Mitologia, Politeismo, Magia 882073415X


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C

... Angelo Brelich riavov - diventarono hierophantai delle "divinità ctonie" (e l'espressione, francamente, lascia un po' perplessi! ) ; ma nemmeno nel caso di questi discendenti il termine hierophantes ha valore di prova per un carattere eleusino, sia perché il termine, di per sé, non si riferisce necessariamente al sacerdote eleusino, sia perché Erodoto, ormai sotto l'influsso di Eleusi, poteva esser indotto ad adoperare quel termine per i sacerdoti delle due dee in generale. La leggenda aretalogìca che Erodoto riferisce di un certo Telines, discendente del synoikistes oriundo di Telo, non ha nulla di specificamente eleusino: egli riconduce a Gela i ribelli autoesiliatisi a Maktorion, senz'alcun altro mezzo di potere che gli hierà delle dee . D 'altronde l'accenno di Erodoto, apparentemente del tutto gratuito, al carattere molle ed effeminato di questo Telines, deve fondarsi su una tradizione etiolo­ gìca che ugualmente non ha nulla a che fare con il culto eleusino . Tutto ciò non impedisce che con il passare dei secoli l'influsso di

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Eleusi sia penetrato anche in Sicilia, a Gela come altrove. Non si sa bene che valore attribuire al passo di Plutarco (Dion 56, 3) sul culto siracusano - la cui sede era luogo di solenni giuramenti, tratto singolare in sé e ancora di più nelle sue forme documentate (Plut., Dion. 56, 3; Diod. 1 9, 5 , 4; Com. Nep . , Dion 8, 5; Schol. Theocr. 1 5 , 1 4) ! - in cui Diane viene qualificato come mystes e Callippo come mystagogos; ma per l'epoca di cui si tratta si può ben ammettere la presenza, in Sicilia, di iniziazioni di tipo eleusino. L'influsso eleusino è lampante anche là dove - come ad Enna - appare la figura di Triptolemos. Non vi è prova alcuna - e nemmeno la minima proba­ bilità - che il culto demetriaco di Enna, così all'interno dell'isola, fosse molto antico, come invece la tradizione locale e, sulla scorta di essa, quella romana, affermava. Ma neanche in questo caso è neces­ sario supporre, per la sola ragione di questa tradizione, che il culto greco si sia sovrapposto su un affine culto indigeno: tutti i luoghi sacri del mondo cercano di farsi una grandissima antichità. Proprio i tratti eleusini del culto di Enna sono la prova delle sue origini relativamente recenti . Il tempo, purtroppo, non permette di entrare nell'analisi di altri culti sicelioti. Ma almeno qualche breve accenno può integrare il quadro finora guadagnato . Forse in nessuna parte del mondo greco, salvo singole città come Corinto, Aphrodite aveva nel periodo clas­ sico un'importanza paragonabile a quella che il suo culto godeva in Sicilia. La grandezza di questa dea, in Grecia, rifulge solo nel periodo arcaico, da Omero ai lirici - in un mondo la cui umanità non disdegnava ancora di riconoscere e venerare il potere e il valore esistenziale del sesso, né di identificarlo con la bellezza. Sesso e bellezza, passione e piacere erotici - e non fecondità, maternità, legame con la vegetazione, come i troppo seri studiosi avrebbero voluto intendere - sono l'essenza dell'Aphrodite arcaica, ed è proprio sotto quest'aspetto che la dea è presente in Sicilia, anche a prescin­ dere dalla prostituzione sacra nel suo culto a Erice . Qualcuno suppo­ neva la prostituzione sacra anche a Selinunte, ma i dati non bastano a provarla, pur documentando un'atmosfera - per i nostri gusti delicati forse 'brutalmente' erotica intorno al culto, attraverso la storia del pornoboskòs Kinmiros (Timeo 5 6 6 FGrH 1 48); atmosfera erotica che anch e a Siracusa si riflette nel giocoso aition del culto della Kallipyge e che trova, invece, un'espressione strettamente ri­ tuale nell'antichissima Nassa, nei gerra già menzionati. L'importanza siracusana della dea doveva esser tale da spiegare se ad Akrai il

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sacerdote d i Aphrodite era eponimo (IG 1 4, 206-2 1 2) . E che dire di Artemis, una delle divinità greche che ancora in pieno periodo classico rivelano aspetti che le legano a un mondo quasi primitivo? Proprio con tali aspetti essa è pervenuta in Sicilia, per esempio come Phakelitis a Mylai, ricordando la Lygodesma-Orthia dei primitivi riti iniziatici spartani o quelli già attenuati e rimodellati di Halai e di Brauron, portando con sé il mito di lphigeneia taurica che solo un filologismo miope poteva considerare non anteriore ad Euripide. Ma alla stessa sfera iniziatica - nel senso etnologico del termine apparteneva in origine anche l'Agrotèra, arrivata in Siracusa proba­ bilmente dall'arcaica Olimpia, con quella componente culturale che la tradizione proietta nella sola figura di un Iamida, synoikistes della città; quell' Agrotèra che in Atene riceve culto dagli efèbi e presenzia, nel sobborgo di Agrai, ai riti più tardi inquadrati come "piccoli misteri" nel complesso eleusino, e che ad Aigeira era strettamente legato al mito e al culto di lphigeneia (Paus . 7, 26, 5); alla stessa sfera apparteneva anche l' Artemis di Ortygia con i suoi netti legami, attraverso Arethusa, con i culti primitivi delle rive dell' Alfeo, dove non solo la "ninfa" Arethusa, ma la dea stessa - nel noto mito di Letrinoi che coinvolge fanciulle dai volti coperti di fango - è insidiata dalla violenza del dio. fiume venerato insieme con lei in Olimpia. E da questa stessa sfera sembra sorgere quell'originale culto siracusano che - con i suoi travestimenti animaleschi, con i suoi rozzi agoni e con il rito della questua (Diomed. in Gramm. Lat. I, p . 486; Proem. Schol. Theocr. , ecc .) - costituisce il suolo primitivo da cui doveva scaturire la creazione puramente greca e tutt'altro che primitiva della poesia bucolica. Richiederebbero qualche parola molte altre divinità greche vene­ rate in Sicilia, come Poseidon che non soltanto a Siracusa, per origine corinzia, ha un posto importante, e non soltanto a Selinunte dove appare come padre dell'eponimo mitico (Steph. Byz., 'Eì.. LxT]) qual era già a Megara Nisea, ma porta già nella colonia calcidese di Zankle tutta la sua potenza primordiale, accompagnato com'è dal mito di una delle figure più arcaiche della mitologia greca, Orion che con attività ciclopica gli innalza il promontorio su cui sarà venerato (Hes . fr. 1 8 3 Rz) : complesso mitico che ricorda il Poseidon Gerai­ stios eubeico . Ma non posso abusare della pazienza di chi mi ascolta, e perciò devo brevemente riassumere ciò che ho voluto mettere in rilievo attraverso la rapida esemplificazione : il carattere particolare delle religioni greche delle città-stato in Sicilia dipende innanzitutto

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dall' epoca arcaica della fondazione di queste città-stato, fondazione che assicurò loro l'impianto religioso fondamentale . Dal momento del costituirsi di quest'impianto-base che le città-stato conserveranno gelosamente, la storia religiosa della Sicilia e quella della Grecia si svolgeranno indipendentemente l'una dall'altra, malgrado ogni con­ tatto . Ciò non esclude che anche in Sicilia attecchiscano creazioni religiose più recenti della Grecia continentale: si è accennato agli elementi eleusini del culto demetriaco di Enna, ai rapporti intensi di Selinunte e di Gela con Delfi, e a maggior ragione si deve rilevare l' esistenza di un Olympieion a Siracusa. Ma ecco che questo tempio che non è da dissociare da altri elementi di provenienza olimpia o dell'Elide in Siracusa, pur acquistando per la città una posizione degna del suo Zeus olimpico - infatti, il tempio, sebbene costruito fuori dell'abitato, come fuori dell'abitato era Olimpia stessa rispetto a Elide e a Pisa, diventa centro ideale dello stato, se in esso si conserva la lista dei cittadini (Plut., Nic. 1 4, 5) e se il sacerdozio del tempio era quell'ambito onore che Cicerone ( Verr. 2, 1 2 6) rammenta - non diventa centro di una festa agonistica, come Olimpia è diven­ tata praticamente dopo la fondazione di Siracusa . Gli atleti siciliani si coprono di gloria - negli agoni della Grecia continentale; gli scarsis­ simi dati su agoni siciliani e su gymnasia siciliani, indicano un diverso svolgimento della religione e della civiltà in generale . Dalla fonda­ zione in poi, le città greche della Sicilia avranno una propria storia e una propria storia religiosa. Essa non sarà meno ricca di sviluppi e di novità di quelle delle città in terra greca; ma sarà sostanzialmente indipendente da questa. Ho appena accennato alla diversa posizione religiosa del teatro che si coglie a Siracusa sotto la sovranità del Temenites, e non è compito mio ricordare l'originalità del teatro siciliano sul piano letterario; ho appena accennato alle origini reli­ giose della poesia bucolica da un culto siracusano; ho appena accen­ nato alla cronologia ab urbe condita che in Sicilia precede quella secondo le Olimpiadi; al culto del fondatore, privo di precisi paralleli altrove; e non sarebbe difficile trovare altre creazioni religiose origi­ nali della grecità isolana . È appunto la sostanziale indipendenza della storia religiosa siciliana da quella greco-continentale che le permette di muoversi con maggior libertà creativa e che, a partire da sostan­ zialmente identiche basi arcaiche, promuove la formazione di un mondo religioso particolare . Nella più possibilmente precisa e detta­ gliata ricostruzione di questo processo di formazione vedo il compito più immediato degli studi sulla religione della Sicilia antica.

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Ricerche specifiche che sto conducendo da alcuni anni mi hanno posto di fronte a numerosi problemi generali che concernono il tema del nostro Colloquio . Ritengo che per affrontarne qualcuno sia inevitabile indicarvi, in breve, la natura e lo scopo delle mie ricerche : ne guadagneremo un punto di partenza pratico . Dirò subito che il tema di tali ricerche è ben lungi dall'essere nuovo : senza voler risalire alla scoperta stessa dei fatti - le analogie in apparenza sorprendenti tra alcuni riti greci e i riti d'iniziazione dei popoli che chiamiamo convenzionalmente 'primitivi', analogie osser­ vate ben prima di Andrew Lang dal missionario Lafitau - e senza voler rifare la storia delle interpretazioni date a questi fatti, sempre sporadicamente, dagli studiosi dalla fine del secolo scorso fino ai nostri giorni, ricorderò soltanto che nel 1 9 39 Henri Jeanmaire, nel suo ponderoso volume Couroi" et Courètes, ha studiato organicamente la questione nel suo insieme, questione che, sei anni dopo, George Thomson ha ripreso in un capitolo del suo volume su Eschyle et A thènes. Ora, pur ammirando la ricchezza e la profondità del lavoro di Jeanmaire e la chiarezza delle pagine di Thomson, non credo di essere il solo, tra noi, a provare di fronte a tali opere la sensazione di non esserne completamente soddisfatto . Cercherò di mostrare che questa sensazione è giustificata dall'insufficiente rigore metodologico che traspare da tali lavori . Lascerò da parte il capitolo di Thomson, troppo breve per non essere schematico e incompleto, e mi limiterò a illustrare il modo di procedere di Jeanmaire, non, beninteso, nelle

Initiation et histoire, in C.J. Bleeker Study-Conference of the lnternational Strasburg, September 1 7th to 22nd Supplements to Numen, X] , Leiden

(ed.), Initiation. Contributions to the Theme of the A ssociation for the History of Religions Held at 1 964 (Studies in the History of Religions, 1 965, 222-23 1 [trad. it. di P. Xella] .

MITOLOGIA, POLITEISMO, MAGIA

sue interpretazioni di dettaglio, in cui brillanti argomentazioni, intui­ zioni e fantasie sono spesso frammischiate, ma solo nella struttura fondamentale della sua opera . Dopo avere fatto rilevare certe parti­ colarità dell'organizzazione sociale america e, in generale, arcaica, ad esempio la differenziazione per età delle funzioni, che per l' appunto gli ricordano analoghe istituzioni delle società illetterate, H. Jean­ maire passa in rassegna un gran numero di rituali iniziatici africani. Successivamente, alla luce della struttura e dei motivi più diffusi di tali rituali, egli analizza delle istituzioni sociali, dei riti e dei miti greci nei quali si ritrovano i motivi, gli elementi formali, le sequenze più caratteristiche delle iniziazioni africane . Non vi è dubbio che le ricerche contenute nel volume in que­ stione siano estremamente interessanti: anche là dove non riescono a convincere il lettore, esse sono sempre suggestive e stimolanti. Ma, a questo punto, non sono le interpretazioni di dettaglio che attireranno la nostra attenzione, sono le questioni di principio . È necessario chiederci quali sono gli scopi e quali i postulati di una ricerca di questo tipo. Per quanto riguarda gli scopi, essi sembrano tutto sommato abbastanza limitati: si tratta di dimostrare che nella civiltà della Grecia classica esistevano tracce residue dell'istituzione iniziatica conosciuta presso i popoli primitivi . In questo, Jeanmaire non si discosta dai suoi predecessori. Ora, una conclusione simile può sembrare abbastanza banale : da almeno un secolo sappiamo che ogni civiltà conserva dei retaggi primitivi. D 'altro canto, si potrebbe dire che non si tratta neppure di un risultato, ma piuttosto di un punto di partenza: infatti, a partire da questa constatazione, ci si potrebbe chiedere : da dove vengono questi retaggi preistorici della civiltà greca? in qual misura, per esempio, essi dipendono dalla componente indoeuropea, in qual misura dalla componente mediterranea dell'el­ lenismo? quale è il ruolo dei Dori nella loro conservazione? Ma si tratta di problemi che Jeanmaire non si pone . Quanto ai postulati delle sue ricerche, ve ne è uno che occorre esaminare più da presso . Per formularlo nei termini più semplici, si tratta della convinzione che l'iniziazione sia un fenomeno tipica­ mente primitivo, al punto che nelle civiltà dette 'superiori' non si potrebbero constatare che i 'residui', le 'sopravvivenze' di questa istituzione primitiva . Come potrete vedere un po' più avanti, finirò per non discostarmi troppo da questa opinione, ma a condizione di rettificame i termini . Per il momento - e proprio in vista di tali

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rettifiche - preferisco sollevare un'obiezione di ordine diverso : tanto più che il postulato di Jeanmaire, non essendo sufficientemente chiaro, vi presta il fianco . Si potrebbe infatti cominciare col dire : come e perché l'inizia­ zione dovrebbe essere un fenomeno per eccellenza 'primitivo'? Tra i suoi esempi africani, Jeanmaire menziona delle iniziazioni a società segrete: ora, società segrete, con i i relativi riti di iniziazione, sono sufficientemente note nelle civiltà superiori, anche in quelle dei tempi moderni e contemporanei: non vi è alcuna ragione di vedervi un'istituzione esclusivamente primitiva. A questo punto, tuttavia, mi sembra necessario accordarci sull' uso del termine 'iniziazione ' . Un'analisi fenomenologica o , s e volete, strutturale, di tutti i fenomeni che siamo soliti designare - sia nel linguaggio corrente, sia nella terminologia scientifica - col termine 'iniziazione', non può che pervenire alla constatazione di una sostanziale identità soggiacente a tutta la loro varietà. Fino a che punto le iniziazioni tribali, le inizia­ zioni alle società segrete, ai misteri, ai mestieri, le iniziazioni sacerdo­ tali, sciamaniche, guerriere, etc. sono caratterizzate dalle stesse forme e dalla stessa struttura, lo si può ben verificare nel brillante volume di M. Eliade sulle Naissances mystiques, in cui lo spirito penetrante dell'Autore non si ferma davanti ai semplici parallelismi formali, ma parte alla ricerca della loro ragion d'essere : l'Autore mostra che in tutti i casi specifici si tratta di una nuova nascita dell'individuo iniziato, preceduta da una disgregazione della sua personalità, dalla sua re-immersione in uno stato caotico, seguita dalla sua integrazione a un livello superiore dell'esistenza. Analisi di questo tipo non sono solo giustificate sul piano delle loro finalità; esse sono certamente molto utili anche per l'interpretazione dei numerosi dettagli del fenomeno studiato . Dal punto di vista storico, nondimeno, tale tipo di ricerche non produce molti frutti. Cerchiamo di applicarle, ad esempio, al pro­ blema concreto che abbiamo scelto come nostro punto di partenza. Se noi constatiamo, come è inevitabile, che l'iniziazione ai misteri greci possiede esattamente la stessa struttura di tutte le altre inizia­ zioni, primitive o moderne, la questione delle origini dei misteri greci scomparirà ipso facto. Essa finisce per non porsi neppure, come non si pongono più le questioni relative a tutti gli altri fenomeni e istituzioni greche di cui Jeanmaire ricercava le origini nell'istituzione iniziatica primitiva . In verità, il metodo fenomenologico non ci con-

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duce che a scoprire delle varianti di un solo fenomeno, fatta astra­ zione da ogni dimensione storica: tale metodo si esplica su un piano orizzontale, ignorando l'esistenza del piano verticale degli sviluppi e delle trasformazioni, che è quello della storia. Pur tuttavia, le cono­ scenze storiche più modeste ci pongono nella condizione di verificare che le diverse 'varianti' fenomenologiche del 'tema' iniziatico non si ritrovano, l'una accanto all'altra, in tutte le civiltà; che, per esempio, istituzioni come quella dei misteri greci o ellenistici o come quella dell'iniziazione ai diversi mestieri sono totalmente assenti dalla civiltà di una società che vive esclusivamente della caccia e della raccolta, mentre quest'ultima società può benissimo praticare l'iniziazione tri­ bale la quale, a sua volta, non esiste presso le società organizzate in forme statuali e, in generale, nelle civiltà 'superiori ' . Ora, è solo con l' aiuto di queste conoscenze storiche elementari - e, a fortiori, di conoscenze più approfondite - che è possibile porsi il problema dei rapporti storici tra i fenomeni strutturalmente analoghi. Pur apprez­ zando le analisi fenomenologiche che svelano il pattern unico soggia­ cente a una grande varietà di formazioni storiche, devo insistere sul fatto che se esse sono condotte unilateralmente, rischiano di misco­ noscere il contesto storico . I nostri sforzi scientifici, a mio avviso, non dovrebbero mirare a confondere, ma piuttosto a distinguere e precisare i significati da conferire ai termini che utilizziamo; non dilatarli al punto da rendere inutile ogni definizione, bensì restringerli per potercene servire in ragionamenti privi di equivoci. Per riprendere il filo della mia argomentazione, devo ripetere che la questione dei rapporti storici tra certe istituzioni greche e i riti primitivi di iniziazione non è proponibile, se non alla condizione di meglio precisare il senso di quest'ultimo termine. Fintanto che consi­ deriamo i fenomeni greci come varianti atemporali di un tema iniziatico, generico e vago, il problema storico non si pone neppure . Se, al contrario, osserviamo con cura e attenzione il fenomeno iniziatico nelle civiltà più lontane nel tempo, e se rileviamo che, nel mondo greco, i fenomeni di forma analoga presentano nondimeno differenze specifiche suscettibili di essere definite, siamo in grado di effettuare un confronto storico . È vero che non viviamo più all'epoca di Tylor e di quell'evoluzio­ nismo che identificava, in modo semplicistico, la civiltà primitiva con la civiltà preistorica: oggi sappiamo che vi sono numerose e differenti civiltà 'primitive', così come esistevano numerose e differenti civiltà

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preistoriche, e non se ne trova neppure una, tra le prime, che sia identica ad una sola delle seconde . Resta tuttavia indiscutibile che le civiltà che siamo soliti chiamare 'superiori' costituiscono un tipo di civiltà piuttosto recente - non ne esistono di più antiche di sessanta secoli - e ben nettamente caratterizzate da una larga convergenza di fattori tecnici, economici, sociali e intellettuali, come l'agricoltura praticata su una larga scala, l'urbanizzazione, la specializzazione dei mestieri, la scrittura, etc . , etc . È solo in rapporto a questo tipo specifico di civiltà che possiamo avvicinare, malgrado le loro evidenti differenze, le attuali civiltà primitive e quelle della preistoria. Ma si vedrà subito che questo può essere sufficiente a permettere delle interpretazioni storiche. Riprendendo, per un istante, la mia riflessione sulle interpreta­ zioni puramente fenomenologiche o strutturali dei riti di iniziazione come quelle che ci offre il volume di M. Eliade - vorrei fare la seguente osservazione : si è visto che tali interpretazioni attribuiscono un senso assai ampio al termine 'iniziazione ' : mi sembra però che, per essere consequenziali, queste interpretazioni dovrebbero am­ pliare ancor più il senso del termine, fino a farlo coincidere con quello di 'rito di passaggio'; in effetti, l' oggetto di ogni rito di passaggio si disintegra nelle sue qualità per reintegrarsi ad un livello differente. Ora, sappiamo dopo van Gennep che l'iniziazione - in tutti i sensi che si vorrà attribuire al termine - è un rito di passaggio; ma vorremmo dire con questo che tutti i riti di passaggio sono delle iniziazioni? Eppure, non soltanto i caratteri strutturali, ma anche gli elementi puramente formali sono largamente identici in tutti i riti di passaggio, ivi comprese le diverse specie di 'iniziazione ' : tagliarsi i capelli, piangere, cambiarsi di abito o di nome, osservare delle astinenze, ecc ., sono motivi che si ritrovano nei riti di passaggio più diversi: nelle iniziazioni come nei riti funebri, nuziali, di guarigione o di purificazione . Ora, se noi preferiamo la via delle distinzioni a quella delle confusioni, dobbiamo chiederci se, malgrado tutte le analogie strut­ turali e tutte le forme rituali interscambiabili, esistono dei criteri che permettano di distinguere un rito di passaggio da un altro rito . Quello che è certo è che, indipendentemente dalle nostre analisi scientifiche, nessuno confonderà un matrimonio con un funerale . Ma quando, messe da parte le battute, passiamo a domandarci dove risiede la differenza tra questi due riti, non la troveremo né nella loro struttura di fondo, né nei dettagli rituali estremamente variabili,

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fluidi e interscambiabili : la troveremo semplicemente nelle differenti funzioni dei due riti . Entrambi i riti, infatti, fanno superare una condizione precedente � fanno accedere a una nuova condizione: la differenza è solo che il rito nuziale conduce dalla situazione di celibe/nubile allo stato coniugale, il rito funebre dall'appartenenza al mondo dei vivi allo stato di morto . Ora, si tratta proprio del criterio - la differenza delle funzioni che consente di mettere un po' d'ordine nel campo dei riti disparati che si è soliti definire con l'unico termine di 'iniziazione ' . Tra questi riti, infatti, a dispetto di tutte le analogie formali, vi sono delle differenze altrettanto evidenti che quelle le quali distinguono le nozze dai funerali. Si confronti, ad esempio, l'iniziazione sciamanica, che trasforma un individuo ordinario in un individuo eccezionale, con l'iniziazione tribale attraverso cui si diviene proprio un individuo ordinario, superando la condizione di essere amorfo e sprovvisto di ogni statuto sociale . Tra tutti i riti che noi definiamo iniziatici, quello dell'iniziazione tribale o, se si vuole, cianica - in ogni caso, l' ammissione rituale di un individuo nelle condizioni normali del gruppo sociale - sembra essere, alla luce dell'etnologia comparata, il più antico e il più diffuso: esso è conosciuto e praticato da innumerevoli popolazioni primitive di tutti i continenti e di tutti gli arcipelaghi, oltre che a tutti i livelli etnologici, a cominciare dalle civiltà dette della 'caccia infe­ riore' . Benché tale rito sia stato studiato a varie riprese d a studiosi illustri, da Schurtz, Webster e van Gennep a Jensen, Haekel, Eliade, ecc . , non sarà inutile sottolineame certi tratti meno conosciuti e spesso trascurati. Ad esempio, si trova spesso nella letteratura scien­ tifica, inclusa quella contemporanea, che l'iniziazione tribale è chia­ mata un rito di pubertà ed è inclusa tra i riti del ciclo della vita individuale . Esistono certo dei riti di pubertà, che si pensa conferi­ scano agli adolescenti le capacità sessuali normali dell' adulto: ma questi riti possono celebrarsi nell'ambito della famiglia e non esigono alcun intervento pubblico . Al contrario, l'iniziazione è organizzata dalla comunità che costringe i giovani e le giovani a sottomettervisi; essa può conferire ritualmente anche le capacità sessuali, giacché essa conferisce ai novizi tutte le capacità che si attendono da un membro normale del gruppo sociale; ma, in primo luogo, si tratta di conferire loro lo status sociale di membro responsabile della comu­ nità. Ne consegue che il protagonista attivo del rito, la parte princi-

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palmente interessata non è l'individuo, ma la società la quale, sotto pena di estinzione con la morte degli anziani, ha bisogno di acco­ gliere sempre dei nuovi elementi, trasformandoli conformemente alle proprie esigenze . Ora, è chiaro che questo tipo di iniziazione, in virtù della sua funzione specifica, è al riparo da ogni confusione con altri riti che di solito si definiscono 'iniziazioni' : rito pubblico e obbligatorio per tutti gli individui ammissibili, si distingue dalle iniziazioni alle società segrete, ai misteri, ai mestieri come si distingue dalle iniziazioni reali, sacerdotali o sciamaniche . Se non vado errato, nessuno ancora ha studiato organicamente la questione di sapere perché questo tipo di iniziazione, così diffuso nel mondo etnologico, sia - con un'eccezione che ricorderò tra poco totalmente assente dalle civiltà superiori antiche e moderne, mentre altre specie di iniziazione vi si possono riscontrare . Qui e adesso non posso proporre alla vostra attenzione che due fattori suscettibili di creare questa situazione : il primo è che, nelle civiltà superiori, la comunità è organizzata in forma di stato, in cui una minoranza dirigente revoca una gran parte della responsabilità attiva agli indivi­ dui ordinari, mentre nella società tribale i membri adulti partecipano più direttamente alla cosa pubblica; il secondo fattore consiste nel fatto che, a livello primitivo, tutti gli individui adulti dello stesso sesso sono più o meno capaci di esercitare le stesse attività fonda­ mentali, laddove la specializzazione avanzata che si produce nelle civiltà superiori abolisce l ' omogeneità della società e, di conse­ guenza, la forma unica che la società potrebbe imprimere ai suoi nuovi adepti. Tuttavia - non si è mancato di osservarlo - l'istituzione iniziatica non è scomparsa dalle civiltà superiori senza }asciarvi traccia. Si tratta allora di sopravvivenze inerti, di elementi pietrificati di epoche più antiche nel corpo vivo di un mondo nuovo? In un tale caso, le ricerche consisterebbero in un lavoro di antiquario, più che di sto­ rico . Ma se supponiamo che gli stessi bisogni che hanno dato vita all'istituzione a livello primitivo, continuano parzialmente ad agire nelle condizioni nuove della civiltà superiore e che questa civiltà nuova le soddisfa a modo suo, con delle istituzioni nuove ma che assorbono ciò che è utilizzabile delle forme antiche, allora la nostra ricerca diviene allo stesso tempo più interessante storicamente e più complessa, più delicata . Non si tratterà più di mettere in evidenza le somiglianze formali

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tra il tal rito greco e i riti di iniziazione primitivi, metodo illusorio, poiché - come ho appena detto - non esiste alcun elemento formale dei riti iniziatici che non si ritrovi ugualmente in altri riti di passag­ gio . Questo non vale soltanto per il taglio dei capelli, per il lamento rituale, per le astinenze, la flagellazione, il travestimento, la segrega­ zione, il simbolismo sessuale, ecc . , ecc . : perfino certi dettagli rituali le cui origini potrebbero ricondursi, forse a ragione, alle iniziazioni tribali - quali la circoncisione o l'uso rituale del rombo - si sono introdotti, a partire dall'epoca preistorica, in altri tipi di riti. Il solo controllo valido per la supposizione che una istituzione di una civiltà superiore dipenda storicamente dalle iniziazioni primitive consiste nel ricercare se essa risponda, nelle nuove condizioni e conforme­ mente alle nuove esigenze, alle funzioni fondamentali delle inizia­ zioni primitive . * *

*

Dal momento che lo scopo della mia comunicazione non era quello di anticipare i risultati delle mie ricerche su certi fatti greci, ma solo di mostrare la necessità di distinzioni precise, di una termi­ nologia articolata e di un metodo storico meno superficiale di quello che è stato fino a oggi impiegato nel campo delle mie ricerche, potrei terminare qui. Ma temo che ciò che ho detto potrebbe sembrare in certa misura astratto, se non aggiungessi, molto rapidamente, al­ meno qualche esempio . Ho affermato che "tranne un'eccezione" l'iniziazione di tipo primitivo scompare dalle civiltà superiori . Ora, l'eccezione si trova proprio nell'antica Grecia, in certe regioni, o meglio, in certi stati culturalmente conservatori del mondo greco, come Sparta e le poleis cretesi, dove l' agoge dei giovani non solo conserva numerose forme ben note delle iniziazioni tribali, ma anche la loro funzione origina­ ria : è la comunità che obbliga i giovani a trascorrere un lungo periodo, suddiviso in tappe secondo le età successive, in un isola­ mento collettivo, con delle restrizioni specifiche, imponendo loro anche delle caratteristiche prove. Senza avere subito questa 'inizia­ zione', non si diveniva cittadino, non si partecipava né ai diritti né ai doveri di coloro che, a Sparta, si chiamavano 'gli uguali' (homoioz) . Un'analisi più approfondita dell'istituzione spartana può gettare qualche luce anche su certi elementi i quali non possono dipendere

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che dal nuovo orientamento della civiltà superiore greca: ad esempio, l'inserimento di certi riti iniziatici, come la flagellazione, in culti politeistici permanenti, come quello di Artemis-Orthia . Infatti la civiltà ellenica, nonostante le sue differenze regionali e le sue stratifi­ cazioni, conserva la sua unità fondamentale : tra le istituzioni conser­ vatrici di Sparta e quelle, progressiste, di Atene, ad esempio, non vi è rottura, ma un'infinità di passaggi bene articolati. Ora, se a Sparta troviamo l'iniziazione primitiva pressoché inalterata, accanto a e in connessione con questa, si vedono emergere delle forme nuove, negli stati più innovatori non si troverà più iniziazione, ma queste nuove forme, più sviluppate, che non accompagnano più i riti primitivi, ma li sostituiscono . In tutta la Grecia si troveranno, ad esempio, dei culti, soprattutto delle feste, che, con il ruolo che vi rivestono i giovani o le vergini - spesso un numero ristretto di essi che rappre­ sentano simbolicamente la loro classe d'età - e con il carattere di rinnovamento della collettività, rivelano la loro dipendenza storica dall'istituzione primitiva . Ma qual è allora - ci si potrebbe chiedere - il posto storico dei misteri greci? Tre tratti precisi mostrano in tutta evidenza che la funzione fondamentale delle iniziazioni tribali è totalmente assente dai misteri : l'iniziazione non è obbligatoria; non è separata per i due sessi; è aperta a tutte le età. Eppure non esiste forse un' altra istitu­ zione greca che segua altrettanto fedelmente, nelle sue forme, il pattern dell'iniziazione primitiva . La soluzione del problema, mal­ grado tutto, non è troppo difficile a condizione di ricordarsi che la funzione fondamentale delle iniziazioni tribali - la funzione che permette di distinguerle da tutti gli altri riti apparentemeiJ.te simili non è ugualmente la loro unica funzione . Abbiamo visto che il protagonista attivo delle iniziazioni tribali è la comunità; essa è la prima interessata; ciò tuttavia non significa che l'individuo che subi­ sce l'iniziazione non vi sia anche lui personalmente interessato : senza essere iniziato, infatti, egli resterebbe escluso dalla vita normale della società . Ma c'è di più: entrando nel corpo sociale, l'individuo vi trova protezione e sicurezza. Questa sensazione di sicurezza che l'individuo acquista attraverso l'iniziazione si esprime, presso un gran numero di popoli primitivi, in forme che, per la logica - ma per la logica soltanto - oltrepassano il loro significato originario : si dice che l'iniziazione garantisca la salute, la difesa contro la stregoneria e persino un destino favorevole nell' altro mondo . Si tratta di bisogni i quiili, quando le iniziazioni tribali cadono in disuso, non trovano

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facilmente soddisfazione . Si creano allora dei riti simili i quali, non possedendo più funzioni pubbliche, perdono le caratteristiche che da esse dipendevano, ma conservano e sviluppano le forme utili all'indi­ viduo. Mi fermo qui: se sono riuscito a mostrarvi come il rispetto delle distinzioni possa condurre a risultati di interesse storico, ho rag­ giunto il mio scopo.

MITOLOGIA Contributo a un problema di fenomenologia religiosa

l . Presente in tutte le religioni dei c.d. popoli primltlVl, senza eccezione, come nelle religioni di tutte le civiltà superiori antiche e in diverse religioni universalistiche, presente, sia pure marginalmente, anche nelle altre, il fenomeno 'mito' si presta, in una misura quasi eccezionale, a uno studio che possa prescindere dai contenuti speci­ fici storicamente determinati dei singoli miti documentati : a uno studio, cioè - appunto - 'fenomenologico ' . Di questo tipo di studio, privo di preoccupazioni storiche, il mito è stato oggetto, com'è noto, sin dall' antichità classica e non è cessato di esserlo fino ai nostri giorni. All' eminente studioso di fenomenologia religiosa celebrato con il presente volume, sia dedicato il modesto omaggio di questo scritto che, inserendosi nell'antica tradizione degli studi sul mito, intende soltanto richiamare l'attenzione di un aspetto spesso trascu­ rato del fenomeno . 2 . Non è necessario riassumere qui dettagliatamente la storia degli studi dall'epoca dei pensatori greci fino ai primi decenni del nostro secolo 1 • Basti accennare al fatto che lo studio del mito si è iniziato come era, del resto, normale - nel segno dell'incomprensione: il mito non poteva diventare un problema, se non per chi non lo compren-

Da AA.W., Liber amicorum. Studies in Honour of Professar Dr. C.J. Bleeker Published on the Occasion of His Retirement from the Chair of the History of Religions and the Phenomenology of Religion at the University of Amsterdam, 2 voli . , I, Leiden 1 969, 5 5-68. ' Per questa storia ora si dispone del volume di J. De Vries, Forschungsgeschichte der Mythologie, Miinchen 1 96 1 . In forma più succinta e a livello più divulgativo cfr. l'introdu­ · zione e il capitolo conclusivo ( 5 ° ) del volume di J. Cazeneuve, Les mythologies à travers le monde, Paris 1 966.

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desse più. All'ostilità e al rifiuto dei grandi pensatori presocratici che non vi vedevano che menzogne, ben presto subentravano, nell'antica Grecia - dove la mitologia restava onnipresente nella vita e nell'arte tentativi di giustificazione, come quello dell'allegorismo o dell'eve­ merismo che, invece di qualificare il mito come semplice menzogna, gli attribuivano l'uno un significato recondito, l'altro un veritiero nucleo storico . Questi indirizzi hanno dominato l'atteggiamento oc­ cidentale di fronte al mito fino ai primordi degli studi scientifici sulle religioni. Nel secolo scorso si sono delineati due principali indirizzi nuovi : l'uno che, anticipato da G . B . Vico2, considerava i miti come espressioni spontanee e fantastiche delle esperienze umane (e in modo particolare di quelle tratte dalla 'natura'), l'altro, teorizzato da E . B . Tylor, che vi vedeva i rudimentali tentativi compiuti da una mentalità pre-scientifica per ' spiegarsi' i fenomeni del mondo . Non è più necessario discutere queste interpretazioni: ma è curioso osser­ vare - perché di solito non viene fatto - come nessuna delle due renda conto del carattere religioso del fenomeno; né i prodotti della libera fantasia, né la ricerca di spiegazioni hanno, di per sé, alcunché di religioso, mentre il mito è inseparabile dalla religione .

3 . Un profondo cambiamento nell'interpretazione del fenomeno si è verificato solo negli ultimi decenni. Esso è dovuto in parte alla trasformazione dei metodi etnologici: l'osservazione diretta della vita di quei popoli presso i quali i miti hanno ancora tutta la loro importanza, ha permesso di capire diverse cose che dallo studio dei miti scritti delle civiltà antiche o delle raccolte etnografiche di miti non erano emerse con evidenza . Forse non è eccessivo dire che un volumetto di B . Malinowski 3 ha contribuito in modo particolare al progresso degli studi mitologici. È sorprendente - ma nello stesso tempo è quasi una garanzia della solidità dei risultati raggiunti come nei nostri tempi studiosi dalla più varia provenienza culturale e appartenenti a indirizzi scientifici profondamente differenti, si tro­ vino d'accordo su punti essenziali che mai prima del nostro secolo sono stati compresi. Ricordiamo, tra altri, G. van der Leeuw\ K.

' Cfr. R. Pettazzoni, Essays on the History of Religions, Leiden 1 9 54, p . 25; J. De Vries, op. cit. , p . 8 3 sgg. ' Myth in Primitive Psychology, New York 1 92 6 . ' Phanomenologie der Religion, Ttibingen 2 1 9 5 6 ( 1 3 ed. : 1 9 33) .

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Kerényi5, R. Pettazzoni 6 , M. Eliade7 • Malgrado certe divergenze che consistono per lo più in una maggiore o minore accentuazione di qualche aspetto del fenomeno rispetto ad altri suoi aspetti, e che sono determinate forse più dai differenti fini scientifici perseguiti dagli autori che non da una discordanza di vedute sulla sostanza delle questioni, questi quattro studiosi - scelti qui come esempi8 non avrebbero probabilmente difficoltà a sottoscrivere, come co­ mune denominatore delle loro posizioni, la seguente sintesi schema­ tica: Anziché allegoria, ricordo deformato, prodotto di libera fantasia o tentativo pre-scientifico di spiegazione, il mito è, anzitutto, un racconto e precisamente un racconto sacro; ciò risulta anche da quanto hanno osservato gli etnologi, cioè che i miti non vengono raccontati in qualsiasi occasione, da chiunque a chiunque\ come i racconti profani 10• La narrazione dei miti ha quindi caratteri comuni con la celebrazione di riti1 1 • Il mito narra eventi svoltisi in un tempo primordiale, in un tempo situato fuori del tempo ordinario 1 2, in cui la realtà ha preso origine per opera di esseri non-umani; con ciò, esso 'fonda' e nello stess o tempo forma e definisce la realtà 1 3 - cosmica, ' C.G. Jung - K. Kerényi, Einfiihnmg in das Wesen der Mythologie, Amsterdam-Leipzig 1 94 1 . Miti e leggende 1 , Torino 1 948, prefazione; cfr. SMSR 2 1 , 1 947/8, p . 1 04 sgg. Essays (ci t. sopra, n. 2), p. 1 1 sgg. e 24 sgg. Traité d'histoire des religions, Paris 1 948; A spects du mythe, Paris 1 96 3 . ' Tra i molti studiosi, i n prevalenza etnologi, che qui non verranno menzionati per una sola ragione: perché, cioè, per mostrare la convergenza delle loro idee su alcuni punti essenziali, bisognerebbe discutere anche le sfumature di divergenze che la nascondono, il che richiederebbe spazio. Cfr. Malinowski, Myth in Primitive Psychology (cit. n. 3), p. 3 1 ; Pettazzoni in SMSR (cit. n . 6), p. 1 07; P. Radin, The Trickster, London 1 9 56, p. 1 22 sgg.; Eliade, A spects (cit. n. 7), p. 19 sg. La distinzione tra 'racconto sacro' e 'racconto profano' andrebbe ulteriormente artico­ lata; Malinowski, Myth in Primitive Psychology (cit. n. 3), p. 1 9 sgg. lo ha fatto per Trobriand; infatti, le differenze variano di civiltà in civiltà. La questione implica anche concetti come 'leggenda', 'fiaba', ecc. " G. van der Leeuw, Phiinomenologie der Religion (cit. n. 4), p. 470: " . . . ist er selbst eine Begehung"; " . . . eine Begehung im Wort"; Pettazzoni, SMSR (cit. n. 2), p. 1 08 : . . . è culto esso stesso". " P. es. G. van der Leeuw, Phiinomenologie der Religion (cit. n. 4), p . 470: " ... es liegt ausserhalb aller Zeitlichkeit"; p. 47 1 : "Zeit ohne Zeit"; Kerényi, Einfiihrung in das Wesen der Mythologie (cit. n. 5), p. 1 6 : "zeitlose Zeit"; Pettazzoni, SMSR (cit. n. 6) , p. 1 08 : "eventi lontani nel tempo, dai quali ebbe principio e fondamento la vita presente"; Eliade, A spects (cit. n. 7), p. 1 5 : "dans le temps primordial, le temps fabuleux des 'commencements ' " . " Van d e r Leeuw, Phiinomenologie der Religion, (cit., n. 4), p. 470: "entscheidet indem gestaltet"; p. 47 1 : "er erschafft, er bildet die Wirklichkeit"; Kerényi, Einfii h rung in •

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umana, istituzionale che sia, - decidendo anche come le cose 'de­ vono' essere, fornendo cioè modelli permanenti per l'esistenza1 4 •

4 . A questo scheletrico schema cui si è tentato di ridurre il recente consensus degli studiosi relativo al fenomeno del mito, non si vuole qui aggiungere altro, né apportare modifiche 1 5 • Dati per ammessi i principali risultati raggiunti nell'interpretazione del mito 'come tale' - cioè nella sua interpretazione 'fenomenologica', indipendente da qualsiasi problema storico - si possono, tuttavia, sollevare questioni che, pur sulle medesime basi e sul medesimo piano, sono suscettibili di ampliare quei risultati. Conviene partire da certi problemi relativi ai caratteri fonnali del mito . Si è detto : il mito è un racconto . Ma è un racconto chiuso in sé, come una novella o una fiaba? In tal caso, dove comincia e dove finisce? Concretamente: un racconto come quello che P. Radin ha pubblicato, dopo averlo fatto scrivere da indigeni Winnebago 1 6 , è un mito o, come l 'autore stesso lo definisce, un ciclo mitico? l'inno ' omerico' a Hermes narra un mito o i miti relativi alla nascita e all'infanzia del dio? Presa alla lettera l'afferma­ zione che il mito 'fonda' la realtà, non dovremmo piuttosto scom­ porre il racconto winnebago in tanti miti (p . es . - nella numerazione per ' episodi' data da Radin - il mito di creazione di piante, nell'epi­ sodio n. 39, il mito della regolazione del corso del Mississipi, ep . n. 4 7, il mito dell'origine delle cascate, ep . n. 48, ecc .) e, analogamente, l'inno a Hermes (mito dell'invenzione della lira, vv . 24-54; mito dell'invenzione del fuoco, vv. 1 07- 1 1 1 ; mito della fondazione del sacrificio ai dodici dèi, vv . 1 1 5- 1 29; mito dell'origine della diversità das Wesen der Mythologie (cit. n. 5 ) : "begriin det"; Pettazzoni, SMSR (cit. n. 6), p. 1 1 3 : "è la tavola di fondazione della vita tribale". " Malinowski, Myth in Primitive Psychology (cit. n. 3), p . 1 9 : " . . . practical rules for the guidance of men"; per il mito come 'modello' cfr. van der Leeuw, Phanomenologie der Religion, (cit. n. 4) , p. 47 1 ; Kerényi, Einfohrung in das Wesen der Mythologie (cit. n. 5), p. 1 3 Eliade, A spects (cit. n . 7), p . 1 6 ("modèle exemplaire") e passim. Coscientemente rinuncio qui alle mie proprie formulazioni che, pur sulla base di un sostanziale accordo, potrebbero introdurre nella discussione elementi non esplicitamente rilevati dai quattro studiosi citati come esempi (cfr. anche sopra, n. 8) . Queste mie formula­ zioni si possono leggere per ora solo nel volume Introduzione alla ston"a delle religioni, Roma 1 966, p. 9 sgg., preparato a uso degli studenti dell'Università di Roma; cfr. Prolégomènes à une histoire des religions in Histoire des Religions (Encyclopédie de la Pléiade) in corso di stampa presso Gallimard, Parigi [cf. Prolegomènes à une Hiscoire des religions, in H .-Ch. Puech (ed. ), Histoire des religions, I, Paris 1 970, 3-59, trad. it. Prolegomeni, in H . -Ch. Puech (ed.) , Storia delle religioni, Bari 1 976, vol. I, 1 -5 5 , ripubblicato in SRP, 1 37- 1 83 (n.d.c.)] . '" Radin, The Trickster (cit. n. 9), p. 1 1 1 sgg. 15

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dei poteri mantici di Hermes e di quelli di Apollon, vv 5 2 1 -5 6 5 , ecc . ) ? È vero che, i n tal caso, bisognerebbe onestamente constatare che altri episodi degli stessi racconti così sezionati non 'fondano' nulla (p . es. nel racconto winnebago : ep . n. 24, Wakdjunkaga cade nei propri escrementi; ep . n. 3 1 : i lupi mangiano il cibo di Wakdjun­ kaga, ecc.; nell'inno omerico : Hermes fa camminare a ritroso i buoi rubati, vv 266-277, ecc.) . D 'altra parte, però, si osserverà che mentre già i 'ritagli' stessi sono, in una certa misura, arbitrari, in quanto essi fanno parte di un discorso continuo - senza gli episodi non-fondatori i miti di fondazione contenuti negli altri perderebbero qualcosa del loro significato : le cose fondate da Wakdjunkaga o da Hermes sono quali sono in quanto fondate precisamente da esseri come i protagonisti di quei 'cicli' mitici; e per capire chi sono e come sono questi personaggi, è necessario conoscere anche gli episodi che li caratterizzano senza portare direttamente a un atto fondatore. Ma se è così, bisogna accettare per un mito il 'ciclo' del trickster dei Winnebago o l'inno omerico e considerare i singoli miti fondatori inclusi nell'uno e nell'altro come 'episodi', dettagli, di un mito unico m entrambi i casi? Una risposta precisa non appare facile. .

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5. Forse si sarebbe tentati di risolvere la questione su una base empirica: quale sia l'unità formale di un mito, può risultare solo dalla diretta osservazione di ciò che costituisce il contenuto di un singolo racconto fatto dal narratore in una precisa occasione: in questo caso i due esempi sopra citati semplicemente sarebbero inadeguati; trattan­ dosi di opere scritte, di elaborati, cioè, che potrebbero avere attinto il proprio materiale da diversi racconti conchiusi in sé. Ma è proprio l'osservazione etnologica a invalidare immediatamente questa solu­ zione ipotetica: in realtà, i racconti dei 'narratori di miti' non sono sempre uguali, esatte ripetizioni della stessa vicenda 1 7; essi includono ora più ora meno episodi, a parte il fatto che introducono varianti anche nel racconto della medesima vicenda. 6 . Procediamo nell'esame della questione - meno futile, come presto si vedrà, e anche meno formalistica di quanto possa apparire a prima vista - alla stregua di esempi concreti. Per non appesantire di apparato e soprattutto per non rendere troppo lungo questo contri17

A. Radcliffe Brown, The A ndaman Islanders, London 1 922, p. 1 87 sgg.; P. Radin, The Trickster (cit. n. 9), p . 1 22 sgg. Cfr. Eliade, Aspects (cit. n. 7), p . 1 7 9 .

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buto limitato nei suoi fini, da ora in poi prenderemo i nostri esempi da due sole mitologie sufficientemente differenti tra di loro per dare un valore generale alle considerazioni che seguono : una d'un popolo 'primitivo ', l'altra di una civiltà 'superiore'; una raccolta dalla voce viva degli indigeni, l' altra conservata in testi e monumenti antichi. La prima sarà quella dei Tacana della Bolivia, recentemente pubblicata 1 8 in 3 9 5 racconti, per diversi dei quali sono segnalate anche varianti; per essa basterà, perciò, rinviare a un unico volume, indicando solo il numero sotto il quale in questo volume figura il mito di volta in volta indicato . L'altra sarà quella degli antichi Greci, per la quale si può fare a meno di ogni citazione di fonti, data l'esistenza di enciclopedie (Pauly-Wissowa, Roscher, Grimal, ecc.) che sotto i nomi dei perso­ naggi mitologici riportano anche i loro miti e le fonti che li hanno conservati. Per illustrare quanto si è detto sopra, ricorderemo un mito dei Tacana (n. 73), il quale dice semplicemente che il perso­ naggio di nome Einidu mentisce a un uomo con cui ha fatto amici­ zia, insinuando che sua moglie lo tradisce; l'uomo batte sua moglie che, però, era innocente . Questo racconto - a parte il fatto che apparentemente non 'fonda' nulla né costituisce un 'modello' 19 - non caratterizza il suo protagonista che quale un ingannatore (trickster) senza scrupoli. Ora, questo carattere di Einidu risulta confermato anche da altri miti . Ma ecco che il motivo del n. 73 riappare nel n. 7 2 in una forma più ampia : un giorno, Einidu chiama un cacciatore e gli dice che sua moglie lo tradisce . Il cacciatore accerta che si tratta di una menzogna. Einidu lo porta vicino a un serpente velenoso e distoglie la sua attenzione con un'altra menzogna: il serpente morsica il cacciatore, ma allora Einidu raccoglie certe foglie, applicando le quali sulla morsicatura, guarisce il cacciatore . Rispetto a n. 73, questo secondo racconto lo contiene (quasi) per intero, ma vi ag­ giunge dettagli (l'uomo è un cacciatore) ed episodi (un nuovo in­ ganno, ma anche la guarigione) , da cui, tra l'altro, risaltano nuovi caratteri del personaggio: egli gioca brutti tiri a cacciatori (infatti, da altri miti risulta che ha anche caratteri di 'signore degli animali'), ma può venire anche a loro in aiuto; è, inoltre, un guaritore . E vediamo

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' " K. Hissink A. Hahn, Die Tacana, I, Erziihlungsgur, Stuttgart 1 96 1 . Simili affermazioni, tuttavia, sono soggette a cautela: un mito può avere valenze che a noi non risultano . Quando, però, in un mito non troviamo aspetti 'fondatori' - e i casi sono innumerevoli - è arbitrario attribuirgliene ad ogni costo : dire, p. es., per il caso citato nel testo, che esso fornisca un modello contro la credulità o le false amicizie, sarebbe pura illazione. • •

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ora un esempio greco : tra i 'primi inventori' m1t1c1, Prometheus è ricordato in un testo (Plin. 7, 209) come colui che per primo uccise un bovino . Pur nell'estrema schematicità, questo testo non è privo di significato in una cultura in cui l'uccisione di bovini era circondata da notevoli preoccupazioni e richiedeva una giustificazione religio­ sa20. Ma ecco che da altre versioni, peraltro più note (Esiodo) , della prima uccisione del bovino risulta che si trattava di quell'atto che fondava la forma greca del sacrificio cruento. Per il momento, limi­ tiamoci a porre la domanda: il mito n. 73 dei Tacana è solo un dettaglio del mito n. 72 o, invece, il mito n. 7 2 è un racconto composito che comprende più di un mito (tra cui quello n. 73)? Lo heurema dell'uccisione del bovino è solo un dettaglio del mito fonda­ tore del sacrificio o quest'ultimo utilizza il primo, inserendolo in un contesto più ampio? In una parola: quali sono i limiti dell'unità di un mito? Oppure : come si distinguono episodio mitico, mito, ciclo di miti? 7 . Partendo dall'osservazione che il mito 'breve' diventa pm com­ prensibile alla luce del mito 'lungo' che lo contiene ma lo trascende, si sarebbe portati a considerare il primo come un 'episodio' del secondo che, invece, sarebbe il vero 'mito ' . La menzogna gratuita di Einidu appare più ricca di significato se viene riferita anche al potere soprannaturale e ai rapporti con il mondo della caccia di questo personaggio; l'uccisione prometeica del primo bue acquista le sue dimensioni reali nel mito della fondazione del sacrificio . Ma si può affermare che questi miti più lunghi siano unità autonome? O, invece, essi risulteranno, a loro volta, più comprensibili alla luce di altri racconti? O, addirittura, appaiono, essi stessi, come ' episodi' di un'unità più vasta, sul tipo di quelle che si definiscono come 'cicli mitici'? Fermiamoci per ora su quanto già più sopra (paragr. 4) è stato anticipato di sfuggita: che, cioè, il senso di una vicenda mitica non può essere pienamente compreso senza la conoscenza del perso­ naggio o dei personaggi che vi agiscono . Come la menzogna di Einidu narrata nel racconto n. 73 appare quasi priva di senso senza quanto vi aggiunge il racconto n. 72, la 'prima uccisione di bue' attribuita a Prometheus è di significato assai limitato senza il mito del primo sacrificio : e cio, intanto, anche perché dai 'miti brevi' (' episodi') non risulta chi è Einidu, né chi è Prometheus; una '" Cfr. SMSR 29, 1 9 58, p. 37 sg.

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qualsiasi menzogna potrebbe essere detta da chiunque, la prima uccisione di un bovino potrebbe essere attribuita a chiunque: ma se i miti dicono che si tratta di questo o quel personaggio vuol dire che ciò ha la sua importanza . Per sapere, però, chi è quel personaggio, bisogna anzitutto conoscere i 'miti lunghi' che ne danno qualche chiarimento. Qualche chiarimento : perché il personaggio Einidu, an­ che arricchito delle capacità di guaritore e di amico dei cacciatori, non è affatto completamente delineato nel mito n. 72, come la personalità di Prometheus non si esaurisce nel mito di fondazione della thysia. Einidu figura in tutt'una serie di miti (n. 69-78, 330, 33 1 , 383) dai quali appare p . es. che le sue facoltà sovrumane non si limitano alla guarigione: egli trasforma le persone in animali (n. 76, 77), in spiriti (n. 78); i suoi rapporti con il mondo della caccia non sono compresi, tutti, nella casuale amicizia con un cacciatore (altri rapporti con cacciatori: n. 7 1 , 77) : egli è 'proprietario' di animali (n. 69, 74) e di piante (n. 70, 74) , punisce il cacciatore che uccide troppi cervi (n. 7 1 ) , difende gli animali inutilmente torturati (n. 7 6) ­ tratti che delineano il suo carattere di 'signore degli animali'; d'altra parte, i suoi inganni sono numerosi, ma s'integrano con episodi in cui (come molti altri tricksters) è lui a rimanere ingannato (n. 70, 3 3 1 ) ; inoltre, egli è caratterizzato da una smisurata libidine sessuale (in certi casi: omosessuale) , - causa, a volte, della morte di una donna (n. 7 5 ) , a volte della propria morte (n. 70), mentre quest'ul­ timo caso, confermato in tutt'altro contesto dal mito n. 383, mostra anche che egli è un essere che muore; inoltre, Einidu è detentore e, a volte, datore di ricchezze (n. 330, 33 1 , 383) . Anche se lo spazio non permette qui di scendere in dettagli, i pochi elementi segnalati bastano a mostrare che non solo il mito 'breve' (episodio n. 73), ma anche quello 'lungo' hanno bisogno, per rivelare interamente il loro significato, di altri miti che precisino chi è, veramente, il loro protago­ nista. Altrettanto vale per Prometheus che - oltre a non essere soltanto il primo uccisore di bue - non è nemmeno soltanto il primo sacrificatore. Intanto, il suo 'primo sacrificio' è quello che determina la separazione tra dèi e uomini o, in altri termini, la condizione umana rispetto a quella divina21 • Ma, sebbene fondamentale, questo mito non esaurisce il 'personaggio' Prometheus che, tra l'altro, pla" Questa funzione del mito menzionato è confermata anche da un Prometheus, riguardante l'origine e l'uso della corona e studiato da me in corso di stampa nel volume in onore di Marie Delcourt. [Si tratta di Prometheus, in Hommages à Marie Delcourt, Bruxelles 1 9 70, pp. 234-242,

altro mito di un articolo in La corona di n.d.c.] .

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sma d i argilla gli uomini e gli animali, procura - con u n furto - il fuoco agli uomini, ma provoca anche la comparsa del 'bel male' che è la donna; perfino la mortalità umana - o la 'perduta immortalità' è messa in rapporto con la sua attività22 • Inoltre, per capire meglio tutti questi miti, è necessario sapere che Prometheus è un 'titano' o figlio di titano, appartiene cioè a quella categoria di esseri che gli dèi hanno dovuto vincere per assicurare la propria sovranità sul mondo .

8 . Il paragrafo precedente sembrerebbe portare alla conclusione che un mito non sia interamente comprensibile finché è isolato dagli altri miti riguardanti lo stesso personaggio: diciamo, dal 'ciclo mitico' imperniato sulle vicende di quel personaggio . Una siffatta conclu­ sione getterebbe qualche ombra sul concetto del 'mito', ma lasce­ rebbe la possibilità di salvare un'unità organica e conchiusa in sé, quella del 'ciclo mitico ' . La realtà, però, è diversa. Anzitutto, nei miti dello stesso 'ciclo', il personaggio principale entra in rapporti diretti con altri personaggi mitici; è estremamente raro che in un mito un personaggio agisca in perfetto isolamento . Ora, una vicenda che si svolge tra più personaggi, non è comprensibile se non si conoscono caratteri e posizione di tutti. Certo, il 'ciclo' tacana di Einidu, scelto qui da esempio, non è il più adatto a illustrare quest'affermazione . Eppure, il mito n. 69 basta da solo allo scopo: un cacciatore poco bravo solo con l'aiuto dell' edutzi ('dio ' [!] ) Chibute riesce a far bot­ tino : ma quando uccide un giovane tapiro, Einidu, a cavallo di un tapiro (sua 'proprietà') compare e gli rimprovera di aver ucciso il suo piccolo; interviene allora Chibute e induce Einidu a un accordo : il cacciatore inviterà a mangiare Einidu; difatti, l'indomani questi man­ gia a sazietà e il cacciatore torna a casa, felice . Ora, in altri racconti (n. 7 1 , 7 5 , 76), Einidu ben più spietatamente punisce chi abbia leso i suoi diritti: qui, invece, viene a patti, per opera di Chibute . Per capire questo, bisogna sapere che Chibute ha ugualmente caratteri di 'signore degli animali', ma anche di 'creatore' e di 'eroe culturale' (cfr. Hissink, p. 1 63 sgg. e i miti n. 62-68) ed è un personaggio di primo piano della mitologia tacana. Parallelamente, che per capire tutta l' attività e tutto il destino di Prometheus - il cui 'ciclo', del resto ugualmente non è il più adatto al nostro scopo tra tante centinaia di miti greci che coinvolgono ben più numerosi personaggi - si debba sapere almeno chi sia Zeus, è un fatto che non richiede " SMSR 29, 1 9 58, p . 23 sg.

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spiegazioni; e, sebbene gli accenni rimastici siano insufficienti, ap­ pare chiaro che per la comprensione della figura mitica di Prome­ theus, e quindi delle sue vicende, non è indifferente né che egli ha contribuito alla nascita di Athena, né che egli ha tentato di violentare la stessa dea: senza capire, d'altra parte, la posizione di Athena nata dal solo Zeus e vergine per eccellenza - questi atti di Prome­ theus resterebbero privi di rilievo . In conclusione, dunque: nemmeno un 'ciclo' mitico è chiuso in sé, ma per essere compreso e valutato nel suo significato richiede la conoscenza di altri miti e cicli mitici riguardanti altri personaggi. Con ciò, - dato che per quegli altri personaggi vale esattamente la stessa necessità, - si arriva subito alla conclusione che per capire integralmente un solo mito, è necessario conoscere, senza limiti prevedibili, un grandissimo numero di altri miti della stessa mitologia - per non dire, a priori : l'intera mitologia di cui esso fa parte .

9 . Il ragionamento finora condotto non pecca, come potrebbe sem­ brare, per eccesso, ma, se mai, per difetto . Se la comprensione di un solo mito richiede la conoscenza di tutti i miti riguardanti lo stesso personaggio mitico che, d'altra parte, è definito anche dai suoi rap­ porti con altri personaggi delineati da altri miti, anche per questa sola ragione il racconto della menzogna di Einidu e quello della prima uccisione di un bovino da parte di Prometheus (sopra, para­ grafo 6) possono essere compresi probabilmente soltanto sullo sfondo della mitologia intera cui, rispettivamente, appartengono : ma non è questa la sola e forse neppure la più importante ragione per cui ogni singolo mito è inseparabile dalla mitologia intera di cui fa parte . Il discorso fin qui fatto era unilaterale e insufficiente - e tra esattezza insufficiente e inesattezza, cioè errore, i limiti sono piuttosto vaghi, in quanto era accentrato sui personaggi mitici, quasi che questi costituissero realmente il 'centro', la ragion d'essere dei miti . Ora, in una discussione a carattere puramente teorico del mito come la presente, non vi è posto per trattare eventuali differenze tra diverse mitologie concrete : è necessario, tuttavia, constatare - e, per caso, proprio un confronto tra le due mitologie qui scelte come esempi, potrebbe ottimamente confermare la constatazione - che il rilievo dei personaggi non è uguale in tutte le mitologie; esistono molte mitolo­ gie in cui - come p. es. anche in quella tacana, ma in altre anche più accentuatamente - la maggior parte dei personaggi è anonima ('un uomo', 'un cacciatore', 'un capo ', ecc .) o definita in una maniera

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assai differente da quella cui le mitologie delle civiltà più note ci hanno abituati con le loro figure prevalentemente antropomorfe (si pensi, invece, a 'personaggi' come 'il giaguaro', 'la moglie del giagua­ ro', 'la lepre', ecc.) . Ora, sebbene forse non esista alcuna mitologia priva di personaggi - sia pure non antropomorfi - ricorrenti in diversi miti, il fatto stesso che esistono almeno singoli miti in cui questi non figurano, potrebbe invalidare tutta l'argomentazione precedente . Se la ragione dell'inseparabilità di un singolo mito dalla mitologia intera fosse solo il fatto che i personaggi di un mito sono coinvolti diretta­ mente o indirettamente in innumerevoli altri miti, almeno i miti privi di personaggi ricorrenti in altri racconti potrebbero sottrarsi alla necessità di essere inseriti nel vasto organismo di una mitologia per risultare comprensibili. Ma che ciò non sia così, apparirà chiaro, non appena sarà posto il problema che cosa, realmente, sia un 'personag­ gio ' mitico .

l O . Mitologicamenti 3 un personaggio m1t1co non è che la risultante dei miti che lo riguardano : tutto ciò che si sa di Einidu o di Prometheus è nei loro miti . In altri termini, non è il personaggio che, in qualche modo misterioso, preesista ai propri miti cui poi egli darebbe origine : un Einidu (o un Prometheus) , senza i suoi miti, semplicemente non ha modo di esistere . Alla domanda, chi è Einidu, l'unica possibilità di rispondere consisterebbe nel ricavare una 'fi­ gura' da varie vicende mitiche: egli è colui che è proprietario di (certi) animali e piante, che ha rapporti con i cacciatori, che punisce chi lede i suoi diritti, mente e inganna, ma con i suoi poteri sopru­ mani e con la sua ricchezza può anche beneficiare certe persone; nel suo smisurato appetito sessuale s 'invischia in avventure che possono causare la morte altrui come la propria, ecc . , ecc . Chi è Prometheus? è il personaggio che nel momento in cui la posizione degli dèi non era ancora stabile, né del tutto distinta da quella degli uomini, con

" Con la parola sottolineata si vuole mettere in rilievo che qui si prescinde completa­ mente da altre forme - e in primo luogo da quelle del culto - che possono dare un'esistenza a un personaggio mitico o determinarne certi caratteri. Questa programmatica 'non presa in considerazione' intende, anzitutto, mantenere il presente scritto nei limiti dei problemi della mitologia. In secondo luogo, essa è suggerita da considerazioni che qui non possono essere sviluppate e tra cui siano menzionate l) che esistono personaggi mitici privi di culto ed entità venerate prive di miti; 2) che tra la figura mitica e l'entità venerata sotto lo stesso nome esistono - sia a livello emologico che nelle civiltà superiori - discrepanze talmente profonde da suggerire una ripresa ex novo dell'intero problema dei rapporti tra mito e culto (o rito) .

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inganni e furti e con atti fondatori ha provocato il costituirsi delle condizioni umane con certi loro aspetti negativi (mortalità) , positivi (possesso del fuoco) e negativi-positivi allo stesso tempo (possesso del 'bel male'), ecc. , ecc. In tutte queste sommarie descrizioni dei personaggi non vi è un solo elemento - e non ve ne sarebbe neanche nelle caratterizzazioni più complete - che non si fondi su singole vicende mitiche in cui quei personaggi sono coinvolti . A differenza di una persona umana che ha un organismo psicofisico anche indipen­ dentemente dagli eventi che vi possono incidere, un personaggio mitico è costituito esclusivamente dalle vicende in cui direttamente o indirettamente è coinvolto .

1 1 . La mitologia - si è detto - non è necessariamente centrata sui 'personaggi' mitici; ma anche senza spostare subito l'interesse dai personaggi alle vicende, ci si domanderà come sia possibile compren­ dere un personaggio mitico in base alle vicende il cui intreccio· lo 'costituisce ' . Per questo, appare necessario, anzitutto, capire le vi­ cende . Ma per evitare di attribuire a queste un significato in maniera soggettiva, bisogna prima controllare se le vicende 'costitutive' di un personaggio appartengano esclusivamente ad esso oppure figurino anche in altri contesti : e allora risulterà inevitabilmente che in tutte le mitologie esistono 'temi' ricorrenti che si concretano in varie vicende connesse con vari personaggi . Certo, per illustrare questo stato di fatti anche sulle sole basi delle mitologie tacana e greca, occorrerebbe scrivere un volume: qui ci si accontenterà di segnalare che Einidu non è l'unico personaggio mitico tacana a mentire e ingannare (cfr. i miti cui rinvia l'indice del volume della Hissink sotto List, Lugen) , non è l'unico che abbia a che fare con cacciatori e selvaggina (v. sopra, paragr. 8, per Chibute e, nell'indice, sotto Jagd, Jager, Tiere, ecc . ) , che violenti donne (indice : Frauen-, Madchenraub) , che sia caratterizzato da atti guaritori (indice: Heilkundiger) , nelle cui vicende abbia importanza la ricchezza (indice: Reichtum) . E non solo Prometheus (e nemmeno solo i Titani, alla cui stirpe appartiene) , ma una serie di personaggi mitici greci si oppongono alla volontà divina o cercano di eluderla con inganni; e non solo gli atti fondatori o gli heuremata in generale, ma alcuni ben precisi di questi (p . es. il primo fuoco è attribuito anche a Hermes, anche a Phoroneus, ecc . ) , figu­ rano tra le vicende di altri personaggi; tentate violenze contro dee perfino contro la stessa Athena (p . es. da parte di Hephaistos) ricorrono anche in altri miti, e così via .

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1 2 . Per tornare all'argomento centrale di queste riflessioni, bisogna dire dunque che un mito isolato non rivela interamente il proprio significato, e precisamente non solo perché i suoi personaggi non ne vengono illustrati sufficientemente, ma anche perché le sue vicende stesse attingono il proprio rilievo solo alla luce dei numerosi altri contesti narrativi in cui - per quanto variate - ricorrono . E si può andare anche oltre, su questa strada, segnalando p. es. che nel mito esistono anche elementi costitutivi minori, la cui comprensione ri­ chiede la conoscenza dell'intera mitologia: che cosa significa p. es. un tapiro - come quello che Einidu cavalca nel mito n. 69 - sul piano mitologico (sul quale, tra parentesi, può avere un significato che non necessariamente coincide con quello che esso ha sul piano economico, rituale o altro) - per i Tacana? che significa l'uccisione di un bovino, sempre sul piano mitologico, per i Greci antichi? Ma qui non si vuole ri-scoprire una verità ormai acquisita - per opera degli strutturalisti e, in primo luogo, da C. Lévi-Strauss24 - alla scienza mitologica: che, cioè, ogni mitologia è (anche) un 'linguaggio ' . Qui si è partiti dalla fenomenologia del mito e a questa si vuole tornare, per concludere . 1 3 . Si è visto che, sebbene per un'interpretazione del fenomeno 'mito ' si sia verificata una significativa convergenza di vedute tra studiosi differenti, il concetto stesso del mito solleva difficoltà non trascurabili: via via che si è proceduto nella discussione di queste difficoltà, è apparso sempre più chiaro che non esistono criteri formali precisi per delimitare il mito come un'unità autonoma; nella sua concreta realtà fenomenologica, il mito tende a scomporsi, da una parte, nei suoi elementi costitutivi e, d'altra parte, a confluire in unità maggiori, la più vasta delle quali è la mitologia cui esso appartiene. Ora, anche unicamente dal punto di vista di una fenome­ nologia del mito, questo stato di fatti non è privo di conseguenze cui, in questo luogo, si accennerà nella forma di problemi. L'inseparabi­ lità del mito dall'intera mitologia, - quella specie di ' scatola cinese' che fa sì che le minime unità semantiche di una narrazione mitica si trovino sempre inserite in diversi 'temi' mitici, questi in sequenze ricorrenti, queste in diversi miti alcuni dei quali in 'cicli' mitici, ma tutti in una mitologia - significa necessariamente dover abbandonare quanto in sede fenomenologica si è finora stabilito sul mito conside­ rato come un'unità? o, invece, questi risultati rimarranno validi e " Le cru et le cuit, Paris 1 964; Du mie! aux cendres, Paris 1 966.

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dovranno soltanto essere integrati? Nel secondo caso, l'integrazione consisterà solo in qualche aggiunta alle constatazioni già fatte o vi apporterà anche modifiche e chiarificazioni? Per esempio : l'insepara­ bilità del mito dalla mitologia intera non porterà forse alla soluzione di un dilemma2\ se, cioè, ogni mito debba essere considerato come un 'mito delle origini' - e in tal caso dal concetto del mito bisogne­ rebbe escludere tutti i racconti che non concludono all'origine di qualche realtà precisa, eppure condividono con i 'miti delle origini' (considerati come i miti veri e propri) temi, personaggi e perfino forme e occasioni della narrazione - oppure se invece si debba rinunciare alla funzione 'fondatrice' del mito come tale? Bisognerà, infatti, tener presente che la mitologia indivisibile è, essa stessa, alle ' origini' della realtà e quindi anche delle singole realtà che singoli miti fondano . . . E la coscienza del fatto che tutti i miti di una mitologia sono in rapporto tra di loro, non sposterà p. es. anche i termini della questione tra i rapporti tra miti delle origini in generale e miti cosmogonice 6 ? Di tutto ciò si dovrà riparlare ancora in forma più ampia e articolata . Per il momento ci si limiterà a una conclusione precisa da cui scaturiscono, ancora una volta, questioni che possono rimanere aperte . La conclusione è che, in tutti i modi, la fenomenologia del mito dovrà tenere maggior conto - anche semplicemente come di un carattere costante del fenomeno - dell'inseparabilità del mito, come tale, dalla mitologia. Le questioni - d'ordine ugualmente fenomeno­ logico - che si lasceranno aperte, sono le seguenti: alla fenomenolo­ gia del mito non dovrà forse affiancarsi anche lo studio fenomenolo­ gico della mitologia? Ma i due fenomeni - distinti e pur connessi al punto che ciascuno condiziona l'altro, in modo che non c'è mito senza mitologia e non c'è mitologia senza mito - potranno essere, o piuttosto fino a che punto e in che senso potranno essere, studiati autonomamente? Un'elaborazione della fenomenologia del mito, si è visto, è in fase avanzata: ma quel che impedisce di rispondere per ora alle ultime domande poste, è che uno studio fenomenologico della mitologia manca ancora quasi completamente .

" Il problema era presente a R. Pettazzoni negli ultimi anni della sua vita; dapprima egli tendeva ad escludere dal concetto del mito sacro ( = 'vero') i racconti che non fossero 'delle origini', come appare negli articoli citati a p. 95, n. 6 . Successivamente, sia in conversazioni private sia in appunti lasciati (cfr. SMSR 3 1 , 1 960, p. 3 1 ) esprimeva dubbi circa la giustificazione di attribuire a tutti i miti il carattere di 'mito delle origini'. '" Discusso da M. Eliade, A speccs (cit. n. 7), p. 5 2 sg. contro Pettazzoni.

SIMBOLO DI

UN

SIMBOLO

A dispetto del suo titolo il presente studio non intende porsi come un contributo alla discussione di questioni teoriche concernenti i simboli. Piuttosto, come vedremo, esso si ricollega a osservazioni che lo studioso che stiamo celebrando in questo libro ha dedicato in varie occasioni al simbolismo dell'iniziazione. Tale tema, di cui tenteremo di mostrare una specifica esemplificazione storica, permette all' au­ tore di esprimere la propria gratitudine a Mircea Eliade, il cui lavoro lo ha continuamente stimolato e arricchito . È noto che i sacrifici umani, mentre sono assai rari nell'antica Grecia, ricorrono in numerosissimi miti greci. Questa singolare di­ screpanza tra prassi rituale e mito viene generalmente interpretata nel senso che i miti conserverebbero ricordi di un'epoca più antica, nella quale sacrifici umani sarebbero stati effettuati con maggiore frequenza 1 • Sulla base dei documenti disponibili, tuttavia, si incon­ trerebbero difficoltà ad identificare con precisione tale epoca: di certo non si tratta del periodo miceneo, per il quale né testi2 né raffigurazioni né risultati di scavi3 forniscono alcuna evidenza docu"Symbol of a Symbol", in }.M. Kitagawa - Ch.H. Long (edd. ) , with the collaboration of } . C . Brauer and M.G.S. Hodgson, Myths and Symbols. Studies in Honor of Mircea Eliade, Chicago 1 969, 1 9 5-207 (trad. it. di P. Xella] . Cf. ad es. L. Ziehen s.v. "Opfer", col. 5 8 8 in Pauly-Wissowa, Realencyklopadie der klassischen A!tertumswissenschaft, 1 6 voli . , Stuttgart 1 894 (con aggiornamenti); M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, 2 voli. , II ed. (Miinchen 1 9 5 5-6 1 ) , vol. I, p. 2 3 . ' Le tavolette che registrano l'offerta d i u n uomo o d i una donna a una divinità (per esempio, Tn 3 1 6, da Pilo) certamente non alludono a sacrifici umani: tale offerta è posta sullo stesso piano ed è menzionata nello stesso contesto dell'offerta di oggetti preziosi i quali, naturalmente, non sono "sacrificati" . Dal momento che le tavolette micenee cono­ scono l'istituzione degli "schiavi della divinità", è plausibile ritenere che le persone offerte fossero destinate a tale funzione o, in ogni caso, a mansioni pertinenti al servizio divino . Ritrovamenti di ossa umane (accanto a quelle dell'inumato) in tombe d'epoca micenea furono interpretati come tracce di sacrifici umani funerari. Già nel 1 9 5 5 , tuttavia, dopo aver sintetizzato i risultati degli studi più recenti, Nilsson (Geschichte, pp. 1 7 8, 376 e n. 3) affermava che il solo caso in cui vi erano "tracce sicure" di questa istituzione era rappresen1

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mentaria. Affermare che si possa risalire ad un'epoca ancora pm antica sarebbe ingiustificato e non plausibile; i miti greci che parlano di sacrifici umani riflettono condizioni religiose e culturali del tutto diverse da quelle dei periodi Medio Elladico o Antico Elladico. È senz' altro probabile che un mito di sacrificio umano non possa svilupparsi in una cultura che ignori totalmente una tale pratica. È tuttavia arbitrario dedurre la frequenza di una pratica - in qualsiasi epoca - dalla quantità di miti che la concernono . Esiste una solu­ zione alternativa: i Greci sarebbero stati parsimoniosi nel sacrificare vittime umane anche se avrebbero posseduto l'esperienza del sacrifi­ cio umano e l'avrebbero utilizzata sul piano mitico . I miti greci non sono relitti di epoche culturali remote : essi sono miti significanti per l'epoca storica durante la quale erano attuali. Molti sono i modi nei quali un mito può funzionare nell'ambito di una società . In questa sede ci limiteremo però ad un unico caso che non richiederà troppe osservazioni o discussioni poiché è ampia­ mente noto : il caso di miti connessi con culti . Tali miti sono spesso definiti "eziologici" . Non vogliamo qui escludere la possibilità che esistano anche pseudo-miti (il problema è molto più complesso di quanto non sembri) , ma sarà sufficiente per ora affermare che diversi miti greci connessi con culti sono "eziologici" solo nel senso in cui ogni mito è eziologico . In altri termini, essi sono miti che "fondano" una realtà narrando le sue origini, cioè l' aition della stessa istituzione culturale alla quale essi si riferiscono . Miti di fondazione di culti e di riti esistono nelle più diverse religioni e non c'è alcuna ragione cogente per la quale proprio i miti greci debbano sempre essere degli pseudo-miti. Un mito di sacrificio umano può collegarsi ad un culto in vari modi. Anche tra questi noi opereremo una scelta. Ad esempio, sorvoleremo su quei casi in cui il mito concerne direttamente il destinatario del culto : un certo eroe o una certa eroina deve ricevere un culto perché nel tempo del mito egli o ella fu sacrificato/a (p . es . , l e figlie di Leos, l e Hyakinthides, Marathon, etc.) . C i sia permesso di notare brevemente e senza particolari argomentazioni che, in questo caso, il culto di una persona concepita come vittima sacrificale (uccisa nei tempi mitici per superare una situazione critica) mira a

tato dalle tombe reali di Dendra, scavate da A. Persson. Al giorno d'oggi, comunque, neppure queste tracce sono ritenute sicure o probabili; cf. G. Mylonas, Mycenae and the Mycenaean A ge (Princeton 1 966), pp. 1 1 6- 1 1 7, 1 28- 1 29 .

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perpetuare i benefici che l'uccisione di una vittima umana apporta alla comunità; non si uccidono vittime umane, si venera - con regolari azioni cultuali - un eroe specifico ed è il mito che, presen­ tando lo stesso eroe come una vittima sacrificale, precisa il significato e la funzione del culto . Ci soffermeremo piuttosto su un altro caso, in cui il mito di sacrificio umano non chiama in causa il destinatario del culto, ma piuttosto le forme del rito . Secondo alcuni miti, i culti a cui essi si riferiscono richiedevano vittime umane "in principio" ovvero "com­ memorano" attualmente un'uccisione che ebbe luogo in un remoto passato (di fatto, nel tempo mitico) . Alcuni studiosi ritengono come anche facevano i Greci - che in questi casi si abbia realmente a che fare con la "sostituzione" di antichi sacrifici umani; in tali casi, dunque, la valenza "eziologica" avrebbe un valore storico e, vice­ versa, non ne avrebbe uno mitico, cioé religioso. Pausania (9, 8, 2) racconta che a Potniai, in Beozia, c'era un tempio dedicato a Dionysos Aigobolos ('' colui che colpisce capri") : Un tempo la gente, mentre sacrificava a Dionysos, sotto l'influsso del vino divenne così violenta che uccise il sacerdote del dio . Subito dopo un'epidemia colpì gli assassini e da Delfi venne il rimedio, che consi­ steva nel sacrificio di un adolescente a Dionysos. Non molti anni dopo, essi dicono, il dio sostituì come vittima il giovane con un capro .

Lo schema fondamentale del racconto - trasgressione, calamità, consultazione dell'oracolo, fondazione di un culto - comune a nume­ rosi miti cultuali della Grecia, basterebbe in sé a indicarci che non si ha a che fare con un evento storico 4• Il culto di un dio - un dio che con il suo epiteto si qualifica come destinatario di sacrifici di capri che contempla il sacrificio di un capro è una realtà storica . Il mito tuttavia afferma che il sacrificio di capri è la sostituzione di un sacrificio umano, un rimedio estremo per una crisi causata da un misfatto . Il culto vero e proprio, come ogni culto, è un mezzo per mantenere l'ordine, per preservarlo dalla caduta nel chaos (che il mito concretizza nella catastrofe - il flagello - contro il quale si dice che il culto stesso fosse stato istituito) . Il culto culmina nell'immola­ zione di un capro presentato dal mito come sostituzione del sacrificio umano; ciò significa che il mito - che appartiene organicamente al culto - ha la funzione di rendere il sacrificio di un capro equivalente a •

Ho esaminato una categoria specifica di questi miti in SMSR, 30 ( 1 959), pp. 247-248.

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un sacrificio umano (perfettamente equivalente poiché lo stesso dio lo istituisce come tale) . Partendo dal mito, il sacrificio di un capro appare come un "simbolo" del sacrificio umano, ma in questo caso il mito non ha un'esistenza indipendente dal culto : il mito è il mito di origine del culto (che implica il sacrificio di un capro) ; è perciò il sacrificio umano (mitico) che rappresenta un equivalente del (reale) sacrificio di capri, definendo in tal modo il suo significato specifico . Passiamo ad un caso differente che, tuttavia, ci conduce ad un' analoga funzione dell'idea (piuttosto che della prassi) di sacrificio umano . A Tegea erano soliti dire (Paus . 8, 53, 2 sgg.) che Leimon, figlio dell'eroe eponimo Tegeates, aveva ucciso suo fratello Skephros che egli sospettava di averlo diffamato presso Apollo, il quale, in compagnia di Artemis, visitava la città; per punizione Artemis avrebbe ucciso Leimon con una freccia . Nonostante i sacrifici offerti ai due dèi da Tegeates e da sua moglie, una grande sterilità colpì il paese; l'oracolo di Delfi prescrisse riti funebri per Skephros che furono inclusi nelle feste di Apollon Agyieus . Durante i riti di questa festa la sacerdotessa insegue un uomo . Tale azione è interpretata come una mimesis della caccia di Leimon da parte di Artemis . Sebbene un tale sacrificio umano non appaia neppure nel mito almeno nella forma in cui esso è stato tramandato da Pausania - e si racconti invece di un'uccisione avvenuta come punizione, il caso non è senza analogie con quello evocato in precedenza: una catastrofe è evitata attraverso l'istituzione di un rito concepito come l'equivalente di un'uccisione . In altri termini, un mito di "uccisione" origina il rito di inseguimento . Vi sono, in Grecia, vari riti di inseguimento, ma noi ne menzio­ neremo qui solo un altro che mostra un nesso esplicito - questa volta non puramente mitico - con l'uccisione di vittime umane . Nell'A­ grionia di Orchomenos il sacerdote di Dionysos avrebbe cacciato con una spada un gruppo di donne denominate collettivamente e ritenute discendenti delle Minyades (figlie di Minyas la quale, presa da frenesia dionisiaca avrebbe ucciso uno dei loro figli) . Si riteneva, secondo Plutarco (Quaestiones Graecae, 38 = 299F) , che il sacerdote avrebbe realmente ucciso quella donna che egli fosse riuscito a catturare durante l'inseguimento . Plutarco afferma inoltre che ai suoi tempi un sacerdote di nome Zoilos aveva realmente ucciso una delle donne nel corso del rito . Le conseguenze di tale atto furono però negative : Zoilos stesso morì dopo una lunga sofferenza per una ferita ricevuta e i cittadini di Orchomenos, giudicati severamente per

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questa istituzione, privarono l a famiglia di Zoilos della dignità sacer­ dotale ereditaria. Possiamo chiederci perché l'adempimento del suo dovere come richiesto dal rito avrebbe apportato catastrofiche conse­ guenze per il sacerdote, disprezzo per la comunità e l' allontanamento di tutta la famiglia del sacerdote dal culto . Soprattutto, ci si chiede perché l'intero episodio assumesse una tale eccezionale importanza se esso si conformava alle norme del culto : era forse così difficile per un uomo catturare una delle donne in fuga che - sebbene si trattasse di un rito annuale - questo non sarebbe accaduto quasi mai? Tutto ci induce a pensare che anche la caccia nell' Agrionia fosse solamente "simbolica", come era quella della festa di Tegea. Questa norma cultuale esisteva forse solo per essere regolarmente trasgredita poiché il suo significato era sufficiente : era !' "equivalente" di un sacrificio umano5• In alcuni casi questo significato era reso concreto da un mito cultuale; in altri casi era suggerito e introdotto da una norma cultuale fittizia. In altri casi ancora questo significato si realizzava in un modo diverso: a Tenedos si adorava Dionysos Anthroporrhaistes ('' colui che fa a pezzi gli uomini") ; la sua vittima sacrificale non era però un essere umano, ma un giovane vitello 6 • Sua madre, la vacca, era pertanto trattata come un essere umano, una puerpera, e al giovane vitello si facevano calzare degli stivaletti . L'uccisore del vitello sa­ rebbe divenuto un fuggiasco, fatto oggetto di una pioggia di pietre scagliate dalla gente come se egli avesse realmente ucciso un essere umano (Aelianus, De natura animalium, 1 2, 34) . In questo caso, l'epiteto del dio e la doppia simulazione rituale (il trattare la vittima come un essere umano e la fuga del sacrificatore) concorrono a dimostrare che il significato del rito è quello di un sacrificio umano . Verifichiamo allora che i Greci conobbero il sacrificio umano7 e ' Come nel caso del c.d. sofisma dei Tessali (Zenob . 4, 29), che consisteva in un'eca­ tombe umana dedicata ad Apollon Katabaisios e veniva regolarmente posposta di anno in anno. Pertanto, un caso simile a quello già menzionato da Erodoto (7, 1 97) e citato più tardi nel Minos pseudo-platonico (3 1 5 C), insieme con i sacrifici a Zeus Lykaios, proprio come esempio che i Greci praticavano sacrifici umani, solleva dubbi : il più vecchio dei discendenti del mitico Athamas avrebbe dovuto essere sacrificato se fosse entrato nel prytaneion. È facile dedurre che egli non vi entrasse mai; in tal modo la norma cultuale conservava il proprio valore, anche se non veniva mai messa in pratica. Ciò è indipendente dalla questione se a Chio Dionysos, con l'epiteto di Omadios, ricevesse sacrifici umani effettuati mediante squartamento, come affermato (ma forse attraverso la deduzione dal nome o da un mito, come accade di frequente in autori tardi) in Porphyr. Abst. 2, 5 5 . ' Oppure altre forme d i "uccisioni rituali": manteniamo qui la distinzione, già proposta da molti autori (Crawley, Schwenn, Henninger, etc.) tra i sacrifici umani propriamente detti - quelli offerti ad alcuni destinatari sovrumani - e altri riti che richiedono l'uccisione di •

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che, come mostrano i loro m1t1, sapevano in quale occasioni fosse necessario ricorrervi8 • Nella maggior parte dei casi, comunque, essi avrebbero trovato un modo per "realizzarlo" senza eseguirlo real­ mente : bastava che un espediente rendesse un'azione rituale equiva­ lente al sacrificio umano . Un simile espediente poteva anche essere un mito che presentava l'azione rituale come una "sostituzione" dell'uccisione di una vittima umana. In molti casi mito e azione rituale costituiscono un insieme organico, il cui valore è quello di un sacrificio umano e che, quindi, potrebbe essere definito come un "simbolo" del sacrificio umano . Fino a questo punto i fatti sono peculiari, ma chiari . Esistono però dei casi i quali solo apparente­ mente appartengono ai tipi sopra menzionati, che desidero adesso prendere in considerazione . A Sparta la flagellazione degli adolescenti9 di fronte all'altare di Artemis Orthia aveva un suo proprio mito di fondazione (Paus . 3, 1 6, 9ss.) : in un'occasione, mentre sacrificavano alla dea, gli uomini dei quattro "quartieri" di Sparta diedero inizio a una rissa; molti di loro morirono presso lo stesso altare, mentre i restanti caddero vittime di un'epidemia. Questo flagello, se abbiamo in mente altri numerosi miti analoghi, deve essere considerato come la punizione della dea, offesa dal comportamento sacrilego dei rissosi (cioè della città stessa, che essi rappresentano nella sua interezza - i quattro quartieri) . Infatti, come in casi analoghi, la città consulta l'oracolo per scoprire il modo di espiare il crimine. L'oracolo le ordina di