Lo Stato e i suoi apparati 9788835943389


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Lo Stato e i suoi apparati
 9788835943389

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Louis Althusser

Lo Stato e i suoi apparati A cura di Roberto Finelli

Editori Riuniti

I

Indice

IX

Introduzione. Una soggettività immaginaria di Roberto Finelli Lo Stato e i suoi apparati

3

Avviso al lettore

13

I. Che cos'è la filosofia?

23

II. Che cos'è un modo di produzione?

51

III. Della riproduzione delle condizioni della produzione

57

IV Infrastruttura e Sovrastruttura

61

V. Il Diritto

74

VI. Lo Stato e i suoi apparati

98

VII. Brevi osservazioni sugli Ais politico e sindacale

della formazione sociale capitalistica francese 107

VIII. Gli Apparati ideologici di Stato politico e sindacale

142

IX. Della riproduzione dei rapporti di produzione

150

X. Riproduzione dei rapporti di produzione e rivoluzione

167

XL Di nuovo sul «Diritto». La sua realtà: l'apparato ideologico di Stato giuridico

174

XII. Dell'ideologia

211

Note

Introduzione Una soggettività immaginaria

Il testo che presentiamo, pubblicato in francese nel 1995 dalle Presses universitaires de France, corrisponde a un manoscritto di Louis Althusser rimasto inedito per molti anni e ora depositato presso il fondo Althusser dell'Imec (Institut Mémoires de l' edition contemporaine). Il suo titolo originale suona Sur la reproduction des appareils de production e risale agli anni 1969-1970. Ne esistono due versioni, di cui la prima è datata marzo-aprile 1969. La seconda, di poco successiva e che è a base di questa edizione, presenta ampie correzioni e aggiunte rispetto alla prima: tra le due si colloca, verosimilmente, la stesura del celebre saggio Idéologie et appareils idéologiques d'Etat apparso in «La Pensée» (n.151, giugno 1970). Nell'«Avviso al lettore» Althusser dichiara che a questo primo volume seguirà un secondo tomo. dedicato alla Lutte des classes dans le /ormations socia/es capitalistes; ma questo secondo volume è rimasto allo stato di progetto, non è stato mai scritto. Il testo che qui viene pubblicato mostra chiaramente, in taluni luoghi, il suo carattere incompleto, lasciato quasi allo stato di appunti. Noi abbiamo preferito, d'accordo con la traduttrice italiana Maria Teresa Ricci, di cui va sottolineato l'ottimo e curatissimo lavoro, rispettare rigorosamente, per quanto era possibile, l'originale francese, compreso l'uso abbondante che Althusser fa delle maiuscole per sottolineare il rilievo assegnato nel suo discorso alle istituzioni e alle funzioni piu significative della riproduzione sociale. Ma anche sul piano piu proprio del contenuto il testo è indubbiamente datato. Risente manifestamente dell'euforia e delle speranze IX

del maggio francese del '68 e si esprime con toni e profezie che la storia di questo fine secolo ha radicalmente e inesorabilmente smentito («Noi entriamo in un secolo - scrive Althusser in queste pagine - che vedrà il trionfo del socialismo su tuttà la terra. Basta osservare i corsi irresistibili delle lotte popolari per concludere che, piu o meno a breve scadenza e attraverso tutte le possibili peripezie, compresa la gravissima crisi del Movimento Comunista Internazionale, la Rivoluzione è fin d'ora all'ordine del giorno. Tra cento anni, o forse anche tra cinquanta, la faccia del mondo sarà cambiata: la Rivoluzione trionferà su tutta la terra»). Cosi come è indubbio che è il marxismo-leninismo e le sue categorie canoniche (distinzione e connessione tra materialismo dialettico e materialismo storico, tra forze produttive e rapporti di produzione, tra struttura e sovrastruttura) a costituire l'orizzonte teorico da cui muove Althusser, che cita il «leninismo di M. Thorez» e adopera il vocabolario tipico del bolscevismo, parlando di «masse» che «devono essere mobilitate e dirette verso gli obiettivi veramente rivoluzionari. Esse non possono esserlo che per mezzo del Partito dell'avanguardia del Proletariato». Ma la cosa essenziale è che per Althusser questo strumentario ha in pari tempo un valore solo introduttivo, solo descrittivo e metaforico, attraverso e al di là del quale va costruito il senso e la fecondità di una vera teoria: capace cioè d'interpretare non schematicamente e in modo dottrinario la realtà bensi d'intenderla nella molteplicità dei suoi ambiti e delle sue connessioni, cosi come di offrire prospettive pratiche effettivamente perseguibili ai bisogni di emancipazione e di trasformazione. Perché proprio in ciò, noi crediamo, stia il valore e l'attualità di Althusser. Nell'aver letto, cioè, nelle parole d'ordine e nei concetti-chiave del marxismo tradizionale e consolidato, solo delle formulazioni sintetiche di temi e problemi che andavano riscritti con bel altro spirito e rigore d'indagine e quindi nell'aver tentato di dare a quei rigidi filosofemi un contenuto che non li rifiutasse ma che li inscrivesse invece in un contesto di senso ben piu nuovo e profondo. Quanto Althusser, sia in questo testo che nell'intera sua opera, sia riuscito o meno in tale impresa è oggetto, ancora oggi inesaurito, di studio e di dibattito. Certo è che, nella riscrittura che egli ha compiuto del marxismo, la sua riflessione sull'ideologia - o meglio, per usare il suo linguaggio, sugli Apparati ideologici di Stato - rappresenta forse la prospettiva piu originale e sollecitante. Per questo il tiX

tolo che abbiamo dato al manoscritto, Lo Stato e i suoi apparati, potrebbe suonare anche come Lari-produzione del soggetto, essendo tale effetto di genesi e di costituzione della soggettività il prodotto fondamentale e piu peculiare di ciò che per Althusser connota l'ideologia. Ma proprio per provare a comprendere quanto su questo punto specifico, ma cruciale e delicatissimo, Althusser abbia ragionato piu o meno fecondamente è necessario per un attimo sospendere il discorso su di lui e contestualizzarlo in un ambito piu ampio.

1. L'ideologia come «mera» teoria Il concetto di «ideologia» è una delle chiavi di volta per rileggere e sintetizzare, alla fine del nostro secolo, la storia teòrica del marxismo: valutata secondo la prospettiva di un tema, la cui complessità ha generato fin dall'inizio ingenuità ed errori ma, via via, anche maturazioni teoriche assai significative, il cui percorso - oggi, in un momento di preteso esaurimento teorico del marxismo - appare essenziale ricordare e ridisegnare. Per un lungo arco di tempo ciò che sia ideologia nella vulgata marxista - che è stata la cultura non solo del militante ma anche di élite intellettuali e politiche - è stato definito dall'Ideologia tedesca, l'opera di Marx ed Engels del 1845-1846 che, volta alla critica della «Sinistra hegeliana», rappresenta nella sezione dedicata a Feuerbach l'esposizione piu celebre e chiara della cosiddetta teoria materialistica della storia. Qui ideologia significa, in un'accezione di senso solo negativa, falsa coscienza: e specificamente falsa coscienza che spiega la vita umana e lo svolgersi della storia attraverso la funzione essenziale e il primato, proprio, della coscienza. L'ideologia è infatti la rappresentazione della realtà concepita da coloro che, liberi dall' obbligo del lavoro materiale, sono i produttori delle idee, i quali, per tale lontananza dalla materia, interpretano il mondo idealisticamente, pensando che siano la morale, la religione, la politica, l'intera sfera intenzionale e culturale messa in atto dalla coscienza umana a dirigere e condizionare il processo materiale di riproduzione della specie e della società umana. Invece Marx ed Engels nell'Ideologia tedesca, com'è noto, pongono a base della storia non la teoria, ma la prassi nel senso di produzione materiale, cioè del lavoro da parte deXI

gli uomini del mondo della natura per il soddisfacimento dei propri bisogni: affermando, data la priorità di tale prassi, che da tale base materiale le forme della vita spirituale conseguono e dipendono solo come derivati, quali cioè meri effetti, emanazioni, riflessi e sublimazioni. «Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell'uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali.» 1 Bisogna dunque rovesciare l'idealismo nel materialismo e sostituire alle astrazioni della mente la concretezza dei fatti reali, i quali per essere conosciuti non hanno bisogno alcuno di speculazione ma solo di essere constatati attraverso l'esperienza. Perché, come all'idealismo corrisponde l'astratto, l'irrealtà cioè dell'immaginazione, al materialismo corrisponde il concreto, la verità cioè che s'impone immediatamente e con evidenza a chi è inserito e non separato dalla realtà. Cosicché, in tale prospettiva, viene meno la legittimità e la pretesa di verità di ogni teoria che si voglia separata dalla prassi, giacché senza fondamento nella produzione reale si produce appunto solo ideologia. «I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte ·dalla loro stessa .azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica.» 2 Alla base di questa definizione marx-engélsiana di ideologia stanno due assunti teorici: a) il paradigma della divisione del lavoro; b) la definizione dell'essere umano come «ente generico». L'ideologia è infatti esplicitamente prodotto della separazione, come si è detto, di mano e mente, owero della scissione del lavoro, in qualsiasi tipo di società, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. E non a caso il concetto di divisione del lavoro appare nell'Ideologia tedesca come il principio esplicativo assolutamente predominante, anzi XII

il solo, a ben vedere, usato e posto a base dell'argomentazione. Infatti quale genere che si articola nelle sue varie specie (divisione all'interno del processo di lavoro propriamente detto, divisione tra le varie branche della produzione e della circolazione, divisione del lavoro nell'atto sessuale, divisione tra interesse particolare e interesse collettivo, divisione tra lavoro manuale e lavoro mentale, ecc.) spiega ogni cosa. Se è il fat-

tore fondamentale dello sviluppo delle forze produttive (come aveva già insegnato Adam Smith con il suo celeberrimo esempio della fabbricazione degli spilli), è anche il principio che spiega la separazione della città dalla campagna e delle loro economie, l' autonomizzarsi reciproco tra industria e commercio, l'articolazione interna a ciascun ramo di attività economica e, piu in generale, la suddivisione del mercato tra le sue diverse branche. Spiega le varie forme sociali e giuridiche della proprietà, le quali corrispondono ai vari modi in cui i diversi membri o gruppi sociali si suddividono e si distribuiscono rispetto all'uso e al possesso del prodotto e dei mezzi di produzione. Su di essa è fondato il rapporto tra i sessi, da cui nasce l'istituto della famiglia, da cui si genera, con la tribu, la prima forma di società. E spiega anche l'origine dello Stato, cioè la separazione tra singolo individuo e legame comune di dipendenza reciproca che viene a rappresentarsi e istituzionalizzarsi nei poteri pubblici 3 • Ora è proprio da tale ipertrofia d'uso che s'evidenzia quanto il paradigma della divisione del lavoro non sia in Marx ed Engels non solo descrittivo-esplicativo ma anche, anzi essenzialmente, valutativo e prescrittivo. Esso rimanda infatti necessariamente al mito di un' origine e di una condizione umana organicamente unitaria, non affetta da divisione e parcellizzazione, presupponendo solo la quale si può interpretare lo svolgersi della storia come segnato èialla divisione e dal suo radicalizzarsi. Questa immagine ideale - sia che sia collocata cronologicamente all'inizio della storia sia, com'è piu verosimile, che sia pensata da Marx ed Engels come il valore che costantemente accompagna e dà senso al divenire storico, proprio e pur essendone negato - è quella dell'uomo come Gattungswesen, cioè come essere (Wesen) che, appartendo a un genere (Gattung), ha delle caratteristiche di vita che sono generali, ossia proprie non solo di un singolo ma dell'intera specie. Gattungswesen sono ovviamente anche tutte le individualità di ogni specie del mondo naturale, solo che la caratteristica specifica XIII

dé!ll'uomo in quanto membro del genere umano è quella di non avere una condotta di vita fissa e predeterminata ma libera e universale tanto che l'uomo può fare l'intero mondo dei generi naturali oggetto e strumento del proprio conoscere e volere. «L'uomo è un ente generico (Gattungswesen) non solo in quanto egli praticamente e teoricamente fa suo oggetto il genere (Gattung) sia il proprio che quello degli altri enti, ma anche - e questo è solo un altro modo di esprimere la stessa cosa - in quanto egli si comporta con se stesso come col genere presente e vivente; in quanto si comporta con se stesso come con un ente universale e però libero.»4 L'uomo è dotato, diversamente dall'animale, di coscienza e questo attributo fondamentale ne fa un ente incondizionato che non coincide con i limiti della propria corporeità. Infatti il suo essere generico ne fa anche un ente comunitario, cioè un essere che vive solo una vita comune con gli altri simili, in cui, per tale compartecipazione, l'interesse di ognuno non è limite e opposizione a quello dell'altro bensf continuità e garanzia della sua esistenza. È appunto questo mito di una specie umana che vive da un lato trasparente e conciliata con se stessa, senza discontinuità alcuna cioè tra i suoi membri, e dall'altro in perfetta continuità ontologica con una natura tutta riducibile all'umano, giacché di questo ràppresenta la mera estensione, concepibile come corpo inorganico o oggetto di lavoro, che Marx ed Engels assumono come umanità autentica e originaria da opporre come criterio esplicativo a una storia che si svolge invece secondo il paradigma e il disvalore della divisione del lavoro. L'uomo scisso e parcellizzato nell'univocità di una qualche attività solo particolare si comprende solo a partire dal principio, esplicativo e prescrittivo insieme, della pienezza onnilaterale dell'uomo generico, che supera e volge ogni limite di alterità possibile in una testimonianza e in una oggettivazione della sua intrinseca universalità. Si comprende cioè solo a muovere dal presupposto di quella divinizzazione del genere umano che è tema comune a tutto l'umanesimo della Sinistra hegeliana e che nell'unità dell'uomo con l'uomo e dell'uomo con la natura vede appunto il principio assoluto e incondizionato dell'intera realtà, non condizionato da alcunché fuori di sé. Solo che la tesi marx-engelsiana della natura dell'ideologia come effetto della divisione del lavoro non implicava unicamente il riferiXIV

mento a tale mitologia essenzialistica e spiritualistica (paradossale in vero per quello che i due autori volevano invece fosse il rovesciamento materialistico dell'idealismo) ma, ancor piu contraddittoriamente, implicava l'insostenibilità logica ed epistemologica dell'intera concezione materialistica della storia5 • Perché se ogni teoria, in quanto tale, è solo un ambito parziale e deformato, che in conseguenza di tale sua natura non può per definizione cogliere la realtà, non si vede come la teoria dello stesso materialismo storico possa sottrarsi a tale curvatura di parzialità e pretendere di declinare invece la verità piu piena sull'uomo e sulla storia. Aporie e problemi questi - dell'antropocentrismo spiritualistico e dello statuto logicamente contraddittorio del materialismo storico - che rivelano come Marx ed Engels ponessero, con la visione della storia centrata sulla rilevanza strutturale della prassi umal).a, una tematica, non v'è dubbio alcuno, originalmente e radicalmente innovatrice ma come in pari tempo investigassero la scoperta di quei nuovi spazi secondo cornici teoriche ancora inadeguate e, in particolare, secondo una definizione del nesso teoria-prassi assai ingenuo e schematico. Secondo il quale la prassi lavorativa di trasformazione della materialità naturale diveniva l'unico agire significativo dell'essere umano mentre ogni altra attività si riduceva a qualcosa non solo di secondario e derivato ma di deformato e falsificante. Ogni teoria è ideologia e ogni ideologi.. I.! l'effetto di un soggetto parzializzato che, per il prevalere in lui dell'interesse privato e individuale su quello collettivo e di «genere», guarda la realtà da un punto di vista eccentrico e strabico: questa è insomma la tesi in cui precipita e si sintetizza il materialismo ingenuo e acritico della Deutsche Ideologie. Bisognerà attendere la lunga e complessa maturazione del pensiero marxiano, anche e soprattutto nel suo specificarsi e distinguersi da quello di Engels - owero la preparazione e la stesura del Capitale - per veder delinearsi in Marx, ma in modo va detto assai implicito, una diversa e piu coerente concezione dell'ideologia. Quella cioè che, ripensando il rapporto tra astratto e,concreto, definisce ideologico non piu l'effetto di un vedere falsificante di un soggetto bensi l' e/fetta di dissimulazione che il processo sociale di produzione e di riproduzione del capitale mette in atto nei confronti di se stesso. La possibilità di quf!sta diversa concezione dell'ideologia

sorge in Marx in una prospettiva profondamente modificata rispetto

xv

allo scenario antropomorfo di cui s'è detto e che vede, con uno studio limitato alla società capitalistico-moderna e non piu esteso alla storia in generale, la messa in campo di un soggetto non antropomorfo, qual è la ricchezza astratta e solo quantitativa che con la sua accumulazione costituisce il fondamento impersonale d'integrazione della società contemporanea: e che, in pari tempo, occulta se stessa, e la natura piu profonda dei suoi nessi di produzione, nell' apparenza di. una società di superficie, fatta di presunti soggetti autonomi che scambierebbero liberamente tra loro beni e servizi secondo le regole oggettive e imparziali del mercato. Ma 1.ntendere l'ideologia essenzialmente come la dissimulazione della produzione di capitale nella sfera della circolazione - ossia la personificazione dell'impersonale - significa esplicitare, forse contro la stessa autocoscienza teoretica ed epistemologica dello stesso Marx, un Marx segreto che va ancora ben definito e ricostruito6 e su cui qui, in queste breve noti introduttive, non ci si può dilungare. Giacché significherebbe riesporre l'intero sistema del Capitale a partire non dalla logica di soggetti concreti e individuali ma dalla logica di quella soggettività astratta che è appunto la ricchezza ridotta a mera quantità e dal complesso circolo della sua produzione-riproduzione. Secondo quanto Marx ha intrinsecamente compreso e connesso, ma pure piu diffusamente concettualizzato secondo le categorie della sua prima prospettiva antropocentrica. Come non a caso awiene nel piu celebrato effetto ideologico che Marx mette a tema nel paragrafo del Libro I del Capitale intitolato «Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano», nel quale appunto i rapporti di scambio delle merci sul mercato vengono letti come proiezione deformata e reificata di rapporti tra persone: e specificamente utilizzando quella relazione di soggetto e predicato che è centrale nell'umanesimo del primo Marx per spiegare il modo in cui la soggettività umana, per la divisione che con la proprietà privata lo tiene lontano dalla comunità, non riesce a vedere l'attività sociale nel suo complesso e non può dunque non attribuire, con occhio deformante e fantasmagorico, a cose proprietà e caratteristiche che sono solo delle persone. Anziché poter leggere quel feticismo delle merci nel loro scambio - secondo quanto la connessione· sistematica dei tre libri del Capitale delineata dallo stesso Marx invece richiederebbe - come l'effetto ideologico immanente al passaggio dei valori in prezzi; XVI

riferendosi cioè al cosiddetto problema della trasformazione, che altro non è se non la questione del modo in cui il nesso sociale fondamentale di forza-lavoro e capitale volto all'accumulazione di ricchezza astratta si moltiplica e in pari tempo si dissimula nel complesso piu articolato di tutte le classi che compongono l'insieme della società moderna. Ma appunto Marx non ha mai compiuto, sappiamo, se non per l'interposta persona di Engels, quel lavoro d'integrazione teorica e di esplicitazione metodologica che attendeva tutto il materiale del Capitale. Ed è dunque giocoforza che nel materialismo storico dei padri fondatori, e nella divulgazione che poi se n'è venuta facendo, ideologia abbia significato fondamentalemte falsa coscienza, messa in atto dalla riduzione a parzialità della vita presupposta piena e integrale di un presupposto soggetto. 2. L'ideologia come fattore «trascendentale» della storia Bisogna lasciar trascorrere un periodo assai lungo nella storia del marxismo e giungere ad Antonio Gramsci e alla sua originalissima interpretazione del materialismo storico per trovare un senso profondamente innovatore di ciò che sia ideologia. Questa infatti, va subito detto, per Gramsci non è piu sinonimo di falsa coscienza bensi di funzione strutturalmente costitutiva, in senso positivo, della coscienza. Funzione a descrivere la quale nulla è piu utile del passo, frequentemente citato nei Quaderni del carcere, della celebre «Prefazione» di Marx a Per la critica dell'economia politica: «Quando si studiano simili sconvolgimenti [delle epoche di rivoluzione sociale] è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo»7 • Ideologia significa appunto per Gramsci la rappresentazione comune e collettiva attraverso la quale ciascun essere umano, in quanto essere che vive e appartiene a un gruppo e a un contesto sociale, necessariamente percepisce e interpreta la realtà. Ma non solo nel senso che anche lo stesso Marx avrebbe condiviso, almeno per quanto quello scriveva nella medesima «Prefazione», riguardo XVII

alla determinazione sociale della coscienza umana: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza»8 • Bensi nel senso, proprio unicamente di Gramsci, per cui solo attraverso l'ideologia gli uomini prendono coscienza di ciò che altrimenti, come mondo della prassi economica e degli interessi a essa connessi, attiene a una forma di vita naturalistica, immediata, priva di partecipazione consapevole, che nel suo accadere senza volizione ed elaborazione del soggetto si può definire extraculturale ed extrastorica. Del resto è assai chiara la teoria sistematica della storia che Gramsci, pensatore rigorosamente sistematico malgrado la condizione solo apparentemente frammentata dei suoi testi, ha concepito, riformulando il nesso marxiano di struttura-sovrastruttura nei termini appunto del nesso economia-ideologia. Una classe o gruppo sociale compare sulla scena storica in primo luogo come agente economico: e a tale livello primario ed elementare d'esistenza il gruppo sociale coincide con la propria parzialità di classe o di gruppo, limitandosi alla riproduzione dei propri interessi particolari. In tale ambito, anzi, ciascun membro del gruppo è cosi concluso nella propria particolarità da non attingere neppure una coscienza corporativa della comunanza d'interessi che lo lega agli altri membri del suo stesso raggruppamento. In tale primo ambito vige perciò la completa assenza di un soggetto collettivo e si dà un'orizzonte di vita solo naturalistico, dove le azioni dei singoli, frammentate e irrigidite nelle loro particolarità, non sono riducibili a un volere umano che possa determinarle e convogliarle a sua misura, bensi possiedono il carattere di fatti oggettivi, quantitativi - e non appunto di atti - e come tali sono oggetto di analisi a cui è applicabile non la metodologia dell'indagine storica ma quella delle scienze della natura. Questo primo livello di esistenza storica, luogo dell'egoismo e dell'utile immediato, corrisponde a «un rapporto di forze sociali strettamente legato alla struttura, obbiettivo, indipendente dalla volontà degli uomini, che può essere misurato coi sistemi delle scienze esatte o fisiche» 9 • Quando invece i membri di un gruppo sociale non s'identificano piu con la loro atomistica singolarità e acquistano prima la coscienza della loro omogeneità di gruppo e poi, ulteriormente, la consapevolezza che il loro interesse possa includere e rappresentare gli interessi di altri gruppi sociali, fino a dilatarsi a interesse generale di un'inXVIII

tera comunità, allora il gruppo sociale inaugura l'ambito d'esistenza piu propriamente politico, quale sfera dell'agire che assume a suo oggetto non la riproduzione egoistica e naturalistica del singolo ma quella, consapevole _e intenzionale, dell'intero. E tale sfera è propriamente quella della società civile o, piu ampliamente, della sovrastruttura, dove il gruppo sociale dapprima, nella fase della sua identità corporativa, lotta contro i gruppi già dominanti per essere ammesso a partecipare alla gestione dello Stato, ma dove essenzialmen~ te combatte la sua lotta culturale e morale per l'egemonia: ovvero per essere riconosciuto dal consenso di tutti che il suo interesse di parte valga come interesse universale e che di li sia valido a unificare e a dirigere la vita sociale nella sua globalità. Certo della sovrastruttura e dell'egemonia fa parte anche lo Stato e la quota di coazione e di monopolio della forza che mette in campo con i suoi apparati di governo: ma la quota piu rilevante dell'egemonia viene realizzata nella società civile propriamente detta, attraverso un consenso che si genera per persuasione e di cui l'ideologia è il vettore di produzione fondamentale in quanto appunto visionè del mondo e della realtà che unifica il gruppo sociale con se stesso, traducendolo dall'atomismo alla coscienza unitaria di sé, e che in pari tempo lo universalizza a soggetto etico-politico capace di dare direzione e senso a un'intera epoca storica. L'ideologia, prodotta da quegli intellettuali il cui ruolo è fondamentale nella teoria sociopolitica di Gramsci, è cosi in questo autore sinonimo di trascendentale, nel senso piu intrinsecamente kantiano del termine: sia come funzione costitutiva e propria di ciò che è soggettività, sia come funzione propriamente teoretico-conoscitiva, in quanto solo l'eleborazione autonoma di un'ideologia consente a un gruppo sociale di stringere e sintetizzare il molteplice del mondo economico in un quadro unitario, legato un progetto di direzione politica. Qual è appunto la messa in forma sintetica di un molteplice che Kant aveva assegnato alla funzione del trascendentale e tenendo per altro conto del fatto che conoscenza in Gramsci non significa mai speculazione pura e disinteressata bensi visione del mondo profondamente radicata nei bisogni e negli affetti del mondo pratico della vita. L'ideologia è dunque il fattore di trasformazione che consente agli uomini di passare dalla natura alla cultura, superando un agire meramente trovato e subito di carattere economico in un agire

a

XIX

d'iniziativa politica capace di sollecitare e organizzare gli interessi di

tutti. Senza dimenticare owiamente che in Gramsci è presente anche la tradizionale accezione di ideologia come falsa coscienza, quando per lui, specularmente al significato appena delineato, si dia invece assenza di egemonia e d'iniziativa storica: come nel caso del marxismo positivistico e meccanicistico dove la fede negli automatismi delle contraddizioni storiche costringe gli strati subalterni a rimanere in un atteggiamento di passività storica e di affidamento ancora religoso e infantile a forze taumaturgiche e provvidenzialistiche. Solo che il senso prevalente di ideologia nelle pagine dei Quaderni è quello - opposto alla definizione marx-engelsiana dell'Ideologia tedesca - di essere forma di conoscenza, e non di misconoscenza, e di essere esito del prevalere, non dello sguardo del singolo sul collettivo, ma viceversa di quello del collettivo sul singolo: a conferma appunto che l'ideologia con Gramsci è divenuta, originalmente, sinonimo di trascendentale storico, fattore cioè strutturalmente costitutivo di una storia leggibile, piu che come svolgersi di modi di produzione come affermarsi e decadere di soggettività politiche e collettive. Cosi la teoria gramsciana della soggettività politica e della storia toglieva l'ideologia dal cielo della mera immaginazione, della pura illusione in cui l'aveva confinata la Deutsche Ideologie e la ricollocava nella concretezza della prassi storica, facendone l'orizzonte di fondo della società civile, quale l'insieme delle istituzioni, delle associazioni e dei soggetti che, svolgendo funzioni intellettuali e non manuali, hanno come oggetto di produzione, non i beni materiali, ma la ricchezza della lotta delle idee e della generalizzazione del consenso. Eppure, proprio nel momento in cui l'intelligenza storica e sociologica di Gramsci ripensava alla natura dell'ideologia secondo una fecondazione meno schematica del nesso di teoria e prassi di quanto avevano concepito Marx ed Engels, si evidenziavano alcuni limiti, assai problematici, della sua impostazione, che nascevano da una distanza non sufficientemente elaborata da quell'idealismo italiano che proprio nella sua rielvanza egemonica era stato assunto da Gramsci come sistema filosofico e culturale da combattere teoricamente e da deligittimare nelle sue pretese di coerenza e di universalità. Sembra risultare abbastanza chiaramente infatti quanto in Gramsci il nesso sfera dell'agire economico-società civile sia struttu-

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ralmente omologo al nesso dei distinti con cui Croce nella Filosofia della prassi connette l' «economica» e l' «etica». Giacché in entrambi i pensatori l'agire economico si connota come determinato dalle movenze dell'utile, del vitale legato all'immediatezza del bisogno e della passione egoistica, mentre solo l'ambito superiore è la cornice di una soggettività la quale è capace di muoversi secondo un fine eticopolitico che è quello dell'interesse generale. Cosi come nella dislocazione che Gramsci compie dei rapporti di forza economici in un ambito pressoché naturalistico, nel senso del meramente dato e trovato, rispetto alla valorizzazione della creatività della prassi .d'egemonia politico-culturale propria della società civile, non è difficile scorgere la presenza della teoria gentiliana dell'atto che nell'inesauribilità del suo porsi ha da superare costantemente la passività del /atto: quale datità che la prassi spirituale trova contro di sé e che deve elaborare, traducendola appunto dall'esteriorità della natura nell'interiorità della volontà spirituale. Tutto ciò per dire che in Gramsci rimane forse un'eccessiva distanza, d'ispirazione idealistica, tra struttura e sovrastruttura e una sopravvalutazione asimmetrica della spiritualità della vita rispetto alla sua materialità, in una sorta anche qui di parricidio troppo rapidamente consumato (nella forma di un mero rovesciamento) rispetto al materialismo ingenuo di Marx ed Engels. Quasi che anche Gramsci abbia avuto difficoltà a pensare coerentemente il nesso teoria-prassi, riuscendo sf a distinguere ma poco a mediare intrinsec~mente i due ambiti, tanto da assegnare essenzialmente alla sfera dell'intellettualità e della cultura il privilegio dell'iniziativa e della sintesi storica.

3. L'ideologia come prassi Con l'opera di complesso e sistematico ripensamento del marxismo messa in campo da Louis Althus~er, il concetto di ideologia cessa in modo netto ed esplicito di appartenere al cielo della teoria, di indicare ciò che apparterrebbe solo alla mente e alla immaginazione· degli uomini, e si fa categoria e funzione essenzialmente pratica. Rispetto alla definizione marx-engelsiana dell'Ideologia tedesca la situazione è in sostanza rovesciata. L'ideologia infatti per Althusser XXI

non è l'esito della visione di un occhio che deforma il mondo, non è una rappresentazione che nasce in un soggetto che erra nel suo guardare l'oggetto, bensi è l'effetto di deformazione che l'oggetto produce nel soggetto, o meglio, per esprimersi in termini piu adeguati alla concettualizzazione propria di Althusser, è la rappresentazione immaginaria, prodotta da una pratica e da una ritualità sociale, che l'individuo ha di sé: l'ideologia cioè consiste nell'apparato collettivo che induce l'identità fallace del soggetto individuale, il quale, proprio nel concepirsi come un delle scienze, delle tecniche e dell'economia nazionale. Annesso: «l'ideologia del lavoro»26 . 4) L'umanesimo, contrappunto obbligato del tema dell'interesse economico, che fa la sintesi tra il Nazionalismo e la Missione della Francia, la Libertà dell'Uomo, ecc. Ogni Apparato ideologico di Stato «adatta» a modo proprio tutti o parte di questi temi, le loro componenti e le loro risonanze.

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IX. Della riproduzione dei rapporti di produzione

Solo qui, e solo adesso, possiamo rispondere alla nostra questione centrale, rimasta in sospeso per tante pagine: come viene assicurata la riproduzione dei rapporti di produzione? Nel linguaggio della topica (infrastruttura, sovrastruttura), diremo: essa viene assicurata dalla sovrastruttura, dalla sovrastruttura giuridico-politica, e dalla sovrastruttura ideologica. Ma poiché abbiamo ritenuto indispensabile superare questo linguaggio ancora descrittivo, diremo: essa viene assicurata dal!' eserdzio del potere di Stato negli Apparati di Stato, l'Apparato repressivo di Stato da una parte, e gli Apparati ideologici dall'altra. Dovremo tener conto di quanto è stato detto precedentemente e che riassumiamo ora nei tre punti seguenti: 1) Tutti gli Apparati di Stato funzionano allo stesso tempo con la repressione e con l'ideologia, con la differenza che l'Apparato repressivo di Stato funziona in maniera di gran lunga prevalente con la repressione, mentre gli Apparati ideologici di .Stato funzionano in maniera di gran lunga prevalente con l'ideologia, - con tutte le sfumature necessarie per ogni caso. 2) Mentre l'Apparato repressivo di Stato costituisce un tutto organizzato i cui differenti elementi sono centralizzati sotto un'unità di comando - quella della politica di lotta delle classi applicata dai rappresentanti politici delle classi dominanti che detengono il potere di .Stato -, gli Apparati ideologici di Stato sono molteplici, distinti, relativamente autonomi e suscettibili di offrire un campo obiettivo a contraddizioni che esprimono, sotto delle forme limitate, ma in certi 142

casi estreme, gli effetti degli scontri tra la lotta di classe capitalistica e la lotta di classe proletaria, cosI come le loro forme subordinate (per esempio la lotta tra la borghesia e l'aristocrazia fondiaria nei due primi terzi del XIX secolo, la lotta tra la grande borghesia e la piccola borghesia, ecc.). 3) Mentre l'unità dell'Apparato repressivo di Stato viene assicurata dalla sua organizzazione centralizzata unificata sotto la direzione dei rappresentanti delle classi al potere che attuano la politica di lotta delle classi, delle classi al potere, l'unità tra i differenti Apparati ideologici di Stato viene assicurata dall'ideologia dominante, quella della classe dominante, che, per rendere conto dei suoi effetti, dobbiamo chiamare l'ideologia di Stato .. 1. Di una certa «divisione del lavoro» nella riproduzione dei rapporti di produzione

Se vogliamo tenere conto di queste ~aratteristiche, possiamo allora rappresentarci la riproduzione dei rapporti di produzione nella maniera seguente, secondo una sorta di «divisione del lavoro». La funzione dell'Apparato repressivo di Stato è essenzialmente, in quanto apparato repressivo, quella di assicurare con la /orza (fisica o no) le condizioni politiche della riproduzione dei rapporti di produzione. L'Apparato di Stato non solo contribuisce in gran parte a riprodursi esso stesso 1, ma anche, e soprattutto, assicura con la repressione (dalla forza fisica piu-brutale fino ai semplici ordini e divieti amministrativi, alla censura palese o tacita, ecc.) le condizioni politiche generali dell'esercizio degli App'arati ideologici di Stato. Sono questi in effetti che assicurano, per definizione, la riproduzione stessa dei rapporti di produzione, dietro lo «scudo» dell' Apparato repressivo di Stato. È qui che l'Ideologia di Stato, quella della classe dominante che detiene il potere di Stato, ha il suo ruolo fondamentale. È per il tramite dell'ideologia dominante, dell'ideologia di Stato, che viene assicurata l' «armonia» (talvolta stridente) tra l'Apparato repressivo di Stato e gli Apparati ideologici di Stato, e tra i differenti Apparati ideologici di Stato. Siamo cosI portati a considerare l'ipotesi seguente, in funzione della diversità degli Apparati ideologici di Stato nel loro ruolo unico 143

perché comune, della riproduzione dei rapporti di produzione. Abbiamo in effetti elencato, nelle formazioni sociali capitalistiche contemporanee, un numero relativamente elevato di Apparati ideologici di Stato: l'Apparato religioso, l'Apparato scolastico, l'Apparato familiare, l'Apparato politico, l'Apparato sindacale, l'Apparato dell'informazione, l'Apparato dell'Editoria, l'Apparato «culturale» (comprendente anche lo sport), ecc. Orbene, nelle formazioni sociali del modo di produzione basato sul «servaggio» (detto comunemente feùdale), constatiamo che, se esiste un unico Apparato repressivo di Stato, formalmente molto simile a quello che noi conosciamo, non solo a partire dalla Monarchia assoluta, ma anche dai primi Stati antichi conosciuti, il numero degli Apparati ideologici di Stato è meno elevato e la loro individualità è differente. Constatiamo, per esempio, che la Chiesa (Apparato ideologico di Stato religioso) cumulava allora una quantità di funzioni oggi devolute a vari Apparati ideologici di Stato distinti, nuovi in rapporto al passato che. evochiamo. Accanto alla Chiesa esisteva l'Apparato ideologico di Stato familiare, il cui ruolo non era paragonabile a quello che esso ha nelle formazioni sociali capitalistiche. La Chiesa e la Famiglia non erano, malgrado le apparenze, i soli Apparati ideologici di Stato. Esisteva anche un Apparato ideologico di Stato politico (gli Stati Generali, il Parlamento, le differenti fazioni e Leghe politiche, precursori dei moderni partiti politici, e tutto il sistema politico dei comuni franchi, e poi delle città). Esisteva anche un potente Apparato ideologico di Stato «pre-sindacale», se possiamo azzardare quest'espressione forzatamente anacronistica (le potenti confraternite dei merçanti, dei banchieri, e anche le associazioni dei compagnons, ecc.). L'Editoria e l'Informazione stesse hanno conosciuto un incontestabile sviluppo, come pure gli spettacoli, dapprima parte integrante della Chiesa, poi sempre piu indipendenti da essa.

2. Esiste un Apparato ideologico di Stato dominante. Oggi è la Scuola Nel periodo storico precapitalistico che esaminiamo a grandi linee, è del tutto evidente che esisteva un Apparato ideologico di Stato dominante, la Chiesa, che concentrava in sé non solo le funzioni 144

religiose, ma anche quelle scolastiche, e una buona parte delle funzioni di informazione, di «cultura», e di editoria2 • Se tutta la lotta ideologica dal XVI al XVII secolo, dopo la prima scossa della Riforma, si è concentrata in una lotta anticlericale e antireligiosa, è in funzione della posizione assolutamente dominante dell'Apparato ideologico di Stato religioso. La Rivoluzione francese ha avuto prima di tutto come obiettivo e risultato non solo di far passare il potere di Stato dall'aristocrazia feudale alla borghesia capitalistico-commerciale, di distruggere in parte il vecchio Apparato repressivo di Stato e di sostituirlo con uno nuovo (es. l'Esercito nazionale popolare), - ma anche di attaccare l'Apparato ideologico di Stato numero uno: la Chiesa. Da qui la costituzione civile del clero, la confisca dei beni della Chiesa, e la creazione di nuovi Apparati ideologici di Stato per sostituire l'Apparato ideologico di Stato religioso nel suo ruolo dominante. Naturalmente, le cose non sono andate da sé: ne sono prova il Concordato, la Restaurazione, e la lunga lotta di classe tra l'Aristocrazia e la borghesia industriale in tutto il corso del XIX secolo, per affermare l'egemonia borghese sulle funzioni eseguite un tempo dalla Chiesa. Possiamo dire che la borghesia si è appoggiata al nuovo Apparato ideologico di Stato politico, democratico-parlamentare, costituito nei primi anni della Rivoluzione, poi restaurato, dopo lunghe lotte violente, per qualche mese nel 1848, e per decine di anni dopo la caduta del Secondo Impero, al fine di portare avanti la lotta contro la Chiesa e di impadronirsi delle sue funzioni ideologiche: in breve, per assicurarsi non solo l'egemonia politica, ma anche l' egemonia ideologica, indispensabile alla riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici.

Perciò, ci riteniamo autorizzati ad avanzare la Tesi seguente, con tutti i rischi che questo comporta. Pensiamo che l'Apparato ideologico di Stato che è stato messo in posizione dominante nelle formazioni capitalistiche mature, alla fine di una violenta lotta di classe politica e ideologica contro il vecchio Apparato ideologico di Stato dominante, sia l'Apparato ideologico scolastico. Questa tesi può sembrare paradossale, se è vero che a tutti, èioè nella rappresentazione ideologica che la borghesia teneva a dare a se stessa e alle classi che sfruttava, sembra che l'Apparato ideologico di Stato dominante nelle formazioni sociali capitalistiche sia non già la 145

Scuola, ma l'Apparato ideologico di Stato politico, vale a dire il regime di detnocrazia parlamentare accompagnato dal suffragio universale e dalle lotte dei partiti. La storia, anche recente, mostra, però, che la borghesia ha potuto e può molto bene accontentarsi di forme molto varie del suo Apparato ideologico di Stato politico, differenti dalla democrazia parlamentare: l'Impero, primo e secondo, la Monarchia Costituzionale (Luigi XVIII, Carlo X), la Monarchia parlamentare (Luigi-Filippo), la democrazia presidenziale (de Gaulle), per non parlare che della Francia. In Inghilterra, le cose sono ancora piu evidenti. La Rivoluzione qui è particolarmente «riuscita» dal punto di vista borghese, poiché - a differenza della Francia, dove la borghesia, d'altronde per la stoltezza della piccola borghesia, ha dovuto accettare di lasciarsi portare al potere dalle «giornate rivoluzionarie», contadine e plebee, che le sono costate terribilmente care - la borghesia inglese ha potuto relativamente e abilmente «accordarsi» con l' Aristocrazia, e «dividere» con essa la detenzione del potere di Stato e l' apparato di Stato per molto tempo (pace tra tutti gli uomini di buona volontà delle classi dominanti!). In Germania, le cose sono ancora piu sorprendenti, perché è sotto un Apparato ideologico di Stato politico in cui gli Junker Imperiali (simbolo Bismarck), il loro esercito e la loro polizia, servivano da scudo e da personale dirigente, che la borghesia imperialistica ha fatto la sua entrata clamorosa nella Storia, prima di affidarsi a quell'Apparato politico molto «nazionale» e molto «socialista» ma ... assai poco «democratico», quale è stato il nazismo. Riteniamo dunque di avere molte ragioni per pensare che, dietro il «teatro» delle lotte politiche, con cui la borghesia ha fatto spettacolo o imposto il supplizio alle masse popolari, quello che essa ha installato come suo Apparato ideologico di Stato numero uno, dunque dominante, sia l'Apparato scolastico, che ha di fatto sostituito nelle sue funzioni il vecchio Apparato ideologico di Stato dominante, vale a dire la Chiesa. Possiamo anche aggiungere: la coppia scuola-famiglia ha sostituito la coppia Chiesa-Famiglia. Perché l'Apparato scolastico è di fatto l'Apparato ideologico di Stato dominante nelle formazioni sociali capitalistiche? e come funziona? Lo spiegheremo in una prossima opera3 • Basti dire per il momento che: 146

1) Tutti gli Apparati ideologici di Stato, qualunque essi siano,

concorrono tutti allo stesso risultato: la riproduzione dei rapporti di produzione, cioè dei rapporti di sfruttamento capitalistici. 2) Ognuno di essi concorre a questo unico risultato nella maniera che gli è propria. L'apparato politico assoggettando gli individui al1' ideologia politica di Stato, l'ideologia «democratica», indiretta (parlamentare) o diretta (plebiscitaria o fascista). L'Apparato di informazione rimpinzando attraverso la Stampa, la Radio, la Televisione tutti i «cittadini» con dosi quotidiane di nazionalismo, sciovinismo, liberalismo, moralismo, ecc. Lo stesso vale per l'Apparato culturale (il ruolo dello sport nello sciovinismo è preminente), ecc. L'Apparato religioso ricordando nei Sermoni e nelle altre Grandi Cerimonie della Nascita, del Matrimonio e della Morte che l'uomo non è che polvere, salvo se sa amare i suoi fratelli fino o porgere I' altra guancia a colui che lo schiaffeggia. L'apparato scolastico: vedremo bene in dettaglio, come. L'apparato familiare ... non insistiamo. 3) Questo concerto è dominato da un'unica partitura, in cui si sente qualche «stonatura» (quella dei proletari e delle loro organizzazioni che sono terribilmente discordanti, quelle dei piccoli-borghesi che si oppongono o anche dei rivoluzionari, ecc.): la partitura dell'Ideologia di Stato, ideologia della classe attualmente dominante, che sa molto bene integrare nella sua musica i grandi temi dell'Umanesimo dei Grandi predecessori, che hanno fatto, prima del Cristianesimo, il miracolo Greco, e dopo, la Grandezza di Roma, la Città eterna, e i temi dell'Interesse, pubblico e privato, come è d'obbligo. Nazionalismo, moralismo ed economicismo. Pétain diceva piu cinicamente: Lavoro, Famiglia, Patria. 4) In questo concerto, però, c'è un Apparato ideologico di Stato che ha proprio il ruolo dominante; benché nessuno o quasi presti ascolto alla sua musica: essa è talmente silenziosa! Si tratta della Scuola. Essa prende i ragazzi di tutte le classi sociali sin dalla scuola Materna e sin dalla scuola Materna, con metodi vecchi e nuovi, inculca loro, per anni, gli anni in cui il bambino è piu «vulnerabile», costretto tra l'apparato di Stato Famiglia e l'apparato di Stato Scuola, dei «sav~ir-faire» rivestiti dell'ideologia dominante (il francese, il far di conto, la storia naturale, le scienze, la letteratura), o semplicemente l'ideologia dominante allo stato puro (morale, istruzione civica, filo147

sofia). Piu o meno verso i quattordici anni, un'enorme massa di ragazzi finisce «nella produzione»: saranno gli operai o i piccoli contadini. Un'altra parte della gioventu scolarizzabile continua: e, accada quel che accada, fa un tratto di cammino per cadere lungo la strada e occupare i posti dei piccoli e medi dirigenti, impiegati, piccoli e medi funzionari, piccoli borghesi di ogni genere. Un'ultima parte arriva alle vette, o per cadere nel sotto-impiego o nella semi-disoccupazione intellettuali, o per fornire gli agenti dello sfruttamento, gli agenti della repressione, i professionisti dell'ideologia (preti di ogni tipo, la maggior parte dei quali sono dei «laici» convinti), e anche gli agenti della pratica scientifica. Ogni massa che cade lungo la strada è grosso modo praticamente provvista, a parte qualche errore o difetto, dell'ideologia che conviene al ruolo che essa deve avere nella società di classe: il ruolo di sfruttato (con una «coscienza professionale»,