. Il testo MabiUoniano concorda a tal segno col codice lat. 5643 deUa BibUoteca Nazionale di P arigi8, che a beffa prima credemmo di aver ritrovato il Laudunense. Ma alcune lezioni del Mabillon diversificano da quelle del codice Parigino. Esse sono: c. 3,5 resecare solent (cod. Par. resecan dissòluta)·, ib. attactu (cod. Par. ad tradum)·, c. 4,7 quae a vobis petimur (cod. Par. qui a vobis pellimur)·, c. 4,11 diu ante (cod. Par. d. antea)·, c. 5, 8 et ideo (cod. Par. ideo)·, ib. excidio domorum (cod. Par. acciso domorum)·, c. 5, 21 hie Hercules fieri deos putans (cod. Par. er1 Così pensa il P . D el e h a y e , Saints de Thrace, p. 243. 2 J. M a b i l l o n , Vetera Analecta, 4, Lutetiae Paris. 1685, p . 134 sg. 3 Descrizione di questo codice in Catalogus codicum hagiographicorum la­ tinorum. . . Bibi. Nat. Parisien., 2, Bruxellis 1890, p. 527. - L ’unico codice agio­ grafico latino della Nazionale di Parigi, che provenga da L aon, e per essere più esatti, dalla chiesa cattedrale di Sainte-Marie, è il lat. 5670, cf. L . D elisle , Le Cabinet des manuscrits de la Bibl. Impériale.. . , 2, Paris 1868, p. 375.

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culem i. f. d. putat)’, c. 5,25 si Jiaec (cod. Par. si hoc)·, 5,28 ut exponitur (cod. Par. ut est p .); c. 7, 22 in ea spectaculi ordine sedentes (cod. Par. in ea spectaculis edere sedentes)·, c. 10, 8 breve hoc tempus (cod. Par. bene h. t.)·, ib. posuisti (cod. Par. ponisti); c. 11, 3 reddite (cod. Par. reddi)·, c. 11, 5 securiora (cod. Par. prosperiora)·, 11, 9 camo (cod. Par. cam)·, c,. 1 3 ,4 saturata sunt (cod. Par. s. om. sunt). D ’altra parte il cod. Parigino non offre, almeno presentemente, alcun indizio di aver appartenuto alla chiesa di Laon prima di venire nelle mani di Antonio Paure ( f 1689)1. Conclusione: il ms. adoperato dal Mabillon e il Pari­ gino lat. 5643 discendono da un medesimo archetipo, assai guasto purtroppo, non ostante la sua antichità (il cod. Parigino lat. 5643 ri­ sale al sec. X ). Il Ruinart, ripubblicando la Passio s. Philippi fra gli Acta mar­ tyrum sincera et selecta, si limitò a collazionare l’edizione del Mabillon con un ms. da lui rinvenuto inter reliquias insignis bibliothecae Corbeiensis, quae excidium evaserunt2. È il codice lat. 12612 della Biblio­ teca Nazionale di Parigi {ex libris Corbeiensis monasterii, poi SanOermanensis 469, più tardi 503 3) o una copia di esso eseguita a Corbie. O una copia, dico: perchè a c. 8, 9 il Ruinart osserva che le parole « iussus es punire, non cogere » desunt in ms. Corb. Ora nel Par. lat. 12612 queste parole (o più precisamente iussus es punire non facere) ci sono, sono bensì cancellate per mezzo di una sottile linea trasversale e una serie di puntolini sotto il rigo 4. Naturalmente esse saranno state omesse nelle copie di quel codice, se copie furono fatte. Del resto il codice Corbeiense non è di miglior nota del Par. lat. 5643, al quale è posteriore di un tre secoli, e alcune sue lezioni, che il 1 Sulla biblioteca di A ntonio Faure (f 1689), v . D e l i s l e , Le Cabinet des mss, 1, p. 304, 320. 2 K u i n a r t , Acta, p . 363 (admonitio I). - Su questo eccidio della biblioteca di Corbie nel sec. X V I e al principio del X V II , v. D e l i s l e , Le Cabinet des mss, 2, p . 133 sgg. 3 Descrizione del codice in Catalogus... B. N . Parisien., 3, p . 162. - I principali codici della biblioteca Corbeiense (circa 400) furono portati nella biblioteca di Saint-Germain nel 1638 e di là, in numero di circa 375, nella N a­ zionale di Parigi, fra il dicem bre 1795 e il gennaio 1796, v . D e l i s l e , Le Cabinet des mss, 2, p. 137, 139. 4 Furono cancellate da un correttore che (evidentemente a causa del verbo facere, corruzione di cogere) non riuscì a cavarne un senso. P er la stessa ragione lo stesso correttore cancellò l ’inciso poenae in suis inminentes (corruzione di poenae inscius inminentis 4, 13) e p oco oltre il vocabolo incendi nel passo val­ latos incendi (invece di bine inde) custodibus (4, 16).

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Buinart stimò genuine o alle genuine più prossime, sono invece, se­ condo ogni verisimiglianza, semplici correzioni ex ingenio. Basti citare il principio del c. 9 sed paulo post ad modum ferarum garrientium gra/ndi praeterea (praeterea cancell.) inquisitione agebatur, che è un emenda­ mento, così manifesto come infelice, della lezione miseramente cor­ rotta del Par. lat. 5643 sed pala post admodum seragarentium contule­ runt. grandi praeterea inquisitione. . . agebatur. Il bollandista Beniamino Bossue, cui dobbiamo la terza edizione della Passio, scrive: Ego vero inter mss. nostra hagiographica inveni subsidium aliorum duorum, immo trium codicum, nempe: transumptum ex manuscripto Fuldensi et quidem collatum cum altero manuscripto 8 . M axim ini Trevirensis, ut in fronte ibidem notatur et apparet ex an­ notatis marginalibus; deinde aliud itidem transumptum ex Bodecensis coenobii ordinis Canonicorum regularium 8 . Augustini, dioecesis Paderbornensis, Passionali pergameno ms. insigni, aprilis fol. X X X V I I pag. A , ubi legitur: Incipit Vita seu Passio sancti Philippi episcopi et sociorum eius, quorum festum celebratur X calend. M aij 1. Di questi tre codici io sono stato in grado di ripescarne uno sol­ tanto, il Trevirense di 8. Massimino, ora: 1151.1 della civica Biblioteca di Treviri, scritto nel secolo X I I 23 . Ignoro se ancora esista e dove il codice Fuldense. Quanto al Bodecense, possiamo sopportarne la per­ dita (se veramente è perduto) senza gran pena, sia perchè il Bossue ne ha pubblicate indirettamente le lezioni, sia perchè da queste re­ sulta in modo irrefragabile ch’esso valeva meno ancora di quel che ne pensasse il dotto Bollandistas. Già il titolo preannuncia un testo ritoccato arbitrariamente da una mano più tarda: Incipit Vita seu Passio (così dice) sancti Philippi episcopi et sociorum eius, quorum festum celebratur X calend. M aij. Dove, fra l’altro, la data è erronea, grazie a una confusione di Filippo vescovo di Eraclea con l’Apostolo omonimo, commemorato in Gerapoli di Frigia appunto il 22 maggio. Effettivamente il codice Bodecense, se differisce spesso dagli altri, non sparge mai vera luce sui luoghi oscuri della Passio. Esso offre un testo corretto da un letterato che

1 Aeta SS. Bollanti., i x octobr., p. 537, col. 2. 2 V edi M. Coens , Catalogus codicum hagiogr. latin, bibi, civit. Treverensis, in Analecta Bollandiana, 52, 1934, p. 193 sgg. 3 II quale scrive: Bodecense. . . in multis locis variam exhibet lectionem et quibusdam obscurioribus lucem affundit haud exiguam (Comm. praev., 1, in: Acta SS. Bolland., ix octobr., p . 538, col. 1).

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ora parafrasò, diluendo e guastando, ora cercò di chiarire, mutando o addirittura sopprimendo. Oi basterà recare pochi esempi, rimettendo all’annotazione critica chi voglia compiere l’esame. A c. 1 , 3 il tratto statini apostoli P a u li. . . bonum opus desiderat è omesso dal Bod., come tutto m ’induce a credere (d’accordo col Bos­ sue), perchè. locus mendosus apud omnes. A c . 1 , 6 episcopali amore servabat è divenuto nel Bod. pastorali diligentia et paterno amore ser­ vabat. Forse al correttore non parve convenire ad amore l’epiteto epi­ scopali, nè sufficiente solo l’amore a custodire il popolo. A c. 2 , 1 la risposta del vescovo a chi lo esortava a fuggire la persecuzione - Com­ pleatur caeleste mandatum1 - è sciupata con un’aggiunta: Compì, in me et de me. A c. 3 , 3 la proposizione maerore tunc omnes fratres. . . angustias civitatis agnovimus è un p o’ rude, ma appunto questa rudezza ne con­ ferma la genuinità, di fronte alla lezione del Bod. merorem tunc omnes fratres percepimus et civitatis angustias cognovimus, che è di una deso­ lante banalità. A c. 3 , 5 futura tractabat ac meditabatur singulos in dolore presenta certo qualche oscurità: forse il testo originario è stato qui compendiato meno felicemente. In ogni modo, come appare dal seguito, il senso è che il santo vescovo pensava a quel che sarebbe suc­ cesso, a quel cbe bisognava fare e, con dolore, ai singoli fedeli, tra i quali, accanto ai buoni, non mancavano i tristi. Il Bod. se la cava con espressioni generiche: sed futura retractans meditabatur, docens singulos (i) dolorum vanitatem declinare et in via mandatorum Dom ini diligenter ambulare, sopprimendo la susseguente similitudine dei chirurghi e ogni accenno sia ai cristiani espulsi dalla comunità, sia a quelli bisognosi di emendazione. Il principio del c. é : Postea, cum fratres in Heraclea ad do­ minicum convenissent, è omesso nel Bod., e quel che segue (Philippum cum ceteris aecclesiae foribus adstantem praeses B . invenit)2 modificato così: Interea Philippum cum aliis fidelium turmis ecclesiae foribus ad-1 2

1 Variazione del biblico τοϋ Κυρίου τό θέλημα γινέσθω (Act. Apost., 21, 14), ripetuto anche da s. Policarpo (Passio, 7, 1 [ed. K n op f et Kriiger, p. 3, 5]: tò θέλημα τοϋ Θεοΰ γενέσθω) e che nella nostra Passio s. PTiiHppi torna, leg­ germente m utato, a c. 6, 2 fiat illud quod Domino placet. 2 D ove oi περί Φίλιππον non indicava che Filippo ed Ermete, com e ap­ presso (c. 5, 6) designerà il solo Filippo. Così nella Passio s. Pionii (16, 2 [ed. K n opf e Kriiger, p. 64, 14 sg.]): Δέπιδος είπεν ■ Διά τί ύμεΐς ού θύετε, Πιόνιε; οί περί Πιόνιον είπαν · “Οτι Χριστιανοί έσμεν. Cf. Testamentum X L Martyrum (1, 2 [ed. K n opf e Kriiger, p. 116, 24 sg.]): ημείς οί περί Άέτιον καί Ευτύχιον καί τούς λοιπούς εν Χριστώι αδελφούς ημών = Άέτιος καί Ευτύχιος καί οί λοιποί εν Χριστωι αδελφοί.

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stantem praeses B . invenit. Manifesta, se non sbaglio, è la causa di quella soppressione: l’autore ha già notato che Filippo con i suoi dominici foribus innixus non patiebatur abscedere: come può dire adesso ch’egli si reca al dominicum ? Quanto alle turmae fidelium, si tratta di una erronea interpretazione della voce ceteri. Ci accadde di rilevarla più sopra, Philippus cum ceteris è probabilmente la versione di ot περί Φίλιππον, certo significa ‘ Filippo con i suoi ’, Severo cioè, ed Ermete. Alla fine del capitolo, dove si narra come Philippum et ceteros ( = τούς περί Φίλιππον anche qui) vallatos hinc inde custodibus ad forum (praeses) praecepit adduci, ut et populum iuvaret expectaculum et videntes ceteros qui negassent terreret exemplo, il correttore, non afferrando la forza di qui negassent, ha modificato: ut populum delectaret expectaculo et videntes omnes Christianos terreret exemplo. A c. 5, 3 si riferisce che gli operai inviati a demolire la chiesa dei cristiani, ne ad diruendum segniores essent cogebantur verbere1. ìlei Bod. dopo diruendum s’inserisce un vel ad tradendos christianos semplicemente ridicolo. I soprastanti avreb­ bero eccitato a colpi di bastone i demolitori perchè si affrettassero. . . a denunciare i cristiani. Questi esempi, che sarebbe facilissimo moltiplicare, dimostrano la verità di quanto si è detto circa la caratteristica del codice Bodecense, le cui lezioni inserimmo diligentemente nel nostro apparato critico, desumendole dall’apparato del Bossue. Anche le lezioni del compendio della Passio che ci ha trasmesso il codex Ultraiectinus 8. Salvatoris sono desunte dal Bossue e cioè dalla edizione di quel com­ pendio curata dal Bossue. Oltre i codici Parigini lat. 5643, 12612 e il Trevirense 1151.1, oltre i codici Fuldense e Bodecense (a mezzo dell’edizione Bollandiana), nonché VEpitome Ultraiectina, abbiamo potuto collazionare due nuovi codici, disgraziatamente non ottimi, ma neppure disprezzabili,0 i Bruxellensi della Biblioteca Beale 206 e 9289, di entrambi i quali la impareggiabile cortesia del P. Alberto Poncelet, bollandista di vene­ rata memoria, volle fornirci le fotografie con alcune preziose note. Il codice 206, del secolo X I I I 2, contiene la Passio s. Philippi a ff. 30v-33v, che, quando i Bollandisti compilarono il catalogo dei mss. 1 T ien fatto di pensare al Pentateuco di Ashburnham, nel quale i praepo­ siti operum o super operarios, che sorvegliano i mietitori, sono armati di bastone e se ne servono talvolta contro di essi ne segniores sint, vedi O. von G e b h aed t , The miniatures of the Ashburnham Pentateuch, London 1883, tav. 15. 2 Catalogus codicum hagiographicorum [latinorum] Biblioth. regiae Bruxellensis, Pars I, 1, Bruxellis 1886, p. 110.

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agiograflci della Biblioteca Beale, portavano i numeri 28v-31v. Π testo si avvicina a quello del cod. Trevirense, con il quale ha comune la prefazioncella Singulorum gesta e numerose lezioni erronee, per es. c. 3, 4 dominicis flatibus (per foribus) innixus·, 4, 8 adesse mox praeses iussit (per m. p. iussit adduci)·, 5, 22 Me belio (cod. Trev. belge) per bic M iogabalum pari cremavit incendio·, 6, 5 immola nomini caesaris (per i, numini)·, 9, 8 in bac fide esse decrevi (per i. b. f. crevi)·, 10, 5 patrem (per pastum)·, 13, 2 triadam. .. confessurus (per confessurus senz’altro). Non rare volte però il Bruxellense ha lezioni corrotte, dove il Trevi­ rense è integro o meno guasto. Per es. a c. 3, 5, dove il Trevirense legge viciantur (in luogo di ne vitientur) incoluma, inciduntur infirma, il Bruxell. quae viciantur fiunt incóloma (che è un tentativo infelice di correzione della guasta lezione del Trev.). A c. 4, 8 il Trev. conserva la lezione genuina tunc ipsius naturae expers atque bumanitatis ignarus Mucabor (sic) ingreditur, il Bruxell. ha Ume ipsius naturam a diabolo consparsam, quae bumanitatis ignara erat, malus vapor ingreditur, cioè un orribile rabberciamento. A c. 5, 27, là dove il Trev. legge, con gli altri codici, Delficum Apollinis templum, il Bruxell. ci offre un ridicolo de flou factum Apollinis templum. Il cod. 9289 in bella lettera del X I I secolo 1 contiene a ff. 53-56v ima recensione della Passio non lontana da quella dei codici di Parigi lat. 5643, 12612, ma più alterata e, non troppo di rado, corretta ex ingenio. Tuttavia conserva qualche buona lezione che, guasta nei due codici Parigini, ritroviamo anche nel Bruxellense 206 e nel Trevirense. Ci sia lecito spendere poche parole sul titolo e su alcune glosse interlineari che serviranno a caratterizzare con maggior precisione il codice 9289. I l titolo partim usu detritus, come mi avvertiva il P. Pon­ celet, ma integrabile senza difficoltà, è naturalmente in lettere unciali e suona così: Passio s(cm)c(t)or(um) P bilippi iherapolitani ep(iscop)i, Severi pr(es)b(yte)ri, Hermetis diaconi, qui passi sunt in Adricmopoli civitate Tbraciae. X Im o K(a)l[en)das novembris. Ci sorprende il curioso erroneo iherapolitani episcopi, invece di Heracleensis episcopi·, errore che ritorna a c. 1 ,1 dove alle parole decus episcopale suscepit (Philip­ pus) un correttore contemporaneo, se non lo scriba stesso, soggiunse a margine in iberapoli civitate Tbraciae, trasportando in Tracia una città notissima della Prigia. Qui invero si tratta di una confusione di Filippo vescovo di Eraclea con Filippo apostolo sepolto appunto in Hierapolis di Frigia e annunciato ai 22 aprile nel Martirologio Geroni1 Catalogus... Biblioth. regiae Bruxellensis, Pars I, 2, p. 282 sgg.

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m ian ol. Confusione confermata dal codice Bodecense della nostra Passio, elle la festa di s. Filippo vescovo di Eraclea assegna, non al 22 ottobre, ma al 22 aprile (festa dell’apostolo); confermata altresì dal calendario marmoreo di Napoli, dove ai 19 di aprile si annuncia un Philippus episcopus. Non sappiamo se possa servire a nulla ri­ cordare come i menologì e i sinassarì greci commemorano il 22 ottobre un altro vescovo hierapolitanus, cioè A bereio23 , del quale il nome ed il culto restarono del tutto estranei ai martirologi occidentali. A c. 3, 2 ministeriis omnibus aecclesiae inventis atque signatis, sul participio inventis il Bruxell. 9289 inserisce vel munitis. È una glossa non tanto di inventis quanto più tosto del susseguente signatis, signifi­ cando sigillo munitis (cf. l’espressione, così comune nelle carte medioe­ vali, muniri sigillo), mentre inventis sembra aver qui il senso di rico­ nosciuti o inventariati, come osservò il Mason, per quanto non mi riesca di trovare altri esempi del verbo invenire con tale significato. È anche una glossa, non una variante, quella che la stessa mano scrisse sopra la parola Ygiae nel passo qui (Hercules) infelix in Ygiae monte combustus est (c. 5, 21). Lo scrittore dovette sapere che Ercole si riteneva arso vivo sul monte Oeta in Tessaglia, ma non credo che abbia trovato questo nome in un ms. della Passio s. Philippi, al posto di Ygiae (o Agiae) graficamente troppo diverso da Oeta. Io ignoro però l’esistenza di un monte chiamato H ygiaes, cioè di Igea, e se qualche antico autore abbia collocato la morte di Ercole in un monte diverso dàlVOeta. Ritengo similmente congetture della stessa mano a c. 5 ,1 9 vel posteritas inserito sull’erroneo posterius nel passo: Piorum enim adhuc hodie nuncupatur, ut haec posteris probet non solum lectione, sed nomine·, a c. 6 ,1 a Philippo inserito sopra meditantur, dove dice: Dum haec longo sermone meditantur·, a c. 6, 21 artificum sopra manus (pretium manus efficeret) che è un errore dello scriba per maius. E basti fin qui.

1 Vedi D e l e h a y e , Les origines, p. 40, 158 s g . 2 Vedi A . E h r h a k d , Ueberlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche, 1, Leipzig 1936, p. 463, 465, 469; Synaxarium ecclesiae Gonstantinopolitanae, ed. H . D e l e h a y e , in: Acta 8 8 . Bolland., Propylaeum novëm br., Bruxellis 1902, coi. 153, 32. 3 Vedi tuttavia p. 61, nota 1.

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PASSIO S. PHILIPPI EPISCOPI E T MARTYRIS

CODICES A B C

= Parisinus 5643 : saec. X . D = Bruxellensis 9289 : saec. X I I . = Parisinus 12612 : saec. X I I . T = Treverensis 1151.1: saec. X I I . = Bruxellensis 206 : saec. X I I I . Bod. = Bodecensis. Ultraiect. = Ultraiectinus. E D IT IO N E S

Boss. = Bossue, Acta SS. Bolland., i x oct., p. 545-552. Mab. = Mabillon, Vetera Analecta, 4, Lutetiae Paris. 1685, p. 134-152. Ruin. = Ruinart, Acta martyrum sincera et selecta, Veronae 1731, p . 364-373.

I. Singulorum gesta sanctorum brevitate colligere diligentiae est et utilitatis insigne: dulcior enim labor est stricte omnia colligentis et minor legentis anxietas. 2 Beatus itaque Philippus diaconus primum, mox presbyter, ali­ quot laboribus probatus aecclesiae et stipendiorum suorum devotione 5 laudabilis, conscientiae bonis laetus et vitae honestate securus, con­ sensu omnium tandem decus episcopale suscepit, nullo mirante, quod Inscr. Incipit passio sancti philippi (phyl. T et sic deinceps, praeter IV , 1) episcopi et martyris CT; Incipit passio sancti (om. s. B) pbilippi episcopi in atranopoli traciae. quod (que B) est X I kl. nouembris A B ; Passio sanctorum philippi iherapolitani episcopi seueri presbyteri hermetis diaconi qui passi sunt in adrianopoli ciuitate thraeiq. X I kalendas nouembris B ; Incipit uita seu pas­ sio sancti Philippi episcopi et sociorum eius, quorum festum celebratur X calend. maij Bod. 1 diligentiae T; diligentia CBod. 2 dulcior TBod.; dulcis 0 \ colli­ gentis TBod.; colligere G 3 legentis TBod.; legentibus C 1-3 Singulorum anxietas omm. A B D Mab. Ruin. 4 philiphus A ] diaconus primum A B G T ; pr. diae. D |aliquot (-o d A) A B B I ; in aliquibus G 5 qcclesiae A B , eccl. réti, et edd. \eccl. prob. G 6 conscientiae bonis A B T ; c. bonus B ; c. b o n i­ tate Bod.; conscientia bona G \ vitae honestate A C T Bod.; u. honestatem B supra l. ex u. honestate; honestate u. B |securus CT; secutus A B B (supra l. ex securus) | consensu OBT; consensum A B 7 suscepit: B in mg. add. in iherapoli ciuitate thraciq |nullo: n. itaque B |quod A C B T ; eo quod B Ruin.

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dignus, aliquantis stupentibus forte, quod serius. 3 Statini apostoli Pauli praedicationis ornavit eloquium in epistula quae ad Timotheum scripta est, in qua inter cetera illud adiectum est: s i q u i s e p i ­ scopatum desiderat, b o n u m opus desiderat®. 5 4 Tunc discipulos suos Severum presbyterum et Hermen diaconum frequenti ad doctrinam disputatione confirmans, similes non solum animo, sed etiam passione sibi fecit, ut quos habuerat in gloriosi illius mysterii traditione consortes, haberet etiam in confessione collegas. 5 Diligens itaque divina praecepta, talem gloriosissimus senex 10 agebat aetatem, victimam se offerens Deo, in Adrianopolitana civi­ tate passurus. 6 Qui, ut peritus et optimus gubernator fluctibus navem frequenter opponens, resistendo aliquotiens, aliquotiens et ce­ dendo, omnem procellam moderatus magister excludit, aut quasi peri­ tus auriga, nunc relaxando habenas, nunc retinacula stricta cohibendo, 15 nec plus iusto vagari equos patitur, nec segnes nimio torpore retineri, ad huius similitudinis, modum beatus Philippus populum caelesti gu­ bernabat imperio et episcopali amore servabat.

1 dignus A T ; d. esset (esset d. G) BG; d. foret D | aliquantis: al. uero CD I om. forte D | serius Mab. Ruin.; serius esset electus C; sepius A B ; se prius T; prius ordinatus D; non prius coni. Boss.; an serus? | statini: st. et sepius D I apostoli Pauli T; apostolum paulum (ap. ipse p. C) ABOD 2 prae­ dicationis suç C I ornavit A B C ; ordinauit T; om. D |eloquium A ; eloquio BOT; eloquio commentatus est D 2-3 in epistula quae ad Tim otheum scripta est GT; in epistulata est A Mab.; in epistola D; in epistula dictum est B Ruin.; in epistola eius Boss. 3 inter cetera: cet. int. B, sed cum transpositionis signis I illud: istud G | est om. T 5 tunc: t. itaque O 6 frequenti: fre­ quenter T 7 sibi om. T |illius: ipsius Boss. 8 mysterii ABOD (ex m ini­ sterii); martyrii T 9 pr. diu. T 10 aetatem A B D T ; in ultima etate C \ se: se ipsum C 12 navem : nauim D | opponens (obp. T) A B D T ; op p o ­ suit C I aliquotiens aliquotiens A D Mab. ; aliquotiens BCT Ruin. Boss. 13 om nem : omnemque C | moderatus BD (corr. al. m. ex moderatius) Ruin. Boss.; moderaturus (m odorat. A) A T Bod. Mab.; moderationis C \ excludit: exclusit O. 14 auriga D add. supra l. qui |habenas (ab. B) BGDT; aduenas A \cohibendo A BCD T Mab. Boss.; prohibendo Ruin. 15 nec plus iusto vagari equos (aeq. A ) patitur, nec: aut plus iusto equos uagari patitur, aut Boss. I segnes: signis A | torpore: pauore Bod. 16 similitudinis: sollicitudi­ nis Bod. I philippus episcopus Bod. | gubernabat GT; gubernauit A B D edd.; gubernat Bod. 17 episcopali amore: pastorali diligentia et paterno amore Bod.

a I Tim., 3, 1.

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PASSIO S. PHILIPPI

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II. Sed cum durae persecutionis immineret excidium, non est mente turbatus, ac suadentibus multis ut a civitate proficiscens poe­ nam tantae crudelitatis effugeret, exire detrectans, docuit haec expe­ tenda esse potius quam cavenda, dicens: «Compleatur caeleste man­ datum ». 23Itaque de ecclesia non recedens et ad tolerandi patien­ 1 tiam singulos fratres docta oratione confirmans, huiuscemodi verba profudit: «Praedictum iam, si creditis, fratres, tempus advenit: nutan­ tis saeculi extrema volvuntur: inminet pertinax diabolus et, potestate paulisper accepta, servos Christi non venit perdere, sed probare: 3 epiphaniae dies sanctus incumbit; quae res admonitionem nobis praestat ad gloriam. 4 ìsTullae ergo impiorum minae, nulla tormenta vos terreant: nam et patientiae perferendi et mercedem tolerandi doloris militibus suis Christus indulget; credo enim quod in cassum omnis illorum procedit intentio ». III. Haec adhuc beato Philippo disserente, Aristomachus sta­ tionarius civitatis advenit, ut praesidis iussu inpressis cera signis aecclesiam clauderet Christianis: homo stultae persuasionis et frigidae, qui habitare omnipotentem Deum in parietibus magis quam in homi­ num corda credebat, Esaiae sancti dicta non retinens, qui dixit: c a e l u m m i h i s e d e s est, t e r r a v e r o s c a b e l l u m pedum meorum. Quam domum mihi aedifica-

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1 durae A C T Mab. Boss.; dirae BD (ex durq) Bod. TJltraiect. Buin. | inmineret AG; im m. cett.; aduenisset TJltraiect. 2 a civitate: ad ciuitatem C 3 detractans B | expetenda CDT; expedenda A ; expedienda B 4 esse om. D \ compleatur in me et de me Bod. 5 ecclesia: qccl. BC | ad tolerandi patien­ tiam A CDT ; ad tolerandam p . B ; ad tolerantiae p. Bod. 6 huiuscemodi: huiusmodi Bwin. 7 prçdictum fratres si creditis iam tempus aduenit D \ nutantis: tantique C 8 inminet A B ; imm. CDT 9 paulisper: pauli. Buin. I accepta A B C D T Bod. Mab. Buin.; arrepta Boss. | non venit perdere, sed probare: non tantum u. p. sed etiam prob. C 10 epyphanie T |amm o· nitionem D ; municionem C 11 praestat: praestet D Boss. | ad: et C | i(n)piorum B | mine im piorum T | torm enta vos A B C D T Mab. Boss.; vos torm . Buin. 13 doloris A CD Mab. Boss.; dolores B T Buin. 15 philipo A \ A ri­ stomachus CT; Aristemacus A B D Bod. TJltraiect.; Aristemachus Buin. 16 ius­ su: iussum G I inpressis (inpraess. A ) A B ; impressa CDT | cera om. signis (sigil­ lis Bod.) CT 17 aecclesiam (qccl. CD) ACD; eccl. B T \ post Christianis B Buin. add. sanctus (beatus Buin.) Philippus dixit | stultae: stultus C j om. et ante frigidae C 18 quam : qua D 19 corda A B Mab.; corde CT; corda (corde) Boss.; cordibus Buin. | credebat A C D T Mab.; credis B Buin. Boss. [ Esaiae (-y e C) A C ; isaiae (ys. B) BD (om. sancti) T 20 michi B |sedis A \ vero: autem T 21 meorum et deinceps C

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b i t i s a? 2Postera die stationarius ministeriis omnibus aecclesiae inventis atque signatis egrediebatur. 3Maerore tunc omnes fratres instantem luctum atque angustias civitatis agnovimus. 4 Beatus Philippus cum Severo et Herme et ceteris cogitabat intentius quid 5 fieri necessitas ista mandaret, et dominici foribus innixus, a sede sibi credita non patiebatur abscedere. 5Futura tractabat ac medita­ batur singulos in dolore, ut medici doctiores, inutile in aegris quodcumque resecando, auferunt putria, et quae adhuc aliquid prosperitatis habent medicamine malunt curare quam ferro, aha vero resecant 10 dissoluta, ne ad tactum inutilis carnis ac rancidae vicina etiam, quae sanitate non indigent, corporis membra solvantur: itaque, ne vitientur incolumia, inciduntur infirma. 6 Sic eo tempore beatus Philippus 1 postera D T ; postero ABG | ministeriis: monasteriis T \ aecclesiae A ; eccl. B ; eque T; omm. OD 2 supra inuentis in D al. to. add. uel munitis | inventis atque omm. OT |aegrëdiebatur A \maerore A B D T Mah. (egrediebatur maerore. Tunc); maerori Buin.; merorem Bod. ; m. illi C |omnes fratres A BT ; omn. fr. percepimus Bod.; omnium fratrum D ; fratres (punctis delet.) fratrem et C; fratres omnes Boss. 3 instantem AGD; instante T; instantes (s in ras.) B Buin.; om. inst. luctum Bod. | atque: et Bod. |agnovimus A B D T ; agnouerunt Ο I beatus: b. uero G 4 philipus A | Herme (ex bermo G supra l.): Hermete Boss. δ fieri nec. ista mandaret: fuerit estimandum T; fieret