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Italian Pages 226 [228] Year 2013
LINGUE E LETTERATURE CAROCCI / 163
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Dante e il mondo animale A cura di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi
Carocci editore
In copertina: Dante incontra le tre fiere, miniatura dal ms. 1102, c. 1r, Roma, Biblioteca Angelica, seconda metà del XIV secolo; su concessione del Ministero per i Beni e le Atti, vità Culturali. E fatto divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione dell'immagine con qualsiasi mezzo.
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Roma Tre (area di Italianistica)
edizione, settembre 2013 © copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma 1a
Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel settembre 2013 dalla Litografia Varo (Pisa)
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Introduzione di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi
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Dante e il mondo animale: dal Positivismo a oggi di Giuseppe Crimi
14
Le tre fiere di Dante, la Queste e il Gatto lupesco di Franco Suitner
34
Il mostro divoratore nel)' Inferno di Dante: modelli clas• • SlCl di Sonia Gentili
49
Dante e la nozione aristotelica di bestialità di Paolo Falzone
62
«variarum monstra ferarum>>: dal Minotauro ai Centauri di Giuseppe Izzi
79
Per un bestiario di Malebolge di Giuseppe Ledda
92
7
INDICE
Il (Purg., XXVII 86). Figure della contemplazione nella Commedia di Mira Mocan
169
Per l'immaginario zoologico tra Due e Trecento: tre stravaganze del Tesoro toscano di Marco Giola
186
Abstracts
202
Gli autori
208
Indice dei nomi e delle opere anonime
211
Indice dei luoghi danteschi
223
Indice degli animali
225
8
Introduzione di Giuseppe Crimi e Luca Marcozzi
Questo volume raccoglie gli interventi presentati alla giornata di studio Dante e il mondo animale, svoltasi all'Università di Roma Tre il 5 giugno 2012, in cui si è indagato sul ruolo degli animali reali e immaginari nella Commedia e nelle altre opere del poeta. Il tema ha interessato negli anni molti studiosi di diversa estrazione, che han no prodotto svariate ricerche di carattere prevalentemente analiti co e compilativo. Le ragioni del convegno (e di questo volume) tro vano origine, invece, nella necessità di trattare l'argomento sotto il profilo - non ancora del tutto esplorato - della inventio metafori ca di Dante e dell'origine letteraria degli animali che popolano la sua opera. Per quanto riguarda in particolare la Commedia, quest'aspetto è centrale nel poema sin dal primo incontro fra Dante e le tre fiere. Dal mondo animale il poeta trae spesso ispirazione: ciò accade nelle nu merose comparazioni tra peccatori e bestie, nelle rutilanti allegorie dedicate a mostri con tratti ferini, nei molti paragoni suggeriti talvol ta dalla concreta osservazione di animali o, in misura più ampia, dal la lettura di favole, enciclopedie e bestiari. Quasi ovunque, nel poe ma, l'immaginazione dantesca attinge a simboli e traslati del mondo animale, uno dei regni metaforici e delle gallerie figurative più larga mente impiegati nella poetica del Medioevo. Negli ultimi anni, gli animai studies hanno raggiunto uno svilup po considerevole, soprattutto nel Nuovo Mondo, fornendo talvolta spunti interessanti e vivaci suggestioni. Gli studi qui compresi, pur non iscrivendosi necessariamente in quello specifico filone di ricer ca, ne recepiscono alcuni stimoli, in particolare per quel che riguar da la rappresentazione di tratti umani e morali attraverso figurazioni zoomorfe. Queste, largamente diffuse nella cultura medievale grazie 9
GIUSEPPE CRIMI / LUCA MARCOZZI
ai bestiari moralizzati, alla letteratura degli exempla, all'omiletica e al la favolistica, assumono nelle opere di Dante e in particolare nella Commedia una prospettiva da un lato di summa del sapere connesso agli animali e dall'altro di uso retorico, nel senso di un ricorso fre quentissimo alle comparazioni e alle transumptiones ricavabili dal1'osservazione del mondo animale o dalla mediazione letteraria ed en ciclopedica della sua conoscenza. I diversi saggi, pur non pretenden do di fornire un completo regesto delle presenze animali nell'opera di Dante, cercano ciascuno nel suo specifico interesse di seguire le principali articolazioni del rapporto tra l'autore e questo vasto re pertorio retorico e morale. La ricognizione d'apertura ricostruisce l'interesse dei moderni per il mondo animale dantesco, interesse attestato senza sistematicità nei commenti antichi. Dai primi censimenti ottocenteschi della ma teria, generati da un metodo scientifico positivo e in preval enza orientati a leggere Dante come un poeta-osservatore in diretto rap porto con la natura, si è passati gradualmente (e in America prima che in Italia) a una valutazione dei riferimenti danteschi agli animali come espressione in primo luogo metaforica, non priva di implica zioni morali. In effetti, quasi tutti gli animali danteschi derivano, molto più che dalla natura, dalla letteratura, classica, enciclopedica e morale. La prima è chiamata in causa (da Giuseppe lzzi e Sonia Gentili) so prattutto per i monstra infernali, assimilati ad animalia per via delle interazioni fra la tradizione classica e la sua interpretazione medie vale: questa faceva sì che molti monstra virgiliani o staziani confluis sero nei bestiari e diventassero patrimonio dell'omiletica e di altri generi minori di carattere morale che a questo tipo di testi attinge• • vano a piene mani. Un altro serbatoio di caratteri animali da usare a paragone con quelli umani ai fini di una più immediata ed efficace loro rappresen tazione era costituito dalle collezioni di favole esopiche e apologhi, che avevano avuto nel Medioevo una tradizione vasta e ramificata: con questo corpus favolistico Dante aveva familiarità, come dimo strano le diverse presenze zoepiche della Commedia, qui analizzate nei loro aspetti funzionali e retorici. Altri aspetti retorici sono indagati da Silvia Finazzi, che rintrac cia in molti autori, tra i quali Orazio e Marziano Capella, la genesi IO
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dell'immagine dantesca del presente nel De vulgari eloquentia e applicabile metaforicamente alle "armi" della retorica. Nella Commedia gli animali si concentrano soprattutto nell'Inferno; tuttavia, essi non rappresentano necessariamente la "bestia lità" intesa come peccato, colpa, degradazione e allontanamento da una condizione "umana" ad essa speculare. Su questo aspetto si in centrano tre contributi. Paolo Falzone affronta la ricezione dantesca, non priva di ambiguità, della nozione aristotelica di bestialità o the ri6tes, presente nell'Etica Nicomachea e ricordata da Dante nel Con vivio e, attraverso le parole di Virgilio, nell'undicesimo canto dell'Inferno (la ) . Nella visione di Dante la bestialità, le gata all'assenza di freni e limiti piuttosto che all'allontanamento da una perfetta e ideale umanità, è insita nella natura umana e ne rap presenta le manifestazioni irrazionali. La dei peccatori non è dunque solo una dissimili tudo dalle intelligenze separate che costituiscono, nel sistema di rife rimenti dantesco, l'immagine della perfezione cui tendere: l'inferno non può essere letto soltanto, in questa chiave, come una regio dissi militudinis, né gli animali che lo popolano come immediata rappre sentazione dei vizi che i peccatori praticarono in vita. Il saggio di Giuseppe Ledda sul bestiario di Malebolge, in tal senso, interpreta le presenze animali in quello specifico settore dell'oltretomba non co me esclusiva manifestazione della degradazione "bestiale" dei dan nati e dei diavoli, invitando piuttosto ad analizzarle alla luce delle co noscenze scientifiche e del simbolismo animale propri della cultura medievale. Se è vero che Dante non impiega le comparazioni animali con il solo scopo della degradazione, esse assumono dunque valore in fun zione del contesto, come accade, ad esempio, nella similitudine ovina del canto XXVII del Purgatorio esaminata da Mira Mocan. L'immagine con cui Dante paragona sé e le sue guide a capre e pastori, apparen temente di tenore realistico, si richiama alla tradizione interpretativa del Cantico dei Cantici e allude al tema della vita contemplativa; ciò rafforza la necessità di riservare agli animali di Dante un'attenzione specifica, che tenga conto delle loro ascendenze letterarie. Animali di cultura e non di natura erano quelli dei bestiari, che con la loro vastissima diffusione (cfr. l'intervento di Marco Giola, in centrato sui diversi volgarizzamenti italiani due- trecenteschi di un teII
GIUSEPPE CRIMI / LUCA MARCOZZI
sto assai prossimo alla cultura dantesca come il Tresor di Brunetto La tini) assolvevano anche a una finalità che dal punto di vista retorico si potrebbe definire persuasiva: un aspetto didascalico, quello degli animali inclusi nelle enciclopedie, che si rifletteva anche nella predi cazione e nell'iconografia zoomorfa, largamente diffusa nelle arti fi gurative, caratterizzando l'exemplum animale come diastraticamente pervasivo nella cultura medievale. I contemporanei di Dante si aggiravano in un mondo di subsen so popolato di animali moralizzati, con i quali la loro comprensione della Commedia era destinata a interagire. Il fatto che il viaggio dan tesco inizi dall'incontro con tre animali, figure simboliche dei vizi che l'opera intendeva denunciare, lascia trasparire come l'intento dida scalico dell'autore poggiasse su un elemento tra i più familiari ai ,,lettori dell'opera. A questo proposito, i saggi di Franco Suitner ed Eva Vigh trattano non solo il diffuso impiego di figure animali nella let teratura volgare e in Dante, ma anche l'argomento della "sembian za" , cioè della maschera animale che caratteri umani o vizi e virtù possono assumere. Dante non può sottrarsi a questo tipo di personi ficazione di astratti, che costituisce uno dei processi poetici più rile vanti della letteratura del suo tempo. La giornata di studi e la franca discussione che ne è seguita, nel corso delle quali si è pervenuti ai risultati critici che il lettore saprà giudicare, sono state possibili grazie al supporto di istituzioni e sin goli. Nel licenziare il volume che di tutto ciò rende testimonianza, ci è gradito manifestare la nostra riconoscenza a Claudio Giovanardi, all'epoca direttore del Dipartimento di Italianistica dell'Università di Roma Tre, ora confluito nel più ampio Dipartimento di Studi Umanistici, che ha incoraggiato l'iniziativa in modo non formale ma con fattiva e partecipe attenzione; a Marco Ariani, che è sempre sta to una sapiente guida per gli studi, non solo danteschi, di molti de gli autori del volume e al cui generoso sostegno si deve la pubblica zione degli atti; alla Biblioteca Angelica per la liberale concessione dei diritti sull'i mmagine di copertina, che ci sia permesso di defini re magnifica, e in particolare alla dottoressa Daniela Scialanga; alle dottoresse Paola Cesaretti Bossi e Anna Radicetta, responsabili del la segreteria dell'evento. Dopo il volume sulla Metafora in Dante (Olschki, Firenze 2009) , alcuni di coloro i quali avevano partecipato a quella ricerca tutta in12
INTRODCZIO�E
terna all'ex Dipartimento di Italianistica di Roma Tre hanno deciso di lavorare - nel segno di una continuità di indagine con quanto al lora prodotto - su un aspetto della poesia dantesca, quello della rap presentazione di animali, che rivela notevoli implicazioni metafori che e retoriche, in collaborazione con illustri colleghi di altri diparti menti, atenei e accademie. Nei nostri auspici, questo libro costituisce un capitolo di una ricerca a largo raggio sulla poesia della Commedia e in generale sull'espressività dantesca, che ci auguriamo possa pro seguire a lungo e coinvolgere in maniera sempre più ampia gli stu diosi del sommo poeta.
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Dante e il mondo animale: 1 dal Positivismo a oggi '
di Giuseppe Crimi
Le seguenti considerazioni rivestono la funzione ancillare di prologo, per ricordare quanto costante sia la presenza degli animali nell'ope ra e nella critica dantesche, e per motivare l'oggetto di una scelta: un lavoro di riepilogo e di compendio condotto sorvegliando anche la bibliografia laterale sull'argomento. Con la precisazione che quanto più avanti si raccoglierà non aspira a essere un repertorio bibliogra fico completo, che è invece bisognoso di altri spazi e altri tempi, ma un primo approccio sistematico alla questione. Che la presenza dei bestiari fosse un elemento di portata consi stente nell'opera dantesca è stato colto senza alcuna difficoltà dagli stu diosi dell'Ottocento, i quali tuttavia hanno affrontato la materia tra al ti e bassi, con l'ago della bilancia spostato decisamente verso i secondi. L'attenzione per i bestiari e per gli animali nella cultura medieva le è più che mai vigile e non conosce crisi o momenti di arresto. Con tribuiscono a dimostrarlo pubblicazioni recenti, tra le quali vanno in clusi i lavori di Jacques Voisenet 1 e di Maria Pia Ciccarese 2 : ma l'e lenco è davvero lungo, denso e fatalmente incompleto 3 • Sarà suffi-
* Ringrazio Andrea Canova e Paolo Procacciali per la lettura del dattiloscritto.
J. Voisenet, Betes et hommes dans le monde médiéval. Le bestiaire des clercs du ve au x11e siècle, préface de J. Le Goff, Brepols, Turnhout 2000, saggio dal quale si possono ricavare titoli preziosi (pp. 449-93). Altrettanto utile J. E. Salisbury, The Beasi 1.
Within: Animals in the Middle Ages, Routledge, London-New York 1994. 2. M. P. Ciccarese (a cura di), Animali simbolici. Alle origini del bestiario cri stiano, 2 voll., EDB, Bologna 2002-07; meno imponente ma utile P. Cultrera, Bestiario biblico, a cura di C. Valenziano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000. 3. Da ultimi M. Pastoureau, Bestiari del Medioevo, trad. it. Einaudi, Torino 2012 e C. Spila, Animalia tantum. Animali nella letteratura dall'Antichità al Rinascimen to, Liguori, Napoli 2012, in particolare pp. 133-279. Su aspetti più propriamente teo14
DAXTE E IL MONDO ANIMALE: DAL POSITIVISMO A OGGI
ciente ricordare la raccolta di studi curata da Dora Paraci sul simbo lismo animale 4 , il numero del periodico "Micrologus" dedicato al mondo animale nel Medioevo 5, lo studio di Carlo Donà sulla figura dell'animale-guida 6, il volume collettaneo Animali della letteratura italiana 7, quello coevo Tiere und Fabelwesen im Mittelalter 8 e il Di zionario dei temi letterari (3 voll., UTET, Torino 2007) , che censisce un numero cospicuo di voci relative agli animali. Tuttavia, una mancanza non può essere ignorata, ossia quella di un lavoro scientifico dedicato esclusivamente alla componente animale nell'opera dantesca - e non solo nella Commedia - inscrivibile in ma niera ideale nel solco di un volume sui monstra dell'Inferno uscito al cuni anni or sono 9• Mi riferisco all'animale inteso come portatore, for te, di simbolo. La presenza degli animali in Dante, come in ogni altro autore medievale, non è mai elemento decorativo, al contrario si con figura come strumentale a una serie di altri significati. La carenza che qui si lamenta non è un capriccio o un lavoro destinato a rimpinguarici e filosofici cfr. S. Perfetti, Animali pensati nella filosofia tra medioevo e prima età moderna, ETS, Pisa 2012. 4. D. Faraci (a cura di), Simbolismo animale e letteratura, Vecchiarelli, Manzia na 2003; si aggiunga il volume collettaneo Animali tra mito e simbolo, a cura di A. M. G. Capomacchia, Carocci, Roma 2009. 5. "Micrologus", VIII, 2000, 1-2 (Il mondo animale - The World of Animals). 6. C. Donà, Per le vie dell'altro mondo. I.:animale guida e il mito del viaggio, Rub bettino, Soveria Mannelli 2003. 7. G. M. Anselmi, G. Ruozzi (a cura di), Animali della letteratura italiana, Ca rocci, Roma 2009. 8. S. Obermaier (hrsg.), Tiere und Fabelwesen im Mittelalter, de Gruyter, Berlin 2009. Vanno ricordati inoltre I.:uomo di fronte al mondo animale nell'alto medioevo (Spoleto} 7-I3 aprile I983), 2 voli., Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo, Spole to 1985; W. B. Clark, M. T. McMunn (eds.) , Beasts and Birds of the Middle Ages: The Bestiary and Its Legacy, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1989; "L'im magine riflessa", n.s., VII, 1998, 2 (Animali in letteratura); "Italies", X, 2006 e XII, 2008. 9. I "monstra" nell'inferno dantesco. Tradizione e simbologie. Atti del XXXIII Con vegno storico internazionale (Todz� IJ-I6 ottobre I996), Centro italiano di studi sull'Al to Medioevo, Spoleto 1997. Sul tema cfr. altresì C. Livanos, Dante's Monsters: Nature and Evil in the "Commedia", in "Dante Studies", CXXVII, 2009, pp. 81-92 e C. Villa, "Ut poesis pictura". Appunti iconografici nei codici dell'"Ars poetica" (1988), in Ead., La pro tervia di Beatrice. Studi per la biblioteca di Dante, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Fi renze 2009, pp. 39-62. Per la bibliografia aggiornata sui Centauri, cfr. infra il saggio di Giuseppe Izzi, «variarum monstra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri. 15
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re gli scaffali delle biblioteche dei curiosi, per quanto pubblicazioni di questo genere non manchino e continueranno a non mancare. Il fattore animale è onnipresente, soprattutto nella Commedia, e con esso ci si deve alla fine misurare. In più, sul versante simbolico, il rammarico maggiore risiede nella constatazione che nessuno studioso si sia preoccupato di procedere, per Dante, a un lavoro simile - sul pia no qualitativo - a quello di Aldo Menichetti per Chiaro Davanzati Necessita, insomma, uno strumento esegetico che tenga conto della bibliografia analitica sull'Alighieri, un'ulteriore bussola, un so stegno che faccia tesoro allo stesso tempo delle pubblicazioni speci fiche sugli animali, pure valide, che al mondo dantesco hanno riser vato un'attenzione scarsa (ad esempio, nel suddetto numero di "Mi crologus" Dante guadagna soltanto due citazioni) . Per entrare nel campo animalesco, questo scritto, un po' come l'I dra, potrebbe avere molte teste, molti inizi. Si potrebbe partire dalla mi niatura che impreziosisce la copertina del volume: animali sono le pri me figure che appaiono nel percorso ultraterreno di Dante, un percor so leggibile proprio come un viaggio nel mondo animale - secondo la più recente ipotesi di Sabina Marinetti che trova la sua più alta con centrazione di esemplari nell'In/erno 12 • Con le tre fiere il canto proe miale appare emblematico di una situazione ricorrente in tutte e tre le cantiche: la presenza degli animali, appunto. L'argomento, insomma, si 10 •
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10. C. Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Commissione per i testi di lin gua, Bologna 1965, pp. XLV-LXI. Cfr. il contributo di M. S. Garver, Sources o/ the Beast
Similes in the Italian Lyric o/ the Thirteenth Century, in "Romanische Forschungen", XXI, 1908, pp. 276-320; M. Malinverni, Note per un bestiario lirico tra Quattro e Cin quecento, in "ltalique", II, 1999, pp. 7-31; L. Sala, Note sugli animali nella poesia di Di no Frescobaldi, in "Lingua nostra", LXVII, 2006, pp. 87-99; si pensi al lavoro di H. N a:is, Les animaux dans la poésie /rançaise de la Renaissance. Science, symbolique, poé sie, Didier, Paris 1961. Su Boccaccio i saggi di V. Mouchet, Per una ricognizione del la /unzione retorica del bestiario nel Boccaccio narratore, in "Giornale storico della Letteratura italiana", CXIX, 2002, 179, pp. 525-60 e Ead., Asinz: gru e galline. Breve in dagine sugli animali del "Decameron", in "Reinardus", XVI, 2003, pp. 133-64. 11. S. Marinetti, Dalla "selva oscura" all"'aprico ovile" (attraverso i rimanti "/ede· "S tudJ. romanzi· " , n.s., I, 2005, pp. 71-88. le": "crudele"\1, 1n 12. Cfr. S. M. Barillari, I:animalità come segno del demoniaco nelt"In/erno" dan tesco, in "Giornale storico della Letteratura italiana", CXIV, 1997, 174, pp. 98-119. Sul concetto di bestialitas, cfr. infra il contributo di Paolo Falzone, Dante e la nozione aristotelica di bestialità.
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DAXTE E IL MONDO ANIMALE: DAL POSITIVISMO A OGGI
fa subito urgenza. Si parte, di necessità, dalla Commedia: sarebbe cer to utile e stimolante interrogarsi sulle ragioni dell'improvvisa esplosio ne di metafore, simboli e similitudini animalesche nell'opera somma, vi sto il modesto apporto di questo tipo di immaginario negli scritti dan teschi precedenti, anche questi sondati, peraltro, minimamente. Ritorno alla miniatura, che non è stata scelta a caso. I primi anima li incontrati dal viator nel suo cammino sono stati i protagonisti di un vivace dibattito fra i dantisti, che è iniziato nel Trecento e si è sviluppa to soprattutto nell'Ottocento e che, fra interpretazioni differenti, ha coinvolto studiosi come Pascoli e D'Ovidio 13 , per arrivare fino al nostro volume, con il saggio di Franco Suitner, Le tre fiere di Dante) la "Que ste)) e il "Gatto lupesco )) . Forse parrà una banalità, ma - è sufficiente a questo proposito sfogliare la bibliografia - le tre fiere hanno calamitato l'attenzione di nu merosissimi esegeti, in maniera quasi ossessiva 1 4 , 13. Cfr. G. Nava, La presenza di Pascoli e D'Annunzio nel "Marzocco", in C. Del
Vivo (a cura di), Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e avanguardia (188719r3). Atti del seminario di studi (r2-13-r4 dicembre r983), Olschki, Firenze 1985, pp. 5796, in particolare pp. 71-2. 14. Cfr. D. Bongiovanni, Prolegomeni del nuovo commento storico-morale-esteti co della "Divina Commedia", Bordandini, Forlì 1858, pp. 277-316; F. Selmi, I:intento della "Commedia" di Dante e le principali allegorie considerate storicamente, III. Le tre fiere, in "Rivista contemporanea nazionale italiana", Xli, 1864, 36, fase. 124, pp. 408 -19; G. Poletto, Alcuni studi su Dante, San Bernardino, Siena 1892, pp. 67-83 (Le tre fiere); E. Ravazzini, Trisenso della lonza, del leone, della lupa nella "Divina Commedia", Ti pografia operaia, Reggio Emilia 1893 ; L. M. Capelli, Per una nuova interpretazione del primo canto, in "Il Giornale dantesco", VI, 1898 , pp. 3 53 -75; F. D'Ovidio, Le tre fiere della selva dtzntesca, Detken & Rocholl, Napoli 1900 (estratto da "Flegrea", Il, 1900, 3 , fase. 1, pp. 2-25) ; A. Maurici, Le tre fiere dtzntesche. Noterei/a dichiarativa, Tipografia pontificia, Palermo 1907; A. Scrocca, Le tre fiere, in Id., Saggi danteschi, Perrella, Na poli 1908 , pp. 1-50; G. Busnelli, Il simbolo delle tre fiere dantesche. Ricerche e studi in torno al prologo della "Commedia", Civiltà Cattolica, Roma 1909 2 R. Elisei, Orazio e Dante. Le tre fiere. Filippo Argenti, Metastasio, Assisi 1911; A. Roviglio, Il prologo del la "Divina Commedia'' e l'enigma delle tre fiere, Doretti, Udine 1928; G. Bonfante, An cora le tre fiere, in "Italica", XXII, 1945, pp. 69-72; G. Ferretti, Saggi dtznteschi, Le Mon nier, Firenze 19 50, pp. 27-41; A. Bernardo, The Three Beasts and Perspective in the "Di vine Comedy", in "PMLA" , LXXVIII, 1963 , 1, pp. 15-24; G. Ragonese, L'allegorismo delle tre fiere ed altri studi dtznteschi, Manfredi, Palermo 1972; G. Errichelli, Le tre fiere dan tesche, in "Teoresi", XXVIII, 1973 , pp. 197-200; S. Mussetter, Dante's Three Beasts and the "Imago Trinitatis", in "Dante Studies", xcv, 1977, pp. 39-52; G. Farris, Le tre fiere dantesche e la dinamica della tentazione, in "Critica letteraria", IX, 1981, 31, pp. 237-44; P. Pieheler, The Rehabilitation of Prophecy: On Dante's Three Beasts, in "Florilegium. Annua! Papers on Classica! Antiquity and Middle Ages", VII, 198 5, pp. 179-88 ; O. Ciac;
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lascian do in penombra il resto degli animali, ad eccezione , co me si potrà immaginare , del veltro (sul quale la massa dei con ci, Una nuovissima interpretazione delle trefiere, in " Il Rinnovamento", XVI , 1986 , 138139 , pp. 1-22; O. A. Bologna, Le tre fiere. Lonza, leone e lupa, in " Esperienze lettera rie", XVI, 1991 , 1 , pp. 79-92; B. Delmay, Le tre fiere, in " Sotto il Velame", I , 1999 , pp. }} 83 -90; F. Massoli, Le fiere del I canto dell"'In/erno , in " Critica del Testo", VI, 2003 , 3 , pp. 9 59-68; R. Fasani, Chi sono le tre fiere di Dante ( 2005) , in Id., L'infinito endecasil labo e tre saggi danteschi, Longo, Ravenna 2007, pp. 97-101; G. Oliva, Le /orze del ma le. Demonologia dantesca e modelli culturali. J;episodio delle tre fiere, in P. Guara gnella, M. Santagata (a cura di), Studi di letteratura italiana per Vitilio Masiello, 3 voli., Laterza, Roma-Bari 2006, voi. I , pp. 49-73; R. Manescalchi, Altre annotazioni riguardo l'interpretazione delle tre fiere dantesche, in "Letteratura italiana antica", X, 2009 , pp. 443 - 59 ; M. de la Nieves Mufiiz Mufiiz, Dante e le tre fiere nell'interpretazione figurati va, in M. Ariani et al. (a cura di), La parola e l'immagine. Studi in onore di Gianni Ven turi, 2 voli., Olschki, Firenze 2011 , voi. I, pp. 75-8 5. Sulla lupa: Capelli, Per una nuova interpretazione, cit.; C. Del Chicca, La lupa dantesca, in "Rassegna nazionale" , xxv, 1903 , 129 , pp. 3 58-72; M. Dozon, Le thème de la louve et des loups dans la "Divine Comé, die }} . Echos d'un mythe étrusco-latin ?, in " Revue des Etudes ltaliennes", n.s., XV, 1969, pp. 5-33 ; A. Scolari, "Inferno" I, vv. 4!r54, in " Studi danteschi", LIV, 1982, pp. 1-14; G. C. Arbery, "Antica lupa }} : Dante, Virgil and the Discontinuity o/ Allegory, in "Ameri can Benedictine Review" , XXXVII , 1986, 2, pp. 173 -96; G. Moliterno, Mouth to Mandi ble, Man to Lupa: The Mora! and Politica! Lesson of Cocytus, in " Dante Studies", CIV, 1986, pp. 145-61; Massoli, Le fiere del I canto, cit., pp. 967-8; Marinetti, Dalla "selva oscu ra }} , cit. Sulla lonza cfr. almeno E. G. Parodi, Ancora della lonza, in " Bullettino della Società dantesca italiana", III, 189 5, pp. 24-6; Capelli, Per una nuova interpretazione, cit.; P. Chistoni, La lonza dantesca, in Miscellanea di studi critici edita in onore di Ar turo Gra/, Istituto italiano d' Arti grafiche, Bergamo 1903 , pp. 817-48; E. Proto, La lon za dantesca, in "Giornale dantesco" , xv, 1907, pp. 1-16; J. Camus, La "lonza }} de Dan te et les "léopards}} de Pétrarque, de l'Arioste, etc. , in " Giornale storico della Lettera tura italiana" , XXVII, 1909, 53 , pp. 1 -40; K. McKenzie, The Problem of the "Lonza }}, with an Unpublished Text, in " Romanic Review" , I , 1910, pp. 18-30; P. Renucci, La "lonza" , dantesque est-elle un guépard?, in "Revue des Etudes ltaliennes" , II, 1937 , pp. 372-4; cfr. poi gli studi più recenti di A. Lanza, La corda, le fiere, il Veltro, in Id., Primi seco li. Saggi di letteratura italiana antica, Archivio Guido Izzi, Roma 1991, pp. 105-16; R. Manescalchi, La lonza in Rustico di Filippo e in Dante, in Id., Il prologo della "Divina Commedia }} , Tirrenia, Torino 1998 , pp. 53 -65; M. Seriacopi, Osservazioni sulla "lonza" di Dante, in "Trasparenze", XII , 2001, pp. 51-7; Id., Questioni di esegesi dantesca. Il ca so della "lonza }} in un commento del XIV-XV secolo, in " Studi e Problemi di Critica te stuale", LXV, 2002, 2, pp. 133 -46 (poi in Id., Dieci studi danteschi con un'appendice bo ni/aciana, FirenzeLibri, Reggello 2008 , pp. 121-41) ; Massoli, Le fiere del I canto, cit., pp. 960-4; R. Manescalchi, Osservazioni sulla "lonza" in Rustico Filippi e in Dante, in "Stu di danteschi", LXXIV, 2009 , pp. 127-47 (poi in Id., Studi sulla "Commedia". Le tre fie re, Enea, Ciacco, Catone, Piccarda e altri problemi danteschi, Loffredo, Napoli 2011, pp. }} 41-62) ; M. Seriacopi, La questione della "lonza nel canto I dell"'In/erno", in Id., Con18
DA�TE E IL M O N D O ANIMALE : DAL P O S ITIVISMO A OGGI
tributi critici non è umanamente domabile) 1 5 , dell'aquila 16 e del grifone 1 7 • /erenze sulla "Divina Commedia)' di Dante Alighieri con un testo antichissimo del pri mo canto del poema, FirenzeLibri, Reggello 2009 , pp. 1 5 - 25 . 1 5. Solo per citare alcuni titoli: C. Troya, Del veltro allegorico di Dante, Molini, Firenze 18 26; F. Selmi, L'intento della "Commedia)' di Dante e le principali allegorie con siderate storicamente. IV. Il Veltro del primo Canto, in "Rivista contemporanea nazio nale italiana " , XII, aprile 1864, 37, fase. 125, pp. 8 3 -9; R. E. Kaske, Dantes's "DX\'}) and "Veltro", in "Traditio " , XVII, 1961 , pp. 186-254; G. Zappacosta, Chiosa al veltro dante sco, in "L'Alighieri" , XIII, 1972, 2, pp. 68 -70; R. Wis, Ancora sul "Veltro", in " Mémoi res de la Société Néophilologique de Helsinki " , XLV, 1987, pp. 578 -91; C. Emiliani, The "Veltro" and the "Cinquecento diece e cinque", in " Dante Studies" , CXI , 1993 , pp. 149 52; G. Brugnoli, Le figure messianiche del Veltro e del Cinquecento Diece e Cinque, in " Giornale italiano di Filologia " , LIV, 2002, pp. 61-74; R. J. Lokaj , Il veltro dantesco qua le anagramma di "ultore", ivi, pp. 75-87; A. E. Mecca, Il veltro di Dante e la "Chanson de Roland", in " Nuova Rivista di Letteratura italiana " , V, 2002, 2 , pp. 213 - 26; S. Cri staldi, Inchiesta sul Veltro, in S. Cristaldi, C. Tramontana (a cura di) , L'opera di Dan te fra Antichità) Medioevo ed epoca moderna, CUECM , Catania 2008 , pp. 125-233 ; B. Mar tinelli, Genesi della "Commedia". La selva e il veltro, in " Studi danteschi" , LXXIV, 2009 , pp. 79 - 126; S. Cristaldi, La profezia imperfetta. Il Veltro e l'escatologia medievale, Scia scia, Caltanissetta-Roma 2011 ; G. Lovito, I..:Aquila e la croce. Lettura storica della "Di vina Commedia". Sulle tracce del veltro, Plectica, Salerno 201 2. ) 16. M. Casella, La figurazione dell'Aquila nel "Paradiso ', in " Studi danteschi" , XXXII, 19 54, pp. 5-28 ; }. Chierici, I..:Aquila d'oro nel cielo di Giove (canti XVIII-XX del "Pa radiso"), Istituto grafico tiberino, Roma 1962; E. Raimondi, Semantica del canto IX del "Purgatorio') ( 1968) , in Id. , Meta/ora e storia. Studi su Dante e Petrarca, Einaudi, Torino 1970, pp. 95-122, in particolare pp. 105-6; F. Montanari, I..:aquila di Giove, in "Critica let teraria " , V, 1977, 1 5 , pp. 211 - 20; P. Dronke, Le fantasmagorie nel paradiso terrestre, in Id. , Dante e le tradizioni latine medioevali, il Mulino, Bologna 1990, pp. 107-12; A. Gagliar di, I..:aquila e il pipistrello, in Id. , Ulisse e Sigieri di Brabante. Ricerche su Dante, Pulla no, Catanzaro 1992, pp. 81-100; A. Carrega, Immagini intessute di scrittura. Aquile dan tesche, in "L'immagine riflessa " , n.s., VII, 1998 , 2, pp. 28 5-301; B. Martinelli, Dante. I..:"al tro viaggio)', Giardini, Pisa 2007, pp. 29 5-7, 306-19 ; F. Baraldi, Il simbolismo dell'aqui la nella "Commedia" dantesca, in "I Castelli di Yale. Quaderni di Filosofia " , IX, 200708 , pp. 8 5-101; A. Forni, I..:aquila fissa nel sole. Un confronto tra Riccardo di San ½'ttore, Pietro di Giovanni Olivi e Dante, in A. Mazzon (a cura di) , Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa Lori San/ilippo, Istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma 2008 , pp. 431-73 ; M. Semola, Dante e l'"exemplum" animale. Il caso dell'aquila, in "L'Alighie ri" , XLIX, n.s. 31, 2008 , pp. 149 - 59 ; B. Basile, /;aquila, icona divina della giustizia nel cie lo di Giove, in "Studi e Problemi di Critica testuale" , LXXXII, 2011, 1, pp. 21-38 ; R Duri ghetto, /;aquila emblema della Giustizia divina (con riferimenti ai canti XVIII e XIX del "Pa radiso"), in "Atti della Società Dante Alighieri a Treviso " , III, 2011 , pp. 193 -8. 17. Anche in questo caso cfr. almeno P. Armour, Dante's Grzf/in and the History o/ the World: A Study o/ the Earthly Paradise ("Purgatorio)', cantos XXIX-XXXIII), Cla-
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Scriveva più di un secolo fa Giovanni Battista Zoppi nell'affron tare il tema zoologico in Dante: Noi quindi faremo come quei visitatori, più curiosi che dotti, dei giardini zoologici, i quali si fermano sempre in folla davanti alle gabbie dei leoni, del le tigri, dei rinoceronti, delle aquile e de' serpenti più strani perché general mente destano maggiore interesse; mentre non degnano poi né manco di uno sguardo tutti gli altri animali, che sono pure oggetto di osservazione e di studio per lo scienziato. In questa rapida rivista, del regno animale noi dunque ci fermeremo a considerare quelle specie soltanto innanzi alle qua li il cenno di Dante ci inviterà ad arrestarci 18 •
Noi, al contrario, cercheremo di soffermarci sugli animali sui quali è stato prodotto un contributo specifico in funzione dell'opera dante sca, evitando di registrare la bibliografia analitica sui singoli canti, re cuperabile attraverso i repertori tradizionali. Sebbene nel 1858 fosse pubblicato il volume di Domenico Bon giovanni Prolegomeni del nuovo commento storico-morale-estetico )) della "Divina Commedia (Bordandini, Forlì) , nel quale un numero davvero nutrito di pagine veniva dedicato al veltro (pp. 189-274) e al le tre fiere (pp. 277- 316) 1 9 , il primo studio moderno su Dante e gli ani mali, in senso più specifico, conobbe il battesimo ufficiale fuori d'I talia: il 3 ottobre del 1867 Karl Witte tenne una conferenza sugli ani mali nella Commedia, il cui testo fu stampato due anni dopo 2 0 • A bre ve distanza, nel 1874, vide la luce il pionieristico saggio di Luigi Venrendon, Oxford 1989; S. Cristaldi, "Per dissimilia". Saggio sul Grifone dantesco, in "Atti e Memorie dell'Accademia dell'Arcadia", s. III, IX, 1988-89, 1, pp. 57-94; P. Ar mour, La spuria /onte isidoriana per l'interpretazione del grifone dantesco, in "Deut sches Dante Jahrbuch", LXVII , 1992, pp. 163-8; D. Modesto, The Rainbow and the Grif/in, in M. Baker, D. Glenn (eds.), Dante Colloquia in Australia (I982-I999) , Au stralia University Press, Adelaide 2000, pp. 103-23. 18. G. B. Zoppi, Gli animali nella "Divina Commedia)', in "L'Alighieri", II, 189091, pp. 409-29, in particolare p. 418. 19. Su cui la recensione in "La Civiltà cattolica", s. III, IX, 1858, 11, pp. 345-52. 20. K. Witte, Die T hierwelt in Dante's "Gottlicher Komodie)'. Ein Vortrag gehal ten in der zweiten Generalversammlung der deutschen Dante-Gesellscha/t den 3. Oc tober I867, in "Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft", II , 1869, pp. 109-209 (poi in Id. , Dante-Forschungen. Altes und Neues, 2 voli. , Henninger, Heilbronn 1869-79, voi. II, pp. 183-93); cfr. J. Ferrazzi, Enciclopedia dantesca, voi. IV, Bibliografia, Pozza to, Bassano 1871, p. 133. 20
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turi, Le similitudini dantesche (Sansoni, Firenze) , che dedicava ben quaranta pagine agli animali (pp. 237-77) . Nel 1885 Francesco Cipolla, negli Studi danteschi. Lettere ad un giovane studioso (Giulio Speirani e figli, Torino 1885 , estratto dalla ri vista "La Sapienza" ) , rivolgendosi al giovane Flaminio Pellegrini, si preoccupava di dimostrare come le immagini dantesche in cui figu ravano gli animali derivassero dall' (p. 4) ; passava poi a elencare gli insetti (pp. 4- 5) , gli uccelli (pp. 6-13) , i mammiferi (pp. 20-6) , per concludere con le rane, i serpenti, il ramarro, i pesci, lo scorpione, la lumaca, i vermi (pp. 26-8) ; il tutto condito con richiami a Virgilio. Cipolla nutriva una vera passione per l'argomento, tant'è che volle dire la sua anche sulla lonza 2 1 e sul mer lo 22 . Spicca in modo un po' ingenuo, nel conte così come nei suoi se guaci, l 'attenzione nei confronti del puro el emento naturalisti co: Dante avrebbe ritratto gli animali perché esperto della fauna. L' esperimento di Cipolla ebbe almeno il merito di fungere da apripista nella cultura nostrana. Poco dopo venne stampato il saggio, già citato, dello zoologo Giovanni Battista Zoppi (18 38-1917) , che tra il 1890 e 1892 pubblicò a puntate sull"'Alighieri" Gli animali nella "Di vina Commedia )) , un lavoro dettagliato, che, nonostante le buone pre messe teoriche e le intenzioni della prima puntata, finiva per risulta re un elenco descrittivo degli animali nel poema, con annotazioni stri minzite 23 . Studio che da un lato si guadagnò l'aggettivo F. Cipolla, La lonza di Dante, in "La Rassegna bibliografica della Letteratu ra italiana", III, 1895, pp. 103-14 (con recensione di T. Casini, in "Bullettino della So cietà dantesca italiana", II, 1895, pp. 116-20; cfr. P. E. Guarnerio, Ancora della lonza di Dante, in "La Rassegna bibliografica della Letteratura italiana", III, 1895, pp. 139-40 e 203 -4) e La lonza di Dante, in " Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti", s. VII, LIV, 1895-96, pp. 224-7. I saggi di Cipolla diedero avvio a un am pio di battito sull'animale ( cfr. supra, nota 14, per ulteriore bibliografia) . 22. F. Ci polla, Il merlo nel canto XIII del "Purgatorio", in " Atti del Reale Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti", s. VII, VI, 1894-95, 53, pp. 56-60 (su cui la recen sione di U. Marchesini, in "La Rassegna bibliografica della Letteratura italiana", III, 189 5 p. 51) . ' 23. La prima puntata in " L'Alighieri", II, 1890-91, pp. 409-29; la seconda e la ter za ivi, III, 1891-92, rispettivamente pp. 9-20 e 65-88. Positivo il giudizio del lavoro in G. Biadego, Giovanni Battista Zoppi. Commemorazione letta neltadunanza del gior no I8 marzo I9I7, Franchini, Verona 1917 (estratto dagli " Atti e Memorie dell'Acca demia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona", XCIV, 1918, pp. 3 5-50) . 2r .
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da parte di Giuseppe Bindoni 24 e dall'altro una tirata di orecchie di Vittorio Cian 2 5 • Sulla scia di Z oppi si collocava il volumetto di Michele Lesso na, Gli animali nella "Divina Commedia )) . "Inferno )) (UTET, Torino 1893) , limitato a un sondaggio sulla prima cantica 26 : il lavoro di Les sona, interrotto dalla morte, si presentava come la registrazione del percorso dantesco nell'Inferno, scandito, nelle tappe, dall'incontro progressivo con gli animali 2 7 • Un contributo a dire il vero poco uti le, destinato - secondo il progetto iniziale - a coinvolgere tutte e tre 24. G. Bindoni, Indagini critiche sulla "Divina Commedia", Albrighi, Segati & C., Milano 1918, p. 463, nota 2. 25. V. Cian, Sulle orme del veltro. Studio dantesco, Principato, Messina 1897, p. 126, nota 45. 26. Sullo studioso cfr. L. Camerano, Michele Lessona. Notizie biografiche e bi bliografiche, in "Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino", IX, 30 ottobre 1894, 188, pp. 1-72; alle pp. 58-70 la bibliografia degli scritti. 27. Cfr. l'anonima recensione in "Nuova Antologia", CXXXIV, 1894, p. 163: «Il conte F. Cipolla e il signor G. B. Zoppi diedero già alle immagini che Dante derivò pel suo poema dalla osservazione de' costumi degli animali, studii notevoli. Pren dendo le mosse da que' due, Michele Lessona ha scritto, sull'Inferno, una prima se rie di note consimili, dalla quale non si ricaverà forse molto utile per l'interpretazio ne del poeta, ma non poco sarà il piacere pei lettori. Tutti sanno infatti quanta dot trina abbia della zoologia il Lessona, e che amore, caldo e vivace, per le lettere in ge nere, e in particolare per Dante: qui riassume, si può dire, riflessioni di molti anni sulla scienza sua e sul poeta prediletto. Seguendo a mano a mano le menzioni degli animali che si trovano nei canti dell'Inferno, egli dichiara (ciò che non è sempre age vole) di che bestia intende parlare Dante, quale sua costumanza, vero o errata, ram mentarci; e viene così a meglio lumeggiarne l'arte, e talvolta a mostrare come fosse ro le cognizioni di lui superiori a quelle del tempo suo. Nel qual proposito, senza au dacia di affermazioni, giunge il Lessona fino a porre innanzi l'ipotesi che egli avesse un tal quale presentimento della dottrina che oggi diciamo dell'evoluzione. Certo è che da questi riscontri d'uno zoologo moderno appare sempre più mirabile il dono che Dante ebbe duplice, di osservare la vita con occhio rapido e sicuro, e di rappre sentarne i fenomeni con parola efficace. Alcune delle osservazioni del Lessona, che per incidenza tratta, oltre la zoologia, di altri luoghi danteschi riferentisi a fatti di sto ria naturale e di fisica terrestre, sono notevoli agli studiosi; tutte dilettevoli per ar guzia. Non potendo entrare in discussione su questo o quel verso, chè troppo più di noi s'intende di bestie (sia detto senza epigramma) il Lessona, gli indicheremo sol tanto pel seguito del suo lavoro l'ottimo libro del Venturi Le similitudini dantesche, che avrebbe potuto essere rammentato con onore insieme a quello del Cipolla e del lo Zoppi». 22
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le cantiche: un biografo dello studioso, Lorenzo Camerano, assicu rava che Lessona 28 • Ancor più modesto il brevissimo scritto di Francesco Neri, Gli )) animali nella "Divina Commedia (Nistri, Pisa 1896) , che, con un ap proccio estremamente scolastico, in cinque pagine tentava di censire gli animali nel poema 29 • Siamo nello stesso anno in cui Levi Oscar Kunhs stende il suo saggio sulla natura in Dante e il motivo sembra allora di gran moda 3 0 • I lavori degli italiani purtroppo peccano di provincialismo e mancano di spessore se paragonati a quelli europei coevi 3 1 : latitano richiami ai Padri della Chiesa, agli enciclopedisti me dievali e alla cultura romanza. Nel 1898 è la volta di Gastone di Mirafiore, il quale nel suo Dan te georgico (Barbèra, Firenze) , dopo alcune pagine di riflessione sul tema 3 2 , offre un utilissimo prospetto di tutti gli animali ricordati nel1'opera dantesca. Almeno a quest'altezza la materia viene presa in ostaggio - so stanzialmente - da dilettanti. Nonostante alcune recensioni favore voli nei confronti dei saggi menzionati, il dilettantismo viene colto già in quello stesso anno 1898 da Luigi Maria Capelli, che, nell'articolo Per una nuova interpretazione del primo canto, nel cimentarsi nell'a nalisi simbolica delle tre fiere, scriveva seccamente: 28. Camerano, Michele Lessona, cit., p. 41. 29. Forse fin troppo indulgente la scheda comparsa nella Cronaca della " Rasse gna bibliografica della Letteratura italiana", IV, 1896, p. 155: «Degli animali nella Di vina Commedia hanno trattato già parecchi con qualche larghezza: ad es. il Lessona, lo Zoppi ecc. Il dott. Francesco Neri in una breve scrittura Gli animali nella D. C. (Pisa, Nistri, di pagg. 7) ci offre ora un prospetto scientifico di quanti animali sono ricordati nel poema, e poi per ogni singolo animale indica il luogo ove Dante ne par la. Quest'ultima tavola, compilata con esattezza, può esser di singolare utilità agli stu diosi del poema e servire ad opportuni riscontri». 30. L. O. Kunhs, Dante's Treatment o/ Nature in the "Divina Commedia)}, in " Modern Language Notes" , XI, 1896, 1, pp. 1-9; ma già in precedenza erano apparsi titoli simili: cfr., ad esempio, F. Ambrosi, Dante e la natura, ovvero Frammenti di /i loso/ia e storia naturale desunti dalla "Divina Commedia", Prosperini, Padova 1874. 31. Cfr. W Hensel, Die Voge! in der provenzalischen und nord/ranzosischen Lyrik des Mittelalters, in " Romanische Forschungen" , XXVI, 1909, pp. 584-670. 32. G. di Mirafiore, Dante georgico, prefazione di O. Bacci, Barbèra, Firenze 1898, pp. 49-61 e 77-102. 23
GIUSEPPE CRIMI
Gli animali della Divina Commedia furono poco e male studiati; non ci po temmo giovare del lavoro di F. Neri, misero e sterile elenco, né di quelli del Lessona, il quale, non contento di aver fatto di Dante un precursore della embriologia moderna, forse perché ripete le teorie di s. Tommaso sul suc cedersi dell'anima sensitiva alla vegetativa, dell'intellettiva alla sensitiva (Summa I , CXVIII , 2) , lo volle anche preannunziatore della legge spenceriana dell'evoluzione. La monografia di G. B. Zoppi è ottimamente distribuita, i capitoli promettono bellissime cose, ma pur troppo il poverissimo contenu to non risponde alla vastità dei titoli 33 •
Nel frattempo i dotti studi di De Gubernatis (Zoologica! Mythology risaliva al 1872) 34 iniziavano a dare i loro primi frutti: sempre nel 1898 compare in una sede totalmente periferica - la rivista di Lentini " He lios" - il contributo di Stanislao Prato, Il carattere demoniaco del por co e del cinghiale nell )in/erno dantesco) nell )egizio e nella tradizione popolare. L'autore, un valido comparatista con altri saggi danteschi all'attivo, squadernava in meno di venti pagine una quantità notevo le di informazioni sulla valenza simbolica del porco e del cinghiale, limitatamente alla Commedia 3 5 • Pagine che vennero quasi del tutto ignorate dalla dantistica, visto che l'unico che le abbia censite (e ma le) è stato, nel 1902, Richard Thayer Holbrook, nel volume Dante and the Anima! Kingdom, derivato da una dissertazione dottorale (Co lumbia University Press, New York). Proprio il volume di Holbrook, al quale ci siamo ispirati per il ti tolo di questo contributo e del volume stesso, segna un passo decisivo nell'affrontare il tema. In maniera affine ai predecessori, lo studioso d'oltreoceano cercava di costruire un dossier sugli animali e sui mostri nell'opera dantesca, tentando di elencare, in taluni casi, fonti e biblio grafia: benché estremamente ambizioso, il lavoro presentava numero se ingenuità e incongruenze, come ebbe a rilevare senza alcuna diffi33. Capelli, Per una nuova interpretazione, cit., p. 354. 34. A. De Gubernatis, Zoologica! Mythology or the Legends o/ Animals, 2 voli., Tri.ibner & Co, London 1872. 35. Per altre questioni mi permetto di rinviare a G. Crimi, Su Ciriatto. Tra mostri� demònz: uomini selvatici e orchi, in "Rivista di Studi danteschi", XI, 2011, pp. 137-54; sul porco, cfr. S. Marchesi, "Epicuri de grege porcus". Ciacco, Epicurus and Isidore o/ Seville, in "Dante Studies", CXVII, 1999, pp. 117-31; E. Rebuffat, Furie d'uomini: di be stie e di dannati (In/ XXX 22-27), in "Rivista di Studi danteschi", XI, 2011, pp. 374-96. 24
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coltà Kenneth McKenzie 3 6 . In Italia il saggio di Holbrook fu segnala to, in maniera molto severa, nel Bollettino bibliografico del "Giornale storico della Letteratura italiana" 3 7 , mentre un atteggiamento più in dulgente fu dimostrato da Carlo Del Lungo, che spese una manciata di pagine sulla "Rassegna nazionale" , volgendo persino in italiano tre capitoli del libro 3 8 , e da Orazio Bacci 3 9 • Benché il saggio dell'america no apparisse già alla sua uscita uno strumento con molti limiti, va ri conosciuto almeno il tentativo di una schedatura sistematica e più mi nuziosa rispetto a quelle intraprese da Zoppi e da di Mirafiore. Qualche nota mirata - in questi anni - cercava di rendere giusti zia alle presenze animalesche e mostruose: l'articolo, breve ma den36. Cfr. la severa recensione in "Modern Language Notes", XVIII, 1903, 4, pp. 11822 e la risposta dell'interessato, con il titolo The Understanding and the Misunder standing of Dante }s Animai Lore, ivi, XVIII, 1903 , 5, pp. 158-9 (cfr. P. Bellezza, Curio sità dantesche, Hoepli, Milano 1913, p. 30). Poco più che una segnalazione l'articolo diJ. E. Spingarn, in "The Bookman", XVII, March-August 1903, pp. 82-3, mentre pa role di apprezzamento si leggono rispettivamente nelle schede anonime in "The Athenaeum", 3931, February 28, 1903, pp. 270-1, nella sezione Books of the Week in "The Outlook", 72, October 4, 1902, pp. 329-32, in particolare p. 329, e in "Book News", XXI, 1903, p. 202. 37. Cfr. Bollettino bibliografico, in "Giornale storico della Letteratura italiana", XXI, 1903, 41, pp. 166-8; per cogliere la stroncatura è sufficiente leggere l'attacco: «Era questo argomento da libro? Sinceramente, non ci pare. E infatti le risultanze dello studio presente sono ben povera cosa, e sull'argomento, sebbene il H. abbia con somma diligenza estese le sue indagini a tutte le opere dantesche, ne sappiamo quan to prima» (p. 167; cfr. gli Annunzi bibliografici del "Bullettino della Società dantesca italiana", n.s. , X, 1902-03, pp. 342-60, in particolare p. 343). Il saggio fu definito «istruttivo ma talora irritante» negli Annunzi bibliografici ivi pubblicati, pp. 402-72, in particolare p. 406. Faceva menzione dello studio, senza esprimere un giudizio chiaro, F. Torraca, Francesco de Sanctis e la sua seconda scuola, in "La Settimana", IV, 1902, pp. 401-16, in particolare p. 401. 38. C. Del Lungo, Zoologia dantesca , in "Rassegna nazionale", xxv, 16 marzo 1903, 130, pp. 192-202; le traduzioni si leggono alle pp. 196-202 e riguardano i capp. VIII-X. Le pp. 192-6 sono espressamente scritte per «dare un'idea, piuttosto che far ne [i.e. del volume] un'analisi critica» (p. 196); anche qui indulgente il giudizio: «Gli studiosi italiani devono esser grati all'Autore, il quale portando con questo libro un qualche contributo alla conoscenza migliore del Poema dantesco, ha certo efficace mente giovato alla divulgazione di esso fra i suoi connazionali americani ed inglesi>> (ibid.) . Peraltro, Del Lungo era a conoscenza della scheda sul "Giornale storico" (ivi, p. 194, nota 1). 39. La recensione di Bacci apparve nel "Bullettino della Società dantesca italia na", n.s. , X, 1902-03, pp. 336-7, in cui lo studioso riepilogava anche le altre recensioni. 25
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so, di Benedetto Soldati, La coda di Gerione (1903) , costituiva un pic colo dossier sul motivo dello scorpione 40 • Rispetto allo scritto di Sol dati, abbastanza modeste si presentano le pagine di Corrado Ricci, I cani nella "Commedia )) (1907) 41 • Va poi segnalato un contributo sin golare nel panorama del tempo per la qualità dei testi di riferimento citati, Gli animali fantastici nel poema di Dante di Guido Battelli 42 , sul quale recentemente è tornato Giuseppe Ledda. Gli approcci del Positivismo giungono a influenzare anche il breve contributo di Raf faele Sarra, Le conoscenze zoologiche di Dante 43 • Nella prima metà del Novecento le pubblicazioni dei dantisti sugli animali continuavano a rimanere prevalentemente circoscritte alla fauna prima indicata, le tre fiere, il veltro e l'aquila. In questo periodo, e ancora una volta fuori dai patri confini, co mincia a emergere l'attenzione intorno alla presenza di Esopo, grazie agli approfondimenti di uno studioso competente nel settore, Ken neth McKenzie 44 , al quale fanno seguito, negli anni, gli scritti di En40. B. Soldati, La coda di Gerione, in " Giornale storico della Letteratura ita liana " , XXI, 1903 , 41 , pp . 84-8 (al proposito cfr. gli Annunzi bibliografici del " Bullet tino della Società dantesca italiana " , n.s. , X, 1902-03 , pp. 342-60, in particolare p . 342). Sullo scorpione cfr. L . Aurigemma, Il segno zodiacale dello Scorpione nelle tra dizioni occidentali dall'antichità greco-latina al Rinascimento, trad. it. Einaudi, To rino 1976, mentre su Gerione mi limito a segnalare P. Baldan, La /rode patavina di Gerione (1990), in Id. , Ritorni su Dante, Moretti & Vitali, Bergamo 1991, pp. 45-88; S. M. Barillari , Disordine ontologico e strategie figurali. Il Gerione dantesco, in " L'Immagine riflessa " , n.s. , VII , 1998 , 1, pp. 39-56 e da ultima C. Carmina, "Ecco la fiera con la coda aguzza". La bestialità nel canto XVII dell"'In/erno", in " Dante " , II, 2005, pp. 99-111. 41. Si legge in C. Ricci, Pagine dantesche, Lapi, Città di Castello 1913 , pp. 105-9. Positivo il giudizio di F. F. (Francesco Flamini), in " Rassegna bibliografica della Let teratura italiana " , XXI, 1913, p. 297. 42. In Il VI centenario dantesco, 8 voll. , Tipografia salesiana, Ravenna 1914-21 , val. VI , 1917, pp. 107-15; gli animali fantastici presi in esame erano la sirena, il dragone, l' anfisbena, la fenice e il grifone. 43. In Studi su Dante e sulla scienza del suo secolo. Insieme ad altri lavori sulla storia della scienza e della civiltà, Da Vinci, Roma 1923 , pp. 237-43 ( "Archivio di Sto ria della Scienza " , III , 1922, 3-4). 44. K. McKenzie, Dante's Re/erences to Aesop, in "Annual Reports of the Dan te Society" , XVII, 1898, pp. 1-14 (su cui M. Scherillo, in " Bullettino della Società dan tesca italiana " , IX, 1902, pp. 282-6); cfr. anche M. S. Garver, K. McKenzie, Il Bestia rio Toscano secondo la lezione dei codici di Parigi e di Roma, " Studj romanzi" , VIII, 191 2, pp. l-100.
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zo Mandruzzato, Neil M. Larkin, Giorgio Padoan eJuan Varela-Por tas de Ordufi a 45 . Una data significativa per il nostro discorso è rappresentata sicu ramente dal 1948, quando compare la nota di Charles Speroni, The ) Folklore o/Dante s Dolphins (in "Italica" , xxv, 1948, 1, pp. 1 - 5 ) 46 • L'i talianista italo- americano si interrogava sulla presenza dei delfini, in relazione al celebre passo di Inf , XXII 47 : le pagine si facevano certa mente apprezzare, perché dimostravano come nella costruzione di un'immagine specifica concorressero non solo aspetti della letteratu ra alta, ma pure una parte della cultura folklorica. Nel raccogliere le informazioni, Speroni si allontanava dall'idea esclusiva di "fonte" , la vorando su un motivo e sulle sue attestazioni. La dantistica nostrana allora si dimostrò sorda a questo tipo di approccio: è sufficiente ri proporre la scheda apparsa sugli "Studi danteschi" , XXX, 1951, p. 221 a firma C. F.: >, vv. 3 5-36) , quel misterioso , interpretato nei modi più diversi dai critici, vale probabilmente qualcosa come o . Il viaggio del gatto lupesco , com'è noto, ha tutta l'aria di essere un itinerario a sfondo religioso-spirituale, dato che si sviluppa fra po poli pagani, nei luoghi della Terrasanta e in quelli abitati da infede li 1 9 • Non saprei se possa dirsi anche un viaggio nell'aldilà, a partire dall'incontro con l'eremita, dato che tutto ciò è lasciato sostanzia!S. Dittrich, L. Dittrich, Lexikon der Tiersymbole. Tiere als Sinnbilder in der Malerei des I4. -17- Jahrhunderts, Imhof, Petersberg 2004, pp. 254 e 258-9. 17. Le citazioni del testo da Il Gatto lupesco e il Mare amoroso, a cura di A. Car rega, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2000. 18. E. Filippini, Una profezia medioevale in versi di origine probabilmente umbra, in "Bollettino della R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria", IX, 1903, pp. 42168, in particolare p. 454. 19. Per questo filone interpretativo cfr., fra gli interpreti più recenti, A. Lanza, Il Detto del gatto lupesco. Alle radici dell'"allegoria fondamentale" della "Divina Com media'' (1972) , in Id., Primi secoli. Saggi di letteratura italiana antica, Archivio Guido Izzi, Roma 1991, pp. 41-59; Id., Nuove riflessioni sul "Detto del Gatto lupesco", in Id., Freschi e minii del Due, Tre e Quattrocento. Saggi di letteratura italiana antica, Cad mo, Fiesole 2002, pp. 13-22 (con proposte anche testuali). 16.
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mente indeterminato nel testo, e anzi direi che i riferimenti ai luoghi geografici hanno una preponderanza che porterebbe a escludere questa ipotesi. Il gatto lupesco è con ogni probabilità un'anima alla ricerca della verità, e per questo aspetto mi allineerei alle varie inter pretazioni che in questa chiave ci sono state proposte nel tempo. Di più, è chiaro che si tratta di un uomo sviato dalla retta via, come lo è Dante stesso. Ma di quale tipo di peccatore si tratta, o forse meglio, a quale tipo di tentazioni va soggetto o è andato soggetto? Nel caso del Dante viaggiatore la risposta maggioritaria degli interpreti è sem plice: nell'attacco dell'Inferno si allude alla superbia, alla lussuria e al1'avarizia, appunto simboleggiate dalle tre fiere. Naturalmente non sono mancate altre proposte 2 °. Per il protagonista del Detto non mi risulta che nessuno si sia ancora pronunciato in proposito, sebbene, a mio parere, la risposta vada ricercata nella simbologia dell'animale personaggio, esattamente come nel caso delle tre fiere di Dante. Dei tre vizi che presiedono all'incipit della Commedia l'unico che si potrebbe chiamare in causa potrebbe essere la lussuria, dato che al l'inizio del poemetto il protagonista è occupato da pensieri amorosi (vv. 1 - 7 ) : Sì com'altr'uomini vanno, ki per prode e chi per danno, per lo mondo tuttavia, così m'andava l'altra dia per un cammino trastullando e d'un mio amor gia pensando e andava a capo chino.
La lussuria, unita alla pigrizia, era anche uno dei più tradizionali at tributi simbolici del gatto nel mondo medievale. Qui però, a mio pa rere, abbiamo a che fare con un accenno un po' troppo "svagato" , nella tradizione delle pastorelle, perché si possa pensare che l'autore lo abbia caricato del significato dominante in ordine alla tentazione La bibliografia è infinita: John A. Scott, richiamando le principali possibi lità nel suo Perché Dante, trad. it. Aracne, Roma 201 0 , osserva che «questo tipo di al legoria illustra in maniera esemplare la natura essenzialmente ambigua del segno lin guistico» (p. 3 00) . 20 .
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che domina o piuttosto insidia la vita del suo peccatore. Il mistero va quindi ricercato nella natura del gatto lupesco, è nella commistione fra il carattere di questi due animali che occorre individuare il parti colare significato simbolico. Gatto e lupo quindi, sono questi due ani mali che possono spiegare a quali tentazioni sia soggetta l'anima del protagonista dell'enigmatico componimento. Naturalmente, una vol ta posto in questi termini il problema, non è facile offrire con sicu rezza una risposta, e nemmeno io ho la pretesa di proporne una si cura. Vorrei tuttavia avanzare una proposta che mi parrebbe da te nere in considerazione, e che quanto meno mi sembra possa essere validamente accostata a quelle tradizionali. Il gatto nel mondo medievale poteva rappresentare anche l'ereti co, al punto tal e che l a stessa parol a "cataro" , forse dal greco kathar6s, "puro" , era talora associata al tardo latino cattus (da cui for se il tedesco Katze) 2 1 • Questa proposta etimologica era piuttosto dif fusa, ed è ben noto che essa si trova ad esempio in Alano di Lilla e in Berthold von Regensburg 22 • Non occorre insistere sul fatto che il lu po era sempre associato all'immagine dell'eretico, anche nell'Italia dei tempi di Dante. La doppia natura del protagonista del Detto po trebbe allora rappresentare la tradizionale duplicità dell'eretico, lu po in veste di agnello o, come qui accade, in veste di gatto. In tutta la letteratura spiritualistica italiana del tempo l'eretico si presenta dop pio, e attraverso la doppiezza si impadronisce delle anime degli altri. L' adulazione, la lusinga, mascherano abitualmente la sua aggressività. Il nostro gatto lupesco potrebbe anche semplicemente rappresenta21. C'è ancora molta discussione su queste proposte etimologiche. Cfr. A. Borst, Die Katharer, Hiersemann, Stuttgart 1953, p. 253, nota 8, e recentemente M. Lambert, I Catari, trad. it. Piemme, Casale Monferrato 2001, pp. 69-71. Non ha dubbi J. Du vernoy, Le catharisme. II) la religion des cathares, Privat, Toulouse 1976, p. 303: «Les Ketter-Ketzer ne sont autres que les gens du Chat, les "chatistes " , dirions-nous. Le chat est en effet, au moyen age, pour l'Europe du Nord, la Bete infernale type». A. Patschovsky, Der Passauer Anonymus. Ein Sammelwerk iiber Ketze,; ]uden, Anti christ aus der Mitte des 13. Jahrhunderts, Hiersemann, Stuttgart 1968, pp. 89-101, qua lifica come "popolare" l'etimologia che lega il cataro al gatto. 22. Per Alano cfr. De fide catholica, I 63, in PL, vol. ccx, col. 366; per la posizio ne di Berthold, che aggiunge qualcosa circa l'attività notturna degli eretici, che li ac comuna ai gatti, cfr. A. Czerwon, Predigt gegen Ketzer. Studien zu den lateinischen Sermones Bertholds von Regensburg, Mohr Siebeck, T iibingen 2011, p. 134. 42
LE TRE FIERE DI DA �TE , LA Q UES TE E IL GA TTO L UPESCO
re l'uomo che è tentato dalla dimensione dell'eresia, o comunque da ciò che lo allontana dalla via della salvezza, l'uomo che è in cerca della verità. E colui che è uscito dalla giusta strada della religione, secondo un'immagine comune nella letteratura medievale di questo ge nere. Per i francescani rigoristi è ad esempio frate Elia che >, vv. 92-93) . Virgilio aiuta Dante a superarla co me fa l'eremita nel nostro testo. La lontana suggestione degli incontri fra i personaggi dei romanzi e dei poemetti francesi spunta in questo inizio della Commedia dove meno la si potrebbe aspettare, e dove in fatti meno è stata rilevata. Per restare con tessere che sono presenti an che nel Detto, Lucia raccomanda Dante a Beatrice in In/ , II 98-99 con la stessa rituale formula ripetuta nel poemetto e nelle sue fonti d'ol tralpe () ; poco dopo la stessa Beatrice, per dire della sua solerzia per rivolgersi a Virgilio a soccorso dell 'amico, si riferisce ai terrestri indaffarati (, In/ , II 109-110, corsivo mio) nello stesso modo in cui ne parla l'autore del Detto all'inizio del suo poemetto: > 1 1 • In molti codici Cerbero è raffigurato in posizione frontale o semifrontal e, non più con tre teste, ma, come il Lucifero di Inf , XXXIV, con tre facce, canine o dai tratti genericamente bestiali; in al cuni di essi, ancora a somiglianza del maggior demonio, divora o por ta alla bocca i dannati 1 2 , secondo il tipo del demonio divoratore del la Cappella degli Scrovegni e del Battistero di Firenze. Al di là delle congruenze figurative, nell'economia dell'inferno dantesco Cerbero, 9. Gn 2 , 7: «Formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terrae et inspira vit in faciem eius spiraculum vitae et factus est homo in animam viventem»; cfr. an che Io 3, 31: «qui est de terra de terra est et de terra loquitur», nonché Eccl 3, 19-20: «cuncta subiacent vanitati et omnia pergunt ad unum locum, de terra facta sunt et in terram pariter revertentur»; Gn 3, 19: «in sudore vultus tui vesceris pane donec re vertaris in terra de qua sumptus es quia pulvis es et in pulverem reverteris». 10. Sulle miniature di questo codice, dipendenti, per l'Inferno, dal modello pit torico del «Nardo's Inferno in S. Maria Novella>>, cfr. P. Brieger, M. Meiss, C. Sin gleton, Illuminated Manuscripts of the "Divine Comedy n, voi. I, Princeton University Press, Princeton-New York-London 1969, pp. 327-8. 11. V. Zabughin, I codici istoriati di Dante nella Biblioteca Vaticana, Alfieri, Mi lano-Roma 1921, p. 19, nota 54. 12. Si tratta dei seguenti codici: Londra, British Library, Egerton 943, f. 12r (seco lo XIV ex.); Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1102, f. 5v (secolo xv in.); Laur. plut. 40.7, f. 12 (secolo xv in.) . Notiamo che a Inf, VI 18 tutti i manoscritti citati recano «ingoia». 52
IL MOSTRO DIVORATORE NELL' JNFERI'iO DI DA NTE : MODELLI CLASSICI
, presenta effettivamente forti affinità con Lucifero, >) 3 6 • Anche all'Eritone dantesca è legato un episodio negromantico. Oggetto dell'invocazione è però questa volta l'anima di Virgilio, il Virgilio "personaggio" dell'Inferno, che rivela al suo pupillo di esser già disceso nel fondo della voragine infernale > coincida con l'eresia, fa del Minotauro una sorta di guardiano del sesto cerchio) . L'ipotesi che il mostro cre tese, mezzo uomo e mezzo toro, sia assunto da Dante a «typum atque figuram mali tiae et bestialitatis» è già in Guido da Pisa, Expositiones et Glose super "Comediam" Dantis, ed. by V. Cioffari, State University of New York, Albany 1974, pp. 211 e 220. Sul modo in cui Dante ha raffigurato il Minotauro e sui possibili nessi tra questa raf figurazione, la theri6tes aristotelica e la «bestialitade» dantesca cfr. il dotto articolo di A. Tartaro, Il Minotauro} la "matta bestzalitade'' e altri mostri, in " Filologia e Cri tica " , XVII , 1992, pp. 161-86 (parzialmente ripreso in Id. , Cielo e terra. Saggi danteschi, Studium, Roma 2008, pp. 76-80) . Cfr. anche infra il saggio di Giuseppe Izzi, «varza rum monstra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri.
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esteriormente bestiali: così Filippo Argenti, in preda a una furia ca nina 28 , l'usuraio padovano che con una smorfia tira fuori la lingua >, Lucifero. Ma, lasciando da parte Lucifero, che è un angelo decaduto e non un uomo, va rilevato che gli atti compiuti da tutti gli altri personaggi denotano piuttosto o una particolare qualità, ferina appunto, della pe na o al più denunciano un uso traslato, spesso iperbolico, del concetto di bestialitas (la deformità animalesca come specchio di deformità mo rale) e non sembrano potersi ascrivere alla disposizione etica e psico logica che Virgilio, con termine tecnico, definisce . Perché, viene da chiedersi, tanta reticenza? E impensabile si possano dare risposte sicure a un simile interrogativo, per quanto legitti mo. I silenzi del testo non lo consentono. Ma si può comunque osser vare, utilmente forse, che la bestialità, così come la tratteggia Aristote le, è una disposizione incolpevole, e in quanto tale irricevibile in un si stema penale che come quello dantesco si basa sul principio dell'im28 . In/ , VIII 61-63 . 29 . Cfr. In/ , XVII 74-75, e si noti che il cerchio degli usurai è aperto dalla simili tudine dei cani che d'estate cacciano da sé «or col ceffo or col piè» mosche o tafani ( vv. 49-51) . 30. In/ , XXIV 124-126: «Vita bestia! mi piacque e non umana, / sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci I bestia, e Pistoia mi fu degna tana». A proposito del v. 124, «vi ta bestia! mi piacque e non umana», osserva opportunamente Inglese che «tale alie nazione del fine ultimo dell'uomo accomuna tutti i dannati; qui l'accento è sul mi piac que, sull'acre compiacimento nel male in cui Vanni Fucci ha risolto tutto sé stesso». 31 . In/ , XXX 1 -12. La storia di Atamante, che vedendo Ino, sua seconda sposa, in com pagnia dei due figlioletti, Learco e Melicerte, credette, reso pazzo da Giunone, di vedere una leonessa con i due leoncini e si scagliò furiosamente contro di loro, scaraventando Learco su una roccia e inducendo Ino a gettarsi giù da una rupe con in braccio Melicerte, è ripresa da Ovidio, Met. , IV 416- 562. E sem pre da Ovidio (Met. , XIII 439-532) dipende la descrizione, immediatamente successiva, di Ecuba, che ap preso della morte dei figli Polissena e Polidoro «forsennata latrò sì come cane: / tan to 'l dolor le fé la mente torta» (vv. 20- 21) , interessante perché rappresenta la perdi ta della razionalità nei termini di una metamorfosi dall'umano al ferino.
DANTE E LA :\'OZIO:\'E ARISTOTELICA DI BESTIALITÀ
putabilità dell'azione 3 2 • Il processo psicologico che di norma conclu de a un atto libero (e quindi moralmente sanzionabile) è inibito in ef fetti, nel caso dei bestiali, da una razionalità stravolta, e quasi assente 33 • L'eclissarsi della razionalità impedisce al discorso etico di costi tuirsi; sicché già in Aristotele la theri6tes tende a sottrarsi alla scienza dei comportamenti umani, che è scienza delle azioni libere e coscienti, e a ricadere piuttosto nel caso clinico. Così è pure per i commentatori medievali, che infatti assegnano alla bestialità, in considerazione della sua natura irrazionale, pene più miti che alle altre forme peccaminose (malizia e incontinenza pure e semplici) , propriamente umane, ma per ciò anche più colpevoli. Si ascolti ad esempio l'Aquinate: sicut bestia minus habet de culpa quam homo malus, sed est terribilior, ita etiam bestialis malitia seu incontinentia terribilior quidem est, sed minoris culpae et innocentior quam incontinentia seu malitia humana; unde, si ali qui amentes vel naturaliter bestiales peccent, minus puniuntur 34 • 32. In questa direzione è orientata già la chiosa di Torraca, per il quale gli esem pi di bestialità riferiti da Aristotele nell'Etica non trovano posto nell'inferno dante sco «né ve lo potevano trovare», perché, scrive, «i bestiali non hanno ragione, o ne hanno poco che è come niente (Commento di San Tommaso all'Etica), e i peccati pu niti nell'Inferno sono effetti dell'uso non buono della ragione. Il peccato presuppo ne una scelta, che i bestiali non possono fare; cfr. Purg., XVIII 62 ss. I bestiali stanno fuori de' termini dell'incontinenza come della malizia proprie dell'uomo, , e sono pochi, e "rari " , dice Aristotele, "come i virtuosi di virtù eroica e divina" . E inutile perciò cercare nell'Inferno dantesco il posto della bestialità»: cfr. F. Torraca, Commen to alla "Divina Commedia", a cura di V. Marucci, 3 voll., Salerno Editrice, Roma 2008, vol. I, p. 197 (I ed. Società editrice Dante Alighieri, Roma-Milano 1905-06). Una po sizione analoga è difesa da Tartaro, Il Minotauro, cit., pp. 178-9 e nota 37, che però mi sembra andare troppo oltre là dove scrive che la «matta bestialitade» «consiste propriamente nel perseguire l'iniuria in generale, dietro a fini delittuosi (raggiunti ora con la violenza, ora, e più gravemente, con la frode), sulla spinta di un'ossessiva tendenza al male. Di qui all'identificazione del male per antonomasia il passo è bre ve» (così a p. 183 nota). 33. Eth. Nic. VII 8 , 1150a I ss. 34. Tommaso d'Aquino, Sententia libri Ethicorum, lib. VII, lect. 6, ed. cit., p. 407, 11. 243-249, e cfr. anche 11. 214-234: «cum dicit: Minus habet bestialitas etc., comparat bestialem malitiam vel incontinentiam humanae. Et dicit quod bestialitas minus ha bet de ratione malitiae, si consideratur condicio bestiae vel hominis bestialis, sed be stialitas est terribilior, quia facit maiora mala. Et quod minus habeat de malitia be stialitas, probat per hoc quod in bestia id quod est optimum, scilicet intellectus, non remanet sicut corruptum et depravatum, prout remanet in homo malo, sed totaliter
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Una simile svalutazione etica della bestialitas difficilmente avrà man cato di lasciare tracce in Dante. E si ha anzi netta l'impressione che se la , pure nominata da Virgilio con malizia e in continenza tra le disposizioni invise al cielo, occupa, a paragone del le altre due, una posizione tanto marginale (e forse nessuna posizio ne) nella topografia morale dell'inferno dantesco, ciò sia proprio a causa dell'irrilevanza etica denunciata dalle fonti. Qualora fosse così, come supponiamo, verrebbe meno l'esigenza, variamente avvertita dagli esegeti, di attribuire un significato struttu rale all a citazione aristotelica di Virgilio. E quella citazione potrebbe essere intesa, più banalmente, come il rinvio bibliografico, puntuale e di scuola, che il maestro fornisce ali'allievo in difficoltà, onde con sentirgli, col solo richiamare le prime battute, a lui ben familiari, del settimo libro dell'Etica, di ritrovare in se stesso, nella propria scienza e nei testi che l'hanno nutrita, l'esatta fisionomia morale del vizio di incontinenza e la sua minore gravità rispetto a quello di malizia (su questo punto specifico verteva in effetti, non va dimenticato, l'inter rogativo posto da Dante) 3 5 •
ita corruptum est quod nihil habet de illo. Unde simile est comparare bestiam ho mini malo utrum sit peius sicut comparare inanimatum animato; inanimata quidem possunt plus laedere sicut cum ignis urit aut lapis conterit, sed plus recedit a ratio ne culpae; semper enim pravitas eius qui non habet principium actionum est inno centior, quia minus potest ei imputari aliquid ad culpam, guae propter hoc homini imputatur quia habet principium per quod est dominus suorum actuum, quod qui dem principium est intellectus, qui in bestiis non est». Dello stesso tenore la chiosa di Alberto Magno, cfr. Ethica, ed. cit., pp. 487b-488a. Il carattere amorale della be stialitas è già sottolineato nella chiosa dell'anonimo commentatore greco del libro VII, edita da H. P. F. Mercken in The Greek Commentaries on the "Nicomachean Ethics" in the Latin Translation o/ Robert Grosseteste Bishop o/ Lincoln (t I253), voi. III, Leuven University Press, Leuven 1991, pp. 49-51. 35. Si rilegga l'ammonimento di Virgilio: «Non ti rimembra di quelle parole / con le quai la tua Etica pertratta / le tre disposizion che 'l ciel non vole: / inconte nenza, malizia e la matta / bestialitade? E come incontenenza / men Dio offende e men biasim'accatta?» (In/, XI 79-84). A non sovrastimare il significato strutturale della «matta bestialitade» invitava già B. Nardi, nella citata lectura di Inf, XI , p. 204.
«variarum mons tra ferarum»: dal Minotauro ai Centauri di Giuseppe Izzi
Seguendo fedelmente la seconda parte del titolo, dal Minotauro ai Centauri, comincerò da quando, all' inizio del canto XII dell'Inferno, Virgilio e Dante si accingono a lasciare il cerchio degli eretici per scendere tra i violenti racchiusi nel settimo cerchio, lungo una , una frana, che richiama desolati paesaggi terrestri e che si ap prenderà poi essere stata causata dal terremoto che accompagnò la morte di Cristo. E , sul margine estre mo della , l'infamia di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse, sì come quei cui l'ira dentro fiacca (Inf , XII 1 2 - 1 5 ) .
L' è il Minotauro in quanto frutto della lussuria di Pasifae, come lo aveva visto Enea all' inizio del suo viaggio verso gli inferi, sui battenti della porta del tempio di Apoll o edificato da De dalo a Cuma, dove era sinteticamente raffigurato il dramma cretese: su un battente l' uccisione del figlio di Minosse, Andrògeo, e il vin dice tributo imposto ad Atene, sull' altro la tormentosa passione per il toro, , di Pasifae, l' inganno della falsa vacca, , il frutto dell' innaturale connubio, 1 Nella memoria poetica dantesca molti versi ovi diani rafforzavano queste immagini, dal citatissimo 2 al lamento di Ifide, di cui si leggeva nel nono libro delle Me tamorfosi, che era stata cresciuta come maschio dalla madre Teletusa per sottrarla alla morte decretata dal padre Ligdo per una figlia fem mina e che, promessa sposa all' amica lante di cui era innamorata, era stata trasfarmata in maschio da Iside. In particolare, dice la fanciulla prima dell' intervento della dea, Creta è terra in cui si realizzano , terra in cui 3 , anche se a Ifide il suo amore omosessuale appare di quello di Pasifae che (Met. , IX 739-740; ) ; immagine presente anche in un passo del lamento di Scilla che tradisce il padre Niso per amore di Minosse, vie ne da questi rifiutata e gli grida contro che davvero era degna di averlo come marito quell' adultera che il torvo toro e che (Met. , VIII 131-133) . Dal nacque la (Met. , VIII 169) , il (Ars amandi, II 24) , che appare a Dante e Virgilio come uomo con testa di toro, secondo l' i conografia classica, o come toro con testa o corpo di uomo, simile, cioè, a un Centauro (magari cornuto, come appare in alcuni manoscritti) . Sulla soglia del cerchio dei violenti, custode dell' intero cerchio o della sola , Dante colloca, quindi, il Minotauro, non solo , aveva già osservato Gelli 4 , ma anche > 5 • Il ricordo delle antiche favole cretesi 6 , rafforzato da quello delle peregrinazioni di Enea alla ricerca dell' " antica madre " , culminerà 5. L. Coglievina, Il canto XII dell"'In/erno}) , in "Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze" , n.s. , LXIII-LXIV, 2001-02, pp. 131-67, in particola re p. 138. E scrive Maria Antonietta Terzoli: «Come la doppia natura del Cristo, di vina e umana, è legata alla sua nascita (nato da donna, ma figlio di Dio) , così quella umana e animale del Minotauro è la conseguenza mostruosa del congiungimento di una donna con un toro, rievocato proprio nel canto XII ( " che fu concetta ne la falsa vacca " , v. 13) . La terribile perfezione dell'antitesi cristologica risulta anche più evi dente se si considera che, mentre la Vergine costituisce l'emblema stesso della castità e della purezza, Pasifae, madre del Minotauro, rappresenta nella Commedia I' esem pio per eccellenza della lussuria, rievocato ancora nel settimo girone del Purgatorio» (M. A. Terzoli, I rischi dell'interpretazione. A proposito di "Inferno'' XII, in " Versants " , 44-45, 2003 , numero monografico, I:interprétation littéraire aujourd'hui, a cura di P. Frohlicher, pp. 193-212, in particolare p. 205) . 6. «Il vecchione cretese rappresenta un momento imprescindibile della mito grafia cretese che partecipa alla struttura intertestuale di tutta la prima cantica. Cre-
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nella complessa figura del veglio di Creta, sulle cui interpretazioni non mi soffermerò , ricordando, invece, che nell'Eneide Creta è evo cata ancora durante i giochi celebrati in Sicilia in memoria di Anchi se, quando gli squadroni dei giovani Troiani si esibiscono nelle evo luzioni del !usus Troiae, a imitazione dell' (Aen. , V 591) del Labirinto; e che nella porta del tempio di Apollo a Cuma, edificato dallo stesso architetto del Labirinto crete se e che Enea deve varcare per accedere all'Ade, era raffigurato an che il Labirinto, per Virgilio , come dice Her mann Kern, aggiungendo che l'idea virgiliana > contraddice la tradizione che, appunto, lo presentava come ospitale amico di Ercole, morto per essersi ferito accidentalmente con una delle frecce dell'eroe. Lo spun to per l'ira di Fola può essere stato offerto a Dante, come ebbe già a osservare Ciafardini 1 5 , da un passo della Tebaide, nel paragone con Tideo che, assalito di sorpresa, ( Theb. , II 545 -546) , afferra un enorme mas so per lanciarlo contro i nemici, > 24 . Naturalmente il considerare più o meno vicina la fisionomia dei dan nati e quella dei custodi influisce sul modo di valutare presenza e ruo lo di questi ultimi, soprattutto se li si considera, come ancora di re cente è stato detto, 2 5 : ma su questo ritornerò in conclusione. D'altra parte, Dante, che pur ricorre al simbolo del grifone 26 , è più vicino a quella parte della simbolica cristiana che considerava i Centauri manifestazioni del demonio, come i due Centauri dell'Alle goria dell'obbedienza e dell'Allegoria della castità nella Basilica infe riore di Assisi, che non a quella che, prendendo spunto probabil mente proprio dai tratti positivi della figura di Chirone, scorgeva nei Centauri l'allegoria della doppia natura, umana e divina, di Cristo: come nel Centauro scoperto sotto il Cristo giudice della Cappella de gli Scrovegni o come nelle raffigurazioni del Centauro Sagittario 2 7 • 23. Dante attribuisce a ebrietà di cibo e di vino il tentativo di rapire le donne dei Lapiti, che condusse alla battaglia con questi e alla sconfitta dei Centauri ( «satolli», li chiama Dante: e Ovidio dice di Eurito, rapitore della sposa, «tibi [. . . ] I Euryte, quam vino pectus tam virgine visa / ardet et ebrietas geminata libidine regnat», Met., XII 219-221; e saranno da ricordare anche le Georgiche, II 455-456: «Bacchus et ad cul pam causam dedit; ille furentis / Centauros leto domuit») . 24. Coglievina, Il canto XII delt"In/erno", cit. , p. 161. 25. A. Ardigò, Centauri e dannati nel canto XII dell"'In/erno", in "Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano " , LXV, 2012, 1, pp. 139-55, in particola re p. 144. 26. C. Livanos, Dante's Monsters: Nature and Evi! in the "Commedia", in " Dan te Studies " , CXXVII, 2009, pp. 81-92. 27. G. Pisani, I volti segreti di Giotto, Rizzoli, Milano 2009, pp. 240-3. Cfr. an che la trad. it. di Le Bestiaire du Christ (1940) di L. Charbonneau-Lassay, Il Bestiario
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«VARIARCM MONSTRA FERARCM» : DAL MINOTACRO AI CENTACRI
Nulla di tutto questo né nei del Purgatorio sopra citati né nel petto di Chirone (In/ , XII 84) , dove, cioè, , come dice Singleton 2 8 , bene illustrando la presenza in questo girone di 2 9 • E nei Tristia, nell'elegia 7 del secondo libro 3 0 , in un elenco di mostri favolosi (tra cui il Mi notauro, ) alla cui esistenza reale il poeta di chiara di non credere, i Centauri sono presentati come (v. 15): definizione che ci rimanda ai del Purgatorio ma anche al petto di Chi rone (pur se nella memoria poeti ca di Dante sembra risuonare di più Agostino: , De civitate Dei, XVIII 13 ) . Caco, infine, da Dante fatto Centauro per l'interpretazione da lui data ai termini virgiliani , con cui i Centau ri erano chiamati in Ovidio, avendo aggiunto alla violenza dei suoi fratelli il furto con frode, è collocato nella bolgia dei ladri, anche lui strumento della volontà divina, ladro che punisce ladri. La sua im magine, deformata in entrambe le componenti, da su e da un che vomita fuoco , è costruita su un intarsio di reminiscenze virgiliane (mostro ignivomo in quanto figlio di Vulcano; famoso ladro di armenti) e ovidiane (la morte per mano di Ercole ma non per soffocamento bensì sotto i col pi di clava dell'eroe) 3 1 , mentre il posto rimanda alle combinazioni mostruose di corpi e facce frequenti neldel Cristo. La misteriosa emblematica di Gesù Cristo, prefazione di L. Gallesi, saggio introduttivo di S. Salzani, P. Zoccatelli, Arkeios, Roma 1994, in particolare i capp. Il Centauro, pp. 503-10 e Il Centauro-Sagittario, pp. 511-9. 28. C. S. Singleton, La poesia della "Divina Commedia", trad. it. il Mulino, Bo logna 1999, p. 540. 29. Ivi, p. 542. 30. Ricavo la citazione dal cap. XVI (Dei centauri: dei ciclopi: degli arimaspz: dei cinocefali) del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Giacomo Leopardi do ve, con altro intento, sono squadernate molte delle fonti classiche e patristiche sco perte dal Medioevo a oggi dai commentatori danteschi. 31. Ronconi, Per Dante interprete, cit. , pp. 214-5.
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l'arte medievale 3 2 : e Dante, avendo dato a Caco la veste di Centauro, trasporta al sulle sue spalle la caratteristica di sputar fuoco data al mostro da Virgilio. Il Minotauro e i Centauri sono, quindi, monstra, fisiche e ammo nitrici incarnazioni della violenza, che, favorita dalle disposizioni d'a nimo della cupidigia e dell'ira, altera o annulla la facoltà razionale dell'uomo, consegnandolo al peccato: Oh cieca cupidigia e ira folle, che sì ci sproni ne la vita corta, e ne l'etterna poi sì mal c'immolle ! (Inf , XII 49- 51)
Degradati da uomini a bestie, colpevoli non sol o verso altri uomini ma verso lo stesso ordine sociale, - come ha scritto An drea Mazzucchi -, 33 • Coerente con il peccato, continua il critico, è la 34 • Al che si può aggiungere, con le parole di Ettore Parato re, che i mostri mitologici che Dante prende a prestito dai poeti classici sono da lui trasformati in diavoli: e funzione caratteristica del diavolo, secondo le cre denze cristiane e medioevali, è di custodire e tormentare le anime dei dan nati, mentre però la stessa eterna separazione dal cospetto di Dio, lo stesso sprofondamento nel baratro infernale, la stessa ricerca perenne del male da arrecare all'umanità costituiscono il tipico castigo cui le nature demoniache sono sottoposte 3 5 • 32. B. Basile, Mostri delle "Storie d'Ercole" nell"'In/erno", in Id., Il tempo e la memoria. Studi di critica, testuale, Mucchi, Modena 1996, pp. 11-32, in particolare pp. 16-20. 33. Mazzucchi, >, non ho trovato finora nessuna traccia nel la letteratura antica e medievale precedente i commenti danteschi. Diffusissima è invece la storia secondo cui il castoro o bivero è cac ciato dagli uomini perché i suoi testicoli contengono una sostanza dalle proprietà medicinali. Perciò quando viene inseguito dai cacciatori, l' a nimale, consapevole del motivo per cui viene cacciato, si taglia con un morso i testicoli e li abbandona sul terreno proseguendo poi nella fuga. I cacciatori raccolgono i testicoli e smettono di inseguirlo. Questa noti zia permetteva una interpretazione morale positiva, in quanto l' autoe virazione era letta come segno di volontaria rinuncia al vizio 25 • Eviden temente questi aspetti non sono pertinenti per la similitudine dantesca. 22. Per la similitudine con il falcone cfr. Mercuri, Semantica di Gerione, cit., pp. 163-77; D. Boccassini, Il volo della mente. Falconeria e Sofia nel mondo mediterraneo. Islam, Federico II, Dante, Longo, Ravenna 2003, pp. 335-88, in particolare pp. 358-60. 23. Su cui cfr. Mercuri, Semantica di Gerione, cit., pp. 153-62. 24. Cfr. ad esempio già il commento di Jacopo Alighieri ai vv. 19-24: «Ancora per essempro del suo figurato permanere in su l'orlo del grado presente e parte nel va no che sopra l'ottavo permane, qui della qualità d'alcuno animale, nominato bivero, così si ragiona, che nelle lagune della Magna naturalmente stando e vivendo di pe sci, alcuna stagione dell'anno, così a sua pastura s'acconcia, essendo di grandezza e di forma come faina, ed avendo la coda formata di pescie, la quale con tanta gras sezza permane, che, stando alla riva, e percotendola nell' acque, scandelle come d' o lio per l'acqua rimagnono, alle quali i pesci traendo, da lui finalmente son presi». Ri petono e ampliano tale notizia Jacopo della Lana e l'Ottimo, poi seguiti da tutti gli altri commentatori. A meno di diversa indicazione, i commenti danteschi si inten dono citati dal sito del Dartmouth Dante Project. 25. La notizia si trova già in Plinio, Nat. Hist. , VIII 109; Eliano, Nat. anim. VI 34. ' E diffusa ovunque nel bestiario medievale cristiano, accompagnata da moralizzazione positiva, dal Fisiologo (versione latina B Is, 17, in L. Morini, a cura di, Bestiari me dievali, Einaudi, Torino 1996, pp. 42-3) in poi, sino a giungere invariata a Cecco d' A-
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Nella letteratura naturalistica la notizia più pertinente al passo dantesco sembrerebbe quella secondo cui il bivero o castoro è un ani male , in quanto dotato di duplice natura: la coda di pesce e il resto del corpo di quadrupede terrestre 26 • Così può nuotare nell'acqua come un pesce e camminare sulla terra come un quadrupede. Inoltre si costruisce delle tane in prossimità dell'ac qua, in modo da poter tenere il resto del corpo all'asciutto, ma la co da sempre immersa nell'acqua, di cui essa ha assolutamente bisogno, data la sua natura di pesce. Così ad esempio Bartolomeo Anglico: Castor est bestia mirabilis, quae cum quadrupedibus vivit et graditur in ter ris, sub aquis autem natat et commoratur cum natatilibus, sicut piscis [ . . . ] . Aqua crescente loca superiora inhabitant, decrescente autem in inferiori parte habitaculi sese locant, et per quoddam foramen in solario quolibet ex industria praeparato , caudam suam , quae pisceae est naturae, submittit aquae, sine cuius praesentia non potest cauda eius sine corruptione aliqua permanere. Animai est mirabile et monstruosum, cuius cauda tantum piscis, et totum residuum sui corporis naturam habet quadrupedis animalis 27 •
In questo la postura del castoro corrisponde a quella di Gerione, con le zampe sul bordo del burrone e la coda in un altro elemento: Ge rione nell'aria, il castoro nell'acqua. Anche la mostruosità e mirabi lità collegano il castoro al mostruoso Gerione, definito fin dall'inizio una (XVI 131-132) . La duplicità e il caratte re anfibio sono in potenza segno di frode, ma non ho finora trovato nella letteratura naturalistica medievale tracce sicure di un'esplicita interpretazione morale del castoro in tal senso. scoli (J;Acerba, III 44) . Per citare a titolo puramente esemplificativo solo i testi rac colti in Marini (a cura di), Bestiari medievali, cit., si possono vedere le pp. 170-2, 3 268 , 396, 455, 497, 609 . La notizia si trova persino nel Tresor di Brunetto Latini (I 181) . 26. Cfr. già Plinio, Nat. Hist., VIII 109: «Cauda piscium his, cetera species lutrae». 27. De proprietatibus rerum, XVIII 28 . Le notizie riportate da Bartolomeo e da al tri autori (ad esempio Gervasio di Tilbury, Otia imperialia, III 44: «bever, animal qui dem ad anteriorem partem gressibile, sed ad subteriorem medietatem in piscem de sinit; partem inferiorem semper aqua immergit, superiorem terre infigit, et ut natu re sue commoda inveniat receptacula, in ripa quasi salaria cavernosa facit, ut cum ascendit aqua vel descendit paratas sibi reperiat mansiones»), si ritroveranno anco ra, ambientate nelle lagune del delta padano, nel Dittamondo di Fazio degli Uberti (III 2, 40- 54) .
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L'enciclopedia di Vincenzo di Beauvais, raccogliendo varie noti zie, aggiunge un carattere più composito alla mostruosità del casto ro, distinguendo le zampe anteriori, simili a quelle di un cane, da quelle posteriori, simili a quelle palmate di un'oca: grazie alle prime può camminare sul terreno, grazie alle seconde può nuotare nell'ac qua come un uccello acquatico. Ma Vincenzo aggiunge anche una cu riosa notizia di tipo alimentare, tratta dal De natura rerum di Tom maso di Cantimpré. La coda non solo è simile a quella di un pesce e per sua natura deve sempre stare nell'acqua, ma ha anche sapore di pesce, mentre il resto del corpo è costituito di carne. Così la parte del la coda del castoro che ha natura e sapore di pesce può essere man giata dai cristiani anche in giorni di digiuno o di magro, in cui il con sumo della carne è vietato, ma non quello del pesce: Non potest [ . . . ] substinere nisi caudam in aquam teneat, quam habet pi scium caude similem, saporeque eius et specie. Unde et a christianis in ieiu nio comeditur. Pars caude ipsius edibilis est, pars usibus interdicta. Resi duum autem eis est caro. lpsaque cauda longitudinis cubitalis est, pingue dinem multam habens; pedes autem posteriores habet ut anser, etsi maiores et cum unguibus, anteriores autem ut canis. Hec enim illis natura paravit, ut et posterioribus velut avis in aqua nataret, et anterioribus in terra sicut qua drupes ambularet 28 •
Forse proprio a questa sottile e un po' furbesca distinzione da golo si allude Dante quando colloca i castori . Del resto si può trovare anche qualche traccia dell'attribuzione di questa abitudine alimentare proprio ai Tedeschi. Così ad esempio os serva Giraldo Cambrense nella Topographia Hibernie: Unde et in Germania, archoisque regionibus, ubi habundant beveres, cau dis huiusmodi, piscium naturam, ut aiunt, tam sapore quam colore sortitis, viri magni et religiosi ieiuniorum tempore pro pisce vescuntur 29 •
Sotto il profilo alimentare occorre osservare poi che non ho trovato in nessun testo la notizia secondo cui il castoro si ciberebbe di pesce, Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, XIX 28. Giraldo Cambrense, Topographia Hibernie, I 21 (cito da J. J. O'Meara, Gi raldus Cambrensis in Topographia Hibernie: Text o/ the First Recension, in "Proceed ings of the Royal Irish Academy", LII, 1948-50, pp. 113-78, in particolare p. 129) . 28. 29.
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notizia che potrebbe essere almeno una base per giustificare quella della caccia ingannevole che il castoro darebbe ai pesci per cibarse ne. Al contrario, le abitudini alimentari riconosciute al castoro sono piuttosto quelle di cibarsi della corteccia e del legno degli alberi. Su tali aspetti alimentari si diffondono a lungo Vincenzo di Beauvais e Tommaso di Cantimpré: saporem habet et speciem cauda sicut piscis, unde in ieiunio comeditur a Christianis. Pars ipius caude esibilis est, pars vero usibus interdicta; resi duum autem corporis eius caro est. [. . . ] Castor quidem amaris arborum fo liis atque corticibus pro summis deliciis vescitur. Unde fit, ut tota caro eius et si bono, tamen amaro odore perfunditur 3 0 •
In Tommaso di Cantimpré si trova poi una notizia, ripresa anche da Vincenzo di Beauvais, che potrebbe essere utile per intendere l'e spressione >, pronto alla sua guerra di fensiva contro i cacciatori, diventa il luogo da cui arrivano i cani, e con tale tecnica ingannevole di caccia il castoro è vinto. Tommaso di Cantimpré, De natura rerum, IV 14, 54 (ed. by H. Boese, de Gruyter, Berlin-New York 1973 , p. 117) . 31. Ibid. Cfr. anche Vincenzo di Beauvais, Speculum naturale, XIX 30. 30.
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3 . Tra le tante immagini animali disseminate nell'In/erno, un buon esempio della complessità del bestiario dantesco può essere offerto dalla si militu dine della fenice, nel canto centrale tra qu el li delle Ma lebolge: Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avventò un serpente che 'l trafisse là dove 'l collo a le spalle s'annoda. Né O sì tosto mai né I si scrisse, com ' eI s ' accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa e 'n quel medesmo ritornò di butto. Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba né biada in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son !'ultime fasce (Inf , XXIV 97-111) 3 2 •
L'intero episodio della bolgia dei ladri è costruito sul confronto-scon tro con la grande poesia classica. E per molti particolari il testo prin cipale da cui Dante attinge per le terzine sulla fenice è proprio quel lo delle Metamorfosi di Ovidio (xv 392-408) . Ai modelli classici va però aggiunto un altro riferimento, la presenza dei serpenti nell'aldilà islamico 33 • Alcuni paragrafi del Liber Scalae (140, 143 , 196) offrono in fatti un numero notevole di riscontri puntu ali: la presenza dei ser penti; il loro terribile veleno; il preciso effetto di combustione e in32. Per l'analisi del passo e per ulteriori riferimenti bibliografici cfr. Ledda, Per lo studio del bestiario dantesco, cit., pp. 88-94: riprendo qui rapidamente solo le con clusioni di tale lavoro. 33. Cfr. M. Corti, La "Commedia" e l'oltretomba islamico, in Ead., Scritti su Dan te e Cavalcanti, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 365-79, in particolare p. 378, e, per ulte riori riscontri e più ampie analisi, Ledda, Per lo studio del bestiario dantesco, cit., pp. 91-2. Per il testo del Liber Scalae cfr. E. Cerulli, Il "Libro della Scala }} e la questione delle fonti arabo-spagnole della "Divina Commedia }', Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1949. 103
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cenerimento delle membra che esso provoca sino ali' annientamento del peccatore o alla sua riduzione in cenere; la ricostituzione-rigene razione del peccatore nello stato precedente, per essere nuovamente punito. Proprio la combustione e l'incenerimento, e poi la riforma zione del peccatore, sono gli elementi che fanno scattare nel testo dantesco l'analogia con la fenice. Pur non citato esplicitamente, il te sto escatologico islamico potrebbe forse entrare perciò nella com plessa rete intertestuale su cui è costruito l'episodio dantesco. Ma la fenice ha un'ampia presenza e un'importante interpretazio ne simbolica anche nell'ambito del bestiario cristiano: già il Fisiologo, il capostipite di questo genere letterario, ne propone l'interpretazione cristologica: 34 • Nel bestiario cristiano la fenice conta in numerevoli occorrenze e un'interpretazione univoca e costante, con minime variazioni, come simbolo della resurrezione di Cristo e di quella promessa al cristiano 3 5 • L'uso simbolicamente incongruo di questa immagine come veico lo di una similitudine che ha per tenore un dannato infernale può es sere compreso nel quadro del fenomeno della parodia sacra, a cui Dan te ricorre continuamente nell'Inferno. Il dannato è come una perversa fenice infernale, condannata a incenerirsi e a rinascere all'infinito solo per essere ancora eternamente punita. Se questo tipo di punizione tro vava dei paralleli nei testi escatologici islamici, ciò che lì mancava e che segna la superiorità dell'aldilà cristiano e del testo che lo rappresenta è proprio la similitudine con la fenice, che ricorda la resurrezione di Cri sto come l'evento che rende possibile la resurrezione del cristiano alla vita eterna e che, parodiata nella fenice infernale, mostra il senso profondo della dannazione come privazione della vera resurrezione. In questa chiave acquistano un senso più pieno anche i supera menti rivendicati da Dante nei confronti dei testi classici che men zionano serpenti e metamorfosi. Se nella similitudine della fenice l'i34. Physiologus versio B Is, 9, in Marini (a cura di) , Bestiari medievali, cit., pp.
24 - 7.
Per una rassegna dei principali testi cfr. M. M. Besca, La fenice infernale. Una nota su bestiario cristiano e parodia sacra nella bolgia dei ladri (In/ XXI½ 97-III), in "L'Alighieri", LI , n.s. 3 5, 2010, pp. 133 - 52. 3 5.
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mitazione ovidiana è più scoperta, ciò svolge proprio la funzione di rivelare quello che nel testo classico è assente: il valore della fenice come simbolo cristologico della resurrezione alla vita eterna. 4. Un caso altrettanto interessante di intreccio fra bestiario e Meta
morfosi ovidiane si ha nella similitudine che apre la visione dei dan nati nell'ultima bolgia, quella dei falsari: Non credo ch'a veder maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu l' aere sì pien di malizia, che li animali, infino al picciol vermo, cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, si ristorar di seme di formiche; ch'era a veder per quella oscura valle languir li spirti per diverse biche (Inf , XXIX 58-66) .
Dopo la similitudine per accumulo di una serie di veicoli "realisti ci" , i malati di Valdichiana, Maremma e Sardegna, in funzione iper bolica, posta in apertura della rappresentazione della bolgia (vv. 4650) , si ha qui una nuova similitudine con analoga funzione di rap presentazione iperbolica e di superamento 3 6 • In questo caso lo spet tacolo desolante dei corpi straziati dai morbi è illustrato attraverso una similitudine mitologica, tratta dalle Metamorfosi (VII 517-660) : la terribile pestilenza che uccise tutti gli animali e gl i esseri umani sul l'isola di Egina. Nel testo di Ovidio la storia è raccontata da Eaco, che attribuisce la causa della pestilenza all'ira dell'ingiusta Giunone (vv. 523 - 524) . Tale causa, pur non esplicitata nel testo dantesco, era presupposta nel suo lettore, perciò anche in opposizione ad essa de ve essere letto il riferimento alla infallibile giustizia divina poco so pra nel canto (vv. 5 5 -57) . Se gli effetti della pestilenza di Egina sono superati dalla realtà della decima bolgia, lo è anche la sua causa, che 36. La struttura complessiva potrebbe essere infatti quella di una figura di lito te: «non [. . . ] maggiore» significherebbe "minore"; nelle similitudini del poema dan tesco, i veicoli terreni, geografici, storici o mitologici sono spesso superati dalla realtà oltremondana.
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GIUSEPPE LEDDA
non è più l'ingiusta ira della divinità pagana, ma la giustizia infalli bile del Dio cristiano. Dapprima, racconta lo stesso re Eaco nel testo ovidiano, la po tenza del morbo si manifestò sugli animali, i cani, gli uccelli, le peco re, i buoi, le fiere (Met. , VII 536- 537) . Il poeta latino indugia sui sinto mi della malattia e sulle modalità della morte dei singoli animali: i to ri, le greggi, i cavalli, i cinghiali, le cerve, gli orsi. Poi vengono colpi ti gli uomini, le cui malattie e morti sono descritte con ricchezza di particolari, così come il triste spettacolo dei cadaveri abbandonati in sepolti, e da queste descrizioni Dante trarrà diversi elementi che dis seminerà nella descrizione della bolgia. Ma quando tutti erano stati uccisi dalla malattia, Eaco, unico sopravvissuto insieme ai suoi tre fi gli, vedendo su una quercia sacra a Giove una fila di formiche, stu pito per il loro grande numero, pregò il padre Giove che gli conce desse di avere nuovamente il suo popolo, tanto numeroso quanto quella fila di formiche. E Giove esaudì la sua preghiera: durante la notte, Eaco vide in sogno la quercia sacra a Giove con i rami pieni di formiche, l'albero tremare e scuotersi, le formiche cadere a terra e trasformarsi in esseri umani. Al risveglio il re trovò la reggia e la città ripopolata di gente 37 • L'espressione