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Marco Vozza
Nietzsche:
e i mondo degli affetti
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Nonostante di
1 numerosi
interpretarne
tentativi
l’opera
come
prototipo di filosofia irrazionalista, di pensiero
metafisico
o di
cultura postmoderna, come profezia di una grande politica dapprima reazionaria poi rivoluzionaria, Nietzsche appare ancora oggi fecondamente inattuale, irriducibile agli stereotipi di fautore del superuomo e dell’ eterno
ritor-
no conseguenti alla morte di Dio. E giunto forse il tempo di comprendere che il principale intento del filosofo della gaia scienza é la valorizzazione degli affetti e del mondo delle cose prossime, da
sempre svalutate dalla morale e dalla metafisica: egli sostiene che la volonta di potenza é affetto, non dominio o sopraffazione, bensi arte dell’interpretazione affettiva che attribuisce un senso al mondo in cul viviamo. La trasvalutazione
dei valori del filosofo sperimentale non conduce al relativismo scettico ma ad una futura obietti-
vita nella quale percezioni, sguardi, ricordi, affetti e prospettive compongono un modello pit articolato
di oggettivita
conoscitiva,
all’altezza della crescente plessita del reale.
com-
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Collana di filosofia diretta da Marco Vozza
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Marco Vozza
Nietzsche e il mondo degli affetti
iii
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- Acervo - FFLCH
IMAM 20900017883
© 2006 ANANKE srl Tutti i diritti riservati / All rights reserved ANANKE srl Via Lodi 27/C - 10152 Torino (Italy) www.ananke-edizioni.com E-Mail: [email protected] ISBN 88-7325-113-7
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Indice
Perché Nietzsche? In vista di COSA? ..cccccsccsccesssssesssesseessesssessnenees 7 Lineamenti di un prospettivismo affettivo.................:::::00 9
Dal mito dell’interiorita al sapere della superficié......... 11 La grande ragione del COVPO .i.cscccssccssscesssesscccsneresssceereeees 18
La valorizzazione delle PASSION .........cc.1ccccsseseestseeesseeeeess 24 La futura obiettivita dell’intelletto interpretante...........+. 31 Volontd di petenza, COME GffEHO scexcncecewsseimenaesomanenecrsenes 55 Al di 14 del paradigma Vitalistico ........cscccccceeeeeeeeeeeseeeeess Dall’ esperienza della malattia alla grande salute.......... Lo sguardo dell’ arte sulla SCICNZQ....ccccsecccececeessteteeeeeeeees ClASSICISMO € QVANAE STILE .icecececcesessnseseeceeececcecceeeneeeanees La visibile alleanza tra Apollo € Dioniso ..........110.0000e0000
50 57 71 79 91
Epistemologia DinOCUlAre ......ccccccccccccecscesscesssessesesseeeees 107 Il confronto con altre interpretazioni................0.0....cceees 119 Karl LOWitl i cecccecceccccsssssececeesesceeesessneeeeesessseeecesseseseanenes 119 Martin Heidegger ......:.100 RSA RUN ENURERARE AS CAaHacReNReTET 123 LOti SGTOUIIE serscsinnes aevevennsdoaannnennecusamiaauansusestestaassvaisieigennin 131
Karl JASPErS esscessevsesesssvsessesssssssneeseseesesseneesecasseseeseseesees 139 Gottfried Benn ....cccccsseccesescsscscecsssessesseeesseessseeeseeeeseesees 142 Gilles DOLCUZE.....ccsssesecccecsssssnnceeesesnseeeeeeenseeeeeseesensaseeeees 146 Pierre KlOSSOWSKi .esccccsesescsessccsescecesssccesecesessesesssesesaeeeens 151 Didier Franck, v.cccccccscssssssssscccceceeseseseseenseseceeesseneseseenteaaes 156
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Perché Nietzsche? In vista di cosa?
Quale
significato pud avere oggi la riproposta di Nietzsche, ad
oltre cent’anni dalla morte? Nonostante i numerosi tentativi di
interpretarne l’opera come prototipo di filosofia irrazionalista,
di pensiero metafisico o di cultura postmoderna, come profezia di una grande politica dapprima reazionaria poi rivoluzionaria, Nietzsche
appare ancora oggi fecondamente
inattuale, irriduci-
bile agli stereotipi di fautore del superuomo e
dell’eterno ritorno
conseguenti alla morte di Dio. E giunto forse il tempo di comprendere che il principale intento del filosofo della gaia scienza
é la valorizzazione degli affetti e del mondo delle cose prossime, da sempre svalutate dalla morale e dalla metafisica: egli sostiene che la volonta di potenza é affetto, non dominio o sopraffazione, bensi arte dell’interpretazione affettiva che attribuisce un senso al mondo in cui viviamo. La trasvalutazione dei valori del filo-
sofo sperimentale non conduce al relativismo scettico ma ad una futura obiettivita nella quale percezioni, sguardi, ricordi, affetti e prospettive compongono un modello piu articolato di oggettivita conoscitiva, all’altezza della crescente complessita del reale.
Nietzsche pensa anche ad un mutamento antropologico, ad un
oltrepassamento dell’umano nel senso dell’affermazione di un temperamento mite che ritrova il piacere per la dimensione della
superficie, dopo aver sondato gli abissi del dolore ed averne trat-
tenuto una consapevolezza tragica. Questo oltreuomo sperimen-
tale, la cui identita é riposta in un alto sentire, potra godere di una
grande salute che ha utilizzato l’esperienza della malattia come strumento di conoscenza e di indagine sulla grande ragione insita
nel corpo e che, attraverso l’esercizio estetico del grande stile, potra finalmente esprimere la potenza di grandi affetti.
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Lineamenti di un prospettivismo affettivo
Tutte le principali interpretazioni di Nietzsche hanno focalizzato lattenzione sui temi della morte di Dio, del superuomo, della volonta di potenza e dell’eterno ritorno, ricavandone vincolanti
proposizioni speculative, creando cosi le condizioni per ricondurre |’eccedenza del senso nietzscheano nell’alveo del pensiero metafisico, operazione portata magistralmente a compimento da
Heidegger. In realta si tratta di un modello interpretativo assai discutibile, fondato su un criterio di rilevanza tematica e di se-
lezione argomentativa che privilegia quei costrutti teorici che permettono la ricostruzione sistematica di una dottrina filosofica. Noi proveremo invece a presupporre implicitamente la relativa irrilevanza di alcune di queste parole-chiave che compaiono soltanto nell’ultima fase del pensiero nietzscheano, soprattutto consideremo |’opportunita di metterle a confronto con altri costrutti
teorici elaborati precedentemente e costantemente riformulati da Nietzsche, spostando cioé |’attenzione verso i concetti di salute e malattia, affetto e dolore, profondita e superficie, temperamento e
stile: per svolgere tale analisi si deve altresi negare risolutamente che la filosofia nietzscheana inizi con l’avvento di Zarathustra, con le opere cioé che permetterebbero di elevarlo alla dignita di Aristotele. Tra le nozioni pit indagate dagli interpreti, rimangono al
centro del nostro interesse quella di nichilismo, ricondotta pero al criterio dicotomico di vita declinante/ascendente, e quella di interpretazione che diventa pero una variabile dipendente della vita affettiva, mentre il concetto cardine della volonta di
potenza viene spiegato come epifenomeno di una pill originaria
volonta di salute dedita al potenziamento degli affetti. Questa 9
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sistematica riconduzione delle nozioni astratte alla fenomenologia dei mondi vitali, al regno intermedio in cui 1 concettj fanno attrito con l’esperienza (operazione fedele a quel metodo genealogico ideato dallo stesso Nietzsche e che puo essere utilmente applicato anche alla sua opera), non soggiace neppure
al tanto vituperato paradigma vitalistico, poiché quest’ ultimo
viene subordinato ad una istanza di ordine antropologico, in ragione della quale il dire di si alla vita é soltanto la precondizione atta a promuovere opzioni relative a differenti modalita di esistenza, a molteplici forme di vita. I] soggetto che scaturisce dalla trasvalutazione dei valori (oltreuomo piuttosto che superuomo, per fedelta alla visione complessiva dell’autore)
non risulta affatto un soggetto indebolito (se non nel senso dell’esonero dagli attributi metafisici), quanto potenziato nella pluralita delle anime mortali e nella molteplicita delle prospet-
tive interpretative che configurano un’oggettivita piu ricca di quella descrittivamente accertata. Da questa ricostruzione del pensiero di Nietzsche emerge una
sorta di sistema dell’affettivita fondato sui presupposti tra loro correlati a) che la Umwertung nietzscheana miri alla valorizzazione degli affetti e alla promozione del mondo delle cose
prossime; b) che l’accezione princeps della volonta di potenza sia l’affetto; c) che il criterio assiologico della vita ascendente
risieda nei grandi affetti, alla cui altezza corrisponde la sempre precaria esperienza della grande salute. Se il corpo é il fenome-
no pitt ricco -come sostiene Nietzsche-, lo é in quanto ambito di manifestazione della pluralita affettiva. E possibile riscontrare cosi l’organicita di una linea interpretativa, individuando dapprima una tesi ontologica sull’essenza della realta come volonta di potenza,
a sua volta identificata con l’affetto; poi una tes!
gnoseologica che approda ad una nuova nozione di oggettivita in grado di dirimere |’annosa questione relativa all’enunciato:
“non vi sono fatti, soltanto interpretazioni”; infine una terza tesi di genere etico, in senso antinormativo, che allude al nuovo
ethos del temperamento mite e che prospetta una sorta di ecologia del sentire.
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Dal mito dell’ interiorita al sapere della superficie L’intento principale di Nietzsche, nella sua decostruzione genealogica dei concetti di verita e apparenza che caratterizzano il mo-
dello teoretico della metafisica, consolidato dalla metaforica della
profondita/interiorita/autenticita, non é tanto quello di destituire di fondamento una visione del mondo considerata obsoleta, quan-
to quello di mettere in luce gli effetti, Jato sensu antropologici, che un determinato dispositivo epistemico ha prodotto all’ interno delle forme di vita in cui esso si é affermato. Il congedo senza affet-
tazione che connota il rapporto critico che Nietzsche istituisce nei confronti della tradizione filosofica nasce dalla consapevolezza
che il patrimonio conoscitivo accumulato dal paradigma metafisico costituisca un retaggio rispetto al quale sarebbe improponibile,
nonché sterile, una presa di congedo puramente teorica: filosofare col martello significa piuttosto promuovere nuove configurazioni esistenziali che preludano a inedite forme di vita. Se Ja grammatica del pensiero é destinata a perseverare nella metafisica, perché attribuire un predicato ad un soggetto é un po’ come credere in Dio, sul piano dell’antropologia filosofica, Nietzsche non
guarda alla metafisica come ad un incontrovertibile e fatale destino dell’uomo ma come come ad un articolato costrutto teorico (un modello di spiegazione con tanto di nucleo e di cintura protettiva) destinato a dissolversi, o perlomeno a
limitare la sua influenza, nel
pili generale processo di riduzione dell’ insicurezza che l’aveva dapprima generato. Saranno dunque 1 lineamenti di quel temperamento buono -preannunciato in Umano,
troppo umano- a decretare |’in-
fondatezza di ogni ricorso alla metafora della profondita, al tempio
dell’interiorita sottratta alla percezione dei primi piani, a scorgere la vacuita di un contenuto sottratto all’espressione che -come scriveva Goffried Benn- lascia “scintillare le superfici di frattura’’. Qualora si intenda enucleare |’obiettivo prioritario dell’intera filosofia nietzscheana, quello che permette di riscontrarne |’unita tematica, lo si dovra individuare nella liberazione dell’ uomo dallo
spirito di gravita. Non soltanto |’ oltreuomo danzante profetizzato
da Zarathustra esonera la propria vita dallo spirito di gravita, ma 1]
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ry
lo stesso viandante cosi come lo spirito libero delle opere giovanili e intermedie sono configurazioni di un soggetto sperimentale orientate ad acquisire un inedito e temerario spirito di leggerezza, di sobria noncuranza, di rinnovata sensibilita alle cose prossime, di attenzione ai fenomeni contingenti, di predilezione per le in-
crespature di superficie. Nietzsche suggerisce a questo soggetto sperimentale (che assume talvolta una problematica connotazione oltremetafisica) di dissodare le contrade pit fertili, finora poco fre-
quentate se non vilipese dagli spiriti vincolati alle forme di sapere irretite nel paradigma della profondita/interiorita/autenticita. Questi spiriti liberi sono i viandanti e i filosofi che concepiscono l’esistenza come un percorso eccentrico, privo di orientamento lineare e di punti d’approdo, che non guardano pit al mondo fenomenico come ad un quadro invariabile sottratto al divenire dei fenomeni sensibili, come permanenza affrancata dalla transitorieta delle forme: dopo aver sistematicamente ricondotto la policromia dell’apparenza ad una comune base fondazionale, dopo aver risolto la superficie dei fenomeni nella profondita inattingibile di una ragion d’essere abissale, ora avvertono, nella solitudine di un silenzio stu-
pefacente, una serenita che trasfigura ogni fenomeno intramondano, predisponendolo ad un’innocente quanto incessante metamorfosi, rendendolo buono e luminoso perché finalmente sottratto al cuore di tenebra dell’ essere, all’arcana e remota profondita della notte. Colui che raggiunge l’equilibrio dell’anima mattinale, \a nuova aurora di una soggettivita sperimentale, é l’uomo di buon carattere che afferma la propria identita nella convalescenza dalla malattia metafisica da cui, innanzitutto e per lo pit, ci si trova affetti “per antica abitudine ereditaria”. Se lo spirito vincolato tende a limitare lo spettro delle possibilita esistenziali, adottando strategie di neutralizzazione dell’ignoto, l’emancipazione del soggetto
sperimentale comporta un’ accentuata disponibilita a accogliere le
differenze intramondane, le molteplici configurazioni che la petsonalita e il temperamento dell’individuo possono rivestire in un contesto di innovazione generalizzata volta a edificare una cultura
pluricorde, memore forse della Bildung goethiana e schilleriana che scaturisce dal progetto di educazione estetica: “Non si deve 12
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voler spogliare l’esistenza del suo carattere polimorfo -sostiene
Nietzsche-: lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del rispetto di fronte a tutto quello che va al di 1A del vostro orizzonte”!. Il soggetto sperimentale nietzscheano, colui il quale -come vedremo- ha fatto buon uso della malattia per conquistare la
grande salute, non conosce |’amorfa vischiosita del disinteresse, si lascia lusingare da ogni sollecitazione non riconducibile al gia
noto, € orgoglioso di non custodire in sé un’anima immortale ma di essere artefice di pit biografie, affronta la vita come un esperimento conoscitivo nel tentativo di massimizzare le proprie
facolta sensibili e cognitive, non paventandone pit l’incertezza e
il carattere fatalmente aleatorio. Progettare questo idealtipo esi-
stenziale comporta la revoca della svalutazione metafisica di cid
che € minimo, ordinario, epidermico, disposto in superficie: negli aforismi de II viandante e la sua ombra ricorre frequente |’ invito a prender piacere agli ambiti di esperienza di immediata rilevanza vitale, a ridiventare “buoni vicini delle cose prossime”’. Appare evidente per Nietzsche la stretta correlazione che sus-
siste tra l’egemonia paradigmatica del pensiero metafisico e il discredito cui sono condannati gli eventi di superficie e il mondo delle cose prossime. Infatti, ia ricerca ontologica del fondamento
originario dell’essere, della vita e della conoscenza é sempre stato connotato da un’aura di lontananza e da un’indebita attribuzione di profondita: per via di quest’ inaggirabile istanza, la cui teoria viene a rispecchiarsi nella prassi antropologica, la metafisica rap-
presenta quel dispositivo epistemico capace di inibire la naturale propensione dell’uomo a dimorare presso le cose stesse. I] discredito della superficie e della prossimita, e piu in generale |’anatema nei confronti del sensibile, costituiscono pertanto il principale capo di imputazione che Nietzsche rivolge tanto alla metafisica
quanto alla morale, colpevoli di aver penalizzato il mondo della vita riconducendolo a verita abissali e trasfigurandolo in una tra-
scendenza generatrice di nichilismo. 1
E Nietzsche, La gaia scienza, vol.V, tomo II delle Opere, Milano, Adelphi 1964 e sgg., p. 252 (salvo indicazione contraria, faremo sempre riferimento a tale edizione).
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Condizione preliminare ad ogni effettiva trasvalutazione dej valori orientata verso il mondo della prossimita é il maturo affrancamento del soggetto sperimentale dal pathos metafisico dell’ origine: “Con la piena cognizione dell’origine aumenta I’ insignificanza dell’origine: mentre la realta pitt vicina, quel che & intorno e dentro di noi, comincia poco a poco a mostrare colori e
bellezze ed enigmi e ricchezze di significato, cose, queste, di cuj l’umanita pit antica non sognava neppure’”. II pensiero metafisico ci ha fornito un incomparabile patrimonio di interpretazioni e valutazioni prospettiche, assecondando le nostre istanze di autoconservazione, permettendoci di padroneggiare |’ insicurezza del
nostro essere al mondo tra fenomeni e azioni spesso incomprensibili; ora, questa questa volonta di sapere ha acquisito una valenza nichilistica per la quale non si produce pitt un conferimento di senso che non denigri la vita stessa: se questo programma di ricerca € giunto a compimento autonegandosi, la filosofia puo delineare un programma alternativo (un mutamento paradigmatico 0 uno slittamento di problema) che consenta di valorizzare fenomeni ed esperienze dapprima trascurate o negate, di esplorare in particolare le forme di conoscenza dell’ apparenza non pit subordinate al mondo vero: questo é il significato sobrio, proprio di un temperamento radicalmente mite, del congedo senza affettazione e della
trasvalutazione nietzscheana. Il sapere della superficie -inaugurato da Nietzsche e ripreso da Simmel, Benjamin e dalla cultura
viennese- va inteso dunque come elaborazione di un programma di ricerca non meramente epistemico, dotato di cospicui risvolti
antropologici da esplorare e infine promuovere. Mentre
la malattia
metafisica
viene diagnosticata
da Nietz-
sche rilevando un arbitrario privilegio conferito alla metafora concettuale
della profondita, in cui viene individuato
|’ abisso-
fondamento dell’essere, la malattia storica & caratterizzata da
un infondato culto dell’interiorita. La principale responsabilita che Nietzsche attribuisce alla cultura storica non pit subordinata
al presupposto della vita riguarda la formazione di una marcata 2
F Nietzsche, Aurora, vol. V, tomo I, op. cit., p. 39.
Laima
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e indebita opposizione tra un processo interno ed una sfera esteriore: in questo contrasto, l’epoca moderna genera il proprio mito confinando ogni valore nell’interiorita, un tratto distintivo igno-
to ad altre epoche, ad altre culture come quella greca ma anche estraneo all’eta di Goethe, che rimangono gli insuperati modelli di civilta in grado di esprimere unita stilistica in ogni manifestazione vitale. Il pensiero metafisico e la cultura storicista rivelano com-
piutamente una solidarieta di intenti patogeni che Nietzsche intende debellare per porre le basi perimetrali del sapere della superficie: relegare il sapere in qualche zona remota dell’esse-
re, attribuendogli 1 requisiti della profondita e dell’interiorita, significa infatti impoverire la cultura di un popolo, devitalizzare la personalita di un individuo, negando loro |’accesso al mondo dell’espressione (l’Ausdruckswelt di cui parlera Benn), alla trasparenza dei contenuti, all’integrita di ogni dimensione organica®. Questo misconoscimento dei tratti di superficie, dei fenomeni contingenti e in generale della forma -svalutata come mera convenzione e decorazione da una modernita dimentica del grande stile- comporta per Nietzsche la nascita della personalita debole, figura affine allo spirito vincolato prodotto dal
pensiero metafisico: in entrambi 1 casi si assiste al declino di una coscienza epigonale, caratterizzata da un marcato scetticismo nei confronti dell’ agire innovativo, nutrita com’é di una “erudizione che non diventa vita”. Anche nell’analisi della malattia storica, della sua prevaricazione ai danni della vita, |’obiettivo primario di Nietzsche é di
ordine antropologico, orientato cioé a far emergere -attraverso un’igiene della vita- dalle patologie della modernita un sogget-
to sperimentale capace di frequentare con spontanea adesione il mondo delle cose prossime, arginando la deriva della décadence che promuove una forma di vita declinante e genera nichilismo 3
“La superficie non é per Nietzsche cid che si oppone alla profondita ma cid che permette alla profondita di essere visibile, cid attraverso cui la profondita si manifesta”. C. Rosset, La force majeure, Paris, Minuit 1983, p. 59, trad. ns.
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reattivo. Nella convalescenza da queste patologie secolari si delinea il volto di quel soggetto (dividuo pid che individuo, Es piv
che Io) che assumera le sembianze dell’oltreuomo: la parabola del soggetto moderno,
cresciuto sotto la tutela del paradigma
dell’interiorita, si compie quando, dalla consapevolezza di aver sondato e sviscerato ogni profondita dell’essere, nasce il desiderio di risalire come un delfino in superficie, di “diventare di nuovo
limpidi”, buoni vicini delle cose prossime.
Tra il Libro V della Gaia scienza e lo Zarathustra si compie
|
bilita, a danzare perfino sugli abissi’*. Nell’ora sovrana in cui si
a8
comincia “‘a sapersi tenere su corde leggere e su leggere possi-
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l’Umwertung nietzscheana dei valori profondi e interiori: 1’oltreuomo scopre un’insospettata energia dell’autoderminazione, congiungono la serenita del mattino e la luminosita del meriggio, il sole della conoscenza irradia la sua luce sul mondo delle cose
prossime e il temperamento mite esperisce l’attimo immenso in cui i fenomeni intramondani sembrano liberarsi della loro forza ek
di gravita e disporsi sulla salda ed estesa superficie della terra, a cul rimarranno fedeli, istituendo connessioni di senso orizzontali
prive di profondita, affermando una superiore integrazione tra le facolta vitali non piu penalizzate dall’innaturale lacerazione tra interno ed esterno e irretite nella sterilita della forma inattuata.
a ‘| Fedelta alla terra, adesione al mondo delle cose prossime, esonero
dallo spirito di gravita: una trasvalutazione di tutti i valori che decreta il tramonto dell’uomo interiore, frequentatore delle viscere dell’ imperscrutabile, propenso ad edificare un mondo vero dietro i fenomeni sensibili, al fine di rendere finalmente possibile -dice Zarathustra- “il divenir lieve della vita’, l’alfa e l’omega dell’ in-
tera filosofia nietzscheana. Lungi dal negarlo o dal conciliarlo, il sapere della superficie si
fonda sul sapere tragico, anzi scaturisce da quell’ origine sospesa sul nulla, viene elaborato cioé a partire dalla consapevolezza dell’ambivalente e contradditoria natura dell’ essere, dalla visione di
un fondo abissale a carattere aorgico 0 dionisiaco. Come gia sa-
4
F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p.213.
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peva Hdlderlin, soltanto a chi attinge alla profondita dell’ essere, a chi non distoglie lo sguardo dall’ orrore primordiale, viene con-
cesso il dono e la gioia della superficie della vita. Riproducendo la dialettica tra dionisiaco e apollineo, mai dismessa da Nietzsche dopo La nascita della tragedia, il sapere tragico é dunque la con-
dizione di plausibilita del sapere della superficie, quello sfondo di coscienza lacerata da cui trae origine e legittimazione, liberando
il campo dal sospetto che sussista un’unica dimensione popolata da simulacri, esente da contraddizioni, immediatamente concilia-
ta e fruibile edonisticamente.
Come aveva ben compreso Lev Sestov (grande interprete nietz- , scheano, spesso trascurato dalla critica accademica), il pensiero.
moderno ha edificato un sistema di leggi e principi che trovano la loro ragion d’essere in abissali e inospitali profondita. Anche nella prospettiva radicale del pensiero tragico (ispirata peraltro piu a Dostojevskji che a Nietzsche) la possibilité di una redenzione alla . fine dei tempi viene ancorata alla riabilitazione della superficie,
alla pienezza della forma, alla restituzione dei diritti espressivi: “La nostra maledizione é di non aver fiducia se non nelle cose ©
che abbiamo acquistato col sudore della fronte e che abbiamo partorito nel dolore. Certo, bisogna accettare questo castigo; é impossibile evitarlo. Ma quando il tempo della prova sara finito, le profondita saranno dimenticate e Maya riacquistera i diritti che, per decisione
di Dio, le aveva tolto il diavolo,
cioé la ragione,
stornando |’uomo dalla superficie luminosa dell’essere verso le radici oscure e i principi’”.
Fondamento tragico del sapere della superficie che gia Ibsen aveva
individuato
nella sua dimensione
nichilista:
Peer Gynt
ci insegna che, per quanto accurata sia la nostra indagine della realta empirica e della consistenza soggettiva, non troveremo mai qualcosa come un nucleo, un centro dell’essere, un’essenza 0 un
5
_L. Sestov, Sulla bilancia di Giobbe,
Milano, Adelphi
1991, p. 290. Per quanto
riguarda il fondamento del pensiero tragico, giova rimandare ai lavori di Sergio Givone, da Disincanto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore
1988
alla Storia del nulla, Bari, Laterza 1995.
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fondamento, ma sempre soltanto nuovi strati di superficie, nuovj — fenomeni contingenti da esplorare, una “quantita prodigiosa dj — pellicole”, refrattarie ad ogni sussunzione entro un concetto che ne esprima l’essenza; avremo sempre un contatto con singolarita plurali di esistenza, con identita transitorie e smarrite, le cui inte-
razioni si offrono al gioco inesauribile dell’interpretazione.
La grande ragione del corpo La seconda, fondamentale implicazione della Umwertung nietz-
scheana che trasvaluta i valori profondi, dislocati nell’ interiorita del soggetto, in direzione di una nuova dimora nel mondo delle cose prossime, nell’ epidermide dell’esperienza, é |’apertura della rifles-
sione filosofica sul corpo, sottratto ad una inveterata forclusione epistemica. Fin dal pensiero greco, infatti, l’identita della filosofia si € costituita e consolidata nella negazione del potere conoscitivo del corpo, il quale non solo non genera conoscenza ma ne ostacola e inibisce la possibilita. Come é noto, nei dialoghi platonici viene
concepito in chiave normativa quel dissidio tra anima e corpo che diventera poi paradigmatico nella cultura occidentale: come si leg-
ge nel Fedone, “anima disprezza pit di ogni altra cosa il corpo”, fugge da esso per raccogliersi in se stessa, sottraendosi all’inganno
perpetrato dall’ambivalenza dei sintomi corporei. I] pensiero potra conseguire la propria purezza astrattiva solo affrancandosi dal cor-
po “che perturba l’anima e non le permette di acquistare verita e intelligenza quando abbia comunanza con esso” (66a).
I] filosofo é colui che vive nella pili strenua e radicale discordia con il corpo, colui che si esercita a sciogliere l’anima dai vincoli
emotivi e passionali che provengono dal corpo, colui che anela e
accede alla prossimita della conoscenza liberandosi da “quella infermita di mente” costituita dal corpo: “pare ci sia -scrive Platonecome un sentiero a guidarci col raziocinio, nella ricerca; perché fino a quando la nostra anima é mescolata con il corpo e confusa con un male di tal natura, noi non saremo mai capaci di conquista-
re compiutamente quello che desideriamo e che diciamo essere la 18
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verita. Infinite sono le inquietudini che il corpo ci procura” (66b) -conclude Platone, il quale rifiuta la sfida rappresentata dal segni
ambivalenti del corpo, percorsi da emozioni e intrisi di passioni, pervasi da intensita pulsionali, rimuove cioé tutta questa fenomenologia dell’inquietudine per indicare al filosofo la deontologia della purificazione da quel substrato corporeo che trattiene |’ anima come in un carcere. L’opzione platonica risulta evidente dalla priorita conferita all’accezione del corpo come tomba rispetto a quella di segno, entrambe contemplate nel termine séma che -nel Cratilo- Platone accosta al termine soma (che in greco significa corpo), ricettacolo di passioni e, pertanto, sistematico turbamento
dell’anima, irretita e distratta dal suo compito dianoetico. Nella concezione platonica appare opportuno interrompere la prima
navigazione dedita all’indagine della natura, condotta
nell’ambito dei fenomeni visibili, per intraprendere una seconda navigazione che mira ad esplorare le cause intelligibili delle cose, una fuga nel dominio
invisibile dei Jogoi. Come
verra chiarito
nel settimo libro della Repubblica, la phronesis del filosofo risiede nella capacita di operare una conversione dello sguardo, dal visibile all’invisibile, dall’eidolon all’ eidos (come poi drammaticamente in Agostino e in tutta la linea antiestetica del pensiero moderno). Non troveremo mai il principio che governa |’essere
degli enti fintantoché lo ricerchiamo tra le sue manifestazioni sensibili. La visione eidetica é antitetica e controfattuale rispetto alle modalita della visione sensibile; la vita contemplativa della mente
esige |’esonero dalla vita concupiscente dei sensi. Uno dei grandi dialoghi platonici, il Teeteto, é quasi interamente dedicato a confutare la teoria di origine sofista che sostiene V’identita di conoscenza e sensazione, in accordo con la massima
relativistica di Protagora secondo la quale l’uomo é misura di tutte le cose. Se tutti gli enti sono soggetti al mutamento, se nulla é mai eguale a se stesso ed é sempre in relazione con altro -come sostiene lo scetticismo relativista-, allora non resta che negare la possibilita di una verita stabile e inconcussa, affidandosi al det-
tato cangiante delle sensazioni, al vertiginoso avvicendamento
delle apparenze. Se avessero ragione i sofisti che identificano la 19
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a ineciaiiaeeatied
conoscenza con la sensazione, secondo Platone la ragion d’essere della filosofia verrebbe meno: “consegue da tutto questo che nes-
| |
suna cosa é, presa isolatamente in se stessa, ma sempre diviene
relativamente ad un altra; e dunque questa parola ‘essere’ si deve levar via in ogni modo” (157 a-b). Il confronto é davvero drammatico: se la concezione di Protagora fosse vera, la filosofia per-
derebbe il suo oggetto, l’essere, e dovrebbe limitarsi a registrare sensazioni soggette alla caducita del tempo, esposte ad affezionj e a relazioni mutevoli e periture, delle quali non si da episteme,
saldezza del fondamento. Questa liberazione dell’anima razionale dalla follia del cor-
po e dal suo mutevole registro di sensazioni costituisce I’atto fondativo della filosofia occidentale nel suo tratto caratteristico,
metafisico e logocentrico, fondata cioé sulla base di un logos devitalizzato, non pit alimentato dalla vitalita del corpo, dalla sua inquietudine produttiva, una ragione originariamente e poi cronicamente affetta da inibizione da contatto, sistematicamente caratterizzata da una deleteria deprivazione sensoriale. Non é qui possibile ripercorrere le tappe salienti di questo immane e sconsiderato sacrificio del corpo’, dalla tradizione giudaico-cristiana al cogito cartesiano, dall’idealismo trascendentale fino a buona par-
te delle pit: accreditate filosofie novecentesche: |’ unica significativa eccezione (come rilevera lo stesso Nietzsche) é costituita da Spinoza, il quale -nella sua rigorosa opposizione ad ogni forma di dualismo- invitava ad esplorare il potere del corpo, ad analizzare
le sue sorprendenti facolta: “Ma essi diranno -scrive nel III Libro dell’ Etica- che dalle sole idee della natura, in quanto é considerata soltanto come corporea, é impossibile dedurre le cause degli edifici, delle pitture e delle cose di tal genere che sono fatte dalla sola arte dell’uomo, e che il Corpo umano non sarebbe capace di edificare un tempio, se non fosse determinato e guidato dalla Mente. Ma io ho gia mostrato che essi non sanno cosa puo il Corpo, o che cosa si puo dedurre dalla sola considerazione della sua 6
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Aquesto proposito si consiglia la lettura del fondamentale studio di U. Galimbetti, Il corpo, Milano, Feltrinelli 1983.
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natura, e che essi stessi sanno per esperienza che per le sole leggi della natura accadono moltissime cose che essi non avrebbero mai creduto poter accadere se non sotto la guida della Mente”’”. Anche alla luce di questo plurisecolare oblio del corpo, sara
riproporre e verificare la nostra ipotesi®: la metafisica occidentale ha edificato la propria base fondazionale sul modello della profondita e dell’ interiorita, a cui ha attribuito il carattere dell’ auten-
ticita, svalutando per converso ogni configurazione di superficie, screditando il dominio fenomenico e contingente della prossimita: ora il corpo, per definizione, é un’entita priva di attributi profondi e interiori; é pura esteriorita, nuda e vulnerabile esposizione dell’esistenza, effimera presenza sensibile, inappropriabile
dall’Io o dal Sé, apertura originaria e indifesa sul mondo, stupore e sgomento dello sguardo, ospitalita dell’assolutamente altro, depotenziamento e rinuncia di Ego a favore di Alter, possibilita
dell’amore, locazione del desiderio e dell’abbandono, singolarita che tende alla condivisione, idioma dell’ affetto’.
Nietzsche é stato il primo a comprendere che l’intera storia della filosofia si configura come una scuola della denigrazione
7 ~~ Spinoza, Etica, Il, I scolio, Firenze, Sansoni 1984, pp. 245-247. L’intelligibilita del-
le passioni, che é condizione della loro convertibilita in affetti, é il tema spinoziano di molti importanti lavori di Remo Bodei, il quale sostiene tra l’altro che “Spinoza rappresenta il ponte tra le etiche tese all’autocontrollo e alla manipolazione politica delle passioni e quelle che lasciano aperto il campo all’incommensurabilita del de-
siderio” in Geometria delle passioni, Milano, Feltrinelli 1991, p. 29. Emerge cosi un modello di ragione ospitale, capace di accogliere e integrare la logica affettiva, cooperando con essa poiché “la logica delle passioni ha un lato di conoscibilita,
come la logica della conoscenza ha un lato di affettivita” in Le logiche del delirio, Bari, Laterza 2000, p. 80. Per l’istituzione di questa nuova alleanza tra il cognitivo e l’emotivo si vedano anche, oltre ai contributi di Nelson Goodman, i fondamentali studi di Jon Elster, il volume di M. Meyer, Le philosophe et les passions, Paris, Livre de poche 1991 e il saggio di H. Flam, L’vomo emozionale, Milano, Anabasi 1995. Per una rivendicazione neurofisiologica del valore cognitivo del sentimento, cfr. A.
Damasio, L’errore di Cartesio, Milano, Adelphi 1995, 8
Formulata per la prima volta ne: // sapere della superficie. Da Nietzsche a Simmel,
Napoli, Liguori 1988. 9
Lesteriorita etica del corpo é uno dei grandi temi del pensiero di Lévinas e, per al-
tri rilevanti aspetti, sviluppato da J-L. Nancy in Corpus, Napoli, Cronopio 1995.
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contro i presupposti della vita perpetrata soprattutto attraverso jj sistematico disprezzo del corpo, della sua forza creativa, della sua
mirabile facolta di metamorfosi, ridotto dai metafisici ascetici ad una “miserabile idée fixe dei sensi, affetto da tutti i possibili error;
}
della logica’”’". Il progetto nietzscheano di radicale oltrepassamen-
to dell’orizzonte di pensiero metafisico comporta un conclamato ribaltamento della svalutazione platonico-cristiana del corpo: “Aj
dispregiatori del corpo voglio dire una parola -scrive Nietzsche in
un celebre passo dello Zarathustra qui ampiamente sintetizzato: “Tl corpo é una grande ragione, una pluralita con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo
corpo é anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami ‘spirito’, un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione: essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’... Dietro 1 tuoi pensieri e sentiment,
fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto -che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, é il tuo corpo. Vi é pit ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza... Tramontare vuole il vo-
stro Sé, e percio siete diventati dispregiatori del corpo! Infatti non siete pit! capaci di creare al di sopra di voi stessi. E per questo ora vi incollerite contro la vita e la terra. Un’invidia inconsapevole é nello sguardo bieco del vosiro disprezzo. Io non vado sulla vostra strada, dispregiatori del corpo! Voi non siete per me ponti verso
il superuomo!”"!', Nella consapevolezza che in tutti 1 giudizi di valore finora formulati si annida un fraintendimento del corpo, che la coscienza
é soltanto un sintomo di quanto accade nel corpo, una mistificazione della fisiologia nella forma dell’ autorispecchiamento dello 10
1!
F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, vol. VI, tomo III, p. 69. Deleuze ha considerato il corpo come ambito di manifestazione della pit’ generale opposizione tra forze attive e reattive: “Ma che cos’é il corpo? Non serve a definirlo dire che é un campo di forze, un luogo di nutrimento conteso tra una molteplicita di forze. In realta non c’é un ‘luogo’, un campo di forze o di battaglia. Non c’é quantita di realti, ognt realtd & quantita di forza. Soltanto quantita di forze ‘in rapporto di tensione’ le une con le altre. Ogni forza sta in rapporto con altre, o per obbedire o per comandare. Cio che definisce un corpo & questo rapporto tra forze dominanti e forze dominate”. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Firenze, Colportage 1978, p. 72. F, Nietzsche, Cosi parld Zarathustra, vol. VI, tomo I, pp. 34-36.
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spirito, la filosofia sperimentale di Nietzsche si sviluppa assumendo esplicitamente i/ filo conduttore del corpo, considerato il fenomeno pili ricco, attraente quanto misterioso, espressione di molteplicita e complessita in cui risiede quella grande ragione ancora inesplorata di cui parla Zarathustra, rispetto alla quale la logica dell’intelletto appare come una piccola ragione che scatu-
risce dalla volonta di semplificare la pluralita dell’esperienza per salvaguardare la perspicuita unitaria della nostra coscienza. Ma di quale corpo parla Nietzsche, a quale forza allude? Come si qualifica questo progetto di platonismo rovesciato, di sovversione del bimillenario paradigma metafisico? Se ci soffermiamo in particolare sulla prefazione alla seconda edizione della Gaia Scienza, troviamo che, accanto alla grande ragione costituita dal corpo, Nietzsche pone l’esperienza del grande dolore che libera lo spirito dalle catene morali e metafisiche, generando il “grande sospetto che fa di ogni U una X, una vera e propria X... Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in cui, per cosi dire, veniamo bruciati come con legna verde, costringe noi filosofi a discendere nelle nostre ultime profondita e a sbarazzarci d’ogni fiducia””’. L’esercizio della filosofia sembra collocarsi nella transizione
fra il grande dolore e la grande salute, nel momento cioé della convalescenza, quando ci si affranca dalla tirannide del dolore e
si prova una nuova ebbrezza sperimentale: la ricorrente esperienza della malattia genera dunque, attraverso transitori e instabili stati di salute, altrettante filosofie, intese come configurazioni
sperimentali del pensiero, e l’intera filosofia appare come convalescenza, cognizione biopatica, un’arte della trasfigurazione del
dolore. Potremmo concludere che la ragione del corpo é tanto pit grande quanto pit! sa comprendere ed elaborare il grande dolo-
re, nella misura cioé in cui si manifesta come ragione tragica, capace di sopportare la lacerante contraddizione costituita dalla sofferenza senza tentarne consolatorie conciliazioni. Sembra superfluo sottolineare come la grandezza tragica di questa ragione 12
F. Nietzsche, La Gaia scienza, op.cit., p. 17.
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nietzscheana si ponga agli antipodi di interpretazioni correnti che si soffermano compiaciute sulla leggerezza di un processo di gaia affabulazione o sulla proliferazione di simulacri postmoderni.
La valorizzazione delle passioni La posizione di Nietzsche costituisce una programmatica revisione
del canone filosofico relativo alle passioni, al loro addomesticamento, alla loro neutralizzazione se non alla loro radicale estirpazione: la rivalutazione nietzscheana delle passioni é articolata in sintonia con la valorizzazione degli affetti, dei sensi, degli istinti,
dell’ apparenza
e della superficie, cioé di tutta l’esperienza fenome-
nica che la tradizione filosofica aveva trascurato se non diffamato. Secondo Nietzsche, “la storia della filosofia é una furia segreta
contro i presupposti della vita” e appare come una “grande scuola della denigrazione”, imperniata com’é su un presupposto decadente che nega valore al senso naturale dell’esistenza, al quale viene contrapposto un presunto retro o sovramondo ideale dotato di razionalita universale. E questo l’approdo nichilistico a cui giunge la
storia della metafisica e della morale, rispetto al quale Nietzsche considera opportuno inaugurare un’epoca di grande scetticismo,
progettando al contempo un antidoto, un contromovimento di filosofia sperimentale. Nietzsche rileva nella nostra cultura un sintomo
sul quale riflettere, “l’ostilita radicale, l’inimicizia mortale contro la sensualita’, un sintomo di cui la filosofia costituisce la massima
espressione: “Incontestabilmente, finché sulla terra ci saranno filo-
sofi, ovunque siano esistiti filosofi, sussiste una particolare irrita-
zione e astiosita filosofica contro la sensualita’’’.
La denigrazione teoretica e morale della dimensione sensuale
e passionale insita nell’esistenza determina uno stato di alienazione, di rovesciamento patogeno dell’ ordine naturale delle cose: “Incolpare e bollare sempre pit la sensualita... Qui la verita sta
13.
F Nietzsche, Genealogia della morale, vol. V1, tomo Il, p. 309.
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esattamente a testa in git” -si legge in Umano, troppo umano, cioé nel periodo in cui Nietzsche sembra apprezzare di pit il metodo e il temperamento scientifico, senza per questo caldeggiare un modello di pensiero asettico e incorporeo. La requisitoria di Nietzsche persegue due obiettivi polemici congiunti per i loro conclamati effetti nichilistici: la metafisica e la morale religiosa; del modello razionalistico prodotto dalla teoresi della prima viene esplicitamente contestata la legittimita in base al parametro della vita: “Tutta la concezione della scarsa dignita delle passioni: come se fosse giusto e normale essere guidati dalla ragione, mentre le passioni sarebbero |’anormalita,
il pericolo, la semibestialita, e inoltre, per il loro fine, nient’altro che brame di piacere... La passione é degradata: 1) come se solo indebitamente
fosse il movente, e non necessariamente e sem-
pre; 2) in quanto mira a qualcosa che non ha un alto valore, a un piacere... Il disconoscimento di passione e ragione, come se quest’ultima avesse un’essenza per sé e non fosse piuttosto uno stato di relazione tra diverse passioni e desideri; come se ogni passione
non avesse in sé la sua parte di ragione”’"’. Quanto alla morale il giudizio é analogo, fondato cioé sulla
rilevazione di un pervertimento della natura umana: “Annientare le passioni... ci appare oggi una forma acuta di stupidita... Attac-
care le passioni alla radice significa attaccare alla radice la vita: la prassi della Chiesa é ostile alla vita”!. Pit: in generale, ogni forma di morale appare come una maschera, il prodotto di un occultamento e di una deformazione, |’esito di una rimozione condotta a scapito degli istinti, “nient’altro che un linguaggio mimico delle passioni”. Il discorso di Nietzsche diventa pit: analitico e circostanziato
quando prende in esame l’espressione canonica del discredito delle passioni, quello operato dagli Stoici in termini di neutralizzazione epistemica, senza peraltro tacere in merito ad altre posizioni pit concilianti sul legame avversativo e/o cooperativo 14 15
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, vol. VIII, tomo II, p. 335-336. F Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op.cit., p. 77-78.
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tra ragione e passione: “Tutte queste morali che si rivolgono
|
all’individuo singolo, allo scopo -come si dice- della sua “felicjta”... sono... ricette contro le sue passioni... tutte quante barocche e irrazionali nella forma -giacché vogliono indirizzarsi a ‘tutti’ e generalizzano laddove non é lecito generalizzare-, tutte assolute
nel linguaggio e atteggiantesi ad assolute... tutto questo ha poco valore... 6 soltanto... accortezza commista a stupidita... sia che si tratti di quell’indifferenza e statuaria gelidita contro l’ardente follia delle passioni, consigliata e raccomandata come terapia dagli Stoici; o di quel non pit ridere e non pit piangere di Spinoza, della sua tanto ingenuamente perorata distruzione delle passioni mercé |’ analisi e la vivisezione delle medesime; oppure di quella
riduzione delle passioni a una innocua mediocrita al cui livello é lecito vengano soddisfatte, cioé dell’aristotelismo della morale; ovverosia che si tratti anche della morale in quanto godimento delle passioni intenzionalmente assottigliate e spiritualizzate me-
diante il simbolismo dell’ arte’’”'®. Nietzsche coglie dunque |’insidia di una legittimazione delle passioni e di una valorizzazione degli affetti ottenuta attraverso un processo di spiritualizzazione analogo a quello di interiorizzazione gia individuato da Leopardi come segno distintivo della
civilizzazione. Il contromovimento della filosofia sperimentale é ispirato ad una “concezione pill innocente dei sensi”, ad un “atteggiamento pill gioioso, benevolo, goethiano verso la sensualita”, anche per evitare il paradosso dello Stoico, il quale, nell’intento di conseguire la felicita nell’atarassia, nel distacco dal mondo, si trova poi come “oppresso dal rituale che lui stesso ha prescritto al proprio tenore di vita”. Le linee guida del progetto antimetafisico elaborato da Nietzsche sono esplicitate dall’intento di “rivendicare per |’uomo della conoscenza il diritto alla grande passione, dopo che la spersonalizzazione e il culto dell’ oggettivo
hanno creato, anche in questa sfera, una falsa gerarchia’”!’, intento che modifica |’identita stessa della teoria della conoscenza, pre16 17
EF Nietzsche, Al di la del bene e del male, vol. VI, tomo I, p. 95. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, op.cit., p. 60.
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cisando la svolta postkantiana attuata dall’autore: “In luogo della gnoseologia una teoria prospettivistica delle passioni”.
La correlazione qui istituita in chiave programmatica non é casuale 0 irrilevante, poiché il mutamento paradigmatico é determinato proprio dall’esperienza delle passioni, non da una teoria pura della conoscenza. Nietzsche coglie anche un significativo legame tra dottrina etica e teoria epistemologica, tra il discorso sulle passioni e |’ attitudine gnoseologica, nesso che chiama nuovamente in causa la metafisica stoica: “Qualcosa che sta fermo é veramente pit felice di tutto quello che si muove? L’immutabile ha veramente e necessariamente pit valore di una cosa che cambi? E se uno si contraddice mille volte e va per molte vie e porta molte maschere e non trova in sé mai una fine, mai un’ultima
linea d’orizzonte: é davvero verosimile che costui abbia della ‘verita’ un’esperienza minore di uno Stoico virtuoso, che si sia
messo una volta per tutte al suo posto come una colonna, e con la dura pelle di una colonna? Ma simili pregiudizi si trovano sulla soglia di tutte le filosofie pensate finora; in particolare il pregiudizio secondo cui la certezza é meglio dell’incertezza e dei mari aperti, e quello secondo cui l’illusione é cio che un filosofo deve combattere come il suo vero e proprio nemico”"®, Nei testi che Nietzsche dedica a questo tema, é ben riconoscibi-
le il significato di quello che potremmo chiamare modello di valorizzazione pragmatica a sfondo utilitaristico delle passioni. “Uti-
lizzare le passioni come il vapore per le macchine. Superamento di se stessi”:
in questo
frammento
del
1884
si trova la precisa
indicazione di trasformare le passioni in energia motrice, in carburante e propellente, insieme alla suggestione secondo la quale questa valorizzazione delle passioni costituisce un superamento dinamico della nozione di soggetto e, forse, una prefigurazione
dell’ oltreuomo. Per converso, il timore delle passioni é sinonimo di vita declinante: “La paura dei sensi, dei desideri, delle passio-
ni, quando giunge al punto di sconsigliarli, ¢ gid un sintomo di debolezza: i mezzi estremi denotano sempre stati anormali. Cid 18
EF Nietzsche, Mrammenti postumi 1884-1885, vol. VII, tomo IIL, p. 342-343.
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che qui manca, o é intaccato, é la forza di arginare un impulso.. quasi tutte le passioni hanno cattiva reputazione a causa di coloro che non sono abbastanza forti per volgerle a loro vantaggio, Bisogna intendersi sul fatto che alla passione si puo obiettare cid che si pud obiettare alla malattia; e tuttavia non potremo fare a meno della malattia e ancor meno delle passioni... Abbiamo bi-
sogno dell’anormale, con queste grandi malattie diamo alla vita un immenso choc”. Il pathos é dunque inestricabilmente tanto affezione e dolore, quanto passione e affetto. Cosi come la grande salute si consegue soltanto attraverso la cognizione del dolore derivante (non deterministicamente) dall’esperienza della malattia, cosi la grande ragione (quella che Nietzsche attribuisce al corpo piuttosto che all’intelletto) trova il suo peculiare alimento nel libero esercizio della passioni, nell’utilizzo dell’energia che proviene dalla consuetudine a disporre di affetti affermativi. Se la sensualita, i desideri, gli affetti e le passioni sono immagini di una vita potenziata che si avvale di una forza trasfigurante, allora il plesso di queste facolta sara anche la
condizione per esercitare la volonta di potenza che conduce ad un nuovo conferimento di senso e attribuzione di valore. Nella conclusione si avverte una sorprendente intonazione spinoziana: “Summa: il dominio sulle passioni, non il loro indebolimento o sradicamento! Quanto maggiore é la forza dominatrice della volonta, tanto maggiore é la liberta che si pu concedere alle passioni. I] ‘grande uomo’ € grande per il campo di libertad dei suoi desideri e per l’ancor piu grande potenza che riesce ad asservire
queste splendide belve””’. Ormai consapevole che le passioni e 1 desideri sono come la vegetazione che riveste “la rupe dei nudi fatti”, che essi dunque sono equiparabili ad un fenomeno estetico che rende sopportabile
e seducente |’esistenza, certo ormai che essi costituiscono un privilegio e non una condanna, acquisita la salutare sovranita di una
passione dominante, Zarathustra puo cosi affermare rivolto all’ u/19
20
F Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, vol. VIII, tomo II, p. 130-131.
F Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, op. cit., p. 68.
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timo uomo: “Una volta avevi delle passioni e le chiamavi cattive. Ma adesso non hai altro che le tue virt: esse sono cresciute dalle tue passioni. Nel cuore di queste passioni hai posto la tua meta pit
alta: cosi sono diventate le tue virti e le tue gioie’””’. Per Nietzsche non esiste teoresi pura: al posto della gnoseologia, della teoria della conoscenza intende formulare un’analisi
prospettivistica delle passioni in base al presupposto che “dietro Ogni pensiero si nasconde un affetto”. Si tratta di attingere alla duplice genesi extrateorica del pensiero, attraversato da pulsioni
contrastanti: una genesi patica, quando i pensieri sono suscitati dalla cognizione del dolore, quando emergono concomitanti o relativi ad uno stato di sofferenza; oppure una genesi erotica, quando i pensieri sono sollecitati dall’esperienza della seduzione, quando scaturiscono dall’incontro o dalla percezione di un’altra sensualita (Carmen e la logica della passione; Lou Salomé e la sincerita filosofica). Anche in considerazione di questa duplice genesi che presiede alla teoria prospettivistica delle passioni, ¢ possibile richiamare una circostanza della vita nietzscheana che appare decisiva nel contribuire a determinare il suo pit. compiuto profilo psicologico e che sembra costituire la scaturigine e la condizione di possibilita di ogni amicizia stellare. A Torino, durante il soggiorno de] 1888, Nietzsche ascolta di nuovo la Carmen di Bizet al Teatro Carignano, forse almeno altre venti volte, considerata anche la vicinanza del teatro dalla sua
abitazione in via Carlo Alberto 6. Come giustificare tanto inte-
resse, esasperato fino alla dedizione, al di la della sua funzione di “antitesi ironica a Wagner”? Carmen é indubbiamente l’emblema della sensualita, della seduzione demoniaca, della fatalita di Eros,
una figura per certi versi analoga al Don Giovanni di Kierkegaard. Nietzsche si presta a tale seduzione, vi si affida, si espone al suo potere di fascinazione, ormai consapevole che, al di 1a del-
l’esperienza della seduzione, gli é solo pit riservata la sofferenza,
il dolore fisico e psichico. In una lettera scrive: “I miei pensieri sono gli unici eventi della mia vita; il resto é la storia della mia 21
F. Nietzsche, Cosi parlé Zarathustra, op. cit., p. 37.
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malattia”. Pensieri dunque sollecitati dalla seduzione, filosofia
rinnovata dall’esperienza sensibile di un uomo vulnerabile: Ja
sensualita diventa un antidoto, un pharmakon (rimedio e veleno
al contempo) al cospetto della tragedia dell’esistenza.
_
Si pud avanzare |’ipotesi che la filosofia di Nietzsche sia mutata
|
sotto l’effetto di tale seduzione, abbia assunto il volto attraverso il quale la riconosciamo soprattutto in virth di questo Incontro, Rileggiamo qualche passo del Caso Wagner, scritto a Torino ne] maggio
1888: “Realmente, ogni volta che ascoltavo la Carmen,
|
mi sembrava di essere pit filosofo, un miglior filosofo di quanto
non fossi solito credere... Questa musica mi sembra perfetta. Si avvicina leggera, morbida, con cortesia. E amabile, non fa sudare.
“Tl bene é leggero, tutto cid che é divino corre su piedi delicati”: principio primo della mia estetica. Questa musica é malvagia, raffinata, fatalistica... Con essa si prende congedo dall’umido Nord, da tutti i vapori dell’ideale wagneriano... Essa ha ancora di Mérimée la logica della passione... essa soprattutto possiede quel che é proprio delle regioni calde, l’asciuttezza dell’ aria, la limpidezza nell’ aria... Qui parla un’altra sensualita, un altra sensibilita, un’altra serenita.
Questa musica é serena; ma non di una serenita francese o tedesca. La sua serenita é africana: essa ha su di sé la fatalita, la sua felicita
é breve, improvvisa, senza remissione. Invidio Bizet... per aver avuto il coraggio di questa sensibilita meridionale, pit: abbronzata,
piu riarsa... Finalmente l’amore, l’amore ritradotto nella natural... l’amore come fatum, come fatalita, cinico, innocente, crudele -e
appunto in cio natura!... Voi vedete quanto questa musica mi rende
migliore? JI faut méditerraniser la musique”.
Dopo aver richiamato in particolare I’attenzione sulle espressioni contenute in questo passo: logica della passione (un apparente ossimoro analogo a quello della logica della décadence e che rinvia a quell’ottica binoculare debitrice del metodo scientifico) e altra
sensualita (che allude ad una deterritorializzazione del logocentri-
smo occidentale), ¢ possibile precisare meglio la precedente ipotesi: Nietzsche non intende soltanto rendere mediterranea la musica
22
F. Nietzsche, // caso Wagner, vol. VI, tomo III, p. 9-10,
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ma, ben pit radicalmente, |’intera filosofia, dotandola di concetti
liguri; dietro l’umido Nord non si annida soltanto la musica di Wagner ma anche la filosofia di Kant, con il suo pallore kénisbergico che diffida di ogni passione, desiderio 0 emozione.
La futura obiettivita dell’intelletto interpretante Il merito di Kant: aver rifiutato “come illecito |’inferire dal fenomeno una causa del fenomeno”, aver cioé negato -con molte incertezze- il retromondo del noumeno o della cosa in sé, qualcosa che sta alle spalle dell’evento di esistenza. L’errore di Kant: aver
continuato ad applicare al mondo dei fenomeni il concetto di causa
ed effetto, alimentando cosi la favola della conoscenza dopo averla circoscritta al sapere fenomenico. Se é vero che soltanto cid che é condizionato pud essere conosciuto (perché |’incondizionato per definizione é inconoscibile), allora non si dovra limitare la considerazione al sentirsi condizionati dai fenomeni secondo relazioni causali ma la si dovra estendere all’ operazione attiva del condizionare,
cioé a quel selezionare, indicare, ipotizzare, classificare, imporre, alterare,
riordinare,
all’intera costellazione
interpretativa
entro
la quale si esercita la volonta di potenza. Kant non avrebbe cioé portato a termine la rivoluzione copernicana da lui preannunciata: quando la cosa in sé 0 l’oggetto perde la centralita del riferimento gnoseologico, i] fenomenismo esige il complemento del prospetti-
vismo, il riconoscimento cioé che pretendere di applicare le nostre
categorie alla realta, unificandone 1 contenuti, significa legittimare anche il ruolo dell’interpretazione, fino a riconoscere un certo co-
struttivismo conseguente alla funzione del conferimento di senso. Un kantismo iperbolico, radicale ed estremo, quello di Nietzsche (malgré lui), che finisce col deformarne 1 connotati originari,
col negare la possibilita di giudizi sintetici a priori. Un prospettivismo costruttivistico che non sfocia pero nel solipsismo relativi-
stico a sfondo scettico, perché non arriva a negare la sussistenza di una realta esterna al soggetto, bensi si limita a circoscriverne l’autonomia: i fatti non sarebbero neppur riconoscibili come tali 31
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viamente introdotto un senso”, se la percezione
“pre fosseinteg se nonfosse non rata € rimodellata
“nell’ottica prospettica della
vita’, se la questione dell’in sé non fosse convertita in
quella
del per sé. La verita & un esercito di metafore mobilitato
per
dar senso all’esistenza. Del resto, senza un’intenzione di senso,
senza una posizione dello sguardo, non vi sarebbe mondo, i fattj apparirebbero muti, la natura indifferente al nostro interrogare:
questa acquisizione prospettivista (ma non scettico-nichilistica)
di Nietzsche sara poi ereditata da buona parte dell’epistemologia
novecentesca che -da Vaihinger, Simmel e Weber in poi- codifichera in senso costuttivistico il binomio di Kant e Nietzsche.
L’organo del prospettivismo nietzscheano ¢é l’intelletto inter-
pretante, concetto che meglio di ogni altro designa questa peculiare versione costruttivistica del kantismo. Dopo aver decostruito
quell’ antichissima mitologia che pensa alla volonta come unico principio agente e fondamento del magico nesso di causa ed effetto, Nietzsche pone una facolta preposta all’elaborazione degli stimoli che ci provengono dal mondo esterno, recepiti dai nostri apparati percettivi: l’intelletto interpretante conferisce un senso a dati di fatto amorfi e privi di significato, trasforma lo stimolo in una sensazione di piacere o di dolore*’. Non un intelletto come soggetto puro e atemporale di conoscenza, estraneo all’ esperien-
za del dolore, un principio regolatore dell’ attivita categoriale, un to penso che sovrintende alla formulazione di giudizi determinanti, che si esplica in astrazioni e deduzioni logiche, ma un costrutto
teorico affettivamente connotato (che si forma dapprima a livello
inconscio), il quale orienta le nostre percezioni e seleziona le nostre rappresentazioni, una forza di superficie dedita all’ analisi
del contingente e preposta all’elaborazione prospettica dei fenomeni. Non una facolta che organizza cognitivamente le forme
di conoscenza dell’apparenza, ma un organo della conoscenza
fenomenica, immemore dell’ atavica distinzione tra mondo vero
¢ mondo appar ente, che si avvale dell’attivita percettiva dell’occhio, ricevendo impressioni sensibili che si rendono interpretablprenaenimennaaiin 23
F Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 125.
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li, che organizza gli stimoli esterni al fine di una appropriazione antropomorfica dei dettami del mondo fenomenico. Conferire un senso a dati di realta applicando i propri criteri di
rilevanza, convertire stimoli fisiologici in sensazioni di piacere o di dolore, € gia un’attribuzione di valore, un esercizio della volonta di potenza, una ¢rasvalutazione. Ma se ad interpretare sono sempre gli affetti, anche 1’attivita dell’intelletto sara marcata da un’indice di passivita, da un plesso di bisogni, impulsi e passioni, il cui ingovernabile magma viene si reso intelligibile ma mai razionalizzato secondo gli imperativi teoretici della reductio ad unum, in ossequio alla morale gregaria della veracita. Non vi é alcuna deriva irrazio-
nalista nella gnoseologia nietzscheana: gli affetti non sono sottratti -come sembra credere Klossowski- all’intelligibilita del conferimento di senso, ma affidati all’intelletto interpretante che estende le proprie canoniche facolta fino ad operare la selezione prospettica degli istinti in termini di rilevanza valutativa, attraverso l’esercizio dell’interpretazione affettiva. Gli affetti non sono pertanto il fondamento incondizionato della nostra attivita conoscitiva, l’elemento
psico-fisiologico da cui tutto deriva, bensi qualcosa che percepiamo come gid da sempre interpretato, temporalmente definito, sto-
ricamente condizionato (“anche gli istinti sono divenuti” -precisa Nietzsche) e, come tale, ulteriormente interpretabile, alla luce di un tratto biografico inedito, di circostanze mutate e, piu in generale,
in virtt dell’inserimento in nuovi orizzonti di senso. Contro ogni sensismo materialistico, Nietzsche sostiene implicitamente che non
esistono neppure le sensazioni di piacere e di dispiacere allo stato puro, sottratte cioé al regime onnipervasivo dell’interpretazione: il sensualismo non va inteso come punto d’approdo speculativo ma
come ipotesi regolativa, un principio euristico™, in grado di contrastare la filosofia idealista, cosi come la nozione di ‘apparenza’ si
rivelava utile per demistificare quella opposta di ‘verita’. Non si dovra comunque concludere che, dietro il prospet-
tivismo nietzscheano, agisca una soggettivita trascendentale ipertrofica, un artefice della conoscenza che ha riconfigurato a 24
F Nietzsche, Al di la del bene e del male, op. cit, p. 20.
33
ne ccc Scanned with CamScanner
propria immagine e somiglianza il mondo esterno: per Nietzsche la domanda relativa al “chi interpreta?”, fiduciosa nel ritrovare qualcosa di dato, é destituita di fondamento come residua favolg della conoscenza, ipotesi arbitraria € riduttiva, finzione infecondg e falsificante, perché |’ interpretare “esiste come un atfetto”, una
processualita di impulsi ed energie che mai arriva a cristallizzarsg; in un essere definito e permanente ma che continuamente viene
fluidificata in una soggettivita frammentaria esposta al molteplice
dell’esperienza affettiva. Chi interpreta? I nostri affetti. Dunque, nessun soggetto, nessun legislatore né creatore, soltanto impulsi, propensioni, istinti, bisogni, flussi di energia disponibile, circostanze fisiologiche di cui l’interpretazione € sintomo: questo l’esito di un’indagine che ha assunto il corpo come filo conduttore. Gli affetti sono privi di sostrato unitario, fluidi e ingovernabili, mentre soggetto e oggetto perdono consistenza nel gioco interpretativo allestito dalla volonta di potenza.
Questo é anche il senso della celebre parabola gnoseologica descritta nel Crepuscolo degli idoli: “come il ‘mondo vero’ fini
per diventare una favola”’, che registra l’erosione della credenza in un mondo attingibile dalle verita di ragione e praticabile dalle virtt. morali, attraverso il platonismo e il cristianesimo fino al
kantismo che ne costituisce il punto di svolta problematico: da un lato la critica della ragion pura decreta |’inattingibilita del mondo
vero (cosa in sé, noumeno, idea incondizionata) ma il primato della ragion pratica lo ripropone come imperativo, come dovere
morale. Seppur ancora irretito dal paradigma cristiano del regno dei fini, la teoresi kantiana rappresenta
un’emancipazione
del
pensiero occidentale dalla favola di un mondo vero che trascenda
il mero ambito fenomenico, rendendola superflua e percid confutata; processo di emancipazione che si conclude con la simme-
trica negazione del mondo apparente, costrutto teorico che aveva senso soltanto nella contrapposizione ad un mondo vero, in una gerarchia tra sensibile e sovrasensibile, reale e razionale.
Questo non significa (come hanno creduto alcuni interpreti)
che il mondo sia avviato a dissoluzione, bensi che, al termine di
questo processo bimillenario, sussistono soltanto fenomeni, pure 34
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immanenze, contingenze, eventi d’esistenza, tutt’al piti un sistema provvisorio di filtrazione dell’esperienza, una tecnica reversibile di
mappatura. Questa risoluzione non comporta alcun oblio dell’ essere, ameno che si continui a pensare l’essere -come fa Heidegger- in termini mistici, teologico-negativi di trascendenza dell’ ente: “L’essere manca -scrive Nietzsche. Cid che ‘diviene,, il ‘fenomenale’
é l’unica specie di essere’”*>; ogni ontologia che non si attenga al divenire fenomenico é
arbitrio, costruzione fittizia, ostile alla vita.
Il mondo dei fenomeni non si dissolve in mera affabulazione (come
vorrebbero i postmoderni) ma non si riduce neppure ad una mera configurazione atomistica di stati di fatto cui corrisponde un’adeguata descrizione protocollare (come vorrebbero gli scientisti di antica e nuova foggia), bensi predispone la contrada illimitata dell’interpretazione, l’esercizio del conferimento di senso per dotare i fenomeni di rilevanza antropomorfica.
Quando Nietzsche contrappone al positivismo l’idea che non vi sono fatti, ma solo interpretazioni, rileva anche che derivarne
Ja conclusione secondo la quale allora “tutto é soggettivo” é anch’essa un’interpretazione, in questo caso arbitraria e fuorviante. Infatti, sostenere che la tesi del carattere interpretativo della realta
comporti necessariamente un soggettivismo relativistico é un’interpretazione impropria, un‘ipotesi oziosa per due motivi: perché parlare di un soggetto significa sempre operare un’indebita estra-
polazione dalla complessita del divenire affettivo; inoltre, perché l’articolazione interpretativa non dissolve la realta nel soggettivo (ammesso, e non concesso, che quest’ambito abbia una propria
consistenza unitaria) configurando invece una nuova obiettivita
all’altezza della stratificazione della realta. La rivalutazione dell’apparenza appare dunque come uno stru-
mento euristico utile per scardinare |’edificio del mondo vero, per delegittimare la devozione che gli viene rivolta, ma non é certo
il punto d’approdo della gnoseologia nietzscheana, che prevede, oltre tale dicotomia euristico-propedeutica, almeno tre fasi ulteriori: il riconoscimento a) della pura fenomenicita del mondo; b) 25
F Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, vol. VIII tomo I, p. 239.
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del carattere onnipervasivo dell’interpretazione; c) della natura
impulsionale di ogni conferimento di senso fino all’identificazio-
ne della volonta di potenza con l’affetto. Il nominalismo appare
come la precondizione teorica del prospettivismo affettivo: indicare il carattere nominalistico (convenzionale, umano troppo
umano) delle nostre piti radicate convinzioni concettuali e morali costituisce infatti il presupposto per una adesione consapevole al prospettivismo insito in ogni attribuzione di senso e di valore. L’individuazione nietzscheana di questo nesso puo essere cosi ricostruita: il pensiero metafisico é un mirabile edificio teorico fondato essenzialmente sul concetto/metafora di profondita, che
ha permesso di ricondurre la molteplicita delle forme fenomeniche ad una comune base fondazionale, alla ragion d’essere del mondo
sensibile; a causa dell’egemonia perentoria con cui si é
imposto nella nostra cultura, tale pensiero non é pit’ consapevole del carattere nominalistico di ogni nostro costrutto intellettuale,
prodotto di stipulazione intersoggettiva ai fini dell’autoconservazione della specie, e ha finito col generare la patologica Aybris di proporsi come /7’interpretazione, |’unica vigente (sintomo di inerzia come ogni monismo ermeneutico), insieme al discredito dell’apparenza che consegue da tale presupposto essenzialistico. Un pensiero, come
quello nietzscheano,
che intende
prendere
congedo da questa inveterata modalita teoretica deve innanzitutto generalizzare il nominalismo, diffondendo la consapevolezza della natura prospettico-assiologica di ogni nostro conferimento di senso e di valore; a tal scopo € necessario un doppio movimento per il
quale dapprima viene rivalutata la nozione di apparenza sottraendola alla condanna di un pensiero metafisico che ha negato la fisicita contingente dell’essere, il cui nomos ha negato la testimonianza dei sensi, fino al punto in cui, acquisita la consapevolezza prospettica, la stessa nozione di apparenza diventa superflua e viene dissolta insieme a quella correlata di mondo vero, mentre si produce quel disincantamento
del
mondo
(libero
cioé
dall’incantesimo
della
favola della conoscenza), quel dispiegamento dei fenomeni che prefigura |’affermazione del mondo delle cose prossime. Cosi la ge-
nealogia nietzscheana viene scandita da queste due fasi preliminari: 36
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nella prima, la decostruzione della metafisica avviene attraverso il riscatto del concetto/metafora di apparenza/superficie (contrapposta all’essenza/profondita di un fondamento inattingibile); in questa prima fase, il pensiero di Nietzsche sarebbe un mero platonismo rovesciato che revoca |’anatema nei confronti del sensibile, per il quale “il mondo ‘apparente’ é l’unico mondo: il ‘vero mondo’ é solo
un’aggiunta mendace’”’. Nella seconda, si conclude la parabola filosofica di entrambe le nozioni perché si estingue la ragion d’essere di tale opposizione, dal momento che il prospettivismo viene reso
Operativo sotto la forma dell’esercizio della volonta di potenza. Cosi come non é pili necessario evocare il mondo vero come supporto del mondo fenomenico, sarebbe superfluo anzi arbitra-
rio porre un soggetto unitario dietro la molteplicita delle nostre valutazioni prospettiche, un ego invariante al cospetto dell’incessante pluralita di forze che si succedono alla ribalta della nostra esistenza: “forse non € necessario assumere un soggetto unico; forse é altrettanto permesso assumere una pluralita di soggetti, la cui fusione e lotta stiano alla base del nostro pensiero e in genere della nostra coscienza. Una specie di aristocrazia di ‘cellule’ in cui risiede il dominio?... Le mie ipotesi: il soggetto come plura-
lita... la costante transitorieta e fugacita del soggetto’”’’. Nulla ci 26 27
FE Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit, p. 70. F Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, op. cit, pp. 336-337. La derivazione del concetto di sostanza da quello di soggetto, il loro comune carattere finzionale e costruttivistico, é formulata con chiarezza in questo passo: “Il concetto di sostanza é una
conseguenza del concetto di soggetto: non inversamente! Se abbandoniamo |’anima, ‘il soggetto’, viene a mancare il presupposto di una qualunque ‘sostanza’. Si acquistano gradi dell’essere, si perde l’essere. Critica della ‘realta’: dove conduce la ‘maggiore o minore realta’ la gradazione dell’essere in cui crediamo? II nostro grado di sentimento della vita e della potenza (logica e connessione del vissuto) ci da la misura di ‘essere’, ‘realta’, non illusione. Soggerro: é questa la terminologia del nostro credere in un’ unita attraverso tutti i diversi momenti di altissimo sentimento della realta; noi intendiamo questo credere come effetto di una sola causa, crediamo al nostro credere fino al punto di fantasticare, per amor suo, di una ‘verita’, di una ‘realta’, di una ‘sostanzialita’. “Soggetto ‘ é Ja finzione derivante dall’immaginare che molti stati “guali in noi siano opera di un solo sostrato; ma siamo noi che abbiamo creato l’uguaglianza di questi stati; i/
dato di fatto & i} nostro farli uguali e accomedarli, non Puguaglianza (che € anzi da negare)”. Frammenti postumi 1887-1888, op. cit., pp. L1S-116.
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i, autorizza a porre un’unita dietro la molteplicita dei nostri affett
i] punto di ancoraggio del soggetto ¢ instabile, esposto a different; interpretazioni, cosi come lo stesso processo
organico presuppo.
ne un perpetuo interpretare**. Non vie dunque legge naturale, se non in ossequio ad una atavica e riduttiva operazione mentale
Viene riaffermato qui anche |’intimo nesso tra sapere tragico ¢
sapere della superficie: il soggetto plurale € innanzitutto I’ indj. viduo sofferente perché scisso, lacerato, orfano di identita, mg
al contempo, per effetto della trasvalutazione prospettivistica che volge all’oltrepassamento dell’umano, puo diventare un aggre-
gato di forze che accoglie la transitorieta dell’accadere, tollera la fugacita dell’ esistenza, promuovendo una salutare molteplicita
d’esperienza. Il soggetto della conoscenza é sempre costitutivamente impuro, nel senso che |’intelletto non pud fare a meno di osservare, analizzare e valutare esclusivamente all’interno delle proprie forme pro-
spettiche. Non si tratta pero di un’attivita illusoria, di una claustrofilica inadempienza, di una esiziale perdita d’attrito, di una deriva solipsistica che sancisce l’esilio dalla realta: piuttosto, l’abbandono di una concezione del mondo vincolante e la relativa consapevolezza della molteplicita di prospettive, gerarchizzabili soltanto a
partire dal parametro dell’accrescimento o impoverimento vitale (secondo la vertiginosa circolarita dell’ermeneutica nietzscheana),
produce il nuovo infinito, che non consiste soltanto nella possibilita che il mondo racchiuda in sé interpretazioni infinite? e assuma un’ apparenza polimorfa, ma allude alla circostanza storico-epocale che si affermano interpretazioni capaci di produrre realta, nel senso tangibile di un ampliamento degli orizzonti d’esperienza che genera una nuova configurazione del mondo. Intesa come attivita del conferimento di senso (cioé una dotazione sensibile di significati), 28
Su questo aspetto, legato alla ricezione nietzscheana della letteratura scientifica del suo tempo, che lo induce a concepire la volonta di potenza come organizzazion®
di una molteplicita conflittuale di microrganismi, si legga il saggio di W. Miller ee
29
pp.
Lehre vom
Willen zur Macht in Nietzsche-Studien, n. 3, 1974,
1-60,
F Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 254.
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la volonta di potenza agisce per compensazione al cospetto di quell’assenza di senso e di quella mancanza di forze interpretative che caratterizza la condizione nichilistica della modernita (“II pericolo
dei pericoli: niente ha senso”),
Il valore del mondo, la sua varieta fenomenica, la consistenza
del suo esperire, risiede in ogni nostra nuova interpretazione che,
oltrepassando i limiti di precedenti interpretazioni, apre nuove prospettive e ci fa accedere a nuovi orizzonti*: l’interpretazione
non é dunque un’attivita parassitaria rispetto alla realta, o tardiva come la nottola di Minerva; non pud creare ex novo la realté ma puo trasformarne il senso, predisporre a nuove esperienze (Erfahrungen non Erlebnisse, viaggi non introspezioni), inducendo ad esempio a prender dimora nel mondo della prossimita, riconfigurando dunque il piano d’esistenza degli individui, orientato a edificare una cultura pluricorde, che diffida dell’Io e promuove il Sé multiplo, la compresenza di piti biografie, scandite da brevi abitudini. Ogni interpretazione & un cambiamento, porta con sé |’istanza della propria modificazione, ne promuove altre per contrasto e cosi estende gli orizzonti d’esperienza. Non fonda la realta ma istituisce mondi. Nessun conservatorismo ermeneutico in Nietzsche: l’interpretazione é la pit: cospicua forma di cambiamento che ci é concessa, forse quella meno velleitaria, non la sua alternativa ineffettuale, l’espressione di un intelletto pigro ideo-
logicamente appagato -come ploclamava ingenuamente l’ultima tesi di Feuerbach e Marx. La trasformazione é insita nel potenzia-
mento della vita ascendente, la quale coincide con l’ampiamento d’orizzonte, mentre la vita declinante si manifesta nella riduzione
della prospettiva.
30
Individuando una linea di pensiero costante nella sua opera, Nietzsche scrive: “Che il valore del mondo stia nella nostra interpretazione... che finora le interpretazioni siano state tutte valutazioni prospettivistiche, in virtt' delle quali noi nella Vita, ossia nella volonta di potenza, ci conserviamo per lo sviluppo di potenza; che
ogni elevazione degli uomini comporti il superamento di interpretazioni pili ristrette; che ogni allargamento di potenza apra nuove prospettive e imponga di credere a
nuovi orizzonti -tulte queste cose si trovano ovunque nei miei scritti”, Frammenti
postumi 1885-1887, op. cit, pp. 101-102.
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Il misconoscimento della genealogia delle forze é il limite pit
evidente della critica kantiana, ignoranza che l’accomuna a suc-
cessive forme di critica meramente teoretica. I] criticismo kantia-
no si limita a circoscrivere l’ambito di pertinenza del conoscere,
differenziandolo dal mero pensare |’inconoscibile, ma non pone mai la domanda circa il significato dell’ atto di conoscere, circa le
forze che agiscono dietro le quinte del palcoscenico allestito dalla
ragione. Nella prospettiva introdotta da Nietzsche, quelli che un tempo svolgevano il ruolo di principi trascendentali diventano ora principi di condizionamento, che non assolvono pit la funzione
costitutiva, genetica e legislativa. Genealogia e prospettivismo conducono a fondo la critica radicale delle pretese della ragione rispetto a cui il punto di vista trascendentale rimane inoperoso, generano quel sospetto che rende possibile la trasvalutazione, l’interpretazione che produce mutamento reale: quali sono le forze (istintuali, inconscie, affettive) che condizionano I’attivita del-
l’intelletto e della ragione? Quale il senso e il valore delle nostre
conoscenze? Kant non mette in discussione il valore della verita evitando la domanda sul senso della verita; la tavola dei giudizi non puo che riprodurre una legislazione intellettuale vigente, un orizzonte di valori predeterminato. Ponendo la domanda circa la
desiderabilita della verita stessa, insinuando il dubbio che essa sia un costrutto atto a negare il presupposto della vita, Nietzsche scardina l’edificio metafisico che -almeno
da Parmenide-
si é
fondato sull’identita tra l’attivita del pensare e la ricerca della verita. Soltanto in virtt dell’attributo interpretativo conferito all’intelletto, Nietzsche riesce da un lato a decostruire genealogicamente |’origine delle nostre convinzioni teoretiche e morali
(quelle che Kant non poteva revocare in dubbio) e dall’altro, in
virtu della propensione innovativa e metamorfica presente nella
pluralita delle interpretazioni, a porre la volonta di potenza come attivita di riconfigurazione della tavola di valori, di plasmazione e
affermazione di nuove istanze vitali, di creazione di wn’altra sensibilita, quella che depone gli ideali ascetici e valorizza gli affetti,
orientata al mondo delle cose prossime in cui prende dimora quel-
l’oltreuomo che avra criticato, interpretato e oltrepassato l’uomo.
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Esercitando |’inedita funzione di una metacritica della conoscenza, la filosofia nietzscheana oppone ai presunti diritti della verita,
e al relativo accertamento di “solidi fatti”, i pit urgenti diritti della vita e ambisce ad introdurre una “gerarchia fra i diversi generi di vita”. Deposto ogni abito accademico e
storicistico, la filosofia
si identifichera allora con la trasformazione della propria vita in un esperimento conoscitivo di rilevanza antropologica. La domanda: Che cosa significa pensare?, destinata a rimane-
re inevasa nell’ambito della gnoseologia della rappresentazione, puo ora ricevere una risposta inedita perché esorbitante dall’habitus filosofico tradizionale: pensare significa scoprire e ideare nuove possibilita di vita, produrre mutamenti interpretativi che preludono a metamorfosi esistenziali. Il pensiero cessa cosi di presentarsi come ratio, giustificazione razionale dell’esistente in nome di qualcosa che la trascende, di una verita che si pretenderebbe causa adeguata del fenomenico, sua ragion d’essere. La vita -come ha sottolineato Deleuze- rende attivo il pensiero mentre il
pensiero rende affermativa la vita. Corpo, passioni, istanze affettive cessano di essere forze estranee al pensiero, vituperati come inestirpabile
matrice
irrazionale, ma
elementi
costitutivi di una
filosofia antropologicamente sperimentale. Secondo |’immagine
suggerita da Nietzsche nel saggio dedicato ai primi pensatori greci, le vite dei filosofi, come quelle degli artisti, somigliano ai
viaggi dei grandi navigatori, viaggi di esplorazione verso |’ignoto, il cui approdo rivela nuove condizioni di vita e di pensiero. Prefigurata dalla propedeutica del “voler vedere diversamente”, la futura obiettivita dell’ intelletto non sara piu riposta in un improbabile disinteresse cognitivo ma sara data dall’utilizzo,
ai fini della conoscenza, della “diversita delle prospettive e delle interpretazioni affettive”. Si tratta di estirpare un antico favoleggiamento concettuale per il quale |’ obiettivita era assicurata da un soggetto conoscitivo che si limitava a descrivere e spiegare la realta, astenendosi da ogni interpretazione, evitando soprattutto l’intervento deformante dei propri affetti e la contaminazione delle proprie passioni, per conseguire qualcosa come
la “conoscenza in sé” o la “pura ragione”. Questa descrizione 4]
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del processo conoscitivo, cosi indipendente dai processi attivi nel mondo della vita, é pura illusione perché I’ occhio della per-
cezione non é mai innocente, presuppone sempre una selezione della molteplicita empirica, deve orientare lo sguardo in una
determinata e circoscritta direzione se intende uscire dall’indif-
ferenziato e vedere qualcosa. Quando la verita cessa di essere l’unico parametro dell’ indagine filosofica, é possibile finalmente discriminare tra accertamenti veritieri ma banali e trascurabili e verita pregnanti o rilevanti.
La consapevolezza che, dietro ogni apparente descrizione neutrale dei fenomeni e relativa spiegazione nomotetica, si annida un’interpretazione, anzi molteplici interpretazioni tra loro concorrenti, non conduce Nietzsche (come poi buona parte dellepistemologia novecentesca) al relativismo e allo scetticismo
gnoseologico (semmai ad uno scetticismo sperimentale), bensi all’elaborazione di una nozione pill complessa di conoscenza obiettiva, limpidamente formulata in un passo della terza dissertazione della Genealogia della morale: “Esiste soltanto un prospettico, so/tanto un conoscere prospettico; e quanti piu lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti pitt differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa cosa, tanto pit! completo sara il nostro ‘concetto’ di essa, la ‘obiettivita’“*'.
Lungi
dall’essere una
negazione
vedere aftetti occhi, stessa nostra
dell’esistenza
empirica, una derealizzazione con relativa fuga nell’ affabulazione interpretativa, l’obiettivita appare dunque come sinonimo di complessita del reale. Questa nuova obiettivita, che é il risultato di maggior rilievo della transizione nietzscheana dall’accertamento della verita al senso
della verita (dal momento che il problema della certezza si é rivela-
31
F, Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit, p. 323. Oltre che per |’intepre-
tazione del prospettivismo nietzscheano, questo passo é decisivo per |’articolazione dell’epistemologia che intende destituire di fondamento ogni opposizione schematica tra fatti e interpretazioni: la “futura obiettivita” & quella che accoglie Ja molteplicita del “fenomeno pit ricco” (il corpo e la sua semiotica affettiva), che tende al vero, inteso ora come stratificazione di eventi, sguardi, affetti e interpretazioni.
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to secondario, derivato, dipendente da altro*”), non determina il dissolvimento della realta bensi il suo incremento ontologico, arricchitacom’é dal patrimonio di prospettive che riesce a mobilitare, dagli affetti che libera, dalle interpretazioni che suggerisce, dagli sguardi che provoca. Cio che viene dissolto é il problema classico della gnoseologia, imperniato sulla possibilita di conoscenza dell’ oggetto da parte di un soggetto dotato di facolta sensibili e intellettuali:
il carattere interpretativo di ogni accadimento, la natura prospettica dell’esistenza, l’ubiquita degli affetti nella relazione con il mondo esterno, richiede una dottrina ermeneutica delle passioni che ci restituisce un soggetto sperimentale di conoscenza, da intendersi come forza processuale mai riconducibile all’unita permanente, certamente impuro, emotivamente tonalizzato e sovradeterminato, ma -proprio per questo- capace di maggior obiettivita.
Il nichilismo nietzscheano conduce dunque a risoluzione il problema che aveva caratterizzato la transizione dall’ontologia classica, fondata sul reperimento dell’ontos on e sul relativo adegua-
mento dell’intelletto, alla gnoseologia moderna che, da Cartesio a Kant, aveva enfatizzato il ruolo della mente nell’accertamento
della verita. Questo slittamento di problema (dalla natura oggettiva
della realta al carattere soggettivo del conoscere) trova nel prospettivismo nietzscheano il suo naturale epilogo, negandone I’ apparen-
te opposizione nel gioco o nell’esercizio dell’interpretazione che configura una nuova e pil! complessa obiettivita, in cui fondamento oggettivo e rappresentazione soggettiva appaiono indiscernibili,
dissolti in qualcosa che li eccede per ricomprenderli. Cosa presuppone la grande obiettivita (espressione che Nietzsche non usa ma che a noi pare correlata almeno alla grande salute e al grande stile) conseguita dall’ intelletto interpretante) Una mutazione
morfologica e antropologica del processo cognitivo, una consapevole
32
“Potrebbe sembrare che io avessi scansato il problema della certezza. E vero il
contrario; ma ricercando il criterio della certezza, ho esaminato in base a quale misura si sia finora stabilito il peso -e ho visto che la questione della certezza € gia essa stessa una questione dipendente, una questione di second’ordine”. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit, p. 139.
43
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ibridazione di categorie ed esistenziali. “I diritto al grande affetto deve
essere riconquistato da chi pratica la conoscenza” -sostiene Nietzsche,
che rimprovera a tutti i filosofi (Spinoza e Schopenhauer compresi) di aver concepito l’intelligere come scevro dal pathos, la razionalita come antidoto alle passioni: in tal modo, si é raggiunta per lo piu una piccola
obiettivita, impersonale e asettica, imperniata su accertamenti empirici di dubbia rilevanza. La nuova e piii complessa obiettivita prospettivistica scaturira cosi dal sensibilizzare la nostra ragione, dal potenziare le nostre passioni generatrici di conoscenza, dal promuovere la “gara tra gli affetti’” all’interno della trama intellettuale, senza “voler contestare
al mondo il suo carattere inquietante ed enigmatico”’.
Volonta di potenza come affetto Appare improprio annettere la volonta di potenza alla volonta di
dominio, di affermazione o di sopraffazione, perché queste sono modalita accessorie o fraintese, non essendo la potenza il fine perseguito dalla volonta; cosi come sembra pleonastico equipararla alla conoscenza, all’arte o all’interpretazione, perché questi sono
caratteri connaturati al suo esercizio, essendo la volonta di potenza nient’ altro che la conoscenza ricondotta all’arte di interpretare; pit fecondo é invece identificare la volonta di potenza con l’affetto,
con la forza di potenziamento dell’ affettivita perché, ponendo quest’enfasi, emerge compiutamente il carattere passionale del cono-
scere, la natura biopatica del valutare, il peculiare prospettivismo
dell’intelletto interpretante. Volonta di potenza come affetto in due sensi, uno passivo I’altro attivo: il primo registra il nostro essere soggetti emotivamente caratterizzati, affetti da passioni, impulsi e
pulsioni inconsce che determinano il nostro indice di finitezza, di apertura all’altro e di esposizione al mondo; il secondo suggerisce il carattere propulsivo della volonta di potenza, che promuove e intensifica |’affettivita, rendendola onnipervasiva e producendo una contaminazione attiva tanto nell’agire quanto nel conoscere.
La volonta di potenza si manifesta dunque come un duplice
potere di essere affetto: determina attivamente il rapporto delle
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forze tra loro ma viene a sua volta determinata dalle forze in rapporto, rivelando la natura, attiva e passiva, di tutto cid che esiste,
l’essere in relazione. Determinata e determinante, qualificata e qualificante, la volonta di potenza ha il potere di generare affetto e il potere di ricevere affetto da altre forze. Non mera passivita,
condizionamento, ma affettivita dispiegata, sensibilita diffusa, disponibilita a nuove sensazioni. Una questione di sentimento prima che di volonta, una sfumatura di sensibilita valutativa prima che di esercizio di potenza. Nietzsche afferma esplicitamente
che “la volonta di potenza é la forma affettiva primitiva, che tutti gli altri affetti sono soltanto sue configurazioni’*’, la matrice da cui scaturiscono tutti gli altri sentimenti. Ma, altrettanto significativamente, aggiunge: “la volonta di potenza non € un essere, non un divenire, ma un pathos’**. Non un nuovo substrato ontologico
33
34
E Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 90. Questo frammento, di rile-
vanza capitale per |’interpretazione di Nietzsche, viene rubricato dall’autore sotto il titolo: “Concezione unitaria della psicologia’”’: per questa psicologia dell’ affettivita, eterogenea rispetto alla tradizione dell’indagine psicologica legata ad un’idea metafisica di soggetto, si veda anche il saggio di P. Wotling, La pensée du sous-sol, Paris, Allia 1999. Ivi, p.50. Il fenomenologo Michel Henry ha colto la centralita della tematica affettiva e il carattere fondativo della sofferenza nel pensiero di Nietzsche ma é giunto a conclusioni diametralmente opposte alle nostre. A suo avviso, vi sono due distinte modalita di rivelazione delle cose: da un lato, come oggetti o enti di un mondo; dall’ altro,
come affetti, configurando cosi due ambiti paralleli e irriducibili l'un l’altro. Ad essi corrispondono rispettivamente la dimensione del visibile (a carattere estatico-deiettivo) e quella autentica dell’invisibile. Se l’essenza originaria della vita é |’ auto-affe-
zione interiore, l’appercezione come un soffrire se stessi, un riconoscimento patico dell’ipseita, dell’esperienza affettiva si perde
la dimensione
irrinunciabile
della
relazione, l’irrevocabile immanenza del nostro essere nel mondo, in rapporto ad altri: l’affetto & sintomo, espressione corporea, comunicazione, vocativo, sporgenza del soggetto e apertura verso altri. Per Nietzsche, la fenomenologia dell’ affettivita non é un arcano della soggettivita: essa ¢€ inscritta nella grande ragione del corpo. Dalle premesse del lavoro di Henry, discende anche la sistematica svalutazione della scienza, intesa husserlianamente come conoscenza oggettiva, dispersione estatica
-posizione che Nietzsche non avrebbe mai condiviso. Cfr: M. Henry, Genealogia della psicoanalisi, Firenze, Ponte alle Grazie 1990, pp. 190-256. Ci si pud invece domandare, in modo del tutto ipotetico, quali sviluppi esegetici avrebbero potuto scaturire dall’interesse dell’ultimo Merleau-Ponty (quello che scorgeva gli esistenziali del visibile) rivolto a Nietzsche, in particolare a quello che tematizza il sapere
della superficie e la grande salute da cui proviene l’identita della filosofia: Cfr: M. Merleau-Ponty, Linguaggio, storia, natura, Milano, Bompiani
1995, pp. 132-134.
45
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dunque, ma una sensibilita dell’interpretazione, una qualita af-
fettiva dell’attribuzione di senso, una forza emotivamente tonalizzata che indica |’origine biopatica di ogni posizione di valore.
Né essere, né divenire: Nietzsche sottrae la volonta di potenza alle opposizioni concettuali della metafisica, evita anche di contrapporre -come in altre circostanze- Eraclito a Platone (il gioco
innocente alla deduzione razionale), per stabilire l’identita di tale finzione euristica nel pathos, in cid che precede ogni teoresi, nel-
l’antepredicativo libero da ogni travatura concettuale. La volonta di potenza é la “forma affettiva primitiva” (o meglio, primigenia) nel senso che essa costituisce l’archetipo di ogni altro affetto in virtii della sua natura affermativa, che divide e traccia confini, grazie alla sua identita di forza trasfiguratrice che riconosce la terra e afferma la vita, la quale utilizza l’energia
che scaturisce dagli affetti per interpretare e conferire senso ad un’esistenza altrimenti soggiogata e depauperata dal nichilismo. La meta (non un télos ma uno scopo pragmatico) dell’ attivita delinterpretazione
|
affettiva,
|
é la vita ascendente, |’affermazione dionisiaca di cid che é, non
|
come raggiungimento di una configurazione data, ma come continuo accrescimento delle prospettive e allargamento degli orizzon-
|
la volonta di potenza,
esercitata come
ti che circoscrivono il nostro mondo delle cose prossime. Affetto bipolare: affezione e affettivita. Come scinderli? Indi-
viduare due poli, uno passivo e l’altro attivo, é gia l’effetto di un’astrazione idealtipica, utile nell’economia della delucidazione
concettuale, ma ineffettuale nell’ambito dell’esperienza esistenziale. Semmai potra sussistere un rapporto di condizionamento
il quale ribadisce il nesso unitario che identifica la volonta di potenza: soltanto |’esperienza dell’affezione, sia essa la cognizione
del dolore o la dipendenza dell’amore, rende possibile il dischiudersi dell’ affettivita, la sua diffusione come cifra dell’ esistenza. Per Nietzsche il modo eminente di conoscenza dell’affezione é l’esperienza della malattia, rispetto a cui la grande salute pud essere considerata la transizione da quella condizione di sofferenza, pura espressione della vita offesa, a quello stato lieve ed
espansivo dell’ affettivita, virt che dona, cosi come |’insorgere 46
ad
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dell’amore (l’incontro per antonomasia con Lou Salomé) rende il
pensiero affettivamente tonalizzato (la sincerita filosofica che si istaura per affinita tra gli amanti) e affranca dal ressentiment che
potrebbe scaturisce dall’elaborazione del lutto successivo alla lacerazione della perdita, per “un dissidio di affetti contrastanti”’. Quando si parla di bipolarita affettiva si deve evitare ogni rigida contrapposizione e postulare invece la loro reversibilita: si tratta
infatti di due polarita instabili e metamorfiche, per il continuo mutamento di significato degli affetti, per la loro differente esposizione al
senso. L’originaria passivita della condizione di malattia si converte -come vedremo presto- nell’attivita prodotta dalla grande salute,
mentre l’esuberante spontaneita generata dall’allocazione presso altri dell’affettivita si traforma spesso in dipendenza, in affezione sentimentale, avvertita dolorosamente come incoercibile passivita.
La volonta di potenza come affetto esprime dunque il nostro
essere in relazione, il Mitsein che ci espone all’esistenza (1’affetto come forma originaria, pili primitiva -sottolinea Nietzsche), la nostra costitutiva prossimita, |’essere uno accanto all’altro, per
caso, per scelta o per necessita. L’affetto diventa cosi comunione,
un essere in comune nella palpabile tangenza dell’esistenza*, desiderio metonimico, inappropriabile, possibilita di comunicazione, vocativo, chance dell’amore, come ha inteso esemplarmente Bataille, l’altro grande interprete -insieme a Klossowski- di Nietzsche per sintonia tragica, affinita trasgressiva e afflato per
V impossibile: “La ‘comunicazione non puo avvenire da un essere pieno e intatto ad un altro: essa vuole esseri in cui si trovi posto
in gioco l’essere -in loro stessi- al limite della morte, del nulla; il culmine morale é un momento in cui si mette in gioco, si so-
spende l’essere al di 1 di se stesso, al limite del nulla”. E ancora: “La comunicazione avviene solo tra due esseri messi in gioco lacerati, sospesi, chini entrambi sul loro nulla’”’®. Comunicazione
35
Per questi aspetti rimandiamo all’ormai classico libro di J. L, Nancy, La comunita inoperosa, Napoli, Cronopio 1992, il quale perd non sembra avvedersi di questa
36
G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, Milano, Rizzoli 1970, p. 51.
possibile ascendenza nietzscheana.
47
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che accade nello svuotamento d’essere, nella percezione dell’ in-
consistenza ontologica, nella lacerazione della totalita, ma anche
apertura sul possibile, vertigine di trasparenza, evento sfibrante di perdita, dépense improduttiva, passaggio di calore e di luce, occasione d’amore attraverso |’esibizione della ferita, il riconoscimento della nostra mancanza ad essere. La volonta di potenza interpreta -sostiene Nietzsche. Ma chi
interpreta? I nostri affetti -risponde Nietzsche. Allora la volonta di potenza é affetto. Se ci si attiene a questa elementare e imprescindibile sequenza di enunciati, la volonta di potenza come in-
terpretazione -equazione ultima di molte accreditate letture mietzscheane- dovra essere considerata soltanto un punto intermedio di questo duplice legame di derivazione. Non un affetto generico quello che caratterizza la volonta di potenza, ma un affetto che interpreta, che attribuisce senso ai fenomeni, per acquisire un do-
minio sulle cose, piegandole alle proprie istanze pulsionali. Non un atto della volonta -che sarebbe un’ indebita e regressiva ipostatizzazione- ma un flusso di energie. Non una forma compiuta ma una forza strutturante, un continuo processo di formazione. Non l’armonia di una totalita ma il conflitto delle parti. Non l’unita di un soggetto ma la molteplicita di impulsi contrastanti. Non una
legge di adattamento funzionale ma un’attivita di selezione. Non livellamento dell’eguale ma gerarchia della differenza.
Queste prerogative della volonta di potenza rivestono spesso in Nietzsche esplicite implicazioni ontologiche, a carattere im-
manentistico e pluralistico: se la volonta di potenza, in quanto “intima essenza dell’essere’’, € espressione d’affetto, allora tutta la realta materiale 0 oggettuale (anche quella che il meccanicismo
riconduce ad un rapporto di causa-effetto) non sara un’illusione (come pretendevano Berkeley e Schopenhauer), bensi “qualcosa avente lo stesso grado di realta dei nostri stessi affetti - come una
forma primitiva del mondo degli affetti”*’, come una vita istintiva e inconsapevole, una sorta di preformazione della vita cosciente,
ragion per cui il mondo, ogni suo accadimento fenomenico, diven37
F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, op. cit, p. 43.
48
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ta intelligibile soltanto a patto di riconoscere la presenza di questa multiforme causalita del volere, di ascriverne il senso all’ attivita di plasmazione e ramificazione della volonta di potenza. Applicando il parametro affettivo, la stessa Jogica del nichilismo viene rivelata come isomorfa alla psicologia della metafisica. In un importante frammento dell’estate 1888, Nietzsche sostiene
infatti che il pensiero metafisico ha “gradualmente eliminato e cancellato gli affetti”, edificando un mondo sovrasensibile come realta ideale sostitutiva, conseguente alla “negazione dei desideri
e degli affetti”**. L’esito di tale pavidita psicologica é il nulla. Nella sua essenza, il nichilismo appare dunque come negazione della vita affettiva, del carattere casuale, mutevole e transitorio
dell’esistenza, cioé del fascino che risiede nella sua liberta: |’oltreuomo appare pertanto come quella specie d’essere giocosa che
sa valorizzare eudemonisticamente gli affetti e la transitorieta della vita. Volonta di potenza come affetto ma anche come pathos. Inaggirabile necessita del dolore per affermare 1’ affettivita, per conse-
guire quella grande salute che da essa proviene. Ancora Bataille scorge in Nietzsche la familiarita con l’abisso, con il dolore che rivela la conoscenza del nulla, prima della sua evocazione filosofica o letteraria (come in Proust): “questa empia immanenza sarebbe forse un dono del soffrire?”. Chini sull’abisso, annullati
dalla sofferenza, orfani di trascendenza ma, proprio attraverso quest’esperienza, capaci di leggerezza, propensi all’effrazione
della gaia scienza. La condizione di totale immanenza che scaturisce dal nichilismo compiuto ci consegna all’esigenza della comunicazione, alla liberta dei sensi, alla temporalita intersoggettiva del desiderio, all’angoscia della solitudine, allo spasmo
dell’ attesa, all’alea del possibile. Esperienza del dolore come perdita della comunicazione d’affetto, sottrazione di un volto, afasia
di un vocativo: “Tuttavia -conclude Bataille-, in questa oscurita
insensata, al di 14 di ogni nonsenso, di ogni crollo, mi strazia ancora la passione di ‘comunicare’ a chi amo la notizia che é calata 38
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 328.
49
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la notte, come se questa ‘comunicazione’, € nessun’altra, fosse la sola misura di un amore grande a sufficienza. Cosi rinasce -qua 0 la, senza fine- la folle folgorazione della chance”.
Introducendo la sua prima opera, la Nascita della tragedia,
Nietzsche aveva formulato l’enunciato che avrebbe pol orientato
tutta la sua trasvalutazione dionisiaca dei valori proposti dal pensiero metafisico e dalla morale cristiana: “Soltanto come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono eternamente giustificati”. A] termine del suo itinerario filosofico, sfociato nell’ideazione di una volonta di potenza, di una forza del poter essere, di una energia del conferimento del senso, Nietzsche avrebbe potuto modificare
in questi termini la formulazione precedente: “Soltanto in virtd di una comunicazione affettiva l’esistenza e il mondo
possono
essere eternamente giustificati”.
Al di la del paradigma vitalistico Nietzsche identifica la volonta di potenza con la stessa volonta di vita, finalmente sottratta alla volonta di verita: ma cosa intende
per vita? quale il senso di tale identificazione? Nell’ opera nietzscheana si puo rilevare la compresenza di due differenti accezioni del termine vita: secondo la prima, essa designa una forza presente nel cosmo come nell’individuo, un’energia che sottende ogni azione e che si differenzia secondo il parametro dell’ accresci-
mento e del declino. Nell’esegesi della filosofia nietzscheana -da Simmel a Deleuze- si € posta l’enfasi quasi esclusivamente su tale
accezione energetico-vitalistica. Tuttavia, pur riconoscendo a tale accezione un ruolo cardine nell’economia generale del pensiero nietzscheano, va posta in evidenza una nozione antropologica di vita, intendendo con essa una Lebensform, una modalitia di esistenza, in particolare quella di inedita rilevanza epocale -da noi analizzata precedentemente- in cui il soggetto oltreumano prende dimora nel mondo delle cose prossime, determinando |’ afferma39
Ivi,p. 171.
50
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zione di una superiore integrazione delle istanze vitali non pit
penalizzate dall’artificiosa separazione tra una sfera interna ed una esterna, tra un ambito profondo e uno superficiale. La tesi che vorremmo sostenere é la seguente: il dire di si alla vita
é solo la precondizione atta a promuovere opzioni relative a differenti modalita di esistenza, a molteplici forme di vita. Pertanto, il compi-
to del pensiero dopo Nietzsche non é |’indifferenziata affermazione della vita contro i suoi detrattori, ma l’ideazione di nuove possibilita di vita contro la sclerosi delle forme legittimate di esistenza. La seconda considerazione inattuale: Sull’utilita e il danno della storia per la vita pud essere considerata |’atto fondativo della Lebensphilosophie. Quando il sapere storico si emancipa
come scienza dell’ originario presupposto vitale esso degenera in una malattia storica, incapace com’é di conferire al soggetto la consapevolezza della sua costitutiva temporalita. Il platonismo, il cristianesimo e lo storicismo sono espressioni, secondo Nietzsche - del medesimo spirito reattivo, inteso come ostilita alla vita.. I cristianesimo sviluppa un’avversione vendicativa nei confronti della vita, poiché essa si manifesta come “qualcosa di essenzialmente immorale’’, come forza dionisiaca non riconducibile ad un
regno di valori oltremondani: “giacché ogni vita riposa sull’illusione, sull’arte, suil’inganno, sulla prospettiva, sulla necessita
della prospettiva e dell’errore”.” Come il cristianesimo, anche lo storicismo si oppone alla vita.
Se la coscienza storica é necessaria per dotare di memoria la nostra vita e per orientare l’agire innovativo, vi € tuttavia “un modo
di coltivare la storia e una valutazione di essa, in cui la vita intristisce e degenera’’*!. Lo storicismo esasperato del XIX secolo é una patologia dello spirito, un vizio ipertrofico che annichilisce la coscienza dell’uomo moderno attuando la progressiva neutralizzazione delle sue istanze vitali. Prefigurando
la sua concezione
prospettivistica
della realta,
Nietzsche stabilisce l’equazione tra vivere ed essere ingiusti, ac40 41
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, vol. III, tomo I, p. 10. F Nietzsche, Considerazioni inattuali, vol. II, tomo |, p. 259.
51
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centuando la valenza irrazionale della nozione di vita. Nella terza considerazione inattuale (quella dedicata a Schopenhauer), Nietzsche istituisce anche una relazione che chiama in causa l’intera f-
losofia moderna, fautrice di una riappropriazione metafisica del]g vita, nell’anelito ad una cultura che si ponga come una trasfigu-
razione della natura per simboli ed immagini. In tal modo, il filo. sofo si avventura su un crinale assai pericoloso, poiche ora la sua
identita oscilla tra quella di giudice e quella di riformatore della vita. Il filosofo moderno “soffrira sempre di un desiderio insoddisfatto: chiedera che gli si mostri di nuovo soltanto la vita, una vita vera, rubiconda, sana, affinché possa pronunciare su di essa
un suo verdetto. Almeno per sé riterra necessario essere un uomo vivente, prima di poter credere di essere un giudice equo”.”
In questi scritti -collocati ancora, ma soltanto in parte, nell’ orizzonte del nichilismo schopenhaueriano - la vita sembra esclusivamente una forza naturale, avida e insaziabile, 1’emblema della salute ma al contempo |’evocazione di una energia dirompente e
oscuramente disgregatrice. Se quest’immagine irrazionale della vita é prevalente nelle considerazioni inattuali, si osserva tuttavia la contemporanea elaborazione di una nozione pit articolata di vita, che prelude a quella che abbiamo chiamato antropologica.
In questa evoluzione, assume particolare rilievo un frammento del 1875: in esso Nietzsche afferma che i veri filosofi sono sempre ideatori di possibilita di vita in opposizione ad una tradizione
metafisica che -come Si é gia visto- si é affermata quale scuola
della denigrazione, avendo sviluppato una “furia segreta contro 1 presupposti della vita, contro i sentimenti di valore della vita”.
Nel corso dell’esistenza, giunge sempre un momento in cui SI sospende la propria adesione ai contesti abituali d’esperienza ¢
ci si domanda: é questa la vita? Quando questa circostanza viene vissuta da un filosofo, la domanda sull’identificazione della vita si trasforma nell’ideazione delle possibilita che la vita pu0 assumere come proprie. Nella vita dei filosofi, due impulsi che 42 43
Ivi, p. 386. F Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 108.
52 a
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tendono verso differenti direzioni sono costretti a convivere procedendo “sotto un solo giogo”: l’impulso alla conoscenza, inteso come avventura dianoetica, e l’impulso che vuole la vita, l’inse-
diamento in una determinata possibilita. Il conflitto tra la vita e la conoscenza non é passibile di conciliazione: solo i filosofi presocratici -da Talete a Democrito- hanno saputo scoprire “possibilita belle di vita” prima che il razionalismo socratico privilegiasse in modo esclusivo l’impulso alla conoscenza. L’epoca moderna si mostra incapace di riattivare l’originario stupore che diede luogo
a quelle feconde scoperte circa inedite possibilita di vita: Nietzsche confida che “‘poeti e storici” possano nuovamente dedicarsi a questo compito che consiste essenzialmente nell’esercitare “]’ arte
di sedurre alla vita”. La decadenza della cultura moderna consiste anche nell’aver privilegiato i processi interni, gli stati mentali, il contenuto interiore, scorporando |’ unita dell’ essere,
la totalita dell’uomo, ormai
incapace di rendersi artefice di una “risoluzione di cultura”. Con V’avvento dello storicismo nell’epoca moderna, non si é solo genericamente negato il valore della vita, ma si é in realta promossa una forma di vita, una modalita dell’esistere fondata sull’ opposizione tra la sfera interiore e |’ambito esteriore. “Il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, anzi contro il bisogno, oggi non
opera pili come motivo che trasformi e spinga verso |’esterno, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno, che l’uomo
designa con strana superbia come I’ interiorita a lui propria’.
Nell’epoca dell’interiorita -che sara poi ricondotta alla décadance- forma e contenuto non cooperano pit nel perseguimento
dell’unita dello stile artistico e culturale: si presume di possedere il senso del contenuto e di custodirlo nel proprio inaccessibile sacrario interiore, mentre si rifiuta ironicamente il senso della forma,
stigmatizzato
come
convenzione e
artificio.
Nietzsche
considera quindi la relazione tra vita e forma come fisiologica condizione di una cultura organica che non sia decorazione della vita bensi physis trasfigurata nelle forme simboliche; mentre Sim44
Ivi, p. 288.
53
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mel, pur considerando vita e forma elementi imprescindibili della dinamica culturale, giudichera patologica, tragica, la relazione costitutivamente conflittuale tra flusso vitale e oggettivazione formale.* Nelle pagine conclusive della seconda considerazione inattuale, l’accezione biologico-energetica della vita viene attenuata per confluire nei lineamenti antropologici di una forma di vita radicata nel mondo delle cose prossime, dapprima svalutata nell’epoca della décadence che ha celebrato il culto della profondita e il relativo mito dell’interiorita: “noi siamo guastati rispetto alla
vita, al giusto e semplice vedere e udire, al felice cogliere cio che € prossimo e naturale, e finora non abbiamo ancora neanche il
fondamento di una cultura, poiché noi stessi non siamo convinti di avere in noi una vita verace’**. Secondo Nietzsche, siamo affetti da una malattia delle parole e da una malattia dei concetti,
espressioni di un’attivita che non scaturisce pit dall’esperienza vissuta; pertanto, cartesianamente possiamo dire: cogito, ergo sum ma non vivo, ergo cogito.
La filosofia della vita nietzscheana conosce dunque due momenti, analiticamente distinti ma complementari: dapprima, contro ogni razionalismo, é necessario ribadire che la vita costi-
tuisce Ja massima potenza e sovrintende ad ogni forma di sapere essendone il presupposto originario; inoltre, contro ogni storicismo, deve essere attivamente riabilitata “la forza plastica della
vita’, imbrigliata e depauperata dalla malattia storica. Una volta
riaffermato il primato della vita sulla conoscenza, Nietzsche delinea i tratti di una possibilita di vita che la tradizione metafisica, cristiana e storicista aveva da sempre precluso: una possibilita che si realizza in una mutazione antropologica capace di restituire dignita teoretica ed esistenziale al mondo delle cose prossime.
Anche nelle opere successive alle considerazioni inattuali, ritroviamo questa evoluzione teorica da una nozione indifferenziata di vita ad una definita come modalita d’esistenza. 45
G. Simmel, // conflitto della cultura moderna, Roma, Bulzoni 1976,
46
F Nietzsche, Considerazioni inattuali, op, cit, pp. 349-350.
54
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Esiste la possibilita di oltrepassare il pessimismo nichilistico, l’orizzonte teoretico della “filosofia della distruzione”, progettan-
do una differente configurazione antropologica. La svolta -dalla considerazione puramente teoretica a quella antropologica- & annunciata in questi termini: “To credo che la decisione circa I’effet-
to della conoscenza venga data dal temperamento di un uomo”.*” Quale temperamento puo indurre l’uomo e il filosofo ad una trasvalutazione del nichilismo metafisico? Solo l’affermazione di un “temperamento buono, anima salda, mite e in fondo allegra” pud collocarsi al di 1a del dilemma sul valore o disvalore della vita. Si tratta di un conferimento di senso e di finalita orientato verso
un’inedita forma di vita in cui l’uomo, dopo aver preso congedo senza affettazione dal secolare retaggio della tradizione platonico-cristiana, “non si lascia sfuggire i doni pit piccoli, delicati e fuggevoli della vita.” E questo il temperamento del soggetto della superficie che annuncia, nella rinnovata fedelta al mondo delle cose prossime, la trasvalutazione antropologica dei valori morali
e metafisici. La vita -sostiene Nietzsche- non é un argomento, non costituisce un fondamento veritativo, poiché fra le condizioni della vita prevalgono I’errore, la prospettiva e le attitudini estetiche; la
vita va piuttosto concepita come un esperimento conoscitivo, la magica seduzione dell’ignoto che si ammanta di “un velo di belle possibilita” da esperire come opzioni progettuali al di la di ogni rassicurante quadro di riferimento presupposto all’esperienza stessa. Solo attivando tale dispositivo esistenziale si aderisce alla vita ascendente, al potenziamento dionisiaco delle forze vitali, e ci si sottrae alle lusinghe di quella vita declinante che sembra
concedere quiete e armonia interiore, camuffando invece un cospicuo impoverimento delle istanze vitali.
La vita tende all’incessante superamento di se stessa: nel rin-
novamento persegue la trasvalutazione dei valori in cui si era cristallizzata la cultura simbolica di una determinata forma di vita. La filosofia della vita nietzscheana perviene cosi al suo enunciato
47
F. Nietzsche, Umano, troppo umano 1, vol. IV, tomo II, p. 41.
55
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di Potenfondamentale: la volonta di vita non é altro che volonta
za, intesa come attivita creativa che dapprima infr ae POl pone Si tratta org nuovi valori, a cominciare da quello dell affettivita.
di affermare “la priorita di principio che hanno le forze sponta-
nee, aggressive, sormontanti, capacl di nuove interpretazioni, di
nuove direzioni e plasmazioni”’. La vita non risiede nel princi-
pio di conservazione adattandosi a condizioni preesistentl, bensi
nel ‘voler crescere’, accumulando forze, potenziando le proprie
facolta creative: la vita “@ espressione di forme di crescita della potenza”’. Lidentita tra la vita e la volonta di potenza (0 per la potenza,
energia del poter-essere) va intesa nel senso del richiamo alla forza plastica di metamorfosi, all’esigenza della sua riattivazione.
Non si trattera dunque di un puro accrescimento quantitativo, un incremento energetico, ma della selezione qualitativa delle forze (attive e reattive), cosi come avviene tra differenti forme di
vita, cioé tra quella vita ascendente che conduce al mondo della prossimita e quella vita declinante che, orfana di un mondo vero e di una tavola di valori trascendenti, appare come l’espressione della décadence nichilistica. La vita stessa -ribadisce pid volte Nietzsche- non ¢ altro che un gioco di prospettive, di valutazioni, di assunzioni di rilevanza; pertanto, la conoscenza é un apparato di falsificazione che rende possibile l’esperienza riducendo la
complessita della vita stessa. La filosofia nietzscheana culmina dunque nell’equazione per cui la vita & volonta di potenza, cioe
una forza che pone prospettive e istituisce affetti. Lesaltazione e il potenziamento della vita come volonta di salute non ¢ dunque semplicemente un anelito vitalista, formulato in ossequio al paradigma biologico-energetico: la vita puo generare volonta di potenza solo se viene attivato un determinato contesto
senes le pos stetltche cease caret ll emotive, le attitudini affettive,
j nostr oeene. c an Perea nostre Pp predilezioni estetclich i he. EE questo Sc en pragmati € leo t il sens eminente dellactnietz 48
EF. Nietzsche, Genealogia della morale, Op. cit, p. 278.
56
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scheana fedelta alla terra, del suo immanentismo radicale, cid che
tra l’altro ci consente di individuare la continuita tematica dell’ opera di Nietzsche dalla filosofia del mattino al pensiero del meriggio,
dal Wanderer al Freigeist fino all’ Uebermensch, nel progetto di avviare, al culmine della patogenesi moderna, una controtendenza di emancipazione dallo spirito di gravita.
Dall’ esperienza della malattia alla grande salute Per indagare
il significato della relazione tra salute e malattia
nonché individuare il senso dell’esperienza della grande salute, bisogna presuppore |’attenzione su due proposizioni di Nietzsche, fondamentali e imprescindibili nel configurare la possibilita di un prospettivismo inteso come esercizio di una interpretazione affettiva: la prima afferma che ogni esistenza é un’esistenza che interpreta (e questo dichiude una nuova infinita del mondo)”; la seconda rileva che dietro ogni pensiero si nasconde un affetto (e che dunque non é tanto il soggetto razionale che interpreta quan-
to piuttosto i nostri affetti)°°. Formulate queste due premesse, Nietzsche pud coerentemente assumere il corpo -fenomeno pitt ricco perché ospita e manifesta la disputa affettiva- come filo conduttore di un’attivita interpretativa in cui il soggetto unitario
perde consistenza e si declina al plurale, attraversato da pulsioni e affetti, spesso in conflitto tra loro, dal carattere contingente e transitorio, fluido e inafferrabile. Un soggetto che eé l’esito di un
processo di dissoluzione dell’io egemonico, quello titolare del Logos, ma al contempo una costruzione fondata su presupposti selettivi, elaborata da uno stile che interviene a connotare la ride-
scrizione metaforica del vissuto.
L’esercizio dell’interpretazione affettiva costituisce la pit risoluta revisione del paradigma filosofico dominante nella tradizione occidentale (senza peraltro favoleggiare di velleitari oltrepassa49
50
F Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 254.
FE Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit, pp. 19 e 147.
57
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menti della metafisica), fondato fin dai greci sullo théorein, sul
modello di un puro occhio rivolto alle cose, di uno spettatore disinteressato, privo di passioni e di affetti, di un soggetto atemporale dedito ad una attivita dianoetica che persegue verita peren-
torie e inconcusse. II soggetto plurale di Nietzsche (se ha ancora un senso parlare di soggetto) & costitutivamente patico, pensa cioé stimolato dal dolore, elabora metaforicamente, prima che concettualmente, la propria sofferenza, il proprio essere gettato in
un mondo a lui estraneo, ostile, tetragono ai suoi desideri. La ve-
rita diventa ambivalente, impastata di salvifica menzogna, perché l’interprete stesso é soggetto alla costitutiva duplicita di salute e malattia che ne configura l’identita come un ossimoro permanente, il quale non si lascia ricondurre all’unicita di un soggetto. II
pensiero di un soggetto biopatico é sempre |’esito di un processo di interpretazione affettiva o di elaborazione pulsionale: non si da verita se non come maschera di istanze precategoriali. L’interpretazione é l’attribuzione di significato ad un affetto, ad una pulsione, che viene avvertita come apertura, possibilita di senso. Andando ben oltre i limiti angusti delle tassonomie mediche e
dei protocolli terapeutici, il filosofo considera “cadaverica e spettrale” la salute dei pil, compiaciuta, ottusa, sterile, consuetudina-
ria, sclerotizzata in forme di vita esistenzialmente circoscritte, dagli orizzonti assai limitati, incapace di congetture ardite e ignara di un salvifico senso della possibilita, a cui sfugge -per dirla con Mi-
chelstaedter- la pienezza di senso della vita persuasa per attardarsi nella rettorica del procrastinare. Secondo Nietzsche, l’uomo sano
(nel senso consueto e restrittivo del termine) trascorre la propria vita senza riflettere minimamente, come avvolto in un “intimo, caldo mondo di nebbie”’; si compiace del proprio stato di salute senza avvedersi che si tratta di una mera rappresentazione mentale ap-
pagata da una configurazione data dell’esistenza. In ragione di tali caratteristiche, resta da chiedersi “se |’esclusiva volonta di salute
non sia un pregiudizio, una vilta e forse un residuo della piti squisita barbarie e arretratezza’”°'. Non si tratta percid di contrapporre la 51
FE
Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 126.
58
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salute alla malattia, né di auspicare una completa guarigione, perché la prima potrebbe rivelarsi una manifestazione camuffata della
seconda, mentre quest’ultima potrebbe assumere 1’ aspetto di “una salute di qualita pit fine che va riconquistata ogni giorno”. Secondo Nietzsche, si puo essere malati a causa di una effettiva condizione patologica, ma anche per effetto di una “salute straripante”’. Il prospettivismo affettivo, che -come abbiamo piii volte sostenuto- culmina nell’identificazione della volonta di potenza con l’affetto, unito al criterio selettivo che discrimina tra vita ascendente e vita declinante, permette a Nietzsche di enunciare il principio fondamentale che presiede alla sua genealogia della salute: “anche la salute non serve a nulla, se non é all’altezza di grandi affetti”°’. Mentre la salute che si limita ad amministrare
lesistente esprime una sterile mancanza d’affetti 0, al meglio, Si attarda tra affetti di piccolo cabotaggio, la grande saluteé invece correlata ai grandi affetti, che le sono dapprima necessari per rigenerarsi dalla malattia, per orientare il processo di convalescen-
za, pol per esercitare la volonta di potenza, per procedere cioé ad un nuovo
conferimento
di senso, conservando
e potenziando
la
forza che promana esclusivamente dall’affettivita. Se la volonta di potenza é affetto, e gli affetti generano la grande salute, si potra concludere, ancora una volta attribuendo a Nietzsche una logica
stringente, che la volonta di potenza é l’esercizio della grande salute e, reciprocamente, che la grande salute affettiva (quale
scaturisce dal grande dolore) si esplica nell’ attivita della volonta di potenza. La passione dominante diventa la “suprema forma di salute’=?, cosi come |’affetto egemone, che subordina gerarchicamente altri affetti contrastanti, 6 la pit compiuta espressione della volonta di potenza. “Amo
le brevi abitudini” -affermava Nietzsche, alla ricerca
inesausta di nuove configurazioni esistenziali; detestava le abi52 53
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, vol. V, tomo II, p. 317.
F Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 130. Gid Kant, nella Critica del giudizio, aveva rilevato come gli affetti (ma non le passioni) generino “il sentimento della salute” e la sensazione di pier che proviene dall’azione terapeutica dell’anima sul corpo.
59
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tudini durature, soprattutto |’insediarsi in quella fissa dimora costituita da “un’unica specie di salute”. Lo stesso Nietzsche riconosceva |’ambiguita del temine “salute”, la sua natura prospettica dalle molteplici connotazioni: “Una salute in sé non esiste e tutti i tentativi per definire una cosa siffatta sono miseramente falliti. Dipende dalla tua meta, dal tuo orizzonte, dalle tue energie, dai tuoi impulsi, dai tuoi errori e, in particolare, dagli
ideali e dai fantasmi della tua anima, determinare cosa debba significare la salute anche per il tuo corpo. Esistono innumerevoli sanita del corpo”. Con un significativo riferimento a Claude Bernard, Nietzsche chiarisce che la salute potrebbe apparire in qualcuno come |’antitesi della salute di un altro e che, pertanto “salute e malattia non sono niente di essenzialmente diverso...
Non se ne devono fare principi 0 entita distinte che si disputino l’organismo vivente facendone il proprio campo di battaglia... In realta, tra queste due forme di esistenza ci sono soltanto dif-
ferenze di grado”. I] senso esistenziale della malattia non é pertanto parassitario
rispetto alla sua origine naturale, organica, ma é l’esito di una interpretazione, della collocazione dell’evento patologico all’interno di un gioco di prospettive che si attua nella Lebenswelt del soggetto patico. Gia Novalis aveva inteso il valore della malattia per il perseguimento di un grande scopo e Nietzsche considera la malattia una preziosa occasione di salute mentale e le si mostra riconoscente per l’essenziale contributo che essa
ha dato alla determinazione delle sue esperienze di pensiero: “avevo tratto la mia filosofia dalla mia stessa volonta di salute, di vita” -scrive in Ecce homo il filosofo tedesco, il quale ribadira spesso di dovere alla propria malattia tanto una salute superiore
quanto la possibilita stessa della filosofia. Il dolore produce disincanto e genera sospetto, rende pit acuto lo sguardo e agisce come energico stimolante alla vita per colui che é animato da una
54 55
tenace
volonta
di salute,
da quel
tratto aristocratico
che
F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 126. F Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit, p. 41.
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tende al dominio interpretativo sulle cose. “Aggiogare all’ara-
tro la propria malattia”™, diventare schiaccianoci dell’anima,
senza concedere nulla alla depressione che pud derivare dalla sofferenza. Nella peculiare indagine di questa tematica biopatica, é attivo un modello generale di interpretazione che corrisponde ad una “ottica binoculare”, la cui metodologia vedremo operante a proposito del rapporto tra arte e scienza e che presiede a molti altri aspetti del pensiero nietzscheano, tra i quali anche il rapporto tra apollineo e dionisiaco, per tacere della rivendicata identita
mediterranea di buon europeo (quella che prefigura la grande politica), la quale risiede nella simultanea capacité di guardare al sud con gli occhi del nord e al nord con Jo sguardo del sud*’: in tal senso, Nietzsche si colloca in un duplice osservatorio da cui esercita la sua critica genealogica, la dissoluzione biochimica delle attitudini morali e metafisiche. Dapprima sottopone a critica l’immagine filistea della salute dal punto di vista della malattia, poiché il dolore ¢ il maestro del grande sospetto e scardina ogni
posizione acquisita; poi prende le distanze dalla malattia come espressione di vita declinante dal punto di vista di una salute di rango pit! elevato del mero sopravvivere, che ha sottomesso la malattia al proprio servizio, utilizzandone |’energia decostruttiva per liberare inedite risorse cognitive, estetiche e pragmatiche. La
malattia diventa cosi la condizione trascendentale extrafilosofica di ogni pensiero critico o genealogico.
56 FE Nietzsche, Frammenti postumi 1878-1879, vol. IV, tomo III, p. 288. 57
“Esiste ancor oggi in Francia un’anticipata comprensione e una condiscendenza per quegli uomini abbastanza rari e raramente soddisfatti, che hanno un orizzonte troppo vasto per riporre il loro appagamento in un qualsiasi sentimento patriot-
tardo, essi che sanno amare nel nord il sud e nel sud il nord -per i mediterranei di
nascita, per i ‘buoni europei’. - Per costoro ha scritto la sua musica Bizet, l’ultimo genio che abbia intravisto una nuova bellezza e una nuova seduzione - che abbia scoperto un Jembo di mezzogiorno nella musica”. F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, op. cit, p. 170. Per una valutazione complessiva del debito nietzscheano
lectures nei confronti della cultura francese si veda il volume di G. Campioni, Les francaises de Nietzsche, Paris, Puf 2001.
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Nietzsche osserva dunque
cid che é sano con Vocchio
de]
malato e cid che é malato con l’occhio del sano, ma la posta in palio di questo circolo ermeneutico ¢€ Veffettiva salute, quella
salute che “non pud fare a meno della malattia stessa come di un mezzo e amo di conoscenza”. Proprio perché disgrega la com-
pattezza monolitica dell’io, la sua rigida travatura concettuale, rivelando una pluralita di passioni e affezioni, la malattia (0
meglio: la pressione che un corpo ammalato esercita sullo spirito) diventa la precondizione di un pensiero della differenza che scardina ogni totalita precostituita e prelude alla Umwertung: “Con ottica di malato guardare a concetti e valori piu sani, o all’inverso, dalla pienezza e sicurezza della vita ricca far cadere lo
sguardo sul lavoro segreto dell’istinto della décadence -questo é stato il mio pid lungo esercizio, la mia vera esperienza... mi sono fatta la mano a spostare le prospettive: ragione prima per
cui forse a me solo é possibile una trasvalutazione dei valori””*.
Operare la Umwertung dei valori, trasvalutarli significa dissolverli, consumarli nella loro assolutezza, non per produrne razionalmente di nuovi, tecnicamente pill adeguati -come pretende Heidegger-; i nuovi valori sono mere concrezioni empiriche,
transitorie e revocabili, in cui si estrinseca la volonta di potenza, cioé le differenti forze interpretive che spostano incessantemen-
te le prospettive.
58
F. Nietzsche, Ecce homo, vol. VI, tomo II, p. 273. Fra i maggiori interpreti nietzscheani, soltanto Deleuze ha debitamente valorizzato tale aspetto: “Nietzsche ci
esorta a vivere la salute e la malattia in modo tale che la salute sia un punto di vista vivente sulla malattia e la malattia un punto di vista vivente sulla salute, a fare della malattia un’esplorazione della salute, della salute un’investigazione della malattia.
Non si identificano i contrari, se ne afferma tutta la distanza, ma come cid che li fa riferire uno all’altro. (...) Non é appunto la grande salute (0 la Gaia scienza) questo procedimento che fa della salute una valutazione della malattia e della malattia una valutazione della salute?... La prospettiva -il prospettivismo- di Nietzsche é un’arte
pid profonda del punto di vista di Leibniz; la divergenza infatti cessa di essere un principio di esclusione, la disgiunzione cessa di essere un mezzo di separazione,
l’incompossibile ¢ ora un mezzo di comunicazione... All’esclusione dei predicati si sostituisce la comunicazione degli eventi”. G, Deleuze, Logica del senso, Milano, Feltrinelli 1975, pp. 154-155.
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Nella dialettica di salute e malattia -in cui gli incompossibili si scambiano i reciproci attributi- é in gioco |’identita stessa della filosofia: “Sono personalmente abbastanza consapevole -scrive Nietzsche- della posizione di vantaggio che, in generale, nell’ instabilita della mia salute, vengo ad avere rispetto a tutti gli spiriti quadrati. Un filosofo che ha fatto il suo cammino passando per molte sanita... € anche passato attraverso altrettante filosofie, egli appunto non puo far nient’altro che trasferire ogni volta il suo stato nelle forme e nella lontananza piv spirituali - precisamente quest’arte della trasfigurazione é filosofia’*’. L’ attivita filosofica viene intesa dunque da Nietzsche come trasfigurazione del dolore, convalescenza, esito cognitivo di ricorrenti stati valetudinari. L’ affettivita che si nascon-
de dietro ogni pensiero non é un residuo irrazionale, ineliminabile
nell’ attivita teoretica, bensi cid che rende possibile la filosofia, cio che la configura come sapere biopatico, emotivamente tonalizzato, e dotato di attitudine critico-genealogica: “Non siamo ranocchi pensanti -aggiunge Nietzsche- apparecchi per obiettivare e registrare, dai visceri congelati, -noi dobbiamo generare costantemente i nostri pensieri dal nostro dolore e maternamente provvederli di tutto quello che abbiamo in noi di sangue, cuore, fuoco, appettiti, passione, tormento, coscienza, destino, fatalita’®.
Quale filosofia pud scaturire da questa incessante trasfigura-
zione prodotta dalle condizioni valetudinarie? Qual’é l’identita del filosofo medico caldeggiato da Nietzsche? Innanzitutto, non si tratta di proporre un profilo compiaciuto che, dall’esperienza
59 60
FE Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 17. Ibidem.
Va sottolineato come
gli stati valetudinari da cui scaturisce,
secondo
Nietzsche, ogni filosofia, sono sempre transiti, convalescenze, mai punti di approdo; anzi, non si tratta neppure di stati o di condizioni date, bensi di interpretazione di flussi di energia, di intensita crescenti o decrescenti, sintomi che possono essere
valutati, come spasmi, contrazioni dolorose o moti pulsionali esuberanti: in ogni caso “differenze di grado” non identita acquisite (sano/malato). Questa oscillazio-
ne del continuo transitare si rispecchia anche nella duplicita semantica di valetudo: condizione di infermita ma anche stato di salute, bona, integra, optima valetudo, ma anche infima, incommoda et adversa valetudo. Si pud essere adfectus valetudi-
ne ma -come Nietzsche- tendere alla prosperitas valetudinis.
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della malattia, trarrebbe un senso di superiorita a compensazione
di un inevitabile complesso di inferiorita organica: per dissipare ogni equivoco in tal senso, Nietzsche subito precisa: ‘Dubito Che un tale dolore renda migliori” e altrove aggiunge: “la malattia non va intesa come superiore forma di vita”, fraintesa C10€ nel suo significato fisiologico; il grande dolore non e certo un’esperienza edificante, non comporta alcuna redenzione morale, piut-
tosto determina il continuo transitare dalla salute alla malattia (e viceversa), la perenne condizione di instabilita psicofisiologica, dischiude un senso della possibilité corrosivo nei confronti del senso della realta, ci fa avvertire “la seduzione di tutto quanto
é problematico”, impedendoci di sostare presso conciliati punti d’approdo, presso veritd definitive e incontrovertibili, quando tutto nell’esistenza & accadimento casuale, ingovernabile divenire, sviluppo e regresso, potenziamento e indebolimento"'.
Questo dolore “scava nel profondo” -scrive Nietzsche- ma, a ben guardare, non si tratta di una perlustrazione dell’ interiorita,
di una catabasi negli abissi di una inafferrabile profondita, bensi levocazione di una forza, la provocazione di un’energia che ci
consente di risalire in superficie, di compiere quell’ anabasi che ci insedia nel mondo delle cose prossime. Viene cosi rivelato il paradosso insito nell’avventura del tragico: l’esperienza del dubbio e della lacerazione diventano le condizioni per acquisire “un gusto pit sottile per la gioia”, per esercitare “un’ arte beffarda, leggera, fuggitiva, divinamente imperturbata’”, per tornare ad essere, come
i Greci, “superficiali -per profondita”, dunque per sperimentare compiutamente la dimensione estetica (sensoriale e artistica) dell’esistenza. Per Nietzsche sono i pensatori sofferenti, coloro che sopportano la pressione del male, quelli che sono incalzati dalla
tragedia dell’esistenza, instancabilmente sedotti dall’ignoto, stimolati da una inopinata curiositd scientifica, a formulare una gaia scienzd, a celebrare i saturnali dello spirito. 61
“L’obiezione, il saltare di lato, la gaia diffidenza, il piacere della beffa sono segni di salute: tutto cid che é assoluto appartiene alla patologia”. F, Nietzsche, Al di /a del bene e del male, op. cit, pp. 79-80.
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Soltanto l’esperienza del dolore insegna a vivere in superficie per eccesso di profondita:
una profondita intrinseca al dolore
dunque (come quella raggiunta dalla tragedia greca), non |’ambito arcano del sapere confinato nell’ interiorita, inaccessibile per effetto di mistificazione. Acquisita la diversita di sguardo propria dell’uomo del sottosuolo che “trivella, scava, scalza”, Nietzsche
segnala ripetutamente la circostanza per la quale |’individuo che ha raggiunto la condizione della grande salute (mai come un possesso duraturo), attraverso l’esperienza avverte una sensazione di lieve ebbrezza che induce Ritroviamo cosi il fondamento tragico del sapere della
ascrivibile del dolore, alla danza. superficie:
lo spirito di leggerezza & un dono transitorio, sempre insidiato
dalla ricaduta nella malattia, dal peso della sofferenza, fatti incontestabili dell’esistenza e tuttavia sempre soggetti a rilevanti interpretazioni. La filosofia -ribadisce Nietzsche- é un’arte (una
tecnica, una capacita) di trasfigurare il dolore, non nel senso di spiritualizzarlo ma di convertirlo nell’esperienza corporea della sensualita e della danza. Anche in questo caso, il nichilismo non giustifica alcun elogio dell’apparenza, nessuna glorificazione dei simulacri, nessuna fabulizzazione del mondo, bensi allude al nul-
la, al fondamento tragico di una transitoria sovranita. Per Nietzsche -come per Eschilo-, il sapere € proporzionale ad
dolore patito; Zarathustra si rivolge ai saggi illustri con queste parole: “Spirito é la vita che taglia nella propria carne: nel suo
patire essa accresce il suo sapere -lo sapevate?”®’. Non vi é alcuna idea di redenzione in questo passo: lo spirito é una ferita della
carne, é l’esistenza lacerata; il sapere scaturisce da questa ferita senza suturarla, senza elevarsi sopra di essa, come per riscattarla dalla sua insensata brutalita. Il sapere é patema, lacerazione del
senso, cognizione biopatica, sofferenza immedicabile, esperienza
corporea della ferita d’esistere.
Si pud osservare come,
tanto nella metafisica dell’artista
quanto nella fisica del malato, si tratti di creazione e volonta
62
F Nietzsche, Cos? parlo Zarathustra, op. cit, p. 125.
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di forma, di grande stile come di grande salute. E significativo
come, in un passo di Al di la del bene e del male, Nietzsche
estenda la critica condotta nei confronti del meccanicismo caysalistico all’edonismo e al pessimismo che misurano il valore
delle cose secondo il piacere e il dolore, sensazion1 secondarie
rispetto alla considerazione delle forze plasmatrict. Queste ultime sono attivate dalla sofferenza, che Nietzsche considera nobile in quanto divide, perché determina una gerarchia del sentire, si sottrae alla falsa eguaglianza della compassione, poiché é selettiva come la volonta di potenza, mentre il benessere “non co-
stituisce una meta... sembra piuttosto una fine! Una condizione
che rende subito l’uomo ridicolo e spregievole”®’. La disciplina formatrice del dolore & una forza interpretativa che organizza il caos, che vanifica l’assurdo, plasma |’informe cosi come la
volonta di forma dell’ artista. La grande salute promuove sia l’espressione dell’ affettivita sia il dimorare nella prossimita: oltre a porsi all’altezza di grandi affetti, essa dischiude l’accesso alla superficie degli eventi, sottratti
a quel reiterato discredito, in nome di una presunta profondita del fondamento, generato dalla malattia morale e metafisica. Questo
significato di emancipazione antropologica dagli abissi interiori di un’esistenza imperscrutabile viene compiutamente delineato (quasi una summa di tutti i nessi concettuali e metaforici presenti nel tema della grande salute) nella prefazione che Nietzsche scri-
ve nel 1886 per Umano, troppo umano: “Da questo morboso isolamento, dal deserto di tali anni di esperimenti, ancora lunga é la via per giungere fino a quell’enorme, straripante sicurezza e salute che non puo fare a meno della malattia stessa, come di un mezzo e amo di conoscenza, fino a quella matura liberta dello spirito, che ¢ tanto padronanza di sé quanto disciplina del cuore, e che apre la via a molti e opposti modi di pensare; fino a quell’ interiore apertura e raffinatezza derivante dalla sovrabbondanza... fino a quell’eccesso di forze plastiche, capaci di guarire a fondo, formare 63
F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, op. cit, p. 133.
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di nuovo, ricostruire, che € appunto il segno della grande salute,
quell’eccesso che da allo spirito libero la pericolosa prerogativa di poter vivere d’ora innanzi per esperimento e di potersi offrire all’avventura; la prerogativa di maestria dello spirito libero! In mezzo possono venire lunghi anni di convalescenza, anni pieni di trasformazioni multicolori, doloroso-incantate, dominate e tenute
a freno da una tenace volonta di salute... lo spirito libero... ha quasi l’impressione che soltanto ora gli si aprano gli occhi sulle cose vicine. E stupito e siede in silenzio: ma dov’ era? queste cose vicine € prossime: come gli appaiono mutate! Che lanugine e incanto hanno frattanto rivestito!... Che felicita ancora nella spossatezza,
nella vecchia malattia, nelle ricadute del convalescente!... é una cura radicale contro ogni pessimismo ammalarsi alla maniera di questi spiriti liberi, rumanere per un bel pezzo malati e poi, senza fretta e per un tempo ancora piti lungo, diventare sani, voglio dire “pit sani’. E saggezza, saggezza di vita, somministrarsi per lungo tempo la salute stessa solo a piccole dosi’™. E ancora, nella prefazione al secondo volume: “Contro il pessimismo della stanchezza di vivere, gia per ogni sguardo attento della nostra gratitudine,
che non si lascia sfuggire 1 doni piu piccoli, delicati e fuggevoli della vita... una nuova salute”®. Nella Gaia scienza, |’ opera in cui il sapere della superficie rag-
giunge il suo punto pit elevato di elaborazione, Nietzsche inserisce un aforisma esplicitamente dedicato alla grande salute: “Noi uomini nuovi, senza nome, difficilmente comprensibili... abbiamo bisogno di una nuova salute, una salute piu vigorosa, pit scaltrita, pill tenace, pit! temeraria, pil gaia di quanto non sia stata fino a
oggi ogni salute... Ja grande salute - una salute che non soltanto
64
F Nietzsche, Umano, troppo umano, op. cit, pp. 7-9
65
F Nietzsche, Umano, troppo umano II, vol. TV, tomo III, p. 9. Il legame tra salute e spirito di leggerezza emerge chiaramente da questo passo: “Una salute piena di voltafaccia e di trabocchetti improvvisi e incomprensibili, tale che alimenti una profonda diffidenza; e in ogni ora felice una infenzionale leggerezza e cecita ri-
spetto al futuro: altrimenti, la felicitaé non &@ possibile”. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1879-1881], vol. V, tomo I, p. 546.
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si possiede, ma che di continuo si conquista e si deve conquista-
re, poiché sempre di nuovo si sacrifica e si deve sacrificare... noi
argonauti dell’ideale... pericolosamente sani, sempre rinnovellati
in salute’. Nell’economia complessiva dell’ opera nietzscheana
si comprende come il modello o l’incarnazione emblematica della grande salute sia ancora I’artista, colui che esprime |’esuberanza dionisiaca senza pavidi ancoraggi, in cui la hybris perde ogni connotazione di colpevolezza e la gioia scaturisce dal dolore e dalla pit risoluta consapevolezza tragica: “non é possibile essere artisti senza essere malati” -scrive Nietzsche, il quale subito sot-
tolinea che questa condizione appare in realta come una forma di salute debordante, un’eccedenza di forza, di sensibilita, di stile, che sfocia nell’ebbrezza, nell’ immanente trascendenza del reale e nell’esaltazione della vita.
La salute degli affetti affermativi, delle passioni dominanti, dei progetti pid arditi, degli esperimenti pit temerari, é l’espressione della vita ascendente condotta da quel temperamento mite che Nietzsche intende promuovere come tratto aristocratico dell’ oltreuomo. II filosofo-medico puo cosi intraprendere il suo tentativo di rimuovere gli ideali ascetici che fanno da supporto
alla logica della decadenza, che sono i sintomi conclamati della malattia (di cui viene ricostruita la storia clinica) rappresentata
da quella vita declinante che nega valore al mondo delle cose prossime: “Le cose piu vicine di tutte vengono dai pit! molto malamente viste e molto raramente tenute in conto... da questa mancanza derivano quasi tutte le infermitda fisiche e spirituali dei singoli... l’essere ignoranti e il non avere occhi acuti in cid
che é piu piccolo e ordinario - ecco cid che fa della terra per tanti una “‘prateria della sventura”’... la ragione viene falsamente
indirizzata e artificiosamente stornata da quelle cose piccole, le
vicinissime”’®’. 66
67
F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit, p. 262. Su questo tema, cfr. anche il volume collettaneo, a cura di D. Raymond: Nietzsche ou la grande santé, Paris, L’Harmattan 1999, F, Nietzsche, Umano, troppo umano II, op. cit, pp. 136-137.
68
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Nietzsche si colloca agli antipodi rispetto ad una considera-
zione della malattia, quella propria della morale cristiana, che si avvale di categorie dialettiche quali giustificazione, redenzione e riconciliazione. Nella Genealogia della morale, Nietzsche denuncia la connivenza nichilistica tra interiorizzazione del dolore
e nichilismo cristiano, la cui strategia consiste nell’accusare la vita per poterla redimere: l’esistenza é colpevole, giacché soffre; ma proprio perché soffre, pud anche espiare, e venir cosi redenta.
Come ha messo in luce Deleuze, questo dolore interiorizzato e spiritualizzato diventa forza reattiva, conseguenza di un peccato, effetto di cattiva coscienza. Si attribuisce al dolore la conseguen-
za di una colpa e si indica la via della salvezza: si guarisce dal dolore interiorizzandolo sempre pii, legandolo al sentimento di colpevolezza. Occorre invece mantenere il dolore nell’elemento dell’ esteriorita, come un senso esterno, affinché non sia un ar-
gomento contro la vita, bensi un tonificante per la meditazione genealogica e trasvalutante: “Nessun dolore avra potuto -scrive Nietzsche a Malwida von Meysenburg- e potra indurmi a una
falsa testimonianza contro la vita’®’. Anche quando ci si trova a desiderare che sopraggiunga “l’ictus cerebrale liberatore”.
I] tema
nietzscheano
della grande
salute conduce
dunque
alla riaffermazione della volonta di potenza come affetto e alla
complementare teoria delle cose prossime (di cui si parla gia in un significativo frammento
ecofisiologico dell’estate
1879). La
grande salute non costituisce pero soltanto il tratto distintivo degli argonauti dell’ideale, coloro che Si accingono a trasvalutare ogni valore, bensi rappresenta anche una sorta di mise en abime dell’intero pensiero nietzscheano, il modello che sovrintende alla sua peculiare /ogica: la grande salute, infatti, ¢ di genere differen-
te e superiore (secondo il parametro selettivo della vita ascendente) sia dalla malattia sia dalla salute intese come condizioni date
dell’esistenza, come circostanze acquisite della nostra identita biopatica, fatali contingenze fisiologiche. Tuttavia essa non ne
68
F. Nietzsche, Epistolario 1865-1900, Torino, Einaudi
1977, p. 147,
69
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costituisce la sintesi, non rappresenta la conciliazione degli opposti tra loro contradditori attraverso la mediazione concettuale®. Non é certo una logica dialettica quella che presiede alla relazione tra salute e malattia: piuttosto una /ogica tragica (0 paradossale), una logica dei compossibili, una logica dell’ esperienza in cui vi 6 comunicazione tra eventi divergenti se non contrastan-
ti, interscambio di proprieta disgiunte. Secondo questa logica, la grande salute non risolve alcuna contraddizione tra tesi e antitesi, perché salute e malattia cessano di essere antitetiche, mantenendo soltanto una differenza di grado tra diverse forme d’esistenza, tra eterogenee modalita della prassi; piuttosto, essa rigenera la ma-
lattia, la riproduce, la risolleva, ripropone cioé quella cognizione del dolore senza la quale non sarebbe grande salute, ma salute di piccolo cabotaggio, tesa alla mera conservazione di una condizione di esistenza acquisita, sfondo non tematizzato della sopravvivenza. Sopravvivenza: giacere cioé inerti sopra la vita, renderla inoperosa, sterile, conservarla senza spenderla, trattenerla come
un possesso invece che offrirla come un dono inappropriabile. L’ambito di manifestazione della grande salute é lo stato di convalescenza, il sollievo da una condizione meramente patologica, il
pendolarismo valetudinario e affettivo, il continuo transitare tra gli opposti che caratterizza |’esperienza della malattia cronica”’, perché da altre malattie, pil o meno gravi, si guarisce ritornando semplice-
mente allo status a quo, alla condizione di salute non problematizzata. Pertanto, al conseguimento sempre precario e revocabile della grande salute, soggiace una /ogica (termine che Nietzsche usa abitualmente,
a dispetto dei fautori del suo presunto irrazionalismo), un modello di
69
Inun senso affine a quello della nostra analisi, Ferruccio Masini individuava il perno del filosofare nietzscheano, che tende alla Umwertung, “nell ottica dionisiaca 0 degli estremi, un’ottica agonale e multipla nella quale il gioco delle interpretazioni si smaschera continuamente”. F. Masini, Lo scriba del caos, Bologna, Il Mulino
70
1978, p, 27. Inevitabilmente emerge qui il dato biografico, come matrice del privilegio speculativo della malattia; per la relazione tra circostanze autobiografiche e costellazione ideativa, si legga il bel libro di G. Nuccitelli, // contagio filosofico, Milano, Guerini
1996,
70
—aa
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verita che non soltanto evita l’approdo rassicurante della conciliazione degli opposti, che non soltanto sopporta 0 tollera la contraddizione
(come si sostiene correntemente per qualificare il pensiero tragico), ma che, ancor pit radicalmente, esige 1’ opposizione, richiede l’espe-
rienza della lacerazione come sua condizione di possibilita.
Lo sguardo dell’arte sulla scienza
La riflessione nietzscheana sul rapporto tra arte e scienza prende le mosse dall’indicazione (contenuta nella prefazione alla Nascita della tragedia) secondo la quale la scienza andrebbe osservata
nell’ottica dell’arte, mentre quest’ultima (coinvolgendo anche la prima) andrebbe considerata nell’ ottica della vita. Ma si potra anche mostrare come, reciprocamente, Nietzsche suggerisca di considerare l’arte con lo sguardo della scienza, per moderarne il pathos e favorire un modello pi sobrio di comportamento, uno
stile analitico capace di stemperare il tumulto emotivo legato all’esperienza artistica. Anche a proposito del rapporto tra arte e scienza, Nietzsche attua un doppio e complementare regime di
indagine, sfodera cioé la sua ottica binoculare, quella che consente tra l’altro (come abbiamo gia visto) di guardare alla malattia
con l’occhio della salute e di considerare la salute con lo sguardo educato dall’esperienza della malattia. Il giovane Nietzsche considera |’ arte un salutare correttivo alla smodata attitudine teoretica dell’uomo moderno, fondata su quelidea illusoria introdotta da Socrate di voler conoscere tutto a tutti i costi, di penetrare con la ragione “fin nei pit profondi abissi dell’essere”, quasi a volerlo correggere, un’illusione metafisica assunta come
proprio fine dalla scienza, la quale cerca “di far
apparire l’esistenza comprensibile e pertanto giustificata”’’. I] razionalismo metafisico, che da Socrate si propaga fino alla scienza moderna, costituisce -scrive Nietzsche- la “pitt illustre opposizio-
71
E Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., pp. 100-101.
71
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ne alla concezione tragica del mondo”, quale € quella espressa dall’arte dionisiaca nella tragedia greca prima del tradimento o dell’involuzione alessandrina di Euripide. L’affermazione della scienza come fede nella conoscenza, “nell’efficacia risanatrice universale del sapere”, crea le condizioni per una distruzione del mito e per una svalutazione della poesia. Se questi sono i termini del conflitto della cultura moderna, non si potra evitare di “dedur-
re un’eterna lotta tra la concezione del mondo teoretica e quella tragica’”, la prima rappresentata dalla scienza (anche nel suo risvolto storicistico), la seconda dall’arte, dal mito e da ogni altra forza eternizzante e metaforica. L’intento di Nietzsche -dalla Nascita della tragedia alle Con-
siderazioni inattuali- é di introdurre un’igiene della vita accanto alla scienza, come suo sovrano e legittimo criterio di valutazione, per moderarne |’ipertrofica autonomia teoretica, esercitando
quella funzione che pit tardi Nietzsche chiamera di contromovimento nei confronti della deriva nichilista. Nel
1886, scrivendo
una nuova introduzione all’opera del 1872, Nietzsche potra allora considerare la scienza “come sintomo di vita’, non pill come sua negazione metafisica, proprio grazie alla mediazione dell’arte,
come esito metodico di un sistematico processo di dislocazione dei due elementi in questione, secondo il principio cioé dell’ ottica binoculare, poiché “il problema della scienza non pud essere
riconosciuto sul terreno della scienza””.
|
A partire da Umano troppo, umano, Nietzsche comincia a prendere le distanze da quella metafisica d’artista che aveva ispirato le prime opere per effetto del progetto di una rinascita della cultura tragica ispirata alla musica di Wagner e dal pensiero di Schopenhauer: ora il filosofo, che non crede piii alla reciproca esclusione di arte e scienza, si accinge ad intraprendere una critica della cultura che, configurandosi come una chimica delle idee e dei sentimenti, non puo che riconsiderare la funzione dell’attivita scientifica: a tal scopo, genealogico-decostruttivo, |’ artista 72 73
Ivi, p. 114. Ivi, p. 5.
72
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non pare pili cosi affidabile, poiché egli “non vuole rinunciare a
quelle che sono le premesse piu efficaci della propria arte, cioé al fantastico, al mitico, all’incerto, all’estremo, al senso del simboli-
co, alla sopravvalutazione della persona, alla fede che il genio sia qualcosa di miracoloso: egli ritiene dunque il perdurare della sua
specie di creazione pit! importante della dedizione scientifica al vero in ogni forma, per spoglio che possa apparire’””.
La scienza é chiamata dunque a mitigare |’ attitudine irrazionale dell’arte, senza rinunciare pero all’intensita emotiva e alla ricchezza passionale che essa induce in chi la contempla con interesse: in tal senso, Nietzsche pud affermare che “l’uomo scientifico é ’ulteriore sviluppo dell’ uomo artistico”’’. Scienza e arte hanno la medesima natura e finalita, entrambe costruiscono in parte il proprio oggetto, non constatano ma interpretano, dal momento che la scienza non detiene il potere inconcusso della rappresentazione
univoca della realta: ma, poiché si é esaurita la forza mitopoietica ed affermata altresi una crescente divisione del lavoro, ]’arte
sembra destinata al tramonto, osservata come “una magnifica reliquia” di felici e improponibili epoche passate. Questo avvicendamento non dovrebbe pero condurre ad un’alternativa dirimente, ad una attualita della scienza contrapposta all’ inattualita dell’ arte, il cui principio di piacere verrebbe a contrastare con il principio di realta e di utilita applicato e sviluppato dalla prima.
Sul modello goethiano (attivo -come vedremo- fin dal 1868 e poi onnipervasivo nella Seconda Inattuale), Nietzsche pensa ad una cultura superiore come nuova p/ysis, in cui possano coesistere armonicamente le istanze reciprocamente rappresentate dalla scienza
e dall’arte, raggiungendo una temperatura mite come il temperamento in cui verra riconosciuto il doppio cervello. Se la scienza ha
V’indubbio merito di gettare il sospetto sulle artificiose costruzioni metafisiche e morali, essa ci ha anche privati delle nostre principali “fonti di consolazione”, ha eroso la nostra riserva di gioia e piacere: “percid una cultura superiore deve dare all’uomo un doppio 74
KF. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit., p. 121.
75
Ivi, p. 157.
qa
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cervello, qualcosa come due camere cerebrali, una pel Sentirci Ja scienza, un’altra per sentirci la non scienza, che stiano Puna accan-
to all’altra, senza confusione, separabili, isolabili: € questa un’egj.
genza di salute. Nell’un campo s1 trova la fonte di forza, nell’altro jj
regolatore: con illusioni, unilateralita ¢ passion! bisogna riscaldare.
con l’aiuto della scienza conoscitiva bisogna prevenire le cattive e pericolose conseguenze di un surriscaldamento””. . Tra arte e scienza si assiste ad una vicenda di perenne compensazione, di integrazione delle differenze,
di compenetrazione
delle opposte polarita: “il valore della scienza -scrive Nietzsche& di essere un’enorme forza antagonistica: forse in contraddizione ad essa, si riaccende sempre di nuovo I’illogicita e la fantasia senza freni! Forse cid é necessario!”’’. Dapprima la scienza era
chiamata a stemperare i moti irrazionali dell’arte, a frenarne le esuberanze; ora, affermatosi l’atteggiamento rigoroso della ricerca scientifica, é l’arte a dover reintrodurre un po’ di fantasia in un
mondo ridotto a prevedibilita e a calcolo razionale. Cosi come l’istinto poetico ha bisogno della scienza per alimentare la percezione sensibile, per attingere ad elementi di realta sui quali proiettare poi il proprio universo fantastico. Il nostro occhio -sostiene ancora Nietzsche negli anni in cui elabora la gaia scienza- é al contempo poetico e logico, fantasioso e analitico, poiché sviluppa una potenza nutrita tanto di immagini quanto di deduzioni. Soltanto attraverso l’esercizio e il perfezionamento di questa ottica binoculare é possibile conseguire il grande stile, espressione che Nietzsche sembra applicare esclusivamente all’ arte ma che, in realta, concerne proprio l’ibridazione dei tratti identitari di arte ¢ scienza. In tal senso, il riferimento a Palazzo Pitti, come esempio
supremo di grande stile, ci pud indicare la via interpretativa pill fe-
conda, in quanto esso é l’espressione di una volonta di forma che,
nell’eta rinascimentale, vede congiunti attivamente artisti e scienZiati, architetti e ingenieri: in altri termini, quando I’arte assume} 76 7
Ivi, p. 179. Qui l’arte condivide lo stesso destino della religione e della metafisica nel promtawere Crrori, inganni ¢ travestimenti utili alla conservazione della specie. . Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 436.
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caratteri della scienza e, al contempo, la scienza quelli dell’ arte (e, per riflesso speculare, quando |’epistemologia volge all’estetica e viceversa), accomunati dall’analogo intento di organizzare il caos
in forma, si assiste all’ edificazione del grande stile. L’architettura sembra essere |’emblema della volonta di potenza artistico-scientifica, di cui viene tradotto il senso nella forma del grande stile, la cui normativita disdegna ed esclude il piacevole: “L’architetto non rappresenta né uno stato dionisiaco, né uno stato apollineo: qui é il grande atto volitivo, la volonta che sposta le
montagne, |’ebbrezza del grande volere, ad anelare |’ arte. Gli uomini pit possenti hanno sempre ispirato gli architetti: |’architetto
é sempre stato sotto la suggestione della potenza”’*. Per Nietzsche, che appare malauguratamente indifferente all’ esperienza filosofica
della pittura, il poiein architettonico rende visibile la potenza: non potra allora apparire casuale come il filosofo, nell’ Anticristo, torni
a parlare di grande stile proprio in occasione del riconoscimento di merito ai metodi scientifici, in quanto esso si pone al di la del contrasto tra apollineo e dionisiaco, al di 1a di ogni arte dissociata dalla scienza, dalla sua onestd conoscitiva, e con essa da “realta,
verita, vita’””. Alla luce di questo doppio riferimento all’ architettura e pill in generale alla scienza, il grande stile appare come il
prodotto eminente dell’ ottica binoculare che costituisce |’ hardcore della filosofia nietzscheana, |’esito congiunto di un’arte osservata con lo sguardo rigoroso del metodo scientifico e della scienza considerata con |’occhio trasfigurante dell’ arte.
Questo connubio in cui arte e scienza si scambiano gli attributi, modificando anche il loro ruolo culturale, non deve far ritenere
che il grande stile sia espressione di una sobria insensibilita, per-
ché Nieztsche continua a pensare in termini di gaia scienza anche quando loda i metodi scientifici, a tal punto da rubricare |’intento
di “riconquistare per |’womo della conoscenza i diritto alle pas-
sioni” sotto il titolo di grande stile®, sottolineando altresi -in un
78 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 115. 79 Ivi, p. 255. 80 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 209.
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frammento della primavera 1888- che “il grande stile si manifesta in conseguenza della grande passione. Esso disdegna di piacere, dimentica di persuadere. Comanda,
vuole”®'. Per conseguire i]
grande stile, espressione eminente della volonta di potenza, non
si trattera di negare la seduzione dei sensi, di estirpare 1 desideri o indebolire le passioni, quanto spinozianamente di dominarle, di assoggettarle, di volgerle a nostro vantaggio, di convertirle in
affetti. Mentre la musica, soprattutto quella romantica, sembra privilegiare il sentimento, rivelandosi come “arte della decadenza’, suo controrinascimento, |’ architetto di Palazzo Pitti incarna
la grande ambizione filosofica ed esistenziale dell’ultimo Nietzsche: “Dominare il caos che si é, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge”’®. L’ottica binoculare di Nietzsche raggiunge il suo culmine speculativo nel frammento che conclude il secondo libro della Gaia scienza intitolato: La nostra ultima gratitudine verso I’ arte. In questo celebre passo, l’arte viene considerata |’ irrinunciabile
antidoto al lavoro demistificante della scienza genealogica: la consapevolezza dell’universale carattere fallace e menzognero della nostra attitudine teoretica, il riconoscimento dell’illusione e dell’errore come condizioni imprescindibili di conservazione della vita, ci risulterebbero insopportabili se non fossero mitigate dalla buona volonta d’apparenza espressa dall’arte, che ci ha
educato al “culto del non-vero”: “In quanto fenomeno estetico, ci é ancora sopportabile |’esistenza, e mediante |’ arte ci € concesso
l’occhio e la mano e soprattutto la buona coscienza per poter fare di noi stessi un siffatto fenomeno. Dobbiamo, di tanto in tanto,
riposarci dal peso di noi stessi, volgendo lo sguardo 1a in basso su di noi, ridendo e piangendo su noi stessi da una distanza da artisti: dobbiamo scoprire l’eroe e anche il giullare che si cela nella
nostra passione della conoscenza’®’. 81
FE Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op.cit., p. 266.
82 Ivi, p.37. 83 FE Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., pp. 115-116.
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Negli appunti preparatori alla prefazione di quest’ opera capitale per la filosofia contemporanea, Nietzsche compendia il significato della sintesi, della complicita tra arte e scienza in questi termini: “il giullare nella forma della scienza’”, optando per |’atteggiamento ludico e ironico di Zarathustra, che persegue disincantato (da scienziato) l’analisi dell’esperienza e ne propone (da giullare, da
artefice di un mutamento paradigmatico) la trasvalutazione dionisiaca. Arte e scienza istituiscono anche un gioco complementare che ricorda, in mutate circostanze d’esperienza, quello che sara poi il fort-da descritto da Freud: “L’uomo
alla fine non trova
null’altro nelle cose se non quello che egli stesso vi ha nascosto dentro: il ritrovare si chiama scienza, il nascondere dentro -arte,
religione, amore, orgoglio”**. Questa volonta di occultamento é affine alla volonta di menzogna (e, pit in generale, alla “buona volonta di apparenza” prodotta dell’arte) che Nietzsche richiama
ancora una volta per segnalare la convergenza genealogica con la scienza: da un lato, “la gioia della menzogna come madre delarte”, dall’altro l’ovidiano e trasgressivo “nitimur in vetitum e la curiosita come origini della scienza’’®’. La matrice della scienza
diventa cosi la volonta d’arte, l’intento di assecondare e potenziare la vita, di esplorarne i territori preclusi allo sguardo del ricercatore curioso, disattivando la deleteria pulsione a conseguire la
verita ad ogni costo. Sebbene muti progressivamente |’enfasi nietzscheana sul ruo-
lo dell’arte piuttosto che sulla funzione della scienza, |’assunto fondamentale della Nascita della tragedia si ritrova inalterato nella sua opera pitt compiuta, per poi riecheggiare fin negli ultimi scritti: soltanto come fenomeno estetico |’esistenza risulta
sopportabile, ma anche auspicabile, nel senso di assumere quell’atteggiamento dionisiaco che ci permette di apprezzare 11 dettato degli affetti, l’ innocenza del divenire. Pur avendo acquisito lonesta che deriva dal costume analitico della scienza, non dobbiamo diventare 84 85
scientisti,
né
arrenderci
al fatalismo
dell’effettuale:
FF Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 140. Ivi, p. 322.
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abbiamo ancora bisogno della trasfigurazione dell’arte, di quella hybris che esercita la volonta di potenza come interpretazione passionale, come invenzione di universi fantastici, sovrastando cosi la morale e disponendo di una sovrana liberta sopra le cose. L’arte dovra continuare ad introdurre nelle cose quelle proiezioni fantastiche, quelle interpretazioni azzardate che la scienza sara chiamata a riconoscere e a decifrare. Poiché celebra deliberatamente la menzogna e promuove la
volonta d’illusione, V’arte appare “in maniera molto pit radicale
della scienza contrapposta all’ideale ascetico”**, come avverti gia -seppur con intenti diametralmente opposti- lo stesso Platone quando
condannava
l’arte mimetica,
naturalmente
ostile ad un
mondo di valori sovrasensibili, ad una trascendenza dei signifi-
cati. Mentre l’esperienza dell’arte esprime in modo esuberante la sovrabbondanza
di forze, |’inesauribile anelito della vita, il
desiderio di trasfigurare il vissuto tragico dell’esistenza, |’edifi-
cio della scienza sembra posare sullo stesso terreno dell’ideale ascetico, generare cioé un certo impoverimento
della vita, un
raffreddamento delle passioni, un inaridimento degli affetti, una rimozione degli istinti, un crepuscolare spirito di gravita, una austera forma di atarassia stoica, quando non arrivi a diffondere un
“trivellante sentimento del nulla’, percepibile sul piano inclinato in cui l’uomo si dibatte da quando Copernico gli ha sottratto le
residue certezze, trasformandolo in un atomo periferico, in un’entita marginale del cosmo. Come é stato recentemente affermato, “la scienza é un’espressione estetica che manca di sensibilita arti-
stica’”®’, ma -come vedremo piu oltre- una scienza cosi concepita, esonerata cioé dal suo peculiare attributo nichilistico, dal suo spirito di décadence, puo contribuire, insieme all’ arte dionisiaca che scaturisce dal mondo degli affetti unitamente all’esperienza del dolore e che -mediante l’istinto apollineo- viene trasfigurata nel grande stile, a porre i presupposti fisici per l’esercizio filosofico della trasvalutazione di tutti 1 valori. 86
F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 358.
87
B. Babich, Nietzsche e la scienza, Milano, Cortina 1996, p. 141.
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Classicismo e grande stile
La questione del grande stile, posta da Nietzsche al culmine della propria estetica (o meglio, della propria metafisica dell’ arte) chia-
ma preliminarmente -ma inevitabilmente- in causa la complessa e controversa eredita della cultura classico-romantica nella sua duplice
ma
inscindibile
articolazione
filosofico-letteraria
che
sembra ancora agire in modo determinante dietro le quinte della sua elaborazione concettuale e metaforica. Gia a quindici anni, nel periodo della scuola di Pforta, Nietzsche
guarda a Schiller come ad un classico della cultura tedesca, rievo-
cando, in una nota autobiografica, con un senso di partecipe venerazione, le solenni celebrazioni per il centenario della nascita svoltesi nel 1859: “La voce aveva valicato i confini della Germania; nazioni
straniere, addirittura lontani continenti intrapresero grandiosi preparativi per questa giornata, tanto che si pud affermare che nessuno scrittore abbia finora destato un pit universale interesse di Schiller.
Ma quale celebrazione pit! degna della rappresentazione delle sue opere sublimi? Cosa potrebbe ricordarcelo meglio delle creazioni
del suo spirito, specchio della sua grande anima?’”™. Due anni pit tardi, Nietzsche ha gia scoperto il meno noto HO6lderlin, che diventa subito il suo poeta preferito, di cui apprezza anche la ricchezza concettuale, ed annota a proposito dell’ Jpe-
rione: “la nostalgia della Grecia si manifesta qui pura come non mai; e in nessun altro luogo appare piu chiara l’affinita spirituale di Hélderlin con Schiller e con Hegel, il suo amico fidato’’®’. II
quadro teorico della Nascita della tragedia é gia definito nelle sue linee di fondo con dieci anni di anticipo: con una leggera
semplificazione, si pud sostenere che -nell’ambito di una diffusa
“nostalgia della Grecia”- Nietzsche tragga da Schiller la concezione classica dell’apollineo, mentre da Hélderlin la concezione
tragica del dionisiaco.
88
F. Nietzsche, La mia vita. scritti autobiografici 1856-1869, Milano, Adelphi 1977,
89
p. 82. Ivi, p. 107.
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Quando Nietzsche, nel suo capolavoro del 1872, passa a considerare “il geniale edificio della cultura apollinea” adotta un lessico di chiara ascendenza schilleriana, in particolare quello introdotto nel saggio sulla poesia ingenua e sentimentale, e piu in generale attingendo alla visione estetica complessiva presentata nelle Lettere sull’educazione estetica, che Nietzsche legge gia nel 1862. Com’é noto, la nascita di un mondo artistico ispirato alla
grazia degli dei olimpici é considerata nei termini della necessita di giustificazione estetica dell’esistenza, la quale, se fosse privata di quello “specchio trasfiguratore” che costituisce “la sola teodicea soddisfacente”, apparirebbe all’uomo come atroce sofferenza e inconciliabile contraddizione.
Se la dimensione apollinea trova il suo fondamento in una matrice tragica (che é schopenhaueriana e hdlderliniana ad un tempo), “quest’armonia, anzi quest’unita dell’uomo con la natura, contemplata con tanta nostalgia dagli uomini moderni, e per la quale Schiller ha introdotto il termine tecnico “ingenuo”, non
é per nulla uno stato cosi semplice, che risulti evidente, per cosi dire inevitabile, e in cui dobbiamo imbatterci sulla soglia di ogni civilta, come in un paradiso dell’umanita... Dove nell’ arte incontriamo l’ingenuo -dichiara esplicitamente Nietzsche- dobbiamo
riconoscervi |’effetto supremo della cultura apollinea”. Nietzsche utilizza la categoria estetica dell’ingenuo privandola della sua originaria contrapposizione al sentimentale, anche per
evitare una possibile assimilazione di quest’ultima alla poetica dei romantici, e ne scopre la genesi tragica: la cultura apollinea
risultera vittoriosa dopo una strenua lotta contro i mostruosi Titani del dolore “per mezzo di forti immagini chimeriche e liete illusioni, su una terribile profondita di contemplazione del mondo e una eccitabilissima capacita di soffrire”®!. Agli occhi del filologo e filosofo tedesco erede della classicité weimariana, Omero appare |’artista ingenuo per eccellenza, colui che ha realizzato Ja “perfetta vittoria dell’illusione apollinea”, trasferendo nell’im90 91
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., p. 33. Ivi, p. 34.
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mutabile sfera della bellezza la volonta ellenica di lottare contro
|’inquietante talento del dolore e la sua nichilistica saggezza. L’ingenuita é \’espediente artistico che salva |’uomo dalla tragedia dell’esistenza. La presenza di Schiller é onnipervasiva nell’intera Nascita
della tragedia: Nietzsche ne assume anche |’interpretazione sul significato del coro “come un muro vivente che la tragedia tracciava intorno a sé per isolarsi nettamente dal mondo reale e per serbare il suo terreno ideale e la sua liberta poetica’’*. Schiller diventa cosi l’emblema della “guerra a ogni naturalismo in arte”, l’artefice di un decisivo richiamo ad un terreno ideale che si eleva di gran lunga al di sopra dell’ angusto sentiero percorso dai mortali, che in eta moderna hanno sviluppato una riprovevole “venera-
zione del naturale e del reale”. La tragedia appare come la forma artistica per eccellenza, dispensata fin dall’inizio “da una penosa
riproduzione della realta’”’. Il tratto idealistico e antinaturalistico, proprio
del progetto
schilleriano di educazione estetica, caratterizza quella “nobilis-
sima lotta per la cultura combattuta da Goethe, Schiller e Winckelmann’”’, di cui il mondo tedesco non sente pit la necessita, spezzando cosi il rapporto di continuita con la cultura greca, della Bildung con la paideia, generando -complice |’odierna
dotta storiografia- “uno scettico abbandono dell’ ideale ellenico”. Nietzsche vorrebbe riportare agli onori dell’ attualita quel progetto di cultura, promuovendo la “rinascita dell’ antichita ellenica”, al punto da considerarsi un epigono di quegli eroi, come Goethe
e Schiller, che peraltro “non riuscirono a forzare la porta stregata che conduce alla montagna incantata ellenica’””’. Insieme a quella complementare e solidale di Goethe, la figura di Schiller mantiene una posizione di insuperato modello teorico in tutte le opere del primo periodo, precedente a quello illuministico: anche in un passaggio cruciale della seconda
considerazione
inattuale,
in cui
viene
analizzata
la
92. Ivi, p. 53. 93 Ivi, p. 135. 81
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“saturazione di storia” tipica della modernita, Nietzsche ricorre al magistero schilleriano che scorge i limiti della “ragione dei razionali”, incapace di vedere certe cose accessibili soltanto nella piena intensitd delle emozioni e nel vigore dei sensi: di qui la decostruzione del mito dell’interiorita (motivo conduttore -come abbiamo ampiamente sottolineato- di tutta la genealogia nietzscheana), della catabasi dell’individuo che presume di essere profondo “nel deserto accumulato delle cose apprese che non agiscono all’esterno, dell’erudizione che non diventa vita”. Negli anni successivi al 1873, anche per effetto della crescente influenza della figura e dell’estetica di Wagner, apparentemente
la presenza di Schiller sembra quasi dissolversi o perlomeno diradarsi sensibilmente, mentre permane |’insuperata grandezza di Goethe, sempre meno associato alla figura dell’amico: nelle opere cosiddette ‘illuministe’ e poi in quelle successive, Nietzsche continua a stimare lo Schiller drammaturgo ma dubita della scientificita del suo pensiero; egli comincia a diffidare di un classicismo che rifugge della realta in nome dell’imitazione dell’antichita. In un frammento postumo del luglio 1879 si
legge: “L’ideale di Schiller e di Humboldt -una falsa antichita come quella di Canova, un po’ troppo smaltato, molle, non osa
guardare in faccia la brutta e dura verita, orgoglioso della propria virtu, di tono affettato, un gestire appassionato, ma senza vita, senza vero sangue””’. Il classicismo diventa artificioso,
emblema del vituperato socratismo estetico, ogniqualvolta la dimensione apollinea si emancipa dalla sua matrice tragica e rivendica un’assoluta autonomia dalla pulsione dionisiaca che
cosi cessa di fecondarla.
In una pagina di Aurora, il giudizio sulla cultura tedesca degli anni in cui dal classicismo ci si orienta verso il romantismo, e dal
criticismo all’idealismo, si fa ancora pili sprezzante, accomunando Schiller e Schleiermacher, Hegel e Schelling, dai quali si tiene
94
EF
95
FE Nietzsche, Umano, troppo umano, op. cit., pp. 361-362.
Nietzsche, Considerazioni Inattuali I-III, op. cit., p. 296.
82
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in disparte soltanto il mite e inarrivabile Goethe -rispetto al cui nome Nietzsche diffidera i tedeschi dall’usarlo nell’endiade con Schiller-. Considerati unitariamente, essi appaiono “moralmente eccitati” a tutti 1 costi, inclini a vaghe generalizzazioni e ad una costante quanto velleitaria idealizzazione del mondo greco: “E un idealismo tenero, di buona pasta, dagli argentei sfavillii, che vuol avere soprattutto atteggiamenti nobilmente artefatti e voci nobilmente artefatte, una cosa tanto pretenziosa, quanto innocua,
animata dalla pit cordiale antipatia per la ‘fredda’ o ‘arida’ realta, per l’anatomia, per le passioni complete, per ogni genere di filosofica riservatezza e scepsi, e specialmente per la conoscenza della natura nella misura in cui non si lascia utilizzare per un sim-
bolismo religioso””® La sobrieta e il rigore analitico che caratterizzano le opere dedicate alla genealogia intesa come metodo di scomposizione chimica delle idee e dei valori preesistenti, va a saldarsi con |’irruenza e il vigore polemico che contraddistingue la critica nietzscheana della modernita come décadence, riscontrata nella sua forma pit significativa proprio nella sterile cultura tedesca: ora Nietzsche non puo pili condividere il rifiuto schilleriano della scienza né la contrapposizione utopica di un remoto ideale greco ad una problematica realta lacerata, una concezione triviale dell’antichita che non tiene in alcun conto la consapevolezza tragica da cui scaturisce. Di qui la risoluta presa di distanze dall’idealismo e dal classicismo neoellenico propri di Schiller e dell’umanesimo
del suo tempo: in un frammento dell’inverno 1880, Schopenhauer
appare come colui che “ha di nuovo reso visibile la diabolicita del mondo”, distruggendo “il vitreo luccicante idealismo... quel falso
classicismo, pieno di intimo odio contro la nudita naturale e la terribile bellezza delle cose’”’.
In uno smagliante saggio introduttivo alle Considerazioni tnat-
tuali, il germanista Giuliano Baioni aveva richiamato |’attenzione sulla presenza schilleriana nell’ opera di Nietzsche, presentato 96 97
F. Nietzsche, Aurora, op. cit., pp. 134-135. Ivi, p. 600.
83
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come “l’ultimo legittimo erede” della cultura dell’eta goethiana”,
Baioni sottolinea in particolare l’influsso della distinzione schil-
leriana tra bello e sublime come fondamento dell’opposizione
tra apollineo e’dionisiaco, mentre non si sofferma sul richiamo alla categoria dell’ingenuo, esplicito nel testo nietzscheano: “W] principio schilleriano del sublime, che si richiama esplicitamente alla dirompente energia della natura che tutto distrugge e ricrea, é dunque, nella sua volonta di superamento tragico delle forme
ordinate della civilta, gid un principio dionisiaco che educa nell’uomo la consapevolezza dei limiti della conoscenza razionale, ne rinsalda il carattere, ne fa quindi un uomo tragico nel senso nietzscheano, capace di riaffermare continuamente nella distruzione delle immobili forme del bello il principio tragico del mu-
tamento’”’. Come gia in Schiller, anche in Nietzsche il tragico diventa “lo strumento critico di una analisi della civilta moderna”, epoca della scissione che conduce alla decadenza della civilizzazione,
che assiste alla degenerazione del principio di razionalita e alla perversione dell’apollineo, che si separa dal dionisiaco dissolvendo l’unita della tragedia greca, generando la frammentazione
degli stili artistici e lasciando al dominio del bello la quietistica e decorativa illustrazione della realta, il mero
rispecchiamento
dell’ordine di cose esistente. L’interpretazione
di Baioni
€ assai
complessa
e costituisce
un vero e proprio “programma di ricerca” critico che merita di essere sviluppato al di la delle gia importanti, seppur parziali, correlazioni stabilite tra il sublime schilleriano e il dionisiaco nietzscheano: in particolare, si dovrebbe mostrare come |’apollineo non sia semplicemente destinato a dissolversi nel pervertimento del socratismo estetico, ma come esso venga riaffermato in termini di volonta di forma, di un grande stile che assoggetta
il caos informe del divenire, rlemergendo dunque come categoria
98
G. Baioni, “La filologia e il sublime dionisiaco” in F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, Torino, Einaudi
99
1981, pp. 7-63.
Ivi, p. 19.
84
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classicista'” (non ellenista nell’accezione statica criticata dallo stesso Nietzsche), potenziata dall’energia della volonta di potenza, posta a fondamento di un’estetica costruttivista -per usare una
definizione dello stesso Baioni- (orientata cioé ad un “classicismo della forza e della salute”), espressione di una sovrabbondanza di forze vitali, finalmente libera, o perlomeno convalescente, dalla
malattia della décadence. A nostro avviso, é possibile enucleare due diverse accezioni
del classicismo schilleriano, compresenti nelle Lettere sull’educazione estetica, che Nietzsche intende dissociare: una é quella,
di ascendenza winckelmanniana, che lo identifica con la pace e la
serenita dell’espressione armonica e guarda alla grecita come ad un modello ideale; il secondo ha una forte valenza antropologica e richiede la ricomposizione dell’integrita dell’uomo, ora diviso tra contrastanti facolta. Nietzsche rifiuta la prima accezione, considerandola falsa e stucchevole, ma accetta la seconda rinnovan-
dola con la propria visione del mondo La nostra tesi é che la concezione stantemente presente in tutta l’opera affermazioni talvolta sprezzanti dello
vitalista e prospettivista. estetica schilleriana sia conietzscheana (al di 1a delle stesso Nietzsche) e che tale
preziosa eredita possa essere riscontrata in molteplici e rilevanti figure del suo pensiero: sia nelle metamorfosi dell’apollineo nella volonta di forma e nel grande stile, sia nella persistente idea di una
cultura estetica come unico efficace antidoto alla frammentazione stilistica e all’anarchia formale, sia per la frequente connotazione della volonta di potenza come Spieltrieb, sia per la concezione
aristocratica della formazione dell’oltreuomo che si configura spesso come espressione di una élite esteticamente educata. Ma é soprattutto il grande tema nietzscheano della ricomposizione di profondita e superficie, interiorita ed esteriorita, sfera logica e mondi vitali, su cui si articola il progetto di una nuova integrazione delle facolta vitali che scaturisce dalla critica della cultura 100 Un’esauriente analisi del classicismo estetico di Nietzsche, pur se trascura |’in-
fluenza schilleriana, & quella condotta da M. Kessler, L’ésthétique de Nietzsche,
Paris, Puf 1998.
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moderna, a presentare i tratti inequivocabili, antropologicamente
caratterizzati, del progetto schilleriano di educazione estetica. Ad esso, alla rilevazione della sua metafisica influente,
va af-
fiancato e integrato l’ancor pit rilevante -oltre che onnipervasivo e meno contrastato- apporto goethiano, quale emerge ad esempio da alcune significative sezioni di Umano, troppo umano, laddove
il poeta tedesco viene idealizzato come womo postumo che deve ancora esercitare pienamente il suo influsso, poiché il tempo che
gli é proprio, la realizzazione del suo modello di Bildung, deve ancora venire; da un lato, egli visse nella nostalgia di antiche e
dimenticate epoche artistiche, “nell’arte come nel ricordo della vera arte”; dall’altro, nella costante tensione di un’aspirazione
inadempibile in eta moderna. Ancora come tacitamente ispirato a Goethe (con riferimento implicito alla sua indissolubile endiade di arte e scienza che si affianca a quella di poesia e verita) andrebbe inteso l’importante frammento successivo in cui Nietzsche sostiene, al culmine del suo slancio neoilluministico
francesizzante, che “l’uomo scientifico é l’ulteriore sviluppo del’uomo artistico’”’!'’'. Proprio per la versatile indeterminazione del suo talento, per la poliedricita della sua vocazione, sospesa tra ricerca scientifica e arte figurativa, che lo manteneva pit libero
nei confronti dell’ attivita letteraria, Goethe “appare come un greco, che di tanto in tanto visiti un’amante, col dubbio che sia forse
una dea a cui egli non sappia dare il giusto nome”. La grecita di Goethe sembra risiedere proprio nella relativa indiscernibilita tra arte, scienza e poesia, i cui lineamenti gli apparvero come “tracce
della metamorfosi di una stessa dea’’!°?,
Ancora nelle “scorribande di un inattuale” contenute nel Cre-
puscolo degli idoli, Nietzsche ribadira la grande affiniti con Goethe (maggiore di quella sporadica e contrastata avvertita nei confronti di Schopenhauer e Wagner), considerandolo un per-
sonaggio di statura rinascimentale, |’u/timo tedesco per il quale
nutre un profondo rispetto, in virtt' della sua vastita di orizzonti, 101
F, Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit., pp. 155-157,
102 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op, cit., p. 92.
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della sua naturale e generosa propensione alla vita, del suo fatali-
smo gioioso che si astiene dalla negazione e dal risentimento, una figura di esuberanza dionisiaca che esprimeva “una universalita nell’intendere, nell’approvare, un lasciare-avvicinare-a-sé ogni cosa, un ardimentoso realismo, una venerazione di tutto 1’ effet-
tuale”!?. Al di 1a di questi eloquenti omaggi alla figura del grande scrittore tedesco, la presenza pit significativa dal punto di vista teorico emerge fin dalle sorprendenti pagine di un quaderno che risale
alla primavera del 1868, cioé al lungo periodo di gestazione della Nascita della tragedia. Il frammento ha come tema “la teleologia
a partire da Kant” e costituisce la pit esplicita adesione teorica al pensiero di Goethe: Kant tende a pensare ai corpi naturali in termini di finalita, facendo mostra di un infondato ottimismo, attribuito ad una inverosimile costrizione del pensiero. In realta, ’unitarieta dei fini é un prodotto soltanto sporadico della ragione,
poiché l’evidenza empirica attesta la frequente mancanza di una conformita allo scopo: la soluzione pill coerente sembra ancora
quella prospettata da Empedocle (filosofo preplatonico il cui pensiero, in quegli anni di formazione, Nietzsche non cessa di ruminare) secondo la quale “cid che € conforme a un fine appare solo come un caso tra le molte cose che non lo sono”!”*. Nel mondo naturale la casualita é la regola, la conformita allo scopo l’eccezione, introdotta nella natura dal nostro intelletto per esigenze di
conformazione unitaria di carattere estetico, che tuttavia appaio-
no necessariamente lacunose. Come il darwinismo ha ampiamente dimostrato, nel regno del-
la natura non vigono di per sé le istanze di un mondo intelligibile
edificato secondo il principio kantiano della finalita interna: in realta, tra i fenomeni naturali, non vi é né ordine né disordine;
il modello di spiegazione causa-effetto é un prodotto esclusivo della nostra mente, ragion per cui “non abbiamo alcun diritto di parlare di leggi logiche”, cosi come va respinta l’idea di una ra103 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 152
104 F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, Milano, Adelphi 1993, p. 133.
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gione superiore. Sulla scorta di Goethe e delle piu recenti teorie dell’anatomo-genetista Wilhelm Roux, la natura appare dominata da una “lotta fra le parti” di forza diseguale, capace di dar luogo a processi di autoformazione o di adattamento funzionale degli
organismi. Cosi il finalismo appare a Nietzsche “un metodo insensato” e, qualora scoprissimo sotto il velo di un improbabile finalismo, il mero principio di conservazione della vita, potrem-
mo apprezzare nell’imperscrutabile attivita del caso “la piu bella melodia”. La posizione nietzscheana appare improntata ad un empirismo radicale: vi é un unico piano di realta, l’esistenza,
quella che funge da predicato di tutte le cose e vi sono condizioni di adattamento all’esistenza che noi, arbitrariamente, consideria-
mo finalistiche. Nel confronto con Kant mediato da Empedocle e Democrito, risulta preponderante il richiamo a Goethe, Cisivo tratto dallo scritto su Formazione e nature organiche: “Ogni essere vivente non molteplicita: anche quando ci appare come
citato in un passo detrasformazione delle é un singolo, ma una individuo, resta sem-
pre una riunione di esseri viventi autonomi’'”. Con l’ausilio di Goethe, Nietzsche compie il passo fondamentale della sua filoso-
fia, orientata alla decostruzione della nozione metafisica di soggetto: egli sottrae all’individuo |’attributo metafisico dell’ unitarieta che ha sempre costituito il presupposto del principio d’identita e
lo espone alla disseminazione conflittuale di una molteplicita che puo coagularsi soltanto temporaneamente,
mediante un’organiz-
zazione cogente ma impermanente, in una forma organica. Ancora ispirandosi
a Goethe,
Nietzsche
aggiunge:
“L’organismo
é una
105 Ivi, p. 139. Sull’influenza di Goethe nell’opera nietzscheana ha offerto contributi eruditi e al contempo critici ormai imprescindibili Francesco Moiso, nel volume: Nietzsche e le scienze, Milano, Cuem 1999, ¢ nel saggio: “La volonta di potenza in Friedrich Nietzsche. Una riconsiderazione”, in Aut-aut, n. 253, gennaio-feb-
braio 1993, pp. 119-136. Si veda anche lo studio di Maurizio Guerri dedicato a La teleologia a partire da Kant, Milano, Mimesis
1999. Quanto all’opera di Roux si
confrontino ancora i fondamentali studi di Wolfgang Miiller-Lauter, in particolare: “L’organismo come lotta interna. L’influsso di Wilhelm Roux su Friedrich Nietz-
sche” in La biblioteca ideale di Nietzsche, a cura di G. Campioni e A. Venturelli, Napoli, Guida 1992, pp. 153-200.
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forma. Se prescindiamo dalla forma, esso é una pluralita”, una pluralita di forze che andra poi a preformare la nozione di volonta di potenza; anche il concetto di organico é un prodotto dell’ attivita
umana dedita a dar forma alla pluralita dell’esistenza, denominando “conformita ne stessa della vita e della sopravvivenza: lita si annida quello ben pit pregnante di
altrimenti ingovernabile allo scopo” la condiziodietro il concetto di finaattitudine all’ esistenza.
I] concetto di totalita non appartiene alle cose stesse, ma al nostro sistema di rappresentazione; individui e organismi sono soltanto astrazioni della mente umana, la quale vuole padroneggiare
il caos che governa gli eventi e il caso a cui l’esistente si espone. Il principio che governa la metamorfosi (quella vis centripeta di cui parlava lo stesso Goethe, che dal caos informe conduce alla
forma organizzata del vivente) appare imperscrutabile agli occhi di Nietzsche: sembrerebbe opportuno mantenersi in un rapporto di attenzione e fedelta verso tale insondabile principio piuttosto che coartare l’ignoto in un sistema di spiegazioni razionali. Non vi
é alcun artefice che assegni finalita alla natura fino a configurarla idealmente come un sistema regolato da fini (secondo la pretesa kantiana), cosi come non vi € alcun concetto capace di rappresentare la totalita del vivente: siamo al cospetto soltanto di forze che agiscono alle cieca, di proprieta fenomeniche tra loro contraddi-
torie e discordanti, molteplicita di elementi tetragoni alla nostra
volonta plastica e tassonomica. Si tratta di accettare la palmare evidenza che “domina incontrastato il caso, cioé l’opposto della finalita nella natura. La tempesta che agita le cose é il caso. Cid é conoscibile’”'’’. Questo é il presupposto generale, radicalmente
finitista, dell’intero pensiero nietzscheano, il quale si espone alla tempesta del caso, ne rivendica la conoscibilita, a condizione che il pathos della filosofia resti l’inesauribile meravigliarsi dell’esi-
stenza, il sempre rinnovato stupore di fronte all’imperscrutabile che casualmente viene a manifestarsi. Concepire le condizioni necessarie alla vita come forme significa individuare un organismo, che viene concepito quale 106 F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, op.cit., p. 151.
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vita formata:
tali forme vanno sempre pensate al plurale, per-
ché la vita “é possibile in un numero straordinario di forme”. La vita non é intrinsecamente dotata di forma ma é intenzionata morfologicamente da un essere vivente e pensante. Ancora sulla scia di Goethe -che aveva gia inteso la Gestalt come forma inquieta e oscillante, incessante variazione proteiforme, intuendo una dinamica che Simmel elaborera compiutamente ai primi
del ‘900-, Nietzsche individua gia nel 1868 il conflitto tra vita e forma, generato da una visibilita che 6 concessa soltanto alle forme, intese come ambito di manifestazione cristallizzato di una vita soggiacente, in perenne divenire, pertanto oscura e irrappresentabile se non nella sua oggettivazione formale: “la forma é tutto quello che della vita appare visibile, alla superficie”!®’, Cosi il nostro intelletto, essendo incapace di intuire, si
rivela “troppo ottuso per percepire |’incessante metamorfosi”, per cogliere il perenne fluire della vita. Conflitto tragico -ri-
levera poi Simmel- quello tra vita e forma, tra metamorfosi e cristallizzazione. La vita scaturisce dal caso e si rende percepibile con la sensa-
zione; essa é pura esistenza che si manifesta in una disordinata pluralita di forme, non regolate da alcun finalismo, cosi nella na-
tura umana come in quella animale o inorganica. La differenza é data soltanto dalla capacita di organizzazione degli organismi, da
una propensione alla regolarita dell’accadere, da una plasmazione dell’informe e dell’eterogeneo che promuove la perseveranza nell’essere (secondo un’antica suggestione spinoziana, recepita ancora una volta attraverso il filtro goethiano), quella “coriacea facolta di persistere”, opponendosi alla dissoluzione, che subentra in tutti i viventi dacché sono venuti al mondo. La relativa conformita ad un fine che si riscontra in natura non é una necessita a priori, un postulato della ragione -come pretendeva Kant; sem-
mai, essa é |’esito a posteriori di stampo estetico-costruttivista di
107 Ivi, p. 155, Opportuna a questo proposito, per ricostruire ’intero legame di derivazione, sarebbe Ja Jettura della monografia che Simmel dedicd a Goethe nel 1913,
nel punto di maggior adesione alla “filosofia della vita”.
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una protratta ed evoluta volonta di forma, quella che Nietzsche porra dapprima come matrice del grande stile, poi come fonda-
mento della stessa volonta di potenza. Nietzsche non sviluppa ulteriormente tali illuminanti osserva-
zioni perché avrebbe bisogno di approfondire il tema mediante la lettura di una cospicua bibliografia, soprattutto in ambito scientifico, per integrare le rilevanti conclusioni che ha gia desunto dalla
Storia del materialismo di Lange; egli pud comunque trarre la conclusione che “individuo é un concetto insufficiente” oltre che grossolano come peraltro ogni sistema di misurazione rapportato al vivente (come scriveva ancora Goethe in merito a Spinoza),
fin d’ora consapevole che il soggetto non pud essere mantenuto come principio unitario della teoria della conoscenza, se non altro
perché al suo interno si fronteggiano “un’infinita di individui viventi”, frammenti di una unita incomponibile che appaiono come una moltitudine ingovernabile. Per il giovane Nietzsche attento lettore degli scritti teorici di Goethe -ma che si accinge a dedicarsi alla filologia per trasfigurarla ben presto nella Nascita della tragedia-, esiste soltanto un unico piano d’immanenza che coincide con l’esistenza stessa, i cui fenomeni empirici sono generati dalle
tempeste del caso, nei quali non si pud rinvenire alcun preordinato disegno finalistico se non per la nostra ostinata volonta di organizzare il caos in forma, al fine di riprodurre le nostre stesse
condizioni di vita, di consolidarle in modo omeostatico.
La visibile alleanza tra Apollo e Dioniso La rilevazione di cospicui elementi tratti dalla cultura classico-
romantica tedesca sviluppatasi tra “700 e ‘800 ha indotto recentemente alcuni studiosi a riscontrare nel pensiero nietzscheano una dominante classicista, fino a configurare una sorta di primato dell’ apollineo sul dionisiaco, muovendo dall’osservazione che il dionisiaco non é mai stato al potere sulla scena filosofica, che l’apollineo ha sempre avuto |’ultima parola e che un dispositivo apollineo regna sulla stessa contrapposizione di apollineo e dio91
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nisiaco'®*, dimenticando quanto lo stesso filosofo preammoniva
nella Gaia scienza: “la parola classico non suona bene alle mie
orecchie”. Tale posizione, pur suffragata da numeros! e significa-
tivi supporti testuali, non pud essere condivisa dopo una attenta
lettura della Nascita della tragedia, affiancata a quella degli scrit-
ti preparatori -in realtA molto originali- elaborati da Nietzsche nel 1870. .
Ne II dramma musicale greco Nietzsche assume gia l’atteggiamento attualizzante che si ritrovera poi nell’opera maggiore: la scelta del modello di cultura greca é funzionale alla critica della modernita, caratterizzata come sintomo di degenerazione, esercitando fin d’ora -come si dira in Ecce homo- “lo sguardo sul lavoro segreto dell’istinto della décadence’”’. Infatti, mentre lo spettatore ateniese andava a teatro attratto dalla solennita della rappresentazione, mosso dall’impulso primaverile che scaturisce prepo-
tente dalla profondita dell’essere, galvanizzato da esuberanti ed errabondi cortei dionisiaci, lo spettatore moderno cerca soltanto
distrazioni dallo sfinimento dei sensi, uno svago dalla noia che ammorba la sua esistenza: “la vera disgrazia delle arti moderne
consiste proprio nel non essere sgorgate da una tale fonte misteriosa’”’. Una fonte traboccante di estasi, visioni e incantesimi, espressione del potenziamento delle forze vitali, dell’ eccitazione sensuale, fino alla trasformazione dell’io in altro da sé, alla meta-
morfosi della compagine individuale. In origine, il canto del coro era l’essenza della tragedia antica,
poi progressivamente, “la scena ebbe il dominio sull’ orchestra”, Ja dialettica dei personaggi ebbe il sopravvento sulla musica corale: l’intrigo, la trama drammaturgica, divenne la zavorra del teatro, trasformato in una arena per la rappresentazione di piccole passioni, esonerate dall’originario attributo tragico. Mentre nel-
108 Questa tesi ¢ stata sostenuta in particolare da Peter Sloterdijk, Der Denker auf der Biihne. Nietzsches Materialismus, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1986, Anche Giorgio Colli: Dopo Nietzsche, Milano, Adelphi 1974, sosteneva che la contrapposizione di Apollo e Dioniso é fuorviante e che nel mondo greco la mania dionisiaca é subordinata a quella apollinea.
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la tragedia antica |’agire (il drama) aveva un ruolo secondario rispetto al pathos, alla pura e violenta espressione degli affetti,
del loro importo di sofferenza, ora l’azione si riduce a dialogo, a parola concettualmente intelligibile, incapace di restituire la vita dei sentimenti nella loro urgenza e immediatezza (come accadeva ancora in Eschilo e Sofocle), bensi soltanto nella loro mediazione verbale; mentre la musica é il linguaggio universale del pathos che “parla al cuore”, la parola é strumento del Jogos al servizio della caratterizzazione dei personaggi. Nel saggio-conferenza coevo: Socrate e la tragedia, il giovane
filosofo qualche tragica, di colui
mantiene lo schema del precedente scritto introducendo significativa variante. La morte della tragedia é una fine violenta, provocata dall’esiziale comparsa di Euripide, cioé che -seppur in buona fede- porto “lo spettatore sulla scena”
econ esso il riflesso volgare della vita quotidiana, lo specchio fedele di una vita deiettiva privata della presenza dei suoi numi tutelari, mitologici e religiosi: “l’idealita si é ritirata nella parola ed é fuggita dal pensiero”; cosi, per effetto di questo insano desiderio mimetico, la tragedia si é trasformata in commedia, in un giuoco di scacchi nel quale lo spettatore borghese osserva il suo sosia all’opera, “avvolto nell’abito sontuoso della retorica”. Scompaiono le divinita, -quelle
che presiedono alla manifestazione del pathos- predomina ora “‘l quinto stato, quello dello schiavo”. L’imperativo estetico di Euripide si esprime con la legge secondo la quale “tutto deve essere razionale affinché tutto possa venir compreso”: questa estetica razionalista é
temeraria perché induce lo spettatore -fin dal prologo- a risolvere un “problemino d’aritmetica”’, a calcolare gli effetti di cid che accade
sulla base del profilo psicologico dei personaggi, neutralizzando l’immediatezza emotiva che risuonava potentemente nella musica del ditirambo dionisiaco, che generava compassione tragica. L’este-
tica euripidea é ispirata al razionalismo socratico, al nuovo principio di comprensione e spiegazione alla luce della coscienza, in nome di una volonta di sapere che conduce alla decadenza della tragedia, irretita nel fanatismo della logica, governata da una coscienza critica
che si oppone all’affermazione creativa della vita, ossessionata da una voce che dissuade -come il daimon socratico. 93
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A causa della sua innata vocazione alla contesa dialettica, “in Socrate ha preso corpo uno degli aspetti della grecita, ossia quella chiarezza apollinea, senza alcuna mescolanza estranea:
egli appare come un puro e trasparente raggio di luce, in quanto annunziatore e araldo della scienza che doveva del pari nascere in
Grecia. Ma la scienza e l’arte si escludono a vicenda’’'””. La duplice posizione qui espressa, cosi radicale nell’estendere l’ambito di pertinenza della décadence, non verra mantenuta nelle opere
successive poiché, da un lato, la chiarezza apollinea diventera polarita costitutiva dell’essenza della tragedia e non sinonimo di degenerazione prodotta dal socratismo estetico; dall’altro, la netta disgiunzione tra arte e scienza cedera il posto -come si é gia
visto- ad una pit complessa ottica binoculare che rimanda ad una feconda complementarieta: la scienza costituisce un fenomeno di
decadenza soltanto quando viene sottratta allo sguardo trasfiguratore dell’ arte. Per effetto dell’ affermazione del socratismo estetico, la dialet-
tica mette a tacere la compassione e ogni forma patica, mentre la logica annulla l’elemento tragico; |’ottimismo insito nella spiegazione concettuale di causa-effetto, colpa-punizione, virtt-felicita,
il giubileo del sillogismo dissolve dissacrandolo il pessimismo della tragedia che si confrontava con |’enigma e l’imperscrutabile. La musica ammutolisce di fronte ai teoremi della matematica. I] terzo saggio redatto nel 1970 é dedicato alla Visione dioni-
siaca del mondo. Qui sono individuate esplicitamente le due fonti della tragedia, le due divinita in strenuo contrasto stilistico fino a trovare la loro armonica composizione nella versione attica:
Apollo e Dioniso, il sogno e l’ebbrezza, figura e intensita, forma e forza, visione e orgia, differenti espressioni del sentimento esta-
tico dell’esistenza, quello in l’uomo viene trasfigurato nell’ opera d’arte. Nietzsche insiste sulla coesistenza delle due divinita che si
spartiscono il dominio nell’ordinamento delfico del culto, generando un equilibrio che vede alternarsi assennatezza e dismisura,
109 F. Nietzsche, Socrate e la tragedia, vol. III, tomo II, p. 40.
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moderazione e violenza: “Quanto pit possentemente crebbe lo spirito artistico apollineo, tanto pit liberamente si sviluppo il dio fratello Dioniso: nello stesso tempo in cui lo spirito apollineo giunse a una visione piena... Dioniso interpret6 nella tragedia gli enigmi e gli terrori del mondo, ed espresse nella musica tragica il pit: intimo pensiero della natura, la trama della ‘volonta’ entro e
al di sopra di tutte le apparenze”!"”. Nell’ebbrezza dionisiaca, la natura ritrova la propria potenza unitaria, dapprima dissipata nel processo di individuazione individuale, opera la redenzione di una volonta altrimenti intristita, ora rivatilizzata
dalla sfrenatezza
sessuale
e da una
illimitata
dissolutezza, da una mescolanza panico-orgiastica di affetti. Gli dei greci non sono mai stati preda dell’angoscia, hanno sempre favorito “una religione della vita”, esprimendo il trionfo dell’esistenza, la divinizzazione di cid che sussiste secondo imperscrutabile necessita: l’uomo greco, cosi sensibile e recettivo al dolore, “conosceva 1 terrori e le atrocita dell’esistenza, ma li velo per poter vivere... Vedere la propria esistenza -quale si presenta- in uno specchio trasfigurante, e difendersi con questo specchio dalla
Medusa, ecco la strategia geniale della volonta ellenica’"” Tra Dioniso e Apollo si instaur6 la lotta tra verita e bellezza, che caratterizzo la grecita fino a raggiungere, depauperata e insterilita, la modernita; 1 Greci intesero che il fine della cultura é
quello di “velare la verita”, di opporre la misura all’ eccesso. Ridestatosi dal letargo, Dioniso rendeva imminente un crepuscolo degli dei: si trattd allora per la grecita apollinea di trasformare il carattere lacerante del pensiero tragico in “rappresentazioni con
cui si potesse vivere”, creando un mondo intermedio tra verita
110 Ivi, p. 53. Sulla sublime duplicita di Dioniso e Apollo ha scritto nel 1933 pagine fondamentali W. F. Otto, Dioniso, Genova, I! Melangolo 1990. A questo studio si
sono aggiunti pit! recententemente, tra altri numerosi contributi, anche K.Kérenyi, Dioniso, Milano, Adelphi 1992 e M.Detienne, Apollo con il coltello in mano, Milano, Adelphi 2002.
111
Ivi, pp. 56-57. Per alcuni rilevanti aspetti del tragico, si legga il saggio di N. Sa-
lomon, “Nietzsche. II tragico e l’esserci” in Aut-aut, n. 307-308, gennaio-aprile 2002, pp. 133-154.
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trocita dell’ esistenz, e bellezza, in cui il dolore, |’assurdita e l’a
giungessero a manifestarsi in una bella par ve trasferendo cigg
a “halo. I annichilen. sul piano illusorio e salutare dell A sim cn arte rendeya te di quell’ abisso terrificante. Media possibile la creazione di “una possibilita piu ee di esistenza”,
che consisteva nel mantenere aperta e vibr ante | espressione deg] affetti, la comunicazione dei sentimenti, la condivisione del dolo-
re, seppur trasferita “in rappresentazioni coscientt ; in tal modo,
nell’esaltazione dell’ essere che si avvale della danza e dell’intezo simbolismo del corpo, la bellezza veniva ad accresciere “‘i] pia-
cere di esistere” -convinzione questa che Nietzsche manterra fino al termine del suo itinerario speculativo come
sinonimo di vita
ascendente. Quando nel 1886, dopo aver pubblicato Al di la del bene e
del male, Nietzsche riprende in considerazione la Nascita della
tragedia (“libro stravagante e poco accessibile”) per una “tardiva prefazione” destinata a trasformarsi in un “‘tentativo di autocritica”, ripropone la questione relativa al significato della tragedia, del fenomeno dionisiaco e della serenita greca conseguita dall’uomo teoretico, da intendersi come “segno di regresso, di stanchezza, di malattia, di istinti che si dissolvono anarchicamente”. Tale serenita assume le sembianze sgradevoli di Socrate, il quale ha introdotto nella cultura occidentale |’ ottimismo dialettico che rende ragione di tutto cio che accade sia sul terreno conoscitivo sia su quello morale, laddove il pessimismo
tragico metteva
in luce l’enigma, le aporie, le contraddizioni, i paradossi: non € Apollo, con la sua salvifica propensione
alla plasmazione in
forma dell’arcano, alla trasfigurazione del dolore nel desiderio di
bellezza, ma Socrate, con l’ipertrofia dell’ argomentazione razi0-
nale, a decretare la morte della tragedia, avviando una millenaria fase di decadenza che non coinvolge soltanto I’ esperienza teatrale
ma l’intero processo di civilizzazione egemonizzato dalla cultura
platonico-cristiana.
La Nascita della tragedia -libro peraltro impossibile- & scritta
all apice della modernita, al culmine cioé del dominio scientifiCo esercitato dalla ratio occidentale: essa si propone di indagare 96
“=
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l’origine di questa décadence, la genealogia dell’egemonia scientifica, ponendo in questione il primato della scienza, sottratta al
terreno che le compete e collocata su quello eterogeneo dell’arte, sottoposta cioé ad un giudizio metafisico formulato alla scaturigine del mondo della vita, alla fonte di quella pienezza d’esistenza e sovrabbondanza di forze rappresentata dal nome oscuro di Dioniso. Doppia genealogia dunque, quella elaborata nell’opera
del 1872: la scienza é sottoposta al vaglio dell’ arte e quest’ ultima all’esame della vita stessa; il suo enunciato cardine consiste
nell’affermare che |’esistenza del mondo non é giustificata per la sua conoscibilita o per la sua moralita ma esclusivamente come
fenomeno estetico, a condizione che quest’ ultimo sia espressione adeguata della traboccante esuberanza della vita, sua forma fisio-
logica, non della sua indebita e proterva razionalizzazione, quella attuata dal socratismo estetico. Fin dalla prima opera, in Nietzsche arte e vita appaiono solidali, mentre -come si é detto- la posizione della scienza é ambivalente, sospesa tra ostilita e cooperazione: dopo Socrate, il
cristianesimo si é configurato come baluardo dell’ interpretazione morale dell’esistenza, sottraendo dunque I’arte al regno dell’ apparenza e consegnandolo a quello della menzogna, manifestando altresi una “rabbiosa e vendicativa avversione alla vita stessa’,
un’accentuata ostilita nei confronti delle passioni e della sensualita, una costante diffamazione di tutto cid che viene vissuto con piacere nell’aldiqua. Per effetto di questa doppia, complementa-
re, negazione dell’arte e della vita, il cristianesimo appare come un’inestirpabile malattia, un’espressione nichilistica che manife-
sta una pervicace volonta di negazione, un’aspirazione al nulla che concepisce la vita come “disvalore in sé”. Prima della rinascita di Dioniso sotto mentite spoglie, cioé assumendo le sembianze di Zarathustra, vige nella cultura oc-
cidentale il dispregio del corpo e delle sue pulsioni affermative, la negazione di quell’istinto assertore della vita che ha preso il nome del dio greco Dioniso. Tuttavia, la Nascita della tragedia
sconta ancora un’insicurezza stilistica, un vezzo accademico, perché Nietzsche non aveva avuto il coraggio di esprimersi con un 97
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proprio linguaggio, di manifestare come poeta o come pensatore
dell’aforisma la propria eccedenza di senso, la novita di prospettj. va, trincerandosi dietro la rassicurante maschera del filologo 0 de}
filosofo che esprime ancora con formule kantiane e schopenhaueriane valutazioni inaudite e intuizioni dionisiache. Come poi accadra nel cuore del ‘900 -il secolo che Nietzsche preannuncia-,
Heidegger e Wittgenstein (al termine rispettivamente di Essere e
tempo e del Tractatus logico-philosophicus) porranno Pistanza di
un ambito extrafilosofico di espressione, una dimensione poetica o mistica che trascenda i limiti del linguaggio concettuale praticato dalla tradizione metafisica. Anche in tal senso, per aver posto la questione ineludibile dello stile in filosofia, la figura di Nietzsche
ci appare nelle vesti inattuali di pensatore postumo.
La follia dionisiaca & dunque I’ origine della tragedia greca, la
cui genesi é l’esposizione al dolore, la percezione del carattere distruttivo dell’esistenza, la sensibilita propria degli antichi Elleni,
la loro primordiale visione del mondo, ma fu 1|’intervento dell’altro impulso o polarita, quella apollinea, a render possibile la rappresentazione di questo abisso tragico, ponendo I|’arte figurativa accanto alla musica del coro dionisiaco, rivestendo |’essenza tra-
gica con la bella parvenza prodotta dal sogno, avvolgendo quelle selvagge emozioni con il velo splendente di Maia, ristabilendo i diritti del principium individuationis dopo la visione lacerante del
nostro intimo essere, dotando di forma il caos originario, rendendo accettabile e sopportabile l’insensatezza che regna nel mondo
della natura, il dolore e la dissonanza che la pervadono. In tal senso, l’apparenza é€ una astuzia della volonta.
Nella tragedia attica l’originaria contrapposizione di proprieta
eterogenee che vige tra le due divinita si trasforma e si armonizza
in un rapporto di complementarieta: ebbrezza e sogno, eros ed
ethos, orgiastico e onirico, istinto e ragione, tumulto e misura, emozione e visione, musica e scultura, lirica ed epica (i cui mo-
delli nel mondo greco sono Archiloco e Omero) trovano nella creativita artistica la loro composizione trasfigurata, mantenendo
una
salutare
concordia
discors,
instaurando
una coincidentia
oppositorum capace di dar voce |’altro da sé senza coartarlo 10 98
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un angusto spazio identitario. Apollo rende tollerabile la potenza distruttiva di cui é portatore Dioniso, la sua barbarie, la sua in-
governabile istintualita, il pathos devastante, offrendo una riconciliazione che prevede la contaminazione delle due istanze sotto
forma di uno scambio linguistico, in ragione del quale Apollo parla la lingua di Dioniso mentre quest’ ultimo apprende la lingua del primo. L’impulso artistico-fisiologico rappresentato da Apollo sovrappone una velatura (che ha lo sguardo sensuale di Elena) alla visione diretta dell’atrocita dell’esistenza, ne trasfigura il grido (quello della sapienza silenico-dionisiaca che invitava a rientrare
al piu presto nel non essere) con la serenita degli dei olimpici, con la loro imperturbabile idealita che trasforma il lamento in lode
alla vita, il dolore in gloria, l’orrore sotto la maschera del bello. L’arte redime la vita offesa, ne esalta l’incontenibile energia pri-
ma che la sofferenza si appropri della sua eccedenza, senza per questo postulare alcuna ascesi nella spiritualita, alcuna negazione dell’ esistenza: la volonta ellenica giustifico la vita esteticamente, avvalendosi dello specchio trasfigurante dell’ arte, “la sola teodicea soddisfacente”, poiché mantiene la verita del dolore trasfe-
rendola nella sfera delia bellezza. L’affermazione della vita si realizza come “consacrazione dell’ arte”. In un frammento del 1869-1870, Nietzsche
sottolinea
come
la teodicea non sia un problema greco perché la creazione del _
mondo non era opera degli déi, anch’essi sottoposti ad una legge superiore, quella dell’andnke che tutto regola e governa. I Greci sono “gli artisti della vita”, senza soggezione verso la morale, in
una posizione antitetica rispetto al cristianesimo, in quanto essi venerano i loro déi “per poter vivere, non per estraniarsi dalla
vita”. La tragedia greca rappresenta il modello di una civilta superiore della quale noi dovremmo essere gli eredi, qualora non si
fossero frapposti secoli di civilizzazione improntata al fanatismo della ragione, alla logicizzazione del mondo, al potere dell’uomo teoretico e al misconoscimento di quello intuitivo. La superiorita di tale modello risiede nella capacita apollinea di ammantare la
visione dell’Uno primordiale sia con la conoscenza scientifica 99
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sia con l’espressione artistica: la degenerazione di quel model],
di civiltA subentra quando la prima pretende di dissociarsi dajj,
seconda, sciogliendo il legame che sussiste tra arte e scienza ip
nome delle pretese egemoniche del /ogos sulle forme dell’ inesplicabile (l’aloghia dionisiaca) che I’arte s1 incaricava in Origine
di rappresentare. Il conflitto non é tra Apollo e Dioniso ma tra Socrate e la visione estetica del mondo.
La lettura del quaderno 7, redatto tra la fine del 1870 e i prim;
mesi del 1871, andrebbe affiancata a quella dell’opera maggiore, considerandolo un testo di pari dignita; in esso, N ietzsche afferma
esplicitamente che l’egemonia dell’uomo teoretico determina la morte del mondo antico, a causa dell’indebita separazione di apol-
lineo e dionisiaco per la quale “degenerano entrambi” diventando
forze ostili e non pit! cooperanti: da un lato, |’elemento logico si emancipa dalla bella parvenza, il bello dal sacro e dal numinoso, dall’altro si scatena una incontrollata e distruttiva bramosia: cosi,
coscienza e desiderio si fronteggiano senza alcun schema di reciproca traducibilita. La congiunzione di Apollo e Dioniso, il suo misterium, ha breve vita; con Socrate, Euripide e Platone, per la loro ostilita razionale ai misteri, le due divinita tornano a separar-
si lasciando spazio alla decadenza del pensiero tragico, quello in cul gli affetti, le passioni e la cognizione del dolore giungono a piena visibilita, quello in cui vengono ricomprese istanze di profondita e di superficie, insondabilita e chiarezza, perlustrazione dell’abisso e movimento di danza: “non esiste superficie che sia bella senza la terribilita degli abissi”. Modellato sull’esempio di Empedocle che precipita nell’ Etna, il pensiero tragico € anche I’unica forma di conoscenza compa-
tibile con l’arte, poiché si configura come quel “sapere senza misura e senza confini” che genera I’istanza di un’arte guaritrice.
Bisogna stare in guardia -ammonisce Nietzsche- “che non si affacci |’elemento apollineo della scienza’”, dal momento che esiste elerogeneita assoluta tra il piano ontologico e quello logico: fra
le cose, nell’intimita dell’esistenza,
vige come
fondamento la
perfetta contraddizione mentre nella logica domina tl principio di non contraddizione; soltanto sul piano estetico, tale dissidio
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pud essere ricomposto in conformita al processo primordiale dell’essere, come “un’onda circolare che noi suscitiamo nell’onda marina”. Cosi, al pensatore tragico spetta il compito di elaborare una filosofia dell’arte in cui |’unita appaia nelle sue scansioni di nascere e perire, vita e forma, sensazione e immagine, sofferen-
za ed estasi, dissonanza e armonia, come sacra necessita che scaturisce da “un abisso della ragione”. Paradossalmente, per magica metamorfosi, la “vittoria di Dioniso” coincide con la sua
sconfitta, perché € generata nella tragedia proprio dalla progressiva rivelazione della visione, dalla sua oggettivazione, dalla sua
esplicazione apollinea. La filosofia dell’ arte nietzscheana, il suo fenomenismo tragico,
-soltanto in parte ancora irretito dalla concezione schopenhaueriana- giunge cosi a esplicitare compiutamente il suo fondamento metafisico secondo il quale la conoscenza tragica é madre dell’arte: “ogni sofferenza e ogni sentimento é sofferenza primordiale,
pero vista attraverso l’apparenza, localizzata, presa nella rete del tempo. Jl nostro dolore é un dolore rappresentato... la nostra
vita € una vita rappresentata. Noi non facciamo nessun passo pit’ in la... Questi rispecchiamenti del genio sono rispecchia-
menti dell’apparenza, non pit dell’Uno primordiale: in quanto immagini dell’immagine, essi sono 1 pit puri momenti di quiete dell’essere. Cid che veramente non é -l’opera d’arte... L’essere si
soddisfa nella perfetta apparenza’'"’. La filosofia dell’arte non pud che presentarsi come un platonismo alla rovescia, poiché il suo presupposto controfattuale é di collocarsi a distanza da cio che é, stabilendo come finalita una visione estatica, una gioiosa
apparenza. Vintero
itinerario
compiuto
dal primo
Nietzsche
potrebbe
essere cosi compendiato nei suoi principali punti d’approdo: dal pensiero tragico (“l’essere & dolore, pura contraddizione”), alla
filosofia dell’arte (“1 apparenza é piacere, armonia, essenza trasfigurata in forma”), infine alla metafisica della vita che viene cosi
a 112 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1869-1874, vol.III, tomo III, p. 204.
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preannunciata: “In quanto il dolore primordiale
viene Spezzato
dalla rappresentazione, la nostra esistenza stessa © un continuo atto artistico”'". Un gesto inutile, improduttivo, superfiuo quello
prodotto dall’ artista, ma audace perche, grazie ad esso, un essere che soffre pud proiettare nell’immaginazione un mondo estatico
e, pill in generale, cioé in termini metafisicl, “la volonta é protetta dall’ apparenza, come in un mantello che la rende invisibile
Al termine del quarto paragrafo della Nascita della tragedia, la
conciliazione raggiunta nella tragedia attica tra apollineo e dio-
nisiaco viene qualificata come un “misterioso connubio”, lesito
di una lunga contesa in cui l’inflessibile maesta della visione dorica del mondo ha rischiato di soccombere “inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco”, i cui effetti apparvero ai greci titanici e barbarici, poiché rivelavano |’eccesso della natura, la sua dismisura, la contraddizione, il dolore che la pervade fino al
grido lacerante. L’ arte dionisiaca, la saggezza di Sileno, diceva
la verita illuminando l’abisso tragico dell’essere, facendo cosi
impallidire le muse e gli déi olimpici, turbando la loro serena contemplazione, ormai consapevoli che la loro misura si basava
su un fondamento arcano e lacerante: Dioniso apparve come un
sostrato veritiero, una necessita senza la quale neppure Apollo poteva vivere mantenendo la sua perenne ragion d’essere, quella di velare nell’apparenza plastica l’essenza svelata dalla lirica e dalla musica orgiastica, quella del metaphorein, della trasmutazione in forma, capace di allestire una Trasfigurazione, come fece
poi l’ immortale Raffaello. Nella visione nietzscheana, il pathos precede il drama, cosi come gli istinti, le passioni e le emozioni si affermano prima che
le formazioni secondarie prodotte dalla ragione se ne approprino; in tal senso, Dioniso é la metafora originaria della forza mentre 113 Ivi, p. 218. A questo proposito si veda il saggio di E. Mazzarella, “Filologia e tragedia nel giovane Nietzsche” in Sigma, n 1-2, 1976, pp. 221-250. Per un’ originale
lettura di queste e altre tematiche nietzscheane, si rimanda al saggio di V. Vitiello,
La favola di Cadmo, Bari, Laterza 1998, pp. 43-73. Sulla funzione della scrittura come pharmakon, si veda anche I’ illuminante contributo di C. Fontana, La scrittira della filosofia, Cernusco, Hestia 1994, pp. 183-228.
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Apollo é il nome, la forma che il primo assume per rendersi riconoscibile. Double bind, inestricabile vincolo reciproco, quello che sussiste tra le due divinita: da un lato, senza la mediazione apollinea, a Dioniso mancherebbe un linguaggio entro il quale manifestarsi, rimanendo pertanto caos informe, urlo disarticolato; dall’altro, senza il fondamento dionisiaco, ad Apollo manchereb-
be il contenuto stesso da trasfigurare nell’ opera d’arte: é l’eterna dialettica tra vita e forma, tra qualcosa che fluisce senza controllo e una configurazione
fenomenica
necessaria.
Tant’é vero che
nell’autonomizzarsi dell’apollineo si annida la possibilita della décadence: mentre il Satiro dionisiaco rappresentava “l’immagine originaria dell’uomo, l’espressione delle sue passioni pit alte e forti”, come emblema della saggezza insita nella natura stessa, cosi come della sua onnipotenza sessuale, 1’uomo civiliz-
zato indossa la maschera del benessere che gli viene offerta dalla moderazione apollinea: € questa per Nietzsche la menzogna della civilta, ’oblio della verita originaria, la rimozione del dolore e
la negazione del processi primari, di “quella meravigliosa mescolanza e duplicita degli affetti”, di “quel nucleo dell’ esistenza dietro al continuo trapassare delle apparenze”. Mentre Edipo e
Prometeo sono espressioni lacerate del molteplice dionisiaco, nei
personaggi di Euripide non vi € piu traccia dei “dolori di Dioniso”, cosi come di quella “filosofia della selvaggia e nuda natura”.
L’introduzione della realta storica e della mediocrita quotidiana indebolisce il sentimento del mito; le passioni sottoposte al prin-
cipio di ragione perdono la loro virulenza, vengono quasi esorcizzate, diventando attributi “imitati e mascherati” di un carattere
psicologico irretito in una contesa dialettica, specchio fedele dello spettatore: discostandosi deliberatamente da Dioniso, Euripide fu
abbandonato anche da Apollo e nel mondo greco si apri “un enorme vuoto”. Una maschera razionale, forgiata dal logos socratico,
si é sovrapposta alla pluralita delle maschere mitico-sapienziali. La decadenza della tragedia greca, avviata da Euripide in quanto maschera di Socrate, € causata parallelamente dall’ipertrofia
dell’elemento apollineo e dalla negazione dell’ impulso dionisiaco, ma la nuova equazione di bellezza e razionalita determina
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una degenerazione dello stesso carattere apollineo, org pri
Vato
della sua soluzione nutritizia, la vita affettiva espressa da] pa thos, quell’irriducibile mondo della vita da cui la teoresi sembra Pren-
der congedo, quella palpitante matrice erotica che la COScienz, vorrebbe ora mettere a tacere e padroneggiare. Per il primo com
per l’ultimo Nietzsche, |’ affettivita é il principio primo di tutte le
cose che coincide con |’affermazione della volonta di vivere. si
produce decadenza 0 nichilismo ogniqualvolta -da Socrate aj},
posterita- si crede dispoticamente di “dover correggere Vesisten-
za”, sovrapponendo la cultura alla natura, la morale al piacere
la razionalita agli istinti, la teoresi all’intuizione, lo schematismo
logico alla vibrazione degli affett.
Nell’insana hybris di correggere l’essere, di annullarne |g caotica contradditorieta fino a renderlo intelligibile, e dunque giustificato, la scienza coltiva una illusione metafisica analoga a
quella dell’arte intesa come volonta di trasfigurazione: pertanto € ipotizzabile che, condotta coerentemente ai suoi stessi confini, quelli propri del mondo dell’individuazione, la scienza debba un giorno convertirsi in arte, avvalendosi anche del mito e delle sue
immagini simboliche. Giunta al proprio limite estremo, la scienza sara indotta infine a deporre l’iperbolico ottimismo teoretico arrestandosi “a fissare l’inesplicabile”. L’autodistruzione della scienza logicizzante comportera la rinascita della conoscenza tra-
gica, la quale, “per essere sopportata, ha bisogno dell’ arte come protezione e rimedio”. Questa conversione dell’arte in scienza -prefigurata dall’immagine di Socrate musicista- sara l’esito paradossale di una insaziabile volonta di sapere che, giunta al cospetto dell’ inesplicabile, dovra riaffermare la necessita di una
giustificazione estetica del mondo, adoperandosi nello stendere la
rete dell’arte sul terreno sdrucciolevole dell’ esistenza.
.
Questa enorme antitesi che sussiste tra Apollo e Dioniso, dietto
la quale si cela l’agon tra la bellezza e il dolore, viene pol ad ali-
mentare una millenaria “lotta tra la concezione teoretica del mondo e quella tragica”’, cioé tra la fede nella penetrabilita razionale
dell’essere e il mistero insondabile della natura, tra |’illusione di poter curare “l’eterna ferita dell’esistenza” e la sapienza del do104 _ | Scanned with CamScanner
lore connessa al piacere dell’ignoto. Nella cultura moderna, alessandrina e autoreferenziale, degenerata “in una vuota e dispersiva tendenza al divertimento”, l’uomo teoretico, angosciato e impotente, “non osa pit affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell’ esistenza”, temendo di esporsi al suo imperscrutabile enigma.
Al termine del ventunesimo paragrafo, Nietzsche mette in guardia dall’interpretare lo sviluppo della tragedia greca nei termini di una vittoria dell’apollineo sul dionisiaco, in quanto lo “splendido inganno apollineo”, l’estasi prodotta dal sogno, assolveva soltanto ad una funzione di analgesico per mitigare la pressione dell’ eccesso dionisiaco, la barbarica irruzione della sua dismisura, l’orgiastico annullamento di sé. Illusoria é la credenza
che Dioniso possa essere al giogo di Apollo rafforzandone gli effetti; al contrario, quest’ ultimo é al servizio di Dioniso, in quanto gli fornisce una lingua, uno strumento adeguato per manifestare lo strabocchevole pleroma della sua pluralita affettiva. “Nel punto pill essenziale quell’inganno apollineo risulta infranto e annullato... Nell’effetto complessivo della tragedia -conclude Nietzsche- il dionisiaco prende di nuovo il sopravvento... Il mito tragico é da intendersi solo come una simbolizzazione
di sapienza dionisiaca attraverso mezzi artistici apollinet’, il cui imprescindibile compito é di rendere visibili “quasi una folla di linee e figure vivamente mosse, gli ondeggiamenti della volonta, la lotta dei motivi e il gonfio fiume delle passioni”, fino ad im-
mergersi “nei pit delicati segreti delle emozioni inconscie”!"*. Per essere giustificato come generatore della Bildung, questo mondo di forme visibili deve prodursi all’ interno del vincolo di fratellanza tra Apollo e Dioniso, della loro corretta reciprocita: altrimenti, se disgiunta dal mito tragico, l’arte decade a mero divertimento, infeconda come lo é un’esistenza guidata soltanto da concetti ma orfana di affetti.
Dopo una relativa eclisse nel periodo intermedio della produzione filosofica nietzscheana, quella in cui la scienza sembra rilevare
114 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., pp. 144-146.
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la funzione metafisica dell’ arte, la coppia metaforico-concettuale Apollo-Dioniso ricompare in alcune significative pagine dell’ultimo periodo, in cui il contromovimento dell’arte mantiene una forte connotazione apollinea nel senso del parametro del grande stile ma trova la propria condizione di possibilita nella dimensione dionisiaca dell’ebbrezza, generata da un accresciuto senso di potenza, come si evince esemplarmente da questo passo del Crepuscolo degli idoli dedicato alla psicologia dell’artista: “Perché
vi sia arte, perché vi sia un qualche contemplare o agire estetico,
a tal fine é indispensabile un presupposto fisiologico: l’ebbrezza. L’ebbrezza deve aver anzitutto potenziato l’eccitabilita dell’intera macchina: prima di cid non si giunge affatto all’ arte. Tutte le specie di ebbrezza, per quanto diversamente condizionate, hanno la
forza di realizzare cid: in primo luogo |’ebbrezza dell’ eccitazione sessuale, la forma piii antica e originaria dell’ebbrezza. Del pari l’ebbrezza che viene al seguito di tutte le grandi brame, di tutti gli affetti forti... L’essenziale nell’ebbrezza é il senso dell’aumento di forza e della pienezza... questo processo si chiama idealizzare’''5. Nell’ arte, cosi come nell’eros, si tratta di un desiderio di
trasfigurazione.
Sempre tra le scorribande di un inattuale, & possibile reperire un’importante riconsiderazione dell’antitesi concettuale tra apollineo e dionisiaco, entrambi posti sotto il segno dell’ ebbrezza: “L’ebbrezza apollinea riesce soprattutto a eccitare l’occhio, cosi che esso acquista la forza della visione. Il pittore, lo scultore, il poeta epico sono visionari par excellence. Nello stato dionisiaco per contro l’intero sistema degli affetti & eccitato e potenziato... E impossibile per l’uomo dionisiaco non comprendere una qualsiasi suggestione; egli non lascia inosservato alcun segno emotivo... entra in ogni pelle, in ogni moto dell’ anima: si
trasforma costantemente”'®, Attraverso la musica inoltre, viene 115 F, Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 112. Sul tema nietzscheano dell’eb-
brezza ¢ comparso recentemente un brillante saggio di P. Audi, L'Ivresse de l'art. Nietzsche et l’estétique, Paris, Le livre de poche 1993 116 Ivi, pp. 113-114.
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attuata “una liberazione totale degli affetti”; mantenendo una disposizione dionisiaca nei confronti dell’esistenza, in controtendenza rispetto alla desensibilizzazione propria dell’eta moderna, |’uomo puo ancora awvertire e descrivere “corporalmente
tutto cio che sente”. In tal senso, per la sua peculiare affinita e congenericita con il sistema degli affetti, quello dionisiaco rimane “lo stato originario”, seppur depauperato dalle istanze declinanti del processo di civilizzazione.
Epistemologia binoculare
Per Nietzsche, contrariamente ad Heidegger, non vi é un regime di doppia verita: una derivata, ontico-denotativa, riservata alla
scienza e alle filosofie ad essa ancillari; un’altra originaria, ontologico-fondativa, rivelata dall’arte ed elaborata dal pensiero che ad essa corrisponde per affinita elettiva. Semmai, tra arte e scienza -come abbiamo visto precedentemente- vi é una differenziazione di funzioni, un avvicendamento di ruoli (dalla metafisica d’artista
al temperamento sobrio del ricercatore), un differente significato nell’evoluzione culturale della civilta occidentale che progressivamente prende congedo dall’orizzonte di pensiero metafisico. “Le scienze -scrive Nietzsche nell’estate 1880- rappresentano la
moralita superiore rispetto ai risolutori dell’enigma dell’ universo e ai costruttori di sistemi: moderazione, equita, temperanza, pacatezza, pazienza, coraggio, semplicita, discrezione”'"’,
Fin dalla sua prima formulazione, la genealogia ha una valenza epistemologica: alle scienze -scrive Nietzsche in apertura di Umano, troppo umano- noi dobbiamo la possibilita di sviluppare “una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici”, conseguendo lo scabroso risultato di ricondurre 1 valori di
rango pill elevato ad elementi infimi, istintuali, spesso spregevoli, destrutturando ogni formazione secondaria, concettuale o morale
117 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 405.
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che sia, con l’evidenziarne l’occulta matrice primaria. A tal fine,
per evitare ulteriori mistificazioni, ¢ opportuno avvalersi di pre-
cisi metodi scientifici, dei quali Nietzsche tessera sempre le lodi, sconfinando talvolta nell’apologia, fino alle ultime opere (anche quelle della trasfigurazione orgiastico-dionisiaca) in cul i metodi e i presupposti scientifici saranno considerati come “le idee pit preziose”, colpevolmente contrastate da un gusto estetico incline al pittoresco. A quel peculiare senso dei fatti di cui sono espressione i metodi scientifici gid conosciuti nel mondo antico, noi dobbiamo -sostiene Nietzsche- “il libero sguardo di fronte alla realta, la cautela della mano, la pazienza e il rigore nelle pit piccole cose, l’intera onesta della conoscenza’”!"®.
Finora tutti i filosofi hanno edificato sistemi concettuali subendo il fascino tirannico della logica, attribuendo alla realta le convenzioni stipulate linguisticamente, negando il divenire del mondo per ridurre il variegato mondo fenomenico ad un quadro fisso, ad una grandezza invariante, “la pluralita frastornante a uno schema opportuno e maneggevole”!”, fondato sul principio
di non contraddizione: di questa deleteria attitudine intellettuale -che ha prodotto e perpetrato il paradigma metafisico- ci potremo sbarazzare grazie al “continuo e laborioso processo della scienza, che finira col celebrare un giorno il suo pit alto trionfo in una
storia della genesi del pensiero, il cui risultato potrebbe forse compendiarsi in questa proposizione: cid che noi ora chiamiamo il mondo, é il risultato di una quantita di errori e di fantasie che
sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredita come tesoro accumulato in tutto il passato -come tesoro: perché il valore della nostra umanita riposa su di esso””!””, Non é dunque la filosofia (che tradizionalmente combatte la scienza a fianco della morale) ma innanzitutto la scienza a
118 F Nietzsche, L’Anticristo, vol. VI, tomo III, p. 255. 119 EF Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, op. cit., p. 125.
120 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit. p. 27.
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praticare la scuola del sospetto nei confronti delle astrazioni metafisiche
(coscienza,
volonta,
causa,
verita),
a diffondere
quella consapevolezza decostruttiva che consertira poi di avviare a sperimentazione la trasvalutazione di tutti i valori: il suo compito sara quello (sempre trascurato dalla filosofia) di emanciparci almeno in parte da questo immane mondo della rappresentazione che abbiamo edificato alle spalle della realta contingente, in particolare nel rendere priva di significato e “degna di un’omerica risata” quella cosa in sé che era stata postulata come sussistente dietro i fenomeni. Se la scienza non puo certo “infrangere il potere di antichissime abitudini delle sensazione”, perché metterebbe a repentaglio le nostre stesse condizioni di sopravvivenza, le nostre abitudini percettive e cognitive, almeno pud cominciare a rischiararne |’ origine, a rimuoverne il velo dell’origine, sollevandoci almeno per un istante sopra 1|’intero processo, lasciandoci intuire in particolare la possibilita di una mutazione antropologica. Per la sua dedizione analitica, che la porta a scorgere ovun-
que differenze, la scienza ha la facolta di confutare la credenza metafisica che vi siano cose eguali e immutabili e, al tempo stesso, la capacita di fluidificare ogni apparenza di costanza, risolvendo in movimento tutto cid che si presenta statico. Ma
é soprattutto il piacere dell’esistenza, la sua declinazione polimorfa, che la scienza deve raccogliere in eredita dall’arte, po-
nendosi come sua naturale derivazione, raffreddando “l’ ardente fiume della fede in verita ultime e definitive”'*'. In tal modo, la scienza contribuisce all’ideazione e alla sperimentazione di quel temperamento buono che ha esonerato la propria vita dal
pathos dell’origine e ha ripreso piacere per le cose prossime, un’anima mite, meno passionale di quella propria dell’artista,
ma pit! consapevole e affidabile. Non si tratta di una mera opzione psicologico-comportamentale, ma della questione centrale della filosofia di Nietzsche, relativa alla revoca del disprezzo metafisico della prossimita, cosi esplicitamente formulata in un
121 Ivi, p. 175. 109
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frammento dell’estate 1879: ‘“Com’é possibile generare uomini
di buon temperamento?”!”.
In questa nuova epoca, che la scienza insieme all’arte rende pos-
sibile, viene abbandonata la credenza in causalita lineari, in rela-
zioni semplificate; alla paura del non intelligibile, dell’incalcolabile refrattario ad ogni regola dell’accadere, timore che trasformava
la conoscenza in un atto rituale di rassicurazione, subentra (pur tra cospicue resistenze diffuse anche tra gli scienziati) l’attrattiva del
difficilmente intelligibile -come si legge in Aurora-, l’affermarsi di una propensione sperimentale all’ignoto (il nuovo oggetto delle scienze naturali) che modifica radicalmente |’attitudine secola-
re della riconduzione di ogni novita al gia noto, la coercizione dell’avventura epistemica nel recinto delle nozioni familiari'*’; si attenua altresi il nostro egoistico interesse per |’interiorita e si
estroverte la nostra passione verso il mondo esterno, cosi come verso il substrato istintuale del nostro agire. Cosi operando, in 122 F Nietzsche, Umano, troppo umano I, op. cit., p. 353. In un altro significativo passo de Il viandante e la sua ombra, Nietzsche chiarisce -in modo per cosi dire esistenti-
vo con evidenti preoccupazioni salutiste- cosa intende per discredito idealista della prossimita: “‘si deve ammettere che le cose pitt vicine di tutte vengono dai pit molto malamente viste e molto raramente tenute in conto. E questo é indifferente? -Ma si consideri che da questa mancanza derivano quasi tutte le infermita fisiche e spirituali
dei singoli: il non sapere cosa ci fa bene e che cosa ci fa male nell’impianto della condotta di vita, nella ripartizione del giorno e del tempo e nella scelta dei rapporti sociali, nella professione e nel tempo libero, nel comandare e nell’ obbedire, nel sentire ]a natura e |’arte, nel mangiare, nel dormire e nel pensare; l’essere ignoranti e il non aver occhi acuti in cid che é pitt piccolo e ordinario -ecco cid che fa della terra
per tanti una ‘prateria della sventura’. Non si dica che qui come dappertutto la cosa dipende dall’irragionevolezza umana: piuttosto -di ragione ce n’é abbastanza e pill
che abbastanza, ma essa viene falsamente indirizzata e artificiosamente stornata da quelle cose piccole, le vicinissime”. Ivi, pp. 136-137. Una ragione dunque che, isti-
tuita nella distanza dal mondo delle cose prossime, é artefice di un sapere evasivo. 123 In realta, Nietzsche pensa ad un perenne contrasto tra apertura all’ignoto e riduzione al noto, ad una ambivalenza costitutiva della scienza, il cui sviluppo emancipa dal
bisogno di rassicurazione ma, al tempo stesso, ripropone antiche fobie. Ci si soffermi, ad esempio, su questo passo: “Lo sviluppo della scienza risolve sempre pit il ‘noto’ in un ignoto; ma essa vuole esattamente il contrario di cid e muove dall’istinto
di ricondurre |’ignoto al noto. Insomma la scienza prepara una sovrana inscienza, 1 sentimento che un ‘conoscere’ non si dia affatto, che sia stata una specie di alterigia
sognar cose simili”. Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 179.
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modo “inesauribilmente ricco per illuminare cid che & oscuro e per abolire i modi anteriori di pensare e di agire”!*, avviando cioé una controtendenza rispetto alle forze reattive del nichilismo, la scienza contribuisce a quella ripresa di interesse per il mondo sen-
sibile e contingente che vanifica ogni interesse per I’al di 1a, ogni
angoscia relativa al nostro destino ultraterreno. La scienza € una delle accezioni della volonta di potenza, rientra cioé nella sua morfologia (e come tale viene rubricata nell’indice
provvisorio dell’ Hauptwerk), perché promuove il potenziamento della sensibilita, interpretando i fenomeni “mediante sensi diversi”, mostrando -in una stupefacente anticipazione del principio di indeterminazione della fisica novecentesca- la dipendenza dei “movimenti delle molecole” dal senso della vista e da quello del tatto, nell’ambito di un pit: generale processo conoscitivo in cui i
sensi pill oscuri vengono illuminati dai pit chiari, in accordo con vibrazioni del visibile, indipendenti dalla mediazione delle categorie concettuali. Si tratta di un empirismo radicale, affrancato da
ogni principio di ragion sufficiente: nella scienza non si assiste ad una spiegazione dei fenomeni ma ad una loro espressione sensibi-
le, prodotta dai nostri sensi e soggetta a continue metamorfosi'”. Siamo di fronte ad una persistente ambivalenza: da un lato, la scienza esprime il bisogno di offrire una spiegazione presunta razionale di tutto cid che accade, trasferendo indebitamente 1 nostri
artifici (linee, superfici, corpi, cose stesse, come se le nostre ritieri, manifestandosi dunque nizzazione delle cose’”’!”°; dall’
atomi, spazi e tempi divisibili) alle immagini fossero i loro attributi ve“come la piu fedele possibile umaaltro, sottoponendo a costante osser-
vazione il continuum dell’esperienza, comincerebbe a diffidare del rapporto causa-effetto, giudicandolo finalmente come |’arbitraria
estrapolazione di due singoli frammenti del divenire, fino al punto in cui, dopo aver perfezionato le capacita percettive piuttosto che
124 F. Nietzsche, Aurora, op. cit., p. 404.
oe
125 Si veda: Frammenti postumi 1884, op. cit., p. 101, in cut Nietzsche sembra astenersi peraltro dal proporre una valutazione di tale processo.
126 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 122.
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quelle deduttive, puO operare attraverso un intelletto che riesce scorgere il flusso continuo dell’accadere senza dover ricorrere a]
suo smembramento per mezzo del nesso causa-effetto. Tuttavia, nella scienza echeggia ancora il bisogno metafisico di sicurezza e stabilita del sapere, si avvertono evidenti somiglianze di
famiglia con le religioni, solidali nel proporre ideali ascetict, nel negare la liceita della domanda sulla giustificazione del proprio sapere.
Una scienza (come quella ispirata dal positivismo) che non metta in questione in via sperimentale il valore della verita, che rinunci alla creazione dei valori, si rivela la miglior alleata di quell’ ideale ascetico che ha dominato la storia della filosofia ed esprime il sintomo pit conclamato della vita declinante: “Queste due cose, scienza e ideale
ascetico, riposano invero sullo stesso suolo: vale a dire sull’identica
sopravvalutazione della verita (pit: esattamente: sull’identica fede nella insuscettibilita di valutazione e di critica da parte della verita),
€ per cid appunto sono necessariamente alleate”’'”’. Anche a questo proposito, vale il principio selettivo che orienta
l’intera filosofia nietzscheana e che ne connota il presunto vitalismo: la scienza puo rivelarsi sia solidale con le istanze sperimentali della vita ascendente, proponendosi come gaia scienza, esprimen-
do “un potere creatore, plasmatore, costitutivo” che erode il contesto di legittimazione della morale’, sia rivelarsi complice delle rassicuranti verita della metafisica: in questo senso va interpretato
il lungo frammento: In che senso siamo ancora devoti'”’. La fede metafisica su cui riposa ancora la scienza é la convinzione che essa si articoli nell’assenza di presupposti (idea paralogica e impensabile, secondo Nietzsche) e che persegua unicamente |’intento di conoscere la verita relativa al proprio oggetto di indagine: in tal modo
viene occultata la costitutiva volonta di inganno presente in ogni atto conoscitivo, la compresenza di verita ed errore e in particolare -come abbiamo visto- la natura prospettivistica di ogni avventura 127 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 358.
128 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 427. 129 Ivi, pp. 205-208. Riproposto leggermente modificato nella Genealogia della morale, op. cit., pp. 355-357.
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epistemica, la quale non potrebbe neppur essere intrapresa in assen-
za di una precomprensione che orienti la ricerca (come buona parte dell’epistemologia contemporanea avrebbe poi riconosciuto). Affermando il valore incondizionato della verita, rinnovando quella stessa menzogna che dal mondo greco si propaga al cristianesimo per approdare all’epoca moderna, la fede metafisica nella scienza erige ancora -al pari della morale- “un mondo diverso da
quello della vita”, negando reattivamente, secondo modalita nichilistiche e declinanti, quel mondo da cui la scienza stessa scaturisce. Persistendo nell’intento ancora metafisico di conseguire la “verita a tutti 1 costi”, rendendo forzatamente comprensibile ogni fenomeno (cancellandone cosi l’incanto), la scienza indebolisce
gli affetti, sublima gli istinti ed esibisce una visione del mondo che Nietzsche giudica antiestetica!™. Anche il positivismo, inteso come filosofia della realta con vocazione antimetafisica, non puo incarnare |’idea nietzscheana
di scienza, innanzitutto perché rifiuta la sovradeterminazione dei
presupposti nell’impresa scientifica, desiste dall’introdurre un senso nei fenomeni e confida nelle procedure di accertamento
protocollare della realta. Se si nega il ruolo dell’ interpretazione nell’impresa conoscitiva, si rinuncia anche all’esercizio della volonta di potenza, si procede ad una falsa pacificazione con la realta, si rimane “inchiodati dinanzi all’effettuale”, ci si arrende
al “fatalismo dei petits faits”'*', osservati con “tranquilla coscienza”, in modo
parassitario
senza propensione
trasvalutante,
im-
personando cosi “l’incredulita riguardo al compito di reggitrice
e alle prerogative sovrane della filosofia”'’. Quando si riduce il 130 Si veda il frammento dal titolo: “In che senso le interpretazioni del mondo siano sintomi di un istinto dominante” in Frammenti postumi 1885-1887, op. cit., p. 245. 131 F, Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 356. 132 F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, op. cit., p. 107. Nella nota che conclude la prima dissertazione della Genealogia della morale, Nietzsche esplicita la funzione ancillare della scienza nei confronti della filosofia: “Ture le scienze devono ormai elaborare in via preparatoria il compito futuro dei filosofi: intendendo questo compito nel senso che il filosofo deve risolvere i! problema del valore, deve deter-
minare la gerarchia dei valori.” Ivi, p. 254.
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e ogni propensiero a teoria della conoscenza, e ci si astienda spettivismo affettivo, allora -sostiene Nietzsche- ci troviamo dj
fronte ad una infeconda, se non agonizzante, “filosofia che non sa varcare la soglia’. Anche lo scienziato giudica secondo criteri morali, prestando
ascolto alla voce della propria coscienza, dimenticando la preistoria del suo giudizio negli impulsi, tendenze ed esperienze antepredicative, nelle abitudini percettive che sono diventate condizione d’esistenza e di sopravvivenza: egli dovrebbe -secondo gli auspici di Nietzsche- aprire l’indagine sull’origine di quei giudizi morali, sulla fondatezza di quel cieco impulso alla verita a tutti i costi, su questo insensato desiderio di stabilita cognitiva e di uni-
formita legiforme. Unitamente al filosofo e all’ artista, lo scienziato potrebbe finalmente utilizzare la sua propensione analitica per creare nuove tavole di valore che siano nostre, che non rimandino
pit ad un retromondo sovrasensibile negatore di quello fenomenico che ci é familiare. In tal senso é doveroso rivolgere una lode
alla fisica, che ha avviato una riflessione disincantata sulle nostre effettive condizioni d’esistenza: “Noi vogliamo diventare quelli che siamo: 1 nuovi, gli irripetibili, gli inconfrontabili, 1 legislato-
ri-di-se-stessi, 1 per poter essere le valutazioni e fisica oppure in
creatori-di-se-stessi!... dobbiamo essere dei fisici in ogni senso dei creatori, mentre fino a oggi tutte gli ideali sono stati edificati sull’ignoranza della contraddizione con essa’’!*?,
La nostra rettitudine orientata alla vita ascendente esige dunque una transizione dalla metafisica alla fisica, una dislocazione dalla
morale alla scienza, ]’adesione ad una epistemologia caratterizzata in senso ecofisiologico'™, attenta cioé all’attivitd sensoriale insita nel progetto cognitivo e alle variabili ambientali in cui esso
si configura. Se la ragione dei filosofi ha rifiutato pervicacemen-
te la testimonianza dei sensi perché considerati fonte di errore, 133 F. Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 196. 134 Questa definizione della filosofia della scienza nietzscheana é stata proposta da B. Babich, Nietzsche e la scienza, op. cit., di cui condividiamo l’impostazione generale, ma non alcune delle sue tesi pit specifiche, a volte indebitamente massimaliste.
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ambiguita e mutevolezza, ora il pensiero della trasvalutazione comincia ad avvalersi di questi “raffinati strumenti di osserva-
zione” in collaborazione con i risultati dell’analisi scientifica,
quella sperimentale della realta, non quella semiotica, formale della logica matematica: “Possediamo Oggi scienza -sostiene |’ ultimo Nietzsche- esattamente nella misura in cui ci siamo risolti
ad accogliere la testimonianza dei sensi -nonché nella misura in
cui li affiniamo, li armiamo e insegniamo loro a pensare fino in fondo”'*. Dai sensi affrancati dalla tutela del Logos metafisico sembra cosi scaturire un logos del sensibile. Secondo Nietzsche -come si é gia visto-, una cultura superiore dovrebbe permettere all’uomo di disporre di un doppio cervello, uno
per incamerare
con rigore
analitico i risultati dell’ analisi
scientifica, l’altro per avvertire con passione emotiva la potenza del mito e la forma della creazione artistica, cosi come il pensiero filosofico dovrebbe sistematicamente avvalersi del metodo dell’ ottica binoculare. Due cervelli o due emisferi tra loro etero-
genei, in grado di convogliare e comunicare aspetti sia cognitivi sia emotivi: la compresenza di queste due modalita di ricezione é€, ancora una volta, un’esigenza di salute, un altra figura di grande
salute, di physis potenziata, di integrita vitale. Percetti, concetti e affetti potranno, con pari dignita, convivere nel doppio cervello ideato dalla nuova cultura filosofica, sviluppando qualcosa come
una logica della fantasia. E lecito domandarsi in conclusione: come pud Nietzsche essere un fautore della fisica e al contempo un ideatore dell’ermeneutica, un filosofo dalla doppia propensione analitica e continentale? Non vi é una disorientante ambivalenza in questa duplice, contradditoria, istanza? In realta, proprio la lezione nietzscheana ci
costringe a formulare la questione in nuovi termini: € proprio vero
che |’ atto interpretativo costituisce una negazione della sussistenza della realta oggettiva? Affermare i diritti dell’interpretazione implichera necessariamente |’infedelta nei_confronti dell’ espe-
tienza fattualmente accertata e descritta? E corretto 1mpostare 135 F, Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., pp. 70-71.
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su una | discriminante tra la questione del Videntita della filosofia retato, tra realismo ontologicg mondo empirico e mon do interp . . relativismo solipsistico? giye Proviamo ad affidarci proprio all’esperienza, senza eccesg quando vediamo qualcosa, lo dobbiamo ae P regiudiziali teoriche: soltanto ai meccanismi ottici che consentono la messa a fuoco de. gli oggetti 0 riconosciamo qualcosa grazie all’attivazione di una memoria stratificata nel tempo che integra la percezione empirica
associandola ad altri reperti della nostra esperienza vissuta? Tutta la realtd & un insieme di oggetti, fatti e circostanze che possono
essere analiticamente descritti; ma essa si manifesta ai nostri occhi come una struttura di correlativi oggettivi del nostro vissuto, intrisi di esperienze, ricordi e aspettative, rimandi ad altri segni
che chiedono di essere ulteriormente
decifrati.
Ogni
soggetto
concepisce |’esistenza secondo la modalita pregnante dell’ essere
interpretato’”® Appare dunque infondata ogni contrapposizione tra ontologia ed ermeneutica, tra l’accertamento protocollare dei dati di realtae la loro elaborazione interpretativa. Si dovrebbe piuttosto rilevarne, pur nella opportuna distinzione concettuale, la complementarieta, nel senso che la prima accerta un livello elementare di
verita, per formulare la quale pu6 avvalersi in funzione ancillare dell’osservazione scientifica, mentre la seconda cerca di riprodutre ed elaborare la donazione di senso che la realt& costantemente
riceve, l’articolazione nell’esperienza, la trasfigurazione nella sensibilita valutativa, pervenendo cosi al senso di quella verita
elementare, empiricamente accertata, dotandola cioé di valore, densita emotiva, rilevanza esistenziale. Questo secondo e piti significativo livello di verita non com porta alcuna nichilistica deriva scettico-relativista, bens! un
incremento di oggettivita, nel senso che essa viene potenziala
dal] intensita dei nostri affetti e dalla fecondita delle prospett!v¢
esegetiche. Ci sono dunque incontestabilmente fatti, ma ci sone
—-—_———$—$—$——
136
a
_
oe
me: Esistenza € interpretaz? stata da noi sviluppata nel volu ne, Pe Dona i Roma, zelli e 200 1,
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(dunque fautore del mondo dell’espressione e della metamorfosi)
e insieme di colui che ha concepito la “conoscenza come fatto
emozionale”'®,
Benn eredita da Nietzsche |’analisi del nichilismo come patogenesi della modernita e la rielabora depurandola da ogni residuo
vitalistico: ne accoglie la diagnosi, ne condivide in parte la terapia
e tende a scioglierne la prognosi riservata. La svalutazione dei
valori supremi e la conseguente consapevolezza della mancanza di senso di ogni accadere evoca il nichilismo come il “pit sinistro di tutti gli ospiti’”, quale viene annunciato dal tramonto dell’ inter-
pretazione cristiano-morale del mondo e dall’affermazione delle scienze naturali: poiché quella morale era l’unica interpretazione vigente, nel mondo secolarizzato si perde fiducia nella capacita di rigenerazione ermeneutica, sembra che |’esistenza non abbia
pit: alcun senso, che tutto venga percepito come un invano universale. nichilismo europeo, almeno nella sua forma passiva, rassegnata, pessimista, compassionevole, espressione di una vita declinante, a cui Nietzsche contrappone una complessa tipologia che com-
A
Lincredulita, V’insicurezza e la desolazione sono le cifre del
prende il nichilista aftivo, che trae dall’esercizio della negazione una accresciuta forza dello spirito, una configurazione di vita ascendente, ma soprattutto contempla una forma di nichilismo
che Nietzsche, con qualche sfumatura, definisce compiuto, siste-
matico, radicale ma anche ironico: in questa posizione l’uomo abbandona senza nostalgie reattive tutte le sue certezze metafisiche, si proibisce di credere ad un mondo vero 0 a qualche divinita e pone la propria volonta di potenza al servizio di una “trasvalutazione di tutti i valori”, di un’affermazione dionisiaca del divenire a che si esprime nell’eterno ritorno ¢ nell’amor fati.
Nietzsche parla anche di nichilismo estetico e di artista nichi-
lista, figura nella quale si dovra riconoscere lo stesso Benn, il cul
tutt altro contributo all’indagine della “logica della decadenza” é
che trascurabile, come vorrebbero invece gli interpreti accademi18
G. Benn, Saggi, Milano, Garzanti 1963, p. 201.
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ci che detestano ogni commistione tra filosofia e poesia. Contra. riamente a Nietzsche, Benn non ama ne la vita, né la natura, né i]
divenire, ma concorda sul presupposto fondamentale che soltantg
come fenomeni estetici il mondo e l’esistenza sono eternamente
giustificati. Di tutte le accezioni della volonta di potenza (cono-
scenza, interpretazione, affetto), Benn assume solo quella
Che la
identifica con l’arte: l’interpretazione estetica che genera il gran.
de stile & la redenzione dal nichilismo.
.
La benniana “metafisica da artisti’” esprime una sorta di im-
perativo categorico: laddove c’era sostanza, deve diventare espressione, forma, stile, prescrizione affine all assioma secon-
do il quale “lo stile é superiore alla verita, porta in sé la prova dell’esistenza”. Viene cosi ripresa l’idea novalisiana dell’arte
come antropologia progressiva insieme al progetto schilleriano di educazione estetica al fine di costituire una nuova realta etica governata dal principio della forma e orientata verso un mondo
dell’espressione, un rinnovato mondo dorico che comporta un drastico ridimensionamento
dell’elemento dionisiaco a favore
di “un incantesimo apollineo, di un’ebbrezza raggelata, di una
disciplina dell’estasi”!’. Benn opera dunque una trasfigurazione estetica del nichilismo, postulandone “un’utilizzazione e un’in-
tegrazione creativa’, un potenziamento del principio formale espresso dallo spirito costruttivo e ottenuto per mezzo dei valori bionegativi come la malattia organica e la degenerazione psichica e non attraverso quelle istanze biopositive che Nietzsche ancora
darwinianamente attribuiva al superuomo. La trascendenza della forma, la lacerazione della sostanza a favore dell’espressione, la liquidazione della verita e la fondazio-
ne dello stile, sono le risorse elettive a cui I’ artista puo attingere per superare il nichilismo, senza soffermarsi sulla linea (come !-
chiedeva Heidegger) ma collocandosi oltre la linea (come voleva anche Jiinger che annoverava I’ arte tra gli antidoti al nichilismo,
19 P Capriolo, L’assoluto artificiale, Milano, Bompiani 1996, p. 53. Si veda anche | ancor valida monografia di F, Masini: Gottfried Venezia, Marsilio 1968,
Benn e il mito del nichilisme,
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come un’ oasi
creativa nel deserto tecnologico). Con 1’esercizio
dello stile espressivo, il linguaggio pud celebrare se stesso al di
Ja dei propri contenuti, la parola poetica si riappropria della sua sacra auraticita, la stessa vita pud essere negata nella sua falsa naturalezza e provocata artificialmente, elaborata dal pensiero e
stilizzata dall’arte. Ma dietro questa metafisica della forma che vagheggia la serena contemplazione dell’imperscrutabile, dietro questa ontologia lirica che conferisce ordine e misura all’inquieto magma dell’ esistenza, si spalanca un vuoto abissale, un vortice di
solitudine e disperazione entro il quale si annida la “tragedia del_Pespressione”, la consapevolezza che |’arte é soltanto uno strato di smalto steso sul nulla, un malinconico sospetto di colpevole infecondita che afferra lo scrittore nelle sere della vita consacrate alla tristezza. Questo esito tragico dell’ultimo Benn ci suggerisce anche di circoscrivere |’attenzione rivolta al regno dell’ Artistik, per volgerla al fondamentale contributo offerto dallo scrittore tedesco per I’edificazione di un sapere della superficie, in cui €
possibile riconoscere anche la pit! feconda eredita nietzscheana al di la della tematica nichilista. La svolta antropologica preconizzata
da
Benn
comporta
un
rilevante
spostamento
dall’interno all’esterno, dalla profondita alla superficie, dal concetto all’intuizione, dall’idea all’esperienza. Frantumando i concetti di verita, identita e profondita, Nietzsche avrebbe individuato nel dualismo tra interno ed esterno il tratto schizoide
della nostra epoca, dissolto la presunta consistenza interiore del soggetto rivelando la grande ragione del corpo, facendo “ccintillare le superfici di frattura” con la luminosita mediterranea della sua gaia scienza, con 1 suoi rilucenti “concetti
liguri”. Nel Romanzo del fenotipo, Benn riprende la demistificazione -operata da Nietzsche e perfezionata da Simmel e Hofmannsthal- dei velleitari concetti metafisici incarnati in particolare dai Tedeschi: “la loro seppia, il loro inchiostro, con cui essi ricoprono la manchevolezza dei loro contorni: profondita, \o strato dell’ interiorita, la sfera della Necessita... Presso
le Madri, dietro il grembiule!... Ma al di sopra del prussiane145
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va una superficie le si ra tu su di nti pu SAL: simo e dei suoi profondi del-
| europea che risplende lontano. L’altro mondo,
ee
1 volume, l’apparenza... emerge, nuda, l’espressione, povers ” la cui profondita si riduce alla sua stessa ombra Per Benn, come per Nietzsche, non esiste piu "uomo ma soltanto i suoi sintomi, una catena di singolarita prive di ancoraggio, una successione di istanti e un avvicendarsi di istintt, la contiguita orizzontale delle cose prive di un fondamento unificante: Oggi
tollerare che le cose si presentino |’una accanto all’ altra e dar loro
espressione é pit! conforme al proprio compito e piu Carico d’essere”?!. L’uomo senza contenuto di Benn é il soggetto che ha saputo esonerare la propria mente dai concetti di profondita, interiorita e autenticitaé ed ora pud vivere compiutamente nella dimensione esistentiva della prossimita: che l’uomo sia redento dal profondo (tieferldst), & Y auspicio poeticamente formulato da Benn.
Gilles Deleuze
Il libro di Deleuze, Nietzsche et la philosophie (pubblicato nel 1962)” é@ l’opera inaugurale di quella seconda fase delle interpretazioni nietzscheane che va sotto il nome di Nietzsche Renaissance in considerazione del suo sviluppo prevalentemente transalpino che ha coinvolto eminenti filosofi come Derrida, Foucault, Klossowski e Sarah Kofman fino ai pit recenti lavori di Franck, Wotling, Kessler e Audi. Da quest’opera ancor oggi imprescindibile, dalle forti
ed esplicite ambizioni teoriche, si evince un progetto filosofico pit generale che mira a promuovere un pensiero affermativo della dif-
ferenza (compiutamente teorizzato dapprima in Differenza e ripeti20
21 22
G. Benn, Il tolemaico, Torino, Einaudi 1973, pp. 65-66, A proposito della “trasformazione di Nietzsche in Benn”, si legga il lucido saggio di S. Giametta, Nietzsche € i sual interpreti, Venezia, Marsilio 1995, pp. 123-133. G. Benn, // tolemaico, op.cit., p. 18. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Firenze, Colport age 1978, edizione dalla quale sono tratte le citazioni riportate nel testo. In anni pid recenti sono state proposte altre versioni del libro dagli editori Feltrinellj ed Einaudi.
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zrone, Pol in Logica del senso) e a ricollocare Nietzsche all’interno della tradizione empirista atricchita dall’apporto spinoziano. Nella
prospettiva deleuziana, il progetto di Nietzsche consiste
nell’ introdurre nel pensiero filosofico i concetti di senso e di valore,
ottenendo cosi l’autentica realizzazione della critica che non pud mal prescindere dall’elemento valutativo, dalla problematizzazio-
ne della genesi di ogni valore. In quanto genealogista -afferma Deleuze-, “Il filosofo @ Esiodo”. Indagando i fenomeni come sintomi
di un senso che convoglia forze soggiacenti, si scopre che “vi €
fenomeno, una parola, un pensiero il cui senso non sia molteplice”. Seguendo la lezione nietzscheana che si esprime adeguatamente nell’aforisma, si dovra concludere pluralisticamente che una cosa ha tanti sensi quante sono le forze capaci di impadronirsene. Fin dalle prime pagine, Deleuze introduce il suo principale obiettivo polemico, quello cioé di sottrarre il pensiero di Nietz-
=;
sempre una pluralita di sensi, una costellazione, un complesso di successioni, ma anche di coesistenze, che fanno dell’interpretazione un’arte”: & questa la ragion d’essere di un pluralismo empirista che costituisce l’unico esercizio filosofico legittimo perché garante della liberta di pensiero. L’arte pit elevata, delicata quanto rigorosa, della filosofia é l’interpretazione per la quale “non c’é un evento, un
sche all’egida della lettura in chiave dialettica; nei suoi testi, il carattere antidialettico sarebbe manifesto e risoluto, tanto da scor-
gere nell’intera opera un “antihegelismo aggressivo”. L’attivita di una forza non si avvale del negativo come di un elemento che
la riafferma, poiché si pone empiricamente come affermazione
pura, priva di mediazione: “all’elemento speculativo della nega-
zione, dell’opposizione o della contraddizione, Nietzsche sostituisce l’elemento pratico della differenza: oggetto d’affermazione e di godimento. In questo senso si puo parlare di empirismo nietzscheano”. Al /avoro del negativo si contrappone il godimento
della differenza, alla negazione dialettica l’affermazione gioiosa. Nel “sentimento empirico della differenza” si annida un poten-
ziale emancipativo in chiave ludico-estetica, quasi schilleriano, in nome del quale Nietzsche oppone la leggerezza, la danza e la superficie alla pesantezza dialettica. 147
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Fin dalla Nascita della tragedia, viene contrapposta una vj-
sione tragica del mondo ad altre due perfettamente integrate,
quella dialettica e quella cristiana. Le categorie dialettiche del
cristianesimo sono: giustificazione, redenzione, riconciliazione:
in una cosi il dolore e la contraddizione sono risolti e redenti
sintesi superiore, l’antitesi trasformata 1n unita,
riconciliata,
cosi come l’eccedenza orgiastica di Dioniso viene riassorbita nelle forme di Apollo. Mentre la cultura tragica individua in
Dioniso l’emblema di un dio affermatore (della vita, 1v1 Com-
preso il suo carico di dolore) capace di trasvalutare lesistente,
il nichilismo cristiano opera un’ indebita e patologica interioriz-
zazione del dolore, wna sorta di follia dialettica: accusa infatti la vita, ne impoverisce la sovrabbondanza, per poterla redimere
e cosi giustificare. Da Anassimandro ai pensatori cristiani si & guardato alla vita come ad un fenomeno morale e religioso invece che estetico, innocente e irresponsabile nel suo divenire
molteplice come gia l’aveva intesa Eraclito: “l’esistenza é€ colpevole, giacché soffre; ma proprio perché soffre, anche espia, e viene redenta” -questo il sillogismo che domina la cultura occidentale fino a Schopenhauer.
Sul tema del dolore e della sua proterva teodicea, sostituita da una cosmodicea che afferma |’innocenza della molteplicita, Deleuze torna significativamente nel cuore del quarto capitolo dedicato al risentimento e alla cattiva coscienza, ribadendo che, secondo Nietzsche decostruttore del cristianesimo, il dolore é la
conseguenza di una colpa e al contempo la via della salvezza. Nei termini (drammatici e non pitt tragici) introdotti dalla cattiva
coscienza, il dolore viene dapprima interiorizzato e spiritualizzato, diventando cosi forza reattiva, conseguenza di un peccato: si guarisce dal dolore interiorizzandolo sempre pit, legandolo al sentimento di colpevolezza. Occorrebbe invece mantenere il dolore nell’elemento dell’esteriorita, come un senso esterno, affinché esso non costituisca un argomento contro la vita, bensi un eccitante o “un’esca per la vita”, un argomento a suo favore,
atttvando quella dinamica che -come si é visto in precedenza- puo
condurre all’esperienza della grande salute. 148
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Qui si Incontra anche il limite di filosofi definiti impropriamente
tragicl come Pascal e Kierkegaard, i quali si rivelano invece raffinati nichilisti perché ancora impigliati tra gli ideali ascetici: essi hanno elaborato l’ideale di un corpo mistico della ragione che tisiede in una sorta di interiorita-ragno nutrita di angoscia, gemito,
colpevolezza, risentimento e infelicita; “manca loro -scrive Deleu-
ze- il senso dell’ affermazione, il senso dell’esteriorita, l’innocenza
e il gioco”, mentre invece Zarathustra invita a danzare, sormontare, trasmutare € oltrepassare. Il pensiero tragico, criticando la metafisica che postula sempre l’esistenza di un mondo sovrasensibile,
affrancandosi dal risentimento e dallo spirito di vendetta, intende liberare la filosofia da ogni forma di nichilismo, instaurando una modalita affermativa di pensiero sensibile al gioioso messaggio che proviene dal tragico, in virti' della sua propensione a esibire e valorizzare la gaiezza dinamica insita nella pura molteplicita. Mentre il corpo -gia valorizzato da Spinoza- é un fenomeno molteplice, dotato di grande saggezza, teatro del confronto tra forze attive e forze reattive che si contendono il dominio, arrivando a istituire un
rapporto di gerarchia al loro interno, la coscienza é un fenomeno essenzialmente reattivo, adattivo come la memoria o |’ abitudine.
Su queste premesse generali del pensiero affermativo, |’eterno ritorno andra inteso come legge del divenire, come giustizia e come essere; infatti, “ritornare é l’essere di cid che diviene”,
l’affermazione della necessita che proviene dal caso, il gioco eracliteo dell’innocente dislocazione del molteplice, l’amor fati.
L’eterno ritorno sara allora ripetizione selettiva della differenza, pensiero dell’assolutamente differente, ripetizione della differenza, sintesi del divenire e dell’essere come del tempo, il cui principio discriminante tra le forze é la volonta di potenza, la sua ratio essendi in termini lamarckiani di forza plastica. Poiché |’essere é selezione, |’eterno ritorno produce il divenire-attivo delle forze
mentre quelle reattive non ritornano. La filosofia di Nietzsche ¢é
una ontologia selettiva che si avvale della metamorfosi dionisiaca, cioé del rovesciamento o trasvalutazione che pone |’affermazione in luogo della negazione, che rende financo leggera la pesanteur della dialettica. 149
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ao
che
soggiace all’eterno ritorno é dunque la Volont)
I] principio che
Se
‘en
Deleuze- é l’element
0 8enealoLele e geneti ultimae -sosti quest’ di Ip potenza: ton a insiem differene enzial e co. Le forze sono,
ae
an
’ ‘ : 9° essenza , differenziat e e qualificate, esposte all’inte,.
det a é l’organo qj tai Kei a enificadi potenz € a lla valutazione. La volont pretazione
uesto esercizio interpretativo che
“significa
determinare la forza
che da un senso alla cosa” oltre che un valore. Si trattera innanzjtutto di giudicare in merito alla qualita delle forze, distinguendo
tra forze attive o nobili e forze reattive o nichilistiche. Deleuze ha .
°
l’indubbio merito di aver individuato nell’ affettivita il principale carattere identitario della volonta di potenza, anche se poi tende a ricondurre gli affetti ad un pil originario divenire di forze, non .
°
‘
:
3
9
tN
sviluppando appieno le decisive implicazioni ermeneutiche relative alla loro centralita nell’ attivita interpretativa. Il superuomo é allora |’espressione eminente di un altro divenire, di un’altra sensibilita, di un nuovo modo di sentire, di pensare e di valutare che pone fine alle forme nichilistico-reattive del risentimento e della cattiva coscienza. L’attivita dionisiaca della trasvalutazione consiste nel ridere, giocare e danzare, nel creare mediante la distru-
zione attiva dei valori consolidati di impronta reattiva, nell’ affermare
la qualita della terra, la leggera. Perseguendo tali istanze antropolo-
giche muta anche il compito stesso del pensiero, di quella critica che Kant aveva circoscritto al territorio della ragione, senza mettere mai in discussione il valore della verita, senza indagarne la genesi segre-
ta. Inteso come attivita ludica affine all’ arte, nell’ottica genealogica e
non plu trascendentale del prospettivismo, pensare significa scoprire
0 inventare nuove possibilita di vita -come lo stesso Nietzsche aveva
suggerito nevocando |’esempio dei primi filosofi greci. I] pensiero
cessa di essere una ratio, anzi cominc; a favore della vit ; » anZ1 COMincia a pensare1 contro la ragione ragione €
pensiero, Le Witleda sind
navigator
la vita affermativa che rende attivo lo stesso
A pensatori, Cosi come quelle degli artist! e dlet
pill remotinesi ppaiono quali viaggi di esplorazione nei recess! pericol osi dell’esistenza. -Con Con Nj Nietzsche, ilil corpo, corp, 1€le P passioni a e le istanze affettiy
La filosofia se ao
© cessano di essere forze estranee al pensiero.
'v¢ a turbare -dichiara Deleuz
e: ; avyenile sono comete che praticano a r t e del nln nloRo AieS ano larte del pluralismo critico, promu a ovone 150
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tutto cid che é leggero, affermativo, servendosi dell’eccedente per inventare nuove, pill esuberanti e complesse, forme di vita.
Tutta la quinta e ultima parte dell’ opera deleuziana é dedicata a suf-
fragare |’idea di un Nietzsche antihegeliano, nella convinzione che al pensiero dialettico sia connaturata una forma patogena di nichilismo che si esprime nell’idea di coscienza infelice. Nel pensiero affermativo inaugurato da Nietzsche, il nichilismo sara soggetto ad una vitale trasmutazione, connotata dionisiacamente: “Il nichilismo esprime la
qualita del negativo come ratio cognoscendi della volonta di potenza; ma esso non si compie senza trasmutarsi nella qualita contraria, nell’affermazione come ratio essendi di quella stessa volonta”. Deleuze parla spesso di permutazione o conversione del negativo nel suo contrario o del negativo messo a servizio delle potenze affermative, della positivita come prodotto teoretico e pratico della negazione, di un regime di doppia negazione, di una dissoluzione del negativo che dischiude I’ eterna affermazione dell’ essere, quasi si trattasse del compimento di ogni teleologia storica, ormai esonerata da ogni passione triste, senza riuscire pertanto ad affrancarsi completamente (pur tra ricorrenti e sottili distinguo) dal lessico della dialettica. La conclusione giubilante del saggio deleuziano proclama che l’affermazione del molteplice é la proposizione speculativa della filosofia di Nietzsche, cosi come la gioia del diverso é la sua proposizione pratica.
Pierre Klossowski
Un’altra fondamentale
interpretazione di Nietzsche
é certamente
quella offerta di Pierre Klossowski, quella che costituisce tra |’altro il pit rilevante presupposto esegetico rispetto alla lettura che é stata
proposta nelle precedenti pagine del nostro testo. Questa interpretazione del romanziere, saggista e pittore francese, formulata negli anni
cinquanta e perfezionata nel magistrale volume del 1969: Nietzsche e il circolo vizioso, risulta diametralmente opposta a quella heidegge-
riana (che lo stesso Klossowski aveva tradotto in francese): mentre
quest’ ultima -come abbiamo visto- riconduce I’ opera di Nietzsche al proprio schema di interpretazione della storia del pensiero metafisico 151
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inteso come progressivo oblio dell’essere,
dunque
ae
ogni eccedenza oltremetafisica, Klossowski sottrae 1 pensiero di
Nietzsche alla storia della filosofia, lo libera da ogni 1poteca metafisi-lo ca senza postularne del resto improprie istanze di oltrepassamento,im. ne evita ogni lascia sussistere nelle sue peculiari tonalita umorali,
are, probabile ricostruzione sistematica, piuttosto se ne lascia contagi ne rivendica una peculiare affinita, stabilisce un rapporto d’empatia,
avverte ed elabora una singolare sintonia con il vissuto mietzscheano, si lascia possedere dalla contaminazione pulsionale che ne Scaturisce, sviluppando un’ermeneutica che attinge ad un intensita energetica.
Gia in un saggio del 1957, Klossowski sosteneva che Nietzsche
non “ha sviluppato una filosofia ma, al di fuori de1 quadri dell’ universita, delle variazioni su un tema personale””, mentre nell’ opera del 1969 (affine, per certi versi, alla lettura in termini di pensiero affermativo proposta qualche anno prima da Deleuze, a cui il libro & dedicato), il pensiero appare affidato a quel delirio interpretativo (effetto di somma lucidita) che proviene dal sopravvento dei moti d’umore dichiarativo rispetto alle dimostrazioni razionali, dall’ attrazione per il Caos che perennemente trasfigura la sfera speculativa e apre sull’ignoto, nel quadro di un singolare complotto contro quella cultura istituzionale che é “il rovescio della tonalita dell’anima, della sua intensita”**. Dunque un falso studio fondato su una rara ignoranza, un caso unico nella ricezione nietzscheana: la teoresi viene ricondotta sistematicamente al vissuto idiopatico,
ma da questo ascolto biografico, da questo accordo di sensibilita che coglie “l’intensita muta della tonalita dell’anima”, da questa esuberante proiezione fantasmatica, emerge il tratto decisivo della
sua filosofia, cioe il carattere affettivo e biopatico di ogni pensiero.
23
P. Klossowski, Nietzsche, il politeismo e la parodia, Milano, SE 1999, p. 13. Una
lettura filosofica complessiva, ricca di suggestioni interpretative, dell’opera polimorfa di Klossowski é presentata da G. Brivio, La caduta di Narciso, Bologna,
Pendragon 2000. A proposito dell’ infinito intrattenimento di Klossowski con 1a figura di Nietzsche, si veda anche il saggio di J. Decottignies: “Nietzsche ironis€’
24
numero monografico dei Cahiers pour prezioso nel sowski, Paris, Centre Georges Pompidou 1985, so 350
7
temps dedicato 2
Klos-
P. Klossowski, Nietzsche e il circolo vizioso, Milano, Adelp hi 1981, p. 16.
152
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ile :
Pr
pettlvistico dell’ interpretazione affettiva nasce
sapevolezza che il filosofo é semplicemente un luogo-
ricettacolo in cui si realizza la possibilita che un impulso giunga
ad espressione. Anche i sistemi di Spinoza o di Kant sono I|’elabo -
razione del loro impulso sovrano che ha sottomesso altre istanze: soltanto se Si continua a pensare ad un Dio garante dell’ ordine del
mondo, S1 puo considerare il filosofo come uno spettatore impar-
ziale. Nietzsche fu in grado di porre la domanda sul significato dell’ atto di pensare, al di 14 dell’immane apparato di falsificazio-
ne edificato dalla teoresi tradizionale, proprio perché soggetto a continue oscillazioni del suo stato di salute, afflitto dal timore che
una deleteria tonalita depressiva si insinuasse nel suo cervello, grazie alla sua sensibilita da sismografo rivolta agli “alti e bassi
dell’intensita”, per la sofferenza continua del transitare dalla sa-
lute alla malattia. L’intento che muove l’opera di Nietzsche é quello di “mettere in gioco la coscienza e le sue categorie -in nome del mondo degli
affetti’’. Allestire un complotto o favorire un’insurrezione contro le configurazioni gregarie del principio d’identita, contro le prerogative livellatrici del principio di realta, contro i codici linguistici che
governano le passioni, che vanificano le emozioni, al fine di edificare una superiore cultura degli affetti. Secondo Klossowski, tale
progetto é reso possibile dall’esperienza degli stati valetudinari, i quali non sono mere circostanze biografiche ma condizioni di una
rinnovata teoresi, affettivamente tonalizzata: “l’atto del pensare diventa identico al soffrire e il soffrire al pensare. Nietzsche arriva cosi a far coincidere il pensiero con la sofferenza e riflette su cosa 9925 sarebbe un pensiero senza sofferenza’””. Si tratta per Nietzsche di revocare la denigrazione idealista
del corpo, decifrarne la semiotica impulsionale per sviluppare
un pensiero corporante dedito all’interpretazione di sensazioni scaturite dal corpo, approntare un’intelligenza che sappia elaborare il linguaggio dei sintomi fisiologici, potenziare cioe
25
Ivi, p. 53.
153
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l’attivita di quello che Nietzsche chiama intelletto interpre. tante,
sviluppando
con
lucidita
voluttuosa
quell energia che
proviene dalla sofferenza, assecondando il conflitto tra impulsi
inconciliabili ed evitando che la coscienza inverta 1 dettami
patico-corporei attraverso un codice di segni che li falsifica e
li addomestica. L’identita dell’io si risolve cosi nella fisionomia e nella storia del corpo, di tutte le sue morti e rinascite, nell’incontro fortuito e discontinuo tra i suoi impulsi “delegati
dal Caos”, che l’eterno ritorno rendera necessario nel suo di-
venire polverizzato; espropriata del suo abituale supporto, la coscienza viene ora restituita alle forze corporanti, mentre 1’io (e l’intero mondo
interiore) appare una mera modificazione
del Sé corporeo, un’arbitraria ipostatizzazione delle fluttuazioni d’intensita pulsionale. I] mondo vero diventa inconsistente, dissolto in un gioco di
simulacri, cosi come lo stesso soggetto, ricondotto ad una successione di stati discontinui, priva di finalita, rispetto a cui il codice
linguistico ci inganna con la continuita effimera dei pronomi personali, con la fissita dei suoi segni convenzionali, le cui combina-
zioni tentano di simulare la mobilita del vissuto corporeo. Le stesse passioni sono unita fittizie nel continuum incoercibile dei vari
impulsi, vestigia di una continuita irreperibile, un tributo pagato alle esigenze identitarie della coscienza. Di fronte all’inevitabile usurpazione del linguaggio, Nietzsche sostiene che il pensiero é soltanto
“una
semiotica
corrispondente
di potenza degli affetti” e aggiunge:
alla
compensazione
“Da ogni nostro impulso
fondamentale si produce un apprezzamento prospettivistico degli avvenimenti e delle esperienze vissute”.
I] problema é che non possediamo un linguaggio adeguato ad
esprimere le metamorfosi prodotte dal divenire, per cui siamo indotti
a ricondurre
rassicuranti
le riottose intensitd pulsionali del corpo a
intenzioni del soggetto cosciente, operando cosi una
sistematica alterazione del vissuto: consapevole di questa falsificazione della lotta impulsionale, “Nietzsche usa il termine di a
fetto
-per ridare autonomia alle forze che, subordinate all’’unita”
ingannevole
del
supporto,
la modificano
rendendola
mobile &
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fragile”. Pertanto la filosofia nietzscheana costituisce anche un
movimento di emancipazione, volto a ripristinare la totalita del
vivente attraverso l’integrazione di queste forze, tentando -come
auspica Klossowski- di ritradurre la semiotica cosciente nella semiotica impulsionale degli affetti, evitando ogni ricomposizione di un soggetto unitario.
La morte di Dio e l’Eterno Ritorno sono le precondizioni per condurre a compimento tale processo di liberazione: la prima decreta la fine di ogni identita personale e dischiude tutte le possibili microidentita corrispondenti alle varieta delle tonalita affettive, mentre il circolo vizioso, quel simulacro di dottrina che é l’eterno ritorno, sancisce la necessita dell’ avvicendarsi di transitorie identita, di fluttuazione in fluttuazione, la cui schiuma residua costituisce
il pensiero. E il Caos a generare il senso, senza mai ipostatizzarsi in un significato compiuto: “questa alta tonalita dell’anima -scrive Klossowski- é diventata il pensiero piti alto solo restituendo ’intensita a se stessa, fino a reintegrare il Caos da cui essa emana nel
segno del Circolo che essa ha formato. II Circolo non dice nulla di
per sé, se non questo: l’unico senso dell’esistenza é di essere esistenza; e il significato non é altro che intensita’’”’. Ritroviamo cosi alcuni caposaldi che hanno orientato la nostra operazione ermeneutica: l’esistenza si offre come irriducibile
contingenza, contrada esistentiva di eventi interpretabili senza un senso precostituito, radicale fenomenicita che si sottrae a qualsi-
voglia cattura ontologico-fondazionale; inoltre, il nostro essere al
mondo é costitutivamente caratterizzato da una mutevole tonalita
affettiva quale scaturisce dalla diversa configurazione delle nostre pulsioni, i cui sintomi sono decifrabili attraverso il complesso linguaggio del corpo: queste sono le modalita fondamentali attraverso le quali si manifesta il nesso tra esistenza e interpretazione. In questo quadro, anche la dottrina dell’Eterno Ritorno perde
quei connotati metafisici attribuitigli da Heidegger, perché significa rivolere la pluralita affettiva insita in ogni soggetto, esigere la 26 27
Ivi, p. 82. Ivi, p. 97.
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sospensione del principio di realta€ la
ie, cell identita
fino ad esplorame la segreta alterita (cosi come Jo stesso Nietz.
sche a Torino consegue l’euforica vacanza dall 10 cosciente per
assumere politeisticamente tutti 1 nomi della storia), | Incessante
metamorfosi che induce a deporre ogn! istanza di appropriazione,
consapevoli che la nostra avventura esistenziale € una storia dj pure intensita prive di intenzione razionale, cert di essere comunque incapaci di esaurire tutta la gamma differenziale delle nostre . — . potenzialita affettive. Secondo
Klossowski,
possiamo
rlappropriarcl
dell Integrita
dell’esistenza quando ci disponiamo ad essere fenomeni privi di intenzione, ci abbandoniamo all’intensita delle forze pulsionali, generando fantasmi e simulacri che promuovono la “sospensione ludica del principio di realta” in nome di un’ esistenza eccedentaria, a carattere sperimentale, modellata su parametri estetici, in
armonia con la qualita della vita impulsionale. Viene cosi configurata un’impostura sovranamente improduttiva esercitata dagli uomini del superfluo (come auspicava anche Bataille), attivato un complotto capace di promuovere |’insurrezione degli affetti e di revocarne |’attuale intimidazione, al di 14 di ogni propensione gregaria ad esercitare la “coercizione persuasiva dell’intelletto”.
Didier Franck
In una pagina autobiografica del 1946 contenuta in Irradiazioni, Ernst Jtinger scriveva che il destino di Nietzsche & quello di essere preso a sassate: “Dopo il terremoto ci si rivolta contro i sismografi. Pero non si pud far espiare ai barometri la colpa dei tifoni senza
passar per gente rozza e primitiva”. Nietzsche ha indubbiamente avvertito dapprima le turbolenze, poi la catastrofe della propria
epoca e ha suggerito alcuni antidoti per neutralizzare il carattere
onnipervasivo di un nichilistico spirito della décadence, mendo con toni darwinistici il disprezzo per gli effetti della espticivilizzazione e caldeggiando il vitale recupero di aspetti culturalt di tipo elitario. Appare dunque del tutto giustificata la ricostruzion e 156
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della biografia intellettuale di Nietzsche in termini di “radicalismo aristocratico” -quale emerge da alcune recenti letture-, cosi come
sembra peraltro del tutto infondato ogni suo utilizzo in chiave genericamente democratica, ma é altrettanto attuale e pertinente il monito di Jiinger contro disinvolte e contradditorie imputazioni di colpevolezza in merito alla tragedia politica europea del XX secolo. Come scrive Gunter Figal, Nietzsche appare “inappropriato
nel ruolo di filosofo nazionalsocialista: il disprezzo per la mania
di grandezza tipica del periodo della rivoluzione industriale tedesca, l’aspra critica al nazionalismo, al “patriottismo dogmatico”, l’avversione per la malvagia stupidita dell’antisemitismo. L’irri-
tazione contro di lui é percid irrazionale””*.
Quanto al presunto antiebraismo, -in Al di la del bene e del
male- Nietzsche scrive che “l’Europa deve agli Ebrei il grande stile della morale”, invita a delegittimare il cristianesimo per essere pill giusti con gli Ebrei, condanna “le bassezze della persecuzione degli ebrei” e considera gli antisemiti come canaglie appartenenti alla melma della cultura europea. Chi si accanisce nel tentativo di delineare il profilo di Nietzsche come emblema dell’intellettuale reazionario trovera certamente qualche citazio-
ne che lo puo confortare; tuttavia, si manchera sempre I’ obiettivo di offrire una spiegazione unitaria, eminentemente impolitica, del nesso tra grande salute, grande stile e grande politica, nozioni che
convergono nel configurare una esautorazione dello spirito gregario fondato su valori reattivi, il cui abbandono appare comunque auspicabile anche in un modello democratico-progressista.
Il libro di Didier Franck: Nietzsche e l’ombra di Dio” va consi-
derato come una delle opere pit significative dedicate a Nietzsche negli ultimi decenni. L’interesse dell’interpretazione di Franck consiste nell’aver saputo mettere in perspicua relazione |’annuncio della “morte di Dio” e il richiamo al corpo come inedita dimensione antropologica e filosofica, tanto da poter correttamente configurare |’esito della trasvalutazione di tutti i valori nei termini 28
G. Figal, Nietzsche, Roma, Donzelli 2002, p. 8.
29
D. Franck, Nietzsche e l’ombra di Dio, Roma, Lithos 2002.
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ottrina
n
cristiana.
.
.
.
oT
.
scrive: "E essenziale ents del 1885, Nietzsche filo conduttore. Esso & jj
lo come muovere dal COIP0, ©e utilizzar consente un’ osservazione pitt pre.
spir; lio del credere nello o molto pid ricco che © fenomen ‘ca Tl credere nel corpo é fondato meglio de 0 Spiri-
isa
fede
-redenza nel corpo & dunque per Nietzsche un articolo dj
finora la filosofia é stata soltanto un interpretazione menzo-
gnera del corpo, un suo esizialefraintendimen o, mentre -qualora lo si assuma come filo conduttore- si scopre Un e/orme molte-
plicita, “un’organizzazione sociale di molte anime”. Il corpo, la sua grande e capillare ragione, costituisce pertanto sia il principio metodico sia l’ideale regolativo del pensiero nietzscheano. Attraverso un serrato confronto con |’ interpretazione heideggeriana, che vedeva in Nietzsche il compimento di quella metafisica
che aveva dimenticato l’essere a favore dell’ente, Franck ristabilisce il significato affermativo della morte di Dio e nega che la dottrina dell’ eterno ritorno costituisca |’ ultima teologia filosofica:
dopo la secolare subordinazione della volonta umana a quella divina, che agisce per divieti e negazioni, |’uomo puo finalmente dispiegare una potenza inaudita, entro un orizzonte per il quale la tecnica si sostituisce alla fede; il confronto di Nietzsche non avviene tanto con il Dio di Aristotele -come vorrebbe Heidegger,
che ha operato una “decristianizzazione surrettizia della filosofia”- ma con quello della rivelazione: “proclamare la morte di Dio
non equivale ad annunciarne la resurrezione”. Cosi -agli occhi di Franck- “il pensiero nietzscheano, lungi dall’essere un’ultima
metafisica, € il luogo di una spiegazione con la rivelazione” e il
rovesciamento del platonismo s’inscrive nella trasvalutazione dei valori ebraico-cristiani.
“Bib
te dell’eterno ritorno, che sta a fondamento di quella
ibbia dell’avvenire” che @ i a “invalidare la eee moan anDe Paoan lo mis fon e e a fon damento di tutta economia della salvezza ”’. Ogni resurrezione € eabonienec corp: per il cristianesimo, il corpo non é¢ un
urale che si apre al mondo ma un’apertura al Dio crea -
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tore, allo spirito santo; la crocifissione riceve significato soltanto dalla resurrezione di Cristo “che ci libera dal nostro passato di peccatori per aprirci un avvenire di credenti”, ma la vita eterna futura costituisce la negazione della vita carnale presente. Quello
di Nietzsche ¢ il progetto di un’altra incarnazione, in opposizione
a quella ideata da San Paolo e dal cristianesimo: l’annuncio della
morte di Dio comporta la creazione di un corpo superiore perché
attivo e la transizione dallo spirito santo allo spirito libero. Dopo il gesto nietzscheano che istituisce una “nuova giustizia’, nessun
dio potra ancora salvarci: la dottrina dell’eterno
ritorno viene presentata come “religione delle religioni” ma é una religione senza dio, destinata ad “anime pit libere, pid gaie,
piu sublimi” che rivendicano al corpo tutta la sua potenza, l’esuberanza, la sua grande ragione, e che -sottraendosi alle lusinghe reattive del corpo celeste- dichiarano fedelta alla terra. Mediante Ja sovra-resurrezione atea auspicata da Nietzsche, il corpo pud sviluppare una prodigiosa e incoercibile pluralita di pulsioni, affetti e prospettive, ““cambiare il nostro modo di sentire”, destituire la coscienza con la sua antica funzione rassicurante di un Io identico a sé, intensificare la forza di una volonta di potenza che é innanzitutto conferimento di senso, esercizio del grande stile, trasformazione del caos in forma. Dopo Nietzsche, é il corpo -e
soltanto Ja sua carne- a filosofare. Da Lou Salomé a Klossowski, da Benn a Frank, dalla valoriz-
zazione delle pulsioni all’ insurrezione degli affetti, dall’ esigenza del dolore agli stati valetudinari, dal mondo dell’espressione alla resurrezione della carne, si pud riscontrare la tacita continuita di una linea interpretativa che costituisce anche il pit fecondo pro-
gramma di ricerca per ulteriori indagini sul pensiero di Nietzsche, finalmente affrancate dall’iperbolica prescrizione heideggeriana relativa al compimento della storia della metafisica, nel quadro dell’elaborazione di un’ermeneutica dell ’affettivita.
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Volumi pubblicati
1 André Chastel, Nicolas de Staél - La vertigine del visibile, a cura di Sara Guindani e Marco Vozza.
2 Lev Sestov, L’eredita fatale - Etica e ontologia in Plotino. Di prossima pubblicazione Didier Franck, Heidegger e il problema dello spazio. Francesco Biamonti, Ennio Morlotti.
|
Bodei, Borgna, Capriolo, Givone, Vattimo, Vitiello, Perché i poeti e non piuttosto i romanzieri? Ferruccio Masini, Filosofia dell’avventura.
Paola Capriolo, Rilke. Biografia di uno sguardo.
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“Tutti i grandi uomini furono grandi per l’intensita dei loro affetti. Anche la salute non serve a nulla,
se non
é all’altezza
di
grandi affetti, anzi questi le sono necessari” Friedrich Nietzsche
Marco Vozza insegna Filosofia dell’arte all’Universita di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni: Esistenza e interpretazione (Donzelli 2001), I confini fluidi della reciprocita (Mimesis 2002), Rendere visibile il dolore (Aragno 2005), Collabora alle pagine culturali de La Stampa e a numerose
riviste. I] nucleo dell’interpretazione di Nietzsche qui proposta é stato
presentato in alcuni convegni internazionali e pubblicato a Parigi in un numero monografico di Lignes a cura di Jean-Luc Nancy.
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TSON 88~7325-173_