Dante e il mondo animale
 9788843069767, 8843069764

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LINGUE E LETTERATURE CAROCCI / 163

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 42 81 84 17 fax 06 42 74 79 31

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Dante e il mondo animale A cura di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi

Carocci editore

In copertina: Dante incontra le tre fiere, miniatura dal ms. 1102, c. 1r, Roma, Biblioteca Angelica, seconda metà del XIV secolo; su concessione del Ministero per i Beni e le Atti, vità Culturali. E fatto divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione dell'immagine con qualsiasi mezzo.

Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Roma Tre (area di Italianistica)

edizione, settembre 2013 © copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma 1a

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel settembre 2013 dalla Litografia Varo (Pisa)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi

9

Dante e il mondo animale: dal Positivismo a oggi di Giuseppe Crimi

14

Le tre fiere di Dante, la Queste e il Gatto lupesco di Franco Suitner

34

Il mostro divoratore nel)' Inferno di Dante: modelli clas• • SlCl di Sonia Gentili

49

Dante e la nozione aristotelica di bestialità di Paolo Falzone

62

«variarum monstra ferarum>>: dal Minotauro ai Centauri di Giuseppe Izzi

79

Per un bestiario di Malebolge di Giuseppe Ledda

92

7

INDICE

Il (Purg., XXVII 86). Figure della contemplazione nella Commedia di Mira Mocan

169

Per l'immaginario zoologico tra Due e Trecento: tre stravaganze del Tesoro toscano di Marco Giola

186

Abstracts

202

Gli autori

208

Indice dei nomi e delle opere anonime

211

Indice dei luoghi danteschi

223

Indice degli animali

225

8

Introduzione di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi

Questo volume raccoglie gli interventi presentati alla giornata di studio Dante e il mondo animale, svoltasi all'Università di Roma Tre il 5 giugno 2012, in cui si è indagato sul ruolo degli animali reali e immaginari nella Commedia e nelle altre opere del poeta. Il tema ha interessato negli anni molti studiosi di diversa estrazione, che han­ no prodotto svariate ricerche di carattere prevalentemente analiti­ co e compilativo. Le ragioni del convegno (e di questo volume) tro­ vano origine, invece, nella necessità di trattare l'argomento sotto il profilo - non ancora del tutto esplorato - della inventio metafori­ ca di Dante e dell'origine letteraria degli animali che popolano la sua opera. Per quanto riguarda in particolare la Commedia, quest'aspetto è centrale nel poema sin dal primo incontro fra Dante e le tre fiere. Dal mondo animale il poeta trae spesso ispirazione: ciò accade nelle nu­ merose comparazioni tra peccatori e bestie, nelle rutilanti allegorie dedicate a mostri con tratti ferini, nei molti paragoni suggeriti talvol­ ta dalla concreta osservazione di animali o, in misura più ampia, dal­ la lettura di favole, enciclopedie e bestiari. Quasi ovunque, nel poe­ ma, l'immaginazione dantesca attinge a simboli e traslati del mondo animale, uno dei regni metaforici e delle gallerie figurative più larga­ mente impiegati nella poetica del Medioevo. Negli ultimi anni, gli animai studies hanno raggiunto uno svilup­ po considerevole, soprattutto nel Nuovo Mondo, fornendo talvolta spunti interessanti e vivaci suggestioni. Gli studi qui compresi, pur non iscrivendosi necessariamente in quello specifico filone di ricer­ ca, ne recepiscono alcuni stimoli, in particolare per quel che riguar­ da la rappresentazione di tratti umani e morali attraverso figurazioni zoomorfe. Queste, largamente diffuse nella cultura medievale grazie 9

GIUSEPPE CRIMI / LUCA MARCOZZI

ai bestiari moralizzati, alla letteratura degli exempla, all'omiletica e al­ la favolistica, assumono nelle opere di Dante e in particolare nella Commedia una prospettiva da un lato di summa del sapere connesso agli animali e dall'altro di uso retorico, nel senso di un ricorso fre­ quentissimo alle comparazioni e alle transumptiones ricavabili dal1'osservazione del mondo animale o dalla mediazione letteraria ed en­ ciclopedica della sua conoscenza. I diversi saggi, pur non pretenden­ do di fornire un completo regesto delle presenze animali nell'opera di Dante, cercano ciascuno nel suo specifico interesse di seguire le principali articolazioni del rapporto tra l'autore e questo vasto re­ pertorio retorico e morale. La ricognizione d'apertura ricostruisce l'interesse dei moderni per il mondo animale dantesco, interesse attestato senza sistematicità nei commenti antichi. Dai primi censimenti ottocenteschi della ma­ teria, generati da un metodo scientifico positivo e in preval enza orientati a leggere Dante come un poeta-osservatore in diretto rap­ porto con la natura, si è passati gradualmente (e in America prima che in Italia) a una valutazione dei riferimenti danteschi agli animali come espressione in primo luogo metaforica, non priva di implica­ zioni morali. In effetti, quasi tutti gli animali danteschi derivano, molto più che dalla natura, dalla letteratura, classica, enciclopedica e morale. La prima è chiamata in causa (da Giuseppe lzzi e Sonia Gentili) so­ prattutto per i monstra infernali, assimilati ad animalia per via delle interazioni fra la tradizione classica e la sua interpretazione medie­ vale: questa faceva sì che molti monstra virgiliani o staziani confluis­ sero nei bestiari e diventassero patrimonio dell'omiletica e di altri generi minori di carattere morale che a questo tipo di testi attinge• • vano a piene mani. Un altro serbatoio di caratteri animali da usare a paragone con quelli umani ai fini di una più immediata ed efficace loro rappresen­ tazione era costituito dalle collezioni di favole esopiche e apologhi, che avevano avuto nel Medioevo una tradizione vasta e ramificata: con questo corpus favolistico Dante aveva familiarità, come dimo­ strano le diverse presenze zoepiche della Commedia, qui analizzate nei loro aspetti funzionali e retorici. Altri aspetti retorici sono indagati da Silvia Finazzi, che rintrac­ cia in molti autori, tra i quali Orazio e Marziano Capella, la genesi IO

INTRODCZIO�E

dell'immagine dantesca del presente nel De vulgari eloquentia e applicabile metaforicamente alle "armi" della retorica. Nella Commedia gli animali si concentrano soprattutto nell'Inferno; tuttavia, essi non rappresentano necessariamente la "bestia­ lità" intesa come peccato, colpa, degradazione e allontanamento da una condizione "umana" ad essa speculare. Su questo aspetto si in­ centrano tre contributi. Paolo Falzone affronta la ricezione dantesca, non priva di ambiguità, della nozione aristotelica di bestialità o the­ ri6tes, presente nell'Etica Nicomachea e ricordata da Dante nel Con­ vivio e, attraverso le parole di Virgilio, nell'undicesimo canto dell'Inferno (la ) . Nella visione di Dante la bestialità, le­ gata all'assenza di freni e limiti piuttosto che all'allontanamento da una perfetta e ideale umanità, è insita nella natura umana e ne rap­ presenta le manifestazioni irrazionali. La dei peccatori non è dunque solo una dissimili­ tudo dalle intelligenze separate che costituiscono, nel sistema di rife­ rimenti dantesco, l'immagine della perfezione cui tendere: l'inferno non può essere letto soltanto, in questa chiave, come una regio dissi­ militudinis, né gli animali che lo popolano come immediata rappre­ sentazione dei vizi che i peccatori praticarono in vita. Il saggio di Giuseppe Ledda sul bestiario di Malebolge, in tal senso, interpreta le presenze animali in quello specifico settore dell'oltretomba non co­ me esclusiva manifestazione della degradazione "bestiale" dei dan­ nati e dei diavoli, invitando piuttosto ad analizzarle alla luce delle co­ noscenze scientifiche e del simbolismo animale propri della cultura medievale. Se è vero che Dante non impiega le comparazioni animali con il solo scopo della degradazione, esse assumono dunque valore in fun­ zione del contesto, come accade, ad esempio, nella similitudine ovina del canto XXVII del Purgatorio esaminata da Mira Mocan. L'immagine con cui Dante paragona sé e le sue guide a capre e pastori, apparen­ temente di tenore realistico, si richiama alla tradizione interpretativa del Cantico dei Cantici e allude al tema della vita contemplativa; ciò rafforza la necessità di riservare agli animali di Dante un'attenzione specifica, che tenga conto delle loro ascendenze letterarie. Animali di cultura e non di natura erano quelli dei bestiari, che con la loro vastissima diffusione (cfr. l'intervento di Marco Giola, in­ centrato sui diversi volgarizzamenti italiani due- trecenteschi di un teII

GIUSEPPE CRIMI / LUCA MARCOZZI

sto assai prossimo alla cultura dantesca come il Tresor di Brunetto La­ tini) assolvevano anche a una finalità che dal punto di vista retorico si potrebbe definire persuasiva: un aspetto didascalico, quello degli animali inclusi nelle enciclopedie, che si rifletteva anche nella predi­ cazione e nell'iconografia zoomorfa, largamente diffusa nelle arti fi­ gurative, caratterizzando l'exemplum animale come diastraticamente pervasivo nella cultura medievale. I contemporanei di Dante si aggiravano in un mondo di subsen­ so popolato di animali moralizzati, con i quali la loro comprensione della Commedia era destinata a interagire. Il fatto che il viaggio dan­ tesco inizi dall'incontro con tre animali, figure simboliche dei vizi che l'opera intendeva denunciare, lascia trasparire come l'intento dida­ scalico dell'autore poggiasse su un elemento tra i più familiari ai ,,lettori dell'opera. A questo proposito, i saggi di Franco Suitner ed Eva Vigh trattano non solo il diffuso impiego di figure animali nella let­ teratura volgare e in Dante, ma anche l'argomento della "sembian­ za" , cioè della maschera animale che caratteri umani o vizi e virtù possono assumere. Dante non può sottrarsi a questo tipo di personi­ ficazione di astratti, che costituisce uno dei processi poetici più rile­ vanti della letteratura del suo tempo. La giornata di studi e la franca discussione che ne è seguita, nel corso delle quali si è pervenuti ai risultati critici che il lettore saprà giudicare, sono state possibili grazie al supporto di istituzioni e sin­ goli. Nel licenziare il volume che di tutto ciò rende testimonianza, ci è gradito manifestare la nostra riconoscenza a Claudio Giovanardi, all'epoca direttore del Dipartimento di Italianistica dell'Università di Roma Tre, ora confluito nel più ampio Dipartimento di Studi Umanistici, che ha incoraggiato l'iniziativa in modo non formale ma con fattiva e partecipe attenzione; a Marco Ariani, che è sempre sta­ to una sapiente guida per gli studi, non solo danteschi, di molti de­ gli autori del volume e al cui generoso sostegno si deve la pubblica­ zione degli atti; alla Biblioteca Angelica per la liberale concessione dei diritti sull'i mmagine di copertina, che ci sia permesso di defini­ re magnifica, e in particolare alla dottoressa Daniela Scialanga; alle dottoresse Paola Cesaretti Bossi e Anna Radicetta, responsabili del­ la segreteria dell'evento. Dopo il volume sulla Metafora in Dante (Olschki, Firenze 2009) , alcuni di coloro i quali avevano partecipato a quella ricerca tutta in12

INTRODCZIO�E

terna all'ex Dipartimento di Italianistica di Roma Tre hanno deciso di lavorare - nel segno di una continuità di indagine con quanto al­ lora prodotto - su un aspetto della poesia dantesca, quello della rap­ presentazione di animali, che rivela notevoli implicazioni metafori­ che e retoriche, in collaborazione con illustri colleghi di altri diparti­ menti, atenei e accademie. Nei nostri auspici, questo libro costituisce un capitolo di una ricerca a largo raggio sulla poesia della Commedia e in generale sull'espressività dantesca, che ci auguriamo possa pro­ seguire a lungo e coinvolgere in maniera sempre più ampia gli stu­ diosi del sommo poeta.

13

Dante e il mondo animale: 1 dal Positivismo a oggi '

di Giuseppe Crimi

Le seguenti considerazioni rivestono la funzione ancillare di prologo, per ricordare quanto costante sia la presenza degli animali nell'ope­ ra e nella critica dantesche, e per motivare l'oggetto di una scelta: un lavoro di riepilogo e di compendio condotto sorvegliando anche la bibliografia laterale sull'argomento. Con la precisazione che quanto più avanti si raccoglierà non aspira a essere un repertorio bibliogra­ fico completo, che è invece bisognoso di altri spazi e altri tempi, ma un primo approccio sistematico alla questione. Che la presenza dei bestiari fosse un elemento di portata consi­ stente nell'opera dantesca è stato colto senza alcuna difficoltà dagli stu­ diosi dell'Ottocento, i quali tuttavia hanno affrontato la materia tra al­ ti e bassi, con l'ago della bilancia spostato decisamente verso i secondi. L'attenzione per i bestiari e per gli animali nella cultura medieva­ le è più che mai vigile e non conosce crisi o momenti di arresto. Con­ tribuiscono a dimostrarlo pubblicazioni recenti, tra le quali vanno in­ clusi i lavori di Jacques Voisenet 1 e di Maria Pia Ciccarese 2 : ma l'e­ lenco è davvero lungo, denso e fatalmente incompleto 3 • Sarà suffi-

* Ringrazio Andrea Canova e Paolo Procacciali per la lettura del dattiloscritto.

J. Voisenet, Betes et hommes dans le monde médiéval. Le bestiaire des clercs du ve au x11e siècle, préface de J. Le Goff, Brepols, Turnhout 2000, saggio dal quale si possono ricavare titoli preziosi (pp. 449-93). Altrettanto utile J. E. Salisbury, The Beasi 1.

Within: Animals in the Middle Ages, Routledge, London-New York 1994. 2. M. P. Ciccarese (a cura di), Animali simbolici. Alle origini del bestiario cri­ stiano, 2 voll., EDB, Bologna 2002-07; meno imponente ma utile P. Cultrera, Bestiario biblico, a cura di C. Valenziano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000. 3. Da ultimi M. Pastoureau, Bestiari del Medioevo, trad. it. Einaudi, Torino 2012 e C. Spila, Animalia tantum. Animali nella letteratura dall'Antichità al Rinascimen­ to, Liguori, Napoli 2012, in particolare pp. 133-279. Su aspetti più propriamente teo14

DAXTE E IL MONDO ANIMALE: DAL POSITIVISMO A OGGI

ciente ricordare la raccolta di studi curata da Dora Paraci sul simbo­ lismo animale 4 , il numero del periodico "Micrologus" dedicato al mondo animale nel Medioevo 5, lo studio di Carlo Donà sulla figura dell'animale-guida 6, il volume collettaneo Animali della letteratura italiana 7, quello coevo Tiere und Fabelwesen im Mittelalter 8 e il Di­ zionario dei temi letterari (3 voll., UTET, Torino 2007) , che censisce un numero cospicuo di voci relative agli animali. Tuttavia, una mancanza non può essere ignorata, ossia quella di un lavoro scientifico dedicato esclusivamente alla componente animale nell'opera dantesca - e non solo nella Commedia - inscrivibile in ma­ niera ideale nel solco di un volume sui monstra dell'Inferno uscito al­ cuni anni or sono 9• Mi riferisco all'animale inteso come portatore, for­ te, di simbolo. La presenza degli animali in Dante, come in ogni altro autore medievale, non è mai elemento decorativo, al contrario si con­ figura come strumentale a una serie di altri significati. La carenza che qui si lamenta non è un capriccio o un lavoro destinato a rimpinguarici e filosofici cfr. S. Perfetti, Animali pensati nella filosofia tra medioevo e prima età moderna, ETS, Pisa 2012. 4. D. Faraci (a cura di), Simbolismo animale e letteratura, Vecchiarelli, Manzia­ na 2003; si aggiunga il volume collettaneo Animali tra mito e simbolo, a cura di A. M. G. Capomacchia, Carocci, Roma 2009. 5. "Micrologus", VIII, 2000, 1-2 (Il mondo animale - The World of Animals). 6. C. Donà, Per le vie dell'altro mondo. I.:animale guida e il mito del viaggio, Rub­ bettino, Soveria Mannelli 2003. 7. G. M. Anselmi, G. Ruozzi (a cura di), Animali della letteratura italiana, Ca­ rocci, Roma 2009. 8. S. Obermaier (hrsg.), Tiere und Fabelwesen im Mittelalter, de Gruyter, Berlin 2009. Vanno ricordati inoltre I.:uomo di fronte al mondo animale nell'alto medioevo (Spoleto} 7-I3 aprile I983), 2 voli., Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo, Spole­ to 1985; W. B. Clark, M. T. McMunn (eds.) , Beasts and Birds of the Middle Ages: The Bestiary and Its Legacy, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1989; "L'im­ magine riflessa", n.s., VII, 1998, 2 (Animali in letteratura); "Italies", X, 2006 e XII, 2008. 9. I "monstra" nell'inferno dantesco. Tradizione e simbologie. Atti del XXXIII Con­ vegno storico internazionale (Todz� IJ-I6 ottobre I996), Centro italiano di studi sull'Al­ to Medioevo, Spoleto 1997. Sul tema cfr. altresì C. Livanos, Dante's Monsters: Nature and Evil in the "Commedia", in "Dante Studies", CXXVII, 2009, pp. 81-92 e C. Villa, "Ut poesis pictura". Appunti iconografici nei codici dell'"Ars poetica" (1988), in Ead., La pro­ tervia di Beatrice. Studi per la biblioteca di Dante, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Fi­ renze 2009, pp. 39-62. Per la bibliografia aggiornata sui Centauri, cfr. infra il saggio di Giuseppe Izzi, «variarum monstra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri. 15

GIUSEPPE CRIMI

re gli scaffali delle biblioteche dei curiosi, per quanto pubblicazioni di questo genere non manchino e continueranno a non mancare. Il fattore animale è onnipresente, soprattutto nella Commedia, e con esso ci si deve alla fine misurare. In più, sul versante simbolico, il rammarico maggiore risiede nella constatazione che nessuno studioso si sia preoccupato di procedere, per Dante, a un lavoro simile - sul pia­ no qualitativo - a quello di Aldo Menichetti per Chiaro Davanzati Necessita, insomma, uno strumento esegetico che tenga conto della bibliografia analitica sull'Alighieri, un'ulteriore bussola, un so­ stegno che faccia tesoro allo stesso tempo delle pubblicazioni speci­ fiche sugli animali, pure valide, che al mondo dantesco hanno riser­ vato un'attenzione scarsa (ad esempio, nel suddetto numero di "Mi­ crologus" Dante guadagna soltanto due citazioni) . Per entrare nel campo animalesco, questo scritto, un po' come l'I­ dra, potrebbe avere molte teste, molti inizi. Si potrebbe partire dalla mi­ niatura che impreziosisce la copertina del volume: animali sono le pri­ me figure che appaiono nel percorso ultraterreno di Dante, un percor­ so leggibile proprio come un viaggio nel mondo animale - secondo la più recente ipotesi di Sabina Marinetti che trova la sua più alta con­ centrazione di esemplari nell'In/erno 12 • Con le tre fiere il canto proe­ miale appare emblematico di una situazione ricorrente in tutte e tre le cantiche: la presenza degli animali, appunto. L'argomento, insomma, si 10 •

11 -

10. C. Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Commissione per i testi di lin­ gua, Bologna 1965, pp. XLV-LXI. Cfr. il contributo di M. S. Garver, Sources o/ the Beast

Similes in the Italian Lyric o/ the Thirteenth Century, in "Romanische Forschungen", XXI, 1908, pp. 276-320; M. Malinverni, Note per un bestiario lirico tra Quattro e Cin­ quecento, in "ltalique", II, 1999, pp. 7-31; L. Sala, Note sugli animali nella poesia di Di­ no Frescobaldi, in "Lingua nostra", LXVII, 2006, pp. 87-99; si pensi al lavoro di H. N a:is, Les animaux dans la poésie /rançaise de la Renaissance. Science, symbolique, poé­ sie, Didier, Paris 1961. Su Boccaccio i saggi di V. Mouchet, Per una ricognizione del­ la /unzione retorica del bestiario nel Boccaccio narratore, in "Giornale storico della Letteratura italiana", CXIX, 2002, 179, pp. 525-60 e Ead., Asinz: gru e galline. Breve in­ dagine sugli animali del "Decameron", in "Reinardus", XVI, 2003, pp. 133-64. 11. S. Marinetti, Dalla "selva oscura" all"'aprico ovile" (attraverso i rimanti "/ede· "S tudJ. romanzi· " , n.s., I, 2005, pp. 71-88. le": "crudele"\1, 1n 12. Cfr. S. M. Barillari, I:animalità come segno del demoniaco nelt"In/erno" dan­ tesco, in "Giornale storico della Letteratura italiana", CXIV, 1997, 174, pp. 98-119. Sul concetto di bestialitas, cfr. infra il contributo di Paolo Falzone, Dante e la nozione aristotelica di bestialità.

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DAXTE E IL MONDO ANIMALE: DAL POSITIVISMO A OGGI

fa subito urgenza. Si parte, di necessità, dalla Commedia: sarebbe cer­ to utile e stimolante interrogarsi sulle ragioni dell'improvvisa esplosio­ ne di metafore, simboli e similitudini animalesche nell'opera somma, vi­ sto il modesto apporto di questo tipo di immaginario negli scritti dan­ teschi precedenti, anche questi sondati, peraltro, minimamente. Ritorno alla miniatura, che non è stata scelta a caso. I primi anima­ li incontrati dal viator nel suo cammino sono stati i protagonisti di un vivace dibattito fra i dantisti, che è iniziato nel Trecento e si è sviluppa­ to soprattutto nell'Ottocento e che, fra interpretazioni differenti, ha coinvolto studiosi come Pascoli e D'Ovidio 13 , per arrivare fino al nostro volume, con il saggio di Franco Suitner, Le tre fiere di Dante) la "Que­ ste)) e il "Gatto lupesco )) . Forse parrà una banalità, ma - è sufficiente a questo proposito sfogliare la bibliografia - le tre fiere hanno calamitato l'attenzione di nu merosissimi esegeti, in maniera quasi ossessiva 1 4 , 13. Cfr. G. Nava, La presenza di Pascoli e D'Annunzio nel "Marzocco", in C. Del

Vivo (a cura di), Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e avanguardia (188719r3). Atti del seminario di studi (r2-13-r4 dicembre r983), Olschki, Firenze 1985, pp. 5796, in particolare pp. 71-2. 14. Cfr. D. Bongiovanni, Prolegomeni del nuovo commento storico-morale-esteti­ co della "Divina Commedia", Bordandini, Forlì 1858, pp. 277-316; F. Selmi, I:intento della "Commedia" di Dante e le principali allegorie considerate storicamente, III. Le tre fiere, in "Rivista contemporanea nazionale italiana", Xli, 1864, 36, fase. 124, pp. 408 -19; G. Poletto, Alcuni studi su Dante, San Bernardino, Siena 1892, pp. 67-83 (Le tre fiere); E. Ravazzini, Trisenso della lonza, del leone, della lupa nella "Divina Commedia", Ti­ pografia operaia, Reggio Emilia 1893 ; L. M. Capelli, Per una nuova interpretazione del primo canto, in "Il Giornale dantesco", VI, 1898 , pp. 3 53 -75; F. D'Ovidio, Le tre fiere della selva dtzntesca, Detken & Rocholl, Napoli 1900 (estratto da "Flegrea", Il, 1900, 3 , fase. 1, pp. 2-25) ; A. Maurici, Le tre fiere dtzntesche. Noterei/a dichiarativa, Tipografia pontificia, Palermo 1907; A. Scrocca, Le tre fiere, in Id., Saggi danteschi, Perrella, Na­ poli 1908 , pp. 1-50; G. Busnelli, Il simbolo delle tre fiere dantesche. Ricerche e studi in­ torno al prologo della "Commedia", Civiltà Cattolica, Roma 1909 2 R. Elisei, Orazio e Dante. Le tre fiere. Filippo Argenti, Metastasio, Assisi 1911; A. Roviglio, Il prologo del­ la "Divina Commedia'' e l'enigma delle tre fiere, Doretti, Udine 1928; G. Bonfante, An­ cora le tre fiere, in "Italica", XXII, 1945, pp. 69-72; G. Ferretti, Saggi dtznteschi, Le Mon­ nier, Firenze 19 50, pp. 27-41; A. Bernardo, The Three Beasts and Perspective in the "Di­ vine Comedy", in "PMLA" , LXXVIII, 1963 , 1, pp. 15-24; G. Ragonese, L'allegorismo delle tre fiere ed altri studi dtznteschi, Manfredi, Palermo 1972; G. Errichelli, Le tre fiere dan­ tesche, in "Teoresi", XXVIII, 1973 , pp. 197-200; S. Mussetter, Dante's Three Beasts and the "Imago Trinitatis", in "Dante Studies", xcv, 1977, pp. 39-52; G. Farris, Le tre fiere dantesche e la dinamica della tentazione, in "Critica letteraria", IX, 1981, 31, pp. 237-44; P. Pieheler, The Rehabilitation of Prophecy: On Dante's Three Beasts, in "Florilegium. Annua! Papers on Classica! Antiquity and Middle Ages", VII, 198 5, pp. 179-88 ; O. Ciac;

G IU SEPPE CRIM I

lascian do in penombra il resto degli animali, ad eccezione , co ­ me si potrà immaginare , del veltro (sul quale la massa dei con ci, Una nuovissima interpretazione delle trefiere, in " Il Rinnovamento", XVI , 1986 , 138139 , pp. 1-22; O. A. Bologna, Le tre fiere. Lonza, leone e lupa, in " Esperienze lettera­ rie", XVI, 1991 , 1 , pp. 79-92; B. Delmay, Le tre fiere, in " Sotto il Velame", I , 1999 , pp. }} 83 -90; F. Massoli, Le fiere del I canto dell"'In/erno , in " Critica del Testo", VI, 2003 , 3 , pp. 9 59-68; R. Fasani, Chi sono le tre fiere di Dante ( 2005) , in Id., L'infinito endecasil­ labo e tre saggi danteschi, Longo, Ravenna 2007, pp. 97-101; G. Oliva, Le /orze del ma­ le. Demonologia dantesca e modelli culturali. J;episodio delle tre fiere, in P. Guara­ gnella, M. Santagata (a cura di), Studi di letteratura italiana per Vitilio Masiello, 3 voli., Laterza, Roma-Bari 2006, voi. I , pp. 49-73; R. Manescalchi, Altre annotazioni riguardo l'interpretazione delle tre fiere dantesche, in "Letteratura italiana antica", X, 2009 , pp. 443 - 59 ; M. de la Nieves Mufiiz Mufiiz, Dante e le tre fiere nell'interpretazione figurati­ va, in M. Ariani et al. (a cura di), La parola e l'immagine. Studi in onore di Gianni Ven­ turi, 2 voli., Olschki, Firenze 2011 , voi. I, pp. 75-8 5. Sulla lupa: Capelli, Per una nuova interpretazione, cit.; C. Del Chicca, La lupa dantesca, in "Rassegna nazionale" , xxv, 1903 , 129 , pp. 3 58-72; M. Dozon, Le thème de la louve et des loups dans la "Divine Comé, die }} . Echos d'un mythe étrusco-latin ?, in " Revue des Etudes ltaliennes", n.s., XV, 1969, pp. 5-33 ; A. Scolari, "Inferno" I, vv. 4!r54, in " Studi danteschi", LIV, 1982, pp. 1-14; G. C. Arbery, "Antica lupa }} : Dante, Virgil and the Discontinuity o/ Allegory, in "Ameri­ can Benedictine Review" , XXXVII , 1986, 2, pp. 173 -96; G. Moliterno, Mouth to Mandi­ ble, Man to Lupa: The Mora! and Politica! Lesson of Cocytus, in " Dante Studies", CIV, 1986, pp. 145-61; Massoli, Le fiere del I canto, cit., pp. 967-8; Marinetti, Dalla "selva oscu­ ra }} , cit. Sulla lonza cfr. almeno E. G. Parodi, Ancora della lonza, in " Bullettino della Società dantesca italiana", III, 189 5, pp. 24-6; Capelli, Per una nuova interpretazione, cit.; P. Chistoni, La lonza dantesca, in Miscellanea di studi critici edita in onore di Ar­ turo Gra/, Istituto italiano d' Arti grafiche, Bergamo 1903 , pp. 817-48; E. Proto, La lon­ za dantesca, in "Giornale dantesco" , xv, 1907, pp. 1-16; J. Camus, La "lonza }} de Dan­ te et les "léopards}} de Pétrarque, de l'Arioste, etc. , in " Giornale storico della Lettera­ tura italiana" , XXVII, 1909, 53 , pp. 1 -40; K. McKenzie, The Problem of the "Lonza }}, with an Unpublished Text, in " Romanic Review" , I , 1910, pp. 18-30; P. Renucci, La "lonza" , dantesque est-elle un guépard?, in "Revue des Etudes ltaliennes" , II, 1937 , pp. 372-4; cfr. poi gli studi più recenti di A. Lanza, La corda, le fiere, il Veltro, in Id., Primi seco­ li. Saggi di letteratura italiana antica, Archivio Guido Izzi, Roma 1991, pp. 105-16; R. Manescalchi, La lonza in Rustico di Filippo e in Dante, in Id., Il prologo della "Divina Commedia }} , Tirrenia, Torino 1998 , pp. 53 -65; M. Seriacopi, Osservazioni sulla "lonza" di Dante, in "Trasparenze", XII , 2001, pp. 51-7; Id., Questioni di esegesi dantesca. Il ca­ so della "lonza }} in un commento del XIV-XV secolo, in " Studi e Problemi di Critica te­ stuale", LXV, 2002, 2, pp. 133 -46 (poi in Id., Dieci studi danteschi con un'appendice bo­ ni/aciana, FirenzeLibri, Reggello 2008 , pp. 121-41) ; Massoli, Le fiere del I canto, cit., pp. 960-4; R. Manescalchi, Osservazioni sulla "lonza" in Rustico Filippi e in Dante, in "Stu­ di danteschi", LXXIV, 2009 , pp. 127-47 (poi in Id., Studi sulla "Commedia". Le tre fie­ re, Enea, Ciacco, Catone, Piccarda e altri problemi danteschi, Loffredo, Napoli 2011, pp. }} 41-62) ; M. Seriacopi, La questione della "lonza nel canto I dell"'In/erno", in Id., Con18

DA�TE E IL M O N D O ANIMALE : DAL P O S ITIVISMO A OGGI

tributi critici non è umanamente domabile) 1 5 , dell'aquila 16 e del grifone 1 7 • /erenze sulla "Divina Commedia)' di Dante Alighieri con un testo antichissimo del pri­ mo canto del poema, FirenzeLibri, Reggello 2009 , pp. 1 5 - 25 . 1 5. Solo per citare alcuni titoli: C. Troya, Del veltro allegorico di Dante, Molini, Firenze 18 26; F. Selmi, L'intento della "Commedia)' di Dante e le principali allegorie con­ siderate storicamente. IV. Il Veltro del primo Canto, in "Rivista contemporanea nazio­ nale italiana " , XII, aprile 1864, 37, fase. 125, pp. 8 3 -9; R. E. Kaske, Dantes's "DX\'}) and "Veltro", in "Traditio " , XVII, 1961 , pp. 186-254; G. Zappacosta, Chiosa al veltro dante­ sco, in "L'Alighieri" , XIII, 1972, 2, pp. 68 -70; R. Wis, Ancora sul "Veltro", in " Mémoi­ res de la Société Néophilologique de Helsinki " , XLV, 1987, pp. 578 -91; C. Emiliani, The "Veltro" and the "Cinquecento diece e cinque", in " Dante Studies" , CXI , 1993 , pp. 149 52; G. Brugnoli, Le figure messianiche del Veltro e del Cinquecento Diece e Cinque, in " Giornale italiano di Filologia " , LIV, 2002, pp. 61-74; R. J. Lokaj , Il veltro dantesco qua­ le anagramma di "ultore", ivi, pp. 75-87; A. E. Mecca, Il veltro di Dante e la "Chanson de Roland", in " Nuova Rivista di Letteratura italiana " , V, 2002, 2 , pp. 213 - 26; S. Cri­ staldi, Inchiesta sul Veltro, in S. Cristaldi, C. Tramontana (a cura di) , L'opera di Dan­ te fra Antichità) Medioevo ed epoca moderna, CUECM , Catania 2008 , pp. 125-233 ; B. Mar­ tinelli, Genesi della "Commedia". La selva e il veltro, in " Studi danteschi" , LXXIV, 2009 , pp. 79 - 126; S. Cristaldi, La profezia imperfetta. Il Veltro e l'escatologia medievale, Scia­ scia, Caltanissetta-Roma 2011 ; G. Lovito, I..:Aquila e la croce. Lettura storica della "Di­ vina Commedia". Sulle tracce del veltro, Plectica, Salerno 201 2. ) 16. M. Casella, La figurazione dell'Aquila nel "Paradiso ', in " Studi danteschi" , XXXII, 19 54, pp. 5-28 ; }. Chierici, I..:Aquila d'oro nel cielo di Giove (canti XVIII-XX del "Pa­ radiso"), Istituto grafico tiberino, Roma 1962; E. Raimondi, Semantica del canto IX del "Purgatorio') ( 1968) , in Id. , Meta/ora e storia. Studi su Dante e Petrarca, Einaudi, Torino 1970, pp. 95-122, in particolare pp. 105-6; F. Montanari, I..:aquila di Giove, in "Critica let­ teraria " , V, 1977, 1 5 , pp. 211 - 20; P. Dronke, Le fantasmagorie nel paradiso terrestre, in Id. , Dante e le tradizioni latine medioevali, il Mulino, Bologna 1990, pp. 107-12; A. Gagliar­ di, I..:aquila e il pipistrello, in Id. , Ulisse e Sigieri di Brabante. Ricerche su Dante, Pulla­ no, Catanzaro 1992, pp. 81-100; A. Carrega, Immagini intessute di scrittura. Aquile dan­ tesche, in "L'immagine riflessa " , n.s., VII, 1998 , 2, pp. 28 5-301; B. Martinelli, Dante. I..:"al­ tro viaggio)', Giardini, Pisa 2007, pp. 29 5-7, 306-19 ; F. Baraldi, Il simbolismo dell'aqui­ la nella "Commedia" dantesca, in "I Castelli di Yale. Quaderni di Filosofia " , IX, 200708 , pp. 8 5-101; A. Forni, I..:aquila fissa nel sole. Un confronto tra Riccardo di San ½'ttore, Pietro di Giovanni Olivi e Dante, in A. Mazzon (a cura di) , Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa Lori San/ilippo, Istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma 2008 , pp. 431-73 ; M. Semola, Dante e l'"exemplum" animale. Il caso dell'aquila, in "L'Alighie­ ri" , XLIX, n.s. 31, 2008 , pp. 149 - 59 ; B. Basile, /;aquila, icona divina della giustizia nel cie­ lo di Giove, in "Studi e Problemi di Critica testuale" , LXXXII, 2011, 1, pp. 21-38 ; R Duri­ ghetto, /;aquila emblema della Giustizia divina (con riferimenti ai canti XVIII e XIX del "Pa­ radiso"), in "Atti della Società Dante Alighieri a Treviso " , III, 2011 , pp. 193 -8. 17. Anche in questo caso cfr. almeno P. Armour, Dante's Grzf/in and the History o/ the World: A Study o/ the Earthly Paradise ("Purgatorio)', cantos XXIX-XXXIII), Cla-

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Scriveva più di un secolo fa Giovanni Battista Zoppi nell'affron­ tare il tema zoologico in Dante: Noi quindi faremo come quei visitatori, più curiosi che dotti, dei giardini zoologici, i quali si fermano sempre in folla davanti alle gabbie dei leoni, del­ le tigri, dei rinoceronti, delle aquile e de' serpenti più strani perché general­ mente destano maggiore interesse; mentre non degnano poi né manco di uno sguardo tutti gli altri animali, che sono pure oggetto di osservazione e di studio per lo scienziato. In questa rapida rivista, del regno animale noi dunque ci fermeremo a considerare quelle specie soltanto innanzi alle qua­ li il cenno di Dante ci inviterà ad arrestarci 18 •

Noi, al contrario, cercheremo di soffermarci sugli animali sui quali è stato prodotto un contributo specifico in funzione dell'opera dante­ sca, evitando di registrare la bibliografia analitica sui singoli canti, re­ cuperabile attraverso i repertori tradizionali. Sebbene nel 1858 fosse pubblicato il volume di Domenico Bon­ giovanni Prolegomeni del nuovo commento storico-morale-estetico )) della "Divina Commedia (Bordandini, Forlì) , nel quale un numero davvero nutrito di pagine veniva dedicato al veltro (pp. 189-274) e al­ le tre fiere (pp. 277- 316) 1 9 , il primo studio moderno su Dante e gli ani­ mali, in senso più specifico, conobbe il battesimo ufficiale fuori d'I­ talia: il 3 ottobre del 1867 Karl Witte tenne una conferenza sugli ani­ mali nella Commedia, il cui testo fu stampato due anni dopo 2 0 • A bre­ ve distanza, nel 1874, vide la luce il pionieristico saggio di Luigi Venrendon, Oxford 1989; S. Cristaldi, "Per dissimilia". Saggio sul Grifone dantesco, in "Atti e Memorie dell'Accademia dell'Arcadia", s. III, IX, 1988-89, 1, pp. 57-94; P. Ar­ mour, La spuria /onte isidoriana per l'interpretazione del grifone dantesco, in "Deut­ sches Dante Jahrbuch", LXVII , 1992, pp. 163-8; D. Modesto, The Rainbow and the Grif/in, in M. Baker, D. Glenn (eds.), Dante Colloquia in Australia (I982-I999) , Au­ stralia University Press, Adelaide 2000, pp. 103-23. 18. G. B. Zoppi, Gli animali nella "Divina Commedia)', in "L'Alighieri", II, 189091, pp. 409-29, in particolare p. 418. 19. Su cui la recensione in "La Civiltà cattolica", s. III, IX, 1858, 11, pp. 345-52. 20. K. Witte, Die T hierwelt in Dante's "Gottlicher Komodie)'. Ein Vortrag gehal­ ten in der zweiten Generalversammlung der deutschen Dante-Gesellscha/t den 3. Oc­ tober I867, in "Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft", II , 1869, pp. 109-209 (poi in Id. , Dante-Forschungen. Altes und Neues, 2 voli. , Henninger, Heilbronn 1869-79, voi. II, pp. 183-93); cfr. J. Ferrazzi, Enciclopedia dantesca, voi. IV, Bibliografia, Pozza­ to, Bassano 1871, p. 133. 20

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turi, Le similitudini dantesche (Sansoni, Firenze) , che dedicava ben quaranta pagine agli animali (pp. 237-77) . Nel 1885 Francesco Cipolla, negli Studi danteschi. Lettere ad un giovane studioso (Giulio Speirani e figli, Torino 1885 , estratto dalla ri­ vista "La Sapienza" ) , rivolgendosi al giovane Flaminio Pellegrini, si preoccupava di dimostrare come le immagini dantesche in cui figu­ ravano gli animali derivassero dall' (p. 4) ; passava poi a elencare gli insetti (pp. 4- 5) , gli uccelli (pp. 6-13) , i mammiferi (pp. 20-6) , per concludere con le rane, i serpenti, il ramarro, i pesci, lo scorpione, la lumaca, i vermi (pp. 26-8) ; il tutto condito con richiami a Virgilio. Cipolla nutriva una vera passione per l'argomento, tant'è che volle dire la sua anche sulla lonza 2 1 e sul mer­ lo 22 . Spicca in modo un po' ingenuo, nel conte così come nei suoi se­ guaci, l 'attenzione nei confronti del puro el emento naturalisti co: Dante avrebbe ritratto gli animali perché esperto della fauna. L' esperimento di Cipolla ebbe almeno il merito di fungere da apripista nella cultura nostrana. Poco dopo venne stampato il saggio, già citato, dello zoologo Giovanni Battista Zoppi (18 38-1917) , che tra il 1890 e 1892 pubblicò a puntate sull"'Alighieri" Gli animali nella "Di­ vina Commedia )) , un lavoro dettagliato, che, nonostante le buone pre­ messe teoriche e le intenzioni della prima puntata, finiva per risulta­ re un elenco descrittivo degli animali nel poema, con annotazioni stri­ minzite 23 . Studio che da un lato si guadagnò l'aggettivo F. Cipolla, La lonza di Dante, in "La Rassegna bibliografica della Letteratu­ ra italiana", III, 1895, pp. 103-14 (con recensione di T. Casini, in "Bullettino della So­ cietà dantesca italiana", II, 1895, pp. 116-20; cfr. P. E. Guarnerio, Ancora della lonza di Dante, in "La Rassegna bibliografica della Letteratura italiana", III, 1895, pp. 139-40 e 203 -4) e La lonza di Dante, in " Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti", s. VII, LIV, 1895-96, pp. 224-7. I saggi di Cipolla diedero avvio a un am pio di­ battito sull'animale ( cfr. supra, nota 14, per ulteriore bibliografia) . 22. F. Ci polla, Il merlo nel canto XIII del "Purgatorio", in " Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti", s. VII, VI, 1894-95, 53, pp. 56-60 (su cui la recen­ sione di U. Marchesini, in "La Rassegna bibliografica della Letteratura italiana", III, 189 5 p. 51) . ' 23. La prima puntata in " L'Alighieri", II, 1890-91, pp. 409-29; la seconda e la ter­ za ivi, III, 1891-92, rispettivamente pp. 9-20 e 65-88. Positivo il giudizio del lavoro in G. Biadego, Giovanni Battista Zoppi. Commemorazione letta neltadunanza del gior­ no I8 marzo I9I7, Franchini, Verona 1917 (estratto dagli " Atti e Memorie dell'Acca­ demia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona", XCIV, 1918, pp. 3 5-50) . 2r .

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da parte di Giuseppe Bindoni 24 e dall'altro una tirata di orecchie di Vittorio Cian 2 5 • Sulla scia di Z oppi si collocava il volumetto di Michele Lesso­ na, Gli animali nella "Divina Commedia )) . "Inferno )) (UTET, Torino 1893) , limitato a un sondaggio sulla prima cantica 26 : il lavoro di Les­ sona, interrotto dalla morte, si presentava come la registrazione del percorso dantesco nell'Inferno, scandito, nelle tappe, dall'incontro progressivo con gli animali 2 7 • Un contributo a dire il vero poco uti­ le, destinato - secondo il progetto iniziale - a coinvolgere tutte e tre 24. G. Bindoni, Indagini critiche sulla "Divina Commedia", Albrighi, Segati & C., Milano 1918, p. 463, nota 2. 25. V. Cian, Sulle orme del veltro. Studio dantesco, Principato, Messina 1897, p. 126, nota 45. 26. Sullo studioso cfr. L. Camerano, Michele Lessona. Notizie biografiche e bi­ bliografiche, in "Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino", IX, 30 ottobre 1894, 188, pp. 1-72; alle pp. 58-70 la bibliografia degli scritti. 27. Cfr. l'anonima recensione in "Nuova Antologia", CXXXIV, 1894, p. 163: «Il conte F. Cipolla e il signor G. B. Zoppi diedero già alle immagini che Dante derivò pel suo poema dalla osservazione de' costumi degli animali, studii notevoli. Pren­ dendo le mosse da que' due, Michele Lessona ha scritto, sull'Inferno, una prima se­ rie di note consimili, dalla quale non si ricaverà forse molto utile per l'interpretazio­ ne del poeta, ma non poco sarà il piacere pei lettori. Tutti sanno infatti quanta dot­ trina abbia della zoologia il Lessona, e che amore, caldo e vivace, per le lettere in ge­ nere, e in particolare per Dante: qui riassume, si può dire, riflessioni di molti anni sulla scienza sua e sul poeta prediletto. Seguendo a mano a mano le menzioni degli animali che si trovano nei canti dell'Inferno, egli dichiara (ciò che non è sempre age­ vole) di che bestia intende parlare Dante, quale sua costumanza, vero o errata, ram­ mentarci; e viene così a meglio lumeggiarne l'arte, e talvolta a mostrare come fosse­ ro le cognizioni di lui superiori a quelle del tempo suo. Nel qual proposito, senza au­ dacia di affermazioni, giunge il Lessona fino a porre innanzi l'ipotesi che egli avesse un tal quale presentimento della dottrina che oggi diciamo dell'evoluzione. Certo è che da questi riscontri d'uno zoologo moderno appare sempre più mirabile il dono che Dante ebbe duplice, di osservare la vita con occhio rapido e sicuro, e di rappre­ sentarne i fenomeni con parola efficace. Alcune delle osservazioni del Lessona, che per incidenza tratta, oltre la zoologia, di altri luoghi danteschi riferentisi a fatti di sto­ ria naturale e di fisica terrestre, sono notevoli agli studiosi; tutte dilettevoli per ar­ guzia. Non potendo entrare in discussione su questo o quel verso, chè troppo più di noi s'intende di bestie (sia detto senza epigramma) il Lessona, gli indicheremo sol­ tanto pel seguito del suo lavoro l'ottimo libro del Venturi Le similitudini dantesche, che avrebbe potuto essere rammentato con onore insieme a quello del Cipolla e del­ lo Zoppi». 22

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le cantiche: un biografo dello studioso, Lorenzo Camerano, assicu­ rava che Lessona 28 • Ancor più modesto il brevissimo scritto di Francesco Neri, Gli )) animali nella "Divina Commedia (Nistri, Pisa 1896) , che, con un ap­ proccio estremamente scolastico, in cinque pagine tentava di censire gli animali nel poema 29 • Siamo nello stesso anno in cui Levi Oscar Kunhs stende il suo saggio sulla natura in Dante e il motivo sembra allora di gran moda 3 0 • I lavori degli italiani purtroppo peccano di provincialismo e mancano di spessore se paragonati a quelli europei coevi 3 1 : latitano richiami ai Padri della Chiesa, agli enciclopedisti me­ dievali e alla cultura romanza. Nel 1898 è la volta di Gastone di Mirafiore, il quale nel suo Dan­ te georgico (Barbèra, Firenze) , dopo alcune pagine di riflessione sul tema 3 2 , offre un utilissimo prospetto di tutti gli animali ricordati nel1'opera dantesca. Almeno a quest'altezza la materia viene presa in ostaggio - so­ stanzialmente - da dilettanti. Nonostante alcune recensioni favore­ voli nei confronti dei saggi menzionati, il dilettantismo viene colto già in quello stesso anno 1898 da Luigi Maria Capelli, che, nell'articolo Per una nuova interpretazione del primo canto, nel cimentarsi nell'a­ nalisi simbolica delle tre fiere, scriveva seccamente: 28. Camerano, Michele Lessona, cit., p. 41. 29. Forse fin troppo indulgente la scheda comparsa nella Cronaca della " Rasse­ gna bibliografica della Letteratura italiana", IV, 1896, p. 155: «Degli animali nella Di­ vina Commedia hanno trattato già parecchi con qualche larghezza: ad es. il Lessona, lo Zoppi ecc. Il dott. Francesco Neri in una breve scrittura Gli animali nella D. C. (Pisa, Nistri, di pagg. 7) ci offre ora un prospetto scientifico di quanti animali sono ricordati nel poema, e poi per ogni singolo animale indica il luogo ove Dante ne par­ la. Quest'ultima tavola, compilata con esattezza, può esser di singolare utilità agli stu­ diosi del poema e servire ad opportuni riscontri». 30. L. O. Kunhs, Dante's Treatment o/ Nature in the "Divina Commedia)}, in " Modern Language Notes" , XI, 1896, 1, pp. 1-9; ma già in precedenza erano apparsi titoli simili: cfr., ad esempio, F. Ambrosi, Dante e la natura, ovvero Frammenti di /i­ loso/ia e storia naturale desunti dalla "Divina Commedia", Prosperini, Padova 1874. 31. Cfr. W Hensel, Die Voge! in der provenzalischen und nord/ranzosischen Lyrik des Mittelalters, in " Romanische Forschungen" , XXVI, 1909, pp. 584-670. 32. G. di Mirafiore, Dante georgico, prefazione di O. Bacci, Barbèra, Firenze 1898, pp. 49-61 e 77-102. 23

GIUSEPPE CRIMI

Gli animali della Divina Commedia furono poco e male studiati; non ci po­ temmo giovare del lavoro di F. Neri, misero e sterile elenco, né di quelli del Lessona, il quale, non contento di aver fatto di Dante un precursore della embriologia moderna, forse perché ripete le teorie di s. Tommaso sul suc­ cedersi dell'anima sensitiva alla vegetativa, dell'intellettiva alla sensitiva (Summa I , CXVIII , 2) , lo volle anche preannunziatore della legge spenceriana dell'evoluzione. La monografia di G. B. Zoppi è ottimamente distribuita, i capitoli promettono bellissime cose, ma pur troppo il poverissimo contenu­ to non risponde alla vastità dei titoli 33 •

Nel frattempo i dotti studi di De Gubernatis (Zoologica! Mythology risaliva al 1872) 34 iniziavano a dare i loro primi frutti: sempre nel 1898 compare in una sede totalmente periferica - la rivista di Lentini " He­ lios" - il contributo di Stanislao Prato, Il carattere demoniaco del por­ co e del cinghiale nell )in/erno dantesco) nell )egizio e nella tradizione popolare. L'autore, un valido comparatista con altri saggi danteschi all'attivo, squadernava in meno di venti pagine una quantità notevo­ le di informazioni sulla valenza simbolica del porco e del cinghiale, limitatamente alla Commedia 3 5 • Pagine che vennero quasi del tutto ignorate dalla dantistica, visto che l'unico che le abbia censite (e ma­ le) è stato, nel 1902, Richard Thayer Holbrook, nel volume Dante and the Anima! Kingdom, derivato da una dissertazione dottorale (Co­ lumbia University Press, New York). Proprio il volume di Holbrook, al quale ci siamo ispirati per il ti­ tolo di questo contributo e del volume stesso, segna un passo decisivo nell'affrontare il tema. In maniera affine ai predecessori, lo studioso d'oltreoceano cercava di costruire un dossier sugli animali e sui mostri nell'opera dantesca, tentando di elencare, in taluni casi, fonti e biblio­ grafia: benché estremamente ambizioso, il lavoro presentava numero­ se ingenuità e incongruenze, come ebbe a rilevare senza alcuna diffi33. Capelli, Per una nuova interpretazione, cit., p. 354. 34. A. De Gubernatis, Zoologica! Mythology or the Legends o/ Animals, 2 voli., Tri.ibner & Co, London 1872. 35. Per altre questioni mi permetto di rinviare a G. Crimi, Su Ciriatto. Tra mostri� demònz: uomini selvatici e orchi, in "Rivista di Studi danteschi", XI, 2011, pp. 137-54; sul porco, cfr. S. Marchesi, "Epicuri de grege porcus". Ciacco, Epicurus and Isidore o/ Seville, in "Dante Studies", CXVII, 1999, pp. 117-31; E. Rebuffat, Furie d'uomini: di be­ stie e di dannati (In/ XXX 22-27), in "Rivista di Studi danteschi", XI, 2011, pp. 374-96. 24

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coltà Kenneth McKenzie 3 6 . In Italia il saggio di Holbrook fu segnala­ to, in maniera molto severa, nel Bollettino bibliografico del "Giornale storico della Letteratura italiana" 3 7 , mentre un atteggiamento più in­ dulgente fu dimostrato da Carlo Del Lungo, che spese una manciata di pagine sulla "Rassegna nazionale" , volgendo persino in italiano tre capitoli del libro 3 8 , e da Orazio Bacci 3 9 • Benché il saggio dell'america­ no apparisse già alla sua uscita uno strumento con molti limiti, va ri­ conosciuto almeno il tentativo di una schedatura sistematica e più mi­ nuziosa rispetto a quelle intraprese da Zoppi e da di Mirafiore. Qualche nota mirata - in questi anni - cercava di rendere giusti­ zia alle presenze animalesche e mostruose: l'articolo, breve ma den36. Cfr. la severa recensione in "Modern Language Notes", XVIII, 1903, 4, pp. 11822 e la risposta dell'interessato, con il titolo The Understanding and the Misunder­ standing of Dante }s Animai Lore, ivi, XVIII, 1903 , 5, pp. 158-9 (cfr. P. Bellezza, Curio­ sità dantesche, Hoepli, Milano 1913, p. 30). Poco più che una segnalazione l'articolo diJ. E. Spingarn, in "The Bookman", XVII, March-August 1903, pp. 82-3, mentre pa­ role di apprezzamento si leggono rispettivamente nelle schede anonime in "The Athenaeum", 3931, February 28, 1903, pp. 270-1, nella sezione Books of the Week in "The Outlook", 72, October 4, 1902, pp. 329-32, in particolare p. 329, e in "Book News", XXI, 1903, p. 202. 37. Cfr. Bollettino bibliografico, in "Giornale storico della Letteratura italiana", XXI, 1903, 41, pp. 166-8; per cogliere la stroncatura è sufficiente leggere l'attacco: «Era questo argomento da libro? Sinceramente, non ci pare. E infatti le risultanze dello studio presente sono ben povera cosa, e sull'argomento, sebbene il H. abbia con somma diligenza estese le sue indagini a tutte le opere dantesche, ne sappiamo quan­ to prima» (p. 167; cfr. gli Annunzi bibliografici del "Bullettino della Società dantesca italiana", n.s. , X, 1902-03, pp. 342-60, in particolare p. 343). Il saggio fu definito «istruttivo ma talora irritante» negli Annunzi bibliografici ivi pubblicati, pp. 402-72, in particolare p. 406. Faceva menzione dello studio, senza esprimere un giudizio chiaro, F. Torraca, Francesco de Sanctis e la sua seconda scuola, in "La Settimana", IV, 1902, pp. 401-16, in particolare p. 401. 38. C. Del Lungo, Zoologia dantesca , in "Rassegna nazionale", xxv, 16 marzo 1903, 130, pp. 192-202; le traduzioni si leggono alle pp. 196-202 e riguardano i capp. VIII-X. Le pp. 192-6 sono espressamente scritte per «dare un'idea, piuttosto che far­ ne [i.e. del volume] un'analisi critica» (p. 196); anche qui indulgente il giudizio: «Gli studiosi italiani devono esser grati all'Autore, il quale portando con questo libro un qualche contributo alla conoscenza migliore del Poema dantesco, ha certo efficace­ mente giovato alla divulgazione di esso fra i suoi connazionali americani ed inglesi>> (ibid.) . Peraltro, Del Lungo era a conoscenza della scheda sul "Giornale storico" (ivi, p. 194, nota 1). 39. La recensione di Bacci apparve nel "Bullettino della Società dantesca italia­ na", n.s. , X, 1902-03, pp. 336-7, in cui lo studioso riepilogava anche le altre recensioni. 25

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so, di Benedetto Soldati, La coda di Gerione (1903) , costituiva un pic­ colo dossier sul motivo dello scorpione 40 • Rispetto allo scritto di Sol­ dati, abbastanza modeste si presentano le pagine di Corrado Ricci, I cani nella "Commedia )) (1907) 41 • Va poi segnalato un contributo sin­ golare nel panorama del tempo per la qualità dei testi di riferimento citati, Gli animali fantastici nel poema di Dante di Guido Battelli 42 , sul quale recentemente è tornato Giuseppe Ledda. Gli approcci del Positivismo giungono a influenzare anche il breve contributo di Raf­ faele Sarra, Le conoscenze zoologiche di Dante 43 • Nella prima metà del Novecento le pubblicazioni dei dantisti sugli animali continuavano a rimanere prevalentemente circoscritte alla fauna prima indicata, le tre fiere, il veltro e l'aquila. In questo periodo, e ancora una volta fuori dai patri confini, co­ mincia a emergere l'attenzione intorno alla presenza di Esopo, grazie agli approfondimenti di uno studioso competente nel settore, Ken­ neth McKenzie 44 , al quale fanno seguito, negli anni, gli scritti di En40. B. Soldati, La coda di Gerione, in " Giornale storico della Letteratura ita­ liana " , XXI, 1903 , 41 , pp . 84-8 (al proposito cfr. gli Annunzi bibliografici del " Bullet­ tino della Società dantesca italiana " , n.s. , X, 1902-03 , pp. 342-60, in particolare p . 342). Sullo scorpione cfr. L . Aurigemma, Il segno zodiacale dello Scorpione nelle tra­ dizioni occidentali dall'antichità greco-latina al Rinascimento, trad. it. Einaudi, To­ rino 1976, mentre su Gerione mi limito a segnalare P. Baldan, La /rode patavina di Gerione (1990), in Id. , Ritorni su Dante, Moretti & Vitali, Bergamo 1991, pp. 45-88; S. M. Barillari , Disordine ontologico e strategie figurali. Il Gerione dantesco, in " L'Immagine riflessa " , n.s. , VII , 1998 , 1, pp. 39-56 e da ultima C. Carmina, "Ecco la fiera con la coda aguzza". La bestialità nel canto XVII dell"'In/erno", in " Dante " , II, 2005, pp. 99-111. 41. Si legge in C. Ricci, Pagine dantesche, Lapi, Città di Castello 1913 , pp. 105-9. Positivo il giudizio di F. F. (Francesco Flamini), in " Rassegna bibliografica della Let­ teratura italiana " , XXI, 1913, p. 297. 42. In Il VI centenario dantesco, 8 voll. , Tipografia salesiana, Ravenna 1914-21 , val. VI , 1917, pp. 107-15; gli animali fantastici presi in esame erano la sirena, il dragone, l' anfisbena, la fenice e il grifone. 43. In Studi su Dante e sulla scienza del suo secolo. Insieme ad altri lavori sulla storia della scienza e della civiltà, Da Vinci, Roma 1923 , pp. 237-43 ( "Archivio di Sto­ ria della Scienza " , III , 1922, 3-4). 44. K. McKenzie, Dante's Re/erences to Aesop, in "Annual Reports of the Dan­ te Society" , XVII, 1898, pp. 1-14 (su cui M. Scherillo, in " Bullettino della Società dan­ tesca italiana " , IX, 1902, pp. 282-6); cfr. anche M. S. Garver, K. McKenzie, Il Bestia­ rio Toscano secondo la lezione dei codici di Parigi e di Roma, " Studj romanzi" , VIII, 191 2, pp. l-100.

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zo Mandruzzato, Neil M. Larkin, Giorgio Padoan eJuan Varela-Por­ tas de Ordufi a 45 . Una data significativa per il nostro discorso è rappresentata sicu­ ramente dal 1948, quando compare la nota di Charles Speroni, The ) Folklore o/Dante s Dolphins (in "Italica" , xxv, 1948, 1, pp. 1 - 5 ) 46 • L'i­ talianista italo- americano si interrogava sulla presenza dei delfini, in relazione al celebre passo di Inf , XXII 47 : le pagine si facevano certa­ mente apprezzare, perché dimostravano come nella costruzione di un'immagine specifica concorressero non solo aspetti della letteratu­ ra alta, ma pure una parte della cultura folklorica. Nel raccogliere le informazioni, Speroni si allontanava dall'idea esclusiva di "fonte" , la­ vorando su un motivo e sulle sue attestazioni. La dantistica nostrana allora si dimostrò sorda a questo tipo di approccio: è sufficiente ri­ proporre la scheda apparsa sugli "Studi danteschi" , XXX, 1951, p. 221 a firma C. F.: >, vv. 3 5-36) , quel misterioso , interpretato nei modi più diversi dai critici, vale probabilmente qualcosa come o . Il viaggio del gatto lupesco , com'è noto, ha tutta l'aria di essere un itinerario a sfondo religioso-spirituale, dato che si sviluppa fra po­ poli pagani, nei luoghi della Terrasanta e in quelli abitati da infede­ li 1 9 • Non saprei se possa dirsi anche un viaggio nell'aldilà, a partire dall'incontro con l'eremita, dato che tutto ciò è lasciato sostanzia!S. Dittrich, L. Dittrich, Lexikon der Tiersymbole. Tiere als Sinnbilder in der Malerei des I4. -17- Jahrhunderts, Imhof, Petersberg 2004, pp. 254 e 258-9. 17. Le citazioni del testo da Il Gatto lupesco e il Mare amoroso, a cura di A. Car­ rega, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2000. 18. E. Filippini, Una profezia medioevale in versi di origine probabilmente umbra, in "Bollettino della R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria", IX, 1903, pp. 42168, in particolare p. 454. 19. Per questo filone interpretativo cfr., fra gli interpreti più recenti, A. Lanza, Il Detto del gatto lupesco. Alle radici dell'"allegoria fondamentale" della "Divina Com­ media'' (1972) , in Id., Primi secoli. Saggi di letteratura italiana antica, Archivio Guido Izzi, Roma 1991, pp. 41-59; Id., Nuove riflessioni sul "Detto del Gatto lupesco", in Id., Freschi e minii del Due, Tre e Quattrocento. Saggi di letteratura italiana antica, Cad­ mo, Fiesole 2002, pp. 13-22 (con proposte anche testuali). 16.

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mente indeterminato nel testo, e anzi direi che i riferimenti ai luoghi geografici hanno una preponderanza che porterebbe a escludere questa ipotesi. Il gatto lupesco è con ogni probabilità un'anima alla ricerca della verità, e per questo aspetto mi allineerei alle varie inter­ pretazioni che in questa chiave ci sono state proposte nel tempo. Di più, è chiaro che si tratta di un uomo sviato dalla retta via, come lo è Dante stesso. Ma di quale tipo di peccatore si tratta, o forse meglio, a quale tipo di tentazioni va soggetto o è andato soggetto? Nel caso del Dante viaggiatore la risposta maggioritaria degli interpreti è sem­ plice: nell'attacco dell'Inferno si allude alla superbia, alla lussuria e al1'avarizia, appunto simboleggiate dalle tre fiere. Naturalmente non sono mancate altre proposte 2 °. Per il protagonista del Detto non mi risulta che nessuno si sia ancora pronunciato in proposito, sebbene, a mio parere, la risposta vada ricercata nella simbologia dell'animale­ personaggio, esattamente come nel caso delle tre fiere di Dante. Dei tre vizi che presiedono all'incipit della Commedia l'unico che si potrebbe chiamare in causa potrebbe essere la lussuria, dato che al­ l'inizio del poemetto il protagonista è occupato da pensieri amorosi (vv. 1 - 7 ) : Sì com'altr'uomini vanno, ki per prode e chi per danno, per lo mondo tuttavia, così m'andava l'altra dia per un cammino trastullando e d'un mio amor gia pensando e andava a capo chino.

La lussuria, unita alla pigrizia, era anche uno dei più tradizionali at­ tributi simbolici del gatto nel mondo medievale. Qui però, a mio pa­ rere, abbiamo a che fare con un accenno un po' troppo "svagato" , nella tradizione delle pastorelle, perché si possa pensare che l'autore lo abbia caricato del significato dominante in ordine alla tentazione La bibliografia è infinita: John A. Scott, richiamando le principali possibi­ lità nel suo Perché Dante, trad. it. Aracne, Roma 201 0 , osserva che «questo tipo di al­ legoria illustra in maniera esemplare la natura essenzialmente ambigua del segno lin­ guistico» (p. 3 00) . 20 .

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FRANCO SUITNER

che domina o piuttosto insidia la vita del suo peccatore. Il mistero va quindi ricercato nella natura del gatto lupesco, è nella commistione fra il carattere di questi due animali che occorre individuare il parti­ colare significato simbolico. Gatto e lupo quindi, sono questi due ani­ mali che possono spiegare a quali tentazioni sia soggetta l'anima del protagonista dell'enigmatico componimento. Naturalmente, una vol­ ta posto in questi termini il problema, non è facile offrire con sicu­ rezza una risposta, e nemmeno io ho la pretesa di proporne una si­ cura. Vorrei tuttavia avanzare una proposta che mi parrebbe da te­ nere in considerazione, e che quanto meno mi sembra possa essere validamente accostata a quelle tradizionali. Il gatto nel mondo medievale poteva rappresentare anche l'ereti­ co, al punto tal e che l a stessa parol a "cataro" , forse dal greco kathar6s, "puro" , era talora associata al tardo latino cattus (da cui for­ se il tedesco Katze) 2 1 • Questa proposta etimologica era piuttosto dif­ fusa, ed è ben noto che essa si trova ad esempio in Alano di Lilla e in Berthold von Regensburg 22 • Non occorre insistere sul fatto che il lu­ po era sempre associato all'immagine dell'eretico, anche nell'Italia dei tempi di Dante. La doppia natura del protagonista del Detto po­ trebbe allora rappresentare la tradizionale duplicità dell'eretico, lu­ po in veste di agnello o, come qui accade, in veste di gatto. In tutta la letteratura spiritualistica italiana del tempo l'eretico si presenta dop­ pio, e attraverso la doppiezza si impadronisce delle anime degli altri. L' adulazione, la lusinga, mascherano abitualmente la sua aggressività. Il nostro gatto lupesco potrebbe anche semplicemente rappresenta21. C'è ancora molta discussione su queste proposte etimologiche. Cfr. A. Borst, Die Katharer, Hiersemann, Stuttgart 1953, p. 253, nota 8, e recentemente M. Lambert, I Catari, trad. it. Piemme, Casale Monferrato 2001, pp. 69-71. Non ha dubbi J. Du­ vernoy, Le catharisme. II) la religion des cathares, Privat, Toulouse 1976, p. 303: «Les Ketter-Ketzer ne sont autres que les gens du Chat, les "chatistes " , dirions-nous. Le chat est en effet, au moyen age, pour l'Europe du Nord, la Bete infernale type». A. Patschovsky, Der Passauer Anonymus. Ein Sammelwerk iiber Ketze,; ]uden, Anti­ christ aus der Mitte des 13. Jahrhunderts, Hiersemann, Stuttgart 1968, pp. 89-101, qua­ lifica come "popolare" l'etimologia che lega il cataro al gatto. 22. Per Alano cfr. De fide catholica, I 63, in PL, vol. ccx, col. 366; per la posizio­ ne di Berthold, che aggiunge qualcosa circa l'attività notturna degli eretici, che li ac­ comuna ai gatti, cfr. A. Czerwon, Predigt gegen Ketzer. Studien zu den lateinischen Sermones Bertholds von Regensburg, Mohr Siebeck, T iibingen 2011, p. 134. 42

LE TRE FIERE DI DA �TE , LA Q UES TE E IL GA TTO L UPESCO

re l'uomo che è tentato dalla dimensione dell'eresia, o comunque da ciò che lo allontana dalla via della salvezza, l'uomo che è in cerca della verità. E colui che è uscito dalla giusta strada della religione, secondo un'immagine comune nella letteratura medievale di questo ge­ nere. Per i francescani rigoristi è ad esempio frate Elia che >, vv. 92-93) . Virgilio aiuta Dante a superarla co­ me fa l'eremita nel nostro testo. La lontana suggestione degli incontri fra i personaggi dei romanzi e dei poemetti francesi spunta in questo inizio della Commedia dove meno la si potrebbe aspettare, e dove in­ fatti meno è stata rilevata. Per restare con tessere che sono presenti an­ che nel Detto, Lucia raccomanda Dante a Beatrice in In/ , II 98-99 con la stessa rituale formula ripetuta nel poemetto e nelle sue fonti d'ol­ tralpe () ; poco dopo la stessa Beatrice, per dire della sua solerzia per rivolgersi a Virgilio a soccorso dell 'amico, si riferisce ai terrestri indaffarati (, In/ , II 109-110, corsivo mio) nello stesso modo in cui ne parla l'autore del Detto all'inizio del suo poemetto: > 1 1 • In molti codici Cerbero è raffigurato in posizione frontale o semifrontal e, non più con tre teste, ma, come il Lucifero di Inf , XXXIV, con tre facce, canine o dai tratti genericamente bestiali; in al­ cuni di essi, ancora a somiglianza del maggior demonio, divora o por­ ta alla bocca i dannati 1 2 , secondo il tipo del demonio divoratore del­ la Cappella degli Scrovegni e del Battistero di Firenze. Al di là delle congruenze figurative, nell'economia dell'inferno dantesco Cerbero, 9. Gn 2 , 7: «Formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terrae et inspira­ vit in faciem eius spiraculum vitae et factus est homo in animam viventem»; cfr. an­ che Io 3, 31: «qui est de terra de terra est et de terra loquitur», nonché Eccl 3, 19-20: «cuncta subiacent vanitati et omnia pergunt ad unum locum, de terra facta sunt et in terram pariter revertentur»; Gn 3, 19: «in sudore vultus tui vesceris pane donec re­ vertaris in terra de qua sumptus es quia pulvis es et in pulverem reverteris». 10. Sulle miniature di questo codice, dipendenti, per l'Inferno, dal modello pit­ torico del «Nardo's Inferno in S. Maria Novella>>, cfr. P. Brieger, M. Meiss, C. Sin­ gleton, Illuminated Manuscripts of the "Divine Comedy n, voi. I, Princeton University Press, Princeton-New York-London 1969, pp. 327-8. 11. V. Zabughin, I codici istoriati di Dante nella Biblioteca Vaticana, Alfieri, Mi­ lano-Roma 1921, p. 19, nota 54. 12. Si tratta dei seguenti codici: Londra, British Library, Egerton 943, f. 12r (seco­ lo XIV ex.); Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1102, f. 5v (secolo xv in.); Laur. plut. 40.7, f. 12 (secolo xv in.) . Notiamo che a Inf, VI 18 tutti i manoscritti citati recano «ingoia». 52

IL MOSTRO DIVORATORE NELL' JNFERI'iO DI DA NTE : MODELLI CLASSICI

, presenta effettivamente forti affinità con Lucifero, >) 3 6 • Anche all'Eritone dantesca è legato un episodio negromantico. Oggetto dell'invocazione è però questa volta l'anima di Virgilio, il Virgilio "personaggio" dell'Inferno, che rivela al suo pupillo di esser già disceso nel fondo della voragine infernale > coincida con l'eresia, fa del Minotauro una sorta di guardiano del sesto cerchio) . L'ipotesi che il mostro cre­ tese, mezzo uomo e mezzo toro, sia assunto da Dante a «typum atque figuram mali­ tiae et bestialitatis» è già in Guido da Pisa, Expositiones et Glose super "Comediam" Dantis, ed. by V. Cioffari, State University of New York, Albany 1974, pp. 211 e 220. Sul modo in cui Dante ha raffigurato il Minotauro e sui possibili nessi tra questa raf­ figurazione, la theri6tes aristotelica e la «bestialitade» dantesca cfr. il dotto articolo di A. Tartaro, Il Minotauro} la "matta bestzalitade'' e altri mostri, in " Filologia e Cri­ tica " , XVII , 1992, pp. 161-86 (parzialmente ripreso in Id. , Cielo e terra. Saggi danteschi, Studium, Roma 2008, pp. 76-80) . Cfr. anche infra il saggio di Giuseppe Izzi, «varza­ rum monstra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri.

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esteriormente bestiali: così Filippo Argenti, in preda a una furia ca­ nina 28 , l'usuraio padovano che con una smorfia tira fuori la lingua >, Lucifero. Ma, lasciando da parte Lucifero, che è un angelo decaduto e non un uomo, va rilevato che gli atti compiuti da tutti gli altri personaggi denotano piuttosto o una particolare qualità, ferina appunto, della pe­ na o al più denunciano un uso traslato, spesso iperbolico, del concetto di bestialitas (la deformità animalesca come specchio di deformità mo­ rale) e non sembrano potersi ascrivere alla disposizione etica e psico­ logica che Virgilio, con termine tecnico, definisce . Perché, viene da chiedersi, tanta reticenza? E impensabile si possano dare risposte sicure a un simile interrogativo, per quanto legitti­ mo. I silenzi del testo non lo consentono. Ma si può comunque osser­ vare, utilmente forse, che la bestialità, così come la tratteggia Aristote­ le, è una disposizione incolpevole, e in quanto tale irricevibile in un si­ stema penale che come quello dantesco si basa sul principio dell'im28 . In/ , VIII 61-63 . 29 . Cfr. In/ , XVII 74-75, e si noti che il cerchio degli usurai è aperto dalla simili­ tudine dei cani che d'estate cacciano da sé «or col ceffo or col piè» mosche o tafani ( vv. 49-51) . 30. In/ , XXIV 124-126: «Vita bestia! mi piacque e non umana, / sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci I bestia, e Pistoia mi fu degna tana». A proposito del v. 124, «vi­ ta bestia! mi piacque e non umana», osserva opportunamente Inglese che «tale alie­ nazione del fine ultimo dell'uomo accomuna tutti i dannati; qui l'accento è sul mi piac­ que, sull'acre compiacimento nel male in cui Vanni Fucci ha risolto tutto sé stesso». 31 . In/ , XXX 1 -12. La storia di Atamante, che vedendo Ino, sua seconda sposa, in com pagnia dei due figlioletti, Learco e Melicerte, credette, reso pazzo da Giunone, di vedere una leonessa con i due leoncini e si scagliò furiosamente contro di loro, scaraventando Learco su una roccia e inducendo Ino a gettarsi giù da una rupe con in braccio Melicerte, è ripresa da Ovidio, Met. , IV 416- 562. E sem pre da Ovidio (Met. , XIII 439-532) dipende la descrizione, immediatamente successiva, di Ecuba, che ap­ preso della morte dei figli Polissena e Polidoro «forsennata latrò sì come cane: / tan­ to 'l dolor le fé la mente torta» (vv. 20- 21) , interessante perché rappresenta la perdi­ ta della razionalità nei termini di una metamorfosi dall'umano al ferino.

DANTE E LA :\'OZIO:\'E ARISTOTELICA DI BESTIALITÀ

putabilità dell'azione 3 2 • Il processo psicologico che di norma conclu­ de a un atto libero (e quindi moralmente sanzionabile) è inibito in ef­ fetti, nel caso dei bestiali, da una razionalità stravolta, e quasi assente 33 • L'eclissarsi della razionalità impedisce al discorso etico di costi­ tuirsi; sicché già in Aristotele la theri6tes tende a sottrarsi alla scienza dei comportamenti umani, che è scienza delle azioni libere e coscienti, e a ricadere piuttosto nel caso clinico. Così è pure per i commentatori medievali, che infatti assegnano alla bestialità, in considerazione della sua natura irrazionale, pene più miti che alle altre forme peccaminose (malizia e incontinenza pure e semplici) , propriamente umane, ma per­ ciò anche più colpevoli. Si ascolti ad esempio l'Aquinate: sicut bestia minus habet de culpa quam homo malus, sed est terribilior, ita etiam bestialis malitia seu incontinentia terribilior quidem est, sed minoris culpae et innocentior quam incontinentia seu malitia humana; unde, si ali­ qui amentes vel naturaliter bestiales peccent, minus puniuntur 34 • 32. In questa direzione è orientata già la chiosa di Torraca, per il quale gli esem­ pi di bestialità riferiti da Aristotele nell'Etica non trovano posto nell'inferno dante­ sco «né ve lo potevano trovare», perché, scrive, «i bestiali non hanno ragione, o ne hanno poco che è come niente (Commento di San Tommaso all'Etica), e i peccati pu­ niti nell'Inferno sono effetti dell'uso non buono della ragione. Il peccato presuppo­ ne una scelta, che i bestiali non possono fare; cfr. Purg., XVIII 62 ss. I bestiali stanno fuori de' termini dell'incontinenza come della malizia proprie dell'uomo, , e sono pochi, e "rari " , dice Aristotele, "come i virtuosi di virtù eroica e divina" . E inutile perciò cercare nell'Inferno dantesco il posto della bestialità»: cfr. F. Torraca, Commen­ to alla "Divina Commedia", a cura di V. Marucci, 3 voll., Salerno Editrice, Roma 2008, vol. I, p. 197 (I ed. Società editrice Dante Alighieri, Roma-Milano 1905-06). Una po­ sizione analoga è difesa da Tartaro, Il Minotauro, cit., pp. 178-9 e nota 37, che però mi sembra andare troppo oltre là dove scrive che la «matta bestialitade» «consiste propriamente nel perseguire l'iniuria in generale, dietro a fini delittuosi (raggiunti ora con la violenza, ora, e più gravemente, con la frode), sulla spinta di un'ossessiva tendenza al male. Di qui all'identificazione del male per antonomasia il passo è bre­ ve» (così a p. 183 nota). 33. Eth. Nic. VII 8 , 1150a I ss. 34. Tommaso d'Aquino, Sententia libri Ethicorum, lib. VII, lect. 6, ed. cit., p. 407, 11. 243-249, e cfr. anche 11. 214-234: «cum dicit: Minus habet bestialitas etc., comparat bestialem malitiam vel incontinentiam humanae. Et dicit quod bestialitas minus ha­ bet de ratione malitiae, si consideratur condicio bestiae vel hominis bestialis, sed be­ stialitas est terribilior, quia facit maiora mala. Et quod minus habeat de malitia be­ stialitas, probat per hoc quod in bestia id quod est optimum, scilicet intellectus, non remanet sicut corruptum et depravatum, prout remanet in homo malo, sed totaliter

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Una simile svalutazione etica della bestialitas difficilmente avrà man­ cato di lasciare tracce in Dante. E si ha anzi netta l'impressione che se la , pure nominata da Virgilio con malizia e in­ continenza tra le disposizioni invise al cielo, occupa, a paragone del­ le altre due, una posizione tanto marginale (e forse nessuna posizio­ ne) nella topografia morale dell'inferno dantesco, ciò sia proprio a causa dell'irrilevanza etica denunciata dalle fonti. Qualora fosse così, come supponiamo, verrebbe meno l'esigenza, variamente avvertita dagli esegeti, di attribuire un significato struttu­ rale all a citazione aristotelica di Virgilio. E quella citazione potrebbe essere intesa, più banalmente, come il rinvio bibliografico, puntuale e di scuola, che il maestro fornisce ali'allievo in difficoltà, onde con­ sentirgli, col solo richiamare le prime battute, a lui ben familiari, del settimo libro dell'Etica, di ritrovare in se stesso, nella propria scienza e nei testi che l'hanno nutrita, l'esatta fisionomia morale del vizio di incontinenza e la sua minore gravità rispetto a quello di malizia (su questo punto specifico verteva in effetti, non va dimenticato, l'inter­ rogativo posto da Dante) 3 5 •

ita corruptum est quod nihil habet de illo. Unde simile est comparare bestiam ho­ mini malo utrum sit peius sicut comparare inanimatum animato; inanimata quidem possunt plus laedere sicut cum ignis urit aut lapis conterit, sed plus recedit a ratio­ ne culpae; semper enim pravitas eius qui non habet principium actionum est inno­ centior, quia minus potest ei imputari aliquid ad culpam, guae propter hoc homini imputatur quia habet principium per quod est dominus suorum actuum, quod qui­ dem principium est intellectus, qui in bestiis non est». Dello stesso tenore la chiosa di Alberto Magno, cfr. Ethica, ed. cit., pp. 487b-488a. Il carattere amorale della be­ stialitas è già sottolineato nella chiosa dell'anonimo commentatore greco del libro VII, edita da H. P. F. Mercken in The Greek Commentaries on the "Nicomachean Ethics" in the Latin Translation o/ Robert Grosseteste Bishop o/ Lincoln (t I253), voi. III, Leuven University Press, Leuven 1991, pp. 49-51. 35. Si rilegga l'ammonimento di Virgilio: «Non ti rimembra di quelle parole / con le quai la tua Etica pertratta / le tre disposizion che 'l ciel non vole: / inconte­ nenza, malizia e la matta / bestialitade? E come incontenenza / men Dio offende e men biasim'accatta?» (In/, XI 79-84). A non sovrastimare il significato strutturale della «matta bestialitade» invitava già B. Nardi, nella citata lectura di Inf, XI , p. 204.

«variarum mons tra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri di Giuseppe Izzi

Seguendo fedelmente la seconda parte del titolo, dal Minotauro ai Centauri, comincerò da quando, all' inizio del canto XII dell'Inferno, Virgilio e Dante si accingono a lasciare il cerchio degli eretici per scendere tra i violenti racchiusi nel settimo cerchio, lungo una , una frana, che richiama desolati paesaggi terrestri e che si ap­ prenderà poi essere stata causata dal terremoto che accompagnò la morte di Cristo. E , sul margine estre­ mo della , l'infamia di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse, sì come quei cui l'ira dentro fiacca (Inf , XII 1 2 - 1 5 ) .

L' è il Minotauro in quanto frutto della lussuria di Pasifae, come lo aveva visto Enea all' inizio del suo viaggio verso gli inferi, sui battenti della porta del tempio di Apoll o edificato da De­ dalo a Cuma, dove era sinteticamente raffigurato il dramma cretese: su un battente l' uccisione del figlio di Minosse, Andrògeo, e il vin­ dice tributo imposto ad Atene, sull' altro la tormentosa passione per il toro, , di Pasifae, l' inganno della falsa vacca, , il frutto dell' innaturale connubio, 1 Nella memoria poetica dantesca molti versi ovi­ diani rafforzavano queste immagini, dal citatissimo 2 al lamento di Ifide, di cui si leggeva nel nono libro delle Me­ tamorfosi, che era stata cresciuta come maschio dalla madre Teletusa per sottrarla alla morte decretata dal padre Ligdo per una figlia fem­ mina e che, promessa sposa all' amica lante di cui era innamorata, era stata trasfarmata in maschio da Iside. In particolare, dice la fanciulla prima dell' intervento della dea, Creta è terra in cui si realizzano , terra in cui 3 , anche se a Ifide il suo amore omosessuale appare di quello di Pasifae che (Met. , IX 739-740; ) ; immagine presente anche in un passo del lamento di Scilla che tradisce il padre Niso per amore di Minosse, vie­ ne da questi rifiutata e gli grida contro che davvero era degna di averlo come marito quell' adultera che il torvo toro e che (Met. , VIII 131-133) . Dal nacque la (Met. , VIII 169) , il (Ars amandi, II 24) , che appare a Dante e Virgilio come uomo con testa di toro, secondo l' i­ conografia classica, o come toro con testa o corpo di uomo, simile, cioè, a un Centauro (magari cornuto, come appare in alcuni manoscritti) . Sulla soglia del cerchio dei violenti, custode dell' intero cerchio o della sola , Dante colloca, quindi, il Minotauro, non solo , aveva già osservato Gelli 4 , ma anche > 5 • Il ricordo delle antiche favole cretesi 6 , rafforzato da quello delle peregrinazioni di Enea alla ricerca dell' " antica madre " , culminerà 5. L. Coglievina, Il canto XII dell"'In/erno}) , in "Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze" , n.s. , LXIII-LXIV, 2001-02, pp. 131-67, in particola­ re p. 138. E scrive Maria Antonietta Terzoli: «Come la doppia natura del Cristo, di­ vina e umana, è legata alla sua nascita (nato da donna, ma figlio di Dio) , così quella umana e animale del Minotauro è la conseguenza mostruosa del congiungimento di una donna con un toro, rievocato proprio nel canto XII ( " che fu concetta ne la falsa vacca " , v. 13) . La terribile perfezione dell'antitesi cristologica risulta anche più evi­ dente se si considera che, mentre la Vergine costituisce l'emblema stesso della castità e della purezza, Pasifae, madre del Minotauro, rappresenta nella Commedia I' esem­ pio per eccellenza della lussuria, rievocato ancora nel settimo girone del Purgatorio» (M. A. Terzoli, I rischi dell'interpretazione. A proposito di "Inferno'' XII, in " Versants " , 44-45, 2003 , numero monografico, I:interprétation littéraire aujourd'hui, a cura di P. Frohlicher, pp. 193-212, in particolare p. 205) . 6. «Il vecchione cretese rappresenta un momento imprescindibile della mito­ grafia cretese che partecipa alla struttura intertestuale di tutta la prima cantica. Cre-

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nella complessa figura del veglio di Creta, sulle cui interpretazioni non mi soffermerò , ricordando, invece, che nell'Eneide Creta è evo­ cata ancora durante i giochi celebrati in Sicilia in memoria di Anchi­ se, quando gli squadroni dei giovani Troiani si esibiscono nelle evo­ luzioni del !usus Troiae, a imitazione dell' (Aen. , V 591) del Labirinto; e che nella porta del tempio di Apollo a Cuma, edificato dallo stesso architetto del Labirinto crete­ se e che Enea deve varcare per accedere all'Ade, era raffigurato an­ che il Labirinto, per Virgilio , come dice Her­ mann Kern, aggiungendo che l'idea virgiliana > contraddice la tradizione che, appunto, lo presentava come ospitale amico di Ercole, morto per essersi ferito accidentalmente con una delle frecce dell'eroe. Lo spun­ to per l'ira di Fola può essere stato offerto a Dante, come ebbe già a osservare Ciafardini 1 5 , da un passo della Tebaide, nel paragone con Tideo che, assalito di sorpresa, ( Theb. , II 545 -546) , afferra un enorme mas­ so per lanciarlo contro i nemici, > 24 . Naturalmente il considerare più o meno vicina la fisionomia dei dan­ nati e quella dei custodi influisce sul modo di valutare presenza e ruo­ lo di questi ultimi, soprattutto se li si considera, come ancora di re­ cente è stato detto, 2 5 : ma su questo ritornerò in conclusione. D'altra parte, Dante, che pur ricorre al simbolo del grifone 26 , è più vicino a quella parte della simbolica cristiana che considerava i Centauri manifestazioni del demonio, come i due Centauri dell'Alle­ goria dell'obbedienza e dell'Allegoria della castità nella Basilica infe­ riore di Assisi, che non a quella che, prendendo spunto probabil­ mente proprio dai tratti positivi della figura di Chirone, scorgeva nei Centauri l'allegoria della doppia natura, umana e divina, di Cristo: come nel Centauro scoperto sotto il Cristo giudice della Cappella de­ gli Scrovegni o come nelle raffigurazioni del Centauro Sagittario 2 7 • 23. Dante attribuisce a ebrietà di cibo e di vino il tentativo di rapire le donne dei Lapiti, che condusse alla battaglia con questi e alla sconfitta dei Centauri ( «satolli», li chiama Dante: e Ovidio dice di Eurito, rapitore della sposa, «tibi [. . . ] I Euryte, quam vino pectus tam virgine visa / ardet et ebrietas geminata libidine regnat», Met., XII 219-221; e saranno da ricordare anche le Georgiche, II 455-456: «Bacchus et ad cul­ pam causam dedit; ille furentis / Centauros leto domuit») . 24. Coglievina, Il canto XII delt"In/erno", cit. , p. 161. 25. A. Ardigò, Centauri e dannati nel canto XII dell"'In/erno", in "Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano " , LXV, 2012, 1, pp. 139-55, in particola re p. 144. 26. C. Livanos, Dante's Monsters: Nature and Evi! in the "Commedia", in " Dan­ te Studies " , CXXVII, 2009, pp. 81-92. 27. G. Pisani, I volti segreti di Giotto, Rizzoli, Milano 2009, pp. 240-3. Cfr. an­ che la trad. it. di Le Bestiaire du Christ (1940) di L. Charbonneau-Lassay, Il Bestiario

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«VARIARCM MONSTRA FERARCM» : DAL MINOTACRO AI CENTACRI

Nulla di tutto questo né nei del Purgatorio sopra citati né nel petto di Chirone (In/ , XII 84) , dove, cioè, , come dice Singleton 2 8 , bene illustrando la presenza in questo girone di 2 9 • E nei Tristia, nell'elegia 7 del secondo libro 3 0 , in un elenco di mostri favolosi (tra cui il Mi­ notauro, ) alla cui esistenza reale il poeta di­ chiara di non credere, i Centauri sono presentati come (v. 15): definizione che ci rimanda ai del Purgatorio ma anche al petto di Chi­ rone (pur se nella memoria poeti­ ca di Dante sembra risuonare di più Agostino: , De civitate Dei, XVIII 13 ) . Caco, infine, da Dante fatto Centauro per l'interpretazione da lui data ai termini virgiliani , con cui i Centau­ ri erano chiamati in Ovidio, avendo aggiunto alla violenza dei suoi fratelli il furto con frode, è collocato nella bolgia dei ladri, anche lui strumento della volontà divina, ladro che punisce ladri. La sua im­ magine, deformata in entrambe le componenti, da su e da un che vomita fuoco , è costruita su un intarsio di reminiscenze virgiliane (mostro ignivomo in quanto figlio di Vulcano; famoso ladro di armenti) e ovidiane (la morte per mano di Ercole ma non per soffocamento bensì sotto i col­ pi di clava dell'eroe) 3 1 , mentre il posto rimanda alle combinazioni mostruose di corpi e facce frequenti neldel Cristo. La misteriosa emblematica di Gesù Cristo, prefazione di L. Gallesi, saggio introduttivo di S. Salzani, P. Zoccatelli, Arkeios, Roma 1994, in particolare i capp. Il Centauro, pp. 503-10 e Il Centauro-Sagittario, pp. 511-9. 28. C. S. Singleton, La poesia della "Divina Commedia", trad. it. il Mulino, Bo­ logna 1999, p. 540. 29. Ivi, p. 542. 30. Ricavo la citazione dal cap. XVI (Dei centauri: dei ciclopi: degli arimaspz: dei cinocefali) del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Giacomo Leopardi do­ ve, con altro intento, sono squadernate molte delle fonti classiche e patristiche sco­ perte dal Medioevo a oggi dai commentatori danteschi. 31. Ronconi, Per Dante interprete, cit. , pp. 214-5.

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l'arte medievale 3 2 : e Dante, avendo dato a Caco la veste di Centauro, trasporta al sulle sue spalle la caratteristica di sputar fuoco data al mostro da Virgilio. Il Minotauro e i Centauri sono, quindi, monstra, fisiche e ammo­ nitrici incarnazioni della violenza, che, favorita dalle disposizioni d'a­ nimo della cupidigia e dell'ira, altera o annulla la facoltà razionale dell'uomo, consegnandolo al peccato: Oh cieca cupidigia e ira folle, che sì ci sproni ne la vita corta, e ne l'etterna poi sì mal c'immolle ! (Inf , XII 49- 51)

Degradati da uomini a bestie, colpevoli non sol o verso altri uomini ma verso lo stesso ordine sociale, - come ha scritto An­ drea Mazzucchi -, 33 • Coerente con il peccato, continua il critico, è la 34 • Al che si può aggiungere, con le parole di Ettore Parato­ re, che i mostri mitologici che Dante prende a prestito dai poeti classici sono da lui trasformati in diavoli: e funzione caratteristica del diavolo, secondo le cre­ denze cristiane e medioevali, è di custodire e tormentare le anime dei dan­ nati, mentre però la stessa eterna separazione dal cospetto di Dio, lo stesso sprofondamento nel baratro infernale, la stessa ricerca perenne del male da arrecare all'umanità costituiscono il tipico castigo cui le nature demoniache sono sottoposte 3 5 • 32. B. Basile, Mostri delle "Storie d'Ercole" nell"'In/erno", in Id., Il tempo e la memoria. Studi di critica, testuale, Mucchi, Modena 1996, pp. 11-32, in particolare pp. 16-20. 33. Mazzucchi, >, non ho trovato finora nessuna traccia nel­ la letteratura antica e medievale precedente i commenti danteschi. Diffusissima è invece la storia secondo cui il castoro o bivero è cac­ ciato dagli uomini perché i suoi testicoli contengono una sostanza dalle proprietà medicinali. Perciò quando viene inseguito dai cacciatori, l' a­ nimale, consapevole del motivo per cui viene cacciato, si taglia con un morso i testicoli e li abbandona sul terreno proseguendo poi nella fuga. I cacciatori raccolgono i testicoli e smettono di inseguirlo. Questa noti­ zia permetteva una interpretazione morale positiva, in quanto l' autoe­ virazione era letta come segno di volontaria rinuncia al vizio 25 • Eviden­ temente questi aspetti non sono pertinenti per la similitudine dantesca. 22. Per la similitudine con il falcone cfr. Mercuri, Semantica di Gerione, cit., pp. 163-77; D. Boccassini, Il volo della mente. Falconeria e Sofia nel mondo mediterraneo. Islam, Federico II, Dante, Longo, Ravenna 2003, pp. 335-88, in particolare pp. 358-60. 23. Su cui cfr. Mercuri, Semantica di Gerione, cit., pp. 153-62. 24. Cfr. ad esempio già il commento di Jacopo Alighieri ai vv. 19-24: «Ancora per essempro del suo figurato permanere in su l'orlo del grado presente e parte nel va­ no che sopra l'ottavo permane, qui della qualità d'alcuno animale, nominato bivero, così si ragiona, che nelle lagune della Magna naturalmente stando e vivendo di pe­ sci, alcuna stagione dell'anno, così a sua pastura s'acconcia, essendo di grandezza e di forma come faina, ed avendo la coda formata di pescie, la quale con tanta gras­ sezza permane, che, stando alla riva, e percotendola nell' acque, scandelle come d' o­ lio per l'acqua rimagnono, alle quali i pesci traendo, da lui finalmente son presi». Ri­ petono e ampliano tale notizia Jacopo della Lana e l'Ottimo, poi seguiti da tutti gli altri commentatori. A meno di diversa indicazione, i commenti danteschi si inten­ dono citati dal sito del Dartmouth Dante Project. 25. La notizia si trova già in Plinio, Nat. Hist. , VIII 109; Eliano, Nat. anim. VI 34. ' E diffusa ovunque nel bestiario medievale cristiano, accompagnata da moralizzazione positiva, dal Fisiologo (versione latina B Is, 17, in L. Morini, a cura di, Bestiari me­ dievali, Einaudi, Torino 1996, pp. 42-3) in poi, sino a giungere invariata a Cecco d' A-

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Nella letteratura naturalistica la notizia più pertinente al passo dantesco sembrerebbe quella secondo cui il bivero o castoro è un ani­ male , in quanto dotato di duplice natura: la coda di pesce e il resto del corpo di quadrupede terrestre 26 • Così può nuotare nell'acqua come un pesce e camminare sulla terra come un quadrupede. Inoltre si costruisce delle tane in prossimità dell'ac­ qua, in modo da poter tenere il resto del corpo all'asciutto, ma la co­ da sempre immersa nell'acqua, di cui essa ha assolutamente bisogno, data la sua natura di pesce. Così ad esempio Bartolomeo Anglico: Castor est bestia mirabilis, quae cum quadrupedibus vivit et graditur in ter­ ris, sub aquis autem natat et commoratur cum natatilibus, sicut piscis [ . . . ] . Aqua crescente loca superiora inhabitant, decrescente autem in inferiori parte habitaculi sese locant, et per quoddam foramen in solario quolibet ex industria praeparato , caudam suam , quae pisceae est naturae, submittit aquae, sine cuius praesentia non potest cauda eius sine corruptione aliqua permanere. Animai est mirabile et monstruosum, cuius cauda tantum piscis, et totum residuum sui corporis naturam habet quadrupedis animalis 27 •

In questo la postura del castoro corrisponde a quella di Gerione, con le zampe sul bordo del burrone e la coda in un altro elemento: Ge­ rione nell'aria, il castoro nell'acqua. Anche la mostruosità e mirabi­ lità collegano il castoro al mostruoso Gerione, definito fin dall'inizio una (XVI 131-132) . La duplicità e il caratte­ re anfibio sono in potenza segno di frode, ma non ho finora trovato nella letteratura naturalistica medievale tracce sicure di un'esplicita interpretazione morale del castoro in tal senso. scoli (J;Acerba, III 44) . Per citare a titolo puramente esemplificativo solo i testi rac­ colti in Marini (a cura di), Bestiari medievali, cit., si possono vedere le pp. 170-2, 3 268 , 396, 455, 497, 609 . La notizia si trova persino nel Tresor di Brunetto Latini (I 181) . 26. Cfr. già Plinio, Nat. Hist., VIII 109: «Cauda piscium his, cetera species lutrae». 27. De proprietatibus rerum, XVIII 28 . Le notizie riportate da Bartolomeo e da al­ tri autori (ad esempio Gervasio di Tilbury, Otia imperialia, III 44: «bever, animal qui­ dem ad anteriorem partem gressibile, sed ad subteriorem medietatem in piscem de­ sinit; partem inferiorem semper aqua immergit, superiorem terre infigit, et ut natu­ re sue commoda inveniat receptacula, in ripa quasi salaria cavernosa facit, ut cum ascendit aqua vel descendit paratas sibi reperiat mansiones»), si ritroveranno anco­ ra, ambientate nelle lagune del delta padano, nel Dittamondo di Fazio degli Uberti (III 2, 40- 54) .

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PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

L'enciclopedia di Vincenzo di Beauvais, raccogliendo varie noti­ zie, aggiunge un carattere più composito alla mostruosità del casto­ ro, distinguendo le zampe anteriori, simili a quelle di un cane, da quelle posteriori, simili a quelle palmate di un'oca: grazie alle prime può camminare sul terreno, grazie alle seconde può nuotare nell'ac­ qua come un uccello acquatico. Ma Vincenzo aggiunge anche una cu­ riosa notizia di tipo alimentare, tratta dal De natura rerum di Tom­ maso di Cantimpré. La coda non solo è simile a quella di un pesce e per sua natura deve sempre stare nell'acqua, ma ha anche sapore di pesce, mentre il resto del corpo è costituito di carne. Così la parte del­ la coda del castoro che ha natura e sapore di pesce può essere man­ giata dai cristiani anche in giorni di digiuno o di magro, in cui il con­ sumo della carne è vietato, ma non quello del pesce: Non potest [ . . . ] substinere nisi caudam in aquam teneat, quam habet pi­ scium caude similem, saporeque eius et specie. Unde et a christianis in ieiu­ nio comeditur. Pars caude ipsius edibilis est, pars usibus interdicta. Resi­ duum autem eis est caro. lpsaque cauda longitudinis cubitalis est, pingue­ dinem multam habens; pedes autem posteriores habet ut anser, etsi maiores et cum unguibus, anteriores autem ut canis. Hec enim illis natura paravit, ut et posterioribus velut avis in aqua nataret, et anterioribus in terra sicut qua­ drupes ambularet 28 •

Forse proprio a questa sottile e un po' furbesca distinzione da golo­ si allude Dante quando colloca i castori . Del resto si può trovare anche qualche traccia dell'attribuzione di questa abitudine alimentare proprio ai Tedeschi. Così ad esempio os­ serva Giraldo Cambrense nella Topographia Hibernie: Unde et in Germania, archoisque regionibus, ubi habundant beveres, cau­ dis huiusmodi, piscium naturam, ut aiunt, tam sapore quam colore sortitis, viri magni et religiosi ieiuniorum tempore pro pisce vescuntur 29 •

Sotto il profilo alimentare occorre osservare poi che non ho trovato in nessun testo la notizia secondo cui il castoro si ciberebbe di pesce, Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, XIX 28. Giraldo Cambrense, Topographia Hibernie, I 21 (cito da J. J. O'Meara, Gi­ raldus Cambrensis in Topographia Hibernie: Text o/ the First Recension, in "Proceed­ ings of the Royal Irish Academy", LII, 1948-50, pp. 113-78, in particolare p. 129) . 28. 29.

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notizia che potrebbe essere almeno una base per giustificare quella della caccia ingannevole che il castoro darebbe ai pesci per cibarse­ ne. Al contrario, le abitudini alimentari riconosciute al castoro sono piuttosto quelle di cibarsi della corteccia e del legno degli alberi. Su tali aspetti alimentari si diffondono a lungo Vincenzo di Beauvais e Tommaso di Cantimpré: saporem habet et speciem cauda sicut piscis, unde in ieiunio comeditur a Christianis. Pars ipius caude esibilis est, pars vero usibus interdicta; resi­ duum autem corporis eius caro est. [. . . ] Castor quidem amaris arborum fo­ liis atque corticibus pro summis deliciis vescitur. Unde fit, ut tota caro eius et si bono, tamen amaro odore perfunditur 3 0 •

In Tommaso di Cantimpré si trova poi una notizia, ripresa anche da Vincenzo di Beauvais, che potrebbe essere utile per intendere l'e­ spressione >, pronto alla sua guerra di­ fensiva contro i cacciatori, diventa il luogo da cui arrivano i cani, e con tale tecnica ingannevole di caccia il castoro è vinto. Tommaso di Cantimpré, De natura rerum, IV 14, 54 (ed. by H. Boese, de Gruyter, Berlin-New York 1973 , p. 117) . 31. Ibid. Cfr. anche Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, XIX 30. 30.

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PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

3 . Tra le tante immagini animali disseminate nell'In/erno, un buon esempio della complessità del bestiario dantesco può essere offerto dalla si militu dine della fenice, nel canto centrale tra qu el li delle Ma­ lebolge: Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avventò un serpente che 'l trafisse là dove 'l collo a le spalle s'annoda. Né O sì tosto mai né I si scrisse, com ' eI s ' accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa e 'n quel medesmo ritornò di butto. Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba né biada in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son !'ultime fasce (Inf , XXIV 97-111) 3 2 •

L'intero episodio della bolgia dei ladri è costruito sul confronto-scon­ tro con la grande poesia classica. E per molti particolari il testo prin­ cipale da cui Dante attinge per le terzine sulla fenice è proprio quel­ lo delle Metamorfosi di Ovidio (xv 392-408) . Ai modelli classici va però aggiunto un altro riferimento, la presenza dei serpenti nell'aldilà islamico 33 • Alcuni paragrafi del Liber Scalae (140, 143 , 196) offrono in­ fatti un numero notevole di riscontri puntu ali: la presenza dei ser­ penti; il loro terribile veleno; il preciso effetto di combustione e in32. Per l'analisi del passo e per ulteriori riferimenti bibliografici cfr. Ledda, Per lo studio del bestiario dantesco, cit., pp. 88-94: riprendo qui rapidamente solo le con­ clusioni di tale lavoro. 33. Cfr. M. Corti, La "Commedia" e l'oltretomba islamico, in Ead., Scritti su Dan­ te e Cavalcanti, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 365-79, in particolare p. 378, e, per ulte­ riori riscontri e più ampie analisi, Ledda, Per lo studio del bestiario dantesco, cit., pp. 91-2. Per il testo del Liber Scalae cfr. E. Cerulli, Il "Libro della Scala }} e la questione delle fonti arabo-spagnole della "Divina Commedia }', Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1949. 103

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cenerimento delle membra che esso provoca sino ali' annientamento del peccatore o alla sua riduzione in cenere; la ricostituzione-rigene­ razione del peccatore nello stato precedente, per essere nuovamente punito. Proprio la combustione e l'incenerimento, e poi la riforma­ zione del peccatore, sono gli elementi che fanno scattare nel testo dantesco l'analogia con la fenice. Pur non citato esplicitamente, il te­ sto escatologico islamico potrebbe forse entrare perciò nella com­ plessa rete intertestuale su cui è costruito l'episodio dantesco. Ma la fenice ha un'ampia presenza e un'importante interpretazio­ ne simbolica anche nell'ambito del bestiario cristiano: già il Fisiologo, il capostipite di questo genere letterario, ne propone l'interpretazione cristologica: 34 • Nel bestiario cristiano la fenice conta in­ numerevoli occorrenze e un'interpretazione univoca e costante, con minime variazioni, come simbolo della resurrezione di Cristo e di quella promessa al cristiano 3 5 • L'uso simbolicamente incongruo di questa immagine come veico­ lo di una similitudine che ha per tenore un dannato infernale può es­ sere compreso nel quadro del fenomeno della parodia sacra, a cui Dan­ te ricorre continuamente nell'Inferno. Il dannato è come una perversa fenice infernale, condannata a incenerirsi e a rinascere all'infinito solo per essere ancora eternamente punita. Se questo tipo di punizione tro­ vava dei paralleli nei testi escatologici islamici, ciò che lì mancava e che segna la superiorità dell'aldilà cristiano e del testo che lo rappresenta è proprio la similitudine con la fenice, che ricorda la resurrezione di Cri­ sto come l'evento che rende possibile la resurrezione del cristiano alla vita eterna e che, parodiata nella fenice infernale, mostra il senso profondo della dannazione come privazione della vera resurrezione. In questa chiave acquistano un senso più pieno anche i supera­ menti rivendicati da Dante nei confronti dei testi classici che men­ zionano serpenti e metamorfosi. Se nella similitudine della fenice l'i34. Physiologus versio B Is, 9, in Marini (a cura di) , Bestiari medievali, cit., pp.

24 - 7.

Per una rassegna dei principali testi cfr. M. M. Besca, La fenice infernale. Una nota su bestiario cristiano e parodia sacra nella bolgia dei ladri (In/ XXI½ 97-III), in "L'Alighieri", LI , n.s. 3 5, 2010, pp. 133 - 52. 3 5.

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PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

mitazione ovidiana è più scoperta, ciò svolge proprio la funzione di rivelare quello che nel testo classico è assente: il valore della fenice come simbolo cristologico della resurrezione alla vita eterna. 4. Un caso altrettanto interessante di intreccio fra bestiario e Meta­

morfosi ovidiane si ha nella similitudine che apre la visione dei dan­ nati nell'ultima bolgia, quella dei falsari: Non credo ch'a veder maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu l' aere sì pien di malizia, che li animali, infino al picciol vermo, cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, si ristorar di seme di formiche; ch'era a veder per quella oscura valle languir li spirti per diverse biche (Inf , XXIX 58-66) .

Dopo la similitudine per accumulo di una serie di veicoli "realisti­ ci" , i malati di Valdichiana, Maremma e Sardegna, in funzione iper­ bolica, posta in apertura della rappresentazione della bolgia (vv. 4650) , si ha qui una nuova similitudine con analoga funzione di rap­ presentazione iperbolica e di superamento 3 6 • In questo caso lo spet­ tacolo desolante dei corpi straziati dai morbi è illustrato attraverso una similitudine mitologica, tratta dalle Metamorfosi (VII 517-660) : la terribile pestilenza che uccise tutti gli animali e gl i esseri umani sul­ l'isola di Egina. Nel testo di Ovidio la storia è raccontata da Eaco, che attribuisce la causa della pestilenza all'ira dell'ingiusta Giunone (vv. 523 - 524) . Tale causa, pur non esplicitata nel testo dantesco, era presupposta nel suo lettore, perciò anche in opposizione ad essa de­ ve essere letto il riferimento alla infallibile giustizia divina poco so­ pra nel canto (vv. 5 5 -57) . Se gli effetti della pestilenza di Egina sono superati dalla realtà della decima bolgia, lo è anche la sua causa, che 36. La struttura complessiva potrebbe essere infatti quella di una figura di lito­ te: «non [. . . ] maggiore» significherebbe "minore"; nelle similitudini del poema dan­ tesco, i veicoli terreni, geografici, storici o mitologici sono spesso superati dalla realtà oltremondana.

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non è più l'ingiusta ira della divinità pagana, ma la giustizia infalli­ bile del Dio cristiano. Dapprima, racconta lo stesso re Eaco nel testo ovidiano, la po­ tenza del morbo si manifestò sugli animali, i cani, gli uccelli, le peco­ re, i buoi, le fiere (Met. , VII 536- 537) . Il poeta latino indugia sui sinto­ mi della malattia e sulle modalità della morte dei singoli animali: i to­ ri, le greggi, i cavalli, i cinghiali, le cerve, gli orsi. Poi vengono colpi­ ti gli uomini, le cui malattie e morti sono descritte con ricchezza di particolari, così come il triste spettacolo dei cadaveri abbandonati in­ sepolti, e da queste descrizioni Dante trarrà diversi elementi che dis­ seminerà nella descrizione della bolgia. Ma quando tutti erano stati uccisi dalla malattia, Eaco, unico sopravvissuto insieme ai suoi tre fi­ gli, vedendo su una quercia sacra a Giove una fila di formiche, stu­ pito per il loro grande numero, pregò il padre Giove che gli conce­ desse di avere nuovamente il suo popolo, tanto numeroso quanto quella fila di formiche. E Giove esaudì la sua preghiera: durante la notte, Eaco vide in sogno la quercia sacra a Giove con i rami pieni di formiche, l'albero tremare e scuotersi, le formiche cadere a terra e trasformarsi in esseri umani. Al risveglio il re trovò la reggia e la città ripopolata di gente 37 • L'espressione

  • indica in Dante tutti gli esseri animati, cioè sia le bestie che gli uomini; tuttavia in Ovidio il termine anima­ lia non appare nella prima parte dell'episodio, quella relativa alla pe­ ste, dove si elencano alcuni degli animali colpiti, ma viene usato solo nella seconda parte, a proposito degli unici animali, tra quelli citati dal poeta latino, non colpiti dalla peste: le formiche (v. 636: ) . Per l'espressione Ovidio non soccorre, in quanto cita come vittime della pestilenza solo una serie di animali di media e grande taglia, mammiferi e uccelli, e i serpenti invece co­ me veicolo del contagio. Nessuna traccia di animali più piccoli, se non le formiche, che però non muoiono. Tutti i commentatori intendono questa aggiunta dantesca come finalizzata a enfatizzare l'universalità degli effetti mortiferi del mor­ bo , col significato: "morirono tutti gli animali, perfino i piccoli ver37. Si tratta di un mito caro a Dante, che lo aveva già citato nel Convivio. Cfr. Conv. , IV 27, 17, dove però Dante non ricorda le formiche. 106

    PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

    mi " . Resta però il problema che questa interpretazione contrasta con la sopravvivenza delle formiche: infatti nel testo ovidiano gli unici piccoli animali citati, le formiche, sono sopravvissuti alla pestilenza, vigorosi e numerosi, e proprio da loro si rigenerano gli esseri umani. Perciò non è possibile che significhi "fino al piccolo ver­ me incluso ", come intendono tutti i commentatori, ma deve necessa­ riamente significare "fino al piccolo verme escluso " , come intende ora Giorgio Inglese nella sua brevissima annotazione, che cita a ri­ scontro di questa possibilità Purg., V 53: >, cioè Lucifero (XXXIV 108 ) , oltre che ai che raccolgono il sangue e le lacrime ai piedi dei pusillanimi del vestibolo infernale (III 69) . Ta­ le allusione al andrebbe invece ad anticipare le im­ magini antropologiche del verme umano destinato a divenire un'an­ gelica farfalla, usate nel Purgatorio: (Purg. , X 124-126) , dove Dante sviluppa un'immagine bi­ blica e agostiniana: 41 • Al contrario del , gli altri esseri viventi dell'isola greca,
  • colpiti dalla pestilenza, sono paragonati ai dannati. Gli uni sono destinati alla morte fisica, gli altri alla dannazione, men­ tre le formiche ovidiane sono prive di un corrispondente nell'inferno dantesco: qui non c'è rinascita, nessuno dei dannati può scampare alla eterna pestilenza infernale per dare origine a una nuova generazione. 5 . La trattazione della bolgia dei falsari è particolarmente ricca di immagini animali. In conclusione di questo stesso canto XXIX, l'al­ chimista e falsatore di metalli Capocchia rivela la sua identità e con­ temporaneamente, per la prim a volta, dichiara in modo esplicito e completo il peccato per cui sono puniti lui e il suo compagno di pe­ na: l'uso dell'alchimia sofistica per falsificare i metalli a scopo di fro­ de. Si autodefinisce poi (Inf, XXIX 133-139) , e questa è l'ultima parola del canto. 41. Agostino, In Johannis Evangelium Tractatus, I 12 (in PL, xxxv, col. 1385). Sui riferimenti danteschi al verme e su questa immagine cfr. P. Camporesi, La carne im­ passibile, Garzanti, Milano 1994, pp. 313-4. 10 8

    PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

    L'immagine della scimmia è posta a conclusione del primo can­ to rel ativo al la bolgi a dei fal satori e costituisce in qual che modo l'emblema animale del loro peccato, perciò il suo valore emblemati­ co va esteso da Capocchia a tutti i peccatori della bolgia. La scim­ mia era una tradizionale immagine animale di i mitazione e contraf­ fazione, di somiglianza falsa e ingannevole 4 2 , e tale attributo era con­ fermato anche da una etimologia raccolta da Isidoro, benché poi da lui respinta, secondo cui nelle scimmie si percepisce una grande 4 3 • Ma se Isidoro respinge questa etimo­ logia, molti autori la raccolgono per buona 44 • Inoltre la scimmia è frequentemente considerata già nell'antichità come una bestia che finge e che pretende di accedere allo stato umano, un essere che cer­ ca di ingannare 45 • E della sua tendenza all'imitazione degli uomini viene data anche un'interessante interpretazione morale. La scimmia significherebbe, infatti, secondo Rabano Mauro, gli uomini astuti e peccatori: 46 • Così, emblema animale per i falsatori, ultima categoria dei frau­ dolenti, la scimmia sembra potersi porre come emblema valido per tutti i peccatori dell'ottavo cerchio, che, in modi e con strumenti di42. Oltre ai passi citati nell'Enciclopedia dantesca, s. v. , e al passo dello stesso Dante, Conv., III 7, 9, va segnalato che anche la tradizione dei bestiari registra que­ sta natura imitativa della scimmia. Cfr. ad esempio il Bestia.ire di Philippe de Thaiin, 1889-92 («Li singe par figure, / si cum dit escripture, / ceo que il vait cuntrefait, / de gent escar si fait») ; Richart de Forniva!, Bestia.ire d'amours, in Morini (a cura di), Be­ stiari medievali, cit., p. 378; Libro della natura degli animali, 11 («la symia è uno ani­ male di cotale natura che ella vuole contrafare ciò che vede fare») ; Brunetto Latini, Tresor, I 19 5 («Singe est une beste qui volontiers contrefait ce que ele voit faire as ho­ me»). Vanno poi tenuti presenti i testi raccolti da Curtius, per mostrare la diffusio­ ne della metafora della scimmia nel senso di "imitazione" o "imitatore". In alcuni dei testi citati dallo studioso tedesco compare poi il sintagma naturae simia o altri esem­ pi di simia con il genitivo della cosa o persona imitata (cfr. E. R. Curtius, Letteratu­ ra europea e Medioevo latino, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1992, pp. 601-3). 43. Isidoro, Etym., II 2, 30: «Alii simias Latino sermone vocatos arbitrantur, eo quod multa in eis similitudo rationis humanae sentitur». 44. Cfr. ad esempio Pseudo-Ugo di San Vittore, De bestiis et aliis rebus, II 12 (in PL, CLXXVII, coli. 62-63). 45. Cfr. J. Voisenet, Betes et hommes dans le monde médiéval. Le bestia.ire des clercs du V au x11e siècle, Brepols, Turnhout 2000, p. 65. 46. Rabano Mauro, De rerum natura, VIII r (in PL, CXI , col. 225). 109

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    versi, hanno usato perversamente l'astuzia della loro mente per alte­ rare la verità allo scopo di ingannare gli altri. 6. Il canto successivo, il XXX, si apre con le due complesse similitu­ dini mitologiche della pazzia di Atamante e di Ecuba, in cui si pre­ senta il superamento di tali episodi ovidiani nella condizione delle anime dei falsari di persona Gianni Schicchi e Mirra, affetti dalla rab­ bia che li porta fuori di sé e li trascina a comportamenti bestiali: essi vagano carponi per la bolgia come porci al pascolo o cani rabbiosi, addentando gli altri dannati. Le prime sette terzine del canto ricor­ dano gli episodi di Atamante e di Ecuba, il primo reso folle per vo­ lontà di Giunone sino ad avventarsi contro la moglie e i figli che scambia nella sua pazzia per una leonessa con i leoncini; la seconda fuori di senno () per la morte dei figli Polissena e Poli­ doro. Solo dopo ventuno versi il lettore può capire che si tratta di vei­ coli di una similitudine, più precisamente di una similitudine per su­ peramento 47 , e gli viene presentata la realtà infernale a cui tali episo­ di mitologici sono comparati: Ma né di Tebe furie né troiane si vider mai in alcun tanto crude, non punger bestie, nonché membra umane, quant ' io vidi in due ombre smorte e nude, che mordendo correvan di quel modo che ' l porco quando del porci! si schiude (Inf , xxx 22-27) .

    L'attacco sottolinea enfaticamente il superamento di qualsiasi precedente da parte della realtà infernale in cui si realizza la divina 4 8 . Del passo si danno due interpretazioni principali. Secondo la prima, le e sarebbero rispettivamente Atamante ed Ecuba, e 47. Per la dinamica del superamento dei modelli classici in questo passo cfr. an­ che M. Picone, L'Ovidio di Dante, in A. A. Iannucci (a cura di), Dante e la "bella sco­ la" della poesia. Autorità e sfida poetica, Longo, Ravenna 1993, pp. 107-44. 48. Per il riferimento all'infallibile giustizia divina cfr. i vv. 55-57 del canto pre­ cedente: «giù ver lo fondo, là 've la ministra / de l' alto Sire infallibil giustizia / puni­ sce i falsador che qui registra». IIO

    PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

    significherebbe perciò "furiosi" , "persone rese furiose dalla pazzia" , mentre varrebbe "crudeli" , "feroci" . L'espressione si riferi­ rebbe quindi al loro infierire: rispettivamente, di Atamante sulla mo­ glie e sui figli, avendoli scambiati nella sua pazzia per una leonessa con i suoi leoncini49 (e questo spiegherebbe l'espressione ) , di Ecuba su Polinestore sino a cavargli gli occhi con le proprie mani nude, come racconta Ovidio 50 • Secondo una nuova interpretazione, avanzata organicamente da Enrico Rebuffat 5 1 sviluppando anche spunti presenti nel nuovo com­ mento di Giorgio Inglese 5 2 , le furie sarebbero invece le stesse Furie, personificazioni del rimorso, della follia furiosa e omicida, le quali pungono, cioè stimolano, provocando in loro sofferenza e atti incon­ sulti, Atamante ed Ecuba, o altri personaggi dei miti tebani o troiani: non solo esseri umani, ma perfino bestie. Tra i vari argomenti a so­ stegno di questa seconda ipotesi, è anche il fatto che secondo il rac­ conto di Ovidio la pazzia di Atamante sarebbe instillata in lui (e nel­ la moglie lno) proprio da una delle Furie, Tisifone, su richiesta di Giunone che per tale motivo era scesa negli inferi 53 • Dalle due possibili interpretazioni della terzina precedente di­ pende anche l'interpretazione di quella che si chiude con la similitu­ dine del . Secondo la prima interpretazione, che identifica le furie con Atamante ed Ecuba, il tenore della similitudine sarebbero le , che infieriscono sugli altri dannati. Ma la presenza di rende più probabile l'interpretazione secon­ do cui il tenore della similitudine sarebbero le Furie che tormentano 49. Cfr. Ovidio, Met., IV 512-520. 50. I vi, XIII 538-564. 51. E. Rebuffat, Furie d'uomini} di bestie} di dannati (In/ XXX 22-27), in " Rivista di Studi danteschi" , XI, 2011, pp. 374-96. Ringrazio l'autore per avermi inviato il suo contributo in lettura prima della pubblicazione. 52. Cfr. Alighieri, Commedia, a cura di G. Inglese, Inferno, cit., p. 335. 53. Cfr. Ovidio, Met., IV 430-512. Si ricordi che le Furie sono poste da Dante a guardia delle mura della città di Dite, insieme a Medusa (Inf , IX 34-63), in un pas­ so che riprende alcuni elementi di quello ovidiano relativo alla discesa agli inferi di Giunone, da cui deriva l'intervento di Tisifone nei confronti di Atamante e Ino: anche nel passo ovidiano le Furie sono poste davanti alle porte del carcere infer­ nale e hanno altri aspetti in comune con la descrizione dantesca (Ovidio, Met., IV 453-4 54) III

    GIUSEPPE LEDDA

    interiormente () queste due ombre provocando la loro e i loro comportamenti aggressivi. Questa seconda similitudine che ora si aggiunge concerne il in cui i due dannati : tale modo è parago­ nato () a quello del maiale che, uscito dal porci­ le, vaga per i pascoli alla ricerca di cibo. Il paragone con il porco, e il fatto che una delle due ombre azzanni Capocchia seduto per terra (vv. 28-30) , fanno pensare che i due furiosi corrano carponi, compor­ tandosi come maiali al pascolo o come cani rabbiosi, mordendo le anime degli altri dannati in cui si imbattono. Alla pazzia si aggiunge dunque un comportamento bestiale, che riprende e varia l' immagine del cane latrante usata poco sopra per Ecuba a partire dal relativo passo ovidiano (v. 20, e Ovidio, Met. , XIII 565- 571) : alla perdita della consapevolezza di sé e della propria umanità si aggiunge l' assunzio­ ne inconsapevole di comportamenti propri di animali. Il riferimento al porco è intensificato dalla figura etimologica - . Sembra qui pertinente il rimando 54 a un passo evangelico in cui si racconta che Gesù libera dalla possessione due indemoniati, espel­ lendo i demoni da loro e facendoli entrare nei maiali che pascolava­ no lì vicino: occurrerunt ei duo habentes daemonia, de monumentis exeuntes, saevi ni­ mis, ita ut nemo posset transire per viam illam. Et ecce clamaverunt, dicen­ tes: Quid nobis, et tibi, lesu fili Dei? Venisti huc ante tempus torquere nos? Erat autem non longe ab illis grex multorum porcorum pascens. Daemones autem rogabant eum, dicentes: Si eiicis nos hinc, mitte nos in grege porco­ rum. Et ait illis: lte. At illi exeuntes abierunt in porcos, et ecce impetu abiit totus grex per praeceps in mare: et mortui sunt in aquis. Pastores autem fu­ gerunt: et venientes in civitatem, nuntiaverunt omnia, et de eis qui daemo­ nia habuerant. Et ecce tota civitas exiit obviam Iesu : et viso eo, rogabant ut transiret a finibus eorum 55 • 54. Il rimando è proposto rapidamente, senza particolari sviluppi, da C. Perrus, Canto XXX, in Giintert, Picene (a cura di), Lectura Dantis Turicensis, vol. I, cit. , pp. 425-36, in particolare p. 427, e nel commento di Merlante e Prandi ad loc. (Dante Ali­ ghieri, La Divina Commedia. Inferno, a cura di R. Merlante, S. Prandi, La Scuola, Brescia 2005, p. 534). 55. Mt 8 , 28-34. L'episodio è raccontato con alcune varianti, tra cui la presenza di un solo indemoniato, anche in Mc 5, 1-20 e Le 8, 26-39. II2

    PER UN BESTIARIO DI MALEBOLGE

    La possessione degli uomini (o di un singolo uomo in Marco e Luca) e poi quella dei porci sono indicate con molte occorrenze del verbo in­ trare e simili e della preposizione in (Mt 8 , 31: ; 32: ; Mc 5, 12: ; 1 3 : ; Le 8, 30: ; 32: ; 3 3 : ) . Ciò potrebbe aver influenzato il doppio dantesco. Dopo aver ricordato casi di Furie che tormentano personaggi del mito rendendoli pazzi per volontà delle divinità pagane, Dante ag­ giunge, attraverso l'immagine del porco al pascolo, quella dei demo­ ni che si impossessano degli uomini e li tormentano spingendoli a comportamenti folli, ma che vengono scacciati da Gesù, il quale ha il potere di farli entrare nei porci. Così queste anime sono come porci indemoniati, posseduti cioè non da Furie pagane ma da demoni che Dio, come Gesù nell'episodio evangelico, ha fatto entrare in loro. In­ fatti nell'inferno i demoni sono strumenti della giustizia divina. E for­ se, come quei porci trascinano l'intero gregge alla morte, così queste ombre, tormentate dal demonio interiore che li rende rabbiosi e paz­ zi, si fanno a loro volta tormentatrici delle altre anime. Perciò nella punizione dei falsari di persone, alla perdita della consapevolezza e dell'identità umana, fino all'assunzione di compor­ tamenti bestiali, che la rabbia provoca in loro, si aggiunge probabil­ mente, con l'allusione al porco, il riferimento alla possessione diabo­ lica, che supera e corregge quella classico- pagana da parte delle Fu­ rie e che qui è piegata a strumento della giustizia divina nell'inferno.

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    Il «sus balteatus» e la bolgia che «assanna»: animali e retorica in Dante di Silvia Finazzi

    Nel secondo libro del De vulgari eloquentia si legge con ogni proba­ bilità la più diretta, nonché efficace definizione dantesca del princi­ pio della convenientia retorica, vale a dire la proprietas espressiva, corrispettivo latino dell'aristotelica X1JQLa: Et cum loquela non aliter sit necessarium instrumentum nostre conceptio­ nis quam equus militis, et optimis militibus optimi conveniant equi, ut dic­ tum est, optimis conceptionibus optima loquela conveniet. [ . . . ] Et ubi dici­ tur quod quilibet suos versus exornare debet in quantum potest, verum es­ se testamur; sed nec bovem epiphiatum nec balteatum suem dicemus ornatum , immo potius deturpatum ridemus illum: est enim exornatio alicuius conve­ nientis additio. Ad illud ubi dicitur quod superiora inferioribus admixta profectum adducunt, dicimus verum esse quando cesset discretio: puta si aurum cum argento conflemus; sed si discretio remanet, inferiora vilescunt: puta cum formose mulieres deformibus admiscentur. Unde cum sententia versificantium semper verbis discretive mixta remaneat, si non fuerit opti­ ma, optimo sociata vulgari non melior sed deterior apparebit, quemadmo­ dum turpis mulier si auro vel serico vestiatur 1 •

    In questo passo, attorno alla decisa affermazione dell'equivalenza tra e (in una formula quale che, tra l'altro, mi pare ricerca­ tamente simmetrica alla nozione di metaphora invalsa presso la trat­ tatistica retorica classica, tardo-antica e medievale, ossia verbi alicuius usurpata translatio) , si genera tutta una serie di immagini vestimentaDe vulgari eloquentia, II 1 , 8-10 (corsivi miei). Per tutte le citazioni tratte dal­ l'opera seguo il testo dell'edizione critica curata da P. V. Mengaldo (Antenore, Pa­ dova 1968) . 1.

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    IL «sus BALTEATUS» E LA BOLGIA CHE «ASSAN�A» : ANIMALI E RETORICA I� DA:\'TE

    rie associate all'ornatus orationis, volte a ribadire la necessità di non , e che rappresentano dal canto loro micro­ esperimenti di variatio rispetto al tradizionale nucleo figurativo- ma­ trice della vestis retorica. Naturalmente, in questa specifica sede, la mia analisi si concen­ trerà soprattutto sull'ironico accenno allo scambio bue-cavallo-maia­ le in relazione alla dignitas dei rispettivi ornamenti, limitato a bue e cavallo nella originaria comparatio oraziana da cui evidentemente ha tratto impulso () 2 , mediata a giudizio ormai pressoché unanime degli studiosi dalle De­ rivationes di Uguccione da Pisa () 3 , introdotta dalla comparatio su ca­ vallo e soldato ( ) e inte­ grata infine da Dante con il grottesco . Sulla trafila Orazio- Uguccione-Dante che concerne il primo seg­ mento della figurazione, complice la possibilità di ricondurre la pecu­ liare forma epiphiatum (attestata da tutti e tre i principali testimoni manoscritti della tradizione del De vulgari eloquentia) 4 agli epyphya di Uguccione, piuttosto che agli ephippia oraziani, gli studiosi concorda­ no ormai piuttosto uniformemente, a partire da Aristide Marigo, nel commento all'edizione da lui curata 5 . Semmai, le più significative di­ vergenze tra gli esegeti si riscontrano proprio sull'autentica valenza Orazio, Epist. , I 14, 43. 3. Uguccione da Pisa, Derivationes, voi. II, a cura di E. Cecchini, G. Arbizzoni, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2004, p. 385. 4. Vale a dire il manoscritto lat. folio 437 della Staatsbibliothek di Berlino, poi nel T iibinger Depots der Berliner Staatsbibliothek della Universitatsbibliothek di T iibingen [ = B] , databile alla metà del XIV secolo e scoperto nel 1917 da Ludwig Ber­ talot (il quale fondò su di esso il proprio testo critico: Friedrichsdorf, Frankfurt 1917, quindi Olschki, Gebennae 1920, seguito un anno dopo dalla cosiddetta editio maior di Pio Rajna, a sua volta già editore del trattato nel 1896, in M. Barbi et al. , a cura di, Le opere di Dante. Testo critico della Società dantesca italiana, Bemporad, Firenze 1921, pp. 317-52), che nella tradizione costituisce da solo un ramo indipendente; il ma­ noscritto 580 della Bibliothèque Civique di Grenoble [ = G] e il manoscritto 1088 del­ la Biblioteca Trivulziana di Milano [ = TI , entrambi da assegnare alla fine del XIV se­ colo, nonché discendenti da un antigrafo comune. 5. Cfr. D. Alighieri, De vulgari eloquentia, ridotto a miglior lezione, commenta­ to e tradotto da A. Marigo, con appendice di aggiornamento a cura di P. G. Ricci, Le Monnier, Firenze 1957 3 , p. 169. 2.

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    figurativa da assegnare all'immagine degli animali adornati usata da Dante in questo passo, laddove è oltretutto sempre lo scambio bue­ cavallo a costituire il principale oggetto di dibattito. Si va infatti dal deciso rinvio alla realtà materiale proposto dallo stesso Marigo ( ; Isidoro, Etym. , XIX 3 3 , 2: ; o dell'Elementarium di Papia: 26 , cui sono facilmente assimilabili anche quelle formulate da altri lessicografi medievali quali Osberno di Gloucester e lo stesso Uguccione 2 7 • Quindi, menzionerei il balteo sinonimo di castità e purezza, sulla scorta di loci scritturali quali ad esempio Es 28 , 4 e 39 , ivi, 39 , 5, dove fi­ gura tra gli ornamenti che designano la consacrazione del sommo sa­ cerdote, e Gb 12, 18, dove è sinonimo dell'autorità terrena dissolta dal­ la potenza divina. Questo impiego andrà ricollegato alla effettiva pos­ sibilità di costituire un ossimoro con il maiale stesso, giacché in base a una pseudo- etimologia il lemma porcus equivarrebbe a spurcus e deri­ verebbe da purus in quanto puro carens 28 • Nell'ambito di questa sotto­ categoria, senz'altro più interessante ai fini del presente studio rispetto a quella precedente, si possono citare a titolo di esempio auctoritates co­ me Agostino, che ribadisce l'equivalenza tra balteo e continentia com­ mentando il succitato luogo di Giobbe () 29 , o nel quale si trovano nozioni del tipo: 30 , inclusa nell'ambito del dualismo tra armi corporali e spirituali, afferente dunque al più ampio motivo topico della pugna spiritualis. Ma anche l'opera enciclopedica di Rabano Mauro, il quale, dopo aver dato conto dell'accezione milita­ re e quindi accludendo diversi loci scritturali, finisce per integrare que­ sta sorta di microrepertorio figurativo del balteo spirituale: 3 1 • Infine, è possibile dare conto del balteo nel contesto metalettera­ rio: la Rhetorica balteata. Una prima, seppur assai labile tangenza in ambito metapoetico tra il balteus e il contesto tecnico- retorico si può forse ravvisare in una comparatio adoperata da una auctoritas come Quintiliano nel discorso dedicato alle partitiones oratoriae, in partico­ lare alla pronuntiatio, per descrivere le forme delle pieghe assunte dal­ la tunica dell'oratore: 3 2 ; da quel medesimo nucleo figurativo, lì appena adombrato ma da con­ nettersi di necessità al motivo portante delle "armi della retorica" , del­ le partitiones viste come fasi di una battaglia 33 , si approda finalmente con Marziano Capella alla descrizione di una Rhetorica balteata: 29. Agostino, Adnotationes in lob, 12 (ed. a cura di L. Carrozzi, V. Tarulli, Città Nuova, Roma 1999). 30. Agostino, Epist. , ccxx 3 (a cura di L. Carrozzi, Città Nuova, Roma 1992 2 ) . 31. Rabano Mauro, De universo, XXI 25 (in PL, CXI, col. 584). A margine di questo filone aggiungerei poi un altro breve accenno al Catholicon di Giovanni Balbi (cfr. Bal­ bi, Catholicon, ed. cit., s.v. balteus) , nel quale si registra un'utile citazione interna del­ l'Aurora seu Biblia versificata di Petrus de Riga, dove compaiono alcuni versi imper­ niati sul balteo spirituale, che riporto qui più estesamente: «Balteus ex bysso tunicam constringit, honeste I factus, plumatum qui sapiebat opus. / Balteus est carnis macies, candorque pudicus. / More levis pluma, guae cor ad alta levant» (In Exod. , 1620-1623; cito da Spicilegium solesmense, complectens sanctorum patrum scriptorumque ecclesia­ sticorum anecdota hactenus, vol. III, éd. par J. -B. Pitra, Didot, Paris 1835, p. 158). 32. Quintiliano, XI 3, 140 (corsivo mio). 33. Del resto, proprio Quintiliano appare particolarmente sensibile a questo to­ pos, tanto che non manca di istituire a più riprese parallelismi tra le diverse partitio­ nes oratorie e le fasi di una battaglia, cfr. soprattutto ivi, IX 1, 20-21. 125

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    Sed dum talibus perturbatur multa terrestrium plebs deorum, ecce quae­ dam sublimissimi corporis ac fiduciae grandioris, vultus etiam decore lucu­ lenta femina insignis ingredietur, cui galeatus vertex ac regali caput maie­ state sertatum, arma in manibus, quibus se vel communire solita vel adver­ sarios vulnerare, fulminea quadam coruscatione renidebant. Subarmalis au­ tem vestis illi peplo quodam circa umeros involuto Latiariter tegebatur, quod omnium figurarum lumine variatum cunctorum schemata praefere­ bat; pectus autem exquisitissimis gemmarum coloribus balteatum 34 •

    In questa rappresentazione si fondono evidentemente sia le compo­ nenti di generico ornatus che di più specifico ornamento militare re­ lative al balteo stesso. Tanto più che, in questo peculiare ambito se­ mantico, se le figure retoriche sono le gemme che ornano il balteo della/ormosa mulier-Rhetorica, Io stile può a sua volta assumere i con­ notati delle phalerae del libello nell'ambito della descrizione di Gram­ matica, all'inizio del terzo libro del De nuptiis: . Una metafora dall'illustre filiera soprattutto in ambito neo­ platonico e, nella fattispecie, chartriano, come ancor meglio si può dedurre dall'immagine impiegata da Alano di Lilla nel prologo del­ l'Anticlaudianus () 3 5 , additata quale unico exemplum da Giovanni di Garlandia per rimar­ care la definizione transuntiva del concetto stesso di stilus 3 6 • 34. Marziano Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, V 426 (a cura di I. Ra­ melli, Bompiani, Milano 2001, corsivi miei). Ininfluente, per lo meno ai fini della pre­ sente analisi, è l'attestazione della variante subbalteatum in parte della tradizione del De nuptiis, un'espressione invero ridondante a breve distanza da un sintagma quale «subarmalem vestem». Tuttavia, per alcune specifiche considerazioni su tale luogo, cfr. J. Willis, De Martiano Capella emendando, Brill, Leiden 1971, p. 39. Per la pre­ senza del raro sostantivo balteatus in Marziano cfr. ora anche De vulgari eloquentia, ed. Fenzi, cit., p. 144. 35. Per alcune considerazioni sul luogo di Alano cfr. L. E. Marshall, Phalerae Poetae and the Prophet's New Words in the "Anticlaudianus" o/Alan o/ Lille, in " Flo­ rilegium", I, 1979, pp. 242-83. 36. Giovanni di Garlandia, Parisiana Poetria, V 86-93: «Item notandum quod " stilus" dicitur transumptive. Est enim stilus medietas columpne, cui supponitur epistilium, cuius inferior pars dicitur basis. Est ergo " stilus" in hoc loco " qualitas carminis" vel " rectitudo" servata per corpus materie [. .. ] Stilus dicitur officium poe­ te, ut in Anticlaudiano: " Autoris mendico stilum phalerasque poete"». 126

    IL «sus BALTEATUS» E LA BOLGIA CHE «ASSAN::\'A» : ANIMALI E RETORICA I:\' DA:\'TE

    Non a caso, l'autentica valenza tecnica e metapoetica dell'immagi­ ne di Marziano appare compresa, e valorizzata in misura se possibile ancor maggiore, dall'esegesi tardo-antica e medievale di ambito neo­ platonico e quindi chartriano. Basti scorrere rapidamente al proposito le glosse di competenti lettori quali Giovanni Scoto Eriugena: 37 ; o Remigio di Auxerre: 3 8 • Pertanto, nel di De vulgari eloquentia, II 1, 9 non si dovrà a mio avviso vedere altro che il doppio speculare, la ben celata , l'effettiva parodizzazione della /or­ mosissima Rhetorica dal , la cui eco si ripercuote fino a coinvolgere il tertium comparationis, la successiva dalla serica veste, che in qualche modo decritta l'intero procedi­ mento transuntivo. Una sovrapposizione, quella tra e personificazione dell'ars rhetorica, che è possibile corroborare ricor­ rendo anche ad altri elementi affini nella tradizione, che giustificano di per sé ogni aspetto della singolare figurazione dantesca. Mi riferi­ sco in primo luogo alla proverbiale espressione, in genere menziona­ ta in forma ellittica, sus Minervam (sottinteso docet), ossia il parados­ sale e grottesco maiale che pretende di insegnare alla dea Minerva 39 • 37. Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre, Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, a cura di I. Ramelli, presentazione di G. Reale, Bom­ piani, Milano 2006, p. 317. 38. lvi, p. 1212. A fianco di Eriugena e Remigio, cfr. inoltre ivi, p. 651, l'ulteriore sottolineatura della metapoeticità del balteus-ornatus nelle glosse dette dell'Anoni­ mo (già attribuite a Dunchad e Martino di Laon). 39. Sull'antichissima e illustre tradizione di questa espressione proverbiale, per la quale, in ambito greco, si può risalire indietro almeno fino a Platone (Lachete, 196d, dove è posta in bocca a Socrate) e Teocrito (Idilli, V 23), basti qui rinviare al­ i' agile sinossi di A. Otto, Die Sprichworter und sprichwortlichen Redensarten der Ro­ mer, Olms, Leipzig 1890, p. 224. Nella letteratura latina, anche con episodi di varia127

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    Un esempio pratico della puntuale applicazione di categorie de­ sunte dalla trattatistica retorica tradizionale, in sede di efficace com­ presenza tra concretizzazione di astratti ed episodi di zoomorfizza­ zione, si può infine ricavare da un impiego traslato del verbo "azzan­ nare" nell'Inferno dantesco. Di più complessa e avanzata articolazio­ ne rispetto ad altre transumptiones verbali affini, che contemplano dunque parziali o totali zoomorfizzazioni di luoghi (basti pensare al > (vv. 98 -99) , riconduce a mio avviso al topos della subsannatio 41 , esplicitamente as­ sociato a questa categoria di peccatori nel De planctu Naturae di Ala­ no di Lilla: tio sulla struttura portante (del tipo docebo sus, de grege porcum, in contesti sempre di derisione dell'ignoranza) , si pensi almeno a Cicerone, De orat., II 233; Acad., I 5; In Pis. , 16; Orazio, Epist., I 4, 16; e persino un'indiretta allusione nella topica autoaccu­ sa proemiale di Boezio , Commentarium in Topica Ciceronis, in PL, LXIV, coli. 10401041 . Tra gli altri cfr. inoltre, sebbene al di fuori di precisi contesti meta poetici, Gi­ rolamo, Epist., XLVI 1 e LVIII 7; Adv. Ruf, I 17 e III 33. 40. A riprova della frequente tendenza dei processi transuntivi danteschi ad ali­ mentarsi vicendevolmente, farei notare come nel quattordicesimo canto del Purga­ torio si ravvisi addirittura una sequenza con triplice attivazione di sedi metaforiche imparentate, ruotanti attorno a referenti figurativi analizzati nel presente contribu­ to: dapprima la translatio suina con funzione di vituperio , ossia la metaforizzazione degli abitanti della valle del Casentino in «brutti porci, più degni di galle I che d' al­ tro cibo fatto in uman uso» ai vv. 43-44. In seconda istanza, la parziale zoomorfizza­ zione di luogo, con l'Arno che sdegnoso «torce il muso» in prossimità dei «ringhio­ si» Aretini ai vv. 47-48. Quindi la concretizzazione di astratto, segnatamente di pro­ cesso mentale, con il verbo " azzannare" al v. 69 («da qual che parte il periglio l'as­ sanni») a designare la paura di un pericolo che " morde" l ' animo. 41. Negli altri casi, ho riscontrato un più circoscritto accenno alla derisione; em­ blematico il caso di Tommaso d'Aquino, che lo inserisce particolarmente in Summa Theol. , II-IIae, q. 75, ossia la Quaestio de derisione. 128

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    Plerisque etenim forinseca dealbatione laudis arrident, quos interna mentis subsannatione derident. Plerosque exterius plausibiliter applaudendo col­ laudant, quos interius contradictoria derisione defraudant. Foris vultu ap­ plaudunt virgineo, intus scorpionis pungunt aculeo. Foris adulationis mel­ litos compluunt imbres, intus detractionis evomunt tempestates 4 2 •

    Il corrispettivo rigorosamente tecnico- teorico del luogo appena cita­ to si può trovare, ancora una volta, nella Rhetorica novissima di Bon­ compagno da Signa, dove si sostanzia di fatto quale transumptio di vi­ tuperio per eccellenza: Subsannatio est ostensio dentium, qui transumptive sanne dicuntur, cum na­ rium corrugatione ac extensionibus labiorum. Subsannatio dicitur a sub et sanno, quia sanne dicuntur esse dentes, qui labiis operiuntur. Nam qui sub­ sannat, labia elevat et dentes ostendit. Subsannator aerem attrahit vel emit­ tit cum ostensione dentium et naribus corrugatis in odium vel vituperium alicuius 43 •

    Da questo medesimo motivo sembrerebbe effettivamente derivare questa sorta di contrappasso aggiuntivo cui sono sottoposte le anime dei seduttori, ruffiani e adulatori in Inf , XVIII: essi mostrano i denti per antonomasia e risiedono in una bolgia che si fa letteralmente "dentata" per azzannarli. Tale peculiare valenza figurativa, pur po­ tendo discendere a livello generale da un dato di tradizione come la somiglianza strutturale tra la cavità dell'abisso infernale e una bocca (o, sarebbe meglio dire, una gola) 44 , viene dunque esplicitata in mo42. Alano di Lilla, De planctu Naturae, XIV 135-140 (si cita dall'edizione a cura di N. M. Ha.ring, in "Studi Medievali", s. III , XIX, 1978, 2, pp. 797-879, in particola­ re pp. 863-4). 43. Boncompagno da Signa, Rhetorica novissima, IX 4, 12-13 e 16. 44. Mi riferisco nello specifico a luoghi, nei quali vengono sempre figurate sin­ gole parti dell'abisso infernale, come In/, XXIV 122-123: «Io piovvi di Toscana, / po­ co tempo è, in questa gola fiera» (nelle parole di Vanni Fucci, in riferimento alla bol­ gia dei ladri); XXVI 40-41: «tal si move ciascuna per la gola I del /osso» (il fondo del­ la bolgia dei consiglieri fraudolenti); e soprattutto Purg., XXI 31-32: «Ond'io fui trat­ to fuor de l'ampia gola I d,in/erno» (espressione con cui Virgilio allude al Limbo), laddove, evidentemente, il diverso lemma applicato non fa leva sul referente figura­ tivo che qui interessa, vale a dire "dente" ( o "sanna "). Per alcune considerazioni sul motivo dell'inferno-bocca, cfr. inoltre supra il contributo di Sonia Gentili, Il mostro divoratore nell } ('In/erno" di Dante: modelli classici. 129

    S ILVIA FI�A ZZI

    do diretto proprio dall'impiego del rarissimo lemma "azzannare" , ed è una circostanza che nella Commedia si verifica, significativamente, soltanto in questo caso. Un simile discorso ben si inserisce nella teo­ ria di Boncompagno, che ha scelto di dedicare un intero capitolo al­ la adulatio proprio nel settore della Rhetorica novissima intitolato De transumptionibus, stabilendo, anche per altre categorie di peccatori, un sistematico nesso tra creazione di transumptiones di vituperio e natura intrinseca del peccato stesso 4 5 • Per chiudere circolarmente il breve percorso qui compiuto, mi pre­ me sottolineare quanto questa dantesca tensione concretizzatrice, che si dispiega in prima istanza nei frequentissimi episodi di traslati incen­ trati su astratti come quello appena esaminato, riveli in nuce il fonda­ mento stesso non soltanto delle similitudines dissimiles di matrice dio­ nisiana su cui è incardinato il sistema figurativo del , ma anche del complementare meccanismo del 46 . In tal modo essa si riaggancia a un'altra antitesi, di carattere metodologico e perciò ancora più profonda, con la concezione retorica ravvisabile, tra gli altri, nel Marziano Capella la cui Rhetorica balteata è stata resa tur­ pis nelle fattezze del : quella tra il medesimo e l', chiosato dall'attento Scoto Eriugena, noto traduttore ed esegeta del corpus dionisiano, come 47 • Il sermo asomatus-incorporeus, in quanto tale, necessita sempre di un habitus, ed è menzionato non a caso nel­ l'incipit del libro III dedicato alla Grammatica, appena dopo la già ri­ cordata allusione al libello concretamente "falerato" del proprio stile.

    45. Per alcuni esempi di «personificazioni "in movimento" di astratti», non cir­ coscritte peraltro unicamente alla rappresentazione di categorie di peccatori, cfr. L. Marcozzi, La "Rhetorica novissima" di Boncompagno da Signa e l'interpretazione di quattro passi della "Commedia'\ in "Rivista di Studi danteschi", IX, 2009, 2, pp. 37089, in particolare pp. 376-9. 46. Purg., X 95. Sulla valenza rigorosamente tecnica di questo altro centrale sin­ tagma dantesco cfr. Ariani, I "metaphorismi", cit., p. 57. 47. Cfr. Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre, Anonimi, Tut­ ti i commenti a Marziano Capella, cit., p. 233. 13 0

    Dante ed Esopo di Luca Marcozzi

    A chi voglia delineare il rapporto intertestuale tra un autore così saldo nella storia e nell'identità come Dante e un ricco e complesso corpus favolistico che varie epoche hanno ascritto al nome dello schiavo fri­ gio, il primo problema che si pone (e che la critica ha talvolta affron­ tato) è comprendere a quale ramo di questa tradizione faccia riferi­ mento Dante nei due luoghi della sua opera in cui cita Esopo: se a quel­ la legata alle raccolte più antiche, spesso fedelmente riprese - quanto a situazioni narrative - nel Medioevo, con interventi solo sugli epi­ miti, o alle sue numerose moralizzazioni e riscritture. Scegliere una di queste due alternative comporterebbe una diversa interpretazione sia del celebre passo all'inizio del canto XXIII dell'Inferno in cui Dante si dichiara rivolto col pensiero alla favola della rana e del topo, sia di al­ tre apparizioni esemplari di animali parlanti nella Commedia. L'in­ terpretazione di quel passo richiede infatti, sotto il profilo storico, che siano messe a fuoco le multiformi tradizioni che sostanziano que­ sto corpus, la loro possibile conoscenza da parte di Dante, e di quali loro stadi e forme: non è impresa semplice né univoca vista la ric­ chezza dei materiali zoepici mediolatini, ma è stata tentata nel passa­ to con grande dedizione da alcuni studiosi, ai risultati delle cui ricer­ che è forse possibile, se non aggiungere dati nuovi, almeno offrire qualche minima giunta. Il rapporto storico e testuale tra Dante e le raccolte esopiche me­ dievali è stato studiato fin dalla fine del XIX secolo ed è stato meglio chiarito negli anni Sessanta del XX; saltuariamente affrontata dagli studi danteschi, invece, è la messa a fuoco dei meccanismi con cui questa produzione favolistica è utilizzata nella Commedia. Inoltre, le possibilità critiche offerte da questa materia sono ancora molto vaste relativamente agli aspetti di esemplarità degli apologhi medievali e al131

    LUCA MARCOZZI

    l'individuazione di quali delle moralizzazioni cui essa era soggetta po­ tessero rientrare nell'orbita culturale e ideologica di Dante. Gli studi sulla materia, come accennato, non sono moltissimi, e ri­ flettono la non estesa, almeno a prima vista, presenza della favolistica classica nella Commedia: dopo il pionieristico studio di McKenzie che, pur con qualche vuoto dovuto alla carenza di fonti medievali (non gli erano noti alcuni volgarizzamenti) , aveva già al principio del secolo scorso inquadrato con correttezza la questione, mi pare che sia la nota di Mandruzzato sull'apologo della rana e del topo nella Commedia 2 , sia il successivo intervento di Giorgio Padoan abbiano raggiunto notevo­ li traguardi storici e interpretativi 3 • A questi si possono aggiungere sal­ tuari interventi su singoli episodi, l'attenzione dedicata a Esopo in va­ rie lecturae di singoli canti 4 , un rinnovato interesse per l'argomento ne­ gli anni recenti, sia con un inquadramento generale della favolistica mediolatina in rapporto a Dante 5, sia con varie rassegne della presen­ za degli apologhi di animali nella letteratura italiana del Trecento 6 ; in­ fine, nei recenti studi sulla presenza del mondo animale in Dante, il cor­ pus esopico medievale è stato tenuto in grande considerazione (J.? enso fra gli altri agli studi di Giuseppe Ledda e Giuseppe Crimi) 7 • E op1,

    K. McKenzie, Dante's References to Aesop, in "Annua! Reports of the Dante Society", XVII , 1898 , pp. 1-14. 2. E. Mandruzzato, L'apologo "della rana e del topo" e Dante (In/ , XXIII, 4-9), in "Studi danteschi", XXIII, 19 55- 56, 2, pp. 147-65. 3. G. Padoan, Il "Liber Esopi" e due episodi dell"'Inferno", in "Studi danteschi", XLI, 1964, pp. 75-102, in particolare pp. 91-102 (poi in Id., Il pio Enea, l'empio Ulisse. Tra­ dizione classica e intendimento medievale in Dante, Longo, Ravenna 1977, pp. 151-69) . Cfr. anche N. M. Larkin, Another Look at Dante's Frog and Mouse, in "Modern Lan­ guage Notes", LXXVII, 1962, pp. 94-9; Id., "Inferno" XXIII, 4-9, Again, ivi, LXXXI, 1966, pp. 8 5-8, per la ricostruzione delle interpretazioni nei commenti storici e moderni. 4. N. Mineo, Lettura di "Inferno" XXIII, in S. Cristaldi, C. Tramontana (a cura di), I.:opera di Dante fra Antichità, Medioevo ed epoca moderna, CUECM , Catania 2008 , pp. 11-69 . 5. J. Varela-Portas de Orduiia, Funci6n y rendimiento de una fdbula de Esopo en la "Divina Commedia" (In/ XXIII I- 9), in }. Paredes (a cura di), Medioevo y literatu­ ra. Actas del V Congreso de la AHL1\1, voi. IV , U niversidad de Granada, Granada 199 5 , pp. 439 - 51 . 6. A. Bisanti, La tradizione favolistica mediolatina nella letteratura italiana dei se­ coli XIV e xv, in "Schede medievali", 24-25, 1993 , pp. 34- 51 . 7. G. Ledda, Per un bestiario dantesco della cecità e della visione. Vedere «non al­ trimenti che per pelle talpe» (Purg. XVII I-3), in G. M. Anselmi et al. (a cura di), Da 1.

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    DA�TE ED ESOPO

    portuno tuttavia sottoporre l'argomento a una nuova verifica, che si concentri in particolare sulle dinamiche retoriche e narrative della presenza di Esopo e di animali legati alla favolistica tra XXII e XXIII canto' dell'Inferno. E perfino superfluo ricordare che quello che Dante chiama Esopo non ha nulla a che vedere con l'autore riscoperto e importato nel Quattrocento in Italia da Bonaccursio pisano, su cui Rinuccio areti­ no insegnava il greco a Lorenzo Valla e Poggio Bracciolini, o che Guarino dava da tradurre a un suo giovane allievo, Ermolao Barba­ ro 8: Dante non conosceva l'Esopo classico, quello che confluirà nel1' Aldina' del 1 50 5 e che oggi leggiamo nei repertori di Chambry o Perry 9 • E superfluo ricordare altresì che il corpus zoepico e degli apologhi mediolatini (e volgari) è più vicino a Fedro che a Esopo, o a quello che del testo di Fedro era potuto transitare per vie oscure e tradizioni sotterranee in ambienti carolingi (Fedro sarà una delle ul­ time scoperte dell'umanesimo , addirittura negli anni Ottanta del Cinquecento, e il suo nome non circola fino a quella data, né il testo, eccezion fatta per una favola presente nella Cornucopia del Perotti) . Il titolo Dante ed Esopo potrebbe dunque essere declinato in Dante e Fedro, o ancora, Dante e il Romulus in prosa, la collezione favoli­ stica di età carolingia 1 0 , e/o Dante e Gualtiero Anglico , cioè la riduDante a Montale. Studi difilologia e critica letteraria in onore di Emilio Pasquini, Ge­ dit, Bologna 200 5, pp. 77-97; Id., La "Commedia )) e il bestiario deltaldilà. Osserva­ zioni sugli animali del "Purgatorio )\ in A. Cottignoli, D. Domini, G. Gruppioni (a cu­ ra di), Dante e la fabbrica della "Commedia )) . Atti del Convegno internazionale di stu­ di (Ravenna I4-I6 settembre 2 006) , Longo, Ravenna 2008 , pp. 139 - 59 ; M. Semola, Dan­ te e t"exemplum )) animale. Il caso deltaquila, in "L'Alighieri", XLIX, n.s. 3 1 , 2008 , pp. 149 - 59; G. Crimi, Baruffe fra demòni nella pece. Lettura del canto ventesimosecondo delt"Inferno )) , in "Scaffale aperto", II, 2011 , pp. 9-60. 8. Cfr. Ermolao Barbaro il Vecchio, Aesopifabulae, a cura di C. Cocco, DARFICLET, Genova 1994, p. 6. 9. D'ora in poi saranno in forma abbreviata: Esope, Fables, texte établi et tra­ duit par E. Chambry, Les Belles Lettres, Paris 1927; Aesopica: A Series of Texts Relat­ ing to Aesop or Ascribed to Him or Closely Connected with the Literary Tradition that Bears His Name, ed. by B. E. Perry, University of Illinois Press, Urbana 2007. Cfr. per una ricognizione sulla tradizione esopica medievale N. Holzberg, Die antike Fa­ bel. Bine Einfiihrung, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2001. ) ) 10. In L. Hervieux, Les fabulistes latins depuis le siècle d Auguste jusqu à la fin du Moyen-Age, val. I, Phèdre et ses anciens imitateurs directs et indirects, Didot, Paris .....

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    zione in distici elegiaci di sessanta favole di quella collezione, com­ piuta nel XII secolo forse dal vescovo di Palermo Gualtiero Anglico e che andava sotto il nome di Liber Aesopi o Esopo latino. Almeno, questa è la conoscenza di Esopo che traspare dalle ope­ re di Dante, dovuta come noto al fatto che parlando dell'inutilità di fare azioni simili a quelle che per proverbio chiameremmo gettare le perle ai porci, egli si riferisce nel Convivio a un Esopo : 11 • La fa­ vola del gallo e della perla, che corrisponde alla Perry 503 e alla III 12 di Fedro, Pullus ad margaritam, occupa il primo posto in quattro col­ lezioni, cioè in tutte le rielaborazioni mediolatine del Romulus 1 2 • Tut­ te e quattro potevano essere note a Dante, anche se il Romulus e la raccolta attribuita a Gualtiero Anglico, cioè le uniche due collezioni citate nella voce Esopo della Enciclopedia dantesca, erano certamente le più diffuse. L'unico di questi testi a recare il termine margarita è il Romulus, che però è in prosa: ciò non impedirebbe tuttavia a Dante di definire Esopo , poiché il prologo del Romulus Io cita co­ me autore di un che Romulus stesso dichiara di aver raccolto per il figlio Tiberino 1 3 • Quindi non è strettamente ne­ cessario che Dante avesse letto il cosiddetto Gualtiero Anglico per­ ché potesse dare una definizione di Esopo come . Gualtiero 1884-94, tomo II, 1894, pp. 564-652. L'Enciclopedia dantesca alla voce dedicata a Eso­ po (C. Kraus, Esopo (Isopo) , in Enciclopedia dantesca, vol. II, Istituto della Enciclo­ pedia italiana, Roma 1970, pp. 279-30), intende prevalentemente questa collezione. rr. Conv. , IV 30, 4. 12. Non solo dunque nelle due versioni citate alla voce Esopo nella Enciclopedia dantesca. Le varie versioni in Der lateinische Asop des Romulus und die Prosa-Fas­ sungen des Phiidrus, kritischer Text mit Kommentar und einleitenden Untersuchun­ gen von G. Thiele, Winter, Heidelberg 1910, pp. 2-7. Dal Romulus in prosa, adatta­ mento delle favole di Fedro probabilmente del V secolo d.C. , si è sviluppata la tra­ dizione medievale che comprende tra gli altri i rifacimenti in prosa del Romulus Vul­ garis (83 favole del IX secolo), il Romulus di Vienna, quello cosiddetto di Nilant (cfr. infra, nota 14), e in versi (il Novus Esopus di Alessandro Neckam, il rifacimento in di­ stici attribuito a Gualtiero Anglico, per cui cfr. infra, nota 17). 13. Nel Romulus la favola del gallo e della perla è interpretata come racconto di Esopo relativo a se stesso ( «Aesopus prior ipse de se fabulam dicit», ivi, p. 8) , circo­ stanza assente in Gualtiero Anglico. Una discussione di questo testo in Bisanti, La tradizione favolistica mediolatina, cit. , p. 37. 1 34

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    Anglico, d'altra parte (o l'autore noto con questo nome) , non è l'u­ nico ad aver rielaborato in distici il Romulus, poiché esistono altre sue redazioni in versi, tra cui il cosiddetto Esopo di Nilant, o di Adema­ ro di Chabannes 1 4 . La particolarità di quest'ultima versione risiede nel fatto che essa è l'unica a citare, nel corpo della favola del gallo e della perla, Esopo stesso, mentre il nome di Esopo, nelle altre colle­ zioni ispirate al Romulus, appare solo nel prologo. Tale circostanza può costituire un debole indizio in favore di una conoscenza diretta da parte di Dante di questa specifica raccolta, ma in definitiva, trat­ tandosi di un genere dai confini autoriali estremamente labili e di complessa e variegata trasmissione, non si può che confermare quan­ to affermato da Bisanti, cioè che effettivamente 1 5 (o anche il Romulus in prosa, si potrebbe aggiungere) . In questo campo dai contorni così mobili e incerti, tutto quello che ' va oltre l'ipotesi non è altro che speculazione. E pur vero però che se aggiungessimo al canone delle possibili conoscenze esopiche di Dan­ te fissato dalla voce eponima dell'Enciclopedia dantesca i moralizza­ tori (Ademaro di Chabannes, Odo di Cheriton e altri) , potremmo trarre qualche indicazione che ci permetta di approssimarci con più ' certezze alla definizione di quel rapporto. E difficile, peraltro, mettere ordine in questa selva, che comprende anche l'Ysopet antico­ francese, quello di Maria di Francia, la ventina di volgarizzamenti ve­ neti e toscani 16 , in una parola una miriade di testi molto simili gli uni agli altri e spesso intrecciati tra loro. Più semplice è ricollegare una eventuale lettura dantesca del corpus favolistico all'istruzione ele­ mentare, come di solito accadeva al suo tempo, anche se la favola del gallo e della perla non è compresa nelle collezioni degli autori di apo14. Il compilatore di una collezione di 67 favole, 38 delle quali appartenenti alla collazione del Romulus e altre 29 per lo più derivanti dalla tradizione indiretta di Fe­ dro, è conosciuto come Anonymus Nilanti a partire dalla prima edizione della colle­ zione pubblicata da J. F. Nilant (Fabulae antiquae ex Phaedro /ere servatis eius verbis desumptae et saluta oratione expositae [. .. ] , Theodorum Haak, Lugduni Batavorum 1709), anche se il manoscritto fu trascritto in parte da Ademaro di Chabannes nel monastero di San Marziale a Limoges attorno al 1025. 15. Bisanti, La tradizione favolistica mediolatina, cit., p. 36. 16. I vi, p. 40. 13 5

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    loghi che risultano essere più popolari nei cataloghi di letture scola­ stiche: Aviano, più fedele a Esopo ma oggetto di discredito nel tardo Medioevo per il suo paganesimo, e il Novus Aesopus (altra raccolta di favole in versi) redatto da Alessandro Neckam. Quanto all'Esopus del cosiddetto Gualtiero Anglico 1 7 , che solo a partire dal Trecento divenne una silloge diffusa e popolare, trasmes­ sa da oltre duecento manoscritti, anch'esso fu utilizz ato come testo di scuola, riuscendo, ma solo all'inizio del XIV secolo, ad affiancare Avia­ no 1 8 . Tuttavia, Gualtiero Anglico è da sempre un autore indiziato per una possibile lettura da parte di Dante, anche perché, oltre alla pre­ senza nella sua raccolta della favola del gallo e della perla, quasi tutti gli esegeti hanno voluto vedere in un suo testo la fonte di Par. , XVII 27, , che deriverebbe dal verso 1 9 , che i commenti antichi vol­ lero tratto a sua volta da Ovidio (qualche dubbio sulla derivazione da Gualtiero Anglico è stato però espresso di recente da Robert Hol17. La questione della paternità è assai discussa. Alcuni preferiscono identifi­ carlo come Anonymus Neveleti, soprattutto gli studiosi tedeschi, dal nome dell'e­ ditore della raccolta quattrocentesca. L'identificazione con Walter Offamill, arci­ vescovo di Palermo, risale a Hervieux. Per l'intera questione cfr. Bisanti, La tradi­ zione favolistica mediolatina, cit., p. 34 e note I e 2; F. Bertini, Gli animali nella fa­ volistica latina dal "Romulus'' al secolo XII, in L'uomo di fronte al mondo animale nell'Alto Medioevo. Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'Alto Me­ dioevo, XXXI, Centro italiano di studi sull'Alto medioevo, Spoleto 198 5, vol. II , pp. 1031-51, in particolare p. 1036. Bertini ricorda come siano dedicate agli animali (e alle loro moralizzazioni) il sesto giorno dell' Exameron di Ambrogio, il finale della prosa IV 3 di Boezio, il finale del prologo in versi del libro XI dell' Historia ecclesia­ stica di Orderico Vitale, il libro XII delle Etymologiae di Isidoro, ricostruendo co­ sì una tradizione faunetica "alta" che interagisce con quella popolare, esopica o en­ ciclopedica. 18. La fonte di Gualtiero è la recensio gallicana del Romulus, la cui prosa ele­ mentare diventa assai brillante nei suoi distici. Il testo si guadagna un posto di tutto rilievo nei curricula di studio elementare del latino e subisce moltissimi commenti e moralizzazioni (cfr. The Fables of "Walter of England" Edited from Wol/enbuttel Her­ zog August Bibliothek, Codex Guel/erbytanus I85 Helmstadiensis, ed. by E. Wright, Centre for Medieval Studies by the Pontificai Institute of Mediaeval Studies, To­ ronto 1997, p. 3). In seguito, ai primordi della stampa la raccolta sarà pubblicata in oltre trenta incunaboli. 19. Cfr. A. Bisanti, Nota a Gualtiero Anglico, "Aesopus", 20, Io, in " Mittellateini­ sches Jahrbuch", XXXV, 2000, pp. 77-80. 136

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    lander nel suo commento) 2 0 • Q uanto alla derivazione dalla favola gualteriana De iuvene et Thaide dell'episodio dantesco dell'omonima lusingatrice, proposta da Padoan, la critica ha espresso più di un dub­ bio, a partire da Raimondi in quanto altre fonti più comuni della vicenda sono ben note a Dante. Effettivamente, in una situazione molto fluida e in un canone ben poco autorial e come quel l o del l a zoepica l atina medieval e, Gualtiero Anglico non è certo l'unico Esopo in versi o in prosa pur­ chessia, da cui Dante possa aver tratto ispirazione, né è certo, come visto, che con Dante faccia riferimento ali'Esopo a lui attribuito. L'altra citazione esplicita che Dante compie del corpus esopico mediolatino è alla favola della rana che si offre di aiutare il topo ad attraversare un fossato ricolmo d'acqua e cerca di farlo annegare, dopodiché entrambi sono ghermiti da un rapace. Ciò avviene all'i­ nizio del canto XXIII dell'Inferno, in cui Dante, riandando con la me­ moria ali'episodio di poco precedente in cui Alichino e Calcabrina erano caduti avvinghiati nella pece, ricorda la favola di Esopo, ri­ chiamata forse anche nella prospettiva di un mutamento di tono do­ po l'esplosione di comicità della rissa tra i diavoli e di un ritorno a un registro più letterario, e anche forse per fornire a quell'episodio una riflessione di carattere morale. Nel passaggio in questione, il si­ lenzio dei due viandanti subentra al caos e alle urla della scena pre­ cedente: ciò contribuisce a creare un momento di pausa nell'azione che dà agio al pellegrino di tornare con la memoria a un'antica l et­ tura, e al poeta di chiosare con una morale calzante quanto descrit2

    1,

    20. Cfr. il commento ad loc. Fu Vandelli (nel commento Scartazzini, Vandelli, Hoepli, Milano 1955 16 , al v. 27) a togliere la paternità del verso a Ovidio e a riferirlo a Gualtiero Anglico: cfr. M. Chiamenti, Dante Alighieri traduttore, Le Lettere, Firenze 1995, p. 188. R. Hollander, facendo riferimento a una comunicazione di Mario Aversa­ no (Dante daccapo, s.e., s.l. 2001, p. 72), riconduce nel suo commento il verso alle Ome­ lie di Gregorio Magno (Le 21, 9-19): «Minus enim iacula feriunt guae praevidentur». 21. E. Raimondi, Noterei/a dantesca (a proposito di Taide), in "Lettere italiane", XVII, 1965, pp. 443-6 (poi, col titolo Dalla Bibbia a Taide, in Id., Meta/ora e storia. Stu­ di su Dante e Petrarca, Einaudi, Torino 1970, pp. 199-207, da cui si cita; nell'edizione 2008, pp. 245-53), ricorda come già Benvenuto da Imola aveva messo in relazione l'e­ pisodio di Taide (uno di quelli citati da Padoan, sulla base della favola De iuvene et Thaide di Gualtiero Anglico) con «iuvenem de quo scribit Aesopus» (p. 204). 1 37

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    to in precedenza. Il paragone tra la rissa e la favola di Esopo ha dun­ que la funzione di concludere l'intrusione nel mondo animalesco­ diabolico e di terminare il quadretto comico- realistico con una sor­ ta di epimitio figurato che riapra al discorso poetico la possibilità di ricercare l'astrazione e l'esemplarità che nella parte finale del canto precedente, tutto dedicato al demoniaco, e quindi totalmen­ te narrativo, sono forzatamente venute meno. In pratica, l'inizio del canto nuovo fornisce la conclusione morale del precedente, e spie­ ga quel che l'episodio dei diavoli insegna: Taciti, soli, sanza compagnia n' andavam l'un dinanzi e l'altro dopo, come frati minor vanno per via. Vòlt' era in su la favola d'Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov' el parlò de la rana e del topo ché più non si pareggia «mo>> e «issa>> che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia principio e fine con la mente fissa (Jnf , XXIII 1-9 ) .

    La scena precedente e la favola di Esopo si equivalgono, se uno ben riguarda, come equivale a . La critica ha variamente in­ terpretato il nesso , e la mia impressione è che essi si riferiscano a inizio e fine della favola, cioè a promitio ed epimitio, ovvero i due luoghi in cui più significativo è il discorso morale nella zoepica, quelli separati dalla narrazione degli eventi, a cui ora, dopo la pausa comica e narrativa, è bene che il lettore rivolga di nuovo l'at­ tenzione. In questo caso, il tertium comparationis di cui il paragone tra la rissa e la favola sembrerebbe a prima vista privo potrebbe es­ sere indicato nella moralità stessa, qualità in comune all'apologo e al1'episodio dei diavoli, presente nel principio e nel fine dell'uno e (ora) alla fine dell'altro. In pratica, Dante ha scritto una nuova favola, quel­ la di Alichino, Calcabrina e Ciampolo, e vuole far comprendere al let­ tore l'analogia tematica e morale tra la sua invenzione e l'ipotesto di riferimento, cui la compara. La favola del topo e della rana è la Perry 384 ( Chambry 244) , di origine fedriana, che reitera l'esordio della Batracomiomachia. Oltre che nel Romulus e nelle sue varie versioni in prosa e in versi, e ov138

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    viamente in Gualtiero Anglico 2 2 , si trova anche in Odo di Cheriton - un autore di recente chiamato in causa per un exemplum dante­ sco 2 3 - , ove per giunta il Milvus della favola è moralizzato nel dia­ volo che si porta via, in quel caso, il parroco e la parrocchia 24 . La fa­ vola è anche in Alessandro Neckam. C'è tra le varie versioni, come sempre, qualche differenza, perché nel Romulus il topo è afferrato quando è ancora vivo, mentre in Ademaro di Chabannes e in Ales­ sandro Neckam è catturato già morto, dal che deriva in questi ulti­ mi un epimitio maggiormente incentrato sul tema del tradimento di chi si fida 2 5 • La vicenda creata da Dante attorno a due nuovi prota­ gonisti, non più animali ma diavoli, si differenzia però in molti par­ ticolari da quelle narrate nel corpus zoepico, e l' analogia tra l' una e le altre non è sempre risultata evidente né chiara, fin dal secolare commento 26 • Soprattutto, non è chiaro chi faccia la fine del topo: se­ condo alcuni sarebbe Ciampolo, ma altri accostano il peccatore alla rana loquace. Dall' equazione tra la rissa tra i diavoli e la favola di Esopo, poi, , scaturisce immediatamente in Dante, un altro pensiero, il timore cioè di essere afferrato dai Malebranche appena scherniti e '

    22. E la favola 3, De mure et rana, nell'edizione Gualtiero Anglico, Uomini e bestie. Le favole dell"'Aesopus Latinus1 testo latino con una traduzione-rifacimento del Trecento in volgare toscano a cura di S. Boldrini, Argo, Lecce 1994, p. 37. Nel com­ mento tardo-medievale di Wolfenbiittel pubblicato da Wright (The Fables o/ "Wal­ ter o/ England11, cit., pp. 30-1), la favola è interpretata come un invito alla cautela a fronte di false promesse e a usare molta attenzione nel credere al prossimo, poiché molti promettono di giovare ma finiscono per nuocere: «appollogus [. . .] docet nos diligenter providere cui credamus». Ove mai questo epimitio fosse alluso esso po­ trebbe riferirsi molto meglio ai diavoli che a Virgilio, in quanto con false parole essi avevano tentato di ingannare entrambi i pellegrini. . 23. Semo1a, Dante e l)"exemplum)), c1t. 24. «Contra stultos rectores. Mus semel voluit transire aquam et rogavit Ranam quod eam transmearet. Ait Rana: Liga te ad tibiam; sic ducam te ultra. Qui sic fecit. Et venit Milvus et asportavit utrumque. Hoc est quando parochia data est alicui stul­ to et insul/icientz�· venit Diabolus et asporta! utrumque capellanum et paroch[i]am» (in Hervieux, Les fabulistes latins, cit., vol. IV, Eudes de Cheriton et ses dérivés, Didot, Paris 1896, p. 195). 25. Edito in A. Neckam, Novus Aesopus, a cura di G. Garbugino, vol. VI, DARFICLET , Genova 1987, p. 65, ma senza promitio. L'epimitio (vv. 11-12) suona: «Quisquis credentem sibi prodit, proditur; ille, / sicut rana suo iure perit laqueo». 26. Cfr. Mandruzzato, I:apologo "della rana e del topo11, cit., pp. 155 ss. 1

    ,

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    abbandonati 2 7 ; in questo caso il paragone con la favola d'Esopo ser­ ve a collegare l'episodio precedente della rissa e della caduta nella pe­ ce dei due diavoli con il timore, da cui Dante è colto, di fare la fine del topo ghermito dal nibbio. Questo pensiero la paura di Dante. Secondo alcuni commenti Dante personaggio si spaventa perché percepisce che Virgilio, verso il quale sta per perdere la fidu­ cia, non lo ha tutelato e lo ha esposto alle insidie dei diavoli, forse per ipocrisia 2 8 • Il tema del tradimento dei compagni è in effetti presente negli epimiti di questa favola, in Alessandro Neckam e in particolare nel Romulus, la cui morale è: . Secondo una lettura di Robert Hollander, nella mente di Dante l'associazione immediata tra quanto ha visto e quanto paventa, attra­ verso la favola di Esopo che collega la scena osservata e quella im­ maginata per il futuro, trasforma ideal mente il diavol o in nibbio, Dante in topo e Virgilio in rana 29 • Risulta difficile però collegare la rana a Virgilio, perché nella favola di Gualtiero Anglico essa non è né imprudente né ipocrita, semplicemente inganna il topo con dolo e in­ tenzione, facendo ricorso, afferma il volgarizzamento della fine del Trecento, a una che > (in Her­ vieux, Les /abulistes latins, cit., vol. I, cit., tomo II , p. 567).

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    vola e quale tipo di interpretazione lì se ne dava è un passaggio deci­ sivo per l'esegesi del brano. Del contributo di Padoan merita di essere ricordato anche il rilievo offerto alle "premonizioni" animali che percorrono il canto XXII e che culminano nell'apologo esopico, cioè rane, sorci e falconi, usati come termini di comparazione (cui si può aggiungere un altro animale prota­ gonista di favole, il di XXII 19 ) . A quanto registrato in tal sen­ so da Padoan possono essere allegati ora due ulteriori elementi: il pri­ mo è il riferimento a una moralizzazione tardo-medievale di Gualtiero Anglico non priva di interesse, che quando Padoan scrisse il suo saggio era inedita e che tutto sommato non è troppo peregrina se consideria­ mo l'orizzonte culturale di Dante e la fioritura di commenti e moraliz­ zazioni relativi a testi di diversi favolisti, in particolare Aviano e Gual­ tiero Anglico 34 • Secondo questa interpretazione morale della favola, il topo corrisponde all'anima, naturalmente inclinata al bene e al ritorno al regno celeste dal quale proviene, la rana al corpo, dedito a varie oc­ cupazioni terrene; il corpo con la sua sensualitas promette ali'anima la sicurezza nelle cose temporali, ma a prezzo della salvezza eterna. S e il corpo e l'anima si attardano nella lotta, , che ghermisce entrambi e li getta 35 • Oltre questa moralizzazione c'è anche una della favola, più ordinaria, relativa a come guardarsi dagli inganni. Questa moralizza­ zione non è isolata 36 , assume anzi un carattere sistematico se la si fa in­ teragire con gli apologhi faunetici presenti nei testi di predicatori e con altre letture di carattere morale come quelle indicate da Giuseppe Cri­ mi nella sua recente lectura del canto XXII dell'In/erno 37• 34. Cfr. The Fables of "Walter of Englandn , cit., p. ro. Benché il commento sia unico, alcune delle spiegazioni spirituali trovano paralleli in altri commenti fram­ mentari o glosse manoscritte, in interpretazioni spirituali che insistono sulla natura metaforica ed esemplare delle favole e si servono di una modalità allegorica. 35. Ivi, p. 31: «Moraliter per murem intellige animam, que ad bonum naturaliter est inclinata et ad regna celestia, unde exivit nititur transvolare. Per ranam intellige corpus hominis, quod in presenti munda variis occupacionibus est inherens. Sicut enim rana muri promiserat ipsum per lacum ducere, licet pretendebat dolum, sic enim corpus hominis et sensualitas anime promittit securitatem in istis temporalibus, in qui­ bus non est salus. Dicit enim Apostolus: Caro enim concupiscit adversus spiritum et spiritus adversus carnem. Tandem ipsis sic luctantibus supervenit milvus, id est dia­ bolus, qui rapit utrumque corpus et animam proiciendo in profundum infernum». 36. Cfr. Mandruzzato, L'apologo "della rana e del topo", cit., pp. 151-3. 37. Rimando a Crimi, Baruffe fra demòni nella pece, cit. 1 43

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    Un altro fattore che potrebbe accrescere il dossier esopico di que­ sto episodio è costituito dalla tematizzazione animale presente nello stesso canto XXII, che precorre e anticipa la dichiarazione dantesca di identità tra le due favole, quella d'Esopo e quella della Commedia. Tra i numerosi animali ch e appaiono nel canto, spesso usati come ter­ mini di una comparazione, almeno due potrebbero alludere ad apo­ loghi del corpus esopico: il cinghiale e, per l'appunto, il topo tra i gat­ ti. La comparazione tra la rissa dei diavoli e la favola esopica, infatti, è preannunciata non solo dall'immagine delle rane, del sorcio e del nibbio nel canto XXII, ma anche dalla tematizzazione zoepica di al­ cune immagini dello stesso canto, che sono immediatamente prece­ denti alla descrizione della scena della rissa tra i diavoli. I versi che potrebbero avere un antecedente favolistico, o quanto meno risenti­ re di un riflesso faunetico, sono i 55- 58 del canto XXII, > povero e della propria sostanza a , alla cui corte inizia a fare baratte­ ria. I parallelismi fra il tragitto umano di Ciampolo e quello del topo di campagna della favola sono evidenti. Entrambi passano da una si­ tuazione di disagio e di povertà in cui, per mantenere la metafora nu-

    DA�TE ED ESOPO

    trizionale, c'era poco da rosicchiare, a un lauto desco. Ciampolo, da umile servo di un modesto signorotto di provincia - tanto modesto che non ne conosciamo il nome - diventa cortigiano del re di N avar­ ra (Tebaldo II, 1253-1270) presso il quale, approfittando della sua po­ sizione, esercitò la baratteria. Dunque, dopo aver descritto il suo iter dalla povertà ali' agio, dalla campagna alla città, da una piccola e ma­ landata corte periferica a quella ben più ricca del re, che gli diede oc­ casione di praticare il peccato che lo avrebbe perduto, egli è parago­ nato da un diretto intervento morale dell'autore, quasi un epimitio a conclusione della narrazione della sua storia, a un topo giunto tra gat­ ti diabolici e malvagi. Perché Dante ha scelto, tra i molti possibili, proprio questo rife­ rimento al mondo animale per designare il barattiere? Perché questa allusione potesse mettere in parallelo il tragitto esistenziale delineato da Ciampolo con la favola del topo di campagna e le sue moralizza­ zioni ammonitrici contro il, facile guadagno e le tentazioni che le circostanze apparecchiano ? E proprio l'alta concentrazione di riferimenti al corpus esopico presente nel canto - che abbiamo parcamen­ te annotato ma per la cui completa escussione rimandiamo ai com­ menti e agli studi in precedenza citati - a rendere plausibile una si­ mile ipotesi. Difficile, dato il contesto, non vedere nell'implicito pa­ ragone tra Ciampolo e il topo un'allusione agli apologhi di animali e ai significati morali che essi veicolano: immediatamente dopo questo episodio, all'inizio del canto successivo, un misterioso personaggio fa la fine del sorcio nella favola richiamata da Dante, e sono questi gli unici due topi presenti nella Commedia e anzi nell'intera opera dan­ tesca. L'identità tra Ciampolo e il topo, dunque, potrebbe far riferi­ mento alla sua vicenda terrena, alla sua ambizione, al desiderio di ar­ ricchirsi a prezzo della salvezza, mentre il paragone zoepico all' esor­ dio del canto successivo potrebbe avere la funzione di rafforzare le indicazioni morali dell'episodio precedente ed estenderle al prosie­ guo del racconto.

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    Il bestiario moralizzato di Dante e la fisiognomica di Éva Vigh La Natura constituisce il corpo secondo l'anima, e gli dà quelli instrumenti, de' quali ella ha bisogno di ser­ virsene, e mostra nell'immagin del corpo quella del1' anima, acciò da quella l'una dia saggio dell'altra. G. B. Della Porta, Della/isonomia dell'huomo, Proemio, ed. 1610

    Gli animali della Commedia si presentano in una ricca galleria in cui fungono da figure retoriche e/o concetti morali: ora il linguag­ gio espressivo ora l'intento morale prendono il sopravvento a se­ conda di un calcolo poetico ben ponderato. Considerati i limi ti del­ lo spazio a me concessi, devo prescindere da un esaustivo censi­ mento di tali presenze, o da un inventario classificatorio che pro­ vocherebbe distinzioni e criteri metodologici: quindi, questa volta mi accingo a richi amare l 'attenzione su alcune figure zoonime o zoomorfe che, compl etate con delle osservazi oni fisiognomiche, trasmettono concezioni o giudizi morali . Collegare la fisiognomica e il mondo ani male risulta essere produttivo considerando il fatto che quest'antica scienza, che mira a individuare il carattere e le in­ clinazioni di una persona attraverso i segni del corpo e del compor­ tamento, sin da tempi remoti utilizza le osservazioni zoomorfe come un rapporto di analogie per far congetture sul carattere e l'indole di una persona. I

    Fra i tanti contributi importanti rinvio ovviamente al volume di R. T. Hol­ brook, Dante and the Anima! Kingdom, Columbia University Press-Macmillan, New York-London 1902, accessibile anche in edd. anast. (per esempio: Ams Press, New York 1966) e anche in forma elettronica; nonché al Liber monstrorum de di­ versis generibus. Libro delle mirabili difformità, a cura di C. Bologna, Bompiani, Milano 1977. Per uno studio recente che offre un repertorio ipertestuale cfr. V. Mouchet, Il "Bestiario" di Dante e di Petrarca. Repertorio ipertestuale delle occor­ renze zoonime nella "Commedia" e nei "Rerum vulgarium /ragmenta", Spolia, Fre­ gene 2008. 1.

    IL BESTIARIO MORALIZZATO DI DA�TE E LA FISIOGNOMICA

    Prima di delineare la presenza alquanto plastica di alcune bestie nella Commedia, simulacri di moralità e identificabili anche dal pun­ to di vista fisiognomico, è doveroso prestare attenzione ad alcuni trat­ tati e manuali di fisiognomica, opere conosciute e presenti nel sapere collettivo anche ai tempi di Dante. La sempre più vasta circolazione di queste opere, infatti, dimostra la presenza della fisiognomica nella cultura medievale dopo un lungo plurisecolare silenzio. Nella tradi­ zione scolastica, come pratica propriamente didattica, la fisiognomica non compare fino al XII secolo, e comincia ad acquistare una certa im­ portanza solo tra il Due e il Trecento, quando veniva gradualmente as­ sorbita nella sapienza medievale come parte integrante di un proces­ so ideologico- culturale, collegandosi ad altre scienze ed arti Gli antichi trattati di fisiognomica, con il risveglio della tradizio­ ne greco-latina tramite la cultura araba, venivano reinseriti nel pen­ siero europeo con un crescendo sempre più percepibile. I due trat­ tati più conosciuti (il testo dello Pseudo-Aristotele, IV secolo a.C., e quello dell'Anonimo Latino, I\T secolo d.C.) , fonti di tanti altri scritti di fisiognomica medievali, sono concordi nel fatto che per la cono­ scenza del carattere di una persona è possibile fare deduzioni in ba­ se a un confronto con gli animali. La Physiognomonika pseudoari­ stotelica 3 comincia con una precisazione metodologica, descrivendo i tre approcci della congettura fisiognomica: 2



    Quanti in precedenza si occuparono di fisiognomica seguirono rispettiva­ mente tre metodi. Alcuni fanno della fisiognomica partendo dalle specie de­ gli animali, determinando per ciascuna specie un dato aspetto di animale e un suo temperamento. [ ...] Altri poi seguivano questo stesso criterio, ma nella loro indagine non partivano dagli animali, ma dal genere umano stes­ so, distinguendo secondo le razze, quante differiscono per aspetto e carat­ tere, come ad esempio Egizi, Traci e Sciti, e similmente facevano una rac­ colta dei tratti distintivi. Altri ancora poi, partendo dalle caratteristiche este­ riori, elencarono a quale disposizione d'animo ciascuna caratteristica fosse A proposito della tradizione scolastica e medievale in genere, cfr. J. Agrimi, Ingeniosa scientia nature. Studi sulla fisiognomica medievale, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 200 2. 3. La Fisiognomica è la più antica trattazione sistematica che ci è pervenuta sot­ to il nome di Aristotele: composta presumibilmente nel IV secolo a.C., fu tradotta in latino nel XIII secolo da Bartolomeo da Messina. 2.

    ÉVA VfGH

    connessa, così per l'irascibile, il pauroso, il sensuale e così via per ciascuna di tutte le altre affezioni 4 •

    Il metodo zoologico, etnologico ed etologico si tramanda pratica­ mente intatto fino ai secoli XV-XVI e i tre approcci metodologici, com­ pletati con osservazioni fisiologiche, astrologiche e climatiche, offri­ vano una descrizione caratteriale assai affidabile. Il De physiognomo­ nia liber dell'Anonimo Latino 5 , a sua volta, afferma: gli antichi hanno stabilito tre metodi secondo i quali fare fisiognomica. In­ fatti dopo aver fissato in precedenza le caratteristiche dei popoli e delle na­ zioni, riconducevano i singoli individui alla somiglianza con questi [ . . . ] Con l'andar del tempo poi si è fatto della fisiognomica secondo il metodo del1' osservazione del volto o dello stato fisico corrispondente ai vari stati d' a­ nimo, dell'osservazione cioè di quale fosse il volto di chi è irato, pensieroso, pauroso, amante dei piaceri sessuali, furibondo. [ . . . ] Come terzo metodo si aggiunse quello di pronunciarsi sull'animo degli uomini istituendo un con­ fronto con gli animali. Questa via è sembrata più sicura e più facile, anche se non per questo si sono tralasciate le precedenti. E così moltissimi segni si riconducono al confronto con gli animali 6 •

    Il De physiognomonia liber di Marco Antonio Palemone (88-144 d.C.), originariamente scritto in greco ma pervenutoci in forma frammen­ taria e tradotto in latino dagli arabi 7 , era un ricco repertorio per gli autori medievali e per lo stesso Anonimo Latino, con speciale ri­ guardo al secondo capitolo, dedicato ai segni caratteriali degli ani­ mali in base al loro aspetto, 4. Pseudo-Aristotele, Fisiognomica, a cura di G. Raina, Rizzoli, Milano 2001,

    805a 19-23; 27-31. 5. Il compendio di un autore anonimo del IV sec. d.C., proposto come manuale di ampia divulgazione, ebbe una certa circolazione dall'inizio del XII secolo in poi. Per le problematiche linguistiche e cronologiche del trattato rimando all'Introduzio­ ne di J. André, in Anonyme latin} Traité de Physiognomonie, texte établi, traduit et commenté par J. André, Les Belles Lettres, Paris 1981. 6. Anonimo Latino, De physiognomonia liber, a cura di G. Raina, Rizzoli, Mila­ no 2001, par. 9. 7. Per un'attenta presentazione e valutazione delle versioni del testo di Pale­ mone in varie lingue e culture, e della sua influenza, nonché per la storia della fisio­ gnomica nel mondo greco-romano e islamico, cfr. S. Swain (ed.), Seeing the Pace} Seeing the Soul.- Polemon's "Physiognomy }} /rom Classica! Antiquity to Medieval Islam, Oxford University Press, Oxford-New York 2007.

    IL BESTIARIO MORALIZZATO DI DA�TE E LA FISIOGNOMICA

    quo commemorat, quae similitudines intercedant inter hominem et cetera animantia, quadrupedes, aves et cetera quae in terra repunt; in quibus di­ noscatur masculinum et femininum; neque enim te quempiam videre, cui non sit similitudo bestiae, cuius indolem in homine indoli bestiae similem adparere; quam sit igitur necesse ut eam in homine definias 8 •

    Considerando i testi arabi, uno dei più diffusi era il secondo libro del Liber ad Almansorem di Rhazes 9 , che circolava nel Medioevo sotto il titolo Physiognomonia come trattato autonomo, e offre una sintesi della fisiognomica dello Pseudo-Aristotele, di Palemone e delle no­ zioni fisiologico-mediche di Galeno Alla base della palingenesi europea della fisiognomica, oltre alle opere succitate, si trovano alcuni lavori composti nel Duecento che sono ben determinati nel loro contesto storico-culturale, grazie ad al­ cuni autori attivi in ambito universitario o cortigiano, i quali in mo­ do sistematico si dedicarono alla teoria fisiognomica servendosi ap­ punto della tradizione greco-araba. Michele Scoto, eccellente tradut­ tore e commentatore di testi aristotelici e arabi, nonché astrologo e medico di Federico II, era l'autore del Liber Phisionomiae, il primo vero libro di fisiognomica nel Medioevo europeo. Scoto, apostrofato da Dante 11 come uno > 1 9 . Avendo la pelle maculata e avendo 20 . Tutta la descrizione fisica della pantera, infatti, mette in risalto la mancanza dell'equilibrio: muso piccolo, bocca grande, petto stretto, dorso largo e così via evidenziano appunto il difetto rispetto al giu­ sto mezzo, la mesotes aristotelica. Anche il colore degli occhi ha uno dei due estremi nella scala cromatica antica, o molto chiaro o scuro, il che indica, a sua volta, la mancanza di medietà. Considerando la pantera, pur riconoscendone la bellezza, Palemone pone l'accento su caratteristiche esclusivamente negative: 21 . L'Anonimo Latino, in base al rapporto di analogia fra uomo e animale, ritiene 22 . I trattati di fisiognomica medievali riprendono la formula preva­ lentemente negativa della pantera-pardo-lonza. Ciò viene largamen­ te dimostrato ancora nel secolo XVI da Della Porta, autore di maggior fama e competenza in questione di fisiognomica. Egli, sintetizzando le sue fonti, dopo la lunga descrizione fisica del pardo (cfr. FIG. 1 ) , ar­ riva alla conclusione morale: La faccia del Leopardo è delicata; ma è orgoglioso, e pien di fraude e d'in­ sidie, et in un medesimo tempo è audace e pauroso; la sua figura convien a' ' suoi costumi. [ . . .] E senza misura, e di costumi delicati e molli; orgoglioso, pieno d'insidie e di fraude, insiememente pauroso et audace 3 • 2

    19. Pseudo-Aristotele, Fisiognomica, cit., 8096 38. 20. Ivi, 810a 6. 21. Polemon, De physiognomonia liber, cit. , p. 172. 22. Anonimo Latino, De physiognomonia liber, cit. , par. 46. 23. G. B. Della Porta, Della/isonomia dell'uomo, a cura di M. Cicognani, Guan­ da, Parma 1988 , p. 57. 1 57

    ÉVA VfGH

    FIGURA I

    Il ritratto del leopardo

    Fonte: G. B. Della Porta, Della /isonomia del!'huomo, ed.

    1610.

    Della Porta, attingendo alle sue fonti classiche Pseudo-Aristotele, Pa ­ lemone e Adamanzio, sottolinea la corrispondenza fra i segni carat­ teriali e quelli del corpo: 24 • Parlando Della figura del Distemperato, aggiunge che > (Inf, I 47) in cerca di preda, sicura­ mente è la più ricca, la più varia e la più particolareggiata sin dall' an­ tichità. Poeti, favolisti e trattatisti lo descrissero con evidente ammi­ razione, come archetipo della forza e del coraggio. Tutte le religioni adottarono questa fiera come simbolo positivo e, inoltre, quale sim­ bolo della forza, del coraggio e delle virtù regali, fu l'immagine più utilizzata anche nell'araldica. Il leone simbolo del potere regale è un topos antichissimo che in realtà fu " cristianizzato " nel Medioevo e identificato con il potere divino mantenendo gli stessi requisiti: il suo animo, infatti, citando dalla Physiognomonika dello Pseudo-Aristo­ tele è 3 0 • Il leone, simbolo antico del potere, in rapporto con la vigi­ lanza temporale, torna a dominare anche in alcune strofe dell'Acerba di Cecco d'Ascoli 3 1 , il quale - senza voler approfondire ora i dettagli della sua presunta invettiva contro Dante - contrapponeva alla "fal­ sa" scienza dantesca la sua formazione e il suo sapere scientifico. Le raffigurazioni del leone, a ogni modo, testimoniano della pre­ senza e della convivenza pacifica di topoi antichi e cristiani. Ciono­ nostante, esso appare in modo ambiguo durante i secoli assumendo a volte anche significati negativi e diabolici come manifestazione del­ la forza e della pericolosità del male. Anche l'esegesi dantesca può ri­ ferirsi facilmente a questa ambiguità, siccome la > 3 8 • Se gli occhi sono considerati fondamentali nella congettura fisiognomica, 39 • L'interdipendenza fra corpo e anima viene accentuata anche nel leone connotato prevalentemente in senso positivo: 40 • Nella figura del leone, in questo passo dantesco, sembrano essere omessi i caratteri dell'esegesi cristiana per cedere il posto a un anima­ le iracondo e collerico, caratteri che, tra l'altro, vengono riecheggiati, 34. I vi, 809 6 34. 35. Polemon, De physiognomonia liber, cit., p. 172. 36. Anonimo Latino, De physiognomonia liber, cit., par. 51. 37. Ivi, par. 76. 38. I vi, par. 83. 39. Ivi, par. 1 16. 40. I vi, par. 122.

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    FIGURA 2

    La forma del leone

    Fonte: G. B. Della Porta, Della /isonomia del!'huomo, ed.

    1610.

    in parte, anche nell'interpretazione fisiognomica. Come esempio vivo della violenza, il leone dantesco dimostra solo uno dei lati del suo "ca­ rattere" . Nella maggior parte dei casi il leone, pur essendo un animale anche di temperamento collerico, con tutto ciò : così nella sintesi dellaportiana (cfr. FIG. 2) 41 • Di qui il simbolo più confacente del leone come quello per eccellenza del potere forte, coraggioso, energico e magnanimo. Dante, tenendo presente ovviamente il proprio intento politico­ morale, mise l'accento sul temperamento collerico e iracondo del leo­ ne. L'opinione del poeta fu ripresa ancora da Della Porta alla fine del Cinquecento ed egli, parlando dei superbi e degli iracondi, si riferi­ sce anche in questo caso all'autorità del sommo poeta: > (In/, I 99) . Per Della Porta il lupo è , e anche l'autore cinque­ centesco menziona di nuovo Dante dicendo che > (In/, I 100) . 47. Della Porta, Della/isonomia dell'uomo, cit., p. 492. 48. Cfr. Bestiario moralizzato di Gubbio, XXIX, in Marini (a cura di), Bestiari me­ dievali, cit., p. 507. ' 49. Della Porta, Della /isonomia dell'uomo, cit., pp. 60 e 514. E da notare che il lupo ha 27 occorrenze, 8 la lupa, e 13 i lupi sempre in contesto negativo: sono insi­ diosi, rapaci, ingannevoli. 50. Sul rapporto fra uomo-animali (con special riguardo al lupo), e sull'interfe­ renza tra realtà e mentalità cfr. G. Ortalli, Lupz� gentz� culture. Uomo e ambiente nel Medioevo, Einaudi, Torino 1997.

    IL BESTIARIO MORALIZZATO DI DA:\'TE E LA FISIOGNOMICA

    FIGURA 3

    La figura del lupo

    --

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    Fonte: G. B. Della Porta, Della /isonomia del!)huomo, ed.

    • e >) 42 • Al medievale compilatore di a 2 , più preoccupato della divulga­ zione di mirabilia zoologici che di tassonomie esatte, non importava 38. F. Marri, Antichità lessicali estensi e italiane, in "Studi di Lessicografia italia­ na", XII, 1994, pp. 123-216, in particolare pp. 171-2; S. !sella Brusamolino, Saggio di un "Glossario11 /olenghiano, in P. Gibellini (a cura di), Folengo e dintorni, Grafo, Brescia 1981, pp. 131-58, in particolare pp. 149-50. Cfr. anche A. Prati, Dialettismi neltitaliano, Goliardica, Pisa 1954, pp. 34-5. 39. Sulla storia della preparazione di questo elettuario tra tardo-antico ed età moderna, cfr. Claudio Galeno, De theriaca ad Pisonem, a cura di E. Coturri, Olschki, Firenze 1959, pp. 7-45. 40. Nicolai Leoniceni [. .. ] Opuscula [ . . . ] , apud And[ream] Cratandrum et Io[hannem] Bebellium, Basileae 1532, c. 95v. 41. I discorsi di m. Pietro Andrea Matthioli sanese [. . . ] nelli sei libri di Peda,cio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale, appresso Vincenzo Valgrisi, in Vene­ tia 1568, p. 342. Per quanto riguarda l'accenno ai Marsi, cfr. infra, nota 44. 42. Tractatus perutilis atque necessarius ad Theriacam, Mitrida,ticamque antido­ tum componendam [. . . ] auctore /ratre Evangelista Quatramio Eugubinio, apud Victo­ rium Baldinum, Ferrariae 1597, pp. 33-4. 200

    PER L' IMMAGINARIO ZOOLOGICO TRA DUE E TRECENTO

    verosimilmente una precisa identificazione della specie: gli occorre­ va piuttosto una voce che indicasse un serpente velenoso simile ma distinto dalla "vipera" (nel cui nome vedeva l'immagine del parto le­ tale: ) 43 , e del quale disponeva anche di qualche dato peculiare, come il numero dei serpentelli (12) che non corrisponde, come si è visto, a quello decretato da Aristotele per la vipera (20) . Deve avere pertanto recuperato la parola "marasso" , at­ tingendo probabilmente dall'uso e impiegando una voce la cui origi­ ne e il cui etimo restano ancora incerti (e pertanto da studiare) 44 ma che sembrerebbe avere qui la sua prima attestazione in italiano, re­ trodatando così di un paio di secoli, in virtù della sua presenza nei co­ dici C e L1 quella correntemente registrata dai vocabolari 45 • ,

    43. Etym. , XII 65, ro. 44. Dalla costante allusione ai Marsi (popolazione tradizionalmente esperta di caccia ai serpenti e immune al loro veleno) si era diffusa nel Cinquecento un'etimo­ logia costruita sul parallelo tra marsus e marassus, formalizzata anche da umanisti eclettici come Celio Rodigino (sul quale cfr. J. L. Ruiz Miguel, Italianismos y su eti­ mologia en las "Lectiones Antiquae" de Celio Rodigino (I465rI525) , in " Ianua " , IX, 2009, pp. 163-93) . Opinione vulgata ancora all'inizio dell'età moderna - ma tutta da verificare - era anche l'origine popolare del nome (ad esempio «Item, rustici Bono­ niensis agri, serpentes quos peiores esse iudicant nempe viperas magarassos indigi­ tant»: Ulyssis Aldrovandi [ . . . ] Serpentum et draconum libri duo, apud Clementem Ferronium, Bononiae 1640, p. 110) . Sulle proposte etimologiche correnti si può ve­ dere un prospetto riassuntivo in S. Bruno, Serpenti, Giunti, Firenze 1998, pp. 177-9. 45. Se il primo documento - dato nel " Polesine di Rovigo " - che riporta la pa­ rola è del 1498 (Marri, Antichità lessicali, cit.) , una verifica preliminare (e, di conse­ guenza, non esaustiva) su una ventina di vocabolari moderni ha mostrato che la pri­ ma occorrenza si assesta sistematicamente al XVI secolo con la riduzione dei citati en­ tro a un ristrettissimo nucleo di poligrafi (Sanudo) e di scienziati (Mattioli) replica­ to più volte dai diversi curatori della voce. Postilla luglio 20I3. A bozze chiuse ricevo , per la cortesia di Emma Grootveld, alcu­ ni scatti di Parm (cfr. supra, nota 7) del quale posso ora registrare le varianti princi­ pali rispetto a L 1 S. Per il capitolo del basilisco (cc. 83rB-83vA) : r.ra d'uovo] d'uno u . , in saracinesco] a dire in s.; r . 3 apuzza] chorrompe, ucide] chorrompe, non nuoce] egli non può nuocere, il vede] vegghono lui; r.4 à tacche bianche] ed anche è bian­ co; 2.1 tutto sia] con tutto che sia, sì . . . donnola] nondimeno la donnola l'uccide, ani­ male] animaluço gientile quanto niuno; 2. 2 sì] sì bene, co' le saette] colla balestrie­ ra da saettargli; 2. 3 con . . . loro] così si liberò dallo sano etc ( ?) . Per quello del ma­ rasso (c. 83vB) : rubr. Della . . . appellato] Dirò d'un serpente chiamato; 1 e' morde sì] è morso da llui; 2 sì sale] ella saglie; 3 nati in terra] in terra nati, ma ma] più d'; 4 al­ tressì . . . immantenente] anch'egli morrebbe a mmano a mmano; 5 mordesse . . . sec­ ca] s'egli mordesse l'albero subito si seccherebbe; 8 natura] mala n. 201

    Abstracts

    Giuseppe Crimi, Dante e il mondo animale: da/, Positivismo a oggi,

    Il contributo prende in esame gli studi sull'impiego degli animali nell'opera dantesca dalla metà dell'Ottocento fino ai nostri giorni, evidenziando il pas­ saggio dalla concezione di Dante semplice " osservatore della natura" a Dan­ te "letterato" , che si serve degli animali per attivare complesse e raffinate simbologie, forti della tradizione classica e di quella medievale. The author examines the studies on the use of animals in Dante from the mid-nineteenth century to the present day, highlighting how the conception of Dante as a simple " observer of nature" shifted into that for Dante as a "man of letters" who uses animals to build a sophisticated symbolism, firmly based upon the classica! and the medieval traditions. Franco Suitner, Le tre fiere di Dante, la "Queste" e il "Gatto lupesco"

    Nel saggio si mettono in relazione le tre fiere del I canto dell'Inferno di Dan­ te, e la funzione che svolgono nell'esordio narrativo dell'opera, con il pro­ tagonista del Detto del gatto lupesco, pur senza sostenere la tesi di un con­ tatto diretto. Per il gatto lupesco si avanzano nuove proposte interpretative, in particolare per l'identificazione dell'enigmatico personaggio, che potreb­ be rappresentare un peccatore che ha deviato dalla " diritta via " , e forse ad­ dirittura un uomo che ha subito la tentazione dell'eresia. The essay proposes a relation between the " tre fiere" of Inferno I, with re­ marks about the role that they play in the narrative beginning of Dante's work, and the protagonist of the Detto del gatto lupesco without suggesting, however, a direct contact between these two works. New interpretations are presented as for the " gatto lupesco " , also in the light of other texts, in par­ ticular for the identification of this mysterious character, that could repre­ sent a sinner, and perhaps a man that was exposed to the temptation of heresy. 202

    ABSTRA CTS

    Sonia Gentili, Il mostro divoratore nell'"Inferno" di Dante: modelli classici Nel contributo si propone un'indagine sulle tradizioni classico-virgiliane poi, attraverso un complesso iter, cristianizzate, che confluiscono nella raf­ figurazione della bocca infernale come grande mostro divoratore, e sulla ri­ lettura cristiana di Cerbero e delle Arpie. Quest'ultima avviene anche at­ traverso il recupero per via serviana di tradizioni mitografiche rifiutate da Virgilio. The paper investigates the traditional image of the mouth of hell as a great eating monster, an image coming from Virgil and then christianized after a complex process, and the Christian interpretation of Cerberus and the Harpies. This interpretation comes through the recovery of some mytho­ graphic passages rejected by Virgil but restored by his commentator Servius. Paolo Falzone, Dante e la nozione aristotelica di bestialità Il contributo analizza la presenza della nozione aristotelica di "bestialità" (theri6tes) , di cui tratta il libro VII dell'Etica Nicomachea, nell'opera dante­ sca. L'indagine si sofferma in particolare su due luoghi: un luogo del terzo trattato del Convivio, nel quale la dottrina è reinterpretata alla luce di quel­ la dionisiana della contiguità delle forme viventi; e un controverso passag­ gio del canto XI dell'Inferno, ove la nozione di . La seconda sezione si sofferma sull'impiego traslato del lemma " azzannare " di In/ , XVIII 99, che sancisce la parziale zoomorfizzazione della bolgia degli adulatori. This essay investigates some passages of Dante, where rhetorical devices with a peculiar transumptive status (such as meta-literary topoi and con­ cretizations of abstract concepts) are involved with figurative elements taken from the animal kingdom . Firstly, the analysis focuses on the reflection devoted to the rhetorical principle of convenientia and the concept of di­ scretio in De vul. el. , II 1 , 9 , and tries to demonstrate the authentically techni­ cal and rhetorical background of the image of «sus balteatus>>. The second section deals with the metaphorical use of lemma " azzannare " in In/ , XVIII 99, that provides for a partial zoomorphization of the bolgia in which are punished the flatterers. Luca Marcozzi, Dante ed Esopo

    Esamina i luoghi in cui Dante cita Esopo e ripercorre gli studi dedicati al rapporto tra la Commedia e la tradizione esopica medievale, al fine di de­ terminare a quali rami di questa tradizione faccia riferimento la lettura dan­ tesca degli apologhi di animali. Passa poi al vaglio i passi danteschi derivan­ ti da questo corpus, cercando di ripercorrere il significato che essi assume­ vano non solo negli epimiti ma nelle numerose interpretazioni morali che corredavano la letteratura faunetica medievale, e di stabilire se e in quale mi­ sura tali moralizzazioni possano aver influenzato le riprese dantesche. Si sof­ ferma infine sul verso «Tra male gatte era venuto 'l sorca>> (Inf , XXII 58) ri­ conducendolo, assieme alla figura di Ciampolo Navarrese, alla nota favola esopica del topo di campagna e del topo di città. The paper examines the places where Dante mentions Aesop and recalls the studies dedicated to the relationship between the Divina Commedia and the corpus of medieval fables, in order to determine to which branches of this tradition Dante's reading may refer. It then focuses on Dante's quotations of some passages deriving from the animai fables, trying to retrace the mean­ ing that they assumed in the moral interpretations that accompanied this medieval literary genre, and to determine whether and to what extent such moralizing may have influenced him. It centres finally on the line