L'importanza degli individui 8881038420, 9788881038428

I sentimenti morali, secondo la teoria delle emozioni di William James, dipendono dallo sviluppo delle energie fisiche.

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Italian Pages 125 [129] Year 2017

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L'importanza degli individui
 8881038420, 9788881038428

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n volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Cariparma

Si ringrazia Anna Zaniboni e l'Archivio Carlo Mattioli di Parma

Great Men and Their Environment, The Importance o/Individuals, The Moral Equivalent o/Wat; Tbe Energies of Men Traduzione e note di Michela Bella

In copertina

Ginestre di Carlo Mattioli ISBN 978-88-8103-842-8

©2016 Edizioni Diabasis Diaroads srl - vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547- e-mail: [email protected] www.diabasis.it

William James

I:IMPORTANZA DEGLI INDIVIDUI a cura di Ram6n del Castillo

:.

DIABASIS

William James L'importanza degli individui

7

Devi trasformare la tua energia,

Ram6n del Castillo 29

I grandi uomini e il loro ambiente

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L'importanza degli individui

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L'equivalente morale della guerra

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Le energie degli uomini

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Questa raccolta

Devi trasformare la tua energia

·k

Ram6n del Castillo

In memoriam eli Sergio Franzese

Come è risaputo, William J ames trascorse la vita cercan­ do di migliorare la propria salute fisica e mentale. Fin da giovane fu propenso alla depressione e condusse grandi lotte contro i suoi fantasmi interiori . Non fu tuttavia un' ec­ cezione. I disturbi mentali furono comuni tra le classi alte americane dopo la guerra di Secessione. Come ricorda uno dei migliori biografi di James , H. M. Feinstein1 , nelle deca­ di immediatamente seguenti al conflitto Boston soffrì una vera epidemia di nevrastenia. La famiglia J ames , oziosa gra­ zie a una fortuna ereditata, fu preda di queste malattie ner­ vose, ma anche moltissimi amici e conoscenti furono sog­ getti a sindromi di debolezza ed esaurimento nervoso. La soluzione che alcuni medici trovarono per questi eminenti pazienti fu alquanto strana. Invece di consigliare viaggi in Europa per fare bagni termali, i medici raccomandarono meno relax e più azione. L ungi dall'essere pregiudizievo­ le, il lavoro , soprattutto se gratificante, poteva avere buo­ ni effetti terapeutici. Se si deve scegliere, «meglio lavorar molto che non lavorare affatto», dichiarò il dottor Beard nel suo trattato del 1 880, A Practical Treatise on Nervous Exhaustion (Neurasthenia)) Its Symptoms) Nature) Sequen­ ces) Treatment. Come segnala Feinstein , sembra ironico che

il lavoro insufficiente sia concepito come causa dei disturbi nervosi degli americani, mentre, da un altro punto di vista, si direbbe proprio il contrario : non era piuttosto l'eccesso di lavoro , l'attività frenetica e l' azione senza sosta che spie­ gava buona parte dei malesseri degli statunitensi? Duran­ te la sua visita negli Stati Uniti, Herbert Spencer attribuì i

collassi nervosi degli americani al loro ossessivo interesse per gli affari e alla loro smisurata devozione al lavoro . «Si è esagerato troppo con il vangelo del lavoro [ . ] Forse è il momento di predicare il vangelo del relax», proclamò il 1 0 novembre del 1 882 nel «Boston Evening Transcript» . È certo che mentre i membri delle classi colte cercavano terapie con cui curare il loro deficit di energia, il loro pae­ se cominciava ad accelerare sempre più sotto l'impulso di nuove forze smisurate. Gli infaticabili lavoratori americani (minatori, fabbri, ingegneri, agricoltori, muratori) attrasse­ ro l' attenzione di molti visitatori europei, ma nel 1 87 6, solo otto anni dopo la fine della guerra, gli Stati Uniti trovarono un nuovo potente modo di rappresentare la loro volontà di potenza. Il presidente Grant inaugurò l' Esposizione Universale di Filadelfia che commemorava il centenario dell'indipendenza mettendo in moto il meccanismo della più p otente macchina a vapore del mondo , di 1700 tonnel­ late, la macchina di Corliss (attivata da pistoni più grandi di un uomo e ruote giganti di quasi dieci metri di diametro) , che diede energia a tutte le altre macchine dell' esposizio­ ne. In poco tempo la locomotiva a vapore, il tram elettrico (usato in Virginia dal 1 887 ) e l' automobile sarebbero di­ ventati simboli di una nuova era tecnica, appassionante per quanti credevano nel progresso , ma sconcertante per sen­ sibilità sottili come quella di Henry J ames o per mentalità nostalgiche come quella di Henry Adams2 • La psicologia funzionale di William J ames è comprensi­ bile solo sullo sfondo di questa grande trasformazione tec­ nica e sociale che avrebbe alterato per sempre il bioritmo umano3 . J ames cercherà di mediare, di fatto, tra due mondi, quello degli americani deboli e quello degli americani forti , tra la beatitudine della «tradizione gentile» e il modemismo dei «nuovi barbari» (per usare i termini del geniale George Santayana)4• Lodò i poteri spettacolari degli americani più industriosi, ma non disprezzò l'oscura profondità delle ani.

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me delicate; salì sul treno veloce della modemizzazione, ma continuò a rispettare un romanticismo tardivo per il quale le «anime inferme» mostravano un certo grado di superiorità spirituale5 . Per molto tempo, come molti suoi coetanei, J ames pensò che la soluzione contro la propria debolezza passasse per il risparmio di energia, ma verso il 1 880 cominciò a perdere fiducia nella terapia del riposo e forgiò un nuovo metodo di cura basato sull'esercizio . In The Gospel o/ Relaxation , apparso nel 1 899 (otto anni prima di The Energies o/Men) offrì una guida terapeutica basata sul primato della vo­ lontà sul sentimento6• Dato che l'eccesso di introspezione era stato una delle maggiori fonti della propria sofferenza, non è strano che egli raccomandasse ai suoi lettori meno riflessione e più azione, meno soliloquio e più mobilitazio­ ne di forze. Il suo volontarismo non era solo una dottrina filosofica (ispirata da Renouvier) , bensì una disciplina so­ matica sostenuta dalla teoria delle emozioni che lo stesso James aveva proposto nel 1 884 (la cosiddetta teoria Lan­ ge-James ) . Secondo questa teoria le emozioni non sono la causa dei cambiamenti corporei, ma, al contrario , effetti delle alterazioni organiche prodotte dagli stimoli . L' emo­ zione della paura, per esempio, non era per J ames l'effetto di uno stimolo nella mente , ma l'effetto di un altro effet­ to anteriore, ossia la commozione fisica che provoca uno stimolo ( detto altrimenti, proviamo paura perché corria­ mo e non corriamo perché proviamo paura) . L' azione e il sentimento - disse J ames - vanno insieme, e «regolando l' azione che resta sotto il controllo della volontà, saremo capaci di regolare indirettamente il sentimento che non sta sotto tale controllo»7 • Nonché essere una semplice teoria psicologica, un simile schema aveva implicazioni mediche e morali. Non c'è miglior precetto, disse James , > , e le fiaccole adeguate non sono sempre dispo­ nibili. «La comunità ristagna senza l'impulso dell'individuo. L'impulso individuale si spegne senza il favore della comu­ nità>> . Negli scritti posteriori invece James si concentrerà maggiormente sulla psicologia, più esattamente sull a relazio­ ne tra l'uso di energie occulte e il potere di alcuni individui di trasformare il loro ambiente (a volte in meglio, a volte in peggio) . Come dirà in The Energies o/Men ( 1907 ) 19, nessun uomo può arrivare ad essere un superuomo (o, com'egli si esprime, «gli alberi non crescono fino al cielo») , ma tutti gli uomini vivono al disotto dei loro limiti e possiedono poteri inibiti che abitualmente non usano. Un individuo normale può diventare eccezionale, appunto, quando riesce a liberare una carica di energia molto maggiore di ciò che ci si aspetta. Le emozioni capaci di scatenare queste grandi energie - dirà James - sono assai diverse: l'amore, la disperazione, l'ira e il fervore delle masse2° . I grandi disastri , come i naufragi o i terremoti, sembrano anch' essi capaci di far emergere dagli esseri umani energie che essi stessi non conoscono21• Ciò no­ nostante la situazione che, secondo J ames , scatena le energie più potenti, anche se terribili, è la guerra. Il tema della guerra l'ossessiona fin dalla gioventù, ma non perché abbia sofferto gli orrori del campo di battaglia. Quando scoppia la Guerra di secessione si arruola per tre mesi nell'esercito di artiglieria di Newport, ma abbandona la guerra quando è chiamato al combattimento. A differenza di molti amici e dei suoi stessi fratelli J ames non lotta nella Guerra di secessione e per tutta la vita si porta dietro un certo complesso di colpa e, soprattutto, di inferiorità. Pa­ radossalmente, tuttavia, sarà lui, nel 1897 , a pronunciare il discorso di inaugurazione di un monumento dedicato ad al-

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cuni martiri dell a guerra: il colonnello Gould Shaw e il 54 reggimento del Massachusetts di soldati neri che fu massa­ crato a Fort Wagner22 . 1n questo discorso, estremamente ela­ borato, James anticipa elementi di una psicologia della guer­ ra che torna ad affiorare, anni dopo , nel capitolo dedicato alla santità nelle Varieties ofReligious Experience ( 1902 ) e nel discorso tenuto a Boston a chiusura del Congresso Mondiale della Pace ( 1904)23 . In Varieties, in effetti , James non solo menziona frammenti di memoria di ufficiali austriaci, ma an­ che il maresciallo e conte prussiano Helmuth von Moltke, il sociologo e antropologo olandese Sebald Rudolf Steinmetz , autore di Psicologia dell'esercito ( 1 907) , e l' avventuriero Ho­ mer Lea, che diventò generale del primo presidente della Repubblica cinese, Sun Yat -Sen24 • ll suo interesse per gli istinti violenti non era nuovo, è già attestato nei Principles o/ Psychology, ma la sua preoccupazione per la guerra è mol­ to maggiore in Varieties. La guerra «è una scuola della vita energi ca» (strenuous li/e) , ma non è orribile che questo tipo di vita sorga grazie a un meccanismo di morte su larga scala? Non potrebbe darsi un tipo di vita eroica meno distruttiva e letale per l'uomo? o

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Si è parlato dell'equivalente meccanico del calore. Ciò che ora occor­ re scoprire nel regno sociale è l'equivalente morale della guerra, qualco­ sa di eroico che attragga gli uomini quanto li attrae la guerra, ma che sia assai più compatibile di essa col suo essere spirituale25 •

L'equivalente della vita eroica militare, ma «senza fan­ fare o uniformi o applausi di masse isteriche, menzogne e circonlocuzioni»26, che J ames proporrà in Varieties ha un nome chiaro: la vita ascetica27 • «Malgrado la pretenziosità che lo contraddistingueva, nell' antico culto monastico per la povertà c'era qualcosa di simile a quest'equivalente mora­ le della guerra che stiamo cercando»28 • Quest'idea si era già manifestata e sarebbe tornata a manifestarsi in altri scritti, ma poco a poco andrà mescolandosi con una specie di pro-

gramma di riforma generale della società. Dopo Varieties J a­ mes arriva a progettare un libro intitolato La psicologia dello sciovinismo, dedicato alle varietà dell'esperienza militare29, ma ciò che finisce per pubblicare anni dopo , nel famoso scritto The Mora! Equivalent o/ War ( 1 9 10)3° , ha uno stile più polemico che analitico. Col suo abituale stile rapsodico , J ames afferma che l'unica maniera di evitare la guerra consi­ ste nel trovare forme alternative in cui canalizzare gli istinti bellici dell'uomo. La sua visione della natura umana non era pessimista (poiché confidava in un lento ma progressivo processo di civilizzazione) , ma nemmeno ottimista al punto di gettarsi nelle braccia di un ottimismo ingenuo o di un pacifismo idealistico . Come dirà nel 1903 , l'uomo comune civilizzato: non è affatto cosciente delle correnti più profonde della natura uma­ na e del potenziale ancestrale di eccitazione assassina che pulsa addor­ mentata nel suo intimo. La religione, i costumi, la legge e l'educazione hanno esercitato per secoli la loro pressione su di lui, con l'unico pro­ posito di mantenere in riga il suo potenziale omicida. [ . . . ] Il contenitore ermetico a cui è confinato il predatore che portiamo dentro di noi è arti­ ficiale e non organico. E non sarà mai organico. La minima diminuzione della pressione esterna, la minima apertura che consenta un'eccezione, farà sì che l'intero sistema perda pressione e l'assassinio si diffonda in forma sfrenata31 .

Un anno dopo, nel 1 904 , in Remarks at the Peace Ban­ quet, insisterà sullo stesso punto : «L'uomo è il più formida­ bile di tutti gli animali da preda, e l'unico che caccia siste­ maticamente entro la propria specie [. . ] un millennio di pace non eliminerà la disposizione alla lotta che troviamo riposta fino nelle profondità delle nostre ossa>> . La cosa più pratica non è cercare di eliminare il suo istinto di aggres­ sione, bensì di addomesticarlo . Contro la guerra occorre «cercare una medicina preventiva, non una cura radicale» . Per ingannare la natura umana «non bisogna cercare di cambiarla, ma eludere politicamente la sua azione». Non .

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importa che l'umanità seguiti a sognare di uccidere, se è capace di «organizzare un meccanismo pratico che eviti ogni occasione di guerra e crei eccitazioni e vie d'uscita al­ ternative alla guerra>> 32• Anni dopo, nel 19 1 0 , in The Mora! Equivalent of War, J ames proporrà equivalenti più specifici e un programma di riforma sociale, ma non un metodo di trasformazione delle energie: il riorientamento degli impul­ si non è come la trasformazione di un oggetto ignobile in uno nobile ad opera di un alchimista, e neppure il risultato automatico di un qualche metodo33 • Immaginare che certe tendenze umane belliche giungano a sparire non è niente altro che un'illusione compiacente. Ma supporre che que­ ste stesse tendenze debbano provocare necessariamente e invariabilmente guerre ha qualcosa di superstizioso. Una cosa è accettare realisticamente tutti gli aspetti dell'uomo (invece che incensare solo il suo lato angelico) , e altra cosa assai diversa considerare certi impulsi come malvagi in se stessi, ossia come non suscettibili di un'espressione più ci­ vile. Bisogna sottolineare, certo , che il tipo di equivalente che J ames propone in questo scritto non è semplicemente un servizio civile volontario34 . Questo tipo di servizi comuni­ tari sembravano a J ames l'equivalente adulto di un campo estivo infantile. J ames andò assai più lontano proponendo la creazione di un esercito civile mediante il servizio obbli­ gatorio di giovani uomini in miniere, carbonaie, fonderie, flotte da pesca, nella costruzione di tunnel, strade ed edi­ fici e in lavori di pulizia. L'equivalente eroico della guerra immaginato da J ames, infatti, fu un lavoro collettivo orga­ nizzato , l'impresa della società industriale nel suo sforzo di trasformare il cosmo, addomesticandolo , in un altare del benessere umano35. Come disse senza indugi , l'uomo deve mantenersi in lot­ ta con la natura, affermazione non esente da provocazione , dato che p er buona parte dei suoi coetanei il culto della

natura era un sostituto del culto di Dio . Rendere sacrifi­ ci alla Natura in nome del progresso umano , dopotutto , avrebbe potuto suonare per alcuni come un modo di uc­ cidere Dio36. James , insistiamo , non si limitò a predicare l'etica del lavoro come gli ultimi puritani , ma incoraggiò un'epica del lavoro , un' apologia del potere umano che non quadrava del tutto con l' altro J ames , quello sensibile e de­ licato che apprezzava forme più serene e umili di sentirsi uniti al cosmo37 • Come in altre occasioni James cercò di conciliare tenden­ ze opposte usando un'economia funzionale. In Varieties , già lo aveva detto , il signore e il santo sono stati sempre visti come modelli rivali perché intesi come tipi ideali e assoluti . Da un punto di vista funzionale, invece , è assurdo parlare di un tipo ideale. I temperamenti coraggiosi sono necessari alla società perché adempiono certe funzioni, ma ciò non li converte in una classe superiore e neppure in uomini più autentici e veri. I temperamenti più recettivi e pietosi non sono inferiori - dirà J ames -, sono ugualmente imprescin­ dibili, perché compiono altre funzioni. La condotta ideale , il modello di azione perfetta non esiste, perché tutto «è una questione di adattamento [ . . ] e dobbiamo essere grati alla mescolanza che è la ragione di molti dei nostri vantaggi»38. Letto fuori del suo contesto , il vangelo del lavoro di J a­ mes può portare ad alcuni equivoci . La sua difesa della vita guerriera, beninteso, non era indicata per anime già di per sé bellicose. Predicare l' ardore in alcuni settori della società statunitense poteva sembrare assurdo, poiché ciò di cui ave­ vano bisogno era proprio il contrario: meno vivacità e più serenità. L etica belligerante di J ames era diretta soprattutto a coloro che mancavano di energia, anche se ciò non li so t­ traeva al pericolo, perché cercava di riaccendere gli animi usando un combustibile eccessivamente infiammabile. La sua esaltazione del lavoro come dovere civico , la sua difesa della disciplina e del sacrificio, erano diretti prin cipalmente .

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a giovani americani delle classi alte e oziose, prede di un taedium vitae che li portava a dissipare la propria energia. J ames incitò questi giovani a seguire l'esempio di vita dura ed eroica dei lavoratori, ma non ha senso pensare che questi stessi lavoratori, la cui forza lavoro era sfruttata all'e­ stremo limite, avessero bisogno di più lavoro. Senza dub­ bio J ames idealizzò il lavoro fisico come fonte di energia rinnovabile. Forse i borghesi avrebbero potuto divenire più dinamici mediante un lavoro forzato a tempo parziale, ma gli operai che lavoravano forzatamente a tempo pieno avrebbero visto l'etica dell'energia di James con occhi mol­ to diversi: quando il lavoro è inumano aliena gli operai e limita proprio lo sviluppo delle loro potenzialità ( cosa che Marx chiarì già dal 1844 nei suoi quaderni parigini)39• Per quanto J ames provasse orrore per le sofferenze umane e cercasse di agire come un leader radicale, il suo vangelo del lavoro finì per funzionare più come una guida di auto-aiuto che come un programma politico di riforma radicale40• Sia come sia, malgrado i suoi limiti , questa antologia di quattro scritti contribuirà a dare il giusto valore alle teorie di James che anticiparono molti problemi di psicologia so­ ciale, di psicopolitica e persino di ciò che recentemente, e con un nome più solenne, Peter Sloterdijk ha battezzato «antropotecnica»41 • Il lettore italiano non avrà problemi a riconoscere in que­ sti scritti brillanti e polemici un J ames complesso e infati­ cabile alla ricerca di tecniche che aiutino a rispondere a una domanda antica e un po' ironica: l'uomo come riesce a diventare un essere umano?42

Note * Debes cambiar tu energia. Traduzione italiana dal castigliano di Fer­ ruccio Andolfi. l . The Use and Abuse o/ Illness, capitolo 12 di Becoming William Ja­ mes, Cornell University Press , Ithaca 1 984 (edizione del 1 999 con una nuova e curiosa introduzione) . Sul giovane J ames è sempre utile consul­ tare Paul Croce, Science and Religion in the Era of William ]ames: Eclipse o/ Certainty, 1820 to 1880. I, University of North Carolina Press, Chapel Hill, North Carolina, 1995 . Ringrazio Paul Croce che mi ha invitato a discutere le bozze del secondo volume della sua opera e a discutere di Omero, Nietzsche e James nel corso di un seminario al William ]ames Center di Potsdam. 2. Si veda ciò che scrisse Adams sul vapore, le dinamo e le automo­ bili durante le sue visite all'Expo di Chicago del 1 893 e, soprattutto, all'Expo di Parigi del 1 900, in The Education o/ Henry Adams, Collected Works of Henry Adams, Library of America, New York 1 983 . 3 . n migliore studio sul contesto e le diverse dimensioni dell'etica energetista di James è quello di Sergio Franzese, The Ethics o/ Ener­ gy. William ]ames's Mora! Philosophy in Focus, Ontos Verlag, Frankfurt 2008. Il recente studio di Sarin Marchetti aiuta anch'esso a comprendere la dimensione etico-politica della psicologia esortativa di James : Ethics and Philosophical Critique in William ]ames, Palgrave Macmillan, Lon­ don and New York 2 0 1 5 . 4 . Si veda The Genteel Tradition in American Philosophy and Character and Opinion in the United States,Yale University Press, New Haven and London 2009. Sull 'idea degli americani come «nuovi barbari» e la disputa tra James e Santayana cfr. R. del Castillo, Estetas y profetas, in Miradas Transatlcinticas: intercambios cultura/es entre Estados Unidos y Europa, Fundamentos, Madrid 201 1 , pp. 285 -33 3 . 5 . Alla fine della sesta conferenza d i Varieties o/ Religious Experience James affermò che la mentalità gioviale e sana (the h ealthy mindedness) non comprende del tutto la profondità del temperamento infermo (the sick soul) e rifiuta, non senza frivolezza, fatti penosi che formano parte essenziale della realtà e «che possono essere la miglior chiave di com­ prensione del significato della vita e, forse, i soli ad aprirci gli occhi ai più profondi livelli di verità. [ . . . ] Poiché gli avvenimenti cattivi sono parte genuina della natura tanto quanto quelli riconducibili al bene [ . . . ] la sanità di spirito sistematica, evitando di concedere una qualsiasi at­ tenzione positiva e attiva al dolore e alla sofferenza è formalmente meno

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completa dei sistemi che almeno tentano di includere questi elementi nelle loro prospettive» (Varieties of Religious Experience, Harvard Uni­ versity Press, Cambridge (Mass . ) 1985 , p. 132; trad. it. Morcelliana, Bre­ scia 1 998, p. 154 ss. 6. The Gospel o/Relaxation, in Talks to Teachers on Psychology and to Stu­ dents on Some ofLife's ldeals, Harvard University Press, Cambridge (Mass. ) 1983 , pp. 1 17 - 13 1 . 7 . lvi, p . 1 1 8 . 8. lvi. 9. lvi. 10. lvi. 1 1 . Anche i sentimenti spirituali dipenderebbero da uno schema si­ mile, per questo J ames arriverà a dire che «la volontà è il manometro della fede». James cita con approvazione i libri di Hannah Whitall Smith perché per questa religiosa la massima suprema di ogni devozione era agire con fede, indipendentemente dai sentimenti di dubbio che vi al­ bergassero. «L'unica cosa che Dio osserva è il proposito, e non ciò che si sente [ . . . ] la volontà è l'unica cosa a cui bisogna badare». Secondo que­ sta prospettiva i sentimenti infatti non sono prove di uno stato di fede, ma solo sintomi di temperamento o di una particolare condizione fisica. James si riferisce a The Christian Secret of a Happy Life ( 1 875 ) . Whitall apparteneva al Holiness Movement, una comunità religiosa prossima al metodismo e al cristianesimo evangelico. Militò anche a favore del suf­ fragio femminile. 12. Su questo punto J ames tiene conto delle opere sulla salute mentale di Annie Payson Cali ( 1853 - 1 940) come Regeneration of the Body ( 1 888) , Power through Repose ( 1 89 1 ) , e As a Matter of Course ( 1 894) . James fu sempre aperto a ogni tipo di metodi che aiutassero gli statunitensi a svi­ luppare «abiti mentali più sani e vigorosi», inclusi quelli dei teosofì, dei guaritori di sette religiose e di esponenti del movimento New Thought (come Prentice Mulford e Ralph Waldo Trine) , ma anche di specialisti in dietetica come Horace Fletcher (che raccomandava di masticare cen­ to volte al minuto) o in declamazione e gesti corporei come il musicista François Delsarte. 13 . Secondo la profezia (quasi fantascientifica) che J ames menziona, in un futuro prossimo gli esseri umani non avrebbero bisogno di pro­ durre energia a proprie spese, e neppure dovrebbero masticare, perché arriverebbero a ingerire con un tubo un pasto liquido già mezzo dige­ rito. «A che scopo avremmo bisogno allora dei denti e persino dello stomaco?» dice J ames . «Potrebbero sparire, insieme ai nostri muscoli

e all a nostra energia fisica, e persino, suscitando ancor di più la nostra ammirazione, potrebbero arrivare a crescere in noi volte gigantesche nei nostri crani fino a inarcarsi sopra ai nostri occhiali, predisponendo le nostre flessibili labbra a un torrente di colta e ingegnosa chiacchiera, che costituirà la nostra principale e più gradevole occupazione. Sono sicuro che tale visione vi sembrerà apocalittica e vi farà venire i brividi» (The Gospel ofRelaxation , cit. , p. 120). 14. The Gospel o/Relaxation (cit., p. 12 1 ) . Stranamente}ames descri­ ve questa pace con uno dei termini usati da Spinoza nella terza parte dell'Etica, ossia come acquiescientia in se ipso. Anche nel capitolo XV (The Will) dei suoi Talks to Teachers, James termina citando l'Etica di Spinoza ( cit . , p. 1 13 ) . Gli studiosi di James non prestano sufficiente at­ tenzione al suo interesse per Spinoza e neppure al suo interesse per Mar­ co Aurelio. Si veda Emma Sutton , Marcus Aurelius, William James and the Science of Religions, «William James Studies», 4 (l), 2009, pp. 7 0-89. 15 . Miinsterberg era un discepolo di Wundt e lavorò nel laboratorio di Harvard dal 1 8 8 1 . Pubblicò studi sulla psicologia del lavoro, dell'e­ ducazione e della delinquenza. Nel 1901 pubblicò American Traits/rom the Point o/ View o/a German. Nel 1 9 15 uscì anche il suo Th e War and America, Appleton, New York. Thomas Smith Clouston era lo psichia­ tra più famoso in Scozia. La frase di Clouston che citiamo è riprodotta da James in The Gospel o/Relaxation (cit. , p. 12 1 ) . ln Clinica! Lectures o n Menta! Deseases ( 1 883 ) Clouston affermò che la nevrastenia statuni­ tense era dovuta all'eccessivo livello di eccitazione del paese. 16. James afferma letteralmente che gli americani si muovono come «raggi imbottigliati», ossia attraverso di loro fluisce energia come nei recipienti di vetro che condensano cariche elettriche mediante due elet­ trodi, inventati a Leyden dallo scienziato olandese Musschenbroek nel 1745 . 1 7 . J ames seguiva qui il sociologo francese Gabriel Tarde, autore di Les lois de l'imitation ( 1 890) . Tarde pubblicò in seguito due opere che hanno molto in comune con le inquietudini di James: I:opposition uni­ verselle. Essai d'une théorie des contraires, nel 1 897 , e I:opinion et la foule, nel 1 902 . 1 8 . Originariamente questo testo fu la base di una conferenza pre­ vista per il marzo 1 880 presso la Harvard Natura! History Society che alla fine J ames non poté tenere. n testo fu pubblicato nello stesso anno come Great Men, Great Thoughts, and the Environment, nel numero 46 di «The Atlantic Monthly», e fu poi incluso in The Will to Believe con il titolo Great Men and their Environment. Grant Allen e John Fiske

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replicarono a James nel gennaio e marzo 1 8 8 1 . Tuttavia la risposta di James, The Importance of Individuals, non fu pubblicata dall'«Atlantic Monthly» e apparve solo nel 1 890, nella rivista «Open Court». Per mag­ giori dettagli cfr. R. del Castillo, Gli individui eroici di William James, «La società degli individui», n. 53 , 20 15/2 , pp. 75 -79. 19. Discorso presidenziale tenuto di fronte all 'American Philosophi­ cal Association, presso la Columbia University, il 2 8 dicembre 1 906, e pubblicato nella «Philosophical Review» nel gennaio 1 907 . Pubblicato anche, con leggere modifiche, in «American Magazine» con il titolo The Powers o/ Men nel novembre 1 907 . Si vedano entrambe le versioni in Essays in Religion and Morality, Harvard University Press , Cambridge (Mass . ) 1 987 , pp. 129- 146. 20. James prestò sempre maggiore attenzione alle masse sotto l'in­ fluenza della Psychologie des Foules di Gustave Le Bon, della cui tradu­ zione in inglese fece una recensione nel 1897 . J ames tacciò la visione di Le Bon di essere determinista e pessimista. Per il francese le masse erano essenzialmente irrazionali, mentre per J ames il problema non erano le masse in se stesse, bensì la loro manipolazione. Per James la mobilitazio­ ne collettiva, diretta appropriatamente, non aveva ragione di degenerare in isteria collettiva. Si veda la recensione di The Crowd. A Study of the Popular Mind ( 1 897 ) in Essays, Comments and Reviews, Harvard Uni­ versity Press, Cambridge (Mass.) 1 987 , pp. 533 ss. 21. James visse il terremoto che si verificò a San Francisco alla fine di aprile del 1906. In giugno James pubblicò On Some Menta! Effects o/ the Earthquake in Youth's Companion, 80 ( 1 906) , pp. 283 -284. La forza della popolazione che in gran parte vide le proprie case ridotte in rovine, al pari degli straordinari sforzi di organizzazione, provavano, secondo J ames, che esistono energie umane che si attivano solo in situazioni estreme e in stati d'eccezione: si veda il testo completo in Essays in Psychology, Harvard Uni­ versity Press, Cambridge (Mass. ) 1 987 , pp. 33 1-340. 22 . In questo scritto James difese il valore degli eroi comuni, individui capaci di grandi gesta, ma che non si sentono mai esseri superiori e sono inconsapevoli della propria grandezza. La principale virtù di questo tipo di eroi non è tanto il valore cieco quanto un eccezionale senso del dovere. Cfr. Robert Gould Shaw: Oration by Professar William James, in Essays in Religion and Morality, cit., pp. 64-74 . Wilky, il fratello di James, era sta­ to aiutante del colonnello Shaw ed era uscito vivo dal massacro, benché ferito. J ames utilizzò come documenti lettere di suo fratello e del colon­ nello Shaw. Un anno prima che James pronunciasse questo sorprendente discorso apparve The Red Badge o/ Courage, un romanzo straordinario

sul panico e sul valore nella guerra di Secessione scritto da un giovane scrittore che era nato dopo la guerra, Stephen Crane. 23 . Remarks at the Peace Banquet fu pubblicato nell' «Atlantic Re­ view» nel dicembre 1 904 (cfr. Essays in Religion and Morality, cit. , pp. 120- 123 ) . 24. L a fonte di James fu un pioniere della psicologia sociale, Augustin Hamon , autore di La psychologie du militaire professionnel ( 1 895 ) , che a sua volta raccoglieva le testimonianze offerte da von Carl Binder von Krieglstein in Friedens und Kriegsmoral der Heere am Ausgange des XIX Jahrhunderts. Si vedano le conferenze XIV e XV (Il valore della santità) in Varieties, cit. , p . 2 92 . Per comprendere il contesto della psicologia della guerra di James, il lettore non può leggere niente di meglio che War in Social Thought: Hobbes to the Present di Hans Joas e Wolfgang Knobl, Princeton University Press, Princeton 2013 , così come un lavoro precedente diJoas, War and Modernity: Studies in the History ofViolence in the XXth Century, Polity Press, London 2003 . 25 . Varieties, cit . , p. 292 . Con il termine «energia» non si riferì a una grandezza quantificabile scientificamente, bensì alla «forza vitale» inte­ sa nel modo in cui ne parla l'uomo della strada. Ciò non toglie ch'egli menzioni in Varieties e più tardi scoperte scientifiche che avevano reso comprensibile la sua teoria delle equivalenze, quali l'esperimento di Jou­ le per determinare l'equivalente meccanico del calore, grazie al quale l'energia cessò di essere concepita come una sostanza. Come disse J ohn Dewey: «li secolo che è stato testimone della dottrina scientifica della trasformazione delle energie naturali non dovrebbe esitare ad accettare il miracolo minore delle equivalenze e dei sostituti sociali della guerra», in Human Nature and Conduct, Henry Holt, New York 1922, p. 1 1 3 . In realtà la psicologia sociale non fu l'unica disciplina che si occupò di que­ sto genere di equivalenze. Anche la dinamica dell'inconscio fu descritta in termini simili. Nel 1 92 8 , in Energetica dell'anima, Carl Gustav Jung stabilì un parallelo tra il trasferimento dell'intensità di un fenomeno psi­ chico in un altro e la trasformazione del calore in energia cinetica. 26. Varieties, cit., p. 2 93 . 2 7 . Evidentemente, per poter sostenere una cosa del genere, J ames doveva regolare i conti con il Nietzsche della Genealogia della morale, e questo è proprio ciò che fa in Varieties. Dà ragione a Nietzsche e critica i santi per la loro pretenziosità e morbosità, ma allo stesso tem­ po cerca di salvare alcune delle loro virtù cercandone equivalenze più funzionali. Ho analizzato l'ambivalenza di James verso Nietzsche nel capitolo 4 (Addio alle armi?) del mio William James, RBA Italia, 2 0 1 6 .

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Cfr. anche S . Franzese, James versus Nietzsche: Energy and Ascetism in James, «Streams of Will iam James», 5 (2 ) , 2 003 , pp . 10- 1 2 . 2 8 . Ivi, p. 2 92 . 2 9 . S i vedano i riferimenti fomiti d a George Cotkin in William James. Public Philosopher, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 1 994 , p. 146 ss. Questo lavoro di Cotkin ricrea in forma straordinaria il contesto biografico e storico delle teorie di J ames sull'energia e l'e­ roismo. 3 0 . Una conferenza con questo titolo fu tenuta da James nell'Univer­ sità di Stanford nel 1 906 e pubblicata nel 1 9 1 0 dal bollettino dell'«As­ sociation for lntemational Conciliation», n. 27. Si arrivarono a stampare trentamila esemplari della conferenza. In seguito fu edita in riviste come «McClure's Magazine», «Popular Science Monthly» e «Atlantic Readin­ gs». Cfr. Essays in Religion an d Morality, cit. , pp . 1 62 - 173 . 3 1 . A Strong Note o/ Warning Regarding the Lynching Epidemie ( 1 903 ) , in Essays, Comments and Reviews, Harvard University Press, Cambridge, (Mass.) 1 987 , p. 17 1 . 3 2 . Essays in Religion and Morality, cit. , p . 120 s . Nel 1 897 aveva già detto: «L'uomo è, comunque si giri la cosa, un animale belligerante. Secoli di storia pacifica non potranno estirpare da noi l'istinto di com­ battimento» (Robert Gould Shaw: Oration by Professar W James, cit. , p. 72 ) . Si osservi che James non ha sostenuto che questo istinto bellico sia più innato e potente dell'istinto di compassione ed empatia. È il caso di tornare a leggere ciò che ha scritto sulla sete di sangue e di brutalità, ma anche sugli istinti benevoli nel capitolo XXN dei Principles o/Psycholo­ gy, Harvard University Press, Cambridge (Mass . ) 1982. Questo capitolo apparve in forma di articoli nello «Scribner's Magazine» e in «Popular Science Monthly», nel 1 8 87 . 3 3 . S i può paragonare il processo di equivalenza di cui parlava J ames a quello di sublimazione, nella concezione che ne ha Freud? Alcuni dei suoi lettori lo credettero, senza andare oltre, come Walter Lippmann nel capitolo The Taboo della sua Preface to Politics, Mitchell Kennerley, New York and London 1 9 1 3 , p. 5 1 . Ma ci sono molte differenze il cui esame eccede i fini di questa presentazione. Anche le riflessioni di Freud sulla guerra, a dirla tutta, furono diverse da quelle di James (le scrisse, si ricordi, nel 1 9 1 5 , dopo gli orrori della prima guerra mondiale) . Si ricordi, d'altra parte, che James si mostrò assai critico verso le idee di Freud. Durante l'incontro con gli psicoanalisti europei che ebbe luogo nel congresso del 1 909 nell'Università di Clark, James riportò «un'im­ pressione più gradevole» di Jung. Su Freud e la guerra cfr. Psicoanalisi

della guerra , Feltrinelli, Milano 1 966. Sulla guerra da un punto di vista junghiano si veda l'eccezionale lavoro di J ames Hillman, A Terrible Lave o/ War, Penguin, London 2004. Ed anche R. del Castillo, James y el ma­ lestar en la cultura, in Aa.Vv. , Al hilo del pragmatismo, Biblioteca Nueva, Madrid 2 0 1 4 . 34. Si sono menzionati vari esempi d i quel che James intese come equi­ valente morale della guerra: il servizio forestale degli Stati Uniti (nel qua­ le lavorarono i figli dello stesso James) o il Civilian Conservation Corps, fondato nel 1 93 3 durante il New Deal (in effetti, nel 1 940 fu creata un'u­ nità, il William James Camp, che contribuì a realizzare installazioni in Alaska e lavori di ricostruzione di zone colpite da terremoti) . Altri esempi più recenti che sono stati menzionati sono il Peace Corps , concepito da John F. Kennedy, o i volontari del programma War o n Poverty creato dal presidente Lyndon Johnson. Crediamo che il tipo di "militarizzazione" della società a cui pensava J ames fosse una proposta molto più radicale di quella contenuta in questo tipo di esempi. 3 5 . L'etica protestante era già servita a secolarizzare la vita ascetica, ma si potrebbe dire che con questa svolta collettivista J ames la mondanizza ancora di più, cessando di essere una forma di vita di personaggi ecce­ zionali e diventando norma per la società di massa. Questo ascetismo è al tempo stesso un incentivo per l'espansione e la crescita dell'efficacia sociale ma anche un principio di risparmio e di accumulazione di ener­ gia sociale. Malgrado il suo collettivismo James non cessa di attribuire ai «grandi uomini» attributi eccezionali, facendo di essi gli equivalenti mondani degli antichi eroi e santi. 36. L'inflessione data dallo stesso James al culto romantico della natura si rivela nel suo famoso saggio On a Certain Blindness in Human Beings (Talks to Teachers on Psychology and to Students on Some o/Life's Ideals, cit. , p. 134) quando, dopo aver espresso il suo orrore per l'effetto deva­ statore dei coloni nei boschi della Carolina, ammette la propria cecità di fronte alle epiche gesta di quei poveri uomini nella loro lotta contro gli elementi. La relazione di J ames con la natura meriterebbe un capitolo a parte. La sua affezione per l'escursionismo (che per poco non gli costò la vita, a causa dei suoi problemi di cuore) mostra che J ames si muoveva sempre in uno spazio intermedio, in questo caso tra lo spazio dello sport e quello della contemplazione, tra l'esercizio fisico e quello spirituale. 3 7. Senza meccanismi di civilizzazione, certamente, l'uomo diventa letale a se stesso, ma un'eccessiva civilizzazione e sensibilità - ci avverte James - lo fa diventare eccessivamente mansueto e mediocre. J ames non arriva a convertire il conflitto in un principio metafisica, ma avanza l'idea

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che la vita abbia una natura essenziahnente conflittuale. La sua visione dell'antagonismo, crediamo, conserva più di un parallelismo con lo studio di Simmel sul conflitto (Streit). Cfr. Sociology o/ Conflict, «American Jour­ nal of Sociology» ( 1 904) , poi incluso in Sociologie. Untersuchungen uber die Formen der Vergesellscha/tung, Berlin 1908. 3 8 . Come dice James, è tanto assurdo chiedere una definizione di " uomo ideale" come chiederne una di " cavallo ideale " , poiché un caval­ lo completo e perfetto sarebbe inferiore sotto qualche rispetto a qual­ siasi cavallo di tipo più specializzato (un cavallo da tiro, un cavallo da corsa, un cavallo da trasporto leggero, da passeggio ecc. ) : Varieties, cit., p. 2 97 . 3 9. John Dewey criticò James in questo senso. S i veda la lettera del 1 9 15 citata da Gerald Myers in William James. His Li/e and Thought, Yale University Press, New Haven 1 986, p. 602 . Malgrado queste critiche Dewey diede una delle migliori interpretazioni di The Mora! Equivalent o/ War di James in Changing Human Nature, cap. III della seconda parte di Human Nature and Conduct, Henry Holt, New York 1 922 . Dewey insistette sul fatto che il cosiddetto istinto di guerra non è invariabile né unico e copre invece un'enorme mescolanza di desideri. James menziona esempi di guerre mosse da motivi diversi, se ne potreb­ bero citare innumerevoli, come la spoliazione, la rivalità, la vanagloria, l'ambizione di potere e di fama, la paura, il sospetto, l'odio per il diver­ so , il fanatismo patriottico, la lealtà verso gli antenati, la venerazione per gli dèi. Anche Dewey insiste sulla dimensione storica del problema - da riferire alle diverse formazioni economiche - perché non sono la stessa cosa guerre tra clan, tribù, città, imperi, nazioni e stati. Dewey ebbe anche l'abilità di spiegare le modifìcazioni che avrebbe dovuto subire la teoria di J ames dopo le terribili trasformazioni indotte dalla Prima guerra mondiale. 40. Per un confronto tra l'esercito civile di J ames e quello di Bellamy in Looking Backward ( 1 888) cfr. G. M. Fredrickson , The Inner Civil Wa r. Northern Intellectuals and the Crisis o/ the Union , University of Illinois Press, Urbana and Chicago 1 965 . il libro fornisce anche molte informa­ zioni sulla relazione con la guerra di personaggi vicini a J ames come O. Wendell Holmes. 4 1 . L'ironia è che le allusioni di Sloterdijk a James nel suo interes­ santissimo Du musst dein Leben iindern, Suhrkamp , Frankfurt am Main 2009, sono del tutto insufficienti, tenendo conto di tutto ciò che James ha apportato al campo di cui Sloterdijk si fa carico. Risulta paradossa­ le, d'altro canto, che Sloterdijk abbia scritto un libro sui temperamenti

filosofici ignorando James . Verrebbe voglia di dire che i nietzscheani eu­ ropei continuano ad essere prigionieri di alcuni pregiudizi verso James e a considerarlo troppo ingenuo per far parte del pantheon dei grandi pensa tori. 42 . Devo esprimere i miei ringraziamenti a Ferruccio Andolfi, gran­ de conoscitore di Simmel, per aver promosso questa edizione, come a Michela Bella (grande conoscitrice dei fratelli James) per la traduzio­ ne dei testi. Sono in debito con Rosa Calcaterra che mi ha fornito a Roma l'opportunità di lavorare con Andolfi. Dal lato spagnolo, ringrazio Alfonso Cuenca per la correzione di questo testo e per numerosi dati sulla bibliografia che J ames menziona nei suoi scritti. Ringrazio inoltre Cristina Basili, Stefano Oliverio e Sarin Marchetti per la loro attenta correzione della versione definitiva. Dedico questo lavoro al mio caro collega S ergio Franzese con il quale ho pas s ato splen didi e diver­ tenti momenti da quando ci conos cemmo a Edimburgo durante la celebrazione del centenario di Varieties. Sergio era un grande ed erudito conoscitore di James, senza dubbio, ma viaggiava sempre con un libro di cui, come mi ha detto in un 'occasione, «niente e nessuno riuscirà mai ad appropriarsi», l'Etica di Spinoza.

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I

grandi uomini e il loro ambiente

Vi è un parallelismo straordinario , che credo non sia mai stato notato, tra i fatti dell' evoluzione sociale, da un lato, e quelli dell'evoluzione zoologica come sono stati esposti da Darwin, dall' altro. Sarà meglio preparare il terreno per la mia tesi con alcune osservazioni molto generali sul metodo per acquisire una verità scientifica. È un luogo comune che una conoscenza completa di una qualsiasi cosa, per quanto minima, richie­ derebbe una conoscenza dell'universo intero. Non cade a terra un passero senza che alcune delle condizioni remo­ te della sua caduta vadano cercate nella Via Lattea, nella nostra Costituzione federale o nell'antica storia d'Europa. Vale a dire, cambiate la Via Lattea, cambiate la Costituzio­ ne federale, cambiate i fatti della nostra origine barbarica e l'Universo sarà differente da quello che è adesso . Potrebbe essere implicato in tale differenza che il ragazzino il quale ha lanciato il sasso che ha abbattuto il passero non si tro­ vasse davanti al passero in quello stesso momento ; oppure che, trovandosi lì, potesse non essere in quel particolare stato d' animo sereno e disimpegnato che ha manifestato nel lanciare il sasso . Ma, per quanto tutto ciò possa essere vero , chiunque stesse indagando la causa della caduta del passero riterrebbe una follia trascurare il ragazzino consi­ derandolo un agente troppo personale, prossimo e per così dire antropomorfico, e sostenere che la vera causa è la Co­ stituzione federale, la migrazione a ovest dell'etnia celtica, o la struttura della Via Lattea. Se procedessimo secondo questo metodo, potremmo dire con assoluta legittimità che un nostro amico, caduto sul ghiaccio davanti alla porta di

casa sua rompendosi la testa qualche mese dopo aver par­ tecipato a un pranzo di tredici commensali, è morto a causa di quel malaugurato banchetto. In effetti , conosco un caso del genere e, se volessi, potrei sostenere con perfetta pro­ prietà logica che lo scivolone sul ghiaccio non è stato un vero incidente. Potrei dire: 30

Per la scienza non esistono incidenti. L'intera storia del mondo ha contribuito a produrre quello scivolone. Se fosse mancato qualcosa, lo scivolone non sarebbe avvenuto proprio lì e allora. Dire che sarebbe avvenuto comunque equivale a negare le relazioni di causa ed effetto in tutto l'Universo. La causa reale della morte non è stato lo slittamento, ma le condizioni che lo hanno prodotto e, tra esse, l'aver preso posto a tavola in tredici, sei mesi prima. Quella è la vera ragione per cui è morto nel giro di un anno. -

Si capirà presto a chi appartenga il tipo di argomentazio­ ni che sto qui riportando . Mi piacerebbe stabilire la verità senza polemiche o recriminazioni, ma sfortunatamente non cogliamo mai appieno l'importanza di qualsiasi asserzione vera finché non abbiamo una chiara idea di quale sarebbe l'opposta asserzione non vera. L'errore è necessario per far emergere la verità, così come serve uno sfondo scuro per far risaltare la luminosità di un quadro. Userò l'errore contenuto nella filosofia di Herbert Spencer e dei suoi discepoli come contrasto per far risaltare quella che mi sembra sia la verità delle mie affermazioni. Il nostro problema è: quali cause fan­ no in modo che le comunità cambino di generazione in ge­ nerazione - che rendono l'Inghilterra della regina Anna così differente dall'Inghilterra di Elisabetta, lo Harvard College di oggi così diverso da quello di trent'anni fa? Risponderò a tale questione dicendo che la differenza è dovuta all' accumulazione delle influenze degli individui , dei loro esempi, delle loro iniziative e decisioni. La scuola spenceriana la risolve affermando che i cambiamenti av­ vengono a prescindere dalle persone e sono indipen denti

dal controllo individuale. Sono dovuti all' ambiente, alle circostanze, alla geografia fisica, alle condizioni d'origine , all'incremento delle esperienze di relazioni esterne; a tut­ to, in effetti, eccetto che ai vari Gran t, Bismarck, J ones e Smith . Ora, io affermo che questi teorici sono responsabili esat­ tamente della stessa fallacia di colui che dovesse attribuire la morte del suo amico al pranzo di tredici persone, o la ca­ duta del passero alla Via Lattea. Come nella favola del cane che lascia cadere il suo vero osso per afferrarne l'immagine , essi lasciano cadere le vere cause per afferrarne altre che non sono disponibili o raggiungibili da nessun possibile punto di vista umano . La loro fallacia è di ordine pratico . Vediamo dove si trova. Sebbene per quanto mi riguarda io creda nel libero arbitrio , in questa discussione non ter­ rò conto di questa credenza e assumerò, con i seguaci di Spencer, che tutte le azioni umane sono predestinate. Sulla base di questa assunzione concedo ben volentieri che se l'intelligenza che indaga sulla morte dell'uomo e del pas­ sero fosse onnisciente e onnipresente , in grado di cogliere a colpo d'occhio tutto il tempo e lo spazio , non ci sarebbe la minima obiezione contro il fatto di invocare la Via Lat­ tea o il fatidico banchetto tra le cause da esaminare. Una siffatta intelligenza divina vedrebbe istantaneamente tutte le infinite linee di convergenza verso un dato risultato , e, per di più, vedrebbe in modo imparziale: vedrebbe che il fatidico pranzo è una condizione tanto della morte del pas­ sero quanto di quella dell'uomo ; vedrebbe che il ragazzino con il sasso è una condizione tanto della caduta dell'uomo quanto di quella del passero . La mente umana, però , è costituita su un piano del tutto differente. Essa non possiede tale potere di intuizione uni­ versale e la sua finitezza la obbliga a considerare soltanto due o tre cose alla volta. Se vuole estendere il suo raggio d' azione deve usare le cosiddette "idee generali " e, nel fare

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ciò, lasciar cadere tutte le verità concrete. Così, nel caso in questione, se noi, in quanto uomini, vogliamo cogliere la connessione tra la Via Lattea, il ragazzino , il pranzo, il pas­ sero e la morte dell'uomo, possiamo farlo solo ripiegando sull'immensa vacuità di quella che viene chiamata una pro­ posizione astratta. Dobbiamo dire: tutte le cose nel mon­ do sono fatalmente predeterminate e sono connesse nella fissità adamantina di un sistema di leggi naturali. Tuttavia nella vaghezza di quest' ampia proposizione abbiamo perso tutti i fatti e i collegamenti concreti; e in tutte le questioni pratiche i collegamenti concreti sono le sole cose che han­ no importanza. La mente umana è essenzialmente parziale. Essa può essere affatto efficiente soltanto selezionando ciò a cui prestare attenzione e ignorando tutto il resto restrin­ gendo il suo punto di vista. Altrimenti, il poco potere che possiede si disperde ed essa smarrisce completamente la strada. L'uomo desidera sempre appagare la sua curiosità in vista di uno scopo preciso . Nel caso del passero, se lo scopo è la punizione , sarebbe idiota trascurare i gatti , i ra­ gazzini e altri possibili agenti in prossimità della strada in cui si è verificato il fatto , per esaminare gli antichi Celti e la Via Lattea: nel frattempo il ragazzino scapperebbe. Nel caso dell'uomo sfortunato , se ci perdiamo nella contempla­ zione del mistero dei tredici a tavola e non facciamo caso al ghiaccio sul gradino e non lo copriamo con della cenere , qualche altro pover'uomo che non è mai andato a pranzo fuori casa in vita sua, avvicinandosi alla porta potrebbe sci­ volarci sopra, cadere e rompersi anche lui la testa. Limitare la nostra visuale è, dunque, una necessità che ci viene imposta in quanto esseri umani . Sappiamo come questo metodo di ignorare e trascurare le quantità che si trovano oltre un certo intervallo sia stato adottato in ma­ tematica nel calcolo differenziale. Colui che calcola scarta tutti gli "infinitesimali" delle quantità che sta prendendo in considerazione e li tratta (secondo certe regole) come

se non esistessero . AI contempo , essi di per sé esistono senz' altro, benché ai fini del suo calcolo è come se non esi­ stessero . Proprio allo stesso modo un astronomo, nel trat­ tare i movimenti delle maree dell'oceano, non tiene conto delle onde prodotte dal vento o dalla pressione di tutte le navi a vapore che giorno e notte muovono le loro migliaia di tonnellate sulla sua superficie. An che il tiratore, nel pun­ tare il suo fucile, tiene conto del movimento del vento ma non del moto , altrettanto reale, della Terra e del sistema so­ lare. Analogamente, un uomo d' affari puntuale può lasciar correre un ritardo di cinque minuti, mentre un fisico, che misura la velocità della luce, deve contare ogni millesimo di secondo . In breve, vi sono in natura di/ferenti cicli operativi; diffe­ renti compartimenti, per così dire , relativamente indipen­ denti l'uno dall'altro , sicché ciò che accade nel singolo mo­ mento in un compartimento può essere compatibile quasi con qualsiasi stato di cose che avvenga nello stesso tempo in quello accanto . La muffa sul biscotto che si trova nella dispensa di una nave da guerra vegeta in assoluta indipen­ denza rispetto alla nazionalità della bandiera, alla direzione di navigazione, alle condizioni metereologiche e ai dram­ mi umani che possono consumarsi a bordo ; un esperto di muffe e funghi può studiarla facendo completa astrazione da tutti questi più numerosi dettagli. Soltanto studiando­ la in questo modo, infatti, c'è qualche possibilità che egli trovi la concentrazione mentale necessaria per potere spe­ rabilmente imparare qualcosa circa la natura della muffa. D' altra parte, il capitano che, nel manovrare la nave nel mezzo di una battaglia navale, ritenesse necessario calcola­ re il biscotto ammuffito , con buona probabilità perderebbe la battaglia a causa della eccessiva "perspicuità" della sua mente. Le cause che operano in questi cicli incommensurabili sono connesse l'una all' altra solamente se prendiamo in con-

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siderazione l'intero universo . Per tutti i punti di vista più li­

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mitati è lecito - di più, la saggezza umana lo ritiene necessa­ rio - considerarle disconnesse e irrilevanti l'una per l'altra. Ciò ci porta più vicino al nostro argomento specifico . Se osserviamo un animale oppure un essere umano che si di­ stingue dagli altri membri della sua specie perché possiede una qualche peculiarità straordinaria, buona o cattiva che sia, saremo in grado di distinguere le cause che in origine hanno prodotto in lui tale peculiarità da quelle che la man­ tengono dopo che essa è stata prodotta. Vedremo, allora, se si tratta di una particolarità con cui questi è nato , che tali due serie di cause appartengono a due cicli alquanto estra­ nei fra loro. È stata la trionfante originalità di Darwin a ve­ dere tutto questo e ad influire di conseguenza. Separando le cause di produzione sotto il titolo di «tendenze alla varia­ zione spontanea>> e relegandole in un ciclo fisiologico che prontamente decise di ignorare del tutto , egli concentrò la sua attenzione sulle cause della preservazione e, sotto le etichette di selezione naturale e selezione sessuale , le studiò esclusivamente in quanto funzioni del ciclo ambientale1 • I filosofi predarwiniani avevano anche cercato di stabilire la dottrina della discendenza con modificazione; ma tutti commisero l'errore di unificare i due cicli di causazione in uno solo. Essi pensarono che quel che preserva un anima­ le con la sua peculiarità, se questa è utile, fosse la natura dell'ambiente al quale la peculiarità si era adattata. La gi­ raffa con il proprio collo speciale viene preservata dal fatto che nel suo ambiente ci sono alberi alti le cui foglie riesce a digerire. Tuttavia questi filosofi andarono oltre e dissero che la presenza degli alberi non soltanto assicurava che un animale con il collo lungo brucasse sui loro rami, ma an­ che che lo producesse. Gli alberi avevano fatto allungare il suo collo a causa dello sforzo costante che imponevano alla giraffa perché potesse arrivare alle foglie sui loro rami. In breve, per questi scrittori l'ambiente doveva modellare

l' animale con una sorta di pressione diretta, proprio come un sigillo modella la cera secondo la propria forma. Si fe­ cero numerosi esempi del modo in cui ciò avviene ordi­ nariamente: l'uso della forgia fa aumentare il volume del braccio destro , sul palmo del rematore crescono i calli, l'a­ ria di montagna allarga i polmoni , la volpe cacciata diventa furba e l'uccello cacciato timido , il freddo artico stimola la combustione animale e così via. Ora questi cambiamenti , dei quali si potrebbero addurre molti altri esempi, al mo­ mento sono specificatamente individuati sotto il titolo di cambiamenti adattivi. La loro particolarità è che la caratte­ ristica ambientale alla quale la natura dell' animale si adatta produce essa stessa l' adattamento . La «relazione interna» , per usare un'espressione di Spencer, «corrisponde» alla sua propria causa efficiente2 . Il primo risultato ottenuto da Darwin fu di mostrare la totale irrilevanza quantitativa di questi cambiamenti pro­ dotti per adattamento diretto , dal momento che una quan­ tità immensamente maggiore di cambiamenti è prodotta da variazioni molecolari interne, delle quali non sappiamo nulla. L'ulteriore risultato raggiunto fu di definire il vero problema con cui dobbiamo avere a che fare quando stu­ diamo gli effetti esercitati sull'animale dall' ambiente osser­ vabile. Detto in modo semplice, il problema è questo: è più probabile che l'ambiente preservi l'animale oppure che lo distrugga sulla base di questa o quella particolarità con la quale esso può essere nato? Nel denominare «variazioni accidentali» quelle particolarità con cui un animale nasce , Darwin non intende dire, neanche per un momento, che esse non siano il risultato prefissato delle leggi naturali. Se si prendesse in considerazione l'intero sistema dell'univer­ so, le cause di queste variazioni e l' ambiente osservabile che le preserva o le distrugge senza alcun dubbio si trove­ rebbero ad essere collegate, seppure in un modo remoto e indiretto. Quel che Darwin intende dire è che l' ambiente

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è qualcosa di perfettamente conosciuto e le sue relazioni con l'organismo sono tangibili e distinte, tanto che si dia­ no nella modalità distruttiva quanto che si diano nella mo­ dalità preservativa. Pertanto, mescolare con ciò i fatti che provengono da un ciclo così disparato e in commensurabile come quello in cui sono prodotte le variazioni confonde­ rebbe definitivamente le nostre limitate conoscenze e fru­ strerebbe le nostre speranze di comprensione scientifica. Quest'ultimo ciclo è quello delle occorrenze che precedo­ no la nascita dell' animale. Si tratta del ciclo delle influenze sugli ovuli e sugli embrioni, nel quale si trovano le cause che li indirizzano e li inclinano verso la mascolinità o la femminilità, verso la forza o la debolezza, verso la salute o la malattia e verso la divergenza dal tipo genitoriale. Quali sono lì le cause? In primo luogo, esse sono molecolari e invisibili - quindi inaccessibili a qualunque tipo di osservazione diretta. In secondo luogo, la loro operatività è compatibile con qua­ lunque condizione sociale, politica e fisica dell'ambiente. Gli stessi genitori, che vivono nelle medesime condizioni ambientali, al primo parto possono aver generato un ge­ nio, a quello successivo un idiota o un mostro . Pertanto le condizioni visibili esterne non determinano direttamente questo ciclo e, più andiamo avanti a considerare la questio­ ne, più siamo costretti a credere che due figli degli stessi ge­ nitori differiscano tra loro per cause tanto sproporzionate rispetto ai loro effetti ultimi quanto lo è il famoso ciottolo sulla cresta delle Montagne Rocciose rispetto al Golfo di St. Lawrence e all'Oceano Pacifico verso i quali esso fa sci­ volare una a una le due gocce di pioggia che separa. Da nessuna parte la grande distinzione meccanica tra forze transitive e forze di scarico è illustrata su una così vasta scala come in fisiologia, dove quasi tutte le cause sono forze di accumulo che operano semplicemente liberando l'energia già immagazzinata. Esse sono alteratrici di equi-

libri instabili e l'effetto risultante dipende infinitamente di più dalla natura dei materiali alterati che da quella del par­ ticolare stimolo che lievemente li scuote. Un'unità di lavoro galvanico applicata sul nervo di una rana produrrà una sca­ rica di lavoro meccanico dal muscolo al quale appartiene il nervo pari a settantamila; e si avrà esattamente lo stesso effetto muscolare se al posto della stimolazione galvanica si impiegheranno altre stimolazioni irritanti . L'elemento ir­ ritante ha solamente avviato o provocato qualcosa che poi è andato avanti da sé - come un cerino può far divampare un fuoco che brucia una città intera. Sia qualitativamente che quantitativamente l'effetto può essere del tutto incom­ mensurabile rispetto alla causa. Riscontriamo questo stato di fatto in tutta la materia organica. I chimici si trovano in difficoltà per via dell'instabilità che i composti albuminoidi oppongono alle loro analisi. Due campioni , tenuti in con­ dizioni che dall'esterno sembrano esattamente identiche, si comportano in modi alquanto differenti. Siete a cono­ scenza dei fattori invisibili della fermentazione e di come la sorte di una bottiglia di latte - che si trasformi in un adden­ samento acido oppure in una massa liquorosa - dipenda da ciò che vi si è introdotto prima, il fermento dell'acido lattico oppure quello alcolico , che anticipa l' avvio del pro­ cesso. Ora, quando si tratta di considerare la tendenza di un ovulo invisibile a occhio nudo a puntare verso questa o quella direzione per il suo ulteriore sviluppo - dar vita a un genio o a uno stupido , proprio come la goccia di piog­ gia che scivola verso est o verso ovest rispetto al ciottolo - non è ovvio che la causa della deviazione deve risiedere in una zona talmente recondita e minuscola, per esempio un fermento di un fermento, un infìnitesimale di un ordine talmente elevato che forse non riusciremo mai neanche a tentare di farcene un'immagine?3 Stando così le cose, Darwin non aveva forse ragione a voltare del tutto le spalle a tale zona e a fare attenzione a

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considerare il suo problema evitando ogni coinvolgimento con questo tipo di questioni? Il successo del suo lavoro è una risposta sufficientemente affermativa. Questo ci porta infine al cuore del nostro argomento. Le cause della generazione dei grandi uomini appartengono a una sfera che è completamente inaccessibile al filosofo sociale. Egli deve semplicemente accettare i geni come dati, proprio come Darwin accetta le variazioni spontanee. Dal momento che questi dati sussistono per il filosofo socia­ le, come per Darwin, l'unico problema è questo : in quale modo l' ambiente riesce a influenzarli e in quale modo essi influenzano l' ambiente? Ora io sostengo che la relazione tra l' ambiente osservabile e il grande uomo sia, da un pun­ to di vista generale, esattamente la stessa che c'è tra l' am­ biente e la «variazione» nella teoria darwiniana. Esso prin­ cipalmente adotta o rigetta, preserva o distrugge, in breve selezionct . Dovunque l'ambiente adotti e preservi il grande uomo , la sua influenza modifica l' ambiente in un modo del tutto originale e particolare . Egli agisce come un fermento e cambia la costituzione dell' ambiente proprio come l' av­ vento di una nuova specie zoologica cambia l'equilibrio della fauna e della flora della regione in cui essa compare . Noi tutti rammentiamo la celebre affermazione di Darwin5 riguardo all'influenza dei gatti sulla crescita del trifoglio nei loro quartieri. Tutti abbiamo letto degli effetti del coniglio6 europeo in Nuova Zelanda e molti di noi sono intervenu­ ti, qui, nella controversia sul passero inglese - se uccida più bruchi o faccia scappare più uccelli locali. Allo stesso modo il grande uomo , che sia un'importazione dall'estero come Clive8 in In dia o Agassiz9 qui o che germogli dalla propria terra come Maometto o Franklin, porta a un rias­ sestamento , su scala larga o ridotta, delle relazioni sociali preesisten ti. I cambiamenti delle società di generazione in generazio­ ne, dunque, sono principalmente dovuti, in modo diretto o

indiretto, alle azioni o all' esempio di individui il cui genio fu talmente adatto alle capacità ricettive del momento, o la cui posizione accidentale di autorità fu così decisiva che essi divennero fermenti, iniziatori di movimenti, creatori di precedenti o di modelli, centri di corruzione o distrut­ tori di altre personalità le cui doti , se avessero avuto libero gioco , avrebbero condotto la società in un' altra direzione. Questo potere dell'iniziativa individuale lo vediamo esemplificato , su scala ridotta, in tutto ciò che ci riguarda e, su larga scala, nel caso dei leader della storia. Si tratta soltanto di seguire il metodo del senso comune adottato da personaggi come Lyell10, Darwin e Whitney11 , di inter­ pretare l'ignoto con il noto e calcolare cumulativamente le sole cause del cambiamento sociale che possiamo osservare direttamente. Le società umane sono proprio come gli indi­ vidui, per il fatto che in qualsiasi momento le une e gli altri offrono possibilità di sviluppo ambigue. Che un giovane entri in affari o nel clero può dipendere da una decisione che va presa prima di un determinato giorno . Egli accetta il posto che gli è stato offerto in un ufficio aziendale e si ritrova impegnato. A poco a poco, le abitudini e le cono­ scenze riguardanti l'altra carriera, una volta così familiari, non vengono più neppure calcolate da lui tra le proprie possibilità. All'inizio egli può, di tanto in tanto , dubitare se in quell'ora decisiva abbia ucciso il sé che avrebbe potuto essere il migliore dei due; ma con gli anni queste domande svaniscono e il vecchio ego alternativo, una volta così vivi­ do, sbiadisce in qualcosa più etereo di un sogno. Le cose non vanno diversamente per le nazioni. Esse possono es­ sere impegnate da re e ministri alla pace o alla guerra, da generali a vittorie o a sconfitte, da profeti a questa o a quel­ la religione, da vari individui di genio alla fama nelle arti , nella scienza o nell'industria. Una guerra è un vero punto di biforcazione delle possibilità future . Si perda o si vinca, la dichiarazione di guerra è il punto di partenza di nuo-

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ve politiche. All o stesso modo, una rivoluzione o qualsiasi notevole precedente nella vita civile esercita un'influenza deviante, i cui effetti si amplificano nel corso del tempo. Le comunità obbediscono ai loro ideali e un successo acci­ dentale fissa un ideale tanto quanto un fallimento acciden­ tale lo distrugge. L'Inghilterra avrebbe l'ideale "imperiale" che ha attualmente se un ragazzo chiamato Bob Clive non si fosse sparato a Madras? Essa sarebbe quella zattera alla deriva che è in questo momento rispetto alle questionF2 europee se Federico il Grande ne avesse ereditato il trono al posto di Vittoria e se Bentham, Mill, Cobden e Bright13 fossero nati tutti in Prussia? L'Inghilterra possiede oggi, senza dubbio , precisamente lo stesso valore intrinseco che essa ha sempre avuto rispetto alle altre nazioni. A livello globale non esiste un accumulo di materiale umano altret­ tanto raffinato . Ma in Inghilterra la forma di questo ha perso efficacia, mentre in Germania l'ha acquistata. Sono i leader a dare la forma. L'Inghilterra starebbe versando la­ crime sul passato e sul futuro allo stesso tempo, come fa adesso, «lasciando che l'io voglio accompagni l'io vorrei»14 , desiderando conquistare ma non combattere , se il suo idea­ le in tutti questi anni fosse stato fissato da un susseguirsi di uomini di Stato dalla personalità estremamente autorevole che avessero operato in un'unica direzione? Certamente no. Essa avrebbe preso , nel bene o nel male, una direzione o l' altra. Se Bismarck fosse morto in culla, i tedeschi sa­ rebbero ancora contenti di apparire a se stessi come una razza di Gelehrten occhialuti ed erbivori della politica e ai francesi come ces bons, o ces naifs Allemands. La volontà di Bismarck gli dimostrò , con loro sommo stupore, che po­ tevano giocare un gioco molto più vivace , e questa lezione non sarà dimenticata. Per quante vicissitudini potrà avere la Germania, i tedeschi «non si sbarazzeranno mai, io cre­ do, dei segni di quel che è stato»15 , vale a dire dell'intra­ prendenza di Bismarck dal 1 860 al 1 873 .

L'influenza fermentante dei geni deve essere ammessa, in ogni caso, come un fattore dei cambiamenti che costituiscono l'evoluzione sociale. La comunità può evolvere in molti modi. La presenza accidentale di questo o quel fermento decide in che modo essa deve evolvere. Anche gli uccelli del bosco, il pappagallo, il merlo indiano hann o la capacità della parola umana, ma non la sviluppano da se stessi; ci deve essere lì qualcuno per addestrarli ed è così anche per noi individui. Rembrandt deve insegnarci a godere della lotta fra luce e te­ nebre, Wagner a godere di effetti musicali particolari; Dickens dà una svolta al nostro sentimentalismo, Artemus Ward16 al nostro umorismo; Emerson accende una nuova luce morale dentro di noi. Tuttavia è come l'uovo di Colombo: «Chiun­ que può far crescere i fiori se ha ottenuto il seme»17 • Se questo è vero per gli individui nella comunità, come potrebbe esse­ re falso per la comunità nel suo insieme? Se viene mostrata una certa via, una comunità può prenderla; in caso contrario, essa non la troverà mai. Le vie, in larga misura, non sono de­ terminate in precedenza. Una nazione può obbedire a uno degli impulsi alternativi forniti da diversi uomini di genio , e sopravvivere e prosperare, proprio come un uomo può in­ traprendere una sola delle diverse carriere possibili per lui. Soltanto, ci possono essere tipi diversi di prosperità. L'indeterminismo, però , non è assoluto. Non ogni "uomo " si adatta ad ogni "ora" . Esistono alcune incompa­ tibilità. Un dato genio può arrivare troppo presto o troppo tardi. Al giorno d'oggi Pier l'Eremita18 verrebbe spedito in manicomio , nel decimo secolo J ohn Mill sarebbe vissuto e morto da sconosciuto. Cromwell e Napoleone hanno avuto bisogno delle loro rivoluzioni, Grant della sua guerra civile . Un Ajax non diventa famoso nel periodo dei fucili telesco­ pici; e, per usare in modo differente un esempio di Spen­ cer, quali effetti avrebbe potuto produrre un Watt19 su una tribù alla quale nessun genio precursore aveva insegnato a fondere il ferro o a far girare un tornio ?

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È importante notare che ciò che rende al momento un

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certo genio in comp atibile con il suo ambiente è di solito il fatto che qualche genio precedente con una diversa linea di discendenza abbia deviato la comunità dalla sfera della sua possibile effettività. Dopo Voltaire, nessun Pier l'Ere­ mita; dopo C arlo IX e Luigi XIV, nes suna protestantizza­ zione generale della Francia; dopo una scuola di Manche­ ster, il successo di un Beaconsfìeld20 è transitorio; dop o un Filippo II , un Castelar1 fa pochi progressi, e così via. Ogni biforcazione esclude completamente alcune possibi­ lità in gioco e limita i possibili futuri angoli di deviazione. Una comunità è un qualcosa vivente e, per dirla al meglio con le p arole del professor Clifford22 : la peculiarità delle cose viventi non è soltanto che esse cambiano sotto l'influenza delle circostanze, bensì sta nel fatto che ogni cambiamento che le riguarda non si perde ma viene mantenuto, e, per così dire, con­ solidato nell'organismo per servire come base per azioni future. Se pro­ vocate una qualsiasi distorsione nella crescita di un albero e lo rendete curvo, qualsiasi cosa voi facciate in seguito per farlo stare dritto, il mar­ chio della vostra distorsione resta ed è assolutamente indelebile; cioè, è diventato parte della natura dell'albero [ . . . ] . Supponiamo, tuttavia, che si prenda un pezzo d'oro, che lo si faccia sciogliere e poi raffreddare [ . . . ] . Nessuno, esaminando un pezzo d'oro, può dire quante volte è stato fuso e raffreddato nel corso delle epoche geologiche, o persino nell'ultimo anno, dalla mano dell'uomo. Chiunque abbatta una quercia può dire, guardando gli anelli del suo tronco, quante volte l'inverno l'abbia conge­ lata nella vedovanza e quante volte l'estate l'abbia riscaldata e riportata in vita. Un essere vivente deve sempre contenere in sé non soltanto la storia della propria esistenza, ma quella di tutti i suoi antenati.

Ogni pittore può dirci quanto ogni linea che egli aggiun­ ge dia al suo quadro una certa direzione. Tutte le linee che seguono devono essere costruite su quelle che sono state disegnate prima. Ogni autore che comincia a riscrivere una parte di un'opera sa quanto divenga impossibile riutiliz­ zare alcune delle prime pagine scritte. Il nuovo inizio ha

già escluso la possibilità di quelle frasi e dei passaggi pre­ cedenti, mentre ha creato nello stesso tempo la possibilità di una serie indefinita di nuove frasi, nessuna delle quali , tuttavia, è completamente determinata in anticipo. Proprio allo stesso modo, le circostanze sociali dell'ora passata e di quella presente escludono la possibilità di accettare alcuni contributi individuali, sebbene esse non definiscano in po­ sitivo quali contributi verranno accettati, perché non han­ no in se stesse il potere di stabilire in che cosa consisterà ciò che gli individui offriranno23 • Dunque l'evoluzione sociale è una risultante dell'intera­ zione di due fattori totalmente distinti - l'individuo , che deriva le sue doti particolari dal gioco delle forze fisiologi­ che e infra-sociali, ma che ha in mano tutto il potere d'ini­ ziativa e di creazione; in secondo luogo , l' ambiente sociale , con il suo potere di adottare o rifiutare sia l'individuo che le sue doti. Entrambi i fattori sono essenziali al cambiamento . L a comunità ristagna senza l'impulso dell'in dividuo. L'im­ pulso individuale si spegne senza il favore della comunità. Tutto questo non sembra altro che senso comune. Colo­ ro che desiderano vederne gli sviluppi in un uomo di genio dovrebbero leggere il prezioso piccolo lavoro di Bagehot Physics and Politics, nel quale (mi sembra) è tanto vivida­ mente presente il senso vero e proprio del modo in cui le cose concrete crescono e cambiano, quanto sono vivida­ mente assenti le forzature di una pseudo-filosofia dell'evo­ luzione24. Tuttavia non mancano mai menti che giudicano opinioni come queste personali e limitate, alleate di un antropomorfismo da tempo dimostratosi infon dato in al­ tri campi del sapere. Per questi scrittori «l'in dividuo per­ de vitalità e il mondo ne acquista sempre di più»25 ; e tutti sappiamo quanto in Buckle , in Draper e in Taine il termine «mondo» sia infine diventato sinonimo di clima26• Inoltre , sappiamo tutti quanto si sia protratta la polemica tra i par­ tigiani di una "scienza della storia" e coloro che negano del

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tutto l'esistenza di "leggi" necessarie laddove si tratti delle società umane. Spencer, in apertura del suo Study of Socio­ logy) sferra un attacco alla «teoria del grande uomo» della storia; vale la pena di citarne alcuni passaggi :

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Si può tranquillamente credere alla genesi delle società grazie alle azioni dei grandi uomini fintanto che, accontentandosi di nozioni gene­ rali, non si chiedano dettagli. Ma quando, insoddisfatti della vaghezza, esigiamo che le idee ci vengano chiarite e definite con esattezza, sco­ priamo che tale ipotesi è del tutto incoerente. Se non ci fermiamo alla spiegazione del progresso sociale come qualcosa dovuto a un grande uomo e facciamo un passo indietro per chiedere da dove venga il grande uomo, scopriamo che la teoria crolla completamente. La domanda ha due risposte possibili: la sua origine è soprannaturale, oppure è naturale. È soprannaturale? Allora egli è un vice-dio e torniamo alla teocrazia che in passato è stata abolita - o, piuttosto, non abolita affatto. [. . . ] Questa soluzione è inaccettabile? Allora l'origine del grande uomo è naturale e, non appena lo si riconosca, bisogna classificarlo, insieme a tutti gli altri fenomeni della società in cui è nato, come un prodotto dei suoi antece­ denti. Insieme a tutta la generazione di cui egli costituisce una minima parte - insieme alle istituzioni, alla lingua, alla conoscenza, ai costumi e alle molteplici arti e mestieri, egli è una risultante. [ . . . ] Dovete ammette­ re che la genesi del grande uomo dipende dalla lunga serie di complesse influenze che hanno prodotto la sua razza di appartenenza, nonché dallo stato sociale in cui la razza si è lentamente evoluta. [ . . ] Prima che egli possa rifare la sua società, la società deve fare lui. Tutti quei cambiamen­ ti dei quali è il promotore più prossimo hanno le loro cause prime nelle generazioni da cui egli discende. Se ci deve essere una vera spiegazione di questi cambiamenti, essa va ricercata in quell'aggregato di condizioni da cui egli ed essi sono emersi27• .

Trovo nella prima frase una certa impudenza, laddove Spencer tenta di accusare di vaghezza chi crede nel potere d'iniziativa del grande uomo . Supponiamo io dica che il tono particolarmente modera­ to che oggi contraddistingue la discussione sociale , politica e religiosa in Inghilterra, in forte contrasto con il fan ati­ smo e il dogmatismo di sessant' anni fa, sia in gran parte

dovuto all'esempio di John S . Mill . Forse posso sbagliarmi sui fatti, ma, in ogni caso , sto «cercando particolari» e non mi sto «limitando a nozioni generali». Se Spencer doves­ se dirmi che la moderazione non proviene da qualsivoglia influenza personale, bensì dall' «aggregato di condizioni» , dalle «generazioni» da cui «discendono» Mill e tutti i suoi contemporanei, in breve dall' «intero ordine passato della natura» , sicuramente lui, non io, sarebbe la persona «che si accontenta della vaghezza». Il fatto è che il metodo sociologico di Spencer è identico a quello di colui che invoca lo zodiaco per spiegare la ca­ duta del passero e i tredici a tavola per spiegare la morte dell'uomo . Questo metodo possiede un valore scientifico di poco superiore rispetto al metodo orientale di rispon­ dere a qualsiasi domanda sorga con l'inattaccabile truismo «Dio è grande» . Non ripiegare sugli dèi laddove può essere trovato un principio primo è da tempo diventato per noi occidentali il segno di discrimine tra un intelletto efficiente e uno inefficiente. Credere che la causa di ogni cosa si trovi nei suoi antece­ denti è il punto d' awio della scienza, il postulato iniziale , non il suo fine e compimento . Se la scienza ha semplice­ mente il compito di condurci fuori dal labirinto attraverso la stessa cavità dalla quale vi siamo entrati tre o quattromila anni fa, sembra non sia valsa la pena di averla perseguita a tutti i costi attraversando l'oscurità. Se c'è qualcosa di umanamente certo è che il grande uomo non può essere ge­ nerato dalla sua società, propriamente detta, prima ancora che egli l'abbia rigenerata. A generarlo sono le forze fisio­ logiche, con le quali le condizioni sociali, politiche, geogra­ fiche e in larga misura antropologiche hanno tanto poco a che fare quanto la condizione del cratere del Vesuvio ha a che fare con il tremolio della luce della lampada a gas gra­ zie alla quale sto scrivendo . Può essere che Spencer ritenga che la convergenza delle pressioni sociologiche si sia con-

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centrata su Stratford-upon-Avon intorno al 26 aprile 15 64 , cosicché William Shakespeare, con tutte le sue peculiarità mentali, dovesse nascere lì, come la pressione dell' acqua che circonda una certa barca sarebbe la causa della spe­ ciale forma del flusso che filtra in una fessura specifica. E intende forse dire che se il suddetto William Shakespeare fosse morto di colera quando era in fasce, un' altra madre a Stratford-upon-Avon avrebbe necessariamente generato un suo duplicato , per ripristinare l'equilibrio sociologico - proprio come lo stesso flusso di acqua riapparirebbe, no­ nostante tutti i vostri tentativi di tamponare la perdita con una spugna, fintanto che il livello esterno dell' acqua rima­ nesse invariato? Oppure il sostituto sarebbe potuto nascere a Stratford-atte-Bowe? Qui, come altrove , è molto difficile, data la vaghezza di Spencer, dire che cosa egli intenda pro­ priamente. I l suo discepolo, tuttavia, Grant Allen , non lascia alcun dubbio sul significato preciso delle sue parole. Questo au­ tore ampiamente informato , suggestivo e brillante, ha pub ­ blicato lo scorso anno un paio di articoli su «Gentleman's Magazine»28, nei quali ha sostenuto che gli individui non hanno alcun potere di iniziativa nel determinare il cambia­ mento sociale. Le differenze tra una nazione e l'altra, nell'intelletto, nel commercio, nell'arte, nella morale o nel temperamento generale, dipendono in ulti­ ma analisi non da misteriose proprietà di razza, di nazionalità oppure da altre astrazioni sconosciute e incomprensibili, bensì semplicemente e unicamente dalle circostanze fisiche a cui sono esposte. Se è un dato di fatto , come si sa, che la nazione francese si differenzia in modo evidente da quella cinese, così come la gente di Amburgo si differenzia altrettanto evidentemente dalla gente di Timbuctù, allora le ben note e cospicue differenze tra loro sono senz' altro dovute alla posizione geografica delle varie razze. Se le persone che andarono ad Amburgo fossero andate a Tirnbuctù, adesso sarebbero indistinguibili dai neri semibarbari che abi­ tano quella metropoli dell'Africa centrale29; e se quelli che andarono a Tirnbuctù fossero andati ad Amburgo, adesso sarebbero mercanti dalla

pelle bianca che fanno affari d'oro con Sherry contraffatto e Porto in­ digesto [. . . ] . Gli agenti di differenziazione vanno ricercati nelle grandi caratteristiche geografiche permanenti della terra e del mare; [ . . . ] queste hanno necessariamente e inevitabilmente modellato i caratteri e le storie di ogni nazione sulla Terra [. .. ] . Non possiamo considerare ogni nazione come un agente attivo nella sua stessa differenziazione. Solo le circostan­ ze ambientali possono avere un qualche effetto in tale direzione. [Que­ ste due frasi negano dogmaticamente l'esistenza di un ciclo fisiologico di causalità relativamente indipendente.] Per poter pensare altrimenti si deve assumere che la mente umana sia dispensata dalla legge univer­ s ale di causalità. Non c'è capriccio, né impulso spontaneo negli sforzi umani. Anche il gusto e le inclinazioni devono essere il risultato di cause ambien tali30•

Altrove Allen, a proposito della cultura greca, scrive : Essa era assolutamente e senza riserve il prodotto della regione geo­ grafica dell'Ellade, la quale agiva sul fattore già dato del cervello ariano indifferenziato [. . . ] . A me sembra una proposizione autoevidente che niente al mondo possa differenziare un corpo umano da un altro, tranne le condizionifisiche nelle quali sono posti, includendo ovviamente, nell'e­ spressione condizioni fisiche, le relazioni di spazio e tempo in cui essi si trovano rispetto agli altri corpi umani. Avanzare una supposizione diversa significa negare la legge primigenia di causalità. Immaginare che la mente possa differenziare se stessa equivale ad immaginare che essa possa diffe­ renziarsi senza una causa31•

Questa protesta contro l' annullamento della legge uni­ versale di causalità, nel momento in cui ci rifiutiamo di af­ fidarci al tipo di causalità che viene spacciata da una certa scuola, fa perdere la pazienza. Questi scrittori non sanno immaginare alternative. Con loro non c'è tertium quid tra l' ambiente esterno e il miracolo. Aut Ca:sm; aut nullus.' Aut spencerismo, aut catechismo ! Se per «condizioni fisiche» Allen intende quel che in­ tende, ovvero il ciclo esterno della natura osservabile e dell'uomo , la sua asserzione è semplicemente falsa da un punto di vista fisiologico. Infatti la mente di una certa na-

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zione differenzia «se stessa>> ogniqualvolta al suo interno nasce un genio grazie a cause che agiscono nell'invisibile ciclo molecolare. Se per «condizioni fisiche», invece , Allen intende la natura nella sua totalità, la sua asserzione, ben­ ché vera, rappresenta soltanto la vaga professione asiatica di fede in un fato onnicomprensivo , che di certo non ha bisogno di vantare alcun carattere particolarmente all'a­ vanguardia ovvero scientifico . Come può un pensatore così intelligente come Allen non essere riuscito a distinguere, riguardo a tali questioni, le con­ dizioni necessarie dalle condizioni sufficienti di un detenni­ nato risultato? I francesi dicono che per avere una omelette bisogna rompere le uova; cioè, la rottura delle uova è una condizione necessaria dell' omelette . È questa, però, una condizione suffi ciente? Compare forse una omelette ogni volta che si rompono tre uova? Così è per la mente greca. Per sviluppare un'intelligenza così versatile può darsi che i rapporti commerciali con il mondo, che l'Ellade si è potuta permettere grazie alla sua posizione geografica, siano una condizione necessaria. Tuttavia, se essi fossero una condizio­ ne sufficiente, perché mai i Fenici non superarono i Greci in intelligenza? Nessun ambiente geografico può produrre un dato tipo di mente. Esso può soltanto adottare e promuo­ vere certi tipi che si sono prodotti fortuitamente e avversar­ ne e vanifìcarne altri . Ancora una volta, la sua funzione è semplicemente selettiva e determina quello che si realizzerà effettivamente soltanto distruggendo ciò con cui è del tutto incompatibile. Un ambiente artico è incompatibile con abi­ tudini imprevidenti da parte dei suoi abitanti; ma se gli abi­ tanti di tale regione uniranno alla loro parsimonia l'attitu di­ ne pacifica dell'eschimese o la combattività del norvegese è, per quel che riguarda il clima, un caso. Gli evoluzionisti non dovrebbero dimenticare che tutti noi abbiamo cinque dita non perché quattro o sei non andrebbero altrettanto bene, ma semplicemente perché è capitato che il primo vertebra-

to che è venuto dopo i pesci ne avesse quel numero. ll suo successo prodigioso nel fondare una linea di discendenza fu dovuto a una qualche qualità del tutto differente - non sap­ piamo quale -, ma le inessenziali cinque dita si fissarono e si sono conservate fino ai giorni nostri. Ciò accade anche per la maggior parte delle peculiarità sociali . Quali tra esse saranno agganciate dalle poche qualità che l' ambiente sceglie è neces­ sariamente una questione che riguarda gli eventi fisiologici fortuiti che si verificheranno tra gli individui. All en promette di dimostrare la sua tesi in dettaglio attraverso gli esempi di Cina, India, Inghilterra, Roma ecc. Prevedo senza la minima esitazione che con questi esempi egli non farà niente più di quanto abbia fatto con l'Ellade. Irromperà sulla scena a cose fatte e mostrerà, in modo abbastanza owio, che le qualità sviluppate da ogni razza non erano incompatibili con il loro habitat. Egli, però, non riuscirà affatto a dimostrare che la particolare forma di compatibilità che si è verificata in cia­ scun caso era l'unica necessaria e la sola possibile. I naturalisti sanno piuttosto bene quanto siano indetermi­ nate le armonie tra una fauna e il suo ambiente . Un animale può aumentare le sue possibilità di soprawivere in molti modi - diventando acquatico , arboricolo o sotterraneo ; pic­ colo e veloce, o massiccio e ingombrante ; pungente, corneo , viscido o velenoso; più timido o più combattivo , più furbo o più fecondo di prole; più gregario o più solitario; o ancora in altri modi - e uno qualunque di questi modi può consen­ tirgli di adattarsi a molti ambienti notevolmente differenti tra loro . I lettori di Alfred R. Wallace32 ricorderanno bene le sor­ prendenti illustrazioni di tutto ciò nel suo Malay Archipe­ lago: Il Borneo assomiglia molto alla Nuova Guinea non solo per la sua ampiezza e la mancanza di vulcani, ma per la varietà della sua struttura geologica, l'uniformità climatica e l'aspetto generale della vegetazione boschiva che ne riveste la superficie. Le Molucche sono l'equivalente

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delle Filippine, per la loro struttura vulcanica, l'estrema fertilità, le fo­ reste lussureggianti e i frequenti terremoti; anche Bali, con l'estremità orientale di J ava, ha un clima secco e un suolo arido quasi quanto quelli di Timor. Eppure tra questi gruppi di isole corrispondenti, costruite, per così dire, secondo lo stesso schema, soggette allo stesso clima e bagnate dalle stesse acque oceaniche, vi è il più grande contrasto possibile se mettiamo a confronto le loro faune. Da nessuna parte l'antica dottrina ­ vale a dire la teoria che le differenze o le somiglianze tra le varie forme di vita che abitano in paesi diversi siano dovute alle relative differenze o somiglianze fisiche tra i paesi stessi - viene contraddetta in modo così diretto e palpabile. li Borneo e la Nuova Guinea, per quanto fisicamente diversi come possono esserlo due paesi distinti, dal punto di vista zoolo­ gico sono distanti come due poli opposti; mentre l'Australia, nonostante i suoi venti secchi, le sue praterie, i suoi deserti rocciosi e il clima tempe­ rato, presenta uccelli e quadrupedi strettamente imparentati con quelli che popolano le calde e umide foreste lussureggianti che ricoprono le pianure e le montagne di tutta la Nuova Guinea.

Insomma abbiamo ambienti fisico-geografici simili che si armonizzano con animali notevolmente differenti, e anima­ li simili che vivono armonizzandosi con ambienti geografici molto diversi. Un autore particolarmente esperto in mate­ ria, Ernst Gryzanowski33 , nella «North American Review» utilizza gli esempi della Sardegna e della Corsica per soste­ nere questa tesi con grande efficacia. Scrive: Queste isole sorelle, che si trovano proprio in mezzo al Mediterraneo, quasi a eguale distanza dai tre centri della civilizzazione latina e neola­ tina, in prossimità dei Fenici, dei Greci e dei Saraceni, con un tratto di costa superiore a mille miglia, dotate di vantaggi evidenti e allettanti, e che celano immense fonti di ricchezza agricola e minerale sono, ciò nonostante, rimaste sconosciute, ignorate e senza dubbio trascurate nel corso dei trenta secoli della storia europea [ . . . ]. Queste isole hanno dia­ letti ma non una lingua; testimonianze di battaglie ma non una storia. Esse hanno costumi ma non hanno leggi, praticano la vendetta ma non la giustizia; hanno bisogni e ricchezze ma nessuna attività di commercio, legname e porti ma nessuna forma di navigazione; hanno leggende ma non poesia, hanno la bellezza ma non possiedono l'arte, e fino a venti anni fa si poteva ancora dire che avevano università ma non avevano

studenti [ . . . ] . Che la Sardegna, con tutta la sua inciviltà emotiva e pit­ toresca, non abbia mai prodotto un solo artista, è strano quasi quanto la sua stessa inciviltà [ . . . ] . Vicine al centro della civilizzazione europea, proprio nel punto che un geografo indicherebbe a priori come il posto più favorevole per lo sviluppo materiale e intellettuale, commerciale e politico, queste singolari isole sorelle hanno dormito il loro sonno seco­ lare come fossero nodi sulla cassa di risonanza della storia.

L' autore prosegue a comparare la Sardegna e la Sicilia in modo alquanto dettagliato. Tutti i vantaggi materiali sono a favore della Sardegna «e la popolazione sarda, avendo un' a­ scendenza più mista rispetto a quella della razza inglese , giustificherebbe aspettative ampiamente superiori a quelle della Sicilia». Eppure la storia passata della Sicilia è stata estremamente brillante e oggi la sua attività commerciale è molto florida. Il dottor Gryzanowski ha una sua teoria sul torpore storico di queste isole avvantaggiate . Egli ritiene che siano rimaste stagnanti perché non hanno mai acquisi­ to autonomia politica, essendo sempre state possedimenti di qualche potenza continentale. Non starò a discutere la teoria, ma chiedo : perché non hanno mai acquisito l' auto­ nomia? E rispondo immediatamente: per il semplice fatto che lì non nacquero individui dotati di senso patriottico e capacità sufficienti per infiammare i loro compatrioti di orgoglio nazionale, ambizione e sete di in dipendenza. Pro­ babilmente i Corsi e i Sardi sono di una pasta tanto buona quanto quella di uno qualunque dei loro vicini. Tuttavia, anche il legname migliore non prende fuoco fin quando non gli si avvicina una fiaccola, e sembra che in questi casi siano mancate le fiaccole adatte35 . Grandi uomini appaiono ovunque, sporadicamente. C'è bisogno , però , che molti geni sopraggiungano insieme e in rapida successione perché una comunità riesca a vibrare al suo interno di una vita intensamente attiva. Questa è la ragione per cui le grandi epoche sono così rare - per cui l'improvvisa fioritura della Grecia, dell' antica Roma,

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del Rinascimento , è un tale mistero . Le ventate devono succedersi con velocità tale che non ci siano arresti negli intervalli tra l'un a e l' altra. Così la massa della popolazio­ ne diventa incandescente, e può continuare ad ardere per pura inerzia anche molto tempo dopo che gli iniziatori del suo movimento interno sono venuti a mancare . Molte volte stupisce il fatto che in questi momenti di massima altezza delle vicende umane non soltanto le persone siano animate da una vita più vigorosa ma an che che si dia una quanti­ tà eccezionale di individui geniali. Questo mistero è tanto profondo quanto il vecchio enigma del perché grandi fiumi scorrono vicino a grandi città. È vero che grandi fermen­ tazioni generali risvegliano e adottano molti geni , i quali in periodi più torpidi non avrebbero avuto alcuna possibilità di agire. Tuttavia, al di là di questo , ci deve essere un'ecce­ zionale confluenza di geni in un certo momento, affinché la fermentazione possa avere inizio . Tale confluenza è molto più improbabile dell' avvento di un qualche genio partico­ lare, ragione per cui questi periodi sono rari e ci appaiono eccezionali36• È folle, allora, parlare di "leggi della storia " come di qualcosa di inevitabile, che la scienza avrebbe soltanto il compito di scoprire e le cui conseguenze chiunque può prevedere, senza però poter fare niente per alterarle o evi­ tarle. Le stesse leggi della fisica sono condizionali e trattano con i se. Il fisico non dice , riconosciuti soltanto dai loro amici come persone dotate di carattere e opinioni forti e originali. Ciò che li ha portati a intra­ prendere una carriera con effetti importanti è semplicemente la casualità che ciascuno di essi si sia imbattuto in un compito da svolgere talmente immenso, magnifico e congeniale da richiedere la convergenza di tutte le sue passioni e capacità. Non vedo alcuna ragione per la quale, nel caso in cui questi individui non si fossero accostati ai loro vari interessi perso­ nali al momento giusto della loro vita, avrebbero dovuto necessariamente scoprire altri interessi personali e diventare altrettanto grandi. Questo è in qualche modo il caso dei vari Washington, Cromwell e Grant, i quali semplicemente colsero le loro occasioni. Tuttavia, a parte queste cause di fallacia, sono assai propenso a credere che laddove si tratti di geni eccezio­ nali, i numeri siano comunque così piccoli che la loro comparsa non rientri in nessuno schema statistico. Ciò vale a dire che potrebbero emergerne due o tre insieme, proprio come potrebbero essere colpiti consecutivamente i due o tre cerchi più vicini al centro del bersaglio. Se si considerassero epo­ che più lunghe e più numerose sessioni di tiro al bersaglio, allora i grandi geni e i cerchi vicini al centro sarebbero complessivamente più sparpagliati (n.d.a. ) . Francis Galton ( 1 822- 191 1 ) , scienziato britannico. Probabilmente James si riferisce qui al suo testo Hereditary Genius: An Inquiry into its Laws and Consequences, Macmillan & Co. , London 1 869. 3 6 . A questo punto, nella versione pubblicata nel 1880, alle pp. 453 454 compariva un lungo paragrafo che James poi espunse per l a ripub­ blicazione del 1 897 . ln tale paragrafo James cerca di chiarire la sua posi­ zione prendendo come esempio la sua stessa comunità. Egli attribuisce il declino della città di Boston, quale centro culturale, alla scomparsa di grandi uomini dal suo panorama politico e culturale. A suo avviso la condizione per una vigorosa rinascita della comunità di Boston sarebbe la concentrazione casuale di grandi uomini nello stesso luogo e nello stesso periodo. Questa possibilità non era per altro incompatibile con le condizioni sociologiche di Boston in quel tempo. È un dato di fat­ to, conclude James , che la maggior parte degli zoologi sulla quarantina divenne naturalista grazie all'influenza di Agassiz; dunque, che Agassiz accidentalmente si stabilisse a Boston e lì fondasse il Museo di Zoologia Comparata in relazione con la Lawrence Scientific School di Harvard, ebbe ripercussioni notevoli. 3 7. Come si legge nelle note all'edizione critica, una fazione del Partito repubblicano si oppose alle politiche di ricostruzione dei Repubblica­ ni regolari ed esigeva che si mettesse la parola fine alla corruzione del Governo. Nel 1 884 quel gruppo, da allora noto come mugwumps, non

sostenne la nomina alla Presidenza del candidato del Partito repubblica­ no e votò per il candidato democratico, Grover Cleveland ( 1837 - 1908 ) . Alcuni sostenitori di Cleveland rimasero delusi dalla sua politica, lamen­ tando che le sue riforme della pubblica amministrazione non erano suf­ ficientemente incisive. 3 8 . Da quando è stato scritto questo testo, in una certa misura il pre­ sidente Cleveland ha risposto all'esigenza. Tuttavia chi può mettere in dubbio il fatto che se avesse certe altre qualità che egli non ha ancora dimostrato di avere, la sua influenza sarebbe stata ancora più decisiva? ( 1 896) (n. d. a. ) . 3 9 . Che, s e nella nostra esperienza esterna un certo carattere gene­ rale si ripetesse rapidamente con numerose concomitanti fortemente in contrasto, sarà sottratto prima che nel caso in cui i suoi associati fossero invariabili o monotòni (n.d.a.) 40. Principles of Psychology, I, p. 460. Si vedano anche le pp. 463 , 464 , 500. A pagina 408 la legge è formulata così: la persistenza della connessione interna alla coscienza è proporzionale alla persistenza della connessione esterna. Spencer lavora soprattutto con la legge di frequen­ za. Entrambe le leggi, dal mio punto di vista, sono false; ad ogni modo , Spencer non dovrebbe pensarle come sinonimi (n.d.a. ) . 4 1 . Nei suoi Principles of Science, capitoli XI, XII, XXVI (n.d.a. ) . I titoli dei capitoli a cui James fa riferimento sono, rispettivamente: Phi­ losophy of Inductive Inference, The Inductive or Inverse Application of the Theory of Probabilities e Character of the Experimentalist. William Stanley Jevons ( 1 835 - 1 882 ) , logico ed economista britannico, fu autore, oltre che di The Principles o/ Science: A Treatise on Logic and Scientific Method, Macmillan, London 1 874 , 2 voli. , anche di Elementary Lessons in Logic, Macmillan, London 1 870. 42 . La crociata contro gli Albigesi fu predicata dal papa Innocenza III nel 1208. Gli Albigesi appartenevano ad alcune sette eretiche nel Sud della Francia, e la loro scomparsa segnò la fine della civiltà occitanica. 4 3 . La prima data rimanda alla sconfitta della Prussia a J ena da parte della Grande Armata francese guidata da Napoleone, la seconda invece all'egemonia che la Prussia conquistò con la vittoria nella Guerra fran­ co-prussiana del 1 870- 1 87 1 . J ames si riferisce probabilmente a Wilhelm von Humboldt ( 1767 - 1 835 ) , filologo e statista tedesco, e a Heinrich Fri­ edrich Karl, Freiherr vom und zum Stein ( 1757 - 1 83 1 ) , statista tedesco. 44. Parte VIII , cap. ili (n .d.a. ) . Il riferimento è a H. Spencer, The Principles o/Psychology, cit. , vol. ll, pp. 52 1 -538. 45 . Ibidem, pp. 527 -53 0.

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L'importanza degli individui Il saggio precedente sui Grandi uomini ha ricevuto due repliche: una da Grant Allen, intitolata La genesi del genio, su «Atlantic Monthly», vol. XLVII, p. 37 1 ; l'altra, intitolata La sociologia e il culto degli eroi, da John Fiske, ibidem, p. 75 1• L'articolo che segue è una risposta all'articolo di Allen. Essa è stata a suo tempo rifiutata dall'«Atlantic», ma è apparsa in seguito su «Open Court» nell'agosto 1 890. Compare qui come natu­ rale supplemento del precedente articolo, su cui getta una qualche luce esplicativa.

Il disprezzo di Allen2 per il culto degli eroi si basa su con­ siderazioni molto semplici. I grandi uomini di una nazione, egli dice, non sono altro che minime deviazioni dal livello generale. L eroe è semplicemente un aggregato speciale delle qualità ordinarie della sua razza. Le piccole differenze im­ presse da Platone o Aristotele o Zenone nelle menti dei Gre­ ci comuni sono proprio un nulla a confronto con le enormi differenze che ci sono tra la mente di ogni greco e la mente di ogni egiziano o cinese . Ai fini di una filosofia della storia possiamo trascurarle, proprio come nel calcolare la forza di una locomotiva trascuriamo la maggiore spinta fornita da un singolo pezzo di carbone migliore. Quel che ciascun uomo aggiunge è soltanto una frazione infinitesimale rispetto a quel che gli deriva dai suoi genitori o , indirettamente, dai suoi antenati. Da un punto di vista filosofico , il problema che veramente esige di essere affrontato consiste nel vedere che ciò che il passato fornisce all'eroe ha tanto maggior peso di ciò che il futuro riceve da lui. Per il sociologo il problema ha a che fare con ciò che produce l'uomo medio ; i filosofi pos­ sono dare per scontati gli uomini straordinari e ciò che essi producono, trattandosi di variazioni troppo banali per meri­ tare una indagine approfondita. Ora, dal momento che de­ sidero competere con l'ineguagliabile affabilità dialettica di

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Allen ed essere il più possibile conciliante, non mi metterò a cavillare sui suoi resoconti o a cercare di enfatizzare il divario che si dà tra qualcuno come Aristotele , Goethe o Napoleone e il livello medio dei loro rispettivi popoli . Ammettiamo che la differenza sia molto piccola, come crede Allen. Tutto quel che obietto è che lui ritiene dipenda dalla mera misura di una differenza il poter decidere se quella differenza sia o non sia una questione adatta all' analisi filosofica. È vero che in una prospettiva a volo d'uccello i dettagli svaniscono, ma è altret­ tanto vero che la visuale dall' alto svanisce nei dettagli. Qual è il giusto punto di vista della visuale filosofica? La natura non può darci la risposta, dal momento che entrambi i punti di vista, essendo ugualmente reali, sono ugualmente naturali; e nessuna realtà naturale è di per sé più enfatica di qualunque altra. L'accentuazione, il primo piano e lo sfondo sono cre­ ati solamente dall' attenzione interessata dell'osservatore; se a me interessa soprattutto la piccola differenza tra il genio e il suo popolo , mentre ad Allen interessa quella più grande tra un popolo e un altro, la nostra controversia non potrà terminare finché una filosofia definitiva, che spieghi tutte le differenze in modo imparziale, ci avrà giustificati entrambi. Conosco un carpentiere incolto che una volta mi sussurrò : «Tra un uomo e un altro c'è una differenza dawero piccola, ma per piccola che sia, essa è molto importante» . Mi sembra che questa distinzione vada alla radice della questione . Non è soltanto la misura della differenza a riguardare il filosofo, ma anche il suo luogo e il suo genere. Un pollice è ben poca cosa, ma noi conosciamo il proverbio del pollice sul naso di un uomo. I signori Allen e Spencer, nell'inveire contro il culto degli eroi, pensano esclusivamente alla misura del pollice; io , da cultore dell'eroe , bado al suo posto e alla sua funzione3 • Ora, c'è una legge evidente sulla quale poche persone sembrano essersi soffermate, ed è questa: che fra tutte le differenze che esistono, le sole a interessarci vivamente

sono quelle che noi non diamo per scontate. Il fatto che il nostro amico abbia due mani e il potere della parola, e che pratichi le normali virtù umane non ci impressiona ne­ anche un po' ; allo stesso modo non ci infastidisce che il nostro cane cammini a quattro zampe e non riesca a com­ prendere la nostra conversazione . Non aspettandoci niente di più dal secondo individuo e niente di meno dal primo , otteniamo quel che ci aspettiamo e siamo soddisfatti. Non ci viene mai in mente di comunicare con il cane discorren­ do di filosofia oppure con l' amico scuotendo la testa o lan­ ciando una crosta perché l' afferri al volo . Tuttavia, il cane o l'amico che superano o che non raggiungono lo standard che ci aspettiamo destano in noi la più viva emozione. Non smettiamo mai di sorprenderei dei vizi o della genialità di nostro fratello; mentre non dedichiamo un pensiero al suo bipedismo o alla sua pelle senza peli. Ci può entusiasmare ciò che dice; il fatto che lui sia senz' altro in grado di parlare ci lascia indifferenti . La ragione di tutto questo è che le sue virtù, i suoi vizi e i suoi proferimenti potrebbero esse­ re proprio all' opposto di quelli che sono , compatibilmente con l' attuale ventaglio di variazioni nella nostra popolazio­ ne, mentre i suoi attributi zoologici di essere umano non possono essere altrimenti . C'è, quindi, una zona di insicu­ rezza nelle questioni umane in cui risiede tutto l'interesse del dramma; il resto appartiene all'esanime meccanismo scenico. Questa è la zona in via di formazione, la parte non ancora consolidata nella media della razza, un fattore non ancora tipico, ereditario e costante della comunità sociale nella quale esso comp are. Essa è simile allo strato morbido che sottende la corteccia dell'albero e nel quale si svolge tutta la crescita annuale. La vita ha abban donato l'interno dell'imponente tronco , che resta inerte e quasi appartiene al mondo inorganico. Uno strato dopo l' altro il perfeziona­ mento umano distingue me dai centroafricani che insegui­ vano Stanley4 al grido «carne, carne ! ». Secondo i principi

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di Allen , questa grande differenza dovrebbe attrarre la mia attenzione molto più della piccola differenza che sussiste fra due soggetti fatti della stessa pasta, come Allen e me stesso . Tuttavia, per quanto non mi senta mai orgoglioso perché la vista di un passante non risveglia in me alcuna cannibalesca acquolina in bocca, sono pronto ad ammette­ re che mi sentirei molto orgoglioso se nel condurre questo importantissimo dibattito non app arissi pubblicamente in­ feriore ad Allen5 . Per quanto mi riguarda in quanto docen­ te , i l divario intellettivo fra il più abile e il più ottuso dei miei studenti possiede un valore infinitamente maggiore di quanto ne abbia quello tra il secondo e l' anfiosso: in verità, fino a questo momento non avevo mai pensato a quest'ul­ timo divario . Davvero Allen è convinto che tutto ciò sia umana stravaganza e scemenza simile? Agli occhi di un Veddé le differenze tra due uomini bian­ chi di cultura sembrano davvero minime - stesso abbiglia­ mento , stessi occhiali, stessa disposizione innocua, stessa abitudine a fare scarabocchi sulla carta e ad esaminare libri ecc. «Soltanto due individui bianchi», dirà il Vedda, «senza alcuna differenza percettibile» . Ma quanta differenza per quegli stessi uomini di cultura ! Immagini, signor Allen, che le nostre filosofie vengano confuse l'una con l' altra soltanto perché entrambe sono stampate sugli stessi periodici e allo sguardo di un Vedda risultano indistinguibili ! Le nostre carni tremano al solo pensiero. Eppure, nel giudicare la storia Allen preferisce porsi de­ liberatamente dal punto di vista di un Vedda e vedere le cose en gros e fuori fuoco , piuttosto che in modo dettaglia­ to. Non c'è dubbio che ci siano cose e differenze da vedere a sufficienza in entrambi i modi . Quali sono , però, quelle umanamente importanti, quelle più degne di risvegliare il nostro interesse - le grandi o le piccole distinzioni? Tutta la divergenza tra i cultori degli eroi e i sociologi sta nella risposta a questa domanda. Come ho detto all'inizio, è sem-

plicemente una questione di enfasi; la sola cosa che posso fare è esporre le mie personali ragioni per le accentuazioni che preferisco. La zona delle differenze individuali e delle " svolte " so­ ciali che per comune ammissione esse avviano è la zona dei processi di formazione, la regione dinamica dell'incertezza vibrante, la linea dove il passato e il futuro s'incontrano . Essa è il teatro di tutto ciò che non diamo per scontato , il palcoscenico del dramma vivente della vita che, per quanto angusto sia il suo ambito, è abbastanza spazioso da ospitare l'intera gamma delle passioni umane. La sfera della media della razza, al contrario, non importa quanto ampia sia, è qualcosa di esanime e stagnante, un possesso raggiunto , dal quale è svanita ogni insicurezza. Come il tronco di un albero , tale sfera è stata modellata dai successivi consolida­ menti delle successive zone attive . Il presente mobile in cui viviamo, con i suoi problemi e le sue passioni, le sue rivalità individuali, le vittorie e le sconfitte, sarà presto trascurato dai più e lascerà il suo piccolo deposito su tale massa stati­ ca, per fare spazio a nuovi attori e ad un an cor più nuovo gioco . Per quanto possa essere vero che, come profetizza Spencer, ogni zona più recente dovrà essere fatalmente più angusta di quelle che la precedono e che, quando avrà la meglio il signorile tavolo elisio da tè che conclude i Data o/ Ethics7, questioni come, per esempio, la rottura delle uova all'estremità larga o stretta, abbracceranno l'intero campo della possibile lotta umana - persino in questa generazione rinsecchita e indebolita, spatio aetatis de/essa vetusto, quan­ to entusiasmo ci sarà ! Ci saranno battaglie e sconfitte, i vin­ citori saranno glorificati e gli sconfitti disonorati proprio come nei gloriosi tempi passati, finché il cuore dell'uomo si ritrarrà ancora da tutto quello che detiene come possesso sicuro e concentrerà l'intera sua passione su quelle evane­ scenti possibilità di fatto che an cora vibrano sulla bilancia del destino .

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Non è giusto l'istinto del cuore dell'uomo? Non coglia­ mo proprio qui le differenze di razza che sono nel loro farsi e non afferriamo il solo barlume che ci è concesso ottene­ re delle stesse unità che sono all' opera e della cui azione di differenziazione i divari tra le razze formano soltanto la stagnante sommatoria? Quale strana inversione della pro­ cedura scientifica Allen mette in pratica quando ci insegna a trascurare gli elementi e a prestare attenzione soltanto agli aggregati che ne risultano? Al contrario, proprio per­ ché l' anello attivo8, qualunque sia la sua dimensione, è ele­ mentare, ritengo che lo studio delle sue condizioni (a pre­ scindere che non siano mai tanto "prossime " ) sia il tema più rilevante per un filosofo sociale. Se, come ammettono sia Allen sia Fiske, le variazioni individuali determinano gli alti e i bassi della media, le sue limitatissime incrinature , le sue svolte e i suoi cambiamenti, il Cielo ci proibisce di interdire lo studio delle variazioni individuali a favore della media ! Al contrario , enfatizziamo queste ultime e la loro importanza; così, individuando i nostri eroi lungo la storia e familiarizzando con il loro spirito - immaginando il più vividamente possibile quali differenze le loro individualità abbiano apportato in questo mondo allorquando la sua su­ perficie era ancora duttile al loro intervento , e anche quali passate fattibilità essi abbiano reso impossibili - può darsi che ciascuno di noi si fortifichi meglio e respiri l'energia creativa che risiede nella sua propria anima9• Questa è la durevole giustificazione del cultore degli eroi mentre la sua ridicolizzazione da parte dei " sociologi " è l'imperitura scusante dell'indifferenza popolare verso le loro leggi e medie generali. La differenza tra un'America salvata da Washington o da un qualche , n. 1 6 , pp. 1 -20. In novembre, il te­ sto fu ripubblicato, con alcune modifiche e adattamenti, nell' American Magazine, n. 65 , pp . 57-65 , con il titolo The Powers o/Men . Entrambi gli articoli sono riproposti nel volume 1 1 , Essays in Religion and Morality, dell'edizione critica delle opere di J ames. Riproponiamo qui in traduzio­ ne la versione riveduta, e in effetti più nota, che apparve sull' American Magazine. Questa venne inserita in seguito anche nella raccolta postuma Memories and Studies ( 1 9 1 1 ) , alle pp. 227 -264 , a cura del figlio Henry James Jr. Questi mantenne il titolo originale, più fedele alle intenzioni del padre. Da parte nostra, la scelta di mantenere il titolo Le energie de­ gli uomini è favorita anche dalla traducibilità del termine inglese power con il termine italiano " energia " . James inviò il testo del discorso anche a Giovanni P apini, il 1 9 gennaio 1 907 , ed esso fu tradotto e pubblica­ to dallo stesso intellettuale fiorentino per il «Leonardo», n. 5 (febbraio 1 907 ) , pp. 1 -25. La traduzione dei testi raccolti nel presente volume è stata condotta sulle edizioni di The Works o/ William ]ames, a cura di F. Burkhardt, F. Bowers e l. K. Skrupskelis , Harvard University Press, Cambridge (Mass . ) -London, 1 975 - 1 983 , 10 voll . , e di The Correspondence o/ Wil­ liam ]ames, a cura di l. K. Skrupskelis ed E. M. Berkeley, con l'assistenza di B. Grohskopf e W. Bradbeer, University of Virginia Press, Charlotte­ sville 1 992 -2004, 12 voll. All ' apparato critico di entrambe queste edizioni si è fatto ricorso più volte nella stesura delle note. Tutte le note (o parti di note) a piè di pagina, quando non seguite dalla dicitura n.d.a. , sono della traduttrice.

LA GINESTRA Biblioteca per un individualismo solidale

Da due s ecoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità naturali e all'accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofi e pensatori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nelle quali la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati. La collana ù ginestra documenta l'esistenza di questa tradizione di individualismo solidale attraverso i testi di autori classici e contemporanei.

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nata dall'amicizia e dal lavoro comune individuale e solidale tra l'Associazione omonima e le Edizioni Diabasis viene stampato nel carattere Simoncini Garamond dalla tipografia Andersen s.p.a. nell'ottobre dell'anno duemila sedici