Lo spettacolo futurista 8877370750


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Lo spettacolo futurista
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Giovanni Lista

LO SPETTACOLO FUTURISTA

CANTINI

ALBUM CANTINI a cura di Giovanni Fanelli

Lo spettacolo teatrale fu l'epicentro della tumultuosa avventura che l'avanguardia futurista condusse all'insegna di una mitologia rivoluzionaria e in funzione di una poetica romantica dell’arte. Il libro ripercorre le tappe essenziali della ricerca futurista rivolta alla scena: il costume scenografico, i balletti meccanici, il teatro cromatico, i balletti plastici per marionette, l’aerodanza, la pantomima e la scena astratta come invenzione di una nuova teatralità prodotta dal potere magnetico delle luci o delle forme meccaniche in movimento.

Giovanni Lista

Nato nel 1943, a Castiglione del Lago (Perugia). Autore di numerose pubblicazioni, ha collaborato alla realizzazione di

grandi mostre internazionali come specialista dell'avanguardia italiana. Risiede dal 1969 a Parigi dove è professore incaricato presso il Centre National de la Recherche Scientifique con compiti di ricerca storiografica sulla cultura sii in Italia.

ALBUM

CANTINI

Lo spettacolo futurista

Digitized by the Internet Archive in 2023 with funding from Kahle/Austin Foundation

Nttps://archive.org/details/lIospettacolofutuOOOOlist

Giovanni

Lista

LO SPETTACOLO FUTURISIA

CANTINI

Copyright © Cantini Editore Borgo Santa Croce 8, 50122 Firenze

ISBN 88-7737-075-0

Grafica: Auro Lecci Impaginazione: Giovanni Breschi Fotocomposizione: Tassinari Fotolito: Alfacolor - Elleti Grafiche

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SOMMARIO

Giovanni Lista Lo spettacolo futurista Prologo

Lo spettacolo futurista 20

Bibliografia

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Tavole

Paul Ranson, Bozzetto dei costumi di Guattero e di vampiro Ptiokarum per Re Baldovia di Marinetti, 1908, regia di Lugné-Poe, Theédtre de l’Oeuvre, 3 aprile 1909, Parigi (Archivi della S.A.C.D., Parigi).

PROLOGO

Il presente volume nasce anche come prodotto alternativo rispetto ad un mio vecchio progetto: una esposizione sulla ‘‘scenografia’’ che mostrasse tutte le fasi e le tendenze della creazione futurista, e

in genere dell’avanguardia italiana, legata al teatro. Sono riuscito finora a realizzare solo in minima parte questo progetto curando la sezione futurista della mostra Die Maler und Das Theatre in 20 Jahrhundert, presentata alla Schirn Kunsthalle di Francoforte nel marzo/maggio 1968. Questa imponente manifestazione espositiva, organizzata da Denis Bablet e Erica Billeter, permise un primo confronto internazionale delle ricerche, spesso straordinarie per ricchezza inventiva, condotte dalle avanguardie in funzione della scena moderna. Ma rivelò anche l’arretratezza della storiografia e dei musei italiani in questo campo. Nessun lavoro sistematico è stato finora intrapreso in Italia per stabilire dei repertori, studiare e conservare le opere di questo settore della produzione artistica della nostra avanguardia che resta marginalizzato, nel suo insieme, svalutato persino rispetto alle cosiddette arti decorative. L’area dannunziana del teatro italiano di questo secolo è particolarmente documentata dalle collezioni del Museo e Biblioteca teatrale del Burcardo di Roma. Attraverso gli archivi di Virgilio Marchi, il Museo e la Biblioteca dell’ Attore di Ge-

nova dispone del materiale di studio sul Teatro d’Arte di Pirandello. Nulla di simile esiste invece per quanto concerne l’avanguardia. Le uniche eccezioni sono la donazione Balla al Museo e Biblioteca Livia Simoni della Scala di Milano, il quale conserva anche alcuni bozzetti di Chiattone e di Prampolini, come frutto di altre donazioni; la donazione Depero alla città di Rovereto, raccolta in un museo che porta il nome stesso dell’artista; infine le poche opere scenografiche, tra cui quelle notevoli di Veronesi, riu-

nite dal Museo Provinciale d’ Arte di Trento. Grazie anche alla prossima annessione amministriva del

Museo Depero di Rovereto al Museo Provinciale d’Arte di Trento, quest’ultimo potrebbe essere 0ggi nella migliore posizione per svolgere una attività precisa in questo campo, prima che la dispersione o la deteriorazione del materiale ancora disponibile finisca per rendere inattuabile qualsiasi progetto in questa direzione. In quanto dossier iconografico, questo libro è stato ideato a ridosso del saggio analitico La Scène futuriste, Editions du Centre National de la Recherche

Scientifique, Parigi, 1989. Le due pubblicazioni sono praticamente complementari. Mettendo qui, a disposizione dello studioso, le immagini sulle quali avevo condotto le esegesi storiografiche del precedente volume, dovrei ringraziare tutti coloro che hanno dato un valido contributo alle mie ricerche. Ma credo che sia inopportuno ripetere qui un nutrito quanto fastidioso elenco di nomi. Un ringraziamento particolare va invece a Maria Pia Gonnelli e Carlo Mansuino della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Gabriella Belli del Museo Provinciale d’ Arte di Trento, Irina Subotié del Narodni Muze] di Belgrado, Carlo Prosser del Museo Depero di Rovereto, Alessandro Tinterri del Museo e Biblioteca dell’ Attore di Genova, Peter Krediè del Muze] Arhiteture di Lubiana, Maria Signorelli, Zdenska Podhajsk4, Pavel Kuklovsky, Frantisek Smejkal recentemente scomparso, Marida Shaari, Renato Gilardo, Massimo Carpi, Tullio Crali, Massimo Prampolini, Giuliano Pratelli. Su un altro piano e per altre ragioni, questo libro deve molto all’amicizia e all'insegnamento di Denis Bablet. Gb: N.B. Per tutte le immagini di cui non è indicata la provenienza, quest’ultima è da Archivi e collezione Giovanni Lista, Parigi, tutti i diritti riservati.

Prampol

nl

000 izzi per costumi di danzatri.UA i futur aste i ISZI:DO:

LOSPRELACOLORUTURISTA

Per definire il registro espressivo del futurismo nel campo teatrale è preferibile parlare non già di teatro, ma piuttosto di ‘‘spettacolo futurista’’. Quest’ultima costituisce infatti la migliore categoria esegetica, direi la sola formula capace di guidare efficacemente lo studio delle attività che l’avanguardia italiana ha svolto in funzione della scena !. Giacchè le regole e le convenzioni del ‘‘rappresentare’’ erano avvertite dal gruppo futurista come limite riduttivo, imbrigliamento e appiattimento delle capacità espressive dell’artista d'avanguardia. In quanto tale, il creatore futurista non poteva aderi-

be una puntuale formulazione teorica nel manifesto Il Teatro di varietà lanciato da Marinetti nel 1913. Ma ha avuto poi altre verifiche, egualmente esemplari. I vestiti variopinti di Balla e Cangiullo sono stati il primo esempio storico del ‘teatro comportamento”’ adottato più tardi, in forme diverse, dal gruppo Fluxus o dagli Indiani metropolitani. I carri mascherati creati da Tato, Depero, Rizzo, testi-

moniavano anch'essi dell’azione futurista inserita nello spazio urbano, in seno alla festa collettiva. Traendo ispirazione dal mondo del music-hall e della scena popolare, introducendo a teatro le no-

re all’artificio della finzione scenica, come avviene

vità strumentali della civiltà tecnologica, investen-

invece per l’attore che opera nell’ambito di un’attività professionale. L'artista d’avanguardia investiva la scena per esibire se stesso e le proprie idee rivoluzionarie, sollecitando quindi in senso trasgressivo la delega che pone l’attore nella situazione di portavoce del drammaturgo. Il teatro, dapprima in-

do la città con i suoì sconfinamenti provocatori e carnevaleschi, il futurismo aspirava solo e soltanto all’esplosione liberatrice della festa. Ed è proprio

teso come testo scritto da mettere in scena, tende-

va così a risolversi in spettacolo, cioè ad assumere il fatto scenico come realtà prima ed assoluta dell’arte teatrale. La mutazione fu progressiva e coinvolse tutte le componenti espressive della scena. La parola, la drammaturgia, il testo scritto da recitare, le luci naturalistiche e il fondale dipinto vennero sostituite dal gesto, dalla scenografia, dall'azione mimica e coreografica, dalle luci cromatiche in movimento, dai volumi costruiti della scena plastica e meccanica. Il rifiuto dei modelli di comportamento sociale della borghesia, la volontà futurista di ‘‘ricostruire l’universo rallegrandolo’’, portavano al tempo stesso alla reinvenzione del mondo quotidiano, cioè alla spettacolarizzazione della vita intesa come festa, disponibilità alla comunicazione collettiva, attivazione ludica dell’immaginazione al fine di scompaginare i ritmi acquisiti dell'abitudine. Questo doppio movimento che realizzava una collusione diretta tra la vita e il teatro, tra la scena e lo spazio urbano, eb-

questo, in definitiva, il tratto specifico che distin-

gue il movimento futurista italiano, la sua matrice romantica ed anarchica, rispetto alle avanguardie straniere. Marinetti non ipotecò mai il potenziale rivoluzionario del futurismo in funzione di una modellizzazione dell’uomo e della società. La forza dirompente e sovversiva dell’arte d'avanguardia doveva essere esercitata su posizioni fideiste, ma mai normative, puntando solo sull’attualizzazione di una specie di estasi eraclitea della vita in atto. Partendo da una politica della scena molto simile, Eisenstein teorizzava invece il suo ‘‘montaggio delle attrazioni’ in quanto ‘‘ingranaggio’’ necessario per creare dei ‘‘riflessi condizionati di classe’’ nello spettatore. I teorici del laboratorio d’arte teatrale della Bauhaus (Gropius, Schlemmer, Weininger, Moholy-Nagy) parlavano anche loro di una ‘‘ rieducazione psichica delle masse’’ da ottenere con i dispositivi spettacolari del ‘teatro totale’’. L’avanguardia futurista non asservì le sue ricerche innovatrici ad un addestramento ideologico. Propose invece la creazione continua, il costante superamento della novità, perchè solo nella sorpresa detonante dell’imprevisto, nella vertigine del perennemente

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inesplorato, era possibile scardinare nello spettatore ogni servitudine psicologica e comportamentale. L’uso di questa libertà ritrovata non era programmato in nessun modo se non, precisamente, come scopo e fine a se stessa, cioè come festa dell’istinto vitale in azione. Parlare quindi unicamente di teatro futurista significa cancellare la più profonda specificità dell'avanguardia italiana. Il teatro suppone un diaframma tra l’idea e il pubblico, tra la volontà del drammaturgo e la ricettività dello spettatore. Lo spettacolo prevede invece l’Azc et nunc della

velocità come modelli della nuova espressione futurista. L'evoluzione culminava tre anni dopo nella creazione delle sintesi che abolivano praticamente il teatro scritto facendo dell’arte scenica un sinonimo dell’azione, trasformando la ‘‘rappresentazione teatrale’’ in atto di contestazione rivoluzionaria. Tra i reperti che vanno posti all’origine dello spettacolo futurista ci sono anche le primissime ricerche sul movimento in pittura. In un disegno del 1908, Boccioni riprendeva l’iconografia di una pittura murale pompeiana, proveniente dalla villa di

scena, l’immediatamente sensibile del contatto di-

Cicerone, in cui la veste svolazzante di una danzatrice realizzava la fluidificazione della forma, me-

retto che fu l’autentico banco di prova del vitalismo futurista. Marinetti venne precocemente educato al teatro romantico, nella vena espressiva di Victor Hugo, come è provato dai drammi a tema storico scritti e interpretati in costume dagli allievi del Collegio Saint Frangois Xavier, ad Alessandria d’Egitto, quando vi soggiornò per gli studi liceali. Enfasi re-

torica e grandiosità epica delle situazioni si riscontrano appunto in Paolo Baglione, un suo dramma giovanile rimasto inedito, mentre lo stesso afflato lirico appare già corretto dalla lezione di Jarry in Le Rot Bombance che venne messo in scena da LugnéPoe all’indomani della fondazione del futurismo. Marinetti compiva allora un’altra esperienza formativa: le declamazioni poetiche che erano contatto diretto con il pubblico, verifica dell’arte come energia dispiegata e fatto sociale, estroversione balenante e occasione spettacolare. Su questa strada, la ‘‘serata futurista’’ fu l’ultima tappa a cui Marinetti arrivò solo quando l’attivismo prese in lui il sopravvento sull’inguaribile sensibilità romantica inculcatagli dalla madre e dai Gesuiti francesi della sua adolescenza. Nel 1910, il fondatore del futuri-

smo affermava ancora che il teatro doveva trattare delle grandi figure storiche, quali Clemenceau, Blériot o Napoleone. Ma subito dopo, rifiutando questo principio romantico, faceva sue le idee del liberista fiorentino Scattolini: ‘il teatro storico è morto”. Successivamente, il Manifesto dei drammaturghi futuristi proponeva dunque la macchina e la

todo privilegiato poi dalla pittura futurista per rendere il continuum del movimento. In questo senso, l’iniziatrice della visualità futurista a teatro fu Loie Fuller, la danzatrice dai veli colorati che do-

veva soggiogare il giovane Balla alla Exposition Universelle di Parigi, nel 1900. Gli arabeschi disegnati dalla Fuller, creando delle figure effimere e cangianti, subito risolte in un vortice di luci e di colori in

cambiamento continuo, erano la migliore interpretazione ante litteram del futurismo: il gesto coreografico concretizzava il flusso incessante delle trasmutazioni dell’essere, non era cioè materializ-

zazione di una forma, ma piuttosto traduzione visiva dell’energia vitale che è immanente a tutte le forme in gestazione della materia. Lucini, Cangiullo, Prampolini, sono stati tra gli ammiratori della

danzatrice americana che ha ispirato le prime ideazioni del costume coreografico e della danza futuriste. Anche Valentine de Saint Point ha seguito inizialmente questo esempio, giungendo infine a creare la Metacoria o ‘“danza ideista’’ in base alle teorie del ‘‘cerebrismo’’ lanciato in Francia da Ricciotto Canudo. Si trattava in realtà di una ripresa del cerebrismo di Corra e Settimelli che proprio allora avevano deciso di rinunciare in parte alle loro posizioni per aderire al movimento fururista. La nuova danza di Valentine de Saint Point nasceva nel 1913 come rifiuto tanto del lirismo visivo della Loie Fuller, quanto del sentimentalismo di Isadora Duncan. Il corpo della danzatrice ideista dove-

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va formulare l’espressione rigorosa dell’idea come immagine mentale, articolando freddamente nello spazio una successione di pose plastiche dedotte dalla

‘‘ritmica’’ di Dalcroze. Il costume della Metacoria doveva inoltre ricoprire tutto il corpo e persino il volto della danzatrice in modo che il gesto coreografico apparisse sensualmente e psicologicamente inespressivo, cioè radicalmente spersonalizzato. Ma in definitiva Valentine de Saint Point non seppe rinunciare, per i suol costumi, all’esotismo delle panoplie wagneriane o orientali, attirandosi così la disapprovazione di Marinetti che, quattro anni dopo, nel Manifesto della danza futurista, tuonava: ‘Noi futuristi preferiamo Loie Fuller e il cake-walk dei negri’. Nel campo della scenografia, furono i Balletti Russi di Diaghilev a fornire le prime suggestioni creative, poi a favorire l’evoluzione dei futuristi verso un’arte scenica d'avanguardia. Il teatro letterario condizionò invece le prime immagine relative ad una scena futurista. Restando al livello illustrazionista del dramma in costume, i figurini di Sacchetti per Re Bal/doria di Marinetti davano nel 1905 una interpretazione visiva dell’opera che era conforme all’attualità politica delle lotte operaie nella Milano industriale. I bozzetti di Paul Ranson, che

morì nel 1908, senza poter assistere alla messa in

ESE ZA rap

scena del Re Baldoria a Parigi, valorizzavano inve-

ETA -

ce la componente sione archetipica in questo ad un L’interpretazione

Prampolini, per una tournee del 1927.

grottesca e leggendaria, la dimendel dramma marinettiano, simile ‘‘mistero’’ del teatro medievale. wagneriana che Paul Ranson da-

va alla figura del Poeta-Idiota, con l’elmo nordico

e i capelli biondi, era esemplare rispetto alla concezione marinettiana del personaggio: prendendosi per un nuovo Lohengrin, il poeta simbolista appariva pietosamente ridicolo di fronte all’affermazione dei valori materialistici della società industriale. I bozzetti di Esodo Pratelli per La Sina 4 Vargiun di Pratella, un’opera lirica che venne con-

siderata futurista solo a posteriori dall’autore, palesano nel 1909 il ritardo di una visione ancora legata al melodramma verista, anche se quest’ulti-

IONE

DE CENZOaC

Cartolina disegnata da

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mo era scenicamente rivisitato attraverso il descrittivismo panico e l’arcaismo ritualista della Figlia di Iorio di D’ Annunzio. Due anni dopo, Pratelli viveva a Parigi, dove aveva trovato lavoro come decoratore di scena per i Balletti Russi. Nel 1913 i suoi bozzetti per L’Aviatore Dro di Pratella, che sono la prima progettazione scenografica ufficialmente futurista, esitano tra le deliziose stilizzazioni dell’ Art

Nouveau e il folclore del cromatismo fauve allora promosso da Bakst e dagli scenografi di Diaghilev. L°opera lirica di Pratella testimoniava comunque di una fase ancora liberista e post-dannunziana del futurismo. La lezione dei Balletti Russi è raccolta alla stessa data anche da Cominetti, avanguardista operante a Parigi dopo aver militato, insieme al fratello Gian Maria, tra i liberisti genovesi. Ma il suo è un tono più favolistico, di una leggerezza incantata e di una sensibilità già post-moderna per quanto riguarda 1 risvolti divertiti e ironici di cui sì mostrerà capace. L'inaugurazione a Roma,

tra la fine del 1913 e

l’inizio del 1914, della Galleria Sprovieri e del Teatro dei Piccoli di Podrecca doveva fornire ai futuristi la possibilità concreta di realizzare le loro idee. Cangiullo, Marinetti, e Balla sono stati i protagonisti delle estrose ‘‘serate futuriste’’ organizzate da Sprovieri in uno stile tra il cabaret e il varietà. In una di queste serate, all’indomani della pubblicazione di Zang Tumb Tumb di Marinetti, Balla voleva presentare lo spettacolo Macchina tipografica in omaggio alle innovazioni parolibere che avevano allora prodotto la prima opera tipograficamente rivoluzionaria del futurismo 3. Ma il progetto non venne realizzato. Per la serata Piedigrotta di Cangiullo, Balla rifece invece, con 1 colori futuristi, i

tradizionali cappelli variopinti e gli altrettanto tradizionali strumenti rumoristi del carnevale napoletano. La più clamorosa fu senz'altro la serata dei Funerali del filosofo passatista presentata da Marinetti contro Benedetto Croce che solo tre mesi prima aveva pubblicato il Breviario d’estetica per riaffermare la sua visione dell’arte come ‘‘intuizione lirica’, svi-

luppando quindi delle posizioni teoriche completa-

mente opposte all’attivismo e alla tensione etica del futuristi. Per queste loro prestazioni, producendosi in declamazioni simultanee, azioni sonore, inter-

venti gestuali e pantomine mascherate, 1 futuristi hanno fatto parlare già allora, con uno straordinario anticipo sui tempi d’oggi, di performance *. Ma queste serate misero soprattutto in atto il connubio tra il futurismo e la scena del varietà che venne poi ripreso e tentato più volte, con alterne vicende, fino alla metà degli anni 20. A Napoli, Cangiullo cercò l’intesa con Raffaele Viviani e Luciano Molinari prima di lanciare il ‘teatro della sorpresa’ insieme a Rodolfo De Angelis; a Roma, Folgore collaborò con Petrolini; a Firenze,

Corra e Settimelli

chiesero a Spadaro di mettere in scena un intero spettacolo di varietà futurista. Fu particolarmente Petrolini a trovarsi in sintonia con la contestazione marinettiana del teatro borghese e a rappresentare allo stesso tempo il modello ideale dell’attore futurista. Solo lui era infatti capace di investirsì nel non senso e nell’assurdo, riuscendo a magnetizzare lo spettatore unicamente in funzione della propria presenza sulla scena. Nelle sue ‘‘sinfonie caleidoscopiche’’ di gesti, gigni, improvvisazioni mimiche e eruzioni verbali, come nel

celebre Fortunello, Petrolini faceva spettacolo riducendo il teatro alla materialità organica del proprio corpo in libertà, azzerando lo spettacolo sull’evidenza concreta di un funambulismo gratuito e irrazionale in cui l*attività psichica appariva stravolta, in preda ad una sorta di follìa meccanica, ma nondimeno energia pura, istinto vitale divinamente libero da ogni condizionamento sociale. I futuristi salutavano così in Petrolini l’attore capace di aprire nuovi varchi alla loro sensibilità creativa, l’inventore di una teatralità non rappresentativa, cioè astratta e dinamogenica, suscettibile di ampliare i campi d’azione e le loro facoltà espressive di artisti d'avanguardia. Contrasti e successi sì alternarono anche nei rapporti tra 1 futuristi e il Teatro dei Piccoli di Podrecca. A causa della guerra, Balla non riuscì a realizzare la riduzione scenica per marionette dell’opera co-

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mica Proserpine di Paisiello, uno spettacolo rivoluzionario per il quale aveva previsto cori onomatopeici per un’espressione animista della natura, l’azione sonora di fischi e di campanelli elettrici per rendere l'atmosfera di terrore dell’inferno, voci di soprano, dei costumi dalle diverse soluzioni stilistiche: veli fluttuanti alla Fuller, lingue di fuoco, alberi con i rami a raggiera, ecc., e in ultimo una sfera blu che, scendendo dal cielo nella scena

finale, simboleggiava la riconciliazione degli elementi della natura in seno alla vita cosmica?. Nello stesso periodo, Prampolini compiva altri tentativi infruttuosi prima di riuscire a realizzare, nel 1917, le scene per Cappuccetto Rosso che, su ‘Gli avvenimenti’ di Milano, Margherita Sarfatti qualificava di ‘‘fantasiosa interpretazione’’ della favola di Perrault®. Le scene riprendevano la resa visionaria dell’occhio della colpa che, desumendolo da Grandville, Prampolini aveva già utilizzato negli scenari per il film 7hais di Anton Giulio Bragaglia. Le prime prove cinematografiche dei futuristi confermano d'’altra parte che, verso il 1916, la loro

evoluzione era ancora riferibile ai parametri della cultura estetica fin de siècle. Nel suo lavoro scenografico per Thais Prampolini utilizzava ad esempio i linearismi e le geometrizzazioni della grafica secessionista per attuare non tanto una messa in scena, quanto piuttosto una impaginazione simbolica e decorativa delle scene filmate da Bragaglia. Per quanto riguarda il film Vita futurista, la migliore sequenza ne era un ‘‘quadro in movimento” di Balla che inscenava la Danza dell’acciaio di Loie Fuller smaterializzando poi l’immagine in quanto che i ‘‘fluidi magnetici’’ attivati dalle danzatrici portavano alla levitazione dei corpi e alla dissoluzione dalla materia. Il contatto diretto tra la compagnia di Diaghilev e il gruppo futurista avvenne a Roma, tra 1915 e il 1916, portando subito, da ambo le parti, ad im-

portanti consequenze. Non si trattò di semplici ed in ogni caso reciproche influenze, né tantomeno di plagi, ma piuttosto di una catalisi comune che mi-

se in opera un processo di accelerazione e di maturazione delle ricerche in atto. I futuristi viventi a Roma esplorarono allora nuove tecniche espressive come l’assemblage cinetico, il costume plastico, il collage di carte colorate. Le intuizioni teoriche che i futuristi italiani avevano già formulato in questa direzione, quale ad esempio la scultura ad elementi mobili progettata da Marinetti e Boccioni”, erano ancora alimentate dalla poetica del ‘“dinamismo plastico”’ dei primi anni del futurismo. Il confronto con gli artisti di Diaghilev spinse invece Balla e Depero a proclamarsi ‘‘astrattisti’’ e a concepire l’assemblage cinetico al di fuori di ogni riferimento diretto alle forme sensibili del mondo oggettivo. Depero ideò in particolare delle costruzioni motorumoriste che, oggi perdute, furono tra i primissimi esempi di oggetto-spettacolo nell’arte d’avanguardia. Continuando poi questa stessa ricerca, ha proposto all’inizio degli anni venti dei teatrini meccanici, dai movimenti ripetitivi, simili ai congegni ludici e festosi del Luna Park. Questi teatri in miniatura erano la conseguenza più logica della correlazione tra scultura cinetica e scena plastica implicitamente inerente nelle ricerche iniziate nel Rodoa Gli assemblages cinetici o meccanici ai quali lavoravano Depero, Prampolini, Balla, costituivano la prima verifica, su scala ridotta, di una resa del

movimento nella terza dimensione, in uno spazio strutturalmente concertato, attraverso un’architet-

tura mobile di forme e di volumi. La poetica futurista della scena arrivava così a maturazione con il manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo, lanciato da Balla e Depero, e ancora più puntualmente con il manifesto La Scenografia futurista 1n cui Prampolini perorava la causa di una completa attivazione dello spazio scenico, l’abolizione dell’attore, il concorso delle luci e dei rumori, dei piani mobili e dei volumi costruiti, per fare della creazione spettacolare una realtà espressiva assoluta, dinamica e autonoma rispetto ad ogni residuo della vecchia mimesis naturalista. Esattamente nello stesso periodo, cioè all’inizio del 1915, veniva pubblicato il manifesto

Jl4.

Il Teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra, ed iniziava la prima tournée spettacolare delle sintesi futuriste, queste ‘‘pastiglie esplosive’, come le definì Fernand Divoire, con cui l'avanguardia italiana entrava finalmente in guerra contro il dramma borghese e dannunziano. Insomma la scena futurista cominciava appena ad esistere, cioè a porsi davvero in quanto tale, alla stessa data in cui si vorrebbe fissare oggi una arbitraria linea di displuvio tra un primo e un secondo futurismo8. Nel 1916, fu probabilmente un costume meccanico, ad elementi mobili, progettato da Larionov per il balletto Histoires Naturelles di Ravel, a suscitare l’interesse di Balla, Prampolini e particolarmente Depero per questo nuovo genere di ricerca’. Questa innovazione, che doveva rimanere come un’in-

tuizione episodica nell’opera dell’artista russo, scatenò invece l’immaginazione di Depero il quale vide nel costume dalle forme costruite l’espressione coreografica complementare della scena plastica futurista. L'artista roveretano ideò dapprima dei costumi a luci incorporate, sonori e trasformabili,

per il balletto Mimismagia (titolo da leggere forse come forma agglutinata di ‘°mimica stessa della magia’), che tuttavia non venne realizzato. L'impianto stilistico di questi ‘costumi plastici’”’ tendeva alla deformazione grottesca e, ignorando l’estetica meccanica, faceva piuttosto pensare ai clowns eccentrici del varietà rivisitati in un clima da Bal Excelsior. Gli elementi costruiti per alterazione sul corpo del ballerino, che era un’idea esplorata da Malevitch già nel 1913, funzionalizzavano comunque il costume in quanto componente scenografica dello spettacolo. Per il balletto I{ Canto dell’usignolo di Stravinsky, che gli venne commissionato da Diaghilev, Depero progettò invece dei costumi dalle forme cristalline, provvisti di una stilizzazione plastica ben più rigorosa, ai quali doveva corrispondere una scena costruita, irta di forme vegetali lussureggianti ma anch’esse come ridotte allo stato minerale. Il tema espressivo era quello della vegetazione poeticamente ricreata, in una modulazione apertamente naife artificiale, un tema già praticato da Méliès

e dal Doganiere Rousseau. Depero vi applicava la dimensione fantastica delle accensioni cromatiche e delle forme depurate, e nondimeno irregolari, della geometria!°. La formalizzazione spaziale dei costumi obbediva agli stessi princìpi stilistici adottati nella condensazione dello spazio scenico, ipotizzando quindi un dinamismo spettacolare simile alla vivacità caleidoscopica di una scatola magica. Ma anche questo balletto non venne messo in scena e nuove disavventure dovevano ancora colpire i futuristi nei loro rapporti con Diaghilev. Un ulteriore balletto commissionato nel 1917 a Depero, Giardino Zoologico di Cangiullo e Ravel, non fu messo in scena a causa della partenza della compagnia dei Balletti Russi per Parigi. Utilizzando sempre la tecnica professionale dei costumisti di teatro, cioè il collage di carte lucide colorate, Depero aveva realizzato dei bozzetti di costumi dalla figurazione più narrativa, ma dall’accento ironico, come Cigno vio-

linista e Orso bruno chauffeur, per le estrose situazioni immaginate da Cangiullo. Il solo a trarre realmente profitto dalla collaborazione con Diaghilev fu Balla che riuscì ad allestire la sua formalizzazione scenografica astratta di Fuoco d’artificio di Stravinsky, anche se un guasto al dispositivo delle luci permise una realizzazione solo parziale dello spettacolo. Presentata il 12 aprile 1917, al Teatro Costanzi di Roma, questa messa in scena segnava l’apice della ricerca spettacolare di Balla che; superando i canoni stilistici mutuati dalla Loie Fuller, cioè l’arabesco Art Nouveau e la

mobilità tanto evanescente quanto effusiva della forma, passava infine ai volumi costruiti nello spazio tridimensionale e alla cristallizzazione plastica delle forme esibite in una loro limpida e definita autonomia. Il tema espressivo era sempre quello della luce, un tema esaltato dalla Loie Fuller, ma a cui

Balla era stato sensibilizzato già giovanissimo dall’Esposizione Internazionale di Elettricità tenutasi a Torino nel 1898. Abolendo la presenza umana dell’attore o del ballerino, traducendo lo spazio scenico in una architettura di volumi e di colori, facendo della scena una metafora cosmica, la formalizzazio-

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ne scenografica di Fuoco d’artificio consisteva in una costruzione eccentrica di forme astratte illuminate, per trasparenza o per rifrazione, da proiettori di luci cromatiche. Balla aveva disposto i volumi seguendo una gerarchia simbolica molto precisa, mettendo le forme opache illuminate per rifrazione in basso, le forme trasparenti illuminate dall’interno

in

alto,

in

ultimo

un

vortice

di

fuoco

pirotecnico che sormontava tutta la scena. Lo spettacolo presentava così una figurazione alchemica del fuoco come forza primordiale capace di trasmutare la materia. Dal basso in alto, cioè dall’opacità alla trasparenza, la scena scandiva l’avvento epifanico della luce che, simile alla musica, esplicitava se stessa come energia trascendente e spirituale, secondo una visione panteista della realtà cosmica. Le evocazioni suggestive della Loie Fuller erano perentoriamente ridotte ad un’espressione concreta. Con la materialità della sua formalizzazione scenografica, Balla superava le poetiche sinestetiche del simbolismo assicurando loro, nello stesso tempo, la

posterità che avranno in seno all’epoca moderna, negli spettacoli lght-show dei giorni nostri. Una volta terminata la collaborazione con Diaghilev, ai futuristi non restava altro che ripiegare sul Teatro dei Piccoli, la sola istituzione suscettibi-

le di permettere loro una ricerca scenografica d’avanguardia. L’economia dei mezzi espressivi che caratterizzava il teatro delle marionette di Podrecca era infatti sinonimo di duttilità, disponibilità e apertura per quanto riguardava l’esplorazione di creazioni nuove, conformi all’arte futurista. Depero riuscì così a realizzare i suoi Balli Plastici, uno spettacolo per marionette ideato con la collaborazione dello scrittore Gilbert Clavel. La messa in scena associava in proporzioni diverse il grottesco e l’astratto, il surreale onirico e il meraviglioso fiabesco, attraverso cinque ‘azioni plastiche’’ condotte da marionette di legno simili a piccoli automi meccanici, dalle forme squadrate e coloratissime, e dai movimenti ripetuti su un filo narrativo talmente esiguo che lo spettacolo ignorava praticamente lo schema tradizionale della fabula per dare solo le immagini

mitiche di racconti ancestrali quanto moderni: il pagliaccio delle fiere contadine, il viveur notturno delle grandi metropoli, i selvaggi che si battono tra di loro, la danza dell’orso e della scimmia, il gatto che

mangia il topo, ecc. Come avveniva alla stessa data per il teatro sintetico, lo spettacolo era ridotto ad un album di sequenze visive, l’azione rarefatta fino al tableau vivant che presenta solo i nodi della narrazione. Applicando la sua visione prismatica dei volumi e dei colori al mondo romanticamente tenebroso di Clavel, scrittore decadente, Depero ne

liberava la forza spettacolare risolvendo l’immagine nello splendore dell’espressione plastica fine a se stessa. La sua sensibilità ludica permetteva soprattutto di proiettare in un mondo di fiaba, o di rovesciare nel burlesco, il simbolismo delle imma-

gini e delle situazioni. Così l’enigmatica Grande Selvaggia dal teatrino nel ventre partoriva un selvaggetto quasi come a proporre un seguito caricaturale, comico-grottesco, alla celebre scena di Ca-

biria in cui il ventre della dea Moloch si apriva per accogliere le vittime. Presentati il 14 aprile 1918, al Teatro dei Piccoli di Roma, i Balli Plastici riprendevano molte innovazioni dell’avanguardia teatrale di quegli anni, ma lo scatto creativo proposto da Depero era davvero notevole. Gli spigoli vivi e i volumi geometrizzati delle sue marionette dai movimenti ritmici costituivano, anche se in chiave fantastica, la prima espressione dell’estetica meccanica in seno alla ricerca spettacolare del futurismo. L’avanguardia italiana aveva realizzato la ‘scena plastica’’ con Fuoco d’artificio di Balla, essa proponeva ora la ‘‘scenamacchina’ con i Balli Plastici di Depero. Il dialogo a distanza che le creazioni dell’artista roveretano svolgevano con le prove scenografiche di Larionov conobbe un nuovo episodio in questa occasione. Tra le ‘‘azioni plastiche’’ messe in scena da Depero, la più singolare era forse L'Uomo di baffi con l’accompagnamento di una delle burlesche ‘‘marce funebri’’ di Gerald Tyrwhitt. Nel novembre 1918, Larionov ideò 11 Teatro delle ombre colorate con le stesse musiche di Tyrwhitt, in particolare

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Marcia funebre per la zia dell’eredità, e con dei personaggi dalle forme plastiche alla maniera cubofuturista. Anche in questo caso doveva trattarsi di marionette, ma il progetto non venne attuato!!. Fu invece Prampolini a succedere a Depero come creatore d'avanguardia sulla scena del Teatro dei Piccoli. Il 14 giugno 1919 Prampolini presentava sulla scena di Podrecca il dramma per marionette Matoum et Tévibar di Pierre Albert-Birot con altre innovazioni scenografiche: una scena astratta e dinamica, provvista di pannelli cromatici ruotanti, una marionetta con la testa luminosa, un’altra

con il corpo ad elementi costruiti rigidamente scomponibili, un fondo sonoro onomatopeico e rumorista, ecc. La creazione scenografica futurista andava ormai delineandosi in modo preciso. Alla fine della guerra, quando il teatro futurista cominciava ad avere i primi riconoscimenti internazionali!?, era forse già possibile intuire la specificità così come appare oggi ad una visione retrospettiva della rivoluzione scenica delle avanguardie: da un lato i futuristi italiani hanno operato per una dissoluzione radicale della letteratura e delle forme drammatiche tradizionali tramite le ‘‘sintesi teatrali’’, dall’altro hanno proposto la ‘‘scena plastica” e la ‘scena meccanica’ come modelli espressivi capaci di dimensionare i valori della teatralità moderna. Questi tre punti fondamentali dello spettacolo futurista vanno evidentemente circostanziati per capirne la portata rivoluzionaria. Ma anche per vedere come queste tre grandi intuizioni novatrici hanno avuto in seguito realizzazioni solo succedanee e parziali, attestando talvolta la ricerca futurista su posizioni regressive rispetto ai postulati iniziali. La sintesi teatrale In seno all’avanguardia internazionale, le sintesi futuriste rappresentano la risposta più adeguata alla crisi del dramma borghese avvertita dagli scrittori tra 1 due secoli, come Strindberg e Maeterlinck. Questi ultimi avevano già proposto l’‘‘atto unico” e il teatro di situazioni nel tentativo di salvare la

forma drammatica convenzionale e aristotelica, or-

mai vicina all’esaurimento storico delle sue funzioni espressive!5. I futuristi si situarono deliberatamente all’estremo limite della crisi, puntando non su una nuova perversione della letteratura teatrale, come fecero i drammaturghi del ‘‘grottesco”’, bensì assumendo la fine del dramma borghese in funzione dello spettacolo. La drammaturgia del testo venne sostituita dall’espressiva della luce, dei colori, dei rumori, del gesto che confinavano la parola al solo e fulmineo ruolo della battuta atta a dare il significato globale di una situazione scenica. Non c’erano alternative a questa scelta radicale in funzione dello spettacolo. Ma, a monte, la poetica del sinte-

tismo nasceva da due diverse posizioni estetiche: da una parte il vitalismo bergsoniano e attivista di Marinetti, dall'altra il cerebrismo empiriocriticista di Corra e Settimelli. Il fondatore del futurismo teorizzava la sintesi in termini di rapidità, essenzialità, contrazione

e compenetrazione,

cercando

la

simultaneità come rifiuto dell’artificio. Inspirandosi al mondo urbano e alle cadenze sempre più rapide della vita moderna, Marinetti voleva abolire le con-

venzioni e le lentezze analitiche secondo una linea espressiva che arriva fino ai video-clip di oggi. I cerebristi fiorentini parlavano invece di montaggio di elementi disparati come operazione spettacolare fine a se stessa. Seguaci di Herbert Spencer, svolgevano una ricerca di tipo sperimentale, indagando lo statuto ontologico dell’opera d’arte e l’energia cerebrale attinente alle ‘‘associazioni psichiche’. La simultaneità voleva dire per loro combinazione funambolica di materiali diversi al fine di promuovere nuove relazioni linguistiche indipendenti dalla realtà fenomenica. Alla giubilazione vitalista di Marinetti anteponevano la messa in evidenza dei segni teatrali e della loro autonomia rispetto alla realtà, secondo una linea espressiva più formalista che sarà recuperata da Pirandello. In pratica, con / set personaggi în cerca d’autore, il drammaturgo siciliano non fece altro che reintrodurre la parola riflessiva e analitica, cioè la dialettica intersoggettiva del dramma tradizionale, in seno alle interferenze alogiche dei

iL7

diversi piani di realtà che erano la grande novità del sintetismo cerebrista. Il risultato fu appunto quella dilatazione vertiginosa della dialettica che venne chiamata ‘‘pirandellismo’’!*. Nel 1915, con le sintesi, i futuristi occupavano gli avanposti dell’avanguardia internazionale, eppure non hanno saputo poi continuare la loro rivoluzione in questo campo. Nel 1921, con il ‘‘teatro della sorpresa’’ di Cangiullo, si arrivava alla fase della edulcorazione umoristica, nell’illusione di far rivivere a teatro il

clima gaio e spensierato della Belle Epoque. Gli anni successivi erano quelli del ritorno alla letteratura drammatica con Masnata, Fillia, Trimarco, Marasco, Vasari, ecc. Intorno al 1950, gli scrittori del ‘‘teatro dell’assurdo”’, come Ionesco e Beckett, han-

no ripreso il problema della crisi nel linguaggio drammatico tradizionale esattamente al punto in cui, trenta anni prima, l’avevano abbandonato i futuristi. Le loro innovazioni neoavanguardiste sono state allora molto simili a quelle proposte dal futurismo italiano! La scena plastica L'espressione ‘‘scenario plastico’’ è stata utilizzata per la prima volta il 16 novembre 1916, nel contratto che Diaghilev propose a Depero per // Canto dell’usignolo di Stravinsky. Essa fu ripresa tre settimane dopo nel contratto stipulato con Balla per Fuoco d’artificio. Il teatro sintetico aveva abolito i tempi morti nello svolgersi dello spettacolo, intensificando il ritmo, i contrasti e la vivacità dell’azione teatrale. La scena plastica doveva abolire allo stesso modo gli spazi inerti del palcoscenico, riempiendo le distanze e gli angoli vuoti al fine di condensare la materia scenica implicandola, in quanto entità concreta, nell’azione spettacolare. I futuristi portavano così a compimento la rivoluzione intravista da Craig, il teorico degli screens e della ‘scena architettonica’’ che già nel 1908 aveva esposto a Firenze i suoi disegni per uno spettacolo di forme cinetiche astratte!®. Il superamento dell’inerzia della cavità scenica era però inteso in modo diverso dall’una e dall’altra parte. Parlando di scena pla-

stica, il futurismo faceva riferimento alla scultura,

in particolare ai complessi plastico-cinetici e rumoristi, piuttosto che ai corpi architettonici i quali determinavano, nella visione di Craig, un sostanziale rispetto dei canoni classici e dell’estetica simbolista: armonia e proporzione dei volumi, solennità dei movimenti ieratici, equilibrio e impianto costruttivo delle forme regolari, evanescenza e suggestione dei giochi di luce dalla progressione quasi impercettibile. Il teorico inglese negava insomma 1 valori della modernità urbana, ignorando proprio quel parametri espressivi in cuì i futuristi vedevano invece la possibilità di una nuova vitalità estetica: dissimetria,

contrasto,

dinamismo,

sorpresa,

montaggio, dissonanza. Dietro le intuizioni di Craig c'erano ancora i ritmi della cerimonia religiosa e gli spazi della cattedrale gotica. Alla radice della visione futurista si trovava l’eccitazione sensoriale e la polifonia vitalista della metropoli moderna e, forse più puntualmente, il nuovo meraviglioso spettacolare che nasceva con il Luna Park. Nel 1915, con

il manifesto La Scenografia futurista, Prampolini aveva posto in questa direzione le basi teoriche della scena plastica e dinamica futurista. La soluzione studiata da Depero, con il suo lavoro per // Canto dell’usignolo, rispettava i dati naturalistici, ma tra-

sfigurandone la rappresentazione oggettiva tramite una cristallizzazione irregolare delle forme che puntavano sulla saturazione dello spazio scenico. Di conseguenza,

il dinamismo era attuato dall’in-

terazione cinetica e caleidoscopica tra costumi plastici e volumi costruiti. Per Balla sì trattava invece, con la scena plastica per Fuoco d'artificio, di escludere la presenza antropomorfa per utilizzare solo il dinamismo della luce associandolo all’eccentricità delle forme astratte articolate nello spazio. La messa in scena di Fuoco d’artificto è stata, nel 1917,

la prima realizzazione in assoluto della scena plastica, dinamica e astratta, in seno al teatro euro-

peo. Negli anni seguenti la ricerca futurista doveva proporre altre soluzioni espressive, in questa stessa direzione, ma saltuariamente o ad un livello solo progettuale come avvenne per la scena mobile

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di New York New Babel ideata da Depero. Oggi, nell’opera dei grandi registi come Svoboda, la cinetica scenica e la strutturazione plastica dello spazio sono procedimenti formali praticamente inerenti alle capacità espressive del teatro contemporaneo.

La scena meccanica La poetica dell’arte meccanica è stata forse la più nuova e la più specifica tra le espressioni creative dello spettacolo futurista. Balla ideava per primo, tra il 1914 e il 1915, il balletto Macchina tipografica nell’intento di dare visualità scenica allo ‘‘splendore geometrico e meccanico”’ che corrispondeva, per i futuristi, all’avvento della tecnologia moderna. L°estetizzazione della realtà meccanica era allora azzerata sulla linotype, una macchina il cui valore simbolico, per la rivoluzione tipografica delle parole in libertà, era stato già esaltato da Marinetti nel suo Zang Tumb Tumb. Il manifesto La Scenografia futurista di Prampolini postulava nel 1915 una scena costituita da un’‘‘architettura elettromeccanica’ capace di muoversi ‘‘scatenando bracci metallici, capovolgendo piani plastici tra un fragore essenzialmente nuovo, moderno?’. Nasceva così, in

funzione della scena, la poetica futurista della macchina quale valore formale autonomo e nuova realtà estetica. Le innovazioni teatrali più moderne, come quelle proposte dalla Loie Fuller e da Craig, operavano allora un recupero unicamente strumentale della tecnologia, svecchiando la scena, ma lasciandone immutato lo statuto spettacolare per quanto

riguardava la figurazione simbolica e la materia espressiva. Prampolini andava più lontano, ma senza riuscire a concretizzare per il momento le sue idee. Nel 1918, i Balli Plastici di Depero davano luogo, anche se in chiave favolistica e immaginativa, all’attualizzazione scenica dell’estetica mecca-

nica futurista. I critici che disapprovarono la monotonia ripetitiva di alcune sequenze dello spettacolo, non capirono che Depero cercava di realizzare in questo modo il ritmo degli ingranaggi meccanici di cui Marinetti aveva celebrato la ‘‘perfezione scintillante’ e la ‘precisione felice’’. I Balli

Plastici puntavano sulla marionettizzazione meccanica dell’azione, del gesto e dello spazio, cioè sulla

poetica della scena meccanica che fu tipicamente futurista. Questa linea di ricerca si ritroverà poi, con espliciti riferimenti all’oggettualità tecnologica, nelle esperienze teatrali del Bauhaus e delle avanguardie dell’ Europa centrale, cioè nelle scenografie e nei balletti meccanici di Schmidt,

Weininger,

Loéw,

Schlemmer, Kiesler che utilizzavano le forme squadrate, gli incastri mobili, il cinetismo pulsante e ritmico delle macchine come valori autonomi in funzione dello spettacolo. L’assimilazione estetica dello ‘‘splendore meccanico” era allora svolta su posizioni radicali, incapaci perfino di assumere le componenti ludiche e immaginative che avevano invece i balletti meccanici futuristi della metà degli anni 20. Alla poetica futurista della macchina come spettacolo, il costruttivismo russo oppose con Popova, Stepanova, Vesnine, 1 fratelli Stenberg, la poetica

funzionalista della macchina come struttura scenica, supporto e strumento dell’azione spettacolare. L'evoluzione successiva del costruttivismo portò però degli artisti come E] Lissitzsky ad allinearsi sulle teorie futuriste fino a riprendere l’idea prampoliniana dello spettacolo elettromeccanico astratto. Oggi, in seno al teatro contemporaneo, l’eredità di queste ricerche sussiste in modo subordinato, se non a livelli infraculturali, proprio nella

misura in cui le utopie legate all'avvento della civiltà tecnologica hanno ormai esaurito ogni funzione mitica. Solo nelle arti plastiche, ad esempio con le sculture cinetiche o spazio-dinamiche di Schéffer e Agam, è possibile trovare ancora questo orientamento

espressivo.

Alla fine della guerra, quando la scena futurista avrebbe dovuto compiere un’evoluzione decisiva sulla base dei parametri espressivi e formali enunciati, un insieme di esperienze nuove interrompevano la continuità della ricerca neutralizzandone allo stesso tempo la dimensione più avanguardista. Il clima timorato e spiritualista del dopoguerra faceva insomma retrocedere il futurismo teatrale su po-

sizioni puramente sperimentali mentre altre dimensioni espressive ne riducevano la forza d’innovazione e di rottura. Ignorando le idee del Manifesto della Danza futurista di Marinetti, o ancora altre esperienze innovative, come le ‘‘danze futuriste”’ interpretate da Watts nell’aprile 1914 a Londra, Prampolini lanciava allora la ‘‘mimoplastica’’ presentando uno spettacolo d’Ileana Leonidoff il 29 giugno 1918 alla Galleria dell’Epoca, a Roma. Di origine russa, Ileana Leonidoff formava poi una compagnia di balletti organizzando, con la regia di Molinari, degli spettacoli d'avanguardia ispirati all’estetica futurista. Le ‘danze mimoplastiche”’ rimasero nel suo repertorio di quegli anni. Queste prestazioni coreografiche senza musica, ideate da Prampolini ispirandosi alle teorie della ‘‘danza libera’’ di Rudolf Von Laban, erano interpretate anche da Lucienne Myosa che doveva dare in particolare uno spettacolo di ‘‘poemi danzati”’, il 12 giugno 1920, alla Casa d’Arte Italiana. Nello stesso anno, il ‘‘teatro del colore’’ di Ric-

ciardì riproponeva l’estetica delle sinestesie illustrando ancora le modulazioni espressive del teatro simbolista, le effusioni colorate alla Loie Fuller, le vecchie soluzioni sceniche, decorative o estetizzan-

ti, dell’epoca dannunziana!’. Gli spettacoli di Ricciardi suscitarono le ampollose teorie scenografiche della ‘‘policromia spaziale astratta’’ di Alberto Bragaglia, indussero Dottori e Giannattasio a riprendere il cromatismo dei Balletti russi o addirittura le stilizzazioni dell’ Art Nouveau, ma soprattutto sviarono la ricerca di Prampolini riportandola nell’orbita liberista, cioè lontano dalla poetica della scena meccanica e astratta. In modo simile, prima ancora di subire lo scadimento espressivo del teatro della sorpresa, le sintesi teatrali vennero messe in scena a Parigi, nel 1918,

seguendo una poetica di teatro naîf che le riduceva ad immagini cartellonistiche privandole di ogni incisività rivoluzionaria. Autore delle scene, il giovanissimo Claude Autant-Lara realizzò delle vere e proprie images d’Epinal che davano per anticipazione tutto il significato della sintesi drammatica. Per

La Scienza e l’ignoto di Corra e Settimelli, oppose ad esempio frontalmente il personaggio che incarnava l’irrazionale, disegnato con un’imponente massa verdastra, ad un personaggio tutto ruote e meccanismi

che, fumando

come una locomotiva,

esprimeva lo spirito scientifico. Le battute declamate dal retroscena avevano così solo il ruolo didascalico di un commento dell’immagine già presentata con l’insolubilità di un dittico rigidamente definito. Nel 1922 l’idea venne ripresa e in parte adattata da Georges Valmier che, ideando delle scene astratte in linea con il cubismo più decorativo, rappresentò i personaggi delle sintesi futuriste tramite dei profili dipinti su cartoni rigidi a grandezza d’uomo. L'attore azionava in questo modo la si/4ouette cartonata agendo come marionettista del proprio personaggio. Anche in questo caso la sintesi non era più un atto provocatorio, un gesto di contestazione del dramma borghese, bensì un’attrazione bozzettistica sospesa tra l’esercizio stilistico e lo spettacolo miniaturizzato. Una vicenda a parte è stata l’esperienza creativa condotta da Prampolini a Praga impostando su altre basi la sua ricerca scenografica e aprendola nello stesso tempo ad esigenze più professionalistiche. Presentando nel 1921 uno spettacolo di teatro sintetico, Prampolini volle utilizzare il palcoscenico a piattaforma girevole in modo che la successione dei mini-drammi futuristi fosse rapida e continua, dando a tutto lo spettacolo un ritmo cinematografico. Questa innovazione scenotecnica, subito ripresa per altri fini da Cominetti in Italia, conferiva alla rappresentazione teatrale un’economia intensiva, cioè un’accelerazione che esaltava l’atto scenico e la sua tensione aggressiva contro le capacità ricettive dello spettatore. Sintagmi privi di ogni correlazione narrativa, le sintesi futuriste erano immagini sceniche senza contesto, spezzoni e frammenti di teatro per uno spettacolo da inventare. L’intuizione di Prampolini interveniva sul piano della struttura globale della rappresentazione, dando quindi sostanza scenica alle teorie marinettiane che facevano derivare la poetica del sintetismo teatrale dalla

20

polifonia avvenimentale degli spazi urbani percorsi dal brulicare della folla e dall’incessante accadere della vita collettiva. Operando per montaggio seriale, la messa in scena di Prampolini giustapponeva i minidrammi futuristi proprio in quanto materiali disparati, creando così l'equivalente scenico delle sorprese visive e spettacolari della strada nella metropoli moderna. L’anno seguente, facendo prova di una ormai raggiunta maturità espressiva, Prampolini era lo scenografo e costumista del Tamburo di fuoco presentato in Italia e poi, con una messa in scena di Karel Dostal, nella capitale cecoslovacca. Con questo dramma, Marinetti poneva lucidamente fine all’utopia rivoluzionaria del futurismo rovesciandone i postulati prometeici sulla base della stessa formulazione epica e leggendaria che ne aveva dato anni prima, nel suo romanzo Mafarka il futurista!?. Sul piano delle scelte formali, dalla drammatizzazione lirica della natura all’interazione tra volontà individuale e determinazione cosmica, l’opera costituiva anche una ripresa della poetica liberista e dannunziana. Ritrovando l’insegnamento di Cambellotti, che era stato il suo maestro all’ Accademia delle Belle Arti di Roma, Prampolini seppe adeguare il proprio lavoro alle esigenze espressive del dramma. Disegnò così minuziosamente

1 costumi, le armi, le

capigliature, le suppellettili, gli oggetti necessari ad una messa in scena il cui verismo doveva valorizzare tanto la poesia letteraria del testo quanto l’atmosfera eroica delle situazioni. Per le scene adottò il simbolismo dei colori, trattandoli a campiture piatte di grande rilevanza plastica, ma ricorse soprattutto ad una stilizzazione delle forme vegetali seguendo una delle più tipiche formule espressive del suo linguaggio scenografico. È possibile coglierne le premesse già nel 1920, nelle scene che Prampolini realizzò per L’Intrusa di Maeterlinck e Lo Schiavo di Ricciardi. Nel primo caso aveva introdotto una lacerazione verticale al centro della scena. L’innovazione formale, probabilmente adombrata da un motivo iconografico di Appia?, voleva denotare l’angoscia e l’attesa che pesavano sul dramma. Nel

secondo caso aveva trattato un tronco di palma come semplice schema grafico traendone una successione ritmica di punte acute in quanto sinonimo di minaccia e di aggressione. La confrontazione dialettica tra questi due elementi compositivi sì ritrova in molte delle scene disegnate da Prampolini in quegli anni. La loro simbolica complementare appare così risolta secondo equilibri e soluzioni diverse, ad esempio uno squarcio dalle linee sinuose opposto ad un profilo di lama dentata, nei lavori scenografici per Glauco di Morselli, Danze di guerra di Pratella, 7re momenti di Folgore. La scenografia futurista era stata fino a quel momento uno spazio operativo monopolizzato dai pittori?! e, tra questi, soprattutto da Balla, Depero e Prampolini. La ricerca di Balla si era interamente svolta nel solco tracciato dalla Loie Fuller,

cioè secondo una visualità scenografica determinata dalla mobilità dei raggi luminosi, dalle suggestioni cromatiche e dalle capacità di scorporare la materia tramite il movimento. Balla utilizzerà ancora nel 1927 questi parametri espressivi nel suo progetto scenografico per La Danza dell’elica di Casavola. La ricerca di Depero corrispondeva già ad una gamma più estesa, articolandosi attraverso il costume scenografico, la scena plastica, l’estetica meccanica, il meraviglioso fiabesco. Con Prampolini la scenografia futurista raggiungeva invece una duttilità espressiva capace di sconfinare anche nell’impegno professionistico, ma senza rinunciare per questo all’innovazione qualitativa, alla definizione formale che faceva del lavoro scenografico un linguaggio autonomo in funzione della scena moderna. All’inizio degli anni 20, il fronte della ricerca si allargava comunque in Italia implicando fenomeni nuovi, quali la costituzione della Compagnia Drammatica dello Spettacolo d’ Arte di Lamberto Picasso, la nascita del Teatro Sperimentale degli Indipendenti di Roma, poi di altri teatri di ricerca come il Convegno, la Sala Azzurra e la Piccola Canobbiana di

Milano. La creazione scenografica non poteva più essere riservata ai pittori. Affermandosi definitivamente in quanto campo specifico dell’arte teatrale,

Di

essa appariva nello stesso tempo indissociabile dalla messa in scena dì un testo. In questo senso, un'importante opera di fiancheggiamento dell’avanguardia futurista fu svolta da Anton Giulio Bragaglia alla cui scuola si sono formati dei giovani scenografi come Virgilio Marchi che doveva poi lavorare, con risultati notevoli, per il Teatro d’arte di Pirandello. Queste mutazioni del panorama teatrale italiano andarono riflettendosi anche sulle iniziative futuriste. Ad esempio nei tentativi che furono fatti a Genova, a Roma e in altre città per fondare un teatro stabile futurista, cioè una scena che rappresentasse unicamente un repertorio di opere d’avanguardia. I futuristi più attivi, come Marasco, Cangiullo, Prampolini, riuscirono comunque ad allestire delle compagnie che portarono le sintesi, le sorprese, i balletti meccanici in giro nei teatri italiani creando le premesse di una vera e propria cultura scenica alternativa rispetto allo spettacolo borghese. Il teatro borghese propagandava ad esempio se stesso tramite cartoline postali che erano ritratti fotografici dei suoi attori e delle sue dive dal sorriso stereotipato. A queste immagini dall’insipiente pittorialismo, supporto di un teatro ancora accentrato sulla mitologia seduttrice del primattore, 1 futuristi rispondevano pubblicando cartoline postali che illustravano graficamente la loro determinazione attivista, la nuova estetica dell’avanguardia,

il

rifiuto

del

classicismo

e

dell’inerzia

tradizionalista. La linea direttrice dello spettacolo futurista negli anni 20 è data dall’estetica meccanica il cui rilancio avvenne sulla base di fattori diversi. Tra il 1919 e il 1921, Prampolini aveva promosso la scoperta della pittura neoplasticista in Italia, Evola aveva propagandato le danze meccaniche di Valentin Parnak, infine Mario Broglio e la rivista ‘‘Valori plastici’’ si erano fatti portavoce della poetica dell’arte meccanica riattualizzata da Fernand Léger su posizioni affini al purismo de ‘‘L’Esprit nouveau” I primi a trarne profitto furono Paladini e Pannaggi che presentarono a Roma, il 2 giugno 1922, un Ballo meccanico futurista. L'azione metteva in scena

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Affichè per uno spettacolo di danze d’avanguardia a Roma nel 1923.

22

la figura emblematica del Proletario insieme ad altri due personaggi antitetici: il robot e la donna. Reso uomo-macchina

dal taylorismo

industriale,

il

Proletario subiva di volta in volta il fascino dell’uno o dell’altra, senza poter risolvere la propria natura ormai scissa tra le categorie dell’umano e del meccanico. Il costume realizzato da Pannaggi per il robot del balletto inaugurava la versione esplicitamente meccanica del costume plastico. Non sì trattava più di sovrapporre elementi costruiti sul corpo del danzatore, ma piuttosto di mascherarne l’intera animalità, imperfetta e accidentale. Il corpo era plasticamente ristrutturato formalizzandone i volumi secondo le regole ordinatrici della macchina e della sua compattezza metallica, solida e precisa. Pannaggi sì applicò ancora in questa direzione tra il 1925 e il 1927, ideando i costumi dei condannati

per L’Angoscia delle macchine di Vasari. Anche se talvolta sembra aver guardato ai costumi spazio-plastici di Schlemmer, il suo lavoro rifiutava ogni facilità espressiva puntando invece su una definizione rigorosa delle forme geometriche tridimensionali e sul loro montaggio cinetico come autentici congegni meccanici. Quando il dramma di Vasari venne messo in scena a Parigi dal gruppo L’Assaut, nel 1927, con una polifonia rumorista di Eduard Autant e Carol Bérard, le scene e i costumi furono però affidati a Vera Idelson la quale dette una tutt’altra interpretazione scenica dell’estetica meccanica. Riprendendo l’idea dei profili cartonati di Georges Valmier, Vera Idelson costruì degli schermi astratti,

composti di piani asimmetrici. Gli attori azionavano posteriormente gli schermi muovendone con ritmi diversi, ma solo sul piano frontale, gli elementi ruotanti. Il cinetismo plastico dello spettacolo rendeva la scena intera simile ad una gigantesca mac-

china dagli ingranaggi in movimento??. Depero e Prampolini espressero altre varianti espressive dell’estetica meccanica futurista. Nell’estate del 1923, Depero progettò uno spettacolo di ‘‘teatro magico’ composto di quattordici balletti studiati come quadri in movimento senza alcuna componente narrativa. Riprendendo in parte i te-

mi e le formalizzazioni dei Balli Plastici del 1918,

previde azioni complesse, ritmi dissonanti, forme metalliche e volumi sproporzionati per dei balletti

come / Baffuti giganti?3. L'azione di questo balletto comportava nove personaggi di tre dimensioni diverse, che dovevano danzare come

automi all’in-

terno di tre scene inscatolate l’una nell’altra e ricoperte di stalattiti luminose. Il progetto non venne attuato, senz'altro a causa delle difficoltà inerenti

alla sua realizzazione. Depero era così indotto a rinunciare alla vena favolistica e magica del suo teatro per proporre invece una versione umoristica e ludica dell’estetica meccanica con il balletto Anzhccam del 3000 messo in scena nel 1924. L'azione era imperniata su un'immagine sessuata e grottesca della macchina destinata ad esorcizzarne ogni potere sovrumano?*. Al tono dimesso ma clamorosamente ludico di Depero corrispondevano probabilmente i balletti meccanici di Marasco egualmente messi in scena nel 1924, di cui però non resta nessuna documentazione iconografica. Una versione molto più severa e radicale dell’estetica meccanica era invece proposta da Prampolini. Nel 1922, con i balletti La Notte metallica e La Rinascita dello spirito, la sua ricerca appare determinata in una direzione più immaginativa. Il balletto meccanico Psicologia delle macchine, che mette in scena nel 1924, segna subito

una svolta veso soluzioni cubo-futuriste vicine al lavoro di Léger. L’anno seguente espone infine a Parigi il suo modellino costruito per un Teatro Magnetico in cui il teatro stesso è perentoriamente visto come ars mechanica. Formulando l’ipotesi di uno spettacolo astratto, prodotto dai suoni, dalle luci e dalle forme di una struttura elettromeccanica in movimento, Prampolini dava una formulazione definitiva alla poetica futurista della scena-macchina. Ma la privava nello stesso tempo delle componenti magiche e ludiche che attiravano Depero come anche del vitalismo eccentrico e trionfante che aveva rivendicato egli stesso, dieci anni prima, nel suo manifesto La Scenografia futurista. I contatti con le avanguardie dell’Europa centrale portavano ora Prampolini ad associare la poetica futurista della

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macchina ad uno stretto rigore costruttivo e ad una forte propensione spiritualista. AI lavoro dei protagonisti della ricerca scenografica futurista vanno collegate altre esperienze condotte. dagli artisti che furono nell’orbita del movimento marinettiano o che comunque seppero inserirsi prontamente nell’opera di svecchiamento compiuta dall’avanguardia. Negli anni tra le due guerre, le ricerche sono molteplici. Carmelich, prende posizione contro le teorie di Appia e disegna bozzetti per il circo, il varietà e la scena popolare. Bruno Aschieri studia il funzionamento delle ‘scene pneumatiche gonfiabili” seguendo una invenzione tecnica di Tomba. Di Bosso progetta nuovi dispositivi scenici per l’arena di Verona. Assimilando in modo critico le teorie del Bauhaus, Fillia lancia la ‘‘sce-

nografia interpretativa’’ e reclama l’integrazione del cinema col teatro. Tato realizza le scene di alcuni spettacoli di Anna Fougez a Bologna. Attratto dall’espressionismo, Luciano Baldessari è l’autore di numerosi lavori scenografici accentrati sul contrasto dei colori e sulla disposizione dei volumi come fattore di connotazione simbolica e strumentale dello spazio scenico. Thayaht pensa all’utilizzazione di autentici robot teleguidati per sostituire la presenza dell’attore. Munari realizza delle scene di impianto funzionale neutralizzando ogni dimensione decorativa tramite la semplicità del disegno e la perfetta aderenza tra spazio scenico e ambientazione drammatica. Regina, Dalmonte, Chiattone, Marisa Mori, Verossì, De Pistoris, Andreoni, Benedetta, Marasco, Umberto Brunelleschi, Pannaggi, Domenico Belli, Crali, Di Pace, Dottori, Carta e

altri espongono, progettano o realizzano scenografie polimateriche, maschere metalliche, scenari pla-

stici per opere liriche, scene aprospettiche, bozzetti eseguiti all’‘‘idromatita’’, scene concepite come visioni giubilanti della metropoli moderna, dispositivi per il ‘teatro polidimensionale futurista’’ o per nuove applicazioni della Lanterna Magica, ecc., in un turbinìo di idee sperimentali che non ha nessun equivalente in seno alle avanguardie europee”. Tra le ricerche più innovatrici bisogna annoverare

quella di Paladini i cui progetti adottarono le istanze stilistiche e fabulatrici del futurismo componendole con le suggestioni scenico-strumentali del costruttivismo, e quella di Cernigo] che lavorò per il Teatro Sloveno di Trieste. Conformandosi al particolare terreno espressivo dell’avanguardia triestina, Cernigo) allineò presto la sua ricerca sul costruttivismo europeo, guardando agli artisti di Berlino, Praga, Varsavia, con notevoli risultati inventivi. Altri ancora, come Valente, Marchi, Fornari, Vucetich scelsero, con alterne vicende, la carriera professionale

testimoniando solo dell’avvento della cultura scenica moderna a ridosso delle innovazioni dell’avanguardia. Oltre la metà degli anni 20, è soprattutto nel campo del balletto e della danza che il futurismo mantiene una forte tensione sperimentale. Prampolini è il protagonista di quest’ultima fase storica dello spettacolo futurista, per altri versi legata alla messa in scena dei drammi di Vasari, Marinetti, Fabbri, Masnata, Tordi che segnano il ritorno alle

forme drammatiche tradizionali e alla letteratura. L’investigazione sulla ‘danza mimoplastica’’, che Prampolini aveva intrapreso già nel 1918, è allora rilanciata da Ya Ruskaia, Julius Hans Spiegel e altri danzatori stranieri sulla scena del Teatro degli Indipendenti, a Roma. Nel 1925, Prampolini si trasferisce a Parigi dove incontra Josephine Baker, Isadora Duncan, Ileana Codreano e Maria Ricotti la

quale aveva formulato una interpretazione ieratica della mimoplastica sviluppandola fino all’integrazione fisionomica. Nasce così il progetto di una serie di spettacoli destinati a far rivivere la grande tradizione della scena italiana attraverso un genere tipico come la pantomima. Nel 1927 il titolo Teatro della Pantomima futurista è imposto da Marinetti, ma in realtà Prampolini e la Ricotti presentano, sulla scena del Théatre de La Madeleine, a Parigi, un insieme composito di pantomime, quadri danzati, balletti che alternano i personaggi della commedia dell’arte con il riferimento alle situazioni mitiche dell’opera lirica italiana, il folclore mediterraneo con

l’eleganza delle corti rinascimentali, la mimoplastica

24:

con l’estetica meccanica. Prampolini crea coreogra-

affine al futurismo. Alla stessa data, Zdenska Po-

fie dalle stilizzazioni grottesche, espressioniste, clas-

dhajsk4 si esibiva anche in danze all’aperto basate sulla libera espressività del corpo, alternando le proiezioni di energia con la costruzione plastica e figurale del gesto?8. L'interprete delle idee di Prampolini è stata successivamente la danzatrice e coreografa Wy Magito la quale ha presentato in par-

sicheggianti, futuriste. Per quest'ultime, secondo la testimonianza di Zdenska Podhajska, cercava di ottenere ‘‘il massimo del dinamismo, dei gesti assolutamente imprevedibili e un movimento spigoloso, tutto ad angoli quadrati’’?°. Per le scene e i costumi, Prampolini si applicava a raggiungere lo stesso sincretismo recuperando le sue. precedenti ricerche, ma utilizzando anche la marionetta disar-

ticolabile di Tairov, il grafismo costruttivista di El Lissitzsky, le quinte astratte a campiture cromatiche di Schawinsky, infine le geometrizzazioni plastiche puriste, sviluppate secondo il principio degli elementi costanti primari, per strutturare con forti scansioni ritmiche il quadro scenico. Le coreografie puntavano sul compromesso, associando la plasticità classica con il ritmo e la nervosità dei tempi moderni. La poetica della pantomima imponeva non solo di danzare le situazioni, ma di recitarne

il contenuto. La messa in scena integrava nella danza il movimento delle luci colorate e delle forme meccaniche. La dimensione più avanguardista dello spettacolo fu raggiunta con le pantomime /! Mercante di cuori e Cocktail. L'azione della prima dava luogo a proiezioni cinematografiche, effetti dinamici di ombre cinesi, sdoppiamento dei personaggi, trasformazioni a vista dell’ambientazione scenica astratta. La seconda terminava in un crescendo parossistico in cul un enorme sifone, al centro della scna, ruotava su

se stesso proiettando fasci di luce colorata sui ballerini in movimento. La ricerca di Prampolini doveva in seguito rifiutare i condizionamenti narrativi del balletto per investire

di

nuovo

la

danza,

evolvendo

dalla

mimoplastica alla prestazione coreografica pura, dalla performance all’aereodanza?”. Rivestita di costumi dalla connotazione scenografica, Zdenska Podhajska ha eseguito così a Torino, nel 1928, delle ‘‘“danze sportive’’ modulate sulle variazioni ritmiche del movimento. Una di queste, Foot-Ball, faceva già parte del suo repertorio più avanguardista,

ticolare a Parigi, alla Galerie Povolozsky, nel mar-

zo 1930, delle danze in cui la figurazione plastica senza musica era direttamente ispirata dalle aeropitture futuriste esposte. Si trattava della prima manifestazione di un genere che venne poi chiamato ‘‘aerodanza”’. Wy Magito ne ha espresso la tendenza più concettuale nel corso di autentiche performances che reinventavano in un altro linguaggio, specifico rispetto alla corporalità e allo spettacolo, le immaginì e i contenuti inerenti alla poetica di un’arte del volo aereo. Al fine di connotare l’arabesco coreografico, la danzatrice disponeva ad esempio intorno al proprio corpo una corda, simbolo della condizione terrestre e dell’aspirazione al volo che sì riflettevano nel panteismo cosmico dell’aeropittura futurista. Pressappoco nello stesso periodo, Giannina Censi, in modo autonomo

ma anche lei

in contatto con Prampolini, ha espresso invece una tendenza più lirica, cioè sensuale e sensitiva, dell’aerodanza. Dopo aver debuttato all’insegna del ‘‘grottesco meccanico”’, la Censi riprendeva le ondulazioni suggestive dei veli colorati alla Loîe Fuller. Proponeva infine una semantizzazione del gesto e del costume in base ad un funzionalismo aerodinamico destinato a fornire una semplice riconversione allusiva dell’esperienza aerea così come appariva formalizzata dall’aeropittura e dall’aeropoesia futuriste. La danza era solo intesa come trasposizione plastica dell’opera. In questa stessa direzione, molto più originale fu invece il tentativo di Esilda Gibello Socco che faceva parte dei futuristi indipendenti raggruppati intorno a Marasco, a Firenze. Nel 1934 Gibello Socco presentava al Teatro dell’ Accademia

dei Fidenti, che fu un centro di

ricerca sperimentale e futurista, alcune dimostra-

29

zioni didattiche di un suo metodo di figurazione coreografica ispirato ai princìpi dell’‘‘euritmia della parola’ di Rudolf Steiner. Partendo dalle idee del fondatore dell’antroposofia, si potevano secondo lei interpretare, senza musica, le sonorità e le vibrazioni spirituali indotte dalle parole stesse di un’aeropoesia futurista. Trasfigurazione plastica e implicazione sinestetica dovevano produrre in questo modo un nuovo linguaggio del gesto e del corpo in funzione dello spettacolo. Le proposte maggiori dello spettacolo futurista furono la sintesi drammatica, la scena plastica e la scena meccanica alle quali corrisposero, in modo complementare, altri strumenti espressivi quali il palcoscenico a piattaforma girevole, il costume plastico o scenografico, il costume meccanico o il dispositivo cinetico e elettro-meccanico astratto. I settori di ricerca della danza e del balletto, della prestazione coreografica e della performance, non furono tuttavia inferiori per ricchezza inventiva testimoniando anch’essi della creazione futurista che, inserendo pienamente la nostra cultura nel contesto delle avanguardie europee, ha prodotto la configurazione originaria dell’arte moderna italiana.

costume dovrebbero essere invece del 1915-1916 quando il balletto venne ristudiato per Diaghilev. * Vedi un articolo di Paolo Scarfoglio, scritto per una serata futurista alla Galleria Sprovieri di Napoli, riprodotto da Luciano Caruso, Francesco Cangiullo e ilfuturismo a Napoli, SpesSalimbeni,

°.

!

1979, p. 61.

ti, cfr. Giovanni Lista, La Scène Futuriste, Editions du C.N.R.S., Paris, 1989.

Vedi le note di cronaca della Sarfatti in ‘Gli Avvenimenti”, n. 24, 17-24 giugno 1917, Milano. Questa data è confermata dai repertori pubblicati dal Teatro dei Piccoli. Una nota anonima, apparsa su ‘Il Corriere d’Italia’’, 29 aprile 1917, Roma, lascia invece supporre una messa in scena già a questa data. Sul ruolo capitale di Marinetti nella redazione del Manifesto tecnico della Scultura futurista, cfr. il mio intervento in Qu’estce que la culture moderne? Musée National d’ Art Moderne, Paris, 1986.

8. Ho scritto a più riprese sull’inconsistenza della formula ‘‘secondo futurismo’’ coniata anni fa da Enrico Crispolti sulla scorta di Arturo Schwarz e altri galleristi che parlavano allora di ‘‘seconda generazione futurista”. È una formula che non classifica più nulla ora che è venuta fuori tutta la varietà di opere, di posizioni e di poetiche del futurismo ‘‘dopo Boccioni’°. Ma è soprattutto una formula del tutto bislacca se si esce fuori dal campo della pittura per affrontare lo studio del teatro, della moda, delle arti decorative, ecc., dell’avanguardia italiana. Per cui usarla significa abbassare il futurismo, ri-

volta globale, ad una semplice scuola di pittura, insomma togliere alla nostra avanguardia una specificità che è il suo titolo di gloria rispetto alle scuole pittoriche: impressionismo, fauvisme,

NOTE

Firenze,

Per questa interpretazione dell’iconografia dei bozzet-

cubismo,

ecc.

9 Vedi quanto scritto nei miei due volumi Balla, Edizioni Galleria Fonte d’Abisso, Modena, 1982, p. 62; e Giacomo

Ho proposto questa formula esegetica nella mia anto-

logia in due volumi

7hédtre futuriste italten, L'Age d’'homme,

Losanna, 1976, pp. 15-21. La formula è stata poi ripresa e sviluppata da Enrico Crispolti, Ricostruzione futurista dell’ Universo,

Mole Antonelliana, Torino,

1980, pp. 186-187.

Balla futurista, L’Age d’ Homme, Lausanna, 1984, pp. 28-29. C'è da sottolineare comunque che dei costumi a trasformazione, dotati di lampadine incorporate, ecc., erano allora in uso nel circo e nel varietà, con 1 ‘‘clowns eccentrici’’ e i ‘‘danzato-

rigelettarcige 10 Sul rapporto tra Depero, Méliès e il Doganiere Rousseau ho scritto a proposito di un’altra scena di natura artifi-

2 Ho pubblicato in sedi diverse le immagini di questi carri mascherati futuristi per il carnevale. Per tre carri realizzati da Tato, cfr. il mio Futurismo e fotografia, Multipla Edizio-

ciale realizzata da Claude Autant-Lara. Cfr. Giovanni Lista, La Componente futurista in “L’Inhumaine”’, in AA.VV., Marcel

ni, Milano,

L’Herbier,

1986, p. 71. Per un carro di Depero, cfr. il mio

a cura di Michele Canosa,

Pratiche Editrice, Par-

I futuristi e la fotografia, Galleria Civica d’ Arte Contemporanea,

ma,

Moderna, 1982, p. 46. Per un carro di Rizzo, cfr. il mio Le Futurisme, Hazan, Paris, 1986, p. 71.

apparvero, dopo i Delaunay, i gilet variopinti alla futurista. Larionov disegnò la copertina per l’edizione in volu-

3. La documentazione esistente su Macchina tipografica di Balla pone un problema. Datata 1914, la partitura onomatopeica è stata certamente scritta a ridosso della composizione parolibera Bombardamento delle Colline d’Adrianopoli che Balla, Marinetti e Cangiullo hanno presentato in marzo 1914 da Spro-

me delle 3 Marches funèbres di Tyrwhitt, cfr. Ornella Volta, //

vieri. Più elaborati, i bozzetti per la scena, la coreografia e il

fa, 1076, D. Ir

1985. Fu nel film L’Inhumaine,

realizzato nel 1923, che

Teatro al futuro, Bompiani, Milano, 1986. p. 30. I costumi di Larionov sono conservati dagli eredi Tyrwhitt e nella collezione Nikita Lobanov, cfr. John Bowlt, Stage Designs and the Russian Avant-garde, International Exhibitions Foundation,

Washing-

26

2 Vedi le messe in scena a Parigi di cui si parla più avanti. In sede critica, bisogna segnalare il libro di Kenneth Macgowan, The Theatre ot Tomorrow, Boni and Liveright, New York, 1921, che dedica un intero capitolo al teatro sintetico; e il libro di Carter, The New Spirit in the European Theatre, (1914-1924), Benn, London, 1925, che tratta dei balletti meccanici futuristi.

!3

Vedi in particolare Peter Szondi,

Teoria del dramma

moderno, Einaudi, Torino, 1962. Cfr. Giovanni Lista, La Drammaturgia futurista e il ““ce-

rebralismo funambolico”’ di Pirandello, in Pirandello e la drammaturgia tra due guerre, Edizioni del Centro nazionale di Studi Pirandelliani, Agrigento, 1985. Cfr. Giovanni Lista, Zonesco, Editions Veyrier, Paris,

1989. Vedi anche Benedetta Marinetti, /{ minor numero di parole e di gesti, in ‘‘Maschere’’, n. 2, Roma, 1956, pp. 18-20. Cfr. Denis Bablet, Edward Gordon Craig, L’Arche, Paris, 1962. !7 Cfr. Giovanni Lista, I Teatro del Colore di Ricciardi ovvero il passo indietro dell’avanguardia italiana, in ‘Teatro contem- -

poraneo’’, n.9, maggio, 1985, Roma. 18 Per altre considerazioni e una documentazione più estesa cfr. Giovanni Lista, Materiali per una storia francese del futurismo italiano, in ‘Scena’,

n.6, dicembre 1977, Milano. 19. Su questa lettura esegetica, cfr. Giovanni Lista, Marinetti, Seghers, Parigi, 1976. La fascia mediana, bianca e sottile, che taglia verti-

calmente la scena nei bozzetti di Appia è la resa quasi astratta delle cascate d’acqua fluviale che l’artista ginevrino poteva o0sservare in riva al lago, sui fianchi delle montagne della Svizzera natale. Ma questo Prampolini non poteva saperlo, nè cambia nulla alla estrapolazione che ne ha tratto per il suo lavoro.

2! Cfr. Giovanni Lista, La Ricerca dei pittori futuristi per la scena, in ‘‘Teatro contemporaneo’’, n. 11-12, maggio 1987, Roma. 22 Cfr. Giovanni Lista, “L’Angoisse des machines” de Ruggero Vasari, in Les Voies de la Création thédtrale: mises en scène des années 20 et 30, études réunies par Denis Bablet, Editions du CNERESERAariIs) 1979) 23. Un costume per questo balletto conservato al Museo Depero num. inv. 135-A, è stato staccato dalla cartella dei disegni per il Teatro magico poi, arbitrariamente datato nel 1918, è stato attribuito al ballo plastico L’Uomo da: baffi. L'errore di attribuzione viene ripetuto ancora oggi. Vedi infra la riproduzione dei bozzetti per la scena e il costume de / Baffuti giganti. I costumi di Depero per questo balletto influenzarono il lavoro di Hein Heckroth in Germania. Cfr. il catalogo Raumkonzepte: Konstruktivistische Tendenzen in Biihnen und Bildkunst, Stadtische Galerie, 2 marzo/25 maggio 1986, Frankfurt, pp. 233-234 25. Cfr. Giovanni Lista, Futurismo italiano, in Enciclopedia del Teatro del Novecento, Milano, 1980.

a cura di Antonio Attisani, Feltrinelli,

26. Zdenska Podhajsk4 dixit. Intervista di Giovanni Lista del 5 luglio 1989. Sulla danza futurista, vedi anche quanto ho scritto nel volume Akarova, spectacle et avant-garde, Editions A.A.A.M., Bruxelles, 1988.

28.

Ho pubblicato per la prima volta le fotografie di que-

ste danze, che fanno parte dei miei archivi personali, nel cata-

logo / futuristi Contemporanea,

e la fotografia, Modena, 1985.

Galleria

Civica

d’Arte

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Roma,

1. Scena di un dramma storico scritto e interpretato in

costume dagli studenti, tra cui Marinetti, del Collegio Saint Frangois Xavier ad Alessandria

d’Egitto, nel 1894. L'estetica scenica e la poetica romantica di Victor Hugo. 2. Boccioni, Menade,

1908 (coll. privata). Il drappeggio e la danza, ovvero la

fluidificazione della forma per rendere il continuum del movimento.

3. Marinetti in una posa fotografica nel ruolo del declamatore di versi alla mantera simbolista, 1902.

4-6. Enrico Sacchetti, Bozzetti dei costumi del Re, del Poeta-idiota, di Famone, per Re Baldoria di Marinetti, 1905. Lotte sociali, satira

politica e autoderisione dell’idealismo.

pin,

gf”

7,8. Enrico Sacchetti, Bozzetti per i costumi dei Guatteri sacri e del Re per Re Baldoria di Marinetti,

1905.

Il costume dei cuochi palesa l'immediatezza della polemica sociale negli anni del potere della nuova borghesia.

32 9, 10. Esodo Pratelli, Bozzetti di scena dell’atto I° e

dell’atto II° per l’opera lirica La Sina ‘d Vargòun di Pratella, direzione scenica e orchestrale di Rodolfo Ferrari, Teatro Comunale, 4 dicembre 1909,

Bologna.

11.

Esodo Pratelli, Bozzetto

del costume di Sina per La Sina °d Vargòun di Pratella, 1909. L’austerità cromatica, gesto tragico e il realismo descrittivo del melodramma verista.

il

Si 12-15.

Paul Ranson,

Bozzetti dei costumi di Guattero, Sogliola, Mazzapicchio, Poeta-idiota per Re Baldoria di Maninetti,

1908 regia di Lugnè-Poe, Thédtre de l’Oeuvre, 3 aprile 1909. (Archivi della S.A.C.D:., Parigi). IN simbolismo in quanto scelta narrativa tra favola e allegoria la connotazione wagneriana rende il personaggio del Poeta un derisorio Lohengrin dei tempi moderni.

Paul Ranson, Bozzetto

3

del costume di Masticafiele per Re Baldoria dî Marinetti, 1908 (Archivi della S.A.C.D., Parigi).

16.

N È

(0A,

Dalle i

CA

iaia

36 bedlainet

17-20. Paul Ranson, Bozzetti dei costumi di Fra Trippa, Pancotto, Alkamah,

Anguilla, per Re Baldoria di Marinetti, 1908 (Archivi della

SA.C.D.,

Parigi).

37

4

sue Leb ina 9Y:VY1 >

21, 22. Paul Ranson, Bozzetti dei costumi di Famone

e il Re per Re Baldoria di Marinetti, 1908 (Archivi della SA.C.D., Parigi).

38 23. Loiîe Fuller in La Farfalla notturna, 7hédtre des Bouffes-Parisiens, Parigi, 1912. La danza come visualizzazione dell’energia vitale immanente alle forme create della materia. 24. Valentine de Saint Point in un ‘poema danzato”’ nel suo atelier, Parigi, 1913. 25. Prampolini, Bozzetto di ‘‘costume motorumorista per coreografia futurista’, 1914 (coll. privata). Il costume scenografico futurista ovvero come sviluppare le innovazioni della Loîe Fuller.

39 26. Valentine de Saint Point in tre immagini della Metacoria o ‘danza ideista’”’, Salle Poirier de la Comédie des Champs-Elysées, 20 dicembre 1913, Parigi. La posa plastica e la ritmica di Dalcroze al servizio della ‘“danza ideista’”. Il viso e il corpo sono ricoperti al fine di spersonalizzare il gesto coreografico, ma il costume recupera vistosamente le

Les Danses idéistes de Mme de Saint-Point ps

Ù

»,

La très originale artiste



Saint-Point, qui n'en est pas à sa première hardiesse artistique, vient de réaliser, dans une formule toute nouvelle, des Danses d’/dées où elle prétend traduire par un rythme chorégraphique ses poèmes vers par vers, idée par idée mot par . mot, Sa figure reste cachée, car elle ne veu! pas, poù è la danse, du sourire forcément stéréotypé, banal qu’ont les danseuses. Et elle se cémène, tort excentrique en des costumes divers appropiiés, depuis la tendre gitane jusqu'au parsifalesque chevalier. Nous donnons ci-dessous un des È poèmes qui préta le plus à cette fantaisiste interprétation.

qu’est Mme

\

Valentine

de”

POÈMES D'AMOUR

\

Tu

as enfermé,

|

nus,

mes

deux

pieds dans

ta main,

Sur eux tu as posé ta téte.

panoplie esotiche e wagneriane.

Libres,

j'ai

redressé

mes

deux

mains,

mais

en

Tu les pris dans la tienne inquibte. Cela pour m'empecher de suivre mon J'ai

clos

Aussi de mes yeux

Perdue Mortes Mais

un

l'activité,

La %

saisiv l'invisible. sur toi, lasse, alanguie,

en

douceuv

les routes

véve

paisible.

l'action,

j'aì

d'étre

vain,

chemin, enfin

voult

prisonnière.

sont là, ailleurs est l’absolu,

Au but fuvant l'apre mystère.

dlors

Amant,

malgré Nos

Fous,

nous

qu'aient

denls

pures

mordu

dans

l'oubli

et emmélbes,

éveillerons l'abandon accompli, Crovant à d'autres destinées.

Tu lèveras la léte et ouvriras les mains —

Acceptani Etnousmnousen

Chacun

les éloignements ;

ivons,—- prenant des deux chemins

le notre —

indifférents.

VALENTINE

DE

SAINT-POINT.

CL.

Qilo

40 27, 28. Esodo Pratelli, Bozzetti di costumi di Cradi per l’opera lirica L° Aviatore Dro di Pratella, 1913; direzione scenica di Cesare Giordani, Teatro Comunale Rossini,

4 settembre 1920,

Lugo (coll. privata). 29, 30. Esodo Pratelli, Bozzetti dei costumi di Giovinetta e di Dro per l’opera lirica L’Aviatore Dro di

Pratella, 1913 (coll. privata). Eroe dannunziano,

Dro vede

nell'esperienza del volo la possibilità di liberare lo spirito dal peso e dall’opacità della materia.

41 31.

Esodo Pratelli, Bozzetto

di un costume di Giovinetta per l’atto II° dell’opera lirica L’Aviatore Dro di Pratella,

1913 (coll. privata). Il gusto Art nouveau e l’estetismo della Belle Epoque come sinonimo di decadenza morale.

42 32.

Esodo Pratelli, Bozzetto

per la prima scena dell’atto I° per L’Aviatore Dro di Pratella, 1913 (coll. privata). 33.

Esodo Pratelli, Bozzetto

di scena dell’atto II° per l’Aviatore Dro di Pratella, 1913 (coll. privata). 34.

Esodo Pratelli, Bozzetto

per la seconda scena dell’atto I° per L’Aviatore Dro di Pratella, 1913 (coll. privata). Il cromatismo trionfante nello stile Balletti Russi dell’epoca di Shéhérazade.

.

35, 36.

Cominetti,

Bozzetti

di costumi per L'Amore delle tre melarance di Gozzi, 1913 (coll. privata).



37. Depero, Complesso plastico colorato motorumorista simultaneo di scomposizione a strati, 1915. Ricostruzione dell’assemblaggio cinetico, primo esempio dell’oggetto-

spettacolo futurista, realizzata dall’Atelier Guillaume di Parigi sulla base delle fotografie d’epoca e di un disegno di Depero (num. inv. 2270/A, Museo Depero, Rovereto).

46

38. Prampolini, Bozzetto di costume della Fata per la riduzione per marionette di Cenerentola, favola di Pe)

Perrault, musica di Massenet, Teatro dei Piccoli, Roma,

1915-1917 (coll. privata). Probabilmente non realizzato. 39. Prampolini,

Scenografia: architettura dinamica,

1915.

47

40, 41.

Balla, Bozzetto di

scena e studio della coreografia per Macchina tipografica, 1914-1915 (Museo Teatrale alla Scala, Milano).

9

ù

i

TRE Liar

pa REA DINI

(LYS

48

49

42-44.

Balla, Bozzetti della

scena finale, dei costumi di Donna-fuoco dell’inferno e di Donna-albero della primavera per la riduzione per marionette di Proserpine di Paisiello, 1915 (Museo Teatrale alla Scala, Milano). La messa in scena, prevista per il Teatro dei Piccoli di Roma,

non venne

realizzata. 45.

Balla, Bozzetto di

costume per Macchina tipografica, /9/4-1915 (Museo

Teatrale alla Scala,

Milano). Il personaggio urbano in quanto verifica di una dimensione ludica ed estetica della macchina.

DI

46.

Balla, Bozzetto di vestito

da uomo per mattino, 1914 (coll. privata). Il teatrocomportamento come rifiuto della normatività sociale. 47. Carmelich, Copertina a pastello della rivista Cronache, numero speciale sul carnevale,

Trieste, 1922.

48. Il carro futurista ‘Marciare non marcire 23 realizzato da Tato per il carnevale bolognese del 1921. 49. Depero, Bozzetto di ‘‘costume plastico”’ per il balletto Mimismagia, 1916 (Museo Depero, Rovereto).

PERSASAA

92 50, 51. Depero, Bozzetti di ‘costumi plastici’ per il balletto Mimismagia, 1916 (Museo Depero, Rovereto). 52. Affiche per uno spettacolo di “danza elettrica” dei Loebert, 1908. 53, 54. Depero,

Bozzetti di

costumi plastici per Il Canto dell’usignolo, 1976-1977 (coll. privata). L'elemento costruito come possibilità di un'alterazione espressiva della struttura antropomorfa. 55. Depero, Modellino costruito della scena plastica per Il Canto dell’usignolo di Stravinsky, 1916-1917 (Archivio Museo Depero, Rovereto). Progetto eseguito per 1 Balletti russi di Diaghilev, ma non realizzato.

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