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he rapporto c’è fra suono e improvvisazione musicale? Perché è importante fare ricerca intorno al suono? Quali sono i metodi di studio dell’improvvisazione, e che differenza c’è fra il metodo di studio lineare e nonlineare? Quale senso dare all’ascolto, all’analisi e all’esercizio nella pratica dell’improvvisazione?
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Musica & Didattica
€ 15,00
Metodologia dell’improvvisazione musicale
Mirio Cosottini, musicista, filosofo e didatta, ha pubblicato numerosi articoli sull’improvvisazione musicale dal punto di vista filosofico (Invarianza, tempo e improvvisazione musicale, in Sistema e Libertà, «Itinera», rivista online di filosofia e di teoria delle arti, n. 10, 2015), didattico (Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale, «Musica Domani», Trimestrale di Cultura e Pedagogia Musicale - Organo della SIEM, Anno XXXIX, n. 151, EDT, 2009), e musicologico (Five Improvisations, in Ontologie Musicali, a cura di A. Bertinetto e A. Arbo, Aisthesis, Università di Firenze, 2013). Nel 2005 ha fondato il gruppo GRIM (Musical Improvisation Research Group) insieme a Alessio Pisani. Dal 2005 al 2010 ha tenuto il Laboratorio di Improvvisazione Musicale presso il Conservatorio di Padova. Ha pubblicato il libro sul rapporto fra suono e silenzio Playing with Silence per Mimesis Internationale (2015). Attualmente sta facendo il Dottorato presso l’Università di Udine/Trieste con una tesi sulla filosofia dell’improvvisazione musicale.
ETS
Il libro contiene numerosi esercizi d’improvvisazione suddivisi per area di ricerca (sull’ascolto, sull’attenzione, sul presente, sulla lettura e scrittura, sulla ricerca, sull’esame approfondito), uno studio del segno grafico che fornisce le chiavi per farne un uso creativo durante l’improvvisazione e infine l’analisi di alcune improvvisazioni secondo i principi lineari e nonlineari. Al centro vi è l’improvvisazione, una pratica che allarga i suoi confini e induce riflessioni didattiche e filosofiche che investono il modo di ascoltare, di pensare e di vivere la musica.
Mirio Cosottini
Le risposte che il libro delinea sono rivolte agli insegnanti che si occupano di didattica dell’improvvisazione, i quali troveranno indicazioni per arricchire la propria metodologia d’insegnamento; ai musicisti, che vi troveranno suggerimenti per studiare il proprio strumento, interpretare il repertorio, nuovi spunti per comporre e improvvisare; agli improvvisatori, poiché la consapevolezza della distinzione fra linearità e nonlinearità getterà luce sulla struttura della pratica improvvisativa, sul rapporto fra le varie temporalità implicate, sulle diverse strategie di studio, sul valore dell’esercizio, sull’importanza della grafia e sui modi di ascolto.
Metodologia dell’improvvisazione musicale Tra Linearità e Nonlinearità
Edizioni ETS
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Musica & Didattica collana diretta da Mario Piatti
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In tutte le civiltà la musica è considerata componente fondamentale dei processi educativi. I saperi artistici, e nello specifico quelli musicali, che coniugano in modo profondo il fare e il pensare, devono far parte dei curricoli formativi dei diversi livelli scolastici. La collana intende rispondere in modo operativo a questa esigenza, articolando i vari volumi sulle tematiche della vocalità e del canto, sulla pratica strumentale e sull’ascolto, in forme specifiche o integrate tra le diverse componenti della didattica. Nei diversi volumi si alterneranno materiali di lavoro, indicazioni metodologiche e riflessioni pedagogiche atte a favorire, da parte degli operatori didattici, una riappropriazione creativa delle proposte al fine di rispondere adeguatamente ai diversi contesti educativi. La direzione della collana è a cura di Mario Piatti, docente di Pedagogia musicale, che si avvale della collaborazione di un comitato scientifico composto da Fabio Lombardo, docente di Direzione di coro e Repertorio corale, Enrico Strobino, docente di musica alla Scuola media di Chiavazza (BI) e alla Scuola di Animazione musicale di Lecco, Giulia Perni, delle Edizioni ETS. La collana si avvale della collaborazione di www.musicheria.net
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Musica & Didattica collana diretta da Mario Piatti
1. Piatti Mario, Strobino Enrico, Anghingò. Viaggi tra giochi di parole e musiche, 2003, pp. 96 [con CD allegato]. 2. Lenzi Paola, Musica e fiaba. Riflessioni, percorsi e proposte didattiche, 2004, pp. 165 [con CD allegato]. 3. Cerlati Paolo, Garello Antonella, Pini Giancarlo, Prinetti Marco, Atelier di musica. Suoni, simboli e segni da reinventare, 2005, pp. 144 [con CD allegato]. 4. Proietti Claudio, Il Mikrokosmos di Béla Bartók. Analisi, interpretazioni, indicazioni didattiche ed esecuzione integrale, 2007, pp. 184 [con CD allegato]. 5. Elita Maule, Storia della musica: come insegnarla a scuola, 2007, pp. 128. 6. Barontini Ilaria, Musica e umorismo. Itinerari di ascolto nella musica ‘seria’ (ma non troppo) con un’escursione nella musica ‘leggera’ (ma non troppo), 2009, pp. 154 [con CD allegato]. 7. Ferrati Federica, “A quattro mani” – con Fauré, Debussy, Ravel, 2009, pp. 92 [con CD allegato]. 8. Corbacchini Lara, Donati Lorenzo, Appesi a un fil di voce. Percorsi creativi alla scoperta del suono, della voce, del canto e del teatro musicale, 2011, pp. 104 [con CD allegato]. 9. Freschi Anna Maria, Neulichedi Roberto, Metodologia dell’Insegnamento Strumentale. Aspetti generali e modalità operative, 2012, pp. 146. 10. Piatti Mario, Strobino Enrico, Musicascuola. Riflessioni e proposte per la scuola dell’infanzia e primaria, 2013, pp. 182. 11. Sbolci Giovanni, L’orchestra didattica. Metodi e proposte per far musica insieme, 2014, pp. 182. 12. Cosottini Mirio, Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, 2017, pp. 100.
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Mirio Cosottini
Metodologia dell’improvvisazione musicale Tra Linearità e Nonlinearità
Edizioni ETS
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www.edizioniets.com
© Copyright 2017 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PDE PROMOZIONE SRL
via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884674828-7
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INDICE
Prefazione
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Capitolo 1. Suono e improvvisazione
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1.1. Introduzione 1.2. Dal discorso musicale al suono 1.3. Il suono e la sua ricerca Capitolo 2. Metodi di studio dell’improvvisazione 2.1. Metodo di studio lineare 2.2. Metodo di studio nonlineare 2.3. La necessità di un metodo di studio lineare e nonlineare dell’improvvisazione Capitolo 3. Esercizi sull’improvvisazione 3.1. Il senso dell’esercizio 3.2. Esercizi sull’attenzione 3.3. Alcune invarianze 3.4. Il rapporto fra suono e silenzio 3.5. Esercizi sul presente 3.6. Esercizio della lettura e scrittura 3.7. Esercizio della ricerca 3.8. Esercizi dell’Esame Approfondito 3.9. Esercizi dell’Ascolto Capitolo 4. Analisi dell’improvvisazione 4.1. Ascolto attivo e scrittura creativa di un’improvvisazione 4.2. Analisi delle invarianze di un’improvvisazione 4.3. Alcuni spunti grafici per una lettura proporzionale del suono 4.4. Partitura in notazione standard e grafica: I-Silence Bibliografia
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PREFAZIONE
Lo scopo di questo lavoro è d’introdurre la distinzione fra linearità e nonlinearità all’interno della metodologia dell’improvvisazione con l’obiettivo di mostrarne la valenza e l’utilità per la didattica, i metodi di apprendimento e di studio dell’improvvisazione musicale. In particolare, cercherò di evidenziare la differenza fra l’approccio lineare e nonlineare allo studio dell’improvvisazione. Molti metodi di studio sono basati su di una visione lineare dell’apprendimento che nella maggioranza dei casi rimanda a una concezione lineare della musica nel suo complesso. A mio avviso, una riflessione sul concetto di nonlinearità ci consente di ripensare la musica in generale e con essa le metodologie di apprendimento dell’improvvisazione. Tali metodologie facilitano l’apprendimento e rappresentano la necessaria integrazione ai metodi di studio lineare. Inoltre, la consapevolezza del binomio linearità/nonlinearità ci consente di collocare ogni esercizio d’improvvisazione all’interno del quadro teorico-didattico al fine di valutarlo secondo le sue finalità e la sua utilità didattica. Ciò è importante nel momento in cui la pubblicazione di libri per lo studio dell’improvvisazione (metodi ed esercizi) è particolarmente vivace. Lo studente, e anche l’insegnante, che intenda approfondire la propria disciplina, può smarrire l’orientamento nella giungla di proposte odierne con il rischio di cimentarsi con pratiche ed esercizi senza aver chiaro quale sia la loro utilità e il loro eventuale beneficio. Ad esempio, è possibile trovare un esercizio d’improvvisazione sulle note lunghe accanto a un esercizio che fa leva sul comportamento del musicista («non ascoltare gli altri musicisti», «domina gli altri musicisti») senza chiarire perché esercizi così diversi nelle finalità e nella pratica hanno analoga importanza. Esercizi utili per potenziare l’attenzione sono mescolati ad altri utili per «progettare» il suono; esercizi utili dal punto di vista formale seguono ad altri utili per sviluppare capacità melodiche; in breve, spesso i libri sull’improvvisazione sono una collezione di esercizi ma non veri e propri metodi didattici per lo studio dell’improvvisazione musicale, mancando una chiara discussione dei loro principi metodologici. Il presente scritto non è un metodo di studio, è piuttosto un lavoro di metodologia, intende chiarire i concetti di linearità e nonlinearità e mostrare la loro importanza per una metodologia dell’improvvisazione musicale consapevole dei propri mezzi, dei propri metodi e della validità degli esercizi su cui i metodi si basano. Di seguito saranno proposti numerosi esercizi; non è importante il loro numero, né questo numero intende aspirare a una qualche completezza. Piuttosto è importante comprendere la valenza lineare e nonlineare di ciascun esercizio affinché il lettore possa idearne o adottarne altri e sappia capirne le implicazioni metodologiche. A mio avviso, il libro è rivolto agli insegnanti che si occupano di didattica dell’improvvisazione poiché possono trovarvi indicazioni utili per arricchire le proprie metodologie d’insegnamento, e ai musicisti, a prescindere dalla loro specializzazione, poiché possono trovarvi suggerimenti utili per studiare il proprio strumento, interpretare il repertorio, per improvvisare e comporre, e infine per riflettere sul modo di ascoltare, di pensare e di vivere la musica. Il libro è utile in particolare per l’improvvisatore, poiché la consapevolezza della distinzione fra linearità e nonlinearità getterà luce sulla struttura della pratica improvvisativa, sul rapporto fra le varie temporalità implicate, sulle diverse strategie di studio, sul valore dell’esercizio,
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
sull’importanza della grafia e sui modi di ascolto. Questa consapevolezza avrà una ricaduta sulla pratica improvvisativa: l’improvvisatore imparerà a scegliere se adottare un ascolto lineare per ottenere un risultato maggiormente narrativo, oppure nonlineare e mantenere una qualità costante nello sviluppo dell’improvvisazione; imparerà a individuare le caratteristiche musicali utili per suggerire un percorso musicale drammaturgico (lineare) oppure statico (nonlineare); imparerà a dar corpo al suono alimentando il silenzio, imparerà a utilizzare la grafia per implementare le strategie improvvisative, imparerà a indugiare sulla propria improvvisazione per ascoltarne le molteplici prospettive sonore e formali, riconoscerne le caratteristiche lineari e non lineari e dunque trasformarne le regole e i contenuti durante l’improvvisazione; imparerà a esercitarsi superando la distinzione fra tecnica ed espressività. La consapevolezza della distinzione fra linearità e nonlinearità è anche una condizione per «improvvisare bene»? Si tratta di una domanda impegnativa alla quale non è facile rispondere. Mi limiterei ad abbozzare una breve riflessione. La linearità e la nonlinearità sono strutturali, nella modifica di questa struttura, nel tendere verso l’una piuttosto che l’altra, l’improvvisatore orienta la sua improvvisazione, impara la pratica improvvisativa e dunque, e in questo senso, ne cura la propria riuscita1. Imparare a improvvisare è imparare a scoprire le proprie regole, a modificarle, ad abbandonarle e a sostituirle anziché prenderne di precostituite. Se la qualità estetica della propria improvvisazione nasce nel mentre che si improvvisa, ed è possibile coglierla durante il processo improvvisativo, allora la riuscita dell’improvvisazione ci mostra insieme le regole del nostro agire e le qualità estetiche del nostro improvvisare. Infine, gli esercizi proposti nel libro non implicano un particolare livello di preparazione del musicista, né tecnica né teorica, nella convinzione che l’improvvisazione è una pratica che si scopre nel momento in cui si apprende. Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione di questo libro, a loro va la mia gratitudine, anche se la responsabilità di ogni errore spetta a me. In particolare, ringrazio Mario Piatti per il suo incoraggiamento e per la revisione del testo, Alessandro Bertinetto (mio mentore filosofico) per aver letto e commentato il testo spendendo il suo tempo per discutere con me le bozze del lavoro, Tonino Miano per i numerosi suggerimenti che hanno accompagnato la stesura del testo, i miei allievi che hanno praticato gli esercizi e discusso le metodologie (in particolare Martina Frigo, Francesco Cigana, Francesco Grani, Marcello Giannandrea, Enrico Toffano e Simone Marzocchi), e infine mia moglie, che ha sempre protetto e accompagnato le mie aspirazioni.
1 Cfr. A. Bertinetto, Eseguire l’inatteso, Il Glifo ebooks, Roma 2016, pp. 264-265: «Quello dell’arte è un fare che non si limita a seguire ed eseguire regole: del suo prodotto si può dire che è ben fatto, solo in quanto “è una ‘riuscita’, cioè quando ha scoperto la propria regola invece di applicarne una prefissata”» (cit. da Pareyson 2010: 59).
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CAPITOLO 1
SUONO E IMPROVVISAZIONE
1.1. Introduzione In generale, la nonlinearità è un insieme di caratteristiche musicali che riguardano un brano nel suo complesso, un principio o una regola che vale per questo brano (o per una sua parte rilevante), è una temporalità specifica in cui prevale la stasi anziché lo sviluppo e la direzione, tende a considerare gli eventi musicali indipendentemente gli uni dagli altri, non rispetto a ciò che viene prima o ciò che segue, ma nella loro autonomia1. La linearità è un insieme di caratteristiche che riguardano i vari eventi musicali che si succedono nel tempo, in particolare eventi che sono legati da rapporti d’implicazione (maggiore o minore tensione, grado di probabilità ecc…), è una temporalità specifica in cui prevale la direzionalità, gli eventi musicali non valgono indipendentemente gli uni dagli altri, ma proprio in virtù delle relazioni che sussistono fra di loro. In questo libro parlerò molto di linearità e nonlinearità. Quest’affermazione può suscitare interesse oppure può immediatamente far desistere il lettore dall’andare avanti. A maggior ragione se il lettore è un musicista. Difficilmente un musicista che ha seguito un iter formativo tradizionale avrà incontrato questi termini nel corso dei suoi studi. Un bambino che inizia ad apprendere i rudimenti della teoria musicale non sente parlare di linearità o di nonlinearità, neanche il bambino che segue una fase di propedeutica musicale e viene a contatto con il mondo dei suoni, neppure il ragazzo che inizia lo studio di uno strumento musicale, né lo studente di composizione. Perfino lo studente d’improvvisazione, il musicista classico o il jazzista, non sentono parlare di nonlinearità. Probabilmente, né il musicista adulto né il musicista professionista e infine il compositore a fine carriera, sentiranno mai parlare di linearità e nonlinearità. Eppure ognuno di noi vive continuamente esperienze di linearità e di nonlinearità, talvolta esperienze fortemente lineari, altre volte prevalentemente nonlineari. Questi termini non fanno altro che circoscrivere, in modo generale, l’ambito di queste esperienze che sono alla portata di ogni musicista e grazie alle quali possiamo arricchire la nostra esperienza musicale. La mia formazione musicale è classica. Quando studiavo al Liceo Musicale ero particolarmente interessato alla composizione, anche se componevo con molta difficoltà. Non riuscivo a scrivere un brano con più di sedici, ventiquattro battute. Il desiderio di sviluppare il discorso musicale si scontrava con l’incapacità di concatenare in modo logico e consequenziale gli eventi sonori. Dopo aver scritto qualche battuta, avevo come l’impressione di «aver già detto tutto». Lo sviluppo melodico e armonico del brano era incerto, non riuscivo a immaginare cosa sarebbe accaduto nei successivi venti secondi. L’incapacità di dare una struttura formale alle composizioni generava in me frustrazione. Poi, un giorno, l’insegnante di analisi musicale chiese a tutta la classe di realizzare un basso continuo di otto battute e comporre una melodia su quella struttura armonica. La tonalità era di Do Maggiore e gli accordi toccavano i gradi più importanti della tonalità. 1 Per un’introduzione ai concetti di linearità e nonlinearità in musica si veda J. Kramer, The Time of Music, Schirmer Books, New York 1988, p. 20. Userò il termine «nonlinearità» anziché «non linearità» poiché la nonlinearità non si caratterizza per essere la negazione (o il contrario) della linearità come quest’ultima locuzione fa intendere.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
La melodia che scrissi era basata sulla scala di Do Minore Melodica (Do, Re, Mib, Fa, Sol, La, Si) e dunque conteneva il Mi bemolle anziché il Mi naturale. Questa nota era dissonante, si scontrava con la struttura armonica del brano ed evidentemente non piaceva al mio insegnante. Anche i miei compagni di classe, dopo aver ascoltato il mio brano, strinsero i denti come se avessero inghiottito una bevanda amara. Eppure, a un’esecuzione reiterata del brano, questa melodia iniziava a «suonare». Più l’insegnante ripeteva il brano, più quella dissonanza perdeva forza. Dopo varie esecuzioni, l’effetto dissonante era scomparso e il brano iniziò a destare un rinnovato interesse. Questa fu la mia prima esperienza consapevole di nonlinearità. Il sistema musicale tonale è l’emblema della linearità. Ogni evento musicale è conseguenza del precedente e antecedente del successivo, gli eventi musicali sono in rapporto causale, la musica segue una direzione, un percorso sonoro che somiglia molto a un racconto, a una narrazione. Le regole della concatenazione armonica stabiliscono quale accordo è bene usare in un dato momento, suggeriscono le strategie di armonizzazione in conformità a una data melodia, creano tensioni e rilassamenti sulla base del peso armonico dei gradi tonali. Analogamente, la melodia è strutturata in frasi, come fosse un pensiero musicale con tanto di soggetto e predicato; generalmente essa inizia nel rispetto del grado fondamentale della tonalità e si sviluppa seguendo lo svolgimento armonico del brano. La logica compositiva ha le sue regole, è normativa a tal punto che spesso corrisponde a un insieme di precetti molto chiari e ben strutturati, come nel caso della fuga. Il nostro modo di concepire la musica è sostanzialmente lineare, in altre parole retto dall’idea che la successione degli eventi musicali segua una logica concatenazione, esprima un discorso musicale. La continua ripetizione del brano composto al liceo fu la causa che generò un conflitto con il mio abituale modo di ascoltare la musica, essa aveva cambiato il mio modo di ascoltare. Quello che io, i miei compagni di classe e l’insegnante, stavamo ascoltando non era una melodia che conteneva una nota «sbagliata», che entrava in conflitto con un’armonia in Do Maggiore, una scala inadeguata rispetto all’accordo sottostante, ma un «suono» nel complesso interessante, curioso, anomalo e particolare. Il brano che pochi minuti prima aveva avuto l’effetto di una bevanda amara, adesso incuriosiva e interessava rispetto ad alcune sue caratteristiche generali, ad alcune determinazioni che non riguardavano un parametro musicale in particolare, la scala piuttosto che l’armonia, ma alcune proprietà che rimanevano invarianti durante l’ascolto del brano e che la ripetizione aveva contribuito a evidenziare. Proprio queste invarianze catturavano l’interesse di chi ascoltava e ponevano la mia composizione sotto una nuova luce. Sotto una nuova luce possono finirci molte altre esperienze umane, non necessariamente musicali. Prendiamo uno dei più famosi Haiku, quello di Matsuo Basho: Antico stagno. Una rana si tuffa. Suono d’acqua2.
Sono notevoli la semplicità del componimento e nello stesso tempo la sua forza. Gli eventi si susseguono secondo un principio semplice e lineare: uno stagno, una rana che si tuffa e il suono dell’acqua. Tutto accade in modo consequenziale, semplice e banale. La linearità del componimento è ai minimi termini, ciò che regola questo svolgersi degli eventi è alla luce del sole, evidente, non ha bisogno di particolari spiegazioni. Ci può essere anche una linearità maggiormente impegnativa, complessa, in cui i rapporti di causa effetto e le implicazioni fra gli eventi sono 2
Cfr. I. Starace, Il grande libro degli haiku, Castelvecchi, Roma 2005, p. 44.
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Suono e improvvisazione
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più complessi e difficili da comprendere. Non è questo il caso, qui abbiamo un’immagine, un’azione e infine un suono. Fra un verso e l’altro potremmo immaginare un’implicazione per cui c’è un antico stagno quindi una rana si tuffa quindi si ode il suono dell’acqua. Ma sebbene possibile, questa lettura non è esauriente, anzi, fin quasi fuorviante. E lo fanno pensare i punti alla fine di ogni verso. Ogni verso è un pensiero, il primo e l’ultimo non hanno il predicato verbale, quantomeno espresso; lo possiamo ritenere sott’inteso, anche se la sua assenza sembra schiacciare la qualità del pensiero di entrambi a livello percettivo, la prima un’immagine visiva, la seconda un suono uditivo. Il livello percettivo è quello che maggiormente annuncia la temporalità nonlineare. Il pensiero emerge fra due livelli percettivi e assume una forma lineare, nella forma di soggetto/predicato, «una rana si tuffa»; esso emerge fra un pensiero-immagine, il primo e un pensiero-suono, il secondo. Percettivamente sono diversi, ma hanno a che fare entrambi con l’acqua. Un’immagine prende slancio e si muove grazie all’energia del pensiero e diventa suono. Ma il suono non è nella sua valenza acusmatica, come qualcosa che va preso di per sé, ma è nella sua valenza non acusmatica, come suono d’acqua, un suono che porta con sé la sua fonte, il suo corpo sonoro, un corpo che l’immagine gli ha trasmesso grazie all’energia del pensiero mediano; un suono che riverbera l’antichità dell’acqua, la sua «viscosità» e il suo peso. Riassumendo quindi la struttura dell’haiku è tale, immagine-pensiero-suono, ma le temporalità in gioco sono due, una temporalità nonlineare in cui cadono sia l’immagine iniziale che il suono finale e una lineare, quella in cui cade il pensiero di mezzo. La rana è un animale che salta, che con il suo salto porta un’immagine verso il suono, consente alla percezione dell’acqua di riempirsi di due qualità, l’antico e il sonoro. L’antichità è sprigionata dal balzo della rana grazie al suono dell’acqua, l’acqua rilascia il suono a esprimere la sua antichità. Il balzo della rana non inizia e finisce nello stesso luogo. Inizia su un terreno omogeneo e consistente, sulla terra, e finisce (?) nell’acqua dove nessun punto può essere considerato il punto di approdo. La durezza della terra è insieme all’antichità; il fluido dell’acqua è insieme al suono. La situazione cambia nel tempo cronologico (lineare) ma rimane identica nel tempo statico (nonlineare), quello che unisce l’immagine dell’acqua al suono (la parola «rana» in giapponese si pronuncia come la parola «ritorno»; ritorno, permanenza di ciò che era). Inoltre, e per analoghe ragioni che riguardano le temporalità implicate, Max Picard avvicina il concetto di silenzio a quello di amore, mettendo in evidenza la nonlinearità di entrambi, «Nel silenzio passato, presente e futuro sono raccolti in un’unità. Per questo gli amanti sono sottratti al decorso del tempo. Nulla è ancora avvenuto, ma tutto può accadere; ciò che avverrà è già presente e ciò che è avvenuto è come se fosse disponibile in una eterna presenza3. Presso gli amanti il tempo sospende il suo corso». Infine, se guardiamo Silence di Johann Heinrich Füssli, pittura del 1800 circa, osserviamo una persona seduta, con la testa reclinata e le braccia incrociate.
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Corsivo mio, a evidenziare come nei contesti nonlineari il tempo si contrae in un eterno presente.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
Si tratta di una persona seduta in uno spazio semibuio illuminata frontalmente da una luce vivace. Ogni elemento figurativo, le gambe, le braccia, la testa, il piede, i capelli, sono inseriti correttamente all’interno della raffigurazione, dunque, dal punto di vista lineare ogni elemento significativo del quadro segue i canoni della raffigurazione, ma se iniziamo a osservare questi elementi, notiamo alcune particolarità. Le braccia sono vigorose, mascoline, mentre le mani sono aggraziate, femminili. La testa con i capelli fluenti paiono femminili mentre le spalle sono mascoline, le vesti non sembrano inserire la figura umana in una situazione e una funzione specifica, le gambe incrociate risultano naturali, mentre le braccia incrociate suggeriscono una certa eleganza, il volto coperto non lascia trasparire alcuna espressione psicologica e dunque non è chiaro in quale stato d’animo si trovi la persona; non è certo che si tratti di una femmina, non è chiaro in che luogo si trovi, non sappiamo quale sia il suo stato d’animo. In generale, l’autonomia con cui percepiamo i vari elementi della pittura genera a livello complessivo una diffusa ambiguità, caratteristica d’invarianza dell’intero dipinto. È questo il motivo per cui l’osservatore non riesce a dare un significato determinato alle varie componenti lineari e a stabilire quale fondamentale emozione susciti il dipinto, proprio a causa dell’ambiguità; la sua invarianza è un elemento nonlineare importante, il quadro sembra parlare «il silenzio». Assistere al tramonto del sole è anch’essa un’esperienza lineare e nonlineare allo stesso tempo. Possiamo guardare la lenta discesa del sole e misurarne la posizione e seguirne la traiettoria, mentre possiamo concentrarsi sulla qualità della relazione complementare che lega il colore arancione del sole con il blu del cielo, e quindi coglierla come un’invarianza che sussiste per l’intera durata del tramonto. Interpretare un pensiero, guardare un quadro, osservare il mondo, e infine ascoltare la musica secondo principi nonlineari è un modo complementare di indagare la nostra esperienza che implica sentimenti ed emozioni particolari, è un modo per scoprire ciò che ognuno di noi ha spesso fatto, senza esserne consapevole; per il musicista è aprire un campo d’indagine che ripensa la musica nel suo complesso, chiarisce nuovi ambiti emotivi, favorisce la creatività e talvolta finisce per rimettere in gioco l’essere musicista. Ciò che normalmente apprezziamo nella musica sono le sue qualità lineari, essa ci «racconta» qualcosa, ci esprime e ci comunica un’emozione, ci prende per mano e ci accompagna in un viaggio virtuale all’interno di un dato mondo sonoro. Il «trasporto» che la musica provoca è il frutto di un movimento interno alla logica musicale che procede in modo lineare, ma la musica non è soltanto un «discorso» fatto di suoni. Quando l’ascoltatore percepisce uno spostamento dell’attenzione, quando allo svolgersi degli eventi musicali preferisce il godimento nei confronti di una medesima caratteristica musicale, quando la percezione del tempo sembra fermarsi, quando il suono complessivo di un brano prevale rispetto ai singoli momenti, quando la musica smette di «parlare» ed inizia a «cullare», quando la nostra percezione musicale non ascolta i rapporti matematici fra le note, ma apprezza il suono e le sue caratteristiche, allora siamo immersi in un contesto nonlineare. Se la linearità produce nell’ascoltatore la vertigine del movimento e della fuga all’interno dello spazio sonoro, la nonlinearità valorizza l’intensità di uno sguardo attento e contemplativo nei confronti del suono e delle sue qualità. La linearità e la nonlinearità fanno parte del fenomeno musicale e la capacità di comprendere e arricchirsi della musica è legata a entrambi, come ascoltatori, come compositori, come critici musicali, come strumentisti, didatti e improvvisatori. A mio avviso, una metodologia dell’improvvisazione deve tener conto della linearità e della nonlinearità così da comprendere e mettere a fuoco i vari metodi di studio, di comprenderne i principi, gli obbiettivi come pure le criticità. In questo lavoro farò uso di questi termini per delineare due tipologie principali di metodi di studio, quella lineare e quella nonlineare. Sebbene la
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Suono e improvvisazione
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mia tendenza sia di mostrare le caratteristiche e gli aspetti positivi dei metodi di studio nonlineare, ritengo che una metodologia dell’improvvisazione musicale non possa prescindere dal comprenderli e utilizzarli entrambi.
1.2. Dal discorso musicale al suono L’educazione musicale nella cultura occidentale ha favorito un approccio lineare allo studio e all’acquisizione delle competenze necessarie per considerare con successo l’iter formativo di una persona. Ma cosa s’intende con lineare? Il termine lineare è usato con un significato molto ampio tale da riguardare vari campi di applicazione. Nel caso specifico s’intende un sistema di acquisizione delle abilità e delle conoscenze musicali organizzate secondo steps progressivi in termini di difficoltà e consequenziali in vista della padronanza di competenze musicali in campo tecnico ed espressivo. Ciò significa che i metodi didattici utili per lo studio di uno strumento musicale, della composizione, della direzione di un’orchestra, rispondono al principio per cui ogni esercizio ha un valore formativo e il suo valore è situato in una scala di difficoltà strutturata in modo consequenziale, dal punto di vista della competenza tecnica ed espressiva. Anche lo studio dell’improvvisazione risponde generalmente a questo metodo di apprendimento. I primi esercizi sono semplici: s’impara una scala musicale con la quale improvvisare, da usare su un certo accordo, oppure si studiano le scale pentatoniche da suonare sulle successioni prestabilite di accordi in modo che qualunque nota suonata è «sempre giusta» (In questo caso la facilità dell’esercizio è associata alla salvaguardia della consonanza in modo da facilitare lo studio dell’improvvisazione collettiva). In ogni caso, il metodo di studio prosegue per gradi di difficoltà crescenti. L’idea che sta alla base del metodo lineare di studio dell’improvvisazione è quella per cui l’allievo deve intraprendere un percorso a tappe di difficoltà crescente che lo porterà da un punto dato a un punto finale in cui le competenze e le abilità studiate nel percorso siano acquisite e migliorate. Nel caso dell’improvvisazione, di solito, il punto di partenza stabilisce le condizioni iniziali necessarie per improvvisare. La direzione è quella dell’acquisizione di competenze tecniche vieppiù complesse grazie allo studio. L’esito è di saper ben improvvisare avendo acquisito e perfezionato le competenze tecniche ed espressive.
Naturalmente ogni metodo può dar corpo a questi passaggi in modo diverso: se il metodo d’improvvisazione è scritto per principianti, allora sarà curata maggiormente la prima fase, se invece è scritto per esperti improvvisatori, allora si farà attenzione al perfezionamento della tecnica e dell’espressività, dando per scontato che gli esercizi proposti sono la conseguenza di molti altri esercizi non contenuti nel metodo, ma necessari per affrontare e proseguire lo studio. Il metodo di studio lineare della musica ha i suoi vantaggi: è progressivo, in altre parole ogni abilità e ogni conoscenza sono incrementate a ogni step successivo; è cumulativo, le specifiche competenze si sommano in vista dell’acquisizione delle competenze tecniche ed espressive finali; è consequenziale, ogni passaggio è frutto di un’implicazione che mette in relazione un esercizio con il precedente; è direzionale, il tempo di studio è inserito in un percorso che dalle condizioni iniziali di scarsa competenza porta a quelle finali di elevata competenza.
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D’altra parte, il metodo di studio lineare ha anche i suoi svantaggi. Meglio si capisce quali sono gli svantaggi se prima si fanno alcune considerazioni. Un allievo che non ha mai praticato l’improvvisazione e non conosce alcuna tecnica d’improvvisazione né alcun rudimento teorico si trova in evidente difficoltà se l’insegnante lo invita a improvvisare. L’allievo difatti si domanda: «che cosa devo fare?», «che cosa devo suonare?». A questa domanda segue probabilmente l’immobilismo e l’imbarazzo, l’allievo spesso si rifiuta di suonare. Le ragioni di questa reazione sono molteplici, ma una è quella fondamentale, in altre parole, la convinzione che l’improvvisazione riguardi prevalentemente questioni musicali lineari 4. In realtà, alla base di ogni fenomeno musicale, linearità e nonlinearità si sovrappongono e coesistono5. Purtroppo la didattica dell’improvvisazione, ha trascurato quest’aspetto e invece ha insistito sullo studio dell’improvvisazione considerandone prevalentemente gli aspetti lineari. Un altro modo per comprendere il problema è seguire i passaggi del seguente dialogo fra maestro e allievo: M: improvvisa una fuga! A: cosa devo fare? M: hai ragione, non ti ho spiegato come funziona una fuga (il maestro spiega all’allievo le regole di costruzione di una fuga) A: non riesco M: d’accordo, allora improvvisa un’invenzione a due voci! A: ma cosa devo fare? M: hai ragione, ti spiego come funziona un’invenzione a due voci (il maestro spiega all’allievo le regole di costruzione di un’invenzione a due voci) A: non riesco M: ok, se il contrappunto è un problema, prova con alcune strutture: improvvisa un blues! A: cosa devo fare? M: (il maestro spiega la struttura del blues) A: non riesco M: problemi con gli accordi? Prova con una singola scala. Improvvisa su La maggiore! A: ci sono diesis? M: (il maestro spiega com’è costruita la scala di La maggiore) A: ma cosa devo suonare? M: ovvia su, improvvisa su una nota soltanto! A: che cosa devo fare con una nota? 4
Le ragioni di questo fraintendimento le ho spiegate in un precedente articolo, M. Cosottini, Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale, in «Musica Domani», EDT n. 151, 2009. 5 Proprio all’inizio del secondo capitolo di The Time of Music, Kramer lega indissolubilmente i due concetti e stabilisce la loro presenza simultanea: «La nonlinearità non è soltanto l'assenza di linearità ma è in se stessa una forza strutturale. Poiché queste due forze possono apparire a differenti combinazioni a ogni livello della struttura gerarchica della musica, la loro interazione reciproca determina sia lo stile, sia la forma della composizione». Cit., p. 20.
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Suono e improvvisazione
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Evidentemente il problema dell’allievo non è il grado di difficoltà della consegna. Se improvvisare una fuga può essere difficile anche per un improvvisatore «esperto», improvvisare su un suono soltanto, non sembra una cosa così difficile! Difatti, è facilissimo, ma soltanto se in gioco non ci sono questioni lineari, di consequenzialità. Finché l’allievo pensa che la sua improvvisazione debba generare un «discorso musicale» allora anche improvvisare su di un unico suono sarà difficile, forse paradossalmente più difficile che improvvisare una melodia. In realtà, sia il maestro sia l’allievo pensano in termini narrativi, pensano come concatenare gli eventi sonori secondo regole implicative, pensano in termini di linearità6. La domanda «che cosa devo fare?» tematizza parzialmente il problema della pratica improvvisativa e tralascia fortemente la questione nonlineare. Improvvisare non significa esclusivamente «argomentare» un discorso musicale, intrecciare un percorso musicale di tipo narrativo, seguire una precisa direzionalità, suonare secondo un’idea consequenziale degli eventi sonori. Questo modo di concepire la musica e l’improvvisazione risente del forte condizionamento (senza qui esprimere giudizi di valore) che ha esercitato, nel tempo, il sistema tonale e più in generale quello che Makis Solomos chiama il Paradigma della Nota7. Per molte persone, musicisti e insegnanti, improvvisare significa «improvvisare qualcosa», come ad esempio suonare un blues, interpretare uno standard jazz, realizzare al momento un basso numerato, oppure fiorire una melodia barocca. Poiché la storia della musica occidentale ha favorito gli elementi lineari della musica, anche la pratica dell’improvvisazione ne ha risentito. Non è un caso che alcuni grandi compositori del ’900 hanno sostenuto che l’improvvisazione fosse la brutta copia della composizione8. Se il valore musicale risiede nella capacità narrativa e nella consequenzialità degli eventi musicali, sicuramente la composizione ha maggiori probabilità di riuscita, non fosse altro perché ha la possibilità di tornare sui suoi passi, agire sul futuro facendo leva sul presente e sul passato, sui quali può tornare in ogni momento. L’improvvisazione d’altra parte insiste sulla temporalità presente e ogni scelta musicale è assunta in modo irreversibile 9. Per questo motivo è molto raro ascoltare l’improvvisazione di una fuga a quattro voci che abbia lo stesso spessore e la stessa complessità di una fuga a quattro parti del clavicembalo ben temperato di Bach. D’altra parte questo è un approccio parziale alla musica e al rapporto fra composizione e improvvisazione poiché il valore della musica non risiede esclusivamente sulle
6 L’errore metodologico dell’insegnante riguarda anche l’applicazione del metodo lineare di studio e non soltanto aver trascurato la questione nonlineare. Difatti, (facendo riferimento all’ambito dell’improvvisazione stilistica, barocca, jazz, ecc.) la conoscenza delle regole procedurali su come s’improvvisa non è sufficiente a garantirne l’applicazione. Le regole devono essere assimilate nel tempo con l’esercizio atto a combinare le regole concettuali alle reazioni senso-motorie. L’insegnamento delle regole procedurali dell’improvvisazione non deve avvenire in modo dichiarativo (come nell’esempio appena riportato) ma attraverso formule o schemi (pattern) che l’allievo assimila attraverso la loro ripetizione, la loro variazione e combinazione. Non è un caso che alcuni metodi per lo studio dell’improvvisazione del passato non spiegano le regole procedurali ma preferiscono elencare una serie di esempi musicali da studiare e assimilare. Durante l’improvvisazione l’uso delle regole avviene in modo perlopiù inconscio, l’improvvisazione musicale tende a sospendere i processi che regolano le azioni consce, orientate a uno scopo, pianificate (cfr. Limb-Braun 2008: 4-5), e questo spiega perché è sbagliato insegnare pretendendo l’applicazione conscia di regole procedurali. 7 Cfr. M. Solomos, De la musique au son. L’émergence du son dans la musique des XXe-XXIe siècles, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2013. 8 Famoso il caso di Schoenberg che definì l’improvvisazione una «composizione rallentata». A. Schönberg, Stile e pensiero, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 257. 9 Bertinetto spiega come la caratteristica dell’«irreversibilità», fra le altre, renda paradigmatico il ruolo dell’improvvisazione per l’ontologia della musica in generale quando dice: «Condensando composizione ed esecuzione nel tempo irreversibile di un hic et nunc fugace, l’improvvisazione esibisce nel corso di una performance la dinamicità trasformativa propria dell’opera musicale (e dell’opera d’arte). Eseguendo l’inatteso, nell’attimo immane della creatività di una performance ci fa ascoltare, dall’inizio, l’inaudita bellezza della musica». Cfr. Bertinetto 2016: 324.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
sue caratteristiche lineari. La musica è il connubio di caratteristiche lineari e nonlineari; queste ultime ci fanno capire quanto sia importante ripensare il concetto di musica nella sua globalità, dal rapporto fra composizione e improvvisazione, all’ascolto musicale, alla didattica musicale. La consapevolezza della «questione nonlineare» prende le distanze dal «cosa fare» per tendere l’orecchio verso il suono e la sua indagine. La nonlinearità è quello strumento che ci permette di restituire importanza al suono e alla musica e considerarli fondamentalmente come un fatto sonoro. Dal discorso musicale al suono, questo è il percorso che la questione nonlineare delinea come fondamentale per bilanciare il rapporto fra musica intesa come un «voler dire qualcosa» e musica come «indagine intorno al suono».
1.3. Il suono e la sua ricerca Ripartire dal suono è lo sforzo che dobbiamo compiere per ripensare nel suo complesso la questione metodologica. Il suono è un fenomeno che può avere una spiegazione scientifica che lo descrive e ne evidenzia determinate proprietà matematiche e fisiche. Il suono è anche un fenomeno acustico con caratteristiche cognitive, che trova il suo senso nella nostra capacità di ascolto. Il fenomeno sonoro si presenta con un «volto», una facciata intorno alla quale possiamo girare per scoprire altre caratteristiche, in un continuo processo d’indagine. Nel 2006 ho iniziato a riflettere su due modalità di ascolto del suono, quella direzionale e quella immersiva. L’ascolto direzionale è la modalità di ascolto del suono che interessa la sua provenienza, il suo provenire da… oppure il suo andare verso… L’immersività del suono è il suo non avere una direzione e l’ascolto immersivo è la modalità di ascolto del suono che non contempla la sua provenienza. La riflessione su questi temi è confluita a partire dal 2007 in quella fra linearità e nonlinearità a seguito della lettura che ho fatto del libro di Johnatan Kramer The Time of Music10. La riflessione di Kramer era evidentemente più complessa e matura e i concetti di lineare e nonlineare erano stati analizzati in rapporto al tempo e alle varie temporalità musicali, alla composizione musicale e all’ascolto. Per questo motivo mi sono sembrati più fecondi e capaci di integrare l’indagine che avevo svolto fino allora. D’altra parte il libro di Kramer non prende in considerazione la questione della linearità e della nonlinearità a proposito dell’improvvisazione musicale e in particolare la ricaduta che queste nozioni hanno sul piano della didattica dell’improvvisazione. Così ho iniziato a indagare il rapporto fra linearità e nonlinearità nell’improvvisazione musicale e la sua importanza per la didattica dell’improvvisazione. Come la musica in genere, anche l’improvvisazione è ambedue le cose, linearità e nonlinearità. Ma la consapevolezza dell’aspetto nonlineare della musica e di come possiamo fare a individuare gli elementi nonlineari di un brano musicale merita un preliminare approfondimento. Gli elementi di nonlinearità si presentano come invarianze nella percezione del decorso musicale11. L’ascolto è ciò che mi consente di considerare queste invarianze e di individuarle. Il tipo
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Cfr. Kramer 1988. Una definizione rigorosa di queste invarianze esula dagli scopi presenti. La questione è evidentemente complessa poiché investe questioni percettive (cognitive) e questioni di analisi matematica e fisica del suono. Il rapporto fra questi ambiti meriterebbe uno studio a parte. Per un’introduzione al rapporto fra invarianza e improvvisazione musicale si veda il mio Invarianza, tempo e improvvisazione musicale, in «Itinera», n. 10, 2015 (DOI: http://dx.doi.org/10.13130/2039-9251/6662). 11
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di ascolto utile a tale scopo è quello che Kramer ha chiamato ascolto cumulativo12, in altre parole la capacità di accumulare nella coscienza gli eventi musicali e «astrarne» alcune caratteristiche che non cambiano nel tempo, invarianti appunto. Secondo Kramer e secondo Ed Sarath13 questo tipo di ascolto agisce sul tempo verticale14 e quindi privilegia la temporalità presente anziché la triade passato, presente e futuro. Ciò significa che l’individuazione delle invarianze nella percezione della musica avviene nel tempo verticale, tipico della modalità di ascolto cumulativo15. Le strategie utili per individuare le invarianze musicali sono state descritte in Metodi nonlineari e improvvisazione16 e sono riducibili alle seguenti: a) individuare le caratteristiche della musica che rimangono costanti nel tempo: il suono che occupa una data regione, un dato registro o ha una data dinamica o mantiene una data velocità media, l’armonia, la durata, gli intervalli e il timbro; b) verificare la presenza di regole (principi) che riguardano l’intero brano o una parte significativa di esso; c) analizzare i momenti in cui avvertiamo dei cambiamenti, che molto probabilmente segmentano il brano in contenuti nonlineari differenti; d) aprire le orecchie ad un ascolto cumulativo anziché finalizzato, ovvero mettere in relazione ogni evento musicale con il tutto anziché con il successivo o i successivi.
Grazie a queste strategie di ascolto, per certi versi interdipendenti, possiamo individuare le invarianze musicali di un brano musicale. Ad esempio, il primo Preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach può essere ascoltato in modo lineare come una successione cronologica di cambi armonici, I grado, II grado (settima minore al basso), V7 grado in primo rivolto, I grado allo stato fondamentale, VI grado in primo rivolto, ecc… ovvero nella loro consequenzialità e logica tonale, oppure essere ascoltato in modo nonlineare come l’invarianza di una data articolazione ritmica (l’arpeggio).
12 «L'ascolto cumulativo [...] è il meccanismo col quale arriviamo a capire, retrospettivamente, i principi non lineari di una composizione o di un passaggio». Cit. Kramer 1988, p. 43. 13 Ed Sarath, A New Look at Improvisation, in «Journal of Music Theory», vol. 40, n. 1, Spring 1996, pp. 1-38. 14 «un singolo presente allungato in una enorme durata, un adesso potenzialmente infinito che tuttavia viene percepito come un istante». Cit. Kramer 1988, p. 55. 15 L’individuazione delle invarianze è analoga al procedimento che Stockhausen usava per identificare i moment form come da lui descritto in Moment-forming and Moment, incluso in Stockhausen on Music, Lectures & Interviews, Marion Boyars, 1991, pp. 63-75. Come ho già descritto in «Studio del silenzio in contesti nonlineari» (http://ettoregarzia.blogspot.it/2013/04/lo-studio-del-silenzio-in-contesti-non.html.), Stockhausen si limita a considerare i moment soltanto in relazione ai processi compositivi e non all’improvvisazione. 16 M. Cosottini, A. Pisani, Metodi nonlineari e improvvisazione, in «Musica Domani», EDT, n. 158, Marzo 2011, pp. 25-28.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
Se ascoltiamo il brano nel primo modo esso rivela una grande ricchezza di eventi musicali connessi fra loro armonicamente con una forte direzionalità (il discorso musicale procede con grande coerenza tonale), mentre se ascoltiamo il brano in modo nonlineare esso rivela la sua staticità dal momento che l’invarianza sembra caratterizzarlo per la sua intera durata. Solamente nel momento in cui Bach inserisce una novità nel procedere dell’arpeggio, ovvero un pedale, l’invarianza si eclissa e il brano si avvia alla conclusione17. L’individuazione delle invarianze musicali è possibile dunque se agiamo su una particolare modalità di ascolto, ovvero l’ascolto cumulativo. Grazie ad esso siamo in grado di apprezzare caratteristiche della musica che prima erano trascurate dalla nostra radicata tendenza a considerare prevalentemente gli elementi lineari. La capacità di distinguere gli elementi musicali lineari e nonlineari ci consente di approfondire l’indagine intorno al suono e arricchirla di nuove prospettive; una di queste è quella che vede la possibilità di ripensare la didattica dell’improvvisazione alla luce delle nozioni di linearità e nonlinearità.
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Una volta presa coscienza e familiarità con l’ascolto cumulativo è interessante riascoltare il repertorio antico (ad esempio quello vocale cinquecentesco e seicentesco che bene si presta per questo tipo di ascolto) e apprezzarne gli elementi di invarianza.
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Capitolo 2
Metodi di studio dell’iMprovvisazione1
2.1. Metodo di studio lineare in europa, nel corso del XiX secolo, sono stati prodotti numerosi metodi strumentali che implicano una metodologia didattica di tipo lineare, basti pensare a Kreutzer per il violino, dotzauer per il violoncello, Czerny e Hanon per il pianoforte. per fare un altro esempio riguardante la tromba, serse peretti scrisse nel 1922 un metodo per lo studio della tromba che ancora oggi è inserito nei programmi d’esame di numerosi Conservatori italiani; egli si lamentava di come lo studio della tromba non avesse seguito in passato un percorso organico e il materiale didattico fosse stato «disposto con procedimenti a sbalzi, e cioè privo di ogni razionale criterio di progressività»2. Bisognerà aspettare il metodo di studio di Jean-pierre Mathez «Méthode de trompette – Méthodes instrumentales viennoises» del 19773 per vedere un cambio di prospettiva rilevante nello studio di questo strumento musicale. Mathez, ha impostato la didattica strumentale eguagliando il «fare esercizio» al «fare musica», ha suggerito di indagare la musica per mezzo del gioco, e infine ha raccomandato non solo di imparare a leggere la musica scritta, ma di sperimentare con le notazioni alternative (grafia musicale) al fine di trascrivere le proprie invenzioni musicali4. a pag. 8 c’è un esercizio che invita l’allievo a «illustrare»5 per mezzo del disegno il proprio suono e a interpretare creativamente la grafia.
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le riflessioni svolte in questo capitolo prendono spunto del mio articolo M. Cosottini, Sound Invariance, Graphics and Improvisation, in r. Gagel, M. schwabe (eds.), Researching Improvisation - Researching by Improvisation, transcript, 2016. 2 s. peretti, Nuova Scuola di Insegnamento della Tromba in Si b. (parte i), ed. ricordi, Milano 1988, prefazione. 3 J.-p. Mathez, Méthode de trompette. Méthode Instrumentales Viennoises, universal edition, vienna 1977. 4 «l’élève ne doit pas seulement apprendre à lire et à jouer de la musique écrite, mais encore à noter la musique qu’il invente. C’est pourquoi il convient de faire usage de toutes sortes de notations (par. ex. graphique) que l’élève peut lire et écrire avant qu’il ne maìtrise toutes les particularités de la notation musicale traditionnelle». Ivi, p. 4. 5 «des graphiques qui les illustrent». Ivi, p. 8.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
l’introduzione del segno grafico, come ausilio per l’apprendimento musicale, introduce elementi di nonlinearità nello studio6. la grafia musicale da una parte può suggerire un percorso sonoro che si sviluppa nel tempo (linearità) quando consideriamo il segno orientato temporalmente lungo l’asse passato-presente-futuro; dall’altra può «fissare» qualcosa che permane nel decorso sonoro (nonlinearità) quando associamo al segno un’invarianza musicale. ad esempio, questo segno grafico può rappresentare il decorso del suono, come una successione di brevi durate (le «linee» punteggiate), oppure può indicare un evento sonoro con piccole variazioni timbriche (una sfera di suono increspata sulla superficie). nel primo caso leggiamo il segno grafico rispetto alla sua articolazione interna (linearmente), nel secondo caso come un tutto (nonlinearmente). ritengo fondamentale per una didattica dell’improvvisazione considerare i vari usi del segno grafico e la diversa utilità per lo studio del suono e del proprio strumento. purtroppo l’ambiguità fra una lettura lineare e una lettura nonlineare del segno non è risolta da Mathez, di fatto consentendo entrambe. d’altra parte è indubbio il valore aggiunto che il segno grafico introduce nello studio del proprio strumento musicale. in occidente e in particolare in europa, anche lo studio dell’improvvisazione ha subito nel XX secolo il taglio accademico che è stato dato alla musica colta7. il jazz è entrato nei Conservatori come emblema della musica improvvisata e i metodi che gli insegnanti hanno adottano, e adottano tutt’oggi, rispondono generalmente a principi didattici di tipo lineare. si prendano ad esempio i principali metodi di studio del jazz adottati in italia: scales for Jazz di dan Hearle8 per quanto riguarda lo studio delle scale maggiori, i modi jazz e le scale blues; pattern for Jazz di Jerry Coker9 per lo studio dei pattern; How to play Bebop: 1 di david Baker10 (e i due volumi successivi) per quanto riguarda lo studio delle frasi utilizzate dai jazzisti; la raccolta di brani del real Book; infine le pubblicazioni cartacee e discografiche di James aebersold utili per studiare gli standard e applicare le tecniche studiate11. Mentre i metodi di studio delle scale di solito non procedono in ordine di difficoltà12, ma rappresentano un vero e proprio compendio da consultare a scopo rimemorativo, i metodi di studio dei pattern invece procedono in modo lineare, elencando esercizi che vanno dai più semplici ai più complessi. Così procedono anche i metodi per lo studio delle frasi di jazzisti celebri. anche lo studio degli standard procede in tal senso; nel Jazz Handbook di James aebersold c’è una lista di brani, per chi inizia lo studio dell’improvvisazione, suddivisa in ordine di difficoltà: Beginnins songs, intermediate songs, avdance songs13. 6 sull’uso del segno grafico in contesti nonlineari si veda M. Cosottini, a. pisani, Non linearità e segno grafico, in «Musica domani», trimestrale di cultura e pedagogia musicale, organo della società italiana per l’educazione Musicale, edt, n. 164-165, 2012. 7 per comprendere la natura pedagogica dei trattati sull’improvvisazione musicale, scritti nella seconda metà del Xviii secolo e del primo XiX, si veda Berkowitz (20142). 8 d. Hearle, Scale for Jazz Improvisation: A Practice Method for All Instruments, alfred Music, 1983. 9 J. Coker, Patterns for Jazz, Columbia pictures pubns, 1982. 10 d. Baker, How to Play BeBop 1: For All Instruments, alfred pub Co, 1988. 11 Queste indicazioni provengono dal sito web del Conservatorio di Musica di Frosinone «l. refice», dipartimento di nuove tecnologie e linguaggi Musicali, requisiti Generali per l’ammissione ai Corsi di tromba e trombone Jazz (programma del triennio a.a. 2013/2014), http://www.conservatorio-frosinone.it/didattica/corsi-accademici-i-e-ii-livello/programmi-trienniaa20132014/programmi-di-ammissione-programmi-di-studio-a-partire-dallaa20132014/tromba-e-trombone-jazz.aspx 12 «the scales in the syllabus are not arranged in order of difficulty or importance but, instead, are grouped in what seem to be logical categories»; solo il modo ritmico di suonarle procede da figurazioni ritmiche semplici a figurazioni ritmiche complesse. Cit. Hearle 1983. 13 J. aebersold, Jazz Handbook, Jamey aebersold Jazz, 2000, p.11.
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Metodi di studio dell’improvvisazione
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nel campo della musica jazz non mancano le eccezioni. il libro di edward sarath «Music theory through improvisation» è un esempio di approccio misto, lineare e nonlineare, allo studio dell’improvvisazione musicale14. la prima parte del volume è dedicata agli esercizi «no level» che è buona cosa praticare costantemente. sarath prende spunto dalla distinzione fra elementi musicali sintattici e non sintattici teorizzata da leonard Meyer15 per sottolineare l’importanza degli elementi non sintattici quali la densità (numero di note suonate per unità di tempo), la dinamica, la tessitura, la durata, il timbro e il silenzio. sarath suggerisce di usare gli elementi non sintattici come «catalizzatori dell’improvvisazione», questo dovrebbe aiutare a migliorare la chiarezza e la varietà delle idee musicali16. inoltre, sarath propone un esercizio sull’ascolto nonlineare e suggerisce di ascoltare quelle musiche in cui gli elementi non sintattici sono prominenti. una tale musica favorisce la percezione nonlineare17. tale percezione si caratterizza per essere diretta all’ascolto degli eventi musicali nella loro autonomia, considerati come «self-contained moments» che hanno la loro ragion d’essere indipendentemente da ciò che precede e ciò che segue «alcuni momenti-musicali possono essere esperiti sia come facenti parte di un flusso lineare nel quale il significato di ciascun evento dipende in larga parte dalla sua relazione con quello che lo precede e quello che lo segue, sia come entità nonlineari che sono relativamente autonome dalle loro condizioni temporali»18. infine sarath sostiene che l’ascolto nonlineare è più impegnativo e dipendente dal contesto di quello lineare, ma proprio per questo anche una breve esperienza di questo tipo di ascolto sarà molto produttiva19. dal mio punto di vista, in questo momento il lavoro di sarath rappresenta il metodo didattico sull’improvvisazione più consapevole delle implicazioni fra elementi lineari e nonlineari della musica. un discorso a parte merita lo studio dell’improvvisazione non-idiomatica e la letteratura didattica relativa20. negli anni si sono visti numerosi approcci allo studio dell’improvvisazione non-idiomatica, alcuni di natura più pratico-esperienziale, altri maggiormente teorici. un esempio di connubio fra esigenze creative e didattiche è rappresentato da individuum – Collectivum di vinko Globokar21, un lavoro in tre volumi interamente dedicati allo studio dell’improvvisazione con numerosi esercizi scritti in notazione grafica oppure mista, standard e non-standard. Gli esercizi non sono ordinati secondo un criterio di apprendimento lineare; possono essere suonati secondo le esigenze dell’insegnante, quelle dell’allievo, come pure dalla necessità di suonare
14 il libro di e. sarath, Music Theory Through Improvisation: A New Approach to Musicianship Training, routledge, london 2010, non è esclusivamente dedicato all’improvvisazione jazzistica, anche se questa riveste un’importanza fondamentale nel suo lavoro. piuttosto egli teorizza un approccio trans-stilistico, «trans-stylistic semplicemente significa che invece di specificare gli elementi stilistici in anticipo – come per esempio, le sostituzioni accordali nel jazz, o il Basso Figurato nella musica Barocca o i cicli raga Hindustani – permettiamo agli elementi stilistici di manifestarsi come un prodotto derivato dal processo creativo». Cit. sarath 2010, p. 1. 15 l. Meyer, Emotion and Meaning in Music, university of Chicago press, Chicago 1961. 16 Cit. sarath 2010, p. 4. 17 «si deve sottolineare che la musica dove gli elementi non sintattici (es. densità, dinamica, timbro e tessitura) sono più importanti degli elementi sintattici (in particolare l’armonia), tende di più verso una percezione non lineare». Cit. sarath 2010, p. 16. 18 Cfr. ivi, p. 15. 19 Cfr. ivi, pp. 15-16. 20 Con improvvisazione non-idiomatica (cfr. Baley 2010) intendo tutte quelle pratiche d’improvvisazione che non fanno riferimento direttamente a uno stile oppure ad un sistema teorico musicale specifico; ciò mi consente di abbracciare anche la Free Improvisation, ma anche forme di improvvisazione controllata che fanno uso di partiture musicali. non sempre la letteratura sull’argomento tende verso la costruzione di una metodologia dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’improvvisazione quanto piuttosto verso l’elaborazione di esercizi e tecniche che liberano la creatività, mantenendo dunque un approccio più laboratoriale che didattico. per una bibliografia di massima si veda C. Bergstrom-nielsen, Experimental improvisation practise and notation 1945-1999. An annotated Bibliography, 2002. vgl.: url http://www.intuitivemusic.dk/intuitive/cfavlit.htm 21 v. Globokar, Individuum - Collectivum, unicopli, Milano 1979.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
in pubblico oppure insieme con altri artisti non musicisti. a differenza dell’improvvisazione jazzistica, non ci sono repertori da studiare e «standard» da imparare a memoria, e inoltre l’espressività musicale non presuppone competenze tecniche specifiche. la tecnica strumentale cresce insieme all’indagine sul suono e alla sua esplorazione, talvolta ne è la possibilità, talvolta ne è lo strumento indispensabile e dunque merita essa stessa uno studio specifico. a titolo di esempio prendiamo un esercizio di Globokar22.
Ciascuna delle quattro consegne scritte da Globokar è divisa in due fasi: nella prima si chiede di immaginare un suono, nella seconda di creare (collettivamente) una melodia da ciò che si è immaginato. la fase immaginativa è frutto di un’intepretazione nonlineare del segno grafico. esso è considerato come un tutto in modo che agli elementi grafici simili sia fatto corrispondere una costante musicale (uno spettro sonoro, un suono con un massimo di energia, il timbro di uno strumento). poi viene chiesto di creare collettivamente una melodia trasformando il suono (togliendo certe bande di frequenza, dosando l’energia sonora, influenzando la fonte timbrica), ma rispettando l’invarianza immaginata. la vocazione nonlineare del segno grafico è evidente. purtroppo la letteratura metodologica legata all’improvvisazione non-idiomatica non sempre distingue un approccio creativo da uno didattico, con il risultato che talvolta è incomprensibile quale valore abbiano gli esercizi rispetto alle coordinate teoriche generali, oppure su quali aspetti dell’apprendimento facciano leva gli esercizi proposti (ritmici, armonici, timbrici, espressivi, formali, ecc.); in breve non si comprende la relazione fra il valore didattico dell’esercizio e le caratteristiche lineari e nonlineari del metodo di studio.
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Cit. Globokar 1979, vol. 3, scheda 9c.
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proviamo a pensare come possiamo far tesoro di un’improvvisazione grazie all’ascolto e all’analisi. prendiamo una qualsiasi improvvisazione eseguita e registrata (un solo, un’improvvisazione collettiva, jazzistica oppure di altra natura). proviamo a pensare a un modo per studiare questa improvvisazione. la seguente metodologia illustra l’approccio prevalentemente lineare allo studio di tale improvvisazione:
l’ascolto iniziale dell’improvvisazione ci consente di individuare gli elementi che reputiamo interessanti, poi, grazie all’analisi, indaghiamo questi elementi e ne ricaviamo del materiale utile per studiare il ritmo, l’armonia, la metrica (talvolta ci costruiamo patterns che possiamo utilizzare in seguito). a quel punto siamo in grado di produrre una nuova improvvisazione grazie ai risultati delle nostre indagini. Come abbiamo già detto il metodo lineare di studio dell’improvvisazione ha i suoi vantaggi: è progressivo, in altre parole diminuisce la distanza fra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo; è costruttivo, il nostro studio ci permette di sistemare un mattoncino alla volta con l’idea di costruire l’edificio della nostra improvvisazione; è a livelli, ovvero ogni ulteriore passo in avanti è più difficile del precedente e viene preparato da quello antecedente; perfeziona la tecnica, consente di acquisire un bagaglio tecnico in funzione dell’obbiettivo finale, cioè l’esecuzione di una buona improvvisazione. Conviene osservare come di solito non si fanno particolari osservazioni sul modo di ascoltare l’improvvisazione, come se la facoltà di ascolto fosse granitica e non avesse alcuna specifica modalità. inoltre, non si fanno particolari osservazioni su ciò che guida la scelta di contenuti interessanti, e infine diamo per scontato che il processo intero di apprendimento è fondamentalmente cronologico, sappiamo ben improvvisare soltanto dopo aver messo a punto tutti gli steps precedenti23.
2.2. Metodo di studio nonlineare il metodo di studio nonlineare si basa sul suono e sulle costanti del decorso sonoro che permangono nel tempo. Ciò è possibile se riusciamo a individuare le caratteristiche invarianti della musica, in altre parole gli elementi di nonlinearità nella percezione del decorso musicale.
23 Ci sono insegnanti che addirittura dicono ai loro alunni di «non essere pronti» per improvvisare poiché sono tecnicamente scarsi e hanno bisogno di studiare ancora molto prima di «saper» improvvisare. Questo è uno dei tanti corollari infondati che derivano da un utilizzo acritico del metodo di studio dell’improvvisazione lineare basato appunto sulla progressività e sui livelli.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
la nonlinearità è importante anche per l’improvvisazione? Certamente, poiché l’improvvisazione fa leva su processi creativi che favoriscono temporalità proprie dell’ascolto nonlineare, difatti essa agisce fondamentalmente sul presente, sul momento; per questo la nonlinearità permette di aprirci all’improvvisazione con estrema naturalezza. in che modo possiamo assumere la nonlinearità come il punto di partenza per ripensare la didattica dell’improvvisazione? Facciamo l’esempio di un percorso di studio che fa propria la questione nonlineare:
una volta individuate, le invarianze diventano oggetto di studio grazie alla formulazione di esercizi che indicheranno quali trasformazioni operare sul suono nel rispetto di tali invarianze. il rapporto fra trasformazione e invarianza del suono è il cuore del metodo di studio nonlineare della musica25; è nella conoscenza e nell’assimilazione delle trasformazioni possibili rispetto a certe invarianze che si amplia la nostra capacità di pensare, controllare e cambiare il suono. riassumendo, l’ascolto dell’improvvisazione iniziale deve portare all’individuazione di alcune invarianze grazie alle quali impostare la nuova improvvisazione. l’ascolto in questo caso non è un ascolto generico, ma è l’ascolto cumulativo, la particolare modalità di ascolto basata sulla temporalità del presente. sulla base delle invarianze, il musicista genera una nuova improvvisazione che possiamo chiamare un’improvvisazione nonlineare, ovvero un’improvvisazione basata prioritariamente sulle invarianze degli eventi musicali considerati nella loro autonomia piuttosto che rispetto alle relazioni stabilite dalla loro successione. se ad esempio l’ascolto iniziale ha individuato un elemento timbrico come fattore d’invarianza allora l’improvvisazione nonlineare dovrà applicarsi a tutti quei fattori del suono che rispettano tale invarianza. l’improvvisazione nonlineare così generata sarà molto diversa da quella iniziale, ma avrà una struttura timbrica invariante.
una didattica dell’improvvisazione deve considerare entrambe le modalità dell’improvvisazione.
24 «Cumulative listening […] is the mechanism by wich we come to understand, in retrospect, the nonlinear principles of a composition or passage». Cit. Kramer 1988, p. 43. 25 Come vedremo l’esercizio Completo della restituzione è l’esercizio che prende il cuore del metodo nonlineare di studio (il rapporto fra trasformazione e invarianza del suono) e lo estende all’ascolto, alla composizione e all’improvvisazione musicale.
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Metodi di studio dell’improvvisazione
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Questo metodo di studio presenta i vantaggi di cui dicevamo, è creativo26 anziché progressivo, c’è una maggiore attenzione al suono (l’ascolto è specifico e permette l’indagine intorno al suono) ed infine è implementabile con il metodo di studio lineare (gli approfondimenti tecnici sono una scelta che il musicista compie in relazione all’evoluzione della propria estetica musicale). Come si vede, la parte di analisi lineare scompare da questo processo ed è sostituita dal processo dell’improvvisazione nonlineare.
in generale, il modello di studio lineare tende a considerare la musica un sistema linguistico (come la lingua naturale, oppure la logica o la matematica) e tende a separare la musica dalla tecnica (come il significato dalla sintassi nelle lingue naturali). il modello di studio nonlineare d’altra parte evidenzia la discontinuità e la presenza di un principio unificatore; la discontinuità poiché viene meno qualsiasi logica discorsiva e gli eventi musicali sono presi e visti nella loro autonomia; il principio unificatore poiché le invarianze si presentano cognitivamente come un’unità (una percezione unitaria di un evento musicale) e logicamente come una regola che vale per l’intero brano o per una parte significativa di esso.
2.3. La necessità di un metodo di studio lineare e nonlineare dell’improvvisazione i metodi di studio lineare e nonlineare sono due approcci diversi e complementari allo studio dell’improvvisazione. difatti, la linearità e la nonlinearità non sono determinazioni opposte. non esiste un brano musicale esclusivamente lineare come non esiste un brano musicale completamente nonlineare. ogni fenomeno musicale porta con sé ambedue le caratteristiche. la linearità opera al livello di vari eventi musicali e riguarda le relazioni e le connessioni fra questi eventi. la nonlinearità riguarda insiemi di eventi musicali e stabilisce regole e principi di porzioni temporali significative di un brano.
26 la circolarità è la caratteristica strutturale che distingue la creatività dalla progressività. oggi si tende a ripensare la progressività alla luce della circolarità mitigando questa distinzione (cfr. Freschi 2012), vale a dire integrare linearità e nonlinearità nei metodi di studio.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
un’improvvisazione musicale, allo stesso modo, è il risultato di relazioni fra eventi musicali e regole generali. uno studio ampio dell’improvvisazione deve quindi tener conto di entrambi i livelli. io non credo che si debba preferire il metodo di studio nonlineare dell’improvvisazione a scapito di quello lineare né che si debba abbandonare il metodo lineare a favore di quello nonlineare27. auspico, invece, che si tenda all’integrazione di entrambi i metodi valorizzando i vantaggi che ognuno di essi porta con sé. l’integrazione di metodi implica un arricchimento delle modalità di ascolto del suono. ad esempio, un fenomeno musicale ci colpisce per la sua narratività e allo stesso tempo per la costante pasta timbrica. ricordo a questo proposito cosa scrive Giovanni piana a proposito dell’ascoltare: «essendo l’ascoltare niente altro che un indugiare presso l’udire che può assumere molte forme»28. linearità e nonlinearità sono forme di questo indugio, espressione di una soggettività in movimento, che ascolta ed è aperta al proprio mutare. in termini fenomenologici, e rispetto alla materia sonora, direi che indugiare presso il suono significa porsi in ascolto, aprirsi al senso del percepire, alle condizioni della percezione in cui i sensi emergono nella loro valenza prospettica, come formazioni di senso complesse e dinamiche che prevalgono e costituiscono le nostre sintesi percettive: indugiare presso il suono è una condizione per cogliere la struttura fenomenologica del suono stesso. l’ascolto nonlineare è ritentivo, si sofferma, si appoggia al suono, considera ciò che permane, le costanti, la struttura, l’unità. l’ascolto lineare è protentivo, è teso in avanti, scivola, coglie la trasformazione, lo svolgimento, la direzione. il modo di ascoltare il suono condiziona il modo di improvvisare; il musicista che ascolta in modo nonlineare cura le invarianze durante l’esecuzione mentre il musicista che ascolta in modo lineare è attento agli eventi e al modo del loro succedersi. il metodo di studio lineare insegna ad ascoltare gli eventi musicali nei loro rapporti consequenziali, come un bravo scacchista conosce il valore di ogni pezzo, come questo si muove sulla scacchiera e come impostare una strategia vincente, così il musicista deve conoscere le singole note o i gruppi di note, le relazioni fra note o gruppi di note, e infine saper ordinare i vari eventi musicali in un tutto contenutisticamente e formalmente corretto e funzionale. il metodo di studio nonlineare insegna ad ascoltare gli eventi musicali nella loro autonomia, rispetto alla «forma» che assumono nel tempo e alle caratteristiche che divengono strutturali. dal modo del mio indugiare presso il suono, dal modo con cui percepisco le invarianze e gli elementi lineari, dipende il mio arricchimento. la pratica e l’esercizio dell’improvvisazione diventano un’esperienza di arricchimento del suono grazie alla cura che ripongo nell’ascolto della musica. indugiare presso il suono sia dal punto di vista lineare che nonlineare è la premessa che tiene insieme i due metodi di studio. ad esempio, è possibile che uno studente di jazz abbia la necessità di progredire nell’uso delle scale con il proprio strumento musicale, l’impostazione lineare del suo studio è basilare perché consente progressivamente di acquisire tale capacità. d’altra parte non bisogna dimenticare che l’apprendimento di una scala musicale è una questione di suono, di attacco, di timbro e di dinamica e di conseguenza del modo di articolare i suoni che poggia su alcune invarianze che non possiamo trascurare a meno di rendere sterile e vano il processo di apprendimento.
27 tentativo quest’ultimo impossibile in linea teorica per le ragioni appena addotte sulla compenetrazione di linearità e nonlinearità. 28 G. piana, Filosofia della Musica, Guerini e associati, Milano 1996.
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CAPITOLO 3
ESERCIZI SULL’IMPROVVISAZIONE
3.1. Il senso dell’esercizio In precedenza ho sottolineato l’importanza dell’indugiare presso il suono, e delle sue possibili forme. L’ascolto musicale è la porta attraverso la quale passare per imboccare la via del proprio arricchimento cognitivo. Ascoltare è la prima forma di una ricerca possibile del suono. Il metodo grazie al quale compiere questa ricerca è proprio l’esercizio. L’esercizio dunque è una modalità di ricerca a partire dall’ascolto. L’esercizio musicale si avvia come una ricerca e poi si trasforma in un’esperienza cognitiva ricca e complessa. L’esercizio è quindi un’esperienza di passaggio da una condizione iniziale a una finale in cui qualcosa si è trasformato e qualcosa è rimasto invariato1. Anche il senso dell’esercizio musicale manifesta le sue qualità lineari e nonlineari. Esercitarsi è compiere una serie di passaggi che avvengono in un certo periodo, perfino in una certa successione; allo stesso tempo l’esercizio insiste su qualcosa che di volta in volta è il «motivo» dell’esercitarsi, e ogni volta è il medesimo. D’altra parte, compiere ogni volta lo stesso esercizio d’improvvisazione non significa «fare la stessa cosa» se per «stessa cosa» s’intende compiere le stesse azioni. Di nuovo, questa è una visione lineare del fare esercizio. Compiere lo stesso esercizio significa rinnovare un percorso e una ricerca che arricchisce la nostra visione del suono e la nostra esperienza del suono e del fare musica. Lo studente che si annoia di fronte all’ennesimo esercizio sulle scale musicali sta vivendo l’esercizio come una pratica esclusivamente rivolta ad acquisire automatismi, che non è l’unico scopo del fare esercizio anche se ne è una componente importante2. Esercitarsi non è un’attività che si limita ad affrontare questo o quell’aspetto del suonare o dell’improvvisare. L’esercizio può avere anche la sua specificità e riguardare un singolo problema (ad esempio, apprendere le scale maggiori e minori), ma il senso dell’esercizio è qualcosa di più ampio che si lega indissolubilmente al modo con cui il musicista esperisce il suono, la sua genesi, la sua qualità, la sua articolazione, il rapporto fra suono e silenzio, il coordinamento muscolare e la reazione dello strumento. Quando un interprete trova scritto su di un pentagramma una nota accentata, egli deve saper suonare le note accentate; esistono tanti metodi di studio che contengono decine di esercizi con note accentate. Ma come si suona quel segno che indica un accento? Evidentemente non c’è un modo «esatto» di suonare un accento, piuttosto esso dipende dal contesto in cui il musicista si trova. In realtà dobbiamo fare ancora un passo indietro, quel segno non significa niente finché io non gli attribuisco un senso. E il senso che gli attribuisco non è qualcosa che si nasconde fra i miei pensieri (o tra le regole procedurali elencate da un testo di tecnica dell’improvvisazione), ma è nella capacità formante che quel segno indica, capacità che trova la sua applicazione nella
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L’idea dell’esercizio come strumento di trasformazione del sé ricorda molto l’idea di «esercizio spirituale» di Pierre Hadot (Esercizi spirituali e filosofia antica, tr. it. di A.M. Marietti, Einaudi, Torino 2005). Per iniziare una possibile indagine sul rapporto fra improvvisazione musicale ed esercizi spirituali si veda S. Ferrari, L’etica dell’improvvisazione come pratica filosofica. Gli esercizi spirituali da Pierre Hadot a George Lewis, in «Itinera», v. 10, 2010. 2 Cfr. Berkowitz 20142, pp. 42-46.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
concreta attività performativa. A quel punto il suono mostra le caratteristiche lineari e nonlineari che lo fanno corrispondere a un suono accentato, il risultato di un percorso d’indagine che ho compiuto per dare senso all’accento stesso. Il processo di apprendimento che mi porta a saper fare «buoni accenti» passa attraverso il suono, la mia capacità di produrlo, la possibilità di tenere delle invarianze e cambiare degli elementi per finire con l’idea estetica del suono che possiedo e che «riverso» nel suonare. L’interpretazione musicale, di fatto, è una particolare forma d’improvvisazione3 in cui rinnovo l’idea che ho del suono grazie alle indicazioni partiturali. Ma la notazione musicale non viene prima del suono, essa non cristallizza i suoni e non ne è la fotografia. Non esiste un iperuranio sonoro in cui riposano i suoni che di volta in volta la partitura aiuta a ripescare. Esercitarsi dunque è una pratica di studio e d’indagine del suono che nasce con la nostra idea di suono e cresce con la pratica dell’improvvisare, è un confronto serrato con il suono, con le sue caratteristiche e con la sua organizzazione. Esercitarsi è stabilire un universo in cui al centro c’è il suono che voracemente si nutre di tutto ciò che siamo, della nostra idea del mondo, dell’essere umano, dell’arte, degli scacchi come del tiro con l’arco. Esercitarsi è l’attività fondamentale che coltiva la ricchezza della nostra estetica musicale. L’esercizio è il momento più intimo in cui vive l’estetica di ogni musicista, dunque deve essere affrontato con molto rispetto e con molta cura. Sembra quasi che manifesti una certa ritualità, e d’altra parte nella ritualità trova il suo senso la ripetitività dell’esercizio. L’esercizio è ripetitivo dal punto di vista lineare, ma è rituale dal punto di vista nonlineare. Come nel rituale la successione degli eventi segue un preciso ordine, così nell’esercizio musicale lo studente deve ripetere determinate azioni; come nel rituale queste azioni hanno un fondamento che le unifica, così nella pratica dell’esercizio queste azioni sono rette da un principio che le lega e a cui dà un senso. La capacità dello studente di curare l’intimità dell’esercizio è la garanzia che il suo suono avrà una forte identità e un robusto carattere. Molti musicisti rincorrono un proprio stile musicale e un proprio suono, che li contraddistingua dagli altri. Non si trova la ricchezza di un suono al mercato, in vendita al bancone degli «stili sonori». Piuttosto, curare il momento dell’esercizio è fondamentale per acquisire una propria idea di suono e coltivare una propria estetica. Se è vero che l’esercizio consente di apprendere formule e schemi musicali che consentono allo studente di costituire il proprio bagaglio di conoscenze di base, e inoltre di variare questi schemi e infine di ricombinarli attraverso l’invenzione, in un processo che linearmente consente di apprendere a improvvisare, è pur vero che l’esercizio è già una pratica improvvisativa esplorativa e produttiva di regole e della loro trasformazione, e non (a posteriori) l’applicazione ripetuta di regole procedurali stabilite. L’esercizio è già creativo, poiché trova il coordinamento sensomotorio adeguato nel mentre che la regola prende corpo nel suono. In questo senso l’esercizio non è esecuzione ma invenzione, è un farsi metodo che continuamente si mette in discussione. Se l’esercizio inteso linearmente è come un cammino verso una meta, l’esercizio inteso in modo nonlineare è come un cammino verso l’inizio, dal quale peraltro prende avvio. Esso è il metodo per trasformare l’inizio di nuovo in se stesso (e dunque una pratica nonlineare), il modo per imparare a inventare un incessante inizio. Dal 2005 ad oggi ho elaborato alcuni esercizi che si basano su di un approccio nonlineare all’improvvisazione4. Essi si basano su aspetti specifici legati alla questione nonlineare e di riflesso 3 Per avere un’idea del complesso rapporto fra improvvisazione e interpretazione si veda il capitolo «La sorpresa del suono: improvvisazione e interpretazione» in Bertinetto 2016, pp. 92-99. 4 Alcuni di questi esercizi sono stati elaborati grazie all’aiuto e al confronto che ho avuto con il fagottista Alessio Pisani e grazie alla ricerca che abbiamo svolto dal 2005 al 2011 all’interno del GRIM (Gruppo di Ricerca e Improvvisazione Musicale).
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Esercizi sull’improvvisazione
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mettono in luce i rapporti con l’approccio lineare. Possono essere eseguiti individualmente e/o collettivamente. Ciò che si apprende suonando assieme non può essere appreso attraverso la pratica individuale. Il contesto della musica d’insieme è vantaggioso per l’apprendimento, soprattutto per appropriarsi dei processi irreversibili e autopoietici dell’improvvisazione. Gli esercizi sono stati raggruppati in sei modalità5: 1) 2) 3) 4) 5) 6)
Esercizi sull’attenzione Esercizi sul presente Esercizi della lettura e della scrittura Esercizi della ricerca Esercizi dell’esame approfondito Esercizi dell’ascolto
3.2. Esercizi sull’attenzione Gli esercizi sull’attenzione spingono a considerare gli eventi sonori nella loro autonomia, senza preoccuparsi della loro concatenazione, alla ricerca delle loro invarianze. Questi esercizi possono essere praticati a qualsiasi livello di preparazione musicale dell’allievo e a ogni livello daranno i loro frutti. EAT(a1): Esercizio del suonare un suono Suona un suono e mantieni un’invarianza. Questo esercizio è molto semplice, ma la sua pratica rivela una grande ricchezza di contenuti e di possibilità per indugiare presso il suono. Il suono si può osservare in tanti modi. All’inizio io raccomando di fare attenzione al suono nel suo complesso, come un’unità inscindibile, cercando di ascoltarlo nella pienezza e unità della mia percezione acustica; immediatamente esso presenta alcune caratteristiche costanti. La nostra attenzione è catturata dalla fitta rete di relazioni che via via si strutturano generando un’invarianza che percettivamente persiste nel tempo. Ciò che appare come un singolo suono si apre progressivamente alla molteplicità. Le invarianze che caratterizzano un suono sono molte, si presentano, si trasformano e lasciano il passo ad altre. Ascoltare nel tempo ci consente di esperire il suono come unico e molteplice. La capacità di dilatare il presente per aprirsi a un ascolto di tipo verticale ci permette di acuire la nostra attenzione nei confronti del suono. La nostra percezione è in grado di cogliere le minime trasformazioni del suono e in particolare di percepire quelle invarianze che tengono, malgrado le trasformazioni. Se vogliamo render conto di questa differenza possiamo esercitarci a «rappresentare» il suono dal punto di vista grafico. Ad esempio, eseguo un suono lungo, il suono della mia tromba. Posso rappresentarne l’altezza (chiamiamo il segno grafico Suono-Altezza). Il suono è nel registro medio, lo rappresento con un «punto» in un sistema semplice di coordinate che individua uno spazio sonoro suddiviso in acuto, medio e grave.
Vorrei esprimere quanto gli sono debitore e quanto per me è stato importante il suo contributo per la mia chiarificazione dei concetti di linearità e nonlinearità. 5 Alcune di queste modalità richiamano la suddivisione degli esercizi spirituali che i filosofi praticavano nell’antichità. Quest’analogia è interessante, ma non ha ricevuto finora alcun approfondimento da parte mia.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
Provo a rappresentarne il timbro (chiamiamo il segno grafico Suono-Timbro):
In questo caso il suono è globalmente rappresentato in modo circolare, ma al suo interno colpiscono alcune differenze di texture; vi sono zone più luminose che si alternano a zone più scure, il «centro» del suono (il corpo) è più scuro, come una parte del bordo. Il risultato suggerisce una forma situata nello spazio con una certa profondità. Il timbro della tromba ha un buon corpo e una buona profondità (non si direbbe altrettanto buona l’omogeneità). Provo a rappresentare il suono nella sua complessità (chiamiamo il segno grafico SuonoComplesso):
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Esercizi sull’improvvisazione
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L’attenzione prolungata al suono e alla sua complessità mi consente di rappresentare molti più dettagli sonori. La forma circolare è sostanzialmente mantenuta, le zone scure si arricchiscono di molti dettagli, le zone chiare rivelano la loro trama. Il suono ascoltato è lo stesso, ma la rappresentazione mostra nuove relazioni fra i suoi elementi. Le linee curve lo descrivono come un suono che nel complesso mantiene una sua forma, forma che ha maggiore consistenza al centro. Le linee dritte che tagliano in verticale e in orizzontale il corpo del suono ne costituiscono la trama e allo stesso tempo la sua leggerezza. Alcune zone più scure rappresentano addensamenti timbrici che trovandosi a distanze diverse rispetto al centro del suono denotano un timbro tutt’altro che statico, piuttosto un suono che si muove e che sposta la sua massa dal centro verso la periferia. Questi modi di rappresentare il suono mostrano come il nostro ascolto passi da una modalità lineare a una nonlineare. Il segno per il Suono-Altezza è povero d’informazioni grafiche, ma molto preciso nell’indicare in quale registro si situa l’altezza del suono. Il segno per la nota che usiamo nelle partiture scritte nel sistema notazionale standard è molto simile a questo. Il segno ci fornisce poche informazioni sul suono nel suo complesso, ma è molto preciso rispetto all’altezza. Il segno per il Suono-Timbro è graficamente più interessante. In modo molto generico esso tende a rappresentare due invarianze nella percezione del suono, il suo corpo e la sua profondità. La lettura del segno non è condizionata dall’orientamento del foglio come invece lo era il Suono-Altezza. Esso può essere letto indipendentemente dalle sue proprietà spazio-temporali. Dunque, l’ascolto non si è soffermato sul suono rispetto alle sue trasformazioni successive, ma ha proiettato le sue trasformazioni in un cerchio che si è addensato e strutturato secondo zone di luce e di ombra. L’altezza del suono è dunque rilevante, ma non in quanto frequenza, piuttosto perché contribuisce alla maggiore o minore leggerezza e trasparenza del suono. Se avessimo ascoltato un suono più acuto, probabilmente il segno grafico sarebbe stato ancor meno denso e più rarefatto. Il segno per il Suono-Complesso è graficamente il più ricco. Il segno grafico non è orientato e può essere letto in qualsiasi verso. Gli elementi grafici descrivono una struttura complessiva del segno di tipo circolare. Gli elementi che normalmente indichiamo come timbro, altezza, dinamica, non sono rintracciabili direttamente, piuttosto la loro individuazione è situata nel complesso delle invarianze che la grafia suggerisce. I parametri del suono perdono la loro «essenzialità» poiché non sono rappresentati direttamente, ma emergono come invarianze possibili accanto ad altre. Che cosa significa, quanto appena detto sulla grafia, dal punto di vista dell’ascolto? Che dobbiamo imparare ad ascoltare in modo lineare e nonlineare, ne va della nostra idea di suono. Il suono non è un’idea granitica, essa si forma nel tempo, dipende dal nostro modo di ascoltare e d’interagire con esso. Difatti, il valore di questo esercizio non è confinato al solo ascolto. «Entrare» nel rapporto fra trasformazione e invarianza significa connettere ascolto e corpo, il suono e il suo modo di produzione. Cogliere un’invarianza nel suono significa allo stesso tempo imparare a tenerla, e dunque a far rispondere il nostro corpo nel modo adeguato6. Per tenere un’invarianza dobbiamo imparare a considerare quali trasformazioni sono possibili in modo che questa invarianza sussista e non si dissolva. Ecco che la complessità cognitiva entra in un meccanismo di apprendimento dinamico in cui l’ascolto stabilisce i presupposti di una competenza che è appresa in una continua ridefinizione dei presupposti stessi. A ben guardare, tale processo è esemplificativo del processo stesso dell’improvvisare. 6 L’attività formante e organizzativa del suono non vede l’elemento cognitivo del soggetto scisso da quello materiale-corporeo. Imparare a tenere un’invarianza è apprendere attraverso un principio analogo a quello che Vincenzo Caporaletti descrive come il Principio Audio Tattile «come medium psico-somatico in quanto formatore d’esperienza» (Caporaletti 2016: 58).
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
Suonare su un suono soltanto fa pensare che si ha poco da «raccontare», ma proprio per questo siamo spinti a considerare l’evento sonoro nella sua autonomia, condizione fondamentale di un approccio nonlineare al suono. Proviamo a fare un esempio. Possiamo iniziare a suonare un suono e poi fare attenzione a una sua caratteristica timbrica7. Poniamo che questa caratteristica sia costante nel tempo. Ciò significa che abbiamo individuato un’invarianza che possiamo indagare. Possiamo osservarla e fare attenzione alle sue qualità: essa è morbida oppure dura, chiara o scura, ha proprietà visive spiccate, come un colore. Da questo punto di vista è interessante la lettura del capitolo primo The Silent Life di «The Mysticism of Sound» di Hazrat Inayat Khan nel quale si legge che «Il suono ha la sua nascita, la sua morte, il suo genere, la sua forma, il suo pianeta, il suo dio, il suo colore, la sua infanzia, giovinezza e età». Più oltre dice che gli elementi della natura hanno un suono fondamentale e che questo suono ha un colore. Il colore della terra è giallo e gli strumenti a percussione rappresentano il suono della terra. Il suono dell’acqua è verde, strumenti come il jalatarang cinese hanno un suono verde. Il suono del fuoco è rosso, colore che possiamo ritrovare nel suono di petardi, di fucili delle pistole, bombe e cannoni. Il suono dell’aria è blu e blu è il colore degli strumenti a fiato fatti di legno, ottone o bamboo. Il suono dell’etere è complesso e fatto da tutti i colori. Lo strumento che ha questi suoni è il corpo umano. L’indagine intorno al suono, come nel caso di Hazrat Inayat Khan può portare anche ad abbracciare una vera e propria filosofia del suono e dell’essere8. In generale, possiamo fare attenzione alle qualità timbriche e iniziare un percorso d’indagine che ci consentirà di padroneggiare il nostro suono e poterne cambiare alcune caratteristiche. Se immagino che il suono della mia voce (o del mio strumento) abbia un colore blu, quale tonalità di blu in particolare possiede e come posso cambiarla fino a farla diventare un azzurro tenue? La gamma delle sfumature del colore dipende da come emetto il suono e dalla tecnica che utilizzo per produrlo. Questioni espressive s’intrecciano con questioni tecniche e questioni fisiche, di produzione del suono. L’invarianza che individuiamo deve essere tenuta durante l’esecuzione. Mantenere questa invarianza è la condizione fondamentale del fare esercizio. Tenendo ferma questa invarianza, possiamo iniziare un processo di ricerca sul suono che ci porterà ad acquisire maggiore consapevolezza di rapporti che intercorrono fra il suono, il modo di produrlo e la tecnica utile per modificarlo.
3.3. Alcune invarianze Le invarianze di seguito elencate sono semplicemente «suggerite» e non devono essere certo considerate come «fondamentali». La cosa migliore è procedere con la propria ricerca e giungere a individuare le invarianze in modo personale. A tale scopo può essere utile reinventarsi gli esercizi seguenti in conformità a invarianze che ciascuno ritiene emergenti e rilevanti. Alcune di queste invarianze coincidono con i parametri del suono, ma ciò non significa che non esistano altre invarianze che ridefiniscono le nozioni parametriche e in taluni casi le dissolvono. In generale l’odierna metodologia evita di partire dai parametri del suono per indagarlo. Allo stesso modo, la scoperta delle invarianze deve avvenire cercando di evitare le «istruzioni per l’uso» contenute nei concetti parametrici del suono per ricrearsi ogni volta i propri «vocaboli sonori». 7 Nel momento in cui il tempo si dilata (il suono è tenuto lungamente) l’ascolto diventa più attento e opera una sorta di zoom verso il suono (seguendo una riflessione di Gerard Grisey). 8 H.I. Khan, The Mysticism of Sound and Music, edizioni Shambhala Dragon Editions 1996, p. 120.
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EAT(a1.1): esercizio sulla dinamica suona facendo attenzione alla dinamica e alle sue variazioni. Come rappresentare la dinamica? Ecco alcuni esempi, il primo lineare e gli altri due maggiormente nonlineari:
EAT(a1.2): esercizio sugli attacchi e sulle chiuse suona facendo attenzione alle varie possibilità con cui attaccare e chiudere un suono. Alcuni esempi di rappresentazioni grafiche:
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EAT (a1.3): esercizio sul colore Suona facendo attenzione al colore del suono e alla sua trasformazione. EAT (a1.4): esercizio sulla materia Suona facendo attenzione alla materia del suono e alla sua modificazione. EAT (a1.5): esercizio sull’oggetto Suona facendo attenzione al suono come oggetto e alla sua modificazione. EAT (a1.6): esercizio sul processo Suona facendo attenzione al suono come processo e alla sua modificazione. EAT (a1.7): esercizio sulla forma Suona facendo attenzione alla forma del suono e alla sua modificazione.
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Molte altre invarianze possono essere suggerite, per alcune useremo termini più musicali (densità) per altre meno (trasparenza). In ogni caso è importante che queste invarianze siano percepite nel suono, individuate e indagate. Tutti gli esercizi sull’attenzione possono essere fatti singolarmente oppure in gruppo. Essi sono particolarmente utili nello studio dell’improvvisazione collettiva per amalgamare un gruppo di musicisti che ha l’intenzione di suonare assieme (come ad esempio un quartetto d’archi, un gruppo da camera, perfino un’intera orchestra), indipendentemente dal repertorio o dal tipo di musica che questo gruppo suona. La dinamica è un aspetto importante del suono e quindi merita una ricerca particolare. Quando si suona in gruppo, lo studio della dinamica è fondamentale per stabilire come i suoni di singoli strumenti contribuiscono a formare il suono collettivo. In un’improvvisazione collettiva ciascuno contribuisce a formare il suono dell’ensemble. Le varie colorazioni del suono dell’ensemble dipendono dai singoli suoni e dal modo in cui si miscelano. La presenza sonora di ogni musicista dipende da molte caratteristiche fra cui la dinamica. Se un musicista suona troppo forte, la sua presenza sonora aumenta e condiziona il suono generale del gruppo; se suona troppo piano la sua presenza è irrilevante e poco contribuisce al suono generale. Ma quanto forte o quanto piano dobbiamo suonare? La propria presenza sonora dipende dal contesto e l’ascolto deve essere capace e «intelligente» nel suggerire come comportarsi. È chiaro che il meccanismo di ascolto di un musicista che suona all’interno di una sezione di un’orchestra risponde a principi diversi rispetto a quelli di un piccolo ensemble d’improvvisazione. Lo studio della dinamica proposto dall’EAT(b1) consente comunque di sperimentare la presenza sonora del musicista e prendere familiarità con il rapporto fra suono individuale e suono collettivo. Possiamo aggiungere due varianti interessanti per ascoltare il suono secondo due modalità diverse. EAT (b1.1): Esercizio sulla dinamica Considera i vari suoni come elementi chiari, distinti, equilibrati e identificabili del suono collettivo. EAT (b1.2.): Esercizio sulla dinamica Considera il suono complessivo come irriducibile e non identificabile ai suoi costituenti. Le due varianti dell’Esercizio sulla dinamica intendono focalizzare l’attenzione sullo status di singoli suoni, ora come elementi del suono collettivo, ora come relazioni interne a esso. Il suono di un ensemble può presentare queste due caratteristiche, a) essere la somma di suoni equilibrati, chiari, puliti, ben posizionati nello spazio sonoro e indentificabili, oppure b) un unicum in cui i vari suoni si amalgamano e si sciolgono, in cui è difficile riconoscerli come elementi. Queste due caratteristiche del suono collettivo possono essere ascoltate, la nostra familiarità con esse ci consentirà anche di saperle riconoscere e all’occorrenza ricrearle9. L’esercizio sugli attacchi e sulle chiuse, EAT(b2), getta una luce su due questioni importanti e spesso trascurate, la prima riguarda il modo con cui articolare l’inizio di una nota e la seconda il modo con cui articolare la chiusa del suono (il suo decay). Molti sono i modi con cui possiamo
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Questi esercizi prendono spunto da alcune considerazioni svolte da Sandell (1995). Egli distingue la nostra capacità di percepire i timbri strumentali in tre classi: l’eterogeneità timbrica, nella quale uno cerca di tenere distinti i timbri strumentali, l’aumento timbrico in cui uno strumento ne abbellisce (rinforza) un altro che domina dal punto di vista percettivo e infine l’emergenza timbrica, nella quale un nuovo suono emerge che non è identificabile con nessuno dei suoi costituenti. Gli esercizi proposti corrispondono alla prima e alla terza di queste classi.
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attaccare un suono. Il musicista deve improvvisare su singoli suoni avendo cura di scegliere uno di questi attacchi, fare una pausa e poi attaccare di nuovo un suono scegliendo lo stesso oppure un diverso attacco. L’esercizio può essere fatto in gruppo cercando di curare adeguatamente il suono dell’ensemble. La stessa cosa vale per l’articolazione delle chiuse. La codifica notazionale del modo di articolare la fine del suono non è conosciuta e studiata come quella degli attacchi. Io posso suggerire al musicista di scriverne di propri come ho fatto io stesso in precedenza. È importante avere una buona consapevolezza del modo con cui attaccare e finire un suono. Molto spesso i musicisti sono impegnati nel dare corpo al suono dimenticando che un suono inizia e finisce. Il modo di iniziare e finire sono parte integrante della «vita» di un suono. D’altra parte la questione dell’attacco ha generato e continua a generare problemi d’interpretazione. Mi auguro che in futuro anche il modo di chiudere un suono riceva la stessa considerazione. Questi esercizi possono essere eseguiti individualmente e/o collettivamente. Nel primo caso essi ci aiutano a coltivare la consapevolezza del suono e delle sue caratteristiche fondamentali grazie all’individuazione delle invarianze. Nel secondo caso queste invarianze diventano intersoggettive e quindi la consapevolezza di ognuno si sposta sul suono collettivo. EAT (a1.8) Esercizio della sequenza (o dello zoomare il suono) Ripetere un suono (o una successione di suoni) seguendo i passi delle varie sequenze. Questo esercizio invoca l’immagine dello «zoomare il suono». Zoomare il suono significa ascoltare nel tempo, «fermare» e «ingrandire» una sua caratteristica o una caratteristica a esso connessa e concentrarsi su questa. D’altra parte, il suono non si ferma, scorre in continuazione; è possibile zoomarlo solo rispetto alle sue caratteristiche che rimangono costanti nel tempo. L’esercizio è basato su sequenze di tre passi da eseguire in successione nel mentre che il suono continua. È possibile improvvisare una breve successione di suoni per poi ripeterla oppure scegliersi in precedenza una successione di suoni come materiale su cui impostare la sequenza. Sullo stesso materiale è possibile inventare altre sequenze. Una buona strategia è di considerare i tre passi della sequenza come anelli di una catena e inserire nel mezzo l’anello debole. Se s’incontra una difficoltà (ad esempio, problemi di uniformità timbrica del proprio suono) conviene costruire una sequenza inserendo la difficoltà al centro. L’inizio e la fine della sequenza saranno competenze acquisite e ciò consentirà di rinforzare l’anello debole (la forza di una catena dipende dall’anello debole!). All’inizio si farà fatica a porre la giusta attenzione ai vari passaggi, con il tempo scopriremo quanta consapevolezza possiamo acquisire nella cura delle sequenze. Se i passi della sequenza sono riusciti, la sequenza è acquisita. Ciò significa che siamo in grado di ascoltare alcune caratteristiche costanti del suono e allo stesso tempo isolarne alcuni elementi. L’acquisizione di una sequenza ci fortifica, da sicurezza, un maggiore controllo del rapporto fra ascolto, suono e corpo. Suggerisco di costruire sequenze rispetto a problemi concreti che possono nascere durante lo studio dell’improvvisazione. Ad esempio, supponiamo che durante la mia improvvisazione noti alcuni limiti nell’eseguire intervalli ampi fra i suoni. Supponiamo inoltre che abbia già acquisito sequenze che includono la scelta dell’attacco e la cura della chiusa del suono. Ebbene, posso costruire una sequenza che ponga il problema dell’«intervallo» al centro fra la scelta dell’attacco e la cura della chiusa del suono, cercando di acquisire la nuova sequenza. Esempi di sequenze:
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A) – scegli il RESPIRO per iniziare a suonare – RILASSA il corpo – cura la FINE del suono10 B) – scegli il RESPIRO per iniziare a suonare – cura il FLUSSO dell’aria (cura come tiri l’archetto, cura come abbassi il tasto di un pianoforte ecc.) – cura la FINE del suono C) – scegli il RESPIRO adeguato – ascolta il CORPO11 – cura la FINE del suono D) – scegli il RESPIRO adeguato – cura l’ATTACCO del suono – cura il FLUSSO dell’aria (cura come tiri l’archetto, cura come abbassi il tasto di un pianoforte ecc.) E) – RILASSA il corpo – ASCOLTA il timbro – cura la FINE del suono F) – cura il FLUSSO dell’aria (cura come tiri l’archetto, cura come abbassi il tasto di un pianoforte ecc.) – ASCOLTA il timbro – cura la FINE del suono G) – ASCOLTA il suono – PULISCI il suono12 – cura la FINE del suono H) – ASCOLTA il suono – tieni STABILE l’intonazione – cura la FINE del suono …
10 In generale con «Curare il suono» intendo sia far attenzione al suono che accompagnare il suono, ovvero modificarlo affinché sia come intendo che sia. 11 Con «ascoltare il corpo» intendo percepire e riconoscere il corpo nello spazio e la contrazione dei propri muscoli. 12 Togli le imperfezioni che ritieni presenti e indesiderate.
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EAT(2): Esercizio del Seme Noi prendiamo spunto dal suono. Dice Pareyson: «lo spunto è il germe dell’opera, è la stessa opera in stato embrionale, e quindi ha una intenzionalità tutta sua, una tendenza alla sua propria forma, un destino di organizzazione»13. Germe, embrione, organismi che cambiano di stato; in biologia il germe è un seme. E a proposito dell’improvvisazione Pareyson dice, «nell’improvvisazione la provocazione della materia rischia, per un verso, di non esserne che un semplice e trito prolungamento, ma proprio perciò può, per altro verso, elevarsi al punto da esser non più soltanto evocazione, ma addirittura produzione di spunti». Bisogna saper attendere, preparare il campo affinché lo spunto si manifesti. Il valore dell’attesa è il valore del silenzio, in cui il suono prende vita. Non esiste il silenzio, non esiste in natura, non esiste nella percezione uditiva di un essere umano, sostiene John Cage. Il silenzio è piuttosto un tenue rumore di fondo. Da questo emergono i suoni, come dice Thoreau, i suoni sono come bolle sulla superficie del silenzio, bolle d’aria che increspano la superficie e poi scoppiano. La superficie del silenzio si gonfia, il silenzio assume una forma e poi si dissolve, si smembra di nuovo in se stesso. Qualsiasi increspatura, qualsiasi bolla, può essere spunto, e noi attendiamo l’attacco del suono per cercare degli spunti. Gettiamo un seme musicale, lo prendiamo e lo sviluppiamo gradualmente, lo lasciamo crescere, diventare adulto e poi ne curiamo la morte progressiva. Siamo vicini al suono, ai suoi piccoli cambiamenti, ne curiamo i dettagli, lo trasformiamo con cura, ne conosciamo le dimensioni e sappiamo proiettarne le caratteristiche e comprenderne le molteplici invarianze. Dice Pareyson: allo spunto «l’artista sa di non potergli dare uno sviluppo qualsiasi, di non poter trattarlo a caso e arbitrariamente, di non poterlo forzare in altre direzioni». Lo spunto si dà in un tempo, e questo tempo ha una sola direzione? E il tempo dello sviluppo? È continuo o discontinuo? non può prendere altre direzioni? E allora proviamo a gettare un germe, un suono, un breve frammento sonoro, un seme. Coltiviamo il suono del seme affinché possiate nutrirvi delle sue qualità nel tempo della sua evoluzione. L’esercizio può essere fatto singolarmente oppure in gruppo. I musicisti si mettono in cerchio. A turno, un musicista propone un breve «seme musicale». Può trattarsi di un singolo suono, di un frammento melodico, di un accordo ecc. Tutti i musicisti ascoltano il «seme». Collettivamente iniziano a improvvisare «partendo» da quel suono, cercando di farlo crescere come fosse una pianta (o un animale, o un qualche essere). Una volta «adulto», questo «essere» invecchia e muore. A quel punto il musicista successivo getta un altro seme e l’esercizio ricomincia. L’esercizio è molto interessante perché stimola un’attenta concentrazione nei confronti del suono, in particolare, il tentativo di trasformare il seme non può prescindere dal tenere alcune invarianze che lo rendono nel tempo il medesimo seme. Il processo di modificazione del seme è continuo rispetto alla sua trasformazione, ma invariante rispetto alla sua natura di seme, ciò significa che ogni musicista implicitamente coglie un’invarianza e sceglie una serie di trasformazioni che modificano il seme fino a farlo diventare qualcos’altro, nella logica del tenere, dissolvere, cambiare l’invarianza stessa. Inoltre, accade quasi certamente che alla fine dell’esercizio, dopo aver gettato svariati semi, ogni musicista si ricordi perfettamente il seme che ognuno ha
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L’esercizio s’ispira a una riflessione di Luigi Pareyson da cui traggo un’analogia fra l’idea di spunto e quella di seme. Cfr. L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Bompiani, Milano 2010, p. 77 e sg.
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concepito e messo a disposizione degli altri. Infine, l’esercizio spinge a cercare nel suono le caratteristiche che ne possono determinare lo sviluppo grazie a un ascolto attento e a un processo collaborativo molto stretto con gli altri musicisti.
3.4. Il rapporto fra suono e silenzio Un musicista che attacca un suono non è simile a una divinità che dal nulla crea qualcosa, che dal silenzio crea il suono. Di nuovo, quest’idea poggia su di una concezione lineare del rapporto fra suono e silenzio. Da una parte abbiamo il suono, dall’altra il silenzio, visti spesso come due estremi se non come due contrari. Se c’è suono non c’è silenzio e viceversa. Questa idea trasforma anche la nostra percezione del tempo musicale e ci fa considerare il suono e il silenzio come due eventi separati, ma inscindibili, in un rapporto di consequenzialità. Al suono segue il silenzio e al silenzio segue il suono. Dall’avvento della tonalità fino a Webern, il silenzio si è condensato nella pausa, come quell’intervallo di tempo in cui il suono è assente. «Thoreau ha detto che i suoni sono bolle sulla superficie del silenzio. Esse esplodono. La questione è sapere quante bolle ci sono sul silenzio»14. Queste le parole di John Cage tratte dal libro Per gli uccelli che introducono il problema del rapporto fra suono e silenzio. Se vogliamo rimanere nell’analogia e prendere spunto da essa è utile isolare due immagini. Suono e silenzio appartengono secondo Cage allo stesso ambito, quello dei suoni, che si gonfiano e increspano la superficie del silenzio come tante bolle d’aria. Cage non ci dice cos’è che «scalda» il silenzio, che lo fa bollire come fosse acqua in una pentola. Non ci dice cos’è che riempie queste bolle, non ci dice cos’è quella «cosa» che trasferisce energia cinetica alla superficie e la fa punteggiare di bolle. A Cage interessa eliminare ogni visione concettuale che intenda strutturare e organizzare i suoni, intende negare l’esistenza della musica in quanto costrutto teorico. Cage intende separare i suoni da tutto ciò che è a loro estraneo. Ogni «teoria» intorno ai suoni, ogni organizzazione esplicita dei suoni, ogni teoria compositiva non riconosce la vera natura dei suoni e di conseguenza non li riguarda. La riduzione del silenzio a suono produce un allargamento dell’orizzonte sonoro fino a farlo coincidere con il campo dei suoni della natura. In questo modo il rapporto fra suono e silenzio cessa di essere di alternatività. Il suono non è d’impaccio al silenzio e viceversa. Il suono e il silenzio si scambiano, si trasformano l’uno nell’altro. Una bolla di suono non è altro che il silenzio che si gonfia, cambia la propria dinamicità interna, tende ad espandere fino poi a tornare ciò che era, al suo stato di equilibrio originario. Se pensiamo al silenzio, pensiamo a qualcosa di cui non possiamo dire che «proviene da». Il silenzio non ha una direzione e niente in lui proviene da qualche parte. Niente nel silenzio si avvicina o si allontana, niente proviene da sinistra o da destra, nel silenzio qualsiasi cosa perde la sua direzione. Si potrebbe dire che il silenzio è la condizione perché i suoni siano inseriti nello spazio; se qualcosa si muove, si muove nel silenzio che lo accoglie. Ma questa considerazione è ancora troppo astratta. I suoni emergono dal silenzio nel momento in cui ascoltiamo. Abbiamo visto che la differenza sostanziale fra suono e silenzio non esiste. Il silenzio è suono profondo, il suono è silenzio superficiale. Ecco come anche la nostra lingua naturale è ricompresa alla luce di queste riflessioni. Spesso difatti diciamo «il silenzio profondo» per voler dire un silenzio che più silenzio non si può, un silenzio «assoluto». La profondità del silenzio sta proprio nella
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J. Cage, Per gli uccelli, Testo Immagine, Torino 1999, p. 12.
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sua condizione d’immersione completa. Nel momento in cui diviene bolla emerge in superficie e diventa suono. Le profondità sono silenziose, sono buie e fredde. Tutte qualità che rimandano al silenzio e alla sua immobilità, alla sua staticità. Il silenzio è freddo, il suono è caldo15. Il suono scalda, porta luminosità, incita allo svago e al divertimento a differenza del silenzio che concilia lo studio, la lettura, la riflessione. Il suono è caldo nella forma del vibrare e nel linguaggio musicale si parla di suono caldo di certi strumenti. La musica comunica un’idea di caldo se è messa in relazione al movimento, al ballo, alla danza. Il silenzio porta dentro, in profondità, il suono porta fuori, in superficie. Ciò che permette al silenzio di emergere e diventare suono è il nostro ascolto. Non c’è differenza fra suono e silenzio se non nel nostro modo di ascoltarli. Pensiamo ad esempio alla protagonista del film di Lars Von Trier Dancer in the Dark. Forse che lei sente impulsi acustici diversi dalle altre persone? Non frequenta forse gli stessi ambienti dei suoi compagni di lavoro? Eppure il più piccolo rumore, compreso il rumore di fondo, perfino il silenzio della cella dove è rinchiusa può emergere e diventare suono, diventare musica. Sebbene affetta da sinestesia16, la sua stupefacente capacità è di ascoltare con modalità con cui gli altri non ascoltano. Molte sono le modalità di ascolto che si possono utilizzare: alcune più «musicali» relative al campo sonoro e alle altezze, alcune relative alla spazialità per come il suono entra nello spazio fisico, alcune modalità abbracciano ambiti scientifici (sistemi di ascolto per scopi medici), altre cognitive (come funziona la nostra capacità di ascolto in quanto facoltà cognitiva), altre sociologiche (che relazione c’è fra ascoltare un brano di musica pop e un brano di musica «colta contemporanea», e quali risvolti per il mercato musicale), modalità comunicative (come si ascolta durante una discussione, oppure in pubblico durante una orazione). Tutte insieme formano la facoltà dell’ascoltare ovvero l’«indugiare presso l’udire che può assumere varie forme»17. L’errore metodologico di veder nascere il suono dalla rottura del silenzio si basa anche su di una troppo unilaterale convinzione concettuale ovvero la concezione del suono come di una lama che lacera la superficie di un foglio che sta per il silenzio. Si tratta di una visione parziale del fenomeno sonoro, «il silenzio viene qui prospettato come una superficie opaca, continua, perfettamente omogenea, che viene lacerata dall’apparire del suono» 18. Quest’immagine del rapporto fra suono e silenzio «[…] solo in parte aderisce alla concretezza di questo rapporto. Essa sembra subito troppo semplice, troppo unilaterale. Soprattutto si può sospettare che in essa faccia sentire il suo peso il pensiero del silenzio come pura assenza di suoni, come un concetto puramente negativo»19. In conformità a questa visione unilaterale nascono dunque tutti i condizionamenti psicologici relativi all’attacco musicale. Se pensiamo che attaccare un suono significhi rompere, tagliare il velo del silenzio e portarlo in superficie, ebbene quest’operazione è effettivamente traumatica,
15 «Tutto intorno era immobile, in un silenzio freddo e pesante, sotto il cielo di un azzurro di diaspro, che aveva qualche cosa di pietroso», così Grazia Deledda nel Cedro del Libano, dove l’immobilità e il freddo si affiancano al silenzio oppure Victor Hugo nei Miserabili, «Nessuno si muoveva, nessuno parlava; non un respiro, ma un gelido silenzio profondo; senza quella luce, si sarebbe potuto credersi a fianco d’un sepolcro» dove il silenzio diviene gelido, immobile, senza alcun respiro, profondo, e infine il richiamo alla morte; «sentivo dietro di me il silenzio spaventevole della stanza, quel silenzio freddo che è intorno ai cadaveri…», così Gabriele D’Annunzio nel suo Giovanni Episcopo. Infine S. Giovanni Della Croce nel suo Fiamma viva d’amore nel quale afferma «per ascoltare ciò che Dio dice all’anima è necessario un profondo silenzio». 16 La sinestesia è la contaminazione dei sensi nella percezione per cui l’insorgere di una sensazione è determinato da una percezione di natura sensoriale diversa. 17 Cit. Piana 1996, p. 71. 18 Ivi, p. 65. 19 Ivi, p. 65.
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molto materiale, al limite violenta. È comprensibile che un numero piuttosto grande di musicisti abbia problemi di emotività e d’insicurezza riguardo alla pratica del suonare. La stessa parola attaccare è fuorviante, nel senso di iniziare, ma anche di prendere d’assalto. Ci sono elementi legati alla fisicità del suonare che rischiano di diventare predominanti. L’esecutore ha a che fare con problemi di natura fisica, legati alla tecnica strumentale, ma anche problemi concettuali che riguardano sia la tecnica sia la pratica strumentale nel suo complesso. Il caso dell’attacco è un caso emblematico: si studia normalmente come un problema che soltanto la ripetizione meccanica dell’esercizio e la sua pratica assidua possono risolvere. In realtà l’attacco del suono implica scoperte e riflessioni legate alla natura del suono in rapporto al silenzio e al respiro. Difatti, dopo ore, giorni e spesso anni di pratica di studio dell’attacco, molti musicisti entrano di nuovo in ansia e in crisi di fronte all’ennesima esibizione. Nella pratica strumentale il suono e il silenzio sono difatti in strettissima relazione con il respiro. Le tecniche per imparare a ben respirare sono numerose, autentici corollari delle più disparate discipline, training autogeno, yoga, psicoterapia funzionale, bioenergetica ecc… In misura maggiore o minore tendono ad affrontare il problema dal punto di vista fisico (respirazione polmonare, respirazione diaframmatica, respirazione alta, respirazione bassa, addominale ecc…) oppure dal punto di vista «spirituale» (esercizi di rilassamento, meditazione, tecniche yoga ecc…). In generale tendono a dimenticare il suono e il fatto che il musicista ha a che fare con i suoni (diciamo pure con la musica) e che qualsiasi tecnica di respirazione non può prescindere dalla sfera sonora. In realtà, esiste una stretta relazione fra suono, silenzio e respiro. Iniziare a respirare (prima di attaccare un suono) è già stare nel silenzio. E il silenzio è parte del discorso musicale, è in un certo senso già musica. Difatti ogni frase musicale ha un proprio levare, un proprio respiro che la precede. Quel respiro è già in parte «scritto» nella frase musicale. La musica acustica integra in modo essenziale il respiro al suo interno. Ad esempio, il respiro è una delle tante cose che differenziano la musica acustica dalla musica elettronica. Una frase musicale, la sua lunghezza, la sua dinamica, il suo rapporto con la tecnica strumentale, deve fare i conti con il respiro. Se vogliamo tornare all’analogia iniziale potremmo dire che il respiro è quella forza che permette di far bollire la superficie del silenzio e di far esplodere il suono. Il respiro quindi incurva la superficie piatta del silenzio e imprime una forza che spinge fuori il suono. Iniziare a respirare è imprimere una direzione al brusio di fondo del silenzio. Il respiro circoscrive una durata che inizia con l’inspirazione e finisce con l’espirazione. D’altra parte il respiro non indica una durata all’interno della quale svolgere il nostro «discorso» musicale, ma indica un campo entro cui dal silenzio il suono nasce, cresce e poi vi ricade. Il silenzio, sostiene Stockhausen, è relativo alla durata del suono; io penso che il silenzio è il principio nonlineare che permette al suono di dispiegarsi, l’invarianza che accompagna ogni fenomeno sonoro. Il respiro è la manifestazione del silenzio che si scalda e anima il suono. Suonare sul respiro è un’espressione che si sente spesso usare e che adesso si colora di un nuovo significato. Suonare sul respiro significa assumere il silenzio a principio nonlineare verso cui far convergere il suono che si dispiega. Non sono le regole della grammatica musicale che guidano il fraseggio del musicista, ma la possibilità di compiere di nuovo il percorso che dal silenzio porta al suono e poi di nuovo al silenzio. Il tempo metronomico poggia sul valore delle durate dei suoni. A questo livello il silenzio non è altro che la durata della pausa che intercorre fra un suono e un altro, è congelato, è incastonato fra le durate dei suoni. La durata svela soltanto una parte del suo significato, quella che la fa essere etimologicamente una declinazione di «durare», dal latino durus, inflessibile, resistente. I suoni si fanno durate, occupano lo spazio del tempo, il silenzio diventa lo spazio vuoto, ciò che il suono occupa. Se le durate acquistano materialità e permanenza, il silenzio finisce per essere immateriale e inconsistente. Ma i suoni non sono soltanto dura-
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te e il silenzio, oltre Stockhausen, non è soltanto relativo alle durate dei suoni. I suoni sono durate secondo un’idea lineare del tempo, ma sono silenzi se consideriamo la loro invarianza fondamentale. Va da sé che la consapevolezza di star «suonando» nel momento precedente l’attacco del suono cambia la mia disposizione nei confronti dell’attacco stesso. Ascoltare il silenzio è ascoltare una trama fitta di suoni che come sopiti aspettano di essere spinti in una direzione o in un’altra, è come ascoltare una soglia di suoni indistinti, senza presenza, che non hanno collocazione, non si sa da dove vengono e dove vanno. In questo senso ogni rumore circostante, compreso il rumore del pubblico che assiste a una performance entra a far parte del nostro orizzonte sonoro. Sta a noi capire quali rumori ascoltare e in quale modalità di ascolto. Il rumore di una sedia che scricchiola può sembrare come un raggio di luce che fa brillare la superficie del silenzio senza che ciò turbi più di tanto il nostro ascolto. Qualcuno che tossisce in sala può imprimere una forza notevole al silenzio e indurre il nostro respiro a ondeggiare fino a far emergere il suono, fino ad attaccare diversamente una nota. Il gioco dei suoni inizia molto prima dell’attacco della nota da parte del musicista; inizia ascoltando il silenzio, la sua natura, che ogni volta cambia. Essa dipende dal luogo, dal tipo di pubblico, dal tipo di performance, dalle mie emozioni, dall’ora del giorno, da cosa andrò a suonare ecc… Tutto ciò presuppone che il nostro modo di concepire i rapporti fra suono, silenzio e respiro, siano diversamente intesi rispetto al modo solito. Ho indagato questi rapporti in uno studio che ho condotto intorno al rapporto fra suono e silenzio nei contesti nonlineari20, studio che ha messo in evidenza i rapporti fra suono, silenzio, improvvisazione e nonlinearità usando strumenti concettuali tutt’altro che orientali. In quello studio sostengo che l’improvvisazione è il viatico migliore per iniziare lo studio di contesti nonlineari dal momento che privilegia la temporalità del presente. Grazie all’elaborazione di appositi esercizi d’improvvisazione è possibile indagare la questione del rapporto fra suono e silenzio. La questione nonlineare apre l’indagine sul rapporto fra suono e silenzio verso direzioni in cui il suono e il silenzio non sono visti soltanto come opposti, come eventi separati e alternativi. Difatti, accanto a quest’idea si affianca quella del silenzio come una delle condizioni fondamentali delle molteplici invarianze del suono. Il suono nasce dal silenzio e torna nel silenzio; il silenzio consente al suono di sussistere e lo fa in svariati modi di cui tre fondamentali: il primo considera il suono come qualcosa che può rompere o annullare il silenzio, il secondo è quello per cui il silenzio è il sostrato dal quale il suono emerge, e infine quello per cui suono e silenzio perdono la loro riconoscibilità e i loro contorni. Attaccare un suono quindi è un’operazione che deve essere fatta nella consapevolezza delle componenti lineari e nonlineari del suono. Questa consapevolezza consente di avere un’idea arricchita del suono e del suo rapporto con il silenzio. Ancora un’ultima riflessione di natura fenomenologica. Come abbiamo detto, aver trascurato l’elemento nonlineare del suono ha condizionato la nostra idea del silenzio, che si è manifestato quasi esclusivamente come interruzione del suono, come arresto del movimento, come cessazione della voce discontinua. Il movimento cessa anche tenendo una nota e ciò in realtà rivela l’altra faccia del silenzio, ovvero il suono statico, fermo, «silenzioso», quello in cui si percepisce maggiormente l’invarianza che la discorsività. Fortunatamente, l’analisi fenomenologica porta alla luce innumerevoli possibili sintesi alternative, non necessariamente il silenzio è assenza di suono, esso emerge come la sintesi di una complessa formazione di senso che lo rende possibile
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Per un approfondimento si veda M. Cosottini, Il silenzio nei contesti nonlineari, tratto dal seminario permanente di Filosofia della Musica dell’Università di Milano, http://ettoregarzia.blogspot.it/2013/04/lo-studio-del-silenzio-in-contesti-non.html.
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come «presenza», se vogliamo una «presenza sonora» strutturata, percepibile. Quando il suono si scioglie nel silenzio, non si tratta mai di un abbandono, esso tiene il silenzio abbracciato al tempo. Ecco che il silenzio risuona, proprio del suono da cui ha preso le mosse. Non conviene guardare al silenzio come un’assenza, a meno di tradire la nostra capacità di sintesi dei fenomeni percettivi. Un suono inizia, poi diminuisce fino a scomparire, poi riprende, cresce di nuovo e alla fine si interrompe. Il silenzio della scomparsa, è un nascondimento, non la cessazione di esistere. Il suono successivo al silenzio non è un suono diverso, è il medesimo suono che riprende. Esso riafferra «visibilmente» il tempo, senza peraltro averlo mai mollato. All’idea dell’avvicendarsi lineare del suono e del silenzio subentra il rapporto fra invarianza e trasformazione tipico dei processi nonlineari.
3.5. Esercizi sul presente Gli esercizi sul presente fanno leva sulla capacità del musicista di stare sul presente, sull’ora, sul momento. Tale condizione è importante poiché l’improvvisazione agisce sulla temporalità presente in svariati modi. Se il processo creativo poggia prioritariamente sul presente allora il risultato sarà fortemente improvvisato, mentre se poggia sulla triade passato/presente/futuro allora l’improvvisazione avrà un carattere maggiormente compositivo (e il musicista sarà più un compositore estemporaneo che un improvvisatore). Un particolare tipo di temporalità è quella che Kramer riteneva essere connessa alla nonlinearità, ovvero il tempo verticale (vertical time). A tale proposito egli scrive «nella musica senza frasi, senza articolazione temporale, con una consistenza totale, qualsiasi struttura c'è nella musica, esiste tra gli strati simultanei di suono, non tra i gesti successivi. Quindi io definisco il senso del tempo di tale musica “verticale”»21. E più oltre: «Un pezzo concepito verticalmente, quindi, non esibisce un senso di chiusura su ampia scala. Non comincia ma semplicemente inizia. Non tende a un punto cruciale, non determina intenzionalmente aspettative interne, non cerca di soddisfare nessun aspettativa che potrebbe incidentalmente nascere, non costruisce e nemmeno rilascia tensione e non finisce ma semplicemente cessa. … Un pezzo concepito verticalmente definisce i confini del suo mondo sonoro all’inizio della performance e rimane lì entro e non oltre i limiti che sceglie»22. In seguito Kramer delinea l’analogia fra musica e scultura: un brano che manifesta un tempo verticale produce un’esperienza simile a quella del guardare una scultura, possiamo cogliere un dettaglio e poi tornare sull’insieme, avvicinarsi o allontanarsi, chiudere gli occhi e lavorare di memoria e poi riaprirli e riguardare di nuovo. Allo stesso modo un brano in vertical time può essere ascoltato nel dettaglio, ma dentro la percezione dell’intero che sappiamo, non cambierà. La temporalità verticale fa leva sul presente e lo dilata fino a farlo diventare un eterno presente. Il tempo verticale è caratteristico della nonlinearità. Sul tempo verticale insiste anche l’improvvisazione specialmente quando si basa su invarianze. Ciò significa che improvvisazione e nonlinearità hanno in comune la temporalità verticale. Ciò ci consente di costruire esercizi che dall’improvvisazione aprono alla nonlinearità insistendo sul tempo presente. I prossimi esercizi sono utili per incanalare sul presente il nostro processo creativo e lentamente aprirlo alla nonlinearità. La temporalità lineare è vincolata alla triade Passato/Presente/ Futuro: prima avevo in mente questa idea, adesso ci lavoro, dopo mi aspetto questo risultato. Essa condiziona fortemente la nostra pratica di musicisti, le nostre composizioni, la nostra improvvi21 22
Cit. Kramer 1988, p. 55. Ibidem.
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sazione, il nostro ascolto, per finire con la nostra capacità di giudizio estetico di un’opera musicale. La «creatività nonlineare» si affianca a quella lineare, ma funziona diversamente; il suo processo si basa sostanzialmente sul presente: adesso ho in mente un’invarianza e ci lavoro. Nel caso dell’improvvisazione musicale, il tempo presente (adesso) diventa dunque una relazione che vale sia per un’invarianza sia per il processo creativo (e non soltanto per il processo, come nel caso della creatività lineare). Se in generale l’improvvisazione ha un rapporto privilegiato con il tempo presente, la consapevolezza della nonlinearità apre all’improvvisazione grazie ad un rapporto speciale con il tempo, quello della temporalità verticale, una temporalità che si basa sulle invarianze e sull’ora. EPM: esercizio del metronomo suona un suono qualsiasi ogni volta che si illumina la luce del metronomo Questo esercizio è stato descritto nell’articolo «Nonlinearità per aprirsi all’improvvisazione musicale»23. Il metronomo deve funzionare soltanto con la luce. L’allievo deve essere capace di reagire tempestivamente all’accensione della luce producendo un qualsiasi suono. Io consiglio di suonare nel registro comodo dello strumento in modo da produrre un buon suono e concentrarsi per stare nel tempo presente con estrema lucidità. La difficoltà consiste nel tenere la nostra concentrazione su ciò che accade nell’“ora”», di impiegare ogni nostra energia nel valutare ogni minima variazione nella successione degli eventi che accadono nel tempo, eventi che non hanno per forza a che fare con la musica. Ogni evento che accade deve essere rilevato a livello cosciente. Poi sappiamo che all’accensione della luce deve corrispondere la produzione di un suono. Nessuna preoccupazione deve essere riposta su ciò che è accaduto o su ciò che accadrà, ma soltanto su ciò che accade ora. A livello cognitivo quindi non dobbiamo formulare alcun tipo di anticipazione24, ma mantenere lo sguardo vigile sul presente. L’errore che comunemente commettiamo nell’eseguire questo esercizio è quello di suonare all’accensione della luce, ma poi «sostituire» lo stimolo visivo con la pulsazione ritmica, quindi costruire un’anticipazione ritmica sulla base dello stimolo visivo. Il ritmo cognitivamente mi consente di aprire lo sguardo al futuro e anticipare il tempo in cui gli eventi sonori accadranno. L’accensione della luce invece non è legata a una qualche periodicità ritmica, è un fenomeno luminoso dal carattere sostanzialmente puntuale25. Lo sforzo è di suonare automaticamente in seguito allo stimolo luminoso evitando di tradurre lo stimolo luminoso in pulsazione. Stare nel presente è la modalità principale con cui improvvisare e grazie alla quale ci apriamo alla nonlinearità, all’ascolto cumulativo e all’individuazione delle invarianze. Per questi motivi è importante costruire esercizi che ci permettono di stare nel presente. EPSI: esercizio del silenzio improvviso suona e talvolta interrompi con un silenzio improvviso il discorso musicale
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Cit. Cosottini 2009, pp. 39-41. Uso anticipazione in senso fenomenologico, come quell’attività cognitiva che ci permette di formulare ipotesi concrete su ciò che accadrà e aspettarsi il loro accadimento. La definizione di anticipazione si trova in E. Negretto, The role of expectation in the constitution of subjective musical experience, Doctoral Thesis, Padova 2010 (http://paduaresearch.cab.unipd.it/2658/). 25 Questo esercizio suggerisce la costruzione di una nuova funzione nel metronomo, la «random time function», ovvero l’accensione casuale della luce (o la produzione casuale del suono). 24
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Questo esercizio chiede di intervenire coscientemente per interrompere il flusso musicale con un silenzio improvviso. L’allievo deve imparare ad ascoltare gli eventi musicali nella loro autonomia piuttosto che nella loro consequenzialità. L’esercizio consente di rendere evidente l’autonomia degli eventi musicali grazie alla discontinuità prodotta dall’inserimento improvviso di silenzi. La discontinuità è una delle caratteristiche musicali sintomatiche dei contesti nonlineari26. L’esercizio del silenzio improvviso agisce sul legame fra discontinuità e nonlinearità facendo leva sul silenzio come strumento per interrompere il flusso musicale. EPFI: esercizio della frase infinita improvvisa una frase musicale «infinita» Molto spesso i teorici della musica sottolineano la forte analogia fra la musica e il linguaggio, analogia che trova riscontro in numerosi campi di indagine, espressivo, formale e sintattico27. Ad esempio, la musica comunica, come comunica il linguaggio, è organizzata in frasi e sottofrasi, come anche il linguaggio. La consapevolezza nonlineare ci fa capire che quest’analogia non è esaustiva del funzionamento della musica. L’analogia musica/linguaggio è interessante, ma tralascia altre importanti considerazioni. L’esercizio della frase infinita spinge il musicista ad allontanarsi dalla logica discorsiva della musica. A titolo esemplificativo, una frase musicale è organizzata secondo un antecedente e un conseguente, come una frase linguistica è organizzata con un soggetto e un predicato. L’esercizio della frase infinita chiede che il conseguente non chiuda la frase musicale, ma diventi antecedente di una nuova frase. Questo è un esempio di frase linguistica infinita in cui alcune parole (quelle sottolineate) hanno una doppia funzione logica: il cane sta per mangiare è ciò che fanno le persone affamate di sangue le streghe uccisero quei poveretti risalirono il fiume in piena di grazia andò incontro al signore mancavano alcuni spiccioli per pagare c’è sempre tempo fa mi misi in cammino ecc… L’effetto è disorientante poiché il significato linguistico sembra scivolare e non compiersi, ma incanalarsi in nuovi rivoli di significato. La stessa cosa avviene in musica: nel momento in cui una frase musicale prende una direzione e si avvia a un compimento, questa imbocca una strada diversa. L’effetto è appunto quello del cambio continuo di direzione. Una frase musicale che non ha mai riposo è una frase che smorza la logica della tensione e della risoluzione (non c’è mai una tensione vera giacché non c’è mai una risoluzione piena). Questa logica è caratteristica della struttura antecedente/conseguente, ciò significa che anche questa logica è indebolita. L’indebolimento delle ragioni formali del fraseggio musicale mette in luce altre caratteristiche musicali, come ad esempio l’articolazione dei suoni, gli aspetti ritmici, la dinamiche oppure il timbro. L’indebolimento della logica discorsiva della musica mette in luce altre invarianze musicali, caratteristiche nonlineari della musica, elementi fondamentali dell’improvvisazione musicale e della didattica consapevole della nonlinearità. Ciò che si esperisce in questi casi è anche un tipo nuovo di temporalità, ovvero la multidirezionalità del tempo.
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La discontinuità da sola però non è una condizione sufficiente per avere nonlinearità, è necessaria anche una invarianza che riguardi il brano (o l’improvvisazione) nel suo complesso; vedi Cosottini, Studio del silenzio in contesti nonlineari, p. 2 (http://users.unimi.it/gpiana/XIV/casottini.htm). 27 Un’ottima e chiara introduzione al problema è contenuta in A. Bertinetto, Il pensiero dei suoni, Bruno Mondadori, Milano 2012, p. 55.
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EPTM: esercizio del togliere il metro togliere il metro dal proprio fraseggio EPTP: esercizio del togliere la pulsazione togliere la pulsazione dal proprio fraseggio EPTM e EPTP mettono fra parentesi altri due importanti elementi che sostengono vigorosamente un’idea lineare di musica e di improvvisazione. Il metro è l’organizzazione del tempo secondo una determinata periodicità di accenti, mentre la pulsazione è la regolarità nella successione di suoni o battiti. Togliere il metro è un primo passo per destrutturare l’idea architettonica che abbiamo della musica, un’idea che condiziona e consente lo svolgersi degli eventi musicali nel tempo, la loro successione e la loro consequenzialità. Tale «crisi delle fondamenta metriche» di un’improvvisazione ci consente di valorizzare i suoni indipendentemente dalla loro collocazione nella struttura ritmica e temporale. Pensiamo per un attimo al modo tipico di improvvisare di Charlie Parker nel momento in cui il suo fraseggio melodico, seppur ben piantato rispetto alla scansione armonica del brano, inizia e finisce in punti inusuali della struttura metrica del brano, astraendosi dunque da ogni riferimento metrico, con un effetto disorientante e particolarmente fluido28, nel complesso poliritmico. «La disponibilità di Parker a lasciare che le frasi trovassero la loro naturale lunghezza, indipendentemente dalle convenzionali quattro e otto battute, è splendidamente illustrata nella frase con cui apre la prima take della sua composizione «Klact-oveeseds-tene» (incisa il 4 novembre 1947 per la Dial) […] Quello che all’inizio sembrava una raccolta di gesti scollegati si ricongiunge in una unità complessiva di notevole effetto»29. Dal commento di Woideck si deduce come l’attenzione dell’ascoltatore passi dalla consequenzialità di singoli eventi musicali all’unità complessiva del discorso musicale, in altre parole l’ascolto tende a ricomprendere la musica a livello cumulativo e a cogliere un principio che vale per l’intero brano, in poche parole a individuare un’invarianza. EPS: Esercizio della scelta (o dell’Illuminare il silenzio) Suona un suono breve senza sovrapporti agli altri, continua l’esercizio. Questo è un esercizio che coinvolge l’ascolto e la capacità di scegliere il momento opportuno per suonare. D’altra parte, la logica della scelta non dipende da considerazioni formali o strutturali del brano, neanche da strategie condivise. Ciascuno «sente» quando è il momento opportuno di suonare, (si affida a Kairos, piuttosto che a chronos o Aion). Fra un suono e l’altro possono esserci silenzi lunghi o brevi, silenzi, non pause. In un contesto nonlineare come questo, il suono fa risuonare il silenzio che diviene «materiale». L’ascolto si concentra molto sulla materia del silenzio alla ricerca del momento giusto per ridare spessore a questo. Imparo il suono dal silenzio. Il problema di quando iniziare a suonare (e quando finire di suonare) è un problema importante per un improvvisatore. Si potrebbe pensare che c’è un momento «giusto» in cui iniziare a
28 C. Woideck, Charlie Parker, vita e musica, EDT, Torino 2009, p. 174. Dal commento di Woideck si deduce come l’attenzione dell’ascoltatore passi dalla consequenzialità dei singoli eventi musicali all’unità complessiva del discorso musicale, ovvero l’ascolto tenda a ricomprendere la musica a livello cumulativo. 29 Cit. Woideck 2009, p. 174.
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suonare e un momento in cui smettere. La stessa cosa avviene quando si discute in gruppo. Ad esempio, intervenire troncando la frase di un altro, oppure sovrapporre la propria voce a quella altrui, è qualcosa di sbagliato, che viola le norme di una corretta discussione di gruppo. Quest’analogia tiene anche in campo musicale, ma la consapevolezza di non «poggiare» il suono nel momento opportuno non deve sottomettersi alla regola che lo stabilisce. L’improvvisazione è quel campo d’indagine musicale nel quale le regole sono prese in considerazione, ma spesso sono violate oppure messe da parte per far spazio a nuove regole30. A volte la dissoluzione di una regola apre la strada per la costituzione di un’altra. Inoltre, le regole del buon dialogo musicale si costituiscono il più delle volte durante la discussione stessa. Anche l’idea di errore connessa a quella di violazione di una regola si confà alle condizioni proprie di un contesto d’improvvisazione. Mentre nella composizione musicale la regola è esplicita e l’errore è individuabile e cancellabile, nell’improvvisazione musicale la regola è spesso implicita e l’errore impossibile da cancellare. In certi stili d’improvvisazione, come nel jazz, l’errore è valutato come una ghiotta occasione per farne una virtù, e dall’errore si costruiscono nuovi scenari musicali e nuove regole31. D’altra parte, il tipo di regole di cui stiamo parlando è il tipo lineare, di regole che ad esempio riguardano la buona condotta delle voci nella scrittura contrappuntistica, oppure la buona successione armonica nella modulazione. Analogamente, attaccare nel momento giusto per un improvvisatore, può significare entrare alla fine del solo precedente in un blues, oppure usare la scala musicale adeguata rispetto agli accordi del brano. Ma le regole interne di una composizione o di un’improvvisazione musicale non sono soltanto di natura lineare. Esse riguardano anche invarianze e dunque caratteristiche della musica che rimangono le stesse nel tempo. Il «rispetto» di un’invarianza durante un’improvvisazione non è analogo al rispetto di una regola di tipo lineare. Tale rispetto può prescindere dal rapporto di consequenzialità degli eventi musicali, non dipende in sostanza dalle implicazioni che vedono legate le note una all’altra. Ciò significa che possiamo prescindere dalla preoccupazione di star producendo il suono «giusto», se per giusto s’intende quel suono e soltanto quel suono che rispetta una qualche regola lineare stabilita dalla tradizione o stipulata per convenzione, viceversa ogni suono sarà quello giusto se rientra nel novero delle trasformazioni possibili rispetto a una certa invarianza. Inoltre, qualsiasi invarianza è «buona» per «poggiarvi» sopra un suono, e il rispetto di un’invarianza non è qualcosa di prescritto poiché avviene nel momento stesso dell’improvvisare. Ecco che la preoccupazione di «quando entrare» (e come) è una preoccupazione che deve lasciare il posto alla consapevolezza dei suoni che in ogni momento (presente) io emetto, una coscienza diciamo formativa, anziché conservativa. Questo esercizio ci consente di concentrarsi sul suono, sul tempo e sul silenzio per prendere una scelta. Ma questa scelta non avviene in conformità a una qualche logica compositiva (non ci sono frasi musicali che dobbiamo considerare e rispettare, non ci sono antecedenti e conseguenti, non ci sono pause), ma dall’ascolto accurato, forte, del suono e delle sue qualità32. C’è un esercizio molto inter3essante per due musicisti di Vinko Globokar33 che stabilisce di iniziare a suonare cercando di attaccare nello stesso momento (i musicisti hanno gli occhi ben-
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Cfr. Bertinetto 2016, in particolare il cap. 7. Cfr. A. Bertinetto, Do note fear mistake - There are none, in M. Santi, E. Zorzi (eds.), Educations in jazz, Cambridge Scholar Publishing, Cambridge 2016. 32 Sul rapporto fra improvvisazione e silenzio si veda anche M. Vitali, Alla ricerca di un suono condiviso, Franco Angeli, Milano 2004, p. 51 e sgg., e inoltre M. Piatti, E. Strobino, Grammatica della fantasia musicale. Introduzione all’arte di inventare musiche, Franco Angeli, Milano 2011. Sul concetto di «emergenza» in musica è interessante consultare R. Gagel, Improvisation als soziale Kunst: Überlegungen zum künstlerischen und didaktischen Umgang mit Improvisatorischer Kreativität, Schott Music, Magonza 2010. 33 V. Globokar, Individuum - Collectivum, Unicopli, Milano 1986, vol. V, scheda 26c. 31
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dati). Fra un suono l’altro si fa una pausa per poi tentare di nuovo di attaccare insieme. Dopo un po’ (si può sperimentare facilmente), circa due o tre tentativi, l’esercizio riesce, i due musicisti attaccano insieme. Globokar dice che il tempo da soggettivo diventa intersoggettivo. Allo stesso modo, l’Esercizio della Scelta riesce nel momento in cui è il silenzio che diventa intersoggettivo, il suono «illumina» brevemente il silenzio sul quale il suono di ogni musicista si poggia (e il musicista viene «chiamato» dal silenzio a suonare proprio per mantenere la presenza del silenzio nel tempo). Un esercizio interessante dal punto di vista nonlineare è quello proposto da Reinhard Gagel34 chiamato «Time Brackets». Egli stabilisce tramite indicazioni partiturali delle porzioni temporali all’interno delle quali il musicista può improvvisare. Le porzioni temporali individuano dunque i momenti di suono (possibile) in un continuum di silenzio. Questo esercizio solleva il musicista dalla responsabilità di quando iniziare e quando finire di suonare, problema non da poco per ogni improvvisatore neofita. Inoltre spinge il musicista a costruire percorsi sonori in breve tempo, e abitua a dare importanza ai momenti di silenzio fuori dalle time brackets. In entrambi i casi, il silenzio è qualcosa che, in un certo senso, è realizzato a posteriori. Finisco di suonare (perché finisce la parentesi temporale in cui mi è consentito di suonare) e poi realizzo che il silenzio emerge. Ho sperimentato con Gagel questi esercizi e sostengo la loro utilità per la riuscita dell’improvvisazione. Inoltre, c’è un’indubitabile «disciplina» nel suonare. Infine, sapere (all’incirca) quando iniziare e quando finire di suonare, trasmette tranquillità. D’altra parte il silenzio non vive soltanto nella definizione del tempo del suono, le time brackets stabiliscono il tempo del suonare e di conseguenza quello del fare silenzio. Il silenzio è vissuto «sulle spalle» del suono e del tempo che il suono delinea. A mio avviso l’Esercizio della Scelta ha il vantaggio di non prescrivere un’idea di organizzazione temporale e quindi di non pensare in termini di ciò che è stato, è e deve succedere. Il suono e il silenzio non sono organizzati linearmente. Nel fare l’esercizio, il suono propone i suoi confini e il musicista è in ascolto per accoglierli e decidere quando il suono si spegne nel silenzio sempre presente. È la percezione del silenzio che diventa intersoggettiva, ognuno lo percepisce in ogni momento «sotto i suoi piedi», e poi sa di avere una «lampadina sonora» con la quale illuminare a tratti il percorso, la superficie del silenzio. Non è facile spiegare l’esercizio per la difficoltà di parlare dell’invarianza del silenzio. È difficile stabilire quali sono le trasformazioni possibili che non compromettono l’invarianza del silenzio; indugiare presso il silenzio è il punto di partenza per questa ricerca. EPAS: esercizio dell’ascolto del suono Suona un suono breve cercando di sovrapporti agli altri, continua l’esercizio. Questo esercizio è basato su una regola contraria alla precedente. In questo caso l’ascolto converge verso il punto di attacco del suono affinché i suoni possano sovrapporsi. L’idea della coincidenza su di un punto temporale ha un carattere di limite, e praticamente di impossibilità esecutiva. Di nuovo, l’azione dei musicisti tende a un’impossibilità per compiersi. Se nel primo caso i musicisti convergono verso la periferia del suono-sfera che via via s’ingrandisce alla ricerca di un luogo «puramente silenzioso» in cui poggiare il proprio suono, nel secondo caso si converge verso il suono-punto, momento di estremo addensamento sonoro. Imparo il silenzio dal suono.
34 Esercizio che ricorda strutturalmente i Number Pieces di John Cage (anche se niente è specificato su ciò che il musicista deve suonare) e che Reinhard Gagel ha proposto durante il Laboratorio sull’improvvisazione che abbiamo tenuto insieme ad Arezzo a luglio 2013.
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3.6. Esercizio della lettura e scrittura Il segno grafico è molto diffuso nella pratica improvvisativa, malgrado le definizioni del termine «improvvisazione» prescindono da qualsiasi riferimento al segno. Generalmente l’improvvisazione è considerata quella pratica musicale che produce opere musicali senza l’ausilio di annotazioni scritte. Tale fatto può essere ricondotto alla differenza fra improvvisazione e composizione. La composizione è una pratica che tende a fare uso della scrittura mentre l’improvvisazione tende a farne a meno. A mio avviso l’improvvisazione e la composizione sono «tipi ideali di opposti che si compenetrano»35 e quindi lo studio dell’improvvisazione non può prescindere da pratiche compositive (e viceversa). A me interessa soffermarmi sulle implicazioni metodologiche che il segno grafico ha nei confronti dell’improvvisazione musicale. Per segno musicale intendo qualsiasi segno grafico, una grafia «che sia connessa organicamente con gli altri stadi dell’operazione musicale, che […] sia il segno di un’intenzione estetica connessa a una effettiva costituzione di opera d’arte»36. Ogni momento dell’agire musicale è interconnesso e ciò vale anche nel caso che vogliamo impostare una metodologia dell’improvvisazione. Apprendere a improvvisare è un processo che non si limita a saper manipolare un dato vocabolario di suoni o di segni, ma significa individuare i presupposti per affrontare ricerca intorno al suono, sulle sue caratteristiche lineari e nonlineari, facendo attenzione al suo modo di produzione e ai modi di rappresentarlo. Io intendo considerare il segno grafico all’interno del rapporto fra variabilità e stabilità che la scrittura determina, come lo stesso Guaccero suggerisce: «la grafizzazione spinge alla ricerca di un sistema e la lingua è proprio un sistema, aperto nel caso dell’arte e in cui coesistono le forze opposte della permanenza e della variabilità»37. Nel mio caso ciò significa rendere disponibile il segno grafico a un’interpretazione lineare e nonlineare in un contesto d’improvvisazione. Per tale scopo è utile utilizzare segni grafici, ovvero segni musicali in notazione non-standard. Gli obbiettivi didattici principali sono 1) improvvisare a partire dai segni grafici e 2) tradurre il suono in segno. La grafia è utile per modificare l’atteggiamento prevalente del musicista-interprete di fronte alla lettura di un segno che si risolve nella codifica segno-suono. Anche nel caso del segno grafico il musicista è chiamato a interpretare il segno, ma non nello stretto ambito dell’intepretazione partiturale, piuttosto in un contesto improvvisativo. Il segno grafico spinge il musicista a tenere l’atteggiamento dell’interprete pur mantenendo aperti i canali della creatività caratteristici dell’improvvisazione musicale. Il segno grafico assume su di sé il compito di fissare un’idea musicale e al tempo stesso di curarne l’evoluzione. Il segno grafico può essere letto in due modalità principali, quella lineare e quella nonlineare. Nel primo caso il segno è letto in modo orientato e suddiviso in parti autonome secondo un rapporto di consequenzialità. La lettura avviene nel tempo e secondo una direzione. Il musicista è simile all’interprete che legge ed esegue una partitura. La differenza consiste nel fatto che il «significato» del segno è assegnato nel momento stesso della sua esecuzione. Nel secondo caso il segno è letto in modo non orientato, nel suo complesso e nella sua autonomia. In questo caso 35
A. Hamilton, Aestethics and Music, Continuum International Publishing Group, London-New York 2011, p. 197. D. Guaccero, Per un fondamento critico delle grafie aleatorie, in Di Domenico Guaccero, Prassi e Teoria, Nuova Consonanza, Roma 1984, p. 110. 37 Ivi, p. 83. Condivido l’affermazione di Guaccero, ma preciserei che le forze della variabilità e della stabilità non sono opposte, casomai coesistenti. Esse agiscono a livelli diversi, per questo non si escludono a vicenda. 36
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
ogni elemento musicale è presente contemporaneamente. Il musicista riduce la sua funzione di musicista-interprete a favore delle sue capacità improvvisative. Una lettura lineare del segno evidenzia i suoi elementi particolari, una lettura nonlineare evidenzia il segno e le sue caratteristiche nel suo complesso, comprese le sue invarianze. Ogni segno può essere letto in modo lineare o nonlineare. In generale, una lettura lineare del segno produce un risultato musicale lineare, una lettura nonlineare un risultato nonlineare. Gli esercizi che seguono ci permettono di considerare il segno grafico per lo studio dell’improvvisazione individuale e collettiva.
Esercizi della lettura e scrittura (ELS) ELS (1a) lettura continua del segno ELS (2a) scrittura continua del suono ELS (1b) lettura proporzionale del segno ELS (2b) scrittura proporzionale del suono ELS (1c) lettura non-lineare del segno ELS (2c) scrittura nonlineare del suono ELS (1d) lettura lineare e nonlineare del segno ELS (2d) scrittura L e NL del suono ELS (1a) Lettura continua del segno Per «lettura continua» s’intende la lettura orientata del segno che procede in modo dettagliato. L’occhio dell’allievo scorre lungo la linea e osserva il tratto in modo millimetrico cercando di cogliere ogni sfumatura e cambiamento nel colore, nella forma, nella texture. A ogni variazione grafica della linea deve corrispondere una variazione sonora nell’esecuzione. Alcuni esempi (s’invita l’allievo a produrre di suo pugno alcune linee su carta usando il materiale da disegno che preferisce, grafite, carboncino, china ecc…)38:
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Ben presto l’allievo si accorgerà che l’uso della grafite piuttosto che della china determina un’enorme differenza nell’esecuzione dell’esercizio. Ogni materiale porta con sé differenti sfumature e cambiamenti e quindi differenti realizzazioni sonore.
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All’inizio l’allievo può stare su una singola nota e variare timbricamente le sottili sfumature della linea. Questa è una delle interpretazioni più semplici. Con il passare del tempo i parametri musicali saranno associati diversamente ai dettagli della linea generando soluzioni diverse e ugualmente valide.
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La lettura continua del segno è un buon esercizio per iniziar a improvvisare che ha molte affinità con l’EPM (l’esercizio del metronomo). Difatti la linea, una stimolazione principalmente visiva, determina un cambiamento sonoro, funzione che esercitava la luce nel caso dell’EPM. La produzione sonora non è vincolata ad alcuna logica musicale o teoria musicale, ma risponde a stimoli visivi, una sorta di «registrazione sonora» di variazioni visive. L’allievo deve preoccuparsi di stabilire un certo automatismo e una buona sincronia fra eventi visivi e sonori39. ELS (2a) Scrittura continua del suono L’ELS (1°) compie un percorso che va dal segno al suono. L’ELS (2°) compie il percorso inverso: dal suono al segno. L’allievo deve ascoltare un suono e segnarlo su di un foglio cercando di restituirlo nel modo più dettagliato possibile. A titolo di esempio inserisco alcuni esercizi fatti da alcuni allievi mentre altri allievi eseguivano brevi soli strumentali di due minuti. All’inizio è semplice associare l’alto e il basso del foglio all’altezza del suono mentre lo spessore della linea al suo volume. Di nuovo, non c’è limite all’indagine.
ELS (1b) Lettura proporzionale del segno Per lettura proporzionale s’intende la lettura del segno che associa a caratteristiche grafiche simili un’interpretazione musicale simile e inoltre modifica i valori per ogni parametro proporzionalmente. L’allievo non guarda la linea in modo continuo, millimetrico, ma deve suddividerla in parti simili dal punto di vista grafico, a queste parti viene associato un significato musicale. Ad esempio, se alla lunghezza di un tratto di linea è associata la durata di una nota, si ricava che alla metà di tale linea è associata metà della durata. Nello stesso modo agiamo rispetto ad altri parametri musicali come il timbro oppure l’intensità. Alcuni esercizi utili per una lettura proporzionale:
39 L’Esercizio del contorno descritto da Betty Edwards nel suo Disegnare con la parte destra del cervello è in un certo senso analogo. L’esercizio del contorno propone di mettere in corrispondenza uno stimolo visivo al movimento della mano. Il risultato grafico è secondario come secondario è il risultato sonoro nel caso dell’EPM; B. Edwards, Disegnare con la parte destra del cervello, Longanesi, Milano 2007, p. 101.
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Insieme alle linee ho aggiunto alcuni segni in notazione standard, come accenti o dinamiche. Rispetto alla lettura continua della linea, questo esercizio procede verso una progressiva organizzazione del suono. Ad esempio, se l’allievo associa alla lunghezza della linea la durata del suono, i valori delle durate dei suoni dell’intero esercizio saranno di conseguenza determinati. Lo stesso avviene se alla direzione della linea associamo l’altezza delle note. È chiaro che all’interno di questa griglia esistono enormi margini d’interpretazione40. Questo tipo di esercizio è nel complesso lineare, la lettura è orientata (da sinistra verso destra) e i vari elementi grafici sono interpretati in modo consequenziale41. ELS (2b) Scrittura proporzionale del suono Analogo all’esercizio della lettura proporzionale del segno abbiamo la scrittura proporzionale del suono. L’allievo deve interpretare in modo proporzionale il suono che ascolta e scriverlo graficamente su di un foglio42. A titolo di esempio un esercizio realizzato da un allievo:
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Si tratta di una vera e propria notazione musicale indeterminata. È da notare come si è arrivati alla scrittura indeterminata per una via inversa rispetto a quella che ha percorso la storia della musica colta occidentale. Le partiture grafiche che contengono notazione proporzionale sono nate da un «allentamento» delle griglie del sistema notazionale standard. In questo caso l’organizzazione del suono che l’esercizio determina è successiva all’esercizio della lettura continua del segno, esercizio in cui la consapevolezza strutturale del suono era minore. C’è un’altra differenza non da poco: l’EAT (a1), l’esercizio sul singolo suono, ha già creato una buona consapevolezza del suono e delle sue caratteristiche fondamentali. La forza organizzatrice del segno che determina l’Esercizio della lettura proporzionale è compresa alla luce della precedente indagine intorno al suono; questo fatto assegna il giusto valore al segno e alla notazione musicale ed evita che questa prenda il sopravvento sul suono nel determinarne la sua organizzazione. 42 Può essere utile far eseguire brevi soli strumentali alternando chi suona e chi scrive. 41
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ELS (1c) Lettura nonlineare del segno Per lettura nonlineare del segno s’intende l’interpretazione che a ogni elemento di invarianza grafica fa corrispondere un elemento di invarianza musicale. Così, ad esempio, se una serie di segni è eterogenea dal punto di vista del colore, ma esprime una invarianza nella continuità per cui gli elementi sono percepiti in modo coerente e continuo, allora musicalmente questa continuità sarà associata ad un’invarianza musicale, come ad esempio l’articolazione ritmica. Oppure, se un segno è denso dal punto di vista grafico, potrà essere interpretato come una costante timbrica. Di seguito un esempio di grafia per un esercizio di lettura nonlineare del segno:
Questi segni sono spiccatamente grafici, e non sono orientati, ovvero possono essere letti in qualunque direzione. In questo caso si è preferito la forma circolare e la densità di colore, per cui le invarianze grafiche risiedono in queste caratteristiche.
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ELS (2c) Scrittura nonlineare del suono La scrittura nonlineare del suono ci permette di fermare su carta graficamente il suono, o meglio una sua caratteristica nonlineare. Per far ciò dobbiamo essere in grado di individuare le caratteristiche nonlineari del suono. Esse non sono altro che le invarianze del suono, quelle caratteristiche che non cambiano nel tempo (è consigliabile eseguire questo esercizio dopo aver studiato l’esercizio di ascolto sull’individuazione delle proprietà NLl e quello della Restituzione). Questi sono due esempi di scrittura NL del suono realizzati dagli allievi. Il primo rappresenta due caratteristiche musicali NL, cioè convergenza e trasversalità:
Il secondo rappresenta un’altra caratteristica musicale NL e cioè il tempo spazializzato43:
43 Come si evince dagli esempi mostrati, nel rappresentare graficamente un contenuto NL si è portati alla complessità grafica (molte linee, molte curve, macchie di colore, textures diverse ecc.). Maggiore consapevolezza nell’uso del segno si matura con la pratica del segnare contenuti NL.
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ELS (1d) Lettura lineare e non-lineare del segno Questo esercizio unisce gli esercizi ELS (1b) e ELS (1c), cioè la lettura proporzionale con quella nonlineare del segno grafico. Ciò significa, per riprendere le proposte grafiche precedenti, che le caratteristiche nonlineari del «cerchio» saranno insieme a quelle lineari della «linea». Non c’è niente di contraddittorio in questa pretesa, giacché ogni suono vive secondo caratteristiche lineari e nonlineari nello stesso momento. Questi sono esempi di proposta grafica per esercizi di lettura lineare e nonlineare del segno:
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La lettura proporzionale si avvale della linea, che deve essere letta da sinistra a destra su più righi, mentre i cerchi determinano le invarianze nonlineari dell’improvvisazione44. ELS2d) La scrittura lineare e non-lineare del suono La scrittura lineare e nonlineare del suono inizia dall’ascolto di un brano musicale o di un’improvvisazione e termina con la sua scrittura. L’esercizio è più complicato degli altri. Ogni allievo deve decidere se scomporre la fase di scrittura lineare da quella nonlineare oppure immagazzinare tutto in memoria e alla fine del brano scrivere tutto su carta. La pratica rende ragione di una delle due scelte o di soluzioni intermedie. Il mio consiglio è di scegliere per una scrittura immediata dei contenuti lineari e nonlineari. In questo caso la scrittura corrisponde alle percezioni musicali nel mentre che accadono e non alla memoria di queste percezioni.
3.7. Esercizio della ricerca Esercizio completo della restituzione (ECR) L’Esercizio della Restituzione è l’esercizio che ho elaborato negli ultimi anni fino ad assumere la forma attuale che esemplifica i vantaggi del metodo nonlineare di studio dell’improvvisazione.
Con restituzione s’intende l’improvvisazione che utilizza le invarianze come punti di partenza. L’esercizio si basa sulle tre fondamentali capacità di ogni musicista, l’ascolto, la composizione e l’esecuzione. Di fatto mette insieme i frutti maturati nell’affrontare gli esercizi precedenti sul suono e sulla scrittura. Fin da adesso si capisce come l’esercizio coinvolga per intero le capacità cognitive di un musicista in modo che ogni fase ricomprende la precedente. In realtà ognuna di queste parole andrebbe virgolettata poiché l’ascolto in realtà è un tipo particolare di ascolto, quello cumulativo, la composizione riguarda segni grafici e l’esecuzione è specifica di segni grafici per contenuti nonlineari, quindi un’improvvisazione nonlineare. L’esercizio inizia con l’ascolto di un brano musicale (Fase 1) e quindi con un rapporto diretto con il suono e le sue caratteristiche invarianti. L’ascoltatore non deve concentrarsi sugli eventi sonori alla ricerca di rapporti causali o di rapporti consequenziali, ma tramite l’ascolto cumulativo deve individuare le caratteristiche invarianti della musica (Fase 2). In seguito si passa a fissare su carta tali invarianze grazie all’uso di un segno grafico (Fase 3)45. Le prime formulazioni dell’Esercizio della Restituzione non comprendevano le fasi 3 e 4 e dall’individuazione delle invarianze
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A ogni segno grafico è possibile associare anche più di una caratteristica nonlineare. Il modo di segnare le invarianze tramite un segno grafico è descritto nell’articolo di M. Cosottini, A. Pisani, Nonlinearità e segno grafico, cit., p. 22. 45
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si passava direttamente all’improvvisazione sulla base di tali invarianze. La conseguenza che otteniamo con l’introduzione della grafia è la definizione di contorni formali della nostra improvvisazione: contribuiamo cioè a costruire la nostra improvvisazione in modo unitario. Inoltre recuperiamo l’approccio esecutivo «interpretativo», ma applicato a contenuti nonlineari. Facciamo un esempio:
In breve quindi l’Esercizio della Restituzione consente di partire da un brano musicale che contiene elementi di linearità (L) e nonlinearità (NL) e di giungere a un nuovo brano musicale improvvisato dopo aver individuato e «scorporato» dal brano iniziale gli elementi nonlineari e averli poi restituiti.
L’Esercizio della Restituzione ha le caratteristiche proprie di una ricerca nonlineare che si basa sull’ascolto cumulativo e sulla ricerca delle invarianze. Il processo di restituzione stabilisce come prioritaria l’indagine sul suono tramite l’ascolto e la grafizzazione. L’introduzione del segno grafico ha lo scopo di «fermare» le invarianze e trascriverle su carta in modo da tenerle presenti nel momento dell’esecuzione. L’“interpretazione” di un segno grafico che sta per un’invarianza è diversa dall’interpretazione che noi facciamo di un segno notazionale standard. Mentre in quest’ultimo caso, a un segno associamo un significato univoco (alla nota Do il suono Do), adesso a un segno grafico associamo un principio, una caratteristica della musica che vale finché interpretiamo quel segno. Dal punto di vista didattico l’Esercizio della Restituzione consente al musicista di praticare l’improvvisazione da subito, evitando blocchi mentali e difficoltà di espressione. Non c’è un momento in cui un musicista è pronto per praticare l’improvvisazione; l’improvvisazione si pratica
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da subito, qualunque sia il bagaglio musicale e il livello tecnico del musicista. L’allievo che non ha esperienza d’improvvisazione non si trova di fronte a questo compito con il rischio di bloccarsi e non sapere «cosa fare» poiché l’esercizio della restituzione non pretende una conoscenza formale e teorica della musica e degli stili d’improvvisazione; esso consente di aprirsi all’improvvisazione senza timori, stimolando la creatività e l’espressività. EU: Esercizio del suonare INV In un contesto di improvvisazione collettiva, eseguire un solo sulla base di un’invarianza. Nella pratica jazzistica si usa dire «suonare in» e «suonare out» per indicare un modo di condurre il solo che rispettivamente rispetta la struttura armonica, ritmica e metrica del brano (in) oppure che ne tiene conto, ma tende a violarla (out) – esiste anche una terza possibilità, ovvero quella di «suonare free» in cui non si tiene assolutamente conto delle strutture armoniche, melodiche, ritmiche, metriche e formali del brano. In realtà, se consideriamo gli aspetti nonlineari di un’improvvisazione, si apre un’ulteriore possibilità, quella di suonare «INV», ovvero di suonare nel rispetto di un’invarianza che scegliamo come riferimento. Gli elementi lineari del brano, la sua successione armonica, la sua scansione metrica, il succedersi degli eventi musicali, non saranno rilevanti di per sé, ma lo saranno rispetto alle invarianze che emergono. Si tratta dunque di suonare individuando un’invarianza nel decorso musicale e di farne la struttura dell’improvvisazione. ER: Esercizio del cambio di segno Scegliere un’immagine (o un segno grafico). Eseguire collettivamente un’improvvisazione a partire da quell’immagine. Un musicista esterno al gruppo individua un’invarianza nell’improvvisazione e la esplicita verbalmente. Scegliere un’immagine diversa dalla precedente (o un segno grafico diverso). Eseguire una nuova improvvisazione a partire dalla nuova immagine mantenendo la precedente invarianza. Curiosamente l’invarianza che emerge dall’improvvisare a partire da un’immagine può «incarnarsi» in una nuova improvvisazione che prende le mosse da una diversa immagine. Ciò sottolinea il carattere flessibile del rapporto fra suono e immagine e della apertura interpretativa fra segno e suono. Lo sforzo dei musicisti consiste nel tenere l’invarianza cercando di operare quelle trasformazioni (suggerite dalla nuova immagine) possibili con l’invarianza stessa. ETI: Esercizio delle tre invarianze Improvvisare liberamente (collettivamente). Individuare insieme tre invarianze presenti nell’improvvisazione. Improvvisare nuovamente sulla base delle tre invarianze messe in successione cronologica. Esempio: 1) ritmo irregolare 2) atmosfera tribale 3) atonalità Curare il passaggio da un’invarianza all’altra in modo graduale. ES: Esercizio del mantenere il proprio spunto Improvvisare collettivamente. Tutti attaccano insieme. Ognuno propone il suo spunto. Ognuno adatta il suo spunto al suono collettivo. Nessuno deve rinunciare alla sua «idea» musicale. La possibilità di ascoltare gli elementi di nonlinearità ci garantisce che sono possibili trasformazioni affinché ogni spunto possa trovare terreno fertile per evolversi. Soltanto attraverso l’ascolto di ciò che persiste nel tempo, possiamo trovare strutture grazie alle quali modificare il nostro suono e inserirlo in un contesto collettivo.
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Spesso un musicista capisce che ciò che sta suonando non è la cosa giusta. La soluzione non sempre è quella di cambiare radicalmente ciò che si sta facendo. Il più delle volte il risultato consiste nell’introdurre una nuova idea musicale che mal si adatta al contesto. Più semplice è capire quali invarianze sono presenti nel suono collettivo e modificare la propria idea di conseguenza. Cambiare idea è una soluzione che genera interruzione, rottura della continuità, pause. Modificare il proprio suono insegna a cercare soluzioni nella continuità senza «pentirsi» di ciò che abbiamo proposto. Ovviamente, vi sono casi in cui si sceglie deliberatamente di cambiare bruscamente il nostro percorso, ma si tratta di una scelta e non di un ripiego. La scelta deliberata porta con sé la convinzione e non il dubbio o l’incertezza. In generale, non chiedere al nostro spunto di portarci per forza in una direzione, teniamo lo spunto e lasciamo che ci spinga a modificarlo senza necessariamente indicarci una strada. Spesso, l’ansia di imboccare una via ci impedisce di fare il primo passo. EPS: Esercizio della Perla Sonora Improvvisare collettivamente. Ciascuno ha a disposizione una sola Perla Sonora. Scegli con cura quando porla. L’esercizio vuole portare l’attenzione del musicista sul fatto che tutto ciò che suoniamo è in funzione di un’unica perla sonora, il punto di arrivo della nostra intenzione espressiva, il condensato della nostra cura del suono, della nostra volontà di «essere» musicalmente. Non tutto ciò che suoniamo è importante allo stesso modo. Talvolta lavoriamo per formare lo spunto di un altro musicista, talvolta contribuiamo alla dinamica complessiva, talvolta la nostra presenza sonora è chiara, altre volte assorbita nel tessuto sonoro d’insieme. Ciò che suoniamo non è sempre in primo piano, e la nostra presenza non è sempre quella di un oggetto che si staglia e si distingue dallo sfondo. In realtà la perla sonora è un traguardo che si nega, perché quando la porgeremo al cospetto di tutti, farà si che tutto ciò che abbiamo fino ad allora suonato acquisti un pieno e ricco valore, tutto diventerà retrospettivamente una collana di perle. Le funzioni sonore cambiano, e in questa consapevolezza possiamo trovare il senso per rendere ogni suono una perla.
3.8. Esercizi dell’Esame Approfondito Gli esercizi dell’Esame Approfondito hanno lo scopo di praticare l’improvvisazione da poche informazioni iniziali, le altezze, le dinamiche, le pause oppure i timbri46. EA (5n): l’esercizio delle cinque note scegli cinque altezze differenti e improvvisa usando soltanto quelle cinque. L’Esercizio delle cinque note chiede di scegliere cinque altezze differenti e di improvvisare usando soltanto quelle; è un po’ come avere a che fare con cinque perle, ognuna delle quali è diversa dalle altre, almeno per un aspetto. L’altezza potrebbe essere una variazione nella grandezza, oppure nel colore. Il timbro la loro superficie, la dinamica, la loro lucentezza. Suonare queste cinque perle significa osservarle, farle ruotare sul palmo della mano, cambiarne alcune caratteristiche, poi osservarle di nuovo in un continuo rinnovarsi di sfumature, di successioni e durate.
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Altri esercizi possono essere sviluppati partendo da pochi elementi iniziali, grazie ai quali costruire l’improvvisazione.
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È importante poter tornare sulla «stessa» nota, e suonarla, e risuonarla, ogni volta diversamente dalla precedente. Una nota non è mai lo stesso suono. Le cinque note sono sempre le stesse, ma i suoni che si possono produrre sono sempre diversi, diversa è la loro concatenazione, diverso è il loro modo di iniziare e di finire, diverso il loro timbro. Ecco che anche in questo caso, la preoccupazione dell’ordine di successione, della loro articolazione ritmica, in poche parole, la preoccupazione lineare è solo un aspetto del processo d’improvvisazione; è altrettanto importante «stare» sul suono e sulle sue invarianze, in questo continuo andare e tornare, muovere il suono (articolarlo) e fermarlo (stare su di esso). Come un oggetto che si può guardare da svariati punti di vista così queste cinque note possono mostrare ogni volta una proprietà diversa e interessante secondo il punto di vista. In sostanza, le indicazioni iniziali sono soltanto spunti il cui destino musicale viene scoperto nel farsi dell’improvvisazione. Quelle che si credevano le cinque note iniziali diventeranno altro e con sorpresa, di nuovo quelle cinque note (ma davvero le stesse?). EA (5d): l’esercizio delle cinque dinamiche scegli cinque dinamiche differenti e improvvisa usando solo quelle cinque. EA (5p): l’esercizio delle cinque pause scegli cinque pause di lunghezza differente e improvvisa usando solo quelle cinque. EA (5t): l’esercizio dei cinque timbri scegli cinque timbri differenti e improvvisa usando solo quei cinque. EA (5r): l’esercizio dei cinque rumori Scegli cinque rumori differenti e improvvisa usando solo quei cinque. EAPW: Esercizio dello Pseudo-Webern
Pseudo Webern - suonare piano - scegliere a piacere la formula - dolce e intimo
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Suonare piano scegliendo a piacere la formula, dolce e intimo. Varie indeterminazioni, come la scelta di durate, altezze e timbri, consentono al musicista di sperimentare varie soluzioni. Ciò che emergerà progressivamente non è l’importanza delle singole «frasi melodiche», ma le invarianze che emergono da queste. Dietro un contrappunto sostanzialmente lineare si erge un tessuto sonoro prettamente nonlineare.
3.9. Esercizi dell’Ascolto La lettura di Indeterminazione di John Cage47 del 1958, mi ha ispirato i prossimi due esercizi di ascolto. EAS (c1): esercizio dello spazio fisico Disporsi lontano nello spazio. Un minuto di silenzio. Emettere suoni lunghi. Trovare la dinamica che ci permette di ascoltare tutti gli altri. EAS (c2): esercizio del tempo fisico Disporsi lontano nello spazio. Un minuto di silenzio. Emettere suoni lunghi. Creare un arco dinamico. Normalmente la disposizione spaziale dei musicisti non è considerata in modo autonomo rispetto al risultato esecutivo. Nel caso di EAS (c1) viceversa essa determina il risultato sonoro. I musicisti si dispongono lontano nello spazio. Questo significa che il suono complessivo assumerà un peso diverso nel caso che l’ascolto giochi un ruolo attivo. I musicisti sono chiamati ad ascoltarsi, e a percepire le presenze sonore di ciascuno. Per far ciò la dinamica è condizionata dalla disposizione spaziale e a essa relativizzata. L’EAS (c2) agisce sul tempo in rapporto alla dinamica, ovvero alla presenza sonora di vari musicisti e non da un’idea di tempo cronologico. Il senso del tempo non dipende da un metronomo o da un orologio, ma dal modo in cui la presenza sonora di ciascuno contribuisce a dar senso al compimento di un arco dinamico. L’equilibrio fra l’ascolto degli altri musicisti e l’aumento della dinamica dipende dalla disposizione spaziale. Il senso del tempo è vincolato più a questioni di invarianze dinamico-spaziali di tipo nonlineare che metriche o cronologiche di tipo lineare. ECC: esercizio del cluster consonante Suonare piano. Il musicista A da un cenno di attacco. Emettere collettivamente un cluster di suoni lunghi. Il musicista A da un cenno di chiusa. Silenzio. Ripetere da capo l’esercizio eseguendo il medesimo cluster. Questo esercizio ha come scopo quello di modificare la percezione di una dissonanza in quella di una consonanza. La ripetizione del cluster, unita alla delicatezza dell’attacco e alla volontà di creare un suono collettivo compatto, determina un cambio di prospettiva nella percezione del suono. A ogni ripetizione del cluster, i musicisti s’impegnano a curare l’attacco del suono e soprattutto a convergere su alcune invarianze timbriche e dinamiche in modo tale che il suono complessivo risulti ben impastato e uniforme. La dissonanza, intesa come uno scontro di altezze cede il passo alla consonanza timbrica.
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Inserito in G. Bonomo, G. Furghieri (a cura di), John Cage, Marcos Y Marcos, Milano 1988, pp. 78-79.
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ECA: esercizio sulla cecità Disporsi lontano nello spazio. 1 minuto di silenzio. Immaginare di non avere alcuna esperienza sensoriale eccetto quella uditiva. Emettere suoni alla scoperta del mondo circostante. Nella lezione sul tempo Borges48 immagina di sottrarre ogni esperienza sensoriale dalla coscienza eccetto quella uditiva. Così, l’esercizio consiste nell’immaginare di avere soltanto la percezione uditiva e tramite questa di «scoprire» il mondo circostante. È possibile scoprire l’ambiente circostante al solo ascolto? La distanza delle pareti se siamo in una stanza, la presenza di altri musicisti, la loro disposizione, la loro presenza sonora? Cosa diventa il suono del respiro scisso dalla percezione corporea dell’ispirazione e dell’espirazione? Quando un suono è importante rispetto alla sua provenienza e quando rispetto al suo carattere immersivo? Quali caratteristiche del suono diventano rilevanti all’ascolto? EATS: esercizio dell’Ascolto della totalità dei suoni Collettivamente, emettere suoni lunghi. Ascoltare la totalità dei suoni come fosse una sfera. L’esercizio consente di sfruttare un’immagine comune, quella della sfera, affinché i vari musicisti si concentrino sull’ascolto dei suoni. Essi devono concentrarsi sulla totalità dei suoni, non dal punto di vista enumerativo (il numero totale di altezze? Il numero totale di timbri? Il numero totale di durate? Oppure di miscele di timbri o presenze armoniche?), piuttosto, sulla miscela che i suoni producono. L’idea della sfera ci porta a concepire un limite all’interno del quale gli eventi sonori si trasformano e mantengono certe caratteristiche. La conseguenza è una progressiva perdita di linearità del tempo, l’ascolto si focalizza sull’attimo presente che progressivamente si dilata per ospitare la totalità dei suoni. L’ascolto tende a trascurare la dimensione finita degli eventi (la loro successione, la loro durata cronometrica) e ad aprirsi verso un ascolto verticale, di tipo nonlineare. Variazione: emettere suoni lunghi, ascoltare la totalità dei suoni come fosse una sfera e poi ascoltare il proprio suono come fosse un punto. Ripetere l’esercizio indefinitamente. La variante dell’esercizio è interessante perché spinge a percepire la differenza fra suono puntuale e suono sferico, fra individualità sonora e suono collettivo, fra presenza singola e presenza complessa. Nel passaggio fra l’ascolto del proprio suono e quello del suono collettivo c’è uno shift nell’ascolto difficile da afferrare e tenere sotto controllo. Probabilmente le due modalità di ascolto sono radicalmente diverse e discontinue. Tali modalità sono alla base della nostra capacità di concentrarsi sulla specifica proprietà del suono piuttosto che sulle sue caratteristiche generali. Inoltre pare impossibile eliminare una modalità senza eliminare l’altra. Un ascolto esclusivamente sferico, come un ascolto esclusivamente puntuale, pare impossibile. In pratica, pare impossibile percepire la totalità dei suoni a prescindere dalla loro individualità, e questo a causa del fatto che i singoli suoni si svolgono nel tempo e nel tempo determinano la totalità stessa. Detto in altri termini, le caratteristiche lineari e nonlineari del suono sono co-presenti. ESS: esercizi sull’idea dello «stesso suono» C'è una distinzione tra quanto il pezzo dura e il tempo che un pezzo presenta o evoca. Music as Heard: A Study in Applied Phenomenology by Thomas Clifton. 48
Cfr. J.L. Borges, Oral, Editori Riuniti, Roma 1981, p. 61.
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
Ecco, un suono… ogni qual volta che io ascolto un suono, ho la percezione immediata che si tratti dello stesso suono. Ogni qual volta che io ascolto un suono che perdura ho la percezione che si tratti di quell’uno e medesimo suono che trascorre nel tempo. Perché? Cos’è l’identità di un suono nel tempo? È una domanda banale? È così evidente che il suono che percepisco è lo stesso? E come se non bastasse, la questione si complica. A un suono ne segue un altro, identico al primo, si parla di ripetizione dello stesso suono. Il fatto che un suono perdura non sembra essere una condizione necessaria per dire che un suono è lo stesso. La sua interruzione lo caratterizza per essere la ripetizione dello stesso suono. E ancora, il suono si trasforma, il suono non è mai lo stesso ogni volta che si presenta, nel suo perdurare cambia continuamente. Dice Husserl: «il suono stesso è il medesimo, ma il suono nel modo come appare è sempre diverso»49. Vive anch’egli nel dilemma del fiume eracliteo? Non proprio, se io posso sedermi sulla riva del fiume e osservarne lo scorrere delle acque, lo stesso non posso fare con il suono. Non c’è una riva dalla quale guardare o ascoltare il flusso sonoro, piuttosto io scorro con esso. È solo nella riflessione, dice Alfred Schutz50, che io posso arrestare il flusso, e guardare indietro. Solo a quel punto sono in grado di fare una qualche identificazione. Ma il suono-fiume non è più davanti ai miei occhi, o alle mie orecchie, è già sprofondato nel passato… Il suono è un fiume e una fonte, dal quale nascono le domande e nasce la musica. 1) – suona – quando un altro musicista suona un suono – suona lo «stesso» che stai suonando – cambia ciò che stai suonando quando vuoi 2) – qualcuno sta suonando – individua un’invarianza – suona la stessa invarianza che l’altro sta suonando 3) – suona lo stesso suono, ma non la stessa altezza 4) – suona lo stesso suono modificandolo nel tempo collettivamente – suonare lo stesso suono collettivo modificandolo nel tempo 5) – improvvisa un breve brano – individua un’invarianza – improvvisa un nuovo brano su la medesima invarianza – individua una nuova invarianza – improvvisa un nuovo brano su questa invarianza e cosi via… (anche collettivamente)
49 50
E. Husserl, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Franco Angeli, Milano 2001, p. 61. Cfr. A. Schutz, Frammenti di fenomenologia della musica, Guerini e Associati, Milano 1996.
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Esercizi sull’improvvisazione
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ETD: esercizio del tempo come durata L’idea del tempo è stata messa a confronto con l’idea della durata, e qualcuno ha preferito parlare di durata come la vera natura del cambiamento, mentre il tempo rivela la finzione che si porta dentro. È possibile aprirsi all’esperienza dei suoni, aprire una condizione di durata, far risuonare un oggetto e ascoltare il suono che decade, che si riallinea al silenzio. Questo tempo non è prestabilito, sarà ogni volta diverso rispetto ai vari punti di ascolto. Il trascorrere del tempo sarà la durata di un suono, le sue qualità, le varie stagioni, la sua intensità il tramonto, il silenzio un’altra forma del tempo. Suona il tempo come durata. L’esercizio può essere fatto individualmente o in gruppo.
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CAPITOLO 4
ANALISI DELL’IMPROVVISAZIONE
4.1. Ascolto attivo e scrittura creativa di un’improvvisazione Un modo per entrare in contatto con un’improvvisazione musicale è quello di ascoltarla e poi scriverla di nuovo cercando di annotare gli elementi lineari e nonlineari rilevanti, possibilmente durante la fase di ascolto. Si tratta di mettere in pratica l’esercizio ELS2d) «La scrittura lineare e non-lineare del suono». La scrittura in «verticale» ci consente di stare in prossimità del suono, di non avviare meccanismi riflessivi che potrebbero condizionare l’ascolto, un ascolto cumulativo, ovvero teso verso il presente, attento, concentrato. La scrittura è creativa, poiché non fa riferimento a un sistema di simbolizzazione preesistente, ma ci consente di simbolizzare gli elementi nonlineari (e lineari) inventandoli sul momento. Lo scopo è di arricchire la comprensione musicale e in particolare di mettere in luce i processi creativi fondamentali dell’improvvisazione. Ci sono vari modi di eseguire l’esercizio, ne elenco alcuni: – ascoltare il brano, dopodiché scrivere gli elementi lineari e nonlineari; – ascoltare il brano e scrivere gli elementi lineari e nonlineari durante l’ascolto; – ascoltare secondo la linea orizzontale del tempo e inserire gli elementi lineari e nonlineari su questa linea (maggiore attenzione agli elementi lineari); – ascoltare senza coordinate temporali e simbolizzare gli elementi lineari e nonlineari nello spazio del foglio (maggiore attenzione agli elementi nonlineari); – ascoltare più volte il brano e aggiungere dettagli. Di seguito ho inserito due esempi di scrittura creativa di un’improvvisazione, la prima in cui ho seguito la linea orizzontale del tempo e ho ascoltato nuovamente per aggiungere dettagli, nella seconda mi sono concentrato sugli elementi nonlineari al primo ascolto. Primo esempio: Ascolto attivo e scrittura creativa di «Berlin Eleven» dal cd Pieces Without Memory (IRC Discs), con Mirio Cosottini (tromba) e Reinhard Gagel (pianoforte e minimoog)1. «Un mondo di inattese, indefinite possibilità sonore… quasi i mondi leibniziani destrutturati… né inizio né fine… e un inizio qualunque e una fine qualunque come in ogni accadimento che è radicalmente contingente». Queste sono le parole del filosofo Brunello Lotti, successive all’ascolto di «Pieces without Memory»2. Ritengo molto interessante il riferimento a Leibniz, in 1
2
https://drive.google.com/file/d/0B4c2X7NYM-ZBOTd4QmlZb3VCekk/view?usp=sharing
Con il filosofo Brunello Lotti ho avuto un intenso scambio di email sul problema del rapporto fra identità e invarianza
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Metodologie dell’improvvisazione musicale
particolare all’espressione «né inizio né fine». Ogni oggetto materiale, poiché composto di parti ha un inizio e una fine. Ogni evento che si svolge nel tempo ha un inizio e una fine, ogni brano musicale ha un inizio e una fine. Secondo Leibniz la Monade è ciò che non ha inizio né fine, poiché non ha parti, è la cosa più semplice che si possa concepire. Il riferimento indiretto alla Monade da parte di Lotti m’incuriosisce e mi spinge a capire quali analogie possono esserci fra il fenomeno musicale e il concetto di Monade. Forse possiamo legare l’espressione «né inizio né fine» a quella successiva «radicalmente contingente». Seguendo Lotti, la musica di Pieces Without Memory ci apparirebbe, prima ancora che come una serie di eventi che si svolgono nel tempo, come un insieme di mondi sonori possibili. Ci sono altre possibilità, quella che si concretizza è una delle tante compossibili (e dunque compatibile con le altre). Il fatto che io e Reinhard Gagel abbiamo concepito gli eventi come contingenti implica che abbiamo immaginato il nostro universo musicale come l’insieme dei mondi musicali possibili. Il tipo di percezione monadica che abbiamo impiegato è confuso, incapace di vedere distintamente e quindi di ricordare. Ma non lo è come può esserlo quello di una monade che percepisce e non ha appetizione. La percezione confusa di cui si parla è quella dello spirito che vuole conoscere l’infinito, l’infinità dei mondi sonori possibili; come quando, dice Leibniz, «passeggiando lungo la riva del mare e sentendo il gran rumore che fa, sentiamo sì i rumori particolari di ciascuna onda di cui è composto il rumore totale, ma senza distinguerli: le nostre percezioni confuse sono quindi il risultato delle impressioni che tutto l’universo fa su di noi; il che accade in ciascuna monade». Rispetto al tempo, la percezione della mancanza dell’inizio e della fine degli eventi nel mondo (infinità del tempo) corrisponde alla percezione confusa del suo totale dispiegamento, corrisponde all’eternità. Nella singola monade, l’invarianza è lo specchiarsi contingente dell’eternità del tempo (la monade non cambia). La trasformazione è la percezione contingente della mutazione (la monade si trasforma internamente). Io e Gagel abbiamo lavorato sull’invarianza percettiva, su ciò che musicalmente persiste nel tempo. E lo abbiamo fatto pensando che il mutamento dei processi musicali non dipendesse da «pezzi» di qualcosa da comporre, organizzare o inserire in un flusso di eventi consequenziali (come i pezzi della materia formano un composto che nasce e muore), ma come fossero trasformazioni d’invarianze, ovvero movimento interno a una monade che rimane sempre la stessa. Il fatto di aver avuto una visione confusa (con-fusa, fusa insieme) ci ha permesso di annullare la memoria, e quindi tendere verso il presente come luogo di senso dei fenomeni musicali. Curiosamente il momento presente viene a coincidere con l’invarianza che specchia l’eternità nel contingente. Ora ed eterno divengono concreti della percezione musicale. Il momento è il tempo in cui l’eterno si specchia sotto forma d’invarianza. L’invarianza può dipendere dal timbro degli strumenti, dal range delle frequenze (acute, gravi, ecc.) oppure dalle scelte accordali, dalle pause ecc… Ciò che è costante nella percezione sonora dipende da molteplici fattori (che non sempre siamo in grado di rintracciare). In generale, il nostro approccio è stato quello di trovare spunti per far nascere e coltivare invarianze nel nostro «discorso» musicale piuttosto che stabilire a priori verso quali invarianze tendere. Abbiamo fatto nuove registrazioni pensando di ritrovare un’invarianza interessante, ma in generale abbiamo preferito affidarci al carattere formante della musica (per dirla alla Pareyson). I brani li abbiamo detti «senza memoria» perché al loro interno non abbiamo cercato relazioni fra ciò che avveniva prima, ciò che avveniva dopo e il presente, ma abbiamo cercato di «abitare» le invarianze, che evidentemente hanno un carattere autonomo rispetto a ciò che precede e segue. Ho avviato il brano e scritto quanto segue: nella determinazione di cos’è un suono. Brunello ha ascoltato Pieces Without Memory e ha fatto numerose e interessanti osservazioni sulla musica.
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Come si vede, la scrittura è orizzontale e segue una virtuale linea del tempo che scorre da sinistra a destra. Durante il secondo ascolto ho annotato i minuti e i secondi e alcune annotazioni testuali. Gli elementi fondamentali del brano sono A (un contrappunto minimo), B (un appoggio incerto sull’altezza del suono) e C (i ribattuti). Soprattutto gli elementi A e C caratterizzano il brano. In particolare l’elemento C si ritrova spesso modificato, ora rispetto al tempo (rallentato o accellerato), ora rispetto alla dinamica, ora incarnato in timbri diversi (bicordi, note singole, note puntate), ora rispetto alla sua durata (lungo/breve). L’elemento C, proprio a causa della sua incessante trasformazione, «nasconde» un’invarianza, che molto rapidamente emerge e connota l’intero brano. Essa non è disgiunta dal rapporto fra suono e rumore, suono e timbro e suono durata. Per questo possiamo dire rappresenta una forma che oscilla da punto suono/rumore a linea suono/rumore. Ciò che dunque ascoltiamo in modo costante durante tutto il brano è questa «forma oscillante» in cui la durata del suono-punto, il suo timbro e la sua dinamica si modificano. Ciò che persiste però è la «forma oscillante», il gravitare attorno a una forma in perenne mutamento. Da notare la «coda» dell’improvvisazione, a 3’57’’. Per come è strutturata, pare emblematica dell’idea di monade dalla quale sono partito. Essa è costituita da un punto che si dispiega in linea (tromba) e dall’articolazione che si dispiega in armonia (pianoforte). Nel suo complesso è come se tutto ciò che precede la coda fosse il dispiegamento nel tempo di questa monade. Ciò ricorda l’affermazione di Leibniz per cui «se fosse possibile dispiegare tutte le pieghe dell’anima, le quali tuttavia si esplicano in maniera evidente solo nel tempo, si potrebbe conoscere la bellezza dell’universo in ciascuna anima»3. Talvolta la musica esemplifica questo dispiegamento, in cui la bellezza di un suono emerge come l’invarianza di tutte le sue trasformazioni nel tempo. Secondo esempio: ascolto attivo e scrittura creativa di Paraphrase II di Tonino Miano4. In questo caso non ho proiettato l’ascolto lungo la linea orizzontale del tempo, e mi sono concentrato sulle invarianze.
3 4
Leibniz 2014: 51. https://drive.google.com/file/d/0B4c2X7NYM-ZBWmNuVVFzSGJ5MkU/view?usp=sharing
Tonino Miano, pianista e didatta, autore del volume di tecnica pianistica atonale. T. Miano, Non-Tonal Technical Studies Vol. I e Vol. II. ISBN: 978-0986246609 e 978-0986246616.
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Il brano inizia in modo vorticoso, articolando suoni velocemente, coprendo un’estesa gamma di frequenze, dall’acuto al grave, alternando dinamiche diverse, ma contenute in un range abbastanza uniforme. Queste caratteristiche saranno presenti fino alla fine. Il brano formalmente è un blocco unico nel quale possiamo evidenziare un elemento di discontinuità dato dalla «ripetizione». Circa a metà del brano alcuni frammenti sono ripetuti, e tale spunto costituisce la vera novità del brano. L’idea della ripetizione costituisce la vera antitesi al flusso continuo e incessante dei suoni. La ripetizione tenta di bloccare questo flusso in una struttura che vuole delimitare e costringere l’ascolto, che lo vuole innalzare dal flusso per osservarlo dall’alto. In una condizione di perenne trasformazione, la ripetizione costituisce la chiave per osservare il flusso dall’alto. È interessante notare come tali strutture nascono dal flusso e vi ricadono, rendendo incerti i confini delle forme ripetitive. Esse emergono e gettano luce sull’invarianza sottostante, quella fondamentale dell’incessante flusso sonoro. I tratti in diagonale rappresentano l’articolazione veloce dei suoni, tendenzialmente spigolosa e decisa che copre tutta la gamma frequenziale, dal grave in basso a sinistra all’acuto in alto a destra. La macchia nera al centro della scrittura rappresenta la dinamica, con una struttura irregolare, ma chiusa. Al centro della scrittura compare una forma maggiormente riconoscibile. Essa rappresenta la «novità» introdotta dalla ripetizione di alcuni frammenti sonori. I suoni elementi sono i medesimi del flusso sonoro generale, ben articolati; i suoi contorni assumono lineamenti poligonali, ma i suoi confini sono sostanzialmente indefiniti e integrati con il resto della scrittura. A proposito della nonlinearità, Miano scrive: «la nonlinearità fissa un’immagine dell’oggetto in questione, ne “congela” un qualche particolare aspetto. Dal punto di vista cognitivo penso si transiti da una funzione di trasporto legata al flusso, al movimento, a una di stasi, e quindi a uno stato di maggiore coscienza interpretativa. L’oggetto, poiché “fermo”, si spiega come un quadro di fronte al quale abbiamo il tempo di esercitare il nostro pensiero analitico (solo che ha più dimensioni), e di fronte al quale anche noi siamo portati a rallentare il flusso motorio tipico di causa ed effetto e ad adottare invece un assorbimento di tipo inclusivo, dove tutto può accadere senza preavviso. È un po’ come accettare un’idea di realtà perenne, universale, continua, senza inizio né fine e in cui gli eventi si manifestano dall’interno, come generati dal tessuto stesso del mondo»5. Quando Miano scrive queste parole, non fa riferimento al brano in questione. Eppure, il riferimento al “quadro”, ovvero alla possibilità di osservare il flusso sonoro come fosse fermo, e l’idea di «realtà perenne, universale, continua, senza inizio né fine» ci fanno pensare proprio ai due aspetti principali del brano, la struttura ripetitiva e il flusso continuo. In conclusione, la dinamica uniforme e l’articolazione del flusso sonoro sono le invarianze fondamentali del brano. Sicuramente altri ascolti consentirebbero di aggiungere elementi nuovi, lineari e nonlineari, che farebbero emergere nuovi particolari strutturali del brano6.
5
Miano mi ha scritto queste parole in uno dei nostri innumerevoli scambi di emails. Sarebbe interessante introdurre la linea orizzontale del tempo e metterla in relazione con gli elementi nonlineari rappresentati. 6
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4.2. Analisi delle invarianze in un’improvvisazione L’analisi degli elementi lineari e nonlineari di una composizione musicale è stata realizzata da Jonathan Kramer7, poco è stato fatto a proposito dell’analisi dell’improvvisazione8. Ritengo molto interessante studiare l’emergere della nonlinearità in un contesto d’improvvisazione poiché le invarianze e le trasformazioni avvengono nel mentre che la musica si sviluppa. Se il compositore ha la possibilità di prefigurarsi una soluzione musicale, di ritornarvi sopra e modificarla, nel caso dell’improvvisazione la scelta avviene durante la sua esecuzione. L’irreversibilità del processo improvvisativo sta a significare proprio questo, che non è possibile correggere il decorso musicale. L’emergere di elementi nonlineari accade mentre il musicista improvvisa; essi sono determinanti per capire ciò che si trasforma, e dunque ciò che determina il carattere discorsivo e drammaturgico della musica. Allo stesso tempo, essi rappresentano le condizioni affinché il processo improvvisativo abbia luogo e con esso il decorso musicale. Il brano che analizzerò è «Amplitude and Cycle Time», brano di apertura del cd «Tidal»9. Come prima cosa ho cercato di trascrivere (con una certa approssimazione) gli interventi dei vari strumenti. Non sempre la notazione standard è capace di annotare ciò che accade, in alternativa ho adottato segni grafici molto intuitivi.
7
Cfr. Kramer 1988. In questo momento non conosco altri esempi se non il mio Five Improvisations, aspetti nonlineari di un’improvvisazione, in «Ontologie Musicali», Aysthesis, vol. 6, Special Issue, 2013. 9 Tidal, A Windy Season, Amirani Records, amrn_33, 2012, Mirio Cosottini, tromba e flicorno soprano; Gianni Mimmo, sax soprano; Alessio Pisani, fagotto e Angelo Contini, trombone. 8
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Il brano inizia con un bicordo di terza maggiore del sax soprano suonato piano10, poi entrano gli altri strumenti a formare un agglomerato armonico-timbrico. Sia la tromba che il trombone suonano il re naturale che insieme al re diesis del sax formano un accordo misto, maggiore/minore. La tromba glissa dal re naturale al re diesis accentuando le caratteristiche «maggiori» di tale agglomerato sonoro. In realtà, al punto di vista della qualità dell’accordo, non c’è alcun cambiamento, esso rimane il medesimo. Dal punto di vista timbrico invece l’agglomerato sonoro cambia, acquista nuove sfumature di colore. Il glissando della tromba rende ancora più graduale questo passaggio timbrico, e inoltre apre l’ascolto a frequenze che anziché intervallari si mostrano continue. La trasformazione timbrica e le frequenze continue spingono a considerare il primo evento significativo del brano un elemento dimorfo, ambiguo, ora un agglomerato sonoro, ora un accordo. I singoli timbri strumentali si con-fondono e contribuiscono alla trasformazione unitaria di tale agglomerato, allo stesso tempo ne stabiliscono il riferimento tonale. La natura incerta del primo evento musicale concerne anche il secondo. Il sax soprano suona di nuovo un bicordo, una terza minore (Si-Re). Gli altri strumenti suonano, il fagotto muove il suo timbro in senso melodico; la sua linea tocca sia il Re# che il Re , finché si ferma su un Do#. Anche in questo caso l’evento sonoro si presenta in modo ambiguo, sia come un agglomerato sia come un accordo (il primo e il secondo evento sonoro sono in rapporto di I grado V grado)11. Dunque, le soluzioni improvvisative dei musicisti viaggiano su due prospettive compatibili, quella della «manipolazione» timbrica (nonlinearità) e quella delle relazioni tonali (linearità). La ripresa a 1’14’’ della tromba tende a scaricare la tensione accumulata precedentemente suonando un Sol, VI grado della scala di Si minore. Ciò è confermato dal sax soprano che suona un Si. I primi tre eventi sonori ripresentano implicitamente una struttura fondamentale dell’armonia tonale, ovvero quella del I-V-I. La cangianza armonica successiva dipende dall’uso melodico del grado congiunto. Sono riconoscibili all’ascolto gli accordi di Sol minore, Sol maggiore e Re maggiore. Dal minuto 1’14’’ il fagotto stabilisce una differenza fra ruolo timbrico-armonico e ruolo melodico. Se finora queste due erano le prospettive musicali, adesso ne compare un’altra, quella prettamente melodica. Il fagotto inserisce una ripetizione
, di conseguenza l’agglomerato timbrico armonico manifesta anche la sua struttura contrappuntistica. La natura contrappuntistica dell’agglomerato è esemplificata nell’intervallo di seconda minore discendente, gli armonici inziali del sax
,
10 Lo scenario si apre dunque con un suono inconsueto poiché il sax soprano è considerato generalmente uno strumento monodico. Gianni Mimmo è un musicista capace di utilizzare e controllare molte tecniche di produzione del suono non convenzionali. 11 La loro distribuzione nel tempo è appena sufficiente a percepire questo rapporto. Basta utilizzare un qualunque software di editing musicale che ci consente di ravvicinare i due eventi per apprezzare chiaramente il rapporto tonale.
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il semitono della tromba a 1’14’’
, e la ripresa del sax
. Tale «molecola melodica» emerge «consapevolmente» a 1’54’’, momento in cui il fagotto propone la cellula
, a cui segue quella del sax
, che insiste sul semitono ascendente. Dopo l’entrata del sax, il tessuto accordale si sfalda, il sax acquista un ruolo solistico e la reazione degli altri musicisti è sensibile a questa soluzione. Ai suoni tenuti si aggiungono suoni brevi della tromba
, e frammenti melodici del fagotto
. A 2’35’’ gli strumenti si ricompattano e nel farlo emergono molti elementi che testimoniano ciò che è appena accaduto. Ad esempio, ognuna delle voci (eccetto il trombone) incarna un ruolo sia timbrico-armonico sia melodico. Qui pare chiudersi una prima parte del brano,
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, caratterizzata da un’evoluzione che progressivamente decostruisce l’idea di agglomerato timbrico-armonico in un tessuto contrappuntistico. A 2’43’’ la matassa si scioglie, l’emancipazione contrappuntistica si manifesta in tutta la sua capacità formante. Le entrate strumentali si susseguono come fossero temi di un fugato. Il fagotto suona specularmente la fine della frase precedente, la tromba risente del fraseggiare del sax e alterna suoni lunghi a suoni brevi. La conduzione delle voci e il rapporto fra pausa e silenzio è tipico del contrappunto. Dopo l’entrata del trombone a 3’04’’ inizia anche un procedimento imitativo esplicito fra tromba e trombone
. A 3’18’’ il brano raggiunge un climax e poi sprofonda in una situazione sonora analoga a quella di partenza. Il sax suona un Si (nota cardine iniziale), il fagotto un Mi (Re#) richiamando l’accordo iniziale a segue un Re che evoca l’ambiguità iniziale fra maggiore e minore. La tromba suona un Sol#, nota (suonata con i pistoni a metà) che colora l’accordo grazie alla sua altezza incerta12. Il movimento contrappuntistico è irrigidito dalla ripetizione del Sol# della tromba. La sensazione di stasi è evidente13. A 3’49’’ è la dinamica che prevale, in un contrappunto che somiglia a uno stretto di una fuga. Le voi incalzano finché tutto «riposa» sulla triade aumentata La-Do#-Fa che allude a La maggiore essendo il Fa della tromba debole e breve. A 4’09’’ ritorna il duetto tromba-fagotto. La tromba suona con i pistoni a metà. Il risultato è analogo a quello di 3’18’’. Il suo fraseggio non ha una direzione precisa e risulta piuttosto statico. A 4’35’’ il sax inizia con il semitono discendente (elemento chiave). Il brano, malgrado la sua evoluzione, sembra essere ciclico; gli elementi ricorrono. 12 Da notare come il fagotto e il sax eseguono entrambi il medesimo frammento (Mib-Re), ovvero il semitono molecolare dell’inizio. 13 Il trombone per la prima volta introduce un effetto strumentale, il soffiato.
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Poco dopo gli strumenti si fermano su un unisono (un Re).
È la prima volta che accade. Esso rappresenta un momento decisivo nell’evoluzione del brano. Difatti, inizia la fase finale del brano, potremmo dire la Coda. Il sax soprano esegue una «cadenza» che porterà alla conclusione del brano. A 5’39’’ il bicordo Sol#-Do# eseguito rispettivamente dal sax e dalla tromba si «apre» grazie alla linea melodica del fagotto
. Proprio sull’ultimo suono il brano finisce accennando a un accordo maggiore (Reb maggiore) mentre la tromba esce togliendo la fondamentale e lasciando un timido bicordo di terza maggiore (stesso intervallo con cui è iniziato il brano, altro elemento di ciclicità). Dal punto di vista nonlineare abbiamo già introdotto l’idea di «agglomerato sonoro». Esso rappresenta allo stesso tempo, lo spunto del brano (il seme) e il tutto (l’organismo). Nei primi istanti temporali del brano molto spesso vi sono le informazioni principali che poi lo caratterizzeranno nel suo complesso. A una lettura lineare dei primi istanti
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, possiamo associare una lettura nonlineare che ne evidenzia le invarianze: la trasformazione della dinamica sottende un’invarianza dinamica, una trasformazione timbrica sottende un’invarianza timbrica, una trasformazione nella distribuzione delle frequenze sottende un’invarianza dello spazio sonoro, una trasformazione nell’organizzazione delle frequenze sottende un’invarianza contrappuntistica. L’entrata progressiva delle voci ci fa intendere precocemente che il loro contributo sarà prevalentemente di natura timbrica; l’arco dinamico contribuisce all’uniformità timbrica. Le linee strumentali oscillano fra una valenza polifonica e una timbrico-armonica. L’asprezza del tessuto sonoro è un elemento di paragone, adesso che si è manifestata in modo chiaro, fornirà un’invarianza interessante che i musicisti potranno trasformare spostando l’asse timbrica dalle ance agli ottoni. Il silenzio che segue il primo evento sonoro si caratterizza come un silenzio carico d’invarianze. Non è una semplice pausa, un vuoto fra un suono e l’altro, al contrario è un modo prospettico (proiettivo) di vedere le invarianze appena ascoltate. Da quella prospettiva è possibile operare nuove trasformazioni e rendere «visibili» nuovamente le precedenti invarianze. Si tratta dunque di un silenzio nonlineare, denso di possibilità sonore. Non è sbagliato considerare il primo agglomerato sonoro, il silenzio seguente e il secondo agglomerato sonoro, come un unico flusso sonoro, un medesimo suono che si trasforma rispetto a certe invarianze che permangono. Il fatto che dal silenzio riemerga un agglomerato sonoro simile al primo ci fa capire come anche nella durata del silenzio le invarianze continuano a tenere. Ma com’è possibile? Proviamo a pensare alla rotazione di un rettangolo sul proprio asse.
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Il rettangolo (suono) ruota finché apparirà come una linea (silenzio). Continuando la rotazione, tale linea si trasformerà progressivamente nel rettangolo di partenza (suono). Il rettangolo si trasforma (ruota) e assume la forma di una linea. La linea e il rettangolo sono enti geometrici differenti, ma se consideriamo quella linea come la rotazione del rettangolo, allora possiamo pensare alla linea come a una particolare prospettiva del rettangolo stesso. Il silenzio è un po’ come la linea. Inserito in un sistema d’invarianze sonore esso è suono sotto una particolare forma. Il silenzio è una particolare forma di «visibilità» del suono, o udibilità. I musicisti hanno tenuto le invarianze anche nel momento in cui il suono si è fatto linea, sono state messe in ombra per poi tornare alla luce nel secondo agglomerato. La dinamica ha impresso la rotazione al suono. L’arco dinamico conserva le invarianze, la linea del silenzio è carica di tensione pronta a distendere nel tempo la sua complessità e l’insieme delle sue caratteristiche sonore. Il suono è continuo nel tempo, comprende il primo agglomerato, il silenzio e il secondo agglomerato, anche se «appare» in forme diverse. Fra il primo e il secondo agglomerato, la trasformazione più evidente è quella della condotta delle voci. Se dovessimo rappresentarla in modo nonlineare potremmo farlo nel seguente modo:
Primo agglomerato
Secondo agglomerato
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La trasformazione nella condotta delle voci non inficia alcune invarianze sonore, per questo le due rappresentazioni sono molto simili. Rispetto a tali invarianze possiamo dire che il secondo agglomerato è il medesimo del primo14. Ciò che ascoltiamo sono alcune trasformazioni frequenziali discrete (intervallari) che scolpiscono nettamente la materia sonora creando «scanalature» nel corpo del suono. L’emergere della vocalità interna al tessuto sonoro genera un’invarianza, quella di un andamento discreto (discontinuo, intervallare, diastematico). Nel momento in cui si riconosce all’ascolto un intervallo, e dunque un luogo dove il suono si ferma e si stabilizza, nasce la differenza fra movimento e stasi interna all’articolazione melodica, nasce l’harmonia. L’ascolto proietta sull’agglomerato sonoro la sua possibile struttura contrappuntistica. Tale possibilità si concretizza all’inizio con il percorso solistico del sax, che «ruota» attorno alla massa sonora degli altri tre strumenti in una sorta di solo accompagnato. Il fraseggio è spezzato e ampio, come a frantumare in tanti cristalli l’asprezza delle ance. Dal corpo del suono escono pulviscoli di suoni che gli orbitano intorno. Di nuovo, l’ascolto lineare ci suggerisce un ruolo solistico, l’ascolto cumulativo, un’esplosione timbrica, un balenare del corpo sonoro. Almeno fino a 2’43’’ i musicisti mantengono quest’ambiguità fra una prospettiva lineare e una nonlineare, dopodiché il corpo sonoro diventa arioso, organizza pieni e vuoti in un procedere non più esplosivo, ma strutturale: le linee melodiche tengono insieme il corpo del suono. Il crescendo che porta a 3’18’’ non è analogo a quello dell’evento sonoro iniziale. Non si tratta di ruotare l’asse prospettico, ma di potenziare, ingigantire, aumentare, portare alla luce la struttura contrappuntistica del suono. La dinamica intensifica la presenza di suoni, ne mette in luce la grana, lo spessore, la loro portanza. Dopo un tale crescendo, a 3’18’’ segue un piano improvviso che è l’arrivo di un silenzio vuoto, contraltare della potenza affermativa e muscolare del suono, ombra muta, inerte. Il suono ha detto e ridetto, fino a urlare; adesso segue il silenzio che stordisce, carico di niente. A 3’18’’ riprende una sonorità analoga a quella inziale, ma gli elementi sono altri, al silenzio vuoto segue un suono vuoto. La tromba ribatte un sol# mentre fagotto e sax soprano eseguono lo stesso intervallo di semitono discendente
14 Non lo è dal punto di vista lineare, si tratta di due eventi sonori diversi, situati in «luoghi» temporali diversi, ma possono essere considerati come il medesimo evento sonoro sulla base delle invarianze che li costituiscono, elementi percettivi che persistono nel tempo.
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la struttura contrappuntistica permane, consolida la sua invarianza, ma si contrae nel ribattuto della tromba e nella ripetizione dello stesso frammento melodico di sax e fagotto. A 4’09’’ la tromba esegue un residuo contrappuntistico, trasformazione dell’invarianza contrappuntistica in direzione del timbro. A 4’35’’ tutto sembra ricongiungersi all’inizio. I suoni riprendono l’asprezza iniziale, la stessa compattezza timbrica. Il sax esegue un ultimo fremito, ormai volo ampio e talvolta ripetitivo prima di posarsi sul bicordo (Reb-Fa), terza maggiore, come quella iniziale, e chiudere il brano. Di nuovo, siamo di fronte a un’ambiguità, il fraseggio del sax, netto, melodico, anche se leggermente ossessivo, vuole liberare una possibile direzione orizzontale del discorso musicale, ma l’attrazione timbrica degli altri strumenti finisce per inghiottirlo di nuovo in una stasi vorace, quella stessa che caratterizza tutto il brano. Si potrebbe pensare che esso ruoti attorno a un movimento che porta ogni volta su se stesso, all’illusione del viaggio, a un viaggiare imbrigliato nel presente, un passeggiare sul posto. Due tipi di temporalità caratterizzano il brano, quella lineare che si protende in avanti cercando una direzione, e quella nonlineare che definisce i confini della staticità in cui tutto si muove. Quest’ultima è la temporalità dominante; è vero che il brano oscilla fra continuità timbrico-armonica e strutturazione contrappuntisticomelodica, ma quest’ultima è continuamente riassorbita nella prima. Di seguito ho rappresentato il suono complessivo del brano ed evidenziato alcune sue caratteristiche nonlineari:
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In generale, considerate tutte le trasformazioni che accadono nel decorso sonoro, il brano è caratterizzato da alcune invarianze strutturali, timbriche, dinamiche, frequenziali e contrappuntistiche che permangono durante tutta l’improvvisazione musicale. L’importanza delle invarianze è tale che la temporalità dominante è prevalentemente nonlineare, statica. Ogni elemento sonoro è posto sotto ingrandimento poiché il tempo dilatandosi consente di affinare la percezione del dettaglio.
4.3. Alcuni spunti grafici per una lettura proporzionale del suono Stessa durata La lunghezza della linea può determinare la durata di ciascun suono, la tenuta di un timbro, il tempo entro il quale suonare ecc. I segni di articolazione all’inizio di ogni linea possono determinare il modo di articolare i suoni, da stabilire preventivamente oppure durante l’improvvisazione.
Occhio alle curve Le possibilità interpretative sono simili all’esercizio precedente. La linea curva stimola trasformazioni del suono differenti, talvolta di maggiore gradualità e oscillazione. Può essere interessante eseguire l’esercizio collettivamente, alcuni eseguono le linee mentre altri gli spazi che formano le linee.
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Circolare La lettura proporzionale delle linee può essere fatta rispetto a qualsiasi caratteristica musicale (altezza, timbro, dinamica, densità ecc.). I punti neri possono rappresentare eventi sonori, singoli suoni, caratteristiche musicali da considerare durante la lettura ecc…
Inizio Il percorso musicale è costruito su di una singola linea musicale che cambia direzione. Il punto sulla sinistra può essere considerato come il punto di partenza. La lunghezza della linea può essere associata a una trasformazione musicale. L’esercizio può essere eseguito collettivamente leggendo in modo proporzionale anche gli spazi interni alla figura.
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Basic La lunghezza della linea determina la tenuta di una caratteristica musicale. I segni intermedi possono essere interpretati a piacere.
Basic 2 Come l’esercizio precedente.
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Speed control Interpretare la lunghezza della linea come una trasformazione temporale (maggiore o minore velocità della pulsazione, della densità ecc.).
4.4. Partitura in notazione standard e grafica: I-Silence I-Silence è un brano che mi è stato commissionato dal centro di ricerca Tempo Reale15. Nell’improvvisazione non siamo solo interessati alla musica prodotta, ma anche alle decisioni e alle azioni che il musicista compie durante l’esecuzione: il processo è il prodotto, e considerarli elementi separati è un errore estetico, oltre che ontologico. I-Silence è un brano che tematizza lo stretto rapporto che intercorre fra la produzione di processi improvvisativi e il loro risultato sonoro. I musicisti sono alle prese con un obiettivo preciso: uscire da un labirinto. D’altra parte il modo per farlo è prettamente musicale, ogni volta che il percorso subisce una svolta, il musicista deve modificare il proprio suono, una trasformazione nella struttura del labirinto equivale a una trasformazione nel percorso sonoro dei musicisti. Inoltre, il percorso è punteggiato da numerose indicazioni d’improvvisazione che arricchiscono il tessuto musicale, indicazioni di memoria, in cui l’improvvisazione è legata a un particolare processo umano, quello mnemonico; prefigurative, l’improvvisazione è legata alla nostra capacità anticipatrice; indicazioni sul presente, l’improvvisazione evidenzia la sua verticalità; notazionali e grafiche, l’improvvisazione è legata alla notazione standard e al segno grafico e infine testuali, l’improvvisazione è legata alla lettura di un testo.
15
In occasione del Maggio Elettrico Open Music #1 (79 Festival del Maggio Musicale Fiorentino). Link di Tempo Reale: http://www.temporeale.it/it/
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Il labirinto è un luogo in cui acquista particolare significato il rapporto fra libertà e vincoli, in cui siamo liberi di percorrere un sentiero, ma costretti da una complessa rete di possibilità; esso diviene metafora dell’intero processo improvvisativo in cui la regola e la possibilità di trasformarla ne rappresentano il senso. Le regole esecutive sono state decise durante la concertazione del brano: – iniziare a improvvisare partendo dal centro del labirinto; – a ogni svolta nel percorso, ciascun musicista deve trasformare il proprio suono mantenendo un’invarianza; – chi incontra il punto che rimanda a un’istruzione esterna al labirinto, deve fermarsi ed eseguire quella istruzione dopodiché continua il percorso; – chi esce dal labirinto smette di suonare. La durata del brano è molto lunga, non è semplice uscire dal labirinto in breve tempo. Di conseguenza abbiamo deciso di smettere di suonare progressivamente dopo almeno tredici minuti d’improvvisazione. La partitura riveste un particolare ruolo didattico poiché è costituita da numerose istruzioni d’improvvisazione. Ciascuna istruzione è scritta in notazione standard, testuale oppure grafica e può essere considerata come un esercizio al di fuori della struttura della composizione. L’organico per il quale la partitura è stata scritta è il seguente: voce, tromba, flicorno soprano, corno, trombone, elettronica e chitarra elettrica. D’altra parte, dal punto di vista didattico, le istruzioni musicali possono essere eseguite da qualsiasi strumento musicale.
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I-Silence: voce
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I-Silence: tromba
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I-Silence: elettronica
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I-Silence: chitarra elettrica
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I-Silence: flicorno
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I-Silence: trombone
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I-Silence: corno
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Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, i-56126 Pisa [email protected] - www.edizioniets.com
finito di stampare nel mese di marzo 2017
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C
he rapporto c’è fra suono e improvvisazione musicale? Perché è importante fare ricerca intorno al suono? Quali sono i metodi di studio dell’improvvisazione, e che differenza c’è fra il metodo di studio lineare e nonlineare? Quale senso dare all’ascolto, all’analisi e all’esercizio nella pratica dell’improvvisazione?
12 Mirio Cosottini
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Musica & Didattica
ETS
Mirio Cosottini, musicista, filosofo e didatta, ha pubblicato numerosi articoli sull’improvvisazione musicale dal punto di vista filosofico (Invarianza, tempo e improvvisazione musicale, in Sistema e Libertà, «Itinera», rivista online di filosofia e di teoria delle arti, n. 10, 2015), didattico (Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale, «Musica Domani», Trimestrale di Cultura e Pedagogia Musicale - Organo della SIEM, Anno XXXIX, n. 151, EDT, 2009), e musicologico (Five Improvisations, in Ontologie Musicali, a cura di A. Bertinetto e A. Arbo, Aisthesis, Università di Firenze, 2013). Nel 2005 ha fondato il gruppo GRIM (Musical Improvisation Research Group) insieme a Alessio Pisani. Dal 2005 al 2010 ha tenuto il Laboratorio di Improvvisazione Musicale presso il Conservatorio di Padova. Ha pubblicato il libro sul rapporto fra suono e silenzio Playing with Silence per Mimesis Internationale (2015). Attualmente sta facendo il Dottorato presso l’Università di Udine/Trieste con una tesi sulla filosofia dell’improvvisazione musicale.
Metodologia dell’improvvisazione musicale
Il libro contiene numerosi esercizi d’improvvisazione suddivisi per area di ricerca (sull’ascolto, sull’attenzione, sul presente, sulla lettura e scrittura, sulla ricerca, sull’esame approfondito), uno studio del segno grafico che fornisce le chiavi per farne un uso creativo durante l’improvvisazione e infine l’analisi di alcune improvvisazioni secondo i principi lineari e nonlineari. Al centro vi è l’improvvisazione, una pratica che allarga i suoi confini e induce riflessioni didattiche e filosofiche che investono il modo di ascoltare, di pensare e di vivere la musica.
Mirio Cosottini
Le risposte che il libro delinea sono rivolte agli insegnanti che si occupano di didattica dell’improvvisazione, i quali troveranno indicazioni per arricchire la propria metodologia d’insegnamento; ai musicisti, che vi troveranno suggerimenti per studiare il proprio strumento, interpretare il repertorio, nuovi spunti per comporre e improvvisare; agli improvvisatori, poiché la consapevolezza della distinzione fra linearità e nonlinearità getterà luce sulla struttura della pratica improvvisativa, sul rapporto fra le varie temporalità implicate, sulle diverse strategie di studio, sul valore dell’esercizio, sull’importanza della grafia e sui modi di ascolto.
Metodologia dell’improvvisazione musicale Tra Linearità e Nonlinearità
Edizioni ETS
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